Piccole grandi cose della vita

di ladystorm94
(/viewuser.php?uid=58444)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** un'inaspettata coincidenza ***
Capitolo 2: *** una sguazzata nel Tevere ***
Capitolo 3: *** una modesta dimora ***



Capitolo 1
*** un'inaspettata coincidenza ***


-Quaranta gradi! Con questo caldo non si respira più!... Oh, no, dov'è finito il mio orologio? Di questo passo arriverò in ufficio domattina, se tutto va bene!- Tra un'imprecazione e l'altra, Flora Damiani si preparava per andare a lavoro. Era la stessa cosa tutte le mattine: si alzava sempre troppo tardi nonostante la sveglia facesse del suo meglio, si vestiva cercando di ignorare il suo guardaroba che gridava vendetta e preparava la ventiquattrore. Ogni volta dimenticava qualcosa, ma se ne ricordava solo dopo essersi seduta dietro la scrivania del suo ufficio in via Ottaviano numero 36, alle spalle di San Pietro. Flora frugò nella sua borsa, finchè ne estrasse un palmare fucsia metallizzato. Lo accese, andò alla pagina dell'agenda e diede una sbirciata agli appuntamenti. -Allora... alle nove viene la pazza isterica per l'affidamento, poi l'ubriacone per il divorzio alle dieci, mentre alle undici viene Come-si-chiama-lei per la consultazione. Che barba, ma perchè ho fatto Legge?- Indossò un tailleur bianco nonostante la temperatura fosse da deserto del Sahara, poi infilò un paio di scarpe dal tacco basso, prese la valigetta e uscì. Appena fuori dal portone di casa, in via Veneto, imboccò la strada per la stazione della metro. Il luogo era affollato come al solito, pieno di pendolari con gli occhi ancora rossi per il sonno. Flora avrebbe tanto voluto uscire da quella vita frenetica che non le permetteva di dedicare un po' di tempo a se stessa. Due mesi prima lei e Vittorio si erano lasciati dopo ben sei anni di convivenza. Lei avrebbe tanto voluto avere dei figli, ma lui aveva sempre scosso la testa alla sua richiesta. Ora aveva ormai quarantuno anni, era sola e il lavoro già da tempo non la appagava più come all'inizio. Appena il vortice di pensieri smise di girare, la donna alzò gli occhi e guardò in direzione del pannello luminoso, su cui una scritta a led rossi annunciava che il suo treno era in arrivo. Il tragitto le sembrò durare un'eternità. Alla sua fermata scese e percorse il breve tratto che separava la stazione da suo ufficio. Prese l'ascensore e salì fino al terzo piano. Il suo studio legale era in fondo a destra. Sulla porta di ciliegio c'era la targa dorata con sopra la scritta: Flora Damiani, avvocato. Girò la chiave nella toppa e aprì. Ad aspettarla c'era soltanto una sgradevole pila di fascicoli ammucchiati sulla scrivania. Si sedette sulla poltrona girevole di pelle bordeaux e buttò la testa all'indietro. Mille pensieri cominciarono a frullarle in testa finchè non ricordò con estremo sconforto di aver dimenticato le pratiche. Quella era una tipica giornata no. Una delle innumerevoli giornate no di Flora Damiani. Proprio non aveva voglia di tornare a casa per qualche foglio. Mancava circa un quanto d'ora al primo appuntamento, così decise di telefonare ai clienti e annullare tutti gli incontri, dopodichè lasciò una registrazione alla segreteria telefonica in cui diceva di non essere disponibile al momento, quindi uscì e si richiuse la porta alle spalle. Zigzagò per alcuni minuti prima di entrare in un bar e ordinare un caffè. Il tavolino di fronte a lei era occupato da una donna alquanto eccentrica: