Cercatevi una stanza!

di Elissa_Bane
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La tana del lupo ***
Capitolo 2: *** Dagli occhi del lupo ***
Capitolo 3: *** Angeli, demoni e pizza ***
Capitolo 4: *** Lividi e cicatrici ***
Capitolo 5: *** Un incubo e una torta ***
Capitolo 6: *** Potrei persino non annoiarmi ***
Capitolo 7: *** Zafferano ***
Capitolo 8: *** Perdere il controllo non sempre è un male. ***
Capitolo 9: *** E quello fu il suo ultimo abbraccio. ***
Capitolo 10: *** Chi ha cambiato chi? ***
Capitolo 11: *** Are you drunk? ***
Capitolo 12: *** Ha mentito. ***
Capitolo 13: *** L'ago. ***
Capitolo 14: *** Insegnami ***
Capitolo 15: *** Abiti e noia. ***
Capitolo 16: *** Percentuali ***
Capitolo 17: *** Would you dance with me? ***
Capitolo 18: *** Just...smile and I will be fine. ***
Capitolo 19: *** Pressure point. ***
Capitolo 20: *** Molly. ***
Capitolo 21: *** Last time. ***
Capitolo 22: *** Only to save you. ***
Capitolo 23: *** Don't leave me. ***
Capitolo 24: *** Silence Will Fall. ***
Capitolo 25: *** Far Far Away. ***
Capitolo 26: *** William Sherlock Scott Holmes. ***
Capitolo 27: *** The Game Is On ***
Capitolo 28: *** I Wish You Were Here ***
Capitolo 29: *** I Do It for Myself ***
Capitolo 30: *** Her Eyes Were Empty. ***
Capitolo 31: *** I Missed You ***
Capitolo 32: *** Deadly Stars ***
Capitolo 33: *** Finally, I Have Found You ***
Capitolo 34: *** Did You Miss Me? ***
Capitolo 35: *** Two Kisses, One Bite And The Truth ***
Capitolo 36: *** Don't Give Up ***
Capitolo 37: *** A Song for Your Heart ***
Capitolo 38: *** Never. ***
Capitolo 39: *** My Dear Brother ***
Capitolo 40: *** Epilogo - Chemical Defect ***



Capitolo 1
*** La tana del lupo ***


Cercatevi una stanza

Capitolo 1

La tana del lupo

-Buongiorno tesoro!- è una voce dolce quella che saluta uno stanchissimo John di ritorno dal turno in studio dopo una giornata davvero intensa.

-Ciao piccola- Nonostante la spossatezza, il dottore non può fare a meno di sorridere, anche se sa che Giulia, dall’altra parte del telefono, non può vederlo. È l’effetto che gli fa, sempre.

L’ha conosciuta circa due anni fa e tra poco andranno a convivere, dopo mesi (un anno e sei mesi, precisa sempre John) di relazione tra alti e bassi. Più alti che bassi a dire la verità. Perché da quando Giulia è entrata nella sua vita il buon dottore è molto più sorridente e persino i suoi rapporti con quel pazzo del suo coinquilino sono migliorati.

-Hai già trovato un nuovo coinquilino per coso?-

-Si chiama Sherlock…e no, me li ha scartati tutti, non so più come fare- risponde scostandosi i capelli dal viso

-Beh, allora oggi è il giorno buono, ho la persona che fa per te! Ci vediamo alle cinque?- la ragazza mette allegria e sicurezza in ogni sua parola e John non può fare a meno di pensare che magari questa sia davvero la volta buona, come dice lei.

 

§§§

 

Cecilia

Mi preparo con calma, sistemandomi per l’ennesima volta quella ciocca di capelli che non vuole stare a posto. Oggi Giulia mi porterà nella mia nuova potenziale casa. Un amico di John, infatti, sta cercando un nuovo coinquilino, ora che il dottore andrà a vivere a casa della sua fidanzata. Perfetto, no? No. Perché lui è Sherlock Holmes ed io sono maledettamente impaurita. Cerco rifugio nel quadro che ho davanti: un angelo e un demone che si affrontano, l’uno con la spada levata a colpire l’altro che si limita a difendersi. Col pennello ripasso il bordo di un’ala, quando una voce troppo alta mi fa sospirare.

-Ciao Giulia- saluto. Vedendola entrare, un turbine di capelli biondi, sciarpa rossa e occhioni azzurri, nessuno direbbe mai che è una psicoterapeuta.

-Muoviti! Sei in ritardo! Dai, su, non ti sto per far sbranare da un lupo!- esclama afferrandomi per un braccio, mentre con l’altro mi porge il cappotto.

Seguendola per le strade di Londra cerco di pensare solo a Sherlock, e non alla donna che passeggia sottobraccio con quello che a prima vista si direbbe essere il figlio, ma che il modo di guardarlo svela essere l’amante, o alle centinaia di altre persone che mi riempiono la mente di cose inutili. Sherlock. Solo Sherlock.

Prima di poter essere davvero pronta siamo sul pianerottolo e Giulia riesce a sistemarmi al volo la ciocca ribelle. Suona il campanello con allegria

-Coraggio- mi sorride

-Non ho paura- è una menzogna, ma sono una perfetta bugiarda e comunque lei non lo saprà mai. Il viso di John appare dietro la porta e Giulia sorride come lo Stregatto di Alice. Si baciano appassionatamente, come se io non esistessi.

-Cercatevi una stanza!- esclamiamo all’unisono io e un tizio, ma con due toni completamente differenti. Il mio è scherzoso, visto che ormai ho fatto l’abitudine a questo genere di effusioni, mentre il suo è una via di mezzo tra lo schifato e lo scocciato.

Volgo su di lui il mio sguardo più acuto, cercando di catturare dalla sua figura il maggior numero di dettagli possibili e sento lui fare lo stesso con me.

Cocainomane, piccoli buchi quasi invisibili nell’incavo del gomito.

Ex fumatore, o almeno sta provando a smettere, mi dice il cerotto alla nicotina che sbuca dalla manica della camicia.

Violinista, il piccolo callo rosa sul collo è il segno della sua dedizione.

Chimico, le mani sono rovinate dagli acidi che deve aver maneggiato.

Pugile, la postura, il modo di tenere le braccia.

Emotivamente bloccato. Allora siamo ancora più simili di quanto non immaginassi.

Protettivo verso le persone a cui vuole bene, lo vedo da come resta un poco inclinato verso John e da come ha alzato una mano verso di lui vedendolo aprire la porta, per poi farla ricadere lungo il fianco come se avesse cambiato idea.

Razionale, fin troppo a volte

Insicuro, anche se agli occhi di qualsiasi altra persona si mostra sicuro di sè e spavaldo.

Risultato finale: sociopatico iperattivo, nonché genio.

Gli sorrido, soddisfatta di me e noto che nei tre secondi scarsi che ho impiegato a studiarlo Giulia e John si sono separati imbarazzati, e il biondo arrossendo ci presenta.

-Sherlock, questa è Cecilia, Cecilia questo è Sherlock-

Con un movimento felino il moro si separa dallo stipite della porta alla quale era appoggiato, avvicinandosi a me.

Avvicinandosi fin troppo per i miei gusti, ma almeno ho la possibilità di guardarlo sforzandomi di non analizzarlo.

Per qualche strana ragione la pelle è nivea, come se i ricci corvini ne avessero assorbito ogni colore. Vestito interamente di scuro sembra essere il protagonista di un film in bianco e nero. E in mezzo a tutto quel candore che è il viso, spiccano due occhi assurdamente celesti, animati da una mente che si cela dietro i vortici scuri che li attraversano.

Quando sorride nasconde completamente la mente, rendendo gli occhi impenetrabili come lastre d’acciaio. E mi rendo conto che è davvero TROPPO vicino, tanto da riuscire a sentire il suo profumo. Schiude le labbra, abbassando lentamente il capo.

E comprendo di essere appena caduta nella tana del lupo.





Nda: Sono tornata! In realtà avevo iniziato a pubblicare questa...cosa circa un anno fa, ma non ne ero soddisfatta, Quindi, ora ci riprovo!
-Dan

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Capitolo 2
*** Dagli occhi del lupo ***


Cercatevi una stanza

Capitolo 2

Dagli occhi del lupo

Ragazza numero 23.

Lucille... no, quella era la numero 16

Elizabeth…lei era mora.

-Cercatevi una stanza!

Steph… due voci. Non una.

Alla mia se n’è unita un’altra, femminile e che non è quella della ragazza numero 23.

Girando di poco il capo la squadro dalla testa ai piedi. Alta, mora ma tendente al rosso, capelli mossi. Nulla di speciale, una come tante. Ma gli occhi scuri mi guardano con una luce d’intelligenza che ho visto fino ad ora solo in due volti, e uno di quei due è il mio. Velocemente la scruto e quando mi ritengo soddisfatto delle mie deduzioni vedo che sorride, sollevando solo un angolo della bocca.

La cosa che più mi colpisce in questa ragazza è la sua paura del contatto fisico. John sembra sorridere quando capisce che mi voglio avvicinare a lei. Lentamente mi muovo nella sala raggiungendola e la vedo irrigidirsi, stringendo la mano destra lungo il fianco. Battito accelerato, brivido, vago pallore: paura.

Ormai le sono talmente vicino che riesco a vedere la mascella lievemente in tensione. Ma non cede. Inarco un sopracciglio. Avevo ragione, come sempre del resto, ha paura. E, improvvisamente, è come se qualcuno nella sua mente avesse spento la luce. Si è rinchiusa in se stessa, il battito rallenta, passa una mano sul collo coprendo la pelle accapponata e un minimo di colore le torna sulle guance. Mi lascia avvicinare ancora e, anche se so che dietro quegli occhi impenetrabili probabilmente sta tremando, mi sorride dolcemente.

Chino brevemente il capo. Chissà se il profumo di ciliegie che si porta addosso è un prodotto artificiale o è la sua pelle. Mi porge la mano e vedo piccole cicatrici ramificate sulla carnagione chiara. Un ago, o uno spillo, anche se propendo più per la seconda possibilità. Morbida, con qualche piccolo callo. Matita e pennello, intuisco vedendo sul palmo una macchia scura di tintura.

-John, il dottor Rosenthal sa che sua figlia sta cercando casa lontano dall’ala paterna?-

-Cosa? Sherlock, di cosa diamine stai parlando?- chiede interdetto John. Si volta verso Giulia, che ha le guance leggermente arrossate, mentre tenta di apparire stupita. Mi sembra quasi di sentire il suo battito cardiaco accellerare, quando sotto i miei occhi, sovrapponendosi alla realtà, scorrono le immagini di una deduzione tanto ovvia quanto divertente, oserei dire.

-È’ così ovvio John. Guardale: la signorina Rosenthal è riuscita a scappare dalla sua prigionia decisa a lasciarsi alle spalle la sua vecchia vita. Sotto shock, non abbastanza forte a livello emotivo, si cerca una psicoterapeuta per superare il trauma, liberarsi dagli incubi eccetera eccetera…cosa c’è di meglio, quindi, di una giovane donna agli inizi della sua carriera? Se la rende amica, in modo da assicurarsi il suo silenzio. Deve essere stato facile manipolare la tua…cosa, John.-

-La mia cosa ha un nome, Sherlock-

-Vedi? Ti ho appena svelato che una donna con un’identità fittizia, tre anni di prigionia alle spalle, un disturbo post traumatico ancora in cura e un padre che la cerca in tutta Europa si trova davanti a te, e tu ti preoccupi del fatto che non ricordi il nome della tua ennesima fiamma!-

-Basta così- s’intromette Giulia- sì, sapevo di Cecilia ma né volevo tradire la sua fiducia, né potevo a causa del segreto professionale. Sono da condannare? Bene, sono qui. Ma Sherlock Holmes smettila di fare la reginetta dello show per mostrare quanto sei intelligente al mondo. Ora John, penso che andrò a salutare la signora Hudson- esce a passi pesanti, sbattendo dietro di se la porta in modo melodrammatico e teatrale.

John, esasperato, si abbandona sulla sua poltrona alzando gli occhi al cielo. Lo fa spesso.

La ragazza, la mora, si allontana e prendendo la sedia poggiata contro la parete la sposta al centro della stanza e vi si accomoda, dandomi le spalle.

-Comunque hai sbagliato-

-Impossibile- ripercorro una ad una le deduzioni precedenti, non trovandovi però la falla.

-Sei umano?-

-Per quanto poco lo possa sembrare, sì- s’intromette John

-Allora puoi anche sbagliare- continua la ragazza come se a rispondere fossi stato io

–Mio padre mi odia. Non vuole realmente ritrovarmi- basta questo a farmi capire dove ho sbagliato, ma lei parla ancora, anche se questa volta il beneficio è solo di John:

–Avevo una sorella, che si chiamava Francesca. Morì quando avevo dodici anni annegando nel Tamigi. Mia madre Marta, sconvolta dal dolore, ritornò in Italia dai suoi genitori abbandonandomi con mio padre. Quando questi si accorse di quanto la mia fredda intelligenza fosse diversa dalla dolcezza della sua figlia prediletta iniziò a odiarmi. Il culmine di questo suo odio fu quando una sera, rientrando ubriaco da una festa mi urlò –Dovevi essere tu a morire!- Il giorno dopo venni rapita e sicuramente spese per le mie ricerche tempo e denaro, ma dedicandovi la stessa passione che avrebbe avuto per la scomparsa di uno dei suppellettili di casa, non di una figlia. Quando ero segregata, temetti di morire e pensai che il suo desiderio si sarebbe avverato.

Ecco il tuo errore Sherlock: hai considerato un affetto che non c’era-

-La tua stanza si trova al piano superiore- mentre mi accomodo sulla mia poltrona vedo John abbastanza sconvolto, più che dalla storia dalla mia reazione.

Alzandosi muove qualche passo verso la ragazza, ma la fredda compostezza di quegli occhi scuri sembra dissuaderlo.

-Vado a vedere come stanno Giulia e la signora Hudson- esce velocemente lasciandoci soli.

-Mio fratello Mycroft direbbe che mi sto facendo coinvolgere troppo-

-Mia sorella Francesca avrebbe voluto che io fossi coinvolta- e solleva un angolo della bocca inarcando al contempo un sopracciglio.

-E comunque non temo il contatto fisico- mente, sapendo che io conosco la sua menzogna.

Si alza e la imito. Mi sorprende avvicinandosi e abbracciandomi. Le sue braccia intorno al collo, mi viene quasi naturale cingerle la vita.

Inspirando piano “Sicuramente l’odore di ciliegie non è artificiale” è l’unico pensiero che mi viene in mente mentre lei, sempre sorridente, si separa da me e scende al piano inferiore.










NdA: ed eccoci ancora qui! Non ho molto da dire, se non ringraziarvi tutti, ma soprattutto seeyouthen ( che è il personaggio di Giulia) che mi sopporta sempre e che mi sta aiutando a finire di scrivere la nostra storia!
-Dan

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Capitolo 3
*** Angeli, demoni e pizza ***


 

Cercatevi una stanza

Capitolo 3

Angeli, demoni e pizza

Cecilia

Entrando in casa, il silenzio regna sovrano incontrastato.

-Sherlock è uscito stamattina- mi avvisa John, che mi sta aiutando a portare le mie cose nella stanza al piano di sopra.

-E?- non capisco. Io non dipendo da Sherlock e lui non dipende da me. Non abbiamo legami di alcun tipo, quindi non ci sono problemi sul fatto che lui sia fuori casa.

-Nulla, pensavo volessi saperlo- ancora non capisco. Ma ci sono cose che non capirò mai, ormai mi sono rassegnata.

Saliamo le scale e appoggiamo gli scatoloni sul letto, sul mio letto. John sbuffa e si siede sulla sedia posta dinnanzi alla scrivania.

-Sai perché mi sto trasferendo solo ora?- mi chiede e lo fisso attendendo una risposta che già conosco –Perché non volevo che Sherlock stesse da solo. Quando non ha casi per un po’ diventa irritabile e spara ai muri, si droga, fuma..-

-Lo so già, John- lo interrompo

-Volevo qualcuno che si prendesse cura di lui- finisce sospirando

-E quel qualcuno sarei io?-

-Tienilo solo fuori dai guai più grandi, per favore- Si vogliono bene quei due. Mi viene da sorridere a pensare a me e Giulia, a come siamo diventate amiche in poco tempo, fregandocene del classico rapporto medico-paziente. Ma lo stesso il ragionamento di John mi pare senza senso. Se desidero che qualcosa sia fatta, il modo migliore è farla da sola. Quindi perché lasciare a me l’incarico?

-Non prometto mai.- inizio a dire, e il suo sguardo si rattrista – Ma, prometto di provarci- Ora il buon dottore sorride.

-Grazie, allora se non hai bisogno di altro io vado: Giulia mi sta aspettando- reprimo un sogghigno vedendo i suoi occhi accendersi di gioia solo al pensare a lei. Se ne va ed io rimango sola.

Poi guardando la parete bianca di fronte a me, mi prende una strana ansia. Al piano di sotto ho lasciato pennelli e colore e corro a prenderli. Inizio a dipingere sulla parete l’angelo e il demone che si affrontano, nella loro eterna lotta per la supremazia di una parete bianca e senza che io vi faccia troppo caso la mattinata scorre via come acqua di una cascata.

E al rientro di Sherlock io sono ancora lì a dipingere, ma quando lui entra in camera sto dando solo gli ultimi tocchi di nero al quadro.

-Proporzionato- che commento sagace, io non l’avrei mai detto! Gli sorrido come si farebbe a un bambino e gli dico che sì, è proporzionato come tutti i miei quadri.

Ignora il mio tono di voce.

-Vestiti, stiamo uscendo.

Non mi muovo, sono stanca e mi lascio cadere sul pavimento incrociando le gambe, ignorando la sua affermazione.

-Alzati da terra.

-No.

-Non fare la bambina. Alzati.

-Non voglio uscire.

Esce dalla stanza e penso di aver vinto questa piccola schermaglia.

Errore: rientra e mi butta addosso il giubbotto.

-Detesto essere contraddetto- Le parole sono secche ma lui non è arrabbiato, sembra quasi divertito. Usciamo da casa e mi porta in una piccola pizzeria.

-Ti piace la pizza?- Strano, pensavo fosse più il tipo da cibi raffinati

-La adoro.

Mangiando parliamo, anche se lui non dice nulla di se stesso ed io non rivelo alcunché sul mio passato. Gli chiedo solo dei suoi casi, mantenendo la conversazione su un piano neutrale, e mi risponde con quella che già riconosco per la sua solita distaccatezza e semplicità. Raccontandomi alcuni episodi sorride e vedendolo capisco che non lo fa spesso. Tornando a casa parliamo, invece, di quello che piace fare a me e a lui, anche se molte cose le sapevamo già dal nostro primo incontro, anzi dal primo sguardo.

M’inizio ad abituare alla sua presenza, è stranamente rassicurante non dover sempre parlare. So che gli basta guardarmi per capire e vale lo stesso per me. È fin troppo rassicurante: non mi devo fidare di lui. Due anni fa ho promesso a me stessa che se fossi riuscita a scappare avrei fatto affidamento solo su di me.

Ho bisogno di spegnere la mente per un po’, quindi arrivati a casa salgo al piano di sopra preparando il borsone da nuoto. Scendendo le scale noto Sherlock seduto sulla sua poltrona in una posa statica, ma guardandolo negli occhi vedo la sua mente lavorare freneticamente.

-E’ il fratello- afferma, sicuro di sé come al solito

-Vado in piscina- per me la sua intuizione non è rilevante

-Lo vedo. Stasera non mi aspettare.

-Non lo farò- prometto. In fondo ho promesso a John che mi sarei presa cura di lui, non che sarei stata la sua balia: perché dovrei aspettarlo la sera?

Esco da casa e vado nella mia solita piscina. L’allenamento è estenuante ma almeno nell’acqua i miei sensi sono vagamente ovattati e riesco a liberare la mente, nonostante m’infastidiscano molto le continue vanterie del mio allenatore circa la sua nuova conquista. Prima di andarmene a casa, gli dico che non è lei che gli farà passare i suoi complessi d’inferiorità, ma lui non mi da retta e continua a pavoneggiarsi.

Sherlock non è ancora rientrato a casa, e decido di preparare la cena. Apro il frigo e una testa mozzata mi guarda dal ripiano. Spostandola vedo un piccolo foro di siringa sotto l’orecchio destro e dietro il formaggio.

Richiudo il frigo e mi appresto a infornare quando Sherlock rientra a casa fradicio di pioggia. Ferita di 4 cm superiore al sopracciglio, da arma a lama liscia. Claudicante per ematomi vari, ma niente ossa rotte.

-Il fratello non si è arreso, vedo- piano, non troppo vicina

-Logicamente; solo che non avevo pensato che potesse avere un coltello- John, credo che la tua promessa sia notevolmente più impegnativa di quanto pensassi.

-Veloce, in bagno. Inforno e arrivo.

-Hai aperto il frigo?

-Certamente. Il tuo pallido amico non è morto per il trauma cranico ma per un’iniezione di aria, comunque.

-Lo so benissimo- gli scintillano gli occhi –volevo solo vedere la tua reazione- afferma entrando in bagno.

Vivo con un uomo o con un ragazzino dispettoso?

 

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Capitolo 4
*** Lividi e cicatrici ***


Cercatevi una stanza

Capitolo 4

Lividi e cicatrici

Sherlock

Il laboratorio è silenzioso e deserto mentre esamino il corpo metodicamente. Pochi attimi dopo ho la risposta che cerco e afferro qualche provetta, mescolando acidi per passare il tempo. A volte è così difficile tenermi impegnato, il mondo è davvero noioso e lento. E Giulia è in ritardo.

Dopo la prima sfuriata di John su come tratto questa relativamente nuova ragazza ho deciso di non cancellare il suo nome dalla mente per evitarne una seconda; è davvero pignolo su qualsiasi cosa la riguardi, così ho dovuto lasciare un piccolo spazio della mia mente anche per le informazioni su di lei.

Sento il suo piede poggiarsi sul primo gradino della scalinata. Non capisco perché le donne si mettano i tacchi, sono davvero rumorosi, di certo scomodi e inadatti al lavoro sul campo. Ma, in effetti, una come Giulia non potrebbe mai lavorare sul campo. Ben poche donne potrebbero farlo e una l'ho incontrata pochi giorni fa. Giulia, invece, è troppo emotiva, troppo poco reattiva.

-Ciao Sherlock, scusami ma... - attacca a dire.

-... il taxi è rimasto bloccato nel traffico- finisco per lei. Arriccia il naso infastidita e mi sento soddisfatto. Sospira.

-Bene, visto che sai già tutto possiamo passare al caso.

-Io parlo di un caso, tu parli dei problemi psicologici di un uomo.

-Stiamo parlando di un caso che vede il coinvolgimento di un mio paziente con problemi psicologici, Franz Cherished e di suo fratello, la tua vittima, Fred Cherished- ribatte seccata. Potrebbe anche piacermi battibeccare con questa ragazza, è facilmente irritabile ma cerca di nasconderlo.

-Visto che stiamo parlando del caso, non posso sperare che tu mi consegni e basta il fascicolo, suppongo.

-No, infatti, ottima deduzione. Franz Cherished non era un pazzo ma era incapace di contenere le sue emozioni. Si faceva trascinare da essere, era uno schiavo di se stesso. Si era innamorato della moglie del fratello, che lo aveva respinto più volte. Fred non ne era a conoscenza.

-Anche Elosie Hall era tua paziente?

-No.

-E da cosa deduci che Fred non fosse a conoscenza dei sentimenti del fratello?-

-Elosie doveva essere troppo spaventata per parlargliene. Inoltre i fratelli erano molto legati e penso che nessuno voglia distruggere un rapporto tra fratelli così stretto.

-Oh sì, per questo Franz Cherished ha ucciso suo fratello. Comunque, il caso è risolto- concludo voltandole le spalle e tornando alle mie provette. Non sento i suoi passi ma continuo a udire il suo respiro. –Ciao.

Niente.

Emotiva, orgogliosa e cocciuta.

-Senti, Sherlock- inizia con una forte esitazione. -Sta' attento con Cecilia. Lei non è John. Non vuole tornare in battaglia. Ha passato abbastanza guai per una vita intera. Semplicemente lasciale vivere la sua vita-. Le sue mani si torturano a vicenda, è tesa. Preoccupata. Affezionata. - Credo che tu abbia visto la sua paura del contatto fisico, quindi non sforzarla. Inoltre, il suo sonno è tormentato dagli incubi, te lo voglio dire in caso ti venga in mente di parlarle una volta che lo scoprirai. Non farlo. Già rivivere certe cose durante la notte è abbastanza, non costringerla a farlo anche di giorno solo per saziare la tua stupida curiosità...

Maledico Giulia nella mente mentre aggiungo l'acido sbagliato nella provetta. I suoi passi si allontanano veloci.

Emotiva, orgogliosa, cocciuta e anche determinata.

 

Quella sera

Torno a casa zoppicando dopo lo scontro con Franz Cherished, assassino e fratello di Fred Cherished, trovato ucciso tre giorni fa. Era un caso estremamente facile, tanto che ho temuto che Lestrade mi stesse insultando, ma quell’uomo si è rivelato una sorpresa. Sicuramente non è stata una mossa intelligente attendere la polizia sulle rive del Tamigi con un coltello in mano. Inutile ed un dispendio di energie inutile quel tuffo nel fiume. Avrebbe potuto correre.

Entrando in casa sento muoversi Cecilia in cucina e mi dirigo verso la mia camera, ma prima che vi possa giungere lei esce dalla stanza e si ferma a scrutarmi, analizzandomi. Fastidioso, visto che le potrei raccontare tutto il caso, ma questo suo sguardo mi fa sentire sollevato. Non serve che parli, ha già capito sia degli ematomi che del taglio.

-Veloce, in bagno. Inforno e arrivo.

-Hai aperto il frigo?- sicuramente se l’ha fatto avrà visto la testa del defunto Fred Cherished.

-Certamente. Il tuo pallido amico non è morto per il trauma cranico ma per un’iniezione di aria, comunque.

-Lo so benissimo- le rispondo –volevo solo vedere la tua reazione.

È serena, sebbene infastidita dal mio comportamento che reputa infantile, e che John avrebbe trovato sconveniente. Ha mantenuto la calma e non è stata indiscreta, un atteggiamento lodevole. La aspetto in bagno come mi ha chiesto di fare, se non altro per il fatto che non so dove possano essere disinfettante e cotone.

Mi raggiunge in fretta e senza esitare apre un armadietto, tirandone fuori una piccola borsa. Disinfettante, cotone, aghi, filo, cerotti, medicinali e altre cose. Versando su un dischetto di cotone il liquido chiaro, la mano le trema un poco. È la mia vicinanza in uno spazio così ristretto. Incurva le spalle in avanti, come a volersi difendere e si gira verso di me.

-Tieni, sai medicarti?- mi chiede gentilmente e lasciandomi vedere tutta la sua paura. È un passo in avanti il fatto che non si rinchiuda in se stessa. La sua reazione al contatto fisico sarà la stessa dell’abbraccio di ieri? No. Lo so.

Non la forzare al contatto fisico Sherlock mi ammonisce il ricordo di Giulia.

-No- come un animale in gabbia dilata leggermente le narici mentre la sento respirare più profondamente, la pelle che si accappona e il battito che accellera. Non cancella quei segni dal suo corpo anzi, lascia che io la osservi.

Vuole essere onesta.

Ha le mani calde contro il mio viso gelido, mentre con una mano mi disinfetta il taglio e con l’altra mi tiene il mento per vedermi meglio.

Colgo l’occasione, capendo quante poche volte mi potrebbe ricapitare di vederla senza i limiti che si impone di solito. I capelli legati in una semplice coda le lasciano libere le spalle, che non sono coperte dalla canottiera che indossa. Come la mano, anche la spalla sinistra è segnata da un intrico di piccole, lisce cicatrici. Nessuno se le sarebbe inferte da solo, anche vista la precisione chirurgica delle ferite, e stranamente mi richiamano alla mente l’opera dell’unica altra persona, oltre ora a Cecilia, il cui sguardo avesse la mia stessa intelligenza.

Perso nei miei pensieri, mi rendo a malapena conto che lei ha finito di disinfettarmi e che si è allontanata. China sul lavandino respira pesantemente e le tremano le spalle. Rialza il viso e con la voce tremante mi chiede se possiamo andare a cena. Annuisco e mentre si dirige in cucina si volta a guardarmi.

-Non rimettere a posto, dopo finisco quello che ho iniziato.

 




Nda: Back from Hell! Scusate il vergognoso ritardo, ma dovete imputarlo a Francesca, la mia beta, che non si decide a fare il suo lavoro! Ti si ama, Muffin.  Coooomunque: spero che vi piaccia, anche solo la metà di quanto a me sta piacendo scriverla!
A presto 
xxxx
-Dan

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Capitolo 5
*** Un incubo e una torta ***


Cercatevi una stanza

Capitolo 5

Un incubo e una torta

Cecilia- una settimana dopo

Francesca! Urla la mia mente, sebbene la bocca nemmeno si apra.

È bella come la ricordo, nel fiore dei suoi sedici anni. Alta, lascia i capelli sciolti e ondulati sulle spalle che le incorniciano il viso chiaro, su cui spiccano distintamente gli occhioni verdi e le labbra rosee. Indossa un abito corto, celeste come il cielo e le sue ballerine preferite, rosse. Risplende come una fiamma nella squallida stanzetta di pietra dove ci troviamo. Mi manca. Mi manca così tanto. Le vorrei parlare, vorrei farmi stringere come quando da piccola veniva a rimboccarmi le coperte perché Marta non aveva tempo. Vorrei poterle parlare della donna che sono diventata grazie a lei. Vorrei farle capire quanto ho sofferto perché non ero come lei. Vorrei che, come quando ero piccola, giocasse con me a “indovina” anche se sapeva che ero io a vincere.

Voglio toccarla. Non chiedo altro, solo che mi stringa la mano come quando avevo un incubo.

Provo ad avvicinarmi, ma non ci riesco. L’acqua entra, invade la stanza, si alza, lambisce gambe, stomaco, petto, cuore. Entra nella bocca, nel naso e nelle vene.

-Attenta- mormora, smettendo di sorridere. Mentre un’onda la sommerge, mi lancio tra i flutti. Ma le mie mani stringono unicamente l’acqua. Se n’è andata.

E io sono di nuovo sola.

 

§§§

 

Sento il suo respiro ancora prima di essere completamente sveglia. Di malavoglia lascio che le palpebre si sollevino. Lui è lì da ore, seduto sulla poltrona che uso per leggere, che mi guarda.

-Di cosa parlano i tuoi incubi?

-Vado a farmi un caffè.- Un caffè molto forte, se ha intenzione di farmi domande di questo genere. In cucina fingo di aver dimenticato la domanda di poco prima e mentre preparo il caffè parliamo di musica. Andando in sala per prendere una vestaglia (che ho abbandonato sul divano l’altra sera) lui mi prende per un polso.

-L’incubo.-dice.

-Niente d’importante.

-Menti. Parte dell’incubo è tua sorella- Sherlock, ti prego basta. Non parlarne. Non tenermi il polso. Non starmi così vicino. Per favore. Mi lascia andare e con un pizzico di cattiveria mi siedo sulla sua poltrona. È in difficoltà: l’unico altro posto dove sedersi è la sedia, contro il muro. O il tappeto ai miei piedi. Ma, invece di sedersi, non si muove. Attende una mia risposta, mentre un raggio di luce scivola sul pavimento, aspirando a raggiungerlo.

-Parla.- È un ordine, ma nasconde una domanda molto semplice: “Ti fiderai di me?”. Peccato che la risposta non sia altrettanto facile. Estraniandomi dal mondo entro nel mio Mind Palace e apro la stanza a lui dedicata. Articoli di giornale, conversazioni con Giulia e John o con lui, il nostro primo incontro nove giorni fa. Soppeso tutto, quando una voce, sentita ancora stanotte rimbomba nella mente Fidati, non sono tutti cattivi a questo mondo, mi dice mia sorella. Sospirando torno cosciente del fatto che Sherlock ancora attende una risposta. Ma non sono ancora pronta a fidarmi del tutto, a mostrarmi completamente.

Perdonami Fra, perdonami Sherlock, ma ancora non ce la faccio a mostrare i miei sentimenti.

-Quando Francesca è morta avevo dodici anni. Non è caduta nel Tamigi, ma qualcuno l’ha spinta. Io ero lì ma ho cancellato il volto di quella persona. Provando a salvarla ho fallito.- dico.

-Non ti ho chiesto questo, ma degli incubi.

-Io e lei, in una stanza di pietra. Mi dice di fare attenzione e un’onda la sommerge. Cerco di salvarla ma c'è troppa acqua. Ecco, Sherlock, perdo di nuovo ogni notte mia sorella- Annuisce come se lo sapesse, e probabilmente e così.

-Non dormire ti fa male- lo rimprovero, notando che ha passato la notte sveglio.

-Non ho bisogno di dormire- ribatte sorridendomi.

-Come ti ho già detto, sei umano: devi dormire.

-Non mi va.- Un bambino capriccioso, ecco cos'è. Ma ho promesso di proteggerlo e mantenere i suoi parametri vitali nella norma mi pare un buon inizio. Lo guardo, determinata a non cedere.

-Vai a dormire almeno un paio d’ore.

Lo vedo indeciso: infastidito del mio ordine, ma comunque stanco per la notte in bianco.

-Se vai a dormire ti faccio una torta- la tattica finale, la mia ultima chance.

-Una torta?- Rettifico, un bambino capriccioso e goloso.

-Una torta- annuisco e sorrido al marmocchio.

-Allora…vado-.

-Ti sveglio io quando è pronta- va a chiudersi in camera e, seduta sulla poltrona, ascolto il rumore di abiti che cadono a terra. Poco dopo il silenzio è sovrano della casa. Cucinando il tempo passa in fretta e, messa la torta a raffreddare sul tavolo, vado a svegliarlo. Busso. Ancora e ancora, ma senza risposta. Decido di entrare e la scena che mi si para davanti agli occhi ha un non so che di…irreale. Steso a petto nudo sul letto, i capelli neri contro il cuscino candido, la luce del tardo mattino che gli gocciola sul torace: è così simile ad Amore quando Psiche lo vide per la prima volta. Troppo simile. Esco velocemente dalla camera e corro al piano di sopra. Tela, tintura e disegno ciò che ho visto. E ora che è reale, che posso toccare il colore ancora fresco, respiro meglio.

Tu dipingi ogni volta che ti si presenta davanti agli occhi una situazione che scatena emozioni nuove o temute, mi ricorda Giulia.

Costringo il mio corpo a voltarsi verso la porta, da dove Sherlock, vigile e attento sin da quando sono entrata nella sua camera, mi fissa con gli occhi scintillanti. Poi guarda la tela, poi di nuovo me.

