Her first love in the Heather's shop

di ele superstar
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo giorno, primi battiti di cuore ***
Capitolo 2: *** Propositi della settimana: conquistarla ***
Capitolo 3: *** Pranzo Newyorkese ***
Capitolo 4: *** Inaspettatamente malvagio ***
Capitolo 5: *** Il primo passo per il successo ***
Capitolo 6: *** Corteggiamento fuori programma ***
Capitolo 7: *** Confusione persistente ***



Capitolo 1
*** Primo giorno, primi battiti di cuore ***


ºHer first love in the Heather’s shopº
 

Capitolo 1- Primo giorno, primi battiti di cuore.
 

[Heather’s pov]

 
Heather’s shop. Questo era il nome del mio negozio di vestiti sia per uomini che per donne.
Ed il mio nome, naturalmente, era Heather. Heather Wilson.
Dopo aver compiuto il mio ventesimo compleanno, decisi di lasciare la mia noiosa famiglia e di trasferirmi a… New York! “La grande mela”, “La città che non dorme mai”, chiamatela come volete, fatto sta che ne ero davvero entusiasta! Fu la scelta più coraggiosa, indipendente e sensata della mia vita. Il mio sogno era fare la modella, in realtà; con il mio corpo perfetto, con delle curve pazzesche ed un culo da urlo, avrei potuto anche diventarlo, ma non è successo.
Comunque sia, abbandonato quel sogno, decisi di aprire un negozio di vestiti. Ero fiera di me. Il problema era che avevo un appartamento in affitto e non avevo più soldi per pagarlo. Probabilmente avrei dovuto cercarmene un altro, ma non ce n’erano molti liberi a New York in quel periodo, nell’autunno del 2014.
Decisi di aprirlo per vari motivi: per prima cosa, era il lavoro più facile da ottenere, come seconda cosa,  in qualche modo era un lavoro molto vicino a quello di essere modella, anche se, ovviamente, non c’entrava un gran ché, ma le modelle indossano vestiti ed io li vendevo. In qualche modo un legame c’era. Come terza ed ultima cosa, avrei potuto comandare una stupida ochetta che avrebbe deciso di aiutarmi nel mestiere, e la cosa mi elettrizzava.
Adoravo essere acida con la gente, e avrei potuto esserlo particolarmente in questo caso, visto che sarei stata il suo capo. Lei, essendo una specie di esperta nel campo della moda, visto che passava probabilmente giornate intere a fare shopping, aveva il semplice compito di consigliare alla gente cosa indossare, se lo chiedevano. Io, invece, stavo alla cassa e la controllavo.
Era il primo giorno di lavoro sia per me che per quell’ochetta di nome Lindsay… ed ero già furiosa.
Lei era già in ritardo di mezz’ora! Era il suo primo giorno di lavoro e già non si era presentata in orario!
Decisi di chiamarla, e decisi di non risparmiarmi per possibili grida e insulti contro di lei.
Presi in fretta il cellulare e digitai con velocità i numeri abbastanza luminosi del mio smartphone, premendo più forte del normale a causa della rabbia.
Mi uscì il nome tra i suggeriti. Al posto di “Lindsay” avrei dovuto, d’ora in poi, cambiare il nome memorizzato in “Oca ritardataria”.
Mentre pensavo quelle cose e ridevo mentalmente, non ricevevo ancora nessuna risposta.
Scostai una ciocca di capelli corvini ribelle e me la sistemai dietro l’orecchio. Sbuffai.
Alzai gli occhi grigi e guardai fuori dalla vetrina.
-Eccoti finalmente!- Gridai chiudendo la chiamata e chiudendo la cover flip magnetica nera con un violento movimento del polso.
Lindsay stava raggiungendo l’entrata del negozio con una marea di sacchetti, da quelli piccoli a quelli enormi, che teneva stretti per le mani mentre tentava inutilmente di coprirsi dalla pioggia con un ombrellino rosa. Sorrideva.
-Scusa Heather, questa mattina sono uscita di casa, vestita e truccata, quando ha iniziato a piovere! Non avevo l’ombrello e il mascara stava colando- Il sorriso di poco prima sparì lasciando spazio ad un’espressione triste- Non potevo certo andare al lavoro in quello stato! Ah e poi dopo essere tornata a casa, preso l’ombrello e rifatta il trucco, sono uscita e ho comprato un fantastico lucidalabbra alla fragola in saldo!-
Chiusi le mani in un pugno, scavando la pelle con le unghie affilate dalla rabbia che provavo.
Non ci potevo ancora credere! Avrei voluto incenerirla con lo sguardo!
-E tu mi hai fatto aspettare mezz’ora solo per queste cavolate?!-
Mi guardò preoccupata.
-Ch-che c’è? Heathy?-
-Non chiamarmi “Heathy”! Ora torna al lavoro!!!!!!- Guardai nuovamente fuori dalla vetrina, dove c’era una coppia di sposi che stava per entrare qui. Mi guardavano straniti e spaventati, fecero dietrofront e sparirono.
-No! Aspettate! Tornate qui!!- Niente.
Evidentemente avevo gridato così forte che quelle persone mi avevano sentito da fuori.
Tutta colpa di quella babbea di Lindsay!
-Mmmh questo lucidalabbra sa davvero di fragola!- Mi girai lentamente verso di lei e la fulminai con lo sguardo. Lei ammutolì.
Non le dissi nulla. Calma. Calma. Non potevo lasciare che una stupida ragazzina rovinasse il mio primo giorno di attività.
Sentii il flebile suono della campanella di ingresso.
-Un cliente!- Mi lasciai sfuggire per sbaglio. Guardai Lindsay con severità.
-Vai, Lindsay, vai!- Le sussurrai prepotente. Presto detto, lei fece il suo lavoro. Salutò la signora che era entrata e le consigliò vari vestiti.
La guardavo attentamente. Forse non dovrei licenziarla subito, dopotutto, pensai.
Dopo un paio di minuti, la signora aveva… scelto un vestito! La mia prima cliente! Si direzionò alla cassa, dov’ero io, e pagò. Aveva scelto un magnifico vestito da sera blu notte con le spalline che toccava terra. Era molto semplice, ma molto bello.
Entrambe la salutammo entusiaste e lei uscì. Di solito non salutavo mai le persone, né le guardavo, ma ero così felice!
Nel giro di pochi secondi, sentii di nuovo la campanella d’ingresso suonare. Oh dio, altri clienti!
Questa volta erano dei maschi, ventenni come me, probabilmente, belli da togliere il fiato!
Un ragazzo con una cresta verde ed un sacco di piercing, uno con una chitarra in mano ed un altro alto, muscoloso, abbronzato, forse venticinquenne, e non sposato! Mi schiaffeggiai leggermente. Ma che dico?! Sveglia, Heather! Quest’ ultimo mi guardò e sfoggiò un sorriso bellissimo… Smettila.
In tutta risposta roteai gli occhi ed incrociai le braccia al petto. Lui non ci fece caso ed iniziò a guardarsi in giro, insieme agli altri.
Senza pensarci, lo seguii- li seguii con lo sguardo per tutto il tempo. Il tipo con la cresta mi fece l’occhiolino. Ma che vuole quello?! Pensai.
Gli diedi un’occhiataccia e lui alzò il sopracciglio pieno di piercing come se volesse sfidarmi a dirgli in faccia che lui non mi interessa.
Spostai lo sguardo nuovamente verso quello abbronzato. Mi stava fissando. Santo cielo, che hanno tutti da guardare?! Notai che prese un paio di jeans ed una maglietta rossa, continuando a guardarmi, e sparì nei camerini.
Intanto Lindsay cominciò a parlarmi, ma, disinteressata, non la guardai.
–Ehi Heather, non sono carini? Soprattutto quel ragazzo abbronzato!- Mi girai di scatto verso di lei. –Allora? Non sono carini?- Mi ripetè. Distolsi nuovamente lo sguardo.
–Normali- Mi limitai a dire.
Mi guardò di traverso.
-Che c’è?!- Le dissi arrogante. Intanto sentii quel punk gridare.
-Bella maglietta, amico!- Gli diede un cinque.
-Ti stanno bene, Alejandro.- Disse il ragazzo con la chitarra.
Alejandro… Alejandro intanto era uscito dai camerini con i jeans e la maglietta indosso.
Inconsapevolmente io e Lindsay ci ritrovammo a sbavare, vedendo i pettorali del ventenne che si intravedevano a causa della maglietta lasciata esageratamente sbottonata.
Lui mi guardò ancora e mi regalò un sorriso malizioso. Io, rossa in volta, girai lo sguardo dall’altra parte. Aleidiota, pensai.
Sentii un cellulare squillare: non era mio. Non era di Lindsay.
-Pronto?- Era di Alejandro.
Continuava ad annuire, serio.
-Okay, arrivo subito.- Chiuse la chiamata e si rivolse ai due ragazzi che lo stavano probabilmente solo accompagnando.
-Amigos, scusate ma devo proprio andare. Ci sentiamo domani- Detto questo, entrò nei camerini, si rivestì e venne verso di me con in mano i due indumenti maschili.
-Buenos dias, chica-
-‘Giorno- Dissi solo. Presi i suoi vestiti e li ficcai con poca delicatezza in un sacchetto. Glielo porsi.
-Fanno 35 dollari- Dissi freddamente.
Mi diede i soldi, ma prima che io li potessi prendere, mi afferrò improvvisamente la mano pallida, si chinò e me la baciò. Quelle labbra calde…
Mi rivolse un ultimo sorriso e, ringraziando, uscì guardandomi, la porta alle spalle, e se ne andò.
Il mio secondo cliente… Ma il primo cliente maschio, mi ritrovai a pensare.
Ed intanto… il battito del mio cuore non fu più così regolare.
 
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Ciao ragazzi, come va, tutto bene?
Sono ufficialmente... TORNATA! Che bello, eh? Una meraviglia, proprio... D: hahahah
Beh, ecco la mia seconda long! Spero con tutto il cuore che il primo capitolo vi sia piaciuto, davvero. Questo è solo l’inizio di primi guai, non è di certo la fine, come spererebbe la nostra cara Heather.
H- Cavolo...
Hahahaha. Okay, beh, al prossimo capitolo e recensite numerosi!
Ciaoooo, Ele Superstar.

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Capitolo 2
*** Propositi della settimana: conquistarla ***


Capitolo 2- Propositi della settimana: conquistarla.              
 

[Alejandro’s pov]
 

