Di nuovo insieme

di FairyCleo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte I ***
Capitolo 2: *** Parte II ***
Capitolo 3: *** Parte III ***
Capitolo 4: *** Parte IV ***
Capitolo 5: *** Parte V ***
Capitolo 6: *** Parte VI ***
Capitolo 7: *** Parte VII ***
Capitolo 8: *** Parte VIII ***
Capitolo 9: *** Parte IX ***
Capitolo 10: *** Parte X ***
Capitolo 11: *** Parte XI ***
Capitolo 12: *** Parte XII ***
Capitolo 13: *** Parte XIII ***
Capitolo 14: *** Parte XIV ***
Capitolo 15: *** Parte XV ***
Capitolo 16: *** Parte XVI ***
Capitolo 17: *** Parte XVII ***
Capitolo 18: *** Parte XVIII ***
Capitolo 19: *** Parte XIX ***
Capitolo 20: *** Parte XX ***
Capitolo 21: *** Parte XXI ***
Capitolo 22: *** Parte XXII ***
Capitolo 23: *** Parte finale ***



Capitolo 1
*** Parte I ***


Disclaimers: i personaggi non mi appartengono e non scrivo a scopo di lucro.

 

I PARTE

 
Erano trascorsi molti anni dal terribile scontro che aveva visto la Terra minacciata dalla follia distruttrice di Cell. La creatura progettata dal crudele dottor Gelo aveva seminato panico e distruzione, ma l’intervento di chi aveva da sempre protetto il proprio pianeta da qualsiasi minaccia aveva mandato all’aria ogni suo piano, riportando ogni cosa alla normalità.
O quasi.
C’era una famiglia, una famiglia fuori dall’ordinario, che aveva perduto un suo membro fondamentale, dando allo stesso tempo il benvenuto all’ultimo arrivato, una creatura sveglia e piena di energia.
La vita non era più la stessa da quando lui non c’era più, ma in qualche modo era andata avanti, con le sue difficoltà e i suoi momenti di gioia.
Ma, proprio come accade alle famiglie straordinarie, un evento che di comune aveva davvero ben poco avrebbe portato loro attimi di pura gioia, soprattutto per quel piccolo ultimo arrivato.
*
Un nuovo Torneo Tenkaichi era stato annunciato da poco tempo, attirando l’attenzione del popolo di esperti di arti marziali. Migliaia di aspiranti guerrieri provenienti da ogni parte del mondo avevano preso la decisione di parteciparvi nella speranza di vincere la somma messa in palio e il titolo di campione del mondo di arti marziali, attualmente difeso da una nostra vecchia conoscenza. Il loro numero aveva toccato cifre vertiginose, ma nessuno tra questi poveri sventurati poteva immaginare che avrebbe dovuto affrontare dei concorrenti dalle capacità straordinarie, e che uno di loro sarebbe stato speciale oltre ogni dire.
Il giorno fatidico non aveva tardato ad arrivare.
La folla si stava accalcando nei pressi degli ingressi, e piano piano stava prendendo posto sugli spalti, animata da un entusiasmo disarmante. I guerrieri stavano facendo la spola tra i banchi di iscrizione e la palestra, in attesa di poter salire su quel ring immacolato che presto si sarebbe macchiato di sangue e sudore.
Nell’aria c’era un gran fermento, e questo non solo perché il momento tanto atteso di potersi mettere alla prova era finalmente giunto.
Era un altro l’evento straordinario che un nutrito gruppo di persone stava attendendo con ansia, e si trattava di un evento che sarebbe stato irripetibile.
Proprio quando gli amici di un tempo si erano finalmente riuniti, anche l’ultimo grande assente aveva fatto la sua comparsa, scatenando in tutti, ma proprio in tutti, la stessa, identica reazione.
“Salve a tutti!” - aveva detto con la sua solita voce allegra, con il suo solito tono pieno d’affetto.
Non era invecchiato di un giorno. Il suo viso era bello e sereno come quello di un bambino, il suo fisico era giovane e scattante proprio come lo avevano visto l’ultima volta.
Eccolo lì, Son Goku, l’eroe, il ragazzo che mai avrebbero creduto di poter incontrare di nuovo, arrivato sulla Terra direttamente dall’Aldilà.
Crilin, l’amico d’infanzia, non era riuscito a trattenere le lacrime. Gohan, suo figlio, stava faticando per fare lo stesso. Chichi, sua moglie, Bulma, la sua migliore amica, e Yamcha, non si erano vergognati di mostrarsi vulnerabili. Gli altri avevano sorriso, dandogli così il loro benvenuto. Finalmente, Goku era di nuovo lì con loro.
Dire che quest’ultimo aveva la gioia dipinta negli occhi sarebbe stato un autentico eufemismo. Finalmente aveva la possibilità di rivedere i suoi amici, e per la prima volta in vita sua aveva potuto vedere il visetto del suo secondogenito, il visetto di quel bambino che gli somigliava tanto da fare impressione.
Lo aveva stretto forte fra le braccia dopo l’iniziale esitazione del bambino. Era strano, sembrava quasi come se stesse abbracciando se stesso in versione tascabile, ma era una meravigliosa sensazione. Aveva capito sin dalla prima occhiata che quel piccoletto era tremendamente in gamba, e non vedeva l’ora di poterglielo dire.
Sì, era tutto perfetto, perfetto e meraviglioso come l’aveva lasciato.
O quasi.
Perché, nonostante fosse sempre stato accusato di essere una persona disattenta, non aveva potuto fare a meno di notare che qualcosa non andava. Per quanto sapesse che la persona in questione non fosse la più romantica e sensibile dell’universo, era certo che non avrebbe permesso che accadesse quello che si stava verificando sotto i suoi occhi. No, di certo non avrebbe permesso che Yamcha abbracciasse Bulma in quel modo.
“Non è il momento!”  - lo aveva ammonito Crilin, capendo immediatamente che il suo migliore amico stava per fare domande inerenti a ciò che sicuramente aveva notato – “Sappi solo che cose stanno esattamente come sembrano”.
Rimasto basito, non attendeva altro che ricevere spiegazioni. Anche perché vedere il piccolo Trunks, ormai diventato un ometto, che continuava a fissare il cielo, in attesa, gli aveva fatto stringere il cuore.
*
Il torneo dei piccoli si sarebbe svolto per primo. Goten e Trunks si erano ovviamente classificati primi in entrambi i gironi, e presto si sarebbero fronteggiati nell’ultimo scontro, quello che avrebbe decretato il vincitore.
Yamcha, Chichi, Bulma, Genio e gli altri amici spettatori avevano preso posto in tribuna, mentre Goku, Gohan, Videl, Junior, Crilin e C18 – partecipanti al torneo – avevano deciso di sistemarsi sul ballatoio in altro, accontentandosi di stare in piedi pur di seguire al meglio lo scontro.
Il saiyan era davvero ansioso di constatare quale fosse la vera forza di suo figlio, forza che avrebbe potuto sprigionare solo in uno scontro con un avversario a lui pari - avversario che, per tutto il tempo, non aveva fatto altro che cercare con lo sguardo qualcuno fra la folla, qualcuno che, evidentemente, tardava ad arrivare.
“Credevo che almeno questa volta avrebbe partecipato al torneo” – aveva improvvisamente esclamato Gohan, abbandonandosi contro la ringhiera, fra Crilin e suo padre.
Lo avevano sentito tutti, ma nessuno era intervenuto. Sembrava quasi che i presenti non volessero intavolare quella conversazione che aveva come protagonista il grande assente del momento.
Eppure, non era un argomento che poteva essere tenuto nascosto troppo a lungo. Non sarebbe stato corretto nei confronti dell’unico che non sapeva ciò che fosse accaduto.
Era stato Crilin a parlare, posando lo sguardo sulla coppia che aveva scatenato tante domande nell’amico tornato dall’Aldilà.
“Sono quasi quattro anni che stanno insieme” – era intervenuto, sorridendo con tristezza – “Chi l’avrebbe mai detto, eh?”.
“Quattro… quattro anni?” – Goku era rimasto letteralmente senza parole.
Li vedeva molto affiatati, e insieme erano quasi… teneri! Bulma aveva lasciato che Yamcha le cingesse la vita con un braccio, e lei lo aveva baciato più volte durante tutto il torneo, abbracciandolo ad ogni vittoria del suo piccolo Trunks. La sua migliore amica era sempre stata una ragazza con la testa sulle spalle, ma era un’inguaribile romantica. Era contento di vederla così felice, serena, ma non poteva fare a meno di pensare a cosa potesse averla riportata fra le braccia di Yamcha. Era certo che presto il mistero sarebbe stato svelato.
“Non abbiamo mai capito se sia stato lui ad andarsene o se sia stata lei a cacciarlo via da casa” – Crilin aveva preso un bel respiro prima di continuare – “Ma è successo quattro anni fa, dopo un periodo che ricordiamo tutti piuttosto bene”.
D’istinto, si era girato e rivolto verso gli altri. Avevano più o meno la stessa espressione affranta dell’amico. Ma cosa poteva essere accaduto di così strano e sconvolgente da rendere tutti, persino la fredda C18, così turbati?
“So a cosa stai pensando, che forse non dovremmo meravigliarci tanto” – aveva proseguito Crilin – “Che dopotutto non era nella sua natura stare accanto a qualcuno, ma è proprio questa la stranezza. E’ proprio questa”.
“Perdonami amico… Ma io continuo a non capire”.
Non sapevano come iniziare il discorso. Non pensavano che potesse essere così difficile, che potesse lasciargli un tale amaro in bocca. Non lo avevano mai considerato davvero uno di loro, ma ora che si era allontanato, stranamente sentivano la sua mancanza. La sua espressione sempre corrucciata, le sue manie di grandezza, anche la sua punta di follia mancavano proprio a tutti, anche a chi era morto per mano sua.
“Non sei il solo, papà” – Gohan aveva un’aria tremendamente seria. Accanto a lui c’era una Videl incuriosita e attenta. Era evidente che neanche lei fosse al corrente di quella storia. Anzi, probabilmente la ragazza non aveva la più pallida idea di chi stessero parlando con tanta amarezza – “Io non vado quasi più alla Capsule Corporation. Vedere la Gravity Room spenta mi fa venire ogni volta una stretta allo stomaco. Sembra incredibile, eppure è così…”.
“Aspetta, ma perché è spenta?? Non mi starai dicendo che è morto ed io non ne sapevo nulla!!”.
Il dubbio si era insinuato in lui.
“No, Goku. La situazione è molto più assurda, paradossalmente” – era intervenuto Junior – “Il principe dei saiyan ha preso la decisione di non combattere mai più”.
*
Non riusciva a crederci. Non riusciva a credere neanche ad una parola di quello che gli era stato raccontato dai presenti. Non riusciva a farlo perché era semplicemente impossibile.
Stando a ciò che gli avevano detto, dopo la fine del Cell Game, Vegeta era sparito per qualche tempo, e nessuno sapeva dove fosse stato e cosa avesse fatto. Era tornato solo per veder partire il Trunks del futuro, e poi di lui non si era saputo niente per mesi. Almeno, loro non avevano saputo niente per mesi.
Era stato Gohan a raccontare a suo padre per filo e per segno quello che aveva visto con i suoi occhi, lasciandolo sconcertato.
“Ero curioso di sapere come stesse il piccolo Trunks” – aveva detto – “Volevo vedere quanto era cresciuto, e sapere se stava bene. Non vedevo Bulma da tanto tempo, e dopo quello che era successo tra me e Vegeta durante lo scontro con Cell, non avevo avuto modo di parlare con lui e ringraziarlo per quello che aveva fatto. Se non fosse stato per il suo intervento, quel mostro non si sarebbe mai distratto, e non so quanto tempo avrei resistito ancora prima di disintegrarlo.
Al mio arrivo, pensavo di trovare le cose come sono sempre state: Bulma nel laboratorio a progettare chissà cosa con suo padre, Trunks in giro per casa con la signora Brief, e Vegeta nella Gravity Room ad allenarsi duramente. 
Ma quando sono arrivato c’era il piccolo Trunks in braccio alla signora Brief, in lacrime, e Bulma, a stenti trattenuta da suo padre, che urlava a gran voce contro Vegeta.
Ma non era tanto il fatto che Bulma stesse urlando che mi ha destabilizzato, papà… Era… Era Vegeta. Credimi, non sembrava neanche lui. Se ne stava sul divano, immobile, guardava fisso davanti a sé, e sembrava che non sentisse le urla di Bulma. Non voglio ripetere quello che gli ha detto, non credo che ce ne sia bisogno ma… Papà, mi si è stretto il cuore. Quello non era il Vegeta che abbiamo conosciuto. Era… spento. Era completamente assente. Non si è neppure accorto che ero lì.
Non mi aspettavo una simile situazione, e allora ho preso in braccio Trunks e l’ho portato fuori, cercando di farlo calmare.
Qualche giorno dopo ho scoperto che Vegeta aveva abbandonato la Capsule Corporation”.
 
Goku aveva ascoltato il discorso in silenzio, incapace di proferire parola. Anche se il racconto di Gohan era stato frammentario e pieno di lacune, era stato perfettamente in grado di cogliere lo sgomento e il disagio provato dal suo ragazzo.
 
Che cosa poteva essere accaduto a Vegeta? D’accordo, non era mai stata una persona attenta ai sentimenti altrui, non era mai stato molto altruista e affettuoso con chi aveva attorno, ma era sempre stato profondamente orgoglioso, e il fatto che non avesse minimamente reagito alle vessazioni di Bulma era oltre modo strano, per non parlare poi del fatto che fosse sembrato completamente assente.
 
Il principe dei saiyan, per quel poco che aveva avuto modo di conoscerlo al di fuori delle continue lotte, non era una persona facile da gestire, una di quelle persone che sapeva esternare i propri sentimenti, ma quello era troppo anche per lui.
 
Spariva per mesi, non rispondeva alle vessazioni della compagna e andava via di casa senza dire niente. Certo, quest’ultima cosa non era poi così strana visto che si trattava di una persona che non aveva mai avuto una vera e propria dimora e che aveva viaggiato per tutta la vita, ma dove poteva essere andato? Soprattutto essendo in uno stato emotivo evidentemente così precario.
 
Stava fremendo per saperlo, ma si era trattenuto dal fare domande che potevano mettere a disagio i suoi cari.
Certo che era incredibile quanto, e soprattutto come, fossero cambiate le cose. E lui aveva creduto di trovare tutto esattamente identico a prima!
Ma forse, neanche lui lo era. Fino a qualche ora fa, non si era preoccupato di sapere cosa avesse combinato Vegeta, ed ora sembrava essere diventata una cosa di vitale importanza.
Si sentiva un verme. Per tutti quegli anni si era preoccupato solo di se stesso e delle arti marziali, la sua unica preoccupazione era stata quella di diventare ancora più forte. Si era allenato come un matto ogni giorno, sfidando avversari sempre più temibili e determinati, senza preoccuparsi di quello che sarebbe potuto accadere ai suoi amici, convinto che fossero invincibili.
Ma sua moglie aveva partorito un bambino che non aveva la più pallida idea di cose fosse un padre, Gohan stava affrontando l’adolescenza da solo, dovendo sopperire alle sue mancanze di genitore a dir poco snaturato, suo suocero aveva fatto, per quanto gli era stato possibile, da padre a quelli che avrebbero dovuto essere solo dei nipotini da viziare, e i suoi amici si erano fatti una vita al di là della sua presenza.
Possibile che avesse creduto anche solo per un istante di trovare ogni cosa esattamente come l’aveva lasciata? Possibile che fosse stato talmente ingenuo da pensare che Gohan rimanesse per sempre un bambino, che Crilin fosse ancora alla ricerca di una compagna e che Vegeta avesse deciso di continuare a vivere come aveva sempre fatto?
Forse, fra tutte le cose che aveva elencato, quella che poteva rimanere uguale a se stessa sarebbe stata proprio quest’ultima. Invece, anch’essa era cambiata.
 
“La notizia ti ha sconvolto, vero?”.
 
Crilin aveva sorriso amaramente al suo amico in visita dall’Aldilà, comprendendo perfettamente il suo stato d’animo.
 
“Bè… devo ammettere che quasi non riesco a crederci… E’ assurdo pensare che la persona più votata alla lotta che io abbia mai conosciuto nella mia vita non combatta più, che si sia arresa definitivamente. Ma voi ne siete proprio sicuri? Voglio dire, come fate a dire che non combatte più? Guardate Trunks… E’ stato allenato da qualcuno che ha esperienza!”.
“Il tuo discorso non fa una piega, Goku” – era intervenuto Junior – “E, infatti, Trunks stesso ci ha detto che è stato suo padre ad insegnargli tutto quello che sa, ma che non si è mai battuto con lui”.
“Eh?? Urca! No, ma dico, vuoi scherzare?”.
“No papà. Junior non sta scherzando. Trunks viene spesso a casa nostra, e due volte alla settimana viene solo per combattere contro di me o contro Goten. E ti posso assicurare che il piccolo non scherza affatto. Tra poco ne vedremo delle belle”.
Goku era a dir poco interdetto. Possibile che Vegeta avesse allenato suo figlio per tutti quegli anni, e allo stesso tempo fosse riuscito a tenere perfettamente a bada non solo la voglia, ma l’istinto naturale che possiede ogni saiyan, l’istinto di combattere sino allo sfinimento se non fino alla morte?
“Io non riesco a crederci. Non posso crederci!” – aveva esclamato con veemenza – “Andiamo ragazzi, stiamo parlando di Vegeta! Che cosa ha fatto per tutti questi anni? Ha vissuto sulle colline pascolando caprette? Ha fatto il contadino? No, ma dico, solo a me suona un pochino strano? E dire che mi avete sempre detto che sono un po’ tardone!”.
“Oltre che tardone è anche permaloso!” – era stato il commento poco velato di C18 – “Noto con piacere che l’Aldilà migliora le persone!”.
“Tesoro…” – Crilin era rassegnato. Sua moglie, la sua bellissima moglie,  aveva davvero un pessimo carattere, e la pazienza non era una delle sue doti più sviluppate.
“A dire il vero” – era intervenuto Gohan – “Vegeta fa l’istruttore di arti marziali in una palestra della città”.
Se Goku non aveva ancora perso i sensi per via dello shock, non pensava che ci sarebbe stata altra occasione.
*
Gli c’era voluto qualche istante in più del previsto per riprendersi, e ciò era avvenuto in parte solo grazie alla squillante voce del presentatore che aveva annunciato l’imminente scontro fra il suo secondogenito e il primogenito del più grande rivale che avesse mai avuto in vita sua.
Per tutto il tempo che aveva preceduto lo scontro, il piccolo Trunks non aveva fatto altro che scrutare il pubblico con un’ansia visibile, e Goku aveva finalmente avuto dai suoi amici una conferma del perché di quel gesto.
Era certo che, anche se Vegeta aveva deciso di non partecipare al torneo, non si sarebbe perso lo scontro di suo figlio per niente al mondo. Eppure, il gong era già suonato, il primo pugno era già stato sferrato, e di lui non c’era neanche l’ombra.
Lo spettacolo era davvero all’altezza delle loro aspettative. I due piccoli saiyan stavano dimostrando di essere due veri campioni, degni eredi dei loro padri, veri discendenti dell’antica razza saiyan.
Il pubblico era in estasi. E come biasimarlo? Di certo, non avrebbe mai e poi mai potuto prevedere che due bambini potessero combattere con tanto ardore, e con tutti quegli effetti speciali, poi! Non si stavano risparmiando su niente, e il fatto di lottare a mezz’aria rendeva ogni cosa ancora più spettacolare.
Una forza. Erano un’autentica forza.
“I bambini sono straordinari!” – aveva esclamato Crilin, in estasi – “Credetemi, non so davvero per chi fare il tifo. Sono stupefacenti. Si vede proprio che hanno nelle vene sangue saiyan!”.
Come dargli torto?
“Se non fanno attenzione, manderanno in rovina lo stadio! Ah! Quante volte ho detto loro che la sicurezza viene prima di tutto?” – Gohan aveva scosso il capo, visibilmente contrariato. Trunks e Goten erano due vere pesti, e insieme erano capaci di scatenare un autentico terremoto! Perché non prestavano mai attenzione a quello che diceva?
“Urca, è incredibile… E’ veramente incredibile”.
Goku era rimasto nuovamente senza parole. Aveva intuito che i bambini fossero un autentico portento, ma non pensava che potessero sorprenderlo fino a quel punto.
Non era solo l’istinto a guidarli, bensì una tecnica che lui non avrebbe mai sognato di padroneggiare a quell’età. Nonostante si stessero impegnando al massimo, non c’era traccia di stanchezza su quei volti apparentemente così angelici. Per loro era quasi come se fosse un gioco, nonostante sapessero che si trattasse dell’esatto contrario.
Trunks aveva appena ricevuto un possente pugno in pieno viso, rischiando di ricadere al suolo. Un rivolo di sangue aveva cominciato a colargli dal naso, e questo gesto aveva provocato in Bulma una reazione più che plausibile per una madre. Ma, un istante dopo, quasi come se avesse scosso via da sé l’iniziale timore, aveva ricominciato a tifare con maggiore entusiasmo, spronando suo figlio a dare il meglio di sé.
Ma non era stata la voce della mamma a convincere Trunks che il momento di scherzare era finito. Era stato tutt’altro. A convincere il bambino a dare molto più di quello che aveva dato sino ad allora era stata l’improvvisa apparizione fra gli spettatori della persona che stava aspettando sin dall’inizio a dargli nuova forza. Era stato l’arrivo del suo papà.
Non ci aveva pensato due volte, e in un’improvvisa esplosione di energia dorata, si era trasformato nel guerriero più forte della galassia: il super saiyan.
Goku e gli altri, esclusi Junior e Gohan, avevano assistito all’ennesimo colpo di scena. Era evidente che nessuno sapesse di quella loro abilità.
“E… e… chi se lo aspettava??” – Crilin non riusciva davvero a credere ai propri occhi.
Trunks aveva iniziato a combattere con una forza che probabilmente un bambino della sua età non avrebbe dovuto avere. Sembrava quasi che avesse dimenticato l’amicizia che lo legava a Goten e che il suo unico obiettivo fosse quello di vincere ad ogni costo. I suoi occhi non avevano perso di vista neppure per un attimo il bersaglio, e i colpi erano diventati sempre più potenti, sempre più precisi. Il saiyan più piccolo sembrava in seria difficoltà.
“FORZA GOTEN! FAGLI VEDERE CHI SEI!!!”.
L’incitazione di Gohan non aveva tardato a dare i suoi frutti, e dopo aver ripreso fiato per un breve attimo, anche il secondogenito di Goku aveva raccolto le energie, concentrandosi abbastanza da diventare un super saiyan.
“A quanto pare hai deciso di fare sul serio! – aveva esclamato Trunks – “Finalmente!”.
“Ho aspettato fin troppo” – aveva replicato il bambino – “Non avrai vita facile da ora in poi, Trunks”.
E così era stato: la reazione di Goten era stata a dir poco micidiale, tanto da suscitare in Goku una profonda ammirazione nei riguardi di quel bambino che gli somigliava così tanto.
“URCAAA!!! FORZA FIGLIOLO! SIAMO TUTTI CON TE!”.
Ma, proprio mentre stava per urlare al figlioletto di sfoderare il suo colpo più potente si era arrestato di colpo. Lo sguardo del giovane saiyan aveva scorto fra gli spalti la persona che da quando era arrivato, da quando aveva saputo, aveva desiderato rivedere più di ogni altra: Goku aveva appena visto Vegeta.
*
Era stato strano. Era stato veramente strano.
Anche se aveva trascorso diversi anni altrove, Goku ricordava perfettamente come fosse fatto Vegeta. Perché, allora, quell’uomo gli sembrava molto… diverso?
Non era particolarmente alto, ma era ben proporzionato. Spalle larghe, bacino stretto, braccia muscolose, bizzarri capelli a punta, fronte ampia e sguardo perennemente accigliato. Era quello il Vegeta che ricordava. Ma, nonostante fosse più o meno quello il Vegeta che aveva davanti, Goku si era reso perfettamente conto che si trattasse di una persona estremamente diversa.
La prima cosa che aveva notato era che non aveva addosso la solita battle suit, o i soliti vestiti attillati che ricordavano molto il suo abbigliamento da battaglia. Vegeta indossava un semplice jeans nero, un maglioncino color grigio scuro e un paio di stivaletti grigi simili a quelli che portava il piccolo Trunks. 
Non aveva assunto la sua solita posa rigida, autoritaria, ma si era placidamente abbandonato con le braccia contro una delle ringhiere, protendendosi in avanti.
Il suo sguardo, per quanto fosse severo come lo era di solito e concentrato nell’osservare lo scontro, sembrava incantato dallo spettacolo a cui stava assistendo. Completamente estraniato da tutti coloro che aveva attorno, Vegeta sorrideva trepidante, in attesa che suo figlio portasse a casa la vittoria.
E Trunks non aveva fatto attendere suo padre ancora a lungo: fra l’ovazione del pubblico, il piccolo dai capelli d’oro aveva assestato al suo avversario un colpo così potente da farlo cadere al suolo, e purtroppo  per lui, si trattava del suolo ad di fuori del ring.
“E IL VINCITORE DI QUESTO STRAORDINARIO SCONTRO E’ IL GIOVANE TRUNKS!” – aveva esclamato con grande enfasi lo storico presentatore del torneo, evidentemente in estati per lo spettacolo di cui era stato testimone – “ANCORA NON RIESCO A CREDERE AI MIEI OCCHI SIGNORE E SIGNORI, E NON CREDO DI ESSERE IL SOLO! CHE SPETTACOLO AVVINCENTE! RENDIAMO OMAGGIO AL VINCITORE, MA NON DIMENTICHIAMOCI DEL NOSTRO SECONDO CLASSIFICATO! COMPLIMENTI A TRUNKS, E COMPLIMENTI ANCHE A TE, GOTEN! SIETE DAVVERO I MIGLIORI!”.
Mai parole più giuste erano state pronunciate da quell’uomo dall’entusiasmo così contagioso.
E, anche se suo figlio aveva perso, Goku non se l’era presa. I bambini erano piccoli, ed entrambi avevano ancora tanto da imparare.  Magari, il suo Goten aveva da imparare qualcosa in più, ma era certo che con il tempo avrebbe dimostrato di essere pari a Trunks.
“Mi dispiace tanto” – aveva piagnucolato Goten, sbucando dal nulla a pochi centimetri da Gohan – “Mi dispiace!!”.
Il piccolo era scoppiato a piangere, aggrappandosi forte a suo fratello. Era evidente che avrebbe voluto vincere per fare bella figura davanti al suo papà, ma l’aver perso gli aveva  causato una ferita così grande da non avergli dato la forza di farsi abbracciare da lui. Sentiva di averlo deluso profondamente, ma non aveva idea di quanto si sbagliasse.
“Su ometto! Non c’è niente per cui piangere!” – lo aveva rincuorato Goku, scompigliandogli i capelli – “Vieni qui! So io come farti tornare il sorriso!”.
Goku lo aveva preso fra le braccia, facendolo roteare più volte, cominciando subito dopo a fargli il solletico. Il piccolo Goten aveva ricominciato a ridere, dimenticandosi delle lacrime che avevano rigato il suo bel visino vispo di bambino.
“Ecco fatto! E’ così che voglio vederti! Sorridente e allegro! Sono fiero di te piccolo mio! Ti sei fatto valere. Sei proprio figlio di tuo padre”.
E Goten non era l’unico ad averlo dimostrato. C’era stato anche un altro piccolo saiyan ad aver dimostrato di essere degno erede di suo padre. Un piccolo saiyan che ora si trovava davanti al genitore che aveva cercato con lo sguardo per tutta la durata dello scontro, un piccolo saiyan che felice come non mai, stava sorridendo ad un padre orgoglioso come non lo era mai stato prima di allora. E, per la prima volta da quando lo avevano conosciuto, non era orgoglioso di se stesso, ma di qualcun altro, di qualcuno che era così simile e così diverso da lui.
Aveva trattenuto a lungo il fiato, rapito da quell’immagine che aveva in sé qualcosa di surreale. Tutt’intorno a loro, la folla continuava ad acclamare il piccolo vincitore, sorpresa di vederlo così vicino, ma loro sembravano essere altrove. Era come se fossero in un mondo tutto loro, un mondo in cui non esisteva nessun altro. Non c’erano stati gesti, non c’erano state parole. C’era stato solo un lungo, profondo sguardo di ammirazione da parte di Vegeta, e di gioia da parte di Trunks.
Goku era rimasto in silenzio a guardarli per tutto il tempo, continuando a tenere suo figlio stretto al petto.
Non c’era niente da fare, non era più in grado di riconoscerlo.
Ma Vegeta lo aveva riconosciuto. Nonostante l’iniziale incredulità, lo aveva riconosciuto eccome. Goku lo aveva capito quando aveva incrociato il suo sguardo. Gli occhi grandi, scuri e profondi di Vegeta erano rimasti fissi su di lui per un istante lunghissimo.
E poi, improvvisamente, proprio come era apparso in precedenza, era sparito fra la folla, quasi come se fosse stato il ricordo di un sogno ormai sul punto di svanire. Quasi come se non fosse mai esistito.
*
Si erano riuniti dopo la gara nello spazio riservato all’incontro fra i parenti e i partecipanti. Le feste che erano state fatte ad entrambi i bambini erano state quasi imbarazzanti, ed entrambi ne erano usciti con le guance gonfie di baci e rosse per i continui pizzicotti ricevuti.
Bulma era al settimo cielo, e anche Yamcha era tremendamente orgoglioso del piccolo saiyan. Anche Chichi era contenta per il modo in cui suo figlio si era battuto, ma non era riuscita a nascondere che avrebbe preferito di gran lunga una vittoria da parte sua. Non per la gloria, ma più che altro per avere una maggiore stabilità economica. Ancora non sapeva che Trunks aveva deciso di rinunciare al suo premio in favore dell’amico.
“Ho tutto quello che mi serve” – aveva dichiarato – “A Goten serviranno molto di più”.
Era stato così delicato da non sottolineare il divario economico fra le loro famiglie che a Chichi erano quasi venute le lacrime agli occhi. A volte non riusciva a credere che quel bambino così dolce e ben educato fosse anche figlio di Vegeta.
“Devo farti i miei complimenti” – gli aveva detto Goku – “Sei veramente un guerriero in gamba”.
Il piccolo dagli occhi del mare non aveva risposto, continuando a fissare Goku con una sorta di ereditaria diffidenza. Era stato traumatico per il Son constatare quanto fosse diverso dal Trunks proveniente dal futuro. Ma, in fondo, si trattava pur sempre del figlio di Vegeta, no? Il figlio di quel Vegeta di cui non si vedeva neanche l’ombra.
“Io ora devo andare” – aveva poi sentenziato, rivolgendosi a sua madre.
“Ma come tesoro… di già?”.
“Non resti a vedere lo scontro degli adulti?” – gli aveva chiesto Goten, deluso.
“No, mi dispiace” – aveva risposto Trunks, sorridendo all’amico – “Ma mi racconterai tutto tu, no?”.
Il piccolo Goten aveva annuito, ma con un velo di tristezza. Non voleva che il suo amico andasse via.
“Trunks, mi raccomando, non fare tardi. Sai, io e Chichi abbiamo preparato una festicciola per te e Goten. Eravamo certe che uno dei due sarebbe arrivato in finale! Ora, non ci resta che scoprire cosa combineranno questi matti!” – e aveva indicato i guerrieri partecipanti al torneo degli adulti.
“Mamma… ma devo… devo venire da solo a casa, stasera?”.
La domanda non aveva poi colto così tanto di sorpresa la donna, che però non aveva potuto evitare di fare un sorriso non proprio spontaneo.
“Tesoro… io non credo che lui… sì, ecco…”.
“Ma posso dirglielo lo stesso? Almeno potrei provare…  Io… Magari posso riuscire a convincerlo”.
Non se l’era sentita di dirgli di no, nonostante temeva che il suo bambino potesse avere una brutta delusione. Ma sapeva che Trunks era una testa dura… Dopotutto, era figlio della persona più cocciuta che avesse mai conosciuto in vita sua.
“E va bene… Ma, mi raccomando tesoro, non fare tardi. Ti aspetteremo con ansia”.
E, dopo averla abbracciata, aveva salutato velocemente i presenti con la mano ed era corso via. Non era difficile immaginare quale fosse la sua meta.
*
Aveva perso. Fuori da ogni pronostico, Goku aveva perso lo scontro finale. Certo, era stato battuto da suo figlio, ma restava sempre il fatto che fosse caduto fuori dal ring allo stesso modo in cui una pera cade da un albero.
“Tutti questi anni di allenamento, e vengo battuto da un ragazzino!” – aveva ironizzato, fingendosi offeso – “Urca!! Re Kaioh non sarà contento!”.
Probabilmente il suo allenatore non sarebbe stato contento, no,  ma lui lo era oltre ogni dire. Gohan era stato un degno avversario, e aveva permesso a Goku di scacciare via ogni pensiero negativo relativo al fatto che in sua assenza avrebbe smesso di allenarsi, date le continue pressioni di sua madre. Ma il senso del dovere era radicato in maniera troppo profonda in lui, e l’eventualità di non poter difendere il proprio pianeta da un attacco nemico non era neanche lontanamente ponderabile dal giovane mezzosangue. Per questo aveva continuato a combattere: per poter difendere i suoi cari.
Sì, Goku si era battuto contro un più che degno avversario, ma non era del tutto soddisfatto. E non era per la sconfitta subita, no. In cuor suo, aveva sperato che sarebbe stato un altro il suo nemico. Per tutti quegli anni si era allenato per farsi trovare pronto, credendo che il suo storico rivale avrebbe fatto lo stesso in vista della resa dei conti. Invece, non era accaduto niente di tutto ciò. Contro ogni pronostico, Vegeta aveva completamente messo da parte la sua vecchia vita, dedicandosi completamente a qualcosa che Goku continuava ad ignorare.
Era nervoso, anche se stava cercando di non darlo a vedere ai suoi amici. Gli erano state concesse solo 24 ore per stare con loro, e voleva trascorrerle il più serenamente possibile. Ma non ci stava riuscendo pienamente. Sebbene nell’aria ci fosse un clima di festa, sebbene i suoi amici continuassero a bere, a scherzare e a ridere, lui non riusciva a smettere di pensare a cosa stesse facendo Vegeta, e non solo in quel momento, ma nella sua vita in generale.
Possibile che avesse davvero deciso di non combattere mai più? Che non avesse più messo piede in una gravity room, che avesse deciso di non tirare neanche più un pugno anche solo per far sbollire la rabbia? Era una cosa impossibile anche solo da tenere in considerazione. Vegeta non era solo un saiyan puro sangue, ma era il principe dei saiyan, l’erede al trono, colui che più di tutti aveva radicato in sé il desiderio della lotta, dello scontro, dello spargimento del sangue nemico, colui che più di tutti voleva combattere per il puro piacere di farlo, colui che amava misurarsi con guerrieri più potenti di lui per potersi migliorare. Come poteva aver deciso di non combattere mai più? Era di certo un’informazione sbagliata! Che cavolo faceva tutto il giorno? Sì, va bene, andava a lavorare in quella palestra – e già il semplice fatto che Vegeta lavorasse gli aveva fatto venire un aneurisma – ma poi? Andava a fare la spesa, tornava a casa – ovunque essa fosse – si metteva a cucinare e poi passava il resto della serata davanti alla tv?? Perché non ce lo vedeva proprio a leggere un libro o a fare un giro nei pub. E poi? No, no… Vegeta non poteva davvero fare quella vita. Goku era convinto che piuttosto avrebbe tentato il suicidio in maniera plateale! E poi – giusto per continuare su quella linea – non gli avevano forse detto che era stato lui ad allenare Trunks?? Quindi, volente o nolente, qualche pugno, calcio e onda di energia varia ed eventuale doveva averla prodotta, no?
Sarebbe impazzito se avesse continuato a lambiccarsi in quel modo il cervello. La verità era che l’unica cosa che gli andava di fare sarebbe stata localizzare Vegeta e teletrasportarsi da lui per verificare di persona se ciò che gli avevano detto corrispondeva o no alla verità.
Ma non ne aveva il cuore. Per prima cosa, perché erano gli ultimi momenti che molto probabilmente avrebbe trascorso accanto alla sua famiglia e ai suoi amici, e poi perché proprio non riusciva a localizzare né l’aura di Vegeta, né quella di Trunks. Era come se si stessero nascondendo di proposito. Ma possibile? Perché tutta quella segretezza?
Non c’era niente da fare: si stava proprio lambiccando il cervello.
“Ti vedo pensieroso…” – gli aveva detto Bulma, avvicinandosi a lui con discrezione – “Qualcosa non va?”.  
La sua migliore amica sorrideva, felice, e dai suoi occhi trapelava quella curiosità che l’aveva sempre caratterizzata e resa una delle persone più intraprendenti che avesse mai incontrato in vita sua. Proprio come Vegeta, del resto. A Goku sembrava assurdo che non  stessero più insieme. Ma, in fondo, si era reso conto perfettamente che più che un amore destinato a durare all’infinito, il loro fosse stato più un flirt durato lo stesso tempo che una candela accesa impiega a spegnersi se lasciata davanti ad una finestra aperta.
Bulma era felice accanto a Yamcha. E Yamcha era felice accanto alla sua Bulma. Loro erano il tipico esempio della coppia storica che in un modo o nell’altro finiva per tornare insieme. Era contento che si fossero ritrovati, anche se dopo tanto tempo e tante difficoltà. Ma era di certo meno contento per qualcun altro che proprio non riusciva a vedere accanto ad un’altra donna, qualcun altro che avrebbe finito per essere consumato dalla solitudine, qualcun altro che gli stava di nuovo facendo venire quella strana sensazione alla bocca dello stomaco.
“Ehi… Goku… Sei qui con noi?”.
“Eh? Cosa?”.
Bulma aveva scosso il capo, chiudendo gli occhi. Non sarebbe mai cambiato, era tutto inutile.
“Senti, si vede lontano un chilometro che c’è qualcosa che non va… Ma tu lo sai: se vuoi parlarne, io sono più che disponibile. Ci sono sempre stata, e per te ci sarò sempre. Sei il mio migliore amico… Non potrei mai metterti da parte”.
Era bizzarro il modo in cui le parole pronunciate da Bulma lo avessero toccato. Sembrava quasi che la donna volesse intendere ben altro, o forse, era semplicemente lui a sentirsi in colpa, anche se non riusciva a capire perché. Era tutto così complicato… Complicato e triste. Sapeva di potersi fidare di Bulma, che lei avrebbe fatto di tutto per aiutarlo e per dissipare i suoi dubbi. Peccato solo che quella volta non se la sentisse di confidarle i suoi timori, le sue incertezze. Quella volta, avrebbe preferito fare da sé.
“Non sai quanto mi fa piacere sentirti dire tutto ciò…” – gli aveva detto Goku, sincero – “E’ solo che… Non pensavo che le cose potessero essere cambiate fino a questo punto. Crilin si è sposato con C18 e hanno avuto una bambina, io ho avuto un altro figlio, Gohan si è trovato una fidanzata, e…”.
“E Vegeta ed io non stiamo più insieme”.
A quell’affermazione, il guerriero era rimasto di sasso, e imbarazzato più che mai, aveva cominciato a grattarsi la nuca.
“Oh, andiamo!” – lo aveva rimproverato lei – “Vuoi davvero farmi credere di non averlo notato? Va bene che sei un po’ svampito, ma non fino a questo punto!”.
“Urca… Bè, in effetti…”.
“Goku” – aveva proseguito lei, mettendogli una mano sulla possente spalla – “Vegeta non è la persona che abbiamo sempre creduto che fosse. Vegeta è molto più… fragile… fragile ed emotivo di quanto chiunque possa pensare. Forse troppo fragile per stare accanto a me, per crearsi una famiglia insieme a me. Ma, paradossalmente, ha dimostrato di essere un padre migliore rispetto al compagno che è stato in passato”.
Mentre parlava, Bulma aveva guardato costantemente l’anello con il diamante che aveva al dito anulare della mano sinistra, sicuramente un regalo di Yamcha.
Strano. Era quasi come se si sentisse il colpa per ciò che era accaduto a lei e Vegeta come coppia, e forse era davvero così. Ma non era quello il momento di indagare ancora con domande poco opportune. Bulma si era già aperta più di quanto si aspettasse, e non poteva non essergli grato per la fiducia che aveva riposto in lui.
“Ma non per questo credo che verrà, stasera!” – aveva poi esclamato all’improvviso, balzando in piedi – “Trunks arriverà a momenti, vado a prendere il resto delle pietanze. Sapessi quanto ha cucinato Chichi, sapendo che saresti tornato! Ah! Santa donna quella! Davvero santa!”.
Aveva sorriso nel vederla andare via e sparire dietro la porta che conduceva in cucina, ma era stato un sorriso amaro. Anche lui era certo che Vegeta non sarebbe venuto, e di lì a poco ne avrebbe avuto la conferma, perché il piccolo Trunks era appena tornato a casa solo così come era partito.
*
Lo aveva visto giocare con suo figlio, lo aveva sentito ridere con i suoi amici di sempre, ma nei suoi occhi aveva letto un dolore profondo e un senso di mancanza che solo lui sembrava in grado di comprendere. Per tutti gli altri non c’era niente di diverso o di strano in quella serata trascorsa alla Capsule Corporation. Gli amici di una vita avevano continuato a fare ciò che avevano sempre fatto senza capire, o peggio ancora fingendo di non capire che Trunks avrebbe voluto trovarsi altrove. E questo, non era un pensiero che stava toccando solo lui.
In un momento di distrazione, Goku lo aveva visto dirigersi verso il terrazzo, e senza farsi vedere da nessuno aveva deciso di seguirlo. Il sorriso che aveva dipinto sul viso era sparito, e gli occhietti vispi erano diventati improvvisamente tristi. Sembrava sul punto di piangere, ed era evidente che non volesse farsi vedere in quello stato dagli altri, dalle persone che si ostinavano a non voler capire come stavano realmente le cose.
Si era nascosto dietro la tenda, e dal vetro dell’anta socchiusa lo aveva visto abbandonarsi contro la balaustra e nascondere il volto fra le braccia. Stava tremando, nello sforzo troppo grande di trattenere le lacrime. Era uno spettacolo inusuale, eppure non avrebbe dovuto essere tale. Anche se si era battuto con estremo coraggio solo quella mattina, ciò non faceva di lui una persona insensibile, o un adulto. A volte, tendevano a dimenticarlo: Trunks era un bambino, così come Goten. Erano solo dei bimbi, anche se a loro si chiedeva troppo spesso molto di più di quanto fosse lecito, anche se erano i bambini stessi a dimenticarlo con una facilità a dir poco spaventosa.
Era indeciso se intervenire o meno. Un po’ perché quello era un momento molto intimo, un momento di ricercata solitudine, e un po’ perché non sapeva esattamente che cosa dirgli.
Si trattava di una scena quasi surreale agli occhi di Goku: se avesse avuto i capelli neri a punta, Trunsk sarebbe stato identico a suo padre, composto e apparentemente imperturbabile anche in un momento di profondo smarrimento. Se non fosse stato per le piccole ma già forgiate spalle tremanti, sarebbe parso che si fosse quasi addormentato, anche se in una posizione piuttosto improbabile. Ma Trunks non stava affatto dormendo. Trunks stava cercando di consolarsi in una sorta di auto-abbraccio. Troppo orgoglioso per chiedere a sua madre di stringerlo? Se così fosse stato, sarebbe parso ancora di più la copia esatta di Vegeta.
“Hai intenzione di restartene nascosto ancora a lungo?”.
Era stata proprio la voce leggermente roca di Trunks a far sobbalzare il nostro Goku. Era veramente un idiota! Come aveva fatto a farsi scoprire? Non aveva fatto rumore, e aveva trattenuto la sua aura! Possibile che lo avesse sentito arrivare? Ma se non si era neppure degnato di girarsi verso la sua direzione!
“Emm… Ecco…” – aveva biascicato Goku, sentendosi colpevole. Che fare?
Constatando che lui esitava, Trunks si era girato nella sua direzione, rivelando uno sguardo molto più duro rispetto a quello che avrebbe creduto di scorgere. E, ancora una volta, a Goku era parso di scorgere su quel viso i lineamenti speculari di Vegeta.
“C’è un bel venticello qui fuori…” – aveva proseguito Trunks – “Se vuoi c’è una sedia a sdraio…”.
Si trattava di un invito piuttosto bizzarro, ma era di certo un invito che non poteva rifiutare. Così, lievemente imbarazzato e anche un po’ tentennante, Goku si era avvicinato al piccolo Vegeta dai capelli lilla e dagli occhi azzurri, prendendo posto sulla sdraio che si trovava proprio accanto a lui.
“Hai proprio ragione…” – aveva esclamato Goku – “C’è proprio un bel venticello… Dentro faceva davvero caldo”.
Trunks non aveva risposto subito, ma si era limitato a fissarlo, cercando di sondarlo e svelarlo attraverso lo sguardo, quasi come se stesse cercando di fargli una radiografia. Era una cosa un po’ inquietante, ma non era il momento di farsi mettere così tanto in soggezione da un bambino. Era un adulto - anche se tecnicamente non era mai cresciuto? Bene, doveva iniziare a comportarsi da tale… o quasi.
“Emm… allora… piaciuta la festa?” – bene… quello era sicuramente il modo più sbagliato di iniziare a fare l’adulto.
“Mi hanno detto che hai perso lo scontro di oggi” – aveva detto, dopo averlo guardato per un lunghissimo, interminabile minuto trascorso nel più totale silenzio.
Dire che Goku era stato preso in contropiede sarebbe stato un autentico eufemismo.
“Bè, sì… ho perso. Sono caduto dal ring nell’ultimo scontro, quello che visto Gohan vincitore” – aveva ammesso, candido. Non si era mai vergognato di aver perso un duello, e non avrebbe di certo iniziato in quella circostanza.
“Mi piace, Gohan… E’ forte…” – aveva detto Trunks, tornando a fissare il vuoto – “E’ davvero forte…”.
Goku era in piena crisi. Si trovava davanti ad un bambino un po’ criptico, ma non impossibile da decifrare. Probabilmente lui non era la persona più adatta, ma era convinto ad andare fino in fondo, e non tanto per estrapolargli delle notizie su suo padre, ma per il mero bisogno che Goku sentiva di volerlo e doverlo aiutare in qualche modo. Perché, nonostante potesse sembrare il contrario, sentiva che Trunks non era davvero felice, che Trunks si sentiva solo, e questo non riusciva davvero ad accettarlo.
“Sei stato davvero bravo oggi, nello scontro con Goten… Non pensavo che fossi così forte e che potessi, bè, sì, trasformarti in super saiyan” – si trattava della verità, ed era certo che un complimento potesse fargli piacere.
E così era stato, perché Trunks aveva sfoderato un timido sorriso, ma nessuna risposta. Goku era stato ricambiato con l’ennesimo, lungo silenzio.
“Goten era così entusiasta” – aveva detto improvvisamente – “Era così entusiasta all’idea di conoscerti… Nell’ultimo periodo non faceva altro che parlare di te… ‘Mio padre questo, mio padre quello’… E’ stato veramente uno strazio!”.
Ancora una volta, era stato preso in contropiede. Trunsk era veramente unico nel suo genere.
“Davvero?” – aveva risposto Goku, deciso a stare al gioco.
“Sì… Ma io lo capivo… E’ strano… Per tutta la vita gli hanno raccontato storie su di te, ci hanno raccontato storie su di te… Il mitico Goku, l’eroe che ha salvato il pianeta e l’universo intero da minacce indicibili… Puoi immaginare cosa voglia dire essere tuo figlio? Il figlio di una leggenda?”.
Era rimasto senza parole. Sapeva bene che i suoi amici avevano molta stima di lui, ma che pensassero qualcosa di simile non l’aveva mai preso in considerazione. Doveva ammettere di sentirsi un pochino in soggezione, e anche in colpa… E sentiva che presto lo sarebbe stato ancora di più.
“Goten non vedeva l’ora di vederti” – aveva proseguito Trunks – “Si è allenato tantissimo nell’ultimo periodo. Voleva diventare forte, fortissimo, proprio come il suo papà. Ci teneva a fare bella figura davanti a te. Gohan è molto orgoglioso di lui”.
“E non è il solo!” – lo aveva interrotto Goku – “E’ stato davvero straordinario. Io non ero neanche la metà di lui alla sua età. Sono sbalordito da entrambi. Credimi… Mi avete lasciato senza parole!”.
Trunks aveva sfoderato un timido sorriso.
“Mi è quasi dispiaciuto di aver vinto” – aveva proseguito, lasciandolo ancora una volta interdetto.
“Trunks! Figliolo, ma cosa dici? Non devi pensare queste cose! Tu hai vinto perché te lo sei meritato! Sarebbe stata una vittoria falsata quella di Goten, e di certo non l’avrebbe aiutato a crescere… E poi…”.
“E poi?” – lo aveva incalzato, visto che Goku non aveva più proferito parola.
E poi… E poi cosa? ‘C’era tuo padre e quindi era giusto che combattessi anche per lui?’. Non poteva di certo dirgli una cosa del genere!
“Senti, non devi mai dubitare delle cose che fai, soprattutto di quelle che ti sei guadagnato con onore e dopo tanto lavoro. Perché per quanto tu sia per metà saiyan e abbia la lotta nel sangue, devi esserti allenato molto per raggiungere questo livello, no?”.
Forse, per la prima volta in vita sua aveva detto davvero qualcosa di sensato. Era davvero orgoglioso di se stesso.
“Sai, non sei tanto male…” – aveva ammesso Trunks – “Anzi… sei simpatico”.
“Urca! Grazie!” – era veramente contento. I bambini erano la bocca della verità, no?
“Posso chiederti una cosa?” – gli aveva improvvisamente domandato il piccolo saiyan.
“Sicuro!”.
Non l’avrebbe mai detto visto e considerato l’andamento della loro conversazione avuta fino ad allora, ma Trunks sembrava imbarazzato. Anzi, era imbarazzato, e anche intimorito. Stava per formulare una domanda tosta, evidentemente. Goku sperava solo di essere capace di fornire una risposta più che adeguata, soprattutto considerando che credeva di sapere quale essa fosse, o, meno specifico, chi fosse il soggetto di tale supposta domanda.
“Com’era papà?”.
Bingo. Per la miseria, poteva anche essere un idiota, ma pareva proprio che si fosse guadagnato la fiducia di quel bambino apparentemente così introverso. Si sentiva realizzato. E, per la prima volta, per sentirsi tale non aveva dovuto prendere a pugni nessuno.
Com’era Vegeta? Bella domanda. Dire che ad essa si poteva rispondere con una serie di aggettivi non propriamente carini sarebbe stato riduttivo. Che avrebbe dovuto dirgli?
‘Sai Trunks, tuo padre era un gran bastardo. E’ venuto qui per ucciderci, è colpa sua se mi sono imbattuto in Freezer, e sempre a causa della sua idiozia Cell ha raggiunto la sua forma completa, ed io sono morto per la seconda volta’.
No, non era decisamente il massimo. E poi, non sarebbe stato quello che pensava in realtà di Vegeta. Proprio per questo si era preso un attimo di tempo prima di rispondere, sfoderando un sincero e malinconico sorriso.
“Vegeta… Vegeta era straordinario” – aveva esordito, poggiando la schiena sulla sdraio e cominciando a fissare distrattamente la luna.
Trunks era in trepidazione, desideroso di apprendere il maggior numero di informazioni possibili sull’uomo che chiamava ‘papà’.
“Credo che ti abbiano raccontato chi siamo veramente, e da dove veniva tuo padre” – aveva proseguito, e Trunks gli aveva dato modo di continuare dopo aver fatto un breve cenno del capo – “Non era una persona buona, all’inizio, e non aveva nobili intenzioni quando è giunto sulla Terra. Vegeta era un guerriero, cresciuto con un solo obiettivo: battere il nemico e diventare sempre più forte. E credimi, era veramente forte. Incontrare tuo padre ha cambiato ogni cosa, mi ha fatto vedere tutto da una prospettiva completamente nuova e inusuale per me, da una prospettiva più saiyan, in un certo senso”.
Trunks era attentissimo. Sembrava una spugna che immersa in una bacinella colma cercava di assorbirne tutto il contenuto.
“Come hai detto anche tu prima, tutti qui mi considerano come una sorta di termine di paragone, anche se l’idea non mi rende particolarmente entusiasta, perché so di essere forte, ma allo stesso so che in giro per la galassia ci sono avversari molto più forti di me. Quando ho sconfitto Freezer tutti hanno creduto che io avessi raggiunto l’apice, la perfezione, proprio perché avevo sconfitto l’essere più potente dell’universo che c’era in quel periodo. Ma non è stato così. Certo, lo scontro che ho avuto con lui è stato memorabile, così come quello avuto contro Cell, ma niente e nessuno mi ha messo, ci ha messo, in difficoltà come Vegeta. Urca figliolo, se ci ripenso mi vengono i brividi. Tuo padre era una furia. E’ grazie a lui che ho imparato a non giudicare un avversario dalle dimensioni, e credimi, la mia non è affatto una battuta. Tu non hai idea di quanto ci abbia fatto sudare, né di come mi avesse ridotto alla fine di quello scontro. Ho avuto bisogno dell’aiuto di Crilin, Gohan e persino di Jirobai per tenerlo a bada, e nonostante questo, non siamo riusciti a batterlo. Dopo essere stato schiacciato da Gohan trasformato in ozaru, dopo essere stato ridotto ad un ammasso di ossa rotte e organi spappolati, era ancora vivo. Vivo e vegeto mi verrebbe da dire, ma ho paura che verrebbe fuori una battuta davvero pessima!”.
Il piccolo saiyan dai capelli lilla aveva nascosto il suo sorriso fra le braccia ancora appoggiate sulla balaustra, immaginando la scena. Doveva essere stato davvero uno scontro epico.
“Vegeta è sempre stato un ragazzo coraggioso e un guerriero più che temibile che non aveva paura di affrontare nemici più potenti di lui. Ha sempre ricercato lo scontro con qualcuno superiore a lui in potenza e astuzia, anche se a volte questo ha provocato un po’ di trambusto” – aveva detto, riferendosi evidentemente a quello che era successo con Cell – “E credo che questo gli abbia sempre reso onore, nonostante la sua ostinazione a volte non gli permettesse di valutare tutto con estrema lucidità. Ma solo a volte, sia ben inteso. Perché Vegeta ha spesso avuto delle idee geniali che ci hanno tirato fuori da guai impensabili! E’ un autentico stratega figliolo, parola d’onore.
E sai, erano in tanti a credere che non ce la facesse a diventare super saiyan, così come erano in tanti a credere che non ce la facesse a cambiare, ma tutte queste persone si sono sbagliate. Con il tempo, tutti si sono dovuti ricredere e hanno dovuto constatare il loro errore. Ovviamente, non so dirti se hanno fatto ammenda o no, ma sono certo che non mancherà l’occasione. Vegeta può essere pieno di difetti, come tutti, ma ha in sé l’orgoglio di un vero saiyan. Dopotutto, si tratta dell’erede al trono, no?”.
“Già…” – aveva bisbigliato Trunks – “L’erede al trono”.
“Ehi…” – si era alzato dalla sedia, sistemandosi accanto a lui e mettendogli una mano sulla spalla – “Non devi fare così, non devi essere triste…”.
Cosa poteva dire ad un bambino di quell’età dopo avergli raccontato che il padre era stato una specie di dio della lotta quando quello stesso bambino non l’aveva mai visto neanche tirare un pugno, probabilmente? Forse, avrebbe fatto meglio a tenere la bocca chiusa.
“Sai Goku, io dovrei avercela a morte con te” – aveva improvvisamente detto Trunks, lasciandolo a bocca aperta.
“Eh?”.
“Tu sei come gli altri” – aveva proseguito – “Tutti a raccontare grandi storie su papà e sul suo passato, ma ciechi davanti alla realtà”.
Ma di cosa stava parlando? A cosa si stava riferendo?
“Gli altri, forse, fingono di non vedere, ma non credo che tu lo faccia di proposito…”.
“Figliolo, ma si può sapere di che stai parlando?”.
A quel punto, Trunks aveva scosso il capo, incredulo davanti a tanta innocenza dimostrata da un adulto. Goku era veramente il tipo particolare di cui tutti parlavano.
“Mamma continua a dirmi che è una mia convinzione errata, ma non è così, ne sono certo. E’ colpa tua se mio padre ha smesso di combattere”.
Di sasso. Goku era rimasto di sasso. Perché Trunks gli aveva detto una cosa così brutta? Perché lo aveva accusato di essere la causa della rinuncia alla lotta fatta da suo padre? Non sapeva davvero cosa rispondere.  E, stranamente, aveva cominciato ad avvertire un peso sullo stomaco e un dilagante senso di oppressione che lo aveva fatto sentire piccolo come mai prima di allora si era sentito.
“Trunks… io… io non…”.
“Oh, ti prego, non fare questa faccia!” – lo aveva rimproverato il bambino – “Lo sanno tutti che papà, dopo averti conosciuto, ha fatto tutto quello che ha fatto solo per cercare di superarti, perché in un modo o nell’altro, si è sentito sempre inferiore a te, al mitico Son Goku”.
Quel pensiero non sarebbe stato del tutto errato se non fosse stato che il quel frangente Goku si sentiva in tutti i modi fuorché mitico.
“Per papà sei sempre stato il termine di paragone più alto. In un certo senso, gli hai insegnato a superare i suoi limiti, e lui ha cercato di insegnare questa cosa a me, anche se non l’ho mai visto tirare più di un pugno o di un calcio. E credo che lo abbia fatto solo perché mi vuole bene, perché vedo che ogni volta che lo fa soffre terribilmente. Credimi, lo apprezzo e lo amo ogni giorno sempre di più per quello che fa per me. Ed è proprio per questo che a mio parere, lui è una spanna al di sopra di te”.
Quell’ultima affermazione lo aveva fatto sorridere. Era ovvio che agli occhi di un figlio il proprio padre fosse una sorta di dio, di eroe, ma nonostante Trunks fosse di parte a prescindere, era convinto che avesse ragione.
“Poteva andarsene” – aveva proseguito – “Poteva decidere di andare via e non tornare, ma non l’ha fatto. Ha raccolto i pezzi della sua vita e ha deciso di rimanere qui, con me, per me, e non gli sarò mai abbastanza grato per questo” – il piccolo aveva le lacrime agli occhi – “E sono arrabbiato. Sono arrabbiato con me stesso perché nonostante io sia convinto che sia colpa tua, non riesco ad odiarti. Pensa un po’ quanto sono scemo!” – aveva detto, più a se stesso che a Goku – “Dopo questo, penserai che sono pazzo, ma non è così. Ti ho chiesto quelle cose solo perché vorrei che papà fosse più felice. Vedi, lui mi dedica un sacco di tempo, e lo so che mi vuole bene, ma so anche che non è felice come dovrebbe essere, mi capisci? Ed io sarei più felice se lui fosse davvero felice. Ecco… è questo il punto. Tutto qui”.
‘Tutto qui’. Trunks aveva detto un semplice ‘tutto qui’. Il suo era stato davvero un discorso di una semplicità e di una verità disarmanti. Lui voleva solo vedere felice il suo papà. Quanto era grande il cuore di quel bambino così piccolo? Quanto?
“Io torno di sotto” – aveva poi detto – “Se la mamma scopre che sono qui finirà per preoccuparsi…” – e aveva raggiunto la soglia, fermandosi un attimo prima di rientrare in casa – “Ah, Goku…”.
“Sì?”.
“Goten ha bisogno del suo papà… Pensaci…” – aveva suggerito, sorridendo sincero – “E grazie… grazie di tutto”.
Forse, non era Trunks quello che avrebbe dovuto ringraziare Goku.
 
Fine prima parte
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*Cleo spunta con cautela per evitare di essere presa a sprangate da chi aspetta l'aggiornamento di un'altra storia*.
Buon pomeriggio!
Allora, sono consapevole - come avrete capito - che ho dell'altro da pubblicare, e che un secolo fa vi ho promesso di scrivere delle One Shot tratte da un'altra mia Long, ma vi è mai capitato di trovare un documento nascosto di cui avevate dimenticato l'esistenza e di volerlo condividere?
Ecco, è capitato proprio questo. Stavo lavorando su questa cosa un secolo fa, e ieri, guardando l'episodio su Italia Uno, mi sono resa conto che era arrivato il momento di rileggere e di pubblicare questa che sarà la prima parte di una storia che nella mia mente non ha ancora preso forma.
L'avevo progettata come una One Shot. Ma non sono brava a scrivere One Shot. Ho troppe cose da dire, come al solito. E questa volta aggiungerei il fatto che ancora non so dove voglio andare a parare.
Non so se sarà una Het, una Shonen-ai, una Yaoi, non lo so! Non so se resterà a Rating verde o se cambierà, se introdurrò qualche coppia o meno, se sarà molto lunga o se saranno solo tre parti. 
Non ne ho la più pallida idea.
A questo punto, vi domanderete perché ho deciso di pubblicare questa prima parte (sì, prima parte, non primo capitolo, perché credo che in un certo senso possa finire anche in questo modo), dato che sono ancora un po' confusa, ma l'ho fatto proprio per questo: per trarre da voi l'ispirazione necessaria, ispirazione che a volte viene a mancare.
Per questo, non arrabbiatevi se ci metterò un po' di tempo in più per aggiornare (ammesso che ciò importi a qualcuno) e se chi si aspetta una Het troverà una Shonen o viceversa, o se non farò niente di tutto ciò! Sarà il cuore a guidarmi. Il cuore, e voi!

