And that's how I realize... He has me hypnotized.

di RubyChubb
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** You've Got Mail! ***
Capitolo 2: *** Love You, Love You Not ***
Capitolo 3: *** The Big Black Horse and the Cherry Tree ***
Capitolo 4: *** Blues In The Night ***
Capitolo 5: *** A Girl Disappearing ***
Capitolo 6: *** Censored Tears ***
Capitolo 7: *** Buried Myself Alive ***
Capitolo 8: *** Tear In Your Hand ***
Capitolo 9: *** Lies ***
Capitolo 10: *** Fingers On My Face ***
Capitolo 11: *** Love And Psyche ***
Capitolo 12: *** Voices In My Head ***
Capitolo 13: *** My Last Request ***
Capitolo 14: *** The Closest Thing To Crazy - Part One ***
Capitolo 15: *** The Closest Thing To Crazy - Part Two ***
Capitolo 16: *** Hard To Say ***
Capitolo 17: *** My Perfect Distraction ***



Capitolo 1
*** You've Got Mail! ***


Allora, mie care lettrici, ci siete ancora? Mmmmh... Ho qualche serio dubbio sulla risposta XD No, dai, scherzo :) Chiunque leggerà questa storia mi farà felice.
Silvia si smentisce e, come aveva detto nell'ultimo capitolo della storia precedente a questa "
Ma non credo che la pubblicherò dopo la stessa storia madre, sarebbe un controsenso, vorrei almeno postarne un'altra"... Beh, sono passati tre mesi da quando ho finito 'Four Guys' e, come avevo sempre detto nel suo ultimo capitolo, avrei voluto pubblicare la storia intitolata 'Would you be my super Hero?'...
Bene, quella storia è ferma da tre mesi XD
Nel frattempo ho scritto questa, che è già completa nel mio pc, e un altro paio... Beh, quindi, complimenti per la coerenza, RubyChubb! XD
Questa decisione è stata maturata anche dal fatto che, dopo tre mesi, chi di voi si ricorda anche solo l'ultima scena di 'Four Guys'? .....
Forse un paio, ma chi ha intenzione di arrabbiarsi? Io no, non potrei, perchè se qualcuna delle ragazze che leggo fosse nella mia situazione, personalmente sarei nella vostra. Un discorso complicato per dirvi: me ne dimenticherei anche io.

Quindi, eccovi il seguito di 'Four Guys ih Her Hair', spero che la leggerete e la commenterete come sempre. Ringrazio anche tutte quelle che hanno commentato l'ultimo precedente capitolo: CowgirlSara, _Princess_, Kit2007, Tsumika83, Picchia, Giuly Weasley... Avrei un paio di scuse da porgere a qualcuna, ma lo farò in separata sede, qua non mi sembra il caso.

Per facilitarvi la lettura, vi faccio una breve sinapsi: nell'ultima scena, Danny e Joanna si fanno una promessa, quella di scriversi delle mail, oppure telefonarsi... Alla faccia della sintesi! XD Ecco, questo primo capitolo è composto principalmente da alcune delle email che i due si sono spediti (non tutte, badate alle date). Si parte subito in tromba,  saltando anche cose su cui avrei potuto spendere qualche parola in più ma, credetemi, lo farò successivamente... Una cosa per volta eh! :P 
Spero davvero che questa storia vi piaccia, significa molto per me.

Un piccolo ringraziamento a due persone speciali: Silvia & Silvia. Una mi  ha aiutato passo passo nella realizzazione di questa storia, leggendola in anteprima e sostenendomi sempre. Te l'ho già detto una volta, senza di te questa storia sarebbe morta a metà. Una, invece, mi pose un giorno un problema fondamentale sul personaggio di Joanna. Beh, mi ha fatto riflettere, molto, sebbene fossi già sulla strada della soluzione di quel problema.
Questo trio ne ha di cose da combinare, eh! XD

Per chi  non si ricordasse la faccia di Joanna, la ripropongo subito qui: Joanna  

Credo di avervi detto tutto, per qualsiasi altro dubbio potete tranquillamente chiedermi spiegazioni. 

Vi lascio alla lettura, spero che qualcuna di voi commenti, altrimenti grazie lo stesso, anche per aver solamente aperto la pagina.

EDIT: Aggiungo che i McFly non sono di mia proprietà, né questa storia ha la pretesa di essere una rappresentazione della loro vita reale. E' solo frutto della mia fantasia, e non utilizzo nessuno dei personaggi reali sotto citati con scopo di lucro.

Silvia aka RubyChubb

*******************




AND THAT’S HOW I REALIZE... HE HAS ME HYPNOTIZED



 

 1. You’ve Got Mail!

 

 

Mittente: DDAJ
Data: 25 Febbraio
“Scusa il ritardo! Certo che voi italiani volete farvi proprio una brutta fama nel mondo!
Prima la vostra compagnia aerea nazionale si mette a fare i picchetti all’aeroporto, poi ci si mette la nebbia... E infine un guasto al motore! Non volevano farci partire! Ma alla fine siamo arrivati a casa... Tutti sani e salvi!
Scusami per questa prima mail, fa schifo, ma non ho veramente un attimo di tempo... E poi non mi piacciono molto i computer, ma questa è un'altra storia. Prometto che sarò più prolisso in futuro!
Rispondi presto Little!
Ps: in allegato ho messo le foto che abbiamo scattato!”

 

 

Mittente: Little Joanna
Data: 26 Febbraio
 “Hey! Come stai? Qua va tutto piuttosto bene.
Non ti preoccupare, non sei l'unico a non amare molto i computer.
Il mio pc  dà problemi, non l’ho mai saputo usare più di tanto!
Se per giorni non mi sentirai è perché sono venuti gli assistenti sociali a ritirarlo!
Ciao!
Ps: Ma che faccia che ho in quelle fotografie...”

 

***

 

Mittente: DDAJ
Data: 01 Marzo
“Eccomi qua di nuovo, Little! Siamo sempre di fretta, dopo la settimana passata a Firenze non ci danno neanche un briciolo di tempo per respirare!
Ho qui vicino Gi, ti saluta e vorrebbe conoscerti davvero, prima o poi la accontenterò.
E’ molto simpatica e carina, di sicuro vi piacerete a vicenda.
Le altre tappe sono andate più che bene, c’erano molte persone a vederci e, a parte un piccolo guasto ad una delle mie chitarre durante uno dei concerti, tutto è filato liscio.
A te come va? Spero tutto bene! E il tuo pc? Posso chiamarlo Bob?

 

 Mittente: Little Joanna
Data: 02 Marzo
“Ciao! Vuoi chiamare il mio computer Bob? Fai pure, io lo chiamo CosoPerchéNonFaiComeTiDico,
ma penso che Bob sia un buon diminuitivo.
Che cosa è successo alla tua chitarra?
E’ andata in sciopero come il personale degli aerei italiani?
Ho letto
di Gi in giro su internet e ho visto qualche foto... E' molto carina!!!
Fortunato Tom, salutalo da parte mia!”

 
***

 

Mittente: DDAJ
Data: 27 Maggio
“Cavolo, Little! Non ti sento per una settimana e tu cosa fai? Ti rompi un braccio? Dimmi tutto quello che è successo! Ora!
Ps: Appena mi leggi, ovviamente ;)”

 

 

Mittente: Little Joanna
Data: 27 Maggio
“Ci metterò tre ore per scrivere questa e-mail... Ho una mano sola e, per giunta, è la sinistra... 
E’ successo al lavoro, sono scivolata e sono caduta con la schiena sul braccio.
Si è rotto vicino al polso, fa un male cane. Forse guarirà per la fine del mese...
A te come va? Qua tutto tranquillo, non succede mai niente...
Sai che un po’ mi mancate?
Almeno avete fatto accadere qualcosa in questa patetica vita di Joanna ...
Scusa, ma sto sempre a casa, davanti alla tv... mi sono depressa! XD”

 

 ***

  

Mittente Little Joanna
Data: 30 Giugno
“Ho chiesto a Miki di poter mettere un telefono di quelli che hai detto tu,
quelli per fare le chiamate tramite internet, ma ha detto di no. Lo sai che lo odio?”

 

 Mittente: DDAJ
Data: 03 Luglio
“Scusa per il ritardo Little, il mio portatile era stato infestato da un sacco di virus... Tranquilla, non ti preoccupare. L’idea del telefono è stata stupida, lo so, ma sempre meglio di usare queste mail. In fin dei conti, però, data la mia impegnatissima vita da star del jet set (oh, come sono famoooooso!) forse è meglio continuare così...
Se mai un giorno cambiassi idea, fammi sapere!” 

***

 

Mittente: DDAJ.
Data: 23 Luglio
“Non ce la faccio più...”

 
Mittente: Little Joanna
Data: 24 Luglio
“Danny... ma cosa è successo?

 

Mittente: Little Joanna
Data: 27 Luglio
“Ci sei ancora? Mi devo preoccupare? Fatti sentire, non so più cosa pensare.”

 
Mittente: DDAJ
Data: 30 Luglio
“Little, mia mamma è in ospedale... non sta tanto bene, i dottori non ci stanno capendo un cazzo, forse dicono di un tumore... VAFFANCULO!”

 

Mittente: Little Joanna
Data: 30 Luglio
“Danny, mi dispiace tantissimo... da quanto tempo sta in ospedale?”

  

***

 

 Mittente: DDAJ
Data: 10 Agosto
“Tu sei pazza, Little, sei completamente pazza! Ho dovuto presentare la tua foto a mia madre, che ha preteso spiegazioni! Ti rendi conto? Mia madre che pretende da me, suo figlio, spiegazioni! Non dovevi mandarle quei fiori, ti sarà cosato un occhio della testa spedirli con il corriere internazionale! E a me, invece, sono costate milioni di spiegazioni!
Tranquilla, sto già pensando a come vendicarmi di te!
Ps: lei sta bene, era solo un falso allarme. Vuole sapere come si chiama il tuo fidanzato, vuole dirgli che è proprio fortunato ad averti. E lo penso anche io!
Lo voglio conoscere quando ne avrai uno, voglio essere il primo!”
 

***

 Mittente: Little Joanna
Data: 22 Agosto
“Ti odio.”

 

Mittente: DDAJ
Data: 23 Agosto
“Lo sapevo che lo avresti detto... Lo sapevo!!! Che ci sarà di male a vendicarsi di un mazzo di fiori, spedendo a tuo fratello una scatola con dentro un bellissimo completino intimo rosso?”

 
Mittente: DDAJ
Data: 27 Agosto
“Little? Sei sempre arrabbiata...”

 
Mittente: DDAJ
Data: 02 Settembre
“Scusami... So che non mi rispondi perché sei arrabbiata con me. Ho fatto una cazzata, ho esagerato nel mandarti quella cosa, ma nelle precedenti mail mi avevi detto che tuo fratello era cambiato, che non si comportava più con te come era solito fare quando ti ho conosciuta e...
Lo so, non ci sono scusanti, quindi smetto di trovare delle giustificazioni.
Fatti sentire quando ti va, io ti aspetto.”

 
Mittente: DDAJ
Data: 04 Settembre.
“Non posso continuare ad accendere il computer in ogni mio minuto libero per vedere se mi hai risposto. Ti prego, fallo...
Sto quasi iniziando a pensare che ti sia successo qualcosa di grave.
Siamo tutti preoccupati per te, Little, fatti sentire.
Ti prego.”

 

 Mittente: Little Joanna
Data: 06 Settembre
“Lasciami in pace.”

 
***

  

Mittente: DAAJ
Data: 22 Settembre
“Ti ho contattato solo per dirti che io e gli altri siamo tornati dalla vacanza che abbiamo fatto. Anche se so che non te ne importerà niente, abbiamo passato due belle settimane in California.
Volevo mandarti una cartolina, ma sapevo che avrei combinato solo altro casino.
Spero che leggerai questa mail e che non la cestinerai come sicuramente hai fatto con le altre che ti ho mandato dopo il tuo ultimo ‘Lasciami in pace’.”

 

***

 

 Mittente: Little Joanna
Data: 30 Settembre
“Non so con quali parole cominciare.
Non ci sono scuse per quello che ho fatto e so che forse non mi capirai.
Mi sono trasferita, non vivo più con Miki.
Ho avuto diverse cose in sospeso da chiudere,
e non me la sentivo di piangerti addosso con tutti i miei problemi.
Adesso sto meglio, si è sistemato tutto.
Mi dispiace davvero tanto, anche se so che non basterà.
Little.”

 

 Mittente: DDAJ
Data: 02 Ottobre
“Non posso fare a meno di sentirmi in colpa per tutto quello che ti ho causato.
Non riesco nemmeno ad immaginarmi che cosa tu possa aver passato, tutto per causa mia.
Non sei tu quella che si deve scusare con me, sono io.
Adesso va tutto bene?
Se ti va, io sono sempre qua pronto a leggere le tue parole, come un migliore amico sa fare.
Mi sei mancata, Little.”

 

  

Mittente: Little Joanna
Data: 03 Ottobre
“Non sentirti in colpa, il tuo ‘regalo’ è stata solo la ciliegina sulla torta.
Questa decisione l’avevo presa da tempo, addirittura già da quando partisti.
 Mi hai solo dato una mano, tutto qui, non avevo il coraggio di farlo da sola.
Adesso sto da Arianna, ti ricordi di lei?
Non lavoro più al locale, purtroppo i rapporti tra me e Miki non sono più molto buoni.
Sto cercando un nuovo lavoro, non so cosa farò...
Stringo i denti e vedrò cosa la vita ha in serbo per me.
Ci sentiamo!
Ps: scusa se non parlo molto... e grazie per esserci stato, le tue e-mail sono
tutte nella memoria di questo computer ma non avevo la forza di risponderti.
Ad averne mille di migliori amici come te... saremmo tutti più felici!”

  

***

 

 Mittente: DDAJ
Data: 06 Dicembre
Ore: 23.58
“Non possono sottopagarti, Little! Fai sentire la tua voce, grida il valore del tuo lavoro!”

 

 Mittente: Little Joanna
Data: O6 Dicembre
Ore: 00.06
“Dan, qua in Italia non è come da voi in Inghilterra...
Ci sottopagano sempre!
E comunque prendo già cinquanta centesimi di euro in più rispetto ai miei colleghi,
solo perché Arianna ha messo una buona parola per me...”

 

 Mittente: DDAJ
Data: 06 Dicembre
Ore: 00.25
“Adesso prendo il primo aereo per Firenze, vengo al cinema dove lavori e parlo con il tuo capo. Non può trattarti così, farti lavorare ogni giorno, ogni fine settimana e pagarti una miseria.
Io sono Danny Jones dei McFly, io posso tutto!”

 

 Mittente: Little Joanna
Data: 06 Dicembre
Ore: 00.27
“Delirante di onnipotenza.”

 

 Mittente: DDAJ
Data: 06 Dicembre
Ore: 00.35
“Indiana Danny Jones, pronto a servirla signorina.”

 
Mittente: Little Joanna
Data: 06 Dicembre
Ore: 00.40
“Il tuo quarto film è stato una cagata. Ritirati dal sistema.”

 

 Mittente: DDAJ
Data: 06 Dicembre
Ore: 00.45
“Se dici così vuol dire che lo hai visto e che hai pagato per vedermi.”

  

Mittente: Little Joanna
Data: 06 Dicembre
Ore: 00.50
“I sette euro
peggio spesi  nella mia vita... Ma è stato tanto tempo fa, ora non mi ricordo più niente.
Comunque adesso devo staccare, la mia collega mi ha già coperto per troppo tempo.
Ci sentiamo, notte notte!”

 

***

 

Mittente: Mr. Drummer McHOT
Data: 22 Dicembre.
“Apri l’allegato!
Ps: con questa mail non voglio rimanerti simpatico.
Pps: speriamo che Babbo Natale non ti porti nemmeno un regalino.”

 

 Mittente: Little Joanna
Data: 25 Dicembre
“Harry, sei un coglione!
Ps: Ok, la cartolina di natale in allegato è stata carina, ma non cambierò idea su di te.
Pps: e complimenti per lo squallore del tuo nickname.
Ppps: salutami gli altri!
Pppps: speriamo che Babbo Natale si faccia la tua fidanzata (se mai ne hai una).”

 

 ***

 

Mittente: Tom FletchFly
Data: 24 Dicembre
“Ciao Jo! Come va? Spero tutto bene, qua fa un freddo cane e sta iniziando a nevicare... che tempo fa i Italia? Nevica?
Sappiamo tutto di te grazie a quello scemo di Jones e se non mi sono fatto mai sentire più che altro è stato per... 
Pigrizia! Non mi invento scuse perché c’è Gi alle mie spalle che mi sta puntando un coltello alla gola! Quindi ti chiedo perdono!
Comunque, spero che davvero tu stia bene e che passerai un bellissimo Natale!
Ps: Sono Gi, quando vieni in Inghilterra??? Non vedo l’ora di conoscerti!
Pps: stiamo tutti bene, anche Dougie ti fa gli auguri.

 

 ***

 

 Mittente: DDAJ
Data: 24 gennaio
“Odio la neve e il ghiaccio, hanno fatto andare in tilt il sistema elettrico della mia macchina e sono rimasto a piedi in mezzo a Londra, durante un temporale che faceva paura.
Qua siamo in alto mare con il nuovo album, abbiamo iniziato a buttare giù qualcosa ma... niente di che. Abbiamo anche messo mano agli spartiti già corretti ma non vanno più così tanto bene.
Come ti va al lavoro? Salutami Arianna! Come sta?
Ps: in estate, se avrò tempo, verrò a trovarti!”

 

Mittente: Little Joanna
Data: 26 gennaio
“Ma povera la tua auto, secondo me ha fatto un harakiri e si è suicidata, piuttosto che continuare a farsi guidare da te! 
Altro che neve e ghiaccio e fili elettrici!
Al lavoro va sempre così così, quel multisala mi farà morire di noia.
Adesso non mi occupo più della biglietteria, mi hanno elevato al livello dello strappabiglietti.
Arianna sta bene, vivo da favola insieme a lei e mi diverto tantissimo.
In questi mesi mi sembra di essere diventata un’altra persona. Non sono più stressata, non ho più pensieri...
Non ci diamo fastidio, ma troviamo comunque tempo per noi due.
Gli altri come stanno?
Ps: Ti aspetto!”

 

***

 
Mittente: DDAJ
Data: 25 Febbraio
“Scusa se non ho mai risposto alla tua ultima mail di gennaio ma il nostro manager ci ha riempito di impegni che ci hanno tolto il fiato e, accanto a tutto ciò, siamo anche stati capaci di incidere qualche pezzo...
Insomma, un mese intensissimo... e non ho nemmeno la forza di andare oltre.
Ci sentiamo presto, Little.
Ti voglio bene.”

 

 

***

 

 

A quella mail seguirono poche altre. Lei gli scriveva, ma da due mesi lui non rispondeva più. Seduta sul grande letto della sua stanza, a tre porte da quella di Arianna, rimuginava ininterrottamente, con il portatile davanti alle gambe incrociate. Il mento sostava sulle mani giunte e i gomiti erano appoggiati sulle ginocchia, si mordeva il labbro inferiore con costanza, in cerca di coraggio.
La mail era già pronta per essere spedita, il cursore del mouse già posizionato sulla casella ‘invia’. Bastava solo cliccare ma...
Erano ben ventitre minuti che cercava di farlo, senza esito.
C’erano mille motivi per cui non trovava la volontà di spedirla e non stette per l’ennesima volta a contarli tutti,  li conosceva
già a memoria.

 

Mittente: Little Joanna
Destinatario: Mr. Drummer McHOT
Data: 15 maggio
“Preciso che ti sto scrivendo solo perché ho perso il contatto di Tom.
Sarò diretta: cosa è successo a Danny? Perché sono due mesi che non lo sento più?
Rispondimi con tatto, non con il tuo solito modo di fare, so già cosa aspettarmi.
Stammi bene Harry,
Joanna.”

 

Spediscila, deficiente.
Avevano stabilito chiaramente la natura della loro reciproca posizione: era stato cristallino il fatto che non era propriamente possibile lasciare che tra loro due nascesse qualcosa di più, ma avevano deciso comunque di mantenersi in contatto, anche di scriversi. A dire il vero era stata tutta idea di Danny, non sua, che invece era stata sicura del doversi rassegnare al fatto che tutti e quattro, una volta tornati al loro paese e al loro lavoro, sarebbero spariti dalla circolazione. Al tempo nessuno glielo avrebbe potuto togliere dalla testa, tranne il comparire di una strana mail nella sua magra casella di posta elettronica, che aveva sempre ricevuto solo pubblicità e newsletter varie, nonché spam. Si stupì nel ricevere la sua prima lettera, un paio di giorni dopo la partenza. Non ci aveva sperato, aveva subito pensato che le avesse chiesto il suo indirizzo solo per cortesia, ma invece...
Si era sbagliata, ecco, lui l’aveva smentita, e si era sentita un po’ come San Tommaso.
Danny l’aveva tenuta informata su se stesso, sul gruppo, sugli altri e sui i loro impegni, così come lei gli aveva raccontato della propria vita, dei problemi con Miki, del trasferimento da Arianna e del nuovo lavoro. Spesso era stato difficile racchiudere tutti quei fatti dentro ad una mail, sarebbe stato molto più semplice comporre un numero e parlare, le mancava la sua voce calda e bassa. Ma non aveva chiesto di più, sapeva che sarebbe stato impossibile: prima che lei lasciasse il suo impiego al locale avevano avuto la possibilità di chiamarsi, anche abbastanza frequentemente, ma adesso sia gli impegni di Danny che il suo lavoro prettamente serale in uno dei tanti cinema della città non avevano più fatto coincidere le già poche occasioni di comunicare oralmente.
Secondo Arianna era stato tutto un errore: quale amicizia poteva nascere dopo l’essersi baciati?
Le rispondeva sempre: era quella costruitasi tra lei e Danny. Semplice no?
“Tu sei innamorata di lui.”, ribatteva allora Arianna.
“Non è vero!”, le rispondeva.
“Sì che è vero.”, faceva l’altra, sospirando, “Altrimenti non continueresti a scrivergli e ad aspettare le sue risposte.”
Al che la conversazione moriva automaticamente: smettega di risponderle, stanca di ripetere la medesima storia.

Non era innamorata di lui, non era così stupida da cadere in questa trappola vischiosa da cui sarebbe stato impossibile uscirne indenne. Ci teneva a Danny: nonostante la distanza e la scarsa comunicazione era la persona che sentiva più vicina al mondo, insieme ad Arianna, il che lo rendeva molto speciale.
“Non puoi contare su di lui... Che amico è? Non ha nemmeno il tempo di telefonarti per tre secondi!”, le diceva ogni volta Arianna, la voce della sua coscienza personificata.
Era un amico lontano ma presente; con pochissime sue parole era stato capace di sollevarla dal fondo che aveva più volte rischiato di toccare, e le mandava le foto più stupide che scattava con gli altri. Era proprio uno scemo... uno scemo adorabile.
Sapeva che, prima o poi, tutte quelle mail si sarebbero diradate col tempo, per finire con lo scomparire del tutto. Non era mai stata una sognatrice e si era sempre accontentata di quello che aveva vissuto. Ogni tanto le era capitato di rileggere quello che si erano spediti: la casella della sua posta elettronica era quasi completamente piena delle loro lettere.
E due mesi e mezzo senza una sola mail erano troppi. Non voleva farsene una ragione.
Danny non rispondeva, non dava notizia di sé. Cosa gli era successo?

Si è annoiato di te, Jo.
Con una nuova mail si stava per rivolgere ad Harry, quel gran simpaticone. Di Tom aveva perso il contatto, forse per errore aveva cancellato al sua mail con gli auguri di Natale. Dalla partenza non aveva più parlato con Dougie, né lui si era mai presentato con una lettera, e le aveva mandato gli auguri di Natale per bocca di Tom. Lei, dal suo canto, non chiedeva altro.
Presa da un indelebile coraggio, cliccò sulla casella ‘invia’ e la mail partì.

 

 ***

 

 Mittente: Mr. Drummer McHOT
Data: 25 Maggio
“Mi sono fatto attendere abbastanza, ora posso anche scriverti. Danny sta bene, non si fa sentire perché siamo pieni di lavoro.
Il povero Jones a ferito i tuoi sentimenti? Spero di no.
Ed io invece? Spero di sì.”

 
Joanna guardò interrogativamente la proprietaria di casa, seduta davanti a lei.
“Che ha detto?”, le chiese Arianna con tono rassegnato, scostando la rivista di moda che sfogliava senza interesse.
“Lavorano troppo.”, disse, stronfiando annoiata.
“Ti ha scaricato.”, disse Arianna.
“Lo so.”, le fece.
“E non si è nemmeno preso la briga spiegarti il perché.”, insistette Arianna, sempre scettica sul loro rapporto-non-rapporto, come lo definiva lei.
“So anche questo.”
“Forse non ha le palle.”
“Certo che ce le ha... E’ un  uomo!”, sottolineò Joanna.
“Il fatto di possedere il lungo filamento genetico del cromosoma XY non comporta automaticamente il ritenersi uomini a tutti gli effetti.”
Joanna sbuffò con animosità, segno che la conversazione poteva chiudersi in quel momento. Arianna lo comprese e, difatti, non andò oltre, tornando alla lettura della sua rivista di moda.

 
 
***

Quando aveva visto il nome del mittente della nuova mail in arrivo le era preso un coccolone. Era stata come una deficiente a fissare lo schermo per almeno cinque minuti, con il cuore che le batteva all’impazzata nella gola e il cervello in sciopero generale, i neuroni che sbandieravano striscioni d’inno alla gioia.
Con mano tremante aveva aperto la lettera ed aveva letto quelle semplici tre parole.

 
Mittente: DDAJ
Data: 01 Giugno
“Little… Mi odi vero?”

 
Sì che ti odio. Sei peggio di Poynter...
Tacque ogni rispostaccia che la stronzetta in lei gridava a furor di corde vocali mentali e preparò una nuova mail.

 
Mittente: Little Joanna
Data: 02 Giugno
“Non ti chiedo giustificazioni per quello che hai fatto, so che arriverebbero a vagonate e non ho voglia di starle a sentire.
Sì, ce l’ho con te per non avermi degnato di una sola parola in due mesi.
Ma  decido
comunque di lasciar stare questa storia.”

 
La rilesse un paio di volte e la inviò. Un po’ di freddezza iniziale non poteva altro che far bene.
“Tu sei innamorata di lui.”, spuntò alle sue spalle Arianna, cogliendola del tutto di sorpresa e facendola sussultare sulla sedia della cucina.
“Arianna!”, esclamò lei, chiudendo prontamente il portatile, “Non ficcanasare!”
“E tu non innamorarti della persona sbagliata.”, le disse, prima di sgattaiolare via, con il suo caffè in tazza.

 
***

 
Mittente: DDAJ
Data: 03 Giugno
“Ce l’hai una settimana per me? Rispondi appena puoi.”

 
Rifletté a lungo sul significato di quella domanda. Cosa voleva dirle? Lo chiese ad Arianna.
“Secondo me vuole che tu vada su in Inghilterra, da lui.”, le disse la donna, schiettamente, mentre si truccava gli occhi davanti allo specchio del bagno.
Erano state invitate a cena da un amico di lei e, dato che il livello medio di età delle sue conoscenze si aggirava intorno ai quarant'anni, Joanna aveva deciso di declinare l’invito per rimanersene a casa, con notevole dispiacere di Arianna.
“Da lui?!?”, esclamò Joanna, “Ma non posso, ho il lavoro!”
“Non è quello il motivo per cui non devi partire, Jo.”, le fece Arianna, "Non devi andare da lui perché ti farai solo del male.”
“Non capisco tutto questo tuo risentimento nei confronti di Danny.”, disse Joanna, infastidita al massimo, “Perché dovrebbe farmi del male?”
La donna lasciò il mascara, riponendolo nella sua boccetta, e si voltò verso di lei.
“Innanzitutto, è cretino da parte sua chiamarti ‘la mia migliore amica’, potrebbe benissimo aprire gli occhi e capire che non potrete mai essere amici per i soliti due motivi: vi siete ripetutamente baciati e ti sei innamorata di lui.”
Joanna roteò gli occhi e fece per andarsene, ma rapidamente la mano di Ariannala bloccò, forte sul suo braccio.
“E poi”, riprese la donna, con sguardo serio, “è stato tre mesi senza mandarti una sola stupidissima mail.”
Due mesi.”, precisò Joanna.
“Fa’ lo stesso.”, la seccò la donna, “Se  avesse
veramente tenuto a te, si sarebbe sforzato al massimo per costruire qualcosa di buono ma, siccome è un uomo, ha preferito ammansirti con quelle letterine dolci. Magari ti sta serbando nella credenza, così quando tornerà in Italia avrà qualcuno con cui divertirsi.”
Joanna non rispose dell’azione della sua mano, che si scontrò sulla bocca rossa di Arianna. La donna rimase sbalordita dalla reazione della ragazza e non ebbe il coraggio di fare niente.
“Non osare mai più parlare così di lui.”, le sibilò, prima di lasciarla sulla soglia del bagno a boccheggiare, stupefatta.

Non si parlava male di Danny, del suo unico amico sulla faccia della Terra.
Sei lessa, cotta come una pera, completamente fusa per lui.

No, non lo sei, piantala!
Lei non era innamorata di Danny Jones, era solo una sua amica speciale, e si era preoccupata per lui. Ora che si era rifatto vivo, tutto sarebbe tornato come prima, o addirittura meglio.
Aprì il portatile e lo accese.

 
Mittente: Little Joanna
Data: 02 Giugno
“Certo che ce l’ho una settimana per te, Dan.”

  

La risposta arrivò il giorno successivo.

Mittente: DDAJ
Data: 04 Giugno
“Benissimo! Voglio farti conoscere tutta la mia famiglia!

Quando puoi partire?”



E questo è il primo capitolo.... A voi!
Ah, il titolo è preso dal famoso film con Tom Hanks , quindi niente scopo di lucro. 

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Capitolo 2
*** Love You, Love You Not ***


Mi sono dimenticata di una cosa importantissima. Il titolo della  storia è preso,  manco a dirlo, ad una canzone dei McFly. Esattamente Hypnotized, cliccate per avere un ascolto. Specifico, non c'è scopo di lucro, ma solo  quello  di trovare un titolo  stupido XD

Il titolo di questo capitolo è, invece, di mia invenzione... Cioè, non lo è, ma fa lo stesso! E' il solito "M'ama non m'ama",  non so chi l'abbia inventato, ma io l'ho usato in maniera lievemente diversa...

Metto anche un po' di fotuzze di quei quattro, dai, che così vi spacco definitivamente le scatole e non mi leggere più! Ecco Danny, Dougie, Tom e Harry. Metto anche Giovanna, la vera ragazza di Tom, che comparirà più volte. Infine, il personaggio che molte di voi stimano profondamente...  Arianna.  Non è proprio come la vorrei, ma si avvicina molto. Per chi la conoscesse, è la Penny Widmore del telefilm "Lost". Non uso la sua persona per scopo di lucro, è ovvio, ma solo perchè la sua immagine si avvicina molto a quella che ho nella mia testa... 

Vi lascio al capitolo, spero che il "colpo di scena" non vi dispiaccia...

2. Love You, Love You Not

 

 

 

Aspettava da un’ora, seduta sulla sua valigia grigia e rigida, tutta graffiata. Dentro a Heathrow, il grandissimo aeroporto internazionale londinese, si stava sentendo piccola come una formica; aveva faticato a ritagliarsi un piccolo quadrato di pavimento dove sostare con la sua valigia, in attesa che qualcuno la venisse a prendere. Intorno a lei migliaia di viaggiatori di ogni nazionalità, persone che esibivano cartelli con strani nomi neri di pennarello e famiglie che si ricongiungevano, tra baci ed abbracci.
Ma ancora nessuno per Joanna…
Si sistemò nervosamente i capelli dietro alle orecchie. Si era addirittura decisa a fare qualcosa per quella pettinatura un po’ smorta: su consiglio di Arianna, che aveva perdonato quasi subito il gesto convulso dello schiaffo sulla bocca imputandolo ad una reazione causata dalle sue parole troppo provocatorie, aveva dato un bel taglio alle lunghe ciocche bionde. Adesso i suoi capelli erano fermi sulle spalle, lievemente mossi, con una frangetta liscia e dritta che le copriva la fronte. Il fidato parrucchiere di Arianna le aveva anche ravvivato il colore con qualche colpo di sole, stava decisamente meglio.
Al lavoro aveva avuto dei problemi nell’annunciare di voler usufruire delle giornate di ferie accumulate. Non aveva compreso tutta la ritrosia del direttore del cinema nel darle ciò che le spettava: si stavano avvicinando all’estate ed il numero dei clienti era visibilmente diminuito, virtualmente non ci sarebbero stati problemi con una persona in meno nello staff. Ad ogni modo, lui aveva acconsentito ponendo una pesante spada di Damocle sulla sua testa: al ritorno dall’Inghilterra molto probabilmente non avrebbero più avuto bisogno di lei.

Meglio, si era detta, non sono molto brava nel togliere chewing gum da sotto i sedili…
Ed adesso era lì, con il cuore che batteva forte e la smania di uscire da quel posto brulicante di persone. Era nervosa, gingillava ritmicamente il suo piede, si mordicchiava le labbra. Si chiese se sarebbe piaciuta ai suoi: Danny non gliene aveva parlato molto, sapeva solo che aveva una sorella, Vicky, nient’altro. Anche lei, dal suo canto, non aveva fatto di meglio... Ma era pronta a recuperare. Si era promessa che gli avrebbe parlato di tutto.

Di tutto.
Sì, era pronta per farlo, lui l’avrebbe capita e non le avrebbe voltato le spalle. Se n’era convinta dopo lunghissimi sforzi, aveva anche provato a recitare la parte di se stessa in confessione, davanti allo specchio, inutilmente, ma era sicura che ce l’avrebbe fatta.

Non ci devono essere segreti.
Non la spaventava molto la possibilità di incontrare di nuovo Dougie, anzi, si sentiva abbastanza certa che sarebbe tutto filato nel migliore dei modi: lui non le avrebbe rivolto la parola, lei neppure, fine della questione. Per quanto riguardava Harry, lo avrebbero zittito un paio di secche risposte. Era anche eccitata dal fatto di incontrare Gi, la cosiddetta ragazza di Tom: dall’impressione avuta nel vedere le foto di lei pubblicate su internet doveva essere proprio una simpatica ragazza, oltre che tremendamente carina.
La valigia sotto di lei ebbe un sussulto, qualcuno aveva scontrato il suo piede su di essa e la stava sonoramente maledicendo, traballando in equilibrio su un solo piede. Lei non poté non sbuffare in una risata, mascherata dalla mano mentre il tizio recuperava la sua dignità risistemando il suo cardigan giallino.

Per una volta che non sono io ad inciampare contro qualcosa…
Si accomodò sul bagaglio e tornò in attesa, incrociando le braccia e notando che la grande mattonella a fantasia sale e pepe su cui si trovava sembrava contenere il disegno di un diavoletto con la forca in mano.
Sospirò.
Aveva razionalizzato ogni singolo aspetto della questione e, in un conflitto interno al suo cuore, stavano combattendo due contrarie consapevolezze. In quei giorni, infatti, aveva sentito nascere dentro di sé una lei diversa, ancora sconosciuta, che aveva sorpassato il suo lato iperrealista e l’aveva spinta a trovare la giusta settimana da dedicare a quel viaggio, accompagnandola a comprare i biglietti dell’aereo.  Dall’altro lato, invece, si trovava la classica Joanna, quella troppo attaccata alla realtà vista con i suoi stessi occhi, quella a cui non piaceva sognare e che, in mezzo a quella folla multi etnica, era tornata a reclamare la superficie, il suo trono, prima spodestata dall’altro bizzarro ed appena nato alter ego.
Era la parte di sé che concordava maggiormente con la scetticismo di Arianna, quella che la costringeva a realizzare il fatto che, molto probabilmente, sarebbe tornata da quella settimana inglese con la coda tra le gambe.

Perché ti ostini a vedere quello che tra due amici non ci può essere?
Quello era il loro rapporto: amici. Tra le variabili presenti, non si doveva dar per scontato quel fattore. La sua efficiente razionalizzazione non doveva commettere quel solito grandissimo errore, non dovevano esserci pesanti falle nel sistema del suo perfetto calcolatore. Tutto quello che stava per accadere non avrebbe voluto dire molto: Danny l’aveva voluta ospitare a casa sua come gesto di amicizia, di cordialità. Le voleva presentare la sua famiglia perché ci teneva a lei, non perché... Volesse dimostrarle qualcos’altro.
La sua famiglia…
Le sue guance diventarono di un paonazzo strabiliante e non poté fare altro che cercare di nasconderle guardando a terra, mentre i capelli le scendevano in avanti. Improvvisamente ebbe voglia di fuggire, di scappare via, di tornare a casa dove tutto quello sarebbe diventato solo un ricordo, un errore, una confusione lontana e dimenticata.
Pentiti di aver accettato il suo invito.
Ma non doveva farlo, assolutamente no. Prima o poi l’innamoramento sarebbe passato, ne era ovviamente certa: quel sentimento era stupidamente nato a causa della lunga assenza di Danny. Si era preoccupata, era stata male per lui... E si era fatta prendere la mano, ora sarebbe stato sufficiente mettere il piede sul freno.
Nel momento in cui si fosse trovata faccia a faccia con Danny, si sarebbe data della cretina per tutto quel pensare. Era il migliore amico che avesse mai avuto in tutta la sua vita, e lo sarebbe stato per sempre. O per lo meno finché non si fossero stancati l'uno dell'altra.
Un paio di piedi in avvicinamento la distrassero.
“Sei tu Joanna?”, le domandò una ragazza dai capelli scurissimi, innaturalmente neri. Il trucco era pesante sui suoi occhi e la sua maglietta rossa piena di scritte era alquanto bizzarra.
La squadrò. Chi era?
“Sì…”, le disse, titubante.
“Oh finalmente! Sono dieci minuti che ti cerco tra tutte le ragazze che stanno qua agli arrivi internazionali!”, esclamò l'altra, annettendo una sonora risata, “Io sono Vicky, la sorella di Danny.”
Le porse la mano, stringendogliela con un sorriso.
Avrebbe dovuto capirlo subito.
“Come stai?”, le chiese la ragazza, “Com’è andato il viaggio?”
“Tutto a posto, è stato abbastanza tranquillo.”, le rispose.
Sporse gli occhi oltre il suo corpo per cercare Danny, ma non vide nessuno.
Lei comprese subito.
“Mio fratello non è venuto perché… Sai…”, le disse l’altra, ridacchiando, “Preferiva non trovarsi a... Dare spiegazioni...”
“Sì, lo capisco.”, le rispose.
Cercò i tratti somiglianti tra i due fratelli Jones: di sicuro, primi tra tutti i grandi occhi –quelli dei lei però erano scuri- e il sorriso pieno in volto. E l’accento.
“Andiamo. Ho la macchina in divieto di sosta!”, disse la ragazza, afferrandole la valigia e cominciando a trascinarla, “Dio! Com’è leggera! La mia peserebbe un quintale!”
Joanna non poté non ridere alla spontanea simpatia di quella ragazza. Era proprio sua sorella, non c’erano dubbi.
Durante il viaggio, la parlantina veloce e acuta di Vicky la stordì completamente. Era un treno in corsa, sparava frasi ad una velocità tale che dovette fermarla più volte e chiederle di ripetere tutto, dato che non aveva ben colto il significato di alcune parole ed il suo accento, tipico del nord dell’Inghilterra, era talvolta piuttosto criptico. Nonostante ciò la lunga conversazione le rimase impossibile da comprendere per un bel sessanta percento.
Le riferì che Danny aveva parlato molto spesso di lei, che sapevano un mucchio di cose sulla sua vita e che erano tutti molto ansiosi di conoscerla. Quando Kathy, la loro madre, aveva visto la sua foto aveva pensato subito che fosse stata la ragazza di Danny, e lui aveva prontamente riparato spacciandola come una sua amica speciale.
“Guarda che dice bene.”, disse Joanna, “Siamo solo amici!”
“Oh sì, su questo non ci sono dubbi!”, esclamò la ragazza, con un gesto secco della mano ad enfatizzare la sua risposta.

Visto? Che ti dicevo? Pure la sorella ne è certa!
“A casa sua ci sono già gli altri.”, le disse Vicky, prima che potesse mentalmente zittire la vocetta della petulanza.
“Oh bene.”, rispose, con tono assente.
Il termine ‘gli altri’ doveva comprendere i tre quarti dei McFly, ma non ebbe però tempo di accertarsene. Vicky tornò di nuovo a parlare, dicendole che anche lei aveva un gruppo tutto suo, gli Yes Sensei, con i quali suonavano rock alternativo, hardcore. Speravano anche loro in un contratto ed erano già in trattative con un’etichetta che promuoveva gruppi del loro stesso genere musicale.
“Allora è una cosa di famiglia.”, disse Joanna, in un attimo libero dalle parole dell’altra.
“Beh sì, la musica è parte di tutti noi!”, esclamò felice l’altra.
Il viaggio fu più lungo del previsto, il traffico londinese le teneva bloccate in vie strette e ostruite da auto in doppia fila, cosa che a Vicky fece scappare un paio di sorde parolacce per le quali prontamente si scusò.
In circa quarantacinque minuti furono a Watford, zona periferica di Londra, dove Danny viveva. L’auto si fermò nei pressi di una precisa casa davanti alla quale sostavano anche altri veicoli. Era fin troppo tipicamente inglese, esattamente come se l’era immaginata: sistemata su due piani, con una piccola mansarda che spuntava sul tetto, aveva un giardino tutto intorno contornato da una siepe abbastanza alta; la facciata era scura e pressoché simile a tutte le altre, di legno e mattoni, con gli infissi chiari ed una piccola veranda che sovrastava l’entrata principale.
Poco prima di entrare, Vicky la informò che anche gli altri abitavano lì vicino.
“Quella laggiù è casa di Harry. Quella là è di Dougie, lassù ci stanno Tom e la sua ragazza.”, le fece, indicandole con gesti talmente rapidi che Joanna non fu in grado di capire.
“Vivono tutti sulla stessa strada?”, le domandò, perplessa.
“Sì, da sempre!”, fece lei, sorridendo, “Non lo sapevi?”
Scosse la testa.
“Tutte le loro fans lo sanno!”, le disse la ragazza, con un’occhiata strana, “Non sei una di quelle che spulciano i siti in cerca di ogni più piccola informazione su di loro?”
“Beh… Perché dovrei farlo?”, scrollò le spalle Joanna, “Potrei chiederle a Danny, se volessi saperle.”
Vicky continuava ad essere perplessa.
“Ecco, ora riesco ad inquadrare un paio di cose!”, fece poi, sorridendo ancora.

Lo stesso sorriso.
“E quali?”, le domandò, ma lei non rispose.
Vicky afferrò con forza la valigia dal bagagliaio e, strizzandole un occhio, la tirò fuori in un solo balzo. Poi, tenendo la maniglia con entrambe le mani, si fece strada nel corto vialetto di casa di suo fratello. Joanna si offrì di darle una mano, inutilmente; lei rifiutò e, con il fiatone, parcheggiò il bagaglio davanti alla porta, mettendosi le mani davanti alla bocca.
“Siamo arrivate!”, gridò così forte da far volar via un paio di uccellini, posatisi sui rami della siepe.
Gli occhi sorridenti di Danny spuntarono fuori dalla porta.
“Little!”, esclamò lui, passando oltre alla sorella, che scacciava via il caldo e lo sforzo con una mano sventolante vicino al viso.
Joanna sentì un tuffo al cuore e la pancia serrarsi in una stretta felice.
Danny le venne incontro, la abbracciò e, afferrandola con forza, la sollevò più in alto della sua testa.

Aspettiamo altri cinque minuti, questo sfarfallio allo stomaco è solo un effetto momentaneo.
 “Com’è il tempo lassù, Little?”, le chiese, scoppiando poi in una risata che coinvolse anche lei.
“Soffro di vertigini, mettimi giù!”, gli fece.
La fece tornare con i piedi per terra, anche se ormai era praticamente impossibile riuscirci.
“Com’è andato il viaggio?”, le domandò, passandole un braccio sulle spalle e accompagnandola dentro casa.
Il volo, come sempre per lei traumatico, ed il sorriso di Danny erano un buon cocktail di stordimento.

Facciamo dieci minuti... anzi, un quarto d’ora, e lo sfarfallio passerà.
 “Bene, non ero in prima classe ma mi sono adattata.”, scherzò lei.
“Sei stanca? Vuoi riposare un po’?”, le chiese, con fare premuroso.
 “No, sto bene, davvero.”, ripeté.
“Meglio! Perché sono già arrivati tutti!”, fece lui, con entusiasmo.
“Oh... bene!”, disse, senza troppo entusiasmo, “Ho almeno il tempo di aggiustami un po’?”
“Eh no, adesso non più!”, disse lui ridendo, “E poi si perfetta così... Il nuovo taglio ti sta molto bene!”
Arrossì.

Mezzora. Ancora mezzora.
“Davvero?”, gli chiese, per sentirselo dire ancora.
“Sì, adesso sembri più grande!”, esclamò Danny, precedendola nel breve corridoio.
Non era proprio il tipo di complimento che si aspettava, ma lo accettò lo stesso.

Come non detto... Sei patetica.
Non ebbe nemmeno il tempo di guardarsi intorno e si trovò subito in un salotto accogliente, dove i due sofà ospitavano diverse facce. Riconobbe subito quella di Tom, inconfondibile, ed anche quella di Giovanna che le sorrideva impaziente, seduta accanto a lui, mentre vicino si era accomodata Vicky. Un altro divano se ne stava incrociato con quello, formando un angolo occupato da un tavolino rotondo di legno con fatture orientali; sul sofà sostava una signora sulla sua cinquantina, bionda.
Se quella non è la mamma di Danny, io sono Maria Luisa Ciccone.
Ad entrambi i figli aveva dato i suoi splendidi occhi e la solarità del sorriso, erano inconfondibili. Vicino a lei Harry, sempre beffardo nel suo aspetto. Non trovò Dougie: forse si era assentato, molto probabilmente non era nemmeno venuto.
“Allora, passiamo subito alle presentazioni.”, disse Danny, strusciandosi le mani indaffarato, “Uhm... Mamma, questa è Joanna.”
La donna si alzò e, sempre con il solito sorriso luminoso, le prose la mano cordiale. Si sentì visibilmente imbarazzata e questo la fece sentire ancora più atterrita.
“E’ un vero piacere conoscerti, Joanna.”, le disse la donna.
“Il piacere è tutto mio... Signora Jones.”, rispose, stringendole la mano.
“Kathy, chiamami Kathy.”, le fece, “O mi farai sentire troppo vecchia.”
Ridacchiò e Joanna non trovò di meglio da fare che, come al suo solito, arrossire.
“Accomodati, Little.”, la esortò Danny.
“Non mi presenti?”, protestò Giovanna, scattata sugli attenti.
E finalmente conobbe anche lei: la stretta di mano di Giovanna fu così forte e calorosa che Joanna fu costretta a nascondere con un sorriso una lieve smorfia di dolore. Era mora, così come aveva visto nelle fotografie sul web, ed i capelli le cadevano lunghi sulle spalle; era sicuramente una bella ragazza, sia nell’aspetto che nella presenza.
Approfittando della situazione salutò con un abbraccio anche Tom, e con una fredda stretta di mano Harry.
“Adesso puoi finalmente accomodarti, Little.”, la esortò Danny, già sedutosi su una comoda e larga poltrona di fronte a lei.
Le indicò il posto libero accanto al batterista che, ironicamente, prese a picchiettare la mano sulla stoffa del sofà per invogliarla.
“Hai fatto buon viaggio, Jojo?”, le chiese, in tono scherzoso.
“Oh sì, non mi sono lamentata.”, rispose lei, che non ebbe la forza di controbattere con qualcosa di altrettanto divertente.
Si sentiva gli occhi concentrati su di sé, la mettevano abbastanza in soggezione. Era nervosa e sicura che gli altri se ne stessero accorgendo, notava tra di loro un certo disagio: gli sguardi che si lanciavano erano eloquenti.
“Vuoi qualcosa da bere?”, le fece la signora Kathy, indicandole con un gesto educato le bottiglie presenti sul tavolino tondo alla sua sinistra, “Un po’ d’acqua?”
“Beh... Sì, grazie.”, rispose.

Mi ci affogherò, grazie mille.
La donna le porse il suo bicchiere e, nel silenzio, prese il primo sorso. In quel momento, si chiese come mai non ci fosse alcun uomo al suo fianco, e quindi dove fosse il padre di Danny.
“Ormai sappiamo tutto di te.”, continuò la donna, “Non so nemmeno cosa chiederti di preciso, Danny ha sempre fatto la spia!”
“Già, come se fossero stati fatti nostri.”, aggiunse Harry.
“E dai, Judd!”, esclamò Danny, “Dillo che è mancata anche a te!”
“Tantissimo!”, disse il batterista con sarcasmo, “Jojo, mi sei mancata da morire.”
“Anche tu.”, gli rispose, trovando un po’ di coraggio, “Mister Drummer McHot.”
Harry parve non scomporsi alla citazione della sua identità online; gli altri, invece, erano del tutto sorpresi, pronti a scoppiare a ridere da un momento all’altro.

Beccati questa!
“Certo che sei proprio il solito narciso.”, disse Giovanna, sogghignando.
“Drummer McHot!”, ripeté Danny, “Hai anche una bella fantasia del cazzo!”
“Daniel!”, lo riprese d’improvviso sua madre.
Quella volta fu lui ad avvampare, dalla punta dei capelli ricci fino all’ultimo centimetro dei piedi.

Ok, datemi almeno un’ora, poi questo falso innamoramento passerà.
Sì, sarebbe sicuramente passato. Con il bicchiere tra le mani, attese che le prese in giro rivolte a Danny si concludessero ma, data l’ilarità generale, non sembravano essere destinate a finire presto.
“Cosa c’è da ridere?”
In un attimo, tutti si zittirono. I loro sguardi si fissarono in un punto alle sue spalle, dal quale era arrivata quella voce femminile. Con la coda dell’occhio, Joanna notò una statuaria presenza. Si voltò per osservarla e la ragazza le sorrise.
“Sei tu Joanna, vero?”, le domandò l’altra.
Occhi di un verde brillante. Era abbastanza alta, o forse era lei ad essere solo seduta. Aveva un piccolo brillante sul naso, lievemente sproporzionato rispetto al resto della faccia, che comunque era molto armoniosa.

Hey, Jo, indovina chi viene a cena?
“Finalmente!”, esclamò Danny, avvicinandosi a colei, “Little, ti presento Tamara, la mia fidanzata.”
“Molto piacere.”, disse la ragazza, porgendole la mano con educazione, “Spero che ti troverai bene a casa nostra.”
Joanna, completamente statica nella sua espressione muta, venne svegliata dal bicchiere che aveva tra le mani, che sentì sguisciare via. Harry, provvidenzialmente, glielo aveva tolto dalle dita pericolanti e, con fare indifferente, se lo era portato alle labbra, mettendosi a bere l’acqua rimasta.
“Oh… Sì, mi troverò sicuramente benissimo!”, esclamò Joanna con troppo entusiasmo, alzandosi e stringendole la mano come un automa a cui avevano fatto un’overdose di felicità assoluta.
“Ecco perché non mi sono fatto più sentire per due mesi.”, le spiegò Danny, “Tra il lavoro, gli impegni vari e il trasloco di Tamara in casa mia, non avevo più tempo per niente e per nessuno, nemmeno per me. Mi dispiace davvero tanto, Little.”
“Ma figurati!”, disse Joanna, “Adesso capisco tutto…. Sono proprio felice per voi!”
Visto il suo atteggiamento, l’automa doveva avere sniffato anche una lunga striscia di malsana ipocrisia. In quel momento si sentì tanto simile a sua madre, che aveva finto per trent’anni di essere felicemente sposata con l’uomo della sua vita. Si disgustò di se stessa.
Ebbe davanti a sé una preveggenza su come sarebbe stata quella settimana inglese: piena di finzioni e di falsità, di frasi costruite appositamente per mascherare ciò che aveva dentro.
 “Ma che bel quadretto!”, irruppe poi Harry, “Ora che ho visto tutto, addirittura senza essere colpito dalla sindrome di Stendhal, me ne vado a casa.”
Si alzò.
“Di già?”, lo fermò Tamara, “Non vuoi rimanere a cena?”
“Oh no, grazie mille comunque.”, declinò l’invito.
“E poi domattina ci dobbiamo alzare presto…”, continuò Danny, con entusiasmo, “Ho organizzato per tutti noi qualcosa di molto divertente.”
“E cosa?”, domandò Tom, evidentemente interessato.
“Una bella gita nella campagna inglese, che non ha niente da invidiare a quella italiana.”, si spiegò patriotticamente, “Partiremo sul presto, verso le otto, e andremo in un maneggio. Prenderemo dei cavalli e ci faremo in giro. Che ne dici, Little?”
Era perplessa. L’ultima volta che era andata a cavallo, l’animale si era imbizzarrito e ci mancò poco che non la schiacciasse sotto il suo peso.
“Che bella idea…”, disse, senza troppo vigore.
“Non ti va?”, le domandò subito Danny, cogliendo qualcosa di nascosto nelle sue parole.
“Oh sì, certo che mi va!”, si affrettò a negare tutto.
“Domani non posso.”, disse Giovanna, “Ho le prove con la compagnia. A fine mese siamo di scena e non posso mancare.”
Giovane, attrice in erba, non poteva mancare ad una delle prove per quella giornata, la capiva perfettamente.
“Peccato…”, disse Danny, visibilmente dispiaciuto, “Tom, verrai vero?”
“Vedremo, non lo so.”, rispose lui, “Non è che mi senta tanto bene.”
La sua voce fortemente nasale, infatti, non era di buon auspicio.
“Cavolo…”, fece Danny.
Anche se con estrema ripugnanza, Joanna si voltò verso il batterista.

Se mi costringi a passare del tempo  insieme a loro due, da sola, mi fucilo. Poi resusciterò, e fucilerò anche te.
“Ok, ci sarò. Ma non sarò puntuale!”, disse Harry, comprendendo il pensiero che aveva cercato di trasmettergli con uno sguardo implorante, “Ora vado, prima che mi arruoliate per un pic-nic sull’erba umida.”
“E’ quello che faremo domani!”, gli disse Danny.
“Allora spera che non porti la mia mazza da cricket per dartela in testa!”
E dette quelle parole, Harry sparì dietro la porta di ingresso. Poco dopo anche Tom e Giovanna se ne andarono, preoccupati soprattutto per il precario stato di salute di lui.
“Bene, vado a preparare la cena!”, disse la signora Kathy .
Si chiuse da sola in cucina, ed ordinò loro di rimanere buoni in salotto in attesa della sua chiamata.

 

 

 Aveva solo una manciata di anni in più di suo fratello e, anche se le occasioni per stare insieme a lui erano da tempo esigue, lo conosceva anche meglio di se stessa. Avevano vissuto tante di quelle cose insieme, dalla più divertente alla più drammatica, si sentiva molto legata a lui ma, a volte, il suo comportamento le risultava del tutto incomprensibile, infantile, irrazionale e…
Stupido.
Altamente stupido.
In sintesi, da quando era tornato dall’Italia la parola che più veniva pronunciata dalle labbra di suo fratello, in territorio di argomentazione femminile, era ‘Little Joanna’. Ben presto ne aveva avuto le scatole piene ed aveva reputato un'idiozia che suo fratello perdesse tempo dietro ad un’italiana lontana e mai vista prima, alla quale mandava delle e-mail come se fossero stati dei deficienti senza vita sociale.
“Basta!”, gli aveva detto la sera di Natale, “Quando te la sposi questa Joanna?”
“Mai!”, aveva risposto lui, “Perché dovrei farlo? E’ una mia amica!”
“Ne parli così spesso che non sembrate affatto amici.”, aveva ovviamente ribattuto.
Lui non le aveva risposto, cosicché lei era tornata presto all’attacco.
“Dimmi, Dan”, gli fece, “non sono una stupida, cosa c’è stato tra di voi?”
“Niente!”, aveva risposto lui.
Uno sguardo eloquente era bastato per farlo confessare. Non era mai stato molto propenso al raccontarle delle sue vicende sentimentali ma, quando lei aveva voluto sapere particolari al riguardo, era sempre stato sufficiente puntarlo con un paio di occhi indagatori.
“Ok… Ci siamo baciati.”, aveva detto, “Ma è finita subito lì.”
“Ovviamente! Non sei stato capace di tenerti stretto nessuna ragazza della tua stessa nazionalità, figuriamoci una che abita a duemila chilometri da casa tua!”
“Vick, non tornare su questi argomenti, per favore.”, aveva detto Danny.
“Ho ragione!”
Certo che aveva avuto ragione, nelle loro discussioni era sempre lui dalla parte del torto, era fuori discussione.
“E basta!”, si era stizzito Danny, “Convincitene, siamo amici.”
“Sai quel famoso detto?”, gli aveva domandato.
“Quale?”
“Anche la bugia più grossa del mondo, se detta fino allo stremo delle forze, diventa un’assoluta verità.”
Danny l’aveva piantata in asso, evitando di ribattere e lasciando la stanza.
“Ho ragione!”, gli aveva ripetuto, prima che lui sbattesse la porta.
Due settimane dopo, la classifica delle parole più pronunciate da Danny venne totalmente stravolta: Little Joanna era stata scalzata via dalla prima posizione, battuta da una nuova ragazza, Tamara, con cui aveva deciso di convivere un mese dopo averla conosciuta, sotto gli occhi e le orecchie incredule di tutti. Come se avesse dovuto dimostrare qualcosa al mondo, ma soprattutto a lei, alla sorella scettica... Era stata quella l’impressione che aveva avuto quando Danny gliel’aveva presentata con un sorriso dei suoi, uno di quelli che era capace di svegliare anche un morto.
Ma si era dovuta però ricredere, suo fratello sembrava aver trovato davvero –finalmente- qualcuno di vero e genuino con cui passare i suoi giorni. E poi Tamara era veramente una ragazza simpatica, gentile, acqua e sapone, che aveva trovato anche la piena approvazione di mamma. Little Joanna sembrava quindi essere destinata a tramontare.

Ma…
“Mi ha chiamato Daniel.”, le disse una sera sua madre, per telefono, “Dice che ci vuole un paio di giorni da lui, tra due fine settimana.”
“E perché?”, le aveva domandato.
“Ti ricordi quella ragazza che mandò i fiori quando stavo in ospedale… Quella ragazza italiana? Danny vuole farle conoscere Tamara e, visto che salirà in Inghilterra, ha voluto che cogliessimo l’occasione.”
Così quel coglione si era giustificato con una faccia cristallina, senza malizia di sorta. Che idiota.
Non gli aveva detto niente e non aveva cercato di farlo ragionare: dopo la discussione di Natale non aveva più specificato il suo punto di vista sulla questione, si era sempre astenuta da commenti. In fondo, la vita era di suo fratello, a lei doveva interessare poco. Aveva quindi accettato di andare a casa sua con mamma ed anche di prelevare a Heathrow questa Joanna, che aveva visto in fotografia ma di cui non si ricordava molto né faccia né aspetto fisico generale. Non era mai stata una buona fisionomista: una volta all'aeroporto aveva dovuto chiamare Danny per farsela descrivere altrimenti sarebbe tornata a casa a mani vuote, con suo grande disappunto.
Come le persone normali facevano da millenni, durante il viaggio aveva provato a conversare con lei ma, a dispetto di quello che le aveva detto Danny, non doveva parlare molto bene l’inglese; continuava sempre a chiederle di ripetere, cosa che l’aveva infastidita parecchio, e non era una tipa granché loquace. A lei piacevano le persone spigliate ed alla mano, i suoi gusti erano molto affini a quelli di suo fratello.
Proprio per quello si chiese come quei due potessero essere amici.
Volle osservare anche il suo rapporto con gli altri, Tom ed Harry, per riuscire a carpire cosa pensassero di lei. Non aveva mai ascoltato tutta la storia della vacanza italiana, e si doveva essere persa qualche passaggio fondamentale. Aveva notato che la ragazza sembrava essere rimasta in buoni rapporti con Tom, ma non con Harry.

Non era con Dougie che era successo quel casino, in cui si era trovato nel mezzo anche Danny?, si chiese. Peccato che Poynter non si fosse presentato.
Ma tutto quello non era stato niente in confronto a quello che aveva vissuto dal momento dell’ingresso di Tamara, assentatasi per andare in bagno al momento dell’arrivo dell’italiana. In un baleno, si era resa conto che quella povera ragazza aveva preso una cantonata pazzesca per quell’idiota di suo fratello. E si era trovata a provare compassione per lei...
Per quel motivo volle provare a fare del suo meglio per togliere quella poveretta dal casino in cui quell’incosciente di Danny l’aveva tirata in mezzo. Non appena sua mamma si assentò per chiudersi in cucina a preparare qualcuno dei suoi manicaretti da paradiso, ne approfittò per prenderla in disparte e chiacchierare un po’ con lei.
“Ti aiuto a portare su la valigia.”, le disse, alzandosi dal divano, “Così ti dai una rinfrescata e sei pronta per cena.”
“Faccio io.”, si intromise prontamente Danny.
“No, faccio io!”, gli impose con uno sguardo secco.
“E dai!”, ripeté Danny.
Che fratello idiota.
“Mettiti a sedere.”, lo afferrò per un braccio, “Ti ho detto che ci penso io, mi vuoi dare l’occasione di conoscere privatamente questa tua amica oppure no?”
Poteva anche essere dieci centimetri più alto di lei, ma era comunque Vicky Jones a portare i pantaloni in casa.
“Ok, come vuoi.”, si era arreso lui.
“Vieni.”, disse a Joanna, con un sorriso.
Le prese la valigia e, con un certo sforzo, la accompagnò nella stanza degli ospiti dove lei avrebbe alloggiato.
Com’era possibile che Danny non avesse capito che quella povera ragazza era innamorata di lui? Nonostante lei avesse reagito con calore alla notizia, dopo la sorpresa iniziale era stata palese davanti ai loro occhi. Aveva mascherato abilmente il suo stato d’animo con un bel sorriso e parole felici, ma non la fregava.
 “Allora”, le fece, una volta posata la valigia per terra e sistematasi sul letto, “cosa mi racconti di te che io non sappia già?”
“Beh… Non lo so.”, rispose l’altra, iniziando ad armeggiare con il bagaglio, “Cosa vuoi sapere?”
“Vediamo…”, fece. Accavallò la gamba, appoggiò le mani sul materasso e iniziò a dondolare il piede, sui cui ciondolava la ballerina che indossava. “Cosa ne pensi di Tamara?”, le domandò con fare diretto.
L’avrebbe sicuramente spaventata facendosi passare per impicciona, ma non aveva voglia di giocare con lei a guardia e ladri ed aveva deciso di puntarle direttamente la lampada indagatrice sugli occhi.
“E’ una bella ragazza, lei e Danny formano una bellissima coppia, sono contenta per loro.”, rispose Joanna, sicura e indelebile, come se avesse recitato un copione a memoria.
“Sì, questo lo penso anche io.”, le rispose, “Si sono conosciuti poco dopo Natale, ad una festa.”
“Ah sì?”, fece lei, mentre apriva la valigia, appoggiandola contro il muro.
“Hanno deciso di convivere un mese dopo.”
“Si vede che si vogliono bene.”, rispose l’altra di nuovo, mentre caricava sul suo braccio dei beauty case da viaggio.
I casi erano due: Joanna poteva essere una bravissima attrice, oppure lei aveva preso lucciole per lanterne. La sicurezza che questa ragazza fosse cotta di Danny iniziò a vacillare, doveva coglierla in fallo.
“Dove posso mettere queste cose?”, le domandò Joanna.
“Hai un bagno tutto per te.”, la informò, indicandole la porta bianca vicino alla finestra di fronte al letto, sulla stessa parete sui cui si appoggiava l’armadio.
La ragazza si avvicinò alla toilette.
“Forse si sposeranno.”, insinuò Vicky.
In un attimo, le varie cose che teneva in braccio caddero a terra, mancando improvvisamente il sostegno delle sue mani sotto di esse.  L’aveva fregata.
Senza scomporsi di una virgola, Joanna si chinò per raccoglierle.
 “Non è vero.”, le fece prontamente, “Volevo solo vedere come reagivi.”
“Sono solo tremendamente goffa, forse Danny non te lo ha mai detto.”, si corresse lei.
“Certo che lo so.”, le disse, “E so anche che non ti aspettavi di trovare mio fratello fidanzato così seriamente con qualcun’altra.”
Joanna le sorrise con fare sincero.
“Hai ragione, mi ha colto davvero di sorpresa.”, esclamò poi, “Perché dovrei preoccuparmi?”
Era irriducibile e lei aveva troppa fame per insistere ancora. Gliela volle dare vinta.
“Già… non c’è da preoccuparsi.”, le disse, desistendo, “Adesso ti lascio, torno giù. Per qualsiasi cosa, chiama pure!”
Ormai non era più affar suo.


Vi è piaciuto? Spero di sì. Non è facile trovare il volto di questa Tamara, ma penso che ricorrerò ad un tipo di ragazza come Evangeline Lilly, sempre di "Lost" [nessun scopo di lucro]. Non è lei, affatto, ma pensate a una ragazza che le somigli... Alta, longilinea, viso liscio e allungato, bel sorriso e occhi chiari...  Tanto per darvi un volto a cui pensare e rendere il personaggio ancora più reale... Anche perchè è pure troppo bella per Danny XD

Poi immaginateli tutti come volete XD

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Capitolo 3
*** The Big Black Horse and the Cherry Tree ***


3. The Big Black Horse and the Cherry Tree
 
 


La cena stava andando perfettamente. La conversazione si era fatta lineare e piacevole ed aveva coinvolto anche Joanna, talvolta forzatamente, per evitare di farla stare nel classico angolino personale che si ritagliava quando si sentiva a disagio. Sua madre era stata come sempre bravissima ai fornelli e lei stessa lo aveva confermato con calore, facendole un piacere immenso.
“Sentirsi dire da un italiana che sono stata brava in cucina”, disse sua mamma, mentre toglieva gli ultimi piatti dal tavolo aiutata da Vicky, “è proprio una bella soddisfazione!”
“Beh... Glielo ripeto,  è stata bravissima.”, le fece ancora Joanna, facendola inorgoglire.
In brodo di giuggiole, sua madre lasciò la cucina pregando ancora di non voler essere aiutata da nessuno tranne che da sua figlia, che la seguì con una pila di stoviglie sporche tra le braccia.
Anche il dolce era andato, potevano quindi lasciare la sala da pranzo.
“Andiamo di là.”, disse Danny ad entrambe le due donna, Tamara e Little, che lo seguirono.
Era il caso di fare un po’ di sana conversazione e poi, al momento giusto, prendere Little in disparte e chiederle quello che più gli premeva. Voleva sapere cosa pensasse della sua fidanzata, il suo parere era tra i più importanti. Era comunque certo che le sarebbe piaciuta, così come era piaciuta a lui fin dal primo momento in cui l’aveva conosciuta, ad una festa per la premiere dell’ultimo film di Spielberg.
Si sedettero sui divani: Little vicino al bracciolo, loro due nell’altro sofà.
“Allora, Little, come mi trovi?”, le domandò scherzosamente, cercando lo sguardo divertito di Tamara, vicino a lui.
“Beh... Bene.”, disse lei, “Ti trovo... Bene!”
“Perfetto!”, esclamò, battendo le mani, “Adesso possiamo anche andare a letto.”
Risero tutti insieme.
“Come va in Italia, Joanna?”, le domandò Tamara, cordiale.
“Più o meno tutto a posto. Ci lamentiamo sempre, ma andiamo avanti.”, rispose Joanna.
La vedeva cambiata, anche se l’aspetto era più o meno il solito di Little Joanna. Sembrava più sicura di sé, meno timida del solito. L’essersi trasferita da Arianna, togliendosi quindi dalla campana di vetro in cui l’aveva rinchiusa il fratello, la stava facendo sbocciare. Era contento per lei, si vedeva che stava bene. O almeno così lo notava chi, come lui, la conosceva bene.
Si sentiva ancora in colpa per quello scherzo stupido, quel pacco regalo che le aveva spedito. A causa sua Joanna aveva rotto i rapporti con l’unico membro della sua famiglia a cui era ancora legata: così aveva letto in una delle mail che susseguirono il suo trasferimento, e non era andata oltre nel fornire nuovi dettagli sulla sua vita familiare. Era logico che non potesse scrivere tutto in una lettera virtuale, per lo stesso motivo lui non aveva approfondito la propria storia personale.
Avrebbero avuto il tempo di parlare apertamente di quelle cose, in fondo l’aveva voluta lì anche per quello: le doveva parlare di troppe cose, e di lei si poteva fidare ciecamente.
“Mi ha detto Danny che prima lavoravi nel locale dove ti hanno conosciuto.”, continuò Tamara.
“Sì, è vero.”, affermò Joanna.
Non era stato molto prolisso nel parlare di lei con Tamara, benché lei avesse sempre fatto tantissime domande al riguardo. Le aveva sempre detto: ‘La conoscerai e ti piacerà’.
“E adesso cosa fai?”, le chiese la sua ragazza.
“Lavoro in un cinema multisala.”, disse Joanna, “Non è molto appagante ma mi basta. Tu cosa fai?”
Era sicuro, le piaceva. Non era contento, era felicissimo.
“Io sono un’agente immobiliare.”, disse Tamara, che poi esitò nel continuare a parlare.
“Ci siamo conosciuti ad una festa.”, ne approfittò lui per dire la sua, “E’ stato Harry a presentarci.”
“Sì, è vero.”, confermò Tamara.
“Mi ci è voluto un po’ per convincerla a trasferirsi da me.”, continuò lui.
“Ero troppo attaccata alla mia casetta.”, sorrise Tamara.
“Però alla fine ce l’ho fatta!”, esclamò, “E siamo qui.”
“Già...”, disse Joanna, sorridendo ad entrambi.
La conversazione ebbe un momento di stasi, di imbarazzo. Lo notò soprattutto dagli occhi sfuggenti di Little, che sembravano non volersi stancare di volare altrove.
“Tamara!”, la chiamò Vicky dalla sala da pranzo, “Il tuo telefono sta squillando!”
Lei roteò gli occhi annoiata, si doveva essere dimenticata di spengerlo. Benedisse comunque quella chiamata, involontariamente gli aveva offerto l’occasione per parlare apertamente con Little. Infatti, non appena si allontanò le porse subito la prima domanda.
“Allora... cosa ne pensi di lei?”, le chiese, repentino, sedendosi accanto a lei per non essere costretto ad alzare troppo il tono della voce.
 

 
Deglutì con forza.
“E’... Molto bella.”, gli rispose, cercando di essere convincente, “State proprio bene insieme.”
“Dici sul serio?”, le domandò Danny, “Scusa se te lo chiedo, so che non mi mentiresti mai!”
Mai!
“Non lo farei.”, gli disse.
“Bene!”, esclamò Danny contento, “Non sai quanto il tuo parere sia importante per me.”
Ma quale film patetico stava vivendo? Era per caso ‘Il matrimonio del mio migliore amico’? Sperò di no, le commediole di quel tipo non le erano mai piaciute, e comunque loro due non si dovevano sposare.  Lo sperò con tutto il cuore.
Certo che sei proprio masochista!
“Sei stanca, Little, vero?”, le domandò Danny, cogliendola in quel momento di sconforto.
Aveva cercato di mascherare i suoi pensieri il più possibile ma lui, nonostante quell’anno lontani, era sempre capace di coglierli sulla sua faccia. Addirittura era stato in grado di leggerlo nelle parole scritte sullo schermo del pc.
“Beh... Un po’ lo sono davvero.”, gli disse.
Non mentiva, stava iniziando a sentire il torpore salire lungo le gambe.
“E’ proprio ora di andare a letto, altrimenti domattina non ti sveglierai!”, disse lui, scattando in piedi con entusiasmo.
“Buonanotte.”, gli fece, con un sorriso.
“Buonanotte cosa?”, sbuffò lui, “Fatti accompagnare.”
Assolutamente no, rimani qua che è meglio.
“Va bene.”, rispose, con esitazione.
Cretina!
Lui le indicò di precederlo e, un passo dopo l’altro, arrivarono davanti alla porta della sua camera.
“Ecco, qui posso darti davvero la buonanotte!”, le fece.
Si avvicinò e le dette un bacio sulla fronte.
Chiese a chi di dovere, lassù un cielo, di far durare quel momento per l’eternità, ma nessuno la accontentò, ed ebbe l’ennesima dimostrazione pratica che non esisteva alcun Dio caritatevole, nell’alto dell’universo.
“Notte Little!”, disse Danny.
Rispondi, idiota.
“… Notte...”
Lui le sorrise e, velocemente, tornò al piano di sotto. Esalò un profondo respiro, trattenuto dall’attimo in cui aveva compreso che lui stava per darle il bacio della buonanotte. Chiuse la porta, e si buttò sul letto.
Poteva andare peggio di così? Si.
Il giorno seguente lo avrebbe passato con i due piccioncini ed Harry, ne era così entusiasta che avrebbe voluto prendersi a coltellate con un inutile lama di plastica. Per di più sarebbe stata su un cavallo, cosa che non le andava per niente a genio; non aveva paura di quegli animali, ma di certo non ci andava d’accordo.
Si alzò da quella tomba morbida ed andò in bagno a prepararsi per la notte. Era l’ora di dormire il più a lungo possibile, magari non sentire nemmeno la sveglia. Ma che ora si sarebbe dovuta svegliare?
Lo avrebbe chiesto a Danny, ma solo dopo essersi lavata i...
Tre battiti alla sua porta la colsero con lo spazzolino tra i denti.
“Little, sono io!”, disse Danny, al di là di essa, “Volevo dirti che domattina la sveglia è alle sette e quindici, va bene?”
Come  la volete chiamare? Coincidenza, telepatia, tempismo perfetto?  Oppure semplicemente fottuta fortuna.
“Perfetto!”, gli rispose, con la bocca impastata dal dentifricio.
“Ti stai lavando i denti vero?”, le chiese lui, mettendosi poi a ridere.
Si sciacquò la bocca.
“Esattamente!”
“Buonanotte ancora!”, ripeté lui.
“Notte...”
Tra uno sbadiglio e l’altro si infilò il pigiama e si pettinò i capelli, togliendo un po’ del ricciolo che la spuma aveva dato loro. Tra lei e Tamara ci correva un abisso stratosferico, una distanza tale da renderle impossibili da comparare. Adesso capiva perché non c’era stato niente tra di loro, perché se quelle come Tamara erano ‘il suo tipo’, lei era tutt’altro.
Si stese sul letto, sospirando di rassegnazione.
Una settimana ancora davanti...
Da spararsi.
 
 
Era la seconda volta che le bussava. Sapendo del suo sonno pesante prevedeva quasi di svegliarla di persona, scuotendola bene, ma preferiva evitare per non disturbare la sua intimità.
“Little! Svegliati!”, la chiamava, “Little!”
La sentì bofonchiare qualcosa.
“Little Joanna? Ci sei?”, insistette.
“Sì...”, gli rispose stancamente, “Scendo subito.”
“Fai con calma, siamo in anticipo!”, la informò.
Personalmente era già pronto, sveglio e scattante, ma le due donne presenti in quella casa sembravano su una diversa frequenza d’onda. Tamara stava addirittura ancora dormendo.
“Vado a preparare la colazione!”, le disse e la lasciò a prepararsi.
Nella sua cucina, sulle note di una musichetta simpatica che suonava nella sua testa da quando si era svegliato, con mano esperta aprì i giusti cassetti, afferrò i giusti contenitori e, in pochi minuti, la tavola fu imbandita. Si sedette e, con una fetta di pane tostato che sgranocchiava tra i denti, si mise in attesa.
Sperò che Little avesse dormito bene, quel letto non era stato usato molte volte e doveva essere duro come un sasso. Lui non ci avrebbe mai passato una sola notte, ma vista la capacità di Joanna di  addormentarsi ovunque senza problemi non si fece troppi pensieri.
Guardò l’orologio al polso, segnava le sette e ventitre.
Quando lo guardò di nuovo erano le sette e quaranta, nessuna si era ancora presentata. Lui aveva finito tutte i biscotti ripieni di confettura di mele, il suo indice era tutto impiastricciato di marmellata di albicocche e il burro si era totalmente sciolto.
Stava per tornare a chiamarle, quando il rumore di passi lo fece desistere. Tamara si affacciò alla cucina assonnata, ancora in pigiama. Qualche secondo dopo di lei spuntò Little, già vestita, pronta per uscire.
“Buongiorno.”, disse lei sorridendo. Poi guardò la tavola apparecchiata. “Dove posso sedermi?”
“Dove vuoi!”, le rispose.
Scelse il lato opposto della tavola.
“Dormito bene?”, le domandò. Se non fosse stato così, l’avrebbe fatta spostare nell’altra camera, più vicina alla sua.
“Sì... anche se il risveglio è stato abbastanza traumatico...”, scherzò sorridendo.
“A chi lo dici...”, aggiunse Tamara, sempre stravolta alla mattina. Non sembrava nemmeno lei, di solito sempre perfettamente a posto. Ma l’amava così com’era, non ci poteva fare niente. Si sedette accanto a lui e si versò del caffè.
“Mi dispiace, ho visto l’ora e siamo in ritardo.”, disse Joanna, spalmando sulla sua fetta tostata un po’ di burro.
“Figurati!”, le rivelò, “Sapevo che non avremmo mai rispettato la tabella di marcia e, per questo, ho anticipato tutto di mezzora.”
“Ah!”, esclamò Tamara, “Lo sapevo!”
Non sembrava tanto contenta.
“Abbiamo preso un appuntamento con quelli del maneggio per le dieci, ci vuole almeno un’ora e mezza per arrivarci e non volevo passare per ritardatario.”, le spiegò con calma.
Era sempre un po’ scorbutica di prima mattina ma ormai ci aveva fatto l’abitudine. Bastava solo prenderla con le pinzette, sarebbe presto tornata ad essere la solita Tamara.
Terminarono la loro colazione in silenzio e notò con piacere la notevole quantità di cibo che Little si era mangiata. Come poteva un corpicino così esile contenere tutte quelle fette biscottate con la marmellata?
“Che c’è?”, chiese lei, sentendosi osservata sia da lui che da Tamara.
Lei non faceva mai una colazione abbondante, lui aveva già mangiato: Joanna era rimasta quindi l’unica intorno a quella tavola a continuare a riempirsi il piatto.
“Ma quanto mangi!”, le fece, ridendo, “Fai concorrenza a Poynter!”
Quella battuta gli sfuggì di bocca e se ne pentì. Infatti Little, forse per quel nome o forse per la scherzosa esclamazione, arrossì e lasciò la sua fetta mangiucchiata sul piatto.
“Dougie fa impressione quando mangia!”, continuò Tamara, “Mi domando se abbia l’intestino che si rigenera dopo ogni pasto...”
Non le aveva parlato di quello che era successo tra Little e Dougie e cercò, con gesto della testa, di farle capire che era meglio lasciar cadere la questione.
Il campanello si intromise e pose fine all’imbarazzo.
“E’ Harry.”, disse, alzandosi per andare ad accoglierlo.
 
 
 
Seduta sul sedile posteriore della macchina di Danny, una comoda utilitaria d’alta classe grigia metallizzata, guardava fuori dal finestrino. Dall’altra parte Tamara, parallela a lei e nella sua solita posizione. Davanti a loro i due uomini, che chiacchieravano sommessamente delle previsioni sportive di quella domenica di inizio estate. Tipiche discussioni maschili e lei, che non ne capiva una mazza, preferiva rinchiudersi in una bolla di silenzio, dalla quale osservava con occhi rapiti il paesaggio intorno a lei.
Era come aveva detto Danny, la campagna inglese non aveva niente da invidiare a quella italiana...  E le tornò il paragone fatto tra se stessa e Tamara, prima di addormentarsi su quel letto un po’ scomodo. Sia loro due che i paesaggi erano così differenti che risultava perfettamente inutile mettersi lì ad elencarne i pro ed i contro. Ovviamente Joanna amava troppo la sua patria per farsi piacere l’english country, ma quello che vedeva comunque era delizioso e caratteristico.
“Hey, Jojo, tu sai andare a cavallo?”, le chiese Harry, voltandosi verso di lei, e rompendo la bolla in cui si era rinchiusa.
“A dire il vero no...”, rispose, “Ci sono salita una volta sola.”
“Non preoccuparti.”, le fece Danny, con tono rassicurante, “Non dovremo cavalcare, solo seguire lentamente la guida.”
“Ah bene.”, rispose.
“Ti piacciono i cavalli?”, le domandò Tamara.
Ancora non era riuscita a comprendere quale fosse l’atteggiamento della ragazza nei suoi confronti. Era un po’ fredda, questo l’aveva capito fin dal primo momento, ma non c’era stato nessun segno di ostilità nei suoi confronti. Meglio così, si disse, non voleva creare confusione. Non voleva essere di nuovo responsabile di situazioni critiche in cui era stata trascinata contro la sua volontà.
“Sì... Abbastanza.”, le disse, “Sono... Molto belli.”
“Non sembri convincente.”, la colse lei in fallo.
“E’ che non so cosa aspettarmi, tutto qui.”, disse Joanna, tacendo la brutta caduta che aveva fatto, molti anni addietro.
“Te l’ho detto”, le ripeté Danny, “basterà solo seguire il capofila, che ci condurrà per sentieri. Non ci saranno problemi.”
Lo spero... Non voglio morire!
“E torneremo a casa per le cinque del pomeriggio. Stasera ho da fare con Tom.”, disse ancora lui
“Cos’hai in programma?”, gli domandò, tacendo la preoccupazione di rimanere sola con Tamara.
 “Devo andare ad una noiosa trasmissione serale... Fare la solita comparsata, suonare due pezzi in acustica con lui e tornare a casa.”, le spiegò Danny.
La macchina svoltò a sinistra e, dopo qualche centinaio di metri, la strada divenne sterrata. La percorsero dritta verso ovest finché non raggiunsero il suo termine. Il maneggio era lì davanti a loro, in pietra e legno. Doveva essere una costruzione molto vecchia, forse apparteneva alla grande casa che vedeva in lontananza alla sua destra. L’aspetto era infatti antico, tutte quelle pietre regolari della facciata le facevano pensare ai vecchi castelli medievali che popolavano i libri di storia: Lancillotto e Re Artù, entrambi innamorati di Ginevra, sembravano aver vissuto lì i loro giorni di gloria.
Seguirono Danny, che sembrava conoscere tutto come le sue tasche, e continuava ad osservare il posto. Era popolato da stallieri che spazzolavano bellissimi cavalli dal pelo lucido, persone che ridevano aristocraticamente nei loro pantaloni bianchi attillati e giardinieri che si occupavano di fare barba e capelli alle siepi geometriche.
“Siamo di poco in anticipo”, li informò Danny, con soddisfazione, “possiamo cambiarci con calma.”
“Cambiarci? E per quale motivo?”, sbuffò Harry.
Tra tutti loro era quello meno entusiasta della gita, sicuramente anche meno di lei. Nascosto dietro ad un paio di occhiali da sole, raramente sorrideva e si lasciava andare solo a conversazioni tenui, condotte a voce bassa e roca. Dormiva ancora in piedi.
 
 
Nuda. Si sentiva come nuda. Quei pantaloni stretti e bianchi sembravano una calzamaglia fastidiosa che invitava i suoi slip ad infilarsi nei posti più reconditi del suo corpo. I piedi ciottolavano negli stivali larghi: nonostante fossero esattamente del suo numero la circonferenza del cuoio intorno al suo polpaccio era esageratamente grande. Inoltre, le suole facevano un casino tremendo quando camminava. La giacca nera copriva un lupetto del medesimo colore ed era l’unica cosa che sembrava starle bene indosso, senza darle troppi problemi. Con i guanti ed il casco in mano, i capelli legati in una coda, uscì dagli spogliatoi lievemente imbarazzata.
“Guarda che gambe che hai!”, esclamò subito Harry, già pronto per partire, seduto su una panca a qualche passo da lei.
“Sempre troppo gentile.”, gli sibilò.
“Mi sembravi più grassa.”, insistette lui.
“Oh grazie, sono commossa.”
“Vieni qua!”, le fece, “Siediti accanto allo Zio McHot!”
“Nemmeno se mi paghi.”, lo zittì, uscendo fuori all’aria aperta.
Era già nervosa, si stava avvicinando il momento in cui sarebbe stata costretta a salire di nuovo su un cavallo, con la paura di cadere di nuovo. Se ci si metteva anche Harry, con le sue prese di culo, avrebbe finito per nascondersi a piangere in uno dei bagni.
Il sole era alto nel cielo, stranamente nessuna nuvola in vista. Faceva abbastanza caldo e quella giacca di stoffa pesante la stava asfissiando. In processione davanti a lei passò una lunga di fila di persone, in sella ai loro animali, che ridevano e scherzavano. Forse stavano tornando da un gita come quella che stavano per fare.
“Little!”, la chiamò Danny, “Dobbiamo andare da questa parte!”
Insieme a Tamara li attendeva vicino all’entrata degli spogliatoi, alle sue spalle. Lo raggiunsero e si incamminarono insieme verso le stalle dove un ragazzo biondo li aspettava sorridente.
Dopo aver salutato con una stretta di mano ognuno di loro, li introdusse ai loro cavalli. Atterrita dalla stazza di quel maschio nero, Joanna ebbe un lungo momento di esitazione. Gli altri erano già saliti, aspettavano solo lei e sembravano entrati perfettamente in intimità con i loro animali. Il suo invece la squadrava continuamente, di sbieco, e scuoteva la testa nervosamente.
“Vuoi una mano a salire?”, le domandò il biondo, Jack, che li avrebbe condotti nella passeggiata campestre.
“No! No!”, esclamò ritraendosi, “Faccio da sola!”
“Va bene.”, disse il ragazzo, “Allora metti il piede sinistro sulla staffa, afferra la sella e tirati su.”
E’ facile, lo ha fatto quella grassona laggiù, puoi farcela anche tu.
Fece come le aveva detto Jack e, al primo tentativo, il cavallo sbuffò e nitrì, azzerando le sue capacità motorie. Tornò con i piedi per terra e Jack fu pronto per calmare il cavallo.
“Sente che hai paura.”, le disse lo stalliere, “E si innervosisce.”
Ti hanno anche dato il cavallo empatico, che fortunata che sei!
“Little, se avevi paura dei cavalli potevi dirlo.”, le disse Danny, “Avremmo potuto fare altro.”
“Dormire.”, concluse Harry, facendo ridere Tamara.
“Non ho paura!”, esclamò con sicurezza.
Infilò il piede sulla staffa e, rinnovata la sua forza, salì con un balzo sul cavallo.
Se osi farmi un brutto scherzo, giuro che ti castro!
Jack prese il cavallo per le briglie e lo fece avvicinare agli altri tre; poi impartì loro brevi istruzioni per non far innervosire la bestia e condurla senza troppi intoppi. Una volta montato sul suo cavallo si pose alla testa del gruppetto e, lentamente, partirono per la scampagnata.
 
 
 
Aveva perso di vista il confine del bosco dove si stavano addentando e, all’ombra di quei vecchi alberi ricoperti di muschio, un brivido corse lungo la sua schiena. L’aria era fredda, in certi punti quasi gelida: il sole, infatti, era sempre troppo giovane per riuscire a riscaldarla fino in fondo e, mentre alla luce si moriva di caldo, lì all’ombra si rabbrividiva.
Inizialmente sulle loro spalle, poi appesi ad alcuni ganci metallici delle selle, stavano le sacche con dentro il pranzo. Sembrava filare tutto liscio: Spencer, il suo cavallo nero, si era rivelato essere un animale abbastanza docile e quieto, nonostante la diffidenza iniziale e qualche episodio sbuffo. L’unica cosa che la preoccupava era la sella sotto di lei: sembrava si muovesse troppo.
L’animale borbottò qualcosa e sembrò annuire con la testa
“Calmo, va tutto bene, va tutto bene…”, gli sussurrò, pregando che il terrore che le stava stringendo lo stomaco non venisse percepito.
“Come dici, scusa?”, le domandò Harry, dietro di lei, che la seguiva a pochi metri di distanza. Era lui che chiudeva il gruppo ed aveva il compito di tenerla d’occhio.
“Niente.”, gli disse, con un sorriso conciliante.
Sistemò la fibbia del casco sotto il mento e tornò a cavalcare, immersa nei suoi pensieri. Davanti a lei viaggiava Tamara con il suo cavallo marrone, preceduta da Danny che chiacchierava di gusto con Jack. Sempre di calcio, ovviamente, in quella giornata non l’aveva mai sentito dire una parola al di là di quell’argomento.
 “Hey Jack!”, sentì Harry esclamare alle sue spalle.
La comitiva si fermò.
“E’ normale che dalla sella di Jojo penzoli quella cosa?”, domandò Harry, indicandola con una mano.
Lo stalliere osservò la situazione delle parti basse del suo cavallo.
“Oh cavolo!”, esclamò poi, avvicinandosi a passo svelto, “Le hanno montato una sella rotta!”
Ti pareva che mi non dessero, oltre al cavallo sensitivo, anche la sella rotta… E il frustino moscio?
“Sei fortunata a non essere ancora caduta.”, le disse Jack, esaminando lo stato della sella sotto la pancia dell’animale, “Si è rotto proprio uno del lacci portanti, saresti potuta finire a terra da un momento all’altro.”
Solo il pensiero di aver corso un rischio del genere la stava spaventando fino all’osso.
“E… Cosa devo fare?”, domandò, tremante.
 “Beh, dobbiamo riportare il cavallo alla stalla e cambiare la sella...”, disse Jack, non trovando altra soluzione, “Ti aiuto a scendere.”, e lasciò il suo cavallo, “Ma non mettere i piedi nelle staffe o cadrai.”
Era l’ultima cosa che voleva far accadere. Lo stalliere le si avvicinò e le disse di appoggiarsi con le mani alle sue spalle. La prese per i fianchi e, nello stesso momento in cui i suoi piedi toccarono terra, la sella scivolò via dalla schiena di Spencer e cadde a terra.
“Adesso sali dietro di me e torniamo alla stalla.”, le disse Jack.
“Non posso portarcela io?”, si propose Danny, “Così voi continuate la gita e noi risolviamo la questione della sella. Se Jack se ne va, non saprete dove andare.”
Al solo pensiero di quello, il cuore le balzò in gola.
“Meglio se vado io.”, si intromise prontamente Harry, “La accompagnerò e troveremo il modo di tornare da voi.”
“Potrebbe essere una buona idea.”, disse Jack, “Così non sarete costretti a concludere qua il programma. Basta solo che chiediate di Steven, troverà lui una sella in sostituzione per Spencer.”
Ed io di chi devo chiedere per imporvi di farvi i cazzi vostri?
“Ma poi come faremo a ritrovare la strada?”, domandò lei, “Ci perderemo di sicuro!”
“E’ facile, dovete solo seguire i cartelli rossi.”, disse Jack, “Tutti i sentieri sono segnalati. Ricordatevi però che al dodicesimo segnale dovete svoltare per il sentiero di sinistra…”, lei ed Harry annuirono, “Quindi tenete a mente, dodicesimo cartello rosso a sinistra!”, ripeté Jack ancora, “Ci dovremmo incontrare in una radura, sotto una grande quercia, a un centinaio di metri dalla fine del bosco.”
“Memorizzato!”, esclamò Harry, “Adesso sali dietro di me, Jojo, portiamo questo centauro a riparare la sua gomma!”
Sospirò, accettando il gesto cavalleresco di Jack di aiutarla nel montare in groppa al cavallo biancastro del batterista, che le sorrideva beffardo come sempre.
“Reggiti forte, bellezza!”, scherzò lui ancora, prendendole le mani e costringendole a cingergli l’addome.
Lanciò uno sguardo a Danny.
E poi partirono.
 
 
Occasione perfetta, una manna dal cielo che aveva concluso i suoi vari e machiavellici piani mentali destinati ad isolarla da Danny. Non perché volesse rimanere solo con lei, anzi, l’idea non lo interessava minimamente.
Tempo addietro, appena aveva realizzato il vero motivo per cui era stata chiamata lì, tenutole debitamente nascosto da Danny che, stupido ed ingenuo, aveva voluto farle una sorpresa, se n’era accorto subito che cosa era passato per la mente di quella povera ragazza. Non solo il suo amico Jones non si era minimamente reso conto dell’inutilità del mantenere vivo il contatto con lei, vivendo un’assurda farsa in cui loro due erano diventati amici per la pelle. In aggiunta a questo, i suoi occhi erano del tutto ciechi nel realizzare che la sua deliziosa Little era completamente innamorata di lui.
La situazione era complicata, estremamente delicata.
Non biasimava Jojo, al cuore non si comandava mai. Anzi, gli dispiaceva per quello che lei stava vivendo: una settimana a casa di Danny, dove lui conviveva felicemente con Tamara. Se doveva avercela con qualcuno, era con Jones quello con cui arrabbiarsi.
Stessa situazione dell’anno precedente, solo che il cubo di Rubik aveva cambiato le sue facce: prima il baricentro della questione era Jojo, a metà tra Dougie e Danny. Adesso si era spostato su Danny, e Poynter era uscito di scena per fare posto a Tamara. Conoscendola, Jojo non avrebbe mai fatto né detto una sola parola per intaccare la relazione del suo amico più stupido del mondo. Il problema era far capire a Jones cosa lei provasse per lui.
Inoltre, si sentiva troppo intelligente per non sentire puzza di bruciato anche sul fronte di Danny.
 “Allora, Jojo… Sei contenta di essere così vicino a me?”, le disse, scherzando.
Lei se ne stava rigida alle sue spalle, con un braccio che gli cingeva addome, mentre con l’altra mano teneva le briglie di Spencer; l’animale passeggiava tranquillo al loro fianco, libero della sua cavallerizza. La sella era stata risistemata malamente sulla sua schiena.
“Sono felice come non mai.”, rispose lei.
“Non essere così entusiasta.”
“Vediamo di sbrigarci.”, concluse la ragazza.
“Come vuole, sua Maestà.”
Furono presto al maneggio, non erano molto distanti. Arrivati alle stalle chiesero di Steven, il quale cambiò in poco tempo la sella a Spencer. Dopo nemmeno un quarto d’ora erano di nuovo dentro la macchia, con il solito passo lento.
“Non vorrai mica startene zitta finché non ci ricongiungiamo agli altri!”, le disse.
Lei non rispose.
Ce l’aveva ancora con lui per l’essere sempre stato schietto e sincero, sebbene tra tutti, insieme Tom, fosse stato quello che le aveva causato meno dolori.
“Va bene, Jojo.”, le fece, dando dei colpetti al cavallo che, in risposta, aumentò la velocità, iniziando a distanziarla sensibilmente.
“Cosa stai facendo?”, domandò lei prontamente, vedendolo in rapido allontanamento.
“Visto che non mi vuoi parlare, io vado per fatti miei.”, le rispose.
“Fermati! Non puoi farmi questo, ho paura del cavallo!”, urlò Jojo in preda al terrore.
Si fermò, voltandosi verso di lei.
“Mi parli o non mi parli?”, le disse, come un ultimatum.
“E va bene!”, sbuffò lei, recuperando il distacco, “Cosa vuoi che ti dica?”
“Beh… Innanzitutto troviamo un buon punto di partenza per una conversazione civile ed ordinata.”, le fece, sorridendole.
Presero a cavalcare a passo più veloce. Teneva d’occhio i segnali rossi: erano sulla buona strada, forse nel giro di venti minuti avrebbero raggiunto gli altri.
“Parliamo della mezza stagione...”, disse lei, visibilmente scocciata.
“Ok…”, acconsentì con ironia, “Ma non è il mio argomento preferito.”
“E allora proponilo tu!”, gli passò la palla.
Perfetto, proprio quello che voleva lui.
“Dimmi, cara Jojo”, esordì, “come ti trovi quassù?”
Lei si fece attendere.
“Bene.”
“E’ bella la casa di Danny, non è vero?”
“Sì.”
“Sai che ha anche una piscina sul retro?”, le fece, “E’ l’unico di noi ad averla, per questo siamo sempre a tallonare la sua porta, soprattutto d’estate.”
“Molto interessante.”, rispose lei, sarcastica, “Cos’altro dovrebbe stupirmi?”
“Ah, questo non lo so. Anche se non credo che la piscina di casa Jones sia la cosa più sbalorditiva che tu abbia visto…”
“Lo so dove vuoi andare a parare!”, esclamò subito Jojo.
Mica scema la ragazzina, pensava, rinnovando la stima che aveva sempre avuto nei suoi confronti, ma che era stata celata.
“E stai tranquillo, sono contenta che quei due stiano insieme!”, continuò lei, automatica, “Credimi, è la cosa più bella di questo mondo che due innamorati vadano a vivere sotto lo stesso tetto. E’ fantastico e non ci vedo niente di male!”
“Senza dubbio.”, le fece.
“Quindi qual è il punto?”, lo esortò Jojo, “Dove vuoi arrivare? Vuoi insinuare qualcosa anche tu come ha già fatto sua sorella Vicky, oppure vuoi essere sincero e leale con me, come sei sempre stato, e dirmi le cose come stanno?”
E dire che tutta quella forza d’animo e di voce sembravano del tutto estranei alla piccola ed indifesa Jojo.
“Beh… Io non insinuo un bel niente.”
“Eh no, Harry, tu vuoi arrivare a farmi dire qualcosa che sai che non è vera!”, disse lei, sistemandosi sulla sella.
“E qual è questa cosa che io vorrei farti dire anche se già so che non è vera?”
“Non te la dico!”, concluse Jojo, “Perché se lo facessi sarebbe come dare una prova di quello che vuoi farmi confessare.”
Era più difficile di quanto aveva pensato. Era sicuro che sarebbe bastato un qualche giro di parole criptiche per farla crollare, invece lei si stava dimostrando un buon avversario.
“Scusa, Jojo, ti ricordi quanti cartelli rossi dovevamo passare prima di svoltare?”, le domandò, deviando.
Aveva avuto l’improvviso dubbio. Lei parve addirittura rincuorarsi per quel cambio di conversazione.
“Non lo so, me lo hai fatto passare di mente!”, esclamò lei,  “Tu quanti ne hai contati?”
“Tredici.”, fece con sicurezza, “Dobbiamo svoltare a destra al prossimo cartello.”
“Ecco, allora vediamo se riusciamo a raggiungere gli altri in silenzio.”
Detto quello, ormai sicura della sua cavalcatura, Jojo aumentò il passo.
La accontentò, non avrebbe saputo più niente da lei. Non la conosceva bene, ma si era fatto una precisa idea di Jojo: se non voleva parlare, non lo avrebbe mai fatto.
 
 
Il quattordicesimo segnale rosso arrivò di lì a poco. Innervosita, dolorante per le scosse del cavallo e con lo stomaco in subbuglio per la fame, appena vide il sentiero a destra lo imboccò. A qualche passo da lei Harry, rispettoso del silenzio che aveva richiesto.
Poco dopo la svolta, però, le venne da riflettere. Fermò il cavallo.
“Harry… Siamo sicuri di aver preso la strada giusta?”, gli chiese.
“Beh… Quattordicesimo segnale rosso a destra.”, disse lui con calma, “Quindi sì, siamo sulla strada giusta.”
“E perché non abbiamo trovato gli altri?”, domandò.
“Magari non abbiamo recuperato abbastanza terreno per incontrarli.”, le disse.
Già, poteva essere vero, eppure in cuor suo sentiva di aver sbagliato qualcosa.
“Potremmo anche chiamarli, ma non credo ci sia linea per il cellulare.”, disse lui, che si frugò nella tasca del giubbino nero, simile al suo, e trovò conferma per la sua ipotesi, “Nemmeno una sola tacca.”
“Cosa facciamo?”
La paura stava salendo. Fin da piccola uno dei suoi peggiori incubi era stato il perdersi, rimanere da sola, non ritrovare la sua compagnia. Non doveva provare alcuno spavento, era con Harry, non completamente sola… Ma non era sufficiente. Voleva essere con Danny e lui sembrava ancora troppo lontano.
“Continuiamo, la via è questa.”, disse Harry, “Prima o poi saremo alla radura di cui ci ha parlato Jack e li troveremo. Sicuramente staranno già mangiando.”
“Non dirmelo”, gli fece, “ho una fame!”
“Anche io!”, esclamò lui, passandosi una mano sullo stomaco.
Le venne da ridere.
Si rimisero in cammino, l’uno di fianco all’altro.
“E tu, Harry, cosa trovi di interessante nella casa di Jones, oltre alla piscina?”, gli fece, con ironia.
Ancora non gli perdonava il suo atteggiamento ostile, figuriamoci se chiudeva un occhio per la discussione di prima. Ma visto che la paura stava salendo sempre di più, era meglio trovare un diversivo chiacchierando con lui.
“Solo quello!”, disse lui, quasi subito, “Per il resto è tutto da buttare!”
La fece ridere e rilassare, anche se solo per una briciola di tempo.
Le venne in mente di poter chiedere a lui informazioni su Tamara…
“A me piace molto Tamara.”, gli disse, “E a te?”
Lui tardò nella risposta, lanciandole un’occhiata d’indagine. Non avrebbe trovato segno di cedimento: si odiava per quello, ma aveva scoperto quel lato ipocrita di sé, ereditato da sua madre, e si era decisa a vestirlo finché non fosse salita sull’aereo diretto a casa.
“Solo per il fatto che non pretende cose impossibili da Danny, quella ragazza mi piace.”, disse lui, passandosi tra le mani le briglie del cavallo.
“Perché dici così?”, gli fece.
Danny non le aveva mai parlato di cose del genere, né aveva mai rammentato il nome di una sua ex, tanto da farle pensare che non ci fossero state persone così importanti nella sua vita. Il coraggio di spulciare su internet alla ricerca di informazioni sul suo conto non lo aveva mai avuto, ed oltretutto gli sembrava una grossa presa di culo nei confronti di Danny.
“Beh… So che non te ne ha mai parlato, lo capisco da questa tua domanda”, disse Harry, con intelligenza, “quindi non vedo perché dovrei farlo io.”
“Hai ragione, scusa.”, gli fece.
Era corretto.
“Comunque sappi che non è mai stato granché fortunato con le donne.”, aggiunse lui, con tono malizioso.
“La fortuna sembra aver girato a suo favore.”
“Sì… Direi di sì.”, rispose Harry, “Ma chi lo sa…”
Poi lo vide distrarsi, guardare dritto davanti a sé.
“Siamo arrivati.”, le disse.
La sua faccia si distese: anche lui doveva aver avuto paura di perdersi come lei. Di fatti, non appena uscirono dal bosco si trovarono davanti ad una piatta pianura, colorata di ogni tonalità di verde, dalla più scura alla più intensa.
Subito, però, la preoccupazione piombò di nuovo.
“Ma dove sono gli altri?”, fece Harry, mirando il paesaggio piatto davanti a loro con una mano sugli occhi.
“E dov’è la quercia?”, disse a quel punto lei.
L’unico albero che si presentava ai loro occhi, ad una discreta distanza da loro, non aveva proprio le sembianze di una quercia.
Si guardarono intorno spaesati.
“Io tornerei indietro.”, disse lei, sempre più spaventata.
Harry se ne accorse subito.
“Tranquilla, Jojo, non ci siamo persi, sappiamo benissimo tornare indietro.”, la tranquillizzò, “Il sentiero dopo la svolta è praticamente privo di intersezioni con altre strade, non ci perderemo ancora. La cosa più saggia da fare ora è riposarci, mangiare, e tornare indietro.”
Sembrava abbastanza convincente, ma la paura era sempre lì.
“Fidati di me, Jojo.”, insistette Harry.
 
 
Al posto della quercia, quella radura pianeggiante ospitava un solitario albero di ciliegie, carico di piccoli frutti rossi.
“Adoro le ciliegie”, disse, legando il cavallo ad uno dei rami più bassi della pianta, “mi sa che farò indigestione.”
Gli erano sempre piaciuti quei frutti ed aveva scordato il numero delle volte in cui ne aveva mangiate così tante da rischiare di finire in ospedale.
“A chi lo dici, piacciono molto anche a me!”, si aggiunse Jojo, imitandolo nella legatura delle briglie.
Presero i loro sacchi e, seduti all’ombra macchiata qua e là di sole, scartarono i sandwich. Ormai si erano persi, o meglio, non erano riusciti a prendere il giusto sentiero e si erano trovati da tutt’altra parte, forse molto lontani dagli altri. L’unica cosa che potevano fare era accomodarsi, riposarsi e riprendere la strada del maneggio appena possibile.
Sperò che non si stessero preoccupando tanto per loro... In fin dei conti stavano bene.
“Ma che schifo!”, esclamò Harry, osservando il contenuto dei panini, “Io odio i cetriolini!”
Jojo osservò il ripieno dei suoi panini.
“Io ho solo prosciutto e formaggio, vuoi i miei?”, gli propose.
“Se non ti dispiace…”, le disse, felice.
“Figurati, a me i cetriolini piacciono.”
E si scambiarono i panini.
Il silenzio regnò per tutto il pranzo, entrambi erano troppo affamati per impegnare la loro bocca in discussioni. Brindarono alla salute dell’altro, facendo schioccare il collo delle bottigliette d’acqua e bevvero. Sebbene i loro stomaci non si fossero ancora saziati del tutto, il pranzo finì in pochi minuti.
Prima di alzarsi per prendere una manciata di ciliegie, Harry attese educatamente che Joanna finisse il suo sandwich. Era anche abbastanza impaziente, lei se ne accorse e, ridendo, gli disse che poteva mangiare tranquillamente la frutta sopra le loro teste, avrebbe finito con calma.
“E via con l’indigestione!”, esclamò, alzandosi ed allungandosi per prenderne un po’.
Ne colse più che poté, sistemandoli nel lembo della maglietta come aveva fatto migliaia di volte da piccolo. Quando anche Jojo volle fare altrettanto, sembrava che ormai i frutti più maturi e più bassi fossero già stati colti da lui.
“Ti do una mano.”, le disse Harry, vedendola in difficoltà.
Non che fosse così piccola, si aggirava ad occhio e croce attorno al metro e sessantacinque, ma comunque non arrivava a prendere una ciliegia nemmeno saltando. La afferrò per le gambe e, con estrema facilità, la sollevò da terra. Le ciliegie divennero finalmente alla sua portata e, velocemente, ne prese una buona manciata.
Una ventata più fredda li colse, ma non vi fece caso. Aveva sopportato un caldo infame chiuso dentro a quella giacca nera da equitazione e ora, che stava beatamente in maglietta, un venticello fresco come quello non era altro che una benedizione divina.
Seduti di nuovo, mangiarono il loro raccolto.
“Stavamo dicendo”, disse a Jojo, recuperando le fila dell’interessante conversazione interrotta dall’arrivo nella radura e dal pranzo, “il tuo amico Danny sembra aver trovato la persona che faccia per lui.”
“Sì, si vede.”, disse lei, “Mi hanno detto che si sono conosciuti ad una festa, poco dopo Natale.”
Sembrava perfettamente neutrale, anzi, mascherava completamente la verità con un’abilità straordinaria. Era sicuro di quello che provava per Danny, più sicuro dello stesso fatto di trovarsi lì con lei, seduta a gambe incrociate, che non si era nemmeno tolta il casco. Forse aveva capito che non c’era niente da fare e, quindi, reagiva di conseguenza in quel modo.
“Proprio così”, le rispose, “Tamara è una brava ragazza.”
Lo pensava davvero. Non che fosse la dea dell’amore scesa in Terra, sicuramente aveva i suoi difetti belli e buoni, ma non aveva mai passato abbastanza tempo in sua compagnia per coglierli. Per adesso quello che aveva visto era semplicemente il fatto che era una ragazza a posto, senza pretese, non la classica arrampicatrice in cerca di fama.
“Ne ha proprio l’aspetto.”, confermò anche lei, “E sembra anche una persona a posto, sono contenta per lui.”
“Già…”, disse.
Non andavano avanti, né indietro. E le ciliegie stavano finendo, martoriate ad una velocità supersonica da entrambi. Di nuovo il vento freddo lo investì, stavolta con più forza di prima. Alzò gli occhi al cielo: velocemente, il sereno era stato sostituito da una marea di nuvole grigie.
“Sembra che stia per arrivare un temporale.”, disse Jojo.
“Non credo.”, la tranquillizzò, “Il vento sta spostando le nuvole più pesanti laggiù, non ci sfiorerà nemmeno.”
Ma stava iniziando a fargli freddo e, velocemente, indossò di nuovo la giacca nera.
“Ti stai divertendo?”, le domandò sorridendole.
“Guarda, ti dirò la verità.”, rispose lei, mangiando la sua ultima ciliegia e liberandosi del nocciolo, “Stai iniziando a starmi simpatico, Harry.”
“Oddio, sono lusingato!”, le fece con ironia, “Davvero, non mi sarei mai aspettato un onore del genere!”
“Smettila!”, lo rimproverò lei, “Lo sto dicendo seriamente!”
Le sorrise, era imbarazzata.
Un tuono in lontananza li interruppe.
“Tranquilla, non si metterà a piovere.”, le ripeté.
“Se lo dici tu...”, disse Jojo, alzando gli occhi al cielo.
“Tutto fumo e niente arrosto!”, esclamò di nuovo lui, stendendosi sull’erba, con le mani dietro la testa, “Can che abbaia, non morde!”
 
