I am legend di Ashura_exarch (/viewuser.php?uid=632781)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue ***
Capitolo 2: *** Chapter 1: The abduction ***
Capitolo 3: *** Chapter 2: Prisoners ***
Capitolo 4: *** Chapter 3: Reflections and deductions ***
Capitolo 5: *** Chapter 4: Hunger, lakes and telegraph stations ***
Capitolo 6: *** Chapter 5: Fight without quarters ***
Capitolo 7: *** Chapter 6: Emoctions ***
Capitolo 8: *** Chapter 7: Everyone out ***
Capitolo 9: *** Chapter 8: Escaping ***
Capitolo 10: *** Chapter 9: Dreams from the past ***
Capitolo 11: *** Chapter 10: Recollection and food ***
Capitolo 12: *** Chapter 11: Returning home ***
Capitolo 13: *** Chapter 12: Nails and memories ***
Capitolo 14: *** Chapter 13: Results ***
Capitolo 15: *** Chapter 14: Last stand ***
Capitolo 16: *** Chapter 15: The end of everything ***
Capitolo 1 *** Prologue ***
Prologue
L'uomo osservava il gruppo di pokemon. Tra quelle montagne era facile
nascondersi, per cui non aveva avuto problemi. Era proprio una bella
giornata, per cui era normale che fossero tutti fuori. E ciò
non poteva che facilitargli il lavoro. Era a circa una quindicina di
metri sopra di loro, per cui godeva di un'ottima visuale. La sporgenza
che lo nascondeva era anche bella grande, non aveva avuto
difficoltà a ripararsi. L'unico inconveniente semmai era il
vento, che a quell'altitudine soffiava davvero forte e rischiava di
esporlo, ma per fortuna faceva talmente tanto rumore che copriva
qualsiasi suono dell'uomo.
Aveva passato molto tempo a studiare la gerarchia di quei gruppi, e
aveva capito che quella era una delle cosiddette "squadre
d'esplorazione". Aveva recuperato quel libro da una delle ultime
biblioteche che aveva visitato, e gli era tornato molto utile; era
anche stato fortunato perché la maggior parte dei
manoscritti era irreparabilmente compromessa. Era stato scritto un
centinaio di anni prima o poco più, quando ancora gli umani
erano numerosi, e quando già i pokemon avevano creato una
società a sé da molto tempo.
Quella però non si poteva definire esattamente una squadra
d'esplorazione normale, era più una famiglia. Del resto,
stando a quel che diceva il libro, quale squadra d'esplorazione
vivrebbe tra le montagne più sperdute di quel mondo
maledetto? Non era certo una famiglia formata da legami di sangue, quei
pokemon erano tutti di specie troppo diverse tra loro, ma costituivano
lo stesso una famiglia. Neville era abbastanza empatico da averlo
intuito. Neville si ricordava di aver avuto una famiglia anche lui,
molto tempo prima, ma ormai apparteneva tutto al passato. LUI era il
passato. Lui era l'ultimo uomo, l'ultimo rappresentate della sua
specie. Della specie umana.
Una piccola fitta al petto gli ricordò che doveva prendere
la pillola. Estrasse il barattolino di tasca, tolse il coperchio e se
ne lasciò cadere una in mano. Una volta che la ebbe
ingoiata, guardò all'interno del barattolo. Ne erano rimaste
solamente quattro. Erano scadute, ma aiutavano, e soprattutto erano le
ultime che aveva. Il tempo stringeva, doveva applicare il piano al
più presto. Stando alle informazioni che era riuscito a
recepire aveva poco tempo per metterlo in atto.
Più osservava quei pokemon, più si convinceva
della riuscita del suo piano. Aveva scoperto di non essere solo in quei
luoghi poco dopo che vi si era stabilito, e già allora aveva
cominciato a maturare alcune idee. Ma ormai mancava poco. Tra non molto
tutto il meccanismo si sarebbe messo in moto. Era una cosa folle, ne
era consapevole, chiunque sano di mente l'avrebbe definita una follia.
Ma non c'era più nessuno che lo potesse fare, e Neville se
ne compiaceva, visto che non si poteva definire proprio sano di mente.
Neville aveva sempre avuto una propensione per la schizofrenia, ma per
fortuna era ad un livello lieve. Per il momento. Ma non sarebbe durato
ancora per molto.
Erano circa una ventina, forse anche di più, Neville non era
mai stato bravo nel far di conto. Glie ne sarebbero bastati cinque per
la riuscita del suo piano, in ogni caso. Ce la poteva fare, ce la
doveva fare. Non poteva fallire, non doveva.
Un largo sorriso si formò sulle sue labbra. Un sorriso
malsano, quasi folle. Se il suo piano avesse avuto successo, lui
avrebbe continuato a vivere, a vivere in eterno. Era una cosa folle e
non lo era al tempo stesso. Neville era sicuro che ce l'avrebbe fatta,
a qualsiasi costo. Si voltò, e si incamminò verso
casa sua. E cominciò a ridere. E poi si mise anche a cantare.
Il suono della sua voce venne raccolto dal vento e venne trasportato
più giù, dove stava la "sqadra d'esplorazione".
- Hai sentito qualcosa? - chiese Lloyd.
- Mi è sembrato anche a me di sentire qualcosa - gli diede
sostegno Finley.
- Smettetela, sarà stato il vento - sentenziò
Nellie.
- Ha ragione Nellie. Su, andiamo! - chiuse il discorso Olston.
- Se lo dite voi - disse Lloyd, leggermente turbato. - A me comunque
quella sembrava una risata - sussurrò a Finley.
- Già, hai ragione. Poi mi è sembrato di sentire
anche una canzone, no?
- Forse hanno ragione, sarà stato il vento. Almeno spero.
Chi ci può essere in queste montagne oltre a noi?
- Hmm...
Note dell'autore
Scommetto che un po' vi ha incuriosito, questo prologo. E tranquilli,
se vi sembra corto per compensare ho già pronto un capitolo
bello lungo che posterò agli inizi di luglio.
E visto che sono festaiolo ed oggi faccio 15 anni (e ciò
vuol dire che un quinto della mia inutile vita è passato) vi
voglio consigliare una canzone per darsi alla pazza gioia davanti allo
schermo. Tanto già ci considerano schizzati, quindi pazzia
in più pazzia in meno... La canzone si chiama Seventeen dei Casxio, ed
è sempre un remix.
A presto!
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Capitolo 2 *** Chapter 1: The abduction ***
Chapter 1:
The Abduction
Neville si svegliò. "Cazzo" pensò "Mi sono
addormentato di nuovo". Gettò una rapida occhiata al fuoco,
e si precipitò a sbirciare dentro il pentolino che vi era
sopra. Il liquido che vi era dentro non stava ancora bollendo.
"Ah, vaffanculo a questa roba inutile". Aveva cominciato a pentirsi di
non aver preso un fornello a gas quando poteva. Adesso sì
che gli sarebbe tornato utile. Il fuoco era utile per cuocere i cibi,
ma mai per fare quel che stava tentando di ottenere in quel momento. Ma
Neville era sicuro che perseverando alla fine ci sarebbe riuscito.
Si stiracchiò, e sentì le sue ossa scricchiolare.
Stava invecchiando. Aveva superato gli enta da un bel pezzo, e gli anta
stavano scorrendo velocemente, più velocemente di quanto
Neville desiderasse.
L'aria fredda della sera (amplificata dal fatto che si trovava in
montagna) penetrò da una finestra aperta, facendo scorrergli
un brivido lungo la schiena. L'uomo si diresse verso il davanzale, e
fece per chiudere le imposte, quando alzò lo sguardo verso
il cielo. "Che bella luna che c'è stasera" pensò
con un filo di malinconia "Stasera sarebbe perfetta per suonare, mentre
aspetto che quella merda bolla".
Neville estrasse da un cassetto il suo violino. Era sempre stato bravo
a suonarlo, fin da quando era piccolo, e un libro di spartiti trovato
anni prima in un teatro abbandonato gli aveva fatto conoscere molte
melodie. E Neville aveva già trovato quella adatta a quel
momento.
Dopo essersi pesantemente bardato per evitare di prendersi un malanno,
uscì nel terrazzino, e si sedette sulla sdraio di plastica
che vi teneva. Facendo mente locale, le note della musica gli tornarono
alla mente, e solo allora cominciò a muovere l'archetto
sulle corde dello strumento. Fin dalla prima strofa quella melodia
trasudava malinconia e nostalgia. Non era solo per il violino, doveva
essere accompagnata anche da altri strumenti, ma Neville possedeva solo
quello. E comunque gli bastava. A lui era sempre piaciuto quel genere
di musica. Quel pezzo poi era uno dei suoi preferiti. Non conosceva il
titolo però. Sul libretto era stato scancellato per qualche
motivo dal precedente proprietario.
Stette lì a suonare per molto tempo, nonostante quella
melodia durasse poco più di quattro minuti. La
ripeté molte volte, senza accorgersene. Il vento prese le
malinconiche note e le trasportò nelle valli contigue,
mandando echi in ogni direzione. A Neville non dava fastidio che
ciò accadesse. Lì non abitava nessuno nel raggio
di chilometri, e la dimora della "squadra d'esplorazione" si trovava
molto più lontano.
Non seppe quanto tempo passò, ma alla fine smise,
probabilmente dopo ore. Tornò di nuovo al fuoco. Il liquido
aveva finalmente cominciato ad evaporare, dal lieve odore di alcol che
si respirava nella stanza. Veloce, Neville si affrettò a
chiudere ermeticamente il pentolino, lasciando che tutta l'essenza del
liquido restasse all'interno. Era fondamentale per il suo piano che ne
andasse dispersa il meno possibile di quella roba, almeno fino al suo
utilizzo.
L'uomo si spogliò, e scese le scale. Arrivò in
cantina dove aveva il piano da lavoro, sul quale era poggiato un altro
strumento che gli sarebbe tornato utile. Anche con quello doveva fare
molta attenzione. Doveva assicurarsi che perdesse tutto il suo attuale
contenuto e doveva stare attento anche a non danneggiare il coperchio.
Lo prese in mano, e lo portò di sopra. Arrivato alla porta
del terrazzino, tolse il coperchio e velocemente lo gettò
sul ripiano esterno, chiudendo la porta-finestra. Mentre tutto il
contenuto si disperdeva, Neville andò a controllare la
pentola. "E' quasi fatto" pensò con un velo di soddisfazione
"Tempo che quello si svuoti e anche qui sarà pronto. Si
comincia".
Una piccola fitta al petto gli ricordò il suo "problemino".
Estrasse dalla tasca il barattolino, prese una pillola e la
ingoiò. Gettò una breve occhiata al contenuto del
vasetto e si convinse che doveva iniziare al più presto.
Doveva prendere quelle pillole almeno una ogni dieci giorni, e tale
periodo era passato dall'ultima volta. Se i calcoli erano giusti gli
restava poco più di un mese. Non sapeva esattamente in che
cosa consistesse il suo problema, ma stando a quanto aveva letto in dei
libri di medicina pensava si trattasse tachicardia o qualcosa del
genere. Non sapeva nemmeno se le pillole che prendeva fossero
effettivamente efficaci, ma almeno riducevano considerevolmente il
dolore.
Guardò di nuovo nel pentolino e vide che la sostanza era
evaporata totalmente. Il suo piano aveva appena avuto inizio.
***
Il rumore dei libri che cadevano attirò l'attenzione di
tutti.
- Ah! Cazzo, fa attenzione! - urlò adirato Irving.
- Hey, scusa tanto! - gli rispose Lloyd. Non aveva certo fatto apposta
a far cadere quella pila di libri.
Il Sableye corse veloce verso i tomi caduti a terra, prendendo ad
esaminarli tutti. - Pezzo di cretino! Guarda cosa hai fatto!!! - disse,
mettendogli sotto il naso "Segreti dell'erboristeria" di Arlen T.
Meganium. Il libro, quando il Deino aveva urtato la pila, era stato uno
dei primi a cadere, e inavvertitamente Lloyd l'aveva pure schiacciato
sotto una delle sue zampe, piegando e strappando la maggior parte delle
pagine. - Questo me lo ripaghi! - continuò adirato Irving.
- Dai, è solo un libro.
- SOLO!?! HAI IDEA DI QUANTO SIA RARO!?! E DI QUANTO COSTI!?!
- Per Arceus, non l'ho fatto apposta.
- E CHI SE NE FREGA!!! TU ORA ME LO RIPAGHI!!!
"Cazzo, ora questo chi lo ferma?" pensò leggermente
impaurito Lloyd.
- Basta, Irving.
La voce calma e contenuta di Olston fermò le sue
imprecazioni.
- Ma hai visto cosa ha fatto!?!
- Sì, l'ho visto, e Lloyd ti ripagherà il libro.
- Non è abbastanza!!! Deve anche...
- Basta così, Irving. - il tono del Gabite non ammetteva
repliche - Lloyd te lo ripagherà, ma tu adesso smettila.
"Uff, meno male che c'è lui" pensò leggermente
sollevato il Deino.
- Ma...
- Ho detto basta. Lloyd ha sbagliato, ma anche tu. Hai visto quant'era
alta quella pila? E poi hai visto dove l'avevi messa? Di lì
ci passa un sacco di gente, dovevi sapere come sarebbe andata a finire.
- Ma non avevo spazio dove metterli...
- Non dire una parola di più oppure tu e i tuoi amati libri
sparirete da qui. Per sempre. - Olston era impassibile ma terribilmente
opprimente nella sua compostezza - Lloyd ti ripagherà quello
danneggiato. La faccenda finisce qui.
Il Sableye avrebbe voluto controbattere, ma un'occhiata del Gabite lo
fece tacere, anche se si vedeva che a stento reprimeva il disappunto.
Irving se ne tornò adirato alla sua scrivania, mentre Olston
usciva dalla biblioteca. Il Sableye lanciò un'occhiata piena
di risentimento verso il Deino, come per dire "me la pagherai, stanne
certo" prima di tornare a leggere l'ennesimo manoscritto.
- Certo che te la sei cavata proprio per il rotto della cuffia.
Lloyd non si era accorto che fosse presente anche Finley.
- Sta zitto, oggi è già andata abbastanza di
merda, non ti ci mettere anche tu.
- Nervosetti, eh?
- Falla finita oppure ti taglio le ali e ti lancio giù dalla
Rupe del Flygon.
- Sì, nervosetti.
Il Rufflett non si stancava mai di punzecchiarlo quando ne aveva
l'occasione.
- Ma dove troverai i soldi per pagare il libro, eh?
- Togliti di mezzo.
Lloyd non aveva proprio voglia di starlo a sentire in quel momento,
nonostante fosse il suo migliore amico. Uscì dalla stanza, e
seguì l'odore di Olston. Quando Finley aveva menzionato i
soldi a Lloyd era tornato in mente che non ne aveva abbastanza per
ripagare il danno, per cui voleva chiedere ad Olston se poteva venire
in missione col resto della squadra.
Non fece fatica a trovarlo. In quel momento stava parlando con Gregory,
ma si accorse subito della presenza del Deino.
- Ne riparliamo dopo. - disse concludendo la conversazione con il
Dewott, che se ne andò ad aspettarlo fuori di malavoglia.
- Cosa c'è? - chiese leggermente stizzito a Lloyd. Il Deino
era leggermente intimorito, in quanto il Gabite era quasi il doppio di
lui e non sembrava che gradisse la sua presenza.
- Ehm, senti... riguardo alla missione...
- Ne abbiamo già parlato, ho detto no. Non hai ancora
abbastanza esperienza, e poi il numero di membri necessario
è già stato raggiunto. Dovresti sapere che la
Banda di Kaiden è un affare troppo pericoloso per i membri
più giovani.
- Ma...
- Niente ma, non sei ancora pronto. Non verrai, punto e basta.
- Ma non ho i soldi per ripagare il libro ad Irving.
- Li recupererai in futuro, non ho fissato una data di scadenza per la
restituzione. Ora, se vuoi scusarmi, dovrei andare.
Detto questo uscì dalla stanza in cui si trovava,
raggiungendo Gregory all'esterno. In quella casa le cose che Olston
diceva erano legge, visto che era lui il capo della "Famiglia", come i
membri della "squadra d'esplorazione" definivano loro stessi.
Erano più una famiglia infatti che una squadra. E poi tra
quelle montagne le offerte di lavoro erano davvero scarse, ma avevano
scelto loro di loro spontanea volontà di venirci a vivere.
In origine quella magione aveva aperto come orfanotrofio, ma nel tempo
era andata in rovina. Poi, una decina d'anni prima, Olston ed altri
veterani si erano stabiliti lì per vivere in pace e avevano
rimesso a nuovo quella casa, ma visto che era un combattente esperto le
richieste di lavoro continuavano ad arrivare, così aveva
"ufficialmente" trasformato la casa in un orfanotrofio (esattamente
come era stata concepita all'inizio). In realtà quella casa
accoglieva pochi cuccioli, e prevalentemente provenienti da quella
regione. Lloyd era stato uno di questi. Avevano trovato il suo uovo
abbandonato poco lontano, e avevano deciso di tenerlo con loro, una
volta nato. Ciò era successo quattro anni prima.
La verità era che Olston non aveva mai smesso di lavorare.
Nonostante cercasse di smettere, era consapevole che senza lavoro il
denaro non sarebbe arrivato. E in quel mondo il denaro faceva da
padrone. Fortunatamente in quelle zone la natura provvedeva quasi
completamente alla vita, ed erano poche le volte in cui il conio
risolveva le cose. Ogni tanto arrivava una richiesta di lavoro alla
"Famiglia", e la maggior parte delle volte venivano tutte rifiutate, ma
questa no. La ricompensa per sgominare la Banda di Kaiden era
stratosferica, e raddoppiava nel caso che se ne catturassero vivi i
membri. Si parlava di cifre a tre e a quattro zeri, ed Olston aveva
inviato subito una risposta affermativa. Incassando le taglie avrebbe
potuto sistemare lui e la "Famiglia" per almeno una quindicina d'anni,
rendendo tutte le altre richieste di lavoro ignorabili. Ma per un
lavoro difficile come quello il Gabite aveva deciso di portarsi dietro
la maggior parte dei componenti della "Famiglia".
In totale i componenti della Banda di Kaiden erano una dozzina, mentre
la "Famiglia" poteva vantare all'attivo trenta membri. E
ventitré di questi sarebbero andati con Olston. Tutti
infatti, anche i più tranquilli, sapevano combattere
egregiamente nella "Famiglia". L'unica pretesa di Olston era questa,
"saper difendere sé stessi", come amava ripetere. Anche
Lloyd non se la cavava male, ma non andava abbastanza bene per entrare
a far parte della spedizione. Ed era questo che gli faceva montare la
rabbia.
Non aveva voglia di tornare in biblioteca, così se ne
andò in camera sua, che divideva con Finley. Lloyd era
stanchissimo, aveva solo voglia di riposarsi per qualche ora. Il suo
letto si trovava proprio accanto alla finestra, nella parte
più illuminata della stanza. Di malavoglia tirò
le tende e si girò dall'altra parte. Non aveva nemmeno preso
in considerazione l'idea di dormire nel letto di Finley, riparato e
nella penombra costante degli scaffali. Il suo amico era un tipo molto
territoriale.
Lloyd era frustrato. Quella giornata non poteva andare
peggiò di così. Già quella mattina per
il ghiaccio aveva rischiato di rompersi una zampa, poi era andato in
biblioteca per parlare con Nellie (che ultimamente era diventata
un'assidua frequentatrice della biblioteca) per combinargli un
appuntamento con Finley (il Rufflet era innamorato cotto di lei, ma era
talmente timido che aveva chiesto all'amico di parlare alla Torchic) ed
era successo tutto quell'ambaradan con Irving, ed ora doveva pure
ripagargli il libro.
Avrebbe volentieri gridato un "VAFFANCULO A TUTTI!" in modo che tutta
la casa si potesse rendere conto della sua frustrazione, ma quel giorno
non era proprio il caso. Aveva nevicato fino alla notte prima, ed era
da quella mattina che chi poteva spalava la neve dal tetto per evitare
che crollasse tutto. Era un cambio continuo di spalatori, dato che a
stare troppo tempo sotto quel sole ci si scottava (non sembra ma in
montagna il sole picchia). Sarebbe stato tutto più facile se
ci fossero stati Sanford (il padre di Nellie) oppure Eloise, ma il
primo era andato in una delle rare missioni e la seconda era da due
giorni via per fare da mediatrice con chi aveva commissionato la
cattura della Banda di Kaiden riguardo alla ricompensa.
Stette per un po' a rigirarsi nel letto, finché si
addormentò. Fece un incubo, com'era da aspettarsi.
Sognò di star correndo a perdifiato lungo una grande distesa
nera. Non sapeva perché, ma sapeva che dietro di lui c'era
qualcuno, e sapeva ancora più certamente che era un uomo. E'
la classica consapevolezza dei sogni. Comunque Lloyd correva, per non
farsi catturare. Era terrorizzato dall'idea, e per questo correva. Ma
sentiva che l'uomo stava recuperando terreno. Poteva sentire il suo
fiato pestilenziale sul suo collo...
Il Deino si svegliò di soprassalto. "Cazzo, era solo un
sogno" pensò. Naturale che lo era. Gli uomini erano morti.
Tutti. Dopo la Grande Battaglia di mezzo secolo prima si erano estinti.
Numerose erano le leggende che circondavano la figura di quelle
misteriose creature. Si diceva che catturassero i pokemon per farli
lottare tra di loro, al solo scopo di divertirsi, o comunque per fini
personali. Le mamme la usavano come una velata minaccia per i figli che
facevano i capricci: "fai il bravo oppure l'uomo verrà a
prenderti". E funzionava. Non che Lloyd l'avesse mai sperimentato. Lui
non aveva mai avuto una madre.
Ributtò la testa sul cuscino e provò a dormire di
nuovo, ma visto che non riusciva a prendere sonno andò al
bagno e si mise davanti allo specchio. La pelliccia nera gli stava
ricrescendo, tornandogli a coprire gli occhi, e lui questo lo odiava.
Lui era sempre stato diverso dagli altri Deino per questo: mostrava i
suoi occhi portando il "taglio di capelli" più corto
rispetto alla norma. Gli piaceva guardare in faccia la gente quando gli
stava davanti. Avrebbe chiesto a Finley di tagliargieli, visto che lui
con le zampre che si ritrovava non poteva proprio.
Restò lì a specchiarsi per molto,
finché un grido lo riscosse.
- CAZZOOOOOOOOOOOOOOOOOO!!!
Si alzò di scatto giusto in tempo per vedere un'ombra al di
fuori della finestra. Sembrava che l'urlo provenisse proprio da essa.
Un secondo dopo l'ombra proseguì la caduta, schiantandosi
con un sonoro tonfo al suolo, seguito poi da grida di dolore.
Veloce, Lloyd uscì dalla stanza e si precipitò
fuori per vedere cosa era successo. Non era stato l'unico ad avere
quell'idea, così sulla scena si creò una piccola
folla. Prima che fosse portato via in barella, Lloyd riuscì
a vedere Gregory che imprecava come un dannato tra un gemito e l'altro.
Stando a quello che aveva visto Avery (il Machop che stava lavorando
con lui quando era caduto) era scivolato su un pezzo di ghiaccio ed era
caduto dal tetto, atterrando male e rompendosi una gamba ed un braccio.
Stando a quanto stabilito da Augustine, la Audino che si occupava
dell'infermeria, ci sarebbe voluto almeno un mese perché il
braccio potesse guarire e circa il doppio perché anche la
gamba tornasse a posto, e ciò creò molto
scompiglio quel pomeriggio. Aggiungendo poi che anche una delle
conchiglie del Dewott si era frantumata a causa della caduta, Gregory
venne escluso definitivamente dalla spedizione. Il Dewott infatti era
uno dei designati per prendere parte alla missione contro la Banda di
Kaiden, e Olston non si poteva permettere di avere qualcuno in meno,
così, nonostante fosse riluttante, anche Augustine venne
reclutata per partire. Così il gruppo degli esclusi
cambiò da Lloyd, Finley, Nellie, Irving ed Augustine a
Lloyd, Finley, Nellie, Irving e Gregory.
Il resto della giornata trascorse senza particolari intoppi, anche per
il fatto che Gregory venne praticamente abbandonato in infermeria.
Già il pokemon era intrattabile di suo, poi dopo che venne
lasciato da solo lo divenne ancora di più. La stessa
Augustine, che si recava spesso da lui per assicurarsi delle sue
condizioni, lo sopportava a fatica. L'unico della "Famiglia" che ogni
tanto passava da quelle parti era Irving, ma lo faceva solo per andare
e tornare dalla biblioteca. Lui infatti ne aveva la custodia "che si
tramanda da generazioni", per citare le sue pompose parole.
Tutto accadde molto in fretta, anche perché rimaneva poco
tempo alla partenza di Olston e dei suoi. Sarebbero stati via per circa
due settimane, forse anche di più, e non era detto che
riuscissero nella loro impresa, ma a Lloyd bastava che se ne andassero,
voleva solo avere un po' di pace. Anche se con persone come Gregory e
Irving (a meno che quest'ultimo non venisse provocato) era quasi
impossibile stare tranquilli.
Il giorno dopo i membri della spedizione partirono la mattina presto.
Nonostante gli esclusi non fossero tenuti ad alzarsi a quell'ora lo
fecero lo stesso per salutare i compagni e ricevere le dovute misure di
sicurezza. In particolare Nellie venne intrattenuta per un quarto d'ora
buono da Augustine sulle misure di cura e restrizione da adottare con
Gregory (bisognava anche tenerlo d'occhio costantemente
perché aveva già tentato la fuga parecchie volte
nel corso della notte). Quando finalmente la Audino finì di
esporre le precauzioni per il malato ed Olston il suo discorso sul
mantenimento della casa agli altri, i ventitré pokemon si
avviarono per l'unico sentiero che conduceva via dalla casa. Finalmente
gli esclusi erano rimasti soli. Un po' Lloyd ne fu contento, almeno
poteva fare quello che voleva. Tanto Finley l'avrebbe sicuramente
sostenuto dato che era il suo migliore amico, Irving se ne sarebbe
rimasto con i suoi libri tutto il tempo e Gregory era bloccato a letto
senza possibilità di muoversi. L'unico problema sarebbe
forse stata Nellie, se non avesse dovuto tenere d'occhio Gregory.
Il giorno comunque trascorse tranquillo, anche perché il
Deino e il Rufflet andarono a bighellonare fuori lasciando in pace
coloro che si trovavano all'interno della magione. Si riunirono solo
all'ora di cena (tranne Gregory che era ovviamente bloccato in
infermeria, e Nellie era stata ben lieta di andarsene, ma non prima che
il Dewott le avesse strappato la promessa di tornare con qualcosa da
mettere sotto i denti). Era proprio vero che Acqua e Fuoco non vanno
d'accordo in fin dei conti.
I quattro in grado di camminare si riunirono nel salotto per il pasto.
Un gradevole fuoco scoppiettava nel camino, e non guastava affatto
visto le basse temperature esterne. Irving se ne stava rintanato su di
una poltrona a leggere l'ennesimo libro, Nellie si stava rilassando
davanti al fuoco mentre Lloyd e Finley stavano giocando a carte poco
lontano.
- Due dieci. Come rispondi?
- Tre dodici. Ho vinto!
- Dannazione!
Lloyd aveva puntato tutte le sue deliziose bacche stufate su quella
mano, e le aveva perse tutte. Ma non poteva resistere alla tentazione
di cercare di avere quella barra di cioccolato di cui Finley era in
possesso. Se Finley era innamorato di Nellie, Lloyd era innamorato del
cioccolato. Ed era proprio questo che il Rufflet aveva sfruttato per
vincere.
Lloyd si alzò sconsolato, e si andò a sistemare
accanto al fuoco. Nonostante fosse per metà un tipo Drago
quella sera aveva proprio freddo.
- Hai perso? - gli chiese la Torchic con fare affabile.
Il Deino annuì. Non aveva intenzione di proferire parola. In
quel momento preferì rimuginare i suoi pensieri.
All'improvviso gli tornò alla mentre Gregory.
- Gliel'hai portato da mangiare? - chiese a Nellie.
- A chi?
- A Gregory.
- Sì, ma non vi aspettate che lo faccia di nuovo. - e quella
frase sembrò attivare qualcosa in lei - Io non ho la minima
intenzione di occuparmi da sola di quello lì, capito?!
Stabiliremo dei turni. E visto che oggi è toccato a me
domani sarà il turno di qualcun altro.
- Non guardate me - intervenne Irving - Io mi devo occupare della
biblioteca.
- Ma smettila - continuò Nellie - I libri non scappano da
nessuna parte, puoi anche lasciarli stare per qualche giorno.
E lì cominciò il delirio. La Torchic e il Sableye
cominciarono a litigare, e cominciarono a volare parole grosse. Lloyd e
Finley capirono che era meglio levare le tende. Si chiusero piano la
porta alle spalle per non farsi notare, e si dileguarono nel corridoio
immerso nelle tenebre. Il salotto si trovava vicino alla porta
principale, e quando vi passarono davanti vennero investiti da una
folata di vento freddo. La finestrella accanto alla porta si era
infatti rotta alcuni giorni prima, e visto che la maggior parte dei
membri della "Famiglia" se ne stava per andare l'avevano coperta alla
bell'è meglio con un piccolo pannello di legno, che comunque
non avrebbe certo retto se fosse arrivata una tempesta di neve. E meno
male che ciò non accadde.
Il Deino e il Rufflet decisero di tornare alla loro stanza per
continuare a giocare a carte, ma per farlo dovevano per forza passare
davanti all'infermeria, dove di sicuro un infuriato Gregory stava
aspettando il primo malcapitato per sfogarsi. Cercarono di fare il
più silenziosamente possibile, ma non bastò.
- Hey!
La voce di Gregory li congelò sul posto.
- So che la fuori c'è qualcuno. Venite qua!
Purtroppo erano stati scoperti, ed era meglio non contraddire il
Dewott, così i due si videro costretti ad entrare. Il letto
del Dewott si trovava in fondo all'infermeria, dopo altri cinque
immacolati visto che nessun altro vi era ricoverato.
- Perché ci hai chiamato? - chiese Finley, leggermente in
disappunto.
- Non ho voglia di stare da solo.
Scese un silenzio imbarazzante. L'unico rumore era il chiasso lontano
di Nellie ed Irving che probabilmente stavano ancora litigando.
- Vi va una partita a carte? - disse il Deino per rompere il ghiaccio.
- Massì, perché no - disse il Dewott - Qua da
solo mi sto annoiando a morte.
Cominciarono poco dopo. Lloyd e Finley si allearono quasi
immediatamente. Quell'occasione era troppo propizia per poter essere
sprecata, e battere il Dewott sarebbe stata una grande soddisfazione.
Vinsero più partite consecutivamente, e si fecero prendere
dall'entusiamo. Nessuno di loro si accorse di un tonfo sordo in
lontananza. La loro attenzione venne attirata poco dopo dal fatto che
il battibecco tra la Torchic e il Sableye cessò di botto. Un
silenzio di tomba cadde sulla struttura.
Finley e Lloyd si guardarono con aria interrogativa, mentre Gregory
guardava verso la porta. Pochi istanti dopo essa cominciò ad
aprirsi verso l'interno, con uno scricchiolio inquietante. Un occhio
sbirciò attraverso l'oscurità della stanza.
Un'occhio che non era né di Nellie né di Irving.
- Chi sei? - chiese istintivamente Gregory in modo irruente,
scordandosi della sua posizione. L'estraneo si limitò a
ritirarsi. Pochi secondi dopo da dietro la porta venne lanciato
qualcosa che si andò a schiantare a mezzo metro da loro.
- Ma cosa... - iniziò Finley, quando quell'aggeggio
cominciò a rilasciare del gas. La nube si propagò
velocemente per la stanza, circondando i tre.
- Che cazzo... succede... - cominciò Gregory, mentre
pronunciava l'ultima parola con fare incerto.
Immediatamente Lloyd si sentì stanco. Le forze lo stavano
abbandonando. Era sicuramente colpa di quel gas. Doveva essere qualcosa
che induceva il sonno.
Lloyd crollò a terra. Cercò di rialzarsi, ma
fallì miseramente. Finley cadde all'indietro, battendo una
sonora testata sul pavimento, ma non se ne accorse dato che era
già addormentato. Gregory rimase immobile nel letto.
L'ultima cosa che Lloyd vide prima di perdere i sensi fu una figura
alta e dall'aspetto umanoide che si avvicinava verso di loro,
coprendosi la bocca con un panno.
Note dell'autore
Prima che cominciate a inneggiare al capolavoro (o a tirarmi sassi,
dipende se vi è piaciuto o no), statemi a sentire.
Questo capitolo mi è venuto parecchio lungo (per la
contentezza di alcuni di voi), e credo sarà l'unico
così, chi ha seguito Change of Life si abituerà
(o mi aspetterà sotto casa con un kalashnikov). Anche se per
miracolo lo dovessi fare lungo in questa maniera (ne dubito ma tentar
non nuoce) uscirà comunque ad agosto (probabilmente)
perché dal 6 al 20 luglio starò in Inghilterra, a
circa tremila chilometri dal mio amato personal computer e
impossibilitato a fare alcunché. Quindi per ora beccatevi
questo.
A presto!
Stavolta ho proprio abusato delle parentesi...
|
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Capitolo 3 *** Chapter 2: Prisoners ***
Chapter 2:
Prisoners
- Portobello Road... Portobello Road...
Lloyd cominciò lentamente ad
aprire gli occhi.
-
Street where the
riches of ages are stowes...
Lentamente cominciò a mettere a
fuoco l'immagine, anche se non gli servì granché
visto che il buio regnava
nell'ambiente in cui si era risvegliato. Solo una pallida luce
proveniva da una
specie di bolla appesa al muro.
-
Anything and
everything a chap can unload...
Si rialzò molto faticosamente. Si
sentiva tutto indolenzito e dolorante. Solo allora si accorse delle
sbarre. Davanti
a lui c'erano delle spesse sbarre di metallo. Senza pensarci si
avvicinò e le
toccò. Erano fredde e lisce. Acciaio, realizzò.
- Is sold of the barrow in Portobello Road...
Ma chi era che stava cantando?
Sembrava si trovasse lontano. Ma c'era qualcosa di strano in quella
voce.
Era... anzi, meglio dire che non era... non era di un pokemon. Lloyd
era sicuro
di questo, quella voce bassa e baritonale non apparteneva a nessuna
specie di
pokemon che conoscesse. A dire il vero nemmeno le parole della canzone
avevano
senso. Sembravano sillabe messe a casaccio, ma il Deino dovette
ammettere che
il motivetto era orecchiabile. Forse non erano poi così a
casaccio.
Solo allora si ricordò di quello
che era successo, e si girò velocemente. Dietro di lui
c'erano i suoi compagni,
ancora addormentati.
- Ragazzi!
-
You'll find what you
want in the Portobello Road...
Il Deino si precipitò addosso a
Finley, che si trovava più vicino a lui rispetto agli altri.
- Finley, svegliati! Svegliati!
- Hmm...
Il Rufflet aprì stancamente gli
occhi.
- Ah, che è successo? Dove sono?
- Guarda tu stesso. - disse Lloyd
facendo cenno con la testa alle sbarre dietro di lui.
- Siamo... prigionieri?
- Così pare.
- Ma... ma chi può averci
catturato? Non abbiamo mai fatto male a nessuno, chi può
averci fatto questo?
- Non lo so proprio.
Mentre Lloyd si girava e prendeva
a fissare quelle sbarre, Finley si rimise lentamente (e anche
dolorosamente,
visto che emise più di un gemito di sofferenza) in piedi. A
sentire i lamenti
dell'amico, anche Lloyd si accorse di essere tutto indolenzito. Si
guardò.
Nella sua pelle blu poteva vedere varie macchie scure, presumibilmente
lividi.
Anzi, sicuramente, perché quando provò a
toccarseli gli fecero davvero male.
Stremato dal dolore si accasciò a
terra.
- Lloyd! - urlò preoccupato
l'amico.
- Non... non è niente. - disse il
Deino mentre tentava di rialzarsi.
Il Rufflet gli si avvicinò e lo
sostenne con un ala nella sua "titanica" impresa. Quando finalmente
si fu rimesso in piedi entrambi si girarono, alla ricerca dei loro
compagni.
Nella parte più buia della cella si potevano intravedere le
sagome di tre
pokemon distesi a terra.
- Ragazzi!
I due pokemon corsero subito dai
loro amici, e tentarono a più riprese di svegliarli, senza
successo. Chiunque
li avesse rapiti doveva averli drogati in modo molto pesante.
Perché ormai
quella specie di gas che avevano respirato nell'infermeria doveva
essere un
narcotico, era chiaro.
Stanchi e spossati, il Deino ed
il Rufflet si misero di nuovo a sedere, non senza fatica. L'unica cosa
che al
momento potevano fare era aspettare, e vedere che cosa succedeva. Forse
chi li
aveva in custodia si sarebbe mostrato prima o poi. Più che
spaventato Lloyd era
curioso. Non riusciva a trovare una spiegazione plausibile a tutto
ciò. Non si
spiegava in che modo fossero arrivati lì, né il
motivo per cui fossero
prigionieri, né cosa li
avesse
rapiti. Esatto, cosa,
perché se in
quel momento c'era qualcosa di cui il Deino era sicuro, era proprio il
fatto
che chiunque li avesse rapiti non era umano.
Il primo dei loro compagni a
risvegliarsi fu Gregory, e Lloyd lo intuì dal fatto che il
silenzio venne
interrotto da una sonora bestemmia.
- Aww... ah... PORCO ARCEUS!
Il Deino si girò, anche di
malavoglia. Nonostante la luce fosse abbastanza fioca, Lloyd
riuscì a vedere il
Dewott che tentava di rimettersi in piedi poggiandosi sull'unico
braccio ancora
sano. Fallendo miseramente, e dando luogo ad una ricaduta quasi comica.
- Merda, la gamba... - si
lamentò.
- Sta fermo - gli disse Lloyd di
malavoglia - Peggiorerai solo le cose se ti muovi.
- Ma sta zitto! - gli ringhiò.
Solo in quel momento sembrò ricordarsi dei fatti di qualche
tempo prima e solo
allora sembrò accorgersi del posto in cui si trovavano tutti
loro.
- Dove siamo?
- In effetti vorremmo saperlo
anche noi, ma sai, non si può avere tutto nella vita. -
rispose amaramente
Finley.
- State zitti tutti e due, per
piacere. - fece per ordinare Lloyd. Oltre ai lividi gli stava venendo
anche un
gran mal di testa. Non era una bella situazione, tutte quelle emozioni
appena
svegliato non gli avevano affatto giovato. Stava provando a riflettere,
anche
solo ad articolare un pensiero di senso compiuto, ma gli riusciva in
modo molto
difficile, e solo dopo aver fatto uno sforzo immane. E poi quella
canzone...
cosa voleva dire? Il pokemon non l'aveva mai sentita prima, e lo stesso
si
poteva dire per quella lingua, perché Lloyd aveva capito che
si trattava di un
idioma diverso dal suo. Ma il problema era che non lo conosceva, e non
aveva la
minima idea di cosa volessero significare quelle parole. In fondo
quella
canzone poteva anche non c'entrare niente con la loro situazione.
Decisamente
non erano pensieri adatti ad un giovane pokemon appena svegliatosi dopo
essere
stato rapito assieme ai suoi amici da qualcosa di sconosciuto, proprio
no.
Dieci minuti dopo si erano
svegliati anche Nellie ed Irving, che dopo il loro spaesamento iniziale
iniziarono a discutere della situazione con gli altri. Certo,
discuterono per
quello che era possibile, perché Lloyd e Gregory non avevano
proprio voglia di
parlare, e a Finley venne a forza cavata fuori qualche frase. Alla fine
entrambi rinunciarono, e tutti si chiusero in un meditabondo silenzio,
quasi
che avessero paura di disturbare chiunque li avesse presi in custodia.
***
Neville
osservò l'orologio. Era
passata già mezza giornata da quando li aveva portati via
dalla loro casa, e
finalmente si erano svegliati. "Era anche l'ora" pensò
leggermente
scocciato. Guardò lo schermo davanti a lui, e li
osservò. Adesso stavano fermi
ed in silenzio, senza emettere nessun verso, quasi stessero pensando.
Poi anche
se avessero parlato Neville non li avrebbe capiti. Se c'era una lingua
che gli
umani non erano mai stati in grado di tradurre era proprio il
linguaggio di
quelle creature. Ed in fondo era stata anche quella mancanza di
comunicazione a
causare la loro rovina.
L'uomo si alzò dalla poltrona in
pelle sulla quale sedeva e spense la telecamera. Non ne avrebbe avuto
bisogno
per il momento. Sarebbe andato di persona, giusto per introdursi e far
sapere
ai suoi ostaggi chi li teneva in pugno. Lo avrebbero di certo capito,
perché
nonostante gli umani non capissero i pokemon le creature invece
potevano capire
gli umani, qualsiasi idioma parlassero. Anche se ormai non esistevano
più
idiomi umani, da molto tempo. E poi, anche se fossero esistiti, Neville
di
certo ne avrebbe potuti imparare al massimo due o tre. Ma in fondo a
cosa gli
sarebbe servito? E soprattutto con chi avrebbe potuto parlare?
***
Mentre
gli altri pensavano, Lloyd
prese a studiare l'ambiente al di là delle sbarre. Prima
soffermò il suo
sguardo sulla strana fonte di luce. Era di forma oblunga, e rilasciava
un
bagliore accecante, tanto che nemmeno la coda di un Charizard era
così intensa.
Continuò poi lungo la parete
sottostante, almeno per quel che gli permetteva di vedere
l'illuminazione. Il
colore era di un giallo smorto, e non c'era praticamente nulla, a parte
una
strana struttura di metallo dalla quale si dipanavano vari tubi, e
dalla quale
si poteva intravedere che al suo interno ardeva un fuoco. Le fiamme
gettavano
bagliori spettrali su tutti loro, tanto che illuminavano quasi come la
luce
soprastante. L'ombra di quell'ammasso di lamiere si proiettava per vari
metri,
fin quasi ad arrivare a loro.
La stanza era larga circa cinque
metri, e lunga altrettanto, facendole assumere una forma quadrata quasi
perfetta. Poco a destra del camino di ferro aveva inizio una ripida
scala di
pietra che portava ad una porta semi-oscurata. Lloyd non seppe bene il
perché,
ma quella porta lo inquietò non poco. Forse il Deino aveva
il timore che si
potesse aprire da un momento all'altro, rivelando l'identità
del loro rapitore.
Nonostante fosse molto curioso, Lloyd non ci teneva per niente a
conoscerlo, e
credeva che fosse così anche per i suoi compagni.
Dopo aver scrutato l'esterno
della cella, il Deino prese a studiare il suo interno. Era una
struttura
abbastanza angusta, larga poco meno di due metri e lunga cinque metri,
ovvero
da una parete all'altra. Le sbarre dal pavimento arrivavano fino al
soffitto
innalzandosi per quattro o cinque metri. Dalla loro parte c'era inoltre
una
finestrella tutta appannata da anni di sporcizia, dalla quale filtrava
debolmente la luce del sole. Contando che ci dovevano stare in cinque
in quella
specie di cella, era abbastanza angusta.
Come diceva il luogo comune sui
Deino, Lloyd si trascinò fino alle sbarre con un po' di
fatica, e le morse. In
fondo era nella sua natura mordere le cose, nonostante con la frangia
corta non
ne avesse bisogno. "Hm, acciaio" realizzò "Difficile da
rompere.
Molto difficile, perfino per qualcuno molto forte". Se volevano evadere
da
quella "prigione", si sarebbero dovuti impegnare, e molto.
Ma dopo poco i suoi timori si
avverarono. Con un cigolio da mettere i brividi, la porta lentamente si
aprì,
quasi ad effetto. Irving e Nellie, che avevano intavolato una specie di
discorso, cessarono immediatamente di parlare. In netto contrasto con
la luce
proveniente dalla stanza retrostante, sulla soglia si
stagliò una lugubre
figura. Era alta e allampanata, aveva due gambe e due braccia, e la
testa era
abbastanza piccola. Nonostante non si vedesse quasi nulla, quello di
sicuro non
era un pokemon. Era un umano.
Il suddetto cominciò pian piano a
scendere le scale. Dopo pochissimo tempo, troppo poco per Lloyd,
coprì la
distanza che lo separava dal camino di ferro. Sottobraccio aveva
qualcosa di
sottile, che aprì e posizionò quando
arrivò davanti al camino di ferro. Era una
specie di sedia pieghevole, e l'uomo vi ci sedette sopra. Si era messo
esattamente davanti alla luce del focolare, facendo in modo che l'unica
fonte
di luce che lo rendesse visibile fosse quella al muro.
Gli altri suoi compagni
sembravano paralizzati. Nellie addirittura aveva cominciato a tremare
vistosamente, e Finley e Irving lo guardavano con occhi sgranati (si
capiva dal
Sableye perché i diamanti erano dilatati), mentre Gregory
era a bocca aperta.
Ma Lloyd no, lui no. Aveva sì paura, ma a differenza degli
altri provava una
strana curiosità nei confronti di quell'essere. Nonostante
l'alone di terrore e
mistero che circondava la figura degli umani, il Deino aveva sempre
provato un
po' di curiosità per loro: per il loro aspetto, per i loro
comportamenti, e per
molte altre cose. Nonostante non fosse un amante della lettura, quando
ancora
si trovava in casa sua aveva letto alcuni libri sugli umani, ma erano
troppo
infarciti di politica per i suoi gusti. Aveva sempre voluto verificare
dal
vero, vederli con i propri occhi, nonostante sapesse che non esistevano
più.
Ora aveva l'occasione per vedere un umano, smentendo anche l'ultima
affermazione che si trovava in ogni libro sull'argomento. Gli umani non
erano
affatto morti.
Si fermò per alcuni secondi a
studiarlo. Da seduto non sembrava che avesse l'altezza che
effettivamente
aveva, anche se si poteva intuire dal fatto che si incurvava sulla
sedia. Lloyd
nei libri aveva letto che gli uomini non amavano mostrare la maggior
parte del
loro aspetto fisico, per cui indossavano quasi sempre delle vesti che
li
coprivano dal collo in giù. L'uomo che si ritrovava davanti
indossava dal collo
al bacino un vestito verde che sembrava molto pesante, mentre dal
bacino in giù
un'altro blu. Ai piedi indossava qualcosa che Lloyd non seppe
interpretare.
Ma la cosa che attrasse di più il
piccolo pokemon era la sua testa. I libi dicevano che le
caratteristiche
distintive degli umani si concentravano proprio nella loro testa. E a
quanto
pare avevano ragione. Come dicevano i libri, gli umani erano quasi
totalmente
glabri, se si escludevano dei tratti in cui si lasciavano crescere
volontariamente
la pelliccia. In questo caso l'uomo ne aveva una quantità
ridotta al di sopra
della fronte.
Ma la cosa che più impressionò
Lloyd furono i suoi occhi, i suoi occhi azzurri. Ma non era un azzurro
normale,
era un azzurro molto profondo, quasi cristallino. Ma c'era qualcosa in
quegli
occhi che lo turbò profondamente. Il Deino non seppe cosa,
ma c'era qualcosa
che non andava in quell'umano. Quasi che la situazione in cui si
trovavano non
fosse sbagliata già di per sé.
Non seppe per quanto tempo rimase
a fissarli. Sì, perché li fissava. E se Lloyd
trovò qualcosa nell'umano,
l'umano sembrò trovare qualcosa nel Deino, perché
si ritrovò a fissarlo per
molto tempo, prima di parlare.
- Immagino che abbiate delle
domande da farmi.
La voce della canzone era la
stessa, per cui era stato lui a cantare. E comunque a proposito delle
domande aveva
ragione. Già Irving era pronto a partire con una mitragliata
di argomenti,
quando l'umano lo interruppe.
- In tal caso potete anche stare
zitti, tanto non vi capirei.
E anche in questo aveva ragione.
Gli umani non potevano capire i pokemon, funzionava solo nel senso
inverso.
Quindi loro si ritrovavano nella situazione di non poter fare nessuna
richiesta
o domanda di nessun tipo poiché l'uomo non li avrebbe
capiti. Come se già la
situazione non fosse stata abbastanza brutta.
- Adesso sono qui solo per farvi
sapere con chi avete a che fare. Non mi piace giocare a fare il
misterioso. Ora
sapete chi vi tiene in pugno. Ora sapete che è un uomo a
farlo.
Si alzò, e cominciò ad armeggiare
con la sedia per ripiegarla.
- Per ora basta così. Ci sarà
altro tempo per parlare. - disse girandosi, e rivolgendo un'ultima
occhiata al
gruppo di pokemon. Successivamente si diresse verso la scala e
cominciò a
salirla.
- No, aspetta! Chi sei? - gli
urlò dietro Gregory.
- Ah, ancora non lo avete capito?
- disse quando stava già aprendo la porta - Io non vi posso
capire. - e uscì
chiudendosela alle spalle.
Per un po' nessuno seppe cosa
dire. Lloyd osservò i compagni: Gregory era ancora a bocca
aperta, mentre
Finley aveva gli occhi sgranati. Irving si era rannicchiato in un
angolo,
mentre Nellie si era accasciata al suolo, svenuta. Lloyd era
sì scosso e
spaventato, ma la sua paura non andava oltre un certo punto, e invece a
guardare gli altri sembrava che avessero visto un fantasma o qualcosa
di
simile. A pensarci bene in effetti quello si poteva definire un
fantasma. Un
fantasma che in realtà non lo era, un fantasma di una razza
che si pensava
estinta, e invece a Lloyd e ai suoi amici era stato dimostrato il
contrario.