Credo che la storia non necessiti di molti chiarimenti. Almeno me lo auguro.
Io ho visto l'OAV ambientato subito dopo la saga di Cell, ma se il "salvataggio" che ha cercato di fare Vegeta è bastato per fargli tornare la voglia di combattere, bè, il principe dei saiyan non è il ragazzo orgoglioso e ostinato che conosciamo.
Vedremo come si evolveranno le cose!

Che altro dire?
Spero che vi sia piaciuta!
Ci sentiamo se non oggi domani per When you least, se c'è qui qualcuno tra i miei fedelissimi!
Un bacione!
E grazie di tutto!

Cleo
 

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Capitolo 2
*** Parte II ***


II PARTE
 
Percepire la sua aura era stato più complicato del previsto. Sembrava quasi che si stesse nascondendo, e se non fosse stato per la sua ostinazione, forse non l’avrebbe mai trovato.
Il suo appartamento si trovava al quarto piano di uno stabile nuovo ma per niente pretenzioso. Erano diversi minuti che si era teletrasportato lì, ma non aveva avuto il coraggio di bussare.
Cosa gli avrebbe detto? Era così nervoso che le mani avevano cominciato a sudargli.
Alla fine, aveva optato per l’effetto sorpresa, decidendo di tele-trasportarsi all’interno dell’appartamento.
Con sua grande meraviglia, si era ritrovato in un ambiente estremamente ordinato. Le uniche cose lasciate fuori posto erano il cartone di pizza vuoto lasciato sul tavolino accanto al divano e le due lattine, una di birra e un’altra di cola, mezze accartocciate su se stesse lasciate lì accanto.
Faceva strano pensare che Vegeta vivesse lì. Non si era mai posto più di tanto il problema di cosa facesse o non facesse il principe dei saiyan nel quotidiano. Lo aveva visto sempre e solo come un guerriero e mai come un uomo, un padre, una persona che faceva anche altro oltre a combattere per il puro piacere di misurare la propria forza.
A quanto pareva, Vegeta era un tipo estremamente ordinato e pulito, amante dell’essenziale, ma in un certo qual modo attento ai dettagli e dotato persino di gusto personale. Era giunto a questa conclusione osservando la grande stampa che, posizionata proprio sopra il divano, adornava la parete del piccolo ma accogliente soggiorno.
Era il blu il colore predominante. Un blu interrotto in più punti dal bagliore di quelle che evidentemente dovevano essere delle stelle luminose. In basso, sotto quello che non poteva essere altro che il cielo, si trovava un paesino quieto, rischiarato dalle luci delle tante casette sparse qua e là. Proprio in primo piano, sulla sinistra, c’era quello che Goku aveva identificato come un grande albero a punta. Forse un abete, forse un cipresso, non avrebbe saputo dirlo. Qualcosa gli stava suggerendo che avrebbe dovuto riconoscerlo, perché sentiva di aver già visto quel quadro da qualche altra parte, ma nonostante il suo cervello si stesse sforzando, proprio non riusciva a ricordare. C’era una sola cosa di cui era certo, ovvero che gli piaceva, gli piaceva in un modo strano, in un modo che non avrebbe saputo descrivere.
Solo dopo diversi minuti si era reso conto che sul grande riquadro bianco che circondava tutto il dipinto vi erano stampati sopra il nome e il cognome dell’autore. Con grande attenzione, Goku si era chinato in avanti, sopra il divano, persuaso a venire a capo di quell’arcano nonostante le sue evidenti difficoltà derivate da una pessima – se non del tutto inesistente – istruzione.
“Vi-vin…” – aveva cominciato, incerto – “Vince… Vincent!” – aveva esclamato, contento di aver portato a termine almeno la lettura della prima parola.
Per la seconda non avrebbe dovuto avere molti problemi.  Era composta da sole tre lettere, e due si trovavano in quel che aveva letto in precedenza.
“Dunque… Vincent… Van…” – ed ecco che era arrivato il difficile. Non era bravo con le h. Una volta, qualcuno gli aveva detto che erano ‘mute’, ne era sicuro, ma proprio non aveva mai capito cosa questo volesse dire.
Era così concentrato nello sforzo di leggere correttamente l’ultima parola che aveva corrucciato la fronte imperlata di sudore. Possibile che leggere fosse così stancante?
“G-G…” – aveva cominciato, incerto – “Vincent Van G…”.
“Gogh” – lo aveva improvvisamente  interrotto e aiutato una voce che non avrebbe mai potuto confondere con nessun’altra – “Vincent Van Gogh”.
Si era girato di scatto, trovandolo in piedi, appoggiato allo stipite della porta. Le braccia incrociate, scalzo, con addosso un’ampia t-shirt nera e i pantaloni grigi del pigiama, aveva sul viso un’espressione di totale tranquillità, la stessa tranquillità che aveva visto poco prima nel paesino dormiente del quadro, di quel paesino avvolto dall’abbraccio del cielo stellato.
Goku si era messo dritto, sfoderando un timido sorriso. Non sapeva bene come comportarsi. Si sentiva un po’ come un bambino colto con entrambe le mani nel barattolo della marmellata. Non era stato un gesto propriamente carino entrare in casa altrui senza essere invitati, lo sapeva bene, e si era aspettato una reazione violenta o perlomeno irritata da parte di Vegeta, ma alla fine aveva capito di essersi completamente sbagliato, perché non c’era traccia di nessuna di queste due emozioni sul viso del principe dei saiyan.
Non aveva proferito parola. Vegeta lo stava fissando ormai da quasi un minuto, fermo, apparentemente impassibile, come se stesse attendendo una mossa di Goku. Gli faceva strano vederlo lì, dopo tutto quel tempo in cui aveva solo potuto pensare a lui, a tutte le occasioni di vendetta mancate, a tutte le volte in cui, alla fine, si era rivelato inferiore a quel saiyan di infimo livello che gli aveva stravolto l’esistenza.
Per tutto quel tempo, si era convinto di odiarlo, di detestare quella creatura così bizzarra, quel saiyan dal cuore gentile che aveva represso ogni desiderio di grandezza. Si era convinto di desiderare la sua morte, ma adesso che lo aveva davanti, adesso che lo rivedeva dopo tanto tempo, desiderava solo che lui dicesse qualcosa e che la smettesse di guardarlo come se avesse visto un fantasma, anche perché, nonostante avesse conservato il suo corpo, quello tra loro due che se ne andava in giro con un’aureola in testa era proprio Goku.
“L’autore del quadro si chiama Vincent Van Gogh” – aveva allora proseguito Vegeta, mettendosi più comodo dopo aver cominciato a fissare la stampa – “E’ stato realizzato nel 1889, e rappresenta un paesaggio notturno, rischiarato dalla luce delle stelle, e ha sullo sfondo la città di Saint-Rémy- de-Provence, in Francia”.
Stava parlando con tono pacato, quasi assorto, quasi come se le parole stessero sgorgando da sole, riempiendo quel silenzio divenuto fin troppo assordante.
“Guarda…” – gli aveva detto, indicando un astro ben preciso – “Guarda com’è grande Venere, come brilla. Come rischiara, insieme alla luna, questo cielo altrimenti così nero, così cupo. Se solo Van Gogh avesse potuto vedere Venere da vicino, sono certo che ne sarebbe rimasto rapito. E’ così… Viva. Viva e pulsante rispetto alla quiete di questo paesaggio urbano”.
Goku lo aveva ascoltato senza fiatare, spostando lo sguardo dal quadro al viso di Vegeta. Era magnifico quello che stava dicendo. Aveva tradotto in parole quello che lui aveva sentito nel profondo del cuore, aveva dato voce a quella sensazione di slancio, di impulso vitale che non sarebbe stato in grado di spiegare. E allora, solo allora si era reso conto del perché quel quadro gli fosse piaciuto così tanto… Sembrava quasi che parlasse di Vegeta.
“Ho preso questa stampa nell’ultimo viaggio che ho fatto a New York, dopo aver visitato il museo in cui è esposto l’originale” – aveva proseguito il principe, senza smettere di guardare l’opera – “Sai, ho scoperto di avere tempo… Tanto tempo per fare un mucchio di cose, da quando te ne sei andato”.
Aveva detto quest’ultima frase girando il capo e fissando il suo viso, sollevando appena il proprio un po’ più in alto per rimediare al dislivello che c’era fra le loro stature.
“Io… Ecco… io…”.
“Ti va qualcosa da bere?” – lo aveva interrotto Vegeta, sorprendendolo di nuovo in così poco tempo.
“Certo” – era stata la sua risposta, forse fin troppo affrettata ed enfatizzata. Improvvisamente si era sentito stupido. A quanto pareva, era una cosa che gli accadeva spesso quando si trovava in compagnia di Vegeta o di suo figlio.
“Birra o vino?”.
“Fai tu…” – aveva detto, imbarazzato, vedendolo sparire dietro la porta della cucina.
Un istante dopo, Vegeta era tornato con in mano due bicchieri dal gambo lungo e una bottiglia di vino rosso.
“Guarda che puoi anche sederti” – lo aveva quasi rimproverato, posando quello che aveva con sé sul tavolo – “Non ho mai mangiato nessuno e non ho intenzione di cominciare adesso”.
Imbarazzato a morte, Goku non se l’era fatto ripetere due volte e, quasi obbedendo ad un ordine, aveva preso posto sul divano, osservando Vegeta che si accingeva a stappare la bottiglia e a riempire i due bicchieri. L’aria si era riempita di un forte odore di frutta e fiori. Non era abituato a quello, ma doveva ammettere che non gli dispiaceva provare una cosa nuova.
I movimento di Vegeta erano lenti e sapienti, da esperto. Sembrava un intenditore, un uomo consapevole che quello che aveva di fronte non era un semplice vino da supermercato, ma un vino di un certo livello, un vino che doveva essere pregustato ancor prima di portarlo alle labbra.
“Spero che il Lambrusco ti piaccia” – aveva detto, porgendogli il bicchiere ricolmo di liquido scuro e sedendosi proprio accanto a lui.
Senza fiatare, Goku aveva bevuto un piccolo sorso di vino, trovandolo a dir poco delizioso, e automaticamente aveva cominciato a chiedersi come Vegeta avesse fatto a scovarlo.
“L’ho scoperto durante un viaggio in Italia, l’anno scorso. Trunks doveva stare con me nel fine settimana, e abbiamo deciso di visitare l’Emilia-Romagna e la Toscana. Devo dire che ne è valsa proprio la pena. Lo stesso per Roma, e per il sud d’Italia. Per non parlare della Francia e della Spagna. L’Europa si è rivelata un’autentica sorpresa”.
Sembrava quasi che avesse risposto alla domanda mai posta da Goku. Questa constatazione aveva fatto sorridere il saiyan più giovane, che aveva ripreso a sorseggiare il suo vino, assaporandone a fondo l’aroma.
Era calato di nuovo il silenzio tra di loro, un silenzio che rimbombava in maniera assordante. Sapeva che a quel punto sarebbe toccato a lui dire qualcosa, ma proprio non ci riusciva.
Ma poi, anche se questo era davvero strano visto che era abituato a consumare il sakè in abbondanti quantità, il vino aveva cominciato a farlo distendere un po’, a farlo diventare un po’ più sciolto, e allora si era abbandonato contro la spalliera del divano, chiudendo gli occhi per un breve istante e sfoderando un ampio sorriso.
“Hai visitato proprio tanti posti” – aveva detto, sempre ad occhi chiusi.
“Te l’ho detto… Ho scoperto di avere un gran bel po’ di tempo che non sapevo come utilizzare”.
“E’ vero… E’ bello che tu abbia deciso di trascorrerlo con Trunks”.
Si era limitato a sorridere, facendo roteare il vino rimasto nel bicchiere, osservandolo ipnotizzato.
La verità era che non gli era pesato affatto, che era stato totalmente naturale vivere quei momenti accanto al sangue del suo sangue. Non era ancora pronto a dirlo ad alta voce, ma Trunks era diventato il centro del suo mondo. Tutto ruotava attorno a lui. Quando non lo aveva accanto, era come se gli mancasse un pezzo importantissimo della propria vita, un pezzo che per troppo tempo aveva fatto finta di non vedere e a cui adesso, invece, non avrebbe mai potuto rinunciare.
Era estremamente orgoglioso di lui. Aveva la forza e la tempra di un saiyan, una tenacia che lo faceva primeggiare anche nelle piccole cose terrestri, cose a cui egli stesso aveva cominciato a dare una certa importanza, come la scuola e le relazioni con gli amici. Poi, quando andava a prenderlo a scuola, si era accorto che erano tante le ragazzine - anche più grandi di lui - che lo osservavano, rapite. Nonostante avesse poco più di sette anni, suo figlio aveva già cominciato ad avere delle ammiratrici, e doveva ammettere che anche questo particolare lo rendesse fiero di lui.
Alla fine aveva accettato di essere padre. Lui, che non aveva mai pensato di farsi una famiglia, aveva un figlio che amava più della sua stessa vita, un figlio per cui sarebbe morto, se necessario. E, chi l’avrebbe mai detto, questo lo rendeva immensamente orgoglioso di se stesso.
“E’ un bambino in gamba” – aveva ammesso, candido – “E… Tsk… Vuole molto bene a tuo figlio”.
Dopo aver sentito quest’ultima affermazione fatta da Vegeta, c’era mancato poco che non si versasse addosso una generosa dose di vino. Per carità, non che gli importasse molto del suo look nell’Aldilà (anche perché re Kaioh gli avrebbe fornito immediatamente una nuova tuta), ma temeva l’eventuale reazione di Vegeta scaturita dall’aver fatto cadere il vino sul bel divano pulito. Salvatosi all’ultimo istante, Goku si era stretto nelle spalle, imbarazzato e anche un po’ intimidito. Sapeva che in realtà non c’era proprio niente di strano in quello che stava accadendo – erano due padri che parlavano dei loro figli e della loro amicizia - ma lui si trovava nella situazione di aver appena conosciuto il suo secondogenito, e presto avrebbe dovuto abbandonarlo nuovamente, lasciandolo solo.
Forse era merito del vino, forse era merito di quella conversazione, ma era stato come se avesse aperto finalmente gli occhi.
Si sentiva un idiota. Era un idiota. Un idiota e un egoista, e lo sapeva bene. Aveva preferito se stesso e i suoi allenamenti alla sua famiglia. Lui, lui che era considerato un eroe, aveva preferito la lotta ai suoi cari, a quel bambino dagli occhi così buoni, a sua moglie e al suo Gohan, nascondendosi dietro una battuta di Bulma.
“Kaharot, ma hai intenzione di dire qualcosa entro stasera, oppure hai deciso di rimanere sul mio divano, in silenzio, fino a domani, fissandomi di tanto in tanto come un perfetto idiota?”.
Ed ecco che, dopo un istante in cui aveva dovuto realizzare quello che aveva sentito, Goku aveva sfoderato un sorriso più che amichevole, scoppiando poco dopo in una sonora risata.
“Tsk! E adesso che hai da ridere?” – lo aveva rimproverato Vegeta, posando il bicchiere sul tavolo e incrociando le braccia sul petto, assumendo la sua consueta espressione imbronciata.
Goku stava ridendo. Stava ridendo come se qualcuno gli stesse facendo il solletico, come se avesse sentito la barzelletta più divertente del mondo. Ma la sua non era una risata di scherno. La sua era una risata liberatoria, una risata che improvvisamente lo aveva riportato alla realtà, a quella realtà fatta di persone in carne ad ossa, a quella realtà fatta di persone vere, con problemi veri, di persone che non scappano di fronte ad essi, come aveva fatto lui, ma che li affrontano, che li vivono e li superano, proprio come aveva fatto l’uomo che aveva davanti, proprio come aveva fatto Vegeta.
“Perdonami” – gli aveva detto, dopo un lasso di tempo apparentemente interminabile – “E’ che sono stato così tanto tempo lontano dal mondo, lontano da tutto, che credo di aver dimenticato come si fa a vivere” – aveva ammesso, candido.
Vegeta lo aveva osservato per un lungo istante, in silenzio, perfettamente in grado di comprendere quella che alle orecchie degli altri sarebbe sembrata un’assurdità, ma che per lui era una verità più che appurata.
“Mi dispiace, Vegeta. Mi dispiace di essere stato così egoista, così cieco, così stupido. Ho creduto di sistemare le cose, abbandonando tutto e tutti. Ho creduto che scappando, nessuno avrebbe più fatto del male a voi tutti, senza capire che sono stato io il primo a farvi del male. Ho fatto del male a Gohan, deludendolo, ho impedito a Goten di crescermi accanto, l’ho privato dell’amore di suo padre. Ho privato Chichi del conforto delle braccia di un marito e i miei amici di una spalla su cui piangere. E ho fatto a te… Ho fatto a te uno dei torti più grandi che potessi fare ad un amico… Io…”.
“Tsk! Ti prego, piantala. Sai perfettamente che non sopporto queste smancerie miste a piagnistei! Neppure mio figlio è così melodrammatico quando deve chiedermi scusa per qualche monelleria…” – si era alzato e aveva preso la bottiglia, versando un’altra generosa dose di vino a sé e al proprio ospite – “Tsk! Ecco, bevi… Ti preferivo silenzioso!”.
“Bè, se proprio insisti…” – bere un altro bicchiere non gli sarebbe dispiaciuto affatto, in effetti. Doveva ammettere che Vegeta sapeva come trattare i propri ospiti.
“Urca! E’ proprio buono questo vino! Quando ero in vita, Chichi non mi ha mai fatto bere nulla del genere, e neppure re Kaioh! E c’è da dire che lui se ne intende di manicaretti e prelibatezze terrestri. Non fa altro che cucinare per me”.
“Re-re Kaioh cucina per te?” – questa notizia l’aveva lasciato piuttosto perplesso.
“Sì! Ed è anche bravo! A proposito, tu non hai niente da mettere sotto i denti? Sai, comincio a sentire un certo languorino…” – e il suo stomaco gli aveva appena dato conferma.
“Ma come fai ad avere fame se sei morto, scusa? Ah… Lascia stare, non rispondere. Potrebbe venirmi un’emicrania. Vieni in cucina con me, o pensi di rimanere qui a vegetare sul divano?”.
“Cosa? No, no, arrivo”.
Era sicuro che entro la serata Vegeta gliele avrebbe date di santa ragione, e in un certo qual modo credeva pure di meritarsele. Peccato solo che il principe dei saiyan avesse smesso di combattere.
 
*
La cucina era molto accogliente. Piccola, ma dotata di ogni comfort. Il tavolo, progettato per ospitare solo due persone, si trovava a ridosso di una parete verniciata di blu, e dal lato opposto vi erano sistemati mobilio ed elettrodomestici.
Vegeta aveva aperto lo sportello del frigorifero, che con grande sorpresa da parte di Goku, era colmo di roba da mangiare fino a scoppiare.
“Hai grandi pretese o ti arrangi? Cerca di capire che non hai a che fare con un grande cuoco come il tuo re Kaioh…” – aveva ammesso, leggermente ironico, continuando a frugare nel frigorifero.
“No no, va bene tutto… Però…”.
“Però cosa?”.
“Emmm…. Ecco…” – come dirgli che si sentiva terribilmente in imbarazzo per quella situazione così assurda? Il principe dei saiyan che cucinava per lui. Già il fatto che cucinasse fosse assurdo, che lo stesse facendo per lui rendeva la situazione ancora più paradossale.
“Tsk… Chi ti capisce è bravo. Senti, ho uova e pancetta. E credo di… avere… anche… delle… eccole! Sì, ho anche delle salsicce. Se ti piace la colazione all’inglese siamo a cavallo”.
Inutile dire che Goku aveva già l’acquolina in bocca.
In un attimo, la cucina si era riempita dell’odore della pancetta che si cuoceva a ritmo dello sfrigolio dell’olio. Il più giovane tra i due saiyan aveva apparecchiato per sé e per il padrone di casa, e dopo aver stappato un’altra bottiglia di vino aveva preso posto su una delle due sedie, divertendosi ad osservare il principe alle prese con i fornelli.
Non poteva non continuare a stupirsi di quanto fosse diverso dall’uomo che tanti anni addietro aveva cercato di ucciderlo. Anche se aveva dimostrato di possedere ancora un gran carattere, sembrava proprio che in lui non ci fosse più traccia della superbia e della crudeltà che per tanto tempo avevano albergato nel suo cuore. Era un uomo nuovo, un uomo diverso, un uomo che aveva aperto il suo cuore non solo a suoi cari, ma all’intero mondo.
Era così orgoglioso di lui. Sapeva che un giorno Vegeta sarebbe cambiato. L’aveva sempre saputo, sin dal primo istante in cui si erano incontrati, il giorno in cui aveva deciso di salvargli la vita. Certo, non avrebbe mai potuto immaginare che un giorno sarebbero stati nella stessa cucina, insieme, a raccontarsi di viaggi ed episodi passati delle loro vite, come due vecchi amici rimasti a lungo separati.
Era orgoglioso di lui, e anche un po’ invidioso, perché era riuscito a trovare se stesso dopo essersi perso. Vegeta aveva represso la sua vera natura rinunciando alla lotta. Essendo anche lui un saiyan, capiva perfettamente quanto grande fosse stata quella rinuncia, quando immenso fosse stato quel sacrificio. Per Vegeta era stata una sorta di punizione che si era inflitto, ne era sicuro. Ma Goku non credeva che fosse lui la causa di questa sua decisione. O, almeno, non era l’unica. Se solo avesse trovato il coraggio di parlargli, invece di starsene lì a guardarlo come un idiota, i suoi dubbi si sarebbero finalmente dissipati. E invece se ne stava lì, in silenzio, ad osservare i movimenti lenti e sapienti di chi aveva dovuto imparare a fare da sé.
Doveva ammettere che la cosa non gli dispiacesse affatto. Era una cosa talmente insolita che andava registrata in ogni suo istante. Vegeta era così rilassato che quasi non sembrava lui. Quanto avrebbe voluto sapere verso quali mete stesse viaggiando la sua mente… Magari stava pensando al loro primo incontro, proprio come stava facendo lui. Forse stava pensando a quando si erano visti per la prima volta, alla prima parola – per nulla amichevole – che si erano scambiati. O forse, stava pensando alla volta in cui si era affidato a lui, pregandolo di vendicarlo dopo il corpo mortale che Freezer gli aveva inferto. E, stranamente, solo adesso si era accorto di quanto quell’episodio lo avesse ferito, lo avesse segnato. Era come se Vegeta fosse di nuovo al suolo, morente e stesse di ancora piangendo tutto il suo dolore e la sua frustrazione.
Fortunatamente, uno squillo improvviso proveniente dal suo telefono cellulare lo aveva distratto da quei terribili pensieri.
“Sì?” – aveva risposto Vegeta, posando il telefono tra l’orecchio e la spalla in modo da avere entrambe le mani libere – “Liz… Ehi… Non pensavo di sentirti a quest’ora. Cosa? L’hai visto in tv? Tsk… Mi stai offendendo! Dovresti sapere che Trunks sa il fatto suo… Sì, sì, d’accordo… Per domani, dici? Alle dieci, come al solito… Sì… E vedi di non fare tardi. Ho altre persone dopo, e non posso farle aspettare. A domani… Ciao”.
Liz? Vegeta aveva ricevuto una telefonata da una donna che si chiamava Liz, da una donna che si chiamava Liz e che avrebbe dovuto incontrarlo domattina alle dieci. L’apprendere quella notizia gli aveva fatto venire un nodo allo stomaco. Non aveva neanche preso in considerazione che potesse esserci una donna nella vita di Vegeta, e si era sentito ancora una volta tremendamente stupido per aver pensato che niente fosse cambiato.
“Ecco…” – aveva detto Vegeta, porgendogli un piatto caldo e fumante – “E vedi di non lamentarti, o giuro che ti uccido anche se sei già morto”.
Non aveva risposto, prendendo il piatto e posandolo sul tavolo, continuando ad osservarlo senza proferire parola. Vegeta aveva preso posto, cominciando a mangiare subito con grande gusto, noncurante dell’immobilità di Goku.
Solo dopo qualche minuto si era accorto di quanto fosse strano che il suo piatto fosse quasi vuoto, mentre quello di Kaharot fosse ancora del tutto intatto.
“Fammi capire, prima mi stressi perché hai fame ed ora non mangi? Io ti avevo avvisato di non essere un grande cuoco, ma…”.
“Chi è Liz?” – lo aveva interrotto, imbarazzato e curioso allo stesso tempo.
“Cosa?”.
“Ti ho chiesto chi è questa Liz. No, perché se hai una fidanzata, potevi anche dirmelo, sai”.
Vegeta aveva lasciato la forchetta sospesa a mezz’aria, assumendo un’espressione indecifrabile.
“Prego?” – per un attimo aveva creduto di aver sentito male.
“Hai capito bene. Perché non volevi dirmelo, si può sapere?”.
“Tsk! Senti un po’, ti presenti a casa mia a quest’ora, entri senza bussare, te ne stai impalato come una statua, dici che ha fame, cucino per te – sottolineo, per te – e dopo mi accusi anche di non essere sincero su una cosa che per giunta non ti dovrebbe neppure riguardare? Ti è dato di volta il cervello, per caso?”.
Se l’era meritato. Se l’era meritato e lo sapeva. Ma non aveva intenzione di chiedere scusa, perché Vegeta gli aveva tenuto nascosta una parte della sua vita, e lui non capiva il perché. Erano amici, no? Che gli costava raccontargli una cosa così importante?
“Allora! Ti decidi a parlare o no?”.
Ma Goku non ne aveva la benché minima intenzione.
“Assurdo. Decisamente assurdo che io ti abbia permesso di stare qui, e decisamente assurdo che stia perdendo del tempo con te…” – aveva detto, sollevandosi di scatto dalla sedia.
Nel vedere quella reazione, nel rendersi conto di quanto lo avesse ferito, Goku si era alzato a sua volta, afferrando Vegeta per il polso destro, bloccandolo.
“Vegeta…”.
“Lasciami immediatamente”.
“Mi dispiace. Sono stato un vero idiota. Non dovevo permettermi di dirti quelle cose, ti chiedo scusa”.
Alla fine, aveva ceduto. Si sentiva terribilmente idiota per quello che aveva fatto, era stato capace di rovinare tutto, e non sapeva nemmeno il perché.
Il principe dei saiyan lo aveva guardato a lungo, prima di rilassare il braccio teso e sorridere, chiudendo gli occhi.
“Tu sei veramente fuori di testa, bello mio” – aveva asserito.
“Sì, credo che tu abbia ragione” – aveva ammesso, lasciando la presa sul suo braccio.
“Tsk… Mangia. E sta zitto” – e aveva ripreso posto.
“Va bene…” – Goku aveva fatto come gli era stato ordinato, vergognandosi da morire per la reazione che aveva avuto. Reazione impensabile, fra l’altro.
Gli unici rumori che si sentivano era quelli delle posate e dei bocconi di cibo masticati e poi ingoiati.
Vegeta era piuttosto perplesso. Non si sarebbe mai aspettato una simile reazione da parte di Kaharot. Fare una simile presupposizione e prendersela perché non aveva voluto rispondere era stato veramente fuori luogo, soprattutto per uno come lui. Cosa cambiava per quell’idiota se lui aveva o no una relazione con una donna? Non erano affari suoi. Ma nonostante non lo fossero, era comunque riuscito a metterlo in difficoltà, a farlo sentire in colpa. Forse, avrebbe dovuto dargli una spiegazione, anche se non sapeva bene il perché. 
Doveva essere sicuramente colpa del vino. Avevano appena finito di bere la terza bottiglia, dopotutto, ed era più che probabile che gli effetti dell’alcol avessero cominciato a farsi sentire.
“Lo sai che queste uova sono buonissime? Sei stato molto gentile ad aver cucinato per me” – aveva biascicato Goku, rosso in viso per il troppo vino bevuto.
“Tsk… Credo che tu sia troppo ubriaco per renderti davvero conto di come ho cucinato o no, scimmione”.
“Ah, adesso sarei io lo scimmione, vostra maestà?”.
“Cosa? Come osi prenderti gioco di me in questo modo?” – lo aveva rimproverato Vegeta, incerto se assumere un tono arrabbiato o se scoppiare a ridere.
“Avete ragione, maestà, sono stato scortese. Lasciate che mi inchini davanti a vo-oh,oh!”.
Stava per cadere. Stava per cadere e per finire per terra, e lo avrebbe fatto se solo Vegeta non si fosse alzato in tempo, prendendolo prima che ciò avvenisse.
“Stai bene?”.
“Urca come mi gira la testa… Devo-devo aver bevuto troppo… Devo davvero aver bevuto troppo…”.
“Già, lo credo anche io…”.
“Vegeta…”.
“Sì?”.
“Non voglio andare a casa in queste condizioni…”.
Lo aveva aiutato a rimettersi in piedi, sorreggendolo per evitare che cadesse per terra come un sacco di patate. Aveva ragione. Se Chichi lo avesse visto tornare in quello stato lo avrebbe strigliato per bene, e quello era il suo unico giorno sulla Terra… non poteva di certo finire in quel modo.
“Andiamo…” – e lo aveva aiutato ad incamminarsi verso una parte della casa che Goku era certo di non aver visitato.
“Però…”.
“Però?” – aveva ancora la forza di parlare?
“Io… Voglio tornarci… A casa…”.
Questa richiesta così contrastante rispetto alla precedente aveva lasciato basito il principe dei saiyan, che in un primo momento non aveva compreso il vero significato di quelle parole.
“Tsk… Mettiti giù…” – lo aveva ammonito, aiutandolo a stendersi sul proprio letto. Ne avrebbe fatto a meno, per quella notte.
“Sì… Va bene… Ma io… Io voglio tornare a casa… A casa mia... Chichi… Gohan… Goten… Io… Voglio essere… Voglio essere come te…”.
Era stato solo dopo aver sentito quell’ultima affermazione che Vegeta era stato in grado di comprendere cosa volesse dire veramente quello svitato, che aveva capito cosa volesse dire quando sosteneva di voler tornare a casa sua, che volesse essere come lui. Ma avrebbe potuto accogliere quella velata e bizzarra richiesta di aiuto? Ne sarebbe stato in grado? Per la prima volta in tutta la sua vita, il principe dei saiyan non era certo di riuscire a darsi una risposta.
Fine parte II
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Buona domenica!!
Ora, so che sono trascorsi decenni dall’ultima volta che ho aggiornato, ma ho dovuto aspettare che la storia prendesse una piega ottimale prima nella mia testa e poi qui, su Word. A quanto pare, i nostri due saiyan stanno per vivere una grande avventura che li porterà a riscoprire se stessi. =)
Mi auguro che resterete con me fino alla fine! E vi prometto che cercherò di aggiornare prima, va bene?
Un bacione
Cleo

 

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Capitolo 3
*** Parte III ***


III Parte
 
Si era svegliato nel cuore della notte, in un primo momento incapace di capire dove si trovasse. La testa gli faceva un gran male, e si sentiva come se un intero plotone di vari Cell e Freezer lo avesse investito in pieno. Aveva lo stomaco in subbuglio e ricordava ben poco di quello che aveva fatto in precedenza. Di certo, c’era che era ancora morto - era giunto a quella conclusione notando che l’aureola si trovava ancora sulla sua testa - ma si trovava ancora sulla Terra, perché nel palazzo in cui abitava con re Kaioh non c’erano mobili simili. Con grande cautela si era messo a sedere, cercando di abituarsi alla penombra di quella camera da letto. Non aveva il coraggio di accendere la abat-jour che si trovava sul comodino, temendo di peggiorare il suo mal di testa, e aveva deciso di accontentarsi della luce della luna che filtrava dalla finestra.
Erano stati proprio i suoi tenui raggi ad avergli permesso di constatare che accanto al letto matrimoniale vi erano un piccolo armadio, una scrivania e una sedia su cui erano stati riposti dei vestiti che non erano i suoi. Di suo, c’erano solo gli stivali e la casacca della tuta che qualcuno doveva avergli tolto prima di metterlo a letto.
La confusione che stava provando non accennava ad attenuarsi. Era tutto così strano, così diverso da come avrebbe dovuto essere. Era tutto vuoto e privo di senso, a ben vedere, e lui non sapeva proprio cosa fare per rimediare a quel terribile mal di testa. Si era stretto le tempie pulsanti tra le mani, stringendo forte gli occhi, nella speranza di riaprirli e capire almeno dove si trovasse, e soprattutto perché. Si sentiva tremendamente agitato.
Forse, avrebbe dovuto alzarsi da quel letto e cercare di capire una buona volta cosa gli fosse capitato, ma temeva di finire sul pavimento, e aveva il serio timore di non riuscire più a rialzarsi.
“Urca, mi sono sentito in questo modo solo quando mi sono preso quella sbronza durante il…” – ma Goku aveva lasciato la frase a metà, improvvisamente conscio di quello che effettivamente gli era capitato. L’aveva presa eccome, una sbornia, e l’aveva presa a casa del principe dei saiyan in persona! Si era presentato lì per parlagli, e alla fine si era ubriacato. Sì, esattamente, si era ubriacato. Ma come gli era venuto in mente di fare una cosa del genere? Come?
A quel punto, a giudicare da quello che proprio non riusciva a ricordare e dal fatto che avesse dormito in quello che potenzialmente doveva essere il letto di Vegeta, che fine aveva fatto quest’ultimo?
Una forte ansia lo aveva improvvisamente assalito. Presto sarebbe sopraggiunta l’alba. Il suo permesso sarebbe scaduto, e lui non voleva che ciò accadesse. Non prima di scusarsi con Vegeta e di aver abbracciato un’ultima volta la sua famiglia. Già, la sua famiglia… Gohan, Chichi e il piccolo Goten si stavano di certo domandando che fine avesse fatto, perché avesse deciso di allontanarsi da loro durante il suo unico e solo giorno di permesso dall’Aldilà, un giorno che avrebbe dovuto dedicare solo ed esclusivamente a loro.
Con il cuore in gola era sceso dal letto e si era messo in piedi, cercando in se stesso il coraggio per uscire dalla stanza e rimediare almeno ad uno dei danni che aveva combinato.
Stava per aprire la porta della stanza quando un Vegeta vestito di tutto punto lo aveva preceduto, accendendo la luce di colpo e facendogli prendere per giunto uno spavento memorabile.
“Bene, vedo che sei già in piedi. Mi hai risparmiato la fatica di svegliarti”.
“Cosa?” – non era certo di aver capito bene. D’accordo che l’aveva fatto arrabbiare e non poco, che era stato sgarbato e decisamente patetico, ma buttarlo fuori di casa nel bel mezzo della notte, in quello stato, poi, era disumano anche per il principe dei saiyan!
“Tsk…” – si era limitato a dire prima di sorpassarlo, prendere i vestiti che aveva messo sulla sedia e lanciarglieli addosso.
“Emm… Vegeta, io…”.
“Non fiatare e vestiti. Forza!”.
Era davvero così tanto arrabbiato con lui, non c’era che dire. E come dargli torto?
 “Kaharot, dico sul serio, vestiti! O hai dimenticato come si fa? Spogliarti mi è già costato caro, quindi vedi di vestirti da solo e di fare in fretta. Perché io non ho nessuna intenzione di mettere in pratica il procedimento inverso!”.
“Va bene…” – tremendamente dispiaciuto, Goku si era rimesso la casacca arancione, mettendola nei pantaloni e stringendovi attorno la cintura di colore blu. Subito dopo si era chinato sul pavimento, raccogliendo gli stivaletti e infilandoli barcollando vistosamente. Aveva qualche problema di equilibrio piuttosto evidente, al momento.
Era terribilmente in collera con se stesso. Come aveva fatto a fare quell’autentico macello in così poco tempo? Era andato da Vegeta per parlargli, per farlo sfogare se necessario e per comprendere le ragioni che lo avevano condotto a prendere una decisione così sofferta e difficile. Voleva prendersi cura di lui, e invece, alla fine e anche se per poco, era stato il contrario. Aveva rovinato tutto. Ed ecco che ora Vegeta ce l’aveva a morte con lui, ancora più di prima, se possibile. Non c’erano dubbi, era davvero un cretino.
Aveva finito di rivestirsi senza staccare gli occhi dal pavimento. Vegeta stava cercando qualcosa nell’armadio, ma non aveva avuto il coraggio di vedere di cosa si trattasse o di fargli una domanda di senso compiuto, ammesso che fosse in grado di farlo.
Forse stava solo cercando di ignorarlo, stava solo aspettando che lui se ne andasse! A quel punto, perché farlo attendere oltre? Doveva solo andare verso l’uscita, aprire la porta e chiudersela per sempre alle spalle. Non lo avrebbe neppure salutato. Non voleva disturbarlo oltre. Stava appunto per mettere in pratica quanto detto quando qualcosa di morbido ma piuttosto pesante lo aveva colpito alla nuca facendolo voltare di scatto verso colui che aveva lanciato quello che aveva scoperto essere una sacca da viaggio.
“Ehi, ma sei impazzito?”.
“No, tu sei impazzito! Dove credevi di andare? Dopo tutta quella tiritera sdolcinata che mi hai propinato stanotte, hai davvero il coraggio di voltarmi le spalle?”.
“Tiritera-tiritera sdolcinata?”.
“Tsk! Quante volte devo ripetere che sei un emerito cretino?” – aveva sottolineato, chiudendo la sacca che aveva appena finito di riempire – “Forza! Cerchiamo di sbrigarci! Raccogli quella stupida sacca e preparati ad usare il teletrasporto”.
Era sempre più confuso. Il teletrasporto? Ma dove voleva andare se tra poche ore il suo permesso sarebbe scaduto? Non poteva allontanarsi dalla Terra così, senza dirlo a Baba…
“Allora, vuoi sbrigarti o no?”.
“Vegeta, io non capisco”.
“E quando mai capisci qualcosa, tu? Tsk, roba da pazzi! Senti, ti spiegherò tutto quando saremo arrivati. Adesso, diamoci una mossa prima che sia troppo tardi”.
“Ma tardi per cosa? E poi, dove vuoi andare?”.
“Su Neo-Namecc, ignobile cretino. Stiamo andando su Neo-Namecc”.
*
Non sapeva come prenderla, in verità. Vegeta lo aveva costretto a teletrasportarsi su Neo-Namecc seduta stante, con tanto di provviste, fra l’altro.
Le cose erano decisamente diverse su quel pianeta rispetto a quello su cui avevano vissuto precedentemente i namecciani. Tanto per cominciare, di sole ce n’era uno solo, e questa volta esisteva l’alternanza tra giorno e notte. Proprio come sulla Terra, si vedeva un satellite grande un paio di volte la Luna troneggiare nel bel mezzo del cielo altrimenti nero come la notte, un cielo le cui stelle avevano preso la decisione di celarsi.
Faceva freddo, decisamente freddo, e Goku non era stato capace di non rabbrividire. Era quella la particolarità di chi conservava il proprio corpo dopo la morte, era proprio come essere ancora vivi. Solo che sulla testa si aveva una simpatica aureola dorata.
“Brrr…” – si era lamentato, strofinandosi le braccia nel vano tentativo di riscaldarle – “Si gela qui!”.
“Tsk! Lo avevo previsto” – aveva commentato Vegeta, alzando il colletto del giubbotto imbottito e continuando a trafficare con l’orologio che portava al polso – “Per questo ho preparato la sacca, idiota”.
Curioso oltre ogni dire, Goku aveva aperto la sacca fornitagli da Vegeta, scoprendo che all’interno vi era riposto un pesante giubbino di piuma d’oca che gli stava quasi a pennello e alcune cibarie.
“Urca! Ma come facevi a sapere che avremmo trovato tutto questo freddo, scusa? E poi, che ci fai con un capo che non è della tua taglia?”.
Il principe dei saiyan aveva sorriso prima di rispondere – “Diciamo che mio figlio non ha ereditato l’occhio critico di sua madre per quanto riguarda l’abbigliamento”.
Un regalo di Trunks. Vegeta gli aveva dato da indossare un regalo che gli aveva fatto Trunks. Dire che era sorpreso sarebbe stato riduttivo. Sorpreso e anche un po’ confuso, a dire il vero. Non si aspettava tanta premura, non da parte di un uomo decisamente interessato ad apparire più burbero che mai. Non c’era niente da fare, non sarebbe mai riuscito ad indagare fino in fondo la psicologia di quella creatura così misteriosa.  Certo, non che psicanalizzare gli altri gli riuscisse meglio, ma con Vegeta faceva molta più fatica. Erano diversi, loro. Così diversi a causa della loro educazione, delle loro scelte e per colpa delle decisioni che il destino aveva preso per loro. Forse, se non fosse stato inviato sulla Terra quando ancora era in fasce, sarebbe venuto su esattamente come il principe dei saiyan e sarebbe stato in grado di comprendere i suoi piani, di capire come ragionava e di anticipare ogni sua mossa.
Ancora non era stato in grado di aprire l’argomento che più gli stava a cuore, tra l’altro. Certo, lo aveva raggiunto a casa  sua non solo per quello ma anche per il puro piacere di incontrarlo, di parlargli e non di doverlo solo guardare da lontano quasi come si faceva con una star del cinema, o con un principe, in questo caso. Non avevano mai avuto un rapporto di amicizia nel senso stretto del termine, era vero, un po’ per colpa di Vegeta che non avrebbe accettato facilmente di avere un qualsiasi tipo di rapporto con lui, con la terza classe che aveva osato avere pietà di lui, e un po’ per colpa sua, perché non era stato in grado di avvicinarlo perché non lo aveva ritenuto importante. La verità era che lui aveva sempre dato tutti e tutto per scontato. Amici, parenti… Qualsiasi cosa fosse accaduta ci sarebbero state le sfere del drago a risolvere i problemi. L’allenamento, il desiderio di diventare più forte, di misurarsi principalmente con se stesso, lo aveva portato a diventare un autentico egoista. L’aver condotto Cell senza pensarci due volte sul pianeta del povero re Kahio era stato un gesto di puro egoismo, non di eroismo, come avevano sempre creduto tutti quanti. Il non volerne sapere di tornare, poi… Come aveva potuto credere di aver fatto la cosa giusta, di aver agito per il bene di suo figlio e del mondo intero? Era stato solo un autentico idiota egoista, ecco cos’era stato. Peccato solo che fosse stato talmente sciocco da non essere stato in grado di capirlo prima. Eppure i suoi amici avevano accolto il suo arrivo con grande entusiasmo e grande gioia, incapaci di trattenere lacrime di commozione. Ma, a quel punto, tirando le somme, lui credeva di non meritare niente del genere, di non meritare tutto quello che costantemente gli veniva donato. Come poteva meritare un trattamento del genere se lui non era stato in grado di ricambiare l’affetto, l’amore che quelle persone tanto care gli avevano riservato in tutti quegli anni?
Si sentiva sempre peggio, il nostro Goku. C’era poco da fare, aveva perso il controllo di tutto, ammesso che lo avesse avuto anche solo per un nanosecondo. Ed era anche estremamente confuso! Perché Vegeta aveva preteso di raggiungere Neo-Namecc a quell’ora?    
Era così strano, Vegeta. In abiti terrestri, borghesi, non sembrava quasi più lui. Eppure, eccolo lì, con il suo sguardo serio, severo, pensieroso, così simile e così diverso dal guerriero con cui si era battuto diverso tempo addietro. Forse avrebbe dovuto chiedere prima di partire, no? Dopotutto, non gli restava molto tempo da trascorrere con i suoi cari, e non gli andava per nessuna ragione al mondo di sprecarlo. Certo, quello non era il termine più indicato visto che si trovava comunque con Vegeta, ma dubitava che Chichi o Gohan gli avrebbero perdonato una simile decisione. Per non parlare del piccolo Goten, poi… No, doveva andare via. Doveva tornare sulla Terra, e subito. Forse, avrebbe convinto Vegeta a seguirlo, a raggiungere gli altri e trascorrere un altro po’ di tempo insieme a lui, a Trunks e a tutti gli altri! Certo, e poi lo avrebbe convinto anche a tornare a combattere in men che non si dica. A volte era veramente un autentico derelitto.
“Allora, vediamo… Il primo villaggio si trova a nord… Sì, credo che sia il caso di cominciare da lì, no? NO? Ehi! Kaharot! Ma mi stai ascoltando o no?”.
“Eh? Cosa?”.
La vena sulla tempia destra di Vegeta aveva cominciato a pulsare pericolosamente, promettendo battaglia e atroci sofferenze. Ecco, in quel preciso istante, Goku aveva cominciato a pensare che probabilmente fosse stato un bene che Vegeta avesse smesso di combattere. In caso contrario, presto sarebbe scoppiata un’autentica Apocalisse.
Ma Vegeta non era esploso. Vegeta non aveva proferito parola, a dire il vero. Si era limitato a guardarlo con occhi indecifrabili per un lungo, lunghissimo istante prima di scuotere il capo con aria afflitta e tornare ad occuparsi di uno strano orologio digitale che portava al polso sinistro.
Non sapeva cosa fare. Davvero, Goku non sapeva cosa fare. Ma rimanere lì, sospeso a mezz’aria a perdere tempo, a cosa sarebbe servito? Per questa ragione, anche se leggermente titubante, aveva deciso di avvicinarsi cautamente a Vegeta, allungando il collo quanto bastava per sbirciare oltre la sua spalla.
“Che stai facendo?” – aveva osato chiedere con un filo di voce.
“Ma non mi dite! Kaharot è probabilmente tornato tra noi! Chi l’avrebbe mai detto? Tsk! Che razza di idiota!”.
Perché doveva trattarlo sempre male? A volte Vegeta era davvero cattivo. Prima lo costringeva ad atterrare su Neo-Namecc, e poi lo ignorava bellamente, trascorrendo il tempo ad armeggiare con quello stupido orologio! Se avesse sentito un altro ‘bip’ lo avrebbe preso e lo avrebbe lanciato molto, molto lontano, ecco cos’avrebbe fatto!
“Ecco, finalmente ci siamo! Forza, muoviamoci… La prima si trova a nord, proprio come avevo detto!”.
“Ehi! Ehi! Ehi!” – lo aveva stroncato Goku sul nascere, incrociando le braccia al petto per poi assumere un’espressione che a dire il vero si addiceva più al suo interlocutore – “Io non vengo da nessuna parte se tu non mi dici che intenzioni hai! Non so se hai notato che è già tardi, fa un freddo cane, e che devo tornare a casa a salutare tutti! E poi, si può sapere cosa dovrebbe trovarsi a nord, se non il nord?”.
“Tu stai scherzando, vero?”.
Lo stava prendendo in giro. Non c’erano alternative. Goku lo stava prendendo in giro.
“Eh? Io non…”.
Tu non cosa, Goku?”.
Goku? Lo aveva chiamato Goku?
“Guarda che è solo per te se siamo venuti quaggiù! Pensavo lo avessi capito razza di citrullo!”.
“Per-per me?”.
“Tsk! Non sono stato io a fare tutta quella tiritera, prima, sul fatto di voler tornare a casa! O te ne sei già dimenticato?”.
Ed ecco che improvvisamente aveva smesso di sentire il freddo pungente di quella notte, perché si era reso conto di essere un emerito cretino. Un cretino anche ancora piuttosto brillo, ad essere precisi. Ma come, come aveva potuto dimenticare di aver detto tutto quello che aveva detto, e soprattutto come gli era venuto in mente di parlare senza riflettere? Non era di certo andato a casa di Vegeta per mettersi a piagnucolare sulla propria idiozia e su quanto fosse stata sbagliata la decisione presa in merito all’allontanarsi dalla sua famiglia e dai suoi cari! Lui aveva detto una cosa del genere ad una persona che aveva dovuto prendere una decisione non troppo dissimile perché aveva avuto un crollo psicofisico, che aveva rinunciato ad ogni cosa perché… perché… Oh cavolo, non sapeva neanche il motivo di quella decisione così sofferta perché non si era soffermato a chiederlo! Sì, era un idiota. Era un perfetto, autentico idiota patentato che aveva per amico, per amico vero, un principe senza più reame né trono che non gli stava solo dando quello che voleva, ma quello di cui aveva davvero bisogno.
“Vegeta… Io…”.
“Oh, no, ti prego! Non osare dire né che ti dispiace – o potrei avere un autentico conato – né che ormai è troppo tardi per tornare in vita, perché sarebbe solo una pessima scusa. Ora, se non hai niente di meglio da fare, datti una mossa e seguimi. La prima sfera del drago si trova verso nord”.
Fine Parte III
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*Cleo si affaccia timidamente*
Bene, dire che ho aggiornato dopo un secolo sarebbe riduttivo! XD Ma se seguite anche l’altra mia Long (e sì, so che tra di voi ci sono alcuni dei miei veterani), saprete bene che non aggiorno neppure quella da un po’. Sono stata impegnata. O meglio, io sono sempre impegnata, ma in queste settimane lo sono stata più del solito. Fra lavori che ho fatto in camera (dovete sapere che sono una di quelle matte a cui di tanto in tanto piace spostare la disposizione dei mobili e il colore delle pareti), studio e tirocinio universitario, è un miracolo che io stia ancora in piedi. E i giorni a venire si prospettano peggiori di quelli appena trascorsi, ma prometto di essere più puntuale.
Bene, alla fine, la supplica di Goku è giunta alle orecchie della persona più giusta. Vegeta, a quanto pare, è un uomo pragmatico, un uomo a cui non c’è bisogno di rivolgere troppi giri di parole, un uomo che non ha esitato un attimo a prendere provvedimenti per sistemare le cose. Tanto di cappello al nostro principe senza reame, dunque!
A questo punto non ci aspetta che vedere cosa combineranno i nostri saiyan preferiti. Considerando che hanno solo poche ore prima che Goku debba tornare nell’Aldilà, dovranno darsi una mossa, no?
E devo darmela anche io una mossa, quindi scappo! =)
Un bacino
Cleo

 