portava un tipico abito anni cinquanta rosso a pois neri. Aveva un cappello a falda larga, anch'esso nero. Anche le scarpe dal tacco vertiginoso, le lunghissime unghie, la borsa e la montatura degli spessi occhiali da vista erano rigorosamente nei. Aveva un giornale in mano, che teneva aperto davanti a sè sul tavolino bianco mentre sorseggiava una densa cioccolata calda. Chiuse il giornale, estrasse dalla borsa un libro e cominciò a sfogliarlo, scuotendo la testa e mormorando qualcosa che Flora non capì. Finì il so caffè e lanciò uno sguardo al libro che la donna teneva tra le mani: sulla copertina era riportata la fotografia di u a spiaggia, e il titolo era stampato in nero esattamente al centro dell'immagine. Era "Azzurro come i tuoi occhi", un libro che Flora conosceva molto bene. Poi arrivò il lampo di genio e ricordò. Si alzò e si avvicinò trionfante alla misteriosa donna. Si sedette di fronte a lei e pazientò, finchè l'altra non chiuse il libro e parlò con fare irritato. -Posso fare qualcosa per lei?- Flora sorrise. La donna ripetè la sua domanda, sempre più irritata. -Tu sei Ginevra Cliffordy, ne sono sicura.- -Come ha detto, scusi?- -Non ti ricordi di me? Sono Flora, andavamo a scuola insieme al Liceo!- Ginevra la fissò incredula, poi spalancò gli occhi. -Damy?- -Non mi chiamare Damy, Ginevra, lo sai che mi fa arrabbiare!- -Allora sei proprio tu! Che fine avevi fatto? Dopo gli esami non t sei fatta più sentire.- -Neanche tu. Comunque... indovina che libro ho appena finito di leggere per la duecentesima volta!- -Non ne ho idea, illuminami.- -"Azzurro come i tuoi occhi". E' bellissimo, complimenti!- -Lo so che i miei libri sono tutti bellissimi, Flo, ma ti ringrazio lo stesso.- -Che modestia, sono senza parole!- -Grazie. A te come va il lavoro?- -Sai, io sono un avvocato. Non è male, ma la routine è massacrante.- -A chi lo dici! Non è mica facile conciliare il mio lavoro si stilista con quello di scrittrice: bisogna organizzare le sfilate, le presentazioni dei libri in tutto il mondo, ed è necessario tenere sempre le valigie pronte!- -Sai, mi sarebbe piaciuto tenermi in contatto con gli altri compagni.- Incominciò una musica. Era "I don't want to be" di Gavin DeGraw. Non sentiva quella canzone da anni, ma ricordava benissimo quanto Gin amasse quel cantante e tutti i suoi brani. -Scusa un attimo, devo rispondere... Pronto?... Ciao, Chicco, come vanno i progetti per la mia casa a Tokyo? Guarda che il prossimo Natale lo voglio passare in Giappone!... Come sarebbe a dire che dovrò andare in albergo?!... Sei a Roma?! Non ci credo, proprio qui a Roma? Quando sei arrivato?... D'accordo, allora ci vediamo fra cinque minuti alla Barcaccia, okay?... Ciao, Chicco, a dopo!- Ginevra rimise il palmare ella borsa e riprese il discorso. -Dicevi?- -Non importa. Comunque... chi era al telefono?- -Melchiorre Corvi. Te lo ricordi, vero? -E chi se lo scorda uno brutto come lui!- Gin sorvolò sulla battutaccia. -Be', comunque tra cinque minuti dobbiamo essere a Trinità dei Monti.- -Dobbiamo?- -Dobbiamo. Tutte e due.- -Perchè?- -Perchè lo decido io. Te la senti di correre come non hai mai fatto in vita tua?- -Ti prego, non dirmi che non hai la macchina!- -In effetti, qui a Roma non ne ho nessuna. Ho soltanto il jet, ma non vorrei dare troppo nell'occhio.- -Allora useremo la metro.- -Stai scherzando? Io sono una miliardaria, non la uso mica!