Lord of Life: Rise of the Alderly King

di Kane_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: La caduta ***
Capitolo 2: *** Il ladro di frutta ***
Capitolo 3: *** Aerith ***



Capitolo 1
*** Prologo: La caduta ***





 
"E così, fratello mio, anche la tua anima è finita nelle loro mani..."
L'uomo di mezz'età aveva le braccia allungate verso il muretto del forte che offriva un'ampia vista della secca e grigia pianura, interrotta solo dal resto del complesso militare e dalle immense mura intorno ad esso, fatte interamente di metallo. Questo miracolo dell'architettura difensiva, commissionato dal re dell'Antico Impero in persona che fino a qualche secolo prima dominava incontrastato sul continente, non sarebbe stato possibile se non grazie all'aiuto della gilda dei Mastri Fabbri, i manipolatori dei metalli, divenuti leggenda per le loro incredibili abilità e dimenticati subito dopo la loro scomparsa. Quell'altissima e spessa muraglia era l'unica testimonianza esistente della loro eccellenza e, nonostante gli evidenti segni lasciati dagli innumerevoli tentativi di assedio subiti, era diventata il simbolo del potere e della magnificenza. Nessuno fin dalla sua costruzione era mai riuscito ad impadronirsene, nessuno mai era riuscito a valicare l'immensa muraglia di metallo. Per secoli era stato la salvezza, un baluardo sicuro dove rifugiarsi dalle atrocità esterne. Eppure quella fredda e piovosa mattina alcun uomo sembrava sentirsi al sicuro: all'orizzonte sfilava il più grande esercito che avesse mai calcato le terre conosciute, un'immensa orda di uomini, donne e perfino bambini di ogni età, razza o ceto sociale.
"Mio signore..." un soldato alle sue spalle lo distolse dai suoi pensieri. L'uomo lo scrutò, esaminando la tunica e gli armamenti leggeri che adornavano le braccia del giovane che fino a poche ore prima, in piena notte, camminava per quelle sterili terre in esplorazione, "Il loro esercito supera la linea dell'orizzonte, le loro macchine d'assedio sono più di un migliaio e..."
"Basta così." lo interruppe, cercando di mantenere un certo contegno non per la paura, ma più per la rassegnazione dell'inevitabilità della sconfitta. Lanciò uno sguardo al di là del muro di cinta, osservando quella macchia nera di lame e acciaio che lentamente invadeva la pianura. 
"Che mi sai dire degli altri forti, hai visto altre uniformi oltre a quello del castello di Northmount?" chiese cautamente, senza guardare il soldato.
"A migliaia" rispose il giovane esploratore senza esitazione, "Purtroppo, sembra che anche le truppe di White Hamlet e della Grande Mesa siano state soggiogate, oltre a quelle già note."
"Santo Dio... questo significa che siamo soli, completamente abbandonati a noi stessi..." esalò l'uomo. Prese una lunga pausa per riprendersi al pensiero di tutte le vittime causate da quel flagello, per poi fare l'unica domanda che temeva di fare: "L'avete trovato?"
"Si, mio signore. È ridotto male, molto male, ma siamo sicuri che sia lui. Vuole che gli venga data una degna sepoltura?"
"Non c'è tempo" si portò una mano alla fronte per nascondere la sua paura di constatare in che condizioni fosse stato trovato.
“ Non doveva finire così, fratello..." prese una lunga pausa, accompagnata da un profondo respiro, per poi riprendere la parola: "Portatemi da lui, voglio salutarlo per l'ultima volta." intimò, nascondendo il tremolio della voce sotto quel rigido ordine.
"Sì, signore. Mi segua."
In pochi minuti, quello che una volta era il valoroso re delle Terre Norrene controllate dagli umani, il tanto amato e celebrato Richard, era steso su un tavolino di legno, il corpo sventrato senza più un braccio e parte della testa, le labbra cianotiche schiuse in un ultimo grido.
L'uomo osservò quel macabro spettacolo, vagliando quel cumulo di carne ed ossa alla ricerca di un segno, un qualcosa che smentisse l'identità di quel cadavere. Allungò la mano verso lo spallaccio, rimuovendolo con estrema lentezza e pregando gli dei che quello fosse solo un semplice soldato. Percepì le cinghie di cuoio spezzarsi sotto vicino alle sue dita e lasciando scoperta la pelle bianca e una piccola voglia rossastra. Una voglia che lui aveva visto parecchie volte nel corso della sua vita.
"Fratello mio..." disse con una voce rauca, non più intimorito dalla paura di mostrarsi debole. Non aveva più importanza. "Non meritavi questa fine. Eri un buon re e un ottimo fratello. Mi hai insegnato tutto quello che so..." prese una pausa per resistere alla tentazione di singhiozzare, distogliendo per un attimo lo sguardo da quel corpo straziato. L'immagine di Richard si sovrappose a quella che aveva davanti e per un attimo il sovrano credette di star sognando. Ma il puzzo del sangue e della carne putrefatta non lasciavano tracciare un netto confine tra la realtà e la sua speranza.
"Ed ora, senza di te, come faremo? I tuoi soldati sono caduti nelle mani del nemico, molti ti hanno voltato le spalle e presto si porteranno via anche la mia vita..."
Dopo un lungo silenzio, dilaniante più di qualsiasi lamento o grido di dolore, l'esploratore bussò alla porta, per poi entrare subito dopo senza attendere risposta: "Mio signore, cosa vuole che dica agli uomini là fuori?"
Il sovrano si volse verso il suo interlocutore. Lo fissò e strinse i pugni fino a far sbiancare le nocche, mentre sentiva la rabbia montare dentro di lui. Non poteva arrendersi, non dopo quello che avevano fatto a suo fratello e al loro popolo.
"Dì loro che ce la caveremo, che l'esercito nemico è numeroso, ma che non è preparato ed equipaggiato per un assedio.” disse infine, oltrepassando il soldato e uscendo da quella stanza di morte.
 “Almeno gli daremo l'illusione che forse potranno uscirne vivi e liberi."