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Capitolo 4
*** Parte IV ***


IV Parte
 
Non aveva proferito parola per tutto il resto della traversata. Da dove avrebbe tratto il coraggio dopo la magra figura che aveva fatto? Autodefinirsi un idiota totale sarebbe stato decisamente riduttivo, e ricoprirsi di improperi vari ed eventuali non lo avrebbe di certo aiutato a sentirsi meglio. La terza e ultima opzione, ovvero chiedere nuovamente scusa a Vegeta per essere l’individuo più lento presente sulla faccia della Terra e non solo, gli avrebbe sicuramente provocato un trauma cranico o un osso fratturato o l’espianto senza anestesia di un organo interno a scelta – a scelta di Vegeta, ovviamente.
No, non c’era soluzione. O meglio, c’era. Stare in silenzio. Volare accanto a lui senza proferire parola, per l’esattezza.
Ancora non aveva ben realizzato, a dire il vero. Non era avvezzo a vedere Vegeta sotto quella luce, sotto la luce di chi si prodigava nell’aiutare qualcuno, soprattutto non se quel qualcuno era lui. Lo odiava, Vegeta gliel’aveva ripetuto fino allo sfinimento. Lo odiava perché aveva osato sconfiggerlo, superarlo, umiliarlo, aver avuto pietà di lui, eccetera, eccetera, eccetera. Eppure lo stava aiutando. Anzi, lui stava aiutando il principe dei saiyan ad aiutare se stesso, ad essere precisi.
Forse, avrebbe dovuto staccargli gli occhi di dosso. Gli avevano insegnato che fissare le persone non era buona educazione in quanto si poteva metterle a disagio, ma come poteva essere vero se in quella situazione quello a disagio era proprio lui? Era a disagio per quell’aiuto inaspettato e a disagio per l’impazienza che gli aveva creato l’idea di ritornare in vita. Certo che era davvero stupido se c’era voluto l’incontro con una persona che lo detestava per fargli comprendere che in verità lui non desiderava altro. Ma, ancora una volta, stupido non era stato un termine abbastanza esaustivo. Avrebbe dovuto fare qualcosa per Vegeta alla fine di quella ricerca. Che so, comprargli una scatola di cioccolatini, invitarlo a pranzo o regalargli del vino, magari. A dire il vero, gli sarebbe tanto piaciuto fare ben altro, ma era certo che il principino non potesse anche solo lontanamente essere d’accordo. O almeno credeva. Pensava. Diamine, perché avrebbe dovuto acconsentire a fare una cosa del genere, a tornare indietro sui suoi passi? Eppure, forse, se glielo avesse chiesto… Anzi no, se lo avesse provocato, forse avrebbe fatto in modo di dargli quello che aveva sempre desiderato, aiutandolo a tornare ad essere almeno in parte l’uomo che era stato prima della sua dipartita. Perché, dopotutto, Vegeta non avrebbe dovuto accettare di avere la sua rivincita e dunque di tornare a combattere?
Sì, avrebbe fatto quello che andava fatto, e poco gli importava se le avesse prese di santa ragione. Anzi, sarebbero state una benedizione! Vegeta era diverso, era più umano, più sensibile, ma Goku continuava a credere che gli mancasse qualcosa, che continuasse a sembrare incompleto. Dannazione, era il principe dei saiyan, l’erede al trono di una razza che aveva consacrato la propria esistenza alla lotta! Non poteva aver preso davvero la decisione di non combattere mai più fino alla fine dei suoi giorni! Non poteva e basta. E poi, visto e considerato che era colpa della sua dipartita se Vegeta aveva smesso di combattere – sì, era colpa sua punto e basta – bè, una volta tornato a vivere avrebbe avuto il dovere di sistemare tutto! No? NO?
La frenesia lo aveva assalito. Non aveva compreso il perché Vegeta volesse riportarlo in vita prima dello scadere del suo giorno di permesso, ma a quel punto non poteva fare altro se non appoggiarlo. Era una questione di principio. Doveva tornare in vita subito, doveva ristabilire l’equilibrio immediatamente. E poi, anche se dubitava che il principe potesse essere migliorato considerando gli anni trascorsi forzatamente a non allenarsi, l’idea dell’imminente scontro gli aveva solleticato tutti i cinque sensi più uno. Ed ecco che cominciava a sentire l’odore pungente del sudore misto al terriccio umido su cui sicuramente sarebbero ripetutamente cozzati e il sapore acre del sangue in bocca, il dolore delle ossa frantumate e il bruciore incessante della pelle scorticata. E tutto questo insieme ad una straordinaria, meravigliosa sensazione di eccitazione crescente che stava scorrendo lungo tutta la sua spina dorsale.
Passare dall’idea all’azione era stata questione di un secondo.
“VOGLIAMO SBRIGARCI?” – aveva urlato, assumendo un’espressione estremamente concentrata che no, non gli si addiceva affatto – “Mi restano circa sei ore da trascorrere in questo mondo! Vuoi forse che vadano sprecate, Vegeta? Datti una mossa!” – ed era volato via ad una velocità così elevata da aver lasciato dietro di sé non solo una scia blu e bianca  e una ventata di aria gelida, ma anche un interdetto principe dei saiyan rimasto a fissarlo a bocca aperta, incerto sul da farsi.
“Quello ha qualche rotella fuori posto. Ammesso che di rotelle ne abbia mai avute” – aveva concluso, incapace di mascherare un sorriso divertito. Sì, non c’erano dubbi, Kaharot era una continua sorpresa. Chissà per quale assurdo motivo, improvvisamente aveva tutta quella fretta di esprimere il suo desiderio. Avrebbe fatto bene a raggiungerlo, e subito, anche. Dopotutto, come sperava di trovare la sfera del drago se era lui ad avere il rilevatore? Forse,come secondo desiderio avrebbe dovuto chiedere a Polunga di regalare un po’ di neuroni a quella specie di ebete di terza classe. Di certo, il suo cervello avrebbe apprezzato.
*
“Urca che freddo! Dimmi un po’, Vegeta, non è che per caso avresti un paio di guanti?” – aveva chiesto, questo dopo aver alitato ripetutamente sulle mani messe a coppetta e averle energicamente fregate. Era vero che aveva una certa fretta di recuperare le sfere, ma non voleva di certo morire assiderato! Ma la cosa che più lo mandava in bestia era l’apparente noncuranza di Vegeta rispetto a quel gelo pungente. Ora, o era diventato immune al freddo – però poteva esserlo sempre stato, in effetti – o era molto, molto bravo a fingere. Che disdetta! Lui era morto! Perché doveva sentire tutto quel freddo?
“Tsk! D’accordo che sono stato previdente, ma non ti sembra di chiedere un po’ troppo?” – aveva risposto lui, continuando ad armeggiare con l’orologio-radar. Erano vicini a quella dannatissima sfera, c’erano vicinissimi! Perché diamine non riuscivano a trovarla, allora? - “Ma dove diamine si sarà cacciata?” – non aveva la benché minima intenzione di mettersi a scavare nella neve. D’accordo che voleva aiutarlo, ma farsi venire una polmonite non era decisamente in programma. Men che meno perdere un paio di dita per congelamento.
“Uffa… Il che implica che non hai neanche una pala, vero? Io odio scavare a mani nude nella neve…”.
Implica? Aveva sentito male o Goku aveva appena usato il verbo implicare e per giunta in maniera corretta? Forse qualche rotella era non solo sopravvissuta, ma aveva anche ripreso a funzionare. Un autentico miracolo.
“Fidati, non sei il solo. Ma non hai alternative. Io ho detto che avrei cercato le sfere, ma non che le avrei tirate fuori da cumuli di neve”.
“Che cosa? Vegeta, non starai dicendo sul serio, vero? Non posso mettermi a scavare qui attorno tutto solo! Impiegherò delle ore per trovarla! Credi davvero che io abbia tutto questo tempo?”.
“Tsk! Certo che non hai tutto quel tempo! Ma io non voglio congelarmi le dita!”.
“Certo che sei impossibile! Ma veramente impossibile! Almeno sai dirmi qualcosa di più preciso rispetto a dove possa essere la sfera?” – se doveva mettersi a cercare da solo, bè, doveva avere informazioni chiare, no?
Ovviamente, Vegeta non aveva risposto, continuando ad armeggiare con l’orologio-radar producendo quello snervante bip che presto avrebbe fatto impazzire Goku. Possibile che prima gli aveva messo tutta quella fretta ed ora stesse perdendo del tempo prezioso mettendosi a giocare con quel gingillo?
Goku chiama Vegetaaaa! Ti sbrighi? Sto gelando! Ho fame! E voglio trovare la sfer-“.
“VUOI TACERE SI’ O NO? Maledetto me e le situazioni in cui mi vado a cacciare! E comunque questo coso continua a lampeggiare e ad indicare un punto qui sotto, ma non so dirti di più. Quindi, per favore, piantala di frignare e muovi le gambette. Non vedo l’ora di volare dall’altra parte del pianeta e trovarmi al caldo”.
Sbuffando, aveva deciso di obbedire, partendo da solo alla ricerca della loro prima sfera. A quanto sembrava, il vecchio Vegeta non era affatto morto e sepolto! Anzi, sapeva venir fuori benissimo quando voleva! Ma lamentarsi non sarebbe servito a molto. La sfera andava recuperata, e poco gli importava se quell’antipatico non aveva intenzione di aiutarlo. L’avrebbe trovata da solo e dopo gli avrebbe tenuto il muso per una buona manciata di minuti, almeno. Gli sembrava il minimo, no? Così, volente o nolente, era finito immerso nella neve fino a metà coscia, credendo di morire assiderato entro meno di dieci secondi.
Da dove iniziare a cercare? Vegeta gli aveva detto che la sfera doveva trovarsi più o meno lì sotto, e teoricamente in quell’ammasso candido e gelido avrebbe dovuto spiccare, ma scavare a mani nude era peggio di quello che aveva preventivato, e di certo non gli sarebbero bastati pochi minuti per recuperarla. Era necessario trovare un’alternativa, e Goku cominciava a credere di aver escogitato un espediente davvero niente male.
“Ora ti farò vedere di cosa sono capace… Maestà!”.
Si era sollevato quanto bastava per rimanere sospeso sul manto bianchissimo di circa di quattro, cinque metri, prima di posizionare i palmi delle mani in basso, spalancarli al massimo e sfoderare un sorrisetto che sul suo viso non si vedeva spesso.
“Che diavolo vuole fare?” – aveva esclamato Vegeta, sollevando un sopracciglio.
Non aveva dovuto attendere molto per scoprirlo, perché qualche istante dopo una porzione di diversi metri quadrati di manto nevoso si era sollevata in un’unica massa compatta, lasciando scoperta la brulla terra e non solo. Fra alcune rocce leggermente appuntite c’era qualcosa di arancione che spiccava prepotentemente rispetto a tutto il resto, qualcosa che non avrebbero più dovuto cercare.
“Allora, Vegeta? Che te ne pare?” – gli aveva chiesto Goku, sfoderando il più compiaciuto dei sorrisetti – “Sono stato bravo, no?”.
Vegeta non aveva risposto. Anzi, non aveva espresso nessuna umana emozione. Il suo viso era una maschera di marmo impassibile, severo come mai prima di allora, una severità celata malissimo da un’improponibile indifferenza.
Forse aveva sbagliato a pavoneggiarsi tanto. Forse. O forse no, perché forse era stato un modo inconsapevole per dargli una scrollata, per ricordare a quel testardo che un tempo anche lui era stato capace di fare il bello e cattivo tempo e che per quanto volesse, non poteva e non doveva  reprimere quella che era la sua vera, autentica natura.
“Vado a recuperare la sfera” – aveva sentenziato, atono, facendo quello che aveva appena dichiarato. Tutto questo sotto lo sguardo vigile di chi, dall’alto, si sentiva tremendamente ferito e speranzoso allo stesso tempo.
Certo che era veramente assurdo il comportamento di quell’essere che rispondeva al nome di Vegeta. Che gusto ci provava a giocare la parte dell’uomo dalla corazza di titanio proprio non riusciva a capirlo. O meglio, era chiaro che fosse un modo per proteggersi, per non farsi ferire non nel corpo, ma nei sentimenti, nell’orgoglio, eppure, se l’esperienza gli aveva insegnato qualcosa, era che nessuno era veramente impenetrabile. Nessuno. Neanche il principe dei saiyan. Ed ecco che un’idea malsana aveva cominciato a balenargli nella mente e il suo sorriso era passato da compiaciuto a sadico, perché sì, quando voleva, era perfettamente in grado di tirare fuori il suo lato puramente saiyan.
“Vediamo se apprezzerai lo scherzetto”.
Ora, qualsiasi essere che aveva anche solo lontanamente sentito parlare di Vegeta, il principe dei guerrieri saiyan, sapeva che no, quello scherzetto non gli sarebbe affatto piaciuto e che l’autore del suddetto sarebbe deceduto prematuramente in un modo lento e decisamente doloroso, ma a quanto sembrava, Goku ci aveva proprio preso gusto a farsi ammazzare.
Così, messo da parte tutto il suo buon senso o quello che restava, il super saiyan cresciuto sulla Terra aveva chiuso entrambe le mani a pugno, causando così la rovinosa caduta dell’intero manto nevoso poco prima sospeso sulla testa di un ignaro, impreparato principe dei saiyan.
“E adesso voglio proprio vedere se non sarai costretto ad usare i tuoi poteri per liberarti da quel cumulo di neve, caro il mio Vegeta!”.
“Dicevamo?”.
Non aveva avuto neppure il tempo necessario per godersi quell’attimo di gloria che la voce per nulla minacciosa del principe lo aveva colto di sorpresa, facendogli gelare il sangue nelle vene. Che fosse morto e quello che aleggiava dietro di lui non era altro che il suo spirito? Cielo, non aveva di certo pensato di ammazzarlo!
“Ma allora, ti vuoi sbrigare o no? Tsk! Ma vedi questo che razza di babbeo!”.
“Ma sei-sei… Sei vivo? SEI VIVO!” – aveva esclamato, sprizzando gioia da tutti i pori. Sì, era vivo, e reggeva sotto il braccio destro il primo frutto delle loro ricerche.
Vegeta non aveva risposto neppure in quel caso, limitandosi a guardarlo a lungo prima di tornare ad armeggiare con il radar come se non fosse accaduto niente, sì, proprio come se diversi metri quadrati di neve gelida non gli fossero appena caduti in testa.
“Muoviamoci” – aveva sentenziato, brusco – “La seconda sfera si trova a sud” – e aveva ripreso a volare senza verificare o meno che Goku lo stesse seguendo. A quel punto, al poveretto non era rimasto altro da fare se non partire a sua volta in silenzio, con mille domande in testa che per sicurezza sarebbe stato meglio non formulare e che di conseguenza non avrebbero trovato alcun tipo di risposta. Ma poi, proprio quando era certo di essere venuto a capo di quel dilemma – le opzioni a cui aveva pensato avevano previsto che: a) Vegeta avesse appreso l’arte del teletrasporto; b) Vegeta avesse imparato a destreggiare l’ipervelocità; c) Vegeta si trovava già dietro di lui quando aveva lasciato cadere la neve e che di conseguenza d) avesse seri problemi alla vista – il principe dei saiyan si era girato con il corpo verso di lui, cominciando a volare in retromarcia.
“Sai, credevo che fossi molto più bravo nell’organizzare tiri mancini” – aveva sentenziato, sorridendo divertito – “Sì, credevo che fossi molto più bravo”.
*
Avevano recuperato anche la seconda sfera – per fortuna ubicata in un luogo caldo e decisamente asciutto – ed erano partiti alla ricerca della terza, il tutto in un silenzio tale che avrebbe fatto venire i brividi anche al più taciturno e solitario degli esseri viventi. Si erano limitati a scambiarsi le informazioni basilari per recuperare i magici oggetti, oggetti in seguito riposti in una grande sacca che Vegeta aveva portato per l’occasione.
La verità era che Goku si stava letteralmente lambiccando il cervello. Sì, esattamente l’organo che tutti gli recriminavano di non possedere. E tutto questo perché proprio non riusciva a capire come avesse fatto Vegeta a muoversi così rapidamente se tutti gli avevano detto che era dalla sua dipartita che aveva smesso di combattere. Per muoversi in quel modo era necessario sottoporsi ad un allenamento costante, un allenamento che doveva essere testato per poterne verificare o meno l’utilità, e solo in confronto con un nemico in duello avrebbe potuto fare una cosa del genere. Il che cosa implicava, che gli altri non erano bene informati o che lui aveva deliberatamente mentito? E se aveva mentito, perché celare una cosa del genere, perché fingere di aver distorto la propria natura? Non lo tollerava quando faceva il misterioso. Ma, a ben vedere, Vegeta faceva sempre il misterioso, di conseguenza avrebbe dovuto non tollerarlo ogni singolo minuto dell’anno. E, a proposito di minuti, lui non ne aveva più tantissimi a sua disposizione. Caspita, doveva trovare le sfere del drago immediatamente e ritornare in vita. Dopo, avrebbe avuto tutto il tempo del mondo per indagare su quel burbero e scoprire se aveva mentito o meno.
“Tsk! Ma dimmi un po’, com’è che hai deciso di tenere la bocca chiusa, Kaharot? Qualcuno ti ha mangiato la lingua?”.
Si permetteva anche di fare lo spiritoso, quello lì. Ed ecco che gli era improvvisamente venuta una gran voglia di picchiarlo. Non che per un saiyan ci volesse chissà cosa per scatenare la voglia di combattere/istinto omicida, ma lui era sempre stato in grado di controllare entrambi! O almeno il secondo, a dire il vero.
Vegeta continuava a guardarlo con aria vagamente divertita, attendendo una risposta che evidentemente Goku non aveva intenzione di fornire, e questo perché aveva aumentato di colpo la velocità di volo trasformandosi in super saiyan, lasciando ancora una volta il principe dei saiyan dietro di sé.
“Ci tiene proprio a tornare in vita” – aveva commentato Vegeta, sorridendo enigmatico. ‘E non solo a quello’ – gli aveva sussurrato all’orecchio una vocina che cercava di reprimere da quando ne aveva memoria. Ed ecco che il suo sguardo era mutato, passando da divertito a cupo. Se Goku lo avesse guardato in quel preciso istante, avrebbe visto una statua di sale, immutabile, perfetta, eppure terribilmente turbata e sofferente.
*
Lo aveva raggiunto dopo diversi minuti, trovandolo intento a cercare la sfera tra il canneto nato sulla riva fangosa di un grande lago dal colore leggermente verdognolo. Non gli era mai piaciuta particolarmente l’acqua stagnante, ma in caso di necessità non si era tirato indietro davanti all’eventualità di dover fare un bagno non desiderato. Sperava veramente, in ogni caso, che quella non fosse la suddetta occasione di necessità, perché di dover rimanere con addosso i vestiti bagnati non ne aveva la benché minima intenzione.
Eppure, suo malgrado, il radar segnalava proprio la presenza della sfera al centro del grande lago. Sperava vivamente che Kaharot sapesse nuotare e che si proponesse volontario. In caso contrario, non avrebbe avuto molti mezzi per costringerlo ad entrare in acqua.
“E’ nell’acqua” – aveva urlato, con aria di sufficienza – “Esattamente al centro. Così, sai, farai prima…”.
“E dove sta scritto che devo andare a recuperarla io, scusa?” – si era lamentato, assumendo il suo stesso cipiglio e incrociando le braccia al petto. Aveva scoperto che imitarlo gli riusciva piuttosto bene, e che aveva qualcosa estremamente divertente che non aveva mai sperimentato prima.
“Prego?”.
“Hai capito bene! Perché devo bagnarmi io, scusa? Vai tu a prenderla. Di quella di prima me ne sono occupato io. Direi che una ciascuno mi pare più che equo, no?”.
Ok, stava cercando di fargli perdere la pazienza, ormai non c’erano più dubbi. Ci stava provando e ad essere precisi ci stava anche riuscendo con un certo successo. Se solo avesse potuto, lo avrebbe preso a calci, lo avrebbe riempito di pugni rimettendolo al suo posto seduta stante, ricordandogli chi era il principe e chi la terza classe. Ma non lo avrebbe fatto. Non perché non volesse, ma perché non poteva. E questo stava solo contribuendo a farlo arrabbiare ancora di più.
Era stato proprio per evitare di commettere una qualche sciocchezza che si era sfilato di dosso la sacca contente le sfere, seguita immediatamente dal giubbotto, dal maglione e dagli stivali, lanciandoli in faccia al decerebrato e gettandosi poco dopo in acqua senza proferire parola. Forse l’acqua gelata gli avrebbe permesso di sbollire la rabbia prima che fosse troppo tardi.
Goku era sbucato dal mucchio di abiti che si era improvvisamente ritrovato addosso più contrariato a che mai. Neanche quel tipo di provocazione era servito per far arrabbiare Vegeta così tanto da farlo tornare il guerriero di prima. Era proprio abbattuto. Che cos’altro avrebbe dovuto inventarsi per farlo ragionare, per farlo tornare ad essere quello di un tempo?
Certo, una persona normale avrebbe capito che la soluzione più facile – forse – sarebbe stata mettersi a tavolino e discutere civilmente, ma si poteva discutere civilmente con Vegeta? Anzi, si poteva anche solo discutere con Vegeta se ogni volta che provava ad aprire l’argomento il suddetto si chiudeva a riccio e lo evitava brillantemente? Era proprio abbattuto. Abbattuto e scoraggiato. Ma poteva arrendersi dopo aver appena fallito solo tre tentativi? Certo che no! Non sarebbe stato Son Goku, altrimenti! Solo che Vegeta gli aveva fatto venire un tale nervoso che… che…
“Ecco! Prendi!” – aveva urlato la voce della causa del suo suddetto nervosismo dopo essere riaffiorato dalla superficie leggermente increspata del lago con la sfera prima di lanciargliela in faccia. Fortuna che aveva i riflessi pronti, altrimenti si sarebbe ritrovato con un bernoccolo in più e una sfera in meno.
Come diamine aveva fatto Vegeta ad impiegare meno di un minuto per recuperarla? Il lago doveva essere molto, molto profondo e soprattutto buio! Lui, invece, sembrava non aver avuto il minimo problema lì sotto. E cielo, avrebbe dato via i capelli pur di sapere come aveva fatto. Non aveva più dubbi, arrivati a quel punto: Vegeta gli stava nascondendo qualcosa, aveva un segreto, e lui avrebbe fatto di tutto per sapere di cosa si trattasse.
 
Fine parte IV
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Salve amici!
Credevate che avrei aggiornato dopo un’eternità vero? E invece no! La sottoscritta si è messa d’impegno e ha deciso di aggiornare prima. Sono stata brava, no? ;)
La verità, ragazzi miei, è che mi sono resa conto di avere troppe, troppe cose in sospeso (nella vita come nella scrittura) e ho preso la saggia (?) decisione di mettere tutti i puntini sulle i e di scrivere un punto fermo a tutto quello che ho lasciato a metà! Voi farete il tifo per me, non è vero? ;) Ed io lo farò per voi, sempre! =)
Ma ora, tornando al capitolo/paragrafo/parte o quello che è, mi pare evidente che Goku si stia lambiccando il cervello come non mai per scoprire quale sia il segreto di Vegeta, questo sempre AMMESSO CHE UN SEGRETO CI SIA.
Ma quanto godo nel far rimanere male Goku? Mi mancava scrivere dei loro battibecchi… E ancora non avete visto niente! *Cleo fa una sadica risata*
Orbene, vediamo un po’ cosa capiterà ai due manzi… emmm… volevo dire SAIYAN nella prossima parte. Chi lo sa, magari Goku verrà a capo dell’enigma! E spero di non aver fatto troppi strafalcioni… Rileggendolo, mi pareva che alcune cose funzionassero bene e altre meno bene, ma per quanto le correggessi, non sono proprio riuscita a fare meglio di così. Starò forse perdendo colpi? Ci manca che dopo la saggia decisione presa io abbia un periodo di crisi e stiamo freschi! XD
Bacini
Cleo

 

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Capitolo 5
*** Parte V ***


Parte V
 
Faceva caldo, in quella parte del pianeta. Faceva un caldo bestiale. In un’altra occasione, non avrebbe perso neppure un minuto e si sarebbe sbarazzato dei vestiti per poi gettarsi nel più vicino corso d’acqua nella speranza di trovare sollievo. Ma non poteva farlo, o Vegeta lo avrebbe strangolato seduta stante, alla faccia di giuramenti fatti o non fatti, e lui non poteva permettersi di morire una seconda volta. No affatto.
Per questa ragione si era limitato a togliere la giacca della sua tuta arancione e a legarla a mo’ di foulard tra i capelli ribelli, e a sfilarsi gli stivali, permettendo ai piedi di respirare liberamente. In verità questo espediente era servito a ben poco dato che il resto dei suoi abiti gli si erano appiccicati addosso, fradici del suo sudore sempre più copioso, ma era sempre meglio di niente.
Avrebbe tanto voluto bere dell’acqua, ma quella che aveva con sé nella borraccia era finita ormai da tempo. Se il suo compagno di viaggio gli avesse permesso di riempirla di nuovo sarebbe stato tutto diverso. Peccato solo che Vegeta fosse apparentemente del tutto imperturbabile. Non stava neppure sudando quella specie di bisbetico! D’accordo che aveva il fisico perfetto di una statua, ma Goku stava seriamente cominciando a pensare che, al suo contrario, fosse veramente fatto di marmo. Perché altrimenti sarebbe stato impossibile capire come diamine potesse essere che non stesse minimamente accusato la calura insopportabile in cui si erano ritrovati.
E come evitare di pensare che tutto quello contribuisse ad aumentare il mistero che aleggiava attorno al famigerato principe dei saiyan? Vegeta non si allenava più da anni, non faceva niente di niente, come poteva sfoggiare una simile resistenza proprio non riusciva a capirlo. Che trucco c’era sotto? Quale segreto stava nascondendo?
“La prossima sfera si dovrebbe trovare accanto ad un villaggio di musi verdi. Mi auguro solo che nessuno di loro decida di mettersi a fare l’eroe. Non ho nessuna intenzione di perdere altro tempo”.
“Sempre molto gentile, vero, Vegeta?”.
“E tu sempre più… affascinante. Devo dire che questa tenuta di dona davvero molto”.
“Mpf!” – aveva mugugnato Goku, continuando a volare – “Sempre il solito simpatico”.
*
Erano atterrati poco dopo, esattamente nei pressi di un villaggio costituito da una decina di case con annessi altrettanti orticelli e inframezzate tra loro da alcuni degli alberi più vecchi che i namecciani adoravano coltivare. Era evidente che stessero cercando di ricreare su quel nuovo pianeta le condizioni che c’erano su quello che purtroppo avevano dovuto abbandonare, e dovevano ammettere che stessero facendo davvero un ottimo lavoro.
Sembrava proprio che nei paraggi non ci fosse nessuno, però. Che fine potevano aver fatto tutti quanti?
“Vegeta?”.
“Mmm?” – aveva mugugnato lui, continuando a trafficare con l’orologio-radar.
“Uffa, se mi guardassi in faccia non sarebbe male, sai?”.
“Tsk! Che differenza fa se ti guardo o meno? Pensi che la considerazione che ho nei tuoi riguardi possa nel primo caso aumentare?”.
Senza parole. Era rimasto davvero senza parole. Come poteva un essere così minuto contenere tutta quella cattiveria era un autentico mistero. E poi, davvero credeva di potergli dare a bere la storia che non tenesse a lui? Lo stava aiutando a tornare in vita, come poteva credere che non gli importasse?
“Dicevo…” – aveva proseguito, ingoiando il rospo – “Non ti sembra strano che non ci sia proprio nessuno? Dove saranno finiti tutti quanti?”.
“Tsk! E cosa vuoi che ne sappia io di dove diamine si siano andati a nascondere i musi verdi? Spero il più lontano possibile da qui, Kaharot, in modo che io non debba imbattermi in loro e dare spiegazioni inutili. Sai perfettamente che non nutrono simpatia nei miei confronti… Non vorrei davvero perdere le staffe”.
Era una spiegazione egoistica, ma logica. Era meglio che lui continuasse a stare tranquillo e che non perdessero tempo. A ben vedere, gli restavano solo poche ore prima che il suo tempo scadesse, e lui non voleva tornare nell’Aldilà per poi tornare di nuovo indietro. Voleva che i suoi cari lo vedessero andare loro incontro senza l’aureola sul capo. Voleva che il suo piccolo Goten lo avesse accanto sin da subito.
“Dunque, dove dovrebbe essere la sfera, vostra maestà?”.
Non aveva risposto subito, prendendosi un paio di minuti per riflettere.
“Sai, mi sono reso conto solo ora che sono due le sfere che si trovano da queste parti. Una è quella di cui ti parlavo, un’altra si trova esattamente ad un paio di metri dritto davanti a te, Kaharot. Proprio…”.
“Nella casa grande? Ma, Vegeta, a me non va proprio di entrare in case altrui senza permesso… E’ da maleducati!”.
“Io continuo a domandarmi  chi me l’abbia fatta fare di imbarcarmi in questa storia. Ma ormai… Mi stai dicendo che devo andare a recuperarla io, Kaharot? Perché se i namecciani non ci sono – e no, non ci sono o avremmo sentito le loro aure – non abbiamo proprio il tempo di comportarci da damerini e aspettare il loro ritorno prima di chiedere il permesso per entrare e prendere quello che stiamo cercando”.
Non aveva davvero tutti i torti. Era stato il primo a constatare che il tempo fosse loro nemico, e non potevano affatto aspettare. Perciò, doveva mettere da parte i convenevoli ed entrare in azione. Le sfere gli servivano, e doveva prendere anche quella.
“Aspettami qui” – aveva detto, risoluto, avanzando a grandi passi verso la casa in cui era riposta la sfera. Non gli piaceva l’idea di entrare nelle abitazioni altrui senza permesso, ma non aveva molta scelta. Se avessero recuperato quella sfera e subito dopo quella che si trovava lì vicino, ne avrebbero avute già cinque, e trovare le altre due sarebbe stato uno scherzo. Così sarebbe tornato in vita, e subito dopo avrebbe cercato di scoprire il segreto che Vegeta stava custodendo così gelosamente.
Aveva aperto la porta con delicatezza, cercando di non fare troppo rumore e di sentirsi così meno colpevole, ma non era servito a molto, in realtà. L’interno della casa semisferica aveva rivelato un ambiente in perfetto ordine. Sembrava che, prima di uscire, il proprietario l’avesse rassettata di tutto punto, quasi come se fosse stato in attesa di ospiti. In effetti, qualcuno era passato da lì, ma non era molto convinto di potersi definire un ospite.
“Allora, ti sbrighi o no?” – aveva urlato il principe da fuori, evidentemente stanco di aspettare.
“Un momento! Cielo quanto sei insopportabile quando fai così!” – si era lamentato lui, continuando a guardarsi attorno. Non ci aveva messo molto a capire dove si trovasse l’oggetto dei suoi desideri. Come aveva intuito, la sfera si trovava in un posto d’onore, adagiata su un cuscino bianco che si trovava su un alto piedistallo. Era incredibile che, dopo quanto fosse accaduto sul loro vecchio pianeta per colpa di Freezer, i namecciani continuassero a custodire le sfere in casa. Lo trovava davvero poco saggio, ma era evidente che le sfere rappresentassero al meglio la loro cultura e averle in casa fosse un onere e un onore, e lui sapeva benissimo quanto difficile fosse liberarsi di una tradizione così radicata.
Ma non era quello il momento di porsi domande sugli usi e costumi e le tradizioni “popolari”. Quello era solo il momento di sbrigarsi.
“Eccomi!” – aveva detto, uscendo di casa, per poi rimanere a dir poco a bocca aperta.
“Era ora!” – era stata l’esclamazione di un Vegeta che stava riponendo nella sacca la sfera appena recuperata.
“Ma come hai fatto a prenderla?” – Goku non riusciva a credere ai suoi occhi. Non poteva essere vero! Era stato in quella casa per meno di tre minuti! Come cavolo aveva fatto a recuperarla prima di lui?
“Tsk! Con le mani, è ovvio!”.
“Vegeta...” – lo aveva canzonato lui.
“Che vuoi che ti dica, Kaharot! Non mi piace perdere tempo!”.
Già, e a lui non piaceva perdere la testa! Peccato solo che ormai ci fosse molto, molto vicino.
*
Mancavano solo due sfere all’appello. Due, e finalmente avrebbe potuto esprimere il desiderio di tornare in vita. Due, e avrebbe trascorso il resto dei suoi giorni insieme alla sua famiglia e ai suoi amici, gustando i deliziosi manicaretti di sua moglie e portando a pesca i suoi due figli. Questo, subito dopo aver chiarito chi cavolo fosse l’essere che lo stava accompagnando in quell’avventura, perché stava cominciando seriamente a pensare che quello non fosse Vegeta ma fosse una sua specie di clone leggermente difettoso. Quello non poteva essere Vegeta. Non poteva essere lui e basta.
Ormai si stava lambiccando il cervello da ore, e stava cominciando a credere che presto lo avrebbe inchiodato con le spalle al muro e gli avrebbe estorto la verità con la forza. Non sopportava i segreti. Ancor meno quelli che gli nascondevano i suoi amici. E Vegeta era un suo amico, per quanto si sforzasse di mostrare il contrario. Ma si era ripromesso di mantenere la calma e di fare le cose con calma. Anche se l’irritazione stava salendo, ed era un sentimento che lo stava facendo davvero sentire a disagio. Lui non era un tipo che perdeva la pazienza. O meglio, non la perdeva per un niente, ecco. Se non avesse perso la pazienza non si sarebbe trasformato in super saiyan, del resto. Ma questo era diverso. Il non sapere chi aveva davanti lo stava facendo sentire come un giocatore di poker che stava affrontando un avversario che conosceva perfettamente ogni singola carta prima di giocarla. Vegeta sapeva tutto di lui. O quasi. Cosa sapeva lui di Vegeta a parte il fatto che aveva smesso di combattere, che aveva viaggiato molto e che si era messo in testa di aiutarlo a tornare in vita a tutti i costi?  
Se si fosse trattato di qualcun altro, sarebbe stato molto più semplice parlargli. Se si fosse trattato di Crilin, di Yamcha, persino di Junior, non avrebbe esitato a mettere le cose in chiaro, ma con Vegeta era tutto diverso. Si trovava in difficoltà in sua presenza, e questo era dovuto in larga parte al senso di colpa che continuava a sentire nei suoi confronti. Si sentiva proprio stupido per quello, ma non poteva farci niente. Il fatto, poi, che in giro non avessero trovato nessun namecciano stava solo peggiorando la sua condizione di frustrazione. Ma che fine avevano fatto tutti?
“Mi piacerebbe sapere cosa diavolo sta succedendo su questo pianeta” – aveva esclamato improvvisamente, non rendendosi conto neppure di averlo detto.
Vegeta si era preso qualche minuto per impostare al meglio il radar e scoprire dove si trovassero le ultime sfere del drago, e si era quasi estraniato, scoprendosi riportato bruscamente alla realtà dalla voce insopportabile di Kaharot. In effetti, doveva ammettere che l’idiota avesse ragione. Non gli piaceva la desolazione in cui si erano ritrovati, non gli piaceva per niente, eppure non aveva la benché minima intenzione di mostrarsi nervoso per una sciocchezza del genere. Era da stupidi allarmarsi per così poco. In fondo, loro cosa ne sapevano delle abitudini dei namecciani? Poteva anche darsi che si erano ritrovati sul loro pianeta in un periodo speciale e che si fossero magari riuniti per portare a compimento un qualche strano rito che loro non potevano neppure immaginare. Eppure… Eppure, c’era qualcosa che continuava a non convincerlo affatto, neppure dopo essersi dato una spiegazione più che logica. Lui sapeva che c’era qualcosa di strano, lo sapeva benissimo. Lo sentiva. Ma non avrebbe perso tempo dando aria alla bocca.
“Tsk! Kaharot, andiamo! Ancora credi che a me importi qualcosa dei musi verdi? Bene, se non l’avessi capito, ti informo che non è così. Siamo qui solo per le sfere. Per le sfere e per esprimere il desiderio di riportarti in vita. Devo forse dirlo ancora?”.
“No” – aveva risposto lui, serio – “Ma prima o poi dovrai dirmi perché ti importa tanto che io torni in vita così presto”.
*
Ancora una volta, le ultime due sfere rimaste si trovavano praticamente nello stesso punto e, ancora una volta, la cosa non era piaciuta affatto a nessuno dei due saiyan.
Vegeta era diventato più frettoloso e smanioso di portare a compimento la loro missione. Goku, dal canto suo, era diventato ancora più irritabile, ma non aveva la benché minima intenzione di fermarsi o tardare per questo. Due sfere, due sole sfere e sarebbe tornato dai suoi cari. L’irritazione che provava era mista ad un grande sentimento di euforia, di emozione incontenibile. Ma allora, perché sul viso di Vegeta era calata un’ombra di preoccupazione più che visibile? Lui non era uno sciocco, per quanto tutti volessero mostrare il contrario. Lui aveva capito perfettamente che qualcosa non andava. Ma cosa?
“Dobbiamo sbrigarci Kaharot” – aveva detto improvvisamente Vegeta, bloccandosi di colpo a mezz’aria. Il suo sguardo era serio, eppure sembrava che ci fosse un’ombra di tristezza in quei suoi occhi d’ebano. Di tristezza mista a qualcosa di simile alla paura – “Non ci resta molto tempo”- aveva asserito di nuovo – “Le sfere si trovano a tremila chilometri da qui in direzione nord. Tele-traportaci. Ora”.
“Vegeta…”.
“Per una volta, fa quello che ti dico senza fare domande, d’accordo?”.
Gli era bastato afferrarlo per un braccio. Subito dopo, di loro non c’era più traccia.
*
Tutte. Finalmente, le avevano recuperate tutte. Le sfere del drago, le sette meravigliose sfere del drago, erano tutte lì al loro cospetto. Era incredibile che dopo tutto quel tempo, dopo tutte quelle volte in cui le avevano utilizzate, fossero ancora vittime del loro fascino, un fascino che a volte poteva essere maledetto.
Erano lì, le sfere. Lì e pronte per essere utilizzate. Peccato solo che Goku non avesse la più pallida idea di quale fosse la formula esatta in lingua namecciana che gli avrebbe permesso di evocare Polunga e che non avessero incontrato neppure mezzo namecciano da quando erano atterrati sul loro pianeta per potergliela chiedere.
“Emm… Vegeta?”.
“Mmm?”.
“Come facciamo, adesso?”.
Sperava veramente che lui avesse una soluzione e che la stessa venisse messa in pratica al più presto. Il suo tempo stava per scadere. Si sentiva stanco, e non era difficile comprenderne la causa.
“Tsk! Kaharot, possibile che tu non abbia ancora imparato che io non lascio niente al caso?” – forse, era lui quello che avrebbe dovuto imparare che Goku era un’autentica causa persa sotto quel punto di vista, ma evidentemente non voleva proprio capire – “Posso essere impreparato una volta, ma mai per due di fila”.
Se non l’avesse sentito con le proprie orecchie, non avrebbe mai creduto che quanto aveva udito fosse vero. Eppure, suo malgrado, aveva visto le sfere illuminarsi. Suo malgrado, aveva visto il cielo diventare nero. Suo malgrado, aveva visto Polunga apparire dal nulla ed erigersi davanti a loro in tutta la sua maestosa potenza.
“URCA!” – aveva esclamato, ancora un po’ incredulo – “Ma quando hai imparato a parlare il namecciano?”.
“Ero un soldato mercenario che aveva il compito di assoggettare, distruggere pianeti e ridurne gli abitanti in schiavitù, ma per quanto possa sembrarti strano, non parlavo e non parlo solo la lingua della violenza, Kaharot. Imparo in fretta, mettiamola così. Adesso, posso procedere o ti devo delle altre spiegazioni?”.
Le avrebbe volute, ma sapeva che sarebbe stato meglio pazientare ancora un po’. Tanto, quanto altro poteva aspettare prima di sommergere il principe dei saiyan di domande?
“Avanti! Cerchiamo di sbrigarci e di…”.
Ma Vegeta non avevano fatto in tempo neppure a finire la frase perché un boato lo aveva interrotto. Non aveva fatto in tempo a finire la frase perché un’esplosione aveva appena decretato la fine di un sogno.
 
Fine parte V
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Ebbene sì: chi non muore si rivede! XD
Ora, vi chiedo a dir poco perdono per non aver aggiornato prima nonostante avessi detto chiaramente che non avrei fatto più ritardi e che avrei ripreso in mano la situazione mettendo dei punti più che fermi su tutto quello che mi riguardava, ma sapete che intendo dicendo “le ultime parole famose”? Ecco, improvvisamente mi sono dimenticata come volevo proseguire e ho dovuto attendere che mi venisse un’idea geniale per poter andare avanti. Ora, dato che ho portato a compimento la mia Long storica, mi sono messa d’impegno e FORSE sono arrivata ad un dunque. Non ho idea se quello che ho scritto sia in linea con quello che avevo immaginato, ma pare che in generale possa funzionare. Che volete che vi dica, questo è quello che accade quando si inizia una cosa senza sapere dove si andrà realmente a parare! XD
Orbene, è inutile prenderci in giro: vi dico sin da ora che domenica prossima non potrò aggiornare perché parto! Vado a Roma per Pasqua, e non credo che avrò il tempo di scrivere! =)
Ma non tarderò più così a lungo. PROMESSO!
Ora, scappo, sperando che il capitolo vi sia piaciuto!
Un bacione!
A presto!
Cleo

 

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Capitolo 6
*** Parte VI ***


VI Parte
 
Non erano stati in grado di evitare l’onda d’urto conseguente allo spaventoso boato che avevano udito poco prima. Goku era stato il primo a rendersi conto di quanto effettivamente stava avvenendo, ed era stato per puro istinto se si era gettato addosso al suo compagno, cercando in tutti i modi di fargli scudo con il proprio corpo. Solo in seguito si era reso conto di dover proteggere anche se stesso, ma a quel punto, anche dopo aver aumentato esponenzialmente la propria aura per far sì che le macerie si disintegrassero al contatto con essa, la sua schiena era già stata ridotta ad un ammasso di carne sanguinolenta e di brandelli di abiti ridotti in cenere.
Vegeta non era stato né in grado di reagire prontamente, né in grado di fare qualcosa per aiutare Goku. Era rimasto, fermo, immobile sotto il suo peso, chiudendo gli occhi con forza e sperando con tutta l’anima che quegli attimi di terrore finissero presto. E, in effetti, così era stato. Dopo l’immane esplosione, un silenzio spettrale si era impossessato di quel luogo, silenzio per lui impossibile da udire dato il fischio continuo che stava sentendo.
“Ka-harot…” – aveva provato a biascicare Vegeta, stordito e confuso più che mai – “Goku!”.
Ma il saiyan più giovane non aveva risposto ed era rimasto immobile, evidentemente privo di sensi.
“Dannazione…” – aveva ringhiato il principe, chiudendo forte gli occhi nella speranza di riaprirli e di scoprire che tutto quello era solo un maledetto incubo. Forse, a quel punto, avrebbe potuto tornare a pensare lucidamente, cercando una spiegazione e una soluzione a quella situazione che non prometteva niente di positivo. Ma, ovviamente, non era servito a nulla. Vana era stata ogni speranza. Goku era ferito gravemente, e attorno a loro non regnavano altro che desolazione e distruzione.
“Kaharot!” – non si era reso conto di aver urlato. Come avrebbe potuto? Il suo udito era completamente fuori uso, e non gli era servito chissà cosa per capire che il liquido che sentiva colare dal condotto uditivo fosse sangue – “Kaharot! Svegliati! Andiamo stupido idiota! ALZATI!”.
Eppure, Goku non si era destato. La sua schiena continuava a sanguinare, e sembrava che il suo colorito stesse velocemente diventando sempre più pallido. Com’era possibile che una semplice esplosione avesse causato loro tanti danni Vegeta non era riuscito a spiegarselo. Il principe dei saiyan sapeva solo che stava per piombare nel più totale panico e che, al momento, poteva solo sperare che gli incubi rimanessero tali.
Aveva presto tre profondi respiri, cercando di riordinare le idee e di trovare una risposta alle mille domande che rimbombavano nella sua testa. Doveva provare a mettersi in piedi e a spostare Goku da lì, cercando di portarlo al sicuro e di recuperare anche il motivo per cui si trovavano lì. Non erano lontane. Ne era certo. Ma se non erano lontane, perché non riusciva ad individuarle? Che fossero finite sotto le macerie? Che fossero state distrutte da qualche masso precipitato su di loro?
“DANNAZIONE!” – nonostante lo stordimento, aveva sollevato Goku di peso e lo aveva caricato sulla spalla destra, prendendosi un istante per ritrovare l’equilibrio. Non poteva essere andato tutto per il verso sbagliato all’improvviso! Non dopo tutta la fatica che avevano fatto! Non dopo essere arrivati così vicini al raggiungimento del proprio obiettivo.
“Maledizione… Maledizione… Maledizione!”.
Stava in piedi appena. Si sentiva stordito oltre ogni modo, le gambe gli tremavano in maniera incontenibile, ma non poteva fermarsi a riposare. Non ancora. Non prima di aver portato l’idiota al sicuro. Respirare, però, era diventato quasi impossibile. Goku era pesante, certo, ma non era quella la ragione della sua difficoltà a controllare il proprio corpo. Stava accadendo qualcosa di strano, anche se non aveva idea di cosa si trattasse. Era come se lo stessero quasi avvelenando. Era stato dopo essere arrivato a quella conclusione che era crollato sulle ginocchia, cedendo sotto il peso di Kaharot. La sua gola si era chiusa all’improvviso, e gli occhi avevano cominciato ad arrossarsi e a lacrimare. A nulla era valso ogni tentativo di proteggere le vie aeree, sia le sue che quelle di Goku. Era troppo tardi, ormai, e Vegeta non aveva più dubbi. Era realmente stato avvelenato, e cominciava a credere di aver capito come ciò fosse accaduto.
“Go-Goku!” – aveva provato a dire, sollevando più che poteva la casacca sul suo viso per evitare che respirasse l’aria infetta che avevano attorno, ma era stato scosso da una serie di forti colpi di tosse, trovandosi prossimo a perdere i sensi. Potevano aver fallito così miseramente? Potevano davvero aver perso tutto in maniera così miserabile? Forse, se avesse deciso di porre fine al suo voto, forse, se avesse ripreso a combattere, sarebbe stato più scaltro, sarebbe stato più previdente, più pronto. Ma, nonostante la lotta, nonostante la sua forza di volontà, non era riuscito ad opporsi a quella forza così tanto più grande di lui. E, alla fine, Vegeta era crollato, prono, sbattendo il viso sul terreno secco e polveroso. L’ultima cosa che aveva visto, era stato il viso di Kaharot. L’ultima cosa che aveva visto, era stata un’ombra umanoide… E, quest’ombra, aveva sfoderato un sadico, terrificante sorriso.

 
*
 
Caldo. Avvertiva una tale sensazione di calore da non riuscire quasi a capacitarsene. Gli abiti che aveva scelto erano ormai zuppi del suo sudore e non avevano potuto non appiccicarsi sul suo corpo stanco e provato. Le membra gli dolevano, soprattutto le braccia, costrette in una posizione innaturale, e le ginocchia, ormai scorticate per il continuo sfregare contro la dura pavimentazione su cui era stato costretto a sostare.
Era stata con non poca fatica se aveva finalmente riaperto gli occhi, necessitando di qualche istante per mettere a fuoco quanto aveva attorno. E l’espressione assunta dal suo viso era stata solo un pallido sentore di quello che era il suo reale stato d’animo, un quadro sommario della sua sorpresa. Perché non erano stati i monti e i soli di Neo-Namecc ad accogliere il suo risveglio, bensì le fredde pareti asettiche di quella che aveva tutta l’aria di essere una prigione.
D’istinto, aveva cercato di sollevarsi nella speranza di ritrovare la libertà perduta, ma era stato tutto inutile: era stato incatenato tramite l’ausilio di due anelli di energia alla parete che si trovava alle sue spalle, e lo stesso valeva per le caviglie, ancorate però al pavimento. Il che lo aveva costretto il una posizione innaturale, inginocchiato, con le braccia tese all’indietro quasi all’altezza delle spalle e il busto piegato in avanti. Ormai, aveva perso quasi completamente la sensibilità alle mani, e il vano tentativo di liberarsi era stato solo terribilmente doloroso. Perché si trovava lì? Chi diamine lo aveva rapito? E che fine aveva fatto quell’idiota di Kaharot?
“DANNAZIONE!” – aveva urlato, cercando nuovamente di sfuggire a quella ferrea presa – “CHI HA OSATO FARMI UNA COSA DEL GENERE? CHI HA OSATO FARE UNA COSA DEL GENERE A ME! LIBERATEMI IMMEDIATAMENTE! MI AVETE SENTITO? ADESSO! OPPURE…”.
“Oppure che cosa, Vegeta?”.
La voce che aveva raggiunto le sue orecchie proveniva dall’alto, da un punto che si trovava esattamente dietro uno dei grandi neon che illuminavano quella stanza vuota e bianca, impedendogli di vedere a chi appartenesse. Inutile dire che questa sorta di mistero non aveva fatto altro se non accrescere i sentimenti avversi che Vegeta stava provando. Non si trattava solo di rabbia, di senso di impotenza, non affatto. Si trattava di questo e di una sensazione diversa, una sensazione che gli aveva fatto torcere lo stomaco, una sensazione che gli umani chiamavano ansia.
Senza neppure rendersene conto, aveva  ricominciato a tirare in avanti le braccia, stavolta con più forza, procurandosi sfortunatamente solo dei tagli sanguinanti sui polsi.
“Sai che tutto questo è inutile, Vegeta, non è vero?”.
“Tsk! Chi sei maledetto? Perché non mostri il tuo volto? Hai forse paura, codardo?”.
“Paura? Oh, no, Vegeta. Non sono io, tra noi due, quello che deve avere paura”.
Si era ritrovato per un breve istante immerso nel più totale buio, con la sola consapevolezza di essere lì, e di non essere solo, ma incapace di vedere da quale parte sarebbe sopraggiunto il pericolo, perché se il principe dei saiyan sapeva qualcosa, era che presto sarebbe sopraggiunto il pericolo. E il suo istinto non gli aveva mentito. L’improvvisa riaccensione delle luci aveva causato in lui un’inevitabile stordimento, e non aveva potuto evitare di mostrare sorpreso nel constatare che il suo nemico, o almeno colui che presumeva lo avesse imprigionato e avesse osato parlargli con tanta sfacciataggine, avesse un aspetto che non avrebbe neanche potuto lontanamente immaginare.
“Che ti prende, Vegeta? Il gatto ti ha mangiato la lingua?”.
Se non fosse stato per la pelle leggermente più scura, per il suo metro e novanta di altezza  e per quei suoi spaventosi occhi rossi come il fuoco, avrebbe potuto credere che fosse un suo riflesso in uno specchio o che, in alternativa, fosse un suo gemello separato alla nascita. Ma non aveva uno specchio davanti a sé e non aveva avuto nessun fratello gemello. Quella non poteva essere altro se non la materializzazione di un incubo.
“Chi diavolo sei tu?” – non aveva potuto evitare di dirlo, incapace di staccare lo sguardo da quegli occhi così spaventosi – “Che cosa sei, tu?”.
Quella creatura, quell’essere, non aveva risposto immediatamente, evidentemente più interessato a scrutare chi aveva davanti, e questo non aveva fatto altro se non aumentare la già notevole irritazione di Vegeta. Come, come aveva potuto far sì che si trovassero in quella situazione? Come, se aveva cercato di fare tutto il possibile per fare presto? Come, se non aveva lasciato nulla al caso?
“Sei smanioso, Vegeta. Smanioso di sapere perché ti somiglio tanto, smanioso di sapere che fine abbia fatto il tuo caro amichetto, non è così? Non è per questo che il tuo cuore galoppa come un cavallo in corsa, saiyan?”.
“Taci” – aveva ringhiato il principe, cercando ancora una volta di liberarsi da quella morsa così dolorosa – “Dai fiato alla bocca solo per rispondere alle mie domande, razza di mostro. Mi hai sentito bene? Non ti permetto di prenderti gioco di me!”.
“Che bel caratterino!” – aveva commentato lui, sorridendo compiaciuto – “Ora capisco da chi ho preso il mio!”.
Un’altra stupida battuta, un’altra stupida presa in giro per nulla velata. Avrebbe tanto voluto scatenare la propria aura e la propria ira, ma non poteva farlo. Non poteva, altrimenti… Altrimenti…
“Sai, Vegeta, sei molto più interessante di quanto avrei mai potuto sperare. Cocciuto, altero, dalla forza fisica non indifferente, ed anche estremamente affascinante. Sono davvero felice che abbiano scelto i tuoi geni per darmi la vita”.
I suoi geni per dargli la vita? Aveva capito bene? Quel mostro aveva asserito di essere frutto dei suoi geni?
“Ma cosa diavolo vai blaterando? Parla immediatamente, oppure io… Io…” – ma Vegeta non aveva terminato la frase, perché un manrovescio lo aveva nuovamente stordito, facendogli sanguinare il naso ed un orecchio.
“Magari con questo riuscirò a farti tacere per un po’, anche se ho dei forti dubbi. Dunque, dove eravamo rimasti? Ah, certo, ai tuoi meravigliosi geni da cui sono nato a tua insaputa” – ciò detto, il suo riflesso leggermente diverso si era seduto a gambe incrociate proprio davanti a lui, lisciando le pieghe della casacca bianca a maniche lunghe che indossava  su pantaloni dello stesso, identico colore. Non indossava un’armatura, non indossava alcun tipo di protezione, e questo aveva portato Vegeta a due conclusioni decisamente differenti tra loro: o si trattava un perfetto idiota, o si trattava di un essere invulnerabile. In ogni caso, non avrebbe di certo abbassato lo sguardo. Gli avevano insegnato a scrutare negli occhi il proprio nemico, a farlo tremare solo tramite la scintilla che brillava in essi, e non aveva intenzione di mettere da parte quello che sapeva proprio in quella circostanza. Non adesso che si trovava completamente solo e in balia di un pazzo che aveva il suo stesso volto.
“Tu sapevi che sarei arrivato, Vegeta, non è così? Tu lo sapevi perché sono stato io a fare in modo che tu sapessi, che tu vedessi con i tuoi occhi, ma non con quelli con cui mi stai guardando, bensì con quelli della mente…” – non aveva potuto evitare che gli sfiorasse la fronte, facendolo rabbrividire: le dita di quella creatura sembravano fatte di ghiaccio, ed erano in netto contrasto con il rosso vivido delle sue pupille stregate.
“Ne so quanto prima” – aveva ammesso, cercando invano di sfuggirgli – “E poi, non credo ad una sola parola di quello che mi stai dicendo” – e doveva ammettere di essere stato davvero un pessimo bugiardo, perché non solo cominciava a credere ad ogni singola parola uscita dalla bocca di quel pazzo, ma cominciava anche a rimettere insieme tutte le tessere di quel puzzle che lo aveva condotto su Neo-Namecc prima e in quella prigione poi.
“Tu non puoi mentirmi, Vegeta. E sai perché non puoi farlo? Perché non puoi mentire a te stesso”.

 
*
 
“Dobbiamo fare presto” – aveva detto una voce che non era stato in grado di riconoscere, la voce di una donna.
“La dottoressa ha ragione. Bisogna sbrigarsi, o il soggetto morirà e sarà stato tutto inutile”.
Aveva aperto gli occhi a fatica, scoprendosi incapace di muovere le proprie membra. C’era qualcosa che copriva la sua bocca e il suo naso, qualcosa che lo stava aiutando a respirare, ed era certo che vi fossero una serie di aghi e di tubicini infilati in ogni orifizio del suo corpo, anche in quelli a cui nessuno avrebbe dovuto avvicinarsi senza il suo permesso. Faceva freddo in quella stanza, su quel lettino, e le luci accecanti dei neon gli impedivano di vedere correttamente chi o cosa avesse intorno, ma, anche se non aiutato da questo handicap e anche se tutti i suoni erano ovattati, era certo di trovarsi in una sala operatoria. Come si fosse trovato lì era un autentico mistero. Ricordava con chiarezza di essere atterrato con la sua navicella su di uno dei tanti pianeti per lui tutti uguali che lord Freezer gli aveva ordinato di conquistare, ma come avesse fatto a trovarsi lì non riusciva proprio a ricordarlo. E perché non riusciva a muoversi, poi? Cosa gli avevano fatto quegli alieni? E cosa volevano fargli ancora?
“I campioni devono essere perfetti. Non possiamo permetterci di compiere errori. Il nostro lord non ce lo permetterebbe” – aveva detto una voce maschile, la voce che non poteva non appartenere ad un uomo anziano.
“E’ vero. Non oso immaginare cosa potrebbe accaderci se dovessimo fallire”.
“Noi non falliremo!” – era stata di nuovo la voce risoluta della donna a placare i loro animi e a dettare legge – “Sono anni che ci prepariamo per questo. Non falliremo. Le cose andranno esattamente come abbiamo pianificato. Ed ora, miei cari signori, proporrei di cominciare. Il tempo scorre e non possiamo permetterci di sprecarlo”.
E non ne avevano sprecato, di tempo, proprio come a lui non avevano risparmiato neppure un briciolo del più atroce dolore che avesse mai provato fino ad allora. La verità era che, nonostante fosse sedato, lui sentiva perfettamente ogni singola tortura a cui lo stavano sottoponendo. Vegeta aveva sentito le lame dei bisturi scorrere sul suo torace e la pressione dei divaricatori che separavano la sua pelle e i suoi muscoli. Per un istante, aveva creduto di perdere i sensi. Troppo intenso era stato il dolore che aveva provato e che continuava a provare, ma non poteva cedere, non poteva permettere loro di fare tutto quello che volevano – qualsiasi cosa fosse – con il suo corpo. Ma poi, alla fine, nonostante tutti i suoi migliori propositi, non aveva potuto resistere al dolore di quell’enorme ago che lentamente, troppo lentamente, era scivolato nel suo cuore pulsante estraendone il rosso nettare, e aveva ceduto, abbandonandosi al dolore e all’oblio.

 
*
 
Si era risvegliato in una radura, adagiato in una conca formata dalle ampie e nodose radici di un albero altissimo dalle foglie blu. Non aveva idea di come avesse fatto a trovarsi lì, e non aveva idea di cosa fosse accaduto prima di arrivarci. L’unica cosa che ricordava era una battaglia in corso, una battaglia in cui lui stava avendo la meglio.
Dove erano andati tutti? Avrebbe fatto meglio a trovarli e a portare a termine la missione prima che lord Freezer decidesse di non dargli il suo meritato e sudato compenso. Avrebbe pensato in seguito a come diamine avesse fatto a trovarsi lì, e perché avvertisse un certo fastidio proprio all’altezza del cuore.

 
*
 
Aveva sgranato gli occhi tanto da farli arrossare, perdendosi in quel ricordo così lontano che aveva rimosso completamente dalla propria mente. Usato. Era stato usato come una cavia da laboratorio, come un coniglio vivisezionato e poi abbandonato. Come era stato possibile che l’avesse dimenticato? Lui non aveva nessuna cicatrice sul proprio torace, eppure lo avevano squarciato come un vitello. Lui non aveva nessun segno… Eppure, aveva sentito nuovamente quel dolore al cuore, proprio come se gliel’avessero provocato in quel preciso istante, proprio come se l’ago lo avesse penetrato lì, senza possibilità di appello. E, se non fosse stato per l’essere che aveva davanti, sarebbe crollato, perdendo i sensi, e forse dimenticando di nuovo quanto aveva finalmente ricordato.
Aveva paura, Vegeta. Aveva davvero paura. Per se stesso e per chi avrebbe pagato le conseguenze di quella scoperta. Perché adesso, aveva capito. Adesso sapeva che quello che aveva davanti non era altri se non il frutto di un volgare esperimento fatto su di lui, con lui, a sua insaputa.
“Siamo di nuovo insieme…” – gli aveva sussurrato il suo clone all’orecchio, piano – “E questa volta nessuno potrà dividerci nuovamente”.

 
Fine parte VI
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Ed eccomi qui, con un solo giorno di ritardo rispetto a quanto avevamo pattuito. Sono stata abbastanza brava, no? Ditemi che sono stata brava, su! ;) Così poi sono contenta!
Dunque, sono tornata a casa dopo aver trascorso più di un mese intero in giro, e credo di poter essere molto più puntuale. Almeno me lo auguro! In ogni caso, questa sesta parte ci ha introdotto il nemico – più o meno – e quello che ha intenzione di fare per prima cosa. Temo per come andranno le cose, temo terribilmente.
Scappo! Vado a studiare!
Un bacino
Cleo

 

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Capitolo 7
*** Parte VII ***


Parte VII
 
Aveva avuto bisogno di un attimo di tempo per riordinare le idee, ma, suo malgrado, si era reso conto che nessun attimo sarebbe stato abbastanza lungo da permettergli di fare chiarezza in quella confusione in cui si era suo malgrado ritrovato. Aveva continuato a tenere il proprio sguardo incatenato a chi aveva davanti, noncurante, nel bene o nel male, del disagio che quegli occhi rossi come il fuoco gli stavano provocando. Perché, per quanto ciò potesse sembrare assurdo, quegli occhi rossi erano terribilmente familiari. Perché, per quanto potesse sembrare strano, quegli occhi erano i suoi.
“Sei stato tu…” – gli aveva detto, calmo, pacato, quasi ipnotizzato da quei tizzoni ardenti che sembravano volergli bruciare anche l’anima – “Sei stato tu a farmi venire qui… Tu mi hai… E’ stata tutta colpa tua”.
“Mia, dici? E’ così tanta l’importanza che dai a qualcuno di cui non credi neppure l’esistenza, principe? Sei una creatura davvero particolare, devo ammetterlo…”.
Il suo clone – di cui, per altro, non sapeva ancora neppure il nome – si era messo in piedi, stirandosi gli abiti candidi con i palmi delle mani e dirigendosi nei pressi di un tavolino su cui erano adagiate una lunga serie di ampolle contenenti liquidi dei colori più disparati, ampolle che aveva cominciato a passare in rassegna una dopo l’altra con tanta, troppa attenzione.
Vegeta non aveva staccato gli occhi da lui neppure per un istante, continuando, anche se con meno forza, l’inutile tentativo di liberarsi da quella presa così forte che gli era stata imposta contro la sua volontà. Stava cominciando a rimettere insieme i pezzi di un puzzle di cui non ricordava neppure l’esistenza, ma questo non lo stava per nulla tranquillizzando. Anzi, il fatto di non avere quasi alcuna memoria di un evento così traumatico stava solo accrescendo maggiormente la sua ansia e la sua preoccupazione. Perché adesso ricordava chiaramente di essere stato catturato e di essere stato sottoposto a quel dolorosissimo prelievo, ma ciò non toglieva il fatto che non ricordasse nulla di quello che fosse accaduto prima e dopo quell’evento che aveva dato la vita alla creatura che aveva davanti. Come, come avrebbe potuto staccare gli occhi da quella visione? Era come se la sua ombra avesse deciso di staccarsi dal terreno e di vivere una vita propria. Una vita che, a quanto sembrava, aveva a che fare con la sua.
Sembrava che avesse davanti a sé una sua copia in un certo qual modo migliorata. Più alto, all’apparenza più robusto, e con gli occhi di quello strano colore, incuteva un timore che lui era certo di non aver mai provocato in nessuno. Egli stesso aveva più di una remora nei suoi riguardi. Ma cosa poteva fare se era inerme, catturato come un infimo ostaggio da torturare in attesa di informazioni? Se solo non avesse perso i sensi, adesso sarebbe lontano, con le sfere, e con… con…
“A questo punto, forse vorresti sapere che fine ha fatto il tuo amico del cuore, non è così?”.
Ogni parola pronunciata da quella bocca era come un insulto per lui, come uno scherno continuo a cui non era capace di sottrarsi. Ma, in effetti, nonostante la derisione, non poteva negare che quanto detto corrispondesse a verità. Che fine aveva fatto quello zuccone? E da quanto tempo erano lì? Il suo permesso nel mondo dei vivi stava per scadere, cosa sarebbe successo se non avesse fatto il tempo a tornare indietro? Se prima era stato pervaso dall’ansia, adesso si trovava in pieno panico. E il panico lo aveva portato a strattonare le braccia ancora, ancora e ancora. Le avrebbe strappate dal suo corpo se ciò gli avesse permesso di fuggire da lì e di trovare quell’idiota!
“Che cosa ti prende, principe? Mi sembri agitato!” – aveva detto il suo clone, guardandolo con aria fintamente stupefatta, mentre reggeva tra le dita una piccola ampolla contenente un liquido violaceo – “E’ per il tuo amico, non è vero? Lo dicevo io che tenevi a Kaharot in maniera quasi ossessiva… D'altronde, non è per uno qualunque che avresti fatto quello che hai fatto, no?”.
Cosa? Che cosa aveva detto? Vegeta era rimasto di sasso, incapace di comprendere davvero le parole che gli erano state appena rivolte. Come faceva a sapere una cosa del genere? Una cosa che aveva sepolto nel suo cuore e che non aveva mai confidato a nessuno?
“Ancora sorpreso? Andiamo! Dovresti averlo capito che io so tutto ciò che ti riguarda… Io sono te, no?”.
“Tsk! Tu non potresti essere me neppure volendo” – aveva berciato il principe, rosso in viso dalla rabbia – “Tu non sei che una mia pallida imitazione. Tu non sai niente di me. E cerca di chiudere il becco”.
Tu, tu, tu… Ancora con questo tu, Vegeta? E poi, come sarebbe a dire che io sono una tua pallida imitazione? Io sono te, Vegeta. Una versione migliorata, certo, ma sono pur sempre te. Sono frutto delle cellule e del sangue estratti dal tuo cuore! O forse l’hai dimenticato? Certo, non sarò cresciuto nel ventre di una madre che mi cantava canzoni di guerra ripetendomi all’infinito che avrei dominato il mondo, ma devo dire che la mia capsula di vetro non era affatto male, e che è stata più di una voce che mi ha aiutato a crescere così bene… E non sono state solo delle voci, ad essere sincero!”.
“Queste sono solo menzogne!” – aveva ringhiato di nuovo Vegeta, continuando a strattonare – “Ora, smettila di dare fiato alla bocca inutilmente e dimmi che ne hai fatto di Kaharot. So che l’hai rapito tu!”.
“Visto che avevo ragione? Tu vuoi sue notizie! Perché ti ostini a non voler vedere le cose come stanno?”.
“Dimmi dove si trova”.
“Non ho mai detto che non lo avrei fatto! E’ solo che…”.
“DIMMI DOVE SI TROVA, ADESSO!!” – non si era reso conto di aver liberato una quantità di Ki spropositata, un Ki così elevato da essere prossimo a quello della trasformazione in super saiyan. I suoi occhi erano sbarrati, e i pugni erano talmente serrati da aver fatto sì che le corte unghie penetrassero nei palmi callosi. E lo avrebbe fatto. Si sarebbe trasformato realmente se solo la ragione non avesse ripreso il sopravvento, se solo quel ricordo spaventoso, quell’illusione, non avesse preso nuovamente vita dai ricordi di quell’incubo che lo aveva condotto su quello stupido pianeta a cercare quelle stupidissime sfere del drago per far tornare in vita quello stupido saiyan di terza classe sparito nel nulla.
“Però… Che potenza! Avevi quasi raggiunto il livello che speravo…” – aveva commentato il clone di Vegeta dagli occhi di fuoco – “Sei davvero straordinario, i miei più sinceri complimenti!” – e si ero diretto presso la fonte da cui era nato, portando con sé l’ampolla dal contenuto violaceo.
“Io non voglio ascoltarti!” – aveva cercato di tuonare Vegeta, chiudendo forte gli occhi per la forte agitazione e per lo sforzo fatto nel doversi controllare – “Non voglio ascoltare le tue menzogne… Tu non sei nessuno… Non sei niente… Ed io non posso sprecare del tempo prezioso con uno che non esiste”.
Lui, dal canto suo, non aveva detto niente, limitandosi a piegarsi nuovamente sulle ginocchia, sporgendosi così tanto in avanti da far sì che potesse di nuovo specchiarsi negli occhi scuri di chi aveva davanti.
“Sei così… Testardo!” – aveva esclamato improvvisamente, scuotendo il capo, quasi rassegnato – “Eppure, è proprio per questo che sei così… Interessante!” – senza che Vegeta potesse opporsi in qualche modo, era stato afferrato per il mento con forza, trovandosi costretto a stargli molto più vicino di quanto avrebbe voluto in quel momento di estrema vulnerabilità. Non poteva sbroccare, per citare letteralmente la peste che si trovava per figlio. Non poteva e basta. Perché quello che aveva visto quella notte non era vero, lui lo sapeva… Ma ne aveva comunque paura.
“Dimmi dove si trova Kaharot…” – lo aveva detto con estrema difficoltà, ma non aveva ceduto. Lui doveva sapere, o tutto quello che aveva fatto prima di quella sciagura sarebbe stato inutile.
“Certo che tieni davvero tanto a lui, sanguinario principe dei saiyan… Lo trovo quasi… Disgustoso”.
“Non mi importa di quello che pensi. Io voglio sapere dove si trova”.
“Perché, Vegeta? Perché così potrai evitare che accada quello che hai visto? Perché tu l’hai visto, non è così?”.
“Sta zitto”.
“Oh, tu sai di averlo visto”.
“Io non ho visto niente”.
“Invece sì”.
“Ti ho detto di tacere!”.
“Vegeta…”.
“ZITTO!”.
Ancora una volta, tutto attorno a loro aveva cominciato a tremare, scosso con violenza dalla potenza di quell’aura troppo a lungo imprigionata in un corpo troppo piccolo seppur perfetto in ogni sua singola componente. Ma era durato tutto sempre meno di un attimo. Alla fine, anche questa volta, Vegeta era riuscito a controllarsi e a richiamare indietro quel Ki che sembrava volesse portarlo sul punto di esplodere.
Aveva il fiato corto, Vegeta, e il sangue continuava a colare copioso dai suoi polsi ingrossatisi seppure per un breve, improvviso istante. Stava sempre peggio. Era sempre più difficile controllarsi, e aveva una mezza idea sul perché ciò stesse avvenendo, anche se continuava a rifiutarla. Come potevano essere veritiere le parole di quella creatura così simile a lui? Come poteva sapere di quei suoi continui incubi? Di quegli abissi di dolore che… Che…
“Che hai visto subito dopo la morte di Kaharot, Vegeta?”.
Di sasso. Era letteralmente rimasto di sasso. Lui non poteva saperlo, non per davvero! Le sue erano state solo supposizioni sul perché quel tizio fosse così inquietante e avesse svegliato in lui simili preoccupazioni, e dovevano rimanere tali. Sì, dovevano davvero rimanere tali. Ma perché, allora, la sua coscienza gli stava gridando il contrario?
“Il tuo sguardo spaventato mi ferisce, principe…” – aveva commentato, serio – “Ma non preoccuparti…” – aveva cominciato ad allentare la presa sul suo mento – “Ora sei con me… Sei tornato a casa…”.
“Tu deliri…”.
“Oh, principe. E’ qui che ti sbagli. Non sono io quello che tra noi sta delirando. Ma sta tranquillo… Le cose miglioreranno… Sì… Miglioreranno eccome”.
Per un breve istante, aveva creduto che volesse spingergli il contenuto di quella ampolla giù per l’esofago con forza, ma così non era stato: dopo averla stappata con violenza e avervi fatto cadere dento qualche goccia del sangue fresco di Vegeta, l’aveva brevemente sollevata in alto, come se avesse appena fatto un brindisi, e aveva bevuto lo strano liquido tutto d’un fiato, curandosi di non sprecarne neppure una goccia. Subito dopo, aveva lanciato il contenitore vuoto al suolo, lasciandolo infrangere il centinaia di piccoli pezzi.
“Che cosa hai fatto con il mio sangue?” – aveva tuonato Vegeta, cercando di darsi una risposta più che plausibile senza attendere che gli venisse fornita dall’esterno.
“Niente che tu non immagini, Vegeta. Sei troppo intelligente per non aver capito quanto sta accadendo” – e si era di nuovo chinato su di lui, cingendogli la nuca con il palmo della sua enorme mano – “Sono stanco di non avere un nome, Vegeta. E sai che c’è? Ho deciso di prendermi quello che mi spetta!” – improvvisamente, stava cominciando a dissolversi come fumo nell’aria – “Ho deciso di prendermi il tuo” – ed era sparito, proprio come se non fosse mai esistito.
Ma le cose sarebbero andate meglio se il fumo avesse scelto di seguire un percorso diverso da quello intrapreso. Perché, alla fine, il peggio era accaduto, e Vegeta, il nostro Vegeta, non aveva potuto fare a meno di evitarlo. Non aveva potuto evitare che quel fumo rosso come il fuoco penetrasse nel suo corpo, facendolo urlare di dolore.