Era giovedì mattina, il sole si ergeva alto nel cielo solleticando fastidiosamente i miei occhi. Me li coprii con un braccio, abbandonandolo in quella posizione per un paio di minuti.
Sentii il cellulare squillare insistentemente. Che palle… Pensai.
Sbuffai sonoramente e risposi al telefono senza pensare di controllare il nome sul display.
-Pronto- risposi inspirando profondamente con gli occhi impastati dal sonno e la voce debole.
-Ehi amico! Come va?- Allontanai infastidito il cellulare. C’era un gran baccano da lui. Musica ad altissimo volume ed urla di donne ubriache. E, come ciliegina sulla torta, Duncan mi aveva urlato nelle orecchie!
-Che cazzo vuoi?- Risposi abbandonando le buone maniere, per quella volta.
-Come siamo acidi stamattina. La ragazza del negozio di vestiti, Heather, ti ha stregato, per caso?-
Feci uno scatto, come se fossi spaventato da quelle parole. Da quel nome. In una frazione di secondo mi ero seduto sul letto e la stanchezza se ne era andata. Come per magia.
-Come fai a conoscere il suo nome? Ti ha dato il suo numero quando sono andato via?- Lo interrogai.
-Calma, mister gelosia. No, non mi ha dato il suo numero. E’ il nome del suo negozio- Rispose annoiato.
Mi rilassai. Non sono geloso!
-Non sono geloso- gli dissi normalmente –E, comunque, dove sei? Perché c’è così tanto baccano?-
-Sono in discoteca! Questa è aperta anche di giorno, non è fantastico?! Ci sono venuto qui ieri notte. Ho trovato molte pollastre. Vieni anche tu!-
Sbuffai nuovamente.
-No, oggi no. Devo studiare per gli esami- Mentii. No, quel giorno non dovevo studiare. Avevo studiato tutto il giorno ieri e sapevo ormai tutto, anche perché gli esami erano vicini. Andavo all’università. Il giovedì era inoltre l’unico giorno insieme alla domenica in cui non avevo lezione. Ben presto l’avrei finita.
Sentii uno sbuffo dall’altra parte del cellulare.
-Esami del cazzo…- Si lasciò sfuggire –Va bene, studia. Io intanto penserò a divertirmi sul serio e… ehi!-
Mi si chiuse la chiamata in faccia. Guardai il cellulare. Ma che era successo? Probabilmente gli avevano preso il cellulare.
Avrei voluto flirtare con molte ragazze insieme a Duncan, la mia spalla, lo ammetto, ma quel giorno avevo altri progetti per la mente. Ghignai malignamente e mi vestii con gli indumenti che avevo… comprato il giorno prima al negozio di Heather. Il mio piano, infatti, era andarla a trovare. Per quanto avesse provato ad evitarmi, l’ultima volta, sapevo che dentro di sé moriva dalla voglia di strapparmeli di dosso e fare porcate nel camerino. Sì, ero un tipo abbastanza pervertito.
Decisi di lasciare i capelli castani sciolti in modo tale che mi arrivassero fino alle spalle, indossai un orecchino grigio, una collana con la testa di un toro e dei braccialetti da uomo, anch’essi grigi, molto semplici.
Con questo aspetto l’avrei fatta cadere ai miei piedi in fretta, per poi scaricarla, come tutte le altre.
In fondo, cos’ha lei di diverso dalle altre ragazze con cui sono stato?
Uscii di fretta e mi diressi verso il suo negozio. Guardai all’interno aguzzando la vista. Non c’era nessuno. Lessi il cartello al di fuori della porta d’ingresso: Chiuso. Orari: martedì-sabato; 8.30-12.00; 14.30-19.00. Era giovedì quel giorno, doveva essere aperto. Controllai l’ora.
-Le otto e ventinove… Perfetto!- Ghignai soddisfatto e attesi, appoggiato con la schiena al muro a braccia conserte, che arrivasse quella ragazza.
Ed eccola lì. Guardava in basso, mentre il vento le spostava i capelli verso la sua destra e lei tentava di sistemarseli inutilmente ogni qual volta questi si scomponessero. Camminava a gran velocità e con nervosismo. Si fermò ad alcuni centimetri da me e, senza alzare lo sguardo, cercò le chiavi nella sua borsa per poter aprire il negozio. Non mi aveva ancora notato.
Decisi di importunarla.
-Guarda guarda chi si rivede- Scherzai con il sorriso sulle labbra.
Lei sobbalzò dalla sorpresa nel vedermi lì, davanti al suo negozio, a bloccarle la strada. Probabilmente si stava chiedendo come non avesse fatto a non accorgersi della mia presenza.
-Santo cielo, mi hai spaventata! Scansati, devo aprire il negozio- Tentò svariate volte di oltrepassarmi. Si spostava a destra, ed io mi inclinavo. Si spostava a sinistra, ed io le bloccavo il passaggio. Ringhiò.
-La smetti?! Cosa sei, un bambino?!- Mi disse lei.
Io risi. Mi avvicinai lentamente e lei fece un passo indietro. Mi avvicinai ancora, ma non indietreggiò. Mi osservava furiosa dal basso all’alto lanciandomi stilettate.
La osservai per un minuto, più di prima: certo che era sexy quella ragazza! Camicetta attillata, abbastanza scollata da lasciare poco spazio all’immaginazione ed una minigonna abbastanza corta, quasi inguinale, calze nere e tacchi vertiginosi. Nonostante indossasse questi ultimi, però, non raggiungeva ancora la mia altezza. Cominciai a sudare dalle tempie. Era troppo sexy così. Mi veniva voglia di saltarle addosso e di levarle tutto. Scarpe, minigonna, camicetta e calze. Tutto.
Mi guardava stranita. Ero rimasto in silenzio a scrutarla per tutto il tempo senza dire una parola.
Decisi di lasciarla passare. Era già in ritardo di qualche minuto sull’apertura del negozio e, si sa, la gente di New York odia aspettare.
Si avvicinò alla porta e la aprì. Si sentì la campanella del negozio suonare e spinse la porta per chiudersela alle spalle. Io la bloccai con un piede ed entrai.
-Che fai ancora qui?!- Mi aggredì lei, dopo aver girato il cartello con su scritto “Aperto” dalla parte opposta.
-Sai, non dovresti trattare i tuoi clienti così, soprattutto non quelli che diventeranno abituali, almeno…- Detto questo, ghignai malefico. Ero soddisfatto. L’avevo praticamente messa con le spalle al muro con questa frase. Lei, infatti, era arrossita e aveva spalancato gli occhi grigi come pietrisco.
Non sapeva come rispondere, era abbastanza nervosa. Risi. Sarà una giornata interessante, pensai.
-I-io…- Balbettò. Non disse nient’altro. Decise solamente di tornare dietro la cassa, a fare il suo dovere. Abbassò lo sguardo per un istante, visibilmente in imbarazzo, ma dopo qualche secondo lo rialzò assumendo uno sguardo fiero e tagliente più di una spada. Mi guardava male.
-Io preferirei morire piuttosto che avere un cliente abituale come te! Sei fastidioso. Certi clienti è meglio perderli che trovarli!- Incrociò le braccia, lanciandomi uno sguardo di sfida.
-Credo che cambierai idea, chica- Detto questo, la lasciai stare e decisi seriamente di guardarmi in giro e di provare qualche nuova camicia o altro. Diedi le spalle ad una Heather visibilmente infastidita e frugai tra le varie camicie cercando quella perfetta per me.
Sentivo, nonostante il fatto che non potessi vederla, che i suoi occhi erano puntati su di me, o, forse, anche più in basso. Ghignai. Mi girai di scatto e la colsi sul fatto. Lei distolse in fretta lo sguardo.
-Ma dove si è cacciata di nuovo quell’idiota?!- La sentii irritarsi sottovoce. Probabilmente si riferiva alla ragazza che lavorava con lei, quella biondina.
D’un tratto arrivò in fretta, con un quarto d’ora di ritardo.
-Heather, ciao!- La salutò la bionda.
-Sei ancora in ritardo, Lindsay! Che diavolo hai fatto questa volta?!- Le urlò contro lei. Questo era il momento perfetto per me… e così, agii.
Interruppi la loro conversazione, che, ne ero sicuro, si sarebbe surriscaldata, e dissi:
-Heather, non gridare contro questa bellissima ragazza. Sono sicuro che avrà avuto validi motivi per arrivare in ritardo. A proposito, io sono Alejandro.- Sorrisi e le feci il baciamano, proprio come avevo fatto a Heather.
Lei strinse i pugni e rispose decisa.
-L’ultima volta ha voluto comprare un lucidalabbra alle fragole. Questa non è una motivazione sensata! Torna al lavoro!- Urlò lei, rossa dalla rabbia.
La biondina rispose intanto al mio baciamano arrossendo e soffocando con la mano una risatina compiaciuta e se ne andò al suo posto, salutandomi con la mano.
Io, avendo intuito quale fosse il lavoro di Lindsay, decisi di continuare ad importunare Heather.
-Oh, Heather, io credo che per svolgere al meglio il suo lavoro, lei debba farmi vedere dei vestiti che potrebbero essere adatti a me- Dissi.
Lei spalancò gli occhi ma nel giro di pochi istanti si ricompose e rispose con finta nonchalance.
-Pensavo non ti servisse aiuto, idiota-
-Bene. Prego, chica- Le offrii il mio braccio e la condussi al reparto dell’ intimo maschile e dissi, stando attento a farmi sentire da Heather:
-Partiamo dai boxer…-  Sentii Lindsay soffocare un’altra risata mentre Heather si dimostrava forte, non volendo cedere alle provocazioni.
Mi piace quella ragazza. Non nel senso che davvero mi piaccia, ma nel senso che è forte, indipendente, in condizionabile e bellissima. Spalancai gli occhi a quell’ultimo pensiero, ma decisi di ignorarlo solamente e di far scegliere a Lindsay dei boxer adatti a me, sebbene io non ne avessi bisogno.
Lei fece il suo dovere e mi porse un paio di boxer neri con abbinata anche una canottiera senza maniche. Le sorrisi e me li provai. Decisi di mettermi comunque sopra ai boxer i pantaloni di prima, per non sembrare troppo volgare, ma lasciai la canottiera nera che risaltava molto di più i miei muscoli.
Uscii e trovai Heather e Lindsay, entrambe vicine a me, che mi stavano guardando incantate. Soprattutto Heather.
-E-e i boxer?- Si lasciò sfuggire Heather e, tradita dalle sue stesse parole, arrossì.
Io ghignai ed allargai un po’ i pantaloni con il pollice. Lei fu quasi tentata di guardare ma decise di scostarsi e di tornare alla realtà. Sentimmo tutti il campanello suonare ed un altro cliente, assieme alla sua fidanzata, entrare.
-Scusate, ho altri clienti- Disse Heather. Dopodiché li raggiunse.
Ghignai malefico. Da qui ad una settimana sarebbe stata mia.
 
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Ciao ragazzi, come va?
Ecco il secondo “fantastico” capitolo! Scusate se sono stata forse troppo spinta per qualcuno, però, sapete, è a rating giallo, non verde, quindi una ragione c’è J Ma se avete problemi, ditemelo. Cercherò di rimediare.
Allora, vi è piaciuto? Questi due a malapena si conoscono e già sono in una fase di... beh, attrazione-odio, direi. Non ancora amore.
Alla prossima!
Baci, Ele.

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Capitolo 3
*** Pranzo Newyorkese ***


Capitolo 3- Pranzo Newyorkese             
 

[Heather’s pov]
 
Il mio turno mattiniero era finalmente finito visto che era mezzogiorno in punto. Potevo chiudere e rilassarmi per ben due ore e mezza. Non ne potevo davvero più! Con quell’avvoltoio di Alejandro in giro era praticamente impossibile concentrarsi sul lavoro. Non perché mi piacesse, questo era chiaro, ma perché ha tentato di farsi notare da me in tutti i modi possibili. Persino con la scusa dei boxer! Beh, in effetti ero stata io che, stupidamente, gli avevo chiesto quasi esplicitamente se li avesse indossati.
Idiota, pensai, rivolta a me stessa. Intanto, infatti, quello stupido era rimasto qui dalle otto e mezza fino alla prima ora di chiusura e in tutto questo tempo non aveva fatto altro che tentare di flirtare, inutilmente, con me e… con… Lindsay. Quei due ormai stavano parlando insieme da un quarto d’ora buono! Ma a me non importava. Non importava.
Presi la borsa, col sorriso stampato sulle labbra, e uscii dal negozio. Fui tentata di chiuderli dentro, ma Alejandro me lo impedì. Posò una mano sulla porta del negozio e la spalancò all’esterno, lasciando che si chiudesse da sola alle sue spalle, uscendo mano nella mano con… quell’oca!
Roteai gli occhi e, sbuffando, chiusi il negozio e girai il cartello esterno.
Girai i tacchi e mi incamminai per qualche metro, per poi fermarmi.
-Chica! Dove stai andando?- Mi fermai perché mi raggiunse il castano trattenendomi per un braccio.
-A pranzo. Mi lasci ora?- Dissi io. Poi aggiunsi: -Ma dov’è Lindsay?-
Incredibile. Quella ragazza faceva prima ad andare via dal lavoro piuttosto che arrivarci, la mattina.
-Oh, lei è dovuta andare via. Ora siamo solo noi due- Disse lui con il suo ormai abituale ghigno stampato in faccia degno di un abituale cliente.
Mi girai e lo guardai storto.
-Noi due? No, carino. Io pranzo da sola, se non ti dispiace- Detto questo, gli diedi le spalle e proseguii fino al mio ristorante preferito: il “Gradisca”. Ha un nome abbastanza strano, ma è il miglior ristorante italiano di New York.
Lui fece una faccia stupita.
-Che c’è?- Chiesi dubbiosa.
-Carino? Ho capito bene?- Mi schernì lui.
-E’ solo un modo di dire. E non montarti la testa, Alejandro- Conclusi io decisa.
-Allora, dove mangerai?- Insistette lui.
-Ad un ristorante dove si mangia cibo italiano. E’ il migliore di New York- Risposi io entusiasta. Sospirai piacevolmente. Adoravo New York e parlarne mi rendeva… diversa. Più dolce, più gentile.
-Ah, perfetto. Adoro la cucina italiana. Che ne diresti se io ti offrissi il pranzo?- Si formò sulle sue labbra uno splendido sorriso e, vedendo che non mi ero ancora tirata indietro, mi provocò ancora per accettare. Avrei ceduto. Dopotutto, chi ero io per negare ad un ragazzo di offrirmi il pranzo?
-Mh?- Sorrise divertito, aspettandosi una risposta positiva. Ed io gliela diedi.
-D’accordo- Sorrisi leggermente. Scacciai quel piccolo sorriso e raggiungemmo insieme il ristorante.
C’era un’atmosfera fantastica, tipicamente italiana. Come atmosfera, ho sempre pensato che fosse davvero il massimo, infatti. Ed è così.
Guardai Alejandro, che, per conto suo, guardava l’interno meravigliato per poi sussurrarmi, una volta tornato alla realtà:
-Hai dei bei gusti, chica-
-Lo so- Risposi orgogliosa. Prendemmo un tavolo, uno di fronte all’altro. Bleah, sembriamo fidanzati! A questo punto secondo me ci daranno addirittura il menu realizzato appositamente per fidanzati. Alzai lo sguardo e lo indirizzai verso Alejandro, che mi stava guardando. Di nuovo.
-Che sia chiaro: questo non è un appuntamento- Puntualizzai io.
Lui mi sorrise. Che bel sorriso che ha… Smettila. Piantala. Insomma, finiscila una buona volta!
Ma non disse nulla. Si limitò a sorridere, senza aggiungere altro.
Si era creata abbastanza tensione tra noi due, già dopo un paio di minuti. Eravamo abbastanza nervosi, anche se entrambi cercavamo di nasconderlo. Io non sapevo dove posare lo sguardo, mentre lui non sapeva come e dove mettere le mani.
Arrivò la cameriera a portarci il menu e se ne andò facendo un sorrisetto e salutandoci cordialmente, lasciandoci decidere.
Io tenevo il più alto possibile quel libretto di pelle pieno di cibi tipicamente italiani, e lo stesso fece lui.
Passati circa quattro minuti, avevamo già finito. Eravamo nuovamente in tensione ma, per fortuna, la cameriera ritornò subito e, prendendo i menu, ci chiese:
-Volete ordinare, signori?-
-Oh, sì, mi pare una bellissima idea. Geniale- Dicemmo in contemporanea, risultando piuttosto nervosi, ma contenti che fosse accaduto qualcosa che facesse rompere quell’ imbarazzo infernale!
Iniziò Alejandro.
-Io vorrei le lasagnette di farina di farro, con pomodori, burrata e pesto ed un quarto di rosso, grazie- Disse lui.
La cameriera scrisse tutto. Notai che gli regalò delle occhiate fugaci e sorrisetti fuori luogo, mentre lui le rispondeva sfoggiando un sorriso a trentadue denti.
-Vuole altro? Un secondo? Un dolce, forse?- Chiese lei, sorridendo. Nonostante le luci rossastre, notai comunque l’arrossamento delle gote della cameriera.
Che ha da guardare tanto, quella?
-No, grazie- Disse Alejandro sorridendole. –E tu, Heather?-
-Io vorrei la Valerianella con ricotta salata e anguria e mezzo litro di acqua naturale- Dissi non ringraziando volontariamente.
Ma la cameriera era troppo presa a guardare Alejandro al posto di prendere l’importante ordinazione di una cliente come me!
-Mi ha sentito?- Le chiesi acida.
Mi diede una fugace occhiata e poi scrisse tutto, senza nemmeno chiedermi se volessi un dolce o qualcos’altro! Io, se fossi in Alejandro, non le darei nemmeno la mancia.
Alla fine, la cameriera se ne andò, lasciandoci soli.
-Allora- Disse Alejandro, instaurando una sottospecie di conversazione, appoggiando i gomiti sul tavolo e appoggiando il mento sul dorso delle mani –Da quanto sei qui a New York?-
-Da poco tempo. Abitavo a Toronto, prima. In Canada- Risposi. –E tu?- Risposi di rimando.
-Sono nato qui, ma i miei genitori sono sudamericani- Disse Alejandro.
-Lavori?- Chiesi ancora, alzando un sopracciglio.
-No, sono iscritto all’università. Tra poco farò gli esami e troverò un lavoro- Disse.
-Io non so nemmeno se riuscirò a pagare l’affitto…- Pensai ad alta voce, senza accorgermene. Pessimo errore, Heather. Pessimo.
-Ma davvero?- Alzò un sopracciglio –Pensavo che il lavoro ti rendesse bene. Beh, comunque…- Si avvicinò di più verso il mio viso e mi sussurrò –Se vuoi puoi stare da me-
Divenni paonazza in volto.
-Scordatelo!- E così ricominciai ad essere Heather: la ragazza acida.
-Oh, dai, se vuoi… un posto c’è di fianco a me, nel mio letto matrimoniale- Disse lui ghignando maliziosamente. Io, in tutta risposta, gli lanciai una stilettata.
-Stavo scherzando. Forse- Mi rispose, dicendo quest’ultima parola più a bassa voce delle altre. Poi continuò –Se vuoi, casa mia è disponibile, comunque-
Ci pensai su. Trovare un appartamento in questo periodo a New York è fuori questione e sarei costretta a chiudere il negozio e a trasferirmi di nuovo o in un’altra città, oppure in Canada, di nuovo a casa. Sarebbe una buona idea, in un certo senso. Ma… vivere con quel demente sarebbe stato meglio che vivere con i miei? Non lo sapevo. Ma già non lo sopportavo.
Decisi di non dargli una risposta decisiva, per il momento.
-Ci penserò. Ma non farti illusioni, c’è più probabilità che io possa rifiutare- Dissi io. Ci avrei dovuto pensare a lungo sulla questione. Dopotutto l’idea di stare da lui non è che mi attirava molto… Nel frattempo, la cameriera ci porse del vino per Alejandro e dell’acqua naturale per me.
Decisi, anche se non ne sapevo il motivo, di ringraziare. Forse perché, nonostante la visibile antipatia che la donna provava per me, pur non conoscendomi, almeno l’acqua me l’aveva portata. Certo, c’era sempre la possibilità che me l’avesse avvelenata…
-Grazie- dissi freddamente, mentre la cameriera disponeva tutto sul tavolo. Mi diede fastidio il fatto che, quando mi diede l’acqua, ovviamente per seconda, non mi guardò nemmeno. Guardava Alejandro. Poi se ne andò semplicemente.
Alejandro si allontanò da me, sedendosi normalmente, e, prendendo in mano con delicatezza il bicchiere di vetro con al suo interno del vino, mi disse:
-L’importante è sapere che ci penserai- Concluse, gustandosi il liquido scuro.
Io arrossii per l’ennesima volta.
In quel momento, la cameriera tornò di nuovo portandoci i nostri favolosi piatti italiani. Erano davvero perfetti.
Finito di mangiare, dopo battutine stupide per rimorchiarmi e stilettate continue da parte mia, Alejandro decise di riprendere il discorso “Casa mia è sempre aperta per te” scrivendomi su un fazzoletto il suo numero di cellulare, in modo da poterlo contattare in qualunque momento nell’istante in cui mi sarei decisa a vivere con lui per qualche tempo. O, forse, era solo una specie di “scusa” per poter avere la speranza di tenerci in contatto?
Smettila di farti queste domande! E’ solo un idiota, non ti deve interessare. Mi rimproverai mentalmente.
Io, comunque, decisi di prenderlo.
-Non ci contare- Dissi io.
-Oh, vedremo, chica. Vedremo- Sorrise malefico. Entrambi ci alzammo, e lui, come promesso, pagò il pranzo e diede la mancia alla cameriera. Poi, io tornai al lavoro. Lui decise di andare a casa a ripassare un argomento abbastanza difficile e, dopo aver atteso per l’ennesima volta che Lindsay ritornasse, ci rimettemmo al lavoro.
Ma quel pomeriggio, per quanto mi sforzassi, non riuscii comunque a concentrarmi.