Il giovane era seduto davanti ad un tavolo in disparte nella stanza, dove si trovavano diversi soldati, intenti a sorseggiare birra ed altre sostanze che, in realtà, avevano tutte lo stesso sapore. Si guardò intorno meditabondo, sorseggiando una tazza fumante di liquido nero pece. Il sapore amaro gli fece storcere il naso, ma mentre scendeva in gola, il giovane sentiva una piacevole calma. Dopo un lungo viaggio, era rimasto estasiato da una bevanda in grado di concedere una grande concentrazione ed una notevole vitalità. Certo, non era facile distillarlo da da quegli strani chicchi scuri, ma dopo un paio di tentativi aveva imparato la tecnica che tante volte aveva visto maneggiare dalle mani esperte degli abitanti del lontano Oriente.
Mentre sorseggiava quel liquido scuro, fissava il suo più grande amico, nonchè l'unico membro del suo reggimento rimasto in vita oltre a lui, che gli si stava avvicinando per sedersi al suo stesso tavolo.
"Ebbene, pronto al massacro? Voglio proprio vedere come te la cavi a combattere senza i tuoi amichetti..." esclamò il nuovo arrivato, buttandosi sulla sedia con ben poca grazia.
"Piantala, Markus..." disse seccamente lui, finendo la tazza di caffè ed appoggiandola sul tavolo. "Piuttosto, dimmi, sei riuscito a riparare il tuo arco dopo l'ultima volta?"
Il suo coetaneo lo fissò in cagnesco, rivedendo il momento in cui la sua arma prediletta che aveva usato per parare un colpo di spada si spezzava tra le sue mani. In quell'occasione non aveva potuto fare altro per difendersi, ma la cosa non gli aveva fatto per niente piacere.
"Molto divertente, Alexander, ma di arcieri come me ce ne sono tanti, mentre tu porti un fardello non irrilevante nelle tue spalle..."
Il giovane sospirò, fissando la tazza vuota e sperando che in qualche modo si riempisse da sola per poter bere altro caffè. Markus era sempre stato un tipo schietto e quella frase ne era la dimostrazione: i Signori della Vita erano così pochi, specie tra gli umani, che per molti erano solo un mito. Alex era uno di questi, forse l'unico della sua razza, l'ultimo in grado di poter tramandare quell'arte arcana e misteriosa tra i propri simili. Tuttavia, in quella terra desolata e dimenticata dagli dei, il suo potere invidiabile perfino dalle razze elfiche era pressochè inutile.
"Se sopravviveremo..." riprese Markus, cercando uno spunto di conversazione "Ti porterò a Westwood, la mia città natale. Le acque del suo lago sono le più pulite e cristalline che io abbia mai visto in tutta la mia vita e il verde delle foresta la circonda quasi completamente. Ti piacerebbe molto, soprattutto perchè pullula di animali..."
Alexander si lasciò sfuggire un sorriso sconsolato, scavando a fondo nella propria anima per cercare quel briciolo di speranza che gli era rimasta per la battaglia imminente: "Ci andremo, di sicuro, e mi farai conoscere una di quelle focose ragazze di cui mi parli ogni volta che accenni alla tua città."
"Sicuramente! Loro si che sono vere donne che sanno come trattarti, non come le sgualdrine di Whitefield!"
I due ragazzi ridacchiano moderatamente, interrotti però dal suono del corno che preannunciava l'imminente attacco del nemico.
Rapidamente, la stanza si svuotò alla stessa velocità dei boccali che poco prima trasbordavano di birra di pessima qualità. Ogni singolo uomo, dopo aver recuperato il proprio armamento, prese posizione nel giro di pochi minuti. Markus corse in cima alle solide mura, pronto a scoccare le proprie frecce con l'arco prestatogli dall'armeria, di una qualità nettamente inferiore rispetto a quello che lo aveva accompagnato per tutta la vita fino a qualche giorno prima, mentre Alex si trovava poco più indietro, rilegato ad una posizione di supporto in cima ad una piattaforma dove erano radunati parte dei soldati pronti a resistere alla carica nemica, in caso avesse oltrepassato le mura.
"Ci vediamo dall'altra parte!" gridò a gran voce il primo, girandosi verso il suo amico e rischiando un severo rimprovero dall'ufficiale presente.
Alexander ricambiò alzando la mano al cielo, coperto da nubi temporalesche. Delle piccole stille cristalline cominciarono a piovere, disegnando sulle loro armature delle leggere linee trasparenti.
“Lacrime celesti per noi umani...” pensò amaramente il ragazzo, alzando leggermente il capo e lasciando che le gocce gli bagnassero il volto. Dalla sua posizione non riusciva a vedere il campo da battaglia, ma era abbastanza in alto da scorgere all'orizzonte la marea oscura che si stava minacciosamente avvicinando.
Un sorriso amaro gli arricciò le labbra: stavolta, uscire da lì sarebbe stato davvero difficile.
All'improvviso, il silenzio, interrotto solo da un improvviso terremoto, un boato di piedi, acciaio, lame e grida di feroce follia.
Una voce fendette l'aria, così forte che Alex ebbe l'impressione che gli stessero urlando nelle orecchie: "Tendere!"
Tutti gli arcieri nelle mura incoccarono, rivolgendo, esitanti, le loro armi verso l'orda.
"Scoccare!"
Fu un attimo, e tutte le frecce coprirono il cielo in un'unica volta, piovendo sull'esercito nemico come fulmini neri. Le punte affilate perforarono, squarciarono, penetrarono nelle carni, portandosi via la vita dei soldati colpiti.
Ancora, un altro ordine tuonò per le mura, sovrastando le urla e i gemiti di dolore che permeavano l'aria. 
“Continuate! Non lasciateli avvicinare!”
Gli uomini tesero di nuovo, facendo cadere i dardi mortali in mezzo alle fila nemiche. Alex rimase in attesa, cercando di capire la situazione dalla sua posizione. 
“Gli stiamo decimando...forse possiamo farcela.” pensò, ma qualcosa in cuor suo gli diceva che non sarebbe stato così facile. La terra continuava a tremare sotto l'impeto degli invasori che continuavano ad avanzare, calpestando i corpi dei caduti e tutti coloro che non erano più in grado di muoversi. Una marea nera pronta a sommergerli, a trascinarli nell'oscurità di un abisso senza fine. Improvvisamente il suono di qualcosa che impattava contro la muraglia riecheggiò nell'aria, un suono metallico sordo che gli fece raggelare il sangue.
“ Uomini! Sfoderate le armi!” la voce decisa del generale gli graffiò le orecchie, “ Non dobbiamo lasciarli passare! Spingete giù le scale!”
"Ma cosa..." disse un uomo poco lontano dal giovane.
"Non sono soldati, alcuni di loro non hanno nemmeno delle armature!"
"Guarda, ci sono pure delle donne!"
Alexander era sbalordito tanto quanto loro, soprattutto quando vide dei soldati esperti e valorosi uccisi da quelli che al massimo erano degli allevatori di bestiame o contadini.
D'un tratto però si riprese e cominciò a cercare con lo sguardo Markus, trovandolo poco lontano dalla sua postazione, intento a combattere contro i propri nemici.
"Riserve, andate a dare manforte ai nostri arcieri!"
Nell'istante in cui quella frase venne pronunciata dall'ufficiale di retroguardia, il ragazzo partì alla carica insieme ai suoi commilitoni. Sguainò la spada e strinse lo scudo con forza, come a volersi dare coraggio. In pochi istanti, si trovò già nel vivo della battaglia: colpì una donna alla testa, sentendo la lama che dilaniava le carni del collo, mentre una cascata rossa imbrattava la terra ai suoi piedi.
“Attento! Alle spalle!” 
Alexander si girò, facendo cozzare lo scudo contro la lancia di un uomo. Percepì la vibrazione della lama contro il metallo, lo stridere dell'acciaio contro l'acciaio. Strinse la spada e menò un fendente, squarciando violentemente il muscoli e nervi. Il contadino spalancò gli occhi e alzò lo sguardo al cielo, accasciandosi a terra come una bambola rotta.
Il giovane osservò il corpo ai suoi piedi, gli occhi bianchi e senza luce ora incapaci di vedere.
“ Questa cosa non è normale...” il pensiero lo fulminò per alcuni, brevi istanti; poi la ragione fu inghiottita dalla furia della battaglia. Il suo corpo cominciò a muoversi da solo, danzando una ferale danza mortale in mezzo ai nemici. La sua lama penetrò armature, lacerò, squartò, fendendo quei corpi inerti come se fossero paglia.
Non ci volle molto a scacciarli dalle mura. Le scale vennero abbattute e la situazione si era momentaneamente ristabilita. Quando una gelida calma calò intorno a lui, il ragazzo ebbe finalmente la possibilità di ammirare il campo di battaglia: migliaia e migliaia di persone erano accalcate contro le mura, e si estendevano a perdita d'occhio in ogni direzione.
La situazione di stallo non durò a lungo, infatti l'assalto mal gestito conclusosi poco prima era servito come diversivo al nemico per fare un buco nelle fogne, sguarnite dalla solita sorveglianza, Già diversi giorni prima il capo dell'esercito nemico aveva ordinato di costruire un tunnel lungo abbastanza per incontrare le fognature della grande muraglia, per poi abbattere il muro di mattoni che le divideva da loro con un ariete. Un piano geniale, imprevedibile e mai realizzato prima, soprattutto perchè nessun soldato dotato di volontà propria avrebbe mai scavato per diversi giorni senza sosta un tunnel di molte leghe fino a quell'immensa fortezza.
Quando i difensori si resero conto del pericolo, era già troppo tardi e l'assalto fuori dalle mura era ripreso, stringendo i soldati impauriti in una manovra a tenaglia. 
"Disperdetevi nei forti!" gridavano senza sosta gli ufficiali, mentre i loro uomini si affrettavano alle postazioni difensive. Alexander correva come un forsennato, attraversando uno dei cortili in cui i suoi compagni erano soliti allenarsi e li vide Markus, intento a combattere gli invasori, per poi fronteggiarne un altro, poi un altro e un altro ancora, fino a quando non si fermò paralizzato davanti all'ennesimo nemico che aveva davanti. Un bambino di forse sei o sette anni lo fissava con occhi vitrei, le guance paffute e l'espressione di un qualsiasi suo coetaneo. Markus esitò nel colpirlo immediatamente, incapace di muovere mano contro una creatura pura, incontaminata. Un ghigno ferale distorse le labbra del bambino e, senza esitazione, gli scattò addosso, atterrandolo. Fu questione d'istanti, un'azione compiuta che agli occhi di Alexander apparve come rallentata, quasi il tempo fosse scomparso improvvisamente: vide il bambino sopra il suo amico, gli occhi combattuti di Markus, la sua espressione di puro terrore quando quell'essere sguainò il coltello dalla cintola e lo calava sul suo petto, fendendo la sottile pettorina e scavando con brutale violenza nelle sue inermi carni. 
"Markus!" gridò d'impeto il giovane, correndo verso di lui, disinteressandosi completamente della battaglia. Sentì la rabbia obnubilargli la mente, oscurando la voce della ragione che gli urlava di scappare. Abbattè la lama sul collo del bambino senza esitazione, staccandogliela con un unico, profondo affondo. Quando il corpo dell'essere si riversò a terra, Alexander lo calciò via, inginocchiandosi vicino al suo amico. La ferita continuava a piangere lacrime sanguigne, gocce cremisi che scivolavano via assieme alla sua vita.
"Markus, sei vivo? Rispondimi, te ne prego!" continuava a ripetere lui, ma Markus non gli rispondeva. Sembrava morto, ma il ragazzo non si dava per vinto e continuava a scuoterlo con forza. Non poteva essere morto, non dopo tutto quello che avevano passato assieme, non dopo che erano sopravvissuti fino a quel momento. 