 
Fine VII parte
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Ecchime… Scusate per il ritardo, ma ormai è diventato un’abitudine e non ci fate più caso, vero? VERO? XD
Sono un disastro autentico. La verità è che ho finito di scrivere il capitolo alle 00.17, ma ero troppo stanca per revisionarlo e all’occorrenza cambiare o aggiungere qualcosa. Ebbene, cosa avrà fatto il clone? Cosa voleva dire riguardo ai sogni di Vegeta?
Lo scopriremo nel prossimo capitolo!
Un bacino
Cleo
Ps: credo che queste siano state le note più brevi di sempre! XD

 

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Capitolo 8
*** Parte VIII ***


Parte VIII
 
Si era svegliato lentamente, scoprendo di avere la testa molto più pesante di quanto avrebbe voluto. Nonostante questo, però, aveva capito immediatamente di trovarsi in un posto a lui completamente sconosciuto, in un posto che non aveva niente a che fare con le asperità del pianeta Neo-Namecc.
Goku si era messo seduto con cautela, cercando di non fare gesti troppo bruschi ed evitando di diventare un facile bersaglio pr chi aveva deciso di condurlo in quel posto. Perché, anche se qualcuno lo riteneva uno sciocco bambinone, non lo era così tanto da non essersi reso conto di quanto fosse accaduto in verità. Non era un vero e proprio prigioniero, a quanto sembrava. Non era un prigioniero con tanto di catene ai polsi o chiuso in una prigione “adorna” di sbarre, almeno. Era semplicemente stato lasciato da qualcuno in una grande stanza circolare dalle pareti tutte bianche, una stanza talmente luminosa che gli aveva fatto solo venire un gran mal di testa. Ma da chi? Chi lo aveva attaccato e rapito come un ostaggio?
Improvvisamente, il ricordo dell’esplosione si era affacciato nella sua mente, portandolo immediatamente a domandarsi che fine avesse fatto chi fino ad un attimo prima aveva cercato di proteggere a tutti i costi. Dov’era Vegeta?
‘Stai calmo Goku…’ – si era ritrovato a dover fronteggiare la voce dentro di sé che gli stava urlando di mettersi immediatamente a cercarlo, la voce che gli stava suggerendo che il principe dei saiyan si trovasse per forza in una situazione di estremo pericolo. Ma proprio non riusciva a stare calmo. Come poteva farlo se sapeva che Vegeta non si sarebbe difeso in nessun modo, che, evidentemente, per nessuna ragione al mondo sarebbe venuto meno a quel giuramento che mai come allora gli era parso tanto sciocco ed inutile?
‘Dove sei, Vegeta?’.
Non poteva credere che qualcuno avesse deciso di giocargli un tiro simile proprio adesso che erano così vicini al compimento della loro missione, proprio adesso che avevano trovato quasi tutte le sfere e lui avrebbe potuto finalmente tornare a camminare da vivo nel mondo dei vivi. Sembrava che la fretta di Vegeta fosse dettata proprio dall’evento infausto che era appena capitato loro. Ma come poteva sapere quello che sarebbe accaduto? Lui non possedeva il dono della chiaroveggenza… Non che lui sapesse, almeno… Eppure…
‘Che cosa non mi hai detto, amico mio?’.
Improvvisamente, un rumore familiare, il rumore di una porta che si apriva improvvisamente, lo aveva fatto sobbalzare, mettendolo immediatamente sull’attenti. Non avrebbe avuto pietà nei confronti di nessuno. Per una volta, avrebbe seguito l’istinto saiyan piuttosto che essere ragionevole. Non avevano tempo, non ne aveva neanche un po’. Se il nemico avesse deciso di attaccare prima che lui tornasse nell’Aldilà, se lui fosse morto di nuovo, cosa ne sarebbe stato dei suoi amici e dei suoi cari? Per questa ragione aveva iniziato a caricare una colossale onda di energia ancor prima di girarsi e trovarsi così faccia a faccia con il nemico. Doveva polverizzarlo, doveva lasciare di lui neanche la più piccola traccia.  Nessuno gli avrebbe impedito di salvare chi amava. Nessuno.
Ma le cose erano un po’ diverse rispetto a come lui le aveva immaginate, e la fortuna aveva voluto che il suo cervello fosse più veloce ad elaborare le informazioni rispetto all’agire della sua mano, perché altrimenti, in caso contrario, avrebbe ucciso chi aveva poco prima protetto, perché, altrimenti, avrebbe ucciso Vegeta.
Così, l’ira si era tramutata in un autentico sospiro di sollievo. E il sospiro di sollievo misto alla gioia che aveva provato si erano tramutati in stizza. Perché non annunciarsi e farsi quasi ammazzare?
“Urca Vegeta! Stavo per farti fuori! Ma si può sapere che fine avevi fatto? Mi hai fatto morire di paura!”.
Ma Vegeta non aveva risposto, limitandosi a fissarlo con occhi stanchi, stravolti, invitandolo in qualche modo a fare il primo passo.
“Vegeta…” – Goku non aveva potuto non notarlo, incamminandosi a grandi falcate fino a raggiungerlo – “Vegeta, che cosa ti è successo?”.
Solo una volta arrivato a pochi centimetri da lui si era reso conto di quali fossero le reali condizioni fisiche del principe dei saiyan. Il suo amico aveva entrambi i polsi feriti e grondanti sangue, il viso pallido, imperlato di sudore, e i suoi occhi liquidi erano due pozze di pura sofferenza. Cosa, cosa avevano fatto alla persona che aveva cercato di aiutarlo?
“Attento!” – se non si fosse mosso in tempo, non sarebbe riuscito ad afferrarlo, e sarebbe rovinato al suolo. Era completamente senza forze. Persino muovere un passo era stato per lui sfiancante. Come aveva fatto ad arrivare fino a lì non riusciva proprio a capirlo. Anche se fossero stati solo pochi metri, Goku non riusciva a credere che in quelle condizioni fosse riuscito anche solo a respirare. Eppure, non sembrava che avesse altri segni sul corpo oltre a quelli che portava sui polsi. Che cosa poteva essergli successo?
“Dobbiamo… andarcene…” - aveva balbettato il principe dei saiyan con non poca difficoltà, allontanandosi di scatto da Goku come se avesse preso una scossa elettrica, incamminandosi verso quella che evidentemente era l’uscita.
Goku non l’aveva fermato. Aveva provato più volte a sorreggerlo, ad aiutarlo ad andare avanti, ma lui l’aveva sempre respinto, mantenendolo a non poca distanza, nonostante camminasse a fatica, nonostante le sue ginocchia stessero tremando in maniera quasi incontrollabile. Non gli aveva staccato gli occhi da dosso neppure per un istante, sorvegliando ogni suo movimento, pronto ad intervenire se fosse stato nuovamente necessario. Nessuna domanda era uscita dalle sue labbra, anche se ne aveva milioni da fargli, milioni di domande che non avrebbero avuto risposta. Come faceva a sapere da quale parte fosse l’uscita? Che avesse visto chi li aveva condotti lì e di conseguenza fosse stato in grado di memorizzare la strada? Era sicuro del percorso che stava seguendo, o almeno così gli sembrava. Che Vegeta fosse un genio nell’architettare le più diverse strategie era risaputo. Ma che fosse così tanto bravo non lo avrebbe mai neanche sospettato. Possedere una simile memoria era un grande vantaggio per un guerriero, per un soldato. Però, perché c’era qualcosa in lui che gli stava suggerendo che le cose non fossero così semplici come potevano sembrare? Vegeta gli aveva solo detto che dovevano uscire da lì, e che per giunta dovevano farlo subito. Che avesse deciso di combattere e avesse distrutto il nemico? Ma davvero poteva aver infranto il suo giuramento? Sembrava una cosa così vitale per lui… Una cosa a cui sembrava tenere più di tutto quello che aveva attorno. No, non poteva essere venuto meno ad una cosa del genere. Questo poteva solo voler dire che il nemico era ancora lì attorno. Questo poteva solo voler dire che stavano per cadere in un’autentica trappola.
“Fermati” – gli aveva detto Goku, arrestando il suo passo – “Vegeta, non credo che sia il caso di proseguire”.
Si era bloccato di colpo, appoggiandosi alla parete con il palmo della mano e imponendo a se stesso di non girarsi verso il suo compagno. Non poteva affrontare il suo sguardo, non voleva farlo. Goku avrebbe potuto notare qualcosa, e lui non poteva permettersi che lo scoprisse. Non adesso. Non prima che fosse tornato in vita.
“Invece dobbiamo farlo” – si era imposto, cercando di muovere un altro passo – “Dobbiamo andarcene immediatamente. Le sfere devono essere recuperate… O forse non vuoi più tornare in vita?”.
“Certo che lo voglio” – aveva ammesso, candido – “E’ solo che… C’è qualcosa di strano qui… Voglio dire, qualcuno ci ha condotti in questo strano posto, su questo non ci sono dubbi, e deve essere stato lo stesso che ha provocato l’esplosione. E ti dirò di più, comincio a pensare che sia anche a causa sua se non abbiamo visto nessun namecciano sin da quando siamo atterrati su Neo-Namecc. Come possiamo uscire da qui e scappare senza sapere che fine abbia fatto e che cos’ha in mente? Potrebbe essere una trappola Vegeta… Tu sei riuscito a scappare, in qualche modo, ma hai i polsi feriti e mi sembri… Ecco… Sì… E’ come se ti avessero fatto qualcosa… Però sei venuto lo stesso a cercarmi… Come hai fatto a scappare? E’ stato lui a permetterti di farlo?”.
“Kaharot, dobbiamo andare…”.
“Oh Vegeta, perché sei così ostinato? Io non riesco a capire! Se dovesse trattarsi di un nemico, di qualcuno che vuole impossessarsi delle sfere del drago per esprimere qualche strano desiderio, non dovremmo fermarlo? Se le sfere che abbiamo recuperato fossero già in suo possesso? Vegeta, non riusciamo neppure a percepire la sua aura. Non penso che sia più di una persona perché altrimenti questo posto non sarebbe così deserto. Ma io non sono tranquillo. Dobbiamo metterci a cercare immediatamente, è vero, ma qui dentro. Se ha attaccato noi, o è perché ce l’ha con noi, o perché ci considera una minaccia. E noi non possiamo farci cogliere impreparati”.
Una lunga pausa di silenzio aveva seguito quell’affermazione. Possibile che non capisse che il pericolo fosse molto più vicino di quanto avrebbe mai potuto sospettare? La testa aveva cominciato a fargli così male da portarlo sul punto di perdere i sensi, ma non poteva mollare. Non prima di averlo portato fuori di lì, non prima di avergli donato di nuovo la vita.
“Le sfere non sono qui dentro” – aveva detto, con non poca fatica – “Ho controllato sul radar. Si trovano esattamente dove sono state lasciate. A questo… nemico, non interessano. O forse non le ha notate, ancora, questo non posso saperlo” – ed era vero, non poteva saperlo. Non ancora, almeno – “Ma devi tornare in vita. Possibile che tu non riesca a capire quanto ciò sia importante?”.
Si era girato verso di lui solo a quel punto, mostrandogli ancora una volta quello sguardo così sofferente, così spaventato. Che cosa stava nascondendo il principe dei saiyan?
‘Che cosa non vuoi dirmi, Vegeta?’.
Fine Parte VIII
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Salve! Scusate il ritardo relativo alla pubblicazione e se il capitoletto è un po’ corto… Sto studiando molto per preparare due esami piuttosto corposi, e non sto avendo un minuto di tempo libero, e quando lo recupero, mi ritrovo con l’encefalogramma piatto e una grande voglia di dormire! Per questo ho scritto poco, ma a mio avviso quello che ho pubblicato è abbastanza importante.
Dunque, direi di partire facendo  un attimo il punto della situazione: Goku e Vegeta si sono ricongiunti, i dubbi di Goku aumentano – anche perché non è un vero e proprio decerebrato – e Vegeta non sta contribuendo a fugarli, anzi! I dubbi di Goku si sono concentrati tutti su di lui e sul suo sguardo da cucciolo ferito.
Siete stati in diversi a chiedermi perché tutti i parassiti della Galassia vogliono possedere il corpo di Vegeta… No, ma dico io, lo avete visto? Credo che sia abbastanza eloquente come risposta! E poi, dico io, Ginew era un po’ ambiguo, il mago Babidi o come cavolo si scrive era uno sfigato brutto come la morte (non oso a dirvi a cosa mi fa pensare) e Baby… Bè, il semplice fatto che si chiami così la dice lunga su cosa gli piaccia in realtà! (E no, il fatto che abbracciasse Bulma in ogni momento non fa testo! Era solo una copertura). XD
Bene, dopo questo momento in cui ho ufficialmente eletto Vegeta ad Icona gay, direi che chi c’è di più indicato del suo clone malefico per prendere possesso della sua persona? U.U
Vegeta è ancora se stesso, per ora… E vuole aiutare Goku finché ne ha il tempo. Il nemico è più vicino di quanto lui possa pensare. Chissà se avrà il coraggio di combatterlo.
Un bacino!
Cleo

 

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Capitolo 9
*** Parte IX ***


Parte IX
 
Lo aveva seguito. Lo avrebbe seguito ovunque, a prescindere dal fatto di non avere alternative. Certo, qualcuno avrebbe potuto dirgli che era stato messo con le spalle al muro, ma per lui non era così. Vegeta lo aveva supplicato silenziosamente con quel suo sguardo ferito, stanco, provato, gli aveva ordinato la via da seguire, ma toccava solo ed esclusivamente a lui prendere la decisione finale. Avrebbe potuto infischiarsene di lui e andare dritto per la sua strada, portando avanti il proposito di trovare il nemico per disfarsene al più presto, su questo non c’erano dubbi, ma non l’avrebbe fatto. Lui non abbandonava i suoi amici nel momento del bisogno, non l’aveva mai fatto e non avrebbe incominciato a farlo adesso, men che meno con chi stava iniziando a vedere sotto una luce del tutto diversa, una luce che gli stava mostrando chi aveva davanti nei panni di un fratello maggiore bisognoso di aiuto.
Vegeta gli nascondeva qualcosa, e questo qualcosa aveva a che fare con il loro viaggio su Neo-Namecc e con il suo ritorno in vita, ormai era chiaro come il sole. Ma Vegeta non voleva rivelargli la verità perché essa sarebbe stata troppo crudele, troppo difficile da accettare, e questo perché aveva a che fare con il nemico, perché questo aveva a che fare con Vegeta in persona. Ma come poteva essere lui collegato all’essere che li aveva rapiti? Erano almeno una dozzina le domande che avevano preso forma nella mente di Goku, domande che lo stavano assillando e di cui cominciava a temere seriamente le eventuali risposte.
Non lo aveva perso di vista neppure per un istante. Aveva accorciato le distanze tra di loro, tenendosi pronto a prenderlo in caso fosse caduto al suolo. Era stremato. Goku continuava a non capire come facesse a stare in piedi, ma non gli avrebbe mai offerto il suo aiuto prima che ne avesse realmente bisogno. Farlo sarebbe stato come sconfiggerlo in battaglia se non peggio. L’orgoglio era il peccato più grande di cui Vegeta continua a macchiarsi, eppure, quello stesso orgoglio continuava a mantenerlo vivo dopo aver preso la decisione di smettere di combattere. Non poteva privarlo anche di quello. Proprio per questo aveva deciso di stare un passo dietro a lui, pronto ad entrare in azione, ma sperando ardentemente di non doverlo fare.
Ormai non sapeva quanto tempo gli fosse effettivamente rimasto. Temeva che da un momento all’altro Baba facesse capolino, comunicandogli che il suo permesso era scaduto. Come avrebbe potuto lasciare Vegeta lì, da solo? Anche se avesse chiesto agli altri di raggiungerlo immediatamente, ci sarebbero voluti giorni prima che la navicella con i rinforzi atterrasse su Neo-Namecc e lui non era nelle condizioni di poter attendere tanto. Gli abitanti del pianeta sembravano essere spariti nel nulla, e Vegeta non avrebbe potuto contare neppure sul loro aiuto, ammesso che fossero stati in grado di proteggerlo da un simile nemico. No, non poteva permettere che Vegeta rimanesse solo e ferito su di un pianeta popolato solo da lui e da un mentecatto che non aveva intenzione di farsi vedere. Forse, avrebbe dovuto portarlo con sé nell’Aldilà, ma poteva condurvi un essere ancora in vita? Baba era un brontolona fissata con la burocrazia, esattamente come re Yammer. Temeva che se avesse portato Vegeta con sé gli avrebbero dato il permesso di rifugiarsi nel loro universo solo dopo averlo privato della vita, e lui non aveva minima intenzione di condurlo alla morte prima del tempo.
Al momento non vedeva soluzione. O meglio, una la vedeva, e questa era recuperare le sfere del drago e ritornare subito in vita, in modo da occuparsi di quella faccenda una volta per tutte. Avrebbe di certo utilizzato il secondo desiderio per far guarire Vegeta. Qualsiasi cosa gli avessero fatto, lo aveva quasi ucciso, e lui non poteva permettere che Vegeta morisse.
Dal canto suo, il principe dei saiyan continuava ad avanzare con estrema fatica, ricacciando indietro un gemito di dolore ad ogni passo. Ormai non riusciva quasi più a respirare e la testa sembrava volergli esplodere da un momento all’altro. Non sembrava possibile che gli fosse capitata una cosa del genere, non riusciva ad accettarlo. Perché sembrava che l’universo intero gli si fosse rivoltato contro? Certo, nella sua vita passata aveva compiuto atti di sterminio, era stato violento, sadico e crudele, ma non era più quella persona da anni, ormai. Ricacciare indietro gli istinti non era stato facile, ma lo aveva fatto per suo figlio e per ciò che aveva visto nei suoi peggiori incubi. Lui aveva fatto un giuramento, e questo giuramento gli aveva imposto di rinunciare ad una delle cose che più amava al mondo, gli aveva imposto di rinunciare ad una parte di sé, a quella parte che lo aveva sempre contraddistinto e che lo aveva identificato per decenni. Smettendo di combattere, lui aveva smesso di essere il principe dei saiyan, e per quanto non avesse più un pianeta o un popolo su cui regnare, quella era stata la rinuncia più grande che un guerriero di sangue reale della sua stirpe avesse mai deciso di fare. Non era abbastanza, quello? Forse il suo Karma pretendeva di più. Ma cosa poteva valere più del suo onore e del suo istinto? La sua vita non valeva neppure la metà di quello.
Per ristabilire l’ordine avrebbe dovuto permettere al destino di compiere quanto gli era stato preannunciato? No, certo che non poteva permetterlo. Lui poteva aver smesso di combattere con i nemici che si trovava di fronte, ma non avrebbe di certo smesso di combattere contro un nemico che aveva osato tanto, contro un nemico che aveva osato attaccarlo dall’interno.
Cielo, quasi non riusciva a crederci. Eppure, per un breve istante, aveva creduto di aver visto davvero qualsiasi cosa nel corso della sua vita. Inutile dire che si era sbagliato oltre ogni ragionevole previsione. Forse, a ben pensarci, suo padre sarebbe stato orgoglioso di lui. Dopotutto, era stato scelto per creare quell’essere proprio per via della sua forza e del suo istinto da combattente inarrestabile. Ma sarebbe stato ugualmente orgoglioso sapendo che forse avrebbe perso la battaglia contro di lui, che alla fine si sarebbe rivelato inferiore?
“Dobbiamo sbrigarci…” – aveva detto di nuovo, stavolta con un tono più fermo – “Non c’è più molto tempo”.
Goku cominciava a credere che non si stesse riferendo solo al tempo che a lui restava da trascorrere nel mondo dei vivi.

 
*
 
Si erano spostati utilizzando in teletrasporto. Vegeta aveva protestato fino all’inverosimile pur di seguirlo, e Goku, dopo aver pazientemente recuperato le sfere sparse lì attorno, aveva deciso di non obiettare, accettando di portarlo con sé nella ricerca delle ultime sfere. In effetti, non sarebbe stato del tutto tranquillo a saperlo da solo nascosto in una grotta o in una delle case disabitate dei namecciani. Vegeta non era al sicuro e lui non poteva permettere che gli accadesse qualcosa.
Così, dopo aver raccattato velocemente le sfere ritrovate in precedenza e averle lasciate in una grotta – la sacca purtroppo era inutilizzabile – erano partiti alla ricerca di quelle che restavano, scoprendo con grande meraviglia che si trovavano a pochi chilometri di distanza una dall’altra e in posti davvero troppo, troppo visibili per non poter pensare che fossero state lasciate lì di proposito. Una l’avevano trovata in riva al lago, adagiata in un letto di ghiaia che doveva essere stato scavato appositamente per questo compito da qualcuno. L’altra l’avevano trovata in un campo di erba alta almeno cinquanta centimetri, combinazione in un punto in cui l’erba arrivava a stento all’altezza della caviglia di Goku. Poteva essere quello solo un caso? Ovviamente no, e non era stato solo Vegeta a notarlo. Le sfere erano state lasciate lì di proposito da qualcuno, non c’erano dubbi. Ma chi lo aveva fatto? E soprattutto, perché? Entrambi avevano cominciato ad elaborare silenziose congetture sull’argomento, congetture molto fantasiose, non c’era che dire, ma che ponderavano tutte il fantomatico nemico che l’uno non aveva avuto il piacere di incontrare mentre l’altro aveva avuto il dispiacere di accogliere nel proprio corpo come ospite, sgradito, ma inevitabile.
Le condizioni di Vegeta non erano migliorate e Goku non aveva potuto non notarlo, nonostante il principe cercasse disperatamente di tenere il tutto ben nascosto. Si era accasciato pesantemente contro una parete rocciosa, chiudendo gli occhi con forza prima di stringere con la mano destra la stoffa della maglietta che indossava esattamente all’altezza del cuore.
Non sapeva davvero che pesci prendere. Che stesse per coglierlo un infarto? Non sapeva quanti anni avesse Vegeta, effettivamente, ma credeva che fosse davvero troppo giovane per una cosa simile, no? E poi, di punto in bianco? No, non poteva essere. Era certo che c’entrasse quello che aveva subito per colpa dell’ignoto nemico. Vegeta era stato torturato, probabilmente, non aveva reagito, e quelle erano le conseguenze dell’assurda decisione che aveva preso.
Dovevano evocare Polunga, e dovevano farlo subito. Magari, se lui fosse tornato in vita, Vegeta avrebbe posto fine a quell’assurdità e sarebbe tornato ad essere il se stesso di un tempo, aiutandolo così a smascherare il nemico, chiunque egli fosse. Sperava solo che le cose andassero così come le aveva preventivate. Anche se Goku sapeva fin troppo bene che a volte la speranza poteva essere la più crudele fra le traditrici.
“Ci siamo” – aveva detto tutto d’un fiato, ammucchiando tutte le sfere proprio davanti a Vegeta. Erano meravigliose. Luminose e pulsanti, rese vive per essere state finalmente riunite, sembrava che stessero invitando chi le stava osservando a pronunciare la formula necessaria ad evocare il drago e ad esprimere così ogni più recondito desiderio.
Vegeta era rimasto in silenzio, continuando ad osservarle da quella sua posizione abbandonata ad un dolore che non avrebbe potuto spiegare neppure volendo. Era certo che presto i suoi occhi sarebbero usciti fuori dalle orbite tanto forte era la pressione che sentiva nel cranio. Sembrava che il suo cervello avesse deciso di gonfiarsi, spingendo contro le pareti interne del cranio così intensamente da portarlo sul punto di desiderare la morte, e lo stesso stava per fare il suo cuore.
Per la prima volta in vita sua, avrebbe voluto non essere al corrente di quello che stava capitando, di quello che lo stava sconvolgendo così profondamente.  Lui era un lottatore. Gli era stato insegnato a dominare il dolore, a domarlo così come avrebbe fatto con una bestia feroce, e lui stava mettendo in pratica quanto appreso tanto, tanto tempo addietro. Vegeta stava ruggendo forte come un leone, tirando fuori gli artigli per graffiare, strappare e dilaniare chi aveva osato fargli un simile affronto. Ma ad ogni strappo, ad ogni zampata, ad ogni ferita inferta, lui sanguinava a sua volta, lui soffriva a sua volta, lui moriva a sua volta. Lo stava uccidendo. Si stava uccidendo, e lo stava facendo sotto lo sguardo inerme di chi aveva più bisogno di lui in quel momento.
Non sapeva ancora come avrebbe fatto, ma doveva resistere. Doveva stringere i denti e doveva riportare Goku in vita. Solo allora avrebbe potuto smettere di lottare. O forse, solo allora avrebbe dovuto farlo con maggior accanimento.
“Vuoi che ti aiuti ad alzarti?” – Goku non aveva potuto non chiederglielo. Le gambe di Vegeta tremavano fino all’inverosimile, e il suo goffo tentativo di alzarsi lo aveva fatto allarmare e non poco.
Dal canto suo, Vegeta non aveva risposto, litandosi a sbuffare nel vano tentativo di mostrarsi quello di sempre. C’era un drago da evocare e un desiderio da esprimere. Non si poteva attendere oltre.
“Stai dietro di me” – gli aveva ordinato il principe dei saiyan, sottolineando quanto espresso con un gesto della mano, e Goku aveva ubbidito, pronto ad intervenire in caso di evenienza.
Era molto emozionato. Presto l’aureola che per anni aveva aleggiato sulla sua testa sarebbe stata solo un lontano ricordo, e non vedeva l’ora che ciò accadesse. La situazione poteva peggiorare in qualsiasi momento, e questo non poteva permettere che accadesse. Nessuno dei due poteva permettere che ciò accadesse.
“Sei pronto?” – gli aveva allora domandato Vegeta.
“Mai stato così pronto in vita mia”.
Così, Vegeta lo aveva fatto. Sorprendendo Goku e persino un po’ se stesso, aveva pronunciato la formula magica in un perfetto e fluente namecciano, scatenando il meccanismo che avrebbe presto portato allo scoperto il maestoso drago Polunga.
Era spaventoso e affascinante allo stesso tempo, e lo sfondo di quel cielo colmo di nere nubi minacciose contribuiva solo ad accentuare quella che era molto più di una semplice prima impressione.
Goku non riusciva proprio a distogliere lo sguardo. Era quella la creatura che lo avrebbe riportato in vita, che avrebbe aiutato Vegeta e che forse avrebbe potuto dargli una spiegazione riguardo a tutto quello che stava accadendo attorno a loro. Ma doveva fare presto, dovevano sbrigarsi. Ogni istante perso avrebbe potuto rivelarsi fatale nella battaglia che presto avrebbero dovuto intraprendere.
“Coraggio Vegeta…” – lo aveva esortato – “Avanti… Baba potrebbe apparire da un momento all’altro… Su…”.
Lo sapeva. Per la miseria, certo che lo sapeva! Ma non riusciva più a parlare. La sua lingua, le sue labbra, niente sembrava rispondere ai suoi ordini, niente sembrava voler obbedire. Le parole che avrebbe tanto voluto urlare continuavano a ronzare nella sua testa fino ad accavallarsi, ma non c’era verso di farle uscire, non c’era verso di fargli prendere forma.
Non era stato difficile intuire cosa stava accadendo. Non era stato difficile intuire che la sua battaglia fosse arrivata ad un punto che non aveva previsto di raggiungere tanto in fretta.
“Vegeta… Ma che cosa stai aspettando? Io non capisco…” – e non stava capendo sul serio, non era una frase fatta. Che cosa stava capitando al suo compagno di viaggio? Che si sentisse male? – “VEGETA!”.
Sembrava che i suoi più oscuri timori avessero preso forma, perché Vegeta era crollato al suolo carponi, tenendosi la testa tra le mani staccate a fatica dalla terra battuta. Sembrava che volesse urlare, che volesse anche solo dire qualcosa ma che questo fosse per lui impossibile. Che cosa gli stava accadendo? Cosa potevano avergli fatto per averlo ridotto in uno stato simile?
“Vegeta! Coraggio, cerca di tirarti su!” – gli si era inginocchiato accanto, afferrandogli le spalle con entrambe le mani. Solo a quel punto si era reso conto di quale fosse la reale temperatura del corpo del suo amico. Vegeta scottava. Era come se avesse quaranta di febbre, e lui non aveva idea del perché ciò stesse accadendo.
“Nghh… Nnnn…Nnnn…” – era riuscito a produrre solo qualche suono privo di senso, scoprendosi del tutto incapace di fare altro. Avrebbe preferito morire pur di trovarsi in quella situazione. Avrebbe preferito che fosse stato Kaharot in persona a sferrargli il corpo di grazia, impedendogli di diventare ancora una volta causa di morte e distruzione. Ma lo sguardo disperato che gli aveva rivolto non era stato abbastanza per spiegargli quello che provava, per fargli capire quello che voleva. Goku non lo avrebbe ucciso. Forse non lo avrebbe fatto neppure se fosse stato in grado di chiederglielo apertamente.
‘Ancora non hai capito, principe?’.
E il rumore che aveva sentito nella sua testa era diventato una voce netta e distinta, una voce che purtroppo era stato in grado di riconoscere.
‘Hai perso… Sei in mio potere, ormai… Credimi, non c’è modo per te di fuggire’.
Non poteva sfuggirli. Lui non poteva sfuggirgli. E ciò sarebbe stato anche vero se non fosse stato chi era in verità.
“Riporta in vita Kaharot!”.
Era accaduto tutto talmente in fretta da non essere stato perfettamente comprensibile a chi lo aveva visto e vissuto allo stesso tempo. Goku aveva sentito solo la voce di Vegeta parlare uno strascicato namecciano prima di vedere la sua aureola sparire. Goku aveva visto il suo amico crollare al suolo, in preda alle convulsioni. Peccato solo che non si fosse reso conto di che colore fossero diventate le iridi che fino a poco prima lo avevano scrutato. Peccato solo che non si fosse accorto che erano appena diventate rosse come il sangue che presto sarebbe stato versato.

 
Fine IX parte
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Ed ecco che Cleo è di nuovo in ritardo! Olé! XD
Ma ormai è un’abitudine… Che possiamo farci? Sapete. Ieri ero sul punto di aggiornare… Tardi, ma ero sul punto di farlo. Poi però, non chiedetemi perché, ma ho letto il capitolo e mi sono detta che faceva orrore, che non sapevo scrivere e che avrei fatto meglio a cancellare tutto. Oggi l’ho riletto, e non mi sembra che faccia così pietà, no? Forse ultimamente sono diventata poco introspettiva, è vero, ma non so bene perché non riesco più a farlo… A farlo come vorrei, almeno. Mah, magari andando avanti si può migliorare, no?
Orbene, tornando a noi e mettendo da parte il momento di pessima autostima, Goku è tornato in vita. In tempi relativamente brevi, non c’è che dire. Ma se uno sta “meglio”, l’altro è sprofondato completamente nel baratro. Che fortuna (per non citare nomi di parti anatomiche). -.-‘
Vegeta prima o poi verrà ad uccidermi, lo so!
Vi saluto!
Bacini
Cleo

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Capitolo 10
*** Parte X ***


Parte X
 
“Ce l’hai fatta!” – gli aveva urlato Goku, al settimo cielo dalla gioia – “Ce l’hai fatta veramente”.
E sì, ce l’avevano fatta: il giovane saiyan era veramente ritornato in vita.
Quasi stentava a credere che ciò potesse essere vero. Aveva recuperato la vita, aveva riottenuto indietro un’esistenza vera, tangibile, rilasciando indietro la sottile aureola che per tanti anni lo aveva accompagnato. Avrebbe voluto urlare dalla gioia, mettersi a saltare, fare qualsiasi cosa pur di non stare fermo, pur di mostrare all’universo intero quali fossero i suoi reali sentimenti a riguardo, ma non poteva. Non poteva perché lì, proprio davanti a lui, c’era qualcuno che aveva bisogno del suo aiuto. Non poteva perché lì, davanti a lui, c’era Vegeta, e non serviva una laurea in medicina per capire che qualcosa lo stesse facendo stare male altre ogni dire.
Il suo amico si era gettato su un fianco, in posizione fetale, tremando come una foglia al vento. La sua aura sembrava sul punto di volersi liberare dall’involucro di carne ed ossa che la conteneva da un momento all’altro, eppure, Vegeta stava ancora disperatamente cercando di contenerla. Ad ogni violento spasmo che stava attraversando il suo corpo, Goku non poteva non sussultare. Che cosa avevano fatto al principe dei saiyan? Cosa avevano fatto al suo amico?
“Vegeta!” – aveva cercato di avvicinarsi a lui, mascherando come meglio poteva l’ansia presente nella sua voce.
“S-t-a-i… I-n-d-i-e-t-r-o…” – aveva pronunciato il principe dei saiyan con una fatica immane, biascicando ogni singola parola.
Goku non riusciva a capire. Era come se avesse difficoltà ad articolare i suoni, come se non fosse più capace di dare vita ai suoi pensieri. Perché, poi, voleva che lui stesse indietro? Poteva curarlo, poteva aiutarlo, ma doveva essere Vegeta a pronunciare il secondo desiderio. Purtroppo, lui non era in grado di parlare il namecciano, e non si erano visti abitanti del pianeta neanche a pagarli.
“Vegeta, qualsiasi cosa ti abbiano fatto sta riversando tutti i suoi effetti in questo preciso istante, non c’è bisogno che te lo dica io! Hai bisogno di aiuto! Lascia che ti…”.
“INDIETRO!” – questa volta lo aveva urlato a pieni polmoni, girandosi di scatto per potersi sollevare sui gomiti e sulle gambe. Ancora una volta si era rifiutato di guardarlo negli occhi.
“NO CHE NON STO INDIETRO!” – era esasperato! Se voleva davvero mandarlo via, bè, doveva prima dargli una spiegazione plausibile! Peccato solo che non avesse la forza neppure per stare dritto, figurarsi per fare un discorso avente filo logico. Sembrava quasi che stesse per bruciare dall’interno, come se da un momento all’altro potesse diventare una sorta di torcia umana. Cosa poteva fare per farlo sentire meglio se non chiedere a Polunga di guarirlo? L’unica alternativa sarebbe stata quella di cercare il bastardo che aveva osato tanto e fargliela pagare amaramente dopo avergli fatto sputare la verità mista a litri e litri di sangue. Ed ecco che senza rendersene conto, aveva cominciato a pensare alla lotta, al desiderio di vendetta, di procurare un qualcosa che andava al di là della semplice giustizia. Per la prima volta in vita sua, dopo la morte del suo amico Crilin avvenuta per causa di Freezer molti anni prima, lui provava rabbia. Rabbia per non sapere quello che stava accadendo, rabbia per essere impotente, rabbia per non poter aiutare chi aveva aiutato lui. Perché era stato così sciocco? Perché era stato così cieco e incapace di capire che stava andando tutto troppo, troppo liscio per uno come lui? Per la prima volta in vita sua, stava avendo problemi a metterle un freno. Per la prima volta in vita sua, lui non voleva metterle un freno.
“Chiedi  a Polunga di guarirti” – gli aveva ordinato con fare perentorio – “Sbrigati Vegeta! Non abbiamo tempo! Vuoi che inizi io a ripeterti la tiritera che tu ripetevi a me fino a dieci minuti fa?”.
Il grande drago namecciano era in attesa, ed entrambi sapevano quanto pessimo fosse il suo carattere e quanto poco fosse propenso al portare pazienza. Ancora non aveva cominciato a fare pressione su di loro affinché si decidessero a congedarlo, e questo era parso strano al giovane saiyan. Che si fosse reso conto della situazione?
“Vegeta, andiamo, devi tirarti su! Devi sbrigarti! Forza!”.
Ma Vegeta non riusciva a tirarsi su, non c’era verso. Continuava a rimanere rannicchiato, ansimando con forza, rantolando di dolore e di rabbia. Stava per essere sconfitto. Stava per essere messo KO senza possibilità di appello e non poteva neppure dire a Kaharot di scappare perché la sua bocca era diventata come di marmo, perché i muscoli del suo corpo si erano irrigiditi, perché tutto in lui stava cambiando fino a renderlo chi non voleva essere per nessuna ragione al mondo.
“Vegeta, dannazione! Cerca di tirarti su!”.
Ma Vegeta non si sarebbe tirato su. Improvvisamente, il principe dei saiyan aveva girato il capo nella sua direzione, mostrando, oltre ad uno sguardo supplice, lo sguardo più disperato che potesse avergli riservato, qualcosa di nuovo e di spaventoso, qualcosa che aveva reso i suoi occhi della stesso identico colore del sangue.
E poi era successo. L’energia che aveva cercato di celare, di controllare, era esplosa in un fragore spaventoso, oscurando per un breve istante la luminosità apparentemente più grande emanata dal potente drago namecciano. Le montagne aveva tremato, l’erba aveva preso fuoco, le acque dei laghi si erano increspate al punto di formare enormi onde capaci di abbracciare cielo e terra e l’aria era diventata pesante, carica di quel potere che nessuno avrebbe mai potuto attribuire a Vegeta.
Era durato tutto per poco tempo, ma era stato un momento così intenso da aver lasciato il giovane saiyan completamente senza fiato. Goku era rimasto seduto al suolo in maniera scomposta, il mento vicinissimo al petto, gli occhi sbarrati dalla sorpresa, dallo sgomento. Qualsiasi cosa fosse capitata a Vegeta, era una cosa molto più grande di quello che avrebbe mai potuto anche solo immaginare. Qualsiasi cosa fosse capitata a Vegeta era stata inevitabile. Qualsiasi cosa fosse capitata a Vegeta, sarebbe stata peggio di tutte le altre a cui si poteva pensare.
Il corpo del suo amico continuava ad emanare luce, quasi fosse stato una sorta di neon incandescente, ma anche in quel modo, Goku era stato perfettamente in grado di vedere quali cambiamenti lo avessero sconvolto: sembrava che le sue membra si fossero allungate, che i muscoli fossero in un certo qual modo meno gonfi, ma non per questo meno definiti. Solo quando la luminosità era scomparsa si era reso conto che anche la sua pelle avesse mutato colore.
Che cosa era accaduto al suo amico? Che cosa gli avevano fatto?
Non aveva avuto il coraggio di parlare. Qualsiasi parola sarebbe stata fuori luogo, superflua, del tutto inutile e questo perché al suo amico, al principe dei saiyan, era appena capitato qualcosa di terribile, qualcosa che aveva appena fatto venire la pelle d’oca al giovane e rabbioso guerriero dai capelli color dell’ebano.
Le pupille rosse come il fuoco si erano soffermate ad osservarlo, scrutandolo fin dentro l’anima. Sembrava che lo stessero sondando, che stessero scavando dentro di lui, privandolo della sua privacy, facendolo sentire vulnerabile, nudo, quasi sul punto di essere impotente.
Goku non sapeva cosa fosse accaduto, ma Goku aveva una certezza: quell’essere non era più il suo amico Vegeta.
Fine X parte
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Eccomi… Sì, lo so, sono molto in ritardo, ma sto avendo da fare, molto da fare…
Purtroppo sto studiando, e scrivere sta diventando una cosa che posso fare solo nei ritagli di tempo. Uff…
Ma ditemi una cosa, questa storia è noiosa? So che non è come “When you” e non lo sarà mai, però non è noiosa, vero? VERO?
E il peggio è accaduto, alla fine… Il clone ha preso il sopravvento sul nostro amato Vegeta! =( Che ne sarà di lui, adesso? Polunga è ancora lì… Goku sarà in grado di fronteggiare il nuovo, terribile nemico dal viso amico? (Che pessimo gioco di parole XD). Lo sapremo presto…
Un bacione
Cleo

 

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Capitolo 11
*** Parte XI ***


PARTE XI
 
Di sasso. Goku era rimasto di sasso. Si sarebbe aspettato qualsiasi cosa, davvero qualsiasi cosa, ma non che gli eventi potessero precipitare in quella maniera, non lo svolgersi della scena a cui aveva assistito. Come non avrebbe potuto rimanere attonito, a dir poco sconvolto nel vedere il corpo di Vegeta mutare, cambiare forma? Le sue membra si erano allungate, la sua pelle aveva cambiato colore, e i suoi occhi… Gli occhi neri del principe dei saiyan erano diventati ardenti come le fiamme dell’inferno.

Quello non era Vegeta. E non era stato solo il cambiamento del suo aspetto fisico ad averlo fatto giungere ad una simile conclusione. Tutto in lui era diverso, cominciando dal suo sguardo fino ad arrivare alla sua aura, una concentrazione di energia così ambigua da non sfidare qualsiasi legge della natura.
Chi poteva mai essere quella creatura? Chi poteva essere stato tanto potente da riuscire a prendere possesso non solo del corpo, ma della mente del suo amico e fratello, di un essere così forte, così orgoglioso e fiero di sé? Chi poteva aver preso il sopravvento su Vegeta?

“Kaharot…”  - lo aveva chiamato l’essere che gli stava di fronte, con voce serena, pacata, quasi divertita – “Kaharot…”.
“So perfettamente quale sia il mio nome saiyan. Perché, piuttosto, non mi dici qual è il tuo?”.
“Il mio nome, Kaharot?” – aveva risposto, avanzando di qualche passo.

Era surreale. Era davvero surreale. A cominciare dal guardarlo negli occhi senza dover chinare il capo. Anzi, a dire il vero era anche un po’ più alto di lui, e doveva ammettere di essersi sentito a disagio anche per questa apparentemente sciocca ragione.
Non sapeva come comportarsi. Persino stare allerta lo stava mettendo a disagio. Era appena tornato in vita, Polunga era ancora lì, torreggiante su di loro, e non sapeva cosa fare con quell’essere che sembrava una versione troppo cresciuta  di Vegeta.
Diamine, era incredibile pensare che la situazione potesse essergli sfuggita di mano fino a quel punto. La loro era una missione di pace. Non avevano neanche lontanamente preventivato di poter fare una fine simile. O, almeno, lui non aveva pensato ad un’eventualità del genere. Era sempre più convinto che tutta quella fretta di Vegeta, tutto quel mistero, fossero relativi proprio a quanto accaduto. Il suo amico sapeva quello che li avrebbe attesi su Neo-Namecc, lo sapeva benissimo, e aveva cercato di ogni modo di scongiurarlo, cercando di fare presto, di riportarlo in vita prima che fosse troppo tardi, prima che accadesse l’irreparabile. Ma cosa poteva davvero definirsi irreparabile, a quel punto? Cos’altro avrebbe dovuto aspettarsi oltre a quell’assurdo scherzo di cui erano stati vittime? Perché Vegeta aveva preferito tenergli nascosti i suoi timori? Perché aveva voluto celargli la verità?

“Leggo molta rabbia nei tuoi occhi… Anche se, per quello che vedo, la confusione si sta man mano dissipando… Sei molto più speciale di quanto credessi, Kaharot. Non nego che questa sia per me una grande sorpresa”.
“Leggo, vedo… Di cosa diamine stai parlando?” – sembrava che lo stesse provocando. Che cos’erano tutte quelle allusioni?

Non c’erano dubbi sul fatto che avesse preso possesso di ogni singolo ricordo del principe dei saiyan, ma da come aveva parlato sembrava che sapesse chi era già da prima. La situazione si faceva sempre più inquietante. Era pericoloso. Pericoloso e scaltro, e il fatto che adesso fosse in grado di parlare anche namecciano non faceva altro che aumentare le sue preoccupazioni. Se avesse espresso a Polunga un desiderio, un qualsiasi desiderio che avesse anche solo lontanamente potuto comprendere le parole “dominio” o “universo” o “immortalità”, che cosa avrebbe potuto fare per riavere indietro il suo amico, per salvare il salvabile? Dannazione, perché non aveva mai imparato un’altra lingua all’infuori di quella comune?

“Posso insegnartela io, se vuoi” – aveva asserito quel nuovo Vegeta, ostentando calma, una gentilezza quasi stucchevole.
“Cosa?”.
“Ho detto che se vuoi, posso insegnarti io stesso a parlare la lingua namecciana”.

Era sconvolto. Come, come aveva fatto a sapere cosa stava pensando? D’accordo, Vegeta sapeva davvero essere molto scaltro e intelligente, ma non fino a quel punto. No, c’era qualcosa sotto. Qualcosa di peggio, qualcosa che gli aveva fatto venire i brividi, e questo perché Goku era convinto che quella creatura fosse in grado di leggergli nel pensiero.

“Davvero la cosa ti sconvolge così tanto?” – gli aveva domandato, incapace di mascherare divertimento – “Se è così, non era mia intenzione. Mi dispiace. Io non vorrei mai farti soffrire, fratello… Mai”.
“SMETTILA! Io non sono tuo fratello! Devi smetterla!”.

A che gioco voleva giocare? Lo credeva un idiota? Un fesso? Avrebbe fatto meglio a leggere più attentamente trai ricordi di Vegeta, in modo da vedere chi era lui realmente, cosa era in grado di fare, quanto spietato poteva diventare all’occorrenza. Forse, a quel punto, gli sarebbe passata definitivamente la voglia di fare lo spiritoso con lui.

“Oh, ma io ho già fatto quello che pensi, Kaharot. Io ho visto ogni cosa di te. So tutto quello che ti riguarda, e non solo perché i ricordi di Vegeta sono anche i miei, adesso. Non voglio prendermi gioco di te, fratello. Sì, fratello. Mi fa soffrire vederti reagire in questo modo… Io voglio solo che tu sappia la verità, Kaharot. Su Vegeta, su di te, e su quanto ci riguarda”.
“Ci?” – aveva rimbeccato Goku, sempre più confuso. Non sapeva come agire. Non sapeva davvero come agire.
“Non devi fare niente, fratello. Devi solo ascoltarmi. Io non voglio farti del male, e non volevo farne neppure a Vegeta. Lui sta benissimo, adesso, è finalmente completo. E presto lo sarai anche tu”.
“Adesso basta” – Goku aveva chinato il capo, stringendo i pugni con tanta forza da farsi sbiancare le nocche – “Devi uscire dalla mia testa. Qualsiasi cosa tu stia facendo, esci dalla mia testa e chiudi immediatamente il becco”.

Non lo sopportava. Non avrebbe potuto sopportarlo neanche volendo. Quella creatura, quella cosa a cui non sapeva dare un nome, non solo aveva preso possesso della mente e del corpo di Vegeta, unendosi a lui in una sorta di fusione, ma si era preso anche il lusso di scorrazzare nella sua, di mente, come meglio credeva. Doveva porre un freno a quella sua spavalderia, a quel suo modo di fare che lo stava decisamente mandando fuori dai gangheri, anche se non sapeva come farlo senza fare del male a Vegeta.

“Non volevo che tra di noi le cose andassero in questo modo, Kaharot. Mi dispiace averti arrecato fastidio, fratello. Non era davvero mia intenzione” – era avanzato di qualche passo, cercando di raggiungere Goku, messosi subito sulla difensiva.
“Non osare muovere neanche un altro passo” – aveva detto, prossimo a scoppiare – “E smettila di chiamarmi in quel modo. Il mio nome è Goku”.

Non poteva sopportarlo. Non poteva permettergli di chiamarlo Kaharot. Solo Vegeta poteva chiamarlo in quel modo, e lui non era Vegeta. Lui non era nessuno.
Mai come in quel momento, Goku avrebbe voluto avere a sua volta la capacità di leggere nel pensiero altrui senza bisogno di ricorrere al contatto fisico. Non poteva pensare che Vegeta se ne fosse andato davvero, non riusciva a crederlo, e solo Dende poteva sapere quanto grande fosse il suo desiderio di cercarlo, di sapere se lui era ancora lì, se stava soffrendo, se stava disperatamente chiedendo il suo aiuto. E questa impotenza, questa sensazione di totale inutilità, lo stavano portando a perdere completamente la pazienza.
Ma cosa gli stava succedendo? Non era quello il momento di perdere se stesso. Lui non aveva mai reagito in quella maniera davanti ad una difficoltà, non aveva mai lasciato che l’istinto prendesse il sopravvento sulla ragione. Aveva persino iniziato a tremare, cominciando a far davvero fatica persino a mantenere regolare il respiro. Ed era certo che fosse la presenza di quella creatura a renderlo simile ad un autentico saiyan. Era certo che fosse tutta colpa di quell’essere identico a Vegeta. Forse, a quel punto, era lecito che lo chiamasse Kaharot. Ma lui non avrebbe perso le staffe. Lui non sarebbe diventato Kaharot, mai. Nemmeno in una situazione disperata.

“Che cosa vuoi da me?” – gli aveva chiesto improvvisamente – “Che cosa sei, tu? E che cosa hai fatto a Vegeta?”.
“Io non sono una creatura malvagia, Goku. E non ho fatto niente al tuo amico Vegeta”.
“Bugie. Solo bugie”.
Quella creatura aveva chiuso gli occhi, scuotendo leggermente il capo prima da un lato, poi dall’altro, mostrando dispiacere.
“Mi rendo conto che per te sia difficile, fratello… Me ne rendo conto davvero. Ma dimmi… Cosa posso fare per farti capire che puoi fidarti di me?”.
Lo aveva sentito. Goku lo aveva sentito chiaro e tondo, ma non aveva visto quella labbra muoversi, non aveva visto articolare nessun suono, non aveva visto muovere neppure un muscolo di quel corpo tanto simile a quello di Vegeta. E non aveva visto niente del genere perché le parole erano riecheggiate nella sua testa, chiare, nitide, più vive e vere che mai.
Di quali altre capacità straordinarie era dotato quell’essere? Che cos’altro era in grado di fare?
“Posso mostrartelo, se vuoi” – aveva detto, ammettendo così di essere nuovamente entrato nella sua testa, di aver nuovamente infranto l’ordine che gli era stato impartito – “Così come posso insegnartelo. Posso mostrarti tutto quello che vuoi, tutto quello di cui sei capace. Ma prima devi fidarti di me. Dimmi, fratello, come posso fare in modo che tu inizi a fidarti di me?”.
Era confuso, era sempre più confuso. Ma se voleva batterlo, se voleva almeno provare a farlo, dovevano conoscerlo meglio, e per poterlo conoscere meglio, doveva essere in grado di fare quello che al momento non poteva.
Avrebbe giocato con il fuoco. Avrebbe realmente giocato con il fuoco, quella volta. Ma doveva tentare. O forse, sarebbe stato davvero tardi.
“Dov’è il trucco?” – aveva però chiesto, in totale disaccordo con quanto appena pensato.
“Trucco?”.
“Sì, il trucco. Se dovessi rifiutarmi, cosa farai? Minaccerai la mia famiglia, i miei amici? O di distruggere la Terra?” – il pensiero di Goku era immediatamente volato a Chichi, a Gohan e al piccolo, adorabile Goten. Aveva fatto quel viaggio solo per poter stare accanto al suo bambino, e adesso che avrebbe potuto, una creatura sconosciuta impossessatasi del suo amico glielo stava impedendo. Ed ecco che l’odio stava di nuovo montando, portandolo vicino al limite.
Lo sguardo, quello sguardo così dolorato che aveva sfoderato, era davvero stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Goku stava per scoppiare. Come osava, come aveva potuto anche solo lontanamente prendersi gioco di Vegeta in quel modo? Il suo amico, il suo principe, non avrebbe mai assunto una simile espressione, non si sarebbe mai abbassato a tanto. Persino nel giorno della sua morte avvenuta per mano di Freezer aveva mantenuto dignità e durezza, anche se bagnate da un mare di lacrime. Quella creatura non era Vegeta. Quella creatura doveva sparire. E doveva farlo immediatamente.

“Non ci sono trucchi. Mi spiace che tu possa pensare che io voglia usare qualche mezzuccio per arrivare a guadagnarmi la tua fiducia. Non minaccerò nessuna delle persone a cui tieni. Mi sembra di aver capito che la mia unione con Vegeta ti abbia già arrecato molta sofferenza, anche se non immagini quanta gioia possa aver causato in lui”.
Sarebbe stato superfluo dire che ne dubitava con tutte le sue forze.
“Tu vuoi mostrarmi le tue ragioni, non è così, creatura? E vuoi mostrarmi lealtà. E’ questo quello che vuoi, vero?”.
La risposta aveva avuto bisogno di più tempo per essere formulata, quella volta. E, ancora una volta, Goku aveva maledetto se stesso per non essere stato in grado di leggere nel pensiero.
“Farei qualsiasi cosa” – aveva risposto lui – “Qualsiasi”.
“Allora, manda via Polunga”.

Era stato chiaro come il sole. Voleva conquistarsi la sua fiducia? Bene, che congedasse il drago. Le sfere si sarebbero di nuovo sparpagliate, e a quel punto avrebbe avuto un po’ di tempo prima di doverlo eventualmente evocare un’altra volta - ammesso di riuscirci -  avendo del tempo per poter cercare di distruggere il nemico.
Lo aveva osservato a lungo prima di pronunciare le parole in quella lingua che Goku non era in grado di comprendere, ma alla fine aveva obbedito, e Polunga era andato via, congedandosi da loro tra nubi nere e lampi di luce dorata.

“Adesso ho la tua fiducia, fratello?”.
“La mia attenzione, creatura. Ci vuole ben altro per guadagnare la mia fiducia”.
“Me ne rammarico” – aveva risposto, addolorato – “Ma forse, troverò il modo per farmi perdonare”.
“Certo… Cominciando col dirmi cosa vuoi e che fine hai fatto fare ai namecciani”.
“Tutto a suo tempo” – aveva detto, librandosi in volo – “Tutto a suo tempo”.

Non aveva avuto scelta se non seguirlo. Anche se a malincuore perché quello non era il suo amico, anche se con una punta di odio perché era certo che lo stesse incastrando, anche se con estremo rancore perché aveva rovinato la felicità del suo ritorno in vita, Goku era stato costretto a seguire chi lo stava precedendo, ingannando e di certo usando, era stato costretto a seguire un essere simile a Vegeta che aveva risvegliato in lui strani istinti, che poteva leggergli nel pensiero e di cui non sapeva neanche il nome.

“Alpha” – aveva improvvisamente detto la voce entrata nella sua testa, svelando almeno una parte del mistero – “Loro mi chiamavano Alpha”.
Fine parte XI
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Orbene, anche se con un bel po’ di ritardo, eccomi qui! Ragazzi miei, fa un caldo che si muore, sto studiando sempre, sono a dieta senza risultati (maledetta prova costume) e l’unica cosa che vorrei fare è emigrare al mare. U.U
Ma purtroppo la sessione si avvicina, e non posso di certo abbandonarvi, non vi pare?
Ed ecco che siamo entrati nel vivo della storia. Che volete che vi dica, Alpha sa essere molto persuasivo e Goku sa farsi abbindolare piuttosto di frequente, anche se questa volta ne è più che consapevole. Di certo, il suo comportamento sta mutando. Rabbia. Goku è pervaso da una grande rabbia e da una forte delusione per aver perso il controllo della situazione e aver di conseguenza perso Vegeta. Non potrà tornare da suo figlio come aveva desiderato, non potrà riportare suo padre a Trunks, non immediatamente, almeno. Il pianeta sembra deserto ad esclusione di lui e di questo bizzarro personaggio che lo ha invitato a seguirlo. Quali sono le sue reali intenzioni? Vegeta riuscirà a tornare indietro?
Lo scopriremo nelle prossime puntate! XD
Bacini
Cleo

 

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Capitolo 12
*** Parte XII ***


Parte XII
 
Avevano volato a lungo, rimanendo in silenzio, anche se Goku continuava a credere che quell’espediente servisse davvero a poco. Non esternare ad alta voce i propri pensieri era un conto, zittirli completamente era tutt’altra faccenda. Per la prima volta in vita sua, avrebbe voluto essere l’ebete senza cervello che tutti credevano. La sua guida aveva dimostrato di possedere poteri oltre l’immaginabile, poteri che avrebbero potuto metterlo in serio pericolo, poteri che non sapeva come combattere, come contrastare, come tentare di fermare. E il meglio, o forse il peggio, era che non aveva la più pallida idea di cos’altro potesse celare.
Alpha – così aveva detto di essere stato chiamato – era oltremodo inquietante. Nell’aspetto poteva anche somigliare tremendamente al suo amico Vegeta, ma nulla nel suo atteggiamento avrebbe anche solo potuto lontanamente ricordarglielo. Era mellifluo al punto di risultare stucchevole. Tutti quei suoi sguardi affranti, quel suo essere così accondiscendente, così desideroso di compiacerlo non facevano altro se non far innervosire il giovane saiyan e dargli una prova sempre più palese che no, quello non poteva di certo essere Vegeta.
Gli aveva detto che il principe dei saiyan lo aveva accolto con piacere, che gioiva per la sua presenza, e lo aveva detto come se ne fosse realmente convinto, come se ciò potesse davvero corrispondere alla realtà. Goku non avrebbe creduto a quella menzogna neppure se fosse uscita dalle labbra del suo amico, dalle vere labbra del suo vero amico. Vegeta, nonostante i cambiamenti che aveva subito, sarebbe rimasto l’ultimo principe saiyan fino alla fine dei tempi, e Goku era convinto che nessun principe saiyan avrebbe potuto accettare di essere messo con le spalle al muro da qualcuno. Già, ma chi era questo qualcuno?
Stava seguendo un essere, una creatura di cui non sapeva nulla, neppure il reale aspetto. E no, sapere che si chiamasse Alpha e che potesse leggere nel pensiero non poteva neanche lontanamente essere abbastanza.
Aveva trascorso un’infinità di tempo in compagnia di re Kaioh e degli altri simpatici e colti sovrani dei regni dell’Aldilà e da loro aveva appreso molto più di quanto mai avrebbe potuto credere sugli esseri che popolavano la galassia, ma non ricordava di aver mai sentito parlare di una creatura in grado di poter prendere possesso di un’altra modificandone l’aspetto e aumentandone i poteri, non ricordava di aver mai sentito parlare di un parassita del genere e non gli piaceva. Non gli piaceva per niente.
“Lo sai che mi fa male sentirti parlare così, non è vero, fratello?”.
Lo aveva fatto di nuovo. Cavolo se lo aveva fatto. Lui aveva ricominciato a far galoppare il cervello e quella… quella cosa aveva ricominciato a leggergli nel pensiero nonostante  glielo avesse esplicitamente negato. Se avesse potuto, lo avrebbe disintegrato lì sul momento, ma non poteva. Non poteva se non voleva uccidere Vegeta.
“Ti ho già detto di non farlo, di non entrare nella mia testa… Così come ti ho detto di non chiamarmi mai più fratello”.
Ed ecco che la rabbia che aveva tanto cercato di reprimere stava tornando. Diamine, come poteva permettere a quell’essere di fargli perdere il controllo in quello stato? Se Vegeta fosse stato lì avrebbe riso, dicendogli che il saiyan che era in lui finalmente stava venendo alla luce. Ma non poteva far sì che il suo “lato oscuro” venisse fuori, ammesso che una cosa del genere potesse avvenire. Non poteva permetterlo e basta.
“Non comprendo questi tuoi timori” – aveva proseguito Alpha, noncurante di quello che gli era stato appena detto – “Così come non comprendo il perché di questo tuo risentimento nei miei confronti”.
“Ah no?” – potendo, lo avrebbe preso a pugni, lo avrebbe usato come un sacco, riducendolo ad un colabrodo, ma non poteva. Non poteva e doveva stare calmo.
“Sei stato tu a seguirmi senza porre prima alcuna domanda. Non ho mai detto che non avrei risposto ai tuoi quesiti, che non mi sarei esposto. Ma tu non hai fatto niente per sapere qualcosa di me. Per questo non capisco il motivo dei tuoi timori”.
Non aveva risposto. Non avrebbe potuto neppure volendo, in effetti. Dire che era stato colpito e affondato sarebbe stato un banale eufemismo. Alpha aveva ragione, Goku lo sapeva, e questo non stava facendo altro se non accrescere maggiormente il suo nervosismo, la sua rabbia. Come faceva sempre a fare la figura del cretino non riusciva proprio a capirlo.
“Non essere così duro con te stesso” – gli aveva detto, mostrandogli così di aver di nuovo infranto la regola impostagli. Non riusciva proprio a non ficcanasare il naso ovunque, a quanto sembrava – “Presto capirai tante cose, te lo prometto”.
Così, alla fine, Goku si era arreso all’evidenza. Almeno, Alpha non lo aveva chiamato fratello.