 
 
Non si ricordava un temporale più furioso di quello, da diverso tempo a quella parte. Era iniziato quando ormai loro - Tamara, Jack e lui -  erano alle porte del maneggio e non si erano bagnati molto.
Avevano sperato che Little e Harry si fossero trattenuti nella struttura: Jack aveva detto che per quel giorno c’erano state molte prenotazioni e che, probabilmente, erano rimasti sprovvisti di selle di ricambio. Erano arrivati al maneggio e loro non c’erano.
Si era detto che forse si potevano trovare nei paraggi e li avevano cercati, fatti chiamare più volte dagli altoparlanti. Niente.
Ebbe una certezza quando lo stalliere Steven, che aveva cambiato la sella del cavallo di Little, disse loro che erano ripartiti per il bosco. Quindi dovevano essere là fuori, da qualche parte.
Tra i due non correva buon sangue da sempre, lo sapeva, però non gli sarebbe dispiaciuto affatto che le cose fossero cambiate, che fossero diventati amici. Forse per quel po’ di tempo passato insieme, da soli, avrebbero anche potuto conoscersi meglio e le incomprensioni iniziali sarebbero state superate.
Ebbe un prurito allo stomaco, un formicolio al naso.
Li stava attendendo con impazienza, mentre Tamara cercava di calmarlo con dolci e rassicuranti parole. Si chiedeva cosa fosse successo: il cellulare di Harry sembrava spento e quello di Little suonava a vuoto: lo avevano poi scoperto rinchiuso nell’armadietto a lei destinato.
E se fosse successo qualcosa? Se si stessero trovando in pericolo e non sapessero come fare a tornare indietro? Gli avevano sconsigliato di tornare nel bosco finché l’acqua non avesse smesso di cadere così copiosa. E se fosse stato troppo tardi?
Dietro ad un vetro ormai opaco per il suo respiro caldo e pesante, e lucido per le gocce d’acqua all’esterno, si poneva quelle domande a raffica, senza un attimo di sosta. Tamara aveva provato più volte a distoglierlo da quella posizione, braccia incrociate sul petto, il peso del corpo sulla sua gamba sinistra, occhi statici verso il bosco, ma non era stata capace di raggiungere efficacemente il suo scopo. Al che si era rassegnata, sedendosi nelle sue vicinanze con un giornale tra le mani.
Si trovavano nel  bar del maneggio, intorno a loro solo persone in attesa della fine del temporale che aveva guastato la loro domenica a cavallo.
“Stanno bene, se la caveranno.”, disse ancora Tamara, “Magari hanno trovato un rifugio di fortuna ed attendono la fine del temporale.”
“Lo spero...”, le rispose.
Stava iniziando a dargli sui nervi.
Due dei suoi migliori amici si trovavano là fuori, tra lampi e fulmini, in un bosco sconosciuto e forse in pericolo, e lui non doveva preoccuparsi? Doveva starsene tranquillo come lei con Vanity Fair tra le dita a leggere del nuovo figlio di Heidi Klum?
Cambiò finestra e si allontanò da Tamara, che sbuffò infastidita. Da quella aveva solo una visuale parziale del bosco ma gli sembrò comunque sufficiente.
Una macchia scura sbiadita, lontana, colse il suo sguardo. Appoggiò le mani al vetro.
Erano loro.
Si avvicinò alla porta che, premuta dal vento che soffiava pesante all’esterno, ebbe difficoltà ad aprirsi. Uscì all’aperto e si bagnò all’istante mentre le altre persone, incuriosite, si affacciarono per osservarlo.
Uomini coperti da pesanti incerate impermeabili si preoccuparono di andare incontro al cavallo, che galoppava veloce lungo la lieve collina alla cui cima si trovava il boschetto. Corse verso la tettoia della stalla, lì vicino, ed attese che i suoi due incoscienti amici si avvicinassero. Li vide scendere dal cavallo tremanti, zuppi d’acqua, e venire verso di lui accompagnati da due degli stallieri con le casacche impermeabili.
Si stupì di ciò che vide, o meglio, di ciò che sentì.
Little ed Harry stavano ridendo, indicandosi a vicenda, come se in tutta quella storia ci fosse stato qualcosa di divertente.
“Ma dove cazzo siete stati!”, li accolse Danny, infuriato.
“Tranquillo, Dan!”, gli fece prontamente Little, completamente fradicia, i suoi abiti gocciolavano copiosamente, “Siamo a posto, andiamo subito a cambiarci prima di prenderci una polmonite.”
“Sì!”, fece Harry, “Direi che sia proprio il caso! L’altro cavallo è...”
“Ma cosa cazzo state ridendo!”, protestò lui, sempre più fuori di sé, “Ho pensato che vi fossero capitate le peggio cose... E voi state ridendo!”
“E dai, Jones.”, provò a calmarlo Harry, “Guarda che ce la siamo fatta veramente sotto e stavamo ridendo solo perché non volevamo piangere dalla paura.”
“Siete due cretini!”, gli gridò contro, perso ormai il controllo, “Sono stato male per voi!”
“Ma adesso siamo tornati... Stiamo bene.”, gli disse Little. Il suo tono era rammaricato, stette quasi per sciogliersi ma non doveva, la situazione era gravissima.
“Andate a cambiarvi, poi torniamo subito a casa.”, tuonò la sua voce, in coppia con quella di una saetta che cadde in lontananza.
E li lasciò a guardarsi, colpevoli.
Il ritorno in macchina fu tremendo. Non volle sentire una sola mosca volare dalle bocche di quei due, per i quali aveva perso la pazienza e le unghie, completamente rosicchiate dai denti e dall’ansia.
Se ne stettero zitti per un’ora e mezza. Alle sue spalle, ogni tanto Tamara sbuffava annoiata. Little, dall’altra parte del sedile, se ne stava a testa bassa. Harry, vicino a lui, appoggiava il braccio sul rivestimento della portiera e tamburellava ritmicamente le dita.
Si fermò prima a casa sua, dove venne salutato da un freddo ciao di gruppo, a cui lui non partecipò. Poi posteggiò la macchina davanti alla propria abitazione e scesero, sempre muti. Appena entrato in casa si chiuse nella doccia, si preparò per la comparsata televisiva e lasciò le due donne da sole.
 
 
Quella maledetta doccia l’aveva freddata per tre volte con getti improvvisi di acqua gelata e i brividi non terminarono, almeno finché l’aria calda del suo asciugacapelli da viaggio non ebbe completamente disidratato le sue ciocche.
Si vestì con qualcosa di comodo e, davanti allo stesso specchio si dette la giusta carica per affrontare la serata.
“Ce la puoi fare.”, si diceva, “Ce la puoi fare.”
Ce la posso fare.
“Adesso vai al piano di sotto e ti comporti come sempre.”, continuò.
La voce tremò. Si dette una scossa, recuperò le forze e riprese a infondersi coraggio.
“Non rompere bicchieri, non far volare forchette, non pulirti la bocca alla tovaglia, non balbettare, non sputacchiare, non arrossire quando parlerete di Danny... Anzi, evitare assolutamente ogni discorso che lo riguarda.”, elencò uno dopo l’altro tutte le accortezze che avrebbe dovuto seguire per passare una piacevole serata insieme alla donna con la quale la persona di cui era innamorata conviveva felicemente.
“E ricordati anche di non mangiare niente di vegetale... Niente insalata, niente foglie verdi... Non vogliamo nessun baobab tra i denti. Non dare a quella un pretesto per ridere di te!”
Era pronta per scendere.
La cena sarebbe andata benissimo, avrebbero parlato del più e del meno, si sarebbero conosciute e lei avrebbe avuto l’ennesima conferma che non avrebbe mai potuto vincere su di lei.
Anche perché hai già perso in partenza, quindi... Rassegnati.
Si affacciò alla cucina dove una tranquilla Tamara si gingillava, seduta su una sedia con gli occhi fissi alla tv che trasmetteva un telegiornale qualsiasi. Erano le sei e mezza e, dato l’esiguo pranzo, aveva una discreta fame.
Tamara si accorse di lei e le sorrise.
“Siediti pure, fa’ come se fossi a casa tua.”, la rassicurò lei, “Per cena ho ordinato una pizza, spero non ti dispiaccia, ma non ho molta voglia di cucinare dopo la giornataccia di oggi. Non sapendo i tuoi gusti ti ho preso una semplice.”
“Sì, ti capisco. La tua scelta va benissimo.”, le disse.
“Tra l’altro dovrebbe arrivare tra poco.”, continuò Tamara, “Mi daresti una mano a tirare fuori dalla cucina due bicchieri e quattro forchette?”
“Certo, molto volentieri!”, le rispose.
Seguì le indicazioni di Tamara e, casualmente, dopo aver sistemato l’ultima stoviglia sulla tavola il campanello suonò. Ritirarono le pizze e, accompagnate dalla nenia della tv a basso volume, cenarono.
“Dimmi, cosa avete fatto oggi tu ed Harry, prima del temporale?”, le domandò.
Bell’inizio di conversazione.
“Ci siamo persi.”, le disse, mentre cercava di non far colare tutta quella strana mozzarella dalla fetta appena tagliata. Quella pizza era orrida solo a vedersi.
“Lo avevo immaginato.”, rispose l’altra, “E dove siete andati a finire?”
“Sotto ad un albero di ciliege.”
Tamara strabuzzò gli occhi.
“Come scusa?”, le chiese.
Lasciò perdere lo spicchio, del quale ormai era rimasto solo l’impasto: tutto il condimento era scivolato via sul piatto. Le spiegò che avevano passato il quattordicesimo segnale rosso per poi svoltare a destra e che, quindi, dovevano aver sbagliato strada.
“Decisamente!”, rispose l’altra, ridendo, “Dovevate svoltare a sinistra dopo il dodicesimo segnale!”
Ah ecco...
“Comunque”, riprese il suo racconto, dopo che lei ebbe terminato di rompersi la mascella dalle risate, “ci siamo poi fermati a mangiare, pensando di ritornare dopo pranzo con calma. Ed abbiamo trovato questo albero di ciliegie.”
“Ne avete mangiate?”, le fece.
“Sì, abbastanza.”, rispose.
Aveva una fame cane, il suo stomaco borbottava come una locomotiva che necessitava carbone, doveva assolutamente mangiare quella cavolo di pizza viscida. Bastava solo chiudere gli occhi, tappare il naso e infilarsela in bocca. Si munì di coltello e forchetta e, un triangolo per volta, iniziò ad intaccare quella specie di frittata gigantesca. Era da film dell’horror, come potevano chiamarla pizza...
Ma soprattutto, perché Tamara non era in difficoltà come lei? Si mangiava i suoi spicchi senza che una minima goccia di olio, di pomodoro o di formaggio cadesse via.
“A me non piacciono le ciliegie... Ne sono allergica.”, disse Tamara, dopo essersi pulita gli angoli della bocca, con educazione.
“Peccato, quelle erano proprio buone.”, le fece.
“Ed avete parlato, tu ed Harry?”
Ci siamo amorevolmente spulciati come le  due scimmie che vivono nella testa di Homer Simpson.
Il solo pensiero di quell’immagine la fece sogghignare.
“Certamente.”, le rispose con naturalezza.
“Harry è molto simpatico.”, affermò Tamara, “Ma non mi va molto a genio.”
“Beh... Devo dirti che anche io, prima di oggi, pensavo esattamente la stessa cosa.”, la informò.
“Ah sì?”, le fece lei, con interesse, “Cos’è che ti ha fatto cambiare idea?”
Ci rifletté.
 “Non è lo stronzo che ho conosciuto.”, le disse.
Tamara ridacchiò.
“Era questa l’impressione che avevi di lui?”, continuò l’altra ad approfondire il discorso, “Perché è la solita che ho tuttora.”
“Fidati.”, la consigliò, “La sua è solo apparenza, è un agnello travestito da lupo.”
“Secondo me vuole dominare gli altri, con il suo modo di fare e di comportarsi.”, si riprese Tamara con ancora più vigore, “Si sente il maschio del gruppo. Impone le sue decisioni.”
“Non è così.”, le spiegò, “Penso che si comporti un po’ da... Papà del gruppo solo perché tiene a loro e non vuole che facciano cazzate... Tutto qua.”
Era meglio terminare lì quella discussione, non voleva che Tamara aggiungesse altra carne al fuoco. Si sentiva terribilmente a disagio di fronte alla sincerità di lei, non sapeva come prenderla, come gestire quelle cose che le stava dicendo. Ma soprattutto, non sapeva a che pro Tamara gliele stesse riferendo.
 “Che pensi alle sue di cazzate!”, esclamò prontamente Tamara, “Ed ha fatto star male Danny... oggi.”
“Mi dispiace davvero tanto.”, le disse, veramente risentita per l’accaduto, “Ma il temporale ci ha colti di sorpresa.”
Annotare da qualche parte che Drummer McHot come meteorologo fa schifo.
“Lo capisco... Ma potevate avvertirci!”, si sfogò la ragazza, “Ha passato un’ora a preoccuparsi per voi!”
E tu non ti preoccupavi?
“Il cellulare... Non funzionava.”, accampò la prima scusa che le venne in mente, anche se era la pura verità, “E non è stato facile orientarsi per il bosco... Con tutta quella pioggia.”
Spaventata a morte per i fulmini che avevano illuminato il cielo nero sopra di loro si era letteralmente avvinghiata ad Harry: era salita sul suo cavallo, Spencer era fuggito via al secondo tuono. Una volta nel bosco, avevano dovuto tentare più volte la fortuna nel ritrovare la giusta strada, senza una luce. Anche lui si era sentito totalmente atterrito dalla situazione, Joanna lo aveva percepito a fior di pelle, ma Harry aveva cercato comunque di sdrammatizzare raccontandole di tutte le volte in cui aveva stupidamente rischiato la vita, solo per emulare quei pazzi di Jackass su Mtv. Si erano ritrovati a tremare per il rombo assordante di un fulmine e, due secondi dopo, a ridere come pazzi senza la minima coerenza. Ma ne erano usciti indenni, se non per un lieve raffreddore che stava nascendo.
Aveva compreso perfettamente la preoccupazione di Danny, anche lei al suo posto avrebbe avuto la stessa identica reazione, ma non giustificava affatto l’essersi arrabbiato con loro in quel modo. Glielo avevano detto: erano arrivati ridendo perché, se non avessero sdrammatizzato il fatto, si sarebbero spaventati a tal punto da non ritrovare la via del maneggio.
Non gli era bastato. Affari suoi.
“Va bene.”, concluse Tamara, accontentandosi ben poco della sua giustificazione.
Terminarono la cena in silenzio.
Cara mia, quella che ti trovi davanti è all’opposto di Harry. Un lupo travestito da agnello.
Una volta riposte le stoviglie dentro al lavandino, lasciate immerse in un po’ d’acqua, si spostarono nel salotto. Per la prima vera volta ebbe il tempo di osservarlo: era abbastanza semplice, in stile classico, le ricordava qualche stanza casa sua –di Arianna- e si sentì subito a suo agio. I mobili erano di una fattura molto semplice, niente di forzatamente troppo antico o moderno, un giusto equilibrio tra presente e passato. 
“Ti piace com’è arredato il salotto?”, le domandò prontamente Tamara, vedendola con lo sguardo iperattivo sui particolari che componevano il soggiorno.
“Sì, abbastanza.”, le rispose.
Unica pecca: la moquette verdastra. Sebbene fosse uno tra i suoi colori preferiti, non le piaceva in quella tonalità. Oltretutto stonava con il divano rosso scuro, di pelle. “L’ho arredato io.”, fece lei, con un sorriso soddisfatto, “Nella mia agenzia immobiliare abbiamo anche uno studio di design per interni.”
Ecco, come non detto.
“Molto carino... Delizioso.”, le rispose.
Si sedette sul divano, sperando che Tamara volesse dedicarsi all’ascolto passivo di qualche palinsesto televisivo serale. Magari, che sintonizzasse proprio lo schermo sul programma a cui partecipava Danny.
Non dovevi parlare di lui, né tanto meno pensarlo!
Subito arrossì e si voltò, per non farsi vedere in quello stato pietoso.
“Dimmi, spiegami come li hai conosciuti veramente...”, le domandò Tamara, ignorando il tubo catodico davanti a loro, “Danny non me ne ha mai parlato veramente.”
Ma me lo hai già chiesto...
“Beh... Al locale dove lavoravo.”, le rispose.
“Sì, questo lo so.”, insistette Tamara, “Ma cosa è successo davvero?”
Da quale storia doveva partire? C’erano moltissimi punti che si ponevano ottimali a quello scopo: l’essere rotolata per terra davanti ai McFly al completo dopo averli riconosciuti; la giornata passata a fare la spesa con Danny; il suo invito ad uscire di nuovo con loro; la partita di pallone... il bacio.
Il bacio...
I baci.
I baci...
“Loro sono entrati e io li ho salutati.”, disse, tutto d’un fiato, come se fosse stata la risposta giusta ad un quiz milionario.
“Ah... Interessante.”, fece Tamara, approfondendo la sua seduta sul divano, “Quindi eri già una loro fan.”
“Sì, li conoscevo già da diverso tempo.”, le rispose, con naturalezza, “Pensa che pochi giorni prima del loro arrivo avevo acquistato un loro poster su internet per appenderlo in camera.”
“Che coincidenza!”, esclamò Tamara, “E’ sbalorditivo!”
“Abbastanza.”, le fece.
Non comprendeva quanta ironia ci fosse nella parole dell’altra.
“E chi di loro è il tuo preferito?”, infiascò subito una domanda a tranello.
Beh, per lei non lo era affatto e la risposta fu cristallina.
“Nessuno di loro.”
Tamara non la bevve affatto.
“Non ci credo!”, esclamò infatti.
“A dire la verità non mi sono mai posta il problema di scegliere tra nessuno dei due...”, disse.
Che cazzo, Joanna!
“Tra nessuno di loro.”, si corresse all’istante, “Li ho... Sempre considerati in generale, come gruppo... Non come singoli.”
“E come mai Harry ti stava antipatico?”, chiese di rimando, “Che cosa è successo tra di voi?”
Ha cercato di mettersi in mezzo come un vigile e dirigere il traffico nella mia direzione.
“Mi prendeva sempre in giro.”
Buona scusa.
“E con Tom, invece, sembra che i rapporti siano tranquilli.”
“Sì”, le disse, “è un bravissimo ragazzo e mi dispiace non aver avuto modo di approfondire l’amicizia con lui.”
Era vero, si era sempre rammaricata per quello, ma non aveva potuto farci molto. C’erano stati gli altri tre a renderle la vita praticamente impossibile, in un modo o nell’altro.
“Dougie? Cosa mi dici di lui?”, pose il nuovo quesito.
Si concentrò su quella risposta.
Bella magagna.
“Con Dougie tutto ok.”, disse, senza inflessioni alcune nel suo tono di voce.
“Non è stato carino da parte sua non presentarsi, ieri.”, disse Tamara.
“Beh... Magari aveva degli impegni improrogabili.”
“Starsene davanti alla tv? Questo è un impegno improrogabile per te?”, insinuò l’altra, concludendo con una risata ed uno sguardo ammiccante.
Si unì al suo personale momento di ilarità, sfoderando un sorriso a quarantamila denti che pensava di aver dimenticato in qualche cassetto della memoria.
Tamara stava per porle la fatidica domanda, quella a cui lei non avrebbe dovuto rispondere con alcuna incertezza, né nella sua espressione facciale, né nelle parole che avrebbe usato.
 “E Danny? Cosa pensi di  lui?”
Le soluzioni erano possibilmente due: rispondere con semplicità, mentendo profondamente, e raccontarle la balla del secolo oppure...
“Tamara, vuoi dirmi qualcosa?”, le fece.
Ormai non sopportava più quel giocare a nascondino, quel guardie e ladri, quell’inseguirsi. Si era infastidita: troppe volte, ormai, si era sentita presa in giro, adesso pretendeva che le venisse parlato con onestà e sincerità. Aveva capito tutto e voleva cacciarla via? Che lo facesse! Avrebbe apprezzato di più una presa di posizione del genere piuttosto che un tacito lasciapassare per una settimana d’inferno fatta di mezze frasi, mezze intenzioni e mezze cazzate che le andavano di traverso.
“Oh no, non voglio dirti niente.”, rispose Tamara, senza alcuno shock, “Volevo solo capire un paio di cose.”
“Ah...”, disse Joanna, annuendo.
“Adesso devo andare a letto”, interruppe tutto Tamara, con un lungo sospiro ed uno sbadiglio finto, “domani ho una lunghissima giornata di lavoro.”
Oh no...
“Mentre Danny se ne starà tutto il giorno a casa.”, spiegò l’altra, “A meno che i suoi programmi non cambino da un momento all’altro.”
Oh cavolo no...
“Abbi rispetto per me.”, disse Tamara, con una decisione ed una serietà che la pietrificarono.
La donna si alzò e salì al piano superiore, lasciandola lì con un palmo di naso. Fissò la sua immagine riflessa sullo schermo piatto e lucido del televisore al plasma, ammutolita. Aveva voluto la verità? Eccola servita su un piatto d’argento, con una bella mela rossa tra i denti.
Andò in camera cercando di non fare il minimo rumore.
Prepariamo la valigia e andiamocene col primo aereo per l’Italia.
Prima di radunare le sue cose avrebbe chiamato Arianna per riferirle di tutto. Per quello afferrò il cellulare in borsa e compose il suo numero, distesa sul letto.
Pensavo che fosti stata rapita da degli alieni festaioli.”, sbottò Arianna, “Adorano facili prede come te.”
Joanna sospirò.
“Addirittura peggio.”, le disse, mentre affondava la mano nella faccia, togliendo via un po’ di stanchezza.
Gli alieni  hanno messo un palo per la lap dance accanto a te e non hanno visto alcuna  differenza tra di voi?”, ipotizzò con ironia la donna.
“Molto peggio.”, le ripeté.
Ti hanno usato come palo per la lap dance.”
“Arianna, non fai assolutamente ridere.”, le disse Joanna, infastidita.
Allora parla pure, figlia mia prodiga.”, la invitò, lasciandole il timone della barca.
Si fece coraggio.
“Sai chi abita in questa casa, oltre a Danny?”, le domandò, retoricamente.
Tu?”, azzardò a rispondere l’altra.
“E poi?”
Sua madre!”, esclamò prontamente Arianna.
Joanna si lasciò cadere all’indietro e rimbalzò sul materasso, sconfitta dall’impossibilità di poter parlare seriamente con la sua amica.
Allora, chi è quest’altra donna? Sua sorella lesbica?”, tornò all’attacco la donna.
“No... E per quello che ne so Vicky è completamente etero.”
Ormai era senza speranza.
“Parlavo della sua fidanzata.”, le rivelò, “Quella con cui convive da almeno tre mesi a questa parte... o giù di lì.”
Ci fu qualche secondo di silenzio, interrotto solo da una fragorosa quanto caustica risata di Arianna.
Ma senti un po’!”, esclamò lei, “Sperando di vincere una bella dichiarazione d’amore, hai giocato ben 150 euro sulla ruota di Londra... E ti ritrovi con un ambo secco non richiesto...
 “Arianna, per favore...”
Quanto dista la tua camera da letto dalla loro?”, domandò di botto l’altra.
“Perché?”
Era per sapere se li sentivi anche fare sesso alla notte.
Ormai Arianna era completamente persa.
“Ok, ho capito... Ti richiamo domani, va bene?”, le fece, completamente stizzita.
Lo farai per dirmi che sei atterrata in un qualche aeroporto toscano vero?”, le chiese Arianna, che non era quindi totalmente fuori di sè.
“Penso proprio di sì.”, fece, annegando la risposta in un sospiro rassegnato.
Come hai fatto a sopportare tutto questo finora?
“Sono portatrice sana del gene dell’ipocrisia e me la sto cavando bene, nonostante Tamara non ci sia cascata e mi abbia fatto capire, appena cinque minuti fa, che non gradisce la mia presenza in casa.”
E chi ha capito tutto, oltre a lei?
Bella domanda.
“Vicky, Harry... forse anche Tom e la sua fidanzata.”
Non mancava nessuno, uno escluso.
Tranne il diretto interessato, ovviamente.”, sottolineò automaticamente Arianna, “Stai vivendo una pessima sceneggiatura holliwoodiana. Sparisci in fretta o mi vedrò costretta a venderne i diritti a qualche regista affamato.
“Sì...”, le rispose, affranta.
E Dougie?
“Mai visto.”
Almeno lui ha un po’ di buon senso.”
“Già...”
“Ti lascio.”, le disse.
Ciao, Jo.


 Ed eccomi quaaaaa!!!! Capitolo bello lungo e denso, eh???? Abituatevici, ve lo dico subito.
Mi è mancato lo spazio ringraziamenti, quello in cui non so mai come mostrarvi la mia riconoscenza e vi riempio di frasi fatte e idiote... Non so se questa volta farò del mio meglio, ma diciamo che mi ci impegnerò di più.
Dico a tutte che Dougie entrerà in gioco tra qualche capitolo, esattamente al quinto... Si fa attendere, ed entrerà in silenzio...
E Danny.... Mamma Saura, vorrei soffocarlo con le mie stesse mani.

Ringrazio quindi tutte voi che mi avete commentato, o anche solo letto.  
Ringrazio la Pazza Ciribiricoccola, e le chiedo gentilmente di non essere troppo drastica  con Tamara.  La mia Vicky è la grilla parlante, insieme a Harry, ma non sarà molto presente, sebbene quello che dice al fratello avrà una certa rilevanza... Più avanti nella storia.
Ringrazio Picchia. La mafia esiste ancora, ed è più forte di prima. Altro che la Piovra.... Qua si fa la Seppia.
Ringrazio x_blossom_x, promettendole che le dirò con largo anticipo il momento in cui pubblicherò i prossimi capitoli. XD La pregherei anche di tenersi cucita la bocca... So dove abita.
Ringrazio saracanfly. La citazione sta bene accoppiata ad una bella risata, spero l'abbia fatta ridere tanto quanto ho riso io quando l'ho scritta io. A volte quella scema di Little sa essere davvero comica.
Ringrazio _Princess_. Il fatto che abbia trovato il tempo per tre parole, quando io ho messo quasi un mese per lasciargliene quattro, mi ha veramente toccato il cuore *sigh*... Spero di sentirla presto... E le mano un bacione.
Ringrazio kit2007. Mi dispiace che la mia Vicky non le piaccia, ma purtroppo è una persona talmente tanto drastica che a volte la sopporto poco anche io!  Danny non è furbo, è cretino come solo un uomo sa esserlo...
Ringrazio CowgirlSara. Anche io spero che affoghi nella cacca di cavallo... Sebbene quelle di mucca siano più capienti! XD

Non sono stata molto brava con i commenti, vero?

Ok, faccio schifo XD I apologize.

Il titolo  è preso direttamente dalla canzone di KT Tunstall, che ci sta a pennello. No scopo di lucro.







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Capitolo 4
*** Blues In The Night ***


 
   




I piedi trafficavano con le coperte, cercando di scansarle nella maniera più efficace possibile. Per tutta la notte aveva sofferto un caldo atroce, il suo stomaco aveva dato più volte i segni di volersi disfare del contenuto nella maniera più traumatica possibile. L’aveva passata quasi totalmente insonne, catturata da pensieri che morbosamente ricadevano sullo stesso punto fisso.
Danny e Tamara.
Tamara, soprattutto. Il suo sguardo si era incattivito e non aveva fatto niente per causarlo. Non si era messa a fare occhi dolci a Danny, aveva addirittura evitato di guardarlo, se non quando era stato strettamente necessario. Insomma, si era comportata impeccabilmente, tranne nel momento in cui lui gliel’aveva presentata, quando tutti i castelli di carte che aveva costruito erano stati spazzati via da una folata di vento, entrata con prepotenza dentro di lei.
‘Abbi rispetto per me.’
E lei lo aveva sempre avuto.
La sua valigia era già stata sistemata, tutto riposto al suo interno, solamente il necessario per la partenza era ancora fuori. Si era addormentata che era mattina inoltrata, l’aveva sentita partire per il lavoro e salutare Danny con uno schioccante bacio.
Lo so che lo hai fatto davanti alla porta di camera mia per farti sentire...
“A stasera.”, gli aveva detto Tamara, “Ti amo.”
“Ti amo anche io.”
E una pugnalata al cuore l’aveva colta, non del tutto inaspettata.
Era stato poco dopo quella tremenda frase che si era addormentata, disgustata per quello che stava affrontando. L’iperrealista Joanna era tornata ad imperare dentro di lei, fiera di tutti quei te l’avevo detto che sviolinava nella sua testa, con la sua vocetta stridula e soddisfatta. L’altra Joanna, quella innamorata, se ne stava invece rintanata in un angolo, le gambe strette al petto tra le braccia, e la testa rannicchiata sulle ginocchia, frignando in silenzio.
Si svegliò tardi, l’orologio ticchettava le undici e mezza passate ed un mal di testa atroce le stava togliendo la forza di stare in piedi. Le dolevano gli occhi, tenuti stretti tra le palpebre in quel sonno agitato e disturbato da sogni, che non ricordava ormai più. Se li bagnò più volte, rinfrescandoli con l’acqua del rubinetto, e si guardò allo specchio.
Quelle che aveva in viso non erano occhiaie, ma borse della spesa stracolme. Il bianco degli occhi scompariva sotto le piccole vene rossastre in rilievo, sembrava avesse pianto per tutta la notte... Infatti era quello che aveva fatto per gran parte di essa, interrompendosi soltanto dopo una saggia decisione suggeritale dall’iperrealista Joanna.
Smetti di piangere per qualcuno che non ha mai avuto le palle per stare con te, inventandosi una balla di scuse cretine, tra cui la distanza e il lavoro... Fottitene.
Tentò di sorridere a quel pensiero, mentre si sciacquava la bocca per togliere via un po’ del tipico brutto sapore mattutino. Si pettinò, indossò qualcosa di decente.
Danny se ne starà tutto il giorno a casa. A meno che i suoi programmi non cambino da un momento all’altro.’, suonò ancora la voce di Tamara nelle sue orecchie.
Dialetticamente, al momento la sua occupazione era diventata un impossibile tentativo di fuga dal giro di ceffoni in cui si era ficcata da sola. Se non c’era Tamara, c’era Danny, altrimenti c’erano tutti e due insieme.
Appena aprì la porta di camera, sentì il suono della sua chitarra.
 
 
Annotò gli ultimi accordi e, con la matita tra le labbra, canticchiò le parole che erano venute alla luce insieme alle note.
Can’t believe we’re still strangers...
Ma in un attimo dei rumori al piano di sopra lo distrassero, facendo scappare via la perfetta conclusione di quel verso, costruitosi nella sua mente in una rima baciata molto dolce. Lo riportarono alla realtà, quella in cui era tuttora arrabbiato con Little e con Harry, per la loro stupidità del giorno precedente.
Era ancora infastidito dalle risate, uscite beatamente dalle loro bocche davanti a lui, preoccupato come poche altre volte nella sua vita.
You’ve put her life in danger’, si formulò nella sua mente, concordandosi in rima con il verso pensato. Entrambi erano stati in serio pericolo e non sembravano essersene accorti, trastullandosi con stupide sghignazzate. Non era accettabile, benché sapesse perfettamente che la stava facendo troppo lunga, come aveva cercato di fargli capire Tom dopo che gli aveva raccontato cosa era successo durante la giornata a cavallo, ma era una questione di principio.
Seduto sul divano, con la chitarra tra le mani e la matita che ancora sostava sulle labbra, decise di perseverare nella sua attività, come se non l’avesse mai sentita scendere le scale, sostare con esitazione sull’ultimo gradino ed andare silenziosamente in cucina, chiudendo la porta della stanza per non disturbarlo nel suo lavoro.
E si sentì in colpa.
Ok, quei due avevano sbagliato, ma lui stava veramente continuando a menare inutilmente il can per l’aia. Quando era tornato dallo show televisivo, prima di addormentarsi, aveva parlato con Tamara: gli aveva riferito della chiacchierata avuta con Little. Lei stessa l’aveva trovata abbastanza dispiaciuta per quello che era capitato: il temporale li aveva colti di sorpresa, mentre pranzavano sotto ad un albero di ciliegie, e i cellulari non funzionavano.
Che buone, le ciliege gli piacevano molto. Sarebbe stato più volentieri lì sotto assieme a loro che nei pressi della quercia, con Steven e Tamara, che cercavano inutilmente di trascinarlo in conversazioni noiose mentre lui si lambiccava il cervello su quello che stava succedendo ai suoi amici.
Non voleva farla stare male per il suo stupido orgoglio.
Magari, si era anche davvero divertita con Harry.
Accantonò il pensiero, posò la chitarra, si tolse la matita dalla bocca ed andò in cucina, sperando di potere attaccare parola offrendole il suo aiuto per preparare la colazione. Quello che vide gli fece comprendere di esserle del tutto inutile: l’angolo sinistro della tavola, nella sala da pranzo, era stato occupato da tutto il necessario per placarle la fame mattiniera. E lui si trovò con un palmo di naso.
“Ah... Pensavo avessi bisogno di una mano.”, le disse, sentendosi stupido, “Avevo sentito dei rumori strani... Di là.”
Little abbassò lo sguardo e si mise i capelli un po’ spettinati dietro le orecchie.
“Mi era caduta la forchetta.”, spiegò lei, mettendosi poi a trafficare con il latte caldo e il pane tostato. Aveva fatto tutto da sola, si era perfettamente ambientata...
O forse non aveva voluto il suo aiuto?
Si avvicinò a lei e le si sedette di fronte, appoggiando la mano sul mento, mentre il braccio sostava piegato sul bordo del tavolo.
“Dormito bene stanotte?”, le domandò.
In quella stessa frazione di secondo, vide il suo viso stanco, segnato da piccole occhiaie.
“Sì, abbastanza bene.”, mentì lei, senza lasciare che il suo sguardo salisse oltre le sue mani, indaffarate nella preparazione di una fetta imburrata.
“Fatto brutti sogni?”, le chiese, sorridendole.
Ma lei non lo avrebbe mai visto.
“Non li ricordo mai, li dimentico appena mi sveglio.”, rispose con calma.
Era risentita, ce l’aveva con lui.
“Senti, Little, mi dispiace per ieri...”, le fece, “E anche per prima.”
“Lascia stare.”, disse lei, abbozzando un sorriso, “Non è successo niente.”
L’arrendevolezza di lei di fronte alle sue scuse non gli rendeva le cose più facili. Anzi, le complicava. Sembrava quasi che non ne volesse parlare, scacciandolo via con un frettoloso ‘passiamoci sopra’. No, le cose andavano risolte, mai lasciate in sospeso.
“Davvero, Little, mi sono arrabbiato ingiustamente.”, le ripeté, con fermezza.
“Ma lo hai fatto perché sei stato a lungo in pensiero per noi. Ti capisco.”, continuò lei, “Non ti preoccupare.”
Alzò gli occhi, li strinse in un sorriso e tornò alla sua colazione.
Fu allora che le tolse la colazione dalla mano e, cogliendola di sorpresa, lasciò che la sua fetta imburrata cadesse rotta in due pezzi sul piatto e sulla tovaglietta sotto di esso. Le prese le mani e la fissò dritta dentro i suoi occhi sfuggenti.
“Little, dimmi cosa c’è che non va.”, le disse.
Voleva saperlo, doveva saperlo.
Lei si imbarazzò.
“Niente... E’ tutto a posto, davvero.”, si giustificò.
“Non ci crederei nemmeno se lo ripetessi un milione di volte.”, le fece.
La conosceva abbastanza bene, stava mentendo spudoratamente, ma sembrò comunque acquisire una sicurezza che poche volte aveva percepito in lei.
“Danny, sto bene.”, disse, con decisione ed occhi fermi, “Ho capito perché ti sei arrabbiato. Ti chiedo scusa per essere stata frivola con Harry quando potevamo essere davvero in pericolo. Va bene adesso?”
Rimase lievemente spiazzato.
“Sì...”, le fece.
Fu lui a sentirsi a disagio, in quel momento. Come gli era capitato più volte quando l’aveva conosciuta, Little aveva reagito in modo del tutto inaspettato. Non gli era più capitato, tutto perché i contatti tra loro si erano limitati a stupide mail e rare quanto rapide telefonate.
“Tutto a posto, Dan?”, chiese allora lei, vedendolo fuori fase.
“Oh sì, alla grande!”, le rispose, sogghignando.
“Cosa stavi facendo di bello?”, gli domandò Little, mordicchiando la sua fetta scomposta.
“Mi sono alzato con un motivetto in testa e lo stavo scrivendo sullo spartito.”, le spiegò.
“E come va con l’album nuovo?”, rinnovò lei il suo interesse.
Fino a quel momento non avevano mai avuto un momento tutto per loro sul quale chiacchierare. Adesso che avevano tutto il giorno libero davanti, avrebbero recuperato il tempo perso.
“Siamo statici su alcuni pezzi, dobbiamo ancora approvare i provini della grafica...  bla bla bla...”, le fece, gesticolando annoiato, “Siamo in alto mare e ce la siamo voluta prendere con calma, tanto per non fare cazzate.”
 “Non avete più la casa discografica che vi corre dietro come un mastino affamato?” chiese lei.
“Assolutamente no!”, esclamò lui, “Facciamo tutto da soli anche stavolta, e con i nostri soldi e la nostra etichetta”
Era il secondo album interamente prodotto da loro, senza alcuna etichetta che li sponsorizzasse tranne quella che avevano loro stessi fondato.  Un traguardo anni addietro impensabile.
“Bene, sono contenta per voi.”, disse Joanna, con la bocca sgranocchiante.
“Cosa vuoi fare oggi?”, le chiese, accomodandosi contro lo schienale della sedia.
“Non disturbarti.”, rispose Little, ridendo.
“E perché dovresti farlo? Tu devi disturbarmi, hai l’obbligo di farlo!”
E rise con lei.
“Davvero, vuoi che ti porti un po’ in giro?”, le rinnovò la domanda.
“No, tranquillo, non ho dormito bene.”, disse lei, rivelando la sua bugia di prima, “Molto probabilmente farò lo zombie tutto il pomeriggio. E poi tu hai da lavorare al tuo motivetto, non voglio toglierti tempo, magari diventerà una hit di grande successo.”
“Su questo non ci conto.”, le fece, “Non mi ricordo nemmeno più come faceva.”
Little sbuffò in una risata.
“Sei sicura di non voler fare niente tranne che una bella siesta?”, le domandò.
“Sicurissima!”, affermò lei.
“Bene... Vorrà dire che oggi farò il bagno in piscina da solo.. E’ una bella giornata afosa e calda, con ben 28 gradi al sole. E qua dentro stiamo al fresco perché l’aria condizionata è al massimo...”
 
 
Si era chiusa nell’accappatoio che aveva trovato in bagno. Profumava di vaniglia, un’intensa vaniglia che la faceva sentire un bignè, una torta millefoglie che attendeva solo di essere tagliata dai due sposini.
Se il giorno precedente si era sentita nuda, con quei pantaloncini attillati, adesso che era in costume le pareva di essere una radiografia sul pannello luminoso del medico radiologo, come quando si era rotta il braccio, molto tempo fa.
Si era fatta coraggio davanti allo specchio del bagno, ormai era diventato il suo confessore più intimo. Non aveva mai avuto molti costumi e, poco prima della partenza, dato che Danny le aveva già parlato della sua piscina, ne aveva comprato uno. Non aveva chiesto consigli ad Arianna durante l’acquisto, era andata da sola in un negozio di articoli sportivi qualunque, troppo restia a doverle dare spiegazioni sulle cicatrici che le segnavano il petto e la schiena.
Era una delle tante cose da fare sulla sua lista personale e, sotto quello stesso punto, c’era anche il nome di Danny. Doveva parlargli di quelle cicatrici, lui doveva sapere, ma non ne era più così tanto certa.
Aveva optato per un pudico costume intero, comunque inefficace nel coprirla totalmente. Quando Arianna l’aveva visto, aveva detto subito: ‘Era meglio un burqua.’. L’aveva subito sgridata per aver mancato di rispetto alle povere donne arabe costrette sotto quel vestito-prigione. Ma costume o non costume, il problema delle sue cicatrici era sempre lì. Aveva ripiegato su una t-shirt nera e sulla scusa ‘ho la pelle delicata’. Ma aveva sempre paura di uscire da quello stramaledetto bagno, lasciando la sua immagine incerta riflessa sullo specchio.
Danny in costume, al piano di sotto... E tu stai qui a riempirti di seghe mentali?
Zittì la vocetta stridula con un rimprovero mentale e la accontentò, uscendo dalla sua stanza. Prima, però, abbandonò l’accappatoio sul letto e dette un’occhiata alla valigia. Era ancora lì, come se non fosse mai stata aperta, l’aveva disturbata solo per prendere quello che indossava. Era indecisa, non sapeva cosa fare: dirgli chiaramente ‘la tua ragazza mi vuole fuori di casa e l’accontento’, oppure lasciar perdere tutto, ingoiare il rospo e far finta di niente?
Si buttò la serata precedente alle spalle, prese un profondo respiro e scese le scale.
La porta che dava sul retro si trovava in sala da pranzo: i vetri lavorati e colorati facevano trasparire una strana ma calda luce solare, che illuminava la stanza di verde e di giallo, i due colori che fondamentalmente componevano la decorazione. La aprì e si trovò, suo malgrado, direttamente su un giardino dal prato molto basso, tipicamente british.
“Hey!”, attirò subito la sua attenzione Danny, sdraiato su uno dei tanti lettini che contornavano la sua piscina, “Vieni che ci facciamo il bagno!”
Bagno? Quale bagno? Io non mi bagno!
Si irrigidì, ferma come un palo, a braccia conserte.
“Ma l’acqua è fredda!”, accampò la prima scusa che le era balenata in testa.
“Tutte scuse.”, disse lui, alzandosi ed avvicinandosi a lei, “Sono le due del pomeriggio, l’acqua è calda abbastanza.”, e incrociò le braccia sul petto.
“Preferisco… Sdraiarmi un po’.”, si oppose ancora Joanna, prendendo la sua via verso i lettini.
“Ho preso anche un asciugamano per te.”, la acciuffò di nuovo Danny.
Le passò oltre e si avvicinò alla sdraio accanto alla sua. Prese il telo e lo aprì, accomodandolo sul comodo materassino di gommapiuma rivestita, sistemato sulla sdraio per ammorbidirne la durezza.
“Ta-dah!”, esclamò, con un sorriso sulla faccia.
“Grazie.”, disse Joanna, sistemandosi i capelli dietro alle orecchie. Ora che erano più corti, non perdevano mai tempo per caderle sul viso e darle fastidio. Spostò di qualche centimetro il suo lettino e lo sistemò sotto l’ombra dell’albero, lì vicino e pieno di foglie di un intenso verde.
Era troppo caldo, stranamente afoso per il posto in cui si trovava: si era immaginata l’Inghilterra sempre piovosa e triste, così come l’aveva trovata quando vi era stata diversi anni prima, nei giorni in cui conobbe per la prima volta i McFly, alla tv, non aspettandosi mai e poi mai che in futuro si sarebbe trovata nelle strette vicinanze della piscina di uno di loro, con i quali aveva instaurato una bella amicizia… Finita per lei in un innamoramento sbagliato.
In quel momento suonarono nella sua testa le parole di una loro vecchia canzone.
 
Goodbye to you, been wasting all my time,
You’re no longer mine
And now you’ve left me
I can’t seem to get you off my mind…
And that’s when I realized
You had me hypnotized…
 
Eh sì, Danny l’aveva proprio ipnotizzata e non se n’era nemmeno reso conto.
E’ un uomo, non capirà mai niente di te.
Sospirò e si appoggiò alla sdraio, raccogliendo le mani in grembo e flettendo leggermente le gambe, con lo sguardo catturato dal luccichio dell’acqua.
“Cosa c’è, Little?”, le fece lui, che si era silenziosamente avvicinato con il suo lettino a lei.
“Niente.”, rispose Joanna con un sorriso.
“Un sospiro porta sempre un pensiero con sé.”, disse lui, manifestando apertamente la sua curiosità.
“Com’è che non sei con gli altri?”, deviò prontamente il discorso.
“Beh… Mi sembra il minimo, tu sei qua, abbiamo tagliato qualche impegno meno importante.”, rispose lui.
“Oh...”, si lasciò sfuggire, “E quindi… Oggi niente lavoro.”
“No.”, fece lui, sdraiandosi sul suo lettino, anch’esso ammorbidito da un materassino di gommapiuma rivestita, “E questa giornata è veramente incantevole.”
Puoi dirlo forte, peccato per un piccolo particolare: la tua fidanzata.
“Allora, Little, che cosa ne pensi della mia tana?”, le domandò lui.
“Molto carina, non c’è nient’altro da dire.”, gli rispose con sincerità.
Era la verità più assoluta. Non era esageratamente grande, non come quelle case da celebrità hollywoodiane, in cui si poteva scegliere tra tre cucine, quaranta bagni e settanta camere da letto; non era un albergo.
Era comoda, spaziosa al punto giusto e arredata tutto sommato bene, a parte qualche accostamento da film dell’horror, come quello tra la moquette e il divano del soggiorno. Semplicemente da urlo, ma non pensava di saperne abbastanza sull’arredamento degli interni e non avrebbe mai espresso quel suo punto di vista. Ulteriori stanze non ne aveva viste, oltre alla cucina, alla sala da pranzo, alla sua camera ed al soggiorno, quindi non aveva la più pallida idea di come avrebbe trovato le altre.
“Quando Tamara si è trasferita da me, ha pensato bene di darle il suo tocco.”, si spiegò Danny, “Ora tutto è molto più femminile…”, disse ridendo, “Voi donne non perdete mai l’occasione di ricordarci che siamo uomini.”
Meno male che te ne rendi conto da solo.
“Beh… Fino a prova contraria lo sei.”, rispose lei.
“Oh sì, lo sono eccome.”, annuì lui ridendo, “E per questo Tamara si è sentita in dovere di capovolgere tutto. L’unica stanza che non ha toccato è la sala giochi, gliel’ho proibito. Uno di questi giorni ti ci porterò, ma non ti spaventare!”
Joanna rise, pensando che non avrebbe mai avuto il coraggio di fare una cosa del genere, in casa d’altri. Quando si era trasferita da Arianna, le aveva chiesto il permesso di poter appendere le fotografie scattate con loro, nella sua stanza, finendo poi col ricoprirla di tutti i poster che aveva staccato dalle pareti della sua vecchia camera…
Non poté fare a meno di ripensare ai terribili giorni in cui aveva deciso, suo malgrado, di lasciare Miki da solo. Un involontario flashback la trascinò indietro nel tempo di qualche mese, quando ricevette quello stupido pacco da Danny, che aveva fatto infuriare Michele come pochissime altre volte. Quello che le aveva gridato contro, parole pesanti che erano toccate a lei ed a Danny stesso, rimbombarono con forza nella testa, come un eco involontario dentro ad una stanza piena di persone infastidite.
All’inizio, quando Miki le aveva mostrato il contenuto della scatola appena ricevuta, Joanna aveva ironizzato: negli ultimi tempi suo fratello era cambiato lentamente, lasciandosi alle spalle la sua gelosia morbosa e la sua iperprotettività nei suo confronti. Aveva scherzato, ridendo, e gli aveva spiegato che quella era stata la piccola vendetta personale di Danny per avere mandato a sua madre quel mazzo di fiori, mentre se ne stava all’ospedale. Lui se n’era stato in silenzio tutto il tempo, ascoltando le sue spiegazioni con calma e lasciandosi sfuggire addirittura un sorriso. Joanna era stata sicura che avrebbe capito l’ironia, sebbene un po’ pesante, di quello scherzetto.
Ma aveva nettamente sopravvalutato il cambiamento di Miki.
Poco dopo, infatti, era andato su tutte le furie e, per giorni, aveva continuato ad accusarla di ogni più piccolo problema che aveva affrontato nella sua vita, come se lei fosse stata la causa di ogni suo errore o casualità che incrociava nel cammino.
E si era trovata di nuovo sola, senza il punto di riferimento che, dal giorno in cui aveva lasciato la casa natale, aveva trovato in Miki. Aveva trovato in Arianna una buona amica, una persona su cui poter fare affidamento, ma l’esperienza le aveva insegnato a non fidarsi più ciecamente di chi si trovava davanti.
Inutile dire per colpa di chi.
Non era mai riuscita ad andare oltre quello scalino nel rapporto con lei, nonostante Arianna avesse dimostrato fin troppe volte di volerle bene al tal punto di presentarla ad alcuni suoi amici come sua nipote. La donna, dal canto suo, non aveva genitori in vita, solo una sorella che viveva a Milano, con la sua famiglia. Aveva però una foltissima schiera di amici e pretendenti, più o meno desiderati, e diceva di non sentirsi mai sola. Era sicura, però, che la sua presenza dentro le quattro mura della sua villetta di periferia aveva allietato un po’ della solitudine che Arianna diceva di non provare.
L’unica costante erano le mail di Danny, sebbene l’iperrealista Joanna, prima che cadesse in amore con lui, avesse continuato a ripeterle fino allo sfinimento che non avrebbe dovuto contare su di lui e sulla sua presenza. E non si era affatto sbagliata.
“Little, ci sei?”, le fece Danny, posandole una mano sulla sua. Speditamente, Joanna tornò con la mente sulle spalle e, sentendo il calore di Danny su di sé ebbe un sussulto.
“Sì, scusami.”, rispose, imbarazzata.
“A cosa stavi pensando?”, le domandò.
“A troppe cose ed a nessuna.”
Danny sospirò.
“Lo so che non ti è mai stato facile parlarne… Però, ora che siamo qua, potresti anche farlo.”, le disse, “Io sono pronto ad ascoltarti senza dire una sola parola. Lo sai.”
“Certo che lo so.”, disse Joanna, scocciata con se stessa. Prese un profondo respiro, ma Danny la anticipò.
“Perché non mi dici cosa è successo con tuo fratello?”, le disse, “Avevi promesso che me ne avresti parlato, prima o poi.”
Argomento di riserva? Ho appena finito di pensare a quanto lo odio.
“E lo farò… ma non ora.”, disse Joanna, “Non voglio rovinarti il pomeriggio.”
“Allora di cosa vuoi parlare?”, le ampliò le possibilità di scelta.
“Beh… Come va il vostro nuovo album?”, deviò ancora una volta lei.
 
 
Danny scosse la testa, ma non avrebbe abbandonato la speranza, prima o poi sarebbe riuscito a tirar fuori dalla bocca della sua Little tutto quello che teneva dentro, ogni minima cosa. Sapeva che l’avrebbe potuta aiutare, che avrebbe potuto consigliarla.
E sapeva che sarebbe stata un’impresa titanica, lei si ostinava a tenersi tutto dentro, senza trovare una valvola di sfogo. Lui l’aveva nella musica, nel suonare, ed ogni volta che prendeva la sua chitarra le riversava addosso tutti i problemi, le insicurezze e le tensioni, sentendosi poi leggero e rilassato. Little non aveva questo privilegio, ne era certo, e si chiedeva come potesse sopportare ogni giorno tutta la pressione che le gravava sulle spalle.
Doveva farle capire che era lì per lei, che ci sarebbe sempre stato nonostante la grande distanza tra di loro e tutti i suoi impegni. Era più forte di lui, si era sempre comportato in quel modo con gli amici e non avrebbe cambiato il suo modo di essere per lei. Sperò che tutto quello non la infastidisse, che non pensasse che si stesse comportando da impiccione insolente.
No, voleva semplicemente aiutarla. Farle capire che era lì per lei. Con lei.
Si rammaricava del fatto che non avessero potuto parlarsi molto, tranne che per e-mail, dove non si erano potuti dire tutto quello che avrebbero voluto. Lui stesso non le aveva parlato di tante cose... Volendo, quelle stesse erano pubblicate ovunque, magari Joanna le conosceva già ma non si era mai espressa a riguardo per discrezione.
“Com’è che quando sei venuta via da Miki non sei tornata dai tuoi?”, le chiese.
Voleva battere quel chiodo e lo avrebbe fatto finché lei non si fosse rivoltata, a costo di farla arrabbiare. Non sapeva se nei prossimi giorni avrebbero avuto tempo per starsene con tranquillità a normalizzare il loro rapporto, quindi ne doveva approfittare.
Joanna fu colta alla sprovvista, forse era stato un po’ troppo rude. Ma doveva continuare.
“Beh... Sai, ormai non vivevo con loro già da tempo...”, disse lei, “E non volevo tornare alle loro dipendenze.”
Scusa accettabile, poteva anche essere la verità.
“Anche io avrei fatto come te.”, le rispose, “E’ la cosa più giusta. Spero che tuo fratello non ce l’abbia troppo con me.”
Era pura ironia.
“Oh... Per niente!”, disse lei infatti, con tono sarcastico.
“E come stanno i tuoi? Non me ne hai mai parlato.”, le fece.
Era vero, non sapeva niente dei suoi genitori. Né come si chiamassero, né che lavoro facessero, niente.
“Bene.”, tagliò corto lei, “Tua madre ha fatto un buon ritorno a casa?”
Eccola che di nuovo deviava la palla. Fossero stati in mezzo ad una partita di calcio, lei sarebbe stata una punta di diamante nella difesa.
“Sì, anche se mia sorella ha le capacità di guida di Mister Magoo.”, le rispose, sorridendo.
Adesso volle però provocarla.
“Non mi chiedi come mai non c’era anche mio padre?”, le fece.
Lei aggrottò la fronte, guardandolo con espressione interrogativa.
“Beh, quella domanda me la sono posta, eccome.”, disse Little, “Ma non te l’ho fatta perché non sapevo se tu volessi parlarmene o no. Tutto qui.”
Se diceva così, il motivo era solo uno: lei non sapeva veramente niente di lui, a parte le poche cose che lui stesso le aveva detto. Non andava in giro per siti in cerca di informazioni sul suo conto?
“Cosa gli è successo?”, domandò quindi Joanna.
Ogni volta che tornava col pensiero in quella direzione, era sempre un nuovo buco nel cuore.
“Se n’è andato di casa con un’altra.”, disse, “Pubblicizzandolo sui giornali.”
Lei rimase in silenzio.
“E’ successo mentre ero in America a girare il film Just My Luck.”, le spiegò, “E non è stata una bella mossa, da parte sua. O meglio, da parte della sua amante.”
Con la frequenza di una parola sì ed una no le lanciava occhiate, per leggere cosa le passasse per la testa. Forse aveva perso la capacità di vedere i pensieri affiorare nei suoi occhi verdi, forse lei aveva imparato a nascondersi bene...
Non vide niente, solo un po’ di smarrimento e di disagio.
“Io e Vicky abbiamo anche scritto una canzone sull’argomento... Lo sapevi?”, le chiese. Quella era la prova del nove: mentiva, oppure ne era totalmente all’oscuro. E si fidava troppo di lei per pensare che Joanna stesse facendo il doppio gioco.
“No... Dovrei conoscerla quella canzone?”, fece lei, arrossendo.
“Beh sì, è Don’t know why.”, le rivelò, con un sorriso.
Joanna parve mettersi a riflettere.
Canticchiò silenziosamente le parole più significative, impresse nella sua memoria.
 
I don’t want to know your game, let alone her name.
No matter what you say to me, we are not the same.
Why do you make me cry? Try to justify…
Don't right your wrong with my mistakes ’cause my head's held high...
 
“Già...”, disse poi, “Se ci avessi riflettuto bene, avrei potuto capirlo da sola.”
“Ecco quindi perché mio padre non c’era.”, le fece sorridendole, e chiudendo la sua questione personale.
“Mi dispiace, Dan.”, fece lei, mettendosi una mano sul petto, “Non ti meriti una cosa del genere.”
“Ma è successa.”, scrollò le spalle, “Così come è successo che una ragazza mi abbia venduto ai giornali dopo essere venuta a letto con me.”
Joanna diventò paonazza.
“Davvero, non sto mentendo!”, le fece, “Questa è andata a dire che lo faccio tenendomi i calzini!”
Lei scoppiò in una risata, coprendosi gli occhi con una mano, in imbarazzo. Si ricordava dell’ultima volta in cui si erano stati insieme, nella sua camera d’albergo, e quell’argomento aveva avuto su di lei lo stesso identico effetto di tanto tempo fa.
“Ma lasciamo perdere.”, disse, ripristinando la situazione, “Adesso ti va di stare un po’ in acqua?”
“Tra un po’... Forse.”, rispose lei, cercando di sembrare convincente.
“Eh no!”, si oppose lui.
L’avrebbe buttata in acqua addirittura vestita. La prese in braccio.
Era sempre più leggera.
 “Mettimi giù!”, protestò lei.
Si avvicinò al bordo della piscina e, nonostante lei si fosse stretta al suo collo, supplicandolo di lasciarla tornare a terra e guardando l’acqua con timore, se ne liberò.
Gli schizzi freddi lo bagnarono, mentre rideva dello scherzetto.
 
 
 
L’acqua fredda la gelò in un istante ed immediatamente un brivido la scosse dalla testa ai piedi, bloccandole i muscoli. Il respiro si fermò in petto, inghiottito insieme all’acqua della piscina. Affondò dentro il liquido trasparente, riusciva ad aprire gli occhi a fatica, sentendoli bruciare dal cloro.
C’era solo un piccolo problema.
Si chiese dove fosse il pavimento della piscina, non riusciva a toccarlo con la punta delle dita, annaspava con forza in cerca d’aria. L’acqua le entrava con prepotenza nella bocca, non riusciva a sputarla via, i polmoni erano secchi dentro di lei.
Muoveva le gambe ma ogni volta le sembrava di andare sempre più a fondo, sempre più giù. Vedeva solo le ultime bolle d’aria passarle davanti, le sentiva uscire via dal naso e dalla bocca, incapace di trattenerle per salvarsi la vita.
Sentì come un’onda d’urto, uno spostamento della massa liquida intorno a lei. Un braccio la afferrò con decisione intorno ai fianchi e la superficie dell’acqua arrivò in un baleno. L’aria, e non l’acqua, si fece spazio dentro alle sue narici, dentro alla gola, e prese a tossire con una violenza che non aveva mai trovato dentro di sé.
Danny l’appoggiò contro al bordo della piscina, continuando a sostenerla mentre riversava fuori l’anima a colpi di tosse, respirando come se fosse stata affetta dall’asma più virulenta.
“Little... Calmati, Little...”, le diceva.
Calmati un cazzo, mi stavi ammazzando!
Ci volle un po’ prima che Joanna si sentisse in grado di alzare gli occhi dalla grata di plastica che contornava tutta la piscina e li posasse su quelli di Danny, con rabbia.
“Non so nuotare!”, gli disse, con voce roca per lo sforzo, “Ecco perché non volevo fare il bagno!”
“Beh... Scusami.”, rispose lui, con aria colpevole.
In quel momento ebbe la voglia di dargli uno schiaffo, non seppe per quale motivo si trattenne dal farlo.
Forse perché è a trenta centimetri dalla tua faccia?
“Esagero sempre con gli scherzi che ti faccio.”, disse, “Perdonami ancora.”
“Lascia stare.”, gli disse, con tono scocciato.
Non gli resisteva, era ufficiale. E prese subito a rammaricarsene.
Avrebbe fatto meglio a dirgli che era il caso di lasciare tutto e tornare a casa, non doveva continuare a starsene lì sapendo che ne avrebbe sofferto e basta. Si fece coraggio e, dopo un nuovo colpo di tosse, prese un bel respiro. Sperò che l’aria intorno a lei contenesse un po’ di spavalderia, cosa che a Danny non mancava mai e che lei invece non aveva nemmeno per un solo briciolo.
“Senti, Danny...”, gli fece, attirando la sua attenzione.
“Togliti questa maglietta, altrimenti ti bloccherà ogni movimento.”, disse lui, senza ascoltarla.
No, la maglietta non si tocca.
“Aspetta un attimo.”, lo bloccò.
“E prenderai il sole a chiazze!”, perseverò lui, ridendo, “Sembrerai un muratore.”
“Danny!”, esclamò Joanna, “Mi vuoi ascoltare?”
“Dimmi tutto, Little.”, fece lui.
Era così vicino che non poteva fare a meno di guardarlo negli occhi. Se ne stava col braccio appoggiato sul bordo, piegato, la mano che penzolava nell’acqua. L’altro, invece, ancora sostava intorno ai suoi fianchi, con una presa decisa ma comunque delicata.
Forse era il caso che lo togliesse, che si allontanasse da lei, liberandola dalla sua presenza... Che posasse altrove i suoi occhi troppo blu, che non le sorridesse più, che non continuasse a starsene lì, bagnato... Che la buttasse fuori di casa, che la odiasse e che non le volesse più parlare. Così almeno se ne sarebbe fatta una ragione, si sarebbe definitivamente rassegnata ed avrebbe concentrato la sua attenzione altrove, non su di lui.
Sospirò, incrociando le braccia sulla grata di plastica e appoggiandosi su di essa.
“Allora?”, le fece lui.
“Niente, solo una stupidata.”, si limitò a dire.
“Dai, parlamene pure.”, insistette lui, “Lo sai che non aspetto altro che tu mi parli.”
“Ti volevo... dire che...”, farfugliò Joanna, lasciando perdere le lentiggini sul suo viso, “Ho la pelle delicata, non posso togliermi la maglietta.”
Inghiottì il magone in gola.
“Sì, la tua pelle è talmente chiara che si scotterebbe subito.”, annuì lui, “Comunque se vuoi ho un po’ di crema solare.”
“Ne sono allergica.”, assestò definitivamente l’ultimo colpo.
“Allora come vuoi, Little!”, si accontentò lui, “Adesso ti porto dove puoi toccare il fondo, qua l’acqua è profonda quasi due metri e mezzo.”
Joanna impallidì.
 “Sali in spalla.”, le fece Danny, mostrandole la schiena.
Chiuse le braccia intorno al collo e le gambe intorno alla vita di Danny che, senza un briciolo di fatica, iniziò a scorrere lungo il bordo della piscina. Una volta che anche i suoi piedi toccarono il fondo piastrellato di celeste, si fermò, lasciandola libera di riprendere fiato e di calmare le palpitazioni da infarto.
“Com’è che non sai nuotare?”, le chiese.
“Preferisco la montagna.”, spiegò.
Non aveva mai avuto il coraggio di imparare a nuotare, eppure non odiava l’acqua e non ne aveva paura. Semplicemente era sempre stata troppo pigra per andare in piscina e mettersi in costume... O forse aveva sempre avuto qualche livido addosso che non voleva mostrare ad occhio insolente.
“Dici? Io adoro il mare.”
“Non che mi dispiaccia, anzi.”, approfondì Joanna, “E’ che sono sempre stata in vacanza sulle montagne... Qua, in Francia, in Svizzera.”
“Beh, le montagne sono belle, ma preferisco nettamente il mare.”, ripeté lui.
Allungò una mano sul pelo dell’acqua e ne alzò un po’, schizzandola.
Scherzi idioti: dieci e lode, Danny Jones promosso all’anno successivo.
“Perché non rifarsi del principio di annegamento con una gara di schizzi?”, ironizzò Joanna, controbattendo.
“Non mi batterai mai...”, sibilò Danny.
I muri d’acqua che alzarono l’uno contro l’altra erano troppo alti ed impenetrabili. Si voltarono di spalle ridendo, cercando di mirare nel punto giusto, con le mani frenetiche che cercavano di sollevare più schizzi possibili.
“Te l’avevo detto!”, gridava Danny, cercando di passare oltre al loro rumore, “Non mi batterai mai!”
“Certo che ti batto!”, rispose lei, sebbene le braccia fossero già indolenzite.
Premeva contro l’acqua più che poteva, finché non si sentì prendere per i fianchi e sollevare di nuovo, ferma nella presa forte di Danny.
“E’ troppo facile farti volare!”, le disse lui, ridendo, e facendola tornare a terra, o meglio, nell’acqua, “Sei una piuma, dovresti mangiare di più.”
Joanna ne approfittò per guardare le sue braccia. In confronto a quelle di Danny, sembravano quasi degli stuzzicadenti di scarsa qualità.
“Eppure ti ho vista mangiare...”, continuò Danny, “Se Tamara mangiasse tanto quanto te, sarebbe una mongolfiera.”
Joanna scoppiò in una risata, placata all’istante per non passare da maleducata.
“Oh, grazie mille.”, qualcuno tuonò.
Si voltarono entrambi, trovando una Tamara abbastanza infastidita sul bordo della piscina.
“Hey!”, esclamò Danny, cercando di muoversi velocemente nell’acqua, abbastanza goffo.
Zittì la vocetta in piena ribellione dentro di lei e la salutò, cercando di non sentirsi colpevole per aver passato degli ottimi momenti con il suo fidanzato, nonché convivente.
“Ciao Tamara!”, le fece, aggiungendo anche un sorriso ed un cenno della mano.
Sì, sembrò amichevole perfino a se stessa.
“Salve!”, rispose lei.
Inaspettatamente, sembrava quasi contenta di vederla.
“Com’è che sei tornata così presto?”, le domandò Danny, uscendo dalla piscina.
“Avevo voglia di stare un po’ a casa.”, rispose lei, con tranquillità, “Magari potremmo portare Joanna un po’ in giro per Londra. Che ne dici?”
“Buona idea!”, esclamò Danny, posando lo sguardo su di Joanna, “Cosa ne dici?”
Joanna non sapeva cosa rispondere. La sera precedente Tamara le aveva fatto chiaramente capire di non essere gradita, ora faceva tutta la gentile con lei.
Già, c’era Danny.
E allora perché darle soddisfazione?
“Beh... Non so, forse è meglio un altro giorno.”, rispose, “Mi devo fare la doccia, poi ho da fare diverse chiamate...”
L’immagine di quei due, mano nella mano, le fece venire una certa nausea.
“Ne sei sicura?”, le domandò Danny, “Guarda che potremmo anche rimanercene fuori a cena, in città.”
“Per la miseria, no!”, esclamò, incontrollabile.
Che cazzo dici!
“Cioè... Ehm, volevo dire”, si ripristinò Joanna, “Per la miseria no... Nel senso che... Insomma, magari Tamara è stanca... E io poi non ho dormito bene stanotte...”
“Come vuoi tu.”, le disse Danny, con un sorriso, “Comunque dobbiamo prepararci bene per domani!”
“Perché?”, domandò Tamara, seguita a ruota dallo sguardo interrogativo di Joanna.
“Siamo tutti invitati a casa di Tom per un pranzo.”, spiegò lui, contento, “Cucinerà Gi, non sai quanto sia brava, ci sarà da star male per tutto il pomeriggio.”
All’istante, Joanna si sentì angustiata. Era felice per l’invito, molto felice...
Finché non si metteva a pensare a chi altri fosse stato esteso quell’invito. Pregò con tutta l’anima che Dougie fosse stato escluso, ma era sicura che non era successo.
“Ti vuoi unire a noi? Vuoi fare un bagno?”, domandò Danny a Tamara.
Joanna si voltò per dare la loro privacy, mettendosi a giocherellare con l’acqua, ma comunque con l’orecchio teso verso i due.
“Oh no, grazie, ho un paio di cose da sbrigare.”, rispose lei, “E ti devo anche parlare di un problema.”
“Mi riguarda?”, le chiese, con tono preoccupato.
“Sì.”
“Allora parliamone subito.”, le disse, “Rimani qua, Little?”
Si girò.
“Pensavo di uscire, mi fa un po’ male la pancia.”, mentì, non sarebbe mai e poi mai rimasta nella piscina da sola.
“Quanto male?”, le chiese lui.
“Non tanto.”, lo rassicurò.
“Se tra un po’ dovesse farti ancora male, dimmelo. Ti do qualcosa per fartelo passare.”
“Ok.”, annuì con la testa.
“Non farlo peggiorare, mi raccomando, non essere timida.”
“E dai!”, protestò Tamara, “E’ grande e vaccinata!”
Una serie di insulti cifrati tempestarono la punta della lingua di Joanna, ma lì rimasero.
 
 
 
Seguì Tamara fin dentro la loro camera, chiedendosi come mai avesse lasciato il suo amato lavoro per tornarsene a casa prima del solito. Lo aveva fatto rare volte ed ognuna di queste non aveva  un buon posto nei suoi ricordi. Incrociò le dita nella speranza che anche quella non fosse da annoverare nella sezione ‘brutte litigate senza apparente motivo’, ma sapeva di non potervi fare tanto affidamento.
Quando lei chiuse la porta Danny attese che si mettesse a parlare, che gli esponesse quale problema aveva avuto. Era certo che fosse stata solo una scusa ma lei, con tranquillità, si sedette sul letto.
Lui, che aveva indosso solo un accappatoio preso dal bagno del pianterreno, non fece altrettanto per paura di bagnare la coperta, così si limitò ad appoggiarsi al muro. Vedendola restia nell’iniziare a parlare, la esortò.
“Cosa ti è successo?”, le domandò.
Lei sospirò. Appoggiò i gomiti alle ginocchia e immerse il viso tra le mani, segno di una litigata imminente. Cercò di salvare il salvabile, avvicinandosi e inginocchiandosi davanti a lei.
“Va tutto bene, Tam?”, le fece, chiamandola con quel nomignolo che usava solo in sua presenza, davanti a nessun altro.
“Non lo so.”, rispose lei, “Dimmelo tu se va tutto bene.”
Classica domanda retorica.
Se avesse risposto sì, lei lo avrebbe accusato di essere uno stronzo. Se avesse risposto di no, lei avrebbe rivoltato la frittata, rimproverandolo di non aver fatto niente per cambiare le cose. Ormai conosceva abbastanza le dinamiche di una discussione con una donna.
Preferì non rispondere, in ogni caso sarebbe stato uno sbaglio.
“Lasciamo perdere.”, sentenziò quindi Tamara, “Non ti interessa capire.”
“Non è che non mi interessi... E’ che semplicemente non ci riesco se non mi parli.”, le disse con sincerità.
“Basterebbe che aprissi un po’ di più gli occhi per capire!”, lo fulminò lei.
“Io li apro e vedo solo te.”, le disse, “Se semplicemente mi spiegassi cosa c’è che non va, potremmo parlarne civilmente.”
“Tu non ne vuoi parlare, lo so!”, protestò lei, alzando il tono della voce.
Odiava quando lei lo trattava in quel modo, non lo sopportava.
“No, sei tu che non ne vuoi parlare!”, le rispose, “Io voglio sapere che cos’hai!”
Tamara si alzò in piedi, sbuffando con forza.
“Vuoi che te lo dica?”, lo provocò, incrociando le braccia.
“Ovvio che lo voglio!”
Lei scosse la testa.
“Se lo facessi davvero, non ci crederesti.”, disse Tamara.
“Parla.”, la invitò Danny, sospirando di rassegnazione.
“Joanna non mi piace.”, gli disse, secca, “Non riesco a capire che cosa voglia da te.”
E Danny davvero non credette alle sue parole.
“Ma cosa stai dicendo!” , le fece.
“Sto dicendo che Joanna è venuta in casa nostra con qualche scopo particolare... E sicuramente la mia presenza l’ha distratta!”
La cosa che lo faceva più incazzare era che Tamara, fino a quel momento, non aveva mai parlato di Joanna in quel modo. Non l’aveva invitata dentro casa loro, anzi, casa sua, senza che lei sapesse niente. Gliene aveva parlato per un mese, lei non si era mai opposta e, oltretutto, aveva anche mentito.
Avrebbe dovuto essere sincera con lui.
“Tam, stai dicendo un mucchio di fesserie...”, le disse, col tono più calmo che poteva trovare.
“Apri gli occhi!”, sentenziò, prima di chiudersi in bagno.
La discussione era finita, ora poteva anche andarsene.
Danny si portò una mano sulla fronte, aveva improvvisamente bisogno di qualcosa per il mal di testa: un aspirina, un antidolorifico per tori... Qualsiasi cosa. Era inutile rimanere lì dentro, ed uscì dalla camera.
Fece due passi a testa china, gli occhi che bruciavano per le pulsazioni del sangue nelle tempie e quando li alzò trovò Joanna, ferma sulla porta della sua stanza.
“Hey...”, le fece, “E’ tutto a posto?”
Se ne stava lì, a reggere il pomello, con aria preoccupata.
“Beh... Sinceramente no.”, rispose, ed esalò un lungo respiro, “Danny, forse è veramente il caso che io torni a casa, mi sento di troppo qua dentro.”
Strabuzzò gli occhi, era incredibile quante cose assurde avesse sentito nel giro di pochi secondi.
“E perché dovresti sentirti di troppo?”, le disse, avvicinandosi a lei, che prontamente si ritirò.
Sperò che non avesse sentito nessuna delle parole di Tamara.
“Perché... Insomma, tu... Tamara...”, disse, chiudendosi nelle spalle, “Avete litigato...”
Indicò con lo sguardo la porta di camera sua, alle sue spalle. Ecco, aveva sentito tutto. Danny sospirò ancora, chiedendosi che cosa avesse fatto di male per causare tutto quello.
“Little, non ti preoccupare, tu non sei mai di troppo.”, le disse, ma sapeva che sarebbe stato inutile, “E’ che Tamara ha avuto una pessima giornata... E se la rifà sempre con gli altri, tu non c’entri niente.”
“No, Danny, c’entro eccome.”, disse lei, premendo la mano sulla maniglia ed aprendo la camera.
La seguì dentro.
“No, Little, lascia perdere...”, le fece.
Aveva già messo mano alla sua valigia, prendendola e mettendola sul letto. Doveva fermarla. Le prese le mani, bloccandola.
“Little, lascia perdere Tamara, ha avuto solo una delusione sul lavoro.”, le ripeté, anche se non era la verità, “Se l’è presa con te perché è arrabbiata... E quando lo è, spesso non si rende conto di quello che dice.”
“No, Danny, lei sa perfettamente di cosa sta parlando.”, gli rispose, liberandosi delle sue mani. I suoi occhi erano più arrabbiati di quanto volesse far vedere.
Si ribellò, le tolse le mani dal bagaglio, che trafficavano per fare spazio tra i suoi vestiti, e le bloccò di nuovo.
“Rimani.”, le disse, guardandola dritta negli occhi, “Ti giuro che andrà meglio.”
 
 
Fino a quel momento aveva resistito alle sue parole, alle sue mani sulle proprie. Ma la coltellata finale, arrivata dritta sulla schiena, gliel’aveva data guardandola in quel modo. No, non poteva essere così meschino, non poteva volerle così male da supplicarla con quegli occhi.
Diventasse improvvisamente privo di quelle due armi di distruzione di massa!
Non era possibile dirgli di no.
“Va... Bene.”, disse, controvoglia.
Abbassò lo sguardo sui suoi piedi, almeno quelli non erano attraenti, ed incrociò le braccia, stufata e incazzata con se stessa. Aveva trovato la forza giusta per fare le valige ed andarsene, pescandola nelle parole dette ad alta voce da Tamara. Lui non poteva permettersi di far crollare quella fortezza con un semplice sguardo.
“Grazie.”, le disse, abbracciandola, “Perdonala, se puoi, posso assicurarti che non è sempre così.”
Contaci.
“Ok.”, gli disse, asetticamente.
Ignorò il bacio che le dette sulla testa, ignorò la sua mano che passò lungo la schiena, per tranquillizzarla. Ignorò il fatto di essere praticamente ancora in costume, con solo l’asciugamano legato sul petto, e la maglietta nera zuppa d’acqua indosso.
Lasciò perdere tutto, era immersa in quell’abbraccio.
And that’s when I realized, you had me hypnotized…
La strofa di quella canzone rimbombò ancora nelle sue orecchie, concludendosi con i gorgheggi finali del coro e con gli ultimi battiti della musica.
“Andiamo, facciamoci una doccia e vediamo come risolvere la serata.”, disse Danny, con tono stanco.
“Io me ne rimango qua in camera.”, rispose Joanna, “Devo chiamare Arianna... Con calma.”
Era un modo per dirgli che si voleva tirare fuori dalla questione, che non sarebbe scesa fin quando i suoi problemi con Tamara non fossero conclusi. Non era venuta lì con l’intenzione di riprendersi ciò che era suo, perché niente le era mai appartenuto. Fino a prova contraria in quella casa non c’era niente di sua proprietà, tranne il contenuto della sua valigia...  Danny era di Tamara, fine della questione, e lei aveva sempre rispettato i confini degli altri. Che cosa ne avrebbe guadagnato altrimenti? Niente, solo ulteriori seccature e problemi, ed aveva già le sue complicazioni personali da sopportare, non ne voleva altre.
“Come vuoi, Little, come vuoi.”, le disse Danny, sorridendole, “Io vedo di darmi una sistemata, ti chiamo per cena.”
“Perfetto.”
Aveva capito.
Attese che lui lasciasse la stanza, sorridendole ancora prima di chiudere la porta, e si sedette sul bordo del letto, sconfitta. Si alzò solo per prendere il telefono e comporre il numero di Arianna.
A che ora arrivi?”, squillò subito la donna, saltando il rituale pronto.
“Alla fine di questa vacanza.”, le rispose.
No, intendevo a che ora arrivi all’aeroporto oggi.”, ripeté Arianna, non comprendendola.
“Non lo farò... a meno che non riesca a liberarmi di quel mostro.”, si specificò meglio Joanna.
Dio, Jo, togliti da quella casa!”, sbottò subito Arianna, “Ne uscirai a pezzi!
“Lo so...”, sospirò Joanna, “Ma cosa devo fare!”
Prendere il primo aereo e tornare a casa, stupida!”, la rimproverò sonoramente Arianna, “Adesso!
“Volevo dire: cosa devo fare per togliermelo dalla testa...”
Smettere di pensarci.”, la liquidò Arianna, “Ora fai la valigia e torna a casa.
“Ci sentiamo domani.”, chiuse subito la chiamata.
Sbuffò, rassegnata, e ripose il cellulare sul comodino, spegnendolo. Si era cacciata in un vicolo cieco, un dead end inaspettato. Entrò in bagno e, dopo essersi liberata del costume e della maglietta bagnata, si infilò sotto la doccia.
Sotto lo scorrere fluido e caldo dell’acqua, rifletté.
Non aveva avuto molto tempo di meditare su come mai la madre di Danny si fosse presentata da sola, senza nessuno al suo fianco, aveva avuto altre questioni da valutare e sintetizzare, molto più pressanti di quella, ma aveva catalogato un’eventuale riflessione in argomento nella sua lista di cose tra fare, tra cui si trovava anche il già citato ‘Parlare ad Arianna e a Danny di mio padre’, ed anche l’inedito ‘Visto che domani vedrai sicuramente Dougie, dagli un secondo calcio nelle palle, più forte del primo e rompergli un altro basso’.
Sbuffò, rimuovendo quel personaggio dai sui pensieri.
E quindi, anche con Danny aveva in comune il condividere particolari genetici con persone da dimenticare.
Così come con Dougie.
Premette un immaginario tasto canc che fece volatilizzare di nuovo la sua faccia, incuneatasi senza permesso tra le sue riflessioni. Eppure non fu in grado di evitare che quella immagine si ripresentasse, portando con sé una domanda.
Perché era stato così facile parlare di suo padre con Dougie, mentre non trovava la forza per fare altrettanto con Danny?
Seguendo un percorso logico che aveva ritenuto infallibile, giustificava l’aver confessato la sua vita a Dougie non solo perché si era fidata di lui, ma anche perché avevano avuto quell’aspetto paterno in comune. Per cui, dato che gli stessi due elementi si era ripresentati con Danny... Come mai ancora non gliene aveva parlato?
Eh beh, eri sicura di farlo finché non si è presentata la variabile Tamara.
Sì, poteva essere possibile. Quando l’aveva vista comparire, con il suo bel sorriso smagliante e gli occhi verdissimi, erano cadute tante certezze, tra cui anche quella. Se ne convinse e terminò la doccia, interrompendo il getto caldo dell’acqua. Si asciugò i capelli, si vestì e si sdraiò sul letto. Chiuse gli occhi quasi subito, cadendo in un leggero torpore.
La risvegliarono i colpi alla sua porta. Era arrivata l’ora di cena.
L’ora del supplizio.
La fame che aveva le passò all’istante.
 
 
Non aveva risolto la litigata con Tamara, né la scocciatura di Little. Non aveva risolto niente e non riusciva a capire per quale motivo dovesse preoccuparsi di qualcosa che era nato dentro la testa della sua fidanzata, senza motivo.
Non le piaceva Joanna, perfetto.
Non se lo sarebbe aspettato, ma doveva prenderne atto. Non comprendeva però per quale motivo lei gli avesse detto che Little volesse qualcosa da lui; il problema esisteva solo nella testa di Tamara e lei non aveva la benché minima intenzione di parlargliene.
Per tutta la cena, infatti, se n’era stata in silenzio a guardare la televisione. Non era riuscito a trascinarla in alcuna conversazione, né sarebbe stato sensato innervosirsi ancora con lei, soprattutto davanti a Joanna. Anche lei, oltretutto, non aveva trovato mai la forza per andare oltre ai monosillabi ed ai sorrisi, ed alla fine Danny aveva lasciato ogni intento di ristabilire una situazione persa.
Si era stancato talmente tanto che si congedò con una scusa qualsiasi, lasciando la sala da pranzo per stendersi sul letto. Sebbene avesse preso qualcosa il mal di testa tornato a ripresentarsi, anche più forte di prima, ed aveva bisogno di dormire.
Riuscì a chiudere occhio ed a disconnettere il cervello.
Si risvegliò di lì a poco, non appena il letto si mosse, accogliendo anche il peso di Tamara.
“Che ore sono?”, le domandò, stropicciandosi gli occhi.
“Le undici.”, rispose lei, in tono asettico.
“Sei ancora incazzata?”
“Sì.”
“Perfetto.”, rispose, alzandosi e lasciando la stanza.
Prima però prese la sua chitarra, appoggiata alla costola dell’armadio, e scese in soggiorno. Ormai il mal di testa se n’era andato, ma non i nervi a fior di pelle: sicuramente qualche nota notturna lo avrebbe rilassato, avrebbe voluto aggiungerci volentieri anche una birra. Appoggiò la bottiglia sul tavolino e si mise a suonare qualcosa.
Improvvisamente, il motivetto che aveva composto quella mattina stessa gli tornò in mente. Era l’ora di ampliarlo, magari ne sarebbe venuto fuori qualcosa di buono. Come le ciliegie, una nota tirò l’altra e ben presto il motivetto era diventata una canzone assodata dei McFly, poi un’altra sentita qualche giorno prima alla radio, una del Boss, una di Eva Cassidy ed infine una degli Aerosmith, di cui non ricordava né il titolo né le parole.
Si era rilassato così tanto che, per comodità, si era steso completamente sul divano, lasciando a penzolare fuori una gamba, e teneva la chitarra sulla pancia.
“Dan...”, si sentì chiamare.
Appoggiò il suo strumento a terra e si alzò, passando oltre alla spalliera del divano.
“Little...”, le fece, stranito, “Che ci fai in piedi a quest’ora?”
“Beh... Facevi troppo rumore e non riuscivo a prendere sonno.”, disse lei, “Non è che si potrebbe abbassare il volume della tua chitarra?”
Rimase qualche attimo perplesso, poi sbuffò in una piccola risata.
“Sì, tranquilla.”, le rispose, “Mi stavo quasi per addormentare, avrei smesso di suonare comunque.”
“Ok... Grazie.”, disse lei.
Gli fece un cenno della mano e riprese la via della sua stanza.
“Little?”, la richiamò.
“Sì?”, fece lei, fermandosi.
“Possiamo scambiare quattro chiacchiere?”, le domandò, “Se non hai troppo sonno...”
“Me lo hai tolto suonando Walk This Way.”, rispose lei sorridendo, e ricordandogli così il titolo della canzone che aveva esplorato fino a qualche attimo prima.
“Conosci questa canzone?”, le fece, incuriosito.
“Certo, ed anche bene, mi piacciono molto gli Aerosmith.”, disse lei, venendosi a sedere accanto a lui.
“Non ho mai capito quale tipo di musica tu sia capace di ascoltare!”, esclamò, riflettendo brevemente sulla veridicità di quella affermazione.
“Hai presente quella che passano alla radio?”, disse lei, con tono scherzoso.
“Oh... Sì.”
“Ecco, niente del genere.”, rispose lei, aggiungendo una risata simpatica.
“Perfetto, allora andremo d’accordo.”, concluse con quello il breve excursus sui suoi gusti musicali.
Cercò di fare mente locale: anche se non aveva previsto quella conversazione, sapeva benissimo cosa chiederle.
“Ti posso fare una domanda schietta?”, le chiese.
“Fai pure.”
Sembrava calma, addirittura si era accomodata sul divano.
“Che cosa pensi di me, Little?”
Lei aggrottò la fronte, sicuramente si stava chiedendo quale fosse il significato di quella domanda.
“Beh... Penso che tu sia un buon amico. Un ottimo amico.”, rispose, con incertezza, “Ma perché me lo chiedi?”
Le sorrise. Quella risposta era più che sufficiente per zittire ogni possibile ritorno di Tamara in argomento.
“Perché per un attimo ho pensato che non mi sopportassi.”, le disse.
“Oh, se ci penso bene, farei meglio a trovarmi qualche altro amico, oltre che a te.”, rispose lei, ridendo.
Fece una finta faccia scandalizzata, roteò gli occhi e spalancò la bocca.
“Buonanotte Dan.”, gli disse Joanna, alzandosi e lasciandolo ad arrabbiarsi da solo, scherzosamente.
 
 
 
 
 
My mamma don’t told me,
when I was in pigtails...
My mama don’t told me, oh...

Si buttò sul letto, braccia aperte, faccia in giù.
‘Che cosa pensi di me, Little?’
‘Beh... penso che tu sia un buon amico. Un ottimo amico.’
Era la semplice verità, una constatazione di fatto. Danny sapeva essere un ottimo amico: l’aveva sostenuta quando era triste, l’aveva fatta ridere quando aveva voluto piangere. Tutto questo solo grazie alle parole scritte nelle sue mail.  

A man is a two-face, he'll give you the big eye...

Quando le aveva lette, nella sua testa era sempre echeggiata la sua voce calda e profonda. Aveva sentito la sua risata, le sue esclamazioni proverbiali. Tutto, come se accanto a lei ci fosse sempre stato lui.
 
And when the sweet talking's done.

E poi...
 
A man is a two-face,
a worrisome thing who'll leave you to sing
the blues in the night...









Eccomi arrivata, ho aggiornato!  Una volta a settimana, il lunedì è il mio giorno, ho deciso così. Vi riposate nel fine settimana, poi arrivo io con il mio nuovo capitolo XD e i sette giorni saranno migloio! Faccio pena.

Il titolo di questo capitolo è una canzone originariamente di Eva Cassidy, forse molte di voi non la conosce né ne ha mai sentito parlare. Fino a sei mesi fa ero nella vostra situazione, ma la sentii nominare da Danny, che ne parlava molto bene come artista blues. Personalmente, adoro il blues e mi aiuta a scrivere, quindi ho approfittato del suo consiglio ^^
Comunque, questa versione di "Blues in the Night" è di Katie Melua, altra cantante blues, ed è anche la canzone che cito in fondo al capitolo. 

Ovviamente tutto senza scopo di lucro, così come per "Walk This Way" degli Aerosmith e "Don't Know Why" dei soliti vecchi e cari McFly.
Nel caso in cui mi fossi scordata di qualche credit, dico: qualsiasi fatto/canzone/vip citato in questo capitolo non è nominato per scopo di lucro.

Ringrazio tutte voi, mie care lettrici *.* stavolta siete state più numerose del solito :) e grazie anche alle totali inaspettate!

Vi bacerei tutte, ma per il momento mi limito a darvi un abbraccio.

A chi ha avanzato l'ipotesi Jo-Harry... Avete presente cane e gatto? Beh, ogni tanto anche quei due fanno pace... Ma se ne dimenticano presto!
E poi la mente di Joanna è troppo impegnata da quell'operaio, come l'ha definito Ciribiricoccola...
Spero di non deludervi, anche se è molto presto per dirlo. Finora la storia è piuttosto statica, nel senso che deve succedere quello che deve succedere... Tutto nel prossimo capitolo XD

Ci leggiamo!



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Capitolo 5
*** A Girl Disappearing ***


 

 


Specchio, specchio delle mie brame, dimmi chi è la più deficiente di tutto il reame.

Si stava dando gli ultimi ritocchi davanti al fidato specchio, appena interrogato con quel facile quesito, e poi sarebbe stata pronta per partire.
“Little?”, si sentì chiamare da Danny, che si era pudicamente affacciato alla porta di camera sua, lasciata da lei appositamente semi aperta.
“Un attimo solo.”, disse.
Prese un profondo respiro ed uscì dal bagno, prendendo la piccola borsa che sostava in attesa sul letto.
“Bene, siamo pronti per partire.”, disse lui, sfregandosi le mani contento.
Un paio di sottili linee scure contornavano i suoi occhi blu, non doveva aver dormito bene quella notte, si notava bene.
“Nottataccia, Dan?”, gli fece, non trattenendo quella domanda.
“Si vede, vero?”, disse lui, sbuffando.
“Dai, tranquillo, stai bene lo stesso.”
Maledetta fu quella semplice frase e il momento in cui la disse. Tamara, sbucata alle sue spalle, non la prese bene. Anzi, non la prese affatto, era sfrecciata accanto a loro senza fiatare.
“Siamo in ritardo.”, disse poi.
Danny le lanciò uno sguardo paziente ed alle spalle fece un cenno sconsolato, prima che entrambi scendessero le scale. Approfittarono per fare quattro passi nell’aria già calda, la casa di Tom distava pochi metri da lì, il pranzo li aspettava.
E non solo il pranzo...
Le venne da affrettare il passo. Avrebbe voluto mettere le ali ai piedi e volare oltre la manica, ma non era Mercurio e non aveva approfittato dei saldi per farsi un bel paio di scarpe pennute.
“Di qua.”, le fece Danny.
Talmente era di fretta che non si soffermò nemmeno sulla facciata della casa, che comunque le sembrò nettamente più rossastra di quella di Danny. Suonarono il campanello, bussarono anche alla porta. Il loro terzetto sembrava il più indaffarato del mondo, tutti e tre avevano qualcosa di fastidioso dentro le scarpe.
Li accolse una sorridete Giovanna, in una canottiera bianca e pantaloncini corti, il tutto nascosto sotto un lungo grembiule colorato, macchiato in più punti.
“Ecco gli ultimi arrivati!”, esclamò, volgendo lievemente la testa verso l’interno della casa.
“Siamo davvero gli ultimi?!”, domandò Tamara, incredula.
“Sì, proprio gli ultimi!”, le confermò di nuovo la ragazza, scostandosi dall’entrata, “E scusate se non vi saluto come si dovrebbe, ma sono abbastanza impresentabile!”
“Figurati!”, disse Danny, con tono amichevole.
Lei per ultima, i due per primi, entrarono dentro casa Fletcher: molto bianca, chiara e solare, così come chi vi abitava dentro. Prima d tutto, Joanna notò la luminosità del soggiorno, la prima grande stanza in cui entrò. Dalle ampie vetrate alla parete si vedeva tutto il retro della casa, contornato da una siepe simile a quella di casa Jones. Non ebbe tempo per soffermarsi molto che un braccio le passò sulla spalla.
“Per caso il tuo amico è ancora incazzato con noi due per la storia del temporale?”, fece Harry, sorridendole scherzoso.
“Non più con me...”, rispose Joanna, ridendo.
Non si erano più visti dall’altro ieri e si erano lasciati che erano tutti molto sulle furie.
Danny, che l’aveva preceduta, si voltò per osservarli. Rimase qualche breve istante in silenzio, la bocca si chiuse il sorriso con un espressione piatta. Passò una mano sulla fronte, sistemando il ciuffo che la copriva, e si avvicinò.
Harry fece cadere il braccio dalla sua spalla, attenendo una parola da lui. Dal canto proprio, Joanna non aveva avuto niente da ridire ad Harry stesso, e la propria questione con Danny era già stata risolta.
“Scusa.”, disse Danny, mormorando la parola in un sospiro, “L’ho fatta troppo lunga per un temporale.”
Harry sbuffò.
"E' andata bene.”, borbottò il batterista, “L’ultima volta che ti sei incazzato con me mi hai portato il muso per una settimana!”
“Ti ricordo che in quella famosa ultima volta hai preso in prestito la mia macchina e l’hai riconsegnata con un faro rotto!”, specificò prontamente Danny.
“Non è stata colpa mia! L’ho trovato così!”, si difese Harry.
“E perché quale motivo ti sei fatto prestare la macchina da Danny?”, gli domandò allora Joanna, incuriosita dal rinnovarsi di un vecchio battibecco dei due, subito dopo la conclusione dell’altro, “Non ne hai una tua?”
Harry si guardò intorno, come se fosse stato messo in un vicolo cieco da quella sua innocente domanda.
“La sua cara auto era rimasta senza benzina.”, specificò Danny, ridacchiando.
“Perché il serbatoio era rotto!”, ripiegò subito il batterista, “E non volevo saltare in aria!”
“Ok, la finite?”, irruppe Tom, troncando in due la discussione, “Ci avete fatto venire il mal di testa.”
Le si avvicinò con un sorriso accogliente dei suoi, adornato di un paio di fossette sulle guance e la fece accomodare, togliendola dalle mani dei due contendenti.
“Come va, Jo?”, le domandò.
“Tutto a posto.”, gli rispose.
“Oh bene, da come Jones l’aveva fatta lunga pensavo che Harry ti avesse riconsegnata piena di lividi ed escoriazioni.”, le disse ridendo, e strizzando un occhiolino, “Ma vedo che stai piuttosto bene.”
“Grazie, sempre gentile.”, gli fece, “Per caso Gi vuole una mano in cucina? Non sono molto utile, non so fare praticamente niente se non rompere bicchieri, però magari posso starmene in un angolo e non toccare niente!”
Era nervosa. Terribilmente nervosa. Si sentiva così tesa che non trovava niente di meglio da fare che ironizzare su se stessa, trovandosi ridicola e di cattivo gusto.
Si era guardata velocemente intorno, mentre le due J -Jones e Judd- si stavano rinfacciando screzi passati, e non aveva visto nient’altro che Tamara infilarsi in una delle porte che si affacciavano sul soggiorno, dopo aver salutato Tom con un abbraccio ed un paio di baci sulle guance.
Non c’era.
Aveva deciso di snobbarla un’altra volta? Pregò il cielo di aver ipotizzato giustamente.
Ma perché sei così stupida da farti prendere dal nervosismo?
Perché odiava i ritorni di persone crocifisse. Non che lei avesse piantato tre chiodi alle estremità di Dougie ed avesse poi eretto la sua croce sulla cima del monte Golgota; aveva solo operato su di lui con un gigantesco pennarello, depennandolo dalla lista delle persone desiderate. Lo aveva marchiato con  la stupenda ics rossa.
Ce l’aveva con lui, e allora? Era da biasimare? No.
Si fece carico di quella secca negazione, prese un profondo respiro e si disse che la migliore soluzione era l’indifferenza.
Sarebbe stata impassibile ed indifferente.
“Oh, no”, le rispose Tom, indicandole verso la porta in cui aveva visto infilarsi Tamara, “c’è già qualcuno che l’aiuta, e poi è troppo paranoica, ha sempre paura che qualcosa vada storto... Che prenda fuoco il forno, oppure salti in aria il microonde. Ma grazie lo stesso.”
Non si sentì affatto meglio.
 “Adesso ci prendiamo tutti insieme un aperitivo all’aperto.”, disse, voltandosi verso i due, alle loro spalle, che stavano continuando a borbottare in toni infastiditi, ma comunque molto più tranquilli.
Tom posò una mano sulla maniglia di una delle tante grandi finestre del soggiorno e, premendo su di essa, la fece scorrere alla sua sinistra, aprendo  un varco verso il giardino.
Il giardinetto era molto più grande di quello di Danny, o forse era solo un effetto dovuto all’assenza della piscina. Stesso prato basso, un’altalena sulla sinistra ed un piccolo scivolo, come un buon augurio. Davanti a loro un gazebo bianco, il cui tessuto era scosso dalla lieve brezza calda, e sotto di esso un tavolo con bottiglie, brocche ripiene di liquidi colorati e tartine.
Il suo radar visivo non segnalò la presenza di alcun individuo sospetto e, camminando accanto a Tom, si trovò sotto all’ombra fresca del gazebo, con in mano un bicchiere di quello che il ragazzo stesso le aveva versato.
“Che buone!”, esclamò Danny, riempitosi la bocca di tartine verdi, “Gi è la migliore!”
Tom alzò gli occhi al cielo, guardando Joanna con viso rassegnato. Harry, accomodatosi su una sedia bianca, mangiava con educazione le piccole fette di pane spalmato di buone salse che aveva selezionato, forse in base al colore sfavillante, forse per via del suo gusto personale.
Tutti sembravano tacere ogni parola su di lui, sicuramente per discrezione. Perché non parlavano? Perché non le dicevano che non era venuto perché non la voleva vedere?
“Ti piace?”, le fece Tom, togliendola dalle sue domande esistenzialiste.
“Cosa?”
“Quello che stai bevendo.”, si spiegò il ragazzo.
“Oh sì, è molto buono.”, si complimentò, “Con cosa è fatto?”
“Non ne ho la più pallida idea.”, fece lui, scrollando le spalle con tranquillità.
Le venne da ridere.
“A Giovanna piace fare gli esperimenti con i cocktail?”, gli domandò.
“No, non a lei.”, rispose lui, prendendo una tartina e intaccandola con un morso, “A Dougie.”
Se avesse avuto un po’ di succo in bocca sarebbe affogata.
C’era, eccome, e si nascondeva da qualche parte.
“Ah... Beh, è buono lo stesso.”, fu capace di dire, strabiliata dal suo stesso autocontrollo.
“Dov’è Dougie?”, domandò allora Harry, dato che il ghiaccio in merito a quella questione spinosa era già stato rotto con un bicchiere di delizioso cocktail.
“E’ un cucina, sta aiutando.”, li informò Tom.
Dalla faccia stranita di Danny e di Harry, Joanna capì che lo slancio culinario del bassista da lei più odiato doveva essere cosa più unica che rara. Infatti, lei stessa non era capace di immaginarlo ai fornelli, con il cappello da cuoco in testa e la divisa bianca, come quella che aveva sempre visto indossare a Miki, al lavoro.
“Oddio!”, esclamò Tom.
Stava arrivando sorridente, con un vassoio ricolmo di altri stuzzichini, e quella proverbiale manifestazione di stupore non arrivò proprio a caso. Infatti, qualche secondo dopo fu seguita da qualcosa che la stimolò per la seconda volta, ma in modo molto meno educato.
“Oh cazzo!”, esclamò infatti Harry.
La sua espressione sottolineò perfettamente quello che videro: partendo dalle mani incerte di Dougie, incartato sui suoi stessi piedi, il vassoio compì un volo magistrale, forse un triplo salto carpiato con avvitamento a destra, e sparse il suo ottimo contenuto sul prato, per la sublime gioia delle formiche che lo abitavano.
“Doug!”
“Poynter!”
“Ma sei cerebroleso?”
Quelle furono altre tra le frasi a lui indirizzate dai suoi tre compagni, corsi a soccorrerlo. Lei, invece, se n’era rimasta al tavolo, impalata col suo bicchiere, ormai vuoto.
“Merda!”, accentò Dougie, alzandosi da terra, “Ho fatto cadere tutto!”
Aiutato da Tom e da Danny recuperò tutti gli antipasti dal giardino, mentre Harry decise di testarne un paio, dopo averli ripuliti dall’erbetta.
“Riporto tutto dentro.”, gli disse Tom prendendo il vassoio e le tartine.
“Bel lavoro, Dougster.”, lo consolò Harry, con una sonora pacca sulle spalle.
Dopo essersi ripreso dagli scossoni, Dougie ne approfittò per darsi una sistemata. Qualche ciuffo d’erba era rimasto sui suoi pantaloni a mezza gamba, la maglia invece sembrava sufficientemente pulita.
Non doveva fissarlo, né guardarlo con insistenza, né fargli una radiografia da testa a piedi. Anzi, non doveva proprio posare gli occhi su di lui. Impostasi quei sacrali divieti, si voltò verso il tavolo, occupandosi del riempimento del suo bicchiere.
Sentì i passi avvicinarsi a lei e, come un countdown, prese a contarli. Fu un’impresa ardua, l’erba attutiva ogni piede, rendendoli indistinguibili, ma fu comunque capace di capire quando furono abbastanza vicini a lei per...
“Ciao, Jonny.”
 

 
“Attento!”, gli aveva gridato Gi nel suo orecchio sinistro, “Così farai bruciare tutto!”
Aveva preso il cucchiaio di legno ed era tornato a girare quella brodaglia bianca che lei gli aveva affidato. Non sapeva cos’era, però lei diceva che le serviva, quindi lo faceva volentieri.
“Com’è che oggi ti senti così tanto casalingo?”, gli aveva domandato scherzosamente Tamara.
Stava anche preparando le tartine, ormai quasi pronte per essere portate fuori.
“Beh… Sto aspettando un bambino!”, le aveva rivelato lui, ancora più ironico, “E sento il bisogno di preparare il mio nido.”
Gi era scoppiata in una risata, Tamara aveva scosso la testa rassegnata.
Ormai lo conoscevano abbastanza bene da non prenderlo più di tanto sul serio, sarebbe stata una battaglia inutile e, soprattutto, una sconfitta già in partenza. Erano sufficienti gli altri tre a lottare con la sua sindrome acuta da Peter Pan.
Sarebbe stato per sempre un eterno adolescente, comunque capace di afferrare la sua testa tra le nuvole e piantarla sulle spalle per il tempo necessario a prendere decisioni giuste e ponderate, da adulto qual era. Per la restante parte della sua vita, invece, non avrebbe fatto altro che giocare con se stesso e con gli altri, come era sua natura.
Quel giorno, però, stranamente quelle sue due essenze si erano fuse insieme. In superficie il Dougie giullare, che si divertiva in cucina a tagliare le verdure a stelle solo per far infuriare Giovanna. Per aumentare il suo divertimento aveva anche preparato dei cocktail, inventando qualche strana miscela a base di cannella e di menta fresca, della quale aveva prontamente scordato la ricetta, pentendosene.
Subito sotto, stava anche il Dougie coscienzioso: quello che lo aveva riportato alla realtà pochi giorni dopo il ritorno da quella strana vacanza, facendogli capire che si era comportato con meschinità nei confronti di una persona che, innocentemente, aveva trovato in lui un appoggio per le sue difficoltà. Aveva voltato le spalle a qualcuno che aveva avuto bisogno di lui, e questo sbaglio era inammissibile.
Futile ogni parola in più, ogni tentativo di giustificazione e legittimazione da parte sua. Si era cullato per troppo tempo col pensiero che lo aveva fatto per lei, per non farla star male dopo la sua partenza, per non farla illudere. Riflettendoci, aveva infatti capito che l’aveva fatto soprattutto per se stesso. Ed era stato lui quello che, in primis, non aveva voluto soffrire.
Nonostante avesse voluto celarlo, non sempre in maniera efficace agli occhi dei suoi migliori amici, altre volte era rimasto pesantemente fregato nei rapporti con le ragazze… E non voleva passare di nuovo per quella stessa strada. Un anno fa diceva di non conoscersi abbastanza bene da poter affermare con assoluta di essere in grado di mantenere una relazione a distanza e, dato che al tempo Jonny gli era piaciuta abbastanza da voler provare a costruire qualcosa con lei, preso da quella paura aveva ripiegato sulla questione amicizia, per poi abbandonarla con cattiveria.
Doveva scusarsi, doveva farsi perdonare, soprattutto ora che quei giorni erano passati e che quello che aveva provato per lei era evaporato.
Non c’erano storie, non c’erano parole efficaci, niente. Era sicuro che lei non avesse cambiato idea e non la biasimava affatto, anzi, Jonny aveva a disposizione tutte le giustificazioni plausibili per continuare a pensare che fosse un emerito stronzo.
Eppure si sentiva come un ragazzino, confuso e anche un po’ stupido. Anzi, molto stupido, ma doveva dimostrare di non essere infantile e immaturo, anche se ad ogni minuto passato il Dougie in superficie aveva preso a strepitare con più forza. Era colpa sua se non era andato a salutarla quando era arrivata, se aveva saltato la gita a cavallo… Erano queste le infantili decisioni prese dal Dougie adolescente, quello che scansava i problemi piuttosto che affrontarli.
Si sentiva sempre più agitato, teso ed irrequieto, sebbene cercasse di non dimostrarlo, e non trovava una spiegazione a tutto questo nervosismo. Forse era perché tuttora non si reputava abbastanza bravo con le parole, forse perché aveva paura che Jonny interpretasse male il suo tentativo di riconciliazione. Infatti, lo spaventava abbastanza l’idea che lei gli negasse anche la possibilità di parlarle. In quel caso, però, la soluzione era una sola: accettare la sua volontà ed finirla lì.
Era stato il primo ad arrivare, con notevole sorpresa di Tom, almeno un paio d’ore prima dell’ora prefissata. Aveva aiutato ad apparecchiare la tavola, a sistemare il giardino fuori e, infine, si era chiuso in cucina con Gi, mentre Fletcher si preparava per accogliere Harry e, dopo qualche altro tempo, anche l’ultima carovana.
E ora, che era uscito dalla cucina inciampando involontariamente sui suoi stessi piedi, si sentiva infinitamente anche coglione. Camminava insieme a Danny ed a Harry, Jonny era voltata di spalle, si stava versando un po’ di succo nel suo bicchiere. Non la vedeva molto diversa, se non per i capelli corti alle spalle, non più lunghi sulla schiena. Era certo che, comunque, dovesse stare abbastanza bene: Danny sapeva essere un amico più che ottimo, aveva sicuramente trovato in lui tutti i consigli e il conforto che avrebbe voluto darle in prima persona, ed andava bene così, ne era contento.
Si avvicinarono a lei.
“Ciao Jonny.”, le disse.
Si voltò e notò subito la frangetta che le nascondeva la fronte. Le dava un’aria insolita, sebbene sotto di essa ci fosse sempre il solito viso gentile e luminoso.
“Ciao.”, rispose lei.
E gli sorrise.
“Come stai, Dougie?”, gli fece, “Tutto bene?”
Rimase un attimo stordito. Dov’era la Joanna che si aspettava, quella che avrebbe dovuto imbarazzarsi per la sua presenza?
“Sì… Alla grande.”, le rispose, senza troppo entusiasmo.
“Buono il cocktail che hai fatto.”, si complimentò lei.
“Oh, grazie.”, le disse.
Non sembrava cambiata, eppure qualcosa di diverso in lei c’era. C’era eccome.
“E tu come stai?”, le chiese, di rimando.
“Bene, grazie.”
Era comunque molto breve nei suoi atteggiamenti, accennava sguardi e gesti. Forse era meglio togliere temporaneamente le tende, interrompendo così il silenzio che aleggiava su di loro da qualche secondo a quella parte.
“Jones, sai che Gi sta preparando vere lasagne italiane?”, disse volgendosi verso di lui, “Almeno per un esercito intero!”
Studiò il volto di Danny.
Non trasmetteva niente di particolare… Chissà cosa si era aspettato lui da quell’incontro.
 
 
 
Era nervoso, terribilmente nervoso, ed era sicuro di non essere l’unico nel raggio di pochi metri dalla sua persona. Aveva tenuto costantemente sott’occhio Little, decifrandone ogni piccola espressione: si stava sentendo a disagio, impacciata a modo suo, e tutto questo non faceva altro che far salire la sua agitazione, doveva fare qualcosa per evitare che quel pranzo si trasformasse in incubo per Little.
Sapeva come avrebbe reagito nel rivedere Dougie di nuovo. Non avevano mai parlato di lui nelle loro mail, era stato semplicemente citato qua e là, segno che era per lei un argomento abbastanza tabù. Di questo se ne stava già rammaricando, così come di tutte le altre cose che lei continuava a tacergli, ma sperava che nei prossimi giorni quel velo di silenzio sarebbe caduto, era fiducioso.
“Jones, sai che Gi sta preparando vere lasagne italiane?”, gli disse lo stesso Poynter, “Almeno per un esercito intero!”
Aveva capito anche lui, ovviamente.
“Fantastico!”, esclamò, con il suo solito entusiasmo.
“Penso che, dopo questo pranzo, potrò morire.”, si affrettò ad aggiungere Harry, anche lui immischiato in quella situazione statica.
“Già… La nostra Gi è veramente una buona cuoca.”, disse Danny, toccandosi la pancia, “Sarà meglio evitare di mangiare altre di queste tartine, altrimenti non ci sarà posto per tutto quello che ha preparato.”
“Decisamente.”, disse Dougie, “Non ti dico quante buone cose ci stanno aspettando.”
Guardava i suoi due amici, ma contemporaneamente la scrutava con la coda dell’occhio. Li ascoltava, rideva con loro, sembrava tranquilla, ma tutto quello era solo una finzione.
“Dan, hai presente quel mio amico?”, attirò la sua attenzione Harry, “Quello che sta prendendo lezioni di volo?”
 
