Sono il tuo... nessuno.

di Alina_Petrova
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sono tuo. ***
Capitolo 2: *** Sei mio. ***
Capitolo 3: *** Non c'è un "noi". ***
Capitolo 4: *** Non te ne andare. ***
Capitolo 5: *** Il mio piccolo. ***
Capitolo 6: *** Non sei alla mia portata. ***
Capitolo 7: *** Stanco di cercare di raggiungerti. ***
Capitolo 8: *** É un certo nuovo livello. ***
Capitolo 9: *** Ecco, sono vivo ancora. ***
Capitolo 10: *** L'autunno ***
Capitolo 11: *** 11. E il resto tu non devi sapere. ***



Capitolo 1
*** Sono tuo. ***


La traduzione dal russo, link del testo originale: https://ficbook.net/readfic/742170. Ringrazio la mia meravigliosa beta Dreamer91, senza di lei non potrei portare avanti questo lavoro, fatemi sapere, se vi piace.


Sono tuo.
Oggi ti lascio andare. Mi stringi la mano, sorridi... ma io ti lascio andare. Ti dico "Salve"... e ti lascio andare. Tu mi rispondi con un cenno, senza saperlo.
Quando mi vieni a prendere nel mio appartamento, non fai caso ad una piccola borsa da viaggio, appoggiata vicino alla porta. Non ti accorgi che le pareti sono diventate vuote, perché avevo tolto tutte le foto. Il tuo sguardo non si ferma sull’attaccapanni deserto, quello che ospitava decine di sciarpe. Erano lì unicamente perché un giorno avevi detto che mi donavano. Questa frase... l'avevi buttata lì, tanto per riempire una pausa. E io da quel giorno le compravo ad ogni occasione. Le sciarpe facevano a gara per la nomina della più costosa e sofisticata nella sola speranza che, forse un bel giorno, tu potessi aggiustare quel tessuto sul mio collo. Ma questo non era mai accaduto.
La scarpiera è svuotata, sono sparite tutte quelle scarpe - da eleganti a sportive - che ti venivano dietro, cercando di ripercorrere perfino i tuoi stessi passi per poter avvertire il tuo calore.
Ho ripulito la specchiera, normalmente traboccante di tubetti, barattolini e pettini, che usavo per sistemarmi al meglio i capelli prima di ogni incontro con te. Un giorno avevi detto che i miei capelli, a vederli, sembravano morbidi. Stavo quasi per mettermi a piangere... avrei voluto premere con la testa contro il palmo della tua mano, così avresti potuto sentire... quanto erano morbidi. Invece avevo semplicemente annuito e tu non sei mai più tornato sull’argomento.
- Come ti va la vita?
- A meraviglia. - rispondo, sorridendo con l’entusiasmo di un cucciolo scodinzolante. Il fatto è che so per certo non mi chiederai nient'altro in tutta la serata e questo momento è l'unica opportunità per regalarti un sorriso. Va tutto a meraviglia. Pure quando vorrei morire...
Sono già vestito: un cappottino corto e sciarpa color panna; un paio di pantaloni stretti e le scarpe di morbida pelle beige. Sembro uscito dalle pagine di una rivista di moda, ma di solito tu guardi da qualche parte sopra di me. Raramente riesco a catturare il tuo sguardo e sono piuttosto sicuro che non te ne freghi un cazzo di come sono vestito.
E anche se questo appartamento sia mio, mi lasci passare davanti. Mi si contrae la schiena dal desiderio che tu possa sfiorarmi accidentalmente. Potresti inciampare, oppure agitare una mano maldestramente... e toccarmi, anche per un attimo soltanto. Pensandoci bene, potrei morire al contatto, perché quando sono vicino a te il mio corpo diventa una corda tesa, pronta a spezzarsi in qualsiasi momento. Ma tu sei contenuto e composto; esco, mantenendo una calma apparente, dalla porta, chiudendola a chiave... per la penultima volta.
- Brutta giornata? - domando piano, osservando rapito come ti aggiusti il colletto del cappotto, e mi rispondi in un soffio:
- Come sempre.
Nascondo le mani dentro le tasche, stringendo il tubetto di burrocacao. Un giorno avevi accennato al fatto che ti piacesse il latte con il miele. Da allora lo uso sempre nella speranza che te ne accorga. Ma tu non guardi mai le mie labbra.
Tu stai ordinando la cena, ma io bevo soltanto dell'acqua con il limone. Perché quando sono vicino a te il mio stomaco si stringe e ho paura di rimettere tutto da un momento all’altro. Ascolto attentamente di quanto sei stanco e mi viene voglia di tenerti stretto per consolarti. Vorrei dirti che se potessi, farei per te qualsiasi cosa. Vorrei dirti che sono bravo a fare i massaggi. Vorrei dirti che sarei capace di ammazzare chiunque potesse azzardarsi di disturbare il tuo sonno tra le mie braccia.
Ti ho ascoltato raccontare di tua moglie Tina e della tua ex-moglie Rachel. So che Tiffany ha compiuto tredici e ti è sempre più complicato comunicare con lei. So che la imbarazza il nome bizzarro che le ha dato sua madre e come sia difficile per te convincerla a non cambiarlo. Ti ascolto quando ti lamenti che Santana chiede sempre più attenzione, perché crede che essere un'amante non significhi soltanto avere da te del sesso e dei regali. Lei vuole di più. E tu sei così stanco. Lo so, amore mio, lo so. E sì, io ascolto anche della tua segretaria Brittany, che non ti dispiacerebbe, ma sarebbero decisamente troppe donne per te... non ce la faresti. Perché sei stanco... così tanto. Lo so, amore mio, lo so. Non è che le odiassi tutte quante, niente affatto. Soltanto che ho paura di vomitare, quando immagino te che le accarezzi, che dici loro parole d'amore… È che io non ho mai assaggiato le tue labbra, non ti ho mai stretto la mano per più di due secondi. Tu appartieni a tutte loro. Io appartengo a te.
Siamo seduti ad un tavolino appartato, ma non perché così potessimo parlare più tranquillamente... ma perché tu potessi parlare ed io ascoltare. Sono il tuo... nessuno, quello a cui puoi raccontare tutto quanto. Quello che corre da te al primo richiamo. Non mi scrivi mai un messaggio, niente buongiorno o buonanotte. Una o due volte alla settimana mi telefoni e dici semplicemente l'ora. Sei sempre molto educato, mi chiedi se possiamo incontrarci alle sei, se mi sta bene che mi vieni a prendere sotto casa mia. Ogni volta ti rispondo: "Certo." E scappo... dal lavoro, da un incontro con amici, da un appuntamento. Mi libero dagli abbracci altrui. Mi stacco da chi mi ama per correre da chi amo io. E volo a casa per sistemarmi i capelli, mettermi la sciarpa, spalmarmi le labbra con il tuo burrocacao preferito. Per poterti stringere la mano e rispondere "A meraviglia!" con uno stupido sorriso da un orecchio all'altro, quel sorriso riservato unicamente a te. Per poi stare lì seduto ad ascoltare, ascoltare, ascoltare. La nausea è sempre più forte e io bevo un sorso d'acqua. Mi odio. Oggi ti lascio andare.
Mi accompagni a casa, fino alla porta, ma io non ho fretta di aprirla. Mi sorridi e dici:
- Grazie di avermi ascoltato. Mi ha fatto piacere rivederti. Ci vediamo, Kurt.
- È stato un piacere anche per me, Blaine. - sussurro con una voce soffocata, sentendo tutto il corpo irrigidirsi quasi avessi un crampo. Ti vedo per l'ultima volta.
Non ti rispondo "Ci vediamo", ma non te ne accorgi. Mi dai le spalle e te ne vai. Non ti giri, non ti fermi all'improvviso per correre da me. Niente film romantici, niente magia. Chiami l'ascensore, entri e soltanto nell'istante in cui le porte stanno per chiudersi, alzi la mano in un saluto.
Io entro nel mio appartamento, ma non accendo la luce. Tutto quello che devo fare è prendere la borsa ed uscire. Chiudo a chiave, lasciandola poi nella cassetta della posta. Ieri ho venduto l'appartamento e domani ci saranno altre persone lì. Mi sono liberato di tutto e nella borsa ci sono solo le cose di prima necessità per il viaggio. Me ne vado in un altro Stato e tu non lo saprai. Ho disdetto il contratto con il mio operatore mobile e il mio numero verrà disattivato nel giro di tre giorni, come mi avevano detto. Mi hanno lasciato un po' di tempo per avvisare tutti, ma io non ho nessuno da avvisare. Tu non mi chiamerai in questi giorni. Qualche volta è successo che non chiamassi per una settimana intera, facendomi impazzire. Non mi chiamerai. E io non ho bisogno di nessun'altro. Non ho mai letto un tuo messaggio, non me ne hai mai scritto uno.
Attendo dieci minuti ed entro nell'ascensore... posso sentire ancora il tuo profumo. Riesco a trattenere le lacrime, forse perché le ho già piante tutte prima. Sono il tuo... nessuno. Dal primo secondo.
Non chiamo il taxi, ho tutto il tempo e senza fretta trascino il mio bagaglio, andando alla stazione a piedi.
Ci siamo conosciuti un anno fa, quando avevo il colloquio in una compagnia molto prestigiosa. Non mi avevano accettato, avevo soltanto venticinque anni e per voi ero praticamente un bambino. Ci siamo conosciuti nella caffetteria al piano di sotto. Stavo mangiando la mia insalata e ti avevano rovesciato un caffè addosso proprio davanti al mio tavolino. Quel bollente liquido marrone ci aveva sporcati tutti e due, ma avevo ceduto la mia camicia di scorta a te. Avevi sollevato le sopracciglia sorpreso e ti avevo spiegato che avere con me un cambio di vestiti è un'abitudine rimasta ancora dal liceo. Non avevi chiesto i dettagli, non ti interessavano. Avevi semplicemente ringraziato ed eri andato in bagno per cambiare la camicia. Ti stava leggermente stretta, ma era meglio della sporca. Per la prima e l'ultima volta ti avevo visto mezzo nudo e questa immagine è sempre con me.
Mi avevi ringraziato e mi avevi chiesto il numero di telefono per restituirmi l'indumento. Allora avevo pensato che quello fosse un inizio. Poi avevo capito che era l'inizio della fine.
Non avevo notato la fede sul tuo dito. Ero cosi stupido e ingenuo. Pensavo ti stessi nascondendo, come molti di noi. E quando sei entrato nel mio appartamento con la camicia pulita ed un invito per andare a prendere qualcosa da bere, mi era sembrato che stessi morendo per la felicità. E io ora sto morendo. Ma non per la felicità.
Subito mi avevi rovesciato addosso una montagna di problemi. Ti lamentavi della prima e della seconda moglie e pure del meccanico dalla stazione di servizio. Avevi bevuto un po' troppo e avevi detto che non eri mai stato così bene con nessuno. Nel buio del mio appartamento mi ero stretto a te per baciarti. Avevi riso, dicendo che pur essendo piccolo di statura, non eri affatto una ragazza e che io non avrei dovuto bere così tanto.
Tu non sai nemmeno che sono gay. Non sai niente di nessuno dei miei uomini, non conosci il mio passato e neanche il mio presente. Tu non sai che io ti amo senza averne nessun diritto... ma nemmeno divieto.
E se tu me lo avessi chiesto, avrei fatto qualsiasi cosa. Ma tu non hai mai chiesto. Non eravamo neanche amici. Semplicemente sapevo tutto di te e ti ascoltavo. Tanto. Semplicemente ti amavo e rimanevo... nessuno. A volte mi veniva la curiosità di vedere cosa sarebbe successo, se avessi saputo quanto ti amavo. Anche se sapevo benissimo, che questo non avrebbe cambiato nulla. Perché non ti importa. Io ti amo da impazzire, sono in agonia... Mi rode dentro questo amore... e tu mi saluti e mi stringi la mano.
Mentre entro nella stazione, mi sembra di aver notato la tua macchina. Ma è buio e poi, quante sono a New York le macchine come la tua? Non mi ricordo il numero, ma tu cambi spesso le auto. Tu cambi le donne, i vestiti, addirittura le abitudini. Avevo paura che cambiassi pure me. Ma tu non lo facevi, io ero universale, ero nessuno.
Quest'anno è stato il più orribile di tutta la mia vita... Ed è stato anche il migliore...
Tu meriti il meglio. Hai tutto il diritto di cambiare qualsiasi cosa nella tua vita, cercando di raggiungere la perfezione. E io non oserei mai metterci il naso, non oserei rovinare tutto con la mia anima storta. A volte, quando mi racconti di una delle tue donne, io penso a cosa sarebbe successo se avessi fatto l'operazione per cambiare il sesso. Mi avresti desiderato allora? Ci sarebbe stata una minima possibilità che mi abbracciassi, come loro? Che mi stringessi a te, dicendo che mi vuoi,che mi ami?
Vorrei sentirti dappertutto. Sono pronto a diventare quello che vuoi. Avrei accettato la tua tenerezza e la tua crudeltà. Avrei accettato le tue labbra, le mani e il pene. Avrei accettato le lacrime e gli urli, le parolacce e i dolci sussurri. Ma tu non hai mai neanche considerato uno sviluppo del genere. Non mi hai mai regalato la più illusoria speranza. Nessuno sguardo speciale, nessun tocco. Soltanto... Soltanto tanto di te e nient'altro. Sono solo un foglio bianco, che hai usato per scrivere la storia della tua vita per un anno.
Tutto è diventato grigio. La vita aveva perso il significato. Ogni minuto senza di te non aveva più senso. E ogni istante con te era il dolore. Avevo desiderato di farla finita, ma avevo paura, perché questo mi avrebbe privato della tua voce.
Devo semplicemente lasciarti andare... devo scappare. Perché se non è oggi, allora mai.
Raggiungo il mio treno e ad un certo punto mi sembra di vedere il tuo cappotto color senape. Mi giro, ma non c'è nessuno lì. Non c'è più. Oppure non c'è mai stato. Entro nella carrozza, appoggio la borsa, mi levo la giacca e tiro fuori il telefono per avvisare il mio nuovo padrone di casa che arriverò domani mattina.
Passano alcuni minuti, il treno parte lentamente e il cellulare vibra nelle mie mani. Apro il messaggio per leggere la risposta dell'affittuario, ma invece di quello ci trovo una sola parola:
"Torna".
La mia testa scatta all'insù e incontro il tuo sguardo. Tra di noi c'è il vetro ed alcuni metri di aria densa ed insormontabile. Sei lì sulla banchina. I tuoi occhi mi guardano dentro, attraverso tutti gli strati dei vestiti, attraverso la pelle e le ossa. Dritto nell'anima. Per la prima volta mi guardi dentro.
Tutto diventa sfumato davanti a me, mi alzo in piedi...
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Capitolo 2
*** Sei mio. ***


Ecco il nuovo capitolo. Prima mi ero dimanticata di precisare che la traduzione e' dal russo. L'autore e' una fantastica ragazza di Kiev, che studia la medicina! Pensate un po'! Ora sulla mia richieste (un pianto disperato, in realta') ha iniziato una nuova raccolta di drubble su Kitty!Kurt, quindi presto arriveranno. Buona lettura!
 
 
Sei mio.
 
