A new beginning

di Emmy_Cr_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Indovina chi viene a cena? ***
Capitolo 2: *** La malinconia di una foto felice. ***
Capitolo 3: *** Sogni ***
Capitolo 4: *** Ricordi Francesi ***
Capitolo 5: *** 5 - Newborns ***
Capitolo 6: *** 6- Appuntamento con l'amore ***
Capitolo 7: *** A new beginning and a new love ***
Capitolo 8: *** I want you... stay with me ***
Capitolo 9: *** Comic Con: tutti i padri, anche se di nazionalità diverse, sono uguali, cedono sempre. ***
Capitolo 10: *** New Generations ***



Capitolo 1
*** Indovina chi viene a cena? ***



ATTENZIONE! In questo capitolo, esclusivamente in questo, è trattato, seppur per una frase di dialogo, il tema Twins Tower!
NON voglio assolutamente offendere o causare dispiaceri a qualcuno! L'argomento Torri Gemelle, NON apparirà più in nessun capitolo della storia, se qualcuno però si sente infastidito da ciò (lo sono anche io perchè è stato un duro colpo per tutti) è pregato di dirmelo, in qualsiasi modo voglia, ed io provvederò, immediatamente a cambiare il testo del capitolo. 
Grazie infinite!



1- Indovina chi viene a cena?


Ogni lunedì, mercoledì e venerdì, Arthur Kirkland usciva dall'ufficio alle due, andava a prendere suo figlio Alfred a scuola e lo accompagnava alla lezione di hockey sul ghiaccio, al palazzetto vicino casa loro. 
Si sedeva sugli spalti e aspettava, congelandosi fin nelle ossa, che le due ore e mezza di allenamenti finissero. 

Ogni lunedì, mercoledì e venerdì, Francis Bonnefoy usciva dall'ufficio alle due, andava a prendere suo figlio Matthew a scuola e lo accompagnava alla lezione di hockey sul ghiaccio, al palazzetto vicino casa loro. 
Si sedeva sugli spalti e aspettava, congelandosi fin nelle ossa, che le due ore e mezza di allenamenti finissero. 

Ogni lunedì, mercoledì e venerdì entrambi si sedevano vicini, come due vecchi amici, e discutevano su quale dei due bambini fosse migliore a giocare. 
Per ognuno, ovviamente, il proprio figlio era imbattibile, poco importava se a fine allenamento, o spesso nel mezzo, Alfred andava in infermeria, o Matthew prendeva il puck sul naso 

- Salve Arthùr, come sta oggi? 
Il biondo gli rispose con uno sbuffo e lo guardò negli occhi. 
- Ho freddo. 
Francis sorrise apertamente. 
- Ma che strano, non ce l'ha mai! 
Arthur gli lanciò uno sguardo in tralice e gli fece cenno di sedersi sul seggiolino vicino al suo. 
- Come mai mi dai del "lei"? Non credo sia mai successo, anche la prima volta che ci siamo visti...
- E come mai tu sei in T-shirt e jeans? Di solito sei in giacca e cravatta... 
Si squadrarono in cagnesco, o meglio Arthur lo guardava male, Francis era tranquillissimo. 
- Non devo venire a spiegare a te come mai sono in tenuta da casa!
Il francese attese sorridendo, ben consapevole che, prima o poi, gliel'avrebbe detto. 
- Ho preso ferie, oggi è venerdì, almeno sto tre giorni con Alfred. 
Francis si girò verso di lui sorridendo ancora di più. 
- Domani è il suo compleanno. 
- Gli hai fatto un regalo, immagino... 
Arthur annuì e mise le mani in tasca, sospirando. 
- Non ho mai visto la signora Kirkland... 
Arhtur si girò infastIdito verso il suo interlocutore. 
- Né io la signora Bonnefoy! 
Francis si lasciò sfuggire una risata di sincero divertimento, buttando la testa all'indietro e scuotendo la chioma bionda. 
- Vuoi spiegarmi cosa c'è di tanto divertente?
Il francese parlò, con le spalle ancora scosse dal riso. 
- Io sono gay... 
Per poco l'inglese non si strozzò con la saliva. 
- E Matthew? 
Gli occhi azzurri di Francis si velarono di una tristezza tutta nuova, che Arthur non aveva mai visto, che avesse toccato un tasto dolente? 

- Io e sua madre ci siamo amati tanto, abbiamo avuto lui e stavamo anche per sposarci, stavo per mettere la testa apposto e chiudere con gli uomini, mettere su famiglia e quant'altro... 
Fece una pausa, massaggiandosi gli occhi e Arthur si sentì quasi in dovere, per quanto gli costasse toccare un lurido francese, di mettergli una mano sulla spalla, in gesto fraterno. 
- Poi che è successo? Se non vuoi raccontare non importa, intendo se...
- No, no, va bene... Successe tre mesi dopo la nascita di Mattie, stavamo organizzando i preparativi per il matrimonio quando... successe... lei era a lavorare e io a casa con il bambino che aveva la febbre. Mi affacciai alla finestra, dopo aver sentito un boato allucinante e vidi le Gemelle in fumo... Lei era là... 
Arthur sentì il cuore più pesante. 
Rivangare un orrendo passato, un solo ricordo di quell'attentato era doloroso per lui, un inglese che odiava l'America, figurarsi per un fidanzato che si era visto morire la donna che amava sotto gli occhi. 

- E quindi sei venuto in Canada? 
Francis annuì e gli sorrise, un sorriso leggermente più spento rispetto agli altri. 
- M-mi dispiace Francis, io non volevo riportare indietro ricordi dolorosi... 
- Non fa nulla, sono passati nove anni ormai... è tempo che tenti di dimenticare... Non il suo viso, quello non potrà mai farlo nessuno di quelli che la conoscevano... ma di dimenticare e andare avanti, per Matthew, soprattutto per il mio piccolo Matthew. 
Arthur deglutì e sospirò pesantemente, alzando la mano verso Alfred che aveva appena fatto una rete. 
- E tu? Sei sposato? Fidanzato? Qualcosa insomma... 
L'inglese sorrise amaramente. 
- Lucy, si chiamava così, ha lasciato me ed Alfred due quattro anni fa... se n'è andata con un australiano... credo, non sono sicuro... e da lì ho preso Alfred, una valigia e ci siamo trasferiti qui.. più per sfuggire ai miei che per altro e per Alfred, soprattutto per il mio Alfie, non sopportava la pioggia inglese...
I due padri si guardarono e scoppiarono a ridere dandosi spallate amichevoli. 

In quel momento l'allenatore fischiò e segnò la fine degli allenamenti. 
- Ragazzi a cambiarsi, vi aspetto lunedì alle tre e trenta, puntuali!
Calcò su quella parola e guardò un bambino biondissimo, dagli occhi azzurri e profondi. 
- Mi dispiace coach, mio fratello ha fatto tardi dal lavoro oggi! 
L'allenatore, un uomo sulla quarantina, con i capelli già radi ai lati delle tempie, sorrise. 
- Ludwig, hai detto così anche la volta scorsa... e quella prima ancora... 
Il bambino arrossì e chinò lo sguardo. 
- Tanto tra otto anni prendo la patente, poi vedrà che arriverò in anticipo! 
Il coach sorrise e mandò tutti negli spogliatoi. 
Arthur e Francis, che avevano assistito alla scena sorridevano tranquilli dal cancello sul campo, quello che dava sul corridoio che portava agli spogliatoi maschili.
- Quel povero bambino ne avrà di problemi! 

Francis rise solare, menomale che oggi lo riporto io a casa, altrimenti quell'idiota di Gilbert se lo dimenticherebbe!- poi aggiunse, come a difendere l'idiota sopra citato - Loro sono soli in casa, Gilbert, il fratello maggiore, bada a lui perchè i genitori sono dovuti tornare in Germania... è un bravo ragazzo, un po' megalomane... è il mio migliore amico. 
Arthur fece un verso di scherno e gli lanciò l'ennesima frecciatina del pomeriggio. 
- Tzè, tra idioti ci s'intende... 
Francis, sempre con un sorriso gigante sulle labbra, fece per ribattere ma non ce ne fu bisogno perché si mise a ridere così tanto da farsi male alla pancia. 
Alfred, lavato e vestito di tutto punto, si era appena lanciato su suo padre, facendolo cadere rovinosamente con il sedere sul ghiaccio.
- S-smettila di ridere, stupida rana! 
Francis si asciugò gli occhi e prese in braccio suo figlio, che invece si era limitato a prendergli due dita con la mano. 
- Andiamo a casa papa? 
- Oui, mon trèsor, andiamo. 
Poi si voltò verso gli inglesi, che si stavano scambiando un abbraccio dolcissimo e guardò suo figlio che annuì felice. 

- Hey Arthur! Perchè domani non venite da noi a festeggiare il compleanno di Alfie? Ormai ci conosciamo abbastanza no? 
Alfred iniziò a scalpitare tirando la mano di suo padre. 
- Ti prego daddy! Ti prego! Andiamo a casa di Mattie! Dai,dai! Daddy!!
L'inglese guardò un po' incerto il francese. 
- Non ti disturbiamo rana?
La rana in questione rise e strinse a sè suo figlio. 
- Non mon Arthùr, non disturbate affatto! 
- Andiamo? Eh, eh? Daddy? Dad? 

Il sospiro di Arthur segnò la prima vittoria di Francis su di lui.
La prima di molte. 
 
 



Hola!! 
Stavolta è una long come si deve! E chissene frega? NdTutti 
Tutti non sei simpatico! BOOOM NdTutti. 
Allora, ciancio alle bande, questa storia sarà più lenta, non perchè non abbia idee, ma perchè ho finito la settimana di ferie e lunedì tornerò al pub quindi bhe... aggiornamento non giornaliero! 
Spero che questa storia vi piaccia!!
Fatemi sapere cosa ne pensate!! 
Bacioni EM!

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Capitolo 2
*** La malinconia di una foto felice. ***


2- La malinconia di una foto felice.  
 

La prima volta che Francis aveva visto l'arrogante inglese, o meglio, le sue sopracciglia, aveva pensato che fosse uno di quei padri costretti ad accompagnare i propri marmocchi agli allenamenti dalle mogli, che non scopavano da anni. 

La prima volta che Arthur aveva visto il sorridente francese, o meglio, aveva sentito il suo gracidare, aveva pensato che fosse uno di quei padri che si era ritrovato a dover accompagnare i propri marmocchi agli allenamenti perchè si era rotto il preservativo nel momento clou. 

Entrambi, la prima volta che si ritrovarono, con tanto di cartelloni e dita giganti, ad una partita dei figli, dovettero ricredersi. 
Francis era un padre modello, così come Arthur, tralasciando il fatto che quest'ultimo si tramutasse in un hooligan appena il figlio prendeva la mazza in mano, era un padre affettuoso e comprensivo. 

I due, costretti da cause di forza maggiore a stare vicini durante gli allenamenti, avevano stretto uno strano rapporto di amicizia/odio. 

Francis sorrideva, Arthur mugugnava. 
Francis amava la musica classica, Arthur decantava le lodi del punk.
Francis stava per i Canadiens de Montreal, Arthur per i New York Rangers. 
Contraddirsi a vicenda, per due ore e mezza consecutive, era per loro, la prassi. 

Quella sera, a cena dal francese, era esattamente così, Alfred e Matthew stavano giocando in cameretta del bambino mentre i due adulti sorbivano caffè e ciarlavano di quale squadra avrebbe vinto il campionato, diventando la stella della NHL*. 

- Ti dico che i Ranger vinceranno
- No, no te lo scordi amico, i Canadiens vincono con uno scarto di almeno trenta punti! 

Francis fece un vero di sdegno e lo invitò a sedersi sul divano, mettendosi poi vicino
all'inglese. 
- Papa? Papa, possiamo prendere un macaron? 
Il francese guardò Arthur che annuì e, solo a quel punto, diede il consenso ai bambini che guardavano i grandi dallo stipite della porta provvisti di tatticissimi occhioni da cucciolo. 
- Oui cherì, solamente uno però, mi raccomando! 

Lo disse con un marcatissimo accento francese, accento che iniziava a farsi sentire anche in Matthew quando parlava con Alfred, o con chiunque altro nel mondo, quelle poche volte che parlava con qualcun altro. 

C'erano persone che amavano l'accento francese. 
C'erano persone che odiavano l'accento francese. 
Poi, c'era Arthur Kirkland. 
C'erano volte in cui l'inglese avrebbe cavato la lingua via dalla bocca di Francis e volte in cui la classica "erre moscia" riusciva a calmarlo. 
Ovviamente, se qualcuno gliel'avesse chiesto, avrebbe di sicuro risposto che erano più le volte in cui lo odiava che altro. 

- Alors? Che vuoi fare? 
Il biondo lo guardò stranito. 
- Scusa cosa vuoi fare mentre i bambini giocano di là? 
Chiese, palesemente ironico, Arthur. Il francese alzò le sopracciglia e ghignò con malizia. 
- Bhè, mi tornano in mente vecchi ricordi dei bei tempi andati... 
- Pervertito! 
Si guardarono in cagnesco per un minuto poi scoppiarono a ridere.

Lo sguardo verde di Arthur vagò per il salotto del suo ospite e ne registrò attentamente ogni dettaglio. 
Il divano a penisola era posto nel mezzo con lo schienale che dava le spalle ad un piccolo corridoio che precedeva la porta d'ingressp. Davanti alla TV, circondata su ogni lato da CD, DVD e libri, sia di Matthew che di Francis, un piccolo tavolino dava sfoggio di se, completamente nascosto da riviste di viaggi. 
Il salotto era una stanza unica con la cucina, un muretto era l'unica cosa a dividerli e poi un altro piccolo corridoio portava alla zona notturna, Arthur non era molto sicuro di voler entrare in quella zona... o meglio, non era sicuro, per adesso. 

Gli occhi dell'inglese, però, vennero catturati da una fotografia, appesa al muro e circondata da una collana di lucine, forse di natale, adesso circondate di carta-pesta, a formare tante piccole stelle. 
La cornice nera e sobria sembrava voler porre un limite alla felicità che vi si leggeva all'interno.
Il bianco e nero dell'immagine rappresentava una felicità molto malinconica ma altresì dolcissima e genuina. 
La foto doveva essere stata scattata da Francis e mostrava una ragazza che faceva finta di appoggiarsi di schiena alla Tour Eiffel, mettendo in mostra il pancione, visibile sotto una maglietta a righe. 
I capelli, probabilmente biondi, erano imprigionati in un cappello di lana e solo poche ciocche uscivano ad accarezzare il giubbino di pelle sotto. 
Sorrideva felice e spensierata, mentre accarezzava il piccolo Matthew, ancora inconsapevole della vita. 