 
Eccolo lì, davanti a lei, Dougie. Aveva provato ad vederlo in carne ed ossa con sopra una gigantesca ics rossa, ma non aveva mai avuto tutta quella fantasia. Era semplicemente lì, davanti a lei, con le sue solite mani in tasca, e le parlava.
Lo trovava bene: i suoi occhi erano sempre vispi, l’espressione ancora giocosa e tutto sommato non lo vedeva molto diverso dall’anno precedente. Aveva solo i capelli un po’ più lunghi, abbastanza ribelli, i ciuffi mossi stavano addomesticati dietro alle orecchie. Sembrava spassarsela, la pelle lievemente scura dimostrava che doveva aver passato parte del suo tempo sotto il sole, in una qualsiasi attività. Magari nella stessa piscina di Danny, cosa ne poteva sapere lei…
Stupendosi di se stessa, riuscì a mantenere un buon controllo. Accantonò il rancore che ancora provata per lui, zittì ogni voce gli urlava contro brutte parole e si impose calma e sangue freddo, come recitava una martellante canzone di qualche estate passata, rispondendo con educazione a tutte le sue domande.
Tremò al silenzio caduto al termine delle parole di rito: lei non sapeva più cosa dirgli e, intelligentemente, fu lui stesso a spostare l’attenzione su Danny, liberandola dal peso che i suoi occhi chiari avevano aggiunto sulle proprie spalle. Li ascoltò aprire una conversazione, chiacchierare delle lasagne di Gi, della grande mangiata che stavano per fare tutti insieme, dell’amico di Harry che stava per prendere il brevetto da pilota e della voglia che avevano di andarsene in vacanza, nonostante l’album fosse prossimo all’uscita.
Con educazione, si allontanò passo dopo passo dai tre, interessandosi prima agli altri succhi presenti sulla tavola, poi alle patatine ed infine all’altalena, sospinta dalla leggera brezza calda. Erano ormai troppo concentrati su loro stessi per accorgersi di lei che, con il suo bicchiere, si era seduta sul gioco, e dondolava.
Le erano sempre piaciute le altalene: da piccola aveva passato ore ed ore seduta su quella che suo nonno, prima di morire, aveva costruito nel giardino della vecchia casa colonica di famiglia, fermando semplicemente due catene ad un solido e orizzontale ramo di quercia, per poi unirle con una tavoletta di legno. Lei, con un cuscino sotto le gambe, aveva cercato di battere ogni record nel continuo dondolare, provando ogni volta ad andare sempre più in alto, finché un giorno non rischiò di cadere a terra e, da quella volta, si accontentò di muoversi con modestia.
Quella giornata si prospettava sempre più calda, sentiva i raggi del sole batterle sulla pelle con prepotenza, e l’aria che si muoveva intorno a lei non le dava sollievo. Un’ombra le passò vicino alle punte delle scarpe, attirando la sua attenzione.
Guardò il giardino davanti a lei: nessuno, il trio era scomparso.
L’altra altalena si mosse.
Si voltò alla sua destra.
Dougie le sorrideva, seduto a cavalcioni sul gioco accanto al suo. Chi aveva decretato che dovesse rimanere da sola con lui?
“Avete finito tutte le parole?”, gli disse, volendo provare ad essere scherzosa, ma risultando solamente acida.
Dougie sbuffò in una risata.
“Lasciamo stare.”, disse, “Allora, come va la tua vacanza qua?”
Ma cosa te ne frega?, prese a sbraitare con petulanza la voce nella sua testa.
“Bene. Sta andando bene.”, gli rispose.
“Come ti sembra Tamara?”, continuò lui, incrociando le braccia.
“E’ una brava ragazza. E’ carina e simpatica, secondo me è perfetta per Danny.”
Non gli interessava essere convincente nelle sue risposte, bastava solo passare alla prossima domanda. Le sembrava di trovarsi dall’estetista, in attesa della prossima striscia di cera calda.
“Lo penso anche io.”, disse lui, esponendo il suo punto di vista, “Sono stato io stesso a presentarli.”
La voce nella sua testa ammutolì. Un sovraccarico istantaneo di insulti l’aveva mandata in tilt.
“Oh… Beh, allora grazie a te per aver fatto felice Danny.”, gli disse, voltando un sorriso nella sua direzione, “Ma non era stato Harry?”
Lui se ne rimase in silenzio. Si sentì sprofondare nell’imbarazzo.
“Sembri sarcastica.”, disse poi, dopo averla esaminata.
“Io? E perché dovrei esserlo!”, disse, mettendosi a ridere, “Dicevo sul serio, credimi. Sta bene con lei, si vede lontano un miglio.”
“Puoi dirlo forte.”, rispose lui, con contentezza.
Si prese altri secondi di silenzio, mettendola ancora di più nell’agitazione. Joanna afferrò le catene dell’altalena, stringendole.
“Dove sono andati gli altri due?”, gli chiese.
“Harry è andato dentro, diceva di morire dal caldo.”, spiegò Dougie.
“E Danny?”
“E’ andato con lui.”
E perché non ti sei unito alla carovana?
“Perché non sei andato con loro?”, gli domandò, in modo più gentile.
“Perché ti volevo parlare, Jonny.”, fece lui, diretto.
Joanna sospirò. Sapeva che, prima o poi, quella chiacchierata sarebbe arrivata, e avrebbe voluto posticiparla il più possibile, magari addirittura non prendervi mai parte. Non voleva rovinarsi la giornata, né la vacanza.
“Non abbiamo molto da dirci, Dougie.”, cercò di convincerlo, “Ormai è passato più di un anno, la questione è finita. Basta.”
“Ne sei sicura?”, le fece lui.
Esitò.
“Sì.”
Esitò anche Dougie.
“Ti volevo semplicemente chiedere scusa.”, disse poi lui, “Pensavo di agire per il tuo bene, poi mi sono reso conto che sono stato egoista, più che altruista.”
Continua pure, continua!
“Jonny, alla fine lo avevi capito anche tu… Ti ho voltato le spalle perché non volevo che la… Cosa si complicasse. Soprattutto per me.”, si prolungò Dougie, “Sono stato egoista e mi dispiace.”
Posò gli occhi su di lui, scrutandolo con attenzione. Incrociò il suo sguardo per qualche secondo, voleva vedere quante menzogne c’erano nelle sue parole.
“Ti voglio chiedere quindi scusa.”, attaccò ancora Dougie.
Non le veniva niente da dire. Se ne stava solo lì ad ascoltare le sue parole, quelle che avrebbe voluto sentire un anno prima e che finalmente erano arrivate.
“Non merito nemmeno che tu mi parli!”, esclamò il bassista, alzando le mani al cielo, “Fossi in te, mi darei un altro calcio nelle palle, adesso! E un altro basso fracassato!”
La fece sorridere, ma solo per qualche breve istante.
Non voleva perdonarlo, non doveva farlo; come aveva detto lui stesso non si meritava niente del genere, non dopo quello che le aveva fatto.
“Jonny, non sei in obbligo di fare niente.”, aggiunse poi, “Non pretendo assolutamente niente da te. Se vuoi mandarmi a quel paese, fallo pure. E’ una tua decisione, io la rispetto...”, si alzò dall’altalena, “E anche se non mi dirai niente, a me andrà bene lo stesso.”
“Aspetta un attimo.”, gli disse, riprendendolo prima che se ne andasse.
Si alzò e, impacciata, cercò di spiegarsi.
 “Mi hai veramente deluso.”, gli disse.
Dougie abbassò il viso.
“Ho sbagliato a fidarmi troppo di te senza conoscerti bene.”, continuò.
Voleva che si sentisse una merda, voleva farlo strisciare per terra, lontano da lei, con la coda tra le gambe.
"Anche per colpa tua trovo sempre più difficile fidarmi delle persone che mi stanno accanto.”, aggiunse, decisa ormai ad arrivare fino in fondo, “E devo affrontarne le conseguenze da sola, non ho molte persone accanto a me ad aiutarmi, lo sai.”
“Lo so.”, disse lui.
I suoi occhi non risalivano su di lei.
“Pensavi che avrei preteso cose impossibili da te? Chi sono io per farti una cosa del genere?”
Non lo diceva con rabbia ma con un tono stanco, quasi strascicato. Non era necessario che si infervorasse, e non era comunque il caso farlo. Bastavano quelle parole dette piano, con risentita calma.
“Dougie…”, ed incrociò le braccia.
Lui alzò lo sguardo.
 “Non voglio odiarti ancora, ormai non ha più senso.”, gli disse, “Ma non riesco a lasciar perdere.”
Dougie annuì, si mise le mani nelle tasche dei pantaloni.
Dopo essersi sistemata i capelli dietro alle orecchie, gesto del suo tipico disagio, Joanna lo guardò. Se ne stava lì, mortificato, pentito.
Era fuori discussione, non esistevano seconde opportunità. Non per lui.
Dougie non poteva semplicemente tirare fuori il suo tono più dolce e, con un sorriso dei suoi, cercare di rimettere in sesto il casino che aveva lasciato. Non doveva dare seconde opportunità a persone che non se le meritavano, nemmeno a chi come lui dimostrava di essersi davvero pentito. Ormai, dalla vita aveva imparato che le persone non cambiavano. Mai, neanche grazie alle più nobili e gentili intenzioni.
Quindi, perché uccidersi con le sue stesse mani?
“Vuoi comunque qualcos’altro da bere?”, le domandò lui.
Alzò gli occhi sui suoi. Il suo tentativo di conciliazione non sembrava essersi affatto concluso. Oppure voleva essere semplicemente gentile con lei, andare oltre al muro che aveva eretto per proteggersi e cercare di stabilire un’altro tipo di connessione, seppur debole ed instabile?
“Solo un po’ d’acqua.”, gli rispose, non molto convinta.
 
 

A braccia incrociate, dietro al vetro, esaminava la situazione: li aveva osservati quasi per tutto il tempo. Non proprio dall’inizio, dato che Harry lo aveva trascinato dentro con una scusa cretina, e lui sapeva essere convincente anche con le cazzate. Dopo avergli fatto capire che non era interessato a nessuno dei suoi discorsi, mancando la risposta a due domande di fila perché troppo occupato ad allungare il collo per vedere al di là del vetro, si era avvicinato alla porta finestra, come lo spettatore di un incidente lontano. Harry si era allora rassegnato, posizionandosi al televisore con uno dei tanti videogiochi di Tom. Dalle esclamazioni che provenivano all’orecchio distratto di Danny, sembrava parecchio interessato alla sorte della gara automobilistica a cui stava partecipando.
Little odiava Dougie per quello che le aveva fatto; ne era certo, o meglio, lo era stato fino a quel momento, quindi si doveva essere perso qualche passaggio fondamentale. Cosa gli era sfuggito?
Si era aspettato di vedere una litigata, una Joanna furiosa, che tornava a grandi passi da lui chiedendogli di portarla via da lì, di tenerla lontano da Dougie.
Era questo quello che si aspettava di affrontare, in quella giornata.
Perché stavano andando al tavolo degli aperitivi e parlare?
Comunque, ciò che stava analizzando non sembrava una conversazione felice, piuttosto un tentativo fallito di cercare di passare sopra a fatti più grandi di loro.
“Sembra che Dougie ne sappia sempre una più del diavolo.”, spuntò Harry alle sue spalle, facendolo sobbalzare.
Danny si voltò, guardandolo di striscio.
“Cosa stavi facendo fino a tre secondi fa?”, sbuffò, tornando a guardare fuori.
“Giocavo alla Play...”
“Tornaci.”, sentenziò.
Harry si rassegnò.
“Come siamo acidi, stamattina…”, borbottò, abbandonandolo per tornandosene al suo videogioco.
“Chi è acido?”, domandò Tamara, entrata qualche attimo prima nel soggiorno.
“Là… Coso… Finestra.”, balbettò Harry, ormai già concentratissimo sulla sua automobilina virtuale.
Danny sentì le mani calde della sua ragazza cingergli la vita, e il mento di lei appoggiarsi sulla sua spalla.
“Scusa per ieri sera… E anche per stamattina.”, gli disse, sussurrandolo in un orecchio. Un brivido scosse i suoi nervi, Danny si voltò verso di lei. Non riusciva ad avercela con la sua Tam per più di qualche ora, mai, nemmeno nelle poche e furiose litigate avute in passato. Era più forte di lui, non le resisteva.
“Lascia stare.”, le disse, dandole un bacio a fior di labbra, “Eri stressata col lavoro, non importa.”
“Me la dai vinta troppo facilmente.”, rispose lei sorridendogli e ricambiando il bacio.
“Ragazzi, sono diabetico e single, per cortesia.”, li rimproverò Harry, lievemente infastidito dalle loro effusioni.
Videro spuntare la faccia sorridente di Giovanna.
“Venite, è pronto!”, fece loro, “Ma dove sono Dougie e Joanna?”, chiese poi, non vedendoli.
“Si stanno incredibilmente parlando.”, disse il batterista, bruciando Danny sul tempo.
“Dici?!?”, esclamò Gi, “E dove?”
“Là fuori.”, la informò ancora Harry.
Si avvicinò a loro due abbracciati ed allungò lo sguardo al di là del vetro della porta finestra, parando con una mano gli occhi dal sole. Danny notò lo sguardo interrogativo di Tamara.
“E’ successo qualcosa che io non so?”, gli domandò, con affare interessato.
Con la scusa del dirle ‘Vedrai che quando la conoscerai, ti piacerà’, non le aveva raccontato niente di tutto quello che era successo in Italia. Forse Tamara aveva il diritto di sapere che, tra lui e Joanna, c’era stata più di una semplice amicizia nata per caso. E avrebbe anche dovuto essere a conoscenza del fatto che, dato quello accaduto, i rapporti tra lei e Dougie si erano guastati.
Eppure, alla luce della scenata di gelosia a cui aveva assistito la sera prima, si disse che era stato meglio non dirle niente, anche se non lo aveva fatto di proposito, ma semplicemente senza rifletterci troppo. In fondo, tutto quello che era nato con Joanna si era trasformato in una bella amicizia, quindi perché andare a complicare le cose?
“Beh… Sì.”, le disse, “Ma è troppo lunga da spiegare. In poche parole, hanno litigato a morte, nient’altro.”
“E perchè?”, incalzò Tamara, “C’è stato qualcosa?”
“No... Non che io sappia...”
Lanciò un’occhiata ad Harry. Lui, che in quello stesso attimo lo stava a sua volta guardando, sembrò comprendere ed annuì. Allora si rivolse con gli occhi anche a Gi. Stessa cosa, anche lei lo capì.
“Vado a chiamarli.”, disse poi Giovanna, “Anche se un po’ mi dispiace…”
Uscì fuori e, un passo dopo l’altro, li raggiunse. Joanna sembrava lievemente imbarazzata mentre Dougie, come al suo solito, si diresse pronto verso la sala da pranzo, lasciandola indietro con indifferenza.
Forse, l’unico modo per comprendere quei due era spiarli, mettere una cimice nelle loro tasche, oppure essere una mosca e posarsi sulle rispettive spalle, per ascoltarli indisturbati.
“Little, non è che ora non avrai più fame?”, le fece, scherzoso, “Con tutto quello che hai bevuto!”
“Tranquillo.”, rispose lei, taciturna.
“Avanti che si fredda tutto!”, li richiamò Tom a gran voce, “E Dougie mangerà anche dal vostro piatto!”
Con calma e senza troppa fretta, ognuno prese il suo posto intorno all’ampio tavolo della sala da pranzo. Per evitare che qualsiasi cosa accadesse –qualsiasi- fece sedere Little il più lontano possibile da Dougie, nella volontà di preservare quel pranzo da scene di disagio collettivo.
 
 
 

Ottimo pranzo, in assoluto uno dei migliori che si era aspettata di mangiare una volta messo piede in una terra dove i gusti culinari andavano a braccetto con quelli della moda. Non sapeva come Giovanna e Tom si fossero conosciuti, ma poteva quasi azzardare a dire che lei dovesse averlo preso per la gola: nonostante gli ingredienti non fossero proprio di derivazione originale, le lasagne erano ottime ed anche la carne e tutte le verdure che l’accompagnavano erano decisamente buone. Le bocche di tutti quanti erano rimaste deliziate, la sua più di tutte, e per lunghi momenti erano rimasti in silenzio, occupandosi con il cibo nei loro piatti. Per il resto del tempo avevano riso, scherzato e chiacchierato.
La parte più divertente, ovviamente, l’aveva riguardata personalmente. Come un genitore apprensivo, ma soprattutto oppressivo, Danny non aveva fatto altro che chiederle se tutto stesse andando bene, se avesse voluto più lasagne, meno carne, più verdure, altra acqua… Aveva risposto con pazienza a tutte le sue preoccupazioni ed aveva provato più volte a tranquillizzarlo, facendogli capire gentilmente che era in grado di mangiare senza farsi imboccare da lui.
Ci aveva pensato Harry a toglierle quel fastidio di dosso.
“Danny!”, lo aveva ripreso, “Meno male che non è tua figlia!”
“E pensare che ieri ha cercato di uccidermi!”, non aveva resistito Joanna.
“Non è vero!”, si difese Danny, “Io non ti volevo fare del male!”
“Cosa ti ha fatto Jones?”, le chiese Tom, “Sentiamo!”
“Mi ha buttato in piscina… E io non so nuotare!”
Da lì aveva iniziato a raccontare tutta la storia, facendoli involontariamente esplodere in risate rumorose mentre Danny cercava di riparare ai suoi danni con scuse inascoltate.
Dopo tutto –e tutti- il pranzo era andato piuttosto bene. Non c’erano state tensioni, né momenti di stasi, tutto era filato liscio come l’olio, come se niente fosse mai successo. Se n’era stata seduta composta mangiando, ridendo e parlando senza alcun timore. Alla sua sinistra, a capotavola, Tom. Alla sua destra, invece, se ne stavano Danny, con tutte le sue apprensioni, e Tamara.
La fedele Tamara.
Vicino al suo fidanzato Giovanna, che da quella postazione raggiungeva facilmente la cucina alle sue spalle, ed accanto a lei  Harry, seduto scompostamente.
Infine, Dougie, l’ultimo della lista, il più lontano. Sapendolo lì, il problema ‘Danny ama Tamara, rassegnati’ non era più grande di come le era sembrato, fino a qualche ora prima. Ma non si volle lasciar prendere da niente e da nessuno, era lì per divertirsi con loro, per stare insieme a degli amici –gli unici amici che aveva, seppur lontani- senza fare troppo la melodrammatica.
Ed ora che anche il dolce era finito, un semplice ma delicato tiramisù, era arrivato il momento di dare una mano alla padrona di casa, come le era stato insegnato.
“Giovanna, vuoi un aiuto?”, le chiese, mentre la ragazza toglieva i piatti da dolce ormai vuoti.
“No, tranquilla, ci pensa Tom.”, disse lei.
“Eh no!”, insistette, “Voglio proprio darti una mano.”
Intorno a lei, infatti, nessuno sembrava intenzionato a farlo, nemmeno Tamara.
Non conosceva le tradizioni inglesi, ma a casa sua si dava sempre una mano alla padrona di casa. Almeno erano le donne a farlo, mentre gli uomini se ne stavano misogini a parlare di calcio, con la pancia piena.
Nonostante le ripetute negazioni di Giovanna lei si alzò dal suo posto e, con educazione, tolse i piatti a tutti gli invitati. Attenta a non inciampare li portò in cucina e, uno dopo l’altro, furono messi dentro alla prostituta preferita di Gi, che altro non era che la sua lavastoviglie.
“Grazie...”, le fece la ragazza, una volta chiusa la fauce dell’elettrodomestico, “Quelli là non hanno proprio il senso dell’educazione.”
“Figurati!”, le rispose, con sincerità, “Era il minimo che potessi fare, dopo uno splendido pranzo...”
La ragazza arrossì, stringendosi in un sorriso.
“Beh... Grazie mille...”, le fece, “Detto da te che sei più italiana di me... Non può essere altro che un complimento dei migliori!”
“Pensa che io sono capace di far annerire anche il latte.”, disse Joanna, del tutto incompetente in cucina.
“Piuttosto...”, la ammaliò Giovanna con un sorrisetto, “Tu e Dougie...”
Si sentì prendere da una forte sensazione di gelo al collo, come se uno spiffero malefico l’avesse investita in pieno sulla nuca.
“Io e... Cosa?”, balbettò, insicura.
“Vi ho visti fuori, al tavolo degli aperitivi.”, disse lei, “Vi siete riappacificati?”
Il modo di fare di  Giovanna, innocentemente diretto, la stava mettendo in totale difficoltà.
“Tom mi ha raccontato tutto.”, insistette lei, annuendo, “E mi avete abbastanza stupito.”
Si sentì ammutolire.
“Soprattutto perché quel coglione di Dougie non è per niente capace di rimediare ai casini che combina...”, sospirò rassegnata Gi, ed indicò con un gesto della testa il tavolo alle spalle di Joanna, “Guarda lì...”
Era un tripudio di macchie, incrostazioni e bottiglie vuote, cucchiai nei bicchieri e salviette di carta appallottolate. Una catastrofe.
“Ha preparato gli aperitivi e non si è nemmeno preoccupato di pulire.”, disse Gi, mettendosi le mani sui fianchi come una mamma arrabbiata con suo figlio, “Ma glielo faccio vedere io... Dougie!”
Lo chiamò ancora tre volte prima che lui si affacciasse alla cucina, con aria interrogativa.
“Che c’è?”, domandò.
Come aveva fatto con lei qualche secondo prima, Giovanna puntò il tavolo con un cenno del capo. Dougie voltò gli occhi su di esso.
“E quindi?”, chiese.
“E quindi puliscilo tu!”, sbuffò Gi, “Non voglio stare tutto il pomeriggio con i guanti e la spugna a scrostare le tue macchie!”
“Cosa sarà mai!”, disse lui, con noncuranza.
Gi non la prese molto bene. Infatti, andò verso il lavello, aprì lo scompartimento sotto di esso e tirò fuori alcuni flaconi di prodotti. Li appoggiò in un angolo libero del tavolo e, rifilando i guanti e la spugna a Dougie, gli intimò di riassettare tutto nel minor tempo possibile.
Dopo di che, se ne andò.
La prospettiva di passare altro tempo da sola con lui, cercando di rappezzare quattro parole per non fare scena muta, la spaventò così tanto che rimase per qualche attimo in silenzio, con la mano appoggiata al ripiano di legno della cucina, così come lui l’aveva trovata quando era entrato.
Gli lanciò un sorriso stretto, poi si avvicinò alla porta.
“Me la dai una mano?”, le domandò Dougie, prima che potesse svignarsela, indicando i flaconi sul tavolo, “Non è che abbia tutta questa dimestichezza con quella roba.”
Certo che te la do una mano… Sul viso!
 “Ok…”, rispose Joanna, “Ti aiuto a togliere le bottiglie.”
In silenzio, una per una il ripiano di legno venne sgomberato; rimanevano solo le macchie incrostate ed appiccicose ed erano compito suo, lei non aveva la benché minima intenzione di aiutarlo ancora.
Mentre posava dentro al lavello le ultime due bottiglie vuote guardò con la coda dell’occhio un comico Dougie che cercava di infilarsi i guanti di plastica. Ovviamente, quelli erano della giusta misura di Giovanna e lui, che era un uomo e che quindi aveva mani molto più grandi di quelle di una donna, si stava trovando nettamente in difficoltà. La plastica, infatti, continuava a schioccare sulla sua pelle, tirata al massimo delle sue possibilità elastiche, mentre le dita non riuscivano a farsi strada dentro al guanto.
“Puoi anche fare senza.”, gli disse, trattenendo una risata.
Al che Dougie, con aria volutamente perplessa, prese uno dei flaconi e ne osservò l’etichetta con interesse.
“Magari tutte queste cose chimiche scritte qua dentro corrodono la pelle.”, disse lui, con faccia preoccupata, “Io non so cosa sia il... metil... diobenza... metiltonolo.”, fece, balbettando il nome di uno dei componenti del prodotto.
“Dougie.”, gli disse, mostrandogli le sue mani, “Le vedi? Non hanno niente, eppure quei prodotti li uso tutti i giorni. Puoi farlo anche tu, le tue mani non sono in pericolo.”
Lui sbuffò, appallottolò i guanti di plastica e centrò al primo tiro il lavello libero. Prese con riluttanza una spugna e si mise a strofinare sul ripiano.
“Se la bagni, dai un passaggio veloce sul legno per inumidire le macchie e poi usi un po’ di sgrassatore…”, lo consigliò.
Dio, non sapeva nemmeno come pulire un tavolo.
“Così va bene?”, sbuffò Dougie, con tono ancora più scocciato ed irritato, dopo aver passato velocemente la spugna sotto il getto dell’acqua.
“Beh… Come pulitore di tavoli fai schifo anche a Ronald McDonald, ma può andare bene.”, gli rispose, avendolo preso con ironia.
Volle rimanere a guardarlo mentre terminava la sua opera. Con quella poca pressione sulla superficie e senza lo sgrassatore non ce l’avrebbe mai fatta, ma non glielo avrebbe detto, voleva godersi lo spettacolo ridacchiando in silenzio.
“E così…”, esordì ad un certo punto lui, sentendosi sotto l’occhio di bue, “Hai usufruito anche tu della piscina di Danny.”
“Sì.”, gli rispose, “Sono stata piuttosto bene.”
“Com’è che non sai nuotare?”, le domandò.
“Beh… Non mi piace molto come sport.”, spiegò Joanna.
“Ma tutti sanno nuotare.”, ribadì lui, con ovvietà, “Anche mia nonna.”
“Beati voi, allora.”, lo seccò lei.
“E… Come hai fatto con la…”, disse lui, concentrato con il corpo sulla sua opera, ma con la sua mente altrove, “Con la…”
“Ho fatto il bagno in maglietta perché ho la pelle sensibile.”, rispose frettolosamente lei.
Ora era lei ad essere quella scocciata, a ribollire dentro. Non era più affare di Poynter come lei avesse gestito la situazione, quella domanda era stata del tutto inopportuna e fuori luogo.
“Eh già… Sei piuttosto bianchiccia, Jonny. Sembri malata.”, la irritò lui ancora di più.
“E tu ti sei fatto le lampade!”, ribatté, con il tono di un’adolescente inviperita.
“A dire il vero sono stato due settimane in Spagna.”, rispose lui con sorriso beffardo, “E sono tornato quattro giorni fa... E’ tutto naturale.”
Ma brutto bastardo!
Stava quasi per imbestialirsi aizzata dal suo tono superiore, quando la porta della cucina si aprì e Danny spuntò dentro la stanza, interrompendoli bruscamente. Tra le dita della sua mano sinistra il suo cellulare.
“Little, qualcuno ti ha chiamato.”, le disse, “Credo sia stata Arianna, penso di aver visto il suo nome sullo schermo prima che la chiamata cadesse.”
“Ah… Grazie.”, gli disse, sorridendogli.
Un attimo prima di consegnarglielo, però, lo vide lanciare un’occhiata enigmatica a  Dougie.
Sì, fulminalo con lo sguardo, inceneriscilo prima che possa farlo io!
Joanna prese il telefonino e, velocemente, controllò chi l’aveva desiderata. Sì, era stata davvero Arianna a chiamarla. Sicuramente era rimasta in attesa di una sua telefonata, di un aggiornamento sulla situazione che stava vivendo lassù, in terra straniera e ostile. Ma conoscendola, Arianna non si era preoccupata più di tanto, non era un tipo ansioso e apprensivo, a differenza di qualche inglese di sua conoscenza...
Avviò la chiamata e si allontanò dai due, appoggiandosi alla finestra. Nessuno le avrebbe dato fastidio, a meno che in quell’anno non avessero preso lezioni di italiano, ma ne dubitò fortemente.
“Torno di là.”, sentì dire a Danny.
Si voltò verso di lui e gli annuì con la testa, sorridendo ancora mentre lui lasciava la cucina. Poi posò gli occhi su Dougie.
“Io rimango.”, sbottò lui, con tutto il suo sarcasmo.
Scosse la testa e tornò a guardare fuori dalla finestra, ignorandolo.
Pronto? Jo?”, rispose quasi immediatamente Arianna.
“Hey! Ciao Arianna!”, la salutò con finto entusiasmo, “Come stai?”
Beh… Bene, sì.”
“Anche io!”, gli fece, ridendo, “Ho mangiato quanto una mucca, sto per scoppiare!”
Oh bene…”, rispose l’altra.
“Non posso raccontarti molto.”, le spiegò, “Non sono sola nella stanza e, anche se non capisce una mazza di tutto quello che sto dicendo, non voglio comunque insospettirlo.”
Sì, tranquilla, fai come vuoi.”, rispose lei, sbrigativamente, “Ascoltami, Jo, ho bisogno di te per qualche minuto.”
“Certo, dimmi pure tutto!”, le fece, appoggiandosi al muro, il braccio destro chiuso sul petto, l’altro che sosteneva la mano ed il telefono all’orecchio.
Puoi starmi a sentire con calma?”, le domandò lei.
“Ovvio, parla pure.”
Ti puoi anche sedere?
Joanna ebbe un momento di smarrimento. Tutto il falso entusiasmo che aveva inscenato evaporò in un attimo, lasciando solo una traccia debole e inconsistente. Si aggrappò comunque a quella, non poteva farsi vedere preoccupata. Non davanti a Dougie, né davanti a nessun altro. Non poteva essere successo niente di importante, magari Arianna aveva una notizia delle sue ed aveva bisogno di lei. Individuò una sedia nelle sue vicinanze, la prese, e si sedette.
“Sono seduta.”, le disse.
Nella breve attesa in cui Arianna si schiarì la gola, lanciò uno sguardo a Dougie, che continuava a pulire con sufficienza il tavolo. Era proprio un cretino, sì, quello ne era la piena dimostrazione.
Jo… ci sei?
“Sì, ci sono, parla pure.”
La sentì sospirare.
Joanna sentì un brivido gelido scorrere lungo la spina, ma mantenne comunque il controllo.
“Cosa c’è, Arianna?”, la esortò a parlare.
Silenzio.
Troppo silenzio nelle parole di Arianna.
 

 
Gli era piaciuto battibeccare con lei, sempre meglio della quasi totale assenza di parole. Faceva finta di essere impegnato con le macchie viscide e appiccicose sul legno scuro del tavolo, ma con l’orecchio e la coda dell’occhio era da tutt’altra parte. Non capiva nessuna delle parole dette da Joanna, nemmeno una, ma a volte fare l’impiccione era proprio una bella occupazione, nonostante fosse all’ultimo posto nella lista delle cose da lui amate.
Se ne stava impegnato con una crosta di zucchero e si era addirittura piegato sul tavolo, premendo con forza per farla staccare via, o per lo meno sciogliere. Per diversi secondi non aveva sentito alcuna parola uscire dalle belle labbra di Jonny, nessuna esclamazione contenta, niente. Alzò un sopracciglio, giusto quel poco per vedere cosa stesse facendo. Era seduta, lo sguardo fisso per terra, straniato. Nessuna espressione in faccia, niente, solo i suoi occhi verdi, vuoti.
Lasciò perdere la spugna.
“Jonny?”, la chiamò, con tono basso, “Va tutto bene?”
Con una lentezza immane, lei alzò gli occhi. Ed annuì.
Era impossibile crederle: se Jonny fosse stata davvero bene, sicuramente lo avrebbe guardato stizzita per poi voltarsi ed ignorarlo ancora.
Doveva fare qualcosa. Anzi, una sola ed unica cosa: chiamare Danny. Si pulì le mani bagnate sui pantaloni e, senza troppa fretta, uscì dalla stanza, non la voleva allarmare. Andò in salotto, lo trovò vuoto: erano tutti fuori, sotto il gazebo, a finire le ultime gocce di aperitivo. Con una leggera corsa li raggiunse, Danny stava conversando animatamente, ridendo con gli altri.
Gli mise una mano sulla spalla, lui si voltò.
“Jonny ti sta cercando.”, gli disse.
“E’ tutto a posto?”, chiese lui, che ormai non sapeva dire altro quando si riferiva a lei.
“Sì, è in cucina.”, lo informò.
“Ok.”, disse lui, congedandosi con un sorriso dagli altri.
Dougie si sentì gli occhi puntati su di sé, come se volessero chiedergli che cosa avesse combinato. Avrebbe voluto rispondere che Joanna aveva sicuramente ricevuto una brutta notizia ma non lo fece, la curiosità lo spinse a tornare indietro.
“Devo finire… Di là.”, si giustificò, “Così vuole Gi.”
Arrivò davanti alla porta della cucina, si era appena chiusa. Si chiese se stesse facendo la cosa giusta, ma entrò comunque.
“Cosa è successo, Little?”, le chiedeva Danny, in quel preciso momento. Lei era ancora seduta, immobile, con il telefono tra le mani. Lui, in ginocchio, la guardava dritta negli occhi. Doveva aver capito che c’era qualcosa che non andava, era evidente.
Il rumore della porta, uno scricchiolio inopportuno, fece voltare il suo amico verso di lui, che lo guardò infastidito.
“Scusate… Pensavo foste andati da un’altra parte.”, disse Dougie.
Danny lo lasciò perdere, certamente sperava che li lasciasse in pace ma non era quella la sua volontà.
“Little…”, le disse, prendendo le sue mani, “Parlami… Cosa è successo?”
Niente, non un solo suono usciva dalla bocca di Jonny, chiuse, serrate.
Per la seconda volta, Danny tornò a fissarlo. Glielo leggeva in viso: stava pensando che fosse tutta colpa sua.
“Tu ne sai niente?”, gli domandò nervosamente.
Dougie alzò le mani, con innocenza.
“No… Stava parlando con Arianna… Poi mi sono accorto che c’era qualcosa che non andava.”
E lo ignorò ancora.
“Little… Per favore, dimmi cosa ti è successo.”
Lei lo guardava, senza fare altro. Era scioccata.
Poi, con enorme sollievo di entrambi, si morse le labbra e le aprì, in uno spiraglio. Pregò il cielo che dicesse una parola, una sola parola, una piccola frase che potesse rassicurarli entrambi, che li potesse liberare. Ma non accadde.
I suoi occhi presero a ballare ripetutamente, spostandosi da Danny, davanti a lei e visibilmente terrorizzato, e lui, Dougie, lontano ma comunque preoccupato.
Ti prego, parla...
Si fermarono poi su di lui, distante e estraneo, scavalcando Danny.
“Mio padre è morto.”, gli disse.
La sua voce era piccola, quasi impercettibile, ma suonò come l’esplosione di mille bombe atomiche, che radevano al suolo l’indifesa città, portando via con sé tutti i suoi innocenti abitanti.
Spazzando via tutto.
E si sentì annullare.
 
 

Si sentì crollare, trascinare a terra. Sentì mille vetri infrangersi, mille volontà rompersi. Non poteva essere successo mentre Little era lassù, lontana da casa e dalla sua famiglia.
“Oh mio Dio!”, esclamò, abbracciandola istintivamente, “Quando…  Quando è successo?”, le fece.
“Non lo so.”, rispose lei, sospirando quelle parole.
“Non lo sai?”, le fece.
Sentiva il suo corpo tra le braccia e gli sembrò ancora più fragile, di cristallo e pronto a frantumarsi sotto il pericolo costante che ogni tocco, ogni suono, potesse farlo implodere, dissolvere. 
“Dio, Little…”, le fece, dandole un bacio sulla testa, “Non sai quanto mi dispiaccia…”
Le sue braccia la avvolgevano completamente, cercando di trasmetterle tutto il dolore che stava provando con lei che se ne stava lì, immobile, scioccata e vulnerabile. Sentì un paio di lacrime bagnargli gli occhi, ma non doveva lasciarle cadere. No, voleva essere pronto a consolarla, a sostenerla ed a dimostrarle che era lì per lei, per confortarla nel suo momento più nero. Doveva essere forte, era quello che contava per Little, per la sua amica più cara, una tra le persone che sentiva più vicino.
La strinse più che poté, cercò di trovare le giuste parole, ma tutto gli sembrò inutile. Cosa poteva dirle? Forse il silenzio e quell’abbraccio erano molto più potenti di cento parole, di mille ‘mi dispiace’, di milioni di inopportune e gelide condoglianze.
Lei si mosse, scostandosi con delicatezza. La stava forse stringendo troppo forte, le stava facendo male? La guardò, in cerca di una risposta. I suoi occhi erano pieni di una tristezza desolante, attanagliavano lo stomaco e lasciavano senza fiato chiunque li incrociasse. Era insopportabile, quel sentimento lo stava sfiancando e, per un attimo, Danny spostò il viso altrove, non essendo capace di farsi carico di tutte le emozioni che Little gli stava involontariamente trasmettendo.
Ma quando tornò a guardarla, vide che di tutte le lacrime che pensava avesse pianto non ce n’era nemmeno una sul volto di Little. Non una sola, niente.
“Little Joanna…”, le disse.
Le accarezzò una guancia, voleva essere certo che fosse almeno un po’ umida, ma la trovò perfettamente asciutta. La abbracciò di nuovo, come se quel gesto avesse potuto tirare fuori tutto quello che nascondeva nel cuore. Voleva che piangesse sulla sua spalla, che chiedesse il suo aiuto...
Forse era ancora troppo scioccata. Sì, si disse, doveva essere proprio così.
“Little.”, le fece comunque, sussurrandolo nell’orecchio, “Io sono qui per te… Sfogati se vuoi.”
“Sto bene così.”, disse lei, “Dan, devo prendere il primo volo.”
La lucidità che percepì nelle sue parole lo spiazzò totalmente. La voce di Little era chiara e cristallina, forse solo un po’ più infantile del suo solito, ma comunque ferma, decisa.  Lei lo stava spaventando fino alle ossa, fin dentro al cuore.
Si impose di calmarsi, di non farsi prendere dal panico. Doveva rimanere concentrato su di lei, sulla Little che aveva davanti. Doveva essere pronto, perché prima o poi lei avrebbe veramente realizzato il dolore di quella perdita così grande, così profonda. E lui sarebbe stato lì, a braccia aperte, pronto a raccogliere tutte le sue lacrime.
Non voleva che accadesse davanti a tutti gli altri.
“Andiamo a casa.”, le disse, alzandosi.
Si voltò, e si accorse che Dougie era sempre lì. Se ne stava appoggiato alla cucina,  braccia conserte e sguardo rammaricato. Aveva sempre saputo che lui fosse lì, ma se n’era completamente dimenticato.
Imbarazzato, Poynter li precedette nell’uscire dalla cucina, tenendo aperta la porta e camminando poi dietro di loro, ad una certa distanza.
“Vuoi dirlo agli altri?”, le domandò, a bassa voce.
Little non voleva mai essere al centro dell’attenzione, neanche in momenti come quello.
“Non lo so...”, rispose lei, “Fallo tu... Magari dopo che sono partita...”
Aveva previsto bene, ormai la conosceva, sapeva quali fossero i suoi punti deboli.
“Certo, Little.”, le disse, “Tutto quello che vuoi.”
Prima di essere troppo vicino agli altri, Danny la guardò di nuovo.
Niente, ancora nessuna lacrima, nemmeno una. Solo una grandissima angoscia, dipinta sul suo volto come un disegno indelebile, impossibile da lavare via...
“Ehm... Tamara.”, chiamò la sua ragazza, intenta in uno scambio di parole fitte con Gi, “Ti dispiace se facciamo un salto a casa? Joanna deve prendere una cosa.”
“Devo venire anche io?”, domandò lei, perplessa.
“Beh... Sì.”, le fece.
Non poteva spiegarle tutto, non davanti a loro. Soprattutto, non sapeva come avrebbe preso la sua decisione, adottata in quello stesso istante, di accompagnare Little in Italia. Non se la sentiva proprio di lasciarla andare da sola, non sapeva quando sarebbe esaurito questo suo stato di shock... E non voleva che succedesse senza che fosse accanto a lei. L’avrebbe semplicemente portata dalla sua famiglia e sarebbe tornato a casa: non si tratteneva oltre, non poteva farlo, anche se sentiva la volontà di rimanere con lei finché tutto non fosse finito.
“Se deve prendere solo una cosa, potete anche andare da soli.”, ribatté Tamara, evidentemente annoiata di interrompere la sua vivace conversazione.
“Faremo presto.”, insistette, “Solo cinque minuti.”
“Perché?”, continuò ancora lei, “Perché avete bisogno anche di me?”
Danny si toccò stancamente gli occhi, cercando la forza per resistere alla cocciutaggine di Tamara. Perché semplicemente non lo accontentava? Non stava forse capendo, come invece sicuramente avevano già realizzato gli altri, che c’era qualcosa che non andava? Notava le occhiate strane di Tom e di Harry spostarsi da lui a Joanna, per poi cadere su Dougie, ancora alle loro spalle, distaccato.
“Andiamo, Tamara, per cortesia.”, le fece, sospirando.
“Spiegami cosa è successo!”, si incaponì lei.
Cercò la forza per non irritarsi ancora di più.
“Devo tornare a casa.”, rivelò Joanna, accanto a lui, “Oggi.”
“E perché?”, chiese subito Tom.
“Niente di che.”, la sostenne Danny, “Solo un piccolo problema. Vero, Little?”
“Speriamo non sia niente di grave.”, disse Harry.
Gli occhi puntavano fissi quelli di Little, in cerca di una risposta più esauriente. Danny volle proteggerla, sapeva che quello sguardo le stava facendo male, e  Harry doveva smettere di essere così fastidioso.
“Beh...”, balbettò Little, “Devo... Proprio tornare a casa.”
“Ma come mai?”, tornò alla carica Tamara, “Cosa è successo?”
Per un momento Danny ebbe voglia di prenderla per un braccio e portarla via, farle capire che era...
“Mio padre è morto.”




Volevate Dougie? Eccovelo servito.
Volevate il perno intorno al quale gira tutta la storia? Eccovi pure quello.
Quando ho iniziato a scrivere questa storia, non avevo la più pallida idea di cosa far capitare ai miei personaggi. Non so per quale motivo mi è balzata in mente questa idea, spero che non tocchi la sensibilità di nessuno. In altro modo, spero di poter rendere in futuro i sentimenti di Joanna realistici rispetto alla situazione che sta vivendo. Avrà una reazione del tutto particolare, a cui il titolo di questo capitolo fa un certo riferimento.
La ragazza che scompare.
Spero che capirete perchè, anche se non ve lo chiedo adesso, ma nei prossimi capitoli. Non sarà una cosa che risalterà subito agli occhi, ma con un buono spirito di osservazione ed una buona capacità di lettura si potrà capire... Almeno spero, o vorrà dire che ho fallato in qualcosa XD
Comunque, il titolo del capitolo è una canzone di Tori Amos, artista che mi ha dato una mano più che fondamentale nella stesura di questa storia. Difatti, i suoi lavori saranno citati più volte. Vi consiglio vivamente di ascoltarla un po', ne vale la pena. Ad ogni modo, non ho sfruttato "A Girl Disappearing" per alcun scopo di lucro.

Passiamo ai ringraziamenti!

K94: eccoti servito Dougie XD contenta? Spero di sì!

GodFather: ma eccoti! Una per una state tornando tutte! Sono sinceramente commossa, quando ho pubblicato il primo capitolo mi chiedevo se avrei avuto il solito seguito di lettrici... Non so come ringraziarti! Per quanto riguarda la musica blues... Norah Jones penso di non sopportarla più, dal tanto che l'ascolto! Cat Power non la conosco... Ma penso di rifarmi molto presto. Grazie mille per il consiglio! Dougie era impegnato con te? Maremma santa, ecco dov'era finito! Ridammelo eh!!!!

Picchia: baciamo le mani... Sadismo? Masochismo? Chiamalo come vuoi, ma si tratta di Joanna... Credo che sul dizionario dei sinonimi, come Homer Simpson per stupido, ci sia lei sotto quelle  parole.  Purtroppo è fatta così, non la capisco nemmeno io a volte. Ma è nata in questo modo, ci posso fare poco, tranne che portarla sulla via della normalità. Credo di esserci riuscita, chi lo sa?

kit2007: diciamo che hai colto un po' l'essenza dello spirito di Danny, come di Tamara e di Joanna. Non è  facile sbrogliare queste  persone, soprattutto Danny e il suo rapporto con Joanna.  Ci sarà tutta una storia per capirne qualcosa e spero che non ti deluderò affatto.  Sono contenta che, in fondo, tu possa capire Tamara. Semplicemente perchè hai elencato il buon motivo per cui tutte dovrebbero farlo: è innamorata. E non è l'unica! XD Purtroppo...

CowgirlSara:  XD Si parla sempre di chi non c'è! Magari appena appare Dougie farà una figuretta così misera ai tuoi occhi che non lo filerai di striscio! Chi lo sa? Ma grazie comunque per tutto quello che hai scritto nella tua recensione, mi ha fatto molto piacere leggerla!  I capitoli saranno tutti più o meno lunghi, sai perchè, e spero di soddisfare ogni tua... Ehm... Particolare esigenza XD via, detta così l'è proprio pornografica! XDD Comunque apprezzo molto il fatto che sia riuscita a capire gran parte di come funzionano i cervelli di quei due cretini! Spero di non deludere nemmeno te, farò del mio meglio, prometto!

Saracanfly:  ma povera Tamara, basta! La trattate tutti male!!!! XDDDDD

Ciribiricoccola:  Spero che in questo capitolo l'operaio sia diventato, che ne so, un quadro dirigente XDDD anche se poi nei prossimi credo che lo degraderai di nuovo... Ho questa stupenda sensazione! Via, da te mi aspetto di capire il perchè del titolo di questo capitolo , non adesso ma nei prossimi capitoli... Che poi è una cacchiata, basta leggere per bene.  Danny che si accorge che Joanna è un po' strana???? XDDDD Ma anche no, purtroppo per lei!  Danny non capisce proprio niente di lei, e se ne accorgerà... In ritardo! Ci sbatterà la testa come contro ad un muro di cemento armato, e si farà mooooolto male. Via, ti ho già detto troppo!

_Princess_ : purtroppo quel termine lo odio dal profondo del cuore, perchè ormai non lo vedo più come un'ironia, ma come una critica spesso ingiustificata.  Ma vabbè, sono cose mie personali :)  Danny... Povero imbecille, meno male che ci sarà qualcuno che cercherà di aprirgli gli occhi! E mi dispiace, ma Drummer McHot verrà tagliato un po' fuori dalla scena... E' così... Fattene una ragione! XDDDD

x_blossom_x: ultima, ma non per importanza, ovviamente :) per i particolari dimenticati, credimi, non ti metto in croce :P E Danny bagnato credo che sia il top del capitolo! Insomma, fossi stata in Little...  Le difficoltà che lei trova nel parlargli, lo sai, sono piuttosto banali, ma quello non le capisce nemmeno quando gliele mettono davanti al naso.  Purtroppo è fatto così, è volontariamente cieco di fronte a lei... E perchè? Cos'è che lo rende cieco? Di certo non Tamara, povera ragazza... Little non ha mai fatto niente di male, ma Tamara ha una paura matta che Danny capisca... Soprattutto che capisca se stesso... Basta XD tu sai, ma le altre no!


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Capitolo 6
*** Censored Tears ***


6.  Censored Tears
 
 

Sometimes I'm a selfish fake and you're always a true friend
I don't deserve you 'cause I'm not there for you
Please forgive me again



Tutti la fissavano immobili, bloccati, sbarrati. Il primo a muoversi fu Harry: le si avvicinò e l'abbracciò, le disse che le dispiaceva, che non sapeva che cosa stesse provando ma che, comunque, le era vicino. Poi lo segurono Tom e a Giovanna, altrettanto scossi. Dougie non si mosse: non era stato capace di guardarla in viso da quando Jonny gli aveva dato la notizia, con gli occhi verdi fissi dentro ai propri...  Non sapeva cosa fare. Avrebbe voluto consolarla ma non trovava le parole giuste, non sapeva se abbracciarla... Non ne aveva la più pallida idea. Comunque, lei non avrebbe gradito il suo conforto e decise di rimanersene semplicemente in disparte, dove non avrebbe potuto farle del male, né darle fastidio. Ci avrebbe pensato Danny a sostenerla, non lui, che non ne aveva alcun diritto.
“Beh... Mi dispiace, Joanna.”, disse Tamara, colpevole del tono che aveva usato.
Non era difficile intuire quanto fosse gelosa di Jonny e quanto si sbagliasse sul suo conto, soprattutto sul non dare a Danny la fiducia che gli spettava. Non c’erano dubbi su quali fossero i reciproci rapporti,  non avrebbe dovuto essere così ostile nei suoi confronti: se gliene avesse dato la possibilità, lo avrebbe capito, ma sembrava troppo impegnata nel diffidare di lei.
“Non ti preoccupare.”, le rispose Jonny, “Non è colpa tua... Ma adesso vorrei davvero andare a casa."
“Aspetta.”, le disse Tom, “Chiamo l’aeroporto per cercarti un volo disponibile, così non dovrai perdere altro tempo.”
“Buona idea.”, disse Danny sospirando.
C’era qualcosa che lo turbava, Dougie glielo leggeva nell’espressione contratta del suo viso.
“Tamara, posso parlarti un attimo?”, chiese il chitarrista alla sua fidanzata.
La prese in disparte, lontano da orecchie ed occhi indiscreti che subito tornarono a concentrarsi su Jonny. Si preoccuparono per lei, le chiesero se volese dell’acqua, oppure se volesse sedersi:  Jonny accontentò tutte le loro premure, e  si sedette con un bicchiere di acqua tra le mani mentre Tom, Giovanna ed Harry la attorniavano, senza sapere di preciso cos'altro fare. Avrebbe voluto esserne partecipe ma sapeva che le avrebbe solo causato altra sofferenza.
Se ne restò lì, con le mani in tasca, in piedi vicino ad una delle quattro gambe del gazebo, quella più lontana da lei.
La osservava.
Jonny non piangeva.
Jonny non versava una lacrima per suo padre morto.
Jonny non diceva niente.
Jonny era strana.
Ed erano tutti preoccupati per lei. 
Sapeva che cosa le aveva fatto suo padre... E forse anche cosa le stava passando per la testa, cosa stava pensando. Oppure no? Cosa poteva saperne lui? Per quanto lo riguardava, anche suo padre era morto, o quasi, perchè non era la stessa cosa;  sapeva che era ancora là fuori, da qualche parte, magari con una nuova famiglia, con altri figli.  Lasciò perdere ogni pensiero che lo riguardasse personalmente, quello non era il momento di riflettere su di sé.
D'improvviso, la voce di Tamara si alzò esponenzialmente.
“Cosa?!?”, esclamò, “No, te lo proibisco!”
Tutti si voltarono verso di due in disparte, con aria interrogativa.
“Tam... Basta, ne parliamo a casa, va bene?", Danny cercò di calmarla e le fece cenno di abbassare il tono.
Dougie notò subito il nervosismo di Harry, che guardava verso i due, a pugni strett, mentre Gi se ne stava china su Joanna e la implorava di non starli a sentire, avrebbero presto smesso di discutere.
"Ha bisogno di qualcuno che le stia accanto!”, disse ancora Danny, “E io devo farlo, non può tornare a casa da sola. E' sconvolta!”
“Non esiste! Lei torna a casa, tu rimani qua!”, insistette Tamara.
Giovanna alzò gli occhi verso Tom e gli chiese di farli smettere, per il bene di Jonny.
“Ci penso io.”, disse Harry, camminando velocemente verso i due.
Dougie si preparò a quello che avrebbe assistito: una bella dimostrazione di quanto l'insensibilità delle persone potesse ferire l'innocenza di un'altra.
“Jo, andiamo dentro, qua fa troppo caldo.”, le fece Gi, con tono allarmato, e si allontanò con lei.
Harry ebbe il buon senso di aspettare che le due ragazze sparissero dal raggio della sua voce.
“Smettetela!”, esclamò infuriato verso di due, "Non vi rendete conto di quanto stia male?”
“Lo so benissimo, Judd!”, protestò Danny, “Adesso fatti gli affari tuoi!”
“Oh sì, certo, adesso me ne torno sotto al gazebo e farò finta di niente!”, rispose l'altro, “Farò finta che non ci siano due deficienti a litigare mentre qualcuno, in salotto, non aspetta altro di essere portata all’aeroporto per tornarsene a casa e starsene con la sua famiglia!”
“Harry, lasciaci in pace!”, tuonò Tamara.
“Subito, signorina!”, disse lui, con sarcasmo, alzando le mani al cielo, “Finite di scannarvi, fate con calma, ci pensiamo noi a portare Joanna all’aeroporto.”
“Lo faccio io!”, lo fermò Danny, prendendolo per un braccio.
“No, tu non andrai affatto!”, si sfogò ancora Tamara, “Non ti azzardare a lasciare questa casa con lei!”
“Chiudi quella bocca!”, le si rivolse con foga Harry, che ormai ne aveva avuto abbastanza di quella sceneggiata.
Mai frase fu più appropriata di quella per farla zittire.
“Tamara, non vuoi che Danny vada? Perfetto!”, le fece Harry, “Allora non ci andrà!”
“Questa è proprio bella!”, esclamò Danny, stupito.
“Certo che è bella, cretino!”, gli si rivolse Harry, ancora più infuriato, “Non capisci che sei davanti a due alternative?”
“E quali sarebbero?”, domandò lui, retoricamente.
“La prima è quella in cui tu prenderai l’aereo con Joanna, la accompagnerai a casa, e tornerai trovando la tua vuota, senza Tamara.”, gli fece.
La ragazza annuì, contenta di aver trovato sostegno in Harry, ma c’era ben poco da festeggiare.
“L’altra, invece, è quella in cui tu sceglierai di rimanere qua, lasciando che qualcuno di noi la accompagni al posto tuo. Jojo starà comunque bene e tu, invece, avrai ancora la tua fidanzata.”, concluse Harry.
Danny lo fissò, poi si spostò su Tamara.
“Perché mi stai mettendo di fronte a questa scelta?”, le fece, “Lo sai che è del tutto inutile! Perché dubiti di me?”
Dougie scosse la testa, disgustato da quello a cui stava partecipando. Anche Tom, avvicinatosi a lui, era sulla sua solita lunghezza d’onda. Volse lo sguardo alla casa: le porte a vetro rifrangevano la luce del sole alto nel cielo, non gli permettevano di scorgere né Giovanna né Jonny. Li stavano sentendo? Pregò di no, altrimenti non avrebbe risposto delle sue azioni.
Tornò sulle frequenze dei tre litiganti.
“Danny, non puoi andarci, è fuori discussione.”, ripeté ancora Harry.
Il chitarrista sbuffò, alzando le braccia al cielo.
“Jojo non tornerà a casa da sola, te lo prometto.”, insistette Harry, posando con sicurezza una mano sulla sua spalla, “Qualcuno di noi sarà con lei.”
“E chi?”, ringhiò Danny, “Vuoi andarci tu, per caso?”
Harry scosse la testa.
Dougie non era d’accordo, assolutamente. Quel compito toccava solo ed esclusivamente a Danny, era fuori discussione, e se a Tamara non stava bene allora quella era la porta, poteva andarsene. Tutto ciò era la palese dimostrazione che anche quella ragazza, così come tutte le altre che lui aveva avuto, non era capace di fidarsi di lui. Così come ognuno di loro, Danny aveva la sua personale scala di priorità: musica, amici, e poi il resto. Chiunque fosse stato abbastanza intelligente da capire in quale categoria rientrare avrebbe subito saputo quando mettersi da parte per dare la precedenza alle cose più importanti. Tamara doveva aver ritenuto di essere più fondamentale dei suoi amici ed apparentemente aveva sbagliato di grosso, Danny  non sembrava averle ancora concesso di travalicare la posizione che le aveva affidato.
Ne rimase alquanto stupito.
“Mandiamoci Tom!”, esclamò Danny, “Mandiamoci lui, che non la conosce affatto!”
Dougie guardò verso Fletcher, che ricambiò scuotendo la testa.
“Aspetta!”, continuò Danny, mettendosi a ridere, “Mandiamo Dougie! Lui sì che sa come farla star bene!”
“Sì!”, disse Harry.
Si sentì gelare.
Danny rimase stupefatto.
“Sì cosa?”, gli fece, “Sì, un bel cazzo! Judd, stai scherzando, vero?”
“Dougie è più adatto di me e di Fletcher messi insieme... Se non badiamo a ciò che è successo.”
“Non se ne parla!”, si incaponì Danny, “Lui non andrà con Little!”
“E allora vuoi andarci tu?”, tornò a farsi sentire la voce squillante di Tamara, “Harry ha ragione, se adesso parti, me ne vado.”
"Tu non sai cosa è successo tra Dougie e Joanna!”, cercò di farla ragionare Danny, “Lei lo odia!”
No, lei non lo odiava.
Lo ripugnava, lo schifava, lo negava, lo aborriva, lo disprezzava, lo spregiava, lo detestava con tutta se stessa. Ma non lo odiava affatto.
“E quindi?”, sbuffò Harry, “Dougie deve semplicemente prendere l’aereo con lei, lasciarla alla sua famiglia e tornare qua. Fine! Cosa c’è di complicato in tutto questo?”
Perché stavano parlando come se lui non li stesse sentendo? Pensavano che fosse sordo? Oppure non avevano visto che lui era lì, perfettamente dotato di occhi ed orecchie? Magari, se avesse fatto sentire la sua voce avrebbero smesso di caricarlo di una responsabilità che non voleva assolutamente accollarsi.
“Hey!”, fece loro, “Guardate che io sono qua!”
“Lo sappiamo che ci sei, Poynter.”, gli fece Harry, “Ma non hai voce in capitolo.”
“Oh sì, certo, io accetterò le vostre decisioni senza oppormi!”
“Dougie.”, sentì la mano di Tom posarsi sulla sua spalla, anche lui sembrava favorevole a quella soluzione.
“Tom, per cortesia, non metterti in mezzo.”, gli disse, liberandosi del suo tocco, “Non ti rendi conto che non posso farlo? E comunque Jonny non vorrebbe.”
“Potrei farlo io, ma ha detto bene Danny, non la conosco.”, disse lui, con il suo solito tono calmo e rilassato, “E lo stesso vale per Harry. Si sentirebbe più che sola in nostra compagnia.”
“Perché non pensate un po’ anche a lei?”, disse Dougie, “Magari Jonny vuole semplicemente tornare a casa senza scocciatori!”
“Lo hai visto anche tu in che stato è.”, insistette Tom, “A me... Fa paura.”
Anche a lui...  Jonny stava spaventando tutti. Non si reagiva in quel modo alla perdita di un genitore, non si poteva rimanere così calmi, senza versare una sola lacrima di disperazione, neanche quando a morire era stato uno come suo padre.
“E so che sei preoccupato più di me e di Harry messi insieme...”, premette ancora Tom, “Fallo per il suo bene.”
“Ma lei non vorrà!”, gli ripeté, con maggiore forza.
“Le faremo capire che non può andare da sola.”, disse Tom.
No, non poteva accettare quella decisione. Guardò verso i tre scuotendo la testa, ancora immersi nella discussione ad una decina di metri da loro. Danny si accorse dei suoi occhi e si incamminò nella sua direzione, fermandosi proprio davanti a lui. Dougie fu pronto ad una sua reazione drastica.
"Apri bene le orecchie, Poynter.”, gli disse, il suo tono era tutt’altro che amichevole. “Ti chiedo una sola cosa.”
“Danny, io non voglio andare con Jonny, è fuori discussione.”, lo interruppe, cercando di essere convincente.
“Non mi interessa quello che voi.”, riprese lui, “Quello che è importante è che Little torni a casa, che sia sotto lo sguardo vigile di qualcuno.”
“Fallo tu, fregatene di Tamara!”, gli disse.
“Non posso.”, affermò Danny, stringendolo in uno sguardo sicuro e fermo, “Devi farmi questo immenso favore, da amico quale sei. Smettila di fare il bambino, comportati da adulto  e prenditi questa mia responsabilità.”
 
 
Così come aveva accettato di sedersi, di bere e di entrare in casa, al sicuro dalle parole taglienti che erano uscite dalle loro bocche, Little accettò di farsi accompagnare da Dougie. Aveva ascoltato, annuito, detto semplicemente ‘grazie’, ed alla fine aveva accettato tutto senza dire una parola, senza scomporsi, senza irritarsi, senza opporsi. Danny non sapeva più cosa fare, non voleva ancora credere che Little avesse detto di sì.
La Little che conosceva, la sua Little, non si sarebbe mai sottoposta a tutto quello. Dire che era preoccupato per lei era il più grosso eufemismo che la mente umana potesse produrre. Era terrorizzato, completamente spaventato.
Erano tutti lì, nel soggiorno, con le mani in mano, in attesa che Tom sbrigasse la sua telefonata e prenotasse un volo per Little e per Dougie. Erano seduti, tranne lui che passeggiava nervosamente alle spalle del divano dove si era accomodata Little, immersa nei suoi pensieri, lo sguardo perso sulle pieghe del tappeto sotto i suoi piedi.
Tom spuntò dalla cucina, il telefono in una mano e un blocchetto nell’altra.
“Allora...”, esordì, non appena l’attenzione si fu concentrata su di lui, “Il primo volo disponibile parte stasera alle otto e mezza da Gatewick ed atterra a...”, rilesse gli appunti, “A Firenze... Mentre quello di ritorno per Dougie ci sarà...”, tornò a controllare quello che aveva scritto nella sua sempre bella ed elegante calligrafia, “Beh... Ci sarà domani mattina alle quattro, niente disponibilità in altri aerei. Gli aeroporti rimangono gli stessi.”
“Ok.”, disse Danny, “Grazie, Tom.”
“Figurati.”, disse lui, stringendosi nelle spalle e in un sorriso rassicurante.
“E’ meglio che mi sbrighi a preparare le mie cose.”, disse Little, alzandosi.
“Sì, ti porto subito a casa.”, le fece, “Dougie, ti passo a prendere tra un’ora.”
“Va bene.”, disse lui, annuendo.
Fece per muovere un passo, poi si bloccò. Guardò verso Tamara, seduta sulla poltrona, da sola, vicino a lei Giovanna.
“Rimani qui?”, le chiese.
“Sì.”, rispose lei, seccamente.
Le si avvicinò e le dette un bacio sulla testa, percependo sulle labbra tutta la rabbia che provava per lui. Si sarebbe fatto perdonare, ma ora doveva pensare a Little, a farla tornare a casa senza problemi e provare a starle accanto in quella lontananza impossibile. Una lontananza in cui Tamara stessa l’aveva costretto contro la sua volontà, ma che aveva accettato di vivere. Non la voleva perdere.
Vide gli altri alzarsi ed abbracciare Little, sussurrarle di nuovo il loro dispiacere e ricevere in cambio nient’altro che le espressioni assenti, nascoste da piccoli sorrisi, segno della gratitudine che voleva dimostrare loro. Uscirono dalla casa in silenzio, camminando lungo il marciapiede. Lei se ne stava a testa alta, gli occhi davanti a sé. Lui non poteva fare altro che chiedersi cosa le stesse passando nella testa e nel cuore. Avrebbe voluto avere la chiave per accedervi, ma si doveva accontentare solo della possibilità di leggerle tutto negli occhi. E quello che vedeva non era nient’altro che un’infinita tristezza.
Finirono di preparare la valigia ed ancora nessuna parola era stata detta. Si sedettero davanti alla tv, cercando di distrarsi, non un filo di voce. Little era lì, accanto a lui,  ma dove si trovasse a lui non era dato sapere. Quel tempo in attesa fu uno dei più lunghi della sua vita: i secondi erano interminabili, ogni ticchettio dell’orologio che portava al polso sembrava segnare la fine di un’eternità.
Aveva caldo, si sentiva soffocare, l’aria era irrespirabile. Sì alzò, bevve, fece quattro passi in giardino, immerse una mano nell’acqua refrigerante della piscina. Tutto, pur di far aumentare lo scorrere mastodontico del tempo. Tornò dentro casa e trovò Little ancora al suo posto, seduta come l’aveva lasciata, con le mani distese lungo le gambe e lo sguardo fisso sullo schermo del televisore, straniata dal mondo. Si sedette ancora accanto a lei e le passò un braccio sulle spalle, stringendola. Rimase così per qualche tempo, non seppe dire quanto.
“Perché non piangi?”, le domandò, le parole uscite incontrollabili dalla bocca.
“Non lo so.”, rispose.
La risposta lo ammutolì.
“Dobbiamo andare.", disse lei.
Caricò la valigia nell’auto e fece salire Little al posto dell’accompagnatore. Si spostarono davanti all’abitazione di Dougie, a cento metri dalla sua, e suonò tre volte il clacson. Un paio di minuti ed anche lui fu in macchina. Il silenzio durò ininterrotto per tutto il viaggio, una sostanza vischiosa aveva censurato le loro bocche, bloccato i loro pensieri, immobilizzato i loro corpi. Solo la voce di Alanis Morissette usciva bassa dalle casse dello stereo.
What's the matter Mary Jane, you had a hard day, as you place the don't disturb sign on the door..
Quella canzone era sempre stata tra le sue favorite. Ad ogni parola, sembrava quasi voler parlare a tutti loro.
A Little.
Please be honest Mary Jane, don't censor your tears..
Tell me, tell me, what's the matter Mary Jane...


Arrivarono all’aeroporto, il volo era già segnalato dalle spie rosse sul grande tabellone. Sarebbero partiti tra un’ora e mezza, era il momento di fare il check in e sbrigarono subito quella formalità. Li guardava entrambi: davanti a lui, Little con il suo trolley e Dougie con uno zaino.
“Vado a prendermi qualcosa da bere.”, disse Joanna, “Ho sete.”
“Lascia andare me.”, le disse prontamente, “Rimani qui con Dougie.”
“No.”, fece lei, “Faccio da sola. Non ti preoccupare, non mi perderò.”
Gli affidò la sua valigia e se ne andò in cerca di un bar.
Era passata dall’accettare tutto quelle che le veniva detto al negare un semplice favore. Non era in grado di capirla. Quando tutto quello fosse passato, sarebbe tornata la Little di sempre. Ora, però, doveva sistemare una cosa.
“Dougie.”, lo chiamò, costringendolo a spostare la sua attenzione dal suo biglietto a lui.
“Sì...”, fece l’altro.
Non era facile, ma doveva farlo.
“Non fare cazzate.”, gli disse, e lo ripeté, “Non fare cazzate. O te la vedrai direttamente con me. Chiaro?”
Lui rimase in silenzio, statico.
“Sì, è chiaro.”, rispose poi.
“Controllala, portala dai suoi e torna a casa.”
“Sì, lo farò.”
“Promettilo.”, gli disse, con sicurezza.
Dougie sospirò, ma glielo promise. Aveva dovuto farlo, non voleva che lui facesse qualche stronzata che l’avrebbe fatta stare peggio. Doveva assolvere un compito difficile che sarebbe spettato a lui di diritto, ma volle provare a fidarsi di lui.
Prima del previsto, Little tornò da loro.
“Tutto a posto?”, le domandò subito.
“Sì.”, fece lei, agitando la bottiglia di Coca Cola che teneva in una mano.
“Bene...”, era arrivato il momento di farli accedere alla zona delle partenze, “Little, mi raccomando, se hai bisogno di qualsiasi cosa, chiamami.”
“Certo.”, rispose lei, con un piccolo sorriso.
Gli scaldò il cuore, ma non fu sufficiente. Doveva abbracciarla.
“Fallo anche appena atterri... Ed ogni volta che vorrai.”
La sentì annuire e la baciò sulla fronte.
“E non ti preoccupare per Dougie, farà il bravo.”, le disse, con un po’ di ironia.
“Non c’era bisogno che venisse...”, disse Little, “Né lui, né tu.”
“Little, credimi, è per il tuo bene.”
“Ok.”
“Mi chiamerai, vero?”, le chiese ancora.
“Stai tranquillo, Jones.”, rispose lei, allontanandosi dalle sue braccia.
 
 
 
Non trovò nessun conforto nell’atterrare di nuovo in Italia. Non si sentì meglio nel posare il suo piede sinistro sul suolo mediterraneo. Non ebbe alcun sollievo nel respirare un’aria diversa, ancora più calda ed afosa di quella inglese. Davanti a lui Jonny, con il suo trolley, cercava di comprendere da che parte fosse l’uscita. Bastava semplicemente seguire la folla intorno a loro, ma lei sembrava persa. Si guardava intorno, con aria interrogativa, quasi spaventata.
“Vieni.”, le disse, prendendo il comando della situazione.
Camminò al suo fianco, silenziosa da quando Danny li aveva lasciati all’aeroporto. Dougie voleva essere da tutta altra parte, lontano da lì. Lui non le era utile, non sapeva come comportarsi, soprattutto in quella situazione. Aveva pianificato e voluto solo quello che c’era già stato: nient’altro che il fallito tentativo di chiederle scusa. Si sentiva totalmente inadeguato per quella responsabilità, incapace di fare come gli era stato detto.
‘Controllala, portala dai suoi e torna a casa.’
Doveva esserci Danny al suo posto, anche se non sapeva un bel niente di Jonny, della sua storia, del suo passato. Danny non aveva visto quella cicatrice, non aveva conosciuto quella Jonny, non sapeva che per lei non esistevano i suoi genitori, soprattutto suo padre. Per gli stessi motivi non era lui, Dougie, quello che doveva portarla a casa. Quella sarebbe stata una buona occasione per Danny di sapere tutto, di venire a conoscenza di quello che le era successo. Era sbagliato, era tutto sbagliato.
Cosa poteva fare? E se Jonny avesse avuto bisogno di una spalla su cui piangere? Con quale coraggio lui le avrebbe offerto la sua, dopo quello che le aveva fatto?
Solo per scrupolo nel suo zaino aveva messo qualcosa di pulito, ma non aveva la minima intenzione di passare la notte al di fuori degli imbarchi internazionali. Aveva sempre odiato sentirsi inutile, incapace come un bambino delle elementari e sapeva che, se avesse lasciato l’aeroporto, quello stato d’animo che già provava si sarebbe ingigantito all’ennesima potenza. Era quello a tentarlo, a mettergli in testa la frenesia di andarsene.
Voleva tornare a casa.
Rimaneva solo perché lo spaventava l’idea che Jonny potesse voltarsi e non trovare nessuno accanto, mentre il mondo intorno la ignorava.
Solo per non deluderla ancora
“Doug.”, lo chiamò Jonny, “Di qua. Ho visto Arianna.”
“Ok.”, le fece.
Accelerò il passo per restarle dietro e riconobbe davanti a loro la bella donna bionda e alta con la quale lei viveva. Si guardava intorno, li stava cercando con gli occhi e, quando li posò su Jonny, alzò le braccia per farsi notare. Poi vide anche lui, e la sua espressione si perse. Non lo aspettava, Jonny doveva non averle anticipato il suo arrivo. Il gruppo di persone intorno alla donna si dissolse e rivelò la persona accanto ad Arianna. Jonny si fermò di colpo, così come lui.
Miki, suo fratello, se ne stava con le mani in tasca, in attesa che si avvicinassero entrambi. Lo aveva riconosciuto? A vedere dall’espressione del suo viso, tutt’altro che amichevole e rilassata, non poteva dire altro che sì. Poteva non sapere il suo nome, ma sicuramente lo aveva localizzato come uno di quei quattro inglesi.
Arianna si avvicinò a loro ed annullò la distanza che ancora li separava,sbrigandosi ad abbracciare Jonny. Dougie prese il manico del suo trolley, mettendolo al sicuro da qualche malintenzionato, ed affrontò malamente l’occhiataccia di Arianna. Si tenne alla larga da posare i propri occhi sulla figura di Miki, ormai anch’essa vicino a loro, a braccia conserte in attesa del suo turno, ma appena Arianna sciolse la sua presa affettuosa sul corpo di Jonny, lei non gli prestò la minima attenzione.
Come se non esistesse.
Danny aveva raccontato a grandi linee cosa era successo: non sapeva i particolari, ma Dougie poteva benissimo riempire gli spazi mancanti.  
Le due donne parlavano tra di loro ma non le capiva, e lui se ne stava semplicemente lì, in attesa che Jonny lo congedasse. Con la coda dell’occhio teneva sotto controllo suo fratello: si aspettava che facesse qualcosa di plateale, una mossa stupida che avrebbe fatto innervosire Jonny. Quando lo vide avvicinarsi e metterle una mano sulla spalla per attirare la sua attenzione, Dougie si drizzò sugli attenti, ma se ne rimase comunque calmo, a farsi gli affari suoi.
Li sentiva parlare ed i toni non erano per niente rassicuranti.
“Jo, devi tornare a casa con me.”, le diceva lui.
“Non ci penso neanche.”, rispose Jonny, liberandosi della sua mano, “Vado a casa mia, con Arianna.”
“Tua madre ha bisogno di te, vuole vederti.”
“Ed io non ho bisogno di lei, né voglio vederla.”
Si stava innervosendo.
“Chi è quello là? E’ quello che ti ha mandato quel bel regalo?”
Non comprese cosa quell’energumeno stesse dicendo ma lo vide puntare un dito verso di sé. Alzò gli occhi e lo sfidò con lo sguardo, per poi spostarlo velocemente altrove.
Non fare cazzate, rimbombò la voce di Danny nelle sue orecchie, ed inghiottì il magone.
“Non sono affari tuoi!”, gli rispose Jonny.
Sperò che lo stesse difendendo a parole. Aveva un po’ di muscoli, ma niente in confronto a quelli di Miki.
“C’era proprio il bisogno di farlo venire?”, tornò lui all’attacco, “Ti rendi conto di quanto sei stata stupida?”
“Io non sono stupida!”, gridò Jonny.
Dougie sentì i peli del suo corpo drizzarsi impauriti dal tono di voce ostile della ragazza, che aveva attirato l’attenzione di tutti i passeggeri vicino a loro.
“E non trattarmi come se lo fossi!”, urlò ancora in faccia al fratello, “Tu non sai un cazzo di me e di quello che sono!”
“Jo! Non parlarmi così!”, ripose lui, aumentando il volume per contrastarla, “Stai zitta!”
Vedeva Arianna, impotente di fronte ai due. Come lei, Dougie voleva sparire, volatilizzarsi. Non avrebbe dovuto essere causa di altro dolore per Jonny, lo aveva promesso a Danny. Ed invece...
“Jonny...”, la chiamò, avvicinandosi con discrezione, “Dì a tuo fratello che me ne vado. Fallo calmare.”
Lei si voltò e lo guardò, per poi scambiare quattro chiacchiere veloci e sommesse con Arianna.
“Il tuo volo è alle quattro, stanotte.”, disse Arianna, "Potresti..."
“No.”, le disse, "Ti ringrazio, ma non voglio essere d’impiccio, non voglio causare problemi.”
“Ma no, Dougie... Stai tranquillo.”, disse Jonny, sospirando.
Non poteva essere stata idea sua, ne era certo.
“Jonny, rimango qua in aeroporto.”, le disse cercando di essere il più convincente possibile.
Lei lo guardò dritto negli occhi. Stava forse cercando sostegno, coraggio? E come poteva darglielo?
Jonny si voltò, tornando a dare udienza al fratello.
“Perché è venuto con te?”, le domandò lui, prima che lei potesse parlare, “Era proprio necessario?”
“Miki, per piacere, non sono affari tuoi.”, gli rispose lei, con tono apparentemente più calmo.
Quanto avrebbe voluto imparare quella lingua, si diceva Dougie, che non riusciva ad andare oltre la comprensione dei toni agitati della discussione.
“Lo sono prima di tutto, sei mia sorella e sono responsabile del tuo bene.”, la interruppe ancora Miki, "Andiamo a casa e lasciamolo tornare da dove è venuto."
Dal dito puntato, Dougie comprese che quella frase era destinata a lui. Gli venne voglia di sputare in faccia a quello stupido bestione, ma teneva ancora alla sua incolumità fisica.
"Non metterò piede né a casa tua, né in una qualsiasi altro posto in cui non voglia farlo!”, Jonny sembrò ribellarsi.
“Stai zitta e vieni con me!”, gli disse Miki, prendendola per un gomito e spingendola a seguirla.
“No!”, urlò lei, liberandosi.
Quello che vide lo fece inorridire, fu velocissimo, ma sembrò come se accadesse al rallentatore. La mano di Miki si alzò, esitò per un solo istante e si fermò sulla guancia di lei, schiaffeggiandola. Dougie sentì il respiro morirgli in gola.
Dopo lo shock iniziale Jonny si toccò il viso infiammato, guardando il fratello con occhi sbarrati, spaventata.
 “Ma che cazzo fai!”, irruppe Arianna, spintonando Miki, “Metti le mani addosso a tua sorella?”
Miki non le rispose. Era impietrito, la sua mano ancora aperta, e guardava Jonny senza la capacità di reagire.
“Andiamo, Jo.”, disse Arianna, prendendo dalla mano di Dougie il manico della sua valigia, “Andiamo a casa. E vieni anche tu, Dougie.”
“No, davvero, posso rimanere qua.”, le ripeté, “Non voglio incasinare tutto ancora.”
La donna scosse la testa, sorridendogli con aria stanca.
“Vieni e basta.”, gli disse.
 
 
Si ricordava ancora tutto quanto, soprattutto il salotto, che intravide passandovi velocemente dal corridoio.
“Vieni, ti faccio vedere dove puoi lasciare le tue cose e riposare un po’.”, gli disse Arianna.
Vedendola stanca, Dougie la seguì senza obiettare. Jonny, dietro di lui, sembrava un fantasma: muta e pallida, l’ombra di se stessa. Non aveva il coraggio di guardala, né di dirle niente. Salirono al piano di sopra e passarono davanti ad altre porte, arrivando dritti all’ultima. Jonny, invece, si fermò davanti alla seconda sulla sinistra, ed entrò senza dire niente.
“Di qua.”, fece Arianna, sorridendogli mentre abbassava la maniglia, “Il bagno è la porta di fronte a questa.”
“Perfetto.”, le fece, “E grazie di tutto.”
La donna sospirò, preoccupandosi che Jonny fosse già entrata nella sua stanza.
“Grazie Dougie.”, gli disse, “Grazie per averla portata a casa, senza averla abbandonata a se stessa.”
“Avrebbe dovuto esserci Danny al mio posto. Io non so come aiutarla.”, le fece, con sincerità.
“Sarebbe stato meglio.”, rispose la donna.
“Lo so.”, le disse, “Lo so.”
“Suppongo che Danny non sia venuto per via della sua fidanzata.”, disse lei, ipotizzando correttamente.
“Proprio così.”
“C’era da aspettarselo.”, e scosse la testa, “Prenditi tutto il tempo che vuoi, mi sa che stasera nessuno di noi avrà particolarmente fame. Se avessi bisogno di me, sono in giro, urla il mio nome ed arriverò.”
“Ok.”
La donna gli sorrise ancora e scomparve, chiudendo la porta. Dougie si sedette sul letto, lasciando lo zaino a terra senza nemmeno toccarlo. Si strusciò con forza la faccia, improvvisamente un sonno tremendo era piombato su di lui e si sentiva completamente privo di forze, svuotato.
Si distese sul materasso morbido, lasciò le gambe penzolare dal bordo e chiuse gli occhi per qualche secondo, nella mente ancora impressa la faccia terrorizzata di Jonny. Fu difficile cancellarla, rimpiazzarla con un pensiero diverso.
Solo il trillo del cellulare ci riuscì.
Tastò i pantaloni, lo individuò nella tasca laterale sinistra e rispose senza guardare chi lo stesse chiamando.
“Pronto...”, domandò, con aria stanca.
Doug! Finalmente!”, sentì la voce allarmata di Danny, “Pensavo fosse successo qualcosa!
“No, tranquillo. Tutto a posto.”, gli fece.
Dov’è Little? Perché non mi risponde?”, chiese l’altro, sempre più apprensivo.
“E’ in camera sua...”, lo informò, “Magari non ha voglia di parlare.”
Ma  le è successo qualcosa?
“Tutto a posto, Dan!”, esclamò Dougie, irritato, “Sta bene, è solo in camera sua, magari si è addormentata!”
L’altro rimase in silenzio.
Sì, hai ragione.”, rispose poi, “E tu dove sei?
“Sono.... Qua con lei, a casa di Arianna.”, gli disse, sospirando, “Faccio un riposino e poi torno in aeroporto.”
Ok... Ricordati di dire a Little di chiamarmi, quando si sveglia.
“Va bene, Jones, ma calmati.”, lo consigliò.
Lo salutò e chiuse la chiamata. Si buttò di nuovo sul letto, si tolse le scarpe ed si accomodò sul materasso, in cerca di ristoro.
 
 
 
Si svegliò di soprassalto rimbalzando sul letto. Guardò fuori e dalla finestra aperta vide un buio stellato che lo allarmò, facendolo drizzare sugli attenti. Spaventato, cercò un orologio, un paio di lancette che gli indicassero l’ora, che gli dicessero che era ancora in tempo per prendere il volo di ritorno ed essere...
“Merda!”, esclamò, vedendo i numeri impressi sulla sveglia elettronica.
Erano le tre e quattro minuti, il suo volo sarebbe partito esattamente un’ora dopo.
Non aveva previsto di dormire così tanto, avrebbe voluto solo assopirsi leggermente per poi svegliarsi un paio di ore dopo, senza compromettere il suo ritorno in patria. Saltò giù dal letto e si infilò velocemente le scarpe. Si prese solo un attimo per andare in bagno a sciacquarsi gli occhi stanchi ed uscì dalla stanza chiedendosi come mai né Jonny né Arianna si fossero preoccupate di svegliarlo. Erano impazzite?
Sentì il silenzio che invadeva tutto il piano e, con discrezione, si avvicinò alla porta della camera di Jonny. Vi accostò l’orecchio cercando di capire se fosse dentro, se stesse davvero dormendo... Non sentì niente, certamente era crollata appena si era sdraiata sul letto. Poi, uno strano rumore attirò la sua attenzione. Si diresse verso le scale,  ad ogni passo quel rumore diventava ancora più definito. C’era una televisione accesa, da qualche parte, sentiva voci italiane attutite e lontane. Cercò di seguire quel suono, quelle parole sconosciute che gli sembravano provenire da una delle porte del corridoio. Aprì una di quelle e trovò quello che cercava: la televisione sintonizzata su un programma qualunque ed un tavolo, quattro sedie intorno ad esso, di cui una occupata da Joanna che lo guardava in attesa. Davanti a lei un piatto macchiato di qualche briciola e, tra le sue dita, una fetta di pane spalmata di cioccolata, proveniente da un barattolo rotondeggiante.
“Jonny”, le fece, “sono le tre, avrei dovuto già essere all’aeroporto!”
Lei si fece perplessa. Posò il suo spuntino ed alzò gli occhi sopra la testa di Dougie.
“Le tre?”, domandò, retoricamente, "E' mezzanotte  adesso...”
Mezzanotte? Dougie si girò e guardo sopra di sé, dove un orologio a muro contava esattamente mezzanotte meno tre minuti. Sospirò di sollievo, la sveglia della sua stanza aveva palesemente mentito, facendogli prendere un infarto.
“Ah! Bene!”, esclamò, “Mi ero addormentato e l’orologio sul comodino mi ha ingannato.”
“Segna l’ora giusta solo due volte al giorno.”, disse Jonny, sorridendogli vagamente, “Hai fame?”
Buona domanda, il suo stomaco si era messo a gorgogliare nell’esatto momento in cui aveva visto quel barattolo di cioccolata.
“Beh... Sì.”, le disse.
“Vuoi un po’ di pane e cioccolata?”, domandò lei.
“Volentieri!”, fece Dougie, con un po’ troppo entusiasmo.
“Siediti pure.”, disse Jonny, alzandosi per preparare qualche fetta di pane in più sul tagliere che riposava sul ripiano della cucina, “Dormito bene?”
“Sì, grazie.”, le rispose, “Com’è che tu, invece, non sei a letto?”
“Non ho sonno.”, disse Jonny, “E non riesco a placare la fame.”
“Sul serio?”, ed alzò le sopracciglia.
Jonny annuì e portò quattro fette di pane appena tagliato. Riprese la sua tra le dita e vi affondò i denti, gustandosi la cioccolata mentre lui aveva appena iniziato a spalmare la sua parte.
“Domani pomeriggio ci sarà il funerale.”, disse Jonny, con tranquillità.
“Così presto?”, le chiese.
“Sì, ha avuto solo un infarto.”, rispose lei.
Quella frase lo fece rabbrividire.
“Scusami...”, disse lei, vedendolo lievemente scosso.
“Oh no...”, cercò di farla calmare con un sorriso tranquillizzante, “Non ti preoccupare.”
Ma Jonny non sembrò affatto seguire il suo consiglio. Posò la sua cioccolata e si chiuse nei suoi pensieri.
“Lo so che non vorresti essere qui.”, gli disse poi, dopo qualche attimo di smarrimento, “Lo so che vuoi tornare a casa.”
Si pietrificò, e cercò subito di scusarsi.
“Ma no, Jonny...”
“Dougie, è evidente che vorresti essere da tutt’altra parte piuttosto che con me, con i miei problemi e con la mia vita schifosa.”, disse lei, i suoi occhi che volavano intorno a lui, e non su di lui. “Lo so che non vuoi avere più niente a che fare con tutto questo... “Che volevi rimanere in aeroporto perché così non avresti dovuto affrontare ancora qualcosa che non ti appartiene.”
“Jonny, lascia stare.”, cercò di fermarla, ma non ci riuscì.
Lei sospirò. Dougie, invece, non poté evitare di sentirsi in colpa: Jonny aveva  capito perfettamente le sue vere intenzioni.
Le stava voltando le spalle, per la seconda volta. Per la seconda volta stava diventando egoista verso una persona che era in bisogno, giustificandosi con un muro di paure e di insicurezze che non avrebbero dovuto appartenere ad uno come lui, che pensava di essere forte abbastanza da affrontare situazioni difficili come quella. Jonny stava vivendo un momento critico. Suo padre era morto, all’improvviso. Si chiese il motivo per cui non avesse ancora pianto una sola lacrima per lui... Poteva sembrare palese, ma la risposta non doveva essere così scontata. 
Si stava trattenendo, si vergognava a piangere davanti a qualcuno? Oppure si era imposta di non versare nemmeno una goccia del suo dolore? Suo padre non meritava neanche un briciolo della sua compassione? Dougie si pose un milione di domande e solo alcune di queste riuscirono a trovare una risposta logica.
“A che ora... Insomma, ci sarà il funerale?”, le domandò, per evitare di prolungare il silenzio.
“Non lo so.”, rispose lei, sospirando, “Dovrei chiederlo ad Arianna.”
Osservò il suo viso triste.
Quello che vide era una ragazza piena di pensieri, di parole che vorticavano nella sua mente, di domande svuotate. Jonny non piangeva perché non aveva ancora trovato il tempo per farlo, la sua mente troppo impegnata in qualcosa. Gli occhi si erano spesso fermati, imbambolati, fissi nel vuoto; li aveva visti bloccarsi nel nulla, apparentemente senza motivo. Rabbrividì al pensiero del momento in cui tutta quella confusione di voci si sarebbe azzerata, affievolita in un colpo solo. Cosa avrebbe fatto Jonny, allora? Ci sarebbe stato qualcuno accanto a lei in grado di non farla precipitare nel vuoto? Chi sarebbe stato capace di prenderla per una mano e tirarla fuori dal dolore?
Arianna? Danny?
O lui, Dougie Poynter, che non si sentiva all’altezza di niente?
“Se vuoi, domani posso rimanere a farti compagnia.”, le propose.
Quella frase nacque spontanea sulle sue labbra. Nonostante pensasse di essere più inutile di una pacca sulla spalla e di un ‘sentite condoglianze’, le volle comunque tendere una mano a cui aggrapparsi, se lei avesse voluto. Non poteva aiutarla granché ma lo avrebbe fatto col cuore in mano. Lei lo squadrò per qualche attimo.
“Non farlo perché ti senti in colpa con me.”, sibilò lei e percepì subito il velo di rabbia nella sua voce.
“Lo faccio per te.”, le disse, “Perché voglio farlo.”
“Non è vero.”, si ritrasse lei.
“Credimi, Jonny.”
“Non mi fido di te.”
Come poteva darle torto? Non aveva mai fatto niente per farle cambiare idea, ma aveva solo cercato di farsi perdonare, ovviamente senza risultato. Sospirò, non aveva la forza per risponderle, e terminò la sua fetta di cioccolata in silenzio, lei fece altrettanto. Spostò gli occhi sulla televisione, cercando di capire chi fosse quell’attore, familiare ai suoi occhi ma senza nome. Si preparò un’altra fetta di pane.
“Posso mangiarla su in camera oppure Arianna non vuole?”, le domandò, per educazione.
“Sì, ma non lasciare briciole sul letto.”, gli disse Jonny.
“Grazie.”, ed uscì dalla cucina.
Passò davanti alla camera di Arianna, la sua fetta giaceva sulla mano, protetta dal tovagliolo. Bussò alla porta e la chiamò, la donna si affacciò con gli occhi assonnati. Le disse che sarebbe rimasto per il funerale, che sarebbe ripartito subito dopo. Lei si accontentò di quelle semplici parole, annuì e se ne tornò a letto.
Lui volle fare altrettanto, ma prima aveva da avvertire un’altra persona.
Pronto...”, biascicò un Danny assonnato.
“Danny, sono io.”, gli disse, senza troppi convenevoli.
Doug...”, borbottò l’altro, “C’è qualcosa che non va?
Se lo stava immaginando: Danny doveva aver guardato l’ora sulla sveglia elettronica chiedendosi perché lo stesse chiamando a quell'ora, sebbene fosse stato un po’ presto per andare a letto, conoscendo le abitudini reali di Danny.
“No, tutto a posto.”, gli rispose.
Little sta bene?”, chiese Danny, “Sta dormendo adesso?
“Cavolo, Danny! Nemmeno fossi suo padre!”, sbottò subito Dougie, pentendosi all’istante per quella frase uscita involontariamente dalla sua bocca.
Ti sembra questo il momento di scherzare su cose del genere?”, lo rimproverò subito Danny.
“Hai ragione, scusa.”, era veramente risentito e tagliò corto, “Devo dirti una cosa.”
Qualche rumore di sottofondo, una Tamara scocciata per il disturbo.
E cosa?
“Qua la situazione è abbastanza... Complicata... Jonny si comporta in modo molto strano.”, lo informò in maniera abbastanza diretta, evitando giri di parole inutili, “Forse è meglio che rimanga, posso tornare dopo domani.”
Dall’altra parte ci fu uno strano silenzio prolungato.
“Dan?”, provò a chiamarlo.
Poynter, hai un volo alle quattro di stanotte.”, gli ricordò Danny, “E’ quello che devi prendere per tornare a casa.
“Lo so ma...”, venne prontamente interrotto.
Fammi capire una sola cosa. Lo stai facendo per farmi incazzare? Perché ci sei riuscito.
“No, lo sto facendo perché Jonny mi sta spaventando. E tu non c’entri niente.”
Perfetto.”, disse l’altro, con poca convinzione nel suo tono di voce.
“Ti va bene?”, gli chiese, quasi retoricamente.
Affatto.”, lo seccò lui, “Ma visto che hai già preso la tua decisione, non posso fare altro che accettarla.
“Ho capito.”, sospirò Dougie rassegnato.
Assicurati che stia bene, che non si trovi sola... E non fare cazzate, Doug, o te la vedrai con me. Te l’ho già detto.
“Va bene.”, e lo salutò stancamente.


Swirling shades of blue slow dancing in your eyes
The sun kisses the earth and I hush my urge to cry





Eccomi qua! Correntemente sarei al lavoro, o meglio, in ufficio ma non in servizio, e faccio tutto dal mio portatile, grazie alla connessione wireless di qua XD Direte, ma cosa me ne frega? Beh, perchè data l'ora di pubblicazione e dato il mio contratto di lavoro, non dovrei farlo adesso! Ma lo faccio comunque, perchè è la mia pausa pranzo e questo è il mio portatile. Ok, bando alle ciance, andiamo direttamente al capitolo.
Il titolo si riferisce alla canzone citata all'interno del capitolo. E' Mary Jane di Alanis Morissette, ascoltatela cliccando qui, mentre i due versi che aprono e chiudono il capitolo appartengono ai Flyleaf, gruppo che sto ascoltando tantissimo negli ultimi tempi, e la canzone è There For You, cliccate qui. No scopo di lucro in entrambi i casi.

Sbrigate le formalità da regolamento, passo ai ringraziamenti :)


kit2007: Spero che le canzoni che ho messo in questo capitolo siano di tuo gradimento... Lo spero solo perchè la speranza è l'ultima a morire, so che saranno doppiamente tristi! XD Via, sei proprio incontentabile!  Le tue supposizioni sono risultate errate, mi dispiace, ma ne sono comunque contenta perchè vuol dire che ti ho colto di sorpresa! Bene, spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto!

vero15star: La coppia Dougie-Joanna... Mmmh... Beh sarebbe forte, chi lo sa? XD Spero che la reazione di Joanna sia più chiara adesso, anche se lei avrà modo di spiegarsi meglio in futuro. E' piuttosto complessa, spero che capirai :) alla prossima!

Picchia: Tifa pure per Dougie, dipende però per quale motivo lo fai! XD E per il francesismo... Lasciati andare la prossima volta! XD Baciamo le mani...

Ciribiricoccola: Per le tue ipotesi ne abbiamo già parlato, hai indovinato ma sei anche andata un po' fuoristrada... La "sparizione" di Joanna ha a che vedere con quello che hai detto... Ma quello a cui mi riferisco io è più una cosa... Formale. Di scrittura. Di come espongo le cose... Sono sicura che ora capirai, stai attenta a quello che leggi. Danny che non ha una grinza in questa storia? Ne avrà eccome, vedi già come è la sua reazione a fine capitolo... Continuerà così per molto, purtroppo... Via, per il resto non ho niente da aggiungere, hai fatto tutto te!

CowgirlSara: Come ti ho già detto, hai colto perfettamente in pieno la reazione di Joanna. Lo fa per orgoglio, perchè in fin dei conti è quello che ancora le fa male... Continuerà a perseverare per un po', sbattendoci la testa più volte. Da persona orgogliosa, per certi versi la capisco anche... L'orgoglio è duro a morire, ma una volta che si accetta quello che ci capita...

Lady Vibeke: Non ti preoccupare se non commenti con regolarità :) Non ci sono problemi, non sono una che si può permettere la puntualità e la precisione dai suoi lettori, se poi non è capace di fare altrettanto. Comunque, tornando alla tua recensione... Quando entri qua, la cosa più lontana del mondo sono i Tokio XD E Tom Fletcher è tutt'altra persona rispetto al suo Omonimo Kaulitz... Fortunatamente! Joanna è tornata a casa e... Lascio a te!

x_blossom_x: Non so cos'altro aggiungere... Rispondere ai tuoi ringraziamenti vuol dire anticipare metà della storia!  Sarò breve e concisa... Fine XD Grazie Sil *sigh* Ma non posso andarmene cosìììììì.... Cosa posso dire? Boh... *sigh* A stasera...

Giuly Weasley: Quello che mi manca di più dalle mie lettrici è... Tu! Mancavi tu, mancavano le tue recensioni lunghe, i tuoi svisceramenti, i tuoi pensieri, le tue psicanalizzazioni... Mancava una delle mie lettrici preferite! Non so cosa dire nemmeno a te. Beh, la reazione di Joanna a Dougie ha sollevato molti dubbi nelle persone, soprattutto per l'intransigenza di lei... Poteva essere più flessibile? In fondo lui le ha chiesto scusa, non sa per caso perdonare? Sì, Joanna sa perdonare e lo leggerai, ma ha detto bene CowgirlSara, è maledettamente orgogliosa. Ed ha paura di soffrire di nuovo... E' quello il punto.

GodFather: Tutti in questa storia ce l'hanno con Dougie! Maria santuzza! Facciamo una seduta per perdonarlo! Però mi sa che sei obbligata a darmelo per più di qualche comparsata... Che ne dici??? XDDDD

_Princess_: Eccoti finalmente! Giusto in tempo per il nuovo capitolo! Spero di averti pagato con moneta di tuo gradimento, perchè d'ora in poi la storia si complicherà all'ennesima potenza.













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Capitolo 7
*** Buried Myself Alive ***


 

I buried myself alive on the inside,
so I could shut you out and let you go away for a long time.
And with my foot on your neck I finally have you right where I want you...
 
 
 
La chiesa era gremita di gente, di facce giovani. Dougie si ricordò che suo padre, di cui non aveva mai saputo il nome, era stato professore di lingua inglese, molto probabilmente tutti quei ragazzi erano i suoi alunni. Ma a vedere dalla generale folta presenza, doveva essere stato un uomo molto conosciuto; ognuno era arrivato per dargli un ultimo saluto, chi per cortesia e chi per vera riconoscenza. Nella navata centrale, ne due lunghe file di panche di legno scuro erano tutte occupate e molti attendevano l’inizio della funzione in piedi.
Si fecero strada tra la gente e gli occhi si spostarono su di loro, soprattutto su di lei, che camminava al fianco di Arianna. Qualcuno le si avvicinò per darle conforto, per cercare di trasmetterle il suo cordoglio e lei, con educazione, ringraziava e tornava a camminare.
Dougie si sentì terribilmente a disagio, immobilizzato dall’imbarazzo e dalla paura, ma inghiottì quel grosso magone e si impose coraggio.  Jonny non si fidava di lui, doveva dimostrarle che si sbagliava.  Le seguiva a distanza di un paio di passi: qualche sguardo accompagnato da parole soffuse riguardò anche lui, ma fece finta di niente.
Le due donne percorsero la navata laterale della chiesa ed andarono dritte verso la cima della fila. Dougie si fermò: aveva riconosciuto le grandi spalle di Miki e preferiva mimetizzarsi tra la folla piuttosto che farsi vedere. Non voleva creare problemi, ma sarebbe comunque stato presente per Jonny, anche se in distanza. Si appoggiò ad una delle tante colonne, osservandola mentre si sedeva sulla seconda panca e non nella prima, insieme al fratello e la madre. Entrambi si voltarono, le parlarono, certamente le stavano chiedendo perché non si fosse avvicinata a loro, ma lei riservò solo poche parole alla sua famiglia, preferendo rimanere in silenzio accanto ad Arianna.
Sua madre le somigliava tantissimo, tranne per i capelli, che erano più scuri e non biondo cenere come quelli di Jonny. Gli occhi erano invece gli stessi; la bocca era un po’ più sottile, un tempo indubbiamente carnosa come quella della figlia, la forma era pressoché identica.
Notò Arianna guardare nella sua direzione con sguardo perplesso. Non appena spostò gli occhi su di lei, la donna gli fece segno di avvicinarsi. Scosse la testa, non era una buona idea, ma Arianna insistette. Si negò ancora, lei gli lanciò una brutta occhiata.
E la accontentò.
Notandolo, Miki non ebbe niente da dire; anche sua madre lo squadrò, niente di promettente sul suo volto di entrambi. Sicuramente stavano confondendo tutto, lui non era il fidanzato di Jonny, solo un conoscente lontano e fastidioso, per di più inglese.  Lei poteva –doveva- permettersi di più, non qualcuno con i capelli spettinati e un po’ lunghi, con magliette colorate e pantaloni a tre quarti. Per lei ci voleva qualche bravo ragazzo con la faccia pulita... Uno come Danny. Li aveva sempre visti perfettamente bene insieme, ma la vita aveva voluto diversamente, e lui stesso l’aveva involontariamente aiutata, presentando Tamara a Danny.
 
 
La funzione era già iniziata da un pezzo quando Arianna, che sedeva accanto a lui , vicino al bordo della panca, fece un movimento inconsulto.
“Devo fumare.”, disse nervosamente, alzandosi e liberando il suo posto in un attimo .
Dougie si voltò verso Jonny. Si stava torturando, mordendosi il labbro inferiore con spasmodica continuità e lasciando che si infiammasse e diventasse sempre più rosso ad ogni passaggio dei suoi incisivi. Le mani continuavano ad asfissiare il lembo inferiore della sua camicetta scura, che a fine giornata sarebbe stata da buttare,  prigioniera com'era tra i pollici e gli indici. Mosso da un impulso a cui non seppe resistere, Dougie le passò un braccio intorno alla spalla. Lei non si mosse, bloccata tra i gesti nervosi ed il fissare costantemente la bara, dentro alla quale giaceva il corpo del padre.
Intanto, il sacerdote si era avvicinato ad un piccolo podio: su di esso si trovava un leggio, decorato con un drappo di velluto rosso che lo copriva fino ai piedi. L’uomo parlò per qualche minuto, la sua voce bassa e lenta era amplificata dal microfono e dalle casse poste in tutte le navate della chiesa. Ma cosa aveva da dire di tanto importante su un uomo come lui? Le sue parole non potevano certo riabilitarlo.
Poi, finita la sua breve omelia, dette voce ad un gruppetto esiguo di persone, qualche ragazzo e dei signori distinti, che uno dopo l’altro lessero i propri pensieri, annotati su foglietti.
“Cosa fanno?”, domandò a Joanna, a tono basso, come se non avesse saputo già la risposta.
“Sparano cazzate.”, sibilò lei, facendogli percepire tutto l’odio che ribolliva in lei.
Immediatamente sua madre si voltò e le ringhiò con gli occhi. Anche lei insegnava inglese, si ricordò Dougie, ed aveva compreso perfettamente la parole astiose della figlia. Jonny, dal canto suo, non la degnò di una sola attenzione, ma fu costretta a farlo suo malgrado quando Miki, sottovoce, la chiamò. Le disse qualcosa e lei rispose con un solo cenno netto della testa. Dougie non poté non sentire il lieve fremito che l’aveva scossa.
“Cosa ti ha detto?”, le domandò, adesso con un filo impercettibile di voce, perfino a se stesso.
“Niente.”, rispose lei.
“Jonny, dimmelo…”
Il nuovo richiamo del fratello la costrinse ad alzarsi e lui, nonostante avesse voluto fermarla, bloccarla piuttosto che sottoporla a ciò che aveva capito solo in quel momento, non poté fare altro che lasciarla passare. A passi lenti, sotto gli occhi dei molti seduti ed in piedi, Jonny raggiunse il piccolo podio, prendendo il suo posto dietro al microfono.
“Ehm…”, disse.
La gente tese l’orecchio in ascolto della sua piccola voce che non era sufficientemente ingrandita dall’impianto. Lui, che Jonny avesse o fosse rimasta muta, non avrebbe comunque compreso.
“Beh, è già stato detto tutto da queste… Care persone.”, disse lei, “Grazie per essere venuti.”, e si mosse per tornare al suo posto.
Il prete le si avvicinò, fasciato nel suo vestito adatto alla cerimonia, e la esortò a continuare ancora. Se avesse potuto, Dougie avrebbe evitato tutto quello. Come potevano chiedere a Jonny di vendere a buone parole l’anima del padre, che altri non era che la grande croce che pesava sulla sua? Come avevano potuto suo fratello e sua madre, la sua famiglia, spingerla a quello? Loro sapevano, loro avevano vissuto quell’inferno con lei… Allora perché? Volevano punirla per aver scelto semplicemente di vivere la sua vita, piuttosto che rimanere sotto il loro giogo?
Jonny cercò di obiettare, di liberarsi con gentilezza della mano del parroco, salda sul suo gomito, ma l’uomo le indicò la bara del padre e, certamente, le disse di farlo per lui, per quel povero uomo morto così improvvisamente.
Jonny lo accontentò. Non le era facile dire di no, soprattutto quando era confusa.
Dougie affondò la testa tra le mani.
Cosa avrebbe detto, a quel microfono… E lui sarebbe stato pronto a tenerla in piedi, dopo?
Sì che lo sarebbe stato, indubbiamente. Era rimasto per dimostrarle che si sbagliava, che ancora poteva fidarsi di Dougie Poynter, di lui che non aveva fatto altro che comportarsi come un cretino, pretendendo poi di venire perdonato dopo poche parole di pentimento. Era rimasto per lei, per aiutarla come avrebbe dovuto fare dal primo istante in cui le aveva promesso la sua amicizia, un anno fa. Era quella la sua vera occasione per riscattarsi. Doveva dimostrare la stessa cosa a Danny, fargli capire che lui non si divertiva nel far del male alla sua Little, come invece continuava a pensare. Si era incaricato di quella responsabilità, prima involontariamente, poi con presa di coscienza, ed ora sopportava le conseguenze delle sue decisioni, fronteggiandole senza farsi piegare.
“Non so cosa altro aggiungere.”, sentì dire da Jonny, ancora riluttante ad avvicinarsi al microfono ma comunque nelle sue vicinanze per farsi sentire da tutti.
“Parlaci di lui… Di quello che facevate quando eri bambina.”, riconobbe la voce del prete.
Ancora altro silenzio, interrotto da un lontano schiarirsi di gola. Dougie alzò gli occhi per darle coraggio, sperando di incontrare quelli di Jonny, che erano invece tornati a fissare il mogano del feretro.
“Qualcosa da dire ce l’ho…”
E il prete la invitò ancora.
“Mio padre è sempre stato una persona leale ed onesta. Con tutti.”, sentì la lieve inflessione interrogativa nella sua voce.
Un borbottio basso si levò nella chiesa, qualcuno annuiva con cenni della testa. Jonny posò le mani sul leggio, stringendone le aste laterali ed affondando le dita nel morbido velluto scuro.
“Anche con me lo è stato.”, si riprese.
La chiesa tornò in silenzio, ascoltando con attenzione le sue parole. Dougie guardò i familiari più stretti. Quello che leggeva nelle loro facce era nervosismo?
“Ha sempre detto di volermi bene, che tutto quello che diceva e che faceva era per me… Per il mio futuro. Faceva qualsiasi cosa per me.”
Benchè le parole fossero all'apparenza buone e dolci, Dougie si sentì trafiggere dal suo odio,  dalla rabbia nascosta. 
"Gran bel futuro che mi hai dato, papà...", disse ancora Jonny, la sua voce si ruppe, ma il tono pieno di rancore rimase intatto ed udibile per tutti, "Ti ringrazio davvero con tutto il cuore."
Dai presenti si levò un brusio tagliente e Jonny lasciò il leggio, le mani rosse per lo sforzo. Lentamente, poi in una corsa disperata, uscì dalla chiesa ed il tonfo del grande portone di legno echeggiò nell’edificio, zittendo tutti coloro al suo interno.
Ecco l’esplosione di Jonny, ecco come lei aveva deciso di disfarsi della maschera che aveva indossato, della finta ed apparente calma che mostrava agli altri. Ecco come aveva rifiutato di distruggere se stessa per far rivivere nelle menti degli altri il ricordo buono di un padre che l’aveva picchiata, che l’aveva costretta a vivere una vita che non era la propria, imponendole decisioni che non aveva preso, costringendola a comportarsi secondo le sue regole ed a sorridere quando invece voleva solo piangere e fuggire via.
Tutti i presenti bisbigliavano, riempiendo le navate di uno fitto ed incessante parlare che saturò presto le orecchie di Dougie. Si alzò e, a passo svelto, raccolse tutti gli occhi interessati della folla funebre, ignorandoli per poi abbandonarli, una volta uscito dalla chiesa. Sentì subito i singhiozzi di Jonny, seduta a terra contro al muro di pietra dell’edificio religioso. La fronte stava ferma sulle ginocchia, unite al petto, mentre le braccia le stringevano a sé e le spalle erano scosse dal tremito dei suoi singhiozzi. Era un pianto, un lamento che Dougie non poté sopportare per più di qualche misero secondo, non poteva farsi lacerare il cuore in quel modo così doloroso.
Si sedette accanto a lei e la abbracciò, ma Jonny rimase chiusa in se stessa, nel suo guscio, e rifiutò il suo sostegno. Lui non glielo negò, continuando a tenerla stretta mentre con una mano le accarezzava i capelli biondi, e con la voce le diceva che presto tutto sarebbe finito. Cercava Arianna con gli occhi, non l’aveva vista più tornare in chiesa da quando era uscita, ma non la trovò.
“Non appena Arianna arriverà ce ne andremo, ti porterò a casa.”, le disse, ma nessuna parola poteva andare oltre quello scudo che si era fatta col suo corpo.
I secondi passarono, Arianna comparve finalmente dal portone della chiesa. Era tornata dentro e non se ne erano accorti? Aveva visto tutto?
La donna si accucciò davanti a lei e le parlò.
“Jo, sono io… Torniamo a casa.”, le disse.
Jonny alzò gli occhi, già gonfi e rossi di lacrime.
“Ce la fai a camminare?”, le chiese.
Jonny interruppe il suo pianto, ma non i singhiozzi. Tra una scossa ed un’altra disse di sì e riuscì a mettersi in piedi ma, vedendola barcollante, Arianna decise di fare un veloce salto alla macchina, per avvicinarla e farla salire. Per tutto il tragitto le orecchie di entrambi vennero riempite continuamente dal suo pianto. Sembrava inarrestabile, un flusso continuo di lacrime e di singhiozzi che continuava a scuoterla, lasciandola spesso senza fiato. Era terribile starla a sentire ma niente era capace di calmarla, né volevano far scomparire la sua voce strozzata coprendola con altri suoni più felici.
Arianna guidava, le mani torcevano il volante e si sfogavano sul cambio. Lui si voltava spesso per accertarsi che si stesse riprendendo, ma ogni volta era una sconfitta, una battaglia persa in partenza. Lei se ne stava distesa sul sedile posteriore, la faccia nascosta tra le braccia.
E piangeva.
Arrivarono a casa e l’aiutarono a scendere dall’auto.  Arianna si preoccupò di accompagnarla in camera sua, e disse a Dougie che poteva sistemarsi dove voleva, di fare come se fosse stato a casa propria. Comunque imbarazzato, decise di sedersi nel soggiorno, sul solito divano dove un anno prima Jonny gli aveva confidato il segreto più grande. Se ne stette lì diverso tempo a tamburellare le dita sulle ginocchia, lo sguardo perso nel vuoto, la mente troppo stanca e scossa per impegnarla in qualsiasi pensiero.  Aveva la sola forza di respirare, di sentire l’aria entrare ed uscire dalle sue narici, cullandosi nel ritmico pulsare del suo cuore. Gli parve quasi di sentire ancora il calore del caminetto acceso, lo strepitio del legno, sgretolato dalle fiamme gialle e rosse...
“Dougie!”, si sentì chiamare dalla voce di Arianna, lontana, “Sento il tuo telefono suonare!”
Già, il cellulare. Non si chiese chi fosse, non ce n’era bisogno.  Raggiunse lentamentel piano superiore, trovando Arianna sulla soglia della camera di Jonny, ne stava uscendo.
“Come sta?”, le domandò.
“Le ho dato un sonnifero.”, gli disse, “Non ce la facevo più a sentirla piangere, almeno così dormirà un po’.”
“Sì…”, le fece, annuendo, a sguardo basso.
“Il tuo cellulare.”, gli ricordò la donna.
Le sorrise e proseguì lungo il corridoio, entrando nella camera che lei gli aveva destinato. Vide una numerosa quantità di chiamate perse, non lesse nemmeno a chi appartenevano.
Dougie!”, si allarmò la voce di Danny, “Dove siete stati tutto il giorno!
Sospirò, toccò gli occhi gonfi dallo stress.
“A divertirci al luna park...”, gli rispose, causticamente, ma il tono della sua voce era tutt’altro che sarcastico, “Ero al funerale, Danny!”
E non ti sei ricordato di prenderti il telefono?”, tuonò lui, sempre più arrabbiato.
“Che senso aveva risponderti mentre seppellivano suo padre!”, protestò, lasciandosi prendere dalla rabbia per l’irragionevolezza del suo amico.
Quello di Little non è mai raggiungibile, pensavo che avessi avuto il buon senso di portarlo dietro!”, si difese Danny, “Posso parlarle adesso?”
“Jonny è troppo scossa, non è una buona idea.”, gli rispose, “E credo che stia già dormendo.”
Danny si vide allora costretto a parlare con lui.
E come sta… Come… Come sta reagendo?”, gli chiese.
“Beh… Vuoi sapere se ha pianto? Sì, anche troppo.”, rivelò, sapendo che era proprio ciò che lui voleva sapere.
Bene…”, disse Danny, sospirando.
“Bene?”, esclamò lui, “Se solo avessi sentito come piangeva...”
Se solo ci fossi io al tuo posto!”, Danny ravvivò la discussione.
“La vuoi smettere di rinfacciarmi questo?”, se la prese con lui, sfogandosi, “Pensi che sia ancora utile continuare a dirmi quanto sei meglio tu di me? Lo so che lo sei, non c’è bisogno si sputarmelo addosso ogni minuto!”
Dougie, tu non la conosci come la conosco io!”, si giustificò Danny.
Oh sì, certo.
Danny Jones sapeva come farla divertire, ridere e stare bene. Sapeva come consolarla, come abbracciarla, come stare accanto a lei. Dougie Poynter, invece, aveva saputo solo voltarle le spalle, trattarla come se fosse stata l’ultima persona che avesse voluto vedere sulla faccia della Terra. Per cui, a rigor di logica, era sempre e comunque Danny ad avere delle prerogative su Jonny, sia che lei fosse felice, oppure no.
Era un peccato però che Danny Jones non sapesse che Jonny non aveva mai avuto il coraggio di parlagli di suo padre, nonostante tutto quello.
“Hai ragione.”, gli disse, dandogliela vinta.
Appena si sveglia, dille di chiamarmi, altrimenti…
Non si interessò alla nuova minaccia di Danny. Premette il pulsante rosso e lasciò il telefono sul comodino. In quel preciso istante, sentì un lieve bussare alla porta.
“Sono Arianna. Ti posso parlare?”, domandò lei.
“Certo.”
Si alzò ed andò ad aprirle. La bionda donna gli sorrise timidamente ed entrò nella sua stanza, non senza essersi accertata un paio di volte che non lo stesse disturbando. Era casa sua, come poteva la sua presenza disturbarlo? Arianna si sedette sul letto, le mani giunte sulle gambe, certamente voleva parlargli.
“Dougie…”, esordì lei, giocherellando nervosamente con le dita, “Ti posso fare una domanda diretta?”
Le annuì, sentendosi terribilmente a disagio.
“Tu… Cosa sai del padre di Jo?”, gli domandò.
Domanda anche troppo diretta.
“Voglio dire…”, si specificò Arianna, “Non so come si chiami, non l’ho mai visto. E lei non me ne ha mai parlato.”
“Beh… Non so il suo nome.”, le rispose.
Nemmeno Arianna sapeva. Non lei, con cui Jonny viveva da un anno.
Né Danny, il suo migliore amico.
Sono l’unico.
Dougie realizzò di non sentirsi affatto speciale, ma solo dannatamente colpevole per quello che le aveva fatto. Tradendo la sua fiducia in quel modo le aveva negato la possibilità di parlare del suo problema anche alle persone più importanti di lui. Gli venne voglia di affondare la testa nel cuscino e darsi del testa di cazzo all’infinito, ma non lo fece. Almeno, non lo avrebbe fatto finché Arianna fosse stata lì.
“Già… Scusa, la mia domanda è stupida, come poi sapere queste cose...”, disse la donna, scuotendo la testa e ridendo lievemente di se stessa.
Eh già… Non erano cose di suo dominio.
“Perdonami ancora.”, disse lei, accorgendosi del suo sguardo basso, “Non volevo offenderti.”
“Oh no, hai perfettamente ragione.”, le disse.
“Magari Danny lo sa.”, propose lei, cercando un sostegno nei suoi occhi.
Dougie alzò le spalle. Non le rispose, sapeva che lei gli avrebbe domandato di conseguenza  E tu come fai ad essere certo che Danny non ne sia a conoscenza? E’ suo amico!
“Lo chiamerò.”, disse Arianna, “Potrei avere il suo numero?”
“Certo.”, le fece, e glielo dette.
La donna aveva una penna ed un foglietto già pronti nelle tasche dei suoi pantaloni di lino scuri. Era venuta per quello, per avere il numero di Danny, non per parlare con lui. Dougie si sentì peggio di uno straccio per pavimenti, vecchio e strappato, da buttare. Veniva sempre preso per l’incosciente e l’immaturo, per lo scemo del villaggio McFly. Ma non poteva farci niente, quello era il personaggio che cucito addosso a lui, volente o nolente, e anche se si era divertito ad indossare quei panni, certe volte –quelle volte- non poteva fare altro che odiarsi.
“Quando partirai?”, domandò lei, una volta annotato tutto.
“Beh… Domattina farò un paio di chiamate, te lo farò sapere.”, le disse.
“Certo.”, fece lei, con un sorriso, e si alzò, “Sei hai fame, puoi prendere ciò che vuoi dal frigorifero. E’ tutto lì dentro, e mi sa che sarai l’unico a cenare, anche stasera.”
Le annuì e lei lasciò la sua stanza.
Dougie si tolse le scarpe, lasciandole rimbalzare sulle mattonelle del pavimento. Si distese sul letto ed incrociò le mani dietro alla testa, fissando il soffitto liscio e lindo della stanza.
 