 
*
 
Erano rientrati nella strana struttura da cui lui e Vegeta erano riusciti a fuggire. Non c’erano dubbi che si trattasse di una navicella, data la forma trapezoidale culminante con un’ampia cupola, ma continuava ancora a sembrare troppo grande per un solo passeggero. Dove fossero però nascosti tutti gli altri continuava a rimanere un autentico mistero.
Alpha gli aveva fatto strada, girandosi di tanto in tanto nella sua direzione, sorridendo benevolo e camminando all’indietro pur di poterlo osservare. Cosa frullasse nella sua, di testa, Goku non riusciva ad immaginarlo.
Il giovane saiyan si sentiva un po’ come un raro animale messo in mostra nel nuovo zoo appena inaugurato. Gli occhi rossi di Alpha erano penetranti, curiosi, ma era come se gli stessero impedendo di vedere cosa ci fosse dentro di lui. Forse, quello era il momento più adatto per porre quelle domande che continuavano ad assillarlo con tanta insistenza. Ma se era il momento giusto, perché allora non aveva la più pallida idea di dove poter iniziare?
“Che diamine sei tu, esattamente?” – aveva detto ad un certo punto, meravigliandosi di se stesso.
Alpha aveva sorriso, portando entrambe le mani dietro la schiena e incrociandole, quasi alle stregue di un bambino.
“Credevo che non me l’avresti più chiesto” – era stato il suo commento.
Goku non sopportava di vedere quel sorriso sul suo viso. Per quanto fosse diverso, quello continuava a rimanere il viso di Vegeta, e Vegeta non avrebbe mai sorriso in quel modo, neppure se fosse stato costretto.
“Io sono Alpha” – aveva proseguito, raggiante – “Te l’ho detto. E sono anche Vegeta”.
Confusione. L’unica cosa che continuava ad avere in testa era confusione. Che cavolo poteva voler dire che era Alpha e anche Vegeta? Che era nel suo corpo? Questo lo sapeva già di suo, ma il fatto che fosse anche Vegeta era più complicato. Questo poteva voler dire che il suo amico era lì e che era veramente contento di quell’intrusione? Ma no, non poteva essere. Era stato davvero in preda a dolori lancinanti mentre stavano cercando di esprimere il loro desiderio a Polunga, lui lo aveva visto. Aveva visto Vegeta lottare, lo aveva visto soffrire, ne era sicuro come mai prima di allora. Per questo, quelle di Alpha non potevano essere altro che menzogne.
“Continui ad essere severo”.
“E tu continui ad entrare nella mia testa” – aveva sbuffato sonoramente.
“Non posso proprio farne a meno…” – si era giustificato lui – “Mi viene naturale entrare in contatto con te. Fidati, presto lo capirai anche tu”.
“Capirò, vedrò… Non fai altro che dirmi queste cose da quando ci siamo visti, ma ancora non ho visto né capito nulla. E tu continui a non rispondermi”.
“Perché voglio mostrarti quello che è stato è che sarà! Io non voglio farti male, Kaharot, fratello mio. Voglio liberarti!”.
“Liberarmi?” – era matto. Era completamente matto.
“Seguimi e vedrai”.
 Lo aveva seguito. Ormai era tardi per tornare indietro. Ma non era certo che gli piacesse quello che gli aveva appena mostrato dietro la porta di cristallo. Anzi, non gli piaceva affatto.
“Urca…” - aveva esclamato, estasiato dalla vista di quello che aveva attorno – “Che diamine di posto è, questo?” – si era poi corretto, cercando di riassumere il contegno che richiedeva la situazione.
“Questo posto è casa”.
La stanza che Alpha aveva chiamato casa era un enorme, immenso laboratorio che si trovava proprio al di sotto della grande cupola trasparente. Le pareti erano completamente dipinte di un bianco così puro da risultare abbagliante, e ovunque, macchine di ogni genere stavano pulsando, emettendo i più svariati suoni.
Anche se non aveva mai capito niente di elettronica o di meccanica, Goku non aveva potuto non sentirsi tremendamente affascinato. Bulma sarebbe impazzita nel vedere tutti quei macchinari. Peccato solo che la sua intelligentissima amica non fosse lì ad avvertirlo, a metterlo in guardia su quello che presto sarebbe accaduto.
“Io sono nato qui” – aveva detto, accarezzando la superficie liscia e lucente di un’enorme capsula cilindrica vuota – “Esattamente qui, tanto, tanto tempo fa, quando Vegeta era solo un bambino”.
“Cosa?” – non era sicuro di aver capito bene. Cosa voleva dire che lui era nato in quel laboratorio?
“Hai ragione” – aveva detto lui, socchiudendo gli occhi – “Per te è difficile capire quanto ti sto rivelando. Ma devi sapere che lui ha sofferto solo all’inizio e per poco tempo, mentre io… Io… Era come se avessi un vuoto nel mio petto, ero incompleto, ferito, dilaniato… Mentre ora posso essere finalmente me stesso”.
“Te… Te stesso? Ma cosa… AH!”.
Goku non aveva neppure fatto in tempo a chiedere ulteriori spiegazioni che si era trovato sbattuto contro un freddo tavolo, scoprendosi imprigionato ai polsi, alle caviglie e al torace.
“CHE STAI FACENDO? LASCIAMI ANDARE!”.
Aveva provato ad agitarsi, ma era stato inutile: non era riuscito a distruggere quei legacci così opprimenti. Così, solo a quel punto aveva deciso di trasformarsi in super saiyan, facendo esplodere la propria aura.
Ma neanche allora era stato sufficiente, anzi: Goku si era sentito improvvisamente svuotato, come se qualcosa avesse risucchiato via tutta la sua energia. E non aveva del tutto torto, in quanto gli anelli metallici che serravano il suo torace e i suoi arti erano dei sensori capaci di assorbire l’energia vitale di chi sottostava a quella costrizione. Agitarsi non sarebbe servito a niente se non a permettere a quell’infernale marchingegno di velocizzare il suo compito. Ma Goku non era in grado di stare fermo e impassibile, neppure adesso che sapeva quanto pericoloso fosse il gioco a cui stava giocando.
“Tu! Maledetto! Non dovevo fidarmi di te!”.
“Perché continui a dire questo? Io voglio solo aiutarti proprio come ho aiutato Vegeta”.
“Aiutato? AIUTATO? Come puoi parlare ancora in questo modo? Come puoi mentirmi così spudoratamente? Prenderti gioco di me?”.
Alpha si era guardato bene dal rispondere, sfoderando di rimando uno sguardo fortemente addolorato.
“Io non capisco la ragione del vostro accanimento nei miei confronti. Anche Vegeta aveva reagito in questo modo, vedendomi…”.
“E ti stai anche chiedendo perché? Se Vegeta fosse stato quello di un tempo ti avrebbe disintegrato all’istante invece di lasciare che tu prendessi possesso del suo corpo in questo modo così disgustoso!”.
“Disgustoso? Oh no… Non c’è niente di disgustoso nel voler tornare a far parte del corpo da cui mi è stata data la vita. Mi offende molto quello che pensi”.
Il corpo da cui gli era stata data la vita. Alpha aveva proprio detto così, Goku ne era certo. Ma cosa caspita poteva voler dire una cosa così strana?
“Tu non mi permetti di spiegarti” – aveva incalzato di nuovo.
“Io non ti permetto di spigarti? IO? Ma ti stai sentendo, Alpha?” – mantenere la calma stava diventando ogni istante sempre più complicato. Come aveva fatto Vegeta a non pensare neppure di reagire? O lo aveva fatto ed era stato tutto inutile? Perché non gli aveva spiegato i suoi timori, perché non gli aveva raccontato quello che Alpha gli aveva fatto? Perché?
“Perché Vegeta aveva paura” – era stata la risposta data ai suoi pensieri.
Paura… Era davvero quello il sentimento provato da Vegeta in quegli attimi così difficili, o questo era quello che voleva fargli credere la creatura? Goku non poteva saperlo, e forse non lo avrebbe mai saputo. Non se gli avesse permesso di fare con lui quello che più gli piaceva senza dare al suo amico una possibilità di salvarsi.
“Aveva paura di te, Alpha?” – gli aveva domandato, cercando di prendere tempo. Era l’unica cosa che poteva fare mentre cercava di elaborare un piano per potersi tirare fuori da quella situazione.
La creatura si era girata nella sua direzione, guardandolo con un briciolo di rabbia.
“Lui non ricordava… Non poteva sapere… Non dopo quello che gli era stato fatto. Era normale che avesse paura, all’inizio… Soprattutto dopo che…”.
“Dopo che?”.
“Kaharot, fratello, ci sono cose che ancora non puoi capire… Ma lasciami fare quanto devo, e poi sarai finalmente in grado di comprendere”.
“Lasciarti fare? LASCIARTI FARE?” – una scarica di energia aveva attraversato la stanza, eludendo per un breve istante la sorveglianza delle costrizioni.
“Stai solo sprecando energia…”.
“Alpha, se stai cercando di farmi perdere la pazienza, sappi che ci stai riuscendo perfettamente. Così come stai riuscendo perfettamente a farmi diventare molto simile al Vegeta che avresti dovuto fronteggiare, il Vegeta che ha cercato di uccidermi per mettere a ferro e fuoco il mio pianeta. Ora, se non vuoi farmi arrabbiare sul serio, liberami immediatamente e dimmi che cosa ne  hai fatto del mio amico e di tutti i namecciani, e forse deciderò se risparmiarti la vita. Non sono un essere crudele, ma tu stai facendo del tuo meglio per farmi diventare tale”.
“Davvero?”.
Aveva risposto con un grugnito, aumentando ancora la propria aura. Le vene sulla fronte avevano cominciato a pulsare pericolosamente mentre la stanza ricominciava a tremare. Era al limite. La sola vista di Alpha lo stava mandando in bestia, e il ricordo del suo amico, di suo fratello in preda ad atroci sofferenze non stava facendo altro se non peggiorare la situazione. Presto sarebbe esploso, liberando la sua reale energia. Vegeta avrebbe capito, lo sapeva. Anzi, avrebbe accettato la morte come una liberazione. Avrebbe escogitato in seguito un modo per riportarlo indietro, a costo di viaggiare per tutta la galassia alla ricerca dei namecciani scomparsi, a costo di cercarli persino nell’Aldilà se dovessero essere passati a miglior vita.
“Liberami…” – aveva sussurrato – Liberami immediatamente”.
“Mi dispiace fratello, non posso”.
“Non chiamarmi fratello”.
“Kaharot…”.
“LIBERAMIIIIIII!”.
E, senza che potesse fare altrimenti, la sua energia era esplosa, inondando la stanza di luce dorata. Forse, avrebbe avuto l’opportunità di liberarsi se fossero stati solo lui ed Alpha. Forse, se qualcuno non lo avesse sorpreso alle spalle, avrebbe potuto risolvere la questione in un battito di ciglia.

 
Fine parte XII
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Ed ecco che è venuto fuori “l’inghippo”.
Goku, sei un cretino, lasciamelo dire. Chi sarà questo qualcuno, adesso? Lo scopriremo nel prossimo capitolo.
Family, sono stressata. Questo tempo ha seccato – sto seriamente pensando di addobbare l’albero di Natale – ed io ne ho le scatole piene di vasi, vasetti, statue e templi. -.-‘
E HO FAME! U.U
Scherzi a parte, non so se la prossima settimana riesco ad aggiornare in tempi decenti, in caso contrario, vi prego di perdonarmi sin da ora, ok?
Ragazzi belli, ho fretta! Vi saluto, e mi raccomando, domani tutti davanti alla tv a tifare per la Nazionale. Più in là, staremo tutti davanti allo schermo del pc a tifare per i nostri saiyan!
Vi adoro!
Cleo

 

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Capitolo 13
*** Parte XIII ***


Parte XIII
 
Ce l’aveva fatta. Non era stato semplice, non era stato immediato, ma il suo sogno era finalmente diventato realtà. Alla fine, aveva ottenuto quello che si era prefissato.
Aveva preparato tutto da molto, molto tempo, pazientando ogni singola ora. Non era stato facile, non lo era stato affatto, ma l’esperienza gli aveva insegnato che chi era in grado di stringere i denti poteva ottenere davvero qualsiasi cosa.
Alpha continuava ad osservare il risultato del suo operato con grande trepidazione, attendendo il momento in cui avrebbe potuto non solo osservare, ma interagire, convivere con chi aveva aspettato per tutta la sua lunga, solitaria vita, una vita iniziata nella più totale oscurità.
Non avrebbe mai dimenticato il giorno in cui aveva cominciato a prendere coscienza di sé, il giorno in cui si era reso conto di chi fosse in realtà e di quale fosse lo scopo che gli era stato destinato.
I ricordi per lui non erano qualcosa di sfocato, di lontano. I ricordi per lui erano vividi e feroci, proprio come se li stesse vivendo in quello specifico istante.
Aveva imparato a camminare a pochi mesi, a parlare forse ancora più presto di quanto ci si potesse aspettare da un bambino così piccolo, e non si era trattato di qualche parola appena biascicata, ma di una frase completa, formulata alla perfezione e con una dimestichezza che poteva appartenere solo ad un adulto dotato di una discreta cultura. E nonostante avesse dimostrato di avere tutte le caratteristiche desiderate, caratteristiche selezionate con estrema attenzione e cura da chi aveva scelto lui come soggetto del prelievo, lo shock subito nel vederlo interagire con gli adulti come uno di loro era stato troppo anche per chi gli aveva dato la vita.
Era successo esattamente in quella navicella, proprio nello stesso posto in cui aveva trascorso la sua esistenza, proprio nello stesso luogo in cui si trovava anche in quel preciso istante.
I suoi creatori stavano riprogrammando un macchinario da poco riparato quando si era affacciato sui monitor che presentavano i progetti chiedendo a gran voce cosa rappresentasse la scheda di colore rosso. Nessuno gli aveva mai insegnato a distinguere i colori, così come nessuno gli aveva mai insegnato cosa fosse una scheda, ma lui non aveva avuto bisogno che qualcuno glielo insegnasse, perché questo qualcuno aveva fatto in modo che tutto quello che dovesse sapere fosse già da lui saputo ancor prima di poter essere appreso.
Mai avrebbe potuto dimenticare il loro sguardo, a metà tra lo sgomento e la gioia più estrema. Era evidente che avessero creduto occorresse più tempo prima che le sue immense capacità si manifestassero, ma non potevano essere più felici di essersi sbagliati: il piccolo Alpha era molto più di quanto avrebbe anche solo osato sperare.
Quello era stato il giorno in cui era iniziata la prima parte della sua vita, il giorno in cui aveva cominciato a capire il perché fosse venuto al mondo. Peccato solo che lui non lo avesse mai visto, il mondo. Peccato che non avesse mai viso niente oltre a quella navicella , niente. Proprio per questo, aveva deciso che un giorno, al posto di quell’orribile soffitto di metallo, ci sarebbe stato dello spesso, meraviglioso vetro trasparente, per poter vedere quali meraviglie lo circondassero. Alpha aveva tre anni, e sapeva cosa avrebbe dovuto fare per poter vivere sotto le stelle.
I test erano iniziati qualche ora dopo. Ricordava esattamente tutto quello che gli era stato fatto, tutto quello che gli era stato chiesto, tutto quello che gli era stato imposto di risolvere, di scomporre e di ricomporre, di creare e di riprodurre. Ricordava il pizzicore degli aghi sotto la pelle e il colore del sangue che riempiva le provette, l’odore dei disinfettanti, il rumore incessante dei macchinari che continuavano a monitorare ogni angolo più recondito del suo cervello, ogni sua sinapsi, ogni suo pensiero. Lo avevano sottoposto ad uno stress inimmaginabile, ma accusato solo ed esclusivamente da chi lo aveva creato, da quelle persone che si chiamavano fra di loro Professore e assistenti. Lui non aveva accennato neanche una punta di stanchezza. Alimentato per giorni solo ed esclusivamente con una sonda che gli scendeva lungo la gola, sottoposto alle più ardue condizioni, Alpha non aveva dato il minimo segno di cedimento. La sua mente aveva dominato il corpo, rendendolo l’essere più intelligente e forte che fosse mai esistito, persino più intelligente di chi gli aveva dato la vita.
E, per premiarlo, per la prima volta da quando era nato, Alpha era stato nutrito con qualcosa di diverso dal solito liquido denso dal colore ambrato che continuavano a fargli mandare giù: per la prima volta, loro gli avevano dato una cosa che aveva potuto masticare con quei suoi piccoli denti da latte. Non avrebbe mai dimenticato il sapore che aveva sentito sin dal primo morso, così come non ne avrebbe mai dimenticato l’odore intenso, invitante, dolce e aromatico. Era stato in quel momento che aveva deciso che un giorno si sarebbe nutrito solo di quella squisitezza.
Qualche tempo dopo, era arrivato il momento del test fisico. Aveva dovuto sollevare pesi, dimostrare di essere in grado di levitare e di muoversi ad alta velocità e di riuscire a fronteggiare una serie di robot altamente tecnologici progettati con il solo intento di distruggere. Anche questo test si era concluso con un esito strabiliante. A quanto sembrava, lui era veramente l’essere che tutti avevano atteso per un tempo così lungo.
I suoi giorni erano trascorsi tutti uguali per tanti anni. Avevano iniziato a farlo dormire sempre di meno, continuando a sottoporlo ad estenuanti prove al fine di perfezionare quello che ancora non aveva raggiunto l’apice, qualsiasi esso fosse. Alpha sapeva che un essere normale non avrebbe mai potuto sopportare quei ritmi, ma Alpha sapeva di non esser normale. Così come sapeva che il liquido con cui continuavano a nutrirlo una volta al giorno lo avrebbe portato a non avere mai più sonno, mai più sete, mai più fame.
Chiunque altro avrebbe mostrato un briciolo di paura, ma non lui, non Alpha, non la creatura che era nata dalle cellule dell’esemplare migliore di quegli essere di cui sapeva tutto senza averne mai conosciuto neanche uno. E, alla fine, il sonno era sparito completamente. Lui sapeva cosa fosse la stanchezza, ma non riusciva ad avvertirla. Lui sapeva il nome di tutte quelle sensazioni che gli avevano portato via, ma non riusciva più a provarle. Per venti lunghi anni, Alpha aveva fatto tutto quello che gli era stato ordinato: si era sottoposto ai test, aveva perfezionato le sue conoscenze e aveva lasciato che il Professore e i suoi assistenti facessero su lui tutti gli esperimenti necessari.
Non gli era mai stato permesso di lasciare la navicella, non gli era mai stato permesso di vedere quello che gli era stato fatto apprendere ancor prima di nascere. Non gli era mai stato permesso di vivere.
Non c’erano contatti fra lui e le persone che lo circondavano, chiunque esse fossero. Perché, per quanto Alpha fosse a conoscenza di quasi tutto quello che riguardasse l’universo, i suoi abitanti  e le regole che lo facessero funzionare, lui non sapeva niente di coloro che gli avevano permesso di esistere.
Il Professore era un uomo dall’aspetto piuttosto ordinario: di bassa statura e dai capelli sale e pepe, indossava sempre uno spesso paio di occhiali da vista dalle lenti leggermente ambrate, lenti che celavano il colore dei suoi piccoli occhi curiosi. Non aveva mai parlato con lui di niente che non riguardasse la sua salute e il suo desiderio di conoscenza, Non si era mai fermato a chiedergli come si sentisse psicologicamente, non si era mai preoccupato di elargirgli un sorriso o di riservargli un piccolo gesto di affetto. Lo stesso, se non peggio, valeva per i suoi assistenti. Alpha non aveva mai saputo i loro nomi. Si trattava di una dozzina di omuncoli alti poco più di un metro e mezzo dalla pelle blu e dai capelli rossi, tutti perfettamente identici tra di loro. Per anni si era domandato se ci fosse anche un solo particolare che potesse distinguerli. Li aveva spiati in ogni dove, cercando, aspettando, ma niente: sembravano essere gli uni l’esatta copia degli altri. Persino i loro gesti erano uguali, persino gli atteggiamenti. Con il tempo, aveva perso interesse verso di loro. Forse, se il Professore non voleva che sapesse, c’era un motivo più che valido, e Alpha si fidava di lui. Come non avrebbe potuto fidarsi di chi gli aveva dato la possibilità di venire al mondo?
Ma gli anni passavano, e con la sua intelligenza, con la sua forza, cresceva anche il desiderio di contatto, un contatto che né il suo creatore né gli esseri che si prendevano cura di lui erano intenzionati a dargli.
Aveva provato a cercare le loro attenzioni in ogni modo, provando ad intavolare una semplice conversazione sul tempo, o sul perché, in tutti quegli anni, non si fossero mai fermati su nessuno dei pianeti a cui si erano avvicinati, ma da loro, soprattutto da lui, non aveva ricevuto niente se non indifferenza e la promessa che un giorno avrebbe capito. Ma Alpha aveva capito da troppo tempo, ormai, perché non si poteva forgiare una simile meraviglia senza credere che essa potesse giungere alla più ovvia delle conclusioni. Il Professore, l’uomo che in segreto aveva tante volte chiamato padre, non lo considerava un essere vivente dotato di sentimenti, ma un esperimento da osservare e da alimentare fino al raggiungimento della perfezione. Il Professore aveva provato a sottrarre al suo controllo quelle emozioni così profonde, ci aveva provato ancor prima che esse potessero affiorare, ma il nutrimento che gli forniva quotidianamente, lo stesso che lo aveva privato di ogni primario bisogno, non aveva sortito lo stesso effetto nei confronti delle emozioni. Anzi, per un puro caso, o per un disegno più grande, era stato il grado di accentuarle.
Era stato allora che la sua mente aveva cominciato a vagare in un posto lontano, cercando di portarlo dall’unico con cui credeva di poter avere un legame. Era stato solo allora che aveva cominciato a pensare intensamente al principe saiyan che loro chiamavano Vegeta.
Sapeva perfettamente il modo in cui era stato creato. Il Professore aveva fatto in modo che lui fosse a conoscenza di tutto quello che riguardava da vicino la sua nascita, la sua venuta al mondo. Le operazioni di estrazione del DNA dal corpo del principe gli erano più che chiare, così come erano stati chiari tutti gli esperimenti che ne erano seguiti. La procedura era stata complessa, precisa, ma per loro facilmente realizzabile. Si erano preparati a lungo per quel momento, e l’esperimento era stato portato a termine con grande successo.
Eppure, nonostante tutto ciò fosse estremamente chiaro, c’era una cosa che Alpha non poteva sapere, una cosa che gli avevano tenuto nascosta e che se fosse stato per loro non avrebbe mai dovuto conoscere: lui non aveva idea di che aspetto avesse questo principe dei saiyan, non aveva idea di chi fosse il principe Vegeta. Certo, lui era una sua copia, un suo clone, ma sapeva di essere stato geneticamente modificato, perfezionato, ma cosa significava all’atto pratico? Era più alto di lui o no? I suoi muscoli erano meglio definiti? O il fisico di Vegeta era più prestante? I suoi occhi avevano il suo stesso colore rosso acceso o avevano una diversa sfumatura? Era davvero più furbo, più intelligente di lui, o Vegeta gli sarebbe stato superiore?
Era stato quello l’istante in cui il principe Vegeta era diventato la sua più totale, aberrante ossessione.
Aveva pensato a lui ogni singolo momento di ogni singolo giorno. Eseguiva i test quotidiani automaticamente, senza neanche pensare a cosa effettivamente stesse facendo, si sottoponeva ad allenamenti sfiancanti con la mente rivolta a lui, a quella creatura di cui non sapeva altro se non il nome. Cosa faceva per tutto il giorno un principe senza più un popolo o un pianeta da difendere e governare? Dove viveva? Si allenava per poter diventare più forte o oziava come il più stolto degli uomini? Cosa avrebbe fatto se avesse saputo della sua esistenza? Perché Alpha era stato informato che il soggetto da cui era stato effettuato il prelievo non avrebbe avuto memoria di quanto subito. Lo avrebbe accettato o avrebbe cercato di combatterlo? Ma si poteva decidere di combattere se stessi? Perché era questo che Alpha sentiva di essere: parte del principe dei saiyan.
Poco tempo dopo, avrebbe scoperto di non essersi affatto sbagliato. Parlava di Vegeta a qualsiasi ora, chiedeva di lui a chiunque gli si trovasse davanti, domandando ora al Professore ora ai suoi assistenti il motivo per cui non gli era stato mai concesso di incontrarlo o anche solo di vederlo da lontano. Ma, ancora una volta, nessuno aveva espresso anche solo la più lontana intenzione di rispondere. Nonostante la sua insistenza, nonostante la sua furbizia, la sua intelligenza, non era stato capace di estorcere a nessuno le informazioni che tanto desiderava ottenere. Era come se Vegeta non esistesse, e lui proprio non riusciva a comprendere il perché.
Era stato qualche tempo dopo aver deciso di smettere di fare domande che la sua situazione aveva subito un improvviso, inaspettato cambiamento. Non aveva mai avvertito una simile sensazione in vita sua. La sua salute era sempre stata più che perfetta, non aveva mai avuto neppure un raffreddore per via delle modifiche effettuate alla sua struttura genetica, modulata per essere in grado di distruggere qualsiasi tipo di batterio. Eppure, quella volta, aveva cominciato ad accusare uno strano fastidio alla tempia destra, fastidio presto diventato un acuto dolore. Aveva provato a resistere, a non lamentarsi, ma ben presto era stato costretto a fermarsi, piegato in due da una sofferenza che non era in grado di affrontare.
Il Professore e i suoi assistenti erano intervenuti immediatamente, ma sembrava che niente fosse in grado di alleviare quell’atrocità. E, senza che lui o chi gli stava attorno potessero fare qualcosa, alla fine era scivolato in quel sonno che avevano cercato così a lungo di evitare.
Aveva sognato. Alpha aveva sognato a lungo. Ma quello che gli altri non poteva sapere, quello che neanche lui aveva saputo all’inizio, era che Alpha non aveva solo sognato, ma aveva vissuto ogni singolo istante trascorso in quella dimensione onirica, Alpha aveva vissuto e visto tutto quello che aveva sempre desiderato vivere e vedere. Alpha aveva visto e vissuto con il principe Vegeta.
Non avrebbe saputo spiegare come ciò fosse stato possibile, come fosse avvenuto, eppure era successo. Lì, da qualche parte nel suo inconscio, Alpha aveva visto un’immagine riflessa in uno specchio che non era esattamente la sua, aveva compiuto gesti che non avrebbe mai compiuto, detto parole che non avrebbe mai neppure pensato. E, solo allora, aveva capito di essere non solo Alpha, ma di essere anche Vegeta, e di aver avuto un assaggio di quella che era la vita della creatura da cui era stato clonato. Inspiegabilmente, era entrato in connessione con la mente del principe dei saiyan, inizialmente facendo i suoi stessi sogni, poi leggendo tra i suoi pensieri, riuscendo alla fine quasi a condizionarli. Ed era stata non solo l’esperienza più bizzarra che avesse mai fatto fino ad allora, ma era stata anche la più emozionante e vera. Finalmente, per la prima volta dopo tanto tempo, Alpha aveva capito cosa volesse dire non sentirsi solo. Finalmente per la prima volta in vita sua, Alpha sapeva cosa volesse dire essere davvero completo. Era rimasto completamente affascinato da lui, totalmente rapito. Non era come lo aveva immaginato. Aveva sempre pensato a lui come ad un essere imponente, minaccioso, circondato da donne e da uomini desiderosi di ricevere anche la sua più piccola attenzione, e invece si era ritrovato davanti un ragazzo piccolo, estremamente minuto ma perfetto in ogni singolo muscolo e tendine. I suoi occhi erano neri come la notte e la sua coda spessa e morbida come seta. La sua voce era feroce, seria, e preferiva trascorrere il proprio tempo in disparte quando non era impegnato in una delle missioni impartitegli da un pazzo spregevole che rispondeva al nome di Freezer. Erano solo due le persone che osavano avvalersi della sua compagnia, due saiyan dall’aspetto minaccioso ma dalla forza decisamente inferiore a quella del loro principe. Quella era la famiglia di Vegeta, per quanto quest’ultimo si sforzasse di ripetersi il contrario. Quello era il popolo del principe dei saiyan. E, finalmente, quel popolo era diventato anche suo.
Il suo risveglio era stato una conseguenza dell’ennesima trasfusione che gli era stata fatta. Il liquido della vita, come erano soliti chiamarlo, alla fine era riuscito nel suo intento. Ma l’Alpha che aveva riaperto gli occhi non era lo stesso che si era addormentato. L’Alpha che aveva riaperto gli occhi ora sapeva il reale significato dell’orgoglio e del rifiuto alla sottomissione, e di lì a poco, presto lo avrebbero realmente compreso anche il Professore e i suoi assistenti.
Aveva provato a dirgli apertamente quello che tante volte aveva cercato di fargli capire, ci aveva provato realmente, con maggiore veemenza, pretendendo di essere ascoltato e non più chiedendolo con gentilezza. Adesso, Alpha sapeva quello che voleva, così come sapeva che né il Professo né i suoi assistenti glielo avrebbero mai concesso. All’ennesimo rifiuto, all’ennesimo no, e soprattutto dopo aver udito la confessione che la sua nascita era stata progettata per poter concedere loro vendetta, la sua reazione era quella che ci si sarebbe aspettata da un qualsiasi membro della razza saiyan. A niente erano valse le modifiche che avevano subito i suoi geni, ancor meno erano serviti gli insegnamenti letteralmente iniettati nel suo cervello. Era stato l’istinto a guidare le azioni della creatura, un istinto primordiale e irrefrenabile, un istinto che lo aveva fatto sentire davvero il principe dei saiyan.
Li aveva uccisi tutti, spargendone sangue e brandelli di carne lungo le pareti, attorno ai pulsanti dei generatori, sugli schermi luminosi dei macchinari ancora accesi. Non c’era dolore sul suo viso, né disgusto verso se stesso e le sue mani sporche di sangue. C’era solo un sentimento che imperterrito, violento continuava ad affiorare, ed era qualcosa che prendeva  il nome di sollievo.
Alpha sapeva esattamente cosa doveva fare. Lo aveva capito nello stesso istante in cui aveva posato lo sguardo sul riflesso di se stesso che vedeva nel vetro delle ampolle. Avrebbe avuto tutto quello che aveva sempre desiderato, tutto. A cominciare dalla famiglia che gli era stata per così tanto tempo negata.
Ed ecco, ora era lì, la sua famiglia, e presto sarebbe stata completa. Aveva già ottenuto Vegeta, si era finalmente ricongiunto a lui, e presto ogni cosa sarebbe finalmente stata come avrebbe dovuto essere sin dall’inizio. Non era stato facile, non nel momento decisivo. Vegeta aveva lottato più di quanto si sarebbe mai aspettato, e questo gli aveva fatto orgoglio. Ma il principe dei saiyan aveva creato le perfette condizioni per indebolirsi nello stesso istante in cui aveva deciso di smettere di lottare. Non era stato solo il suo corpo a risentirne, ma soprattutto la sua mente. E lui, diventato con gli anni sempre più forte, sempre più saiyan, era stato in grado di penetrare in essa senza difficoltà e mostrargli quello che avrebbe dovuto vedere per convincersi a raggiungere Neo-Namecc, a riportare in vita Kaharot e a permettergli così di portare a termine quel piano così perfetto, perfetto non solo per lui ma per entrambi.
La sua gioia, gli anni di solitudine e di stallo sarebbero finalmente stati solo un lontano, lontanissimo ricordo offuscato dalla luce della ritrovata pace. Il Professore aveva fatto male i suoi conti. Aveva creato un essere perfetto dal DNA del membro più potente della stirpe che aveva osato distruggere la sua con l’intento di infliggere lo stesso destino a lui e ai pochi superstiti, ma non poteva sapere che quella stessa macchina dai morte sarebbe diventata una macchina capace di dare la vita.
“Dobbiamo fare in fretta” – gli aveva detto il fratello più basso, quello con la lunga capigliatura arruffata – “La sua aura aumenta, e presto sarà impossibile da contenere”.
“Ha ragione” – gli aveva fatto eco quello con i lunghi e curati baffi, faticando a tenere fermo il prigioniero – “Fai presto fratello, te ne prego”.
E lui aveva fatto presto. Non poteva sopportare neanche per un istante di vedere il corpo del suo adorato fratello agitarsi per via di quegli spasmi così violenti e crudeli. Non avrebbe voluto arrivare a tanto, ma doveva scatenare la sua natura saiyan, il suo istinto più crudele per ottenere quanto gli occorreva. E adesso, avrebbe potuto fare quello che aveva sempre sognato. Adesso, Alpha avrebbe potuto riunire la famiglia. Adesso, avrebbe potuto essere felice al fianco di Nappa, Radish e del suo amato Kaharot.
Fine parte XIII
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E dopo dodicimila anni, Cleo fa finalmente capolino!
SCUSATEMI, ma con sti esami maledetti non sto più capendo nulla! XD Non sto avendo tempo manco per morire, non sto uscendo, non sto facendo niente se non studiare, e questo mi ha portato ad abbandonare la fic. Ma voi dovete capire che non solo mi sono messa a scrivere venerdì scorso con l’intenzione di aggiornare, ma ho scritto un intero capitolo che poi ho cancellato perché non mi piaceva. XD Spero che questo – che a me è piaciuto molto – sia stato da voi gradito!
Ora sappiamo qualcosa in più su Alpha, su chi è, su come è nato e perché, su come ha vissuto parte della sua vita e sul perché vuole disperatamente Goku e Vegeta. Ah, e abbiamo anche capito chi erano gli altri due “fratelli”. Ne vedremo delle belle ora che ci sono tutti e quattro!
Anche perché dobbiamo ancora capire cosa hanno fatto ai namecciani! U.U
A presto tesori!! Vado a pranzare!
Bacini
Cleo

 

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Capitolo 14
*** Parte XIV ***


 
Parte XIV

 
Idiota. Era un perfetto idiota. Sapeva che ciò fosse impossibile, ma continuava a sentire all’unisono la voce di Chichi e quella di Vegeta – il vero Vegeta – che continuavano a ripetergli quanto fosse dannatamente idiota. E anche ottuso, molto ottuso, e incosciente, perché aveva fiutato il pericolo, ma aveva deciso di andargli ugualmente incontro.
Si era fatto fregare come un novellino, scoprendo con suo sommo disappunto di non essere il solo, oltre a quell’imbroglione di Alpha, ad aver preso parte a quella specie di teatrino in cui lui avrebbe dovuto recitare la parte dell’ingenuo saiyan che voleva a tutti i costi mostrarsi duro e forte per incutere timore al nemico affinché potesse dargli indietro il suo amico, il suo principe, il suo unico fratello. E, ad essere precisi, aveva appena fatto un’interpretazione da oscar. Peccato che lo stesso avessero fatto anche i partecipanti a quel film dell’orrore.
Non era riuscito a trattenere la sua aura neppure dopo aver saggiato la ferrea presa di quegli infernali fermi capaci di catturare l’energia. Le parole di Alpha, il corpo di Alpha, il viso di Alpha, gli atteggiamenti di Alpha, tutto di quell’essere gli aveva fatto accapponare la pelle, portandolo così prossimo all’orlo dell’abisso da esserci caduto dentro senza neanche accorgersene. Ma Alpha non si era comportato in quel modo per pura cortesia. Alpha non aveva fatto tutto quello che aveva fatto per niente. Alpha sapeva che lui era sul punto di perdere il controllo, lo aveva sentito e lo aveva voluto con tutte le sue forze. E questo perché Alpha, e a quel punto non solo lui, sapeva cosa sarebbe accaduto in seguito.
Ma quando si era reso conto che la rabbia aveva preso il controllo su di lui e aveva disperatamente cercato di riprendere il controllo era stato ormai troppo tardi: loro che si erano fino a quel momento celati nell’ombra avevano fatto il loro ingresso in scena, impedendogli di poter non solo reagire, ma anche solo pensare razionalmente. Grande, troppo grande era stato lo shock che aveva seguito quell’istante. Forte, troppo forte era stato il dolore che ne era conseguito, trascinandolo prepotentemente verso l’unica cosa che avrebbe dovuto evitare: l’oblio.

 
*
 
Si sentiva strano, Goku. Talmente strano da non essere convinto di sentire realmente qualcosa. Era un torpore quello che avvertiva, un senso di stanchezza e di pesantezza delle membra che paradossalmente lo stavano portando a credere che il suo corpo non esistesse più.
Aveva come l’impressione di fluttuare e allo stesso tempo di essere incatenato prepotentemente al suolo, un suolo che non era realmente in grado di vedere, di percepire, di toccare. Aveva gli occhi chiusi, Goku, e per quanto si sforzasse, proprio non riusciva a riottenere il controllo di sé. Aveva avuto bisogno di un attimo di tempo prima di rendersene conto, e forse non avrebbe mai voluto che il momento della verità arrivasse.
In un primo istante, tutto era stato evanescente, impossibile da definire e da mettere a fuoco. Aveva aperto gli occhi o non li aveva aperti? Non era riuscito a capirlo, in quel frangente. Sapeva solo che, anche se a fatica, stava cominciando a vedere quello che gli stava succedendo attorno. A vedere, sì, ma non di certo a capire.
Aveva avuto ragione nel dire di sentirsi allo stesso tempo fluttuante ma incatenato, perché quanto aveva visto era stato spaventoso: il suo corpo, o almeno la parte posteriore di esso, era immerso in qualcosa di simile ad una sorta di gelatina densa e trasparente, una gelatina da cui era impossibile sfuggire. Muovere braccia e gambe era impossibile, lo stesso valeva per il tronco. Qualsiasi movimento cercasse di eseguire era come attutito da quell’orrore in cui era stato immerso, imprigionato, incatenato, un orrore che sembrava quasi sfidarlo e prenderlo in giro con quella sua consistenza apparentemente così morbida e invitante, ma in verità dura e inesorabile.
Non aveva neanche provato a ribellarsi veramente. Non aveva le forze per farlo, e non sapeva se fosse stato in grado di recuperarle. Quello che i suoi occhi gli avevano mostrato non era stato altro che buio, in un primo momento. Adesso, gli stavano mostrando quello che non era certo di star vedendo con i suoi occhi, e per la prima volta in vita sua, avrebbe preferito non vedere.
Era impazzito. Non poteva essere altrimenti, non potevano esserci altre spiegazioni. Non era mai stato geniale, lo sapevano tutti e tutti gliel’avevano ripetuto fino all’infinito, e doveva di certo essere colpa della sua scarsa intelligenza mista alla pazzia di cui si era scoperto affetto che gli stavano facendo vedere tutto quello. Perché, improvvisamente, si era ritrovato a condividere ricordi che non gli appartenevano. Perché, improvvisamente, si era ritrovato a fare movimenti che non voleva fare, scoprendosi alle stregue di un burattino guidato da trasparenti fili vischiosi.
Era stato allora che aveva ricordato quanto fosse accaduto. Era stato allora che il panico lo aveva assalito per la prima volta da quando ne aveva memoria.
Vedeva Alpha davanti a sé, in quella che era la realtà plausibile, quella non fatta di catene improbabili, ma di terra solida e aria pulita, di luci zenitali e di odori acri e dolci allo stesso tempo, e Alpha stava sorridendo. Ma non erano i suoi occhi a vedere Alpha…Erano gli occhi di qualcun altro, di qualcuno che aveva la pelle più scura, i muscoli più snelli e quella miriade di ricordi che lo stavano soffocando e confondendo fino a portarlo sulla soglia della pazzia.
“E’ bello vederti… Sono fiero di te”.
Era stato Alpha a parlare. Il sorriso non riusciva proprio a lasciare la sua bocca e la luce della vittoria non aveva alcuna intenzione di abbandonare quei suoi occhi rossi come il fuoco. Ma c’era anche dell’altro, in quegli occhi, qualcosa che Goku non era stato in grado di vedere all’inizio e che ora non riusciva del tutto a decifrare. C’era emozione. Una profonda, vibrante emozione che li aveva fatti tremare, un’emozione che sembrava averlo compiaciuto in un modo che non gli era familiare. Ma era stato lui ad essere compiaciuto? Perché lui aveva sentito quel brivido, eppure era certo di non essere stato lui a provarlo.
Avrebbe voluto rispondere. Avrebbe tanto voluto dirgli che il piacere non era reciproco, ma non era stato in grado di farlo. Non erano state quelle le parole che erano uscite da quella che era certo fosse ancora la sua bocca.
“Lo stesso vale per me… Ma devo ancora fartela pagare… “ – aveva detto, avvicinandosi furtivamente a lui e sussurrandogli all’orecchio – “Non avresti dovuto chiamarlo fratello”.
Non riusciva a crederci. Aveva parlato, ma non aveva parlato. Si era mosso fino ad avvicinarsi a lui, ma lui non si era mosso per davvero. Quella sostanza in cui era incatenato si era mossa al suo posto, portandolo a muovere le membra in maniera involontaria. La sua bocca si era mossa, sia la sua che quella di quell’altro, di quello che doveva essere lui, ma lui non aveva parlato. E, anche se nel mondo reale era la sua voce ad essere venuta fuori, nella sua mente aveva sentito una voce diversa, una voce che solo in quel momento aveva ricordato di sentire, la voce di chi aveva sfruttato la sua rabbia per fare qualcosa che non avrebbe mai creduto possibile: rubare il suo corpo per farne la sua nuova casa.
Solo a quel punto era stato in grado di vedere la sua immagine riflessa nella lucida superficie del macchinario che aveva di fronte, e solo allora era stato in grado di vedere il colore di quelli che erano stati i suoi occhi, lo stesso colore che avevano assunto gli occhi del suo amico Vegeta.
“Non prendertela”.
“Già… Lo trovo sconveniente. Il tuo arrivo era prossimo… Dovevamo solo permettere che avvenisse in maniera più rapida”.
Non era stato in grado di capire immediatamente a chi appartenessero quelle due voci, ma, purtroppo per lui, era bastato dare uno sguardo per capirlo. Anzi, era bastato che lui  guardasse per poi permettergli di capire.
“Non è possibile” – aveva esclamato, lui, non quell’altro che aveva preso il suo posto – “Non possono essere loro”.
Lo shock di essersi scoperto prigioniero del suo stesso corpo non era stato abbastanza, a quanto sembrava. No. Aveva dovuto persino subire quello di trovarsi davanti le copie dotate di occhi rossi di chi aveva visto morire tanto tempo addietro. Goku aveva appena visto Nappa e suo fratello  Radish. Erano loro. Eppure non lo erano. Perché proprio come era lui e Vegeta, i loro corpi erano più snelli e i loro occhi rossi come il fuoco, proprio come le sfumature che avevano i capelli, nel caso di Radish, e dei baffi nel caso di Nappa.
Ma come poteva essere? Loro erano morti… Come potevano dei parassiti aver preso possesso dei loro corpi se erano passati all’altro mondo ormai quasi dieci anni addietro?
Era confuso… Ogni istante che passava, diventava sempre più confuso. Non era fatto per i misteri, non aveva l’indole da investigatore. Lui amava le cose chiare, semplici, le cose che poteva comprendere senza fare molti sforzi. Perché, allora, si era ritrovato in quell’assurda situazione? E perché, se c’era qualcuno nel suo corpo, qualcuno che lo aveva portato a subire tali cambiamenti, non riusciva a percepirlo? Perché non riusciva a sentirne l’aura né a scrutarne anche solo in parte i pensieri? In un primo istante si era ritrovato sommerso da una miriade di ricordi confusi, di sensazioni che non gli appartenevano. Perché ora, improvvisamente, sembravano svanite nel nulla? Poteva lui essersi accorto che aveva cercato di entrare in simbiosi con il suo cervello e aver deciso di innalzare una fortezza impenetrabile? Ma poteva realmente essersene accorto in un tempo così breve?
Troppe erano le domande che aveva da porre e sapeva che nessuna avrebbe avuto risposta. E si sentiva sempre più stanco… Goku era sempre più stanco e più amareggiato che mai… Aveva sonno… Tanto, troppo sonno… Ma non doveva addormentarsi… Non poteva. Se si fosse addormentato, cosa ne sarebbe stato di lui? Cosa ne sarebbe stato di loro? Eppure, le sue palpebre erano diventate così pesanti, le sue membra erano così stanche… Che lo stesso fosse accaduto anche a Vegeta? Che i suoi occhi si fossero chiusi per sempre lasciando che Alpha lo sopraffacesse completamente? Lui non aveva più avvertito la sua aura da quando era stato posseduto… Non c’era più stata traccia del suo amico. Che Vegeta fosse… Fosse…
Era stato quello l’ultimo pensiero che aveva avuto prima che quell’improvvisa stanchezza avesse la meglio su di lui. Era stata la sua l’ultima voce che aveva udito prima che calasse il più totale e assordante dei silenzi… E lui aveva riso mentre chiamava Alpha, Radish e Nappa fratelli, aveva gioito.
Ma loro non erano i suoi fratelli, Goku, questo, non lo avrebbe mai dimenticato. Vegeta, solo Vegeta era suo fratello. Ma perché, allora, lui non era stato in grado di aiutarlo? Perché aveva lasciato che Alpha lo prendesse? Perché aveva smesso di lottare?
Cominciava a credere che non lo avrebbe mai saputo, e che il desiderio espresso da Vegeta con tanta fatica fosse diventato ormai vano. Goku sapeva come ci si sentiva quando si moriva, lo sapeva bene e lo aveva sempre accettato, suo malgrado. Sempre, ma non ora. Non ora che non era stato in grado di salvare chi era riuscito, anche se per poco, a salvare lui.

 
Fine parte XIV
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Saaaalve!!!
Ragazzi, scusate per il capitolo corto corto, ma l’ho scritto in quattro e quattro otto! XD Infatti fa orrore, ma non vi volevo di nuovo lasciare a bocca asciutta! U.U
Orbene, Goku ha assistito dall’interno del suo stesso corpo leggermente modificato ad una strana riunione di famiglia, rimanendo abbastanza basito per via delle sue tremila domande che non hanno avuto risposta. Ma, a questo punto, mi chiedo, l’avranno? Non so se l’ultima battuta del capitolo sia stata chiara o meno (spero di sì) ma ecco… Goku sta morendo… Il che vuol dire che… Non lo voglio dire… =’(
Ragazzi, è impossibile che la prossima settimana potrò aggiornare… Domani parto per Roma! Giovedì c’è il concerto del mio gruppo preferito, i Placebo, e finalmente dopo 15 anni che li seguo andrò a vederli dal vivo! *.* Per questo ora scappo…Devo svegliarmi alle cinque, sono già le 00:20 e sono ancora davanti al pc. =P
Vi adoro!
Grazie di tutto!
Cleo

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Capitolo 15
*** Parte XV ***


Parte XV
 
Se non li avesse avuti davanti agli occhi, se non avesse sentito le loro voci, visto i loro movimenti, condiviso le loro emozioni, forse non sarebbe riuscito a credere che loro fossero lì, davanti a lui, in quel preciso istante. Era stato proprio lui a crearli, a forgiare quei corpi perfetti, ad alimentare quelle menti sorprendenti, ma mai non avrebbe potuto credere che un giorno tutto quello per cui aveva lottato sarebbe diventato realtà.
Li aveva sognati tanto a lungo, con tanto ardore, da credere che sarebbe morto di gioia da un momento all’altro. Dopo tutto quel tempo trascorso nella più totale, completa solitudine, finalmente aveva accanto la sua famiglia. Finalmente, aveva accanto i suoi amati fratelli. Finalmente, non era più solo.
Li guardava come se al mondo non esistesse altro. E per lui era così. Per Alpha, quelle tre creature erano più importanti della sua stessa vita, vita che avrebbe vissuto accanto a loro fino a quando il fato glielo avrebbe concesso.
I suoi fratelli erano meravigliosi quanto lui, forse di più. E, tra i tre, Kaharot era il più magnifico di tutti. Alpha sapeva che non era colpa né di Nappa né di Radish, ma non aveva potuto fare a meno di notare quella differenza. Il più giovane tra loro, l’ultimo unitosi a quella nuova famiglia, era l’unico, oltre a lui, ad essersi ricongiunto all’essere da cui era stato creato. Gli altri due non erano stati graziati dalla sorte come era capitato a loro. Quando aveva recuperato i geni per iniziare il processo di clonazione, aveva tenuto in considerazione l’eventualità che potesse non riuscire a combinare il loro incontro definitivo, e così era stato. Purtroppo, Nappa e Radish, i rozzi saiyan che avevano permesso ai suoi fratelli di venire al mondo, erano stati eliminati prima che potessero essere raggiunti, e questo aveva impedito il compimento della loro missione. Non avrebbe mai potuto dimenticare il dolore che aveva letto negli occhi dei suoi adorati fratelli. Loro, i primi che avrebbero potuto completare il processo di assimilazione, erano stati definitivamente privati di quell’immensa gioia. Era stato allora che entrambi avevano scelto di farsi chiamare come i due saiyan originari. Era stato allora che avevano cominciato a farsi chiamare Nappa e Radish.
Dalle sue labbra non erano mai sfuggite parole rispetto al suo operato. Era stato cauto, attento a non farsi sorprendere da loro fino al giorno in cui non aveva rinunciato, ma aveva cercato con tutte le sue forze un modo per riportare in vita i due saiyan. Un giorno, durante una breve sosta su di un pianeta lontano, aveva sentito gli abitanti del posto riferirsi alle “potenti sfere” forgiate dal popolo dei namecciani come a degli oggetti in grado di esaudire i desideri. Inizialmente, non vi aveva dato peso, men che meno aveva creduto ad una simile diceria. Non credeva in quell’assurdità, in quella sciocchezza che in tanti chiamavano magia. Era un uomo di scienze, lui, una creatura perfettamente in grado di generare una vita, curare gravi ferite, correggere ogni tipo di difetto grazie all’ausilio delle sue conoscenze e delle apparecchiature che aveva forgiato con le sue stesse mani. Ma, suo malgrado, le sue conoscenze non gli avevano permesso di rendere completi e finalmente felici i suoi fratelli. Perché non aveva nessuna informazione in merito a queste sfere magiche? Perché non sapeva neppure dove fosse ubicato il pianeta dei namecciani? Era stato allora che un dubbio tremendo lo aveva assalito, dubbio diventato certezza in brevissimo tempo. Il Professore aveva omesso di proposito quelle che al momento erano diventate delle informazioni a dir poco vitali per sé e per i suoi cari. Quell’essere che un tempo aveva considerato alle stregue di un padre gli aveva impedito di conoscere la realtà dei fatti, e questo poteva avere solo una spiegazione: questo poteva essere accaduto solo perché il Professore aveva temuto il potere che avrebbero potuto conferirgli quelle misteriose sfere. Voleva tenerlo in pugno, sotto scacco, illudendolo di avergli conferito tutta la conoscenza disponibile per poi far sì che si rendesse conto all’improvviso di aver vissuto in una menzogna. E non in una qualsiasi, ma nella peggiore.
Quel giorno, aveva faticato a mantenere i nervi saldi. Mostrarsi perfetto diventava complicato quando aveva a che fare con sentimenti come l’odio, il disprezzo e il rancore, ma sapeva che sfogarsi sarebbe servito a poco, in quella circostanza. Era liberatorio lasciar affiorare il suo istinto saiyan, ma aveva già ucciso la causa primaria della sua sofferenza, e per quanto lo desiderasse, non poteva uccidere chi era già morto.
La soluzione era semplice e perfettamente attuabile: bastava solo concentrarsi sul suo intento e raccogliere il maggior numero di informazioni possibili sul pianeta Namecc. Se le sfere potevano realmente esaudire i desideri, forse, avrebbe donato ai suoi fratelli la gioia di sentirsi completi.
Trovare la rotta del pianeta non era stato difficile, così come non era stato difficile sapere di più di questi misteriosi manufatti. Le sue infinite capacità gli permettevano di poter leggere nel pensiero di chi gli stava accanto con un semplice tocco delle dita. Ad Alpha bastava solo sfiorare il passante di turno per sapere cosa pensava, cosa provava. Un metodo tanto veloce per recuperare informazioni quanto inutile. Le sfere avrebbero anche potuto permettere a Nappa e a Radish di tornare in vita, ma la loro morte perpetrata per mano di un familiare, di un proprio simile, aveva spezzato il legame che li teneva congiunti a loro insaputa ai fratelli di Alpha, rendendo vano ogni più disperato tentativo di riparare a quell’abominio. Vegeta aveva ucciso Nappa con le sue stesse mani, mentre Goku aveva contribuito in prima persona alla morte dell’unico membro della sua famiglia d’origine. Quella crudeltà, quel gesto contro natura, aveva procurato quella che agli occhi di quelle straordinarie creature era un’autentica catastrofe. Solo per questa ragione Alpha era stato costretto a rinunciare al suo proposito, e mai avrebbe ringraziato abbastanza il suo intelletto e la sua sensibilità per avergli consigliato di non rivelare in anticipo i propri piani. Cosa avrebbe fatto se ciò fosse capitato a lui? Se lo stesso destino, la stessa sorte, gli fosse stata riservata da un fato sin troppo crudele?
Oh, non che non fosse stato anche lui vittima del più acuto tra i dolori, in effetti. Quando Vegeta era stato abbattuto, privato della sua vita per mano del mostro chiamato Freezer, aveva sentito il cuore fermarsi insieme al suo. Il respiro gli era mancato, così come il controllo del suo corpo morente. Era durato tutto mendo di un battito di ciglia, ma era stato sufficiente da fargli desiderare di non tornare indietro. Era stato come se gli avessero strappato le interiora, come se lo avessero privato di tutto quello che era, rendendo la sua esistenza nulla. Era crollato tra le braccia di suo fratello Nappa senza poterlo evitare, piegato in due da un dolore inaspettato e viscerale. E, in quell’occasione, per la prima volta in vita sua, aveva pianto lacrime di sofferenza.
Ma, così come era venuto il dolore, era venuta subito la gioia. Perché, anche se in un primo istante non aveva saputo spiegarne la ragione, aveva nuovamente sentito il contatto precedentemente reciso senza preavviso. Vegeta era tornato. Il principe dei saiyan era riuscito a tornare indietro dal regno dei morti, e Alpha sapeva che era solo merito delle tanto chiacchierate sfere del drago.
Erano stati quei sette oggetti magici a permettergli di riavere Vegeta, ed erano state sempre loro a permettergli di avere anche Kaharot, il suo Kaharot.
Sapeva di sbagliare, sapeva di essere ingiusto, ma, allo stesso tempo, non sapeva spiegare il perché di quella sensazione che puntualmente lo portava a desiderare di avere accanto l’ultimo saiyan purosangue scampato alla grande epurazione perpetrata da Freezer. Forse, perché Vegeta, il principe dei saiyan, aveva sempre saputo che lui, un miserabile membro della terza classe, uno degli ultimi, fosse l’unico in grado di poterlo superare e che, suo malgrado, alla fine c’era realmente riuscito, portandolo ad odiarlo e ad ammirarlo profondamente allo stesso tempo. L’essere da cui erano stati prelevati i geni con cui era stato creato aveva sempre avuto un bizzarro rapporto con quello che solo teoricamente poteva definirsi un suo sottoposto, un rapporto che lo aveva condotto sull’orlo del baratro, sul bordo di quella sottile linea che separa la ragione dalla pura follia, un rapporto che lo avevano portato ad amarlo come il preferito tra i suoi fratelli e allo stesso tempo a detestarlo come il suo peggior nemico.
Ma non era solo per quello che Alpha desiderava tanto la sua presenza, non era solo per un mero e poco invidiabile riflesso. C’era qualcosa che non riusciva a spiegare completamente, qualcosa che inesorabilmente lo aveva portato a desiderare di averlo accanto, di potersi confrontare con lui fisicamente ed intellettualmente senza nessun ostacolo plausibile. Forse, ciò era dovuto alla completezza che entrambi erano stati in grado di raggiungere, ma non avrebbe saputo dire se ciò sarebbe effettivamente bastato o meno. Forse, più semplicemente, non c’erano spiegazioni. Forse, si doveva tutto a quelle che venivano definite “affinità”. Ma, se inizialmente quella confusione lo aveva destabilizzato, con il passare dei minuti era finita del più totale dimenticatoio. Era come se Kaharot ci fosse sempre stato, come se lui lo avesse avuto al suo fianco sin dal primo giorno. La solitudine era davvero esistita, o era stata solo una sua fantasia? Ormai non lo sapeva più. Sapeva solo che non avrebbe abbandonato la sua famiglia per niente al mondo, e che non avrebbe mai ringraziato abbastanza i suoi fratelli per aver mantenuto i loro nomi originari, i nomi con cui li aveva conosciuti. In caso contrario, era comunque certo che li avrebbe amati lo stesso.
“Non avrei potuto fare di meglio” – aveva esclamato Kaharot, osservando il riflesso del suo fisico statuario – “Quanta maestria… Hai studiato a lungo per raggiungere questo livello… Forse anche troppo a lungo. Non sono sicuro che sarei capace di realizzare qualcosa del genere, sai?”.
“Non ne sei sicuro? Oh, fratello, così getti fango sul mio operato e offendi te stesso e la tua intelligenza. Non è stato facile creare un perfetto te adulto, lo ammetto, ma non vedo perché tu non dovresti essere capace di fare lo stesso”.
Aveva risposto senza alcuna fatica o esitazione, gioendo per l’esplicito complimento e per la totale indipendenza dalla volontà del principe, segno di una sua totale soggezione. Mai e poi mai l’orgoglioso Vegeta avrebbe incoraggiato in quel modo il suo più acerrimo rivale, mai, per nessuna ragione al mondo, e questa non era che un’ulteriore conferma del successo della sua operazione.
“Sorridi, fratello?” – Kaharot gli aveva rivolto un sorriso più che mai furbo e consapevole. Ma che male c’era a stuzzicarlo un po’?
“Come potrei fare il contrario? Finalmente conosco il vero significato della parola gioia…Questo giorno è per me indimenticabile”.
Se ne stava seduto sulla sua poltrona bianca, completamente abbandonato a quella sensazione che non aveva mai realmente provato prima di allora. Era felice, era davvero felice. E non gli importava se suo fratello aveva voglia di prenderlo un po’ in giro. Niente avrebbe potuto infrangere quella sensazione di pura pace che avvertiva, niente. Finalmente era in pace con l’universo intero, e il suo unico e solo pensiero era quello di vivere la vita che aveva sempre sognato.
“Dove sono i nostri fratelli?” – gli aveva chiesto mentre si sfilava dalla testa la casacca bianca che gli era stata donata, lasciando poi scorrere lo sguardo lungo l’esiguo che gli era stato messo a disposizione.
“Nappa e Radish hanno deciso di perlustrare per l’ultima volta questo pianeta prima di salpare. Come sai, qui abbondano alcuni minerali piuttosto interessanti, e conoscendoli sono certo che hanno deciso di non perdere l’occasione di studiarli”.
“Certo…” – aveva distrattamente risposto lui, evidentemente contrariato da quello che si trovava davanti – “I minerali” – e senza mascherare un’espressione più che mai disgustata aveva finito con l’indossare una casacca identica a quella tolta in precedenza, ma rossa.
Ad Alpha non era sfuggito il tono assunto dal fratello, ma aveva preferito sorvolare. Kaharot era nuovo a tutto quell’ambiente, e per quanto lo conoscesse grazie al suo operato, viverlo significava tutt’altro. Se non gli andavano bene gli abiti che aveva scelto per lui bastava semplicemente lasciargliene scegliere degli altri.
“Vorresti raggiungerli?” – gli aveva poi domandato, sorridendo speranzoso. Sarebbe stata la prima cosa che avrebbero fatto tutti e quattro insieme, sarebbe stata la prima cosa che avrebbe fatto con la sua famiglia, e il solo pensare a quella parola gli provocava un’emozione incontrollabile.
“Raggiungere chi?” – era stata la domanda posta a sua volta da un Kaharot decisamente più intento a rimirare la sua immagine nello specchio.
Il silenzio che aveva seguito quella che a onor del vero avrebbe dovuto essere una domanda era stato a dir poco glaciale. Alpha lo aveva fissato con insistenza per un lungo istante prima di catturare quello sguardo perso nel riflesso che aveva davanti. Ma non era lo sguardo di chi era arrabbiato per non essere stato ascoltato, no. Il suo era lo sguardo di chi era stato ferito.
“Fratello…” – la voce e gli occhi di Kaharot avevano assunto un tono più dolce, quasi addolorato, mentre percorreva a grandi falcate la distanza che li separava per poi inginocchiarsi al suo cospetto. Adesso, i loro visi erano alla stessa altezza, visi così simili, eppure, allo stesso tempo, così diversi – “Mi dispiace, non volevo essere scortese” – aveva ammesso lui, mettendogli entrambe le mani sulle possenti spalle – “E’ che è tutto così nuovo, così meraviglioso. Le sensazioni che avverto sono talmente intense e contrastanti che mi sembra di scoppiare. Puoi perdonarmi per essere stato così distratto?”. E il sorriso di lì a poco affiorato sulle labbra di Alpha era stato la testimonianza più vivida che sì, era stato perdonato. “Vuoi raggiungere Nappa e Radish, hai detto? Bene, allora andiamo… Ci hanno atteso fin troppo”.
Ed era vero, aveva constato Alpha, mentre seguiva l’ultimo membro della sua meravigliosa famiglia: avevano aspettato fin troppo. Ma dubitava che Kaharot potesse sospettare che stesse pensando a quanto avesse atteso proprio lui.