 
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Ciao di nuovo, cari lettori!
Come state? Spero bene. Mi sto divertendo molto a scrivere questa storia, soprattutto quando c’era la cameriera che flirtava con Al Hahahah. Ho cercato tanto l’ispirazione in questi mesi, ma non mi veniva in mente nulla.
Poi, ad un tratto, come per magia, mi è venuta in mente una storia particolare. Questa. 
Sono felice che vi stia piacendo e, mi raccomando, continuate a recensire!
Ora, la domanda è: Heather considererà seriamente il fatto di trasferirsi a casa sua oppure no?
Non sarà una scelta facile per lei, ma nel prossimo capitolo saprete tutto.
Alla prossima!
Baci, Ele.

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Capitolo 4
*** Inaspettatamente malvagio ***


Capitolo 4-  Inaspettatamente malvagio
 

[Alejandro’s pov]
 
Completamente assonnato e assorto nei miei pensieri, quella mattina, non mi preoccupai nemmeno di ascoltare ciò che mi stava dicendo il mio amico Trent nel corridoio della scuola. Forse perché mi stava parlando di una certa ragazza di nome Gwen, di cui era innamorato.
Mi strofinai pesantemente un occhio con l’indice della mano destra e, prima che potessi definitivamente crollare nel sonno sul pavimento della scuola, la campanella suonò.
Dio, grazie.
Andammo tutti in classe, e, come ogni volta, presi posto di fianco a Trent, che era anche mio compagno di banco.
Di solito io ero considerato uno studente modello per tutta la classe e, forse, per tutta la scuola, ma quella mattina ero troppo stanco per poter seguire attentamente le lezioni. Decisi, invece, di flirtare con alcune mie compagne di classe: Bridgette, una surfista bionda, e Courtney, una perfettina dai capelli castani. Cominciai a mandare ad entrambe occhiate sensuali, e, mentre loro ricambiavano imbarazzate, il professore mi riprese, per mia pura sfortuna.
-Burromuerto, ti dispiacerebbe concentrarti sulla lezione?- Mi rimproverò lui.
-Certo, professore- Risposi semplicemente.
Ieri ero rimasto alzato tutta la notte pensando a delle strategie su come far invaghire Heather di me. Sebbene sia una semplice ragazza, lei non voleva cedere in alcun modo alle mie lusinghe, e questa era una cosa completamente nuova per me. Solitamente io colpivo nel segno ogni qual volta decidessi di flirtare con una ragazza. Le uniche che mi potevano rifiutare erano fidanzate e completamente innamorate. Ma mai una ragazza single. E poi, parliamone, nessuna avrebbe rifiutato a venire a casa mia, anzi, avrebbero fatto i salti dalla gioia!
Nonostante, però, si sforzasse di tenermi testa e di non cedere, veniva comunque tradita dal suo corpo. Aveva modi particolari per ammettere che era imbarazzata, infatti.
Adoravo quando arrossiva, quando mi ignorava, quando mi lanciava stilettate, quando si spostava i capelli da quel suo bellissimo viso… Sveglia!
-Burromuerto, vai in bagno. Ti vedo particolarmente distratto quest’oggi. Sciacquati un po’ la faccia e poi torna qui. Su, vai- Mi disse il professore.
Stupendo! Davvero stupendo! Ora una ragazza aveva anche il potere di farmi distrarre così tanto pur essendo lontana!
Feci come mi suggerì il professore.
Uscii dall’aula e mi diressi al bagno maschile per sciacquarmi un po’ la faccia.
Le gocce mi scendevano velocemente sul viso, dopo averlo bagnato con prepotenza, sperando di eliminare dalla mia testa il pensiero di Heather.
Mi appoggiai al lavandino blu con entrambe le mani, le braccia distese e la testa abbandonata verso il basso, mentre altre gocce d’acqua tiepida mi attraversavano il naso e ricadevano verso terra, dopo aver raggiunto la punta, o mi accarezzavano le labbra dischiuse.
Sentii il mio cellulare, che mi ero dimenticato di mettere in modalità silenziosa, squillare.
Lo tirai fuori dalla tasca, abbassai il volume del tutto e notai che era un numero che non conoscevo.
Decisi comunque di rispondere.
-Pronto?-
Una voce femminile, dall’altra parte del cellulare, mi rispose.
-Uhm, ciao, Alejandro. Sono io, Heather-
Strabuzzai gli occhi. Rimasi per qualche istante in silenzio cercando di capire che cosa stesse succedendo. Quando mi ripresi, sorrisi maleficamente e cominciai a provocarla, come al solito.
-Chica! Che piacere sentirti. Che mi avevi detto a pranzo sulla questione del mio numero di cellulare? Ah, sì.- Cominciai a ridere debolmente –“Non ci contare”-
La sentii sbuffare. Era abbastanza divertente farla arrabbiare.
-Senti, non farti strane idee, chiaro? Non ti chiamo per trasferirmi a casa tua e non ti avrei chiamato se la questione non fosse stata così importante!- Disse seriamente.
Mi appoggiai al muro, interessato alle sue parole, più di quanto lo fossi per ascoltare il professore.
-Quale questione importante?- Chiesi, con una punta di preoccupazione.
-Beh, ecco, oggi sono andata al lavoro con la macchina di Lindsay, visto che la mia è dal meccanico per farla riparare, però quell’idiota non mi ha detto che non avrebbe potuto darmi un passaggio fino a casa perché a fine giornata sarebbe dovuta andare via, da qualche parte, e che non avrebbe potuto passare per la direzione di casa mia e che non poteva ritardare.- Sentii che si stava irritando. Poi, a bassa voce, disse: -Non può arrivare in ritardo per quella cosa ma per andare a lavoro sì, naturalmente!- Poi continuò dicendo: -Ed inoltre da queste parti non passa quasi mai un taxi.-
Io, che la stavo ascoltando con molta attenzione, rimasi semplicemente e stranamente impietrito. Wow…Che colpo di fortuna!
-E così tu hai pensato a me.- La provocai ancora assumendo un tono malizioso.
-Uff okay, quando hai finito di fare quello che devi fare, raggiungimi al negozio. Alle sette di sera-
-Io, chica, sono a scuola- Dissi semplicemente.
-E… ma, come hai fatto a rispondere senza farti beccare?- Mi chiese lei.
Non le avrei di certo risposto che non riuscivo a concentrarmi a causa sua, naturalmente.
-Ho notato la chiamata in silenzioso e ho chiesto di andare in bagno al professore. Come mai tanta preoccupazione per me?- Dissi io, ridendo.
-Mi dai sui nervi.- Rispose.
-Va bene, ti raggiungerò al negozio. Spero comunque di riuscire ad incontrare la tua collega, prima che vada “da qualche parte”- Le dissi io prendendola in giro.
Sentii un ringhio provenire dall’altra parte. E’ proprio innamorata.
-Crepa!- Disse e mi chiuse la chiamata in faccia.
Che caratterino. Ma cederà. Tornai velocemente in classe. Ci avevo messo anche troppo tempo per “lavarmi la faccia”, ma, fortunatamente, il professore non si accorse del mio rientro, visto che era di spalle, girato verso la lavagna, concentrato a scrivere, e, grazie al cielo, la porta era silenziosissima.
Passarono le ore scolastiche e finalmente riuscii a concentrarmi totalmente. Uscii da scuola, presi la mia macchina e decisi di raggiungere Duncan a casa sua per vedere che stava facendo.
Suonai il campanello e aspettai qualche secondo, prima che mi aprisse la porta.
-Ehi, amico, che ci fai qui?- Mi chiese.
-Oh, niente, volevo sapere che cosa avessi combinato ieri mattina, quando mi hai raccontato di quella strana discoteca aperta- Dissi io.
Lui mi fece entrare, e, all’ingresso, notai immediatamente una ragazza molto giovane, come Duncan, che indossava una sua maglietta.
Mi guardò con un’espressione malvagia in volto.
-Questo ho combinato- Disse semplicemente, alzando le spalle.
-Però, non è che conosci una qualche ragazza carina? Magari della tua classe- Disse ancora lui ghignando.
Io lo guardai con un’espressione neutra, alzando solamente un sopracciglio. In realtà mi stavo chiedendo perché, tutto d’un tratto, avesse deciso di conoscere una ragazza. Traduzione: parlarle.
O forse era solo un modo carino per dire che voleva solo portarla a letto, ma in modo più semplice, grazie al mio aiuto? Grazie alla sua spalla?
Feci spallucce. Accettai comunque, nonostante i miei tanti interrogativi.
-Va bene. Vediamo… a te piacciono le ragazze alte, castane, abbronzate e snelle, fammi indovinare- Scherzai io osservando l’ultima ragazza che si era portata a letto. Quella di fronte a me.
-Esatto- Rispose lui.
-Ho una ragazza adatta, però ha un bel caratterino- Dissi io.
-A quando le conoscenze?- Mi chiese con un ghigno.
Io risi.
-Direi… sabato mattina, fuori da scuola- Conclusi, prima di salutarlo con una pacca amichevole sulla spalla ed un abbraccio. Poi uscii e rientrai in macchina.
 