 
 
Un rumore dall’esterno, forse le ruote stridenti di una macchina, lo costrinse a tornare alla realtà. Sbuffò annoiato, aprì gli occhi e si trovò nella medesima posizione in cui si era addormentato. Tolse la mani doloranti da sotto la testa e una smorfia di dolore comparve sulla sua faccia, non appena percepì il formicolio dei muscoli delle braccia, atrofizzati in quella posizione. Si voltò verso il comodino, dove la sveglia suonava sempre le tre e quattro minuti, come se non avesse mai conosciuto altre ore che quelle. Cercò con le mani il suo telefono e lo trovò nei pressi della sveglia.
Mezzanotte e mezza…
Il sonno tornò ad impadronirsi di lui ma il gorgogliare inesorabile del suo stomaco lo scacciò via. Non aveva quasi pranzato, mangiando solo un po’ della pasta che Arianna aveva cucinato. Adesso, il suo stomaco reclamava cibo urlando e borbottando come il pentolone dell’inferno. Uscì dalla camera, facendo attenzione a non fare troppo rumore, e si trovò presto in cucina. Seguì il consiglio di Arianna ed aprì il frigorifero: all’interno trovò tantissimi contenitori di plastica di forma ed altezza diversi, tutti con tappi colorati, segno che Arianna era una persona che preferiva cucinare alla grande un solo giorno della settimana, lasciando poi che il suo operato scomparisse lentamente, riscaldato sul fuoco o nel microonde.
Tra tutti quelli, individuò una sagoma rettangolare bassa, di cartone, con un disegno simpatico e riconoscibilissimo.
“Pizza…”, sussurrò, leccandosi i baffi.
Prese la scatola e la tirò fuori, aprendola per accertarsi che il contenuto fosse proprio quello. Sì, era una grande pizza a cui mancava solo uno spicchio, e non doveva avere più di un giorno di permanenza al fresco: lui era un esperto nel riconoscere l’anzianità del cibo, il suo frigorifero era pieno di cartoni del cibo da take-away, ed aveva accumulato abbastanza esperienza. Individuò un microonde dalla parte opposta della cucina e, un po’ di spicchi per volta, riscaldò tutta la pizza. Solo dopo si chiese se quella fosse destinata a qualcuno in particolare… Ma ormai il suo stomaco era in ribellione.
Si accorse di una lavagnetta appesa al muro, una di quelle bianche con tanto di pennarello nero che non resisteva al minimo passaggio di una spugnetta, e si faceva cancellare via con un nonnulla. ‘Scusate, ma avevo fame e non resisto alla pizza. Doug.’, vi scrisse, in un angolo libero, evidenziandolo con una freccia che lo indicava.
Tornò al piano di sopra con il primo boccone già tra i denti. Non poté non sostare davanti alla porta di Jonny: vedeva una flebile luce che non aveva notato prima uscire sospettosa dalla bassa fessura.  Chiuse il cartone della pizza, riponendovi lo spicchio che aveva tra le mani. Bussò con leggerezza e, non sentendo risposta, si impose di lasciar perdere.
Ma non lo fece.
Abbassò la maniglia ed entrò, permettendo solo di far sgusciare dentro la testa, per controllare che tutto fosse a posto. Jonny dormiva tranquillamente nel suo ampio letto, le lenzuola fresche tenute ferme dal suo braccio destro che sostava sul petto, mentre l’altra mano si riposava sul cuscino vicino alla sua faccia, timidamente chiusa. La flebile luce che aveva visto era la tv, accesa ma senza volume. Si doveva essere svegliata qualche tempo prima e, sentendosi sola, l’aveva accesa, riaddormentandosi poco dopo. Magari, prima o poi avrebbe di nuovo aperto gli occhi ed avrebbe avuto fame… Perché non farle trovare subito qualcosa pronto per essere mangiato? Forse la pizza che aveva tra le mani non era proprio adatta, avrebbe sicuramente preferito qualche biscotto e del latte.
Appoggiò il cartone per terra, lasciò la porta aperta solo per un spiraglio e tornò in cucina, preparando un piattino con alcuni biscotti, un bicchiere di latte ed uno di acqua, e stupendosi di come riuscì a portarli di sopra senza versarne una goccia, né far cadere una briciola. Lasciò il tutto sul comodino e, riprendendosi la pizza, le dette un ultimo sguardo: era pacifica come sempre, anche nel dormire. Stava per andarsene quando la televisione, forse per colpa di una pubblicità, illuminò la stanza in un flash. La luce improvvisa gli fece notare qualcosa, appeso al muro.
Qualcosa di familiare.
Si avvicinò al poster che ritraeva il suo gruppo, diversi anni fa ormai: se ne stavano tutti in piedi sui sedili di una vecchia Mini rossa decappottabile e guardavano l’obiettivo con facce strane. C’erano tutte le smorfie, tranne la sua. Un sorriso spuntò sulla sua bocca, notando i due pezzi di nastro adesivo rosso che coprivano il suo viso, come a volerlo cancellare dai McFly. Scosse la testa, sempre con quel riso sulla bocca, e guardò ancora Jonny dormiente. Stessa cosa notò sulle foto, appese nei pressi di quel poster: erano quelle scattate un anno prima, nella hall dell’albergo. Lui, ritratto sempre lontano da lei, era comunque nascosto dallo stesso nastro adesivo rosso. Ce l’aveva a morte con Dougie Poynter, non c’era bisogno di altre dimostrazioni, ma quella cosa non riusciva a non farlo ridere. Era così comica!
Fu quella stessa stranezza a trattenerlo in camera sua. Vide una poltrona nelle vicinanze dell’armadio di legno chiaro e la scostò dal suo posto, girandola per posizionarla davanti alla tv. Prese accortezza di avvicinarla al letto, al suo angolo destro, mettendola in modo tale che potesse tenere Jonny sott’occhio, nel caso lei si fosse svegliata ad avesse avuto bisogno di qualcosa.
Prese la sua pizza, il telecomando inutilizzato sul comodino e si mise a mangiare, facendo zapping.
 
 
 
Ripensò alla chiamata ricevuta da Arianna, qualche ora prima. Gli aveva raccontato del funerale, dicendo di non sopportare fatti del genere e di essersi assentata da Little solo per un sigaretta, lasciandola con Dougie. Era tornata giusto in tempo per vederla parlare di suo padre sul podio... Non aveva spiegato con precisione cosa Little avesse detto, ma subito dopo Arianna gli aveva chiesto se lui, il suo migliore amico, avesse saputo che cosa fosse successo tra Little e suo padre e, pieno di stupore, aveva dovuto dire di no.
Non ho saputo darle una risposta.
Lui, Danny Jones, non aveva la più pallida idea di cosa potesse essere successo tra Little e suo padre. Lei non gliene aveva mai parlato... Ma qualcosa doveva averle fatto quell’uomo, perché solo così poteva giustificare l’essere restia a parlare di se stessa e della sua famiglia, senza escludere lo stato di shock con cui l’aveva vista partire, l’assenza di lacrime sul suo volto per il padre morto. Lei avrebbe dovuto raccontarglielo, avrebbe dovuto dirglielo…
E per quello si era arrabbiato con Little, notevolmente arrabbiato, per quello avrebbe voluto parlarle, ma Dougie glielo aveva impedito. Era così arrabbiato che se l’era rifatta con Tamara, che aveva preferito andarsene per stare da una sua amica, lasciandogli tutto il tempo per rimuginare sul suo stato ed evitare di litigare ancora.  Da quando Little aveva messo piede in quella casa, i motivi di discussione con Tamara vertevano sempre su di lei, ma per cause diverse. Non doveva avere niente di cui preoccuparsi, eppure continuava a dimostrarsi gelosa di Little, sebbene fosse lontana da casa e, come aveva voluto lei, non l’avesse seguita per starle accanto. Le aveva detto in mille modi che si stava sbagliando, illudendo, ma Tamara non gli perdonava il fatto di averla fatta entrare in casa loro.
E per quale motivo?
Alla fine era stato capace di farglielo dire schiettamente: pensava che Little fosse innamorata di lui. Follemente innamorata, ed avrebbe fatto di tutto per farli lasciare. Era rimasto scettico, stupito, imbambolato alla notizia. Little non era innamorata di lui, né lo sarebbe mai stata, la conosceva bene, sapeva che lei non cadeva in queste assurdità. Era una ragazza con i piedi per terra, solida anche se pareva più fragile del cristallo, ma non era una scema, e tra di loro c’era quella forte amicizia, anche se nata in clima di lontananza e dopo una serie di vicende abbastanza complicate che Tamara non aveva voluto stare a sentire. Quindi perché preoccuparsi? Lui sapeva cosa provava per la sua fidanzata, lo sapeva benissimo, perché comunque non si fidava di lui?
Si chiese dove, quando, come e in cosa avesse sbagliato, ma non seppe darsi una risposta, e, a dire la verità, non sapeva nemmeno quale fosse la vera domanda, l’errore che aveva involontariamente compiuto.
Guardò ancora il telefono, chiedendosi se fosse stato il caso di chiamarla di nuovo, oppure se provare con Dougie. Avrebbe preferito rivolgersi direttamente a Little, senza dover usare Poynter come intermediario, dato che ogni volta avevano finito per litigare. Tra le altre seccature, c’era anche quella di non accettare il fatto che fosse stato lui, proprio lui, a prendere il suo posto. Se fosse andato Harry, o anche Tom, sarebbe stato tutto diverso. Sicuramente non sarebbe stato così in pensiero e non avrebbe avuto tutta quella tensione addosso, che lo costringeva a scaricarsi contro chiunque e qualsiasi cosa gli ronzasse intorno. Era maggiormente apprensivo perché c’era lui con Little. Lui che lei odiava, non sopportava, e che non aveva perdonato. Avrebbe quasi preferito lasciarla andare da sola, piuttosto che costringerla a passare altro tempo con Dougie.
Quando lui l’aveva chiamato per dirgli che si tratteneva, giustificandosi col fatto che Little stesse davvero male, non aveva reagito in quel modo per gelosia,  affatto. Si era arrabbiato perché sapeva che Little non avrebbe approvato, che non voleva altro che toglierselo dai piedi come uno scomodo sassolino in una scarpa.
Avrebbe dovuto essere in Italia, starle accanto, ora o mai più, come se quel fatto così tragico fosse un momento da non perdere per la loro amicizia. E lo era davvero, perché sicuramente Little avrebbe trovato la forza di raccontargli tutto.
Tutto.
Perché lui voleva sapere tutto di lei, per poterle stare più vicino, ma Tamara si era comportata da egoista e da presuntuosa, costringendolo a rimanere a casa, e non ci sarebbe passato sopra tanto facilmente. Pregò che Little non stesse pensando che non gli importasse di lei, pregò che non avesse brutti pensieri… Non sarebbero stati la verità. Era lui che avrebbe dovuto raccogliere tutte le sue lacrime, placare tutti i suoi singhiozzi, dirle tutte le parole di conforto. Doveva farlo perché era suo amico. Perché le voleva bene.
Ed invece, era segregato lì, costretto da una stupida minaccia: prendere o lasciare? Prendere il primo volo per l’Italia e lasciare Tamara, oppure prendere la sua relazione e lasciare l’amicizia? Aveva sempre odiato fare delle scelte, soprattutto quando involvevano persone in carne ed ossa, con dei sentimenti.
Ed adesso si stava pentendo amaramente della sua scelta.
Compose di nuovo il numero di Little, ma pochi attimi dopo la solita voce registrata lo informò dell’irraggiungibilità del suo telefono.
 
 
 
Sentì un rumore così impercettibile che si stupì di essersi svegliato per colpa di quel piccolo crack. Aprì piano gli occhi, sbattendoli con insistenza per la secchezza che sentiva sotto le palpebre, e realizzò di trovarsi seduto, con la schiena e le gambe appoggiate ad i braccioli di una poltrona, le mani incrociate sul petto.
Si mosse, spaventato.
Si era addormentato in camera di Little, mentre guardava la tv e mangiava la pizza. La pizza… Dov’era finito il cartone che la conteneva? Perché non era più sulle sue gambe, dove si ricordava di averlo visto per l’ultima volta?
“Buonanotte.”, sentì dire piano.
Si voltò verso il letto. Jonny se ne stava seduta a gambe incrociate con il cartone rettangolare aperto su di esse, occupata a dare un morso ad una fetta della pizza che anche lui aveva mangiato lasciandone la metà, si era sentito sazio già prima della fine.
“Buonanotte.”, le rispose, sorridendole ma con preoccupazione.
“Che ci fai qua?”, domandò lei.
“Beh… Pensavo di esserti di maggior compagnia della televisione accesa.”, le disse.
Lo schermo ancora era illuminato ma il canale era diverso da quello da lui scelto. Jonny si era svegliata, era sgattaiolata verso di lui ed aveva preso la pizza ed il telecomando. 
“Deve averla accesa Arianna. Non mi ricordo.”, lo informò lei.
Dougie si sentì meno accettato di un ragno sul muro, ma non volle desistere.
“Dovresti chiamare Danny.”, la consigliò, “E’ molto preoccupato per te.”
Lei continuò a masticare la sua pizza, guardandola.
“Ma è tardi.”, disse poi, “E poi c’è Tamara con lui.”
“Non lo disturberai affatto.”, la tranquillizzò, sebbene fossero le quattro di mattina, come recitava l’orologio sul suo comodino.
“Se lo dici tu.”, fece lei.
Lasciò la sua cena notturna per raggiungere il comodino e prendere il suo telefono. Cercò il numero in rubrica e se lo mise all’orecchio. Non si comportava nel suo modo usuale, era anche troppo fredda per essere la Jonny di sempre.
Era la sua presenza in camera a darle fastidio.
 
 
 
Si è permesso troppe cose.
Accettare di venire in Italia senza controbattere fino allo stremo delle forze.
Metterle il braccio intorno alla spalla in chiesa, abbracciarla mentre lei piangeva.
Entrare lì senza che lei glielo avesse chiesto e, sicuramente, vedere le fotografie ed il poster che esibivano la sua faccia coperta di nastro adesivo rosso, la grande croce rossa che aveva messo -non solo mentalmente- sulla sua persona.
Trovarlo a dormire nella sua stanza, sulla sua poltrona, con la sua pizza mezza mangiata, la pizza che del lunedì, quella che comprava sempre con Arianna.
Si era permesso troppe cose.
Troppe.
Lo lasciò perdere per sintonizzarsi sulla voce assonnata di Danny.
Little…”, le fece, saltando il convenevole.
“Scusa Danny.”, disse lei, senza smentire il suo tono freddo, “Dougie mi ha costretto a chiamarti.”
Mentì, non era vero, lui le aveva detto solo che avrebbe dovuto farlo, non che avesse dovuto ad ogni costo, ma doveva farlo sentire una merda, quindi…
Ha fatto bene.”, rispose Danny, dopo essersi schiarito la gola, “Ho provato mille volte ma non riuscivo mai a prendere la linea.”
“Avevo il telefono spento.”, gli disse, “E comunque non avevo molta voglia di parlare.”
Come ti senti?”, le chiese.
Di tutte le domande di tutto il mondo quella era la più difficile da accontentare. Sarebbe stato molto più facile se le avesse chiesto di provare l’esistenza di Dio.
“Beh… Adesso un po’ meglio.”, mentì per la seconda volta consecutiva.
Ne vuoi parlare?”, le domandò lui, con dolcezza, “Non ti preoccupare per la mia nottata, sono qui per te.
“Beh…”
Non aveva assolutamente voglia di accontentare Danny,  di starsene lì a cercare di tradurre in parole qualcosa che era più intricato di un gomitolo di lana vecchia. Ma avrebbe accettato di ascoltare per ore ed ore  la sua voce che le raccontava di qualsiasi argomento, anche il più stupido. L'avrebbe confortata come un balsamo refrigerante su una scottatura dolorosa.
C’erano molte persone al funerale?”, le chiese lui, non sentendola parlare.
“Sì, anche troppe.”, gli disse, sospirando.
Lo so.”
Joanna rimase interdetta.
“Lo sai?”
Sì, mi ha telefonato Arianna.”, rivelò lui, “E mi ha raccontato del funerale.”
Joanna sentì la sua testa cadere senza peso ed appoggiarsi sulla mano in un gesto di sconforto. Vide anche Dougie scattare sugli attenti, ancora seduto sulla poltrona.
“Lascia stare.”, gli  disse.
Hai detto che ti ha fatto delle... Cose...”, le chiese.
No, non voleva parlargliene, no. E no.
“Ero solo scioccata, fai finta che non sia successo niente.”
Beh, Arianna sembrava molto preoccupata quando me ne ha parlato.”, insistette lui, “Ma non ho saputo come tranquillizzarla, non so nemmeno come si chiami tuo padre, né che faccia abbia.
“Dan, non ti preoccupare.”, continuò a ripetergli, “Non è successo niente tra me e mio padre.”
Lui esitò, forse se ne stava convincendo.
Ok.”, disse, “Va bene, magari eri solo davvero scioccata.”
“Ecco.”
Scusa per l’insistenza, ma sono davvero preoccupato.”
“Non farlo troppo.”, gli disse, ridendo un po’, “Presto starò bene.”
Lo spero anche io.”, rispose Danny, con tono dolce, “Dov’è Dougie?”
“In camera sua.”, rispose prontamente.
Ok… Dagli il buongiorno appena lo vedi. Ti chiamo domani, va bene?
“Va bene.”, gli disse.
Allora a domani, Little… Ti voglio bene.”
Quelle tre parole la fecero sentire più in colpa di un'accusa.
“Ciao.”, gli disse e chiuse la chiamata, rimanendo a fissare il telefono nelle sue mani.
Come poteva lei fargli tutto quello? Come poteva non volergli parlare della sua vita, di ciò che aveva vissuto? Lui era in diritto di sapere, e lei in dovere di parlare… Alzò lo sguardo, movendolo con aria persa per tutta la sua stanza finché non incrociò quello di Dougie, e si ricordò che suo malgrado lui era lì.
“Buongiorno…”, gli fece, con aria stanca, lasciando il telefono.
“Buongiorno cosa?”, domandò lui, con una lieve risata.
“Buongiorno e basta, Danny mi ha chiesto di dirtelo non appena ti avessi visto… E l’ho fatto.”, gli spiegò, tornando sulla sua pizza.
Lo sentì ridere, coprì l’unico rumore nella stanza fosse il fruscio del cartone della pizza sulle sue gambe. Joanna rese un altro morso e lo ignorò.
“Ti ha chiesto di tuo padre… Non è così?”, domandò lui, rompendo il silenzio.
Gli annuì senza guardarlo.
“Perché non gli hai ancora detto niente?”, le fece, “Se posso saperlo, ovviamente.”, aggiunse subito.
“No, non puoi saperlo.”, lo seccò con la sua risposta.
“Allora me lo immaginerò.”, disse lui.
Joanna sbuffò, infastidita dalla sua presenza poco ben voluta.
“E così”, riprese Dougie, “a quanto pare Arianna lo ha chiamato e gli ha detto del funerale…”
“Poynter, per cortesia, non si parla mentre si mangia.”, gli disse, provando a farlo zittire.
“Ma io non sto mangiando.”, le fece, con sorriso beffardo.
Lei si spazientì ancora, prese lo scatolone e scese dal letto, avvicinandosi a lui. Glielo mise sotto il naso.
“Tappati la bocca.”, gli disse, forzandolo a mangiare.
Lui non se lo fece dire una seconda volta, prese uno spicchio e lo addentò. Joanna tornò sul suo letto, chiedendosi perché diavolo il destino avesse voluto mandarle lui al posto di Danny. E si ricordò che quel destino si chiamava Tamara.
“E Arianna gli ha detto del tuo discorso al…”
“Fatti i cazzi tuoi!”, si arrabbiò con lui, “Perché devi insistere? Non ne voglio parlare, basta!”
“Ok!”, fece lui, alzandole mani con aria innocente, “Pensavo solo che…”
“Non pensare, non parlare, non guardare… Mangia e basta!”, gli vomitò addosso quella serie di divieti.
Lui se ne stava sulla sua poltrona, con i piedi che penzolavano dal bracciolo e toccavano il letto, le braccia incrociate e sguardo vispo e malizioso.
“Cosa c’è, Poynter!”, sbuffò, veramente annoiata dal suo atteggiamento.
“E’ più bello vederti arrabbiata che in lacrime.”, le disse, facendosi serio.
Lei si sentì improvvisamente in imbarazzo. Le guance avvamparono, erano fuori controllo, e si dedicò alla masticazione frenetica del suo boccone, lo sguardo tenuto basso piuttosto che vedere lui e tutta la sua presuntuosaggine.
“Secondo te il rosso mi dona davvero?”, le chiese di lì a poco, costringendola ad alzare il viso per prestargli attenzione.
“Cosa?”, gli fece.
Dougie si mise le mani dietro alla testa, allungò le gambe per stirarsi i muscoli e, con il viso contratto in una smorfia di sbadiglio, gli indicò il muro.
Il poster e le fotografie.
“Certo che ti dona!”, gli disse subito, “Perché? Preferivi un altro colore? Magari il nero?”
Lui alzò le spalle senza rispondere, come se non gliene fosse importato niente.
“Perché continui a fissarmi in quel modo?”, gli domandò Joanna, ormai al limite della sopportazione, “C’è qualcosa che mi esce dal naso?”
“Oh no, affatto.”, le rispose, “E’ che non sono mai stato in camera tua, tutto qui.”
“Tutto qui?”, esclamò Joanna, sentendosi presa in giro, “Tutto qui?”
“Sì.”
Non ci poteva credere.
Per caso si ricordava che il pomeriggio precedente avevano seppellito suo padre, dopo che lei aveva trattato male la sua anima in pubblico? Perché continuava a prendersi gioco di lei, a scherzare ed a fare l’idiota? Ah, ecco, la risposta giusta era nella sua stessa domanda: lui è un idiota.
“Ti stai prendendo gioco di me?”, lo accusò con quella domanda, “E’ morto mio padre e tu ti prendi gioco di me?”
Dougie tolse dalla faccia il sorrisetto buffo che indossava e si fece serio.
“No, non mi sto affatto prendendo gioco di te.”, le fece, con tono calmo ma lievemente risentito, “Sto solo cercando di farti stare meglio, di non farti pensare a quello che stai vivendo. Ti voglio far sorridere, anche solo per tre secondi, perché so che stai morendo dentro. E non voglio.”
“Non ti sto chiedendo aiuto.”, gli sibilò.
“E’ vero, sono perfettamente d’accordo con te.”, continuò lui, “Ma a chi lo chiederai quando ne avrai bisogno? Ad Arianna o a Danny, a cui non hai mai parlato di tuo padre? Almeno io so qualcosa di lui, so qualcosa di te. Forse ti capisco meglio degli altri.”
Rimase stupefatta dalla presunzione delle sue parole. Era senza fiato.
“Esci da questa stanza.”, gli disse, puntando il dito verso la porta, “Esci.”
Lui non si oppose, né disse qualcosa per discolparsi. Semplicemente si alzò, e la lasciò sola, a piangere ancora.
 
 
 
Cretino, cretino, cretino. E ancora una volta cretino.
Ma che cazzo gli era passato per la mente? Cosa cazzo aveva pensato? Che mettersi lì a stuzzicarla sarebbe servito a qualcosa? Che stare a fare lo scemo fosse una buona idea? No, non lo aveva pensato affatto. Si era semplicemente spaventato, fatto prendere dal panico come un demente perché si era addormentato nella camera di Jonny, in un posto a lui proibito, ora e sempre. Si era intrufolato di nascosto lì, contro tutte le leggi del comune buon senso e lei, ovviamente, non aveva minimamente gradito la sua presenza.
Sospirò, chiedendosi se mai una volta nella sua vita sarebbe stato in grado di prendere decisioni giuste, quando c’era Jonny in ballo. Ogni mossa che faceva, ogni parola detta, ogni pensiero sembravano errati, fuori luogo, offensivi. Quando c’era lei di mezzo, sembrava perdere completamente la capacità di comportarsi correttamente.
Guardò il soffitto bianco, perfetto, nemmeno una sbavatura nella tinta linda. Accantonò quei pensieri per trovare il suo cellulare e chiamare Fletcher detto Fletch, il loro fidato manager, che con il biondo chitarrista Tom Fletcher aveva in comune solo il cognome, per chiedergli se in mattinata avrebbe arrangiato per lui un volo di ritorno. Sicuramentedoveva averlo colto in un momento poco opportuno, a sentire dalla voce affannata e nervosa,  e ne ebbe la conferma quando lui gli proibì severamente di disturbarlo di notte, per qualsiasi motivo, a meno che non si fosse trattato della sua imminente morte violenta. Flethc riattaccò dicendogli che si sarebbe fatto sentire appena avesse trovato qualcosa.
Infatti, la mattina seguente, il primo suono che le sue orecchie percepirono fu proprio il trillare del suo telefono.
“Pronto…”, biascicò.
La voce era quasi del tutto assente, si strapazzò un po’ gli occhi stanchi, che bruciavano ed erano gonfi.
Dougs, sono io.”, disse qualcuno, di là, senza specificarsi.
“Io chi?”, gli chiese, ancora intonito.
Fletch.”, si presentò.
Un barlume di memoria si fece spazio nella sua mente.
Il caro manager Fletch.”, continuò poi il manager, aiutandolo nel ricordarsi.
“Ah… Trovato il mio volo?”, gli chiese subito.
Sì, l’ho trovato… Domani alle dieci e mezza.”
“Cosa?”, esclamò subito Dougie, “Domani mattina alle dieci?”
Sbagliato, domani sera alle dieci e mezza.”, lo corresse Fletch, calcando la voce su quelle parole.
“Cristo, Fletch!”, protestò Dougie, “Ti avevo chiesto di prenotarmi il primo volo di oggi!”
Ma è quello che ho fatto!”, si difese l’altro, “E non è colpa mia se ti trovi nella repubblica delle banane, Dio solo sa cosa ci sei andato a fare, e tutto il personale di volo degli aeroporti ha deciso di scioperare in massa proprio oggi!
“Cazzo, ma qualche volo partirà pure!”, si arrabbiò maggiormente Dougie.
Oh sì, partono eccome, peccato che i controllori di volo nelle torrette, il personale a terra e gli sbandieratori nelle piste siano a picchettare le entrate degli aeroporti!
“Io devo tornare a casa! Io VOGLIO tornare a casa, trovami un volo!”, gli urlò.
Trovatelo da solo!”, lo ghiacciò Fletch, “E’ dalle otto di stamattina che ti cerco un posto su un fottuto 747, e il primo che ho trovato è stato il primo che ho comprato!”, e chiuse la chiamata.
Con un grugnito Dougie batté i pugni sul letto, nervoso. Che cavolo avrebbe fatto tutto quel tempo lì? Si buttò di nuovo a peso morto sul materasso.
 
 
 
Prese la sua tazza preferita, quella con il grande girasole dipinto sul fondo, e la riempì con il latte tiepido. La tavola alle sue spalle era già pronta per la colazione, apparecchiata con biscotti, aranciata e marmellata. Il profumo del caffè appena fatto usciva insieme al rigo di fumo tremolante e riempiva la cucina di un aroma forte ma dolce, che non poteva fare altro che mettere il buonumore. Doveva solo aggiungerne la giusta quantità dentro al suo latte, in modo che i due liquidi si amalgamassero perfettamente e nessuno dei due prevaricasse sull’altro. Non le piaceva quando la sua colazione sapeva troppo di caffè, era troppo amaro per il suo palato, ma non era di suo gradimento nemmeno la stucchevolezza del latte.
Nelle cose ci voleva sempre il giusto equilibrio.
Prese il manico caldo e nero della moka e, con attenzione, iniziò a macchiare il suo latte. Aggiunta la quantità corretta, prese la tazza con entrambe le mani e si sedette sul tavolo, ben attenta a non versarne nemmeno una sola goccia. Solo da quel momento  il suo rituale mattutino poteva dirsi iniziato. Accese un po’ di tv, sintonizzandola sull’ennesima replica estiva di ‘Happy Days’ ed iniziò a immergere uno per volta i grandi biscotti rotondi col buco nel mezzo che le piacevano tanto.
“Giorno, Jonny.”
Quello che gli vide indosso non erano altro che i vestiti del giorno prima, non aveva avuto neanche l’accortezza di toglierseli, una volta tornato in camera sua. Non sarebbe stata una buona mattinata, né un giorno felice, né l’aroma del caffè le aveva messo il buonumore sperato, indipendentemente dalla fastidiosa presenza di Dougie in casa sua.
“Buongiorno.”, gli disse, senza dargli il benvenuto con lo sguardo, “Fame?”
“Molta.”
“Prendi quello che vuoi.”
Alzò il volume della televisione, facendo sì che le vecchie battute tra Fonzie e Ricky Cunningam tacessero i rumori di Dougie. Dopo qualche minuto di intensa e rumorosa attività lo vide sedersi al tavolo, opposto a lei, con una tazza di latte freddo.
“Tutto questo casino solo per quello?”, sbottò subito Joanna, incredula.
“Tieni la tv così alta solo per quello?”, rispose lui a tono, indicando la televisione.
Sbuffando, Joanna abbassò il volume e tornò ad ignorarlo per riempirsi lo stomaco.
“Dormito bene dopo che me ne sono andato?”, le fece Dougie, evidentemente interessato a parlare, al contrario di lei.
“Sì.”, gli rispose, sbrigativamente.
“Anche io.”
“Non te l’ho chiesto.”
“Ma io te lo dico lo stesso perché voglio che tu lo sappia… Anche se non ti interessa… E sì, mi piace sprecare il mio fiato perché la vita è la mia.”, disse lui, anticipando intelligentemente tutte le possibili parole che lei avrebbe voluto usare per zittirlo e tornare ad passare sopra la sua presenza.
Joanna alzò le spalle, lasciandolo ad accontentarsi dell’obiettivo raggiunto, il non farla più controbattere.
“Ti devo dire una cosa.”, le fece Dougie, dopo aver preso un sorso del suo latte.
“Prima però devo dirtene una anche io.”, gli disse, “Non provare mai più ad entrare in camera mia, ci siamo intesi?”
Dougie, spiazzato, le annuì ed abbassò la testa con colpevolezza.
“Non l’ho fatto per farti arrabbiare... Avevo solo pensato che tu potessi avere fame.”, le disse, “Per quello ti avevo portato i biscotti ed il latte che hai trovato sul tuo comodino.”
Non volle sentirsi in colpa per l’eccessiva reazione che aveva avuto nei suoi confronti. Non le interessavano i moti di compassione , poteva risparmiarli e tenerli per altre disgrazie. Joanna tornò alla sua colazione.
“Dov’è Arianna?”, le domandò, cambiando totalmente discorso.
“Al locale, aveva da fare.”, gli disse, con parole veloci e annoiate di essere parlate.
Per qualche attimo un silenzio soffocante scese su di loro.
“Starà via tutto il giorno?”, tornò a chiederle Dougie.
“Purtroppo sì!”, esclamò Joanna, che fino a quel momento aveva tenuto lontano da se stessa la possibilità di passare altro tempo con lui, “E tu quando hai il tuo volo?”
Pretese una risposta nel giro di pochissimi attimi.
“Proprio di quello volevo parlarti.”, disse lui, “Proprio del mio volo...”
Se non fosse stato un volo d’aereo, sarebbe stato un volo dalla finestra e ce lo avrebbe buttato lei, di persona.
“A che ora ce l’hai?”, gli domandò.
“Alle dieci e mezza.”
“Bene.”
“Di domani sera.”
No, doveva essere uno scherzo.
“Come, scusa?”, gli chiese di ripetere.
“Hai capito, Jonny, prima di domani sera alle dieci e mezza non lascerò il tuo paese per il mio, va bene?”, disse Dougie, il suo tono infastidito tanto quanto il suo.
“Non è possibile che tu non sia stato in grado di trovare un solo aereo che parta prima di domani sera!”, si difese lei.
“Credici pure, vivi in una prigione, non in una nazione civile!”, sbuffò lui, alzando la voce, veramente innervosito, “Era questo quello che volevo dirti, che purtroppo non riesco liberati da me!”
“Non ci sono soltato gli aerei per tornartene a casa!”, gli disse, saltando in piedi, risentita dal suo tono arrabbiato.
“Se fossi rimasto in aeroporto, sarei ripartito senza dovermi trattenere qui!”, riprese lui, “E così non avrei dovuto preoccuparmi di te, del tuo stato e dei tuoi sentimenti! Non avrei dovuto tapparmi le orecchie per non sentirti piangere!”
Joanna sentì le lacrime salirle agli occhi ma si impose di non versarne nemmeno una, non una sola. Strinse i pugni e, senza battere ciglio, si alzò per liberare il tavolo dalle rimanenze della sua colazione.





Eccomi, sono tornata con la solita puntualità. Non ho molto da dire su questo capitolo, tranne che mentre scrivevo non riuscivo ad evitare di odiare Danny... E pure Joanna. Dio, non riuscivo a sbloccarla da quella situazione, mi ce n'è voluto di tempo. Come spero che avrete capito (e sono sicura che sarete in molte), ognuno ha il suo 'motivo' per 'odiare' Dougie, giustificabile o ingiustificabile che sia, dipende dai punti di vista che assumiamo. E questi motivi, purtroppo, vengono nascosti dietro ad un sacco di bugie... Dietro all'orgoglio, all'amicizia.
Lo capirete meglio nei prossimi capitoli. Soprattutto, capirete che se la situazione si smuove da un lato, regredisce dall'altro, in un tira e molla che ha esasperato perfino chi questa storia l'ha scritta e chi l'ha betata (sì, perchè ho assunto una betareader XD aggratisse, come direi in perfetto fiorentino)! Di certo, comprenderete che se nella realtà le persone non cambiano da un giorno all'altro... Perchè devono farlo nelle fanfiction?

La canzone che apre il capitolo è 'Buried Myself Alive' dei The Used e i versi in corsivo sono un estratto del suo testo. Credo che sia molto appropriata per Joanna, non credete? No scopo di lucro.

Non ho molto tempo per ringraziarvi... Spero che mi perdonetere ^^"

Mando comunque un bacio a tutte le mie lettrici, a chi recensisce e a chi passa anche solo per un'occhiata :)

Al prossimo lunedì!




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Capitolo 8
*** Tear In Your Hand ***


 
 
All the world is all I am, the black of the blackest ocean, and the tear in your hand...
You don't know the power that you have with that tear in your hand...
 
 
 
Dougie teneva gli occhi fissi sul suo bicchiere di latte, le dita intorno al vetro freddo. Si era pentito subito di quello sfogo accidentale, di quel flusso irresistibile di parole uscito senza permesso dalla sua bocca. Non cercava di giustificarsi con il dire che era stata lei a spingerlo, a farlo arrabbiare. Si alzò ed andò da lei, che gli dava le spalle, china sul lavello.
“Jonny, non volevo... Davvero.”, piagnucolò, mentre lei era intenta a sciacquare la sua tazza, “Non lo penso davvero, ero solo arrabbiato per tutto.”
“Lascia stare.”, gli disse lei, insaponando con furia.
“E invece no.”, protestò lui, chiudendo il rubinetto dell’acqua e costringendola a fermarsi, ma non a guardarlo, “So che vorresti che me ne andassi adesso, che lasciassi questa casa senza dire una sola parola...”
“Perché non lo fai?”
Forse non aveva davvero più senso provare ad aiutarla, quando era palesemente chiaro che Jonny non avesse affatto bisogno di lui.
“Non l’ho ancora fatto perché pensavo che avessi voluto qualcuno con cui parlare a ruota libera, senza dover partire per forza dall’inizio.”, le fece, le sue parole perse in un sospiro.
“Che senso ha parlarne ancora con te”, gli disse Jonny, “quando so che te ne andrai di nuovo e mi volteraile spalle?”
“Chi ti assicura che succederà ancora!”, esclamò lui, ormai stufo di essere ancora preso per un coglione immaturo, “Chi te lo ha detto!”
“Lo so e basta.”, disse Jonny, tornando sulle sue stoviglie, “Non ho bisogno di parlare e tutto quello che avevo da dire, l’ho detto.”
“E ti senti meglio per questo?”, le domandò, sfidandola.
Lei non gli rispose. Aprì il rubinetto e tornò a lavare.
“Prenderò questo silenzio per un no, altrimenti ti saresti voltata e mi avr-...”
“No che non sto bene, cretino!”, gli ringhiò contro Jonny, togliendo le mani dall’acqua insaponata e voltandosi verso di lui, “Come vuoi che mi senta, eh? Pensi che in questo momento stia godendo della morte di mio padre, o dell'aver scandalizzato i benpensanti che stavano in chiesa? Lo pensi davvero?”, continuò ancora, “Pensi che sia contenta nel capire di aver speso tutta la mia vita nel correre via da un incubo, spaventata a morte nel trovarmi di nuovo di fronte qualcuno che potesse essere come mio padre?Pensi che non provi un briciolo di odio verso me stessa?”
Dougie si era sciolto in polvere.
“Sono stata troppo impegnata a scappare da lui per crearmi una vita mia, di cui lui non ne facesse parte di cui lui fosse estraneo. Pensavo di averla trovata ma era solo una finzione, una bugia che raccontavo a me stessa. Ogni piccolo istante della mia vita lui era lì, a demonizzarmi...”, gli diceva, le sue mani che sottolineavano ogni sua parola.
Vide la prima lacrima scendere dai suoi occhi e segnarle con un rivolo lucido le guance rosse. Dougie non aveva il coraggio di chiudere gli occhi, pensando che un solo suo cenno potesse interromperla.
“Ed anche ora che non c’è più... Lui continuerà ad esserci. E’ un paradosso, ma so che accadrà proprio questo, so che non lo lascerò mai alle spalle perché sono io ad essere sbagliata, sono io quella che sbaglia.”, diceva, accusandosi con un dito rivolto verso di sé, che puntava sul suo petto, sulla sua cicatrice, “Io non cambierò mai, lui sarà sempre con me e io non lo voglio questo, non lo voglio!”
Si fermò, gli occhi si persero.
“Sei contento adesso?”, gli disse, scoppiando a piangere, “Ho parlato senza dover partire dall’inizio, proprio come volevi tu... E non sto affatto meglio!”
Da quando l’aveva conosciuta, Dougie si era pentito di tante cose dette e fatte, ma non avrebbe mai messo in dubbio quella: averla fatta gridare, sfogare e piangere era l’unica cosa su cui non sarebbe mai tornato a pensare.
“E adesso cosa fai?”, tornò all’attacco Joanna, “Te ne stai impalato come uno spaventapasseri, senza dire niente! Come al tuo solito, non sai altro che fare cazzate e non sei capace di mettere le cose a posto!”
No, non se lo sarebbe fatto dire un’altra volta. Le si avvicinò e la abbracciò, appoggiando il mento sulla sua testolina bionda e arrabbiata. Jonny non si oppose, scoppiò in singhiozzi e pianse contro il suo petto. Dougie afferrava sempre di più tutto il silenzio in cui lei era caduta. Si era chiusa in se stessa perché in un solo attimo aveva capito tutte quelle cose, tutti quegli errori che aveva commesso, e non aveva la più pallida idea di come raccogliere i pezzi della sua vita e rimetterli insieme.
Senza che se lo aspettasse, le braccia di Jonny si chiusero intorno a lui. Non aveva voluto che lo ricambiasse, quello di cui aveva avuto bisogno era che lei si convincesse di lui, che tornasse a fidarsi di lui. Perché lui era lì.
“Vuoi che ti accompagni in camera tua?”, le chiese, con un filo di voce, così da non disturbarla.
“No... Lascia stare.”, disse lei, allontanandosi ed asciugandosi le lacrime, “Vado da sola.”
“Beh... Devo andare nella mia stanza, è vicino alla tua, non pensare che ti stia seguendo.”, le disse, non resistendo alla voglia di sdrammatizzare, quella maledetta voglia.
Lei rimase qualche secondo a fissarlo, incerta. Poi scosse la testa e si voltò, ma Dougie fu sicuro che per una frazione di secondo, un brevissimo attimo, sulla faccia di Jonny fosse apparso un piccolissimo sorriso.
 
 
Si sedette sul davanzale della finestra di camera sua, dove spesso si era trovata a passare ore intere immersa nei suoi pensieri. Si portò le gambe al petto e le abbracciò, trovando conforto nel suo stesso calore. Guardò fuori.
Il cielo era macchiato di grandi nuvole di un grigio intenso, solo qualche sprazzo di celeste spuntava qua e là. Nonostante tutto poteva vedere la città stendersi davanti a lei, nella pianura più in basso, riscaldata da timidi raggi di sole, i pochi che riuscivano a filtrare attraverso quella spessa coperta plumbea. Era in arrivo un temporale estivo, lo si poteva capire anche dalla freschezza dell’aria e dal costante odore di acqua che si portava con sé. Gli alberi stavano già muovendosi sotto le onde del primo vento, prima o poi sarebbe scappato un tuono, o forse solo un lampo lontano, e la pioggia battente sarebbe arrivata.
Una giornata perfetta per piovere, si disse. Sentiva una grande stanchezza, una pesantezza dell’anima che non aveva provato così frequentemente. Avrebbe voluto chiudere gli occhi, battere tre volte i tacchi delle sue scarpe di rubino e trovarsi in un qualsiasi posto dove la vita, i problemi ed i fantasmi non esistevano, dove c’era solo lei, se stessa e qualche buffa conchiglia rotta, che avrebbe indossato come una collana, ma era impossibile. Lei non era Dorothy e non viveva nel Kansas, e sebbene il tempo là fuori stesse peggiorando con costanza, non c’era nessuna tromba d’aria in arrivo, la sua casa non stava per essere inghiottita dal ciclone per essere depositata nel paese dei Mastichini, una regione del lontano regno di Oz.  Lei era semplicemente Joanna Bellini.
Ed aveva versato di nuovo la sua vita nelle mani di Dougie.
Non contenta di essere stata ingannata già una volta, aveva affidato il suo tormento a lui, come se potesse capirla o farle del  bene, mentre chi si meritava davvero di sapere tutto –tutto- non conosceva nemmeno una minima parte della storia. Si sentiva una caricatura di se stessa, una stupida, una masochista. Con una rabbia crescente, prese il telefono e compose il numero di Danny, sperando che lui le rispondesse.
Little!”, esclamò lui, dopo qualche squillo, “Sei già sveglia?
“Sì...”, gli disse, sentendo la sua stessa voce tremendamente nasale e rotta.
Anche lui se ne accorse.
Little, stai piangendo?”, le chiese, con aria preoccupata.
“No, ho solo un terribile raffreddore.”, cercò di mascherarsi, ma senza alcun effetto.
Lo sento che stai piangendo...”, le disse lui, “E mi dispiace non essere lì con te.
“Ma no, stai tranquillo... Non è colpa tua.”
Sì che lo è... Ma Dougie? Cosa sta facendo?”, le domandò.
“Penso sia nella sua stanza. Non so.”
Ok...”, disse Danny, sospirando, “Cosa ti passa per la testa, Little?
Ecco, l’aveva chiamato apposta perché Danny doveva sapere.
Doveva sapere.
“Niente, volevo solo sentirti.”, gli disse, mordendosi il labbro inferiore.
Non hai niente da dirmi?
“Beh...”
Certo che ne aveva di cose da dirgli. Ne aveva un mucchio, tantissime, una valanga intera di confessioni... Ma sentiva il respiro bloccarsi in bocca, le parole svanire nel nulla, risucchiare da un buco nero che si faceva sempre più grande nel suo cuore.
“No, niente in particolare.”, gli disse.
Sentì un’altra lacrima scendere. Danny, al di là, sospirò.
Little... Io voglio che tu sappia, che tu capisca che puoi dirmi tutto. Qualsiasi cosa, anche la più stupida, la più idiota.”, le disse Danny, “Anche quella che pensi che non abbia la minima importanza...
“Lo so, Dan...”
La sua voce sembrava quasi un lamento.
Little, io non so niente di te.”, le fece, “Io non so cosa hai dentro. Non me ne hai mai parlato.
Come aveva potuto riassumere la sua vita... In una mail, in una telefonata?
Non ti ho fatta venire quassù solo perché volevo vederti... Ma anche perché volevo parlarti, volevo conoscere anche la Little Joanna che nessuno ha mai visto... E che non ho mai letto nelle mail che ci siamo scritti.
Avrebbe voluto urlare, gridare, riversare fuori tutta la rabbia che aveva dentro, tutto il rancore, il risentimento... Voleva che tutti i sentimenti che lui doveva –che lui voleva- tanto conoscere uscissero fuori come l’acqua alla sorgente di un fiume, limpidi e cristallini, pronti per essere raccolti.
Non ci riusciva.
Aveva costruito intorno a sé una fortezza, fatta di mura spesse e solide, dentro la quale aveva vissuto tranquillamente senza sentire il bisogno di uscire fuori, dove il mondo era crudele con lei. Adesso, invece, si sentiva imprigionata, soffocava dalle barriere che lei stessa aveva eretto a sua protezione. Voleva valicare quelle mura ma non ne era più capace. Aveva perso di vista la fune che le permetteva di far abbassare quell’immenso ponte levatoio che bloccava l’accesso alla sua vita.
Ho sempre sperato che un giorno lo avresti fatto, che ti saresti confidata con me. Forse ancora non è successo perché... Forse perché sono un ragazzo, e tu vorresti avere un’amica, non un amico...”, disse lui, “O forse semplicemente perché siamo lontani...
Da qualche parte in lei c’era la forza che le serviva per sfogarsi. C’era, lo sapeva! Lo aveva fatto già con Dougie, perché non con lui? Perché non con Danny, con il suo migliore amico... Con l’unico ragazzo per cui provava qualcosa?
Perché Dougie aveva assistito per ben due volte alla rivelazione di quello che aveva nel cuore, mentre Danny non aveva avuto niente di tutto questo?
Little... Non lo so, però se continuiamo così....
Non se la sentì di rispondergli. Chiuse la chiamata e spense il telefono, pregando che lui la lasciasse in pace.
Rimase sul davanzale a guardare le prime gocce di pioggia macchiare il vetro della finestra. In lontananza, verso le montagne, il cielo veniva illuminato da qualche lampo improvviso.
 
 
Quando sentì il primo rumore erano le sei e mezza passate di un pomeriggio vuoto, privo di tutto, di suoni, di sensazioni, di pensieri. Per la maggior parte della giornata se n’era stato con i nervi a fior di pelle, teso, pronto a scattare nel caso in cui Jonny avesse avuto bisogno di lui.
Più volte si era avvicinato alla porta di camera sua, vi aveva accostato l’orecchio per sentire cosa facesse, ed aveva solo sentito musica a basso volume. Aveva quasi pensato di chiamare Arianna, di farla tornare a casa perché la preoccupazione crescente gli stava facendo pensare le cose più assurde, ma si era imposto di calmarsi, di respirare e di ragionare. Jonny stava bene, o meglio, non stava facendo niente di allarmante. Se ne stava certamente sul suo letto, magari a leggere, a guardare un po’ di tv...
Così, era sempre tornato a chiudersi nella propria stanza. Aveva dormito un po’, ascoltato qualche canzone con l’i-pod, guardato fuori dalla finestra. Insomma, aveva passato una giornata interamente vuota, bianca come una pagina di un blocco note ancora da scrivere. Quando aveva sentito quel rumore, che tanto somigliava allo scricchiolio di una porta, era uscito fuori dalla stanza, sperando di trovare Jonny in piedi.
Invece c’era solo Arianna.
“Ciao, Dougie.”, gli disse lei, sottovoce, “Jo sta dormendo, sono uscita dalla camera un attimo fa.”
“Ah bene...”, le fece, sorridendole.
“Vuoi un caffè?”, gli domandò lei.
E scesero insieme in cucina. Mentre la donna aspettava che quella strana macchinetta producesse caffè ebbero modo di scambiare qualche parola.
“Scusami per oggi”, disse lei, “ma dovevo assolutamente incontrarmi con delle persone per il locale e non potevo rimandare.”
“Figurati.”, le disse, sedendosi dove quella stessa mattina aveva discusso con Jonny.
“Pensavo di risolvere in poco tempo, invece mi hanno costretto fuori tutto il giorno.... Allora, cosa avete fatto oggi?”
Dougie alzò le spalle.
“Non l’ho vista molto, solo stamattina.”, le spiegò, lasciando nascosto ogni riferimento a quello che era veramente successo.
“Prevedibile.”, fece lei, sospirando, “Se n’è stata da sola in camera, vero?”
Le annuì con un cenno della testa.
“Ieri sera ho chiamato Danny.”, continuò Arianna, “Pensavo di trovare qualche risposta in lui.”
La guardò.
“Riguardo a suo padre.”, si specificò lei, che forse aveva travisato la sua curiosità velata con il non comprendere a cosa si riferisse.
Quella donna non doveva avere molta buona considerazione di lui, pensò con ironia.
“Non sapeva niente...”, disse, poi venne attirata dal borbottare della macchinetta per il caffè.
Si alzò e la tolse dalla fiamma, versandone il contenuto in due tazzine.
“Sai, questo fatto mi ha stupito abbastanza.”, riprese Arianna, evidentemente volenterosa di parlarne, “Pensavo che fossero molto amici, lui e Jo.”
“Beh, lo sono davvero.”, le fece.
La donna annuì, sorseggiando il suo caffè caldissimo. Sembrava riflettere.
“Tra due persone così tanto amiche si presuppone che esista un po’ di confidenza.”, disse lei, “Ed avevo spontaneamente pensato che Joanna avesse parlato con lui dei problemi che aveva avuto con suo padre. Di certo non ho mai preteso che lo facesse con me... Sospettavo che le cose non fossero molto facili in famiglia, lei non ne parlava mai ed io, per rispetto, non mi permettevo di ficcanasare.”
Poi si voltò verso di lui.
“Tu ne sapevi qualcosa?”, gli chiese, guardandolo dritto negli occhi.
Dougie sentì un brivido sul collo ed ebbe l’immediata sensazione che Arianna avesse già capito la verità.
“Sì, lo sapevo.”, gli disse, “Jonny mi ha raccontato gran parte della storia... Un anno fa.”
“E perché lo ha detto a te... E non a Danny?”, domandò la donna.
Come poteva saperlo lui? Dougie si strinse nelle spalle, non aveva quel genere di risposta. Arianna sorseggiò altro caffè e posò la tazzina vuota sul tavolo. Lui non lo aveva ancora toccato, solo adesso portò la sua tazza alle labbra, assaggiandone solo un po’. La donna, comunque, continuava nella sua riflessione silenziosa.
“Beh... Diciamo che qualche cerchio inizia a quadrare.”, disse poi.
“Quale?”, domandò lui, prontamente.
La donna lo guardò con malizia.
“Vuoi sapere troppo, Dougie, e conosceresti comunque molte più cose di quante ne sappia io, dopo un anno di convivenza con lei.”, gli disse.
Arianna si alzò sbadigliando, e lo lasciò con la curiosità che saliva esponenzialmente. Un trillo sconosciuto, forse il telefono di casa, interruppe la sua sessione di stiracchiamento e la donna andò a rispondere, lasciandolo lì con mille domande.
Quelle cose che aveva inquadrato riguardavano lui? E in che modo? Perché comunque non gliene voleva parlare?
La curiosità crescente si tramutò in frustrazione.
 
I know I've been mistaken,
but just give me a break and see the changes that I've made.
Why can't you just forgive me?
I don't want to relive all the mistakes I've made along the way.


Tutto sembrava girare intorno a Danny e Joanna, Little e Dan, Jones e Jonny.
Loro due che erano così amici, così uniti. Si divertivano insieme, si volevano bene ed erano così complici che Tamara aveva apertamente dimostrato la sua gelosia, proibendogli di seguirla.
E lui, invece, non poteva fare parte di tutto quello. Lui era Dougie Poynter, lo stupido, il deficiente, il cretino che l’aveva trattata male. Era quello che si era fatto prendere dal panico; quello che, giustificandosi con il fatto di non volerla farla soffrire, aveva agito solo per pararsi il culo da una possibile delusione.
Quello che adesso cercava di dare un’altra immagine di sé, ma che ogni volta veniva respinto come se fosse stato un pacco indesiderato, un regalo riciclato, qualcosa da rinnegare perché ingombrante e di troppo peso.
Aveva capito i suoi errori, se n’era pentito davvero. Aveva provato a fare di tutto, anche se ogni tentativo cadeva in un fallimento, in un buco nell’acqua, oppure veniva completamente frainteso, o non capito e basta. Tutti rimanevano ancora aggrappati al passato, vi avevano affondato le radici e non riuscivano a guardare avanti, non facendo altro che rinfacciargli che Jonny aveva sofferto per causa sua.
Come sempre, era rimasto vittima di uno stereotipo. Era un cretino senza cervello, senza sentimenti, e da lui non poteva venire fuori niente di buono, soprattutto per Jonny. Forse era proprio il caso di lasciar perdere tutto, dato che niente girava per il verso giusto…
Ma aveva fatto una promessa, si era assunto l’impegno di starle accanto, sia davanti a Danny che a se stesso. Gli ostacoli che si stava trovando davanti erano estremamente complicati e difficili da scavalcare e, se avesse rinunciato, non avrebbe fatto altro che dare ragione a tutti quelli che cercavano di scoraggiarlo.
Doveva farlo soprattutto per lei.
Ed anche per se stesso.
 
You always find a way to keep me right here waiting
You  always find the words to say to keep me right here waiting
And if you chose to walk away I'd still be right here waiting
Searching for the things to say to keep you right here waiting
 



 
 
 
 
 
Why am I fighting, what’s it for, must let my mask drop to the floor.
Rolling up my sleeves to fight against all the things I locked up and all the things I fenced.
But nobody quite got it right... Nobody knew just how it feels to be me.


Era ancora a ripetersi le solite cose, le solite frasi fatte e conosciute, e quei versi esprimevano con una tale naturalezza tutto quello che le vorticava in testa che non sentiva il bisogno di spiegarsi meglio.
Stava perdendo Danny, così come avrebbe perso Arianna, anche lei vittima della sua stupidità e del suo stupido egoismo.
Sì, era una egoista perché teneva tutto dentro.
Sì, era una egoista perché non lasciava agli altri nessuno spazio nella sua vita.
Sì, era una egoista perché avrebbe fatto soffrire Danny ed Arianna, le uniche due persone che le erano rimaste.
Era inutile continuare a giustificarsi, a pretendere di rimanere dietro a quella maschera, a quella scusa grazie alla quale aveva finto di proteggere se stessa dalla malignità del mondo esterno. La sua lotta più grande, la sua fuga, era conclusa; suo padre era morto e non le era rimasto più niente. Ma forse ancora non aveva realizzato che la sua battaglia di vita non era mai stata quella combattuta contro di lui.
Ma quella contro se stessa.
Contro una Joanna che aveva bisogno di qualcuno, di un aiuto, di un’ancora a cui aggrapparsi per non annegare, per non essere trasportata via dalla marea.
Contro una Joanna che però rifiutava di essere salvata.
Proprio adesso che cercava un amico, una mano tesa verso di lei… Non c’era più nessuno. E l’unica persona che si sporgeva nel vuoto, per raccoglierla dal precipizio in cui era caduta, era quella sbagliata… Quella che, meno di tutto il resto del mondo, si meritava di sapere.
Eppure era lì.
E quelle giuste le aveva allontanate tutte. Aveva finto di voler loro bene, di esserne innamorata. Ma erano state bugie, tutte falsità che si era raccontata solo per trovare una scusa al non aprirsi, al non rivelarsi, per continuare a vivere nel suo mondo fatto di bugie e di paure.
 
My scars I shouldn’t hide from the people who are on my side.
But sometimes when I'm dreaming, and I dream a lot these days,
I meet someone who understands, who leads me through the haze.
But I wake up screaming… 






Erano passare le otto già da dieci minuti. Il vassoio davanti a lui attendeva di essere preso tra due mani e portato al piano di sopra, ma Dougie non aveva il coraggio per farlo e continuava semplicemente a rimanersene appoggiato alla cucina a guardarlo, braccia conserte sul petto, come se quel pezzo di metallo lucido avesse potuto dargli tutte le risposte giuste a tutte le domande più o meno importanti che assillavano la sua vita.
Arianna aveva lasciato di nuovo a lui l’incombenza di stare con Jonny: se n’era andata già da due ore, chiamata da un familiare che aveva avuto bisogno del suo aiuto per dei problemi particolari, che lei non era stata ovviamente a spiegargli.
Sospirò, si fece coraggio e bussò alla porta di camera sua, con il vassoio tra le mani. Attese una risposta che non arrivò e, sebbene le ginocchia non lo sostenessero con molta tranquillità, bussò di nuovo.
“Che vuoi...”, sentenziò Jonny.
“Ti ho preparato qualcosa per cena. Pensavo avessi fame.”, le disse.
Non si aspettava di entrare in camera sua, gliene aveva proibito l’ingresso, e bastava solo che le consegnasse il vassoio,  poi se ne sarebbe tornato nella sua stanza o al piano di sotto, a guardare un po’ di televisione. Non era importante che su quello stesso vassoio le porzioni di pasta e di verdure al forno fossero per due persone… La porta si aprì e al di là della soglia si presentò Jonny: il suo viso era stanco, segnato.
In quello stesso istante, un rombo all’esterno interruppe il loro reciproco guardarsi, nell’attesa della prima mossa dell’altro o dell’altra.
“Tieni.”, le disse, avvicinandole il vassoio.
Lei scrutò il contenuto e sicuramente notò il doppio bicchiere, le doppie posate, il doppio piatto di plastica, i doppi contenitori sigillati.
“Dov’è Arianna?”, chiese poi, tornando con gli occhi su di lui.
“Mi ha detto che è andata da… Una sua zia, forse, non mi ricordo il nome.”, la informò, “L’ha chiamata verso le sei e mezza e se n’è ndata poco dopo.”
“Ok.”, disse Jonny e, senza troppo sforzo, prese il vassoio tra le sue mani e chiuse l'uscio con un colpo del piede.
Rimase con un palmo di naso.
“Ehm… Jonny?”, le fece. “Potremmo mangiare insieme.”
“No.”, rispose lei, secca.
“Non necessariamente nella tua stanza.”, si affrettò a specificare.
“Per caso nella tua?”, domandò lei, con ironia.
“In quella che preferisci.”
Niente, nessuna risposta.
Lasciò perdere l’ulteriore fallimento, allontanandosi per cenare da solo nella sua camera, quando la porta di Jonny si aprì ancora.
“Dai, vieni.”, disse lei.
L’esplosione di un altro tuono quasi oscurò le sue parole.
 
 
 
Aveva terminato la sua pasta al ragù ed ancora non aveva avuto il coraggio di alzare gli occhi dal suo piatto bianco, né di dire una sola parola. Fuori, invece, il temporale sembrava aver molta confidenza con la Terra, la stava bagnando e ricoprendo di nebbia fitta e fulmini in caduta libera.
“Cosa hai fatto oggi?”, gli domandò Jonny, tagliando la coda della partenza.
“Beh… Niente di che... Dormicchiavo ed ascoltavo un po’ di musica.”, le disse, alzando le spalle e impegnandosi con le verdure, “Tu?”
“Anch'io.”, rispose lei.
Lanciò un’occhiata fuori, un altro flash luminoso era entrato con prepotenza nella stanza. La pioggia batteva forte sui vetri velati da una tenda semi trasparente e riempiva le loro orecchie con i piccoli tonfi sordi che ogni grossa goccia produceva nell’impatto, insieme al fischiare del vento ed al fracasso apparentemente incessante delle piante intorno alla casa.
“Sembra che questo temporale non voglia proprio smettere di torturarci.”, le disse.
“Già.”, fece lei, ancora preoccupata di finire le sue paste, “Erano diverse settimane che non pioveva.”
“Davvero?”
“Sì… Ogni estate che passa, piove sempre meno.”, disse lei, guardando fuori e tornando poi alla sua cena.
Dougie non sapeva più cosa dirle. Ogni argomento sembrava destinato a cadere nel vuoto, inascoltato, senza interesse al riguardo. Si limitò allora a darsi un’occhiata intorno.
Le pareti della stanza, colorate di un lilla molto chiaro, quasi impercettibile, erano decorate di poster. Tra le facce esposte riconobbe per prima quella di Bruce Springsteen: gli fece tornare subito in mente il giorno in cui Danny disse di averle spedito un poster che lo raffigurava, tanto per abituarla all’idea di quanto lui potesse essere monotono in fatto di musica. Accanto a quello invece sostavano appesi i Queen, Alanis Morissette, i Blues Brothers, i Beatles e tanti altri nomi noti, principalmente musicisti rock o blues, niente di troppo punk o esageratamente pesante.
Si soffermò involontariamente sulla sua faccia coperta di nastro adesivo rosso, e si lasciò scappare un lievissimo sorriso.
“Cosa c’è di divertente?”, lo colse subito Jonny.
“Niente.”, le rispose, e cercò subito un nuovo spunto per parlare, “Danny ha chiamato?”
Lei annuì con un cenno.
“Che notizie porta dalla mia terra natale?”, le chiese, con tono scherzoso.
“Beh… Non lo so.”
“E… Cosa avete fatto al telefono?”, sbottò lui, involontariamente.
 
 
Joanna sospirò.
Cosa avevano fatto al telefono? Innanzitutto, la domanda esatta era cosa avesse fatto lei al telefono. La risposta era: un bel niente.
“Niente.”, disse, infatti.
Dougie la guardò strano, poi tornò a dedicarsi alle sue verdure, sicuramente molto più interessanti di lei.
“Cosa vuoi sapere, Dougster?”, lo volle.
“Assolutamente nulla.”, rispose lui, con tranquillità, “Perché dovrei volerti spingere a parlare, se non sei tu a volerlo fare?”
Rimase qualche attimo spiazzata, senza parole.
Nella sua immensa immaturità, Dougie le aveva servito sul piatto d’argento la chiave dell’enigma che lei stava vivendo, ma non volle dargli ragione, non voleva dargli la soddisfazione che stava cercando. Non sopportava quella situazione, così come non sopportava lui  ed i suoi pantaloni troppo larghi, lui e la sua maglietta verde con i graffiti, lui e i suoi capelli spettinati, lui e quel suo maledetto sorriso abbozzato e malizioso, lui e le sue battute stupide e sempre fuori luogo…
Lui che riusciva sempre ed inspiegabilmente a spillarle le parole dalla bocca con la medesima semplicità con cui un barista di professione riempiva i boccali di birra con la giusta quantità di schiuma, senza dover dire né fare qualcosa, senza domande o pressioni, senza compromessi né ultimatum.
Lui che se ne stava lì a mangiare, a testa bassa, come a dirle ‘non mi interessa, io non voglio sapere, non me ne importa un fico secco’.
E lei, invece, che  se ne stava con la voglia di parlare proprio perché lui non glielo aveva chiesto, così come era sempre stato.
Lui non l'aveva mai pregata di raccontargli di suo padre, lui non le aveva chiesto di sfogarsi quella stessa mattina…
Lui non le stava chiedendo che cosa era successo tra lei e Danny.
Tutto quello era irritante, fastidioso come una zanzara nelle notti d’estate, come la puntura che si ritrovava puntualmente nei posti impossibili da raggiungere con la punta delle dita. Stava provando esattamente lo stesso magone, lo stesso groppo alla gola che le era preso un attimo di prima di afferrare il telefono e comporre il numero di Danny piena di ottime intenzioni, ma che era miserabilmente scomparso non appena lui l’aveva chiamata Little, il nomignolo particolare che solo lui usava.
Si maledisse perché, adesso, quell’impulso che le martellava la gola non accennava assolutamente di andarsene. Se ne rimaneva lì, a spingere, a premere contro le sue corde vocali e Joanna non gli resisteva, era tutto più forte di lei, impossibile da controllare, come tutte le cose che accadevano quando Dougie le stava tra i piedi.
“Dougie…”, gli fece.
“No, Jonny, parlo sul serio.”, insistette lui, “So che tu non vuoi parlare, quindi non farlo, ti prego.”
Maledetto Poynter!
“Ma io voglio…”, cercò di convincerlo.
 
 
 
Non credeva alle sue orecchie e le domandò infatti di ripetere.
“Doug, io voglio parlarne”, disse infatti Jonny, “perché se non lo faccio, scoppio.”
Totalmente muto, senza parole, encefalogramma piatto. Si impose di stare calmo, di non agitarsi e di mantenere la presa. Per tre giorni aveva atteso quel momento, aveva preso più schiaffi in faccia di un venditore di enciclopedie porta a porta e, ora che c’era, non sapeva da che parte iniziare.
“Vuoi… Vuoi davvero?”, le fece, tanto per esserne sicuro.
Lei si spazientì.
“Lasciamo fare!”, esclamò, scendendo dal letto e riponendo la sua parte di cena nel vassoio, “E’ stata un’idea cretina.”
“No, no!”, la bloccò, alzandosi di scatto dalla poltrona su cui stava seduto, con la vaschetta delle verdure in mano, “Jonny, siediti e parliamone.”
Lei lo guardò scettico.
“Sei tu che non hai voglia di starmi a sentire!”, lo accusò.
“Non è vero!”, protestò subito lui, “Cavolo, credimi!”
Jonny posò il vassoio sul cassettone, vicino al davanzale della finestra, e tornò a sedersi sul suo letto,  in attesa che le porgesse l’attenzione. Al che Dougie lasciò perdere le sue verdure, ormai c’era rimasto solo qualche rimasuglio di fondo, e si dedicò a lei.
“Avanti… Cosa vuoi dirmi?”, le domandò, sempre insicuro che quello di Jonny fosse solo un falso allarme.
Un altro flash di luce comparve prima che lei iniziasse a parlare.
Le ci volle un po’ prima di farlo, non le era per niente facile. La comprendeva ed ancora non si spiegava cosa avesse fatto lui per trovarsi lì, nella sua stanza, pronto per ascoltarla. Erano giorni che provava ad entrare in contatto con lei e quella volta, così come lo sfogo della mattina e di un anno prima, era arrivata come sempre totalmente inaspettata. In altre parole, anche se aveva tentato in mille modi di arrivare a quel preciso traguardo, alla fine non si giustificava il come potesse esserci riuscito.
Forse doveva avere un grande culo.
“Oggi, dopo che abbiamo… Insomma, in cucina, stamattina.”, balbettò lei, “Dopo di quello.”
“Sì.”, le fece.
“Ecco… Ho chiamato Danny.”
Cosa normale e scontata.
“L’ho chiamato perché volevo raccontargli… Tutto.”, continuò lei, “Perché lui... Deve sapere.”
Quelle parole non erano per niente convincenti.
“Danny avrebbe dovuto sapere tutto già da tempo.”, si permise di correggerla, senza volerla accusare di niente.
“Sì, lo so…”, disse Jonny, scuotendo la testa.
“E perché non lo hai mai fatto?”, le chiese, con innocenza.
Potevano esserci milioni di spiegazioni: tra tutte queste, l’unica che gli saltò in mente fu il fatto che lei avesse voluto farlo faccia a faccia, non tramite telefono o lettere virtuali... Ed infatti, fu la spiegazione che lei gli dette.
“Ma oggi non l’ho fatto.”, continuò Jonny, “Quando ero con lui ho avuto milioni di occasioni… Ma non l’ho mai fatto.”
“E perché?”, le domandò.
Quello non se lo spiegava. Se fossero stati veramente amici  avrebbe dovuto essere uno tra i primi argomenti a saltare fuori.
“Perché…”, esitò lei, “Perché io... Io…”
Gli sembrò di essere tornato indietro di un anno, giù nel salotto di quella casa, davanti al caminetto che scoppiettava.
“A dire il vero non… Insomma, non ne sono molto più sicura.”, si spiegò lei.
“Sicura di cosa?”, le fece.
Joanna prese coraggio con un sospiro lungo.
“Di essere innamorata di lui.”, disse, mentre gli occhi viaggiavano imbarazzati ovunque nella sua stanza.
Dougie mise un piede sul freno.
Jonny era, o pensava, di essere innamorata di Danny…
“L’ho detto e mi sento stupida.”, riprese lei, accasciandosi sul letto, “Non avrei dovuto farlo.”
Lui era ancora stupito, ma non al massimo: adesso che gli aveva rivelato quello che davvero provava per Danny, tantissime tessere del puzzle avevano iniziato a combaciare. Si chiese come avesse potuto non capirlo prima, da solo, e gli venne anche da domandarsi se Jonny fosse stata innamorata di lui da sempre, fin dal primo giorno in cui si erano conosciuti, oppure se quel sentimento fosse nato nel tempo, giorno dopo giorno.
In contemporanea ebbe l'enneisma conferma che il rapporto con Jonny non sarebbe mai potuto cambiare, anche se in passato avrebbe realmente voluto. Si sarebbe fermato al passo dell’amicizia mentre Danny, se avesse voluto, avrebbe anche potuto andare oltre. Se ne dispiacque, ovvio, ma quel pensiero era già stato da tempo ampiamente impresso nella sua mente ed i suoi sentimenti per Jonny erano stati ampiamente ridimensionati.
Comunque, anche se all’improvviso il quadro si era fatto completo davanti ai suoi occhi, Dougie non riusciva a trovare l’ultimo pezzo, quello più importante.
“E allora?”, le fece, “Non è comunque una buona giustificazione al tuo comportamento.”
“Lo so…”, disse lei.
“Per caso non ti fidi di lui?”, le fece, ingenuamente.
“Ma certo che mi fido di Danny!”, protestò Jonny, “E’ che…”
Dougie incrociò le braccia, la sua espressione si fece pensierosa.
“Io gliene voglio parlare, davvero, credimi Dougie.”, disse lei, la sua voce quasi rotta dal pianto, “Oggi ho cercato di farlo, avevo trovato la forza giusta… Ma poi non ci sono riuscita… E Danny mi ha detto che…”
Si bloccò.
“L’ho deluso, Dougie.”, disse, asciugandosi la prima lacrima.
“No, non è vero”, cercò di consolarla, “è solo un po’ scocciato...”
“Mi ha fatto capire che, se non gliene parlo, prima o poi…”, continuò lei, prima di mettersi a piangere.
Non voleva credere a quello che la mezza frase di Jonny gli aveva lasciato capire.
“Prima o poi cosa?”, le fece, per sicurezza.
“Prima o poi... Basta, Dougster!”, esclamò lei, “Cos’altro c’è da aggiungere! Hai capito cosa intendo!”
Certo che aveva capito.
Aveva capito che Danny era un coglione, un cretino di prima categoria, un imbecille, ed anche egoista, sì, un egoista del cazzo. Piuttosto che pensare a Jonny, ai problemi ed a tutti i pensieri che la sconvolgevano, Danny si metteva a disquisire sulla loro amicizia, sul fatto che lei gli avesse tenuto nascoste delle cose importanti eccetera eccetera.
Poteva Jones essere così egocentrico da non comprendere che tutte quelle cazzate sull’amicizia potevano essere rimandare ad un altro momento? Oppure si stava comportando in quel modo solo per gelosia, per ripicca… Gli venne la frenesia di chiamarlo e di mandarlo a fanculo, così, prendere il telefono ed attendere che rispondesse solo per urlargli che era un invertebrato.
Sospirò e scosse la testa.
“Mi dispiace, Jonny.”, le disse.
“E di cosa…”, fece lei, alzando il viso dalle mani ed asciugandosi le guance con un fazzoletto che avea tenuto in tasca.
“Beh… Danny è un egoista… A volte.”, le disse, “E magari è ancora arrabbiato per il fatto di essere rimasto a casa… Insomma, deve ancora capire.”
“Ma la colpa è la mia!”, si additò Jonny, “Sono stata io che ho sbagliato, fin dall’inizio, sono io che l’ho preso per il culo!”
Dougie non ci vide più. Tra tutti, lei era quella che aveva solo peccato di essere se stessa, con i suoi pregi ed i suoi difetti, e non aveva mai chiesto niente a nessuno. Mai.
“No, è di Danny la colpa, è lui che deve capire che sta sbagliando nel metterti di fronte ad una scelta. Proprio lui, che per colpa di un ultimatum adesso se ne sta a casa e non con te! Proprio lui, che ha sempre odiato i compromessi scomodi!”, si lasciò prendere dalla rabbia, “Se non fosse così occupato a mangiarsi le unghie perché il caro vecchio Dougster ha preso il suo posto, capirebbe che non gliene hai mai parlato per un semplice motivo… Non ti andava perché non è ancora arrivato il momento giusto! E’ totalmente inutile costringerti a parlare, imbucheresti solo un vicolo cieco, rimarresti in silenzio e ne soffriresti… Proprio come sta succedendo adesso. In questo momento l’ultima cosa di cui hai bisogno è star male per una qualsiasi causa che non ti riguardi te… E io non lo sopporto, perché mi dispiace vederti ancora trattata così da uno di noi. Non bastavo io?”
Uno schianto terribile, un boato elettrico interruppe ogni parola, pensiero e movimento. La luce sparì, la stanza si fece più buia del buio stesso.
 
 
 
Aprì il terzo cassetto dello sgabuzzino, un piccolo rifugio tra la stanza di Arianna ed il bagno comune delle piano, e si mise a frugare in cerca di qualcosa che al tatto potesse somigliare ad una torcia elettrica. Dougie aspettava con impazienza fuori dalla porta.
“Eppure erano qui…”, borbottò, non riconoscendo nessuna forma cilindrica sotto le sue dita.
“Come scusa?”, le fece Dougie.
“Niente… Non riesco a trovare le torce…”, gli disse, schioccando la lingua con disapprovazione.
Una serie prolungata di tonfi ed un ‘cazzo’ attutito la fecero ridere.
“Dougster?”, gli fece, “Vaso di fiori o vetrinetta delle cose inutili?”
“Vetrinetta delle cose inutili.”, disse lui, storpiando la voce per il dolore.
“Se la smettessi di aggirarti come un leone in gabbia”, disse Joanna, rinunciando a cercare le torce in quel cassetto ed facendo capolino dallo sgabuzzino, “forse non andresti a inciampare ed a farti male.”
“Non mi piace stare al buio.”, si giustificò lui, illuminato solo da una tiepidissima luce che entrava dalla finestra, in fondo al corridoio.
“Non fare il bambino!”, lo rimproverò lei, “Aiutami a cercare un paio di candele!”
L’ultima volta che le aveva viste erano in uno dei cassetti della cucina.
“Dovrebbero essere al piano di sotto.”, gli disse.
“Io rimango qua.”, impose Dougie, scuotendo la testa, “Non voglio rotolare per le scale!”
“Vado avanti io.”, gli disse, andandogli incontro e sospirando rassegnata, ma ridendo.
L’aver liberato quello che aveva dentro, la rabbia, il dolore, la frustrazione, ed averlo riposto nelle mani di Dougie... La stava facendo sentire meglio. Le veniva da ridere, sebbene la voglia di piangere fosse sempre in agguato, pronta a colmarle gli occhi, ei sentiva il cuore più leggero, anche se solo di poco, forse di qualche grammo.  Poteva essere assurdo, ma Dougie aveva quel particolare potere su di lei: era la valvola di sfogo, la valle vuota in cui gridare, il confessionale, il dentista che riusciva a tirarle fuori ogni cosa da quella bocca da troppo tempo chiusa, e doveva accettarlo così com’era, farsene una ragione, mettersi l’anima in pace anche se era frustrante, anche se non doveva essere quello il suo ruolo.
“Vuoi scendere le scale... Al buio?!?”, fece lui, “Vuoi fare come la mela di Newton?”
“Preferirei di no”, gli rispose, “sarebbe superfluo come la tua presenza qua.”
“Oh, grazie per l’ironia!”, rispose lui, ridendo, “Perché tutti non fanno altro che rinfacciare la mia apparente inutilità al mondo?”
“Perché tu sei Poynter, e sei sempre inutile.”, gli disse, passandogli oltre, “Andiamo... E vedi di stare attento a non fare tu la fine della mela...”
Ormai conosceva quella casa così bene da poter camminare ad occhi chiusi, senza mettere le mani in avanti né avere bisogno di altri punti di riferimento. Infatti, riconobbe con precisione il punto in cui il pavimento scompariva sotto di lei, per fare spazio alle scale. Il piede toccò il primo gradino, dietro sentiva i passi incerti di Dougie e il suo borbottare infastidito.
Le venne da sorridere, ma una sensazione di gelo polare le bloccò ogni movimento, ogni pensiero, ogni intenzione.  La percezione del calore del suo corpo venne annullata, azzerata da un freddo innaturale, da una morsa di paura intensa. Sentì il suo respiro bloccarsi in gola, pietrificato come una delle tante statue della Medusa, ma lei non aveva visto nessun mostro, nessuna fantasia, bensì solo un buio spento, privo di vita, ma che esalava un vento duro, gelido.
Era un buio più nero dell’oscurità stessa, una massa densa di nulla, e così concentrato da essere vischioso, pesante come una montagna; lo percepiva sulle sua pelle: quel gigantesco cubo di ghiaccio dentro al quale lei sembrava essersi involontariamente imprigionata assorbiva ogni più piccola forma di calore, mentre ogni rumore rimbalzava contro le sue pareti, isolandola dal resto del mondo.
Voleva muoversi, ma non ci riusciva.
Voleva fuggire, ma le sue gambe non rispondevano.
Voleva gridare, ma era muta.
Voleva voltarsi, chiamare Dougie, chiedergli aiuto...
Si sentiva morire.
Jonny...”
Era solo una voce ovattata, lontana migliaia e migliaia di chilometri. La poteva sentire, quel suono aveva sconfitto quella gabbia, era riuscito a penetrare, ma non era capace di rispondergli. Un calore improvviso sulla sua spalla la svegliò, la sua prigione esplose in mille pezzi esaurendosi in un grido improvviso che si liberò nella sua bocca, e che riempì la casa improvvisamente, svuotandola da quel buio.
“Jonny!”, urlò a sua volta Dougie.
Joanna gridava, riprendeva fiato e gridava ancora. Non era capace di fare altro, solo strillare, e strillare di nuovo.
“Mio Dio, Joanna!”, fece Dougie, prendendola tra le braccia e stringendola forte.
Il contatto improvviso col suo corpo, con il suo calore, col suo respiro, fece sciogliere le urla, che lasciarono posto ad un fiume di lacrime.
 
 
 
Chiuse il telefono. Lo appoggiò sul tavolo. Sospirò, allungò le gambe e stiracchiò le braccia. Le mise poi dietro la testa, fermandosi in quella posizione.
Aveva fatto la cosa giusta, aveva preso la scelta giusta. Troppe cose idiote erano state veicolate da quell’oggetto, all’apparenza così innocuo e innocente. Tante, tranne quella. Si era pentito, gli ci era voluto tutto il pomeriggio per capirlo. Si era stupito di se stesso, di quello che aveva avuto il coraggio di far uscire dalla sua bocca. Aveva pensato che, forzando la mano, le cose sarebbero andate per il verso giusto.
Per il suo verso.
Voleva sapere, voleva conoscere, ed aveva imposto a Little un ultimatum, così come Tamara aveva imposto a lui di non partire. Si era odiato, si era dato del cretino e si era chiesto cosa potesse pensare adesso di lui, della sua stupidità, del suo egoismo. Si era sentito in diritto di sapere tutto di lei solo per il fatto che fossero amici...  Perché voleva sapere, perché doveva sapere.
La strada dell’Inferno è sempre lastricata di buone intenzioni.
Perché il suo egoismo aveva vinto, mascherato di buoni motivi e di affetti fasulli. Little non voleva parlargliene, punto e basta, e anche se avesse voluto adesso non sarebbe accaduto. Si era negato la possibilità con le sue stesse mani, preso dal suo orgoglio e dalla sua vanità, e gli stava bene, se lo meritava.
Se avesse voluto, in quel momento sarebbe stato con lei, in Italia, ma si era lasciato prendere dalla paura. Tamara minacciava costantemente di lasciarlo, lo aveva fatto anche quella stessa mattina, al telefono. Lo accusava di non pensare a loro due, a quello che stavano costruendo insieme, al futuro che avevano progettato... Ma certo che ci pensava! Eccome se lo faceva, ogni giorno, ogni momento... Ma ora non poteva fare a meno di dare la precedenza a Little. Voleva solo un po’ di tempo da dedicarle perché stava male, perché aveva bisogno di lui.
Non stava chiedendo la luna, non era in cerca di qualche formula alchemica: quello che voleva era prendere un aereo e raggiungerla. Stare con lei, sostenerla e farsi perdonare. Amava Tamara, con tutto il cuore, e se lei avesse provato lo stesso sentimento, come gli rinfacciava ad ogni occasione, avrebbe anche capitom, ma non lo stava facendo ed evidentemente c’era qualcosa che non andava.
Adesso, però, non era il tempo di pensarci. Avrebbe risolto al momento opportuno.
Si alzò, salì al piano superiore. Andò in camera, aprì l’armadio e sistemò sul letto la sua valigia. Aveva un volo da prendere, la mattina successiva.
 
 
 
“Jonny, ma che ti succede!”, le chiese Dougie, sollevandola e portandola subito in camera sua.
Tremava, la sentiva scuotere da continui spasmi. Si aggrappava al suo collo, macchiando la sua maglietta delle lacrime che versava, e non riusciva a calmarsi. Non riusciva a calmarla. Era disarmato, inutile come lei gli aveva detto prima, anche se solo scherzando. Non sapeva cosa le fosse preso, né perché si fosse pietrificata ed avesse gridato così tanto, facendolo impaurire come pochissime altre volte nella sua vita. E ora piangeva, tremava tra le sue braccia, e lui non sapeva cosa fare, cosa dirle...
“Jonny, ti prego, calmati.”, provò, accarezzandole la testa.
Avrebbe voluto stenderla sul letto ma lei si era stretta a lui, al suo collo, e non voleva lasciarlo. Come il giorno del funerale, il pianto di Jonny era uno strazio per il suo cuore, era insopportabile, era come una lama che continuava a pugnalarlo alle spalle.
“Calmati.”, le fece ancora.
Ma lei pianse ancora più forte, e il magone di Dougie aumentava, insieme al suo senso di totale inettitudine.
“Jonny... Ti prego...”, la scongiurò.
I suoi singhiozzi, duri e marcati... E le sue lacrime, così salate.
“Ti prego...”
Non resistette, pianse anche lui, affondò il viso nei suoi capelli biondi. Ne sentiva il profumo delicato, ma non fu di assoluto conforto.
Odiava piangere, odiava farlo.
Piangeva per Jonny perché non meritava niente di quello che la vita l’aveva costretta a vivere.
Piangeva con Jonny perché non riusciva più a rimanere indifferente, distaccato.
Piangeva per colpa di Jonny perché si sentiva miserabile, perché non era capace di colmare il vuoto che c’era dentro di lei.
“Joanna, per favore, smettila!”, le gridò, “Non lo sopporto!  Basta!"
Pregò Dio che lei lo ascoltasse, che si fermasse, ma entrambi sembravano sordi alle sue preghiere.
Poco dopo, però, la presa al suo collo si allentò. Jonny lo guardò negli occhi -gonfi, rossi e pieni di tristezza- e Doigie la posò a terra, fino a quel momento sospesa tra le sue braccia.
In quel momento la luce tornò ad illuminare tutto all’improvviso, così come se n’era andata.  Dougie sbuffò tutta l’aria che aveva nei polmoni, sentendosi afflosciare su se stesso. Si vergognava, era scoppiato a piangere come un bambino. Non aveva mantenuto la promessa fatta a Danny ed a sé stesso, non era stato capace di farla stare meglio, nel momento più drammatico aveva ceduto.
Le voltò le spalle e uscì dalla sua stanza.
“Dougie...”, lo fermò la voce rotta di Jonny, bloccandolo nel corridoio con una mano sul suo braccio.
Dougie non le rispose e si divincolò dalla sua presa. Era tutto così dannatamente difficile da gestire, impossibile da controllare. Forse era meglio calmarsi, dormirci sopra, lasciare che il tempo guarisse tutto, che la notte portasse con sé qualche buon consiglio da seguire. Asciugò via le ultime lacrime scese, cancellando il segno della sua debolezza con il palmo della mano, con rabbia.
Jonny se ne stava a testa bassa, gli occhi che seguivano le dita intrecciarsi. Alzò il viso.
“Grazie.”, gli disse poi.
Inspiegabilmente, così come la paura che si era impossessata di lei senza alcuna ragione, Dougie fu debole per la seconda volta.
Si chinò su di lei e la baciò, tenendole il viso arrossato tra le mani.
Non avrebbe mai dovuto farlo e la liberò all’istante, allontanandosi da lei e scomparendo, per chiudersi nella sua camera.
 
 
 
Rimase lì, in piedi, davanti alla porta della stanza, aperta sul corridoio vuoto. Gli occhi spalancati, la bocca socchiusa. Le labbra si asciugarono e divennero appiccicose. Sbatté gli occhi più volte, chiedendosi cosa fosse successo. Si erano baciati.
Lui l’aveva baciata.
Le tornarono in mente le ormai lontane parole di Tom.
A Doug piaci... Piaci molto.
No, non ancora. Mosse un piede dopo l’altro e raggiunse la porta della sua stanza. Non le interessò bussare, né entrare senza il suo permesso. In fondo, lui l’aveva baciata senza che gli avesse concesso alcuna autorizzazione, senza che volesse essere baciata.
Da lui.
Lui che, per qualche attimo, aveva ritenuto fosse la persona giusta su cui fare riferimento. Lui che riusciva a stanarla, che riusciva sempre a scovarla e farla uscire fuori dal buio in cui viveva. Non le importò di trovarlo seduto sul letto, con il viso tra le mani, e non le importò nemmeno che lui alzasse il viso e le mostrasse le sue lacrime.
“Spiegamelo.”, pretese Joanna.
“Non lo so, Jonny... Non lo so.”, disse, pulendosi veloce le guance ed alzandosi, cercando rifugio lontano da lei, “Non lo dovevo fare, lo so, non era il momento per...”
“Tra noi non è il momento per niente!”, gli urlò in faccia, "Perché lo hai fatto!”
“Perché tutto quello che sta succedendo mi toglie il fiato, perché questa situazione è claustrofobica...”, disse lui, portandosi le mani alla testa, "Perché non riesco a farti stare meglio! Perché in quell’attimo ho quasi sperato che un gesto del genere potesse… E perché hai ragione tu, io sono inutile! ”
“Diventi inutile quando non pensi a quello che fai.”, gli disse, “Avevo capito che tra tutti i McFly mi sono ero fatta l’amico sbagliato... Che Danny era sbagliato, perchè dovevi essere tu il mio amico, ", prese altro fiato, "Dougie, con te perdo le mie barriere e riesco a dirti tutto... E non è perché mi piaci. E’ perché sei tu, Dougie, perché sei tu.”
Le venne da piangere, ancora una volta.
“Perché riesco naturalmente a fidarmi di te. Perché nonostante tutto quello che mi hai fatto... Sei sempre tu, Dougie.”, si asciugò una lacrima.
“Mi dispiace...”, disse lui.
“Perché vi divertite a giocare con i miei sentimenti?”, domandò, sapendo che non avrebbe avuto risposta.
“Io non voglio ferirti.”
“Oh sì, Dougie, tiriamo in ballo le solite frasi fatte!”, gli fece, con sarcasmo, “Nessuno ha mai voluto far soffrire Joanna! Non è così? Tutti vogliono essere miei amici!”
“Jonny, te lo ripeto, non so perché l’ho fatto!”
“Lo hai fatto perché sei un bastardo.”
 Avrebbe voluto dargli uno schiaffo, ma lo aveva già fatto con quella parola sibilata, rimasta quasi chiusa tra le labbra. Era la seconda volta che glielo diceva.
“No, Jonny, per favore...”, la implorò lui, “Tengo a te, non lo capisci?”
“Tutti tengono a me! Tutti!”, disse lei, tornando sarcastica, “Mio padre teneva a me, e mi picchiava. Mio fratello teneva a me, e mi ha picchiato. Danny teneva a me, e mi ha messo con le spalle al muro... E tu non sei meglio di tutti gli altri!”
“Ma non riesci a capire che è stato uno sbaglio?”, fece lui, “Ti voglio bene, Jonny, ed ho cercato di fare il possibile per starti accanto, per farti stare meglio... Ho sempre saputo che non ero in grado di farlo, ma almeno ci ho provato!”
“Nessuno ti ha chiesto di prendere l’aereo con me!”
“Non ci sono salito con te... Ci sono salito per te!”, disse Dougie, il suo viso contratto dalla rabbia, “E mi sono stancato di cercare di giustificarmi per ogni cosa, per ogni decisione che prendo! Prima di conoscerti tutto quello che facevo non necessitava mai dell’approvazione degli altri; poi sei spuntata tu ed ogni cosa che dicevo o pensavo ha iniziato ad essere messa sotto i raggi X. Tutti si sono sentiti in dovere di giudicare me e quello che provavo per te.”, le riversò in faccia, “Ebbene sì, Jonny, mi ero innamorato di te, va bene? Ti fa piacere saperlo così? Ti senti meglio?”
Joanna non sapeva cosa fare.
“Ma, appunto, ero innamorato di te, poi tu hai scelto Danny, mi sono messo da parte e ti ho dimenticata.”, continuò lui, “Sì, mettitelo bene nelle orecchie, Jonny, ti ho dimenticata, ma non ho mai smesso di volerti  bene. E nonostante mi accusi ancora di essere un bastardo, di fregarmene di te e di giocare con i tuoi sentimenti... Te ne voglio comunque. Perché la mia vita è piena di persone false e ipocrite, di gente insulsa e stupida. E tu sei una di quelle che con un sorriso riesce a farmi stare bene, perché sei una persona vera. Potrai trattarmi male, offendermi, odiarmi, ma farò finta di non sentire niente, perché non voglio perderti.”
Avrebbe voluto che si zittisse, che non le dicesse la verità che sembrava avere in serbo per lei..
“Non lo so perché ti ho baciata, credimi quando te lo dico, non lo so! Solo uno stupido, uno che non si è mai meritato la tua fiducia ma che l’ha avuta comunque, nonostante tutto.”, riprese fiato, “Non lo so perché l’ho fatto, forse per disperazione, perché non sopporto più il vederti piangere… Non sempre le nostre azioni hanno una giustificazione... Va bene? Vuoi altre spiegazioni? Vuoi che mi lanci dalla finestra?”
“Io...”, farfugliò Joanna, confusa per quell’ammasso di parole rabbiose con le quali Dougie si era sfogato.
“E mi dispiace trattarti in questo modo”, riprese lui, “ma a volte sei troppo vittimista, Jonny.”
Quello che sentì la costrinse ad alzare gli occhi da terra e fissarli nei suoi.
“La tua vita non è più quella di prima.”, le disse, con tutt’altro tono, “Ma se continui a vedere tutto come una minaccia, come un ostacolo... Allora tuo padre non sarà l’unico fantasma con cui vivrai.”
“Ma non è della mia vita che stavamo parlando, Dougie!”, disse lei, “E’ del tuo bacio...”
“Il bacio è solo le mie labbra che incontrano le tue, nient'altro. ”, continuò Dougie, “Jonny, continui a pensare che tutto il mondo sia pronto a farti del male, ma non è così... Ci sono persone che ti vogliono bene, che vogliono proteggerti e che farebbero di tutto per vederti felice... Come Arianna, come Danny, e come anche il sottoscritto. Talvolta commettiamo degli errori stupidi nei tuoi confronti, ma non puoi crocefiggerci per questo. Tu non puoi demonizzarmi per un bacio sbagliato. Non provo assolutamente niente per te, puoi starne certa, e sono pronto a giurarlo su tutto quello che vuoi. Ti ho chiesto scusa, cos’altro devo fare?”
“Non puoi chiedermi di far finta che non sia successo!”, protestò Jonny, e non poté certo darle torto.
“Jonny, continui a non capire…”, sentiva in lui il tono della sconfitta.
Dougie stava per arrendersi.
Dougie stava per lasciar perdere.
Dougie stava per allontanarsi da lei, così come tutto il resto del mondo.
Sì che aveva capito le sue parole ma, no, non riusciva ad ammettere che lui avesse pienamente ragione.
“Non puoi condannare chi ti sta intorno ad ogni minimo passo falso. Se continui in questo modo, se perseveri ad essere così prevenuta, anche nei nostri confronti... Se non imparerai a perdonarci… Ci perderai. Non te lo sto dicendo per spaventarti, o per cercare di redimere me stesso dopo questo fottuto bacio senza senso che ti ho dato…”
Si sentì gli occhi pieni di lacrime.
Di nuovo.
“Non è facile metterti di fronte ai tuoi errori, Jonny.”, aggiunse infine Dougie, e sospirò.
“Ho capito. Se vuoi dirmi che rimarrò sola, grazie tante Dougie, lo avevo già afferrato...”, disse Joanna, sentendo la sua stessa voce scomparire.
“No, non sarai sola.”, le fece, “Sarai piena di amici, di persone affettuose e gentili con te. Ma ti sentirai sola... Perché non appena il mondo si renderà conto di non essere il benvenuto in casa tua, se ne rimarrà fuori per sempre e non riuscirai più a farlo entrare. Mai più.”
Joanna si nascose il viso tra le mani, si sentiva colpevole. Dougie le aveva sbattuto in faccia la verità: voleva cambiare vita, ma si negava da sola ogni possibilità. Voleva fuggire dai suoi fantasmi, ma poi correva loro dietro. Voleva essere coraggiosa, ma era solo la persona più stupida del mondo. Voleva farcela da sola, ed era quello l’errore più grande.
Le braccia di Dougie si chiusero intorno a lei per l’ennesima volta. Non era lei che doveva perdonare lui, ma l’esatto contrario. Era stata presuntuosa, egoista e supponente, nascosta dietro alla sua aria della sempreverde vittima della vita.






Eccomiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii, sono arrivata :)
Ho tribolato un po' ma ce l'ho fatta. Bene, passo subito a parlarvi delle canzoni contenute in questo capitolo. Si parte subito con il titolo, Tear InYour Hand, scritta e cantata da Tori Amos e contenuta nell'album Little Earthquakes, per chi fosse interessato. Tori Amos mi è stata di notevole ispirazione mentre scrivevo tutta questa storia. Difatti, ci sarà qualche altro capitolo in cui farò riferimento a lei, ma se ne parlerà più avanti...
Poi, chi non poteva mancare??? Dico, quale gruppo non poteva mancare???? Chi mi conosce bene sa già la risposta! Uno, due, tre... Gli Staind! Infatti, i versi che introduco al punto di vista di Dougie sono parte della loro canzone Right Here, contenuta nell'album  Chapter V. La canzone  che invece ho inserito poco dopo, quando tocca a Little, è  Perfect Circle di Katie Melua (ve l'avevo detto che ritornava XD), contenuta nell'album Pictures. Tutte queste citazioni, ovviamente, non a scopo di lucro.


Bene, ora passiamo al capitolo vero e proprio.... Ecco, alla fine Little si è  presa due schiaffi da Dougie (e da tutte voi) ed ha capito il suo errore. Sì, l'ha capito... Ma siete proprio sicure che  cambierà? Ve lo dico, no.  Come ho detto l'altra volta: si cambia da un giorno all'altro?
Ogni recensione che mi lasciate, mi fa un piacere immenso leggerla. E sapere perchè? Ci sono due motivi: o siete delle bravi lettrici (e lo siete davvero, credetemi) oppure vuol dire che sono riuscita a trasmettere bene la mia intenzione... Chi lo sa? XD

Ed ecco che arriva anche la risposta ad un quesito che posi alla fine del capitolo 5. A Girl Disappearing, perchè vi chiesi a cosa mi riferivo con quel titolo? Era una cosa piuttosto semplice, ma anche piuttosto complicata. Beh, qualcuna di voi l'ha notato, e la cosa mi fa piuttosto piacere. In sintesi, vi siete accorte che da quando Little ha ricevuto la chiamata di Arianna, non c'è stato alcun momento (almeno fino a questo capitolo) in cui la scena descritta viene presentata dal suo punto di vista? Ecco perchè A Girl Disappearing. E' stata una scelta che mi è venuta spontanea e per un motivo abbastanza semplice: sebbene ci sia passata sopra per altri motivi, non so cosa vuol dire avere a che fare con un lutto come quello di Joanna. Posso solo immaginare, ma non voglio entrare nei particolari, rischierei di equivocarmi e non voglio. :)

E vai con i ringraziamenti **


vero15star:  sei proprio partita in tromba, eh, mamma mia!!!! XDDDDD allora vedremo se ti accontenterò. Ci stai? :)

Kit2007: eh beh, che ne dici delle canzoni di questo capitolo? Aggiungerò sempre una canzone, anche nei prossimi, perchè c'è stata proprio una colonna sonora che mi ha accompagnato nella stesura di questa storia.  Sarai il mio occhio critico! XD Mi dirai se secondo te ci stanno bene o no, anche se sappi che le ho scelte soprattutto per il contenuto del testo, non tanto per la melodia. Danny e Little deludono tutti e la cosa mi fa piuttosto felice, perchè era proprio quello che volevo. Le tue giustificazioni, cioè quelle che apporti nel sostenere la tua delusione, sono perfettamente corrette *.* mi fa piacere sapere che hai capito perfettamente tutto... Sigh... Grazieeeeee

CowgirlSara: credo che ti lascerò spesso senza sapere cosa dire del capitolo.  Il motivo per cui ho fatto raccontare tutto dal punto di vista di Dougie te l'ho scritto sopra... Se è venuto fuori qualcosa di caotico e spaventoso è perchè lui lo vede in quel modo... Caotico perchè succede tutto troppo in fretta e non ha il tempo di capire, spaventoso perchè, per sue stesse parole, non ha mai affrontato una cosa del genere... Povero cucciolo XD mi sono divertita a farlo prendere a schiaffi anche dal prete, c'è mancato poco ! XD E... Per quanto riguarda Danny e TamaRRa (Made in Princess)... Non la meno per il naso a nessuno... Almeno non io :))))))

Ciribiricoccola:  dici bene, è solo ORGOGLIO... E tu sa beeeeeeene di cosa parlo, nevvero Pazza?  Non mi viene nient'altro da aggiungere, credo che tu sia stata molto esplicita nel parlare di questa storia. Hai centrato perfettamente l'intruglio che c'è. Da un lato, trovi una persona orgogliosa e testarda, che quando si è convinta di una cosa è più facile spezzarla in due che farla piegare... Dall'altra c'è chi cerca, appunto, di farla ragionare, prendendosi tutte le bastonare che si merita, sempre secondo quell'altra persona, ma che poi alla fine si ribella. Eccome se si ribella. Poi c'è al terza persona, quella supponente, quella che pensa di sapere come fare a migliorare le cose... E ogni volta che entra in scena fa un danno dopo l'altro... Lo leggerai. Io non so come ringraziarti per quello che mi hai detto... Sai quanto questa storia conti per me...

_Princess_: oh, eccoti finalmente! Arrivi in tempo per il nuovo capitolo! Dougie è essenzialmente adorabile perchè è il cane bastonato della situazione. E' impossibile non volergli bene, perchè lui è mosso dall'affetto che prova per Little, e non da uno stupido orgoglio o dalla voglia di rifarsi su qualcun altro... Ma si farà capire, te lo prometto. E per quanto riguarda TamaRRa... Hai proprio ragione, anche io odio queste persone... Ma Danny?

GodFather:  Hai ragione anche tu... Little deve crescere ed anche molto. Da una parte è adulta, dall'altra è un po' come Peter Pan, si rifiuta di crescere. Chi credi che l'aiuterà di più? Danny o Dougie? XDDD E grazie per la canzone, i The Used mi piaccono tantissimo **



Un saluto speciale anche a Giuly Weasley e a x_blossom_x, che hanno avuto la fortuna sfacciatissima di vedersi quei quattro in concerto... In prima fila... Motherfucker!!!! XDDD e voi sapete perchè! iu:











 

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Capitolo 9
*** Lies ***


 
 
 
Un rumore improvviso lo fece svegliare ed aprì gli occhi. Si guardò intorno, o meglio, guardò il soffitto sopra di lui e lo vide illuminato da colori alterni. Mosse la testa: la tv era rimasta accesa, per tutta la notte. Si trovò addirittura con il telecomando in mano, doveva essersi proprio addormentato nel bel mezzo di un film, non ricordava affatto. Sbadigliò con molta poca educazione e la spense, abbandonando il controllo remoto sul comodino. Si stropicciò gli occhi, fece per richiuderli ancora ma un lieve respiro lo distrasse.
Accanto a lui, Jonny dormiva tranquilla, supina, le mani unite sul petto che si muoveva con costante regolarità. Perfettamente pacifica, non sembrava nemmeno la tigre con cui aveva lottato, quella ragazza aveva gli artigli e li sapeva usare bene. Le sue parole gli avevano fatto abbastanza male, così come era certo che le proprie ne avessero fatto a lei, ma se non se le fossero mai dette tante cose sarebbero rimaste nascoste. Sperò di averle davvero aperto gli occhi.
Lo avrebbe sostenuto finché fosse vissuto: Jonny si meritava il meglio dalla vita e nemmeno lei aveva il diritto di negarlo a se stessa. Sicuramente avrebbe sofferto per molti altri motivi, compreso uno in carne ed ossa che lui conosceva molto bene e che non aveva la più pallida idea dei sentimenti che la sua provasse per lui. Danny era proprio un cretino, uno di quelli con tutte le lettere maiuscole, anche più cretino di quanto lui poteva mai essere, perfino impegnandosi fino al limite delle sue possibilità. Si era sempre chiesto come mai si fosse convinto di quella bella amicizia, perché non l’avesse trasformata in qualcosa di più, innamorandosi di un’altra ragazza. Ma non era nessun altro che Danny Jones... E di donne ne aveva sempre capito meno di quanto gli altri pensassero.
Controllò l’ora, erano le otto di mattina.
La serata precedente era stata abbastanza movimentata, potevano dedicarsi ad altro sonno: Joanna non sembrava affatto volenterosa di svegliarsi e lui sentiva di avere ancora molte altre riserve di stanchezza da svuotare. Si voltò, dandole le spalle ed anche un po’ di privacy, sicuramente le aveva russato in un orecchio per tutta la notte. Si sistemò il cuscino sotto la testa e sbadigliò ancora, pronto a crollare nel mondo dei sogni.
Un suono particolare, uno che riconobbe subito, interruppe il suo tentativo di addormentarsi ancora. Allungò la mano ed afferrò il cellulare.
“Pronto...”, disse, con voce roca.
Dormivi?
Spalancò gli occhi.
“Sì...”, rispose a Danny.
Scusami.”
“Niente, lascia stare.”, borbottò, stringendo le palpebre per trovare la forza di rimanere sveglio.
Perché parli così piano?”, trillò la voce dell’altro.
“Sei pregato di farlo anche tu, ho mal di testa.”, gli sussurrò, “Cosa vuoi alle otto di mattina, non potevi aspettare un altro po’?”
Sono all’aeroporto... A Firenze.”, disse l’altro.
Dougie rimase di stucco. Strabuzzò gli occhi e si sedette sul bordo del letto, assicurandosi che Jonny stesse ancora dormendo.
Ho preso il primo volo disponibile.
“Cosa?!?”, esclamò, senza alzare di un solo decibel il tono della sua voce, “Ma sei pazzo? Ma... Come hai fatto ad atterrare se io stesso sono bloccato qui per via di uno sciopero!"
E che ne so! Ho comprato un biglietto e sono partito!”, disse l’altro, assordandolo con tutto il suo entusiasmo.
“Cristo, abbassa la voce!”, gli disse.
“Dougster...”, lo chiamò Jonny.
Si affrettò a coprire il telefono sperando che Danny non l’avesse sentita.
“E’ Dan.”, le disse.
“Ah...”, rispose lei, voltandosi dall’altra parte, "Fai come se non esistessi."
 “Ehm... Jones, sei ancora lì?”, tornando a prestare attenzione al suo interlocutore.
Ah sì,  pensavo stesse cadendo la linea.”, disse Danny, “Allora, come faccio a raggiungervi?
“Non sarebbe meglio che prima lo dicessi a Jonny?”, gli domandò a sua volta.
“Cosa devo sapere?”, chiese lei, a tono spento.
Poteva passarle la chiamata, poteva lasciare che fosse Danny stesso a dirle che era arrivato lì, per lei. Ma come l’avrebbe presa? E soprattutto, come avrebbe preso il fatto di scoprire che avevano, seppur con tutta l’innocenza del mondo, dormito insieme? Conoscendolo, Danny avrebbe allestito una delle sue scenate di gelosia. Dio, ogni volta c'era una complicazione diversa.
“Jones, glielo dico e ti faccio risapere. Ok?”, gli disse.
Va bene...”, fece lui, solo in parte convinto, “Ma non ci mettere molto.”
Dougie alzò gli occhi al cielo.
“A dopo, Dan.”
Chiuse il telefono, e si toccò stancamente gli occhi.
“Cosa sta succedendo?”, chiese Jonny, non nel suo tono migliore.
“Vuoi proprio saperlo?”, le fece, cercando di essere almeno un po’ ironico, “Vuoi sapere davvero cosa ha fatto Danny?”
“Mi riguarda direttamente?”
“Beh... Sì.”, le disse.
Lei era sempre rannicchiata sul letto, di spalle, e gli volgeva la testa.
“Ha lasciato Tamara?”, avanzò ridacchiando.
“No.”, fu costretto ad informarla, “Peggio.”
Jonny aggrottò la fronte.
“E’ qua, all’aeroporto. Sta aspettando che qualcuno lo vada a prendere.”
Lei non rispose.
“Jonny...”, le fece, posandole una mano sulla spalla, “E’ venuto per te, forse dovremmo...”
“No, doveva starsene a casa.”, disse lei, seccamente, “A ricattare chi gli pare.”
Si risolveva una complicazione e subito ne spuntava un’altra.
"Jonny...”, le disse ancora, “Dovresti dargli una possibilità.”
“Dovrei mandarlo a quel paese, ecco!”, protestò lei.
A Dougie venne da ridere ma si trattenne, sapendo che avrebbe potuto in qualche modo offenderla, nonostante la situazione fosse abbastanza comica già di suo.
“E se vuoi ridere di me, fallo pure! Lo so che sono ridicola!”, sbuffò lei, stringendo il cuscino tra le braccia.
“No che non lo sei, Jonny”, le fece, “sei solo innamorata di qualcuno che è troppo stupido per capirlo.”
“Hai detto bene, Dougs.”, borbottò lei, “Adesso posso tornare a dormire?”
“Ma c’è Danny all’aeroporto.”
“Che prenda un taxi!”
“Non ne è capace.”, ironizzò Dougie.
“Che si compri un libretto di istruzioni!”
“Ok... Vado a prenderlo io.”, disse, alzandosi dal letto e dirigendosi in bagno, “Ma tu, nel frattempo, non fuggire alle Cayman.”
“No, starò ad aspettarlo a braccia aperte!”, sbuffò lei, nascondendo la testa sotto al cuscino.
 
 
Non appena Dougie si chiuse dentro al bagno, Joanna ne approfittò per maledire tutto quello che le stava intorno.  Ci aveva pensato dopo la discussione con Dougie: una volta calmati, si erano distesi sul letto a guardarsi un film. Di lì a poco lei si era addormentata, caduta come un masso, ma aveva avuto il tempo di riflettere.
Glielo aveva detto, era lui l’amico che cercava, non uno di cui era anche innamorata. Per lui non provava niente, tranne uno strano affetto che non aveva mai veramente conosciuto: era l’affetto della fiducia che si prova per un amico. Per un amico vero. E dato che Danny, per lei, era solo un innamoramento sbagliato... Allora sarebbe stato meglio finirla lì. Smettere di pensare a lui, di vederlo, di sentire la sua voce.
No, non le era più possibile farlo! Danny era tornato a bussare alla sua porta, impaziente e precipitoso come sempre! Non le aveva dato nemmeno la possibilità di mettere in azione la sua volontà, preso dalla bella bella idea di salure un aereo e venire lì, da lei.  E allora, dato che Danny era nella sua città, Joanna ne avrebbe solo approfittato per parlargli a quattro occhi e dirgli che non voleva più vederlo, né sentirlo. Prima lo avesse fatto, meglio sarebbe stato.
Scese dal letto, colma di un’energia che non sapeva dove aveva scovato, ed andò nella propria stanza. Si preparò e scese a fare colazione. Dougie era già lì e parlava con Arianna.
“Buongiorno.”, le disse la donna, “Scusami se non ci sono mai stata per te in questi due giorni, ma sapevo che Dougie poteva fare molto di più di quello che era nelle mie possibilità. Spero di non aver preso una decisione sbagliata. ", le vene incontro e la abbracciò , "Dougie mi ha spiegato... Alcune cose che non sapevo."
“Arianna...”, le fece, sospirando, “Scusami per averti tenuto all’oscuro di tutto.”
“Scusarti di cosa?”, disse la donna, scuotendo la testa, “Avevo capito da sola che le cose tra i Bellini non giravano per il verso giusto. Posso darti il mio tetto, un lavoro... Ma comunque non sono nessuno per importi di parlarmi di queste cose. Sono tue e sta a te ritarle fuori quando ne senti il bisogno. Credimi se ti dico che so cosa stai provando.”
Sante parole, pensò Joanna, che la vide mentre lanciava un’occhiata a Dougie. Quello scemo le sorrise, avevano fatto tutto alle sue spalle.
“Non so perché quell’essere alle mie spalle abbia saputo tutto”, si riprese Arianna, “ancor prima di me e del tuo principe azzurro... Ma penso che abbia anche un cervello dentro a quella testa tonda da Charlie Brown.”, aggiunse poi, voltandosi e strizzando un occhiolino in sua direzione.
“A volte mi sento tanto come lo spaventapasseri del mago di Oz.”, fece Dougie, alzando le spalle, “Con la testa piena di paglia pensante.”
“Ti ci vedo su un palo a scacciare i corvi!”, esclamò Arianna, ridendo, “Ma piantiamola con le storielle ed andiamo a prendere Danny.”
“E il locale?”, domandò Joanna, “Perché non sei ancora al lavoro?”
“Beh... Sai, ho licenziato tuo fratello.”, disse Arianna.
Joanna strabuzzò gli occhi.
“Jo, ha alzato le mani su di te.”, si giustificò Arianna, “E tu questo non lo sai, anch'io non sono mai stata totalmente sincera con te, ma ho avuto la sfortuna di avere qualcuno al mio fianco... Che non aveva la mano molto leggera.”
Istintivamente, Joanna si portò una mano alla bocca.
Ecco quello che intendeva Dougie, adesso lo capiva fino in fondo. Lei non aveva mai permesso al mondo di poterla conoscere, di poter entrare in contatto con lei. Aveva escluso tutti dalla sua vita, facendosi schiava dei suoi ricordi e delle sue cicatrici, ed allo stesso tempo anche gli altri l’avevano tenuta lontana dalle loro esistenze.
Che cosa sapeva, in fondo, di Arianna? Poteva dire tutto il presente vissuto con lei, ma quello che c’era stato prima?
“L’ho licenziato perché vederti dare quello schiaffo da lui...”, si spiegò Arianna, “Mi ha fatto sentire ancora una volta come tantissimi anni fa. E l’ho odiato.”
“Beh... Mi dispiace.”, riuscì a dire Joanna.
“E di cosa?”, sbottò subito lei, “Sono io a dispiacermi di essermi trattenuta dal fare altrettanto, mi ha atterrita dalla paura! Non voglio avere a che fare con i tipi violenti, né dividere con loro i miei guadagni!”
A Joanna venne da ridere amaramente.
Intorno a lei tutti avevano avuto i loro problemi, le loro difficoltà, i loro fantasmi con cui combattere. Lei non era mai stata sola, l’unica ad aver sofferto, a cui la vita non aveva quasi mai sorriso.  Le venne quasi nuovamente da piangere dalla felicità.
Non era una contentezza classica, di quelle che si provava dopo una bella notizia, o dopo aver vissuto qualcosa di bello.
Era una felicità strana, tutta sua.
 