- A-allora... - cominciò
titubante Finley dopo un po' - Allora non è vero che gli
uomini erano morti.
C-ci hanno sempre mentito.
Nessuno disse una parola, anche
se probabilmente nelle loro menti avevano risposto a tale affermazione,
e il
Deino non faceva eccezione. Sì, gli avevano sempre mentito,
gli umani non erano
per niente morti, come era stato dimostrato a loro. Glie l'avevano
detto fin da
piccoli che dopo la Grande Battaglia di quasi mezzo secolo prima gli
umani
erano stati definitivamente annientati, ma evidentemente non era vero.
L'Ultimo
Esercito aveva fallito nel suo obbiettivo.
- Ci hanno sempre mentito. -
ripeté Finley - Sanford ci ha sempre mentito.
- Così sembra. - disse Lloyd.
- M-ma che motivo aveva? Che
motivo avevano tutti per mentire? Perché non volevano che
sapessimo che gli
uomini esistono ancora?
- Credo che le motivazioni siano
troppo grandi per noi, forse perfino per loro. - disse Lloyd - Non ho
forse
ragione, Gregory? - concluse lanciando uno sguardo indagatore al
Dewott. Il
pokemon acquatico era quello con più esperienza tra tutti
loro, e quello più
vicino a Olston, Sanford e gli altri veterani che erano stati alla
Battaglia.
Sì, perché alcuni della famiglia c'erano stati,
c'erano stati nell'ultimo
scontro tra umani e pokemon, c'erano stati e li avevano combattuti.
C'erano
stati, ma gli avevano sempre mentito.
Il Dewott chiuse la bocca,
limitandosi a non rispondere. Forse lui sapeva qualcosa, qualcosa che
non
voleva dirgli. O non doveva, e non poteva.
- Tu sai qualcosa - disse Irving,
che si era riscosso dal suo torpore nell'angolo della cella. Non era
una
domanda, era un'affermazione. - Tu sai qualcosa. - ripeté.
Di nuovo Gregory non rispose, e
prese a fissare il terreno. Sapeva sicuramente qualcosa.
- Parla! - ordinò il Sableye -
Parla! Se c'è qualcosa che devi dirci dillo!
In un primo momento non rispose,
mentre poi se ne uscì con un laconico: - Io non so niente. -
. Era palese che
stava mentendo.
A quel punto Lloyd si spazientì.
Voleva vederci chiaro in questa storia, e non aveva intenzione di
giocare
all'ingenuo ostaggio. Fulmineo, si diresse sicuro verso Gregory, che in
quel
momento si era appoggiato al muro per avere un po' di sollievo dagli
arti rotti,
e ignorando il dolore provocato dai vari lividi lo inchiodò
ad esso con le
zampe anteriori dopo essersi alzato in tutta la sua statura.
- Ora tu o ci dici cosa sai
oppure ti apro in due la gola con i denti che mi ritrovo, e fidati che
non sarà
indolore. Forza, parla!
Non si aspettava veramente che
Gregory gli rispondesse, di solito non si faceva intimidire da nessuno.
E
invece la faccenda della rottura degli altri e poi del rapimento doveva
aver
portato il suo morale sotto lo zero.
Con un filo di voce, il Dewott
provò ad articolare delle frasi: - Anche a me avevano
assicurato che gli umani
erano morti. Vi giuro che non so niente che voi già non
sappiate.
- No, non ti crediamo - disse
Finley, che nel frattempo si era messo a sventolare Nellie con un'ala
tentando
di farla rinvenire - Adesso voglio che tu ci racconti per filo e per
segno come
andò la Grande Battaglia, che cosa successe di preciso. Alle
nostre domande
Olston e Sanford non hanno mai risposto con chiarezza, ma sappiamo che
a te
l'hanno detto, per cui ora diccelo, o sai che cosa Lloyd ti
farà!
Gregory sospirò, mentre col
braccio sano si portava in grembo quello rotto che era precedentemente
finito a
penzolare nel vuoto, procurandogli dolori atroci.
- Vi giuro che anche a me
all'inizio non vollero dire nulla - cominciò - ma dopo anni
di mie insistenze
si decisero. In realtà fu solo Olston a parlare, Sanford si
limitò a fare cenno
di sì con la testa. Mi sa che quel bastardo sapeva qualcosa
di più di quel che
dava a vedere. Insomma, mi descrisse i fatti per come erano veramente
andati.
- Che vuol dire? - chiese Irving.
- Ma porca, lasciami finire e ci
arrivo. Insomma, sostanzialmente non è vero quello che viene
detto nei libri. -
e lanciò una frecciatina al Sableye - La battaglia non fu
nulla di glorioso, né
di eroico. A dirla tutta più che una battaglia fu un
assedio. Gli ultimi umani
si erano barricati all'interno di una rocca a sud delle montagne in cui
abitiamo noi. Le forze dei pokemon erano circa tre o quattro volte
superiori,
ma invece che lanciarsi all'assalto decisero di prenderli per fame.
Ma gli uomini non erano
intenzionati a morire così. Alla fine tentarono di rompere
l'accerchiamento,
fallendo. Olston e Sanford si ritrovarono proprio nel mezzo dello
scontro. Mi
dissero che fu terribile. Nonostante gli umani fossero molto meno
potenti dei
nostri simili, mi dissero che combatterono furiosamente, non volevano
farsi
annientare. Cosa che comunque avvenne.
Alla fine chi comandava l'Ultimo
Esercito, come era stato chiamato lo schieramento di pokemon, decise di
ritirarsi per il momento. I pokemon tornarono il giorno dopo a
recuperare i
loro feriti e i morti, mentre lasciarono a decomporre i cadaveri dei
loro
nemici e uccisero gli eventuali feriti che erano sopravvissuti alla
notte, che
comunque erano pochissimi. Gli umani erano stati annientati, o almeno
così
sembrava. Anche Olston e Sanford pensavano sul serio così,
ma evidentemente si
sbagliavano. Ma Sanford continuava a non contarmela giusta.
C'è qualcosa che
non mi hanno detto.
Tutte queste cose mi avevano
detto di non dirle a nessuno, ma ora come ora non me ne frega
più un cazzo.
D'altronde è colpa loro se ora siamo in questa situazione di
merda.
- Ma che motivo avevano per
modificare i resoconti nei libri? - chiese Nellie con tono incerto
visto che si
era da poco ripresa.
- Su questo sono stati molto più vaghi,
gli stronzi. Ho capito solo che è iniziato tutto come una
guerra santa per
liberarci dal giogo degli umani, ma da quello che ho capito era da
decenni che
non avevano più alcuna autorità. Hanno modificato
tutto perché volevano dare
una parvenza di gloria al tutto. Non ho mai capito bene
perché l'abbiano fatto.
A Lloyd comunque c'era qualcosa
che non tornava. Come Gregory aveva la netta sensazione che Sanford
avesse
omesso qualcosa, qualcosa di molto importante. Cosa aveva da nascondere
il
padre di Nellie? E poi c'era il fatto che tutti avevano sempre mentito
sul
fatto dell'Ultima Battaglia, sbagliandosi anche. Evidentemente non
tutti gli
umani erano morti. Ed erano tornati per prendersi la loro vendetta.
Note dell'autore
Sì, questo capitolo mi è venuto un po'
più corto di quell'altro, ma ho intenzione di mantenere il
ritmo, tranquilli.
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Capitolo 4 *** Chapter 3: Reflections and deductions ***
Chapter 3:
Reflections and deductions
Il
fuoco scoppiettava allegro nel
camino di fronte alla poltrona. I ciocchi scricchiolavano
rumorosamente, in un
modo totalmente fuori luogo nel silenzio che immergeva la stanza.
Neville era
seduto sulla poltrona di fronte al camino, intento a riflettere. Una
mano gli
copriva la bocca, e stringeva quasi compulsivamente il mento. Fissava
il vuoto,
uno spazio totalmente deserto alla sinistra del camino.
Non sapeva di preciso nemmeno a
cosa stava pensando. Stava semplicemente lì, a guardare lo
scarno muro tra la
porta-finestra e il camino. Ormai non sapeva più nemmeno
cosa fare.
Oggettivamente parlando, il suo piano non aveva il minimo senso di
esistere.
Era folle, come lui. Si detestava per aver progettato e per star
mettendo in
atto una cosa del genere. Si faceva venire la nausea. Avrebbe voluto
vomitare,
peccato non avesse ingerito niente da alcune ore.
Restò lì davanti al fuoco a non
far nulla per molto tempo, finché decise di sgranchirsi le
gambe. Una volta in
piedi si stiracchiò, chiudendo stancamente gli occhi. Quando
riaprì gli occhi,
lo sguardo gli cadde sulle bandiere appese sopra il camino. E allora
cambiò
immediatamente opinione.
Il drappo posto più in alto era
quello che più gli faceva venire da piangere. Consisteva in
una spirale mezza
bianca e mezza nera che andava da sinistra verso destra, il tutto su di
uno
sfondo verde scuro, che si scuriva ancora di più a causa del
contrasto tra
l'oscurità al di sopra del camino e i distorti bagliori che
le fiamme gettavano
sul resto della stanza. Ironicamente era proprio la parte superiore del
camino
il luogo più buio della casa. Quella bandiera alla fine era
tornata nell'oblio,
esattamente come quando era stata creata. Aveva avuto il suo momento di
gloria
mezzo secolo prima, ma ormai era tutto passato.
La seconda bandiera era posta
subito sotto la prima. A differenza dell'altra, aveva una struttura
molto più
semplice: era costituita solo da una croce bianca obliqua su di uno
sfondo blu
scuro, anch'esso incupito dal punto oscuro in cui si trovava. Quella
una volta
rappresentava l'intera contrada in cui si trovava, e non solo. Era
stata unita
ad altri vessilli, per formare il simbolo dell'intera isola, ma si
trattava del
passato. Anche quella aveva vissuto il suo ultimo splendore assieme
alla
compagna soprastante, ed era finita altrettanto dimenticata. A
differenza della
prima, la seconda bandiera aveva rappresentato per oltre un millennio
l'orgoglio di un popolo, la sua volontà di indipendenza e il
suo credo. Neville
stesso discendeva da quelle genti, e avrebbe preferito di gran lunga
vivere al
loro tempo.
Osservando quelle bandiere,
Neville rammentò il motivo della sua "missione". In fondo,
quelli che
aveva rapito facevano parte della razza responsabile dell'imminente
estinzione
della sua. Erano altrettanto colpevoli, nonostante fossero nati
successivamente
ai fatti di Stirling. Nonostante fossero tutti diversi, quei mostri
avevano
un'identità comune, uno spirito di unione che nemmeno i
comunisti di cui la
madre gli raccontava da piccolo li avrebbero potuti eguagliare.
Nonostante
fossero divisi in una miriade si sottospecie, loro si consideravano un
unico
popolo. Era anche questo che li rendeva migliori degli uomini.
Scoppiò a ridere. Una risata
priva di senso, totalmente casuale. Era consapevole del fatto che non
c'entrasse
nulla con i suoi pensieri, ma la sua mente lo permise e basta. Tanto
non c'era
nessuno che l'avrebbe potuto contraddire.
La madre gli raccontava molte
cose quand'era piccolo. Un giorno gli raccontò di un
particolare uomo, vissuto
più di due millenni prima di loro. Purtroppo Neville non
rammentava il suo
nome. Gli era stato concesso un enorme potere nelle mani, un potere al
di sopra
di molti altri che l'avevano preceduto e che sarebbero venuti. E questo
potere
l'aveva usato per opprimere chi gli stava sotto. Ma non era un semplice
dittatore, era un completo folle. Si abbandonava alle depravazioni
più
indicibili, compiva atti a dir poco vomitevoli, ed una volta
addirittura elesse
il suo cavallo come consigliere fidato.
Neville un po' si rispecchiava in
lui. Certo, non aveva manie sanguinarie e non aveva cavalli da
eleggere. I
cavalli erano morti, come gli umani, e come tutte le altre specie
animali
"normali". Quei mostri li avevano sterminati, esattamente come
avevano fatto con gli uomini. Non
volevano
che restassero tracce del "Vecchio Mondo".
Era anche stato questo a
debilitare lentamente gli umani. Senza carne da mangiare molti avevano
esaurito
le energie, e non sempre gli integratori alimentari funzionavano.
Neville
stesso li prendeva da quando era piccolo, ma ormai stavano cominciando
a
sortire sempre meno effetto. Negli ultimi tempi si sentiva sempre
più stanco e
spossato. Senza le sostanze nutrienti le sue ossa stavano collassando
lentamente, altro motivo per portare a termine il piano. I mostri
invece, anche
quelli che avevano l'aria dei carnivori, non mangiavano carne. Gli
bastavano i
vegetali e l'acqua per vivere, e null'altro.
Quell'uomo molto potente e molto
folle ma dal nome dimenticato aveva contemporaneamente la stima e il
disgusto
di Neville. L'uomo alternava queste due emozioni, esattamente come
alternava
periodi di depressione a momenti di irrefrenabile gioia immotivata.
Ecco
un'altra ragione per cui era evidente la sua follia: non aveva di che
gioire in
un mondo come quello.
***
-
Ma dobbiamo almeno cercare di
fare qualcosa!
- E che possiamo fare? Hai visto
in che situazione siamo?!
- Almeno ci dobbiamo pensare!
Erano dieci minuti che il
diverbio tra Finley e Irving andava avanti, e Lloyd aveva le palle
piene. Ma
non poteva fare niente, non sapeva nemmeno lui perché.
Sapeva che le sue parole
sarebbero state inutili, e forse era per questo che non interveniva.
Dal canto
suo Gregory si limitava ad osservare (tra una smorfia di dolore e
l'altra)
mentre cercava di mettere in una posizione comoda la gamba, mentre
Nellie
fissava il vuoto e aveva preso a ripetere come un ossessa "Tutto
andrà
bene, tutto andrà meglio, tutto si sistemerà" a
bassa voce.
"Ci mancava solo che
impazzisse anche lei" pensò il Deino leggermente
amareggiato. Nellie era
l'unica persona ragionevole del gruppo, e l'unica in grado di
riappacificare
gli animi, ma da quando si erano trovati lì era caduta in
una specie di
catatonia ed era stato impossibile smuoverla.
Senza nemmeno sapere bene il
motivo Lloyd si ritrovò a pensare alle montagne su cui
dimoravano. Non erano
altissime, al massimo un migliaio di metri. Dai racconti di Olston e
Sanford
aveva capito che ne esistevano di più alte e massicce. Erano
anche abbastanza
rade, infatti al massimo in quelle zone si potevano trovare ammassate a
gruppi
di tre o quattro, mentre per il resto erano circondate da monticelli di
sei o
settecento metri dalle improbabili forme modellate dal vento.
La loro casa si trovava in un
minuscolo altipiano stretto tra due monti, il Bendirg e il Conhamhill,
dei
quali solo il primo superava i mille metri. Erano entrambe montagne
vecchie,
dalle cime tondeggianti e dai profili ammorbiditi dalle intemperie.
Lloyd c'era
stato qualche volta, sia sulla prima che sulla seconda.
A poco meno di cinquecento metri
dalla loro dimora si trovava un lago. Non era molto grande, ma occupava
quasi
tutta la larghezza della valle, riducendo a solamente due le vie
d'accesso alla
casa. La più impervia era sicuramente quella ad ovest.
Certo, non erano rari i
laghi da quelle parti. In quel contesto era proprio azzeccata una
battuta
popolare tra i membri della "Famiglia": "...come se ogni due
passi si incontra un lago" era da aggiungere a qualche affermazione
riguardante il fatto che qualcosa fosse molto comune. Il solo piccolo
massiccio
dove abitavano loro contava ben nove laghi, incluso quello di fronte
alla loro
magione. Senza ovviamente contare gli stagni e i vari specchi d'acqua
creati
dallo scioglimento della neve.
All'improvviso a Lloyd venne
un'idea in mente.
- ...col cazzo!
- Non dire così, tu sai che è
vero!
- Ma sta zitto, imbecille!
Irving aveva cominciato a usare
un linguaggio volgare, ma il Deino arrivò appena in tempo
per evitare che il
battibecco degenerasse. Si rivolse a Finley.
- Fin, senti, mi faresti un favore?
L'altro lo guardò con aria
interrogativa. - Cosa?
- Tu hai le ali, quindi puoi
volare, giusto?
- S-sì...
- Bene. La vedi quella finestra?
- e accennò con la testa all'apertura sopra di loro. -
Potresti andare fin
lassù e dare un'occhiata a cosa c'è fuori?
- Non so se ce la faccio...
- Dai...
- Il fatto è che è difficile
partire da fermo. Di solito quando devo volare devo anche prendere un
po'
rincorsa. Ma poi hai visto quanto è stretto qui? A malapena
riesco ad aprile le
ali senza toccare le sbarre e il muro! - e per dimostrarlo le
dispiegò al
massimo dell'apertura alare. Era proprio vero, sfioravano quasi sia la
parete
che le sbarre.
- Ci devi provare - insisté
Lloyd.
Il Rufflet ci pensò un attimo su,
e poi sbuffando accettò.
- Scansatevi, per piacere - disse
a Lloyd e al Sableye. Entrambi si fecero da parte.
Finley aprì di nuovo le ali, e
stavolta se le scrollò per bene per darsi la carica. Fece un
gran sospiro, e
cominciò. Dapprima mosse leggermente le ali dall'alto verso
il basso, poi
sempre più velocemente e con più forza. Lo
spostamento d'aria aumentava
vistosamente, e riscosse persino Nellie dalla sua paralisi.
Passò un minuto, e il Rufflet era
ancora intento a sbattere le ali avendo però le zampe ben
ancorate a terra. Ce
la stava mettendo tutta per sollevarsi, si vedevano bene i muscoli
indurirsi e
tendersi per sostenere il suo peso. Dopo un tempo che sembrò
infinito,
finalmente cominciò a sollevarsi. Dapprima furono solo un
paio di centimetri,
poi cinque, dieci, venti, mezzo metro, un metro...
- Bene così! - lo incitò Lloyd -
Puoi farcela!
- Grazie per l'incoraggiamento -
disse l'amico a denti stretti. Era palpabile la tensione nell'aria.
Lloyd aveva
anche capito un'altra cosa: se Finley non ce l'avesse fatta ad arrivare
alla
finestrella e fosse ricaduto al suolo prima, non avrebbe potuto farlo
di nuovo.
Nonostante non sembrasse, era anche lui malconcio come loro, e il Deino
dubitava che potesse fare una cosa del genere una seconda volta. Per
cui
sperava con tutto il cuore che l'amico riuscisse nella sua impresa.
Dopo un'infinità e con una fatica
che sembrò immensa, Finley si portò all'altezza
della finestrella.
- Cosa vedi? - chiese impaziente
Lloyd.
- Ci sono delle montagne...
- Grazie al cazzo! - disse
sarcastico Irving.
- E poi c'è un lago... -
- Sì, guarda, ci sei di grande
aiuto! - continuò il Sableye.
Lloyd si voltò di scatto, e gli
mostrò i denti per intimidirlo. Riuscì nella sua
impresa, ed Irving si ritirò
mesto nel suo angolino della cella. Il Deino tornò a
guardare trepidante
l'amico.
- Il lago che forma ha? - chiese
a Finley.
- E' molto lungo e stretto. -
disse.
Troppo generico per Lloyd. Lui
voleva capire dove si trovavano, ma aveva bisogno di qualche altra
informazione.
- Vedi qualcos'altro?
- Delle cime innevate in
lontananza, per il resto è tutto brullo.
- Le colline hanno qualche forma
strana?
- No, ma... aspetta... - fece,
aguzzando la vista.
- Cosa vedi?
- Non so se è giusto, il sole sta
calando rapidamente... C'è un altro lago, molto
più piccolo, dopo quello lungo.
E' a forma di Haunter. Ed ha anche...
Non riuscì a finire la frase. Le
sue ali erano sfinite, e collassarono in quel momento. Finley cadde a
peso
morto verso di loro. Quattro metri di caduta libera con probabile
rottura
dell'osso del collo e conseguente morte. Il Rufflet fece degli occhi
sgranati
mentre cadeva. Rivide tutta la sua vita davanti agli occhi. Fu
velocissimo, non
aveva certo avuto una vita lunga. Già si immaginava
stecchito sul freddo
pavimento di pietra, in una pozza di sangue.
Ciò sarebbe successo se non fosse
stato presente Lloyd. Velocemente il Deino si portò nel
punto in cui l'amico si
sarebbe sfracellato al suolo. Dopo meno di un secondo sentì
l'intero peso del
Rufflet impattare sul suo dorso. Lloyd barcollò, ma non
cadde. Aveva rilassato
apposta la schiena per attutire la caduta dell'amico. I lividi si
fecero
sentire tramite acute scariche di dolore, ma resistette.
Delicatamente si abbassò sulle
zampe anteriori, e depositò Finley sul pavimento. Quello
rimase disteso per un
po' lì, con gli occhi sgranati dalla paura. Quando
finalmente si fu ripreso
dallo shock, alzò lo sguardo sul suo migliore amico.
- Grazie, amico.
- Di nulla, fratello. Per te
questo ed altro.
***
Con
la notte era scesa anche la
neve. Piccoli e delicati fiocchi cadevano al di fuori della casa,
andando a
stratificarsi e a formare un compatto strato superficiale. Neville
stava sempre
nella stessa stanza, seduto davanti allo stesso fuoco, dando di tanto
in tanto
sporadiche occhiate alla finestra.
Aveva una voglia matta di suonare
il suo violino. Voleva, ma non poteva. Non sapeva nemmeno lui bene
perché, ma
sentiva come una barriera tra sé e lo strumento. Eppure era
là, indifeso,
appoggiato sulla scrivania dall'altra parte della stanza. Forse non
aveva che i
mostri a qualche metro più sotto non lo sentissero. Neville
era gelosissimo del
suo violino, solo lui si sarebbe deliziato con la sua dolce melodia.
E poi, come nulla, la barriera si
ruppe, e l'uomo corse incontro al suo strumento musicale. Lo prese in
braccio e
lo coccolò, archetto compreso, come se fosse qualcosa di
vivo e lo potesse
sentire. Magari si aspettava che gli facesse persino le fusa, come
avrebbe
fatto un gatto. Già, un gatto. Anche i gatti erano morti.
Realizzò che non glie ne
importava nulla di quelle creature segregate in cantina. Che lo
ascoltassero
pure se volevano, a lui non importava minimamente di loro. Non gli
importava né
della loro opinione, né dei loro pensieri, né di
null'altro che li riguardasse.
Alla fin fine, non gli importava nemmeno chi fossero di preciso. Aveva
preso
loro semplicemente perché si trovavano lì,
avrebbe agito nello stesso modo
anche se ce ne fossero stati altri.
Si diresse allo scaffale dove
teneva gli spartiti, e ne estrasse un fascicolo bello voluminoso. Era
una
sinfonia da circa mezz'ora, e Neville l'avrebbe suonata tutta. Era
anche per
altri strumenti, ma per la maggior parte il violino faceva da padrone.
Cominciò, e le note vennero fuori come se fosse stata acqua
che colava da una
grondaia.
***
-
Sentite?
Irving aveva aguzzato le
orecchie.
- La sentite questa musica?
Anche gli altri si fecero più
concentrati, e infatti la udirono. Era una melodia delicata, ma allo
stesso
tempo pregna di carattere. Si percepiva però la tristezza
contenuta in quelle
note, che quasi sicuramente rifletteva i sentimenti del musicista.
- Secondo voi chi sta suonando? -
chiese Finley.
- Potrebbe essere lo stesso umano
che ci tiene prigionieri? - azzardò Nellie.
Nessuno parlò, dato che la
domanda si rispondeva da sola. Restarono semplicemente lì,
ad ascoltare la
musica, quella dolce e triste melodia che faceva da loro unica compagna
in
quella cantina dimenticata da Arceus.
Lloyd non ci provava nemmeno ad
ascoltare quella musica, era troppo impegnato a riflettere sul da
farsi. Un
lago a forma di Haunter? Forse ricordava di averne visto uno, ma dove?
Quelle
terre erano strapiene di laghi, poteva essere uno qualsiasi di quelli.
E poteva
darsi anche che Finley si fosse sbagliato. Ma sperava con tutto il
cuore che
non fosse così.
Note dell'autore
Lo so, questo è venuto più corto degli altri, ma
il prossimo lo farò più grande.
Avete capito dove ci troviamo? No? Eddai che ci potete arrivare!
|
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Capitolo 5 *** Chapter 4: Hunger, lakes and telegraph stations ***
4. Hunger,
lakes and telegraph stations
Gurgle,
gurgle, gurgle.
Lo stomaco di Lloyd brontolava
sonoramente. Erano ore che non mangiava nulla, e il suo apparato
digestivo si
stava facendo sentire. Malediceva mentalmente il suo organo,
ordinandogli di
tacere anche se sapeva che era perfettamente inutile. Era
già abbastanza
nervoso di suo in quella situazione, ci mancava solo che gli venisse
fame.
Erano passate varie ore da quando
si erano risvegliati, ed erano passate circa tre ore da quando la
musica aveva
smesso di essere eseguita. Era già qualche minuto che si
sentivano riecheggiare
per tutta la stanza i rumori degli stomaci dei pokemon. Anche se
all'inizio
erano troppo confusi per rendersene conto, non avevano idea di quanto
tempo
fosse passato da quando erano stati rapiti, per cui non sapevano quando
avevano
mangiato l'ultima volta. E non sapevano nemmeno se avrebbero mangiato
di nuovo.
Il Deino non riusciva quasi ad
articolare pensieri da quanta fame aveva. Era disposto ad azzannare
qualsiasi
cosa, anche le sbarre della cella, o meglio ancora i suoi stessi
compagni. Ma
la sua etica, per quanto fosse scarsa, gli diceva che non era una cosa
consona
da fare. Non ancora almeno. "I pokemon saranno anche tutti erbivori"
pensò egoisticamente "Ma all'occorrenza..."
I suoi pensieri da cannibale
furono interrotti da Finley, che gli chiese se era riuscito a capire
dove si
trovavano. Le informazioni che aveva erano comunque troppo generiche,
aveva
assolutamente bisogno di qualcos'altro. Avrebbe chiesto di nuovo al suo
amico
di spiccare il volo per andare a controllare, ma non gli sembrava il
caso.
Anche Finley era conciato male al pari di tutti gli altri, se non anche
peggio,
e Lloyd con quella richiesta avrebbe solo infierito sul già
debilitato amico.
Gurgle, gurgle.
Erano ore che stava lì, sdraiato,
a fissare un punto imprecisato oltre le sbarre. Lo stomaco lo stava
uccidendo e
avrebbe volentieri fatto a pezzi qualcuno dalla frustrazione. Non
sapeva dove
si trovava né chi lo deteneva - o meglio, questo
sì, ma solo superficialmente,
non sapeva nemmeno il nome dell'umano -, non mangiava e non beveva da
quasi un
giorno e i suoi nervi erano a pezzi. Anche gli altri suoi compagni
dovevano
essere nelle stesse condizioni, poiché oltre al suo sentiva
il gorgogliare
anche degli altri apparati digestivi. Tra tutti e cinque potevano
benissimo
metter su una banda musicale.
Gurgle, gurgle. Boboom!
Nellie alzò di scatto la testa. -
Un tuono - costatò Irving - Sta arrivando un temporale.
"Che bello" pensò
amaramente il Deino. Le perturbazioni non erano affatto rare da quelle
parti,
anche se la maggior parte delle volte a quell'altitudine si aveva la
neve e
solo una volta ogni tanto la pioggia.
Fu formulando questo pensiero che
una deduzione lo folgorò. Stando al resoconto di Finley si
trovavano ancora
sulle montagne, senza specificare il punto preciso. Ma guardando il
tipo di
perturbazione, ovvero capendo se cadeva pioggia o neve, si poteva
dedurre
l'altitudine più o meno bassa a cui si trovavano, e questo
lo avrebbe potuto
indirizzare a delle conclusioni molto più precise sul luogo
dove erano
detenuti.
Boboooom!
Un altro tuono, molto più vicino
del precedente, squarciò il silenzio delle montagne. A
quanto pare il temporale
si stava dirigendo proprio verso di loro. "Tanto meglio".
BoBOOM!
Un terzo tuono, molto più forte
degli altri due, parve scuotere l'intero edificio dalle fondamenta
(dove
stavano loro). Il possente rumore venne ingigantito dall'eco delle
valli
vicine, e rimbombò per alcuni secondi. Gregory, che si era
messo a dormire non
sapendo cos'altro fare, si svegliò di soprassalto.
- Che succede?! - esclamò
leggermente spaventato dal brusco risveglio - Ci attaccano?! - . A
prima vista
tale comportamento poteva sembrare divertente, quasi risibile, ma era
questo
quello che succedeva dopo anni di battaglie e guerre. Tutti loro erano
abituati
ad avere un sonno molto leggero, e i forti rumori come quello potevano
anche
causare degli arresti cardiaci ai più deboli di cuore. Non
bisognava farsi
ingannare dalle apparenze, Gregory aveva molti più anni di
quel che mostrava, e
l'età si stava cominciando a farsi sentire. Dopo un
sorrisetto iniziale, Lloyd
si incupì di nuovo. Un giorno probabilmente sarebbe
diventato come lui. Ma non
aveva tempo per farsi prendere da questi ragionamenti.
Mentre un quarto boato meno forte
degli altri risuonava all'esterno, il Deino si avvicinò a
Finley.
- Finley, so che non dovrei
chiedertelo perché sei stanco e tutto il resto, ma mi
servirebbe che tu volassi
di nuovo fino a quella finestra.
- Cosa?
- Solo per pochi secondi, solo
per dirmi se piove o nevica.
- E a cosa ti servirebbe?
- Mi farebbe capire in quale
parte delle montagne ci troviamo. Se piove vuol dire che ci troviamo a
bassa
quota e quindi nella parte sud dei monti, mentre se nevica significa
che siamo
a nord.
Finley fece un cenno d'assenso,
anche se un po' controvoglia. Si girò verso la finestrella.
- Credo che potrai anche fare a
meno dei miei servigi. - disse, sempre dando le spalle a Lloyd.
- Perché mai?
- Guarda tu stesso. - disse
indicando con un ala.
Lloyd alzò lo sguardo, e capì il
motivo per il quale Finley poteva anche restare a terra. Un rivoletto
d'acqua
stava grondando attraverso un piccolo buco sotto il vetro, e stava
lentamente
scivolando verso di loro. Pioveva. Si trovavano a sud.
La
loro prigione si doveva
trovare al di sotto di un piano inclinato, altrimenti non si sarebbe
spiegato
il fatto che l'intensità dello scroscio era leggermente
aumentata, andando pian
piano a gocciolare lungo tutto il muro della finestra. Piccole pozze
d'acqua si
formarono a terra nel giro di pochi minuti, e il ticchettare della
pioggia
risuonava inesorabile.
Il gruppo fissava l'acqua
scorrere con l'aria di chi desidera ardentemente qualcosa.
- Anche voi avete sete? - chiese
Nellie, intuendo le intenzioni dei compagni.
- Sì - ammise Finley.
Irving fece spallucce. - Ci si
deve arrangiare, ora come ora - disse, e si accostò alla
parete, prendendo
avidamente avidamente il rivolo che scendeva dalla finestra.
Visto che il Sableye si era preso
il posto migliore, agli altri non restò che accontentarsi
delle pozze sul
pavimento (tutti tranne Gregory, al quale provvide Irving, seppur
controvoglia,
facendogli spazio al muro). Lloyd prese a estrarre l'acqua dalla sua
con molta
foga. Era un giorno che non assimilava nulla, e almeno quell'acqua lo
avrebbe
fatto tirare avanti per un po'. Non sapeva quando avrebbe mangiato di
nuovo,
per cui si prodigò a finire tutta l'acqua che aveva a
portata di lingua. Non
sapeva nemmeno se avrebbe di nuovo
mangiato.
***
BoBOOM!
Quel suono troppo simile ad
un'esplosione svegliò Neville.
"Ah, maledetta età".
Ormai gli capitava sempre più spesso di addormentarsi quando
non doveva e non
voleva. Era ancora seduto su quella poltrona davanti al fuoco. Poche
braci
ardenti restavano a dare vita al falò, e l'ossigeno a loro
disposizione stava
rapidamente terminando. Neville si alzò fatica e si diresse
ad aprire la
finestra.
Boom!
Appena aprì le imposte una folata
di vento misto a pioggia investì il suo viso. Chiuse gli
occhi per evitare di
finire accecato, e appena sentì le gocce d'acqua
depositarglisi sul viso fece
uscire la lingua dalla bocca, catturando tutte quelle in sua
prossimità.
"Molto bene" pensò
soddisfatto "I depuratori si riempiranno. Questo temporale capita a
fagiolo, stavo proprio finendo l'acqua da bere. A proposito di bere e
mangiare,
quei mostri là sotto avranno bisogno di cibo per
sopravvivere. Suppongo.".
L'uomo fece viaggiare il suo
sguardo fino ad un bosco là vicino. Decise che appena avesse
smesso di piovere
sarebbe andato a vedere se c'era qualcosa di commestibile per
sé e per i suoi
"ospiti". Fosse stato direttamente per lui quei mostri sarebbero
morti di fame, ma il suo piano richiedeva che fossero vivi e vegeti.
"La pioggia laverà i
frutti" si consolò "Odio doverli ripulire dal fango".
***
Correva di nuovo. Era lo stesso sogno fatto due
giorni prima, con lui
che correva nella distesa buia, e l'uomo che lo inseguiva. Continuava a
correre, ma l'uomo continuava ad avvicinarglisi pericolosamente,
nonostante
tutta la forza impiegata nelle zampe per fuggire.
Era disperato. Correva e correva, ma le distanze si accorciavano
rapidamente. Allora provava ad accelerare ancora, ma inutilmente.
Sentiva che
ormai l'umano gli era pochi passi dietro, ma non si voltò a
guardare. Era
troppo spaventato.
Inciampò. Sbatté violentemente il muso a terra, e
uno strato di polvere
si sollevò. Non fece in tempo a chiudere gli occhi che venne
quasi accecato
dalla sporcizia del pavimento. Provò a rialzarsi, invano.
Riusciva a malapena a
tenere le palpebre socchiuse, ma gli fu sufficiente per vedere una rete
calare
sopra di lui.
Si dibatté, ma la rete non fece altro che avvolgersi
più strettamente.
Si girò, nel tentativo di vedere chi lo aveva imprigionato.
Eccolo lì, l'umano.
Era quello che teneva prigionieri lui e i suoi amici. E rideva. Rideva.
Una
risata fredda usciva dalla sua bocca. Una risata da far gelare il
sangue nelle
vene.
Lloyd
si svegliò di soprassalto.
Aveva il fiatone, nonostante non si fosse mosso di un millimetro da
dove si era
addormentato. "Ma poi quando mi sono addormentato?" pensò
turbato.
Provò a fare mente locale per
ricordare ciò che era successo, e non dovette faticare
molto. Era stato
rilasciato nella stanza la stessa sostanza che li aveva presi in
castagna alla
loro casa. Ecco perché anche tutti gli altri erano a terra.
Irving russava
sonoramente, ma gli altri dormivano come sassi.
Gurgle, gurgle.
Aveva ancora fame. Era ormai un
giorno, o forse di più, a giudicare dal buio che era sceso
al di fuori della
casa, che non metteva nulla sotto i denti. A pensarci bene tutta la
stanza era
quasi del tutto buia. Il temporale all'esterno era cessato da tempo,
per cui il
silenzio regnava incontrastato. "Chissà quante ore sono
passate...".
Con gli occhi ancora incrostati
di sonno e il cervello intontito, il Deino si guardò attorno
per vedere se era
cambiato qualcosa nell'ambiente circostante. A prima vista era tutto
uguale a
come se lo ricordava, così Lloyd soffermò il
proprio sguardo sulla caldaia. Il
fuoco al suo interno danzava ancora, e la luce delle fiamme si notava
ancora di
più nella penombra in cui era immersa la stanza. Ombre
spettrali venivano
proiettate di fronte alla bestia di ferro, e una fiammata
più forte delle altre
gettò un intenso bagliore che illuminò qualcosa
sul pavimento che prima non
c'era. Un vassoio, con sopra mele, pere, acini d'uva e persino un paio
di
banane e pesche, era stato posizionato davanti alla loro prigione.
"Sto sicuramente
sognando" pensò rassegnato. Ma le sue narici sembravano
dirgli qualcosa di
diverso. Aveva infatti captato l'odore fragrante della frutta, il che
poteva
lasciar intuire che fosse tutto vero. "Non può essere". E
invece più
odorava, più cresceva in lui la sensazione che non stesse
avendo
un'allucinazione.
Così in Lloyd si fecero strada
due sentimenti contrastanti: da una parte era felice, perché
così poteva dare
soddisfazione al suo stomaco e placare la sua fame, mentre dall'altra
era
preoccupato che i suoi amici si svegliassero, vedessero la frutta e
volessero
mangiarla al posto suo. L'istinto di sopravvivenza prese il
sopravvento, e Lloyd
si avventò alle sbarre protendendo le zampe per afferrare il
vassoio con la
frutta. "Dai! Dai che ce la faccio! Ce la posso fare!...". Il Deino
allungava le zampe al massimo, ma il vassoio era appena fuori dalla sua
portata, non permettendogli di arrivarci.
"Eddai..."
- Yawn... Che succede?
La voce di Finley lo costrinse ad
interrompere la sua seduta di ginnastica. Si voltò, con uno
sguardo a metà tra
il deluso ed il furioso, pronto a saltare addosso al Rufflet.
- Cos'hai?! - domandò lui turbato
dallo sguardo dell'amico.
Solo allora il Deino sembrò
rendersi conto di cosa stava per fare, e allora si rilassò,
facendo calmare i
bollenti spiriti. Stava veramente per attaccare il suo migliore amico?
La fame
lo stava spingendo a tal punto? E poi, cosa avrebbe fatto una volta che
avesse
attaccato Finley? Lo avrebbe... avrebbe... "No!" pensò "Non
lo
farei mai!".
- Che ti prende?! - gli chiese di
nuovo.
- C'è un vassoio con della frutta
al di là delle sbarre, ma non ci arrivo. Ho le zampe troppo
corte. - e ne agitò
una come per dimostrare la veridicità di quella affermazione
- E tu e Nellie
non credo che ne siate in grado con le ali, e di Gregory nemmeno se ne
parla. Dovremmo
svegliare Irving, scommetto che lui ci può arrivare.
- Va bene. - fece per andare a
scuotere il Sableye, ma a metà strada si fermò -
Un momento, quand'è che mi
sono addormentato?
- Credo sia colpa di quell'umano,
ricordo che ci ha spruzzato di nuovo quel gas.
- Ah - assentì il Rufflet, anche
se non sembrava molto convinto, e si diresse verso Irving. Gli
assestò un
deciso calcio con una zampa, e quello si svegliò di botto.
- MA SEI SCEMO!?! - gli urlò in
faccia - Mi hai fatto male! C'era bisogno di svegliarmi
così?!? - concluse
massaggiandosi il fianco dove Finley lo aveva picchiato. Poi
sembrò riflettere
sulla frase appena pronunciata, e domandò: - Un momento,
perché stavo dormendo?
Non ricordo...
- Sì, sì - lo interruppe Lloyd -
E' una storia lunga, te la diciamo dopo, ma adesso ci serve il tuo
aiuto. Lo
vedi quel vassoio di frutta alle mie spalle? - disse facendo cenno
dietro di
lui. Irving sgranò i diamanti, e istintivamente si
portò una mano all'altezza
dello stomaco, prendendosi a massaggiare la pancia. Doveva essere molto
affamato anche lui.
- Sì, la vedo.
- Bene. Io e Finley non ci
arriviamo con gli arti che ci ritroviamo, e tu fra tutti sei quello che
ha le
braccia più lunghe, per cui ci stavamo chiedendo se...
- Sì, sì, lo faccio, non c'è
bisogno che la tiriate tanto per le lunghe. - concluse sbrigativo il
Sableye,
dirigendosi immediatamente verso le sbarre più vicine al
vassoio. Si vedeva
proprio che moriva dalla voglia di mangiare qualcosa.
Si attaccò alle fredde sbarre, e
allungò il braccio sinistro. All'inizio sembrava che nemmeno
lui ce la potesse
fare, ma Irving decise di non mollare. Allungò
più che poté l'arto, e
finalmente con una delle pelose dita riuscì ad agganciare
uno dei bordi del
vassoio. Iniziò immediatamente a tirarlo verso di
sé, e lo sfregamento tra il
metallo (Lloyd pensava che il vassoio fosse fatto di quel materiale
perché
riluceva alla luce delle fiamme) e la pietra polverosa del pavimento
produsse
uno sgradevole suono raschiante. Il rumore fu talmente fastidioso da
svegliare
anche Gregory e Nellie, che subito fecero per fare delle domande
analoghe a
quelle fatte dagli altri al momento del loro risveglio, ma si zittirono
subito
una volta visto quello che stava facendo Irving.
Finalmente, dopo quello che parve
essere un intero anno, risuonò il clang
del contatto fra i metalli delle sbarre e del vassoio. Lloyd aveva
già l'acquolina
in bocca al pensiero di poter mangiare di nuovo, e il suo stomaco si
stava già
preparando ad accogliere il cibo. Si spartirono equamente la frutta
(anche se Gregory
ne ebbe un po' di più con la scusa che era invalido) e
ognuno si ritirò nel suo
angolino per mangiare.
Considerando anche il fatto che
avevano tutti una gran fame, la frutta ci mise poco ad esaurirsi.
Nellie finì
prima degli altri la sua razione, ma il suo stomaco decise di non
essere ancora
sazio e continuò a brontolare sonoramente. Finley, a cui era
rimasta una mela,
decise di darla alla sua innamorata in un gesto di galanteria.
- Se vuoi mi è rimasta questa.
Non mi va tanto, per cui la puoi prendere te se la vuoi - disse,
mettendogliela
vicino con il becco.
- Davvero? - chiese grata la
Torchic.
- Certamente - rispose lui. Le
sue guance (o almeno le zone accanto al becco che lo dovevano essere)
si
colorarono leggermente di rosso, e lo si vedeva anche attraverso le
piume.
- Grazie mille! Non lo
dimenticherò! - lo ringrazio lei.
- Di nulla.
Per un attimo a Lloyd parve che
anche le guance arancioni di Nellie si facessero più
arancioni, ma forse era
solo un'impressione. O forse no. "Forse in fin dei conti Finley ha
davvero
qualche chance".
Alcune
ore dopo ebbero tutti
concluso di mangiare e anche di digerire. Giusto in tempo
perché lo stomaco
tornasse a brontolare, anche se meno intensamente e rumorosamente di
prima. Ma
Lloyd riusciva comunque a sentire tutto quel frastuono. Va detto che
l'udito
dei Deino non era uno dei loro sensi più sviluppati, ma lo
stare rinchiuso
senza nemmeno uno svago gli aveva fatto mettere tutti i sensi in
allerta, per
captare ogni singola anomalia nell'ambiente circostante. Ciò
gli faceva
percepire anche un sacco di cose superflue, come appunto il brontolare
degli
apparati digerenti altrui. Escludendo il suo, ovviamente.
Gradualmente Lloyd, nonostante
mantenesse l'udito in tensione, perse concentrazione, e la sua mente
cominciò a
vagare, o piuttosto a divagare. Pensava (o almeno ci provava)
costantemente al
lago a forma di Haunter, ma non riusciva mai a ricordare di dove
l'avesse già
visto. E a causa di ciò i suoi pensieri andavano sempre al
pasto appena
consumato, o ai compagni, o più frequentemente all'umano.
Quell'umano. C'era
qualcosa in lui che... non sapeva, lo lasciava con una sensazione
strana,
nemmeno il Deino sapeva definirla con certezza.
Allora cominciò a ripensare al
periodo del suo addestramento, terminato poco meno di un anno prima.
Ripensò a
tutte le giornate ad addestrarsi nel campetto dietro alla casa.
Ripensò a tutti
i combattimenti amichevoli con gli altri membri della "Famiglia". Una
volta aveva persino gareggiato contro Olston, perdendo ovviamente.
Ripensò
anche a tutte le escursioni fatte nelle montagne, alle passeggiate
sugli stretti
sentieri, ai grandi panorami visti dalle cime brulle, oppure alle
nuotate nelle
gelide acque dei laghi...
Furono quelle ultime riflessioni
a far scattare qualcosa in Lloyd. Adesso si ricordava dove aveva visto
quel
lago. Anche se non rammentava precisamente la direzione, aveva un'idea
generica
di dove fosse.
***
Algish
Inn era un piccolo paese,
posto all'estrema riva meridionale del lago di Algish, a circa un
giorno e
mezzo o due di cammino dalla casa della "Famiglia". La Stazione
Telegrafica
era posta ai limiti del paese. Era una baracca più piccola
rispetto alle altre,
ed era isolata dal resto dell'agglomerato per favorire la
connettività del filo
con le altre mete. Di sera era anche un po' inquietante, dato che non
c'era
nessun lampione nei paraggi. La zona era illuminata solo dalla debole
luce di
una lampadina all'interno della Stazione che filtrava dall'unica
finestra
presente.
"Non è un gran bel
posto" realizzò Avery appena lo vide. In precedenza era
stato alcune volte
ad Algish Inn, ma non aveva mai fatto caso alla Stazione Telegrafica.
Non fino
a quando, appena arrivati in paese per trascorrere la notte, Olston gli
aveva
ordinato di andare a telegrafare il loro arrivo ad Algish Inn a coloro
che
erano rimasti a casa, tanto per non farli stare in pensiero.
Fece per aprire la porta di legno
secco, e appena la toccò quella si aprì da sola
con un inquietante
scricchiolio. Il Machop non vi fece molto caso, ed entrò,
dirigendosi sicuro
contro il telegrafo, ben in vista dalla porta.
Arrivò a destinazione e si preparò
ad azionarlo. Si fermò un attimo per rammentare il codice
Morse. La Stazione di
Algish Inn era talmente malandata che non c'era nemmeno un cartello con
scritto
il codice. Appena gli tornarono alla mente i caratteri,
cominciò ad abbassare a
ripetizione la levetta.
Arrivati Algish Inn. STOP
Partenza domani mattina. STOP
Situazione? STOP
Attese alcuni minuti la risposta,
che non arrivò. "E' normale" pensò "La stanza del
telegrafo è in
una zona della casa poco frequentata, forse non l'hanno sentito".
Avery spense il telegrafo e uscì
tranquillamente dal locale.
Note dell'autore
Ed eccoci qui con il quarto capitolo! Questo è degnamente
lungo, e spero che vi sia piaciuto. Se il proseguo vi sembra lento in
effetti è così, ma non voglio fare spoiler. Ci
avete provato, lezzini!
Mi scuso per i SECOLI passati dall'ultima pubblicazione, ma ho passato
tutto agosto in giro per la Toscana e non avevo computer a portata di
mano. Ma da adesso si riprende.
Allora, beatlemania, ti è passata l'arrabbiatura? Dai, ora
la puoi reinserire tra le seguite.
|
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Capitolo 6 *** Chapter 5: Fight without quarters ***
Chapter 5: Fight without quarters
Lloyd
era molto più stanco di
quanto pensasse, dato che si addormentò subito dopo aver
realizzato dove si
trovava. Si risvegliò che già il sole era sorto.
Appena aprì gli occhi vide il
raggio di luce proiettato dalla piccola finestrella, oltre ovviamente
alla
tremolante luce della caldaia. All'inizio, colpa anche del solito
intontimento
post-risveglio, non si ricordò dei pensieri della notte
precedente, ma appena
si fu ripreso un po' gli tornarono alla mente.
- Ragazzi! - urlò - So dove
siamo!
- Cosa? - . Finley, che stava
facendo qualcosa in un angolino, si volse vero il Deino, incredulo e
incerto
allo stesso tempo.
- Mi è tornato alla mente. Forse
ho capito dove siamo.
- Dove? - chiese incerta ma
curiosa Nellie.
- Allora... avete presente la
catena dell'Ancabar e del Sanclagel?
- Quale, quella che forma quel
passo stretto con il Surrac e il Calleac?
- Esatto! Noi dovremmo essere
dall'altra parte.
- Forse ho capito... - disse
meditabondo Irving.
- Non credo di seguirvi... - fece
Nellie.
- Stupida! Ora ti spiego.
"Ecco che arriva sua
magnificenza il re di tutta la cazzo di conoscenza!" pensò
Lloyd,
preparandosi mentalmente alla spiegazione del Sableye. Irving era fatto
così,
adorava dare sfoggio della sua cultura ogni qualvolta se ne presentava
l'occasione.
- Allora, hai presente Algish
Inn?
- Sì...
- Ecco, da lì puoi vedere
benissimo il monte Ancabar, e un po' più lontano la cima del
Sanclagel che
spunta da dietro le creste. Dietro la catena c'è il lago
Benan Rahm. Mi sembra
che una sponda si veda anche da Algish Inn. Il Benan Rahm è
più grande del lago
di Algish. A sud dei lago ci sono i tre Laghi Fantasma, ovvero quelli
di Fion,
Ahat e Bhein, che sono rispettivamente a forma di Honchcrow, Dusclops...