- Flora si mise la testa tra le mani, rassegnata. Fecero appena in tempo ad uscire da bar che il barista, accortosi dell'identità della misteriosa cliente, si fiondò fuori dal suo locale con in mano una penna gridando: -Un autografo! Un autografo!- Tre quarti d'ora dopo arrivarono a Trinità dei Monti e, mentre scendevano la lunga scalinata che le separava dal luogo dell'incontro, squillò di nuovo il palmare. Gin infilò l'auricolare nell'orecchio e Flo si accostò per ascoltare. -Sì?- -Sei in ritardo, Gin- borbottò una voce maschile con un forte accento bolognese dall'altro capo del telefono. -Le donne devono farsi aspettare, Chicco. E poi non volevo dare nell'occhio con il jet.- -Con quel vestito stai dando nell'occhio molto più di quanto tu creda.- -Ma tu dove sei?- -Accanto alla Barcaccia, alla tua destra. Mi vedi? La gente ti sta fissando, meglio andare in un luogo meno affollato.- -Concordo.- -La Gattina è parcheggiata alle spalle di Trinità dei Monti. Ci vediamo lì.- -Okay, a tra poco, Chicco.- -Non mi chiamare Chicco!- Quando Gin ebbe riattaccato si guardò intorno, per accertarsi che nessuno la stesse fissando. -Non riesco proprio a riconoscerlo, sai?- disse Flora, allungando il collo per vedere meglio. -E' giustificabile, dato che non lo vedi dai tempi del Liceo. Ora andiamo, però.- Gin partì in quarta verso la chiesa, con Flo che la seguiva ruota. Al centro del piazzale dietro Trinità dei Monti era parcheggiata una brillante e lucidissima Jaguar nera, con tanto di felino rampante sul cofano. Gin accarezzò amorevolmente la statuetta argentata. -Ciao, tesoro, come stai? Papà ti ha trattato bene?- sussurrò dolcemente. -Vai spesso in giro con la sua macchina? -Credo sia legittimo, visto che gliel'ho regalata io per il suo ultimo compleanno. -Ciao, Gin!- -Eccoti! Ciao, Mel!- Flora si voltò e, dopo tanti anni, stentava quasi a credere che quello fosse davvero Melchiorre Corvi. Un metro e novanta abbondanti di altezza; occhi, che anni addietro erano stati nocciola, diventati di un verde smeraldo. Il fisico, un tempo mingherlino e pallido, aveva lasciato il posto ad un corpo asciutto e abbronzato e a una postura quasi da indossatore. Tuttavia, il suo naso a campana era rimasto quello di sempre, i ricci castani continuavano a ricoprirgli la fronte e un paio di spessi occhiali di corno gli incorniciavano i begli occhi. Insomma, Melchiorre Corvi era sempre stato e rimaneva un classico esemplare di secchione. -Mel, lei è Flora Damiani.- sorrise Gin, indicandola con un gesto della mano. -Accidenti, non è cambiata di una virgola!- esclamò Mel, sempre con il suo solito accento che, nonostante i suoi viaggi in giro per il mondo che effettuava per il suo lavoro di architetto, non aveva mai neanche accennato a perdere. Flo si sistemò i lunghi boccoli neri dietro le orecchie, mentre gli occhi scuri le brillavano. -Tu invece sei diventato ancora più brutto, anche se non pensavo che ciò fosse possibile.- -E io non ho mai dimenticato la tua antipatia.- la schernì lui, dopodichè rivolse un sorrisetto furbo a Gin. -Pensi anche tu quello che penso io?- domandò lei, rispondendo con uno sguardo pericolosamente simile a quello di lui. -Che cosa avete in mente? Vi conosco, e so che quando fate così vuol dire che state architettando qualcosa di brutto.- -Oh, sì! Ci puoi scommettere!- disse Gin, allargando una smorfietta maligna. -Forza, sali in macchina,- la invitò invece Mel -io e Gin sappiamo dove portarti. Rassegnata, scoccando sguardi truci agli altri due, Flo salì sul sedile posteriore. La macchina partì con un rombo lasciando il piazzale. Flora guardò indietro mentre Trinità dei Monti si allontanava, senza neanche riuscire a immaginare la pazza avventura che l'aspettava.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** una sguazzata nel Tevere ***