- Era la mia Jeanne... 
La voce si incrinò e Arthur si affrettò a tirare il francese verso il suo petto. 
- Francis basta, non ne parlare se ti fa male. 
Il biondo scosse la testa, ancora imprigionato sul suo petto. 
- Non l'ha mai conosciuta veramente... Il mio Matthew non si ricorda neanche il volto sorridente di sua madre mentre lo tenevo in braccio... 
Arthur sospirò pesantemente si sistemò meglio sul divano, ascoltando le voci dei bambini che, dalla cameretta di Matthew, si alzavano. Probabilmente stavano giocando a fare superman. 

- Forse è meglio per lui sai? Voglio dire... Alfred ha conosciuto Lucy, ci ha vissuto tanto tempo insieme e poi l'ha vista andare via con uno mai conosciuto, senza neanche un ciao, come se suo figlio fosse semplicemente qualcosa da buttare. 

Gli occhi azzurri di Francis lo guardarono dal basso, con una scintilla di comprensione. 

- Quando ho chiesto spiegazioni lei ha semplicemente detto "Lui è tuo figlio. Tuo. Non mio. Sono affari tuoi". E ha chiuso la porta uscendo di casa. Capisci? Dopo cinque anni che stavamo insieme! Dopo un figlio! 

Un bicchiere da coca-cola, colmo fino all'orlo di Scotch lo tirò su di morale. 
Francis gli si sedette vicino e insieme sorseggiarono il liquore, ascoltando i rumori di risate provenire dalla stanza. 
Alfred stava raccontando a Matthew una storia su Batman e doveva essere divertente perchè il piccolo rideva flebilmente. 

- Matthew è un bambino dolcissimo... 
- Alfred invece ha preso tutto da te... 
Artur sorrise e gli tirò una gomitata che lo fece ridere di gusto. 
- Voglio dire che è bellissimo. 
Arthur rimase scioccato dalla rivelazione e voltò la testa di scatto verso di lui, la bocca aperta e gli occhi vitrei. 
- N-non... io, tu... i b-bam-bambini sono... 
- Hey mon Arthùr! Non ti ho chiesto di scopare, volevo solo fare un complimento al bambino! 

Si accasciarono entrambi sul divano e continuarono a sorseggiare il liquido ambrato. 
Arthur si stiracchiò e sbadigliò profondamente e al francese venne quasi un colpo. 
- Hai.. hai.. hai un tatuaggio! 
L'inglese lo guardò stranito prima e rilassato poi. 
- Eh già... ero ribelle all'epoca d'oro... A mio padre venne un colpo quando lo vide la prima volta e rischiò di rimanerci secco seriamente quando gli dissi che erano le iniziali del nome di suo nipote! 
Francis rise e guardò di nuovo quella piccola porzione di pelle, quella lasciata libera dalla camicia leggermente sollevata e la vita dei jeans leggermente bassa. 
Una A e una K spuntavano in stile gotico sulla pelle bianca. 

- Anche io ne ho uno. 
Si aprì la camicia, senza accorgersi della crisi tachicardica del suo interlocutore, e gli mostrò una frase, in francese, sul costato. 
- Che vuol dire? 
- La vita è un crocevia di amore e dolore ma per essere vissuta deve avere la stessa quantità di entrambi... 

La voce triste con la quale aveva detto il significato, contrastava con la faccia allegra che ostentava. Arthur, consapevole, non fece domande.  
- Daddy... Mattie si è addormentato, posso dormire qui anche io? 
Un Alfred che si stropicciava l'occhio sinistro apparve in salotto, andandosi a sedere sulle ginocchia di suo padre. 
- No darling, non disturbiamo Francis su.
- Per me può restare non ci sono problemi... 
Artur guardò il francese negli occhi e sorrise dolcemente, per la prima volta nella serata, e prese in braccio il figlio, che appena toccò la spalla del padre si addormentò. 

- No Fran, stai con tuo figlio stasera, sei un ottimo papà... 
Francis si alzò e li accompagnò alla porta. 
Non era poi così male la rana, certo, bisognava sapere come prenderla ma dopo un po' in sua compagnia, ti rendevi conto che non era poi così malvagia la sua compagnia. 
- Ah e comunque, mon petit lapin, la mia offerta per rivangare i vecchi ricordi, è ancora valida! 
Come non detto... dannato glaucopide! 
- Rana pervertita! 

Arthur mise suo figlio a letto con la risata di Francis ancora nelle orecchie. 
Francis mise suo figlio a letto con la sensazione delle braccia calde di Arthur addosso. 
Entrambi diedero un bacio sulla fronte al pargolo addormentato e chiusero la porta. 

Passando in salotto per un bicchiere d'acqua Francis diede un bacio sulla fronte anche alla ragazza nella foto, lasciandoci sopra l'ombra di una lacrima. 
- Sai An? Credo di averti ritrovata negli occhi di quel bruco, avete la stessa voglia di vivere infischiandosene degli altri e vivendo come vuole. 
Siete simili ma non uguali e adesso mi rendo conto che vi amo entrambi ma tu non ci sei più, amore mio, non ci sei più e io ho so che devo amare lui, insieme a te... ti imploro, capiscimi...
Si allontanò e accarezzò il pancione della foto. 

- Buonanotte amore mio, ti rivedrò domani alle due, nei suoi occhi. 
 
 


*NHL= National Hockey League 
 


Eccoci al secondo capitolo, lo so che è melenso e malinconico però bho... ho sempre avuto una predilizione per tutto ciò che è melanconico però non ci ho mai scritto. 
Grazie a chi ha commentato il precedente capitolo, grazie infinite anche a chi deciderà di commentare anche questo, anche se so perfettamente che ha i toni molto cupi per ciò che scrivo di solito io però... spero che piaccia insomma.. 
Bacionissimi Emmy!!

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Capitolo 3
*** Sogni ***


 
 
- Shhh mon Arthùr... ti piacerà tranquillo... 
- N-nahh... F-Francaah... N-non toccare... l-lì... 
Sentì distintamente il risolino soffuso del francese e poi le sue dita che solleticavano il lembo di pelle tra i testicoli e la sua apertura, mentre la sua dannatissima bocca gli torturava il pene. 
- S-smettil-ah! Francis! Ve-ah! Vengo Fran-Francis! 
La mano bianca si tuffò tra i capelli biondissimi e lunghi e li tirò con forza. 
- Francis!
 
Arthur si svegliò di colpo, sudato fradicio e con un problema piuttosto evidente in mezzo alle gambe. 
Si passò una mano tra i capelli scombinati e sospirò. 
Non era la prima volta che faceva quei sogni, non era la prima mattina che si svegliava alle cinque in preda ai bollori e con gli occhi azzurri di Francis nella mente e non era di certo la prima volta che, rassegnato e con l'orgoglio a pezzi, si ritirava in bagno e faceva da solo.
Quella cosa lo preoccupava, certo era già stato con uomini, per andare contro suo padre, si intende, ciò non toglie che fosse solo sesso, non aveva mai fatto sogni erotici su una delle sue conquiste... a parte Lucy. 
Ma lei era un caso a parte. 
E poi, si diede una manata sulla testa, cosa andava a pensare? Francis non era una sua conquista. 
Si conoscevano da almeno cinque anni, certo, i loro figli andavano in classe insieme e anche ad  hockey quindi era logico che vedesse più lui che i suoi collaboratori.

Uscito dal bagno, chiaramente non sarebbe riuscito a riaddormentarsi, andò in cucina e, constatando che mancava un quarto d'ora alle sette, iniziò a preparare la colazione a suo figlio, ingurgitando tazze su tazze di tea. 
Finì alle sette spaccate e si trascinò fino alla camera del figlio, andandosi a sedere sulla sponda del letto e circondando il corpo di Alfred con un braccio.
- Alfie? Amore svegliati, devi prepararti per andare a scuola. 
Il bambino, rannicchiato intorno al suo coniglio di peluche, dormiva placidamente, con il visino delicato rilassato e un sorriso pacifico sulle labbra dolci. 
Le palpebre iniziavano a tremare leggermente, segno che il piccolo si stava per svegliare. 
- Mhn... daddy... - si girò dalla parte opposta al padre e biascicò qualcosa - cinque minuti e mi alzo, promesso. 
Arthur sorrise e sospirò. 
- Alfred, se non ti alzi, arriverai in ritardo, e Matthew si siederà vicino a qualcun altro... 
- No... lui si siede sempre vicino a me... pochi si accorgono che è in classe...
L'inglese alzò le sopracciglia e gli diede un bacio sulla fronte, gustando sulle labbra la pelle di seta del piccolo. 
- Allora sbrigati, lo potrebbero trattare male a scuola... 

A quelle parole gli occhi azzurri di Alfred si spalancarono e si alzò di colpo, diede un bacio a suo padre e si fiondò in bagno per cambiarsi, per poi mangiare, fino all'ultima briciola il cibo cucinato dall'inglese.
- Finito fono pvonto! Andiamo? 
Arthur rise di gusto e gli scompigliò i capelli. 
- Prima ingoia, poi andiamo! 
- Fatto! 
Presero le chiavi di casa e uscirono. 

Una volta lasciato Alfred sulla soglia della classe, con le solite promesse, che tanto non sarebbero state mantenute da Alfred, Arthur si girò di scatto, per andare al lavoro. 
Si girò di scatto e si vide davanti gli occhi azzurri che dalla cena a casa sua lo perseguitavano. 
Si vide i capelli biondissimi che stringeva sempre nella notte. 
Si vide Francis Bonnefoy che lasciava a scuola il suo bambino, pronto per andare a lavorare. 
- Ehi Arthur! Come va? 
L'inglese annuì leggermente e sorrise a Matthew. 
- Petit, dammi un bel bacio, che poi devo andare a lavorare, ti vengo a prendere alle due va bene? 
- Oui papa... je t'aime.. 
- Moi aussi petit, je t'aime. 
Il bambino, non appena fu libero dalla stretta del padre, corse verso Alfred che lo abbracciò e lo invitò a sedersi sulla sedia. 
Uscirono in silenzio dalla scuola, e si salutarono, voltandosi verso direzioni diverse. 
Arthur salì sulla sua BMW e partì, diretto al suo ufficio. 

Si fermò però vicino al marciapiede dove Francis camminava placidamente. 
- Credevo che uno come te avesse qualcosa per muoversi, tipo una macchina... o una carrozza.
Ghignò in direzione del francese che ghignò di rimando. 
- Oggi siamo usciti prima e Matthew ha insistito per andare a piedi perciò la mia Renault è ancora in pace, nel garage.
Arthur rise di gusto poi fece un cenno col capo. 
- Sali, ti do un passaggio. 
Il francese rimase a guardarlo per poco, giusto il tempo di ricordare il sogno della notte precedente. 
- Sai dov'è la redazione della Travel Canadiens*? 
Arthur ci pensò su un secondo poi annuì ingranando la marcia. 
- Si, non è lontano da dove lavoro io, arriveremo in dieci minuti.

"Perchè solo dieci minuti? E io come farò a resistere con te che guidi a dieci centimetri da me? Hai la minima idea di quanto ti ami? No... ovviamente non ce l'hai... ma dovrei saperlo... non ti interesso minimamente." 

- Rana? C'è qualcosa che ti turba? Non che mi importi, mettiamo le mani avanti, però non mi va di vederti con quel muso lungo. 
Il biondo sorrise e, in un momento di totale annichilimento, mise la mano su quella di Arthr, posata sul cambio. 
- Nulla, mon cher, assolutamente nulla... 

Il francese non era sicuro che tenergli la mano andasse bene, ma Arthur non lo stava rifiutando quindi... spostò la mano sulla coscia del biondo, che si irrigidì e divenne color pomodoro. 
L'inglese pregava una qualsiasi divinità affinchè il francese non si accorgesse dell'erezione costretta nei pantaloni. 

Si poteva controllare, si disse, si, ce la poteva fare, in fondo, quella mano non stava facendo nulla di male, giusto?

Sbagliato. 

Perchè è di Francis Bonnefoy che stiamo parlando.

È di colui che, se vuole portarsi a letto qualcuno, soprattutto se è qualcuno che ama, fa di tutto per riuscirci.

Tanto più se quel qualcuno è la persona che ama di più al mondo dopo Matthew e Jeanne.

La mano iniziò a camminare lungo la coscia in un lento su e giù di carezze che diedero mille
brividi alla schiena del biondo. 
La mano salì ancora e, come un soffio di farfalla, si posò dove non doveva posarsi. 
La macchina sbandò di colpo per poi rimettersi in carreggiata tra i clacson arrabbiati degli altri automobilisti. 

Il silenzio permeava nell'abitacolo, la mano era ancora li, ferma, immobile. 
L'inglese stava per impazzire mentre il francese godeva nel sentire il cavallo dei pantaloni gonfiarsi sempre di più.
Ormai erano arrivati, il grattacielo moderno si innalzava davanti alla macchina di Arthur.

- F-Francis... 
Il biondo tolse la mano e sorrise gioioso. 
- Continuiamo un'altra volta, mon amour... 
Prima che il biondo potesse dire qualcosa sentì le labbra di Bonnefoy sulle sue in un soffio e poi la porta sbattè.

- Oh... cazzo... 

Appena arrivò a in ufficio, la sua segretaria gi venne incontro con un plico di fogli in una mano e una tazza di tea nell'altra. 
- Signor Kirkland, ho chiamato quel Zwigli come mi ha detto ieri, ha detto che sarà qui per le undici. 
Il signor Braginski ha disdetto l'appuntamento per motivi familiari. 
Ah, poi ha chiamato quel Fernandez Carriedo che ha ribadito che non vuole avere affari con una compagnia assicurativa che ha per capo uno sporco inglese... 
Arthur sospirò, massaggiandosi la radice del naso. 

- Elizaveta... quante volte ti devo dire di essere volgare con quello schifoso spagnolo? 
La ragazza sorrise e si accarezzò la pancia con amore. 
- Non ci riesco signore, penso sempre che i miei piccoli mi possano sentire! 
L'inglese sospirò poi sorrise, ricordando che Lucy era uguale quando aspettava Alfred, una volta lo aveva colpito con una pentola perchè aveva detto idiota a suo fratello maggiore. 
- Come li chiamerete? 
Elizaveta sorrise dolcemente e si accarezzò la pancia di nuovo. 
- Roderich voleva dar loro due nomi austriaci, se fossero state femmine, ma sono due maschietti, quindi li chiameremo Lovino e Feliciano... sono italiani. 