-La torta è pronta?- Grazie a Dio ha capito che almeno per questa volta gli conviene stare in silenzio.

-Giù, sul tavolo- mormoro, lasciandomi cadere a terra cerco di pensare.

Damn’it.

 

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Capitolo 6
*** Potrei persino non annoiarmi ***


Cercatevi una stanza

Capitolo 6

Potrei persino non annoiarmi

Tre mesi dopo

-E’ l’alba.

-Che affermazione ovvia, lo vedo.

-Sono tre giorni che non dormiamo, Sherlock.

-Se è il sonno a preoccuparti vai a dormire, continuerò da solo- ribatte stizzoso, come sempre da quando cinque giorni fa Lestrade ci ha assegnato un caso. Ci. Sorrido pensando a quando Sherlock ha deciso di presentarmi l’ispettore.

 

§§§

 

Prima

Stamattina, non avendo niente da fare, Sherlock mi ha proposto di accompagnarlo in un’indagine –se non altro potrei persino non annoiarmi- ha sorriso.

Ho accettato, anche perché stavo impazzendo: non potevo nè allenarmi (avevano chiuso la piscina) nè potevo dipingere, dato che mi mancava un soggetto. Una vera noia.

E così siamo qui, in una bella casa coloniale bianca, dove un giovane appena entrato nel corpo di polizia ci accoglie, sorridendo a Sherlock.

-Non credevo ti avremmo mai visto con una ragazza- gli dice arrossendo.

Biondo, alto, magro, ventisette anni, fumatore e omosessuale. Si chiama Josh.

-Solo perché gli vuoi scaldare il letto non vuol dire che sei tenuto ad essergli amico- intervengo secca, spiazzandolo. Sherlock non commenta, entrando nell’ampio ingresso dove un uomo dai capelli argentei ci attende.

-Sherlock- dice quest'ultimo.

-Graham.- Sherlock si sposta nella sala a destra, dove una giovane donna è stesa a terra. -Lei è con me-

-Greg- lo corregge l'ispettore e io gli faccio un cenno col capo. Seguo Sherlock raggiungendo la sagoma sul pavimento.

Con lo stesso movimento mi saluta e, pensando che io non lo noti, alza gli occhi al cielo, per il continuo dimenticarsi del suo nome di Sherlock.

Mi faccio silenziosa e inizio a osservare la stanza, mentre il ricciolo si china verso la donna.

Grande, con le pareti bianche: la sala sembra pronta per una festa. Il tavolo centrale, apparecchiato per due persone, è abbellito da una tovaglia di candido pizzo.

Nessuna macchia di sangue, registra subito la mia mente. La finestra è aperta, come l’ha lasciata la donna -e non quelli della polizia, spero- e le pesanti tende sono spostate per lasciare entrare l’aria autunnale. Dietro, c'è un giardino dove grandi alberi dalle foglie dorate circondano un laghetto cristallino.

Sherlock si alza, mentre al contrario io osservo il cadavere più da vicino.

Bionda, capelli lucidi e lisci da parrucchiere, corpo snello e ancora bella nonostante lei non fosse più giovane. È caduta in modo scomposto, anche per via dei tacchi alti. Aspettava qualcuno.

-Chi aspettava?- domandiamo in sincronia Sherlock ed io. Lestrade sembra abituato a un modo di fare che, lo ammetto, non è usuale.

-Il fidanzato, Kyle Gyfen, uno stilista- risponde pacato.

-Portate il cadavere in obitorio. Lestrade, finiamo qui e vi raggiungiamo- Sherlock è sicuro, a suo agio.

Donovan e il ragazzo nuovo, Josh Frader, portano via il cadavere. Restiamo solo noi nella sala, anche se sento Lestrade camminare nella stanza accanto.

-Che ne pensi?- gli chiedo.

-Aspettava il suo fidanzato, quando è arrivato, l’ha uccisa e se n’è andato dalla porta finestra.- mi risponde.

-E come?- gli chiedo: la sua spiegazione non mi convince.

-Andiamo a vedere il cadavere- mormora. Mentre me ne vado, guardo fuori dalla finestra: sotto un albero cresce una pianta di zafferano.

 

§§§

 

-Shock anafilattico- decreta il medico alzandosi dal cadavere di Giselle Zorah.

-Ora del decesso: stamane alle 11:23 circa- mormoro a Sherlock, che annuisce.

-Gyfen?- chiede lui.

-Abita poco distante da qui, gli possiamo parlare nel pomeriggio-annuisce nuovamente e guardo attentamente i suoi occhi, scorgendovi la luce di una brillante mente all’opera.

-L’allergene è stato ingerito per via orale, ma serviranno esami più approfonditi per capire di cosa si tratti- continua il medico alzandosi e decretando finita l’autopsia.

-La cuoca?- chiede Sherlock.

-Il cuoco- lo correggo –Si chiama Vincent Hugo, viveva nella casa della vittima come tuttofare- rispondo. È stato facile convincere Lestrade a dirmi tutto, mentre Sherlock parlava con la nipote della vittima.

-Da chi andiamo prima?- Il fidanzato o il cuoco?

-Naturalmente dal principale sospettato: Kyle Gyfren.

Incamminandoci per le strade di Londra osservo la gente che passeggia, incurante di noi. Una donna è morta, come milioni di altri, eppure il mondo gira ancora. Ripasso mentalmente tutto ciò che so sull’omicidio ma, non appena Kyle Gyfren apre la porta è una sola la parola che mi appare: innocente.

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Capitolo 7
*** Zafferano ***


Cercatevi una stanza

Capitolo 7

Zafferano

Sherlock

L’interrogatorio è stato lungo. E noioso. Soprattutto noioso. Il ragazzo non ci ha detto nulla che non sapessimo già e inoltre era chiaro sin da quando ha aperto la porta che era innocente. Quindi resta solo il cuoco, Vincent Hugo.

Camminando mi volto a guardarla, provo a osservarla senza considerare il modo in cui stropiccia la manica del giaccone, segno d’irrequietezza. Ha raccolto i capelli in una coda che la segue ondeggiando, ed è poco truccata. John sicuramente saprebbe come parlarle. Io no, quindi resto in silenzio fino a quando non arriviamo alla porta di Hugo.

L’uomo che ci apre ha trentaquattro anni, alto quasi quanto me, muscoloso. Ed è estremamente vanitoso, visto il numero di specchi presenti in quella casa. È Cecilia a parlare, io mi limito ad osservare. Mente, quando dice di aver conosciuto Giselle Zorah solo come amica. Mente quando dice che lei non è mai stata in quella casa. Mente. Mente sempre. E la cosa mi infastidisce.

-Sherlock, per cortesia, esci dalla stanza. Vorrei parlare col signor Hugo da sola- dice Cecilia guardandomi e poi facendo uno sguardo dolce all’uomo.

Lo sguardo che mi ha rivolto è gelidamente sicuro. Ha un piano.

Peccato che il suddetto non se ne sia accorto. Mi alzo e me ne vado, non prima di averle rivolto un silenzioso “stai attenta”. Annuisce piano e io esco. Sulla porta il freddo autunnale si fa sentire, ma non devo aspettare tanto. Dopo circa una ventina di minuti Cecilia esce con le guance arrossate e gli occhi gelidi.

-Arrivederci signor Hugo- lo saluta sorridendo. Deve essere davvero ottuso per non accorgersi che il suo sorriso è il sorriso del leone che avvista la gazzella.

-Chiamami Victor, ti prego.

-Preferirei di no- ribatte secca andandosene. Pur controvoglia la seguo e quando la raggiungo si ferma a sedersi su una panchina. Mi siedo accanto a lei e le vedo gli occhi lucidi.

-Scusa- mormora

-Non ti preoccupare, è già tanto che tu non sia corsa via quando ti ha toccata- annuisce piano, senza chiedermi come lo so.

-E’ stato lui. L’ha avvelenata perché lei era incinta di Kyle e lui era ossessionato da lei. l’ha uccisa perché amava un altro, Sherlock- perché è così sconvolta?

-E?- le domando, cercando di essere delicato. Mycroft mi ucciderebbe in questo momento, ne sono certo. Ma lei è tornata se stessa e ora la sua mente lavora frenetica.

-Muoviti, dobbiamo andare a chiedere l’esame tossicologico- si alza e velocemente si incammina verso l’ospedale.

 

§§§

 

Oggi

-Se è il sonno a preoccuparti vai a dormire, continuerò da solo- le rispondo alzandomi a malapena dal microscopio

-L’ho trovato!- Esclamiamo all’unisono –Crocus sativus- la osservo sorridendo. È stato divertente lavorare con lei e avevo ragione, non mi sono annoiato.

-E’ finita, quindi?.

-No, è appena iniziata- le rispondo –Bisognerà chiamare Lestrade ma poi il nostro lavoro sarà finito, se era questo che intendevi- alzandomi mi accomodo sulla mia poltrona e con la mano batto piano sul bracciolo per invitarla a raggiungermi. Lo fa senza esitare e si appoggia contro di me.

Ha smesso di avere paura di me, ci sono voluti tre mesi ma sono riuscito a convincerla. Riesce persino a toccarmi, senza avere timore. È straordinaria la sua voglia di lottare. Le prime volte la sfidavo a sfiorarmi, magari con la scusa di farmi medicare, ma nel tempo è stata lei, quando tornavo ferito, ad avvicinarsi a me. Da quel momento è diventato molto più facile. Non ha paura. Mi alzo quando il sole invade la stanza e lei con me.

-Buonanotte Sherlock.

-Buonanotte- mormoro chiudendomi in camera.

Un urlo interrompe il mio sonno. Ha un che di animalesco, il grido di un animale ferito. È uno degli incubi di Cecilia. Mi alzo e raggiungo la sua camera. Entrando noto le coperte aggrovigliate, il cuscino bagnato di lacrime. Dalle sue lacrime. Come tutte le altre volte prendo la poltrona e mi siedo accanto a lei, sperando che riveli nel sonno qualcos’altro sul suo passato. Ma l’attesa è lunga e il sonno ben presto mi rapisce di nuovo.

 

§§§

 

Cecilia.

Ciao sorellona. Questa volta riesco ad aprire la bocca e persino parlare. Stessa stanza di tutte le altre volte, ma oggi Francesca è diversa. È completamente bagnata, i capelli appiccicati al viso, l’abito scurito dall’acqua. Mi osserva e io osservo lei. Sei cambiata, mormoro. Perché sei cambiata tu, risponde lei. Ma la conversazione è interrotta dal solito torrente di acqua.

-Attenzione- mormora. E nuovamente le onde portano via parte di me.

 

§§§

 

Mi sveglio accaldata e con le guance rigate di lacrime. Sento un respiro nella stanza e mi rendo conto che Sherlock ha spostato la poltrona accanto al letto e lì si è addormentato. Ha il viso rilassato mentre dorme e tiene una mano poggiata sul materasso. La afferro e stringendola con la mia e mi riaddormento.

Lo so, è una cosa stupida, ma nella mia mente non riappaiono più incubi.

 

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Capitolo 8
*** Perdere il controllo non sempre è un male. ***


Cercatevi una stanza

Capitolo 8

Perdere il controllo non sempre è un male

Cecilia

Ore 3.30 am.

-Lestrade, arresta Hugo- sbrigativa, veloce ed efficiente. Devo esserlo, se voglio che quell’uomo venga catturato. Sentendo silenzio dall’altro capo del telefono –Lo interrogherò io stessa, se è questo il motivo del tuo silenzio.
-Ti rendi conto di che ora è?
-Perfettamente.
-Allora vai da Sherlock e chiedigli di… giocare a scacchi o che ne so, la prossima volta! Ti richiamo io- interrompe la conversazione.

Io avrei anche chiesto a Sherlock di tenermi compagnia, non riuscendo a dormire, ma è così raro che dorma che non ci tenevo a svegliarlo. Riposa ancora sulla mia poltrona, il respiro lieve e calmo. La maglietta nera crea un contrasto perfetto con la pelle nivea, che ancora mi stupisce. Decido di disegnarlo, perché se dorme può davvero essere il modello perfetto. Afferrato il mio quadernetto degli schizzi apro una pagina bianca e mi applico nell’arduo compito del creare un suo sosia.
Quando mi accorgo che si sta svegliando nascondo il quaderno e mi avvicino
-Buongiorno- mormoro
-Giorno- borbotta con gli occhi ancora chiusi
-Sbrigati, dobbiamo interrogare Hugo- preparando il caffè lo sento raggiungermi. Sorride e prende una tazza.
-Hai risolto il tuo primo caso.
-Abbiamo- rettifico io – e comunque manca la sua ammissione, sai che quello che sappiamo io e te ha ben poco valore davanti a una giuria.

Inclina il capo in segno di assenso –Allora andiamo.

 

§§§

 

-Ha ucciso la signora Zorah- sono sola nella stanza con quest’uomo, ma so che Sherlock e Greg sono dietro quella parete ad ascoltare. Non devo mostrarmi debole.
-Chiamami Victor, zucchero- ma anche no! È disgustoso.
-Signor Hugo, ha ucciso Giselle Zorah per la sua ossessione verso la donna, incinta dell’uomo che amava.
-No- mente sorridendo e inizio ad annoiarmi. È chiaro come il sole che è colpevole! Poi vedo come farla finita in poco tempo, grazie alla sua vanità.
- No, ha ragione. Come avrebbe potuto un semplice cuoco come lei architettare un piano così elaborato? Allora non resta che arrestare Gyfer. Non avrei mai pensato che potesse congegnare un piano del genere. Ha superato le mie aspettative.
- Come, zucchero? 
- Non si può negare che sia un piano quasi perfetto. Doveva essere molto intelligente, Gyfer intendo.
-Mmmm- mugugna adombrandosi
-Sicuramente Giselle lo amava per la sua grande intelligenza. Devo ammettere che uno stilista deve avere una mente fuori dal comune, superiore alla media, per riuscire a progettare capi così fantasiosi. E questo si può applicare anche nel campo dell’omicidio perfetto- è furibondo, ho fatto bene a paragonarlo al suo rivale in amore.
-NO!- urla –quel maiale non avrebbe potuto scoprire che Giselle era allergica allo zafferano, non avrebbe saputo mettergliene degli stami in un dolcetto! Sono stato io! Solo IO avrei potuto farcela!- il megalomane egocentrico si rende conto della trappola e mi si avventa addosso, afferrandomi i polsi. Sono paralizzata dalla paura quando mi ritrovo libera, Hugo per terra e Sherlock che lo sovrasta. Lo –Sherlock no!- di Lestrade ancora riecheggia.

-Non la toccare- gelido come sempre Sherlock si volta verso di me, gettandomi solo un'occhiata veloce –Lestrade, hai le prove. Noi ce ne andiamo- marcia svelto fuori dalla stanza.

Le strade sono deserte, nessuno che esca nemmeno per fare la spesa. Rallenta il passo per aspettarmi e raggiungendolo vedo che i suoi occhi sono scuri, cupi.
Piove e arrivando a casa siamo bagnati fradici. Entrando mi lascio scivolare per terra e tremo per lo shock. Non è stato come toccare Sherlock. È stato orribile. E lui lo sa, è per questo che è intervenuto.

-Grazie- mormoro alzandomi e prendendogli la mano.

 

§§§

 

Dopo the caldo siamo seduti in sala, come sempre lui sulla poltrona e io sul bracciolo accanto a lui.
-Raccontami di cosa ti è successo- è serio, non mi guarda.
-Oggi? Il solito. Mi ha toccata ed è stato come se non fossi più capace a respirare.
-Non intendevo oggi, lo sai benissimo Cecilia- mi interrompe con la voce morbida. Io mi volto a cercare un appiglio di salvezza, qualcosa che mi impedisca di rivangare i ricordi.
Vedendo il violino sul tavolo ho un ‘idea.
-Suonerai per me?- mi aveva raccontato di come non avesse mai lasciato che nessuno, escluso John, sentisse alcuni suoi brani. Al mio perché non aveva risposto, così mi era rimasta la curiosità. Devono essere molto espressivi se li tiene per se e io voglio poterlo conoscere meglio. So che non vuole. Nemmeno io voglio raccontare, ma posso provarci. In questo gioco si gioca in due.

Non risponde, chinandosi solamente e facendo scattare i due ganci dorati della custodia.
Annuisco e vado a farmi una doccia. Tornando in sala ordino una pizza, per poi salire a cambiarmi e prepararmi per la lunga serata che mi aspetta.





NDA: Here I am! Perdonatemi, davvero, ma ho dovuto pubblicare senza betatura, per rispettare la scadenza settimanale che mi sono imposta. Davvero, scusatemi se trovate errori idioti di battitura, e fatemelo sapere, please. Un grazie come sempre a tutti voi!
xxx
-Dan

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Capitolo 9
*** E quello fu il suo ultimo abbraccio. ***


Cercatevi una stanza

Capitolo 9

E quello fu il suo ultimo abbraccio

Sherlock

Accordo velocemente il violino, attendendo che scenda dal piano di sopra.

-Fermati, Sherlock- mi interrompe mentre accenno qualche nota

-Volevi che suonassi.

-Dopo. Prima ho intenzione di soddisfare la tua curiosità- sembra fragile, con le cicatrici scoperte, i capelli sciolti, gli occhi grandi per l’ansia. Seduto sulla poltrona la vedo accomodarsi sul tappeto di fronte al camino, come se il fuoco la potesse proteggere.

-Non è una bella storia- mormora, cercando di tergiversare per prendere abbastanza coraggio da raccontare.

-Non mi aspettavo che lo fosse- le rispondo tranquillo. So che le ho appena chiesto di parlarmi di una parte della sua vita che vorrebbe poter dimenticare.

-Non ti racconterò tutto questa sera, non ci riesco.

-So essere paziente quando serve.

Mi guarda, poi volge gli occhi al vuoto e si perde a raccontare.

 

§§§

 

È una ragazzina, stesa su un fianco su un freddo pavimento di pietra di una stanza altrettanto grigia e fredda.

-Stasera canterai per me- l’uomo si aggiusta i polsini della camicia bianca, lasciando sospesa nell’aria una minaccia.

-Molly!- chiama poi, facendo entrare una cameriera piccola e grassottella e andandosene.

-Si, signore- dopo tre anni la donna sa che cosa deve fare e dovrebbe evitare di dare confidenza alla creatura tremante sul pavimento. Ma non ci riesce, quella ragazzina è brillante, intelligente, sarcastica. Le ricorda tanto la figlia.

-Piccola…sai che devi obbedirgli.

-Molly, non posso. Lo sai. Sai che a ogni suo desiderio io ubbidisco, ma questa cosa è più forte di me. Non posso. E non m’importa se mi strapperà la schiena a frustate, se mi inciderà di nuovo la carne, se mi ucciderà- è una voce sicura, anche se spezzata dal dolore

-Non parlare così, piccina- mormora la bionda alzando il corpo da terra –Quante sono state questa volta?

-Trenta, col frustino- la mora cerca di nascondere la schiena, mentre la donna la aiuta a raggiungere il bagno e apre l’acqua della vasca. Si immerge piano, piangendo quasi quando l’acqua calda irrita la pelle ferita. Molly la lava, la medica, la asciuga e la riveste con dolcezza, come a volersi far perdonare anche la crudeltà dell’uomo.

-L’hai trovata?- chiede poi la ragazza seduta sul letto

-No. Stasera cercherò nella sua camera, mentre sarete a cena- parlano dell’unica possibilità per la mora di scappare. Una boccetta di un distillato segreto, un sonnifero immediato.

-Grazie.

-Ne sei sicura? Hai visto cosa è successo l’altra volta- sussurra la donna con gli occhi pieni di lacrime sfiorandole le cicatrici. Due intrichi bianchi le segnano la mano destra e la spalla sinistra, come monito. Un anno fa la giovane ha provato a fuggire ma Lui l’ha ripresa. La sua punizione è stata esemplare ma, per quanto abbia inciso profondamente la carne, lei non ha urlato, non ha pianto, non ha reagito. E’ stata ferma immobile sul tavolo mentre lo spillo mangiava la sua pelle e beveva il suo sangue. Lui non è riuscito a spezzarla.

-Si. Ne sono sicura.

 

Scende le scale con grazia e raggiunge l’uomo nella sala, davanti alla sua poltrona. Si inginocchia come vuole Lui, l'abito celeste aperto intorno a lei come i petali di un fiore, e inizia a cantare. Canta di un uccellino che è stato preso dal nido e non vi può ritornare, canta di pianto, di dolore, di paura. Lui le tira uno schiaffo e serafico le dice di cambiare canzone, vuole una bella canzone allegra. Lei lo soddisfa ma, quella sera, ritornando in camera va a cercare Molly.

-L’hai trovata?- mormora.

-Piccola mia- singhiozza la donna.

-Molly non ti preoccupare, starò bene- la interrompe la giovane con gli occhi lucidi –Vieni con me.

-No piccina. Lui ti troverebbe subito se io ti seguissi. Io resto qui.

-Grazie Molly- la cameriera le ha fatto scivolare in tasca una piccola boccetta e una siringa.

-Domani?- chiede la bionda.

-Domani.

-Troverai degli abiti adatti sotto il letto, è tutto quello che posso fare- sussurra piano.

-Non dimenticherò mai Molly. Grazie. Grazie per avermi accolta come tua figlia, per avermi protetta per quanto potevi, per avermi accudita, per avermi amata, per aver amato un mostro come me. Grazie.

-Tu non sei un mostro bambina mia. E se tua madre ti diceva queste cose evidentemente non riusciva a vedere dentro di te. Non sei solo intelligente, ma anche buona. Sarai una donna meravigliosa e io ti vorrò sempre bene. Mi dispiace non aver potuto fare altro.

-Ti… ti voglio bene anche io- balbetta la ragazza, non abituata all’affetto. -Hai fatto fin troppo, ora vai a dormire- le mormora, abbracciandola forte. E quello fu il suo ultimo abbraccio.

 

§§§

 

Cecilia tace, tremando un poco e mi accorgo che sta inconsciamente riproducendo la serata davanti al fuoco. Solo che sulla poltrona, che la domina, che la sovrasta, ci sono io. Allora mi siedo accanto a lei e la vedo accennare un sorriso mentre allunga una mano verso il fuoco, ritirandola appena prima di bruciarsi.

-Sai, passavo le giornate con Molly e la sera ero costretta a stare con lui. Non pensavo me ne sarei mai andata.

-Come sei fuggita?

 

§§§

 

-Siediti sulle mie gambe- ordina l’uomo afferrandole le mani. La ragazza sorride e accenna un piccolo inchino, accomodandosi con grazia sulle ginocchia di Lui.

-Sei bellissima- lei ridacchia e gli avvicina le mani al volto, come per carezzarlo. Quando però lui posa le labbra sulle sue, con un gesto veloce del polso, la giovane affonda nel suo collo un ago. Il sonnifero entra in circolo in un istante e Lui, negli ultimi istanti di coscienza, la vede per la prima volta ridere.

Velocemente sale le scale, non sa per quanto Lui resterà sedato e si deve sbrigare. In camera, sotto il letto, trova un maglione e un paio di pantaloni neri con degli stivali di pelle morbida, comodi per camminare. In uno zainetto, il suo ciondolo a forma di fiocco di neve, cibo e acqua. Si alza indossando velocemente gli abiti. Poi è fuori nella notte, sola. Sola come sempre.

 

§§§

 

Ora gli occhi sono lucidi e lei tace. Per stasera non posso pretendere di più, eppure mi sorprende.

-Quando andai a vivere da Giulia pensai che fosse finalmente finita- la guardo, aspettando che continui – Un giorno, trovai sul mio letto una busta bianca, senza indirizzo né mittente. Giulia non ne sapeva nulla e pensavo fosse un suo scherzo. Aprendola ne cadde una foto. Una donna bionda con la gola squarciata e gli occhi spenti- non ha bisogno di dire altro. Quella donna si è lasciata uccidere perché Cecilia potesse scappare. Grosse lacrime le scorrono sulle guance, scintillando nella luce fioca. Le prendo la mano, come ha fatto oggi lei con me. Calmatasi si alza e io la seguo.

-Ora, se non sbaglio, tocca a te mantenere la promessa- sussurra piano al mio orecchio, la voce morbida nonostante il pianto.

Seduto, lascio che sia la musica a parlare al posto mio.













Nda:
Grazie come sempre a tutti quanti voi! Come al solito mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate, mi basta anche un "datti all'ippica"!
Alla prossima!
xxxx
-Dan

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Capitolo 10
*** Chi ha cambiato chi? ***


Cercatevi una stanza

Capitolo 10

Chi ha cambiato chi?

Quel sabato

-Allora venite con noi?-
-Si- rispondo ad un’ansiosa Giulia.
-Vi passiamo a prendere. Pochi minuti e siamo lì!- esclama riattaccando.
-Non ho mai detto che sarei venuto al lago con voi- dice Sherlock laconico.
-Non è colpa mia se non vuoi andare alla festa di Natale a casa di tuo fratello- colpito in pieno –E comunque tu verrai con me.
-No.
- William Sherlock Scott Holmes, alzati da quella maledetta poltrona.
-Mi rincresce che tu non abbia altri nomi, Cecilia, altrimenti potrei anche io utilizzarli per farti capire il mio disappunto.
-Sherlock- sospiro.
-Solo se verrai con me- mi guarda con gli occhi scintillanti.
-Prego?- ti prego, ti prego, ti prego fa che non mi stia chiedendo di andare con lui alla festa di Natale.
-Non fingere di non capire, sai che lo capisco quando lo fai.

Suonano alla porta, Giulia e John ci aspettano.
-Vieni con me?- domando ancora.
-Verrai con me?- testardo.
-Va bene- cedo –Ma ora usciamo!- sono esasperata. Sorride, sapendo di aver vinto e si alza.

Scendendo dalle scale mi sale un dubbio.
-Sarà così terribile?
-Assolutamente. Persone noiose che ci riempiranno la testa di chiacchere e informazioni inutili, brusio di sottofondo, il rispetto dell’etichetta in ogni sua virgola ma soprattutto musica lenta…e dovrai ballare- alza un angolo della bocca. Sa che non ho mai imparato a ballare!
-Non so ballare.
-Sono certo che avrai modo di imparare, da qui a Dicembre.

 

§§§

 

L’acqua non è freddissima e io e Giulia vi teniamo i piedi , sedute sul molo. Osservando i ragazzi vedo John ridere, sorridere e anche sbuffare mentre Sherlock resta quasi immobile sull’erba.
-Hai davvero una buona influenza su di lui, sai?- dice Giulia cogliendo il mio sguardo.
-Cosa intendi per una buona influenza?
-Intendo che è più...umano, non so se mi spiego. Prima quel suo lato era visibile per pochi istanti e solo John ne era il responsabile. Ora sei arrivata tu e guardalo! È sempre Sherlock, sempre il solito maledetto genio freddo e saccente, ma con te è umano. Forse perché gli somigli! Anzi no, non gli somigli affatto, sei molto più simpatica. Altrimenti la nostra amicizia sarebbe di sicuro finita da tempo!- ridacchia con ironia.

Sorrido voltandomi a guardarla.
Tiene le spalle rilassate, il viso rivolto al sole caldo.
-Secondo me è lui ad avermi cambiata- rispondo voltandomi nuovamente verso i due seduti sull’erba e facendo dondolare i piedi in acqua.
-Forse- replica lei –ma fidati, prima del tuo arrivo Sherlock Holmes era davvero un grandissimo stronzo! Non che adesso non lo sia, ma bisogna ammettere che hai superato il muro che si era creato attorno più velocemente di quanto mi aspettassi- fa una piccola pausa e sospira, poi si volta e mi sorride –E lui ha decisamente superato il tuo.
-Decisamente- mormoro –I primi tempi mi sfidava a toccarlo, sai? Invece l’altra sera gli ho persino raccontato parte di tutta quella merda che ho vissuto. Senza rimorsi, senza crisi di panico- poi, vedendola scaldarsi aggiungo –lo so che tu gli avevi detto di non farlo, ma è stato meglio così.
-Come fai a dirlo?- non servono parole. Mi sporgo e la abbraccio per la prima volta da quando ci conosciamo, il primo gesto di contatto fisico che non fosse strettamente necessario. Le si spezza il respiro –Ti voglio bene Ce- mormora senza sciogliere l’abbraccio.
-A…anche io- le rispondo incerta. Ridacchio e la guardo –Grazie di tutto Giu.
-Non devi ringraziarmi. È così che si fa tra amiche, no?- è serena e decisa.
-Sai che non lo so?-rispondo imbarazzata. Giulia ride.
-Era una domanda retorica Ce. Ripensandoci, siete proprio uguali tu e Sherlock!- rido anch’io.
-Lo prenderò come un complimento.
-Non so se voleva esserlo- ride più forte e mi lancia un’occhiata colpevole e divertita allo stesso tempo.
-Con John va tutto bene, vedo.
-Si, giuro che è fantastico! Oddio, dev’essere suonato davvero sdolcinato!- commenta pensandoci su –Lui lavora nel suo studio, io nel mio e nei momenti liberi m’impegno per tenerlo nei guai- poi arriccia il naso, come sempre quando è tanto curiosa ma non vuole farlo capire –Sherlock ti ha già invitata alla festa di Natale?-
-Più che altro mi ha obbligata- rispondo alzandomi.
-Immagino che tu invece gli abbia semplicemente chiesto di venire qui oggi- replica lei, sempre ridendo.
-Certo- vedendo la sua faccia scettica ribatto –Beh non proprio chiesto…- poi quel pensiero raggelante mi torna in mente –Io non so ballare!

-Il tuo cavaliere a quanto pare si, e deve essere anche bravo…chiedi a lui- propone con una risata.



 

 

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Capitolo 11
*** Are you drunk? ***


Nda: Hey gente! Here I am, again! MachiticagaDan
Questa volta il mio ringraziamento va come al solito alle mie ragazze, le mie meravigliose ragazze, ma anche a Ally I Holmes, che mi rallegra le giornate con le sue recensioni. Thank you :)
xxxxx
-Dan


Cercatevi una stanza

Capitolo 11

Are you drunk?

Sherlock

Uomo, 45 anni, californiano, capelli biondi e occhi verdi
-Alto un metro e sessanta, per cinquanta chili di peso- Cecilia, lo so anche io.
-In terapia farmacologica- mormoriamo insieme.
-Per l’amor del cielo, mi spiegate cosa state cercando di fare?- sbotta uno spazientito Lestrade.
-Zitto- ordina lei.
-Ha ucciso Morristan, preso la droga e scappato. Ma scappato dove?- mi domando. Cecilia si avvicina alla mappa di Londra sulla parete dell’ufficio di Lestrade.
-Anderson- la guardiamo –Portatemi Anderson!- Sinceramente per una volta mi trovo d’accordo con il perplesso Lestrade, nonostante io sia sicuro non per la stessa ragione. Mentre lui si domanda perché chiamare una persona che detesta, io mi domando perché chiamare un agente della scientifica.
-Cosa c’è?- poverino, non riesce nemmeno a fare tre piani di scale senza avere il fiatone
-Anderson, ora ti farò delle domande a cui persino un bambino di prima elementare saprebbe rispondere. Se la tua risposta è giusta ti lascio andare, altrimenti…- è terrorizzato. Da una ragazza di almeno dieci anni più giovane di lui. Ammetto che questa scena è surreale ma…
-La benzoilmetilecgonina è un eccitante. Vero o falso?
-La?
-La cocaina Anderson! Veloce!
-Vero- dice seccato.
-Porta alla distorsione delle capacità cognitive.
-Vero.
-Rende infaticabili.
-Vero, per quanto…
-Taci. Limitati a una parola. Anzi, se riesci a non dare aria alla bocca muovi solo la testa- Anderson s’imporpora per la vergogna e l'ira, ma poi annuisce.
-Incrementa la libido- Lestrade si lascia sfuggire una specie di singhiozzo imbarazzato-divertito, ma lo sguardo gelido di Cecilia lo rimette a tacere –Anderson, allora?
Nega con la testa. Passo falso. Meglio se avesse ammesso di non saperlo. Le si illuminano gli occhi, come un leone che ha appena avvistato la gazzella. Ed è un leone molto affamato.
-Fuori- sbotta –Sherlock con me- urla mentre corre fuori dalla stanza. In strada –Perché hai chiamato Anderson per domande così banali?- le domando.
-Per terrorizzarlo. Mi diverte e comunque lo sappiamo entrambi che ora si starà facendo consolare da Donovan- sorrido –Ora veloci. Hai capito dov’è?- annuisco –Io a destra.
-Io a sinistra.
-Pronti, partenza via!- urla correndo verso l’assassino cocainomane.
Inizia la caccia.

 

§§§
 

Cecilia

Adrenalina a mille, pulsazioni accelerate, guance arrossate. Sono divertita da questa situazione. Dio, sto rincorrendo un quarantacinquenne californiano in giro per Londra facendo a gara col mio coinquilino.
Correndo riassumo le mie informazioni sull’uomo. Ha ucciso per la cocaina, noto eccitante. Perché ha cominciato a farne uso? Una donna. Semplice. La cocaina porta alla distorsione cognitiva e delle capacità recettive, sensazione di aumento delle percezioni, accentuazione della reattività fisica e mentale, riduzione dello stimolo di addormentarsi, della fame e della sete, euforia, maggiore socievolezza e facilità di relazione, infaticabilità, incremento della libido.
Centro. La foto nel portafoglio quando lo ha aperto per pagare il tassista. Una ragazza. Sta partendo, il bagaglio a mano. Non vola, soffre di vertigini. Un battello. Corro senza fermarmi mai, giro a destra prima di un negozio di fiori ed eccolo lì. Cammina a passo svelto, lo vedo fumare. Ottimo.

-Ciao, scusa avresti da accendere?- chiedo sorridendo e avvicinandomi. Grazie a Dio Sherlock tiene ancora qualche sigaretta in casa.
-Certo, vieni- sorride anche lui spalancando gli occhi lucidi e limpidi, mentre mi avvicina un accendino. Passi dietro di me. E’ il modo in cui cammina Sherlock e sento un uomo col fiato grosso seguirlo. Lestrade ha la solita delicatezza di un canguro inferocito.
-Grazie- mormoro, avvicinando il viso alla fiamma. Aspiro una prima boccata, lasciando che il fumo entri nei polmoni –Anche per esserti fatto prendere- sorrido vedendo l’ispettore afferrarlo e mettergli le manette. Mi avvicino a Sherlock.
-Vuoi?- Scuotendo la testa mi afferra la mano e aspira senza toccare la sigaretta.
-Un po’ mi dispiace per il vecchietto che hai fatto cadere- gli dico –ma tanto non avresti vinto comunque.
-E’ stata solo fortuna- ribatte piccato.
-Dai Sherlock, vinci sempre tu, lasciami divertire qualche volta.
-Non ricordo cosa avevamo scommesso.
-Bugiardo- sorrido. Avevamo scommesso che chi avesse perso avrebbe dovuto sottostare ad ogni volere del vincitore per un’intera serata. E Sherlock sa bene cosa chiederò, non ho fatto nulla per nasconderglielo –Pronto a ubriacarti?- chiedo inarcando un angolo della bocca.