 
“Ti porterò a Westwood, la mia città natale. Le acque del suo lago sono le più pulite e cristalline che io abbia mai visto in tutta la mia vita e il verde delle foresta la circonda quasi completamente. Ti piacerebbe molto, soprattutto perchè pullula di animali...”

"Non puoi abbandonarmi così!" esclamò, tremando, mentre le lacrime si confondevano, mescolandosi alle stille celesti della pioggia.
D'improvviso però, Alexander si sentì tirato su e trascinato in direzione del forte da una forza sovrumana, seguita da una voce profonda e fredda: "Non c'è più nulla da fare, lascialo stare e vieni con noi al sicuro."

"Markus..."
Il giovane era seduto contro il muro, come molti dei suoi commilitoni, e continuava a ripetere quel nome. Dieci minuti prima, è stato trascinato via dalla battaglia da Mattew Roberts, fratello di Richard Roberts, re caduto delle Terre Norrene. La stanza era illuminata solo da poche candele, e la battaglia fuori s'era placata. I pochi sopravvissuti all'assalto si trovavano tutti in quell'edificio, in attesa che il nemico facesse irruzione per ucciderli tutti.
"Moriremo veramente come dei codardi?!" gridò uno dei soldati li presenti, con l'armatura coperta del sangue e da frammenti di ossa: "Non ho intenzione di farmi ammazzare senza opporre resistenza! Facciamoci trovare pronti!"
Mattew era visibilmente scosso, non sapendo assolutamente cosa fare. Tanto, alla fine, sarebbero comunque morti tutti li.
“ é la fine...” pensò, amaro.
"Magari, se ci arrendiamo, non ci uccideranno..." propose timidamente qualcun altro.
"Stolto!" gridò qualcuno vicino ad Alexander: "Sono venuti qua solo per ucciderci e per schiavizzare quelli di noi che non sono immuni. Pensi davvero che ne valga la pena?"
Il silenzio tornò in quella stanza, poi il rumore di un ariete intento a tormentare la porta in legno massiccio del forte riempì l'aria. Tutti si alzarono e presero le armi in mano, ma nessuno ebbe il coraggio di dire una sola parola. Quando la porta cedette, non furono fatti prigionieri.

Mezz'ora dopo, gli attaccanti, vincitori, erano intenti a perlustrare la zona, in cerca di eventuali sopravvissuti, in un silenzio disturbato solo dal tintinnare delle poche armature e dal leggero ticchettio della pioggia.
"Signore!" esclamò uno dei soldati in perlustrazione "C'è un sopravvissuto!"
L'ufficiale si avvicinò al corpo indicato dall'uomo e lo fissò: "È ferito gravemente. Portatelo dai medici, fatelo curare, poi preparatelo per il trattamento. Se questo ha successo, portatelo da me. Se, invece,è un immune...” ghignò, passandosi lascivamente la lingua sulle labbra, “ uccidetelo senza alcuna pietà."


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Finalmente, il prologo del mio primo racconto originale!
Per chi non mi conoscesse, mi presento: sono Andrea, ho 18 anni e sono uno studente di Milano. Non sono un grande lettore, a causa di alcuni problemi visivi, ed ho cominciato relativamente presto a mettere per iscritto i miei racconti, ma mi auguro che i miei racconti, questo in particolare, riescano comunque a piacere a qualcuno di voi!
Prima di ogni altra cosa, voglio ringraziare la mia carissima amica Himenoshirotsuki, autrice di "Fuoco nelle Tenebre", uno dei migliori racconti su tutta EFP, che mi ha fatto da beta per questo capitolo e che continuerà a farlo sia qui che nella FF. Sei la migliore, e non ti ringrazierò mai abbastanza per tutto ciò che hai fatto: senza di te, per esempio, non avrei mai cominciato a leggere libri e a scrivere racconti, per non parlare poi del sostegno che mi dai ogni volta...

Volevo anche scusarmi con chi segue la mia fanfiction su Code Geass, visto che non pubblico da tre settimane, ma è stato un periodo davvero pesante, e non avevo voglia di scrivere, e quando questa mi è tornata ho voluto cominciare l'originale. Vi prometto che il prossimo capitolo sarà sulla Penisola ^^
Detto questo, ringrazio tutti voi per aver letto fino a questo punto il mio scritto, vi invito a lasciarmi una bella recensioncina per farmi sapere cosa ne pensate e, soprattutto, vi aspetto al prossimo capitolo!
 

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Capitolo 2
*** Il ladro di frutta ***


(Sentiero che porta alle dimenticate terre dell'ovest)

 

Era una splendida giornata di primavera, la natura cominciava lentamente a risvegliarsi dal lungo e rigido inverno appena passato ed il tepore del sole, caldo come in una giornata di piena estate, finiva di sciogliere gli ultimi cumuli di neve rimasti in giro per la pianura.
Il ragazzo era lì, ai piedi di un albero centenario dalla corteccia dura e spessa come i muri di una fortezza, e si preparava per arrampicarvisi sopra.
All'improvviso, però, l'urlo isterico ed affannato di un uomo fendette l'aria, facendo scappare la piccola fauna del posto: "Se ti prendo, giuro che ti apro in due!"
Il ragazzo si voltò un attimo, poi prese ad arrampicarsi con agilità in cima all'enorme tronco.
Quando l'uomo arrivò alle radici dell'albero, sostò un istante per riprendere fiato ed orientarsi: "Dannato furfantello, se ti ripesco a rubare la mia frutta..." la voce dell'uomo si ruppe in quel momento per l'eccessivo sforzo impiegato nella corsa, che lo costringeva a guardare verso il terreno, piegato da una fitta allo sterno.
Fu solo fortuna se non alzò lo sguardo, altrimenti avrebbe intravisto la sagoma del giovane che, nonostante la tensione e la paura di essere scoperto, se la rideva sotto i baffi in un soffocato silenzio.
Quando l'uomo riprese la sua ostinata ricerca, il ladro di frutta si ritenne salvo e tirò fuori dal suo sacco una mela matura e polposa, di un colore rosso intenso, e cominciò a mangiucchiarla soddisfatto, buttando con noncuranza il torsolo verso il suolo. Ripetè le stesse azioni con il resto della refurtiva fino a saziarsi, osservando l'orizzonte dalla cima più alta di quella foresta: vaste pianure verdeggianti circondavano la zona, in lontananza; verso nord, le montagne sembravano sfidare il cielo con le loro fiere dimensioni. Da una di queste, Crystal Mount, aveva origine il più grande fiume della regione, battezzato con una spropositata banalità dei locali come il Vorticoso per le sue correnti così impetuose da impedirne la navigazione.
Verso sud, lungo le sue rive, sorgeva un piccolo villaggio di contadini e di artigiani, perlopiù lavoratori della preziosissima argilla della zona, unica al mondo, e pertanto richiesta da tutti i nobili delle terre conosciute. Inoltre, la zona era particolarmente frequentata da viaggiatori, mercanti e, alle volte, anche soldati per via della sua posizione strategica. Infatti il villaggio, costruito su entrambe le rive del fiume, ospitava anche il ponte più imponente di tutta la regione che era stato eretto tra due alture in mezzo alle quali scorreva l'acqua. 
Ad est il verdeggiare della pianura era spezzato dalle coltivazioni di grano, cereali e legumi di vario genere, dagli enormi mulini a vento caratteristici della zona e da alcune abitazioni diroccate nelle quali erano soliti avventurarsi i ragazzini a caccia di fantasmi e di strane creature. A volte era un rito di iniziazione per le bande di teppistelli, altre quella strana curiosità era dettata dalla noia o da un'ostentata dimostrazione di coraggio.
Verso ovest, il nulla: non una casupola, non una roccia o un albero, solo verdeggiante pianura a perdita d'occhio, rotta soltanto da una stradina sterrata e poco frequentata. Quel sentierucolo anonimo portava fino al confine della regione di Rawscale  e si inoltrava nel territorio di un re che, si diceva, piuttosto che accettare la pacifica convivenza con le altre razze, aveva preferito isolarsi dal resto del mondo.
Erano passati più di duecento anni dalle Guerre Razziali. Prima di allora gli umani regnavano indistintamente su ogni essere senziente in quella terra, sfruttando le altre razze per lavori manuali, per l'apprendimento della magia e delle arti più arcane. Gli anziani del villaggio amavano raccontare la storia del Buon Re, Bardar il Tollerante, che offrì la libertà agli elfi, ai nani e a tutti coloro che non fossero umani, combattendo al loro fianco contro le sue stesse genti e trovando infine la morte nella battaglia delle Cinque Colline, mentre cercava di salvare la vita di un'elfa. Il suo sacrificio fù di esempio per tutti e in tutti i regni scoppiarono rivolte contro i propri governanti, che infine dovettero arrendersi e negoziare la pace con gli esseri che da millenni erano stati trattati come oggetti e strumenti. Di lì a poco, sorsero i primi grandi imperi delle varie razze: le vaste terre a est, caratterizzate da foreste infinite e ruscelletti che percorrevano per intero tutta la regione, furono affidate agli elfi e alle creature più in simbiosi con la natura stessa. Le enormi montagne ad ovest furono cedute ai nani e agli gnomi, perchè potessero godere di vari siti di scavo per soddisfare la loro innata sete di lavoro e di costruzione. Nelle calde ed aride lande del sud, invece, trovarono una casa i sauroidi, esseri antropomorfi a sangue freddo, ricoperti di squame e con sembianze che ricordavano quelle dei rettili. Per secoli erano stati allontanati persino dagli umani che non sembravano riuscire a tollerare nemmeno la loro presenza.
Infine rimase la terra del nord, il territorio più vasto di tutti, destinato alla razza più popolosa del continente, quella degli umani, che a sua volta era diviso in tanti regni più piccoli, a differenza degli altri imperi. 
Nonostante le divisioni, tutti i regni cercavano di convivere quanto più possibile in pace ma, nonostante la continua diplomazia e i tentativi di ostacolare i conflitti, era sempre in corso almeno una guerra tra due regni, che, col tempo, generava separazioni tra gli altri: chi patteggiava per uno, chi per l'altro e addirittura chi rimaneva neutrale alla fine finiva in mezzo alla disputa, accusato di approfittare dei conflitti altrui. Solo un regno non intervenne mai nelle questioni estere. Era il regno più grande e, forse, più potente. Avrebbe potuto scendere in campo e conquistare tutti gli altri senza che gli esercii nemici potessero opporre una minima resistenza, eppure non lo fece. Si chiuse in sè stesso e non si degnò nemmeno di mantenere rapporti con gli altri.
Il nome di quell'impero giace dimenticato nella memoria del tempo un regno come anche quello di colui che lo aveva governato: dopo duecento anni si vociferava che il re fosse ancora lo stesso che aveva chiuso i confini agli stranieri, alimentando ancora di più la paura delle persone per quel vasto territorio ormai perduto nell'oblio dei secoli. Alcuni coraggiosi avevano tentato di viaggiare attraverso quelle terre sconosciute, ma nessuno aveva mai fatto ritorno. Ormai gli abitanti di quel ridente paesello avevano smesso di porsi domande a riguardo.