Arthur annuì e si ritrovò a pensare alla bestia Lucy quando lui voleva chiamare il bambino (che allora credeva essere una femmina) Caroline. 
Si amavamo molto all'epoca. Uno di quegli amori brucianti. 
Avevano entrambi diciotto anni quando era arrivato lui e all'epoca, si era immaginato una vita felice con la donna che amava e un bambino biondo come lui e con gli occhi azzurri di Lucy. 
Adesso, a dieci anni di distanza, aveva ventotto anni e l'unica cosa di quei sogni che si era avverata erano gli occhi e i capelli di Alfred. 
Ma non poteva chiedere di meglio, era felice con Alfred. 
Felice e contento di cucinare alla sera, a pranzo e alla mattina, di sentire le lamentele di Alfred perchè:"daddy! Questa roba sa di cane!", felice di vedere la manina di Alfred che, assonnata, gli diceva cinque minuti per alzarsi, felice di arrivare a scuola alle due e vedere Alfred che lo salutava dal cancello, felice di addormentarsi sul divano con Alfred accoccolato sul petto che guardava qualche cartone della Disney.

- Veta... posso farti una domanda personale? 
La ragazza, che per tutto il tempo della riflessione di Arthur aveva ciarlato su suo marito, lo guardò con gli occhioni verdi spalancati. 
- Dimmi capo?
- Come hai capito di essere innamorata di Roderich? 
La ragazza arrossì e si portò una ciocca marrone dietro l'orecchio.

- Bhè.. pensavo ai suoi occhi continuamente, vedevo il suo viso nei sogni, avevo la sua voce e le melodie che mi suonava nelle orecchie... semplicemente così. L'amore è quando pensi costantemente ad una persona, c'è lei ne tuoi pensieri e nei gesti che fai e non sai perchè... 
- Ah... grazie Veta.. 


Era fottuto. 
 


*Redazione schifosamente inventata da me!!
 

Questo capitolo è tutto di Arthur!! Il prossimo, ovviamente, sarà tutto su Franny!!! 
Scusate amo dare soprannomi demenziali alla gente! 
Allora, spero che questo capitolo vi sia piaciuto! Lo spero di cuore! D'ora in poi aggiornerò, salvo morte prematura o uccisione di partner perchè idiota, ogni domenica!!! 
Grazie a chi ha commentato il capitolo precedente!! Grazie infinite!!! 
Bacioni EMMY!

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Capitolo 4
*** Ricordi Francesi ***


 
Montrèal, 16 gennaio 2010
 
 
 
- Signor Bonnefoy, tipo, buongiorno, come sta quest'oggi? 
Il ragazzo biondo gli venne incontro con la sua tazza di caffè, quella con la bandiera francese stampata sopra, e gli prese l'impermeabile. 
- Bene Feliks, grazie... 
Il ragazzo, quasi incurante dello stato mentale del suo capo iniziò a sproloquiare. 
- Ha chiamato il signor Beilshmidt, ha detto, tipo, cito testualmente:"Dì a quella checca del tuo capo che stasera è mio, il marmocchio è a casa di un suo amico a dormire, ci sarà anche Antonio". 
A quelle parole il francese sorrise leggermente e scosse la testa. 
- Grazie Feliks, puoi andare... 
- Si signore, subito signore. 
Il francese alzò un sopracciglio e lo fissò. 
- Il mio fidanzato è nell'esercito, tipo in congedo, e stanotte abbiamo fatto, tipo, un giochino...-
- Non lo voglio sapere! 
- Ma lei è famoso per essere pervertito! 
- Ma non sono in vena per sapere i vostri giochini! 
- E va bene, se hai, tipo, bisogno chiamami... 
Il biondo lo guardò stranito. 
- Abbiamo già finito con il lei? Hai resistito più di quanto mi aspettassi! 
Una risata e la porta che sbattè gli risposero. 
Sospirò e si passò una mano tra i capelli. 

Che diamine gli era saltato in mente? Certo, sarebbe volentieri andato avanti con la... pratica che aveva iniziato in auto, però diamine! 
- Datti un contegno Francis! 
Il suo sguardo si posò su una fotografia che ritraeva lui e Matthew vestiti da giocatori di hockey, prima di una partita dei Canadiens, posta sulla scrivania, vicino al computer dove poteva vederlo ogni volta che voleva. 
Gli occhioni viola, li stessi di Jeanne, lo guardavano con allegria mentre abbracciava l'orso di peluche. 
Poggiò la testa sul ripiano in legno e abbracciò la foto con le braccia. 
Sospirando. 

- Fran! Fran! Guarda! 
La ragazza gli saltò in braccio sventolandogli qualcosa sotto il naso. 
Erano due pezzi di carta lucida, come due biglietti per qualcosa. 
- Cosa sono? 
- Biglietti! Per Parigi*! Potremmo tornare a Parigi e far conoscere la nostra città a Matthew! 
Il biondo sorrise e la strinse a sé, accarezzando il pancione. 
- Vuoi dire ad Ariel? 
La ragazza assottigliò gli occhi viola e lo guardò malissimo, facendolo ridere e gonfiando le guance. 
- Francis, è un maschio, mio figlio si chiamerà Matthew e non come un pesce! 
- No, Jeanne, è una femmina e si chiamerà Ariel. 
Jeanne scese dal suo grembo e gli si piazzò davanti, precisamente di fronte al televisore dove stavano dando una partita del Paris Saint-Germain. 
- Tanto dopo andiamo a fare l'ecografia e vediamo chi vince... 
E con quell'ultima frase, gli tolse la sigaretta dalle labbra e la lanciò nel lavandino. 
- E non fumare in casa, sennò Matthew mi diventa un drogato, alcolista e tossicodipendente! Fran! Ho voglia di fragole! 
Il biondo, che aveva seguito lo sproloquio della sua ragazza, più i cambiamenti d'umore in meno di dieci secondi, per poco non sputò il caffè che stava bevendo. 
- Amore, siamo a gennaio.. 
- E allora?- si avvicinò al biondo e si mise in braccio a lui, cingendogli il collo con le braccia soffici e sfiorandogli le labbra con un bacio. 
-Dai! Tu puoi fare tutto Fran... per questo sono sicura che sarà un maschio, sarà uguale a te sai? Avrà gli occhi azzurri e i capelli biondi... sarà uguale a te e quindi sarà bellissimo... 
Si accoccolarono sul divano e lui le accarezzò i capelli e il suo bambino fino a che non si addormentarono entrambi. 

Il biondo alzò il capo e sorrise dolcemente alla foto. 
Il piccolo aveva i loro capelli e i suoi occhi, della sua piccola. Aveva il viso di Francis e la dolcezza di Jeanne. 
Matthew era il perfetto coronamento del loro amore. 
Un amore, però, destinato a tramontare, ne aveva avuto la certezza in macchina con Arthur. 
Aveva amato molto Jeanne, l'amava ancora e l'avrebbe amata per sempre. 
Ma adesso, nei suoi sogni, non c'era più il volto di Jeanne, non c'era più la sua voce e non c'erano più le sue mani che lo accarezzavano.
C'erano due occhi verdi, una voce un po' scorbutica e sogni da censura per minori. 

Posò lo sguardo sulla pianta in un angolo dell'ufficio e si perse nei ricordi. 
Nuovamente. 

C'era un senso di normalità nella sua vita. 
Rientrò dal lavoro dalla stessa normale porta d'ingresso. 
Poggiò le chiavi sul normale mobiletto nel normale corridoio. 
Andò nel suo normale salotto e guardò la normale pianta posata sul tavolo. 
Aspetta. Stop. Torna indietro. 
- Jeanne? Cos'è sta roba? 
La ragazza gli venne incontro con il bambino in braccio che le afferrava le ciocche di capelli. 
- Non lo so, in realtà fa schifo anche a me... me l'ha portata mia madre. 
Francis alzò un sopracciglio e osservò l'essere informe e giallognolo. 
- Tua madre non ha il pollice verde, sai? 
La ragazza annuì e gli passò il bambino che, non appena si sentì stringere dalle braccia del padre, iniziò a giocare con la barbetta bionda.  
- Adesso ci pensa la mamma a te. 
Non si riferiva a Matthew. 
Prese la pianta e si chiuse in cucina. 
Francis, leggermente alterato per non aver ricevuto il bacio del ben tornato, si sdraiò sul divano con il piccolo sul petto e si addormentò. 
Quando Jeanne uscì dalla cucina, con una florida piantina, bella, verde e allegra, nelle mani si intenerì a dismisura nel vedere i suoi uomini felicemente addormentati. 

Quella pianta se l'era portata a Montrèal e l'aveva messa in ufficio, in modo da vederla quando volesse, ma non tutto il tempo, per paura delle lacrime. 
L'occhio gli cadde sull'orario e si rese conto che mancava un quarto alle due. 
- Feliks? 
Il biondo si precipitò in ufficio e attese. 
- Devo andare a prendere Mattie, ti mando per e-mail gli articoli ok? 
Il ragazzo annuì e sorrise caldamente. 
- Senti Fran... se, tipo, volete venire a cena da noi qualche volta io e Toris saremo, tipo, ben contenti di vedere Matthew!
Francis sorrise e gli scompigliò giocosamente i capelli, scompigliamento che terminò con una carezza paterna. 
Gli piaceva quel ragazzino, gli ricordava il suo Mattie... certo, ovviamente gli sarebbe venuto un infarto se Matthew fosse entrato in casa sua dicendogli di aver giocato all'esercito con il suo fidanzato in congedo però... 

- Grazie mille... adesso vado Fel, ci vediamo lunedì. 
- Sicuro capo, a lunedì! 
 
- Papa! Papa! 
Francis si abbassò e permise al piccolo di saltargli in braccio, con tutto lo zaino di scuola, e di abbracciarlo dolcemente. 
Poco lontano, Alfred aveva quasi buttato in terra Arthur, che gli era stato il più lontano possibile con le guance rosso carminio, per abbracciarlo e fargli vedere un disegno. 
- Petit! Com'è andata oggi? 
Il bambino annuì eccitato e sorrise. 
- Abbiamo fatto le prove per la bella e la bestia e abbiamo deciso i ruoli! Sai chi sarò?? Eh! Eh! Lumière! Il candelabro! Perchè ho l'accento francese papa!!
Il biondo sorrise e lo mise giù, prendendogli la mano. 
- Sarai certamente il miglior candelabro che la storia ricordi! 
Il bambino, tutto contento, marciò verso l'auto e vi si mise dentro, sul seggiolino, legandosi di tutto punto. 

Nell'auto vicino, Arthur litigava con Alfred perchè quest'ultimo voleva, a tutti i costi, sedersi in quello davanti. 
- No! Alfred basta! Ne abbiamo già parlato, sei troppo piccolo per stare davanti! 
- Ma io sono un eroe! Hai mai visto un eroe sul seggiolino daddy?? 
Francis scosse la testa e, prima che il viso dell'inglese scoppiasse del tutto per la rabbia si accostò a lui e lo prese per il fianco, tirandolo a sè e ignorando bellamente le proteste del biondo. 
- Hei Alfie, lo sai che Superman ha cominciato con il seggiolino prima di arrivare a volare? 
Il bambino lo guardò spalancando gli occhi. 
- Sul serio? 
Francis annuì e strizzò l'occhio ad Arthur con aria complice. 
- Certo, tutti devono cominciare con qualcosa! Quindi ora sali sul seggiolino e vedrai che da grande volerai! 
Il piccolo biondino sorrise e scattò sul maledetto seggiolino allacciandosi, addirittura!, la cintura di sicurezza. 
Arthur rimase imbambolato a fissarlo e poi si voltò verso il francese. 
- G- aheam- grazie Francis. Mi hai fatto un favore. 
Il biondo socchiuse le palpebre e rivolse un affascinante sguardo all'inglese che, per contro, sentì il suo stomaco annodarsi. 
- Non c'è di che, cherie... se posso aiutarti con qualcosa - calcò volutamente quel qualcosa - sempre lieto di darti una mano...- 

Arthur, una volta colto il doppio senso, arrossì ancora di più, balbettò un ringraziamento a labbra strette e scappò in auto, mettendo in moto e rischiando di uccidere una vecchietta nella fretta di partire. 
Francis sorrise, malizioso e bellissimo, e si mise una mano in tasca mentre si accingeva ad aprire la portiera. 
- Mon anglaise... sarai mio. E poi non ti lascerò più andare, neanche se me lo chiedi in cinese... 

Salì in auto, sorrise dolcemente al figlio e andarono a casa. 
Tanto l'avrebbe rivisto il pomeriggio, ad hockey. 
 

Il pomeriggio arrivò, ma non potè portare Matthew ad hockey perchè il piccolo si ammalò. 
Prese così in mano il cellulare e, con molti tentennamenti, chiamò il numero in rubrica. 
La voce burbera di Arthur rispose al terzo squillo. 
- Dove sei rana? 
- Matthew è ammalato, non possiamo venire oggi... 

In sottofondo sentiva la voce di Alfred che chiedeva dove fosse il suo amico, insistentemente. 
- V-ahem- vuoi che veniamo lì a farvi compagnia? Tanto oggi non abbiamo voglia di andare...
Il francese ci pensò su poi annuì e sorrise. 
- Si Arthùr, grazie! Vi aspettiamo! Ti aspetto... 
- S-smettila rana... 

Il biondo ghignò maliziosamente e si sdraiò sul suo letto. 

- Perchè? Mi sembrava che stamattina ti piacesse... 

Sentì un gemito strozzato dall'altra parte della cornetta. 

- Stamattina, ti sei allargato un po' troppo! 
- Oh, si, preferirei di gran lunga che lo facessi tu! 

L'inglese sentì distintamente le guance andare a fuoco e i pantaloni stringersi. 
Ma diamine! Cos'aveva tredici anni? Perchè il suo corpo reagiva così all'immagine di lui e Francis che... bagno. 
Necessitava del bagno. 
Adesso. 

- Smettila, stupida rana! Butto giù! 
Nonostante le minacce, non avrebbe mai buttato giù. 
Lo sapeva lui, lo sapeva Francis. 

- Shh mon Arthùr, lo sai che faccio adesso? Andrò a farmi una doccia bollente... e penserò a te mentre sono sotto l'acqua. 
- Non osare sporcare la purezza della mia persona con i tuoi pensieri sporchi da pervertito! 
Il francese rise di gusto. 
- Chi ha detto che avrei fatto pensieri sporchi? Ho solo detto che avrei pensato a te sotto la doccia, ma se vuoi che faccia pensieri sporchi basta dirmelo! 

No! Non voleva arrivare li! Si sentiva un deficiente, Arthur, chiuso in bagno, con un'erezione tra le gambe arrivata senza motivo, al telefono con il suo sogno erotico ricorrente. 

- Sme-smettila rana! 
Francis fece un basso -mh di apprezzamento al balbettio e socchiuse gli occhi, come un predatore pronto all'attacco. 