 

Quella sera

-Sei pronta?- urla dalla sala. Certo che sono pronta Sherlock, e tu? Penso scendendo le scale.
-Che dici, passo per una ragazza normale?- ruoto su me stessa, mostrandogli l’abito celeste e le scarpe col tacco rosse.
-Normale?- chiede inarcando un sopracciglio.
-Fa nulla- sorrido –ansioso?
-E’ solo a scopo scientifico, corretto?
-Solo a scopo scientifico- scientifico-ludico, aggiungo nella mia mente. Perché mio caro Sherlock, stasera ho intenzione di farti parlare di te. E dovrai bere molto per poterlo fare.
Il locale è pieno di gente, ma un tavolo in un angolo è rimasto libero
-Sicura di volere questo?- domanda, inquietato.
-Un sex on the beach per me e una tequila per lui- chiedo al cameriere. Lo vedo inarcare il sopracciglio –Iniziamo dalle cose più semplici, è la tua prima volta no?- Beve il liquido ambrato.
-Mi piace- sorride. Bene. Iniziamo a giocare pesante.
 

Parecchi cocktail dopo
-Da piccolo mio fratello sosteneva di essere più intelligente, ecco perché non ci sopportiamo- ho avuto il piacere di conoscere Mycroft, nonostante Sherlock non ne sia a conoscenza, e devo ammettere che pur avendo una mente brillante manca di qualcosa che invece è ben presente nel fratello minore -e poi mia madre era sempre impegnata, ho avuto tante tate. Mi divertivo a farle licenziare per fatti assurdi. Una volta misi della marijuana nella sigaretta di una ragazza. Si mise a urlare nel mezzo del giardino che degli elfi la stavano violentando- sorride –e avevo un cane, Barbarossa, che è morto. Non mi affeziono mai. Ah e da grande volevo essere un pirata- sia lodato l’inventore dell’alcol. Sherlock ubriaco, oltre che essere estremamente sarcastico e divertente, è molto meno rigido e parla del suo passato con una facilità sconvolgente.
-Molto bene, Sherlock, andiamo a casa- gli dico vedendo l’ora. Senza ribattere si alza e mi segue fino in casa. Persino arrendevole! Devo ricordarmi di comprare della vodka…
-Non riesco a slacciarmi la camicia- oh no. No dai, ti prego!
-Riprovaci- ribatto.
-Gira tutto- fanculo. Lo conduco nella sua camera e vado a mettermi il pigiama ma, una volta tornata al piano di sotto Sherlock ancora si fissa la camicia senza muoversi.
-Dannazione- mormoro, slacciandogli i bottoni e lasciandogli scivolare la stoffa bianca giù dalle spalle. Si addormenta sul letto così, con i pantaloni ancora indosso, per mia fortuna. Non ho sonno, e sarà una lunga notte, penso prendendo il quaderno degli schizzi.

Inizio a disegnare, seduta su una poltroncina in camera sua. A notte inoltrata nascondo il quaderno e mi addormento guardandolo.

 

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Capitolo 12
*** Ha mentito. ***


Cercatevi una stanza

Capitolo 12

Ha mentito

Cecilia

Sono cosciente di essere sveglia. E reattiva. Ma non capisco dove mi trovo. Inspiro piano: odore di pulito, di sapone. E di sigarette. Aprendo gli occhi scopro di non essere più sulla poltrona dove mi sono addormentata la sera prima, ma in un letto. Non nel mio, ma in quello di Sherlock. Entrando in sala lo vedo sdraiato sul divano, un braccio a coprirgli gli occhi.

-Perché ero nel tuo letto?

-Perché dormivi, io ero sveglio e senza voglia di starmene a poltrire. Inoltre, è perché avevi i soliti incubi, ed è più facile calmarti se non sei raggomitolata su una poltrona- sbuffa.

-Mal di testa, insofferenza alla luce, stanchezza. Cos’è?- domanda dopo un po’.

-I postumi della sbronza, Sherlock- rispondo andando a prendere un bicchiere in cucina –Bevi e ingoia questa- apre gli occhi.

-Cos’è?

-Hai intenzione di darmi retta? Non è la prima volta che vedo qualcuno messo così. Anzi, tu sopporti bene l’alcool.

-Rispetto a tuo padre sicuramente- perché tira fuori questo discorso? –Quanti anni avevi quando Francesca si prendeva cura di Michael, con Marta fuori casa?- mormora prendendo la pastiglia e il bicchiere dalla mia mano.

-Otto- annuisce.

-Com’è andato l’esperimento?- chiede poi.

-Abilità intuitive vagamente ovattate, minore capacità di analisi, maggiore socievolezza, facoltà motorie normali, più o meno.

-Più o meno?

-Riuscivi a camminare, ma non a correre- meglio non dirgli della camicia, che s’immagini quello che vuole.

-Con chi hai fumato ieri sera?- sorride –Un nuovo cavaliere?

-Eri tu, Sherlock- il sorriso si amplia.

-Mi devo essere perso molte cose.

-Parecchie- gli sorrido di rimando.

-Raccontami cosa abbiamo fatto- ordina, sedendosi.

-Velocemente però, poi dobbiamo andare a Scotland Yard, ricordi?- annuisce –molto bene…allora, abbiamo iniziato a parlare….- continuo evitando accuratamente ogni accenno alla mia parte privata dell’esperimento. Meglio avere qualche carta nascosta, quando giochi con Sherlock. Ma ancora una cosa non capisco. Ha parlato di una donna, chiamandola Irene. Mycroft mi ha sempre detto che Sherlock si riferiva a lei come la Donna. Cosa è cambiato, per fargli mutare idea? Il cellulare che vibra mi distrae.

Oggi. Central park, 5. M.

Devo vedere Lestrade per un caso digito.

Lo farai domani, ho già parlato con lui. M.

Non ho altra scelta –Sherlock, oggi starò fuori casa.

-Non resti con me?

-Non posso- fa una smorfia e si volta sul divano, dandomi le spalle, offeso.

 

§§§

 

-Buongiorno.

-Ciao.

Mi siedo sulla panchina, di fianco all’uomo.

-Parla. Ti ho cercata per questo. Non hai il coraggio di domandare direttamente a lui, quindi chiedi a me.

-Ho solo una domanda.

-Sei gelosa.

-No- lo vedo sorridere –Perché non chiama più Adler la Donna?

-Sherlock mantiene nella sua mente solo le informazioni essenziali, senza troppi sentimentalismi. Fino a pochi mesi fa Irene era il suo sentimentalismo. Ora è cambiato.

-Non capisco.

-Ha trovato qualcosa per lui più importante.

-Che cos’è?- devo saperlo. Devo sapere tutto ciò che posso su Sherlock.

-E dire che solitamente voi donne siete le prime a capire certe cose- mormora –Comunque, mio fratello ha mentito- ripenso alla mattina, senza trovare però alcuna traccia di menzogna sul suo viso –Pensaci. Ricordi tutti i gli incubi che fai, corretto?- annuisco –E ieri?- nessun incubo che io mi ricordi. Quindi non ho avuto incubi. Quindi Sherlock ha mentito -Hai capito- sorride –Ti ha portata nel suo letto poco dopo esserti addormentata. E ha passato tutto il resto della notte accanto a te.

Si alza e se ne va. Resto ferma sulla panchina cercando di capire.

Mentre lo vedo camminare mi domando se sia più insopportabile Sherlock Holmes o Mycroft Holmes. Ed è una bella gara, effettivamente.





Nda: Perdonate la brevità di questo capitolo. Really, volevo che fosse più lungo, ma così mi pareva giusto. 
As usual, un grazie a tutti voi.
xxxxxx
Dan

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Capitolo 13
*** L'ago. ***


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Capitolo 13

L’ago

Sherlock

Mi annoio. Non ho nulla con cui passere il tempo nell’ufficio di Lestrade. Cecilia sta illustrando il caso come avrebbe fatto con un bambino di cinque anni, ma almeno la capiscono tutti. E’ stanca, e si sta imponendo dei limiti per non uccidere Donovan, che avanza obiezioni ad ogni cosa. Ad un certo punto...
-Donovan, sicura non voler lucidare i pavimenti dell’ufficio come hai fatto ieri a casa di Anderson? Almeno staresti in silenzio- la donna furibonda tace –Ti ringrazio- dice chinando il capo e riprendendo a parlare con Lestrade.
-Ma perché faceva uso di cocaina?- chiede l’ispettore.
-Perché aveva dei problemi- dice Cecilia come se fosse stato un idiota.
-Che tipo di problemi?- insiste lui.
-Difficoltà a relazionarsi, depressione- respira profondamente.
-E?
-E chiedilo a quelli della scientifica, non a me!- sbotta. Non ne vuole parlare, si vergogna di certi discorsi. Come tutte le brave bambine penso ridacchiando nella mia mente.
Donovan ride e la guarda, avendo capito il suo imbarazzo –Allora vedi che sei umana anche tu, come quello strambo là.
-Parla ancora, ti prego. Il processo di elaborazione del tuo cervello è talmente lento e poco usato che fa quasi rumore. Anzi, molto poco usato se sei finita con Anderson- è gelida.
-Non è affar tuo con chi vado a letto- ribatte piccata la ricciola.
-Molto bene!- Cecilia le fa un piccolo applauso. Mi inizio a divertire, nonostante sappia già che di qui a pochi secondi Donovan starà marciando fuori dalla stanza –E ora che hai candidamente ammesso uno dei tuoi segreti, ne vorresti rivelare altri? Come, ad esempio, che sei incinta- vedo gli occhi di Donovan riempirsi di lacrime.
-Taci, verginella- lei si blocca. Le spalle in tensione, le braccia tese, le mani strette a pugno. Devo portarla via, se Lestrade non desidera giustificare una rissa nel suo ufficio. Anche se probabilmente Cecilia avrebbe solo risposto a tono, poi Donovan avrebbe alzato le mani.
-Andiamo- la prendo per un braccio e faccio per uscire. Mi segue per qualche passo, poi si ferma.

-Oh capisco- sorride crudelmente –Non glielo avevi ancora detto. Beh Anderson, felice anniversario di matrimonio!- si volta e scende velocemente in strada.

 

§§§

 

A casa

Un pacco è appoggiato sul tavolino, una lettera bianca sopra. Né indirizzo, né mittente. La carta proviene dall’Italia, di ottima filigrana. Con assoluta calma Cecilia si siede sulla sua poltrona e la apre. Ci sono dentro due fogli: il primo è una foto, il secondo un semplice biglietto. Cecilia osserva il biglietto. Poche parole, scritte da mano maschile con una normalissima penna nera, trovabile in ogni parte del mondo. Sei pronta a giocare?
Tiene la foto contro il petto, nascosta. Non le chiedo di mostrarmela, immagino che Lui abbia trovato anche Giulia. Cecilia ci tiene davvero a lei, quindi risulterebbe plausibile tutta l’ansia che le leggo addosso.
Scarta il pacco delicatamente e lo apre, tirandone fuori tre cose. Una siringa, un ago e una frusta.
-La siringa, il simbolo della fuga. L’ago, la punizione. La frusta, il suo gioco- mormora, pensando con gli occhi accesi da una luce gelida –Mi ha trovato. E vuole riavermi.
Mi siedo accanto a lei, mentre mi spiega ciò che non capisco.
 

§§§
 

-Non fuggirai ancora- sussurra l’uomo sulla sua bocca, legandola al tavolo. La ragazzina non si agita, non si dimena. Le corde metalliche feriscono e lacerano la pelle morbida, ma lei non ci fa caso. Osserva l’uomo prendere un lungo ago e bruciarne la punta per disinfettarlo. Quando ritorna le ordina di urlare. Ma la ragazza tace, respirando piano in segno di ribellione. Lui inizia a scavare la pelle della mano. Respira si ripete mentalmente la giovane Pensa a quella canzone. Pensaci. La canta nella mente mentre l’ago le mangia la carne e beve il suo sangue. La canta in silenzio perché Lui non senta. La canta finché stremata non sviene.
 

§§§

 

Ha parlato in fretta, senza fare pause. È chiusa in se stessa. Le prendo la mano destra, osservando le cicatrici. Sembrano un ricamo antico e la precisione è unica, la pressione posta sull’ago uguale in ogni singolo punto.
Potrebbero essere un capolavoro, se solo non fosse inciso sulla sua pelle.

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Capitolo 14
*** Insegnami ***


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Capitolo 14

Insegnami.

 

Cecilia

Di nuovo questa maledetta stanza. Non è possibile, la mia mente dovrebbe essere più fantasiosa.

Ma se non lo è un motivo ci deve essere, mormora Francesca. È seduta su una poltrona che non ho mai visto prima e versa del the da una teiera in porcellana. Mi accomodo accanto a lei e la osservo. I capelli sono appiccicati al volto, bagnati com’è bagnato tutto il resto del corpo. Non ha una scarpa e il trucco inizia a colarle dagli occhi. Non è the quello che sta versando, ma acqua fangosa.
Attenzione a cosa? Chiedo, riferendomi all’ultima cosa che mi ripete sempre prima di scomparire. Stranamente, i sogni stanno diventando sempre più vividi e reali.
A Lui. È vicino, pensavo te ne fossi accorta.
Me ne sono accorta.
E cosa stai facendo per capire chi sia? Nulla, non posso fare nulla, penso. Capisci, mi dice.

E ancora l’acqua entra da non si sa dove. Ancora mi prende per i piedi e mi trascina verso il fondo. Ancora allungo le braccia verso Francesca. E ancora l’unica cosa che stringo è acqua putrida.

 

§§§

 

-Shhh- mormora Sherlock nel mio orecchio. Mi aggrappo a lui e mi stringe. Mi sta…abbracciando? Respiro piano, ritrovando la calma. Si stacca di poco da me, osservandomi.
–Non proprio un inizio di giornata fantastico- sorride, cercando di allentare la tensione. Annuisco ridacchiando –E preparati- mi avvisa –Perché sta per peggiorare- lo guardo interrogativamente –Ho intenzione di insegnarti a ballare.

-Dio santo basta così!- urlo verso lo stereo. Scoppio a ridere istericamente –Sherlock, sono circa nove ore che ci provo, non ce la faccio. No.
-Ti ho per caso detto di fermarti?- il tono è serio, severo. E divertito. Solleva gli angoli della bocca in un mezzo sorriso –Sei riuscita ad avvicinarti di ben due centimetri rispetto a stamattina. Entro Natale magari riusciremo a ballare. Si spera- mormora con ilarità.
-Ti prego, basta.
-No. Tu ora torni qui e ricominciamo da capo. Ho capito dov’è il problema.
-Il problema è che non posso a ballare, dato che non riesco nemmeno ad avvicinarmi abbastanza a te!

In due passi mi ha raggiunto e mi riprende per mano.
-Solo un’ultima volta. Poi, se va male, prometto di lasciarti andare a dipingere- mormora. Mi cinge la vita con una mano, mentre con l’altra sale per intrecciarsi con la mia. Appoggio la mano sinistra sulla sua spalla e quando lo sento premere sulla mia schiena per avvicinarmi m’immobilizzo guardando la parete che ho di fronte.
-Penso di essere uno spettacolo assai più interessante della carta da parati- incrocio il suo sguardo e lo vedo sorridere. Poi, con un colpo secco mi attira contro di sé, facendomi sobbalzare e trattenere il fiato –Finalmente sei almeno riuscita ad avere la posa giusta- attendo il freddo che m'invade quando qualcuno mi tocca, ma stranamente non arriva. Sento il suo corpo contro il mio, e non mi fa del male. Sorrido.
-Mi hai costretta.
-Ma ci sei, giusto? E non stai male. Quindi le tue erano solo paure inutili- ha ragione. Sto bene, le sue braccia mi stringono forte –Pronta al passo successivo?
-Quale?- chiedo fissando i suoi occhi chiari. Si sta divertendo, è logico.
-Ballare, naturalmente- afferma iniziando a muoversi. Sono costretta a seguirlo, ma dopo poco ho capito che schema segue e mi riesce molto più naturale.

-Oh!- esclama la signora Hudson entrando –Sherlock, caro, pensavo stessi suonando- mi sono irrigidita.
-Calmati, dovrai ballare di fronte a molte più persone- mi dice –E’ solo la signora Hudson- mi ricompongo continuando a ballare con lui, consapevole dello sguardo della donna dietro di me. La musica termina bruscamente.
-Siete bravissimi insieme.
-Lui è bravo, io lo imito maldestramente- le sorrido.
-Oh, non è vero cara, hai imparato bene. Sembrate una coppia così…affiatata!- ridacchia poi uscendo dalla casa.
Sherlock mi fissa ed io fisso lui.
-Una coppia?!- esclamiamo in coro.
 

§§§
 

Non puoi venire alla festa vestita come se niente fosse digita Giulia.
Devo proprio? Rispondo, seccata.
Lo hai promesso a lui.
E allora?
Allora non vorrai certo sfigurare al suo fianco!
-Uhm-
Non vorrai mica portarmi a fare shopping in uno di quei negozi che detesto, vero?
Falso. Ci verrai, proverai abiti e scarpe e tra una settimana apparirai alla festa al fianco di Sherlock.
Quando? Chiedo sconfitta.
Ti passo a prendere tra venti minuti. Bene. Ho venti minuti per prepararmi alla guerra. 

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Capitolo 15
*** Abiti e noia. ***


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Capitolo 15

Abiti e noia

Cecilia

Rischio di assassinare qualcuno se Giulia mi fa provare un altro abito o rosa o di pizzo. Peggio ancora se possiede queste caratteristiche combinate.
Dopo aver trovato il suo, un monospalla blu di seta, ha iniziato a cercare l’abito adatto a me. E’ stato noioso vederla scegliere una marea di abiti, ma ancora peggio è stato dovermeli provare. Tutti.

-Basta col rosa e col pizzo!- esclamo esasperata –E basta abiti! Voglio dei pantaloni!
-Non andrai a una festa in pantaloni, te lo proibisco!- ribatte Giulia –Ma possiamo trovare un accordo- continua sogghignando e mostrandomi un abito completamente diverso dai precedenti. È lungo, di seta color del sangue più scuro, semplice ed elegante senza essere appesantito da fronzoli inutili e la forma richiama un chitone greco.
È bellissimo.
-Provatelo!- ride, vedendo la mia espressione rapita –Finalmente ti vedo con una gonna!
-E ricordatelo, perché sarà la prima e ultima volta- minaccio sorridendo. Mi piace come mi sta, anche se forse lo scollo è troppo profondo, o l’abito semplicemente troppo lungo nonostante la mia altezza e i tacchi che sono già stata costretta ad indossare.
-E’ perfetto- Giulia interrompe i miei pensieri –E a lui piacerà da morire.
-Come se mi interessasse- sbuffo lisciando la stoffa sui fianchi.
-Si, che t’interessa, altrimenti non saresti venuta con me- mi ferma prendendomi le mani e abbracciandomi. Osservo il suo riflesso nello specchio. Sembra felice.
-Allora, con John?- meglio cambiare discorso, sviarla dal pensiero di Sherlock.
-Tutto bene, credo- risponde e vedo che il suo sguardo si è improvvisamente incupito, e le mani hanno stropicciato leggermente la seta rossa. È preoccupata. Tesa. Ha paura che John la lasci.
-Cosa vuol dire credo?
-Beh, l’ho visto in ansia in questi giorni, ma non mi vuole dire il perché.
-Stai, tranquilla, sarà stressato per il lavoro- Non posso certo dirle quello che mi ha confidato!
-Uhm- mormora, per nulla convinta.
-Ehi…ti va una cioccolata?- chiedo, sperando di tirarle su il morale.
-Certo! Sai che non dico mai no al cioccolato!- improvvisamente sorride e ridacchia –E’ la prima volta in due anni che ci conosciamo che mi chiedi di venire a bere qualcosa con te. Solitamente preferivi startene sola a dipingere.

Meglio non mostrarle il quadernetto con i disegni di Sherlock. Almeno non ora. Chissà cosa ne penserebbe.

 

§§§

 

-Allora?- chiede.
-Allora cosa?- detesto quando vuole sapere qualcosa ma non vuole farmelo capire. Sa che è un gioco perso in partenza.
-Vi siete già dichiarati?
-No, cosa?! Io e…?
-Si, tu e Sherlock- ride vedendomi in difficoltà –Sarete anche dei geni, ma con i sentimenti proprio non ci sapete fare! Si vede lontano un miglio che vi piacete!
-Smettila- borbotto irritata, sapendo che se Mycroft dovesse venire a sapere qualcosa lo riferirebbe subito al fratello. Giuli si sporge verso di me con aria complice e sapendo cosa sta per fare allontano il quaderno dei disegni da lei.
-Mi nascondi qualcosa- indaga avvicinandosi.
-No- mento a sangue freddo. Ma veloce mi afferra la mano e ne prende il plico di fogli.
-Vediamo un po’…sempre e solo in bianco e nero?- chiede preoccupata.
-Si. Sai che non uso altri colori. Mai. E mai li userò.- ribatto secca, rintanandomi nella cioccolata.
-Scusa, è che speravo avessi cambiato idea- mi dice accarezzandomi la mano –Sono bellissime- afferma guardando delle farfalle immobili sulla carta –Oh...E questi?- indaga sorridendo maliziosa.

Oh. Li ha trovati. Sono fregata, intuisco dal suo sorriso. Tantissimi disegni, istantanee di Sherlock. Il suo viso in ogni prospettiva, ogni espressione che io possa mai aver visto. Se li lascia scorrere tra le mani, vedendolo corrucciato, felice, triste, cupo, stanco, allegro. All’ultimo si ferma –Wow- quella notte, quando aveva bevuto, avevo avuto ore per disegnarlo e quindi Giulia si trova tra le mani il suo corpo seminudo sopra al letto, con gli occhi chiusi e il volto rivolto verso di lei.
-Mi vorresti dire che non t’interessa?- ridacchia. Io taccio e la osservo severa.
-E comunque io lo interesso solo in senso professionale- non capisco perché ma Giulia ricomincia a ridere.

 

§§§

 

Sherlock

Vieni a Baker Street. Massima urgenza. SH invio a John.
È un’urgenza urgenza o ti annoi e basta? Risponde.
Noia. Cecilia è uscita a fare compere con Giulia. SH
Lo so.
Muoviti o inizierò ad annoiarmi davvero SH
Stranamente l’idea di me annoiato l’ha sempre reso inquieto. Ma in fondo non ho mai fatto nulla di strano, a parte sparare al muro e fare esperimenti con cadaveri sul tavolo della cucina.
Arrivo.

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Capitolo 16
*** Percentuali ***


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Capitolo 16
Percentuali

Sherlock
-Ciao- esclama John entrando in casa. Seduto sulla mia poltrona fisso quella vuota di fronte a me, dove solitamente si siede Cecilia –Ho detto ciao, Sherlock- continua accomodandosi sul divano.
-Ti ho sentito.
-Ciao John come va?- chiede imitandomi –Tutto bene, grazie Sherlock. Giulia sta bene, il lavoro è divertente. Pensa che l’altro giorno ho dovuto mettere a terra un paziente in cura da Giulia. Era da un po’ che non andava agli appuntamenti e così mi ha chiesto di andare a controllare che stesse bene. Aveva ricominciato a drogarsi e mi ha aggredito. Se insisti così tanto sarò lieto di continuare a raccontarti- continua irritato dal mio silenzio –Giulia è…bellissima e intelligente, simpatica, orgogliosa, permalosa ed estremamente dolce. Mi sono innamorato di lei e le voglio chiedere di sposarmi- Lo sapevo, lo ha detto per prima a Cecilia per chiederle consiglio e lei me lo ha raccontato l’altro giorno. Nulla di nuovo.
-Siamo alle prese con un caso davvero emozionante, sai John? Una modella che sembrava essersi impiccata da sola- sbuffa, alzando gli occhi al cielo –in realtà, il suo stilista l’ha convinta a suicidarsi. Una ragazza solare, ma estremamente fragile. Le ha offerto una sigaretta, cui era stata aggiunta della droga, per calmarla prima della sfilata, la giovane, drogata, è stata facile preda. E la sua cara sorellina ha potuto godersi le luci della passerella. Poi Tabbs è fuggito. E ora dov’è?- rifletto guardando la mappa di Londra. John, per quanto seccato, mi ascolta –Possiamo escludere i parchi, per la sua allergia al polline, e gli edifici in disuso. Non parliamo delle fogne- mentre continuo a parlare il dottore mi guarda.
-Ti ho appena detto che voglio chiedere a Giulia di sposarmi.
-Si, si- annuisco. Ho capito dove si trova.

Manda Lestrade a casa del segretario. SH scrivo a Cecilia.
Ora non posso risponde. Devo fare sempre tutto da solo.
Casa del segretario SH scrivo allora all’ispettore.
-E non sei stupito?- continua John.
-Certo, sono stupito del fatto che tu ci abbia messo tanto a dirmelo
-Ti odio quando fai così, sai?
-Non ne vedo il motivo. Ho solamente espresso la mia opinione. Quanto ci sta mettendo Lestrade a rispondermi?- mi chiedo infastidito.
-Sherlock, non sono passati nemmeno due minuti da quando hai inviato il messaggio!- sbotta John.
-E un assassino si aggira per Londra nei pressi dei negozi più frequentati. Dove, per inciso, si trova anche la tua fidanzata- che nervoso! E se andassi io a catturarlo? Potrei divertirmi a fare a gara con... ah già, è fuori.
-C'è per caso qualche dettaglio che vuoi dirmi?
-Riguardo al caso? Mi pareva di essere stato esaustivo- affermo inarcando un sopracciglio.
-No, Sherlock, non riguardo al caso.

Che non riguardi il caso?
-Ho scoperto un nuovo tipo di cenere, derivato da sigari arrotolati a mano provenienti da Cuba- ma conoscendo John non credo fosse ciò che voleva sapere.
-Parlavo di Cecilia! - esclama spazientito.
Ah. Ecco cosa non capivo -Ha i soliti incubi ma sta bene. Dipinge spesso e stamattina sono riuscito a insegnarle a ballare- sorrido ripensando a com'era impaurita prima che la stringessi e poi a come si è divertita, a come le scintillavano gli occhi e sorrideva.
-Sono contento. È la migliore amica di Giulia- esita. - E… Pensi... Ad un possibile... Si insomma, lo sai.
Inarco un sopracciglio. John sa essere davvero complicato -No, non lo so.
John sorride - Non lo so. Qualcuno finalmente ti mette dei dubbi. Oltre a Moriarty, certo.
-Dubbi?- M’inquieta non capire cosa intenda dire. Che c'entri con le... emozioni?
-Esatto, guardati.
-Perché dovrei? Sono vestito come al solito, non ho sintomi visibili di malattia, stanotte ho dormito...cosa dovrei guardare per la precisione?
-Il tuo comportamento! Finalmente qualcuno che ti dà del filo da torcere, qualcuno a cui tieni.
-Io non tengo a lei- mormoro controllando il cellulare. Se Lestrade non lo cattura in fretta potrebbe uscire e confondersi nella folla e uccidere ancora.
-Sì invece - John mi guarda e sorride. - Oh santo cielo, andiamo a prendere quest'uomo!
-Preoccupato perché si trova nello stesso luogo della tua fidanzata?
-No, per te che sta per avere un esaurimento nervoso. Muoviti - ride e s’incammina verso la porta.

 

 

Cecilia

-Ho scoperto che a Sherlock piacciono i dolci- ridacchio.
-Chissà perché non mi stupisce. L'ultima volta che è venuto a pranzo da me e John ha fatto il bis di alcune fette di torta davvero enormi. E mentre lui e John ridevano su vecchi casi bevendo il tè si è fatto fuori tutti i biscotti! Tutti!
-Biscotti? Come li avevi fatti?
-Alcuni classici, altri con della marmellata al centro. Di solito uso marmellata chiara per i biscotti e scura per le crostate.
-Io preferisco usare quella di ciliegie, è la mia preferita. E secondo te verrebbe buono un pan di spagna al cacao farcito di marmellata?
-Diciamo che io non gli direi di no!- ride. - Per la cronaca, la mia marmellata preferita è quella ai frutti di bosco, sia mai che ti venisse in mente di cucinare qualche dolce di quelli che sai fare solo tu!- Rido anche io e improvvisamente un coltello è premuto contro il mio collo.
-Ciao, ti dispiacerebbe darmi un passaggio fino all'aeroporto? Sai com'è, sto scappando- sa di alcool. Ubriaco perso, ma visto che ha un coltello in mano eviterei mosse azzardate, almeno fino a quando non avrò le idee chiare. Giulia è pallida, ma con grande calma parla all'uomo, cercando di convincerlo a lasciare il coltello.George Tabbs, stilista della modella assassinata cinque giorni fa. L'ultimo caso mio e di Sherlock. Cinquant'anni, brasiliano. Alto un metro e ottanta.

Prima possibilità: torcere il polso, prendere il coltello e tenerlo buono sino all'arrivo della polizia.
Seconda: convincerlo a lasciarmi a parole.
Terza: provocarlo sperando che in un momento d'impeto stacchi la lama dalla mia gola.
Quarta: gomitata nello stomaco, correre via con Giulia. Ma visto il suo stato d'ansia non mi pare l'idea migliore.
Quinta, e la più probabile: disarmarlo con il piatto della mano, portargli il braccio dietro la schiena in modo da slogarglielo e attendere la polizia. 
Rischi? Ho il 45% circa di probabilità di sopravvivere se il coltello non mi colpisce la carotide. L'alternativa è morire dissanguata.

Alzando lo sguardo i miei occhi incontrano quelli di Sherlock, spalancati e vividi. Sta correndo verso di noi. Osserva la scena, incrocia il mio sguardo e lo vedo calcolare le varie possibilità, come ho fatto io. Ed è giunto alla mia stessa conclusione. Bene, facciamolo. "Attenta" mi urla il suo sguardo. Poi mi giro e non lo vedo più.

 

 

Sherlock

"Veloce" urla la mia mente.
Dove siete? Penso frenetico. L'uomo non era in casa, quindi è in giro. Spero che siano lontane da qui.
Ma noto in una zona poco lontana tre figure. Un uomo alto tiene una mano contro il collo della ragazza mora, mentre la bionda gli parla. Cecilia alza lo sguardo e mi vede.
Ed è come se il mondo si fermasse.

Mi lascia il tempo di capire quali scelte ha e nessuna mi entusiasma. Facendo una stima molto approssimativa ha circa il 50% di possibilità di rimanere in vita, il 20% di rimanere viva e incolume.
Annuisce vedendo che ho capito la situazione. Poi con un gesto veloce si gira, togliendo con il piatto della mano il coltello all'uomo, colpendogli il polso. Mentre l'arma cade a terra Cecilia gli gira il braccio, provocando tre diversi traumi nello stilista. E nel giro di tre secondi scarsi lei è in piedi che lo sovrasta.
-Josh?- parla al telefono con il giovane poliziotto -C'è qualcuno che sarebbe lieto di rivederti.

 

Più tardi

Giulia ha portato Cecilia a casa, mentre John ed io abbiamo atteso la polizia. Poi, senza dare spiegazioni ce ne siamo andati. Passeggiamo vicino al Tamigi e vedendo una panchina mi siedo.
-Te ne sei accorto John?
-Di cosa?
-Del fatto che il mondo si è fermato. Per un istante, ma si è fermato.
-Sherlock- Ridacchia John –il mondo si è fermato perché tu eri preoccupato per Cecilia.
Sospiro vedendolo sedersi accanto a me con aria cospiratrice.
-No, John.
-No cosa?
-Non mi metterò qui con te a fare discorsi pseudo-amorosi come ragazzine liceali prede degli ormoni- incomincia a ridere.
-Ammetti almeno che tra voi c’è qualcosa.
Lo fulmino con lo sguardo, mentre penso che almeno lei adesso è al sicuro con Giulia.
-E comunque io le interesso solo in senso professionale.

Non capisco come mai, ma John ricomincia a ridere più forte di prima.












Noticine piccine piccine per ringraziare tutti voi che seguite, leggete, recensite e/o avete messo tra le seguite/preferite/ricordate. E buon Natale!
xxx
Dan

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Capitolo 17
*** Would you dance with me? ***


Cercatevi una stanza

Capitolo 17

Would you dance with me?

La sera del 24 dicembre

Cecilia

Sta uccidendo una donna al giorno. Tutte bionde, con gli occhi celesti e la gola squarciata. Tutte abbandonate sulle rive del Tamigi. Sempre più vicino a Baker Street.
-Pensi che anche oggi?- domando a Sherlock.
-Ne sono certo. Siamo arrivati a undici donne, giusto? Hai capito il senso delle lettere?
-No- ogni donna aveva incisa sulla spalla, come le mie cicatrici, una lettera. Guardo la mappa di Londra alla parete, alla quale ho attaccato un foglietto con le lettere:

G-L-N-O-B-I-N-O-R-D-E

Non hanno un ordine logico, un senso. Sono tutte scritte con dei fiori intrecciati. Sta giocando con me, e non riesco a reagire. Non finché non ricorderò. Devo farcela, devo. Per il bene della persona nella foto che mi mandò quel giorno. Ho bisogno che sia al sicuro, non ne capisco il motivo ma…è così. Sospiro lasciandomi scivolare sul bracciolo della poltrona di Sherlock, appoggiandomi a lui.
-Allora sei sicura di voler andare da Giulia a prepararti?- mi chiede.
-Si…deve aiutarmi- sorrido –Stai tranquillo. So dov’è casa di tuo fratello, e so che ci vedremo lì alle nove.
-Brava ragazza- mi schernisce bonariamente.
-John potrebbe arrivare in ritardo, mi ha avvisato Giulia- i due ragazzi staranno insieme, mentre io e lei ci regaleremo un po’ di quiete. O meglio, lei starà sdraiata a leggere e io la dipingerò, come al solito. Sherlock annuisce e io mi alzo per preparare la borsa.
-Ci vediamo stasera, allora- perché sono così in imbarazzo?
-Ti aspetterò- sorride sereno –E ti costringerò a ballare davanti a tutti.
Rido divertita dalla sua finta crudeltà e lo abbraccio. Senza tremare.
-A dopo- mormoro uscendo di casa.
 

§§§

 

7.45 p.m.

