From New York to Belleville

di Ciloculo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 01. If you still care don't ever let me know ***
Capitolo 2: *** 02. Do I wanna know? ***
Capitolo 3: *** 03. Protege moi ( de mes desirs ) ***
Capitolo 4: *** 04. Quale amore ***
Capitolo 5: *** 05. We all have our secrets. ***
Capitolo 6: *** 06. New York New York ***
Capitolo 7: *** 07. White Blank Page. ***



Capitolo 1
*** 01. If you still care don't ever let me know ***


01. If you still care don't ever let me know.




Quelli erano stati i mesi più brutti della sua vita. Era appena passata l'estate e non se l'era quasi per nulla goduta, troppo impegnato a buttare la sua vita in degli stupidissimi contenitori per il trasloco. E in quel momento si trovava sul suo stupidissimo letto a due piazze, nella sua stupidissima stanza, a pensare.
I suoi genitori non si spiegavano come potesse anche solo pensare di andar via. E avevano ragione.
In fondo, era un ragazzo di diciott'anni che viveva a New York, le possibilità che aveva davanti in quel momento erano infinite, aveva praticamente il mondo in mano e lui lo stava rifiutando. E per cosa poi? Per tornare a Belleville, la stupidissima e insignificante città in cui era nato e aveva vissuto per pochi anni.
Inspiegabile, vero? Ma i suoi non conoscevano la verità, nessuno la conosceva tranne lui. Ed era dolorosa e troppo difficile da sopportare.
C'aveva provato in quei tre mesi a non pensare a lui. A quelle pozze verdi e a quella massa di capelli neri e arruffati nella quale affondava la mano ogni volta che poteva e quella voce cristallina, che era rimasta chiara ed era risuonata nel silenzio degli auricolari anche mentre gli diceva "Frankie, sto vedendo un altro, va avanti da parecchio " .
Perchè no, Gerard, il suo ex ragazzo - e al solo pensarci una fitta aveva attanagliato il suo stomaco - il coraggio di dirgli in faccia che lo stava tradendo non l'aveva avuto e l'aveva lasciato così, tramite telefono mentre era a fare jogging in una fredda mattina di gennaio.
Da allora, tutto era diventato fin troppo diverso. A scuola, tanto per iniziare; aveva paura di incontrarlo per i corridoi o a mensa o nel parcheggio, aveva paura di vederlo baciare qualcuno che non fosse lui, paura di non riuscire a sopportarlo. E quando un giorno era successo davvero, aveva capito che le sue paure erano fondate, non sarebbe riuscito a sopportarlo.
Il nuovo ragazzo di Gerard si chiamava Bert, era un tipo dell'ultimo anno piuttosto strano, ma che ogni ragazza avrebbe voluto nel suo letto. Frank non capiva il perchè, molti gli avevano detto che era il fascino da ultimo anno, e inizialmente c'aveva creduto ma, dopo ben otto mesi, quando lui stesso era in procinto di entrare all'ultimo anno, non ci credeva neanche un po' che il triplo della gente si sarebbe interessata a lui.
Bert piaceva per il suo modo di fare, era essenzialmente uno stronzo predatore che sapeva scegliere le sue prede e Gerard era il ragazzo perfetto. Bello come pochi, intelligente, ironico e aveva quella straordinaria capacità di scavarti dentro che stordiva Frank ogni volta.
Ed era bravo a disegnare qualsiasi cosa, anche se preferiva la ritrattistica. Aveva fatto così tanti disegni di Frank, che lui come uno stupido teneva ancora, da perdere il conto, ed erano uno più bello dell'altro.
E in generale aveva quel non so che di magnetico che ti portava naturalmente ad avvicinarti a lui, era una persona capace di catturarti con uno sguardo e inglobarti nella sua orbita fatta di colori, stranezze e caffè. Ah, si, Gerard adorava il caffè.
E Frank lo amava, irrimediabilmente, nonostante fossero passati otto mesi dalla loro rottura, lo amava come il primo giorno, come quando gli era andato a finire contro nel corridoio il primo giorno di scuola e già aveva capito che avrebbe voluto passare il resto della sua vita con quel ragazzo.
Lo amava come quando, il secondo giorno di scuola, Gerard gli si era parato davanti e " Ciao Frankie, io sono Gerard Way. Mi sono preso la libertà di curiosare un po' nella tua scheda personale e di darti un nomignolo, spero non ti dispiaccia. Volevo sapere se ti piacerebbe farmi da modello per un disegno " e lui aveva mugugnato un si, incapace di dire qualcos'altro di sensato.
L'amava così tanto da sperare che in quel preciso momento l'avrebbe visto entrare in camera sua supplicandolo di perdonarlo per tutto quello che aveva combinato. E la cosa tragica era che lui l'avrebbe davvero perdonato, nonostante tutto.
<< Frankie, tesoro, siamo pronti per andare >>, disse sua madre, Linda, facendo improvvisamente il suo ingresso in camera. E Frank si rese conto che nessuno sarebbe venuto a supplicarlo, e senza voltarsi indietro uscì da quella casa per l'ultima volta.
Durante il tragitto chiamò Mikey, il suo migliore amico, che per una serie di casi fortuiti era anche il fratello di Gerard, per informarlo del fatto che il viaggio stava andando noiosamente bene e che il culo gli era diventato piatto. Mikey continuava a piagnucolare cose sul fatto che non avrebbe mai voluto che se ne andasse, ma ormai era fatta.
<< Tranquillo Miks, tornerò a New York di tanto in tanto e poi potresti sempre venire a Belleville, visto che anche tua nonna abita qui sarà più facile di quanto credi convincere i tuoi! >>, e sperò sul serio di poterci credere, perchè non sapeva proprio come avrebbe fatto senza Mikey.

La nuova casa era grande e, ovviamente, vuota. Non si trovava in un elegante quartiere residenziale come quella a New York, ma era comunque nella zona alta della città, che a Belleville era il luogo riservato alle ville dei ricconi.
Si, se non si fosse capito, la famiglia di Frank non se la cavava affatto male.
Non sapeva ancora in quale stanza sistemarsi, i suoi gli avevano lasciato carta bianca, ma alla fine prese l'ultima stanza in fondo al corridoio, che era praticamente come si sentiva in quel periodo. Ultimo, piccolo, insignificante; Gerard era riuscito a fargli perdere significato, e la cosa lo sconvolgeva e lo annichiliva allo stesso tempo. Che disastro era diventata la sua vita, e tutto per uno stupidissimo ragazzo.

Nel frattempo, a New York...

Gerard era nella sua stanza quando un rumore insistente e pesante di passi lo informó che l'uragano Micheal era in procinto di entrare in camera sua. Non si sentiva pronto ad avere un dialogo con suo fratello, in realtà non si sentiva pronto ad avere un dialogo con nessuno, era troppo fatto. Avrebbe ringraziato Bert in seguito per l'erba che gli aveva regalato per gli otto mesi insieme, se se lo fosse ricordato ovviamente.
<< Tu, brutto stronzo >>, iniziò a dire, a urlare, Mikey, che era entrato senza bussare come al solito.
<< Ciao fratellino, sono contento di vederti anch'io >>, ridacchió il maggiore continuando a fissare il soffitto.
<< Contento un cazzo, è colpa tua. È solo colpa tua se Frank se n'è andato! >>, gli continuò a sbraitare contro. A sentire quel nome, arricciò il naso e assunse un'espressione pensierosa.
<< Ah, quindi partiva oggi? >>, chiese, più a se stesso che al fratello. Come aveva fatto a non pensarci? Da quando aveva sentito Mikey e Frank parlare del giorno della partenza, il 12 settembre gli sembrava un mostro troppo grande da affrontare da solo. Ma per fortuna, non era solo, aveva l'erba. Iniziò a ridere da solo, rideva di se stesso, mentre suo fratello continuava a parlare. Cercò di concentrarsi su quello che stava dicendo.
<< ... E non cercare di negarlo, lo sappiamo entrambi che Frank se n'è andato perchè mentre stavi con lui ti sbattevi.... Gerard, ma tu sei fatto! Io ti vengo a parlare di Frank e tu sei fatto? E non dire di no, la riconosco quella faccia! >>, ormai Mikey era praticamente isterico. E a Gerard venne da ridere. E rise, rise, rise tantissimo, rise anche quando sentì suo fratello ricordargli quanto schifo gli facesse, poco prima di uscire da quella stanza.


Ta daaan.
Salve a tutti! Sono Viviana e questa è la prima storia che pubblico su efp!
Parto col dire che amo Gerard ( come se non si fosse capito! ) e lo so che sembra uno stronzetto senza cuore, ma non lo è, ve lo giuro T.T Si riscatterà nel corso della storia, vedrete, e arriverete ad amarlo alla follia come faccio io! u.u
Frank è troppo cuccioloso, quindi non ho molto da dire, ma è anche.. Sincero con se stesso, capirete più avanti che intendo, anche se spero ne abbiate avuto un assaggio in questo primo capitolo!
E allora come vi è sembrato? Fatemi sapere con un commentino dai, che vi giuro, non mi offendo ahahah
E vi prego di non fare caso al mio nickname, è stra imbarazzante ma inizialmente il mio era un semplice account lettore c.c
Al prossimo capitolo,
Cilo.

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Capitolo 2
*** 02. Do I wanna know? ***