- Oh... non sai che ti farei quando balbetti sai? Immagino il tuo viso, rosso rosso e i tuoi occhi lucidi... 
- F-Francis, ti prego basta! 

Il francese sentì una fitta al bassoventre. 
Un fitta piuttosto forte. 
Sorrise e annuì. 

- Oui, mon amour, ci vediamo dopo, Matthew mi reclama... 
Fece una pausa e, una volta sentito il respiro leggermente ansante di Arthur, sorrise malizioso. 
- Ti conviene farti una doccia fredda sai? 
- FUCK YOU DAMNED FROG - EATER! 

La risata del francese si perse nei -tu -tu -tu del telefono. 

L'inglese si guardò tra le gambe e, con uno sforzo immane da parte del suo orgoglio, vi posò il palmo aperto in mezzo. 
Si decise ad entrare in doccia, con la voce di Francis nelle orecchie. 
 

- Damn... sono fottuto...
 
 
 




* Il viaggio a Parigi della foto in bianco e nero!!

Eccoci!!! Il quarto capitolo!!!!!!!!! uhm... dovrei alzare il rating? Ditemelo se è così mi raccomando!!! Mi ero dimenticata di dare un'indicazione temporale alla storia e mi ritrovo a farlo adesso... quindi, vi imploro, siccome sono malata e sono sicurissima di aver sbagliato qualche cosa con i tempi e le date, ditemelo così rimedio!
Grazie a chi commenta e a chi ha messo questa storia tra una delle tre categorie, GRAZIE GRAZIE GRAZIE!!!!!!!! 
Bacioni EM&C!

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Capitolo 5
*** 5 - Newborns ***


 
 




Il campanello suonò e Matthew, con il naso arrossato, un mal di gola da oscar e una coperta sulle spalle, andò ad aprire, venendo travolto da Alfred che, proclamandosi suo eroe, lo trascinò in camera per metterlo a letto. 

- Vieni Mattie, sarò la tua crocerossina oggi! 

Del tutto ignaro del colpo al cuore che procurò a suo padre con quelle parole, il bambino si barricò nella cameretta. 
Francis, che aveva assistito a tutto dall'arco della cucina, si avvicinò di soppiatto all'inglese e, con la scusa di levargli il cappotto, lo abbracciò tastandogli il petto attraverso la camicia. 
Arthur tentò di ribellarsi, divincolandosi e sgomitando, ma il biondo lo teneva stretto respirandogli all'orecchio e facendolo rabbrividire. 

- Mi piacciono le tue orecchie sai? Diventano rosse al minimo soffio di vento... o respiro. 

Arthur sospirò e sentì la rabbia montare. 
Ma chi si credeva di essere quella rana? Per chi, cosa, l'aveva scambiato? 
Riuscì a divincolarsi e fece qualche passo avanti. 

- Francis, stai passando il limite. Adesso basta. 

Il francese lo guardò, stavolta serio, e allargò le braccia. 

- Ti piaceva. Stamattina. 
- Basta! Stamattina, stamattina, stamattina! Stamattina abbiamo sbagliato! Dannazione ma lo capisci che se vengo qui è solamente per Alfred? Perchè è il migliore amico di tuo figlio! Lo capisci che non è per te!? 

Gli occhi azzurri di Francis si spalancarono, feriti. 
Arthur sentì nitidamente il cuore perdere un battito o due. 

- F-Francis... m-mi disp- 
- No. Hai ragione. Scusa. 

Il biondo sospirò e si riavvicinò ad Arthur. 

- Il fatto è che... non lo so, quando ci sei tu perdo il controllo. Mi... mi piaci, da morire Arthur, mi piaci da morire, mi piacciono i tuoi occhi, la tua voce, burbera, il tuo non saper cucinare e... dannazione, tu. Mi piaci per il tuo essere te, il tuo essere padre, il tuo amare Alfred sopra ogni cosa... Arthur, io...
 
Gli prese il mento tra le dita e gli alzò il viso, scoprendo due occhi verdi, leggermente liquidi. 
Il suo sguardo venne calamitato dalle labbra dell'inglese, piene, lucide e leggermente dischiuse. 

- Arthur... 

Quasi gemette. 

Le mani dell'inglese si posarono sui polsi del francese e li rimasero, senza fare nulla. 

- Francis... noi... non possiamo, lo sai. 

Il biondo sospirò pesantemente e si strinse a lui ancora di più, portando la mano libera sulla sua schiena, attirandolo tra le sue braccia. 
Si spostarono sul divano e lì, vi caddero.
Francis si guardò in torno, i bambini giocavano nella stanza di Matthew, la casa era silenziosa. 
La pioggia torrenziale che cadeva fuori aveva reso il cielo scurissimo e quindi, data la totale assenza di luci accese nella casa tranne le lucine accese attorno alla foto di Jeanne, il salotto appariva in penombra.
Riportò gli occhi azzurri sull'inglese sotto di lui che l'aveva guardato per tutto il tempo con una mano agganciata alla sua camicia. 

- F-Francis....?

Stava per dire qualcosa, il francese lo sapeva, a riguardo quella situazione, quindi le labbra bollenti avevano provveduto a sigillare quelle inglesi così da evitare una qualsiasi protesta. 

-Shhh... ti prego, lasciami fare... ti prego...

 
E l'inglese lo lasciò fare. 
Si rinfrescò nella labbra bollenti del francese e sentì il suo cuore tremare. 
Non come quando baciava Lucy, con lei c'era un sentimento strano. 
Con Francis, invece, c'era chiaramente qualcosa di più. 
C'era un sentimento di cui aveva paura a pronunciare il nome. 
C'era un sentimento che, in cinque anni di conoscenza si era prepotentemente svegliato. 
L'inglese decise che, per ora, il sentimento sarebbe stato celato nella sua bocca. 
E nel suo cuore. 

- Francis? Aspetta... 

L'uomo si fermò e sollevò la testa dolcemente. 

- Si? 

Arthur, evasivo e spaventato, girò la testa dalla parte opposta a lui e guardò il muro. 

- Vuoi provare a... passare più tempo insieme? Nel senso, vorresti, magari-
- Vuoi che esca con te? 

Incapace di dire altro, l'inglese annuì e lo guardò negli occhi. 

- Si. 

Il sorriso del francese illuminò la stanza a giorno. 
 
 

- Veta? Che cos'hai? 

Roderich aveva smesso di suonare con una nota stonata quando sentì chiaramente dei bicchieri cadere. 
Si alzò di corsa dal panchetto e andò in cucina dove vide sua moglie in terra, che si teneva il pancione con due mani. 

- I-i bambini Rod... credo... credo che vogliano uscire sai? 

Roderich sbiancò di colpo. 

- Okay calma! C-chiamo qualcuno, oddio, che devo fare? Chiamo mia madre? 

Lo sguardo assassino di sua moglie lo terrorizzò come non mai. 

- CHIAMA UNA STRAMALEDETTA AMBULANZA RODERICH! 

L'austriaco, più spaventato della morte che del parto di sua moglie, si precipitò al telefono. 
Dopo aver chiamato l'ambulanza si girò verso la moglie, la sollevò con amore e la mise sul divano. 

- Calma amore mio, sta arrivando l'ambulanza. Presto starai bene sai? 
 

Arthur e Francis erano ancora sul divano. 
Stavano mangiando macaron e tea con i bambini e gli stavano spiegando che papa e daddy si volevano bene. 
Più bene di quanto se ne volessero due amici e che, d'ora in poi, si sarebbero visti un po' più spesso. 

- Ma daddy? Voi non siete già amici? 

Alfred sollevò una mano e si fece prendere in braccio dal padre come Matthew, che era comodamente accoccolato sul petto di Francis.

- Si, siamo amici, ma abbiamo deciso di... esserlo un po' di più ecco. 
- Quindi... avete deciso di uscire insieme? 

Matthew stupiva sempre tutti. 
Francis lo guardò accarezzandogli il viso e facendo per dire qualcosa ma il telefono di Arthur squillò. 

- Pronto? Si, sono io, che è successo? 

L'allegra famiglia lo osservò mentre sbiancava velocemente. 

- Cosa? Adesso? Si, si arrivo subito! 
 
Si alzò di scatto e corse all'ingresso a prendere le scarpe e le chiavi della macchina. 

- Francis, ti lascio Alfred da badare! 
- Che diamine è successo? 

Arthur si voltò di scatto. 

- Elizaveta, la mia segretaria, la moglie di Roderich hai presente? L'"amico" di quel cretino di Carriedo! 
- Cioè il mio migliore amico, si ho capito, è carina la ragazza!
- Sta partorendo! 

La porta sbattè e si portò via il suono della voce dell'inglese. 
Il francese rimase imbambolato a guardare la porta per un po', fino a che la manina di Alfred gli tirò i pantaloni. 

- Zio Francis? Mi faresti un hamburger? 
 

Appena Arthur arrivò in corsia vide Roderich andare avanti e indietro, nervosissimo, che si torceva un polsino della camicia immacolata. 

- Rod! Allora? 

L'austriaco si voltò di scatto, due occhiaie giganti e il viso pallidissimo. 
L'inglese gli battè una mano sulla spalla e lo abbracciò. 

- Sono dentro da un po'... 
- Vedrai che andrà tutto bene. 

Roderich lo guardò con gratitudine e si sedette su una delle sedie. 

- Tu... eri nervoso? Quando è nato tuo figlio intendo... 

Il biondo spalancò gli occhi verdissimi e sorrise leggermente. 

- Si, ero dannatamente nervoso, ho sudato due o tre camicie e ho finito tre pacchetti di sigarette. Avevo il terrore che qualcosa andasse storto.

Osservò il volto tirato del quasi amico e sorrise leggermente. 

- Ma poi ho visto l'infermiera uscire dalla sala con mio figlio tra le braccia e... 

Venne interrotto dalla porta che si apriva. 

Scattarono in piedi entrambi, l'inglese con una mano stretta sulla spalla dell'austriaco e l'austriaco con le mani strette a pugno.

- Signor Edelstein? 

Il castano si fece avanti e sospirò pesantemente. 

- Complimenti signore, sono due sanissimi bambini! 

Roderich chiuse gli occhi e seguì la donna nella stanza, facendo cenno ad Arthur di seguirlo. 
 

Dal lettino, spossata ma felicissima, Elizaveta li guardava con due fagottini tra le braccia. 

- Rod? Guarda, non sono splendidi? 

L'austriaco, sebbene un po' reticente, e terrorizzato, si avvicinò al letto e si sdraiò vicino alla moglie. 

- Si, sono splendidi piccola... 

L'austriaco prese in braccio il più minuto dei due e sorrise dolcemente, strofinando il naso occhialuto sul nasino del più piccolo che iniziò a piangere, calmandosi appena sentì le braccia salde di suo padre stringersi ancora di più intorno a lui. 

- Arthur? Vuoi prendere in braccio Lovino? 

Il biondo alzò di scatto lo sguardo e si indicò come a chiedere conferma alla domanda. 
La ragazza sorrise dolcemente e gli porse il fagottino. 
Con calma invidiabile, di chi è abituato da anni a trattare con quel genere di cose, si avvicinò alla neomamma e prese tra le braccia il bambino. 

Che iniziò ad urlare e a scalciare non appena venne separato dalle braccia di Veta. 

Tutti risero e l'atmosfera si distese ancora di più. 

- Veta, Rod, devo andare, ho lasciato Alfred a Francis - fece finta di non aver visto l'occhiatina maliziosa di Elizaveta e andò avanti - per qualsiasi cosa, chiamatemi va bene? - 

I due genitori gli sorrisero e annuirono dolcemente, tornando subito dopo ai due pargoletti. 
Uscendo Arthur sorrise dolcemente e scosse la testa. 
Non avrebbe mai pensato che Roderich, lo stoico, serioso Roderich, potesse ridursi tutto pappa e ciccia per due bambini. 
Del resto anche lui, teppista, punk e criminale mancato, aveva totalmente cambiato modo di fare non appena aveva stretto tra le braccia Alfred. 
Alfred che giocava con i suoi capelli, con il bordo della sua giacca di pelle. 
Alfred che lo guardava con degli occhioni azzurri giganteschi, uguali a quelli di Lucy. 
Alfred, il suo piccolo, dolcissimo, chiacchierone, casinista. 

Salì in macchina e partì, tornando a casa di Francis. 
 
 
 


BUONA DOMENICA!! 
ESPERIMENTO! Non ho la minima idea di come possa essere venuto, personalmente lo adoro, mi piace da morire pensare alla famiglia Edelstein e a come i due piccoli siano venuti al mondo! 
Spero che vi piaccia!!! 
Grazie a tutti quelli che mi seguono! Grazie!!!

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Capitolo 6
*** 6- Appuntamento con l'amore ***


 
 
 
- Arthur... così...si... 
 
L'inglese si tirò su e lo guardò con uno sguardo liquidissimo ed eccitato. 
Con mosse feline inarcò la schiena e tornò a baciare le sue labbra. inebriandosi del suo sapore, e strusciandosi per bene sul petto del francese. 
Francis si alzò di scatto e lo prese per i fianchi, ribaltandolo sul materasso rovente. 
Guardandolo con  lussuria calò velocemente tra le sue gambe, scatenando un gemito indecente. 
 
Con quel suono nelle orecchie Francis uscì dalla cabina della doccia, dopo essersene fatta una congelata. 
Si vestì e pettinò, canticchiando sommessamente e ripensando al suo sogno. 
Quanto avrebbe pagato per vedere la faccia di Arthur sconvolta in quel modo: con le guance arrossate e gli occhi liquidi, la bocca lucida e gement- scosse malamente la testa e si apprestò a mettersi la giacca nera. 
 
Non doveva ripensare a lui. 
 
Arthur era il suo chiodo fisso, il suo sogno ricorrente, il suo pensiero quando lavorava, il suo primo pensiero la mattina. 
Persino Matthew se n'era accorto, era un bimbo sveglio, anche se non diceva nulla lui sapeva dell'amore di suo padre. 
 
Uscì da camera sua e andò in salotto, dove il bambino stava aspettando lo zio Gil, che l'avrebbe tenuto a dormire a casa sua per la notte. 
- Mon petit? Come va? La testa? 
 
Il bambino gli salì in braccio non appena si sedette sui cuscini del divano. 
- Papa? Ma tu ami la mamma o Arthur? 
 
Francis voltò la testa di scatto e gli accarezzò i capelli dolcemente, stringendolo a se con l'altro braccio. 
 
- Matthew - il bambino capì che stava per dirgli qualcosa di importante e si sistemò meglio sulle sue gambe - ho amato molto la mamma, la amo tutt'ora e la amerò per sempre. Credimi petit, è difficile anche per me, ho la sensazione di tradirla e di tradire il suo ricordo, mi capisci? 
 