 
Aspettai circa un quarto d’ora, in attesa dell’ora di chiusura, appoggiato alla portiera della mia macchina a braccia e gambe incrociate, con lo sguardo rivolto verso destra.
Si potevano vedere Heather e Lindsay litigare animatamente, ma non si sentiva nulla.
La chica la stava fulminando negli occhi con sguardo severo, mentre Lindsay si grattava la testa non riuscendo a capire che cosa avesse fatto di sbagliato.
Finalmente il turno era finito. Le vidi uscire entrambe. Lindsay, che era uscita prima di Heather, le dava le spalle mentre camminava velocemente verso la mia direzione, ma mi aveva appena sorpassato senza notarmi, mentre Heather gridava verso di lei, mentre tentava di chiudere la porta d’ingresso senza guardarla, e cercando in contemporanea di sistemarsi in continuazione la sciarpa viola che aveva intorno al collo, visto che, a causa del vento, continuava a scivolarle via.
Nemmeno lei, in un primo momento, mi notò.
Poi sbiancò del tutto quando la salutai divertito.
-Ciao, Heather- Le dissi.
Sembrava abbastanza imbarazzata dalla figuraccia che aveva appena fatto, ma, come al solito, rispose a tono.
-Ciao, idiota. Potevi anche avvertire che eri arrivato- Mi urlò contro.
-E perdermi questa scena?- Mi avvicinai, per poter riuscire a parlare senza urlare. –Mai- Dissi io.
Un brivido le percorse il corpo, ed io lo notai. Evidentemente essere vicino a lei le suscitava un effetto strano. Perfetto.
Le sorrisi sensualmente e le offrii il mio braccio per poterla accompagnare alla macchina, da vero galantuomo, ma lei, in tutta risposta, preferì ignorarlo e proseguire da sola.
Che gran pezzo di donna, sia da davanti che da dietro, constatai, abbozzando un sorriso malizioso.
Sì, stavo guardando poco più in basso della sua schiena.
Purtroppo per me, Heather se ne accorse, girandosi di scatto e, avvicinandosi con fare sensuale, mi disse:
-Alejandro, tesoro…- Io rimasi stregato, dentro di me urlavo a squarciagola: ce l’ho fatta.
Risposi a tono, vittorioso.
-Sì?-
Si avvicinò al mio orecchio, graffiandomi leggermente il mento con l’unghia dell’indice.
-Guai a te se ci provi di nuovo a guardare il mio sedere!- Mi allontanai coprendomi l’orecchio sinistro. L’ultima parola l’aveva pronunciata urlando.
Le aprii la portiera, sussurrando un “prego”, ma anche quando lei decise nuovamente di ignorarmi e di chiudersi la portiera da sola, sorrisi lo stesso. Entrai in macchina, ci mettemmo entrambi le cinture e partimmo, diretti al suo appartamento.
 

 
Per tutta la durata del viaggio non aveva fatto altro che lamentarsi e tenersi con tutte le sue forze con entrambe le mani pallide alla portiera.
-Ma chi ti ha dato la patente? Vuoi smetterla di fare le curve così larghe? E vai più piano!-
Roteai gli occhi, stufo di tutte le sue lamentele sulla mia guida.
-Sei tu che probabilmente in macchina vai lenta come una lumaca, chica!- Dissi con rabbia.
-Io?! Non credere che io guidi “male” come quelle donne che non sanno nemmeno come si usa il freno a mano!- Strillò lei, aggrappandosi ancora di più alla portiera.
-Rallenta!- Disse ancora.
Ci stavamo avvicinando ad un semaforo che stava diventando rosso e mi aveva detto di rallentare trecento metri prima! Santo cielo!
Ero stufo di sentirla insultarmi, così frenai improvvisamente appena mi avvicinai al semaforo, che era ormai diventato rosso, facendola sbattere contro la cintura in avanti, in modo abbastanza violento e inaspettato. Sospirai.
-Ma sei pazzo?!- Disse lei.
-Heather, io guido perfettamente, mettitelo in testa!- Odiavo essere accusato ingiustamente di guidare male.
-Oh, certo, come no- Disse lei, roteando gli occhi.
-Se sai guidare meglio tu, allora dimostramelo la prossima volta- Le risposi io prendendola in giro e lanciandole uno sguardo di sfida.
Lei non rispose.
-Allora? Devo pensare che tu abbia paura?- La schernii io.
Lei mi guardò male e rispose.
-Va bene, accetto!-
Detto questo, ripartii soddisfatto appena notai che il semaforo era diventato verde. Volli fare un esperimento, prima di fare l’ultimo tratto di strada per arrivare a casa sua. Ghignai guardando la strada, mentre lei, che mi stava guardando, assunse un’espressione preoccupata. E ne aveva tutte le ragioni.
Raggiunsi l’ultima curva pericolosa e aumentai leggermente la velocità, girando a sinistra e facendo in modo che lei mi arrivasse addosso. Sorrisi maliziosamente. Mi era praticamente appiccicata e, per quanto si sforzasse di allontanarsi, non ci riusciva.
-Idiota- sussurrò lei.
Finalmente arrivammo, grazie alle sue non sempre chiare indicazioni.
-Okay, sono arrivata. Fammi scendere ora- Mi disse lei in tono glaciale.
-A-ah. E, dimmi, dove sarebbe la tua casa?- Chiesi guardandomi intorno un paio di volte, non notando alcun edificio nei dintorni, tranne alcuni, che si trovavano circa quattrocento metri più avanti.
-Appunto- Sussurrò.
Ah, ho capito dove vuoi andare a parare. Pensai, ghignando, avendo intuito la sua intenzione.
-Perché hai voluto che ti facessi scendere prima rispetto a dove si trova il tuo appartamento?- Le chiesi, sapendo già la risposta. Ma volevo che me la dicesse lei.
Lei sbuffò, scendendo velocemente dalla macchina.
-Perché non voglio che tu sappia dove abito esattamente.- Rispose, capendo che avevo già intuito tutto.
-E non ti è mai venuta in mente l’idea, per esempio, che io possa seguirti con la macchina per scoprirlo?- Chiesi, malefico. Avevo vinto un’altra volta.
Lei boccheggiò. Evidentemente non ci aveva pensato.
1 a 0 per me.
-Crepa, lombrico- Disse, per poi incamminarsi verso casa.
-Mi accontenterò di averti accompagnata, allora- Dissi io sorridendo maliziosamente. Scesi dalla macchina, la raggiunsi, e, dandole un bacio sulla guancia, tornai velocemente in macchina, facendo retromarcia e tornando a casa mia, lasciandola arrossire da sola.
Non sapevo perché lo avessi fatto, mi venne istintivo. Ma era stata davvero una bella mossa.
Parcheggiai ad un paio di isolati più in là, quasi vicino a casa mia.
Presi il cellulare, digitai un numero particolare e chiamai.
-Pronto?-
-Ciao papà, sono Alejandro. Il nostro piano sta funzionando-
 
 
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Ciao di nuovo! Com’è?
Eccomi con l’ennesimo, noioso, capitoloooo, yeeeee
Bene, bene, bene... ma che ho fatto succedere, qui? (traduzione: ma cosa sta succedendo, qui? xD) Alejandro ha un piano col padre. Quale piano stanno architettando? E in che modo c’entra la nostra Heather? 
Lo scoprirete, ovviamente ^^
Ora le cose si faranno più interessanti, a partire dai prossimi capitoli. O, almeno, lo spero!
Mi dispiace molto di non aver fatto in modo che quei due cattivoni non vivessero insieme, ma, credetemi, non mi venivano idee. Per niente. In un primo momento ho scritto la storia cercando di farli vivere a casa di Alejandro, però questa cosa stonava molto con le idee che avevo in mente per i prossimi capitoli.
Comunque sia, non vi preoccupate. Cercherò di rimediare :D
Spero che vi sia comunque piaciuto e... beh, alla prossima!
Ciao, Ele.

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Capitolo 5
*** Il primo passo per il successo ***


Capitolo 5- Il primo passo per il successo
 
[Heather’s pov]
 