Non posso lasciarti andare. Lo so che dovrei. Vedo come stai soffrendo. E non ci riesco. Di nuovo ti stringo la mano, sorrido e domando: " Come ti va la vita?" Di nuovo ti porto a cena, dove non ti permetto di dire neanche una parola, perché la tua voce mi fa andare in pezzi.
Attraversando la soglia del tuo appartamento, mi sembra di svenire. Sul mio viso non traspare niente, ma la mia anima si contorce istericamente, vuole uscire fuori... venire da te. Stai scappando da me. L'ho capito subito. Sulle pareti non ci sono più le foto che io guardavo di nascosto, che desideravo rubare per depositarle in una cassetta della banca. Non ci sono tutte quelle sciarpe che mi ricordano sempre quel giorno, quando morivo dalla voglia di baciare il tuo collo e invece ti avevo fatto un complimento. Non ci sono le tue scarpe... guardandole, chissà perché, mi immagino sempre come te le togli e cammini a piedi nudi sul tappeto. Verso il letto. Per sdraiarti ed aspettarmi che esca dalla doccia. Mi immagino i tuoi piedi nudi che mi toccano i fianchi, la schiena e anche le spalle. Questi pensieri mi fanno odiare me stesso. Sei mio. Anche se non l'ho mai detto, non l'ho mai voluto. Non potrai appartenermi né per la legge, né davanti alla gente. Ma la tua anima è mia, me lo sento.
Pure la tua specchiera è vuota e io adoro tutte quelle cose. Adoro il profumo che lasci nella mia macchina quando sei vicino, quando sei appena uscito e ancora qualche ora dopo. Sei perfetto, sei bellissimo, mio irreale ragazzo di porcellana. Sei mio. Come farò senza di te, Kurt? Come?
Sei già vestito, ti lascio passare davanti per poter ammirare la tua figura almeno un attimo senza rischiare di essere beccato sul fatto. La cosa che desidero di più al mondo è afferrarti e trascinarti indietro nell'appartamento. Vorrei baciarti fino ai singhiozzi, fino a perdere i sensi. Vorrei sentirti gemere il mio nome... Ma invece, noi andiamo verso l'ascensore e io mi concentro sul colletto del cappotto per nascondere la mia agitazione. Non riesco a credere che non ti vedrò più. Faccio tutto come al solito. Perché sei mio. Niente è cambiato.
Vorrei dire che ogni giorno è una merda quando tu non ci sei accanto a me, ma non posso. Sei mio... Non lo sei mai stato.
 
Io parlo molto... veramente tanto. Parlo di qualsiasi cosa. Mi sembra che non appena il silenzio si stenda tra di noi, le confessioni esploderanno nell'aria. Io non riesco a non vederti, ma non posso farlo. Senza di te sto peggio che insieme... Non dovrebbe essere così, non può essere. Non sei mio amico, né il mio ragazzo, né il mio amante. Sono sposato per la seconda volta. Ho trentasei anni. Ho una figlia. Ho un'amante. Non sono mai stato attratto dagli uomini. E tu sei la mia disgrazia.
Mi è bastato un incontro per odiarmi. Per giurare di non chiamarti mai più... Un paio di minuti senza di te, mi erano bastati per iniziare ad impazzire per la tua mancanza.
Ho paura di chiederti qualcosa su di te. Ho paura di venire a sapere qualcosa, ho paura di farti diventare più reale. E qui non si tratta soltanto della tua voce. Semplicemente sei il ragazzo della favola. Ed è così facile far finta che tu sia il frutto della mia immaginazione. Finché abbiamo soltanto il tuo appartamento e questi incontri in una caffetteria. Finché ci limitiamo a qualche stretta di mano e un paio di frasi, un giorno si può semplicemente cancellare tutto quanto. Lo so, certo, lo so che non si può, ma mi piace pensare che ho ancora sotto controllo te e me stesso.
Non attraverso mai i limiti che mi sono imposto da solo. So che mi ami, lo vedo in ogni sguardo, in ogni gesto. Lo sento in ogni respiro. I tuoi polpastrelli sussultano quando dico qualcosa che ti emoziona e mi sembra di udire il suono del tuo cuore che esplode... per l'ennesima volta.
Ma tu non sai che anch'io ti amo. No, non è un nome giusto per quello che provo. Sei la mia più spaventosa malattia, sei la mia maledizione. Sei il mio peccato e la mia strada all'inferno. Io faccio finta di niente. Faccio finta che non mi importi di te e non ti guardo negli occhi, perché è la cosa che mi spaventa di più. Perché ci annegherei.
 
Qualche volta, quando sto particolarmente male, vado fuori città, mi stendo sull'erba e guardo il cielo. Dico a tutti che vado a pescare e invece mi nascondo dentro di me. Immagino un mondo, dove tutto sarebbe diverso. Dove noi ci amiamo. E non ci sono le etichette, nessuno ci punta contro il dito contro. In questi miei sogni non ho mai conosciuto Rachel e, che il Signore mi perdoni, non ho Tiffani. Lì non c'è né Tina, né Santana, né Brittany. Non c'è nessuna donna, nessun'altro uomo. Ci sei solo tu tra le mie braccia, che mi sussurri parole d'amore. Non ho idea di che suono avrebbero avuto queste parole, ma so che mi avrebbero fatto piangere come un bambino.
Ho tanta paura che un giorno mi racconterai di qualcuno. Che un giorno mi dirai: " Mi sono innamorato ". So che hai altri uomini, ma non mi permetto di soffermarmi su questo pensiero. Perché nel nostro mondo per due, loro non ci sono. Non c'è nessuno, a parte te e me. Ma non c'è nemmeno un "noi", purtroppo.
A volte penso che sia un bene che tutto vada così male. Perché quello che non ci uccide ci fa più forti. Io pensavo: chiodo scaccia chiodo. Cercavo di convincere me stesso che più spesso ci saremmo visti e prima avrei capito che tutto questo non fosse altro che un incantesimo dovuto alla classica crisi di mezza età. Ma tu non sparivi, non diventavi più semplice, non diventavi meno desiderato. E per sei mesi ho cercato di continuare a mentire a me stesso, inventando delle varie scuse per incontrarci e poi mi sono rassegnato. E ti sei rassegnato anche tu... Così arrendevole con il tuo consueto "Certo", mi strappavi il cuore ogni volta. Perché io non ti chiedo niente, ma tu sei pronto a darmi tutto. Perché sei mio. 
E dal primo istante, quando i nostri sguardi si sono incrociati, io sapevo che fosse la mia fine. Il tuo sguardo. Così caldo, comprensivo. E quel dolore nelle parole sui vestiti di ricambio. Non avevo voluto scendere nei particolari, perché sentivo che qualsiasi tua emozione avrebbe potuto lasciarmi senza freni. Non sei diventato una droga per me. Sei diventato l'ossigeno. Perché non si tratta di una dipendenza. Semplicemente non posso farne a meno. 
E certamente non era necessario che venissi a riportarti la camicia di persona, avrei potuto mandartela con il corriere. E tanto meno non avrei dovuto invitarti a bere. Ma cosa può fare uno che soffoca e che all'improvviso trova una borsa d'ossigeno? Non la può mica rifiutare...
  
Ho cercato di dimenticarti, bevendo, scopando... Ma non è stato possibile. Non è possibile tagliare via una parte del cuore e sperare di non morire. 
E ora, quando non mi dici in risposta il tuo solito "Ci vediamo", sento come se il mondo intorno stesse crollando. Con il chiasso assordante scoppia un intero universo, mentre io ti sorrido e ti giro le spalle.
Sono seduto nella mia macchina all'angolo della tua strada. Non bevo e non piango. Sto soffocando in silenzio e torno in me soltanto quando mi passi davanti. Così elegante, snello, con la testa alta. Non avrei mai pensato che stessi scappando, che stessi cercando di salvarti, se non sapessi tutto troppo bene. Te ne stai andando via da me. Mi stai lasciando a morire qua... e hai ragione. Io non ti ho mai meritato. Non potrò mai darti nulla. Ti ho fatto mio senza offrirti niente in cambio. 
Schiaccio il pedale e ti seguo. Non mi ucciderò quando te ne andrai. Ma non sarò più vivo. Può un uomo vivere senza l'ossigeno?
Scendo dalla macchina vicino alla stazione e continuo a seguirti nella folla. Per la prima volta nella vita non me ne frega niente di quello che penseranno gli altri. Guardatemi: sto morendo. Io sto morendo e la mia vita entra nella carrozza sotto i miei occhi.
 
Vedo attraverso il vetro come appoggi la tua borsa, come togli il cappotto. Vedo il telefonino nelle tue mani e tiro fuori il mio, pregando tutti gli Dei, che tu possa chiamarmi o mandarmi un messaggio. Non l'hai mai fatto prima. Te lo immagini? In un anno intero nessuna chiamata partita da te. Mai. E in questo preciso istante mi rendo conto che non posso lasciarti andare. Non perché tu sei il mio ossigeno, ma perché deve esserci ancora almeno una tua chiamata. Deve esserci almeno un bacio. Almeno una storia della tua vita. E io faccio quello che probabilmente rimpiangerò già tra un'ora. Ti mando un messaggio ma nel frattempo il treno parte. Quando la tua carrozza inizia a muoversi, le corde del mio cuore iniziano a rompersi, si riducono in brandelli e l'anima... l'anima, come la carta che brucia, diventa nera e fragile, pronta a ridursi in cenere al minimo tocco.
Ma io riesco a catturare il tuo sguardo, vedo che ti alzi in piedi. Il treno continua il suo movimento e mi cedono le gambe. Qualcuno arriva di corsa e mi afferra il braccio.
- Signore, sta bene?
- Torna. - sussurro, allungando la mano verso il treno.
- Qualcosa di importante? Ha dimenticato qualcosa?
- Importante. - sospiro io, guardando col terrore le ultime carrozze che passano davanti a me.
- Fermate il treno!
In risposta, dal ricetrasmettitore dell’uomo che mi ha soccorso, si sentono dei rumori, delle voci incomprensibili e poi io sento un fischio assordante. Il treno rallenta.
Non mi muovo, non respiro neanche. Se adesso il mio cuore si fermasse, sarebbe una cosa logica, niente di inatteso. Passano i minuti, uno dopo l'altro. Lentamente, passando attraverso il mio corpo.
Tu scendi dal treno. Cammini verso di me. Sei di nuovo mio. Non importa per quanto.
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Capitolo 3
*** Non c'è un "noi". ***


Non c'è un "noi".
 
Mi alzo in piedi e mi rendo conto che non riesco a respirare. Metto la mano sul cuore e premo forte, perché sarebbe capace di saltarmi fuori dal petto, spaccare il vetro del finestrino solo per cadere a terra davanti ai tuoi piedi. E sai una cosa... certo che tornerò. Scenderò alla prossima stazione, prenderò un taxi e verrò di corsa indietro. E se non ci sarai più lì sulla banchina in quel momento, andrò a casa. Non è più casa mia, ma io mi metterò ad aspettare lì, vicino al portone, nella speranza che tu possa venirmi a prendere come facevi prima. Naturalmente, se mi vorrai ancora trovare. Se non avessi sbagliato il numero. Se il tuo cellulare non fosse stato rubato. Se io non avessi avuto semplicemente una allucinazione. Se veramente mi avessi scritto quel messaggio… allora potrei aspettarti per l'eternità.
Io non so a cosa appigliarmi, a chi rivolgermi, non so cosa fare... né perché sono ancora qui, perché non mi sono cresciute le ali, perché non ho bucato il soffitto del treno per volare fuori... da te. All'improvviso sento un fischio e cado all'indietro, sbatto la testa contro il muro e atterro sul sedile, guardandomi intorno imbarazzato e negli occhi dei vicini nello scompartimento, che fino ad allora non avevo nemmeno notato. Il primo ed il più spaventoso pensiero: qualcuno si è buttato sotto il treno. Il secondo, quello che per poco non mi fa scoppiare l'aorta: te. Ma no... sento l'annuncio dall'altoparlante.
"Gentili passeggeri, vi preghiamo di scusarci per il ritardo della partenza. Uno dei passeggeri ha dimenticato qualcosa di molto importante. Farlo tornare impiegherà soltanto un paio di minuti, rimanete ai vostri posti."
Probabilmente il contenuto dell'annuncio era diverso, ma è questo che sentono le mie orecchie. Qualcuno ha dimenticato qualcosa di importante. Questo "importante" bisogna che torni indietro... Ma l'importante non è stato dimenticato, l'importante ha cercato di scappare. E sì, all'importante gli hanno ordinato: "torna."
Non mi interessa del cappotto e della borsa, mi precipito nel corridoio e corro verso la porta e quando mi fermano, dico in un soffio, con la voce scintillante dalla felicità:
- L'importante: sono io...
Mi lasciano passare senza fare altre domande, soltanto un vicino mi corre dietro brontolando qualcosa a proposito della borsa e del cappotto che mi sono dimenticato... e di cui me ne frego altamente. Perché l'importante sono io... Cosa potrebbe esserci meglio di questo?
Esco fuori e vengo investito dall'aria fredda di novembre. Mi abbraccio, stringendo di più la sciarpa e guardo sulla destra. Gli occhi mi lacrimano dal vento, ma ti vedo subito con il tuo cappotto color senape. Non riesco a distinguere il tuo viso, ma sento il tuo sguardo. E allora mi giro e faccio un passo. Primo, secondo, terzo... Non mi permetto di scattare a correre, ma cammino abbastanza velocemente e dopo una decina di secondi mi fermo di colpo, ad un passo da te.
- Ciao. Come ti va la vita? - dici tu in un sussurro, allungandomi la mano. Inspiro e allungo la mano in risposta. È lo stesso contatto che c'è stato fra noi decine di volte, ma soltanto oggi, in questo istante acquisisce un altro significato. Una scintilla corre sotto la pelle e mi si blocca il respiro e dal petto scappa un incontrollabile ed incontenibile singhiozzo.
- A meraviglia. - sussurro a fatica, cercando di calmare il subbuglio dentro di me. Tu mi lasci la mano ma non la nascondi nella tasca; la alzi e, per la prima volta, mi aggiusti la sciarpa sul collo. Come ho sempre desiderato, come ho sempre sognato. Con la punta dell'indice sfiori la vena che pulsa all'impazzata e il mondo intorno a noi si rimette in movimento. Mi sembra di stare per perdere i sensi.
- Hai freddo? - mi domandi con la voce ancora più bassa e Dio, in questo momento sarei pronto a morire perché meglio di cosi, probabilmente, non sarà mai.
- No. - scuoto la testa, cercando di mandare indietro la lacrime. Tu sorridi guardandomi, oh Signore... guardandomi negli occhi!
E mentre affogo nel loro incredibile colore, qualcuno mi butta sulle spalle il cappotto, lascia accanto la borsa e dice con disappunto che sono uno sbadato. Mi chiedono tra quanto torno sul treno e tu rispondi:
- Lui non tornerà!
Ma io non riesco a capire di cosa stai parlando. Sono già tornato. Come tu mi hai chiesto...
Andiamo verso la tua macchina: tu porti la mia borsa, io porto il mio enorme cuore pulsante. Non mi tocchi più, non mi guardi e non dici niente. Io so di che si tratta. Semplicemente hai già capito quello che hai fatto. Ti sei reso conto di avermi lasciato qua. Di tua volontà hai lasciato il peso attaccato al tuo piede. Ti sei aperto il ventre e hai ricucito il tumore al suo posto. Capisci che ti sei fregato con le tue stesse mani, ma sei troppo gentile per dirmelo. E se adesso mi portassi su un ponte e mi dicessi di saltare giù, lo farei, lo giuro. Io però non lo dico, ho tanta paura di rompere il silenzio. Ma tu sei in grado di leggere i miei pensieri e sai che io accetto tutto, che sono pronto a tutto.
Metti la borsa nel bagagliaio ed entriamo in macchina. Non mi hai mai aperto lo sportello prima, non lo fai nemmeno oggi. Non sono una donna dopotutto, è giusto così. Soltanto dopo averti conosciuto ho capito quanto vorrei essere una donna. Solo perché tu potessi amarmi liberamente. Perché se hai tante donne, è normale. Sarebbe solo un motivo in più per le battute e per gli sguardi irrispettosi. Invece, se avessi me, cadresti in una voragine. Io non voglio farti cadere, rimarrò il tuo nessuno.
- Kurt. - rompi il silenzio, finalmente, mettendo le mani sul volante e con gli occhi fissi davanti a te. Guardo il tuo profilo nella semioscurità: ti amo così tanto. Sei così bello. Sono pronto a morire per te... Senza di te.
- Sì? - chiedo io, sorpreso di quanto la mia voce sia alta a confronto con la tua, così brutta e stridula. Ma tu non rispondi. Giri la chiave e metti in moto.
Ci fermiamo in un posto che io non conosco, guardo dal finestrino, poi guardo te e di nuovo fuori. Tu sorridi. Dio, quanto sei bello... non non me ne accorgo, che sei già uscito e torno in me soltanto quando mi apri la portiera con la mia borsa in mano. Io ti seguo in silenzio dentro una casa, tu ne apri la porta, accendi la luce e io mi blocco sulla soglia, sorridendo come un idiota perché capisco che questa è la "tua tana". Mi hai raccontato che ti nascondi qui quando le tue donne ti rendono la vita impossibile. Non ti ho mai chiesto di farmela vedere, non ci ho nemmeno pensato veramente. Ed eccoti qui, davanti a me che allarghi le mani come per dire "vedi, è questa".
- E chi mi porterà l'acqua con il limone? - tento una battuta, ma tu non percepisci il tono scherzoso e te ne vai. Torni dopo un paio di minuti con in mano un bicchiere d'acqua con il limone e io sorrido.
- Sul serio? - domando io, prendendo il bicchiere e facendo un sorso, perché anche adesso potrei rimettere.
- Emm... sì. - dici tu e chini la testa di lato. - La bevi sempre... A proposito, perché?
- Non ha importanza. - Mi stringo nelle spalle e appoggio il bicchiere sul tavolo. Tu fai un passo verso di me e mi tendi le mani: impiego troppo tempo per capire che vuoi semplicemente prendere il mio cappotto e in questo momento qualcosa dentro di me si stringe per la delusione. Mi tolgo il cappotto e la sciarpa e li do a te. Mi libero delle scarpe, restando con i calzini neri e tu mi fissi i piedi un po' troppo per i miei gusti.
- Levati i calzini. - mi chiedi a bassa voce e io obbedisco non osando nemmeno guardarti. Non appena i miei piedi nudi toccano il parquet, tu inspiri con forza, facendomi alzare la testa spaventato. I tuoi occhi sono spalancati e mi fissi ancora i piedi con i pugni stretti. Sento le mie guance arrossire, sono confuso e a disagio, non sono abituato a tutta questa attenzione verso i miei piedi nudi.
- È come immaginavo. - mormori così piano che non riesco credere a queste parole.
- Blaine? - il tuo nome scivola dalla mia lingua e vorrei trattenerlo con le mie labbra.
- Sì? - nei tuoi occhi si accende qualcosa di nuovo quando mi guardi.
Ma io non rispondo e mi inoltro nell'appartamento.
- Grazie. - sento la tua voce dietro di me: mi fermo nel soggiorno e mi giro lentamente.
- Per che cosa?
- Sei tornato. E non mi domandi niente. Non mi chiedi mai niente.
- Mi sono abituato.
- Lo so questo. Perdonami.
- Perdonarti? - chiedo stupidamente, sedendomi sul divano e guardandoti con gli occhi spalancati. Per che cosa dovrei perdonarti? Per la felicità che sento? No, questo mai.
Ma tu non rispondi, ti avvicini semplicemente e ti siedi accanto a me. Non ci sfioriamo né con le ginocchia, né con le mani, ma io inspiro il tuo profumo. Per la prima volta me lo godo apertamente, chiudendo gli occhi. Ed emetto un piccolo, quasi inudibile lamento.
Quasi esco fuori dal mio corpo e mi sollevo in cielo, quando sento le tue dita sulle mie. E non apro gli occhi perché ho paura che tutto quanto possa risultare un sogno. Vieto al mio cuore di palpitare, mentre scivoli con le punte delle dita dalle mie unghie, sulle falangi, sulle nocche, fino al polso. Lì le tue dita afferrano l'osso sottile e lo stringono sensibilmente, costringendomi ad aprire gli occhi ed incontrare l'oro dei tuoi.
- Non posso lasciarti andare.
- Non lasciarmi andare.
- Sono impazzito? - chiedo io con la voce piatta, continuando a guardarti negli occhi. Tu non puoi essere reale. Io non so cosa succederà dopo. Non so cosa succederà domani.
- Anch'io.
- Finirai per uccidermi? - questa frase, quasi fuori luogo, mi esce in un lamento. Ma tu sai cosa intendo. Lo capisci, oppure lo intuisci, oppure semplicemente lo senti. Perché sollevi la mia mano dal divano.
- Non te lo meriti.
- Noi...? - un singhiozzo febbrile non mi permette di finire, perché in questo istante mi bruci la pelle del polso con il tuo respiro e io quasi svengo quando mi rispondi, posando le labbra sulle vene all'interno del polso.
- Non c'è un "noi".