- ...e Haunter! - completò
entusiasta Lloyd.
Solo allora Irving sembrò
rendersi conto di quello che aveva appena detto, e si batté
con la mano la
fronte.
- Ma certo! Che imbecille che
sono, lo sapevo fin dall'inizio e non ci avevo nemmeno pensato. Sono
proprio un
idiota! Appena torno a casa mi rileggo tutti i libri sulla geografia
del posto,
così...
Il Sableye ammutolì di colpo,
accorgendosi di aver toccato un tasto dolente. Al suono della parola
"casa" tutti (meno Gregory, che dormiva e non aveva sentito nulla
della loro conversazione) abbassarono lo sguardo, oppure restarono col
fiato
sospeso. Quella parola non faceva altro che ricordargli la loro
condizione di
prigionieri e la loro libertà ingabbiata.
Ognuno di loro si ritirò per
conto suo, mandando a quel paese tutte le conclusioni appena ottenute.
Nonostante adesso sapessero dove si trovavano, il loro morale era sotto
terra.
Non avrebbero tentato la fuga nemmeno se fossero stati costretti, lo si
vedeva
dalle loro facce.
Anche Lloyd non era molto
speranzoso, anche se cercò di scacciare dalla sua testa quei
pensieri negativi.
Senza volerlo si ritrovò a pensare al suo compagno Irving, e
alla frase che
aveva portato alla fine del discorso. La sua mente viaggiatrice
concluse che
non era colpa sua, si era solo trattato di un lapsus, di uno sfogo
dovuto alla
frustrazione. Molte delle conoscenze erano infatti merito di lunghe ore
di
studio e di interi paragrafi imparati a memoria, per cui non sempre le
cose
tornavano immediatamente alla galla dal "magazzino dei ricordi", come
lo chiamava Aldus.
Aldus era un vecchio Delibird che
abitava vicino ad Algish Inn, ed ogni tanto veniva a far visita alla
"Famiglia". Non ci stava molto di testa (forse era per questo che
stava simpatico a tutti), ma aveva alcuni momenti di
lucidità impressionante,
tanto che una volta, durante una conversazione con Olston, si era
lasciato
sfuggire una frase che era rimasta impressa nella mente di Lloyd. "Che
volete farci, il mio magazzino dei ricordi non è
più quello di un tempo. Tutte
le cose invecchiano e vanno in malora, e questo è il mio
caso.". Non
sapeva bene perché, ma quella frase se la ricordava da molto
tempo. Forse per
il fatto che dimostrava che ogni cosa col passare del tempo invecchia e
perde
vigore. Così Lloyd si ritrovò a pensare a
sé stesso e alla sua crescita. Erano
ormai passati quattro anni da quando era uscito dall'uovo, ed il suo
addestramento era cominciato quando aveva pochi mesi ed era finito
quasi da un
anno. Aveva quindi trascorso già tre anni e mezzo della sua
vita ad allenarsi,
ed il restante mezzo aveva fatto... nulla. Bel modo di utilizzare la
propria
vita.
"No!" pensò "Faro
qualcosa! Non me ne starò qui a marcire e a sprecare la mia
vita!". Guardò
Finley, e si rese conto di non essere l'unico ad aver pensato quelle
cose. Vide
uno sguardo determinato sul volto del Rufflet, che un istante dopo si
alzò.
- Ragazzi! - esclamò - Non
possiamo restare qui, dobbiamo assolutamente fuggire!
- Hai ragione! - lo sostenne
l'amico.
- Concordo! - fece Nellie -
Però... come facciamo a scappare?
A questa domanda Finley diventò
meditabondo per alcuni attimi, ma riuscì a trovare quasi
subito la risposta.
- Mi sembra ovvio, ne dovremo
cercare una! - esclamò battendosi l'ala sul petto. Lloyd
sorrise, vedendo
l'amico tentare di fare colpo su Nellie. "Certo che non si fa scappare
nessuna occasione" pensò "Guarda come è fiero.
Chissà, magari questa
è la volta buona che ce la fa".
Lasciando perdere le
stupidaggini, i quattro si misero immediatamente ad esaminare la cella
centimetro per centimetro, senza a primo acchito ottenere dei
risultati. La
cella era perfetta (escluso lo spesso strato di sporco sul pavimento),
le
sbarre erano lisce, e apparentemente non c'era nemmeno un'entrata.
Veniva
spontaneo chiedersi come avessero fatto ad entrare lì
dentro, e soprattutto
come avrebbero fatto ad uscirne. Apparentemente l'unica apertura da cui
forse
sarebbe stato
possibile fuggire era la
finestrella a vari metri sopra di loro, ma era troppo piccola. Forse
forse un
Joltik ci sarebbe potuto passare, ma sicuramente non uno di loro.
Sicuramente
quella non era una via d'uscita.
Restava sempre il quesito di come
avevano fatto ad entrare lì. Ci doveva essere per forza di
cose un'entrata, a
meno che quelle sbarre non fossero state saldate dopo la loro venuta,
cosa
alquanto improbabile. Per cui c'era una porta, un buco o qualsiasi
altra cosa
che loro non vedevano. Probabilmente era proprio sotto il loro naso, ma
questa
era la filosofia dei nascondigli: più sono in vista e meno
si notano.
Passarono praticamente tutto il
resto della giornata a vagare per quello spazio ristretto come degli
ossessi,
investigando su ogni singolo granello di polvere, su ogni minima crepa
tra le
mattonelle del pavimento e su ogni piccola increspatura nel muro. Senza
ovviamente ottenere il minimo risultato. Quando l'ultimo spiraglio di
sole scomparve
dietro le montagne e ad illuminare la stanza restò solo la
caldaia, erano
esattamente nella stessa situazione di quando avevano cominciato a
cercare.
E per tutto quel tempo, Gregory
non aveva smesso di dormire. A certi tratti aveva anche russato
piuttosto
forte, nemmeno lo avessero drogato oppure addormentato con dei solventi
chimici. Chissà, magari poteva anche essere il risultato del
gas dell'umano.
- Abbiamo cercato dappertutto -
sbottò Irving - Ma della fottuta uscita nemmeno l'ombra.
- Sembra proprio che ci abbiamo
murati qui dentro - convenne Lloyd.
- Così però non aiuti. - disse
Finley.
- Che vuoi, almeno sono franco.
- In tal caso la tua franchezza
non sta aiutando.
Se avesse avuto le mani, il
Rufflet si sarebbe arruffato le penne dalla frustrazione. Si
allontanò dagli
altri, con un'espressione a metà tra l'arrabbiato e il
rassegnato, e si isolò
nel suo angolo di cella, iniziando a borbottare contro il muro.
- Poverino. Eppure ce l'ha messa
tutta.
Nellie era davvero preoccupata
per il Rufflet. Nonostante la situazione, Lloyd si fermò ad
osservarla. La loro
esperienza pareva aver finalmente avvicinato la Torcich e il Rufflet,
approfondendo di molto il loro rapporto. Il Deino dovette ammettere che
quello
che prima era solo una confidenza adesso era sfociata in un'amicizia
abbastanza
solita, con forse anche una certa confidenza. In fin dei conti poteva
anche
finire bene tra i due volatili.
- Però abbiamo guardato
dappertutto - continuò lei, senza rivolgersi a nessuno in
particolare - Non è
possibile che non ci sia nemmeno un'entrata. E poi - disse con un tono
stizzito
facendo un cenno a Gregory - quello lì nemmeno ci ha aiutato.
- Ha un braccio e una gamba rotti
- fece notare Irving.
- Dettagli - liquidò Nellie -
Poteva comunque guardare un po' in giro da dove si trovava.
- E sarebbe servito a...
- Oh, sta zitto!
- Scusa se sto facendo notare
cose ovvie a tutti tranne che a te!
- Cosa vorresti dire?!?
- Non è colpa mia se sei stupida!
- Cosa!?! Brutto stronzo, tu
non...
Il loro battibecco fu interrotto
sul nascere da un tonfo sordo.
Tunf!
Tutti e quattro si girarono verso
la fonte del rumore (anche Finley si interessò) e videro che
il Dewott era
scivolato di lato, accasciandosi nell'angolo tra il pavimento e la
parete. E il
bello era che non si era nemmeno svegliato, complice anche il fatto che
non
aveva schiacciato il braccio rotto.
Ma la vera cosa interessante era
quello che c'era dietro il pokemon acquatico: una piccola porticina.
Restarono
tutti a bocca aperta (nei casi di Nellie e Finley a becco aperto) a
guardare la
minuscola entrata. Era incastonata perfettamente nel muro, e quasi non
si
notava, poiché i suoi bordi sembravano essere gli spigoli di
normalissimi
mattoni.
- Ma porco Arceus!!!
L'imprecazione di Gregory risuonò
forte e chiara, ma nessuno sembrò prestarci attenzione.
- Non ditemi che è stata lì per
tutto il tempo e noi non ce ne siamo nemmeno accorti. -
sospirò Nellie
accasciandosi a terra per la stanchezza, mentre Irving si fece un
facepalm per
la frustrazione. "In effetti Gregory non si era mai spostato di
lì"
rifletté Lloyd "Eppure doveva sentire le sporgenze della
porta. D'altronde
il dolore per il braccio e la gamba rotti poteva avergli fatto perdere
la
sensibilità. Io però non sono un medico, ci
vorrebbe Augustine per dirlo con
certezza. Sta di fatto che adesso abbiamo trovato l'uscita.".
KaBOOM!!!
- Gregory, cosa stai facendo?!?
Il grido di Nellie fece voltare
tutti di nuovo, e videro Gregory ritto in piedi, apparentemente
noncurante
degli arti rotti, intento a lanciare un attacco Idropompa contro le
sbarre. Una
si era leggermente incrinata, ma nulla più.
- Cosa sta succedendo?!?
Gregory!!!
Quello non rispose, e anzi, si
lanciò in un nuovo attacco che riuscì ad
oltrepassare le sbarre e a colpire la
parete opposta, persino un po' la porta che portava all'interno della
casa.
- GREGORY!!!
Finalmente il Dewott sembrò
accorgersi degli altri, e si girò. Era lui, eppure non lo
era. I muscoli della
faccia erano tesissimi, mettendo in risalto tutte le vene facendole
pulsare
all'impazzata, e facendo per questo scurire la pelle dal suo
caratteristico
celeste ad un violetto sgargiante. La sua bocca era contorta in una
specie di
smorfia, e i suoi baffi vibravano senza sosta. Ma la cosa che
più faceva
impressione erano gli occhi: le pupille erano scomparse, e le orbite si
erano
come lasciate all'insù, lasciando scoperto il bianco venato
di rosso della
parte inferiore del bulbo oculare. Anche quelle venette erano gonfie, e
pulsavano.
- Cosa...
Finley non fece in tempo a finire
la frase che Gregory fece partire un terzo Idropompa, stavolta diretto
contro
di loro. Tutti fecero in tempo a scansarsi, anche complice il fatto che
con gli
occhi in quello stato probabilmente non poteva vederli bene.
"Che cazzo sta
succedendo!?!" Lloyd lottava per non cadere preda del panico "Cos'ha
adesso?!? Non sarà che...". E all'improvviso
capì. Gregory doveva essere
entrato nello Stato Berserk. E questa non era per nulla una cosa buona.
Evitando un nuovo attacco, cercò
di ragionare a mentre fredda. "Devo bloccarlo, ma come?!?".
Riuscì a
scansare un altro Idropompa, mentre Finley non fu così
fortunato, venendo preso
in pieno.
- FINLEY!!!
"Merda, cosa faccio?!?
Aspetta, ci sono...".
- Ragazzi! - gridò cercando di
superare il frastuono - Forse so come bloccarlo! Ho bisogno che ognuno
di voi
si attacchi alle sue gambe e alle sue braccia! Lo dovete tenere fermo!
Nonostante avessero ricevuto
degli ordini sommari, i tre li eseguirono al meglio. Erano preparati ad
una
tale occasione, l'addestramento presso la "Famiglia" implicava anche
questo. Appena il Dewott interruppe i propri attacchi, i tre pokemon
gli si
fiondarono addosso. Finley corse alla sua destra, e gli
afferrò il braccio sano
col becco. Nellie andò dalla parte opposta, e col becco lo
agganciò al polso e
gli torse l'arto dietro la schiena. Gregory lanciò un urlo,
più di rabbia che
di dolore, e tentò di sferrare un calcio ai suoi aguzzini.
Ma ad impedire ciò
ci pensò Irving, che era strisciato nel frattempo sotto di
lui, e gli afferrò
saldamente le caviglie.
- Vai Lloyd! Muoviti!!!
Il Deino non se lo fece ripetere,
e caricò a testa bassa. Si fiondò contro
l'immobilizzato Gregory, e diede una
potente testata all'altezza dello stomaco. "Attacco Schianto. E'
fatta".
Nei suoi piani questo doveva
fermare permanentemente Gregory togliendogli il respiro e facendolo
piegare in
due dal dolore, ma ciò sorprendentemente non accadde. Con un
rapido strattone
si liberò da quello che gli tenevano le braccia e, dando
prova di una forza
smisurata e del tutto sconosciuta, afferrò Lloyd cingendolo
completamente e lo
gettò con foga dietro di sé. Il Deino si
andò a schiantare contro le sbarre di
metallo, e sentì un dolore atroce alla schiena.
"Cazzo! Perché non ha
funzionato?!? Merda... anche insieme io e gli altri non siamo in grado
di
affrontare Gregory, figuriamoci poi se è nello Stato
Berserk. Non mi resta che
giocare la mia ultima carta.".
- Hey, Gregory!
Il Dewott si voltò, ancora più
infuriato. La sua smorfia si allargò, e si palesarono molte
rughe sulla sua
fronte a causa della costante contrazione dei muscoli.
- Prendi questo!
Il Deino spalancò la bocca, e
immediatamente tra le sue mascelle andò ad ingrandirsi una
sfera viola scuro,
che pochi istanti dopo schizzò a tutta velocità,
spinta da un raggio dello
stesso colore, contro il volto del Dewott. Quello nemmeno
provò a scansarsi, e
fu centrato in piena guancia. Gli volò via perfino un dente.
Gregory si accasciò a terra, e
sembrò cambiare. Chiuse con forza gli occhi, e dopo alcuni
secondi li riaprì.
Lloyd vide che erano tornati normali. Gregory si mise a respirare
profondamente
per circa un minuto. Man mano che il tempo passava, riacquistava le sue
normali
caratteristiche. Si mise poi in ginocchio, e sputò un fiotto
di sangue.
- Che è successo? - chiese.
- Credo... - disse Finley - Che
tu sia entrato nello Stato... - .
- Ah. Capisco.
Si mise a gambe incrociate,
cercando di ignorare il dolore, e chiuse gli occhi. - Credo - disse -
di aver
bisogno... di riposare... un attimo... - . E detto questo si
addormentò lì, a
sedere. Era quello che succedeva quando un pokemon usciva dallo Stato
Berserk,
non c'era da preoccuparsi. La cosa grave erano i danni che il Dewott
aveva
fatto a lui e ai suoi amici. Finley era conciato piuttosto male, mentre
Irving
e Nellie dimostravano di essere abbastanza pesti. A Lloyd invece era
sembrato
di sentire uno scricchiolio quando aveva sbattuto contro le sbarre, e
stava
cominciando ad avvertire un malessere.
Finley e Nellie crollarono a
terra (ironicamente l'uno addosso all'altro) mentre Irving
riuscì a trascinarsi
fino alla parete prima di collassare. Anche il Deino decise di
concedersi un
momento di pausa, e si mise comodo, seguendo l'esempio dei suoi amici.
Per
quanto ci si possa mettere comodi su un pavimento freddo e sconnesso.
Si
accasciò malamente a terra, stremato dalla fatica e dal
dolore. Il contatto tra
la pelle e la fredda superficie gli causò un brivido, ma non
ci fece troppo
caso. Abbandonò la testa sul marmo delle piastrelle. "Credo
che anche
io... mi riposerò... un attimo...".
Chiuse gli occhi per la stanchezza,
anche se fu costretto a riaprirli quasi subito a causa di un granello
di
polvere che rischiò di farlo starnutire. Lo
soffiò via buttando fuori aria dal
naso, e richiuse le palpebre, addormentandosi senza volerlo.
Ma si risvegliò quasi subito, e con
un pensiero ben preciso in testa. "No! L'umano non deve sapere
dell'uscita. Bisogna assolutamente rimettere Gregory dov'era prima,
altrimenti
potrebbe accorgersene.".
***
KaBOOM!!!
"Cazzo, devo assolutamente
vedere se ho qualche medicinale contro il sonno" pensò
Neville,
riprendendosi dall'ennesimo pisolino indesiderato. Ma cos'era quella
scossa?
Sembrava provenire dalle fondamenta della casa, ovvero dove aveva
imprigionato
quei "mostri".
Gettò immediatamente uno sguardo
alla telecamera, e notò immediatamente che qualcosa non
andava. La ripresa era
sgranata, e le immagini arrivavano ad intermittenza e talvolta in
ritardo, con
magari alcuni cali di frame impressionanti. Non si capiva bene quello
che stava
succedendo nella cantina, anche se Neville poté intuire che
c'era un
combattimento in corso, anche se non sapeva tra chi.
"Chissà" pensò
"Magari sono impazziti, oppure... potrebbe essere che... Ma prima di
tutto
devo accertarmi dei danni alla telecamera. Ma se lo faccio gli farei
sapere che
li posso vedere il qualsiasi momento. D'altronde lo sanno
già, però... uffa,
non fanno per me questi dilemmi esistenziali. Sarò costretto
ad usare quel poco
di gas che mi rimane. Non volevo, ma credo di non avere altra scelta".
Guardò un'ultima volta
l'inquadratura, e si decise ad agire.
***
Con
tutta la forza residua, Lloyd
prese a spingere con la testa Gregory verso la porta. Doveva rimetterlo
lì
davanti, altrimenti la loro via di fuga sarebbe stata scoperta, ne
andava della
loro libertà.
Sentiva che le forze lo stavano
abbandonando, ma decise di non mollare. Strinse i denti, e continuo a
spintonare Gregory, anche se sembrava una sfida persa in partenza. Il
Deino era
riuscito a malapena a spostare di mezzo metro il Dewott, che
stranamente
sembrava pesare una tonnellata. Questa era un altro effetto collaterale
dello
Stato Berserk, era difficilissimo spostare qualcuno caduto nel sonno
successivo. Probabilmente non ce l'avrebbe fatta, ma era deciso a
continuare.
Dopo molto tempo decise di
abbandonare lo strattonamento frontale e di passare al trascinamento.
Lo
aggirò, lo addentò per la collottola e
provò a trascinarlo verso il muro.
Normalmente un morso del genere lo avrebbe fatto sanguinare, ma il
Dewott non
ebbe reazioni tangibili, continuando a respirare a ritmo regolare.
Nonostante
tutto lo sforzo, Lloyd riuscì a spostarlo sono di una
manciata di centimetri.
Provò allora a puntellarsi sulle zampe posteriori e a
buttarsi indietro nel
tentativo di trascinarlo con lui, invano.
Proprio in quel momento una porta
si aprì. Non quella che c'era nella cella, bensì
l'altra, quella in cima alle
scale. L'umano era tornato.
Lloyd si girò, e lo vide. Era
vestito alla stessa maniera della volta precedente, e sotto il braccio
portava
quella che sembrava essere una scala. Dopo aver sceso le scale l'uomo
si fermò
un attimo ad osservare quanto era accaduto dentro la gabbia, guardando
in
particolare Lloyd e Gregory dormiente.
- Avete messo su un bel casino -
constatò - Cosa avete fatto? Una rissa?
Senza attendere una risposta (che
comunque non avrebbe compreso) si girò di nuovo, e
posizionò la scala in un
punto non lontano dalla caldaia, e cominciò a salire.
"Ma cosa sta facendo?"
si chiese tra sé e sé il Deino "Non
c'è niente lì. Ma che mi importa poi.
Devo cercare di mettere Gregory davanti alla porta, non devo fare il
minimo
rumore.".
Tornò da Gregory, e ricominciò a
spingerlo, molto più piano stavolta, e soprattutto facendo
attenzione a fare il
tutto in silenzio.
Ma era più facile a dirsi che a
farsi. Causò involontariamente (o volontariamente, dipende
dai punti di vista)
vari fruscii e rumori sordi, e si meraviglio che l'uomo non si fosse
ancora
girato. Ma erano solo apparenze, poiché si era accorto
facilmente di quello che
il pokemon stava provando a fare.
- E' inutile che ci provi, tanto
so già di quella porta.
Aveva pronunciato quella frase
con tutta sicurezza, intento com'era ad armeggiare con qualcosa che
rasentava
il soffitto.
- Cosa pensavi? Secondo te come
avevo fatto a mettervi lì dentro? Vi sarete senz'altro
accorti che non ci sono
entrate a parte quella.
Si sentì un clik e
successivamente un pop
(come qualcosa che si stappa), e l'uomo tirò via qualcosa
dal muro. Fatto ciò,
cominciò a scendere la scala. Lloyd nel frattempo si
accasciò a terra, esausto
e frustrato per il fatto che i suoi sforzi per nascondere la loro unica
via di
fuga fossero falliti così miseramente.
- Bé, sappiate che è del tutto
inutile. E' bloccata dall'esterno. Sapete, all'inizio qui era un
porcile, e
quella era l'uscita. Ma poi ci pensò mio padre a dare una
ripulita. Se sperate
di scappare da lì vi sbagliate di grosso.
Lloyd lanciò uno sguardo carico
d'odio all'umano, digrignando nel frattempo i denti,
- Siete stati ingenui - continuò
lui, riprendendo sottobraccio la scala - A pensare di potervene andare
così
facilmente. - e riprese a salire le scale. Dopo una pausa teatrale
decisamente
ad effetto, quando stava per aprire la porta, si girò
un'ultima volta. La frase
che disse fece mandare in bestia il Deino.
- In effetti, ora che ci penso, è
questa la prova che gli uomini sono... anzi, erano superiori a voi...
mostri...
- e detto questo se ne andò, chiudendosi l'anta alle spalle.
"Quello stronzo, chi si
crede di essere!?!" pensò Lloyd, non avendo nemmeno
più la forza di
parlare "Gliela farò pagare... appena esco da qui...
vendicherò... mi...
ah... aspetta... ma... cos'è un porcile?".
E questo fu il suo ultimo
pensiero, poiché perse i sensi subito dopo.
***
Neville
sbuffò. Si era
dimenticato di portare da mangiare ai suoi "ospiti". "Del
resto" pensò "Mi servono vivi. Devo assolutamente scrivermi
da
qualche parte quello che devo fare, ultimamente la mia memoria fa
sempre più
cilecca. Poi, adesso che ci penso, non dovrò nemmeno
utilizzare il gas, quei
cinque si sono messi fuori combattimento da soli. Per una volta hanno
fatto
qualcosa di buono.".
Note dell'auore
E rieccoci qua, capitolo cinque. Perdonatemi se sono passati
settant'anni ma la pigrizia d'agosto si fa ancora sentire. Ma tanto
adesso ricomincia la scuola e andrà tutto bene.
Per coloro che stavano pensando che la trama stesse rallentando, eccovi
qualcosa su cui farvi delle domande. E voi lettori fantasma non mi
piacete per niente.
Ah, e rilancio la mia sfida: trovatemi il luogo esatto (ma quando
intendo esatto intendo ESATTO al 115%, voglio sapere la via, il numero
civico e anche l'età dell'albero che cresce lì
vicino) dove si svolge la storia e qualcosa di bello e gggiovane
potrebbe accadere.
A presto!
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Capitolo 7 *** Chapter 6: Emoctions ***
Chapter 6: Emoctions
Nonostante
fosse ormai notte fonda, Neville non si era ancora stancato di cercare
quel
libro. Aveva controllato due volte tutti gli scaffali, e adesso glie ne
restava
da esaminare solo uno. Il manoscritto doveva per forza di cose essere
tra
quella manciata di costole che sporgevano dalla struttura in legno. Si
mise
pazientemente ad esaminare i titoli uno per uno, finché non
trovò l'oggetto
desiderato.
Era un
voluminoso tomo dalla copertina unicamente verde, con alcune scritte a
carattere dorato. Il titolo era Il
baratro - La sindrome di Sigvardsson. Prese il libro
sottobraccio e se lo
portò sino in salotto, sistemandosi sulla poltrona davanti
al camino e
appoggiando il tomo sulle sue cosce. Lo aprì, e fu costretto
a soffiare via uno
spesso strato di polvere che eruppe non appena egli mosse la carta.
Guardò
l'indice, e provò a cercare il passo che lo interessava, non
trovando niente.
Cominciò allora ad aprirlo a casaccio, tanto per vedere se
la fortuna era dalla
sua. Aveva tutta la notte per farlo, per cui non ci sarebbero stati
problemi.
Lui e il sonno non erano mai andati d'accordo, spesso e volentieri lo
coglieva
quando non era il momento e non arrivava mai quando voleva riposare. E
questo
era uno di quei momenti.
Gettando
ogni tanto occhiate distratte allo scorrere dei numeri delle pagine,
alla fine
fu attirato da una frase, e seppe immediatamente che era quella la cosa
che gli
interessava.
Lo
psicanalista Olaf Sigvardsson scoprì nel
2102, dopo molti anni di accurate ricerche e svariati test su pazienti
ricoverati
in cliniche psichiatriche della Scandinavia, la sindrome che oggi porta
il suo
nome, conosciuta volgarmente come "Stato Berserk".
Il dottor Sigvardsson eseguì anche prove su
persone normali, e riscontrò che i sintomi erano gli stessi
e si verificavano
nella stessa modalità dei test precedenti, per questo
arrivò alla conclusione
che la sindrome è annidata in ogni uomo, donna o bambino.
Eseguì i medesimi
esperimenti su pokemon ed animali, e il risultato fu lo stesso.
"La sindrome" scrisse in un suo trattato
"è qualcosa di molto infido ed insidioso. Sono quelli che in
passato erano
definiti "raptus di follia". Questa "malattia" (anche se
non sarebbe corretto chiamarla così) colpisce
indistintamente dal sesso,
dall'etnia, dalla specie e da qualsivoglia fattore. Non è
contagiosa, ma è
inserita nel DNA di umani, pokemon e animali. Nessuno può
dirsi al
sicuro.".
Come scrisse il dottore, la sindrome non è
una malattia, ma tutti ne sono affetti, e tutti ne possono cadere
vittime
quando meno se l'aspettano.
Neville
saltò qualche pagina. Si ricordava di aver letto quel pezzo
una volta, e sapeva
che quel che gli premeva sapere era scritto alcune pagine dopo. E
infatti non
fece fatica a trovare ciò che cercava.
La
sindrome si manifesta attraverso scatti
d'ira incontrollati e violenza spontanea verso ciò che
circonda l'esemplare
colpito, compresi i simili. Fino alla fine del XXI secolo si pensava
che ciò
fosse dovuto all'insanità mentale dell'individuo, ma il
dottor Sigvardsson
dimostrò che anche persone perfettamente sane di mente e
pokemon e animali
molto docili potevano cadere preda della sindrome con gli stimoli
giusti.
Di solito la causa della sindrome è un grosso
ed improvviso shock, oppure un piccolo disturbo che va però
a far scoppiare uno
stato di tensione. La classica goccia che fa traboccare il vaso. Il
dottor
Sigvardsson scorpì anche che la sindrome può
essere attivata a comando tramite
un contatto sottocutaneo.
Grazie ai suoi studi infatti si venne a
sapere che ogni individuo ha un preciso punto del corpo che se
stimolato può
far scattare lo Stato Berserk. Questo varia da animale ad animale
(uomini e
pokemon compresi) e fattori come la genetica sono ininfluenti in questo
campo.
Per fare un esempio il dottor Sigvardsson prese in esame un caso
storico, ovvero
quello di Harald III di Norvegia, meglio noto come Harald Hardrada,
ossia "il
crudele, il pazzo, il sanguinario" nell'antico sassone. Il re
scandinavo è
noto per essere stato l'ultimo vero vichingo che la storia ricordi, ed
era
famoso soprattutto per la sua brama di sangue quando scendeva in
battaglia. In
realtà non faceva altro che entrare nello Stato Berserk
subito prima degli
scontri. Da un manoscritto ritrovato pochi anni fa si è
venuto a sapere che per
far scattare tale Stato poco prima della battaglia Harald si faceva
assestare
un poderoso pugno nello stomaco da uno dei suoi uomini, visto che era
proprio
quello il punto che permetteva alla sindrome di entrare in azione. Si
racconta
che oltre a centinaia di nemici anche molti dei suoi alleati finirono
preda
della sua furia omicida. Il re riusciva però sempre a
riaversi in tempo da
questo stato, ed una sola volta cadde completamente succube della
sindrome. E
quella fu la fine per lui. Nella Battaglia di Stamford Bridge del 1066
re
Harald, per la brama di uccidere il re rivale Aroldo II d'Inghilterra,
venne
ucciso da una freccia che gli si conficcò nel collo.
La sindrome di Sigvardsson si chiama anche
Stato Berserk anche a causa di re Harald. Infatti lo stato in cui il
soggetto
entra quando è colpito ricorda proprio quello dei Berserk,
leggendari guerrieri
del folklore vichingo, instancabili e sempre pronti alla battaglia.
Un
curioso effetto collaterale della sindrome
è quello di lasciare profondamente addormentato il soggetto
colpito, che può
restare nel mondo dei sogni finanche a tre giorni. Il suo perso
corporeo
inoltre può registrare un inspiegabile aumento, rendendo
difficili eventuali
spostamenti esercitati su di lui.
Come scatta, la sindrome può essere bloccata
nello stesso modo, ovvero venendo di nuovo a contatto con il punto
nevralgico.
Nella maggior parte dei casi il punto è lo stesso
dell'avvio, ma in rare
circostante può anche essere situato da un'altra parte. Nel
caso di re Harald
lo stomaco dava sia il via che lo stop ai raptus.
"Ci
avevo visto giusto" pensò l'uomo "Uno di quei pokemon deve
aver
subito uno shock e sarà entrato nello Stato Berserk. Un po'
li capisco, devono
aver accumulato un bel po' di nervosismo. Ma cazzo, adesso la
telecamera si è
sfasciata, e non potrò più tenerli d'occhio.
Maledetti mostri.".
Si
alzò, e rimise il libro dove l'aveva trovato. "Questo
sì che è un bel
problema. Non è da escludere che possa succedere di nuovo, e
in quel caso ho
paura che possano veramente sfondare la parete della cantina. Del
resto, con
tutte quelle infiltrazioni d'acqua non mi stupirei se ci fosse qualche
apertura
da allargare."
Si
buttò stancamente sulla poltrona. Si portò le
mani alla tempia, e cominciò a
massaggiarsela. "Merda, mi scoppia la testa. Cosa devo fare? Cosa devo
fare?
Neville
venne scosso da un brivido proveniente dall'interno del suo corpo. "E
no,
non mi sono dimenticato di te. Cazzo, sto anche finendo le pillole.
Quattro o
tre erano? Non ricordo. Tanto quel giorno è vicino, e una
pillola in più o in
meno non farà molta differenza. Certo, prima
è...".
Prima
di completare il pensiero "cadde" addormentato.
***
- E
così è caduto sul braccio rotto. Probabilmente
è quello il punto che gli fa
scatenare lo Stato.
- E
quindi è per questo.
- Già,
sembra proprio così.
Lloyd e
Finley stavano discutendo ormai da qualche tempo, un po' per ingannare
il tempo
un po' per distrarsi dalla fame. Gli stomaci erano infatti tornati a
brontolare, visto il lungo digiuno. Il giorno precedente non era certo
stata
una bella giornata per loro, con l'inutile cerca dell'uscita e la
"crisi" di Gregory (che tra l'altro stava ancora dormendo). Ne erano
usciti tutti stremati, e avevano dormito come degli Snorlax fino alla
mattina
successiva. E anche da svegli non si erano sentiti meglio. Lloyd in
particolare
si era sentito rintronato per un bel po' a causa di tutte le botte
prese
ultimamente, ma era anche infuriato per le parole dettegli dall'umano.
Aveva
giurato a sé stesso che una volta uscito da lì
l'avrebbe ucciso. Ma non solo
perché ce l'aveva con lui, ma anche per quello che stava
facendo a lui e ai
suoi amici.
- Ma
quindi l'umano sapeva già di questa porta?
- Pare
proprio di sì.
- E
quindi tutte le ore che abbiamo passato a cercarla sono state sprecate.
A
questo il Deino non rispose, poiché era abbastanza ovvio
quello che andava
detto. In definitiva era sì, avevano sprecato una giornata.
Del resto non
avevano avuto altro da fare, e stare in quello spazio ristretto poteva
rivelarsi alquanto noioso. Almeno sino a quel momento non avevano
sperimentato
momenti morti.
- E ha
avuto anche la faccia tosta di prenderti per i fondelli, quel bastardo.
Lloyd
si morse il labbro. Gliel'avrebbe pagata cara per questo affronto.
-
Quando riusciremo ad uscire - continuò il Rufflet - Glie la
faremo vedere noi a
quel figlio di buona madre. Gli faremo rimpiangere di essersi messo
contro la
Famiglia. Dico bene, Lloyd?
Il
Deino aveva perso la voglia di parlare, e fece cenno di sì
con la testa. Con un
movimento del capo il pokemon fece capire che era ora di finire
lì il discorso.
Erano entrambi spossati, e avevano bisogno di recuperare un po' di
energie. Per
il momento gli unici svegli erano loro, ma sarebbero volentieri tornati
nel
mondo dei sogni.
In quel
momento il Deino si sentiva come se fosse in un dopo sbornia. La testa
gli
girava e gli pulsava, non pensava lucidamente e a malapena riusciva a
tenere
gli occhi aperti.
Una
volta qualcuno aveva dimenticato una bottiglia di vino semivuota sul
tavolo
della cucina della loro casa, e il Deino, vedendo che non passava
nessuno,
l'aveva presa in bocca e l'aveva completamente svuotata del suo
contenuto. Un
po' l'aveva fatto perché era curioso di sentire il sapore e
anche perché non
voleva più essere astemio. Era stato un gesto stupido,
questo lo riconobbe in
seguito lui stesso. Visto che non aveva mai toccato in vita sua un
goccio di
alcol poco dopo era ubriaco fradicio, e aveva anche spaccato qualche
soprammobile a causa dei suoi attacchi incontrollati. Ci aveva pensato
Olston a
fermarlo, e successivamente gli aveva fatto ingerire a forza una
Baccaki.
In
seguito non ricordò quasi nulla, ma di una cosa era sicuro:
non si era mai
sentito peggio in vita sua. Dopo che ebbe mangiato la bacca
vomitò anche
l'anima, e giurò che non avrebbe mai più toccato
un goccio d'alcol, fosse vino,
birra, idromele, infuso di bacche o cose del genere. Anche se in quel
momento
pur di placare la fame si sarebbe bevuto anche la roccia fusa.
Un
ciuffo di pelo gli finì negli occhi. Se lo soffiò
via, e realizzò che i
"capelli" gli erano rapidamente ricresciuti. Quanto tempo era passato
dall'ultima volta che si era fatto dare una spuntatina? Un mese? Un
mese e
mezzo? Non se lo ricordava. Nonostante la situazione ci teneva ad
essere
presentabile, avrebbe chiesto al suo migliore amico di tagliarglieli di
nuovo.
Distese
la testa e si riaddormentò. Si risvegliò qualche
ora dopo, con il sole che
tramontava. A parte lui nessuno dava segni di vita (se si escludeva la
respirazione regolare). Nonostante fosse quasi un giorno intero che
tutti loro
dormivano, pareva che dovessero ancora rimettersi. Il Deino stava quasi
per
riaddormentarsi, quando vide qualcosa luccicare al di là
delle sbarre. Aguzzò
la vista per vedere meglio, e realizzò che si trattava di un
vassoio, come
quello che avevano ricevuto poco tempo addietro.
Nonostante
fosse affamato come un dannato, Lloyd non aveva ancora la forza per
rialzarsi.
"Ci penserà Irving dopo" pensò sbadigliando "Non
ce la
faccio". E crollò di nuovo. Gli sembrò di aver
chiuso gli occhi per appena
un secondo che di nuovo tornò al mondo reale.
Alzò stancamente la testa, e vide
gli altri, a poca distanza da lui che mangiavano. Evidentemente si
erano
serviti quando lui era ancora addormentato.
Abbassando
lo sguardo vide che un po' di cibaria era stata tenuta da parte
presumibilmente
per lui. Quasi sentendo l'odore, il suo stomaco brontolò
rumorosamente. Lloyd
era tentato di avventarsi sul cibo, ma qualcosa in lui lo fece
desistere da
quell'intento. Ce l'aveva ancora a morte con quell'umano, e aveva
deciso che
non avrebbe mai accettato nulla che fosse passato anche per le sue mani.
In base
a questo giuramento il Deino con noncuranza voltò il capo di
lato, con uno
sguardo a metà tra il sofferente e l'imbronciato. Non
avrebbe mai mangiato quel
cibo, visto che non si sarebbe mai abbassato ad elemosinare da mangiare
al suo
aguzzino. Voleva dare a vedere il suo orgoglio agli altri, e in fondo
sapeva di
star ricercando approvazione per il suo gesto simil-temerario. Ma
nessuno
sembrò farci molto caso.
- Ahem
- grugnì, cercando di richiamare l'attenzione degli altri. E
ancora non ottenne
nulla. Capì che doveva essere lui a parlare.
- Se
volete la potete prendere voi questa roba - disse con portamento fiero
- Io non
mangio.
Irving
fu l'unico che gli rivolse uno sguardo perplesso, salvo poi tornare a
consumare
il suo pasto.
"Ma
che hanno?" pensò infastidito il Deino.
- Avete
sentito? Lo potete prendere voi questo cibo. Hey, mi state ascoltando?!?
Questa
volta più di una testa si girò nella sua
direzione.
-
Perché non vuoi mangiare? - chiese Nellie ancora con la
bocca piena, facendo
schizzare anche alcune briciole di cibo.
- Non
accetterò nulla da quell'umano. E' una questione di
principio.
-
Quando si tratta di sopravvivere i principi e tutto il resto vanno a
farsi
fottere. - disse Irving, dissimulando tutto l'entusiasmo di Lloyd.
Con la
voce che traballava leggermente, il Deino provò a
continuare:- M-ma mi sono
deciso a fare così. Non voglio nulla da parte di quel...
quel bastardo. Anche
voi dovreste rifiutarvi di mangiare, se ciò andasse contro i
vostri ideali.
- Ideali?
- Irving stava quasi per ridere - Gli ideali ti riempiranno lo stomaco?
I
principi ti faranno tirare avanti? Come pensi di sopravvivere
nutrendoti solo
delle tue idee?
- Io...
-
Avremo anche la stessa età, ma io sono molto più
maturo di te. Smettila di fare
il cucciolo e cresci una volta per tutte. Quando si tratta di
sopravvivere si
deve fare qualsiasi cosa pur di rimanere in vita. - . Impressionato
dalle sue
stesse parole, il Sableye abbassò per un attimo i diamanti,
per poi ritornare a
consumare la sua porzione.
Tutti
ripresero a mangiare, tranne Lloyd. Quello abbassò la testa,
oscurandosi il
volto con il ciuffo di pelo. L'unico che continuava a guardarlo era
Finley,
timoroso di una possibile reazione violenta da parte dell'amico. Gli
doleva
ammetterlo, ma Irving aveva ragione: non ci si può riempire
lo stomaco con gli
ideali, era per questo che c'era il cibo vero. Ma capiva anche Lloyd,
infatti
anche lui ce l'aveva a morte con l'umano, e non vedeva l'ora di uscire
per
fargliela pagare. Però...
- Lloyd?
- provò a chiedergli.
Nessuna
risposta.
-
Lloyd? Mi senti?
Ancora
niente.
-
S-stai bene?
Quello
di cui il Rufflet aveva paura era che anche l'amico potesse cadere
nello Stato
Berserk. Già era bastato Gregory il giorno precedente, se
anche il Deino si fosse
comportato così per loro sarebbe stata morte certa, visto
che non avevano le
energie necessarie per affrontarlo. Ed era proprio per il timore di
innescare
il processo che il Rufflet si guardava bene anche solo dallo sfiorarlo.
Non
aveva la minima idea di quale fosse il "punto sensibile" di Lloyd, e
aveva paura di poterlo accidentalmente far infuriare.
-
L-lloyd? - provò a chiedere di nuovo.
- Hey
Fin!
La
reazione del Deino colse completamente di sorpresa Finley, che fece un
balzo
indietro. Tutto si sarebbe aspettato da lui meno che gli rispondesse
con
giubilo, sorridendo per di più.
Lo
guardò meglio. A prima vista sembrava un sorriso genuino e
sincero, e anche
l'espressione era abbastanza rilassata, anche se magari l'espressione
in
generale era un po' forzata.
-
Lloyd, sei sicuro di star bene?
- Certamente! - esclamò il Deino continuando a sorridere -
Ho riflettuto un po', e ho capito che Irving ha ragione! Devo mangiare,
ho una
fame! - e si avvicinò al proprio rancio. Chinò il
capo per afferrare una Baccamela
con la bocca, e senza tornare dritto cominciò a masticarla.
In tutto questo la
sua faccia era sempre rimasta al di sotto dell'ombra del ciuffo.
Finley
non era del tutto convinto. Non era da Lloyd fare così, in
una situazione
normale avrebbe reagito in modo decisamente diverso. Ma quella non era
di certo
una situazione normale.
Stava
quasi per andarsene, quando l'attenzione del pokemon Aquilotto venne
attirata
da qualcosa che luccicava alla luce delle fiamme della caldaia.
Guardò meglio,
e si accorse che era una lacrima. In quel preciso momento un'altra
perla
luccicante andò ad impattare sul pavimento, e il Ruffet
realizzò subito da dove
provenivano. Il suo amico stava piangendo. Non emetteva nemmeno un
gemito, ma
le lacrime gli scivolavano lungo il viso, magari inerpicandosi anche
sui
riccioli e andando infine a cadere per terra.
-
Lloyd?
Il
Deino continuò a mangiare. E a piangere silenziosamente.
Nessuno sembrava
essersene accorto oltre Finley.
Il
Rufflet allora provò a ripetergli la domanda: - Lloyd?
Sicuro di sentirti bene?
- abbassando leggermente la voce e avvicinandoglisi.
-
Lloyd?
Dopo il
terzo tentativo finalmente ci fu una reazione visibile nel Deino.
Voltò la
testa verso di lui, facendo scivolare il ciuffo di lato, e
cominciò a fissarlo.
La prima cosa che a Finley apparve evidente era il fatto che Lloyd
aveva gli
occhi lucidi, e una leggera traccia d'acqua era presente dove i
lacrimoni erano
scivolati giù.
- Ha
ragione Fin... - cominciò a singhiozzare Lloyd - Ha
ragione... quel bastardo ha
ragione... quel bastardo... ha ragione... quel bastardo ha ragione...
Un
singhiozzante Lloyd si accasciò a terra, portandosi le zampe
anteriori alla
testa e sgranando gli occhi. - Ha ragione... ha ragione... - continuava
a
farneticare. Non piangeva in modo rumoroso, tanto che si sentiva
appena. Finley
si guardò attorno. Nellie ed Irving stavano ancora
mangiando, mentre Gregory
non si era ancora svegliato. Solo lui si era accorto della crisi
dell'amico.
Decise
che non lo poteva lasciare in quello stato.
- Lloyd...
- Ha
ragione... ha ragione... - lo ignorò lui, continuando a
fissare con occhi
lucidi il vuoto davanti a sé.
Finley
gli mise un'ala sulla spalla. - Lloyd - . Il suo non era un tentativo
di
richiamare l'attenzione, bensì qualcosa di più.
Aveva intenzione di risollevare
il suo morale. E ci sarebbe riuscito.
- Lloyd
- ripetè.
Questa
volta il Deino voltò leggermente la testa, mordendosi un
labbro per cercare di
trattenersi. Si vergognava molto di farsi vedere così. Ma
tutto lo stress
accumulato negli ultimi giorni aveva finalmente trovato una valvola di
sfogo, e
nonostante gli sforzi le lacrime continuavano ad uscire e gli occhi a
luccicare.
- Non
fare così. E' esattamente questo che vuole quel bastardo.
Facendo così gli dai
solo soddisfazione. E tu gli vuoi forse dare soddisfazione?
Lloyd
strinse i denti, e abbassò la testa. Le lacrime continuavano
imperterrite a
scendere dal suo volto.
- Lo so
Fin, lo so... ma non ce la faccio... non ce la faccio...
Il
Rufflet gli diede qualche pacca sulle spalle. - Devi cercare di tirarti
su -
gli disse - Non puoi ridurti così. Guardati. E' questo il
Lloyd che conosco? Tu
ti comporteresti così? - .
Lloyd
alzò di nuovo la testa. - Cosa devo fare Fin? Cosa devo
fare? Non ce la sto
facendo più... sto impazzendo... aiutami, ti prego...
- Certo
Lloyd, puoi contare su di me. Siamo amici in fondo, no?
Il
Deino si asciugò gli occhi con una zampa.
- Te lo
ricordi il nostro vecchio motto? - gli chiese.
-
Certamente. Come siamo noi due?
- Siamo
amici.
- No,
ti sbagli.
- Hai
ragione, siamo più che amici.
Lloyd
sorrise. Quasi per miracolo Finley era riuscito a tirarlo su di morale.
E
pensare che aveva egli stesso dubitato di lui. Finley, vedendo il suo
amico
felice, non poté far altro che ricambiare il sorriso.
"Meno
male, ci sono riuscito" pensò il Rufflet tirando un sospiro
di sollievo. -
Dai - gli disse poi - Va a mangiare, che ne hai bisogno.
-
Hmm... ok...
Nonostante
fosse ancora un po' mogio, il Deino si rimise a consumare il suo pasto.
"Almeno adesso si è tranquillizzato un po'. "
pensò tra sé e sé
Finley "Speriamo solo che non risucceda. Non so se sarei in grado di
calmarlo di nuovo. Lui... " ma si astenne dal terminare il pensiero.
|
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Capitolo 8 *** Chapter 7: Everyone out ***
Chapter 7: Everyone out
-
...ed ecco fatto. Così dovresti
andare bene.
- In effetti ci vedo già meglio,
grazie Fin.
- Alla fin fine serve a qualcosa
l'attacco Lacerazione.
La seduta di Lloyd dal
"barbiere" era appena terminata, e adesso il suo ciuffo molesto era
stato definitivamente tagliato. Così adesso era tornato a
portare il
"taglio di capelli" più corto in modo che si potessero
vedere bene i
suoi occhi. Adesso si sentiva meglio, quasi più in pace con
sé stesso. Adesso
era ben determinato a trovare una via di fuga, e non farsi
più piegare come il
giorno precedente.
Però il fatto era che avevano già
sprecato un giorno intero a controllare la cella ed era stato solo
tutto tempo
sprecato. L'unica cosa che avevano trovato era la porticina, ma stando
alle
affermazioni dell'umano sarebbe stato inutile anche solo tentare di
forzarla.
D'altro canto non si poteva di certo fidare di lui, ma quella porta era
l'unica
via di fuga visibile, e almeno dovevano provare a sfondarla.
Lloyd espose la situazione
all'amico.
- Già, bella merda. E quindi? Che
facciamo?
- L'unica cosa che sembra
possibile: provare a sfondare la porta.
- Hai ragione, possiamo provare
solo quello. Ma chi lo fa?
- Lo faccio io. Provo a caricare
con Bottintesta, ma non sono sicuro che funzionerà.
- Provare non costa nulla.
Il Deino non rispose, mettendosi
invece in posizione, pronto a partire. Arrivò quasi ad
appiattirsi per darsi
poi più slancio al momento dello scatto, e gettò
di sottecchi uno sguardo alla
porta per essere sicuro di prendere la direzione giusta.
Dopo pochi attimi, si decise a
partire, e diede un potente slancio alle zampe posteriori.
Digrignò i denti con
un fastidioso stridio, e chiuse gli occhi per avere una maggiore
concentrazione. Passarono a malapena due secondi e il cranio del
pokemon
impattò contro la dura parete di roccia. Si sentì
distintamente uno
scricchiolio nelle pietre che la formavano, ma non si mosse di un
millimetro.
Lloyd invece si accasciò a terra tenendosi la testa con le
zampe anteriori,
urlando e lamentandosi per il dolore provocato dalla forte botta.
- Aaaaaaah!!! Porca merda! La mia
testa! La mia testa!
Finley corse immediatamente in
contro all'amico, tentando di prestargli soccorso.
- Lloyd! Stai bene?
- No, porco Arceus! Non si è
manco mossa 'sta cazzo di porta!
- E che ti aspettavi - disse
Irving, rintanato nel suo spazio - Quell'umano sarà anche un
bastardo, ma
stando a quanto so diceva la verità.
- Tu non sai niente! - gli urlò
in faccia Lloyd - Solo io c'ero quando ho parlato con lui.
- In realtà, per essere precisi -
controbatté il Sableye - c'eravamo anche io e gli altri.
Solo che non eravamo
coscienti.
"Brutto pezzo di..."
pensò Lloyd tra sé e sé, trattenendosi
a stento dal lanciargli addosso un
Dragopulsar. Fortunatamente in quel momento si mise di mezzo Finley,
che tentò
di risolvere quella situazione con un po' di sano buonsenso.
