Piuma

di jellyfish
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Piuma ***
Capitolo 2: *** Jason ***
Capitolo 3: *** Cornice ***
Capitolo 4: *** Fuga ***
Capitolo 5: *** Polvere e Piume... ***



Capitolo 1
*** Piuma ***


Caro diario,

Caro diario,

mamma che strana giornata è stata questa…a scuola tutto come al solito. Al pomeriggio sono andata a fare un giro con Joas al centro commerciale, fin qui tutto normale, ma la cosa strana è successa di sera. Sono andata, sempre con Joas, a ballare in un locale del centro e poco dopo che avevo iniziato a ballare quasi al centro della pista, ho iniziato a sentire una voce che mi chiamava. All’inizio pensavo fosse Joas. Ma quando gli ho chiesto cosa mi avesse detto lui mi ha risposto che non mi aveva chiamato. Ho continuato allora a ballare come se niente fosse successo…ma poco dopo di nuovo quella voce! Chiunque mi stesse chiamando era un uomo che mi conosceva perché mi chiamava per nome. Aveva una voce meravigliosa, ora che ci penso era proprio impossibile che fosse Joas. Ha una bella voce ma non è niente in confronto a quella della persona che mi chiamava. Era una voce così profonda, ma così dolce! Non so bene come spiegarla, so solo che sembrava che mi volesse trascinare verso di sé. Ma io non capivo da dove provenisse, sembrava che mi chiamasse dall’alto, ma se guardavo in alto mi sembrava che la voce cambiasse direzione e che mi stesse chiamando dal basso. Stava per farmi impazzire. Era una voce talmente bella che volevo che mi trovasse, volevo essere trovata da lei, ma soprattutto volevo essere trovata dalla persona che aveva quella voce, doveva essere per forza una persona bellissima. Ad un certo punto non ce l’ho più fatta a reggere la tensione, la voce continuava a chiamarmi sempre più spesso ma Joas sembrava non accorgersene. Allora l’ho avvertito che uscivo a prendere una boccata d’aria. Sono uscita dal locale, che nel frattempo era diventato sempre più pieno, e sulla pista tutti sembravano delle sardine. Pensavo che da fuori non avrei sentito la voce. Ma mi sbagliavo. A quel punto iniziavo a spaventarmi, dopotutto sulla terrazza del locale non c’era quasi nessuno e avrei dovuto vedere chi mi stava chiamando. Ma scrutando le poche persone lì vicino a me, vidi che nessuna di esse stava anche solo guardando verso di me. Eppure la voce meravigliosa continuava… VannieVannie… ma che paura che mi sono presa! Mi sono sentita raggelare, come se delle lame ghiacciate mi stessero tagliando su tutto il corpo. A questo punto volevo fare solo una cosa: urlare! E così ho fatto! Tutti mi hanno presa per matta sulla terrazza ma non potevo fare nient’altro! Ho cominciato a urlare – Chi sei? Smettila! O fatti vedere!

Ed ecco che la mia bella figura del cavolo giornaliera anche per oggi è fatta! Infatti dopo essere stata guardata malissimo dai presenti sono entrata di corsa nel locale a cercare Joas, che mi ha riportato a casa. Giornata da dimenticare. Ma non posso dimenticare quella voce…era troppo perfetta per appartenere ad un essere umano…lo so, sarò anche una bambina che crede a Babbo Natale, ma quella voce non può essere di una persona normale.  

 

Qualche giorno dopo Vannie si svegliò di soprassalto al suono della sveglia, aveva fatto un brutto sogno. Di nuovo. Erano notti che quei sogni non la lasciavano in pace. Quasi tutte le mattine si svegliava sudata e agitata, con la bruttissima sensazione di essere inseguita da una voce. Quei sogni non la lasciavano in pace da quando era successo quello strano fatto in discoteca.

Basta che stress questi sogni…devo smetterla, tanto non è più successo, di cosa mi preoccupo?

Eppure i sogni continuavano. Una sera decise di andare a fare una passeggiata da sola per schiarirsi un po’ le idee, sperando che magari per una notte avrebbe dormito normalmente.

Vannie

- Cosa? Chi sei? Dove sei?