Quella mattina, sabato, mi recai al lavoro più presto del solito. Avevo bisogno di pensare ad un modo intelligente e produttivo per alzare le vendite del mio negozio.
Cominciai a cercare su internet, ma non trovai altro che risultati assolutamente inutili e diversi da ciò che io stavo cercando.
Cercai tra le immagini, tra i vari siti che mi proponeva, ma nulla.
Non capivo come fosse possibile una cosa del genere.
Mi misi una mano sopra la bocca, chiusa a pugno, e pensai. Pensai e ripensai. Poi mi chiesi: Qual è la migliore maniera di fare pubblicità al mio negozio?
Sentii improvvisamente bussare insistentemente alla vetrina chiusa a chiave. Diedi un’occhiata veloce e notai una persona che voleva probabilmente entrare.
-E’ ancora chiuso- Urlai io, senza staccare gli occhi dallo schermo del computer e cliccando nervosamente qualunque risultato.
Stesi il braccio sinistro, appoggiato al bancone bianco, dove vi era la cassa. Cercavo continuamente, anche cambiando varie volte la stesura della frase in modo da poter trovare altri risultati. Nulla.
Nulla!
Un altro rumore improvviso mi fece sobbalzare. La persona che voleva entrare aveva dato un ultimo, improvviso ed inaspettato colpo alla vetrina.
-Ma la vuole finire?! Ho detto che è chiuso! Se non la smette la mando via a calci!- Dissi con sguardo incendiario, ma mi bloccai, quando alzai gli occhi.
Era ancora qui? E a quest’ora?
Chiusi il computer, lasciandolo momentaneamente in standby e lanciai uno sguardo di fuoco al ragazzo poco fuori dal mio negozio: Alejandro.
Sempre lui.
Con i gesti gli feci capire che se ne doveva andare, perché non gli avrei aperto mai. Non volevo rimanere sola con lui anche quel giorno!
Ed in quel momento, tra le innumerevoli bussate di Alejandro, mi chiesi perché si comportasse così con me, fin dal nostro primo incontro, qui dentro. Perché lo faceva? Perché aveva deciso, tutto d’un tratto, di importunarmi in continuazione e di provarci con me? Non poteva comportarsi come tutti i normali clienti e, una volta ottenuto un indumento, non tornare mai più, o, al massimo, un paio di volte?
Forse non lo avrei mai saputo e di chiederglielo non se ne parlava proprio!
Mentre stavo riflettendo su tutte queste domande che mi ero posta, Alejandro continuava ad infastidirmi da fuori.
Ringhiai, stufa. A quel punto decisi di farlo entrare, anche se me ne sarei pentita presto. Infatti non avrebbe fatto altro che punzecchiarmi, flirtare, infastidirmi e arrabbiare. A pensarci bene, a confronto, il fatto di infastidirmi solo tramite qualche bussata alla mia vetrina era molto più sopportabile rispetto alla questione di aprirgli la porta e di sorbirmi le sue chiacchiere.
Ma è comunque un rumore odioso! Pensai.
Gli aprii la porta con uno scatto, intenta a farlo entrare, ma non prima di avergli inveito contro, ovviamente.
-Che vuoi?! Sono solo le sette e un quarto. Se vuoi comprarti qualcosa, vieni ad un orario più ragionevole, chiaro?!- Dissi io puntandogli il mio dito contro il suo petto. Anche se il semplice contatto mi fece arrossire, però, io continuai.
-Sei insopportabile, idiota, stupido e fastidioso! Allora, che vuoi?- Dissi io, incrociando le braccia.
-Come siamo acide stamattina, chica. Vorrei saperne il motivo- Mi disse lui, semplicemente, con quel suo solito sorrisetto provocatorio.
-Sei tu il motivo- Risposi io. Rimasi comunque davanti all’ingresso, fortemente contraria al fatto di farlo passare.
Lui, però, se ne accorse, e, spostandomi dolcemente più a sinistra con una leggera pressione della mano sinistra sulla vita, si fece strada da solo ed entrò all’interno.
Io rabbrividii a quel tocco e, quasi sicuramente, lui lo notò.
-Se ti faccio questo effetto solamente con un tocco leggero…- Mi prese per la vita, possessivo, e, con una spinta decisiva, mi strinse al suo petto. Sentii il mio cuore andare ad una velocità maggiore. E, la cosa peggiore, era che adesso lo poteva sentire anche lui.
-…Cosa succederebbe se ti stringessi così?- Concluse lui, sussurrando sensualmente al mio orecchio.
Decisi di giocare una delle mie carte in questa partita così assurda.
Lo guardai seducente, vogliosa di lui. Gli accarezzai la guancia e gli graffiai leggermente il petto, lasciato scoperto dalla sua solita maglia rossa che aveva comprato da me, con una delle mie unghie ben affilate, andando dall’alto verso al basso e ritornando, poi, dal basso verso l’alto.
Lui mi guardava maliziosamente.
Che stupido, pensai io.
Lo avrei illuso per un paio di minuti, per poi scaricarlo, magari anche fuori dal negozio…
Decisi di appoggiare il palmo di una mano sui suoi pettorali, sforzandomi di non arrossire, cosa del tutto impossibile. Scesi sempre più verso il basso… sempre di più, fino a voler raggiungere l’ombelico. O, almeno, quella era la mia intenzione.
Mi fermai inaspettatamente più in alto, sugli addominali scolpiti, guardandoli incantata.
Dio, non ero preparata a questa cosa…!
Vedendomi completamente assente, Alejandro ne approfittò per stregarmi ancora di più.
Mi prese il mento tra due dita, mi avvicinò a sé. Ero a portata di bacio. Non riuscivo a staccarmi, a fuggire o solo ad allontanarmi un po’. Con la mano ancora sui suoi addominali, rossa come un pomodoro e con gli occhi completamente assorti in quel verde, era praticamente impossibile per me distanziarmi o interrompere in qualche modo quel contatto, quegli sguardi.
-Heather! Sono qui, apri!- Urlò una voce femminile. Fu un attimo. Interruppi subito tutto ciò che stavamo facendo e che stavamo per fare e ritornai alla realtà. Con un rapido spintone, allontanai Alejandro, che si staccò da me.
-Non provarci mai più!- Gli urlai io, dimenticandomi stupidamente della presenza di Lindsay, la persona che mai mi sarei aspettata di ringraziare… mentalmente. Però, comunque, mi ricordavo di aver lasciato la porta aperta, prima… Oh, certo. C’è lo zampino di Alejandro. L’avrà sicuramente chiusa a chiave senza che io me ne accorgessi.
Alejandro si mise a ridere. Che c’era di divertente?!
-Io? Hai fatto tutto tu, querida- Disse lui.
-Ti stavo solo illudendo, chiaro? Tu non mi interessi-
-E si vede come mi stavi illudendo- Disse lui, ridendo debolmente. –Mi stavi letteralmente appiccicata e, a quanto vedevo, eri piuttosto presa da me-
-Sei tu che non mi lasci in pace!-
-Ehiiii Heather?- A parlare fu Lindsay.
Oh, giusto. Dissi fra me e me, raggiungendo la porta d’ingresso e aprendole la porta.
Lei entrò, mentre fissava Alejandro con occhi sognanti. Probabilmente non aveva visto la scena di qualche secondo fa quando eravamo vicini… troppo vicini.
Ma, comunque, molto probabilmente si stava chiedendo lo stesso il motivo per cui Alejandro si trovasse con me, dentro al mio negozio, prima dell’ora di apertura.
Sarebbe stato difficile trovare una scusa.
-Cosa ci fa qui Alejandro?- Eccola. La domanda per cui non ho una scusa. O non ancora, almeno.
Mi guardava dubbiosa, con quella sottile espressione da tonta, che, nonostante un momento come questo, non spariva mai.
Poi, l’illuminazione.
-Alejandro era passato qui prima dell’apertura del negozio, ieri gli avevo detto che sarei venuta qui presto, e lui mi aveva chiesto se poteva passare oggi velocemente a ritirare una maglietta che gli avevo tenuto da parte.- Dissi soddisfatta, pronunciando quelle parole come se fossero la cosa più preziosa e vera di tutto l’universo. Come se non fosse una bugia perfetta inventata al momento.
Il castano mi guardava con una faccia meravigliata e compiaciuta. Poi mi sorrise, stupefatto.
Lo guardai e gli sorrisi di rimando.
E, d’altro canto, Lindsay parve credere alla mia perfetta bugia.
-Oh, capisco- Disse, poi si avvicinò ad Alejandro, che le sorrise seducente, come al solito.
Li guardai attentamente, poi, lui mi inviò un debole sguardo, girai la testa dall’altra parte, fissando con poco interesse i camerini.
-E tu, Alejandro, non puoi rimanere ancora qui?- Chiese lei.
-Oh, beh…- Ma no, ho appena detto che doveva ritirare velocemente una maglietta che gli avevo tenuto da parte. Non può rimanere! –Certo che posso- Disse lui.
-Per te posso- Disse ancora assumendo un tono rimorchiatore.
Patetici. Roteai gli occhi e andai verso i camerini per togliere diversi appendini lasciati attaccati ai ganci con l’intento di rimetterli ad alcuni indumenti femminili sparsi per terra, spiegazzati.
Raccolsi l’ultimo appendino e aprii di scatto la tenda viola del camerino dove mi trovavo  per poter uscire.
-Serve aiuto?-
Sobbalzai dallo spavento per la seconda volta nella giornata, sempre a causa di Alejandro che, questa volta, si era appoggiato con un braccio al lato del camerino dove mi trovavo io, all’esterno.
-La vuoi smettere di farmi spaventare?- Dissi io arrogante mentre raccoglievo da terra alcune magliette e pantaloni per poi sistemarli, cercando di far sparire alcune pieghe allungando un po’ i tessuti, e rimettendogli gli appendini.
Notai con disgusto e per l’ennesima volta che l’idiota stava fissando il mio sedere.
-Però… che bel…- Mi alzai, girandomi velocemente, e gli inviai uno sguardo truce.
-… modo di piegare gli indumenti.- Disse lui, cambiando la frase. –Vorrà dire che non verrò più qui, visto il modo in cui vengono piegate- Disse ancora guardandosi in giro e raggiungendo alcune magliette da uomo, che personalmente trovavo bellissime, osservandole, mentre io esultavo dalla gioia di quell’unica frase sensata uscita dalle sue labbra che non ho mai baciato.
-Però…- Sussurrò, mentre mi stavo dirigendo allo scomparto femminile con gli indumenti di prima in mano. Quando gli fui abbastanza vicino, lui continuò.
-dopotutto questo negozio ha delle belle cose- Disse lui, rivolgendomi un sorriso provocatorio.
Io, semplicemente, lo ignorai, girai i tacchi e ritornai a fare ciò che dovevo fare.
L’idea che si sarebbe, un giorno, tolto finalmente dai piedi, adesso sembrava così lontana…
Sentii la campanella suonare. Un cliente? Così presto?
Guardai nella direzione della porta d’entrata e, sentendo il respiro irregolare e la gola improvvisamente secca, boccheggiai.
Si guardava intorno, quel cliente così speciale, gustandosi con gli occhi ogni particolare della struttura del mio negozio. Sembrava davvero piacergli!
Nel momento in cui mi vide, mi sorrise dolcemente. Mi sentii sciogliermi completamente.
Anche Lindsay ed Alejandro, sia l’una che l’altro con due espressioni differenti, stavano guardando con attenzione, come me, quel cliente.
Decisi di prendere in mano la situazione: mi avvicinai nervosa e lo accolsi in un modo totalmente discostato dalla mia vera personalità. Lo accolsi in un modo gentile e con un comportamento degno di una vera fan, perché, sì, lui era famoso.
-T-tu…- Schiarii la voce, che era risultata tremante, per poi continuare, cercando di sembrare più serena. –Tu sei Hayden Gray? L’attore e modello americano?- Chiesi, con il cuore che mi batteva velocemente. Fin da piccola vedevo i bellissimi film in cui lui recitava come protagonista o antagonista. Ne ero completamente innamorata. Era così sexy, poi! Inoltre sognavo di vedere almeno una delle sue sfilate di moda, visto che, dopotutto, il mio sogno era anche quello di diventare una modella.
Era, in poche parole, un mito a tutti gli effetti per me. Ed era… nel mio negozio!
-Sì, sono io- Rispose donandomi un sorriso bellissimo, che conserverò per sempre. A quel punto, un’idea mi fulminò la mente. Feci qualche “calcolo”.
Se un attore e modello è venuto nel mio negozio per comprare qualcosa, questa potrebbe essere un’occasione perfetta per farmi pubblicità regalandogli alcuni vestiti e sperando che moltissime persone seguano il suo esempio in fatto di moda, venendo poi qui a comprare!
Mi sentivo la più fortunata e felice sulla faccia della terra.
-E’ un piacere conoscerla, sono una sua grande fan- Dissi, porgendogli la mano. –Heather. Heather Wilson-
Appena pronunciai il mio nome completo, notai, con la coda dell’occhio, che Alejandro aveva appena assunto un’espressione crudele. Sarà geloso.
E poi, mi strinse la mano, guardandomi con quei suoi occhi limpidi.
 

 
La mattinata fu molto fortunata per me: Alejandro fu costretto ad andarsene per andare a scuola, Lindsay non fiatò e, con la presenza di Hayden, che attirò molta attenzione, file e file di clienti entrarono nel mio negozio ed uscirono tutte quante con vestiti di tutti i tipi.
Per quanto riguarda Hayden, gli diedi una mano, senza Lindsay, a scegliere uno smoking molto elegante per un’occasione forse altrettanto elegante. Lo trovò.
-Bene, Heather. Quanto ti devo?- Disse lui prendendo il portafogli dalla tasca dei suoi jeans.
Scossi la testa.
-Assolutamente nulla. E’ gratis- Dissi sorridendo.
Anche lui scosse la testa, a sua volta.
-Non lo prenderò gratis- Disse, testardo, appoggiandomi sul bancone settanta dollari. Non voleva neppure il resto!
-Dopotutto, non sono diverso da tutti gli altri clienti che vengono in questo bellissimo negozio- Concluse ancora.
Rimasi incantata, semplicemente.
-Ci vediamo in giro, Heather. Ciao!- Mi salutò ed uscì soddisfatto dal negozio.
Ditemi che non è un sogno… Pensai sospirando come una bambina.

 
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Ciaoooo cari amici miei!
Eccomi qui con il nuovo, attesissimo, capitolo!
Mi spiace farvi attendere ancora per scoprire qual è il piano segreto di Alejandro, però così rendo le cose più… heheheh… più belle e piacevoli da leggere ^^
Dopotutto, questa è una parte secondaria che c’entra con il piano di Alejandro, anche se dovrete ancora capire in che modo c’entra.
Lo capirete, lo capirete.
Beh, che dire, spero che vi sia piaciuto il capitolo perché a me, sì, è piaciuto tanto!
Ah e per la precisione, il personaggio di Hayden Gray è inventato.
Forse, comunque, avreste voluto altre parti AxH scommetto, nella storia. Ma di quelle ce ne saranno in abbondanza nei prossimi capitoli.
Comunque volevo chiedervi una cosa: per caso voi volete delle parti precise da inserire nella storia? Per esempio… non so, una scena dove loro due fanno una particolare cosa insieme. Se volete potete dirlo nelle recensioni ed io valuterò se metterla oppure no nella storia.
Allora alla prossima!
Ciao, Ele.

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Capitolo 6
*** Corteggiamento fuori programma ***


Capitolo 6- Corteggiamento fuori programma
 
[Alejandro’s pov]
 