Il ragazzo, perso nei suoi pensieri di un passato che non aveva mai vissuto, mangiò l'ennesima mela, gettando il torsolo verso il basso. Senza neanche guardare centrò in pieno la testa del contadino, ormai rassegnato ed intento a tornare indietro. Quando questi alzò lo sguardo, dopo aver emesso un sonoro lamento allarmando il giovane, non ebbe nemmeno il tempo di vederlo di sfuggita, poichè era già scomparso nel nulla, dopo un audace balzo verso il sottobosco ed una rapida corsa verso il confine della foresta.

"Sono a casa!"
Il giovane chiuse la porta dietro di sè, per poi avanzare deciso nella stanza dove vi era il banco da lavoro del padre.
"Cos'hai in quella borsa?" chiese il suo interlocutore, un uomo di altezza media, dagli occhi grigi penetranti e con un filo di pancia intorno ai fianchi.
Il ragazzo nascose la frutta rubata dietro la schiena, facendo finta di niente: "Quale borsa?"
Il padre scosse la testa stempiata, con un'espressione più divertita che arrabbiata: "Non dirmi che sei andato di nuovo a rubare la frutta a quell'imbranato di Gveir..." si alzò dalla sedia e si lavò le mani sporche di argilla, per poi avvicinarsi a lui: "Quante volte ti devo ripetere che non bisogna approfittarsi delle mancanze altrui?" rimase a fissarlo per qualche istante, poi allungò la mano verso suo figlio, mostrandogli il palmo aperto: "... o almeno, non bisogna approfittarsene troppo..."
Il giovane ridacchiò, tirò fuori dalla borsa una mela e la mise in mano al padre, che se la portò alla bocca e cominciò a mangiarla.
"Sarà pure un imbranato senza speranza, ma la sua frutta è davvero divina..." esclamò.
"Imbranato è dire poco..."rincarò il ragazzo con un forte tono sarcastico.
Un breve silenzio inondò la stanza per qualche istante, evidenziando l'esitazione dell'uomo, che infine prese la parola: "Senti, Alex... ormai hai quattordici anni, tra poco te ne andrai di casa e cercherai la tua strada: hai già in mente cosa vuoi fare da grande?"
Era una domanda dalla risposta fin troppo ovvia: lui amava la storia, la guerra e tutto ciò che riguardava le armi. Ogni giorno tirava di scherma con gli altri suoi coetanei, usando dei grossi bastoni che intagliavano per dargli la forma di una rozza spada. Fino ad allora era sempre uscito vincitore, persino quando aveva duellato contro i ragazzi più grandi. Aveva l'arte della guerra nel sangue, e lui lo sapeva, come anche suo padre, che però sperava per il figlio un futuro più armonioso e pacifico.
"Voglio combattere" disse molto semplicemente.
"Ci sono tanti lavori più sicuri, sai? Potresti diventare un ricco mercante, oppure potresti diventare un ufficiale pubblico, o ancora..."
La frase dell'uomo fù interrotta dalle proteste del giovane: "Non mi importa dei soldi, e la politica mi fa solo ribrezzo, voglio andare in guerra, essere un valoroso cavaliere ed essere ricordato per sempre per la mia audacia e per la mia generosità" ci fu una piccola pausa del ragazzo, che poi aggiunse, con gli occhi illuminati da una grande ammirazione: "Come il Buon Re..."
Il padre lo guardò rassegnato, leggermente irritato: "Immagino non ci sia alcun modo per persuaderti..."
Su Alex si dipinse un sorriso di soddisfazione, come per celebrare un trionfo che lo rendeva particolarmente soddisfatto: "Esatto."
"Beh... allora si vedrà" disse con un po' di amarezza: non era sicuramente bello per un padre sentire che il proprio figlio voleva diventare un soldato e già immaginava come si sarebbe preoccupato quando il ragazzo sarebbe partito per la prima volta in guerra; sarebbe tornato vivo o non lo avrebbe mai più rivisto? Per un genitore non è bello sopravvivere più dei propri figli, tuttavia rispettava profondamente il volere di Alex. Aveva letto nei suoi occhi la determinazione e la volontà di diventare un valoroso cavaliere, oltre al fatto che l'abilità del ragazzo era indiscutibile: nonostante il fisico abbastanza esile, riusciva ad essere agile anche con bastoni di legno lunghi diversi piedi e spessi più del braccio di un uomo vigoroso. Ritornò a sedere per finire il suo lavoro: entro sera sarebbe arrivato il delegato del re delle Greenhills per ritirare i preziosi manufatti che gli erano stati commissionati.
Alex posò uno sguardo sulla meridiana, notando che era ormai a tre quarti della sua mezzaluna: "Cavolo, quant'è tardi! Esco, torno entro il tramonto!"
L'uomo non protestò nemmeno: ormai era una consuetudine che il ragazzo uscisse sempre a quell'ora per fare chissà cosa, chissà dove.