Il piccolo annuì e lo incitò ad andare avanti. 
- Arthur è... perdonami Mathieu, ma lo amo, tanto. Sono... sono convinto che lui sia la persona giusta da amare sai? 
- Tu sei felice con lo zio Arthur? 
 
Il biondo guardò suo figlio e gli accarezzò i capelli biondissimi come i suoi. 
 
- Si. Si, sarò felice con lui. 
 
Il bambino sorrise felice e lo baciò sulla guancia rasata e profumata di dopobarba. 
 
- Allora lo sarò anche io papa! 
 
Padre e figlio si strinsero dolcemente fino a che non suonò il campanello. 
 
- Ehi checca! Apri! 
 
Francis alzò gli occhi al cielo, menomale che stava dando un bacio nell'orecchio a suo figlio, facendolo ridere, e che tale figlio non aveva sentito l'intercalar- 
 
- Papa? Che vuol dire checca? 
 
Dannazione a Gilbert! 
 
 
 
Alfred, comodamente seduto sul letto, osservava suo padre che correva da una parte all'altra della casa, imprecando, in barba al fatto che si trovasse davanti ad un bambino, con solo un misero asciugamano di spugna a coprirgli ciò che c'era da coprire.
 
- Daddy? Perchè non metti i jeans blu e la camicia? 
 
L'inglese si fermò e lo osservò per poi dirigersi verso l'armadio e vestirsi come gli aveva suggerito il figlio. 
 
- Quando arriva lo zio Allistor? 
 
Allistor Kirkland, architetto affermato, bastardo cinico e vendicativo, era lo zio perfetto per quanto riguardava Alfred. 
Solo Alfred. 
Era stato lui a trovar loro un appartamento e a far uscire Arthur dallo stato d'apatia in cui era caduto dopo che Lucy se n'era andata via. 
Lui si era trasferito a Montreal già da anni, dopo un furiosissimo litigio con Kirkland Senior per la precisione. 
Lui era il baby-sitter di Alfred quando Arthur doveva rimanere in ufficio fino a tardi la sera quando capitava. 
Lui era quello che, con parole burbere che mal celavano il dispiacere per il suo fratellino, lo aveva convinto a cambiare l'aria Londinese e ad andarsene senza dire niente a nessuno, senza rendere nota la destinazione e il suo futuro. 
 
Arthur prese in braccio il figlio e strusciò il viso sul suo in una carezza dolce e lo baciò sul naso. 
 
- Tra poco, lo zio arriva tra poco, vedrai. 
 
Non aveva neanche finito la frase che il campanello suonò. 
- Ehi bruco! Apri la porta! 
- Zio Lis! 
 
Arthur aprì la porta ritrovandosi sul pianerottolo Allistor e, poco dietro di lui, Francis. 
Il rosso entrò nell'appartamento lasciandosi dietro il suo consueto odore di tabacco e dopobarba. 
Francis invece si fermò davanti a lui, sullo stipite e gli sorrise, luminoso. 
Il cuore di Arthur saltò qualche battito e il suo viso raggiunse una sfumatura bordoux. 
 
Lentamente il biondo francese si chinò. 
Lentamente il suo viso si avvicinò a quello dell'inglese. 
Lentam- il viso di Arthur scattò verso l'alto e le labbra si incontrarono in un bacio. 
 
Che bacio. 
 
Francis spalancò gli occhi quando sentì le braccia di Arthur chiudersi attorno al suo collo. 
Portò le mani ai suoi fianchi e lo allontanò leggermente. 
 
- Ti sono mancato? 
- Hai cominciato tu! 
 
Francis sorrise e lanciò un'occhiata alle spalle del più basso, giusto per accertarsi che non ci fosse nessuno, poi spinse l'inglese contro la porta d'ingresso. 
 
- Continuiamo? 
- Non sarebbe meglio andare fuori prima? 
 
Il ghigno poco rassicurante di Francis gli fece spalancare gli occhi. 
 
- Fran- 
 
Le labbra del francese presero le sue. 
Le succhiarono, morsero e vezzeggiarono, accompagnate dalle mani che si posarono sui fianchi di Arthur, tirandolo verso di lui ma, contemporaneamente, spingendolo contro la porta e sfregandosi contro di lui. 
L'inglese si sentiva perso, preso e sommerso da Francis, dal suo calore, dalla sua forza e dal suo desiderio. 
Francis invece si sentiva felice. 
Perso totalmente e drammaticamente perso. 
Sentiva i loro cuori battere freneticamente insieme e le mani di Arthur immerse tra i suoi capelli, tirandoli e arricciandoli intorno alle dita. 
 
- Arthur... 
- Mh! 
 
Una mano del francese scese sulla coscia e la tirò su, allacciando la gamba al suo fianco e spingendolo ancora di più sulla porta, sfregandosi forte contro di lui e facendolo gemere sommessamente nella sua bocca. 
Sentì le unghie del biondo conficcarsi nel suo collo e graffiare quando Francis decise di dare un colpo più forte al suo bacino. 
 
Un colpo di tosse, assai poco discreto li fece staccare con un salto. 
 
- Prendetevi una stanza, ci sono bambini qui. 
 
Arthur guardò suo fratello con il fiatone, gli occhi annacquati e il viso rosso, mentre cercava di coprirsi il cavallo dei pantaloni con le mani incrociate. 
Lo sguardo di Allistor, passò al francese, ugualmente sconvolto e con il fiatone. 
Decise di far finta di non aver visto l'erezione nei suoi pantaloni.
 
- Filate via o vi colpisco io.
 
Dopo aver salutato Alfred, i due uscirono e si rintanarono nell'auto del Bonnefoy. 
Silenzio totale. 
Nella renault profumata di Parigi c'era solo silenzio. 
Quello e una tensione da tagliare con il coltello. 
Mentre guidava Francis lanciava occhiate di fuoco verso il sedile del passeggero, così come faceva Arthur verso il guidatore. 
 
La mano posata sul cambio era una tortura per entrambi, restava li.
Da una parte non si muoveva, dall'altra voleva farlo. 
Voleva muoversi e fare qualcosa ma non poteva, aveva paura di rovinare qualcosa. 
 
Il semaforo rosso funse da spartiacque. 
 
I due si guardarono un secondo netto poi, come calamite si allontanarono di colpo. 
Francis ingranò la marcia e deviò a sinistra poi girò a destra, passò una rotonda, un'altra e rigirò a sinistra, il tachimetro non scese mai sotto i 130 km/h. 
Parcheggiò e gli fece cenno di scendere. 
Si ritrovarono uno davanti all'altro dopo che il francese ebbe aggirato la macchina. 
Si scrutarono accaldati, sudati e ansimanti come dopo una corsa. 
Si guardarono per minuti interminabili facendo crescere la tensione sessuale. 
 
- Francis... 
 
Quel mezzo gemito distrusse la cortina di eccitazione come un sasso su un vetro. 
 
Si lanciarono l'uno contro l'altro azzannandosi le labbra, succhiandole e baciandole.
Batterono sul cofano dell'auto, continuando a baciarsi, dimentichi della cena, di chi avrebbe potuto vederli, dei figli, della vita, di tutto. 
Si staccarono ansimanti e allacciati. 
 
- V-vieni su.. Arthur ti prego, vieni su, non ce la faccio.. più... così. 
 
L'inglese sembrò valutare le sue parole per un tempo infinito, poi, decise di dare retta al suo cuore che batteva furiosamente. 
Annuì confuso ma sicuro di volere Francis e si lasciò condurre in casa. 
 
Non arrivarono neanche al portone d'ingresso, ricominciarono a baciarsi con frenesia crescente sul viale d'ingresso, in ascensore, contro la porta di casa mentre Francis tentava, con mani tremanti, di aprire. 
 
- Francis... muoviti! 
 
La porta si spalancò dietro di lui ed entrambi volarono dentro, cadendo sul pavimento dell'ingresso. 
Francis diede un calcio alla porta che si richiuse con un colpo secco dietro a loro. 
Lo sollevò e iniziò a camminare verso la camera da letto, seminando vestiti ovunque. 
 
Non avrebbe mai immaginato che Arthur, capo dell'agenzia assicurativa più famosa di Montreal, potesse essere così... drago a letto. 
Freneticamente, con ansia, il francese gli tolse la camicia, rompendo anche qualche bottone e i pantaloni, lasciandolo in boxer e cravatta. 
Cravatta che afferrò per tirarlo verso di se una volta ancora. 
 
Ormai Arthur aveva le labbra gonfie di morsi e baci e lucide. 
Si guardarono un secondo prima di crollare sul letto immacolato in uno sfregamento di bacini che stava facendo impazzire entrambi dal desiderio. 
 
- Francis! F-fa qualcosa ti prego... 
 
Il biondo lo guardò: con la testa reclinata sul cuscino e gli occhi rivolti al soffitto, la bocca, quella dannata bocca, in cerca d'aria, bagnata di saliva. 
 
La baciò un'altra volta. 
 
Poi calò sul collo. 
 
Sul petto, dove azzannò i capezzoli. 
 
Contò le costole con la lingua. 
 
L'ombelico, dove vi immerse la lingua, facendo vedere le stelle al londinese. 
 
Infine, calò sul-
 
- FRANCIS! 
 
Oh si. 
Ci si mise d'impegno, il francese. 
 
Leccò e succhiò con passione, tutto pur di vedere la schiena del suo inglese preferito inarcarsi, tutto 
pur di vedere la testa reclinarsi all'indietro, con i capelli incollati al viso e gli zigomi deliziosamente arrossati. 
 
Le mani che passavano tra i capelli biondi e lunghi, si fermavano sulla nuca per cercare un appiglio che lo salvasse dall'oblìo. 
 
Qualcosa, qualunque cosa, che gli permettesse di restare ancorato alla realtà. 
 
- F-Francis... sto.. per-ah! 
 
Con un movimento languido il parigino ritornò al suo viso, baciandolo e facendogli sentire se stesso. 
 
- Ti ho sognato, in questi anni non sto facendo altro. Arthur... 
 
Lo interruppe baciandolo e rotolarono sul letto, fino a che Francis non si trovò sotto con l'inglese a cavalcioni. 
 
- Anche io lo sai? Anche io ti sogno e... dannazione Francis! Sei... sei sempre li! Ogni fottuta notte! ogni volta che chiudo gli occhi ti vedo, ti sento! Sento come se avessi le tue mani addosso, sento te, il tuo respiro, la tua risata! 
 
Lo baciò di nuovo e lasciò andare un gemito più indecente che osceno quando le dita di Francis si fecero largo in lui, preparandolo all'avvenire. 
 
- Sento... sento il tuo pro-ah!-profumo, ogni volta che chiudo gli occhi... Francis! AH! 
 
Il francese aveva prontamente sostituito le dita con qualcosa di decisamente più grande che aveva portato Arthur a zittirsi, rovesciando la testa all'indietro e gemendo forte. 
Ancora a cavalcioni su di lui, le mani aggrappate alle sue spalle e la bocca spalancata: Francis era convinto di non aver visto niente di più bello ed eccitante in vita sua. 
 
 
- Arthur... ti amo così tanto... 
 
L'inglese spalancò gli occhi e si lasciò riportare sotto, con le gambe oscenamente aperte. 
Si lasciò prendere da lui e si sorprese di quanto potesse essere facile lasciarsi andare. 
 
Si sorprese di quanto potesse essere sorprendentemente facile annullare la mente, annullare tutto e pensare solo al suono dei loro bacini che schioccavano, al suono della voce di 
 
Francis che chiamava il suo nome, come in una blasfema preghiera.
 
Gemette forte ancora una volta prima di svuotarsi sullo stomaco del francese che lo seguì dopo poco con un ultimo -Arthur strozzato. 
 
 
Si accasciarono l'uno sull'altro respirando pesantemente. 
Arthur, del tutto sconvolto, scombussolato e senza possibilità di tornare indietro, iniziò a passare le mani ripetutamente tra i capelli di Francis, pettinandoli dolcemente. 
 
- Lo sai... Francis? Credo... credo che... io, nel senso... 
 
Il biondo alzò il viso su di lui e lo baciò, con dolcezza e calma, assaporando le sue labbra dolci come il succo di fragola. 
 
Sentì le mani di Arthur intrecciarsi dietro il suo collo e attirarlo a se ancora una volta, solamente una. 
 
- Francis, ti amo... 
 
Il francese sentì distintamente il cuore fermarsi, ripartire, saltare qualche battito ed infine ripartire a velocità forsennata. 
 
Ancora dentro di lui lo baciò. 
 
Di nuovo. 
 
E di nuovo e di nuovo, altre cento, mille volte. 
 
Perse il controllo e sentì che si stava eccitando ancora. 
 
 
Lo guardò negli occhi, come a chiedergli conferma e, quando la ottenne da un altro bacio passionale, riprese nuovamente a muoversi in lui. 
 
Lo amò, con tutto se stesso, fino a che, esausti e senza possibilità da scampo, si addormentarono, sconvolti ed abbracciati. 
 
Innamorati. 
 
 
 
 
 
 
 
ECCO A VOI IL SESTO CAPITOLO! WOOOOO 
*rotolano balle di fieno* spero che questo capitolo vi sia piaciuto!! 
Ditemi se devo alzare il rating, anche se suppongo di si, e lo farò!!
Grazie a tutti coloro che commentano!! Grazie davvero a tutti!! 
Bacionissimi EMMY_CR_!!

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Capitolo 7
*** A new beginning and a new love ***











Arthur quella mattina si era alzato, come tutte le mattine negli ultimi sei mesi, con il braccio di Francis che gli cingeva la vita, l'odore di Parigi nel naso, le risate dei bambini nella stanza accanto. 

Erano passati nove mesi da quella notte. 
Notte alla quale erano succedute molte altre notti. 
A volte anche pomeriggi. 
Francis aveva cominciato con un altro appuntamento, e la cena, quella volta, era stata consumata al ristorante. 
Poi erano andati, con i bambini, al cinema per vedere il nuovo film della Disney appena uscito. 
E ancora, al luna park, al museo, in pausa pranzo insieme, avevano iniziato a fare i turni per andare a prendere i bambini a scuola e accompagnarli ad hockey. 
Matthew si fidava ciecamente di Arthur ormai, tanto da salirgli in braccio di sua spontanea volontà, seguito da Alfred, e da addormentarglisi addosso mentre guardavano un film. 
Francis e suo figlio avevano iniziato a fermarsi la notte da Arthur, quando era troppo tardi per tornare a casa dopo una cena. 