 
Fine parte XV
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PERDONO, PERDONO, PERDONO.
Sì, lo so, ormai ci avete fatto l’abitudine, ma credo di non aver MAI fatto un simile ritardo in vita mia. Non voglio neanche sapere quand’è stata l’ultima volta che ho aggiornato perché è vergognoso e potrei decidere di scappare in Congo e non fare più ritorno. U.U
Ragazzi, che volete che vi dica? Fra viaggio a Roma, concerto stramegagalattico, una settimana per riprendermi dallo stress e una settimana di mare, ho trovato solo ora il tempo per terminare di scrivere il capitolo che avevo abbozzato la scorsa settimana.
Capitolo di passaggio, ma NECESSARIO. E chi vuole capire ha capito. ;)
I personaggi di Alpha e Kaharot si stanno delineando ogni istante sempre più, e presto accadrà lo stesso con il resto della famigliola felice. Certo che ce li vedo
Red-Nappa e Red-Radish in giro per Neo-Namecc a raccogliere minerali! XD Ma anche questo ha un senso, fidatevi. XD
Orbene, dopo tutto questo inutile sproloquio, io direi che vado a studiare! Con questo caldo non so bene cosa potrò combinare, ma non posso proprio non farlo!
A presto (spero) e buon proseguimento di vacanze a voi tutti!
Un bacione
Cleo

 

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Capitolo 16
*** Parte XVI ***


Parte XVI
 
Meraviglioso. Il materiale raccolto dai suoi fratelli era a dir poco meraviglioso. Sapeva che Neo-Namecc grondava di quel particolare minerale, ma non pensava che fosse di qualità così pregevole. Quando gliel’avevano consegnato, Alpha aveva continuato a rigirarlo tra le dita per diversi minuti, prolungando l’attesa che avrebbe anticipato la fase successiva, quella che avrebbe dato un senso concreto alla faticosa ricerca effettuata con tanto zelo dai suoi amati fratelli.
 Aveva chiesto a Nappa, Radish e a Kaharot di lasciarlo da solo per un po’ nel laboratorio e, anche se con un briciolo di riluttanza manifestata soprattutto dall’ultimo arrivato, era stato immediatamente accontentato. Amava la sua famiglia, ma la sua famiglia sapeva che preferiva lavorare indisturbato. Era un’abitudine che non sarebbe mai mutata, l’unica che avrebbe mantenuto fino alla fine, soprattutto in quell’occasione così particolare, anche se questo avrebbe voluto dire creare per un po’ una barriera tra lui e loro.  
Era felice, Alpha, così felice che per un attimo aveva dimenticato di dover sistemare una lunga serie di cose lasciate in sospeso, cose che purtroppo non potevano più attendere per quanto avrebbe preferito delegare ad altri quel compito così ingrato.

“Allora siamo d’accordo” – aveva detto Nappa dopo aver ascoltato quello che Alpha aveva da dire. Non che per lui e Radish fosse una novità, ma sapevano che per correttezza nei confronti di Kaharot avrebbe esposto nuovamente il proprio pensiero. Era un uomo di parola, lui, una persona che non tornava mai indietro sui propri passi, fermamente convinto che una persona valesse in base alla sua capacità di mantenere quanto promesso, e lui non voleva essere una persona di poco valore. Aveva parlato con voce pacata, cercando di essere chiaro e di permettere a chi aveva davanti di capire davvero quali fossero le motivazioni che lo avevano portato a decidere di rinunciare a tanto, di rinunciare a molto più di quanto avrebbe mai potuto sperare di avere.
“Non ho bisogno di sfruttare il loro potere” – aveva dichiarato senza esitazioni – “E non ne ho bisogno perché ho già tutto quello che mi serve. Ho la mia intelligenza, la mia casa, e soprattutto, voi, la mia famiglia… Credo che possa bastare, non trovate?”.
Nappa e Radish avevano accennato un sorriso, pienamente consapevoli di quanto era stato loro detto. Non avevano nutrito il minimo dubbio sul fatto che il loro adorato fratello avesse potuto anche solo pensare di cambiare idea e, dal canto loro, non c’era niente che le sfere del drago create dal capo dei saggi namecciano potessero dargli. Le due creature avevano un unico desiderio da esprimere, ma ormai avevano quasi del tutto accettato la spiacevole situazione in cui si erano loro malgrado ritrovati. Non c’era niente di peggio della rassegnazione, ma non potevano vivere inseguendo fino alla fine una chimera. Avevano la loro famiglia a cui aggrapparsi, di cui occuparsi e con cui condividere piaceri e dolori. Polunga non aveva potuto dare loro la completezza, ma aveva potuto restituirla a Kaharot, e questo bastava. Che Alpha restituisse pure le sfere ai legittimi proprietari e riportasse gli stessi a casa. A loro non importava. Avevano già ottenuto tutto quello che potevano ottenere sfruttando l’energia di quell’essere divino.
“Restituiamo a questo pianeta quello che dobbiamo” – aveva detto Radish, sedendosi comodamente sull’ampia poltrona girevole – “Non mi sembra il caso di rimanere in debito”.
“Sono d’accordo” – gli aveva fatto eco Nappa – “Questo non è il nostro posto, e non c’è più niente qui che possa interessarci. Ho bisogno di salpare e di scoprire nuovi mondi. Sono impaziente”.
“La tua sete di conoscenza è inarrestabile” – lo aveva canzonato bonariamente Alpha, sorridendo divertito – “Ma non posso non essere d’accordo. L’espediente che abbiamo utilizzato non durerà in eterno… Dobbiamo riportare le cose esattamente com’erano prima del nostro arrivo. Non voglio che si accorgano di quanto è accaduto, e non voglio essere causa di qualsiasi tipo di problema o inconveniente. Per questo ho preferito chiedere nuovamente la vostra opinione, soprattutto quella di Kaharot, che non ho ancora avuto il piacere di ascoltare”.
E Kaharot non aveva atteso ancora per molto prima di proferire parola, ma non senza aver prima chiuso per un lungo istante gli occhi, prendendo un lungo e lento respiro.
“Qualcosa ti turba, per caso?”.
“Turbarmi, dici?” – aveva chiesto ad Alpha, poggiandosi con i glutei sul passamano della ringhiera di metallo del terrazzino che dava sul piano inferiore, incrociando poi le braccia al petto, e Alpha non aveva potuto non sentirsi a disagio nel vederlo in quella posizione. Per un attimo, gli era parso di aver visto in lui qualcosa di Vegeta – “Non sono turbato” – era stata la sua candida ammissione, seguita da una pigra scrollata di spalle – “Sono solo sorpreso… Ci restano altri due desideri, credevo che volessi utilizzarli entrambi”.
Alpha non aveva risposto immediatamente, osservandolo per un lungo istante prima di proferire parola. Nappa e Radish erano piuttosto incuriositi dalla scena che si presentava davanti ai loro occhi. Non erano soliti porre domande ad Alpha o mettere in discussione i suoi propositi, e sembrava che Kaharot, l’ultimo arrivato, stesse facendo proprio quello. Era una situazione così nuova da sembrare paradossale ed irreale.
“Tu vorresti utilizzarli?” – gli aveva domandato, pacato, senza staccare neanche per un istante gli occhi dai suoi – “C’è qualcosa che desideri, fratello?”.
“Sai che non è così… Tutti voi sapete che non è così”.
Aveva preferito comunicare con loro telepaticamente, quasi come se stesse ricordando loro che non era difficile scoprire se la verità fosse tale o meno.
“Alpha non aveva intenzione di offenderti, fratello” – Nappa non aveva potuto evitare di intervenire. Kaharot era particolare, non c’era che dire. Orgoglioso e desideroso di esprimere la propria opinione su quanto aveva intorno, principalmente su ciò che lo toccava più da vicino.
“Ne sono consapevole” – aveva detto – “Pensavo solo che dopo gli sforzi fatti fino ad ora aveste deciso di sfruttare fino a fondo quanto ottenuto. Niente di più, niente di meno”.
‘Niente di più, niente di meno’, quelle erano state le sue ultime parole. Di seguito, nessuno di loro era più tornato sull’argomento, ma se c’era qualcuno capace di cogliere anche la più sottile sfumatura, il più infimo dettaglio, quello era Radish, e a Radish non era sfuggito lo sguardo apparso per un istante sul viso di suo fratello Kaharot.

 
*
 
Avevano restituito i namecciani a quel pianeta. Non era il loro pianeta natale, lo sapevano bene, ma rimaneva comunque la loro casa, e il tempo di restituire quel luogo ai padroni di casa era giunto da diverso tempo. Non era stato particolarmente complicato metterlo in atto: a Nappa era bastato chiudere gli occhi e concentrarsi per un breve attimo per far cadere in un sonno profondo i pochi abitanti di Neo-Namecc. Non si erano neppure accorti di quello che stava accadendo, cadendo tra le braccia del dio del sonno mentre erano occupati a svolgere i propri compiti.
Condurli in un unico luogo era stato ancora più semplice, e di questo si era occupato Radish, facendoli levitare in massa in una grande caverna situata presso l’immenso lago dalle acque di smeraldo. Ad Alpha era toccato il compito di rendere nulle le loro aure, creando una calotta di energia impercettibile attorno al luogo destinato al loro momentaneo riposo. Era stato divertente vedere Goku e Vegeta passare lì vicino senza accorgersi di niente. La loro preoccupazione nei confronti dell’ipotetico infausto destino dei namecciani era stata commovente. Persino lo stoico principe dei saiyan si era lasciato turbare, anche se il suo cuore non era stato in tumulto solo per quella ragione. Alpha non aveva fatto tutto ciò che aveva fatto con il cuore leggero. Non era una creatura a cui piaceva mettere in atto sotterfugi per ottenere quello che desiderava, ma allo stesso tempo era stato messo con le spalle al muro pur di veder esaudito il suo più grande desiderio. Era stato creato per unirsi a Vegeta, era stato messo al mondo per riunirsi a lui, ergo non c’era niente di sbagliato nel voler portare a termine qualcosa che era stata predestinata. Eppure, qualcosa in lui gli aveva suggerito più volte che provocare sofferenza in qualcuno che si sentiva così vicino fosse sbagliato. Ma, allo stesso tempo, sapeva di non avere alternative. Sapeva di non averne e basta. Era stato lui a provocare in Vegeta quel genere di sogni, le visioni che lo avevano fatto diventare l’essere in gran parte sottomesso che era stato prima di unirsi a lui. L’eroico gesto di Kaharot era stato davvero provvidenziale: se non fosse stato per via di quell’episodio, Vegeta non avrebbe mai avuto il crollo che lo aveva portato sull’orlo del baratro. E se non fosse stato per il bambino dagli occhi azzurri, per quel bambino nato dal ventre della donna terrestre, probabilmente non sarebbe mai arrivato in tempo, probabilmente non avrebbe avuto modo di potersi ricongiungere a lui.
Aveva dato a Vegeta un assaggio del suo potere: non aveva del tutto provocato deliberatamente quelle immagini terrifiche, ma aveva mostrato all’essere da cui era stato creato quale sarebbe potuto essere il destino di chi aveva così tremendamente a cuore. Così, qualche tempo dopo la scomparsa prematura di Kaharot, Vegeta aveva cominciato a trascorrere notti agitate, sognando in maniera sempre più chiara tutte le fasi di quello che sarebbe stato lo scontro definitivo, la battaglia che avrebbe visto la disfatta totale del suo mondo. Aveva fatto in modo che tutto cominciasse con un semplice sentore di pericolo: niente più che una sensazione di fastidio alla bocca dello stomaco, una fitta alla nuca, una sensazione di vertigine. Non era stato in grado di spiegare a se stesso quello che gli stava capitando. Erano troppe le sensazioni che lo stavano sconvolgendo da qualche tempo, e l’aver perso il più grande stimolo dei suoi ultimi anni era stato un colpo molto duro anche per uno della sua tempra. E poi c’era la donna terrestre che continuava a tenergli il fiato sul collo, aumentando i suoi tormenti e continuando a distrarlo dagli stimoli che stava cercando di infondergli a pillole.
E, di lì a poco, la prima visione si era affacciata nel suo inconscio. Le immagini in un primo momento sfocate erano diventate man mano più nitide, prendendo piede nella dimensione onirica fino a scorrere come le scene di un film dell’orrore in cui lui era il mostro che uccideva l’eroe, ponendo fine anche alla breve vita della creatura che un giorno lo avrebbe chiamato padre. Lui, un essere mostruoso dagli occhi rossi come il fuoco, aveva ucciso il frutto del suo seme, seminando l’orrore in quella che aveva iniziato a diventare la sua casa.

Inizialmente, aveva preso quegli incubi notturni come una manifestazione del proprio istinto saiyan, una sorta di monito che voleva ricordargli chi fosse in verità. Per un breve periodo aveva continuato ad allenarsi, cercando di sfogare la rabbia per aver perso l’occasione di battere sul campo il saiyan di terza classe che aveva osato avere pietà di lui. Non gli importava più nemmeno di essersi reso conto che un mezzosangue lo avesse superato in potenza, ormai. L’unico suo pensiero era Kaharot, il suo chiodo fisso era Kaharot, ma lui non c’era più. E Vegeta era presto sprofondato nella più totale negazione di stesso, perdendosi in quella dimensione che non sapeva più se fosse reale o meno.
Non sapeva più chi fosse. Non era più il cinico guerriero al servizio di Freezer, questo lo sapeva bene da tempo, ma non era diventato neanche un terrestre dall’animo buono e gentile. Potendo scegliere, avrebbe di gran lunga preferito tornare ad essere quello di prima, ma perché, se era davvero così, la figura che vedeva nei propri sogni lo terrorizzava fino a quel punto? Aveva sempre desiderato essere temuto, rispettato, anche odiato per essere finalmente diventato la creatura più potente della galassia. Allora, perché nel vedersi mentre privava della vita quel bambino che si era sempre rifiutato anche solo di prendere in braccio aveva avuto un tuffo al cuore? Perché aveva provato un tale disgusto di se stesso da non riuscire neppure a guardarsi nello specchio troppo a lungo? Alpha conosceva bene la risposta a tutti i quesiti che avevano preso forma nella mente del principe dei saiyan, ma non avrebbe mai permesso che anche lui ne diventasse consapevole. Vegeta gli serviva così perché l’unione dei loro corpi venisse garantita: Vegeta doveva essere debole e più vulnerabile che mai. Sorprendentemente, quanto ordito aveva causato un effetto particolare sul saiyan: l’avvicinamento a quella creatura che dilaniava ogni notte in sogno, una creatura che aveva deciso inaspettatamente di proteggere prendendo la difficile decisione di smettere di combattere. Non era stato per nulla semplice per lui: aveva dovuto reprimere a lungo il proprio istinto, la voglia di libertà e il desiderio di sfogarsi, ma aveva resistito. Il dolore e il disgusto che provava ogni volta nel vedersi mentre polverizzava quel corpicino indifeso era troppo grande da sopportare anche per uno come lui.
Ma Vegeta non aveva preso una simile decisione fidandosi ciecamente di un sogno, no. Alpha sapeva che ingannarlo non sarebbe stato così facile. Per questa ragione, aveva cominciato a fare in modo che lui avesse delle visioni, autentiche allucinazioni avute in pieno giorno, specialmente in presenza del bambino, quando la voglia di combattere contro di lui per testarne la forza e i miglioramenti aumentava a dismisura. Così, sempre più spesso, Vegeta vedeva suo figlio sanguinare, vedeva i suoi occhi grondare lucenti gocce scarlatte e il suo corpo coprirsi di una moltitudine di lividi e cicatrici, vedeva suo figlio accasciarsi al suolo privo della linfa vitale che lui stesso aveva contribuito a donargli.

Aveva avuto un attacco di violenta febbre la prima volta che ciò era successo. Mai in vita sua si era sentito male per colpa di un’emozione troppo forte, e questo lo aveva colto ancora di più di sorpresa, convincendolo di aver improvvisamente sviluppato il dono che alcuni saiyan tenevano nascosto, convincendolo di aver sviluppato il dono della premonizione.
Alpha si era sentito un autentico verme nel fare una cosa del genere, ma che speranze poteva avere? Voleva ricongiungersi a Vegeta a tutti i costi, e voleva, DOVEVA, trovare il modo di creare la famiglia perfetta, annettendovi anche il giovane Kaharot, perché lui sapeva che un giorno o l’altro sarebbe tornato, lo sentiva nell’animo. Così come lo sapeva Vegeta, del resto. E per questo aveva dovuto aspettare, pazientare fino al giorno del torneo. Quale occasione poteva essere più propensa di quella? Kaharot era tornato solo per poche ore, ma poteva tornare davvero, e Vegeta avrebbe potuto porre un ulteriore freno, avrebbe potuto impedire a quelle visioni così infami di diventare realtà. Nelle scene che si presentavano sempre più frequentemente davanti ai suoi occhi, Kaharot apparteneva ancora al Regno dell’Aldilà, ed era per sua mano che la sua presenza spariva definitivamente da qualsiasi mondo, conosciuto e non. Era lui, con le sue mani, a recidergli la testa dal collo e a giocare con i resti del suo cadavere ancora caldo. E, stranamente, la cosa, invece che provocargli l’immenso piacere che aveva creduto, lo aveva fatto sentire più sporco che mai. Sarebbe bastato modificare un particolare, anche uno piccolissimo affinché le cose cambiassero e quel destino così crudele non si avverasse, e Vegeta aveva tutte le intenzioni di fare ciò, anche se aveva dovuto avere a che fare con quella vocina dentro di sé che continuava a sussurrargli di non dare ascolto a simili sciocchezze.

Alpha aveva sofferto insieme a lui, maledicendosi per non aver potuto fare a meno di evitargli tutto quel dolore. Ma, alla fine, era riuscito ad ottenere esattamente quello che voleva: alla fine, era riuscito a fare in modo che Vegeta decidesse di riportare in vita Goku utilizzando i nuovi straordinari poteri di Polunga. Avevano organizzato tutto con cura, anticipando ogni loro mossa e posizionando in maniera più che strategica le sfere del drago che lui, Nappa e Radish avevano trovato poco prima.
L’ansia di Vegeta era stata oltremodo giustificabile, ma Alpha non voleva più pensare a quello che era stato, preferendo concentrarsi sul futuro grandioso che sperava per lui e per i suoi fratelli.
Vegeta non rappresentava più un ‘problema’, se così si poteva definire. Vegeta non era più un futuro irraggiungibile, ma era una certezza, il presente, e lui voleva viverlo appieno.
Per questa ragione, lui, Nappa, Radish e Kaharot, avevano provveduto a ristabilire l’ordine, riportando i namecciani nelle proprie abitazioni e lasciando le sfere del drago all’utilizzo da parte di chi ne avrebbe avuto maggiore bisogno.

“Ecco… Finalmente tutto è tornato come prima” – aveva detto Nappa, adagiando con delicatezza un bambino namecciano sul proprio letto.
“Sì…” – Alpha era raggiante, proiettato completamente verso il domani – “Ora, non ci resta che partire. Sapete, credo che visitare i pianeti prossimi a questo non sarebbe affatto una cattiva idea…”.
“E’ vero…” – aveva detto Radish – “Potremmo studiare la popolazione autoctona e…”.
“Interagire con essa” – aveva completato la sua frase Nappa.
Brevi cenni di approvazione erano stati scambiati tra loro. Tra tutti, tranne uno.
“Perché limitarci ai pianeti che circondano questo?” – era intervenuto Kaharot, rompendo nuovamente gli schemi – “Perché accontentarci…”.
“Accontentarci?” – Nappa era confuso, e non era il solo.
“Sì…” – aveva incalzato con la sua voce suadente – “Accontentarci. Ci sono posti molto più interessanti dei sassi che abbiamo qui attorno… Uno in particolare, e sono certo che Alpha possa capirmi…”.
Sentendosi chiamato in causa, il maggiore dei presenti aveva chinato il capo, aggrottando le sopracciglia con aria interrogativa.
“Sì… Alpha può capirmi… E’ per questo che dovremmo partire alla volta della Terra”.

 
Fine parte XVI
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Eccomi… Scusate per l’assenza, ma ho preferito far trascorrere il mese di agosto prima di tornare ad aggiornare.  Come avete trascorso le vacanze? Io abbastanza bene! Ma devo tornare a studiare, e la cosa mi deprime non poco… Ma pazienza…
Tornando a parlare della fic, spero che adesso le cose siano sempre più chiare rispetto al bizzarro comportamento di Vegeta! E’ un capitolo strano, questo. Non prevedevo di utilizzare un linguaggio così ricercato in alcuni passaggi, ma devo ammettere che si è scritto in completa autonomia. Ormai le mie storie hanno vita propria! Orbene, che ne pensate di Kaharot? Aspetto un vostro parere a riguardo…
Ragazzuoli, cerco un buon film, mi rilasso, e vado a nanna!
A presto!
Bacini
Cleo

 

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Capitolo 17
*** Parte XVII ***


 
Parte XVII
 
Lo avevano fatto. Alla fine, avevano deciso di esaudire il desiderio espresso da Kaharot, partendo alla volta del pianeta Terra.
Non era un luogo che aveva destato in loro particolare interesse, almeno non in Radish e Nappa. Anzi, per loro due era un posto capace di evocare ricordi molto dolorosi, ricordi legati alla morte dei saiyan da cui erano stati creati e alla conseguente impossibilità di portare a termine il percorso per loro stabilito.
Al contrario, Alpha ne sembrava particolarmente entusiasta: era sulla Terra che Vegeta aveva subito il cambiamento che lo aveva reso docile, plasmabile, realmente avvicinabile. Sbarcare sulla Terra significava vedere realmente i luoghi frequentati dal principe dei saiyan, incrociare chi gli era stato accanto, magari prendere un po’ di coraggio ed avvicinarli, persino. Anche se, quest’ultimo proposito, poteva ritenersi molto più che sconsigliabile. Come avrebbe potuto reagire il piccolo Trunks vedendo davanti a sé un essere molto somigliante a suo padre ma al contempo così diverso? Non era loro intenzione seminare il panico. Certo, avrebbero potuto fare in modo che gli altri li vedessero con diverse fattezze, ma poteva rischiare fino a quel punto?
“Dipende da quanto grande è il tuo coraggio” – aveva detto Kaharot, sfoggiando un enigmatico sorriso.
Alpha lo aveva guardato a lungo, di nuovo spiazzato dalla sua irruenza. Non era abituato a ciò. I suoi fratelli lo rispettavano, e lo stesso faceva lui nei loro confronti. Avevano sempre preferito fare lunghi ragionamenti a tavolino, arrivando a conclusioni che potessero mettere tutti d’accordo, ma Kaharot sembrava  ignorare completamente quella sorta di usanza. Lui preferiva porre mille interrogativi, mettere tutto in discussione, far sentire chiunque lì un codardo, quasi inadeguato. Ed era in loro compagnia solo da poche ore. Eppure, era riuscito a far fare loro quello che voleva con una facilità quasi disarmante. Alpha non sapeva se esserne più spaventato o ammirato.
“Coraggio, dici?”.
“Sì! Di cos’altro potrebbe trattarsi, altrimenti?” – si era seduto accanto a lui, sdraiandosi completamente sulla poltrona dallo schienale reclinabile. Era rilassato. Rilassato e tremendamente accattivante. Era capace di passare dalla più totale sottomissione alla leadership. Come fosse in grado di farlo, Alpha non riusciva davvero a capirlo. Ma questo gli piaceva. Oh, gli piaceva tremendamente.
“Lo so che ti piace” – aveva confessato, facendolo vergognare come un ladro.
L’essere in grado di mettersi in contatto telepaticamente con i suoi fratelli era un bene, ma Kaharot non sapeva proprio cosa fosse la privacy. Possibile che dovesse iniziare realmente a pensare di doversi controllare?
“Oh, Alpha, non te la sarai mica presa, vero?” – lo aveva preso in giro, rimettendosi dritto – “Non voglio creare fraintendimenti tra noi. Lo sai che io e te siamo… Abbiamo un contatto speciale. Ecco, lo definirei così. Non devi vergognarti se ti piaccio così tanto…Siamo più simili io e te… Più simili di chiunque altro… Mi capisci, non è così?”.
Certo che lo capiva. Lo capiva eccome.
“E’ solo che… Io non mi sono mai sentito così prima d’ora. Non che con Nappa e Radish non ci sia intesa. Sarei un ipocrita se dicessi il contrario. Io li amo, vi amo tutti… Siete la mia famiglia…”.
“Ma ami me più di loro…E che male c’è ad ammetterlo?” – e, così dicendo, Kaharot aveva afferrato entrambi i braccioli della poltrona su cui suo fratello era seduto, costringendolo a girarsi verso di lui – “Non devi dimenticare chi siamo, Alpha, non devi dimenticare da chi discendiamo e chi si trova in noi. Se lo terrai sempre a mente, saprai perché senti quello che senti”.
E aveva ragione. Per quanto lo stesse psicanalizzando e la cosa fosse oltremodo paradossale, Kaharot aveva ragione. Cielo, come poteva essersi evoluta così rapidamente quella situazione? Sembrava quasi che i ruoli si fossero ribaltati e che fosse Kaharot quello con più esperienza di tutti, l’esemplare Alpha che presto avrebbe permesso ai suoi fratelli di esistere. E lui non sapeva bene come sentirti a riguardo.
“Metti da parte ogni remora, fratello” – gli aveva detto Alpha, continuando a guardarlo con quei suoi grandi occhi di fuoco – “E fai quello che hai sempre desiderato: vivi”.

 
*
 
 Vivi.

Era questa la parola che continuava a udire come un eco lontano che rimbombava nella propria testa. Ammesso che ce l’avesse ancora, una testa. Era confuso. Non avrebbe saputo dire se si sentiva più stanco o stordito, perché non era più certo di sentire qualcosa. Qualcosa all’infuori di quella parola.

Vivi. Vivi. Vivi.

Gli stavano forse intimando di reagire alla morte? Gli stavano forse suggerendo di scappare dalle sue grinfie? Di rifuggirle? Ma com’era possibile farlo, se lui, morto, lo era già?
“Sta zitto” – aveva detto, scontroso, desideroso di rimanere nell’oblio. Ma a cosa lo aveva detto? A chi lo aveva detto? Non c’era nessuno in quel posto. Era morto e lo avevano spedito in una sezione dell’Inferno studiata appositamente per lui, non poteva essere altrimenti. Non poteva esistere una prigionia più crudele di quella, una punizione più severa, più adatta ad uno come lui.
Non ricordava come avesse fatto a morire. Aveva memoria di un dolore intenso, viscerale, che sembrava essergli scoppiato dentro come le schegge impazzite di una bomba innescata all’improvviso, poi, più nulla. Aveva avuto paura, una mai provata prima. Paura di aver fallito, di aver perso la sua occasione, di aver reso tutto vano, inutile. Tutti gli anni trascorsi a cercare di evitare il peggio non erano serviti a niente, se non a rendere vera la sua più grande paura.
Come aveva potuto lasciare che le cose andassero per quel verso? Come? Era stato un inetto, uno stolto, un debole. E, la cosa peggiore, era che non avrebbe potuto fare niente per rimediare.

Vivi.

Continuava a sentire quella voce dannata. Doveva provenire direttamente dal cuore dell’Inferno, non c’erano dubbi. Ma perché, se si trovava tra i dannati, avevano deciso di destinarlo al gelo più intenso invece di gettarlo tra le fiamme?
Stava tremando forte, fortissimo, stava tremando come mai prima di allora. Avrebbe trascorso da solo il resto dell’eternità, in quel luogo buio, solitario e freddo, ripensando per ogni singolo istante a come aveva fallito miseramente, condannando tutti a morte certa. Perché, ormai, non aveva più dubbi: era lui la creatura che aveva visto nei suoi peggiore incubi, era lui la creatura che aveva visto dall’esterno, come lo spettatore di un film, mentre uccideva i propri cari.
Avrebbe voluto piangere. Le lacrime avevano cominciato a riempire il piccolo spazio rimasto vuoto sotto le sue palpebre mobili, ma non voleva che sgorgassero. Non voleva dare soddisfazione a chi stava ad osservarlo da chissà dove, deridendolo e godendo della sua sofferenza. Voleva, almeno per una volta, mostrarsi stoico, d’un pezzo, forte. Ma lui non lo era più, forte. Non era niente. Non era più niente.
E non era riuscito a non pensare a lui, forte, certo, ma non abbastanza da poter fronteggiare un simile nemico. Era troppo piccolo per subire una simile tortura, anche se lui stesso c’era andato vicino innumerevoli volte nel corso della sua precedente vita. Troppo piccolo persino per badare a se stesso, stando alle regole terrestri. E, nel bene o nel male, lui era in parte tale: era in parte terrestre, soggetto alle leggi di un mondo che tentava di proteggere i bambini, non di farli diventare dei soldati. Almeno in linea di massima.
Come avrebbe reagito nel trovarselo davanti? Cosa avrebbe fatto? Non lo avrebbe mai saputo. Perché a quelli come lui non era concesso uno spiraglio per poter sbirciare nel mondo dei vivi. A lui non era concesso niente. A quelli come lui erano concessi solo dolore e solitudine.
Come era potuto accadere tutto ciò? Come aveva potuto trasformarsi in una creatura tanto inetta? Come aveva potuto lasciare che lui si prendesse tutto quello che aveva costruito con tanta fatica, combattendo fin troppo spesso persino con se stesso?
E come aveva potuto dimenticare quello che aveva subito? Come aveva potuto dimenticare quell’episodio del suo passato? Che cosa gli avevano fatto affinché quell’abominio potesse prendere vita? Forse, non voleva saperlo, non voleva ricordarlo. Era morto… Che importava pensare ad un episodio avvenuto quando era ancora in vita?

Vivi.

Lo aveva sentito di nuovo, quel maledetto suono, quella maledetta parola, quella maledetta voce. Una voce che aveva riconosciuto ormai da diversi minuti – ammesso che per lui il tempo avesse ancora lo stesso valore – e che aveva ricominciato a detestare, forse per rancore, forse per invidia. Eppure, c’era qualcosa che non era così come avrebbe dovuto essere, in quel tono, in quella cadenza, ma non avrebbe saputo dire di cosa si trattasse. Forse, era un crudele scherzo dei suoi ricordi, delle sue memorie, cose che voleva e doveva solo mandare ad diavolo. Sì, al diavolo tutto e tutti. Al diavolo il legame che aveva instaurato con i suoi simili, al diavolo il passato che continuava a tormentarlo. Era solo con se stesso, con il suo senso di smarrimento e di impotenza, non c’erano e non dovevano esserci altri invitati a quella festa.
Avrebbe solo dovuto ritrovare una parvenza di calma, di lucidità e sperare di riaddormentarsi.
E ci sarebbe riuscito, se solo non l’avesse sentita di nuovo, chiara, potente, lì vicina. E soprattutto, ci sarebbe riuscito, se non avesse pronunciato il suo nome.
 
*
 
“Vegeta!” – aveva detto, incredulo egli stesso di quanto avesse davanti agli occhi – “Vegeta!” – aveva ripetuto, scoprendosi nuovamente padrone della sua voce.

Non lo vedeva con chiarezza. Era come se il suo amico fosse dietro una sorta di muraglia fatta di ghiaccio, e il buio, pian piano diventato un’opprimente penombra, non era di certo d’aiuto, ma era chiaro che fosse nella sua stessa situazione di prigionia. Non aveva idea di dove diamine fossero o di come avessero fatto ad arrivarci, ma se era uno scherzo, bene, doveva essere stato architettato da un essere oltremodo perverso.
Avrebbe voluto fuggire da quella prigione, liberarsi di quelle assurde costrizioni e correre da chi aveva cercato di salvarlo, facendo con lui lo stesso, anche se capire da cosa dovesse trarlo in salvo sarebbe stato troppo anche per un genio come la sua amica Bulma.

Agitarsi era inutile, peggiorava solo la situazione, e Vegeta sembrava non essere in grado di vederlo. Forse, anche lui era immerso nella stessa oscurità in cui si era ritrovato lui fino a qualche istante prima, forse, anche lui era in quella situazione di totale stordimento che gli aveva fatto perdere il senso della realtà. Erano morti, bene, poteva accettarlo, ma non avrebbe mai accettato di non poterlo raggiungere. Non dopo che Vegeta aveva fatto tutto quello che era nelle sue possibilità pur di riportarlo in vita. Qualunque fosse stata la verità, a lui non importava, in quell’occasione. Lui voleva solo raggiungere Vegeta. Goku voleva solo liberare dalla prigionia chi aveva liberato lui dalla morte.

“Vegeta!” – aveva chiamato di nuovo, cercando di farsi sentire – “VEGETA!” – aveva urlato con tutto il fiato che aveva in gola.
Ma lui non sembrava sentire, Vegeta non sembrava udire la sua voce. E, man mano che passavano i secondi, i minuti, il buio tornava a farsi più intenso, prendendo il posto della penombra appena arrivata. Poteva perderlo di nuovo? Poteva ritrovarsi di nuovo solo, addormentandosi senza una ragione e poi risvegliandosi nella più totale solitudine, schiacciato dalla consapevolezza di non sapere cosa gli avrebbe riservato il destino?
Non lo sapeva, ma non voleva arrendersi. Eppure, improvvisamente, lui aveva di nuovo così tanto sonno… Un sonno così grande che gli stava facendo chiudere le palpebre contro il suo volere. Ma se quella fosse stata la sua ultima occasione, la sua unica occasione per cercare di venire a capo di quello scherzo di pessimo gusto poteva davvero lasciarsela sfuggire?
“DANNAZIONE! VEGETA, RAZZA DI ZUCCONE, APRI GLI OCCHI E GUARDAMI!”.
Non sapeva come avesse fatto. Non aveva idea di come fosse riuscito a tirare fuori quella voce così potente, ma c’era riuscito. E quella che aveva urlato senza neanche rendersene conto era stata come una sorta di formula magica, di parola d’ordine, perché aveva sortito l’effetto tanto desiderato, perché aveva fatto sì che Vegeta aprisse gli occhi e fosse finalmente in grado di vedere. E lui sperava con tutte le sue forze che presto, entrambi, fossero finalmente in grado di capire.
Fine parte XVII
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Eccomi…
Con soli due giorni di ritardo, non ci si crede! E con un capitolo sui nostri “defunti” eroi, tra l’altro. U.U Io sono preoccupata… Voi dovete sapere che – come al solito – io non so come andranno le cose, bensì decido tutto sul momento, lasciandomi guidare dall’ispirazione e dalle mie mani che battono incessantemente sui tasti del pc, dunque, proprio come voi – almeno spero – sto cercando di immaginare cosa potrebbe avere in mente Kaharot e cosa voglia ottenere in verità.
E Goku e Vegeta? Si sono ritrovati o è solo un’illusione? Vedremo…
Per ora scappo…
A presto miei cari!
Un bacino
Cleo

 

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Capitolo 18
*** Parte XVIII ***


Parte XVIII
 
RAZZA DI ZUCCONE.

Qualcuno dalla voce fastidiosissima aveva osato chiamarlo zuccone. Era intontito, era tutto buio attorno a lui, ma era certo, sicuro che questo ipotetico qualcuno si stesse riferendo proprio a lui, che avesse osato riferirsi proprio a lui con quell’epiteto ignobile. E, se non fosse stato impossibile per il semplice fatto che lo aveva riportato in vita e non avrebbe potuto ritrovarsi all’Inferno per nessuna ragione plausibile o immaginabile, avrebbe osato pensare che quella voce appartenesse a Kaharot.

Aveva aperto gli occhi di colpo, trovandosi ancora una volta immerso nel buio. Era stranamente più vivace, meno assopito e decisamente interessato a verificare se fosse impazzito definitivamente o se quella fosse l’ennesima tortura a cui avevano deciso di sottoporlo. Ma perché, poi? Perché, tra tante, avrebbe dovuto sentire proprio quella voce, la sua voce?

“Sto diventando matto. Sì, non ci sono altre spiegazioni” – si era detto, credendo fermamente in quanto aveva appena dichiarato. Perché diamine avrebbe dovuto sentire proprio la voce del suo più grande tormento? Per quale assurdo motivo? Era davvero finito all’Inferno, non si era sbagliato affatto! E quella doveva essere un’allucinazione o qualcosa di simile, perché era certo che per nessuna ragione al mondo LUI potesse essere finito all’Inferno. Non era esattamente il posto in cui avrebbe collocato quell’imbecille di Kaharot.

“Sta calmo. Calmo, e fai finta di non averlo sentito” – aveva ripetuto più volte a se stesso, cercando in sé la forza di non crollare – “Stai calmo” – e aveva chiuso gli occhi, cercando di ricadere nell’oblio. Perché rendersi disponibile a sopportare quel supplizio? Aveva dato abbastanza ed era troppo stanco per poter anche solo pensare di resistere.
Orbene, inutile sforzarsi. Doveva solo chiudere gli occhi e…
“MA ALLORA SEI DAVVERO UNO ZUCCONE, VOSTRA MAESTA’! TI VUOI DEGNARE DI GUARDARE DA QUESTA PARTE O NO?”.
E li avrebbe chiusi se solo quell’orribile, fastidiosissima voce non avesse ripreso a trapanargli il cervello, stavolta con maggiore veemenza. Ma, se li avesse chiusi, non avrebbe potuto vedere il buio che si diradava, e, in esso, in quel minuscolo spazio di luminosità durato appena un attimo, non avrebbe potuto vedere il volto del soldato di terza classe che aveva in tutti i modi cercato di salvare.

“Kaharot!” – aveva esclamato, incredulo. Era lui. Era davvero lui. Non si trattava di una visione, di un’allucinazione, di una specie di ologramma, no! Era Kaharot, era Goku, era lui! E si trovava dietro il buio che stava nuovamente per inghiottirlo.
“Finalmente! Era ora che mi sentissi! Sei diventato sordo oltre che bell’addormentato, adesso?”.
Era confuso. E non sapeva se lo fosse di più per via dell’aver scoperto che Kaharot si trovasse davvero lì, all’Inferno, o per via dell’eccesso di zelo che aveva dimostrato nei suoi i confronti. Non che le gerarchie contassero, in quella situazione, ma lui rimaneva sempre il suo principe e…
“Urca Vegeta! Non ti starai addormentando di nuovo, vero?”.
“Certo che no pezzo di imbecille! Vedi di chiudere il becco se non vuoi che ti faccia saltare tutti i denti!”.
Se fossero stati sulla Terra quello scatto d’ira mista ad orgoglio l’avrebbe fatta tremare insieme ai suoi abitanti per un lunghissimo, interminabile minuto. Goku, invece, non aveva tremato. Goku aveva sorriso, sollevato per aver ottenuto l’attenzione dell’uomo che aveva salutato più di cinque anni addietro. Certo, era un po’ malridotto, ma sicuramente si trattava di lui.
“Ce l’hai fatta, finalmente”.
“Ti ho detto di piantarla, adesso. Non so se sei reale o meno, e non ho intenzione di perdere la poca pazienza che mi è rimasta”.
Aveva obbedito, soffermandosi a guardarlo per un lungo attimo. Era sollevato, sollevato e anche felice di non sapersi completamente solo, sebbene la situazione fosse oltremodo surreale.
Stavano bene, in linea di massima. Erano morti, certo, e si trovavano entrambi in un luogo sconosciuto, ma erano insieme, e questo, forse, poteva bastare ad alleviare almeno in parte le loro sofferenze. Almeno, secondo il suo punto di vista. A giudicare dallo sguardo che gli aveva lanciato, sembrava davvero che Vegeta preferisse starsene lì da solo.
“Che diavolo ci fai tu qui?” – gli aveva chiesto, furibondo, quasi come se avesse invaso il suo spazio personale.
“Bè, non ti nego che me lo sono chiesto anche io, ma continuo a non capire… Voglio dire, che siamo morti l’ho capito, però…”.
“Però?”.
“Insomma, io ho fatto una capatina all’Inferno tempo addietro, e posso assicurarti che non ha niente a che vedere con questo… posto”.
Ed era vero. Vegeta sapeva che era vero. Anche lui aveva trascorso poche ore nel Regno degli Inferi, e sapeva perfettamente che non aveva nulla a che fare con quel luogo. Ma come spiegarsi, allora, quello che gli era capitato?
Stava cercando di fornirgli una risposta più che adeguata quando, all’improvviso, il buio aveva ricominciato la sua calata, spedendolo nel più completo, totale panico.
“Ehi, che scherzi sono questi, eh? Dove vai? Kaharot! KAHAROT!”.
“Vegeta, calmati, sono qui!”.

Non era stato in grado di evitarlo: si trovava di nuovo nella più totale oscurità. Odiava quella condizione. Era debilitante, e i suoi sensi non facevano altro se non acuirsi maggiormente, portandolo al punto di sentire cose che non esistevano. Forse, neanche Kaharot esisteva. Poteva averlo benissimo immaginato, a quel punto. Sì, lui non lo aveva mai visto, non aveva sentito la sua voce e soprattutto non si era lasciato insultare.
“Smettila…” – aveva detto, più a se stesso che ad un eventuale interlocutore. Perché insistere? Perché continuare a farsi del male in quel modo? Lui era morto, era all’Inferno ed era completamente solo – “Basta. Sta zitto”.
“Vegeta, ma perché fai così? Sono io… Sono qui… Sta calmo…”.
“Non sento nessuna voce… Non ho visto nessuno… Devo stare calmo o finirò per impazzire prima del dovuto… Sì, devo solo stare calmo… Calmo…”.
“Vegeta, sul serio, la pianti o no? Sono qui, perché non vuoi credermi? Mi hai visto, mi hai sentito! Come puoi pensare che si tratti della tua immaginazione?”.
“Se sei davvero qui, perché ora non riesco più a vederti razza di idiota?” – stava per perdere davvero il controllo, altro che stare calmo… Come poteva stare calmo se la sua mente continuava a tirargli brutti tiri?
“Questo non lo so… Ma sono davvero io. Credimi Vegeta, sono io, Goku… Dopo che hai espresso il desiderio sei cambiato… Quella creatura, Alpha, ha preso il sopravvento su di te e mi ha raccontato un sacco di bugie per farmi cadere nella sua trappola, ed io… Bè, ci sono caduto in pieno… Ho ricordi confusi di quello che è accaduto in seguito, ma mi sono svegliato qui, imprigionato in questa cosa orrenda, e non riesco a liberarmene. Anche io era immerso nel buio fino a poco fa, ma poi ti ho visto ed eccomi qui! Siamo qui insieme, ma non ti nego che non capisco il perché… Urca, non capisco più niente, io…”.
“VUOI CHIUDERE IL BECCO? Tsk! Solo Dende sa quanto sai essere fastidioso!”.
“Allora mi credi! Urca Vegeta, finalmente ti sei deciso! Meglio tardi che mai, non trovi?”.
Un’altra parola. Avrebbe dovuto dire solo un’altra parola e l’avrebbe ucciso su due piedi, anche se non sapeva bene come avrebbe fatto. Del resto, si era dipinto esattamente come Kaharot. Chi, se non lui, poteva fidarsi così ingenuamente di un essere che aveva appena preso possesso del corpo del suo… Bè, non sapeva come definirsi rispetto a Kaharot, ma il discorso non faceva comunque una piega.
Ma se era lui, se era davvero lui, perché si trovava lì? Quello era il suo Inferno personale, e Kaharot non poteva essere stato destinato al Regno degli Inferi, per quanto la cosa sarebbe stata davvero divertente.
“Vegeta, ci sei?”.
“Tsk, potrei farti la stessa domanda, sai?” – anche se dubitava che avesse compreso cosa volesse dire in realtà – “Che diamine ci fai tu qui, razza di idiota! E con questo voglio dire che quella cosa, quell’essere, ha preso il mio corpo, ma con te che avrebbe fatto? Dubito che si sia sdoppiato e abbia deciso di possedere entrambi… Per la miseria, il solo pensiero mi fa venire i brividi”.

La domanda di Vegeta era più che legittima. Ma non si trattava di quello che credeva. Alpha non si era sdoppiato. O almeno così pensava. Aveva ricordi troppo confusi. I pensieri continuavano ad accavallarsi e non era propri in grado di ristabilirne l’ordine. Eppure, Vegeta aveva il diritto di sapere. E così, per quanto confuso, aveva cominciato a raccontare quanto aveva visto, le parole strane che aveva usato Alpha, il modo in cui era riuscito a raggirarlo e di come era stato in grado di fargli perdere la pazienza, permettendo così alla sua ira di venire a galla. Ripercorrendo quel cammino intrapreso in un tempo non troppo remoto quasi non era in grado di riconoscersi. Mai gli era capitata una cosa del genere, ed era certo che Alpha fosse almeno in parte responsabile di quell’evento. L’autocontrollo era il suo punto di forza, e quella era l’unica spiegazione che gli permettesse di capire perché fosse diventato il suo tallone d’Achille.

Vegeta aveva ascoltato in silenzio, limitandosi a grugnire di tanto in tanto e a digrignare i denti in maniera sinistra, nel vano tentativo di placare in nervosismo che lo aveva assalito.
“Io non so come abbia fatto” – aveva ammesso, candido, Goku – “Ma è riuscito a farmi perdere la pazienza… Leggeva nella mia mente. Mi parlava con questo assurdo mezzuccio! E mi sono infuriato… Poi, continuava a chiamarmi fratello… E’ stato a quel punto che sono stato messo KO… Però… Ecco, io… Ho visto delle cose dopo che mi sono svegliato qui, Vegeta… Delle cose che non aveva mai visto prima… Ho sentito una voce che era la mia, però… Non lo era… Urca, lo so che mi starai prendendo per pazzo, ma è così… Sì, è proprio così! E sto provando da non so quanto tempo a liberarmi di questa cosa, ma… NON CI RIESCO! Che cosa possiamo fare?”.
“Per prima cosa, vedi di chiudere il becco” – gli aveva intimato, sfinito. Era stato capace di fargli venire l’emicrania, e questo non sarebbe dovuto accadere visto che ormai era solo spirito. Invece, sembrava che il suo carnefice avesse trovato il modo di farlo soffrire in ogni aspetto. Un bel colpo di fortuna, non c’era che dire.
Ma che cosa ne aveva fatto di lui se il suo corpo non era stato privato dell’anima per poter essere riutilizzato? E che voleva dire che Goku sapeva cose che non avrebbe dovuto sapere e che aveva sentito una voce che era la sua e allo stesso tempo non lo era? Adesso che aveva praticamente accettato della veridicità della sua presenza cominciava ad essere davvero confuso anche lui rispetto a quello che gli aveva raccontato, e la cosa non prometteva niente di buono.
“Vegeta… Mi stavi ascoltando?” – aveva chiesto, preoccupato.
“Tsk, certo. E’ solo che…”.
“Solo che?”.
Non lo sapeva neanche lui… Non sapeva come spiegargli quello che provava. Aveva tutto a che fare con i suoi incubi, con le sue visioni, ne era perfettamente consapevole. Ma Kaharot c’era in quelle scene così rivoltanti che aveva visto, lui c’era. Se aveva davvero fallito, se quella specie di premonizione si era avverata, perché Goku si trovava lì e non sulla Terra? E lui? Qual era il suo ruolo in tutta quella faccenda, arrivati a quel punto?
“Kaharot, dove credi che siamo finiti?” – aveva chiesto, all’improvviso.
“Cosa?”.
“Hai capito benissimo. E posso anche immaginare la tua faccia da ebete, in questo momento, anche se non riesco a vederti”.
“Non ne ho idea… Voglio dire, non mi sembra il Paradiso, ma neppure l’Inferno… E poi… Non sento le presenze spirituali di nessuno. Re Kaioh, re Yammer e gli altri sovrani sono facilmente individuabili, di solito. Stavolta, non sento niente. Neanche tu li senti, vero, Vegeta?”.
Esattamente. E se n’era accorto solo in quell’istante e solo grazie all’idiota. Ma poteva essere? Poteva davvero essere così come stava pensando che fosse? E perché aveva avuto bisogno dell’aiuto di Goku per capire una cosa che avrebbe dovuto comprendere al volo? Perché era stato troppo impegnato ad autocommiserarsi, ecco perché.
“Sono un idiota” – si era detto, a voce fin troppo alta – “Sono un emerito idiota”.
“Urca! Vegeta, allora stai male per davvero!” – aveva esclamato, sconvolto dall’ammissione fatta dall’amico. Quasi stentava a credere di averlo sentito. Forse Vegeta stava male. Non c’erano molte alternative. O stava male, o aveva preso un forte colpo in testa ed era molto, molto confuso.
“Tsk! Fidati, Kaharot, se stessi male, te ne saresti accorto. Hai detto che hai scoperto di sapere cose che prima non sapevi, di aver sentito la tua voce che però non era la tua, ho ragione?” – lo aveva incalzato, sperando in una risposta immediata.
“Esattamente. Non so come spiegarti meglio, ma è propri così”.
“Come sospettavo… E temevo” – sì, temeva. Perché cominciava a credere che sarebbe stato meglio essere morti per davvero.
*
 
Aveva ripercorso la sua storia a ritroso, proprio come poco prima aveva fatto il guerriero di terza classe.
Non aveva raccontato tutti i particolari, un po’ per vergogna, un po’ per non mettere definitivamente sotto i piedi il poco orgoglio che gli era rimasto, ma l’aveva fatto. Non era stato facile mettersi a nudo in quel modo: raccontare quello che aveva visto, quello che aveva sognato, significava esporre i propri sentimenti, significava diventare vulnerabile, e lui non lo era mai stato così tanto prima di allora.
Ma, a quel punto, dopo quello che era capitato, cominciava a nutrire l’atroce dubbio che tutto ciò che aveva visto fosse stato puramente frutto della sua immaginazione, che fosse un imbroglio, un raggiro, e che lui non avesse affatto sviluppato il dono della premonizione. Ma possibile che Alpha, che quella cosa avesse messo su tutta quella messinscena per poter prendere possesso del suo corpo? E a quale scopo?
Improvvisamente, gli era tornato in mente tutto il dolore che aveva sentito quando Alpha si era dissolto, ricomponendosi poco dopo in lui. Aveva lottato, aveva lottato con tutto se stesso ma non era servito, non c’era stato modo di impedirgli di prendere il controllo. E poi, senza rendersene quasi conto tanto intensa era stata la sofferenza provata, aveva creduto di essere morto, risvegliandosi in quel posto dimenticato da tutti. Sì, creduto, perché se davvero era morto, non avrebbe dovuto avere la sensazione di udire in sottofondo una voce che non era di certo quella di Kaharot e neppure la sua.
Vivi.
Lo aveva udito chiaro e tondo, con tanto di fastidio come spiacevole conseguenza. E se si concentrava, se teneva tutto al di fuori come faceva durante gli esercizi di meditazione, poteva sentirla crescere d’intensità, poteva udirla con maggiore chiarezza, poteva sentire ogni singola frase pronunciata senza nessuna difficoltà.
Goku, dalla sua scomoda posizione, cercava di tenere occhi e orecchie ben aperti, captando ogni singolo movimento dell’amico. Aveva capito che Vegeta non era in grado di vederlo, che purtroppo si trovava ancora immerso nella più totale oscurità, ma continuava a non capire cosa stesse facendo. Perché aveva chiuso gli occhi? Perché aveva quell’espressione? E perché era completamente immobile?
“Vegeta… Urca, tutto ok?”.
“Fa silenzio” – gli aveva intimato, glaciale, e lui aveva obbedito, anche se avrebbe voluto fare tutt’altro.
Goku non poteva sapere che avesse bisogno della più totale tranquillità per poter capire, per provarci, almeno. E questo perché i suoi dubbi continuavano a crescere, ad essere fomentati da una sensazione che partiva direttamente dalla bocca dello stomaco.
Era certo che presto avrebbe capito, ne era convinto.
E non c’era voluto molto, non c’era stato bisogno che passassero chissà quanti minuti, quante ore,  perché capisse. Alla fine c’era riuscito, aveva aperto un varco, un piccolo spazio che gli aveva permesso di sentire non solo quella voce, ma le voci che in qualche modo lo circondavano, voci che parlavano di cose che faceva fatica a capire e che una volta comprese lo avevano lasciato di ghiaccio, provocando in lui un senso di disgusto e di rabbia che da tempo aveva smesso di provare.
“Maledetto” – aveva ringhiato, disgustato – “Maledetti”.
“Vegeta…”.
“MALEDETTI!”.
Aveva scaturito un’energia tale da diradare il buio che lo aveva fino a poco prima circondato, facendo tremare persino l’aria che avevano attorno. Non era normale quanto era accaduto, non era controllabile. E Vegeta era stato talmente forte, aveva scatenato così tanta energia da far allontanare da sé i legacci che lo imprigionavano, anche se solo per un breve istante.
E lo aveva sentito: aveva sentito l’impostore perdere i sensi e l’altro, Kaharot, osservarlo a lungo prima di iniziare a scuoterlo, facendolo riprendere e imponendo di nuovo al principe dei saiyan la prigionia che gli era stata inflitta, lasciandolo sfinito.
“Vegeta… Vegeta!” – aveva provato a dimenarsi, cercando in qualche modo di raggiungerlo, ma era stato del tutto inutile. Che cosa era successo? Che cosa aveva visto?
“Sono in pericolo” – aveva detto all’improvviso, con la voce rotta, il sudore che gli imperlava la fronte, il fiato corto – “Sono tutti in pericolo”.
“Io non capisco… Chi è in pericolo?”.
“Chiudi il becco per una volta e ascolta. Ascolta Kaharot… E anche tu sarai in grado di capire”.
E lo aveva fatto: aveva chiuso gli occhi e aveva ascoltato, lasciandosi travolgere dallo stesso senso di smarrimento e di terrore.
“Dobbiamo fermarli” – aveva affermato, sconvolto – “Dobbiamo evitare che arrivino sulla Terra”.