Tra le urla della malcapitata Flora la macchina sfrecciava a 100 all’ora tra le viuzze romane; naturalmente alla guida c’era Gin. La Jaguar, sgommando, si fermò sul Lungotevere (per poco la Gattina, con i suoi tre passeggeri, non finì nel fiume). Quindici minuti dopo erano sul battello che andava su e giù per il Tevere. Presero posto nella sala ristorante e allo sguardo interrogativo del cameriere Melchiorre rispose: -So che sono le undici e dieci, ma il mio orologio biologico segna le due passate e ormai non tengo più conto dei fusi orari. Gin diede un’ ultima occhiata al menù, poi cominciò a sparare una raffica di ordinazioni: -Antipasto di frutti di mare, mi raccomando: che sia fresco, tra gli 8,6 e gli 8,7 gradi, spaghetti alla bolognese per far contento Chicco, –qui scappò un’imprecazione a Melchiorre- arrosto di maiale con patate, molto rosmarino, per staccare un sorbetto alla vaniglia per me, al limone per Chicco –altra imprecazione– e al cioccolato per Flo, alici al ragù piccante, vongole in salsa di curry con qualche oliva, possibilmente verde e, per concludere, crostata di mango e torta nunziale. Il tutto per tre, offro io. Ah, cannoli alla ricotta e code di rospo al cioccolato per tutti- Flo la guardava sbigottita. -Ho detto che pago io, non ti agitare.- -Scusate, oggi è 23 o 24? Io non tengo più il conto, ormai- chiese Melchiorre fissando nel vuoto, con aria pensierosa. -Oggi è 24 luglio 2034 e sono le 11, 24 minuti e 36, no 37 secondi, 38… 39…- attaccò Gin, sempre con la sua solita mania di stuzzicare il prossimo. -Grazie, Ginevra- sibilò Melchiorre, irritato. -Comincio ad avvertire Jennifer e Nicholas di venirci a prendere.- Gin tirò fuori il palmare dalla borsa e compose il numero. -Nicky, sei tu? Avverti Jen: salite sul jet e venite a prenderci immediatamente. Ci troverete sul Lungotevere.- Senza aspettare la risposta chiuse il telefono in faccia all’interlocutore e riprese a fissare il fiume fuori dalla finestra. Dopo aver mandato giù centinaia di grossi bocconi di vongole, arrosto e quant’altro, i tre non ce la facevano più. -Che ne dite di andare sul ponte a prendere un po’d’aria?- propose Flo, che più che prendere un po’d’aria voleva placare l’insopprimibile bisogno di dare di stomaco. Il ponte era piuttosto affollatto e Gin fu costretta a indossare gli occhiali da sole per non essere riconosciuta. Il palmare di Gin ricominciò a squillare. -Salut, Elodie… Je n’ai pas temps pour parler… Annule la soirée du 28 juillet à Cannes… Il n’importe pas, annule-la.- -Era ancora Elodie per la Grande Soirée de la Mode?- -Oui. Très ennuyeuse, non trovi, Chicco?- -Oui, je la trouve comme toi.- -Smettetela di fare i cretini e siare seri, per favore!- -Cosa c’è, Flo, non sai parlare in francese?- -No, Gin, e non ci tengo affatto. Le lingue straniere mi irritano.- Squillò di nuovo il palmare. -E ora chi ‘è, Gin?- -Oh, no! E’ Fraulein Muehl, la tedesca cicciona che vuole un vestito da sposa della sua misura.- -E tu perché non glielo fai?- -Cerca di vederla come me, Flo, sarebbe un’impresa eroica trovare un modello adatto a una taglia così sopra la media!- -Questa è discriminazione!