- Vannieseguimi

qualsiasi persona sana di mente non l’avrebbe fatto, ma per Vannie era irresistibile. Doveva seguirlo.

La voce, senza far vedere da chi provenisse, la portò fuori dalla città, ai confini del boschetto, dove di solito le coppiette andavano a trovar rifugio, nei pressi di una collinetta dove sorgeva un vecchio monastero abbandonato. A quel punto la voce si fermò. Finalmente Vannie vide chi l’aveva chiamata. Era un uomo alto, con una chioma di capelli rosso fuoco, gli occhi verdi che brillavano al buio come quelli di un gatto selvatico; aveva un fisico atletico, lo si vedeva benissimo grazie alla canottiera nera attillata e ai pantaloni grigi che indossava. La cosa più sconvolgente era la sua bellezza. Era veramente una creatura stupenda, quegli occhi erano calamite, era impossibile non fissarli. Per non parlare di quei ricci rossi. Sembrava che avesse il fuoco che usciva dalla sua testa e le fiamme avvolgevano dolcemente le sue spalle e il suo collo. Una cosa che Vannie notò quasi subito, subito dopo la sua sconvolgente bellezza, era il colore della sua pelle: era di un candore spaventoso, surreale. Nemmeno la porcellana più fine poteva essere così bianca e luminosa.

- Mia dolce…sei arrivata…vieni da me…

- Tua cosa…? Ma chi sei?

Vannie si stava impaurendo. Voleva scappare, urlare, fare qualsiasi cosa, ma non ce la faceva, il suo corpo non si muoveva e la sua mente era come se non le appartenesse più.

- Non dovresti chiedermi chi sono, ma cosa sono. Mio amore…non avere paura.

Le si avvicinò prima che potesse rispondere qualsiasi cosa. Senza rendersene conto Vannie si ritrovò abbracciata da due enormi ali piumate, nere più della notte. La creatura iniziò a baciarla. I loro baci divennero più audaci, Vannie cercava di resistere anche se in realtà non voleva, anzi voleva che andasse avanti. La creatura non tardò ad accontentarla, come se glielo leggesse nella mente. Iniziò a stuzzicarla, a darle piccoli morsi sul collo, sulle orecchie, le tolse i vestiti e lei quasi per inerzia cominciò a spogliarlo. Al tatto era freddo, ma così freddo che Vannie iniziò a rabbrividire paurosamente. Ma il freddo non la fermò. Anche lei iniziò a baciarlo ma da quel contato desiderava di più, anche la creatura lo voleva, era per questo che l’aveva chiamata. Avvolti dalle immense ali della creatura fecero l’amore nella notte. Vannie si addormentò tra le sue braccia.

La creatura, un angelo caduto, la tenne stretta a sé per molto tempo. Ma giunse purtroppo il momento di tornare nel suo Inferno. Lasciò Vannie ai piedi di un albero e si strappò una sua piuma nera. Col suo sangue che fuoriusciva dalla ferita provocata dalla piuma strappata scrisse su una foglia dell’albero che lasciò vicino alla ragazza: ogni volta che stringerai a te la mia piuma, saprò che mi pensi e scalderai il mio cuore costretto ad essere freddo per l’eternità.

 

Vannie si svegliò ore dopo, il cielo era ancora scuro, e si ritrovò da sola, semivestita e con una piuma e una foglia macchiata di sangue al suo fianco. Lesse il messaggio lasciatole dalla bellissima creatura, che per stare con lei per così poco tempo era dovuta scappare dall’Inferno stesso. Strinse la piuma a sé. L’angelo si sentì infuocare ed un dolore acutissimo seguito da una tremenda dolcezza gli scaldò per un secondo il cuore.   

 

 

 

Nota dell’autrice: Salve! Spero che questa mia breve storiella sia piaciuta… per favore commentate! Accetto tutti i commenti, anche negativi, se no non migliorerò mai! Grazie in anticipo a tutti!

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Capitolo 2
*** Jason ***


Salve a tutti, sono Jason, un Angelo

Ciao a tutti!! Visto che la mia storia è piaciuta a qualcuno, ho deciso di provare a continuarla…questo è la presentazione dell’angelo che ha sedotto Vannie, in pratica è la stessa storia raccontata dal suo punto di vista! Spero vi piaccia… continuate a commentare e fatemi sapere se è il caso di continuare la storia!