Erano le nove e un quarto di una soleggiata domenica d’autunno.
Era una giornata particolarmente afosa, quella. Continuavo a sventolarmi sul viso un ventaglio nero e blu scuro, facendo muovere grandi quantità d’aria calda sulla faccia.
Nonostante il fatto che stessi sudando molto, tanto che mi cadevano sulla camicia beige numerose goccioline, decisi di appoggiare sul tavolino di vetro di fronte a me il ventaglio e, dopo essermi seduto all’estremità del mio divano color prugna a due posti, mettermi a pensare.
Solo ieri era successa la cosa che sia a me che a mio padre più spaventava: la presenza di un attore molto famoso nel suo negozio.
Oh, e non dimentichiamoci che era anche un modello americano! Pensai fra me e me, ripensando all’interesse di Heather nel precisare che fosse anche un modello.
-Non va proprio bene questa situazione…- Sussurrai, rivolto a me stesso.
Appoggiai il mento sulle mani e ripensai alle parole di mio padre, quando, poche ore prima, mi aveva chiamato, dopo aver saputo da me quel che era successo nel negozio.
Mi aveva detto che, sì, in effetti quello era risultato un bel problema, che effettivamente avrebbe potuto intralciare i nostri piani per far fallire miseramente l’ennesimo negozio di vestiti che apriva a New York una principiante, totalmente inesperta sul mestiere.
In effetti qualche volta mi chiedevo perché mio padre facesse questo sporco giochetto da ormai dieci anni, ma non importava. Era l’unico modo per poter stare vicino a mio padre e dimostrargli che sono migliore di mio fratello: Josè.
Per anni abbiamo avuto battibecchi, ma lui, essendo il più forte ed il più grande, anche più grande di Carlos, l’altro nostro fratello, aveva sempre avuto la meglio su di me, attirando l’attenzione di nostro padre.
Ma questa volta mi sarei riscattato.
Sarei partito proprio col far fallire un negozio: quello di Heather, che, purtroppo per lei, aveva appena aperto.
Quando mio padre è venuto a saperlo, piuttosto in fretta, anche, mi ha detto di andare lì e sedurla in tutti i modi possibili, in modo di far sì che si distraesse sul lavoro e, a poco a poco, i clienti, poi, sarebbero magicamente scomparsi, senza nemmeno lasciarle il tempo di accorgersene.
Era la prima volta che lo aiutavo.
Ma, ora come ora, con l’arrivo di quella stupida celebrità, sarebbe stato molto più difficile. Avrei dovuto impegnarmi di più, adesso, e, forse, se avesse ottenuto un buon successo a causa di quel… Grey, avrei dovuto puntare più in alto, giocare più sporco. E l’unico modo sarebbe stato sfruttare il negozio di vestiti di mia madre, facendo concorrenza.
Il piano mio e di mio padre funzionerà. Lei cederà. Si innamorerà di me. Ed io la bacerò.
-No! Okay, basta pensare- Dissi eliminando l’ultimo pensiero che si impossessò della mia mente.
Pensai e mi convinsi che per quella domenica avrei potuto prendermi una pausa sia dalla scuola universitaria che da Heather.
Dopotutto, lei non lavorava di domenica.
Optai per dirigermi alla più vicina piscina al chiuso per fare una bella nuotata, quindi accesi la macchina e partii.
Giunsi lì dopo pochi minuti buoni.
Mi diressi allo spogliatoio maschile: non c’era nessuno. Beh, meglio così.
Mi cambiai velocemente e mi misi il costume nero che indossavo ogni volta.
Stavo camminando con cautela sul pavimento di fianco alla piscina, visto che non avevo portato le ciabatte ed ero a piedi scalzi, per paura di scivolare.
Ho scelto il momento migliore della settimana per fare una nuotata, a quanto pare.
Notai che quel giorno, di mattina, si stavano svolgendo diversi corsi femminili e maschili per imparare a nuotare, o, semplicemente, solo per migliorare.
La maggior parte degli spazi tra le corsie di quell’acqua clorata erano occupate, per fortuna, da giovani, bellissime, ed atletiche donne, con un corpo da urlo, ma alcune erano libere.
Optai, naturalmente, per uno di quelli liberi, dove una donna si stava allenando, solitariamente, a migliorare la propria tecnica per poter riuscire a nuotare il più velocemente possibile.
Mi stupì la sua determinazione ed il suo allenamento forzato, a quanto pareva, a causa della tensione del suo corpo.
La osservai per un po’ mentre faceva le vasche, senza che si accorgesse della mia presenza in acqua, lì con lei, visto che aveva sempre e costantemente gli occhi serrati, per non permette a quell’acqua di bruciarglieli, a causa dell’assenza degli occhialini.
Fece numerose vasche, in due minuti ne contai forse una decina complete, non fermandosi mai, nemmeno per respirare mentre nuotava a stile libero. L’aria, infatti, le riempiva i polmoni solamente quando alzava la testa assieme al braccio, sempre mentre completava quelle lunghe vasche.
Dopo averne fatte altre cinque, arrivata in fondo, lontana da me, decise di riprendere fiato per qualche secondo, per poi ripartire nuotando a stile dorso.
Incrociai le braccia, estremamente concentrato su quella donna. Nello stile libero non se la cavava per nulla male, anzi, quasi quasi avrebbe potuto battermi o, almeno, tenermi testa per un po’, se l’avessi sfidata.
Il vero problema, evidentemente, era lo stile a dorso.
Più difficile dello stile libero, lo dovevo ammettere, ma stava nuotando malissimo in quella maniera.
Sembrava una principiante: non stendeva abbastanza l’addome verso l’alto e questo la faceva rallentare, a causa di quel suo movimento da anatra con le braccia per darsi la spinta, l’acqua le si ribellava, catturandole la faccia e facendola tossire ogni cinque secondi, per poi costringersi a fermarsi e ripartire solo dopo averla espulsa del tutto dalla sua gola, che, sicuramente, bruciava.
Decise di arrendersi, togliendosi la cuffia azzurra e blu e lanciandola vicino a lei con prepotenza, schizzandosi da sola.
Capelli corvini? Cosa mi ricordavano quei capelli? O meglio, chi?
Ma la risposa la conoscevo già: Heather. E’ solo che non riuscivo a capire se fosse davvero lei o una ragazza normale che le somigliasse.
Si appoggiò malamente ad una delle due corsie galleggianti per riprendere fiato, con entrambe le braccia, chiudendo gli occhi, così rossi che per un’altra persona che non l’avesse vista nei precedenti minuti,  avrebbe detto che avesse pianto.
Mi avvicinai per poter accertarmi della reale presenza di Heather nella mia stessa vasca.
-Ciao, Heather.- La salutai, contento di averla smascherata, irriconoscibile con quell’insulsa cuffia azzurra e blu che proprio non le donava, nascondendole i capelli corvini così setosi e bellissimi…
Zitto. Mi rimproverai mentalmente.
Lei ebbe un tuffo al cuore e sobbalzò, quando, dopo aver aperto gli occhi e averli sbattuti più volte a causa della vista leggermente ridotta dall’acqua clorata.
Si strinse il reggiseno al petto, timorosa di riuscire a toglierglielo, forse, o, cosa più comprensibile, per coprirsi a causa della mia presenza.
Risi di lei.
-Alejandro?- Mi urlò lei. –Ch-che ci fai qui? Ma che fai, mi segui?- Mi interrogò.
Io strinsi le spalle e risposi con finta nonchalance.
-Volevo solo farmi una nuotata, ed ora mi complimento con me stesso per la mia ottima scelta- Le risposi gongolando.
Le roteò gli occhi. Possibile che qualunque cosa dicessi, lei tentasse di mostrarsi forte e di schernirmi, come suo solito?
Ora come ora, comunque, avrei potuto andarmene, nuotare in un’altra vasca o insieme a lei, nella stessa, senza dirle più una parola. In fondo, non era orario di lavoro. Non avrebbe avuto l’effetto che io e mio padre speravamo, ovvero quella di farla distrarre mentre lavorava.
Ma che bisogno c’è di fermarsi? Mi chiesi mentalmente.
Non importava, sarebbe stato molto più divertente, ora che era fuori orario di lavoro. Volevo semplicemente vederla diventare paonazza, imbarazzata, imbambolata, esterrefatta e bagnata, forse più di quanto già non fosse.
Mi spiego? Chiesi stupidamente a me stesso, come se avessi un intero pubblico a seguire i fili illogici dei miei pensieri. Certo che mi spiegavo!
-Che vuoi?- Mi chiese acida.
Sviai l’argomento.
-Sai, dovresti alzare di più l’addome quando nuoti a stile dorso-
Lei sgranò gli occhi grigi e sbatté le palpebre una volta di più, sperando di riuscire a capire che cosa le avessi appena detto. Che poi, comunque, non avevo detto nulla di sbagliato.
-T-tu mi hai osservata per tutto questo tempo?- Mi accusò, quasi strillando.
-E-e…- Balbettò, tentando di continuare a parlare. Le sue gote si tinsero di rosso. Forse non sapeva se dire ciò che mi voleva dire oppure starsene semplicemente zitta o, ancora, cambiando discorso.
Optò, per mia fortuna, per la prima opzione.
-E mi hai vista che mi… sistemavo il costume?- Feci un’espressione assente: non riuscivo a capire che cosa intendesse con quella frase.
-Spiegati meglio- La invitai sensuale. Ovviamente capii al volo che il suo corpo c’entrava qualcosa.
-No!- Mi rispose urlandomi nelle orecchie, testarda a non voler continuare.
Decisi di improvvisare, facendo finta di aver visto realmente quella scena.
Non me la sarei mai persa, naturalmente, ma, forse, non l’avevo notata a causa del fatto che si trovasse dalla parte opposta, quando si era riposata prima di iniziare a nuotare a dorso.
-Oh, vuoi dire la parte che ho preferito in questa nuotata oltre all’eccitante visione del tuo sedere che si muoveva, mentre nuotavi a stile libero? Sai, non ho potuto fare a meno di notare nemmeno quello, visto che ogni volta che iniziavi nuovamente a fare una vasca, ce lo avevo praticamente in faccia. E dire che tu, mia cara Heather, sempre così attenta e vigile, non ti eri nemmeno accorta della mia presenza da… diciamo quindici minuti buoni?-
In un minuto, con quella frase così lunga e articolata, avevo messo con le spalle al muro la mia cara e dolce Heather, che, d’altro canto, stava boccheggiando, cercando di trovare le parole giuste, parole che, una volta pronunciate, non avrebbero fatto altro che peggiorare la situazione, ne ero sicuro. Non riusciva mai a trovarne di giuste quando parlava con me.
-Mi hai guardata per tutto questo tempo?! E mi hai pure visto mentre mi sistemavo il reggiseno del mio costume?! Che ti è saltato in mente?!- Mi urlò contro lei.
Davvero pessime le sue scelte di “parole adatte”.
Ghignai immaginandomi la scena che mi ero perso. Se fossi stato dall’altra parte avrei potuto vederla realmente.
-Ti sta piccolo? Se vuoi te lo allargo.- Dissi.
Lei si mise immediatamente sulla difensiva, stringendosi ancora di più il reggiseno, sperando che in questo modo si sarebbe letteralmente incollato alla sua pelle; in questo modo non avrebbe avuto veramente più problemi: io non glielo avrei dovuto togl- ehm, stringere e lei non avrebbe dovuto continuamente controllarselo e rimetterselo a posto ad ogni mezza vasca che eseguiva.
-Metti a posto le mani!- Mi urlò lei, spingendomi via.
-Coraggio, chica, te lo metto solo a posto. Nient’altro- Le dissi.
Sembrava credermi, sebbene fosse comunque un po’ riluttante anche solo a pensare di poter credere a me.
Senza risposta, si girò. Facendomi avere pieno accesso al suo reggiseno, aggiunsi mentalmente.
Si scostò i lunghi capelli bagnati e lasciò che la toccassi, che le mettessi a posto quel suo bel costumino.
Oh, glielo avrei messo a posto molto bene.
Avvicinai cautamente le mie mani verso la sua schiena, come se avessi paura di scalfirla ingenuamente.
Ci ripensai su ciò che avrei voluto fare al posto di stringerle il costume e decisi di metterglielo a posto e nient’altro.
Iniziai semplicemente con lo stringerle le spalline, ma a contatto con quello, e con la sua schiena quasi del tutto nuda, mi lasciai prendere la mano.
Senza accorgermi di ciò che stessi facendo, con gli occhi che riuscivano solamente ad osservare, senza ben riuscire a capire nulla, seguii semplicemente i miei istinti, purtroppo per lei.
Mi ritrovai a sfilarle le spalline, già molto larghe, sperando di non farle capire che cosa stessi combinando, ma alla fine non resistetti: le accarezzai la schiena con il dorso della mano, così leggermente da sembrare un tocco fantasma. Notai che questa si ritrasse velocemente, percorsa da un brivido.
Ghignai soddisfatto. Le facevo provare di tutto.
Poi, agii come un ladro: le sfilai delicatamente il costume, lasciandola nuda per la parte superiore del corpo, mentre, con sguardo malizioso, tenevo il centro del costume nella bocca, provocatorio.
Si girò di scatto, mettendosi velocemente le braccia al petto, coprendo la visuale, vedendo probabilmente un pezzo di reggiseno che scivolava via, invece di stringersi intorno alla sua pelle.
-Sei proprio un idiota! Ridammelo!- Arrossì così tanto da fare da contrasto con il resto del suo costume che si intravedeva nell’acqua.
Si liberò una mano, stando attenta a coprire il tutto con l’altra, e tentò di allungarla e prendere la parte superiore del costume.
Io, invece, che lo tenevo ancora in bocca, sempre più provocante, mi ritraevo piegando la testa leggermente all’indietro o di lato, non permettendole di prenderlo.
Ci riprovò. Ci riprovò svariate volte, sempre più tremenda, sempre più arrabbiata.
E questo mi piaceva. Più si arrabbiava e più mi veniva vicino. Evidentemente doveva essere letteralmente furiosa in quel momento, visto che era ad un millimetro dalle mie labbra.
Era quasi il momento perfetto per baciarla, per assaporare il suo profumo inebriante che, ne ero sicuro, avrei ritrovato comunque, nonostante la nauseante puzza di cloro.
Avrei dovuto solo allungare le labbra di un soffio, baciarla senza tanti preavvisi… Peccato che avessi il suo reggiseno proprio tra di loro.
Idiota.
Allentai la presa, le lasciai campo libero. Non mi andava più di giocare in questo modo.
Lei lo prese, vittoriosa, esultando e alzando la mano libera con il suo “trofeo” e sorridendo, contentissima.
Ed in quel momento, mi allungai verso di lei, la baciai improvvisamente, sempre più convinto di aver fatto la scelta migliore.
La vidi in un primo momento abbassare leggermente e cautamente il braccio, quando, poi, chiusi gli occhi, senza vedere più niente.
Fu un bacio, inizialmente, molto romantico. Con movenze leggere e semplici, da parte mia.
Ma quello che più mi sorprese, fu che, poi, lei cominciò a renderlo sempre più passionale, sempre più ricambiato, con trasporto, con desiderio.
No, non mi andava più di giocare in quel modo, prima… Perché avevo solo voglia di un bacio. Un bacio che mi sarebbe potuto bastare, anche se fosse stato solo a stampo, ma più continuavamo, più avevo, o meglio, avevamo, pensai con un ghigno, voglia di continuare.
Dischiusi le labbra, cosa che fece anche lei, per poi infiltrarmi nella sua bocca rosea, aggiungendo la lingua. Fu praticamente una danza tra le due che si scontravano. Un qualcosa di fantastico, sembrava che danzassero in eterno.
E mi ritrovai inaspettatamente a sperarlo.
Ma perché mi faceva un tale effetto baciare una ragazza?
No, riformuliamo la frase… Perché mi faceva un tale effetto baciare lei?
Sentii il sapore delle sue labbra che stava riaffiorando tra il sapore del cloro della piscina, al quale non feci nemmeno molto caso, visto che mi stavo concentrando a far risalire il loro vero sapore per poi toglierglielo nuovamente per assaggiarlo.
Continuavo a baciarla con passione, a torturarle insistentemente il labbro inferiore, mordendoglielo, a continuare a scavare con la lingua in quelle labbra per far fuori uscire tutto il loro sapore, il migliore del mondo.
E lì, inoltre, mi ritrovai nuovamente a sperare anche che avrei potuto assaggiarne ancora, e ancora, e ancora…
Questo desiderio, l’unico del momento, sembrava stesse per realizzarsi.
Ci baciammo per alcuni minuti, che a me parvero sembrare ore, giorni, mesi… ed anni.
Lei si staccò per riprendere fiato ed io gliene diedi il tempo.
Ero già pronto a rifondarmi come un forsennato su quella bocca, ma fu lei che non me ne diede il tempo, questa volta.
-Al…- Mi disse, abbassando gli occhi.
Rabbrividii a sentirmi usare quel nomignolo, usato da mio fratello maggiore per prendermi in giro, o quando doveva riferirmi una decisione spiacevole, che a lui non poteva fare altro che giovare, dei miei genitori su di me, quando facevo qualcosa di sbagliato, o anche quando venivo incastrato, quando non avevo fatto nulla. Ma ignorai il tutto.
Lei si spostò, allontanandosi, girandosi di schiena e tentando di riagganciarsi il costume.
-Lascia, faccio io- Le venni in soccorso, notando che aveva qualche difficoltà. E così feci, impressionato dal mio auto-controllo.
Una volta fatto, con mia somma impressione, si girò e mi diede uno schiaffo feroce.
Mi massaggiai la guancia con sguardo ferito, chiedendo:
-Ma che ho fatto?- Dissi con una punta di alterazione nella voce.
Lei non rispose. O meglio, non rispose alla mia domanda.
-Idiota. Sei un pervertito, approfittatore, megalomane e stupido!- Disse.
-Posso darti ragione, tranne che per la prima e l’ultima parola- Risposi ghignando.
-Lo sai? Baci molto bene- Le dissi ancora sinceramente.
Roteò gli occhi e rispose acida.
-Non succederà più, chiaro?-
Ero già pronto a risponderle in modo malizioso, ma prima che potessi farlo, mi lanciò uno sguardo carico di odio, come se volesse dire con gli occhi: “Di’ una sola cosa fuori luogo e te ne pentirai!”
Così mi zittii, non ricalcando l’argomento bacio.
-Dovresti rilassare i muscoli sull’addome.- Dissi prendendola alla sprovvista da dietro e facendole un altrettanto inaspettato massaggio ai muscoli della pancia, che erano tesi.
-Ma che stai facendo?!- Mi urlò lei, tentando di dimenarsi.
-E’ il peggior metodo di corteggiamento della storia!- Disse ancora.
Io risi.
-Chica, questo non è un metodo di corteggiamento. Saprei fare molto meglio se fossi intenzionato, credimi. Voglio solo aiutarti a rilassarti quando nuoti a dorso: sei sempre molto tesa.- Dissi con tutta la semplicità di questo mondo, sorridendole.
Notai che si ritrovò in imbarazzo, ma lo scacciò subito, dimostrandosi forte e sussurrando un acido “Bene”, lasciandomi fare.
-Ma vorrei ricordarti che ogni qual volta tu mi voglia aiutare, finisce sempre male!- Si difese ancora lei, in modo da poter riuscire a “cancellare” quel “bene” che aveva detto poco prima.
-Shhh- le sussurrai. -Stai tranquilla. So fare degli ottimi massaggi, dovresti approfittartene-
La sentii respirare un po’ troppo pesantemente, ma decisi di non farci troppo caso.
La stavo massaggiando nella stessa zona da un paio di minuti, senza che nessuno dei due dicesse niente, ma sapevo perfettamente che questo le piaceva.
Ogni tanto notai dall’alto qualche accenno di sorrisi qua e là da parte di lei, che venivano poi scacciati.
-Okay, basta- Disse lei allontanandomi le mani.
-Sto solo cercando di aiutarti, Heather- Le risposi.
-Non mi serve! Nuoto perfettamente- Mi disse.
-Ah sì?- Volevo metterla alla prova. Mi avvicinai, sensuale, nonostante fossimo in acqua e non potevamo toccare il fondo nemmeno con le punte dei piedi, e le sussurrai un debolissimo –Provamelo-
Questa semplice parola di sfida fece partire Heather spingendosi con i piedi contro il mio torace, al posto del bordo della piscina, per farmi dispetto e schizzandomi tutta l’acqua addosso; fui costretto a sputarla per non inghiottirla.
La sentii ridere, mentre nuotava a dorso, mentre alzava la testa un paio di volte per guardarmi.
-Ah, vuoi la guerra, eh?- Misi in pratica tutte le mie capacità atletiche e cominciai a nuotare così velocemente da raggiungerla in un lampo, salutandola con un falsissimo “ciao” amichevole, per poi spingerla sott’acqua.
Lei riemerse e si buttò sopra di me, sperando che così sarei affogato.
Continuammo così per un altro quarto d’ora, come due bambini, a farci i dispetti.
Decisi di interrompere quell’assurda competizione fra noi.
-Okay, okay, basta. Mi arrendo!- Dissi tra le risate e alzando in alto le braccia, in segno di resa.
-Quindi ti arrendi, mh?- Mi disse lei, malefica. –Hai perso- Mi disse, spingendomi in là con la punta dell’indice, toccandomi il naso.
-Oh, no, mia cara, io ho vinto- Dissi sicuro di me, così tanto che la intontii.
-Come?- Mi chiese lei furibonda.
Mi toccai le labbra, mimando i gesti, e poi toccai le sue, per dire che avevo vinto ottenendo un bacio.
In tutta risposta, arrabbiata, mi tirò l’ennesimo getto d’acqua in faccia, senza tralasciare di dire, come sempre, che ero un idiota.
Certo che si arrabbia facilmente…Pensai, ridendo.
 