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Capitolo 4
*** Non te ne andare. ***


Non te ne andare.


 

Portarti qua è davvero strano. Nel posto dove non sei mai stato, dove non c'era mai il posto per te. Ma non avevo un altro luogo per nasconderti. Prima ci nascondevo me stesso. Ora: noi. Un noi... che non esiste. Perché ho paura che se chiudessi gli occhi, tu spariresti. Sarebbe bastato che quel messaggio non fosse arrivato e tu saresti già a centinaia di chilometri di distanza ed io lì sulla banchina, con un buco gigantesco nel petto.

É strano chiederti di togliere i calzini e poi per lunghissimi secondi fissare i tuoi piedi così pallidi. Dovrebbero essere bagnati. Ma non freddi... caldi come dopo la doccia. E pure le tue mani dovrebbero essere calde... perché scaldate dalle mie. É strano pensarlo ora. Ma non pensarlo è impossibile.

Non mi sono reso ancora conto di cosa ho fatto. Non mi permetto nemmeno di pensarci. Per la prima volta da anni mi permetto semplicemente... di sentire, perché tu vali questo, no?

Cerco di catturare ogni cambiamento dell'espressione del tuo viso e cerco di assaporare ogni istante in cui tu sei qui con me. Posso fidarmi di di te come prima, oppure devo farmi prendere dalla paura che tu possa scappare in ogni momento? Posso essere sicuro di quello che c'è nei tuoi occhi, o devo intravedere qualcosa di freddo nel tuo sguardo?.. Ma proprio adesso sei vicino a me. E questo è la cosa più importante.

Per la prima volta posso prenderti la mano. Per la prima volta posso accarezzare il tuo polso con le labbra. Ognuno di questi gesti è la cosa più giusta che io abbia mai fatto. E allo stesso tempo è un passo in più verso l'inferno. Intreccio le nostre dita e davanti agli occhi si stende il deserto. La mia bocca si posa sulla parte interna del tuo polso, e mi sembra di sentire l'odore della carne che brucia... della nostra carne. Mi avvicino di un paio di centimetri, il mio ginocchio tocca il tuo e nello stesso istante sento bruciare in quel punto, come se ci fossero dei carboni ardenti. Il piacere che porta con sé il dolore. Sei il peccato che mi salva. Sei la prigione in cui mi sento libero.

Sei il mio... tutto.

Lascio la tua mano e apro gli occhi, guardo le tue palpebre socchiuse, le tue ciglia talmente tanto lunghe che dovrebbe essere proibito averle così. Poi guardo quella mano, ora libera dalla mia e il mio cuore si stringe e rallenta i battiti. Vedo che le tue dita non sono strette, ma tremano appena. Mi sembra di vedere una corda tesa tra di noi, che parte da dentro di me: ma sono soltanto il punto di partenza, invece tu la lasci passare attraverso le tue dita, la guidi, la trattieni. É talmente tesa, che ti taglia i capillari, ma non dai a vedere quanto male ti faccia e non la lasci scivolare via. Sbatto le palpebre e la visione sparisce. I tuoi occhi si aprono e l'onda celeste del tuo sguardo mi investe in pieno.

- Blaine... - la tua voce è così bassa, come se avessi speso le ultime tue forze in questa parola. Soltanto sentendoti pronunciare il mio nome riesco a percepire tutto. Il dolore. La gioia. Il desiderio. La disperazione.

- Kurt? - avvicino il mio viso al tuo per sentirti meglio. Mi sento bruciare la pelle e i miei lineamenti si contraggono in una smorfia, perché non deve essere così. Noi non dobbiamo causare tutto questo dolore l'uno all'altro, noi non dobbiamo essere qui... Non dobbiamo essere e basta. Noi... è qualcosa di impossibile. Quasi mi ritiro, quasi inizio a pentirmi...

- Non voglio fare domande. Non voglio che questo finisca.

Mi fai a pezzi con le tue parole e non ho mai desiderato niente tanto quanto abbracciarti, stringermi a te, sentire come il tuo corpo prima si irrigidisca e poi si rilassi nelle mie mani. Sentire come ti arrendi e ti sdrai sulla schiena, come mi circondi con le tue braccia e le tue gambe e mi permetti semplicemente di restare in questa posizione senza muovermi.

Puoi domandarmi qualsiasi cosa, ne hai tutto il diritto. - sospiro stanco e la mia mano scivola lontano dalla tua, ma non fa in tempo ad arrivare al mio ginocchio perché viene catturata dal tuo palmo. Come un predatore attacca la preda, la schiaccia al terreno, affonda nella carne i denti e le dita... rilasso la mano, arreso e tu espiri di sollievo... perché fino a questo momento hai trattenuto il respiro.

- Non voglio. Le domande distruggono lo spazio. Le risposte distruggono me. Resta per sempre.

- Non potrò farlo, Kurt... - ma tu di colpo premi l'altra mano sulla mia bocca, gemendo:

- No... Per favore, non dire niente.

Ti guardo con gli occhi spalancati, mi meraviglio di come tu possa essere così vicino e così sconosciuto nello stesso tempo. Ti conosco da un anno e non so nulla di te. Ti amo tanto che potrei morire, ma non conosco nemmeno il tuo colore preferito. Potrei capirlo considerando i tuoi vestiti e la carta da parati... o posso chiedertelo direttamente. Ma si può misurare l'amore in base alla quantità delle informazioni che abbiamo di una persona? Si può misurare l'amore? Se perdo il fiato soltanto nel vederti e quel dannato muscolo nel mio petto si stringe... non è questo l'amore? Chi dice che per amare bisogna sapere? Chi dice che bisogna vedere o sentire? Semplicemente ci sei. Semplicemente ti amo.

E mentre la tua mano è ancora schiacciata contro le mie labbra, schiudo appena la bocca e tocco la tua pelle con la punta della mia lingua.

Emetti uno gridolino strozzato e mi sorridi dolcemente quasi come un bambino vergognoso, togliendo la mano.

- Non ho lavato le mani... - ti giustifichi, abbassando lo sguardo imbarazzato e avvicinando la mano al tuo viso. E poi lentamente, come se si trattasse di un rito religioso, lecchi quel punto che ho toccato io. La macchietta umida si scontra con il rosa della punta della tua lingua... ed io perdo il controllo.

Le nostre anime spiccano in volo e si scontrano sopra di noi. Si prendono a schiaffi a vicenda senza chiedere perdono, aggrappandosi l'una all'altra in una morsa mortale, decidendo tutto da sole. Ed io espiro e scatto in avanti. Il mio viso incontra la tua mano, afferro le dita... e sono già da qualche parte dietro di te. Il mio ginocchio scivola giù dal divano e mi attacco alla superficie in mezzo alle tue gambe per trattenermi... Per avanzare ancora un po' e coprire le tue labbra con le mie.

Un'esplosione mi acceca, la pelle perde la sensibilità e mi blocco colpito, con gli occhi sgranati. Stai tremando, sento la vibrazione con la bocca. Ma non è per l'emozione oppure per il freddo. Sono delle convulsioni, ti trema tutto il corpo, ti attacchi con le mani al cuscino, allo schienale, pur di lasciare intatte le labbra. Le tue labbra incollate alle mie.

Io non mi stacco di un millimetro, mi sposto in avanti, sollevandomi appena e cambio posizione del ginocchio per fare entrambi più comodi. Lascio la tua mano, ma soltanto per abbracciarti dietro la schiena, stringerti, tutto tremante, al mio petto.

Tu respiri tra le labbra schiuse. Io apro le mie, per la prima volta inspirando il mio personale ossigeno. L'umido caldo, liscio e perfetto è sulla mia lingua, dentro la mia bocca e io mi stringo di più per non lasciare neanche un filo di spazio tra le nostre bocche, tra i nostri corpi. E quando sento un crampo al collo, all'inizio non capisco che è perché la tua mano mi afferra, cercando avvicinarmi ancora. Sento che il calore scivola attraverso di noi, come il piombo liquido. Sento che ogni cellula del mio corpo si scalda e si gonfia.

E poi sento il tuo gemito. Soffocato dalla mia bocca sulla tua. Disperato... lungo. Fai lo stesso con ogni altro tuo uomo, o questo gemito appartiene solamente a me? Ti permetti questo lento rilassarti anche nelle loro mani, oppure solo con me un momento prima sei come una pietra e quello dopo scivoli come olio, avvolgendo tutt'intorno?

A quanti parli d'amore? Con quanti hai condiviso quello che abbiamo noi in questo momento? Sono impazziti in tanti per te? Tutte queste domande mi bruciano dentro, perché conosco una verità: prima di te non ho mai avuto nessuno.

- Sei il primo. - dico in un soffio, staccandomi dalle tue labbra e sapendo che il legame tra di noi è così forte che comunque non potremmo allontanarci. Tu non capisci di cosa sto parlando: sollevi le sopracciglia, cercando di focalizzare con lo sguardo e ti inarchi, supplicando un altro bacio. Non riesco ancora a crederci. Ti ho baciato. Ed è stato il momento migliore di tutta la mia vita. Tutti gli anni passati sono serviti soltanto per prepararmi a questo contatto. Coincidiamo l'uno con l'altro, così come ogni parola coincide con ogni movimento delle labbra.

- Il primo con cui sento questo. Ho avuto le donne... tante donne. E non sei il primo solo perché sei un uomo. Semplicemente sei...

- Semplicemente sono tuo. - lo dici in tono tranquillo e serio e le punte delle tue dita svolazzano, sfiorandomi il viso.

- Sei mio, giusto. - annuisco e abbasso la testa, di nuovo unendo le nostre bocche. Passa solo un secondo e mi stacco sentendo il tuo sospiro scontento.

- Latte e miele? Sul serio? - sorrido perché è quasi assurdo che non l'abbia notato subito. Ed è assolutamente incredibile ora che me ne sono accorto. Te lo ricordi, lo sai, ti preoccupi di questi piccoli dettagli, mentre io non sono riuscito per un anno intero a chiederti nient'altro a parte uno stupido 'Come va?'. E adesso mi sembra di dover andare all'inferno, ma non per amore verso di te... Per tutto quel 'non amore'. Per tutta la 'non attenzione'. Per ogni giorno in cui non ti ho baciato.

- Sì, Blaine, sì. Sempre. Io ti ho sempre ascoltato. Sempre... attentamente, con una sincera compassione. Ho sempre adorato il modo in cui la tua voce scivolava dentro alla mia testa. Ma ora vorrei solo che stessi un po' in silenzio... Baciami, per favore.

In tutta la risposta prendo un respiro profondo e mi butto... mi attacco con la bocca alla sua, intrecciando le nostre lingue, godendo ogni attimo, sentendo i nervi in fuoco e latte caldo sulla pelle.

Ogni attimo che segue – è il futuro... Quindi noi l'abbiamo.

 

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Capitolo 5
*** Il mio piccolo. ***


Il mio piccolo.

 

Oggi fa particolarmente freddo. La neve non è ancora caduta, ma la pioggia è quasi ghiacciata e le sue gocce mi bruciano la pelle. Io però non ci faccio caso, sto fuori sul terrazzo... fumo... aspetto te. Dentro la mia tasca c'è un pacchetto di gomme da masticare, vicino al lavandino un collutorio, sul tavolo un succo alla pesca. Perché tu non ami quando io fumo. Non me lo vieti di certo, ma non lo ami. Invece adori il succo alla pesca. Ma io vorrei che amassi me. Ci riuscirai un giorno?