 
Arianna rimase in auto, lasciò che andassero da soli in aeroporto. Camminavano tra la gente, vicini, come se rischiassero di perdersi in mezzo alla folla. Era spaventata, Dougie lo vedeva e lo sentiva, si dispiacque di non poter fare molto per aiutarla.
Ora, tutto stava nelle sue mani. Nelle loro mani.
Quello che poteva fare era semplicemente parlare con Danny, fargli capire, a meno che Jonny non lo anticipasse, ma non era completamente certo... Era coraggiosa e, quando voleva, poteva anche abbattere mille barriere davanti a sé, come aveva fatto poco tempo prima con Arianna.
Ma con Danny era diverso.
Alzò gli occhi sopra la gente e riconobbe quel cappellino tra mille. Seduto, su una delle tante poltroncine, dava loro le spalle e leggeva un comunissimo quotidiano del loro paese di origine.
“L’ho visto.”, le disse, fermandola, “Vuoi che... Insomma, vada avanti io?”
La risposta arrivò con estrema incertezza.
“No... Andiamo insieme.”, disse Jonny.
“Ce la puoi fare.”, le fece, sorridendole, "Non è il mostro che pensi..."
“Stai zitto, Dougs!”, sbuffò lei, dandogli una pacca sulla spalla.
Un passo dopo l’altro furono davanti a Danny. Dougie dette un ultimo sguardo verso Jonny: gli occhi si posavano ovunque, tranne che sul giornale al di là del quale lui si nascondeva.
“Signor Jones?”, fece Dougie, scherzosamente.
Il Times si abbassò.
“Hey, ce l’avete fatta!”, esclamò lui, guardandoli entrambi e ripiegando il quotidiano velocemente, prima di alzarsi ed abbracciare il suo amico bassista.
“Com’è andato il viaggio?”, gli domandò Dougie.
“Bene... Improvviso, ma bene.”, rispose Danny, prima di lasciarlo, poi si rivolse a lei,“Ciao. Come... Come va?”
Jonny non lo guardava. O meglio, guardava la sua t-shirt, l’individuo seduto nelle loro vicinanze, l’isterico bambino che piangeva a qualche metro da loro. Avesse potuto evitarle tutto quello, Dougie lo avrebbe fatto, ma per sua grande e divina fortuna non era Harry Potter e non poteva influire sull’andare placido ed inesorabile delle cose.
“Bene. E tu?”, rispose, con tono piatto.
“Beh... Sì, bene anche per me.”
Doveva lasciarli soli? Dare a Danny il tempo di scusarsi per il suo patetico errore?
“Andiamo?”, domandò Joanna, “Arianna è in divieto di sosta!”
E furono in auto. Era schizzata via dall’aeroporto, veloce come la pallina di un flipper. Loro due si erano semplicemente accodati, seguendo la sua scia, senza dire niente.
 
 
“Purtroppo non ho un’altra camera da darti.”, gli spiegava Arianna, mentre salivano le scale, “Ma se non vuoi dividere il letto con Dougie, potremmo anche...”
“Oh no, va benissimo!”, la tranquillizzò, “E poi stasera comunque stasera Dougie tornerà a casa. Vero, Poynter?”
Si voltò per cercarlo ma dietro di lui non c’era nessuno. Il corridoio era vuoto, né Dougie né Little li avevano seguiti, dovevano essere rimasti al piano inferiore.
“Come dici, scusa?”, gli chiese Arianna, vedendolo perplesso.
“Lascia stare.”, le disse, sorridendole, “Solo una cavolata.”
La donna lo accompagnò fino alla porta della stanza e lo lasciò solo.
Danny si sedette sul letto, stanco per il viaggio. Aveva dormito malissimo per tutta la notte e la sveglia aveva suonato proprio nel momento in cui gli era sembrato di stare quasi per addormentarsi. Si sentiva da buttare, avrebbe voluto chiudere un po’ gli occhi e riposarsi, ma non era il caso. Sentì tre lievi colpi alla porta e sperò che fosse Little, ma era soltanto Dougie.
“Riposati un po’.”, gli disse il suo amico, “Ti aspettiamo per pranzo.”
“No, sto bene.”, si oppose lui.
“E dai! Hai due occhiaie che spaventi!”, rise l’altro, “Non ti preoccupare, non abbiamo niente di importante da fare.”
“Little?”, gli domandò.
Dougie rimase in silenzio per qualche attimo, in cerca di una risposta buona da dargli.
“Le posso parlare?”, insistette Danny.
“Prima riposati.”, disse l’altro, “Poi le parlerai quanto vuoi.”
Non gradì affatto quella risposta. Lui non era affatto la persona più indicata per dirgli quelle parole.
“Vorrei parlarle adesso, è un crimine per caso?”, sbuffò, infastidito.
“Dan, per cortesia, riposati almeno un paio di ore.”, gli ripeté Dougie, “Avrai tutto il pomeriggio per parlarle.”
“Voglio farlo adesso.”, gli intimò.
“No.”, negò ancora Dougie, la sua espressione tra le più dure che avesse mai visto dipingersi sulla sua faccia, “E’ meglio così, Danny, credimi.”
E chiuse la porta.
Era sbalordito, totalmente impressionato, pienamente stupefatto. Dougie gli imponeva di non parlare con Little perché prima avrebbe fatto meglio a riposarsi. Ma da quando Poynter si sentiva in grado di intromettersi tra loro due? Sentì la rabbia ribollire dentro di lui, ma una voce da un anfratto abbastanza nascosto della sua mente gli disse che avrebbe davvero fatto meglio a riposarsi. Era troppo nervoso, troppo agitato per poter essere pienamente razionale. Si tolse le scarpe e si sdraiò sul letto. Un’oretta di sonno avrebbe portato un umore migliore, ed avrebbe così potuto affrontare chiunque, senza alzare troppo la voce.
Un ultimo pensiero, prima di addormentarsi, andò a Tamara.
Non avrebbe affatto accettato la sua decisione di partire, non senza gridargli contro qualcosa, non senza tornare a rinfacciargli le solite cose. Ma avrebbe capito, ne era certo, avrebbe compreso. Se l’amava veramente, così come l’amava lui, allora se ne sarebbe fatta una ragione.
Altrimenti, voleva dire che aveva sbagliato tutto.
Un’altra volta.
 
 
 
Si svegliò insieme ad un poderoso buco nello stomaco, una fame epica che borbottava incessante, urlava dentro di lui. Sbadigliò, stirò gambe e braccia, e si rese conto che quella dormita aveva compiuto per lui quasi un miracolo. Scese dal letto e, dopo un passaggio in bagno ed cambio di abiti, guardò l’ora.
L’una e mezza, aveva dormito anche più del previsto, e la fame aumentava esponenzialmente, insieme ai numeri scanditi dalla lancetta dei secondi del suo orologio. Scese le scale ascoltando i rumori che provenivano dalle diverse stanze. In una di esse Arianna sembrava chiacchierare animatamente con qualcuno, al telefono, ridendo e scherzando.
Poi, al di sotto della risata grossa della donna, ne sentì anche una, più gentile e minuta.
La seguì  e si trovò ad origliare, nascosto dallo stipite della cucina.
“Sei troppo stupido, Dougster!”, sentì dire da Little.
“Guarda!”, sembrò sfidarla lui, “Ci riesco! L’ho fatto una volta in un programma televisivo!”
Qualche rumore strano.
“Ma no! Cretino! Hai sporcato tutto!”, lo rimproverò Little.
Gli venne da sorridere, ma non lo fece che per un brevissimo secondo. Non ebbe piacere nel realizzare che tra i due sembrava essere stata fatta pace.  E no, la sua non era gelosia.
“Cosa vuoi che sia!”, disse Dougie, con il suo solito modo di fare troppo menefreghista.
“Era il nostro pranzo!”, sbuffò Little, “Ora dobbiamo rifarlo da capo.”
“Dovremmo chiamare Danny.”, ricordò il suo amico bassista a lei, "E' più importante della frittata caduta a terra."
“Fallo tu.”, rimandò la palla Little.
“E’ compito tuo  Jonny.”
“Non mi va.”, disse lei, secca.
“Avrai modo di parlargli.”, insistette Dougie, “E dirgli quello che devi.”
“No, scordatelo, non lo farò.”, disse lei, “A cosa servirebbe? Solamente a starci male.”
“Beh, se la pensi così…”
“Certo che la penso così!”, esclamò Little, “Dougster, non ho voglia di litigare con te.”
“Nemmeno io.”, rispose lui, “Vado a chiamare Danny.”
Lo schiocco di un bacio entrò nelle sue orecchie come l’evento più inaspettato di tutto il mondo. Prima di poterlo realizzare ed ancora prima che Dougie potesse trovarlo lì, attonito come un cretino, Danny si mosse.
“Buongiorno!”, disse, con entusiasmo, facendo finta di stiracchiarsi le braccia.
“Ah, stavo appunto per venire a chiamarti.”, fece Dougie, trovandoselo davanti.
“Mi sono alzato esattamente adesso, ho una fame!”, disse, cercando di farsi passare per tranquillo.
“Riposato?”, domandò Dougie, sedendosi intorno al tavolo, con lui.
“Sì, abbastanza, mi ha fatto proprio bene recuperare un po’ di sonno.”, gli disse.
"Te l'avevo detto...", insinuò scherzosamente Dougie, "Vieni, è quasi pronto."
Entrarono in cucina: Danny vide subito Little indaffarata tra le pentole, gli rivolse un frettoloso buongiorno a cui lui rispose con leggerezza. Volle provare ad entrare in contatto con lei per vie traverse, accantonando le parole sentite e quel bacio, che ancora percepiva come rumore di fondo, nella sua testa.
“Cosa prepari di buono, Little?”, le chiese, ma lei sembrava troppo indaffarata per potergli rispondere.
“Pasta.”, ripose Dougie, al posto suo.
“Ah… Ok, posso prendermi qualcosa da bere?”, chiese ancora, indirizzando quella domanda a lei.
“Acqua? The?”, gli fece di nuovo Dougie.
Sei diventato di casa?
“Acqua.”, gli disse, con un sorriso stretto.
Dougie si alzò e senza sbagliare cassetto né sportello trovò un bicchiere con acqua fresca per lui; una volta accontentata la sua sete, sistemò anche i piatti e le posate per il pranzo. Notevole fastidio, ma volle scherzarci sopra.
“Sei diventato familiare, qua…”, gli fece, ridendo.
“Beh… Sì, diciamo di sì.”, ripose lui.
“Anche più familiare che a casa tua!”, esclamò Danny, ridendo ancora più forte.
Dougie lo seguì e alzò le spalle in maniera comica. Sapeva che lo stava punzecchiando, che quello che faceva dava fastidio a lui, al suo amico Danny Jones.
 “Buongiorno, Danny!”, sentì dire alle sue spalle da una tonica Arianna, “Hai fame?”
“Abbastanza!”, le rispose, toccandosi la pancia.
“Bene, perché questi due”, fece, riferendosi a Dougie ed a Little, che si lanciarono un’occhiata complice, “hanno già rovesciato due litri di acqua sul pavimento, rotto tre uova e una confezione di yogurt.”
“Ah!”, fece lui, meravigliandosi di quando potessero essere distruttivi insieme, “C’è una vaga speranza allora di poter mettere qualcosa sotto i denti?”
“Sì, ovvio.”, rispose Arianna, “Perché adesso darò loro il cambio. Avanti, toglietevi di lì prima che salti tutto in aria.”
Si sedettero: Poynter davanti a lui e Little, invece, accanto a Dougie, braccia conserte, e sguardo fugace.
“Come stai, Little?”, le chiese.
Ormai non sapeva più come fare per parlarle, lei sembrava avergli voltato totalmente le spalle.
“Bene, sto bene.”, rispose lei.
“Intendevo dire, come stai veramente.”, puntualizzò lui.
Lei scansò gli occhi lontano.
“Te l’ho detto. Sto bene.”, ripeté.
“Ok.”, si lasciò convincere, “Posso parlarti allora?”
“Dopo.”, disse lei, “Ora dobbiamo mangiare.”
“E’ pronto!”, esclamò infatti Arianna, tagliando ogni possibilità di ulteriori tentativi.
 
 
 
Non doveva guardarlo, per niente al mondo. Non doveva farlo. Più teneva lontani gli occhi da lui, meglio era.
Severamente proibito guardare Danny Jones.
Per tutto il pranzo la sua attenzione era stata puntata su Arianna, su Dougie, sul proprio piatto e bicchiere, sulla punta della forchetta carica di cibo, ma mai –mai- su di lui. Fece finta che non ci fosse, che si trovasse altrove, in Inghilterra, in Thailandia, ovunque tranne che lì, in Italia. Quasi davanti a lei.
Ignorò la sua voce, i suoi occhi, il suo viso, le sue mani. Lo ignorò tutto, nell’interezza della sua persona e personalità. E lui sembrò fare altrettanto. O meglio, si convinse che lui si stesse comportando come lei, che si stesse pentendo di essere venuto, che stesse rifiutando di parlarle perché lei, in prima persona, non voleva rivolgergli parola, nonostante le cose da dire sarebbero state compose da valanghe e tonnellate di parole rabbiose e cattive. Ma soprattutto perché se l’avesse fatto davanti a tutti si sarebbe limitata, avrebbe cercato di addolcirgli la pillola amara.
E si stava comportando così perché…
Se avesse fatto diversamente, avrebbe perso ogni coraggio.
Avrebbe perso tutta la volontà, tutti i buoni propositi, tutte le frasi già pronte per lui. Perché se avesse incrociato i suoi occhi profondamente blu, anche se per un solo istante, si sarebbe persa.
Odiava essere innamorata di lui. Si odiava nel provare qualcosa di così profondo e sconosciuto per qualcuno che amava un’altra ma che, ancora prima di quello, l’aveva messa meschinamente alle strette.
Il pranzo si concluse, scandito dalle loro risate: quella riunione quotidiana aveva avuto una parvenza di normalità, al di là di tutto. Arianna declinò ogni tentativo di essere aiutata, sia da parte sua che di Dougie, o di Danny stesso, chiedendo loro di lasciarla in pace e di andarsene a rompere le scatole a qualcun altro.
“Cosa facciamo?”, domandò Joanna a Dougie.
Implicitamente, aveva voluto dirgli: cosa vuoi fare tu, assistere alla rovina del tuo amico?
“Beh, vorrei riposarmi.”, disse, sbadigliando.
Stava fingendo.
“Non ho dormito stanotte.”, aggiunse, per essere più convincente, “Vado a stendermi un po’.”
“Ok.”, gli disse, annuendo ed abbassando la testa.
“E io volevo scambiare quattro parole con te, Little.”, le disse Danny.
Annuì anche a lui, senza però alzare gli occhi da terra.
“A dopo.”, disse Dougie.
Le lanciò un sorriso, poi prese la via del piano superiore.
“Dove… Dove vogliamo andare?”, chiese Danny.
In un posto tranquillo, senza troppa gente.
Senza testimoni.
“Nel retro dalla casa c’è  un piccolo giardino.”, disse lei, “Andiamo là.”
 
 
 
Di nuovo seduti su due comode sedie di vimini, intorno ad un tavolinetto nero. Little si era allontanata un attimo per prendere del caffè appena fatto e, dopo averlo bevuto, venne il momento di fronteggiarsi.
E per lui, di scusarsi.
“Little…”, esordì Danny, “Insomma ... Volevo parlarti… Della telefonata di ieri.”
“Anche io.”, disse lei.
Ritrasse le gambe al petto e le abbracciò.
“Ecco…”, cercò di dire.
“Posso parlare prima io?”, lo interruppe lei.
“Sì… Certo.”, le fece, lievemente spiazzato dalla sua sicurezza.
“Bene.”, disse Little, che si schiarì poi la voce, “Danny...”
Forse per la prima volta in tutta la mattinata, lei alzò gli occhi e li fissò nei suoi. Aspettava quel momento come se fosse stata la cosa più bramata da sempre. Gli occhi di Little erano così trasparenti che bastava guardarci dentro per capire cosa avesse avuto per la testa.
Lei si bloccò, non disse nient’altro.
“Little...”, le fece, volendo esortarla.
Lei sospirò ed abbassò il viso.
Voleva per caso dirgli quello che si aspettava di sapere? E allora perché non ci riusciva, cosa c’era che la bloccava? Anche quello era da capire, e lui non ci riusciva.
Lei si morse le labbra.
Afferrò la sedia su cui si era accomodato e le si avvicinò il più possibile, di fronte a lei. Le prese le piccole mani, che prima stringevano nervosamente le gambe, e cercò di farla calmare.
“Little, ascoltami...”, le disse, “Ho sbagliato, lo so. Non dovevo.”
Lei non tolse gli occhi da terra.
“Guardami, Little.”
Ancora niente.
La costrinse a farlo, prendendole con delicatezza il mento ed alzandole il viso.
“Non dovevo metterti davanti ad una scelta.”, le disse, una volta che i loro occhi si furono sintonizzati sulla stessa frequenza, “E tu hai tutto il diritto di odiarmi, di non volermi parlare e di mandarmi a quel paese. Non ti biasimo.”
Era vero, se lei gli avesse detto di non farsi più vedere, né sentire, lo avrebbe accettato, seppure non senza lottare. In fondo, era stato uno stronzo.
O anche qualcosa di peggio.
“Sono venuto qua perché voglio chiederti scusa di persona, e non tramite uno stupido telefono... O una stupida mail, come abbiamo fatto per tutto questo tempo.”, continuò a dirle, “Perché mi sono rotto le scatole. Perché non posso vedere che faccia fai quando ti parlo, non posso vedere quando ridi mentre leggi una mia battuta.”
Non poteva esserne certo, ma per un piccolissimo istante le labbra di Little si erano lievemente increspate all’insù.
“Perché voglio capire se mi perdoni davvero.”, le fece, “Perché so che guardandoti negli occhi lo capirò. Little, non sempre mi hai detto la verità.”
E vide, infatti, tanta colpevolezza. Se ne dispiacque, era lui quello che doveva sentirsi in colpa per qualcosa, non lei.
“Mi dispiace.”, disse lei, infatti.
“No, non farlo, per favore.”, le disse, sperando che lo ascoltasse, “Qui l’unico che deve dispiacersi di qualcosa sono io, che ti ho messo da parte.”
“Ma Tamara...”
“Tamara capirà.”, le fece, cercando di essere convinto.
Almeno lui lo era.
Quasi...
“Lei lo sa che sei qui?”, domandò Little.
“No, non lo sa, ma non è di lei che voglio parlare.”, disse Danny, riprendendo le redini della conversazione, “Little, voglio ripetertelo finché avrò voce per farlo.”
La guardò ancora più intensamente.
“Ti devi fidare di me.”
Lei scosse la testa.
“Non è questo il punto, Danny.”, disse, con un filo di voce.
“E allora qual è?”, le chiese, in parte contento per quelle parole, ma dall’altra parte in bilico nella voglia o no di sapere cosa lei avrebbe detto.
Little sospirò, si mise i ciuffi ribelli dietro alle orecchie.
“Non lo so, Dan.”, disse.
Lo sapeva, ma non glielo voleva dire.
“Ok, aspetterò.”, le fece comunque, “Quando vuoi parlare, io sarò pronto ad ascoltarti. Io non ho fretta.”
“Però sembravi averla, ieri.”, incalzò lei, contro ogni sua previsione, “E cosa è cambiato oggi?”
Danny rimase lievemente spiazzato.
“Perché ieri volevi sapere tutto di me, ad ogni costo, ed oggi non hai più tutta questa premura?”, domandò lei.
Il suo tono era calmo, ma si sentiva la vena di rabbia che scorreva nascosta tra le sue parole.
“Danny, lo sapevi che non devi forzarmi a fare una cosa del genere.”, insisteva Little, “Ma comunque lo hai fatto. E ti sei giustificato tirando in ballo l’amicizia.”
“Per un attimo ho pensato che, magari, parlandone ti saresti sentita meglio.”
 “Danny, lo dicono tutti i dottori.”, disse Little, sempre più animata, “Sfogarsi fa bene, migliora la salute eccetera eccetera... Ma non lo voglio fare, perché non me la sento. Tu non sai quanto mi costi farlo.”
Non resistette al porle la domanda che da tantissimo tempo frullava in testa, ed a periodi alterni si era presentata con maggiore o minore intensità.
“E allora perché con Dougie lo hai fatto?”, uscì dalla sua bocca con una naturalezza che quasi lo spaventò, “Ti è costato di meno farlo con lui?”
L’espressione di Little si fece dura.
“Perché tu continui a mettermi di fronte a delle scelte”, esclamò lei, furiosa, “mentre lui ha avuto l’umiltà di non farlo, né di pensarlo. Tu hai sempre vantato delle esclusive con me, facendoti scudo con tante caritatevoli attenzioni. E io non sono una bambina dell’orfanotrofio, non ho bisogno della pietà di nessuno… Sei peggio di mio fratello.”, gli disse, liberandosi delle sue mani ed alzandosi. Si chiuse la porta alle spalle, lasciandolo lì, da solo.
Non aveva mai visto, né addirittura era stato in grado di immaginarsi quell’aspetto di Little. Ne aveva avuto un assaggio, una volta ogni tanto, ma erano stati comunque degli sprazzi episodici di rancore e ira repressa.
 
 
Non aveva potuto fare a meno di ascoltare quello che si erano detti. Innanzitutto, perché una delle due finestre che illuminavano la sua stanza si affacciava casualmente proprio sopra di loro, e poi perché era stato doppiamente curioso.
La sentì sbattere la porta di camera sua, poi nient’altro.
Ormai conosceva così bene Danny da sapere che se non lo si metteva con le spalle al muro, cioè finché lui non comprendeva veramente di essersi comportato come un figlio di puttana di prima categoria, non avrebbe mai afferrato pienamente il senso delle sue stupide azioni. Era successo esattamente così anche un anno prima, quando avevano conosciuto Jonny. Si stava comportando nel medesimo modo: sapeva di aver sbagliato, ma non era in grado di ammetterlo fino in fondo e trovava sempre un modo per condividere la sua colpa con gli altri.
Maledetto il suo orgoglio.
E di nuovo si era lì a chiedersi: che cosa avrebbe dovuto fare Dougie Poynter? Intromettersi tra i due, cercare di far ragionare Danny e calmare Jonny? Oppure lasciare che la cosa si risolvesse –o non si risolvesse- senza il suo aiuto?
Quella telenovela non avrebbe mai avuto fine. Si sentiva come il burattinaio, vittima delle sue stesse marionette anarchiche, che cercava inutilmente di farle tornare sulla retta via del copione, scritto da lui o da qualcun altro.
Si mosse, togliendosi dalla finestra per andarsene verso la stanza di Jonny. Origliò di nuovo, ascoltando i suoi singhiozzi. Bussò, ma non ricevette risposta. Sentirla ancora piangere gli stava lacerando il cuore.
Ogni volta che quella ragazza faceva un passo avanti verso lo stare meglio, con se stessa e con gli altri, ne faceva quattro -per colpa di Danny- indietro.
Abbassò la maniglia ed entrò. Stesa sul letto, la faccia tra i cuscini.
“Joanna...”, le sussurrò.
“Vattene!”, gridò lei, “Lasciami in pace!”
“Sono io.”, cercò di rassicurarla.
Doveva averlo scambiato per Danny.
“E’ uguale, sparisci!”, ripeté lei.
“Calmati, Jonny, capirà che ha sbagliato...”
“Capirà che avrebbe fatto meglio ad essersene rimasto a casa!”, continuò lei, piangendo.
Ignorò i suoi ripetuti consigli di lasciarla sola e si sedette sul bordo del letto, aspettando che lei lasciasse perdere le sue nuove lacrime.
“Ti avevo detto di andartene!”, fece lei.
“Lo so.”, le rispose.
“Sei uguale a lui!”
“Sì, suoniamo insieme da... Quanto? Sei anni?”, la sfidò, “Ormai finiamo per somigliarci tutti e quattro.”
“Sei uno stronzo esattamente come lui!”, ribatté Jonny, la sua voce sempre attutita dal cuscino in cui affondava il viso.
“Che bel complimento.”
“Vai a farti fottere, Poynter!”, gridò Jonny, lasciando il suo nascondiglio per rifarsela direttamente con lui.
Le fermò le mani, serrate a pungo, che volevano provare a colpirlo dove potevano: sul petto, sulle spalle. La sua forza fu del tutto sorprendente, ma riuscì comunque a bloccarla, chiudendo strettamente le dita intorno ai suoi polsi.
“Jonny!”, le fece, “Mi hai fatto un male cane! Ti senti meglio adesso?”
La guardò con la rabbia che si meritava, e che l’avrebbe fatta calmare. Jonny tornò a piangere e lui rimase lì, a vederla disperarsi ancora. Non si aspettò nemmeno quella volta il ritrovarsela stretta al collo. Ormai, la sua spalla doveva essere molto più comoda di qualsiasi altra.
“Passerà anche questa.”, le disse.
Non sapeva più cos’altro aggiungere.
Sospirò,  gli fece male pensarlo: non vedeva l’ora di tornare a casa e staccare da tutta quella situazione, così cupa. Non lo pensava con malignità, voleva bene a Jonny e glielo aveva dimostrato in mille modi. Ma tutto quello stava diventando una claustrofobia, un vicolo cieco e lui non voleva imboccarlo, o per lo meno voleva uscirne prima di trovarvisi imbottigliato dentro, senza via di scampo.
Ed era sicuro che fosse anche quello che Jonny volesse di più, con tutto il cuore.
Vide qualcosa muoversi, con la coda dell’occhio, vicino alla porta.
Sapeva cos’era, chi era.
E cosa aveva visto e sentito.
 
 
 
Danny comprese.
Comprese tutto: quello che aveva visto era stato più eloquente di mille parole, mille aggettivi e verbi e nomi, mille frasi, mille romanzi. Se lo sarebbe dovuto immaginare, aspettare, era quello che aveva temuto più di tutto. Il pensiero era vissuto in un angolo dimenticato della sua testa, era stato lui stesso a cacciarcelo.
Stava provando le stesse sensazioni che aveva sentito qualche tempo prima, quando aveva visto Harry e Little tornare dal bosco, ridenti, come se lui e le sue preoccupazioni non esistessero. Ma quella volta non le aveva considerate, le aveva denigrate e accantonate, senza nemmeno stare ad analizzarle. Quanto tempo era passato? Due settimane? No, solo una decina di giorni, addirittura meno, sette giorni e poco più, ma sembravano dieci anni fa.
Di quali sensazioni parlava? Mancanza, perdita, allontanamento, odiava essere messo da parte. Ed era stato messo davvero da parte, non come un anno prima, quando Little aveva rifiutato il suo aiuto contro il fratello prepotente. Sostituito, cambiato. Il posto che aveva conquistato, guadagnato gli era stato tolto così, come se niente fosse stato, e con un solo abbraccio.
Non poté fare a meno di scansare un altro pensiero.
Nel rapporto con Joanna c’era sempre stata un’ombra, un fantasma, un qualcosa di celato, invisibile ma tangibile, percepibile. Non si riferiva direttamente a Dougie, nonostante lui ne facesse parte: riguardava proprio quello a cui aveva appena assistito.
Joanna lo avrebbe allontanato per qualcun altro.
E cosa poteva fare lui? Accettarlo.
Quella sarebbe stata comunque la fine della loro amicizia: indipendentemente da fatti, cose o persone, lei avrebbe trovato qualcuno meglio di lui, come amico.
Si appoggiò contro il muro
Faceva male, cazzo se faceva male.
Prese un forte respiro, buttò fuori tutta l’aria che aveva nei polmoni, ma la pressione sul cuore non fece altro che aumentare.
“Jones?”, gli fece Dougie.
“Oh… Hey.”, disse Danny, colto alla sprovvista.
Non lo aveva sentito uscire.
“Come sta Joanna?”, gli domandò.
Dougie alzò le spalle.
“Ti posso parlare un attimo, Jones?”, gli domandò Dougie.
Non ne aveva assolutamente voglia, ma non riuscì a dirgli di no. Negli occhi del suo amico, infatti, non stava una domanda, bensì la richiesta imperativa di scambiare quattro parole, benché fosse stata camuffata dal suo tono di voce interrogativo.
“Ok.”, gli fece.
Dougie passò oltre, andando verso la camera che avrebbero condiviso per qualche altra ora e, una volta dentro, parlarono.
“Senti...”, esordì Dougie, “Come avrai capito la situazione è abbastanza… Difficile da gestire.”
“Sì, l’ho capito benissimo.”, rispose Danny, “E ho anche capito che tu la stai affrontando molto meglio di me.”
“Danny, non voglio litigare con te, non mi sembra il caso.”, disse Dougie, scuotendo la testa e fraintendendo il suo tono, più passivo che innervosito.
“Non lo voglio nemmeno io.”, lo tranquillizzò Danny, “Ma è la semplice verità: Joanna ha bisogno di te, non di me.”
“Ed è qui che ti sbagli, Dan.”, disse Dougie, “Perché se solo…”
“No, non mi sbaglio affatto.”, lo interruppe, “Quello che Joanna sta facendo con te, non lo ha mai fatto con me.”
“Non gliene hai mai dato il tempo!”, esclamò Dougie, “Hai preteso tutto e subito!”
Vide il suo amico pentirsi di quella esplosione di sincerità, ma Danny lo apprezzò molto più della verità addolcita da buone e calme parole. Almeno, avrebbe capito come la pensava su tutta quella situazione.
“Non è vero, e lo sai, io non pretendo niente da nessuno.”, gli rispose, animandosi lievemente, “Quello che voglio è solo che mi si dicano le cose come stanno. Così come hai fatto adesso! Io voglio la verità, soprattutto da Joanna… Cosa c’è di sbagliato in questo?”
“Tutto, Danny, tutto.”, rispose Dougie, con aria affranta, “Tu non sai quanto a Jonny costi parlare di determinate cose… Cose che nemmeno ti aspetteresti.”
A Danny tornò in mente la solita domanda fatta a Joanna, e non riuscì a trattenersi, per la seconda volta.
“E perché invece a te ne ha parlato?”, gli domandò.
Dougie scosse la testa.
“E’ semplice da capire, Danny.”, rispose lui.
“Allora spiegamelo! Visto che io non capisco!”
“Perché io non le ho mai chiesto di dirmi niente e Jonny mi ha parlato di tutto, di sua spontanea volontà. Tu, invece, ti sei sempre aspettato che lei lo facesse in automatico, per via della vostra amicizia. E lei, come hai visto, non lo ha fatto.”
Danny rimase interdetto.
“Ti è chiaro?”, disse Dougie, “Vuoi che te lo spieghi meglio?”
La rassegnazione del suo tono era più fastidiosa della rabbia che Danny stava provando.
“E allora cosa avrei dovuto fare?”, gli domandò, “Fare finta che non me ne fregasse nulla?”
“No.”, disse lui, “Neanche quello.”
“Visto che hai tutte le risposte giuste”, insistette Danny, incrociando le braccia, “ora dovrei andarmene, vero? Così vi posso lasciare in pace!”
“Non farne una questione di gelosia, Danny.”
“Non è gelosia, Poynter!”, ribatté prontamente Danny, “Io mi sento preso in giro! Sono venuto qua per scusarmi, per farle capire che ci sono e che la sto aspettando. E tu mi dici che lei continua a comportarsi così solo perché, appunto, io sono qua a braccia aperte per lei?”
Dougie annuì.
“E’ assurdo!”, esclamò Danny, “Ti stai prendendo gioco di me perché vuoi che me ne vada, dillo!”
“Danny, per piacere.”, il tono di Dougie smise di essere tollerante e divenne estremamente intransigente, duro, “Piantala, finiscila.”
“La finisco, ok!”, esclamò Danny, “Ma allora dimmi che cosa devo fare!”
“Devi smetterla di essere presuntuoso ed arrogante, sia con me che con lei. Prenditi le tue responsabilità, capisci i tuoi errori, e chiedile scusa.”
“L’ho fatto!”
“Danny, tu non hai fatto proprio un bel cazzo.”, sibilò Dougie, “Sei solo venuto qua perché avevi paura che qualcun altro… Che io potessi fare quello che volevi tu, cioè farla stare un po’ meglio. Sei venuto qua perché avevi paura che lei ti accantonasse, che ti mandasse a quel paese, non perché ti interessasse davvero il suo stato di salute, non è così?”
Il taglio fine della lingua di Dougie si fece sentire, fin dal profondo.
“Sei sempre il solito egoista.”, disse ancora Dougie, “Il mondo deve girare sempre intorno a te e, appena qualcosa ti sfugge, diventi infantile e stupido.”
“Ah, e così sono io l’arrogante tra i due!”, sbuffò Danny.
Dougie scosse la testa e lo lasciò perdere, prima che potesse con sufficiente forza. Danny avrebbe voluto andargli dietro, terminare quella discussione in una bella litigata snervante, ma sapeva che non era il caso. I toni avevano rischiato più volte di esplodere, incontrollati, e si erano trattenuti a stento.
Prima che potesse fare il punto della situazione, il suo cellulare squillò. Controllò lo schermo –Tamara- e rapidamente afferrò la scusa che, in quello stesso istante, nacque appositamente per lei.
“Hey, Tam.”, rispose, sedendosi sul letto e toccandosi stancamente la fronte.
Dove sei?”, gli chiese lei, “A casa non rispondevi, ho fatto anche fatica a raggiungerti al cellulare.
“Sono da mia madre, sai che qua non c’è molto campo.”, le disse, prontamente e con calma.
Ah… Ho capito.”, rispose la sua ragazza, “Pensavo di tornare a casa, stasera.”
“Mi trattengo qua per qualche giorno, ne ho approfittato, data la mancanza di impegni con gli altri.”, le spiegò.
Hai fatto bene.”, disse lei, con tono dolce, “Ci sentiamo domani?
“Sì, a domani.”
E chiuse la chiamata.
Almeno in quel caso le complicazioni non erano sorte.
 
 
 
Ce l’aveva fatta, glielo aveva detto, anche se lo aveva guardato dritto negli occhi. Vi si era persa per un attimo, ma aveva trovato il coraggio per trattarlo come si meritava. Si sentì pienamente orgogliosa di lei, come pochissime altre volte nella sua vita.
Allora qualcosa stava davvero cambiando, dentro lei.
Allora non era veramente innamorata di lui, come credeva.
Nonostante tutto il nero che vedeva intorno a lei, c’era davvero una luce in fondo al tunnel…
Era diverso tempo che non sentiva più alcun rumore, tranne la voce squillante di Arianna che canticchiava sistemando le sue piante in giardino. Volle scambiare quattro parole con lei: era la giornata dei chiarimenti, perché non approfittarne per darle un piccolo assaggio di quella che era stata la sua vita passata?
A passi furtivi, sperando che nessuno dei due ospiti la vedesse né la sentisse, andò al piano inferiore. Arianna aveva appena abbandonato il suo annaffiatoio, comprendendo che il sole di quella giornata pienamente estiva non era ancora stato capace di far asciugare il terreno bagnato dal temporale della sera precedente, e stava riponendo l’attrezzo nel suo sgabuzzino apposito.
“Arianna…”, la chiamò.
Lei si tolse il foulard colorato che le fasciava la testa, a protezione dal sole.
“Dimmi, Jo.”, disse la donna, “Andato tutto bene con Danny?”
“Affatto.”, le fece, scuotendo la testa.
“L’avevo capito.”, disse lei, sorridendole con comprensione, “Andiamo in salotto.”
“Sai dove sono lui e Dougie?”
“Il tuo amico sta facendo un giro fuori casa. L’altro non lo so.”, spiegò.
“E chi intendi con l’espressione mio amico?”, le chiese Joanna, ridendo.
“Beh… Ormai posso intendere solo Dougie.”, rispose Arianna, con tono di finta saccente, “Non ècoerente chiamare in quello stesso modo anche Danny, e tu sai benissimo perché.”
“Ok…”, rispose Joanna, lievemente confusa da tutte quelle parole.
Sedute e comode, si parlarono.
“Arianna, te l’ho già detto, mi dispiace per averti tenuto nascoste cose che mi riguardavano”, le anticipò, “e che avrebbero spiegato tantissimi fatti.”
“Oh no, ti ho detto di non preoccuparti.”, fece lei, “Ti capisco benissimo, anche io ho preferito tenerti segrete determinati fatti che ho vissuto. Ma non l’ho fatto con cattiveria, credimi, è che mi riesce molto difficile parlarne.”
Quanto la capiva.
“Beh, vedi…”, le disse, “Hai avuto ampie dimostrazioni di quanto la mia famiglia non sia quella della marca dei biscotti che mangiamo per colazione.”
“In quel caso, la odierei.”, sdrammatizzò Arianna.
Non seppe come fece, né perché fu così facile, ma le disse tutto. Di suo padre, delle mani alzate, delle cicatrici visibili ed invisibili. Tutto. E lei se ne stette lì, ad annuire, senza commentare, né fare altro.
“Avevo fatto due più due, ed ero arrivata alla quella stessa conclusione.”, disse Arianna, sospirando.
“Che vuoi dire?”, le chiese.
“Jo… Te l’ho detto stamattina, anche io ho avuto problemi con uomini dalle mani troppo pesanti.”, le ripeté Arianna, “E in tutto questo tempo ho visto riprodotti in te atteggiamenti che furono miei.”
“Non ti capisco.”
“Hai paura di tutto e di tutti. Ti nascondi, non esci mai allo scoperto, non ti fidi di nessuno, tranne che di qualche sporadico caso, più unico che raro.”, disse Arianna, con una nota ironica nel finale, “Esattamente come me. Dopo aver lasciato Giovanni, e Dio sa quanto mi ci è voluto per farlo, mi comportavo esattamente come te. Fuggivo dalla vita, dalle persone…”
“Arianna, credimi quando ti dico che non avrei mai pensato che ti fosse capitata una cosa del genere.”, le disse, con la mano sul cuore.
“E’ successo venti anni fa!”, esclamò la donna, “E in venti anni si guarisce, o si è da ricoverare subito, con la camicia di forza!”
E scoppiò a ridere.
Se c’era una cosa che aveva sempre amato di quella donna, era la sua risata.
Era calda, era grassa, era avvolgente. Ti entrava nelle orecchie come un’esplosione di mortaretti: fastidiosa per un solo attimo, ma poi contagiosa come la febbre alta, solo che faceva stare bene. Arianna aveva il grande pregio di sapere quando scherzare, quando essere seria, quando stare zitta, quando parlare… La adorava, era ufficiale, e le voleva più bene che mai.
“Vieni qua, ranocchia!”, la chiamò Arianna, porgendole le braccia.
Joanna vi si nascose con voglia, riscaldandosi in quella stretta amichevole, fraterna, e pure un po’ materna che la donna le stava offrendo con gusto e affetto. Parlare con lei, che cercava di sdrammatizzare per farla ridere un po’, era stata come la manna dal cielo, era quello che aspettava.
Suo padre era morto da pochi giorni, aveva sputato fango sulla sua bara e non lo aveva nemmeno visto seppellire. Aveva chiuso totalmente ogni rapporto con la sua famiglia, litigato con chi aveva creduto suo migliore amico... Che cosa aveva da ridere? Solo da piangere, finché l’ultima lacrima versata avrebbe significato la sua stessa morte. Ma aveva passato troppo tempo nella paura di vivere e, anche se faceva male, anche se non le era rimasto molto per cui continuare a sorridere, doveva provare a tirarsi fuori da quel buco nero che l’aveva risucchiata.
“E ora, come la mettiamo con quei due?”, domandò Arianna, tornando poi a ridere.
“Non lo so.”, le rispose, sospirando.
“Dougie si è rivelato qualcosa di inaspettato, vero?”, domandò Arianna, quasi retoricamente.
“Sì, puoi dirlo forte...”
“Penso di aver capito una cosa.”, disse Arianna, annuendo in riflessione.
“E cosa?”, le fece, veramente curiosa.
Fino a quel momento, si era dimostrata una vera e sapiente lettrice tra le righe. Magari poteva aver afferrato qualcosa di quel guazzabuglio chiamato Danny Jones.
“Beh... Danny è’ venuto qua, nonostante la sua fidanzata.”, disse, alzando le spalle, “E questo è lodevole da parte sua, vuol dire che se tiene ad una persona, niente lo ferma.”
“Su questo non ho avuto dubbi...”, disse Joanna, con amarezza.
“E tu glielo hai detto?”
“Detto cosa?”
“Del tiro mancino di Cupido.”
“Ma stai scherzando?!?”, esclamò Joanna, capendo subito a cosa si stesse riferendo.
“Se lo sapesse, cambierebbero tante cose.”, affermò l’altra, con sicurezza.
 “Oh sì, certamente.”, rispose Joanna, con sarcasmo, “Non gli ho mai parlato di mio padre, e gli confesserò che ho preso una cotta per lui.”
“Solo una cotta?”, insinuò Arianna, “Fino a ieri eri innamorata di lui.”
“Ero innamorata dell’essere innamorata di lui.”, si specificò.
“Dici?”, fece l’altra, scettica.
“Sì...”, disse Joanna, cercando di dimostrarsi convinta, “Mi sono innamorata di quello che lui rappresentava per me, cioè una figura su cui fare riferimento. Mi ero creata un’idea di Danny: il ragazzo perfetto, quello dolce e gentile, quello che comprendeva ogni mio singolo stato d’animo, quello che ci sarebbe stato sempre per me… E non si è rivelato essere in quel modo.”
“Il tuo Danny e quello reale sono poi la stessa persona.”, aggiunse Arianna
“No, non lo sono, credimi.”, puntualizzò Joanna.
“Jo, ascoltami.”, le fece la donna, prendendole le mani esattamente come aveva fatto Danny, “In questi giorni è successo di tutto, ti senti depressa, confusa. E oltre tutto sei di fronte ad una svolta nella tua vita.”
Si era fatta improvvisamente seria, ma comprensiva.
“Stai mettendo tutto in discussione: gli altri, le amicizie, gli affetti… Ma soprattutto, te stessa.”, continuò Arianna, “Ti stai rendendo conto di quanti errori hai fatto, quante strade giuste hai imboccato.”
Era perfettamente vero.
“Ma permettimi di dire questo, Jo.”, le fece, “Lui potrà essere la persona sbagliata per te, uno stronzo, un cieco, tutto quello che vuoi. Ma tu ne sei innamorata, punto e basta. E finché non farai fronte ai tuoi sentimenti, questi ti rincorreranno. Non ti dico per sempre, ma per moltissimo tempo, a meno che tu non ti sieda intorno ad un tavolo con loro, per la resa dei conti.”
“Ma io tutto questo l’ho già fatto!”, esclamò Joanna, “Io ho già capito quello che provo per lui!”
“E allora alzati, va’ da lui e diglielo. Metti le cose in chiaro.”, la sfidò Arianna, “A cosa tieni di più? Alla tua faccia, a lui, o alla vostra amicizia?”
Joanna spostò gli occhi altrove, cercando una risposta.
“A nessuna delle tre cose.” , disse poi.
“Risposta errata.”, le fece Arianna, “Avresti dovuto dire che tieni di più alla vostra amicizia… Anche se, dopo la comunicazione di servizio da parte tua, è destinata comunque a finire.”
“Arianna…”, disse lei, con tono di supplica, “Cerca di dirmi chiaramente cosa devo fare! Io non ti capisco!”
Sbuffarono a ridere insieme.
“Jo”, si riprese poi Arianna, “puoi anche gridarlo con un megafono, appendere striscioni ovunque, distribuire volantini… Tu sei innamorata di Danny.”
Per l’ennesima volta, si trovò a dirle che non era vero, o meglio, che non era più vero.
“E se lui lo sapesse scommetto che…”, disse Arianna, interrotta poi dal suono del campanello.
Joanna si alzò ed andò a ricevere l’ospite.
 





Eccomiiiiiiiiiiiiiiiiii! Sebbene con un giorno di ritardo, ma ieri era festa anche per me :)
Il titolo del capitolo è appunto una nuovissima (si fa per dire) canzone dei McFly, tratta dal loro ultimo album, Radio:ACTIVE... Che deficienti -____- No scopo di lucro, quando mai con questi scemi...
Anyway... Stasera vi ringrazio al volo perchè sono piuttosto stanca...
Al volo, un bacio a tutte quelle che mi hanno recensito: Kit2007, picchia, vero15star, Ciribiricoccola, x_blossom_x, CowgirlSara, Giuly Weasley, tsumika83 e _Princess_
Siete magnifiche :) vi adoro!
Colgo l'occasione per ringraziare anche chi ha messo questa storia nei preferiti: Anna94_17, GodFather, CowgirlSara, k94, kit2007, lalinus81, leleo 91, ludothebest, picchia, saracanfly, tsimika83, vero15star e x_blossom_x.
Ultimissime ma non per importanza, chi mi fa in complimenti su msn!

Grazie a tutte voi *RC si inchina*







 

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Capitolo 10
*** Fingers On My Face ***


10. Fingers On My Face
 
 
Dougie apparve al di là della soglia, mani in tasca, era stato lui a suonare il campanello e ad interromperle.
“Bello qua intorno, non è vero?”, gli fece Joanna, ridendo.
“Oh… Sì, abbastanza carino.”, rispose lui.
C’era qualcosa che non andava. Glielo vedeva in faccia, sembrava nervoso.
“Dougs, che cos’hai?”, gli domandò, invece di spostarsi per farlo entrare.
Lui si morse le labbra.
 “Jo.”
Si sentì pietrificare.
Con gli occhi, andò oltre alla figura del suo amico. Al di là di Dougie, c’era Miki.
E sua madre.
Se ne stavano insieme, qualche passo indietro, ed attendevano di poter entrare.
Di poter parlare con lei? Non aveva niente di particolare da riferire.
“Jo, per favore.”, disse  Miki, “Non siamo venuti per litigare, ma solo per vedere se stavi bene.”
“Io sto bene.”, disse, con calma e pace.
“Chi è questo ragazzo?”, domandò allora sua madre, “Non era venuto con te anche al funerale?”
“E’ un amico.”, fece, brevemente.
“Un inglese che abita da queste parti?”
“Vedila come ti pare.”
“Jo.”, disse Miki, “Non risponderle così.”
“Volevate sapere come stavo, ve l’ho detto. Adesso volete andarvene?”, disse, colma di nuovo di rabbia e di rancore.
“Jonny…”, si intromise Dougie, con un filo di voce, “Da’ loro una possibilità…”
Lo fulminò con lo sguardo, ma lui non si lasciò impaurire. Anzi, senza dirle altro, la stava comunque pregando di seguire il suo consiglio.
“Venite.”, disse, lasciando loro il passo.
 
 
Si scusò velocemente e li lasciò alle loro parole. Andò nella sua stanza e vi trovò Danny ancora dormiente, davanti ad una tv accesa ed a volume basso. Era pomeriggio inoltrato, l’orologio segnava quasi le sei, doveva mettersi a preparare le sue cose, aveva un aereo da prendere. Mentre aveva fatto quella passeggiata calmante aveva chiamato Fletch, il loro manager, e chiesto a lui tutti i dettagli del suo biglietto aereo. Non gli rimaneva altro che andare in aeroporto, mostrare la sua carta di credito, il suo documento e ritirarlo.
Cercò di fare meno rumore possibile e, conoscendo il sonno di Danny, non lo avrebbe disturbato nemmeno con un’intera orchestra musicale di sessanta componenti. Tranquillo, lo zaino che aveva frettolosamente preparato per quei giorni fu di nuovo pronto per essere messo in spalla. Ma la sua mente era distratta.
Distratta da quello che stava avvenendo al piano inferiore.
Lasciò la camera e si sedette sull’ultimo scalino, con l’orecchio teso. Non si sentiva molto, ma con il giusto silenzio poteva almeno percepire quali toni stessero usando. Le voci erano sommesse, sembravano calme.
Qualche attimo dopo, vide Arianna spuntare dalla cucina, con una bottiglietta di coca in mano.
“Ne vuoi un po’?”, gli domandò lei, facendo uno strano cenno della testa.
“Beh…. Perché no?”, le fece, sorridendole, “Ho abbastanza sete.”
“Era un modo velato per chiederti se volessi un po’ di quello che sta avvenendo là dentro.”, si spiegò lei, “La coca è per me.”
“Se fosse possibile”, le rispose, “gradirei sia un po’ di coca, che un po’ di traduzioni istantanee.”
 
 
Arianna non aveva mai visto sua madre e gliela presentò, prima di farla sedere e di chiedere a lei ed a Miki se avessero voluto qualcosa da bere. Portò loro un po’ d’acqua, almeno lei ne avrebbe avuto bisogno, e tornò in salotto.
“Arianna, potresti lasciarci soli?”, le domandò poi lui.
“Oh sì, certo, scusatemi.”, Arianna si affrettò ad alzarsi.
Avrebbe voluto farla rimanere, farla assistere a quella patetica scena, metterle davanti la sua famiglia per farle vedere con quali persone condivideva il sangue, ma aveva capito che Arianna non avrebbe voluto partecipare allo spettacolo, e la lasciò andare.
“Joanna...”, le fece sua madre, dopo aver bevuto, “Non voglio perdermi in tanti discorsi inutili.”
“Nemmeno io.”
“Ecco”, continuò la donna, “Io voglio dirti solo che mi dispiace.”
La volle lasciar parlare.
“Mi dispiace aver assistito a tutto quello che tuo padre ti ha fatto, senza dire niente, impotente.”, disse sua madre, “Mi dispiace non aver mosso un dito per fermarlo, né per difenderti. E ora che lui non c’è più, credimi, è tutto diverso.”
“Sì, è vero.”, le disse, “E’ davvero tutto diverso.”
“Sì, Joanna.”, attaccò ancora lei, non capendola, “E’ diverso perché anche io sono stata vittima di tuo padre, dei suoi soprusi, delle sue gogne.”
“Ma non quanto me.”, disse Joanna, incrociando le  braccia, “Tu non sei stata spinta contro ai muri di casa, contro alle porte, contro al vetro! Tu ti beccavi solo qualche grido, qualche insulto, qualche minaccia… Ma io mi prendevo gli schiaffi!”
La donna scosse la testa, asciugandosi le lacrime che stavano iniziando a uscire dalle palpebre, chiuse dal dolore.
“Tuo padre ci ha tenuto entrambe prigioniere, non lo hai mai capito?”, disse poi la donna, con la voce rotta.
“Certo che l’ho capito! L’ho sempre saputo!”
“Ed è colpa mia di tutto, Joanna.”
“Anche questo lo so!”, protestò lei, “C’è qualcos’altro da accertare che sia di mia conoscenza oppure no?”
Qualunque sarebbe stata la risposta, volle tagliare corto e farle una domanda diretta. Sapeva che suo padre la picchiava per il suo bene, che lo faceva perché lei gli disubbidiva, oppure perché aveva un po’ di forza per andare contro alla sua volontà. Ora voleva sapere perché sua madre non avesse mosso un dito per fermarlo.
“Perché te ne sei sempre rimasta a in disparte? Perché non ti sei opposta?”
Miki, fino a quel momento apparentemente innocuo, passò un braccio intorno alle spalle della donna, per farle conforto.
“Perché avevo paura, Joanna!”, disse la donna, scoppiando in lacrime, “Perché ogni volta che provavo a difenderti, lui non faceva altro che essere più violento di prima!”
Joanna si spazientì.
“Ma tu eri mia madre!”, esclamò, “Avresti dovuto fare tutto quello che era in tuo potere per fermarlo, per liberarti di lui!”
“Avevo paura che picchiasse anche me!”, pianse la donna.
“Meglio la figlia che la madre, ecco la verità!”
“No, Joanna, non mi fraintendere!”, si oppose sua madre, “Non era quello che intendevo!”
“E cosa volevi dire, allora?”, si infuriò Joanna, “Che non volevi cicatrici addosso? Che non volevi dare continuamente spiegazioni per i tuoi lividi? Che non volevi rimanere a casa dal lavoro perché ti aveva picchiato proprio in viso, ed i segni erano inequivocabili?”
Se fosse mai esistita una flebile speranza di poter, in un lontano giorno, perdonare la sua famiglia, venne completamente cancellata. Rasa al suolo.
“Joanna, ti prego, torna a casa.”, le disse sua madre, giungendo addirittura le mani al petto, credendo  di impietosirla.
“Per favore.”, si accodò anche Miki, “Adesso potremmo tornare di nuovo a...”
“A cosa?”, esclamò lei, “Tornare a cosa? Ad essere una famiglia?!”
“Voglio che tu torni a stare da me, Joanna.”, disse sua madre, “Perché voglio provare a ricostruire una nuova vita, insieme a te.”
“Scordatelo!”, gli versò addosso quella parola con la facilità stessa del sollevare una piuma, “Io sto bene qua, lontano da voi, lontano da quello che mi avete fatto.”
“Noi non siamo nostro padre!”, sbuffò allora Miki, alzandosi in piedi, con il suo bel dito indice puntato contro di lei, “Ed entrambi, adesso, pensiamo che...”
“Adesso non dovreste pensare a me.”, disse Joanna, “Perché ormai è troppo tardi. Vuoi recuperare la nostra famiglia? Ecco, allora farai meglio a pensarti come un figlio unico.”
“No, perché ho te come sorella!”, esclamò l’altro, infuriandosi.
 
 
 
“E’ incredibile.”, sussurrò Dougie, “Non possono farle questo… Al posto suo, non tornerei mai a casa..”
“Lo so, anche io.”, rispose Arianna, anche lei a tono molto basso, ma percepibile, “Ma tu non conosci veramente suo fratello. E’ uno che non demorde.”
“Posso intuirlo.”
“Non sai quanto mi abbia rotto le scatole quando Jo è venuta a stare qua.”, gli spiegava, “Per un mese non abbiamo fatto altro che litigare, io e lui, perché voleva che la facessi tornare.”
“E come hai fatto a fargli cambiare idea?”, chiese Dougie, evidentemente interessato.
“Beh…”, fece la donna, con sorriso malizioso, “Ho i miei artigli belli ed affilati.”
“Non voglio mai conoscerli....”, disse Dougie, sorridendo.
“Non so chi tra i due, se sua madre o Miki, abbia avuto l’idea di presentarsi qui.”, disse Arianna, tornando seria, “E comunque, è stata veramente una mossa meschina. Mi chiedo che cosa si aspettassero da lei... In questi casi non è che morto il papa si possa ricostruire una famiglia distrutta da anni. Non ha senso...”
“E cosa le stanno dicendo adesso?”
Arianna tese l’orecchio.
“Credo che Joanna si stia opponendo ad ogni supplica.”, riferì, “E ha detto a Miki di ritenersi figlio unico.”
Dougie ridacchiò con amarezza.
“Certo che, quando si arrabbia, fa paura.”, disse poi, “Molta paura!”
“Gridalo, perché è la pura verità.”, fece la donna.
Certo che era la verità.
“Miki continua ad insistere.”, tornò poi a dire Arianna, scuotendo la testa con aria sconsolata, “Perché non capisce che Jo non vuole più avere niente a che fare con loro?”
“Credi che dovremmo intrometterci?”, propose Dougie, “Perché io non ho assolutamente voglia di farlo. Chiamami codardo e fifone, ma quella bestia non la voglio affrontare a mani nude.”
Arianna rise, con un retrogusto molto amaro.
“In quel caso, ci sarò io a darti manforte. Tu mi coprirai le spalle.”, gli fece, dandogli una pacca amichevole, “Ma per il momento rimaniamo qua, Jo può farcela da sola.”
“Speriamo bene…”
 
 
Anche lui cercava di sperare bene, di incrociare le dita e di pregare che, nei successivi cinque minuti, la famiglia di Joanna se ne andasse.
Joanna
Ormai non aveva più senso chiamarla Little. Era cresciuta e quel nomignolo che le aveva dato non solo per la canzone, ma soprattutto per il suo essere sempre minuta e dolce, ed ormai era diventato del tutto inappropriato. Joanna la disegnava meglio, nell’interezza della sua personalità:  sotto quell’aura di eterna timidezza c’era qualcosa di molto forte, deciso e determinato. Qualcosa di un sapore abbastanza amaro, se si fosse avuta l’occasione di assaggiarlo, e che riusciva a fare male. Eppure, era contento di averla scoperta anche in quel modo.
Per la seconda volta in quel giorno stava origliando una conversazione altrui, ma non era l’unico. Stava spiando Dougie ed Arianna, che a loro volta ascoltavano nascosti. Non aveva perso molti particolari prima di unirsi a loro, che gli davano le spalle e non si stavano accorgendo della sua presenza,  ma che sicuramente presto lo avrebbero notato, seduto a qualche passo da loro.
Ed era in quel modo che aveva scoperto tutto.
Dougie aveva avuto ragione.
Tu non sai quanto costi  a Jonny parlare di determinate cose… Cose che nemmeno ti aspetteresti.
Cercando di dare una spiegazione a tutta la timidezza e alla riservatezza di Joanna, era arrivato a pensare che, nel peggiore dei casi, poteva aver avuto una brutta delusione di cuore, con un qualche ragazzo che l’aveva trattata male e che aveva fatto –come lui- lo stronzo.
Era caduto completamente dalle nuvole, e si stava pentendo amaramente delle sue azioni.
Ora che sapeva, avrebbe tanto voluto tornare indietro nel tempo ed essere più ragionevole, più comprensivo, più bravo nel capire le cose non dette, le parole in sottofondo, i doppi significati.
Ora che sapeva, capiva una svariata marea di fatti, di cose accadute nel passato più lontano ed in quello più recente, e che ancora non avevano avuto una spiegazione razionale.
Ora che sapeva, avrebbe dovuto scusarsi con Dougie, che aveva cercato di aprirgli gli occhi ed indicargli la strada giusta.
Ora che sapeva, avrebbe dovuto semplicemente chiudere tutto perché non si concedevano seconde possibilità dopo errori del genere. Non si davano altre opportunità ad una persona che obbligava l'altra a confessare qualcosa di così profondo, quando non se ne voleva parlare. Avrebbe dovuto aspettare il momento giusto, ma era stato impaziente.
“Poynter.”, lo chiamò, il tono della sua voce molto basso.
Li vide entrambi bloccarsi, Arianna e lui, e poi voltarsi.
“Danny?”, fece Dougie, “Che ci fai lì?”
“Hai sentito…”, dedusse Arianna.
Annuì, lei scosse la testa, e Dougie sospirò.
Al piano di sotto i toni si fecero più concitati, tanto che Arianna trasalì.
“Che sta succedendo!”, disse Dougie, guardandola dritta negli occhi per sapere.
Lui si avvicinò: era inutile continuare a rimanere lì contro al muro, lontano dal loro campo visivo.
“Si stanno rinfacciando tante di quelle cose…”, disse la donna, “Joanna parla di una certa Rita, la ex moglie di Miki…”
“La conoscevi?”, le domandò Dougie.
“No… Almeno, non di persona, ma so che si sono separati per colpa di suo fratello.”
“Strano…”, borbottò Danny, ignorato da entrambi.
Le voci in salotto erano una più forte dell’altra, si stavano gridando contro, era uno strazio starli a sentire senza poter fare niente, senza poter difendere Joanna.
“Se continuano così, finiranno per uccidersi.”, mugolò Arianna, sempre più preoccupata.
“Fermiamoli.”, disse Danny, “Credo che sia abbastanza.”
“Facciamoci i cazzi nostri, Jones.”, gli disse Dougie, prendendolo per un braccio e bloccando così ogni suo tentativo di iniziativa, “Non ci riguarda, è la vita di Jonny.”
Non si oppose, aveva ragione. Lui aveva sempre avuto ragione su Joanna.
“Non dovremmo nemmeno stare a sentire quello che si dicono.”, si permise però di aggiungere Danny.
“Tu ancora meno di noi due.”, Dougie tagliò ulteriori parole da parte sua.
E, di nuovo, aveva avuto ragione.
La porta del salotto si aprì, lasciando che il coro delle voci dei due fratelli uscisse. Era stata Joanna stessa ad uscirne fuori imbestialita.
“Andatevene.”, la sentirono dire.
 “Bene!”, le rispose Miki, “Questa è l’ultima volta che ci vedi.”
“Oh, sia lodato il Signore!”, c’era del odio nelle sue parole, molto odio, “L’uscita la conoscete. E’ la solita da cui siete entrati.”
Si mise le mani sui fianchi e, con un cenno della testa, impose a sua madre e a suo fratello di lasciare la casa. E la sua vita.
Miki era visibilmente infuriato: prima di uscire si accorsero di loro tre, in cima alla rampa delle scale. Sua madre lanciò un’occhiata strana, un misto tra perplessità e risentimento, poi prese la sua via. Miki, invece, si rivolse loro con parole acide.
“E’ colpa vostra se Joanna è diventata così!”, disse, “Prima era una brava ragazza!”
“Prima ero un burattino.”, sbuffò lei, ridacchiando, “Ora vattene, hai già fatto la tua sceneggiata.”
Ma lui non lo fece.
Le andò incontro e le dette un sonoro schiaffo, in pieno viso. Il rumore dell’impatto tra la loro pelle fu come lo sparo di un cannone, assordante.
Danny sentì affievolirsi la presa della mano di Dougie sul suo braccio. Non stette a chiedersi se fosse intenzionale o meno, ma Dougie lo lasciò andare. I suoi piedi si mossero, scesero velocemente i gradini davanti a lui. Quando arrivò da lei non dovette dire niente, né alzare alcuna mano a difenderla, perché Miki se n’era già andato lasciandola lì, completamente frastornata.
“Oh Cristo, Joanna, stai bene?”, le fece, togliendole i capelli dal viso, spostati dalla forza della cattiveria di suo fratello.
Lei non gli rispose. Se ne rimase lì, a guardare fissa nel vuoto, come se davanti a lei non ci fosse nessuno, non ci fosse lui che cercava di farla tornare sveglia.
“Joanna!”, le fece, spaventato.
Lei sbatté gli occhi e lo guardò, stranita, e si toccò la guancia rossa.
“Fammi vedere se ti ha…”, le disse.
“No!”, esclamò lei, sottraendosi alle sue mani, ferme sulle spalle.
“Non ti voglio fare del male, Joanna, voglio solo controllare se stai bene.”, cercò di tranquillizzarla.
“Lasciala andare e basta.”, sentì la voce di Dougie, nelle sue vicinanze.
Un passo dopo l’altro, Joanna salì al piano di sopra e si chiuse nella sua stanza.
 
 
Lo zaino era pronto, vicino alla porta. Lui sedeva in attesa, il piede che picchiettava un tempo sincopato sul tappeto sotto di esso, in salotto. Era ora di andare, l’aereo non lo aspettava , ma non aveva il coraggio di alzarsi, salire in auto ed andare a prenderlo.
“Ehm… Io sarei pronta.”, disse Arianna, comparendo nella stanza.
“Ok.”, le rispose, “Danny rimane qua, vero?”
“Sì.”
“Ho cinque minuti per salutarlo?”
“Oh sì, certamente, siamo in anticipo.”, rispose la donna, sorridendo ed uscendo.
Presuppose che fosse nella stanza degli ospiti, quella che era stata anche sua. Da dopo che Jonny si era chiusa nella propria, ognuno di loro aveva preferito fare altrettanto e starsene soli, con i propri pensieri.
Lui, dal canto suo, aveva preferito tornare fuori ed aveva passato quel tempo in solitario nel giardino, sul retro, dal quale c’era una bella vista della campagna italiana. Era stato più rilassante che spendere il tempo con le orecchie martellate dalla musica.
Bussò alla porta della stanza. Qualche secondo dopo spuntò fuori Danny, con un asciugamano tra le mani, intento a tamponarsi la testa.
“Ehm... Io vado.”, gli disse, mani in tasca e tanto imbarazzo in volto.
I fatti di quei giorni, le parole dette, gli sguardi e le intenzioni avevano fatto accumulare tanto di quello stress e di quella voglia di mettere tutto da parte che ogni movimento, ogni approccio diventava difficile.
“Già, sì.”, fece l’altro. Si scansò e gli fece cenno di entrare.
Danny gli porse poi la mano, in attesa che lui gliela stringesse. Come aveva sempre fatto, la afferrò e la strinse con calore, prima di avvicinarsi a lui ed abbracciarlo.
“Non farla arrabbiare troppo.”, gli disse, scherzoso.
“Non ci tengo affatto.”, rispose Danny, con tranquillità.
“E non farle capire che... Insomma, che tu sai.”, aggiunse, in tono più serio.
“Certo.”
“Trattala bene.”
“Da quando in qua sono io a prendere raccomandazioni da te, Poynter?”, scherzò Danny, ridendo.
Già, si erano proprio ribaltate le reciproche posizioni, in ogni possibile senso, che a loro stesse piacendo o no. Quando Dougie era partito era stato Danny a fargli una testa piena di ‘non fare questo e non fare quello, che poi te ne pentirai’, in toni anche abbastanza minacciosi. Ora, invece, era lui a farlo, il che era di per sé già abbastanza surreale, indipendentemente dal contesto in cui le preoccupazioni erano state inserite.
“Jones, ti devi rassegnare. Lo so che è dura, ma ti ci abituerai.”, gli fece, picchiettando sulla sua spalla con un sorriso che riempiva il volto.
“Sei già stato da Joanna?”, gli domandò Danny, deviando il discorso.
“No, non ancora.”, rispose, e poi notò quella strana parola, “Joanna... Dov’è finita Little?”
“E’ grande abbastanza per non essere più chiamata in quel modo.”, tagliò corto Danny, scuotendo la testa, “Insomma, Dougster, buon ritorno a casa.”
“Sì... Grazie.”
Le stranezze si sommavano una sull’altra: lui e l’essere diventato il responsabile del benessere di Jonny; Danny e il suo chiamarla Joanna, e non più Little...
Cosa poteva succedere ancora?
“Hai qualche messaggio per gli abitanti del pianeta Regno Unito?”, gli domandò.
Danny rise.
“Nessuno, dì solo che sto bene e che torno presto.”, disse poi, “Ah, se vedi Tamara, io sono a Bolton, da mia madre.”
Dougie gli lanciò un sorriso comprensivo. Quella partenza improvvisa doveva essergli costata molto, ma aveva voluto comunque pagare quel prezzo. Era ammirabile da parte sua rischiare una relazione più che stabile per stare accanto ad un’amica.
Un’amica?
Non aveva più tempo per rispondere a quel quesito. Quella poteva essere la cosa strana che sarebbe potuta accadere.
“Va bene.”, gli rispose.
Un ultimo abbraccio da uomini, una pacca sulle spalle, un sorriso, e fu fuori dalla stanza.  Bussò alla porta di Jonny. Lei non rispose, ma Dougie decise comunque di entrare.
Notò subito la penombra che regnava sovrana e capì che stava dormendo. Infatti, la trovò distesa sul letto, stretta ad un cuscino, la bocca lievemente aperta nel sonno.
A volte, sapeva essere proprio buffa.
Si sedette sul bordo del letto e, con delicatezza, decise di svegliarla. Non voleva di certo andarsene senza salutarla.
Jonny borbottò qualcosa e stancamente si voltò, gli occhi ancora semi sigillati.
“Ah, sei tu.”, disse, ridacchiando.
“Sì, sono proprio io.”, le fece, “Devo andare.”
“E’ già ora?”, chiese lei intontita, e guardò fuori dalla finestra, trovando il sole già  sulla via del tramonto, “Pensavo fosse ancora pomeriggio...”
“M dispiace dirtelo ma hai perso totalmente la cognizione del tempo!”, le fece, ridendo.
“Decisamente...”, bofonchiò lei, sbadigliando.
“Ho segnato il mio numero su questo foglietto.”, le disse, estraendolo dalla tasca, “Lascia i tuoi messaggi dopo il bip, se avrò tempo ti farò richiamare dalla mia segretaria.”
“Grazie signor Poynter.”, rispose Jonny, prendendo il foglietto e dandogli un’occhiata, “Lei è sempre così carino con noi comuni mortali.”
Ridacchiò, poi abbassò la testa.
“Va meglio adesso?”, le chiese.
“Insomma.”, disse lei, alzando le spalle, “Fa sempre molto male.”
Si stava riferendo ad un mucchio di cose, non solo allo schiaffo, ma c’era qualcosa nei suoi occhi, una piccola e flebile luce a cui Dougie si aggrappò. Prima o poi tutto sarebbe finito, e lei sarebbe stata meglio, molto meglio. Le avrebbe dato tutto l’aiuto che poteva, in qualunque modo gli fosse possibile.
“Passerà, prima o poi.”, le disse.
“Lo so.”, e lei sorrise un po’.
“Di più.”, fece Dougie, premendole due dita contro gli angoli della bocca e storpiando la sua espressione.
“Fai male, scemo di un Dougster!”, esclamò lei, allontanandosi dalla sua mano, “Adesso puoi anche lasciare questo paese, e non farti vedere mai più!”
“Pregherai in ginocchio per un mio ritorno!”, scherzò lui.
“Contaci.”, fece Jonny.
“Dai, adesso devo proprio andare.”, disse, alzandosi, “So che non ti farà piacere, ma Danny rimarrà a casa. Io ed Arianna non volevamo lasciarti sola.”
“Qua in Italia si dice: meglio soli che male accompagnati.”, bofonchiò lei, poco contenta.
“Si dice anche in Inghilterra, stupida.”, e si voltò, dopo averle fatto la linguaccia.
Con lo zaino sulle spalle iniziò a sculettare, come il naturale deficiente che era, e canticchiò un ritornello a lei molto conosciuto.
‘And this is how I realize, he has you hypnotized...’
Appena comprese, Jonny prese il cuscino con cui aveva dormito e lo colpì ripetutamente, insultandolo in modo abbastanza colorito, e maledicendolo per l’idiozia che era innata in lui.
 
 
Stava iniziando a sentire fame, abbastanza fame. Come un leone in gabbia, nervoso e indeciso, si chiese se sarebbe stato giusto andare da lei e chiederle di poter mangiare qualcosa insieme. La risposta era più scontata del colore dei suoi capelli e, nonostante la possibilità di provarci lo stesso, l’andare sempre più a fondo della barca che portava il suo nome era sintomo del bisogno di togliere le tende da lì al più presto, preferendo accettare il fatto che non avrebbe potuto rimediare ai suoi ripetuti errori.
E tutto quello, come aveva già avuto modo di constatare, faceva un male cane.
Molto male.
Le voleva bene, aveva pensato di poter essere in grado di aiutarla in ogni modo possibile, e invece non aveva fatto altro che allontanarla, sempre di più.
Era stato egoista, stupido ed arrogante.
Ora che rifletteva, e guardava bene indietro, si chiese quanto fosse stata vera quella loro amicizia. Se non fosse stato tutto un binario unico, dove lui correva instancabile supponendo che Joanna si trovasse dietro a lui, che stesse al suo passo, ma invece non era che nient’altro lontana mille miglia, e lui vedeva solo un’illusione. Non era colpa di lei, di Joanna, il rimanere indietro mentre lui correva spedito per la sua via. Era semmai lui a doversene sentire responsabile...
E ancora una volta era stato egoista, perché non si era mai posto la seguente domanda: che cosa pensa Joanna?
Non era una semplice richiesta riguardante il suo punto di vista su determinate cose, era piuttosto una domanda che andava a toccare direttamente l’essenza di quello che, fino a quel giorno, aveva creduto una solida amicizia. Non era facile per lui spiegare quello che aveva dentro, non era nemmeno capace di dargli una forma nel pensiero. Aveva preteso, dato per scontato che tutto filasse liscio, che tutto fosse perfetto, come lo voleva lui. Che viaggiassero sullo stesso binario. Invece no.
Lui era andato avanti, dritto verso la sua destinazione. Joanna, però, doveva essersi persa per strada: aveva solo seguito la sua scia, cercando di essere veloce tanto quanto lui, ma non ce l’aveva fatta.
Scese al piano di sotto, cercando di quietare almeno il borbottio della sua pancia, visto che sembrava impossibile mettere in silenzio la tua testa. La sua fame non poteva resisteva a lungo, prima di farsi avanti e digerire il suo stesso stomaco.
Dei rumori lo distrassero dal suo ennesimo ponderare, qualcuno stava armeggiando con la porta di casa. Sentì il tintinnio metallico di un mazzo di chiavi, poi la serratura si aprì, facendo entrare il rumore di tacchi femminili sul pavimento.
Arianna si presentò di lì a poco e, appena lo vide, sussultò per lo spavento.
“Oh Cristo, Danny!”, fece, “Potevi almeno avvertirmi!”
Lui rise.
“E di cosa?”
“Di elevarti qui, in cucina, nei tuoi centottanta e più centimetri di altezza, piuttosto che segregato in camera tua!”, sbuffò la donna, posando il sacchetto di plastica sul tavolo della cucina. Doveva avere approfittato della partenza di Dougie per fare un po’ di spesa, a vedere il contenuto.
“Ero sceso solo a prendermi qualcosa da mangiare.”, le spiegò, incrociando le braccia ed appoggiandosi comodamente al ripiano della cucina, “Non avevo preventivato di farti paura.”
“Eh! Ma lo hai fatto!”, esclamò la donna, mettendo a posto gli acquisti, “Ho fame anche io, preparo subito qualcosa. Jo?”
Danny alzò le spalle, non sapeva che cosa risponderle. Da dopo che suo fratello se n’era andato, lasciandole i segni delle sue dita sul viso, non l’aveva più vista né sentita. E lui non aveva fatto niente per difenderla.
Arianna annuì e, con un cartone di latte in mano, si affacciò fuori dalla cucina.
“Ho riconsegnato il tuo amico a chi di dovere!”, alzò la voce, esprimendo quelle parole in
italiano.
Qualche secondo.
“Al manicomio criminale???”
Eccola, la risposta di Joanna. Un segno che era sempre lì, in quella casa.
Arianna si voltò verso di lui e gli lanciò un’occhiata allusiva.
“Sta bene.”, disse, tornando al suo latte ed al frigorifero aperto.
“Te lo ha detto lei?”, le chiese, con apprensione.
Arianna scosse la testa.
“E come fai a saperlo?”, le domandò, allora.
“Se fosse stata male, o almeno in fin di vita, non avrebbe proprio risposto. Non credi?”, fece lei, con ironia.
Gli venne da ridere.
“E’ vero, non ci avevo proprio pensato.”, rispose Danny.
“Questo è il tuo problema, ragazzo.”, disse Arianna, “Pensi a troppe poche cose, oppure lo fai così tanto da lasciare indietro quelle più importanti… E più ovvie.”
Danny non comprese il significato delle sue parole e spese qualche tempo nella riflessione, cadendo in pieno nella trappola tesagli da Arianna, che lo guardò come per dirgli ‘capito cosa intendo?’.
“E come posso fare per rimediare a questo mio difetto?”, le chiese, accettando ciò che gli era stato detto come una critica gentile.
“Ferma il cervello, stoppa il tuo calcolatore.”, disse lei, “Mandalo a puttane. Abbandonalo. E guardati intorno.”
Danny rimase in attesa di qualche ulteriore illuminazione, dato che il voltaggio di quella appena fornitagli da Arianna sembrava troppo basso per essergli utile.
“Dovrei… Guardare qualcosa in particolare?”, domandò, perplesso.
“Non propriamente.”, disse la donna, socchiudendo gli occhi.
“Qualcuno.”, si corresse Danny.
“Hai colto nel segno.”
Non gli vennero in mente persone in particolare, tranne una.
“Joanna?”, le chiese.
“Ma come siamo intelligenti!”, esclamò la donna, scherzosamente, e lo fece ridere.
“E cosa dovrei vedere di lei?”
“Sbagliato.”, sottolineò Arianna, “Dovresti dire in lei.”
Ulteriori dubbi gli annebbiarono al mente.
“Non ti sto parlando di guardarla e di darmi un giudizio estetico.”, si spiegò allora Arianna, “Vorrei che tu guardassi in lei, e vedessi cosa c’è dentro.”
Il tutto era solo lievemente più chiaro.
“E se scoprissi qualcosa che lei non vorrebbe che io sapessi?”, le domandò Danny.
“Sbagliato ancora.”, fece la donna, “Dovresti ribaltare la frase.”, e gesticolò con le mani.
“Non ti capisco, credimi.”, le disse, esasperato.
“Il tuo cervello funziona a intermittenza, per caso?”, sbuffò lei.
“E’ molto probabile!”, rise Danny.
“Allora spero che adesso sia sulla modalità accesa.”, fece Arianna, “Tu sai già una
che lei non vuole farti sapere, ma comunque non è quella a cui mi sto riferendo adesso.”
“Suo padre, intendi.”
“Ecco, era spenta.”, esclamò la donna, toccandosi la fronte. Ormai aveva lasciato perdere la spesa, si era totalmente dedicata a lui, ed al suo cervello in corto circuito. “Io intendevo tutt’altro. E’ una cosa che sai, o a cui hai pensato almeno un po’, ed hai sicuramente scartato perché l’hai ritenuta un’idiozia.”
In quei giorni di continui ripensamenti era impossibile comprendere a cosa si riferisse specificatamente, ed Arianna non sembrava nemmeno voler parlare in termini più chiari di quelli.
“Ma comunque, non è quello il punto, non mi interessa che tu capisca. Non ti sto parlando di Jo, ma di te stesso.”, si riprese Arianna, “Dovresti ribaltare la domanda che mi hai fatto, e chiedermi che cosa succederebbe nel caso fossi tu a capire qualcosa che non vorresti sapere.”
Gli sembrava di essere il bambino ritardato della classe.
“E questa cosa”, le fece, “dovrei, virtualmente e sempre secondo te, saperla già… Ma non la voglio ammettere, e verrà fuori guardando dentro di lei.”
“Oh Danny boy!”,esclamò la donna, “Allora c’è vita dentro al tuo cervello!”
E si mise a sferragliare in cucina, tirando fuori pentole e padelle. Il suo sermone era finito per caso? Perché lui ancora non aveva afferrato un emerito cazzo.
“Allora!”, lo colse in fallo Arianna, facendolo sussultare, “Che cosa ti ho detto prima? Tu pensi troppo! Devi smetterla! Fai qualcosa!”
Danny scoppiò a ridere, lasciandola perdere.
“Vuoi che ti dia una mano?”, le chiese.
“No, grazie, faccio da sola. Vai a chiamare Jo.”, disse lei, mentre riempiva una pentola d’acqua fresca, “So che è là fuori ad ascoltarci.”
Un rumore di passi veloci tradì ulteriormente la presenza di Joanna, che lui non aveva proprio percepito, e guardò Arianna con occhi stupiti.
“Vai!”, gli fece lei, chiudendo il rubinetto.
Cercò di seguirla, ma non fu capace di trovarla, si era volatilizzata.
“E’ in camera sua!”, lo informò Arianna.
“Ma tu sai sempre tutto?”, scherzò Danny.
“Ho sentito i suoi passi, al piano di sopra.”, si spiegò, “La sua stanza è proprio sulle nostre teste.”
“Allora non è solo intuito femminile, il tuo!”, le disse.
“E’ anche una buona dose di buon senso.”, gli sorrise la donna.
“E che ovviamente io non ho.”, disse Danny.
“Certo che ne hai, ma ci deve essere un’otturazione dentro ai tubi della tua materia grigia.”, disse la donna, “E deve essere anche bella grossa, perché ha combinato diversi casini.”
“Ovviamente, tu sai di che otturazione stai parlando.”
“Ovviamente!”, disse Arianna.
“E non me lo dirai.”
Lei scosse la testa, ridendo sorniona.
“Vado da Joanna.”, le fece.
Quella donna era un’enigma. Fossero state parenti, avrebbe potuto dire ecco da chi ha preso Joanna.


Se n'era convinta fin da quando aveva visto come Danny l’aveva guardata. Prima di quel momento aveva cercato di far comprendere a Jo quanto si sarebbe pentita di quel viaggio in Inghilterra: Arianna era certa del fatto che Danny l’aveva presa in giro con troppa ingenuità.  Jo non l'aveva ascoltata ed era partita, aveva scoperto che Danny si era felicemente fidanzato e aveva comunque voluto rimanere lassù, a terminare quella vacanza/incubo in casa del suo amico/innamorato/cretino. Era morto suo padre, era tornata sconvolta insieme a Dougie, che si era scoperto molto –molto- più intelligente di quanto si era aspettata anche la stessa Jo. Si era rivelato essere lui l’amico che cercava veramente, niente a che vedere con quella stanga riccioluta. Non che lei fosse stata molto presente in casa, suo malgrado, proprio nei giorni in cui Jo aveva avuto bisogno di aiuto più che sempre, ma si era sentita in pace ogni volta che aveva lasciato le mura della sua villetta per andare altrove, perché con lei ci sarebbe stato Dougie, quello che l’aveva fatta star male più di tutti ma che era sembrato essere quello più perspicace, quello che aveva saputo come prenderla per il verso giusto.
Poteva sembrare incredibile, ma la situazione era stata proprio quella, sicuramente anche Jo aveva fatto fatica ad accettarlo, ma era di Dougie la spalla su cui aveva –ed avrebbe avuto in futuro- bisogno di piangere, e non quella di Danny. Lui poteva anche essere stato il suo amico di e-mail e di telefonate, ma non era stato comunque capace di fare nient’altro che quello, a suo avviso. Soprattutto, non aveva afferrato niente della personalità così complessa e contraddittoria di Joanna.
Quando Jo aveva bisogno di aiuto non lo chiedeva mai, maledetto il suo orgoglio, e se aveva bisogno di sfogarsi teneva tutto dentro a fermentare, come le botti di vino durante l’inverno. Non domandava mai niente a nessuno, era sempre stata capace di fare tutto da sola, e ne era convinta. Per quello odiava chi si offriva di darle una mano ed accettava bensì quella di chi nemmeno sembrava porgergliela. Più o meno per le stesse motivazioni, non si confidava con chi stava ad attendere che la sua voce fluida uscisse dalla bocca.
E quindi, Danny sembrava essere uscito di scena, rimpiazzato dal più insospettabile Dougie, quello sulla cui faccia campeggiava il nastro adesivo rosso, come nelle fotografie di Jo con il gruppo.
Ma
Anche Danny aveva fatto la sua mossa. Aveva abbandonato tutto ed ora era lì, benché non avesse fatto nient’altro che peggiorare il casino, imbestialire Jo e confermare di nuovo il cambiamento delle loro reciproche posizioni nei confronti di lei.
Eppure
Lei non era scema. Quella grande otturazione cerebrale di cui Danny soffriva si poteva chiamare con un nome, un maledetto nome, che era ricorso fino allo sfinimento, fino allo sbriciolamento delle scatole altrui: amicizia. Non aveva voluto parlargliene chiaramente, ma solo metterlo sulla strada del dubbio. Era sicura che provasse qualcosa per lei, nascosto nel profondo sotto montagne di bugie e false convinzioni.
Altrimenti, non avrebbe messo in discussione la sua relazione con la fidanzata, di cui lei non ricordava il nome.
Altrimenti, non se ne sarebbe rimasto lì, in Italia, dopo la carica bersagliera di Jo che lo accusava di essere un infantile e presuntuoso ragazzino straniero.
Altrimenti, non avrebbe continuato a cercare di rammendare un rapporto finito, concluso.
Si ritrovò a cenare con lui, Jo non ne volle sapere di unirsi a loro. Parlarono, senza entrare mai in argomenti che riguardassero i fatti di quei giorni, dopo di ché preferirono salutarsi presto, entrambi troppo stanchi per rimanere in piedi a lungo.




Scusatemi per la brevità -si fa per dire- del capitolo...  Transizione, sebbene qualcosa si grosso sia successo. Insomma, Dougie è partito, Danny è rimasto... Siamo a metà della storia, che si concluderà tra otto capitoli... Dal prossimo in poi vi spappolerò la pazienza, credetemi. E' colpa di Danny, mica mia.
Il titolo è di mia invenzione, non è ripreso da nessuna canzone.
Non ho molto da aggiungere, credo che sia stato detto tutto sopra la linea di demarcazione tra il capitolo e lo spazio autrice.  Passo allora ai ringraziamenti.

Ciribiricoccola: questo capitolo aggiunge al precedente quello che ancora non era stato reso del tutto esplicito. Credo che Danny impiegherà gran parte del suo tempo in Italia per capire tante cose... Le capirà per il verso giusto? Chi lo sa... Sarà ancora presuntuoso ed arrogante, in un modo piuttosto subdolo, perchè lo hai capito anche te: con la scusa di proteggerla, si comporta peggio di chiunque altro. Sono tutti evoluti in questa storia, tutti. Diciamo che Four Guys in Her Hair è stato una specie di grande introduzione a questa storia... Ogni tanto la rileggo e la trovo piuttosto... Non da me XD E sai quali sono le storie da Silvia... Eeeeh??? XDDDDD

vero15star: la tua presa di posizione mi stupisce un po'.  Soprattutto perchè purtroppo hai travisato i sentimenti di Dougie... In pieno XD  Dougie è stato sincero quando le ha detto che non è più innamorato di lei, ma che le vuole bene come un amico... E Joanna sa bene quali sono i suoi sentimenti... Arianna sta dalla parte di Joanna e basta, non parteggia per nessuno dei due ^^ Ecco, ora spero che la situazione ti sia un po' più chiara. Se poi affermi queste cose perchè sei una fan di Dougie e non di Danny... Beh, allora è un'altra storia! Grazie comunque! Alla prossima!

picchia: mannòòòòò, efp maledetto!!!! eeeh, Arianna! Hai suoi 40 anni, se si mette a fare le bizze come Joanna la accooperei! Grazie per i complimenti sui personaggi... Credo che renderli il più realistici possibile sia il mio obiettivo primario... A volte anche a discapito della storia stessa! Sosteniamo Joanna, fondiamo un'associazione pro-little.

CowgirlSara: Tutti hanno sempre fatto il tifo per Dougie in questa storia XDDDD Danny me lo hanno bistrattato, povera bestiolina... Io lo prenderei a badilate e dal prossimo capitolo in poi capirai cosa intendo... Purtroppo dice bene Arianna qua sopra... Ha una bella otturazione nel cervello. Ce la farà a stasarla? Perchè sennò gli mando Nico, con du' pappagallate lo resuscita (e vorrebbe ammazzarlo). Mi scuso per il ritardo che sto accusando nella recensione, anche se ogni mia giustificazione sta diventando quasi retorica. Mi dispiace davvero *sigh* spero di arrivare, prima o poi...

_Princess_: Liebe! Stavolta sono io in ritardo e sinceramente non so quando arriverò... Purtroppo...  Grazie comunque per la recensione che mi hai lasciato, quella frase piace molto anche a me, così come tante altre in tutta la storia.  Grazie e alla prossima!!!

tsumika83: Credo di non aver niente da aggiungere a quello che hai detto. Assolutamente niente, hai colto in pieno la situazione e fai bene ad avere quei dubbi... Via, ti ho indirizzato ulteriormente verso le sensazioni giuste!!!!

kit2007: Hai colto proprio il senso... Danny è un cretino. Oggi mi sento ermetica e racchiudo tutti i miei thanks in questa frase. Olè!

Giuly Weasley: Ma ciao cara! Tra tutti quell che mentono... Credimi, Dougie è l'unico sincero! Insieme a lui Arianna, sono gli unici due che si salvano da questo supplizio della bugia! XD Devo confessarti -e Silvia può confermartelo- che arrivata a qualche capitolo precedente il dubbio era venuto anche a me. Mi spiego meglio: quando ho iniziato questo sequel non avevo la più pallida idea di chi fosse innamorato di chi/cosa. Mi rispiego meglio: arrivata a due capitoli prima di questo mi sono detta... E se Dougie e Joanna...? Non ti dico chi (vedi rigo sopra) mi ha fatto cambiare idea. In questa storia, Dougie ha la meglio... Sempre. Credo che di errori ne abbia commessi tanti, anche nel sequel, ma alla fine ha sempre agito con una buona dose di cuore e di testa... Chi invece non fa altrettanto è Danny. L'anima de li mortacci sua!

x_blossom_x: Arrivo anche a te ** Mi ricordo più o meno tutti i tuoi commenti legati a questa storia e ad ogni recensione li ripeschi tutti XD No, non è per dirti che non sei originale, è che sei coerente. Le bugie, il divieto di sguardo e  la frase di Joanna... Beh, non so cosa altro aggiungere.  Vorrei davvero che in questa storia nessuno stia antipatico a nessun altro. Tamara potrà aver detto e fatto cose poco carine nei confronti di Joanna, ma ne aveva più o meno il diritto... E come hai detto tu, non si può gioire della partenza di Danny fino in fondo. Qualcuno ci starà molto male, lo sappiamo entrambe.  Per me esistono, come le hai citate tu, le bugie bianche e le bugie nere... E anche quelle grige. Questa è nera, nera profonda. Se mi capitasse una cosa del genere e fossi nei panni di Tamara, credo che i provvedimenti sarebbero piuttosto severi... Tu cosa ne dici?


Bene, ho finito :) Non mi rimane altro che  ringraziarvi tutte ancora, dalla prima all'ultima, da quella visibile a quella invisibile!
Un bacio e al prossimo lunedì! Ciao!!!





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Capitolo 11
*** Love And Psyche ***


 
11. Love and Psyche

 
“Oh! Buongiorno!”, esclamò Arianna, “Il caffè è sempre caldo!”
Biascicò qualcosa e si sedette intorno al tavolo. Davanti a lei biscotti e latte fresco: ne versò un po’ su una tazza vuota, la sua tazza, e si mise a sgranocchiare.
“Caffè?”, le chiese ancora Arianna, infilandole la moka sotto il naso.
Le annuì e lei, con un sorriso, le versò del caffè. Arianna era strana: non era mai molto di buonumore alla mattina, si limitava ad essere un uragano in piena corsa. Non ci fece molto caso, e si limitò a fare colazione. La donna si sedette poi davanti a lei, con la faccia tra le mani, gomiti appoggiati alla tavola, e si mise a guardarla. Per qualche secondo, Joanna sopportò i suoi occhi, poi si ribellò.
“Che c’è?”, le chiese, mogia.
“Dormito bene?”, domandò Arianna.
“Non tanto.”, rispose, breve.
“Mi dispiace.”, disse l’altra.
Joanna la scrutò per qualche attimo, studiandola.
“Cosa vuoi dirmi, Arianna?”, le chiese.
“Che oggi devo sbattermi in giro per Firenze a cercare un buon cuoco che sostituisca tuo fratello.”, rispose lei, passandosi le mani dalle guance al collo, massaggiandolo perché forse indolenzito.
Joanna annuì.
“E che quindi starò via tutto il giorno.”, aggiunse Arianna.
Ma che bella prospettiva. Joanna tornò sulla tazza di latte e caffè, trovandola molto più interessante di una nuova giornata passata chiusa in camera , con  Danny che girava per casa. La sua casa.
“Giorno.”
Ecco, pensava al diavolo e lui spuntava.
“Buongiorno!”, esclamò Arianna, con il solito bizzarro buonumore.
“Giorno.”, gli disse lei, senza troppi fiocchi di abbellimento.
“Prego, Danny, siediti e fai pure colazione.”, fece Arianna, con molta più cortesia di lei, “C’è del latte, del caffè… Biscotti… Niente colazione all’inglese, solo italiana!”
Danny sorrise, ma lei non lo vide. Lo sentì sulla pelle.
“Va più che bene.”, disse lui e si sedette accanto ad Arianna.
La stava ignorando per caso? Sì? Oh, di bene in meglio.
“Dormito bene?”, chiese Arianna anche a lui, come se fosse stato un rituale.
“Non molto.”, rispose Danny.
“Oh, mi dispiace.”, fece Arianna, “Spero che stanotte sarà meglio, allora.”
“Lo spero anche io.”, disse lui, grattandosi la testa mentre si versava del latte.
Arianna gli porse il caffè ma lui lo rifiutò, si prese un paio di biscotti dal barattolo di vetro. Lo stesso in cui Joanna aveva preso i suoi biscotti.
Com’era che ogni mossa di Danny le pareva un’invasione della sua privacy?
“Oggi devo dedicarmi al locale.”, annunciò Arianna, “Devo fare giri immensi in città per trovarmi un nuovo cuoco.”
“Davvero?”, chiese Danny.
“Sì, sono merce rara.”, disse la donna, “Cosa farete oggi?”
Attimo di silenzio, Danny stava sicuramente aspettando che lei dicesse o facesse qualcosa. Joanna tuffò una mano nel barattolo dei biscotti e ne prese un altro, marcando di nuovo il suo territorio. Lo morse.
“Beh… Non so.”, disse allora Danny, “Devo chiamare per trovare un volo.”
“Ma dai!”, esclamò Arianna, “Rimani qualche altro giorno.”
Il biscotto che Joanna aveva in mano, sotto l’improvvisa e convulsa pressione delle sue dita, si spezzò in due. Una parte cadde sul tavolo, frantumandosi ancora. Fece seguire una serie di imprecazioni mentali e con noncuranza raccolse le briciole, gettandole dentro alla tazza di latte.
“Vedremo, non credo che mi tratterrò, ho un mucchio di cose arretrate da svolgere, con il gruppo.”, disse subito Danny, “Ma grazie comunque, ci penserò.”
“Danny!”, lo riprese Arianna.
“Oh sì, hai ragione!”, fece lui, ridendo, “Volevo dire che farò qualcosa… E che guarderò.”
Joanna non ne comprese il perché. Dovevano riferirsi a quello che si erano detti la sera prima. Si era dispiaciuta di essere arrivata tardi, nello stesso momento in cui Arianna aveva smascherato la sua presenza in ascolto.
“Perfetto.”, gli disse Arianna, alzandosi e mettendogli amichevolmente una mano sulla spalla, “Perché non andate un po’ in giro per Firenze?”
Altro silenzio. Quello di Joanna, di certo, non era un silenzio assenso.
“Perché no?”, chiese Danny.
“Perché no.”, rispose Joanna, decidendosi a parlare , “Perché ho delle cose da fare.”
“Andiamo, Jo!”, sbottò Arianna, “Fatti una doccia, esci di casa e cerca di non pensare più a niente.”
“Non ne ho voglia.”, disse, facendo una smorfia.
“Jo, se non lo fai, ti giuro che ti caccio di casa.”, la minacciò Arianna.
“Non insistere.”, disse Joanna, alzandosi e riponendo la tazza nel lavandino, le aveva fatto passare l’appetito.
“Joanna ha ragione.”, fece Danny, “Vado trovarmi un posto su un aereo.”
Joanna, così lui l’aveva chiamata, sentì la sedia su cui Danny era seduto stridere contro il pavimento, poi percepì anche i suoi passi.
Se n’era andato, finalmente.
“Jo, per piacere, smettila di fare la bambina viziata.”, le disse Arianna, quando Danny fu lontano, “Dovresti davvero uscire di casa... Respirare aria fresca, prendere un po’ di sole... Per il tuo bene. Vai in camera, togliti il pigiama e lascia questa casa. E dai un’altra possibilità a Danny.”
“L’ultima volta che mi è stata chiesto di dare una seconda possibilità a qualcuno”, fece Joanna, “ho trovato un regalo a cinque dita sul viso.”
E si indicò la guancia, a promemoria del gesto di Miki.
“Danny e tuo fratello non sono la stessa persona.”, disse Arianna, scuotendo la testa.
“Lo so benissimo.”, sbuffò Joanna.
“E allora perché non mi accontenti ed esci di casa...”, le disse, con tono di supplica, “Per favore, Jo. Vedrai che dopo starai meglio.”
“Certamente, starò veramente meglio in compagnia di Danny.”
La donna si spazientì e la lasciò al suo riassettare nervosamente la cucina. Non appena la porta di casa si chiuse, Joanna sprofondò su una delle sedie intorno al tavolo. Arianna avrebbe dovuto aiutarla a dimenticarlo, a passargli sopra, sia in senso figurativo che reale, ed invece, la spingeva a stare insieme a lui, per una giornata intera.
Intera.
Con lui...
 
 
 
“Un momento solo, prendo la mia carta di credito.”, disse, posando il cellulare sul materasso su cui era seduto.
Si alzò, prese il portafogli dal comodino e lo aprì, scegliendo una delle tre carte magnetiche.
“Allora…”, fece, riavviando la conversazione, “Il numero è otto, sette, quattro...”
Tre colpi lievi alla porta, fece quasi fatica a sentirli.  Rimase in attesa, in silenzio.
“Signore? E’ sempre in...”
Chiuse la telefonata alla compagnia aerea, interrompendo bruscamente la conversazione con la gentile quanto annoiata operatrice del call-center. Si alzò di nuovo, afferrò la maniglia ed aprì la porta trovandola lì, a torturarsi le mani.
“Vuoi ancora uscire?”, chiese lei, lo sguardo era sfuggente.
Le sorrise.
“Certo.”, le fece, incrociando le braccia, “E tu?”
Joanna annuì.
“Mi preparo, allora.”, gli disse, abbozzando un sorriso per mascherare il disagio, “Ci troviamo giù?”
“Ok.”
“Bene.”
Dopo un attimo di esitazione Joanna si allontanò. Anny non sapeva se avesse cambiato idea sotto le pressioni di Arianna, oppure se lo avesse fatto da sola. Non gli ci volle molto per farsi trovare pronto e di lì a poco anche Joanna si presentò in salotto, dove la stava aspettando.
“Andiamo?”, le chiese.
“Sì...”, rispose lei, “Ti va bene se prendiamo un bus per scendere in centro?”
“Non hai una macchina tutta per te?”, le chiese.
“No.”, fece Joanna, alzando le spalle, “Purtroppo no.”
“E come fai per andare al lavoro ogni giorno?”, domandò Danny, perplesso.
“Vado con una collega che sta qua vicino.”, si spiegò, “O mi accompagna Arianna… Ma se non vuoi salire su un bus, non ti preoccupare, chiamiamo un taxi.”
“Oh no, non è per quello.”, si affrettò a dire Danny, “Andiamo in bus.”
“Ok.”, disse Joanna, “La fermata è qua vicino.”
“Perfetto.”, le disse, precedendola.
Si stava sentendo stranamente fuori posto, disadattato… Insicuro, superfluo, a disagio. L’atteggiamento di Joanna sembrava indifferente e schivo, gli entrava dentro come la lama di un coltello.
“Aspetta.”, lo fermò lei, “Ho pensato che potremmo... Che ne so, mangiare all’aperto.”
“Come vuoi, Joanna.”, le disse, “Mi va bene tutto quello che vuoi.”
Lei annuì.
“C’è un grande parco in città.”, spiegò lei, accennando un sorriso, “Potremmo portare qualcosa da casa e mangiare lì, piuttosto che stare all’aria condizionata di qualche locale.”
Gli erano sempre piaciuti i pic-nic, perché dire di no?
“Va benissimo.”, le ripeté, “Hai già preparato qualcosa?”
“Sì.”, disse lei, passandogli oltre per andare in cucina.
Con uno zaino sulle spalle, Danny la seguì alla fermata del bus. Biglietti alla mano, appena il mezzo arancione si fermò davanti a loro vi salirono sopra, sedendosi sull’unico paio dei pochi sedili rimasti vuoti, l’uno di fronte all’altro.
“Ti ricordi quando ti accompagnai a fare la spesa?”, le chiese, rompendo il silenzio e distogliendola dal paesaggio in movimento, fuori dal finestrino.
“Sì, me lo ricordo.”, disse lei, ridendo, “E mi ricordo anche quanto sei stato capace di farmi mettere in imbarazzo.”
“Al tempo ci voleva molto poco.”
“Già...”, disse lei, abbassando lo sguardo, con tristezza, “Sembrano secoli fa.”
Concordava perfettamente.
“Ed è passato solo poco più di un anno.”, disse Danny, appoggiandosi allo schienale ed incrociando le braccia, lo zaino fermo tra le sue gambe.
Joanna tornò con gli occhi sul paesaggio, anche lui la seguì. Le colline su cui si trovavano diventarono pianura, le case sempre più fitte, il traffico sempre più caotico.
“Hai in mente qualcosa in particolare, per oggi?”, le domandò, dopo qualche minuto di silenzio.
“Beh... Pensavo che potremmo visitare qualche museo.”
Un museo, ottima scelta, ci sarebbero state poche occasioni per affrontarsi, se affrontava la situazione dal punto di vista di Joanna.
“C’è una mostra di sculture, pensavo potesse essere interessante.”, continuò lei.
A dire il vero no, non era molto interessante ma andava bene tutto, piuttosto che passare la giornata insieme nella stessa casa, ad ignorarsi.
“La nostra è la prossima.”, disse Joanna, alzandosi e andando verso l’uscita.
Indossò lo zaino sulle spalle, e quando il bus si fermò, scesero.
 
 
 
Dopo una mezzora di fila passata in silenzio comprarono il biglietto. Seguirono il gruppo che era entrato insieme a loro e, con in mano le brochure prese all’ingresso, si misero in osservazione dei quadri esposti in quel museo di fama internazionale. Lui non ne aveva mai sentito il nome, eppure doveva essere estremamente rinomato, a sentire dalla babele di voci intorno a lui.
Lesse il titolo del primo depliant: ‘Canova, Scultura vivente’ stava scritto in grandi lettere bianche, sotto di esse era stata rappresentata una piramide, con delle figure accanto all’entrata, anch’esse scolpite. Bizzarra immagine, gli sembrava quasi un monumento funebre, chissà cosa poteva essere poi in realtà.
“Era questa la mostra a cui ti riferivi?”, le domandò, fermandola davanti al ritratto di un uomo con un grosso naso, morto indubbiamente centinaia di anni prima della loro nascita..
“Sì.”, disse lei breve, come tutte le altre sue risposte.
Seguendola, visitò tutte le sale del museo e vide quadri di ogni grandezza, sculture non attribuite a quel Canova e per lui sempre poco interessanti, così come il resto delle opere, di cui lesse vagamente informazioni sui loro autori. Joanna si soffermava di tanto in tanto in contemplazione. Lui, indifferente, notava solo i particolari più spettacolari. I musei non erano mai stati di suo pieno gradimento, a meno che non trattassero argomenti a lui affini o, comunque, molto più divertenti di dipinti noiosi raffiguranti figure sacre e crocifissioni. Per carità, alcuni erano belli e grandi il triplo della sua altezza, ma erano sempre quadri morti.
Davanti all’ennesima rappresentazione di un soggetto religioso, una Madonna seduta che porgeva la mano ad un Arcangelo Gabriele, uno dei tanti turisti che popolavano quelle sale ebbe un tentennamento. Danny non se ne accorse e, quando l’uomo si appoggiò alle sue spalle per ritrovare l’equilibrio, lui perse il suo e la spinta lo fece spostare. Joanna, davanti a lui, sentì il peso del suo corpo sulle spalle, e si voltò di scatto.
“Scusami.”, le fece, imbarazzato, “Mi hanno spinto...”
“Ah, non ti preoccupare.”, disse, scrollando via quel ravvicinato contatto e muovendosi veloce verso la prossima sala.
“Joanna…”
Ma lei aveva già svoltato l’angolo ed era sparita. Le andò dietro e, come prima, si trovò in una stanza simile, con altri dipinti, altre sculture ed altre decine di turisti in ammirazione.
La catturò di lì a poco.
“Ma la mostra di questo artista… Questo qua…”, le fece, indicandole il nome sul depliant, “L’abbiamo già passata?”
Joanna si fece scappare un sorriso, cosa che gli scaldò un po’ il cuore.
“No, ancora no.”, rispose, come se fosse stata cosa ovvia, “Ma ci siamo quasi.”
Ed infatti di lì a poco incontrarono enormi stanze occupate da sculture marmoree, così bianche che sembravano fatte di latte. La luce naturale, mescolata a quella elettrica in un sapiente riverbero, rifletteva su alcuni di quei marmi colorandoli di una tenue tonalità, a metà tra il giallo e il rosa della pelle, che aumentava il piacere della vista.
Morbide, sinuose: ogni drappo intorno ai fianchi delle statue era vero, ogni vena sporgente dalle braccia degli atleti reale, ogni ciuffo di capelli sulle fronti autentico. Si stupì di se stesso: per qualche secondo era rimasto senza fiato, così come tutti quelli intorno a lui, prima abituato a quadri bidimensionali e sculture di tutt’altro genere.
“Dan?”, lo chiamò Joanna, sorridendogli, “Stai bloccando l’entrata.”
“Oh, sì, scusatemi.”, fece ai turisti sbuffanti alle sue spalle.
In quella lunga stanza, illuminata dalle grandi finestre laterali, fu felice di spendere un po’ del suo tempo per ogni opera. Dentro di lui sentiva la voglia di allungare la mano e toccare la candida pietra levigata, così lucida e liscia da essere quasi aliena, sapendo che certamente l’avrebbe trovata calda e che la persona si sarebbe mossa, vibrando al suo tocco. Voleva capire se fossero veramente sculture e non corpi umani dipinti di bianco.
Le linee femminili erano così tenere e soffici che avrebbe voluto abbracciarle e sentire la morbidezza delle loro curve. La durezza dei muscoli maschili, invece, gli trasmetteva un senso di potenza, di sicurezza e fermezza che si sentiva quasi intimorito, ma comunque affascinato. Quella ventina di figure umane intorno a lui, prima o poi, sarebbero scese dai piedistalli su cui il loro creatore le aveva posizionate…
Davanti ad un trittico di donne, l’una che abbraccia l’altra, perse la percezione della vicinanza di Joanna. Si guardò intorno, cercandola tra la folla.
“Joanna?”, le chiamò, ma si voltarono solo facce sconosciute.
Si mosse tra la gente, cercando la sua testolina bionda. Non era più in quella stanza, altrimenti l’avrebbe trovata davanti a qualche rappresentazione. Cercò di guardare meglio, di essere più attento, ma niente. Non poteva essere andata molto lontana, non senza di lui, ma l’apprensione salì comunque. Non poteva averla persa in un museo, sarebbe stato praticamente impossibile. Uscì per cercarla nella prossima camera d’arte. Quella in cui entrò era dedicata ad una sola scultura e le mura erano strette intorno ad essa, era abbastanza piccola.
La trovò lì, insieme ad altri ammiratori, con le mani giunte dietro la schiena, gli occhi fissi e ipnotizzati. Ebbe quasi timore di spaventarla, ma volle posarle lo stesso una mano sulla spalla. Lei, infatti, trasalì.
“Scusami...”, le fece, “Ma ti avevo perso.”
“No, perdona me, che mi sono allontanata.”, disse lei.
Danny si guardò intorno.
“Cosa c’è di bello da vedere qua?”, chiese, retoricamente.
Posò gli occhi sulla coppia marmorea, l’unica in quella piccola stanza, che sembrava già satura di persone.
Una donna semi distesa era in procinto di stringere le braccia attorno al collo di un angelo alato, alle sue spalle, che la guardava dall’alto e stava per baciarla. La luce proveniva da un lucernario circolare sul soffitto che illuminava la coppia di statue come se fossero stati gli attori sotto al riflettore di un palcoscenico, mentre loro erano il pubblico nella platea in osservazione dello spettacolo sulla scena. Se quella che vedevano non era la realtà, erano loro ad essere le statue.
Ed infatti, erano tutti più immobili di quella coppia, fermi in contemplazione.
“Adesso te lo posso anche dire.”, fece Joanna, distraendolo, “Questa è la quinta volta che vengo a vedere questa mostra.”
Danny strabuzzò gli occhi.
“La quinta volta?!?”, esclamò.
“Sì...”, fece lei, sorridendo imbarazzata, “Per vedere solo quella.”
“E tornerai anche una sesta?”, le fece, prendendola un po’ in giro.
“Forse sì.”, disse lei, sorridendo, “Sicuramente prima che la mostra chiuda, a settembre.”
Era più che plausibile, se pensava a sua sorella Vicky che era stata sette volte al cinema per vedersi quel’abominio cinematografico del Titanic.
“Beh, posso dirtelo anche io, allora...”, disse Danny, “Non avevo nessuna voglia di venire in questo museo ma mi devo smentire.”
“Lo sapevo che avresti cambiato idea.”, disse Joanna, ridacchiando.
“Lo sapevi che non ero molto entusiasta di entrare qui dentro.”, presuppose lui, colto in fallo, spostando lo sguardo su di lei.
“Sì, te lo leggevo in faccia.”, scherzò ancora lei.
Una volta terminato quel piccolo momento allegro, Danny ritornò gli occhi sull’opera e, per un attimo, ebbe la certezza che i due amanti si fossero mossi. Gli sembrarono sempre più vicini, le bocche sempre più pronte a baciarsi. Si impose di fissarli per vedere il preciso istante in cui si sarebbero avvicinati ancora di più, perché quello che osservava era più surreale di un sogno ad occhi aperti.
“Non ti sembravano più distanti qualche attimo fa?”, le chiese.
Si voltò verso di lei, che abbassò subito il viso.
Danny tornò a guardare quella statua. Ancora una volta, quei due sembravano sempre più vicini.
E loro due sempre più lontani.
 