 

 

Salve a tutti, sono Jason, un Angelo. A dir la verità una volta ero un Angelo. Poi sono caduto, la classica caduta che fanno gli Angeli. Ad un certo punto ti rendi conto che non ne puoi più della vita che stai conducendo. Che è tutto assurdo, tutti sono felici ma non capisci come facciano ad esserlo, non sanno provare emozioni, non c’è niente che possa sconvolgere la noia delle giornate, vedere tutti i giorni le stesse facce felici, che in realtà non sanno cos’è la felicità perché non sanno cos’è il dolore. E invece io sono diverso, sono sempre stato diverso. Da subito, almeno per quello che la mia memoria riesce a ricordare, ho sentito di essere diverso e per questo sono caduto. Che poi non capisco perché la chiamano Caduta. Non è che si cade propriamente, perché è una scelta consapevole quando decidi di smetterla, più che Caduta andrebbe chiamata Salto. Non ti spinge nessuno a farlo, lo decidi tu e basta. E così ho fatto io, e tanti altri prima e dopo di me. Quando cadi poi speri in un qualcosa di meglio, di potertene stare per i fatti tuoi sulla Terra come uno dei tanti mortali, ma quando li guardi da vicino ti accorgi che sono profondamente diversi da noi e che nessuno della mia specie potrebbe mai essere scambiato per un mortale. Già il fatto di avere delle enormi, anzi smisurate, ali non aiuta l’anonimato. Noi Caduti siamo costretti a rintanarci nelle profondità della terra. In un posto orrendo, dove non si vede mai la luce del sole, ma fa un caldo terribile; un posto che ho scoperto che i mortali chiamano Inferno. Da sempre gli Angeli si rifugiano lì e non possono lasciare questo orribile posto se non per brevi momenti. Non che qualcuno te lo impedisca ma ne moriresti. Il tuo corpo per abituarsi al calore di questo posto è diventato freddo, talmente glaciale che sembra quello di un cadavere, e non è abituato alla luce del sole, per questo quelle brevi visite al mondo di sopra gli Angeli le devono compiere di notte. Brevi perché non siamo abituati al freddo della notte e ne soffriremmo. Forse non ne moriremmo, siamo una razza forte per natura. Ho deciso di cadere perché volevo provare sensazioni nuove, ma chi se lo aspettava che avrei avuto solo una cosa: la sofferenza. Come tutti gli altri della mia razza, posso percepire le emozioni degli umani nel raggio di chilometri, ma finché ero lassù non sentivo il peso di questa capacità; gli umani erano troppo distanti per dare fastidio alla mia mente. Ma adesso, da quando sono qua giù posso sentire tutto. Tutte le loro sofferenze si riversano su di me e io non posso farci niente. Certo ci sono anche delle belle sensazioni, ma in confronto al dolore provato, sono niente. Pensavo che avrei passato l’eternità con questo enorme fardello, eppure un giorno ho sentito un’anima diversa dalle altre. Una giovane ragazza che ballava. Non so cosa di preciso mi ha tanto sconvolto in quella ragazza. Ma sapevo che la volevo per me. Tutti i sabato sera andava a ballare in quella discoteca, ma cosa sarebbe successo se io l’avessi incontrata? Non osavo immaginarlo, cercai di cancellare la sua immagina dalla mia mente, ma era come se mi perseguitasse. Più la sentivo e più la volevo. Una notte decisi di agire.

Era il solito sabato e lei era al solito locale, io la osservavo da lontano, quanto era bella. Un Angelo non sa cosa sia la bellezza, almeno fino a quando non cade. Era la prima volta che io ne capii in pieno il significato. Lei era la bellezza, per me. Mentre ballava io ero nascosto lontano dalla sua vista e da quella degli altri esseri umani, ma la chiamavo mentalmente. Vannie…Vannie…

Lei non capiva da dove venisse la mia voce, ma sentivo che la amava. Si è subito innamorata della mia voce. Così oltre al concetto di bellezza quella notte ho imparato anche cosa fosse l’amore. E la paura. L’avevo spaventata anche se non capivo perché. Decisi di lasciarla in pace per quella notte. Ma qualche notte dopo non riuscii a trattenermi e la richiamai, questa volta riuscii ad avere un contatto con lei; era spaventata ma non terrorizzata ed era già innamorata. Quando mi vide era come se fosse rapita dal mio sguardo, dal mio corpo, dai miei capelli. Allora capii che anche io per lei ero bello.