E non so neanche se arriverai oggi o meno. Da quel giorno in cui mi hai portato qui è passato appena un po' più di un mese. Prima pensavo di esistere da un incontro all'altro. Ora capisco che quella era la vita, e ora non c'è più niente. Prima avevo il mio lavoro, il mio appartamento, i miei amici, gli amanti, il mio numero di telefono... E adesso cosa? Non è il buio, oppure la tristezza. É semplicemente nulla. Non è che io sia rinchiuso nel tuo appartamento, ma è meglio che non esca, me lo sento. Non ho un lavoro, perché tu hai abbastanza soldi per mantenermi. Non ho un appartamento, l'ho venduto. E ti piace che io sia qui. Non ho nemmeno una cosa mia. Tutti i vestiti sono nuovi. E anche i libri. La musica... Ma cosa me ne faccio di tutto questo senza di te? Non ho un telefono. Te lo immagini? Hai fatto un contratto nuovo a tuo nome e mi hai lasciato il cellulare. No, non mi stai controllando... solo che è meglio così. Certo che è meglio. Tanto non chiamo nessuno a parte te. E anche a te non chiamo quasi mai. Non so nemmeno sotto quale nome hai memorizzato il mio numero. A volte ti scrivo un messaggio.

“Con le mele o con le amarene?”

“Scusami, oggi non posso.”

“Prendo del vino?”

“Scusami, oggi non posso.”

“Devo aspettarti?”

“Sempre.”

E sì, certo che ti aspetto. Perché ne vale la pena. Per delle ore sto sul terrazzo nella speranza di vedere la tua automobile fermarsi davanti al portone. Per delle giornate intere aspetto il tuo messaggio “Oggi cercherò di farcela.”

Questo non mi garantisce niente, ma mi fa felice lo stesso. Ogni mattina mi vesto bene, mi sistemo i capelli. Non ce ne sarebbe motivo, ma... se tu dovessi fare un salto qui per pranzo? Anche questo succede qualche volta e allora divento come un cagnolino che salta allegro intorno a te, ogni tanto sfiorando il tuo collo con il naso, mentre tu ridi e mangi quello che ti ho preparato... Tu mangi quello che io preparo. Tu mi permetti di guardarti per tutto il tempo con uno stupido sorriso sulle labbra. Mi appoggi la mano sul ginocchio. Poi ti lavi i denti, mentre io sto lì in bagno vicino a te e appena hai sciacquato la bocca, mi abbracci. Di solito per la vita, oppure appena più giù e mi vengono i brividi su tutto il corpo. E poi mi baci. Un bacio breve sulle labbra. Due sul mento e poi di nuovo sulla bocca, questa volta più a lungo. Mi aggrappo alle tue spalle, molto delicatamente per non stropicciare la tua camicia, perché devi tornare al lavoro. Trattengo respiro, gemendo e mi sembra che stia per svenire. Tu sorridi, mi baci sulla punta del naso e dici: - - Scusa, è ora che vada.

E te ne vai al lavoro. E dalle tue donne. Te ne torni nella tua vita. E io resto qua ad aspettare un altro incontro. Vivere con te non è per niente difficile, è... giusto. Perché insomma, io sono tornato, ho accettato tutto. Non hai mai fatto l'amore con me, ma va bene così. Io non ho una definizione né ho importanza, sono ancora il tuo nessuno, ma va bene così. Tutto. Va. Bene. Davvero.

 

Oggi è così freddo. E se tu non vieni, mi metterò a piangere... di nuovo. Odio togliermi i vestiti, sentendo che non sono le tue mani che lo fanno. Che non sono mai state le tue mani a farlo. Odio stare sotto la doccia all'alba, perché non sei mai stato lì vicino a me. Perché ho sperato fino all'ultimo, chissà per quale motivo, il tuo arrivo comunque. Odio raggomitolarmi sulle lenzuola in camera da letto, aggrappandomi alla coperta e gemendo al soffitto perché non hai mai dormito con me. Tu non mi appartieni. Per niente. Neanche un po'. E fa così male che sembra che nella gola si giri un coltello ogni volta che ci penso. Perché gli altri possono dire che tu sei il loro marito, collega, amico, padre, amante. Ma io non posso. E non perché non tu sia nessuno per me, ma perché io non ci sono nella tua vita. Sono quella dannata spazzatura nel vicolo, dove tu vieni meno di prima. Ti ho privato della tua tana, mi sento così in colpa. Ti ho chiesto perdono, ma tu hai riso e mi hai detto:

- Mio piccolo, stupidino, sono felice che tu sia qui.

Invece io ho sentito qualcos'altro:

- Sarebbe meglio che te ne andassi. Sarebbe meglio che non ci fossi.

Odio pensare al suicidio, perché se dovessi morire, non ti vedrei mai più. E inoltre non vorrei essere un egoista e crearti altri problemi morendo qui. Ma anche andandomene via da qui... ho paura. Se dovessi venire a pranzo e qui non ci trovassi nessuno? La morte non è un motivo per non prepararti il caffè. La morte mi toglierebbe la possibilità di baciarti.

Oggi non mi hai scritto che saresti venuto, quindi non ti vedrò. Ma io lo stesso sto sul terrazzo e aspetto. La mia camicia azzurra e i pantaloni beige si bagnano. Si bagna la pelle morbida delle scarpe e i miei capelli. Ma io mi appoggio alla ringhiera, butto via la sigaretta e di nuovo scruto il parcheggio. Hai comprato una macchina nuova, è arancione, si nota facilmente. Ma ora non c'è. Tu non ci sei. Do un pugno sul metallo e me ne vado dentro l'appartamento. Non accendo la luce quando non ci sei. Non mangio e non ascolto la musica. Senza di te sono in anabiosi, così è più semplice sopravvivere. Insomma, ti importa qualcosa di come stia io qui? Fa differenza per te, che cosa mi succeda? Mi sembra di essere vivo soltanto quando sei vicino. E mi sembra che pure per te io esista solo nei momenti in cui mi vedi. Tu mi pensi?

 

Oggi fa un freddo terribile, ma non chiudo la porta del terrazzo quando inizio a sbottonare la camicia per andare nella doccia. Sono quasi sicuro di avere le allucinazioni quando sento una chiave girare nella toppa. Sono quasi sicuro di essere impazzito quando in corridoio si accende la luce e sento il tuo, chissà perché, preoccupato:

- Kurt?

Sono sicuramente fuori di testa quando sento il fruscio della carta ed esco nel corridoio per vedere nelle tue mani le rose bianche.

- Sono... per me? - domando piano, ma tu non rispondi subito. Appoggi i fiori sul tavolo e non me li lasci neanche toccare, perché ti avvicini e mi abbracci. Sei caldo appena uscito dalla macchina e ho un milione di domande da farti, ma chiedo:

- Vuoi un caffè?

Ma tu ridi. La tua risata è aperta come quella di un bambino. E io mi rendo conto che è notte fonda e tu sei vicino a me e io sono matto, poco ma sicuro. - - Dio... come mi sono spaventato. Ho creduto che non ci fossi a casa, quando ho visto le luci spente. Non farlo mai più. Kurt... ma anche quando sei da solo, ti vesti come se dovessi andare sulla passerella? - il tuo sguardo vaga su di me, fermandosi sui miei fianchi... mi sciolgo come un ghiacciolo. - Umh-um, - mi manca l'aria.

- Mi sei mancato così tanto...

- Oh - spalanco la bocca e sbatto le ciglia come un deficiente.

- Sei freddo e sai di sigarette. Mi stavi aspettando di nuovo sul terrazzo? - tu... oddio, affondi il viso sotto il colletto della mia camicia e baci le mie clavicole, mi cedono le gambe, ma tu mi afferri e rimetti in piedi... e ridi.

- Di nuovo... - sospiro io, ti appoggio le mani sulle spalle e solo allora capisco che sei reale e che sei qui. E io sono vivo... di nuovo.

- Piccolo mio. - dici in un sussurro, scivolando con la punta del naso sul mio collo, toccando con le labbra il lobo dell'orecchio. Ma che piccolo... ho venticinque anni io.

- Tuo... - mi stringo a te, infilo le mani sotto il tuo cappotto, comincio a sbottonarti la camicia e tu ti irrigidisci. Non me lo lasci fare. Non me lo permetti. Noi non superiamo certi limiti. Beh... perché sei etero. E io sono il tuo nessuno, ma va bene così.

- Mi fai un caffè? E io ti racconto perché sono qui. - ti allontani, sorridi, ti togli il cappotto e le scarpe. Io mi mordicchio il labbro, poi corro a sciacquarmi la bocca, bere il succo di pesca e spalmarmi le labbra con il balsamo, così potrai baciarmi. Corro a prepararti il tuo caffè e ascoltarti. Dio, adoro ascoltarti!

- Vieni qua. - dici tu dopo un po', quando il caffè è pronto e io non riesco a capire, cosa intendi. Mi giro e mi manca il respiro. Indossi una maglietta e un paio di morbidi pantaloni grigi da casa. Tutta roba che costa un occhio della testa e che ti sta da Dio, ma sempre così... da casa... Questo vuol dire che stasera non te ne andrai? Per la prima volta? Dio...

Prendi la tua tazza, ti siedi sul divano e la metti sul tavolino e io mi siedo vicino a te. Ma ti accigli e mi dici: - Non così.

Poi mi prendi e mi sposti sulle tue ginocchia e in questo momento la stanza si mette in movimento, inizia a girare intorno a me e mi appiglio al tuo collo per non cadere.

- Blaine... - mi muovo appena, mi sento strano e a disagio. Mi aspetto da un momento all'altro che mi butti giù... ma non lo fai. Mi abbracci e fai un sorso di caffè. Poi metti via la tazza, sorridi e tiri la mia camicia sbottonata giù dalla spalla per toccarla con le labbra, mandando una scossa elettrica su tutto il mio corpo.

- Sono in viaggio di lavoro per quattro giorni. Avevo già avvisato tutti per tempo, ma oggi è stato annullato... - mi appoggi la mano sul petto, lo sfiori con i polpastrelli. Io spalanco gli occhi... sono quasi morto dalla felicità.

- Starai con me per quattro giorni?

- Hai paura di poterti stancare di me? - mi domandi in tono quasi malizioso, continuando lentamente a togliermi la camicia.

- Ho paura di morire per eccesso di felicità. - rispondo io, non riuscendo ancora a fidarmi delle mie stesse orecchie, dei miei stessi occhi. Fidandomi solamente di te, sempre fidandomi di te.

- Piccolo mio... - sussurri con un sorriso sulle mie labbra e io sospiro:

- Tuo. - e poi ti bacio, abbandonandomi a te senza riserve, come sempre.

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Capitolo 6
*** Non sei alla mia portata. ***


Non sei alla mia portata.

 

 

Ti ho portato nel mio appartamento e ti ho chiuso lì come in una gabbia. Tu che sei nato per volare, mi aspetti ogni giorno e ogni sera dietro le sbarre, anche se non c'è nessuna garanzia che io venga. E sinceramente mi dispiace che tu debba marcire vivo nell'attesa, ma non saprei in che altro modo costruire il nostro mondo altrimenti. Non posso mollarti, non riesco a lasciarti uscire fuori dal mio campo visivo, fuori dal mio controllo. Sarò uno malato... un maledetto pervertito, ma ho bisogno di saperti mio completamente, ogni tuo sorriso, ogni respiro. Il solo pensiero che tu possa di nuovo scappare da me, mi manda in pezzi. Il solo pensiero che potrei non vederti più, mi fa desiderare di morire. Non ho mai amato nessuno come amo te. Non ho mai fatto soffrire così tanto nessuno...

Ho una vita fuori da questa porta, ma solo qui dentro io vivo veramente. La tua vita si è ristretta dentro queste mura e io l'ho fatto apposta. É un comportamento così brutto. Vile. Vergognoso. Ma è così.

Ogni notte vado a letto con Tina, le parlo d'amore e lei mi risponde allo stesso modo. Lei sta costruendo una famiglia con me, sogna il nostro futuro insieme, vuole avere dei bambini. Quello che lei non sa è che al suo fianco vive un involucro vuoto, un cadavere ambulante. Lei non ha idea che io vivo solo vicino a te. Dal principio, dal nostro primo incontro non ho mai detto a nessuno di te. Non ho parlato di te né come di un conoscente, né come un amico, né come un collega. Eri sempre solo... mio. Sei da sempre radicato così profondamente in me, che se un giorno volessi dividerci, dovrei strapparti, svuotandomi del tutto. Non mi vergogno di te. Non ti sto nascondendo. Solo che sei qualcosa di troppo personale. Qualcosa che non è per gli occhi e per le orecchie altrui. La cosa più intima. Quel sogno che sa illuminare la mia vita.

Ho lasciato Santana. Per te, certo, ma lei non l'ha capito. Ha deciso che la consideravo troppo vecchia e se n'è andata. Lei è sempre stata una donna forte e continua a dire che io ero solo un passatempo per lei. Non saprei dire quanto questo fosse vero, ma sicuramente lei mi ha semplificato le cose. Ci sono tante donne nella mia vita, sarebbe semplice dire “una in più non cambia niente”. Invece no. Non voglio dividere tra voi il tempo che sto rubando al mio lavoro, a mia moglie, a mia figlia. Suona veramente da schifo. Mi sputerei in faccia da solo se solo potessi... ma tu non mi permetti di farmi del male.

L'altro ieri ho incontrato Tiffany: puzzava di sigarette, ma non le ho detto niente. Si era fatta un piercing sulla lingua, le ho detto che era fico... Lo sai, Rachel mi dice che non ho alcun diritto di dirle cosa fare, perché sono soltanto il suo “padre biologico”, come mi chiama spesso davanti a Tiff. Perché veramente, che razza di padre sono se le ho abbandonate? Cosa c'entro io con quella ragazza? Non mi arrabbio perché in realtà mi vergogno per questo nostro fallimento. Io avevo ventuno anni, lei soltanto diciotto, quando ci siamo sposati. E Dio... l'amavo davvero. Chi l'avrebbe mai detto che tutto questo, otto anni più tardi, si sarebbe ridotto in vergogna per me e pura cattiveria per lei.

Rachel ha conosciuto qualcuno di Manchester. Via Internet. É ridicolo. Pure il suo nome è ridicolo: Finn o qualcosa del genere. Anche se, cosa me ne importa di come si chiama? Siamo divorziati da sei anni ormai.

Tiffany mi ha detto che sembro felice e triste allo stesso tempo. Dice che devo prendermi una pausa. Tina dice che ho bisogno di riposo. I colleghi dicono che ho bisogno di staccare un po'...

E soltanto tu mi massaggi le spalle e mi porti il caffè, anche se continuo a dirti che posso farlo da solo. Soltanto vicino a te il mio cuore è tranquillo, sei tu quello con cui vorrei stare. Sempre.

Vengo da te in piena notte, ma tu mi aspetti. Mi aspetti sempre. Sei così triste e pensieroso e un po' offeso... non con me, con il mondo. Sei così... mio. E non posso farci niente per tutta la tenerezza che risvegli in me e ti stringo, bacio il tuo collo e inspiro il tuo odore mischiato al fumo delle sigarette. Fuma, bevi, prendimi a botte... Fai quello che vuoi, ma resta mio.

Lo so, tutti direbbero che non è amore questo, è puro egoismo. So che ti torturo ogni giorno e uno che ama non lo farebbe mai, certo che lo so. Esistono così tanti limiti e sfaccettature nella definizione di amore... Tutti dicono che le persone sono libere di fare quello che vogliono, ma per qualche strana ragione se due litigano, li considerano una coppia infelice. E se a loro piace litigare semplicemente?

E se ti piace aspettarmi e a me piace tornare da te? Per quanto difficile e lunga possa essere la strada, io torno sempre da te. Tutte le mie strade portano a te. Tutti i miei pensieri.

E io vorrei, davvero vorrei che la nostra vita fosse semplice e felice. Vorrei addormentarmi e svegliarmi accanto a te, baciarti sulla punta del naso e vedere il tuo sorriso assonnato. Vorrei davvero appartenerti completamente, vorrei abbracciarti ogni sera, passeggiare con te mano nella mano e magari prenderci un cane. Ho migliaia di questi “vorrei” con te e pochissimi “posso”. E probabilmente questo non cambierà mai.

E quando ti abbraccio e ti dico che abbiamo davanti quattro giorni insieme, vedo chiaramente come dentro di te nasce qualcosa... Quando ti bacio vedo come delle piccole esplosioni. Quando semplicemente ti guardo in silenzio vedo la luce in te che brilla. Quando vado via ti vedo morire ogni maledetta volta. Invece ora dentro di te sta nascendo qualcosa e non ho mai visto niente di più bello. Ridi e ti stringi a me. Sento sulla pelle il tuo sorriso e le piccole e calde lacrime che mi mandano onde di tenerezza dritte verso il cuore.