- Dai, ragazzi - disse - Non fate
così. E' esattamente quello che lui vuole.
Lloyd lanciò uno sguardo assetato
di sangue a Irving, che dal canto suo lo fissò intensamente
con la sua
espressione difficile da decifrare (non avendo né iride
né pupilla ma solo due
grossi diamanti al posto degli occhi era abbastanza arduo farsi un'idea
di cosa
provasse). Anche se dalla piega che aveva preso la sua bocca era
abbastanza
evidente il suo disappunto.
Rivolgendosi in particolare a
Lloyd, Finley si mise di mezzo ai due, allungando le ali come a formare
uno
scudo.
- Basta così - e fissò Lloyd -
Adesso basta così.
Il Deino sospirò.
- Va bene, basta così. Grazie, mi
ci voleva proprio.
"Però la testa continua a
farmi male. Anzi, credo che mi sia venuto anche un bernoccolo."
pensò
Lloyd un po' scocciato.
- Ok.
Stroncato sul nascere il
probabile litigio, Finley si ritirò. Si voltò
verso il muro, ma Lloyd fece in
tempo a scorgere la sua espressione meditabonda e concentrata. "Si sta
sicuramente spaccando il cervello molto più di me.
Però, cazzo, abbiamo
guardato dappertutto. Non è possibile che abbiamo
tralasciato qualcosa, non è
poi così grande questa stanza.".
E invece, come gli fu dimostrato
qualche ora dopo, qualcosa lo avevano trascurato, e in modo anche
abbastanza
grossolano.
Due o tre ore dopo il silenzio
che regnava nella zona fu scosso da dei rombi lontani.
"Un altro temporale"
pensò Lloyd, il quale si era appisolato non sapendo bene
cosa fare ed era stato
risvegliato dal rumore.
In breve tempo la luce del sole
che filtrava dal vetro della finestra si venne pian piano ad oscurare.
Al suo
posto subentrò un cupo grigiore, e ben presto il ticchettare
della pioggia creò
un monotono sottofondo.
Ed esattamente come alcuni giorni
prima si creò un ruscelletto che da sotto la finestra
formava una piccola
cascata. Essa andò a formare delle minuscole pozzanghere,
una delle quali a
poca distanza da Lloyd. Egli alzò leggermente la testa, quel
tanto che bastava
a specchiarvisi. Si guardò attentamente il ciuffo, come per
valutare se il suo
amico avesse fatto un buon lavoro.
L'intera operazione durò poco più
di un minuto, e una volta che si fu osservato abbastanza
tornò ad adagiare la
testa sul freddo pavimento, fissando un punto imprecisato davanti a
sé. Arrivò
quasi ad addormentarsi di nuovo a causa del lento, costante ed anche un
po'
rilassante rumore dell'acqua che scorreva e della pioggia che cadeva
sul
terreno esterno.
"Acqua che scorre..."
pensò lentamente, facendo fatica ad articolare i pensieri a
causa della
stanchezza "Ho sete... non ce la faccio ad alzarmi...". Tutta
l'energia di poco prima era svanita in poco tempo, e adesso il Deino si
ritrovava ridotto ad uno straccio. Anche gli altri erano nelle stesse
sue condizioni.
E Gregory dormiva ancora.
"Ho capito perché...
quell'umano ci da... da mangiare un giorno sì... e uno no...
ci sta
sfiancando... non gli basta tenerci rinchiusi qui... e ho ancora
sete...".
Il ritmo a cui concepiva le sue
riflessioni si faceva sempre più lento ed impastato.
"Sete... sete...
acqua... sete... acqua... ruscello... ruscello... finestra...
temporale...
l'acqua passa... sotto... la finestra...".
E fu allora che concepì. "Ma
certo!". Si alzò di scatto, e fece per battersi la zampa
sulla testa come
a volersi punire per quella sua svista. "Se l'acqua passa sotto la
finestra... vuol dire che... ci deve essere un buco!".
Giubilante per aver trovato la
possibile soluzione ai loro problemi, il pokemon corse ad avvisare gli
altri.
- Ragazzi! Ragazzi! - . Pur di
svegliarli (perché erano tutti crollati per la stanchezza)
ricorse anche
all'attacco Bottintesta. La cosa che aveva scoperta era troppo
importante per
poter aspettare.
- Ragazzi!
- Lloyd... - la prima a
svegliarsi fu Nellie - Che... succede...?
- Presto Nellie! - il pokemon
Impeto non riusciva a trattenere la sua eccitazione - Aiutami a
svegliare gli
altri!
- Ma... perché? Che succede? -
chiese la Torchic, ancora spaesata ed intontita.
- Penso di aver trovato il modo
per andarcene di qui!
Tempo
cinque minuti e tutti erano
in piedi e pronti ad ascoltare quello che Lloyd aveva da dire. Persino
Gregory,
agli spintoni che gli aveva riservato Irving, si era mosso un po',
sembrando
sul punto di riprendere conoscenza.
- Allora - cominciò il Deino - ho
capito come ce ne possiamo andare.
- Come? - chiese impaziente
Finley.
- Guardate là - disse Lloyd,
accennando al ruscello alle proprie spalle - Lo vedete, no?
- Poche cazzate, arriva al dunque
- fece impaziente il Sableye.
- Sì, sì. Guardate un po' da dove
proviene.
Tutti alzarono lo sguardo verso
la finestra. La pioggia continuava ad impattare contro il vetro
ticchettando
sonoramente. Gli sguardi di tutti erano perplessi, a parte quello di
Irving,
che aveva assunto un'aria pensierosa.
- E allora? - domandò Nellie - Io
non ci vedo nulla di strano, a parte che...
- ...l'acqua scorre da fuori. -
continuò Irving al posto suo, il quale aveva capito dove il
Deino voleva andare
a parare - E ciò significa che...
- ...che c'è un buco! E se c'è un
buco possiamo provare ad uscire di lì!
Finley, che fino a quel momento
era rimasto ad osservare la finestra, abbassò lo sguardo e
assunse
un'espressione soddisfatta, come per dire "Finalmente, era ora!".
Nellie invece rimase dubbiosa.
- Anche se ci fosse un buco -
disse - sarà largo al massimo due millimetri. E noi siamo
più grossi di due
millimetri. - .
- A questo - fece Irving,
acquisendo di nuovo la sua insopportabile aria saccente - si
può porre rimedio.
Se c'è un buco, lo si può allargare.
- E come, signor sotuttoio? Sarà ad
almeno quattro metri da terra.
- Beh... - il Sableye sembrava
aver perso il filo, ma riacquistò quasi subito la sua
sicurezza - Basta che
qualcuno salga fin lassù. E a proposito di "Fin"... - e si
girò,
fissando Finley.
Lloyd e Nellie capirono al volo il
suo ragionamento, e si voltarono anch'essi a guardare il compagno.
Sentendosi
osservato, il pokemon Aquilotto arrossì.
- C-come mai state tutti
guardando me?
***
"E
ti pareva" pensò
Neville, svegliatosi dall'ennesimo pisolino indesiderato. Si
alzò in piedi,
stiracchiandosi. Si sentiva tutto indolenzito, e fece anche un sonoro
sbadiglio. Si tolse una lacrima di sonno da un occhio con un rapido
gesto della
mano e si stropicciò la faccia. Questo problema del sonno
facile l'aveva sempre
avuto, ma sarebbe durato ancora per poco se tutto fosse andato liscio.
"Mi devo sgranchire le
braccia" pensò "Penso che suonerò un po'. Erano
giorni che non
toccavo il mio adorato violino.".
Si diresse verso la sua camera da
letto, dove l'aveva lasciato l'ultima volta che l'aveva utilizzato. La
sua non
era una casa enorme, ma era più che sufficiente per lui. Era
composta dalla
cantina (dove teneva rinchiusi i "mostri"), dal piano terra e dal
primo piano. Al piano terra aveva la cucina, il salotto, uno stanzino e
il suo
studio-biblioteca, mentre al piano superiore c'erano il bagno e la sua
camera
da letto. Ci stava abitando da vari anni oramai, molto dopo di quando erano morti i suoi genitori e suo zio. Erano anni ormai che era rimasto solo.
L'uomo salì le scale. Con molta
fatica ma infine ce la fece. L'età si stava cominciando a
far decisamente
sentire, e il fatto che le scale fossero anche molto ripide non aiutava
di
certo. Si aggrappò alla ringhiera con tutte le forze e si
issò fino al piano
superiore. Il fatto che il suo cuore non fosse poi così in
forma era un'altra
variabile di cui tenere in conto. Stette un attimo a riprendere fiato,
mentre
dalla tasca tirava fuori il suo barattolo con le pillole. Ne
ingoiò una,
dopodiché fece respiri lunghi e profondi. Pochi attimi prima
aveva sentito una
fitta al petto che l'aveva spaventato, e per non rischiare aveva deciso
di
prendere un'altra capsula.
Si avviò verso la sua camera da
letto, vi entrò e si sedette sul materasso.
Guardò stancamente il violino
appoggiato sul comodino, ma non allungò il braccio per
afferrarlo. Si sentiva
decisamente troppo stanco, così si lasciò cadere
all'indietro. Finì lungo
disteso, e cominciò a guardare il soffitto. Si mise a
pensare. A pensare a
molte cose, e perse presto il filo conduttore.
Finalmente si decise. Si rimise
dritto e prese violino ed archetto. Posizionò il violino
sotto il mento e prese
in mano l'asticella. "Merda" pensò "Ho lasciato
giù gli
spartiti, e non ho intenzione di fare di nuovo le scale. Fanculo, lo
faccio a
memoria".
E gli riuscì egregiamente. Era
come se avesse ogni singola nota stampata nel cervello, tanto eseguiva
perfettamente la traccia. Del resto era l'unica che sapeva a menadito.
E senza
accorgersene si mise pure a cantare ad un volume molto basso.
-
Portobello Road... Portobello Road...
Street where the riches of ages are stowed...
Si ricordava molto bene di quella
canzone. Suo padre glie la cantava sempre per farlo addormentare quando
ancora
era molto piccola. Ma non si limitava a questo. Qualche volta prima,
oppure
dopo aver terminato di intonare i versi, gli descriveva questa
fantomatica
strada. Gli raccontava di quando lui era piccolo, e suo padre lo
portava al
grande mercato di Portobello Road, quando ancora vivevano nelle
città. Gli
descriveva i sentimenti che aveva provato, la curiosità e la
meraviglia che
aveva quando esaminava le merci, l'estasi a vedere le interminabili
contrattazioni tra venditori e compratori, la felicità sul
volto delle persone.
Tutti sentimenti che riusciva a trasmettere al suo piccolo pargolo.
Col passare del tempo il piccolo
pargolo era diventato un uomo e quei sentimenti erano svaniti. L'unica
cosa che
era rimasta quella canzone. L'unica cosa che ancora conservava di suo
padre.
Non aveva né foto, né ritratti dei suoi genitori,
né di suo zio. Anzi, di quest'ultimo
e sua madre non aveva proprio nulla, se non i ricordi. Invece di suo
padre
conservava anche quella canzone. Spesso Neville si metteva a cantarla
sommessamente, e tra sé e sé si chiedeva se un
giorno ci sarebbe mai andato, in
questa fantomatica Portobello Road. Si chiedeva persino se non c'era
già
passato senza saperlo quando ancora perlustrava le rovine delle
metropoli alla
ricerca di cibo ed oggetti utili per sopravvivere. Una volta aveva
pensato
persino che suo padre si potesse essere inventato tutto, magari solo
per
compiacerlo e poterlo intrattenere. Aveva subito rifiutato
categoricamente
questa ipotesi. Suo padre non l'avrebbe mai fatto. Non a lui.
-
You'll find what you
want in the Portobello Road...
Senza accorgersene aveva
terminato di cantare. In fondo il testo non era poi così
lungo, per cui era
normale che avesse già finito. Terminò di suonare
pochi secondi dopo,
prolungando ancora un poco la melodia per farla andare a tempo e non
stonare
con il sottofondo cantato appena terminato.
Finita anche quella operazione
posò il tutto sul letto accanto a sé. In seguito
guardò fuori dalla finestra.
La pioggia che fino a poco prima aveva bagnato l'esterno della casa era
finalmente cessata.
"Forza, devo andare a
controllare che il temporale non abbia fatto danni.".
Si alzò, anche se di malavoglia,
cercando di convincersi che quello che stava per fare sarebbe stato
utile al
suo obbiettivo finale. Si imbacuccò per bene nei suoi
vestiti pesanti ed uscì.
Camminò in direzione sud, ovvero verso il lago.
Continuò dritto per circa una
decina di minuti, per poi curvare bruscamente a sinistra una volta
terminato di
scendere il rialzamento sul quale si trovava. Continuò
nuovamente in quella
direzione, fino ad arrivare ad una forra semi-nascosta dall'ombra della
montagna. Si spostò con cautela sino al bordo della buca,
sporgendosi
leggermente per guardare di sotto. Nonostante la poca luce
riuscì ugualmente a
scorgere lo spettacolo sottostante.
"Anche da qui i danni sono
chiari". Si alzò e si voltò verso il sole "E sta
anche tramontando,
merda. Meglio di così non può andare. Meglio che
mi sbrigo.".
Più frustrato che arrabbiato,
Neville prese a scendere faticosamente verso il fondo della profonda
fossa.
***
Finalmente,
dopo circa quattro
attacchi Facciata, il vetro della finestra si incrinò. Ed
era strano che ce si
fosse solo crepato il vetro, vista la potenza degli attacchi. Ma Finley
non
stette certo ad osservare il risultato del suo lavoro, visto che quegli
attacchi in successione, mentre volava per di più, l'avevano
debilitato molto.
E a quel punto smise di sbattere le ali per la stanchezza.
Lloyd seppe immediatamente cosa
fare. Si portò nella sua traiettoria e gli attutì
la caduta, un po' come aveva
fatto alcuni giorni prima quando il pokemon Aquilotto aveva sbirciato
dalla
finestra per lui.
Una volta preso lo posò quanto
più delicatamente poté a terra,
dopodiché si rivolse a Nellie ed Irving.
- Allora, avete capito cosa
dovete fare?
- Certo, "capo". -
rispose il Sableye con un filo di astio.
- Certamente - disse la Torchic
in modo più garbato.
Il Deino si girò di nuovo verso
Finley.
- Grazie, adesso ci pensiamo noi.
Il volatile stava riprendendo
fiato per lo sforzo appena fatto. Doveva sicuramente essere molto
spossato, ma
trovò ugualmente le energie per rispondere all'amico.
- Sicuro che non vuoi... che dia
una mano?
- Nah, hai già fatto abbastanza -
rispose Lloyd, dandogli un buffetto amichevole sulla spalla. "Molto
più di
quanto avrei mai osato sperare".
- Pronti? - chiese agli altri.
- Pronti. - risposero loro
all'unisono.
Tutti e tre si concentrarono, e
Lloyd ripercorse velocemente le loro azioni precedenti. Subito dopo
aver
intuito che c'era una falla nella sicurezza, erano riusciti a trovare
il modo
di sfruttarla a loro vantaggio. Avevano innanzitutto mandato Finley in
volo
prima a verificare se il cosiddetto buco c'era davvero, per poi dirgli
di
allargarlo con l'attacco Facciata, ovvero la sua mossa più
potente. Se ne
volevano andare di lì in fretta, e non gli importava di
agire silenziosamente.
Una volta che il loro compagno avesse terminato il lavoro, loro
sarebbero
passati all'azione, sfoderando i loro attacchi più potenti e
concentrandoli
verso quel punto debole. Ovviamente avevano anche provveduto a mettere
al
sicuro Gregory (che ancora dormiva) dall'eventuale pioggia di
calcinacci.
Il Deino alzò lo sguardo verso la
piccola finestra, ed osservò attentamente l'incrinatura.
Quel vetro doveva
essere molto più resistente di quanto potesse sembrare,
forse era stato
ancorato ben bene ai muri quando era stato costruito. Lloyd assunse
un'espressione risoluta. Avrebbe distrutto quel vetro a tutti i costi,
e magari
anche il muro intorno. Ormai a separarlo dalla libertà
c'erano solo pochi
centimetri di mattoni, e non sarebbero stati certo quelli a fermarlo.
- Al mio tre. - decretò.
Un attimo di silenzio.
- Uno...
Sbirciò di sottecchi gli altri.
Nellie si era piegata leggermente, come per darsi uno slancio.
- Due...
Irving dondolava leggermente le
mani, e i suoi diamanti luccicavano.
- TRE!!!
Lloyd aprì immediatamente la
bocca, e in pochi secondi si formò una sfera viola che venne
lanciata a tutta
velocità verso l'alto. Nellie aprì anch'essa il
becco, dal quale scaturì una
potente fiammata, che in un turbine esplosivo si diresse verso la
finestra.
Irving invece allargò il palmo della mano destra, nella
quale andò a formarsi
dapprima un piccolo nucleo poi sempre più grande, e prese a
girare velocemente
su sé stesso per poi lanciare la sfera alla stessa maniera
di Lloyd.
Tutti restarono col fiato sospeso
per un attimo. Gli attacchi Dragopulsar, Lanciafiamme e Palla Ombra
colpirono
contemporaneamente il vetro già messo male, frantumandolo
del tutto. Oltre alla
finestra anche molto del muro circostante esplose, creando una violenta
pioggia
di calce, polvere, cocci e chi più ne ha più ne
metta.
- Giù! - urlò Lloyd, buttandosi a
terra e coprendosi la testa con le zampe. Non vide cosa fecero gli
altri,
poiché chiuse gli occhi quasi istantaneamente per evitare
che della polvere gli
entrasse nelle orbite e di conseguenza finisse accecato.
Il fragore dell'esplosione
riecheggiò per le terre circostanti per almeno mezzo minuto,
e gli echi delle
valli contigue contribuirono ad amplificare ancora di più il
suono. Lloyd sentì
ogni singolo rumore di schianto, e percepì ogni singola
vibrazione creata dai
calcinacci che impattavano col suolo.
Come era iniziato, d'un tratto il
bombardamento cessò. Lloyd però
aspettò alcuni secondi prima di riaprire gli
occhi per essere sicuro che fosse davvero finita. Finalmente, quando il
silenzio tornò a regnare, sollevò le palpebre.
Un fresco venticello gli
accarezzò i ciuffi di pelliccia, causandogli un piacevole
solletico. La
temperatura si era raffreddata rispetto a prima, e il suo respiro si
condensava
in piccole nuvolette di vapore acqueo.
- Non... non posso crederci...
Anche gli altri stavano provando
a rialzarsi.
- Guardate... - fece Lloyd,
indicando un punto davanti a sé. Dove prima c'era la
finestra, adesso c'era un
grosso buco, largo un paio di metri e lungo un po' meno di tre.
- L-l'esterno... s-iamo...
liberi...
***
KABOOM!!!
Il forte rumore fece sobbalzare
per la paura il povero Neville, chino ad armeggiare con i suoi attrezzi
da
lavoro. Alzò immediatamente la testa. Dal fondo della forra
non poteva vedere
cosa era successo, ma aveva capito la direzione dalla quale proveniva
il suono.
Ed aveva anche un brutto presentimento.
"Merda! Cosa cazzo è
successo!?!".
Lasciando perdere tutto, si mise
a scalare le pareti del burrone come se non ci fosse un domani.
***
Tempo
tre minuti ed erano già
tutti fuori. Tutti tranne Lloyd e Gregory.
Della parete dove una volta c'era
la finestra adesso rimaneva poco più di un metro di muro a
separarli dalla
libertà. Sfortunatamente erano tutti molto bassi, per cui
avevano deciso che il
più alto tra loro avrebbe fatto da scaletta per favorire la
salita degli altri.
Ed il più alto era risultato essere Lloyd.
Anche se di malavoglia il pokemon
Impeto si era posizionato al di sotto del moncone di muro, permettendo
agli
altri di scavalcarlo e di uscire. Adesso che tutti gli altri erano
passati
mancava solo lui.
Stava quasi andare, quando si
ricordò di Gregory. Si voltò a guardarlo, e con
stupore constatò che nonostante
tutta la confusione che avevano creato il Dewott ancora non aveva
ripreso
conoscenza. Fece per avanzare verso di lui, quando il richiamo di
Irving lo
bloccò.
- Lloyd, muoviti! Andiamocene!
- Ma c'è ancora Gregory... - fece
il Deino girandosi.
- Chi se ne frega di lui! Forza,
vieni!
- Ma...
Lloyd si volto ancora verso
Gregory. Nonostante non risultasse molto simpatico (né a lui
né a nessun altro)
non lo voleva abbandonare. E di certo non alle grinfie di quell'umano.
Ignorando i richiami del Sableye il Deino si avviò verso il
compagno
addormentato.
- Pezzo d'imbecille, cosa stai
facendo?!? Vieni via!
Lloyd lo ignorò, ma un altra voce
lo fece nuovamente bloccare.
- Ha ragione, Lloyd! Quello che
intende è che ci rallenterebbe e basta! Non ce lo possiamo
portare dietro!
"No Fin... anche tu
no...". Da tutti si aspettava una cosa del genere meno che da lui.
- Forza Lloyd! Andiamocene!
Il Deino digrignò i denti,
frustrato, per poi voltarsi. "Tornerò a prenderti" promise
mentalmente a Gregory, anche se più a sé stesso
che a lui "Tornerò".
Note dell'autore
E questo non è nulla, aspettate di vedere cosa
verrà dopo.
Piccolo annuncio, siamo a circa un terzo della storia. Quindi direi che
almeno una ventina di capitoli ci scappano. Purtroppo al mio ritmo
attuale dovrei terminare di scrivere... hm, sì, diciamo pure
fra un anno, visto che faccio più o meno due capitoli al
mese. Per questo ho intenzione di aumentare un po' il ritmo e di
portare i capitoli mensili da due a tre. Dubito di farcela ma tentare
non costa nulla.
Ah, un'altra cosa, qualcuno di voi mi può gentilmente dire
quanto tempo è passato esattamente da quando sono stati
rapiti, che da bravo autore quale sono me ne sono dimenticato?
|
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Capitolo 9 *** Chapter 8: Escaping ***
Chapter 8: Escaping
Quando
erano scappati da quella
casa gli ultimi raggi di sole faticavano ancora a morire, mentre in
quel
momento l'astro era definitivamente tramontato, lasciando spazio al
buio della
notte. Nonostante l'oscurità stesse man mano facendosi
più intensa, i quattro
continuavano a correre, imperterriti. Lo stavano facendo oramai da
diversi
minuti, e dall'evasione non si erano mai fermati.
Lloyd era quello più lento, al
punto di rimanere diversi metri indietro rispetto agli altri,
nonostante le sue
quattro zampe e quindi la (teorica) maggiore propulsione. Era
probabilmente
colpa della stanchezza accumulata durante i giorni di prigionia, anche
se forse
il senso di colpa per aver abbandonato Gregory lo stava facendo frenare
un po'.
E sicuramente il fatto di essersi ferito una zampa con una scheggia di
vetro
mentre usciva dalla cella non aiutava. Ogni tanto si voltava e vedeva
delle
piccole macchie di sangue sull'erba lucente di rugiada mattutina. Il
suo
sangue.
Il Deino comunque ce la stava
mettendo tutta, avanzando a testa bassa per le collinette brulle.
Riusciva a
malapena a tenere gli occhi aperti, e il vento gli sferzava la faccia,
facendolo lacrimare. Ma le lacrime scendevano anche per la sofferta
decisione
di poco prima. Erano un misto insomma. Il pokemon era anche confuso.
Non
riusciva ad articolare nemmeno una semplice parola nella sua testa, la
sua
concentrazione era totalmente dedita verso un unico impulso: correre.
Si può
dire che Lloyd era in preda ad un turbine di emozioni. Un turbine
vorticoso ed
intricato. Un turbine potenzialmente pericoloso, sia per lui che per
gli altri.
La distanza tra di lui e i
compagni stava man mano aumentando, esattamente come
l'oscurità attorno a lui.
Chiuse gli occhi con maggior forza e provò ad avanzare
più velocemente, senza tuttavia
ottenere risultati significativi. Gli prese il fiatone, e
cominciò a respirare
a grandi boccate. Presto però cominciò ad
avvertire un dolore lancinante al
fianco, un dolore che cominciò a stremarlo, ed anche la
ferita alla zampa si
fece sentire.
Ad un certo punto le ultime forze
residue sembrarono abbandonarlo definitivamente. Le gambe si
rifiutarono di
fare altri passi, bloccandosi quasi come se fossero indipendenti da
lui. Per un
attimo il pokemon restò impietrito sul posto, respirando
affannosamente. Rovinò
poi di lato con un tonfo sordo, continuando ad ansimare, e ripiegandosi
su sé
stesso nel vano tentativo di alleviare il dolore. Con un filo di voce
provò a
chiedere aiuto, ma essendo appunto un filo nessuno lo udì.
Poi svenne.
***
Anche
Finley provava le stesse
sensazioni di Lloyd. Con le zampe che si ritrovava riusciva a malapena
a
camminare in maniera stentata, e a correre poi era impedito, per cui
alternava
una corsa traballante a dei brevi battiti di ali. Non aveva forza
né per l'uno
né per l'altro, per cui, quando sentì che stava
per collassare, si fermò,
appoggiandosi ad un albero per riprendere fiato.
- A-aspettate... - chiese, quasi
implorando.
Gli altri non erano certo messi
poi tanto meglio di lui, per cui alla sua richiesta acconsentirono di
buon
grado. Quando il Rufflet si fu ristabilito un po', si guardò
attorno, tenendosi
comunque un'ala al petto poiché respirare gli costava ancora
un po' di fatica.
Erano giunti sul limitare di una foresta a prima vista molto estesa.
Alla sua
destra un monte, alto all'incirca cinquecento metri, sulla cui cima si
poteva
intravedere qualche abbozzo di neve (ed un lago, tanto per cambiare).
Alla sua
sinistra invece il lago Benan Rahm, le cui acque parevano gelide anche
ad
occhio.
- State tutti bene? - chiese il
Rufflet agli altri. Nellie annuì tra un rantolo e l'altro,
mentre Irving,
anch'esso piegato in due dalla fatica, si limitò ad emettere
un grugnito.
- Dove credete che siamo?
Fu Irving a rispondere, anche se
con un po' di ritardo - Forse... questa è la foresta... di
Ellok, a
giudicare... dalla posizione... ma potrebbe anche... non essere... - .
"Potrebbe." pensò
Finley amareggiato.
- Tanto che alternative abbiamo?
- disse con un tomo più affermativo che interrogativo -
Dobbiamo provare ad
orientarci da qui. Come facciamo per tornare a casa?
- Dopo questa foresta - rispose
il Sableye - ci dovrebbe essere il passo tra il Surrac e il
Sanclagel... e dopo
di quello il lago del Barone e la strada che riporta a casa...
- Quindi bisogna entrare in
questa foresta? - chiese Nellie.
- Pare proprio di sì.
- Tanto che scelte abbiamo? -
disse Irving - Non ce la faremmo mai ad arrampicarci su quel monte, e
di sicuro
non mi va di fare una nuotata al chiaro di luna. Qui il rischio al
massimo è di
prendersi un po' di aghi di pino in testa.
"Sì" concordò
mentalmente il pokemon Aquilotto "Decisamente non voglio scalare nessun
monte, e non sono nemmeno capace di nuotare".
- Allora è deciso, entriamo.
Tutti d'accordo? Nellie, tu sì? Bene, Lloyd... Lloyd?
E solo in quel momento si
accorsero che all'appello mancava il Deino.
- Lloyd? - domandò intimorito
Finley - Lloyd?!? Dove sei?!?
Si
spinsero a cercare fino a
parecchie decine di metri di distanza, ma del Deino nessuna traccia.
Sembrava
svanito nel nulla.
"Eppure" continuava a
ripetersi mentalmente Finey "Eppure ero sicuro che fosse con noi,
appena
dietro. Ero sicuro. Era appena dietro, ne ero sicuro. Ne ero sicuro.
Era appena
dietro, ne ero sicuro.". Continuava a pensare e ripensare quelle frasi
in
un loop continuo, come se quella specie di rito potesse far magicamente
riapparire il suo amico.
- Finley... - cominciò a dire
Nellie con un tono di voce che al Rufflet non piacque per niente -
forse...
dovremmo...
- No. - rispose seccamente lui -
Deve per forza essere qui vicino, dobbiamo continuare a cercare.
Dobbiamo
continuare...
In quel momento si sentì poggiare
una mano sulla spalla. Sussultò, leggermente spaventato, e
si girò verso
l'autore del gesto, che incredibilmente era Irving. Ma la sua
espressione non
lasciava possibilità di fraintendimento. A giudicare dalla
forma che avevano
assunto i diamanti voleva dire qualcosa. Qualcosa di molto importante.
- Qui non c'è. Non è qui né da
nessun'altra parte. L'abbiamo perso.
- Grazie, c'ero arrivato anch'io.
Ma se continuiamo...
- No, non possiamo continuare.
- C-che...
- Quello che vuole dire... -
intervenne Nellie - è che... sì, insomma... non
possiamo fermarci a cercare
Lloyd...
- Cos-
- Esatto. Saranno ore che
corriamo, ma siamo ancora dannatamente vicini a quella sottospecie di
prigione,
e non ho intenzione di farmi riprendere solo per trovare quel Deino.
Finley provò ad interrompere il
suo sproloquio, fallendo miseramente.
- Non fraintendermi, non ho nulla
contro di lui, ma se vogliamo riuscire a tornare a casa la soluzione
non è
certo quella di restare qui a fare da bersaglio mobile. Per cui diamoci
una
mossa e andiamocene.
Una lacrima era scappata fuori da
uno degli occhi del Rufflet. Non voleva abbandonare il suo migliore
amico, ma
una parte di lui doveva ammettere che il Sableye aveva ragione. Se
fosse
restato a cercare Lloyd sicuramente sarebbe stato ricatturato
dall'umano
(sicuramente poiché quello si era di certo accorto della
loro fuga e senza
dubbio li stava cacciando, e con tutta probabilità Finley
non avrebbe avuto la
forza di affrontarlo), e non voleva di certo questo. Ma allo stesso
tempo
rivoleva indietro Lloyd.
Erano pensieri decisamente troppo
complicati per lui. Si accasciò a terra e
cominciò a singhiozzare. Come Lloyd
un paio di giorni prima, anche Finley aveva raggiunto il punto di
rottura,
faendo un urlo di dolore liberatorio. Immediatamente Irving gli strinse
il
becco con una mano per farlo zittire.
- Idiota! - sibilò - Vuoi farci
scoprire subito?!?
Nonostante la costrizione, delle
grosse lacrime continuavano a scorrere dai suoi occhi. Irving
mollò la presa,
mormorando un "che schifo" forse riferito al fatto che si era bagnato
il pelo con le lacrime. Finley si coprì la faccia con le
ali. Non voleva che
nessuno lo vedesse in quelle condizioni.
All'improvviso però sentì
qualcosa di caldo affiancarglisi e accostarglisi alle piume. Era
qualcosa che
infondeva molto calore, quasi come un fuoco contenuto. Fuoco. Fuoco...
-
Finley...
Le parole di Nellie, seppur
appena sussurrate, furono sufficienti per richiamare l'attenzione del
Rufflet.
Quello si asciugò, seppur con molta fatica, le lacrime, e
cercò di assumere
l'espressione più calma che gli riusciva avere.
La Torchic lo guardò in faccia.
Evidentemente non la convinceva molto quell'espressione, visto che
l'angolo del
becco assunse una piega che indicava perplessità. Essa
però svanì quasi subito,
poiché la piccola pokemon Pulcino sapeva esattamente cosa
dire. Non avrebbe
lasciato in quelle condizioni il suo amico, e allo stesso tempo doveva
convincerlo sul fatto che abbandonare Lloyd sarebbe stato un male
necessario.
Lei stessa aberrava quelle conclusioni, ma purtroppo era questa la
realtà.
Ma aspettò ancora un poco prima
di parlare. Doveva calibrare bene le parole, per evitare di ferire
l'amico. E
date le sue (e loro) condizioni, ciò poteva accadere molto
facilmente. Pensò
per alcuni secondi al da farsi, finché decise che cosa dire.
- Magari io non sono la persona
giusta per dire queste cose... ma...
Finalmente ebbe catalizzata su di
sé tutta la concentrazione del Rufflet.
- ...anche io non riesco a
convincermi del fatto che dobbiamo farlo. Però è
proprio questo il punto,
dobbiamo farlo. Se non andiamo avanti rischiamo di essere di nuovo
catturati. E
di sicuro non lo vogliamo. Per quanto mi dispiace dirlo, dobbiamo
rinunciare
alla ricerca di Lloyd.
A sentire l'ultima frase Finley
si fece scuro in volto e riprese a piangere, anche se silenziosamente
stavolta.
A Nellie duoleva il cuore a vederlo così. Era un suo caro
amico (oltre che
simile) e non sopportava vedere qualcuno soffrire in quel modo. "No"
pensò "Non devo permettere che riprenda a piangere".
- Finley, ascoltami. - gli
chiese, anche se più che una richiesta era un ordine
malcelato. Fortunatamente
il pokemon Aquilotto parve capirla, poiché alzò
leggermente la testa.
- Adesso dobbiamo pensare solo a
ritornare a casa. Torneremo a cercare Lloyd una volta che ci saremo
rimessi.
Forse anche qualcuno di Algish Inn ci potrà dare una mano.
Adesso però dobbiamo
tornare a casa. Dobbiamo farlo. Torneremo a cercarlo. Lui e Gregory.
Ancora Finley non sembrava tanto
convinto. "Ah, non capisce. Dannazione, non mi resta che una sola
cosa...".
- Finley... - lo richiamò. Lui
alzò appena la testa per vedere cosa voleva la Torchic, e
quasi gli venne un
colpo quando lei avvicinò il suo becco al suo. Diede un
leggero ma prolungato
cozzo, e subito dopo lo appoggiò sopra quello di Finley.
Questa strana
procedura era quella che usavano i pokemon dotati di becco come
dimostrazione
di affetto. Era un bacio, insomma.
Finley rimase scioccato, al punto
che non seppe cosa dire. Anche perché non poteva aprire il
becco, poiché era
considerata maleducazione farlo proprio in quel momento. L'unica cosa
che poté
fare fu arrossire vistosamente. E il freddo della notte acuì
di molto il colore
purpureo, facendolo diventare quasi violaceo.
Ma nemmeno mentalmente riusciva a
trovare le parole. Il suo sogno segreto si era finalmente realizzato,
Nellie
aveva alla fine ricambiato il suo affetto. Era felice all'inverosimile.
Anche
se purtroppo tale contentezza era smorzata dalla confusione e dal
dolore per la
perdita di Lloyd.
Dopo alcuni minuti Nellie si
staccò. Finley non aprì ugualmente il becco. Lei
lo fissò per alcuni secondi,
finché si decise a finirla.
- Fin, mi sei stato di grande
aiuto in questo ultimo periodo. - disse. Aveva usato il diminutivo
"Fin". E lui permetteva solo agli amici più cari (ovvero
solamente
Lloyd) di chiamarlo in quel modo. Ma non gli era dispiaciuto affatto
che anche
lei avesse fatto così.
- E per questo ti ringrazio
molto. Adesso è venuto il momento di ricambiare. Torneremo a
casa. Insieme. E
insieme torneremo per Lloyd. Te lo prometto.
Il Rufflet tentennò per un
momento, solo per prendere poi l'iniziativa. Questa volta fu lui a
baciare lei.
Certo, trovò qualche difficoltà dato che era la
prima volta che lo faceva, ma
il risultato non fu comunque malaccio. Mentre lei appoggiava il suo
becco sul
suo, si fissarono negli occhi. E dentro il duo cuore Finley
avvertì che aveva
ragione.
Una volta che ebbero finito, si
rivolsero ad Irving.
- Ah, finalmente, piccioncini.
Avete finito? No, lo dico perché, sapete com'è,
avremmo un bosco da
attraversare.
"E attraversiamolo"
pensò risoluto Finley.
Si inoltrarono tutti nelle
frasche. O almeno tutti tranne Finley, che indugiò per
alcuni istanti. Si voltò
verso le oscure colline che avevano appena attraversato. "Te lo
prometto" pensò, rivolgendosi mentalmente all'amico disperso
"Tornerò".
***
Dopo
circa una decina di minuti
di corsa ininterrotta, Neville finalmente arrivò alla sua
casa. Aveva il fiatone,
e faticava a far funzionare il diaframma. Decisamente l'atletica
leggera non
faceva per lui, stava indubbiamente diventando troppo vecchio per
questo.
La prima cosa che aveva
intravisto era stato un sottile filo di fumo che si allungava verso il
cielo
quando ancora era distante circa un chilometro. Si era subito
spaventato, e
nonostante stesse provando una fatica immane aveva aumentato il passo.
Aveva
avuto timore che fosse scoppiato il generatore elettrico, o peggio la
bombola
del gas, e che fosse esploso tutto. Era arrivato di corsa, solo per
scoprire
che non c'era nulla di cui preoccuparsi. A parte ovviamente l'enorme
buco nella
parete sud.
Restò impietrito. "No"
pensò "Non è possibile. Non può essere
successo davvero. Non può...".
E quando si sporse per guardare all'interno della casa, tutte le sue
paure si
concretizzarono. I mostri erano scappati, tranne uno. La caldaia
però era
ancora integra, ma questo al momento non gli importava minimamente.
Si guardò immediatamente intorno.
Dappertutto c'erano mattoni spezzati, cocci di vetro, polvere di calce,
e Dio
sa cos'altro materiale di cui era fatto il muro. C'erano perfino alcune
macchie
di sangue; ciò voleva dire che qualcuno di quelli
là si era ferito. La
confusione regnava totale.
Neville cercò comunque di
ragionare a mente fredda. "Uno non mi basta, devo riprenderli. Ma come?
Aspetta, magari quel sangue..." e si diresse subito ad esaminare le
vivide
tracce di liquido. Esso stava cominciando a raggrumarsi, ma al tatto
era ancora
un poco tiepido, e questo poteva significare solo che non erano
scappati da
molto tempo, e che quindi non potevano trovarsi lontano.
Decise quasi subito il da farsi.
Entrò in cantina dal comodo buco, si prese sulle spalle
l'esemplare di Dewott e
lo portò su in casa sua, in attesa di sistemarlo. Lo
posizionò in cucina, la
stanza più spaziosa che al momento aveva, e per sicurezza lo
legò con qualche
metro di corda, così che non scappasse casomai si fosse
svegliato. Fu bene
attento ad immobilizzargli bene le braccia, di modo che non potesse
armeggiare
con nulla.
Andò quindi in camera sua, aprì
il cassetto del comodino e tirò fuori la pistola. Rimosse il
caricatore
inserito nel meccanismo e solo allora tolse la sicura. Non voleva di
certo far
del male ai fuggiaschi, il suo obbiettivo era solo recuperarli. Gli
sembrava di
ricordare di avere dei proiettili tranquillanti da qualche parte,
così si mise
a frugare nell'armadio. Dopo vari minuti di ricerca finalmente li
trovò. Tre
lisci e perfetti proiettili tranquillanti, dal retro che presentava
delle
variegate piume colorate.
"Merda" pensò "Non
mi basteranno. L'unica speranza è che il ferito stramazzi,
così non avrò
bisogno di sprecarne uno.". Pensato questo, scese le scale,
aprì la porta
di casa e uscì.
Proprio allora udì un verso in
lontananza. Era però un verso strano, quasi di dolore. Era
proprio quello di
cui aveva bisogno. Sforzandosi al massimo di mantenere sempre la stessa
direzione si incamminò verso la fonte di quel suono.
***
Lloyd
rinvenne. Dapprima non vide
nulla, solo oscurità, al punto che pensò di
essere ancora incosciente. Solo
dopo un po' realizzò che era piena notte. Provò
ad aguzzare la vista, ma non vi
riuscì. Il che era strano, dato che essendo un tipo Buio
sarebbe dovuto esser
capace di vedere anche di notte. Forse non ci riusciva a causa dello
stress e
della stanchezza accumulati, e anche del suo stato fisico fortemente
debilitato.
Provò faticosamente a rialzarsi.
Si sentiva tutto un dolore, in particolare la zampa era per lui
l'inferno sceso
in terra. Gli bruciava come non mai, un po' come se fosse stato
scottato. Tentò
di muovere qualche passo in avanti, ma cadde subito dopo. Appoggiare la
zampa a
terra gli provocava un dolore immenso. Cercò però
di sforzarsi a resistere, e
stringendo i denti si mise in un equilibrio precario.
"Dove sono gli altri?".
Questo fu il suo primo pensiero, formulato all'incirca alcuni minuti
dopo dal
momento in cui si era svegliato.
Attorno a lui non vedeva nessuno,
per cui tentò di captare qualche odore con il naso. Dopo
aver saggiato e scandagliato
un po' l'aria attorno a sé riuscì a fiutare una
debole traccia. L'odore che
aveva captato apparteneva principalmente a Finley, dato che con lui
aveva più
familiarità, ma riusciva a sentire anche altre due parti
diverse, appartenenti
probabilmente a Irving e Nellie.
Si mise, anche se molto
faticosamente, in cammino. Adesso che si era un po' stabilizzato
riusciva anche
a vedere meglio, e così cominciò a seguire le
tracce di odore. Mente camminava
(o meglio, zoppicava), si mise a pensare al motivo per cui era stato
abbandonato dai compagni. Magari non si erano accorti della sua caduta,
oppure
avevano fatto come con Gregory. Ma Lloyd si rifiutò
categoricamente di dare
anche solo credito alla seconda ipotesi. "Li raggiungerò" si
ripromise "Li raggiungerò".
***
Essendo
in piena notte l'ambiente
selvatico non doveva essere certo molto accogliente, anzi si
rivelò piuttosto
tetro ed oscuro. Gli alberi frinivano mossi dalla brezza notturna, il
vento
sussurrava ancestrali vocaboli incomprensibili all'udito e le foglie
degli
arbusti scricchiolavano senza un apparente motivo. I tre pokemon
avanzavano con
circospezione all'interno del bosco, con una sorta di timore
reverenziale verso
ciò che li circondava, quasi come se avessero paura di
qualche nemico teso in agguato
ad aspettarli. Finley in particolare si guardava spesso attorno,
ansioso. Non
sapeva nemmeno lui che cosa precisamente gli metteva paura.
Era ormai diverso tempo che si
erano inoltrati nell'oscuro bosco, e da allora non avevano fatto altro
che camminare.
All'inizio pensavano di poter continuare prendendo come punto di
riferimento la
cresta del Sanclagel, svettante in lontananza, per orientarsi. Ma tale
piano si
era rivelato inefficace quasi fin da subito, in quanto le cime degli
alberi
oscuravano il cielo notturno, e lasciavano filtrare ben poca luce.
Alla fine comunque una cosa
risultò abbastanza chiara: si erano persi. Senza nessuna
possibilità di
verificare se quella che stavano seguendo era effettivamente la giusta
direzione, avevano presto smarrito la retta via.
- AAAAAAAAAAAHHHHH!!!
Quell'urlo fece fare
letteralmente un balzo di un metro e mezzo a Finley e Nellie. Lui
immediatamente si girò per vedere cos'era stata la fonte di
quell'urlo, anche
se già dalla voce aveva capito che ad Irving doveva essere
successo qualcosa.
Lo spettacolo che videro non fu
certo rassicurante. Irving era caduto a terra, e si stava fissando la
gamba
destra con i diamanti sgranati. Era caduto in una specie di trappola di
ferro,
la quale gli aveva completamente serrato l'arto, dalle cui
estremità usciva
copioso del sangue. Doveva sicuramente essere un marchingegno umano,
solo loro
potevano essere capaci di progettare una cosa del genere. E a giudicare
dalla
ruggine doveva trovarsi lì da un bel po' di tempo.
- Aiutatemi! Cazzo, la gamba!
Aiuto! - gemeva il Sableye.
Nellie fece per avvicinarglisi,
ma venne bloccata da Finley, che le mise un'ala davanti. Lei gli
rivolse uno
sguardo interrogativo, ma dalla sua espressione decisa capì
immediatamente cosa
le voleva dire. Ma tanto per essere sicuro il Rufflet le si rivolse lo
stesso.
- Non possiamo fare niente per
lui. Forza, andiamo.
Detto questo si girò, e riprese a
camminare.
- No! Fermi! Non andate! Porca
troia, aiutatemi!
Finley si era fermato un attimo.
Solo per riprendere a camminare subito dopo.
- FERMI!!! Cazzo, non andatevene!
Anche Nellie, seppur dubbiosa,
gli diede le spalle.
***
Lloyd
giunse all'entrata di una
foresta. Aveva seguito l'odore fin lì, e la vista di quegli
alberi fitti gli
suggeriva che avrebbe dovuto per forza di cose continuare a farlo.
Proprio in quel momento sentì un
urlo, e riconobbe la voce di Irving. "Devo sbrigarmi". Senza pensarci
due volte vi fece il proprio ingresso.
***
-
Finley?
Erano ormai una decina di minuti
che si erano lasciati alle spalle Irving, e da allora Finley era
diventato
schivo e taciturno. Nellie aveva cominciato seriamente a preoccuparsi
per lui.
Temeva che lo sfogo di poco tempo prima potesse aver influito in
maniera più
che negativa sulla sua psiche, e forse aveva ragione.
Il Rufflet si portò un ala alla
faccia. "Sta di nuovo piangendo" realizzò la Torchic, dopo
che il
pokemon Aquilotto fece il gesto di asciugarsi gli occhi. Nonostante
fosse
dietro di lui Nellie lo capì lo stesso, e fece per
avvicinarglisi.
- Fin...
- No!
Quello, spaventato, si voltò e
fece un balzo all'indietro... finendo con una zampa dritto in una
trappola.
Immediatamente venne trascinato verso l'alto a peso morto, come se
fosse stato
un sacco di patate. La Torchic sentì anche uno schiocco che
la turbò non poco.
Il Rufflet ci mise alcuni secondi
per realizzare cosa gli era successo, per poi cominciare ad agitarsi
come un
ossesso. Solo che più si muoveva e più la corda
gli si stringeva alla caviglia,
ma non sembrava rendersene conto.
- FINLEY!!!
- Scappa Nellie! - le urlò lui -
Io mi libero e ti raggiungo! Vai!
La Torchic tentennò.
- VAI!!!
Nellie si mise a correre,
spaventata. Le vennero le lacrime agli occhi al pensiero di essere
rimasta
l'unica del suo gruppo. Corse a più non posso, corse per
quanto i polmoni glie
lo permettevano. Non guardò nemmeno dove andava, e fu questo
ad essergli
fatale.
All'improvviso sentì il vuoto
sotto di se, e cadde all'interno di una buca. Una buca artificiale.
Presa dal
panico provò ad uscire. Provò persino a volare.
Ma le ali di un Torchic non
sono fatte per volare.
***
Neville,
fiducioso della sua
memoria, si era diretto verso la direzione da cui proveniva il verso e
dai cui
ne era arrivato da poco un altro. Per sicurezza ogni tanto osservava
anche le
macchie di sangue sul manto verde dell'erba per verificare di star
prendendo la
direzione giusta.
Arrivò anche lui al limitare
della foresta, e quasi gli prese un colpo. "No..." pensò
turbato
"Non può essere successo davvero. Cazzo, di tutti i posti
dove potevano
andare proprio qui dovevano venire?!?". L'uomo, armato di una pistola
tranquillante e di una torcia, si fiondò di corsa
all'interno della macchia
boschiva. "Presto, li devo trovare prima che... no, non devo pensarci.
Spero solo che non ne incontrino nemmeno una.".
***
-
Ragazzi! - urlava Lloyd con il
poco fiato che gli era rimasto - Dove siete? Ragazzi! - . Ma nessuno
rispondeva. Il silenzio più totale regnava nel bosco. Aveva
anche perso l'odore
di Finley.
Il Deino procedeva spedito, per
quanto la zampa lo impedisse non poco, in mezzo agli alberi, gettando
frettolose occhiate ai suoi lati.
- Ragazzi! Ra-
All'improvviso sotto di sé
percepì il nulla, e cominciò a cadere. Durante
quel secondo in cui rimase
sospeso in aria Lloyd fu capace solamente di sgranare gli occhi.
L'impatto col
terreno fu abbastanza violento, e il pokemon sentì anche un
dolore acuto alla
zampa sinistra posteriore. Rialzò il capo da terra e
provò a girarlo,
nonostante gli facesse male il collo.
Rimase scioccato da ciò che vide.
Un bastone insanguinato spuntava dalla sua coscia, e dalla sua base
stava
sgorgando sangue a mo' di cascata. Lloyd spalancò la bocca,
incredulo. Fissò
quello spettacolo per alcuni secondi, e non fu in grado di fare altro.
"Mi ha... trapassato...
la... l-la... la c... la c...".
Ebbe un mancamento. La testa gli
cadde di lato, e le palpebre cominciarono a chiuderglisi.
Roteò gli occhi verso
l'alto, e l'unica cosa che riuscì a vedere fu una sagoma
umanoide che lo
osservava dal bordo della buca.
|
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Capitolo 10 *** Chapter 9: Dreams from the past ***
9. Dreams
from the past
Navigò
nell'oscurità per un tempo
che sembrò quasi infinito. Ed era una sensazione parecchio
strana. Lloyd di
sentiva di essere presente e di non esserlo allo stesso tempo, quasi
come fosse
un fantasma. Galleggiava e basta. Nemmeno in una precisa direzione,
semplicemente sentiva di starsi muovendo.