02. Do I wanna know?




Non era mai stato un ragazzo particolarmente studioso.
Certo, non aveva mai saltato una lezione prima di rompere con Gerard perché pensava fosse una cosa stupida e inutile. Perché alzarsi la mattina, arrivare a scuola e poi non entrarci? Era da idioti.
Non odiava studiare come la maggior parte dei suoi coetanei, ma era selettivo. Studiava solo storia, letteratura inglese e frequentava dei corsi di arte extrascolastici assieme a Gerard, che aveva interrotto dopo aver rotto con lui.
Si diede un pugno in testa. Era sveglio da soli trenta minuti e aveva già pensato a Gerard due volte, o forse ben più di due volte.
L’orologio sul comodino segnava le 6:45, avrebbe dovuto fare una doccia, fare colazione, preparare i libri e uscire di casa visto che era un bel po’ lontana dalla scuola, e invece no. Rimaneva lì fermo, nel buio della sua stanza, a pensare al suo ex che probabilmente in quel momento stava ancora dormendo, magari tra le braccia di Bert.
In realtà non pensava unicamente a lui. O meglio, pensava a cose che gli riportavano alla mente lui e che con lui erano strettamente collegate, in primis la scuola. Anche se non l’avrebbe mai ammesso ad alta voce neanche sotto tortura, aveva paura.
Non era mai stato bravo a socializzare, aspettava che le persone gli si avvicinassero e questo di solito accadeva perché tutti nella vecchia scuola a New York conoscevano la sua situazione economica e speravano di poter ottenere qualcosa da lui. Ma lì, nella sperduta Belleville, dove probabilmente nessuno lo conosceva, nessuno si sarebbe mai avvicinato a lui.
E aveva paura che non sarebbe stato capito e accettato per via del suo aspetto. Frank non era stupido, sapeva perfettamente di non essere un adone o anche solo carino.
Era piuttosto bassino e per nulla esile, anzi, aveva su qualche chiletto di troppo, dei comunissimi capelli castani e degli occhi verdi che non gli piacevano un granché perché troppo facili da leggere; ecco perché copriva il suo corpo con i tatuaggi e cercava di migliorare il viso con i piercings , oltre ad amare la sensazione che provava ogni volta che faceva un nuovo tattoo o piercing.
Era un modo come un altro per dare libero sfogo all’arte che sentiva dentro di se, che non riusciva ad esprimere se non attraverso il suo corpo e la sua musica.
Sapeva di essere abbastanza bravo nel suonare la chitarra e nel comporre dei testi, ma non credeva nella sua musica e non ci si era mai esercitato davvero con quella chitarra per via dei suoi genitori e in particolar modo di suo padre.
“ Non vivrai a lungo se vivrai di musica. E poi, non ti sembra una cosa da gay? ”, diceva sempre con un ghigno compiaciuto.
Se solo si fosse reso conto dell’omosessualità di suo figlio, ne sarebbe morto. Se solo avesse saputo che era gay da quando, a tredici anni, era rimasto a fissare intensamente il culo di Alan negli spogliatoi , dopo un allenamento di lacrosse - inutile dire che due giorni dopo aveva lasciato la squadra con una scusa banale – l’avrebbe mandato in qualche centro di rieducazione.
Sorrideva al solo pensiero.
Guardò l’orologio che ora segnava le 7:10, e decise che era arrivato il momento di alzarsi. Fece tutto di gran fretta e uscì di casa, cercando per una volta nella sua misera vita di pensare positivo.
Pensò a Mikey, in fondo anche per lui quello era il primo giorno di scuola, l’ultimo alle superiori. E pensò a Gerard, una volta ancora, che si ripromise sarebbe stata l’ultima.
Si chiese dove potesse essere in quel momento mentre si accendeva una sigaretta e saliva sulla sua Aston Martin DB9, il suo gioiellino, piccolo regalo di suo padre per i suoi sedici anni. In effetti, Frank non amava molto le auto, cui preferiva mille volte le moto, ma per quella aveva fatto una piccola eccezione.
Guidando con solo Gerard in mente, arrivò a scuola alle 8:10 e pregò intensamente che l’insegnante della prima ora non fosse già in classe.
Perfetto, in ritardo già il primo giorno, pensò e sbattendo lo sportello della sua macchina entrò all’inferno sotto lo sguardo attento dei ragazzi che in quel momento si trovavano nel parcheggio, chi intento a fumare, chi a ripassare e chi a cazzeggiare, facendo finta che la scuola non fosse effettivamente iniziata da dieci minuti. Questo atteggiamento mandò su tutte le furie Frank, che aveva corso come un pazzo per arrivare puntuale e comunque non c’era riuscito.
Lo accolse una signora simpatica quanto grassoccia, che doveva avere sulla cinquantina d’anni, di nome Mindy, che con un grande sorriso gli mostrò la planimetria della scuola e gli consegnò un foglio con su stampato il suo orario della settimana e l’elenco dei professori. Frank rimase zitto e non le disse che, da bravo nerd quale riteneva di essere, aveva già scaricato l’orario completo e il curriculum di ogni professore, perché Mindy sembrava davvero felice di poterlo aiutare, e così lui rimase lì ad annuire ed ascoltare, convinto di aver assolto alla sua buona azione quotidiana, obiettivo che si era prefissato di raggiungere da quando si era reso conto che c’era gente che stava peggio di lui.
Storia a prima ora si rivelò una benedizione e una maledizione allo stesso tempo.
Ovviamente adorava quella materia ma il loro insegnante, il signor Brooks, lo mandava in confusione, impedendogli di concentrarsi. Era giovane - secondo lui si aggirava sulla trentina, ma non poteva aver superato i trentadue -, slanciato e con i giusti muscoli. Aveva un viso proporzionato, con due occhioni grandi e di un limpidissimo azzurro, incorniciati da una massa di ricci e un filo di barba. Inutile dire quanto Frank se ne fosse innamorato.
Il professore gli sorrise ma non gli chiese di presentarsi alla classe, che fino a quel momento si limitò a guardarlo con circospezione, così decise di prendere posto. Ultimo banco, terza fila di sinistra. Era il lato che dava sulla finestra, e il posto accanto al suo era libero, mentre davanti si ritrovò un tizio con una massa di ricci tanto alta da assomigliare ad un afro-americano, ma bianco.
Aveva già capito da chi doveva diffidare, ovvero il gruppetto centrale formato da due energumeni - che con ogni probabilità facevano parte della squadra di football visto che in quella cazzo di scuola non era contemplato il lacrosse – che non sembravano particolarmente intelligenti, e da due ragazze che indossavano le uniformi da cheerleaders e che molto probabilmente erano le rispettive ragazze dei due energumeni sopracitati.
<< Allora ragazzi >>, iniziò il professore, << io sono Henry Brooks, il vostro nuovo insegnante di storia. Purtroppo la vostra vecchia insegnante è dovuta andare via per motivi che non mi sono stati comunicati, quindi… >>, stava spiegando, quando uno dei due giocatori di football lo interruppe.
<< La Sanders è dovuta andare via perché si sbatteva un ragazzo della nostra classe, Bob Bryar, che oggi non è qui. Se siamo fortunati avrà deciso di impiccarsi >>, disse esplodendo in una fragorosa risata quello che, avrebbe scoperto in seguito, si chiamava Fred.
Il signor Brooks aveva corrucciato il viso in un’espressione contrariata, palesemente pronto a rispondere, quando la porta della classe si aprì repentinamente, e ne entrò un ragazzone alto, con i capelli biondi, un filo di barba e qualche piercing. Frank sentiva di conoscerlo, ma non credeva possibile che si fossero già visti.
<< Mi dispiace deludervi, mia adorata massa di idioti, ma 1. Sono vivo e 2. Non mi sbattevo la Sanders, sono gay. Come se non lo sapeste poi! >>, e senza aggiungere altro andò ad accomodarsi nel banco accanto al suo ma non lo degnò neanche di uno sguardo.
<< V-va bene ragazzi, cerchiamo di fare una lezione quantomeno dignitosa sulla storia americana di quest’anno. Inizieremo da Theodore Roosvelt.. >>, ma dopo poco Frank non lo ascoltò, troppo impegnato ad origliare la conversazione che stava avvenendo tra l’afro e Bob Bryar.
<< Esibizionista del cazzo >>, gli disse l’afro con un sorrisetto.
<< Non posso farci nulla se io, a differenza sua che probabilmente non lo usa abbastanza, non ho problemi col mio cazzo >>, rispose ed entrambi esplosero in una risata contagiosa a cui Frank cercò di resistere, ma con pessimi risultati. Fu allora che Bob lo guardò con interesse per qualche secondo, prima di spalancare gli occhi e sorridergli.
<< Porca puttana! Tu sei Frank! Frank Iero, giusto? Amico, da bambini giocavamo insieme praticamente ogni giorno e ne combinavamo così tante che le nostre mamme iniziavano ad urlare come oche! Non ti ricordi di me? >>
<< Ehm.. si, sono Frank, ma francamente non ho la più pallida idea di chi tu sia, mi dispiace >>, rispose Frank grattandosi nervosamente la nuca.
Aveva pochissimi ricordi di quand’era bambino. Sapeva di essere andato via da Belleville per qualcosa di brutto che era successo a lui e alla sua famiglia, ma nessuno si era premurato di spiegargli cosa fosse successo esattamente e lui dal canto suo non aveva mai chiesto più di tanto. Sapeva di essersi svegliato un giorno sulla loro bella macchina in direzione di New York con il profumo di sua madre ad inondarne l’abitacolo e le chiacchiere di suo padre su questa e quella squadra di lacrosse, e nient’altro.
I dottori erano indecisi se definirlo come un disturbo da stress post-traumatico o una semplice, per modo di dire, amnesia selettiva. Era come se avesse completamente rimosso una parte della sua infanzia, quella che andava dai cinque ai sette anni, nonostante a volte ricordasse cose che aveva fatto in quegli anni, se ci si metteva d’impegno. E il fatto che nessuno riuscisse a capire cosa fosse, lo rendeva nervoso e arrabbiato, quindi preferiva non pensarci più di tanto.
Si riscosse dai suoi pensieri quando Bob gli sfiorò una spalla.
<< Ehi amico, scusa, non volevo disturbarti >>, gli disse abbassando lo sguardo, dispiaciuto. A Frank fece tanta tenerezza, sembrava un cucciolo abbandonato, e non faticava a credere che da bambino avesse voluto essere amico di un ragazzo come Bob.
<< Non è questo, è che io… >>, stava per spiegargli del suo problema, ma le parole gli morirono in gola.
Era sempre così, ogni volta che cercava di parlare del suo problema, non riusciva a trovare le parole e gli si seccava la gola, come se ci fosse qualcosa ad impedirglielo. Anche con Gerard era sempre stato così, nonostante in più di un’occasione avesse davvero voluto parlargliene.
<< Tranquillo! Comunque, mi fa piacere che tu sia tornato! >>
<< Bryar, Iero, non siamo in un salotto. Andate fuori a continuare la vostra conversazione >>, e con queste parole vennero sbattuti fuori.
Andarono nel parcheggio e si sedettero su una panchina. Si accesero una sigaretta - entrambi fumavano le Rothmans, e già questo fece sorridere Frank - nello stesso momento.
<< Ancora non posso credere che tu sia tornato e che io stia davvero parlando con te >>, cercò di iniziare Bob.
“ Se dice questo, significa che da bambini dovevamo avere proprio un ottimo rapporto ”, pensò, anche se proprio non riusciva a ricordare chi fosse.
<< Non ho mai capito perché siate dovuti andare via. Sai, nella mia mente di bambino, avremmo dovuto continuare a vivere assieme le nostre avventure per il resto della vita >>, aggiunse con un sorriso lievemente accennato quando si rese conto che Frank non era particolarmente disposto a collaborare quel giorno.
<< Comunque, da quanto siete arrivati? >>, chiese ancora, sperando di ottenere un qualche cenno di vita.
<< Da qualche giorno. Non ricordavo che Belleville fosse un tale mortorio >>, rispose cercando di recuperare in qualche modo.
<< E ancora non hai visto la gente che la popola >>, sghignazzò Bob.
<< Ho già capito da chi devo tenermi alla larga, però, come per esempio quei due energumeni che abbiamo in classe >>.
<< Ah, ti riferisci ai due giocatori di football.. Tranquillo, non dovreste condividere molte classi, e vuoi sapere una cosa scioccante? Si chiamano Fred e George*! >>
<< Non è possibile! Fred e George come quelli di Harry Potter? Sacrilegio! >>, disse sconvolto. Amava Harry Potter, aveva riletto l’intera saga per più di tre volte.
<< Già – sghignazzò – quindi stavolta sei intenzionato a restare? >>
Frank ci pensò. Non si era ancora posto questa domanda, e non ne conosceva la risposta. Sarebbe rimasto lì o sarebbe, una volta terminato il liceo, tornato a New York consapevole di aver dimenticato Gerard? Non lo sapeva. Era lì da appena una settimana, faceva ancora una tremenda fatica ad ambientarsi, a riconoscere le strade, a considerare la casa in cui viveva, casa sua.
<< Non lo so, non ho ancora pensato a questa cosa >>, rispose rabbuiandosi.
<< Posso chiederti perché siete tornati? >>, gli domandò Bob vedendo il suo viso rabbuiarsi.
<< E’ una storia piuttosto lunga >>, rispose evasivo. Nonostante giocassero insieme da bambini, conosceva davvero Bob da nemmeno due ore, non poteva sbandierare il suo segreto tanto prezioso e infamante ai quattro venti.
No, Frank non si fidava di Bob e dietro non c’era nessun motivo particolare. Semplicemente lo conosceva da troppo poco per poter anche solo pensare di raccontargli la sua vita.
<< E’ una lei o un lui? >>, chiese allora quello stupendolo.
<< Come hai fatto a capirlo? >>
<< Oddio, non dirmi che c’ho preso! Ho tirato a caso >>, rispose sbellicandosi.
<< E’ un lui >>, disse comunque.
Non capì mai cosa successe in quel momento, perché glielo disse. Non si era sentito in dovere di farlo, sapeva che se avesse voluto, avrebbe potuto cambiare argomento o semplicemente astenersi dal rispondere, e invece quelle parole erano scivolate fuori dalla sua bocca in modo del tutto naturale, come se stesse parlando a Mikey, e non ad un, a conti fatti, perfetto sconosciuto. Bob rimase interdetto per un attimo, ma poi recuperò il sorriso.
<< Quindi tu sei gay come me? Te lo chiedo giusto per avere una conferma di quello che ho sentito >>.
<< Si, decisamente >>, ridacchiò Frank.
Tutto sommato non era stato tanto difficile dirglielo. Nella vecchia scuola non si era mai esposto tanto. Certo, non si vergognava di ciò che era, e teneva Gerard per mano nei corridoi, e lo baciava anche a mensa, ma diceva mai espressamente di essere gay. Non sapeva perché, non lo faceva e basta.
<< Tranquillo, siamo dalla stessa parte. Comunque, credo sia arrivato il momento di rientrare, ci vediamo a mensa, ti va? >>, chiese Bob alzandosi.
<< Si, non credo di avere altri piani.
Dopo un’estenuante lezione di fisica, arrivò il momento del pranzo. Entrò in mensa e subito individuò Bob e l’afro che, scoprì successivamente, si chiamava Ray. Era un ragazzo veramente simpatico, come Bob del resto, e scoprirono di avere in comune tantissime cose, come i gusti musicali e, solo con Bob, culinari. Erano entrambi vegetariani, non riusciva a crederci!
Probabilmente da bambini dovevano essersi influenzati a vicenda, stava cominciando a pensarlo, e gli veniva da sorridere se pensava di sentirsi già emotivamente legato a Bob da qualcosa che non riusciva ad individuare. Ed era strano perché, solitamente, passava una vita prima che sentisse davvero affetto per qualcuno. Così, spinto da uno strano impulso, si avvicinò a Bob nel corridoio.
<< Ti va di venire da me oggi? Vorrei saperne di più su quello che facevamo da bambini >>, gli disse con qualche difficoltà. Non erano cose che diceva ogni giorno.
<< Per me va benissimo >>.

E così si ritrovavano sul letto di Frank, mentre ascoltavano un vecchio pezzo dei Def Leppard, una delle band che Gerard adorava, mentre parlavano del più e del meno.
<< Quindi davvero non ti ricordi di me? >>, chiese ad un tratto Bob, mettendo su un’espressione da cucciolo abbandonato.
<< No, mi dispiace tantissimo ma.. io non ci riesco. Non ho molti ricordi di quando eravamo bambini, è come se qualcuno me li avesse rubati, e non credo di poterci fare molto >>, rispose con la verità, perché a quel punto non aveva più senso mentirgli.
<< Sai, quando sei andato via ci sono rimasto davvero male, perché nessuno mi aveva detto che te ne saresti andato. Così, ogni giorno, nonostante mia madre mi dicesse che non saresti venuto, io andavo nel parchetto che c’è proprio sopra scuola e ti aspettavo, perché credevo fermamente che saresti arrivato per giocare con me. Ovviamente non succedeva, e quindi verso sera mia madre veniva a riprendermi e si sorbiva i miei piagnistei >>.
<< Io non so neanche perché siamo andati via, i miei genitori non me l’hanno mai detto >>.
<< Tu non gliel’hai mai chiesto? Io non sarei riuscito a resistere alla curiosità. Comunque non preoccuparti, riuscirò a farti ricordare chi sono >>, sussurrò con un ghigno malizioso stampato in viso prima di depositargli un lieve bacio sulla guancia.
<< Ora credo proprio sia arrivato il momento per me di andare, ma se vuoi sapere altro possiamo sempre vederci domani pomeriggio. Magari davanti ad una tazza di caffè nel bar all’angolo tra Monroe Street e Park Ave >>, suggerì raccogliendo le sue cose.
<< E’ un appuntamento, Bryar? >>, chiese spiazzato Frank.
<< Se vuoi considerarlo così fai pure >>, gli fece un occhiolino e scomparve al di là della porta principale.
Era tutto così nuovo per Frank. Si trovava in città da nemmeno due settimane e aveva già un appuntamento. Che fosse davvero il fascino dell’ultimo anno?

Quella notte i suoi sogni furono agitati.
Non riusciva a capire dove si trovasse, ma stava correndo, anzi, stava scappando da qualcuno. Inciampò in qualcosa e, tastandola, pensò si trattasse di un ramo, ma quando lo prese tra le mani la realtà si svelò in tutto il suo orrore; era un osso.
Urlò e si rialzò, la gamba gli faceva male, ma sapeva di dover correre, perché quel qualcuno lo stava raggiungendo, non poteva permetterselo. L’avrebbe ucciso.
Cadde di nuovo, si rese conto di stare congelando e capì di essere senza vestiti. Perché era senza vestiti?
Una voce lo chiamò; si trattava di una voce profonda, roca ma familiare. Conosceva chiunque lo stava raggiungendo, quindi magari poteva fermarsi. Ma no, un campanello d’allarme risuonò nella sua mente. Doveva scappare.
E corse, corse, corse a perdifiato, fino a quando si svegliò nel suo letto.
Era stato solo un brutto sogno.


Cilo’s corner.
Ciao a tutti, come state?
Allora, per prima cosa vorrei ringraziare le due stupendissime persone che hanno recensito lo scorso capitolo, la persona che ha aggiunto la storia tra le preferite, e le due che l’hanno aggiunta tra le seguite. Mi avete resa felice <3
Detto ciò, vi è piaciuto il capitolo? Non ho tantissimo da dire, Bob mi piace un sacco e l’idea di lui e Frank mi ha sempre allettata parecchio, senza contare che in un’intervista ai My Chem che ho trovato per caso un po’ di tempo fa, Frank dice proprio che il suo primo bacio gay è stato con Bob. O forse ho capito male io, ma non ho mai avuto modo di appurare la cosa perché non sono più riuscita a trovare quell’intervista ahahah
*= Sono una fansfegata di HP, e Fred e George sono i miei personaggi preferiti, dopo Luna e Remus, quindi ho semplicemente sentito la necessità di inserirli anche in questa storia, dove non c'entrano nulla, un po' come il prezzemolo ahah
Comunque, per finire, vorrei fare una piccola e probabile anticipazione. Fino ad ora abbiamo visto la vita di Frank.. ma Gerard, in tutto ciò, dov’è finito? Il prossimo capitolo potrebbe essere, rullo di tamburi… dal punto di vista del nostro Gerardo. Magari ci spiegherà meglio le sue motivazioni e vedremo dove sta buttando la sua vita.
Voi mi raccomando recensite, che mi fate tanto contenta e ci vediamo al prossimo capitolo!
Cilo

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Capitolo 3
*** 03. Protege moi ( de mes desirs ) ***