Piano, quasi cauto, ti levo la camicia, ti copri con le mani in imbarazzo e ti guardo colpito.

- No... sul serio? Davvero ti vergogni? - non riesco a trattenere una piccola risatina, ti accigli leggermente e ti strofini la radice del naso. - Beh, si... Non è che sia un verginello, e il mio corpo... insomma, l'ho sempre considerato abbastanza... emm seducente... - togli le mani e il tuo sguardo scivola come per controllare la tua pelle nivea, il addome piatto... e annuisci soddisfatto. Poi ti accorgi del mio sguardo interessato che ha seguito il tuo e ti copri di nuovo frettolosamente al di sopra delle mie mani.

- Ma con te è... è tutto diverso! - concludi tu e ti mordi il labbro... assolutamente adorabile. Io ti sorrido per la centesima volta, mi avvicino al tuo viso, le mie mani salgono dai tuoi fianchi sulle spalle, poi sul collo e si fermano sulle guance. Accarezzo i tuoi zigomi e ti bacio, tu inspiri forte con il naso, appoggi le mani sulle mie spalle ti sollevi appena per gettare una gamba sopra le mie e sederti su di me. Spalanco gli occhi perché non ho mai sentito il membro di un altro uomo contro il mio. Tu senti il mio sguardo, apri quei due laghi che hai al posto degli occhi e dici piano in un sussurro:

- Ho fatto qualcosa di sbagliato?

Sei così spaventato, sicuramente ti sei già incolpato di tutti i peccati mortali e io scrollo la testa. - Va tutto bene, solo che mi sono ricordato di quella volta... Ti ricordi, un anno fa, nel tuo appartamento? - tu arrossisci chiudendo gli occhi e ti copri il viso con la mano. - É stato terribile, Blaine! Credevo davvero di piacerti! - E mi piacevi. - Ma io ho provato a baciarti... ero sicuro che fossimo venuti per questo. - Semplicemente ho ripreso il controllo di me in tempo, ma... ero venuto per questo. - Cosa?! - gridi tu arrabbiato e mi colpisci sulla spalla. - Allora, tu fingevi facendomi passare per uno scemo che non sa distinguere un uomo da una ragazza? Tu sapevi già tutto e mi torturavi per tutto quel tempo, è così? - è una domanda molto seria, ma tu ridi adesso e io cerco di non rovinare i nostri quattro giorni.

- Proprio così. - sorrido e ti faccio la linguaccia. Una mossa da sprovveduto perché tu me la mordi prima che io riesca a capire le tue intenzioni e impegnare la tua bocca con un bacio.

Quando le tue mani si infilano sotto la mia maglietta, trattengo il fiato e ti scosti immediatamente e mi guardi negli occhi. Tu capisci. Dio, come fai a capire tutto senza parole? - Non sei pronto, non è vero? - mi domandi piano e accarezzi la mia guancia. Abbasso lo sguardo e annuisco. - Sono pronto andare un po' oltre i baci, ma io... non vorrei poi deluderti, capisci cosa intendo... - tiro fuori le parole a fatica come se avessi sedici invece di venti in più. Tu espiri e di nuovo prendi l'orlo della mia maglietta, la tiri su, io alzo le braccia docilmente e ti lasco levarla. Tu mi guardi a lungo estasiato, come se davanti a te in questo momento ci fosse un Dio e non semplicemente io. Mi appoggi le mani sul petto, passi le dita su e giù facendomi dimenticare di respirare. - Ti capisco e non ti sto dicendo che oggi per forza dobbiamo arrivare al sesso. Vorrei soltanto avere un po' più di... te! In realtà lo vorrei sempre. - aggiungi piano e io sento la tua voce spegnersi. Mi fa male sentire il tuo dolore e ti avvicino a me, bacio il tuo collo, lo accarezzo con la punta della lingua e lentamente faccio scendere le mani per la tua schiena, finché non ti stringo il sedere. Alzi la testa e mi fissi sorpreso. - Eri tu quello che ha appena detto di non volere correre? - io sorrido e di nuovo tasto con i palmi i muscoli tesi. Mi rendo conto di quanto mi piace.

- Sto cercando di familiarizzare con quello con cui avrò a che fare... - ti attiro a me, bacio la tua clavicola sottile, tiro appena la pelle con i denti, la prendo tra le labbra, succhio un po' e lascio, ammirando poi la macchietta rosa. Tu sbuffi, chinandoti all'indietro e io ti tengo sotto la schiena. - E adesso? Come posso andare in giro conciato così? Sappiamo tutti e due che non devi andare da nessuna parte, ma cerchiamo così disperatamente di imitare una vita normale, che fa male al cuore. - Voglio che tutti sappiano che sei solo mio. - sorrido e di nuovo attacco il tuo petto lasciando dappertutto altre macchiette mentre affondi le dita nei miei capelli gemendo.

Devo fermarmi sopra la cintura, ma tu non protesti, tu capisci. Sei leggermente arruffato e molto eccitato, ma ti calmi subito e ti stringi al mio petto nudo. - L'importante è che noi lo sappiamo... io e te. - dici tranquillo, trovi con le labbra la mia tempia e mi baci lì. - Sì. É questo che importa. - annuisco io e ti bacio sulla spalla.

E per la prima volta in tutti questi mesi che ci conosciamo, ci addormentiamo insieme. Abbiamo davanti a noi ancora quattro giorni, e questo scalda il cuore. Non voglio pensare che siano soltanto quattro giorni e dopo arriveranno altri mesi di incertezze continue.

Siamo tutti e due con solo la biancheria addosso, mi avvolgi con le tue braccia e le gambe, la tua testa è vicino alla mia, mi fissi negli occhi e sorridi così dolcemente che è quasi impossibile. - Blaine, sono così felice con te... - sussurri spaccandomi il cuore. - Anch'io sono felice con te, Kurt. Solo con te. - Ma davvero oggi mi addormenterò abbracciandoti e domani quando mi sveglierò tu non sarai sparito? - nella tua voce c'è un tremolio... qualcosa che proviene direttamente dall'infanzia e io ti stringo ancora più forte a me, ti bacio sulle labbra e rispondo: - Te lo prometto.

É tutto magico, esattamente come dovrebbe essere, se solo la vita fosse andata diversamente. Ma noi non ci lasciamo prendere dalla tristezza, noi cerchiamo di godere di ogni momento. Di ogni sguardo, di ogni tocco. Impariamo a conoscerci in questi giorni, respiriamo l'uno con l'altro. Non mi basti mai, ogni momento ridi felice. Ti faccio sedere sul tavolo e ti bacio sul collo... Ti butto sul divano e ti faccio solletico finché non ti metti a strillare come un bambino. Mangio la torta che hai preparato e poi guardiamo un film, per dimenticarlo dopo due minuti, abbandonandoci ai baci e alle carezze.

E quando una volta, mentre ci baciamo pigramente stesi sul letto, il mio cellulare vibra, niente fa pensare al peggio. Avvicino il telefono al viso e sento il tuo respiro sulla guancia. Non stai sbirciando, semplicemente ti è caduto lo sguardo per caso.

É un messaggio da Tina, lo apro e leggo due parole ”Congratulazioni, papà!” Sotto

appare una foto. Mi ci vogliono alcuni secondi per ingrandirla e vedere sopra una grande striscia bianca due piccole, blu, perfettamente dritte, l'una vicino all'altra. E due timide speranze scoppiano in mille pezzi, ammazzando il silenzio con un suono assordante.

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Capitolo 7
*** Stanco di cercare di raggiungerti. ***


Stanco di cercare di raggiungerti.

 

 

E tutto finisce qui. Abbiamo ancora un giorno, ma non sei più con me. Mi stringi a te, mi baci, parli. Ma i tuoi pensieri sono già lì. Con lei. Con il vostro bambino. E odio me stesso perché odio lei. Non poteva aspettare che tu tornassi? Non poteva rimandare ad allora le sue congratulazioni? Ha rubato pure quelle poche briciole che mi capitano così raramente. Vorrei nasconderti da tutti. Vorrei legarti al termosifone, vorrei tapparti gli occhi e le orecchie. Sto diventando il diavolo, ma voglio essere il tuo mondo. Voglio essere il tuo... unico.

Sì, ho mentito. Quando ho detto che questo mi sarebbe bastato. Prima le tue telefonate, i saluti, poi gli abbracci e i baci. Non mi basta. L'uomo è fatto così, non gli basta mai quello che ha, è sempre troppo poco. E per me è sempre troppo poco di te. Dio, quanto poco! Sei dappertutto, ma non ci sei da nessuna parte. Sei tutto quello che ho. Ma non ho te. Sono pieno di te. Sono completamente vuoto.

Tu dici che è tutto apposto, che niente è cambiato. Ma io tanto lo so che è cambiato tutto. Mi tieni per la mano, ma il tuo sguardo è sfuggente. Parli e inciampi a metà frase perché, certo, ti ricordi di loro. E ogni volta guardandoti negli occhi, vedo quel maledetto test! Quella striscia bianca è diventata la mia spada di Damocle personale. Lei è al quarto mese. Tra sei la spada cadrà giù trafiggendomi. Uccidendo noi. Noi, che non siamo mai esistiti.

 

Su cosa contavo io dopotutto? Che l'avresti lasciata per me? No. Tu non cambierai mai la tua vita. Io sarò sempre dietro le quinte, sarò sempre la tua vergogna. E anche se tutte queste donne dovessero sparire dalla tua vita, ne arriverebbero delle altre. Anche se non dovesse apparire nessuno... io non ci sarei lo stesso. Sono fuori dalla porta. Sono dopo la parola “FINE”. Nessuno sfoglia le pagine dopo quella parola. Nessuno ascolta gli ultimi dieci secondi vuoti dopo la canzone su un disco. Nessuno aspetta per vedere cosa succede dopo i titoli di coda. Io sono senza senso, fuori luogo. Ero, sono e resterò così.

Mi chiudo in me stesso, tu te ne accorgi. La nostra ultima mattina mi svegli molto presto. All'alba. Ci siamo addormentati da poco ed ecco che sento le tue labbra sulle mie. Spalanco gli occhi, ho paura. Ho paura che tu abbia deciso di andartene via prima, per correre da lei. Anche se le hai detto che saresti tornato solo verso le sei.

- Alzati, dopo dormiremo ancora. - dici tu sorridendo e io, certo, non posso contraddirti. Usciamo sul terrazzo scalzi con solo la biancheria addosso. Mi avvolgi con le braccia da dietro e mi lasci un bacio sulla scapola, che mi fa trasalire. Ti voglio... ti voglio così tanto.

Anche adesso. Tutto infreddolito e assonnato, darei di tutto per poterti sentire dentro di me. Ma no, non sei pronto. Non vuoi tradire lei o non vuoi profanare quello che c'è tra di noi? É così semplice ora calmarsi e rilassarsi nel tuo forte e caldo abbraccio e io mi rilasso guardando il cielo che pian piano si tinge di rosa.

- Cosa dovrebbe significare questo, Blaine? Non è la nostra alba, tu lo sai.
- Kurt... è solo un'alba che voglio condividere con te. Voglio condividere con te tutte le albe.
- Ma?..
- Niente “ma”. Davvero lo voglio.

- Davvero lo vuoi, ma...

- Kurt... - ti irrigidisci, io divento piccolo piccolo.
- Perdonami. Solo... perdonami. E grazie. Perché ora sei vicino. - sollevo il mento per trattenere le lacrime, ma non ci riesco e loro scivolano sui lati del viso e ti bagnano le braccia.
- Kurt... - mi giri verso di te, mi cingi il viso con i palmi e io non posso farci niente con queste scie di acqua salata. Sono sempre più abbondanti e per quanto io non cerchi di asciugarle, compaiono di nuovo. Le mie guance pizzicano un po' per il sale, ma io non tiro su con il naso, non singhiozzo... É semplicemente qualcosa che non riesco a trattenere. Semplicemente è il dolore che sta uscendo.

Avvolgo il tuo collo con le braccia, mi stringo al tuo petto. Non ho più freddo. Sei vicino e ora ho caldo. Anche sotto questa pioggia ghiacciata, anche sotto la neve. Se tu non mi lasciassi mai, potrei anche iniziare a credere in Dio, probabilmente...

 

Torniamo a letto, mi attacco a te con tutto il corpo e ti guardo a lungo negli occhi, perché adesso sento che sei con me.

- Cosa c'è? - mi domandi finalmente con un sorriso.

- Non ti addormentare, per favore.

- Kurt, sono soltanto le quattro del mattino, abbiamo bisogno di dormire. Avremo ancora quasi una giornata intera...
- Per favore... Ancora un po'. - interrompo io e mi avvicino stringendo le mie labbra contro le tue. Non chiudo gli occhi, guardo come tremano le tue ciglia. Ti appoggio la mano sul addome e lentamente... molto lentamente la sposto giù. I muscoli sotto le mie dita si irrigidiscono e io apro la bocca, lasciando passare la tua lingua dentro. Arrivo all'elastico dei tuoi boxer e scivolo sul davanti. Per la prima volta ti sento con la mano, anche se attraverso il tessuto sottile dell'intimo. Mi guardi con i tuoi occhi grandi dallo spavento, ma io sposto la mano più giù, stringo appena e poi di nuovo su. Mi mordi il labbro e scatti con il bacino di qualche centimetro sopra il lenzuolo. Socchiudi gli occhi e io incoraggiato infilo la mano sotto l'intimo, toccando con la punta delle dita la tua pelle calda e quando finalmente ti stringo in un pugno, togli la mia mano. Lo fai delicatamente, ma io non posso resistere e mi arrendo rassegnato.
- Perdonami, Kurt.

 

Emetto un lamento e mi avvicino per un altro bacio, ma tu mi fai sdraiare sulla schiena e ti metti sopra. Io mi spingo su e non riesco a trattenere un gemito perché è una sensazione troppo bella, perché questa frizione è un dolce tormento. Continui a baciarmi, scendi con le labbra giù per il collo, mi baci le clavicole e il petto. Mi mordicchi la pelle vicino all'ombelico e io soffoco quando le tue dita mi sfilano la biancheria e poi sento le tue labbra intorno alla mia erezione. Non mi hai permesso di farti mio, ma ancora una volta dimostri che io sono tuo. Ma io sono felice. Mi sciolgo nelle tue mani, sulle tue labbra. Sei imbarazzato e inesperto, ma solo la vista della tua testa riccia sopra il mio bacino è sufficiente per portarmi ad un passo dall'orgasmo. E quando un'altra volta tu cerchi di non strozzarti, io stringo la tua mano, mi sposto da te e vengo sul lenzuolo. Non voglio che tu faccia qualcosa che ti disgusta... non voglio farti schifo. Non so nemmeno perché tu l'abbia fatto. Ho paura di guardarti, ma dopo un lungo minuto sento il tuo bacio appena sopra il sedere. Qualcosa dentro di me sussulta in una dolce attesa... ma no, mi abbracci e mi lasci un altro bacio sulla nuca. - Grazie... - dico in un sussurro soffocato dal cuscino e tu sorridi contro il mio collo e ti addormenti.

E quando quella sera te ne vai, so che non ti vedrò per parecchio tempo. Ma non pensavo che per così tanto. I primi tre giorni vivo nei ricordi di questo tempo passato insieme. Mi sono addormentato e svegliato con te, ho potuto starti vicino ogni minuto ed sono stato felice. Così come può essere felice uno a cui è stata rimandata l'esecuzione. Così come può essere felice uno che ha superato la chemioterapia, anche se le metastasi ormai sono in tutto il corpo. Cosi come può essere felice uno che ha evitato di essere investito da una macchina mentre andava per buttarsi giù dal tetto. Per una settimana intera non hai chiamato nemmeno una volta e io di nuovo scendo negli abissi della disperazione. Certo, continuo a mantenermi in forma, come sempre. Come sempre di sera ti aspetto sul terrazzo. Tengo sempre il cellulare a portata di mano, aspetto un tuo messaggio. Una telefonata. Dio Santo... qualsiasi cosa. Ma io non ti chiamo. E tu non chiami me.