-Riesci a stare ferma?- le domando. Giulia è sdraiata sul divano, con i capelli sparsi sul bracciolo e un libro aperto davanti. La luce della lampada la illumina, inondandola d’oro. Mi piace dipingerla, quando vuole sa essere una brava modella. Ecco. Quando vuole, vorrei sottolineare. Ma oggi ha deciso di necessitare un movimento continuo e nervoso avvolgendosi una ciocca di capelli intorno ad dito.
-Ooookay- sorride sapendolo e dandomi retta –Scusa- smette di muoversi.
-Grazie- riprendo a disegnare le sue mani strette intorno al libro


Finito il the appoggio la tazzina sul tavolino, e John dal divano sorride.
-Dimmi.
-Il blog è arrivato a 2359 visitatori. In un’ora sola!- esclama, contento come un bambino.
-Ti rendi conto che lo guardano unicamente perché parli dei casi miei e di Cecilia romanzandoli?
Sbuffa, senza smettere di sorridere –Io non li romanzo, siete voi che li riassumete troppo schematicamente!
-I suoi lunghi capelli ramati scivolano sulle spalle come una carezza autunnale- leggo direttamente dal suo blog, dove stava parlando della mia coinquilina.
-Ammetti che ho reso l’idea.
-Assolutamente no- lo vedo dispiacersi –I suoi capelli sono come una cascata di fuoco scuro.

 

8.05 p.m.
-Andiamo a prepararci?- domanda Giulia alzandosi dal divano. Annuisco mentre do gli ultimi ritocchi al quadro. Poi mi alzo e la seguo, pronta a farmi torturare con elastici e forcine.

 

-Ehi, che ne dici di andare a vestirci?- propone John.
-Va bene- entrando in camera osservo la camicia bianca come se fosse il mio più grande nemico.

 

8.15 p.m.
Ecco, finito. Chiudo la cerniera dell’abito guardandomi allo specchio. Sono emozionata, anche se non ne capisco il motivo. L’immagine riflessa mi soddisfa, ma Giulia sembra pensarla diversamente.
-Ora siediti sul letto, che ti faccio i capelli- sorride. Mi lascio andare tra le sue mani delicate.

 

Allaccio la camicia e fisso la mia immagine. Infilando la giacca mi sento preoccupato, per come potrebbe reagire Cecilia se qualcuno la toccasse, se non riuscisse a ballare. Fortunatamente John interrompe i miei pensieri.
-Ti stavi scordando questo- sorride porgendomi il papillon nero.

 

 

8.20 p.m.
-Ecco fatto!- esclama Giulia. Ha deciso di farmi una semplice treccia dalla quale sfugge qualche ciocca di capelli, che ha reso morbidi e ondulati con la piastra –Nervosa?- chiede.

 

-Stai tranquillo, andrà tutto bene- mi rassicura un John molto emozionato.
-Io sono tranquillo- si mette a ridere.
-Andiamo?

 

-Sei pronta?- mi osserva con sguardo critico –Bene, allora andiamo.
Pronto a ballare con me, Sherlock? Penso, uscendo di casa.

 

 

Giulia

Siamo entrate nella grande sala addobbata a festa, e vedo Cecilia fermarsi sulla cima della scalinata, per scandagliare la folla con i suoi occhi attenti che cercano i due ragazzi. In mezzo alla gente, uno sorride e chiacchera rilassato, l’altro con fare annoiato osserva in giro. Facile capire chi sia il mio John. Ringrazio l’entità superiore che lo ha convinto ad indossare uno smoking perché è assolutamente perfetto, con il tessuto blu scuro che fa risaltare i capelli chiari e gli occhi celesti. Quando si volta, richiamato da un cenno di coso nella mia direzione, quegli occhi dolci si spalancano. Non gli piace, penso scendendo la scalinata, la seta che mi segue in una carezza delicata, e lasciando la mia amica in balia di se stessa. Lo raggiungo sul pavimento di marmo lucido, maledicendomi per aver ascoltato Cecilia nella scelta del vestito.

-Sei bellissima- afferma porgendomi la mano con un gesto galante. Oh, gli piace.
-Grazie- sorrido rincuorata e orgogliosa.
-Peccato solo per una cosa- continua poi sorridendo.
-Per cosa?- chiedo, stupita dalla sua espressione maliziosa.
-Probabilmente dovrò rimettere qualcuno al suo posto stasera- ride stringendomi a sé –Hai già troppi sguardi puntati addosso.
-Finché sono solo sguardi- ridacchio –Sai che io amo solo te- mormoro con dolcezza e lui, sebbene non sia alto, deve chinare il capo per baciarmi. Nonostante l’armonia del momento, i dubbi dei giorni scorsi tornano ad assalirmi quando, per un solo istante, i suoi occhi si adombrano.

 

§§§

 

John

Oh diamine. È il mio primo pensiero quando la vedo, la mia attenzione richiamata dal gesto di Sherlock verso di lei.
Dio, se è bella. E questo è il secondo, mentre osservo come l’abito monospalla blu (stranamente abbiamo scelto lo stesso colore, cambia solamente la tonalità) le fasci i fianchi stretti e la vita piccola, accarezzandole la pelle bianca.
La fascia sotto il seno e la spilla scintillano alla luce della sala, ma non possono nemmeno provare a competere con i suoi meravigliosi occhioni, che al momento mi fissano preoccupati.
-Sei bellissima- affermo porgendole la mano per accompagnarla tra la gente.
-Grazie- sorride orgogliosamente compiaciuta.
-Peccato solo per una cosa- continuo poi sorridendo.
-Per cosa?- mi chiede perplessa.
-Probabilmente dovrò rimettere qualcuno al suo posto stasera- rido stringendola forte –Hai già troppi sguardi puntati addosso.
-Finché sono solo sguardi- ridacchia –Sai che io amo solo te- mormora con dolcezza. E, anche per non pensare alla scatolina che riposa apparentemente innocua (solo apparentemente) nella mia giacca, mi chino per baciarla, nascondendo la mia ansia.

Se il Fato, Dio, Zeus, Giove, Allah, Horus o chiunque altro vuole davvero farsi perdonare gli anni in Afghanistan come mi sembra da quando l’ho incontrata, lei mi dirà di sì.

 

§§§

 

Sherlock

John sta conversando con due uomini baffuti e noiosi, ESTREMAMENTE noiosi, quando sulla scalinata una figura richiama imperiosa il mio sguardo. Ah si, e accanto a lei c’è Giulia. Faccio un cenno a John, che si volta. Dopo qualche parola la prende per mano e si allontanano sulla pista da ballo. Lei è ancora immobile davanti a questa folla inutile e chiassosa. È a disagio, anche se non sembrerebbe, ma le troppe informazioni che recepisce la infastidiscono. Ho imparato col tempo (e con molte inutili occasioni mondane) a tenerle distanti e a focalizzarmi solo su ciò che mi interessa. Indossa un abito lungo, morbido e stretto sotto il seno. Lo scollo è profondo e riesco a vedere anche da qui come la pelle bianca contrasti con il rosso scuro della stoffa. Rosso come sangue versato in una notte senza luna, direbbe più poeticamente John. Salgo la scalinata, raggiungendola e la vedo sorridere.
-Vieni con me- mormoro prendendole la mano e guidandola nella vasca dei pesci rossi.*

Poco dopo, nella folla dei volti riconosco mio fratello e, come desidera la consuetudine, si avvicina per farsi presentare Cecilia. Diretto, quasi come me, ho paura di quello che potrebbe dirle: non desidero che ci rovini la serata.
-Cecilia, mio fratello Mycroft- lui sorride osservandola. Le prende quasi con delicatezza la mano destra e comincio a temere il peggio.
-Un ago da ricamo- afferma, sfiorandole le bianche cicatrici. Peggio di quanto pensassi.
-Da punto croce- a queste parole mi stupisco. Non ha paura di lui. Mycroft smette di rivolgerle la sua attenzione e mi guarda, con un sorriso odioso sul volto. È compiaciuto.
-Fratellino- quanto odio quando mi chiama così –Vorrei solo farti notare che i nostri genitori ti hanno visto entrare. Sarebbe un gesto come minimo doveroso andare a salutarli- un pensiero sembra divertirlo –Naturalmente nostra madre vorrà conoscere la tua compagna- Prima che io possa muovere una qualsivoglia obiezione sui termini da lui utilizzati, la mia “compagna” sorride.
-Sarò lieta di conoscerla- dice serena. Stranamente non sta mentendo, davvero vuole conoscere i miei genitori. Dopo averglieli presentati mia madre la trascina in un discorso riguardo qualcosa come la pittura di Monet e Cecilia sembra essere a suo agio. Vedendo molte persone ballare la conduco, strappandola alla cara genitrice, verso il centro della sala. Una mano si posa sulla sua schiena.

-Penso di avere diritto ad un ballo, considerando che poi la passione di mio fratello per questa attività potrebbe con una ragionevole probabilità impegnarti per tutta la sera- sussurra Mycroft portandola via. Non penso di aver mai avuto tanta voglia di rompergli il naso.








*Riferimento ad una frase di Mycroft Holmes.



NDA: ECCOCI QUI! Ultimo aggiornamento del 2014...ringrazio come sempre tutti voi che leggete, commentate e tutto il resto. Grazie, davvero. E come sempre un grazie va a Giulia e Francesca, quelle due babbione, che ormai un anno fa mi hanno aiutato ad iniziare questa storia. Vi voglio bene.
Infine, BUON ANNO A TUTTI! *distribuisce bulbi oculari al microonde*
-Dan

 

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Capitolo 18
*** Just...smile and I will be fine. ***


Nda: Salve a tutti! Nota piccola piccola per ricordarvi che nella storia nessuno a parte Mycroft sa di Magnussen. Ecco, penso di avercela fatta senza aver fatto spoiler. Altrimenti potete prendermi a calci in pancia. Tutto questo solo per giustificare una cosa che si annuncia in questo capitolo ma che, per vostra sfiga, arriverà solo nel prossimo.
Ringraziamenti al volo a Giulia e Francesca che sono due Dalek (cambiamo insulti va, sennò divento ripetitiva), _Veronica95_ e Ally I Holmes per recensire sempre semprissimo ( grazie davvero), a gaarg che mi manda le sue opinioni per messaggio stalkerandomi (love u darling) e a tutti voi che leggete e avete messo nelle seguite/preferite. Dio, doveva essere una cosa breve...Parbleu!
xxxx
-Dan


Cercatevi una stanza

Capitolo 18

Just...smile and I will be fine

Cecilia

La madre di Sherlock è una donna dolce e molto allegra, e mi ha subito preso in simpatia. Non sembra la donna che mi ha descritto il figlio. Quando vedo che molte coppie hanno iniziato a ballare, Sherlock mi si avvicina prendendomi per mano e conducendomi verso il centro della sala. Una mano si posa sulla mia schiena, attirandomi con delicatezza lontano da lui.

-Penso di avere diritto ad un ballo, considerando che poi la passione di mio fratello per questa attività potrebbe con una ragionevole probabilità impegnarti per tutta la sera- sussurra Mycroft portandomi via da un contrariatissimo Sherlock. Ma io sorrido, capendo che è solo un modo del fratello per infastidirlo e lo seguo senza ribattere.

Mi cinge la vita con una mano, ma ballare con lui è diverso. Sono tranquilla, ma i miei e i suoi sono gesti quasi meccanici, come se fossimo stati caricati a molla. Lo osservo, e i suoi occhi si infiggono nei miei. Ho imparato a conoscerlo, nonostante abbiamo avuto solo alcuni velocissimi colloqui. È divertito, mi dice il suo sorrisetto.
-Perché mi hai chiesto di ballare?- domando curiosa.
-Non te l’ho chiesto- rettifica mentre il suo sorriso si amplia –Per proporti una cosa- continua poi sotto il mio sguardo severo –I miei uomini hanno inventato un macchinario innovativo. Proietta nella mente di una persona scenari terribili e li peggiora seguendo gli stimoli della paura dati dal corpo, fino a giungere al quello che viene chiamato pressure point. Il tuo punto debole.
-E?- lo sollecito.
-Fino ad ora lo abbiamo sperimentato solo su menti sottosviluppate. Mi piacerebbe vedere cosa è in grado di fare a una come te, o mio fratello- termina.
-Perché dovrei farlo?
-Perché sapere con cosa ti si può minacciare ti aiuta a difenderti. E a difendere coloro a cui tieni- mi ha colpita. Se davvero Lui è vicino devo sapere come potrebbe farmi del male.
-Accetto- mormoro mentre la musica finisce dolcemente e lui mi lascia andare.
-Ti manderò a chiamare- aggiunge lui facendo un cenno del capo, prima di sparire.

Due braccia che conosco bene mi stringono la vita in una morsa rigida. Mi volto verso Sherlock, che sembra essere infastidito.
-Mi devi un ballo- dice seccamente. Questa volta non è lui ad attirarmi a sé, ma sono io che mi avvicino. La sua mano sulle mie reni è calda e sicura mentre si muove, le sue gambe che con le mie inseguono evanescenti note di pianoforte.
-Da quanto lo conosci?- mormora chinando il capo verso di me.

L’uomo si dirige verso i genitori, in un lato della sala, che osservano le coppie ballare. Saluta il padre con un cenno del capo, chinandosi per abbracciare la madre.
-Guarda Mycroft, come sono carini insieme!- esclama entusiasta la donna, osservando il suo secondogenito ballare con una giovane vestita di rosso –Le sta sicuramente sussurrando qualcosa di romantico- mormora poi vedendolo chinare il viso verso la compagna.
-Non conosci i tuoi figli, se lo pensi- la interrompe seccamente l’uomo –E’ infastidito. E, anche se non lo fosse, Sherlock non è il tipo da cose romantiche- sorride.

-Da circa cinque minuti- gli rispondo.
-Stai mentendo- afferma seccamente –Quando mia madre ti ha toccato ti sei imposta di rimanere immobile, nonostante avessi paura. Con lui, invece, hai ballato e lasciato che ti toccasse le cicatrici, parlandone persino.
So ammettere quando vengo sconfitta –Da tre giorni dopo averti conosciuto- annuisce, ora più sereno.

-E’ infastidito perché tu gli hai rubato la compagna per ballare, sfido io!- continua imperterrita la donna –Guarda come ballano. Con te non è stato così.
L’uomo sbuffa, perdendo per un attimo la sua fredda compostezza –Ora, madre, con il tuo permesso, mi ritiro- e se ne va, lasciando la signora a continuare a parlare con un’amica.

Smette di parlare, trascinandomi con sé nella musica. Senza nemmeno pensarci troppo appoggio il mio volto sulla sua spalla, rilassandomi e lasciando che mi guidi. S’irrigidisce un istante quando lo faccio, preoccupato, ma vedendo che non è un’azione forzata mi stringe un pochino più forte e sorride, abbassando il viso tra i miei capelli.
Giulia e John ballano poco distanti da noi, in una posa molto simile: lui la stringe a sé, tenendo il capo poggiato sul suo. Si muovono in sincronia perfetta, come se ballassero insieme da tutta una vita.
E avranno davvero tutta la vita per stare insieme, penso orgogliosa della mia amica, così bella, dolce e intelligente. John ha avuto una grande fortuna a conoscerla, ora tocca a lui però non lasciarsela sfuggire tra le dita.
Mi concentro sulla sensazione di Sherlock contro di me. il suo calore, il suo profumo mi fanno sentire protetta, felice, amata. Sollevo il viso incontrando il suo sguardo e lo vedo sorridermi.

Ecco. Anche se non ne capisco il perché, so che sarei pronta a riaffrontare tutto quanto, tutto il buio e il dolore, solo per questo sorriso. Solo per vederlo sorridere.

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Capitolo 19
*** Pressure point. ***


Cercatevi una stanza

Capitolo 19

Pressure point

 

Cecilia
-Miss, mi rincresce interromperla, ma il signor Holmes mi ha mandato a chiamarla- si è avvicinato qualche attimo fa quest'uomo -Devo accompagnarla da lui.
-Per fare cosa?- Sherlock inarca un sopracciglio.
-Il signor Holmes mi ha espressamente detto di non riferire nient'altro, la signorina avrebbe capito.
-Sherlock, tranquillo. Tornerò subito- mormoro, vedendolo teso.
-Vengo con te.
-D'accordo- accetto a malincuore, seguendo l'uomo da Mycroft.

È una stanza piccola, divisa a metà da una parete di vetro, quella in cui veniamo portati. Da un lato computer e strani macchinari, dall'altra una specie di chaise-longue di pelle nera. Quando Mycroft si volta a guardarmi leggo la disapprovazione nei suoi occhi.
-Non dovrebbe essere qui- dice, guardando Sherlock.
-Sono dove devo essere, Mycroft- risponde lui.
Il fratello mi guarda come a chiedere conferma e io annuisco. Apre una porta nella parete di vetro, facendomi accomodare sulla chaise-longue. Piccoli, gelidi elettrodi vengono posati sul mio corpo e io sorrido.
-Non mi rovinare il trucco, Mycroft.
Sembra sorridere anche lui, l'uomo di ghiaccio, mentre esce e mi lascia sola a combattere i miei demoni.

 

Sherlock
-Non le farai del male, vero?- domando a mio fratello, vedendolo premere alcuni bottoni.
-Non fisicamente.
La stanza in cui è Cecilia è insonorizzata, ma io percepisco ogni stilla di paura, ogni piccolo gemito di terrore come se fosse il mio. Ha gli occhi chiusi, stretti in una smorfia di dolore, il corpo talmente rigido che temo si possa spezzare, come una corda di violino troppo tesa. Sta vivendo i suoi incubi, la treccia si scioglie, lasciando libere alcune ciocche castane sul volto. Improvvisamente apre gli occhi, urlando e scattando a sedere.
Ignorando mio fratello mi precipito da lei, a stringerla ancora una volta.
-Va tutto bene, Sherlock. Sto bene- ansima lievemente, come se avesse corso a lungo, e sento il suo cuore pulsare impazzito contro il mio petto.
Mycroft le porge un foglio, quando usciamo dalla stanza. Cecilia lo legge e glielo rende, senza dirmi niente. E io non voglio sapere a cosa ho appena assistito, ora devo solo trovare il modo di cancellare la paura da lei.

-Sherlock- chiama piano -Torneresti di sotto a ballare con me?

 

Cecilia
Sherlock non ha detto nulla, mi ha sorriso e mi ha accompagnata al piano di sotto a ballare.
E abbiamo ballato per ore.
-Non ce la faccio più!- esclamo ridendo.
Ride anche lui prendendomi in giro, ma seguendomi sotto la finestra. Seduti, cala un lieve silenzio. E ci sono tante cose che vorrei dirgli. Ma resto zitta, lasciando riemergere un ricordo.

§§§

-Ehi, perché non canti mai?- chiede Sherlock.
-Perché è una cosa per me molto intima, come lo è per te suonare- gli sorrido.
-Un giorno canterai per me?
-Un giorno- dico tranquilla, levandogli dalle mani la provetta di acido.

§§§

Improvvisamente la musica di una canzone che conosco mi fa ritornare al presente.
-Sherlock- sussurro –ti ricordi quando mi hai detto di volermi sentire cantare?
-Certo- mi osserva con un sorriso gigante.
-Bene, allora ascolta.
Mi sciolgo la treccia che mi infastidisce, e chiudo gli occhi. Inizio a cantare piano, lasciando poi la musica entrarmi nelle vene, nel cuore, nel respiro.
Voglio farti un regalo. Qualcosa di dolce, qualcosa di raro. Non un comune regalo, di quelli che hai perso, o mai aperto, o lasciato in treno, o mai accettato. Di quelli che apri e poi piangi, che sei contento e non fingi. In questo giorno di metà settembre ti dedicherò il regalo mio più grande!
La mia voce cresce, si gonfia morbida seguendo le parole della canzone italiana che Sherlock non capisce.
E se arrivasse ora la fine che sia in un burrone, non per volermi odiare solo per poter volare! E se ti nega tutto quest'estrema agonia e se ti nega anche la vita respira la mia!
E stavo attenta a non amare prima di incontrarti. E confondevo la mia vita con quella degli altri. Non voglio farmi più del male adesso amore...amore…
Vorrei donare il tuo sorriso alla luna perché di notte chi la guarda possa pensare a te, per ricordarti che il mio amore è importante, che non importa ciò che dice la gente.
E poi…Amore dato, amore preso, amore mai reso. Amore grande come il tempo che non si è arreso. Amore che mi parla coi tuoi occhi qui di fronte.
Sei tu, sei tu, sei tu, sei tu, sei tu, sei tu, sei tu, sei tu...il regalo mio più grande.

Termino di cantare con dolcezza, inseguendo le ultime note. Apro gli occhi e la prima cosa che vedo è il suo sorriso stupefatto. Osservandomi in giro noto che parecchie persone mi hanno sentita e ora mi applaudono. I volti dei miei amici sono felici, sereni. Giulia, con alla mano sinistra un anello, finalmente John, se aspettavi ancora un po' diventavamo tutti vecchi!, si lascia stringere da un John raggiante e fiero. Lestrade scherza con una giovane donna bionda che gli posa la mano sul braccio in segno di complicità. Mycroft, l’unico nella sala a sapere l’italiano esclusa la sottoscritta, inarca un sopracciglio. Scrollo le spalle, capendo il suo timore, e si lascia andare ad un sorriso alzando il calice verso di me.
Poi il mio sguardo è attratto dalla figura di Josh che, in un angolo della sala, sta parlando concitatamente al telefono. Stizzito chiude la chiamata e incrocio i suoi occhi. Per la prima volta noto che sono vacui e freddi come quelli di uno squalo.

§§§

Sherlock
-Non ce la faccio più!- esclama ridendo Cecilia.
Rido prendendola in giro, ma seguendola ugualmente sotto la finestra. Seduti, cala un lieve silenzio che viene improvvisamente interrotto dalla musica di una canzone che sembra riscuotere Cecilia dai suoi pensieri.
-Sherlock- sussurra –ti ricordi quando mi hai detto di volermi sentire cantare?
-Certo- la osservo sorridendo, ricordando la sera di parecchio tempo prima quando glielo avevo chiesto.
-Bene, allora ascolta- mi stupisce la sua risposta, ma taccio e mi faccio attento.
Scioglie i capelli in un inconscio gesto liberatorio e chiude gli occhi, estraniandosi dal mondo. Poi la sua voce inizia, dapprima lieve, a inseguire le note con parole che non capisco. La melodia cresce come un’onda, e la ragazza spinge le sue corde vocali a far sorgere la voce che si leva imperiosa sopra la musica. È bellissima. Anche la canzone lo è.
Le ultime parole sono quasi mormorate, delicatamente, come se fossero un segreto. Alla fine sorge un applauso spontaneo da chiunque l’abbia sentita e lei arrossisce imbarazzata guardandosi intorno. Si alza e con un altro sorriso dolce nella mia direzione si allontana verso il giardino. Non la seguo, notando di avere accanto mio fratello.
-Hai almeno capito che cosa ha cantato?- domando con aria di sufficienza. Non rispondo, seccato per la sua ennesima dimostrazione di superiorità –Ha fatto chiaramente capire, se solo tu sapessi l’italiano, di essersi affezionata a te. Innamorata, se vogliamo essere precisi- spalanco gli occhi a questa rivelazione, ma non ho nemmeno il tempo di capire che Lestrade mi raggiunge col volto cupo.

§§§

In giardino, è seduta su una panchina di pietra e osserva cadere la neve.
-Non hai freddo?- le domando sedendomi accanto a lei.
-No. Mia sorella diceva sempre che il giorno in cui sono nata, sebbene fosse marzo, iniziò a nevicare ed è per questo che non temo il freddo- ricorda sorridendo –L’hanno trovata. L’ultima donna, intendo, vero?- continua poi con un tono di voce rassegnato.
-Sì.
-Dov’era?- chiede, dopo un attimo di esitazione.
Devo davvero impegnarmi per mantenere il mio usuale distacco.
-In camera tua.







Nda: Heeeey there! Sono tornata! Ecco mezzo mattone per te, Ally! Te l'avevo promesso, ma tra poco ne arriverà uno più grande, promesso...comunque, al solito i miei ringraziamenti più sentiti a tutti voi che siete sempre qui a perdere tempo con i miei scleri. Ah, la canzone è "Il regalo più grande" di Tiziano Ferro, una delle poche canzoni italiane che a me piacciano. 
Okay, basta, ho finito. Alla prossima!
xxxx
-Dan

 

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Capitolo 20
*** Molly. ***


Cercatevi una stanza
Capitolo 20
Molly

-Shhh dolcezza, non piangere. Non mi piacciono le lacrime- la giovane ragazza osserva con le lacrime agli occhi l’uomo legarle mani e piedi, prima di bendarla.
-Fai la brava e potrebbe persino essere una morte veloce. Vedi, io non ho nulla contro di te, ma mi servi. È una sfortuna. Per te, naturalmente- brancolante nel buio la bionda lo sente canticchiare qualcosa. Sobbalza quando una lama fredda le scorre lungo il volto, il collo, fino a fermarsi tra i seni nudi.
-Calma- le mormora l’uomo con voce rassicurante.
Un attimo dopo la lama la sta attraversando.


Sherlock
Penso sia impossibile non notare il corpo. È perfettamente in mezzo alla stanza, legato per mani e piedi a dei ganci che fino a ieri non c’erano. Non si trovano segni di scasso, porte e finestre erano chiuse. Cecilia osserva la donna e le si avvicina. È una donna bionda, magra, alta. Per un istante entrambi abbiamo temuto che fosse Giulia, senza ricordarci che lei nemmeno sa di questo omicidio.
-E’ ancora viva- mormora, senza inflessione nella voce. Non si sbaglia, il respiro è lievissimo ma c’è. Nonostante le lame che le trafiggono il corpo la giovane ancora lotta per la sua vita. Lestrade, atterrito da questa rivelazione si lancia per liberarla, ma Cecilia lo ferma.
-Non conosci il tipo di funi e di nodi che ha usato. Rischieresti di tagliarle le vene e di accellerare la sua morte- l’uomo la guarda scettico.
-Quindi? Cosa hai intenzione di fare?- chiede alla ragazza.
-Vado a prenderla- sorride freddamente togliendosi i tacchi e lanciandoli da qualche parte nella stanza.
Non ha paura, vuole solo che quella donna non muoia. Afferra la poltrona su cui tante volte mi sono seduto a guardarla dormire e vi sale sopra, rimanendo in bilico con i piedi sui braccioli. Mi avvicino.
-Resta immobile, Sherlock- mi interrompe –Ho bisogno che, nello stesso istante in cui le corde ai polsi siano slegate, tu la afferri ed eviti di farla cadere- senza ribattere mi metto di fronte alla donna, che apre piano gli occhi. Azzurri come il cielo estivo. Nessuno parla. Né Donovan, che stringe le mani sul ventre in un inconscio gesto di protezione. Né Anderson, che temo vomiti da un momento all’altro. Persino Lestrade tace e osserva.
Cecilia slega con delicatezza le funi metalliche. Sapeva come fare, penso immaginando quante volte siano state usate su di lei quelle stesse corde. Afferro il corpo facendo grande attenzione e la stendo sul pavimento. Lei ci si avvicina e si inginocchia accanto alla ragazza, sollevandole il capo.
Piccole lacrime scorrono dagli occhi della bionda. Lestrade afferma di aver chiamato l’ambulanza.
-E’ inutile- mormora Cecilia –Le restano pochi minuti di vita- le asciuga le lacrime –Andatevene tutti- ordina imperiosa. Solo io mi rendo conto che sta cercando di nascondersi dietro modi scortesi per celare la sua pena. Le ubbidiscono, stranamente, ma non mi muovo come tutti gli altri.
-Hai intenzione di rimanere qui a guardare?- chiede. Non rispondo, mi limito a sedermi sulla poltrona.
Poi è come se non si accorgesse più che esisto anche io e inizia a parlare con la ragazza tra le sue braccia.
-Come ti chiami?- le chiede gentilmente.
Sorprendentemente la bionda ha ancora la forza di parlare –Molly- sussurra.
Le spalle di Cecilia hanno un fremito e gli occhi le si riempiono di lacrime –Mi hai sentita Molly, vero? Sai di non avere molto tempo- la bionda le stringe la mano in segno di assenso –Hai dei fratelli, delle sorelle, qualcuno?- scuote la testa, negando.
-Sono sola- altre lacrime le scendono dagli occhi e Cecilia questa volta non le asciuga –Non voglio morire da sola. Chi sei?- chiede con la voce ridotta ad un sussurro.
-Mi chiamo Cecilia- risponde la mora tremando –E non morirai da sola. Non me ne vado. Sono qui. Non morirai da sola, mi hai capito?- le dice con fermezza, fingendo una sicurezza che non prova.

-Mi volevo suicidare, poi l’ho conosciuto- dice dopo un po’ la bionda.
-Non parlare.
-Tanto morirò comunque- continua –Ha detto di dirti che l’altra me ha avuto una morte ancora più lenta e straziante. E questa è già abbastanza straziante- prosegue fingendosi persino divertita. Cecilia incassa il colpo. L’altra donna bionda e con gli occhi azzurri. L’altra Molly, penso io, capendo la crudeltà di quel messaggio. –Ho sempre avuto paura di morire da sola. E invece qui con me c’è qualcuno.
-Hai ragione, per quanto immagino che magari sarebbe stato meglio conoscerci in altre circostanze- dice la mora sorridendo sarcastica –Mi dispiace. Perdonami Molly. Perdonami se ci riesci.
-Non mi devi chiedere scusa. Non sei stata tu a farmi questo- se ne sta andando, le labbra blu, il sangue che scorre veloce dalle ferite –Tienimi la mano, ho freddo- mormora poi.
E Cecilia la solleva abbracciandola, stringendosela forte contro il petto –Non sei da sola Molly- mormora. Ma è troppo tardi. Gli occhi celesti la fissano vacui.
Una sola, perfetta, lacrima sfugge a Cecilia, mescolandosi a quelle della giovane. È coperta di sangue, che mi accorgo solo ora essere anche suo. Le corde metalliche capisco vedendo le ferite sulle mani che stringono convulsamente la stoffa dell’abito. Mi avvicino e la sollevo in braccio, sedendomi sulla poltrona con lei. Si stringe al mio collo come una bambina che si voglia nascondere da un brutto film, incassando il viso nella mia spalla. Ma non piange, si limita a tremare. Le accarezzo la schiena a lungo, poi sempre tenendola in braccio la porto al piano di sotto, dove Lestrade è rimasto solo. Lo congedo con un cenno del capo, ma sembra capire e si allontana senza dire nulla. La porto in bagno e apro l’acqua della doccia. Quando è calda, mi ci butto sotto. Il calore sembra svegliarla, e mi siedo per terra stringendola.

L’acqua si colora di rosso, i suoi capelli si inzuppano come il vestito, il trucco le cola dagli occhi. È così fragile in questo momento, così diversa dalla Cecilia che ho imparato a conoscere. Poi con delicatezza le prendo le mani, aprendole i pugni chiusi e osservando i segni rossi. Ancora l’acqua le cancella dalla pelle il sangue. Le tiro indietro i capelli. Questa sua arrendevolezza mi spaventa.
Ma lei si solleva e mi aiuta ad alzarmi.
-Vai a dormire- mi ordina. Al mio rifiuto, mi chiede allora di aspettarla in sala. Con addosso abiti asciutti, la vedo poco dopo entrare in camera mia. Quando ne esce indossa una mia maglietta, una di quelle che uso per dormire, e un quadernetto nero. Senza una parola si siede di fronte a me, sulla sua poltrona, raccogliendo le gambe nude sotto il corpo.
-Ho intenzione di disegnare.
-Bene.
-Tutta la notte.
-Non vedo alcun problema.
-Mi farai da modello- afferma sicura.
-Cosa devo fare?- sono curioso di vedere come affronterà tutto quello che le è appena successo.
-Essere Sherlock- mormora facendomi un sorriso triste.
Afferra la matita e comincia a combattere il dolore a modo suo. Disegnando fino a quando gli occhi non le si chiudono e la matita le scivola dalle mani. Solo allora la sollevo ancora e la porto nel mio letto. Faccio per allontanarmi, ma la sua mano, nel sonno, mi tiene stretto. Non posso andarmene senza svegliarla, quindi mi sdraio accanto a lei, che si aggrappa a me come se fossi la sua ancora di salvezza.

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Capitolo 21
*** Last time. ***


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Capitolo 21
Last time.

Cecilia
-Vuoi un pasticcino?- chiede mia sorella. La pelle incomincia a diventare bluastra. I capelli hanno perso la loro lucentezza, le cola il trucco dagli occhi.
-Ti ringrazio, ma no- rispondo, notando che sono palline di fango con vermi.
-Allora?- chiede assaggiando il dolcetto –Hai capito chi è lui?
Scuoto la testa.
-Sorellina- sbuffa –Ricorda quel giorno sul ponte! Sul London Bridge!- esclama. Poggia le mani sulle mie tempie e due immagini si sovrappongono nella mia mente.
Lui. E l’assassino di Francesca.
Sono un’unica persona.

§§§
 

Mi sveglio accaldata nel letto di Sherlock, vuoto. Rientra in camera.
-Ti ho sentito urlare- mormora sedendosi accanto a me.
-Abbracciami- gli chiedo e lui con le sue braccia lunghe mi stringe a sé.
-Cosa è successo?- chiede con voce dolce.
-Ho capito- passa una mano nei miei capelli, carezzandomi lentamente. Poso una mano sul suo petto –Colui che ha ucciso mia sorella, e l’uomo che mi rapì sono la stessa persona- dico piano.
Continua ad accarezzarmi senza parlare.
-Domani dovremo guardare il cadavere- è il suo unico commento. Il cadavere di Molly preciso nella mia mente. Mi è morta tra le braccia. La sua vita mi scorreva tra le dita. Inspiro il profumo di Sherlock, di sapone, di sigaretta, di buono.
-Dormi con me- gli chiedo, accoccolandomi contro il suo petto.
-Non sei sola- ripete ciò che ho detto a quella ragazza. Non sei sola. –Non sei sola e non morirai.
-Come fai a saperlo?
-Perché io non sono bravo a cantare, e non potrei venirti a riprendere nell’Ade*- dice ridacchiando contro la mia spalla. Sorrido anche io.
-Cecilia?
-Si?- chiedo assonnata.
-Un giorno mi dovrai insegnare l’italiano- mormora.

§§§

Camera mia. Dodici coltelli le hanno straziato le carni. Due cicatrici la rendono simile a me: una sulla mano, l’altra sulla spalla sinistra. E lì c’è l’ultima lettera.
Una D, scritta con dei bucaneve.
I quattro ganci non hanno richiesto un grande sforzo, e le corde metalliche le faceva costruire da uno dei suoi uomini, ricordo. Le porte e la finestra chiusa.
È entrato con qualcuno che aveva le chiavi.
Chi ha le chiavi? John, Giulia, Mrs. Hudson, Lestrade. E tutti e quattro erano con noi alla festa.
Il mio povero dipinto è stato deturpato.
MERRY CHRISTMAS, scritto col sangue sopra all’angelo e al demone.
Esco dalla stanza con un grande vuoto dentro.