Era diventata la consuetudine svegliarsi insieme la mattina lavorativa, fare colazione insieme, andare a scuola e a lavorare insieme. 
E poi, due mesi dopo quell'appuntamento, aveva proposto ad Arthur di andare a vivere insieme. Tutti e quattro. 

Inizialmente Arthur era contrario, non era pronto, aveva paura, sacrosanta paura. 
Aveva rotto bottiglie, gridato e si era arrabbiato con Francis. Gli aveva chiuso tutte le porte in faccia e non aveva voluto vederlo per un mese intero. 
Un mese in cui non aveva sofferto solo lui. Vedeva il viso di Alfred illuminarsi quando lo andava a prendere a scuola, sperando che ci fosse anche il francese, e si spegneva una volta visto che Francis saliva sulla sua auto, senza rivolgere che uno sguardo tristissimo a suo padre. 
Piano piano, tra le insistenze di Alfred su dove fosse Fran, tra i consigli di Elizaveta e tra le insistenze del suo stesso cuore, aveva chiamato Francis e, oltre a chiedergli scusa in ginocchio, aveva accettato la proposta. 
In meno di un giorno, complice la buona volontà di Francis che aveva ordinato a Gilbert Beilshmidt e ad Antonio Fernandez Carriedo, lo schifoso spagnolo che non sarebbe venuto se non sotto la minaccia della sua ragazza di non trombare più per dodici anni, di aiutarli, avevano completato la manovra di trasloco, divertendosi anche. 

E adesso, mentre aspettava che Francis riportasse a casa i due marmocchi dall'hockey, pensò che, e non lo avrebbe mai ammesso, aveva raggiunto il picco massimo di felicità che una persona normale può raggiungere, e lo aveva anche superato. 
Mentre beveva il suo tea delle cinque, rito che per nessun motivo al mondo avrebbe mai interrotto, neanche se Francis si fosse presentato alla porta con Alfred in fin di vita tra le mani confessando l'omicidio di Matthew, suonò il campanello. 

Trattenendosi dal bestemmiare sonoramente come uno scaricatore di porto si avviò verso la porta d'ingresso aprendola, quasi scardinandola, e notando un inquietante scricchiolio. 

Mh, avrebbe dovuto smetterla di sbatterla. 

Davanti alla sua porta, c'era un ragazzo con i capelli castani, gli occhiali e le mani da pianista. 
Gli occhi viola, inondati di lacrime, erano parzialmente velati da una coltre di capelli scarmigliati. 
Dietro Roderich, apparve Francis come una visione divina, che mozzò il fiato in petto all'inglese. 
I bambini salutarono Arthur e l'altro ragazzo e filarono in casa.

- Roderich? Che cosa è successo? Tutto bene? 

L'austriaco scosse la testa e alcune lacrime lasciarono i loro loculi. 

- Sono stato licenziato. 

L'inglese ed il francese si guardarono poi, simultaneamente, lo spinsero in casa loro. 



Gilbert Beilshmidt rientrò sbattendo la porta con furia. 
Aveva appena accompagnato il piccolo Ludwig ad hockey lo lasciava li per due ore e mezza quando doveva lavorare o quando doveva incontrare... lui. 
La stessa persona che, l'ultima volta gli aveva rubato le chiavi di casa e se n'era fatto una copia. 
La stessa persona che gli si infiltrava in casa, quando il suo fratellino non c'era. 
La stessa persona che, adesso, era tranquillamente sdraiato sul suo letto, gloriosamente nudo, con un ghigno ironico e cattivo indirizzato solo a lui. 

Mirato a sbeffeggiarlo. 
Ivan Braginski.
Un nome, un insulto. 

- Cosa vuoi? 

Il russo rise sommessamente, con la sua voce roca e profonda che gli fece correre mille brividi sulla schiena. 

- Te. 

E Gilbert cedeva. 

Nonostante tutto. 

Nonostante si fosse ripromesso migliaia di volte di no, cedeva. 

Si lasciava prendere, spogliare, baciare, mordere e rigirare come voleva Ivan. 

Solo da lui, come voleva lui, solo per lui.
Si faceva mettere come voleva il russo, in qualsiasi posizione volesse il russo, apriva le gambe e godeva per lui. 

Gemeva inarcando la schiena e gettando la testa all'indietro, graffiandogli le spalle e mordendogli il collo. 

- I-Ivan! 

Il russo rise bastardo e aumentò la velocità, facendo spegnere ogni protesta nei gemiti prepotenti. 

Quando finivano, Ivan beveva un sorso di vodka e si rivestiva, andandosene senza salutare. 

Gilbert non aveva la forza di opporsi, non aveva la forza di fare nulla se non coprirsi con il lenzuolo umido e girarsi dall'altra parte. 

Per questo non capiva come mai Ivan non accennasse a muoversi dalla sua schiena. 
Cercò di muoversi ma le braccia candide lo serravano impedendogli il movimento.

- Ivan? 
- Lasciami fare. Cinque minuti. 

Gilbert lanciò un'occhiata all'orologio e constatò che mancavano solo venti minuti alla fine della lezione e che quindi doveva vestirsi. 

- Ivan, devo andare da Ludwig. 

Si potevano dire tante cose del russo: era uno stronzo, un bastardo, un cinico calcolatore, manipolatore e psicologicamente deviato. 

Ma capiva Gilbert e il suo affetto per Ludwig, non era un amante egoista, capiva quando era ora di finirla. 

- Va bene, vi aspetto qui. 

Il tedesco si girò di colpo. 

- Cosa? 

Ivan sorrise posando la fiaschetta sul comodino vicino al letto e gli sorrise dolcemente. 

- Si, va bene? 

Gilbert rimase in silenzio per alcuni secondi poi sentì la rabbia montare. 

- No! No che non va bene! Credi di poter venire 
qui e fare quello che ti pare? 

Il russo lo guardò in confusione poi, sospirando si vestì. 

- Che cosa c'è Gilbert? Pensavo che ti andasse 
bene questa cosa tra noi. 

Spalancando gli occhi il tedesco aggirò il letto e gli puntò un dito sul petto, puntellando ad ogni parola. 

- Mi va bene? Mi va bene secondo te farmi trattare da puttana? Mi va bene secondo te aprirti porta e 
gambe quando ti aggrada? Eh? 

Gli occhi viola di Ivan si spalancarono e le mani scattarono a prendere il dito che ancora lo accusava. 

- Sei tu che non ti ribelli! Sei tu che non mi dici mai di no o basta! Cazzo, se tu mi dicessi di no, che non vuoi che... che vorresti qualcos'altro io...

Beilshmidt scosse forte la testa e si allontanò da lui, mettendosi le scarpe rabbiosamente. 

- No! T.. tu non capisci quello che voglio dire! No! 

Il biondo lo prese per le spalle e lo sbattè, con violenza, contro il muro di fianco alla porta.

- Io non capisco? Davvero? E allora spiegamelo dato che sono così ottuso da non comprendere affondo i tuoi mugugni! 

Vide delle prime lacrime imprigionate tre le ciglia. 

Lacrime che iniziarono a sgorgare copiose non appena gli occhi rossi incontrarono quelli d'ametista davanti a loro. 

- Non capisci - soffiò in un sussurro tremante di pianto - che mi sono innamorato di te? Non capisci... che sei tutto per me? Sei la stessa aria che respiro... senza te, senza poterti vedere io muoio. Ogni volta che non ti vedo, sento di morire. 

In una pausa ingoiò la saliva e il nodo di lacrime che si era formato nel petto.

- Ogni volta che te ne vai, che appari, che... fai qualsiasi cosa sento il mio cuore che sanguina, è gonfio, troppo gonfio d'amore. Un amore inutile, che mi farà soffrire e basta. Un sentimento non ricambiato perchè tu non mi ami, sono solo la tua marionetta, pronto a fare tutto ad un tuo cenno. 
Sono... sono...

Le lacrime gli impedirono di andare aventi, facendolo accasciare sul petto marmoreo del suo scioccatissimo amante. 
Amante, che aveva ascoltato tutto con il fiatone e il cuore in gola, che si chinò, lentamente, verso di lui avvolgendolo con le sue calde braccia solide.

- Beilshmidt, sei un idiota. Uno stupido idiota. Uno che non fa le pulizie se non costretto. - un sopracciglio di Gilbert si alzò sconcertato e la bocca si aprì a protesta - Lasciami finire. Uno che arriva sempre in ritardo agli appuntamenti, che non sa cucinare niente di diverso da wurstel, patate e crauti. 

- Vacci piano. 

- Uno che è convinto di essere magnifico, e che lo è, uno che... un idiota di cui mi sono innamorato. 

Gilbert alzò la testa di scatto e incrociò gli occhi con i suoi. 

- Mi stai sfottendo Braginski? 

Il russo scosse la testa e sorrise dolcemente, per la prima volta. 
Si chinò ancora, lo strinse ancora e gli diede un bacio sul naso, poi uno sulle guance, per portare via le lacrime, e uno sulla fronte. 

- Ti amo Beilshmidt. 
- Ti amo anche io Braginski. Se mi tradisci ti ammazzo lo sai si? 

Ivan rise poi, con nonchalance, guardò l'orologio. 

- Dovresti andare a prendere Ludwig... 

.......

- Cazzo Ludwig! 





BENVENUTI!! O meglio bentornati! Questa sarà la seconda parte, il sequel se si può dire così, di A new beginning! 
La FrUk rimarrà la coppia portante, ma analizzeremo anche altre coppie come la AusHun, la RusPrus, la SpaBel e appariranno nuovi personaggi! 
Spero che anche questa storia vi possa piacere! Commentate in tanti mi raccomando!!
Bacionissimi Emmy!

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Capitolo 8
*** I want you... stay with me ***


 
 
 
Quando Elizaveta Hedervarì aveva aperto la porta e si era trovata suo marito, abbattuto, con la camicia fuori dai pantaloni e la cravatta storta, aveva spalancato gli occhi scioccata, aveva spostato il piccolo Feliciano sull'altra spalla e gli aveva messo, materna, una mano sulla fronte. 
 
Quando dietro di lui erano spuntati Gilbert Beilshmidt, Ivan Braginski che aveva in braccio il piccolo Ludwig, si era spaventata veramente e si era spostata per farli entrare. 
 
- Volete un tea? 
A rispondere fu Ivan. 
- Credo che in questo momento sia meglio un bicchiere di vodka... Veta, lascia la bottiglia, forse è meglio. 
La ragazza annuì lasciando il bambino a suo marito che, stringendolo dolcemente a se, si sedette sul divano. 
 
Ancora un po' abbattuto si rivolse al bambino biondo che stava osservando con tanto d'occhi il piccolo Feliciano, che ricambiava lo sguardo curioso, beato tra le braccia di suo padre. 
 
- Ludwig? Lo vuoi tenere? 
 
Il piccolo annuì e si sedette sul divano vicino a Roderich allungando le braccia verso di lui, in attesa. 
Appena il fagotto gli si posò sul petto, un leggero rossore apparve sulle gote e un sorriso, appena accennato, sulle labbra di tutti gli adulti, pose fine alla tensione che si era creata. 
 
- Rod, che cosa è successo? 
 
L'austriaco si alzò in piedi e le prese dalle braccia Lovino e si riaccomodò sui cuscini, rasserenato dalla presenza del bambino tra le braccia. 
 
- Veta... io sono stato licenziato. 
 
La ragazza, che si aspettava di tutto, da una malattia incurabile ad un altro figlio avuto con l'amante della cugina della figlia della nipote di sua zia, tirò un sospiro di sollievo e, contrariamente alle aspettative di tutti quanti, prima si mise una mano sulla bocca, poi, non riuscendo più a contenersi, rise apertamente. 
 
- Tutto qui? Rod eri preoccupato per questo? 
 
Si avvicinò a lui, diede il bambino a Ivan, non si fidava di Gilbert nonostante avessero passato l'infanzia insieme e fossero tutt'ora migliori amici, e gli si sedette in braccio. 
Le mani del marito corsero a stringerla e la bocca cercò la sua. 
 
- Roderich Edelstein, abbiamo passato di peggio, ricordi? Sei stato licenziato? Pazienza, troverai lavoro da qualche altra parte, intanto ci sono io qui che porto i soldi a casa. 
 
Elizaveta sorrise al viso imbronciato di suo marito. 
 
- Ma sono io l'uomo di casa, il padre di famiglia! Devo essere io a proteggervi e a garantire per voi! Non tu! 
 
La ragazza alzò gli occhi al cielo e lo colpì, neanche tanto piano, sulla testa. 
 
- Piantala Rod, questi discorsi maschilisti non ti si addicono, se è questo il problema allora inizia subito a cercare qualcosa, no? Così io potrò tornare a fare finta di essere la pulzella in difficoltà e tu sarai l'eroe dei tuoi figli! 
 
L'idea piacque all'austriaco che sorrise raggiante baciando sua moglie. 
 
- Evitate per favore? Siete in presenza di minori!
 
A smentire la lamentela di Gilbert fu il suo stesso fratello che, non staccando gli occhi dal bambino che aveva in braccio, lo congelò sul posto. 
 
- Ma se ho visto tu ed Ivan insieme nella doccia, ieri? E non vi siete neanche preoccupati di chiudere la porta, ho sentito tutto...
 
Il tedesco sbiancò ancora di più e si girò verso il fidanzato che stava facendo divertire Lovino facendogli facce buffe e facendolo giocare con la sciarpa. 
 
- N-non è vero noi.. noi non... no! Noi non abbiamo.. noi... 
 
Elizaveta ormai rideva di gusto tra le braccia di suo marito che non riusciva più a trattenersi. 
 
- Gilbert stai cadendo dalle nuvole! Ti fai fregare da un bambino di sette anni? 
 
L'aria si era definitivamente distesa, gli ospiti rimasero a cena da loro e Ludwig non si staccò da Feliciano se non quando il piccolo dovette mangiare, a quel punto lo rese a malincuore alla madre e attese trepidante che glielo rendesse. 
Quando dovettero andarsene, il piccolo tedesco tentò di portarselo via alla chetichella ma Gilbert 
lo bloccò in tempo. 
 
- Ludwig? Non pensi che sia meglio restituire Feli allo zio Rod e alla zia Veta? 
 
Rosso come un pomodoro maturo, il tedesco rese il bambino ai genitori e fece per andarsene, abbattuto. 
 
- Hei Lud? Puoi tornare quando vuoi lo sai? Feliciano sarà felicissimo di rivederti. 
 
Come a dare adito alle parole di Roderich, il piccolo strillò e rise agitando le gambine e le manine verso di lui. 
Rincuorato, e rosso dall'imbarazzo, Ludwig sorrise raggiante e corse in braccio al russo, che lo prese al volo e se lo issò sulle spalle. 
 