03. Protege moi ( de mes desirs )



Le settimane passavano e il suo legame con Bob e Ray non faceva altro che consolidarsi. Specialmente con Bob.
Erano usciti un paio di volte e, è vero, ancora non riusciva a considerarlo il suo ragazzo e, ancora vero, non si erano mai baciati ma, ehi!, sentiva di volere davvero bene a quel ragazzone biondo, e sentiva che col tempo quel gran bene avrebbe potuto tramutarsi in qualcosa di più.
Non voleva prendere in giro Bob, nè tantomeno se stesso, pensava a Gerard quasi ogni giorno. Sempre, anche se con minore intensità. A volte pensava a lui di sfuggita, dopo aver sentito una canzone che glielo ricordasse, ma niente di serio. Gerard era un sassolino nella scarpa, ecco.
Si, insomma, magari ti ritrovi a camminare tranquillamente immerso nei tuoi pensieri quando un sassolino ti si infila nella scarpa. E tu pensi, " che sarà mai, è uno stupido sassolino, posso sopportarlo ", e continui a camminare ma dopo un po' ti rendi conto che no, non puoi sopportarlo, hai bisogno di fermarti e toglierlo da lì per poter ricominciare a camminare.
Ecco, Gerard era stato ed era ancora il suo sassolino nella scarpa, nel bene e nel male. Era stato sempre lì con lui, nonostante il tempo che passava e, anche dopo otto mesi, aveva continuato ad occupare il suo piccolo grande posto nella mente di Frank.
Era stato bello lasciarsi cullare dai ricordi di loro due insieme nei momenti di nostalgia, e com'era stato facile scaricare ogni colpa su di lui quando era arrabbiato! Facile pensare di non poter più uscire con nessuno a causa sua, perchè quella storia gli aveva fatto troppo male.
Ma non era vero. Frank aveva finalmente aperto gli occhi e si era reso conto, guardandosi dentro, che era tutta colpa sua. Non la fine della sua relazione con Gerard, o almeno non del tutto, ma il resto si. Lui aveva volutamente ignorato quel sassolino e aveva continuato a camminare, diventando la causa del suo stesso fastidio, del suo stesso dolore. E aveva percorso chilometri, ma il sassolino era sempre rimasto lì.
Non ricordava dove, ma aveva letto, o forse l'aveva semplicemente sentito, un pensiero di Seneca, che gli era rimasto particolarmente impresso nella mente. Il filosofo sosteneva che, quando si ha un problema, si possono anche percorrere chilometri, ma il nostro problema ci seguirà. Bisogna cambiare il proprio animo per vedere un reale cambiamento. Ed era vero.
Frank sentiva di doversi prima liberare del pensiero di Gerard, e poi avrebbe potuto ricominciare la sua vita. Magari con Bob, che era tanto carino con lui, e che ci provava sempre a farlo stare bene e che aveva buttato al vento trenta dollari di cibo cinese quando Frank gli aveva detto di non adorarlo, per comprare delle semplici pizze. Si era sentito lusingato in quel momento, compiaciuto di se stesso e del suo ascendente anche, ma soprattutto sporco.
Ogni volta che guardava Bob non poteva fare a meno di pensare che lo stesse prendendo in giro. Non volutamente, ovvio, lui ci si impegnava davvero per farsi piacere Bob, ma tra loro due si frapponeva ancora il fantasma di Gerard.
E Frank era stanco. Stanco di svegliarsi al mattino e pensare a lui, stanco di accendersi una sigaretta e chiedersi se Gerard fumasse ancora le Rothmans, stanco di ascoltare una canzone dei Placebo o dei Def Leppard e di ricordare automaticamente tutti i pomeriggi trascorsi sul letto di Gerard con lui, a fare l'amore. O forse, per lui era stato sesso da niente? Avrebbe voluto chiederglielo, ed era stanco di pensare anche a questo.
Semplicemente, Gerard lo aveva prosciugato, non aveva più le forze per portare avanti quest'estenuante guerra di logoramento contro se stesso. Perchè si, si sentiva costantemente come se fosse in trincea ad aspettare il nemico, che nel suo caso era qualunque cosa gli ricordasse Gerard. Gettava la spugna. E non gli interessava che fosse o meno un gesto di codardia, la sua salute psicofisica gli richiedeva quest'ultimo grande sforzo, dimenticarsi di Gerard.
Non sapeva se ci sarebbe riuscito, ma voleva con tutto se stesso iniziare a farlo. Così inviò un messaggio a Bob e gli chiese di vedersi, era proprio ora che quel ragazzo avesse ciò che si meritava, che si vedesse ricambiare almeno un quarto delle miriadi di attenzioni che era in grado di riservargli.
Si videro nel parchetto in cui erano soliti andare da bambini. Ovviamente arrivò prima Frank. Aveva quest'assurda mania di dover per forza controllare ogni cosa, e ovviamente l'arrivare in anticipo ad ogni tipo di appuntamento rientrava in quella forma di controllo. Non sapeva bene come, ma anche se non si prefissava l'obiettivo di arrivare in anticipo, lo faceva.
E poi Bob arrivava sempre in ritardo, questo era un tristissimo dato di fatto. Così si trovava in quella panchina arruginita, fumando la sua ennesimo sigaretta, aspettandolo. Alla fine sentì due mani gelate posarsi sui suoi occhi, e sorrise spontaneamente, come non faceva da tempo.
<< Indovina chi sono >>, gli sussurrò in un orecchio, e dopo gli depositò un lieve bacio.
Si sentiva amato, coccolato ed apprezzato da qualcuno. Apprezzato per quello che era. A Bob si era sempre mostrato per quello che era, non aveva mai cercato di mostrarsi diverso, di mostrarsi migliore, e lui si era dimostrato interessato nonostante tutti i suoi difetti. In pratica, si sentiva bene.
<< Ciao Bob >>, gli rispose girandosi in modo goffo e allacciandogli le braccia al collo.
Sentiva di volersi spingere oltre con Bob, sentiva di poterlo fare. Aveva finalmente trovato qualcuno di cui potersi fidare, e ne era estremamente felice.
<< Cos'è tutto quest'affetto? È per caso il mio compleanno? >>, gli chiese stranito guardandolo negli occhi.
Frank amava gli occhi di Bob, erano chiari, limpidi. I suoi occhi non mentivano; e forse un po' lo odiava per questo, perchè ci si poteva specchiare e vedere quanto idiota fosse. Anche in quel momento, lo guardava e vedeva la sua espressione stranita, e si chiedeva se quello che stava per fare era davvero la cosa giusta.
Forse no, se ne rendeva conto, ma era quello che davvero voleva fare. Così gli si avvicinò piano, perchè c'era una remota possibilità che Bob non volesse baciarlo. Ma Bob non si spostò di un millimetro e allora lui poggiò delicatamente le proprie labbra sulle sue.
Non provò esattamente quello che solitamente provava con Gerard, ma a sua discolpa poteva dire che era stato praticamente uno sfioramento di labbra e che lui non era ancora innamorato di Bob, ma sperava di innamorarsi presto di lui. Lo voleva davvero.
Bob lo guardò un attimo dopo che si scostarono e prese a baciarlo l'attimo dopo con maggiore foga, quasi con urgenza. Frank lo assecondò e passò i successivi due minuti a giocare con la sua lingua. E, strano a dirsi- ma strano davvero - si divertì parecchio!
Bob era buffo quando baciava qualcuno e non si fece scappare l'occasione per farglielo notare. Risero insieme e poi il ragazzo lo guardò in un modo che gli fece salire il diabete. Era così dolce mentre lo guardava, sembrava stesse ammirando un'opera d'arte, la sua preferita magari, e Frank si sentì fortunato, e gli sorrise, perchè voleva davvero farlo.
<< Non sai da quanto tempo aspetto questo momento, anzi, non sai per quante notti l'ho sognato. Aspetta, non che io ti sogni tutte le notti, o meglio, lo faccio ma non è una cosa negativa. Cioè, non credo che lo sia, o forse lo è, e tu che pensi? Oddio, ti sto spaventando! >>
Frank lo guardò e già rideva. Bob, il grande Bob, iniziava ad imbarazzarsi e straparlare per un bacio! Non poteva crederci.
E così lo bació di nuovo, perchè voleva fargli capire che non lo stava spaventando.
<< Questo vuol dire che stiamo insieme? >>, gli domandò ancora Bob, e a quel punto Frank si spaventò davvero, e si scostò da lui, mettendosi più comodo sulla panchina e dandogli definitivamente le spalle.
<< Adesso si che ti ho spaventato però >>, disse con un tono abbastanza sconsolato, andandosi ad accomodare accanto a lui e accendendosi una sigaretta.
<< Non sei tu ad avermi spaventato, è che io.. Non so cosa siamo. E hai davvero tanto bisogno di definirci? Voglio dire, non ti basta sapere che ho voglia di stare con te e di abbracciarti e di baciarti? >>
<< Si, suppongo che per ora mi basti ma... Ti prego, toglimi una curiosità: perchè lo stai facendo? Tutto questo intendo. È per dimenticare Gerard? >>, gli chiese a bruciapelo. Ormai non lo guardava neanche più.
Cos'avrebbe dovuto fare Frank? Forse dirgli che, si, in parte era per questo che lo stava facendo. O almeno questo gli stava suggerendo la sua coscienza. Ma Frank da un bel pezzo ormai non l'ascoltava più.
<< No, non è per questo. Io credo di essere andato oltre a quella storia >>, mentì.
Alla fine, non sapeva se fosse stato o meno un bene raccontare a Bob di Gerard, perchè in quel momento lo aveva usato contro di lui. Ma era anche giusto che Bob si ponesse certi dubbi alla luce di tutto quello che gli aveva raccontato, l'avrebbe fatto anche lui.
Ci furono dei minuti di silenzio, in cui entrambi si persero nei propri pensiero; alla fine, Bob si girò a guardarlo e gli sorrise.
<< Va bene, ti credo >>, rispose, e Frank lo baciò di nuovo perchè non aveva nessun'altro modo di esprimergli la propria gratitudine.
Perchè Bob sapeva che in realtà il ragazzo gli stava mentendo, chi non l'avrebbe capito? Eppure aveva deciso di tacere per lui, e aveva accettato di riempire quel vuoto lasciato da Gerard, senza la sicurezza di avere nulla in cambio.
Passarono tutto il resto del pomeriggio a chiacchierare e ridere e a sbaciucchiarsi come una coppierta felice. E, in effetti, Frank si sentiva felice, finalmente.
Tornato a casa, fece una doccia e poi si gettò a peso morto sul letto, e iniziò ad ascoltare i Placebo. Dio, amava Brian Molko, era il suo dio, il suo poeta preferito, il suo modello, era.. Tutto!
ad un certo punto, le note di Every you every me sovrastarono Protege moi e si rese conto che qualcuno lo stava chiamando. Di solito capitava raramente, specialmente da quando si era trasferito, così curioso prese in mano il telefono e si rese conto che era Mikey. Rispose in gran fretta e fu felice di sentire la sua voce dopo tanto tempo.
<< Ciao Frankie, non ci sentivamo da troppo e ho deciso di chiamarti, almeno per sapere se eri vivo o meno >>, ironizzò il ragazzo.
Frank decise di non dirgli che in quei mesi aveva pensato di lasciarsi morire abbastanza spesso e tutto per colpa di suo fratello. E la cosa triste era che lo aveva davvero pensato; forse un po' della vena teatrale di Gerard era finita nelle sue vene, era l'unica spiegazione che era riuscito a darsi, visto che solitamente era una persona fin troppo razionale per pensare a certe cose.
Comunque, era davvero troppo felice di sentire Mikey, quel giorno stava andando tutto per il meglio finalmente. Prima Bob, ora Mikey... Mikey. Il suo migliore amico. L'unico che aveva il diritto di sapere che Frank stava lentamente cercando di rifarsi una vita dopo Gerard.
Anche perchè Frank non era stupido, sapeva che Mikey stava soffrendo per tutta quella situazione tanto quanto lui. Sapeva che il suo migliore amico, in base a uno dei suoi tanti ragionamenti validi solo nel suo personale mondo fatto di unicorni e tostapani ( ma si potrà mai dire tostapani? ), si riteneva personalmente colpevole della rottura di Frank e Gerard. Insomma, era stato lui che aveva spinto Gerard a confessare a Frank di avere un altro; probabilmente, se non l'avesse fatto, Gerard avrebbe lasciato Bert- prima o poi - e tutto si sarebbe sistemato senza inutili spargimenti di sangue e soprattutto senza che Frank andasse via da New York.
Adorava il suo migliore amico anche per questo, perchè sapeva quanto tenesse a lui e gli era grato di non averlo scaricato come invece aveva fatto il fratello.
<< Frank, ci sei? Frankie? Piccolo Frank?! >>, lo stava intanto chiamando Mikey dall'altro capo della cornetta.
<< Oh scusa Mikey, pensavo.. Cosa stavi dicendo? >>
<< Mm.. Chiedevo se almeno ti ricordi che tra meno di dieci giorni è Halloween. E sai chi fa il compleanno ad Halloween? Il piccolo Frankie! >>, urlò entusiasto Mikey rischiando quasi di rompergli un timpano.
In effetti, anche Bob aveva avuto più o meno la stessa reazione nel ricordargli che, " Ehi, tra otto giorni è Halloween, ed è anche il tuo compleanno! "
Non capiva perchè tutti fossero tanto entusiasti. Cioè, era felice che se lo fossero ricordati, ma per lui non era una ricorrenza poi tanto speciale.
<< E io mi chiedevo >>, continuò Mikey ignorando il fatto che quel cretino del suo migliore amico non avesse neanche risposto, << Si, ecco, pensavo.. Insomma, sarebbe carino se facessi un salto a New York quel giorno. Potremmo festeggiare come ai vecchi tempi >>, gli disse esaltato. Poteva capirlo dal tono di voce che era contento nell'esporgli quell'idea.
<< Mi piacerebbe ma non posso >>, fu costretto a dirgli. E non poteva davvero.
Immaginava che Mikey gli avrebbe proposto una cosa del genere, e infatti si era premurato di promettere a Bob che avrebbero passato la giornata insieme.
Non che non avesse le possibilità di tornare a New York, o che non volesse rivedere Mikey, tutt'altro, quel pazzo gli mancava da morire... Ma non era ancora pronto a rivedere Gerard. Non ora che finalmente lo stava dimenticando. Era stato crudele da parte sua? Forse,ma si giustificò pensando che il suo cuore malconcio l'avrebbe ringraziato prima o poi.
<< Capisco.. Posso chiederti come mai o rischio il linciaggio telefonico? >>, il suo amico era già entrato in modalità sconsolato. Gli dispiaceva da morire. Ed era pure arrivato il momento di vuotare il sacco riguardo Bob.
<< ecco, io ho conosciuto una persona qui e, si insomma, dopo più di otto mesi credo che sia arrivato il momento di lasciarmi tuo fratello alle spalle e.. E lui è dolce e mi fa ridere ed è anche abbastanza carino , anzi, è proprio bello e io credo che mi piaccia e.. >>, aveva appena iniziato a raccontare quando un urletto lo fece preoccupare.
<< Non puoi capire quanto io sia felice per te! Come si chiama? Come l'hai conosciuto? Vi siete baciati? L'avete fatto? Voglio sapere tutto! >>, gli urlò Mikey. Frank rise, era contento di sapere che l'altro l'avesse presa bene.
<< Si chiama Bob. Praticamente l'ho incontrato a scuola ed è saltato fuori che da piccoli giocavamo insieme, sai, prima che me ne andassi da qui ma io ricordo poco e niente di lui. Comunque, è un tesoro. L'altra sera è venuto da me con in mano del cibo cinese, io odio il cinese, lo sai, e quando l'ha capito ha subito ordinato due pizze. Poi ho scoperto che aveva comprato quelle schifezze cinesi* in un ristorante stra costoso e che aveva speso tipo trenta dollari, mi è dispiaciuto un sacco! E, per la cronaca, si, ci siamo baciati ma non l'abbiamo fatto. È davvero troppo presto. Ah, per tornare al discorso principale, gli ho promesso che avremmo passato Halloween insieme, è per questo che non posso muovermi >>, raccontò, finalmente felice di poter parlare a qualcuno di Bob.
Dopo un paio di secondi in cui regnò il silenzio, Mikey si profuse in un'altra serie di urletti decisamente poco virili.
<< Sono così felice!rimani pure lì, io me ne farò una ragione! >>, disse e continuarono a parlottare di Bob come due vecchie comari paese per un po'.
Ad un tratto sentirono un rumore strano, come se uno dei due avesse attaccato il telefono, nonostante entrambi stessero continuando a discutere tranquillamente. Frank pensò alla remota possibilità che Gerard avesse ascoltato l'intera conversazione, ma la scartò immediatamente, perchè probabilmente era troppo impegnato con Bert per mettersi ad origliare come un dodicenne. Sarebbe stato troppo ridicolo anche per lui.
<< Mm.. Frankie, non ti sento benissimo, ci sentiamo per messaggi? Devo ancora finire un tema di storia >>, gli disse Mikey.
Tipico di Mikey ridursi a fare i compiti in tarda serata. Comunque, chiusero la conversazione e dopo due secondi gli arrivò un messaggio.
Mi manchi già, era da parte di Mikey.
Il mio migliore amico è un idiota, pensò sconsolato prima di addormentarsi.

Nel frattempo a New York...