“Dannati burocrati!” esclamò esasperato l'individuo di mezza età avvolto in un mantello di un verde smeraldo tale che avrebbe potuto renderlo tutt’uno con la natura, se essa non fosse ancora parzialmente avvolta nei morti colori dell’inverno. Il cappuccio era abbassato sul viso e faceva risaltare le iridi color cielo che si specchiavano sugli alberi della foresta. Era solo di passaggio in quella terra sconosciuta, popolata dagli umani. Non nutriva particolari rancori per quegli esseri che avevano ridotto in schiavitù i suoi antenati, ma era solo un po’ diffidente della loro innata imprevedibilità. Era risaputo: gli esseri umani erano la razza più variegata del mondo conosciuto. Mentre tra le altre razze c’erano pochissime differenze tra i propri simili, gli umani erano facilmente distinguibili gli uni con gli altri, sia per lineamenti, per colore della pelle o per la forma del corpo. Ovviamente, le differenze fisiche non inquietavano l’uomo, quelle caratteriali però lo rendevano cauto: Aveva conosciuto umani di tutti i tipi, alcuni così buoni e gentili da essere disposti a tutto per il bene altrui, la maggior parte però erano così vili e codardi da pensare solo al proprio tornaconto. 
Costretto ad una sosta in quella foresta a causa di un ordine diretto del pretore di Redtrees, arrivatogli direttamente tramite un falco messaggero, era infuriato per le incoerenti cause di quell'assurda sosta. Si trattenne dall’urlare e dall’imprecare per rispettare l’armonia perfetta della foresta, ma continuò a borbottare: “Possibile che in duecento anni nessuno abbia imparato ad amministrare in modo decente un protettorato? Non è possibile che io sia costretto a sostare nella terra degli umani per un errore nelle registrazioni delle rotte diplomatiche!”
Cercò di calmarsi passeggiando per il bosco, abbandonando i cavalli ed il carro al cocchiere, uno gnomo parecchio allegro e loquace, ossessionato dalla cura e dal sostentamento dei suoi equini.
Si addentrò nel sottobosco e ritrovò la calma nella gentile natura che da sempre si era presa cura dei suoi figli più devoti, portandoli al benessere e alla serenità con la propria energia.
Fu nel cuore di essa che lo vide.
Un ragazzino umano, vestito con pantaloni di tessuto marrone e di una casacca di un colore poco più chiaro, logora e palesemente troppo piccola per lui, era seduto contro un albero. Non si muoveva, ma si riusciva a vederne il petto alzarsi e abbassarsi regolarmente.
Intorno a lui, gironzolava un trio di lupi dal manto così bianco da fare invidia alla neve.
Se lo mangeranno vivo pensava lo spettatore di quella scena: gli animali non facevano altro che girare attorno a quel ragazzo, come se volessero studiarlo.
Devo intervenire subito! Portò una mano al proprio arco, di poco più corto della sua intera lunghezza, ed incoccò una freccia, scegliendo un bersaglio e cominciando a pregare la natura di scusarlo per l'atto che stava per compiere contro un suo figlio.
Fu allora che capitò qualcosa che lo stupì.

Alex si svegliò con un sonoro e plateale sbadiglio, strofinandosi gli occhi e tendendo le braccia verso il cielo. Si guardò attorno: nel momento in cui incrociò il loro sguardo, i lupi si fermarono a si avvicinarono lentamente a lui, con aria tutt'altro che minacciosa.
Il ragazzo tese la mano in direzione di uno di loro, sorridendogli: "Sapevo che sareste arrivati..."
L'animale verso il quale la mano era diretta si lasciò accarezzare il muso, emettendo un impercettibile guaito di piacere. Alex riusciva a percepire le sue emozioni, i suoi pensieri, e riusciva perfino a comunicare con lui; Era un suo amico, gli faceva visita ogni giorno e, ogni tanto, provvedeva a portargli un abbondante pezzo di carne che rubava dal bancone del macellaio.
Con grande naturalezza, si alzò e si appoggiò nuovamente contro l'albero, mentre il lupo lo guardava con le zampe anteriori unite in avanti e con quelle posteriori leggermente piegate, come a volergli saltare addosso, più per affetto che per attaccarlo.
All'improvviso però, l'animale si girò in direzione del sottobosco, e attraverso i suoi pensieri Alex vide due puntini azzurri profondi come l'oceano che lo fissavano: "Chi è là?" chiese a gran voce.
Un uomo incappucciato uscì da un cespuglio, mostrandosi al ragazzo: "Tranquillo, non voglio farti del male" disse con voce rauca.
"Togliti il cappuccio!" intimò quindi il giovane, facendosi forte della presenza dei lupi.
Quando quell'individuo se lo tolse, si liberarono al vento i suoi folti capelli biondi, paragonabili solo ai raggi del sole di una giornata di pieno agosto, ma soprattutto Alex notò le orecchie leggermente appuntite, che lo fecero sussultare: "Un elfo?"
Era la prima volta che ne vedeva uno. Ammirava quella misteriosa razza così in armonia con gli animali, con se stessi e con la natura, oltre che le loro innate capacità da intraprendenti esploratori e, all'occorrenza, anche di ottimi guerrieri.
L'elfo, nonostante avesse visto abbastanza umani in vita sua da non rimanerne stupito, aveva la stessa curiosità che si vedeva negli occhi del ragazzo: "Mi chiamo Efheriel.” si presentò, “Sono rimasto bloccato in questa regione a causa di alcune... incomprensioni." 
Ci fu un attimo di imbarazzante silenzio, colmo della curiosità dell'elfo e dell'incredulità del ragazzo. Fu Efheriel a riprendere la parola: "E tu, come ti chiami?" chiese in tono amichevole.
"Alexander" rispose seccamente il giovane umano, cercando di non far trapelare la sua malcelata incredulità in quell'incontro: "Se cerchi dove alloggiare, a pochi passi da qui c'è il villaggio in cui vivo."
L'elfo lo guardò un attimo, per poi mettersi a fissare i tre animali che erano poco distanti dal ragazzo: erano inquieti, con gli occhi incollati su di lui. Cercando di non farsi notare, Efheriel diede fondo a buona parte della sua concentrazione per cercare un contatto diretto con i lupi: per un qualsiasi elfo sarebbe stato un gioco da ragazzi, e lui era sicuramente sopra i canoni della sua razza. Tuttavia sentiva qualcosa che ostacolava il contatto con loro e con il resto di quell'ambiente, come se la natura lo rifiutasse e non lo riconoscesse come entità amica, come se una forza superiore fosse già in comunicazione con gli alberi, con i cespugli e con ogni singolo filo d'erba.
Quando l'elfo riprovò con più insistenza a cercare il contatto con uno dei lupi, questo gli ringhiò contro. Fu solo allora che Alexander riuscì a spiegarsi quello strano fastidio che sentiva all'interno della propria testa: "Perchè gli stai fissando?" disse con aria minacciosa, alludendo agli animali.
"Non è molto normale vedere un ragazzino che gioca con dei lupi in mezzo ad una foresta, sai?" si giustificò.
Alex, dato che era la prima volta che provava quello strano fastidio alla testa, così come era la prima volta che vedeva un elfo, gli concesse il beneficio del dubbio e preferì non approfondire: "Sono addomesticati" mentì sicuro di sè.
Sebbene Efheriel fosse ben consapevole della menzogna del ragazzo, si finse convinto e si avvicinò di qualche passo: "Potresti accompagnarmi al tuo villaggio? Non vorrei perdermi..."
Appena esci dalla foresta lo vedi, non è così difficile pensò il giovane, ma preferì essere cortese ed annuì: "Sicuro"

Era il tramonto, i raggi del sole morente all'orizzonte incendiavano le poche nuvole presenti sopra la pianura, mentre ancor più sopra di loro il cielo pareva essere un'enorme distesa di sangue bollente. Efheriel aveva trovato ospitalità nella casa di Alex, dopo essere stato convinto da suo padre: l'ospitalità, per quell'artigiano le cui opere sono esposte in tutte le maggiori corti delle regioni umane, era una cosa di primaria importanza. Dopo qualche ora passata a conversare con padre e figlio, quest'ultimo andò a godersi il tramonto dal suo solito albero, lasciando dunque i due adulti a conversare faccia a faccia.
"Senti..." prese a parlare l'elfo, forzato dall'umano a dargli del tu: "Oggi ho visto Alexander nella foresta."
"Si, lo so, è li che vi siete incontrati, e quindi?" chiese l'uomo.
Efheriel si prese un attimo per riordinare le idee e per dare loro un senso compiuto: "Era in compagnia di tre lupi selvatici, ci parlava, e questi..." non aveva idea di come continuare la frase, tant'è che rimase in silenzio per un lungo istante a bocca aperta e con le parole chiuse in gola: "Ovviamente, saprai del contatto che c'è tra noi elfi e la natura, vero?"
Con dei lupi? L'uomo, palesemente perplesso, si limitò ad annuire: essendo stato in passato un grande viaggiatore, aveva conosciuto molti elfi, e ormai ne comprendeva le capacità.
"Ecco. In quella foresta, in presenza di tuo figlio, non sono riuscito a mettermi in contatto con la natura, era come se un'altra presenza mi ostacolasse, qualcosa di infinitamente più potente di me..."
Il padre di Alexander lo fissò con la stessa perplessità di prima: "Pensi che mio figlio sia la causa di questa specie di... interferenza?" chiese con voce poco sicura.
"Non vedo altra soluzione: quante volte hai visto un ragazzo parlare con tre lupi senza finire tra le loro fauci?" domandò l'elfo.
"E quindi?"
"Penso che Alex abbia qualche dote nascosta, e nemmeno se ne rende conto. Non è da tutti riuscire a farsi ascoltare così dalla natura, tantomeno a guadagnarsi la sua stessa fiducia, tanto da farle rifiutare un elfo, che ne è perfettamente in simbiosi" fece una breve pausa: "Un potere simile non l'ho mai visto nemmeno tra i miei simili, e considera che sono un membro del consiglio della federazione protettoriale elfica."
L'uomo sgranò gli occhi: era a conoscenza della politica elfica, e sapeva che un consigliere della federazione protettoriale elfica era paragonabile al cancelliere di un re. 
Un individuo così di alto livello in casa mia, mentre ho addosso una casacca sudicia di argilla? Inutile dire che, ovviamente, lo lasciarono stupito anche le parole su suo figlio: "Cosa consigli di fare?" chiese quasi balbettando.
"Non lo so, non sono ancora sicuro delle mie parole in effetti. Potrebbe anche essere stata qualche altra interferenza. Domani mi recherò nella foresta mentre Alex non ci sarà, così potrò tentare di scoprirne di più con tutta calma. Se la mia ipotesi è fondata, allora provvederò personalmente a svilupparne le capacità... col tuo consenso, ovviamente."
Il giovane rincasò spalancando la porta con impeto e chiudendola alle sue spalle con più delicatezza: "Sono a casa! Quando si cena?"