§§§

-Lui è l’angelo- racconto a Giulia –Io il demone.
-Ti senti colpevole, per caso?- mi chiede.
-Assolutamente no. Ho basato il dipinto su un’antica storia. Un angelo cacciato dal Paradiso e costretto a vagare sulla Terra facendo del male, senza peraltro sapere cosa sia il male, e un demone bandito dall’Inferno e costretto a fare sempre del bene. Una notte si trovarono e la maledizione del demone gli fece capire che l’angelo voleva sapere cosa fosse il male. Lo aiutò, facendogli comprendere il dolore, la paura, il lutto. L’angelo s’infuriò e tentò di uccidere l’amato dal demone, che si frappose parando i colpi con il suo tridente- sorrido amaramente –Il suo amante era un umano, ma era migliore persino di un angelo o di un demone. Eppure morì.
Giulia mi osserva -E’ una storia molto triste.
Non posso sicuramente negarlo, mi limito a prendere una matita e rinchiudermi in me stessa.
-Perché disegni solo in bianco e nero?- mi chiede poi.
-Ho disegnato a colori fino ai dodici anni. Poi i miei colori sono scomparsi.
-E non disegnerai più a colori?
-No. Non finché non riuscirò a vederli, a sentirli nuovamente.

§§§

Sherlock
Sera tardi
Le ho suonato qualcosa e lei mi ha persino sorriso. Era vuota dentro, sembrava stanca.
-Vai a dormire- le mormoro.
-Vieni con me- ribatte –Se sono con te gli incubi sono meno brutti.
Le sorrido. È piccola, accoccolata sulla poltrona, con la mia maglietta addosso.
-Va bene, vengo con te.

§§§

-Questa è l’ultima volta- mi mormora Francesca. Ora ha la pelle bluastra, le labbra livide. Sembra un cadavere –Voglio farti capire chi è Lui.
-Aspetta, per favore- la fermo. Se questa è l’ultima volta che le potrò parlare almeno le voglio poter dire…
-Non abbiamo tempo- mormora prendendomi ancora la testa con le mani. Un nome mi risuona nella mente e urlo. Urlo anche mentre l’acqua mi assale, mentre finalmente riesco a stringere Francesca. Ma i suoi occhioni verdi sono vacui.
L’ ho persa per l’ultima volta.

 

 

 

 

 

 

 

*La leggenda di Orfeo e Euridice.
Piccolissima nota dell'autrice: Grazie a tutti voi per le recensioni e le visualizzazioni, vi annuncio che, dato che sono una che sogna in grande, sto già progettando di scrivere un seguito per la storia, ma è ancora molto in forse! Ah, e tanto per avvisare la mia carissima Ally: sei pronta per NonZioVoldy?
Muahahahahah
xxxxxx
-Dan

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Capitolo 22
*** Only to save you. ***


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Capitolo 22
Only to save you.

Sherlock
Cecilia è sveglia. So che ha avuto un altro incubo, ma non me ne ha voluto parlare. Ora fissa le foto delle lettere: G-L-N-O-B-I-N-O-R-D-E-D
Dodici lettere, dodici ragazze, dodici le coltellate inferte all’ultima.
Ho trovato qualcosa che ti potrebbe interessare, ma è abbastanza macabro. Ricevo sul cellulare.
Dove devo raggiungerti? SH
St Paul’s

Ripongo il telefono nella tasca della giacca e vado da lei.
-Stai bene?- le chiedo.
-Parametri vitali assolutamente ineccepibili- afferma laconica.
-Devo uscire- le dico.
-Esci.
-Guardami- rivolge verso di me il viso stanco.
-Dimmi.
-Tu non sei sola. Tu hai Giulia e John e Greg e Josh- E me, penso, senza dirlo ad alta voce. Lei sorride dolcemente, posandomi la mano sul viso.
-Vai, o farai tardi- dice tranquilla.
Mi alzo e esco di casa, andando verso la chiesa.

 

-Sei arrivato finalmente!- detesto aspettare e mi ha fatto attendere ben quindici minuti.
-Oh, scusa, Sherlock- dice. Mi si avvicina e, in una parodia del gesto di Cecilia di poco prima, mi posa la mano sul viso. Sono stupito, ma con un gesto fulmineo muove il polso, e un ago affonda nella mia carne. Brucia. Un incredibile torpore mi lascia cadere per terra, mentre sopra di me la chiesa buia inghiotte il mio ultimo tentativo di parlare.
-Cecilia- sussurro cadendo.
Poi c’è solo il buio.

§§§

Cecilia
Tuo fratello non è a casa. Rispondo spazientita a Mycroft.
Non mi risponde al telefono. MH
Sai che a volte lo fa.
Prova a chiamarlo tu, allora. MH
A memoria digito il suo numero di telefono. Dannazione, non risponde. Nemmeno la seconda volta. Nemmeno la terza. E neanche la quarta.
Hai visto? MH
Sbrigati. Vieni qui. E porta anche Giulia e John. VELOCE.
Non può averlo preso. No. Non può essere. Come faceva a sapere?
Inutile, Lui sa sempre tutto.

Entro in quella che è camera mia. Molly è stata portata via stamattina presto, ma nella stanza il sangue resta. Mi siedo sotto la finestra, osservando la gente andare e venire. Poi una piccola macchia scura attira la mia attenzione. Un cellulare, nascosto sotto un cuscino.
C’è un messaggio.
Allora colombella, piaciuto il mio regalo di Natale?
Reprimo la tentazione di mandarlo al Diavolo (o in altri luoghi ameni) e rispondo con le dita tremanti.
Avrei preferito avessi evitato tutta la messinscena delle donne.
Ma poi dove sarebbe stato il gioco? Comunque, a scanso di equivoci, lui è qui.
Sta bene? Digito velocemente.
Certo. Vorrei proporgli di giocare a scacchi, non appena si sveglierà.
Cosa vuoi?
Non lo hai ancora capito? Io voglio te. Una risata isterica mi nasce dalle labbra. Tutto questo è surreale.
Il cellulare vibra ancora, avvisandomi di un altro messaggio.
Hai tempo sino alle dodici di oggi per capire dove ti aspetteremo. Altrimenti domani potresti trovarti un nuovo cadavere in casa. Magari nel letto.
Una volta capito il dove mi resterà da capire il quando, giusto?
Ti avviserò io. Non vorrei mai che sbagliassi l’orario del nostro appuntamento. Quando hai capito, inviami un messaggio. Scrivi solo il luogo. Nient’altro.
Il cellulare tace. Non arrivano altri messaggi.
Nel frattempo suona il campanello. Aprendo vedo Mycroft, Giulia e John.

-Abbiamo poco tempo- mormoro chiudendo la porta alle loro spalle.

§§§

-Ben svegliato!- apro gli occhi piano, scoprendo di trovarmi seduto su una poltrona. La sala è grande, di pietra fredda riscaldata solo dal camino. L’uomo davanti a me sorride –Volevo proporti una partita a scacchi, dovendo ingannare il tempo.
-Perché mi hai drogato e rapito? Pensavo che io e te avessimo concluso i giochi-affermo guardandolo.
-Oh, ma non è per te che sei qui. È per lei- mormora sorridendo feroce.
Non ne capisco il motivo e lui, vedendo la mia insicurezza, ride.
-Lei è legata a te, dimentichi?
-E allora?
-Se ci fossi tu al suo posto, non saresti disposto a rischiare la tua stessa vita pur di salvarla?

§§§

Cecilia
-John, mi servi solo tu. Mycroft, non puoi fare nulla. Porta a casa al sicuro Giulia- ordino dopo ore passate a pensare.
Ci lasciano soli. Fisso ancora una volta le lettere. G-L-N-O-B-I-N-O-R-D-E-D. GLNOBINORDED. Non hanno senso, in qualsiasi lingua o codice cifrato.
-John. Cosa facevi per aiutare Sherlock nelle indagini?
-Nulla. Parlavo e facevo domande, perché?
-Allora parla e fai domande, diamine!- esclamo.
Sospira, ma si siede sul divano.
-Le lettere sono la chiave?
-Si.
-Che senso hanno?
-Non lo so.
-In che lingua sono?
-Nessuna conosciuta.
-Cos’altro potrebbero essere?- chiede. Mi fermo a fissare l’orologio. Sono le undici e cinquantacinque. Ho solo cinque minuti.
-Un anagramma?- continua.
-No- mormoro capendo –Sono in inglese, è solo sbagliato l’ordine- osservo le foto. Dieci lettere sono state scritte usando l’immagine di fiori che fioriscono in inverno, due in estate.
G ciclamino, N cactus di natale, O rododendro, I calendula, N viola cornuta, O erica, R cavoli ornamentali, D gelsomino invernale, E elleboro, D bucaneve, L rosa, B margherita.
Le metto in ordine, capendo solo in quel momento:

LONDON BRIDGE

Ricorda quel giorno sul London Bridge dice la voce di mia sorella.
Undici e cinquantanove.
London Bridge digito.
In quel momento le campane suonano le dodici. Dio, se esisti, fa che lui sia salvo.
Brava bambina risponde il cellulare.

Guardo John che mi fissa senza capire.
-Grazie- gli dico –Grazie. Vai da Giulia ora.
-Sicura di farcela da sola?- mi chiede -Voglio aiutarti. Lui è il mio migliore amico.
-No. Devo farlo da sola- rispondo sorridendo stanca.
A mezzanotte vibra il cellulare.
Non rispondo, preparandomi alla lunga notte che mi aspetta.


Indosso i miei soliti pantaloni neri con la camicetta celeste.
Voglio che indossi un abito. Mi scrive.
Perché?
Perché lo sai che odio vederti coi pantaloni. Scuoto la testa, ma ubbidisco.


Piove. Come sempre, del resto. Mi avvicino alle tre figure scure sul ponte.
La prima è Sherlock, illeso. La seconda è Lui, Jim Moriarty.
Ma non è la sua figura che mi sconvolge così tanto, quanto il terzo uomo che li segue.
Un viso felice –Sono entrato in polizia perché lo voleva il mio compagno. E sinceramente non me ne pento.
-Solo perché gli vuoi scaldare il letto non sei tenuto ad essergli amico.
-Il fatto è che nessuno qui mi conosce. Nessuno presta caso al nuovo arrivato.
Una telefonata chiusa in modo stizzito.
Due occhi celesti freddi e immobili mi fissano.
Josh.
Ha preso le chiavi di casa a Lestrade. Le ha consegnate agli uomini di Moriarty. Ci ha tenuto d’occhio per mesi. Al ritrovamento del corpo di Molly è stato l’unico a non voltarsi di fronte a lei, come se già sapesse che cosa aspettarsi.
Ha scattato lui la foto che ha fatto iniziare tutto.
-Ciao- ridacchia sorridendo.
Non lo degno di uno sguardo. Sono stata stupida. È colpa mia.
-Dodici?- chiedo all’uomo.
-Sono le ore per cui sono rimasto drogato durante la tua fuga- Ah. Ecco.
-La mia vita per la sua, Jim- mormoro . So di stare andando incontro alla mia morte a braccia aperte. Ma è giusto, è il prezzo per la mia stupidità.

All’improvviso però mi tornano altri ricordi alla mente.
-Lo amo davvero- dice Josh.
-Sono parecchio geloso, non vorrei mai che qualcun altro gli mettesse gli occhi addosso.
Il modo in cui si curva verso di lui, noto.
È innamorato. Posso sfruttare questa cosa per salvarci. Entrambi.
-Corretto- afferma Moriarty.
-Accetto.
Sherlock mi osserva. Avanzo verso Jim, che lo spinge verso di me. Un istante basta per mormorargli –Stai tranquillo.
Siamo immobili. Josh accanto a Sherlock, io accanto a Jim.
-Mi avrai tutta per te- mormoro verso Moriarty. Josh comincia a capire –Solo per te, non avrai bisogno di nessun altro. Mi potrai avere in ogni singolo modo. Tua. Solo tua. E tu sarai solo mio.
Vedo Josh pensare a come fermare tutto questo. Un’idea lo attraversa.
-NO!- urla.

Spinge Sherlock nel fiume.
Prima che Moriarty mi possa fermare sto volando anche io. Pensavo che il ragazzo avrebbe gettato me nel fiume. Fingendomi morta avrebbero liberato Sherlock.
Ma non è il momento per pensare a cosa sarebbe potuto essere. Ammanettato e imbavagliato, Sherlock non riuscirà a uscire vivo dall’acqua.

Mi lascio cadere, rivivendo un altro momento in cui volai.

 

 

 

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Capitolo 23
*** Don't leave me. ***


Nda: Hello everyone! Scusatemi se ho aspettato così tanto a pubblicare, ma tra scuola, compleanni di amiche (love you Matilde) per cui ho scritto one-shot a caso e un ragazzo (oh cielo, preparatevi all'Apocalisse: il mio ragazzo è un nerd come me *faccia con occhi a cuoricino*) non ho avuto molto tempo. Sono felice che siate sempre in tanti a leggermi e a seguirmi, grazie mille! 
xxxxx
-Dan

P.s. Ally: arriva il mattone!



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Capitolo 23

Don't leave me.

Cecilia, dodici anni
L’ha spinta nel fiume. Ha spinto nel fiume Francesca. Velocemente mi lascio cadere nel vuoto dietro di lei, che non sa nuotare.

Cecilia, oggi
Continuo a cadere, l’abito si gonfia e mi impaccia. Devo riuscire a cadere di testa, per evitare traumi.

Ho paura delle altezze, ma quella è mia sorella. Non posso perderla.

Quanto dura una caduta. Riesco a rivedere ogni singolo istante vissuto con Sherlock. Non posso perderlo.

D’improvviso l’impatto con l’acqua. Mi brucia il petto per la botta.

Il tuffo era perfetto, me ne rendo conto quando l’acqua mi scivola addosso senza ferirmi minimamente. Ho imparato a mie spese quanto possa far male, altrimenti, il colpo.

L’acqua è tiepida, e sotto non vedo niente.
Esco, riprendo fiato e mi immergo di nuovo.

Acqua. Gelida. Acqua ovunque. Mi guardo intorno. Nulla. Prendo una nuova boccata d’aria e ritorno sotto cercando Sherlock.

Eccola. La afferro per la vita e ricomincio a tirarmi verso l’alto. Usciamo sulla pietra. Degli uomini mi allontanano mentre urlo per poterla vedere. È pallidissima, le labbra azzurrine.
-E’ morta, piccolina- mi dice un ragazzo moro con gentilezza.
No. Non può essere. Francesca non può morire.
-NON PUOI ABBANDONARMI COSI’!- urlo, prima che braccia forti mi portino via.

Lo vedo. Ma accanto a lui c’è un altro corpo. Uno femminile. Un corpo da ragazza. Il corpo di Francesca. Mi muovo verso mia sorella.
Io sono morta! Vai a salvare lui! Mi urla la sua voce. Rinsavisco e l’immagine del suo corpo mi svanisce da davanti agli occhi.

Afferro Sherlock, che mi aiuta a nuotare verso l’alto. Ho perso Francesca, non posso perdere anche lui, continuo a ripetermi. Poi l’aria mi esplode nei polmoni quasi dolorosamente con mille spilli di ghiaccio. Ci trasciniamo sulla riva. Noto che è riuscito a liberarsi delle manette rubando la chiave a Josh. Si slega il bavaglio. Mi lascio cadere per terra, guardando il cielo notturno e respirando piano. Un peso sul petto mi fa alzare lo sguardo. Sherlock ha posato il capo su di me, le mani che mi stringono i fianchi. Con delicatezza mi sollevo abbracciandolo. Gli passo una mano fra i riccioli bagnati carezzandolo.

Uno sparo mi fa irrigidire. Un corpo cade giù dal ponte, nell’acqua scura.
-Sherlock. Resta qui- mormoro, senza ascoltare la sua risposta scocciata, andando a vedere. Trascino il corpo a riva. Josh.
-Perché?- gli chiedo riferendomi a tutto quello che mi ha fatto. Che ci ha fatto. A Sherlock, a Molly, a me, a se stesso.
-Lo amo- sussurra mentre il sangue scorre veloce portandosi via la sua vita.
-Non puoi giustificarti dicendo che lo ami- sorride ironico.
-Nemmeno tu puoi farlo. Se muoio è colpa tua- mormora smettendo di respirare.
 

Non parla. Ma i suoi occhi celesti sono spalancati e stanchi. Si muove in modo automatico, compie gesti usuali. Si leva la giacca, si scioglie la sciarpa. Si siede sulla sua poltrona. Lo faccio alzare con delicatezza e gli tolgo la camicia, notando che è ferito. Apro l’acqua della doccia in modo che sia calda e mi immergo con Sherlock, come appena due sere fa ha fatto lui con me. Si siede per terra e io dinnanzi a lui. Gentilmente gli alzo il viso. L’acqua si sporca del sangue del traditore e di quello di Sherlock. Passo le mani sul suo corpo, cercando altre ferite che non trovo. Sta bene. È vivo.
In camera lascio cadere il vestito sporco di sangue e afferro una sua maglietta. Non lo abbandono un solo istante, anche se so che probabilmente lo infastidisco. Gli asciugo i capelli come facevo con mia sorella. Un taglio gli attraversa il fianco, ma non è opera di Jim. È un colpo brutale, e immagino sia colpa di Josh quando lo ha narcotizzato, come ho compreso dalla piccola ferita sul collo. Lo medico come ho fatto tante altre volte, solo più delicatamente e lentamente, per timore di fargli male. Mi siedo sul letto e lui si appoggia con la testa contro il mio seno, come prima.
-Non abbandonarmi anche tu- mormoro piano contro la sua testa, cullandolo.
-Ho avuto paura di perderti- sussurra.
Questo è uno shock. Sherlock che ha paura. Paura di perdermi. Ma non posso pensarci ora. Ha bisogno di me.
-Sono qui con te- dico sdraiandomi accanto a lui –Ci sono io.
Sherlock alza il viso. E mi bacia. 

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Capitolo 24
*** Silence Will Fall. ***


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Capitolo 24

Silence Will Fall.

Sherlock
Due mesi dopo.

Novità? MH
Come sta Ceci?
Due nuovi messaggi: uno da mio fratello e uno da Giulia. Entrambi chiedono di lei. E io non so cosa diamine rispondere. I suoi parametri vitali sono ineccepibili. Eppure…
Due mesi. Due mesi che non mi parla. Anzi, che non parla e basta. Si è rinchiusa dietro un muro di sereno silenzio. Da quella sera, dal mattino dopo.
L’ho baciata perché mi andava di farlo, per una volta ascoltando il corpo e non la mente. Le sue labbra erano morbide e calde. Mi ha stretto ancora, dopo, finché non mi sono addormentato. Da quel momento non ho più sentito la sua voce. Da quel Sono qui con te. Ci sono io. Esce di casa, risolve i casi con me, mi medica quando mi ferisco, mi ascolta suonare, dipinge. Ma non lascia che un solo suono esca dalle sue labbra. Persino le sue lacrime sono silenziose.
Niente di nuovo. SH rispondo a entrambi. John l’ha visitata. Giulia ha provato a parlarle, ma senza successo. Io ho tentato di capire, eppure ogni volta che introduco l’argomento lei si rabbuia, si alza e se ne va a dipingere. Dipingere non si sa cosa, perché tra l’altro ha preso a chiudere camera sua a chiave, senza far entrare nessuno.

Non lo ammetterei nemmeno sotto tortura, ma mi manca la sua voce.

§§§

Mycroft

-Pronto, chi parla?- mormora una voce dolce e assonnata al telefono.
-Mycroft.
-Dimmi tutto- è attenta la ragazza, ora che ha capito con chi parla.
-Prenderai il primo volo per Londra.
-Non posso.
-Devi.
-E lei?
-E’ per lei che ti sto facendo venire qui. Ha bisogno di te- continuo seccamente –Non discutere.
-Non lo farei mai. Mi hai salvato la vita, è il minimo che possa fare- ribatte stizzita la ragazza. Sorrido. Ha un bel carattere. Come Cecilia. Peccato solo che sia troppo emotiva.
-Bene. Allora verrai- termino riagganciando.

§§§

Cecilia
Sherlock, per favore, potresti spostare il tuo computer dal tavolo? Ne ho bisogno.
Ho smesso di parlare. Non è stata una scelta. Semplicemente ho smesso e ora non riesco più a ricominciare, anche se so che Sherlock ne è…turbato? Infastidito?
Comunque, scrivo.
Guarda il blocchetto che gli ho passato.
-Se non parli non ci sperare nemmeno- mormora. Un altro tentativo, uno dei mille. Le ha provate tutte. Niente.
Sospirando mi alzo e sollevo io stessa il computer, poggiandoglielo sulle ginocchia. Lui spazientito lo mette sul divano.
Non fare così. Scrivo ancora.
Per favore. Aggiungo sotto. Legge e sospira.
-Parlami.
Non ci riesco.
Mi inginocchio davanti a lui, che mi guarda con gli occhi tristi. Poso le mani ai lati del suo viso e dolcemente gli sposto i capelli dalla fronte, prima di posargli un bacio delicato sul naso
Perdonami.
-Non ho nulla da perdonarti- mormora.
Hai tanto da perdonarmi. Moriarty, il fiume, Josh, ora le parole.
Sorride. Poi il cellulare nella sua tasca vibra.
-Andiamo.
Dove?
-Buckingham Palace- risponde allegro.
Qualcosa mi dice che è un piano di Mycroft.

§§§

Seduta sul divano di velluto rosso, con Sherlock al mio fianco, osservo Mycroft parlare. Di sistemi di spionaggio.
La porta alle nostre spalle si apre lentamente e ne esce una donna, poco più vecchia di me. Alta, capelli ramati come i miei, occhi verdi. Un viso che ricordo pallido. Un corpo che ricordo coperto d’acqua.
-Cecilia- esclama con le lacrime agli occhi, sorridendomi e venendomi incontro. Mi irrigidisco. La vedo soffermarsi a guardarmi –Sei cresciuta così tanto, sei così bella. Più bella della mamma- mormora.
Non parlo. Mi limito ad osservarla.
Poi afferro il blocchetto e scrivo velocemente.
Mycroft, non è lei.
-Non sono cosa?- chiede leggendo –Mi hai dimenticata? Hai dimenticato le nostre serate davanti alla televisione? I nostri libri? I nostri disegni? Le nostre canzoni? Hai dimenticato tua sorella?
Mi alzo in piedi, lisciandomi le pieghe della camicetta. Calma. Calma glaciale. Respiro profondamente.

-TU NON SEI MIA SORELLA!- urlo. Sherlock sobbalza e ride, Mycroft velocemente chiude la porta e alla ragazza davanti a me si riempiono gli occhi di lacrime.
-Sono io.
-No. Francesca non mi avrebbe abbandonata senza dirmi nulla. Non avrebbe lasciato passare otto anni senza nemmeno farmi sapere che era viva! Dio santo, otto fottutissimi anni! E nemmeno sapevi come stavo, se ero viva, se ero morta! Sono quasi morta lo sai? Sono stata rapita e segregata e picchiata e ogni notte piangevo il tuo nome sperando in un miracolo! E tu non mi hai nemmeno fatto sapere di essere viva!
-E’ colpa mia- interviene Mycroft –Non poteva dirtelo. Le abbiamo dato un nuovo nome, una nuova identità in un nuovo Paese.
Mi volto verso di lui –Come si chiama?- domando.
Sherlock sembra capire, ma tace.
-Serena- mormora la ragazza sconvolta –Hai dimenticato persino la canzone che ti cantavo prima di dormire? Tu con me, amor mio, quando viene Dicembre- mormora, cantando poi le ultime parole della mia canzone preferita di bambina. La canzone che cantavo mentre Moriarty mi lacerava la carne, l'unica cosa che mi faceva sopravvivere.
-Taci. Chiunque avrebbe potuto saperlo.
-Chiunque potrebbe sapere che hai una voglia color caffelatte sotto il seno destro?- sobbalzo. La chiamavamo la piccola luna, per la sua forma. Mi ricompongo, imponendomi di non piangere.
-Mia sorella Francesca è morta otto anni fa. Buon pomeriggio Mycroft, Serena- affermo decisa uscendo dalla stanza.

 







 

Nda: La canzone citata da Francesca viene dal film di animazione Anastasia.

Grazie mille come sempre a tutti voi che leggete e un grazie speciale a chi usa il suo tempo a dirmi cosa pensa!

Xxxx

-Dan

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Capitolo 25
*** Far Far Away. ***




Nda: Hello everyone! I'm back from Andalucìa  Hell! Scusate se aggiorno così in ritardo, ma ero in gita e...well, no Internet. E peggio, non riuscivo ad aprire i file dal cellulare! 
Mi perdonate?
xxxx
-Dan

P.s. Ally, quando leggerai, non uccidermi.

Cercatevi una stanza

Capitolo 25

Far Far Away.

Sherlock.
Una settimana dopo.
Non vuole farlo vedere, ma è sconvolta. Ha ripreso a parlare, e ora capisco che era questo il piano di mio fratello. Farla infuriare tanto da rompere il blocco emotivo dentro lei.
Sembra tutto quasi normale. Quasi, appunto. La sua postura, il suo modo di fare sono cambiati. Tende a rinchiudersi sempre più nel suo Mind Palace, risponde sempre peggio ad Anderson e Donovan, quasi non mangia e non dorme. Sono riuscito a costringerla a dormire solo le ultime due notti.
Sembrava tornata la vecchia Cecilia. Era dolce, divertente e brillante e incredibilmente disposta a parlare. Era vulnerabile. Ha scelto di mostrarsi vulnerabile con me. Abbiamo parlato a lungo, di tante cose. Ho smesso di farmi domande su questo strano nodo in gola che mi prende quando la vedo stanca o cupa. O al sorriso che risponde spontaneo al suo. Ho smesso, semplicemente. La mia mente con lei, su di lei, non riesce ad essere razionale. Forse perché ormai la conosco talmente bene da non dover più dedurre informazioni.

§§§

Cecilia
Domani scrivo a Mycroft.
Domani. Così presto? MH
Lo sai anche tu. Prima è, meglio è.
D’accordo. Prima però parlerai con Francesca. Deve dirti una cosa. MH
Serena. Può venire oggi pomeriggio. Rispondo velocemente.
Mycroft non scrive e m’incanto a guardare Sherlock pensare. È così bello. Eppure lo devo fare, per il suo bene.
Aspetto che arrivi la donna.

§§§

Sherlock
Una di fronte all’altra.
Si scrutano.
A prima vista, ad un occhio inesperto sembrerebbero quasi uguali. A me no. Francesca è più spigolosa, Cecilia più morbida. Il corpo dell’una rispecchia il carattere dell’altra. Parlano a lungo. Poi la maggiore la prende per un braccio e la porta in camera. Quando riescono Francesca ha gli occhi lucidi, Cecilia sembra distrutta. La accompagna alla porta e la saluta freddamente. Poi si volta verso di me.
-Mi suoneresti qualcosa?- chiede dolcemente.

§§§

Francesca
-Vieni con me- la prendo per un braccio e la porto in camera sua.
-Dimmi, Serena- mia sorella. Ancora non ci credo che la ragazza che mi fissa piena di astio sia la stessa bimba che mi chiedeva di farle le trecce. La bambina che ho cresciuto io, perché mia madre aveva troppo da fare.
-E’ una cosa importante.
-Ti ascolto.
-Sono stata otto anni in Russia.
-Lo so.
-Ma non sai il perché- la interrompo –Sono una spia. Vedi…io guardo le persone e vedo non solo il loro punto debole, ma anche il loro punto di forza. Ce n'è stato un altro, simile a me. Si chiamava Magnussen.
-E allora?- chiede seccamente.
-Allora mi è successa una cosa mai capitata prima- mi fermo a guardarla ancora –Il fatto è che sia in te che in Sherlock il punto debole corrisponde a quello di forza.
-Bene. C’è altro che devi dirmi?- mormora gelida, come se non le importasse.
-Perché non mi chiami Francesca?
-Perché te l’ho già detto. Tu non sei Francesca. Francesca è morta- termina conducendomi alla porta.
Fuori, in macchina con Mycroft, piccole lacrime mi scorrono dagli occhi.

§§§

Cecilia
Notte
-Sherlock, vieni qui ti prego- mormoro nel buio. Un peso leggero al mio fianco, è lui. Mi giro, cercando di vedergli il viso nella luce fioca della luna.
Non piangere, non deve capire nulla.
Mi abbraccia, e affondo il viso nel suo collo. Sembra un’eternità che rimango ferma, stringendolo a me, memorizzando il suo corpo, il suo profumo, il rumore assordante del suo cuore. Che tu stavi per far fermare, mi ricorda una voce nella mente.
Un’eternità minuscola. Mi separo in modo da guardarlo in quegli occhi azzurri che ho imparato a conoscere. È felice.
Mi sporgo verso di lui e lo bacio. Ci metto tutto l’amore che riesco, che posso, che mi è rimasto in questo stupido cuore. Le sue labbra screpolate dal freddo contro le mie morbide da burrocacao. Le sue mani sui miei fianchi, a stringermi a sé. Le mie mani sul suo viso ad accarezzarlo dolcemente.
Quando si addormenta permetto finalmente alle lacrime di scorrere liberamente. Mi alzo, gli sistemo le coperte e afferro la sua sciarpa, prima di andarmene.
Chissà se aveva capito che quel bacio era il mio ultimo regalo.
Quel bacio era il mio modo per dirgli addio.

§§§

Sherlock
Mi sveglio nel letto vuoto. Penso che Cecilia sia andata a prepararsi un caffè, ma questo silenzio mi dice che non è così. La sala, la cucina, la camera dove dormiamo. Tutto in perfetto ordine. Le sue cose in giro.
Sarà andata fuori penso. Aspetto. Aspetto per ore fissando la sua poltrona. Il libro che stava leggendo appoggiato sul bracciolo, la vestaglia gettata sullo schienale. Non torna a casa. Aspetto.
Poi, dopo ore di silenzio squilla il telefono. Giulia è in lacrime e John le prende il telefono per potermi parlare.
-Sherlock…
-John.
-E’ morta Sherlock. Si è impiccata.
Non è vero. Non può essere morta.
-Dove siete?
Mi risponde velocemente. Chiudo il telefono.
Non può essere morta. Non può.

Siamo solo io e Francesca nella stanza delle autopsie. È distrutta, continua a piangere.
-Smettila- le ordino brutale.
-C’è mia sorella su quel tavolo!- esclama piangendo. John ha portato a casa Giulia, che dopo aver visto il cadavere dell’amica ha avuto bisogno di calmanti.
-Non è tua sorella.
-Come fai a dirlo?- chiede, asciugandosi le lacrime copiose.
-Hai una memoria eidetica, giusto?
-Giusto, ma come...
-Era facile da capire. Questa non è Cecilia- concludo febbrile prendendo un lembo del lenzuolo che copre il cadavere e scoprendolo.
È praticamente uguale a lei, penso osservando il nasino piccolo, le labbra carnose, i capelli castano ramati, la mani dalle dita lunghe. Ma non è lei. Non può esserlo.
-Ma cosa?!
-Se è tua sorella non è la prima volta che la vedo nuda- sobbalza abbastanza sconvolta –E se invece non è lei non credo le dispiacerà.
Niente voglia sotto il seno destro.
Le osservo la spalla. Le cicatrici non sono uguali a quelle di Cecilia. Non è stata la stessa mano a farle e sono post mortem.
I tre piccoli nei sul ventre. Non ci sono.
Non è Cecilia. Esulto dentro me.
-Guardala- ordino a Francesca –Non è Cecilia, guarda le differenze- spalanca gli occhi rendendosi conto che dico la verità.
-Ma allora dov’è?
A questa domanda può saper rispondere solo una persona.
Mycroft.

§§§

 

Francesca
-Tua sorella è al sicuro.
-Dove?
-In giro per il mondo.
-Posso rivederla?
-No. Non mi ha chiesto di te- diretto e sincero.
Mi avvicino a lui.
-Parlale al posto mio. Raccontale tutto, ti prego.
-Posso provarci.
-Ti ringrazio- mormoro chinando il capo –Quando la vedrai?
-Quando sarà il momento- dice, facendomi capire che il colloquio è concluso –Ah, dì a Sherlock una sola parola di tutto questo e rimpiangerai di non essere annegata nel Tamigi.
-Lo rimpiango ogni giorno da quando ho visto il dolore negli occhi di Cecilia- sussurro andandomene.
La porta sbatte senza che io lo voglia. Non ho il controllo nemmeno di questa stupida porta, in questa stupida vita.

 

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Capitolo 26
*** William Sherlock Scott Holmes. ***


NDA: Okay, I'm back again. Scusate tutti se questo capitolo sarà OOC. Io ci ho provato, giuro, ma mi colavano tristezza e dolcezza insieme dagli occhi, mentre scrivevo aiut, che brutta immagine, ma amen. E' un capitolo scritto da molti più POV del solito, perchè volevo mostrarvi le reazioni dei vari personaggi a quello che è accaduto percedentemente. Eeeeeeee....basta. Credo di non dovervi dire altro se non di rilassarvi e non linciarmi vi prego, ho la pelle chiara e i lividi si vedrebbero. 
Come al solito, se mi lasciate una recensione giuro che non chiamerò Mory per farvi uccidere. 
xxxxxx
-Dan


Cercatevi una stanza

Capitolo 26

William Sherlock Scott Holmes

Giulia

Stamattina pensavo che sarebbe stata una giornata fantastica. Non sapevo nemmeno quanto mi sbagliavo.
È morta. La mia migliore amica è morta.
Si è uccisa, si è tolta la vita impiccandosi.
Ero troppo presa da me stessa per darle retta e lei si è uccisa.
Non me l’hanno lasciata vedere, credo. John mi ha preso in braccio e mi ha portata a casa.
Ricordo solo le lacrime e le premure di John.
Ma ora lei è morta.
È morta.

§§§

Sherlock
Se non è morta, se n’è andata. Provo a salire in camera sua, ma è chiusa a chiave. Dov’è la chiave? Cerco in tutta la casa, ma nemmeno l’ombra. Cercando di pensare razionalmente mi siedo sulla poltrona, osservando la sua, il libro, la vestaglia.
Il libro! Ho sempre avuto la risposta sotto gli occhi. Esulto prendendo il volume di racconti di Edgar Allan Poe. Due pagine sono gonfie, unite insieme. Le separo delicatamente e in mano mi cade una piccola chiave e una lettera con il mio nome scritto sopra.

Ciao Sherlock.
Hai ragione: non sono morta. Sono fuggita. Non da Moriarty. Da te.
Apri camera mia, butta le mie cose e cerca una compagna che ti renda felice. E perdonami, per favore.
Se vuoi delle spiegazioni, sul mio letto c’è una scatola. Non aprirla, se puoi. Vorrei che mi ricordassi come un’amica. Quella scatola cambierebbe tutto.