 
Fine parte XVIII
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Eccomi!!!
Perdonatemi per l’immenso ritardo, ma questa stupidissima connessione ha deciso di giocare brutti scherzi, e per aggiornare ho dovuto fare i salti mortali. NON NE POSSO PIU’!
Ma torniamo a noi, al capitolo, al gran casino che sono riuscita a montare senza sapere come! XD Bene… Vegeta e Goku si sono ritrovati, alla fine, e il principe è anche riuscito a scoprire quali sono i piani degli “altri”. Vuole fermarli. Deve fermali, anzi, DEVONO. E nei prossimi capitoli vi racconterò come faranno.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e di poter aggiornare in maniera più puntuale. Vi ringrazio per il tempo che mi dedicate, e perdonatemi se spesso vi lascio attendere molto a lungo.
A presto!
Baci
Cleo

 

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Capitolo 19
*** Parte XIX ***


Parte XIX
 
“Fratello! Fratello! Apri gli occhi! APRI GLI OCCHI”.
Era accaduto tutto in pochi secondi, ed era stato talmente fugace da fargli credere che non fosse accaduto affatto. Ma così non era stato. Perché, se non fosse accaduto, non avrebbe avuto attorno a sé i suoi fratelli intenti ad osservarlo, carichi di preoccupazione.
“Grazie agli dei” – aveva sospirato Nappa, ancora carico di apprensione  - “Ci hai fatti morire di paura”.
“Si…” – gli aveva fatto eco Radish – “Siamo stati così in pena. Stai meglio, adesso, fratello?”.
Meglio? Non avrebbe saputo dire se stava meglio, perché non sapeva se fosse stato male o meno. Ricordava solo di aver parlato a lungo con Kaharot sul perché fossero così simili a differenza dei loro fratelli, ma poi… Ecco, poi c’era stato un attimo in cui non c’era stato più nulla, non avrebbe saputo spiegarlo meglio di così. Aveva avuto come un black-out, un vuoto totale che aveva seguito la conversazione rimasta a metà e preceduto quello che aveva tutta l’aria di essere stato un risveglio. Ma cosa poteva essergli capitato? Per quale ragione era accaduta una cosa simile proprio a lui?
“Un semplice svenimento” – era intervenuto Kaharot, che aveva ancora entrambe le mani saldamente poggiate sulle spalle di Alpha nell’evidente tentativo di tenerlo in piedi – “Non ritengo che sia il caso di farne una faccenda di stato”.
“Tu… Non ritieni?” – Radish non credeva alle sue orecchie. Quello non era stato un semplice svenimento, ma molto di più e lo sapevano tutti, tranne Alpha, a quanto sembrava, ma Kaharot aveva evidentemente deciso che la cosa non fosse di suo interesse, anche se stentava a comprenderne il motivo.
“Si, non ritengo. Non eri qui quando è successo e, come puoi vedere, Alpha si è ripreso benissimo. Non è vero, fratello?”.
Era vero… O non lo era? C’era troppa confusione nella sua testa perché potesse dare una risposta, soprattutto ora che stava ancora tentando di capire, di darsi una spiegazione che non fosse quella a cui aveva pensato poc’anzi, perché, se fosse stato come aveva per un attimo creduto, ciò avrebbe potuto significare solo che aveva fallito in ogni sua singola mossa.
“Non è così” – lo aveva rimbeccato Kaharot, guardandolo con occhi a metà fra l’addolorato e l’accigliato – “Sai che non è così”.
“No che non lo sa!” – aveva insistito un Radish che faticava a mantenere il controllo – “Abbiamo visto tutti quello che è successo, anche se non eravamo qui, lo abbiamo sentito tutti. E non venire a dirmi che ho immaginato di aver perso il contatto che ho con mio fratello perché sai perfettamente che non è così”.
“Radish…”.
“Non vorrai negare di averlo sentito anche tu! Vero, Nappa?”.
No, non avrebbe potuto negarlo neanche volendo, perché lui aveva vissuto esattamente quello di cui aveva appena parlato Radish. Era durato poco, pochissimo, ma era stato talmente intenso da averlo segnato per sempre. Era stato come se avessero reciso qualcosa non solo nel suo cervello, ma nella sua anima, rendendolo mutilo, privo di quel contatto vitale che lo rendeva parte di qualcosa di vero e tangibile. Non aveva sentito più la presenza di Alpha. Per quel breve istante, era stato come se suo fratello, il suo creatore, la solida radice che aveva dato vita alla loro famiglia, non esistesse più, come se Alpha non facesse parte non solo di quel mondo, ma di nessun mondo conosciuto, come se la sua presenza fosse ormai solo nei ricordi di chi era rimasto indietro a soffrire.
No, non poteva dare torto a Radish. Eppure, non voleva neppure litigare con Kaharot o far spaventare ulteriormente Alpha, perché era certo che a nessuno fosse sfuggito lo sguardo spaurito e perso dell’ancora a cui tutti facevano affidamento.
“Allora?” – era arrabbiato. Radish era talmente arrabbiato da non essere riuscito a leggere nitidamente tra i pensieri di Nappa. Perché attendeva tanto prima di intervenire? Perché fingeva di non vedere?
“Sai che non è così, fratello. Non dovresti fare simili pensieri” – era ferito. Ma non poteva del tutto biasimare Radish. Era una situazione nuova per tutti loro, e nonostante possedessero tutta la conoscenza del mondo, si erano ritrovati completamente impreparati ad affrontarla.
“Alpha sta bene. Non è vero?” – aveva ripetuto Kaharot per l’ennesima volta, lanciando uno sguardo gelido verso chi stava osando contraddirlo.
“Dimmi, fratello” – la voce di Radish era piatta, inespressiva, e ciò era dovuto al disperato tentativo di controllare almeno in parte la rabbia che continuava a crescere in lui come un male inarrestabile – “Stai forse giocando ad un gioco di cui noi non conosciamo ancora le regole?”.
“E tu, fratello, stai forse dicendo che Alpha non è abbastanza forte da controllare chi ha ceduto in maniera così patetica alle sue… attenzioni? Stai forse dicendo che Alpha sia debole, non è vero?”.
“Ora basta”.
Era stata proprio la voce di Alpha a porre fine a quell’alterco durato sin troppo a lungo. Senza esitare ancora, aveva scansato Kaharot e si era rimesso in piedi, i pugni serrati, lo sguardo dritto davanti a sé. Un silenzio assordante era calato su di loro, rendendo troppo pesante da sopportare anche solo la presenza di chi si aveva attorno. E cosa c’era di più grave, per una famiglia, se non l’insofferenza verso chi si doveva amare incondizionatamente?
“Alpha… Io…”.
“Basta”.
Aveva zitto Nappa senza porsi alcuno scrupolo. Era stato rude, quasi brutale, del tutto differente dall’essere razionale e socievole con cui avevano a che fare. Quello che avevano davanti non sembrava più neanche Alpha, ma qualcuno di simile alla creatura che aveva eliminato senza nessuna pietà chi gli aveva dato la vita e allo stesso tempo aveva osato ingannarlo. E, quello stesso Alpha, il fratello che aveva permesso loro di vedere la luce, continuava a fissare un punto impreciso davanti a sé, quasi non vedesse altro se non ciò che aveva davanti.
E poi, senza che potessero opporsi in alcun modo, la loro casa aveva cominciato a tremare, scossa da un’energia che non avevano mai avvertito prima di allora. In pochi istanti, quasi come se fosse stato improvvisamente attivato uno speciale comando, la navicella e tutto ciò che conteneva, compresi i suoi quattro passeggeri, si era smaterializzata, comparendo un attimo dopo nei pressi dell’orbita del pianeta Terra.
Nessuno aveva osato proferire parola. Tutto, lì, sembrava essersi congelato a qualche minuto addietro, e ciò avrebbe anche potuto essere vero se lo scenario davanti a loro non fosse mutato, se le verdi acque ancora visibili del pianeta Neo-Namecc non avessero lasciato posto alle acque ben più vivide che circondavano il pianeta blu.
“Ora, Radish, dimmi pure: pensi ancora che io sia debole?”.
La domanda suonava come un’accusa, una condanna verso chi aveva solo cercato di preservare la salute di chi amava più di se stesso.
Gli era occorso un lungo istante prima di trovare le parole adatte per poter rispondere, un istante che gli aveva permesso di comprendere che nessuna avrebbe potuto permettergli di spiegare ciò che avrebbe tanto voluto fargli comprendere. Per questo, aveva preferito il silenzio, sperando che fosse il suo sguardo ferito a parlare al suo posto, scoprendo poi, con suo grande rammarico, che così non era stato, che c’era solo gelo dall’altra parte, il gelo di chi si era sentito ridicolizzato e sminuito.
“Felice di aver rimesso le cose al loro posto” – aveva detto, mentre la sua energia tornava a concentrarsi sulla sua fonte fino a sparire – “Ora, Kaharot, ti pregherei di seguirmi. Abbiamo un atterraggio da effettuare”.
Non avevano potuto fare altro se non rimanere indietro ad osservare, entrambi troppo stanchi e provati da quello che avevano appena vissuto. Alpha li aveva lasciati indietro, preferendo la presenza di Kaharot alla loro, alla presenza di chi aveva sempre cercato di comprenderlo, di capirlo e sostenerlo in ogni scelta. Non c’era rabbia in loro, ma qualcosa di più simile alla delusione, e non era stato a causa della gelosia se quel sentimento aveva preso il sopravvento su di loro, soprattutto su chi aveva disperatamente tentato di spiegare qualcosa di troppo complicato da capire. E, alla fine, la consapevolezza di quanto accaduto lo aveva reso certo di una cosa fin troppo vera, una cosa che non aveva letto nella voce di Alpha, ma nello sguardo compiaciuto che gli aveva rivolto Kaharot prima di lasciare quella stanza.
“Lo abbiamo perso” – aveva semplicemente asserito, incapace ormai di provare qualsiasi tipo di emozione – “Lo abbiamo perso per colpa mia”.
*

“Che razza di farabutto” – non aveva potuto evitare di sbottare, infuriato per quanto era avvenuto là dove avrebbe dovuto trovarsi se solo non fosse stato imprigionato in quell’orrenda schifezza. Era arrabbiato, e forse non avrebbe dovuto esserlo. Era difficile da spiegare, perché in verità non se l’era presa a male per come Kaharot aveva raggirato Alpha piegandolo alla sua volontà, ma per il fatto che Alpha gli avesse permesso di farlo, mostrandosi realmente una creatura debole e facilmente plasmabile, cosa che lo rendeva troppo simile al se stesso che era stato per cinque lunghi anni.
Goku aveva visto la rabbia di Vegeta crescere, distraendosi così da quella che aveva ricominciato a prendere piede nel proprio cuore. Come dargli torto? Quell’essere, quel Kaharot, era un vero farabutto, ma uno di lega talmente bassa da aver deciso di mettere l’uno contro l’altro i suoi stessi fratelli pur di mettere in atto quello che aveva tutta l’idea di essere un piano più che malefico.
Stentava a credere che fosse stato creato dai suoi geni, che quell’abominio fosse frutto di una sua clonazione leggermente perfezionata. Perfezionata in cosa, poi, stentava a capirlo. Forse in quantità di cattiveria e di furbizia, “doti” che non gli invidiava affatto. Ma capiva ancor di più la rabbia di Vegeta. Se, almeno in parte, quel comportamento gli aveva permesso di capire quanto diverso fosse lui, Goku, da Kaharot, la resa di Alpha, il modo in cui si era lasciato plasmare, lo aveva reso fin troppo simile al Vegeta che aveva avuto le visioni e che aveva deciso di farlo ritornare in vita nell’ormai vano tentativo di fermare il se stesso che aveva visto compiere l’atto più crudele.
Kaharot non era come gli altri. Kaharot non aveva niente a che fare con Alpha, Radish e Nappa, per quanto il ragionamento che stava facendo fosse a dir poco surreale. I tre che avevano atteso il suo arrivo non erano così subdoli, così manipolatori. Almeno, non lo erano con chi avevano desiderato di avere accanto da sempre. Alpha aveva aspettato il suo arrivo con un’ansia e una trepidazione che non tutti avrebbero mostrato, e la sua gioia era stata immensa nel vedere finalmente il suo sogno realizzato, e Goku si era ritrovato quasi ad invidiarlo per la tenacia, dote che, per altro, apparteneva al ragazzo con cui stava condividendo quell’assurda e inaspettata prigionia.
Vegeta aveva chiuso gli occhi con veemenza, aggrottando la fronte su cui erano improvvisamente apparse numerose rughe profonde. Aveva voglia di rivalsa, Vegeta. Per se stesso e forse anche per Alpha, date le assurde circostanze. Ma come poteva intervenire per modificare le cose? Come poteva impedire a quei quattro, ma soprattutto a Kaharot, di atterrare sulla Terra e seminare il panico? Perché non aveva idea di cosa volesse dai terrestri, ma tra loro c’era suo figlio, tra loro c’era Trunks, e non voleva che Kaharot gli si avvicinasse per nessuna ragione al mondo.
“Dobbiamo fermarli” – aveva ribadito, convinto di poterci davvero riuscire – “Dobbiamo trovare il modo di fermarli”.
“Lo so, Vegeta. Ma vorrei davvero capire come. Siamo in trappola, e loro sono già nell’orbita del nostro pianeta”.
“Sì, me ne sono accorto anche io, genio, grazie tante” – a volte sapeva essere davvero irritante.
Erano soli, soli contro un nemico che non sapevano come affrontare, che forse non potevano neanche affrontare, a dire il vero, e questo perché erano imprigionati in un posto sconosciuto nel loro stesso corpo, neanche fosse uno scherzo messo su da qualche divinità oltremodo dispettosa.
“Vegeta…”.
“Ascolta, dobbiamo sapere che cosa ha intenzione di fare la tua copia più sveglia, hai capito?”.
“Eh?”.
“Tsk. Ecco, appunto. Avevo ragione sul fatto che quell’altro è più sveglio. Razza di idiota, sto cercando di dirti che devi fare in modo di scoprire quello che pensa!”.
“Urca! E come dovrei fare, scusa?”.
“Come ho fatto io qualche istante fa, e come hai fatto anche tu, del resto. Possibile che tu sia così inutile?”.
Avrebbe sorriso, se non fosse stato che non si trattava dell’occasione migliore, e lo avrebbe fatto perché quello che aveva davanti sembrava essere tornato esattamente il ragazzo che aveva lasciato, sembrava essere tornato il principe dei saiyan che aveva conosciuto tanti anni addietro. E, tanto per cambiare, del resto, il principe dei saiyan aveva ragione anche in quella circostanza. Lui poteva sapere cosa frullava nella testa di quell’altro, come lo chiamava Vegeta, e doveva scoprirlo al più presto, o sarebbe potuto essere davvero troppo tardi. Forse, a quel punto, avrebbe potuto capire anche come fare “altro”, anche se ancora non sapeva come.
*
 
Li aveva convinti. Era riuscito a far fare loro esattamente quello che aveva in mente. Anzi, gli aveva fatto fare esattamente quello che aveva escogitato, e lui non si era opposto, mostrandosi docile e perfettamente plasmabile. Era straordinario il modo in cui tutto ciò stava avvenendo, la facilità con cui le cose stavano andando nella direzione più… giusta, almeno secondo il suo punto di vista. Certo, non avrebbe potuto dire lo stesso degli altri due, soprattutto non di quella brutta copia incompleta di Radish, ma ormai aveva capito perfettamente come tenerli a bada.
La chiave di tutto era Alpha, ed era stato in grado di capirlo nello stesso istante in cui lo aveva visto con quei suoi nuovi occhi, occhi vispi, vividi, ma capaci di celare quanto si nascondeva realmente nel suo cuore.  Non avrebbero mai saputo le sue reali intenzioni, mai. O meglio, non ancora. Ma, a quel punto, doveva solo dare tempo al tempo, e non avrebbe dovuto aspettare neanche più di tanto, a ben vedere. Presto avrebbero toccato terra nel vero senso della parola, e tutto sarebbe finalmente andato come voleva. Sì, tutto sarebbe andato proprio come doveva andare e nessuno, ma proprio nessuno, sarebbe stato in grado di fermarlo.
Fine parte XIX
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Eccomi. Con un po’ di ritardo, ma almeno questa settimana ho aggiornato! XD
Non ho intenzione di dilungarmi molto, tranquilli, anche perché credo che questa parte parli da sola. I red-saiyan sono alle porte della Terra, ormai, e credetemi se vi dico che le cose si evolveranno in maniera… come dire… anomala. ;)
Vi ringrazio per la pazienza e l’attenzione, augurandomi che il capitolo vi sia piaciuto.
A presto miei cari!
Un bacione
Cleo

 

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Capitolo 20
*** Parte XX ***


Parte XX
 
Avevano raggiunto la loro meta molto, molto prima di quanto avesse anche solo lontanamente potuto immaginare, e la Terra si era rivelata decisamente più bella e straordinaria di quanto avessero osato sperare. Loro, soprattutto lui, erano a conoscenza di ogni singola cosa riguardante quel pianeta, ma poterlo finalmente raggiungere e in un certo qual modo vivere era qualcosa a cui non avevano mai neppure pensato. Eppure, contro ogni pronostico, erano lì, ognuno con le proprie emozioni, aspettative e remore.
Era stranamente eccitato. Aveva avuto modo di vederlo attraverso i ricordi di Goku, aveva avuto la possibilità di respirarne l’aria, i miliardi di odori che si confondevano, il vociare della gente, le aure degli animali, il sapore dell’acqua del mare rimasta sulla pelle e delle innumerevoli pietanze che potevano essere mangiate ogni giorno. Tutto era per lui “conosciuto”, ma adesso che aveva ogni cosa a sua disposizione, adesso che poteva sentire ogni cosa con i propri sensi e non tramite le esperienze di un altro, tutto era amplificato e decisamente migliore di quanto immaginato.
Quel pianeta era straordinario: verde, rigoglioso, pieno di possibilità. E, certo, la sua popolazione era indietro di circa un milione di anni rispetto a loro e ad altri alieni molto più evoluti, ma proprio questo lo rendeva così… appetibile. La Terra era un’autentica perla, un luogo perfetto su cui realizzare sogni, desideri, progetti. Fratelli permettendo o meno.
Alpha era al suo fianco, emozionato almeno quanto lui, anche se per ragioni profondamente diverse. Era facile nascondersi dal suo creatore, così pieno di fiducia nei suoi confronti, ma lo stesso non si poteva dire per gli altri due rossi che sostavano a pochi passi da loro. Doveva stare attento, molto, molto attento, e sapeva già come fare per portare a termine la sua missione. Forse, avrebbe avuto dalla sua parte tutta la sua famiglia, forse no, ma al momento non era molto importante. L’importante era che al suo fianco ci fosse l’ingenuo ma indispensabile Alpha.

 
*
 
Non aveva dormito bene. Anzi, ad essere sincero, non aveva dormito affatto. Da quando aveva avuto quella conversazione con Goku, non era stato in grado di pensare ad altro. Non gli era mai capitato di essere così schietto, così sincero, e di mettere in difficoltà in quel modo un adulto. Si era sentito strano, ed era uno strano da considerare sia negativamente che positivamente. Negativamente perché forse si era impicciato di qualcosa che in realtà non avrebbe dovuto interessargli, e positivamente perché era stato in grado non solo di tenere testa, ma di mettere in difficoltà un adulto, e questo lo aveva fatto sentire simile a suo padre più di ogni altra cosa. Però, non aveva potuto non notare la presenza spirituale di Goku proprio nei pressi di casa del suo papà dopo la loro conversazione, e questo lo aveva messo molto in ansia. Tutti sapevano quanto il principe dei saiyan tenesse alla riservatezza, e avrebbe dovuto emigrare in un altro universo pur di evitare la sua famosa “ira funesta”, per fare una citazione letteraria. Ira che, per altro, lui non aveva avuto mai modo di saggiare sulla sua pelle.
Aveva pensato di raggiungerli. Sì, per un breve, brevissimo istante, aveva pensato di uscire da casa di soppiatto indossando le scarpe sotto il pigiama di Iron Man che gli aveva regalato la sua mamma pur di fare presto, per spiare da vicino il suo papà e Kaharot, e poter intervenire in caso suo padre avesse avuto bisogno del suo aiuto. Ma, veloce com’era arrivato, quel pensiero era andato via, lasciando posto alla consapevolezza di dover stare al suo posto. Non era veramente il caso di immischiarsi in faccende che, in fin dei conti, non gli riguardavano. A quanto pare, aveva la “malattia del supereroe”, come era solita chiamarla sua madre, sottolineando poi che non capiva proprio da chi avesse ereditato quella dote (anche se lei, probabilmente, intendeva più che altro quella sciagura). Così, alla fine, aveva desistito, mettendosi a letto come avrebbe fatto qualsiasi bravo bambino. Eppure, addormentarsi non era stato facile, per non dire impossibile.
Aveva chiuso occhio solo per poco e aveva fatto sogni davvero poco rassicuranti, confusi e che non ricordava affatto, ma era certo di aver sentito la presenza spirituale di suo padre per un breve istante per poi non sentirla più, anche se non aveva idea se ciò fosse avvenuto nel mondo reale o nel mondo dei sogni.
Era stato a quel punto che aveva deciso di alzarsi e mettere in atto il proposito precedentemente accantonato, ma un ospite inatteso si era presentato alla sua porta, infilandosi nel suo letto senza che lui potesse avere il tempo di obiettare.
“Goten” – aveva bisbigliato, incredulo – “Che cosa ci fai qui?”.
Sapeva che il suo migliore amico e la sua famiglia avrebbero trascorso lì la notte, ma non pensava di ricevere una sua visita notturna. Non se dormiva nello stesso letto di sua madre almeno. Chichi era sempre stata molto ansiosa, ma dalla morte del marito quella sua caratteristica era cresciuta e non di poco, e lui sapeva bene come avrebbe potuto reagire se, svegliandosi, non avesse visto al suo fianco il suo adorato piccolino di casa.
Goten aveva esitato. Si era arrampicato sulle coltri, fissando con insistenza un punto impreciso del copriletto. Di lì a poco, i suoi enormi occhi neri si erano riempiti di lacrime, e il piccolo mezzosangue era scoppiato in un pianto disperato, con tanto di singhiozzi ad intermittenza regolare.
“Ehi! Che succede amico mio… Che cos’hai?”.
Senza che potesse evitarlo, Trunks si era ritrovato colui che considerava come un fratellino addosso, con le braccia piccole ma già forti strette attorno al collo, in preda ad una delle peggiori crisi che avesse mai avuto modo di vedere. Cosa poteva essergli capitato? Cosa, o chi, aveva fatto tanto soffrire il suo migliore amico?
“Se n’è… se n’è andato” – aveva balbettato, stringendosi a lui con maggiore forza – “Se n’è andato senza salutarmi”.
Inizialmente non aveva capito a chi si riferisse. Poi, era bastato fare due più due per capire che stesse parlando del padre che aveva appena conosciuto, che stesse parlando di Goku.
“Ma non è possibile!” – aveva esclamato, sconcertato. Non poteva credere che l’avesse fatto per davvero, non Goku, non dopo aver dimostrato l’entusiasmo e l’amore che solo un papà può dimostrare verso un figlio.
“Invece-invece sì! Se n’è andato… E non mi ha neanche detto addio. Né a me, né a Gohan, né alla mamma! Lei piangeva, piangeva tanto… Perché il mio papà è così cattivo? Perché?”.
Ma il suo papà non era cattivo, di questo, Trunks ne era più che certo. Era andato a trovare il suo, di papà, ne era certo, e non aveva potuto non sentirsi in parte responsabile. Ma forse, Goku aveva semplicemente avuto un colpo di sonno e si era addormentato sul divano del salotto. Non poteva di certo essersene andato per sempre senza salutare nessuno! Ma perché, se le cose erano davvero andate in quel modo, non sentiva più la sua aura da nessuna parte?
“E’ cattivo!” – aveva urlato Goten – “Ed io sono tanto triste…”.
“Ma no… No… Ehi, Goten, ascolta” – era quello il momento buono. Non vedeva alternative – Io credo di sapere dove sia finito tuo padre”.
“Davvero?” – aveva tirato su col naso, neanche avesse avuto tre anni appena.
“Sì! Facciamo così, vestiti e aspettami in giardino”.
“Mi porterai dal mio papà?” – aveva trillato, pendendo dalle labbra del suo migliore amico.
“Non posso promettertelo” – era balzato giù dal letto, cominciando a trafficare nel suo armadio – “Ma possiamo provare a cercare. Ed io penso di sapere da dove iniziare”.
Sperava di aver ragione. Sperava davvero di aver ragione, anche se quella sensazione di fastidio alla bocca dello stomaco non l’aveva abbandonato, anche se qualcosa gli diceva che le cose non sarebbero state così semplici come avrebbe sperato.

 
*
 
Si erano separati. Anche se con estrema riluttanza da parte di Radish e Nappa, si erano separati, scegliendo di prendere strade diverse. Non era del tutto contento, ma aveva accettato di seguire Alpha fino al luogo che aveva visto solo nel ricordo che ne aveva Goku, luogo che non aveva alcuna voglia di visitare ma verso cui fingeva di nutrire un minimo di interesse, anche se era ben lontano da quello che aveva palesato suo fratello quando aveva preteso di fare una lunga sosta nell’appartamento in cui si era trasferito da ormai diversi anni il saiyan che lo aveva ossessionato da sempre. Cosa pretendesse di trovare lì, Kaharot non l’aveva ancora capito, e soprattutto non aveva idea di cosa Alpha potesse scoprire su di lui che già non avesse appreso dopo il loro ricongiungimento. Di certo, dopo la scenetta che aveva messo a punto qualche minuto prima sulla navicella, aveva potuto testare quali fossero le reali potenzialità di suo fratello, e doveva ammettere che fosse davvero straordinario. Era quasi assurdo pensare che un essere così potente potesse soffrire di solitudine. Avesse avuto lui simili doti, avrebbe fatto ben altro che mettere su la famigliola perfetta. Ma doveva ammettere che non fosse molto lontano dalla realizzazione dei suoi obiettivi, sempre se le cose fossero andate come aveva previsto.
Per questo aveva deciso di accettare il tour a Vegetopoli, sperando di non imbattersi in niente di sdolcinato o di irrimediabilmente melenso, anche se, a onor del vero, il principe dei saiyan era molto più affine a lui di quanto non fosse al saiyan da cui era stato creato.
L’appartamento in cui si era praticamente rintanato Vegeta era più che ordinario, persino sciatto per i suoi gusti, a dire il vero. Certo, il principe dei saiyan si adattava a qualsiasi ambiente, questo bisognava riconoscerlo, ma passare da un palazzo a quella specie di… bè, non sapeva neanche come definirlo, doveva essere stato deleterio persino per lui, soprattutto considerando che prima aveva avuto una donna che lo serviva e lo riveriva sotto ogni aspetto. Aveva visto la terrestre di Vegeta nei ricordi di Goku, e doveva ammettere che non fosse niente male. Di certo, lo stesso non si poteva dire di quella che lui aveva sposato, Chichi, ma non era più un suo problema, e di certo non avrebbe continuato a pensarci. Di rimando, la terrestre di Vegeta gli interessava più di quanto volesse ammettere, ma anche quella era una cosa a cui avrebbe pensato in seguito…Del resto, poteva avere tutto quello che desiderava, ed era certo che lo avrebbe ottenuto in tempi neanche troppo lunghi.
Per il momento, avrebbe dovuto portare pazienza e aspettare che Alpha terminasse il suo giro di perlustrazione. Se voleva curiosare in tutti i cassetti dell’armadio di Vegeta, chi era lui per dirgli di no?
Alpha era così emozionato. Emozionato al punto che i suoi occhi avevano cominciato a brillare di una luce particolare. Toccava ogni oggetto con estremo rispetto, accarezzandolo con cautela, riponendolo al suo posto con estrema cura. Era quasi una sorta di rito che stava mettendo in pratica, ed era stato quasi divertente osservarlo mentre lo svolgeva. E, alla fine dei conti, Kaharot ne era stato a sua volta contagiato. Forse, avrebbe trovato qualcosa che gli avrebbe permesso di capire qualcosa non solo su Vegeta, ma anche su Alpha, e questo perché, per quanto potesse leggere nella sua mente come in un libro aperto, era certo che in lui ci fosse qualcosa che non era ancora riuscito a capire. Del resto, lo straordinario teletrasporto di tutta la baracca era stato un momento straordinario e decisamente inaspettato. Sperava davvero di vederne degli altri.
“E’ straordinario” – aveva esclamato Alpha, assorto – “Non pensavo che mi avrebbe fatto un simile effetto venire qui”.
“Parlamene, fratello”.
“Lo sai…”.
“Certo… Ma penso che tu abbia capito quanto amo il suono della tua voce”.
Era riuscito a farlo sorridere. Ormai avrebbe dovuto sapere di quale effetto avesse su di lui, ma era sempre più divertito dalle sue reazioni, divertito e affascinato dal bisogno di attenzioni che aveva quella creatura così straordinaria.  Attenzioni che lui aveva tutte le intenzioni di riservargli.
“Lui è parte di me, adesso, e finalmente mi sento completo. Ma questo, che comunque ho visto attraverso i suoi ricordi, questo è di più… E’ qui che ha vissuto per anni, che ha trascorso le sue giornate, guardato la tv, pianificato i suoi viaggi, preparato i pasti e fatto tutte quelle altre cose che si fanno per vivere. Ed io, adesso, sono qui”.
Sì, era lì, e doveva ammettere che fosse come lui stava descrivendo. Almeno, considerando le cose dal suo punto di vista.
“Sei felice…” – aveva semplicemente constato Kaharot, per la prima volta senza secondi fini.
“Molto…”.
“Ma sono certo che potresti esserlo molto di più”.
“E come?” – era riuscito ad attirare la sua attenzione.
Ed ecco che Kaharot aveva avuto la sua occasione. Adesso, gli sarebbe bastato premere i tasti giusti e…
“Chi diavolo siete voi due?”.
Non avrebbero mai creduto di poter essere così ingenui, poco previdenti e anche molto sciocchi. Eppure, lo erano stati, eppure, avevano dimenticato di tener conto della cosa più ovvia. Se lo avessero fatto, non si sarebbero trovati davanti gli occhi inquisitori di chi si aspettava di trovare davanti qualcuno di molto diverso da quello che il destino aveva loro riservato.

 
Fine parte XX
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*Cleo non sa che dire pur di scusarsi*.
E’ vero… Faccio schifo, e non ho intenzione di stare qui a propinarvi assurde giustificazioni. Passerò il tempo a frustarmi, in modo che voi possiate perdonare questi miei continui ritardi.
*Ecco che Cleo va a prendere il flagellum*.
Ed ecco che i nostri “rossi” sono andati a fare una bel tour di Vegetopoli, trovando una bella, bellissima sorpresa. Che ne verrà fuori da questo inaspettato incontro? Come reagiranno i presenti?
Ovviamente, scopriremo tutto nei prossimi capitoli (che credo non saranno tantissimi).
A presto – mi auguro.
Vi adoro!
Un bacino
Cleo
 

 

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Capitolo 21
*** Parte XXI ***


Parte XXI
 
Avrebbero dovuto prevedere che una cosa del genere sarebbe potuta capitare. Avrebbero dovuto prevederlo o almeno tenerlo in considerazione. Del resto, era più che naturale che ciò avvenisse, ed era proprio per questo che entrambi non avevano reagito, cercando di studiare i nuovi arrivati attraverso i ricordi che ormai gli appartenevano e attraverso le immagini che si stavano palesando loro esattamente in quel frangente.
Inutile, superfluo dire che nessuno dei presenti aveva elaborato quanto era accaduto allo stesso modo, e questo lo si poteva intuire dagli sguardi di chi stava prendendo parte a quell’inaspettato e alquanto insolito teatrino.
Trunks si era rivelato autentico figlio di suo padre, mostrandosi più che mai guardingo nei confronti di chi poteva anche avere l’aspetto di Vegeta, ma che non era di certo lui. Goten, al contrario, era parso più sorpreso che preoccupato. Il piccolo mezzosangue aveva puntato i suoi grandi occhi scuri su chi era così simile e allo stesso tempo così diverso da chi aveva conosciuto il giorno prima, cercando di capire perché quello strano uomo fosse praticamente identico al papà che aveva solo potuto immaginare per così tanto tempo.
Lo stesso si poteva dire dei due ospiti, così simili eppure completamente diversi nell’aspetto come nelle reazioni. Alla freddezza quasi ostentata di Kaharot si era contrapposta un’esplosione di emozioni impossibili da celare in chi, a quanto sembrava, vedeva quel bambino dai capelli color lilla come se fosse il proprio figlio.
Proprio per questa era toccato a Kaharot rompere il ghiaccio e mostrarsi diverso da quello che aveva lasciato intravedere in un primo istante.
Al primo passo che aveva osato avanzare, però, aveva avuto in rimando un vistoso arretramento, una completa chiusura da parte del ragazzino nato dall’unione tra Vegeta e la terrestre che gli piaceva tanto, con tanto di braccio allungato davanti al torace del bambino che sostava accanto a lui.
“Non osare fare un altro passo senza dirmi chi sei” – lo aveva avvertito, più agguerrito che mai.
Divertente. Per Kaharot quella reazione era decisamente divertente sotto molti punti di vista. Peccato che suo fratello non fosse ancora in grado di capire cosa intendesse, e per fortuna era troppo distratto dalle sue emozioni per poter capire cosa frullasse nella mente di chi aveva plasmato con le sue stesse mani.
“Calmo, piccolo” – aveva tentato di rassicurarlo, parlando con voce calma, da persona adulta ma amichevole, la voce che avrebbe assunto Goku se fosse stato lì con loro – “Calmo. Non vogliamo farvi niente di male”.
“Non mi hai ancora detto chi sei” – lo aveva incalzato, sempre più deciso a scoprire quale fosse la verità.
“Trunks…” – Goten non sapeva bene come comportarsi. Forse, avrebbe dovuto avere paura, ma era allo stesso tempo molto curioso, desideroso di sapere cosa o chi avesse davanti.
“Goten, per favore…” – non avrebbe voluto sgridarlo, ma dovevano stare attenti. Quella situazione avrebbe potuto rivelarsi molto pericolosa e loro dovevano essere pronti a fare qualsiasi cosa servisse per poterne uscire indenni. Il peggio era che non aveva la minima idea di cosa potesse fare per salvare lui e il suo migliore amico, qualora si fosse presentata la necessità di farlo, e questo perché non era stato capace di valutare la loro effettiva potenza. Trunks non era riuscito a percepire le loro aure.
“Non è nostra intenzione arrecarvi danno… Potete fidarvi di noi”.
Era stato Alpha a parlare, sfoderando una voce pacata ma allo stesso tempo vibrante d’emozione. I suoi occhi brillavano della stessa luce che poc’anzi aveva scintillato solo per Kaharot, e quest’ultimo doveva ammettere di essersi risentito per la perdita dell’esclusività. Alpha era suo, e non avrebbe ammesso intromissioni, neanche se queste erano una sua versione mora e in miniatura.
“Come posso fidarmi di chi osa mostrarsi nelle sembianze di mio padre mentre trattiene la propria aura per non svelare chi è realmente?” – quello di Trunks era suonato a metà tra una sfida e un rimprovero, permettendogli di riaffermare ancora una volta quali fossero le sue reali intenzioni.
Ed era stato allora che entrambi avevano esitato, lasciando che le loro menti entrassero in contatto e cominciassero a ragionare razionalmente.
“Il suo ragionamento non è del tutto errato” – aveva pensato Alpha, sentendosi anche un po’ supido per non essere stato in grado di controllare se stesso.
“Non posso negarlo, ma resta pur sempre parte di qualcosa che non avevamo previsto”.
“Siamo stati ingenui a credere che nessuno sarebbe venuto a cercarli. Non saremmo mai dovuti venire qui”.
Su quello, Kaharot non aveva alcun dubbio. Erano stati avventati, anche se la situazione avrebbe potuto volgere a loro favore, in un certo senso.
“A cosa pensi, fratello? A cosa ti stai riferendo?”.
“Oh, lo vedrai presto”.
“Avete ragione. Ma noi veniamo in pace…” – aveva tentato di convincerli Kaharot – “Non siamo dei… nemici, anzi… Morivamo dalla voglia di conoscervi”.
L’alto saiyan dalla capigliatura di fuoco si era seduto sui talloni, portandosi così alla stessa altezza di chi aveva di fronte, nell’evidente tentativo di non mostrarsi superiore.
“Stai indietro…” – aveva berciato un Trunks sempre più in allerta.
“Ripeto, piccolo, non vogliamo farti del male. I vostri padri non lo vogliono, perché dovremmo volerlo noi?”.
“Cosa?” – lo avevano detto all’unisono, con lo stesso tono, con la stessa meraviglia impossibile da celare nelle loro giovani voci.
“Fratello, dove credi di arrivare parlando loro in questo modo?” – Alpha non capiva, e il non capire lo portava ad essere preoccupato per il futuro, oltre che metterlo in una posizione di subordinazione rispetto a Kaharot. Si era accorto che, se un attimo prima aveva accesso libero ai suoi pensieri, capitava improvvisamente che essi diventassero muti o impossibili da districare, proprio come era accaduto in quel frangente. Che stesse giocando con lui? Non voleva pensarlo… E non voleva che lui sapesse quali fossero i suoi pensieri. Ecco perché, anche se in maniera molto goffa, aveva imposto a se stesso di non elaborare qualcosa che non esisteva, di non fomentare un’assurda macchinazione che avrebbe potuto allontanarli. Non poteva offendere Kaharot proprio ora che era riuscito ad averlo accanto. Non poteva e non aveva intenzione di farlo.
“Fidati di me… Io so quello che si deve fare”.
Si era fidato, di nuovo, permettendogli di fare la cosa giusta, ammesso che lo fosse realmente. E, a quanto sembrava, non era stato il solo, perché il piccolo saiyan dagli occhi neri sembrava essere sul punto di cedere.
“Tu sai dov’è il mio papà?” – gli aveva chiesto, ingenuo.
“Se lo so?”.
“Goten, smettila…” – si era intromesso Trunks, sempre più incerto sul da farsi – “Zitto”.
“Non sgridarlo” – lo aveva rimproverato bonariamente Kaharot, cercando di conquistare la fiducia del piccolo saiyan – “Vuole solo avere notizie di suo padre! Tu non vuoi sapere dove si trova il tuo papà, Trunks?”.
“Io… Io… Come sai il mio nome?” – Trunks non riusciva a respirare. Improvvisamente, si era sentito venir meno, come se non avesse il totale controllo del suo corpo. Continuava a guardare quello strano essere così simile a Goku negli occhi, in quei suoi grandi occhi rossi come il sangue e spaventosi come un incendio appiccato in un bosco d’estate. Era una sensazione mai provata prima di allora, ed era tremendo perché non riusciva a controllarsi – “Sono stanco” – aveva detto ad un certo punto, abbassando il braccio tenuto fino a poco prima sollevato davanti a Goten – “Sono stanco, ma…” – ‘ma non voglio mollare’, era questo quello che avrebbe voluto dire. Invece, suo malgrado, non c’era riuscito, sentendo aumentare quella sensazione di torpore incontrollabile. “Chi sei?” – era stato in grado di ripetere per l’ultima volta, prima di abbandonarsi alla stanchezza.
“Trunks!” – aveva urlato Goten, vedendo il suo amico barcollare.
“Non devi avere paura…” – aveva sorriso, prendendolo in braccio prima che cadesse – “Io sono Kaharot… E sono certo che diventeremo grandi amici”.
Fine parte XXI
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Eccomi!
E solo con un giorno di ritardo! Faccio progressi! ;)
Capitolo corto, lo so, ma abbiamo visto come i due Rossi si sono prodigati nel tentare di farsi amici i piccoli saiyan. Più o meno. Da un lato perché ha fatto tutto Kaharot ed è l’essere più subdolo della galassia, dall’altro perché Alpha si sta rincretinendo, e a momenti vedremo Vegeta che diventa Super Saiyan God e fa una strage dall’interno del suo stesso corpo. U.U
Ma sarà cretino? Essere superiore, essere super-astuto, e poi finge di non vedere quale sia la realtà. Si sta facendo rivoltare come un calzino. Si può? Ma che vi devo dire: l’amore (fraterno in questo caso) può rendere ciechi e folli. Riuscirà a rendersi conto di quello che gli sta capitando?
Ed ora mi chiedo: CHE COSA AVRA’ MAI FATTO KAHAROT AL PICCOLO TRUNKSK?? Ansia….
Bacini!
A presto!
Cleo

 

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Capitolo 22
*** Parte XXII ***


Parte XXII
 
“Che cosa gli hai fatto? Fratello, cosa hai fatto al figlio di Vegeta?”.
Non era riuscito a celare la preoccupazione e l’ansia che quanto si era palesato davanti ai suoi occhi gli avevano provocato. Perché lo aveva fatto? Che intenzioni aveva riguardo a quel piccolo mezzosangue?
La situazione era assurda. Aveva tentato di leggergli nel pensiero, di capire dove volesse arrivare, ma Kaharot aveva eretto un muro per impedirgli di accedere alla sua mente, e si era ritrovato con mille dubbi impossibili da fugare e con il cuore colmo di un sentimento che rispondeva al nome di paura. Perché si stava comportando in quel modo? Perché gli stava impedendo di venirne a capo?
“Trunks…” – il piccolo Goten continuava a non capire. Chi era quell’uomo? Perché si chiamava con lo stesso nome saiyan del suo papà? E che cosa aveva fatto al suo amico Trunks?
“Fratello! Esigo una risposta” – aveva ripetuto Alpha, sfoderando uno sguardo inequivocabile ma allo stesso tempo carico di apprensione e di dolore. Quel comportamento era inspiegabile, quel modo di agire non era il loro. Non erano creature violente, e quella che Alpha aveva perpetrato nei confronti di Trunks non poteva essere considerato  niente di diverso da un abuso, lo stesso che stava facendo a lui impedendogli di accedere ai suoi pensieri.
Kaharot non aveva risposto immediatamente, troppo impegnato a cullare il corpicino del piccolo saiyan dai capelli lilla. Sorrideva, spostando lo sguardo dal bambino che aveva tra le braccia a quello che aveva davanti.
“Fratello, io…”.
“Non devi urlare… Il piccolo sta riposando…”.
“Cosa?” – era interdetto. Gli aveva appena detto di non urlare perché il piccolo stava riposando o aveva capito male? Il “piccolo”?
Il sorriso appena accennato su quel volto così simile a quello di Goku si era allargato mentre si rimetteva in piedi, tenendo stretto tra le braccia un Trunks profondamente addormentato.
Non capiva, non capiva affatto.
“Guardalo, Alpha… Guarda entrambi… Non trovi che siano dei bambini bellissimi, forti ed estremamente coraggiosi?”.
Era sconcertato. Sconcertato e confuso.
“Che cosa mi stai nascondendo, fratello?”.
Non si era reso neanche conto di aver formulato un simile pensiero quando Kaharot aveva fatto breccia nella sua testa, leggendovi dentro come se si fosse trattato di un libro aperto.
“Niente, fratello mio… Niente. Fidati di me, e avrai tutto quello che desideri”.
Non aveva idea di cosa stesse parlando, a cosa si stesse riferendo, ma non aveva obiettato. Cosa doveva desiderare più di quello che aveva già ottenuto? Lui c’era. Kaharot era finalmente con lui e la sua famiglia era al completo. Aveva tutto quello che aveva sempre sognato, perché gli si stava rivoltando tutto contro? Per quale assurda ragione?
Ed era stato allora che aveva posato senza neanche rendersene conto il suo sguardo preoccupato sul piccolo saiyan dai capelli lilla addormentato tra le braccia di chi amava incondizionatamente, per poi focalizzare l’intera scena che gli si stava palesando. Suo fratello aveva in braccio il figlio dell’uomo che gli aveva permesso inconsapevolmente di esistere, e il piccolo saiyan dai capelli corvini che gli somigliava così tanto gli aveva appena afferrato un lembo del pantalone con la sua piccola mano bianca. In quello stesso istante, Alpha aveva compreso di aver perduto ogni cosa, anche quelle che non aveva mai osato sperare.
*
 
Non trovavano i bambini. Avevano girato in lungo e in largo l’intero stabile, ma dei piccoli Trunks e Goten non c’era traccia alla Capsule Corporation.
Le loro rispettive madri non ci avevano fatto neanche caso, inizialmente. O meglio, Bulma non ci aveva fatto caso, mentre Chichi non aveva perso neppure un attimo prima di mettersi alla ricerca del suo bambino – e non solo. A volte, sembrava quasi che la mora fosse dotata dei sensi che solitamente appartengono ai ragni: le sue sensazioni di disagio rispondevano fin troppo spesso al sentore di un imminente pericolo.
“Andiamo! Cosa vuoi che succeda ai bambini, Chichi?” – l’aveva rimproverata bonariamente una Bulma intenta a finire di riordinare gli ultimi rimasugli della festa organizzata la sera prima – “Più che altro, mi chiedo che fine abbia fatto Goku… Voglio dire… Lui… Bè, lo sai…” – aveva parlato troppo, tanto per cambiare, ma se n’era accorta solo nel vedere l’espressione affiorata sul viso stanco e provato della sua amica. Non solo era preoccupata per il suo bambino: adesso, era riuscita a farla preoccupare anche per un marito che avrebbe potuto vedere solo per pochi minuti prima di dovergli dire addio per sempre. A volte, si domandava perché la sua immensa intelligenza non le permettesse di tenere a freno la lingua.
Era stato proprio dopo quello scivolone che aveva deciso di rinunciare alle pulizie e di fare ammenda aiutando la sua amica nella ricerca dei rispettivi figli. Del resto, non sarebbe stato da madre premurosa non domandarsi che fine avesse fatto Trunks. Certo, si trattava di un bambino perfettamente in grado di difendersi da qualsiasi tipo di pericolo, ma era pur sempre un bambino, per l’appunto. Un bambino che non avrebbe dovuto uscire da casa senza il suo permesso e portando con sé l’amichetto più piccolo di lui. Non era un cattivo ragazzo, ma forse avrebbe avuto bisogno di qualche regola in più. Probabilmente, era arrivato il momento di discutere con Vegeta dell’educazione che stavano impartendo a quell’adorabile monello.
“Non sono neanche qui! Ma dove si sono cacciate quelle due pesti?” – aveva esclamato Bulma dopo aver cercato nell’ultima stanza della Capsule Corporation rimasta inesplorata. Loro non erano in grado di percepire le forze spirituali altrui, e i bambini non avevano ricevuto come regalo i telefoni cellulari tanto desiderati per i loro compleanni. Mai come allora, entrambe si erano pentite di essere state così contrarie nell’esaudire un loro desiderio.
“Pensi che siano andati a casa mia, Bulma?” – la voce di Chichi era piena di ansia, e la turchina doveva ammettere che la sua amica non fosse la sola ad essere caduta in preda a quella soffocante sensazione. Lei era certa che i bambini fossero usciti da casa di nascosto per cercare Goku, ma non aveva avuto il coraggio di dirglielo. La famiglia della sua amica era un miscuglio di casi estremi e particolari. Quale marito avente a disposizione solo un giorno da trascorrere con la propria famiglia avrebbe preso la decisione di sparire nel nulla? Lei non voleva essere cattiva, ma che il suo migliore amico non tenesse molto alla moglie era più che mai evidente. Avrebbe deciso di tornare in vita, altrimenti. Ma i suoi figli? Perché non trascorrere del tempo con Gohan e soprattutto con il piccolo Goten che non aveva mai potuto gioire della sua compagnia? Non riusciva a comprendere quel suo comportamento, e soprattutto non riusciva a perdonarlo.
Inizialmente, aveva creduto che fosse colpa dell’indole saiyan che volente o nolente era attinente a Goku, ma si era ricreduta. Per quanto fosse burbero, scontroso e insensibile, Vegeta non si era allontanato neanche per un attimo da pianeta, Vegeta non si era allontanato neanche per un attimo da Trunks, andando contro ogni pronostico o aspettativa. Il cinico principe dei saiyan, Vegeta il distruttore, Vegeta il killer, si era rivelato un padre esemplare, al contrario del suo migliore amico. In un secondo momento, poi, aveva pensato che fosse per immaturità che continuasse a mantenere quell’assurdo comportamento, ma alla fine si era dovuta ricredere. Voleva bene a Goku, era un eroe nel vero senso della parola, ma non era in grado di mantenere o di vivere accanto a qualcuno per tutta la vita e amarlo.
Era terribile da dire, ma la sua famiglia e i suoi amici non erano altro che un contorno al suo grande desiderio di diventare sempre più forte.
E, ovviamente, anche in quell’occasione avrebbe preferito essere meno intelligente, proprio perché sarebbe stato meno doloroso e difficile fingere con la sua migliore amica che le cose non fossero com’erano in realtà.
“Se domandassi a Yamcha di localizzare la loro posizione?” – aveva chiesto improvvisamente la mora, distogliendo Bulma dalle sue elucubrazioni – “Lui riesce a percepire le aure altrui… Potrebbe dirci che fine hanno fatto! E dopo, credimi, metterò Goten in punizione fino alla fine dei tempi. Non può farmi prendere questi spaventi! Non si tratta così una madre!”.
Aveva ragione… Non era il trattamento da riservare ad una mamma premurosa. Ma come spiegarle che quel trattamento era dovuto alla volontà e al desiderio di stare accanto a chi presto non avrebbe più avuto opportunità do vedere?
“Hai ragione, Chichi… Come ho fatto a non pensarci subito? A volte mi meraviglio di me stessa. Vado subito a svegliarlo e…”.
Ma Bulma non avrebbe mai finito di pronunciare quella frase, perché, improvvisamente, la sua gola si era seccata e il suo cervello iperattivo sembrava essersi fermato, impedendole di realizzare un qualsiasi pensiero razionale. E questi perché, improvvisamente, qualcuno che conosceva ma che era certa di non aver mai visto si era palesato davanti ai suoi occhi, proprio come fa uno spirito apparso dalle tenebre.

 
*
 
“Bulma!” – l’aveva chiamata Chichi, stranita da quell’improvviso cambiamento d’umore – “Bulma, ma cosa…” – si era bloccata a sua volta sentendo l’improvviso tocco di una mano sconosciuta sulla spalla destra. Un brivido le aveva percorso la colonna vertebrale. Lo stesso brivido che poco prima l’aveva convinta che qualcosa di terribile si trovasse proprio dietro l’angolo.
Non si era girata immediatamente, troppo spaventata di sapere cosa i suoi occhi le avrebbero rivelato. Si era concentrata a fissare quelli della sua amica, di occhi, aperti fino all’inverosimile, colmi di un misto di sensazioni contrastanti ma per nulla rassicurati. Aveva letto il terrore nei suoi occhi, lo sgomento, lo stupore, la volontà di fuggire e allo stesso tempo di rimanere lì e capire quanto stava avvenendo senza che potessero impedirlo.
Era stato solo dopo averla vista deglutire e spostare lo sguardo dietro di lei che aveva preso la decisone di girarsi e di sapere a cosa stava andando incontro. Perché Chichi sentiva, sapeva che fuggire o tornare indietro sarebbe stato impossibile.
Solo voltando il capo verso la sua destra era stata in grado di capire perché avesse avuto l’impressione che il cuore della sua amica si fosse fermato, e questo perché si era fermato anche il suo in quel preciso istante. Mai, mai sarebbe stata preparata a quello che i suoi occhi le avevano mostrato. Mai, la nostra Chichi, avrebbe creduto di vedere un uomo così simile all’essere che aveva rapito suo figlio e aveva decretato la morte di suo marito.
“O-Oddio…” – aveva farfugliato, in preda al terrore. Come poteva essere? Com’era possibile che fosse lì, con loro, che fosse tornato direttamente dal Regno degli Inferi? – “Radish”.
Aveva detto il suo nome in una sola emissione di fiato, troppo sconvolta per poter pronunciare altre frasi o semplici suoni. Era terrorizzata, era letteralmente terrorizzata. Sembrava che quel mostro fosse sorto direttamente dalle fiamme dell’Inferno, le stesse fiamme che si trovavano tra i suoi capelli e in quei suoi occhi che continuavano a fissarla con tanta insistenza.
Non riusciva a muoversi. Chichi, non riusciva a capire come e perché si trovasse lì e cosa volesse da loro quell’abominio. Per la prima volta in vita sua, era contenta che il suo piccolo e Trunks non fossero lì, che quei due monelli avessero agito di testa loro. Non avrebbe saputo come fare per proteggere chi amava più del suo cuore. Non le importava niente di lei, niente. Che le facesse quello che più gli aggradava. Avrebbe fatto di tutto pur di proteggere il suo piccolino.
“Non devi fare simili pensieri” – le aveva detto all’improvviso – “Non hai niente da temere, Chichi. Io non sono chi tu credi che sia”.
“CHICHI, NO!” – ma le urla di Bulma non erano servite per fermare Radish: la mano del saiyan aveva raggiunto la fronte della sua amica, caduta improvvisamente in una sorta di stato catatonico.
“Ti prego di mantenere la calma, Bulma” – senza che potesse evitarlo, era stata ostacolata dall’improvviso intervento di Nappa, un Nappa simile a quello che aveva cercato di invadere la Terra ma allo stesso tempo estremamente diverso, non solo nell’aspetto fisico, ma nella luce che emanavano i suoi grandi occhi rossi come il fuoco.
“Che cosa volete da noi? Chi siete? Cosa sta facendo alla mia amica?”.
Aveva gli occhi colmi di lacrime amare, le lacrime della sconfitta, del più completo senso di impotenza e smarrimento. Non erano niente, rispetto a loro. Poteva anche essere una delle donne più intelligenti del pianeta, ma non avrebbe potuto ostacolare in nessun modo la potenza immane di un saiyan. Soprattutto se questo saiyan aveva qualcosa che gli altri saiyan non avevano.
“Non devi avere timore di noi” – aveva aggiunto, serio – “Non le farebbe mai del male. Non è nostra intenzione. Siamo qui per mettervi in guardia, per permettervi di capire”.
“Metterci in guardia? Capire? VOI AVETE CERCATO DI UCCIDERCI!” – aveva urlato, in preda al panico.
“Guardami, Bulma. Guardaci. Siamo davvero loro? Siamo davvero il Nappa e il Radish che avete conosciuto?”.
E lo aveva fatto. Non sapeva perché, ma si era realmente soffermata ad osservarlo, cercando di cogliere quello che lui stava disperatamente cercando di farle capire, prima che anche la sua enorme ma morbida mano si posasse sul capo di chi un attimo prima aveva provato a fuggire.

*
 
Non avrebbe saputo spiegare quello che le era accaduto, ma era certa che avessero fatto la stessa, identica cosa alla sua amica, e questo perché il suo sguardo le diceva che era entrata a conoscenza di tutto quello che ora sapeva anche lei. E, la consapevolezza, l’aver saputo quello che si era nascosto tra le stelle per così tanto tempo, le aveva fatto realmente fermare il cuore. Aveva fatto fermare il cuore di entrambe.
“Hanno i bambini” – aveva detto Chichi, la voce scossa dal tremore.
Ha i bambini” – l’aveva corretta Radish, severo – “Alpha non farebbe mai del male ai figli di Vegeta e Goku”.
“Alpha non è più lucido” – era intervenuto Bulma, glaciale, lo sguardo perso nel vuoto e i pungi serrati dalla rabbia – “E Kaharot non è Goku”.
Era vero. Kaharot non era Goku. Non lo era in quella circostanza e non lo sarebbe stato in futuro.
“Dove sono, ora?” – aveva chiesto la mora, fremente – “Rivoglio immediatamente mio figlio”.
“Non lo sappiamo” – si era rabbuiato Nappa – “Kaharot ci impedisce di localizzarli”.
“E Alpha?” – aveva domandato Bulma.
“Alpha sta respingendo tutto e tutti” – aveva risposto Radish, la voce rotta dal dolore.
E voleva credere che lo stesse facendo solo per proteggerli.

 
*

Li aveva condotti nella loro navicella, adagiando il piccolo Trunks su uno dei letti inutilizzati e coccolandolo dolcemente per rassicurare il suo amico dalla scura capigliatura. Era stato strano, strano e inaspettato vedere le attenzioni che suo fratello stava riservando ai due mezzosangue. Strano e tremendamente, esageratamente inquietante.
Non lo riconosceva più. Forse, non lo aveva mai conosciuto, in effetti. Perché il destino era stato così crudele con lui? Lo aveva cercato, lo aveva aspettato per un’intera vita, perché stava accadendo l’unica cosa che non aveva previsto? Perché suo fratello si stava ribellando a lui? Non era quella la creatura a cui avrebbe voluto dare la vita. Non era quello l’essere che aveva tanto desiderato vivere, capire, confortare. Chi fosse quell’individuo perfetto e allo stesso tempo spaventoso non era ancora stato in grado di capirlo e, forse, non lo avrebbe mai saputo. C’era solo una cosa di cui era certo, anche se si trattava di una cosa che non riusciva a spiegare neanche a se stesso: era certo di non volerlo perdere per nessuna ragione al mondo.
“Dorme…” – aveva detto, continuando ad accarezzargli gli splendidi capelli lilla – “Non è meraviglioso?”.
“Lo è…” – era stata la risposta data da Alpha, una risposta mesta, appena sussurrata.
“Goten, vieni a fare compagnia a Trunks… Tuo fratello ha bisogno di te”.
Non era stato un ordine, non alle orecchie del bambino, ma ad Alpha era parso proprio come tale. Un ordine celato da un mellifluo sorriso.
Aveva visto il piccolo sdraiarsi accanto al suo amico prima di chiudere la porta alle sue spalle e seguire il passo svelto di suo fratello. Continuava a fissare la sua nuca, cercando di capire cosa stesse architettando, quali fossero i suoi piani, i suoi pensieri, ma gli era impossibile. Kaharot aveva eretto un muro tra loro, e lui aveva fatto lo stesso con il resto del mondo, anche se a malincuore. Non voleva che Radish e Nappa si accostassero a quella situazione, non voleva che si trovassero in pericolo. Perché qualcosa continuava ad urlargli, qualcosa continuava a ripetergli che presto sarebbe scoppiato l’Inferno in Terra, e che lui fosse l’unico in grado di arrestarlo. Non era la sua immensa conoscenza a dirglielo, a suggerirglielo. Era il suo istinto, lo stesso che aveva salvato innumerevoli volte Vegeta dalla disfatta, lo stesso che lo aveva portato a sopravvivere ai più grandi dolori mai provati. Ma perché, se sentiva quella voce in maniera così chiara, distinta, si ostinava a tentare di zittirla? Perché amava, ecco perché. E l’amore, invece di renderlo forte, lo stava rendendo debole.
Fine parte XXII
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Ragazzi, eccomi qui con quello che credo sarà uno degli ultimi capitoli di questa fanfiction! Dovete scusare la mia assenza, ma, come dire, la vita mi sta tenendo lontana dalla storia, da voi e da questo mondo che amo come amo la luce del sole.
Non vi abbandonerò senza scrivere la parola fine. Non l’ho mai fatto e non ho intenzione di cominciare a farlo adesso. Per cui, bando alle ciance e parliamo del capitolo.
Dunque, Nappa e Radish hanno deciso di raggiungere Bulma e Chichi e di metterle al corrente di quanto è avvenuto solo poche ore addietro (e a me sembrano trascorsi dodici anni). Che sia un loro modo per chiedere aiuto? Vedremo… ;)
Alpha mi fa pena… Sul serio, lui sa che Kaharot non è chi vorrebbe che fosse, ma non può evitare di amarlo perché l’ha cercato per tutta la vita e sente che si tratta di una parte della propria anima. Come si può amare così incondizionatamente chi può farci del male e ce ne farà sicuramente in futuro? Non so darmi una risposta… Spero che “rinsavisca”…
A presto, miei cari, è una promessa!
Un bacione
Cleo

 

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Capitolo 23
*** Parte finale ***


Parte finale
 
Erano in pericolo. I loro figli, sangue del loro sangue, carne della loro carne, erano in pericolo, vittime di uno scherzo crudele architettato da chi era nell’aspetto così simile a coloro che avrebbero dato la vita pur di proteggerli.
Non avevano potuto fare niente se non ascoltare una storia apparentemente senza senso, una storia fatta di scienza, di disumanità e di progetti frutto di un insieme di menti malate che non avevano esitato ad interpretare il ruolo di Dio, un Dio incapace di controllare l’essere che aveva creato rimettendoci la sua stessa vita. Non avevano osato fiatare, cercando di prendere tutto il tempo necessario per assimilare anni di solitudine, di ricerca sfrenata di una completezza irraggiungibile, inarrivabile, per poi arrivare ad ascoltare la conclusione di una storia che sembrava si fosse svolta in dieci anni e non in poche, pochissime ore.
Era assurdo. Era tutto talmente assurdo che non poteva non essere vero considerando i loro standard. Avevano affrontato alieni, invasioni di ogni tipo, robot, cyborg… Perché non credere a loro? Perché non credere che dalle cellule degli unici saiyan purosangue scampati alla distruzione del loro pianeta natale fossero stati creati degli esseri fuori dal comune che non desideravano altro se non sentirsi finalmente integri?
Chichi non aveva retto. Lo shock era stato talmente forte da averla fatta piombare in uno stato catatonico apparentemente impenetrabile, una condizione di dolore così inaspettata e forte da impedirle di reagire ad una situazione che aspettava di essere in qualche modo risolta. Non aveva neanche pianto e non aveva perso i sensi come era solita fare. Si era semplicemente accasciata su una sedia, le braccia abbandonate in grembo e lo sguardo perso nel vuoto, simile ad un manichino addobbato per la vetrina di un negozio. Era così da molti, troppi minuti, ormai, e neanche la presenza di Gohan era riuscita in qualche modo a risollevarla. Il giovane mezzosangue aveva cercato per tutto il tempo di rincuorarla, accarezzandole teneramente i capelli, baciandola sulla fronte, stringendole le mani e sussurrandole parole di conforto, ma niente di tutto ciò era stato utile. Suo marito era stato corrotto da un essere malvagio e il suo secondo figlio, il piccolino di casa, era stato costretto con l’inganno a seguire chi somigliava tanto a quel genitore che non aveva mai conosciuto ma che aveva amato sinceramente sin dal primo istante. Come, come avrebbero potuto biasimarla per quella reazione? Come avrebbero potuto accusarla di essere fragile? Lei, che si era messa sulle spalle una famiglia intera. Lei, che aveva cresciuto due figli da sola, facendo loro da madre e da padre senza perdere mai il sorriso, come poteva non essere capita?
Si erano riuniti tutti lì, al completo, attenti a non perdere di vista quei giganteschi cloni di Radish e Nappa, incapaci di accettare quanto accaduto e desiderosi di porvi rimedio con ogni mezzo. Quale vile creatura poteva rapire dei bambini? Quale, se non uno sporco saiyan o chi discendeva da lui e si spacciava per una sua ‘evoluzione’?
Il clima che regnava in quella stanza era soffocante. C’era pura elettricità nell’aria, e chiunque tra i presenti aveva i nervi a fior di pelle e la mente impegnata nel tentativo di trovare il modo più adatto per fermare questo nuovo, spietato nemico.
Bulma si era accostata alla finestra, continuando a fissare un punto impreciso all’orizzonte. Era perfettamente lucida e non aveva perso neanche una sola parola dei vari ragionamenti che si stavano affrontando lì, accanto a lei. L’idea di fondo era una: agire. I guerrieri che tante volte avevano rischiato le loro vite per proteggere la Terra non avevano alcun dubbio, ormai. Il nemico andava fermato. Peccato solo che non avessero la più pallida idea di cosa effettivamente volessero queste creature, comprese coloro che avevano deciso di avvertirli del pericolo.
Era proprio questa la cosa che preoccupava di più la turchina. Due esseri di potenza paragonabile a quella di chi volevano fermare avevano chiesto l’aiuto di chi tecnicamente non avrebbe dovuto essere neanche loro paragonabile. E perché, poi, avrebbero dovuto fermare i propri fratelli, sangue del loro stesso sangue? Che fosse un trabocchetto? Che fosse un modo per farli cadere in una trappola crudele che avrebbe condotto l’intera umanità ad un destino infame? Ma perché tramite loro, poi? Perché pensavano che avrebbero interferito con i loro piani? Erano queste le domande che continuavano a tormentare la terrestre. Perché quei due esseri se ne stavano lì, fermi, in attesa di una loro mossa, invece di agire in prima persona se pensavano che i propri fratelli fossero due pericolosi criminali?
Riusciva a vedere il loro riflesso sul vetro della finestra da cui non osava staccarsi. Quali segreti non gli avevano rivelato Nappa e Radish? Cosa volevano da loro?
Eppure, qualcosa continuava a dirle che poteva fidarsi, che doveva fidarsi, che loro sapevano come porre rimedio a quella faccenda, che potevano restituire a lei e a Chichi non solo Trunks e Goten, ma anche Goku e sì, anche Vegeta.
Doveva solo capire come fare per mettere a tacere quella sua parte così tremendamente razionale e fidarsi di chi poteva leggergli nel pensiero. C’erano le vite di chi amava in ballo, e non poteva permettersi di temporeggiare ancora.
“Rivoglio mio figlio” – aveva detto all’improvviso con voce pacata ma sicura, girandosi verso le creature senza alcuna paura visibile – “Rivoglio Trunks e lo voglio con me subito. Non mi importa se per salvarlo dovrò fare carte false o mettere a repentaglio la mia vita. Ditemi cosa devo fare e vi garantisco che non esiterò neanche un istante. Ma giurate su ciò che avete di più caro che non si tratta di uno scherzo. Sono madre, e non vi permetterò di giocare con i sentimenti che provo per mio figlio”.
Se un istante prima era stato un caos di voci a fare da padrone, adesso era toccato al silenzio, un silenzio talmente pesante da aver atterrito tutto e tutti.
Gli occhi di Bulma dardeggiavano furenti, illuminati da un fuoco che poteva ardere solo in una madre ferita e preoccupata.
“Non siamo venuti qui per mentire o per prenderci gioco di voi. Noi non siamo creature malvagie”.
“Strano…” – era stato Yamcha ad interrompere Radish – “Avremmo detto il contrario”.
“Essere nati dalle cellule di chi ha cercato di farvi del male in passato non significa essere come loro. Non siamo qui per farvi del male. Fosse stata nostra intenzione, non sareste più qui”.
Nappa era stato severo, impassibile, quasi irritato dall’osservazione di cui era stato vittima. Comprendeva le perplessità di quelle persone, ma non le condivideva. Loro non erano i Nappa e Radish che avevano conosciuto, perché non dargli una possibilità?
“Ho sentito dire che ambasciator non porta pena, Bulma. Ma qui sembra l’esatto contrario” – aveva proseguito – “Siamo venuti qui con l’animo in frantumi. E’ dei nostri fratelli che si parla. Di loro e di ciò che hanno fatto. Anzi, di ciò che Kaharot ha fatto. Lui non è come noi. Per quanto ci ferisca ammetterlo, c’è qualcosa di diverso in lui… Qualcosa di sbagliato che non ha niente a che vedere con noi e con i nostri scopi”.
“E’ proprio questo il punto, creatura… Quali sono i vostri scopi?”.
Entrambi si erano girati verso Junior, ancora appoggiato al muro, con le braccia conserte e il capo leggermente abbassato. Aveva dato voce ad una paura comune, al pensiero che era stato formulato da tutti all’unisono. Cosa volevano quegli esseri?
“Le vostre parole ci offendono, così come i vostri pensieri”.
“I nostri pensieri? Non dovreste intrufolarvi nella mente altrui. Questa è la prima cosa che ci impedisce di fidarci di voi” – era stato Tensing ad ammonire Nappa.
“Questo non possiamo negarlo… E’ una nostra peculiarità, un modo per comunicare e capire cosa e chi abbiamo attorno. Non è nostra intenzione invadere la vostra privacy. Così come non è nostra intenzione mentirvi. Si tratta dei vostri cari. E dei nostri. E’ proprio per questo che siamo qui. Alpha è nostro fratello, nostro padre, nostra madre. Gli dobbiamo tutto, e lo amiamo incondizionatamente perché lui ha amato noi sin dal primo istante. Ma Kaharot… Kaharot lo ha stregato. E’ come se non fosse più lui, e questo è accaduto in un tempo così esiguo da non sembrare neanche possibile. E’ meno di un giorno che si trova tra di noi, eppure, è già stato in grado di incrinare il nostro equilibrio. Cosa potrebbe fare con un solo minuto in più? E’ per questo che vi stiamo chiedendo di aiutarci”.
“Ma cosa dovremmo fare?” – era intervenuto Crilin – “Siamo sinceri: non abbiamo le forze necessarie per fronteggiarli. Non potremmo fronteggiare neppure voi che, senza offesa, non siete riusciti a diventare completi. Come potremmo fermare quei due? Forse, solo Gohan potrebbe fare qualcosa, ma non ne abbiamo neanche la certezza. Per questo continuo a non capire cosa dovremmo fare… Mi sento impotente in questo momento. E vi dirò che mi sono davvero stancato di sentirmi ancora così”.
“Io sono pronto a fare qualsiasi cosa serva” – aveva detto Gohan – “Ma lui… Loro… Ecco, sì, sono papà e Vegeta… Non so se sono in grado di attaccarli guardandoli negli occhi”.
Era stato sincero. Aveva messo a nudo le proprie paure e insicurezze. E come biasimare un ragazzo che si rifiutava di combattere contro il padre e contro chi lo aveva aiutato a sconfiggere Cell?
“E’ questo il punto… Noi non siamo qui per chiedervi di combattere” – aveva detto Radish – “Ma per chiedervi un altro genere di aiuto”.
“E sia” – era stata la voce di Chichi a seguire quel lungo, interminabile momento di silenzio. La mora era uscita dal suo stato catatonico, mostrando una determinazione che finalmente aveva ritrovato – “Farò qualsiasi cosa per riavere chi amo. Qualsiasi. Ora, smettetela di girarci attorno e diteci cosa dobbiamo fare” – si era rimessa in piedi, dritta, impettita, piena di energie – “E cercate di sbrigarvi. Rivoglio indietro mio marito e mio figlio. Rivoglio indietro la mia famiglia”.