Personalmente invece Lloyd non
riusciva a fare nulla. Stava lì, immobile, e contemplava il
nero davanti a sé.
Non riusciva ad articolare nemmeno un pensiero, e non chiudeva nemmeno
le
palpebre. Ma il suo sguardo non era perso nel vuoto, anzi.
Non molto distante da lui, ma
abbastanza perché si potesse confondere con il nero
dell'ambiente circostante,
c'era una specie di parete. Anzi, il Deino non l'avrebbe nemmeno
definita così,
dato che sembrava avere uno spessore. Addirittura certe volte il
pokemon
riusciva a cogliere dei movimenti. Niente di che, solo piccole
vibrazioni, che
però andavano via via aumentando d'intensità.
Quella specie di struttura
sembrava qualcosa di vivo. Di pulsante, addirittura. Dopo molto tempo
passato
ad osservarla, Lloyd notò che ondeggiava. Ma il movimento
non sembrava casuale.
Era simile al ritmico abbassarsi ed alzarsi del petto nel mentre della
respirazione. Anzi, un esempio che potesse rendere ancora meglio l'idea
era che
potesse sembrare come se dall'altra parte ci fosse stato qualcuno
intento a
spingere per rompere il muro. O peggio, qualcosa.
Il
passaggio dal mondo dei sogni
a quello della realtà non fu indolore. La testa prese a
pulsargli, e quando
provò a muoversi Lloyd si sentì intorpidito,
anche molto più di quanto sarebbe
dovuto essere, come quasi se qualcosa lo stesse costringendo a stare in
quella
posizione. I nervi gli trasmisero tante piccole fitte di acuta
sofferenza, che
però sopportò a denti stretti.
Il suo cervello non riacquistò in
fretta lucidità, tanto che poco dopo il suo tentativo di
movimento rischiò di
nuovo di cadere nel torpore dell'incoscienza. Però qualche
strana forza
interiore lo spinse a resistere dal desiderio di ripiombare nel nulla
assoluto,
e ce la fece a mantenere gli occhi aperti il tempo necessario
perché si potesse
svegliare del tutto.
Nel mentre, per tenersi
concentrato, ripensò al muro del sogno. Le cose che gli
erano rimaste più
impresse erano due: il suo colore più nero del nero e il suo
pulsare. Solo
allora il Deino ebbe un brivido di paura. Si rese conto che quando
stava
sognando non aveva provato nessuna emozione, mentre adesso che ci
ripensava non
poteva fare a meno di inquietarsi.
Eppure, mescolata all'ansia, il
pokemon avvertì un'altra sensazione. Era qualcosa di molto
strano, che non
aveva nemmeno lontanamente a che fare con la paura. Anzi, al contrario,
sembrava trasmettergli una vaga sicurezza. Quasi calore. Un calore che
non
aveva mai percepito in tutta la sua vita.
Nonostante fosse la prima volta
che sognava una cosa del genere, gli sembrava quasi di averla
già vista. Non si
ricordava dove, ma era sicuro di averla notata da qualche altra parte.
"Eppure" pensò "una cosa così difficilmente si
dimentica. Dove
potrei averla vista?".
Osservò l'ambiente circostante.
Si trovava in una stanza completamente buia e all'apparenza stretta. Ma
abbastanza larga da contenere cinque pokemon. Lloyd riconobbe quasi
immediatamente le sagome dei suoi compagni. Gregory si trovava adagiato
alla
parete opposta, a un metro e mezzo di distanza da Irving, anche lui
nella
stessa posizione. Finley e Nellie invece erano accasciati sul
pavimento,
separati da quasi un metro. Continuò a guardarsi attorno, e
notò che la sala
non aveva finestre, o che comunque le doveva aver avute solo in
passato.
L'unica via d'uscita sembrava essere una porta, posta non molto lontano
dal
Deino.
"Forse posso farcela"
si disse, sperando ingenuamente di poter uscire.
Provò ad alzarsi, ma non gli
riuscì, a causa dello stesso torpore di poco prima. Oramai
non percepiva quasi
più le zampe. Deciso a vedere che cosa gli impediva di
muoversi, si soffermò a
guardare le sue zampe. Non fece fatica a riconoscere i contorni di
alcune corde
avvinghiate attorno alle caviglie, rispettivamente quelle anteriori e
quelle
posteriori. Era stato legato. E probabilmente era di nuovo prigioniero.
***
La
musica risuonava forte per le
vie della città, come se la struttura piuttosto angusta
delle strade potesse in
qualche modo amplificarne il suono. Contando anche che il volume di
molte
strade era stato quasi dimezzato a causa delle bancarelle che
l'occupavano,
allora in certi punti l'eco rischiava di divenire assordante. Dovunque
ci si
trovasse era impossibile non ascoltare quelle note possenti e gioiose,
ed era
altrettanto impossibile non provare almeno un briciolo di eccitazione.
Neville lo sentiva nell'aria,
quella sensazione. Attorno a lui la folla era così fitta che
a malapena se ne
potevano distinguere le singole persone. Gli uomini e le donne
sgusciavano da
una parte all'altra della strada in continuazione, in un groviglio
confusionario ma allo stesso tempo vivace e colorato. Di tanto in tanto
qualcuno si fermava ad ammirare qualche bancarella, ma per poco,
venendo poi
trascinato via dalla foga della calca. Qualcuno provava anche a
chiedere aiuto,
ma la sua voce veniva soverchiata dal baccano generato da quella
moltitudine di
persone.
Per non essere preso anch'egli,
Neville stringeva forte la mano di suo padre. Dall'alto della sua
statura
l'uomo continuava imperterrito a guardare fisso davanti a
sé, quasi come se la
folla tutt'attorno non esistesse e fosse solo un frutto della sua
fantasia.
Almeno doveva essere così, visto che la sua faccia era
oscurata dall'ombra dei
folti capelli.
Neville, la manina in quella del
padre, rideva. Non sapeva il perché, ma nessun bambino ha
bisogno di un perché
per ridere. Forse era a causa dell'allegra istillatagli dalla musica,
oppure
tutto quel gran vociare che l'attorniava, sta di fatto che alternava ad
una
risata e un'altra uno sguardo al padre. Alla sua faccia, precisamente.
Che non
riusciva mai a vedere.
- Papà, guarda! - esclamò
estasiato Neville, indicando con l'indice del braccio teso davanti a
sé.
Erano giunti nella piazza
principale della città. Lì si trovava il centro
della fiera, ed anche la banda
che stava suonando. Neville lanciò un gridolino eccitato, e
si precipitò al di
sotto del palco sopraelevato dove i componenti dell'orchestra stavano
suonando.
Erano tutti vestiti con l'uniforme caratteristica delle bande musicali,
con
tanto di spalliera e lustrine dorate, cappello e piuma bianca. L'abito
era di
un rosso sgargiante, che risaltava ancora di più sotto il
tiepido sole
primaverile di quel giorno.
Neville si piazzò al di sotto di
un robusto signore intento a suonare un sousafono. Il piccolo lo
guardò con un
misto di eccitazione e meraviglia, ammirando lo sforzo che stava
compiendo per
infondere aria in quel possente strumento. Le sue guancie erano infatti
gonfie
al massimo, e la pelle stava rapidamente diventando viola. Teneva
inoltre gli
occhi chiusi, e le rughe sulla sua fronte erano più marcate
che mai, come a
testimoniare l'enorme forza impressa nel soffio.
Quando passò il suo turno, l'uomo
staccò le labbra dallo strumento e respirò a
grandi boccate. Si mise nel frattempo
ad ammirare il piccolo pubblico della banda, e si accorse quasi subito
di
Neville, dato che il bimbo lo guardava con tanto d'occhi. L'uomo
sorrise,
compiaciuto di avere un ammiratore, prese dalla tasca una monetina e
glie la
lanciò. Neville la prese al volo, e tornò a
guardare il suonatore. Quello gli
sorrise ancora, facendogli l'occhiolino, e riprese a suonare.
Neville si infilò in tasca la
monetina e si girò. Si infilò di filata dentro la
folla, correndo come un matto
da una bancarella all'altra e fermandosi ad ammirare le merci che
più
attiravano la sua labile attenzione da bambino di quattro anni.
La sera scese in modo fulmineo, e
prima che i lampioni sui marciapiedi si potessero accendere era quasi
totalmente buio. Le persone della folla cominciarono a sparire a vista
d'occhio, anche se gradualmente. Solo la banda musicale restava
costantemente
al suo posto, continuando a suonare la canzone caratteristica della
fiera.
Portobello road... Portobello road...
Neville si guardò intorno, alla
ricerca del padre. Si era divertito per tutto il giorno, ma adesso ne
aveva
abbastanza, e voleva tornare a casa. Ma ovunque volgesse lo sguardo,
suo padre
non c'era. C'era sempre meno gente, ma le ombre stranamente non
facevano che
aumentare, segno che quella non doveva essere una normale nottata.
Street
where the
riches of ages are stowed...
Finalmente lo vide. Suo padre
stava al di sotto di un lampione, appena appoggiato alla sua superficie
metallica. Neville gli fece un cenno entusiasta con la mano, e
cominciò a correre
verso di lui. Il padre per tutta risposta si girò, e prese a
camminare verso un
vicolo buio.
Anything
and
everything a chap can unload...
Neville correva a più non posso,
tanto da fargli sembrare di avere le ali ai piedi. Ma più si
sforzava di velocizzare
il passo, più il padre si avvicinava all'entrata del vicolo.
Finché non la
raggiunse, scomparendo nell'oscurità.
Finalmente anche Neville
raggiunse il vicolo, e vi entrò a capofitto senza nemmeno
pensarci due volte. Corse
a perdifiato, finché la luce dei lampioni alle sue spalle
non scomparve,
lasciandolo quasi completamente al buio. Sbuffi di nebbia si levavano
dai
tombini chiusi, e tutto aveva assunto una colorazione macabra e
tenebrosa.
Is
sold off the barrow
in Portobello
Road...
Neville chiamò a gran voce il
padre, invano. Urlò il suo nome molte volte, tanto da fargli
bruciare la gola.
A interromperlo alla fine fu un guizzo alle sue spalle. Si
voltò di scatto, ma
non vide nulla. E appena ebbe pensato di esserselo immaginato rieccolo
alla sua
destra. Si girò, e riuscì a distinguere un'ombra.
Cominciò ad avere paura.
Quel carosello sfibrante continuò
per un tempo che parve infinito, e l'ombra non faceva altro che
avvicinarglisi.
Una lacrima scappò dall'occhio di Neville, e alla fine
cedette. Si accasciò al
suolo, e cominciò a piangere, chiamando a gran voce suo
padre.
- Papà! Papà, dove sei? -
singhiozzava.
You'll
find what you want in the Portobello Road...
L'ombra incombette per un attimo
su di lui. Neville aprì gli occhi, guardando in faccia
l'orrore che lo
perseguitava. E urlò.
Fu
urlando che si svegliò.
Rischiò di cadere dal letto a causa della foga impiegata per
risvegliarsi. e si
trattenne con le mani al muro per restare fermo dov'era. Prese a
respirare a
grandi boccate, e guardò la sveglia sul comodino accanto a
lui. Erano le cinque
del mattino. Gettò un'occhiata alla finestra, e vide che
fuori era ancora
notte.
Ributtò la testa sul cuscino,
cercando di non pensare al sogno appena fatto. Resistette per ben venti
secondi, prima che un pensiero cominciasse a premere per essere
scandagliato
all'interno della sua testa: suo padre. Il padre di cui conservava solo
una
foto. Il cui fotografo doveva essere stato un completo idiota visto che
aveva
mosso l'inquadratura all'ultimo secondo, sfocandogli la faccia.
Neville aveva perso il padre
quando aveva poco meno di tre anni. Una ferita infettatasi. Inferta da
un
pokemon, tanto per cambiare. Era successo un pomeriggio di autunno,
quando il
padre e lo zio erano usciti di casa per andare a caccia di qualcuno di
quei
mostri allo scopo di fare provviste per l'inverno. Erano ritornati a
sera, e lo
zio portava suo padre sulle sue spalle, poiché non ce la
faceva a camminare.
Sua madre aveva subito esaminato la ferita, emettendo un gemito quasi
come
fosse stata lei a provare quel dolore. Il polpaccio sinistro era stato
ridotto
completamente a brandelli. E il tutto per mettere qualcosa nel piatto
di lì a
un paio di mesi.
Suo zio gli amputò la gamba poco
sotto il ginocchio, capendo che non era possibile tentare di salvare la
parte
del corpo ferita. Ma qualcosa andò storto, e la ferita si
infettò. L'agonia di
suo padre durò per più di due settimane. La gamba
andò in cancrena, e un puzzo
acre si diffuse per tutta la casa.
Successe una notte, mentre
Neville dormiva. Ormai di quei tempi non poteva fare altro, visto che
sua madre
lo teneva confinato nella sua stanza. Ad ogni domanda sulle condizioni
di suo
padre, sua madre rispondeva che andava tutto bene e che presto sarebbe
guarito.
Quanto si sbagliava.
- Omaggio a lei, capitano San Yi!
Quell'urlo svegliò Neville. Gli
parve che fosse la voce di suo padre. Assonnato com'era, il bambino non
si era
chiesto perché il genitore avesse urlato a quel modo, e fece
per rimettersi a
dormire. Almeno, aveva pensato, era ancora vivo.
Un rumore assordante, come
un'esplosione, che durò appena un secondo. Ma
bastò a svegliare tutti nella
casa. Neville scattò in piedi, leggermente spaventato da
tutto quel baccano. Ma
la curiosità ebbe il sopravvento, e uscì dalla
stanza.
La madre e lo zio di Neville si
diressero subito verso la camera di suo padre, con Neville alle
calcagna,
deciso a scoprire cos'era successo. La madre fu la prima ad aprire la
porta, e
si lasciò scappare un urlo. Lo zio, prevedendo cosa doveva
essere successo,
impedì a Neville di entrare. Il bimbo però
riuscì a sbirciare al di là del
parente, e riuscì a vedere sua madre china su qualcosa.
Il giorno dopo seppellirono suo
padre. Neville non si lasciò scappare nemmeno una lacrima.
Pensava che gli
stessero giocando qualche brutto scherzo. Aveva sentito la voce del
padre
appena qualche ora prima, era impossibile che fosse morto. Ad un certo
punto si
rifiutò di stare ancora con i suoi parenti stravolti dal
dolore, e si ritirò in
camera sua, mettendo il broncio.
Ci vollero due settimane perché
qualcuno si decidesse a parlargli. Fu suo zio a venire da lui. Senza
dire una
parola lo prese e lo portò di peso in salotto, lasciandolo
solo con la madre.
Neville l'aveva guardata, e aveva stentato a riconoscerla. Le rughe si
erano
inspessite, aveva acquisito due grandi occhiaie e la
luminosità negli occhi era
diminuita. L'aveva abbracciato, ed erano rimasti così per
minuti interi, forse
anche per un'ora, in silenzio. Si erano riappacificati così.
Suo zio gli spiegò cos'era
successo solo una decina d'anni dopo, quando lo ritenne pronto per
affrontare
la dura verità. Suo padre non era morto dissanguato, come
gli era stato detto,
ma si era suicidato. Si era sparato in testa, per la precisione.
Probabilmente
non riusciva più a sopportare il dolore causatogli dalla
ferita, e aveva
preferito la beatitudine della morte ai tormenti terreni.
Neville non era rimasto sorpreso
dalla spiegazione, se l'era immaginato. Aveva reagito con un'alzata di
spalle,
dicendo un laconico "potevate dirmelo prima". Quella fu l'ultima
volta che disse qualcosa ai suoi parenti. Il giorno dopo era uscito per
tutto
il giorno, andando a vedere se le trappole piazzate avessero catturato
qualche
preda. Stava guardando sconsolato l'ennesima trappola vuota, quando
sentì il
fragore.
Corse
a più non posso verso casa
sua, ma arrivò troppo tardi. Dove un tempo c'era una
villetta vecchia di
quattro secoli, adesso c'erano soltanto macerie fumanti. E orme di
pokemon,
dappertutto. Ma non era quello che gli premeva maggiormente, in quel
frangente.
Si era messo immediatamente a
scavare con le mani tra le macerie, cercando i parenti. Dopo molto
tempo venne
a contatto con qualcosa di estremamente freddo. Cerco di tirarlo fuori,
e dai
calcinacci spuntò una mano. La mano di sua madre.
Neville la scosse più e più
volte, ma non dava segno di vita. Doveva essere stata schacciata dal
crollo, e
il ragazzo aveva sperato che fosse morta sul colpo, e non per mancanza
d'aria
al di sotto delle rovine. E fu allora che, alzando lo sguardo, lo vide.
Inchiodato ad un albero non molto
lontano, c'era suo zio. Neville vi si recò immediatamente, e
quello che vide lo
fece quasi svenire. Il suo corpo era stato crivellato, di colpi, ed era
stato
inchiodato per le braccia al tronco dell'albero con due grandi
frammenti ossei.
Dal collo gli pendeva un cartello, che recava una scritta in lingua
Unown.
Neville aveva riconosciuto subito
quella scritta, poiché la lingua dei pokemon era quasi
uguale a quella umana.
"Gli umani adesso sono morti. Tutti!" diceva. Neville si era accasciato
a terra, in preda alla disperazione. In un solo giorno aveva perso quel
che
rimaneva della sua famiglia.
Solo dopo molto tempo si calmò.
Ma fu per poco. Neville aveva stretto i pugni, e aveva guardato in
basso.
Adesso che la disperazione era scomparsa, stava arrivando
qualcos'altro.
Un'emozione che Neville non aveva mai provato prima di allora.
Una furia cieca lo pervase, una
furia che lo spinse a cercare immediata vendetta. Seguì le
tracce dei pokemon,
ed arrivò verso tarda sera ad un piccolo paese di campagna
abbandonato. Da un
edificio più grosso degli altri proveniva un gran baccano, e
Neville vi aveva
sbirciato attraverso una finestra.
Dentro vi erano, attorno ad un
fuoco, cinque pokemon. Neville non aveva saputo riconoscere le specie,
non che
gli importasse. Emettevano in continuazione versi dal tono ilare, quasi
come se
stessero facendo dell'umorismo su quanto accaduto quel giorno. E
Neville non
fece altro che infuriarsi sempre di più.
Aspettò pazientemente che si
addormentassero, e una volta che fu sicuro di ciò si
addentrò nell'edificio.
Estrasse il suo coltellino, e si mise al lavoro. Squarciò la
gola a quattro di
quei mostri in men che non si dica, e quelli morirono senza quasi
accorgersene.
L'unico che ebbe una reazione fu l'ultimo, quello che aveva riso
più di tutti
quella sera.
Era una specie di drago blu dalla
testa rossa, pieno di spunzoni altrettanto rossi e squamosi sul resto
del
corpo. Appena Neville gli ebbe poggiato la fredda lama del coltello
sulla gola,
quello si svegliò. Ma Neville fu più rapido, e
gli mise una mano sulla bocca.
Si soffermò per un attimo sui suoi occhi sgranati, e se ne
compiacque. Poi
affondò la lama.
Si mise in seguito a rovistare
nelle borse che si portavano appresso. Non trovò nulla di
utile, solo del
denaro. Prese in mano una moneta, e la osservò. Da una parte
era stato inciso
un numero uno stilizzato, mentre dall'altra erano impresse un'ala, una
zampa
dall'aspetto felino, una zampa artigliata e una mano umanoide l'una
sopra
l'altra. Neville gettò via con disprezzo quella moneta. Non
sapeva che farsene.
Da quel momento cominciò a vivere
da solo, nascondendosi da una città all'altra. Aveva vissuto
così per quasi
trent'anni, fin quando non aveva sentito di doversi fermare. Senza
volerlo era
tornato alla sua casa natale, e si soffermò sulle macerie.
Le intemperie
avevano scoperto molte cose all'apparenza andate perdute nella
distruzione
della casa, fra le quali Neville trovò una foto. La stessa
che conservava
ancora.
Essa ritraeva suo padre e suo zio
in piedi, dando le spalle ad un piccolo edificio. A quel punto Neville
si
ricordò di quella casa. Aggirò subito le montagne
vicine, e salendo di quota la
trovò. Suo padre e suo zio la usavano come deposito per le
carni, ma Neville
fece presto a riconvertirla in abitazione, come in fondo doveva essere
stata
molto tempo prima. Da allora aveva sempre vissuto lì, senza
spostarsi mai più.
Almeno fino a qualche mese prima.
Per
quanto ci provasse, Neville
non riuscì a prendere sonno. Ripensare al suo passato non
gli aveva fatto bene.
Si rigirava in continuazione tra le coperte, senza mai riuscire ad
addormentarsi.
Verso le sei e mezzo, quando
cominciò ad albeggiare, si decise ad alzarsi.
Guardò fuori dalla finestra, e il
suo sguardo si soffermò sul bosco. Doveva togliere quelle
maledette trappole di
lì, a qualsiasi costo. Gli avevano già procurato
più danno che altro, quelle
cose, e non aveva intenzione che qualcos'altro andasse storto.
Si armò di pala e vestiti pesanti
e uscì. Mentre si dirigeva verso la foresta, prese a
ripensare a quelle
maledette trappole. Erano state piazzate lì oltre
quarant'anni prima da suo
zio, dopo che suo padre era morto. Da allora sua madre non aveva
più voluto
mandare nessuno a caccia, e suo zio era ripiegato su questa soluzione.
E
pensare che Neville era proprio andato a controllare quelle trappole
quel
giorno che cambiò la sua vita.
Da allora aveva smesso di
mangiare la carne di pokemon. Aveva giurato, sui cadaveri di quelli che
aveva
ucciso, che non si sarebbe mai più abbassato ad una cosa del
genere. E per anni
aveva tirato avanti a frutta e verdura mista a dosi massicce di
integratori,
che l'avevano sì tenuto in vita indebolendogli
però il fisico. E le trappole
erano rimaste lì ad arrugginire, fino al giorno prima almeno.
Dopo una mezzoretta buona di cammino
arrivò al limitare degli alberi, ed entrò cauto
nel bosco. Passò accanto alle
trappole in cui erano incappati i mostri suoi prigionieri il giorno
prima, e si
guardò con circospezione attorno, alla ricerca di
qualcun'altro di quei
marchingegni.
Dopo quella mattinata di lavoro
Neville guardò il proprio operato. Aveva perlustrato una
buona parte della
boscaglia, trovando sì en no una quindicina di trappole, che
aveva provveduto a
gettare dentro una buca scavata poco prima. Ricoprì la buca
di terra, e se ne
tornò a casa.
Ne aveva avuto abbastanza delle
trappole, e non avrebbe permesso che stessero ancora lì a
testimoniare le
vestigia di un passato ormai quasi del tutto dimenticato. Anche per
Neville i
giorni stavano finendo, e non intendeva certo lasciare che l'unico
ricordo di
lui fossero quegli stupidi ammassi di corde e metallo.
"Per questo quello è il mio
libro preferito" pensò, entrando in casa.
Note dell'autore
E rieccomi, dopo quasi un mese di inattività (non
è vero visto che ho fatto la superoneshotdellavita) con il
nono capitolo di "I am legend". Pensavate che fossi morto eh? Non vi
libererete di me così facilmente.
Ecco, da qui le cose cominciano a farsi interessanti. Non potete
immaginare il piacere che ho provato a riprendere possesso dei
personaggi di Lloyd e Neville (soprattutto del secondo, che ho
finalmente approfondito a dovere, anche se le sorprese non sono ancora
finite) dopo che erano rimasti rinchiusi per un mese dentro una
certella.
Oramai posso dire - sono sicuro di averlo già accennato -
che ci troviamo quasi a metà della storia. E ringrazio tutti
i recensori e i lettori che la seguono assiduamente. Vi ringrazio
soprattutto per la fede che non è venuta meno nonostante
l'assenza.
Ah, il sousafono sarebbe un sassofono gigante.
A presto,
A_e
Ormai quei tre caratteri
sono un marchio di fabbrica.
|
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Capitolo 11 *** Chapter 10: Recollection and food ***
10.
Recollection and food
Lloyd
provò per diversi minuti a
liberarsi dai legacci, ovviamente senza successo. Il problema
consisteva nel
fatto che non era ancora abbastanza lucido per riuscire a coordinare
per bene i
movimenti, anche se la sua costituzione non aiutava di certo. In fondo
era
risaputo che i quadrupedi potevano sollevare solo una zampa per volta e
non
tutte e due insieme a causa dell'angolatura totalmente opposta che
avrebbero
preso le ossa per favorire il movimento. E avendo le zampe legate
assieme tale
movimento era stato impossibile da effettuare. Non che non avesse
ugualmente
tentato, con l'unico risultato di farsi dolere ancor di più
i muscoli delle
gambe.
Ma quei vani tentativi non erano
stati però completamente inutili. Lloyd aveva infatti
scoperto una cosa, anzi,
due cose alquanto interessanti. Si ricordava di essersi ferito, la
prima volta
la zampa con un pezzo di vetro mentre scappava dalla casa e la seconda
quando
un ramo gli aveva infilzato la coscia quando era caduto all'interno
della buca.
Ebbene, le parti lesionate, che
Lloyd ricordava sporche di terra e sangue, brucianti e faticose da
muovere,
adesso erano bendate. E le fasciature erano perfettamente bianche,
segno che
non erano state le prime ad essere applicate sulle ferite. Il Deino
infatti se
le ricordava mentre eruttavano sangue come se non ci fosse un domani,
mentre
invece adesso non facevano più male se non si provava a
muovere molto, ed erano
pure bendate. Qualcuno di sicuro l'aveva soccorso, ma non riusciva a
spiegarsi
né chi, né come e né
perché. Se davvero chi li aveva soccorsi li aveva anche
curati, che bisogno c'era di legarli in quel modo? Erano considerati
una
minaccia? Era forse l'umano ad averli presi? E se sì,
perché mai li avrebbe
dovuti curare? E se invece si fosse trattato di qualcun altro?
A Lloyd faceva male la testa a
causa di tutte quelle preoccupazioni. Era sveglio da poco
più di dieci minuti,
eppure gli sembrava di essere là da un'eternità.
E già si sentiva stanco. Era
tentato di abbandonare di nuovo la testa sul freddo pavimento, ma
cercò di
resistere, senza nemmeno sapere veramente il perché.
Alla fine cedette, le palpebre si
fecero pesanti e si addormentò di nuovo.
***
Neville
venne svegliato dal
fastidioso trillo della sveglia. Con un pugno schiacciò il
pulsante di
spegnimento dell'apparecchio e si girò dall'altra parte del
letto, tirando su
le coperte. Era stato un movimento quasi naturale, non se n'era neppure
reso
conto. Eppure un piccolo pezzo di lui sapeva quello che aveva appena
fatto, e
dopo qualche minuto di sospensione tra il dormiveglia e la
realtà, Neville
finalmente si decise ad alzarsi.
Avrebbe ardentemente desiderato
rimanere a letto, quel giorno. Non si sentiva bene, la testa gli faceva
male e
non aveva chiuso occhio per quasi tutta la notte. Era riuscito ad
appisolarsi
solo un'oretta prima, ma quel breve lasso di tempo non era certo adatto
a
soddisfare il fabbisogno giornaliero di riposo di un uomo adulto.
Del resto si era ripromesso di
badare meglio a quei mostri. Prima di tutto doveva pensare a nutrirli
regolarmente,
poiché l'ultima cosa che voleva era la loro morte. Per il
momento. Poi doveva
assicurarsi di trovargli un altro posto sicuro dove sistemarli. Ormai
la
cantina non era più adatta.
Neville aveva riparato alla
bell'è meglio il buco causato dai pokemon. Nel capanno degli
attrezzi dietro la
casa aveva trovato qualche pannello di truciolato e di cartone, il
tutto appena
sufficiente a coprire, pur lasciando qualche buchetto dal quale
penetravano
spifferi d'aria, il buco. La caldaia per lo meno non si era
danneggiata, e per
questo poteva ritenersi molto fortunato. "Comunque" si era detto
"devo metterli in un posto diverso".
Dopo aver lasciato vagare la
mente per un po', Neville si alzò finalmente dal letto. Si
stiracchiò, e andò
alla finestra. Il catino appoggiato sul minuscolo balcone era pieno
d'acqua
fino all'orlo: doveva aver piovuto, quella notte. Lo prese, lo
appoggiò sul
comodino e prese una piccola brocca, che immerse nel contenitore fino a
farla
riempire d'acqua. Si affacciò di nuovo al davanzale della
finestra e prese a
lavarsi la faccia, attento a sprecare meno liquido possibile. Si
asciugò la
pelle con un lembo della coperta e ributtò l'acqua avanzata
nel catino. Non era
per niente facile sopravvivere in quel modo, ma oramai era tutta la
vita che faceva
così, e Neville si era presto abituato.
Con calma si sfilò il pigiama e
si vestì. Ripose i leggeri tessuti di lana sopra il letto,
ed indossò i pesanti
pantaloni che era solito portare, abbinandoci un maglione verde morto e
assicurando il tutto ad una cintura ben stretta alla vita. Non si tolse
le
ciabatte, era pur sempre in casa sua.
Prese con delicatezza il catino,
e facendo attenzione a non far uscire nemmeno una goccia d'acqua lo
portò di
sotto, sforzandosi di non perdere l'equilibrio mentre scendeva le
scale.
Fortunatamente l'operazione riuscì, e l'uomo
depositò il catino in cucina.
Prese da sopra una mensola un panno di spugna, e fece per immergerlo
nell'acqua, salvo poi ripensarci e abbassare piano la mano.
Da quando li aveva riacchiappati,
nessuno dei mostri si era risvegliato. Ma nonostante ciò
doveva pur sempre
nutrirli. Aveva finora evitato il cibo solido, per paura che essendo
incoscienti si potessero magari strozzare con un pezzo di qualcosa che
non
avevano avuto il riflesso di ingoiare, non essendo svegli. Era invece
ripiegato
su di un panno imbevuto d'acqua, che per una mezza dozzina di volte al
giorno
aveva strizzato quasi direttamente nella bocca dei mostri al fine di
fargli
assimilare il liquido senza che essi si svegliassero prima del dovuto.
Ma ormai
erano passati tre giorni da quando li aveva riportati lì, e
forse era ora che
il loro sonnellino finisse e che tornassero a mangiare qualcosa di
più denso
dell'acqua.
Neville posò il panno dove
l'aveva preso, e si diresse al frigorifero. Lo aprì, e
guardò cosa aveva. C'era
un bel po' di frutta, come mele, pere, un paio di banane e qualche
susina,
oltre ad un grappolo d'uva. Ma la cosa più abbonante erano
le bacche. Ma non le
bacche che ad esempio crescono spontaneamente, come i frutti di bosco.
Oramai
il tipo di frutta più diffuso erano le loro
bacche. Quelle schifezze erano giunte assieme a quei mostri, e non
erano altro
che brutte copie della frutta vera. Baccamela, Baccapesca, Baccaki e
tante
altre idiozie del genere. Nemmeno la fantasia di scegliersi un nome
diverso.
Almeno erano nutrienti, questo Neville doveva ammetterlo. Ma cercava di
mangiarle il meno possibile, e per questo furono quelle la portata
principale
del piatto che preparò per i suoi "ospiti".
Le dispose malamente su di un vassoio,
e si sedette infine a contemplare il suo lavoro. Guardò la
piccola catasta di
frutta, e quasi si rattristò di non poter continuare a
nutrire i mostri con
l'acqua. Purtroppo, nonostante ne disprezzasse, le bacche erano la sua
principale forma di sostentamento, e rinunciarvi per nutrire degli
stupidi
pokemon non era certo facile. Ma stavano deperendo in fretta, e Neville
non
voleva che passassero all'altro mondo proprio in quel momento
così delicato.
Altrimenti cosa li avrebbe curati a fare? Non gli aveva certo ripulito
le
ferite e sprecato delle preziose bende solo per vederli spirare un po'
più
tardi.
Si alzò, prese in mano il vassoio
e fece per dirigersi nella stanza dei prigionieri. E fu solo allora che
si
ricordò di averli legati. "Cazzo!" imprecò
mentalmente, e fece marcia
indietro. Appoggiò di nuovo il vassoio sul tavolo, prese un
coltello dal
cestello delle posate e cominciò a sbucciare la frutta.
Da legati i mostri sicuramente
non potevano fare grandi manovre o movimenti eccessivi, e questo
includeva lo
sbucciare la frutta oppure prenderla in mano per mangiarla. E
così a Neville
erano rimaste tre soluzioni: slegarli, imboccarli oppure sbucciargliela
e
lasciare che se la cavassero da soli. La prima era assolutamente fuori
discussione, era certo che avrebbero tentato di nuovo la fuga. La
seconda era
troppo umiliante per Neville. Ridursi ad imboccare anche solo una di
quelle
spregevoli aberrazioni sarebbe stato toccare il fondo. Per cui, anche
se un po'
titubante, l'uomo mise in atto la terza opzione.
Finì di togliere la buccia anche
prima di quanto desiderasse. Fece attenzione a disporre il cibo sul
vassoio,
mettendo i frutti più pesanti sul fondo e quelli meno
voluminosi in cima, in
modo che non si spappolassero. "Ma che sto facendo?" si chiese
mentalmente
"Gli preparo anche dei piatti raffinati?".
Prese il vassoio, e si incamminò
verso il corridoio.
***
Era
di nuovo sospeso nel nero.
Pareva che ogni altra forma di sogno fosse stata bandita al punto che
nemmeno
gli incubi si facessero più vivi, lasciando solo quell'atona
oscurità. Non che
a Lloyd dispiacesse, in fondo preferiva quello a chissà
cos'altro.
Eppure... avvertiva che non
finiva tutto lì. C'era qualcos'altro oltre a lui e al nero.
Qualcosa di molto
più consistente. Capì al volo di cosa si
trattava: la muraglia. Ed aguzzando la
vista infatti la scorse, non particolarmente lontano. Distinse subito e
con più
chiarezza della volta precedente il movimento che pareva fare lo strano
muro,
anche se notò che adesso sembrava essersi fatto
più frequente, ed ogni scossone
diventava sempre più violento (anche se di poco) del
precedente.
Questa cosa inquietò
profondamente il Deino. Sentiva che c'era qualcosa di sbagliato,
qualcosa di
marcio in tutto ciò. Eppure era presente anche quella strana
sensazione di
calore, del tutto fuori luogo in una situazione come quella. Oltre ad
esserne
timorato, Lloyd si sentiva in qualche modo attratto da quel muro. Ma
questo non
lo realizzò subito.
Fu
una luce, dapprima fioca e poi
sempre più intensa a risvegliarlo. Il pokemon
aprì stancamente gli occhi, e fu
quasi accecato da tutto quel bagliore. Da quant'è che non
vedeva la luce? Da
almeno tre giorni, ovvero a quando risaliva il suo ultimo ricordo della
cella
dove era stato rinchiuso per circa una settimana.
Poi, in mezzo al bianco, distinse
anche qualcosa di nero. E quel nero si muoveva. Lloyd provò
a mettere a fuoco,
ed intravide una forma umanoide avanzare verso di lui. Per un attimo il
Deino
si spaventò, credendo che quell'essere gli stesse venendo
addosso. Vedendolo agitarsi,
l'estraneo si fermò un attimo ad osservarlo, salvo poi
chinarsi per appoggiare
qualcosa a terra. L'essere si rialzò, lo guardò
di nuovo per un istante e fece
dietrofront, scomparendo di nuovo nella luce. La quale scomparve un
paio di
secondi dopo di lui.
Sulle prime Lloyd non capì
cos'era appena successo. Fu l'odore che gli arrivò al naso a
fargli
riacquistare, seppur in minima parte, la capacità di agire e
di pensare con un
po' di lucidità. "Cibo" pensò. Lo stomaco, quasi
a confermare i suoi
sospetti, emise un sonoro brontolio.
Affamato, cercò di allungarsi
verso il punto dove l'essere aveva appoggiato qualcosa. E infatti
più avanzava
e più l'odore si faceva intenso, facendogli progressivamente
riacquistare le
sue energie. Finalmente riuscì a distinguere i contorni di
un piccolo vassoio,
e subito dopo le sagome di una manciata di bacche tutte diverse da loro
accatastate su di esso.
***
Neville
si lascio ricadere sulla
poltrona del suo studio, chiudendo nel frattempo gli occhi. Lo sforzo,
seppur
blando, di portare da mangiare ai suoi prigionieri l'aveva
completamente
privato delle energie. Questo era un segnale. E l'uomo aveva capito
anche cosa
significava. La fine non era lontana, e più i giorni
passavano più sentiva
accorciarsi le sue forze e la sua voglia di continuare a tirare avanti.
Ma
doveva resistere, anche solo un'altra settimana sarebbe bastata.
Neville si portò due dita agli
occhi, e se li strizzò, cercando di mandar via il fastidioso
impulso a
lasciarsi cadere in un sonno profondo. Si prese poi a massaggiarsi le
tempie,
borbottando parole incomprensibili di frustrazione tra sé e
sé. Era tutto il
giorno che stava venendo tormentato da un mal di testa martellante, a
tal punto
che gli sembrava che il cranio gli dovesse scoppiare da un momento
all'altro.
Aveva provato a preparasi una tisana calda e a stendersi un po', ma
niente
aveva funzionato.
Finalmente l'uomo aprì gli occhi,
e lo sguardo gli cadde sulle due bandiere sopra il caminetto. Erano
flosce e
ripiegate su sé stesse, e dovevano stare a prender polvere
da un bel po' di
tempo. Neville ripensò a quando l'aveva raccolte nel mentre
del suo peregrinare
passato.
Una notte si era fermato in un
castello in rovina, mezzo distrutto e invaso dalle erbacce. Doveva
esserci
stata una battaglia, altrimenti mai si sarebbe spiegato un tale
macello. Ciò
però doveva essere accaduto almeno una trentina d'anni
prima, visto che non
v'era traccia di cadaveri né di qualsiasi segno recente che
potesse
testimoniare lo scontro. Nell'aria però aleggiava un odore
strano, un odore
dolciastro, come di fiori appassiti. Un odore che sapeva quasi... quasi
di
morte.
Aveva esplorato un po' le sale
del castello, ed effettivamente vi aveva trovato vari resti ossei qua e
là, ma
non avrebbe mai saputo dire se appartenessero ad umani o a pokemon o a
qualcos'altro. Inoltrandosi in profondità nelle rovine del
maniero aveva
trovato per terra uno straccio verde, che Neville aveva raccolto
pensando si
trattasse di un antico arazzo magari caduto dal muro. E invece no, era
una
bandiera di seta finissima, sulla quale era recata una spirale mezza
bianca e
mezza nera in campo verde. Se l'era portata dietro, pensando che un po'
di
stoffa forse gli sarebbe potuta tornare utile.
Poi, dopo qualche ora, mentre si
accingeva a trovarsi un giaciglio per la notte, l'aveva vista. Su di un
torrione Neville aveva scorto un qualche vessillo mosso appena dal
vento, ma
essendo sera non aveva saputo dire di cosa effettivamente si trattasse
per
colpa del buio. Ma una folata di vento improvvisa l'aveva sferzato al
punto da
farlo distendere in tutta la sua lunghezza. Il vessillo si era disteso
per
lungo nell'aria circostante, e si era messo proprio davanti alla luna
di quella
sera, che era piena. L'uomo aveva potuto così distinguere
così ogni minimo
particolare di quella bandiera: una croce bianca in campo blu scuro.
E solo allora aveva realizzato.
Neville era corso subito verso il torrione, e ne aveva trovato
l'ingresso non
con poca fatica. Era in qualche modo riuscito a districarsi tra i
corridoi e le
varie sale, ed infine era arrivato sul camminamento dove aveva visto
svolazzare
la bandiera. Individuatala, l'aveva allora issata su, e l'aveva
ammirata in
tutta la sua bellezza. La distese per terra e tirò fuori dal
suo zaino anche
l'altra bandiera, e le dispose l'una di fianco all'altra. Quelle per
lui erano
due preziose reliquie. Erano il simbolo di una razza che sarebbe presto
morta
con lui, l'ultima testimonianza della battaglia in cui erano periti la
maggior
parte degli uomini sopravvissuti alle Grandi Guerre.
E finalmente capì: quel castello
non era una rovina qualsiasi, bensì il teatro dell'ultimo
scontro tra umani e
pokemon per la supremazia sul pianeta Terra. Quello era il castello di
Stirling, dove le ultime forze umane erano state assediate per giorni
dalle
armate di quei mostri ripugnanti prima di soccombere definitivamente.
L'assedio
dal quale suo padre e i suoi familiari erano in qualche modo riusciti a
salvarsi, solo per morire miseramente pochi anni dopo.
Aveva preso allora una decisione:
non avrebbe lasciato che le ossa dei suoi simili fossero lasciate a
marcire
all'aria, preda delle intemperie e di chissà cos'altro.
Aveva rinunciato a
dormire per quella notte, e aveva passato tutte le ore piccole a
raccogliere
tutte le ossa che era riuscito a trovare e a separare quelle degli
umani da
quelle dei pokemon, per quanto le sue scarse conoscenze anatomiche gli
permettevano. Aveva poi scavato una fossa con una piccola pala che si
portava
sempre dietro, e vi aveva riposto con cura i resti, per poi ricoprirli
e
compattare la terra al meglio che poteva onde evitare che qualcuno di
quei
mostri potesse accorgersi della terra smossa e magari spinto dalla
curiosità
potesse profanare il luogo dell'eterno riposo degli ultimi coraggiosi
combattenti umani.
Neville
stava rivivendo quelle
scene con sorprendente realismo, quasi fosse tornato indietro nel
tempo. O
quasi stesse sognando i suoi stessi ricordi. Ed effettivamente le cose
stavano
proprio così, in quanto l'uomo si risvegliò,
grondante di sudore e lievemente eccitato
al ricordare quei fatti lontani.
Una lacrima gli scappò da un
occhio senza che lui se ne accorgesse, e la notò solo quando
gli bagnò il
labbro superiore. Neville assaporò per un attimo il sapore
salato e poi si
asciugò l'occhio con il dorso della mano.
Pensò di alzarsi, ma desistette
quasi subito da quel proposito poiché le gambe non ne
volevano sapere di farlo
alzare. Cercò allora di rimettersi a dormire, ma si sa, il
sonno quando lo
cerchi non arriva mai mentre al contrario ti coglie quando è
indesiderato. Rivelatasi
fallimentare anche questa intenzione, Neville si mise a pensare. E fu
allora
che gli ritornarono alla mente le riflessioni del giorno prima sulla
sua vita.
A quel punto in testa prese a parlare una voce davvero fastidiosa, che
lo torturava
urlandogli "Stronzo, non ci hai
pensato abbastanza! Adesso paghi pegno!". Era tutto frutto
della sua
immaginazione, ma Neville non se ne rese conto subito.
E così, quasi come una forma di
tortura autoimposta, all'uomo tornarono in mente tutti i ricordi
più dolorosi
della sua vita: la morte del padre prima e quella della madre e dello
zio in
seguito. In particolare l'immagine del decesso degli ultimi due gli
tornò
chiara e limpida, come se l'avesse appena vissuta.
E così come le immagini gli
tornarono anche tali e quali le emozioni: dapprima una disperazione che
non
aveva mai provato. In un colpo solo aveva perso sia la madre che lo
zio, gli
unici che erano mai stati presenti per lui (oltre che gli unici ad
essergli
rimasti, si intende). Li aveva perduti per sempre, portati via dagli
infami
artigli del destino.
Neville era rimasto quasi
l'intero pomeriggio a piangere sui cadaveri dei suoi parenti,
finché realizzò
che non erano stati gli artigli del destino a portarglieli via,
bensì gli
artigli di qualcos'altro. Qualcosa di molto più diabolico e
crudele, oltre che
animalesco.
E fu allora che alla disperazione
era subentrata la rabbia. Una rabbia come Neville non l'aveva mai
provata, e né
come l'avrebbe provata di nuovo. Fu l'unica occasione in cui perse il
controllo, lasciando che fossero i propri istinti a guidarlo,
perché mai e poi
mai avrebbe fatto quel che fece se avesse potuto rispondere delle
proprie
azioni.
Ma al rimorso per essersi
lasciato così imprudentemente guidare dai suoi sentimenti
presto venne
sostituito dal piacere, il piacere provocato dal ricordo della dolce
vendetta
che si era preso sugli assassini dei parenti. Mai avrebbe dimenticato
gli occhi
sbarrati dell'ultimo mostro che la sua mano aveva ucciso, e mai si
sarebbe
pentito delle sue azioni passate. Né mai di quelle presenti.
Del resto, da quello che aveva
inteso quando aveva spiato gli assassini, intendevano usare il corpo
dello zio
come attrazione turistica, una specie di luogo di pellegrinaggio. Forse
intendevano lucrare sul fatto che tali resti potessero essere
considerati una
sorta di reliquia, vestigia dell'ultimo essere umano, ultimo degli
odiati
nemici della razza dei pokemon. Anche se Neville aveva due motivi per
cui
opporsi a tale cosa: primo, aveva conosciuto abbastanza a lungo suo zio
per
capire che non era in grado di arrecare sofferenza ad altri solo per il
gusto
di farlo, come invece sembravano comportarsi la maggior parte dei
mostri. E
secondo, suo zio non era l'ultimo umano, c'era ancora lui vivo.
La notte precedente Neville aveva
pensato a queste cose assai di sfuggita, poiché è
comprensibile il fatto di non
essere, diciamo, completamente lucidi a quell'ora tarda. Ma adesso vi
aveva
rimuginato per bene, ed era ben intenzionato a non farlo mai
più, poiché quei
dolorosi ricordi gli facevano appunto male, molto più male
anche di quanto egli
stesso sospettasse.
- Adesso ci ho pensato per bene!
Contento?! - urlò Neville a pieni polmoni, rivolto alla
vocina che lo aveva
istigato a rimuginare su quei fatti ormai dimenticati. Aveva preso una
decisione: quella sarebbe stata l'ultima volta che ci pensava, e mai lo
avrebbe
rifatto fino al fatidico momento. Chissà, forse allora vi
avrebbe dedicato
l'ultimo istante di lucidità.
Si alzò dalla poltrona, e si
diresse alla scrivania. Si sedette allo sgabello, e si rivolse verso
l'angolo
del tavolo. Adagiato lì c'era un libro non molto grande,
rilegato in elegante
pelle nera e con scritte vergate in un solenne carattere dorato.
Edizione 2074,
recava una piccola nota sulla costola. "Allora sì che li
sapevano fare i
libri" rifletté l'uomo.
Neville prese delicatamente in
mano il libro, lo mise davanti a sé, accese la lampada
fissata poco sopra la
sua testa e prese, con fare quasi maniacale, a lisciare pagina per
pagina il
vetusto manoscritto. Ci teneva a che gli sopravvivesse, così
che magari qualche
postero avesse potuto comprendere il motivo delle sue azioni.
Note dell'autore
Piccolo avviso, non so se sarò in grado di pubblicare di
nuovo prima della fine dell'anno, poiché indicativamente
attorno al 20 mi dovrò sottoporre ad un'operazione per la
quale dovrò restare degente per un paio di giorni in
ospedale. Riguardo a cosa, fatevi i cazzi vostri.
Chi ha notato un leggero cambiamento di stile? In questo momento sto
leggendo Le avventure
di Arthur Gordon Pym, e devo dire che lo stile di Poe mi
ha preso. E penso che si noti.
Oramai siamo a più della metà della storia, per
cui sto già cominciando a pensare a cosa verrà
dopo IAL. E a proposito, ho una piccola sorpresa che magari non a tutti
piacerà.
|
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Capitolo 12 *** Chapter 11: Returning home ***
Chapter 11:
Returning home
Nonostante
avesse realizzato
subito, almeno fin quasi da quando si era svegliato, che era del tutto
inutile
tentare di liberarsi, Lloyd aveva voluto provare comunque. Aveva subito
fallito
miseramente, ma non si era dato per vinto. Il risultato era stato
l'insorgere
di dolorosi crampi ai muscoli delle gambe nel rimanere tesi nel cercare
di
piegare le ginocchia. Anche quelli del collo non erano da meno; il
Deino,
essendo adagiato su un fianco, doveva piegare la testa in un modo
talmente
innaturale per cercare di arrivare alle zampe che dopo appena mezzo
minuto
cominciava a fargli male il collo. E tale tempo si accorciava ad ogni
nuovo
tentativo, e presto il dolore smise di tornare ad intermittenza e si
fece
permanente. Eppure il pokemon non mollava.
Del resto doveva trovarsi
qualcosa da fare mentre aspettava che gli altri si svegliassero. Doveva
essere
passato molto tempo dalla notte nella foresta, forse anche
più di un giorno o
due, poiché aveva dormito per svariate decine di ore e di
questo ne era certo.
Non che non avesse provato ad attirare la loro attenzione, visto che
aveva
passato una mezz'oretta buona a chiamarli mettendosi anche ad urlare.
Senza
successo ovviamente.
Ricordava di essersi svegliato
altre tre volte da quando gli era stato portato del cibo. La prima
aveva
invocato vanamente i suoi amici, la seconda l'aveva passata a studiare
nuovamente l'ambiente e la terza (ovvero quella più recente
e quella da cui si
era svegliato giusto poco tempo prima) la stava impiegando
così, a tentare di
liberarsi.