Mikey si avvicinò piano alla stanza di Gerard, perchè era abbastanza convinto che fosse stato lui ad aver attaccato il telefono durante la conversazione con Frank.
Aveva avuto sin da subito la sensazione che qualcuno stesse origliando la telefonata, perchè sentiva Frank lontano, ma non c'aveva fatto caso, troppo felice di parlare di nuovo col suo migliore amico. E poi, se c'andava a pensare, Gerard sapeva che Mikey stava per chiamare Frank e in camera sua c'era un telefono. Tutto tornava.
Aprì la porta senza fare rumore e venne inghiottito da un'oscurità totale, che lo stranì per qualche secondo.
<< Cosa vuoi? >>, gli chiese Gerard con voce tetra. Sembrava fosse stanco di parlare, sembrava che non ne avesse più le forze. Mikey sospirò.
<< Te lo dirò senza giri di parole. So che prima stavi ascoltando, e avrai capito che Frank ha finalmente trovato qualcuno capace di farlo felice. E ci tenevo a dirti che se lo merita, e tu meriti di sentirlo felice senza di te, visto tutto quello che gli hai fatto, su questo non ci piove. Ma, appurato ciò, io sono tuo fratello. E ti amo con tutto il cuore, quindi, se vorrai mai sfogarti con me, se vorrai mai parlarmi anche per farmi sapere di essere andato al cesso.. Va bene, io ci sono, e non aspetto altro. Perchè questo tuo mutismo mi sta uccidendo Gee, sta uccidendo tutti e.. Non ho detto nulla a Frank per non farlo preoccupare, perchè sappiamo entrambi che ti vuole ancora un gran bene, e non ho intenzione di farlo in futuro, quindi puoi stare tranquillo che quello che mi dirai, se mai vorrai dirmi qualcosa, rimarrà tra me e te. Però, ti prego, parlami >>, lo supplicò con tutto il suo cuore.
Era da un paio di giorni che Gerard si era chiuso in camera sua e non usciva se non per andarsi a drogare con Bert. Chissà di cosa si facevano quei due, ormai l'erba, da quanto aveva capito origliando una loro conversazione, non sortiva più alcun effetto se non in dosi massicce.
Ma i soldi per l'erba non bastavano mai, e i loro genitori si erano stancati di mantere il suicidio cerebrale che il loro adorato figlio stava mettendo in atto.
E Mikey era preoccupato, estremamente preoccupato per Gerard. Avrebbe voluto consolarlo, ma non sapeva cosa stesse succedendo, e non pensava fosse davvero giusto fargliela passare liscia.
<< Lasciami solo, ti prego >>, gli rispose solo Gerard, e lo disse come se fosse sul punto di esalare il suo ultimo respiro.
Mikey sospirò forte, cercò di impedire alle lacrime di cadere, o per lo meno, di non farlo davanti a quello che ormai considerava il cadavere di Gerard. Così si trascinò fuori dalla porta, e scivolò lentamente con la schiena al muro di fronte. E pianse di disperazione, chiedendosi perchè le cose stessero andando così e cosa potesse fare lui per aggiustare tutto.


Cilo's corner.
Salve a tutti!
Lo so, sono davvero una merda ad aggiornare adesso ma purtroppo non mi sono prefissate dei giorni fissi per postare un capitolo, lo faccio appena posso. Ringrazio tutte le fantastiche stupende e preziose anime che hanno recensito, messo tra ricordate/ seguite/ preferite questa storia. Vi adoro tutte, e se vorrete crescere in numero e/o recensire io vi adorerò ancora di più! <3
Per quanto riguarda il titolo è ovviamente una canzone dei Placebo, Protege moi appunto, e ha un duplice significato. Da un lato, è quasi il desiderio di Frank, che Bob lo protegga dal dolore e gli faccia dimenticare il passato.
Dall'altro lato, è Gerard che rivolge, nella mia testa malata, quest'appello non verbale al fratello. Non a caso ho messo tra parentesi quel De mes desirs. Mi riferisco chiaramente a Gee e al suo nuovo passatempo suicida.
So che nello scorso capitolo avevo parlato di un possibile POV Gerard ma c'ho pensato su mille volte e credo che ancora non sia arrivato il suo momento. Spero non me ne vogliate per questo! >.<
*= Ci tengo a precisarlo, il cinese non piace solo a Frank. Io amo il cibo cinese, TUTTI amano il cibo cinese!
Comunque, chiudo queste note deliranti sperando di ritrovarvi al prossimo capitolo, vi adoro tutti,
Cilo:)

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Capitolo 4
*** 04. Quale amore ***


04. Quale amore ( potrà mai tenerti con me? ),




Il giorno dopo si alzò e si rese conto di non avere voglia di morire o di riaddormentarsi, per essere meno tragici. Che fosse dovuto a Bob? E al fatto di aver finalmente sentito Mikey?
Tutto era possibile.
Comunque, si disse giusto quindici minuti più tardi, la vita continuava a fare schifo, nonostante il suo stato d'animo. Entrò in cucina, era sabato e lui non aveva scuola, mentre sua madre era probabilmente dal parrucchiere e suo padre a giocare a golf con quei boriosi avvocati che aveva incontrato qui, da quanto ne sapeva erano vecchi compagni di liceo o giù di lì.
Li aveva invitati a cena una volta, con le mogli, ma non era stata una gran trovata visto che Frank non aveva rivolto la parola a nessuno, mentre sua madre l'aveva fatto solo per dire a tutti di stare attenti a non strozzarsi; continuava a sospettare che Linda avesse nascosto qualcosa di letale nel cibo e che quelli fossero dei celati inviti al figlio affinchè non toccasse cibo, come in effetti aveva fatto, visto che c'era quasi solo carne.
Ad ogni modo, entrò in cucina e mise su il caffè, poi si voltò e sul piano cottura c'era un plico di fogli che fino al giorno prima non aveva notato. Si avvicinò e il mondo gli cadde addosso: carte per il divorzio.
Erano delle fottutissime carte per il divorzo, e non capiva perchè. Frank adorava la sua famiglia. Ma proprio tanto.
Era piccola, solo loro tre, non avevano animali, mai avuti, ma stavano bene ugualmente. Erano felici.
Evidentemente, però da un po' di tempo a quella parte, le cose non erano più come Frank credeva che fossero. Da quei fogli emergeva che il divorzio era stato intentato da suo padre, il quale chiedeva anche l'affidamento di Frank, nonostante il compimento della sua maggiore età, in quanto non riteneva Linda nelle condizioni di poter prendere delle lucide decisioni riguardo la vita del figlio.
Rilesse più attentamente e si rese conto che ancora mancava una settimana al compimento della sua maggiore età; che suo padre intendesse presentare la richiesta di divorzio dopo il suo compleanno? La notizia comunque non l'aveva scioccato eccessivamente, sapeva quanto suo padre volesse tornare a New York, aveva sentito spesso i suoi genitori litigare per questo in quelle ultime settimane. " Insomma ", continuava a ripetere l'uomo, " abbiamo lasciato la nostra città per dare corda ad un ragazzino in piena crisi ormonale, Linda, te ne rendi conto? A New York avevo uno studio legale rinomato, qui sono costretto a leccare il culo ad altri per ottenere qualche misera pratica! Senza contare che Frank potrebbe cominciare a sentire delle voci che circolano , le ho sentite io stesso quando siamo arrivati, potrebbe iniziare a ricordare! E i dottori hanno detto che.. "
" So come ci si sente, caro, e so cos'hanno detto i dottori... Ma Frank è il nostro unico figlio, e farei qualsiasi cosa pur di vederlo felice "
, tagliava corto sua madre.
Non capiva, ed era stanco di essere protetto dalla sua memoria. Voleva ricordare, voleva capire perchè, prima di riuscire a fare l'amore con Gerard fossero passati mesi, dato che non riusciva a sopportare di essere toccato in modo tanto intimo. Voleva capire perchè non riuscisse a ricordarsi di Bob, del suo dolce e simpatico ragazzo, perchè non ricordasse nulla dei suoi ultimi due anni a Belleville.
E voleva capire perchè persino i suoi genitori glielo volessero impedire.
Decise che gliene avrebbe parlato dopo e che non si sarebbe fatto rovinare la giornata per questo. Era comunque chiara una cosa, lui non sarebbe andato a vivere con suo padre per nulla al mondo; gli voleva più o meno bene e gli sarebbe dispiaciuto un sacco vivere senza di lui in casa, ma non poteva separarsi da sua madre.
Linda era una donna bellissima nonostante le prime rughe tentassero di sformarle il viso, ed era dolce, e buona, e simpatica, e preparava a Frank quei pancake ai mirtilli che nessun'altro avrebbe mai saputo fare come lei. E poi sapeva sempre dargli i giusti consigli su ogni cosa- nonostante non avesse ancora trovato il coraggio di confessarle la sua omosessualità -, e gli credeva quando le diceva di aver smesso di fumare, e se anche sentiva la puzza di fumo sui vestiti non faceva domande, e lo aveva sostenuto persino quando aveva espresso l'assurda volontà di tornare a Belleville.
Suo padre aveva ceduto dopo un mese buono di tentativi di convincimento, ma sua madre no. Era stato strano, sembrava avesse capito che ci fosse qualcosa dietro, e allora era stata disposta ad abbandonare il suo lavoro come assistente sociale, e con esso tutti i bambini che aveva imparato ad amare, le sue amiche e la loro bella casa, che aveva arredato finemente e con cura fino al minimo dettaglio. Tutto per la felicità del figlio.
Si sentiva il ragazzo più fortunato al mondo e al contempo il peggiore stronzo sulla terra, perchè sapeva quanto poco si stesse dedicando a sua madre in quel periodo, troppo preso dal disegno per il suo nuovo tatuaggio, dalla chitarra, da Bob, dal cercare di dimenticare Gerard e farsi dei nuovi amici, dal cercare di capire cosa la sua memoria aveva deciso di occultare per lui, dal professore di storia che sognava ogni tanto, da Fred e George ed Harry Potter. Tante, tante, troppe cose, e lui era solo un ragazzo di quasi diciott'anni.
Avrebbe voluto abbracciarla di più, guardare Grey's Anatomy con lei ogni tanto, visto che entrambi lo adoravano e parlarle tantissimo di tutto quello che gli stava frullando nel cervello, ma non c'era mai abbastanza tempo.
Chiamò Bob e gli chiese di passare da lui, chè a rimanere da solo avrebbe rischiato di deprimersi, e quello arrivò dopo un'ora, col suo solito ritardo.
" In venti minuti sono da te ", aveva anche osato dirgli. Si, certo, come se entrambi non conoscessero la lentezza di Bob.
Inaspettatamente, il ragazzo si presentò con una busta di Starbucks in mano, e un sorriso a 5000 denti stampato in viso.
<< Non sapevo se avessi fatto o meno colazione, quindi sono passato da Starbuck e ho preso dei muffin al cioccolato, i tuoi preferiti! Per questo ho fatto tardi, c'era una fila infinita e quando è arrivato il mio turno, ho avuto la sfiga di beccare il commesso più lento del mondo, roba che chiamarlo Mr Flemma.... >>, stava dicendo ma come al solito Frank non lo fece finire, perchè gli assaltò le labbra e lo baciò con foga.
Insomma, gli si era intenerito il cuore a vederlo sulla soglia di casa sua con su quell'espressione da cucciolo bastonato e la busta di Starbucks in mano, doveva proprio volergli un gran bene.
<< Tranquillo, ero seriamente intenzionato ad ucciderti ma i muffin mi hanno convinto a lasciarti vivere! >>, gli disse ilare.
Andarono in camera di Frank e misero su un cd a caso, come facevano sempre, che in quel caso era City of Evil degli Avenged Sevenfold, Frank li adorava, anche se Bob pensava che fossero " degli inetti e montati musicisti da quattro soldi" e che " Non si meritano un briciolo del successo che stanno avendo ".
<< Prima che arrivassi ho trovato una cosa in cucina >>, iniziò a raccontare Frank, perchè aveva davvero bisogno di sfogarsi.
<< Cosa? Sono curioso! >>
<< Carte di divorzio. I miei non hanno più intenzione di stare insieme evidentemente e credo che c'entri io >>, rispose.
<< Frank, piccolo, non devi darti la colpa, magari non vogliono più stare insieme e basta, forse non si amano più >>, cercò di rincuorarlo il suo ragazzo, o qualunque cosa fosse.
<< Mh, no, non intendevo questo. Credo c'entri il fatto che non riesco a ricordare certe cose. In queste ultime settimane li ho sentiti litigare e.. Parlavano di dottori, del fatto che io non dovrò mai ricordare ciò che mi è successo. Inutile dirti che ho intenzione di scoprirlo, sono stanco di rimanere nell'ignoranza >>, disse sfregandosi gli occhi.
<< Oh.. Io ti aiuterò ovviamente >>, disse titubante. Frank lo capì, era per questo che non gli aveva chiesto subito di aiutarlo, non voleva che si sentisse costretto ad aiutarlo con qualcosa più grande di lui.
<< Non devi se non vuoi >>, gli rispose con un sorriso.
<< Io voglio. Sei la persona a cui tengo di più al mondo Frank, lo sei sempre stato, non aiutarti sarebbe impossibile per me. E poi sono convinto che non ci vorrà molto; Belleville è una città davvero piccola e, mi sono informato, di solito dietro un problema come il tuo c'è un trauma abbastanza, mh, traumatico appunto! E sai cosa vuol dire questo? Che i giornalisti avranno avuto di che scrivere per settimane! Qualcosa dovrà pur esserci, insomma! >>, espose Bob con convinzione. Frank si gettò tra le sue braccia. Ora veniva la parte difficile da confessare.
<< C'è un'altra cosa che devo dirti, ma non credo che per te sarà più piacevole da ascoltare.. Ok, la dico e basta. Mio padre ha intenzione di chiedere che io venga affidato a lui e lui non vuole vivere a Belleville. Vorrà sicuramente che io torni a New York >>, disse con tono afflitto.
Bob si fece scuro in viso e dopo un po' sorrise, ma era un sorriso amaro che a Frank non piacque proprio per niente. Se conosceva Bob come lo conosceva, stava per fargli una domanda scomoda su Gerard, e la cosa lo fece anche un po' incazzare.
<< Ti dispiace tornare lì perchè non potremmo vederci tanto spesso, o non vuoi tornarci perchè non sei ancora pronto a vedere Gerard? >>, gli chiese infatti, e lo mise nelle condizioni di dubitare di se stesso.
Bob era così; non si faceva molte paranoie e se chiedeva qualcosa era per puro interesse e lo faceva con quella limpidezza e quella falsa ingenuità da bambino che ti facevano esitare un attimo prima di rispondere.
In effetti, Frank non voleva tornare a New York e il perchè lo sapeva benissimo. Non era ancora pronto a vedere Gerard, e non lo sarebbe stato per tanto altro tempo, ma il fatto che Bob lo avesse intuito al volo un po' lo infastidiva.
Bob lo conosceva forse troppo, come solo un ottimo amico poteva fare, non certo un fidanzato. Decise di non pensarci e accantonare la faccenda fino a quando non sarebbe stato capace di guardarla sotto un'altra ottica. E gli disse la verità.
<< È chiaro che io non sia pronto a vedere Gerard, ti mentirei se dicessi il contrario. Ma non voglio andarmene da qui anche per altri motivi.. Non voglio lasciare mia madre, e non voglio lasciare te. Non ora che ti ho ritrovato, cazzo! Bob, so di essere il peggior ragazzo del mondo ma ci sto provando ad amarti come vorresti e a trattarti come meriteresti.. E se non ci riesco ancora, perdonami. Urlami contro, picchiami anche se vuoi ma non lasciarmi, ti prego, io ho tanto bisogno di te adesso >>, e prima che se ne accorgesse delle stupide lacrime avevano preso a rigargli il viso.
Bob lo abbracciò, << Amore, io non vado da nessuna parte >>, gli diceva e dolcemente gli accarezzava i capelli. Amava Frank, non l'avrebbe potuto lasciare neanche se avesse voluto!
Frank si calmò e decisero di guardare un film per smorzare un po' la tensione, di uscire per quel giorno non se ne parlava proprio e, dopo la prima mezz'ora Frank si addormentò. Dopo averlo osservato e accarezzato per una ventina di minuti, Bob decise di lasciarlo riposare e di togliere il disturbo.
Del resto, era stata una pessima mattinata per Frank, era anche giusto che ci dormisse su.
In realtà, quel giorno aveva grandi novità da raccontargli, nulla di positivo chiaramente, ma era un punto di partenza per capire il perchè della sua perdita della memoria. Era andato lì proprio per parlargliene ma, dopo aver saputo dell'imminente separazione dei suoi e dopo averlo visto cosí affranto, proprio non se la sentiva di peggiorargli ulteriormente la giornata.
Così era stato in silenzio, come faceva sempre, e si era limitato a coccolarlo e ad ascoltarlo, perchè questo fa un bravo fidanzato. Anche se è un fidanzato-tappabuchi. Perchè Bob lo sapeva di non essere importante quanto Gerard agli occhi di Frank, e che probabilmente non lo sarebbe stato mai, ma amava quel ragazzo e sarebbe stato per lui quello che era necessario essere.
E, se un giorno Frank l'avesse voluta chiudere, a Bob sarebbe andato bene, sarebbe tornato ad essere il suo migliore amico.
Questo pensiero gli spezzava il cuore, ma teneva a Frank sin da quando erano bambini, e non se lo sarebbe lasciato scappare per i suoi stupidi sentimenti che lo volevano e non lo volevano, che lo amavano e lo odiavano, che lo ritenevano la cura al male e la fonte del male stesso.
Si alzò sospirando e pronto ad andarsene, quando il telefono di Frank squillò. All'inizio non voleva rispondere, non era mica affar suo vedere chi chiamava il suo ragazzo, ma il telefono continuava a squillare e Frank aveva preso ad agitarsi nel sonno.
Così si sveglierà, pensò e dunque rispose. Il numero non era salvato nella rubrica di Frank.
<< Pronto >>, disse con tono interrogativo, aspettandosi per lo meno una risposta, che tuttavia non arrivò.
Dall'altro capo del telefono non arrivava altro che silenzio e Bob pensò che si potesse trattare di Gerard. Era un'idea stupida, lo sapeva, perchè quell'idiota avrebbe dovuto farsi vivo dopo un tradimento e mesi di silenzio? Eppure..
<< Gerard? Sei Gerard, vero? >>, si azzardò a chiedere, e per tutta risposta ottenne un tetro sospiro.
Era lui, era Gerard, Bob ne era sicuro.
Sentì una strana rabbia montargli dentro e si allontanò dalla stanza e uscì in giardino, per non svegliare Frank.
Cosa cazzo volesse Gerard era tutto da scoprire; così, dopo poco, sentì la sua voce parlare.
<< Ascoltami bene piccolo stronzo, io non ti conosco, ma conosco Frank e non mi spiego come tu abbia potuto fargli tanto male. Ci sto mettendo una vita a raccogliere ciò che rimane di lui per farlo tornare ad essere quel bellissimo fiore che tu hai impunemente calpestato e so per certo che se adesso dovessi rientrare nella sua vita lo distruggeresti. Ti prego, se tieni ancora un po' a lui, anche solo un minimo, non farlo. Non cercarlo, non chiamarlo, fai finta che lui non esista piú per te. Se gli vuoi bene, scompari >>, e detto questo buttò giù. Gerard non gli avrebbe risposto comunque.
Rientrò silenziosamente e altrettanto silenziosamente rimise il cellulare di Frank al suo posto, e andò via da quella casa.
Era certo che Gerard non avrebbe più chiamato, era troppo codardo per farlo, e Frank non sarebbe mai venuto a conoscienza della loro " conversazione ".
Tutto sarebbe passato un giorno. Anche il dolore.