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Ciao :DDDDD *schiva un pomodoro*
Dai, non siate cattivi, so che scrivo da cani xD
Comunque... bene, alla fine i due cattivoni che non hanno mai partecipato al reality si sono baciati, finalmente ^^
Viva meeeeee hahahah
Quella scena l’ho scritta con il cuore. Adoro quando si baciano.
Ora, comunque, avete scoperto il piano di Alejandro e del padre, con anche le motivazioni che spingono Al ad agire in questo modo.
Spero che vi sia piaciuto.
Alla prossima,
Ele.

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Capitolo 7
*** Confusione persistente ***


Capitolo 7- Confusione persistente
 

[Heather’s pov]
 
-Baci…occolato-
Che idea geniale che mi era venuta, davvero. Dire una semplice parola sconnessa da ogni significato esistente, formata da due: bacio, che non riuscivo proprio a pronunciare più, e cioccolato.
I miei due gusti preferiti.
Avevo deciso di fare un salto, lunedì pomeriggio, a mangiare un buonissimo gelato, anche se non era proprio il periodo, visto il freddo che faceva nelle strade trafficate di New York.
Ero uscita in tutta fretta dal mio negozio, dimenticandomi quasi di Lindsay, che era rimasta ancora dentro come un’idiota, invece di uscire, e rischiando di chiuderla dentro per ore, stanca e affamata, bisognosa di una pausa prolungata.
Come me, del resto.
Mi ero diretta con passo svelto verso il primo gelataio che avevo adocchiato qualche metro più avanti.
Avevo, naturalmente, già in mente cosa scegliere come primo gusto, visto che ne prendevo sempre due.
-Un cono a due gusti.-
-Che gusti?- Mi aveva domandato gentilmente il gelataio.
-Baci…occolato- Era stata la mia risposta.
Mi guardava perplesso, come se non riuscisse a capire se lo stessi prendendo in giro, se avesse solo capito male, o se avessi dei problemi mentali.
Molto probabilmente la terza.
Dopo che quel bell’imbusto mi aveva, beh, sì, spogliata quasi totalmente, in una piscina, pubblica, tra l’ altro, e baciata con così tanta passione da stordirmi e farmi chiudere gli occhi per godermelo ancora di più, non riuscivo a connettere più il cervello, né sul lavoro, né su cose basilari della vita, come, appunto, prendere un maledetto gelato!
Per tutto il resto della domenica, del lunedì mattina e dei miei sogni, di notte, avevo pensato e ripensato a quel bacio.
Perché diamine continuavo a farlo, poi?!
Era assurdo. Totalmente. Quella situazione, quel ragazzo, quel… bacio… tutto. Tutto era assurdo.
Avevo anche fatto la figura dell’idiota al lavoro, con Lindsay.
Stavamo, come sempre, lavorando: lei che seguiva ed aiutava una cliente indecisa tra due capi d’abbigliamento che, in ogni caso, secondo la mia modesta opinione, le avrebbe cinto i fianchi in modo tale da farle vedere ulteriormente le sue forme assolutamente rotonde, facendola sembrare una balena.
Nonostante tutto, non avevo ovviamente commentato, mentre Lindsay le aveva suggerito cosa indossare.
-Perché ti tocchi continuamente le labbra?- Mi aveva chiesto lei, dopo essersi avvicinata, lasciando la cliente intenta ad indossare quel completo assolutamente attillato per una come lei nel camerino.
Durante tutta la durata della mattinata, mi ero inavvertitamente ed involontariamente toccata, strofinata, sfiorata e leccata le labbra con la mano e con la lingua, per uno stupido istinto del mio corpo, che tentava inutilmente di sostituire il sapore delle mie labbra con quello delle sue, come era successo in piscina, e di provare, addirittura, a sostituirne anche lo spessore e la morbidezza con quelle di lui.
Beh, diciamolo pure, non era solo il mio corpo, ero io, naturalmente, che ci tentavo.
Non mi ero mai sentita così stupida in tutta la mia vita.
Non mi ero nemmeno accorta di essere rimasta imbambolata, ovviamente mordendomi anche le labbra delicatamente, davanti all’espressione sconcertata di Lindsay, visto che mostravo uno sguardo perso nel vuoto.
Dovette addirittura passarmi una mano di fronte al viso.
Le risposi semplicemente con un’espressione infastidita e corrucciata, seguita da un mugolio leggero e molto breve, ad accentuare il fastidio di quella domanda che mi aveva posto.
Ma non fece nemmeno in tempo a cogliere il significato della mia espressione, visto che la cliente di poco prima era spuntata dietro alle sue spalle mostrandole, a due centimetri dai suoi occhi, il capo che aveva scelto; era quello che lei stessa le aveva caldamente consigliato.
 
-Come, scusi?- Mi chiese, riprendendosi dallo sgomento iniziale, il gelataio. –Bacio e cioccolato?-
Bacio…
-No!- Strillai come una forsennata senza alcun motivo. Lo feci sobbalzare, con in mano ancora il cono vuoto.
-Cioccolato. Nessun… niente bacio. Solo cioccolato, grazie.- Mi stavo comportando come una stupida, lo ammisi anche a me stessa.
Stavo addirittura per dire “nessun bacio” anziché “niente bacio”. Patetica. Un semplice sfioramento disgustoso di labbra non mi poteva mandare così in paranoia!
Beh, anche se “sfioramento” non era molto azzeccato come termine. E’ stato piuttosto un vero e proprio scambio di saliva, danza di lingue.
Ma era comunque disgustoso, pensai, tentando di convincermi.
-Ecco a lei- Il gelataio mi diede finalmente il mio cono gelato, così freddo che ebbi un brivido, appena vi affondai la lingua e, per sbaglio, anche i denti.
Pagai e me ne andai senza nemmeno ringraziare, come mio solito.
Mi guardai intorno; tutti i posti a sedere erano occupati, naturalmente. Era già un miracolo se a New York trovavi un solo posto libero, magari vicino a persone che non conosci neppure, addirittura.
Decisi di ritornare direttamente al negozio, al caldo, e di aspettare un po’ a pranzare, ovviamente.
Visto che non c’erano sedie, decisi di andare nei camerini e sedermi lì per finire il gelato. Scelta molto intelligente, non è vero?
Stavo diventando davvero una ragazza senza cervello. Ma mi sarei ripresa, al più presto, il più velocemente possibile da quello stato di trance!
Dopo aver finito il gelato, magari.
Intanto me lo stavo gustando come se non ne avessi più mangiati per anni o per secoli.
Il gusto del cioccolato mi circondava e intrappolava il senso del gusto, mentre si scioglieva lentamente nella mia bocca, diventando come una cascata fluida.
Ficcai la mano libera nella tasca, incrociai le gambe e curvai la schiena in avanti, come per poter confermare che quel semplice gelato fosse una vera goduria, così tanto da dimenticare di stare dritta con la schiena.
Era a dir poco incredibile, però era fatto davvero molto bene.
Il cioccolato, poi, era come oro per la mia bocca.
Sentii uno scampanellio provenire dalla porta d’ingresso; la pausa pranzo sarebbe finita fra un’ora e mezza.
Sarà Lindsay che si è dimenticata la sua giacchettina.
Continuai imperterrita a gustarmi ogni singola parte di quella pallina di cioccolato.
Intanto ripercorrevo mentalmente tutto ciò che mi era successo fin dal principio: l’apertura del mio negozio, la prima sfuriata con Lindsay, la prima cliente, il primo indumento venduto, i primi spiccioli… lui nel mio negozio, lui che si era introdotto nella mia vita, la mia bellissima vita, che fino ad allora mi andava più che bene, ma che, invece, a causa sua era stata stravolta definitivamente, distruggendo quella piega di equilibrio di cui era composta, in cui tutte le giornate diventavano monotone. Un susseguirsi di routine.
No, ora quella piega, quell’equilibrio era stato spezzato, fin dal mio primo giorno di lavoro.
A pensarci bene, era stato proprio il mio lavoro a dare inizio a tutto ciò; se non l’avessi aperto, non lo avrei incontrato, non avrei ricevuto tentativi continui di flirt da parte sua, non avrei dovuto alzarmi malamente tutte le mattine, nervosamente, insultandomi mentalmente perché, nonostante continuassi a ripetermi che lo odiavo a morte, lui era il mio primo pensiero alla mattina.
Non avrei dovuto iniziare tutte le giornate lavorative lottando con il mio pensiero sul fatto di non domandarmi se lo avrei poi incontrato al lavoro.
Insomma, era davvero un fastidio! Fastidio era e fastidio rimarrà.
Non volevo entrasse nella mia vita, eppure era successo e farlo uscire non sarebbe stato poi così facile: nessun uomo era riuscito a tenermi testa in un discorso senza sfiorare le mie occhiatacce infuocate che trasmettevano odio puro, e ad uscirne, poi, indenne. Illeso. Totalmente integro.
Nessuno era mai riuscito a farmi insultare mentalmente, e da sola, per non pensarlo.
Nessuno era mai stato così stupido da baciarmi in quel modo!
Mi erano solo capitati bacetti innocenti, in passato, da parte del sesso opposto, o anche da parte mia, nel momento in cui si rivelavano strettamente necessari per poter ottenere qualcosa in cambio.
No, non avevo mai ricevuto baci che potevano addirittura farmi sfiorare il paradiso con la mente, ma ovviamente non lo avrei mai ammesso.
Che rabbia.
Sentii un tonfo che mi distolse del tutto dai miei pensieri.
Probabilmente apparteneva alla porta d’ingresso del negozio.
Ce ne ha messo di tempo quella stupida mozzarellina a trovare la sua giacca e ad andarsene.
Chiusi gli occhi, dopo aver scrollato le spalle come segno di acuta indifferenza, e continuai a mangiare il mio gelato, che era quasi finito.
Il mio cuore perse un battito, sbarrai gli occhi, spalancai leggermente la bocca e per poco non feci scivolare via il cono gelato dalla mia mano, che ormai lo stava sorreggendo a stento.
Mi alzai di scatto, spaventata.
Avevo sentito la tendina del camerino aprirsi di scatto, quasi ebbi paura che si rompesse.
In poco tempo, nonostante il mio evidente sgomento fosse ancora presente nella mia espressione, riuscii a darmi un minimo di contegno.
-Che diavolo ci fai qua, tu?!-
Ghignò. Un sopracciglio inarcato verso l’alto, formando sottili pieghe sulla sua fronte, ed un braccio ancora allungato a lato del camerino, con la mano che stava ancora sorreggendo, chiusa a pugno, la tendina, stropicciandola.
Alejandro.
Non mi diede alcuna spiegazione; mi fece totalmente uscire dai gangheri, anche solo con la sua presenza, anche senza sentire la sua voce che, grazie al cielo, non aveva alcuna intenzione di uscire dalla sua bocca.
Già, a proposito di bocche, la sua si stava avvicinando pericolosamente alla mia, senza però baciarla.
Seguii i suoi movimenti, studiandoli con acuta osservazione.
Le sue dita si staccarono dalla tendina e passarono direttamente a scavare dentro al gelato, tirandone via un sottile strato, per poi spalmarmelo con delicatezza e velocità sul mio collo.
Lo osservavo con uno sguardo totalmente sconcertato e scettico.
Che diavolo stava combinando quell’idiota troglodita?!
Alzai una mano, fulminea, per togliermi alla svelta la striscia di cioccolato che sentivo sulla mia pelle, ma lui fu ancora più veloce di me: me lo baciò.
Lo leccò.
Lo assaporò.
Il suo viso completamente immerso nel collo, in mezzo alla mia spalla.
Lottai contro l’istinto di chiudere vergognosamente gli occhi a quel contatto, alla sua lingua che, assaporando il mio collo, mi faceva ricordare in ogni istante la sua bruciante presenza, facendomi, appunto, bruciare al contatto.
Sentivo contemporaneamente il cioccolato che si stava sciogliendo in una crema liquida sulla mia mano, ma non potevo di certo avventarmi su di esso con le labbra per farlo smettere di sciogliersi!
Anche perché non avrei potuto…
La mia lotta costante e rigida contro il basso istinto di chiudere le palpebre, che si erano fatte pesanti, cessò, sconfitta; le labbra ormai, da un po’ di tempo, erano state imprigionate un’altra volta da quelle di lui, che, dopo aver dedicato molto tempo al mio collo, erano passate più in alto.
 