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FINALMENTE!
Eh già, dopo mesi e mesi, ecco che pubblico un nuovo capitolo!
Chiedo scusa a tutti i miei lettori abituali, anche se si contano sulle dita di una mano u.u ma, sapete, io ho un grosso difetto: ho poche energie. Eh si, quindi mi riesce difficile riuscire a scrivere qualcosa di decente nel periodo scolastico, tra libri e quaderni, infatti questo capitolo, prima di pubblicarlo, l'ho scritto e fatto betare per tre volte, infatti in origine questo doveva essere una storia incentrata più sulla morte che sulla vita, ma... beh, ho deciso di rinviare la questione e di concentrarmi di più sulla storia del mondo e dei personaggi che incontreremo.
A gennaio ho uno stage di 3 settimane, quindi mi auguro di pubblicare ancora un bel po di capitoli prima di un altro periodo di stop a causa della scuola...
Come al solito, ringrazio la mia beta Himenoshirotsuki per la sua sconfinata pazienza e per tutto il suo supporto, e ringrazio anche Claudia per le immagini che ha creato per i futuri capitoli (e che purtroppo non vedrete fino a che la storia non prenderà la piega che vorrei)
Non vedo l'ora di continuare a scrivere ed ad esplorare questo mondo che, per quanto mi possa sembrare strano, ho creato io. È davvero una grande emozione vedere un mondo intero prendere vita, con le sue persone, con i suoi eventi, e tutto per mano tua... è stupendo.

Grazie per aver letto fino a questo punto, vi auguro buone feste e vi rimando al prossimo capitolo!

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Capitolo 3
*** Aerith ***



(Ruscello al margine della foresta, dove Efheriel incontrerà il misterioso ragazzo che lo minaccerà)



 
Era ancora buio quando Alexander si svegliò, e, come al suo solito, si prese tutto il tempo possibile per riprendere con calma il possesso del proprio corpo e dei propri pensieri. Quando finalmente si sentì in pieno controllo di sé e decise che era ormai ora di alzarsi, il sole già illuminava il suo laborioso villaggio, proiettando lunghe e statiche ombre per le strade.
Era ancora relativamente presto per gli abitanti del posto e molti di questi ancora dormivano beatamente nei loro letti, ma per Alex e per gli altri ragazzini quello era il momento più movimentato della giornata. 
Dopo essersi vestito, il ragazzo si fiondò fuori dalla porta, in direzione della piazza del villaggio. Come di consueto, fu il primo ad arrivare, ma gli altri suoi coetanei non si fecero aspettare. Una volta al completo, i ragazzi radunati in quella piazzetta superavano la trentina, suddivisi in più gruppetti. Alex era insieme ad altri tre ragazzi, e insieme decisero di avviarsi verso la pianura ai margini della foresta.
"Mi hanno detto che tu sei il più abile dell'intero villaggio." fece uno di loro, una volta arrivati: "Evidentemente non hai mai avuto il dispiacere di misurarti con me..."
Alexander non disse una parola: il suo interlocutore aveva almeno tre anni in più di lui, era molto più alto e muscoloso, ma agli occhi del giovane quello era solo uno dei tanti sbruffoni che aveva già incontrato fin troppe volte nella sua vita.
"Beh, non hai niente da dire? Muoviamoci, non voglio che questa pagliacciata duri a lungo!" disse quindi lo sfidante dai capelli neri e ricci e dagli occhi color antracite. Estrasse la propria spada dal fodero, una vera spada, di ferro ed affilata come un rasoio, puntandola contro Alexander.
"Vacci piano," disse con calma un suo accompagnatore, con tono annoiato: "è pur sempre un ragazzino, potresti fargli male"
Prima che l'arrogante ragazzo di fronte a lui potesse controbattere, Alex aveva già tirato fuori la propria spada di legno da un involucro ricavato dalle pelli di alcuni vecchi vestiti. Con rapidità, sferrò un potente colpo dall'alto verso il basso, cogliendolo di sorpresa. Il suo avversario fece appena in tempo a parare col piatto della spada ed ebbe l'occasione di guardare dritto negli occhi del giovane: erano vuoti, un abisso che non lasciava spazio ad alcuna emozione. 
"Hai finito di chiaccherare?" chiese con una voce fredda e distaccata, ben diversa da quella allegra e sprizziante che aveva di solito, restando immobile a ricambiare gli sguardi indagatori del suo avversario.
"Dannato marmocchio!" gridò d'impeto il ragazzo dai capelli ricci, e prese ad indirizzare verso Alex una serie di fendenti precisi e veloci, che però mancarono tutti il loro bersaglio tra l'incredulità dei presenti.
Il ragazzino saltava, si abbassava, schivava di lato e si prendeva gioco del proprio avversario, arrivando alle volte a stargli proprio dietro senza che lui se ne accorgesse: "Sei lento" disse tra i denti, e sferrò un unico fendente che andò a colpire la parte posteriore del ginocchio su cui il suo avversario aveva riposto tutto il peso del proprio corpo, facendolo cadere rovinosamente a terra.
Lo sconfitto ebbe solo il tempo di battere gli occhi prima che Alexander si posizionasse sopra di lui, con la punta della propria spada puntata alla sua gola: "Tutto qui? E pensare che sembravi così deciso..."
Non posso credere di aver perso contro un marmocchio... pensò per prima cosa il ragazzo, non più arrogante come prima. Dopo essersi rialzato, prese la propria arma, la rinfoderò e gettò a terra un piccolo sacchetto che, impattando contro il terreno, fece un rumore metallico inconfondibile. Poi si allontanò senza dire una sola parola, seguito dai due amici.
"Certo che è davvero troppo facile far soldi duellando contro questi imbranati..." mormorò tra sè e sè Alexander.
Dopo aver contato le monete vinte da quello scontro, il ragazzo si preparò a legare il sacchetto alla cintura, quando udì una voce avvicinarsi dai margini della foresta: "Certo che sei veloce..."
Quando si girò in direzione della voce le parole ricche di orgoglio e di fierezza del proprio successo gli morirono in gola: di fronte a lui c'era una ragazza che non aveva mai visto al villaggio, più bassa di lui, dai corti capelli rossi, viso rotondeggiante e coperto all'altezza dell'occhio sinistro da una benda che però lasciava quello destro. Un'iride di un azzurro così chiaro da sembrare fatto di ghiaccio si posò su di lui, studiandolo attentamente. Alex non potè non rimanere affascinato da quella steppa gelida tanto che non notò che la ragazza fosse vestita come un uomo. E che una spada di vero ferro le pendeva lungo il fianco ed un'altra lungo la schiena.
"Beh? Ti sei addormentato?" fece ad un certo punto lei, con un tono di voce quasi aggressivo.
Quando Alex si riscosse ritrovò le parole perse poco prima: "Gli arroganti come lui sono all'ordine del giorno da queste parti, si credono i migliori, ma alla fine soccombono tutti contro di me."
"Anche tu non scherzi in quanto ad arroganza, però" gli fece notare la giovane.
"Un giorno forse arriverà qualcuno in grado di battermi, ma quel giorno fino ad ora non è ancora arrivato"
"Forse invece sarà proprio oggi..." disse quindi lei, sfoderando l'arma sul fianco, con un sorriso inquietante e divertito.
"Non ho mai duellato con una ragazza, sicura di non aver paura di rovinarti le unghie?" disse beffardo Alex, evitando però il suo sguardo intenso e concentrato su di lui.
"Divertente, ma se pensi di combattere con quel pezzo di legno penso che avrai vita breve" controbattè, sfoderando la seconda spada e porgendola al giovane
Il ragazzo afferrò con decisione l'elsa, lasciando cadere la sua arma di legno, e la fece roteare per aria, costatandone la buona fattura: "Che se ne fa una ragazza di due spade?"
"Solitamente preferisco combattere con entrambe, ma non voglio metterti troppo in svantaggio..."
Non era più tempo di esitare. Alexander puntò per qualche istante i propri occhi concentrati su quello libero della ragazza per prepararsi al combattimento, ma non riuscì a non distoglierli subito dopo.
Ma che ti prende, razza di cretino? si chiese mentalmente. Nonostante questa incertezza, si mise comunque in posizione di combattimento e i due si accordarono sul regolamento: il primo che sarebbe caduto, che avrebbe perso l'arma o che fosse stato ferito avrebbe perso ed avrebbe rinunciato al sacchetto di soldi appena ottenuto da Alexander.
Questa volta fu il suo avversario il primo a colpire: un fendente tagliò l'aria, così veloce che il ragazzo fu costretto a pararlo piuttosto che a schivare come al suo solito.
Dopo una serie di altrettanto rapidi e potenti colpi dell'avversaria, si trovò con le spalle prossime ad un albero solitario fuori dalla foresta.
Concentrati, Alex, riprenditi e vendi cara la pelle. 
Superato lo stupore per la forza e l'abilità della ragazza, anche Alexander cominciò a colpire, riguadagnando terreno importante e muovendosi lateralmente per evitare di dare le spalle ad eventuali ostacoli.
Il combattimento durò diversi minuti senza che nessuno dei due riuscisse a prevalere sull'altro, finchè la ragazza, con un colpo lento e di grande potenza, non fece tentennare Alex per quel tempo necessario per fare un balzo all'indietro: "Te la cavi davvero bene" disse, asciugandosi la fronte sudata, per poi prendere a guardarsi intorno.
"Anche tu, devo dire. Non ho mai combattuto contro qualcuno in grado di tenermi testa" replicò Alex, mentre una goccia di sudore gli colava lungo il viso.
Quando la ragazza constatò che non ci fosse nessuno intorno, prese la benda e la alzò, scoprendo l'occhio sinistro.
Appena Alexander lo vide notò che, a differenza dell'altro, questo era di un verde splendente, come quello delle pianure selvagge in una giornata di piena estate, e ne rimase nuovamente incantato.
Accorgendosi dello sguardo insistente del ragazzo lei guardò in un'altra direzione, come se si vergognasse di quella sua particolarità: "Azzardati a dirlo a qualcuno e la mia spada ti trapasserà da parte a parte" intimò. Non ci stava a perdere contro quel ragazzo pieno di sé, la sua unica possibilità di vincere era quella di sfruttare la terza dimensione. Per quanto le desse fastidio mostrare i suoi occhi disuguali era anche lei troppo orgogliosa per accettare la sconfitta.
La differenza si fece subito notare: i colpi della ragazza si fecero più precisi e veloci, osava di più attaccando, ma si dimostrava anche ben preparata in difesa. Eppure, nonostante tutto, anche questa volta Alexander riuscì ad adattarsi e a prevedere le sue mosse.
Sembrava che quel combattimento non potesse mai finire, quando i due furono così vicini da sentire il respiro affannoso dell'altro sul proprio viso.
Questa volta, Alex non riuscì a fare a meno di guardarla dritto negli occhi: da una parte il ghiaccio, dall'altra la foresta, entrambi profondi come solo l'oceano poteva essere.
Fu un trionfo di emozioni che decise le sorti del combattimento: la ragazza si allontanò di scatto e menò un altro fendente che il ragazzo parò così male che gli cadde la spada a terra, trovandosi quella della giovane puntata al collo, che lo guardava madida di sudore e con un sorriso trionfante: "A quanto pare, ho vinto io" constatò di lì a poco.
Alex era incredulo. Io sconfitto? Non è possibile! Non si mosse per qualche istante, il tempo necessario per la ragazza di rinfoderare l'arma e di buttarsi a terra per riposarsi.
"Sei stato un valido avversario, comunque" disse lei, con aria distaccata.
Dopo qualche secondo in cui il ragazzo cercò di riprendersi, arrivò la sua risposta: "Hai vinto solo per una mia distrazione!"
"E se anche fosse?" chiese quindi lei: "In una vera battaglia, che tu ti distragga o meno, se perdi muori, quindi accetta la sconfitta."
Aveva ragione. Alexander abbassò lo sguardo e si sentì umiliato, slegò il sacchetto dalla propria cintura e il suo primo istinto fu di lanciarglielo in faccia, ma il suo corpo decise per lui. La sua mano si mosse a rallentatore e  gli porse il premio in maniera quasi educata: "E va bene" disse con aria rassegnata.
Lei lo prese ben volentieri e fissò il giovane per qualche istante: "Come ti chiami?"
"Scusa?" chiese lui, ancora intontito per la sconfitta.
"Il tuo nome, ne avrai uno, no? Mi interessa conoscere il nome del ragazzo che mi ha dato filo da torcere." ci fu qualche istante di silenzio, poi aggiunse "Io sono Aerith, se ti interessa saperlo"
Dopo qualche altro lungo attimo di silenzio, il giovane disse in modo secco e inespressivo: "Io Alexander"
"Piacere, Alexander" disse lei con noncuranza, rimettendosi la benda: "Te l'ho già detto, ma tengo a ripetertelo: non permetterti di dire a nessuno di ciò che hai visto, sono stata chiara?"
Lui non rispose, e lei accettò il silenzio come risposta affermativa. Quando finalmente si riscosse, Alexander le porse la spada: "Questa è tua" disse semplicemente.
"Tienila pure" rispose lei guardandolo e slacciando anche il fodero: "Hai solo quel legnetto, sono sicura che questa ti tornerà molto più utile, e poi ogni volta che la guarderai ricorderai il sapore della sconfitta. Forse farebbe bene alla tua arroganza."
Il ragazzo prese il fodero e lo legò intono alla vita, infilandoci dentro la spada, stupito da quell'inaspettato regalo. Chiunque fosse, trovava quella ragazza davvero strana: "Di dove sei? Non ti ho mai vista da queste parti."
Questa volta fu lei ad esitare: "Sono arrivata da poco, non mi vedrai spesso in giro per il paese" affermò infine, quindi si alzò e si congedò da lui senza troppe reverenze. Alex la seguì con lo sguardo finchè non la vide scomparire nel folto della foresta. Rimase a fissare il punto in cui l'aveva vista sparire, immerso in un turbine caotico di pensieri contrastanti. Poi, quando finalmente si riscosse si rese conto che ormai era mezzogiorno passato da un pezzo. Con un rapido scatto prese la strada per il villaggio, sperando di non tardare per il pranzo.