Non aveva idea di quanto tempo
avesse dormito, ma sapeva per quanto era rimasto sveglio. Decisamente
troppo
poco. Sarà stato forse l'ambiente ad influire su di lui. Si
sa che ogni pokemon
si trova a proprio agio col suo tipo, il quale però
può avere effetti
collaterali se rimanente in contatto per troppo tempo. Essendo
l'ambiente
completamente immerso nell'oscurità più fitta
Lloyd era indubbiamente nel suo
ambiente, essendo per metà di tipo Buio. E meno male che lo
era solo per metà,
altrimenti non era sicuro che gli sarebbe occorso solo il sonno come
effetto
collaterale.
Nonostante il fastidio causato
dai crampi, Lloyd continuò a tentare di arrivare a mordere
le corde per
liberarsi, senza però riuscire nell'impresa. Alla fine
decise di lasciar
perdere, anche se solo per quel momento. Adesso doveva a tutti i costi
evitare
di addormentarsi di nuovo, sapeva che quel sonno non gli avrebbe
portato nulla
di buono.
Ma soprattutto non voleva per
nulla al mondo rivedere il muro nero. Tutte le volte che aveva perso
conoscenza
e aveva sognato, la muraglia nera era sempre costantemente
lì, ai limiti del
suo campo visivo, a pulsare. Ed ogni volta che la rivedeva il pulsare
si faceva
sempre più veloce e più frenetico, quasi come
fosse sul punto di esplodere. Ma
questo passaggio era a malapena visibile, per cui Lloyd aveva dedotto
che ci
sarebbe voluto molto altro tempo prima che quella "cosa" si rivelasse
effettivamente un pericolo. Eppure non la voleva vedere lo stesso. Gli
infondeva calore, è vero, ma lo terrorizzava. Per la prima
volta da quando se
ne ricordava, il Deino alla sua vista aveva avuto paura.
Sapeva che sarebbe stato inutile
tentare di chiamare i suoi amici, ma non voleva nemmeno pensare alla
muraglia
del sogno. Doveva a tutti i costi trovare qualcos'altro che lo tenesse
impegnato.
"Ah, se solo Olston...
" pensò rassegnato il Deino, per poi riscuotersi "Olston! Ma
certo!
Se fosse effettivamente passato tanto tempo da quando siamo stati presi
dovrebbe già essere tornato alla casa e aver visto che non
ci siamo! Forse ci
sta già cercando." Lloyd era visibilmente eccitato "Devo a
tutti i
costi svegliare gli altri, forse insieme riusciremo a pensare ad un
piano".
Lloyd così prese ad urlare più
che poteva, incurante del baccano che stava creando.
- RAGAZZI! RAGAZZI! SVEGLIATEVI
RAGAZZI!!!
Continuò a fare un frastuono del
genere per un bel po' di minuti. Stava quasi per rinunciare, quando
qualcuno
effettivamente si svegliò.
- Hmmm...
La sagoma di Finley si mosse
debolmente a poca distanza da Lloyd.
- Ah... che male...
- Finley! Sono qui!
- Lloyd? Che... succede...
- Beh... prova a muoverti e lo
vedrai da solo.
Finley, anche se ancora un po'
confuso, seguì il consiglio del Deino, provando ad alzarsi
in piedi. Non ci
riuscì, con l'unico risultato di aver strisciato di un po'
verso l'amico
sveglio. Lloyd così, grazie alla sua vista avvantaggiata dal
buio, vide che
aveva le zampe legate più o meno come lui, mentre le ali
erano tenute aderenti
al corpo da una specie di cintura stretta saldamente attorno a tutto il
suo
corpo. Finley si guardò e rimase di stucco. "Deve essere
parecchio
stretta, quella cintura" pensò Lloyd "Chissà se
ce la fa a respirare.
Ma forse..."
- Finley - gli disse - Riesci a
venire qui vicino a me?
- Perché?
- Voglio provare a slegarti.
Anche se con un po' (anzi, molta)
fatica il Rufflet riuscì a portarsi di fianco al Deino.
- Ora potresti venire davanti a
me, magari dandomi la schiena?
Dopo molto tempo Finley portò a
termine anche quest'impresa, riuscendo a sdraiarsi proprio a ridosso
della
faccia di Lloyd. "Bene" pensò quello.
Prese immediatamente a mordere
con forza il legaccio che teneva bloccate le ali di Finley, ma si
rivelò più
duro del previsto. Il materiale con cui era fatto era parecchio strano.
In
qualche modo gli ricordava il legno, ma era decisamente più
morbido e di
tutt'altra risma. Forse poteva ricordare una pelle parecchio dura, ma
non era
sicuro. Provò con tutte le forze residue a reciderlo a
morsi, ma per quanto ce
la mettesse tutta la cintura sembrava diventare ancora più
dura. Alla fine rinunciò,
anche perché Finley aveva cominciato a gemere per lo sforzo
di tenere le spalle
arcuate al fine di permettere al Deino di lavorare.
Lo allontanò con la testa di
qualche centimetro al fine di riuscire a respirare. Non sembra ma le
piume che
Finley aveva attorno al collo erano decisamente fastidiose. Sentendo
però il
contatto del Deino sulla sua pelle, il pokemon Aquilotto si
agitò un po'.
- N-no - disse debolmente - Non
mi allontanare... caldo... si sta così bene...
Il Rufflet doveva essere ancora molto
confuso, ma Lloyd indovinò subito dove voleva andare a
parare.
- E va bene - disse un po'
imbarazzato - Ma è solo per tua necessità.
Permise a Finley di adagiarglisi
sullo stomaco.
- Che bello... - riuscì a
pronunciare il Rufflet prima di perdere di nuovo i sensi. E meno male
che
successe, perché se avesse prestato un po' di attenzione in
più all'amico
avrebbe potuto notare che sulle guancie del Deino si erano formate due
grandi
gote rosse. "Ma in fondo" pensò Lloyd per riprendersi "Non
sta
succedendo nulla di male".
Guardò per un po' Finley dormire
un sonno beato. Senza nemmeno accorgersene si ritrovò a
pensare che gli voleva
bene. Un bene proveniente direttamente dalla sua anima. Finley era il
primo (e
forse anche l'unico) amico che aveva mai avuto, e lo stesso valeva
all'inverso.
Era quanto di più vicino ad una famiglia potesse avere. E
ciò lo rendeva
felice.
- Ti voglio bene, Finley -
sussurrò Lloyd, prima di cedere al dolce invito del sonno ed
adagiare il capo a
terra.
***
Neville
continuava ancora a
rigirarsi in mano il barattolo delle pillole. Era un bel po' di tempo
che lo
faceva, poiché non riusciva a trovare nessun'altra
attività che lo potesse
tenere impegnato. Era seduto lì, su una sedia di fianco al
tavolo della cucina,
a giocherellare col piccolo contenitore con lo sguardo perso nel vuoto
chissà
dove.
Era buffo in un certo senso.
Sapeva che il tempo rimastogli era poco, eppure si ostinava a trovare
dei
momenti tipicamente umani di noia e dolce far niente. Anche se cose del
genere
non se le poteva assolutamente permettere le faceva ogni tanto,
esattamente
come in quel momento.
Quasi senza pensarci tolse il
coperchio, infilò un dito dentro e ne estrasse una pillola.
Se la ficcò in
bocca e mentre la ingoiava sbirciò dentro al barattolo. Glie
ne restava solo
una. Solo allora si mise a pensare. L'ultima ingestione risaliva ad una
settimana prima, per cui aveva fatto bene a prendere un'altra pillola,
anche se
era la penultima che gli restava. Aveva deciso di utilizzare quei pochi
giorni
rimastigli per rimettersi in pace con sé stesso, ma adesso
che lo doveva fare
lo trovava immensamente difficile semplicemente perché non
aveva nulla da
dirsi. Sapeva già quello che aveva fatto e quello che non
aveva fatto, sapeva
quali fossero i suoi desideri realizzati e quelli che non lo erano
stati. Ormai
per quel breve lasso di tempo gli restava solo un obbiettivo: far
sì che
l'umanità non fosse dimenticata tanto facilmente.
D'altro canto non c'era altra
scelta. Sarebbe morto comunque di lì a poco, l'incedere
dell'età non gli
avrebbe lasciato alcuno scampo. Era già tanto se il cuore
gli aveva retto per
tutto quel tempo, e non credeva che comunque sarebbe sopravvissuto di
lì a
qualche anno, per cui aveva deciso per tempo che sarebbe stato lui a
porre fine
alla sua vita. Ma per farlo avrebbe dovuto avere dei testimoni. Ed era
proprio
su questo presupposto che si fondava il suo piano.
Aveva spiato a tal proposito per
vari mesi quella "squadra d'esplorazione", com'era definita nei
libri, al fine di individuarne i membri più deboli e che
quindi gli avrebbero
opposto meno resistenza. Non ci aveva messo molto a capirlo, gli era
bastato
vedere chi avesse la testa china e chi alta. Aveva poi atteso
l'occasione
adatta per fare la sua mossa. C'era voluto un po', ma alla fine la
fortuna era
venuta dalla sua parte e quasi tutti i pokemon abitanti della casa se
n'erano
andati, lasciando nell'edificio solo i membri più deboli.
Era stato un gioco da
ragazzi stordirli con il gas. Un po' meno legarli alla slitta e
portarli alla sua
dimora, visto che li aveva sbatacchiati abbastanza procurandogli
numerosi
lividi ed escoriazioni, ma questi erano dettagli. Gli serviva che
fossero vivi,
non vegeti, così che potessero vedere l'ultimo umano in
azione.
E lì era iniziata la parte più
snervante del piano: l'attesa. A quel punto doveva aspettare che gli
altri
membri del gruppo ritornassero e notassero l'assenza dei loro compagni.
Avrebbero cominciato a battere tutta la zona circostante, e alla fine
l'avrebbero trovato. Lo avrebbero visto morire, e con lui la specie
umana
tutta.
Solo che, per qualche strano
motivo, tardavano ad arrivare. Neville era tornato un paio di volte
alla loro
casa, e l'aveva trovata sempre deserta. Non era rientrato nessuno,
nonostante
fossero passate almeno due settimane dal rapimento di quei mostri. E
non era un
fatto per nulla positivo, visto che aveva paura che i suoi problemi al
cuore
prevalessero su di lui prima del compimento dei suoi voleri. Alla fine
Neville
non poteva far altro che pregare che i mostri tornassero. Lo faceva
sempre, e
con tutto il cuore.
Per sicurezza gli aveva anche
lasciato un messaggio scritto. Se lo volevano affrontare, voleva almeno
che
sapessero contro cosa andavano a combattere. Chissà, forse
la rivelazione che
un umano esisteva ancora li avrebbe spinti a cercare con più
foga i loro amici.
Tanto oramai era solo questione di tempo, prima o poi sarebbe comunque
morto.
***
Lloyd
si era incantato ad
osservare il vassoio con la frutta. Adesso l'odore dolciastro si era
fatto più
pungente rispetto a quando era stata portata, segno che il processo di
putrefazione stava iniziando. "Se non si svegliano andrà a
male e
resteranno digiuni" pensò. Aveva lasciato un po' di cibo per
i suoi
compagni quando aveva mangiato, ma adesso se ne stava pentendo. Quella
deliziosa frutta stava per andare a male ed era solo colpa del suo
maledetto
altruismo. Aveva anche impedito a Finley di divorarla tutta una volta
che
questo si era svegliato per la seconda volta. Fosse riuscito a pensare
per sé
una buona volta.
Aveva comunque pensato un paio di
volte di mangiarla, ma aveva cambiato idea quasi subito. Lo disgustava
il
pensiero di dover mangiare del cibo avariato, e poi aveva lo stomaco
chiuso.
Ciò era dovuto alla sua preoccupazione per quella maledetta
muraglia nera. Già,
l'aveva sognata di nuovo. E pulsava sempre di più.
Credeva di impazzire, rinchiuso
in quella stanza oscura, senza nessuno con cui parlare. Erano ore che
era
immerso nel più completo e deprimente silenzio, senza nulla
a distrarlo dalla
sua lenta discesa nella follia. L'unica cosa che gli faceva mantenere
un
briciolo di ragione di sé erano i gemiti che ogni tanto
Finley emetteva
girandosi nel sonno.
Era impegnato a studiare la
parete davanti a sé, quando vide qualcosa che
attirò la sua attenzione. Aguzzò
la vista, e quasi gli si fermò il cuore. Dal muro sporgeva
un singolo e
appuntito chiodo.
***
Lasciarono
Algish Inn all'alba.
La compagnia era arrivata la notte precedente, ma aveva deciso di
sostare lì
fino a che non avesse fatto giorno a causa delle ferite riportate. Il
morale
era il più basso di sempre, e
non era
decisamente il caso di viaggiare col buio dopo quello che era successo.
Avery quella mattina decise di
tenersi in fondo alla fila. Non aveva voglia di parlare con nessuno,
specialmente con persone come Sanford oppure Olston. Sanford dopo
ciò che era
successo era diventato ancora più intrattabile di quanto
ancora non fosse già,
mentre Olston aveva assunto un'aria cupa, ancora più cupa
del suo solito.
Questo quando era in silenzio, mentre se lo si chiamava fulminava
l'interlocutore con uno sguardo furente. Era terribilmente brutta
questa
situazione. E visto che il Blaziken e il Gabite si posizionavano sempre
in
testa alla colonna il Machop preferì mettersi in fondo.
Quello che non sopportava era il
fatto di essere stato colto di sorpresa. Quando erano stati attaccati
era stato
stordito da un attacco, e quando aveva cercato di rialzarsi era stato
messo
definitivamente KO da un calcio in faccia. Il naso ancora gli faceva
male, e
aveva l'impressione di essersi anche rotto qualcosa. Quando si era
risvegliato,
si era infuriato. I nemici erano stati sleali, ma era la banda di
Kaiden, e i
membri della banda erano capaci di tutto.
Erano arrivati alla città
marittima di Dingwall al quarto giorno di viaggio dalla partenza dalla
casa. Lì
si erano incontrati con i committenti per sistemare gli ultimi dettagli
della
missione, e si erano anche ricongiunti con Eloise. Erano ripartiti la
mattina
dopo diretti verso sud, e avevano costeggiato per altri due il lago di
Ness. Si
vociferava che la banda di Kaiden fosse stata avvistata per l'ultima
volta al
confine con la Repubblica, e per questo si erano diretti in maniera
anche
troppo spedita verso la città di Fort William. Ma i loro
movimenti non erano
passati inosservati.
La sera dell'ottavo giorno erano
arrivati al vecchio forte umano abbandonato all'estrema punta sud del
lago di
Ness. Ogni pokemon con un po' di buonsenso avrebbe scelto di passare la
notte
all'interno del forte, facile da proteggere e da barricare. Ma Olston
si era
detto sicuro di voler andare avanti. "Prima arriviamo a Fort William e
prima scoveremo la banda" aveva detto. Così avevano
continuato a marciare
nella notte.
E poi vennero attaccati. Si erano
da poco immersi nella foresta attorno al lago di Unagan, quando da ogni
lato
cominciarono a piovere attacchi. Sembrava che l'inferno fosse sceso in
terra.
Avery aveva fatto in tempo a vedere una palla di fuoco scagliata
addosso ad
Olston e a sentire qualcuno imprecare quando qualcosa lo
colpì alla testa. Vide
tutto rosso, e quando cercò di rialzare la testa vide una
sagoma che correva a
tutta velocità verso di lui. Cercò di rimettersi
in piedi per affrontarla, ma
quella era stata più veloce e gli aveva sferrato un poderoso
calcio in faccia.
Quando si era risvegliato non
aveva potuto credere ai propri occhi. Tutti i membri della compagnia
erano a
terra. C'erano segni di una battaglia: sangue, fumo, qualcuno che
gemeva. Qualcuno
si era rialzato con lui, e insieme avevano cercato di far la conta dei
feriti.
E dei morti, naturalmente.
La mattina seguente, quando chi
poteva era di nuovo riuscito a muoversi, avevano seppellito i loro
caduti.
Nella foresta erano entrati in ventitré la sera e la mattina
successiva ne
erano usciti in diciassette. Tra gli alberi erano andati, per non
tornarne mai
più, Fred, George, Millicent, Domnall e Bailey. Ed Eloise.
Erano in qualche modo riusciti a
ritornare a Dingwall, anche se ci avevano impiegato il doppio del tempo
rispetto all'andata, e lì si erano fatti medicare. Arti
rotti e ferite
superficiali più che altro, anche se l'occhio di Olston era
stato conciato
parecchio male, ed il braccio di Mason era a tal punto compromesso che
richiese
l'amputazione.
Avevano deciso di andarsene il
giorno dopo da Dingwall. Si vergognavano di essere stati sconfitti in
modo così
stupido, e non volevano incontrare di nuovo chi li aveva commissionati.
Ancora
Avery non riusciva a capire come la banda di Kaiden li avessi sorpresi
così
facilmente. Forse qualcuno li aveva sentiti mentre contrattavano,
oppure erano
stati scorti dirigersi verso il sud, chissà. Sta di fatto
che avevano fallito.
E la parte migliore di tutto era
stata quando avevano incontrato Sanford, poco fuori Dingwall. Quando il
Blaziken aveva saputo della catastrofe dire che era impazzito
è dire poco.
Aveva letteralmente fatto saltare in aria una baracca lì
vicino per la rabbia,
e aveva seguitato ad urlare per tutto il giorno "Se mi aveste aspettato
non sarebbe successo!".
E così, dopo quattro giorni di
faticosa e penosa marcia, erano giunti di nuovo ad Algish Inn. Nessuno
per
fortuna aveva rivolto loro domande. I pochi abitanti del paesino erano
schivi e
taciturni, e nessuno di loro aveva tanta voglia di parlare. Si erano
fermati
per la notte, erano partiti di nuovo e adesso volevano solo ritornare a
casa.
La loro amata casa, dove li attendevano i cinque che avevano lasciato
indietro.
"Almeno loro stanno bene" pensò Avery, mentre il gruppo si
inoltrava
all'interno della valle sul fondo della quale abitavano.
Sorpassarono
il familiare lago quando
il sole cominciò a scomparire dietro le montagne, ed
arrivarono finalmente in
vista della loro amata casa. Avery tirò un sospiro di
sollievo nel rivedere i
contorni squadrati dell'antica costruzione, anche se per qualche strana
ragione
non divenne felice come avrebbe dovuto.
"Non esce fumo dal
camino" notò "Eppure fa abbastanza freddo qui fuori. Forse
stanno
aspettando che faccia buio. Bé, comunque sia adesso
ritorneremo alla vita di
sempre.". C'era una punta di tristezza nell'ultimo pensiero, forse a
causa
della brutta esperienza appena passata. Almeno rivedere le facce serene
di
Lloyd e Finley lo avrebbe rimesso su di morale.
Questo almeno pensò finché
confuse esclamazioni di stupore si levarono dal gruppo davanti a lui.
Di corsa
si precipitò verso l'ingresso della casa, attorno al quale
si era formata una
piccola folla, e contemplò a bocca aperta la scena. La
finestrella accanto alla
porta era aperta, l'asse di compensato che era stata sistemata alla
bell'è
meglio ormai più di due settimane prima giaceva a terra. La
porta era
socchiusa, e dentro l'edificio era buio pesto.
- Presto, tutti dentro! - ordinò
Olston - Lloyd! Finley! Hey, di casa!
Ma non c'era nessuno, nella casa.
Note dell'autore
Heilà, bella gente, come va? A me discretamente, nonostante
il maledetto raffreddore da cavallo. Oramai la storia, come avete
potuto intuire, si avvia verso la sua fine. Due o tre capitoli al
massimo e ce l'ho fatta. Forse già a febbraio potrebbe
arrivare il prologo di "A Game of Pokémon", un ff di cui
sono SICURO non indovinerete mai di cosa tratterà entro
quella data.
Buon Natale in ritardo e felice anno nuovo in anticipo!
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Capitolo 13 *** Chapter 12: Nails and memories ***
Chapter 12: Nails and memories
Dapprima
pensò ad
un'allucinazione. Era rimasto in quella stanza buia per talmente tanto
tempo
che non si sarebbe stupito del fatto d'essere impazzito e di vedere
cose che
non esistono. Fu per questo motivo che inizialmente non fece molto caso
a
quello che aveva visto. Ma più pensava che il chiodo fosse
un'allucinazione,
più la sua coscienza diceva che non lo era. Lloyd da parte
sua non sapeva
proprio a chi credere, se alla sua ragione o alla sua vista.
Inizialmente era orientato verso
la ragione, ma continuava a dubitare dei suoi stessi ragionamenti, e
continuava
a gettare occhiate nervose al piccolo arnese di ferro. E se fosse stato
reale?
Se non fosse stato solo il frutto della sua immaginazione e della sua
pazzia?
Se magari fosse veramente quel che sembrava e la mente non gli stesse
giocando
un brutto scherzo? D'altro canto se ci avesse voluto arrivare si
sarebbe dovuto
muovere, ed era un bel po' di tempo che non cambiava posizione. Le
zampe non
rispondevano più ai comandi, ed era un miracolo che
riuscisse a muovere ancora
la testa e il collo.
Alla fine decise di rischiare.
Avrebbe sì speso preziose energie, ma sarebbe stato per una
buona causa.
Lentamente, faticosamente, cominciò a trascinarsi verso il
pezzettino di ferro.
Doveva essere veramente uno spettacolo penoso e umiliante, ma oramai
aveva
cominciato quell'impresa ed era intenzionato a portarla a termine,
indipendentemente dal risultato che avrebbe ottenuto. Alcune volte le
forze gli
vennero meno e fu costretto a fermarsi, e la sua volontà
più volte vacillò
all'infida idea di fermarsi e tornare a dormire.
Ma, nemmeno Lloyd riuscì mai a
capire come, resistette. Resistette alle tentazioni e all'impulso di
fermarsi.
Resistette al buio che l'avvolgeva, resistette alla voglia di
arrendersi. La
sua forza di volontà si rivelò abbastanza forte,
e in qualche modo riuscì a
muovere ancora per un po' le spalle, cercando di trascinarsi fino al
muro.
E quando effettivamente arrivò a
toccare la parete tirò un sospiro di sollievo e
ringraziò Arceus per avergli
dato la forza. Mosse il collo e la testa, cercando di individuare la
posizione
del chiodo. E lo vide, a meno di un metro di stanza, piantato nel muro
a circa un
metro e venti da terra. Adesso doveva solo toccarlo per vedere se era
davvero
consistente come la sua vista gli stava facendo credere.
Ed era proprio questa la parte
difficile. Non aveva la minima idea di come fare a toccarlo. Prima di
tutto era
posto troppo in alto per la sua statura. Avrebbe potuto cercare di
ergersi
sulle zampe per provare a toccare con la testa il chiodo, ma aveva
già speso
tutte le sue forze nel suo viaggio di poco prima. E non gli venivano in
mente
altre idee, per cui alla fine giunse alla conclusione che la soluzione
migliore
era aspettare che gli tornassero. Per cui si mise lì,
adagiato al muro, e
aspettò.
Presto la realtà cominciò a
confondersi con la fantasia, e si ritrovò nel mondo dei
sogni. "Eppure non
mi sembra di essermi addormentato". Ma in fin dei conti in quelle
condizioni poteva fare poco o null'altro. E quindi eccolo
lì, sospeso
nell'oscurità. Si ricordava di averlo già fatto,
quel sogno. E ricordava anche
la muraglia nera. Infatti era lì, non molto distante da
Lloyd, e pulsava come
suo solito. Ovviamente a un ritmo più veloce dell'ultima
volta, ma questo il
Deino lo sapeva già.
Dapprima non gli sembrò di
provare niente, almeno finché non sentì il
calore. Ebbe un fremito, ma poi
riconobbe che gli piaceva quella sensazione. Si abbandonò
allora al piacere, e
pensò che in fin dei conti quella cosa non era poi
così brutta come l'aveva
pensata. Poi però il calore si fece più intenso
fino a scottare. E decisamente
questo non gli piaceva.
Provò a scuotersi e a muoversi in
tutti i modi per scacciare il fastidioso calore, ma non
sembrò funzionare.
Anzi, si fece anche più intenso, e la percezione del pokemon
da fastidio si
tramutò in dolore. Si divincolò come un pazzo
tentando di far cessare il
dolore, ma più opponeva resistenza e più
aumentava d'intensità. Fu così che
cominciò ad urlare.
-
L... Lloyd... che... cosa
urli...?
La voce riscosse dal sono il
pokemon Impeto. Strinse più volte gli occhi per riprendersi
dall'incubo, poi
cercò di muoversi. Ciò gli procurò un
po' di dolore dovuto all'indolenzimento e
anche allo sfregamento delle corde sulla pelle, ma con soddisfazione
realizzò
di essersi mosso di qualche centimetro.
Solo allora pensò alla voce. Non
era stato di certo lui a parlare, non era la sua. E allora chi...
- Lloyd? Sei... sei tu?
Nellie. Allora era lei ad essersi
svegliata. "Forse è un bene" pensò il Deino "Non
so se Finley mi
avrebbe potuto effettivamente aiutare". Non sapeva perché ma
sentiva che
il Rufflet non gli sarebbe potuto tornare utile.
- C-c... - provò a farfugliare
Lloyd - C'è d... c'è d...
- Lloyd... cosa vuoi dirmi...?
Il pokemon Impeto non riusciva a
parlare. Aveva totalmente esaurito le forze, o forse invece era solo
l'euforia
per aver trovato una possibile via di fuga a farlo balbettare. Decise
di
rinunciare in ogni caso. Pensando che magari l'amica potesse avere fame
mosse
ripetutamente la testa verso il vassoio col cibo. La Torchic
seguì con lo
sguardo i gesti e alla fine comprese, dirigendosi verso le Bacche.
Nellie provò a muoversi, ma
realizzò presto la gravità della loro situazione.
Si trascinò allora fino al
cibo e cercò di afferrarne col becco un po', masticando
mentre il succo le
colava sulla guancia. "Non è un bello spettacolo"
pensò Lloyd, e
chiuse gli occhi.
Nellie, vedendo che l'amico aveva
chiuso le palpebre, si preoccupò e lo richiamò.
- No! - esclamò a bocca piena -
Lloyd, non farlo! Non ti riaddormentare!
Il Deino venne riscosso dai suoi
avvertimenti. Non si era nemmeno accorto di aver chiuso gli occhi. Se
ne
dovevano andare di lì al più presto. Ma prima
avrebbe fatto finire di mangiare
a Nellie, e solo dopo avrebbe tentato di farle capire le sue intenzioni.
Quando era arrivato al muro aveva
pensato a come poter fare per arrivare a toccare il chiodo. Non ci
sarebbe
arrivato da solo, questo era certo. Vedendo svegliarsi Nellie aveva
però avuto
l'illuminazione, e forse poteva trovare una soluzione. Adesso che aveva
recuperato le forze avrebbe potuto tentare di puntellarsi sulle zampe,
e magari
prendendo Nellie in groppa lei sarebbe potuta arrivare a toccare il
metallo. E,
chissà, magari quel chiodo sarebbe stato abbastanza
acuminato da lacerare quel
materiale che le teneva bloccate le ali.
- Prima stavi urlando.
Le parole di Nellie riscossero
Lloyd dai propri pensieri. Non potendo parlare fece un gesto perplesso
con la
testa. La Torchic, probabilmente intuendo il problema dell'amico,
glielo confermò
di nuovo.
- Stavi urlando. Forse è stato
merito tuo se mi sono svegliata. - . Si gettò un'occhiata
intorno, e poi
affermò che quel posto non le piaceva per nulla. "Bella
scoperta"
pensò leggermente infastidito Lloyd "Ah, le donne.".
Quando il Pulcino ebbe finito di
mangiare Lloyd cercò di attirare la sua attenzione. Una
volta che Nellie lo
ebbe adocchiato, Lloyd prese a indicare con la testa sopra di
sé, verso il
chiodo. Vedendo che la compagna non capiva, il Mezzo Drago
cercò di aiutarsi
con il labiale.
- S-sopra... sopra d... d...
di... sopra di...
- Cosa? Sopra di cosa? - chiese
Nellie, leggermente preoccupata.
- Sopra di... me... sopra di
me...
- Sopra di te cosa?
- Ch... Chi... chio... sopra di
me... chio...
- Sopra di te chio?
- Chiodo... chiodo...! - sibilò
il Deino, esasperato.
- Sopra di te chiodo? - e solo
allora lei alzò la testa verso la direzione indicata
dall'amico. Vide il chiodo
e abbassò di nuovo la testa verso Lloyd. Sembrava ancora
confusa. Lloyd non
sapeva che Magikarp prendere per farglielo capire. Finché
gli venne un'idea.
Chinò il muso fino alle corde che legavano le zampe
anteriori e le morse,
facendo come per cercare di lacerarle. Poi indicò con la
testa il chiodo. Lo
fece ancora per due o tre volte, e finalmente Nellie comprese cosa
Lloyd voleva
farci con quel chiodo.
- Ho capito! Vuoi usare il chiodo
per sciogliere le corde!
Il Deino disse di sì con la
testa, gratificato. Ora doveva cercare di farla salire sulla sua groppa.
- S-sal... sali...
- Lloyd, ho capito che non ce la
fai a parlare. Forse ho capito come fare per usare il chiodo. Ce la fai
a
prendermi in groppa?
A sentire queste parole il Deino
sbatté la testa contro la parete.
***
Neville
si svegliò dall'ennesimo
sonno. Non se ne stupì affatto, anzi, oramai nemmeno gliene
importava più. Di
lì a poco sarebbe morto, e per quel che riguardava aveva
risolto tutti i suoi
affari in sospeso, se pur ne aveva mai avuti.
Si portò una mano agli occhi e se
li strofinò, cercando di scacciare le ultime tracce di
sonno. Si guardò
attorno, e capì di essere nel suo studio. Si tirò
su e si diresse verso la sua scrivania.
Il libro era lì, con la sua lucida copertina nera e le sue
scritte dorate e
rilucenti. Si sedette, e prese a sfogliarlo.
Le pagine erano ingiallite dal
tempo e molto sottili, quasi al punto che vi si poteva vedere
attraverso. Le
scritte vergate in inchiostro nero risaltavano su quella fragile carta,
al
punto che ogni volta che Neville vi posava gli occhi quasi vi si
perdeva.
Sorpassò il nome dell'autore, oramai sbiadito. Le uniche
lettere rimaste
leggibili erano la "R" iniziale del nome proprio e il "son"
del cognome, ovvero la sua parte finale. A Neville in fondo non
importava
veramente sapere chi l'avesse scritto, gli bastava che lo fosse stato.
L'aveva trovato mentre era ancora
intento a peregrinare, molti anni prima. Un giorno era entrato in una
grande
biblioteca, e aveva portato via con sé qualche libro giusto
per passare il
tempo. Ma tra tutti quelli che aveva preso era stato quello a colpirlo
di più,
in particolare la sua parte finale. L'aveva letto e riletto, e
più lo rileggeva
e più gli piaceva. E più gli piaceva e
più ne diventata ossessionato.
Ossessionato a tal punto da progettare la propria fine sul modello
della morte
del protagonista.
Richiuse il libro. Si sentiva
ancora troppo frastornato per poter leggere. Due passi all'aria aperta
gli
avrebbero solo fatto bene.
***
La
cosa che più suscitò orrore e
sorpresa nel gruppo fu il momento in cui trovarono la scritta. Era
stata fatta
sul muro del salotto, in un punto spoglio da oggetti come quadri,
mensole o
cose del genere. Il materiale con cui era stata vergata sembrava
vernice, ed
era rosso. Quando ancora non si era asciugata del tutto delle gocce
erano
colate giù lungo l'intonaco, lasciando striature sanguigne
in mezzo a quel
giallo smorto, il che contribuiva a rendere la scena più
desolante di quanto
già non fosse.
Gli umani non sono morti. Il
messaggio recitava così. Nessuna
possibilità di fraintendimento, il suo significato era stato
recepito forte e
chiaro da chiunque l'avesse letto. Cioè praticamente tutti.
I più colpiti
sembravano essere Olston e Sanford, forse perché loro li
avevano già visti una
volta, gli umani, visto che erano presenti alla Battaglia. Nessun
membro della
famiglia poteva vantare d'essere anziano quanto loro, e i trentaquattro
anni di
Darren impallidivano a confronto dei cinquantaquattro di Olston e dei
cinquantatre di Sanford.
Per un po' nessuno seppe cosa
dire. Olston si era portato l'artiglio destro sugli occhi e aveva
stretto i
denti. Sanford invece era rimasto fermo ed immobile ad osservare la
scritta,
gli occhi sgranati e la bocca leggermente aperta per lo stupore. La
loro
reazione in fin dei conti era comprensibile, sapere che gli umani non
erano
stati eliminati mezzo secolo prima era una notizia assai sconvolgente,
e lo
doveva essere soprattutto per i due membri anziani. Era normale che
reagissero
così.
Cominciarono allora a serpeggiare
i primi mormorii.
- Esistono ancora umani?
- Cosa è successo mentre non
c'eravamo?
- Che fine hanno fatto quelli che
erano qui?
- E adesso, cosa succederà?
Sanford si girò, un'espressione
indecifrabile in volto. Si diresse verso la poltrona più
vicina, vi si lasciò
cadere a sedere, si chinò su sé stesso e
portò le zampe in volto, coprendoselo.
"Deve essere rimasto davvero traumatizzato" pensò Avery
"Perdere
una figlia non dev'essere per nulla facile". All'interno della loro
famiglia erano pochi i legami di sangue veri e propri, e uno di questi
era
quello tra Sanford e la figlia Nellie.
Olston invece rimase dov'era.
Nessuno osò nemmeno avvicinarglisi, poteva non essere sicuro
farlo in momenti
come quello. Il Gabite era sempre stato molto più
controllato rispetto a
Sanford, al quale non importava di nascondere la rabbia, e ben di rado
Olston
era stato visto perdere il controllo. Ma quelle poche volte era bastato
a
tutti. Lo testimoniavano le finestre rotte dall'ultima volta, e si era
pensato
che fosse entrato nello Stato Berserk, anche se fortunatamente si era
ripreso
alla svelta. Se fosse entrato nel Berserk avrebbe fatto molti
più danni.
Dopo quello che parve un tempo
infinito, finalmente il Gabite si voltò, uno sguardo pregno
di determinazione
impresso in volto. "Non l'ha mai avuto prima d'ora" pensò
Avery,
leggermente turbato. Di solito Olston manteneva sempre un portamento
calmo ma
allo stesso tempo intimidatorio, senza mai però eccedere in
espressioni troppo
convinte o movimenti bruschi. Questa faccenda doveva essere
più grave di quanto
tutti loro potessero lontanamente immaginare.
- Darren, John, Tohr, Mike,
Pearl, andate fuori e cominciate a perlustrare la zona. Voglio che ogni
fenditura, ogni sentiero, ogni roccia, ogni lago, ogni ruscello, ogni
sasso di
questa montagna venga controllato bene, e quando avrete finito passate
al Benn
Englar e all'Amochag. Voglio che siate qui entro domattina. Via, andate.
- Aspetta - ribatté John, uno
Snover piuttosto slanciato per la sua specie - Come facciamo a
controllare
tutto per domattina? Potrebbero essere dovunque, anche non...
- Andate. - sibilò il pokemon
Grotta, fulminando, anzi, incenerendo lo Snover con lo sguardo -
Subito. E
tornate entro domattina. I cinque non poterono far altro che obbedire,
e
uscirono nel silenzio generale.
- Beth, Cirian, Keith, Ioseph,
andate a guardia degli ingressi. Roland e Devlin, sul tetto. Augustine,
torna
in infermeria e comincia a curare chi ne ha più bisogno.
Tutti gli altri,
aiutatela. Una volta che ci saremo rimessi andremo alla ricerca di
Nellie e
degli altri. Gliela faremo pagare eccome a chiunque li abbia presi, sia
un
umano un pokemon o quel che cazzo Giratina ha deciso di metterci
contro. Non
permetterò che a nessun membro della mia famiglia venga
torto un pelo. - .
Detto questo uscì dalla stanza, dirigendosi presumibilmente
verso la sua
stanza. "Eppure siamo partiti in ventitré e siamo tornati in
diciassette,
escludendo Sanford. Forse è tardi per reagire."
pensò Avery, un tantino
amareggiato.
Tutti rimasero immobili per
alcuni istanti, finché qualcuno incominciò a
rompere le righe. Ogni membro
della famiglia si diresse verso dove gli era stato ordinato da Olston.
Almeno
tutti fuorché Avery. C'era ancora qualcosa che non aveva
intenzione di lasciare
in sospeso.
Invece che andare verso le scale,
le quali gli avrebbero permesso di raggiungere facilmente la soffitta e
quindi
il tetto, si diresse a grandi falcate verso Sanford, ancora seduto il
poltrona.
Con una forza che nemmeno il Machop pensava di possedere,
sbatté violentemente
le mani sui braccioli (il Blaziken non vi aveva appoggiato le braccia),
e
cacciò fuori un urlo poderoso, con una voce che Avery stesso
stentò a
riconoscere.
- Ci avete mentito! Ci avete
sempre mentito! Avevate detto che gli umani erano morti, che erano
stati uccisi
tutti nella Battaglia, cinquant'anni fa, e invece ecco qua! Sarebbero
morti,
eh?! Pretendo una spiegazione! Perché ci avete mentito?!
Eh?!? PERCHE'!?!
Per un secondo Sanford rimase in
silenzio, chino su se stesso, nascondendosi la faccia con le zampe. Il
secondo
successivo la scoprì, rivelando un volto contratto, anche
troppo. Quello dopo
si raddrizzò sulla poltrona, facendo notare la differenza di
altezza, pure più
del doppio, rispetto ad Avery, guardandolo negli occhi. Quello dopo
ancora si
lasciò ricadere stancamente sul morbido schienale.
Nella stanza era ancora rimasto
qualcuno, e la scena era stata vista da un po' di gente. Dalla fine
dello sfogo
di Avery c'era stato solo silenzio, che venne infine rotto dalla voce
di
Sanford.
- Hai ragione, vi abbiamo
mentito.
Il tono era molto diverso da
quello che il Blaziken possedeva solitamente. Di norma manteneva sempre
un
comportamento spavaldo, iracondo e superbo, degnandosi ben poche volte
di
ammettere i propri errori o comunque di darla vinta a chicchessia.
Adesso
invece il tono era molto più mesto, quasi rassegnato, e nei
suoi occhi non era
rimasto nulla di quell'espressione fiera che lo caratterizzava. Non
c'era
preoccupazione, rabbia o paura, solo... tristezza. Avery tutto si
sarebbe
aspettato, meno che quello.
- Adesso, se magari volete starmi
a sentire, vi racconterò tutto. - . Si riaccomodò
sulla poltrona, dando il
tempo a chi lo voleva di avvicinarsi per sentire la storia.
- Come tutti voi saprete, io ed
Olston combattemmo nell'Ultimo Esercito, quasi cinquant'anni fa oramai.
Eravamo
due giovani spavaldi, io ancora un Combusken e lui un Gible, e ci
arruolammo
come volontari non appena sapemmo della costituzione dell'armata. Ci
unimmo per
il gusto del combattimento, per la voglia di avventure e di nuove
esperienze,
ma anche per il Sacro Obbiettivo: distruggere gli umani.
Io e Olston al tempo abitavamo, o
per meglio dire eravamo, nella Repubblica, giù a sud.
Più di preciso eravamo a
Londra, la grande città umana che era un tempo, adesso
capitale repubblicana.
Eravamo venuti a sapere di questa guerra, ma inizialmente non ci
interessava,
almeno finché non sentimmo predicare. Tutta la
città si era riempita di
religiosi, fanatici predicatori di Arceus e della liberazione dalla
schiavitù
umana. Anche se va detto che in realtà erano almeno
sessant'anni che nessun
pokemon era stato più soggetto al volere di un uomo.
L'umanità era una grande razza,
questo va detto, ma fu messa in ginocchio da due grandi guerre,
svoltesi
nell'arco di meno di mezzo secolo. All'inizio dei conflitti erano
numerosi,
molto numerosi, ma le guerre furono talmente devastanti che le loro
fila si
assottigliarono drasticamente. E come se non bastasse, una volta finita
la
seconda guerra cominciarono le Guerre di Liberazione. Dapprima furono
in pochi
a insorgere, man mano sempre di più. I pokemon cominciarono
a prendere il
sopravvento, dapprima scacciando gli umani dalle loro case e
depredandoli dei
loro averi e possedimenti, poi passando direttamente a trucidarli.
Così, quelle
che dapprima erano cominciate come semplici scorribande, presto si
trasformarono in Guerre Sante.
Furono quindici anni di sangue.
Umani e pokemon si affrontarono i centinaia, migliaia di scontri, l'uno
più
sanguinoso dell'altro, e quasi sempre la vittoria arrideva a noi.
Ritenendo i
loro animali indegni anch'essi vennero trucidati, nonostante molti
sapessero
che gli umani per crearci si erano ispirati a loro. E così
noi avanzavamo, e
loro retrocedevano. Sempre di più, sempre di più,
finché rimasero in pochi. La
maggior parte di loro si raggruppò proprio nelle terre dove
ci troviamo noi,
forse un po' più a sud di qui, magari dopo il lago di Ness.
Questi
sopravvissuti fondarono un nuovo stato, e piuttosto che tentare di
resistere
con le armi cercarono di arrangiare una pace con la nostra specie, che
nel
frattempo si era impossessata della parte sud dell'isola
(perché sì, la nostra
è una grande isola).
Per tre o quattro anni la pace
sembrò reggere, al punto che l'ultimo stato umano
cominciò piano piano a
stabilizzarsi. Ma fu allora che cominciarono le prediche e i fanatismi.
Certi
avevano paura che gli umani, una volta riorganizzatisi, cercassero di
riacquistare il dominio su di noi, altri invece vedevano quella nazione
come
una minaccia da stroncare, e fu così che quei facinorosi
trovarono un terreno
fertile su cui coltivare.
Io ed Olston avevamo sempre
vissuto per strada, e ci unimmo all'Ultimo Esercito per tre motivi:
stava
arrivando l'inverno e il cibo cominciava a scarseggiare, le motivazioni
dette
prima e infine perché rimanemmo affascinati dalle parole dei
predicatori. Non
so perché, ma c'era qualcosa nel loro modo di parlare, nel
loro modo di
trasmettere le proprie idee... Insomma, alla fine ci arruolammo, e
partimmo
verso nord.
Nel giro di un mese le poche
difese che gli umani erano stati in grado di disporre furono
annientate. Gli
uomini si ritirarono a nord, sempre più a nord, mentre noi
li incalzavamo, non
lasciandogli tregua. Ne uccidemmo molti in svariati piccoli scontri, ma
era
robetta. Di uomini ne restavano ancora qualche migliaio, e scelsero
come ultima
soluzione quella di barricarsi all'interno della fortezza di Stirling.
Stirling era, ed è tutt'oggi, un
vecchio forte umano risalente a molti secoli fa, dalle mura spesse e
dalla
posizione favorevole. Gli uomini lo scelsero proprio per questo come
ultima
dimora, e anche perché non avevano altri posti dove andare.
Decisi a farli
soffrire fino alla fine, assediammo la fortezza al fine di farli morire
lentamente per fame.
Ma non avevamo fatto i conti con
la loro determinazione. Una notte si levarono canti dal forte, quasi
come se
stessero festeggiando, e il giorno dopo ci fu tutti che quella chiamano
la
Battaglia, lo Scontro, l'Ultima Battaglia, lo Scontro Finale e cose del
genere.
Ricordo bene quel momento. Io ed
altri ci eravamo accampati in prossimità di un bosco, e
proprio lì, grazie ad
una rete di passaggi segreti, emersero molti uomini dal terreno,
assieme a
delle strane macchine di metallo. Vi montarono sopra, azionarono i
motori e ci
caricarono. Ricordo di essere stato travolto e solo dopo di aver
iniziato a
combattere.
Quel giorno uccisi almeno una
mezza dozzina di avversari, ma uno di loro mi restò
particolarmente impresso.
Era un umano basso, tozzo e vecchio, a giudicare dal suo aspetto. Ci
ritrovammo
l'uno davanti all'altro a causa della confusione e del movimento
continuo della
battaglia, e ci preparammo ad ingaggiare battaglia. Vedendo che
assumeva la
posizione iniziale delle arti marziali lo imitai. Da giovane le
praticavo, dopo
averle imparate nell'Ultimo Esercito. Me la cavavo anche discretamente,
a dirla
tutta.
Ma, nonostante fossi bravo, il
mio avversario lo era di più. Nonostante fossi
più alto, più atletico e più
forte di lui, riuscì a farmi mettere sotto. Mi incalzava
sempre, non mi dava
tempo di riprendere fiato, mi stava col fiato sul collo e non mi
permetteva di
utilizzare appieno il mio potenziale. Allora ebbi paura, e feci una
cosa che il
codice d'onore prima e la mia coscienza poi mi hanno sempre
rimproverato di
aver fatto. Deciso a non farmi sconfiggere da un umano, caricai il
pugno di
fiamme, così - e eseguì la mossa per dimostrarlo
- e, cercando di concentrarvi
tutta la potenza che avevo in corpo, lo colpì.
Lo presi alla gamba, che si
incenerì all'istante. Non mi dimenticherò mai lo
sguardo che fece. Sgranò gli
occhi e mi guardò per un tempo che parve infinito. Poi
crollò a terra, morto. Lo
uccisi slealmente, continuo a ripetermelo tutte le notti. Violai il
codice
d'onore delle arti marziali, e questo non me lo sono mai perdonato.
Lì per lì
non ci pensai, ma dopo qualche tempo decisi che non le avrei praticate
più. Ne
avevo abusato già una volta, e non l'avrei fatto di nuovo.
Nel
frattempo che io combattevo,
altri umani erano usciti dal forte, tentando di rompere l'assedio. Ma
ottennero
solo l'effetto di spalancare le porte alla loro rovina. I miei compagni
d'arme
si riversarono all'interno della fortezza, chi passando attraverso la
porta
aperta e chi distruggendo sezioni di muro. Fu un massacro. Gli uomini
di
entrambi i sessi, i loro cuccioli, i loro animali, i loro oggetti,
qualunque
cosa si trovasse all'interno della fortezza, venne distrutto.
La mattina dopo venne accolta dai
gemiti e dalle urla dei feriti, dal crepitio del fuoco e dall'odore du
fumo e
sangue. Niente né di eroico né di glorioso,
checché ne dicano i libri. Avevamo
ucciso gli umani, ma ad un prezzo altissimo, per cui per quel momento
ci
ritirammo.
Visto che né io né Olston eravamo
rimasti feriti in modo grave nella battaglia, ci mandarono alla ricerca
di cibo
all'interno del forte. Non vi dirò cosa vidi lì
dentro, vi basti sapere che la
pietra che costituiva la struttura della fortezza da marrone era
diventata
rossa. Vi dirò invece quello che vidi quando mi affacciai
alle mura. Tre
uomini, a bordo di una di quelle macchine di metallo, che si
allontanavano dal
luogo della battaglia. Eravamo troppo lontani da loro per poter fare
alcunché,
e non avevamo per niente voglia di combattere, così non
dicemmo niente.
Dissero che dopo la battaglia di
Stirling la razza umana si era estinta per sempre, ma io e Olston
sapevamo che
non era così. Ho sempre convissuto con la consapevolezza che
c'erano ancora
umani in giro, e ho sempre avuto la paura che un giorno ce l'avrebbero
fatta
pagare. E credo che quel giorno sia arrivato. Si sono presi la mia
bambina, e
non si fermeranno qui. - .
Il silenzio, che pure era stato
presente sin da quando Sanford aveva cominciato a raccontare, si fece
ancora
più carico di tensione.
- Adesso, se volete scusarmi,
devo andare. Devo parlare con Olston.
Si alzò, e uscì dalla stanza.
Note dell'autore
Buon anno! Buon 2015 (in ritardo ma va bene lo stesso)! Come va? Come
state? Io benissimo, e come potete vedere la storia si avvia verso la
sua fine. Spero che la storia della fine degli umani vi sia piaciuta, e
tengo il pezzo forte ancora in serbo per gli intenditori, aspettate e
abiate fiducia.
A_e
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Capitolo 14 *** Chapter 13: Results ***
Chapter 13:
Results
-
Dai, ci siamo quasi. - disse la
Torchic mentre atterrava con una capriola. Si rimise agilmente in piedi
sulle
zampe, mentre Lloyd si puntellò su una zampa, rialzandosi a
fatica.
La voce di Nellie era incerta e
tremolante, ma la soddisfazione in essa contenuta era percepibile. Se
solo le
gambe di Lloyd non avessero ceduto proprio in quel momento ce l'avrebbe
anche
fatta a liberarsi. Un pokemon normale si sarebbe arrabbiato, ma non
Nellie. Sapeva
quando una persona superava i propri limiti, e se essa lo faceva in
buona fede
lei non glielo faceva pesare. E in fondo il Deino la stava aiutando, e
per
questo lo doveva solo ringraziare.
Erano ormai ore che erano al
lavoro, avevano iniziato subito dopo che Nellie aveva consumato la sua
quantità
di cibo. Quel materiale era molto più duro di quando potesse
sembrare. Forse
nemmeno Lloyd, Nellie aveva realizzato dopo un po', se n'era reso conto
quando
l'aveva assaggiato. Ma per quanto fosse resistente finalmente il chiodo
aveva
cominciato a lacerarlo, e ovviamente gli stavano dando una mano, Nellie
facendo
più leva possibile con le ali e Lloyd morsicandolo con gli
affilati denti.