Al decimo giorno inizio a pensare che non ti rivedrò mai più. Che sei partito con lei. Che sei semplicemente rimasto con lei. Che non verrai mai più in questa casa, non mi chiamerai più il tuo piccolo, non mi stringerai a te. Io soffoco, smetto di mangiare. Al quindicesimo giorno non resta più niente di me. Sono un miserabile niente, che si nasconde nelle viscere dell'appartamento. Mi vesto con fatica. Mi trascino sul terrazzo e fumo una sigaretta dopo l'altra, finché le prime luci dell'alba non mi cacciano via. Ma io aspetto. Io ancora aspetto. Perché tu hai detto di aspettarti sempre, come potrei osare infrangere la promessa che ti ho fatto? Se tu dovessi mancare, io non vivrei un minuto in più. Se finalmente tornassi, scoppierei in mille pezzi.

E tu torni. Io non mi alzo dal divano, non posso. Il mio viso è sprofondato nel suo tessuto marrone-scuro, fremo con tutto il corpo quando sento il tuo:
- Kurt.

Mi viene da vomitare – peccato, lo stomaco è vuoto – quando sento che ti spogli. Mi scoppia la testa quando ti siedi sul divano vicino a me, appoggi la mano sulla mia schiena e accarezzi dolcemente, chiedendomi:
- Stai bene? Non ti sei ammalato?
Io resto fermo, non riesco dire niente. Lo sto sognando, sono giochi della mia immaginazione. Tu mi scuoti per le spalle, mi tiri su e mi abbracci. E quando sento il tuo odore, dentro di me si sblocca qualcosa.
- Non mi sono ammalato. Io non vivevo proprio... - la mia voce è roca e soffocata perché negli ultimi cinque giorni non ho pronunciato neanche una parola.
- Perdonami: è che lì c'erano un sacco di analisi e il dottore e delle consultazioni. Tutto un gran casino... Sono due, ti immagini?
Alzo gli occhi su di te stupefatto.
- Sul serio? Pensi davvero che è questo che io voglia sentire?
Quasi non ci credo che questo sia possibile. Chi è quest'uomo davanti a me? Perché mi sta facendo questo?
- Kurt, scusami, capisco di essere nel torto. Ma sono qua, con te. Vuoi che resti stanotte?
Mi alzo in ginocchio, mi aggrappo alla tua camicia, la stropiccio e tiro su di me. Sono impazzito. Per la fame. Per la paura. Per la solitudine. - Resta per sempre. Ti prego, resta! - sussurro con la disperazione, stringendomi a te, facendo saltare i bottoni della tua camicia, baciando le tue labbra. Cerco di appropriarmi di te, prenderti e lasciare qua a tutti i costi.
- Kurt... Kurt, piano. - tu provi a catturarmi per i polsi, ma io mi divincolo. Sto tremando tutto, ma di nuovo mi attacco alla tua camicia... a te, soffocando per le lacrime ancora non piante.
- No! No! Blaine, rimani! Non te ne andare mai più! Io non posso vivere senza di te, morirei! No! No! Sono debole, faccio pena, ho bisogno di te!
Mi avvolgi con le tue braccia, mi stringi a te, mi sussurri le scuse nei capelli, mi calmo... quasi. Credo che riuscirò a calmarmi. Certo che non resterai, non puoi. Ma ora sei vicino. Sei vicino, Dio! Ma il cellulare dentro la tua tasca vibra. Tu non rispondi, ma comunque è come uno sparo. Da vicino. Dritto in testa.
- Vattene. - sibilo io, spingendomi via da te, stringendomi alla testata del divano e coprendo con la mano la bocca spalancata in un urlo silenzioso. Mi scende la saliva e la mia mano trema così tanto che sono costretto a morderla per fermarla.

- Per favore, calmati. Piccolo mio, per favore... - mi stai pregando, sembri spaventato, provi ad avvicinarti, ma io ti respingo con tutte le mie forze e urlo... Dio, la mia voce è veramente assordante.
- Vattene! Vattene! Lasciami stare! - mi mordo di nuovo la mano, e la saliva diventa salata. Stringo le palpebre con forza, sembra che tutto il mio corpo si irrigidisca in un crampo.

 

La porta sbatte. Resto da solo.

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Capitolo 8
*** É un certo nuovo livello. ***



 

L'angolo della tradutrice

Avrei una richiesta, carissimi! Il 4 di questo mese è il compleanno della bravissima autrice di questa ff. Potreste, per cortesia, scrivere delle recensioni in inglese, chi ne è capace, naturalmente. Così lei potrebbe leggerle direttamente, sono sicura che le farebbe piacere. Grazie.

Un avvertimento: nel capitolo è presente una scena a luci rossi. Non credo, dia fastidio a nessuno questa cosa, anzi... Pero è meglio dirlo, no?

Buona lettura!


 


 


 

É un certo nuovo livello.


 

Se solo tu avessi saputo quanto male mi facevi, non mi avresti mai mandato via. Se solo tu avessi saputo quanto mi terrorizzava lasciarti lì da solo, come mi si spezzava il cuore per l’angoscia, mi avresti costretto a restare con te. Mi avresti legato al termosifone e non mi avresti lasciato più andare via, fino alla morte. E sai una cosa?.. É proprio di questo che ho bisogno. Sono così stanco di essere forte, decidere tutto per tutti, controllarmi continuamente. Sono stanco di essere rispettabile, intelligente, equilibrato. Vorrei che qualcuno mi girasse nella direzione giusta e mi desse una bella spinta nel sedere. Vorrei che tu mi intimassi di restare con te. Ti giuro che sarei rimasto. Giuro che avrei rinunciato al mondo intero per te.

Ma invece me ne sono andato. Ho chiuso la porta alle spalle, sono sceso giù e sono rimasto a lungo in macchina davanti casa sperando di vederti, ma non sei uscito sul terrazzo. Morivo dalla paura per te, ma non sono tornato. Perché sei adulto. Sei forte. Sei il mio grande ragazzo e io non ho nessun diritto di trattenerti. E sai... sono pronto all'idea di trovare un giorno l’appartamento vuoto.

Non sarò mai pronto per questo in realtà. Non riuscirò a sopravvivere, se non ci sarai più. Perché è molto facile vivere in questo mondo, se tu ne fai parte. É molto facile essere un marito e un padre, un collega e un amico, essere tuo... Ma è assolutamente impossibile anche solo respirare, se non posso prenderti per la mano, se non posso sentire che mi chiami per nome.

E quando sono tornato a casa da Tina, ho subito capito quanto non volessi essere lì, colpito dalla consapevolezza che la mia vita è rimasta dentro quell’altro appartamento, vicino a te. Tu hai detto che non ero con te, ma ti sbagliavi. Perché io sono con te anche quando non ti sono vicino.

Eppure, non ho fatto niente. Vigliacco? Può darsi. Per essere sincero, ho voluto semplicemente scaricare tutte le responsabilità. Ho voluto darti la possibilità di scelta. Andartene oppure restare. E avrei accettato qualsiasi tua decisione. Sarei morto per questo, ma l’avrei accettato.


 

Da due giorni sono tornato al lavoro e tutto va come al solito. Una riunione al mattino, caffè in ufficio, qualche telefonata... Si può lavorare senza cuore. É vivere così che non riesco.

- Mister Anderson, c’è un corriere per Lei. – cinguetta il telefono con la voce di Brittany e io le dico di lasciarlo entrare.

Un ragazzo giovane mi porge una grande busta, io firmo la ricevuta, gli do la mancia e lui esce contento. Tornato al tavolo guardo bene la busta cercando di capire che cosa sia e da dove provenga. Con sorpresa noto che sulla carta non c’è nessuna scritta, nessun timbro. Ma a chi può venire in mente di portarmi in ufficio qualcosa di personale? Comunque, taglio il pacchetto con le forbici in cima e rovescio il contenuto sul tavolo. Quando il mio sguardo scivola sulle foto formato A4 che spargono per tutta la superficie, il mio cuore si ferma per un istante per poi ripartire ad una velocità pazzesca. Su tutte quelle foto ci sei tu... Tu con la camicia sbottonata, con le mani legate dietro la schiena, con un nastro nero sugli occhi e uno uguale sulla bocca. Sei seduto su una sedia, sdraiato per terra, in piedi appoggiato al muro e piegato sul tavolo della cucina a faccia in giù. La cintura dei tuoi pantaloni neri e stretti è così bassa che posso vedere la tua pancia piatta e liscia con una scia dei peli chiari in mezzo che sparisce sotto. Le aureole scure dei capezzoli e le clavicole sottili e fragili. Tutto questo sarebbe potuto sembrare volgare, se non si trattasse di te.


 

Chi ha fatto queste foto? Chi le ha viste? Come hai potuto rischiare così e mandarle qui in ufficio? E se avessi aperto la busta in presenza di estranei? Sei impazzito. Sei fuori di testa. Sei completamente matto... Ti voglio.


 

Racconto a Brittany una balla su un affare molto importante e urgente, mando al diavolo tutti gli appuntamenti di oggi e volo da te, stringendo la busta al petto.

Non entro nell'appartamento... irrompo! Ma non sento nessuna voce, né il suono della musica: qui regna il silenzio totale. Non ti chiamo, mi addentro, fidandomi delle mie sensazioni, lasciandomi guidare dalla corda immaginaria che ci tiene uniti. Non sono sorpreso di trovarti seduto sull’alta sedia da bar in cucina. Sei tale quale sulle foto. Con una fascia sugli occhi e una sulla bocca. Le tue gambe sono divaricate e le mani legate dietro. Comincio provare dolore fisico dal desiderio che mi travolge, ma non posso prenderti ora... semplicemente non posso.

Mi avvicino, tiro giù il nastro nero dalle tue labbra e attacco la tua bocca, baciandola in modo così intenso e profondo, come se volessi bere tutta la tua anima attraverso questo bacio. Mordicchio e torturo le tue labbra, in risposta tu emetti dei piccoli gemiti, rovesciando tutto dentro di me e facendomi stringere a te ancora più forte in mezzo alle tue gambe che tu immediatamente avvolgi intorno alla mia vita e a quel punto non mi resta altro che afferrarti per il sedere e sbattere contro il muro dietro di noi, facendo cadere la sedia.

E sai, per quanto mi possa eccitare questa immagine, ho bisogno dei tuoi occhi e quindi strappo l’altra fascia incontrando il tuo sguardo.

- Sei malato.

- Malato... di te. E non c'è una cura.

- Sei impazzito.

- No, per ora sono al limite.

- Non ti muovere, per favore... – sussurro nel tuo collo e tu scatti così forte che colpisci la testa sul muro, ma non te ne accorgi nemmeno.

Arrivo ai tuoi polsi e con facilità sciolgo i nodi di seta buttando il nastro per terra e tu mi avvolgi il collo, ti stringi al mio petto e mi baci, Dio... con così tanta passione che io perdo le staffe. Ti faccio scendere per terra e le tue mani immediatamente scivolano sulla camicia sbottonandola ad una velocità incredibile, poi ti abbassi in ginocchia e premi le labbra sul mio addome allargando i lembi del tessuto leggero. Altrettanto presto apri la cintura e i miei pantaloni cadono intorno alle mie caviglie. Ti fermi un attimo, alzi il viso e posso giurare di vedere l’esultanza nei tuoi occhi prima che tu possa tirare giù l’intimo e mi tocchi con le labbra. Non voglio pensare con chi tu l’abbia imparato, ma già le prime mosse mi strappano un gemito e mi costringono ad appoggiarmi al muro, perché è troppo piacevole.

E quando mi sembra che sono al limite stacchi le labbra e ti alzi. Per un secondo mi viene voglia di afferrarti per le spalle e farti tornare giù, invece sto fermo e ti guardo negli occhi cercando di focalizzare lo sguardo. Tu sorridi, ti lecchi le labbra e ti giri di schiena, aprendo la lampo dei pantaloni. La tua mano si allunga verso la tasca posteriore e tira fuori un quadratino lucido e un piccolo tubetto. Li prendo dalle tue mani e capisco che non c’è possibilità di tornare indietro. E sai una cosa... io non voglio tornare indietro. Sopratutto quando tu tiri giù i pantaloni e io vedo che non indossi l’intimo.

- Ma Kurt, io... Io non so cosa fare. – piagnucolo io, ricoprendoti la schiena di baci, accarezzando il tuo addome. Ed è vero, io non so cosa e come fare nel modo giusto. Tu sbuffi divertito e ridi. Dio, ma come puoi fare questo ora e in maniera così adorabile? Ti giri per guardarmi, riprendi il lubrificante e fai un cenno verso il preservativo.

- Con quello ti arrangi? – mi acciglio offeso e apro la bustina con i denti. Aspetti che io abbia finito, poi prendi la mia mano, metti del lubrificante sulle mie dita e altrettanto sulle tue. Ti porti la mano dietro la schiena e io non posso fare altro che seguirla con lo sguardo. Mi mordo il labbro quando il tuo primo dito sparisce dentro di te. Perché non l’avevo mai visto. Non avevo mai visto niente del genere. Niente di così depravato e bello insieme. Ti seguo con la mano, ti tocco delicatamente con un dito, spingo e tu tiri su l’aria tra i denti.

- Faccio male?

- Non ti fermare.

E io non mi fermo. Dopo un minuto ti fidi abbastanza da togliere la tua mano e lo faccio da solo. Con un dito. Con due. Con tre. E quando ti appoggi con la fronte sul muro e inarchi la schiena, lo prendo come un segnale, stringendo i miei fianchi ai tuoi, spingendo piano e perdendomi subito nelle sensazioni. Cerco di fissare le mani sul muro ai lati della tua testa, ma loro scivolano giù e io ti afferro per la vita, ti stringo le spalle, la pancia, il petto. Avvolgo il tuo pene con il palmo e mi sembra di svenire quando sento il tuo primo gemito forte. Ora ho bisogno di sentirlo di nuovo. Quindi cambio il ritmo, la velocità, l’angolatura... Imparerò a suonare questo strumento, solo dammi un po’ di tempo.

Vedi, va già meglio. I respiri affannati si susseguono con i gemiti e i gemiti con le piccoli grida. Ma io non posso ancora durare tanto e quando ti stringi intorno a me, abbassi le mani e ti accasci sul muro venendomi nella mano, anch'io mi lascio andare con le ultime spinte e lentamente scivoliamo sul pavimento. Ancora uniti, con il fiato corto e la pelle sudata, con le camicie sulle spalle e i pantaloni intorno alle caviglie.

- Ti amo, Kurt. – rompo per primo il silenzio e ti abbraccio, strofinando il naso sul tuo collo, respirando il profumo della tua pelle, del nostro amore.

- Cosa hai detto? – il tuo corpo si irrigidisce, ma io ti bacio sulla spalla e ti rilassi di nuovo.

- Ho detto che ti amo.

- Ma tu... non l’hai mai detto prima. É per il sesso... è così? – tu sbuffi e io ti do un pizzicotto sul fianco.

- Stupidino. Io ti amo davvero.

- Sul serio?

- No, cazzo! – tolgo le mani, ma tu subito ti appoggi con la schiena sul mio petto e sospiri.

- Beh... tu tanto sai già che io ti amo.

- No, così non vale! Anche tu lo sapevi che ti amassi, ma te lo detto lo stesso, quindi... ti tocca.

- Io ti amo, Blaine.

- Sul serio?

- No, cazzo! – ora tu mi pizzichi e ridi così che non sono più sicuro di cosa sia meglio: l’orgasmo oppure questo suono.

- Amore mio, piccolo mio... mio provocatore del cazzo... Sei uno squilibrato, lo sai... cosa ti è passato per la testa per fare una cosa del genere?

Tu continui a ridere, ti alzi in ginocchio, separandoci, ma ti giri immediatamente verso di me, mi abbracci per il collo, mi baci sulle labbra e sul naso, ti stringi al mio petto così forte come se volessi metterci le radici.