Cilo's corner
Avevo in assemblaggio questo capitolo da settimane, ma non riuscivo a scrivere l'ultima parte. Troppo crudele, pensavo. Ma, si sa, dopo una grande delusione si è tutti un po' piú cattivi, e quindi eccomi qui, ed ecco il capitolo.
Come avrete capito, non è un buon periodo per me, e non so quando aggiornerò, ma vi prego, se tenete alla storia, continuate a seguirmi, potrebbero arrivare novità.
Ringrazio come sempre quelle splendidissime persone che si interessano a FNWTB, vi adoro.
A, spero presto,
Cilo

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Capitolo 5
*** 05. We all have our secrets. ***


05. We all have our secrets.




Quel giorno aprì gli occhi e provò una strana sensazione.
Si, era il suo compleanno, il cellulare che squillava incessantemente da una ventina di minuti ne era la prova. Aveva cercato di ignorarlo e rimanere nel tepore mattutino in silenzio. A riflettere.
Ripensava a quelle maledette carte del divorzio che aveva trovato per caso. In quei giorni i suoi genitori avevano fatto finta di nulla, ma Frank si rendeva conto di quanto le cose non andassero. Tanto per cominciare, i suoi genitori non si toccavano più, mentre in passato, per suo padre ogni scusa era buona anche solo per sfiorare il braccio di sua madre. Erano dei gesti all’apparenza casuali, ma che celavano un amore, a detta di Frank, incrollabile. E poi, non si guardavano più, e si parlavano a malapena.
Comunque, tornò a pensare, se suo padre aveva intenzione di presentare le carte dopo il suo compleanno, voleva dire solo una cosa: doveva prepararsi ad ore e ore di estenuanti trattative con lui. Perché Frank non se ne sarebbe andato da Belleville, e non ci sarebbe stato nulla capace di farlo desistere dal suo intento.
Riemerse dal suo stato quando si rese conto che il telefono aveva smesso di squillare per giusto due minuti, per poi riprendere con nuovo vigore. Conosceva un’unica persona che ci tenesse tanto a fargli gli auguri per il suo diciottesimo compleanno, quindi prese il telefono e con un sorriso si accorse di avere ragione. Non appena rispose, l’interlocutore scagliò una serie di improperi irripetibili contro di lui, che lo ascoltava in religioso silenzio.
<< Frank Iero, volevi forse farmi venire un colpo?! >>, tuonò alla fine Mikey.
<< Scusa Miks, mi sono appena svegliato >>, si giustificò Frank.
<< Scusa un cazzo, mi sono davvero preoccupato! Cioè, prova a metterti nei miei panni; chiamo il mio migliore amico il giorno del suo compleanno, che passerà per la prima volta a chilometri di distanza da me, anche se si presuppone che lo passi col suo ragazzo, e lui non mi risponde. Ho pensato di tutto, ti prego Frank, non mettertici anche tu! >>, esplose bloccandosi bruscamente alla fine.
Frank si tirò su puntellando i gomiti sul materasso, il suo amico aveva un tono di voce abbastanza allarmato e, lo conosceva, iniziava a straparlare solo quando era davvero preoccupato e poi.. “ non mettertici anche tu ”. Anche? Con quale altro essere problematico Mikey stava avendo a che fare in quel periodo? Il suo pensiero corse a Gerard. Poteva essere.
Del resto, conosceva i picchi di depressione che raggiungeva in certi periodi della sua vita. Erano delle fasi assolutamente normali per lui, per quanto possa essere considerato normale limitarsi a vegetare in una stanza chiusa e buia. E allora fu inutile fingere di non essere emotivamente coinvolto da quella possibilità, e la sua bocca si mosse prima che la potesse fermare.
<< Chi altro ti sta creando dei problemi, Miks? >>, chiese simulando noncuranza, cosa che certamente non sfuggì al suo interlocutore, che infatti sospirò.
<< Dei tizi a scuola, Frank. Solo dei tizi a scuola, nulla di cui tu debba preoccuparti, e ora dimmi: come hai intenzione di passare il tuo super compleanno? >>, chiese, cercando di assumere un tono quantomeno gioviale.
Era stato stupido a pensare che Mikey si stesse riferendo a suo fratello. E come avrebbe potuto? Da quando avevano rotto l’argomento Gerard era stato evitato come la peste, Mikey evitava di parlarne, o anche solo nominarlo per caso. Se solo avesse saputo che in quel modo la situazione era peggiorata probabilmente avrebbe cambiato strategia.
Si, insomma, se avesse saputo che Gerard stava ancora con Bert e che erano felici.. bè, c’avrebbe messo un po’, ma alla fine l’avrebbe accettato, e forse sarebbe anche stato contento che il suo ex avesse trovato la persona giusta con cui stare. La persona che evidentemente non era stato lui.
Ma così, senza mai nemmeno accennare di lui, Frank stava male. Si sentiva male a non sapere dove fosse, se stesse bene. E come poteva stare tranquillo, cristo santo?! Frank conosceva le plateali tendenze autodistruttive di Gerard, era una bomba pronta a scoppiare in qualsiasi momento e se.. se non ci fosse stato nessuno pronto a disinnescarla.. Dio, non voleva neanche pensarci.
<< Michael ti prego, ti prego, dimmi che Gerard sta bene >>, disse ad un tratto, con voce tremante.
<< Frank, non dovresti preoccuparti di lui >>, lo ammonì l’amico con tono incerto. Frank chiuse gli occhi.
<< Lo so, ma non posso farci nulla. Oggi mi sono svegliato con una strana sensazione, non so spiegarla ma.. non era bella. E quando tu hai detto in quel modo io.. ho pensato a lui. Io lo so com’è, ok? Lo conosco più di quanto conosca me stesso, e se tu non mi dici come sta adesso, io muoio. Perché lo capisco che per i primi mesi hai rispettato la mia volontà di non parlare di lui ma ora, in questo preciso istante, le mie volontà sono cambiate. Fidati Miks, non rimarrò fregato un’altra volta, e poi adesso ho Bob ma.. ti prego. Io gli voglio ancora un gran bene >>, concluse con le lacrime che, prepotenti, rischiavano di uscire.
<< Mio fratello sta bene, Frank >>, gli disse quello alla fine, con un sospiro.
<< Non ho bisogno di sapere altro >>, disse allora.
<< Bene, fantastico. E dunque, cosa farai oggi? >>, ritornò a chiedere di nuovo. Mikey era così, non si arrendeva mai. Frank alzò gli occhi al cielo, come diamine faceva a conversare del più e del meno, facendo finta che nulla fosse successo? Eppure il suo migliore amico adorava Gerard, non si erano mai separati- o, per meglio dire, Mikey era sempre stato attaccato a suo fratello come una cozza allo scoglio sin da quando era bambino -, non avevano mai litigato sul serio per qualcosa.. tranne che per lui.
Decise di non pensarci, ché tanto non era davvero importante e non c’avrebbe comunque cavato un ragno dal buco. S’impose di credere alle parole di Mikey, che diceva la verità, al di la di ogni ragionevole dubbio.
<< Non lo so >>, si costrinse a rispondere, << Bob dovrebbe passare tra poco. Ho lasciato a lui la programmazione della serata, lo sai che non m’interessa >>.
<< Proprio come facevi con me! >>, commentò Mikey in tono ilare e, Frank poteva giurarlo, aveva messo su quel sorrisetto beffardo alla non-cambi-mai-amico.
<< Mi manchi un sacco Frank >>, gli disse tuttavia ad un certo punto, riacquistando un tono serio.
<< Ci conosciamo da sempre, cazzo, questi anni alle superiori sarebbero stati terribili senza di te e sei il mio migliore amico. Tu mi conosci, lo sai che ho sempre buone intenzioni, e non sono capace di fare del male, vero? >>, gli chiese.
Frank ebbe paura perché per un attimo ebbe l’impressione di parlare con un pazzo psicopatico in preda ad una crisi di nervi, e non con il suo migliore amico. Ed ebbe paura di quello che stava cercando di dirgli.
<< Certo Miks, ma che domande fai! Lo sappiamo tutti che sei troppo buono tu, e che solo il tuo tostapane rischia lo stupro >>, cercò di rispondere con molta calma, anche se in quel momento non era calmo per niente. Gli sudavano le mani e il letto era scosso dal leggero tremolio della sua gamba.
<< Promettimi che qualsiasi cosa succeda, tu continuerai a credere nella mia bontà >>, continuò quello, come se non avesse ascoltato una singola parola di ciò che aveva detto Frank.
<< Ma cosa stai dicendo, io.. >>, stava per dire il moro, ma l’altro lo interruppe.
<< Promettimelo e basta >>, lo incalzò ancora e alla fine cedette. E gli promise una cosa ovvia; sapeva quanto Mikey fosse buono, da bambini non riusciva neanche a calpestare le formiche senza rischiare una crisi di pianto.
<< Ok, ora mi spieghi cosa sta succedendo? >>, gli domandò finalmente, aspettandosi come minimo una risposta sincera.
<< Oh, niente, è che ormai abitiamo lontani e potrebbero arrivare giorni in cui credermi sarà difficile >>, rispose Mikey.
E Frank seppe di averne abbastanza di quel discorso delirante da cui non aveva tratto nulla se non dubbi, e così chiuse la chiamata.