I coniugi Edelstein si ritirarono in casa, sorridendo ai loro figli. 
 
 
- Pensi che la zia Veta e lo zio Rod se la caveranno papa? 
 
Il francese sorrise a Matthew e gli diede un bacio sulla fronte. 
 
- Ma certo mon petit, lo zio Rod ha la zia Veta dopotutto, no?
 
Alfred si intromise, dall'altro lettino, posto a un comodino di distanza da quello di Matthew. 
 
- Ma se lo zio Rod non trovasse un altro lavoro? 
 
Francis si girò verso la porta, dove Arthur li guardava, appoggiato allo stipite. 
Dialogarono con gli occhi e alla fine, l'inglese cedette con un sospiro. 
 
- Diglielo. 
 
Il biondo si voltò nuovamente, sorridendo a centoventisette denti. 
 
- Ma lo zio Rod un lavoro lo troverà domani. Ho intenzione di assumerlo come giornalista di musica estera per la Travelling... dovrà redigere degli articoli sulla mu- 
 
- Hei rana, si sono addormentati... 
 
L'attenzione del francese si portò sui due bambini, placidamente dormienti, nei loro lettini, e sorrise, rimboccando le coperte ad entrambi e dando loro un bacio in fronte. 
Sentì le mani del suo inglese sulle spalle, che lo tiravano verso il basso, alla sua altezza. 
 
- Andiamo a letto, chenille? 
 
Vide gli occhi verdi socchiudersi e: - oui mon amour... on va...
 
 
Gilbert guardò Ivan mentre leggeva una storia a Ludwig, in attesa che il piccolo si addormentasse, mancava poco ormai. 
Poteva già vedere le palpebre chiudersi ad ogni respiro e la testa ciondolare verso il petto del russo che, con il suo profondo accento, calmava il bambino e lo rilassava. 
Mentre il tedesco era ancora occupato a guardare il suo fidanzato, gli faceva strano dire quella parola nonostante essa gli si sciogliesse sulla lingua come miele, Ivan chiuse il libro e rimboccò le coperte al bambino addormentato. 
 
- Andiamo a letto Gil? 
L'albino chiuse la porta della camera, gli allacciò le braccia al collo e: - Da... Poshli...
 
 
Dio!, quanto amava quando Arthur parlava francese! Ebbe almeno la decenza di uscire dalla stanza dei bambini e chiudere la porta, poi saltò ogni freno.
Arthur non pensava più a nulla già quando si chiudeva la porta di casa alle spalle, figurarsi quando le mani del francese lo sollevavano per le cosce e lo facevano sedere sullo schienale del divano. 
 
Sentiva la lingua di Francis farsi strada nella sua bocca, abbracciare la sua e giocarci come più gli pareva, mordendo e succhiando con avidità. 
Strinse le braccia al suo collo e lo tirò giù con lui, verso i cuscini del divano che sembrarono accoglierli a gloria. 
 
 
Ivan vide la sua sciarpa volare lontano, seguita dalla maglietta e dalla cintura. 
Sopra di lui, Gilbert era già nudo e pronto per farlo impazzire, come ogni volta che lo guardava. 
Quegli occhi rossi lo facevano sentire fuoco puro, lo intorpidivano e lo scioglievano allo stesso tempo. 
 
- Gil! 
 
Ansimò quando la bocca scese ad abbracciarlo, dalla base alla punta, in una carezza morbida e lussuriosa. 
 
Stava cadendo nel baratro. 
 
Ivan lo sapeva. Era troppo tardi per tornare indietro, si era innamorato ormai. 
Sarebbe stato vicino al tedesco fino alla morte, e oltre. 
 
 
- Francis! Più... veloce! 
- No, voglio farlo durare di più. 
 
Arthur lanciò un gemito frustrato e gli graffiò la schiena con le unghie. 
 
Azzardò a dare un'occhiata a cosa stava succedendo e dovette mordersi le labbra a sangue per non urlare. 
 
Francis gli teneva una coscia come se ne andasse della sua vita, l'altra gamba era malamente spalancata per dare spazio al biondo, che vi si spingeva in mezzo con lentezza, producendo schiocchi dolci ogni volta che affondava in lui. 
Arthur strizzò gli occhi e reclinò la testa all'indietro, aggrappandosi ai capelli lunghi dell'altro. 
 
- Francis... ti prego... ti prego... ah.. ahn! Nh! 
 
 
Aveva deciso di ascoltare le sue suppliche e aveva aumentato il ritmo. 
Il tedesco odiava quando Ivan andava così piano.
Non perchè non lo sopportasse, anzi, lo amava qualsiasi cosa facesse, ma la lentezza gli metteva un senso di malinconia addosso. 
Una malinconia tanto forte da fargli scendere delle lacrime dagli occhi. 
Allora lo pregava di andare più veloce e Ivan capiva tutto. 
 
Lo ribaltava, con un gesto secco, sul materasso e, con un mezzo ringhio, iniziava a spingersi in lui, non dandogli nè pace, nè tempo per abituarsi. 
Facendolo godere e basta. Facendogli dimenticare tutto, persino il suo nome.
 
 
- Arthur... ti amo, Arthur... 
 
Quando fai sesso sul divano è naturale muoversi, così i due amanti erano presto caduti dal divano e adesso erano in terra.
Arthur, per qualche strana legge fisica, era caduto sopra, facendo affondare Francis in lui, ancora di più. 
Si piegò verso di lui e si fece penetrare un'ultima volta, prima che entrambi venissero con un gemito lungo. 
 
 
- Ivan... ya lyublyu tebya
 
Il russo sorrise e si strinse alla schiena del tedesco, attirandola verso il suo petto e intrecciando le mani con le sue. 
 
- Ich liebe dich auch... Ich liebe dich auch...
 
Gilbert sorrise e chiuse gli occhi, sicuro che quella notte i suoi incubi non gli avrebbero fatto visita. 
E anche se lo avessero fatto, c'era un orso russo a proteggerlo.
 
 
- Francis?
- Oui? 
- Dovremmo alzarci da terra... ti verrà male alla schiena. 
 
Il francese sorrise e lo tirò verso di se, coccolandolo. 
 
- Non sto male, anzi sto benissimo. 
 
L'inglese gli tirò un'occhiataccia e si alzò. 
 
- Non era una proposta, era un ordine. Continuiamo a letto. 
 
Francis sorrise e si alzò, seguendo la sua "dolce", e scorbutica, metà. 
Una volta a letto, Arthur si appropriò del suo petto, stendendocisi sopra. 
 
- Ti amo Francis. 
 
Il francese sorrise all'affermazione che giunse da qualche parte nel suo petto e gli accarezzò con dolcezza i capelli biondi. 
 
- Anche io Arthur. 
 
Ma non gli arrivò più nulla. 
Osò lanciare uno sguardo al fidanzato e lo trovò addormentato su di lui, con il capo dolcemente reclinato sulla sua spalla. 
 
- Come avevi detto? Continuiamo a letto? Chenille... 
 
Sorrise e lo baciò prima di mettersi giù, coprendo entrambi. 
 
 
- Veta... i bambini piangono... 
- No.. Questo è il tuo turno... 
 
Roderich, steso di fianco, abbracciato a sua moglie, sospirò pesantemente e si alzò lanciando uno sguardo all'orologio. 
 
Le due. 
 
Aveva finito di dormire. 
 
- Fortuna che ti amo Veta...
- Che cosa hai detto? 
 
L'austriaco sussultò e si affrettò a correre verso la stanza dei bambini. 
 
- Niente amore! 
 
 
 
 
Priviet! Comment ça va?? Good?? Well!
Allora, voglio ringraziare chi ha messo questa storia tra una delle tre categorie veramente.. GRAZIE!!!!!!!!!!!
Sono contentissima che vi piaccia, ringrazio inoltre coloro che commentano e che sono sempre pronte a commentare, grazie!!!
Bacioni a tutti EM&C!

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Capitolo 9
*** Comic Con: tutti i padri, anche se di nazionalità diverse, sono uguali, cedono sempre. ***


 
Intermezzo, sei anni dopo: Padri, uguali anche se di diversa nazionalità.
 
 
Quando Elizaveta si svegliava, la prima cosa che sentiva erano le parole, un po' sconclusionate dei suoi figli. 
A sei anni, Lovino si era rivelato ormai lo scorbutico fratello, mentre Feliciano quello dolce. 
Roderich, che adesso era il giornalista di punta della rivista di Francis, li ascoltava mentre preparava loro la colazione. 
Quella mattina però, qualcosa era cambiato.
Aprì gli occhi verdi e se ne ritrovò due uguali davanti al viso. 
 
- Madre. 
 
- Figlio. 
 
Il viso di Lovino la osservava dall'alto, inginocchiato sul materasso. 
 
Aveva solo sei anni ma era molto intelligente e scaltro, molto più di quanto un bambino di sei anni dovrebbe essere. 
 
Gli fece una carezza sulla guancia sinistra e, per un momento, gli occhi del bambino si socchiusero godendosi la dolce carezza della madre. 
 
- C'è qualcosa che mi devi dire, figlio? 
 
Il bambino aprì gli occhi di colpo e inclinò la testa come suo padre. 
Padre che dormiva ancora saldamente abbracciato a Elizaveta. 
 
- Lo zio Bastard... Antonio, va al Comic Con con la zia Bella... possiamo...
 
In quel momento la porta si fracassò contro la parete e Feliciano si lanciò sul letto, sulla schiena di Roderich che gemette malamente.
 
- Mamma! Mamma ! Mamma, mamma! Lo zio Tonio va con la zia Bella al Comic Con! Andiamo con loro! Dai! Dai Dai! Ti preeeeeeeeeeeeeeego! 
 
Lovino lo spinse a sedere e si avventò su di lui. 
 
- Feli! Ce l'avevo in pugno! La stavo per convincere poi arrivi tu e puff! Mi distruggi il lavoro! 
 
Il piccolo mise su un tenero broncio e gli fece la pernacchia. 
 
- Ma il mio metodo è il migliore!
 
- Ah si? E perchè? 
 
- Perchè io sono nato prima e quindi sono il più 
grande! 
 
Lovino, a quel punto scattò. 
 
- Non è vero sono più grande io!
 
- No io! 
 
- Io! 
 
- Io!
 
- IO!
 
- IO! 
 
A quel punto si fece sentire la voce di Roderich, potente sopra le risa della moglie, ancora soffocata contro la spalla della donna. 
 
- Secondo la legge dei gemelli, il primo a nascere è il più piccolo... 
 
I gemelli si zittirono per alcuni secondi poi ripresero, se possibile, ancora più forte di prima. 
 
- Io sono nato dopo!
 
- No, io!
 
- Io! 
 
- Io! 
 
I due iniziarono a darsele di santa ragione, 
rincorrendosi per la casa. 
Roderich seppellì il viso nel cuscino e sospirò. 
 
- Non hai intenzione di andare vero? 
 
Nessuna risposta. 
 
- Veta? Ci vorrebbe l'aereo! 
 
Ancora silenzio. 
 
Osò alzare lo sguardo e vide gli occhioni verdi, così simili a quelli di suo figlio, guardarlo implorante. 
 
- Ti prego Veta... non con lo spagnolo! 
 
La ragazza spinse il labbro inferiore inferiore e lo fece tremare con grazia fino a che, con uno sbuffo seccato l'austriaco cedette. 
 
Elizaveta lanciò un gridolino e gli si gettò addosso baciandolo dolcemente. 
 
- Grazie Roddy!
 
- Mh, si certo... vai a vestirti, sennò col cavolo che prendiamo l'aereo per il comic con!
 
Osservò sua moglie scattare fuori dal letto e poi sprofondò la testa nel cuscino sconfortato. 
Non si sarebbe rilassato neanche quella domenica...
 
 
- Ivan? Ivan, hai sentito Veta di recente? 
 
Il russo continuò imperterrito ad aiutare Ludwig con un esercizio di chimica. 
 
- La miscela isotopica è, quindi...- 
 
Gilbert chiuse il libro, guadagnandosi non uno, ma ben due sguardi assassini. 
 
- Non mi importa se non vi va bene, ho parlato con Veta dieci minuti fa, domani sveglia alle sei, alle sette in aereoporto, ci ritroviamo con gli Edelstein e andiamo al Comic Con. 
 
Ludwig si illuminò. 
 
- Mi posso vestire? 
 
- Si!
 
- No. 
 
Gilbert si voltò voltò verso Ivan e lo guardò sconcertato. 
 
- Perchè non si può vestire? 
 
Il russo lo guardò e si voltò verso la camera da letto. 
 
- Perchè non ci andiamo. 
 
- Perchè no? 
 
Ivan si voltò un'ultima volta. 
 
- Ho detto no, e niente mi farà cambiare idea. 
Glibert, furioso come una bestia gli andò dietro. 
 
- Perchè no? Dammi una buona ragione. 
 
- Non mi va. 
 
 
 
- Daddy! Daddy! Ha chiamato la zia Veta! Daddy! 
 
Alfred fece il suo ingresso in salotto camminando un metro per aria. 
Francis, che stava aiutando Matthew a fare dei compiti, si illuminò. 
 
- Davvero?? 
 
Alfred invece, contento che qualcuno lo avesse considerato, gli si avvicinò saltando sul posto e prendendogli le mani. 
 
- Si! Si! E si mascherano! 
 
- Oddio! Davvero? 
 
- Si!
 
Padre e figlio iniziarono a saltare sul posto mentre Arthur e Matthew li guardavano basiti. 
 
- Alfred! Tu hai sedici anni! Francis! Tu ne hai trentaquattro! Non andrete ad una cosa così stupida come il comic con, vestiti per di più! 
 
 
 
 
Domenica mattina, ore 09:29
 
 
- Questo posto è fantastico! 
 
- Puoi scommetterci! 
 
- Guarda Al! Due vestiti da Gigante Corazzato!  
 
Matthew indicava due ragazzi interamente dipinti di rosso. 
 
- Noi siamo vestiti da Jean e Marco!! Facciamoci una foto con loro! 
 
- Si!!
 
- Francis! Non hanno detto a te! Per favore, è già 
abbastanza imbarazzante che tu ti sia vestito da Aramis! Non peggiorare la tua situazione! 
 
Il francese guardò il suo fidanzato e gli diede un bacio. 
 
- Non essere così severo! Guarda Feliciano! Si diverte tantissimo con Ludwig e Gilbert! 
 
Indicò Ludwig, vestito da Iron Man, che teneva sulle spalle un piccolo Feliciano vestito da Loki, che sembrava divertirsi tantissimo. 
Lovino invece, vestito da Thor, se ne stava imbronciato in braccio allo spagnolo, che aveva optato per un costume da Spider Man. 
 