 
*
 
Si erano separati. Se di una cosa era capace Alpha, era prendersi i suoi spazi all’occorrenza, prendendosi il tempo necessario per riflettere ed elaborare tutto quello che gli capitava attorno. Era irrequieto. Il suo animo tormentato continuava a farlo patire per quella situazione di smarrimento più totale e, per quanto il cuore continuasse a ripetergli che si stava sbagliando perché quello che aveva davanti era suo fratello, la ragione era ormai sul punto di vincere quella battaglia combattuta ad armi impari e che aveva visto prevalere colei che solitamente finiva col soccombere.
Si era ritirato nella stanza attigua a quella in cui si trovavano Kaharot e i due piccoli mezzosangue, osservando tramite gli occhi del piccolo Goten quelle scene che i suoi, di occhi, si erano rifiutati di vedere in prima persona. Era stravolto. Stravolto e tremendamente amareggiato. Il bambino saiyan continuava a guardare quell’essere che somigliava tanto a suo padre con un misto tra timore e ammirazione, con una curiosità che solo a chi aveva quell’età poteva appartenere. I suoi pensieri erano confusi. “Che cosa vuole questo Kaharot?” Questo continuava a chiedersi Goten. “Sarà cattivo? Ha fatto del male al mio papà e a Vegeta? Ma come può avergli fatto del male se gli somiglia così tanto?”. Erano queste le domande che frullavano in testa a quell’esserino così piccolo. Domande che meritavano una risposta che a stenti sarebbe arrivata presto, e difficilmente sarebbe stata veritiera, purtroppo.
Loro non erano crudeli. O almeno, questo era quello che Alpha continuava a ripetersi. Non avevano mai fatto del male a nessuno se non per pura necessità, per difendere se stessi, e non era mai stata loro intenzione assoggettare popolazioni e conquistare pianeti indifesi, nonostante fossero in possesso dei mezzi per poterlo fare. Loro non erano saiyan. Non nel vero senso della parola. Possedevano i loro geni, certo, ma erano di gran lunga migliori di loro. Geneticamente modificati, lui e i suoi fratelli avevano sempre anelato alla completezza, e questo solo per raggiungere la pace che gli era stata negata sin dal principio. Loro non erano nati, non avevano avuto questo privilegio. Non c’erano stati un padre e una madre che li avevano desiderati, ma solo un gruppo di esseri desiderosi di sfruttare le loro capacità per un tornaconto personale, anzi, di sfruttare le sue, di capacità, volendo essere precisi. Aveva sperimentato in età troppo tenera cosa volesse dire vivere nella più totale solitudine, sentirsi privato di qualsiasi genere di calore umano, ed era stato solo per quella ragione se aveva fatto tutto ciò che era in suo potere per avere attorno a sé quella famiglia che gli era stata negata e quel conforto che aveva tanto desiderato. Alcuni avrebbero potuto considerarlo un gesto di puro egoismo, una crudeltà verso altri esseri che non avrebbero avuto un passato, proprio come lui, ma che insieme avrebbero potuto ottenere un futuro roseo e una prospettiva di umanità che il Professore aveva provato a negargli. Lui era diverso dagli altri, e aveva bisogno di qualcuno come lui per essere capito e consolato. Ma perché, adesso, l’unico che poteva realmente essere identico a lui gli si stava rivoltando contro? Non voleva togliere niente a Nappa e a Radish. I suoi fratelli adorati lo avevano reso felice quando tutto ormai sembrava perduto, ma l’impossibilità per loro di essere completi aveva eretto un muro invalicabile.  Kaharot avrebbe dovuto capirlo, Kaharot avrebbe dovuto sapere cosa significava tutto quello per lui perché erano nella stessa situazione. Invece, in poche, pochissime ore, non aveva fatto niente di tutto ciò. In poche, pochissime ore, Kaharot era riuscito a fargli fare ciò che voleva sfoderando un’arte di persuasione davvero ammirevole. E la cosa peggiore era che Alpha se n’era accorto perfettamente, eppure, aveva fatto di tutto per nasconderlo.
Nappa e Radish non avevano mai posto barriere fra lui e i loro pensieri. Mai. L’ultimo arrivato, invece, colui che aveva desiderato avere accanto più di ogni altro, lo aveva fatto. Lo aveva bloccato, lo aveva escluso dal suo mondo, un mondo che non sarebbe mai riuscito a comprendere. Che cosa stava facendo Kaharot? Quali erano le sue intenzioni? Avrebbe dato davvero qualsiasi cosa pur di capirlo.

 
*
 
Kaharot sorrideva. Nella sua breve, brevissima esistenza, non aveva mai pensato di avere dei figli, ma doveva ammettere che quel bambino dalla capigliatura lilla gli piaceva davvero tanto. La forza spirituale che emanava era straordinaria, così come il suo aspetto fisico. Avrebbe potuto ottenere tutto quello che voleva con la giusta istruzione, e lui aveva tutte le buone intenzioni di educarlo a dovere.
Non si poteva dire lo stesso del figlio di Goku. Quel mocciosetto dagli occhi neri come la notte continuava a fissarlo con quell’aria da tonto che lo stava tanto irritando, e nessuno poteva capire quanto avrebbe voluto levargliela di dosso. Purtroppo per lui – o forse per fortuna – quel bambino gli serviva, e non poteva proprio permettersi di lasciarselo scivolare come sabbia tra le dita.
Per questa ragione continuava a portare pazienza… Presto, avrebbe ottenuto tutto quello che desiderava.
“Lo sai che sei davvero un bel bambino?” – gli aveva detto, sorridente – “E sono certo che tu sia anche estremamente forte e coraggioso. Non è forse così?”.
Goten non aveva risposto. Era arrossito e aveva leggermente chinato il capo, sentendosi in soggezione. L’essere che aveva davanti non solo somigliava tremendamente al suo papà, ma emanava un’aura così potente che avrebbe fatto impallidire chiunque, anche il suo fratellone adorato. Che cos’era lui al suo cospetto? Niente… Anche se era un super saiyan, lui non era niente e lo aveva capito sin dal primo istante. Non aveva paura di lui, ma lo rispettava. Ancora non aveva capito se questo Kaharot fosse cattivo o no, ma cosa poteva fare arrivato a quel punto? Aveva accettato di seguirlo di sua volontà… Non poteva fare la figura del codardo e scappare via lasciando indietro il suo migliore amico. Gohan non gli aveva insegnato a comportarsi in quel modo, e lui non lo avrebbe deluso per nessuna ragione al mondo, neanche se questo poteva significare rischiare la sua vita.
“Hai delle domande da farmi, piccolo?” – continuava a mostrarsi gentile, sperando così di ottenere presto quanto sperato. La pazienza poteva anche essere la virtù dei forti, ma cominciava davvero ad averne abbastanza di quella farsa.
“Domande?” – Goten aveva cominciato a balbettare, incerto sul da farsi. Certo che aveva delle domande, e ne aveva anche tante, ma non sapeva bene da dove cominciare.
“Puoi chiedermi tutto quello che vuoi, piccolo, lo sai bene… Io sono tuo amico. E sono qui per soddisfare ogni tua curiosità” – in realtà era venuto sulla Terra per soddisfare le sue, di curiosità, non di certo quelle di un moccioso… Ma doveva aspettare.
“Ecco… Io… Io ho delle domande… E’ solo che…”.
“E’ solo che?”.
“Sai dove si trovano Vegeta e il mio papà?”.
Domanda più che ovvia, in effetti. Era normale che quella creaturina volesse sapere che fine avesse fatto il genitore a cui tanto somigliava ma che non aveva mai avuto l’opportunità di ammirare e idolatrare come potrebbe fare solo un bambino che ha per padre un eroe del calibro di Son Goku. Già, perché, volente o nolente, quell’idiota di cui aveva preso il corpo era colui che aveva sconfitto il grande Freezer in persona e che aveva contribuito a spazzare via il mostro che rispondeva al nome di Cell. Bè, non che lui e i suoi fratelli differissero di molto da lui, in effetti. Di certo, erano più scaltri e decisamente più belli d’aspetto, ma esattamente come Cell, erano frutto di un esperimento di laboratorio. Erano senza una reale identità, senza una famiglia a cui tornare la sera, ma queste erano quisquiglie che interessavano il suo adorabile fratellino nonché creatore. Lui aveva tutt’altri piani, piani che dovevano  essere messi in atto in tempi quanto mai brevi.
Qualcosa – qualcosa a caso – gli suggeriva che presto il resto della sua famiglia sarebbe arrivato con tanto di rinforzi al seguito. Neanche fosse stato un incallito criminale, poi! Ma Radish aveva visto qualcosa che Alpha si rifiutava di vedere, e Nappa, da bravo cagnolino, lo aveva seguito senza esitazioni. E questo era stato esattamente come lui aveva previsto. Del resto, era completo, e questo lo portava tre passi avanti rispetto a chi invece non era stato altrettanto fortunato. A questo punto, qualcuno avrebbe potuto obiettare che con Alpha le cose non sarebbero state così semplici, ma non era esattamente così. Lui era perfettamente in grado di tenergli testa e di, come dire, indirizzarlo verso la retta via. Suo fratello gli serviva. Era l’unico che gli sarebbe realmente servito, e poco gli importava dei mezzucci che avrebbe dovuto usare per ottenere ciò che aveva tanto bramato. E pensare che era vivo solo da poche ore! Cosa avrebbe potuto architettare in futuro? Lui stesso stentava a capirlo.
“Piccolino, loro stanno bene. E’ vero che ti fidi di me, no? Guardami, io somiglio davvero tanto al tuo papà, e mio fratello somiglia tanto a Vegeta. Siamo lontani parenti, mettiamola così. E siamo venuti qui per fare ciò che andava fatto da tempo”.
“Che vuoi dire?” – gli aveva chiesto il bambino, improvvisamente allarmato da quella bizzarra affermazione.
“Vieni qui…” – e, senza dargli il tempo di reagire o rifiutarsi, lo aveva preso in braccio, facendolo sedere sulle sue ginocchia.
Era a disagio. Goten era davvero a disagio. Non era mai stato in braccio ad un adulto all’infuori di suo nonno o di sua madre, e non sapeva come comportarsi. Doveva guardarlo in viso o era da maleducati? Poteva puntare gli occhi nei suoi o no? Non amava quella situazione… Non l’amava per niente, ma non poteva rifuggirle. Non poteva farlo né per sé né per il suo migliore amico. Trunks era ancora addormentato, vittima di quella strana magia che gli aveva causato quel sonno così profondo. Spettava a lui, adesso, fare la parte del fratello maggiore e prendere in mano le redini del gioco, per quanto gli fosse possibile. Del resto, era solo un bambino, e solo Dende poteva sapere quanto avrebbe voluto lì il suo amato fratellone.
“Senti piccolo, tu ce l’hai un pochino con me, non è vero? Mi stai accusando di qualcosa, no? Ah! Non mentire… Lo leggo nei tuoi occhi sai? E non solo in quelli…” – e gli aveva fatto una carezza sul capo, baciandolo un istante dopo. Affondare il viso in quei capelli neri e soffici era una novità per lui, anche se era perfettamente a conoscenza della sensazione che ciò gli avrebbe dato. Era bizzarro vivere le cose da loro punto di vista: essere a conoscenza di tutto lo scibile e di ogni sensazione anche se non era mai stata da loro vissuta. Ma non sarebbe stata di certo qualche moina fatta ad un bambino a fargli cambiare idea… Aveva calcolato ogni cosa, e sapeva perfettamente che qualcuno lo stava osservando anche se non era lì presente.
“Io… Ecco… E’ solo che…” – aveva cominciato a balbettare il piccolo.
“Ascoltami, Goten… Ascoltami. Io non ho cattive intenzioni, e voglio che questo ti sia chiaro. Sono buono, e lo è anche il mio amico Alpha, anche se ha quello sguardo così duro in viso. Non devi badare a lui. E’ solo che non trascorriamo molto tempo insieme alle altre persone, e spesso non sappiamo bene come ci si comporta. Ma non siamo persone crudeli… Non affatto. Anzi! Siamo qui per aiutarvi!”.
“Aiutarci?”.
“Certo! Ascolta, non è forse il tuo più grande desiderio quello di riavere qui con te il tuo papà? Ma qui per davvero, non solo per un giorno”.
Era rimasto a bocca aperta. Come faceva lui a sapere che avrebbe voluto avere accanto suo padre? Finché fosse stato un suo familiare a chiederglielo avrebbe avuto senso, ma quello era un perfetto sconosciuto! Che ne sapeva lui dei suoi desideri e della sua vita?
“Oh, su! Non fare questa faccia piccino… Te l’ho detto: io so tante cose. Molte cose in più di quanto tu possa immaginare”.
Stava sorridendo amabilmente. Quella creatura che tanto somigliava al suo papà stava sorridendo, e non gli sembrava affatto cattiva, anzi! Voleva aiutarlo a riavere indietro il suo papà! Poteva fidarsi no? Doveva fidarsi. Perché quello era il suo più grande desiderio, e lui voleva esaudirlo ad ogni costo.
“E come puoi ridarmi il mio papà?”.
Il suo sorriso aveva cambiato foggia, ma aveva cercato di fare di tutto perché non si vedesse. Non voleva di certo che potesse accorgersi della sua aria trionfale.
“E’ molto semplice piccolo.. Ho solo bisogno che tu faccia una cosa per me”.

 
*
 
Lui non era più lui. O meglio, era ancora se stesso, ma nel suo cuore si stava agitando un sentimento di cui non conosceva neppure il nome. Lui che sapeva tutto, lui che conosceva ogni cosa, non riusciva più a riconoscersi nel riflesso che vedeva allo specchio.
Di una sola cosa era certo: che fosse tutto sbagliato. Qualsiasi cosa stesse accadendo, era sbagliata, immorale, ingiusta. Non erano venuti lì per rapire di bambini, non erano venuti lì per portare scompiglio. Ma allora, perché erano venuti lì? Era proprio quello il problema: lui non sapeva perché fosse accaduto tutto quello che aveva vissuto in prima persona e allo stesso tempo passivamente, senza reagire.
Stava iniziando ad odiare se stesso, per quello che aveva fatto e per quello che avrebbe fatto a breve. Non era più lucido, di questo se n’era reso conto perfettamente. E non era più lui a causa di quel sentimento così profondo e forte che lo legava a chi evidentemente non era come sperava che fosse.
Non riusciva a non pensarci. No, proprio non riusciva a farlo. Kaharot stava diventando una vera ossessione, ma non nel modo in cui aveva sperato. E, proprio per quella circostanza, non aveva potuto non sorridere: era incredibile che avesse in comune con Vegeta anche quell’aspetto così bizzarro. Sembrava che ci fosse una sorta di maledizione che aleggiava su di loro in maniera quasi minacciosa. Perché sì, la sua mente stava prevalendo sul cuore: era sempre più certo che il suo adorato fratello si sarebbe presto rivelato la più tremenda minaccia che avesse anche solo potuto pensare di fronteggiare e, la cosa peggiore, era che era stato creato proprio dalle sue mani, dalle mani di chi voleva solo qualcuno con cui condividere pensieri e sensazioni, qualcuno di totalmente simile a lui.
Cos’era andato storto, forse non lo avrebbe mai capito. Alla fine dei conti, probabilmente non era così infallibile come aveva creduto. Anzi, ormai ne aveva l’autentica certezza. E questo lo stava ferendo più di qualsiasi pugno nello stomaco o letale onda energetica. Aveva rovinato ogni cosa senza rendersene conto, e la cosa peggiore era che non sapeva come porvi rimedio. Di certo, continuare a rimanere davanti allo specchio, inerme, a rimuginare sempre sullo stesso argomento, non gli avrebbe permesso di risolvere quell’assurda soluzione.
E, per la prima volta in vita sua, Alpha si era sentito stanco. Lui, una creatura perfetta, spettacolare, avvertiva una spossatezza che non credeva possibile, spossatezza provocata dal dispiacere di vedere un sogno infrangersi in quel modo. Non c’erano più bugie da raccontarsi, non c’era più niente. Niente.
“Sei certo che non ci sia più niente, fratello?”.
Era entrato nella sua mente senza che potesse evitarlo. Aveva abbassato la guardia come un novellino, ma nascondersi dietro ad un muro a cosa avrebbe portato? Forse, era arrivato il momento di affrontare quella situazione una volta per tutte. Ma perché, allora, stava esitando?
“E’ fastidioso, sai?” – si era lamentato, pacato.
“Ti da davvero così fastidio che mi intrufoli nei tuoi pensieri? Pensa, ero certo che tra di noi non ci fossero segreti…”.
“Ah no?” – aveva detto, girandosi finalmente verso di lui. Dargli le spalle a cosa avrebbe portato, del resto? Ad altre menzogne – “Pensavo lo stesso fino a qualche ora fa, sai, fratello?”.
Kaharot aveva assunto un’aria ferita e costernata, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi.
“Non hai più fiducia in me” – aveva decretato, serio – “Non ti fidi proprio di me!”.
“Dammi un buon motivo per farlo. Ti ho cercato fino ai confini della galassia. Era da tutta la vita che ti aspettavo, e sai bene quanto grande sia stata la gioia dell’averti al mio fianco, finalmente, completo in ogni tua parte, l’unico che potesse comprendermi veramente.  Eppure… Tu non sei chi pensavo che fossi. Non hai niente di quello che credevo. E questi tuoi occhi… I tuoi occhi sono… Sono…” – non riusciva a dirlo. Era più forte di lui. Ancora non riusciva ad accettarlo nonostante fosse chiaro come il sole, nonostante avesse capito fino in fondo quello che era avvenuto.
“Come sono i miei occhi, fratello?” – aveva incalzato lui che ostentava dolore.
“Sono malvagi”.
Lo aveva detto senza pensare. Quella frase era uscita dalle sue labbra senza che potesse evitarlo, senza che potesse metterle un freno, come se qualcosa in lui volesse costringerlo a liberarsi. Ma, allora, perché non si sentiva meglio? Perché si sentiva ancora più ferito e triste di prima?
Tra loro era piombato il più totale, assordante silenzio. Continuavano a fissarsi dritto negli occhi, immobili come due statue di sale. Il silenzio aveva invaso anche le loro menti. Non c’erano scudi che impedivano all’uno di leggere tre i pensieri dell’altro, no. Sembrava che persino i loro cervelli avessero smesso di agire, mostrandosi sordi a quella che aveva tutte le carte in regola per diventare una situazione potenzialmente letale.
Nessuno dei due si era reso conto di quanto tempo fosse passato. Per loro, poteva anche essersi fermato, potevano anche essere trascorsi trent’anni, non avrebbe fatto differenza, non avrebbe fatto alcuna differenza.
A quel punto, poteva accadere qualsiasi cosa. L’unica speranza per la Terra e per la galassia intera, era che Alpha avesse il coraggio di fare ciò che andava fatto.
*

“Io non sono malvagio” – si era difeso, ferito – “Sono solo… Me stesso… Davvero mi chiedo come tu non sia in grado di capirlo, fratello”.
“Non osare…”  - non doveva farlo. Non doveva neanche provare a dare la colpa a lui che aveva provato a capirlo e donargli la sua fiducia.
“Non si tratta di osare. Si tratta di constatare i fatti. Io sono così. E non vedo dove sia il problema”.
Era ovvio che non lo vedesse. Ed era questo che gli stava facendo così male. Perché non si rendeva conto di quanto lo stesse ferendo? Perché non si era reso conto che provava affetto e affinità per l’idea che si era fatto di lui e non per chi era realmente e che questo lo aveva deluso più di ogni altra cosa? Perché?
“Fratello… Mio adorato fratello…” – si era avvicinato a lui con piccoli passi, posandogli le grandi mani sulle spalle. Alpha non si era ritirato a quel tocco, né si era irrigidito. Non aveva paura di lui, affatto. Ma cos’altro avrebbe potuto dire, a quel punto? Non c’erano più spiegazioni per giustificare il suo comportamento. Era esattamente come la ragione gli stava urlando ormai da tempo: Kaharot aveva in sé qualcosa di profondamente malvagio – “Credimi, io non ti farei mai del male. Mai. Sei tu che stai ferendo me… La delusione che leggo sul tuo volto mi fa più male di ogni altra cosa. Io sono qui per te, lo sai bene, non dire di no. Tu mi hai creato proprio perché sapevi che sarei stato uguale a te, non puoi negarlo. E’ per questo che non capisco dove sia il problema, fratello. Io e te siamo identici. Ma, se devo essere sincero, sembra che tu ti stia rifiutando di accettarlo”.
Lo stava nuovamente accusando, e di un qualcosa che non aveva alcun senso. Lui non era uguale a Kaharot. Non aveva assolutamente niente in comune con lui, se non l’essere stato in grado di ricongiungersi a chi gli aveva permesso di diventare completo. Lui non era malvagio. Lui non aveva mai avuto quella luce negli occhi, ne era certo. Tranne quando, quando…
“Ora hai capito cosa intendo, fratello? Tu sai benissimo che siamo uguali e sai anche a cosa mi riferisco. Avevi il mio stesso sguardo in quel giorno lontano… Avevi questo stesso sguardo che ora definisci malvagio… Con la differenza che io non ho torto neanche un capello a nessuno, fratello… Mentre tu…”.
“Non puoi permetterti di fare un simile paragone” – aveva detto, ferito – “Non puoi. La situazione era diversa, molto diversa. Lui mi stava usando… Lui voleva istruirmi perché gli consegnassi in mano l’universo intero. Ero solo una macchina per quell’individuo. Io non sono così”.
“E mi dispiace doverti dire che sei di nuovo in errore” – e gli aveva preso il mento tra le dita, inclinando lievemente il capo – “Tu sei una macchina, del resto. Tutti noi lo siamo. Siamo creature. Non siamo stati generati dal ventre di una madre e dall’amore di un padre. Siamo il frutto di un esperimento di laboratorio con una finalità ben precisa, e tu stai cercando di snaturarci”.
“Cosa?” – era rimasto senza parole. Come poteva dirgli una cosa del genere? Come?
“E’ così… E’ esattamente così, ed è proprio per questo che sei tanto arrabbiato e deluso. Ma da te stesso, non da me. Perché hai avuto bisogno del mio aiuto per arrivare a questa conclusione. Io e te siamo identici, fratello, e vogliamo le stesse cose. Vivere insieme… Ma vivere esattamente come meritiamo, dove meritiamo, e con tutti gli agi che meritiamo. Siamo superiori a tutto ciò che ci circonda, lo sai meglio di me… Perché fingere che non sia così, Alpha?”.
Era confuso… Confuso e agitato, incapace di pensare razionalmente. Non poteva avere ragione. Non poteva essere che le cose fossero come Kaharot le aveva descritte. Lui non era malvagio. Lui non era nato per governare, per essere superiore alle altre creature. Lui voleva solo una famiglia, voleva l’affetto che gli era stato negato, non il timore di chi aveva assoggettato con la forza e l’astuzia. No, lui non era in quel modo. E non lo sarebbe stato né ora né mai.
“Hai sottratto un padre ad un figlio perché l’hai voluto. E dimmi, non è forse questo sintomo di malvagità? E poi, sei venuto sulla Terra perché l’hai voluto, fratello. E tu sai esattamente perché io sono venuto qui”.
“Non-non è vero!” – aveva provato a reagire, sempre più agitato – “Mi hai impedito di capire, di vedere, non puoi accusarmi di niente!”.
“E non lo sto facendo, fratello. Non lo sto facendo. Ma sai meglio di me che questa è in parte una menzogna. Perché tu hai capito sin da subito chi io fossi… L’hai capito qui” – e gli aveva toccato la tempia con l’indice sinistro – “E poi qui” – e gli aveva messo una mano sul cuore – “Così come io ho capito te”.
Stava scuotendo il capo da un lato all’altro, come per scacciare via quella sensazione di angoscia e di oppressione che lo stavano travolgendo. No, lui non poteva reagire in quel modo. Non poteva. Lui era superiore a quelle sensazioni, era superiore a tutto quello!
“E’ proprio questo quello che intendo, fratello! E’ qui che volevo portarti!” – aveva esclamato Kaharot, stringendolo più forte – “Tu sei superiore. Noi siamo superiori!”.
“Non come intendi tu!”.
“Sì, invece, e non capisco perché tanta ostinazione!” – lo aveva mollato di scatto, dandogli le spalle.
Alpha lo guardava stravolto, quasi senza fiato. Come potevano essere cambiate le cose in così poco tempo? Come potevano aver preso quella piega? Voleva andare via da lì, doveva uscire per respirare, subito, o sarebbe impazzito.
“No, Alpha. Non ti permetterò di farlo. Non ti permetterò di perderti” – aveva detto, serio – “Sono qui per te. Sei stato tu a volermi al tuo fianco. Ed ora mi fa male sapere che vuoi allontanarti in questo modo. Ma dimmi, Alpha. Dimmi perché vuoi farlo. Continueresti a vivere nella solitudine e circondato dalla menzogna”.
Menzogna… Lui stava mentendo a se stesso, era questo che gli stava dicendo? Lo stava facendo e avrebbe continuato a farlo? No, lui non poteva… Lui non era così.
“Guardami!” – gli aveva di nuovo preso il viso tra le mani, costringendolo a guardarlo negli occhi – “Io sono qui per te, e ti apprezzo esattamente per quello che sei. Io ti amo come nessuno dei nostri fratelli potrà mai fare. Mi hai creato perché potessi vivere al tuo fianco per sempre. Perché ora mi stai impedendo di darti tutto ciò che ti meriti? Tu ed io potremmo essere i più grandi, insieme, i più grandi e i più felici…”.
“Felici?”.
“Sì, felici. E sai che ho ragione. Ora, ti prego… Leggi nella mia mente se non credi alle mie parole e convinciti che ho ragione. Che farò tutto per te e…” – ma non aveva finito la frase, e non perché Alpha lo avesse zittito. No. Kaharot non aveva terminato il suo discorso perché era stato investito in pieno da un’onda di energia di proporzioni gigantesche, di un’onda che lo aveva fatto stramazzare al suolo in preda a lancinanti dolori.
“FRATELLO!” – aveva urlato Alpha, gettandosi su di lui – “Kaharot! Guardami, guardami!”.
Era piombato nel caos. Il silenzio aveva lasciato posto al rumore del suo cuore in tumulto, ed era stato così assordante da non avergli permesso di capire chi o cosa avesse colpito quella creatura che tanto lo aveva mandato in confusione. Lui, dotato di iper-sensi, non capiva chi lo stesse circondando in quell’istante. E non avrebbe voluto farlo neanche in seguito, se solo avesse saputo qual era la verità. Se solo avesse saputo che era stato Nappa colui che aveva colpito a morte il suo adorato fratello.
“Che cosa-cosa hai fatto? COSA HAI FATTO?” – non riusciva a credere ai suoi occhi.
“Fra-fratello…” – aveva balbettato Kaharot, ferito – “Hai… Hai visto… Hai capito cosa intendevo? Loro-loro vogliono allontanarci… Loro-sono-gelosi di noi… E vogliono… Vogliono separarmi da te”.
“Alpha! Non devi ascoltarlo! Lui non è come vuole farti credere! Ti sta manipolando!” – aveva provato Nappa, serio – Lui vuole usarti… Vuole… Vuole…”.
Nappa ci aveva provato. Aveva provato davvero a far capire al fratello cosa stesse capitando, ma non aveva fatto in tempo. E non c’era riuscito perché era accaduto l’imprevedibile, perché una reazione c’era stata, ma non era stata quella sperata, perché gli occhi di Alpha erano diventati neri come la notte, bordati del più acceso e minaccioso tra i rossi, e perché Alpha lo aveva privato della vita con un’unica, possente, letale onda di energia.

 
*
 
La scena era stata drammatica, imprevedibile, quasi oscena.
Nessuno avrebbe mai potuto prevedere che quanto visto sarebbe accaduto, eppure, alla fine, era successo, eppure, alla fine, Kaharot aveva ottenuto esattamente quello che aveva desiderato, alla fine, Kaharot aveva fatto ad Alpha qualcosa che nessuno avrebbe mai osato neppure pensare. Era stato peggio di quello che gli avevano fatto i suoi creatori. Sì, molto peggio, perché lo aveva tratto in inganno, spingendolo a ribellarsi contro gli unici che avevano provato un sentimento reale nei suoi confronti, spingendolo a scagliarsi contro i soli che avevano accettato di stargli accanto nonostante soffrissero per la continua ricerca di un qualcosa che evidentemente non poteva esistere. Ed eccolo lì. Kaharot, apparentemente ferito ma realmente trionfante, che assisteva fremente alla disfatta di una persona che aveva chiamato fratello. Eccolo lì, Kaharot, che gioiva per la morte e la distruzione che aveva appena portato Alpha.

 
*
 
“Dannazione!” – aveva urlato, incapace di contenersi. Era sfinito, esausto, stremato. Le membra tremavano imperterrite, ma forse questo era avvenuto più per la rabbia che per la fatica che lo stava consumando ad una velocità inaspettata. Aveva fallito. Aveva tentato in ogni modo, era stato ad un passo dal farcela, ma aveva fallito, non era riuscito nel suo intento. Purtroppo, Vegeta non era riuscito ad influenzare i pensieri di Alpha fino al punto di prendere il sopravvento – “C’ero così vicino, maledizione! Così vicino!”.
Sarebbe stato impossibile tentare di descrivere il suo viso, la sua espressione. Era deluso da se stesso, dalla sua incapacità di avere la meglio, di poter risolvere quella situazione assurda in cui si era ritrovato in compagnia di quell’idiota che aveva cercato di aiutare.
Ed era stato proprio l’idiota in questione ad assistere alla scena, corrucciando la fronte al punto di provocarsi dolore. Goku non riusciva a crederci. C’era riuscito, c’era riuscito per davvero, e invece, proprio sul più bello, aveva visto Vegeta arrendersi all’evidenza dei fatti: Alpha era forte, era molto più forte di quanto avevano creduto, e questo, non avrebbe portato ad altro se non alla loro rovina. Erano disperati. Non si trattava  più solo di recuperare i propri corpi e le proprie identità, a quel punto, no. Si trattava di dover proteggere i propri cari, e non avevano la più pallida idea di come poterlo fare. Perché il destino aveva deciso di accanirsi contro di loro? Perché aveva deciso di farli fallire ad un passo dalla vittoria?
Il loro piano era semplice, ed era proprio per questa ragione che avrebbe dovuto funzionare. Goku era stato il primo a metterlo in pratica, anche se non era stata esattamente la passeggiata che aveva sperato: aveva raccolto ogni briciolo della sua energia e della sua concentrazione fino al punto di creare una sottile crepa in quella barriera che il suo clone malvagio aveva interposto tra loro, carpendo qualche spiraglio dei brandelli di luce che ne venivano fuori. Era stato allora che aveva davvero compreso quanto Kaharot fosse malefico e desideroso di portare a termine un piano dalle fosche tinte che prevedeva il più atroce tra i tradimenti. Non era riuscito a vedere bene perché il suo nemico era furbo e potente, ma quel poco che gli si era presentato davanti lo aveva fatto ribollire di rabbia, soprattutto dopo aver compreso che una parte del suo piano prevedeva lo sfruttamento dell’ingenuità e della buona fede di un bambino desideroso di rivedere chi amava a prescindere da tutto, e non di un bambino qualunque, ma del suo piccolo Goten. Ma non aveva potuto fare altro. L’iniziale tentativo di potere in qualche modo prendere il controllo su quella mente così potente era diventato un totale fallimento, perché Kaharot non permetteva a nessuno di entrare e di insinuare dubbi. A nessuno, nemmeno ad Alpha.
Era stato a quel punto che Vegeta era intervenuto. Paradossalmente, il saiyan dal cuore duro aveva scoperto di avere un clone particolarmente legato al concetto di famiglia e di affetto, disposto ad aprire il cuore e la mente a chiunque avesse voluto dargli un consiglio prezioso. Aveva fatto fatica in un primo momento. Perché il suo clone fosse magnanimo e quello di Goku fosse un autentico mostro continuava a rimanere un mistero, ma era inutile arrabbiarsi per quello. Toccava a lui insinuare il dubbio nella mente di Alpha, e non poteva perdere tempo.
La situazione aveva avuto una lunga serie di alti e bassi, voltando a suo favore nell’istante in cui Kaharot aveva preso i bambini. Il dolore e la rabbia per aver visto suo figlio, Trunks, cadere senza sensi tra le braccia di quell’abominio dai capelli rossi aveva portato il suo clone ‘perfezionato’ a provare le stesse sensazioni di disagio e a porsi tutte le domande che lo stavano conducendo sulla via che Vegeta gli stava indicando. E c’era riuscito. C’era riuscito per davvero a portarlo sul punto di reagire. Alpha era forte, era molto più forte di Radish, Nappa e Kaharot messi insieme. Lo aveva capito nell’istante in cui aveva condotto in un istante la navicella con tutti loro dentro nei pressi della Terra senza nessuno sforzo. In quel momento, aveva compreso quanto immenso fosse il suo potere, e che era solo per quella ragione se Kaharot, meschino e miserabile, aveva deciso di persuaderlo con lusinghe e false promesse dell’amore di una famiglia vera. Kaharot era furbo, scaltro, diabolico, incapace di provare sentimenti reali, ma la sua dote più spiccata era la capacità di manipolare le persone sfruttando i loro punti deboli. Lo aveva fatto con i bambini e lo aveva fatto con Alpha. Solo con Radish e Nappa la sua assurda storia non aveva fatto presa: loro erano diversi, loro non avevano quella connessione con lui che tanto aveva desiderato Alpha, e quello che all’inizio poteva sembrare un problema si era alla fine rivelato un bene.
Peccato solo che, alla fine dei conti, le cose le si fossero risolte come nessuno avrebbe voluto: nessuno all’infuori di Kharot, ovviamente.
Era sfinito. Vegeta era sfinito e tremendamente arrabbiato con se stesso perché aveva fallito. Se non ci fosse stato lì davanti al lui l’idiota avrebbe pianto pur di sfogarsi. Ma Goku lo aveva visto in lacrime già una volta, e aveva giurato a se stesso che questo non sarebbe più accaduto per nessuna ragione al mondo.
“Vegeta… Vegeta… Non importa… Davvero…” – aveva provato Goku dopo aver visto la vena sulla tempia del saiyan più anziano ingrossarsi fino all’inverosimile. Era nel panico perché capiva l’impotenza provata dall’amico, ma non poteva permettergli di perdere la calma. La situazione era disperata, qualsiasi aiuto sarebbe stato una manna dal cielo, ma dubitava fortemente che abbandonarsi all’ira potesse servire a qualcosa. O forse si sbagliava, chi poteva dirlo? Ormai era così confuso da non rendersi più nemmeno conto dei suoi stessi pensieri.
Stava proprio cercando di fare ordine in essi quando, all’improvviso, aveva sentito Vegeta urlare e contorcersi fino al punto di smuovere la massa informe in cui erano entrambi imprigionati. Il viso del suo amico era deformato dal dolore e decine e decine di gocce di sudore si erano condensate  sul mento appuntito.
Il panico si era impossessato di Goku ancora più di prima: cosa poteva fare per aiutare il suo amico? Cosa? E poi, all’improvviso, era accaduta l’ultima cosa che Goku avrebbe voluto. All’improvviso, accompagnato da un urlo disumano, Vegeta era sparito, e il saiyan cresciuto sulla Terra si era ritrovato solo e disperato nella più totale oscurità.

 
*
 
Gli eventi si erano susseguiti ad una velocità immensa. La morte di Nappa era stata rapida e apparentemente indolore per lui, ma dilaniante per chi era rimasto ed era piombato nella più totale disperazione: Radish non era più Radish. Distrutto da quello che gli si era presentato davanti, per lo scempio di aver dovuto assistere impotente alla morte del suo adorato fratello, della sua unica ragione di vita, era prima crollato in preda ai più struggenti singhiozzi, per poi esplodere nella più distruttiva delle furie. Con gli occhi colmi di lacrime aveva provato a reagire, attaccando quel mostro che aveva rovinato ogni cosa, privandolo degli affetti più grandi e della sua stessa ragione di vita. E Radish lo sapeva, sapeva che ogni tentativo sarebbe stato vano, ma non aveva avuto dubbi su quale sarebbe stato il suo destino perché lo aveva scelto egli stesso, perché era stato egli stesso a scegliere di andare incontro alla morte. E sapeva che essa sarebbe sopravvenuta per mano di chi gli aveva dato la vita, ma questo non lo aveva fatto esitare. Anzi, questo lo aveva spronato ad andare ancora più avanti, perché sperava con tutto se stesso e con il briciolo di lucidità che gli era rimasto che il suo creatore e fratello avrebbe ritrovato se stesso dopo essersi reso conto di quello che aveva fatto: perché sperava che Alpha avrebbe capito chi era dopo averlo privato della vita.
Così, aveva provato ad attaccare Kaharot solo per sfidare Alpha ad agire, e quest’ultimo non si era fatto attendere. Con un unico, solo, micidiale scatto, aveva trafitto il torace di Radish, trapassando pelle, muscoli ed ossa fino a raggiungere il suo cuore e strapparlo via come se fosse stato un capello bianco, o un fiore color del fuoco da recidere per il proprio piacere.
Era morto così, Radish, con il petto sfondato dall’unico che mai avrebbe creduto potesse fargli del male. Ma, allo stesso tempo, era morto felice. Magari, avrebbe potuto ricongiungersi a Nappa. E qualcosa gli suggeriva che a quel punto, forse, avrebbero raggiunto entrambi la completezza tanto sperata.

*
 
Era stato meraviglioso, lo spettacolo più avvincente che avesse mai visto nella sua breve ma intensa vita. Tutto era andato secondo i piani, anzi: era stato anche meglio.  Aveva finalmente ottenuto tutto quello per cui aveva lottato così duramente. Aveva finalmente liberato tutto il potenziale di suo fratello Alpha.
Era straordinario: la sua potenza era smisurata e visibile ad occhio nudo. Attorno alla sua figura si agitava un’aura rossastra che impediva a chiunque di avvicinarlo, pegno il morire come una falena al calore di una lampadina.
Avrebbe potuto essere pericoloso anche per lui? Certo che sì, ma sapeva come penderlo. Ormai aveva capito perfettamente come guidare suo fratello lungo la retta via, e anche se non poteva prenderlo per mano letteralmente, poteva farlo mentalmente. E nessuno, nessuno avrebbe mai potuto fermarlo.
“Fratello… Fratello mio… Sei… Unico. Unico e straordinario” – aveva detto, alzandosi in piedi e avanzando verso di lui di qualche passo. Ovviamente, non aveva riportato nessun danno grave e, anche in quel caso, sarebbe stato in grado di rigenerare se stesso in poco tempo.
Era magnifico. Magnifico nella sua potenza, nel suo splendore rossastro, e lui non vedeva l’ora di metterlo alla prova. Certo, non c’erano creature alla sua portata – neppure lui sarebbe stato in grado di fermarlo usando la forza fisica, a ben vedere – ma questo non era importante. Presto, avrebbero assoggettato ogni singolo pianeta di ogni singola galassia esistente. Sì, presto. Subito aver ottenuto un’altra cosa che desiderava sin dall’inizio e che condivideva con quel folle di un principe che decenni addietro aveva osato sfidare il grande Freezer in persona.
“Che ne dici, fratellino?” – gli aveva detto, osservando la sua impassibilità – “Andiamo o no a prendere la nostra immortalità?”.
Era quello il piano. Lo era stato dall’inizio. Ci aveva provato su Namecc, quando aveva provato a convincerli ad esprimere anche l’ultimo desiderio, e ci sarebbe riuscito in quell’occasione, esprimendo al drago terrestre il desiderio della vita eterna. E sapeva anche come farlo senza scomodarsi a cercare le sfere. Lo avrebbe lasciato fare al piccolo saiyan dai capelli neri che giaceva addormentato nella stanza accanto. Del resto, i desideri erano tre, no? E lui doveva usarne solo uno. A quel punto, il piccolo avrebbe potuto chiedere di avere il suo caro papino indietro. Almeno, questo era quello che credeva il moccioso. Non sapeva che non avrebbe mai avuto il tempo di esprimere il suo desiderio perché sarebbe morto qualche attimo prima. Bisognava pur sacrificare qualcuno sull’altare del potere, no? E quel ragazzino era decisamente inutile.
Sì, avrebbe ottenuto ogni cosa. Potere, rispetto, ricchezza, immortalità, tutto! Tutto! Bastava solo convincere il ragazzino. Bastava solo…
“LASCIATELI IMMEDIATAMENTE!”.
Era accaduto tutto ancor prima che potesse rendersene conto: troppo impegnato a fantasticare sul suo immediato, roseo futuro, non si era accorto che qualcuno si era intrufolato nella stanza dove si trovavano i bambini, cercando di soffiarglieli da sotto il naso.
“ALPHA! FERMALI!”.
Aveva obbedito come un cane agli ordini del proprio padrone. Ridotto ad uno stato bestiale, ad una sorta di condizione di Ozaru relativa solo al comportamento e non all’aspetto, affine al super saiyan leggendario, Alpha non aveva esitato, cercando di attaccare e di fermare chi aveva osato posare le mani sui bambini: aveva cercato di fermare Crilin e Junior.
Non vedeva più niente. Alpha non vedeva davanti a sé delle persone, dei bambini, no. Era come se vedesse solo i loro contorni animati di rosso, come se vedesse attraverso i raggi infrarossi. Non esistevano visi, caratteristiche peculiari, no. Erano solo delle figure indistinte, e quella voce che amava e di cui aveva bisogno come l’ossigeno gli aveva detto che dovevano essere fermate.
Il sacrificio di Radish non era servito: la sua morte non aveva risvegliato Alpha dal suo stato bestiale, e sembrava che niente potesse arrestare la sua carica, la sua ira. E tutto questo era avvenuto per il troppo amore. La distruzione era avvenuta per il troppo amore di un fratello verso chi aveva solo intenzione di usarlo.
“SBRIGATI CRILIN! DOBBIAMO ANDARCENE DA… AAAAH!”.
Ma era stato vano. Ogni loro sforzo era stato inutile, perché Alpha aveva prima colpito Junior sul collo, strappandogli un braccio dalla spalla a mani nude, e poi si era avventato su Crilin, o almeno ci aveva provato. Nonostante la ferita sanguinante e il dolore immenso, Junior aveva attirato su di sé l’attenzione di quello che considerava  un mostro, lanciandogli alle spalle una potentissima onda di energia che era servita solo a smuovere quell’aura rosso fuoco. Distratto da quell’espediente, Alpha non si era accorto della fuga di Crilin che, fortunatamente, era riuscito a portare via il piccolo Goten. Almeno uno di loro era stato portato in salvo.

 
*
 
“CHE SIATE MALEDETTI! TERRESTRI, CHE SIATE MALEDETTI!”.
Era avvenuto tutto talmente in fretta da non avergli permesso di reagire. Avevano perso Goten. Lui aveva perso la sua opportunità di ottenere le sfere del drago senza sforzo. Non voleva usare Trunks. Gli piaceva Trunks, gli piaceva da morire. Appena ottenuta l’immortalità avrebbe clonato lui e sua madre e dopo averli fatti ricongiungere con i loro originali li avrebbe tenuti con sé come moglie e figlio. Lo avrebbe allevato come si conveniva e avrebbe fatto di lui il più grande guerriero di sempre. Il più grande dopo lui e Alpha, ovviamente.
Era furioso. Furioso con quello stupido namecciano, furioso con il terrestre, ma non poteva darlo a vedere. E, soprattutto, non poteva darsi per vinto per così poco. Aveva mille risorse, del resto… Perché non usarle?
“Alpha! Fratello… Non fare del male al nostro amico… Junior, giusto? No… E’ prezioso, ci serve… Abbiamo bisogno delle sfere del drago e ottenere ciò che vogliamo… E lui vuole aiutarci, non è forse così?”.
Junior avrebbe voluto ucciderlo seduta stante. Quella bestia era immonda. Usare dei bambini per raggiungere i propri scopi era da esseri infidi, e lui era il peggiore di tutti. Ancora non riusciva a capacitarsi del racconto di quei due cloni di Nappa e Radish. Quasi quasi gli dispiaceva per loro e per la fine che li aveva attesi, ma non era quello il momento di disperarsi. Doveva cercare di fermare quei due mostri anche se non sapeva bene come fare. E proprio per questo stava maledicendo se stesso e gli altri che, nonostante i mille faticosi allenamenti, avevano riposto tutte le speranze di salvarsi dal nemico in Goku o nei suoi figli.
Quella non era una battaglia che poteva vincere con la forza bruta, no. Neppure Gohan avrebbe potuto fare qualcosa contro quell’Alpha, non in quelle condizioni, ed era stato per quella ragione se lo aveva spedito nella Stanza dello Spirito e del Tempo. Forse, anche tre sole ore potevano fare la differenza.
Ma lui doveva prendere tempo. Non sapeva bene come fare, ma doveva almeno provarci. Non tanto per se stesso, ma per il piccolo Trunks e per l’umanità intera.
“Sei pazzo se credi che possa aiutare due mostri come voi! Morirei piuttosto!”.
“Sapevo che avresti risposto in questo modo, purtroppo… Ma non possiamo ucciderti, anche se Alpha lo farebbe volentieri. Ci servi per le sfere del drago! Non possiamo utilizzare quelle di Namecc per colpa della gentilezza dei miei cari fratellini – senza offesa, Alpha – e non ho tutto questo tempo a mia disposizione, né la voglia di usarlo. Voglio l’immortalità oggi. E l’avrò. Costi quel che costi”.
“Scordatelo” – aveva ribadito Junior, ancora sanguinante – “Non avrai niente da me, niente. E sei un folle se credi che ti permetteremo di usare le sfere. I namecciani sono già stati avvisati e hanno distrutto le loro. Non crederai che non abbiamo fatto lo stesso con le nostre, no?”.
Era rimasto di sasso. Non poteva essere. Non dopo tutta la fatica che aveva fatto per arrivare a quel punto! Le sfere non erano state distrutte! Non poteva averlo fatto, erano troppo preziose! La rabbia, una totale, immensa rabbia si stava impossessando di lui. Cuore e mente erano entrati in conflitto, e la sua parte razionale stava perdendo senza possibilità di appello.
“Tu…!”.
“Io niente, clone. Non eri di una razza superiore, tu? Davvero credevi che ti avremmo permesso di trovarle ed usarle? Sei un folle e un illuso! Non avrai mai quello che desideri, mai! AHAHAHAH!”.
“STAI ZITTO! ZITTO!”.
Gli era bastato collegare per un istante la sua mente a quella di Alpha per farlo agire. E lui, veloce come non mai, aveva raggiunto Trunks, sollevandolo per il collo e cominciando a stringere forte, sempre più forte, fino al punto di fargli scricchiolare la colonna vertebrale.
“NO! SMETTILA! RAZZA DI MOSTRO! LASCIALO ANDARE!”.
“Adesso vedremo se è vero ciò che hai detto! Se le sfere sono state distrutte o sono in procinto di esserlo e lui muore non potrai riportarlo in vita! Sei ancora in tempo per fermarlo e per dirmi la verità! Dove sono le sfere!”.
“SONO STATE DISTRUTTE! LASCIA IL BAMBINO! LASCIALO LURIDO VERME!”.
Era vero. Le sue parole erano reali. Lo aveva letto nella mente di Junior, ed era stato chiaro come il sole: le sfere erano state realmente distrutte, e questo significava una cosa, significava che lui non avrebbe mai esaudito il suo desiderio.
“Tu… Tu ora ne creerai di nuove o lui morirà in questo stesso istante”.
“Come se fosse così facile! Non ho il potere di farlo, e il nostro supremo non ha più abbastanza energia per creare delle nuove sfere del drago. Mi dispiace che i tuoi piani siano andati in frantumi. Ora, però, lascia andare Trunks”.
Si era preso un istante per pensarci su, e quell’istante lo aveva portato ad un’unica, sola conclusione.
“Uccidilo”.

 
*
 
Descrivere esattamente la scena sarebbe stato impossibile anche per i presenti. Era accaduto tutto in un attimo, ed era stato talmente straordinario da diventare impossibile da spiegarsi per la mente umana, e anche per quella di chi era praticamente perfetto.
Non sapevano come fosse accaduto, ma sapevano il perché: perché l’amore di un padre è più forte di qualsiasi altra cosa al mondo.
Così, all’improvviso, Vegeta, il vero Vegeta, era riuscito a separarsi dal suo clone, a sfuggire a quella prigionia, venendo al mondo a nuova vita urlando proprio come un bambino appena nato. Aveva sprigionato una potenza straordinaria, facendo tremare ogni singolo centimetro di quella che per anni era stata la casa di chi aveva osato ingannarlo.
Alpha era volato via, spazzato dall’aura di Vegeta come succede ad una foglia la vento, ed era cozzato violentemente contro la parete di fondo, perdendo i sensi. Junior era esterrefatto e Kaharot… Kaharot aveva improvvisamente incominciato a tremare.
“Ve-Vegeta…” – aveva balbettato Junior, incredulo – “Ma… Ma come…”.
“Tsk. Nessuno tocca me o mio figlio” – aveva decretato, glaciale, prima di girarsi verso la causa di tutti i loro mali – “NESSUNOOOOOO!”.
Nonostante fosse paralizzato dalla paura, Kaharot aveva risposto all’attacco, parando i colpi micidiali che gli stava infliggendo il principe dei saiyan. Era furioso. Furioso per essere stato usato e per quello che quelle bestie volevano fare a suo figlio. Non sapeva neanche lui come aveva fatto a reagire a quello stato di totale possessione e sottomissione. Quando Alpha aveva perso la ragione per il dolore di vedere attaccato suo fratello, lui era stato completamente risucchiato dal suo potere, perdendo ogni contatto con Kaharot. Pensava di essere perduto, ormai, ma quando aveva visto Trunks in pericolo, in vero pericolo, aveva ritrovato in sé la forza di reagire, abbattendo la prigione che lo aveva reso inerme e riuscendo a liberarsi dal corpo del suo carceriere, con l’intenzione di farla pagare cara a chi aveva osato tanto, con l’intenzione di uccidere chi aveva reso schiavo lui e suo figlio.
Ma Kaharot era forte, più forte di quanto credeva. La rabbia e la determinazione non gli sarebbero bastate per sconfiggerlo, e questo lo aveva capito immediatamente, e non solo lui. Junior lo osservava, attento, convincendosi ogni istante sempre più che non ce l’avrebbe mai fatta da solo a sconfiggere quel nemico così astuto. Era stato in quel frangente che si era accorto del risveglio di Alpha. Ed era stato in quel frangente che aveva capito cosa fare.
“Lo so. So che puoi sentirmi. So che sei in grado di entrare in contatto telepaticamente con le persone, ed è per questo che ti chiedo di ascoltarmi. Leggi nella mia mente e guarda che cosa è accaduto se non sei in grado di ricordarlo. Guarda cosa ti ha fatto Kaharot! Ti ha portato a sterminare la tua famiglia, e ti ha quasi fatto uccidere Trunks, a cui tu tieni come ad un figlio. Guarda Vegeta, guardalo. Lui è forte e desideroso di salvare chi ama, ma non abbastanza per distruggere quel mostro. Kaharot non è tuo fratello. Aiuta Vegeta a distruggerlo”.
E, con il cuore infranto e le lacrime agli occhi, Alpha aveva affiancato un Vegeta incredulo, inducendolo a capire cosa fare. Un istante dopo, entrambi avevano attaccato Alpha. Un istante dopo, lo avevano atterrato. Un istante dopo, si erano soffermati entrambi a guardarlo.
Il silenzio era piombato in quel luogo, un silenzio surreale. Due nemici così simili e così diversi si erano alleati per fronteggiare un nemico comune. Ma come quella volta il detto era stato veritiero: il nemico del mio nemico è mio amico.
E, il nemico, aveva osato alzare il capo da terra, tremante, terrorizzato alla vista di chi si ergeva su di lui.
“Non puoi… Non puoi farmi del male… Io… Io sono tuo fratello… Io ti amo… Tu lo sai… Lo sai e non puoi… Non puoi permettere che lui vinca, che lui mi faccia questo… Che…” – ma si era bloccato, e lo aveva fatto quando Alpha si era inginocchiato, abbracciandolo forte.
“Mi dispiace…” – aveva detto, tra le lacrime – “Mi dispiace”.
Aveva posto fine alla vita di Kaharot con un bacio sulla fronte, creando un collegamento mentale con lui e spegnendolo, proprio come si fa con un generatore elettrico tramite un interruttore. Non aveva sofferto. Il suo cuore si era fermato all’unisono con il cervello, e questo non aveva causato nessun dolore alla creatura che aveva creato e amato come nessun’altra. Il dolore era rimasto a lui, al contrario. A lui che era rimasto solo per sua stessa mano. Aveva tolto la vita ad ogni singolo membro di quella famiglia che aveva creato, lui li aveva uccisi tutti più o meno consciamente. E lui, era rimasto di nuovo completamente solo. Nessuna lacrima avrebbe potuto restituirgli i suoi affetti o lenire il suo dolore, nessuna. L’unica consolazione era saper di aver fatto la cosa giusta, di aver restituito dei padri ai propri figli e degli amici ai propri cari, anche se mai, mai, sarebbe stato perdonato.
“KAHAROT! Volevo dire: Goku!” – aveva esclamato Vegeta, vedendo Goku separarsi dal corpo del suo clone. Ce l’avevano fatta, erano ritornati entrambi sulla Terra, vivi, illesi, e più desiderosi che mai di giustizia.
“Urca! Ce l’hai fatta! Non so come tu abbia fatto ma ce l’hai fatta! Mi hai fatto morire di paura razza di testone! Poi mi spiegherai come… Ehi! Ma cosa ci fa lui ancora in vita?” – aveva chiesto, alzandosi in piedi con fare minaccioso, indicando Alpha.
“Tsk…” – Vegeta aveva bisbigliato appena, recandosi presso Junior e prendendo suo figlio tra le braccia – “Lui non è affar mio. Non è affare di nessuno”.
“Cosa?”.
“Come sarebbe?.
Avevano chiesto prima Goku e poi Junior.
Alpha era rimasto in ginocchio, a capo chino, sconvolto dal dolore, col corpo di suo fratello fra le braccia.
“Lui è già morto. Più morto di quei tre diavoli che vedete là per terra. Non ha più niente per cui valga la pena di vivere o di lottare. Ed io non avrò pietà di lui, uccidendolo. Ammesso sempre che possa farlo. Pagherà in questo modo… E’ questa la sua pena: l’eterna solitudine. Io non ho più tempo da perdere con lui. Non ho più tempo da perdere con nessuno” – ed era uscito di scena con suo figlio in braccio, lasciandosi alle spalle i suoi amici, Alpha e quella stranissima avventura.

 
Epilogo
 
Si erano ricongiunti ai propri cari, ripulendo tutte le tracce del passaggio di quelle quattro creature. La reazione di tutti alla decisione di Vegeta era stata la medesima, ma nessuno si era permesso obiettare. Qualcosa suggeriva loro che Alpha non avrebbe osato mai più farsi vedere, e le cose andavano bene così. I bambini avevano avuto indietro i propri padri, e la Terra era di nuovo al sicuro, almeno per ora.
E Bulma, Bulma aveva cominciato a guardare con occhi diversi quell’uomo così burbero che le aveva dato quel figlio meraviglioso, perché aveva finalmente capito. Era tardi per tornare indietro, ma non lo era per perdonare. Era stato per quello che lo aveva abbracciato con forza come non aveva mai fatto prima di allora in vita sua, sciogliendosi in lacrime sulla sua spalla: per perdonarlo e per farsi perdonare di non aver capito e di non essergli stata accanto quanto più ne aveva bisogno.
Chichi aveva di nuovo Goku al suo fianco, e questo l’aveva portata ad avere attacchi di gioia seguiti da autentiche crisi isteriche. Di certo, avrebbe costretto il saiyan a trovarsi una lavoro. Come avrebbe potuto pagare i conti del supermercato data la capienza degli stomaci di figli e marito?
Alpha e i suoi fratelli sembravano già un brutto ricordo e tutto era tornato alla normalità, almeno fino all’arrivo di un nuovo nemico. Perché si sa, un nemico, alla fine, arriva sempre.
Ma non sarebbe stato Alpha a tornare ad infastidirli, no. Perché Alpha aveva impostato il pilota automatico dopo aver lavato, vestito e adagiato i suoi fratelli sui loro letti e aver fatto lo stesso per sé. Perché Alpha stava per affrontare l’ultimo viaggio, e forse avrebbe dormito per la prima volta nella sua vita. Dopotutto, anche per lui era arrivato il tempo di riposare. Forse, il calore del Sole gli avrebbe scaldato il cuore. Forse, alla fine, il gelo che lo aveva invaso si sarebbe finalmente estinto.
Fine
 
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*Cleo si nasconde per evitare di prendere pesci in faccia*.
Famiglia, amici, cari lettori… Perdonatemi. Davvero, non ho parole per scusarmi dei mesi e mesi di attesa che sono intercorsi tra questo capitolo e quello passato, ma credetemi che quando si è prossimi ad iniziare a scrivere la tesi di laurea ci si ritrova sommersi da mille impegni – burocratici e non – che non ti permettono di respirare. E’ proprio per questo che ho deciso di concludere la storia in un unico, lungo capitolo, perché da oggi in poi il tempo che potrò dedicarvi sarà sempre di meno ed io non lascio le cose in sospeso, mai. Impiegherò più tempo degli altri per svolgerle, ma non lascio nulla a metà. Non mi sembra giusto nei confronti di chi, come voi, è stato come me dall’inizio, e nei confronti della mia fantasia e della mia voglia di scrivere sul mio anime preferito.
Dovevo dare una fine degna – spero - a questa fanfiction che spero vi abbia fatto un po’ di compagnia. E dovevo ringraziare voi, che siete con me sin dall’inizio con amore e dedizione.
Come sempre, vi auguro ogni bene possibile. Mi mancherete. E tanto. Non è un addio, questo, sia chiaro. E’ solo un arrivederci…Un arrivederci a quando avrò un po’ di tempo in più da dedicarvi.
E, chi lo sa, magari, di tanto in tanto, potrei sempre fare qualche piccola incursione.
Per ora, vi saluto, ribadendo ancora una volta che mi mancherete da morire.
Un bacio ENORME, famiglia.
Grazie di tutto!
Sempre vostra,
FairyCleo

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