 
Uscirono dal museo e un colpo improvviso di calore li investì.
“Dio mio che caldo...”, disse Joanna, prendendo a sventolarsi con una delle brochure, ormai scadute.
“Già...”, le rispose, “Cosa facciamo ora?”
Guardarono gli orologi.
“E’ un’ora accettabile per pranzare, non credi?”, le fece.
Era infatti poco più di mezzogiorno.
“Sì, lo è.”, disse lei, “Da questa parte.”
Si misero a camminare sotto il sole cuocente di quell’estate. Sperò che la canicola riuscisse a sciogliere il ghiaccio formatosi tra loro, che pareva subire l’influsso di una strana marea: a volte era così spesso da bloccare il respiro, altre invece sembrava assottigliarsi fino a scomparire.
“Mi ricordo quel ponte!”, disse, vicinissimo alla costruzione che univa le due sponde del fiume, pieno di costruzioni, dall’aspetto pesante ma comunque fiero.
“Esattamente.”, disse Joanna, annuendo con un cenno della testa.
“Cavolo...”, disse Danny, guardandolo, appoggiato alla lunga balaustra che proteggeva l’argine del fiume.
I ricordi erano così tanti, piacevoli e spiacevoli, che sembravano impossibili da selezionare e rivivere con calma.
“Ti ricordi?”, le chiese, indicandolo con un gesto della testa e sorridendole.
“Certamente, il gelato era buono.”, rispose Joanna, che gli aveva letto nella mente e lo aveva sbuffare in una risata, “Vogliamo proseguire?”
Era una sensazione strana camminare su quel ponte e ricordarsi quello che era successo dopo quel gelato. Sembravano davvero millenni fa, erano successe così tante cose in mezzo… In quel momento passato nel gusto agrodolce dei ricordi e del presente, Danny trovò la forza di ammetterlo: per qualche tempo aveva creduto in tutt’altro sentimento che nel semplice affetto che provava per Joanna, ma si era reso conto che la vita non aveva voluto mettere sulla stessa strada. Aveva conosciuto Tamara e le cose erano cambiate drasticamente, ma non aveva mai smesso di volerle bene, di preoccuparsi per lei, per Joanna.
Passarono oltre al ponte, non prima che lui avesse indossato un cappello sulla testa per riparare i pensieri dal caldo infernale, ed un paio di occhiali da sole. Intorno a loro c’era tanta gente, specialmente  turisti, ed ogni poco dovevano dare la precedenza a qualche fotografo improvvisato, per la colpa di essersi trovati senza volerlo nel campo visivo della sua fotocamera.
“Siamo quasi arrivati.”, gli disse Joanna.
Camminarono lungo una lunga e dritta strada finché un grande arco di pietra non segnalò loro l'uscita medievale del centro storico. Lo oltrepassarono e si fermarono davanti ad un cancello in ferro battuto, sulla loro sinistra.
“Ecco il giardino che ti dicevo.”, gli fece Joanna.
Pagarono un altro biglietto, di pochi euro e si trovarono di fronte ad una lunga salita, una scarpinata che sembrava non finire, ai lati alte siepi che venivano spezzati da stretti viottoli. Ogni tanto qualche statua strana, uomini e donne con visi deformi e posizioni del tutto bizzarre. Erano in un giardino degli orrori?
“Dobbiamo arrivare lassù?”, le fece, svogliato.
“Sì.”, disse Joanna, “Ma staremo bene.”
“Speriamo...”
“Vedrai che cambierai idea un’altra volta.”
Un sorriso e il gelo sembrò scomparire, ma riapparse di lì a qualche secondo. Il sole non era riuscito a rompere il ghiaccio, anzi, sembrava averlo paradossalmente rafforzato. Cento metri di salita, lei tre metri avanti a lui, che cercava di non ansimare per lo sforzo. Ogni passo era difficile, il caldo era asfissiante, ma già a metà percorso un venticello fresco sembrò volerlo incoraggiare nell’impresa.
Accelerò il passo.
“Come sei lenta!”, le disse, ridendo.
“Sì, sono una tartaruga, ma arriverò lassù senza il fiatone.”, disse lei, scuotendo la testa divertita.
Una volta approdati in cima, davanti a loro trovarono una strada di sassolini bianchi, come quella appena conclusa, che divideva in due un basso prato verde, cosparso di fiorellini.
“Ci siamo.”, disse lei, sorridendo ancora, “A destra o a sinistra?”
Danny rifletté, guardandosi intorno.
Non erano stati gli unici a scegliere quello spiazzo verde per pranzare, molte altre persone sembravano aver scelto quel posto. Il vento fresco aumentò gradualmente la sua potenza, tanto che in un batter d’occhio ogni goccia di acqua sul suo naso scomparve.
“A sinistra.”, disse Danny, decidendosi per la parte più vicina al panorama.
Una volta scelto una porzione di erba abbastanza libera si sedettero, incrociando le gambe sul prato fresco. Si tolse lo zaino dalle spalle e lo aprì: spuntò fuori un lembo di una tipica tovaglia quadrettata, bianca e rossa, da pic nic.
“Ti aiuto ad aprirla.”, gli fece Joanna.
Ne presero i lembi e la sistemarono. Presto, i primi sandwich furono tra i loro denti.
“Avevi ragione un’altra volta.”, le disse e lei comprese, dimostrandolo con un riso, “Si sta proprio bene.”
“Lo so.”, rispose Joanna.
“Sai, la tua città mi è sembrata diversa da quando siamo venuti, l’anno scorso.”
“Dici sul serio?”
Le disse di sì con un cenno della testa.
“In meglio o in peggio?”, domandò Joanna.
“Non lo so.”, rispose.
Non voleva dire in peggio. Se nelle ultime due settimane non fosse successo niente, avrebbe anche potuto non notare alcuna differenza. Guardò brevemente Joanna, sembrava aver capito cosa avesse in testa.
“E’ sempre una stupenda città, credimi.”, volle correggersi, “Sono i ricordi che mi porterò a casa a renderla meno bella.”
Lei non disse niente, e lui non sapeva cosa altro aggiungere. Non c’era una via di uscita, ormai si era formata una coltre di gelo così spessa che niente sembrava riuscire a scalfirla. Era stata colpa sua, del suo egoismo e della sua presunzione.
Era vero quello che ogni tanto gli era stato detto, in passato: non era capace di rendersi conto di sbagliare finché il danno commesso dai suoi errori non era più riparabile. Faceva male, faceva davvero male.
Come se i suoi amici più cari, Harry, Dougie o Tom, gli avessero voltato le spalle per sempre.
Come se Tamara avesse scoperto che lui era lì, in Italia, e non da sua madre, ed avesse deciso di lasciarlo.
Come se Joanna, davanti a lui, si alzasse e lo accusassee di essere la peggiore persona sulla faccia della terra.
Come aveva già fatto.
Danny odiava sentirsi respinto, abbandonato, solo. Posò il sandwich, sospirando, e si tolse gli occhiali da sole.
“Che c’è?”, gli fece Joanna, “Non hai più fame?”
“No.”, disse, riponendo il panino nella carta stagnola.
Alzò gli occhi su di lei.
“Avevi ragione, ieri.”, le disse, “Sono davvero peggio di tuo fratello.”
Joanna avvampò e scansò il suo sguardo, posandolo a terra.
“E mi chiedo con che coraggio possa rimanere ancora qui.”, fece, sistemando il suo misero pranzo nello zaino, “Dovrei essere a casa mia, in Inghilterra, dove non posso combinare tutti questi casini, Sono venuto con la pretesa di farti stare meglio ed ho solo peggiorato la tua situazione. Ti ho fatto piangere, ti ho trattato male, mi sono permesso di dirti cose che, se ci penso ancora...”
Scosse la testa, non poteva crederci.
“Mi chiedo come tu possa stare lì, seduta davanti a me.”
Joanna non disse niente, ripose il sandwich. Le aveva fatto passare la fame, complimenti a lui ancora una volta.
“Dovresti odiarmi, Joanna.”, le disse, “Più di quanto tu possa aver odiato Dougie, che nonostante tutto è riuscito a capirti molto meglio di quanto abbia fatto io  in un intero anno.”
Ed invece Joanna se ne stava lì, i capelli dietro alle orecchie, il viso basso, le gambe incrociate e quella maglietta senza maniche, bianca, che le stava proprio bene. Avrebbe dovuto essere da tutt’altra parte, meglio da sola che insieme a lui, ma invece lo aveva portato ad una mostra che lo aveva incantato, per fargli ammirare una statua che lei aveva visto per ben cinque volte, che adorava, ed aveva voluto che anche lui rimanesse a bocca aperta insieme a lei.
Come se fosse stata una cosa speciale per Joanna.
“Sono davvero peggio di tuo fratello.”
“No... Non lo sei...”, disse lei, così piano che parve solo un sussurro.
“Certo che lo sono!”, la contraddisse, “E cosa hai fatto con lui? Lo hai cacciato via. Perché non lo fai anche con me?”
Joanna sospirò mestamente.
“Ci sono milioni di persone meglio di me.”
“Non è vero.”, fu questa volta Joanna a contraddirlo.
“Dimostramelo!”
Ma non sembrava facile per lei accontentarlo.
“Joanna, perché non...”
“Little.”, lo interruppe lei.
“Come?”, le domandò di ripetere.
“Io sono Little.”
Non riusciva a guardarlo negli occhi, né in faccia.
“Ma è solo un soprannome stupido!”, le fece, “E non vale più niente.”
“Perché?”, domandò lei.
“Perché hai una forza che mi spaventa.”, le rivelò, “Perché non sei la persona indifesa che mi ero convinto tu fossi. Me ne sono reso conto solo ora, ti chiamavo Little perché inconsciamente ti credevo incapace di essere adulta.”
Le prese le mani.
“Ma sei anche più adulta di me, Joanna.”, continuò Danny, “E non hai bisogno di Danny Jones... Forse non ne hai mai avuto bisogno.”
Joanna si morse le labbra, che divennero ancora più rosse. Conosceva quel gesto, sapeva che cosa significava.
“Non piangere, per favore.”, le disse, “Non voglio che tu lo faccia ancora a causa mia.”
Non poté fermare la prima lacrima che scese sulla sua guancia.
“No, Joanna...”, le disse, abbracciandola, “Dimmi qualcosa, ma non piangere.”
Si avvicinò a lei, cercò di starle più vicino che poteva.
“Per piacere.”, disse lei, con la voce rotta, “Fa’ quello che vuoi, ma chiamami Little.”
“E perché dovrei farlo, Joanna?”, la contraddisse di nuovo.
“Perché mi fa stare meglio.”, disse lei, “Molto meglio.”
Non seppe cosa dire, né pensare. Se ne stava lì, come un fesso, a stringerla. Più passava tempo con lei, più si rendeva conto di quanto avesse sbagliato. Aveva pensato che tante cose -farla sfogare, starle accanto, porgerle una spalla- fossero convenzionali ma comunque utili per farle passare la tristezza ed il dolore. Ed invece, un semplice soprannome sembrava essere molto più efficace di tutti gli inutili e dannosi sforzi fatti.
Ebbe paura nel pensare a cos’altro avrebbe realizzato, nelle prossime ore.
“Little.”, le disse, passandole una mano tra i capelli, “Se serve a farti stare meglio.”
Forse Little sorrise, o almeno fu quello che gli sembrò di percepire sulla pelle. Allentò quell’abbraccio, volle vedere se la sua sensazione fosse stata vera. Ma si sbagliava.
Danny sentì qualcosa piombargli sulla spalla ad una certa velocità e si voltò velocemente, notando con la coda dell’occhio un pallone che rotolava via. Allentò l'abbraccio, Little asciugò velocemente le lacrime dal viso. Decise di rompere quella situazione e di alzarsi, fare qualche passo e recuperare la palla.
Un ragazzo si presentò per reclamarla e gliela porse con un sorriso.
“Grazie.”, disse, rigirandoselo tra le mani.
“Ehm... Prego.”, gli rispose in un italiano stentato.
Il ragazzo fece un cenno divertito con la testa, poi si allontanò di qualche passo. Lo stava quasi per ignorare, quando quello si voltò ancora.
“Hey, ma tu sei Joanna!”, lo sentì esclamare.
Comprese solo il nome di Little, e si voltò per vedere la reazione di lei. Lo conosceva? Lei si ripristinò in fretta e scacciò ogni espressione cupa dalla faccia.
“Marco, non ti avevo riconosciuto!”, disse, alzandosi ed andandogli incontro, “Cavolo, sono anni che non ti vedo!”
“Come stai?”, le fece lui, mettendosi il pallone sotto il braccio.
Le porse la mano e, in sequenza, si scambiarono baci sulle rispettive guance.
“Oh, come sempre.”, e alzò le spalle, “E tu?”
“Tutto ok. Sono qua con gli altri.”
“I tuoi amici?”
“Sì, ci sono anche Stefania e Marta, della nostra vecchia classe.”
“Oh, cavolo, non le vedo da una vita!”
Necessitava urgentemente di sottotitoli, fece un colpo di tosse. Danny Jones era stato completamente eclissato, e con quel gesto finalmente Little tornò ad accorgersi di lui.
“Scusami Dan”, gli disse, facendosi comprendere, “questo è Marco, un mio vecchio compagno di scuola.”
E poi si rivolse ancora al proprietario del pallone, nella loro lingua.
“E’ un mio amico inglese, non capisce una mazza di italiano.”, disse Little.
“Si vede dalla faccia.”, e la fece ridere.
Anche lui seguì quella risata, scatenando a sua volta quella del ragazzo. Insomma, stavano tutti ridendo. Di lui o con lui?
“Vieni a salutare le altre?”, attaccò ancora quello, “Così ci scambiamo i numeri di telefono e vediamo di uscire, qualche volta.”
“Oh... Va bene!”
Little si voltò verso di lui.
“Dan, vado un attimo a salutare i miei vecchi compagni di classe.”, gli domandò.
“Oh sì, certamente, vai pure.”, le fece.
“Perfetto.”
Li guardò allontanarsi, poi decise di sedersi e di tornare al suo sandwich. Sdraiò le gambe sulla tovaglia quadrettata, i piedi uscivano fuori e riposavano sull’erba macchiata di fiori. Appoggiò le mani dietro di sé, per stare più comodo.
Venne quasi automatico spostare l’attenzione verso il gruppetto al quale si era unita Little. Stava chiacchierando con tutta tranquillità, rideva e scherzava con un paio ragazze ed il tizio del pallone: dovevano conoscersi e non essersi più visti da tempo, sembravano contenti di essersi ritrovati.
La vide voltarsi, guardare verso di lui, e sventolare timida una mano per salutarlo.
Lui ricambiò, aprendo la propria e portandosela alla fronte, in un gesto militare stilizzato. Le sorrise, e lei tornò dai suoi amici.
Se c’era un enigma che non era mai stato capace di risolvere, si chiamava Little Joanna. Non sembrava essere ancora la ragazza che aveva conosciuto: la cameriera goffa, quella che era rovinata a terra riconoscendoli, che si era offerta per portarli al mare e che li aveva sopportati in quartetto senza dare troppo in escandescenza. Non si era nemmeno accorto di tutti i suoi cambiamenti e pretendeva di essere considerato come suo amico.
Il migliore, in aggiunta.
Se tre mesi prima gli avessero detto ‘Jones, sai che presto Poynter e Joanna diventeranno amici più di quanto tu e lei siate mai stati?’, lui avrebbe riso così tanto che sarebbe morto per i crampi allo stomaco, e non era importante andare troppo indietro nel tempo perché quella frase risultasse ancora così assurda ai suoi occhi.
Little non era mai rimasta uguale a se stessa, ne aveva sempre avuto dimostrazione. Ogni presupposto che aveva avuto su di lei, da quello più stupido a quello più serio, era stato immediatamente smentito. Lo aveva stupito ogni volta e, nonostante quello, era rimasto fedelmente aggrappato al vecchio stereotipo di lei, nato nella sua mente. Non l’aveva mai capita, ed era sicuro che non sarebbe mai stato in grado di farlo. Pretendeva ancora di avere a che fare con la Little Joanna che arrossiva ad ogni più piccolo sorriso, ad ogni avvicinamento, ad ogni parola detta per lei, che se ne rimaneva in disparte, lasciando che gli altri parlassero, senza mai far sentire la sua voce.
Forse non voleva abbandonare quella vecchia immagine perché, in fondo, si era affezionato a quel suo modo di essere. Era tenero vederla intimidirsi, farsi piccola ed abbassare gli occhi a terra, sorridendo imbarazzata, mentre si torturava le mani e gli occhi fuggivano qua e là.
Little era tuttora così, ma molte altre cose di lei erano diverse.
Era lui che non aveva voluto che lei crescesse, ed ora che era cresciuta, che lei si era fatta forte e che aveva lasciato indietro tutte le persone che l’avevano fatta soffrire... Anche lui avrebbe fatto quella fine. Poteva averlo perdonato, ma lui continuava a credere di non essere più quello di cui lei aveva bisogno. Ne era così certo che niente avrebbe potuto fargli cambiare idea. Si era fatta amica il McFly sbagliato, lui era solo uno stupido che si era fatto tante illusioni. Si stava sentendo disarmato, come un soldato tornato dalla guerra, disfatto e senza motivo per continuare ad andare avanti.

She's a girl, running to spring.
It is her time, so just watch her run with ribbons undone.

Per la seconda volta, Little guardò verso nella sua direzione, attirando su di lui anche gli occhi delle sue due conoscenti. Little non sembrava aver niente in comune con loro, lo sentiva e lo poteva vedere.
Little era unica. O forse la stava idealizzando di nuovo… Doveva smetterla con la presunzione di sapere chi avesse davanti. Alzò una mano nella loro direzione, poi decise di dedicarsi ad altre attività. Si alzò, si stiracchiò e se ne andò verso il parapetto che costeggiava quel giardino, su una collina più alta rispetto al resto della città: i tetti delle case, dei monumenti, sembravano molto più vicini di quanto in realtà non fossero e, come aveva provato davanti alle statue, volle allungare una mano per toccarli.
Lo fece davvero, ma quelli si allontanarono via, spaventati.
Come avrebbe fatto Little.
“Ti infastidiva una mosca?”
Lei gli sorrideva flebilmente, i gomiti appoggiati sui mattoni un po’ smussati della balaustra e il mento sulle mani unite.
“Sì.”, le mentì, “Ma è stata più veloce della mia mano.”, le sorrise, “Com’è andata con i tuoi amici?”
“Non sai quanto mi sia costato stare con loro.”, disse poi lei, voltando le spalle al panorama ed incrociando le braccia.
“Perché? Sembravate in buoni rapporti.”
“Può essere vero, ma non andavamo molto d’accordo, ai tempi del liceo.”, rispose Little, alzando le spalle, “Poi hanno saputo di mio padre”, sospirò, “ed hanno iniziato a fare un sacco di domande, a chiedermi del funerale... E insistevano nel volerti conoscere.”
Danny si mise a ridere, scuotendo la testa.
“Beh, non mi sarei tirato indietro.”, le disse, “Riesco a fare amicizia anche con i sassi.”
“Lo so.”, borbottò lei, ridacchiando.
“E allora perché non me li hai presentati? Credi che se avessero saputo chi sono veramente ti avrebbero scaricato per me?”
“Non essere così vanitoso, Dan.”, protestò lei, guardandolo di sottecchi con aria divertita.
“Dai, rispondi!”, insistette, “Perché non me li hai presentati?”
Little si fece attendere e dondolò gli occhi, evitando di posarli sui suoi.
“Perché... Non ti voglio dividere... Con nessuno.”, disse così piano che quasi non la sentì.
Stranamente, rimase spiazzato.
“Beh... Allora nemmeno con Tamara?”, le fece, arrabattando le prime parole che affiorarono nella sua mente.
“Ah, certo...”, rispose lei, “Tranne che con lei.”
E gli sorrise, prima di fuggire via verso le loro cose.  Di lì a qualche secondo la seguì, aiutandola a ripore tutto dentro allo zaino. Lo indossò sulle sue spalle e, senza una meta precisa, uscirono fuori dal giardino.
Little non era più l’unica a non aver forza di parlare.
Lui non era da meno.





OOOOOOOOOOOOOOOOOH! Eccomi.
Tutto questo casino per nulla! XD Bene bene bene,  sono arrivata.
Un po' di delucidazioni su questo capitolo: non ho fatto nomi, o meglio, non mi sono messa a dire dove vanno quei due con precisione... Ma i luoghi qua descritti esistono davvero, dal primo all'ultimo :) Chi è toscana come me forse li riconoscerà, chi non lo è non si preoccupi. Anzi, si preoccupi di venire a visitare questa città! XD
Chi di voi conosce Canova? Quasi tutte, lo spero... Personalmente, adoro questo scultore. Una breve biografia:  
Antonio Canova (Possagno1º novembre 1757 – Venezia13 ottobre 1822) è stato uno scultore italiano, ritenuto il massimo esponente del Neoclassicismo e soprannominato per questo il nuovo Fidia. Viene considerato anche come l'ultimo grande artista della scultura italiana. [Wikipedia, Antonio Canova]. Le opere qua citate sono:  il monumento funebre in cui riposa lo scultore stesso, situato a Santa Maria Gloriosa dei Frari a Venezia, ed è ciò che Danny vede stampato sul volantino della mostra; le Tre Grazie, quando perde di vista Little e, infine, Amore e Psiche, la scultura che dà anche il titolo al capitolo. Ah, quasi dimenticavo, ho citato anche il quadro Annunciazione di Leonardo da Vinci. Tutte questi capolavori, compreso il nome degli autori, non sono state usate da me con scopi di lucro.
Stessa sorte per il piccolo verso citato a fine capitolo: l'ho tratto dalla canzone Ribbons Undone di Tori Amos. Quindi, anche in questo caso, no scopo di lucro.

Vorrei mettere alla vostra attenzione anche questa piccola opera d'arte...  Don't Call Me Joanna. Lo ha fatto per me x_blossom_x,  il cui ruolo durante tutta la stesura di questa storia è stato più che fondamentale. L'ho sottoposta alla tortura del betaggio, mi ha odiato talmente tante di quelle volte... Ha pure dovuto sopportare almeno un mese di attesa prima della stesura degli ultimi capitoli, tutta colpa mia [scusa ancora Sil... ti ho preso un po' in giro...], e alla fine mi ha comunque dedicato un po' del suo tempo.
Grazie davvero, Sil, e se ti dico che questa storia non sarebbe nata senza di te, devi credermi.

I ringraziamenti.

CowgirlSara:  Secondo te, Gioannina, con l'ultima frase, gliel'avrà stasato i' cervello a quell'ambulante? La risposta è alquanto ovvia.

Ciribiricoccola: Hai detto bene, Joanna è abituata a queste schifezze e ci passa sopra senza problemi... Ma spero che questa facilità nel superare determinate cose non sia presa come mia colpa nel non saper gestire determinate problematiche familiari... Danny avrebbe bisogno di un trasformatore per il cervello, che gli posizioni la trasmissione elettrica dall'alternato al continuo... Chiedi a McAmen come si chiamano st'aggeggi qua, che io un lo so!

kit2007: Non ti preoccupare per il ritardo!  Non ho nient'altro da aggiungere a quello che hai detto, hai  delineato perfettamente tutti i punti in cui si snoda il capitolo :)  brava e grazieeeee!!!

tsumika83: Oh ma indovinare era facile daiiiii! XDDDD Dougie doveva andarsene *sigh* doveva lasciare lo spazio a chi  di dovere... E ti assicuro, quello che ha fatto Dougie... Danny non avrebbe mai e poi mai potuto farlo. Credo che tu lo sappia bene, anche se non fossi mai stata fan di Dougie. Grazie **

Giuly Weasley:  Danny sta all'orticaria come... Come... Come l'orticaria sta a Danny. Aspetta, perchè ti pruderà così tanto che lo scorticherai a morsi. Fidati. Little non è nemmeno un pochinoinoinoinoino confusa dal bacio di Dougie XD E' talmente tanto incantata che potrebbero anche investirla contemporaneamente due eurostar, 4 tav e sei o sette rimorchi. Lei non se n'accorge... -____- Poveretta...

Godfather:  Maledette queste connessioni!!! Le odiamo in gruppo. Ormai è ufficiale XD Non ti preoccupare, recensisci quando vuoi, non ghigliottino nessuno [vi inforco].

x_blossom_x:  graziegraziegraziegraziegraziegraziegraziegraziegraziegraziegraziegraziegraziegraziegraziegraziegraziegrazie
graziegraziegraziegraziegraziegraziegraziegraziegraziegraziegraziegraziegraziegraziegraziegraziegraziegrazie
graziegraziegraziegraziegraziegraziegraziegraziegraziegraziegraziegraziegraziegraziegraziegraziegraziegrazie




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Capitolo 12
*** Voices In My Head ***


12. Voices In My Head
 
 
Presero un gelato e, nonostante la sua temperatura ghiacciata, era molto più caldo del freddo intenso che era salito di nuovo tra loro. Lo mangiarono, camminando con tranquillità tra le vie affollate e fermandosi di tanto in tanto ad osservare qualche vetrina per il solo gusto di avere qualcosa da dire, riferendosi ai capi in esposizione. Passarono due ore o forse tremila. Tante erano sembrate, tutte passate a camminare passivamente. Solo una cosa era attiva e produttrice, la mente di Danny. Arianna glielo aveva detto, doveva smettere di pensare ma lui non ci riusciva, soprattutto dopo momenti del genere. E gli aveva anche detto un’altra cosa: doveva guardare dentro di lei, dentro Little, e capire quello che aveva tenuto nascosto dentro se stesso, ma ancora non c'era arrivato. Chissà, magari avrebbe avuto un’illuminazione improvvisa nel momento meno opportuno, o meno aspettato.
“Little, quando torni al lavoro?”, le domandò la prima cosa che gli era venuta in testa.
"Lunedì prossimo ormai.”, gli spiegò, “C'eravamo accordati così, imprevisti o meno. E tu quando parti?”
Bella domanda.
“Devo prenotare ancora un biglietto.”, le disse, “Non ho avuto tempo per farlo.”
“Se vuoi puoi farlo anche ora.”, rispose lei.
Attese qualche attimo, doveva ingoiare quella risposta nel modo giusto, interpretarla correttamente.
“Meglio stasera.”, disse poi.
Si sentì afferrare il braccio e si voltò. Aveva forse perso qualcosa per strada?
“Danny!”, esclamò una voce sconosciuta e squillante, femminile come la persona a cui apparteneva.
La guardò un attimo.
“Tu sei Danny dei McFly!”, si ripropose l’altra.
“Sì… Sono proprio io.”, le fece, sorridendole.
Una fan conterranea.
“Wow! Cosa ci fai qua!”, esclamò lei, “Posso fare una foto con te e con una mia amica?”
Lanciò un’occhiata a Little: si era allontanata di qualche passo, con indifferenza.
“Oh sì, va bene.”, disse, alzando le spalle.
“Non avrei mai pensato di incontrarti in Italia!”, parlò ancora lei, mentre si frugava in borsa, “Sei qua in vacanza?”
“Diciamo di… Sì…”
Complicazioni in vista.
C’era una probabilità su un miliardo che quelle fotografie non venissero pubblicate su internet nel giro di pochi giorni. Con la fortuna che aveva sempre avuto, Tamara le avrebbe viste ancora prima che lui fosse tornato a casa, ma ormai il dado era stato tratto e a lui non rimaneva altro che pregare per un buon tiro della sorte. La ragazza chiamò l’amica con cui voleva farsi fotografare e la sua fuga in Italia venne documentata.
“Un autografo?”, gli venne chiesto.
E fece anche quello. Salutò le due ragazze, dopo un breve scambio di parole ed un sorriso amichevole. Trovò Little con lo sguardo: stava davanti ad una vetrina ad osservare un bel vestito azzurro, estivo, che le sarebbe andato a pennello.
“Ti piace, vero?”, le fece, una volta avvicinatosi a lei.
“Sì.”, rispose, ermetica come sempre, “Erano tue fan?”
“Presuppongo di sì.”, disse Danny, alzando le spalle, “Spero che Tamara non si arrabbi troppo. Non sai che tipo di parole siano capaci di uscire dalla sua bocca quando è arrabbiata, anche se….”
“Sono quello che ogni donna è capace di dire al suo fidanzato”, disse lei, “quando questo parte per un paese straniero anche se gli è stato severamente proibito, e raccontando una bugia alquanto stupida per coprirsi le spalle.”
“Sei l’avvocato del diavolo, Little.”, le disse.
“Sono semplicemente il terzo incomodo.”, rispose lei, nervosamente, “E ho sempre odiato esserlo.”
“Non è vero, non lo sei affatto.”, le disse, seguendola, “E’ Tamara che non riesce a capire.”
“Sei tu quello che non ci arriva, Danny.”, lo contraddisse Little, “Lei è più importante di me, avresti dovuto rispettare la sua volontà e lasciarmi perdere, sarei stata bene comunque.”
Danny sospirò.
“Io sono fatto così, Little, ho la tendenza a non avere una lista di priorità simile a quella di ogni altro essere umano.”
“Non voglio essere di nuovo la causa di contrasti tra te e chi ti è caro.”, affermò lei, preferendo fermarsi piuttosto che discutere camminando, “E’ già successo una volta, tu e Dougie litigavate per colpa mia. Ora, al posto di Poynter c’è Tamara… Il che è anche peggio.”
“E’ con Tamara che mi arrabbio, non con te.”
“Sì, ma il centro della questione sono io!”, ribatté ancora Little, “E non voglio esserlo!”
“No! Piantala di dire assurdità!”
Aveva alzato un po’ troppo la voce, non tanto da far voltare turisti chi intorno a loro, ma Little si era spaventata.
“Scusami.”, le disse, allarmato, “Non volevo prendermela con te.”
“Lascia stare.”, rispose lei, voltandosi e tornando a camminare, “Torniamo a casa.”
“Little, per favore, non dire così…”
“E’ caldo, non abbiamo più niente da fare.”, borbottò lei, “Andiamo a casa.”


La fermata era sovraffollata ed ogni bus che arrivava non sembrava riuscire a sfoltire quella massa di gente in attesa. Qualcuno partiva, la maggioranza arriva e si fermava lì, in piedi. Chi con le cuffie nelle orecchie, chi con il giornale, chi parlava con dei conoscenti incontrati.
“E’ il nostro.”, disse Little, indicando con un cenno di testa la macchina arancione in arrivo.
Come se qualcuno avesse mosso la sua bacchetta magica per ammaestrare il mondo, la carovana in paziente aspettare salì sul mezzo insieme a loro. Si trovarono tamponati tra un gruppo di studenti, con i loro zaini pieni di libri, ed uno di turisti giapponesi, con le loro macchine fotografiche professionali al collo. Faticarono per timbrare i biglietti, facendoli passare tra gli altri occupanti del bus, e con un sussulto la macchina partì. Lo spostamento li fece accostare: più i movimenti del mezzo li avvicinavano, più Little cercava di distanziarsi, con discrezione. Erano premuti l’uno contro l’altro, come un bizzarro giorno di un anno prima, di ritorno da un supermercato.
Se non ricordava male, quel giorno aveva indossato un cappotto verde.
“Ce l’hai ancora quel cappotto verde?”, le domandò.
“Come scusa?”
“Quando ti accompagnai al supermercato, avevi un cappotto verde.”, le spiegò, la bocca vicino al suo orecchio, “Ce l’hai ancora?”
“Sì… Perché?”, chiese lei, perplessa.
“Ti stava bene.”, le disse, “Il verde ti dona molto.”
Lei annuì, poi tornò ai suoi tentativi di allontanamento. Danny non lo sopportava, non era proprio capace di digerirlo. Le passò un braccio intorno alle spalle e annullò ogni centimetro di lontananza tra loro. Little alzò lo sguardo e lo fronteggiò, arrabbiata, ma non si sarebbe dato per vinto così facilmente. Per qualche attimo sostenne il peso dei suoi occhi verdi, chiedendosi se quell’abbraccio li avrebbe addolciti, sebbene fosse stato poco gradito. Quando non riuscì più a sopportarli, chinò il viso sulla sua fronte e vi dette un bacio.
In quell’attimo sentì come un tonfo sordo, nelle sue orecchie.
E poi un altro ancora.
Ed uno di nuovo, nel bel mezzo del petto.
Si concentrò.
Avvicinò ancora la bocca al suo orecchio e le disse quello di cui lei si doveva convincere.
“Non osare mai più, ti dico, mai più pensare di non essere importante per me.”
Little avrebbe dovuto imparare quelle parole a memoria e tirarle fuori quando la certezza vacillava.
“Va bene.”, disse lei.

Danny aprì gli occhi e drizzò la schiena; le sorrise, prima di voltare lo sguardo altrove e togliere il braccio dalle sue spalle. No, non era imbarazzato, affatto. Si sentiva solo terribilmente, semplicemente ed indescrivibilmente a disagio. Da quando in qua toccava a lui, e non a lei?
Little se ne accorse.
“Che c’è?”, le fece.
“Niente.”, disse lei, ridendo sotto i baffi.
Se prima era arrossito, adesso era su una certa tonalità violacea. Era imbarazzato dell’essere imbarazzato, di fronte a lei che sembrava farsi beffa della sua carnagione paonazza.
“Prima che ti esploda la vena giugulare e ti venga un embolo”, lo prese in giro Little, “sappi che sono contenta di averti visto arrossire, almeno una volta in tutta la mia vita. Non ne conosco la ragione, magari qualcuno alle tue spalle ti ha palpeggiato come si deve, ma è stato un piacere vederti nel mio stesso stato.”
Si voltò, premendo il dito contro un bottone sporgente dal palo verticale a cui era aggrappata.
“Siamo arrivati.”, disse.
Il bus si fermò, entrarono in casa ridendo: Danny era inciampato sul marciapiede, facendo aumentare a dismisura il suo già alto tasso di disagio.
“Fate troppo casino!”, rimbombò la voce di Arianna, proveniente dal piano superiore.
“Già qua?”, domandò Little, salendo le scale.
“E presto di nuovo in partenza!”, fece la donna.
Danny non ascoltò il prolungamento della conversazione, il cellulare aveva preso a squillare nella sua tasca. Si allontanò da ogni possibile eco di voce femminile e preferì spostarsi in cucina.
“Pronto?”, fece, incrociando contemporaneamente le dita di mani e piedi.
Dan… Quando torni?”, domandò Tamara.
Conosceva benissimo quel tono di voce: Tamara voleva chiudere la questione. Si appoggiò al frigorifero e si toccò gli occhi in cerca di conforto.
“Torno presto, non ti preoccupare”, le disse, sospirando.
Domani?
“Penso di sì.”
Ok…”, disse Tamara, delusa ma rassegnata, “Se vuoi posso venire io da te.”
“No, lascia stare.”, le rispose, cercando di non essere troppo nervoso, né di insospettirla, “Ho diverse cose da fare qua e non so di preciso quando posso partire. Ma ti prometto che tornerò domani.”
Prima di cena?
“Forse… Non lo so.”, e chiuse gli occhi
Mi manchi.”
Certo che mancava anche a lui.
“Anche a me, Tam.”, le fece.
Ti amo.”
Esitò.
“Anche… Ti amo anche io.”, le fece, “Ciao.”
E chiuse la chiamata.
La amava, era sicuro di quel sentimento per lei, ma non era comunque quello il suo problema. Non volle prendersi la totalità della colpa, si sentiva sempre un po’ meglio quando le sue spalle non erano le uniche a sopportare il peso della responsabilità ed era vero quello che aveva detto a Little. Se Tamara fosse stata più comprensiva, Danny sarebbe partito per l’Italia con tranquillità e tutto sarebbe tornato alla normalità. Invece, lei glielo aveva proibito.
Appoggiò la testa al frigorifero.
“Hey.”
Aprì gli occhi.
“Vuoi qualcosa da bere?”, gli domandò Little, con un sorriso rassicurante.
“Oh sì, grazie.”, le fece, spostandosi dall’elettrodomestico.
Lei si avvicinò e prese una bottiglia di the freddo, ne riempì due bicchieri e gliene porse uno. La ringraziò.
“Tutto o posto?”, gli domandò Little.
“Sì.”, le disse, trovando il tono migliore per essere convincente.
“Non è vero.”, fece lei.
Non era l’unico che poteva vantare la dote di leggere negli occhi altrui, anche Little la possedeva e sapeva usarla nei momenti migliori, ma Danny non voleva vederla di nuovo arrabbiata con lui.
“Certo che è vero, Little, sono solo un po’ stanco.”, insistette.
Lei lo scrutò un po’, bevendo il suo the e studiandolo con un paio di occhi vispi e tranquilli. Non sembravano nemmeno appartenere alla persona complicata che era, né potevano far pensare alla brutta discussione avuta in pieno centro, o ai momenti passati in quel giardino.
“Ok. Mi fido.”, disse poi Little, senza insistere, e ripose il bicchiere dentro al lavandino.
Si incamminò verso l’uscita.
“Che facciamo ora, Little?”, le domandò.
“Sei stanco.”, rispose Little, “Dormi un paio d’ore, ci vediamo per cena.”
“Forse è meglio.”, le disse.
Little gli sorrise, poi si voltò ed uscì dalla stanza con tranquillità. Poco prima di scomparire dalla sua vista Little ripose le mani in tasca e camminò in quel tipico modo che gli ricordò… Dougie, disse Danny prima di sorridere. Un’ipotetica versione femminile di Poynter, o forse solo una forzatura della sua mente. Non terminò nemmeno il pensiero che il telefono tornò a vibrare.
“Sì?”, rispose.
Coglione, va tutto bene?”, borbottò Dougie, al di là della linea.
“Come siamo gentili…”, gli fece ridendo, “Sì, va tutto più o meno bene.”
Perfetto. Ci sentiamo allora.”
“Hey, la finisci qui?”, lo riprese un attimo prima che chiudesse.
Sì, mi bastava sapere che entrambi stavate bene. E' tutto.”, rispose Dougie.
Se lo immaginò scrollare le spalle e ciondolare. Se le posizioni reciproche fossero state invertite, Danny avrebbe posto al suo amico milioni di domande, dal semplice come stai al perché non gli aveva risposto subito, che cosa avrebbe fatto nel dopo cena... Tutto perché quando c’era di mezzo Little, gran parte della sua razionalità andava a puttane.
Ho visto Tamara, oggi.”, aggiunse poi Dougie.
Rimase sbalordito.
“E non me lo dici? Sei cretino per caso?”, esclamò Danny, in preda al panico, “E cosa le hai detto?”
“Niente.”, e sospirò rassegnato, “Danny, dille che sei da Jonny.”
“Lo verrà a sapere comunque, credimi.”, gli disse, “Mi hanno trovato un paio di fan ed hanno voluto fare delle fotografie.”
Cazzate.”, minimizzò Dougie, “Tamara non è un’idiota, lo sa che non sei a casa di tua madre.
“No, non lo sa.”, si allarmò Danny.
Certe cose le può capire anche da sola.
Danny si appoggiò alla cucina e si passò una mano sulla fronte. Con le dita afferrò la visiera del cappello, se lo tolse dalla testa, dette una scrollata ai riccioli e lo indossò di nuovo.
“Mi ha appena chiamato e le ho detto di nuovo che ero da mia madre, con che coraggio dovrei…”
Smetti di prenderle in giro entrambe.”
Rimase stupefatto per la seconda volta.
“Entrambe?  Non metterci di mezzo Little, lei non c’entra niente adesso.”, volle chiarificare il punto focale della loro conversazione.
Metti in chiaro quello che hai in testa, Danny, e poi ne riparliamo, ok?”, fece Dougie.
“Cosa... Dougie?”
E la linea cadde.
 
 
 
Prima di abbandonarsi sul letto e ripensare ad ogni istante, ad ogni attimo registratosi perfettamente nella sua testa già iperattiva ed analizzarlo nel profondo come era suo solito fare, prese il telefono. Ovvio, doveva chiamare qualcuno a cui raccontarlo, ma decise comunque di spendere un po’ di tempo distesa, pancia in giù, a guardare fissa nel vuoto, con il mento appoggiato sulle braccia conserte.
Non osare mai più, ti dico, mai più pensare di non essere importante per me.
Si alzò di scatto, prese il telefono e lo chiamò.
Parlavo del diavolo...”, esordì Dougie, mettendosi a ridere.
“Grazie.”, gli fece, “Chiudo la chiamata.”
E dai... Che vuoi?”, le fece.
“Voglio dirti che sono stata tutto il giorno con lui…”, gli fece, uscendo dalla propria stanza per andare in quella di Arianna, da dove poteva avere uno scorcio del giardino sul retro e della campagna a nord della città, mentre dalla sua godeva solo della strada.
Uhm... Interessante.”
“Ok, fottiti Dougster.”, sbuffò indignata, “Non posso mai parlare con te!”
Non è vero e lo sai.”, borbottò lui, “Ho appena chiamato Danny.”
“E quindi? Stavamo parlando di me, non di lui.”
Anche noi.”
“Ti odio.”
Io no.”
“Perché mi lascio illudere così, Dougs?”, gli domandò, sedendosi sul davanzale della finestra, largo tanto quanto quello della propria stanza.
Joanna appoggiò la testa al muro dietro di sé, raccolse le gambe al petto per accomodarsi e poter guardare fuori in cerca di pace interiore. Vide Danny, seduto con tranquillità vicino alla piccola siepe che costeggiava il giardinetto. Una mano all’orecchio, stava parlando al telefono. L’altra, invece, reggeva una sigaretta. E dire che non l’aveva mai visto fumare, sebbene sapesse che anche lui, come Dougie, fosse affetto da quel vizio a lei poco gradito.
Sembrava abbastanza nervoso.
Dov’è Jones?
“In giardino, al telefono, e io sono alla finestra della stanza di Arianna. Lo vedo benissimo.”, disse, sospirando.
Interessante.”
“Dougster, per favore…”, lo implorò, “Mi vuoi ascoltare?”
Ma Jonny, cosa devo stare a sentire? So già cosa aspettarmi. Siete stati tutto il giorno insieme, lui sicuramente si è inginocchiato per chiedere il tuo perdono, tu glielo hai dato senza troppi ripensamenti… E fine della questione.
“Perché sei sempre così dannatamente schietto e stronzo?”, mugolò Joanna, colta perfettamente in fallo, “Cosa devo fare per farmelo passare dalla testa…”
Non lo so. Con te ha funzionato stare insieme ad altre ragazze.
“Dougster…”, lo intimò Joanna, “Dacci un taglio.”
Ma è la pura verità.”
“Aspetta, vado a dipingere un cartello con scritto ‘mi vendo per dimenticare uno dei McFly’…”, disse lei, con sarcasmo.
Potrebbe essere una buona idea.”
Una nuova occhiata alla situazione là in basso le fece capire che qualcosa non stava andando per il verso giusto. Danny si era alzato, camminava nervosamente lungo due metri di cortile, su e giù, e gesticolava animatamente con la mano libera, che teneva una sigaretta ormai giunta al limite delle sue possibilità.
Jonny, sei sempre lì?”, la chiamò Dougie.
Si decise ad aprire la finestra di uno spiraglio, ma fu troppo tardi. In quello stesso istante Danny chiuse la sua chiamata e gettò via la sua sigaretta con un cenno rabbioso della mano, che la fece volare via al di là della siepe.
Jonny?”, la contattò ancora Dougie.
“Uhm… Sì, ti chiamo dopo.”, e premette il pulsante rosso, mettendo fine alla telefonata.
 
 
Ripose il cellulare.
Se si guardava indietro capiva di aver commesso molti errori, ma non era il tipo di persona che rimpiangeva il passato. Era troppo facile farlo e non le erano mai piaciute le cose troppo facili. Quello era il suo modo di essere, così l’avevano educata i suoi genitori. Come si era già detta, non rimpiangeva il passato ma biasimava se stessa per aver preso scelte che sapeva sarebbero state errate. Era stata una stupida, si era illusa e ne stava pagando le conseguenze.
Aveva creduto in quello che la vita le aveva inaspettatamente messo davanti: Danny Jones.
Si erano conosciuti, frequentati per due settimane, poi si erano messi ‘ufficialmente’ insieme. Inebriata da quello che lui era e da come la faceva sentire, si era sentita innamorata di lui. Si era innamorata di lui, e lo era tuttora. Forse lo sarebbe stata per sempre, una piccola parte di lei le avrebbe ripetuto fino alla fine dei suoi giorni: te lo sei fatto scappare. Aveva sentito parlare di quella ragazza italiana, quella che avevano conosciuto prima di un loro concerto, ma non vi aveva mai porto troppo l’attenzione. Con il famoso senno di poi, ne comprendeva il motivo: le volte in cui era venuto fuori il suo nome era calato sul gruppo una sorta di silenzio omertoso, imbarazzato, che al tempo aveva ignorato perché troppo concentrata su di lui. Su Danny.
Quando le aveva detto che questa Joanna sarebbe arrivata –Little, l’ha sempre chiamata Little- era stata contenta: gli ospiti erano sempre graditi a casa sua. Anzi, a casa loro, dato che non aveva aspettato un secondo a dirgli di sì quando lui le aveva chiesto di trasferirsi, altro fondamentale errore che era stata cosciente di commettere, ma di cui se n’era fregata. L’aveva apprezzata, le era sembrata una ragazza simpatica e carina, ma l’aveva studiata bene. Le era sempre piaciuto osservare gli altri, studiarli, capirli: era parte del suo lavoro di arredatrice d'interni, doveva comprendere il cliente con un solo sguardo per poter realizzare da subito una buona opera.
Quella Little non era un’amica di Danny. Poteva essere entrata in casa sua con tutte le buone intenzioni di quel mondo, ma non era una sua amica. C’era stato qualcosa tra di loro, ne era stata certa fin da subito, e Little era ancora attaccata a quel qualcosa, mentre Danny non lo era più.
O almeno lo aveva sperato.
Sapeva di aver sbagliato anche nel dimostrarsi quasi apertamente ostile nei confronti di quella ragazza, molto probabilmente avrebbe ottenuto di più con un approccio calmo e tranquillo, ma si aveva sentito il suo territorio violato dalla sua presenza, e non era stata in grado di controllarsi. Quella Little doveva sapere che Danny ama Tamara, e non lei.
Quando si era tranquillizzata, appena Danny stesso le aveva confermato quella ‘legge’, lei glielo aveva portato via. Di sotto il naso, sfilato dalle sue mani come una caramella invidiata. Per carità, le dispiaceva per suo padre, ma Danny sarebbe dovuto rimanere a casa. Eppure non era servito a niente costringerlo all’interno dei confini inglesi, non era stato sufficiente spedire Dougie al suo posto. Danny era partito comunque, era andato da lei, glielo aveva appena detto.
In fondo Tamara lo aveva sempre saputo. Non era un’idiota: lo aveva chiamato più volte trovando il suo cellulare irraggiungibile, come le aveva detto una voce in una lingua straniera, mentre negli altri casi il classico suono dell'attesa sentito dalle sue orecchie non era quello a cui tutti gli inglesi erano abituati. Aveva atteso, aspettato che lui confessasse la verità, non avrebbe avuto senso andarsene senza che confessasse. Ora che lo aveva fatto poteva iniziare a raccogliere le sue cose ed andarsene.
Quei mesi insieme a lui erano stati i migliori tra quelli passati in compagnia di un uomo, o forse lo pensava solo perché sapeva di amarlo ancora… Le venne da chiedersi un’ultima cosa.
Danny l’aveva mai amata davvero?
 
 
Scese dal davanzale e, in punta di piedi, Joanna raggiunse il piano inferiore; sentire dai rumori nell’aria, Danny doveva trovarsi in salotto. Si affacciò nella stanza e lo trovò sul divano: le dava le spalle, non la stava vedendo né notando, ma lei poteva benissimo sentire sulla pelle quanto fosse agitato.
“Dan…”, gli fece, cercando di attirare la sua attenzione, “E’ tutto a posto?”
Lu si voltò, quasi di scatto, come se lo avesse colto in fallo.
“Oh… Sì, sì, tutto a posto.”, le mentì, con un sorriso stretto.
Si alzò e le andò incontro, cercando di nascondere il nervosismo.
“Che facciamo?”, le chiese, “Ci guardiamo un po’ di tv… Andiamo fuori, in giardino… Si sta bene, anche se fa caldo, e poi c’è un bel panorama.”
Joanna studiò il suo sguardo, cercò di capire che cosa fosse successo, chi avesse chiamato. Notò anche il lieve fremere delle sue mani ed aggrottò la fronte: lui, accortosi, si affrettò a nasconderle in tasca.
“Va tutto bene, Danny?”, gli chiese ancora.
“Sì, ho detto di sì, puoi stare tranquilla.”, cercò di convincerla.
“Ti ho visto al telefono, in giardino.”, gli rivelò, provando ad incastrarlo, “Ti hanno detto qualcosa di poco piacevole?”
“No, Little, lascia perdere.”, disse lui, passandole oltre per uscire dal salotto, “Andiamo fuori a prendere una boccata d’aria? Un caffè?”
Joanna incrociò le braccia e rimase in attesa di una spiegazione al suo stato d’animo.
“Per piacere, non insistere.”, disse Danny, “Non ci voglio pensare.”
“Pensare a cosa…”, gli fece.
Lo vide spazientirsi.
“Little, per un anno sono stato ad aspettare che tu mi parlassi.”, le disse, “Ora che mi trovo al tuo posto, posso avere del tempo per riflettere senza dovertene parlare?”
"Come vuoi.”, gli riferì.
Joanna ingoiò la risposta, lo superò e tornò nella sua stanza, senza voltarsi.
 
 
 
Danny tornò sul divano, appoggiò i gomiti sulle gambe e se ne stette in silenzio. Ancora doveva capire cosa era successo, era accaduto tanto di fretta che doveva essersi perso i passaggi fondamentali.
Era sicuro di aver chiuso la chiamata con Poynter, di averne avviata un’altra verso Tamara ed averle riferito che non era da sua madre, come le aveva detto mentendo, ma bensì in Italia, da Little. Il resto era abbastanza confuso e contorto. Con calma, però, le parole tornarono in superficie.
Bussò alla porta di Little, impaziente che lei gli aprisse, e si torturava il labbro inferiore.
“Potresti aprirmi?”, le chiese.
“No.”, fu la risposta secca.
“Per favore.”
“Ti ho detto di no.”
“Allora potresti almeno uscire?”, insistette, “Devo dirti una cosa.”
Lei non rispose.
“Little…”
“Ti ho detto di no, per piacere.”
Doveva parlarle da buon amico, e basta, perché ne aveva bisogno… Perché altrimenti sarebbe scoppiato. Abbassò la maniglia della porta.
“Danny!”, gli gridò contro lei.
Si voltò su se stesso e sparì dalla sua vita, ignorando il colorito rosaceo della pelle del suo seno, prontamente coperto con una maglietta trovatasi a portata di mano. Ancora incredulo, si appoggiò al muro accanto alla porta e fece scorrere la schiena sulla parete liscia per poi fermarsi a terra, seduto. Scosse via quell’immagine dalla testa, dimenticandosi presto della semi nudità di Little. Maledisse anche il ritorno delle sue pulsazioni aritmiche che avevano ripreso a torturargli di nuovo il petto e le orecchie.
Una volta calmato, uno strano particolare pizzicò la sua mente. Non fu in grado di inquadrarlo ma aveva visto qualcosa di strano su di lei. Per un attimo, lasciò perdere se stesso per concentrarsi su quel particolare. Dopo qualche istante sentì la maniglia scricchiolare ed abbassarsi, un paio di piedi uscire dalla stanza e Little si sedette davanti a lui, le gambe strette al petto come era suo solito stare.
“Cosa vuoi…”, gli fece, rossa in viso.
Prese un profondo respiro, e glielo disse.
“Ho detto tutto a Tamara.”
Little, prima fugace per la violazione dell’intimità a cui l’aveva involontariamente sottoposta, lasciò perdere ogni strascico del suo impaccio. Puntò gli occhi verdi dentro ai suoi, cercando di leggere.
 “Lo sapevo che sarebbe successo proprio così.”, disse poi, “Finisce sempre tutto così.”
Appoggiò la testa dietro di sé, contro al muro.
“Se mi innamoro di qualcuno, finisce sempre così.”, fece ancora.
“Così come…”
“Così.”, ripeté lui.
La guardò e vide che non capiva.
“Purtroppo negli anni ho imparato che certe cose per gli altri importanti, per me non sono al primo posto. E viceversa.”
“Sì, ma spiega solo parte della questione.”, disse Little, improvvisamente seria ed attenta.
Danny scosse la testa.
“Spiegami allora quali sono queste priorità.”, gli fece Little.
“Musica, amici e famiglia, il resto.”, disse, elencandole nelle quattro dita della sua mano sinistra.
“E dov’è che tu, esattamente, collochi Tamara?”, domandò lei.
Scrollò le spalle. Non sapeva cosa rispondere.
O forse non aveva mai cercato una risposta a quella domanda, che molto probabilmente non si era nemmeno mai posto.
“Tra la famiglia e il resto.”, disse, incerto.
 “Tamara non si merita questo.”. lo corresse lei.
“Non è colpa mia se il mondo in cui vivo mi ha fatto crescere in questo modo.”, si difese lui.
Era vero, totalmente vero. Le esperienze che aveva vissuto, i drammi e i divertimenti, gli avevano fatto capire che quella doveva essere la sua scala personale di importanza. Solo in quel modo era riuscito a tirare fuori la testa dalla merda in cui era stato spinto più volte, contro la sua stessa volontà.
“Stai continuando a colpevolizzare il prossimo senza prenderti le tue responsabilità.”, asserì Little, “Se Tamara non voleva che tu venissi qua in Italia… Non saresti dovuto venire e basta.”
“Stavi male, Little, e io volevo starti accanto!”, si giustificò ancora, per l’ennesima volta.
Non capiva dove aveva sbagliato, non c’era nessun errore in quello che aveva fatto.
“Lei ti voleva accanto a sé, non accanto a me. Non hai portato rispetto verso la persona che ami.”
“Non è vero.”
“Sì che lo è.”
“E perché?”
Little parve esitare.
“Perché se fossi stata al posto di Tamara, sarei stata gelosa esattamente come lei.”, spiegò lei, “Avrei avuto paura.”
“E’ lì che vi sbagliate, dovete fidarvi di me.” , le disse, scuotendo la testa, poco sorpreso.
“Sarei stata gelosa anche in quel caso, credimi.”, disse lei, con una mano sul cuore, “Perché posso fidarmi di te, ma non della persona con cui ti vai a trovare.”
“Mi parli come se fossi Tamara.”, le fece.
Joanna si rassegnò e preferì tornare in camera.
Le andò dietro, non stanco di quella conversazione.
“Spiegami”, la esortò, “perché Tamara dovrebbe essere gelosa di te.”
Si aspettava di sentire la stessa assurdità che la sua ragazza gli aveva urlato nelle orecchie a non finire, ma Little non gli rispose, ignorandolo per occuparsi dei vestiti sparsi sul suo letto.
“Parlami, per piacere.”, insistette.
“Non ne guadagnerei niente.”, sbuffò lei, irritata.
“Non siamo ad un concorso a premi, cazzo!”, esclamò, eccedendo nel tono di voce e nella rabbia, “Ed è l’ora che tutti mi trattiate per la persona che sono! Sono costretto ad interpretare ogni volta le vostre parole come se fossero degli stupidi enigmi su degli stupidi giornaletti da spiaggia e, francamente, non lo sopporto!”
E non aveva finito, no, voleva sfogarsi fino in fondo.
“Quando riguardano te, Little, tutti i discorsi diventano come delle sciarade. Nessuno dice mai le cose come stanno per paura di farti del male, per paura di farti piangere… E non è giusto, perché se ognuno avesse cercato di essere chiaro, di servire le cose su un piatto d’argento, tantissimi sbagli non sarebbero mai stati commessi! A partire da Dougie e da quello che è successo tra di voi… Per arrivare fino a me e te.”
“Non abbiamo niente da mettere in chiaro, Danny.”
Si trattenne.
“E invece sì.”, disse.
Si grattò la testa.
“Little, cosa siamo noi due?”, le domandò.
Era una provocazione, un incitamento bello e buono, eppure sembrava essere quello il punto focale della questione. Tutto ruotava intorno a quello, come se fosse stato il centro di un ipotetico sistema solare dove le sfere dei pianeti rappresentavano loro e tutte le altre persone a cui erano legati, o che vi si trovavano immischiate.
Little si voltò, lasciando perdere quel nervoso riassettare l’ordine della sua stanza.
“Conosco benissimo la risposta alla tua domanda.”, disse poi, “E tu la sai?”
Incrociò le braccia, certo che la sapeva.
Dovresti ribaltare la domanda che mi hai fatto, e chiedermi che cosa succederebbe nel caso fossi tu a capire qualcosa che non vorresti sapere.
Le parole di Arianna si fecero spazio nella sua testa con un’irruenza tipica di una battaglia greca. Aprì la bocca, fece per parlare, ma non uscì niente. Solo il boccheggiare delle sue labbra, vuote di parole. Non seppe rispondere.
Metti in chiaro quello che hai in testa, Danny, e poi ne riparliamo, ok?
Ci mancava solo lui, Dougie. Qquali altre persone dovevano comparire con le loro vocette petulanti, a mettere confusione in un posto dove mai c’ero stati ordine e quiete?
“Siamo amici, Danny.”, gli  ricordò Little, “Io e te siamo buoni amici.”
Ebbe un’aritmia cardiaca al contrario: per almeno un paio di secondi non sentì più alcun battito nel petto. Poi un tonfo sordo, e il cuore tornò a pulsare.
“Capito?”, disse lei sorridendogli, mentre un dito si era alzato per puntare sulla pelle della sua fronte, “E adesso dovresti fare pace con Tamara. Si vede che la ami, altrimenti non staresti così male.”
Si strinse in un sorriso forzato, alquanto doloroso.
“Vai a riposarti un po’, Jones, mi sembri abbastanza scosso.”, fece lei, tornando ai suoi vestiti, “Poi, se ti va, posso darti una mano a mettere a posto le cose con lei.”
Non seppe cosa dire, né cosa fare.
“Grazie…”, le fece, ma quel ringraziamento suonò più come una domanda.
“E di cosa?”, rispose lei, sorridendo ancora, “E’ il minimo che possa fare per restituirti il favore di essere venuto qua da me, nonostante tutto.”
“Ok.”
Uscì dalla sua stanza, lasciandola al suo lavoretto. Non seppe dirsi come mai, ma tutto quello che aveva sentito suonava terribilmente estraneo alle sue orecchie.
Soprattutto, faceva male.
 
 
Il primo passo per la guarigione era convincersi del proprio torto e prenderne atto. Lo aveva fatto egregiamente, parlandone a voce alta con il diretto interessato. Aveva stabilito a chiare lettere la natura della loro situazione reciproca, era stato Danny stesso a porgergli una domanda in quel senso, ed aveva risposto con una sicurezza che non era stata mai certa di avere.
Aveva preso la situazione di petto e l’aveva gestita nel migliore dei modi. Era fiera di se stessa, si sentiva sulla buona via, pronta per uscire dal vicolo cieco che aveva imboccato senza nemmeno accorgersene.
Però... Perché le veniva voglia di piangere?
Cercò di distrarsi e guardò l’ora, impressa sulla sveglia. Sarebbe stato una lunga fine di giornata e doveva impegnarla il più possibile.




Eccomi che arrivo con un giorno di anticipo!!!
Spero che tutte le feste siano andate bene e che non abbiate mangiato troppo, almeno non quanto me, altrimenti sarete messe piuttosto male... Io sono tornata piuttosto distrutta da sessioni di slittino montanaro, tanto che mi hanno soprannominata Silvia Slittino XDDDD Della serie: come dare spettacolo gratuitamente.

Non ho particolari specificazioni relative al capitolo di cui sopra... Mi sembra che la transizione sia finita, non credete? XD

Ringrazio vivamente tutte quelle che hanno letto l'ultimo capitolo e vi abbraccio forte forte :) Un salutino speciale a CowgirlSara: buon compleanno!!!!! Anche se caratterizzato dal medesimo mio innato ritardo!
Ah! Dimenticavo! Dedico questo capitolo ad una certa persona che mi legge di nascosto... Luvi, questo è tuo!
Scusate la brevità dei ringraziamenti, ma dolori vari e il Notredame su RaiUno sono un cocktail piuttosto devastante *sigh*

Alla prossima ragazze!!!! Auguri di Buon Anno a tutte voi!!!



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Capitolo 13
*** My Last Request ***


 
 
Grant my last request and just let me hold you,
don't shrug your shoulders, lay down beside me...
Sure I can accept that we're going nowhere,
But one last time let's go there.
Lay down beside me...
 
 
 
Aveva fatto davvero come lei gli aveva consigliato. Si era disteso sul letto ed aveva staccato la mente, si era riposato ed adesso tutto sembrava molto più chiaro. Così chiaro che avrebbe voluto dormire ancora, così la mente non lo avrebbe disturbato. Si rigirò sul letto, avvolgendosi nelle lenzuola ormai calde ed abituate al suo corpo, per poi alzarsi e infilarsi sotto la doccia, per evitare di presentarsi con la pesantezza di giornata faticosa.
Mentre l’acqua scorreva limpida su di lui, fu inevitabile sentire l’eco delle parole di Tamara.
‘Pensavo che tu mi amassi.’
 ‘Sei uno stronzo.’
 ‘Lo sapevo che avresti fatto come cazzo di pare.’
‘Io non conto niente per te.’
‘Stattene dalla tua amichetta e non farti più vedere.’
‘Sono contenta che sia finita, mi ero stancata di essere sempre al secondo posto’.
No, non si sarebbe arreso così facilmente. Non esistevano relazioni importanti che finivano con una telefonata dall’estero. No, non l’avrebbe accettato, se voleva lasciarlo doveva dirglielo in viso, e non tramite un cellulare. Con quello poteva arrabbiarsi, gridare, urlargli contro tutte le offese del mondo, ma tra lui e Tamara non era finita, come lei aveva detto. Si innervosì all’inverosimile quando sentì trillare ancora quell’aggeggio infernale, mentre Danny si stava asciugando i capelli, guardandosi allo specchio alla ricerca delle parole giuste con le quali recuperare la sua relazione.
Prese il telefono, fece per rifiutare la chiamata ma lesse il nome di sua sorella e, dato che non la sentiva da diversi giorni, decise comunque di accettare.
Perché ho provato a chiamarti tre volte e mi ha sempre risposto una strana voce registrata?”, gli chiese lei.
“Perché non sono a Watford, Vicky, sono in Italia.”
Percepì la sua perplessità sulla pelle.
E cosa ci fai da Joanna?”, sbottò Vicky, fintamente sorpresa.
“Smetti di fare la finta tonta, lo so che lo sai.”
Lei rise, l’aveva presa contropiede ma la conosceva troppo bene. Non si sarebbe fatta sconfiggere nemmeno da un carro armato puntato contro.
Allora suppongo che tu sappia anche che io so quello che tu non sai di sapere.”
Tipico discorso totalmente incomprensibile di sua sorella.
“Ok, Vicky, è stato un piacere sentirti.”, le fece, con l’intenzione di attaccarle il telefono in faccia.
E dai, non vuoi proprio sapere quello che la sorellina sa?”, lo stuzzicò lei, inutilmente.
Danny sospirò, arrendendosi. Perché le donne, di qualsiasi corporatura, bellezza e relazione di sangue, avevano sempre quell’effetto su di lui?
“Dai, spara.”, le fece, senza interesse.
Non ti farò il solito discorso, né la solita predica.”, anticipò Vicky, “Perché sono sicura che non mi ascolterai, pensando che io stia parlando di sane cavolate.”
“Vai avanti.”
L’ho sempre saputo!
Danny rimase allibito, ma non si lasciò stupire. Era solo un altro guazzabuglio made in Vicky Jones, prima o poi avrebbe capito a cosa si riferiva.
“Saputo cosa…”
Che stavi insieme a Tamara solo per dimostrare che mi sbagliavo su Joanna!”, ridacchiò l’altra, “Lo sapevo, lo sapevo e lo sapevo!
Sicuramente stava saltellando di gioia, felice nell’aver ancora sorpassato il fratellino scemo.
“Vic, ma di cosa stai parlando?”, le fece.
Ascoltami, demente, so benissimo di cosa sto parlando.
“E allora spiegati meglio.”
Sicuramente la tua mente bacata non si ricorda… Ma il giorno di Natale, o giù di lì, abbiamo avuto una delle nostre incazzature reciproche.”
“Certo che me la ricordo, mi chiamasti ‘rantolo strozzato che non vale la pena di essere tenuto in gola’…”
Non quella volta, quello è stato il Natale di due anni fa… Mi riferivo all’ultimo.”, lo contraddisse lei.
Ci pensò.
“Sputacchiera bucata.”
Esatto, ti chiamai proprio così.”, disse lei, con tono conciliante, “Insomma, l'argomento centrale della questione… Inutile dire altro. E chi mi presentasti, nemmeno due settimane dopo?
“Aspetta, fammi riflettere… Tamara per caso?”, le fece con sarcasmo.
Bravo Daniel Alan David.”, ripose la saccente Vicky, “Proprio così. Ora, dato che siamo famosi per i nostri tentativi di cercare di  avere ragione sull’altro, ammetti che sono sempre stata dalla parte del giusto e che ho visto lontano.”
“Tra noi due sei tu quella miope, io ci vedo benissimo.”
Eh, allora devi essere presbite, perché non riesci a vedere un bel cazzo ad un palmo dal tuo naso.
“Vic, senti, ho da fare.”
No, non hai un bel niente da fare. E se provi a chiudere la chiamata chiamo il Daily Mirror e vendo l’esclusiva sulla fine della storia con Tamara.”, lo intimò lei.
“Non lo faresti mai.”
Scommettiamo?”, lo sfidò lei, e lo costrinse ad immaginarsela con le braccia conserte, a dondolarsi, in attesa della risposta alla sua sfida.
Meglio non scherzare con Vicky, l’aveva imparato a sue spese più volte.
“Vicky, lo sai che non mi sono messo con Tamara per dimostrarti che non provavo niente per Little… Sarebbe un’assurdità!”
Infatti, lo è.”, e si mise ad esultare ancora.
“Amo Tamara.”
E chi lo mette in dubbio? Puoi volerle il bene di tutto mondo, ma di una cosa sono sempre stata certa. Quella Little è stata troppo spesso sulle tue labbra per essere semplicemente un’amica. Ti ricordi Max?
Max chi?
Ah, quel Max: era il ragazzo che Vicky aveva odiato fin dal primo giorno d’asilo, quello che non aveva mai smesso mai di nominare quando tornava da scuola, rivoltandogli contro tutto l’astio che provava per lui, e con cui poi era stata per ben tre anni, alle superiori.
“Ma non è la stessa cosa!”, protestò Danny.
Lombrico, siamo uguali. Per anni ho parlato male di lui, poi ci ho perso la verginità. Tu hai spezzato un intero esercito di lance a favore di Joanna, e scommetto che prima o poi ci sbatterai la testa come me.
“Il mio tempo è proprio scaduto, Vicky.”
Gira la clessidra, non ho mica finito!”, esclamò lei, “Devi dirmi che ho ragione.”
“Ciao Vic, salutami la mamma!”
Ma che caz…”
E chiuse la chiamata, censurando la parolaccia che sua sorella stava per pronunciare. Lui non si era innamorato di Tamara per dimostrarle che si era sbagliata, e durante quella lunga discussione di Natale, una volta tra le tante, era stato lui ad avere avuto ragione e lei torto. Tamara gli era piaciuta per il suo sorriso, perché lo aveva fatto stare bene e perché con lei si era sentito diverso da sempre, come quando provava qualcosa di più per una ragazza. No, non poteva essere assolutamente vero.
Smetti di prenderle in giro entrambe…
Nuovamente, la voce di Dougie si ripresentò nelle sue orecchie. Buttò il telefono sul comodino. Gli venne voglia di lasciare andare tutto e prendere a pugni qualcosa. Ma a che pro? A cosa poteva servire fare il bambino viziato, quello che fugge davanti ai suoi problemi?
“Signor Jones, è sveglio?”, squillò la voce di Arianna, nel corridoio.
Non l’aveva sentita rincasare e la ringraziò per averlo tolto da una possibile e poco jonesiana crisi isterica.
“Sì, entra pure.”, le fece.
“No, esci tu!”, disse lei, ridendo.
E la accontentò.
“Santissimo Dio, copriti!”, sbuffò la donna, ridendo “E’ già la seconda volta che attenti alla vita del mio vecchio cuore!”
“E perché?”, fece lui, guardandosi addosso e trovandosi solo in pantaloni, “Ti da fastidio?”
“Oh, no, figurati! E’ sempre un piacere!”, e si mise a ridere, “Senti, convinci la tua amica ad uscire di casa?” , borbottò Arianna,
La guardò curioso.
“Veramente oggi siamo già stati fuori.”, le disse, “Anche se non per molto, ma siamo comunque usciti insieme.”
“Oh, buono a sapersi.”, esclamò lei.
Sembrava avesse fretta di fare qualcosa: Danny notò la  borsa già in spalla, il trucco sistemato, i capelli a posto. Doveva essere tornata mentre lui dormiva e sicuramente stava per ripartire. La trovò tutto sommato strana. Doveva essere sua abitudine lasciare Little completamente sola in casa, oppure la sua continua assenza era consapevole e voluta.
“Vai da qualche parte?”, le domandò direttamente, indicando velocemente la sua borsa.
“Sì, un tizio mi ha invitato a cena.”
“Un tizio…”, disse lui, sorridendo.
“Maschio ottuso.”, bofonchiò la donna, con complicità.
“Dov’è Little?”, le chiese.
“Sta cercando di trovare il pelo nell’uovo.”
“Come scusa?”
“E’ in salotto, ho voluto impiegare il suo tempo nella pulizia della casa.”, gli spiegò lei, sempre più volenterosa di liberarsi di lui, “Lo avevo già fatto personalmente, ma sembra così volenterosa che ho deciso di non disturbarla.”
“Ah, ok.”, le rispose, “Comunque mi dispiace che te ne vada un’altra volta, sarebbe stato bello cenare tutti insieme, con normalità.”
“Figliolo, in questa casa la normalità non esiste.”, rise lei di gran gusto.
Gli rifilò poi un sorriso ampio e caldo, strinse la sua guancia tra il pollice e l’indice e se ne andò via, brontolandolo per avergli fatto fare tardi alla cena con il suo tizio. La sentì salutare Little e, quando percepì anche il rumore della porta d’ingresso che si chiudeva, scese il piano. Si appoggiò allo stipite del soggiorno, incrociando le braccia. In piedi sull’ultimo gradino di una piccola scala, Little si stava occupando del ripiano più alto della libreria. Se l’avesse chiamata l’avrebbe sicuramente spaventata, rischiando di farla cadere per terra. Decise così di aspettare che terminasse il suo compito: una volta con i piedi per terra, sarebbe stato meno pericoloso disturbarla.
Se al mondo c'erano due persone totalmente diverse, erano proprio Tamara e Little. Talmente all’opposto che anche un cieco avrebbe notato la minima differenza tra loro. Di entrambe conosceva aspetti che amava ed altri che odiava, come era giusto che fosse, e come normalmente capitava ad ogni essere umano.
La vide scendere dalla scala, con movimenti traballanti ed incerti, ma alla fine atterrò con tranquillità.
“Little.”, la chiamò e, come aveva previsto, lei sussultò, “Scusami, non volevo spaventarti.”
“Non ti immaginavo proprio lì.”, fece lei, una volta ripresasi, “Da quanto è che stai come un fesso sulla porta?”
“Pochi secondi.”, le mentì, sottraendo una bella manciata di minuti al tempo speso ad osservarla.
Little richiuse la scala e gli andò incontro.
“Fame?”, chiese lei, sorridendogli.
“No, non ancora.”
“Oh…”, borbottò lei, aspettandosi forse una sua risposta positiva, “Sete?”
“Nemmeno.”
“Uhm… Qualcos’altro?”, chiese, ridendo.
“Niente in particolare.”, le disse.
“Ok.”, rispose lei, stringendosi nelle spalle ed uscendo dal salotto.
La seguì, accompagnandola in cucina, dove ripose la scala in una fessura tra gli scompartimenti della dispensa; gettò via lo straccio penzolante dalla sua tasca posteriore dei pantaloncini.
“E’ tutto ok, Danny?”, fece lei, sentendosi solo lievemente esaminata.
“Certo.”
“E allora perché mi segui?”, gli chiese, visibilmente a disagio.
“Non so cosa fare.”, le rivelò con semplicità.
“Vuoi dirmi qualcosa, per caso?”
“Non saprei… Prima ha telefonato Dougie. Voleva sapere come stavamo.”
“Sì, l’ho chiamato anche io.”, disse lei, in un sorriso stretto.
“Ah… Davvero?”
Si stupì dell’essere stupito di quel suo gesto. Little annuì.
“E perché?”, le chiese, di rimando.
“Beh… Avevo voglia di sentirlo, di sapere se aveva fatto buon viaggio di ritorno. Tutto qui.”, rispose, “C’è qualche problema?”
“Oh no, figurati!”, disse lui, prontamente, “E’ che ancora mi suona strano che voi due siate… Insomma, che siate tornati amici.”
Lei lo scrutò per qualche secondo.
“Non è stato facile da accettare neanche per me, ma ci siamo buttati tutto alle spalle.”, disse, appoggiandosi alla cucina, braccia conserte.
“E… Cosa avete fatto di bello… Quando non c’ero?”, le domandò.
Little si imbronciò.
“Scusami, non volevo essere invadente.”, le disse, “Volevo solo chiacchierare un po’ e, come sempre, ho scelto il punto di partenza sbagliato.”
Parve indecisa sul da farsi. Prese un profondo respiro ed intrecciò le dita, mentre gli occhi fuggivano velocemente.
“Mi ha baciato.”
Un’altra di quelle fottute aritmie al contrario.
“Come scusa?”, le chiese di ripetere. Non aveva capito.
 “Ci siamo baciati. O meglio, lui ha baciato me.”, ripeté Little.
Si erano baciati, lui l’aveva baciata, non c’era alcuna differenza.
“Beh, sono contento per voi.”
, disse a stento.
In fondo, a lui cosa doveva importare di quello che succedeva tra Little e gli altri ragazzi? Lei aveva tutto il diritto di trovare qualcuno con cui stare, da amare, così come lui aveva trovato Tamara, e le altre prima di lei.
“E poi... Cosa è successo?”, insistette, “Perché non me lo hai detto?”, le fece.
 "Sinceramente non ci ho nemmeno pensato.”, rispose lei, “Non ne ho avuto tempo…”
Danny scosse la testa, cercando in un attimo di dare un senso a tutto quello, tanto che i suoi poveri neuroni fecero corto circuito di lì a poco. Più che altro, più di tutto, si stava sentendo in giro da entrambi. Perché non glielo avevano detto?
“Ma come fai a non pensare ad un bacio, Little!”, sbuffò, “Insomma... E’ un bacio, significa tutto!”
Lei aggrottò la fronte, perplessa.
“Dan... Calmati.”, gli fece, con bizzarra tranquillità, “E’ stato un errore, ci siamo chiariti subito e la cosa è morta lì...”
“Ma questo vuol dire che Dougie…”, asserì, animandosi ancora di più, “Che Dougie ti sta prendendo in giro di nuovo!”
“No, non è vero, è capitato per sbaglio, perché era un momento...”
La interruppe.
“E’ uguale!”, esclamò, “Un bacio è sempre un bacio!”
Little roteò gli occhi ed alzò le spalle, segno che si stava arrendendo.
“Ora basta, non voglio continuare oltre.”, fece lei, scrollando le spalle, “Dimmi, hai più sentito Tamara? Hai cercato di sistemare le cose con lei?”
Tamara? Sintonizzò la mente su di lei ma sembrò non trovare campo, né frequenza. C’era solo quella fastidiosissima questione del bacio che voleva risolvere. Little comprese cosa gli stesse passando per la testa e sbuffò rassegnata, come se ormai non ci fosse stato più niente da  recuperare, ed anche la voglia di impegnarsi nel rimettere in sesto i cocci era evaporata come acqua al sole. Se lo era detto più volte: ogni volta che facevano un passo avanti, li aspettavano almeno dieci indietro.
“Cos’altro vuoi sapere?”, lo provocò Little, “Se abbiamo dormito insieme? Sì, lo abbiamo fatto, e non perché sia successo qualcosa tra di noi, non perché lui abbia cercato di farmi del male come pensi. Vuoi sapere se mi ha abbracciato? Sì, e lo sa fare anche meglio di te, perché non mi chiede niente in cambio. Vuoi sapere se mi ha mai detto di volermi bene?”
Esitò, ritrovando la forza che le era mancata.
“Sì, certo che me lo ha detto.”
Si sentì così in colpa che avrebbe voluto morire.
“Spiegami una cosa.”, fece poi, “Perché continui a prendere sul personale ogni cosa che mi riguarda? Ti ho detto del bacio perché volevo che  ne fossi a conoscenza, che capissi che era stato un errore. Fine della questione. Avrei potuto tenertelo nascosto, così come tante altre cose, ma ho voluto dirtelo. Sto cercando di migliorarmi, di cambiare perché so che il mio brutto carattere ci crea dei problemi, ma così non mi stai aiutando affatto.”
E poi scosse la testa.
“Te lo dico con sincerità, Danny.”, continuò Little, “Forse è solo per colpa di questo brutto momento, la morte di mio padre ha complicato così tante cose che nemmeno io riesco a farmene un’idea. Però... Ti ripeto quello che mi dicesti qualche giorno fa per telefono.”
Ebbe paura a chiederglielo.
“Cosa?”
Lei sospirò.
“Se continuiamo così, io non voglio andare avanti.”, disse, così piano che parve solo un sussurro lontano, “Danny, in questo momento non voglio altra pressione sulle spalle,  e tu non fai altro che aggiungerne sempre di più. Dovresti aiutarmi ad alleggerirla ma non lo stai facendo, stai solo peggiorando la situazione.”
Si passò una mano tra i capelli.
 “Scusami.”, riuscì a dirle, “Non volevo farti arrabbiare ancora...”
Il suo pentimento non la convinse affatto.
“Ti prometto che cercherò di aiutarti nel migliore dei modi possibili.”
“Da quando sei arrivato, non ci sei mai riuscito.”, disse lei lasciandolo solo, in cucina, in silenzio.
Nonostante le parole, i litigi, gli scontri e gli incontri, nonostante i buoni propositi e le intenzioni mancate, nonostante tutto, Little cercava ancora di venirgli incontro, di accontentarlo, di assecondarlo. Continuava a piegarsi alla sua volontà, alle sue pretese, alle sue stupide convinzioni. E nonostante tutto quello, nonostante anche la continua paura che aveva di perderla, lui non cambiava mai. Non avrebbe mai imparato niente. Forse  lo stava davvero meritando, forse qualcuno voleva punirlo, farlo stare male solo per impartirgli la più sonora lezione della sua vita.
La sentì salire le scale e, prima che fosse sparita per l’ennesima volta, decise di seguirla.
“Little.”, la chiamò, facendola voltare, “Scusami, davvero. Scusami.”
“Beh, non mi ci vuole niente perdonarti, lo sai.”, disse lei, “Ma poi tutto torna come prima.”
Danny allungò una mano verso di lei.
 “Ti prego.”, le disse.
Aveva avuto milioni di seconde occasioni, di nuove possibilità, di ulteriori chance. Finite tutte dritte nel cesso, una dopo l’altra.
“Te lo giuro, Little, ho davvero imparato la lezione.”
“Non si cambia in cinque minuti, Danny.”, disse lei, “Forse dovresti davvero tornare a casa e sistemare la tua vita. Qua tutto è troppo incasinato per te.”
No, non ci stava, quello non lo avrebbe davvero accettato. Non si sarebbe fatto sbattere la porta in faccia per la seconda volta, nello stesso giorno. Tamara poteva aspettare, ma non Little. Salì in coppia gli scalini che li separavano, fermandosi su quello immediatamente precedente al suo. Quel dislivello gli dava la possibilità di poterla guardare dritta negli occhi, senza alcuna differenza di altezza. Voleva essere al suo stesso piano.
“Anche io voglio essere sincero con te, Little.”, le disse, prendendo un profondo respiro.
Lei si mise in attesa delle sue parole, che sembravano non arrivare. Riusciva solo a spostare freneticamente gli occhi ovunque, tranne che su di lei. Doveva essere un comportamento che aveva assorbito a forza di starle accanto, oppure era semplicemente troppo difficile trasformare in parole certi pensieri difficili da sopportare. Tutto quello che aveva temuto, tutto quello che aveva cercato di esorcizzare per tenerla al sicuro non era stato la possibilità di una pace tra i due, di una nuova amicizia.
Era invece quel bacio, quella evenienza.
Quel bacio lo infastidiva, così come lo aveva infastidito quel sonoro schiocco che aveva sentito, l’altro bacio che si erano dati in cucina, il giorno dopo il suo arrivo. Se stavano insieme potevano anche dirglielo apertamente, non dovevano continuare a mascherarsi con questa farsa dell’amicizia... Sarebbe stato felice per loro.
“Non essere geloso di Dougie.”, lo anticipò Little, “Il rapporto che ho con entrambi è così diverso che non ne vale la pena.”
Era geloso di Dougie, lo ammetteva pienamente in quel momento come non mai, e se ne dispiaceva, perché odiava quel sentimento ma lo stava
inevitabilmente provando.
Che cosa succederebbe nel caso fossi tu a capire qualcosa che non vorresti sapere?
“Non so perché ma il pensiero che tu e Dougie vi siate baciati mi resta veramente... Difficile da digerire.”, le disse.
"Perché? Qual è il problema?”, chiese lei, animandosi, “E’ stata una cazzata, un’idiozia! Non è successo nient’altro!”
“Lo so! Ti credo! Ma mi da comunque fastidio!”, voleva arrivare fino in fondo, “Così come mi ha dato anche fastidio vederti tornare con Harry, dalla gita a cavallo... Voi due che ridevate, io che mi preoccupavo....”
“Non so come fartelo capire, Danny.”, disse lei, scuotendo la testa ed allargando le braccia, “E’ un problema che io mi faccia altri amici? Ti lamenti tanto della gelosia di Tamara e sei addirittura peggio di lei.”
Che cosa succederebbe nel caso fossi tu a capire qualcosa che non vorresti sapere?
“Perché dobbiamo costantemente litigare, Dan...”, si riprese Little, “Non ne ho più voglia... Non ha senso continuare così.”, e si voltò, percorrendo gli ultimi scalini.
Aveva voluto rovinare tutto, fino alla fine.
Che cosa succederebbe nel caso fossi tu a capire qualcosa che non vorresti sapere?
Che cosa sarebbe successo nel caso in cui avesse capito qualcosa che non avrebbe voluto sapere? Avrebbe preso gli ultimi pezzi di quel rapporto, raccogliendoli da terra per stracciarli e renderli polvere.
“Little.”, la chiamò, prima che lei chiudesse la porta della sua stanza, escludendolo una volta per tutte dalla sua vita.
Che cosa succederebbe nel caso fossi tu a capire qualcosa che non vorresti sapere?
Quella domanda continuava a trafiggergli le orecchie e faceva così tanto male che preferì lasciare le scale, diretto verso qualcosa che avrebbe lo sicuramente distratto, come era sempre stata capace di fare.
La musica.
 
 
Si erano lasciati, per colpa sua. La relazione tra Danny e Tamara era finita e lei ne era responsabile, ma avevano già discusso su quel punto, lei gli aveva già detto di non voler essere colpevole per aver involontariamente causato la sofferenza di qualcuno, e quando lo aveva visto sconvolto, nervoso, e bisognoso di parlare era stata pronta ad assisterlo.
Come qualsiasi amico avrebbe fatto.
Anche se le costatava una fatica immensa ed una dose di autocontrollo che era sicura di non possedere né adesso né mai, voleva farsi in due per aiutarlo a farsi perdonare da Tamara, perché sapeva quanto lui le voleva bene.
Come qualsiasi amico avrebbe fatto.
Perché loro due erano quello, erano amici, e gli amici si aiutavano quando erano nel momento del bisogno. Ma ogni volta, ogni sacrosanta volta che Danny si comportava in quel modo, lei iniziava a sentirsi come dentro ad una prigione. Tutto quello che faceva, che diceva, che pensava, doveva renderne di conto a lui.
Aveva pianto una vita dentro ad una cella, e non voleva mai più tornarci dentro.
Forse era l’ora che Danny sapesse davvero.
Tutto.
Carica di rabbia e rancore, qualcosa di cui forse non si sarebbe mai liberata del tutto, uscì fuori dal posto più sicuro del mondo, la sua camera, e scese le scale. Sentiva della musica, piano, quasi sussurrata dalle casse dell’impianto del salotto. Danny doveva aver messo su qualcosa, tanto per ingannare il tempo e non sentirsi troppo in colpa, come era suo solito fare. Riconobbe le note dolci della chitarra di Eva Cassidy, una delle artiste preferite di Arianna e a cui lei si era abituata. Niente di meglio per rilassarsi e, se non ricordava male, anche a lui piaceva molto.
Si era seduto sul divano, il gomito ben saldo sul bracciolo mentre la mano aperta sosteneva la testa, lievemente inclinata, e le dita tenevano il tempo di una lenta ballata blues.
Prese un profondo respiro.
“Dan?”, lo chiamò.
Non rispose, né si mosse, e le dita si fermarono sui braccioli.
Inconsapevolmente, le stava rendendo le cose più facili, molto più facili.
“Puoi anche rimanere lì dove sei, non mi importa. Basta solo che tu mi ascolti. Che tu mi ascolti bene.”, gli disse.
Inspirò ancora, acquistando forza.
“Ti odio. Ti odio davvero tanto.”
Glielo aveva detto.
“Ti odio perché mi fai stare male. Da quando sono nata ad oggi, tutti quelli che mi hanno fatto sentire così li ho buttati fuori dalla porta di casa, oppure sono morti. E non avrei mai pensato che avrei odiato anche con te.”
Strinse i pugni.
“Ma prima di chiederti di lasciare questa casa e tornartene da dove sei venuto, ti voglio dire quello che hai preteso di sapere da sempre.”
Sì, glielo avrebbe detto, si meritava di andarsene con quel peso sulle spalle.
“Sai come si chiamava mio padre?”, gli fece, “Si chiamava Stefano. E sai da quanto tempo non pronunciavo più il suo nome? Da almeno tre anni. Hai un’esclusiva, Danny, e nemmeno  te ne rendi conto, perché odio talmente quel nome che mi fa schifo solo pensarlo. Dougie non lo sa, ora potrai sentirti realizzato nell’essere un passo avanti a lui.”
Aveva una valanga di particolari come quello che non aveva mai rivleato a nessuno, avrebbe potuto spendere tutte le ore della notte nel raccontarglieli, per la sua contentezza.
Ma non era assolutamente necessario.
“Ti chiederai perché non abbia tutta questa buona stima di mio padre, perché non lo abbia mai nominato, perché sia sempre stata reticente nel parlare della mia famiglia in generale. Danny, se tu avessi avuto qualcuno che ti picchiava continuamente, senza un valido motivo, credo che saresti stato esattamente come me. Con i miei stessi problemi, le mie stesse paure, e la mia stessa voglia di tenere tutto dentro.”
Odiava sentire riaprirsi quella ferita inguaribile e le venne da piangere, ma si trattenne.
“Ogni momento poteva essere quello giusto per alzare le mani su di me, per farmi del male. Ti chiederai perché nessuno abbia mai fatto niente per fermarlo. La risposta è alquanto scontata: tutti avevano paura di lui e l’unica soluzione era stargli lontano ma, questo lo sai anche tu, sono andata a finire nella rete di Miki, che non era peggiore dell’altra, però si somigliavano molto.”
Stava provando gusto nel trattarlo in quel modo.
“Vuoi sapere dove a lui piaceva picchiarmi particolarmente? Sulla schiena, perché lì non si vedeva, perché lì gli altri non avrebbero visto. Però qualche volta andava pesante anche sulle braccia, costringendomi a giustificare i lividi con la mia goffa presenza fisica. Evitava con cura di toccarmi il viso perché i segni sarebbero stati inequivocabili ma a volte, quando era veramente incazzato, non disdegnava darmi qualche schiaffo.”
Avrebbe smesso solo se lui si fosse voltato.
“Ora sai più o meno le stesse cose di cui anche Dougie è a conoscenza. Sei contento? Sei ancora geloso di lui? Oppure vuoi che mi tolga la maglietta e ti faccia vedere il più bel ricordo che ho di mio padre?”, gli chiedeva, “Ah no, è vero, come ho fatto a scordarmi che oggi sei entrato in camera e mi hai visto praticamente nuda! Tu l’hai già notata, sai di cosa sto parlando, e se fossi solo un attimo più intelligente capiresti anche un’altra cosa. Cioè che in piscina, a casa tua, indossavo la t-shirt non per paura di scottarmi, ma perché non volevo che tu la vedessi.”
La sentiva quasi bruciare, come se fosse ancora viva.
“E’ cambiato qualcosa tra di noi, ora che lo sai?”
E lui se ne rimaneva lì, con la testa appoggiata sulla mano, seduto, tranquillo. Sembrava addormentato. Non dava alcun cenno di aver ascoltato, né lo sentiva emettere qualsiasi rumore, neanche un solo e semplice respiro. Che cosa gli sarebbe costato voltarsi e parlarle? Ora che aveva finito poteva farlo tranquillamente, non aveva niente da aggiungere, aveva detto tutto il possibile e l’immaginabile.
“Dì qualcosa, almeno!”, lo provocò per l’ennesima volta, “Sembra che tu non abbia capito assolutamente un tubo.”
Qualche attimo di silenzio.
“Ho capito.”, disse, con voce terribilmente bassa.
Non le bastava, assolutamente no. Una risposta semplice come quella non era sufficiente. Aggirò il divano, bracca incrociate, e gli si pose davanti. Era bello, una volta ogni tanto, guardarlo dall’alto in basso, fargli provare un po’ di quel senso di inferiorità che i tipi della sua altezza inducevano da sempre nelle ragazzine come lei.
Testa bassa, nessuna volontà di darle l’attenzione che si meritava. Danny l’aveva tartassata, lui e le sue richieste di spiegazioni, e ora che gli aveva fornito i dettagli più importanti sembrava fregarsene. Dal canto suo non fece niente, aspettò solo che lui alzasse gli occhi per degnarla di un po’ di rispetto. Dovette attendere una manciata di tempo prima che lui la accontentasse, facendole gelare il sangue. Le si bloccò il respiro in gola.
Danny si passò una mano sulla guancia, cancellando via il segno trasparente che la imbruttiva.
“Potresti farmi gentilmente passare?”, le chiese, ancora seduto, “Vorrei andarmene.”
Non seppe rispondergli.
Si alzò, annullando ogni senso di stupida superiorità.
“Ti ho chiesto di spostarti.”, si spiegò meglio, “Dovrei andare a cercare di rimettere a posto le cose con Tamara.”, e si asciugò anche l’altra lacrima.
Un borbottare simile ad un ‘va bene’ precedette il suo spostarsi di lato, per permettergli di uscire dal salotto a passi veloci. Il rumore delle scarpe sugli scalini la svegliò.
“Dan!”, lo chiamò, correndogli dietro.
Più o meno nello stesso punto in cui lui le aveva teso la mano, nel tentativo di farsi ascoltare e perdonare, Joanna si trovò a fare la stessa medesima cosa. Prese il suo polso e lo costrinse a fermarsi.
“Danny, per piacere, stammi a sentire…”, cercò di trattenerlo.
“No, ho sentito abbastanza.”, si oppose lui, “Adesso lasciami, devo telefonare a Tamara.”
Le sue dita si erano strettamente saldate al suo polso, stringendolo più che poteva, e comunque non fu sufficiente, perché non riuscì a resistere alla mano libera di Danny, che un dito dopo l’altro si sbarazzò della sua presa.
Aveva avuto ragione Dougie.
Se sbagliava, se continuava a sbagliare e se avrebbe sbagliato per sempre in futuro, era sempre e comunque colpa del suo dannato vittimismo. Lei e il suo vedere tutti, compreso Danny stesso, come un nemico sempre pronto ad attaccarla. Se fosse stata più calma, se non si fosse fatta prendere dal panico, la questione del bacio si sarebbe potuta risolvere con tranquillità, facendo capire a Danny che era stato un errore e che non doveva preoccuparsene, perché tra lei e Dougie si era chiarito tutto e subito. Quello sfogo crudele era stato completamente gratuito.
Danny poteva essersi preoccupato per lei, pure un pochino troppo, ma di certo quello non giustificava la cattiveria con cui gli si era rivolta.
Prigioni. Prigioni…
Ma quali prigioni, era lei che si strozzava con le sue stesse mani.
 
 
 
 
Una decina di chiamate perse. Aveva un unico modo di contattare il mondo d’oltremanica e lui lo dimenticava, come se fosse stato inutile. Controllò ed ebbe la netta sensazione che Tom lo stesse cercando con urgenza, era stato lui a telefonargli con così tanta urgenza. Accantonò per un attimo Tamara per dedicarsi a lui, che rispose dopo qualche squillo.
Dan, mi stavo decisamente preoccupando.”, gli fece, “E’ tutto a posto?
“Hai una domanda di riserva?”, ridacchiò, piuttosto che piangere ancora, “Perché non è che abbia molta voglia di rispondere.”
Ok, ho capito…”, disse Tom, con il suo solito tono conciliante.
“Cosa volevi, Fletchy?”, gli domandò.
Uhm… Beh, niente di importante…”, rimase sul vago, “Solo sapere come stavi.”
“Meno male che non sai dire le bugie così come scrivi le canzoni, altrimenti saresti da rinchiudere.”, lo colse in contropiede, “Dimmi cosa c’è, Tom.”
Ma no… Non è poi così… Importante.
“Fletcher, per cortesia.”
Ci mancava solo quello, che si mettesse a fare il prezioso. Quella era una giornata di merda, perché cercare di renderla migliore, di alleggerire la pillola? Sentì dei rumori di fondo, gli parve quasi di riconoscere la voce di Harry.
“C’è Drummer McHot lì con te?”, gli fece.
Sì, è qua a casa mia.”, rispose Tom.
“Potrei parlare con quel coglione?”, distinse nettamente le parole di Harry.
Tom si preoccupò di tappare la cornetta, cosicché non potesse sentirlo, ma l’orecchio fine del musicista serviva anche a quello, cioè ad ascoltare conversazioni a lui estranee.
No, lascia fare a me.”, rispose Tom a loro batterista, “Glielo dico io.”
Tu sei sempre troppo buono, fammici parlare.”, ripeté Harry.
Ti dico di no, ci penso io, credi che sia deficiente?
Sei totalmente incapace di dare notizie del genere, dammi quel telefono.”
No!
Fletcher!
Danny sbuffò in una risata. Come rimedio anti-tutto, i McFly erano meglio di qualsiasi altro conforto.
Ti ho detto di no, torna a giocare con la X-Box!”
E dammi ‘sto cazzo di telefono…
La breve litigata, seguita da una piccola colluttazione sul possesso del cellulare di Tom, lo distrasse dall’idea di dover ricevere una notizia dai duellanti.
Jones, ci sei sempre?”, prevalse la voce di Harry su un definito vaffanculo da parte di Tom.
“Sì, sono qua. Cosa c’è?”, gli disse.
Judd si schiarì la gola.
Tamara se n’è andata di casa. L’abbiamo vista uscire con le sue cose e salire in macchina di una sua amica, quella con i capelli rossi e ricci.”, sciorinò con semplicità.
Ma ti sembra questo il modo di dirglielo!”, protestò Tom in sottofondo, prontamente zittito da Harry.
“Ah… Ok, grazie per avermelo detto, Harry.”, gli disse, “Hai nient’altro da farmi sapere?”
Oh, sì, visto che ci sono un paio di cose devo proprio dirtele, Jones.”, fece l’altro.
La pianti?”, lo sgridò ancora Tom.
“Dimmi pure.”, lo esortò Danny.
Senti, sono sicuro che appena capirai quello che voglio dirti inizierai subito col darmi del demente e del visionario”, anticipò Harry, “ma voglio comunque continuare.”
“Vai pure, tratterrò ogni commento fino alla fine del tuo discorso.”
Perfetto…
“Non è che siete incazzati con me perché sono partito senza dirvi niente?”, lo interruppe subito, fulminato da quell’idea improvvisa.
Ma no, figurati.”, rispose l’altro, e notò subito la lieve inflessione sarcastica della sua voce, “Mica siamo incazzati per quello.
“Però siete arrabbiati.”
Sì, abbastanza.”
Era stanco di continuare a giustificare il motivo della sua partenza. Non era già chiaro e lampante?
Potevi rendertene conto anche prima.”
Rimase spiazzato.
“Di cosa? Scusami Judd, ma non ti seguo.”
L’altro stronfiò pesantemente.
All’inizio mi sono voluto cullare su una nuvola, pensando che avessi messo la testa a posto. Ma mi sono sbagliato, di grosso.
“Harry, per cortesia…”
Ti ci voleva proprio la morte di suo padre per capire che ne sei innamorato?
Judd! Chiudi quella cazzo di bocca!
L’urlo di Tom sovrastò completamente la voce di Harry, ma Danny aveva capito benissimo.
Dovevi proprio partire per l’Italia, litigare con Dougie, mentire a Tamara e tenerci all’oscuro di tutto per capire che sei innamorato di Little come un…”
Dammi questo coso!
E la chiamata si chiuse, tacendo una pesante imprecazioni di Harry.
Si sedette sul bordo del letto, così come aveva fatto tante volte, in quei giorni confusi. Cancellò un’altra lacrima e poi un’altra ancora, vergognandosi del crollo che stava avendo. Le aveva mostrate a Little solo per farle vedere il male che la cattiveria nelle sue parole gli aveva fatto provare, ma si era sempre vergognato di piangere in presenza di altre persone.
Innamorato di Little? Si pose quella domanda a raffica, come se la prima risposta data a caso avesse potuto rivelarsi quella giusta, ma non ne arrivò comunque nessuna.
Quando era con lei si sentiva bene, sé stesso, rilassato e tranquillo, come se tutto stesse tremendamente andando per il verso giusto. Gli veniva voglia di scherzare, di prenderla in giro, di farla arrossire… Di farla stare bene, così come quando lui era con lei. Gli piaceva vederla sorridere, e pensava di avere in comune con lei la caratteristica peculiare di veder contenti prima gli occhi e poi le labbra. Ma gli piaceva anche quando si innervosiva, quando stringeva i pugni ed alzava la voce, per farsi sentire da chi non la ascoltava, nonostante le sue parole potessero essere letali come le lame della sega di un falegname.
Che si fosse ingannato? Non gli sembrava plausibile, soprattutto perché quei mesi con Tamara erano stati speciali e sapere che se n’era andata di casa, che Harry e Tom l’avevano vista salire con le valige in un’auto e lasciare tutto... Era impossibile da sopportare.
Aveva sempre saputo di avere le spalle abbastanza forti da sorreggere pressioni impensabili per un individuo comune, per il cosiddetto uomo della strada. Ma era comunque fatto di pelle e di ossa, e prima o poi anche quelli come lui cedevano.
Se ne fregò di tutto, dei dubbi e delle incertezze, di chi non era lì con lui, e uscì dalla stanza. Con sicurezza, posò le dita sulla maniglia dorata e la abbassò. La luce del sole, ormai tramontato, era tiepida ed illuminava solo parte della stanza.
“Che vuoi!”, protestò subito Little, che gli dava le spalle distesa sul letto, su un fianco, senza nemmeno voltarsi.
Si avvicinò al letto e vi salì sopra, stendendosi accanto a lei. La sentì irrigidirsi ma la ignorò, passandole un braccio sopra i suoi, rannicchiati al petto. Lei cercò di allontanarlo, ma con caparbia insistenza tornò ad abbracciarla.
Non cercava assolutamente niente da lei, solamente sentirla vicina.
“Little Joanna, per favore.”
Per l’ultima volta lei cercò di liberarsi del suo abbraccio, che prontamente la avvolgeva di nuovo. Non vedeva oltre i capelli biondi e lievemente mossi, né al di là del suo collo, delle  sue spalle piccole e coperte da quella maglietta nera, un po’ larga. Però sapeva che stava piangendo, e che stava trattenendo a stento le lacrime.
Con difficoltà, l’altro braccio riuscì a passare sotto al suo collo, per chiudersi poi davanti a lei, insieme al destro. Danny chiuse gli occhi, ascoltando il rumore del respiro di Little che sussultava ad ogni singhiozzo.
“Stai tranquilla, ci sono io.”, le disse, sentendo la sua voce rompersi.
Il magone alla gola diventò un dolore insostenibile ed affondò i denti nelle labbra, incapace di resistere ancora. Little non era l’unica a cercare di mangiarsi le lacrime, piuttosto che piangerle.
Prese un profondo respiro, deglutì, ma niente.
Si lasciò andare solo quando sentì la propria mano aprirsi e le dita di Little incrociarsi con le sue.




Eccomi, in ritardo... Sono breve: la canzone che dà il titolo al capitolo ed anche il brano estratto sotto di esso è di Paolo Nutini. My Last Request non è stata usata da me con scopo di lucro. Direi che ci siamo, non credete? ^^ Vi chiedo scusa se ci saranno errori in questo capitolo, ortografia e varie, ma non l'ho riletto -_-
Bene, passo ai ringraziamenti!

ludothebest: ti ho stanato!!! Ma c'è qualcuno che ha fatto la spia... Ed entrambi sappiamo chi è! Tana per Silvia XD Ti ringrazio, davvero tanto **  La sfuriata di Dougie è piaciuta a molti (tutti) ed anche  a me. Anch'io avevo iniziato a sopportare poco questa ragazza, ho deciso quindi di farle aprire gli occhi :)  Alan, oooooh Alan... Ci sei o ci fai, Alan? XD Credo che sia la frase che lo caratterizza meglio in questo sequel :) Beh, cosa mi rimane da dire, se non GRAZIE.... Quindi, grazie :) Davvero, con il cuore.

Ciribiricoccola: Se si incontrano, credo che passerebbero la serata a consolarsi a vicenda, pensando che sarebbe meglio dimenticare tutti i DAD di questo mondo XD  La Fiat Duna per quella famiglia? Mmh... Non c'è una Pandora familiare? XD Grazie, scema che non sei altro **

Picchia: oh eccoti! Ti stavo dando per dispersa! Ma tanto ti trovo su feisbuc! XD Baciamo le mani e grazie del pensierino... Mi ha fatto piacere ** Grazie ancora!

CowgirlSara: e gliel'ho detto anch'io a quei due, ma non mi ascoltano mai! Fanno sempre come cavolo gli pare, ma sarà possibile???? La penso esattamente come te... Che si diano una mossa, per Diana!

Giuly Weasley: certo che l'ho vista XD Haroldo, anche se mi sta antipatico, stavolta ha detto il giusto, non credi? Forse ha stasato un po' il cervello otturato di Danny, che poveretto sta impazzendo... Per una volta, fa qualcosa di buono quel ragazzo! Grazie anche a te, Emily XD **

kit2007:  ieri sera mi hai ricordato involontariamente che non avevo aggiornato, ma comunque non ce l'ho fatta a postare... Beh, sono pienamente d'accordo con tutto quello che hai detto, non ho da aggiungere niente. Credo che Tamara abbia bisogno di essere capita, e non solo criticata. Mi dispiace solo di non averle dato lo spazio che si meritava... Grazie anche a te XD Sono esaurita!

_Princess_: il ritardo è diventato patologico, affligge anche la mia pubblicazione. Non è voluto da parte mia, che torno ogni sera alle otto dal lavoro e trovo a fatica il tempo e la volontà di mettermi qua. Non ho manco la voglia di mettermi a correggere il capitolo, figurati un po'... Se poi penso che dovrei mettermi sulla tesi anche la sera dopo cena, mi sparo. Se non ti leggo, è per questo, così come non leggo la Sara, Ciribiricoccola e tutti gli altri aggiornamenti che seguivo da tempo. Ti dico queste parole in risposta alle tue: so che non avevano alcun tono accusatorio nei miei confronti, ma purtroppo ho provato un po' di fastidio nel leggerle.  Mi dispiace, non ho potuto farne a meno, ho troppa pressione sulle spalle e non sempre risco a scaricarla nel modo più corretto :) Ti ringrazio comunque con il cuore, perchè i pensieri che mi lasci, così come tutti gli altri, non possono non farmi piacere. E' fuori discussione.


Bene, ho finito :) scusatemi ancora. Ruby.

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Capitolo 14
*** The Closest Thing To Crazy - Part One ***


 

 
 
Fu così difficile aprire gli occhi e resistere alla prepotenza della chiara luce del sole che avrebbe preferito un pugno in pieno stomaco. Sarebbe stata una tortura più umana.
“Giorno…”
Quella frase fu una sorpresa.
“Buongiorno.”
“Hai russato… Stanotte.”, disse, con un piccolo riso.
“Beh… Però anche tu...”
“Anch'io cosa?”
“Anche tu hai russato!”
Sbuffò in una risata.
“Io non russo!”, disse Joanna, sentitasi toccata nel profondo della sua trachea.
“Ok, va bene.”, rispose Danny, con voce nasale, mentre si allontanava da lei per occupare la restante parte del letto, ancora quasi inutilizzata, “Comunque, buongiorno Little.”
“Giorno Dan.”
“Vado... In bagno, di là.”, borbottò.
Si stropicciò gli occhi e si grattò la testa, si stirò, sbadigliò e poi uscì, starnutendo. Joanna constatò che appena sveglio, Danny non era molto loquace e fu una cosa che stimò profondamente, lei che era abituata a non avere nessuno intorno prima di poter essere in grado di  mettere insieme anche i più semplici pensieri.  Occupò la parte centrale del letto, quella in cui di solito dormiva, ed osservò a mani unite sul petto la solita crepa sul soffitto, una spaccatura sulla vernice bianca. Dire che non aveva mai dormito così tranquillamente in vita sua era un’esagerazione bella e buona, ma si contentava di pensarlo almeno un po’, sebbene si sentisse la schiena dolorante, il collo bloccato e le spalle tese... Doveva ammetterlo, aveva dormito da schifo: Danny e il suo respiro pesante in un orecchio, tutta la notte in quella medesima posizione.
Nascosta tra le sue braccia, Joanna lo aveva sentito piangere, senza aver avuto il coraggio di dire o fare qualsiasi cosa. Non ce l’aveva fatta, non avrebbe mai voluto assistere al suo crollo, non si sarebbe mai immaginata un Danny così debole e fragile.  Un Danny che aveva avuto bisogno di lei. L’unico momento in cui era stata ‘costretta’ a vedere i suoi occhi rossi e gonfi, molto più dei suoi che pure avevano pianto con lui, era stato quando si era dovuta alzare per prendere dei fazzoletti, uno per entrambi. Mentre glielo passava erano sbuffati in una risata, imbarazzati.
“Non lo raccontare a nessuno, mi raccomando.”, le aveva detto lui, “O sarò costretto ad eliminarti.”
Senza troppa voglia di parlare, erano tornati a stendersi. Qualche sbadiglio e lei si era addormentata, distesa su un fianco come sempre. Poco dopo era stata svegliata da un lieve muoversi del materasso, aveva sentito Danny avvicinarsi  ed abbracciarla ancora, ma era troppo addormentata per poter essere in grado di rispondere in qualche modo. Era stata quasi sicura che fosse stato uno dei suoi tanti sogni, ma si era svegliata con il suo ronfare nelle orecchie e lo aveva trovato ancora lì, dietro di lei.
Un lieve bussare alla porta interruppe il suo lento risveglio.
“Jo?”, la chiamò Arianna.
“Entra pure.”, le fece.
Ne approfittò per alzarsi e darsi una sistemata, mentre la donna prendeva posto nella stanza e le apriva la finestra, con un sorriso in faccia.
“Nottataccia?”, domandò la donna, notando certamente la sua faccia stanca.
“Abbastanza.”, le rispose.
“Brutti sogni?”, Arianna si sedette sul davanzale della finestra, le braccia incrociate sul petto.
“No... Brutte compagnie.”
La donna la guardò lievemente perplessa, poi strabuzzò gli occhi. Joanna anticipò ogni sua possibile domanda imbarazzante mettendo subito in chiaro l’innocenza di quello che era successo.
“Abbiamo solamente dormito insieme, dopo aver litigato come dei dementi.”, le fece, ad un passo dalla soglia del bagno.
“E’ sempre qualcosa!”, esclamò l’altra, contenta, “Perché avete litigato?”
“Beh... Un mucchio di cose e nessuna in particolare.”, le fece, aprendo l'acqua del rubinetto, “Abbiamo discusso in giro per Firenze, anche quando siamo tornati, poi ancora un’altro paio di volte... Ed altre ancora.”
“Riguardo a cosa, spiegati.”, insistette la curiosità di Arianna.
Joanna alzò le spalle, la faccia appena asciugata dalla fresca acqua del rubinetto.
“Me, Dougie e lui.”, le disse.
“Ancora con queste cazzo di geometrie!”, protestò Arianna, “Che cosa c’è tra di voi adesso? Un triangolo, un poliedro a sette facce o un trapezio isoscele?”
“Un quadrato.”, disse Joanna, togliendosi la t-shirt senza troppi problemi.
Ignorò il riflesso della sua cicatrice sullo specchio. Poteva anche essere arrivato il tempo di dimenticarla e ricordarsene solo una volta ogni tanto, quando era strettamente necessario.
“Questa geometria dei rapporti mi suona nuova, ma deduco che il quarto angolo sia occupato da Tamara.”
Le annuì.
“Però mi spieghi che cosa c’entra ancora Dougie?”, disse ancora Arianna.
E gli disse della storia di quel bacio sbagliato, a lei ancora inedita, della reazione di Danny e della sua.
“Siete come due arieti.”, disse Arianna, “Vi incornate per il semplice gusto di farlo.”
“E non sai che lui e Tamara si sono lasciati.”, le rivelò.
Arianna esplose in una risata.
“Ha scoperto che non è da sua madre, vero?”
“Non essere così cinica!”, la sgridò, “Danny ci sta male.”
“Vedi che troverà presto qualcuno con cui consolarsi, fidati di me.”, le disse Arianna, con tono complice.
“Certamente, la prima che passa!”, le rispose con sarcasmo, “Arianna, per piacere, dacci un taglio.”
“Vedremo chi ha ragione tra me e te.”, la sfidò la donna, e si avviò verso la porta.
Prima di uscire, però tornò a parlarle.
“Prima che tu possa dire di no, vedi di farti trovare giù tra mezzora, pronta per uscire.”
“Dove vorresti che io venissi?”, le chiese, spuntando fuori dal bagno, perplessa.
“Dove voglio io.”, rispose lei, strizzando un occhiolino, per poi sparire.
Joanna cercò conforto nella sua immagine allo specchio. Due dita premute sulle occhiaie, Joanna costrinse la pelle verso il basso, mostrando a se stessa il gonfiore dei suoi occhi. Si vide stanca e depressa, ma soprattutto di un pallore cadaverico che quasi la spaventò. Guardò indietro nel tempo e ripensò a quella settimana tremenda, al non aver quasi mai messo fuori la testa dalla porta di casa, se non per qualche ora del giorno precedente. Forse una giornata spensierata con Arianna le avrebbe fatto bene, lei che era sempre stata capace di distrarla anche da quello che necessitava più attenzione di qualsiasi altra cosa.
Magari, Danny si sarebbe sentito solo in casa… Ma una giornata da donne era comunque una giornata da donne, off limits per l’altro sesso. Sentì bussare ancora alla porta.
“Sì?”, fece, alzando la voce.
“Viene anche il tuo amico!”, la informò Arianna.
Come non detto.
 
 
 
“Sapete qual è il migliore antidepressivo del mondo?”, esclamò Arianna.
Camminava dritta e a passo svelto davanti a loro, che la seguivano senza dirsi molto.
“Eh? Lo sapete?”
“Mi vengono a mente un paio di risposte….”, le rispose scherzosamente, incrociando le braccia e guardando complice verso Littl.
Danny aveva un braccio indolenzito, un leggero cerchio alla testa e la gola non dava segno di stare piuttosto bene. Però lui sì, lui si sentiva bene, lievemente imbarazzato, ma bene. Aveva già dormito con lei, un anno fa, nella stanza d’albergo prima della partenza, ma non era stata proprio la stessa cosa.
“Sicuramente non c’entra niente con quello che intendo io.”, fece la donna, voltandosi per guardarlo al di là dei suoi occhiali da sole alla moda, “Tu, Jo, hai qualche idea in proposito?”
“Purtroppo sì.”, rispose lei, sospirando, “Arianna, per lui sarà una specie di supplizio cinese.”
“E dai, sono certa che si divertirà da morire!”, disse Arianna.
Doveva iniziare a preoccuparsi? Forse sì.
“Che cos'ha in testa?”, Danny domandò a Little, sottovoce.
Lei lo guardò come se fosse stato veramente il caso di scomparire dalla faccia della terra.
 