- Se non posso averti in modo legale, ho intenzione di rubarti spudoratamente. Sei mio. Ti voglio. Ho il diritto di averti senza nessun diritto! – lo dici forte con un tono serio e sicuro. E poi aggiungi piano:

- Vero?

E in questo momento sei talmente infantile che ti stringo a me dolcemente e ti sussurro nel orecchio: - É vero. Sono tuo.

Alle cinque di quel pomeriggio siamo a letto e tu brontoli che sarai costretto a passarci altri tre giorni perché non riusciresti ad alzarti e io fumo in un posacenere e lentamente muoio dalla felicità. No, non è vero, io non sto morendo, sto ritornando a vivere. Forse, noi abbiamo il diritto di essere felici? Forse, noi ce l’abbiamo un futuro?

Un po’ di cenere dalla tua sigaretta mi cade sulla pancia. Tu butti giù il fumo e poi lecchi la piccola macchietta grigia dalla mia pelle.

- No, Kurt! Lascia! É amara! – io rido, spengo la sigaretta contro il vetro, allungo la mano affondandola nei tuoi morbidi capelli.

- Ecco, andiamo bene... ora “No, Kurt!”. Adesso forse mi dirai anche “A cuccia!” oppure chiederai la zampa...

- Zampa? – e mi porgi la mano in silenzio.

- A cuccia? – mi sali sopra, baci sulle labbra e sussurri con un sorriso birichino:

- Solo come un gioco di ruoli, nient’altro.

- Si, certo, l’avevo capito. – rido e ricevo un morso sul mento in risposta.

- Seduto! – comandi tu e non mi resta che mettermi seduto, sorreggendoti sotto la schiena.

- E bravo ragazzo... – lasci un bacio sulle mie labbra, e la nostra risata taglia l’aria intorno.


 


 

 

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Capitolo 9
*** Ecco, sono vivo ancora. ***


L'angolo di Ali   Ciao a tutti! Ringrazio di cuore quelli di voi chi aveva scritto delle belle parole alla autrice, che vi ringrazia tanto! Comunque, mi farebbe piacere vedere un po' più di risposta... le vostre recensioni significano molto per noi - autori e traduttori. Buona lettura!


Ecco, sono vivo ancora.
 
Non mi sento più un delinquente, non mi ritengo un ladro. Tu semplicemente non appartieni a nessuno e tutti noi ti... affittiamo. É semplice immaginare te come un oggetto, finché tu non sei davanti a me, finché le tue labbra non sono sulle mie. Perché non appena sei vicino, subito diventi la massima priorità, ti metti allo stesso gradino con... no, neanche Dio, in Lui io non credo. Semplicemente sei al di sopra di tutto, sei di nuovo unico, irripetibile, il solo... qualcuno, per cui vale la pena di vivere. Qualcuno per cui potrei morire.
E mi sembra di morire ogni volta che dici di amarmi. Mi sembra di morire nelle tue mani, con le tue carezze. Non mi basterai mai, non mi stancherò mai di te. Tu sei tutto quello di cui ho bisogno. Io non so cosa succederà domani. Cosa succederà tra un mese, quando lei partorirà. Tu prometti che non mi lascerai e io non riesco a non crederti.
E sai una cosa... sembra quasi che io possa vivere così per sempre. Da un incontro all'altro. Da una telefonata all'altra.
E ancora... nel mio ultimo attimo io non rimpiangerò di aver vissuto questa vita, essendo per te... nessuno. Perché non sono nemmeno un'ombra, un'ombra è sempre vicino, un'ombra si vede. Io sono invisibile agli occhi di tutti, sono nascosto, e fondamentalmente non esisto, quando non sono con te.
Ma io non avrò dei rimpianti, perché ho conosciuto la felicità.
E se tu non sarai con me nel mio ultimo istante, se sarai morto a quel punto, mi ricorderò lo stesso come mi sussurravi:
- Ti amo, piccolo mio.
E morirò con un sorriso sulle labbra. Prometto. Te lo prometto, amore mio.
Non mi sento più infelice, non mi sento un miserabile. Sono un drogato a cui hanno detto che la sua dipendenza non è curabile e la sua droga non diventerà legale, ma la sua dose l'avrà. Per quanto ancora non si sa. Ma questo non importa. Non sono solo in questo. Ci sono miliardi di persone che vivono nel mondo senza sapere se hanno cent'anni di vita davanti oppure tra un minuto riceveranno un mattone in testa.
Non è che me l'hai insegnato, ma grazie a te l'ho imparato. Essere felice delle piccole cose. Chiedere. Ricevere. Sorridere.
Io ho avuto molti uomini. Al liceo addirittura delle ragazze, non ridere. Ma mai nessuno è stato come te.
Noi spesso facciamo l'amore, ma sei ancora delicato con me come fossi di cristallo. E ogni volta che ti supplico di essere un po' più rude, diventi ancora più tenero.
A volte sono costretto prendere tutto nelle mie mani, e allora spalanchi gli occhi osservando sorpreso cosa so fare.
Sei così maledettamente bravo a letto che ho paura solo a pensare quante donne hai avuto. A quante dicevi ti amo? Tu dici che sono al primo posto nel tuo cuore. Ma come può essere questo? Tu menti, amore, ma la mando giù questa bugia. Hai amato Rachel. E anche a Tiffany tu vuoi bene. Hai amato Santana e ami Tina, tanto.
Spero solo di stare su un'altra mensola. Perché se un uomo ti dice che ti ama, questo non significa che ami SOLO te.
Io non ci conto. Non spero. Non sono così stupido.
Ma tu mi ami. E questo è fantastico perché anch'io ti amo. Più di tutto al mondo. Più del mondo stesso.
 
- Immagina, Rachel ha deciso di trasferirsi da quel Finn e porta Tiffany con lei! - sputi queste parole arrabbiato ancora sulla soglia. Non ti togli più il cappotto, perché è estate ormai. L'estate che si avvicina alla fine...
Esco in corridoio, mi appoggio di schiena al muro e incrocio le braccia.
- Blaine, tu lo sapevi che prima o poi sarebbe successo.
- Ma io non voglio dire addio a mia figlia e vederla una volta all'anno o anche meno. E presto lei diventerà una donna adulta... E porca puttana, ma che cazzo?!
- Sei furioso... ehm? - sospiro, faccio un passo verso di te e ti circondo il collo con le braccia. Ti attacchi con le labbra alla mia spalla nuda e fai un paio di respiri profondi. Dopo un minuto le tue mani scivolano sui miei fianchi, mi stringi a te e dici piano con un sorriso:
- Non più...
Non riusciamo ad arrivare al letto cadendo sul divano e poi da lì sul pavimento. Passa poco e il morbido tappeto color sabbia accoglie i miei gemiti e singhiozzi soffocati. Mi spingi giù e sbatti con i fianchi con tale intensità che sono seriamente preoccupato per l'integrità del mio sedere. Ma come potrei protestare se ogni spinta mi costringe ad inarcarmi e gridare, gridare quanto ti amo?
- É la mia impressione oppure per la prima volta sei stato... non troppo tenero? - mormoro io, cercando di capire dove si trovino tutti i miei arti, mentre tu mi baci sul collo da dietro senza uscire da me ne scendere da sopra.
- Mmmmmfff...
- Addormentati ancora lì.
- Perdonami. Io solo... Ti ho fatto male?
- Mi hai fatto... maledettamente bene. Continua pure con questo spirito, solo permettimi di prendere respiro, se no potrei rimettere. Sei pesante.
- Scusa. - tu scivoli giù trascinandomi sopra di te, io mi lamento, perché il mio sedere brucia in maniera quasi insopportabile e poi il tuo sperma dentro di me... è un tantino disgustoso.
- Ho bisogno di una doccia, Blaine.
- Ti amo, Kurt.
- Anch'io ti amo. Andiamo.
- No. Aspetta.
- Cosa c'è? - ci provo a girarmi verso di te, ma tu non mi permetti di farlo, mi stringi tra le braccia e mi baci sulla nuca.
- Tu devi andare via. - mi sussurri tra i capelli e per alcuni secondi io semplicemente prego di aver frainteso. - Per favore. - aggiungi tu e io sento come scoppiano le valvole del mio cuore.
- Kurt! Kurt! - arriva la tua voce come attraverso una fitta nebbia e sento le tue mani fresche sulle guance. Perdere i sensi non è la reazione più adeguata.
- Perché?
- Amore, calmati, ti prego. Non intendevo in quel senso!
- E in quale? - domando stupidamente e cerco di alzarmi, ma mi fa male la testa. E anche il culo. Mi sento come se un tir mi fosse passato sopra.
- É che adesso per un po' di tempo le dovrò stare vicino e io non voglio che tu stia qui ad aspettarmi. Vorrei pagarti un viaggio. Vuoi andare in Europa? O in Australia? Qualche isola esotica? Un safari? Qualsiasi punto del mondo. Mi farà male saperti rinchiuso qua, mentre io sarò bloccato lì. Ti telefonerò, tu mi manderai le foto. E poi quando tornerai, mi inventerò un viaggio di lavoro per una settimana intera e non ti mollerò neanche per un attimo.
- Mmm... É assurdo. - io torno a respirare. Sono felice, cazzo! Tu non mi mandi via sul serio, Dio! - Va tutto bene, Blaine. C'è un po' di senso nelle tue parole. Io andrei a casa dai miei, se non ti dispiace. Non li ho più visti da un anno ormai. Non siamo molto legati, ma comunque... Quanto tempo dovrei passare lì?
- Non lo so. Non andare via prima che lei vada in ospedale. Forse tra un paio di settimane. E ancora un paio dopo il parto...
- Un mese? Oh, i miei saranno sorpresi. Dirò loro che mi hanno licenziato.
- Sei così tranquillo... - sembri preoccupato, allunghi la mano verso di me e io prontamente ci appoggio la guancia trovo la tua bocca e ti bacio. Salgo sulle tue ginocchia, cercando di non farci caso al dolore e mi stringo a te.
- Mi sono rassegnato, Blaine. Nessuno può soffrire sempre, le mie corde non possono essere tese di più. Sei qui, sei vicino, tu sarai con me. In un modo o nell'altro... Quindi è quello che mi merito. Va tutto bene. É la vita.
- Sei un Santo? - Pff... Un gay Santo, suona magnifico.
- Ma tu non puoi essere così...
- Così come?
- Così perfetto.
- Sono assolutamente normale, Blaine. Solo che per te io voglio essere il migliore. Semplicemente con te tiro fuori il meglio che c'è in me. Perché te lo meriti.
- Non me lo merito, Kurt. Sono una brutta persona. Mi odio. - Ti giri, ma io riesco di catturare tutto il dolore di cui sono pieni i tuoi occhi. Quando ci fanno male, ci limitiamo a pensare al nostro dolore. Incolpiamo chi ci ha offeso, lo malediciamo. Nessuno pensa a come si senta lui. Non si può accontentare tutti. E a volte succede di fare male anche a quelli che noi amiamo. Perché... succede. E non ci si può fare niente.
- Ma io ti amo. - catturo il tuo viso, bacio le tue palpebre tremanti, la punta del naso. Mi strofino contro di te con la guancia finché tu non sorridi e allora sorrido anch'io. - Per me sei il migliore. Qualsiasi cosa tu faccia. E se nei notiziari del mattino sentirò che tu hai mangiato tre neonati, dirò che era colpa loro e se lo maritavano.
- Grazie.
- E per cosa?
- Per tutto, Kurt, per tutto.
Dopo un mese sono a casa dei miei sul terrazzo. Sfoglio un libro e osservo due cuccioli che i miei genitori hanno preso da poco. Sono così giovani ancora. Non si sono neanche sorpresi che in un anno intero avevo telefonato non più di una decina di volte. Se ne fregano di me? Può darsi. Ma forse è giusto così.
E sai, sto bene qua. Sono tranquillo e mi sento libero. Sei sempre il più importante per me, ma io non soffro. Ricevo i tuoi messaggi, sento la tua voce, leggo le mail. Non ci vediamo da due settimane, ma non è poi un periodo troppo lungo, è già successo. Ed è molto meglio che me ne sia andato, invece di stare in quell'appartamento, aspettandoti inutilmente. Qui posso evitare di sussultare ad ogni tintinnio delle chiavi. Non devo cucinare troppa roba per poi buttarla quando non vieni. Potrei probabilmente dimenticare come si prepara il caffè. Il tuo preferito.
Mi sono abbronzato, il che succede piuttosto raramente. Tu non crederai ma qui io non indosso le sciarpe. Giro sempre con delle magliette e dei pantaloncini. E grazie al cielo che tu non mi puoi vedere, sembro un adolescente denutrito. É solo per te che sono sempre impeccabile. Ma così... non sono assolutamente nulla di particolare.
Al mattino mi fai sapere che le doglie sono iniziate. É normale per te condividere con me tutti i particolari della tua vita. Io accetto tutto, adoro ascoltarti. Non mi fa male.
Cerco di immaginare i vostri figli. Un maschio e una femmina. Come li chiamerete? Loro non hanno nessuna colpa. Avranno il papà migliore del mondo.
Con un po' di fortuna potrei morire per un melanoma tra un paio di mesi, tu piangeresti per un pochino, ma poi ti passerebbe e loro non saprebbero mai che c'era il tempo quando tu eri triste.
Non sto soffrendo. É solo la malinconia.
La tua vita va avanti. Hai avuto una promozione. Io sono fermo. Mi trascino dietro di te come un peso. Ma tu mi ami. Ed è questa la cosa più importante.
Quattordici ore dopo il tuo messaggio sulle doglie il mio telefono suona. Io rispondo pronto a congratularmi con te, perché no? Ma invece di gioia, sento la tua voce soffocata e senza vita.
- Embolia del liquido amniotico... Non sono riusciti a salvarla, Kurt. Non l'hanno salvata... - la tua voce si interrompe, io non sento il tuo pianto, soltanto il respiro rotto.
- Scrivimi l'indirizzo dell'ospedale. - dico più tranquillo che posso, sperando che tu mi abbia sentito.
Mi alzo e vado a fare le valige e ordinare il biglietto per New York.
Non l'ho mai conosciuta. E ora lei non c'è più. Una morte così, durante il travaglio, una su 80.000 casi. Così strana. Così unica. Che peccato, aveva soltanto due anni più di me.
Tu hai bisogno di me. Questo mi scalda il cuore.
Tutti se ne vanno. Io resto.
Sono un tale bastardo... Sorrido.

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Capitolo 10
*** L'autunno ***


L'autunno.

 

Ero così agitato quando mi hanno informato che le erano iniziate le doglie. Non ho smesso di amarti, ma in quelle ore amavo anche lei tantissimo. Lei mi stava regalando i bambini, mi guardava con gli occhi brillanti e sorrideva, nonostante il dolore. Lei rideva e continuava a ripetere che Kelly e Kevin sarebbero diventati dei veri combattenti, se insistevano così tanto per uscire fuori. Lei si incazzava e sparava delle parolacce che io non sapevo nemmeno che esistessero. Lei cantava delle canzoni in cinese e non smetteva di girare intorno alla stanza.

Io ho assistito alla nascita di entrambi. Per primo è nato Kevin, molto grosso e scuro di pelle come me. Poi Kelly, più fragile, ma sana. Ho sentito il primo urlo dei miei figli quasi contemporaneamente con l'ultimo respiro di mia moglie, la loro madre.

Avevo così tanta paura. C'era un casino, tutti gridavano, hanno portato via i bambini e hanno iniziato a dare delle scariche elettriche al suo cuore. Ma lei non ha più aperto gli occhi. Sai, un'embolia... è così veloce e così terrificante. Ti ho telefonato e solo quando l'ho detto ad alta voce che lei non c'era più, che mi sono lasciato andare.

Tina, cara, buffa, giovane ragazza. Mi ha dato due bambini e ora è all'obitorio. Non so come dirlo a sua madre. Non so come farò a dirlo ai nostri figli. E non so come sia possibile essere un tale stronzo e non smettere di amarti neanche per un secondo.