Dio, che goduria…
 
Spalancai gli occhi. Ma che ti prende?! Cosa sono questi pensieri?!
Santo cielo, stavo andando fuori di testa. Lui e i suoi maledetti baci, assieme a quelle maledette labbra mi spegnevano il cervello, scacciando il mio orgoglio.
Nel momento in cui si staccò da me per prendere fiato, parlai, prima ancora che potesse avventarsi a baciare nuovamente le mie labbra.
-Che stai facendo?!- Gli urlai, spingendolo via.
Indietreggiò solo di un passo.
-Quello che vorresti fare anche tu, mi sembra ovvio. Solo che, a differenza tua, chica, io vado direttamente al sodo, invece che limitarmi a pensarlo- Rispose incrociando le braccia, facendone spiccare i muscoli definiti, che non sfuggirono ai miei occhi.
Spalancai di nuovo la bocca, indignata.
-Che razza di idiota che sei! Io me ne stavo qui, intenta a prendermi una pausa, e tu, senza alcun pudore ti fiondi nel mio negozio e baci il mio collo e le mie labbra. In più mi accusi del fatto che io faccia questi pensieri schifosi su di noi?!-
Il che era vero…
Mi diedi della stupida mentalmente.
Si mise a ridere.
-Allora, come va con Gray?- Cambiò discorso.
Mi faceva innervosire!
Non solo si permetteva di baciarmi due giorni di fila, ma si permetteva pure di…
Argh!
Incrociai le braccia, alzai un sopracciglio in segno di indifferenza e superficialità e girai la testa di lato.
-Non sono affari tuoi- Risposi.
-No, sono tuoi. Infatti volevo sapere come stessero procedendo i tuoi affari- Disse, prendendomi in giro.
-Se proprio lo vuoi sapere, stanno andando benissimo! Molte persone, famose e non, sono venute qui a comprare vestiti, dopo Gray. Quindi, benissimo! Ora togliti dai piedi!- Dissi, intenta a buttare via il gelato, sciolto, e andare a pulirmi.
Mi bloccò la strada e mi cinse la vita con un braccio, stringendomi a sé possessivamente.
Mi imposi di non toccargli, e accarezzargli, il petto, così strinsi i pugni a metà strada tra il mio ed il suo petto, con le braccia piegate.
-Mi fa molto piacere, anche se credo solamente che gli altri clienti, che sono venuti dopo di lui, vogliano solo copiare, naturalmente, il completo di Gray. Indipendentemente dal fatto che sia bello oppure no. Dì la verità, hai avuto solo clienti maschi, o almeno nella maggior parte, che hanno comprato solo ed unicamente quel tipo di completo, uguale e identico, senza cambiare neppure il colore.- Disse lui, guardandomi dall’alto, alzando il mento come se fosse l’imperatore del mondo.
 
Era vero, escluse altre clienti, abituali, che compravano diversi tipi di abbigliamenti. Per il resto, per quanto riguarda la componente maschile, compravano solo quel completo.
Anche alcune donne lo comprarono, probabilmente per i loro mariti.
Beh? E allora? Non mi sarei fatta di certo sottomettere da quell’idiota che cercava inutilmente di ferirmi!
Il mio negozio stava avendo un discreto successo grazie a Gray, quindi perché intristirsi?
Il mio scopo era quello di arrivare alla meta, indipendentemente dal fatto che alla gente piacesse venire nel mio negozio solo per copiare le celebrità. Dopotutto, non adoravo disegnare vestiti. Sì, alcuni li creavo io.
Mi importava solo di diventare la migliore, in tutta New York, per cominciare. In questo modo, magari, sarei diventata così famosa da vestire, per esempio, famose modelle, o attori stupendi, diventando sempre più famosa ed arricchendomi a dismisura.
Era una meta che mi ero imposta prima di aprire il negozio: questo negozio era stato costruito su delle solide basi, ovvero da questo sogno; quello di diventare, appunto, la migliore.
Se avessi cominciato a tentennare, sarebbe crollato tutto.
E poi, diamine, non potevo cedere a causa di un soggetto come… Alejandro!
Mi liberai con uno scossone dalla sua presa, uscii dal camerino, buttai il gelato, mi pulii le mani, in tutta calma, prima di rispondergli.
Non c’era fretta.
Intanto notavo con piacere quanto gli stesse dando fastidio il fatto che non avessi battuto ciglio in alcun modo a quel suo chiaro tentativo di farmi cedere.
Perché, poi, lo faceva?
Magari per puro divertimento, ma era comunque un comportamento strano.
Alzai lo sguardo, incontrando solamente il verde dei suoi occhi.
-Mentre tu continui a studiare, io scalo una vetta molto alta, per poter diventare ricca, famosa e per divertirmi assieme a delle celebrità che diventeranno successivamente le mie migliori amicizie; in questo modo raggiungerò posti alti, come è giusto che sia per una come me e tutto questo indipendentemente dal fatto che le persone comprino i vestiti qui solo per copiare il modo di vestirsi dei propri idoli.- Risposi, acida, ma anche con un pizzico, anzi, con una grande quantità di orgoglio e consapevolezza del fatto che l’avessi lasciato senza parole.
Si mosse sul posto in modo piuttosto agitato. Abbassò lo sguardo per qualche istante, come se volesse cercare le parole da ribattere con gli occhi, vagando per il negozio, fra i vestiti, fra la biancheria, sul pavimento.
Tornò immediatamente a guardare i miei.
Inclinò la testa.
Sulle sue labbra spuntò lentamente un sorriso, facendo leggermente sparire la forma carnosa delle sue labbra, ancora leggermente umide, a causa del bacio.
-Diventi ancora più ammaliante quando cominci discorsi del genere. Gli occhi ti si illuminano in un modo davvero stupendo.- Disse, semplicemente. Giocò la carta del dongiovanni.
Il sorriso, poco dopo, diventò un ghigno.
 
Lui mi… trovava ammaliante?
Che assurdità.
-Lo sai che sei davvero…- Cominciai. Mi interruppi cercando di trovare il vocabolo adatto tra tutti quelli che lo descrivevano nella mia testa negativamente.
-Bellissimo?- Disse lui, al posto mio.
Feci una smorfia, come per dirgli con la forza del pensiero che era un idiota.
Sì, bellissimo, sexy da star male.
-Stupido…- Dissi, ignorando le stupide e assolutamente false descrizioni di un essere del genere.
-Incantatore.-
Un passo più vicino a me.
 
-Arrogante.-
Un passo più lontano da lui.
 
-Irresistibile.-
Due passi più vicino a me.
 
-Maleducato.-
Occhiatacce di fuoco e occhiate maliziose.
 
-Passionale.-
Voce roca e sensuale.
 
-Permaloso.-
Schiena aderente al muro.
 
-Sensuale…- Cominciò a giocare con il lobo del mio orecchio con la lingua e con i denti, continuando imperterrito a stuzzicarlo, a premere i denti con forza, ma senza farmi male, mentre entrambe le braccia, in un gesto lento ed unico, si posizionarono ai lati della mia testa, imprigionandomi in una gabbia di muscoli.
Un palmo aperto, l’altro chiuso in un pugno.
Mi guardava sensuale dall’alto al basso, mentre ciuffetti di capelli castani sfuggivano al suo controllo e cadevano dolcemente sulla sua fronte, quasi a coprirgli gli occhi e ad incorniciargli meglio il viso.
Fece aderire i nostri bacini, mentre il mio, intanto, veniva spinto con forza anche contro il muro, dietro di me.
Quel contatto mi fece scaturire da dentro mille brividi di piacere.
Staccò lentamente una mano dal muro, lasciandomi una via di fuga, che, purtroppo, non percorsi.
Prese a torturarmi una coscia, con carezze che si alternavano a modi delicati e possessivi, finendo poi per sollevarla verso l’alto, staccandola da terra.
Automaticamente gli cinsi la schiena con tutta la gamba, in una stretta possessiva.
Che sto facendo?
In un batter d’occhio abbandonai del tutto il pavimento, non sentendo più la terra sotto i piedi;
entrambe le gambe erano finite ad imprigionargli del tutto la schiena, per potermi sorreggere sul muro, aiutata dalle sue braccia muscolose.
Gli cinsi anche il collo, con le mie braccia minute e scolorite, in confronto al suo collo,  rigido e colorito.
Smettila di fare l’idiota e scrollati!
Avrei voluto farlo.
Semplicemente, non era facile.
E poi… fu un attimo.
Sentii un calore impossessarsi delle mie labbra, accompagnate da un nuovo spessore, come se le mie e le sue fossero una cosa sola.
Chiese mutamente di entrare con la lingua e rendere il bacio più coinvolgente.
Colsi quel muto invito e dischiusi le labbra, che poi si spalancarono a contatto con quel contatto approfondito.
Era il nostro secondo bacio. Ancora più possessivo, sensuale, irrazionale, trascendentale.
Alzai un braccio con estrema attenzione, per poi piegarlo per permettere al mio pugno di prendere i suoi capelli in una stretta determinata.
Alcuni ciuffetti ribelli sfuggirono dalla mia mano, fuoriuscendone dalle fessure presenti tra le varie dita, mentre, al ritmo dei suoi baci, muovevo tempestivamente il palmo, scompigliando quella cascata castana.
Sentii il suo pollice stringermi leggermente la mia guancia destra, mentre le dita sorreggevano il mio collo, piegandolo contemporaneamente verso di lui per avvicinarci maggiormente.
L’altra mano vagò sul mio corpo con carezze degne di un esperto seduttore, facendomi destabilizzare; presero a toccarmi dolcemente un fianco, la schiena, il capo, i capelli, per poi ripetere l’intero ciclo, fino a raggiungere una mia natica stringendola.
Sussultai a quel contatto approfondito, ma capii presto le sue vere intenzioni, quando sentii, sostituita alla sua mano, un quadernino contro il mio fondoschiena.
Mi accorsi di essere seduta su una superficie piana, probabilmente sul tavolo rettangolare dov’era la cassa, ma non me ne curai, troppo presa com’ero dai nostri respiri troppo accelerati, da quei brevi sospiri, seguiti poi da numerosi, ma pur sempre brevi, tentativi di riprendere aria, senza però abbandonare per più di un secondo le nostre labbra, che si riprendevano, dopo ogni respiro, sempre più possessivamente, andando a cercarsi in modo quasi disperato come se volessero, come noi, recuperare quei brevi istanti di “inutile” distacco.
Sentii un paio di rumori, come se corrispondessero a dei passi, ma non ci feci caso, pensando che fossero solamente dei suoni simili al tremolio del tavolo su cui ero seduta, causati dai nostri baci troppo spinti, troppo selvaggi, troppo...
Ma dovetti ricredermi.
Dovetti ricredermi quando sentii le sue labbra fermarsi ed allontanarsi lievemente, ma mantenendo un contatto, seguito da un mio gemito di frustrazione.
Dovetti ricredermi quando, aprendo gli occhi, vidi le sue palpebre distanziarsi maggiormente rispetto al normale da quell’iride verde smeraldo, assumendo un’espressione sbigottita.
Dovetti ricredermi quando notai anche, in ritardo, che i suoi occhi non erano puntati su di me, ma su una figura che ci stava guardando perplessa, con un unico piede all’interno del negozio, una mano ancora appoggiata alla maniglia, la porta che non aveva ancora raggiunto il campanello per poter avvisare la presenza di un cliente.
Dovetti ricredermi quando, girando lo sguardo, mantenendo sempre il contatto tra di noi, io con le mani strette tra i suoi capelli, così come i gomiti lo erano sulle sue braccia, lui con una mano che sfiorava a palmo aperto una mia coscia, mentre l’altra dietro la mia schiena, notai che quella non era una figura qualunque.
Dovetti ricredermi quando la sagoma in questione era quella di Hayden Gray.
E dovetti ricredermi anche quando sulla faccia di Alejandro scorsi una brevissima ed appena accennata espressione di vittoria.

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Ciao!
Okay, voglio farvi innanzitutto le mie più sentite scuse per non essermi fatta sentire per circa un mese, ma dopo l'inizio della scuola ho avuto tanto da fare, credetemi.
E mi dispiace moltissimo.
Non avevo tempo per continuare, non abbastanza, almeno.
Perciò, visto che oggi sono riuscita a trovare finalmente un po' di tempo, mi sono dedicata al capitolo della storia.
Spero riusciate a perdonarmi!
Dai, ho anche allungato di molto il capitolo rispetto agli altri!

Spero vi sia piaciuto.
Ah, penso che aggiornerò tra una settimana circa. Ho ancora delle cose da fare, anche se di meno.
Alla prossima!
Ele.

 

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