Efheriel uscì di casa all'incirca un'ora dopo il ragazzo e, mentre il duello si consumava, lui era già intento a studiare la foresta e gli effetti che questo aveva su di lei. Fin dall'inizio gli fu chiaro che i propri sospetti non erano infondati: senza la presenza di Alex, la foresta lo riconosceva come elfo, e quindi come proprio custode e figlio.
Era intento ad esplorare un'altra zona della foresta, quando un'ombra lo urtò, sbilanciandolo e facendolo cadere.
"Mi scusi!" disse una voce frettolosa e quasi femminile, che già si allontanava senza prestare attenzione alle condizioni dell'elfo.
Dannati maleducati si limitò a pensare Efheriel, che si rialzò pulendosi i vestiti dalla polvere.
Quando arrivò al limitare opposto a quello da cui era partito, decise che era ora di fare una sosta per mangiare. Tirò fuori dal proprio sacco un tozzo di pane e del formaggio di capra e si avvicinò ad una roccia che dava su un ruscelletto e, dopo essersi seduto, cominciò a mangiare.
Fu colto di sorpresa da una voce alle sue spalle: "Dammi subito quel sacco, subito!"
Quando si girò, vide quello che molto probabilmente era un ragazzino, lo stesso che poco prima lo aveva urtato, incappucciato e col viso coperto da uno strano panno che gli puntava una spada proprio sotto il mento.
"Sai che quell'arnese può far male?" chiese l'elfo, per nulla impaurito.
"Se non mi dai quello che voglio, sarai tu a darmene conferma" rispose d'impulso la voce attutita dal panno.
Efheriel esaminò per qualche istante quel ragazzo di fronte a sé: i suoi vestiti erano logori, era molto magro e uno degli stivali che indossava aveva uno squarcio non indifferente, rattoppato frettolosamente con un pezzo della casacca, a testimoniarlo un brandello mancante della manica di questo. Quel poco che trapelava dalla sua pelle era appunto quel braccio muscoloso quanto bastava per poter usare senza problemi la spada.
Quando sentì un inconfondibile lamento proveniente dalla sua pancia, l'elfo non ebbe più alcun dubbio: "Sei affamato?" disse con voce tranquilla e posata.
"A te che te ne importa, eh?" rispose di rimando il suo interlocutore, innervosito.
"Non c'è bisogno di puntarmi addosso la tua spada, non mi incuti la minima paura" spiegò quindi con calma, per poi porgergli il sacco con dentro qualche altro pezzo di pane e qualche frutto di bosco raccolto durante il viaggio: "Se hai fame mangia, io ne posso fare anche a meno, alloggio momentaneamente poco lontano da qui". Quando l'individuo di fronte a lui afferrò il sacco, aggiunse: "Nessun ragazzo della tua età dovrebbe aver fame."
Il ladro rimase stupito dal gesto dell'elfo, anche se, a causa del panno che gli copriva il viso, non riuscì a cogliere il dettaglio delle orecchie a punta. Si allontanò correndo senza dire una sola parola per mangiare ciò che gli era stato concesso nel proprio nascondiglio.
Efheriel finì l'ultimo tozzo di pane che gli era rimasto in mano, per poi riprendere la strada di casa.