Tu hai detto che verrai e questo è stato sufficiente per lasciarmi andare alle lacrime. Sono semplicemente scivolato a terra, tra le due panchine, singhiozzando. Nessuno mi ha disturbato, devo dargli merito. Solo degli sguardi compassionevoli, che facevano venire la nausea, ma non sono riuscito ad incolparli. Non era colpa loro. É stata una morte così assurda e rara, così veloce e assolutamente improvvisa.

Tina ha pagato per le mie colpe. Sono io che l'ho ammazzata con la mia indifferenza, con il mio amore per te. Ma io non sto incolpando nemmeno te. Qui c'è solo una radice del male e sarebbe giusto estirparla, solo che ora non sono più solo al mondo. E mentre Tiffany è stata portata via da me, mentre lei è abbastanza grande, Kelly e Kevin invece sono troppo piccoli. Hanno bisogno di me. E io ho bisogno di te, lo riconosco.

Tu arrivi molto velocemente e ti porti dietro gli ultimi pezzettini d'estate. Intorno a me è l'autunno, ma tu sei così abbronzato e caldo e hai il profumo del sole addosso. Mi trascini dentro una stanza vuota, mi attiri tra le tue braccia, baci il mio viso salato e umido, sei così forte e sicuro che dimentico tutto per un paio di secondi, poi espiro... e mi sento un po' meglio.

- Kurt, lei... io non so come... loro... - riesco solo a blaterare delle frase sconnesse, senza smettere di singhiozzare e piangere. 
- Ti amo. Tu vuoi bene a loro. E lei... lei ti amava. Blaine, questa è la vita. E la morte ne fa parte. Succede. Non è colpa tua. Tu ce la farai. Noi ce la faremo. Prometto. Io ti sarò vicino. Sempre.
Io alzo gli occhi su di te e annuisco. Tu mi sarai vicino.

Tu vieni al funerale e stai in lontananza nella folla. Nessuno domanda chi tu sia e cosa ci facessi qui. Non ti avvicini a me, ma semplicemente vedere il tuo sguardo mi è sufficiente. Tina è così giovane con questo vestito rosso-corallo. E queste rose le stanno d'incanto...
I nostri figli sono ancora in ospedale. Ho trovato tre tate, ho comprato tutto il necessario, ho pensato a tutto. L'unica cosa che non so è, cosa fare con loro. Ho una paura matta. Anche se mi sono occupato tantissimo di Tiffany.

Dopo il funerale stiamo a casa tua. Facciamo fuori una bottiglia di Gin in silenzio. Ci guardiamo senza toccarci. Ma mi basta anche semplicemente sentire il tuo respiro. Mi basta svegliarmi e affondare il viso nella curva del tuo collo e sentire come mi abbracci e mi dici:

- Sei meraviglioso, sei il migliore. Non hai nessuna colpa, diventerai un ottimo papà...
E io ti sussurro parole d'amore e per la prima volta in questi giorni mi addormento tranquillo.

Dopo due mesi, quando l'autunno non è ancora in pieno delle sue forze, ma si sente sulla pelle, mi chiami di giorno mentre sono al lavoro e mi chiedi di passare a prenderti. So che hai di nuovo una vita tua ed è normale. Hai la tua macchina e io non capisco perché hai bisogno di me. Ma dopo il lavoro vengo sotto casa e tu scendi. Mentre cammini verso la macchina, non posso fare a meno di ammirarti. Sembra che tu sia dimagrito ancora, ma sei così elegante, così grazioso e così bello... E io ti amo così tanto.

- Portami a casa tua, per favore? - Sul serio? Ma...

- Lo so, lì ci sono Kelly e Kevin e la loro tata, ma puoi chiederle di andare a casa. É tutto a posto. Vorrei solo conoscerli, se non ti dispiace...
Io non ho parole, annuisco e metto in moto.
Per la prima volta ti vedo a casa mia ed è così strano. E così... Così giusto. Tu togli le scarpe e la giacca e ti lavi le mani con cura. Per la prima volta sono io a prepararti il caffè e tu mi domandi un po' timido:
- Dove sono?
Mi sento agitato, non so nemmeno io il perché e ti accompagno di sopra nella cameretta. Lascio andare a casa signora Prais e ci avviciniamo alle due culle l'una accanto all'altra. E sai... Mi ricordo com'era Rachel con Tiff. Non ho mai potuto vedere Tina con loro. Ma il modo in cui sei ora qui... Vorrei dipingere un quadro se solo sapessi farlo. Tu prendi in braccio Kelly con infinita delicatezza, la guardi a lungo e poi sorridi e alzi gli occhi su di me.
 - Assomigliano tantissimo sia a te che a Tina allo stesso tempo! Sono così belli... e fortunati. E tu sei fortunato...
- Kurt... - Non sono geloso, Blaine. Non più. Sono i tuoi figli, sono parte di te. E io ti amo, quindi, come faccio a non volere bene a loro?

- Sei incredibile. - sussurro io, metto Kelly di nuovo nella culla e ti trascino dalla cameretta nella stanza degli ospiti. Non in quella mia e di Tina e tu lo apprezzi. Ti spingo con tutto il corpo sul letto e ti bacio così profondamente, che tu quasi soffochi gemendo forte. Per la prima volta, da quando è successo tutto questo, siamo di nuovo insieme e sei così sensuale che quasi scotti. Sei teso e nello stesso tempo dolce. Ti arrendi a me con tanto desiderio come se fosse l'unica cosa che aspettassi. Come se io fossi la cosa più importante.

Il periodo più strano inizia in primavera. Quando tu non vivi da me, ma ci passi sempre più tempo. Quando tutti i giorni ti occupi di Kelly e Kevin e io rinuncio ai servizi delle due tate, lasciandone solo una. Quando in un negozio per la prima volta ci prendono per una coppia, noi ci guardiamo facendo spallucce, fingendo di non capire di cosa parlino.
Semplicemente la nostra vita è affar nostro. Semplicemente non me ne frega niente di nessuno, a parte di noi. Te, me e i bambini. Tu non li chiami nostri, li chiami sempre miei, ma io cerco di non concentrarmi su questo.
- Kevin, amore, sorridi! - ridi tu e cerci di catturare un sorriso sulla faccia di mio figlio, mentre io tengo tutti e due in braccio e tu provi a scattarci una foto. Kevin mette su il broncio, tu abbassi le mani e appoggi la macchina fotografica sulla mensola e proprio in quel momento lui scoppia a ridere. Tu sbuffi, strappi Kevin dalle mie mani, lo fai girare intorno alla stanza e poi lasci un bacio sonoro sulla sua guanciotta paffuta. Il piccolo strilla, ride e tu sei di una bellezza accecante, che mi stringe il cuore. Portiamo i bambini nei loro lettini e andiamo in camera da letto. Non è più la stanza degli ospiti: è la nostra. E sì, nel fine settimana tu devi fare un salto a casa, perché qua non hai quasi niente di vestiti. Semplicemente il mio armadio ne è strapieno, ma eccetto questo assolutamente niente.
Le nostre dita si intrecciano sotto la coperta, io accarezzo il tuo collo con le labbra e tu sorridi nel buio della stanza.
- Ti amo.
- Ti amo.
- Siamo due matti.
- Da legare.
- Sei mio.
- E tu sei mio.

 

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Capitolo 11
*** 11. E il resto tu non devi sapere. ***






Non hai idea quanto facilmente cambi il corso del tempo a seconda dello stato d’animo. Quando stai male, i minuti sembrano anni. Quando ti senti bene, - i mesi scattano come secondi. Le notti senza di te duravano così a lungo, che mi sembrava fosse più facile scontare una pena in prigione, che riuscire ad arrivare al mattino. I giorni con te passavano veloci come uno svolazzare di ciglia. I tuoi baci, anche i più lunghi, sembravano più brevi di un battito di cuore. Aspettarti  è un impresa più dura che attraversare a nuoto il canale della Manica.
 
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Per un solo motivo io non mi rendo nemmeno conto di come volino via  due anni. E questo motivo sei tu. Noi ora viviamo insieme. Tu, io, e i tuoi figli. Sono ancora i tuoi, perdonami. Io adoro Kevin e Kelly, trascorro con loro non solo tutto il mio tempo libero, trascorro con loro semplicemente tutto il mio tempo. Ma questa non è la nostra famiglia. Non so perché. Sono un egoista. Oppure uno scemo. Ma loro sono figli tuoi e di Tina, e io vivo con voi e basta. Naturalmente, so che mi ami. No, non dubitarne. Ti prendi cura di me, mi tieni la mano durante una passeggiata, e te ne freghi degli sguardi altrui. Tu sei il mio uomo, per me sei il più forte del mondo, io per te sarò sempre il ragazzo più dolce.
 
 
 
 
La sera ti aspettiamo a casa, io cucino, e i bambini disegnano divertenti geroglifici sui pezzi di carta. Tu li porti in giro sulle spalle, tu mi riempi di carezze in camera da letto.
 
È un po' difficile per me vivere in una casa dove hai vissuto con Rachel, dove hai vissuto con Tina. A volte mi sento come se fossi uno qualsiasi... uno dei tanti, e mi fa quasi schifo, come inalare di nuovo il fumo di una sigaretta spenta. È come il gusto amaro sulla lingua dopo una compressa. Come il male alle gambe dopo una lunga passeggiata.
 
Ma come potrei lamentarmi? Prima non avevo nulla. Ora ho più di tutto. E giuro, sono quasi felice. Perché quasi? Sono semplicemente uno stupido. Non lo so. C'è qualcosa che mi trattiene. Una pellicola finissima tra me e la pura felicità. Perché la felicità non è una vita dove non hai nulla di cui preoccuparti o che ti renda triste.
La felicità è uno stato d’animo. La mia anima è consumata, come il cappotto di un barbone. Quale atelier potrebbe ridargli l’antico splendore? Un atelier magico. E la magia non esiste. Perdonami. Il cappotto rimane consumato.
 
 
 
 
Mi fa male la pancia. No, non è una metafora e non faccio l’isterico, mi fa male davvero. Nei primi tempi succede quando mi dimentico di mangiare. Poi - quasi costantemente. In principio io non ci faccio caso. Dopo comincio a prendere antidolorifici. Poi non aiutano nemmeno quelli. Non ti dico niente e cerco di non strizzare gli occhi dal dolore. Quando per la prima volta dopo il sesso il tuo membro è sporco di sangue e tu a lungo in ginocchio mi implori di perdonarti per non essere stato abbastanza gentile, io dico che va tutto bene, ma non capisco qual è il problema, perché non mi fa assolutamente male. Tutto come sempre, sul serio. Quando per la prima volta dopo il sesso il sangue rimane sulle lenzuola, me ne accorgo al mattino, mentre faccio il letto, e allora mi rendo conto di essere arrivato al punto quando è ora di andare dal medico.
Lascio i bambini con la baby-sitter e vado in una clinica usando la tua assicurazione. Non ho intenzione di nasconderti niente, semplicemente non voglio fare troppo rumore per nulla.
 
Parlo con il medico, gli racconto di tutti i sintomi, e lui mi manda a fare  l'endoscopia. Mi dicono che ho l'ulcera. Dicono che sia profonda, e che ho aspettato troppo. Mi dicono di ridurre lo stress e mangiare meglio. Mi fanno una biopsia, per assicurarsi che non sia un tumore.
 
Io aspetto i risultati in corridoio, e dopo un paio d’ore mi chiamano. Sul viso del  medico c’è così tanta compassione, e quando inizia spiegarmi usa così tanti termini specifici, che io capisco tutto subito. Domani devo ricoverarmi. In settimana mi operano. Vado a casa, devo andare da Kelly e Kevin.
 
Ceniamo, mettiamo i bambini a dormire, io lascio un bacio delicato su entrambe le testoline ricciolute e ti seguo in camera da letto. Dopo la doccia ti corichi a letto, la luce è ancora accesa, e questo è un bene. Io mi sdraio accanto a te, ti guardo negli occhi e ti dico con una voce bassa e molto tranquilla:
 
- Ho un cancro allo stomaco.
 
 
 
 
Onestamente, non ho mai visto due occhi trasformarsi e diventare come erano diventati i tuoi dopo quelle mie parole. Come due buchi neri. Come città dopo un inverno nucleare. Come miniere profonde. Erano vuoti, ma dopo un attimo il vuoto fu sostituito da un  dolore talmente acuto, che dovetti chiudere i miei, per non ferirmi.
 
- Ma... - il tuo respiro si spezza, sento questo singhiozzo strozzato che ti scappa dal petto.
 
- Domani mi ricovero in ospedale. Tra un paio di giorni mi faranno l'operazione. Poi un controllo. Sembra, che la situazione non sia poi così male. Mi toglieranno una parte dello stomaco, ma tanto io mangio poco e quindi non lo sfrutto, - provo a scherzare, ma hai una espressione come se ti avessi preso a schiaffi.
 
- Kurt... – stringi le mascelle così forte, che ho paura che le ossa possano cedere. Mi accoccolo piano sul tuo grembo, ti abbraccio per il collo e ti bacio sulla tempia. Mi vine così naturale cercare di tranquillizzarti.
 
- Blaine, andrà tutto bene. Te lo prometto, non morirò. Non presto, comunque. Tu mi ami?
 
- Ti amo.
 
- Questo sarà sufficiente. Di sicuro, - lascio un bacio delicato sulle tue labbra, ma tu non rispondi, non riesci ancora chiudere gli occhi.
Poi mi baci per tutta la notte intera. Sembra addirittura strano, surreale. Tracci  scie di baci ovunque. Ogni millimetro del mio corpo familiarizza con le tue labbra. Noi non facciamo sesso, semplicemente mi baci, accarezzi, inspiri l’odore, strofini le guance sulla mia pelle. Non ti importa quale parte del corpo capita sotto le tue labbra. Sei sempre tenero e delicato.
 
E all'alba scoppi a piangere. Credi che io dorma, ma la mia spalla si bagna delle tue lacrime, e ti sento sussurrare che sono tutto per te, che non riusciresti sopravvivere se dovessi andarmene. E poi ti metti a pregare Dio per me... Il mio cuore promette di battere per l'eternità, se tu ne hai bisogno.
 
 
 
 
L'operazione ha esito positivo, sono vivo, ma i risultati potranno vedere solo tra sei mesi, quando mi faranno una nuova biopsia e diranno se non ci sono più le cellule tumorali. Non so, come andrà a finire, ma ora mi sento bene. Non mi sono nemmeno rimasti segni sulla pelle, hanno fatto tutto per via endoscopica. Questa tecnica moderna – non ti lascia neanche la possibilità di vantarti di qualche cicatrice.
 
Per ora non posso ancora mangiare, mi somministrano il glucosio per via endovenosa. Il secondo giorno dopo l'intervento mi trasferiscono dalla rianimazione al reparto, e nel giro di un minuto vieni tu con i bambini.
 
Kelly corre avanti, e prima che qualcuno riesca a fermarla, si arrampica sul letto, si aggrappa al mio braccio e grida:
 
- Papà!
 
In un primo momento penso che si stia rivolgendo a te. Ma quando Kevin ripete la stessa cosa dall’altro lato e dice la stessa parola, mi rendo conto che parlano di me.
 
- Gli manchi, - dici tu in un sussurro, ti chini e lasci un dolcissimo bacio sulle mie labbra.
 
Kelly accarezza la mia guancia e balbetta qualcosa a proposito della casa e di papà, e del gattino, e della pappa.
 
Kevin mi chiede di andare a casa. Tu tiri fuori una piccola scatolina, e  io dimentico, come si respira. Tu invece sei tranquillo, e così felice, e mi chiedi:
 
- Kurt, mi vuoi sposare? Sul serio. Voglio che tutto diventi ufficiale. Voglio che tu sia mio marito.
 
Sento una stretta alla gola e una fitta sulle costole di nuovo, come un paio di anni fa, ma riesco a dire in un soffio:
 
- Certo. Sì.
 
La pellicola tra me e la felicità scompare.
 
Tu, io, e i nostri figli. Noi.
 
Sono il tuo amore.
 
Sono il tuo futuro marito.
 
Sono il padre dei tuoi figli.
 
Sono l’unico per te.
 
- Sei il mio tutto, - mi sussurri nell’orecchio la prima notte dopo il nostro matrimonio.
 
Giusto. Io sono il tuo tutto.
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