- -Chiamala come vuoi, ma la mia musa ispiratrice ha paura di quella lì. E poi, oltre a sembrare una balena, ha un carattere insopportabile.- Il palmare smise finalmente di squillare. Melchiorre cercò di intraprendere un nuovo discorso. -Ehm… In cosa ti sei laureata, Flo?- -Legge. Voi?- -Io –rispose Melchiorre- sono andato all’università di Venezia. Mi sono laureato in Architettura. -Io, invece –disse Gin- mi sono laureata prima in Ingegneria Genetica alla Sant’Anna, a Pisa, e poi in Lingue a Oxford e in Scienze Naturali a Venezia. Il palmare squillò ancora. -Ciao, Miranda, che c’è?... Okay, tesoro, tra un po’sono a casa... Davvero? Aggiungete altri due posti a tavola, ci sono zio Chicco e un’altra mia amica…Coooooosa??!! Wow! Torniamo subito, ciao!- -Che succede, Gin?- -Dobbiamo tornare subito a casa, c’è una sorpresa per te.- -Che sorpresa?!- -Miranda mi ha detto che Erika non vuole che te lo dica.- -Ragazzi, mi spiegate che succede?- urlò Flo, che odiava essere tagliata fuori dalle discussioni. -Okay, Flo, ora ti spiego. Miranda è mia figlia, Erika è sua moglie. Miranda mi ha detto che…- Gin accostò le labbra all’orecchio di Flo, coprendole con le mani. Dopo che le ebbe detto per filo e per segno tutto ciò che Miranda le aveva riferito, allontanò le labbra. Flo rimase a bocca aperta e Melchiorre le si avvicinò. -Allora, che ti ha detto?- -Mi dispiace, non te lo posso dire. Ma lo vedrai, lo vedrai.- -Prima che me ne dimentichi, mio caro, stasera Chantal ci preparerà il suo specialissimo risotto “frutti di mare e non solo” ed Eric il suo fantastique salmone in crosta di mandorle e noci. Preparatevi a sbavare, ragazzi!- -Io non posso, stasera ho un sacco di lavoro da sbrigare!- -Io, invece, non vedo l’ora di arrivare a casa tua e fare i miei complimenti a quei due!- -Chi sono?- -I cuochi, ma anche grandi amici. Eric è di Parigi, Chantal di Marsiglia. Si sono conosciuti quando si sono presentati per la nostra offerta di lavoro e ora sono marito e moglie.- -E sono bravi?- -Non c’è neanche da chiederlo! La prima volta che Gin mi ha invitato a casa sua ho mangiato il budino più buono della storia!- Flo storse il naso, con aria pensierosa. -Dai, Flo, ti ci vuole una vacanza!- -E va bene, Gin, il lavoro può attendere, ma solo per questa volta.- Melchiorre si sporse alla ringhiera e cominciò a guardare il fiume che scorreva sotto di lui. Trascorsero alcuni minuti e il ponte cominciò a svuotarsi. Mancava poco alla fine del percorso del traghetto e la gente si preparava a scendere. All’ improvviso l’imbarcazione traballò e Melchiorre cadde a testa in giù nel fiume. -Nuota, Mel, nuota!- gridava Flo, in preda al panico. -Forza, Chicco, che arrivi primo!- aggiunse ironicamente Gin, sempre in vena di scherzi. Il ponte si affollò di nuovo, nonostante il traghetto stesse per fermarsi. Si davano spintoni e si litigava per un posto in prima fila, ma non c’era nulla di comico: Mel non era mai stato un gran nuotatore. Annaspava e si agitava come un pesce fuor d’ acqua, anche se di acqua ce n’era anche troppa! Solo quando fu praticamente diventato viola qualcuno si decise a buttare un salvagente. Mel, cercando di raggiungerlo, venne trasportato ancora più lontano dalle onde e cominciò ad agitarsi ancora di più. Ad un tratto si sentì un rumore, dapprima quasi impercettibile, poi fortissimo. Tutti guardarono in alto: un grosso jet bianco volava sulle loro teste. Dallo sportello venne calata una scaletta e Mel, grondante d’acqua, salì dentro. Gin, a quella vista, fese una smorfia di profondo disgusto. -Bleah, ora dovrò cambiare tutta la tappezzeria!