"Dobbiamo fare in
fretta" pensò la Torchic, guardando Lloyd. Nonostante
cercasse di
nasconderlo con sorrisi e battute, si vedeva che il Deino era provato,
molto
più provato di Nellie. Era anche per questo che volevano
cercare di fare in
fretta, almeno così uno di loro sarebbe stato libero per
aiutare gli altri.
Guardando di nuovo Lloyd si
decise: il Deino non doveva più prenderla in groppa. Erano
caduti troppe volte,
e il suo amico doveva essersi fatto parecchio male. Si intravedevano
già
numerose chiazze violacee sulla sua pelle blu, e la ferita alla zampa
gli aveva
ripreso a sanguinare, lasciando una minuscola traccia di sangue per
terra.
- Lloyd - gli disse - penso che
per ora possa bastare.
Il Deino, che stava cercando di
nascondere il proprio dolore con un sorriso non troppo convinto,
tornò ad
essere serio.
- Perché? Ce l'abbiamo quasi
fatta!
Nellie restò in silenzio per un
attimo.
- Senti, lo so che ormai ci siamo
quasi, ma non mi sembra il caso che tu ti sforzi troppo.
Cioé, guarda come sei
messo, non voglio che peggiori ulteriormente. Mi sentirei in colpa con
me
stessa per averti lasciato danneggiare così.
Il Deino abbassò lo sguardo, demoralizzato.
Vedendolo, Nellie si affrettò a farglisi incontro.
- N-non intendevo dire che fosse
colpa tua. Anzi, è solo merito tuo se siamo a questo punto.
Senza di te non ce
l'avrei mai fatta. Ma questo mica solo adesso, è fin
dall'inizio di questa
faccenda che il tuo supporto mi aiuta tantissimo. Ti prego, non voglio
che tu
soffra anche per causa mia, sono convinta che tu stia già
male. Voglio solo che
per adesso ti prenda una pausa, cercherò di liberarmi da
sola.
Lloyd alzò lo sguardo, quel suo
sguardo indecifrabile... Quella sua mascella pronunciata, squadrata ma
dai
contorni gradevoli alla vista... Quegli occhi, quei suoi occhi azzurro
color
del mare... Erano sofferenti ma esprimevano anche grande sollievo,
sollievo
misto al ringraziamento.
Le sue labbra si inarcarono in un
sorriso.
- Grazie Nellie, grazie per tutto
quello che fai. mi sei molto utile. Davvero.
La Torchic non poté far altro che
ricambiare il sorriso. Nessuno le aveva mai parlato così,
nemmeno Finley, il
quale dopotutto era un suo carissimo amico. Lloyd invece... la stava
ringraziando. Nessuno l'aveva mai ringraziata. Non in quel modo almeno.
Le sue
guancie arrossirono spontaneamente, ma il cambiamento di colore fu a
malapena
visibile dato il colore delle sue piume.
- Ma...
Quella sillaba per un attimo le
venire un brivido.
- ...oramai siamo arrivati a
questo punto, e non ci possiamo permettere di fermarci. Manca poco e
saremo
liberi. Liberi davvero stavolta. Me lo sento, noi DOBBIAMO continuare.
Altimenti accadrà qualcosa di brutto, me lo sento.
Nellie ebbe un altro brivido. Non
era una che cedeva facilmente, soprattutto con chi conosceva, ma non
sapeva il
perché Lloyd stava avendo uno strano effetto su di lei in
quel momento.
- Lo sento Nellie, lo sento...
- L-lo senti?
- Esatto Nellie, lo sento. Sento
che il nostro momento è vicino. Sento che dobbiamo
continuare. Sento che il
momento in cui torneremo a casa non è lontano... casa mia.
Casa tua. Casa
nostra. Assieme alla famiglia. La mia famiglia. La tua famiglia. La mia
famiglia. E staremo di nuovo assieme.
Nellie arrossì ancora. Lloyd era
così... spontaneo, era questo il primo aggettivo ad esserle
venuto in mente.
"Massì" pensò "Del resto ha ragione. O la va, o
la
spacca.".
- Hmm, va bene - accondiscese,
affrettandosi però ad aggiungere - Ma solo un'altra volta.
Se anche a 'sto giro
va male smettiamo.
Il Deino ci pensò un attimo, poi
annuì. Motivati sicuramente più di prima, Nellie
dalla
"chiacchierata" con Lloyd e questo dalle parole di conforto
dell'amica, si apprestarono a fare un ultimo tentativo per far
sì che il chiodo
staccasse definitivamente il legaccio dal corpo della Torchic.
Lloyd si chinò, permettendo a
Nellie di salirgli di nuovo in groppa. Questa volta, sapendolo sfinito
dagli
sforzi precedenti, cercò di fare più piano stando
bene attenta a dove metteva
le zampe. Anche quando il Deino si rimise in piedi Nellie
evitò di serrare gli
artigli per mantenere l'equilibrio.
- Pronta? - chiese lui.
- Sì.
Il chiodo, essendo posto
abbastanza in alto, sarebbe normalmente stato fuori alla portata di
entrambi i
pokemon, anche se Nellie fosse semplicemente salita sulla schiena di
Lloyd. Si
erano ingegnati per un bel po' su come risolvere la situazione, e alla
fine era
stata Nellie a trovare la soluzione. Lloyd si sarebbe dovuto rivolgere
il didietro
al muro, andando poi ad appoggiare le zampe posteriori più
in alto che poteva,
pur mantenendo un'inclinazione tale da permettere ad un pokemon minuto
di
potervi camminare sopra. E quel pokemon minuto era proprio Nellie.
Portandosi
nel punto più alto raggiunto dal fondoschiena di Lloyd
probabilmente sarebbero
riusciti ad arrivare al chiodo.
Va detto però che tale operazione
era veramente scomoda, sia per chi faceva da ponte che per chi ci
saliva. Per
il primo infatti mantenersi stabile sulle sole zampe anteriori
richiedeva una
forza non indifferente, e contando che Lloyd aveva una ferita ad una
zampa era
proprio un miracolo di Arceus che fossero arrivati a quel punto.
Per quanto riguarda Nellie la
Torchic era costretta a mantenere in continuazione un equilibrio
precario sul
didietro dell'amico, e non era per nulla comodo. Per cercare di non
coinvolgere
nella situazione i due punti deboli del Deino aveva cercato di
appoggiarsi
sulla coda. Sotto le zampe aveva avvertito un robusto legame osseo tra
quel troncone
che sembrava mozzato e il resto del corpo, per cui aveva preferito quel
punto.
Avevano provato quest'operazione
un numero infinito di volte, la maggior parte delle quali avevano
portato ad un
nulla di fatto. Ma era da un po' che tutti i tentativi stavano infine
fruttando
qualche risultato, e fu per questo che in quell'ultima occasione
impiegarono
tutte le forze e tutta la buona volontà residue.
Lloyd si posizionò con le zampe,
mentre Nellie si portò rapidamente alla posizione
prefissata. Volevano veramente
che questa fosse l'ultimo tentativo, per cui si ripromise che se avesse
fallito
ancora non se lo sarebbe perdonato.
Si girò, e provò a spingere le
ali fino al chiodo. Ci mise un po', ma alla fine sentì la
cintura che la
bloccava impattare contro il duro metallo del pezzo di ferro.
Cercò di infilare
la punta dentro lo squarcio che era pian piano riuscita ad aprire nelle
precedenti prove, e cominciò a strofinare malamente le due
superfici l'una
contro l'altra. Nonostante fosse un lavoro tedioso la Torchic aveva
avuto la
dimostrazione che esso avrebbe dato i suoi frutti.
Rimasero in quel modo un bel po',
Nellie che si muoveva ritmicamente avanti e indietro, mentre Lloyd
tremava
leggermente per lo sforzo. Fu proprio quando la Torchic
sentì la cintura cominciare
a cigolare che avvertì un pericoloso sbandamento nel Deino.
Egli doveva aver
raggiunto il limite, dato che si sentiva che si stava mantenendo in
piedi a
fatica.
"Dai, ancora uno
sforzo..."
Il tessuto cominciò a rompersi,
ma fu proprio in quel momento che accadde. Una delle zampe anteriori di
Lloyd
cedette alla fatica, e il Deino ricadde malamente e definitivamente a
terra,
schiacciato dal suo peso.
Nellie restò per un attimo
raggelata dove si trovava, poi il suo istinto ebbe la meglio. Senza
nemmeno rendersene
conto spiccò un gran salto non sapendo bene
perché, ma quel che ne risultò fu
senza dubbio una cosa positiva. Ricadendo infatti il chiodo di
conficcò
esattamente nello squarcio della cintura. Nellie inizialmente non
capì cos'era
successo, ma vedendosi sospesa in aria mosse freneticamente le zampe
per
tornare giù.
Improvvisamente slittò verso il
basso, ci fu un rumore sordo e Nellie precipitò.
Batté dolorosamente in
fondoschiena, mentre qualcosa cadeva dietro di lei. Cercò di
rimettersi in
piedi, portandosi un ala alla parte ferita.
"Ahia, che male" pensò,
massaggiandosi con un ala libera.
"Ala libera.".
Ce l'avevano fatta.
***
"Ah,
che fresco..."
Neville si tolse i calzini e le
scarpe per poi ripiegarsi i pantaloni fino all'altezza del polpaccio.
Dopodiché
immerse entrambe le gambe nelle acque del lago. Stava facendo sera, ma
una
volta che Neville aveva avuto questa bizzarra voglia niente aveva
più potuto
fermarlo. Non aveva mai provato a sentire le acque del lago sulla sua
pelle,
per cui voleva provare. E gli stava piacendo tanto, nonostante fossero
gelate a
causa della stagione prossima a mutare nell'inverno.
Cominciò a muovere gli arti
inferiori ritmicamente avanti e indietro, godendosi l'acqua fredda che
gli
accarezzava la pelle. Era una sensazione strana ma piacevole, lo
divertiva il
solletico provocatogli dai peli smossi dalla corrente. E nel frattempo
pensava.
Un fiume pensieri gli aveva
invaso la testa. Succedeva sempre così ultimamente, ma mai
come in quel
momento. Non sapeva come mai stesse succedendo, forse era la
consapevolezza che
il filo della sua vita si stava rapidamente riducendo. Aveva talmente
tante
cose su cui riflettere che alla fine non approfondì nessuna,
lasciando la sua
mente libera di vagare in lungo e in largo, di sguazzare in quel mare
colorato
di parole informi mentre il suo corpo era immerso in un altro mare,
anche se
più piccolo.
Fu così che si trovò di nuovo a
pensare ai mostri in casa sua. "Ma che cosa mi passava per la testa?"
si chiese "Perché mai mi sono dovuto invischiare in questo
casino?".
Era da un po' che la sua fede nel piano vacillava, complici anche i
danni
causati alla sua amata casa dai mostri che aveva rapito. Nonostante
amasse quel
libro stava cominciando a pensare di essere andato troppo oltre
nell'adorarlo.
Pensiero che fu messo subito a
tacere dal fatto che la sua morte era vicina, troppo vicina. "Oramai
sono
andato troppo oltre, non posso fermarmi adesso. Non avrebbe senso,
perché mai
mi dovrei rimangiare i miei propositi?". Ripensò anche alla
sofferenza che
stava intenzionalmente arrecando a quei poveri pokemon. "Non pokemon,
mostri.".
Sì, mostri, perché quello erano.
Quei mostri avevano sterminato la razza umana, la sua razza. Ma quello
che
alimentava di più il suo odio era il fatto che avessero
ucciso anche la sua
famiglia, almeno quel che ne restava. Ciò era successo tanti
anni prima, ma
sembrava un fatto recente se confrontato con la piatta esistenza di
Neville.
"Fanno bene a soffrire"
concluse alla fine. Qualcuno doveva pagare per tutto il dolore che
l'uomo aveva
dovuto sopportare per anni. Non gli era bastato ammazzare i fautori del
delitto
dei suoi familiari, voleva di più. Voleva portare altra
sofferenza, voleva
vedere altri mostri versare sangue e lacrime, implorandolo di smettere.
Ma ovviamente lui non l'avrebbe
fatto. Avrebbe continuato a tormentare i suoi prigionieri per il tempo
che gli
rimaneva, ma era comunque troppo poco. Ma se il suo piano fosse andato
a buon
fine allora il suo terrore sarebbe durato anche oltre la sua morte.
sino alla fine
dei tempi. Non sarebbe esistito un solo pokemon in grado di convivere
col
terrore che un umano calasse nella notte per prenderlo con
sé, e allora la sua
fama (o infamia in questo caso) avrebbe guadagnato gloria imperitura.
"Devono soffrire, già. Però,
comincia a fare freddino.".
Si rialzò in piedi con un po' di
fatica, sedendosi su una roccia per asciugarsi un attimo i piedi
bagnati. Tolse
un po' di terriccio che vi si era attaccato e li asciugò con
uno straccio che
si era portato dietro. Si rivestì completamente e
infilò le mani nella tasca
del giubbotto.
Inspirò a pieni polmoni per poi
buttare fuori l'aria residua, la quale si condensò in una
nuvoletta. Essendo
rivolto verso il sole il vapore da lui prodotto fece tremolare la luce
arancione del tramonto.
"E' giusto che soffrano.
Mostri.".
Si voltò, diretto verso casa.
"Ora vi farò vedere
io".
Un largo sorriso attraversò la
faccia di Neville. Un sorriso sadico. Cominciò a camminare.
***
Tutti
sul tetto stavano facendo
tutto fuorché fare la guardia. Roland si mangiucchiava
nervosamente le punte
degli artigli, Devlin giocherellava con una pallina di neve e Orrin
rompeva un
piccolo strato di ghiaccio riducendo ogni singolo pezzetto in briciole.
Avery
dal canto suo se ne stava bene in disparte, rannicchiato in un angolo
con le
scapole schiacciate contro il muretto. Aveva rimesso le gambe al corpo,
e si
teneva le ginocchia con le braccia.
Le parole di Sanford l'avevano
sconvolto. Per tutta una vita gli avevano detto che gli umani erano
morti, che
il loro giogo sui pokemon era finito, e invece adesso saltava fuori che
ce
n'era vivo ancora qualcuno. Con questo tutte le sue certezze erano
crollate, e
ora non era più sicuro di nulla. Continuava a pensare la
stessa cosa: "Se
qui fossi rimasto io invece di Lloyd o Finley adesso sarei stato
preso".
Lui dopo Augustine era il secondo designato per rimanere in quella casa
mentre
gli altri erano impegnati con la missione, ed era stata forse la
provvidenza di
Arceus a far sì che sopravvivesse ad entrambe.
Ripensandoci fece per ringraziare
il dio, ma alla fine interruppe quel pensiero di gratitudine. "Dovrei
ringraziare Arceus?" pensò sprezzante "Arceus forse nemmeno
esiste,
se è vero quel che ha detto Sanford.".
Ci hanno creato gli umani. Era
questa la frase che aveva turbato di
più Avery. Sanford, nel mezzo di tutta quella sua
confessione, si era lasciato
sfuggire anche questo. Nessuno sembrava averci fatto caso, ma Avery
invece sì.
Se ciò era vero allora i miti e le leggende su Arceus erano
solo menzogne. Non
esisteva nessun dio dei pokemon, come non esisteva un paradiso.
Probabilmente
non esisteva nulla di ultraterreno.
Gli umani per cosa li avevano
creati? Per comodità? Gli occorrevano nuovi servi dotati di
poteri speciali che
altrimenti non avrebbero trovato da nessuna parte? O l'avevano
semplicemente
fatto per divertimento, magari per testare tutto il loro potere e tutta
la loro
conoscenza? A queste domande non avrebbe mai avuto risposta. A meno che
non
l'avesse chiesto ad un umano stesso, ma avrebbe preferito evitare di
trovarsi
faccia a faccia con quelle creature spaventose.
Alla fine della fiera la faccenda
era riassunta da una sola domanda: qual'era il senso dell'esistenza dei
pokemon? Se era vero che erano stati creati dagli umani allora
inizialmente non
erano stati destinati ad assumere il dominio del mondo, e allora per
cosa erano
stati portati in vita? Perché quella razza dimenticata aveva
deciso di dare
vita ad un popolo multiforme come i pokemon, ben sapendo che grazie ai
loro
poteri essi avrebbero potuto soverchiarli facilmente? Anche questi
quesiti
sarebbero rimasti un mistero.
Quella che il Machop stava
vivendo era una vera e propria crisi di identità. I pensieri
più ricorrenti
erano i classici che senso ha la mia
vita? e cosa ci sarà
dopo?, i
classici filosofeggiamenti che alla fine non approdavano a nulla di
concreto.
Ma questi pensieri erano ben
diversi da quelli classici che almeno una volta nella vita tutti ci
avranno
riflettuto. Queste idee erano spinte dalla disperazione, dalla
consapevolezza
che forse la propria vita non avrebbe mai avuto alcuna
utilità alla fine.
Avery oramai aveva cominciato a
dubitare di tutto, cominciando la discesa in una pericolosa spirale.
Dubitava
delle sue azioni, e di tutto quello che aveva fatto nei suoi sette anni
di vita
vissuta. Dubitava di quello che stava facendo adesso, ovvero niente.
Dubitava
di quello che non stava facendo, ovvero fare la guarda dal tetto.
Dubitava
delle esperienze che aveva vissuto, come l'attacco nel bosco. Dubitava
di
quello che non aveva vissuto, come il rapimento dei suoi parenti.
Dubitava dei
suoi amici. Dubitava di Olston. Dubitava di Sanford. Dubitava della sua
famiglia.
Una lacrima cominciò a scendere
dall'occhio destro di Avery, ma il Machop se la asciugò
rapidamente con il
dorso della mano. Fu un gesto automatico, fatto quasi senza pensare.
Solo dopo
il pokemon si rese conto di quello che aveva fatto. "Perché
mi sono
asciugato la lacrima? Se la vita non ha senso tanto vale piangere.
Anche
restando seri non cambierà nulla".
Eppure non versò una lacrima.
Stettero
lì per chissà quanto
tempo ognuno a farsi i fatti propri quando sentirono un gran trambusto
provenire dai piani inferiori. Solo allora si ricordarono del proprio
dovere, e
alcuni si sporsero dalla balaustra del tetto, guardando se magari stava
arrivando qualcuno. Non vedendo nessuno Roland aprì la
botola che portava alla
soffitta e scese giù, andando a vedere cosa stava succedendo.
Gli altri rimasero in attesa per
alcuni minuti, trepidanti. Avevano i nervi a fior di pelle, e la
tensione era
talmente spessa che si poteva tagliare con un Tritartigli. Era
comprensibile
date tutte le emozioni vissute negli ultimi giorni, e un altro fatto
traumatico
avrebbe probabilmente dato il colpo di grazia a tutti loro.
Quando, finalmente, la testa di
Roland sporse di nuovo dalla botola, tutti gli si fecero attorno con
gran
nervosismo.
- Che sta succedendo? - gli
chiese Orrin, ansioso come suo solito.
- Scendete giù tutti, presto!
- Perché, che succede?
- Sono tornati! Tohr, John e
tutti gli altri, dicono di aver trovato una pista. Adesso venite,
presto!
Tutti
i membri della famiglia,
trascurando le mansioni affidategli da Olston, si erano ammassati nel
soggiorno. A causa delle dimensioni non proprio ridotte di alcuni di
loro a
malapena ci si entrava, al punto che le poltrone, le sedie e il tavolo
erano
stati accostati alla parete. Quando Avery entrò la stanza
era percorsa da
mormorii eccitati e da un vociare confuso. Tutto però si
acquietò quando nella
stanza entrò Olston, seguito dai pokemon che aveva
precedentemente mandato in
ricognizione sul monte e che adesso erano ritornati.
Avery e gli altri presero posto,
aspettando che il Gabite parlasse. Come al suo solito Olston aveva
un'espressione impeccabile, non lasciando trasparire alcuna emozione.
Invece i
pokemon dietro di lui erano visibilmente nervosi, Avery lo
intuì dai vari tic
che imperversavano.
Per assicurarsi una maggiore
attenzione di quanta già non ne avesse Olston si
schiarì la voce, poi cominciò
il suo discorso.
- Come potete vedere i nostri compagni
sono tornati, e non a zampe vuote. Dicono di aver trovato una traccia,
ma chi è
più adatto a spiegare la situazione sono loro stessi.
Avanti, qualcuno parli.
Tra tutti nessuno si fece avanti.
Olston inarcò leggermente un sopracciglio a far intendere
che la sua pazienta
si sarebbe esaurita in fretta, e qualcuno spinse in avanti il povero
Mike.
Mike, un timido Heliolisk, sicuramente non era la persona
più adatta per
intavolare un discorso, ma Olston a questo non sembrava importare
più di tanto,
voleva solo che qualcuno spiegasse i fatti.
- Ecco... - cominciò Mike col suo
solito fare tentennante - Alla fin fine non è stato
difficile... - disse,
spostando lo sguardo in basso e prendendo a giocherellare con le dita
delle
zampe - Non ci abbiamo messo molto a trovare la traccia, una volta
usciti di
qui... Era chiara, e sembrava anche abbastanza fresca, era
lì da non più di tre
giorni...
Un'occhiataccia di Olston folgorò
Mike, mentre questi gli ordinava non verbalmente di stringere.
L'Heliolisk
sussultò, e distolse lo sguardo ancor di più.
- Insomma, alla fine... siamo
arrivati al lago Benan Rahm... e... e...
- E cosa? Vai avanti! - urlò
qualcuno dalla folla.
- L-l'abbiamo visto...
- Avete visto chi? - chiese
qualcun'altro.
- Abbiamo visto... abbiamo visto
l'umano.
Note dell'autore
Uff, che fatica, questo capitolo mi ha dato del filo da torcere, ma
alla fine sono soddisfatto del risultato. Per finirlo e restare in pari
con la mia tabella di marcia ho sfruttato il fatto che oggi le scuole
sono chiuse per neve, così ho fatto il week-end lungo e ho
finito il capitolo. Certe soprese inaspettate sono proprio gradite.
Come state? Io alla grande. Come potete vedere la storia sta volgendo
al termine, e vi posso assicurare che i capitoli alla fine sono pochi,
altri due o tre. Non ci sarà epilogo, quindi state bene
attenti. Naturalemte alla fine farò i dovuto ringraziamenti
come per COL.
A presto,
A_e
Ah,
cara Eleonora, non mi sono dimenticato di te, passerò dalla
tua storia. Prima o poi. E lunga vita a Mattarella, il nuovo presidente supremo.
|
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Capitolo 15 *** Chapter 14: Last stand ***
Chapter 14: Last stand
-
Forza, sbrigatevi con quei
legacci!
La voce di Irving si era fatta
roca dal troppo tempo che aveva passato inerte, e ancora ciò
alle orecchie di Lloyd
suonava strano. Gli sembrava di non sentire di nuovo le voci dei suoi
compagni
da mesi, forse anche anni. Eppure sapeva che al massimo poteva essere
trascorso
qualche giorno, altrimenti sarebbero morti per la mancanza di cibo.
Alla fine tutti si erano
svegliati. Perfino Gregory, addormentato da tempo immemore, aveva
riacquistato
i sensi e aveva preso a farsi slegare, pur bestemmiando sonoramente
ogni volta
che gli venivano toccati il braccio o la gamba rotti. Per quanto
riguarda gli
altri Nellie, una volta liberatasi, aveva prima sciolto le corde che
bloccavano
il Deino per poi passare a quelle di chi si svegliava. In sequenza
erano stati
Finley, Gregory ed infine Irving, il quale adesso era alle prese con
Nellie nel
tentativo di farsi slegare.
Non senza difficoltà Nellie
riuscì a tranciare le ultime costrizioni del Sableye, e
furono tutti liberi.
Spinsero i legacci tagliati al centro della stanza e, per fare un po'
di luce,
Nellie provò a soffiarvi sopra un po' di fuoco. La fiamma
attecchì, e una volta
costatato che le corde erano fatte di un materiale infiammabile per
quanto a
loro sconosciuto riuscirono a fare un piccolo fuocherello.
Nonostante fosse un tipo Buio
Lloyd provò una sensazione più che piacevole
quando l'ambiente fu rischiarato,
anche se di poco, dalla fiamma del piccolo falò. Non si
ritrasse quando la luce
gli lambì gli occhi causandogli un pizzico di dolore a causa
della troppa
assenza in precedenza, e non lo fece nemmeno quando il calore gli
scaldò la
pelliccia. Poi se si aggiunge il fatto che non riusciva a vedere
così
chiaramente da molto, troppo tempo allora era intenzionato a restare
lì sempre
più a lungo.
Ma, si sa, oziare non era certo
il modo migliore di agire in quel momento. Lloyd si stava crogiolando
in quelle
piacevoli sensazioni di dolce far niente quando la voce di Irving lo
fece
riscuotere. Quando aprì gli occhi vide che anche gli altri
avevano sobbalzato,
segno che probabilmente stavano facendo come lui.
- Forza, non possiamo restare
qui. - disse il Sableye con voce ferma - Ce ne dobbiamo andare.
Pur sapendo che Irving aveva
ragione, inizialmente Lloyd non fu molto incline a lasciare quel
posticino
confortevole. Ma ci pensò il Sableye a convincerlo a farlo
muovere.
- Se l'umano scopre che ci siamo
liberati saranno cazzi amari. Dobbiamo filarcela subito, immediatamente.
A quelle parole la compagnia si
scosse nuovamente, e immediatamente tutti si mobilitarono. Finley si
precipitò
a sostenere Gregory il quale stava cercando di alzarsi. Irving lo
aiutò di
malavoglia, mentre Nellie spegneva il fuocherello pestandolo con la
zampa.
Lloyd invece andò ad esaminare la
porta. La tastò col palmo di una zampa tanto per scoprire di
che materiale era
fatta. "Legno" pensò "E anche parecchio vecchio. Forse con
una
carica forte la potrei buttare giù". Nonostante tutte le
ferite e gli
acciacchi vari si sentiva in grado di farlo.
Si portò leggermente indietro al
fine di prendere la rincorsa. La zampa posteriore gli dolette un po'
nel punto
in cui era stato ferito quando si mise in posizione, ma strinse i denti
e si
concentrò. Partì di gran carriera e
sferrò una sonora testata contro il legno
secco. Si sentì un gran scricchiolio, ma la porta rimase ben
fissata ai
cardini.
Lloyd si portò di nuovo indietro
e caricò una seconda volta. Le viti che tenevano fissato il
cardine superiori
saltarono e quello perse di aderenza, mentre varie crepe cominciarono a
farsi
strada attraverso la superficie. Ma la porta resistette ancora. "Non
vuoi
romperti, eh?".
Questa volta, quando
indietreggiò, chiamò a raccolta tutte le forze
che gli rimanevano, sia fisiche
che mentali. Era ancora troppo debole per usare una mossa, ma si
sentiva in
grado di compiere quel lavoro solo con l'ausilio delle proprie
capacità
fisiche.
Inspirò ed espirò profondamente,
chiudendo gli occhi. Lasciò che tutti i pensieri, sia
negativi che positivi,
scivolassero fuori dalla sua mente; doveva essere concentrato se voleva
riuscire. Quando fu certo che la sua mente si fosse svuotata
riaprì gli occhi
tenendo lo sguardo fisso davanti a sé, diretto contro la
porta.
Ripartì di nuovo all'improvviso,
e questa volta il lavoro diede i suoi frutti. La porta si
spaccò a metà, e una
marea di schegge riempì sia lui che gli altri. Irving si
parò il viso con
l'unica mano libera e Gregory bestemmiò di nuovo, mentre gli
altri si
limitarono a voltare la testa. In ogni caso non ci furono incidenti e
quanto
restava della porta si aprì cigolando, da sola.
Il
Deino si passò una zampa sulla
fronte, scrollandosi di dosso il sudore che gli si era formato nel
frattempo.
Finley, leggermente preoccupato per le condizioni dell'amico,
affidò
temporaneamente Gregory ad Irving e gli si avvicinò con
l'intenzione di
accertarsi della sua incolumità. Una volta ripresosi il
Rufflet aveva capito
subito la gravità della sua situazione solamente
guardandolo: era pieno di
lividi e con addosso qualche macchia di sangue ancora fresco, che
sicuramente
era il suo. In fondo per Finley era stato più che lecito
preoccuparsi per
l'amico.
- Uff, che fatica - sentì che
sbuffava.
- Tutto bene? - gli chiese.
- Sì, benissimo - fece l'altro
sorridendo, anche se a Finley parve piuttosto forzato. Probabilmente
stava
cercando di nascondere la sua sofferenza.
- Sicuro?
- Certamente Fin. Senti, so che
ti posso sembrare conciato male, ma ti assicuro che non è
così grave come
sembra. Credimi. - lo rassicurò, mettendogli pure una zampa
sulla spalla e
guardandolo negli occhi - Io non ti mentirei mai.
Finley fu un po' più sereno dopo
queste parole, anche se gli occhi dell'amico lo inquietarono
inspiegabilmente.
Era già da un po' che non lo guardava bene, e nonostante i
suoi occhi
l'avessero messo in allarme ancora non aveva notato un cambiamento. Un
cambiamento che in seguito sarebbe stato determinante.
- Certo che ti credo, come potrei
non fidarmi di te?
- Grazie Fin.
- Di nulla, figurati.
Il Deino si allontanò un attimo
ed andò a parlare con Nellie. Conversò con lei
per alcuni attimi e questa rise
di gusto alla fine dell'ultima frase di Lloyd. Forse anche con troppo
gusto.
Non seppe bene perché ma Finley provò una punta
d'invidia. A lui non era mai
riuscito di far ridere così Nellie, mentre a Lloyd era
bastata una parola. Ma
scacciò immediatamente quei pensieri maligni quando Irving
lo richiamò.
- Allora Finley, vuoi lasciarmi a
sorreggere questo coso da solo?!
- Coso a chi!?! - chiese stizzito
Gregory, il quale sembrava voler sfogare la sua aggressività
rimasta sopita per
troppo tempo.
Mentre riprendeva il proprio
posto a sostenere il Dewott Finley spostò un attimo lo
sguardo sulla porta
sfondata della stanza, e per un attimo vide Lloyd e Nellie che si
apprestavano
ad uscire. Stavano ancora parlando, e alla fine della frase lei rise di
nuovo.
Il Rufflet notò anche che stava leggermente arrossendo. Era
diventato bravo a
riconoscere le tonalità dei colori, per cui si accorse
immediatamente del
cambiamento nel manto dell'amica.
"Possibile che...? No, non
lo farebbe mai." pensò, almeno prima di sentire l'ultima
frase di Nellie.
- Lloyd, tu sei una delle persone
più fantastiche che abbia mai conosciuto.
Quando uscì dalla stanza Finley
fu sicuro di una cosa: Lloyd stava cercando di soffiargli Nellie, e
questo non
gliel'avrebbe mai perdonato se fossero usciti vivi di lì.
***
Arrivò
dopo non molto in vista
della casa e si diresse immediatamente verso il capanno.
Aprì la malandata
porta e si fece luce con un accendino. "Merda, questo buco non me lo
ricordavo così buio" pensò Neville "Era da un po'
che non ci
ritornavo qui. Chissà se gli attrezzi sono ancora
utilizzabili.".
Si chinò a terra, e mentre con
una mano reggeva la piccola fiammella per farsi luce con l'altra
rovistava in
mezzo agli attrezzi vari abbandonati a terra. "Eppure mi ricordavo di
averla messa qui" pensò tra sé e sé
innervosito.
Poi la sua mano toccò il solido
manico, al cui contatto Neville fu sicuro del suo successo. La
tirò fuori
subito dal mucchio di attrezzi alla rinfusa e la eresse per dritto in
tutta la
sua altezza. Era una vanga abbastanza vecchia anche se portava bene i
suoi
anni, se si tralasciavano le venature di ruggine che attraversavano la
sua
parte in ferro. Il manico si era un po' ritorto a causa dei lunghi anni
a
languire in una posizione in cui non era previsto che fosse riposta (il
capanno
di Neville era veramente piccolo, tanto che a malapena ci sarebbe stato
lungo
disteso), ma sembrava reggere.
"Proprio quello che fa al
caso mio".
Si avviò verso la casa.
***
Le
parole di Mike non fecero che
dare conferma al racconto che Sanford aveva fatto qualche ora prima.
Allora
Sanford non aveva mentito, forse in preda al delirio e al dolore per
aver perso
una figlia, ma se allora l'intera storia era vera allora...
"Se Sanford e Olston
avessero detto allora che c'erano umani sopravvissuti oggi non saremmo
a questo
punto.". Fu questo il primo pensiero formulato da Avery, ma si
guardò bene
dal palesarlo, anche solo con un'espressione facciale. Olston infatti
in quel
momento non dava l'idea di uno tranquillo e di Sanford, nonostante non
fosse
presente in quella stanza, si sentiva ancora la sua opprimente presenza.
Molti, nonostante si potessero
aspettare quelle parole, rimasero impietriti dall'ultima affermazione
dell'Heliolisk. Qualcuno sbarrò gli occhi, qualcun'altro
aprì la bocca,
qualcun'altro ancora si lasciò sfuggire dei gemiti di
preoccupazione. Dopo di
ciò scese il silenzio e l'atmosfera si fece sin troppo
pesante. Insomma, l'aria
non era delle più allegre.
Olston però, nonostante fosse
visibilmente nervoso, essendo stato informato in precedenza di tutta
quella
storia non cambiò più di tanto stato d'animo a
risentirla. Anzi, parve farsi
ancora più risoluto di quanto non fosse già stato.
- La situazione mi sembra chiara
- esordì alla fine - Fin troppo.
Sulla fronte del Gabite era fin
troppo visibile una vena che pulsava, mentre la Pietrastante che
portava al
collo tintinnava al contatto col petto del pokemon, il quale dondolava
leggermente avanti e indietro. Tutti sintomi dello stress, nessuno
aveva dubbi.
- Partiremo stanotte stessa. Le
tenebre ci copriranno nel caso quel bastardo sia in giro, e forse
avremo anche
l'effetto sorpresa. Non intendo perdere altri di voi.
Durante l'ultima frase un tic si
manifestò sul suo occhio destro, il quale non sapeva
più se richiudersi o
rimanere aperto. Olston se ne accorse, e per contrastarlo decise di
continuare
a parlare.
- Immagino che Sanford vi abbia
detto tutto. Avremmo dovuto dirlo ben prima, lo sappiamo, siamo tutti
della
stessa famiglia. Ma vedete, certe cose sono talmente intime da non
poter essere
dette a nessuno, nemmeno sotto tortura. E quando si cede alla
tortura... vuol
dire che è venuto a mancare qualcosa. - .
Sospirò dopo aver finito di
parlare. Alcuni della folla fecero per chiedere qualcosa, ma Olston li
zittì
alzando una delle zampe artigliate.
- Niente domande, per favore.
Posso capire quanto sia dura per voi, ma provate a calarvi nella mia
parte e
immaginate quanto lo sia per me.
In effetti, realizzò Avery, era
veramente provato da tutta quella situazione. Pareva essersi fatto un
po' più
magro, e gli erano comparse anche un bel paio di occhiaie. Il suo
naturale
colore viola poi non appariva più così lucido
come prima.
Sospirò, non di frustrazione ma
di stanchezza questa volta. - Da adesso fino al calare del sole
riposatevi,
perché questa forse sarà la notte più
lunga della vostra vita.
Avery pensò che probabilmente
aveva ragione.
- Metteremo la parola fine a
questa storia, stanotte. Chiunque provi a torcere anche solo un pelo ai
membri
della famiglia la dovrà pagare, indifferentemente dalla sua
razza. Umano o
pokemon non mi importa, chiunque si opporrà a noi
soccomberà.
Ma Avery intuì che dietro a
questo c'era molto di più. Quella notte finiva un'epoca,
finiva un'era, finiva
un ciclo. Quella notte i pokemon sarebbero veramente diventati l'unica
razza
esistente sull'intero pianeta.
***
Esplorarono
immediatamente il
luogo su cui uscirono una volta fuori dalla loro stanza-prigione. La
luce era
molto intensa, almeno per loro rimasti al buio per chissà
quanto tempo, e fu
per questo inizialmente faticarono a mettere una zampa davanti
all'altra. Ma
alla fine riuscirono a farci l'abitudine, e cominciarono l'agognata
fuga verso
la libertà. Di nuovo.
Rimasero in silenzio per un po',
timorosi di cosa potesse succedere se l'umano li avesse sentiti.
Nessuno,
sorprendentemente nemmeno Lloyd, sembrò dare peso al fatto
che per abbattere la
porta era stato provocato un gran baccano. A Lloyd quell'attesa
sembrò durare
secoli, e alla fine si decisero ad avanzare non sentendo nessun rumore.
Erano sbucati in un corridoio non
lunghissimo, anche se dalle molte porte. Per sicurezza decisero di
ispezionare
ogni stanza al fine di accertarsi di dove fosse l'umano e magari anche
per
metterlo fuorigioco, ma non trovarono nessuno. La maggior parte dei
locali si
rivelò molto poco interessante. Uno era un bagno, altre
erano delle camere da
letto.
In una delle stanze si erano
affacciati ad una finestra, ed avevano appurato di trovarsi in una casa
a due
livelli. Non era molto dissimile dalla loro, forse più
piccola e con molte
stanze in meno. Avevano poi guardato il panorama, e Finley aveva
riconosciuto i
luoghi che aveva visto nel suo "volo di ricognizione" di qualche
tempo prima. "Per Arceus, chissà quanto tempo
sarà passato..." pensò
Lloyd tra sé e sé.
A quel punto decisero di scendere
le scale. Attenti a non fare il minimo rumore, nonostante avessero
già scoperto
che almeno al piano superiore non c'era nessuno, cominciarono la lenta
discesa
verso il locale inferiore. Sobbalzavano ad ogni scricchiolio prodotto
dai
vecchi gradini di legno, ma riuscirono a non perdere mai la calma.
Gregory
cercò di reggersi come poteva alla ringhiera di ferro al
lato della scalinata
che dava sul vuoto, ma venne sempre aiutato da Irving e Finley.
Ciò li rallentava
non poco, e fu per questo che si ritrovarono gli ultimi della
combriccola.
Nellie stava in mezzo al gruppo, mentre Lloyd lo apriva andando in
avanscoperta.
Nonostante tutte le difficoltà
arrivarono incolumi alla meta, e presero ad esplorare il resto della
casa il
più silenziosamente possibile. Videro un ripostiglio, un
salotto e quella che
sembrava essere una cucina, anche se alcuni strumenti ivi riposti erano
ignoti
al gruppo dei pokemon. Quello che attirò di più
la loro attenzione fu una
specie di vaso di vetro, sul fondo del quale erano posizionate due lame
che
sembravano anche piuttosto affilate.
Ma non persero ulteriore tempo.
In nessuna delle stanze avevano trovato l'umano, e ciò
poteva essere sia un
bene che un male. Da un lato il nemico era assente, lasciandogli
così la strada
spianata per la loro fuga e il ritorno a casa. Dall'altro
però la sua mancanza
era qualcosa di davvero strano, e non avevano la minima idea di dove
potesse
essere. E se stesse proprio tendendo loro una trappola? Si erano di
nuovo
liberati per nulla?
Rimase così una sola stanza da
verificare. La sua porta era chiusa, e per questo Irving per sicurezza
accostò
l'orecchio per sentire se dentro c'era qualcuno. Il Sableye aveva
sempre avuto
un udito piuttosto sensibile, e aveva ripetuto tale procedura ogni
qualvolta
dovevano entrare in una stanza. Quando si rimise in piedi scosse la
testa,
segno che dentro probabilmente non c'era nessuno. Ma per sicurezza
vollero
guardare lo stesso.
Fu sempre Irving ad aprire la
porta, la quale si scostò con un cigolio inquietante poco
adatto alla
situazione che fece venire un brivido freddo a tutti. Il Sableye si
azzardò ad
entrare, e si guardò attorno con aria incredula. I diamanti
sgranati tradivano
le sue emozioni, e la sua bocca aperta lasciava supporre che fosse
rimasto
veramente colpito dall'ambiente in cui erano capitati.
Era davvero simile, se non quasi
identico, alla biblioteca di Irving alla loro casa. Interi scaffali
ricolmi di
libri accolsero i pokemon, mentre Irving si era già
precipitato ad esaminare
quello più vicino. Lloyd capì al volo che quella
cosa non sarebbe finita bene
se avessero perso tempo, e per questo cercò di fermare
Irving. Quello però lo
scacciò con un gesto irato della mano.
- E' da troppo tempo che non vedo
un libro. Datemi due minuti. - e prese quello più vicino, un
piccolo libricino
dalla copertina marrone.
"No, no, questo non doveva
accadere".
Lloyd si ritirò immediatamente a
parlare con gli altri del gruppo. Sapevano della passione smisurata per
i libri
di Irving, ma non pensavano che fosse grande al punto da impedire a
loro la
fuga. Forse i libri per lui erano come una droga, e senza poterli
leggere era
entrato in crisi d'astinenza. In effetti negli ultimi tempi, forse
complice
anche il nervosismo, il Sableye era stato molto più sboccato
e volgare di
quanto già non fosse. Forse questi sintomi si potevano
ricondurre al fatto che
non potesse leggere e che cercasse qualcosa con cui sfogarsi.
Ma crisi d'astinenza o no il
gruppetto concordò che non si sarebbe fatto ricatturare per
uno stupido libro,
così si diressero tutti verso il loro compagno, che nel
frattempo sembrava aver
già finito il libricino. Non era molto grosso in effetti,
superava di poco il
diametro del palmo della mano di Irving, e non sembrava avere molte
pagine.
- Senti, Irving... - esordì
Nellie.
- Voi - cominciò, senza curarsi
delle parole della Torchic - non potete nemmeno immaginare cosa
c'è qui dentro.
- fece aprendo il libricino - Guardate la scrittura.
Nonostante avessero altro di
meglio da fare la curiosità ebbe il sopravvento, e una
sbirciata alle pagine se
la permisero tutti. Era simile ad uno qualsiasi dei loro libri,
soprattutto la
scrittura, ma non era la stessa. Le lettere erano infatti
più piccole e nessuna
presentava il cerchio centrale con il pallino di ogni fonema
dell'alfabeto
Unown, come nessuna possedeva i ghirigori caratteristici della loro
scrittura.
Eppure alcune sembravano così simili, se non uguali.
- Vedete la struttura?
- Si Irving, la vediamo - rispose
Nellie con fare leggermente stizzito - Però...
- Vedete com'è simile?
- Sì, in effetti è simile alla
nostra...
- Sapete cosa vuol dire? Che la
nostra scrittura è derivata da quella umana,
perché si tratta senz'altro di
scrittura umana. Penso di poterla tradurre.
Le ultime parole del Sableye
lasciarono stupefatti gli altri. Non era mai accaduto che un libro
umano fosse
tradotto nella loro lingua, poiché la maggior parte erano
stati distrutti
assieme a chi li aveva scritti. Nessuno fece caso all'aprirsi di una
porta non
troppo lontano dalla stanza in cui erano.
- Credo che... - ma Irving non
riuscì a finire la frase, sgranando i diamanti e guardando
alla porta.
Lloyd e Nellie davano le spalle
all'entrata, per cui non videro quello che accadde. Ci fu un rumore
sordo, come
di impatto, seguito da un tonfo come di qualcosa che cade a terra. I
due si
girarono e si sentirono morire.
In piedi sullo stipite stava
l'umano sorridente, con un grosso aggeggio di ferro stretto tra le
mani.
Gregory giaceva a terra, gli occhi chiusi e gli arti abbandonati una
strana
posizione, del sangue gli colava da dietro la nuca.
- Vi siete liberati, eh? - disse
l'uomo, e rivolse uno sguardo a Finley.
Quello tentò subito di scappare
nonostante fosse rimasto piuttosto scosso dall'accaduto. L'uomo
però fu più
veloce, e con un violento colpo del suo attrezzo fece letteralmente
volare il
povero Finley contro la parete più vicina. Il Rufflet si
schiantò contro il
muro e ricadde a terra, giacendo poi immobile. Fatto questo l'umano
entrò
dentro la stanza, deciso a colpire anche gli altri.
Gli altri in qualche modo seppero
ricacciare il raccapriccio e lo smarrimento iniziale, reagendo
prontamente.
Lloyd si scansò a destra e Nellie a sinistra, puntando tutti
e due verso la
porta. Irving invece rimase impietrito sul posto, lasciando cadere il
libricino
a terra e prendendo a tremare.
Il Deino e la Torchic mentre
correvano non si voltarono, ma sentirono benissimo un altro colpo
provenire da
dietro di loro. Anche Irving era andato. Lloyd non se ne accorse
subito, ma
mentre correva aveva preso a piangere.
Non sapendo dove andare fecero il
giro del pian terreno, col solo risultato di ritrovarsi di nuovo
l'umano
davanti poco dopo.
- Presto, scappa! . urlò Lloyd
alla compagna - Io penso a distrarlo!
Nellie entrò così in una stanza
vicina, mentre Lloyd si piantò davanti all'umano digrignando
i denti e con uno
sguardo crudele per intimidirlo. Ma non funzionò, in quanto
l'umano si limitò a
scavalcarlo ed entrò nella stanza. Un breve urlo di Nellie,
un rumore sordo e
poi di nuovo silenzio.
Lloyd prese a correre di nuovo in
preda al terrore, e senza nemmeno rendersene conto imboccò
le scale e si
diresse verso il piano superiore. Nella velocità della sua
corsa gli parve di
udire una domanda provenire da dietro di lui.
- Lo sai... come siete nati voi?
Era la voce dell'umano. Lloyd non
vi diede più di tanto peso ed entrò nella prima
stanza che gli capitò. Si
accucciò in un angolo e prese a piangere. Decisamente troppe
emozioni per lui
tutte assieme, e non ce l'aveva fatta a trattenersi. Mandò
letteralmente
affanculo tutte le precauzioni del caso e si lasciò andare
alla disperazione
più sfrenata.
- Voi pokemon intendo?
La voce dell'umano si era fatta
più vicina. Stava salendo le scale.
- Bé - cominciò l'umano, mentre
Lloyd sentì il rumore di una porta che si apriva -
All'inizio eravate solo un
gioco. Divertivate i bambini e loro si divertivano con voi, che
stronzata.
Un rumore di chiusura.
Evidentemente aveva guardato in un'altra stanza.
- Ma non eravate reali, no. Solo
dati, animazioni, fattori casuali dentro ad un insulso schermo. E
finché
restaste lì fu tutto tranquillo.
Un'altra porta, solo più vicina
della precedente, venne aperta.
- Poi a qualche idiota venne in
mente di tirarvi fuori. Era diventato ossessionato da voi e
diventò pazzo a
forza di trovare un modo, ma alla fine ce la fece. Un idiota davvero.
La porta si richiuse.
- Per un po' andò tutto bene.
L'ultima porta si aprì, e
stavolta Lloyd sentì una folata d'aria investirgli la faccia.
- E poi il resto credo che lo
sappiate.
Se Lloyd avesse aperto gli occhi
lacrimosi avrebbe visto che l'umano sorrideva. A sentirsi la voce in
faccia
socchiuse leggermente le palpebre, quel tanto che gli permise di vedere
qualcosa sfrecciare velocissimo contro di lui. Un violento colpo in
faccia,
un'esplosione di dolore e poi si fece tutto buio.
***
Neville
si sedette su una sedia
accanto al tavolo di cucina. Si dovette aiutare con la mano
appoggiandola sul
tavolo, aveva faticato davvero tanto a riacciuffare i mostri prima e a
rinchiuderli di nuovo poi. Si sentiva spossato, aveva bisogno di bere
qualcosa.
Quando aprì il frigorifero con la
mano sinistra non fece caso al dolore che provava a quel braccio,
né al
fastidio nel respirare mentre si sedeva di nuovo con qualcosa di fresco
in
mano.
Mentre sorseggiava il suo premio
sentì una fitta al cuore. Posò la lattina e fece
per prendere un'altra pillola,
ma un'altra fitta molto più forte lo fece desistere. Si
portò una mano al petto
e cercò di respirare profondamente. Era solo una crisi
passeggera, ne aveva già
avute in passato.
"Devo sciacquarmi la
faccia" pensò, e si diresse verso il lavabo. Si
aiutò con le mani
reggendosi ai mobili.
Solo che il peggio accadde
proprio allora. Stava per arrivare al lavandino, quando gli
sembrò di non saper
più respirare. Boccheggiò e si strinse la mano al
petto, sentendo che qualcosa
non andava. Sentiva che qualcosa che avrebbe dovuto funzionare aveva
smesso
improvvisamente. Tutte le sue paure si concretizzarono quando perse
l'equilibrio, e cercò qualcosa con cui tenersi in piedi.
Non funzionò. Tutto il mondo
sembrò vorticargli attorno, e Neville si ritrovò
a guardare il soffitto. Il
rumore del barattolino con le pillole che gli rotolava vicino lo fece
riprendere un po', e provò ad afferrarlo con la mano. Solo
che nessuna mano si mosse
per questo.
"Non..." pensò
terrorizzato "Non riesco a muovermi...".
Note dell'autore
Da oggi è un anno esatto che sono su EFP, tanti auguri a me.