La presi vicina a me con le mie ali e non si spaventò, mi voleva quanto io volevo lei e nemmeno il mio corpo glaciale ci fermò. Quando si addormentò tra le mie braccia completamente indifesa, mi resi conto che iniziavo ad accusare i primi sintomi del troppo freddo. La dovetti lasciare lì, sotto un albero, le volevo lasciare qualcosa di me, per non farle pensare che fosse stato tutto un sogno; ma un Angelo dannato cosa può offrire a una mortale? Niente. Le lasciai una mia piuma e un biglietto scritto col mio sangue. Sapevo benissimo che mi avrebbe causato molto dolore, non il fatto stesso di strapparmi la piuma, ma ogni volta che lei avrebbe pensato a me stringendo la mia piuma, mi avrebbe squarciato il cuore. E così successe. Ero appena tornato nell’Inferno quando il dolore arrivò, durò pochi secondi, per poi lasciare spazio a una dolcezza che aveva il potere di risanare tutte le ferite.

 

 

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Capitolo 3
*** Cornice ***


Ma ne valeva la pena sul serio

Ma ne valeva la pena sul serio? Quell’unico breve momento valeva le sofferenze che ora avrebbe sofferto ogni volta che la ragazza stringeva la piuma? Certo. Sarebbe stato bello poterla rivedere. Ma di certo ora non poteva tornare da lei ogni volta che la desiderava… si era già fortemente indebolito stando sulla Terra per quei pochi istanti. Faceva davvero troppo freddo, ma la luce del sole l’avrebbe ucciso di sicuro e non poteva tornare da lei di giorno.

Intanto i giorni passavano, le settimane, poi i mesi, molto spesso l’Angelo sentiva quella ormai familiare sensazione straziante che gli provocava la piuma, ma presto cercò di non farci più caso, non poteva innamorarsi di un’umana. Avrebbe creato troppi guai. Se un altro Angelo l’avesse scoperto sarebbero potuti nascere problemi anche gravi. Una notte però non resistette all’idea di rivederla. Lei era al solito locale che ballava con delle amiche, non c’era il ragazzo che l’altra volta stava con lei, e lui decise di chiamarla. Subito Vannie corse fuori dal locale per cercare la creatura di cui non sapeva nemmeno il nome. Non riuscì a vederlo, esattamente come la prima volta che l’aveva sentito, ma questa volta sapeva cosa doveva fare; corse al vecchio monastero abbandonato ai confini con il boschetto. Arrivò là con il fiatone e finalmente lo vide. Era lì ai piedi dell’albero sotto il quale l’aveva lasciata tanto tempo prima, era esattamente come se lo ricordava. L’unica cosa che questa volta era riuscita a notare meglio erano le ali: era una notte parecchio illuminata e dalla collinetta si vedevano bene le stelle, che illuminavano parzialmente la figura di Jason. Erano davvero enormi, piumate ali più nere della notte stessa e con i capelli rosso fiamma creavano un contrasto stupendo.

L’Angelo stava piangendo. A quella vista Vannie stava per svenire; vedere le sue guance perlate, rigate dalle lacrime era una scena troppo straziante per lei. Gli corse incontro e fu avvolta dalle sue ali, come la prima volta che si erano incontrati. Ma questa volta Vannie non si spaventò e si strinse a lui. Esattamente come l’altra volta il contatto con il corpo di lui fu freddissimo e quel gelo la fece rabbrividire.

-Non so nemmeno come ti chiami.

-Jason.

Per parecchio tempo nessuno dei due disse una sola parola. Semplicemente a tutti e due bastava starsene abbracciati, ma il tempo dell’Angelo stava scadendo. Il suo corpo, nonostante fosse a contatto con quello più caldo di lei, si stava raffreddando molto velocemente ed era quasi ora di tornare a “casa”.