Si sentì uno schifo per quasi tutta la giornata.
Bob passò a prenderlo per l’ora di pranzo e lo portò in un ristorante particolarmente carino che, per un puro caso chiaramente, era anche il suo preferito. Mangiò il suo cibo preferito, bevve la birra casereccia più buona di tutta Belleville, e dopo, Bob lo portò a fare una passeggiata al mare.
Adorava il mare, al contrario del suo accompagnatore che non aveva fatto altro che lamentarsi per tutto il tempo della troppa sabbia tra i piedi.
<< Non vorrei dirtelo, ma siamo in spiaggia. Esattamente cosa ti aspettavi di trovare? >>, gli chiese con un tono leggermente stizzito. Leggermente è chiaramente un eufemismo.
<< Ok tesoro, per tutto il pranzo non hai spiccicato parola, e ora questo. Io ci tengo a te, e ho cercato di renderti felice il giorno del tuo compleanno e avrei voluto fare qualcosa di carino anche stasera ma.. tu non ci sei. Fisicamente sei qui con me ma mentalmente sei via, e il solo pensare a dove tu possa essere e soprattutto con chi avresti voluto essere, mi mette l’angoscia >>, sbottò Bob.
E Frank sorrise, dopo vari minuti di sbigottimento. Sapeva che l’avrebbe fatto, tutti prima o poi avrebbero reagito esattamente come Bob, quindi perché impedirglielo? Forse doveva solo tornare a casa e mettersi sotto le coperte e addormentarsi e non svegliarsi prima di un milione di anni. E doveva lasciarlo andare quel ragazzone, ché forse, anzi sicuramente, meritava di meglio, che tanto lui non era in grado di dare nulla a nessuno e ormai avrebbe dovuto capirlo.
Pensava questo quando Bob si girò e cominciò ad andare nella direzione opposta alla sua. Si chiese se non fosse colpa sua, altrimenti perché sia Gerard che Bob erano andati via?
Bob non è ancora andato via. E’ lì, puoi vederlo, e puoi ancora raggiungerlo, gli suggerì la sua coscienza.
Ma perché siamo arrivati a questo punto? Io mi ero ripromesso di non fargli del male. Non a lui!, rispose a quella coscienza maledetta, che sceglieva i momenti sbagliati per fare le sue apparizioni.
Sei tu Frank che lo stai lasciando andare. Esattamente come hai fatto con Gerard! Ma se Gerard è perso per sempre ormai, Bob è ancora lì, e puoi ancora chiedere scusa, puoi ancora dimostrarti all’altezza della situazione, e costruire qualcosa con lui.
Ma non mi vorrà più ormai, si oppose timidamente Frank.
Ma lui ne vale la pena.
E in quel momento aveva deciso. Prese a correre come un forsennato, e Bob dovette sentirlo perché quando stava per raggiungerlo si fermò, e si voltò a guardarlo.
<< E’ successa una cosa oggi. Mikey mi ha chiamato perché, bè, è il mio compleanno e ha iniziato a dire cose strane. Non era lui in quel momento, non l’avevo mai sentito così, Bob, mai. E mi ha fatto promettere che gli avrei creduto in qualsiasi situazione, che avrei creduto nella sua bontà e.. e io ho avuto paura e ho attaccato. Capisci? Ho chiuso il telefono in faccia al mio migliore amico. Non te l’ho detto perché non volevo sobbarcarti di un altro peso, o almeno, questo è quello che ho detto a me stesso, ma non è così. Non te l’ho detto, perché è così che faccio, credo di avere qualche problema con la felicità, perché la rifiuto. Sempre. Quando la raggiungo faccio qualcosa per perderla e me la lascio scivolare tra le dita, come se non ci fosse mai stata. Gerard, Mikey, mio padre che sicuramente vorrà andare via, e ora tu. C’ho provato a dirmi che forse è meglio lasciarti andare, che sono un’egoista, un ragno che ti tiene intrappolato nella mia tela che non conosce il tempo e le definizioni, ma le mie argomentazioni non sono risultate abbastanza forti. Perché se si tratta di te, ne vale la pena. E se devo cambiare, lo farò, perché tu ne vali la pena. E ora puoi anche andare via, sei ancora in tempo per liberarti di me, ma sappi che se resti non succederà più così facilmente >>, concluse.
Era fiero di se stesso, era finalmente riuscito ad esternare quello che provava e Bob doveva esserne rimasto colpito vista la sua faccia da ebete.
Alla fine, il biondo gli si avvicinò e lo baciò, con foga e con urgenza, come se volesse dirgli “ Non m’importa di quello che fai, io sono qui ”, e quel bacio valse più di mille parole.
<< Non capisco perché, ma ti credo >>, disse Bob, e tutto si concluse lì.
Decisero di proseguire la giornata a parlare di cose di cui non avevano mai parlato, perché se Frank sapeva quasi tutto di Bob, per l’altro non era lo stesso.
Cominciò da cose semplici, come il gusto preferito del gelato, o il colore preferito, e passò al rapporto con sua madre, alla sua incapacità di confessare la propria omosessualità per paura di incrinare maggiormente i rapporti con il padre e rovinare tutto. Gli parlò di quante false amicizie era riuscito a scovare in quei pochi mesi di lontananza da New York. Non c’era voluto molto, in effetti, perché la maggior parte di coloro che si definivano suoi grandi amici, non lo avevano più chiamato, dimenticandosi di lui.
<< E in tutto questo mare di merda, io ho trovato Mikey. Lo conosco da quando ne ho memoria in realtà, le nostre mamme erano compagne di scuola al liceo, erano entrambe di Belleville, ci crederesti mai? E così, quando ci siamo trasferiti, loro c’hanno aiutati a trovare casa. All’inizio non volevo frequentare Mikey, mi ricordo che mi metteva una paura matta, e quindi lo evitavo spesso, ma poi si è avvicinato a me e abbiamo cominciato a giocare, e dopo a leggere fumetti. Gerard non giocava con noi, nonostante avesse solo due anni in più di noi, si riteneva troppo grande per certe cose, e poi, spesso era Mikey a venire da me e non il contrario. A lui piaceva disegnare, già da bambino, e lo faceva tutto il giorno chiuso nella sua stanza. Quando capì che non poteva solo disegnare e che forse era arrivato il momento di vedere com’era il mondo fuori, aveva sedici anni, io quattordici. L’ultima volta che l’avevo visto, ne avevo undici, e Gerard era un ragazzino di tredici anni un po’ in carne e molto insicuro, con le guance sempre sporche di acrilico. E, bè, quando uscì dalla sua stanza, non era più il Gerard che avevo visto qualche volta a casa di Mikey. Era dimagrito e aveva acquistato fiducia in se stesso e io ne rimasi affascinato. Sapevo di essere gay già allora e comunque non mi facevo illusioni su una possibile storia tra me e Gerard, quindi rimasi molto sorpreso quando iniziò a ricambiare i miei sguardi, e a cercare le mie attenzioni. Ma io avevo solo quattordici anni, Bob, e così, quando Austin mi chiese di uscire, gli dissi di si. Lascia l’incerto per il certo e Gerard s’infuriò. La sua scenata fu colossale e tremendamente e drammaticamente teatrale, come tutta la sua vita temo, stava persino per spiattellare la mia omosessualità in giro pur di vendicarsi del mio torto. Per mesi non mi parlò, e mi apostrofò con i peggiori epiteti, e un giorno io sbottai. Lo insultai, lo picchiai anche, e decisi di ignorarlo. Fino a quando il primo giorno di scuola alle superiori non gli andai a sbattere contro nei corridoi. Lui non mi guardò male, e il giorno dopo mi si presentò come se non ci conoscessimo. Quando gli chiese cosa diamine stesse facendo, mi disse che non era più il ragazzo che mi aveva fatto soffrire in passato, e che dunque erano necessarie nuove presentazioni. Ci cascai dopo mille esitazioni e, bè, il resto della storia lo conosci. Queste cose non te le sto raccontando perché voglio vederti fuggire, voglio solo che tu sappia la verità >>, concluse il suo racconto Frank.
<< Sei stato coraggioso, piccolo ometto, ma non fuggirò da te >>, gli disse Bob con un sorrisone, dandogli un buffetto sulla guancia.
<< E ora avrei fame. Andiamo a mangiare e poi vorrei portarti in un posto >>.
Si rese conto che era già sera e, dopo una cena in pizzeria, Bob lo portò in un punto panoramico della città. Non c’era ancora stato, perché quel genere di cose le faceva con Gerard, ma creare nuovi ricordi su quelli vecchi, si disse, non avrebbe fatto male a nessuno.
<< Devo darti il tuo regalo adesso >>, disse Bob all’improvviso, estraendo una collanina dalla tasca. Era a forma di sole ed era stata palesemente disegnata da un bambino.
<< L’ho fatta io da bambino. Avevo intenzione di dartela un giorno, ma poi sei partito e non ne ho avuto l’occasione. E’ a forma di sole perché era così che ti vedevo già da allora e non è impacchettata perché sono negato, mi dispiace se effettivamente è poco, m ci tenevo che tu l’avessi >>, gli disse grattandosi la testa imbarazzato e arrossendo lievemente.
A Frank parve di sentire il suo stesso cuore perdere un battito, era così contento. Contento da farsi quasi schifo! Abbracciò Bob, e lo baciò con dolcezza e lo ringraziò mille volte, mentre indossava la collanina e si rintanava nel suo abbraccio.
Stavano guardando il panorama sotto di loro e Frank si sentiva felice, ma evidentemente la felicità non era fatta per gente come lui.
All’improvviso il suo telefono suonò, e Frank prendendolo vide che era Mikey. All’iniziò era titubante, aveva paura, non sapeva cosa dirgli, come giustificarsi, ma poi Bob gli strinse una mano e gli disse di provarci a rimettere tutto a posto, e così lui rispose.
<< F-Frank.. devi, tu devi.. io sono.. >>, continuava a dire il suo amico dall’altro capo del telefono con voce rotta. Sembrava che da un momento all’altro potesse anche smettere di parlare, e Frank ne rimase terrorizzato.
<< Mikey >>, iniziò ad urlare, << Mikey sono qui, stai bene? >>, chiese concitato, pregando in una risposta.
<< Frankie… Gerard è.. io non ce la faccio s-senza di te e lui è.. >>, ma non riuscì a finire perché scoppiò a piangere. Non appena sentì nominare Gerard, Frank si agitò ancora di più.
<< Cos’è successo a Gerard? Mikey dove sei? Dove siete? >>, urlò ancora, non sentiva più il suo cuore.
<< Io ti giuro che c’ho provato Frankie, c’ho provato e non ci sono riuscito. Ma lui non mi voleva parlare e non voleva che dicessi nulla a nessuno, e non volevo farti preoccupare, ma adesso.. io non ce la faccio da solo. Qui è bianco e dicono che non sanno cosa gli succederà. Lui potrebbe.. >>, e pianse ancora.
Frank era nel panico, ma cercò di rimanere concentrato e rimandare il terrore ad un secondo momento, ci provò con tutto se stesso, e nel frattempo stritolava la mano di Bob.
<< Mikey, ti prego, devi dirmi dove sei >>, lo supplicò.
<< Al Lenox Hill, siamo al Lenox Hill >>, riuscì a sussurrare l’altro.
<< Bravo Mikey. Adesso, dimmi cos’è successo, per favore >>.
<< Gerard.. lui ha.. tentato di uccidersi >>, biascicò disperato con un ultimo fiato.
<< Arrivo subito >>, disse Frank.
Chiuse la conversazione con il gelo nel cuore. Bob lo guardava ma lui non rispose a nessuna delle sue domande.
<< Devo tornare a New York per un po’ >>, gli disse solo, e si diresse correndo verso casa, deciso a partire.
Ti prego, non morire, fu il suo unico pensiero per tutto il tempo.


Cilo’s corner
Eh insomma… chi non muore si rivede!
Ciao a tutti, sono finalmente tornata. Mi sento un po’ meglio di prima, quindi spero di riuscire ad aggiornare con maggiore frequenza, anche se non vi prometto nulla.
Del capitolo non ho nulla da dire, se non che mi ha spossata. Fatemi sapere la vostra!
A presto,
Cilo

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Capitolo 6
*** 06. New York New York ***


07. New York New York.

Do not ask the price I pay for
I must live with my quiet rage
Tame the ghost in my head
That run me wild and wish me dead
-Lovers Eyes, Mumford and Sons.


Il viaggio durò poco, o forse molto, non era in grado di dirlo. Non ricordava di aver comprato i biglietti del treno, ricordava solo le parole di Mikey che, incessantemente, continuavano a ronzargli in testa.
Conosceva molto bene Gerard, era l'essere più autodistruttivo del mondo; non c'era un reale motivo. I due fratelli Way erano stati cresciuti nell'amore e nella comprensione, avevano sempre avuto tutto, sia dal punto di vita materiale che affettivo. Mickey era venuto su bene, era leale e gentile, forse eccessivamente sentimentale, ma tutto sommato era davvero un bravo ragazzo... Gerard no.
Gerard era tutto ciò che di negativo si potesse pensare, un vortice di china e autolesionismo. Frank ricordava con precisione tutte le volte in cui il ragazzo era caduto in depressione, ma soprattutto ricordava come ci sentiva dopo aver toccato il fondo per prenderlo e riportarlo alla vita. Era una sensazione di vuoto, di solitudine e freddo silenzio, una di quelle che non avrebbe augurato a nessuno, neanche al suo peggior nemico, neanche a Bert.
Era stata l'unica consolazione possibile, l'unica a cui appigliarsi quando avevano rotto, quella che non sarebbe più dovuto scendere nel baratro insieme a lui, per salvarlo. Si era sentito un egoista, una vera e propria merda solo a pensarlo, ma era così.
Amava Gerard, e l'avrebbe seguito ovunque, avrebbe preso in mano la sua fragile esistenza spezzata e l'avrebbe ricomposta con devozione tutte le volte che sarebbe stato necessario, ed era proprio questo a preoccuparlo.
Anche in quel momento, si trovava a camminare per le strade trafficate di New York, pronto a salvarlo ancora una volta, dopo aver buttato nel cesso mesi e mesi di guarigione. Dove sarebbe finito lui, a furia di cercare Gerard?
Perchè ogni volta che Gerard finiva nella merda, ci finiva anche lui. Ogni volta scavava sempre più a fondo, e lui era pronto a seguirlo, a costo di uscirne dilaniato.
Perchè quella sensazione di vuoto, quel sentire niente di cui Gerard gli aveva parlato nei rari momenti in cui era stato in grado di spiccicare parola, l'aveva provato anche lui.
Perchè quel tormento e quell'angoscia che ti si appiccicano addosso e non ti mollano come un sottile velo di sudore nelle estati torbide, li aveva sperimentati anche lui, persino mesi dopo la loro rottura.
Perchè Gerard era questo, e lui l'aveva sempre saputo.
Per questo si aspettava che prima o poi il ragazzo avrebbe avuto un altro crollo, era un qualcosa di fisiologico, più forte di lui.
Per questo si ritrovò a varcare le soglie del Lenox Hill guardandosi intorno disperato, sperando che qualcuno potesse risultargli familiare, senza risultati. Quando poi l'infermiera, dopo un veloce sguardo contrariato- doveva proprio essere sconvolto - lo indirizzò in terapia intensiva, si sentì morire, e correndo si diresse al secondo piano.
Trovò Mickey seduto su una sedia che dava tutta l'impressione di essere molto scomoda, piegato su se stesso, la mani a reggersi la testa. Gli corse accanto e quando quello si rese conto di lui, scoppiò nuovamente a piangere. Il suo migliore amico era ancora più magro di come lo ricordava, pallido come un cencio, due profondi cerchi violacei a contornargli gli occhi arrossati.
Povero Mik, deve aver pianto tantissimo, pensò sconsolato.
Lo abbracciò senza pensarci due volte e finalmente riassaporò la sensazione di stringere un corpo amico, dopo tanto tempo, nonostante la situazione drammatica. A pensarci, Frank rise. Aveva perso il conto delle volte in cui aveva prospettato a Gerard una situazione del genere.
" Tu sarai in qualche stanza bianchissima, una di quelle che puzza di disinfettante. Non so perchè ci finirai, ma se continui a cercare di autodistruggerti, questo succederà! E io e Mik saremo lì, impotenti, a rincorrere gli infermieri per avere tue notizie".
Solitamente dopo questa frase profetica, Gerard iniziava a ridere, beando Frank di quel suono cristallino che quasi stonava con la sua figura. Rimpianse il fatto che in quel momento Gerard non fosse lì con loro a ridere, e si voltò verso Mickey, il cui viso non mostrava segni di particolare lucidità.
<< Come stai? >>, gli chiese subito, dandosi del cretino.
Come poteva stare uno il cui fratello si trova in terapia intensiva? L'espressione dell'altro fu più che eloquente.
<< Mi dispiace, ho cercato di arrivare il prima possibile >>, continuò, non sapendo davvero cosa dire. Non voleva forzarlo a raccontargli cos'era successo, anche se avrebbe tanto voluto farlo.
<< I-Io non avrei dovuto farti preoccupare tanto ma... avevo bisogno del mio migliore amico >>, bisbigliò l'altro con una voce bassa e quasi graffiante, dovuta sicuramente al pianto.
Frank abbassò lo sguardo, si sedette e aspettò che l'altro facesse lo stesso; quindi gli prese la mano, come a volergli infondere tutto quel coraggio che lui stesso sentiva di non avere in quel momento.
<< So che vorresti sapere cos'è successo, ma non ho la forza di parlarne >>, sussurrò il suo migliore amico poggiando la testa sulla sua spalla sinistra. Era esausto, e così si sentiva anche lui.
<< Tranquillo Miks, io posso aspettare >>, come sempre, aggiunse mentalmente.
Dopo poco sentì il respiro di Mickey farsi pesante, e capì che si era addormentato. Gli circondò le spalle con un braccio, e dopo sentì la stanchezza assalirlo. Voleva vedere Gerard, aveva bisogno di vederlo, ma era tanto stanco e le infermiere non l'avrebbero lasciato andare e non poteva lasciare Mickey; i pensieri ad un tratto si accavallarono, le immagini si confusero e uno strano tepore lo avvolse, e crollò anche lui.