- Il jet si avvicinò e le altre due cominciarono a salire sulla scaletta. Un uomo che osservava la scena la indicò. -Ehi, ma quella è Ginevra Cliffordy!- Subito un’ orda di persone si catapultò verso di lei. Arrivata a metà strada si accorse che alcune persone cercavano addirittura di raggiungerla. I suoi piloti, Jennifer e Nicholas, sapevano cosa fare: in pochi secondi il jet si fu allontanato, nonostante Gin non fosse ancora a bordo. Quando riuscì a entrare corse a sedersi dietro Flo. L’interno del velivolo era davvero di classe: i sedili erano di pelle nera; c’erano gli scaffali portabagagli, anch’essi rivestiti di pelle nera; ogni posto a sedere era provvisto di un computer che un comune mortale avrebbe confuso per un tavolino; c’erano un bagno, un minibar e persino una moquette a pois. Stranamente la cabina di pilotaggio e il resto dell’ aereo non erano separati. -Dov’ è Chicco?- -E’ in bagno, si sta cambiando.- -Bene, Jen, e i vestiti dove li ha presi?- -Siamo passati a prelevarli in albergo.- -Siete andati anche a prendere i miei?- -Certo, Gin. La tua amica resta con noi, vero?- -Naturale! Ehm, Flo, potresti dirmi dove abiti?- -In via Veneto. Perché?- -Perché credo che avrai bisogno dei bagagli.-

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** una modesta dimora ***


-Benvenuti in Scozia!- urlò Gin, mentre sorvolavano il fiabesco paesaggio scozzese. Ettari ed ettari di altopiani e vallate si rincorrevano fuori dai finestrini, tanto vicini che sembrava di poterli toccare. -Quanto manca?- domandò Flora, eccitata. -Quanto manca per cosa, Flo?- -Ovvio, per casa tua.- Gin e Mel scoppiarono in una fragorosa risata. -Allora? Che avete da ridere?- -Niente, Flo, è solo che siamo già a casa mia! Questi sono i miei possedimenti…- -Siamo arrivati!- gridò a un tratto Mel indicando qualcosa nel panorama. Flo schiacciò il naso sul finestrino, a bocca aperta. -No, non è possibile, è…- -Già, Damy, la mia modesta dimora.- -Gin lo ha chiamato “Lady Juno Castle”.- -E’ bellissimo!- -L’ ho acquistato per la modica somma di…be’, non ne parliamo.- D’un tratto la discussione venne interrotta dalla voce di Nicholas: -Tutti pronti per scendere? Stiamo per atterrare.- Pochi minuti dopo il jet atterrava con un rombo presso l’antico portone. Flo era incantata: la maestosa costruzione che si ergeva dinanzi a lei aveva una grazia pari a quella di un unicorno impennato. Al chiaro di luna doveva avere un aspetto tetro e inquietante, ma alla luce del giorno risplendeva in tutta la sua magnificenza. Il gotico permeava in ogni statua, in ogni torre, in ogni bifora, rendendo quell’imponente pezzo di fiaba la dimora adatta per le affascinanti leggende celtiche… o per Ginevra Cliffordy. -Nemo domum quia magna est amat, sed quia sua- disse Gin, avvicinandosi all’amica.- -Oh, no! Ora parli anche in latino?!- -Vuol dire solo “ Nessuno ama la sua casa perché è grande, ma perché sua”; lo diceva Seneca -Veramente, Gin- intervenne Mel –la frase di Seneca diceva “patriam”, non “domum”!- -E’la stessa cosa!- -No che non lo è!- -Sì invece!- -E io ti dico di no…!- -SCUSATE! Non vorrei interrompere la vostra allegra conversazione, ma…- -Ma perché state perdendo tempo, ragazzi!? Io sto morendo di fame!- esclamò Gin, poi bussò il campanello. Andò ad aprire una bambina con spettinati capelli biondi e un vestito rosa tutto spiegazzato. -Maman! Tu est déjà ici!