Quando Alex si trovò di fronte alla porta di casa, ancora stordito dalla sconfitta e da quella misteriosa ragazza, non si accorse delle fragranti risate provenienti dall'interno. Entrò quasi in punta di piedi, come si addice ad un ladro, e si limitò quasi a sussurrare: "Sono a casa"
Quando si ritrovò nella stanza da pranzo, però, il suo sguardo si riaccese e si dipinse sul suo viso un sincero ed energico sorriso: ad attenderlo c'era, oltre a suo padre, una donna vestita di una lunga tunica bianca dai bordi dorati, dai lunghi capelli castani raccolti in un'elaborata treccia e con dei penetranti occhi blu cielo. Un ragazzo sui vent'anni in uniforme da soldato sedeva alla sua destra, i capelli corti dello stesso colore della donna, gli occhi neri e la corporatura robusta di chi ha passato molto tempo negli accampamenti militari.
"Mamma, Seth, siete tornati!" esclamò, correndo incontro ad entrambi e avvolgendoli tra le braccia.
Tra abbracci e carezze, gli occhi del padre caddero nel fodero che pendeva dal fianco del ragazzo: "E quella?" chiese con aria sospettosa.
Preso alla sprovvista, Alex prese qualche secondo per pensare a qualche scusa plausibile per coprire la sua vergognosa sconfitta: "Me l'hanno regalata" disse infine.
"Chi?" controbattè l'uomo.
"Ehm... l'ho ottenuta come ricompensa in un duello..." si limitò a dire, per poi aggiungere balbettando: "Che ho vinto, ovviamente"
"L'hai vinta o te l'hanno regalata?" suo padre cominciò a mostrarsi nervoso, timoroso che il ragazzo l'avesse rubata da qualche parte.
"Sono sicuro che se l'è guadagnata" intervenne Seth: "Alex non è così disonesto da andare a rubare spade in giro" si avvicinò al ragazzo ed appoggiò una mano alla sua spalla: "Vero?"
"Non mi permetterei mai" disse l'interessato, approfittando di quell'occasione per uscire dal pasticcio in cui si era cacciato.
L'uomo lo scrutò per qualche istante, dubbioso, poi scrollò le spalle e si sedette nuovamente a tavola, mentre la madre di Alex cominciava a servire la cena nei piatti.
Dopo aver tirato un sospiro di solievo, anche il ragazzo si accomodò e cominciò a mangiare, ascoltando i racconti dei lunghi viaggi compiuti dagli ospiti.
"Come mai siete tornati fin qua?" chiese ad un certo punto Alex.
"Io sono in libera uscita" cominciò Seth: "È  da molto che non subiamo attacchi da nessun fronte, sembra quasi che finalmente sia arrivata la pace anche per i regni umani, quindi ho deciso di fare un salto a trovarvi, e strada facendo ho incontrato mamma."
"Io sono solo di passaggio" affermò la donna: "Devo recarmi alla capitale per la seduta dei sacerdoti: è mio dovere, visto che sono stata scelta per presenziare a nome della mia comunità."
Sua madre era una figura di spicco e motivo di grande orgoglio per tutto il paesino. Era una delle più potenti sacerdotesse delle terre conosciute, incredibilmente dotata nell'arte della guarigione. Aveva scoperto la sua vocazione a dodici anni e a diciotto si era votata a Sharath, dio della luce e del sole. Da allora non aveva fatto altro che girare per gli accampamenti per guarire i feriti in tempi di guerra e visitare gli ospedali civili in tempo di pace.

Una volta finito di mangiare, Seth ed Alex uscirono insieme, in direzione della stessa pianura in cui, qualche ora prima, il ragazzo aveva assaporato per la prima volta la sconfitta.
"In guardia!" intimò l'uomo, cominciando a menare dei fendenti contro Alex.
Per il ragazzo era un giochetto non farsi colpire: conosceva a memoria ogni sua singola mossa, come muoveva le gambe e le braccia che davano forza al pesante spadone che utilizzava a due mani.
Quando Alexander fu stanco di giocare, approfittò di un colpo orizzontale troppo basso dell'avversario e si buttò contro di lui, sbilanciandolo con un calcio per poi farlo cadere rovinosamente a terra.
Il combattimento, come previsto, non durò più di un minuto. La superiorità di Alex era schiacciante anche contro quel soldato e il pensiero del ragazzo non sfiorò minimamente l'idea che, probabilmente, Seth non si impegnava fino in fondo per provare a batterlo, per non togliergli quella soddisfazione.
"Ottimo lavoro" disse quindi rialzandosi lo sconfitto, mentre si spolverava i vestiti.
Il suo sguardo cadde sulla spada del ragazzo, e il suo viso si fece interrogativo: "Come l'hai ottenuta quella spada? A me puoi dirlo..."
Ad Alex venne un brivido di timore: "Come fai a dire che prima ho mentito?" chiese, mettendosi sulle difensive.
"Avanti, sono tuo fratello, per me non hai segreti!" disse, arruffandogli i capelli con una mano.
"Beh... è stato un regalo, questo è vero..."
"Di chi?" insistette dunque lui.
"Me l'ha lasciata uno, dopo avermi sconfitto. Mi ha detto che se continuo ad allenarmi con un pezzo di legno non andrò da nessuna parte."
Seth lo guardò curioso: era sicuro che, prima o dopo anche Alex sarebbe stato sconfitto, ma si aspettava una ferita più ampia nell'orgoglio, invece nei suoi occhi non leggeva rabbia o sconforto, solo un'espressione indecifrabile, di chi non sapeva cosa provare: "Uno chi?" chiese dunque.
Una ragazza-maschiaccio con due occhi fenomenali pensò il ragazzo, ma preferì evitare l'umiliazione di ammettere di essere stato sconfitto da una femmina: "Un forestiero, non l'avevo mai visto da queste parti... avrà avuto la tua età, ed aveva anche i tuoi muscoli, ma che dico! Aveva i muscoli di un bufalo e... e..." il ragazzo prese a balbettare, fino ad aggiungere infine: "E niente, è andata così."
Seth lo guardò storto: era più che chiaro che nemmeno Alex stesso riusciva a capire che cosa provare, sembrava combattuto da più emozioni che non gli davano tregua e che lo lasciavano senza più la lucidità di esprimerne uno solo con chiarezza. Comprendendo che quella discussione non avrebbe portato da nessuna parte, fece finta di credergli e riprese in pugno la spada: "Beh, questo significa che devi ancora migliorare, quindi rimettiti in guardia e non perdiamo altro tempo!"
I due ripresero ad allenarsi con ancora più decisione ed intensità, fino a quando il sole non fu nuovamente basso all'orizzonte.


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Eccoci qua, al terzo capitolo della mia prima originale!
Scusatemi per il capitolo un po di passaggio, ma avevo bisogno di un pretesto per presentarvi tre personaggi che saranno fondamentali nel corso della storia, e non ho trovato modo migliore di questo.
Lo so, lo so, ho ancora molto da imparare, non sono perfetto e non pretendo di esserlo, e mi rendo conto di quanto questo capitolo, sotto il punto di vista narrativo, è un pugno in un occhio... ha qualcosa che non mi piace, ma non riesco proprio a comprendere cosa. Mi auguro solo di migliorare col tempo e di presentarvi sempre avventure migliori.
Vorrei inoltre aggiungere una cosa: in via privata e anche tramite EFP c'è chi mi ha chiesto riguardo alla mia FF su Code Geass: tranquilli ragazzi, non me ne sono dimenticato, non lascerò morire così Daniele e tutti gli altri. Il mio obiettivo è raggiungere la parità di capitoli tra le due storie e, successivamente, pubblicarne di nuovi in maniera alternata, per aggiungere un po di varietà. Ogni tanto in mezzo ci infilerò qualche OS (su di una sono già al lavoro, ma me la sto prendendo comoda), ma in ogni caso non mi sono dimenticato di nessuno...
In ogni caso, vi ringrazio per essere arrivati a leggere fino a queste righe e vi rimando al prossimo capitolo. Sinceramente non so ancora di preciso cosa accadrà, questa storia avrà un avvio abbastanza lento, ma ho già qualche piccola idea.
Lasciate pure una recensione e fatemi sapere cosa ne pensate!

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