Pensava che sarebbero state le infermiere a farlo, invece fu svegliato poche ore dopo dalla vibrazione del suo telefono. Si alzò stando ben attento a non svegliare Mickey, e uscì fuori dall'ospedale per rispondere.
<< Ciao piccolo, come stai? >>, gli chiese Bob.
<< Mi sento come se mi avessero schiacciato cento autobus. Ripetutamente >>, rispose caustico; non aveva neanche la forza di mentirgli, di fargli credere che stava bene, che non aveva niente di cui preoccuparsi.
Perchè, se era vero che Bob non avrebbe dovuto preoccuparsi di nulla, era altrettanto vero che Frank non stava bene. La chiamata di Mickey, quella folle corsa contro il tempo per raggiungere New York, lo stato in cui era il suo migliore amico, Gerard in terapia intensiva... Era successo tutto troppo in fretta. Gli veniva da piangere quasi, ma cercò di non farlo in quel momento, per non far allarmare il suo ragazzone.
<< Mickey come sta? >>
<< È distrutto, non lo avevo mai visto così, Bob, mai. Sono molto preoccupato >>, anche in quel caso gli disse la verità.
<< E.. Gerard? Lui come sta? >>, chiese ancora Bob. Aveva esitato a chiedergli di lui, ma Frank poteva capirlo; quella situazione non sarebbe stata facile per nessuno, neanche per il ragazzo più comprensivo del mondo.
<< È in terapia intensiva >>, sospirò, << Mickey non mi ha voluto raccontare cos'è successo, ma conoscendo Gerard posso immaginarlo >>.
<< Ecco.. A questo proposito, io avrei una cosa da dirti >>, tentennò nuovamente, ma questa volta Frank si agitò.
<< Dimmi >>, riuscì a dirgli in tono neutro.
<< Ecco.. >>, iniziò Bob, ma non ebbe modo di continuare, perchè all'improvviso sentì qualcuno chiamare il nome di Frank a gran voce.
<< Frank, tesoro! >>, urlò la signora Helena, la nonna di Gerard.
<< Bob, amore, devo andare >>, disse Frank, rendendosi conto di come l'aveva chiamato solo dopo averlo fatto.
" E che male c'è? È il mio ragazzo! " , si disse, e si lasciò investire dalla consapevolezza che, porca puttana, Bob era il suo ragazzo e lui l'aveva davvero lasciato solo per correre dal suo ex. Era stato uno stronzo, non aveva giustificazioni.
<< Va bene piccolo, ma quello che devo dirti è davvero importante, quindi richiamami appena hai un attimo di tempo, ok? >>, rispose proprio Bob e Frank non potè fare a meno di provare un certo senso di inquietudine.
Sentiva che qualcosa davvero non quadrava, ma non riusciva a capire cosa, e d'altra parte, non vedeva l'ora di chiudere il telefono per correre ad abbracciare Helena, l'unica donna anziana che avesse mai conosciuto con un po' di sale in zucca e dalle ampie vedute, nonchè prima e sfegatata sostenitrice della relazione tra lui e il suo preziosissimo nipote.
Le si avvicinò cautamente, del resto l'occasione in cui si stavano incontrando non era delle migliori, ma lei lo osservò per un momento prima di tirarlo a sè e stringerlo forte. Sentì del calore dentro di lui, si sentì a casa.
<< Come stai, tesoro mio? >>, gli chiese, e lui non ebbe il coraggio di rispondere nulla, cosa poteva dirle?
<< Immaginavo questa reazione, hai un aspetto orribile. Vieni, ti porto a prendere un caffè >>, e senza aspettare una risposta, lo trascinò in un bar poco lontano.
Era un posto piccolo e accogliente, un po' vecchio stile, con delle ampie finestre a circondare l'edificio, coperte da tende arancioni e dei tavolini rotondi e scuri. Presero posto e subito una ragazza bionda dall'aria gentile si avvicinò per le loro ordinazioni; sembrava conoscere molto bene Helena, quanto a Frank, si limitò a lanciargli lunghe occhiate curiose, doveva essere combinato proprio male.
I caffè arrivarono in fretta, e lui ringraziò il cielo di non avere uno specchio a portata di mano, mentre si scottava col primo sorso della bevanda.
<< Quando sei arrivato? >>, gli chiese la donna dopo un po'.
Lo guardava attentamente, come se cercasse di comprendere tutti i suoi cambiamenti e le sue emozioni, ma questo non lo mise a disagio, piuttosto, lo fece sentire amato.
<< Qualche ora fa.. Mickey mi ha chiamato ieri, così ho preso il primo treno ed eccomi qui.. Non so neanche che ora sia, in realtà >>, le rispose sincero.
<< Perchè sei venuto? Non fraintendermi, sono felice che tu sia qui, ma perchè? Gerard ti ha fatto star male tante volte >>, considerò lei.
Lui sgranò gli occhi, e la fissò per un tempo che parve infinito. Perchè? Come faceva a sapere del loro passato? Era convinto che Helena li vedesse come la coppia perfetta, che non sapesse i retroscena della loro storia. Ma evidentemente non era così. Si chiese se Gerard gliene avesse parlato, quando, e cosa gli avesse detto.
<< Sono tornato per Mickey.. E perchè, nonostante tutto, tengo molto a Gerard.. >>, rispose, il più sinceramente possibile. Sarebbe stato inutile mentire a lei, la donna che li aveva visti crescere.
<< Mio nipote è terribilmente fragile >>, iniziò la donna dopo averlo scrutato per alcuni istanti, << ma questo lo sai bene. Temo però, che da quando vi siete lasciati, lui abbia smesso di vivere. Fisicamente è qui, ma non c'è davvero, sta causando molto dolore alla sua famiglia. Mia figlia è distrutta, non riesce nemmeno ad andare in ospedale, si da la colpa di tutto >>.
Registrò quelle informazioni come se fossero delle notizie al telegiornale, non voleva ascoltare davvero.
<< Non è colpa di nessuno se Gerard è cosí, tende a distruggere le cose belle che ha intorno>>, considerò amaramente.
<< Tu eri la sua cosa bella >>, disse lei.
<< Si, e guarda come sono ridotto. La nostra storia non era perfetta, ci sono stati momenti in cui l'ho profondamente odiato, ma non sarei mai riuscito a separarmi da lui. E lui mi tradiva, Helena, non so se capisci. Questo non è successo per colpa di nessuno se non sua, lui l'ha voluto.. Ha deliberatamente distrutto tutto ciò che di bello eravamo >>, sussurrò.
Non riuscí a dire nient'altro, sebbene per mesi non aveva fatto altro che odiarlo e trovare mille motivi per cui lasciarlo era stata la cosa migliore.
<< Ti ha mai sfiorato l'idea che lui l'abbia fatto per te? >>, gli chiese spiazzandolo, che intendeva dire?
<< Cosa? >>
<< So benissimo che quello che ha fatto è imperdonabile, ma non hai mai pensato che potrebbe averlo fatto in buona fede? >>
<< È tuo nipote, è ovvio che tu voglia vedere del buono in lui ma credimi.. >>
<< Si >>, lo interruppe, << È mio nipote, e vederlo in quel letto d'ospedale mi strazia il cuore. Vorrei che si svegliasse, vorrei che mi abbracciasse e che ricominciasse a farmi i suoi soliti discorsi impossibili... Ma non pensare che io parli cosí solo per questo, tesoro. Sono vecchia ormai, e ho esperienza in certe cose. So che Gerard è difficile da capire e a volte da accettare, so della sua depressione e delle sue mille manie, ma so anche che ti amava davvero, e che tutta questa storia puzza >>, concluse con sicurezza.
Quella fu per Frank una conferma ai suoi dubbi; del resto, sapeva che Gerard era solito confidarsi con sua nonna, quindi doveva sicuramente avergli detto qualcosa in merito alla loro rottura.
<< Cosa ti ha detto Gerard? >>
<< Io non posso dire di più, Frank, adesso non ci resta che sperare che si risvegli, cosí potrai fare a lui tutte le domande che vorrai >>, rispose stancamente.
Sperare nel risveglio di Gerard... Voleva vederlo...
Helena dovette intercettare i suoi pensieri dato che nel frattempo aveva iniziato a muoversi sulla sedia, come se sentisse l'impulso di correre verso l'ospedale, cosí si alzarono e, dopo aver pagato in fretta, uscirono.

Una volta davanti l'ospedale, trovarono Mickey intento a fumare una sigaretta.
<< Michael James Way, butta subito quella sigaretta! >>, tuonò Helena, spaventando il ragazzo.
<< Nonna smettila, sono grande abbastanza per fumare in pace >>, rispose abbozzando un sorriso, il primo che Frank aveva visto da quando era arrivato.
<< Ah si? Sei grande abbastanza per fumare e non per trovarti un lavoro, vero signorino? >>, continuò lei e lo inondò di altre chiacchiere, fino a quando, disperato, Mickey gettò a terra la sigaretta.
<< Funziona sempre >>, commentò Helena soddisfatta.
<< Ci sono novità? >>, chiese Frank.
<< No, ma vorrei parlarti, se la nonna lo permette >>.
<< Vado a vedere come sta il mio bambino >>, disse solo lei, prima di andar via.
Camminarono in silenzio, fino a raggiungere una panchina.
<< Gerard non stava bene già da un po', ma mi aveva fatto promettere di non dirti nulla a riguardo >>, disse.
<< Mik, non dovresti parlarmene se non puoi >>, tentò di convincerlo Frank, perchè non sapeva se era proprio sicuro di voler sapere cosa si era lasciato alle spalle.
<< Me ne fotto, lui tradisce me e io tradisco lui! Ha iniziato a drogarsi con Bert, non so esattamente di cosa si facciano, so solo che l'erba ha smesso di bastargli tempo fa. Negli ultimi giorni non è più uscito di casa neanche per vedere Bert, è rimasto chiuso in camera, al buio, senza mangiare, nè parlare. Ieri sera i miei non c'erano, era il loro anniversario di matrimonio, così ne hanno approfittato per uscire un po'. Io non sarei riuscito a rimanere in casa con lui, non potevo, quindi ho chiesto ad Alicia di vederci. Prima di andarmene gli ho chiesto di rimanere vivo per quella notte... Stavo per arrivare a casa di Alicia quando mi sono sentito male. Mi ha preso una fitta terribile al cuore, un dolore lancinante che mi ha costretto a fermare la macchina e fare inversione, era come se sapessi che Gerard stava morendo. Sono tornato a casa, e l'ho trovato nella vasca.. Aveva i polsi tagliati.. L'ho preso e l'ho portato in ospedale, l'ambulanza non avrebbe mai fatto in tempo. Ero in macchina, con una mano a tenergli i polsi e l'altra sul manubrio, ero lì che lo guardavo morire.. E per un attimo ho pensato che forse sarebbe stato meglio per lui andarsene.. Ho fermato la macchina, lo guardavo, e stava davvero morendo.. Poi ha aperto gli occhi, ed era terrorizzato. Così mi sono ripreso e l'ho portato in ospedale, e non so davvero cosa mi fosse preso, Frank >>, iniziò a piangere Mickey.
Lo capiva, vivere con Gerard non era facile, probabilmente lui avrebbe fatto lo stesso.
<< L'importante è che tu l'abbia portato qui >>, riuscí a rispondere, troppo scosso da tutto quello che l'amico gli aveva raccontato.
<< Se lui non avesse aperto gli occhi, non so se l'avrei fatto >>.
<< Non l'avresti mai lasciato morire, Mik, lo so >>, disse, << ma io ho davvero bisogno di vederlo adesso >>, e senza attendere risposta si alzò e si diresse verso l'entrata.

Trovare la stanza fu facile, si spacciò per il cugino di Gerard e si fece accompagnare lí da un'infermiera che, dopo aver bussato, entrò nella stanza 409.
<< Signora, qui c'è suo nipote >>, disse ad Helena, che si girò e quando lo vide, gli lanció uno sguardo interrogativo.
Lui la supplicò con gli occhi di reggerle il gioco, e lei sospirò, intuendo la situazione.
<< Si cara, lo faccia entrare, io stavo andando via >>, disse lei alzandosi, e prima di lasciare la stanza, appoggiò una mano sulla sua spalla, un muto segno d'incoraggiamento.
Quando furono soli, si avvicinò al suo letto, e rimase in silenzio, a fissarlo.
Era uno scheletro, cosí magro che sembrava sparire tra le lenzuola, ed era pallido come sempre, forse ancora più pallido, ad un' attenta occhiata la sua pelle ricordava il candore della neve. L'eccessiva magrezza del viso aveva fatto si che i suoi zigomi risultassero ancora più pronunciati del solito, e i suoi occhi chiusi facevano risaltare le lunghe ciglia, mentre le labbra erano distese in quello che sembrava un accenno di sorriso. Sembrava sereno in quel momento, davvero sereno, e forse era la prima volta che Frank lo vedeva in pace.
Ad un tratto, non ce la fece. Crollò sulla sedia di fronte al letto e prese la mano di Gerard tra le sue. Il polso era fasciato e un ago collegato ad una flebo era infilato proprio sul dorso, quindi cercò di essere il più delicato possibile mentre lo accarezzava.
Delle lacrime avevano cominciato a bagnargli il viso, ma non se ne curò. Si sentiva una pezza, perchè in quel momento sapeva di essere dove voleva essere. Vedendolo, tutti i sentimenti negativi sparirono, lasciando posto ad un qualcosa che Frank non volle identificare.
Era felice di sapere che c'era ancora speranza, che Gee non era morto, e soprattutto, era felice di rivederlo, anche se probabilmente, per lui non sarebbe stato lo stesso. Pensò che forse avrebbe dovuto parlargli, sfogarsi con lui, che non lo sentiva, e stare meglio.
<< Io non so cosa ti sia preso ultimamente, ma tranquillo, anch'io faccio le cose dei pazzi. Mi sono trasferito, ho incontrato Bob, e non mi ricordo nulla di lui, sai? I miei stanno divorziando, anzi, ora che ci penso, hanno già divorziato. Stavano aspettando il mio compleanno, quindi.. Mio padre vuole che torni a New York con lui, ma io non posso farlo. Non quando a Belleville ho ritrovato Bob.. E non quando quì ci sei ancora tu. Lo so che mi hai lasciato perchè non mi amavi, e lo accetto, ma proprio per questo non voglio più tornare, sarà meglio per entrambi. Oggi sono in questa camera, che ti guardo e non so se ti sto osservando morire o riprenderti, questo dubbio mi uccide. E sono tornato per Mickey.. Sta davvero male, non capisco perchè tu ci tenga tanto a farlo soffrire, non se lo merita. La verità è che mi sei mancato, Gerard, tremendamemte tanto.. >>, concluse, carezzandogli il viso.
Rimase a fissarlo fin quando non accadde: l'indice di Gerard si era mosso. L'aveva fatto davvero!
Sapeva di non doversi illudere, che erano solo dei riflessi istintivi, che non era stato davvero il cervello di Gerard a decidere di muovere un dito.. Ma ci sperò. Con tutto se stesso.
<< Non azzardarti a morire, stronzo >>, sussurrò, per poi crollare con la testa appoggiata sul materasso.
Non si accorse che nella sua tasca, il cellulare vibrava.
Incoming call.
Bob.


Cilo's corner
Chi non muore si rivede!!
Davvero, non so perchè ho pubblicato ancora, la mia intenzione era quella di mettere in pausa FNYTB per un bel po' di tempo ancora, anche perchè sono in fase di trasferimento all'estero, quindi la mia situazione al momento non è idilliaca. Però il capitolo è venuto fuori da solo, e non condividerlo con voi sarebbe stato un crimine!
Detto questo, rimangono un paio di interrogativi irrisolti:
1. Che caspio vuole Bob?
2. Gerard è solo pazzo o fa le cose per una ragione?
3. Perchè Frank non ricorda nulla della sua infanzia?
4. Dove sarà mai Bert, il grande amore di Gerard?! ( just kidding )
Se volete una risposta, mi sa che vi conviene seguirmi, avrete mie notizie molto presto!!
Alla prossima,
Cilo.

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Capitolo 7
*** 07. White Blank Page. ***


07. White blank page

So tell me now where was my fault
in loving you with my whole heart.
-White blank page, Mumford and Sons.