- strillò, correndo ad abbracciare la madre, che ricambiò con entusiasmo. Poi la bambina saltellò verso Mel, incrociò nervosamente le mani dietro la schiena e lo guardò con aria colpevole, poi fissò di nuovo la madre e sorrise con aria maliziosa. -Quando glielo diremo, maman?- -Non ora, Eloise, ma ti prometto che quando sarà il momento potrai dirglielo tu. A proposito, questa è una mia vecchia amica. Si chiama Flora Damiani.- -Très honorée, madame! Je m’appelle Monique Eloise London Claire Princesse. Mi auguro che tu non abbia problemi di memoria, altrimenti credo che avrai seri problemi- esclamò la bambina, allungando la manina che Flo strinse volentieri. -Ora, se volete scusarmi, devo tornare alla mia missione segreta. Il nemico non può averla vinta- -Interessante. E chi sarebbe il nemico?- domandò Mel, incrociando le braccia. -Oh, è una banda di malfattori professionisti capeggiata dai famosi Jack lo Squartatore e Billy the Kid. Sono due criminali assetati di sangue che non esiterebbero a dare prova della loro follia neanche davanti a un bambino innocente. Ora devo scappare!- concluse, sparendo oltre il portone. -Jack e William- dissero Gin e Mel all’unisono. -Chi?- -I gemelli. Che ne dite di entrare? Non vorremo farli giocare da soli, no?- L’atrio era molto grande, con pavimento di marmo e il soffitto costellato di eleganti lampadari. Accovacciato nel sottoscala, un ragazzo sicuramente molto più grande di Monique, occhiali storti su due occhi a mandorla, cravatta slacciata, camicia che fuoriusciva per metà dai pantaloni. Appena si accorse dei nuovi arrivati, portò l’indice alle labbra intimando loro di non parlare. Poche frazioni di secondo e si avvicinò di corsa un altro ragazzo, un tipo magrolino che diede il cambio al primo, il quale si affrettò verso la madre. -Hello! Oggi è la giornata decisiva, non possiamo perdere, è la nostra grande occasione! -La vostra grande occasione per cosa? Hiro, hai sedici anni!- lo rimproverò Mel. -Già, ma fino a prova contraria sono io sua madre e sono l’unica che ha il diritto di digli se può continuare fare l’agente segreto o no- scherzò Gin. -Veramente, mamma, io sono nei ladri- dichiarò Hiro, passandosi una mano fra i capelli corvini. -Capisco. E cosa stavate cercando di rubare, di grazia?- -Ehm…- si passò di nuovo una mano fra i capelli –il tuo anello di diamante.- -Quale dei tanti?- -Quello che ti ha regalato papà per il vostro sedicesimo anniversario- -Hiro Duncan Ethan Frederic Noah West-Cliffordy!- -Mamma, devi per forza usare il mio nome intero?! L’idea è stata di Juliet. Dorian voleva usare il diadema che ti abbiamo regalato per il trentacinquesimo compleanno, ma poi abbiamo pensato che forse ti saresti arrabbiata troppo…- -Dorian!- sbraitò Monica, e il ragazzino di guardia nel sottoscala si avvicinò con aria colpevole nascondendo un sorrisetto compiaciuto. -L’idea del diadema era perfetta, ma la prossima volta che vi viene in mente di giocare a Ocean’s Eleven avvisatemi, così vi fornisco attrezzature da professionisti! E ditelo anche agli altri!- I due fratelli si diedero il cinque e corsero via. -RUPERT!- l’urlo risuonò nella sala d’ingresso e una ragazza comparve dalla scalinata opposta rispetto alla quale erano fuggiti Hiro e Dorian. Era le copia perfetta della madre, tranne che per il fatto che non portava occhiali e per i capelli che, pur essendo ugualmente biondi, erano simili a una nuvola leggera sopra la testa. -Mamma, sei tornata! Oh, io lo ammazzo!