Grazie.

Non si è firmata, ma la carta è ondulata. Grosse lacrime ne hanno modificato la forma. Ha pianto scrivendola.
Corro in camera sua, aprendola e bloccandomi sulla soglia.
La parete col dipinto deturpato è stata ridipinta di bianco candido. Il letto è rifatto perfettamente, i libri nella libreria.
Troppo ordine. Non è da lei.
E poi sul letto c’è la scatola. La apro.

Disegni. Migliaia di disegni il cui soggetto sono io.
Il più vecchio è quello che dipinse dopo avermi osservato dormire

§§§

Cecilia
-Non mi va- un bambino capriccioso, ecco cosa sei. Ma ho promesso di proteggerlo e mantenere i suoi parametri vitali nella norma mi pare un buon inizio. Lo guardo, determinata a non cedere.
-Vai a dormire almeno un paio d’ore-
Lo vedo indeciso: infastidito del mio ordine è comunque stanco per la notte in bianco.
-Se vai a dormire ti faccio una torta- la tattica finale, la mia ultima chance
-Una torta?- rettifico, un bambino capriccioso e goloso
-Una torta- annuisco e sorrido al marmocchio
-Allora…vado-
-Ti sveglio io quando è pronta- va a chiudersi in camera e seduta sulla poltrona ascolto il rumore di abiti che cadono a terra. Poco dopo il silenzio è sovrano della casa. Cucinando il tempo passa in fretta e, messa la torta a raffreddare sul tavolo, vado a svegliarlo. Busso. Ancora e ancora, ma senza risposta. Decido di entrare e la scena che mi si para davanti agli occhi ha un non so che di…irreale. Steso a petto nudo sul letto, i capelli neri contro il cuscino candido, la luce del tardo mattino che gli gocciola sul torace è così simile ad Amore quando Psiche lo vide per la prima volta. Troppo. Esco velocemente dalla camera e corro al piano di sopra. Tela, tintura e disegno ciò che ho visto. E ora che è reale, che posso toccare il colore ancora fresco respiro meglio.

§§§

Gli altri sono molto più recenti.
Sotto c’è una foto, girata.

È quella che le inviò Moriarty nella scatola. Pensavo ritraesse Giulia, invece mi sbagliavo. Siamo noi due a Primerose Hill. Ricordo quel giorno. Avevamo risolto un caso intrigante e nel parco lei si era messa a ridere, appoggiandosi col viso sulla mia spalla.

Osservo la sua immagine felice. Perché te ne sei andata?
Infine, in fondo alla scatola, un foglio e un biglietto.

Pressure point rilevati: 1 / William Sherlock Scott Holmes


Sherlock, hai capito, non è vero?
Me ne vado perché con me accanto sei in pericolo.
E non posso accettarlo.

Dimenticami e sii felice.

§§§

-Dimmelo.
-Che cosa?- chiede Francesca fingendosi ingenua.
-Il mio punto debole. So che ne sei capace.
Ride –Tu e Cecilia siete un’eccezione alla regola.
-Perché?- domando.
-Perché in voi due il pressure point corrisponde al punto di forza.
Mi fermo a riflettere un istante –Quindi io sono anche il suo punto di forza- annuisce –E il mio?
Sorride sardonica –Ancora non capisci?
Rifletto.
-Se ci fossi tu al suo posto, non saresti disposto a rischiare la tua stessa vita pur di salvarla?- dice Moriarty nella mia mente.
-Dov’è?
-Non posso dirtelo- ammette candidamente.

§§§

Mycroft
In aereo, diretti verso Bombay. La prima meta dell’esilio volontario di Cecilia.
-Potrai risolvere un solo caso al mese, alle mie condizioni. Una sola visita, sempre al mese. Avrai contatti solo con me, e occasionalmente con Francesca, se lo desidererai- le dico. Annuisce, seduta elegantemente sulla poltrona. Solo lo stringere al seno la sciarpa di mio fratello tradisce il suo dolore. -Ne sei sicura?- le chiedo per l’ennesima volta.
-Si- dice fingendosi forte –Con me è in pericolo.
-Lo è di più senza.
-Affezionarsi non è mai un vantaggio- cita le mie parole. È il mio turno di annuire. -Proteggilo- mormora poi nascondendo le lacrime dentro alla sciarpa azzurra.

§§§

Sherlock
Dove sei, Cecilia? penso stendendomi nel letto, sul quale ancora aleggia il tuo profumo.
Mentre penso a quanto sia vuoto il mondo, proprio in questo momento, prometto a me stesso che ti riporterò qui. 
Verrò a prenderti, Cecilia. Non ti permetterò di sfuggirmi per sempre.

 

Cecilia
Come stai, Sherlock? Mi chiedo coprendomi con le lenzuola del mio nuovo, temporaneo, letto.
-Mi manchi già. Non avrei voluto lasciarti, ma senza di me puoi vivere sereno.- sussurro alla sua sciarpa, che stringo a me. Non posso fare a meno di soffocare un singhiozzo sordo nel tessuto celeste, sapendo che questa volta non ci sarai tu a consolarmi. -La tua vita e la tua felicità valgono molto di più della mia.

 

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Capitolo 27
*** The Game Is On ***


Cercatevi una stanza

Capitolo 27

The Game Is On

Tre mesi dopo
Giulia

-Ehi amore, buongiorno- mormora John coccolandomi. Lo osservo sorridere sereno ma timoroso, come se stesse trattando un oggetto delicato.
-Lo è?- chiedo, crudele. Non riesco ad essere dolce. Lo capisce e sopporta, come ha sopportato negli ultimi mesi.
Tre mesi. Novanta lunghissimi giorni. Uno dopo l’altro, paziente dopo paziente, notte dopo notte sono passati.
È brutto non avere più lei vicina. I pomeriggi passati insieme, con le sue osservazioni pragmatiche e i miei sogni inconcludenti. È più che brutto. È orribile. È straziante. È la sensazione di non aver perso solo un'amica e nemmeno una sorella: è la sensazione di aver perso parte di me. Certo, una parte fastidiosa, irritante, saccente, scontrosa, prepotente e anche abbastanza permalosa, ma sempre parte di me.
Non riesco a trattenermi e, al suo ricordo, affondo il volto nella spalla di John e comincio a singhiozzare. Come sempre, lui mi stringe forte consolandomi.
-Possiamo farcela- mi dice. Annuisco piano, alzandomi per prepararmi ad un’altra lunghissima giornata

§§§

Francesca

Osservo le registrazioni che mi ha consegnato Mycroft, su mia esplicita richiesta. Le videocamere presenti in casa di Sherlock e Cecilia hanno ripreso quasi ogni istante della loro vita e questa è la mia unica occasione per salvare mia sorella da un nemico ben peggiore di Jim Moriarty: se stessa.

§§§

Mycroft
Istanbul
-Allora- esordisco –Hai passato due mesi senza fare niente.
-Ho viaggiato- ribatte la ragazza seduta di fronte a me.
-E ora hai risolto un nuovo caso. Interessante. Sia il fatto che tu abbia scelto proprio questa città, sia il fatto che casualmente la sciarpa celeste di mio fratello compare nella sala conferenze della polizia, in prima pagina, non riconosciuta da nessuno, naturalmente.
Non mi risponde, limitandosi a fissare fuori dalla finestra dell’hotel.
-Odio questo posto. Meno male che me ne posso andare- dice infine. –Loro come stanno?- si volta, nascondendo quasi perfettamente il dolore acuto che la lacera. Quasi, appunto.
-Male- inutile nasconderle la verità –Giulia ha attacchi di panico e crisi vagamente depressive- stringe la stoffa del tailleur blu nel pugno chiuso, ma non ribatte. Sapeva a cosa andava incontro partendo.
-E lui?- chiede poi, accarezzando delicatamente la sciarpa, nuovamente al suo collo.
-Ha capito che non sei morta, e ti sta cercando- rispondo.
-Non ti ho chiesto cosa fa, ma se sta bene- ribatte seccamente.
-No. Non sta bene. Come non stai bene tu.
-I miei parametri vitali sono assolutamente perfetti.
-Certo, se escludi gli incubi notturni, il fatto che non dormi quasi più, che passi le giornate a guardare il suo blog. E non dimentichiamo Francesca.
-Serena.
-In qualsiasi modo tu la voglia chiamare. Mi ascolterai, perché non è saggio che tu non voglia sapere- mi fissa, improvvisamente piena di rabbia inespressa.
-Racconta, allora.
-Tua sorella era inserita in un programma speciale. In caso di pericolo, la procedura voleva che fosse espatriata e che acquisisse una nuova identità. Lei però, quando le dissero che non avrebbe potuto avere rapporti con te chiese che almeno le si facessero avere tue notizie.
-Perché ha detto di non sapere del mio rapimento?
-Perché non le è stato detto. Era diventata una spia importante e questo avrebbe potuto distoglierla dai suoi doveri- rispondo, capendo in minima parte la sua collera.
Sorride stancamente, tornando a fissare fuori dalla finestra.
-Ci vediamo il mese prossimo- mormora. Non me ne vado, attendendo la sua reazione.
Un attimo dopo ho un coltello contro la carotide.
-Vattene ora, Mycroft, devo pensare- dice osservandomi con quegli occhi scuri pieni di dolore.

§§§

Sherlock
Due mesi senza notizie, poi finalmente un ispettore di polizia a Istanbul risolve un caso in modo stupefacente per chiunque, tranne che per me e Lei.
Osservo meglio la foto, notando una macchia celeste nella sala raffigurata.
La mia sciarpa. 













Note di Danae: hey there! Eccomi, again. Bene, le note oggi sono importantissime. Volevo solo ringraziare tutti voi che mi leggete, ma in particolar modo Ally, la mia stellina <3 che non solo mi recensisce ogni capitolo, ma che è anche diventata un'amica. Grazie.
xxxxxx
-Dan

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Capitolo 28
*** I Wish You Were Here ***


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Capitolo 28

I Wish You Were Here.

Due mesi dopo
Francesca
-Dov’è, Mycroft?- gli chiedo vedendolo entrare nella mia camera.
-Amsterdam, ma solo per altri due giorni- appoggia un giornale sul tavolo –Questo uscirà domani.
Osservo il giornale, che riporta la stupefacente opera di un commissario di polizia, che ha ritrovato la figlia di un importante politico. Basandosi sul gusto di alcune caramelle.
-Opera sua?
-Naturalmente. Ma osserva bene cosa c’è sullo schienale della sedia in prima fila.
-Una sciarpa celeste.
-Corretto. Ricordi a chi appartiene?
-A Sherlock- rispondo. Oh, ora capisco.
Annuisce.

-Cosa le hai detto su di me?
-Le ho raccontato perché eri in quel programma speciale.
-E lei come ha reagito?
-Non ha reagito.
Non capisco. Lo osservo in cerca di spiegazioni –Mi ha congedato. Di nuovo. E glielo lascio fare giusto perché è tua sorella. Altrimenti avrebbe già avuto una bella lezione- dice freddamente, ma nei suoi occhi leggo quella che potrebbe quasi sembrare affetto per Cecilia.

§§§

John
Soffre. La ragazza più bella del mondo, quella più meravigliosa e dolce, soffre mentre io la guardo impotente. La osservo farsi la doccia, ricordando il giorno in cui ci incontrammo

 

Una giovane bionda corre nel corridoio lucido dell’ospedale. Come in ogni film che si rispetti scivola sul pavimento, cadendo verso terra. Un uomo la afferra veloce per le braccia prima che tocchi terra. Si guardano negli occhi, incantati l’uno dall’altra.
-G…grazie- mormora infine la ragazza rompendo il silenzio.
Lui sbatte le palpebre un paio di volte.
-Figurati.
-Mi chiamo Giulia- si presenta quella arrossendo un pochino, in un modo adorabile, secondo il dottore.
-John- risponde aiutandola a rialzarsi.

Si allontanano, ma dopo pochi passi lei si volta.
-Ehi John, ti andrebbe un caffè?- chiede raggiungendolo.
-Solo se a te andrebbe di uscire questa sera a cena con me- la bionda scoppia a ridere curvando un poco il capo all’indietro.
Al buon dottore basta questa risata spontanea per innamorarsi.

 

Mi alzo, scacciando pensieri tristi. Lei mi sorride attraverso il vetro della doccia, ma il suo è un sorriso spezzato che mi lacera il cuore. Le sorrido a mia volta e la raggiungo sotto l’acqua bollente.

§§§

Sherlock
Com’è possibile che dopo aver trovato una traccia, poi sia riuscito a perderla nuovamente? Scomparsa.
Altri due mesi senza sapere nulla di lei, se sta bene, dov’è, cosa fa.
Nessuno, esclusa Francesca, mi ha creduto sul fatto che lei non fosse morta: hanno tutti pensato che fossi stravolto dal dolore.
Non sono distrutto, come sembrano credere tutti questi idioti. Lotto per qualcosa che desidero, desidero davvero per la prima volta nella mia vita. Ma questo mi porta anche a soffrire, naturalmente, la sua mancanza.
Ogni caso mi appare banale e insulso, la casa sembra essere impregnata del suo profumo di ciliegie e caffè e gelsomino, il violino mi ricorda le sue canzoni, il pugilato mi rammenta che a casa nessuno mi medicherà le ferite se non io stesso.
Persino la nicotina mi ricorda lei e le poche sigarette che si è concessa per festeggiare la fine di un caso.
Almeno sotto la doccia riesco a pensare lucidamente.
Peccato che l’unico pensiero attuale sia: vorrei che tu fossi qui.

 

Cecilia
Ce la posso fare. Sto andando bene, cinque mesi senza vederlo. Sono stata brava.
È questo che mi ripeto, mentendo a me stessa. Non sto bene, ha ragione Mycroft, anche se morirei piuttosto che ammetterlo.
Il punto è che ogni momento lo passo a immaginare lui, che cosa fa, dov’è, come sta, se ha rinunciato a trovarmi.
La sua sciarpa è con me in ogni momento, non la lascio mai. È l’unica cosa che ho di lui. Ha il suo profumo, la notte, prima di dormire (le poche notti in cui dormo), la stringo a me come se fosse lui, nascondendo le lacrime.
Ho solo un pensiero, sempre fisso nella mente: vorrei che tu fossi qui.








Nda: Hello everybody! Vi annuncio che ho finito di scrivere questa storia, quindi da oggi gli aggiornamenti saranno molto più regolari. Non dico ogni giorno o ogni due (anche se probabilmente capiterà), ma sicuramente almeno una volta a settimana.
xxxxx
-Dan

 

 

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Capitolo 29
*** I Do It for Myself ***


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Capitolo 29

I Do It for Myself

Un mese dopo
Giulia
Sorrido a John, prendendogli la mano nel corridoio dell’ospedale.
-Ti va un caffè, amore?- gli chiedo, rivivendo il nostro primo incontro.
-Solo se a te va di cenare insieme, questa sera- mi sorride ripetendo apposta le parole che mi fecero capire che lui era quello giusto.
Alla caffetteria ci sediamo uno di fronte all’altro, il caffè stretto tra le mani. Le sue forti e sicure, le mie piccole e bianche.
-Come va?- chiede smettendo di sorridere e osservandomi preoccupato.
-Va…abbastanza bene- gli rispondo, cercando di mantenere fermo il sorriso.
Mi prende la mano con delicatezza –Ti ricordi la prima volta che siamo usciti a cena insieme?
-Che siamo QUASI usciti, vorrai dire- ridacchio.
-Già…Sherlock mi venne a prendere a metà cena perché aveva capito dov’era un ladro.
-E Cecilia in quel momento mi chiamò perché si annoiava e voleva che posassi per un suo quadro- ricordando, però, gli occhi mi si riempiono di lacrime. John se ne accorge.
-Scusa, non volevo…
-Mi ci dovrò abituare- ribatto asciugandole frettolosamente –E’ morta, ci vorrà del tempo ma mi ci abituerò- il fatto è che mi manca. Mi manca un sacco sentirmi chiamare durante il turno perché lei si annoiava e voleva che le facessi compagnia. O quando mi disegnava. O quando negli ultimi tempi era più…normale e uscivamo insieme. Ecco, mi manca la mia amica. Ma è morta e io devo andare avanti.

 

Sherlock
Ha risolto un caso ad Amsterdam il mese scorso, ieri è stata pubblicato una straordinaria intuizione di un ispettore di Miami. La mia sciarpa è accanto alla porta, su una poltrona.
Osservo la mappa che ho appeso sulla parete. I tre punti rossi indicano luoghi assolutamente lontani tra loro, che non mi rivelano nulla. Cosa vuole fare? Perché non torna a casa?
Perché vuole che sia tu ad andare a riprenderla, mi ripeto per l’ennesima volta. Forza Sherlock. Pensa. Dove potrebbe andare poi? Scuoto la testa, mentre la signora Hudson sale le scale per portarmi il the.
La ringrazio e lei mi si avvicina.
-Sherlock…basta- mormora –Se n’è andata, non è opera sua tutto questo.
Mi volto, dandole le spalle. Deve essere da qualche parte, lì fuori. Senza di me. Sento la donna sospirare e andarsene. Bene. Ho bisogno di silenzio per pensare. Chiudo gli occhi entrando nel mio Mind Palace, cercando una cosa qualsiasi che mi porti da lei.

 

Mycroft
Miami, la sua sesta tappa. È appena uscita dalla piscina, si accomoda sulla sdraio sul bordo dell’acqua accanto alla mia. Si leva gli occhialini e vedo le profonde occhiaie che la segnano, insieme ai lividi derivanti dal suo ultimo caso. Strizza i capelli, stendendosi e ignorandomi.
-Perché sei qui?- chiede poi, senza nemmeno aprire gli occhi.
È sinceramente irritante questa mancanza di rispetto dell’etichetta, ma che cosa mi posso aspettare dalla ragazza di cui mio fratello si è innamorato?
-Una visita al mese, ricordi?- le dico serafico.
-Certo che ricordo.
-Ti vuoi far trovare da mio fratello- la accuso poi, senza astio.
-Si- non si difende –Non ce la faccio. Mi annoio.
-Non è vero. Menti. Stai male perché ti manca- ribatto seccamente.
-Possibilità accettabile- mormora con voce atona.
Il silenzio si estende tra noi per parecchio tempo, così che la posso scrutare meglio. I capelli legati con una coda semplice le scivolano sulla spalla sinistra, celando alla vista le sue cicatrici perfettamente visibili, invece, sulla mano destra. Non mangia quasi più, non dorme se non quando strettamente necessario. E quando lo fa si sveglia piangendo e col nome di mio fratello sulle labbra, così mi dicono gli uomini che ho incaricato a sua insaputa di sorvegliarla.
-Hai pensato a quello che ti ho raccontato su Francesca?- le chiedo poi.
-Naturalmente. Ma non per questo sono più incline a volerla chiamare sorella. Lei non è comunque mia sorella. Giulia potrebbe essere mia sorella, non lei. Non è stata lei ad aiutarmi a superare il trauma del rapimento. Non è stata lei a sopportare i miei pianti e i miei silenzi assurdi per due anni.
-E del fatto che invece lei ti abbia cresciuta non ne tieni conto?- le mie parole la feriscono, anche se non vorrebbe mostrarlo.
-Voglio parlare con Serena- dice poi.
Annuisco, senza correggere il nome.
-Ne sarà felice.
-Non dovrebbe- ribatte secca –Lo faccio per me, non per lei.













Nda: Hola! Vi avviso che probabilmente venerdì non riuscirò ad aggiornare, perchè passo il weekend da un'amica...Ci vediamo lunedì!
xxxxx
-Dan

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Capitolo 30
*** Her Eyes Were Empty. ***


NDA: Hello everyone! Sono di nuovo qui, puntuale come il ciclo i monsoni in India! Al primo che indovina di chi sono gli occhi vuoti del titolo prima di leggere regalo un caldo abbraccio firmato Olaf.
Grazie ancora a tutti voi.
xxxxxx
-Dan



Cercatevi una stanza

Capitolo 30

Her Eyes Were Empty.

Tre mesi dopo
Francesca
-Andiamo?- dice Mycroft entrando nella sala. Sussulto per la sorpresa. Avevamo stabilito di lasciar passare un po’ di tempo da quando Cecilia ha chiesto di potermi parlare, perché in questo modo lui le ha raccontato quello che io non sarei riuscita: tutto il progetto, la partenza.
-Sono già passati tre mesi?
-Sì.
-Oggi, quindi?
-Sì.
Poi sorride, capendo la mia ansia e il mio timore. Gentilmente mi porge la mano per accompagnarmi sull’aereo qui fuori.
-Destinazione?- chiedo vedendolo accomodarsi di fronte a me.
-Haiti.

§§§

-Ciao Serena- mormora nella mia direzione –Mycroft- aggiunge poi con un cenno del capo verso di lui. -Sedetevi- ordina freddamente, mascherando quest’ordine come un invito.
La osservo attentamente: si è lasciata crescere i capelli, che le scivolano lisci sulle spalle con i riflessi ramati così simili ai miei. Non dorme da tempo, noto vedendo le occhiaie profonde. Ma soprattutto è distrutta: triste, apatica, scoraggiata. Mi viene voglia di abbracciarla e di consolarla come quando eravamo piccole e lei aveva degli incubi, ma so che se provassi anche solo ad avvicinarmi rovinerei tutto. Adesso è fragile, devo fare attenzione a non ferirla, e il modo migliore è rispettare i suoi tempi e i suoi spazi.
Le obbedisco sorridendole, notando che Mycroft è rimasto nella sala e si è accomodato esattamente tra noi. Il sorriso di mia sorella non raggiunge nemmeno gli occhi, le incurva solo di poco le labbra. È una maschera che ha indossato, glielo leggo negli occhi.
-Racconta- dice poi imperiosa, senza vacillare nemmeno per un istante.
-Che cosa vuoi sapere?
-Tutto. Dal principio- accarezza una sciarpa celeste dicendo queste parole, ma ha gli occhi vuoti. Non c'è rabbia, nè dolore o rimorso, nè alcuna altra emozione. Un vuoto che mi sembra incolmabile e gelido.
Inizio a parlare, sostenuta dallo sguardo incoraggiante di Mycroft.

 

Cecilia
Sono arrivati. Lei indossa un completo interamente nero, con i capelli lunghi legati in una coda stretta.
-Sedetevi.
Serena mi osserva attentamente, ma la lascio fare. Non mi interessa. Non mi interessa più quasi nulla.
Si siedono entrambi, Mycroft esattamente tra la mia e la sua poltrona. Accavalla le gambe con un gesto elegante, sorridendomi.
Sorrido per cortesia, perché voglio farle capire che sono disposta a parlare. Non ci casca nemmeno per un istante.
-Racconta- le ordino poi.
-Che cosa vuoi sapere?- domanda gentilmente.
-Tutto. Dal principio.
Osserva Mycroft, che le annuisce, e inizia a raccontare.

§§§

La ragazzina trascina la sorella sulla riva del fiume, poi viene allontanata da alcuni uomini che le dicono di non guardare. Nel frattempo la maggiore si sente sussurrare all’orecchio di stare in silenzio e immobile. Qualcosa di freddo sul viso, un trucco bianco, poi sente la sorella urlare -NON PUOI ABBANDONARMI COSI’!- e la portano via.
-Silenzio- ancora le sussurrano prima di sollevarla.
Quando le consentono di aprire gli occhi si trova in una stanza bianca.
-Tu sei morta- le dice la stessa voce di prima. Voce che appartiene a un ragazzo della sua stessa età, solo molto più alto e dinoccolato.
-Io non sono morta.
-Se non ci tieni a morire realmente, sì lo sei- continua il ragazzo –Andrai in Russia. È arrivato il momento.
-No! E mia sorella?- esclama.
-La terremo d’occhio noi, ti faremo sapere quello che vorrai su di lei.
Incomincia a piangere, nascondendosi il volto tra le mani –E’ finita.
-No. Ti sbagli. La vita di Francesca Rosenthal è finita. Quella di Serena Tayna è appena incominciata.

§§§

Francesca
-Eri tu quel ragazzo- dice rivolta a Mycroft, che annuisce sorridendo –E tu da quando mi conosci non le hai mai detto nulla di tutto quello che era successo?

Gli occhi del Governo Inglese si rabbuiano all'istante. Non capisco se non comprenda le implicazioni della sua frase o se le capisca ma non ne riconosca il peso emotivo.
-Sì. Era importante che lei pensasse che tu stessi bene.
-Perché era importante?
-Stava indagando su un’organizzazione di assassini professionisti.
-E questo era più importante del dirle che sua sorella era stata segregata e per lasciarla scappare una donna si è fatta uccidere?- domanda ancora con calma glaciale. Mi ricorda me stessa durante un interrogatorio. E' sicura di sè, solenne nel suo gelo che la abbraccia come un abito da sera d'acciaio lucente. E' bellissima e sola e sembra così piccola e fragile, perchè io lo so bene che sotto quell'acciaio ha un cuore di vetro. Potrebbe rompersi con un sospiro, sempre che già non lo sia.
-Si. Per tutti noi sì.
Cecilia si alza e con una mossa fulminea gli tira un pugno in faccia.
Scoppio a ridere –Mycroft, questo te lo sei meritato- mormoro sorridendole.
Ed è in quel momento che per la prima volta mi sorride per davvero. Non ha più lo stesso sorriso di quando era bambina: è stato sporcato dalla paura, dalla delusione, dal cinismo. Dal dolore.
Ma è un sorriso vero. E in quel momento i suoi occhi non sembrano più così vuoti.

 

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Capitolo 31
*** I Missed You ***


Cercatevi una stanza

Capitolo 31

I Missed You

Il mese dopo
Sherlock
Pensa. Diamine pensa. Ora è ad Empoli, dopo dove andrà? I luoghi non hanno nulla in comune, nulla in particolare. Nemmeno la loro posizione mi dice qualcosa. Mio fratello aveva un occhio nero, l’ho osservato ieri. È stata lei, ma lui non ha risposto a nessuna delle mie domande.
Continuo a cercarla, ma non la trovo. Eppure il suo profumo invade ancora l’aria, i suoi disegni sono appesi ovunque, la sua risata mi rimbomba nelle orecchie.
Coraggio Sherlock, ci sei quasi mi sussurra la sua voce con un tono divertito e malizioso.

 

Empoli, Italia
Francesca
Entro nella stanza in penombra piano, con delicatezza, facendo attenzione a non disturbarla mentre magari riposa. Assolutamente inutile, considerando che è stesa sul divano, sveglia, gli occhi chiusi e le mani appoggiate sulle tempie.
-Ciao Cecilia- Mycroft irrompe nella stanza, spalancando le pesanti tende. La luce si riversa impietosa sottolineando le profonde occhiaie di mia sorella che mugugna qualcosa che può somigliare sia a un “Buongiorno” che a un “Va' al diavolo”. Chissà come mai ma propendo più per la seconda opzione…
Nonostante Mycroft e io avessimo deciso che anche questa volta lui sarebbe rimasto con noi nella stanza, lui se ne esce chiudendoci dentro. A chiave. Giuro che se esco di qui lo ammazzo con le mie stesse mani.
Mia sorella si lascia sfuggire un singhiozzo. Mi precipito da lei, facendola stendere con il capo sulle mie ginocchia. S’irrigidisce, ma il dolore è più forte della paura e si lascia stringere. Piange in silenzio, stringendo la sciarpa azzurra.
-Ehi, piccolina- mormoro scostandole i capelli e tornando a chiamarla come quando era una bambina –Cos’è successo? Fammi vedere un po’ questo viso- scuote la testa, ma si lascia scostare la mani dal volto, gli occhi rossi e gonfi per le lacrime –Cos’hai?
-Sherlock...- singhiozza -Ho paura di lasciarlo andare...ho paura di perderlo...
-Non sai cosa voglia dire perdere il proprio compagno- mormoro accarezzandola.
-Tu si?- chiede, asciugandosi le lacrime.
-Io sì- richiamo alla mente ricordi terribili, ma per mia sorella, se questo potesse farmi perdonare, lo farei mille volte. In fondo, per quanto brutti possano essere, sono solo ricordi –Ero in Russia da tre anni, la mia squadra era composta da quattro membri: io, Stella, Luke e Leonard. Una spia, una biomeccanica, un artificiere e un assassino. Stella e Luke avevano trent’anni ed erano sposati da dieci, io e Leonard avevamo scoperto di esserci innamorati. Andammo a convivere.
Un giorno Mycroft mi assegnò un caso solitario. Ho dovuto uccidere parecchi uomini per portargli le informazioni che mi ha richiesto. Ed erano uomini molto potenti, con parecchi seguaci. Poi io e Leonard ci sposammo- dilata un pochino gli occhi, capendo. Prendo fiato e continuo, cercando di ricacciare indietro le lacrime.

§§§

Il ragazzo accanto a lei dorme. Si concede di osservarlo così, indifeso senza le sue lame e i suoi aghi avvelenati. È un assassino. Ma lei lo ama anche, proprio perché è lui. Tutto contribuisce a renderlo perfetto. I capelli rosso scuro, tagliati corti e che sulla nuca si arricciano in un modo che le fa salire la voglia di passarci in mezzo le dita.
Le orecchie, sempre attente al minimo rumore, con il loro piccolo neo sul lobo.
Il naso diritto, regale.
Le guance asciutte.
Le labbra sottili ma sensuali, che la sanno far sciogliere con un solo sorriso.
Le mani coperte da cicatrici che si è procurato negli anni.
Il corpo asciutto, sottile, dai muscoli ben definiti.
Lascia scivolare lo sguardo fin dove glielo consentono le candide lenzuola, per poi risalire e incrociare i suoi occhi.
E Dio, quelli si che sono occhi per cui varrebbe la pena rinunciare a tutto. Verde scuro, come i pini d’inverno, con sfumature più chiare. Maliziosi in ogni momento, duri e freddi in rari casi, solitamente dolci, come quelli di un cucciolo. Lui è Leonard.
-Buongiorno- mormora con una voce roca e calda, che ricorda il caramello fuso.
-Buongiorno- risponde lei, imbarazzata per essere stata sorpresa a guardarlo in quel modo, nonostante lo abbia visto ben più scoperto di così.
-Ti piace quello che vedi?- le chiede con una nota maliziosa nella voce. Si slancia su di lei, scostandole le lenzuola dal corpo –Dovrei andare in missione, ma non credo che qualcuno si arrabbierà se tardo un po’- mormora col viso sospeso sul suo seno, mentre lei si lascia condurre nel dolce oblio del corpo del suo amato Leonard.

§§§

Quella notte.
Francesca attende da ore, sempre più preoccupata. Nessun incarico li ha mai tenuti separati tanto a lungo. Improvvisamente il campanello alla porta suona risvegliandola dal suo torpore vigile. Apre la porta e si lascia cadere in ginocchio –DIO, TI PREGO NO!- urla sollevando il corpo senza vita dell’amato.
Lo porta in casa e lo spoglia febbrilmente, scoprendo un segno marchiato a fuoco.
Una serpe, il simbolo dei Yolghi. Lo hanno ucciso per ripicca contro di lei, capisce. Lo hanno torturato crudelmente, ma lei non si cura delle ferite.
Lo lava con delicatezza, scrostandogli i capelli dal sangue scuro, lo medica come se ancora fosse possibile curarlo, lo porta nel loro letto, che tante notti hanno condiviso.
Lascia scorrere le sue mani sul povero corpo straziato, che fino a quella mattina le sembrava tanto potente e invincibile.
Lo stringe a se, cercando un calore che non esiste più.

§§§

Mi hanno concesso una sola notte con lui, come sua moglie, ricordo con quel dolore sordo nel petto che mi tormenta sempre.
Si tira a sedere, la ragazza che un tempo era la mia sorellina e che è cresciuta ormai da sola. Senza di me. L'ho abbandonata quando avrei dovuto lottare e rimanere con lei. Mi osserva e con delicatezza mi asciuga le guance da lacrime che non mi sono resa conto di avere versato. Poi, con mia enorme sorpresa, mi abbraccia.
-Non ti ho ancora perdonata, Serena- mormora al mio orecchio –Ma mi sei mancata.

 

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Capitolo 32
*** Deadly Stars ***


Cercatevi una stanza

Capitolo 32

Deadly stars

Sherlock
-Coraggio. Pensa- ripeto a me stesso, chiuso nel mio Mind Palace. Una musica dolce da una stanza lontana mi scuote dal torpore che mi aveva catturato. La seguo, non ricordando quel corridoio dalle tante porte chiuse. L’ultima in fondo è aperta.
Ci sono io dentro. Con lei.
Fuori dalle finestre nevica e mentre io suono lei è seduta sulla mia poltrona, accoccolata come un gatto, che canta dolcemente una ninna nanna accarezzandomi i capelli. È così bella e sembra così felice…
-Ehi- mormora quella voce che ben conosco, chiudendo la stanza –Che ci fai tu qui?
-E’ il mio Mind Palace- rispondo socchiudendo gli occhi e osservando la proiezione di Cecilia creata dalla mia mente. 
-Ah sì, questo lo sappiamo benissimo entrambi. Intendevo: cosa ci fai in questa parte?
-Perché, dove sono?
-Nelle stanze dei desideri. Sono tutti i sogni che siano mai passati nella tua mente, ma sui quali non ti sei mai soffermato. Non sei mai venuto qui volontariamente- mi spiega, portandomi lontano dalla musica che il mio sogno ancora suona.

-Allora. Pensa con me- afferma poi, davanti ad una mappa, sulla quale si illuminano le città che ha visitato sino ad ora.
-Graficamente non c’è un nesso logico.
-Graficamente- come sempre, mi concentro, ma questa volta non capisco. Fisso il disegno, pensando.
Istanbul.
Amsterdam.
Miami.
Haiti.
Empoli.
Roma.
IAMHER
E i mesi passati tra un caso e l’altro sono gli spazi.
I AM HER
-Io sono lei?- chiede la sua immagine, inarcando un sopracciglio.
-No. Stai finendo la frase.
-Che cosa voglio dire?
-I am here- rispondo, sicuro di me.
E, l’ultima lettera mancante.
Devo decisamente recarmi in visita a mio fratello penso, una volta che sono uscito dal Mind Palace.