Avrei voluto fare una os per commemorare l'evento, ma visti gli impegni
ho messo tutta la mia fuga in questo capitolo. Faccio già un
annuncio: il capitolo 15, quindi il prossimo, sarà anche
l'ultimo. Ci vediamo prima della fine del mese.
|
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Capitolo 16 *** Chapter 15: The end of everything ***
Chapter
15: The end of everything
"Ho
caldo.".
Lloyd riusciva a pensare solo a
questo, e ogni qualvolta provava a cambiare discorso subito la sua
mente lo
rimetteva su quell'indirizzo, talvolta anche in modo non proprio
delicato.
Provava una calura insostenibile e si sentiva oppresso, quasi come se
fosse
schiacciato da qualcosa di vivo e pulsante. Eppure attorno a lui non si
scorgeva niente e nessuno, solo un tetro paesaggio nero come la pece.
Almeno pensava di non vedere
niente, perché forse era proprio lui a volere
così. In realtà sapeva benissimo
cosa avrebbe visto se solo si fosse sforzato, ma era proprio questo il
punto:
non lo voleva fare. Aveva ripensato anche troppo a quella maledetta
cosa, gli
metteva un'ansia spaventosa addosso della quale non riusciva
più a liberarsi. E
sentiva che in quel momento ripensarci era la cosa meno indicata da
fare.
Ma era più forte di lui, più
tentava di ignorarla e più quella tornava prepotente dagli
angoli più remoti
della sua mente. Era fin troppo allettante col suo strano ma piacevole
calore,
col suo colore scuro che non faceva male agli occhi e con quel suo
pulsare
sgraziato eppure ritmico. Più si intimava di resistere e
più acquisiva
consapevolezza che avrebbe ceduto di lì a poco.
"Fanculo" pensò
frustrato da quel continuo tira e molla "Tanto vale che la guardi e la
faccia finita. Poi non ne voglio più sapere niente!".
Così volse lo sguardo dove lo
strano muro si era sempre trovato. E infatti eccolo lì,
sempre occupato ad
emettere quel calore alieno e a pulsare vistosamente. A Lloyd questa
volta sembrò
molto più intensa delle precedenti, come se da un momento
all'altro la parete
si dovesse squarciare. E a giudicare dall'inclinazione che assumeva
ogni
qualvolta che "bussavano" non doveva mancare molto alla sua rottura.
Il Deino avvertì quasi subito il
suo richiamo. Nonostante sentisse un minimo della sua influenza
già prima
adesso che ne riconosceva la presenza era diventato un peso quasi
insostenibile. La sua volontà gli diceva di resistere a quel
richiamo
ingannatore - perché sicuramente cedere avrebbe significato
pagare un prezzo
altissimo - ma qualcos'altro lo spingeva verso quel calore. Lloyd non
riusciva
a capire cosa fosse quella forza che lo stava pian piano divorando, ma
ne aveva
paura. Molta paura.
L'invocazione non aveva né parole
né suoni, ma Lloyd la sentì benissimo quando
arrivò. Si sentiva assediato da
tutti i lati, oppresso da quel moto invasore che mirava a fargli
perdere il
controllo di sé stesso, ed era una sensazione orribile e
molto piacevole al
tempo stesso. Da una parte infatti sentiva la morsa del gelo che quella
trappola gli avrebbe potuto riservare, mentre dall'altra avvertiva
quell'insidioso caldo. Non sapeva di chi fidarsi, di sé
stesso oppure della
tentazione.
Questa battaglia psicologica durò
per quelli che a Lloyd sembrarono anni. Era dilaniato dal dubbio. Se
avesse
ceduto quali conseguenze ci sarebbero state? E se invece avesse
resistito cosa
si sarebbe perso? Era meglio agire in un modo o in un altro? A queste
domande
non riusciva a trovare risposta, e ogni volta che pensava di aver
trovato la
soluzione ritornava la tentazione a stroncare ogni certezza.
"Cosa devo fare?" si
domandava disperato "Cosa devo fare? Non lo so, non lo so. Accettare o
rifiutare? Si tratta solo di questo, sarebbe anche una scelta facile.
Seh,
magari.".
Alla fine della fiera i suoi
pensieri risultarono piuttosto ridondanti, senza approdare a nulla di
concreto.
Continuava a ripetersi le solite due o tre frasi, e alla fine anche lui
si
stancò di quella specie di farsa auto creata. La
verità era una sola, e sarebbe
stata visibile anche ad un cieco: stava per cedere, e qualcosa gli
diceva che doveva. Sentiva che
quello che stava per
fare era sbagliato, terribilmente sbagliato, ma non riuscì a
resistere oltre.
Alla fine il Deino dovette
riconoscere la sconfitta, e si lasciò andare. Chiuse gli
occhi e cominciò a
camminare verso il muro. Il tragitto sembrò durare interi
eoni, ma alla fine
giunse di fronte ai blocchi di pietra. La osservò meglio:
non sembrava avere
inizio né fine, e si estendeva senza limiti in quel
paesaggio tetro.
Gli basto poggiarvi sopra una
zampa che le pietre cominciarono a cadere. La muraglia finalmente
crollò, e ciò
che vi si trovava oltre si riversò verso di lui.
Sentì il suo corpo essere
avvolto da una marea di sensazioni indefinibili e oltre ogni
immaginazione.
Avvertì una vampata di fuoco e di
energia senza precedenti. Non aveva mai sperimentato nulla di simile,
quasi si
spaventò. Ma immediatamente arrivò il calore
tanto millantato in precedenza, e
anche di più. Sentì di starsi fondendo col fuoco
e che il suo sangue fosse
sostituito come da lava liquida tanto lo sentiva ribollire. La testa
prese a
pulsargli, e tutti i muscoli del proprio corpo si contrassero.
Respirò a
scatti, e quando tentò di aprire gli occhi non vide nulla.
Capì troppo tardi di aver preso
del tutto il controllo di sé stesso.
***
Non
riusciva più a muoversi, e a
malapena formulava qualche pensiero sconnesso. I suoi occhi erano
spalancati e
gli facevano male, ma non riusciva a chiuderli. Tutti i muscoli erano
contratti
e sentiva di star leggermente tremando, ma per quanto ci stesse
provando non
poteva fare nulla per impedirlo.
Rimase a fissare il soffitto
sopra di lui per un tempo indefinito. Mentre rimaneva immobile dentro
Neville
era in corso una lotta: da una parte lui, che lottava per riacquisire
il
controllo di sé stesso seppur debolmente, e dall'altra...
qualsiasi cosa ci
fosse. Neville non aveva idea di quel che era successo, anche se gli
pareva di
aver letto in un libro di una cosa del genere molto tempo addietro.
Ma di una cosa era terribilmente
certo: se si fosse lasciato sopraffare sarebbe sicuramente morto. Non
sapeva da
dove questa conclusione era arrivata, ma era come se fosse un
presentimento.
Non sarebbe stato di certo strano, con tutti i problemi fisici che
aveva. Solo
che non se l'era aspettato per quel momento. Non si era preparato, e il
malore
lo aveva colto totalmente alla sprovvista. E adesso rischiava di
soccombere
prima di aver portato a termine il proprio scopo.
"Non deve succedere!".
Questo limpido pensiero fu uno dei pochi ad avere un senso formulato
dalla
mente di Neville in quel frangente critico. Risuonò forte
come una campana in
mezzo a tutta la confusione che dilagava, e sembrò che il
suo eco dovesse
presto dissolversi. Ma tanto fu sufficiente a dare all'uomo la forza
per
resistere. Era stato capace di realizzare in un pensiero l'obbiettivo
della sua
forza di volontà, così non si arrese.
Ogni tanto riusciva ad acquisire
quel tanto di controllo da consentirgli di emettere un respiro o un
gemito
strozzato, anche se era perfettamente consapevole che nessuno sarebbe
accorso
in suo aiuto. L'aria dalla bocca passava a malapena, e i polmoni
facevano uno
sforzo disumano per pompare quel filo di ossigeno che gli aveva
consentito di
non morire per mancanza d'aria.
Finalmente, quando la lotta
interiore durava già da un bel po', riuscì ad
avere temporaneamente la meglio e
a guadagnare alcuni attimi di pausa. Quando avvertì la sua
mano sinistra che si
muoveva leggermente decise di provare a recuperare il barattolo delle
pillole,
il quale si trovava a non molta distanza dal suo arto.
Le dita si mossero dapprima con
una lentezza opprimente, man mano con maggiore coordinazione e
velocità. Con
esse artigliò letteralmente le mattonelle del pavimento per
trascinarsi dietro
anche l'inerte braccio, e con molta fatica si portò a poca
distanza dal
barattolino. Giaceva aperto, e una pillola era rotolata non molto
lontano. A
Neville sembrava che ce ne fossero due, ma probabilmente la seconda si
era
persa chissà dove.
Con uno sforzo inconcepibile
anche a lui stesso riuscì pian piano prima ad avvicinarsi e
poi a prendere la
pillola. Quando sentì che la "cosa" stava riprendendo il
sopravvento
portò lentamente la mano alla bocca, e si lasciò
scivolare la pillola in gola.
Deglutì con molta fatica, e non poté far altro
che aspettare.
Nel mentre dell'attesa gli sembrò
di sentire una dolce melodia. Probabilmente erano i deliri partoriti
dalla sua
mente malandata, ma non potendo fare altrimenti l'ascoltò.
La voce che
l'intonava era celestiale, e lo invitava a lasciarsi andare al torpore
che
sentiva vicino. L'uomo fu quasi tentato di accettare, ma qualcosa
dentro di lui
gli consigliò di non farlo, e Neville gli diede ascolto. Gli
sembrava fin
troppo sospetta quella cosa, ed essendo sopravvissuto lui per molti
anni in
quel mondo selvaggio decise di fidarsi di sé stesso.
Capì di aver vinto, almeno per
quel momento, quando riuscì a sollevare il braccio destro e
a portarsi la mano
alla faccia. Se la stropicciò, tentando di scacciare la
stanchezza che lo
attanagliava, e vi riuscì in parte.
Riuscì, non seppe nemmeno lui
come, a rimettersi in piedi. Prima rotolò malamente su un
fianco, poi muovendo
le braccia e inarcando le gambe si creò dei solidi appoggi
sul pavimento,
attraverso i quali provò con successo a risollevarsi. Si
sostenne al tavolo per
tirarsi su, e quando ce l'ebbe fatta con una mano tremante si
asciugò il sudore
dalla fronte. Se la passò leggermente anche tra i capelli
corti, e li sentì
fradici.
Guardò la finestra e notò che era
scesa da tempo l'oscurità, in quanto sembrava notte fonda.
Si mise a respirare
profondamente, e sedette su una sedia, prendendo a pensare. "Merda,
è già
passato tutto questo tempo. Era l'ultima pillola, l'altra
chissà dove cazzo è
finita. Oramai manca poco.".
Poi gli sembrò vedere dei
movimenti al di fuori della finestra. Sospettoso, si portò
di soppiatto alla
finestra, e si sporse leggermente. Dapprima i suoi occhi faticarono ad
abituarsi al buio, ma appena ci riuscì ecco la rivelazione.
Gli sembrò di
vedere delle sagome muoversi ad alcune decine di metri di distanza.
Delle
sagome mostruose. Ed erano dirette verso l'abitazione.
In quel momento capì che era
finita. Si doveva sbrigare.
***
La
casa era illuminata, ciò
voleva dire che dentro vi era qualcuno. Solo al piano terra si
intravedevano
delle luci, mentre al piano superiore c'era solo buio. Ma anche con la
luce
nessuna figura si stagliava contro il vetro delle finestre.
- Restate immobili, e soprattutto
allerta.
Gli ordini di Olston si erano limitati
a questo, in attesa che desse il segnale per attaccare. Si erano
appostati sul
lato ovest della casa, al riparo di alcune rocce e piccoli cumuli di
terra.
Pensavano di essersi mossi abbastanza cautamente, e non credevano di
essere
stati visti da chicchessia, per cui si sentivano sicuri nelle loro
postazioni.
Però stavano costantemente sul chi vive, in attesa che il
Gabite desse il via
libera.
Avrey si trovava assieme ad
Olston, John e Pearl, appostato dietro una collinetta. Tutti stavano
scrutando
intensamente la casa, cercando di captare il minimo segnale di vita,
anche se
fino a quel momento non avevano avuto molto successo. Pearl aveva
congiunto le
zampe a mo' di binocolo, nella vana speranza che ciò potesse
agevolarle la
vista.
Avevano corso per due ore buone,
forse tre. Erano partiti appena era calata la sera, ed erano arrivati
lì una
decina di minuti prima. Quei venti chilometri erano indubbiamente stati
i più
lunghi delle loro vite, soprattutto per Avery. Non si era mai ritrovato
a
correre così, nemmeno durante lo scontro con la Banda di
Kaiden. Era
un'esperienza nuova, emozionante e al tempo stesso terrificante.
Nessuno
sembrava rendersene conto, ma probabilmente in quel preciso istante
stavano
tutti rischiando la propria vita. Di nuovo.
Restarono lì in attesa per minuti
interi, forse anche ore. Olston continuava a scrutare la casa, risoluto
ed
imperturbabile al tempo stesso. Nessuno fiatava per paura di scatenare
in lui
una reazione del tutto inaspettata. Anche Sanford se ne stava zitto
nella sua
postazione. Nonostante ciò la tensione impregnava l'aria
della propria
nauseabonda presenza.
Finalmente, apparentemente senza
che fosse successo nulla di particolare, Olston si alzò e
con un cenno
dell'artiglio sinistro indicò agli altri di avanzare piano.
Allora tutti gli
altri si alzarono, cominciando a dirigersi lentamente verso la casa,
cercando
di appiattirsi col terreno il più possibile. Mentre
avanzava, Avery non poté
fare a meno di gettare occhiate ai suoi compagni. Gli rimasero impresse
soprattutto le loro espressioni, in alcuni risolute, in altri
colleriche, in
altri insicure, in altri imperturbabili. Il Machop si stupì
della grande
varietà di volti che vide quella notte. Non aveva mai visto
una cosa del
genere, chissà che quella nottata cruciale non gli
riservasse ancora qualche
sorpresa. Essendo ancora relativamente giovane doveva imparare a
scoprire il
mondo di lì a poco.
Arrivarono tutti a poco più di
dieci metri dalla casa, Olston in testa. Sembravano quasi degli
Stunfisk, tanto
erano piatti. Anche chi aveva il ventre prominente cercava di farsi il
più
piccolo possibile, pur non avendo molto successo. Questo ad Avery
riuscì meglio
dato il suo fisico minuto da forma base.
Accadde all'improvviso.
Un'esplosione, una sfera viola volò via, e al gruppo piovve
addosso una marea
di mattoni staccatisi dal tetto e pezzi di legno. Qualcuno si
alzò in piedi,
spaventato.
Subito dopo una seconda
esplosione e un altra sfera viola sferzò l'aria, perdendosi
chissà dove nel
cielo. Questa volta tutti si rimisero in piedi, ed osservarono
stupefatti
quello che stava accadendo. Altri mattoni caddero sul gruppo, e
qualcuno venne
colpito. Si udì un ruggito provenire dall'interno della
casa, e ad Avery parve
di riconoscere vagamente la voce che lo aveva emesso.
Ma il colpo fatale fu il terzo.
Dopo un'altra esplosione metà della casa crollò
letteralmente addosso al
gruppo. Qualcuno fu in grado di scansarsi o di fare un balzo e di
atterrare al
di fuori della portata dei detriti, frutto di anni di addestramento e
pratica.
Ma la maggior parte del gruppo, Avery compreso, non fu così
fortunata.
Investiti in pieno da un fiume di
travi e pietre, la maggior parte di loro scomparve sotto le macerie.
Accadde
tutto talmente in fretta che quasi nessuno ebbe il tempo di urlare. In
men che
non si dica Avery si ritrovò oppresso da un peso forse
eccessivo per lui,
trovandosi schiacciato sotto uno spesso strato di pietre e anche al di
sotto di
un pezzo di trave.
Per sua fortuna non era stato
sommerso dai detriti più grossi. Non perse tempo. Nonostante
ci avesse
impiegato molta fatica alla fine che la fece a riemergere. Quando fu
fuori per
metà, fino alla vita, vide che non era il solo ad essersi
parzialmente
liberato. Olston erano già quasi del tutto fuori, mentre
John, Thor, Cirian,
Ioseph e qualche d'un altro stavano lottando per uscire fuori dalle
rovine.
Avery alzò per un attimo lo
sguardo. La casa giaceva sventrata davanti a loro, come se fosse stata
malamente tagliata in due. Si vedevano perfettamente gli interni delle
stanze,
con tutti i mobili, gli utensili e quant'altro. Ma era vuota.
All'improvviso l'aria fu
squarciata dall'urlo di Olston.
- Laggiù!
Indicò una direzione con
l'artiglio.
- E' là! Sta scappando!
Molti, tra cui Avery, seguirono
con lo sguardo la direzione indicata dal Gabite. E quando la vista si
posò
sulla cosa indicata il Machop e molti altri non poterono fare a meno di
trasalire. Una figura alta e slanciata, seppur non di molto rispetto a
loro e
anche più minuta di corporatura, stava correndo via. O per
meglio dire arrancando,
anche se si trovava già ad una considerevole distanza da
loro.
- Presto, chi può venga con me!
Augustine - si rivolse adesso alla Audino, appena liberatasi dalle
macerie -
Entra dentro e trova gli altri. Tutti gli altri, prendetelo!
***
-
Hmm... ah...
Quando riprese i sensi Finley si
sentì oppresso. Era come se stesse venendo schiacciato da
qualcosa, e con
quella poca energia che si ritrovava riuscì a far scivolare
di lato quel
qualcosa che gli stava sopra. La cosa scivolò come un sacco
di patate sul
fianco, giacendo immobile a terra.
Finley si portò un'ala alla
testa. Gli faceva male, e non solo quella, e non era per niente una
bella
sensazione quella di svegliarsi e di sentirsi tutto dolorante. Appena
si sfiorò
il collo con una piuma ritrasse immediatamente l'arto, atterrito.
Già solo
sfiorare il collo gli faceva male, figuriamoci.
- Ahia...
Appena sveglio si ricordò tutto.
Rammentò degli ultimi momenti di "libertà",
quando l'umano aveva
colpito Gregory alle spalle. Ricordò il corpo che cadeva
malamente, e ricordò
di aver provato a scappare. Il tentativo di fuga era stato seguito da
un
violento colpo alla schiena e dal muro che si avvicinava ad una
velocità
vertiginosa. Poi il buio.
Curioso di sapere cosa lo stesse
schiacciano il Rufflet gettò un occhiata alla sua destra, e
si accorse che la
cosa che lo opprimeva era il corpo di Gregory. Non aveva avuto la
minima
reazione ai suoi movimenti, e giaceva ancora immobile dove Finley
l'aveva
costretto a scivolare. Il Rufflet, preoccupato, si avvicinò
al compagno per
accertarsi delle sue condizioni.
- G-gregory?... T-utto bene?
Nessuna risposta. E soprattutto
nessuna reazione di nessun tipo da parte del Dewott.
- Gregory?
Stavolta Finley si chinò verso il
Dewott senza sapere nemmeno perché. Poi capì il
motivo di quello che stava
facendo, e avvicinò l'orecchio al petto del Dewott. Lo
appoggiò nella parte
sinistra, dove stava il cuore. Ma per quanto si sforzasse, il pokemon
Aquilotto
non riuscì a sentire nulla. Possibile che...
"N-no, non può
essere..." pensò incredulo "C-ci deve essere per forza un
errore...
non può essere...".
E solo allora si accorse di
Lloyd. Il suo migliore amico era in piedi nel lato opposto della stanza
in cui
si trovavano, e gli dava le spalle. Era perfettamente immobile sulle
quattro zampe,
e nulla sembrava turbarlo. Sembrava non respirare da quanto era
apparentemente
calmo, e a giudicare dalla postura doveva essere in quella posizione
già da un
bel po'.
- L-lloyd?
Il Deino rimase immobile, e non
diede nemmeno segno di aver sentito.
- Lloyd? Amico mio? Lloyd?
Lloyd questa volta sembrò aver
sentito, e cominciò lentamente a girarsi. Finley sorrise di
sollievo, almeno il
suo amico stava bene.
Ma il sorriso gli morì presto sul
becco. Notò subito che c'era qualcosa che non andava, lo
capì dai movimenti
stranamente meccanici, come se l'energia stesse venendo a stento
repressa
all'interno del corpo. In definitiva non sembra che si stesse movendo
di
volontà propria, quasi fosse solamente un burattino nelle
mani di un
burattinaio alle prime armi.
Ebbe la conferma che c'era
qualcosa di terribilmente sbagliato nell'amico quando vide la sua
espressione:
la bocca contorta in un orribile ghigno, il quale metteva in mostra
tutti i
suoi denti. Da un angolo del "sorriso" gli colava un rivolo di
sangue, mentre i denti dovevano essere sottoposti ad una pressione
fortissima
visto il rumore stridente che producevano. I muscoli della faccia erano
tutti
contratti e sottoposti ad uno sforzo notevole a giudicare dal loro
pulsare.
Gli occhi di Lloyd poi non
c'erano nemmeno. La pupilla sembrava essere sparita, lasciando il posto
solo al
bianco del resto del bulbo. Erano ben evidenziate le venette rosse che
lo
attraversavano, dandogli un aspetto a dir poco spaventoso. Sembrava
totalmente
fuori di sé. E fu in quel momento che Finley capì.
"No, dimmi che non è vero,
dimmi che non è vero, dimmi che non è...".
Lloyd non fece nulla, e la sua
espressione non mutò minimamente. Era come se nessuno gli
avesse parlato, e
continuò a mantenere quel portamento inquietante. L'unica
che fece fu quella di
abbassare il capo per qualche strano motivo. Rivolse la testa in
direzione di
Finley, come fosse pronto per caricarlo, e prese a grugnire verso di
lui. Prese
a respirare regolarmente, anche se si sentiva che lo faceva con fatica.
I suoni
gutturali riecheggiavano nella stanza, e il suo respiro si condensava
in
nuvolette quasi come se fossero all'aperto.
- Lloyd?
Finley si avvicinò molto
lentamente al Deino. Voleva verificare che fosse per davvero entrato
nello Stato,
ma non voleva stimolarlo a diventare distruttivo. Cercò di
limitare i propri
movimenti il più possibile, cercando di non essere
né brusco né avventato.
- Lloyd? Stai bene?
Nessuna risposta. Allungò un'ala
verso l'amico, nella speranza che il suo tocco lo potesse far rinsavire
in
qualche modo da quella strana condizione in cui era caduto.
Sfiorò appena il
ciuffo di pelo che andava a coprire il volto del Deino, e a giudicare
dalla sua
reazione fu un grossissimo errore.
Lloyd alzò bruscamente la testa
ed eruppe in un violento ruggito, pregno di odio e di furore. Una
cascatella di
bava e sangue gli fuoriuscì dalla bocca assieme alla
gutturale minaccia,
conferendogli un aspetto ancora più grottesco. La
fuoriuscita di liquidi
imbrattò anche le piume di Finley, che si ritrasse
disgustato ed impaurito.
"Per Arceus, è veramente nel
Berserk.".
Ebbe appena il tempo di formulare
quel pensiero che una sfera viola gli sfrecciò accanto,
schiantandosi con
fracasso contro la parete dietro di lui. Lloyd era stato talmente
veloce ad
attaccare che Finley nemmeno l'aveva visto. Una densa nube di polvere
si
sollevò da dove il Dragopulsar si era andato a schiantare,
oscurando
parzialmente la visuale tutt'intorno e coprendo Lloyd agli occhi di
Finley.
La prima cosa che il pokemon
Aquilotto fece fu cominciare a muoversi. Non doveva assolutamente
restare
fermo, altrimenti sarebbe stato un bersaglio troppo facile da colpire.
Eppure
riuscì ad evitare per un soffio un altro Dragopulsar che
squarciò la nube
dietro di lui. Lo evitò saltando di lato, e il fragore del
colpo risuonò forte
e chiaro davanti a lui seguito dal rumore di qualcosa che crollava.
Nonostante tutto Finley continuò
a muoversi. Doveva assolutamente cercare di individuare Lloyd per
fermarlo. Non
voleva fargli del male, era pur sempre il suo migliore amico, anche se
il suo
essere nello Stato Berserk glie l'avrebbe reso molto difficile. Coloro
i quali
erano nello Stato non ragionavano più, abbandonandosi ad una
furia cieca contro
tutto e contro tutti, senza distinzioni. Per l'Aquilotto sarebbe stata
un'impresa titanica tentare di farlo ragionare senza doverlo combattere.
Finley tese le orecchie. Lloyd si
stava muovendo incredibilmente piano per essere nello Stato Berserk,
dato che
di solito coloro che vi erano avvinti non erano proprio silenziosi.
Nonostante
ciò non fece fatica ad individuare un rumore alle sue
spalle. Si voltò di
scatto e cominciò a sbattere le ali il più
velocemente possibile e con quanta
forza poteva.
"Scacciabruma" pensò.
Se la mossa avesse avuto l'effetto sperato avrebbe avuto due
conseguenze: il
diradarsi della fastidiosa polvere e l'accecamento di Lloyd. Finley
sperava
così di poter prendere tempo, doveva assolutamente
escogitare un piano al più
presto.
Per sua fortuna entrambe le cose
accaddero. La nube si diradò in un battibaleno, mentre il
furente Lloyd
grugniva infastidito chiudendo gli occhi e scuotendo selvaggiamente la
testa
per scacciare la polvere che lo stava impedendo.
Finley lo vide e non perse tempo.
Si fiondò più velocemente che poteva verso
l'amico, evitando con cura di
venirci a contatto e aggirandolo, portandoglisi proprio alle spalle.
Appena il
Deino fu nella giusta posizione Finley si gettò contro la
sua schiena,
cingendogli le ali al collo e reggendosi con tutto il suo esiguo peso
addosso a
lui. Era stata una mossa istintiva, non programmata, ma Finley aveva
deciso lo
stesso di rischiare.
Lloyd non sembrò per nulla
contento di ciò. Cominciò immediatamente a
dimenarsi, sempre ad occhi chiusi, e
a muoversi freneticamente per cercare di staccarselo di dosso. Si mosse
alla
cieca, andando a sbattere contro tutto ciò con cui poteva
scontrarsi: prima il
Deino cozzò contro un voluminoso soprammobile, mandandolo in
mille pezzi, poi
contro un mobile schiacciando anche un'ala a Finley.
Ma per sua fortuna il Deino
cambiò quasi immediatamente direzione, schiantandosi contro
il muro. Nonostante
Finley fosse rimasto senza fiato a causa del violento urto non
mollò la presa,
anzi cercò di serrarla ancor di più.
Strinse i denti. Anche se avesse
continuato a resistere non avrebbe potuto per molto, era palese che
Lloyd aveva
una forza superiore alla sua. Non doveva perdere ulteriore tempo,
doveva
assolutamente farsi venire un'idea per porre fine a tutto
ciò. Ma non riuscì ad
escogitare nulla, così fece la prima cosa che gli venne in
mente.
- Lloyd! - urlò Finley
direttamente nelle orecchie dell'amico - Lloyd, ascoltami!
Il Deino sembrò sordo,
continuando il suo vagabondaggio furente.
- Lloyd, smettila! Non puoi
ridurti così, devi riprendere il controllo! Ti prego!
Le sue invocazioni servirono a
ben poco. Probabilmente il Deino nemmeno lo aveva sentito, forse a
causa del
completo blocco dei sensi dello Stato Berserk o forse per tutto il
frastuono da
lui stesso causato. Per contro sembrò farsi ancora
più furente, prendendo a
sbatacchiarsi malamente e mettendo ancor più in
difficoltà il malridotto
Finley.
"Non ce la faccio più"
pensò quello disperato. Oramai le forze gli stavano venendo
meno, non sarebbe
rimasto aggrappato ancora per molto. Le ali non avevano un appiglio
solido e
stava perdendo la presa, era solo questione di secondi prima del suo
inevitabile crollo.
- Lloyd!
All'improvviso il Deino si fermò.
Non perché fosse tutt'a un tratto uscito dal Berserk,
bensì perché venne
distratto da qualcos'altro. Dal richiamo che era stato appena lanciato
per la
precisione. A parlare non era stato Finley, ma il pokemon Aquilotto
riconobbe
comunque chi lo aveva fatto. A sentire la sua voce un respiro di
sollievo gli
venne spontaneo. Qualcuno era finalmente arrivato per salvarli.
- Lloyd.
Adesso che aveva attirato
l'attenzione del Deino, Augustine aveva parlato con più
calma. Si era ritrovata
molte volte a che fare con soggetti simili, pensò Finley, e
di certo sapeva
cosa fare in un caso come quello. Forse lo poteva far rinsavire senza
ricorrere
necessariamente all'uso della forza, e sarebbe stata la cosa migliore
che
potesse accadere.
La Audino prese ad avvicinarsi
lentamente a Lloyd. Tese cautamente una zampa verso di lui, come a
rassicurarlo, nonostante dovesse essere perfettamente consapevole che
sarebbe
servito decisamente a poco.
- Lloyd - cominciò - Calmati.
Siamo i tuoi amici. Non devi fare così, qui non hai nemici,
qui siamo tutti
dalla tua parte.
Il Deino sembrò effettivamente
calmarsi un po'. Smise di grugnire, e abbassò il capo,
lasciando che la frangia
di pelo tornasse a coprirgli il volto.
- Bravo, Lloyd. Così, da bravo.
Augustine, vedendo che le sue
parole sembravano aver sortito l'effetto sperato, tese la zampa verso
il muso
di Lloyd, prendendone delicatamente sul morbido palmo il mento. Ma a
giudicare
dalla sua reazione fu un grosso errore.
Lloyd alzò bruscamente la testa
ed eruppe in un ruggito di puro furore. Augustine ritrasse la zampa di
scatto e
fece un balzo indietro, mentre Finley trovò in quel
frangente il tempo di
staccarsi dal collo dell'amico. L'Aquilotto si portò
velocemente accanto alla
Audino.
- Situazione? - chiese lei
sbrigativa.
- Grave - rispose lui con voce
roca - Molto grave.
I due furono costretti a
separarsi quasi subito a causa di un altro attacco Dragopulsar da parte
di
Lloyd, che abbatté quel poco di struttura della stanza che
la teneva ancora in
piedi. Una pioggia di mattoni e ferro fuso si abbatté su di
loro, e Finley
sentì che alcune delle sue piume bruciavano. Si
buttò a terra e si coprì con
un'ala, sperando che tale gesto fosse di sufficiente protezione.
Se davvero lo fu lo dimostrò ben
poco. Il Rufflet venne travolto da un grosso pezzo di intonaco, finendo
lungo
disteso per terra. Cercò quasi subito di rialzarsi,
ignorando la polvere che
gli era finita negli occhi e sorreggendosi faticosamente sulle punte
delle ali.
Gli fece parecchio male quel tentativo, e cosa ancora peggiore
fallì
miseramente facendolo ricadere nella stessa identica posizione di poco
prima.
Mentre faceva un secondo
tentativo di rimettersi in piedi vide di sfuggita il combattimento tra
Lloyd e
Augustine, i quali sembravano non essere stati colpiti dalle rovine
come lui.
La Audino riuscì ad evitare un altro Dragopulsar,
rispondendo con Doppiasberla.
Audino possedeva questa mossa relativamente debole per il suo lavoro da
infermiera, e sovente la utilizzava per far rinsavire i malati quando
questi
dimostravano di avere un sonno pesante.
- Lloyd! - urlò, provando a farlo
riprendere mentre lo colpiva - Lloyd, svegliati! Ti devi riprendere!
Lloyd!
Ma non funzionò. Lloyd
semplicemente scosse violentemente la testa e rispose con un possente
ruggito.
Augustine fece un balzo indietro, atterrando poco lontano da Finley.
Questi
cercò di farsi sentire, pensando di poterle dare una mano,
ma riuscì ad emettere
solo un flebile gemito.
Il pokemon Ascolto ripartì quasi
subito con un attacco Sdoppiatore. A quanto pare aveva rinunciato ad
usare le
buone, passando infine alle cattive. L'attacco andò a segno
e Augustine colpì
Lloyd poco sotto la spalla, rimanendo anche lei ferita. Il Deino
ruggì,
furioso, e con tutta la forza che aveva morse la Audino nel piccolo
incavo tra
la testa e il collo. Lei gemette e provò a tirarsi indietro,
ma Lloyd la tenne
fermamente immobile stringendo ancor di più la sua morsa.
Del sangue cominciò a
colare da dove i denti affondavano nella carne.
In seguito Finley non ricordò
bene cosa successe. Seppe solo di aver spiccato il volo e di essersi
ritrovato
a pochi attimi da loro mentre caricava un attacco Lacerazione sulla sua
ala
destra. Era stato un gesto più che istintivo, forse istigato
dallo stato di
difficoltà della compagna. Si ricordò anche di
aver chiuso gli occhi in quel
momento, e l'atmosfera attorno a lui si era tramutata in un'accozzaglia
di
colori e macchie confuse.
***
Un'ondata
di dolore alla mandibola
fece in minima parte ridestare l'io cosciente di Lloyd.
- Che... che Giratina...
Si sentiva strano, molto strano.
Si sentiva leggero, incorporeo, quasi come se non fosse stato
costituito da
carne e sangue ma da aria. Non aveva mai provato una cosa del genere,
era la
prima volta. Non vedeva nulla, ma sentiva di starsi muovendo. Non
faceva nulla,
ma sentiva di star combattendo. Non diceva nulla, ma sentiva di star
ruggendo.
Chissà, magari era quello che provavano le persone bloccate
nello Stato Berserk
senza possibilità di uscirne.
Fu quel pensiero fugace che lo
fece riprendere del tutto. "Merda!" pensò "Il Berserk! Ecco
cos'era che mi rompeva le palle! Cazzo, non devo mollare adesso".
Fu così che Lloyd lottò per
riprendere il controllo di sé stesso. Si impiegò
in questa battaglia anima e
corpo (più anima visto che il corpo non lo poteva usare), e
cercò di
raccogliere tutte le proprie forze per sconfiggere quello stato fisico
intruso
che aveva soverchiato il suo volere.
Lottò e lottò, non fece altro che
lottare, intensamente.
***
Il
corpo di Lloyd ondeggiò
paurosamente, mentre questi continuava a ruggire furioso. Aveva gli
occhi
chiusi, e si sbatacchiava alla cieca a destra e manca. Il colpo subito
alla
mandibola da Finley l'aveva fatto imbestialire, e mordeva facendo
schioccare le
fauci per tentare di contrattaccare.
Solo che la sua bocca non voleva
saperne di chiudersi. La mandibola gli penzolava, inerte, e lui non era
in
grado di comandarla. La lingua giaceva penzoloni, e sentiva persino
l'ugola
ondeggiare ogni qualvolta si muoveva.
Il fiato gli venne meno. Faceva
fatica a respirare, sentiva la saliva andargli di traverso. Pian piano
i
ruggiti scemarono fino a diventare grugniti, poi diminuirono fino a
divenire
borbottii fino ad esaurirsi del tutto.
Alla fine il corpo del Deino si
accasciò malamente a terra.
***
Lloyd
sentì di aver vinto la sua
battaglia quando i suoi occhi si aprirono, seppur solo leggermente.
L'ambiente
attorno a lui sembrava esser fatto solo di luce, tanto era bianco.
Inizialmente
non capì né dov'era né cosa stava
succedendo, ma pian piano gli parve di
distinguere delle macchie di colore in mezzo all'atono bianco. Una
macchia rosa
e una celeste.
- Lloyd...
Riconobbe la voce di Finley.
Provò a rispondere, ma uscì solo un rantolo
strozzato dalla sua bocca malamente
spalancata. Questo assieme ad un fiume di bava e sangue.
- Presto!
Questa invece era la voce di
Augustine, Lloyd la riconobbe dal tono gentile ma deciso allo stesso
tempo. E
sembrava molto preoccupata.
- Non riesce... respirare...
ley... ta...
Le forze di Lloyd vennero subito
meno. Non riuscì a rimanere cosciente per più di
quei pochi secondi, e si
abbandonò infine all'oblio.
- Lloyd...
Si fece tutto buio.
***
Corse
a più non posso, almeno per
quel che gli permettevano le sue membra stanche. Si era a malapena
ripreso
dallo shock precedente che già si era ritrovato in una
situazione ancora
peggiore. Ma probabilmente era anche l'ultima cosa che avrebbe fatto,
per cui
si era deciso fin da subito a farla sino in fondo.
A uno che l'avesse guardato senza
prestargli particolare attenzione Neville in quel momento avrebbe
potuto
sembrare un uomo che corre in preda al panico in una direzione
totalmente
casuale. Ma non era affatto così, sapeva benissimo dove
stava andando e che
cosa avrebbe fatto una volta arrivato. Se tutto fosse andato bene
sarebbe stata
la fine del suo dolore.
Nonostante fosse buio aveva
percorso quella strada così tante volte da saperla fare
anche ad occhi chiusi.
Virò verso sinistra dopo pochi minuti, lanciandosi a
capofitto tra i crepacci
di quella parte della montagna. Tenne gli occhi bene aperti, al fine di
evitare
di cadere nella forra sbagliata. Quella giusta era quasi alla fine di
quella
rientranza nel monte, e non doveva sbagliare.
Mentre evitava con cura le buche
che non gli interessavano sentiva un bel po' di trambusto dietro di
sé. Vide il
terreno davanti a sé rischiararsi di rosso e tremolare,
quasi come se qualcosa
stesse bruciando alle sue spalle. Neville sapeva benissimo cosa dovesse
essere,
ma cercava di non pensarci. Si voleva concentrare interamente sul suo
scopo
principale.
Si girò un paio di volte giusto
per vedere le lo stavano seguendo. Sarebbe stato tutto inutile se fosse
riuscito a scappare, perché il suo obbiettivo non era
assolutamente questo. Una
volta appurato che almeno una mezza dozzina di pokemon, diversi da
quelli che
aveva preso prigionieri, lo stavano inseguendo a diversi metri di
distanza,
Neville sorrise, continuando però a correre e tornando a
rivolgere la testa in
avanti. Stava andando tutto secondo i piani, ma non si doveva distrarre
proprio
ora, non voleva certo farsi prendere adesso.
Nonostante gli acciacchi corse
più veloce che poteva, conscio che i pokemon, grazie alle
loro capacità fisiche
superiori alle sue, avrebbero presto coperto la distanza che li
separava. Ma
non lo dovette fare per molto, visto che infine arrivò di
fronte alla erta
parete rocciosa che si inerpicava sino alla cima del monte. E appena
sotto la
buca prescelta.
Neville guardò giù tanto per
verificare che nulla fosse stato toccato. Una volta che ebbe appurato
il fatto
che tutto era al proprio posto sospirò. Mancava poco alla
sua morte, lo sapeva,
eppure non aveva paura. Sentiva piuttosto una sorta di euforia, non
sapeva
nemmeno di che tipo. Sapeva solo di non essersi mai sentito
così. Stesse a
pensare a ciò per poco, dopodiché appena
percepì che i suoi inseguitori lo
avevano raggiunto si voltò per affrontarli.
Di fronte a lui, a meno di dieci
metri di distanza, si trovavano sette pokemon. Si erano disposti lungo
tutto il
fronte che andava dalla parete rocciosa al crepaccio, tagliandogli ogni
via di
fuga. Avevano tutti sguardi d'odio e di rabbia impressi sui loro volti,
e
Neville poteva benissimo capire il perché. Alcuni mostravano
i denti, altri
strusciavano i propri artigli per terra, desiderosi di affondarli nelle
sue
carni e fargliela pagare.
"Bene, si comincia.".
Neville si schiarì la voce con noncuranza, quasi come se
tutto ciò fosse
assolutamente normale.
- Immagino di sapere cosa volete.
A sentire queste parole qualcuno
grugnì rabbiosamente, segno che era stato capito. Un
esemplare particolarmente
grosso che recava lame su tutto il corpo fece per avvicinarglisi, ma un
altro,
una specie di drago bipede senza ali dall'aria del capo, lo
fermò con una
zampa. A quanto pare era riuscito a catturare la sua attenzione, ed era
una
buona cosa, lo avrebbero lasciato finire da solo senza ucciderlo.
- Volete uccidermi, nevvero?
I grugniti cessarono, e scese un
silenzio di tomba.
- Vi capisco, anche io l'avrei
fatto al vostro posto. E l'ho fatto in effetti. Non è una
bella sensazione
quando delle persone care ti vengono portate via, io lo so bene.
Il pokemon che sembrava essere il
capo lo squadrava, non del tutto convinto se li stesse prendendo in
giro oppure
se le sue parole fossero sincere. Dondolava leggermente, e ogni vola
che la
pietra che portava al collo batteva contro il suo coriaceo petto
tintinnava.
- Ma - continuò Neville - Non ho
intenzione di lasciarvelo fare. Non mi ucciderete.
I grugniti ripresero e qualcuno
di loro fece qualche passo avanti, costringendo Neville a retrocedere
leggermente. Anche il capo lo squadrò torvo, forse stava
perdendo la pazienza.
Si doveva sbrigare.
- Non che non stia per morire,
non temete, è questa la mia ora. Anche se non mi foste
venuti a cercare sarei
morto comunque, probabilmente da qui in capo a un anno non sarei
più stato su
questo mondo. Ma piuttosto che lasciarmi morire lentamente preferisco
decidere
io quando andarmene.
Fece un altro passo indietro, saggiando
il terreno dietro di sé con la punta del piede per
assicurarsi di starsi
avvicinando all'orlo del baratro. Nel mentre, davanti a lui i pokemon
stavano
lentamente avanzando verso di lui.
- Voglio però dirvi una cosa,
prima.
Gli altri sembrarono non prestargli
particolare attenzione, continuando la loro avanzata.
- Anche se oggi la mia vita trova
la sua fine, non vuol dire che morirò.
L'ultima frase lasciò interdetti
i pokemon, che smisero di camminare per alcuni attimi.
- So che voi mi potete capire,
mentre io non vi posso comprendere. Perciò lascio a voi
quest'ultimo mio
messaggio da comunicare al mondo intero. Lo dico in nome di tutta la
razza
umana, di tutta la mia specie che ora non esiste più.
Adesso tutti lo ascoltavano con
attenzione.
- E' chiaro che adesso il mondo è
vostro. Una volta poteva anche appartenere agli uomini, ma dopo averlo
conquistato con la forza è giusto che il trofeo resti nelle
mani del
conquistatore. Adesso sono io a rappresentare la
mostruosità, l'abominio,
l'ultimo esponente di una razza in procinto di scomparire. Ma chi esce
dalla
storia poi entra nella leggenda.
Non una foglia si muoveva, non un
alito di vento produceva rumore facendo da sottofondo alle parole di
Neville,
il quale indietreggiò di un altro passo. L'orlo del burrone
si stava pian piano
avvicinando.
- Ebbene sì. Volete sapere perché
ho rapito i vostri amici? Non perché mi abbiate fatto
qualcosa di male, o
perché porti rancore verso di voi nello specifico. Io odio
tutte voi spregevoli
creature, indistintamente.
Qualcuno grugnì all'ultima
affermazione. Per sicurezza Neville indietreggiò ancora.
- L'ho fatto per un unico motivo.
Voi adesso siete venuti a riprenderveli, e mi avete visto. Era questo
il mio
obbiettivo, che mi vedeste ed ascoltaste quello che avevo da dire. Del
resto è
bene che le ultime parole dell'ultimo uomo vengano ricordate,
è quasi un fatto
storico.
Fece un altro passo indietro.
- Sappiate che con la mia morte
l'umanità concluderà la sua storia, ma
comincerà la sua leggenda. Non voglio
che la mia razza tra dieci, venti, cinquanta, cento anni sia
già caduta
nell'oblio, ma voglio che venga ricordata. Anche se ciò vuol
dire essere
demonizzata a un punto tale da farla apparire come il male assoluto. Ho
inferto
molte sofferenze ai vostri amici, ne sono consapevole, mi pento solo di
averlo
potuto fare di più e per più tempo.
All'ultima frase i pokemon ebbero
una reazione furiosa, ruggendo e scalpitando, pronti a saltargli
addosso per
finirlo. Neville seppe che era venuto il momento di porre fine a tutto.
Fece un
ultimo passo indietro, sentendo finalmente il vuoto sotto di
sé. Si decise, era
ora di porre fine al discorso. Affrontò i suoi avversari a
testa alta, aprendo
le braccia e facendo un largo sorriso.
- E' finita. - disse con la voce
che trasudava per l'emozione - Il cerchio si chiude. Un nuovo terrore
nasce
questa sera dalla mia morte, e una nuova superstizione penetra
nell'inespugnabile fortezza dell'eternità. Perché
finché ci sarà persino
unicamente un pokemon che trema di terrore a sentir anche solo
pronunciare la
parola "uomo" allora l'umanità non sarà mai
veramente morta.
L'umanità è leggenda. Io sono leggenda.
Si lasciò cadere all'indietro, e
dopo un attimo si vide superare il bordo del burrone, cadendo verso il
basso ad
una velocità vertiginosa. Mentre scompariva nella forra
alzò la testa, e vide
che i pokemon avevano cominciato a correre inutilmente verso di lui.
Sorrise, e
fu l'ultima cosa che fece.
Il volo fu lungo e allo stesso
tempo breve, e non gli lasciò il tempo nemmeno per pensare.
L'impatto col
terreno fu violentissimo, e tutto scomparve.
***
-
Merda! - tuonò Olston - Merda,
merda e ancora merda! Presto, qualcuno vada a vedere!
Avery non se lo fece ripetere,
fiondandosi verso l'apertura del burrone. Guardò
giù, e vide la sagoma dell'uomo
malamente ripiegata su sé stessa sul fondo della buca.
Qualcosa, oltre al
sangue, sembrava fuoriuscire dal suo corpo.
Cercò subito qualche appiglio per
potersi calare fin giù. Per sua fortuna alcuni gradini
rozzamente intagliati
nella roccia erano posizionati in un punto semi nascosto che non fece
fatica a
trovare. Cominciò una rapida discesa, pur tenendosi con la
mano sinistra al
muro per non cadere giù. Era pur sempre un bel volo, e non
voleva di certo fare
la fine dell'umano.
Mentre scendeva si ritrovò a
pensare alle parole dell'umano. Ma era troppo scosso per poter
formulare anche
solo un pensiero di senso compiuto, per cui si riservò le
elucubrazioni per un
momento successivo.
Quando finalmente arrivò giù
quasi rimase scioccato. L'umano giaceva per terra, la metà
delle sue budella
fuoriuscite dalla pancia e sparse per il terreno circostante. Ma la
cosa
peggiore erano le sbarre di ferro che lo trapassavano, facendolo
sembrare un
grande spiedino con tutti i buchi che gli avevano fatto e col sangue
che ancora
colava. Quasi vomitò a quello spettacolo.
Ma seppe trattenersi. Si avvicinò
all'umano per verificare se fosse ancora vivo. Si portò a
livello della testa,
e la osservò. Una chiazza di sangue aveva impregnato la
pietra sotto il capo, e
un occhio era semi aperto e ripiegato all'interno della
cavità. Avery lo toccò
leggermente, quasi curioso dall'umano morto.
Quasi cadde a terra quando questo
tossì. Grumi di saliva resa rossa dal sangue fuoriuscirono
dalla sua bocca,
andandogli a sporcare la maglia già lorda del suo stesso
sangue. L'altro occhio
si aprì, anche se di poco, e la pupilla andò ad
inquadrare Avery.
- Vi ho rubato il lavoro, eh? -
disse con fare ilare. Un altro colpo di tosse lo scosse da cima a fondo.
- Scommetto che mi avresti voluto
ammazzare tu, non è così, piccolo bastardo?
Tossì di nuovo. Avery era senza
parole.
- Chissà... - chiese, più a sé
stesso che ad Avery - Se esiste ancora Portobello Road...
Fece un altro colpo di tosse, poi
l'occhio si chiuse. L'umano smise di muoversi. Per sempre.
Note dell'autore
E' finita. "I Am Legend" è finita. Non ci posso credere.
Dopo dopo sette mesi che la portavo avanti, finita. Davvero, non so
cosa dire se non che sono triste di dover abbandonare personaggi come
Neville e Lloyd in favore dei discendenti di Daenerys Targaryen.
Accorrete numerosi alla mia prossima fanfiction, "A game of
Pokémon - The begin of the end"
Adesso i ringraziamenti.
Ringrazio darken_raichu,
assiduo frequentatore della storia che ha recensito fino in fondo.
Ringrazio Ink Voice
(per me sempre _beatlemania) per star recuperando, anche se piano
piano. Ringrazio coloro che devono ancora finire, come lagunablu, Capricornus, ShadowMetwo99, Walt, Andy Black e Etherial Voice.
Ringrazio anche chi ha
recensito una sola volta, come Tsuki no Sasuke
(spero di averlos scritto bene), Vespus, Lycia_ e Filippo739.
Ringrazio chi ha messo la storia tra le preferite (Dark Legend Trainer,
MegaOmega
e _Windurin_)
e chi tra le seguite (Lady
Darky e yuki phantomhive).
Ringrazio anche solo chi ha letto. Davvero, siete stati tanti, sempre e
comunque.
Come regalo d'addio vi regalo una canzone, cercate su YouTube Everytime We Touch se siete malinconici.
Ma ricordate, a ogni fine segue un inizio. E questo arriverà
presto. Molto presto.
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