- -Fammi indovinare: ha letto di nuovo la tua posta elettronica.- -Già. Ho bisogno di studiare per l’università e devo allenarmi per gli spettacoli, non posso anche pensare che da un momento all’altro lui e Dorian ne combineranno un’altra delle loro!- -D’accordo, dirò ai tuoi fratelli di lasciarti studiare fino al prossimo spettacolo, anche se non credo che mi ascolteranno.- -Quale spettacolo?-chiese Emanuela. -Miranda è la mia primogenita. Lei e Melissa ballano danza irlandese da quando avevano quattro anni e ora si esibiscono in tutto il mondo. Il prossimo spettacolo è a Londra. Miranda, lei è Flora Damiani, una mia vecchia amica.- Le due si strinsero la mano. -A proposito, mom, non gliel’hai mica detto, vero?- domandò Miranda, lanciando di sottecchi un’occhiata a Mel, che sbuffò contrariato. -Certo che no, e poi ho promesso a Monique che sarebbe stata lei a dirglielo…- -Volete spiegarmi cosa sta succedendo qui?- sbottò Mel nel suo buffo accento. -No- risposero impassibili le altre tre. Sbuffò di nuovo. -Fantastico, chissà se riusciremo a sistemarci prima dell’ora di cena- disse Gin. -Dove sono i bagagli?- domandò Flo. -In aereo. Li prenderemo dopo; prima, però, ti faccio vedere la tua stanza.- Gin e Mel condussero Flo nella stanza per gli ospiti, dove questa si distese immediatamente sul letto a baldacchino per saggiarne la consistenza, poi portarono nelle stanze i bagagli aiutati da Irene, la giovane cameriera. -Dove sono Richard ed Erika?- chiese Gin, mentre trascinavano a fatica le valigie di Mel. -Richard è sul set, Erika stava registrando il nuovo album quattro ore fa, quando ha telefonato- rispose Irene –ma ora credo che stia venendo qui. Hai mandato Jen e Nick a prenderla?- -Sì. Non credo che qualcuno le abbia detto del menu di stasera, altrimenti sarebbe già qui.- -Sul set?- domandò perplessa Flo, poi si batté una mano sulla fronte. –Oh, già, tu sei sposata con Richard West! Senza offesa, ma detesto tutti i suoi film: da quello dove interpreta il liceale secchione a quello dove finisce per sbaglio in carcere.- Gin si portò le mani sui fianchi, arricciando il labbro. -Ha vinto l’oscar come miglior attore protagonista per entrambi i film, e il primo lo ha girato a soltanto sedici anni!- ribatté Gin. -Lasciamo perdere, Gin. Piuttosto, di che album stavi parlando?- -Di quello di Erika, “Follow your dreams”. Conosci Erika O’Connell? La cantante irlandese?- -Certo che la conosco!! Aspetta, vuoi dirmi che… Erika O’Connell è la moglie di Mel? Ma non è un po’ troppo grande per lui?- -No che non lo è, abbiamo soltanto quattro anni di differenza!- sbottò Mel, comparendo dietro di loro mentre stringeva la grossa valigia verde acido di Flo. -Perdona la mia ignoranza, Gin, ma di dov’è Richard?- -Di Warwick, perché?- -Sai, ero convinta che fosse americano.- -La considero come un’offesa, Flo.- -Ah, giusto, tu hai sempre adorato l’Inghilterra… e l’India.- -Il Giappone, vuoi dire. E’ lì che ho adottato Hiro.- -E gli altri? Sono tutti figli naturali?- -Quasi. Soltanto Hiro e le due piccole pesti, i gemelli, sono adottati. William e Jack vengono dall’Australia.- -Capisco. E quanti sono in tutto?- -Sedici.- rispose Gin fiera. Flo aveva lo stomaco annodato. Non le piaceva affatto che la gente le parlasse dei suoi figli, perché lei non aveva figli di cui parlare agli altri. Scosse la testa per riscuotersi dei suoi pensieri, dopodiché andò ad aiutare Mel a portare di sopra i bagagli.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=286567