-Devo andare.

-Dove? Quando posso rivederti?

-Non lo so…è difficile per venire qua su. Ma spero di tornare presto.

-Voglio venire con te! Portami con te per favore!

-Non posso…ti ucciderei se ti portassi con me.

-Ma dove vai!? No aspetta!

L’Angelo era volato in alto, Vannie non lo poteva più vedere già dopo cinque secondi, risucchiato dalle tenebre della notte. Lei strinse la piuma automaticamente a sé, ma l’Angelo non era ancora abbastanza lontano e quando il dolore lo raggiunse, lei sentì il suo grido pieno di angoscia. Spaventata lasciò cadere la piuma per terra e il grido si interruppe. Allora capì tutto. Stringere la sua piuma significava farlo soffrire. Inorridì al pensiero di quante volte aveva compiuto quel gesto, pensando di infondergli dolcezza invece di farlo urlare di dolore. Ma se lo faceva stare così male, allora perché le aveva dato quella piuma, che in fin dei conti era uno strumento di tortura nelle sue mani? Da quel momento decise che non avrebbe più toccato la piuma di Jason. Tornò a casa senza nemmeno passare dal locale a salutare le sue amiche, non era proprio dell’umore adatto per rispondere alle mille loro domande sulla sua improvvisa sparizione nel bel mezzo della serata. Si limitò a mandare loro un Sms scrivendogli che si era sentita poco bene e che era tornata a casa di corsa. Arrivata a casa poggiò la piuma sul comodino, ma decise che quella non era una posizione sicura. Sua madre nel pulire la camera poteva toccarla e stringerla per spostarla o per togliere la polvere posatasi su di essa e inoltre così vicina a lei la tentazione di prenderla e stringerla era troppo forte. Il suo sguardo, mentre cercava un posto adatto per sistemarla, andò a cadere su una cornice vuota. Era un posto perfetto. Prese la cornice e infilò la piuma, cercando di non stringerla troppo, tra lo strato di vetro e quello di cartone; così poteva guardarla quante volte voleva ma non la poteva stringere e fare del male al suo Angelo.

I giorni passavano lentamente e in ogni momento che Vannie era in camera sua a fare niente, magari semplicemente a giocare col computer o a guardare la tele aveva la tentazione di prendere la piuma di Jason, stringerla e fargli sapere che gli stava pensando. Ma poi si ricordava del dolore che ogni volta gli provocava e allora cercava di non pensarci e distoglieva lo sguardo dalla piuma incorniciata. Ma vedere la piuma a ogni momento della giornata era insopportabile, non poteva continuare così, prima o poi avrebbe ceduto e l’avrebbe stretta e non voleva farlo. Allora decise di spostare la cornice. Poteva metterla in sala ma l’avrebbe vista a pranzo e a cena, ma comunque sua madre, che ovviamente non sapeva che apparteneva a un Angelo, non le avrebbe permesso di tenere in sala una piuma incorniciata! Era già strano che ancora non aveva cercato di buttarla via. In cucina stesso discorso. In qualunque stanza l’avesse spostata, l’avrebbe vista troppo spesso o sua madre l’avrebbe buttata. Erano rimaste due soluzioni: sbarazzarsi della piuma o tenerla dentro una scatola sopra l’armadio con i suoi ricordi di quando era piccola, che nessuno per fortuna apriva mai. Certo la seconda soluzione era più semplice. Con che coraggio avrebbe buttato via quella piuma che le era tanto cara e che le ricordava Jason? Già solo l’idea le sembrava impossibile. Avvicinò la sedia della scrivania al suo armadio e usandola come scaletta prese la scatola in cima. Era una vecchia scatola di legno tutta impolverata, d'altronde nessuno l’aveva più aperta da chissà quanto tempo. Cercò di aprirla senza buttarsi tutta la polvere addosso, ma non ottenne dei gran risultati. Decise di fare più in fretta possibile, doveva assolutamente chiudere questa storia al più presto. Prese la cornice e dopo averla fissata per un breve momento la avvolse in un foglio di carta velina colorata e la sistemò nella scatola. Salì di nuovo sulla sedia e sistemò la scatola esattamente dove era prima. Decise di uscire a farsi un giro. Uscita di casa si sentì semplicemente sollevata, ora non poteva più fargli del male in nessun modo. Probabilmente non lo rivedrò più, penserà che mi sono dimenticata di lui, ma forse è meglio così.  