 

Cecilia
-Guardia alta, coraggio! Su forza, un bel passo in avanti e attacca ora!- urla mia sorella, in un angolo della stanza. Fisso il ragazzo che ho di fronte. Alto, biondo, occhi grigi scintillanti, circa ottanta chili di peso. Zoppica per un colpo alla gamba destra che gli ho tirato qualche minuto fa.
Con poche mosse lo getto a terra sovrastandolo.
-Grazie Micah- lo aiuto a rialzarsi.
-Signorina, è sempre un piacere- risponde lui –E’ bello vedere come migliorate in fretta.
Serena si scurisce in viso. Ho dovuto insistere parecchio, ma ora mi sta insegnando a combattere, a muovermi in silenzio come un’ombra, a spiare. Mi sta addestrando. Non ne era felice, ma coi giorni se ne è convinta. In fondo la diverte, pensa che per me sia un gioco. Non è così: appena sarò pronta ritornerò e ammazzerò quel bastardo di Moriarty, ovunque egli sia, per averci fatto soffrire. Senza volerlo mi irrigidisco pensando a Sherlock, ma come ogni volta lo scaccio dalla mente. Mi concedo di pensarci solamente quando sono sola nel mio letto vuoto e nessuno mi potrebbe sentire piangere.
-Voglio combattere con armi vere- dico a Serena.
-Sai usare discretamente bene sia pistole che coltelli- dice, in attesa di chiarimenti. È in ansia, teme che io possa farmi del male. Ma ormai lo pensa sempre.
-Non parlo di armi così ingombranti. Voglio le armi che nascondi nella valigetta sotto il letto.
-Come lo sai?- chiede.
-Se ti svelassi il trucco non sarebbe poi così divertente- le dico, sorridendo per dissimulare la tensione.
-No.
-Mostramele, almeno- il mio sorriso sembra convincerla.
-Non ne toccherai nemmeno una però, intesi?- annuisco, incrociando le dita dietro la schiena. Torna poco dopo, portandosi dietro una valigetta nera di pelle. Usata con amore, ma vecchia. È stata abbandonata per lungo tempo, prima che qualcuno la riaprisse e ne aggiustasse la chiusura. Con le dita un poco tremanti apre la serratura con un click metallico.
Minuscole lame brillanti come stelle di ghiaccio adagiate su un manto di velluto nero come la notte.
Boccette di liquido trasparente, con etichette scritte da una mano maschile.
LAR, scritto in argento a lettere minuscole in un angolo.
-Leonard?- le chiedo, notando gli occhi lucidi.
-Leonard Alexander Romaud- pronuncia il suo nome per intero, scandendone ogni parola. Orgogliosamente e con grande dolore nella voce. Con la mano destra tormenta un anello appeso a una catenina al suo collo. È una fede, da uomo.
-Insegnami a usarle- dico, riferendomi alle lame scintillanti.
-No.
-Fallo per me, ti prego- mormoro con voce dolce –Prometto che ti aiuterò a vendicare Leonard.
-Oh, ma io lo vendicai poco dopo la sua morte. Morirono tutti, quei bastardi. E tutti videro arrivare la Morte, la videro in viso. Il mio- afferma a bassa voce, con durezza. Poi si riscuote, sentendo la porta aprirsi –Mycroft.
-Francesca, Cecilia- saluta il maggiore degli Holmes. -Volevo solo avvisarvi che partirete domattina, destinazione Edimburgo- sorride a mia sorella in modo dolce e le allontana la mano dall’anello –Basta così, smettila di rimuginarci sopra- mormora. Si volta, ma un pensiero lo ferma -Insegnale a usare quelle armi. Non vorrei mai che facesse di testa sua, se non altro per non ritrovarmene per sbaglio una nel collo.

 

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Capitolo 33
*** Finally, I Have Found You ***


Cercatevi una stanza

Capitolo 33

Finally, I Have Found You

Sherlock
-Mycroft.
-Fratellino, a cosa devo il piacere di questa tua visita inaspettata?- il suo tono di voce è fastidiosamente allegro.
-Dov’è Cecilia?
-Chiedi forse delucidazioni sull’ignoto dopo la morte? Sai bene che nostra madre sarebbe felice di dissipare ogni tuo religioso dubbio- mentre finisce di parlare con quel sorrisino strafottente io mi sposto e veloce gli torco un braccio dietro la schiena, strappandogli un verso di dolore. Si volta, fissandomi e so bene che cosa vede: occhi rossi, capelli spettinati, abiti spiegazzati, pallore insano. L’aspetto di qualcuno che non dorme e non mangia da giorni.
-So che è viva, non mentirmi- sibilo al suo orecchio –L’occhio nero, la scomparsa di Francesca, i tuoi viaggi di lavoro che durano sempre e solo un giorno, una volta al mese, sempre in città dove vengono risolti casi stupefacenti.
-Se sai che è viva, vai da lei- risponde, senza togliersi dalla faccia quel sorriso scaltro.
-Non so dove sia- ammetto lasciandolo andare. Sono stanco e per una volta, una sola ho bisogno del suo aiuto.
-Sei stupido come sempre- l’impulso di rendergli nuovamente nero l’occhio appena guarito mi colpisce prepotente. Ma, come ho già detto, sono stanco.
-Aiutami- gli chiedo, per la prima volta. L’ho sorpreso.
-Perché dovrei?
-Perché sono tuo fratello, dannazione!- esclamo. Mycroft sospira sedendosi nella poltrona di cuoio chiaro.
-Non posso. Me l’ha chiesto lei- interrompe la mia obiezione con un cenno della mano –Ma non ha detto nulla riguardo al fatto che fossi tu stesso a capire dove si trova. Posso solo dirti che si trova in Inghilterra. Hai una settimana Sherlock. Tra sette giorni il nostro patto sarà scaduto e cesserà ogni tipo di contatto, io andrò da lei per l’ultima volta e poi Cecilia non esisterà più- Respiro piano. È qui vicina. Quest’idea scorre come fuoco nelle mie vene, mentre la mente lavora veloce.
-Edimburgo- mormoro. Sorride, mio fratello, di un sorriso triste.
-Forse non sei poi così tanto stupido. La scadenza del patto è tra sette giorni, ma per quel momento potrebbe essere morta. Domani partiremo, ti farò arrivare un dossier sul caso- mi congeda, alzandosi e porgendomi la mano. Gliela stringo, sorprendendolo ancora.
-Grazie.
-Non ringraziarmi- mormora piano –Non sempre quando ritrovi qualcosa che hai perso questa è rimasta com’era.

 

Cecilia
Lancio con precisione la lama sottile, che sfiora la testa di mia sorella.
-Brava, ma fai ancora troppo rumore- mi redarguisce, facendo un cenno col capo, perfettamente calma. Mi sposto i capelli dal viso e tiro ancora, ma la stanchezza è tanta e Serena con una mossa repentina si sposta, per evitare quello che sarebbe stato un colpo mortale –Basta così- dice allora –Per oggi è abbastanza. Da quanto non dormi? Quattro, cinque giorni?- in realtà sono otto, ma mi pare un’idea migliore tacere. –Smettila di farti del male, Cecilia- chiede quasi in tono supplichevole poggiandomi una mano sul viso.
Come posso dormire, se ogni volta che chiudo gli occhi il viso di Sherlock mentre cadeva dal ponte mi appare davanti? Come posso farlo, sapendo di averlo volontariamente abbandonato?
Non parlo, mi limito a sospirare stringendomi nelle spalle.
-Vado a farmi una doccia- rispondo solo, scomparendo nel bagno di camera sua. Sotto l’acqua calda mi permetto di lasciarmi cadere per terra.
Sono stanca. Stanca di essere Cecilia.
Stanca di essere viva.

 

Francesca
Entra nel bagno e io afferro veloce il cellulare.
Domani allora? Digito a Mycroft.
Domani. Non sarò solo. MH
Micah? Chiedo, riferendomi al suo collaboratore che a volte si allena con Cecilia.
Sherlock. MH è la laconica risposta.
Sospiro di sollievo. Ce l’ha fatta, penso felice, Sherlock ha capito e ora la salverà.
Come tu non sei capace a fare mormora una voce nella mia testa, ma la metto a tacere quando vedo Cecilia uscire dal bagno.
Per risolvere il caso della scomparsa di tre coppie ci stiamo integrando nel loro gruppo con nuove identità. È in lei, l’altra ragazza, che si sta trasformando davanti ai miei occhi. Maglietta strappata, gonna corta di jeans, stivali col tacco neri. Chili di trucco scuro.
Disinfetta una lama e prende dell’inchiostro: ripassa le cicatrici, così che sembrino tatuaggi. Le trema un poco la mano, ma come sempre rifiuta il mio aiuto.
Afferra altre lame e se le nasconde addosso, dopo averle immerse nel sonnifero. Poi scuote i capelli, osservandomi.
Usciamo di casa e, mentre camminiamo, curva un poco le spalle nel tipico gesto di una ragazza annoiata dalla vita. Scosta i capelli con un gesto indifferente ed è come se passasse sotto una cascata. Quando ha finito di rifinire il suo personaggio in ogni singolo aspetto, Cecilia non esiste più, e al suo posto si trova un’annoiata, ricca, viziata, presuntuosa, giovane ragazza. Al suo posto c’è Scottie.












NDA: Hola chicos! Eccomi ancora qui! Queste note (giuro che saranno piccine) sono solo per farvi notare/spiegare un paio di cose. Il nome che Cecilia ha scelto per la sua copertura, Scottie, non è casuale. Spero che vi ricordiate il nome intero di Sherlock: William Sherlock Scott Holmes. E' il modo di Cecilia per non dimenticare per chi ha deciso di cambiare così tanto e così in fretta. E' difficile descrivere dei cambiamenti così importanti, ma spero di riuscire a chiarirveli meglio nel prossimo capitolo. Sappiate solo che la ragazza che avete conosciuto all'inizio di questa storia non esiste più, non completamente almeno. Moriarty l'aveva ferita, ma adesso dopo quello che ha fatto a Sherlock (e che ricordate, Cecilia continua a vedere come un suo errore e una sua colpa) l'ha definitivamente spezzata. Così facendo ha ucciso una parte di lei, ma ne ha fatta nascere un'altra, molto più fredda e senza alcuno scrupolo. Se la Cecilia di adesso dovesse ritornare su quel ponte, quella notte, andrebbe armata e ucciderebbe sia Moriarty che Josh.
Oh Cielo, dovevano essere delle note brevi! Perdonatemi!
xxxx
-Dan

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Capitolo 34
*** Did You Miss Me? ***


Cercatevi una stanza

Capitolo 34

Did You Miss Me?

Cecilia
Seduta in giardino guardo la neve scendere piano, silenziosamente assordante. Amavo la neve, ma ora è una sofferenza osservarla, osservare quel cielo di un azzurro argenteo. Quelli sono i colori di Sherlock e ogni cosa d’inverno mi parla di lui: il camino, le strade deserte, la poltrona di pelle che uso sempre, il mio letto freddo e troppo grande. La mancanza di musica.
A questo dolore si aggiunge il fatto che il caso non procede. Sono solo un gruppo di stupidi ragazzini viziati, quelli del cui gruppo facevano parte le tre coppie scomparse, tutti con una passione pericolosa, ma non letale per alcuno se non per loro stessi.
Kaelie, vent’anni passati a fare la figlia prediletta di un ricco industriale. Dipendente da anfetamine.
Enea, diciannove anni, studente di medicina. Esperto nel bondage.
Logan e Nathaniel, fratelli gioiellieri. Alcolisti.
Seraphine, studentessa di arte, nipote di un neurologo famoso in tutto il mondo. Abituata a farsi inserire ganci nella pelle e restare sospesa in aria trattenuta solo dai ganci (le parecchie cicatrici della pelle strappata dimostrano come non sempre questa operazione funzioni).
Nessuno di loro mente. Nessuno di loro appare colpevole. E io non so se essere esaltata dalla mente che ha progettato tutto questo o se esserne impaurita. Entro in casa, schivando Serena con un movimento veloce.
-Mycroft sta arrivando- mi avvisa.
-Vi attenderò in sala- rispondo entrando a passo deciso nella stanza. Rivolta alla vetrata chiudo gli occhi. Serena mi ha istruito bene sull’usare i miei sensi nella loro forma migliore. Ora escludo la vista, cancellandola, e il tatto, non lasciando che il mio corpo sfiori nulla.

L’udito e l’olfatto si acutizzano. La porta di casa si apre con un lieve rumore, poche parole borbottate a bassa voce, poi i tacchi di mia sorella risuonano sul pavimento, seguita da due uomini. Due, non uno. E l’altro non ha lo stesso passo di Micah.
Ha un passo veloce e leggero, di una persona molto alta e magra. Un passo che conoscevo bene, che conosco bene. Non può essere lui, dice la mia mente. E’ lui, dice ogni singola particella di me sentendo il suo profumo nella stanza.
Mescolato a quello di Serena (una bizzarra unione di rose e cuoio) e a quello di Mycroft (carta, metallo e costosa acqua di colonia) sento nell’aria quella combinazione unica che è lui. Sigarette, sapone, cenere e qualcosa di chimico. Come un’onda entra dal mio naso, passando non solo nei polmoni, ma (nonostante io sappia benissimo che non sia razionalmente possibile) anche nelle vene, nel cervello, fino a scaldarmi il cuore.
-Ciao Mycroft- mormoro, impedendomi di voltarmi e correre tra le braccia di lui.
-Penso che dopo un anno di silenzio potresti almeno degnarti di salutare anche me- dice quella voce che nei miei sogni s’infrange come una lastra di ghiaccio. La sua voce.
-Considerando che Mycroft è il maggiore e che è entrato nella stanza prima di te, l’etichetta impone che i miei saluti vadano rivolti prima a lui- ribatto voltandomi.
Due occhi brillanti come la mente che celano s’infiggono nei miei. Lascio scorrere lo sguardo velocemente sulla sua figura, come il primo giorno. Questa volta però noto le differenze.
Non dorme da tempo, è mortalmente pallido, probabilmente per l’essere stato troppo a lungo in casa, è dimagrito, cosa che lo fa apparire ancora più alto. Ma sulle sue braccia non ci sono segni di siringhe, solo un cerotto alla nicotina. È stanco, triste, amareggiato. Deluso. Da me, da quello che ho fatto. Ma è anche felice, sollevato che io sia viva.

Torno a posare i miei occhi sui suoi, lisciando la sciarpa celeste che porto al collo.
-Ciao Sherlock- dico infine avvicinandomi.
-Ciao Cecilia- china il capo per parlarmi a causa della differenza di altezza e vedo nei suoi occhi gioia e dolore che si mescolano.
Serena capisce la delicatezza del momento e trascina fuori dalla stanza con sé Mycroft, lasciandoci soli.

 

Sherlock
Il viaggio è lento, troppo lento e noioso. O almeno, la pensavo così fino a quando non mi sono trovato ad entrare in una sala dove una figura ci dava le spalle fissando la finestra.
In quel momento ho desiderato aver avuto più tempo, per pensare a cosa dirle, a come trattarla. Eppure lei saluta mio fratello e le parole escono dotate di volontà propria dalla mia bocca.
-Penso che dopo un anno di silenzio potresti almeno degnarti di salutare anche me.
-Considerando che Mycroft è il maggiore e che è entrato nella stanza prima di te, l’etichetta impone che i miei saluti vadano rivolti prima a lui- risponde voltandosi.

Quasi fatico a riconoscerla. I capelli, le ossa del volto sono ancora lì, sono ancora i suoi, ma tutto il resto è cambiato.
Gli occhi brillano non più solo d’intelligenza vagamente maliziosa, ma anche di una determinazione fredda e cinica.
Le labbra sembrano essere state morsicate a sangue, le guance sono più aderenti alle ossa.
Le occhiaie profonde sottolineano che i suoi incubi sono tornati, ma le mani non tremano.
È come se alla vecchia Cecilia ne avessero sovrapposta un’altra, gelida e sicura.
-Ciao Sherlock- dice poi avvicinandosi e in quel momento vedo sotto la patina che indossava, vedo la sofferenza dell’essersene andata, dell’aver dovuto mentire. Vedo lei, quel poco che è rimasto ancora intatto.
-Ciao Cecilia- le rispondo, sentendo a malapena la porta chiudersi dietro i nostri fratelli. Rimaniamo ancora ad osservarci, a guardarci oltre quei muri che entrambi abbiamo costruito per difenderci. Rimango ancora a vederla, davvero, a sentire il suo profumo che è cambiato, almeno un po', come lei. La guardo e le leggo addosso le notti insonni, i pianti, il rifiuto del cibo, la rabbia, la cieca determinazione nel portare a termine quell'ultimo caso, prima di smettere di esistere. Ora capisco cosa intendeva mio fratello: è cambiata. È cresciuta, ancora. Ha imparato troppo presto cose che altre persone non imparano in una vita intera. Non so quanto sia rimasto della ragazza di cui mi sono innamorato, in questa sconosciuta che ho davanti. Non so se valga la pena essere qui, a procurare altro dolore ad entrambi. E poi mi rendo conto che lei avrebbe fatto lo stesso per me. Vale la pena affrontare qualsiasi cosa, per Cecilia e i suoi sorrisi e le torte e persino le cicatrici e i pianti. Vale la pena affrontare il mondo, per salvarla da se stessa, per farle capire che non è questione di merito o meno. Io ci sono e ho intenzione di restare nella sua vita.
-Un anno intero- sussurro –Perché?
-Lo sai il perché, Sherlock- risponde con lo sguardo fisso a terra –Non volevo ferirti, affezionandomi a te.
-E così hai pensato di scappare facendo del male non solo a te stessa e a me, ma anche a Giulia, John, mrs. Hudson e Lestrade!- accusa il colpo a spalle basse.
-Scusami- dice poi alzando su di me quegli occhi color caramello.
Incurvo un angolo della bocca, aprendo le braccia, capendo ciò che ha fatto. Anche io avrei fatto la stessa cosa. Anche io ho fatto la stessa cosa.
Mi abbraccia e mi rendo conto di quanto il suo profumo mi sia mancato, quel misto di ciliegie, gelsomino, caffè e grafite, adesso appena sporcato dall'odore dell'argento delle armi che indossa.
-Mi sei mancato- mormora poi iniziando a piangere.
Non rispondo, ma mi siedo con lei davanti al fuoco, lasciando che una lacrima sola scenda lungo la mia guancia.
Restiamo così a lungo, fino a quando le fiamme non muoiono insieme al sole, mentre la neve continua inesorabile a cadere.

 

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Capitolo 35
*** Two Kisses, One Bite And The Truth ***


Cercatevi una stanza

Capitolo 35

Two Kisses, One Bite And The Truth

Sherlock
La sera dopo
Cecilia entra nella sala velocemente, lanciando sia a me che a Mycroft dei vestiti e ci dice di andare a vestirci. Dobbiamo uniformarci nel gruppo, ma penso sarà davvero difficile far sembrare mio fratello un uomo qualsiasi. Nella mia stanza indosso i jeans blu e la maglietta nera. Semplici, essenziali. Perfetti per essere me e allo stesso tempo qualcun altro.
Rientrando mi rendo conto che sbagliavo: Mycroft è appoggiato al camino in una posa morbida, che poco gli si addice, ma sembra estremamente naturale con un paio di pantaloni neri e la polo rossa.
-Vieni qui- dice Cecilia, mettendosi del gel sulle mani e sistemandomi i capelli. Poi mi porge un ago molto lungo e mi chiede di disinfettarlo. Estrae da una valigetta una boccettina d’inchiostro nero e prende dalle mie mani quella che ho capito essere in realtà una lama estremamente sottile.
-Perché lo fai?- le domando osservandola immergere l’acciaio nell’inchiostro e poi passarlo sulle cicatrici.
-Devono sembrare tatuaggi- risponde lei, mentre la osservo. Indossa abiti femminili, che normalmente non userebbe mai: una corta gonna di pelle nera con un top rosso fiamma che risalta i capelli scuri.
-E la lama disinfettata?
-Quelli sono pugnali che fino a poco tempo fa erano immersi o nel veleno o in un sonnifero- risponde al posto suo Francesca. Sobbalzo, cercando di fermarla.
-Tranquillo Sherlock, va tutto bene- dice lei sorridendo a denti stretti, per il dolore psicologico nel doversi ridisegnare le ferite –Solo, se mi vedi cadere a terra o dormo o sono morta- conclude pragmatica.
La osservo ancora un po’, ma è una sofferenza anche per me quando è costretta a ricordare ogni istante della tortura.
-Faccio io- mormoro prendendole la lama dalle mani e ricominciando da dove si era interrotta. -Anche la mano- gliela afferro con delicatezza, stringendogliela nella mia.
-A me non hai mai chiesto di toccarti, o di aiutarti- sbotta irritata Francesca.
-Lui non me l’ha chiesto- ribatte la piccola.
-E poi tu non sei Sherlock- sorride Mycroft ironico.

§§§

Due mesi dopo
Stiamo entrando in una chiesa diroccata, il luogo dove di solito s’incontra questo gruppo. È una grossa sala circolare, senza soffitto, con un colonnato e un mosaico sul pavimento.
Ci sono cinque persone nella stanza, tre ragazzi seduti sul pavimento e due ragazze che chiacchierano in piedi. Quella mora si alza e corre ad abbracciare Cecilia, che la abbraccia di rimando. Non sta fingendo, ormai riconosco quando diventa...
-SCOTTIE!- urla in quel momento la moretta.
-Ehi Kiki!- sorride l’altra.
-Stasera giochiamo a obbligo o verità?- propone un ragazzo dai capelli rossi.
-Abbiamo vent’anni ormai…- ribatte l’altra ragazza, che ha i capelli verdi e un evidente problema con dei ganci, come testimonia la sua pelle.
-Io ci sto!- esclama Francesca facendoci segno di sederci in cerchio.

Hanno presentato Mycroft con il nome di Lucas, il fidanzato di Francesca-Laura, e me come Jean. Loro fratello. Ripensando a quella sera vorrei essermi presentato da solo, ma ormai il danno era fatto. In due mesi i rapporti tra me e Cecilia sono rimasti freddamente professionali, escluso quel primo giorno: siamo entrambi bloccati dalla paura. La osservo di sbieco, come faccio sempre e riesco a vedere solo Scottie.
La bottiglia gira e indica Logan.
-Obbligo o verità?- domanda la ragazza che non è Cecilia, ma che usa il suo corpo.
-Verità.
-Quanti tatuaggi hai in tutto?
-Cinque.
Le ragazze si guardano negli occhi, ma è Kaelie a parlare –Perché noi ne vediamo solo quattro?
-Perché se vuoi vedere il quinto devi venire di là con me- ride lui malizioso.
Poi tocca a Seraphine, che conta le lentiggini di Enea, e a Nathaniel che è “costretto” a baciare Seraphine. A Kaelie è chiesto di vedere il quinto tatuaggio di Logan ma, considerato che per vedere un tatuaggio bastano meno di cinque secondi e loro ci hanno impiegato quaranta minuti, credo che non si sia limitata solo a quello. Quasi tutti abbiamo fatto un turno, manchiamo solo noi quattro.
Francesca-Laura deve baciare il suo fidanzato e vedo un lampo di preoccupazione negli occhi di Cecilia che non riesco a spiegarmi. Ma la sorpresa più grande è quando è mio fratello a chinarsi e a baciarla. Francesca sorride imbarazzata. Mycroft, come prevedibile, sceglie verità e alla domanda “Ami Laura?” lui risponde “La amo da anni”. E non mente.

Infine la bottiglia si posa su Cecilia, che sorride e sceglie un obbligo.
Il suo è di venire da me e lasciarmi un segno, nel modo che preferisce. Ride e mi si avvicina, poi con una mano mi preme sul petto facendomi sdraiare e si siede cavalcioni su di me. Nei suoi occhi non c’è traccia di Scottie, è solo lei, e il suo sguardo è dolce e malizioso allo stesso tempo. Alza la maglietta e con delicatezza mi posa un bacio sul fianco. Non trattengo un gemito di sorpresa quando i denti affondano nella carne morbida, anche se avrei dovuto immaginarlo: il suo segno ora spicca vivido sulla mia pelle, un cerchio perfetto e rosso cupo. Tutti ridono del mio imbarazzo e decido, ormai completamente calato nella parte di Jean, di fargliela pagare.
Il mio turno arriva e scelgo obbligo: bacia la ragazza più bella.

Cecilia
Con le guance ancora rosee per l’imbarazzo osservo Sherlock abbassarsi la maglietta e sentire il suo obbligo.
Poi con deliberata lentezza mi si avvicina, forzandomi ad aprire un poco le gambe, quel poco che gli basta per appoggiarsi con un ginocchio tra le mie. Si china premendo solo le labbra e penso che sia finita così. Evidentemente non lo è, capisco quando gentilmente le muove sulle mie. Gli do l’implicito permesso e mi bacia.
Sa di buono, di sigaretta, di Sherlock. Ed è dolce e gentile, questo bacio che sembra voler cancellare un anno passato lontani, tra lacrime e notti insonni. Questo bacio che mi scuote fin dentro l’anima.
Poi si separa e mi rendo conto che agli occhi di tutti ho appena baciato mio fratello. Il silenzio è totale, allibito ma non colpevolizzante, sono ragazzi a cui non importa ormai di nulla.
-VAI COSI’ AMICO!- urla Logan verso Jean.
Tutti ridono e Seraphine, capendo il mio disagio, mi si accosta e sussurra all’orecchio –Ama a tuo piacimento.











NDA: Hey! Noticine piccine piccine (questa volta davvero) per dirvi che la frase finale di Seraphine è il principio che regola le relazioni nel libro di Jacqueline Carey Il Dardo e la Rosa (che ho amato alla follia) e che appunto è "Ama a tuo piacimento", anche se Seraphine lo estende forse oltre quella che credo fosse l'intenzione del libro.
Grazie a tutti voi, come al solito <3
Dan

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Capitolo 36
*** Don't Give Up ***


Cercatevi una stanza

Capitolo 36

Don't Give Up.

Sherlock
Mi hanno stordito, tra le due e le tre ore fa.
Ho ripreso conoscenza da cinque minuti e trentasei secondi.
Qualcuno mi chiama.
Credo sia Enea. Anzi, è sicuramente Enea.
Apro gli occhi, e la prima cosa che vedo è un sorriso crudele baluginare sul suo volto.
-Molto bene, sei sveglio. Pensavo di dover incominciare senza di te.
Sono legato ad una sedia, con una strana corda metallica. L'ho già vista, a Natale. Erano le corde di Moriarty, quelle usate per imprigionare l'ultima delle sue vittime.
Un leggero sospiro mi fa alzare lo sguardo, e vedo Cecilia. Non ha sospirato, cercava di parlare, ma un legaccio la tiene in silenzio. Il corpo, legato dalle mie stesse catene, è costretto a braccia e gambe aperte, a formare una x.
Ha gli occhi pieni di lacrime, e so che non è per il dolore. È rimorso.
-Non è colpa tua, Cecilia- tento di rassicurarla, ma Enea scoppia a ridere.
-Certo che è colpa sua! È stato facile attirarla, con quelle tre coppiette stucchevoli scomparse, ma non pensavo fosse così stupida da trascinare anche te! Mi ha dimostrato di essere innamorata, ed era tutto ciò che mi serviva. Moriarty sarà così felice quando gliela riporterò, distrutta e pronta perché lui la addestri come la cagna qual'è!
È pazzo. E noi non ce ne siamo resi conto, accecati l'uno dall'altra.
Avvicinandosi a Cecilia le slega il bavaglio e soppesa una frusta in mano, con aria pensierosa.
Colpisce.
Un inarcarsi spontaneo, ma nessun suono, è la sua reazione. I suoi occhi sono freddi, ferrei. Ha già sopportato tutto questo, lo so, e si sta preparando al prossimo colpo.
Che non arriva.

Enea mi sia avvicina, slegandomi le braccia. Non potrei sopraffarlo, non se spero di portare a casa vivi entrambi. Mi costringe a stare in piedi di fronte a lei e stringe la mia mano sulla frusta.
-Tocca a te- sussurra al mio orecchio -Fallo, e ti lascerò morire in fretta. *
Siamo in una stanza chiusa, senza finestre, nella vecchia chiesa. Nessuna via d'uscita.
Dobbiamo resistere. Francesca e Mycroft devono essersi ormai accorti della nostra assenza, ci staranno cercando. Dobbiamo solo resistere ancora un po'.
Glielo dico con gli occhi e la vedo annuire. Lo sa anche lei.
-Fallo- mi incita lei stessa. Il suo corpo nudo scintilla alla luce delle candele, nella vecchia chiesa, una linea rossa sul fianco il segno della prima frustata. Lei mi guarda, quasi ringhiando. Vuole che mi sbrighi, prima che il ragazzo perda definitivamente il controllo.
Le chiedo scusa con gli occhi, calcolando velocemente il punto in cui le farà meno male.

Ed è in quel momento che Enea le si avvicina ancora una volta e le sussurra qualcosa. Cecilia scuote la testa, e lui le tira una sberla. Dal labbro spaccato cola un rivolo di sangue cremisi, che il ragazzo lecca. Lei scosta la testa e lui sorride ferocemente.
-Diglielo o giuro che ti pianto questo coltello nella pancia, e agonizzerai abbastanza da veder morire anche lui. Ogni volte che mi disubbidisci è un minuto in più di tortura per lui. E tu sai bene quanto sia lungo un minuto, mi è stato detto.
Cecilia trema piano -Questo no.
La lama affonda di poco nella pelle chiara del suo ventre e il sangue scorre come fuoco liquido su di lei.
-Fallo.
Alza lo sguardo su di me. In quegli occhi scuri vedo solo il terrore, scatenato da quello che sta per fare.
-Ti amo- sussurra, in un sospiro veloce. Sincero.
Enea ride ancora -Brava bambina- mi osserva ancora, indicando la frusta -Forza.
Perdonami, sussurro a Cecilia, e alzo il braccio.


Cecilia
Singhiozzo ancora prima che mi colpisca, perché so che ora che gliel'ho detto non potrò tornare indietro. Non potrò fingere di aver mentito, perché lui mi conosce, sa se dovessi farlo. Ho paura.
Il colpo è quasi delicato, rispetto alle mani di Enea. Rispetto a quello che ho appena fatto.
Sherlock mi colpisce sette volte. Sette lingue di fuoco si posano sulla mia pelle. Sette volte trattengo un urlo.
Quando la porta si apre e Enea cade a terra, morto, colpito da mia sorella, mi accascio contro le corde metalliche, che mi aprono ferite sui polsi.
Ma il buio mi cattura prima del dolore.

§§§

Mi sveglio in un ospedale, un bruciore sordo ai polsi e sul torace. Abbasso lo sguardo, vedendo una testa di riccioli scuri posata sul letto, la mano pallida di Sherlock intrecciata alla mia.
Sorrido, nonostante il dolore.
Gli occhi celesti si aprono, cercando i miei.
-Ciao- mormoro, sentendomi stupida.
Lui si alza, e improvvisamente so che se ne andrà, mi lascerà qui da sola.
Il mio cuore sembra spezzarsi, nonostante io sappia sia fisicamente impossibile.
Gli occhi gli si adombrano.
-Mi dispiace- sussurra.
-A me sarebbe dispiaciuto di più se fossimo morti in quella stanzetta- rispondo, cancellando il fatto che lui non sembri pronto a parlare della mia confessione.
Ma sorride, alzando una mano come per accarezzarmi. La ferma a mezz'aria, insicuro su cosa fare. Gli afferro la pelle nivea e la accosto al mio viso, e so di essere improvvisamente arrossita.
La porta si apre, e sulla soglia vedo l'ultima persona che mi sarei mai aspettata.

Giulia.
Ha perso sette chili, e non ha una gran bella cera.
Cerco di soffermarmi sul corpo per non vedere i suoi occhi. Sherlock esce dalla stanza, lasciandoci sole, e lei si siede accanto a me.
-Oh mio Dio...Cecilia- sospira -Mi sei mancata così tanto- le scintillano gli occhi, luccicanti e pieni di gioia, nonostante il viso pallido -Un anno, un lunghissimo anno. Mi sei mancata.
La guardo, incredula. Sorride.
-Non...non sei arrabbiata?
-No, certo che no. Sei qui, sei viva. Mi incazzerò tra qualche mese, forse, adesso l'importante è abbracciarti e abituarmi di nuovo a vedere questa tua stupida faccia.
Ridacchio, e una fitta di dolore esplode sulla pelle sensibile delle ferite. Ma le sorrido -Posso aspettare l'incazzatura, ma non l'abbraccio.
-Oh vieni qui! - esclama slanciandosi verso di me.
La stringo, sentendomi immensamente stupida. E felice, ma soprattutto stupida.
-Allora- scosto il viso dai suoi capelli -Abbiamo due mesi per trovarti l'abito da sposa, o sbaglio?
-E' stato Sherlock a dirtelo? Maledetto, non sa tenere chiusa quella bocca.
Ritorno ad affondare nell'oro morbido della sua treccia, respirandola piano. Mi è mancata.
-No, non è stato lui...ma il catalogo di moda che ti spunta dalla borsa, idiota.
Scoppio a ridere, vedendo il suo volto corrucciarsi.
-Oh sono un disastro!- ride lei, mettendosi le mani sul viso.
-Tra quanto mi lasceranno andare?- le domando.
-Un paio di giorni.
Sbuffo e Giulia sorride ancora.
-Forza, chiama il primo medico che passa. Me ne torno a casa- le annuncio.
-D'accordo, ma mi dovrai raccontare tutto- minaccia, uscendo dalla stanza.

Sherlock
È così rilassante vederla di nuovo a casa. I suoi libri sono ovunque, la vestaglia nera appesa alla porta del bagno, la sua spazzola sul divano.
Lei sul mio letto.
Per motivi di comodità, naturalmente. Le escoriazioni sono leggere, ma sui polsi, dove le corde hanno inciso la pelle resteranno due cicatrici, lunghe e sottili, eppure John assicura che non creeranno complicazioni. Altre due cicatrici.
Ancora una volta è stato Moriarty, seppur indirettamente, a ferirla.
Ma nemmeno il pensiero dell'uomo riesce a distrarmi da lei, da come mi sorride, quando passo davanti alla camera in cui è stesa a parlare con Giulia degli abiti per il matrimonio e dell'anno passato lontana.
È la prima sera in cui è tornata a casa, ma quando mi avvicino al letto lei si alza.
-Scusami, vado di sopra.
Non mi guarda, fissa il pavimento. E ricordo che l'ultima volta che abbiamo dormito insieme lei è fuggita via.
Vorrei lasciarla andare, renderle un poco di quel dolore che ho provato nel perderla, ma la maniera in cui tremano le sue mani mi rivela che gli incubi la assalgono ancora. È fragile, con le ferite che le fanno male e la mente ancora tesa a quel ti amo, al quale non ho risposto.
-No.
È solo una sillaba, ma vedo la luce accendersi nei sui occhi. Si stende accanto a me, tenendosi leggermente distante, attendendo che sia io a fare il primo passo.
Per una volta seguo l'istinto, invece della mente, e la stringo.
Mi addormento, e finalmente i miei sogni hanno di nuovo il profumo delle ciliegie.