Lo guardò dormire per molto tempo. Era rilassato come non l'aveva mai visto, le labbra increspate in quello che a Frank sembrò un sorriso, ed era bello anche in quelle condizioni.
Ma un osservatore attento -e Frank con lui aveva imparato ad esserlo - si sarebbe subito accorto che Gerard non stava bene.
In quelle ore si chiese spesso come avessero fatto i suoi genitori, due persone sempre presenti e amorevoli, a non accorgersi di nulla. Che avessero fatto finta di non vedere? Non pensava fosse possibile.
Che avessero accettato il tipo di vita che il figlio da un paio di mesi conduceva per il troppo amore? Questo si, questo era credibile.
I genitori di Gerard lo amavano tantissimo, forse più di Mickey, perchè sapevano della sua fragilità. Gliele avevano sempre perdonate tutte; quando aveva confessato ai suoi di essere omosessuale, loro l'avevano accettato, quando l'avevano beccato a fumare, persino quando si era fatto espellere da scuola.. La scusa ufficiale era la sua fragilità.
Ognuno ha la propria scusa, la propria protezione, riflettè distrattamente Frank, quella che gli permette di continuare a vivere.
Ad un tratto, la porta si aprì, e Mickey entrò.
<< Vuoi che vi lasci soli? Oggi ho praticamente monopolizzato la stanza >>, sussurrò Frank.
Non ce la faceva davvero a parlare, un peso enorme lo bloccava. L'ansia, l'angoscia che Gerard potesse non svegliarsi lo straziavano.
<< No, questa è la prima volta che entro qui Frank.. Prima non ho avuto.. Il coraggio.. Di vederlo >>, ribattè Mickey. Era prevedibile che si sentisse in colpa, anche se davvero non aveva nulla di cui rimproverarsi.
<< Cos'è cambiato adesso? >>, gli chiese comunque.
<< Ora ci sei tu con me >>, rispose semplicemente.
Quelle parole colpirono Frank profondamente.. Si rendeva conto solo ora di aver abbandonato il suo amico in quel periodo, troppo preso da se stesso per accorgersi degli altri.
Non se ne rimproverava, ovviamente, sapeva che se non si fosse preso cura di sè almeno quella volta, probabilmente sarebbe morto; ma allo stesso tempo pensò al dolore di Mickey, e si disse che sarebbe stato giusto prendersene carico, almeno un po'.
<< So che non l'avresti lasciato morire, Mik >>.
<< Tu non puoi saperlo, neanch'io so cosa sarebbe successo se lui non avesse aperto gli occhi in quel preciso momento >>, sibilò l'altro, e prese posto nella poltrona di fronte alla sua, posizionata dall'altro lato del letto.
Frank quasi sorrise al pensiero di Gerard, spettatore incoscente e inerme di quell'improbabile conversazione.
<< Tu adori tuo fratello, so per certo che alla fine avresti immaginato la tua vita senza di lui e l'avresti comunque portato qui >>.
<< Proprio perchè l'adoro, in quel momento lasciarlo morire mi sembrava la scelta migliore per lui >>, disse Mickey schiettamente, spiazzandolo.
Quanta sofferenza, quanto dolore c'era dietro quelle parole appena pronunciate? Cosa stava causando Gerard alla sua famiglia?
<< Tu non hai idea di com'è diventato vivere con lui. È ingestibile, è depresso, è.. Vuoto. Negli ultimi giorni, poi, era peggiorato. Non mangiava, non parlava, stava chiuso tutto il giorno in quella maledetta stanza buia. A volte entravo per controllare che fosse ancora vivo.. Sembrava un fottuto cadare, non sembrava respirasse. Sai come lo capivo che era ancora tra noi? Per l'odore di erba nella stanza. In quei momenti lo detestavo davvero >>, concluse.
Frank dovette chiudere gli occhi, la testa aveva cominciato a girargli forte, gli era sembrato di vedere due Mickey prima.
Perchè si era ridotto così? Non lo capiva, cazzo! Non era mai arrivato a tanto, neanche nei supi momenti di depressione più totale, neanche quando sentiva niente.. E allora perchè, cosa c'era di diverso?
<< Perchè i tuoi genitori non hanno fatto nulla? >>, chiese ingenuamente, provocando nell'altro quella che poteva essere considerata una risata isterica a tutti gli effetti.
<< Mio fratello è un bravo bugiardo, Frank. Spesso prendeva dei soldi e loro non se ne accorgevano, e trovava sempre il modo di giustificare tutto. Non hanno capito quanto grave fosse la situazione fino a quando una sera sono dovuto andare a recuperarlo in un vicolo vicino la stazione. Era svenuto, Bert l'aveva lasciato lì.. Aveva solo avuto la decenza di mandarmi un messaggio che ho letteralmente dovuto decifrare prima. Da allora, tutto è peggiorato >>.
Mickey parlava con la voce della rassegnazione, era come se avesse superato la disperazione, e se le cose che stava raccontando riguardassero qualcun altro, come se si stesse guardando vivere e soffrire, perchè la forza di vivere in quel modo lui non l'aveva più. Ciò scioccò Frank, che non sapeva davvero cosa potesse fare per aiutarlo. Glielo chiese.
<< Potresti rimanere qui, con me, con lui.. Ma so che non è quello che vuoi >>.
<< Io non posso, capisci? La mia vita stava ricominciando a funzionare lì >>, sussurrò Frank, sentendosi davvero male.
<< Lo so Frankie, non insisto.. In tutti i casi, i miei vogliono spedirlo in qualche centro di riabilitazione giù a Tampa, anche se non so quanto gli servirà >>.
Alzò lo sguardo, e lo fissò dritto in quello dell'amico, non potevano mandarlo via, non così lontano.
<< Sarà peggio, come fanno a non capirlo? Si sentirà abbandonato, rifiutato.. Tenterà di nuovo di ammazzarsi, lo capiscono o no? >>, si trovò ad urlare. Perchè nessuno in quella famiglia sembrava più capire Gerard?
<< È quello che ho detto io.. Ma a quanto pare lì c'è uno dei centri di riabilitazione migliori della nazione.. >>.
Frank sentì uno strano senso di disperazione e rabbia montargli dentro: come potevano abbandonarlo in questo modo? Glielo chiese, praticamente urlò.
<< Perchè, cos'hai fatto tu, eh?! Sapevi che non stava bene quando ti ha lasciato, sapevi che IO non sarei stato bene senza di te, e sei andato via comunque! Tu sei il primo ad averci abbandonati, Frank >>, urlò Mickey a sua volta, era fuori di sè. Capì quanto l'amico avesse ragione, lo realizzò soloin quel momento. Aveva commesso il più grande errore della sua vita, un errore che stava pagando amaramente.
<< Ti chiedo perdono >>, riuscì a dire, mentre sentì delle calde lacrime scendere lungo le sue gote.
<< Sapevo che avrei causato sofferenza.. Ma non mi è importato. Avevo paura che rimanendo qui, vedendolo tutti i giorni con Bert, avrei sofferto troppo >>, disse prendendosi la testa tra le mani.
Mickey non rispose, si limitò a guardarlo con rancore, per poi alzarsi e uscire sbattendo la porta.
<< Cosa mi hai fatto fare, Gerard? In cosa ci hai ridotti? >>, chiese al ragazzo che più aveva amato al mondo, ma quello ovviamente non rispose.
Dopo un bel pò di tempo, quando ormai stava calando la sera, decise di uscire per cercare Mickey, era convinto che non si fosse allontanato dall'ospedale.
Si alzò e, prima di uscire, si calò a lasciare un bacio sulla fronte di Gerard, e una carezza sul dorso della sua mano. Non si rese conto, però, che quello aveva mosso le palpebre per un attimo.

Lo trovò proprio fuori dalle porte del Lenox Hill, in piedi, stava fumando una sigaretta.
<< Da quando fumi? >>, gli chiese. Il Mickey che conosceva non fumava mai, giusto qualche tiro ogni tanto, ma non era mai arrivato a comprare interi pacchetti.
Quello non gli rispose, non voltò neanche lo sguardò nella sua direzione, ma gli allungò pacchetto e accendino, affinchè anche lui ne prendesse una.
Frank non se lo fece ripetere due volte, aveva troppa voglia di una sigaretta, ma nella fretta aveva lasciato il suo pacchetto a Bob.
Rimasero in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri, mentre le sigarette nel pacchetto diminuivano sempre di più.
<< Ti perdono >>, disse Mickey all'improvviso.
Frank lo guardò e si sporse per abbracciarlo, notando con gioia che l'amico stava ricambiando la sua stretta.
<< Scusa per prima, ero arrabbiato, in questi mesi ho passato l'inferno. Ho covato talmente tanta rabbia... E alla fine l'ho scaricata su di te >>, si giustificò.
<< Sono io a dovermi scusare. Non ci sono stato per te, e in tutti i casi, non ho diritto di dire nulla sulle scelte dei tuoi genitori riguardo Gerard.. Non più, non ora che non mi ama più. Scommetto che se sapesse che mi sono messo ad urlare prima, s'incazzerebbe a morte >>, tentò di scherzare, ma probabilmente la voce gli uscí cupa e funerea.
<< Frank, riguardo questo, io credo che lui ti ami ancora >>, disse Mickey, e non continuò, nè tantomeno Frank ebbe modo di rispondere o chiedere spiegazioni
Vennero interrotti dall'arrivo di un'ambulanza, che si fermò a pochi passi da loro.
Dei medici uscirono dall'ospedale correndo, proprio mentre le porte dell'ambulanza venivano aperte, e da lì altri medici facevano scendere una barella.
<< Cosa abbiamo? >>, chiese uno.
<< Maschio, giovane, senza documenti. Presenta un colorito bluastro, ha perso conoscenza, la respirazione è rallentata. Abbiamo somministrato una dose massiccia di naloxone per stabilizzarlo, ma necessita unintervento immediato >>, rispose velocemente il paramedico che era sceso dall'amvulanza.
Entrarono velocemente in ospedale, il trambusto finì apparentemente, ma non nelle teste di entrambi.
<< Quello era.. >>, ebbe il coraggio di dire Frank.
<< Era Bert >>, concluse Mickey per lui.
Si guardarono confusi, ed entrarono in ospedale cercando di decidere il da farsi; per quanto ne sapevano, la famiglia di Bert non era raccomandabile, quindi era supponibile che nessuno sarebbe andato da lui.
Sarebbe stato giusto lasciarlo da solo, in quelle condizioni? Mentre riflettevano su questo, un'infermiera li raggiunse concitata, era la stessa che aveva accompagnato Frank nella stanza 409.
<< Si è svegliato! >>, disse loro, facendoli cadere in confusione.

Corsero nella stanza, mentre Mickey chiamò velocemente Helena e i suoi, gridandogli di raggiungerlo immediatamente, ché Gerard si era finalmente svegliato, ed entrarono in quella camera in tutta fretta.
Da questo,Frank ebbe la prova concreta che Mickey non avrebbe mai lasciato Gerard morire, si appuntò di farglielo notare in un secondo momento.
Quando entrarono, Gerard era lì, aveva gli occhi aperti, e li guardava confuso. Quando notò Frank, poi, spalancò le sue incredibili pozze verdi e spente, come se non ci credesse che fosse davvero lì.
Mickey corse ad abbracciarlo, lo strinse forte al suo petto, e nel frattempo piangeva.
<< Quanto ho dormito? >>, chiese Gerard, con un filo di voce.
<< Quasi tre giorni >>, rispose il fratello, << per fortuna sei vivo. Mamma e papà stanno arrivando, anche la nonna, Frank è già qui, e tutti noi ti vogliamo bene Gee.. Ero così preoccupato, oddio, terribilmente preoccupato, non so cos'avrei fatto senza di te! >>, Mickey era un fiume in piena.
<< Mik, lascialo stare, lo confondi così >>, ridacchiò Frank.
Mickey chiese scusa, si allontanò dal fratello portandosi una mano tra i capelli, era troppo felice per potersi controllare.
A quel punto, Gerard spostò lo sguardo su di lui, e non sapeva come spiegarlo, ma poteva giurare che quello era uno sguardo colmo d'amore e d'incredulità. Frank arrossì istintivamente ed abbassó lo sguardo.
<< Va bene, allora io vi lascio soli >>, disse, ma i due fratelli in coro lo fermarono.
<< No >>, dissero entrambi.
<< No, resta con lui, vado ad aspettare i miei e vedere cosa sta succedendo >>, Mickey intendeva dire " con Bert ", ma non lo disse, voleva che fosse Frank a dirlo a Gerard.

Quando Mickey fu uscito, rimasero Frank e Gerard, ad osservarsi. Frank in realtà guardava in basso, mentre si sedeva sulla solita sedia scomoda di fronte al letto di Gerard, mentre quello lo guardava con curiosità.
<< Quanto mi trovi ridicolo? >>, gli chiese Gerard dopo un po',non aveva smesso di fissarlo.
<< Non ti trovo ridicolo >>, rispose Frank, alzando lo sguardo e puntandolo nel suo.
<< Me lo dicevi sempre che sarei finito così >>, ridacchiò Gerard, tossendo pure, per l'eccessivo sforzo.
<< Di solito ridevi, proprio come hai fatto adesso >>.
<< Si, me lo ricordo.. Sembra sia passato un secolo >>.
<< Da quando mi hai lasciato? Poco più di cinque mesi >>, sibilò il moro conuna strana e mal celata rabbia che improvvisamente gli scuoteva il petto.
<< Non voglio parlare di questo.. Forse è meglio che vada.. >>, si riscosse, e stava per alzarsi, ma un tocco leggero sulla mano lo fermò.
<< Io voglio spiegarti... >>, sussurrò flebilmente l'altro.
<< So che sembra assurdo, ma ti ho lasciato per il tuo bene... Poi me ne sono pentito.. Ma tu non c'eri più.. E ho ascoltato una chiamata tra te e Mickey.. Stavi con un altro... E ti ho chiamato, ma ha risposto lui.. E che senso aveva allora continuare a vivere lontano da te, se mi veniva detto che per il tuo bene sarei dovuto sparire? >>, iniziò a farfugliare Gerard, facendo spesso delle pause per riprendere fiato, era così debole.
Frank entrò in confusione, non ci stava capendo nulla, che gli aveva detto quelle cose? Perchè l'aveva lasciato? Quale chiamata? La testa gli girò vorticosamente.
<< Chi ti ha detto che per il mio bene era meglio che tu sparissi? >>, si ritrovò a chiedere, e si sentiva piccolo piccolo nella sua sedia scomoda.
<< Dovevo immaginarlo che non ne sapessi nulla.. Il tuo nuovo ragazzo. Io ti ho chiamato Frank, l'ho fatto, volevo che tu mi dicessi che non mi amavi più e che eri felice con lui.. Ma non sei stato tu a rispondere. Lui mi ha detto che ti ho distrutto, e che se davvero avevo tenuto a te, sarebbe stato meglio sparire. E c'ho provato a farlo.. Se non fosse stato per Mickey ci sarei anche riuscito >>, spiegò.
Non poteva essere. Bob, il suo Bob, non era capace di fare una cosa così meschina!
Ma perchè Gerard avrebbe dovuto mentire?
Mio fratello è un bravo bugiardo, Frank.
<< Io non ti credo, Bob non lo farebbe >>, disse allora Frank.
<< Controlla sul tuo cellulare, dev'esserci una chiamata >>, rispose l'altro, oltremodo sicuro.
Frank tirò fuori il telefono dalla tasca, aveva un sacco di chiamate perse da Bob e dai suoi, con vari messaggi.
<< Non c'è nulla >>, disse dopo aver fatto scorrere il dito lungo il registro delle chiamate, poi ricordò dello strano atteggiamento di Bob durante la loro ultima chiamata.
<< Quello che devo dirti è davvero importante, quindi richiamami appena hai un attimo di tempo, ok? >>,
Era vero, allora. Ma perchè Bob aveva fatto una cosa del genere? Doveva chiamarlo, aveva bisogno di sentirsi dire che non era così che era andata.
Sapeva, tuttavia, che Bob non avrebbe fatto altro che confermare la versione di Gerard. Si sentì male, si sentì davvero male. E pianse ancora.
Perchè doveva sopportare tutto questo dolore? Perchè lui?
<< Non piangere, Frankie >>, gli disse Gerard all'improvviso, carezzandogli la guancia. Quando alzò gli occhi, lui sorrideva, com'era possibile?
<< Perchè sorridi? Io non ti ho creduto >>.
<< Tu mi credi sempre, a volte con troppa facilità >>, rispose Gerard.
<< Perchè mi hai lasciato? Ho davvero bisogno di saperlo >>, bisbigliò Frank.
<< Non ha importanza adesso, tu hai un ragazzo >>.
<< Ma io devo sapere, Gerard >>.
<< Ti ho tradito, non ti basta? E poi, anche se sapessi tutto, cosa faresti? Lo so che non lasceresti Bob per me, non sei tanto stupido da esserti messo con uno solo per dimenticarmi, quindi a lui tieni davvero >>.
Gerard aveva ragione. Cosa pensava di fare? Scoprire la verità e lasciare Bob? Stare per sempre con Gerard, di nuovo?
Lo stesso Gerard che l'aveva tradito, e lo stava ammettendo ancora; lo stesso Gerard che ora stava con Bert... Bert.
All'improvviso le immagini di Bert su una barella gli tornarono in mente, e sentì che doveva dirglielo. Del resto, come aveva reagito lui alla notizia che Gerard era in ospedale? Era giusto che lui sapesse cosa stava succedendo al suo ragazzo, nonostante adesso il petto di Frank potesse far male.
<< Gerard, devo dirti una cosa importante.. >>


Cilo's Corner
Lo sentite il dolce profumo dell'angst? Io lo respiro a pieni polmoni, che bellezza! *-*
Vi avevo avvertito che avreste ricevuto mie notizie molto presto, ed eccomi qui.
Fatemi sapere cosa ne pensate, a me il capitolo convince poco poco.. Grazie a tutte/i quelle/i che recensiscono/preferiscono/seguono/ricordano la mia storia, siete meravigliose/i!!
Alla prossima,
Cilo:)

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