 

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Capitolo 4
*** Fuga ***


Ma cos’è successo

Ma cos’è successo? Perché non ho più quella sensazione? Non mi pensa… è successo qualcosa o mi ha semplicemente dimenticato? Dovrei tornare da lei.

Jason era sconcertato, non capiva perché all’improvviso dopo quell’ultimo dolore inflittogli mentre stava volando via, tutto era sparito. Eppure lei non se ne era andata via, poteva ancora sentirla mentre usciva di casa, mentre andava a ballare con le amiche, mentre era a scuola, la sentiva sempre. Ma adesso i suoi sentimenti erano cambiati, si perdevano nella massa di tutti i sentimenti tristi che riusciva a captare dalla sua tana. Era come se i sentimenti di quella parte del mondo avessero inghiottito i suoi.

I giorni passavano lentamente per Jason, ancora non aveva recuperato le forze dopo il suo ultimo viaggio in superficie e non poteva andare a cercare Vannie. Quando finalmente era in grado di affrontare di nuovo quella dura prova, gli mancò il coraggio. Aveva una paura enorme, aveva paura di salire di sopra e trovare che Vannie non era più quella che amava lui; aveva paura che Vannie non fosse più sua, ma fosse tornata da quell’altro, quel misero, piccolo e patetico essere umano che in realtà poteva offrirle molto più di quello che poteva lui. Eppure se fosse stato nelle sue capacità le avrebbe offerto il mondo intero ai suoi piedi. Solo adesso che aveva paura di perderla si stava rendendo conto che ormai il danno era fatto e non poteva tornare indietro: si era innamorato di una mortale. E adesso che lo sapeva, cosa poteva fare? Niente ovviamente. Poteva solo sperare per il momento che Vannie fosse ancora sua e che nessun altro Angelo, caduto o no, venisse a sapere cosa  stava facendo. Ma in fondo non era scritto da nessuna parte che un Angelo non potesse amare un essere umano, però la cosa aveva un che di sbagliato, era come se stesse facendo un terribile peccato e che ne avrebbero pagato entrambi le conseguenze.

Era giunto il momento di tornare da lei, aveva ripreso le forze da qualche giorno e il coraggio era inutile aspettare che tornasse, quindi tanto valeva affrontare la questione senza rimandare. Aspettò di sentirla al solito locale che ballava, finalmente dopo sere lunghissime per l’attesa, un sabato seppe che era lì. Volò a chiamarla. Lei sembrava sorpresa di sentire la sua voce, ma corse comunque al loro posto sulla collina. Quando se lo trovò davanti tutta la nostalgia le crollò addosso. Per lui però fu lo stesso.  

-Cos’è successo? Perché sei sparita così?

-Perché mi hai dato quella piuma?! Ma come ti è saltato in mente?!

-Perché volevo che tu pensassi a me. Cosa c’è di così sbagliato?

-È tutto sbagliato! Ti ho sentito! Quando te ne stavi andando via, ho stretto la tua piuma e tu hai urlato! Perché me l’hai data se sapevi che ti avrebbe fatto del male?!

-Non volevo che tu lo sapessi, non pensavo di aver urlato così forte. Ma ho sofferto molto di più quando ho smesso di sentire quel dolore. Pensavo che tu fossi tornata da quell’altro.  

-Come posso accontentarmi di un uomo dopo aver avuto un Angelo?

-Non dovevi sparire così.

-Scusa se non volevo farti del male! Scusa se pensavo che avrei fatto meglio a risparmiarti certe sofferenze! Ragioni in modo strano tu!

-Se ti ho dato la mia piuma è perché ero consapevole di quello che stavo facendo! Se avessi voluto che smettessi te lo avrei detto.