 
 
“Dio, che male!”, borbottava Arianna, in piedi davanti allo specchio, “E poi, guardate, non vanno bene!”
“Proviamo con un altro modello?”, le chiese il ragazzo.
Un altro ancora? C’erano ben venti paia di scarpe intorno a loro, forse trenta, e quel santo del commesso stava sudando camicie su camicie per accontentare quel diavolo di Arianna. Decine di scatole aperte, carta velina appallottolata ovunque, stanghette di plastica, coperchi… E loro due seduti annoiati, nell’attesa che Arianna scegliesse almeno uno tra tutto quel ben di Dio sciolto per terra. Adesso capiva qual era la tortura a cui si era riferita Little.
“Sì, forse è il caso di provarne un altro… E poi il colore non si intona con la mia pelle.”, Arianna giustificò così l’ennesimo rifiuto.
Il ragazzo, che doveva avere poco più della sua età, si asciugò la fronte e si alzò, diretto verso il magazzino. Ebbe il vago sospetto di quello che Arianna aveva davvero in mente.
“Ne comprerai qualcuna?”, le domandò Danny.
Non aveva capiva l’italiano parlato tra lei e il commesso, ma aveva saputo leggere tra le righe ed Arianna non sembrava per niente interessata all’acquisto di nessuna di quelle scarpe, ma sembrava provarci gusto nel torturare quel povero ragazzo.
“Nemmeno per idea, non saprei dove metterle.”, disse Arianna, sedendosi tra lui e Little, “Ne ho talmente tante!”
“E allora perché fai impazzire quel commesso?”, le fece, ridendo, “Ti odierà a morte!”
“Beh, caro Danny, devi sapere che il proprietario di questo negozio è un mio ex e che ogni tanto vengo qua a ricordargli quanto è stato stronzo.”, spiegò la donna, sistemandosi comoda, braccia allungate sugli schienali dietro di loro e gambe accavallate, con il piede nudo che dondolava aritmicamente.
“Ma i suoi impiegati non c’entrano niente in quello che è successo tra te e Marco!”, esclamò Little.
“Sì ma dopo che me ne andrò insoddisfatta quel cristo si licenzierà e quel caro vecchio bastardo dovrà trovarsi un altro commesso!”
Ecco spiegato il suo diabolico piano. Certo che le donne sapevano essere davvero perfide.
Arianna si provò un altro paio di sandali e, come aveva detto loro, se ne andò senza comprare niente, lasciando il negozio completamente distrutto dal suo passaggio.
“Oh! Adesso la nostra giornata può davvero iniziare!”, li stupì di nuovo la donna, una volta fuori dal negozio.
Arianna si mise alla testa del gruppo e, come un Cicerone, li guidò per il centro della città. Davanti a loro si sarebbe spiegata una giornata passata davanti alle vetrine dei negozi a commentare prezzi, abiti, scarpe, borse e quant’altro i commercianti del posto avevano da offrire ai clienti, sia turisti che normali cittadini. L’esuberanza della donna metteva a tacere sia lui che Little, che camminava sempre silenziosa davanti a lui e parlava solo se il suo parere veniva richiesto.
“Sei sicura di sentirti a posto?”, le domandò, approfittando della temporanea assenza di Arianna, corsa dentro ad una tabaccheria per acquistare un pacchetto di sigarette.
Lui, che fumava abitualmente ma non troppo, si accorse di non aver toccato il suo pacchetto da giorni, se non in qualche sporadica occasione di cui nemmeno si ricordava.
“Sì, te l’ho detto, sono solo un po’ stanca.”, gli ripeté lei, “E questa giornata sarà snervante.”
“Non hai dormito bene stanotte, vero?”, le chiese ancora.
“No…”, rispose lei, sorridendogli, a disagio.
“Beh, per quello nemmeno io.”, le disse, rispondendo con lo stesso sorriso, “Però… Ora sto meglio e volevo dirti che…”
 “Ragazzi!!!”, li chiamò Arianna, a gran voce, a qualche metro da loro, “E’ ora di pranzo!”
La guardò, promettendole così che glielo avrebbe detto più tardi.
Non aveva niente di speciale da farle sapere, solo che non capiva più niente di quello che provava.
 
 
Era piacevole stare ad ascoltare la parlantina veloce e fluida di Arianna e il suo perfetto accento londinese, quasi un po’ troppo sofisticato e altrettanto quasi inspiegabile per un’italiana purosangue come lei, soprattutto perché era quasi impossibile sentire qualche altra voce, tranne la sua. Un vulcano in eruzione aveva molte meno da dire di lei. Per tutto il pranzo fu la protagonista, così come per la prima parte della giornata, passata in quel negozio di scarpe e poi in un frenetico e veloce giro per i vicoli del centro.
Seppe così che aveva vissuto gran parte della sua adolescenza  e dei suoi venti anni nel quartiere bene di Soho, a Londra: suo padre era stato direttore della filiale inglese di una qualche importante azienda italiana, almeno finché un infarto non lo stroncò in due, citando le esatte parole da lei utilizzate. Da quel momento in poi aveva fatto la spola tra l’Italia, dove era tornata ad abitare sua madre, e il Regno Unito, dove continuava a lavorare; infine era tornata a stabilirsi nella città dove era nata, Firenze appunto, dopo che anche sua madre l’aveva lasciata. Aveva aperto quel locale, lo ‘Strictly English’, ed il resto della storia si perse di lì a poco.  Aveva quarantadue anni portati più che perfettamente ed aveva avuto una vita abbastanza movimentata, si disse Danny.
“Vado a pagare.”, fece poi Arianna, alzandosi e prendendo la sua borsa.
“No, vorrei offrire il pranzo ad entrambe.”, si oppose lui, “Ci terrei davvero.”
“Non ci pensare! Siediti e non controbattere!”, Arianna si impose su di lui, lasciandolo alquanto di stucco.
Quella donna sapeva davvero come togliere le parole dalle bocche altrui, nel senso che non dava chance di risposta. Non poté fare altro che accontentarla e, anche se la sua buona educazione gli stava imponendo di alzarsi e pagare il conto, lasciò perdere.
“E’ sempre così?”, domandò a Little, riferendosi ad Arianna.
“E’ una femminista.”, rispose lei, sorridendo stancamente, “Non è mai contenta di farsi precedere dagli uomini.”
“Ah... E’ che a volte mi spaventa.”, disse Danny, “E’ sempre un passo avanti a me.”
“Appunto, sei un uomo.”, scherzò lei.
Poi sospirò e prese l’ultimo sorso della sua acqua.
“Perché sei così silenziosa?”, le volle chiedere, ora che l’intimità di quel posto affollato era migliore della calma di una stanza vuota.
“Non sono affatto silenziosa.”, si difese lei, ridacchiando, “E’ solo che non ho molte cose da dire.”
“Ma se c’è qualcosa che ti disturba, dimmelo pure, non ti vergognare.”
“Non essere così in apprensione per me, Danny, sto davvero bene.”, ripeté lei, provando a rassicurarlo, “Credimi.”
Fu spontaneo prenderle la mano.
“Ti credo.”, le fece, “Sarai pure silenziosa, ma sei sempre...”
“Jo!”, la chiamò Arianna, “Non hanno da farmi il resto, hai mica qualche spicciolo con te?”
Chiuse la bocca, trattenendo quello che voleva dire per la seconda volta.
 
 
 
A metà giornata gli venne quasi da inginocchiarsi, unire le mani e pregare tutte le divinità ancora sopravvissute allo sterminio religioso moderno, e non doveva essere l’unico ad avere quella particolare voglia, anche Little si stava spazientendo.
“Mi fanno male i piedi...”, si lamentò lei, uscendo dall’ennesimo negozio, Arianna sempre al capo della fila.
“A chi lo dici.”, le disse Danny, “Prenderei quasi un taxi e...”
“Quanto è carino questo vestito!”, sentirono esclamare da Arianna.
“Gesù, ti prego...”, piagnucolò Little, mettendosi sconsolata le mani sui fianchi, “Abbi pietà di noi...”
Sbuffò in una risata, quella specie di tour nell’inferno dei mancati acquisti li stava veramente ammazzando dalla fatica. Ogni negozio era loro, ogni vetrina attirava l’attenzione di Arianna, che li costringeva a seguirla come se fossero stati i suoi cagnolini.
“Arianna, per favore.”, le fece Little, “Andiamo a casa, sono le cinque del pomeriggio, siamo stanchi...”
“Questo è l’ultimo negozio.”, disse la donna, con sicurezza, “Lo prometto.”
“E’ dalle tre che lo dici.”, borbottò ancora Little, “Possiamo andare a casa?”
“No, assolutamente no.”, si oppose fermamente la donna, “Entriamo qui, ti provi questo vestito e poi ce ne andiamo.”
La punta del dito della donna indicò una vetrina familiare: mostrava quel vestito azzurro che aveva visto il giorno precedente, poco prima che un animato diverbio li costringesse a litigare.
“Non ne ho voglia...”, disse Little, “E poi non ho molti soldi da spendere.”
“Te lo regalo io.”, Danny colse subito l’occasione.
Lei scosse prontamente la testa.
“No, e poi sta meglio al manichino.”, si imbronciò lei.
Danny incrociò le braccia e alzò le spalle.
“Ma sì, quel manichino è così attraente...”
 
 
 
“Usciamo di qua.”
“No.”
“Andiamo...”
“No.... E’ troppo scollato.”
“Jo, fuori dal camerino.”
“Arianna!”
Rise ancora e scossela testa. Seduto sul divanetto circolare del negozio, Danny aspettava che le due donne uscissero dall’angusto camerino.
“Ma Arianna...”, frignò ancora Little, “Per favore, mi sento mezza nuda.... E poi si vede... Troppo!”
“Ma se lo sistemi così...”
“E’ lo stesso!”, disse ancora Little, “Mi cambio.”
Decise di intervenire.
“Andiamo, Little, fammi giudicare.”, le fece, cercando di invogliarla ad uscire.
La prima a spuntare fu Arianna, che sgattaiolò senza aprire troppo la tenda scura, poi fu la sua testolina bionda ad apparire.
“Mi vergogno.”, disse Little, “Non ho mai avuto un vestito così.”
Le sorrise.
“Vengo a tirarti fuori?”, la avvertì scherzosamente.
Lei roteò gli occhi, poi ritrasse la testa dentro al camerino, come se fosse stato il suo carapace personale. Dovette attendere ancora diversi secondi prima che lo accontentasse.
Per prima cosa vide la mano destra, che teneva fermo il lembo destro della parte superiore del vestito, e le labbra arrossate, torturate dai continui morsi che si infieriva. Poi notò l’azzurro tenue, le spalline che scendevano e si univano alla stoffa dritta, sopra il petto, fasciandolo. Il lino continuava  liscio e leggero, qualche centimetro sopra le ginocchia, ricordandogli la moda degli anni cinquanta.
Si voltò verso Arianna, seduta accanto a lui. La donna alzò le spalle, sorridendo.
“E quella chi è?”, le chiese, scherzando, “Tu la conosci?”
“Mai vista prima.”, rispose Arianna, “Non so proprio chi sia.”
“Smettetela!”, li rimproverò Little, coprendosi il petto con le braccia, “Mi fate sentire come una scema!”
“Eppure sembra che ci conosca!”, continuò a prenderla in giro Arianna, “Ci parla!”
“Basta!”, esclamò Little.
Anche Little se stava ridendo, quello che aveva detto lo pensava veramente. Non sembrava affatto lei, quel vestito le stava così bene che Little non era più Little, ma una donna di ventuno anni, uno solo in meno di lui. Glielo avrebbe sicuramente regalato, non c’era ombra di dubbio. Era semplicemente fatto per starle indosso.
“E’ perfetto, Little.”, le fece.
“Non raccontare balle!”, sbottò lei, “Faccio schifo, lo so.”
“Giravolta, per favore.”, disse Arianna, facendo volteggiare un dito, “Mostra il panorama.”
Sbuffò, ma la accontentò. Nervosa, continuava a reggere la spallina destra del vestito, come se ci fosse stato un difetto di fabbricazione.
“E’ rotto per caso?”, le chiese, indicandola.
“Beh…”, borbottò lei, insicura.
“Lasciala pure.”, le disse Arianna, con un sorriso ed una voce rassicurante.
Little si morse il labbro, poi abbassò la mano, e la spallina si sistemò da sola su di lei. L’aveva già vista, non solo il giorno prima, quando era entrato in camera sua cogliendola alla sprovvista. Si ricordò del ristorante greco, di quella cena surreale, di lei che si era alzata dalla sedia e la maglietta che si era spostata, rivelando quel segno indelebile che lei prontamente aveva ricoperto.
Si accorse di stare a fissarla come un cretino.
“Scusa.”, le fece, “Mi ero scordato...”
“Fa niente.”, rispose lei, “E’ ormai un ricordo... Come tante altre cose.”
Le sorrise, ricevendo la stessa espressione in cambio.
“Aggiudicato!”, esclamò poi Danny.
“Ma no, lascia stare.”, si oppose ancora lei, “Sta davvero meglio al manichino.”
“Andiamo, non ti ho mai regalato niente, nemmeno per il tuo compleanno… Voglio recuperare.”
 
 
 
Il vestito se ne stava riposto nella busta di carta, rigida e plastificata, tenuta tra le mani di Joanna.
“Possiamo andare adesso?”, domandò, “Non ne posso veramente più.”
“Ah, non sei l’unica.”, le rispose Arianna, “Torniamo a casa, è meglio.”
Quella busta era leggera, ma pesante allo stesso tempo. Non conteneva solo un abito, ma l’abito, uno in particolare, quello che Danny le aveva regalato. Era stupido, era adolescenziale, era da ragazzine di quattordici anni, ma Joanna non aveva mai avuto quell’età e, anche se sarebbe stata comunque un’illusione, quel regalo significava molto di più di una qualsiasi parola detta.
“Andiamo di qua?”, chiese Arianna, indicando verso Ponte Vecchio.
Non ebbe nemmeno tempo di risponderle che aveva già voltato verso destra e, mischiandosi tra i turisti, si trovarono nel bel mezzo della calca che affollava il ponte.
“Non mi sembrava di essere passato dal ponte, prima.”, disse Danny, perplesso, “Me ne ricorderei.”
“Sì, ma tutte le strade portano alla nostra auto… Più o meno.”, gli spiegò.
“E questa più o meno delle altre?”, chiese lui, con ironia.
“Meno…”, sospirò Joanna, che aveva trovato del tutto irrazionale quella scelta di Arianna.
A dire il vero era tutta la giornata che Joanna la vedeva strana, troppo iperattiva, troppo incomprensibile, troppo enigmatica. Era da un bel pezzo che sentiva la sensazione che Arianna avesse in mente qualcosa di preciso.
Come era logico che accadesse, fu difficile districarsi nella marea di persone intorno a loro, ma la mano ferma di Arianna sul suo polso fece da guida.
“Non vedo più Danny.”, le disse Joanna.
Si fermarono e lo attesero, bloccato da un gruppo di lenti e anziani signori.
“Assicurati che non si perda.”, disse Arianna, “Anche se è alto quanto un palo della luce, c’è sempre un buon motivo per smarrirlo da qualche parte.”
“E come faccio, gli metto un guinzaglio?”, scherzò Joanna, che rise alla sola immagine.
Nel frattempo Danny le aveva già raggiunte e tornarono a camminare a stento, rallentati dal flusso di persone, finché non si trovarono fermi a metà ponte.
“Visto che sembriamo in processione”, fece ancora Arianna, “sediamoci qualche minuto sulla balaustra del ponte.”
“Arianna, andiamo a casa.”, insistette lei, lievemente stufata, seguendola insieme a Danny, “Non ne posso più di stare in giro per la città.”
“Ma che bel panorama!”, la ignorò totalmente Arianna, “Ci facciamo fare una foto tutti insieme?”
“Oh Gesù…”, borbottò Joanna, “Ti giuro che, appena siamo sole, cercherò di sopprimerti. Te lo prometto.”
“Avanti, cosa vuoi che sia una foto.”, le disse Danny, incoraggiandola.
“Ma non ha nemmeno la macchina fotografica con sé!”, si arrabbiò lei.
“E invece ce l’ho!”, esclamò Arianna tutta contenta.
Quella era la pura dimostrazione del fatto che aveva sempre avuto un’idea in mente, e non poteva essere il voler farsi ritrarre in una foto, per di più in un posto affollato come quello. Si frugò in borsa e tirò fuori la custodia marroncina che anche Joanna conosceva e che conteneva la sua fotocamera. Fermò il primo turista, gli spiegò velocemente come fare e, dopo qualche secondo, Arianna teneva abbracciati entrambi, lei e Danny, e sorrideva insieme al loro all’obiettivo. Disturbò ancora quel signore chiedendo di scattarne un’altra perché pensava di essere stata ripresa ad occhi chiusi, e poi li liberò.
“Possiamo andare?”, le domandò Joanna, ufficialmente scocciata.
“No, ora ne faccio una a voi due.”, disse lei, sorniona.
“Un’altra volta… Stasera! In giardino!”, le propose, “C’è  un bellissimo panorama da lì!”
“Taci.”, la chetò con fare aulico la donna, e le impose di posare per un’altra foto.
“E va bene…”, sbuffò, tornando verso la balaustra dove Danny se ne stava in attesa, a braccia incrociate.
Solo due passi, ma notò subito che qualcosa lo stava preoccupando. Sembrava con la testa da tutt’altra parte.
“Qualcosa che non va, Dan?”, gli domandò.
“Beh… Dopo, ok?”, tagliò corto lui, accortosi.
Si accontentò di quella semplice risposta, sapeva che non era quello il posto per chiedere ulteriori spiegazioni.
“Avvicinatevi, stoccafissi!”, disse Arianna.
Appoggiati alla balaustra, braccia incrociate o mani in tasca, sorridevano freddamente alla macchina. Lui per i suoi motivi, lei per lui.
“Non è una foto segnaletica, avanti!”, li esortò la donna a migliorarsi, “Metteteci un po’ di pathos!”
 
 
 
“Ma sono venuta con gli occhi chiusi!”, si lamentò Little, una volta tornati a casa, con la macchina digitale tra le dita che le mostrava la foto scattate su quel ponte.
Oltretutto, la luce dell'immagine era pessima ed anche lui non esibiva la sua migliore espressione. Aveva avuto il suo momento di personale smarrimento quando, poco prima di salire sul ponte, il suo cellulare aveva vibrato, in tasca. Lo aveva recuperato, ma non aveva risposto.
Non gli era sembrato il caso di parlare con Tamara, che sicuramente non aveva avuto nient’altro da dirgli tranne che aveva lasciato casa. Era ancora convinto che non potevano chiudere la loro storia con una telefonata, anche se per il momento non c’era nulla da aggiungere, ma tutto da ingoiare. Non aveva tempo per pensarci, non era quella la sua unica preoccupazione.
“Dai, rifacciamola.”, le fece, cercando di consolarla, “Potremmo scattarla fuori, nel giardino come avevi detto tu, il panorama è anche migliore che sul ponte.”
Lei annuì, comunque incerta, ed insieme andarono fuori.
“Chiamiamo Arianna, non so come si faccia a mettere l’autoscatto.”, disse lei, esaminando la fotocamera.
Provò a chiamare il suo nome più volte finché la donna si affacciò alla finestra della camera, con un asciugamano in testa e l’accappatoio indosso, segno che si era voluta donare una doccia rilassante, di cui anche lui sentiva di averne il bisogno.
“Volevo soltanto chiederti se potevi farci un’altra fotografia.”, le disse Little.
“Tra cinque minuti?”, chiese clemenza Arianna.
“Ok!”
E Little tornò ad esaminare la macchina fotografica, che sembrava un oggetto del tutto estraneo per lei.
“Perché non metti il vestito che ti ho comprato?”, le chiese.
Venne naturale, da sé.
Lei scosse la testa.
“Lo sporcherò di sicuro.”, disse, “E poi non mi va.”
“Perché?”, le chiese.
Lei alzò le spalle, come se non ci fosse un motivo apparente alla sua decisione.
“Mi sento a disagio.”, si spiegò poi.
“Credimi, Little, quando ti dico che ti sta bene. Davvero…”, le fece ancora, “Non essere così insicura, fidati di me.”
Lo scrutò, come se cercasse di capire se le stesse mentendo.
“Va bene.”
Gli lasciò la macchina fotografica e, un passo dopo l’altro, si allontanò.
 
 
 
“Che ci fai con il vestito addosso?”, le chiese Arianna cogliendola alle spalle, alla sprovvista, lungo il corridoio.
Si voltò, come se fosse stata colta con le mani dentro ad un barattolo gigantesco di marmellata.
“Mi ha chiesto Danny …  Di metterlo.”, le spiegò.
Arianna si espresse con un paio di occhi furbi, appartenenti alla lei che ne sapeva sempre una più del diavolo, e sorrise con malizia.
“Chiamo Luigi, è meglio.”, disse, tornando verso la sua stanza.
“Eh? Cosa hai detto? Chi è Luigi?”, le domandò, allarmata.
“Un tizio insulso con cui sono stata ieri sera, a cena fuori.”, le spiegò, scrollando annoiata le spalle.
“Ah…”, fece lei, che nemmeno si era accorta della sua assenza la sera precedente.
Era incredibile quanto fosse capace di estraniarsi dal resto del mondo quando si trattava di lei e di Danny. Tutto quello non era molto salutare…
“E perché lo devi chiamare?”, insistette Joanna.
“Perché ho improvvisamente voglia di starlo ad ascoltare mentre racconta barbose storielle patetiche.”, borbottò, con tono decadente, “E poi perché non sono scema.”
“Non ho mai detto che tu lo sia.”, disse Joanna, non comprendendola.
“Allora buona serata!”, trillò la voce di Arianna.
E comprese.
Comprese tutto il piano di Arianna, tutti gli episodi apparentemente casuali. La foto, il vestito, la giornata insieme appena trascorsa, inclusa quella precedente. Comprese tutto, le sue improvvise uscite, sparizioni, le riapparizioni… Per cosa? Per niente. Potevano essere gesti da amica, per invogliare il far accadere qualcosa che mai sarebbe successo.
Nella mente di Danny c’era una persona, ma non era lei.
“Ti direi grazie per tutto quello che hai fatto ma…”
“Prego!”, la interruppe subito Arianna.
“Ma…”, riprese prontamente Joanna, “Cosa credi di fare?”
“Ti ricambio favore.”, si spiegò Arianna, con semplicità.
“Un favore? Ricambiare un favore?”, le fece, incredula.
Arianna si appoggiò allo stipite della porta di camera sua e le sorrise.
“Il favore di avermi fatto compagnia in questa grande casa vuota.”, disse poi.
Rimase senza parole, cosa abbastanza frequente.
“Sì, lo so che lo sai che mi sento sempre un po’ sola.”, balbettò Arianna, lievemente imbarazzata, “E quindi non vedo perché non aiutarti con quello scemo.”
“Ma lui ha Tamara, e io sono solo Little.”, le rispose, allargando le braccia, rassegnata.
“Sono sicura che sia già qualcosa.”, annuì l’altra, “Anzi, che sia sempre stato qualcosa.”
La capiva? Ovviamente no, era troppo chiederle di essere più esplicita.
Nel frattempo Arianna si era nuovamente chiusa in camera.
“E la fotografia?”, le chiese, senza ricevere risposta.
 
 
Si era appoggiato alla staccionata di legno, in attesa, macchina fotografica in mano. Non appena aveva iniziato a sentire il telefono vibrare ancora nella tasca sinistra dei suoi pantaloni si era voltato verso il panorama, concentrandosi sulle colline.
Ma non aveva saputo resistere.
Aveva allungato le dita e l’aveva preso, sebbene sapesse già chi fosse.
Ripose il telefono in tasca e lo ignorò, come aveva già fatto.
“Dan?”, lo chiamò Little, dietro di lui, arrivata silenziosa.
Si voltò di scatto, cancellando l’espressione dipintasi su di lui. La vibrazione tornò a torturarlo.
“Hey, già pronta?”, le chiese.
Lei annuì ed abbassò la testa per guardarsi; prese due lembi del vestito.
“Ma sei veramente sicuro che mi stia bene?”, chiese.
Maledetta lei e la sua incertezza.
“Ok, sarò sincero, sta meglio a me.”, scherzò, contento nel vederla ridere, “Dov’è Arianna?”
“In preparazione.”, rispose lei, alzando le spalle.
“Per cosa?”
“Se ne va di nuovo. Dice che vuole uscire con un tale...”, borbottò lei, giocherellando con le dita.
“Ah...”
La mondanità di quella donna era spaventevole.
“Allora... La facciamo questa foto o no?”, le fece, agitando la macchina tra le mani.
“Hai capito come funziona l’autoscatto?”, chiese lei, tornando ad osservarla come se fosse stata una navicella da Marte.
“Funziona così.”, le fece, “Vieni qua.”
La prese delicatamente per una mano e la fece voltare, per dare le spalle al paesaggio dietro di loro, ormai sulla via delle tinte calde e rosse della sera. Si avvicinò a lei, appoggiò il mento sulla sua spalla e, puntando la fotocamera davanti a loro, allungò le braccia più che poté.
I capelli di Little gli solleticavano la guancia e, con un lieve gesto, li scostò.
“Sorridi.”, le disse.
E premette il bottone.
“Fatto.”
Abbassò le braccia.
“Speriamo sia venuta bene, almeno stavolta.”, disse Little, voltandosi lievemente verso di lui.
“Ne possiamo scattare anche un’altra, se non ci piace.”, le rispose.
Verde, tanto verde, troppo vicino. Troppo, troppo vicino.
Sentì le orecchie tapparsi, otturarsi completamente, la pressione dentro di esse farsi insopportabile. Avrebbe potuto distogliere gli occhi dai suoi, spostarsi, respirare. Avrebbe potuto fare tantissime cose, ma semplicemente non ci riusciva. Le soluzioni per sottrarsi a quel verde intenso erano migliaia, tutte efficaci… Tutte impossibili da mettere in atto.
Provò a sbattere le palpebre, ma niente, non riusciva a sottrarsene.
Il telefono prese a vibrare ancora, nella tasca, facendolo sussultare. Drizzò la schiena, balbettò qualcosa e lo prese.
“Rispondo... Un attimo.”, disse, allontanandosi di qualche metro.
Little annuì, stringendosi in un sorriso, ed avviandosi verso la casa.
Sospirò.
Guardò lo schermo, era sempre lei.
Rifiutò la chiamata e spense il cellulare.
 
 
Dentro ad un paio di comodi pantaloncini e ad una t-shirt stava molto più comoda che in quel vestito, tornato nel suo armadio su una stampella. L’avrebbe indossato per occasioni più adatte, non quella, la pizza che stava mangiando avrebbe potuto sporcarlo. Avevano deciso di cenare all’aperto, all’aria fresca del giardino.
Seduti davanti alla staccionata, uno accanto all’altro, il cartone della cena sulle gambe.
“Credi che un giorno riusciremo a parlare senza litigare?”, domandò scherzosamente Danny, dopo aver mangiato il suo spicchio di pizza.
“Sarà impossibile.”, gli rispose, “Sei urticante, Jones.”
“Anche tu non scherzi, Little.”, le fece lui, “Quando ti arrabbi ti si vedono le vene, qua…”
Danny le passò un dito velocemente sul collo e Joanna tacque il brivido che sentì stuzzicarle la nuca. Non fu però in grado di resistere al guardarlo dritto negli occhi, come era successo dopo lo scatto della fotografia. Se prima non era quasi mai stata capace di farlo senza arrossire e voltarsi altrove, ora le riusciva perfettamente.
Più unica che rara, quella volta fu Danny ad abbassarli per primo.
Tornarono entrambi sulle loro pizze.
“Hai sentito Tamara?”, gli domandò.
“No… Non l’ho chiamata, né lei lo ha fatto.”, le disse, “Mi ha detto Harry che se n’è andata di casa.”
Joanna non seppe cosa dire.
“Non provare nemmeno a sentirti in colpa.”, fece lui, sorridendole, “Tu non c’entri niente, hai solo fatto accadere la cosa prima del previsto.”
Non lo comprese ed attese con perplessità una sua spiegazione.
“Quello che ti è successo mi ha fatto capire il mio errore è stato il voler velocizzare le cose. Se avessi dato più tempo alla mia relazione con Tamara, l'avrei conosciuta meglio ed avrei capito che non fa per me.”
“Ma tu lei vuoi bene.”, aggiunse lei, “E lei ne vuole a te.”
“Sì, ma non basta. Ci vuole anche la fiducia.”
“E la scala delle priorità...”, borbottò lei, scuotendo la testa, “Danny, ti ho già detto come la penso su questa cosa.”
“Puoi rimanere del tuo parere, io manterrò il mio.”, le rispose.
Morsero un po' delle loro pizze.
“Gli amici ci saranno per sempre.”, riprese Danny, “E' questo quello che ho imparato negli ultimi anni. Tamara non è un'amica.”
“Beh, ma se dici così, allora tutte le tue future ragazze ti lasceranno per questo motivo.”
La guardò.
“Chi lo sa?”, le disse.
Lei alzò le spalle.
Tornarono a guardare il paesaggio intorno a loro. Il sole era già calato da un pezzo, il giardino veniva illuminato da alcune luci nascoste nell’erba bassa, e anche da un lampione affisso alla facciata del retro della villetta. Stavano abbastanza bene, nonostante il fastidio di qualche zanzara affamata come loro.
“Mi farai avere la fotografia per e-mail?”, le chiese Danny.
“Sì, ovviamente.”
“Quelle che scattammo l’altra volta… Dove le hai messe?”
“Non le hai viste?”, gli fece, “Sono in camera, sulla parete vicino al letto, insieme al vostro poster.”
“Non ci ho fatto proprio caso…”
Non se ne rammaricò, non le interessava più di tanto. Dal canto suo, non si era nemmeno accorta che Danny aveva già terminato la propria pizza. Lei, invece, doveva ancora intaccare la seconda metà. Esitò e sospirò, guardandola.
“Dammi qua.”, le disse Danny, “La finisco io.”
“Grazie. Ho sempre odiato lasciare il cibo a metà.”
“E io ho sempre odiato chi è incapace di finire una pizza buona come questa!”
Non se lo fece dire due volte: prese uno spicchio e se lo mise in bocca.
“Non ti do del maiale solo perché tutto sommato sei molto educato.”, gli fece, ridacchiando, “Ma se ti avessi conosciuto così, credo che non saremmo qui adesso.”
“Puoi dirlo forte.”, si limitò a dire, tra un boccone e l’altro.
Cinque minuti e anche la sua pizza venne spazzolata via.
“E adesso cosa facciamo?”, le domando Danny.
“Dai tempo al tuo stomaco di assestarsi!”, gli fece, ridendo ancora.
L’altro si mise in attesa, a braccia incrociate.
“Fatto, cosa facciamo?”, sbottò poi, “Usciamo?”
“Per andare dove?”, gli fece, “Lo sai che non ho un auto.”
“Prendiamo un taxi!”, propose lui subito.
Non le andava molto di uscire. Erano stati tutto il giorno là fuori, non aveva certo voglia di tornare in città a camminare su e giù. 
“Danny, non prendermi per una piagnona...”, gli disse, “Ma ho i piedi che chiedono pietà in cinese...”
“Hai ragione.”
Non sembrava però convinto.
Joanna volle entrare in un argomento che avrebbe preferito non affrontare mai, ma che non avrebbe potuto evitare per sempre. Danny doveva tornarsene a casa, non poteva rimanere lì finché lei voleva. Almeno per il momento la questione sul cosa avrebbero fatto nelle prossime ore sarebbe stata accantonata.
“Dan, partirai domani?”, gli chiese.
“Pensavo dopo domani.”, le rispose, “Così ho il tempo di prenotare un volo con calma.”
Egoisticamente, l’averlo ancora ‘tra i piedi’ per un altro giorno la fece star bene. Si sentiva stupidamente innamorata, si volle quasi chiedere se la sua non fosse semplicemente una cotta adolescenziale per il bello della scuola.
“E quindi cosa facciamo ora?”, tornò a chiederle Danny.
“E' possibile rilassarsi guardando un film?”
 
 
 
Tornati in soggiorno, Little stava scegliendo qualcosa da poter proporre, lui si occupava con lo spulciare attentamente il mobiletto che conteneva numerosi cd.
“Sono tuoi o di Arianna?”, le domandò Danny, distraendola.
“Arianna.”, rispose, “I miei li tengo nella mia stanza.”
“Forse è lei la donna della mia vita.”, scherzò.
Davanti a lui l'intera discografia completa del suo mito di sempre, il Boss, più altre opere appartenenti a gran parte dei suoi gusti musicali preferiti.
“Lo ha detto anche lei quando mi hai spedito il poster di Springsteen.”, rispose Little, “Ho dovuto lottare per appenderlo nella mia stanza, lo voleva per sé.”
“Fortuna che hai vinto tu, allora!”, ridacchiò.
Le dita scorsero sulla lunga lista musicale di Arianna, fermandosi su un'artista che conosceva benissimo. La reputava una delle cantautrici più dolci del pianetta. Estrasse il cofanetto e ne prese il cd: sotto l'occhio poco vigile di Little lo inserì nello stereo.
“Conosci questa canzone?”, le chiese, selezionandola.
Lei si voltò, abbandonando la scelta del film. L'orecchio si mise ad ascoltare quelle note.
 
How can I think I'm standing strong, yet feel the air beneath my feet?
 
“Certo che la conosco.”, disse lei, “E' Katie Melua, mi piace molto.”
“Sul serio?”
Lei annuì con un cenno di testa ed un sorriso.
“Allora? Cosa  ci vogliamo guardare?”, gli domandò, “Ho pensato di scartare alcuni titoli.”

How can happiness feel so wrong?  How can misery feel so sweet?
 
Non si sentiva molto d'umore giusto per sedersi e guardarsi un film. Anzi, non ne aveva proprio voglia, ma la accontentò comunque. Lasciarono che la musica continuasse il suo corso, come sottofondo.
“Scegli tu, questi ancora non li ho visti.”, disse Little, porgendogli le sue scelte.
Qualche commedia, un supereroe pipistrello, un thriller del maestro scrittore dell'horror, un titolo a lui sconosciuto.
“Non saprei.”, le rispose, “E questi li ho già visti.”
Eliminarono alcune di quelle custodie.

How can you let me watch you sleep, then break my dreams the way you do?
 
Era indeciso, nessuna delle rimanenze lo attirava.
“A te cosa piace, Little?”, le domandò, “Quale guarderesti tra questi?”
Si fece pensierosa e si riprese i dvd, spulciandoli attentamente. Neanche lei sembrava decidersi, osservando le copertine dei film e leggendo nomi dei protagonisti, dei registi e talvolta anche un piccolo brano della trama sul retro. Mordicchiandosi le labbra, studiava la sua scelta.
“Mannaggia, questo non ha l'opzione della lingua inglese.”, borbottò infastidita, scansando via una delle commedie.
“Potremmo anche sederci ed ascoltare la musica.”, le propose, “E chiacchierare.”
“Finiremo per litigare, lo sai.”, disse lei ridacchiando, ancora intenta a leggere.
Lui si appoggiò al mobiletto, braccia incrociate.
Gli era balzata una stupida idea in testa.

How can you make me fall apart then break my fall with loving lies?
 
“Madame Little, vorrebbe concedermi questo ballo?”, le fece.
“Lo sai che sono goffa come un asino.”, si negò subito lei.
“Andiamo.”, cercò di esortarla, “Ci divertiremo!”
“Danny, per piacere...”, ribatté lei.
I dvd sembravano così interessanti che non aveva distolto gli occhi per un solo istante. Né gli aveva prestato attenzione, né gli aveva dato la minima importanza.
“Che ne dici di Shining di Kubrick?”, propose poi.
“Naaah!”, esclamò, “Troppo pauroso per te. Ti verranno gli incubi.”, la prese in giro.
Lei tirò fuori un sorriso sornione.
“Da piccola Miki mi ha vaccinato sottoponendomi alla visione forzata di centinaia di film horror.”, disse, arieggiandosi, “Non credo che sarò io ad avere gli incubi, stanotte...”

How can you treat me like a child, yet like a child I yearn for you?

“Come vuoi. E Shining sia.”, le disse, prendendo il dvd dalle sue mani, “Ci penso io a sistemarlo nel lettore, siediti pure.”
Little lo accontentò, sedendosi sul divano con pazienza. Inserì il dischetto nella 'lingua' dell'impianto, poi si avvicinò allo stereo per spengerlo e godersi così il film senza essere disturbati dalla musica.
 
How can anyone feel so wild? How can anyone feel so blue?
 
Le sue dita esitarono nel premere il pulsante di spegnimento.
Era musica quella che ascoltavano ed era sempre un peccato interrompere una canzone a metà, soprattutto quando ne veniva riprodotta una tra le sue preferite. Decise di lasciar correre le strofe fino all'ultima, piuttosto che sentirsi in colpa per aver troncato in due la voce vellutata della Melua.
Little lo colse alle spalle, picchiettandogli sul braccio.
“Il film è iniziato, l'ho messo in pausa.”, gli disse, “Spegni la musica.”
“No, aspettiamo che finisca.”, rispose Danny, “Questa canzone mi piace troppo.”
“Come vuoi.”, disse lei, sorridendo, “Forse Arianna è davvero la donna della tua vita, anche lei odia interrompere la musica a metà.”
“Scelgo sempre quelle sbagliate.”, ironizzò lui, “Mi conviene farmi frate.”
“Ti ci vedo bene con il vestito marrone, la corda bianca...”, continuò lei.
“Sì, la corda bianca al collo...”, borbottò, con aria fintamente sconsolata.
“Andiamo, non ti deprimere!”, gli fece, “Magari tutti questi fallimenti stanno a significare che hai un'omosessualità latente!”
“Omosessuale? Io?!?”, ne rimase stupito, “Lo sai anche tu che non è vero!”
“Non devi mica dimostrarmi niente.”, disse Little, “Se lo sei, sono fatti tuoi. Alcuni amici di Arianna sono gay: tipi bizzarri, ma simpatici e dolci. Secondo me finiremo di becchettarci quando scoprirai di esserlo anche tu.”
“Ma io non lo sono!”, le fece, “E mi piace quello che c'è tra noi così com'è, anche se il cinquanta percento del tempo lo passiamo a litigare.”
“Cinquanta percento?”, disse lei, perplessa, “Novanta percento!”, lo corresse, “Diventerò lesbica per salvare la nostra amicizia.”
Volle giocarle un tiro mancino e vederla arrossire un po', per sfizio personale.
“Sarebbe una brutta notizia.”, le fece.
Lei si fece sempre più perplessa.
“Cosa?”
“Il fatto che ti piacessero le ragazze al posto dei ragazzi.”, si specificò.
“Non sarai mica omofobo!”, esclamò lei, “Ma guarda dove siamo andati a parare con questa conversazione...”
“Già, siamo arrivati ai confini della stupidità...”, disse, “E comunque non lo sono.”
“Neanche io.”
“Oh, bene.”
“E allora perché dovrebbe essere una brutta notizia il fatto che lo sia?”, sbottò lei.
Non era ancora arrivato a farla imbarazzare, quella volta lei non ne voleva sapere di colorare le sue guance di un bel rosso scarlatto, ma sapeva di esserci molto vicino.
“Sarebbe un peccato.”, disse, guardando con noncuranza le sue unghie, “Intendo un peccato per l'universo maschile.”
“Oh sì, perché l'universo maschile si interessa a Joanna Bellini!”, sbottò lei ridendo, “Penso che nessuno si sia mai voltato indietro quando gli sono passato accanto.”
“Meglio così.”
“Ma una volta ogni tanto farebbe anche piacere!”, continuò lei.
“Voi donne siete tutte uguali.”
Lei aggrottò la fronte ed incrociò le braccia, tipica posizione che significava 'attento a quello che dici’. Conosceva la forza dei suoi artigli verbali ma il suo scopo non era farla innervosire, sebbene lei si stesse comunque spazientendo.
 
It's so easy to break a heart, it's so easy to close your eyes.
 
Perse il filo mentale delle parole che le aveva preparato, si sentì pronunciare qualcosa di non valutato.
“E poi mi darebbe fastidio che gli altri si voltino quando gli cammini accanto.”, si spiegò.
L’espressione sul suo viso era un mescolarsi di confusione e fastidio.
“Perché anch’io non ti voglio dividere con nessuno, Little Joanna.”
 
This is the closest thing to crazy I have ever been...
Feeling twenty-two, acting seventeen.
 
Entrambi rimasero spiazzati da quelle parole.
Lui si sentiva stordito, fuori fase, tanto che sorrise imbarazzato. Si grattò la fronte, passandosi le dita per i capelli in cerca di un attimo di pace. Little lo fissava, gli occhi sbarrati, come se avesse detto una pazzia. Fece per dirle qualcosa ma non ebbe la forza per altro tranne che boccheggiare. Era rimasto senza lettere da pronunciare, senza frasi di senso compiuto da farle sentire.
Abbassò lo sguardo, non sapeva come uscire da quella situazione.
Non aveva previsto quello che era successo, neanche si ricordava quello che avrebbe voluto dirle esattamente. L’ultima frase non era stata inserita nel copione mentale che aveva velocemente scritto e che avrebbe dovuto farla diventare paonazza. Lo scopo era stato pienamente raggiunto, ma completamente fuori dallo schema preparato.
 
How can I have got in so deep? Why did I fall in love with you?

“Guardiamo il film?”, esordì poi Little, rompendo il silenzio
“Sì.”, le rispose, cercando di cancellare quello che era accidentalmente uscito dalle sue labbra.
Velocemente, lei si sedette. La riproduzione dei titoli iniziò. Spense lo stereo e la raggiunse, lasciando un evidente spazio vuoto sul divano.

And there's a link between the two,
Being close to craziness and being close to you.

“Qualcosa da mettere sotto i denti?”, propose Little.
Ci rifletté.
“No... Grazie.”
“Da bere?”
“Sono a posto così.”
“Ok, prendo comunque qualcosa.”, non si volle arrendere.
Little si alzò, lasciandolo solo a godersi i silenziosi nomi che scorrevano sullo schermo della televisione, alle prima immagini del film.
Danny ebbe un deja-vu. Possibile che quella settimana insieme gli ricordasse sempre di più quella di un anno prima? I fatti si riproponevano, in chiavi e significati diversi.
Loro erano diversi.
Lui si sentiva diverso, sotto tanti punti di vista.
Quello che aveva dentro era confusamente diverso.
I passi leggeri di Little lo riportarono con la testa sulle spalle. Teneva tra le mani una bottiglia di quello che, al colore, poteva sembrare del the, insieme ad un pacchetto di patatine. Li sistemò sul basso tavolino davanti a loro e tornarono a guardare il film.
Kubrick, forse quello era il secondo film che vedeva di quel regista. L’altro era stato Eyes Wide Shut, visionato tanti anni fa con gli altri tre, solo per vedere le scene di nudo e di sesso ed erano tutti rimasti profondamente delusi. Non ne ricordava neanche la fine.
“Di cosa parla?”, le domandò.
Lei stava già sgranocchiando un paio di chips.
“Beh... Di una famiglia che si chiude in questo hotel, il padre è stato assunto come manutentore della struttura per tutto l’inverno... E poi succede del casino.”, fece lei.
“Quanto casino?”, cercò di tornare ad essere ironico.
“Tanto casino.”, rispose Little, “O almeno così c’è scritto.”
“Bene.”
Jack Nicholson e la sua famiglia erano appena arrivati al grande hotel di montagna.
“Ti piace lui come attore?”, le chiese ancora.
“Abbastanza. Ma preferisco Antony Hopkins.”
“Sì, sono entrambi molto bravi. Come si chiama l’altra attrice?”
 “Non lo so.”, rispose Little, “Non la conosco affatto.”
“E il bambino è abbastanza terrificante di suo!”, disse, ridacchiando.
Perché non riusciva a stare zitto? Perché si sentiva gli spilli premergli ovunque, facendogli venire la voglia di lasciare la stanza e rifugiarsi altrove?
“Hai visto? Parla con il suo dito!”, esclamò di nuovo, ridendo anche più forte.
“Vuoi una patatina?”, gli chiese lei.
Little gli porse il sacchetto e vi infilò la mano. Le dita non riuscivano a imprigionare nessuna delle patatine, che continuavano a sgusciare via. Istintivamente gli venne da sorreggerlo con l’altra mano, al di sotto di esso. Non percepì immediatamente il calore della pelle di Little. Ci volle qualche secondo prima chi si accorgesse che la mano di lei riposava nella sua, e teneva il pacchetto degli snack da ben prima che anche lui fermasse la propria  intorno alla plastica del bordo inferiore.
Rapidamente, la mano di Little sgusciò via.
“Prendile pure.”, fece.
Avvicinò il sacchetto e sgranocchiò quello che riuscì a prendere. Little si versò un bicchiere di the e ben presto l’aroma di limone arrivò anche alle sue narici. Posò le patatine e ne prese un po’ anche per sé.
Ne bevve un sorso.
“Chi morirà per primo in questo film?”, le chiese stupidamente, “Facciamo una scommessa?”
“La moglie di Nicholson.”, rispose lei, con una risata soffusa, “Ha la faccia di una che viene uccisa a cinque minuti dall’inizio del film.”
Perché anch’io non ti voglio dividere con nessuno, Little Joanna.
Stava ridendo ma quelle parole lo fecero abbuiare.
“E il bambino rimarrà l’unico sopravvissuto, alla fine.”, continuò lei, “Non c’è cosa più noiosa di quando comprendi la fine di una storia vedendone solo l’inizio.”
“Già...”
Si accorse che quel suo monosillabo le fece saltare la mosca al naso. Little si voltò verso di lui, per scrutarne l’espressione.
“C’è qualcosa che non va, Dan?”, gli domandò.
C’era una valanga di cose che non andavano.
Le sorrise.
“No, tutto tranquillo, Little.”, le fece.
“Ne sei sicuro?”, insistette lei, “Ha a che vedere con il film, vero?”
Non era alla televisione che continuava a pensare, non erano gli stravolgimenti dell’evoluzione della trama che aveva in mente.
Sospirò.
Con più forza, gli spilli presero a conficcarsi ovunque, soprattutto sulle sue mani, e posò il bicchiere sul tavolino, accanto al pacchetto di patatine. Poi gli spilli si concentrarono sulle sue gambe, e fu costretto a muoverle, a spostarsi lungo la seduta del divano.
Quei 'cosi' infernali tornarono poi a dolergli sulle mani.
Le posò sulle sue guance.
Sentì un fastidio sulle labbra.
E le posò su quelle di Little, baciandole.





Credo che non ci sia bisogno di commenti da parte mia. Ormai sono un caso perso :)
La canzone citata è The Closest Thing To Crazy, che dà anche il titolo al capitolo, ed è cantata da Katie Melua. Non c'è scopo di lucro.
Alla fine ci siamo arrivati, volenti o nolenti. Prometto che la prossima storia sarà diversa.... Migliore :)

Ringrazio comunque ludothebest, picchia, ciribiricoccola, kit2007, blossom e giuly  ** spero di trovarvi anche nel prossimo... Siamo quasi alla fine :) Resistete!

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Capitolo 15
*** The Closest Thing To Crazy - Part Two ***


15. The Closest Thing To Crazy – Part Two
 
 
Little scostò la faccia di lato.
“Danny, smettila.”
Riaprì gli occhi, sbattendo le palpebre più volte. Ecco, l’aveva fatto, l’aveva baciata. L’aveva baciata. Aveva baciato Little, ed era ancora così vicina... Lasciò un altro piccolo bacio sulla sua guancia calda, ed un altro ancora.
“No, Danny, basta.”, ripeté lei, “Per favore, non farlo.”
“Perché?”, gli venne spontaneo chiederle.
“Perché io sono tua amica.”, rispose Little, “E Tamara è la tua fidanzata.”
Non seppe cosa dirle.
“Sei confuso perché ti ha lasciato e se n’è andata di casa.", continuò lei, "Hai sentito l’impulso di farlo perché ero la persona più vicina a te. Se ci fosse stato qualcun altro sarebbe accaduto comunque!”
“No, ho baciato te... Perché volevo farlo.”, le disse.
“Danny, per piacere, piantala.”, insistette lei, allontanandosi.
“Little, smettila. Non è così”, le fece.
“Certo che è così!”, esclamò lei, sempre più arrabbiata, “Non può essere altrimenti! Lo so che la ami, l’ho visto in tutte le cose, l’ho capito appena vi ho visto insieme.”
“Su questo non ci sono dubbi.”, rispose Danny, “Hai perfettamente ragione.”
Little ebbe un attimo di tentennamento ed esitò.
“Ecco, visto?”, fece poi, riprendendo tutto il suo vigore, “Allora perché lo hai fatto?”
Danny sospirò. Dougie aveva avuto ragione. Arianna aveva avuto ragione. Tutti avevano avuto ragione, ma lui non li aveva mai ascoltati. Aveva sentito le loro parole, ma non le aveva comprese davvero. Ognuno di loro aveva cercato, a suo modo, di metterlo davanti a qualcosa, ma nessuno di loro ci era riuscito. Era stato Harry a dargli un bello schiaffo in piena faccia. Le sue parole avevano percorso migliaia di chilometri in un baleno e lo avevano colpito in pieno. Nessuna delle persone intorno a lui era stato capace di fargli afferrare quello che lui gli aveva detto, con tutta la sua sincera schiettezza ed una telefonata.
Ti ci voleva proprio la morte di suo padre per capire che ne sei innamorato?
Sì.
“Danny, non hai la minima idea di quello che ho tenuto nascosto per tutto questo tempo, e Tamara lo aveva capito.”, disse ancora Little, "Non voleva che mi seguissi proprio perchè aveva paura che succedesse proprio questo.”
Anche Tamara aveva avuto ragione. Little si era davvero innamorata di lui, solo che non se ne era accorto. L’otturazione di cui gli aveva parlato Arianna, una grossa palla di convinzioni chiamate amicizia, lo aveva reso completamente cieco e sordo.
Comunque, non avresti dovuto baciarmi  perché non è me che vuoi, lo so benissimo. Tamara ti manca, ecco perché mi hai baciato.”
“L’ho fatto perché sei tu, Little.”, le disse, con naturalezza.
Lei esitò ancora, scosse la testa. L’avrebbe accettato.
Prese un bel respiro.
“Sono innamorato di te, Little Joanna.”
“Non è vero.”, disse lei.
"Sì che lo è."
“Basta!”, gridò Little, tanto da non permettergli di  contraddirla ancora.
Si portò le mani alle orecchie, come se non avesse voluto sentire altro.
“Non è vero! Non è vero!”, disse di nuovo, “Tra cinque minuti Tamara ti chiamerà e mi dirai che ti sei sbagliato, lo so!”
Danny incrociò le braccia.
“Little, mi stai facendo male, lo sai?”
"Così siamo pari!”, ribatté lei.
Danny non era più capace di sopportarla. Si avvicinò e la afferrò con decisione per le spalle, deciso a zittirla nel modo più efficace che conosceva. Un altro bacio. Non gli sembrò di sentire alcuna opposizione, nonostante una piccola e soffocata resistenza nei primi attimi in cui assaggiò le sue labbra. Lasciò la presa ferma sulle sue spalle, ma Little non si mosse di uno solo millimetro. La liberò del tutto, guardandola dritto negli occhi verdi.
“Mi credi ora?”, le fece, quasi ironico.
Vedeva ancora la sua perplessità. Non voleva lasciarsi convincere, ma la capiva. Era stato un emerito idiota, un cretino di dimensioni colossali, un imbecille, un deficiente ed avrebbe potuto continuare ad offendersi finché non avesse finito tutti gli epiteti del mondo. Aveva agito nella più totale ingenuità, senza saper leggere tra le righe delle e-mail che si scrivevano; non c’era stata cattiveria nelle sue azioni ma era comunque stato perfido nei suoi confronti.  Se fosse stato sincero, se avesse avuto le palle per provarci, Tamara non ci sarebbe mai stata. Sarebbe stato difficile, avrebbero sofferto per la lontananza e gli impegni, ma avrebbero potuto farcela da subito. Oppure era stato meglio così, perché al tempo non erano stati pronti... Chi poteva saperlo? Quello era l’universo in cui vivevano, quella era stata la loro esperienza.
Di una cosa era certo. Ora voleva provarci.
Sempre che Little fosse stata d’accordo.
“Little, credimi, per favore.”, le fece.
Avrebbe fatto qualsiasi cosa, l’unica soluzione efficace era distrarla dai suoi pensieri con altri baci, ma lei lo precedette. Prima solo una timida pressione sulle sue labbra, poi Little gli dette un altro bacio, più deciso e profondo, chiudendo le mani intorno alle sue guance. Strabuzzò gli occhi alla sua presa d’iniziativa, che lo riempì di felicità, oltre che di stupore.
Gli venne da ridere, Little se ne accorse.
“Cosa c’è di divertente?”, domandò, sorridendogli.
“Tu.”, le disse Danny, “Tu sei divertente.”
“Ah si?”, se ne risentì scherzosamente.
“Sì. Decisamente sì.”
Strinse le braccia intorno alla vita e la sollevò da terra.
“Com’è il tempo lassù, Little?”, le fece, scherzando.
 
 
Se quello era un sogno, il suo corpo doveva avere il buon gusto di svegliarsi e deluderla, come più volte era successo. Eppure non ne aveva mai fatti di così reali, veri.
Sono innamorato di te, Little Joanna.
Impossibile, anche nella più bella delle fantasie. Non poteva essere accaduto, non ci voleva credere fino in fondo, prima o poi avrebbe aperto gli occhi e lui si sarebbe volatilizzato. Si sarebbe così trovata nel suo letto, a notte fonda, e avrebbe perso ogni speranza di riprendere sonno. Era inutile, era più forte di se stessa. Nonostante le braccia si fossero chiuse intorno al suo collo e le labbra stessero assaporando il gusto agrodolce che il the gli aveva lasciato in bocca, Joanna non riusciva a crederci. Si lasciava baciare, permetteva alla sua mente di illuderla per l’ennesima volta.
Perché era bello.
Perché raramente aveva desiderato qualcosa con tutta quella intensità.
Aprì gli occhi di un piccolissimo spiraglio, temendo davvero che tutto finisse, ma non accadde. Li spalancò ed incontrò quelli di Danny.
“Non ci credi ancora, eh?”
Quella volta annuì con sicurezza. Sì, ci credeva davvero e non si sarebbe fatta ripetere quella domanda mai più.
“Ci sediamo?”, gli chiese, e lui gli rispose nello stesso modo.
Il divano li accolse ancora. Seduta sulle sue gambe, non riusciva a trattenere qualche piccola risata quando le dita le stuzzicavano la pancia, procurandole intenzionalmente del solletico. Le sue preferivano annodarsi con i capelli riccioluti, accarezzandogli la pelle del collo. Un piacere strano iniziò a solleticarla ogni volta che il tocco di Danny si faceva più deciso sulla pelle. Ogni sorso d’aria era più difficile da respirare, ogni pensiero si faceva più difficile da sviluppare, annientato dalle scosse piacevoli che la torturavano sotto il suo totale consenso.
Si sentiva la mente offuscata, quello che voleva era continuare ancora, averne di più, sebbene una microscopica parte di sé non si stesse stancando di metterla in guardia da quello che stava per fare.  Al diavolo tutte le paure, era stanca di vivere una vita di rimorsi e ripensamenti, dove ogni occasione veniva sprecata dal timore di poterne soffrire.
Ora, o niente. Tutto, o niente.
Ed era stanca di accontentarsi sempre di niente.
 
 
Non sapeva cosa fare.
Sinceramente lo sapeva, ma poteva farlo? Se avessero continuato così, avrebbe preferito fermarsi prima di valicare il punto di non ritorno. La mente non ragionava più, il corpo non reagiva ai suoi impulsi cerebrali. Tutto si era completamente scollegato, ogni parte di sé era comandata dalle sensazioni che mani e bocca gli procuravano. Sapeva che si sarebbe dovuto fermare, che prima o poi Little gli avrebbe detto di smettere, ma non ne avrebbe mai avuto abbastanza. Lei era lì, seduta su di lui, la punta delle dita continuava a torturargli i capelli. Lasciò le sue labbra per dedicarsi alla pelle bianca del collo, sperando che non si tirasse indietro.
Si aspettò che si irrigidisse e che si imbarazzasse ma, quando la piccola scia arrivò a concludersi sul bordo della maglietta, che terminava a punta poco sopra l’inizio del suo seno, quello che ricevette in cambio non fu niente del genere, ma un piccolo gemito soffocato che rischiò di fargli perdere la testa. Danny si chiese davvero cosa fosse proibito fare e cosa fosse ancora concesso. Forse non era giusto, forse stavano velocizzando troppo le cose... Forse avrebbero dovuto aspettare.
“Little...”, le fece, e sbuffò una risata imbarazzata, “Io... Non lo so...”
Le dita fini scorsero lungo il profilo delle orecchie e gli fecero il solletico,  giocherellarono con il colletto della camicia e si fermarono sul primo bottone, liberandolo dall’asola. Poi proseguirono col secondo, che subì la stessa fine, insieme al terzo. E al quarto. Al quinto. Poi la fermò.
“Non si torna indietro, lo sai?”
Lei gli sorrise.
“Io sì. Tu?”
Inghiottì con estrema difficoltà. Realizzare pienamente che la ragazza seduta sulle sue gambe non era un’adolescente confusa ma una donna nata una manciata di mesi dopo di lui, con impulsi e sentimenti forti tanto quanto i suoi, sicura e decisa, tutt’altro che imbarazzata, causò un potente corto circuito nella sua materia cerebrale. Qualche tempo dopo si rese conto di trovarsi disteso su quello che sembrava il letto della stanza che Arianna gli aveva dato, senza essere in grado di ricordarsi come aveva fatto ad arrivarci. Little era accanto a lui e si lasciava tranquillamente accarezzare dalle sue mani. La sua camicia giaceva già per terra, non si ricordava se fosse stato lui a toglierla oppure se lo avesse fatto lei. Aveva vissuto quei pochi attimi come in apnea.
Ormai stanco di non poter sentire a pieno il calore che gli trasmetteva afferrò l’orlo basso della sua t-shirt e gliela tolse. Non poté fare a meno di osservare il lungo segno che la tagliava in due dalla spalla destra fino al seno sinistro, ma prima che qualsiasi cosa potesse accadere, che qualsiasi pensiero la distraesse, posò una bacio dopo l’altro sulla sua cicatrice.
“E’ brutta, non credi?”, disse Little.
Alzò gli occhi sui suoi e le sorrise.
“E’ un ricordo, me lo hai detto tu.”, le rispose, prima di tornare su di lei.
Le tolse i pantaloncini, e poco dopo fece fare la stessa fine anche ai suoi.
 
 
Su e giù, faceva scorrere le dita lungo il profilo della schiena di Danny. Si sentiva impacciata, non sapeva cosa fare, ma si lasciava muovere dalle sensazioni. Aveva paura, ma le importava meno che del resto. Se si fosse messa a pensare, forse le sarebbe venuto da piangere per la gioia. Danny era su di lei e non sembrava meno imbarazzato. Spesso sbuffavano una risata, come per dirsi ‘guarda cosa stiamo facendo, e pensa a come eravamo prima’. Si era allontanato da lei solo qualche attimo, per tornare poi a baciarla ancora.
La nudità di entrambi non era molto confortevole, doveva ammetterlo, ma si sarebbe abituata, ne era certa. Non sapeva come avrebbero fatto, né quanto avrebbero potuto durare, ma ora che erano lì avrebberoprovato  fino in fondo. A costo di lottare con un coltello tra i denti, al modo dei pirati che tanto le erano piaciuti al cinema.
“Little...”, le fece Danny, distogliendola dai pensieri.
“Uhm?”
“Lo sai che... Insomma...”
Cosa doveva sapere? Che faceva male? Vivevano sullo stesso pianeta, lei era umana ed aveva un’intelligenza sulla linea della media nazionale, non era mica scema. Era vero che non sapeva come gestire alcune cos , come le mani di lui che si muovevano ovunque, ma il proprio corpo lo conosceva benissimo. Poteva aver vissuto la sua adolescenza nei complessi che si era trascinata dietro fino a quel momento, ma era sempre una ragazza comune, non una schizofrenica, e Danny era sempre stato troppo apprensivo. Forse, dopo quella prima volta avrebbe capito che non erano molto diversi, che nonostante le difficoltà personali anche la sua Little Joanna era una ragazza come tutte le altre. Le poche volte che avevano affrontato quell’argomento si era imbarazzata, era vero, ma c’era differenza tra il parlarne e il metterlo in pratica, soprattutto con la persona di cui si era innamorata.
Non era mica una bambina, sebbene potesse spesso comportarsi infantilmente.
“Dan...”, gli fece, con tono ovvio .
Gli sorrise, ricevendo un’altro sorriso in cambio, ed un bacio a fior di labbra.
 
 
Si sdraiò ancora accanto a lei, passandole un braccio sotto la testa mentre l’altro la circondò poco sotto il petto. Le dette un piccolo bacio sulla guancia. Lo tormentavano tanti pensieri, ma li mise tutti a tacere per godersi quel momento con lei. Quando le aveva dato il primo bacio non si sarebbe aspettato di arrivare lì, eppure era successo.
“Tutto a posto?”, le domandò.
Era maledettamente incerto che qualcosa fosse andato storto. Aveva paura che lei si voltasse e lo accusasse di averle fatto troppo male, e che lo rifiutasse.
“Certo.”, rispose Little, sorridendogli.
“Ne sei sicura?”, le fece ancora.
Lei roteò gli occhi, scherzosamente annoiata.
"Dan, non sei il ragazzo dei miei sogni ma va bene lo stesso.”, disse con ironia.
Le sorrise, nascondendo la faccia tra il cuscino ed i suoi capelli.
“Cosa c’è che ti tormenta?”, chiese poi Little.
“Niente.”, le rispose, poco convincente.
“Non mentire.”
Sospirò. Non ne voleva parlare in quel momento.
“Lascia stare.”, disse Danny, “Non voglio rovinare tutto.”
Prese il lenzuolo stropicciato e si infilò sotto di esso, raggiungendo il corpo caldo di Little, di cui aveva bisogno. Era l’unica certezza che riusciva a trovare, oltre a quello che provava per lei.
“Sì, hai ragione.”
Tornò a nascondere la faccia tra i suoi capelli, chiudendo gli occhi ed aspettando che il sonno si prendesse entrambi. Pochi minuti dopo Little lo lasciò, addormentandosi profondamente.
 
 




Si svegliarono sulla nota di sonore imprecazioni.
"Porca puttana!”, echeggiò nel corridoio, “Cazzo!”
Aprì gli occhi disturbata dalla voce stridula di Arianna.
“Cosa è stato...”, borbottò Danny.
“Arianna...”, gli fece capire Joanna, con un filo di voce.
Doveva aver combinato qualcosa per imprecare in quel modo ma non se ne curò, preferendo accoccolarsi vicino a Danny e tornare a dormicchiare.
“Vaffanculo!”
Si chiese se le fosse passato per la testa il fatto che potesse essere mattina e che qualcuno avesse voluto dormire ancora. Odiava essere svegliata in quel modo, soprattutto dopo una notte del genere. Prese velocemente i suoi vestiti e li indossò ancora.
“Cosa fai?”, le domandò Danny, un occhio aperto e l’altro ancora chiuso.
“Vado a vedere cosa è successo...”, disse, scocciata, “Torno subito.”
Chiuse la porta e percorse il corridoio.
“Arianna?”, la chiamò.
Le rispose qualche secondo dopo, la voce proveniva dal pianterreno.
“Buongiorno Jo!”, esclamò la donna vedendola arrivare, “Dormito bene?”
Era in cucina, stava sferragliando con alcuni cacciaviti, distesi sul tavolo insieme ad altri strumenti da fai da te.
“Sì...”, le rispose, “Cosa hai combinato? Le tue espressioni mi hanno svegliato.”
“Personalmente non ho fatto niente.”, rispose lei, “Ma si è rotta la lavatrice ed ha invaso lo sgabuzzino di acqua.”
Joanna allungò gli occhi e li puntò verso la piccola porta che si affacciava sulla cucina, dove l’elettrodomestico era stato sistemato a suo tempo. Una piccola pozzanghera d’acqua usciva da lì.
“Stavo cercando di aggiustarla.”, continuò Arianna.
“Faresti meglio a chiamare un tecnico.”, le disse, poco convinta che lei riuscisse nel suo intento.
“Già fatto.”, le sorrise.
Un’espressione sorniona apparve sulla sua bocca.
“Mi dispiace che le mie parole siano state una sveglia.”, disse, rigirando con un cacciavite tra le dita, “Una sveglia per entrambi.”
Non le si teneva nascosto niente.
“Non ti ho trovato nella tua stanza quando sono tornata, ieri.”, riprese Arianna, “Ho subito immaginato che fossi stata con Danny. Ero venuta a darti una notizia.”
“Dimmi pure.”, le fece.
Arianna prese un profondo respiro. Si era fatta totalmente seria, la cosa la preoccupò.
“Ho venduto il locale.”, sviolinò poi, velocemente, come se avesse avuto paura di non riuscire a dirlo ed avesse cercato di farlo nel minor tempo possibile.
Joanna rimase spiazzata. Non ci poteva credere, era assurdo. Arianna teneva a quel locale più che a sé stessa, passava più ore lì dentro che a casa. C’erano tutti i cimeli della sua gioventù: il juke box, i suo vecchi dischi, i ricordi. Anche i suoi ricordi, quelli di Joanna: Tom che si sedeva tranquillamente ed ordinava fish and chips con the alla pesca, lei che rovinava per terra, i McFly che la riempivano di domande... Non poteva venderlo.
“L’ho fatto, Jo.”, disse la donna, quasi con un velo di pentimento, “L’ho venduto davvero, era da un po’ che ci pensavo. Ho licenziato Miki, le cameriere lo hanno autonomamente seguito... Cosa mi rimane?”
“Tutto!”, esclamò Joanna, “Ti rimane tutto!”
Non voleva perdere quel locale, significava troppo per lei.
“Potresti assumermi ancora!”, le propose, “E potremmo anche...”
“Joanna...”, la fermò  la donna, “Lo so che da quel piccolo locale è iniziato tutto per te, che lì dentro sono successe cose che ti hanno cambiato, ma non essere egoista.”
“Perché lo hai venduto?”
Arianna scosse la testa.
“Andava male, Jo. Era da un anno che non riuscivo a togliere un ragno dal buco.”, le spiegò, “L’ho venduto prima di farmi i debiti.”
“Perché non me ne hai parlato prima?”, le chiese.
“Avevo messo in giro la voce qualche tempo fa, così, quasi senza pensarci. Poco dopo si presentò un compratore disponibile, ma ero sempre indecisa sul da farsi e l’avevo lasciato in attesa. Mi ero convinta, poi è successo di tuo padre ed ho deciso di aspettare che la situazione si stabilizzasse. Ora ho trovato la forza di firmare quei fogli e venderlo.”
Era tristemente scioccata.
“In questi giorni ero sempre fuori per questo motivo, non tanto perché volevo lasciarti del tempo da sola, con te stessa.”
E ora cos’altro sarebbe successo? Non sapeva rispondersi.
“Vuoi dirmi qualcosa, Jo?”, le domandò Arianna, cercando di nascondere le lacrime che gli salivano agli occhi.
Danny era stato momentaneamente eclissato da quella notizia, non riusciva a pensare ad altro. Se ne pentiva, era egoistico pensare che Arianna non avrebbe dovuto vendere lo Strictly English perché le sarebbe dispiaciuto dare via i suoi ricordi, ma non poteva non starci male. Quel locale era stata una casa per lei.
“Beh... Lo sai, se ci pensi bene lo capisci anche da sola.”, le fece, un po’ acidamente.
Arianna nascose la sua tristezza con una buffa espressione pensierosa.
“E’ successo quello che penso io, vero?”, disse poi.
Le annuì.
“Sì, quello.”
In pochi attimi Arianna l’abbracciò, dicendole che non sapeva quanto quello la stesse risollevando da terra. Le diceva che era contenta, ma non riusciva a gioire pienamente con lei.
“Torno su da lui.”, le fece poi, sciogliendo l’abbraccio.
 
 
 
Danny era rientrato da una manciata di secondi, approfittandone per fare un salto in bagno e rinfrescarsi il viso. Sentì la porta aprirsi mentre indossava ancora solo i pantaloni.
“Hey...”, le disse, andandole incontro ed accogliendola con un bacio, “Cosa ha combinato Arianna?”
Little non gli rispose. Si sedette sul letto e la seguì, preoccupato.
“Arianna ha venduto il locale.”, disse poi, lo sguardo basso.
“Lo Strictly English?”, le chiese.
“Sì... Me lo ha detto prima, era per quello che stava sempre fuori casa.”
Comprese la sua tristezza. Lì era iniziato tutto, venderlo sarebbe stato come dar via un oggetto che aveva il potere a far riemergere tutti i ricordi ad esso legati.
“Mi dispiace.”, le disse, passandole un braccio attorno alle spalle, “Ma se lo ha venduto è stato certamente per un buon motivo.”
“Lo ha fatto per non fallire.”
“Già...”, le disse, “Comunque credo che potrai tornarci comunque quando vuoi.”
“Non credo che lo troverò uguale a come l’ho lasciato.”
“Una fine è sempre l’inizio per qualcos’altro.”
Lei lo guardò perplessa.
“Ecco una delle perle di saggezza del Signor Jones.”, le disse Danny, sperando che l’ironia la risollevasse un po’, “Pronta per lei, mia signora.”
Little scosse la testa sorridendo. Si era avvicinato per baciarla, quando il telefono li interruppe. Si voltò, seguendo il rumore della suoneria con gli occhi, non si ricordava dove lo aveva lasciato per l’ultima volta.
“Un attimo solo.”, le fece, gattonando sul letto.
Si sporse dal bordo opposto, scovandolo per terra a faccia in giù, doveva essere caduto. Era Dougie.
“Hey!”, esclamò rispondendogli, “Ciao!”
Hey! Che entusiasmo!”, fece l’altro, “Abbassa la voce che mi fori un timpano.”
“Come stai Doug?”, gli chiese.
Bene, non c’è male. Voi due?
“Tutto ok.”
 Con un gesto Little gli fece capire che avrebbe lasciato la stanza e, infatti, qualche attimo dopo se ne andò.
So che è una domanda stronza, ma quando pensi di tornare a casa?”, chiese Poynter, “Perché c’è da rimettersi a lavorare... Sul serio.
“Pensavo nella giornata di domani, è un problema?”
No, va benissimo.”, rispose l'altro.
“Non è successo niente in mia attesa?”, domandò.
Quello che dovevi sapere te lo ha detto Harry.”, rispose, “Non saprei cos'altro aggiungere.”
Ogni parola che Poynter pronunciava lo riportava sempre di più giù, nelle difficoltà che la vita reale stava per mettergli davanti.
E tu?”, chiese l'altro, “Come l'hai presa?
“Beh... Uhm...”, esitò nel rispondere.
Danny?”, lo esortò a parlare, “Cosa è successo?
“Niente, Doug. E' tutto a posto.”
E' qualcosa che ha a che vedere con Jonny?”, si preoccupò l'altro.
“Beh...” , temporeggiò Danny.
Ok, ho capito.”, rispose Dougie, “Complimenti per le tempistiche...
Gli venne una piccola risata sulle labbra.
Posso parlarle?
“E' andata via, penso sia nella sua stanza, te la cerco subito.”
Ok, Jones, attenderò. Buona giornata!
Uscì dalla camera e la raggiunse, trovandola nel suo piccolo bagno personale, si pettinava i capelli davanti allo specchio.
“Dougie ti vuole parlare.”, le disse.
Con tranquillità Little allungò la mano e prese il telefono, portandoselo poi all'orecchio e mettendosi a parlare con lui. Lasciò ad entrambi il momento personale, non voleva disturbarli facendo l'impiccione, sapeva che Little non l'avrebbe presa bene ed avrebbe scommesso che anche Dougie si sarebbe infastidito. Preferì tornare in camera, indossare una t-shirt e scendere a fare colazione, dove trovò un'Arianna indaffaratissima con chiavi inglesi e cacciaviti.
“Ti dai all'idraulica?”, le chiese, facendola sobbalzare.
Accucciata davanti all'oblò aperto della lavatrice, la donna cercava forse di aggiustarla.
“Ci sto provando, ma mi consiglio di provare con l'ippica!”, rispose, gettando via uno strano utensile che non aveva mai visto prima, “Non è che puoi aiutarmi?”
“Vediamo se combino un guaio maggiore del tuo.”, le fece.
Arianna gli cedette il posto e, una volta presa visione della marea di tubi, viti e bulloni, rinunciò all'impresa.
“Fosse stato il motore di un'auto, ti avrei aiutato molto volentieri.”, le fece, “Ma non ne capisco niente.”
“E' già qualcosa in più di me. Lascia stare, tra un'oretta dovrebbe arrivare il tecnico, la faccio sventrare a lui. Hai fame?”
“Non molto, ma prendo volentieri un caffè, se è possibile.”, disse.
“Perfetto, ne faccio subito un vagone!”
Arianna abbandonò tutti i suoi attrezzi e si occupò della macchinetta per il caffè.
“Dove le hai trovate tutte quelle chiavi inglesi?”, le domandò con aria divertita.
Poteva essere un luogo comune e maschilista, ma non pensava che fossero molto appropriati per una donna.
“Erano di mio padre.”, rispose lei, “Non credo che avesse mai saputo come piantare un chiodo al muro, aveva sempre qualcuno che faceva queste cose per lui, ma li possedeva comunque. Erano tutta roba sua, l’ho ereditata insieme alla casa. Alcuni strumenti sono più vecchi di noi due messi insieme, non so come si usano. “
Nel frattempo Arianna aveva preparato la moka e l'aveva messa sul fuoco. Si sedette davanti a lui.
“Little mi ha detto del locale, che vuoi venderlo.”, le rivelò.
“Sì, ho dovuto.”, gli fece, “Non sai quanto mi sia costato farlo, non riesci nemmeno ad immaginarlo.”
“Lo capisco perfettamente e sono sicuro che anche Little la pensi così.”, cercò di rassicurarla, “E' solo un po' confusa, non è l'unica cosa che ha perso in questi giorni.”
“Certamente... Ho dovuto dirglielo, se lo avessi fatto tra dieci giorni avrebbe avuto la medesima reazione.”
“Che cosa farai ora?”
Arianna era giù di corda, più di quanto lasciasse ammettere.
“Non lo so.”, rispose, con un sospiro, “Ho un paio di idee, ma non so se posso attuarle.”
“Ad esempio?”
“Trovare un altro lavoro in città.”, disse lei, “O muovermi altrove.”
Muoversi altrove? E dove?
“Stai tranquillo, Danny.”, lo anticipò lei, “Non credo che la tua Little avrà molto per cui opporsi.”
Nel sentire quel 'la tua Little', sottolineato anche da uno sguardo dolce, Danny non poté trattenere un sorriso imbarazzato. Il rumore della moka attirò l'attenzione di entrambi e pochi attimi dopo la sua tazzina di caffè fu pronta per essere bevuta. Lo zuccherò e con il cucchiaino prese a girarlo.
“Quando torni a casa?”, gli domandò la donna, dopo che ne ebbe preso un sorso.
“Pensavo di mettermi alla ricerca di un modo per farlo.”, le fece, “Comunque nella giornata di domani.”
“Va bene... Ne avete parlato?”
Cercò di evitare di abbuiarsi, ma non ci riuscì.
“No, ancora no.”, le rispose, “Pensavo di farlo appena possibile... Però...”
Ci aveva pensato per ore. La domanda era banale e scontata: avrebbero potuto continuare o almeno iniziare a vivere qualcosa tra di loro con tutta quella distanza in mezzo? Ieri sera era sembrata la cosa più facile del mondo, ma una volta finito tutto, una volta tornati ad essere Danny e Joanna, l'uno accanto all'altra, era diventata sempre più complicata. La risposta era: provarci, anche se sarebbe costato uno sforzo immane, ma non se la sentiva di soffrire. Era codardo perché non voleva starci male: avrebbe voluto che tutto venisse vissuto nel migliore dei modi, mentre l'unica cosa che era andata per il verso giusto era stata la notte precedente.
“Non lasciarti prendere dallo sconforto.”, disse Arianna, “Vedrai che tutto si sistemerà per il meglio.”
“Non ci credo, mi dispiace.”
“E io credo che, se Jo ti sentisse, non ne sarebbe contenta.”
 
 
“Ok, ora se n'è andato.”, disse a Dougie, appena sentì la porta della sua stanza chiudersi.
Perché non volevi parlare mentre c'era Danny?”, chiese l'altro, perplesso.
“Perché l'ultima volta che è saltato fuori il tuo nome abbiamo fatto le scintille.”
Quindi è stato ieri sera?”, ne approfittò subito Dougie per scoccarle una frecciatina.
“Ma no, scemo... L'altro ieri.”
Anche l'altro ieri?!?
E scoppiò a ridere.
“Poynter, per cortesia, anche se ti è impossibile, sii serio.”
Ok, Jonny, lo faccio solo per te.”, si ripristinò, anche se lei non ci credette molto, “Allora, com'è stato?
“Certo che te lo dico!”, ironizzò Joanna, “Proprio a te!”
Ma dai... E io che sono così curioso...”, si finse deluso Dougie, “Comunque, sono contento per te... In fondo era quello che volevi, no?
“Beh... Sì, ma non a discapito di un'altra persona.”
Non credo che sia successo quello che pensi.”, le fece Dougie.
Il suo tono voleva essere convincente, ma lei non era capace di crederci. Era quello che aveva voluto, forse dal primo giorno in cui Danny era partito per tornarsene a casa, un anno fa, ma non in quel modo. Non aveva mai voluto mettersi tra due persone.
Forse non sai quanto siamo stati scettici, tutti noi, quando ci ha presentato Tamara.”, le disse Dougie.
“Ma non gliel'avevi presentata tu? O Harry...”, disse Joanna, perplessa.
Intendevo nel senso 'Hey, ciao a tutti, sono Jones dei McFly e questa è la ragazza con cui andrò a vivere'. Non so se mi spiego, Little...”, ironizzò Dougie, chiamandola con il nomignolo tipico di Danny da sempre.
“E questo cosa c'entra con me?”, borbottò stancamente Joanna.
Dio, quando ti metti in testa una cosa, niente la toglie!”, la rimproverò Dougie, “Volevo dirti che quando ci ha detto che si era ufficialmente fidanzato con lei, abbiamo strabuzzato gli occhi perché stavamo facendo conto alla rovescia per capire quando sarebbe successo con te!
“Ma comunque è arrivata lei! Non significa niente quello che c'era prima!”, ribatté prontamente.
Sentì Dougie sospirare profondamente, per riprendere la calma.
Little, posso dirti una cosa?”, le chiese, “Una cosa dal profondo del cuore...
Titubante, acconsentì.
Vaffanculo. Ci sentiamo!
E chiuse la chiamata. Sbigottita, non seppe cosa fare. Dougie l'aveva appena mandata a fanculo.
Forse ha detto bene....
Ad ogni modo non le piaceva fare dei torti agli altri. Odiava sentirsi in colpa con qualcuno, forse solo Danny avrebbe potuto toglierle quel dubbio dalla testa. Non sapeva con quali parole ma glielo avrebbe chiesto, ed oltretutto non era l’unico argomento spinoso da affrontare.
Che bell’inizio, Joanna...
Lo cercò nella sua stanza e la trovò vuota, lui non c’era. Il bagno era troppo silenzioso perché fosse lì dentro, doveva essere sceso al piano inferiore. La voce bassa di Danny la invitò verso la cucina, dove doveva trovarsi insieme ad Arianna.
“Che cosa farai ora?”, lo sentì chiedere ad Arianna.
Si fermò poco dietro lo stipite della porta. Odiava origliare le conversazioni altrui, ma quelle quattro parole le catturarono l’attenzione con uno schiocco di dita.
“Non lo so.”, rispose lei, “Ho un paio di idee, ma non so se posso attuarle.”
“Ad esempio?”
“Tornare a fare il mio vecchio lavoro. Muovermi altrove.”
Ogni preoccupazione su Danny venne cancellata con quella frase, Joanna si rimproverò ancora di essere egoista. Se muoversi significava spostarsi in un’altra città, in un’altra casa, in un altro mondo, allora si sarebbe opposta fino allo stremo delle forze. Lì stava più che bene, non voleva trasferirsi ancora, ogni spostamento del genere non portava altro che un lungo periodo di crisi davanti a sé. Eppure Arianna aveva la sua vita, non poteva legarla a quel posto solo perché non voleva seguirla. Se decideva di andarsene, allora lei avrebbe dovuto accettarlo e comportarsi di conseguenza: cercarsi un’altra casa, magari qualche affitto a poco per studenti. Iniziare tutto di nuovo da capo.
Una fine è sempre l’inizio per qualcos’altro.
Quella perla di saggezza del signor Jones non poteva essere valida. Joanna non ce la faceva a troncare ancora con la vita a cui si era abituata per iniziarne una tutta nuova. Non poteva essere sempre così: aveva bisogno di stabilità, di qualcosa a cui aggrapparsi finché non avesse trovato la tranquillità interiore a cui aspirava da sempre, e che non era mai stata capace di raggiungere perché qualcosa gliel’aveva sempre tolta dalle dita.
“Quando torni a casa?”, domandò Arianna.
“Pensavo di mettermi alla ricerca di un modo per farlo. Comunque nella giornata di domani.”
“Va bene... Ne avete parlato?”
No, non ne avevano affatto parlato. Aveva provato prima di addormentarsi con lui, sapendo benissimo che non era il caso di entrare in quell’argomento.
L’indomani Danny sarebbe partito e...  E?
Prima che avesse deciso di fare l’amore con lui, di farlo per la prima volta, riuscendo ad abbattere moltissime delle stupide barriere di cui si era per anni circondata, le era sembrato uno scherzo. Si era detta di volerlo fare, che sarebbe stato bello e tutto quello che sarebbe venuto dopo lo sarebbe stato ancora di più. Pochi attimi dopo la fine, però, quello scherzo si era trasformato in un pensiero fisso. Non era possibile stare insieme.
“No, ancora no.”, le rispose Danny, “Pensavo di farlo appena possibile... Però...”
“Non lasciarti prendere dallo sconforto.”, disse Arianna, “Vedrai che tutto si sistemerà per il meglio.”
Quel fondo di naturale ottimismo di Arianna la irritò un po’.
“Non ci credo, mi dispiace.”
Sospirò. Nemmeno Danny ci credeva, e se erano in due a non credere, allora che senso aveva continuare a prendersi in giro?
Ma che bella coppia che siete...
“E io credo che, se Jo ti sentisse, non ne sarebbe contenta.”
Così come era arrivata lì, Joanna se ne tornò nella sua stanza in silenzio, a far finta di non aver sentito niente, di non aver realizzato che non era l’unica ad avere il grosso difetto di essere troppo iperrealista. Aveva sperato che Danny potesse aiutarla a vedere il lato buono di quello che avrebbero dovuto affrontare, ma non era così.
“Little?”, si sentì chiamare.
Cercò di cancellare ogni pensiero.
“Mi aiuteresti a trovare un volo per domani?”, le domandò Danny, con un piccolo sorriso.
Inghiottì il magone.
“Certo.”, gli fece, “Accendo il computer e facciamo un giro in internet.”
“Ok, buona idea.”
 
 
Con il portatile che giaceva sulle gambe, Little stava inserendo i dati nel sito della compagnia aerea di bandiera inglese, alla ricerca di un posto disponibile per lui. Uno di qualsiasi tipo, non era molto schizzinoso in fatto di prezzo, classe e visuale panoramica. Era sempre un volo d’aereo, mica una vacanza. Danny le sedeva accanto, sul letto, e guardava quello schermo, mentre i numeri ed i nomi degli aeroporti venivano visualizzati. Doveva trovare il coraggio di affrontare la questione, era molto più che evidente il fatto di non poterla rimandare. Spostò gli occhi sul suo piccolo naso all’insù. Little si voltò per un solo attimo e gli sorrise, riempiendolo di una sola briciola di felicità, poi tornò al suo computer.
“Guarda, ci sono alcune disponibilità.”, disse poi, una volta che la pagina virtuale si fu caricata, “Dalle tre di domani pomeriggio i voli hanno posti liberi.”
Danny allungò una mano e chiuse lentamente lo schermo del portatile. Sospirò, doveva parlarle ad ogni costo.
“Little...”, le disse., “Ce la faremo?”
Lei abbassò gli occhi.
“La domanda corretta sarebbe: vogliamo davvero provarci?”, disse lei.
Avvertì subito la piccola vena di rabbia nelle sue parole.
“Vorrei tanto, Little... Credimi, vorrei davvero tanto provarci.”, le disse, “Ma...”
“Era facile pensarlo prima.”, continuò lei, “Ma dopo...”
Non seppe cosa dirle.
“E non tirare fuori la scusa del non volermi fare soffrire.”, riprese Little, “Perché preferisco sapere che ci abbiamo almeno provato, che star male e non aver fatto niente per cercare di costruire qualcosa.”
Aveva perso tutte le parole. Ogni volta che era arrivato ad un traguardo con Little, non aveva fatto altro che tirarsi indietro facendosi scudo di tanti se e tanti ma.
“Lo sai, mi conosci... Faccio fatica a credere in tutto quello che mi riguarda.”, disse ancora lei, “Avevo almeno sperato di poter fare qualcosa per avere fede in... In noi due.”
Scosse la testa, non era lì che voleva arrivare. No, non voleva ritrovarsi al medesimo punto di un anno fa. Non voleva tornare a casa sapendo di stare bene così com’era, senza Little. Aveva speso tempo e lacrime, sue e di altre persone, prima di capire che le voleva più del bene che pensava di provare per un’amica comune. Lei non gli dette tempo di parlare.
“Lo sapevo che stava succedendo utto per il semplice fatto che avevi rotto con Tamara. Lo sapevo.”, gli disse.
Scostò il computer dalle gambe e si allontanò da lui.
“Ti piace prenderti gioco di me, Danny?”, gli chiese, ormai in piedi, “Ti diverti?”
No, affatto.
“Sei soddisfatto?”, fece ancora, “Mi stai facendo sentire come una stupida... Come una cretina, perché sono una cretina. Una cretina che si lascia facilmente abbindolare da quelli come te!”
Non aveva la minima forza per risponderle. Niente, non aveva voce in gola. Si stava sentendo esattamente come il giorno precedente, quando Little era venuta a riversargli addosso la storia di suo padre. Completamente svuotato da tutto.
“Sei stata un’illusione bella e buona, Danny.”, sentenziò Little, “Un’illusione fallita.”
Stava quasi per parlare ancora, quando la voce trillante di Arianna si fece spazio tra di loro.
“Hey, avete trovato un volo?”, chiese, ancora nel corridoio, “Perché una mia amica ha un’agenzia di viaggi, potrebbe aiutarvi meglio del computer.”
Forse fu istinto, forse fu la voglia di non volersi sentire accusare delle proprie colpe: Danny le rispose.
“Molto gentile da parte tua, Arianna.”, le fece, “Internet non è poi così male, ho già trovato qualcosa.”
La donna parve deludersi.
“Ah... Come volete, allora.”, disse lei, “Jo è lì con te?”
La guardò. Stringeva i pungi così forte che avrebbero potuto sanguinare, teneva gli occhi fissi sulle piastrelle del pavimento. Poi, come una saetta uscì dalla camera, aprendo la porta e spaventando Arianna, che si trovava tranquillamente al di là. La prima cosa che vide dopo la fuga di Little fu lo sguardo perplesso della donna, che presto si tramutò in vera preoccupazione. Infine, la donna seguì Little, lasciandolo solo.
 
 
 
Arianna la teneva tra le braccia, le diceva che sarebbe finito, che sarebbe andato tutto per il verso giusto, ma Jo non l’ascoltava. Era troppo impegnata a piangere e a nascondersi. Chiuse nell’intimità della propria camera da letto, Arianna cercava di calmarla.
“Jo, stammi a sentire.”, le disse per l’ennesima volta, “Forse non è come pensi...”
“E come sarebbe allora?”, gridò, tra un singhiozzo e l’altro.
Maledetti uomini e le loro capacità comunicative del cazzo...
C’era passata anche lei per quella stessa strada, sapeva come si risolvevano i rapporti del genere. Ora che ci pensava, era passata per molte altre strade nei rapporti con l'altro malaugurato sesso, forse sarebbe stato anche il caso di darci un taglio e mettere la testa a posto, ma non era quello il suo momento.
“Se ti calmi te lo dico... Ci stai?”, le fece.
Ci volle del tempo prima che Jo alzasse la faccia dall’incavo tra la sua spalla ed il collo. Annuì con un debole cenno della testa, mentre con le mani asciugava timidamente le lacrime dalle guance e dagli occhi arrossati.
“Danny ti ha detto che non se la sente di continuare... Vero?”
Era una domanda brusca e di poco tatto, ma non voleva stare a menare il can per l’aia. Doveva arrivare dritta al punto, prima che lei scoppiasse di nuovo a piangere.
“Sì...”, rispose lei, con un filo di voce, per giunta rotta, “Speravo che... Almeno lui...”
Ecco, lo sapeva. Se era Jo stessa a non crederci, come poteva farlo anche Danny? Come poteva lei non sforzarsi e biasimare lui per comportarsi esattamente nello stesso modo?
“Jo, dovete impegnarvi entrambi. Non solo Danny...”, le fece, provando a farla ragionare.
“Ma lo sai come sono fatta, Arianna! Lo sai che non riesco a vivere sulle nuvole!”
“Non è questa una buona giustificazione per il tuo atteggiamento.”, la corresse con gentilezza, “Vuoi Danny? Allora prendilo e mettici tutto il tuo impegno.”
“Abitiamo a un’ora e mezza di volo l’una dall’altro!”, ribatté lei prontamente.
“Allora vuol dire che non lo vuoi veramente.”
“Non è vero!”
La cocciutaggine di Jo era spesso più impenetrabile di un muro di cemento armato spesso dieci metri. Avrebbe dovuto usare le maniere forti per farle capire quale fosse la soluzione adatta per loro. 
“Se fosse vero, avresti in mente qualcosa per migliorare la vostra situazione.”, volle provocarla.
“Scusami, ma non riesco a pensare a niente!”
“Magari Danny ci ha già pensato, però non gli hai dato il tempo di parlartene.”
Quella frase sembrò mettere in discussione le sue pessimistiche incertezze. Jo esitò nel risponderle a tono, soffermandosi a pensare alle sue parole.
“Non fraintendermi, Jo, a volte non so davvero cosa passi per la mente di quel ragazzo.”, le fece, “Però sono abbastanza certa che questa possibilità lo abbia sfiorato, anche da lontano.”
Jo on capiva dove volesse andare a parare, la guardava come se le stesse parlando in una lingua totalmente sconosciuta.
“Jo...”, le fece, guardandola dritta negli occhi, “Il tuo lavoro fa schifo, il mio l’ho venduto ad un tizio che ho visto solo due volte in tutta la mia vita. La tua famiglia non è delle migliori, mentre io sono l’unica sopravvissuta della mia, insieme a mia sorella che abita tutta felice a  Milano, insieme al suo marito perfetto.”
Forse stava realizzando, lo vide dal microscopico guizzo incontrollato del suo sopracciglio destro.
“Non c’è niente che ci trattiene qui... O comunque molto poco.”, continuò.
Jo strabuzzò gli occhi, spalancò la bocca.
“Ho un piccolo appartamento su, a Londra. E’ molto piccolo... Però non ci daremo fastidio, lo so.”, cercò di invogliarla, "E per il lavoro, beh, ho tanti amici lassù, maagari qualcuno ci può aiutare....”
Jo si fece perplessa.
“No, Arianna, non voglio trasferirmi lassù.”, disse, con una certezza nel tono di voce che la spaventò.
Non l'avrebbe mai convinta.
“Guarda che non lo fai per lui. Ma per te stessa.”, le fece.
C'era un solo modo per farsi dire di sì: far passare quel cambiamento radicale per un bisogno personale. Si trasferivano lassù perché la loro città non aveva più niente da offrire ad entrambe ed avevano bisogno di aria fresca, di amici nuovi e di un lavoro migliore, mentre Danny era solo una piccola parte della questione. In fondo, era anche la verità: personalmente non si sentiva più soddisfatta di quello che Firenze le proponeva, e Londra era la città in cui aveva vissuto per anni e di cui aveva i più bei ricordi di tutta la sua esistenza. Per Jo sarebbe stato un doppio cambiamento: oltre a trasferirsi in un posto totalmente diverso da quello in cui era abituata a vivere, Arianna era sicura che Londra avrebbe potuto davvero farla uscire da quel bozzolo protettivo in cui si era nascosta per anni, e da cui lentamente aveva imparato a tirarsene fuori. Le serviva solo il calcio finale.
Danny l'avrebbe sicuramente aiutata, lei le avrebbe dato tutto il suo sostegno. Sarebbe stato difficile, non solo per Jo, ma per lei stessa. Dovevano iniziare tutto da capo, rimboccarsi le maniche e tirare fuori i denti, ma con un po' di impegno ce l'avrebbero fatta. Se le avessero dato un giorno di tempo, la sua mente, unita alla potenza delle linee telefoniche, sarebbe riuscita a inventarsi qualcosa.
“Arianna, non voglio seguirlo.”, disse Jo.
“E non lo farai.”, le fece, “Vivrai con me, così come adesso. Avrai un lavoro, uno qualsiasi, oppure tornerai a studiare, chi lo sa? Avrai la tua vita, ti farai nuovi amici e nuove esperienze. Danny farà solo parte di tutto questo.”
Sembrò vacillare. Arianna sapeva di essere molto persuasiva, se si incaponiva nell'ottenere qualcosa.
“Sono affezionata a questo posto, non lo voglio lasciare.”, ribatté nuovamente.
“E che cosa ti ha dato?”, le domandò, "Elencami quello che sarai costretta a metterti alle spalle. Fammi una lista, così potrò capire anch'io.”
La colse pienamente in contropiede. Jo non la sapeva accontentare, era logico. Purtroppo avevano quella particolare caratteristica in comune: non avevano niente che le tratteneva lì e non era un eufemismo. Entrambe non riuscivano a trovare facilmente legami affettivi con il prossimo, sebbene lei potesse sembrare molto più estroversa e spigliata della piccola Jo. Arianna poteva dire di avere un mucchio di amici, un centinaio di nomi in rubrica, decine di persone con cui poter passare una lieta serata in compagnia, ma solo una manciata di queste potevano mancarle veramente, una volta tornata in Inghilterra. Per il resto, non aveva niente da aggiungere.
“Non ti chiedo una risposta adesso.”, le disse, “Ma solo di pensarci. Ti ho dato mille motivi per dirmi un sì, ma se me ne darai in cambio milleuno per un no, allora non ti forzerò in questa mia decisione.”
“Ma se decido di rimanere, tu non devi fare altrettanto.”
Scosse la testa.
“Jo, ti voglio troppo bene.”, le fece, abbracciandola ancora, “Ormai sei parte della mia famiglia.”
Cacciò indietro le lacrime, ma una di queste scese furtivamente.
“Ci penserò.”, disse Jo, stringendosi nell'abbraccio.
Era già qualcosa.
 
 
 
Quel maledetto telefono prese a squillare, troncandolo in due. Che cazzo, la batteria non si scaricava mai? La gente non si stancava di rompergli le scatole nei momenti meno opportuni? Si alzò dal bordo del letto su cui era seduto e rispose.
“Pronto?”
Qualche secondo di totale assenza di suoni.
Danny?”, esordì una voce piccola e lontana.
Era Tamara.
Danny? Mi senti?
Adesso era lui a non avere voce in gola. Gli capitava troppo spesso, ultimamente.
“Sì, forte e chiaro.”, le rispose, con tono piatto.
Non voleva esser scortese con lei, ma non ce la faceva proprio a trattenersi. Si era svegliato da poco, ma era più stanco che dopo mille concerti suonati di fila.
Beh... Volevo dirti che ho preso gran parte delle mie cose.”, fece Tamara, “E che me ne sono andata.”
“Lo so.”, le rispose subito, “Me lo hanno detto ieri.”
Non ne avevo dubbi.
Anche lei non era meno infastidita di lui, lo poteva sentire benissimo. Ad ogni modo, doveva assolutamente farle capire che dovevano chiarire quella situazione faccia a faccia. Che le fosse piaciuto o no, dovevano parlarne.
“Senti, Tamara.”, esordì, “Non credi che dovremmo sederci faccia a faccia e discuterne?”
Cercò di essere comunque conciliante.
Non voglio tornare insieme a te, Danny.”, si negò subito lei.
“Non era questo quello che intendevo, lasciami parlare.”
Non ho niente da dirti.”
“Ma io sì.”, le fece, “E vorrei davvero che mi ascoltassi.”
Parlamene ora!”, lo esortò lei, “Perché non credo che avrò tempo per te, domani me ne vado."
Quella notizia lo spiazzò.
“E... Dove?”
In giro con delle amiche.”, replicò lei, “A te non deve interessare, te l'ho detto solo perché nel mio vecchio appartamento ho trovato delle cose tue.”
“Forse domani potrei riuscire a passare da te a riprenderle.”
Quando tornerò.”, disse lei, statica.
“Ok, come vuoi.”, le rispose.
Niente, Tamara aveva già chiuso la telefonata.
Fissò il cellulare.
Le aveva voluto molto più che bene, non c'erano dubbi, ma si odiava. Lo aveva trattenuto perché non voleva perderlo, ma lui non lo aveva afferrato, interpretando la sua mossa come pura gelosia ingiustificata nei confronti di Little. Se fosse rimasto a casa, forse Tamara avrebbe continuato ad essere la sua fidanzata per molti altri anni. Forse sarebbe finita comunque, anche per altri motivi oltre a Little.
Una fine è sempre l’inizio per qualcos’altro.
Lo aveva detto lui stesso. Si chiese se fosse contento di come si erano risolte le cose, ed era così insicuro che non seppe scegliere tra il sì ed il no. Era felice, aveva trovato in Little ciò che cercava, ma al contempo non lo era, perché se lei  fosse rimasta in Italia niente avrebbe potuto funzionare. La voleva accanto a sé, vederla quando ne aveva voglia, quando aveva tempo, quando non c'era nessun motivo per farlo, e se fosse rimasta lì niente di questo sarebbe potuto succedere, ma non poteva chiederle di trasferirsi, né lui poteva assolutamente lasciare il proprio paese. Sbuffò, riprese il pc e controllò ancora le disponibilità dei voli, volle anticipare il ritorno. Il primo aereo libero partiva alle sei di quella stessa sera, dall'aeroporto cittadino. Carta di credito alla mano, lo comprò.
 
Seduta sul divano, la tv riproduceva un vecchio cartone animato che guardava sempre da piccola, ma non la sfiorava nemmeno. Guardava lo schermo, ma era come cieca e non vedeva niente. La scelta era nelle sue mani, Arianna aspettava solo lei. Prendere o lasciare? La sua irrazionalità gridava a pieni polmoni di prendere il primo volo insieme a lui. La sua razionalità urlava di rimanere lì, non seguire nessuno, tranne che se stessa. Doveva trovare un compromesso tra le due parti, cosa alquanto difficile. La sua intransigenza era nota, tutti avevano imparato a conoscerla e sapevano quanto fosse testarda. Una volta imboccata una via era difficile lasciarla e quella legge valeva per tutto, che fossero stati modi di pensare, punti di vista, opinioni su persone... Sentimenti.
Vattene via di qua.
Rimani.
Lascia questo posto.
Non partire.
Non poteva giustificare il trasferimento in Inghilterra come qualcosa di cui aveva bisogno, come aveva detto Arianna, e non aveva senso mascherarsi. Se ci andava, lo faceva per stare con lui, mentre il resto veniva dopo. E se qualcosa fosse andato storto? E se avessero capito che non erano fatti per stare insieme? Cosa avrebbe fatto? Sarebbe tornata a casa come un cane bastonato ed avrebbe dovuto affrontare di nuovo tutto dal principio.
Quando si sentì toccare la spalla, Joanna sussultò.
“Sono io.”, le disse Danny, sedendosi accanto a lei.
Si strinse in un piccolo sorriso un po’ falso, poi tornò a guardare la tv.
“Ho comprato il biglietto.”, continuò a parlarle, “Il volo è stasera alle sei.”
Sentì il sangue nelle vene ghiacciarsi, ma si impose di restare calma.
“Ok, va bene.”, gli disse.
Voltò la faccia verso la tv, ignorando la sua presenza accanto a lei. Dimenticò tutto il calore che sentiva sulla pelle, l’immagine del suo sorriso, il suono della sua voce. Spazzò tutto dalla mente.
“Mi dispiace.”, tornò a dirle Danny, “Non so cosa fare...”
Era davvero deciso ad andarsene. Bene, era contenta di saperlo. Si morse le labbra e si trattenne
“Mi sono fatto fraintendere.”, Danny scosse la testa schioccando la lingua, contrariato, “
Io voglio provarci, Little. Voglio provarci davvero, ma non credo di avere la forza per sopportare tutta questa distanza. Prima di tutto questo era stato difficile tenersi in contatto scrivendosi una sola mail a settimana... E quanto tempo ci vuole a buttare giù tre parole? Cinque minuti?”, si chiese Danny retoricamente, “Sai bene che spesso non ero capace di trovare un solo secondo per te. Adesso sarebbe un’idiozia tornare a come eravamo prima, non mi accontento più di leggerti o di sentirti per telefono... Io voglio saperti sempre vicina.”
Le ci volle tutta la sua capacità d’animo per resistere ancora.
“Era ciò quello che volevo dirti.”
Un’altra sola parola e sarebbe ancora miseramente crollata come un castello di carte in equilibrio sulla capocchia di uno spillo.
“Mi piacerebbe tanto che uno di noi due potesse avvicinarsi all’altro, ma non ti posso chiedere di trasferirti. Sarebbe stupido, sarebbe come ripetere lo stesso errore che ho fatto con Tamara, sarebbe velocizzare le cose e non voglio... E’ questo il nostro problema, Little.”
Lo sentì sospirare, rinunciare.
“E poi hai ragione.”, continuò, “Prima era sembrato un problema da niente. Ma dopo...”
“E’ una cosa che si fa in due.”, Joanna ebbe il coraggio di rispondergli, “Se è successo, è stato perché lo abbiamo voluto entrambi.”
“Mi dispiace, Little.”, le fece.
Si sentì illusoriamente protetta da ogni fastidio quando Danny l’abbracciò. Appunto, illusoriamente, ma era un’illusione che avrebbe voluto vivere.
“E’ stato un errore.”, disse Joanna, “Ho sempre saputo che sarebbe stato così.”
“Sappi che lo commetterei ancora.”
Le dette un bacio sulla fronte, poi sciolse l’abbraccio. Joanna non resistette un altro secondo. Era patetico ma non voleva che la lasciasse sola, almeno finché non se ne sarebbe davvero andato. Si strinse al collo, Danny le sorrise. Le passò un braccio intorno alle spalle, l’altro la convinse a stendere le sue gambe a cavallo delle sue. Rimasero così per molto altro tempo, Joanna pensò quasi di essersi addormentata.
 
 
 
Danny non si fece accompagnare all’aeroporto, ma decise di farsi venire a prendere da un taxi. Era tutto stramaledettamente uguale ad un anno prima, con l'unica grande differenza che non avrebbero potuto più essere come allora. Il tassista suonò il campanello: Danny salutò Arianna con un abbraccio ed un bacio sulla guancia, ringraziandola per tutto quello che aveva fatto per lui, per averlo sopportato e messo sulla buona strada, anche se non era poi servito a molto.
“Vado a dire al tassista che deve aspettare cinque minuti.”, gli fece Arianna, con un sorriso e un pizzicotto sulle guance, che non aveva più ricevuto da quando era bambino.
“Grazie ancora.”, le disse, “Dov’è andata Little?”
“E’ in giardino.”, gli suggerì la donna, prima di aprire la porta.
Percorse il corridoio fino alla parte opposta della casa ed uscì. Se ne stava seduta vicino alla staccionata, come la sera precedente. Le si avvicinò.
“E’ arrivato il taxi.”, disse a Little, “Devo andare.”
Lei annuì e sussurrò un flebile buon viaggio, non gli bastarono affatto. La costrinse a guardarlo negli occhi in un modo molto semplice: si sedette davanti a lei e la scosse.
“Tutto qui quello che hai da dirmi?”
Le sorrise con sincerità.
“Ti prometto che mi farò sentire, lo giuro.”, le disse, “In qualsiasi modo.”
“Non avrebbe senso.”, lo zittì lei.
Si sentì amareggiato.
“Little, non mi stai rendendo le cose facili... Per favore.”
“E cosa dovrei fare, allora?”, sbottò lei, infastidita, “Sorriderti quando non ho voglia di farlo? Dirti che mi farebbe piacere sentirti quando non è vero? Perché vuoi che sia ipocrita con te?”
“Quando sono partito speravo di tornare a casa vedendoti sorridere.”, le disse con semplicità.
“Non ci riesco, mi dispiace.”
In fondo, le voleva bene anche quando faceva così. Si avvicinò per darle un bacio, ma quando le labbra la toccarono le sentì stranamente fredde. Poi, d’improvviso si infiammarono e diventarono calde e dolci, così come le aveva sempre conosciute. La morbidezza del tocco, il sapore soffice di lei rese più evanescente ogni problema e si sentì esattamente forte e deciso come aveva pensato di essere, prima di fare l’amore con lei. La baciò ancora, con più intensità, sottolineando i lineamenti del suo collo con le dita.
Little si scostò, segnando la fine. Danny si sentì profondamente imbarazzato ed a disagio.
“Adesso devo proprio andare.”, balbettò.
Annuì.
“Fai buon viaggio.”, rispose lei.
“Grazie.”
Si sentiva la gola arida e vuota. Sistemò il cappellino sulla testa e si alzò. Fu difficile compiere il primo passo, i piedi si erano aggrappati saldamente alla terra, affondandovi radici stabili e forti. Una volta compiuto, però, gli altri vennero da sé e lo portarono fuori di lì.
Poi sul taxi, fino all’aeroporto.
 
 
This is the closest thing to crazy I have ever been.






Ed eccomi ancora qua :) Oggi niente lavoro, così ho trovato qualche minuto per aggiornare e appiopparvi questo polpettone melodrammatico chiamato Little e Danny.  Chissà poi quando tornerò con una nuova storia, quindi se ci tenete un pochino alle mie storie, sappiate che siamo agli sgoccioli. Altri due capitoletto, poi un epilogo e spero che digerirete tutto a Pasqua dell'anno prossimo XDSuvvia, un pochino di bicarbonato, acqua calda e zucchero, che si digerisce tutto!

Quindi, prima di passare ai ringraziamenti, voglio mettere qualcosa che qualcuno ha fatto per me... E di cui non mi sono dimenticataaaaaa!!!
The Closest Thing To Crazy  © x_blossom_x
Te lo avevo detto che lo avrei postato in questo capitolo ** ogni tanto la mia mente lavora bene, sisi. Quindi grazieeeeeeeeeeeeeeeeee.
Ah, il titolo e l'ultima frase del capitolo, compreso il nome del blend, sono sempre derivati dall'omonima canzone di Katie Melua. Senza scopo di lucro.

Ringraziamenti!

Ciribiricoccola:  Scema cosmica, hai fatto bene a non sapere cosa pensare. Ma ti pare che quei due facciamo le cose a modino, come tutte le persone di buona volontà? No, perchè quando scrivevo non volevano saperne di comportarsi per bene. Ci vorranno altre parole prima che succeda qualcosa di positovo.

ludothebest:  Oh, se mi commenti qui e poi non ti fai sentire di là... Ti strozzo eh!!! XDDDD Ma dai, non ti preoccupare. Mi basta sapere che leggi e che apprezzi/schifi. E' questo l'importante, non la presenza delle recensioni.  Ammetto tranquillamente che quando l'uccellino-fiorellino mi ha detto che mi leggevi, sono rimasta alquanto sbalordita (sai... visti il luogo che... insomma, si frequentava... eggià, ti spiegherò meglio!) ma saperti tra mie lettrici mi fa un immenso piacere ** alla prossima :)

kit2007:  Leggendo questa storia con la cioccolata in mano è molto kamikazistico XD Ne mangerei a quintali dal nervoso che mi fanno venire quei due, quindi ti apprezzo per la pazienza e mi scuso per eventuali escrescenze facciali, sperando che non ce ne saranno.  Hai detto che ti aspetti di tutto e fai bene,con questa storia di va da tutte le parti e non si arriva mai... Purtroppo. Beh, ma tra poco c'è la fine. Chissà cosa succede.

Cowgirlsara: Non ti preoccupare per il ritardo, nessuno si deve scusare con me per questo genere di cose, non me lo merito. Ma veniamo al dunque.  Hai detto bene, non si arriva a nessuna conclusione.... Uffi, e dire che ero partita bene XD Mi rifarò con la prossima storia!

saracanfly: Hey, era da un po' che non ti sentivo! Bentornata! Spero ti sia piaciuto :) alla prossima!


Bene, al prossimo ritardo! Ruby


 
 

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Capitolo 16
*** Hard To Say ***




The singer finished singing and she's walking out.
The singer sheds a tear, her fear of falling out...
And it's hard to say how I feel today for years gone by and I cried...