Elizaveta e Bella erano vestite entrambe da Lady Oscar. 
 
E si divertivano da matti. 
 
Ivan, Roderich e Arthur, invece, emanavano un aura oscura.
 
I tre, nonostante la coalizione che avevano fatto, venivano sballottati da un padiglione all'altro. 
Non era neanche un'ora che erano la e già avevano sperperato l'intero patrimonio di una vita in gingillini, collanine, pupazzetti, tazze e persino un portafogli. 
 
E chi portava il ricavato di tutto ciò sulle spalle? 
 
Ivan, Roderich e Arthur, naturalmente.
 
Ad un certo punto, mentre stavano camminando, con Alfred e Matthew alla testa del gruppetto, 
Elizaveta e Bella si fermarono. 
Con mano tremante la belga indicò all'amica un padiglione interamente dedicato al famigerato manga preferito delle due: Lady Oscar.
 
- V-Veta...? 
 
- Shhh, taci... Non parlare. 
 
Deglutirono sonoramente, ancora bloccate sul posto, con gli occhi spalancati e le mani tese verso il padiglione. 
 
- Veta...
 
- Zitta Bella.. il tuo dovere non è parlare... il tuo dovere è... 
 
Si guardarono per un secondo netto e poi urlarono una sola parola, che, nel loro folle linguaggio doveva essere un urlo di battaglia: 
 
- SPERPERARE!! 
 
Roderich, mestamente guardò Francis. 
 
- Dovrai darmi un aumento per provvedere alla crescita dei miei figli... lo sai, si? 
 
Il francese, molto spaventato, aveva lo sguardo fisso sulle due. 
 
- Papa! Guarda! Quello è Captain Canada! Con Captain America! 
 
Alfred e Matthew scattarono verso i due ragazzi e chiesero loro una foto. 
Non appena i ragazzi tornarono, fu il turno di Gilbert di urlare come una ragazzina. 
 
- Ivan! Guarda! Oddio! Sono i carrarmatini del Risiko!! Guarda! La Germania! Ti obbligo a fare la foto con lui! 
 
- No. 
 
- Si. 
 
- Gilbert, scordatelo. 
 
Non appena il russo fece la foto con il carrarmatino maledetto la carovana ripartì, e con lei anche Roderich e Antonio, pieni zeppi di pacchetti. 
 
Quando la giornata al Comic Con finì e l'aereo atterrò a Montrèal, Roderich portava migliaia di pacchetti tra le braccia, mentre Antonio portava Lovino in braccio e Ludwig il piccolo Feliciano. 
 
Francis invece aveva Matthew dolcemente addormentato su una spalla: nonostante avesse ormai quasi diciassette anni quel ragazzino non pesava nulla. 
 
- Ragazzi, noi andiamo a casa, dobbiamo levare i costumi ai bambini prima che si immedesimino troppo in questo manga... non vorrei che iniziassero ad attaccare la gente alta... 
 
Tutti risero alla battuta di Arthur per poi ritirarsi nelle rispettive macchine per andare a casa, a passare una bella serata in famiglia. 
 
Famiglie non convenzionali, certo. 
Ma famiglie felici oltre ogni immaginazione. 
 
 
 
Eccomi qua!! Capitolo corto ma ispiratissima dal Lucca Comics!! 
Se ve lo chiedete non è un caso che Alfred e Matthew siano vestiti da Jean e Marco.. io... bhe... LI AMO INSIEME! Ho pianto come una disperata, come al solito. 
Allora, ovviamente i manga citati in questo capitolo sono molti: Attack on Titan in primis, Lady Oscar e i Tre Moschettieri. 
Spero che vi sia piaciuto!!
Bacioni a tutti! Emmy!!

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Capitolo 10
*** New Generations ***


 
 
Ludwig, ormai ventiduenne, suonò alla porta di casa Edelstein e attese che, come ogni venerdì sera, un diciottenne Feliciano gli venisse ad aprire. 
 
Come ogni venerdì sera, dopo gli allenamenti di hockey con i fratelli Bonnefoy-Kirkland che, ormai, andavano a casa con la macchina di Alfred, lui si faceva la doccia, si vestiva con tranquillità, chiamava sua madre in Germania e avvisava Ivan e Gilbert che sarebbe tornato tardi. 
 
Come ogni venerdì sera, il suo cuore, iniziava a palpitare violentemente e sembrava pronto a uscirgli dal petto.
 
Come ogni venerdì sera, da sei mesi a quella parte, era pronto per portare a cena fuori il suo fidanzato. 
 
Era capitato tutto in fretta. 
 
Prima erano lui e Feliciano stravaccati, come due amici, sul divano di casa Braginski-Beilshmidt, dopo erano sempre loro due, rossi come pomodori maturi, che se ne stavano stravaccati l'uno sull'altro, con le labbra attaccate e le mani che elargivano dolcissime carezze al compagno. 
 
Da allora gli sembrava di camminare sempre un metro per aria. 
Aveva la testa, e il cuore libero, andava all'università, ad hockey e al piccolo pub di Antonio a lavorare, e nei suoi pensieri c'erano sempre gli occhioni verdi di Feliciano, la sua voce, la chiara consistenza della sua pelle, liscia come il velluto, il profumo dei suoi capelli. 
 
I suoi abbracci, i suoi baci, le sue gambe che si chiudevano, con spasmi intorno al suo bacino quando facevano l'amore. 
 
I suoi timidi e precoci -ti amo. I suoi chiari sorrisi che gli illuminavano la giornata. 
 
Neanche i modi bruschi di Lovino, geloso del suo fratellino, lo scalfivano. 
 
Si sentiva una roccia. 
 
E quando la porta si spalancò e vide gli occhi di giada illuminarsi, gli venne spontaneo lasciare la facciata da duro e sorridere mentre lo prendeva in braccio e lo baciava dolcemente sulla porta. 
 
- Gute-
- Ciao Lud! Che facciamo stasera? Lo sai che Lovi è dallo zio Antonio? Abbiamo la casa libera.. se... vuoi... 
 
Il tono e l'entusiasmo del più giovane si andarono ad affievolire nel finire la frase, rimpiazzati ben presto dall'imbarazzo. 
Con dolcezza infinita sollevò gli occhioni su di lui e sorrise timidamente. 
 
Ludwig non potè non cedere. 
 
Sorrise, come mai aveva fatto, e lo spinse dolcemente dentro casa. 
 
 
- Oi chico? Che vuoi mangiare? 
 
Antonio osservò Lovino che guardava, con aria molto incazzata, dalla finestra.  
 
- Il cuore di quel bastardo. 
 
Antonio sorrise leggermente e lo andò ad abbracciare, ottenendo un verso infastidito. 
 
- Stanno insieme Lovi, è ovvio che facciano... quelle cose! Anche noi dopotut-AHIA!
 
Il ragazzo guardò male il corpo dello spagnolo che si contorceva a terra tenendosi lo stomaco. 
 
- Zitto o dico ai miei che stiamo insieme. 
 
Antonio ammutolì. 
 
Nella sua mente molte immagini di cosa avrebbe potuto fargli Rod... no Elizaveta. 
 
Se avesse scoperto che lui, Antonio Fernandez Carriedo, trentasette anni da compiere, stava con il suo piccolo Lovino, diciannove anni da compiere... Una padella non sarebbe bastata. 
 
Lo avrebbe picchiato con l'utensile e poi, una volta rotto, l'avrebbe spedito a comprarne un altro, con cui l'avrebbe ripicchiato. 
 
Si.. L'avrebbe fatto. 
 
D'un tratto si girò a vedere il suo chico, in boxer e con una sua camicia addosso, mentre giocava con la playstation, sdraiato sul suo divano. 
 
Un pensiero lo colpì con la forza di un tuono: poteva essere suo figlio. 
 
Il viso del bel spagnolo si adombrò e sentì chiaramente il suo cuore sanguinare. 
 
- Lovino.
 
Il ragazzo alzò la testa spaventato. 
Raramente aveva sentito la voce del fidanzato così ombrosa e pregna di dispiacere. 
 
- Che succede? 
 
Antonio si avvicinò a lui, si chinò sul divano e sorrise radioso al giovane, con le lacrime agli occhi. 
 
- Ti riporto a casa. Questa cosa... che c'è tra noi... 
non può andare avanti. 
 
Lovino sentì il cuore fermarsi e un senso di vuoto impossessarsi di lui. 
 
- Cosa...? 
 
Antonio sospirò e si sedette vicino a lui, tenendogli una mano. 
 
- Lovino... guardiamo in faccia la realtà. Io ho 
trentasette anni, 
tu ne hai diciannove... Ci sono diciotto anni di differenza! Potresti essere mio figlio!
Lovino si alzò e lo fronteggiò. 
 
- Allora mi hai preso in giro? Mi hai mentito quando mi hai detto che mi amavi? Tutte le volte che abbiamo fatto l'amore mi hai preso in giro?
 
Così, gli occhi inondati di lacrime e gli zigomi rossi. 
 
Il respiro ansante che gli graffiava lo sterno. 
 
- Lovi... ti prego!
- No! No! NO! 
 
Impotente lo spagnolo osservò il ragazzo sparire in camera e raccogliere i vestiti. 
 
- Non... Lovino, per favore, cerca di capirmi! Non posso proibirti il tuo futuro! Non capisci che io sono solo un blocco alla tua vita! 
 
Lovino si fermò con la mano ancora sulla maniglia. 
 
- Non capisco? Non... Non pensi che sia abbastanza grande da capire cosa farne del mio futuro da solo? Non pensi che magari il mio futuro lo vedo con te? Non ci pensi?! 
 
Antonio fece un passo indietro, trattenendo il fiato. 
 
- Lovi... 
 
Lovino, con un ultimo sguardo ferito, aprì la porta e uscì in strada, senza guardarsi indietro, salì sull'autobus. 
Mentre osservava le strade innevate di Montrèal sfrecciare accanto a lui, Lovino pianse. 
Senza singhiozzi o sospiri pesanti. 
Semplicemente lasciò che le lacrime scorressero sui suoi zigomi, facendo la dolce curva sulla pelle liscia e avviandosi verso le labbra. 
 
Una goccia rimase imprigionata sulla sporgenza superiore, mentre un'altra continuò il percorso fino al mento. 
 
Non si curava di nulla da quando era salito sull'autobus. 
 
Non gliene fregava nulla della gente che saliva e scendeva, delle risate di tre ragazzine in fondo che ridevano, della signora davanti che parlava al telefono a voce alta. 
L'unica cosa che sentiva era il suono del suo cuore che rombava sordo nel petto. 
 
Non seppe perchè alzò la testa alla fermata. 
 
Seppe solo che gli occhi di Antonio lo fissavano dal sedile accanto a lui. 
 
- Scusa. Scusami se puoi, ti prego... Io- 
 
Si interruppe, un singhiozzo gli scosse il petto e la testa ricadde sul petto del ragazzo. 
 
- Antonio... 
- Non ti ho preso in giro, non l'ho fatto. Non l'ho mai fatto, ti amo! Ti amo, ti amo... ti prego, ti amo, non... Lov-
 
Le labbra di Lovino interruppero quel fiume in piena. 
Dolcemente si sfregarono su quelle dello spagnolo e le riscaldarono. 
 
- Antonio... Anche io. 
Con un sospiro tremulo lo spagnolo lo strinse a se. 
 
- Tonio...? Come diamine hai fatto ad essere qui? 
 
Lo spagnolo si irrigidì e sorrise dolcemente. 
 
- Francis e Gilbert sono in macchina... ho superato l'autobus venti minuti fa e ho aspettato che ci distanziassimo un po'... poi sono salito... 
 
Lovino lo fissava a bocca aperta. 
 
- C-cioè tu... tu hai.. hai sorpassato un autobus,  in città, su una strada a doppia striscia continua, completamente nell'altra corsia, con possibile attraversamento di bambini e su un'auto che è un insulto alle altre auto? 
 
Antonio sorrise dolcemente e lo baciò con passione. 
 
- Fammi la parte di merda dopo, chico, ora dobbiamo scendere. 
 
Con un sospiro seccatissimo, il ragazzo si alzò e lo seguì giù per le scalette fino in macchina, dove un divertito tedesco e un ancor più divertito francese, li aspettavano, con dei ghigni malvagi sulle labbra.
 
Dopo un momento di silenzio il tedesco, alla guida del trabiccolo arrugginito, parlò. 
 
- Allora... Tua madre lo sa che stai con un uomo più grande di te di diciotto anni?
 
Antonio non aveva mai visto il viso del ragazzo così pallido. 
 
 
 
- Al-fred! Ah! 
 
Il biondo sorrise e, con uno sguardo a metà tra il maligno e il malizioso, riprese a muovere la mano a ritmo alterno sul membro di Matthew. 
 
Nella solitudine del loro appartamento avevano capito ormai cos'era quel sentimento che li muoveva da quando erano piccoli e ancora non vivevano insieme. 
 
A venticinque anni, ormai, vivevano da soli in un piccolo appartamento vicino a quello dei genitori, ma abbastanza lontano da lasciar loro la privacy e da averne una da tenere relegata non più alla porta della cameretta ma a quella di casa. 
 
Adesso frequentavano l'università. 
 
Matthew con l'intenzione di diventare un medico e Alfred con quella di diventare ambasciatore. 
 
Per adesso, comunque, l'unica intenzione di Matthew era quella di venire. 
 
Strinse la presa sulle braccia del fidanzato, fratellastro, e gemette forte, non appena questi si introdusse in lui. 
 
- Matthew... ti.. ti amo Matthew..
- Anche io... anche io!
 
Alfred iniziò a spingere forte ma con dolcezza infinita. 
 
Gli tenne le gambe spalancate e spinse, facendogli inarcare la schiena e facendolo donare a lui. 
 
Alfred amava quella cosina bionda tra le sue braccia, amava quando lo baciava e lo abbracciava dolcemente, in qualsiasi momento. 
 
Amava, più di tutto, però, il suo accento francese quando facevano l'amore. 
 
Era qualcosa di oscenamente eccitante anche solo quando chiamava il suo nome, accentuandolo e arrotolando la r in quel modo così adorabile che...
 
- Ah! Alfred! 
 
Lo faceva venire ogni volta, trascinando con se Matthew.
 
E poi, amava quando, ancora ansimanti si sdraiavano sul letto, dolcemente abbracciati e Matthew iniziava a grattare dolcemente la cute di Alfred. 
 
- Ti amo...
- Moi aussi...
 
E sorridendo leggermente, si addormentarono scomposti.
 
 
 
 
SPAMANO, AMERICEST E GERITA. SBEO!
Ho fatto Jackpot!
Scusate se fa schifo ma io li amo così!
Bacioni a tutti!! 
EMMY!

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