 

 

 

 

*Piccola nota dell'autrice per spiegare: Enea è pazzo e Moriarty gli ha detto di riportargli Cecilia. Enea, per catturarla, la vuole distruggere psicologicamente e il modo perfetto è quello che sia proprio la persona che lei ama di più a iniziare il tutto.

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Capitolo 37
*** A Song for Your Heart ***


NDA: Chiedo umilmente perdono se pubblico con un ritardo così vergognoso, ma ho avuto una settimana d'inferno e ieri avrei voluto pubblicare, ma ho partecipato ad una sessione di d&d che è finita all'una passata e stavo crollando dal sonno...mi perdonate, vero?
Comunque vorrei avvisarvi che mancano solo due capitoli e l'epilogo alla conclusione di questa storia e giuro che da adesso tenterò davvero di rispettare i tempi che mi ero autoimposta!
Grazie come sempre a tutti voi <3
-Dan



 

Cercatevi una stanza

Capitolo 37

A Song for Your Heart

Cecilia
Due mesi dopo
-Qualcosa di nuovo- enuncio ad alta voce, girando intorno alla sposa -Dici che il vestito conta?- chiedo rivolta a mia sorella che ci osserva ridacchiando.
-Direi di sì.
-Qualcosa di vecchio- allaccio al polso di Giulia un braccialetto comprato insieme in una bancarella ad una fiera, un piccolo filo di brillantini bianchi.
-Qualcosa di prestato- sorrido alla mia amica già ansiosa, porgendole una scatolina.
-Una...lama?- chiede sbigottita.
Una delle lame di Leonard, ora mie, scintilla letale.
-Nel caso qualcosa andasse storto- mi giustifico, osservandola infilare la piccola lama nella giarrettiera che Francesca l'ha praticamente costretta ad indossare. Sono diventate amiche, dopo il periodo in cui Giulia non le parlava, reputandola responsabile di tutto il male capitatomi.
-Una cosa regalata- le porgo un'altra scatolina.
-Se è un'altra lama ti uccido- minaccia aprendola -Oddio...è bellissimo...- sussurra, osservando il ciondolo che sembra brillare di luce propria.
Un piccolo sole d'oro scivola sulla sua pelle chiara.
-Una cosa blu- conclude Francesca, raccogliendole i capelli in una treccia e legandola con una nastrino del colore del cielo notturno.

Le campane suonano a festa, annunciando il nostro ingresso in chiesa.
Cammino lentamente, osservando solo Sherlock, davanti all'altare. La stoffa celeste dell'abito fruscia alle mie spalle, annunciando la sposa.
Gli occhi di John si spalancano, osservando Giulia avanzare lungo la navata, e io so benissimo cosa vede: un abito semplicissimo, di seta ghiaccio, fascia la vita della mia migliore amica, allargandosi come un fiore sui fianchi. Il sole d'oro al su collo scintilla piano nella luce del mattino, che irrompe dalla vetrata di fronte a noi.
Immagino i suoi occhi, già lucidi per la gioia e il lieve sorriso che sicuramente le inarca le labbra.
Mi perdo, osservando Sherlock di fronte a me, non curandomi della cerimonia e ritorno presente solo quando un applauso scuote la chiesa, mentre Giulia e John si baciano.

§§§

Mi alzo in piedi, attirando l'attenzione di tutti i presenti nella sala.
-So benissimo che non è abitudine che sia la damigella d'onore a fare il discorso, ma...- sorrido a Sherlock, poggiando per un istante la mano sulla sua -... ma il testimone dello sposo non era sicuro di riuscire a contenere l'emozione...- risata generale e occhiataccia dal sopracitato detective -...quindi credo che tocchi a me- faccio, un breve, ironico inchino e Lestrade per primo mi applaude. -Ho conosciuto Giulia quando non ero altro che un'anima persa e spezzata, ma lei, con la pazienza e l'amore che la contraddistinguono, ha saputo ricomporre tutti i pezzi di me, quando altri mi hanno abbandonata. Lei per me è molto più che un'amica o una sorella. Lei è la parte migliore di me. Non so quanti di voi la conoscano abbastanza bene da sapere quanto davvero sia speciale, ma potete fidarvi.
E John!- ridacchio osservando lo sposo stringere una Giulia color peperone -Lui è le persona più buona e leale di questo mondo.
Ho abbandonato la mia famiglia anni fa e Giulia è stata tutto ciò che ho avuto per molto tempo. Quando è arrivato il nostro dottore sono stata gelosa a lungo, lo ammetto. Ma mi è bastato vedere come la faceva sorridere con un solo sguardo, a come la rendeva felice il solo pensarlo, perché io iniziassi a pensare anche a lui come parte della mia piccola, minuscola famiglia- oh Dio, inizio a commuovermi e John mi sorride con gli occhi lucidi -so di parlare anche per Sherlock, che non ha avuto la forza spirituale di parlare, e forse è un bene per tutti noi- altra risatina, e altra occhiata inceneritrice -...quando dico che siamo felici per voi. Sapete che nessuno di noi due è bravo con le parole, ma vi vogliamo bene.
E vi siamo grati di essere voi, di esserci sempre- mentre la voce mi trema vedo Giulia separarsi dal marito –E John, non ti dico che se la farai soffrire ti ucciderò, per il semplice motivo che lei sarebbe molto più abile di me nell'inscenare la tua prematura dipartita.
Scoppiano tutti a ridere, mentre io affondo tra le braccia bianche di Giulia. Le sue lacrime mi bagnano la spalla e mi scopro a piangere tra le risate.
-Penso che sia il momento giusto per dirti che ti voglio bene- sussurra ridendo e piangendo insieme.
Mi asciugo una lacrima dall'angolo dell'occhio -Io direi che è il momento giusto per andare a ballare- dico, spingendola verso John e la pista da ballo -E sappi che dopo vorrò anche io il mio ballo con la sposa!- l'avverto vedendola stretta al marito.
-Avrai il secondo ballo- mi assicura, dandomi un bacio rapido sulla guancia -John, mi raccomando: sii cavalleresco con Sherlock.

Scoppio a ridere mentre il mio cavaliere mi trascina sul lucido pavimento di marmo, stringendomi.
-Sei felice?- mi domanda, e per la prima volta nella mia vita non esito a rispondere affermativamente.
Appoggio il capo sulla sua spalla, ballando lentamente. Ci sarà tempo per tutto il resto, ora voglio solo fingere che il mondo finisca qui, che lì fuori non ci sia Moriarty pronto a sparare.
Persino Mycroft e Lestrade stanno ballando, il primo con mia sorella e il secondo con un'emozionatissima (ed estremamente divertita) mrs. Hudson.
Francesca sorride, per una volta felice, Mycroft ha negli occhi uno sguardo dolce, persino Anderson e Donovan non infastidiscono nessuno, scambiandosi sguardi pieni d'amore da sopra la carrozzina della piccola Cecily. Poco dopo aver finto la mia morte, infatti, Anderson ha trovato il coraggio di lasciare la moglie e iniziare una relazione la detective ricciola, che ha trovato stranamente divertente chiamare la bambina quasi come me.
Sento le mani di Sherlock stringermi delicatamente, il suo respiro caldo sulla mia testa, e mi sento in pace. Le persone che amo sono al sicuro, sono felici.

E so che non sarà per sempre così, ma ora lo è e voglio godere di ogni singolo istante di gioia. Perché so che verranno giorni difficili e sarà solo il ricordo a permettermi di non affondare.
Le ultime note di
In between love, di Tom Waits cessano di suonare, e ci riavviciniamo a John e Giulia.
-Mi devi un ballo- le ricordo e vedo John scoppiare a ridere, prima di chiedere a Sherlock se vuole ballare.
E, a differenza delle sue aspettative, accetta. È comico vederli muoversi, non dico ballare perché sarebbe troppo avventato, sulla pista da ballo, entrambi che vogliono guidare l'altro.
-Osservate e imparate!- esclamiamo io e la sposa, intrecciando la mia mano destra con la sua sinistra. Giulia mi guida lontana da loro e io le sussurro -Ma non dovrei fare io l'uomo?
Lei ride -Già sto ballando con la mia damigella d'onore, almeno non fare la pignola! Sono io la sposa e decido io!
-Sissignora!- rido.
La festa diventa sempre più chiassosa, tra foto, brindisi continui e stupide tradizioni.

Sto parlando con Greg, quando sento mrs. Hudson chiamarmi. Mi giro e vedo qualcosa volare verso di me. Afferrandolo, scopro che altro non era che il bouquet, e la mia faccia deve essere talmente stupita che tutti scoppiano a ridere, Sherlock compreso.
-Non ci sperare troppo- gli sussurro -Se mai mi sposerò sarà perché ho una pistola puntata alla testa.
-Allora non è una possibilità così remota- sorride, con quello che sembra essere un velo di tristezza.
Lo zittiaco bacio, perché oggi anche lui deve sognare con me, deve credere che prima o poi tutto questo finirà e saremo liberi.

 

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Capitolo 38
*** Never. ***


NDA: PERDONOPERDONOPERDONO. Gli ultimi giorni di scuola sono una tortura...ma grazie a Dio domani parto per il mare. Mi dispiace, perciò, ma dovrò rimandare la pubblicazione a settimana prossima.
Ho già chiesto perdono?
-Dan
p.s. Ho cambiato il ratings della storia ad arancione, il perchè lo capirete più avanti, nel capitolo.


Cercatevi una stanza

Capitolo 38

Never.

 

Tre mesi dopo, Italia.
-Grazie Mycroft- siamo qui da due settimane, e il fratello del mio ragazzo (posso chiamarlo ragazzo? Compagno? Partner?) ha decisamente conquistato la nonna con le sue maniere gentili. O quelle, o è stato il fatto che finalmente qualcuno fosse capace a prepararle un the quantomeno decente.


L'Italia non è un viaggio di piacere. Francesca, grazie ad alcuni contatti, è venuta a sapere che è qui che Moriarty dimora, al momento, in un caldo paesino della Toscana. Lo stesso in cui vivono nostra madre e nostra nonna. Non è sicuramente un caso.
Mia madre Marta e mia nonna Elena hanno litigato molti anni fa a causa mia, e da allora non si rivolgono più la parola. È per questo che siamo venuti da lei: Marta mi sopporta a malapena, e Francesca non poteva certo presentarsi alla sua porta dicendole “hey, mamma! Sono viva!”. Nonna, al contrario, mi adora e soprattutto sa che mia sorella non era deceduta.
Vorrei alzarmi in piedi e scappare da tutta questa serenità. Non me la merito. Non mi merito di essere circondata dalle persone che amo e di essere così felice quando appena fuori dalla nostra porta c'è uno psicopatico assassino. Ma Sherlock mi stringe appena la mano, intrecciando le sue dita alle mie, e io sorrido piano, cogliendo il suo sguardo freddo e concentrato. Siamo a caccia.
Mycroft si schiarisce piano la voce.
-Ho ricevuto notizie dai miei collaboratori. Non si ha alcun segno di Moriarty.
-E' qui- ribatte Francesca cercando i miei occhi.
Non rispondo, afferro il pacchetto di sigarette ed esco in giardino.

Dopo pochi minuti mia sorella mi segue e mi scosta una ciocca di capelli dal volto. È ansiosa, e ieri sera ha pianto. E il gatto è entrato di nuovo nel suo armadio.
-Voglio dire alla mamma che sono viva.
-Vai- rispondo tranquillamente.
-Vieni con me. Possiamo sistemare le cose tra voi- mi domanda con uno sguardo triste.
-No. Non si può sistemare nulla, perché non c'è mai stato nulla. Io e Marta non abbiamo mai litigato. Semplicemente secondo lei non dovrei essere nata. O avrei dovuto avere la decenza, se non di nascere normale- sputo l'ultima parola con disprezzo -di saper controllare questa cosa. Non posso controllarla, è la mia mente. Sono io. Mia madre, la donna che mi ha dato la vita, mi ha chiamato mostro. Quindi no, Francesca. Non verrò con te a farmi umiliare ancora una volta. Non mi vergogno di ciò che sono.
-E' proprio per questo che dovresti andare- non è Francesca a parlare, ma Mycroft. Si avvicina senza sorridere -Non ti devi vergognare di ciò che sei. Tu non sei un pesce rosso come lei.
Sorrido a quell'uscita, e scuoto il capo.
-Non verrò.

§§§

Sherlock sta slacciandosi la cravatta, quando mi intrufolo in camera sua di soppiatto. Non voglio che qualcuno sappia di noi, esclusi Francesca e Mycroft. Soprattutto non mia nonna.
-Vieni qui- mormoro, avvicinandomi e sostituendo le sue dita con le mie. La seta scivola morbidamente innocua tra i miei palmi, stoffa blu e argento. Alzo il capo e lo bacio, cogliendolo come sempre di sorpresa. È quasi sempre lui a prendere l'iniziativa, mentre io rimango bloccata dalla vergogna e dal timore, ma ci sono sere come questa, in cui l'unica cosa che desidero è baciarlo e sentire la sua pelle sotto le mie dita. Gli slaccio ogni bottoncino della camicia con lentezza incredibile, le sue mani veloci che scivolano sotto la stoffa del mio vestito.
Mi spoglia e io spoglio lui. Ci osserviamo, e sorridiamo labbra contro labbra, fermandoci un istante. Non siamo mai andati più in là di così, ma evidentemente stasera le cose andranno diversamente, capisco quando mi afferra e mi lascia cadere sul letto poco distante.
Ho sempre pensato che la mia prima volta sarebbe stata dolce, ma dovevo saperlo che non sarebbe mai potuta esserlo. Io non sono dolce, e non lo è Sherlock.

All'inizio è doloroso, come non pensavo potesse essere e mi sento lacerata dal dolore e dal desiderio insieme. Sherlock si ferma, dandomi un istante di respiro.
Stai bene?
Certo che sto bene. Anzi, se non ti muovi, potrei ucciderti.

È lento, assolutamente e meravigliosamente lento, e poi il ritmo accellera, come nelle musiche che amo cantare. Una lieve ninnananna che si tramuta nel ruggire impetuoso di una cascata, di una forza della natura inarrestabile.
Ancora.
È feroce, come non pensavo potessimo essere: Sherlock mi morde senza alcun riguardo e la cosa non mi infastidisce per nulla, anzi, non mentre sento la pelle liscia della sua schiena scorrermi come seta sotto le unghie che la graffiano.
Dio, ancora!
È ipnotico, come i suoi occhi di ghiaccio illuminati dalla mente che vi risplende attraverso. Quello che siamo, la mente che abbiamo, non si può spegnere, non c'è l'abbandono ai sensi, non possiamo cercare di annullarci: continuo a vedere e la mia testa continua a dedurre, ma oggi posso scegliere di ignorare tutto questo. Oppure assecondarlo e gemere ogni volta che mi rendo conto della reazione del suo corpo a un'azione del mio.
William...

È...bello. Non il sesso, per quello non ho termini di paragone e per definire la bellezza trovo che si necessiti di un paragone, ma Sherlock è bello. È bello il suo sorriso, e la sua smorfia imbronciata, e i capelli aggrovigliati, e le mani dalle dita lunghe. È semplicemente bello. Me ne rendo conto quando si stende sfinito al mio fianco attirandomi sul suo petto candido, mentre m'incastro contro di lui. Sorride accarezzandomi i capelli, e sento il nostro respiro tornare normale.
-Ascoltami- mormora -Domani va' con tua sorella da Marta. Io e Mycroft resteremo qui a cercare Moriarty.
-Sher...- mi zittisce con un bacio.
-Silenzio. Ora parlo io- il suo tono è vagamente divertito, la voce roca e calda -Ti aspetterò a casa, e tu tornerai a testa alta come hai sempre fatto. Vincitrice.
Sospiro lievemente.
-Sherlock, non voglio.
-Ma ci andrai, lo sai benissimo anche tu.
Annuisco contro il suo petto caldo, quando il mio telefono vibra: un messaggio da mia sorella.

Apprezzo che tu e Sherlock abbiate trovato il modo di passare il tempo senza distruggere i mobili di casa o ammazzare qualcuno.
Ma se la prossima volta non fate più piano giuro su Dio che vi ammazzerò entrambi. Molto lentamente.

Scoppio a ridere, e Sherlock arriccia un angolo della bocca. Poso il cellulare sul comodino e torno ad accoccolarmi contro di lui.
-Hey- chiamo piano -Pensi anche tu a quello che sto pensando io?
Il detective inarca un sopracciglio -E' assolutamente impossibile. Biologicamente parlando...- il cipiglio da genio gli muore sul volto quando nota il mio sguardo e la mia mano che scivola su di lui, sostituito da quello sguardo e quel sorriso -Oh. Capisco.
Molto più tardi, quando la mezzanotte è passata da ormai ore, mentre alza il lenzuolo sui nostri corpi accaldati, mi abbraccia e mormora qualcosa.
-Cos'hai detto?- domando.
-Ho detto- mi posa un lieve bacio su una spalla -Buon- altro bacio -compleanno. Quando tornerai, se vorrai ancora, potremo andare insieme a nuotare alla diga, così potrò darti il mio regalo.
Mi volto a guardarlo.
-Pensavo avessi cancellato questa informazione dal tuo Mind Palace- dico, riferendomi al desiderio, espresso molto tempo prima, di passare la notte del mio compleanno in acqua con lui alla diga dove andavo a nuotare da bambina.
Sorride di un sorriso quasi triste e mi bacia ancora, questa volta sulle labbra.
-Non sono mai stato capace a cancellare nulla su di te.































Ultimissima nota dell'autrice (giuro): il regalo di Sherlock, impacchettato e nella sua valigia, è un libro di poesie di Edgar Allan Poe, uno degli autori preferiti di Cecilia.
Tanto per dirvelo.

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Capitolo 39
*** My Dear Brother ***


NDA: I'm back! Eccoci qui gente, con l'ultimo capitolo. Domani o dopodomani pubblicherò l'epilogo e "Cercatevi una stanza" sarà terminata. Mi viene già il magone...Amen, vi abbandono a questo capitolo di rivelazioni e morti.
-Dan

 


Cercatevi una stanza

Capitolo 39

My Dear Brother

 

-Ciao mamma- le trema la voce, mentre Marta la guarda. E io vedo. Vedo, vedo, devo vedere, guardare e accorgermi come si osservano a vicenda, tutto l'affetto che provano l'una per l'altra, perché è questo che fa la mia mente. Mi fa guardare e capire che a me tutto questo sarà sempre negato, proprio a causa della mia natura.
Mia madre ha lunghi capelli neri e occhi color dell'ossidiana, più scuri sia dei miei che di quelli di Franesca. Ha il portamento di una regina, le maniere di una dama. Mia madre è bella. Lo è sempre stata, ma col tempo ha assunto quei caratteri irreali di un sogno che per quanto ti sforzi non riuscirai mai a toccare. Non mi ricordavo più quanto facesse male tutto questo, il sapere di essere la seconda, il sapere che mia madre mi crede uno scherzo della natura.
-Sei viva. Oh mio Dio, sei viva! La mia bambina è viva! La mia bellissima bambina...- gioisce mia madre, abbracciando Francesca, facendole scorrere le mani nei capelli, sugli zigomi, stringendosela al petto e ridendo. È così felice. Sono così felici e io non faccio parte di quella felicità. Io non sono parte di quella vita.

E poi Francesca mi guarda e Marta segue i suoi occhi, nel buio dell'albero sul quale da piccola mi nascondevo. Vedo il suo sorriso incrinarsi e poi spaccarsi in una smorfia disgustata.
-Cecilia- il mio nome, solo un nome. Solo un dannatissimo nome. Eppure un nome ha potere, lo ricordo, il modo in cui io stessa riesco a piegare il grande Sherlock Holmes solo chiamandolo William.
-Marta- rispondo, facendomi avanti e uscendo da quell'ombra tanto familiare.
-Entrate- più che un invito, questo è un ordine.

Il salotto è lindo e ordinato come al solito, ma un mazzo di margherite nel vaso di cristallo della nonna mi fa capire che ci deve essere un ospite.
-Un nuovo amico, Marta?- domando, calcando volutamente sulla parola amico, così che capisca che io so.
-Non fare quella faccia, Cecilia- mi ammonisce con tono gelido -E' molto più giovane di me.
-Non mi pareva che col giardiniere fosse un problema.
-Vai a prendere il the, è in cucina.
-No.
Sospira, raccogliendo le mani curate in grembo. Ha dormito poco stanotte, le trema lievemente il labbro inferiore, è turbata. Sta aspettando qualcosa.
-Cosa mi nascondi?- la chiedo, Francesca momentaneamente dimenticata. C'è qualcosa che non va.
-Vai a prendere il the in cucina, Cecilia.
-Rispondimi. Rispondimi, se non per me, fallo per quella bambina che di notte ti chiedeva un bacio e tu glielo negavi, perché lei era diversa.
Mia madre incassa il colpo, stringendosi nelle spalle sottili.

Un respiro dietro di me, passi veloci e leggeri giù dalle scale. Un ragazzo, circa trentenne, indossa scarpe nuove. Sento il suo odore accanto a me.

No.
No.
Sì.
Dio, sì, è lui!
Non mi volto, continuando a guardare Marta mentre una mano calda mi si posa sul collo, stringendo appena.
-Ciao, mia piccola colombella- sussurra, sfiorandomi la guancia con le labbra.
-Mamma!- Francesca ha già la pistola puntata su James -Vattene, scappa, lui è quello che ha rapito Cecilia!
Ma Marta sorride, nuovamente tranquilla e accomodata sulla poltrona.
-Perchè dovrei temere mio figlio?
Una lieve, maggiore pressione dei polpastrelli di Moriarty sulla mia gola, volto il viso. I suoi occhi sono nei miei. Non lo sapeva. Ricordo ogni singola cosa che mi ha costretto a fare, a fargli,e sorrido. È un inizio di vendetta già solo questo.
-Come... cosa?!- domanda mia sorella allibita.
-Avevo vent'anni tesoro. Ero innamorata- le spiega -Un militare. James. Rimasi incinta, ma mio padre mi proibì di sposarlo e mi costrinse invece a dare via il bambino e a sposare vostro padre. L'ho odiato tanto. Ancora di più quando mi hanno tolto mio figlio dalle braccia. Ma per anni, per quanto odiassi Michael, è andato tutto bene. Tu eri bella, la mia bambina con gli occhi verdi. Finché è nata lei- mi indica con un cenno del polso, con disgusto, come se fossi un insetto. -Era diversa. Strana. Un segno. Dovevo ritrovare il mio vero bambino, perché lei non lo era.
A James questa storia non piace. Anche la sua mente è come la mia. Anche lui è come me. Anche lui avrebbe potuto vivere tutto quest'odio, ma si è salvato. Sento distintamente che l'oggetto del suo prossimo desiderio di sangue sarà mia madre. James è tante cose: un assassino, un criminale, uno psicopatico, ma sa cosa vuol dire sentirsi soli. Qualcosa è cambiato nella chimica dentro di lui, uno strano, malsano e distorto senso di protezione nei miei confronti, proprio lui che ha tentato di uccidermi ormai innumerevoli volte!

Le sue dita abbandonano la mia gola, sfiorandola con un tocco ora delicato, una carezza gentile che sembra volta a rassicurarmi. Come se mi volesse avvertire che ora c'è lui a proteggermi. Vorrei ridere per l'assurdità di tutta questa cosa, ma non ci riesco.
-Cosa le hai fatto?- domanda, fin troppo calmo e controllato, a Marta, la mano improvvisamente sulla mia spalla, come per darmi sicurezza -Cosa ne sai tu di quello che lei vede, che sente, che prova? Anche lei meritava di meglio che non te. Nessuno merita un orrore di madre come te.
Gli occhi di Marta si spalancano, vuoti. James ha sparato con una pistola apparsagli in mano come per incanto. Un colpo solo, veloce, netto. L'ha uccisa. Si volta a guardarmi e mi porge la pistola, inginocchiandosi ai miei piedi, in un distorto specchio delle mie serate da reclusa. 
-Il gioco è finito.*
Poso la mano sull'impugnatura fredda, nonostante la stesse tenendo in mano. Guardo i suoi occhi, il labirinto complesso della sua mente, e vedo che mi chiede perdono. Perdono. Io non so più perdonare. Afferro il metallo gelido, puntandoglielo alla testa. Chiude gli occhi.


E ripenso a tutto il male che ha fatto a me, il dolore della frusta sulla pelle, dei suoi baci, della sua carne pulsante nella mia bocca, dell'ago che scava, incide, del suo odore. Ricordo Molly, quella povera donna che ha avuto come unica colpa l'avermi aiutata. L'avermi costretta a fuggire per proteggere l'uomo che amo. L'avermi costretta a nascondermi, a mentire, a imparare a combattere. L'aver tentato di uccidere Francesca. L'aver costretto Sherlock a sopportare un anno di silenzio da parte mia, a dover sopportare i miei incubi, le mie paure e le mie cicatrici. Il fatto che forse non sarò mai pronta a fare un altro passo avanti, perché avrò sempre paura che si accendano i laser dei mirini sui cuori delle persone che amo. Il fatto che non mi sentirò mai al sicuro, mai più. E poi penso che ci sono cose peggiori che morire, e io lo so fin troppo bene.
-Il gioco non sarà mai finito, James- rispondo, abbassando l'arma. Non sono un'assassina. Non voglio essere come lui.
Francesca ha chiamato Mycroft e Sherlock, e in un istante loro sono qui, le mani di Sherlock sono sulle mie a allentare la presa sulla pistola, gli uomini di Mycroft ad ammanettare mio fratello. Mio fratello.
-Ti continuava a dire di prendere il the- mormora Francesca, andando verso la cucina -Il the. Il the.

-Ci vediamo presto, James- sussurro mentre lo portano via, perché so che troverà un modo per scappare e a quel punto la giostra ricomincerà a girare e io dovrò girare da brava bambolina con lei. Ma ora mi sento vuota. Stanca, sfibrata. Delusa, quasi. Speravo di ucciderlo, perché non l'ho fatto?
-Non mancherò, sorellina- risponde sorridendomi. E mi incanta quel sorriso triste e amareggiato. Deluso, quasi. Sperava che io lo uccidessi, perché non l'ho fatto?
-Se lo avessi fatto saresti stata come lui e tu sei migliore- la voce di Sherlock contro di me, che s'infrange come la marea sugli scogli. Mi volto a guardarlo, a guardare i suoi occhi e il suo collo e i suoi zigomi e mi sento morire, perché è tutto troppo. Mi stringe forte a sé, affondando il volto nei miei capelli, mentre mi aggrappo al suo giaccone.
-Va tutto bene- dice, contro la mia testa, e io tremo e non posso fare altro.
Un suono strozzato dalla cucina.
Francesca.

Corro, e mia sorella è per terra, in un bagno di sangue. Un arpione le attraversa il ventre e lei boccheggia terrorizzata.
La chiamo, morendo con lei in ogni respiro. Non può andarsene di nuovo. Non può. Il dolore le rende gli occhi lucidi. Mycroft è accanto a me, parla con i suoi uomini, dice loro di muoversi. Mia sorella sorride, stringendogli la mano, e poi guardandomi.
-Sei così bella.
-Non sforzarti.
-Non ho paura della morte, Ceci. Non ne ho paura da molto tempo, ormai. Per me la morte è un'amica che accoglierò sorridendo.
L'arpione era collegato alla porta della cucina. Quando è entrata è partito il colpo, ma la differenza d'altezza è tale che magari potrebbe salvarsi. Perché ho capito che era calibrato per colpire il mio, di cuore. Mia madre aveva scoperto grazie a James che stavamo arrivando e aveva fatto preparare tutto questo per uccidermi, rifletto, fin troppo lucidamente.
-Non morirai oggi. Non oggi, porca troia. Non puoi lasciarmi di nuovo, me lo hai promesso.
-Vieni qui- mi trascina su di lei, nel suo sangue caldo e rosso, che m'impregna i vestiti.
-Ti voglio bene- sussurro piano. Mi stringe, sento le sue mani sulla mia schiena.
-Anche io, piccolina. Anche io ti voglio bene, tu sei la mia stella e mi dispiace così tanto averti dovuta abbandonare...
-Non lo dire. Non m'importa, sei tornata. Ma non andartene ora.

Francesca sorride piano, porgendo la mano a Mycroft che la stringe, mentre io gli lascio spazio accanto a lei.
-Prenditi cura di mia sorella come io ho fatto con Sherlock in Russia- mormora lei avvicinandosi al suo volto.
Le loro bocche si uniscono in un sospiro e io volto lo sguardo.
Quando lo riporto su di lei, Francesca ha le labbra bianche.

 

 

 

 

 

 

*In inglese sarebbero state, le frasi di James e Cecilia
-The game is over.
-The game is never over, James.

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Capitolo 40
*** Epilogo - Chemical Defect ***


NDA: Ed eccoci qui, alla fine. Se siete arrivati sino a questo punto vi meritate una medaglia, perchè questa storia è stata un vero tormento. Meglio: un parto. Ed ora la mia bambina, finalmente conclusa. Dovete sapere che avevo iniziato a scriverla nel 2013, quindi è stato davvero un parto epocale. Ma basta con le cose di cui non frega niente a nessuno! Per voi, l'epilogo di "Cercatevi una stanza" e con esso i miei ringraziamenti più sentiti a Ally I Holmes, a Giulia, a Muffin, a Mars, a Elena, a tutti coloro che hanno letto, seguito, recensito e messo tra le preferite e alla persona che mi ha spinto a scrivere questa storia, il ragazzo che è stato il mio Jim Moriarty per tanto tempo. Per dirgli, anche se non leggerà mai queste parole, che come Cecilia prima o poi perdonerà James anche io riuscirò un giorno ad accettare e poi a perdonare. 
E infine, ultimo messaggio: non disperate! E' già in cantiere, quasi finito, un minuscolo seguito di questa storia. Spero di rivedervi tutti presto!
Grazie mille ancora
xxxxx
-Dan




 

Cercatevi una stanza

Epilogo

Chemical Defect

 

Due anni dopo.
-Vieni qui! Guinevere, ho detto di venire qui!- urla Giulia, inseguendo sul prato sua figlia. Una bambina dolcissima, con gli occhi di John e il visetto angelico della mia migliore amica. La bimba, ancora traballante sui passi, corre verso di me, lasciandosi cadere sulla mia gonna stesa sull'erba.
Un picnic, una novità per me. Non ero mai stata ad un picnic prima, ma mi piace: il sole, l'erba, i fiori, la mia famiglia. Guinevre si arrampica a fatica sul mio busto, affondando il visetto paffuto nei miei capelli e abbracciandomi il collo con le braccine.
-Cosa stai facendo, cucciola?- le chiede John sorridendo. Le piace quando la chiamano cucciola, e fingiamo che lei sia un gattino. Sorride, infatti, con quella sua boccuccia sporca di marmellata.
-Biscotto- sussurra, e io rido, perché quella bambina la golosità l'ha presa tutta da me e Sherlock, che pure nel concepimento non c'entriamo nulla, lo giuro!
-La mamma ti vuole solo pulire, Guinevre- le risponde sorridendo il mio compagno, prendendola in braccio a sua volta. Poi lei lo guarda e gli sussurra qualcosa all'orecchio e ridono insieme e d'improvviso sento quasi di morire dalla gioia, in quel momento, nel loro sorriso.

È finita.
È finita, stiamo tutti bene.
Sorrido a mia sorella e a Mycroft, poco lontani, e anche se le loro mani intrecciate sulla coperta mi dicono più di quanto vorrei sapere sulla loro relazione, non importa. Francesca è viva, respira, non mi ha abbandonata. E Mycroft non ha abbandonato lei, mai, nemmeno un giorno. L'Uomo di Ghiaccio sembra essersi improvvisamente sciolto, mentre sorride alla compagna e le porge l'ultima fetta di torta.
Qualcosa mi scivola in testa, e rido riconoscendo il colore delle margherite e delle viole che i due bambini, Sherlock e Guinevre, hanno intrecciato a formare una coroncina. Voltandomi vedo che anche la bambina ne ha una, quasi uguale, e mi guarda divertita dalla mia risata. Lo sguardo di Sherlock, da solo, mi fa desiderare improvvisamente che sparisca il mondo, che ci lascino tutti soli per un po', perché è così orgoglioso e felice e lievemente ancora triste e questo mi fa sentire come se avessi improvvisamente piazzato una bomba nel mio Mind Palace e questa fosse appena esplosa.
È felice, perché stiamo tutti bene, siamo tutti salvi e Moriarty mi ha giurato di non toccare più nessuna delle persone che amo. Lo sento, a volte, mio fratello, da quando è riuscito a fuggire, con brevi messaggi coi quali so che cerca di farsi perdonare qualcosa che non potrò mai perdonargli, ma che mi permettono di conoscerlo meglio. La conoscenza è un'arma, lo sappiamo bene, e capisco anche che questa sia una sorta di assicurazione che mi sta regalando: nel caso non mantenesse fede ai suoi patti, potrei distruggerlo.
È orgoglioso, Sherlock, di essere riuscito a farmi ridere. Oggi, come due anni fa, la mia risata è rara, e me ne dispiace, ma troppo dolore mi ha insegnato a non mostrare la mia gioia al mondo.
Ed è triste, perché sa che entrambi abbiamo cicatrici che ci siamo fatti a vicenda che non si cancelleranno mai -la mia fuga, quel “ti amo” a cui non ha mai risposto, litigi, recriminazioni, fughe notturne in giro per Londra, per scappare l'uno dall'altra, per smettere di vedere- e allo stesso tempo perché ha paura che io non riesca più a sentirmi al sicuro e felice.

Mi avvicino, sorridendogli e posandogli un bacio sulle labbra. Gli sto dicendo che a me non importa di non dormire la notte, se lui è al mio fianco a combattere con me il buio e la paura, gli sto dicendo che mi dispiace non riuscire a essere sana come lui vorrebbe che fossi, senza queste cicatrici che mi porto addosso e che ogni notte sfiora in punta di dita, con un timore quasi reverenziale. Gli sto dicendo che lo amo, non più di ogni altra cosa al mondo, ma come l'unica che meriti che io mi esponga tanto da amarla.
La mia famiglia parla, intorno a me, gli uccellini cinguettano, Guinevre mi tira i capelli, e io mi sento in pace.

 

É quando torniamo a casa, quella sera, che accade. Siamo appena entrati in sala, lui ha lasciato cadere sciarpa e cappotto sulla poltrona, io li sto posando giusto ora, quando lui si avvicina alla custodia del violino.
-Cecilia Rosenthal- si limita a dire, afferrando l'archetto e pizzicando le prime note di una ninnananna.
-Dimmi, William- gli rispondo, andando a sedermi accanto a lui. Non si volta nemmeno a guardarmi, ma nel riflesso della finestra vedo il suo sorriso e i suoi occhi luccicanti come stelle di ghiaccio.
-Niente. Stavo solo pensando che Cecilia Holmes ha un suono decisamente migliore.

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