Tutto era iniziato ancora.  Tutto, ogni più piccola cosa era ripartita per il suo solito corso di vita.  
Si era licenziata dal multisala, dove non si era mai sentita soddisfatta né del lavoro che le facevano fare, né della paga che le davano. Poteva essersi trovata bene con i suo colleghi, ma pulire i pavimenti dalle incrostazioni dei popcorn non era proprio la sua massima aspirazione. Per il momento faceva un sacco di colloqui, avrebbe voluto comunque continuare a lavorare al pubblico e non le sarebbe dispiaciuto stare dietro ad un bancone di un negozio, di qualsiasi genere. Aveva anche pensato seriamente di riprendere gli studi, era stata Arianna a proporle quell'idea. Ci aveva pensato per una settimana, ma non si sentiva ancora sicura del passo che stava per fare: iscriversi all'università e tornare sui libri le avrebbero tolto il tempo per poter guadagnare un buono stipendio e mantenersi da sola, e non voleva gravare sulle spalle di nessuno, era fuori discussione. Arianna era stata entusiasta quando gliene aveva parlato e le aveva dato tutto il suo appoggio, di ogni genere, anche finanziario, ma aveva prontamente rifiutato. Si sarebbe inventata qualcosa, per il momento aveva ancora un po' di tempo per rifletterci in maniera più approfondita, le iscrizioni sarebbero scadute a fine mese. Le sarebbe piaciuto comunque tornare a studiare lingue straniere, cosa che le era sempre piaciuta ma che suo padre le aveva negato, obbligandola ad iscriversi alla facoltà di medicina, come era ancora impresso nei suoi ricordi.
Appunto, ricordi.
Arianna era tornata a fare quello in cui era capace più di ogni altra cosa: affari. Era troppo intelligente e furba per mettersi dietro ad una scrivania e digitare lettere commerciali, o ricevere chiamate e prendere appuntamenti per il capo. Quando si trattava di impegnare la mente in un idea e realizzarla, non la batteva nessuno. Possedeva materia grigia discretamente funzionante ed un po' di denaro da impiegare: si era sempre detta che se non avesse avuto il padre dirigente, si sarebbe sentita frustrata per la mancanza di risorse economiche da investire nei suoi progetti, ma Joanna era sicura che sarebbe stata capace di guadagnare milioni con un solo centesimo nel borsello. Arianna ossedeva un paio di vecchi appartamenti: li stava facendo ristrutturare, piuttosto che decadere inutilizzati, ed aveva intenzione di affittarli. Nello stesso stabile, inoltre, c'era un grande salone vuoto, a piano terra: inutile dire che voleva convertirlo in un qualche locale, aveva già valutato un paio di fantasiose ipotesi, accanto ad una di tipo tradizionale su cui Joanna puntava più del resto.
Quell'idea era aprire un ristorante di tipiche produzioni italiane.  Arianna era scettica, ma non se la sentiva di rischiare fino in fondo con il pub in stile horror ed il locale zen. Era più vincente un progetto assodato ed aveva un buon fiuto per capire che la gente dei quartieri limitrofi avrebbe accolto la sua idea con entusiasmo. Bastava avere l'occhio per scegliere le materie prime giuste, poi tutto poteva essere passato per italiano... Non al cento per cento, ma le bocche che avrebbero assaggiato i suoi piatti non avrebbero sentito la differenza. Semplicemente perché non sarebbero state bocche italiane e importare la mozzarella di bufala dalla Campania costava un braccio e quattro dita.
Questo stava a significare una sola cosa: Joanna si era decisa.
Ma l'aveva fatto solo per se stessa, non per altri motivi. Con Arianna, erano arrivate nel suo piccolo appartamento in piena Londra, nel quartiere di Mayfair, vicinissimo ad Hyde Park. Come le aveva detto tempo fa, era un po' piccolo: per le unità di misura mentali di Arianna poteva esserlo, abituata alla sua villetta a due piani con giardino, ma per quelle di Joanna era molto più che sufficiente.  Quando entrarono lo trovarono sommerso dalla polvere, era da più di un anno che Arianna non vi metteva piede e ci vollero due giorni per ripulirlo tutto, sterilizzarlo, liberarlo dai ragni e dai gechi. Il terzo giorno decisero di sostituire le tende ed i tappeti, comprare dei nuovi piatti e spendere il resto in nuovi abiti. Il quarto giorno salirono su un bus turistico e si fecero un giro per tutta la città, visitando qualche museo e scattandosi foto in compagnia delle cere dei divi famosi, esposte al Madame Tussauds. Il quinto decisero di dedicarsi a cose più serie: andarono in una beauty farm. Durante il sesto Arianna fece un giro per le case di tutti i suoi vecchi amici e glieli fece conoscere: erano persone molto più che simpatiche, anche se un po' altezzose, ma Joanna fu comunque contenta di prendere parte alle pubbliche relazioni di Arianna.
Ed il settimo giorno, ovviamente, si riposarono. Lo diceva anche la Bibbia che la domenica era festività per tutti.
La seconda settimana passò come un lampo in ciel sereno: ognuna si preoccupò di se stessa e dei propri progetti, non ebbero tempo nemmeno per fermarsi, erano troppo prese da quello che passava loro per la testa e, ora che erano giunte al sabato, stremate sul divano, decisero di godersi il secondo fine settimana in città.  
Non aveva detto a nessuno che si trovavano lì, ed era altrettanto sicura che nel caos di Londra nessuno l'aveva vista. Sarebbe stato praticamente impossibile, e se ne accertò quando chiamò Dougie.
Pronto?”, rispose lui, ignaro.
Hey, Dougster.”, gli fece.
Rimase un attimo perplesso, lo stava chiamando dal suo nuovo cellulare, con una nuova scheda, con un nuovo numero tutto inglese.
Jonny?
Sì, sono proprio io.”



Era alquanto scioccato, stupito, dubbioso, contento, incerto, sbalordito... Provava tutto un insieme di emozioni contrastanti che lo facevano riflettere. L'aveva sentita sporadicamente in quel mese da poco concluso e la chiamata più recente, oltre a quella che l'aveva colto pienamente spiazzato poche ore prima, risaliva a poco dopo il rimpatrio di Danny. Adesso capiva: a quanto gli aveva spiegato, era arrivata da due settimane ed erano state completamente sommerse dal trasferimento. Non sapeva dire se fosse contento di trovarsela davanti, seduta nel salotto dell'appartamento londinese di Arianna, mentre la donna stava preparando loro qualcosa da bere. Era ancora troppo confuso: non se lo sarebbe mai aspettato anche se, ad essere sincero, aveva pensato alla possibilità di avere la sua Jonny tra i piedi, ma l'aveva vista come una cosa remota.
E Danny non sa niente.
Quando pensi di dirglielo?”, le chiese, “Prima o poi lo verrà a sapere, lo sai?”
Jonny sembrò rifletterci.
Non lo so... Ma non per il momento.”, gli rispose, “Adesso ho ancora delle cose da sistemare.”
Devi farlo al più presto, Jonny.”
Danny non se la cavava tanto bene. Faceva finta di niente, si comportava come sempre, come se non fosse successo niente. Niente. Lo conoscevano abbastanza bene per sapere che lo faceva solo per evitare di affrontare la situazione: la casa era vuota, e Jonny era rimasta in Italia. Lei non lo aveva mai cercato, lui non provava nemmeno a farlo. Un paio di volte Danny gli aveva chiesto se avesse saputo qualcosa di lei, ma aveva dovuto negare. All’inizio non gli aveva creduto, accusandolo di non volergliene parlare: solo dopo un bel faccia a faccia si era convinto che gli stava dicendo la verità.
Inoltre, la notizia della fine della storia con Tamara non era passata molto in sordina: se da una parte le fans si dividevano tra l’essere contente e l’essere dispiaciute, la stampa aveva un po’ speculato sopra i motivi per cui si erano lasciati, ma ormai i media si erano abituati alla totale riservatezza con cui tutti loro trattavano i loro affari personali, e presto non ebbero più niente su cui lucrare, dato che nessuno rilasciava dichiarazioni, né i rumori che circolavano sembravano essere uno più vero dell’altro.
Lo farò, Doug, lo farò.”, gli disse Jonny, con tono quasi infastidito.
Non ne voleva parlare, era ovvio. Non credeva alla giustificazione che aveva dato al suo trasferimento, o meglio, aveva capito che si era aggrappata alla voglia di cambiamento per non voler ammettere che lo aveva fatto per lui. Ma forse si sbagliava... Forse.
Beh, lo sai, mi fa molto più che contento saperti qua vicino, a mezzora di distanza da casa mia.”, le fece con sincerità, “Solo che non mi va di mentire a Danny.”
Non ti ho chiesto di farlo.”, rispose Jonny, “Vorrei solo che non gli dicessi niente.”
Per me è come mentire.”
Non ti facevo così moralista, Dougster.”, ribatté lei, “E’ solo un piacere che mi fai, potrai chiedermi di sdebitarmi quando vuoi.”
Non è quello il punto. Danny è mio amico, mi conosce, non sono bravo a tenere un segreto con lui e con gli altri.”
Lo sguardo di Jonny si approfondì e si fece più deciso che mai.
Non devi dirglielo. Per niente al mondo, Douglas Lee Poynter, non devi farlo.”
Per un brevissimo istante, sentì un piccolo brivido percorrergli la schiena. Non gli piaceva quella Jonny, né condivideva la sua scelta, ma la doveva accettare.



Tolse la matita dall’orecchio e cancellò il segno sullo spartito, modificando il la in un si.
Non credo che una nota su ottomila possa cambiare qualcosa.”, borbottò Danny.
Hai ragione.”, gli rispose Tom, con pazienza, “Però cambia la melodia del ritornello, Jones.”
Danny sbuffò, si sentiva annoiato e non aveva voglia di starsene nel suo studio con loro, a provare. Harry se n’era appena andato, non trovando migliore occupazione che dormicchiare sul divano. Tom era tutto concentrato in mille strofe e ritornelli, il resto era solo un optional per la sua presenza lì dentro. Dougie se ne stava chino sul suo basso e faceva vibrare le corde con poco rumore: la testa era circondata da un paio di grosse cuffie, le note che suonava erano percepite solo da lui.
Danny lo stava osservando da un bel pezzo a quella parte.
Doug, cos’hai?”, gli fece, ignorando il fatto che non potesse sentirlo.
Prese il cuscino accanto a sé e glielo tirò, facendolo sobbalzare per lo spavento.
Ma che cazzo!”, protestò Poynter, togliendosi le cuffie con fastidio.
Hey, calmati amico!”, lo fermò prontamente, “Volevo solo sapere che cosa avevi!”
Niente, va tutto bene.”, lo seccò, tornando sul suo basso e isolandosi di nuovo.
Tom gli lanciò un’occhiata di assenso, segno che era meglio lasciar perdere. Erano diversi giorni che Dougie si comportava in modo strano, ancora più assurdamente che lui. Nel novanta per cento delle situazioni era se stesso, nient’altro che Poynter, con tutte le bizzarre sfaccettature della sua personalità adolescenziale., ma capitavano dei momenti in cui non era lui. Momenti come quello.  Danny aveva iniziato a prestarci attenzione, non tanto alla frequenza con la quale potevano capitare, ma al come succedevano. Un’infinità di piccoli particolari erano quadrati nella sua testa, e non volle elencarli tutti perché si sarebbe fatto prendere dalla rabbia, bastava semplicemente convogliarli verso un’unica direzione.
Dougie era strano quando si trovava nei suoi paraggi, e se rimanevano soli trovava una scusa banale per andarsene. Non voleva essere paranoico, ma ne aveva la piena certezza. C’era qualcosa che gli nascondeva, oppure ce l’aveva con lui, non lo sapeva. Quando Danny Jones arrivava, Dougie Poynter si zittiva, oppure abbassava il tono, come per non attirare l’attenzione. La sua attenzione.  E dire che pensava che ne bastasse uno su quattro -lui- a fare l’idiota del villaggio, e non nel senso comune del termine. Si rivolse a Tom.
Hey... Mi spieghi che cos’ha?”, gli chiese, con un lieve cenno di testa verso Dougie.
Non lo so.”, rispose brevemente Tom, senza prestargli troppa attenzione, “Ti sta sentendo, non è scemo.”
Danny si alzò, preferendo non assistere un minuto di più a quella sceneggiata. Andò verso Dougie e gli tolse le cuffie dalla testa, sotto la faccia attonita di Tom e nel pieno stupore del bassista.
Hai qualche problema con me?”, gli chiese.
Dougie era ancora troppo frastornato per rispondergli e Danny ne approfittò per avvicinare una sedia e sedersi di fronte a lui.
Danny, ma cosa dici...”, gli fece, con un sorriso imbarazzato sulla faccia.
Gli occhi si muovevano dai suoi a quelli di Tom e cercavano sostegno, ma Fletcher era altrettanto fuori fase.
Ascoltami, non sono uno scemo. Ho notato i tuoi comportamenti, e mi stanno seccando. Mi stanno molto seccando.”
Scusami, non so di cosa parli.”, disse Dougie.
Non prendermi in giro.”, era perentorio, “Dimmi se hai qualche problema con me.”
Non c’è niente, Danny!”, ribatté l’altro, “Ho il diritto di farmi girare le palle per i cazzi miei oppure no? E’ solo una tua prerogativa?”
Almeno io ho un motivo. Tu ne hai uno?”
Dougie non resistette. Lo guardava con rabbia, mentre si toglieva il basso di dosso. Lo ripose nella sua custodia. Tom non sembrava avere il coraggio per interporsi tra di loro.
Dacci un taglio, Danny.”, gli disse, “Non ho niente a che vedere con i tuoi problemi.”
Allora spiegami perché, quando ci sono io, tu diventi un’altra persona.”
E’ una cazzata.”
No, non lo è, lo abbiamo notato tutti!”, Danny cercò gli occhi di Tom, “Non è vero?
L’altro alzò le spalle, scosse la testa.
Sei paranoico, Jones.”, sibilò Dougie, “E te lo ripeto, non accusarmi dei tuoi problemi.”
Il suo problema era chiaro a tutti, sebbene cercasse di tenerlo nascosto il più possibile e di sorridere anche quando tutto quello che avrebbe voluto fare era starsene muto ed inespressivo.
Non lo sto facendo, credimi, ti sto solo chiedendo di parlarmi del tuo!”
Non ne ho!”, esclamò l’altro, agitandosi fino a scoppiare, “Io non ho nessun problema, io sto benissimo! Sei tu che continui a vivere come se non ne avessi!”
Non è di me che stiamo parlando, Poynter!”
Ah no? E di chi, allora?”, sbuffò l’altro, sarcastico.
Di te e del fatto che mi tieni nascosto qualcosa!”
In un istante gli sembrò di vederlo turbato, come se avesse colto nel bel mezzo della questione.
Certo, Danny, ti sto tenendo nascosto qualcosa.”, disse Dougie, “E vuoi sapere che cos’è?”
Fu lui ad esitare.
Dimmelo.”
E’ un coniglio nel cappello, idiota.”
Prese il suo basso e uscì dalla stanza.  Danny se ne rimase  a fissare la portacome un imbecille, ed il pugno di mosche che aveva tra le dita volò via.
Contento adesso?”, gli chiese Tom.
Lo sai anche tu che è strano.”, rispose al suo amico, tornando a sedersi sul divano, “Non negarlo.”
Ti dico le stesse cose che hai sentito da Dougie.”, fece l’altro, “Mi dispiace.”
Grazie, bel sostegno da parte tua.”, borbottò, scuotendo la testa.
Tom posò la chitarra, passandosi una mano sugli occhi stanchi e stropicciandoli.
Danny, ti prego, chiamala.”, gli disse.
No.”, rispose prontamente, “E’ fuori discussione.”
Il biondo chitarrista si frugò nelle tasche e gli porse il suo telefono.
Per l’amor del cielo, Danny, fai quel cazzo di numero e parlale!”, gli impose, cercando di essere autoritario.
No, non mi risponderebbe.”
Ma cosa ne sai!”, contrattaccò subito, “Chiamala e basta!”
No.”
Spiegami almeno perché!”
Tom era visibilmente adirato e, essendo sempre stato la calma fatta persona, faceva abbastanza paura in quello stato. Danny non voleva parlarne, non lo aveva mai fatto ed era sempre stato bene in quel modo. Sfogarsi non sarebbe servito a niente, solo a stare peggio, ed era sicuro che l’avrebbe superata con calma e pazienza.
Danny, non è Dougie quello che ci sta preoccupando, sei tu.”, gli disse Tom, “Non è lui quello strano, sei tu. Tutto perché sei così testardo e cocciuto da fare sempre come ti pare, senza chiederci aiuto.”
Non ne ho bisogno. Sto bene così.”
Tom non si arrese e continuò a pregarlo di chiamarla, di provare a parlarle. A cosa sarebbe servito? A niente, Little non gli avrebbe risposto, era stata chiara, preferiva non sentirlo più. Non avrebbe avuto senso farlo: non gli interessava sentire la sua voce vicina, amplificata dalla cornetta del telefono, mentre lei gli parlava a chilometri e chilometri di distanza. Se non poteva guardarla negli occhi, allora non valeva la pena nemmeno provarci.
Fletcher, non insistere, ti prego.”, gli disse, “Se mi comporto così ho le mie ragioni per farlo.”
Non ti capisco, Danny.”, rispose l'altro, “Ti ci è voluto più di un anno per capire che ne eri innamorato, e poi molli tutto. Se ti fosse stata veramente a cuore, avresti lottato fino in fondo.”
Non posso chiederle di trasferirsi qui!”, esclamò, “Sarebbe assurdo!”
Potevamo parlarne, Jones.”, disse Tom, sconsolato e stanco, “Sarebbe bastato riuscire ad organizzare bene il nostro lavoro.”
Non sarebbe comunque abbastanza!”, ribattè.
Vuoi sempre tutto e subito, Jones, non sai aspettare.”, borbottò Tom e lasciò l'osso, riprendendo la chitarra e tornando a correggere lo spartito davanti a sé.
Infastidito ed arrabbiato, Danny lo mollò da solo nello studio, preferendo spostarsi in un'altra stanza della casa, dove avrebbe cercato in qualche modo di allentare la tensione.

***

Jonny aveva due opzioni: scegliere di studiare o di lavorare. Non era capace di decidersi.  Dougie era lì con lei, seduto intorno al tavolo della propria cucina. Arianna l'aveva accompagnata lì pochi minuti prima e, nonostante la discreta vicinanza all'appartamento di Danny, Jonny non sembrava curarsene. Era bastato solo non farsi riconoscere, con un cappuccio sulla testa: come era già successo altre volte, avrebbe voluto presentarsi da lei, sarebbe stato più sicuro, ma era stata Jonny ad insistere. Aveva voluto vedere dove viveva, come fosse fatta casa sua, e l'aveva accontentata. Non le aveva detto della litigata avuta con Danny durante la settimana appena scorsa, non le voleva rinfacciare il peso di quella drastica ed insensata imposizione.
Lei sospirò, chiedendosi se mai sarebbe riuscita nella scelta. Un negozio di oggetti da regalo l'aveva chiamata, dopo il centesimo colloquio di lavoro, e le aveva detto che voleva tenerla un paio di settimane in prova. Inoltre, si era informata su come poter essere ammessa alle università inglesi: la pratica era abbastanza lunga, c'erano centinaia di moduli da compilare, oltretutto doveva essere esaminata sulla sua conoscenza dell'inglese e avrebbe anche dovuto fare un test d'ammissione, se aveva capito bene. Aveva quasi abbandonato l'idea di approfondire la conoscenza delle lingue, preferendo altri corsi di tipo umanistico e storico-letterario.
Stava cercando di aiutarla e, anche se non sapeva esattamente cosa dirle e come consigliarla, era felice per lei, non sapeva dire quanto. Quella che aveva accanto non era neanche lontanamente la Jonny che aveva conosciuto, né quella di cui era diventato amico. Sebbene fosse ancora l'essenza naturale dell'incertezza, il saperla impegnata in quella decisione così difficile, ma soprattutto vedere la sua presenza materiale e stabile lì in Inghilterra, era la dimostrazione che aveva avuto il coraggio di fare fronte alla sua vita. Forse erano state le parole dure e taglienti che le aveva detto nei momenti di rabbia qualche tempo fa, ma credeva più nella brutta scossa che le aveva dato Danny. Jonny aveva voglia di prendersi una rivincita contro tutte quelle persone che le avevano fatto male, in un modo o nell'altro, e provava a dimostrare al mondo ed a se stessa che era in grado di farcela.
Poco prima aveva ricevuto una chiamata dall'Italia, da parte di sua madre, che le aveva chiesto come si trovasse lassù. Sbrigativamente Jonny l'aveva aggiornata, senza mancare di dirle quanto era felice lontano da loro. Gli spiegò che la chiamava regolarmente, almeno una volta alla settimana.
Dougster, perché è così difficile!”, si lamentò, la fronte appoggiata sul freddo tavolo di vetro.
Perché se fosse facile, tutti sarebbero in grado di farlo.”, le rispose, unendo le mani dietro alla testa e stiracchiando la schiena.
Vorrei tornare a studiare, ma poi mancherebbero i soldi per mantenermi.”, ripeté lei, per l'ennesima volta
Allora dovresti dire di sì al negozio.”, le fece, tirando fuori il solito consiglio che le aveva già dato.
Ma mi piacerebbe anche studiare!”
Puoi fare le due cose contemporaneamente.”
Non so se ci riuscirei.”, continuò lei a lamentarsi.
Non hai nessuno che possa aiutarti?”, le chiese.
Non voglio nessuno che possa aiutarmi.”, rispose Jonny, con tono perentorio, “Ce la devo fare da sola.”
Erano sempre più uguali. Lei e Danny si somigliavano sempre di più, gli venne da sorridere a quel pensiero, ma allo stesso tempo c'era ben poco da gioire. Per lui era sempre più difficile gestire la situazione tra i due e ogni occasione di incontro con Jones diventava uno scontro, tanto che sia Tom che Harry avevano fiutato qualcosa. Aveva promesso ai due che gliene avrebbe parlato, ma che non avrebbero dovuto assolutamente riferire a Danny. Era chiaro che non poteva durare a lungo e che prima o poi tutto sarebbe degenerato. Jonny non lo voleva capire. Voleva dimostrare che non si era trasferita in Inghilterra per stare con lui ma per vivere la sua vita? Beh, per quanto lo riguardava quello scopo era già stato raggiunto da un bel pezzo, poteva anche uscire allo scoperto.
Sappi che io sono dalla tua parte.”, le disse, “E che non mi tirerei mai indietro se avessi bisogno di una mano.”
Ti ringrazio, Doug, ma per il momento i soldi non mi mancano.”
Appunto, per il momento, ma poi?”, le fece, “Le rette sono care, la vita qua è ancora più costosa...”
Grazie per l'incoraggiamento...”, borbottò lei, “Ma se devo mendicare, preferisco allora rinunciare e mettermi a lavorare.”
Non la capiva, certe volte non ci riusciva proprio.
Allora preferisci continuare a vivere insoddisfatta piuttosto che impegnarti in qualcosa a cui tieni.”, esclamò Dougie, cercando di farle capire che non si stava riferendo solo a quella scelta, ma bensì anche a qualcos'altro.
Non ci arrivi, Doug!”, rispose lei, adirandosi, “Non voglio avere nessun debito sulle spalle!”
Non ne avresti, non ti chiederei niente indietro, nemmeno un penny!”
Ma mi sentirei comunque in dovere di restituirti tutto!”
E allora, se ti fa tanto piacere, mettiamola così.”, le volle proporre, “Ti aiuto, e quando sarai in grado di saldare il tuo debito, lo farai.”
Se quel giorno fosse arrivato,Dougie  non avrebbe mai accettato. Le stava offrendo il suo appoggio perché poteva tranquillamente permetterselo, e niente lo avrebbe mai convito a riprendersi indietro i suoi soldi, anche a costo di litigare a morte con Jonny.  Lei, comunque, era sempre incerta.
Dougie, non pensare che sia venuta qui per chiederti del denaro...”, disse poi, abbassando lo sguardo imbarazzato.
Beh, se credi che lo abbia pensato anche per un solo secondo, allora possiamo anche non parlarci mai più.”, le fece, con falsa serietà.
Volevo solo che mi aiutassi a scegliere...”, piagnucolò lei.
Le si avvicinò, le sostenne il viso tra le dita della mano destra.
La tua scelta l'hai già presa, Jonny.”, le disse, “Ed io ho preso la mia. Ti iscriverai all'università, cercherai un lavoretto poco stressante e, quando avrai bisogno di me, basta chiamare. Non posso darti ripetizioni, a meno che tu non sia interessata allo skate o al basso, ma ho abbastanza centesimi sotto il cuscino per poterti sollevare dalla retta che dovrai pagare... E anche dalle altre spese, se ti va. Sono più che felice di farlo, lo sai, non ti immagini quanto sia contento per te.”
Ma Dougie, io...”
Zitta, non obiettare.”, le fece, chiudendole la bocca con l'altra mano, “Ho già emesso la mia sentenza, ora non devi fare altro che metterti sotto nello studio e farmi contento. Voglio vedere dei risultati!”
Lei sbuffò in una risata e nello stesso attimo lui la seguì. Per ringraziamento si accontentava anche di un abbraccio e, come se gli leggesse nella mente, Jonny si strinse al suo collo, facendolo quasi cadere dalla sedia.
Piano!”, la sgridò scherzosamente, “Non vedi che c'è scritto 'alto e fragile'? Mi stai strozzando!”
Gli dette un sonoro bacio sulla guancia.
Ti voglio bene, scemo di un Poynter.”
Adesso non voleva davvero nient'altro in cambio, si sentiva pienamente soddisfatto e felice. Il sapere di poterle essere realmente d'aiuto lo faceva stare bene, era quello che aveva aspettato..
Un rumore strano alle sue spalle gli solleticò l'orecchio.
Little?”




Non ha detto di che cosa si tratti, ma ha promesso che ce ne parlerà, a patto di non riferirti niente.”, gli disse Harry, seduto davanti a lui, insieme a Tom, “Questo è tutto.”
Tutto?”, domandò Danny, scettico di quello che aveva appena sentito.
Sì.”, intervenne Tom, “Dougie sta nascondendo qualcosa. Soprattutto qualcosa a te.”
Lo sapevo...”, borbottò.
Realizzare di avere pienamente ragione non lo stava facendo affatto stare meglio, anzi, la sua rabbia aumentava. Dougie stava tacendo qualcosa di importante, qualcosa che lo riguardava, ma ne aveva fatto parola con Tom ed Harry, che adesso glielo stavano riferendo. Doveva tenersi a mente di fargli i complimenti, oltre che ad incazzarsi con lui come pochissime altre volte in tutti quegli anni insieme.
Calmati, Danny.”, gli disse Harry, “Non fare niente di stupido, se Dougie ce l'ha detto vuol dire che prevede di farlo presto anche con te.”
Capite che non parlavo a sproposito quando dicevo che era strano?”, sbuffò, senza ascoltarlo, “Perché non mi credevate?”
Lo avevamo intuito anche noi.”, rispose Tom, “Ma volevamo solo aspettare che lui si facesse avanti. Lo sai com'è fatto, se non vuol parlare, non lo farà.”
Esattamente come lei...
E tu sai benissimo cosa significa quando una persona ha quel carattere, Jones.”, sottolineò Harry, cogliendo il suo pensiero, “Non lo si può forzare a parlare, ma il fatto che ci abbia anticipato questa cosa...”
Non me ne frega un cazzo, Judd!”, esplose Danny, “E non ci passerò sopra!”
Nessuno chiuderà un occhio, puoi starne certo.”, riprese Tom, con tono conciliante, “Ma se continui così, ci farai pentire di avertelo detto.”
Tom ed io abbiamo discusso molto sul fatto di fartelo sapere o no.”, disse Harry, “Pensavamo che avresti reagito con razionalità e non agitandoti così.”
Se si era incazzato a quel modo, c'era un motivo ben preciso. Dougie non aveva mai avuto motivo di tener segreto qualcosa, aveva sempre parlato di tutto, perché loro erano amici. Erano una famiglia e si davano una mano a lavare i panni sporchi. Se Dougie aveva violato quella regola implicita, allora si sentiva giustificato per una qualche ragione. Ma di tutte le cause del mondo, però, gliene veniva in mente solo una.
Vado a parlargli.”, disse, con decisione.
No, Danny, siediti.”, gli impose Harry, “Non lo farai adesso, né mai, aspetta di esserti calmato.”
Ma soprattutto aspettiamo che si faccia avanti Dougie.”
No, non era sua minima intenzione attenderlo, però Harry aveva ragione, doveva calmarsi, altrimenti non lo avrebbero mai lasciato andare. Fece passare un paio di ore e, non appena la guardia dei due si fu abbassata, tirò fuori una scusa banalissima ma molto efficace per togliersi da casa di Tom, luogo in cui quella specie di riunione segreta si era svolta. Doveva tornarsene a casa, fu quello che disse, e li convinse entrambi, ma fece una piccola sosta fuori percorso. Si fermò a diversi portoni da quello di casa sua, svoltando a sinistra ed entrando nel cortiletto di casa Poynter. Percorse tutto il tratto verde che circondava l'appartamento e, una volta sul retro, bussò alla porta di legno bianco. Attese, nessuno sembrava in casa. Bussò di nuovo e, nonostante quello, Dougie non gli aprì. Decise allora di entrare, molto probabilmente si stava dedicando alla pennichella quotidiana, data l'ora che segnava il suo orologio.  Il corridoio lo portò per primo verso il salotto, dove la televisione era illuminata da un film in bianco e nero, a cui era stato tolto l'audio. C'era un po' di confusione: cd sparsi, la consolle per i videogiochi per terra, i joystick che riposavano sul divano. La seconda porta si affacciava sul bagno e la lasciò perdere.
Sentì poi una risata, era Dougie.
Piano!”, disse il suo amico bassista, “Non vedi che c'è scritto 'alto e fragile'? Mi stai strozzando!”
Se non fosse stato per la ragione che l'aveva spinto lì, si sarebbe pentito di essere entrato furtivamente. Dougie era in compagnia e lo avrebbe colto in una situazione abbastanza compromettente ed imbarazzante. Sentì lo schiocco di un bacio.
Ti voglio bene, scemo di un Poynter.”
Si sentì pietrificare, dalla testa ai piedi, al suono di quella voce femminile così ben conosciuta. Non poteva essere, no, si era sicuramente sbagliato. Era un'altra persona, due voci potevano somigliarsi al tal punto da confonderle, gli capitava spesso quando sua zia gli telefonava, la scambiava sempre per sua madre. Ma quelle due stesse voci potevano anche avere lo stesso particolare accento?  Ebbe paura di muovere un passo e scoprirla lì, con Dougie, e di realizzare che fosse lei il segreto che il suo amico gli nascondeva. Quello non glielo avrebbe davvero mai perdonato. Mai.
Si fece coraggio.
Piuttosto che vederla abbracciata a lui, con un viso dall'aspetto felice, avrebbe preferito una tortura qualsiasi, di ogni tipo.
Little?”
Lei aprì gli occhi e lo vide. Nello stesso istante, le sue braccia si sciolsero dal collo di Dougie, che si voltò immediatamente. Non sapeva quale sentimento provare: delusione, amarezza, rabbia. Era confuso, non sapeva dove guardare, i suoi occhi non facevano altro che spostarsi da Little a Dougie, dai quali traspariva tutta la colpevolezza della loro azione.
Danny... Ciao...”, balbettò Poynter, “Che ci fai qua?”
Prese un profondo respiro e gli rispose.
Ero venuto per farti una visita. Ma vedo che qualcuno mi ha preceduto.”
Little se ne stava accanto a lui, mani giunte che nervosamente si contorcevano, mentre lo sguardo era incerto.
Come stai?”, le chiese Danny, “Hai fatto un buon viaggio?”
Dougie gli aveva nascosto che sarebbe venuta a trovarlo, ecco qual era stato il suo problema in quei giorni. Non voleva che lui ne venisse a conoscenza, ma Tom ed Harry erano stati in parte informati: ciò stava a dire che almeno loro due l'avrebbero vista, ma non lui. Lui non era stato invitato. Era stato lei a chiederglielo?
E' arrivata poche ore fa...”, cercò di recuperare Dougie, “Sono... Andato a prenderla all'aeroporto, avevamo in programma di passare a trovarti...”
Sì?”, fece, poco convinto, “Peccato che non sapessi che stesse per arrivare.”
Volevamo farti una sorpresa.”, continuò Dougie a mentirgli, “Pensavo ti sarebbe piaciuto.”
In genere sì, ma questo tipo di sorprese mi vanno abbastanza di traverso.”
Mi... Mi dispiace, però ero certo che...”
Finiamola, Dougie.”, disse Little, il suo tono era inequivocabilmente sicuro, “Lo vedi che non la sta bevendo?”
Quella frase fu peggio di uno schiaffo in pancia, di un pugno sullo stomaco, di un coltello affondato nella carne. Uno scorcio di quello che era successo iniziò a formarsi nella sua mente. Non ci sarebbero state sorprese per lui, solo quello che aveva già intuito. Lei era venuta a trovare Dougie, Tom ed Harry, non Danny.
Jonny, possiamo scambiare due parole?”, le domandò Dougie.
Non mi dispiacerebbe ascoltarle.”, disse Danny ai due, incrociando le braccia ed appoggiandosi allo stipite della porta, “Soprattutto se mi aiutano a capire che cosa diavolo stia succedendo.”
Niente, Danny.”, gli rispose ancora Poynter.
Dougie, basta.”, lo zittì Little, “Tagliamola qui, non ha più senso continuare.”
Il terribile sospetto che non si trattasse solo di una semplice visita di cortesia tra amici lo atterrì dalla paura, ma cercò di non far trasparire alcun pensiero. La parte di lui che sentiva tuttora la sua mancanza, che voleva stringerla e averla ancora una volta per sé, si era ammutolita nello stesso attimo in cui l'aveva sentita baciare Dougie e dirgli che gli voleva bene. Se quella possibilità era il futuro che si sarebbe trovato a vivere, non era certo di avere il coraggio di affrontarlo. Preferiva mollare.
Little si sistemò i capelli dietro alle orecchie e si schiarì la voce. Danny non voleva farla parlare, non sapeva che cosa avrebbe potuto sentire.
Mi sono trasferita qui, con Arianna.”, disse.
Sentì un esplosione in petto.
Da un mese.”
Il cuore tornò a fermarsi per l'ennesima volta.
Nei prossimi giorni mi iscriverò all'università, ho deciso di tornare a studiare. Arianna ha già avviato tutte le pratiche per aprire un nuovo locale. Abbiamo la nostra vita, e ce la caviamo piuttosto bene. Dougie ha saputo tutto solo due settimane fa, sono stata io ad imporgli di non dirti assolutamente niente.”
Fece una breve pausa.
L'ho fatto per me, e quello di cui mi importa è stare bene.”
Un'altra pausa.
Da sola.”
Danny vide Dougie voltarsi e parlarle, ma fu solo un rumore lontanissimo. Little si voltò verso di lui, gli disse qualcosa, ma non riuscì a capirla. Danny si sentiva dentro ad una campana di vetro che lo isolava dal mondo esterno: i due si animavano, alzavano i toni della discussione ma non percepiva le loro voci. Era tremendo, era così surreale che le orecchie si erano sigillate, forse per paura di sentire parole in più rispetto a quelle che già gli avevano fatto male. Doveva trovare il modo di uscire da quella prigione, il respiro iniziava a mancargli. Soffocava.
Ok.”, disse, tutto d'un botto.
I due si interruppero.
Ok.”, ripeté, “Se è quello che vuoi...”
Little sembrò titubante, ma fu solo per una piccolissima frazione di tempo.
Sì.”, rispose, “E' quello che voglio.”
La rabbia per Dougie e le sue bugie svanirono. Si estinse anche la paura che potesse essere successo qualcosa tra lui e Little. Tutto si volatilizzò e diventò vapore acqueo, che gli bagnò la fronte. Lo stipite a cui era appoggiato era diventato improvvisamente il posto più scomodo su cui avesse mai sostato.
Va bene.”, disse Danny, “In bocca al lupo per lo studio...”
Divincolò le braccia, nervosamente incrociate sul petto, e se ne andò senza attendere il saluto di nessuno dei due.

***

China sui libri di storia, Joanna stava dando un ripasso ai fatti storici del medioevo, tanto per non farsi trovare impreparata al test di ammissione che avrebbe avuto tra due settimane. Si volle prendere un quarto d'ora di pausa ed accese la macchinetta del caffè. Non avendo la mente occupata dalle vicende di Carlo V, il quasi ultimo imperatore del Sacro Romano Impero, l'unica cosa a cui riuscì a pensare fu il solito e classico sorriso. Ci sarebbe voluto tempo, ma prima o poi anche quello sarebbe finito. Si sentiva stranamente fiduciosa, forse per il fatto di aver passato con facilità il primo scalino verso la sua nuova carriera universitaria, essendo stata promossa a pieni voti all'esame di lingua inglese, e credeva che si sarebbe presto tolta quel pensiero fisso dalla testa.
La porta principale si aprì e si chiuse con un tonfo, Arianna era tornata.
Jo?”, la chiamò subito, come era solita fare.
Sono qua!”, le rispose, “Vuoi un caffè?”
Per carità, no! Ne ho già presi dieci, potrei avere un infarto!”, sbottò ridendo.
La sentì camminare sui suoi tacchi e un passo dopo l'altro fu in cucina.
Stavi studiando?”, le chiese, sedendosi.
Era stanca, lo si vedeva dalle grandi occhiaie sul suo volto. Da diversi giorni era in frenesia: doveva dirigere i lavori di ristrutturazione ed era in piena crisi. Tutti gli operai sembravano fregarsene delle sue decisioni e doveva spesso imporre i suoi progetti e la sua autorità. Aveva accolto con felicità la decisione di Dougie di darle una mano con lo studio: resasi conto che l'inflazione aveva fatto salire vertiginosamente i prezzi di tutti i beni venduti in terra inglese, Arianna si stava rendendo conto di quanto le sue casse si stessero prosciugando in fretta e di come non poteva aiutarla fino in fondo. Aveva ricambiato il bel gesto di Dougie promettendogli che lo avrebbe sempre fatto mangiare gratis, se fosse mai riuscita ad aprire il suo ristorante. Oltre alla ristrutturazione, infatti, la difficoltà più grossa era nel riuscire a trovare del personale qualificato ed adatto al suo scopo: non poteva mettere un cuoco inesperto a cucinare un ragù, o ne sarebbe uscito un disgustoso pappone al ketchup e carne trita. Joanna le aveva anche parlato di Danny. Arianna non si era stupita della sua reazione, anzi, era esplosa con un amaro 'te l'avevo detto', ma Joanna si aggrappava all'ottimismo che sentiva, oltre che al motivo primario che l'aveva spinta lì: il bisogno di stare bene.
Stavo facendo una breve pausa.”, le rispose.
Sono quasi le otto, è l'ora di darci un taglio con questo barbone a cavallo!”, borbottò Arianna, dando un'occhiata al libro aperto.
E' Carlo V, ignorante.”, le rispose ridacchiando.
Per me poteva anche essere l'antenato di Brad Pitt, ma per il momento è giusto mandarlo nel dimenticatoio.”
Chiuse il libro con un tonfo.
Hai già mangiato?”, le domandò la donna.
Sì, mi sono fatta uno spuntino. Tu?”
Le annuì con un cenno ed uno sbadiglio trascurato.
Uh! Ma quanto sonno che abbiamo!”, esclamò Joanna, ridendo, “Forse è meglio andare a letto!”
Sì, credo che seguirò il tuo consiglio, ma solo in parte.”, rispose l'altra, “Devo cercare di far quadrare i conti e credo che la calcolatrice mi farà compagnia per tutta la notte.”
Non chiedermi di aiutarti.”, le fece, “Per me la matematica è una sgradevole opinione non richiesta.”
Ok...”, Arianna sbadigliò ancora, “Quando decidi di andare a letto, vienimi a togliere quell'aggeggio infernale dalle dita.”
Va bene. Notte, Arianna!”
Buonanotte...”
Con il passo agile di uno zombie morente, Arianna se ne andò nella sua stanza. Il caffè era quasi pronto e, dopo essersene versata una tazza, prese il libro di storia e andò ad accomodarsi sul divano del salotto. Per quella casa Arianna aveva scelto tonalità estremamente chiare e tutto intorno a lei era luminoso e confortevole. Certamente l’aiutava a tenere gli occhi aperti, anche lei era abbastanza stanca, ma si era imposta di terminare almeno quel capitolo, così sarebbe rimasta fedele al programma che doveva seguire. Sintonizzò la tv su un qualsiasi canale, togliendo il volume e bevve il suo caffè, tornando poco dopo alle tragiche ed alquanto noiose vicende dell’imperatore asburgico al trono dell’ultimo brandello del defunto impero romano d’occidente.
Stava quasi per leggere di come cedette il suo vastissimo regno diviso in due grandi parti, quando il campanello la distrasse. Chiuse il libro, si stirò e sbadigliò durante il tragitto. Afferrò la cornetta del citofono e chiese chi fosse.
Sono io!”
Era Dougie, come sempre breve nel presentarsi. Aprì a distanza il portone principale del piccolo condominio, lasciò lievemente socchiusa quella dell’appartamento e lo aspettò seduta sul divano. Piegò un angolo del libro di storia e lo chiuse, riponendolo nella libreria vicino alla finestra del soggiorno. Mentre cercava qualcosa di interessante alla tv, sentì tre colpi alla porta.
Vieni pure Dougster!”, gli disse, alzando un po’ la voce.
Il soggiorno non era proprio vicino all’ingresso, in mezzo vi si trovava infatti la cucina, mentre dall’altro lato del corridoio non vi si affacciava nessuna stanza, ma un balconcino che dava sul cortile interno del palazzo.  Ascoltò i passi che si avvicinavano, incavolandosi con la televisione inglese che non proponeva niente di suo gradimento. Quando la faccia di Ben Stiller apparve sullo schermo, decise di abbandonare il telecomando e dedicarsi a Dougie, che ancora non era riuscito a percorrere quei quattro metri scarsi di corridoio.
Attento che ti perdi!”, gli disse scherzando.
Si voltò, allungando lo sguardo oltre la spalliera del divano. Non c’era nessun Dougie sulla soglia del soggiorno. Era vuota.
Dougie?”, lo chiamò.
Le stava facendo uno scherzo idiota, lo aveva capito, ma il bel gioco durava sempre poco.
Poynter, smettila, non è divertente!”, disse, “Fatti vedere!”
Il viso che apparve sulla sua soglia non era quello che si aspettava. Non era Dougie. Era Danny.
Joanna sbatté gli occhi, ancora doveva capire come aveva fatto a scambiare la sua voce per quella di Dougie. Le ci volle qualche attimo prima di rendersene conto: Poynter aveva risposto per lui.
Scusa.”, fece lui, “E’ stato meschino, ma non avevo altre idee.”
Joanna incrociò le braccia, in posizione difensiva, e pregò che Danny capisse che cosa le stesse passando per la testa. Voleva che se ne andasse, il suo gesto non era stato solamente meschino, ma anche profondamente ingiusto nei suoi confronti. Per la seconda volta si presentava così, all’improvviso, cogliendola in momenti privati di cui lui non doveva farne parte. Glielo aveva detto, non voleva saperne, aveva se stessa a cui pensare. Per troppo tempo aveva vissuto all’ombra di qualcuno o di qualcosa.
Cosa vuoi?”, gli chiese, tutt’altro che amichevole ma comunque con tono basso e calmo.
Niente. Solo parlare.”, le rispose, “Con tranquillità, come due amici.”
Gli amici non si intrufolano nelle case degli altri come hai fatto tu.”, non riuscì a trattenersi.
Hai ragione.”, le disse, “Ma se avessi fatto altrimenti, avresti rifiutato.”
Invece così, con le spalle al muro, sono obbligata ad ascoltarti.”, borbottò, toccandosi la fronte con aria stanca ma stizzita.
Per piacere, non sono venuto per litigare con te... Ma solo per parlare, te l’ho detto.”
Joanna sospirò. Danny la aspettava sulla soglia del soggiorno, una mano in tasca e l’altra fuori, la usava sempre per gesticolare. Poteva lasciarlo sedersi sul divano e parlare, poteva mandarlo via. Stavolta non c’era Dougie ad aiutarla nella scelta, doveva prenderla da sola.
Ok.”, gli rispose, “Andiamo in cucina.”
Ignorò il flebile sorriso che vide spuntare sulle sue labbra e tenne lo sguardo basso quando gli passò accanto. Le sedie intorno al tavolo non erano così comode come il divano, avrebbero evitato che nascessero molti equivoci. Gli offrì qualcosa da bere, ma lui rifiutò con gentilezza. Joanna si sedette di fronte a lui, nonostante il confronto la stesse mettendo in lieve soggezione.
Avanti, cosa vuoi dirmi...”, gli disse, tornando ad incrociare le braccia.
Beh... Come stai?”, le domandò.
Bene. Tu?”
Sì, va tutto piuttosto bene.”, rispose Danny, arricciando le labbra con indifferenza.
Joanna attese la sua prossima domanda.
E così... Ti sei davvero iscritta all’università.”, fece lui.
Sì, esattamente tra due settimane ho il test di ammissione.”, gli disse, senza mai lasciare il suo tono freddo e distaccato, “Per la East London.”
E Arianna?”, domandò ancora, “Mi ha detto Dougie che presto aprirà un nuovo locale, qua vicino.”
Sì.”
Lui annuì.
Uhm...”, fece poi, “Non so cos’altro chiederti...”
Joanna si fece perplessa, non capiva a che gioco stesse giocando. Danny era a disagio, non la guardava in viso, e non sembrava fosse venuto totalmente impreparato. Le braccia erano appoggiate sul legno del tavolo, le dita si muovevano nervosamente.
Una cosa ci sarebbe.”, disse Danny.
Lo aspettò.
Perché?”
Rimase spiazzata.
Lo sai già il perché.”, gli rispose.
Esprimiti meglio.”, disse lui, scuotendo la testa.
Perché voglio pensare a me stessa.”, gli ripeté, come aveva già fatto in precedenza.
Non ti facevo così egoista.”
No, non lo sono affatto.”, si difese Joanna, “Voglio solo vivere tranquillamente senza problemi.”
Non esiste una vita senza problemi.”, la provocò lui.
Allora devo solo ridurli al minimo.”
Credi che non sappia di essere il tuo problema?” , sbottò lui.
Se lo sai, cosa ci fai seduto nella mia cucina!”, esclamò Joanna.
Danny scosse ancora la testa, con una smorfia amara sul viso.
Volevo cercare di parlare civilmente con te.”, le rispose, “Ma vedo che non è possibile.”
Perché non vai dritto al punto, Danny?”, gli fece, “Così potrei capire civilmente dove tu voglia andare a parare.”
Non ha più senso.”
Non ha mai avuto senso!”
Ecco, hai capito ora cosa intendo con parlare civilmente?”, si riprese lui, “Questo non lo è. Tu non puoi trattarmi come se fossi l’ultima persona che vuoi vedere sulla Terra!”
Lo sei.”
Stai mentendo.”
No.”
Basta!”, esclamò Danny.
Joanna era esasperata. Quella conversazione era del tutto inutile e non erano capaci di sostenerla senza alzare il tono della voce.
Danny, per piacere, vuoi dirmi che cosa vuoi da me?”, gli fece, cercando di riprendere la calma.
Lui prese un profondo respiro.
Ero venuto a dirti tante cose.”, disse, con aria disinteressata, “Cose che prima mi importavano, ora non più...”
Parla.”, gli impose.
Ti volevo chiedere scusa, perché se avessi saputo essere paziente, molto probabilmente tutto questo non sarebbe mai successo. E’ colpa mia, non pensavo di potercela fare, la distanza mi spaventava, ma se mi fossi impegnato, tutto sarebbe stato possibile. Ce l’ho con me stesso perché tu aspettavi solo che mi facessi avanti, che ti dicessi che ci credevo. Non ce la faccio ad essere arrabbiato con te per quello che hai fatto... Perché ti capisco.”, le fece.
Joanna cacciò indietro tutte le emozioni che stava provando, comprese le lacrime, e tenne gli occhi fissi sul tavolo.
L’ho capito da subito che ti eri trasferita qua per vivere la tua vita, non la mia. Potevo essere infuriato sul momento, soprattutto per il fatto che Dougie ti aveva tenuta nascosta... Ma ho capito anche lui. Lo ha fatto per proteggerti, tiene a te come ad una sorella, farebbe di tutto per farti felice e tenerti al sicuro.”
Joanna ribadì a se stessa tutte le convinzioni che l'avevano portata in Inghilterra, ignorando le potenti scosse causate dalle parole di Danny, e sentì le sue fondamenta tornare a rinforzarsi. Doveva stabilire le sue priorità, come aveva fatto Danny.
Me stessa, amici e famiglia... Lui.
Veniva solo al terzo posto. Danny tornò a parlarle.
Ti voglio bene e voglio stare con te.”, riprese Danny, con ancora più decisione, “E' per questo che sono venuto.”
Non c’era nascondiglio efficace che la schermasse dalle sue parole.
Danny, per favore!”, esclamò Joanna, “Basta!”
Incrociò le braccia sul tavolo e vi appoggiò la fronte, singhiozzando. Le fondamenta erano crollate con una facilità impressionante, come se la malta composta dalle idee e dalle convinzioni non fosse stata buona a niente, tranne che ad illuderla senza pietà. Fanculo i libri, fanculo la storia e fanculo tutto, compresa la scala delle priorità. Era con lui che voleva stare, con Danny: lo aveva voluto da sempre, da così tanto tempo che quando aveva potuto averlo per sé aveva stentato a crederci. Danny non aveva mai fatto altro che prendere le proprie decisioni pensando a lei, a discapito delle persone a cui teneva di più, mentre lei si era trasferita in Inghilterra tenendoglielo nascosto.
Sentì una mano sui capelli, una mano che l’accarezzava, come a consolarla.
Alzò gli occhi, incrociando quelli preoccupati di Arianna, seduta davanti a lei. Si guardò intorno, Danny non c’era.
Dov’è Danny?”, le chiese, non avendolo sentito muoversi.
E’ andato via.”, le rispose lei, sospirando, “Hai combinato un bel casino, Little Joanna.”



Dougie lo vide uscire di corsa dalla porta del condominio dove Jonny abitava. Lo aveva atteso in macchina, sapendo che non si sarebbe trattenuto per più di una decina di minuti, né che sarebbe uscito con un bel sorriso stampato in faccia. Lo osservò percorrere la strada, attraversarla e salire in auto.
Com’è andata?”, gli chiese, con retorica.
Portami a casa.”, disse Danny, senza aggiungere altro.
Ok...”
Fece girare le chiavi ed il motore si avviò. Uscì dal parcheggio di lì a poco, nel totale silenzio.
Uhm... Come sta Jonny?”, gli chiese, dopo qualche minuto, sperando che si fosse calmato.
Dougie, sarà lei stessa a dirtelo, non domandarlo a me.”, gli disse Danny.
Per la restante parte del viaggio, Dougie non ebbe il coraggio di rivolgergli parola. Gli disse solo una timida buonanotte quando lo lasciò davanti a casa sua.


It's hard to say that I was wrong, it's hard to say I miss you.
Since you've been gone, it's not the same.







Ci siamo quasi :) Meno due! Il titolo e i brani inclusi nel capitolo appartengono ai The Used e sono estratti dalla canzone Hard To Say. Senza scopo di lucro.
Ringrazio Bitter/Ludo/Luvi per avermi ricordato (imposto?) di aggiornare XDDDD  E ringrazio anche tutte coloro che ancora mi seguono :)

A presto, Ruby

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Capitolo 17
*** My Perfect Distraction ***


17. My Perfect Distraction



Prese la cornetta del telefono e compose il suo numero, attendendo che Jonny rispondesse. Lo fece Arianna che, dopo averla chiamata, gliela passò dopo un saluto. Un paio di giorni non potevano esserle stati sufficienti per passare oltre la litigata con Danny, o quello che era stato. Non aveva conosciuto i particolari: Danny non glieli aveva voluti raccontare, preferendo fare l’irascibile con tutti quelli intorno a lui; Jonny aveva fatto altrettanto, isolandosi e concentrandosi sullo studio. Si chiedeva quanto a lungo potesse durare quella nuova situazione. Sperò poco, altrimenti ci avrebbe pensato lui stesso a farla affrontare ad entrambi.
Come ti senti?”, le domandò.
Stanca.”, rispose lei, con uno sbadiglio, “Il mio cervello si sta liquefacendo.”
Uhm... E’ una cosa alquanto fastidiosa.”, cercò di ironizzare con una piccola battuta ed una risata.
Abbastanza... A te come va?
Così così.”, le fece, “Potrà anche essere piena estate, ma non mi sento tanto bene.”
Hai la voce nasale, vedi di prendere meno freddo quando esci alla sera, per fare baldoria...”, lo prese in giro lei.
Lo terrò a mente.”, tagliò corto la disquisizione sul suo stato di salute, non l’aveva certo chiamata per farsi dare consigli in quel campo, “Senti, Jonny, ormai tutti noi sappiamo che sei qua... Tom ed Harry vorrebbero salutarti.”
Sono lì con te, adesso?
Non salutarti ora, per telefono.”, le fece, “Ma una di queste sere, vorrebbero sapere se possono invitarti a cena.”
Uhm...”, rifletteva, “Beh, mi piacerebbe...
No, Danny non ci sarà, te lo prometto.”, disse, roteando gli occhi con rassegnazione.
Ma non intendevo quello...”, lo corresse lei, con tono stizzito, “Va bene, ci sto. Posso dirlo anche ad Arianna?
Perché no?”, le disse, con entusiasmo, “Sarebbe un’idea magnifica!”
Guardò verso il suo soffitto, notando un ragno abbastanza gigantesco che gli camminava sopra la testa. Lo ignorò, passando oltre il suo copro ad otto zampe, e ringraziò anche il cielo per averla convinta con pochissime parole. Si era preparato ad una serie infinita di preghiere in tutte le lingue.
Quando siete libere?”, le domandò, “Per noi una serata vale l’altra, non abbiamo così tanti impegni mondani ultimante...”
Bella domanda... Ne parlo con Arianna e ti faccio sapere, va bene?
Perfetto... Aspetto una tua chiamata, non farmi crescere la barba troppo lunga!”


***


Attendevano che la porta di casa Judd si aprisse ad entrambe, che se ne stavano con un paio di bottiglie di buon vino importato tra le mani. Arianna ne approfittò per darsi una sistemata, guardandosi nel riflesso storpiato del vetro scuro e cilindrico.
Si ricorderanno di me?”, le chiese incerta, “Non è che passo per l’imbucata alla festa?”
Ci hanno invitate entrambe...”, le rammentò Joanna, “Non è una cena per pochi eletti.”
In quello stesso attimo, un Harry vistosamente sorridente le accolse.
Buonasera signore!”, esclamò, con fare elegante, “E benvenute nella mia umile dimora.”
Fece uno svolazzo con la mano, si scostò dall’entrata e lasciò libero il passo.
Judd?”, gli fece Joanna, “Tutta questa gentilezza dove l’hai trovata?”
Frugando nella borsa di Mary Poppins.”, rispose lui, imperturbabile, “Ora, vi prego, datemi le vostre cose, così le riporrò...”
Harry!”, squillò lontana ma stridula la voce di Giovanna, “Sta andando a fuoco tutto!”
Oh, cazzo!”
Fuggì verso la cucina, lasciando le due donne sulla soglia di casa, sbalordite.
Che dici, entriamo?”, disse poi Arianna.
Direi di sì...”, le rispose.
Un passo dopo l’altro, si fecero strada nel corridoio. Sentirono la risata di Dougie, poi un’esclamazione di Tom: li scovarono nel salotto, seduti sul pavimento come bimbi, intenti nello sfidarsi ad un qualche gioco di lotta all’ultimo sangue, con gli occhi fissi sullo schermo della tv e le mani impegnate con i joystick.
In cucina c’è un incendio e ve ne state a giocare alla playstation?”, li sgridò Joanna scherzosamente.
Ma quale incendio!”, rispose Dougie, “Gi voleva solo farsi dare una mano!”
Non poteva chiederglielo normalmente?”, domandò Arianna.
In questo modo si è assicurata che arrivasse.”, rispose Tom, “Harry fa di tutto per schivare gli affari di cucina.”
Non dirmelo...”, ironizzò Joanna.
Infatti, di lì a poco il batterista apparve con un grembiule rosa confetto legato in vita.
Non osate ridere!”, disse, vedendo le facce sorprese e pronte all'esplosione, ed indicandole con tono accusatorio, “Non osate ridere!”
No, non lo faremo...”, balbettò Joanna, cercando di trattenersi.
Bene!”, Harry strinse i pugni, verde dalla rabbia.
Non puoi lasciare tutto nelle mani di Giovanna!”, lo rimbeccò Tom, “Sei tu il padrone di casa!”
Fino a prova contraria, non lo nego.”, rispose Judd, “Ma non sono stato io a farle venire qua a cena!”
Beh, non ci siamo auto-invitate!”, si difese Joanna.
Sì, ma è stato Dougie a impormi di farvi venire qui!”, ringhiò lui, “E io odio cucinare!”
Suvvia...”, disse Arianna, finora stranamente a disagio, “Bevi che ti passa!”
Prese entrambe le bottiglie e gliele mise sotto il naso, con un sorriso sornione.
Con gli omaggi delle tue ospiti indesiderate!”, gli disse, invitandolo a prenderle.
Grazie del pensiero...”, borbottò l'altro, sempre scocciato.
Comunque molto piacere, io sono Arianna, ti ricordi di me?”, gli disse.
Sì, mi ricordo eccome.”, rispose Harry, “Ti trovai davanti del mio camerino che provavi ad appiccicare la stella con il mio nome sulla porta.”
Arianna rimase lievemente spiazzata, ma non tradì il suo sorriso; Harry, invece, prese le bottiglie e se ne tornò in cucina, a fare il suo dovere. Nell'attimo che seguì la sua nervosa dipartita, ci fu un breve silenzio che Tom ruppe con un abbraccio ed un 'come stai?' che scaldarono il cuore di Joanna. Poi passò ad Arianna, alla quale strinse cordialmente la mano, e Joanna fu sicura che sarebbe andata d'accordo con tutti loro; la conosceva bene e sapeva che non era difficile entrare nelle sue simpatie, ed al contempo era altrettanto semplice rimanerle antipatici.
Le due donne si sedettero poi alle spalle dei due sfidanti, che tornarono indisturbati a giocare, divertendosi.
Scusatemi!”, sentirono esclamare.
Si voltarono, trovando una Giovanna mortificata. Si scusò per non essere venuta a salutarle, incolpando Harry per la sua ben poca buona educazione, e si presentò con il suo solito entusiasmo, che colpì anche Arianna. La abbracciò e, con lo stesso calore che le aveva infuso Tom, le chiese come si trovasse.
Abbastanza bene.”, le rispose, “E tu?”
Starei meglio se venissi trattata come ospite, e non come sguattera, ma va bene lo stesso.”, borbottò Gi, “Tra poco è tutto pronto.”






L'ultimo piatto, che aveva ospitato il dolce portato da Tom e da Giovanna, giaceva davanti a tutti loro, ospitava ormai solo briciole e rimasugli vari. Buono come sempre, non c'erano dubbi, tanto che Arianna aveva proposto a Gi di farle da cuoca, ma lei aveva gentilmente rifiutato, sentendosi lusingata ma comunque più portata per la recitazione.
Tra pochi giorni ho il test di ammissione.”, spiegò Joanna, rispondendo alla domanda di Tom in argomento, “Sono abbastanza tesa.”
Sicuramente andrà bene.”, la incoraggiò Fletcher, sorridendole.
Si vede lontano un miglio che sei una secchiona...”, disse Harry, sempre educatamente bastardo nei suoi confronti.
Santa Maria!”, esclamò Arianna, “Sei un concentrato di acidità!”
Era la terza volta che glielo diceva.
Comunque non lo sono, Judd.”, lo corresse Joanna, “Me la cavo, non sempre bene ma ce la faccio.”
Sei una secchiona.”, ribatté l'altro.
Ok, una flebo di dolcezza per Harry!”, disse Dougie, scherzando.
Risero tutti insieme e fu molto piacevole. Amava stare con loro, non c'era alcun dubbio, li adorava davvero. Quasi come una fan, pensò sorridendo, ma le ammiratrici non venivano di certo invitate a cena come lei ed Arianna. Di certo, ora che si trovava così vicino a loro non avrebbe perso l'occasione di approfondire il rapporto. Lo avrebbe fatto indipendentemente da tutto.
E da tutti.
E come mai hai scelto quel particolare indirizzo?”, le domandò Giovanna.
All'inizio avevo pensato di tornare dalle lingue straniere, come ho fatto al liceo.”, le spiegò, “Poi ho valutato anche altri corsi di studio e, alla fine, ho eliminato tutto tranne quello.”
Sicuramente è molto interessante.”, disse Dougie, “E vedi di non farmi pentire!”
Joanna imbronciò le labbra, facendoli tornare a ridere.
Ok, papà.”, lo prese in giro, mettendosi una mano sul petto ed alzando la destra, a mo’ di giuramento, “Prometto che mi impegnerò per prendere dei buoni voti.”
Dio, Dougie!”, esclamò Harry, “L'unica cosa che sei capace di mantenere è il tuo rettilario, e ti sei preso la briga di pagarle gli studi? Sei pazzo!”
Volevi farlo tu, per caso?”, gli rispose Arianna, al posto del bassista.
Quel continuo ribattere alle frasi acide di Harry era stata la parte più comica della serata. Arianna si divertiva a zittirlo, lui sembrava provarci gusto nel giocare altre carte.
No, lo farò solo con i miei figli.”, disse, incrociando le braccia dietro alla testa e sbadigliando, “Se mai ne avrò uno.”
Se mai troverai qualcuno favorevole a partorire per te.”, assestò un bel colpo Arianna.
Credimi, ce ne sono migliaia.”, fece, lievemente risentito.
Escluse le fan?”, continuò lei.
Ovviamente!”, disse Harry, gonfiandosi.
Escluse tutte le cugine dal secondo grado di parentela in poi?”, aggiunse un altro filtro alla schiera di pretendenti del batterista.
Gli occhi dei quattro rimbalzavano tra i due, come se fossero stati i giocatori di una partita di tennis, e loro i giudici arbitri.
Harry, arrenditi.”, gli consigliò Joanna, “E' una che non molla...”
Era la verità, Arianna non lasciava l'osso finché non era il suo sfidante a farlo, e anche in quei casi preferiva tenerlo sopra la testa e sventolarlo in alto come una coppa di trionfo. Harry avrebbe trovato pane per i suoi denti, se avesse avuto la forza per affrontarla, oppure se non li avessero fermati, ma loro erano troppo impegnati ad ascoltare come si passassero la palla avvelenata e si divertivano a vedere Judd sbraitare come una donna con il ciclo.
Escludo le mie cugine, le amiche delle cugine e anche quelle di mia sorella, di mia madre, di mia zia e di mia nonna.”, disse, conteggiando sulla punta delle dita.
Chi altro ti rimane?”, gli domandò Arianna.
Il resto del genere femminile!”
Frequentano almeno l'asilo nido?”
Oh, mi arrendo!”, disse Harry, alzando le braccia e segnando così la fine del contenzioso, “Te la do vinta.”
Potresti pensare ad un'adozione!”, rincarò la dose Arianna.
Ok, vado a lavare i piatti!”, si inviperì il ragazzo.
In un batter d'occhio la tavola fu sparecchiata ed Harry, piuttosto che sottoporsi ancora alle angherie di Arianna, infilò le mani nude nell'acqua calda ed insaponata, strofinando via con forza tutti i residui di cibo. Nessuno ebbe il coraggio né la voglia di dargli una mano, sembrava più che autosufficiente. Presero i loro bicchieri, le bottiglie di vino e di acqua, e si spostarono dove potevano stare più comodi e non essere disturbati dal gorgogliare infastidito di Judd.
Ti trovi bene qua?”, le chiese Giovanna, una volta seduti al fresco del verde sul retro.
Quelle case inglesi erano tutte stramaledette uguali e prevedibili, pensò Joanna, che avrebbe potuto camminare ad occhi chiusi senza sbattere sugli spigoli dei mobili.
Molto.”, le rispose, “Anche se non ho ancora avuto modo di ambientarmi perfettamente, forse perché sono sempre chiusa in casa a studiare.”
Londra è caotica quanto Firenze?”, fece Tom, “Oppure molto di più?”
Per quello che ho visto, posso dirti che è come la mia città... Ma all'ennesima potenza!”, gli rispose, con occhi sbarrati al ricordo di essere stata imprigionata per un'ora in un imbottigliamento, con Arianna che imprecava come una pazza, “Ci sono milioni e milioni di auto, persone...”
Beh, quando inizierai i corsi, inizierai a farti miliardi di amici.”, le disse Dougie, “E vedi di non dimenticarti di me!”
Dougie, sei peggio di uno strozzino...”, gli fece, con una pacca sul braccio, “Metti gli interessi sui sentimenti!”
Scusami, Jo.”, la riprese Tom, “Non sono ancora riuscito a capire da quanto tempo ti sei trasferita.”
Quella domanda la spiazzò. Poteva rispondere con la verità, ma non sapeva quale effetto avrebbe sortito su di loro. Non voleva che pensassero male di lei o che fraintendessero la sua decisione. Titubò, guardando Dougie per chiedere aiuto. Lui alzò le spalle.
Cosa doveva dire allora?
Da diverso tempo, ormai...”, disse, con un sospiro e gli occhi bassi, “Da poco più di un mese...”
Al che seguì un corto silenzio, in cui si pentì di aver smascherato la sua bugia.
Me lo ha detto poco dopo, a cosa fatte.”, intervenne allora Poynter, togliendola dall'imbarazzo, “Ha avuto i suoi buoni e intuibili motivi per farlo.”
Sì, certamente, niente da obiettare in proposito.”
Tom le sorrise, ed anche Giovanna. Harry, se fosse stato presente, avrebbe borbottato una risposta delle sue; Joanna fu grata ai piatti da lavare, che lo impegnavano in cucina e lo tenevano lontano.
Vi chiedo scusa.”, disse ai due fidanzati, “Avreste dovuto saperlo.”
Non ti preoccupare!”, la rassicurò Giovanna con un sorriso, “Non è stata una decisione facile da prendere e la rispettiamo.”
E poi non siamo in diritto di dirti cosa è giusto o sbagliato.”, aggiunse Tom, “Se non volevi che Danny lo sapesse...”
Sentire il suo nome, per quei giorni taciuto totalmente, le fece fare uno sbalzo al cuore.
Grazie...”, disse loro, “Grazie di cuore.”
Le sorrisero ancora. Dougie, seduto accanto a lei, ne approfittò per strizzarle un occhiolino. Ultimamente si sentiva molto figlia di tutti, adottata da persone che si potevano classificare in ogni modo, tranne che nei limiti della normalità. Non aveva mai avuto una vera famiglia, e quella che pensava fosse diventata sua a tutti gli effetti non era composta dalle classiche figure genitoriali. Si sarebbe mai lamentata? Mai, appunto. Joanna sorseggiò un po' di acqua, si sentiva la gola terribilmente arida e secca.
Che ne dici, Tom, finiamo la partita?”, gli propose Dougie.
Ci sto!”, esclamò l’altro entusiasta.
In meno di mezzo secondo si volatilizzarono, lasciando le tre donne libere.
Mi chiedo che cosa trovino in quella Playstation.”, disse Gi, alzando le spalle con rassegnazione.
Non dice mai di no...”, fece Arianna, “Per questo rimarranno sempre fedeli a quella scatola. E non a noi.”
Già...”, si accodò Joanna, “Fortunatamente non sono macchine pensanti.”
Chi? La Playstation o quei due?”, sbuffò Arianna, ridendo, “Senza offesa...”, si rivolse a Giovanna.
Non sono mai stata d’accordo su qualcosa come questa volta!”, rispose l’altra, ridendo, “Odio quella consolle...”
Si godettero il fresco della serata inglese, guardandosi intorno.
Devo dire che sono contenta che tu sia qui, Jo.”, disse poi Gi, “Almeno porti qualcosa di diverso in questo pazzo mondo!”
Mi sa che non mi vedrai molto se continuerò a chiudermi in casa!”, le rispose.
Potresti vedermi apparire con un piede di porco alla tua porta.”, le fece l’altra, con tono fintamente saccente, “E costringerti ad uscire minacciando di scassinare la serratura!”
Sei una ragazza che non ha mezze misure. Mi piaci!”, si complimentò Arianna, anche lei sempre estremamente diretta nei modi di fare.
E’ che ho imparato ad essere abbastanza drastica, talvolta...”, continuò la ragazza, indicando con un cenno della testa la casa alle sue spalle e facendo intendere a chi si stesse riferendo, e non era Tom. Harry sembrava ancora impegnato nella pulizia della sua cucina, a sentire dalle imprecazioni arabe, che percepivano di tanto in tanto.
Ed è per questo che voglio essere ancora diretta.”, disse, con sicurezza nel tono della voce, “Cosa è successo con Danny?”
Peggio di una striscia di ceretta, pensò Joanna.
Beh... E’ successo che non succederà più niente.”, la informò, “Tutto qui.”
Giovanna sembrava abbastanza curiosa, come se avesse aspettato tutta la sera per conoscere i particolari. Ovviamente non si sentiva di parlargliene, avrebbe cercato di riferire il meno possibile sperando che non insistesse più del dovuto.
Mi dispiace...”
No, lascia perdere.”, la tranquillizzò, “Credo che sia destino che non accada niente.”
Non sono dello stesso parere.”, obiettò Giovanna, “A me piacevate insieme.”
Che cosa poteva dirle, se non anche a me?
Gli ha chiuso la porta in faccia.”, la tradì in pieno Arianna.
All’altra spuntarono due occhi avidi, come davanti ad un tesoro di monete e pietre preziose, mentre sulla faccia di Joanna c’era soltanto un’espressione stupita e quasi infastidita.
Sul serio?!”, esclamò Gi.
Sì.”, continuò Arianna, “Quel ragazzo era venuto per chiederle di dargli un’altra possibilità, e lei cosa fa?”
Arianna...”, borbottò lei, sentendosi le guance avvampare dall’imbarazzo.
Giovanna sembrava sempre più sbalordita.
Quel poveraccio ha incassato tutti i colpi, ribattendo fino allo stremo delle forze, poi se n’è andato.”, tornò imperterrita a sviolinare quello che era accaduto.
Si è presentato a casa mia ingannandomi!”, cercò di difendersi Joanna “Ha usato Poynter!”
Perché? Cosa c’entra Poynter?”, domandò Gi.
Sapendo che non le avrebbe mai aperto la porta di casa”, la anticipò Arianna, “Dougie ha prestato la sua voce al citofono.”
Giovanna alzò un sopracciglio, sintomo di una risata imminente, ma si trattenne. Poteva sembrare divertente al pensiero, ma non lo era affatto. Lei che l’aveva vissuta, non avrebbe augurato quella comparsata nemmeno al suo peggior nemico. Arianna non fu in grado di mangiarsi l’ilarità che aveva scatenato lei stessa, e le scappò una piccola risata.
Ok, prendimi pure in giro...”, le fece, innervosita, “Al mio posto non saresti stata molto contenta.”
Lo sappiamo, Jo.”, disse Arianna, “Solo che, a pensarci bene... E’ un po’... Insomma, fa un po’ ridere.”
Cercò di trovare un ipotetico lato comico, ma proprio non ci riusciva. Forse si stava prendendo troppo sul serio, o forse Arianna non era capace di capire quando lo scherzo non era appropriato.
Comunque”, Gi cercò di ristabilire la situazione, “a quanto ho capito, Danny non l’ha presa bene.”
Scosse la testa.
Potresti almeno ricambiargli il brutto scherzo!”, avanzò Arianna, “Se lo meriterebbe!”






Non aveva trovato niente di meglio da fare che appisolarsi sul divano. La televisione era accesa, riproduceva un film con Jack Nicholson che Danny aveva già visto, almeno fino a metà o poco più. Braccia incrociate sul petto, sentiva solo un lievissimo rumore di fondo, la voce gracchiante del pazzo criminale che cercava di sterminare la sua famiglia. La visione non conciliava il sonno, ma lui ne aveva tanto. Alla stanchezza, Danny poteva anche aggiungere il fatto che le serate solitarie erano noiose, non abituato. Non si era certo illuso di potersi unire al gruppo: non c’era stato bisogno di dirglielo esplicitamente, aveva capito da solo quello che era stato giusto fare. Volevano salutare una loro amica, e per questo l’avevano invitato a cena. Appunto, una loro amica, non sua. Non erano più amici, quindi non era educato che lui si presentasse. Oltretutto, non gli andava assolutamente di vederla.
Si avvicinò di un altro po’ alla spalliera, come se fosse stata l’unica cosa in grado di fargli una calda e confortevole compagnia. In un primo momento, non fu in grado di distinguere il rumore dalle urla basse del film che risuonavano nel suo soggiorno; poi riconobbe il campanello, e Danny si costrinse ad alzarsi dal comodo divano ed accogliere lo scocciatore.
Il viso sorridente di Giovanna poteva essere l’ultimo occupante della lista mentale delle facce attese, che aveva scorso rapidamente prima di girare il pomello della porta.
Hey...”, le fece stranito, “Che ci fai qui?”
L’altra alzò le spalle.
Facevo una passeggiata digestiva, mi sono chiesta cosa facevi e ti ho suonato il campanello.”, disse lei.
Gradì quella gentilezza, ma non la comprese. Non era usuale per lei suonargli il campanello con tutta quella spontaneità, ma non ci fece molto caso. Era stanco.
Stavi dormendo?”, gli chiese.
Beh... Sì.”, disse, ridendo, “Ma non ti preoccupare, mi ero solo appisolato davanti alla tv.”
Cosa guardavi di bello?”, domandò ancora.
Non poteva lasciarla ancora sulla soglia.
Entra pure, Gi.”, le fece, scostandosi dall’entrata.
Oh no, torno subito a camminare.”, rispose la ragazza, scuotendo la testa.
Non ti fermi nemmeno per qualcosa? Ti posso offrire da bere.”
Ti prego, no!”, esclamò, toccandosi la pancia, “Comunque grazie, Dan, è stato un piacere romperti le scatole mentre dormivi!”
Figurati!”, le disse, sorridendole, “Buona passeggiata!”
E chiuse la porta, più perplesso di prima. Si grattò la testa, in cerca di una giustificazione a quel gesto. Scrollò le spalle e se ne tornò sul divano; cercò di riprendere il filo del film ma fu del tutto inutile, per due motivi: il primo era dovuto al fatto che stavano scorrendo i titoli di coda. Il secondo, invece, si spiegava da solo: il campanello aveva suonato ancora. Si alzò e sbuffò annoiato. Non aveva voglia di avere delle visite, ok? C’era del male in quello? Trascinando i piedi sul pavimento, tornò alla porta.
Chi è?”, chiese, ancora prima di aprire la porta, ma non ebbe risposta.
Aggrottò la fronte. Attese qualche attimo prima di posare le dita sulla maniglia della porta ed abbassarla. Aveva quasi paura.
Stupido, hai guardato un film dove il marito cerca di uccidere il figlio con un’accetta...
Buttò indietro quella sceneggiatura, si faceva pena da solo. Non si era mai fatto impressionare dai film, e non era il caso di iniziare proprio quella sera. Aprì la porta. Gli aveva fatto molto piacere vedere la faccia di Giovanna, sorridente e contenta, ma affrontare gli occhi verdi di Joanna, che si muovevano veloci ed impauriti, come se avessero voluto essere da qualsiasi altra parte che lì, lo trapassarono da parte a parte.
Danny incrociò le braccia e abbassò lo sguardo.
Cosa fai qua?”, le chiese, come aveva fatto con Gi, ma in tutt’altro tono.
Joanna nascose una ciocca di capelli biondi dietro all’orecchio sinistro, e deglutì con forza.
Niente... Io...”, balbettò.
Niente?”, le fece, “Non si disturbano gli altri per niente.”
Si morse la lingua. Era cattiveria, ma non intendeva ritirarla.
Beh... Come stai?”, chiese ancora lei.
Molto bene. Tu?”
Joanna si strinse in un sorriso flebile, quasi forzato. Capiva che cosa c’era sotto: solamente uno stupido tentativo di rivalsa. Lui era entrato nel suo appartamento di soppiatto, sfruttando la voce di Dougie; lei, invece, aveva chiesto di farsi aiutare da Gi. Molto bene, lo riempiva di felicità.
Senti, ho delle cose da fare in studio.”, le fece, mentendole penosamente, “Degli accordi da sistemare... Cose così.”
Ok, va bene.”, rispose lei, “Scusa se ti ho disturbato.”
Cercò di non sentirsi in colpa e ne fu capace. Non era capace di trattare così freddamente una persona, ma ci stava riuscendo perfettamente.
Pensa di me ciò che vuoi, ma chiamami Little. Perché mi fa stare meglio. Molto meglio.
Ciao Joanna.”, le fece.
Si accorse subito dell’effetto che quel semplice cambiamento di nome causò in lei: Joanna rimase spiazzata e non controbattè. Danny non provò alcun piacere in quello, anzi, fece del male a se stesso, più di quanto si fosse aspettato.
Ciao...”, rispose lei.
Stammi bene.”
E chiuse la porta.
Danny lasciò la maniglia e fissò il legno davanti a sé. Ebbe un momento di smarrimento: gli parve quasi di vivere in un film, dentro ad uno dei loro video, e si trovò ad aspettare il ‘cut’ da parte del regista. Solo che quella stramaledetta parola non arrivava mai. Non c’erano ciak, non c’erano addetti al trucco, né assistenti ai cameraman. C’era solo la realtà, nessuno poteva dirgli che era stato bravo e che la scena appena girata era buona, nessuno gli chiedeva di rifarla perché aveva accidentalmente guardato dentro la telecamera.
Mi dispiace.”
Al di là della porta, Danny sentì la voce di Joanna alzarsi. Rimase in silenzio, quasi trattenne il fiato.
Danny, mi dispiace.”
Sbatté gli occhi più volte.
Danny?”, lo chiamò.
Stava per riprendere possesso della maniglia, ma non riuscì a toccarla. Se lo avesse fatto, non avrebbe risolto niente. Ci sarebbe stato solo un altro ‘mi dispiace’, e non gli bastava. Si dicevano troppo spesso parole come quelle, che perdevano così il loro significato.
Sentì Gi bisbigliarle qualcosa.
Dai... Provaci ancora.”.
No, mi sento una stupida a parlare con una porta...”, le rispose.
Sono sicura che sia lì dietro...”
Joanna sospirò.
Dan... Rispondimi, per piacere...”, la sua voce tremava, “Non so più come dirti che mi dispiace...”
E lui non sapeva più come dirle che non gli bastava. Forse era il momento giusto di farglielo capire.
Gi, andiamo.”, le fece, “Non c’è.”
Tenta ancora.”, insistette l’altra.
No, basta.”
Era il momento di farla finita.
Vi sento... Forte e chiaro.”, disse alle due ragazze, cogliendole di sorpresa.
Aprì la porta, ma non vide Giovanna. Danny dovette sporgere la testa fuori dal suo appartamento: la ragazza lo salutò lievemente imbarazzata, nascosta dal muro della facciata.
Potresti lasciarci da soli?”, le chiese.
Non marcò il tono infastidito, non ce n’era bisogno, Giovanna si allontanò salutandoli con un cenno di testa, e con un sorriso rivolto alla sua amica. Danny attese che attraversasse la strada e tornasse a casa.
Che cosa hai detto prima?”, fece a Joanna, “Non ho capito bene.”
Forse era meglio farla entrare, eppure lasciarla sulla soglia di casa creava quella specie di rapporto psicologico in cui Danny si sentiva uno scalino sopra di lei, e ne aveva bisogno. Se fossero stati allo stesso pari, molto probabilmente avrebbe finito per commettere qualche errore.
Beh... Ti ho detto che mi dispiace.”, ripeté lei.
Oh.”, fece, quasi con noncuranza, “Non mi sembri molto originale.”
Danny, per favore.”, si ribellò Joanna, “Non è facile parlare così…”
Era quello che aspettava.
Come pensi che mi sia sentito, quando sono venuto da te?”
Joanna non ebbe da controbattere, ma solo da rimanere in silenzio. Bene, si disse Danny, adesso poteva anche farla entrare ed annullare quella sorta di superiorità, si sentiva soddisfatto.
Soddisfatto un cazzo.
Sì, soddisfatto!
Si scostò e la osservò entrare: le sue braccia erano conserte sul petto, come a volersi difendere. Danny la accompagnò in soggiorno, e si sedette con lei sullo stesso sofà su cui avevano già passato alcuni momenti insieme: quando le aveva presentato Tamara, e chiesto poi cosa avesse pensato di lei; quando Joanna l'aveva sgridato perché il suono della sua chitarra, suonata piano durante la notte, l’aveva tenuta sveglia.
La fece sedere, mentre lui si accomodò dall'altro lato, il più lontano possibile; attese che dicesse qualcosa, ma niente.
Non hai... Alcunché da aggiungere?”, la esortò.
Joanna si morse le labbra, in cerca di coraggio, poi scosse la testa. Teneva gli occhi bassi, le mani unite sul grembo.
Bene.”, disse Danny, toccandosi gli occhi con aria stanca, “Mi fa molta rabbia realizzare ancora che, quando sono io ad invadere la tua vita, sei sempre pronta a tirare fuori gli artigli e combattere. Mentre quando sei tu a presentarti alla mia porta, non fai altro che rimanere in silenzio sul mio divano, in casa mia.”
Joanna prese a torturare il lembo della maglietta.
Ti comporti come una bambina.”, rincarò la dose di cattiveria nelle sue parole, “Quando gli altri toccano i tuoi giochi, strilli con tutto il fiato che hai in gola. Ma quando vuoi giocare, non hai il coraggio di sostenere il peso della partita.”
La osservava attentamente. Danny capì che tutto stava accadendo ancora, in un copione già scritto, letto e recitato. Sapeva cosa sarebbe successo, quale sarebbe stata la sua reazione, e la cosa lo fece arrabbiare di più di quanto non lo fosse stato già.
E poi ti metti piangere.”
Come non detto, Joanna asciugò subito una lacrima che era scesa silenziosa.
Questo è insopportabile.”, le disse, “Perché farmi sentire in colpa per quello che faccio è la tua tattica.”
Non è una tattica...”, rispose finalmente lei, “Credi che lo faccia apposta?”
Sì.”
Ti sbagli.”
No, non mi sbaglio affatto.”, ribatté prontamente, “E’ quello che ti vedo fare ogni volta!”
Non lo faccio di proposito!”, esclamò lei, serrando i pugni con rabbia, “Sono fatta così!”
E allora cresci!”, le disse, “Prendi la vita di petto e smettila di comportarti come una vittima del mondo! Non sei l’unica che subisce torti ogni giorno!”
Non voleva scuoterla in quel modo, non avrebbe mai provato soddisfazione nel trattarla così, ma doveva farle capire quali erano i suoi errori. Non poteva chiudersi su se stessa ed escludere il mondo, come aveva fatto per tutta la vita, per poi pretendere di essere compresa da tutti, incondizionatamente. Non era così semplice, non era così facile.
Le persone ne soffrivano e le chiudevano la porta in faccia.
Le persone come lui ne soffrivano...
Ok, ho capito.”, gli dissemJoanna, “Basta, siamo pari.”
Pari in cosa?”, le fece.
Io ho cacciato te, ora tu cacci me.”, disse Joanna, “Lo sapevo che non sarei mai dovuta venire, ma mi sono lasciata convincere lo stesso.”
Si chiese chi tra Arianna e Giovanna l’avesse spinta a quello.
Prima di trasferirmi qua, anch’io ho stabilito la mia scala delle priorità.”, si riprese lei, “Devo pensare a me. Poi ci sono gli amici e la famiglia.... E poi tutto il resto.”
La lasciò continuare.
Tu sei classificato nel resto.”, fece ancora Joanna, “Non ci si sente molto bene a scoprire di non essere speciali come si pensava, vero?”
Lo stava facendo per stupida rivalsa, ne era sicuro.
E vuoi sapere il vero motivo per cui mi sto comportando così?”
Era proprio curioso.
Avanti, dimmelo.”, le fece, incrociando le braccia.
Perché non sono mai stata davvero indipendente.”, gli disse, “Prima c’era mio padre, poi c’era mio fratello... E quando loro se ne sono andati, sei arrivato tu. Sono stufa di essere sempre legata a qualcosa, a qualcuno... E a un sentimento.”
Le chiese di spiegarsi meglio, sinceramente non la capiva.
Danny, voglio con tutto il cuore realizzare qualcosa nella mia vita. Voglio cercare di uscire fuori da quello stesso guscio in cui tu mi accusi di rimanere imprigionata.”
E allora perché non lo fai!”, esclamò.
Ormai la rabbia che provava si era trasformata quasi in calma piatta. Rassegnazione. Era stanco di combattere.
Perché sei ci sei tu, non penso ad altro.”, disse Joanna.
I suoi occhi verdi lo stavano trapassando da parte a parte, sbucavano al di là di lui stesso.
Perché mi riempi la giornata, perché mi distrai.”, continuò lei, “Perché se ci sei tu, non c’è tutto il resto. E tu non puoi essere il centro del mio mondo. Io sono il centro del mio mondo.”
Di certo quelle parole non lo fecero stare meglio, sebbene potessero illuderlo per un solo istante.
Io vorrei stare con te, Dan.”
Vorrei.
Ma devo pensare a me stessa.”
Danny appoggiò i gomiti alle ginocchia e si passò le dita nei capelli.
Non capisco il motivo per cui hai paura di me.”, le fece, “Io non ti voglio fare del male.”
Saresti una distrazione.”, ripeté lei ancora.
E’ una bugia grossa e ripetuta così tante volte che alla fine niente può togliertela dalla testa.”, borbottò Danny.
Sospirò, ormai non aveva più la forza di combattere. Aveva già perso in partenza, ancora prima di capire di essere innamorato di lei. Era inutile continuare a sbattere contro un muro che non voleva essere abbattuto, lui non era un ariete invincibile che poteva sfondare qualsiasi porta davanti a sé. Alcune di queste erano blindate all’inverosimile e la tua testa dura non poteva fare altro che scalfirle lievemente. Poteva abbandonarle, dimenticarle, fare finta che non fossero esistite.
Ma poteva anche non arrendersi. Anche le pietre potevano rompersi, anche l’acciaio poteva essere forgiato, e qualsiasi materiale aveva sempre un antagonista che poteva modellarlo a suo piacimento.
E credi di avere la forza per poterlo fare?
Ok...”, le fece, non avendo ricevuto alcuna parola in cambio delle sue ultime, “Allora credo che possiamo anche voltarci le spalle e far finta che niente sia successo.”
Per qualche attimo lei esitò.
Sì...”, disse poi, “Va bene così.”
Perfetto...”, le si avvicinò, “Posso darti un abbraccio, oppure preferisci una stretta di mano... Che so... Un cenno della testa?”
Si sentiva cattivo e si odiava. La voleva, non c’era dubbio, ma non era ricambiato. Era evidente e allora preferiva fare lo stronzo, trattarla come se fosse stato niente, perché era più facile. Timidamente, fu Joanna a fare un ultimo passo in avanti ed a stringere le braccia al suo petto.
Danny non voleva piangere, ma faceva male, cazzo se faceva male. Chiudeva gli occhi e la sentiva ancora più vicina di quanto non fosse già. Un suo braccio andò a fermarsi sulle sue spalle, ma ci rinunciò. Non ci riusciva.
Non ci riesco.”, le disse.
Quell’abbraccio era come un filo sospeso nell’aria. Lei teneva saldamente le forbici strette su di esso, prima o poi lo avrebbe tagliato e i due capi morti sarebbero caduti lontani.
E non voglio.
Per favore.”, le disse ancora.
Doveva lasciarlo. Odiava sentire il battito del suo cuore attraverso la pelle, non lo sopportava. Odiava anche sapere che le sue lacrime gli stavano bagnando la t-shirt. Odiava sapere che l’abbraccio stava facendo pesantemente vacillare le sue convinzioni.
Odiava sapere che dentro di sé voleva ancora provarci.
Odiava sapere che lei lo avrebbe sempre respinto di nuovo.


Non c’è niente di più fragile del vetro.
Puoi vederci attraverso, puoi ammirarlo
ma se lo tocchi nel suo punto più debole, va in mille pezzi.
E allora fatichi a rimetterlo in piedi, spesso nessun collante al mondo è sufficiente per unire
tutte le tessere taglienti, e qualche piccolo buco rimane sempre vuoto.
Ma se cerchi di inciderlo, di imprimere qualcosa su di esso, il vetro non te lo permetterà.
Ci vuole tempo, pazienza.
E una punta di diamante.


Con poca gentilezza si liberò dalle sue braccia, sotto gli occhi scioccati e spalancati di Joanna. Era stato travalicato un limite, una linea rossa ben precisa. Al di là di essa c’erano due scelte ben precise: una era quella voluta da Joanna, quella di cui si era convinta; l’altra era la sua. Dato che non aveva alcun potere di manomettere in nessun modo quella di lei, poteva benissimo affrontare la propria.
Le prese le guance e le avvicinò alle sue, baciandola.
Quella era la sua decisione, la sua scelta. Voleva provarci ancora ed andava avanti perché voleva dimostrarle che si sbagliava. Lui non le avrebbe fatto del male, non era una distrazione; Danny non voleva dimenticare tutto e trattarla come l’ultima di una lunga lista di ‘cose da fare’, ma non poteva imporlo a Joanna: ci aveva provato, e quale era stata la sua reazione? Lo aveva completamente escluso. Piuttosto, Danny se ne sarebbe rimasto ad aspettare, avrebbe affrontato il tempo e cercato tutta la pazienza che sapeva di possedere. Le sarebbe stato accanto, convincendola lentamente che poteva tornare a fidarsi di lui.
A fidarsi di loro due.
Forse sbagliava, forse la decisione giusta non era quella. Forse lei aveva davvero bisogno di rompere completamente i rapporti con quelli come lui, quelli da cui dipendeva. Ma anche lui dipendeva da lei, e non voleva che tutto quello cambiasse. Già una volta si era arreso davanti agli ostacoli e la sua decisione li aveva portati lì.
Non era possibile che una persona potesse essere in grado di farlo stare così male, ed al contempo così bene. Neanche Tamara c'era riuscita, Danny dubitava delle altre prima di lei. Molto probabilmente perché tutto era stato tutto più facile, dal primo momento fino all'ultimo.
Continuò a baciarla finché si sentì soddisfatto.
Sei ancora convinta che io sia una distrazione?”, le fece.
Lei lo guardò dritta negli occhi, cercando di capire il senso delle sue parole.
Sì.”, gli rispose.
Tornò a baciarla, anche più di prima. Le passò un braccio attorno alla vita e la sollevò da terra. Dal giorno successivo Danny avrebbe imparare ad aspettare, a premere il piede sul freno e lasciarle il tempo che le serviva per realizzare i suoi progetti. Non avrebbe preteso niente, tranne il pensarla sua.
E adesso?”, le domandò ancora, “Convinta del contrario?”
No.”
La posò a terra, tenendola saldamente per i fianchi, come se avesse potuto scappare sotto ai suoi occhi. Non le liberò neanche le labbra, che continuava a baciare avidamente, quasi senza respirare. Con delicatezza la costrinse ad indietreggiare, finché le sue gambe non toccarono il bordo del divano e furono costrette a piegarsi. La lasciò sedere e prese posto accanto a lei. Con la punta dell'indice le solleticò il collo, per poi marcare quella stessa linea con altri baci. La mano non l'abbandonò, ma scorse con una carezza sulla guancia, sul mento, fino a sentire il battito del suo cuore, incessante in mezzo al petto.
Vuoi che continui a distrarti?”, insistette ancora.
Voleva che gli rispondesse di sì, ma lei esitava. Era incerta, ma poteva aiutarla ad accontentarlo.
Little?”
Gli occhi giuzzarono dentro ai suoi.








Speriamo non si facciano troppo male.”, borbottò Harry, “Non ho voglia di andare a raccoglierli con la ramazza.”
Arianna gli dette una pacca sulla nuca, così forte che la testa del batterista sbalzò in avanti.
Dillo che sei geloso di quei due!”, esclamò poi la donna.
Dio... E' stato doloroso!”, protestò lui, toccandosi il collo dolorante, mentre gli altri ridevano in sottofondo.
Arianna sembrava tranquilla, sebbene avesse notato in lui una certa aria pensierosa, mentre Giovanna era anche troppo ottimista. Tom era neutrale, Harry continuava ad essere acido con tutti. Dougie pensò al futuro e a quello che avrebbero avuto davanti ai loro occhi.
Forse il suo caro batterista avrebbe davvero avuto bisogno di una ragazza, e gli dispiacque quasi che Arianna avesse avuto quasi il doppio della sua età. Il loro continuo becchettarsi sembrava provocare scintille, ma era sicuro che lei non si sarebbe mai persa dietro a qualcuno come lui. Fossero stati coetanei, sicuramente non li avrebbero visti separati per molto. Ad ogni modo, Harry sembrava felice, anche se aveva quei picchi di astio verso il mondo, erano una sua caratteristica peculiare.
Tom, seduto accanto alla sua Giovanna, le passava un braccio sulla spalla e giocherellava con una ciocca dei suoi capelli. Si chiese quando quell'imbecille di Fletcher le avrebbe chiesto di sposarlo... Forse mai, era troppo imbranato per decidersi. Gli venne da pensare a cosa avrebbe organizzato per il suo addio al celibato. Di sicuro, qualcosa con tante, tante, tante donne nude.
Arianna e il suo locale avrebbero spopolato, lei era una brava intrattenitrice di relazioni pubbliche e gli inglesi erano troppo affamati di cucina internazionale, soprattutto buona come quella italiana. Era già stato al ristorante, aveva visto come procedevano i lavori e con Arianna avevano stimato che in un mese sarebbe stato tutto pronto per l'inaugurazione.
Molto probabilmente, Jonny si sarebbe laureata con il massimo dei voti, aveva proprio l'aspetto e la maturità di una secchiona con i contro fiocchi. Poteva diventare una ricercatrice, continuando a varcare i gradini dell'università, oppure... Boh, non aveva ancora capito cosa andava a studiare, doveva chiederglielo al più presto. Era importante che scegliesse un indirizzo con un buono sbocco lavorativo, altrimenti si sarebbe trovata con un...
Si scosse, dandosi due schiaffi invisibili. Stava parlando come un adulto! Era inconcepibile!
Gli scappò un sorriso.
Si chiese davvero che cosa stesse succedendo là fuori, dall'altra parte della strada, in casa Jones. Era un po' teso, non sapeva se sperare in bene o in male... Certo, se l'avesse vista apparire sorridente avrebbe tirato un sospiro di sollievo lungo un anno intero. Ma se fosse tornata imbronciata, o in qualche modo triste, si sarebbe innervosito come poche altre volte.
E lui? Beh, lui stava bene così. Aveva avuto le sue storie, i suoi flirt, i suoi dolori, e per il momento cercava solo la pace e la tranquillità dell'essere single mentre tutti intorno a lui sembravano stare bene, da soli o in coppia. La sua famiglia si era allargata, ne era entrata a far parte anche quella piccola testarda e orgogliosa di Jonny, presto ne avrebbe dato notizia anche a sua mamma, era sicuro che le sarebbe piaciuta. Non poteva esserne altrettanto certo con sua sorella... Gran brutto carattere, ma sapeva essere affettuosa, se solo si aveva la pazienza di far uscire quel suo lato ben nascosto.
Incrociò le dita dietro alla testa.
Qualsiasi cosa il destino avesse deciso di mettergli davanti, ormai aveva intorno a sé tutto ciò di cui sentiva di aver bisogno.






Chiuse il quaderno degli appunti. Tutti i ragazzi si alzarono, come automi, e presero a stiracchiarsi. C'era chi sbadigliava, chi faceva fatica a camminare... Era lunedì per tutti loro e la baldoria della domenica era sempre difficile da smaltire, anche per lei. Sentiva gli occhi bruciare, aveva bisogno di dormire ventimila ore per riprendere tutto il sonno che aveva perso.
Kris le dette una piccolo colpo sulla spalla.
Fatto tardi ieri sera?”, le domandò.
Sì... E' stato tremendo...”
Lavorare al locale di Arianna e servire ai tavoli come una volta era molto stancante. Soprattutto quando erano assediati da loro connazionali chiassosi e mezzi ubriachi. Si ricordò perché aveva amato tanto lavorare allo Strictly English: la clientela straniera era sempre molto più educata e composta di quella italiana. Arianna aveva deciso di chiamare il ristorante con un nome alquanto bizzarro.
Mina.
Quando le aveva chiesto perché dedicarlo alla celebre cantante italiana, Arianna le aveva risposto che la cantante era venuta in sogno, dicendole che le avrebbe donato fortuna e clienti se avesse dato il suo nome d'arte al locale. Joanna aveva obiettato dicendole che la signora Mina non era ancora morta e che doveva aver avuto un'allucinazione da cibo avariato, ma Arianna si era fermamente convinta di aver ragione e, forse per dono del cielo, forse per abilità negli affari, il Mina era sempre pieno di gente.
Meglio così, si era detta, era già tanto che non avesse avuto una squallida insegna con scritto Little Italy...
Lavorare fino a tardi e poi seguire le lezioni era uno stress spesso insopportabile, ma era il suo dovere e doveva rimboccarsi le maniche per andare avanti.
Odio il mio paese!”, esclamò Joanna, “Siamo troppo irruenti!”
Kris scoppiò a ridere.
E io invece mi trasferirei in Italia anche adesso!”
Era una delle tante ragazze che aveva conosciuto frequentando i corsi universitari. Incredibile ma vero, lei che aveva sempre avuto problemi a trovarsi degli amici, lì dentro non aveva avuto molte difficoltà nell'attaccare bottone con gli altri. Giorno dopo giorno, mese dopo mese, appunti dopo appunti, si era costruito un piccolo gruppo di amiche un po' più fidate, in cui Kris spiccava nel mezzo alle altre.
Lavorava anche lei al Mina, di solito nel suo stesso turno, ma non la sera precedente. Aveva chiesto di non lavorare, era il suo compleanno, e Arianna le aveva ovviamente accordato la giornata libera, da poter spendere con il suo ragazzo, Adam. Joanna la conosceva da sei mesi ormai, più o meno dal primo giorno di lezione, era stata Kris stessa a presentarsi, dopo che le aveva prestato una gomma per cancellare alcuni appunti. Fisicamente si somigliavano, solo che Kris era qualche dita più alta di lei, ed era molto più chiacchierona.
Si trovava bene anche con le altre -Mary, Karol, Brianna e Sam- ma Kris era stata la prima, e oltretutto aveva in comune con lei qualcosa di particolare.
Avanti, raccontami di ieri sera!”, le fece, esortandola a raccontarle della serata passata con Adam.
L'altra andò in brodo di giuggiole.
E' stato fantastico, Jo, non puoi immaginarlo!”, disse con voce stridula, “Non sai cosa mi ha regalato!”
Dio! Cosa?”, le chiese, curiosissima.
Te lo mostro per strada!”
Kris aveva la fortuna di avere un'auto tutta per sé. Ah, altro particolare che le aveva legate ancora di più: abitava nel palazzo davanti al suo, lo avevano scoperto per caso, dopo un mese di lezioni insieme. Così, da quel giorno Joanna aveva smesso di salire sulla metro e, d'accordo con Kris, dividevano i costi della benzina. Spesso gliel'aveva anche prestata, si fidava molto l’una dell’altra.
Camminarono, raggiungendo il parcheggio del campus e salendo in auto. Faceva freddo, era gennaio inoltrato, e non tolsero le sciarpe e i guanti che indossavano, almeno non per il momento. Kris accese il motore, permettendo così al radiatore di scaldarsi e di far funzionare tutto l'impianto dell'aria calda. Sarebbero congelate se non avessero fatto altrimenti.
Allora! Fammi vedere il regalo!”, le disse ancora.
Apri il cassetto davanti a te!”, le rispose Kris.
Allungò le dita e lo fece.
Spalancò gli occhi, poi scoppiò in una risata.
Ma così non vale!”, esclamò Joanna, “Con un regalo del genere si va sul sicuro!”
Prese la custodia del cd, scuotendo la testa. Conosceva la copertina a memoria, così come tutte le canzoni che conteneva, ed era uscito solamente il giorno precedente. Aveva avuto il privilegio di stringere tra le mani la bozza finale del nuovo lavoro dei McFly con più di un mese di anticipo su tutto il resto del mondo, fatta esclusione per gli addetti ai lavori.
Sentì di nuovo quella punta di dispiacere. Kris si fidava quasi completamente di lei, ma non riusciva a fare altrettanto... Era una vera fan del gruppo, una di quelle con tutte le lettere maiuscole che riempiva la camera dei loro poster, tanto che quando vi entrava non poteva fare a meno di sentirsi in soggezione, come se tutti quegli occhi potessero controllarla. Quando era Kris ad andare in casa sua, invece, doveva prendere la piccola precauzione di far sparire qualche fotografia, tanto che ormai neanche le riappendeva.
E' stato carino Adam, non credi?”, le domandò, tutta gongolante.
Per forza!”, esclamò, “Non parli altro che di loro!”
Non è vero!”, protestò l'altra.
Sì che è vero, me li hai fatti venire a noia!”, le fece ridendo.
Infatti tu non sei normale, sei aliena. I McFly piacciono a tutti, o almeno a quelli sani di mente!”
Ogni volta che diceva qualcosa del genere, le veniva la voglia di dirle tutto.
Ma come avrebbe reagito?
Lo hai già ascoltato?”, domandò all'amica.
Volevo farlo con te, ho dovuto resistere fino all'ultimo!”, disse, battendo le mani come una foca per la gioia, “Credo proprio che stavolta te li farò piacere.”
Dici?”
Con una rapidità impressionante, le sfilò il cd dalle dita e lo inserì nello stereo. Data l'età dell'auto, lo avrebbero ascoltato fino alla fine prima che il riscaldamento sputasse aria sufficientemente calda. Partì la prima canzone, Still Stranger, una ballata che parlava di due amanti che si incontravano dopo anni ed anni di lontananza.
Guardiamo il booklet! Voglio vedere che cosa hanno scritto nei ringraziamenti!”, disse Kris.
Conosceva benissimo chi tra i quattro era la sua fissazione. Saltò a piè pari Harry, che le stava antipatico, e dette una lettura veloce a Dougie.
Questo scarafaggio non crescerà mai...Sempre a scrivere le solite due o tre cazzate...”, sbuffò.
Le venne da ridere.
Oh, Tom ringrazia ancora la sua Gi... Ma che tenero!”, imbronciò le labbra in segno di commozione.
Tralasciò il resto, e si dedicò all'ultimo rimasto. Indicò una sua immagine
Joanna aggrottò la fronte, aspettandosi sempre un commento dei suoi.
Questo me lo devo sposare...”, disse, intristendosi, “Vediamo cosa ha scritto... Poi ti faccio vedere, ma prima tocca a me!”
Kris tornò ai ringraziamenti e lesse. Erano stati l'unica parte di tutto l’album a cui Joanna non aveva potuto dare un'occhiata, non erano stati inclusi nella bozza che aveva visto. Le avevano detto che portava sfiga.
Cosa?!?!”, esclamò con forza Kris.
Si preoccupò.
Che c'è?”, le fece, avvicinandosi a lei.
Ma che... Ma che cazzo! Non si da' proprio pace quel cristo!”
Si preoccupò ancora di più.
Cio... Cioè?”
Leggi con i tuoi stessi occhi!”
Un dito puntato sulle parole.
Vorrei sapere chi è questa qua, le tiro il collo! Ti giuro che stavolta lo faccio davvero!”
Cosa avrà scritto mai...”, le fece, con voce tremante.
Guarda! Guarda!”
Prese sbraitare come una pazza mentre lei cercava di leggere, sentendosi il cuore in gola.
Le torco i peli del culo!”, sentì dire, “E poi perché la chiama Little? Io voglio sapere il suo vero nome, così la vado a cercare!”
Era frastornata.
Grazie anche a te, Little. A volte vale davvero la pena aspettare il tuo sorriso.
Joanna sorrise, sentendosi leggera come una piuma. Se Kris avesse acceso il riscaldamento sarebbe volata via, sospinta dall'aria che usciva fuori dalle bocchette. Avrebbe volteggiato per un po', finché il vento avesse avuto voglia di portarla con sé, poi sarebbe atterrata da qualche parte. Per partire di nuovo.
Ma non lo ha capito che le donne vogliono solo sfruttarlo?”, continuò la sua amica, “Dio, dovrebbe diventare gay… Anzi, dovrebbe sposarmi!”
Balbettò qualcosa che cercava di essere sensato ma Kirs non l'ascoltava, era tutta presa ad inveire contro la nuova disgrazia che si era abbattuta sul suo doveroso matrimonio con Danny.
Credo che... Che il motore sia pronto...”, ripeté Joanna, alzando il tono della voce.
Sì, sarà meglio che andiamo!”, fece Kris, “Da te?”
Da me.”
Arrivò a casa che si sentiva ancora trasparente come l'aria, mentre quell'altra non la smetteva di ribollire come una pentola a pressione. Non le dava udienza, sebbene la stesse offendendo, talvolta anche pesantemente. Se avesse saputo...
Il destino sapeva giocare proprio dei brutti scherzi.
Dai, basta.”, le disse, mentre infilava le chiavi di casa nella serratura della porta condominiale, “A quella povera ragazza fischieranno le orecchie così tanto che...”
Spero che le esploda la testa!”, rispose Kris, incrociando le braccia, “Non vedo l'ora di dedicarmi alla storia medievale, così non penso a quella... E poi spiegami perché la chiama Little!”
Alzò le spalle, cercando di non avvampare, ma non ne fu capace.
Beh... Come faccio a saperlo io...”
Salirono le scale.
Potrei capire Tom, ha scritto Little Joanna per la sua Gi...”, riprese Kris, “Ma Danny! Che motivo ha di chiamare qualcuno in quel modo?”
Non le rispose.
Avanti, dimmelo tu che sei l'avvocato del diavolo!”, la esortò.
Joanna sospirò, chiedendosi se mai quella tortura avesse trovato una fine nei prossimi secondi.
Forse... Gli piace quel soprannome.”
Non ha comunque senso!”, ribatté Kris, “Lui deve piantarla con le donne, o almeno che scelga me, non lo farei soffrire affatto!”
Fortunatamente erano arrivati all'ingresso di casa.
Adesso basta.”, le fece, salendo gli ultimi gradini.
Ok... Non dico più niente.”
E fu di parola. Si chiuse la bocca.
Aprì anche l'ultima porta.
Arianna, sono a casa!”, esclamò entrando e sperando che ci fosse, ma venne presto smentita.
Non ricevette nessuna risposta.
Vado in cucina, ho bisogno di un po' di acqua.”, disse Kris.
Ok, ti aspetto in salotto.”
Si divisero: Kris entrò nella prima porta alla sua sinistra, Joanna proseguì per la successiva.
Non appena scorse la figura seduta sul divano, si sentì gelare il sangue.
Che cazzo ci fai qui!”, disse piano, per non farsi sentire.
Sono arrivato poco fa, mi ha aperto Arianna.”, rispose Dougie, senza preoccuparsi di abbassare il tono della voce.
Se ne stava tranquillo a guardarsi una rivista. Anzi, era uno dei suoi quaderni per gli appunti.
E lei era nella merda più totale.
C'è Kris! Devi sparire!”, gli fece, liberandosi della borsa e dei libri.
E allora? Prima o poi deve saperlo, non credi?”, disse Dougie, scuotendo la testa e tornando all'esame del suo andamento universitario, “Siamo sempre alle solite, Jonny...”
Prese un cuscino e lo colpì in testa.
Sparisci, verme! Nasconditi!”
Cercò di colpirlo una terza volta, ma un grido agghiacciante le fece drizzare i peli del collo e delle braccia.
Troppo tardi.”
Ci furono dei passi veloci.
Credo di averla uccisa...”, disse Danny, con aria preoccupata.






Presero la povera Kris, ancora svenuta, e la portarono nella sua stanza, facendola distendere sul letto. Dougie si preoccupò di prepararle un po' di acqua zuccherata, mentre loro due rimasero fuori dalla camera, in attesa che si riprendesse.
Le ho solo detto ciao...”, disse Danny, sottovoce, “Non pensavo di farle questo effetto.”
Già…”, disse Joanna, “Ti vorrebbe sposare…”
Sospirò e incrociò le braccia.
Quando eravamo in auto, ha letto i ringraziamenti sul disco.”, gli spiegò, facendo volare gli occhi altrove.
Ci fu qualche attimo di silenzio.
Tu li hai letti?”, le chiese Danny.
Annuì con un cenno di testa.
E... Cosa hai pensato?”
Sentì una forte insicurezza nelle sue parole, e notò con la coda dell'occhio che si stava torturando le dita, cercando di nasconderlo.
Joanna sospirò, poi alzò il viso.
E gli sorrise.
Danny ebbe un altro momento di incertezza, ma presto liberò con lei un sorriso liberatorio, e si avvicinò per darle un bacio.
Non era facile, non era assolutamente facile, né bello come si poteva credere. Ognuno aveva la propria vita, uno scopo da seguire, ed era complicato far coincidere il loro tempo libero. A volte passavano due settimane senza che si fossero visti, in altri casi passavano tutte le sere insieme. Potevano farci pocoe le occasioni di scontro erano frequenti, ma era stata la loro scelta, nessuno dei due si sarebbe mai lamentato.
Avevano passato il Natale insieme, in compagnia di tutti i McFly al completo, incluse le loro famiglie. Una lunga tavolata di persone che ridevano e scherzavano, bevevano e si prendevano in giro, mangiavano e si complimentavano con le cuoche. Giovanna, Arianna e Joanna, l'unione faceva la forza, non solo una simpatica rima nell'accostare i loro nomi. Non era mai stata felice come in quel momento. Aveva tutto: una famiglia, gli amici, Danny, in più anche la sua carriera universitaria, appena iniziata, ma che la appassionava come poche altre cose. C'era pure qualcuno che, da lontano, ogni tanto chiamava per ricordarle che erano lì, ed aspettava un piccolo gesto che perdonasse tutto. Non aveva fiducia in quello, ma ogni telefonata la coglieva sempre meno scocciata, forse era un buon segno.
Era riuscita a passare quasi del tutto inosservata all'occhio tipicamente curioso degli inglesi, e non sempre le rare fotografie che li ritraevano insieme riuscivano a coglierla in volto, ma già da tempo Kris sapeva che il suo Danny aveva trovato qualcun'altra, dopo Tamara. Quella frase nei ringraziamenti aveva fatto traboccare l'acqua dal vaso, colmo fino al bordo già da un pezzo.
Si sentiva felice, ed era quello che aveva pensato non sarebbe mai successo. Mai.
Andate in un albergo! Dio, fate schifo!”, li apostrofò Dougie mentre si baciavano, comparso con una smorfia ed il bicchiere di acqua zuccherata in mano.
Risero, guardandosi negli occhi.
Ce n'è voluto di tempo...
Cinque sterline!”, disse ancora Poynter.
Si voltarono verso di lui.
Cosa?”, gli chiese Joanna.
Cinque sterline.”, ripeté, con un sorriso sornione, “E' il prezzo che si paga per questo spettacolo.”
Non lo capirono.
Guardò perplessa Danny, che fece spallucce. Un sospetto si annidò nella sua mente.
Si voltò verso la camera, alla sua destra.
La bocca spalancata di Kris fu l'ultima cosa che vide, prima che questa crollasse di nuovo a terra, svenuta per l'ennesima sorpresa.
Joanna sospirò.
Credo che l'abbiamo uccisa...”, disse poi.
Danny le sorrise e le dette un altro bacio.



Little Joanna's got big green eyes
I could die lying in her arms
where castles are made of sand and we start to dance
but only the music is bleating when crickets replace the band
She will always be my sunkissed trampoline.






THE END


E sono arrivata alla fine :) Chi di voi ha pensato 'se Dio vuole'? XD

E' sempre un dispiacere arrivare all'ultimo capitolo della storia, attendere gli ultimi commenti, ma ci si ritrova presto su questi stessi schermi, tranquille. Non so di preciso quando, né con quale storia (ne ho una già finita, un'altra in via di termine... si vedrà!), ma tornerò. Non sentite troppo la mia mancanza, mi raccomando!
Ringrazio tutte le recensitrici, chi ha letto e chi si è perso per la strada, ma un abbraccio speciale va a: Ciribiricoccola, x_blossom_x, Giuly Weasley e  ludothebest, tutte mcflyane convinte come me, ed anche di più! Altrettanti baci anche a picchia, Cowgirlsara e kit2007, che sono apparse nei commenti  dell'ultimo capitolo, così come in tutti gli altri. Non dimentico chi mi ha messo tra i preferiti, quindi un grazie va anche a tutte voi!


Che dire, spero di ritrovarvi presto :)

RubyChubb


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