Vannie iniziava a piangere, ma per la rabbia non per la tristezza. Tutto quello che aveva fatto per cercare di stare lontana dalla piuma per non fargli del male era stato inutile, completamente inutile. Anche Jason era profondamente provato dalla loro discussione. In pratica era stato tutto un malinteso, ma aveva capito che Vannie l’aveva presa piuttosto male. Stava per parlare, per spiegarle meglio la situazione quando sentì un rumore dall’interno del monastero abbandonato. Subito Jason si allertò, temendo in un essere umano che avesse visto, nonostante l’oscurità, le sue ali. Ma purtroppo non era un mortale. Aveva chiaramente sentito la presenza di un altro Angelo. Quello che temeva fino a pochi minuti prima si stava avverando, doveva far andare via Vannie. Le si avvicinò di scatto, senza darle la possibilità di rendersi conto di quello che stava per fare, e la sollevò in aria. Vannie era terrorizzata, non aveva sentito nessun rumore quindi non capiva perché quell’improvvisa fuga dal loro nascondiglio. Quando si alzarono dal suolo Vanni sentì l’aria che le sferzava violentemente la faccia e si aggrappò con forza a Jason per paura di cadere; erano a un’altezza impressionante a volavano a una velocità parecchio elevata. Jason la teneva ben stretta per paura che le sfuggisse dalle braccia. Atterrò sul tetto di un grattacielo in una città che Vannie non aveva mai visto, o forse non la riconosceva per via del buio. Quando la lasciò andare lei per poco non cadde svenuta, ma subito Jason la sorresse con le ali. Adesso erano al sicuro per il momento, ma non sarebbe durato a lungo, l’altro Angelo avrebbe potuto volare fino a lì esattamente come aveva fatto lui. Doveva riportare a casa Vannie e in fretta anche, ma non poteva passare dal monastero.

-Ma cosa è successo? Perché mi hai portata qui?

-Eravamo in pericolo. C’era un altro Angelo nel monastero, nel tempo in cui noi non ci siamo più andati, probabilmente qualcun altro l’ha usata come rifugio sulla Terra.

-E allora? È così grave se qualcuno sa di noi?

-Non lo so, so solo che non è mai successo che un Angelo si fosse innamorato di una mortale.

-Sei innamorato di me?

-Non l’avevi ancora capito?

-Non me l’avevi mai detto…

le ultime parole di Vannie erano a malapena sussurrate.

-Beh adesso te lo dico. Ti amo. Sei l’unica cosa che mi tiene ancorato alla mia vita infernale. Se non esistessi non esisterei nemmeno io. Prima di averti passavo le mie giornate nell’Inferno che non solo mi circonda, ma si trova dentro di me. Non puoi nemmeno immaginare quanto possano essere vuote le giornate di un Angelo caduto; mentre prima ero completamente avvolto da buoni sentimenti senza senso, dopo il salto ho provato solo il dolore delle persone che sentivo intorno a me, unito al mio. Ma poi sei arrivata tu e ho finalmente capito perché tanti Angeli hanno saltato e perché tanti ancora continueranno a saltare. Ho finalmente capito cosa cercano disperatamente, cosa gli umani hanno che noi da lassù gli invidiavamo. In mezzo a tanta sofferenza possono provare anche dei momenti felici. Per un solo momento di felicità sono capaci di soffrire anche una vita intera, sopportano tutto il loro dolore per poter provare un attimo di infinita felicità. E il ricordo di quell’unico attimo li conforta anche se sanno che non potranno viverlo mai più. Per questo ti ho dato la piuma. Anche se ogni volta che la stringevi mi straziavo per la sofferenza che mi provocavi, appena passata mi sembrava di essere in Paradiso, sapevo che valeva la pena di sopportare tutto questo che a te può sembrare orribile, perché sarebbe stato seguito da una dolcezza sconfinata. Quando invece hai smesso di infliggermi questo tormento ho smesso di essere felice perché mi rendevo conto di essere all’Inferno e non in Paradiso.

Sia Jason che Vannie erano completamente in lacrime. Le grandi ali dell’Angelo stavano stringendo la ragazza che stava tremando dal freddo e dalla commozione. Nessuno le aveva mai parlato così. Jared di certo non era mai stato così sincero e aperto con lei. Ora lei aveva capito che aveva sbagliato a non comunicare a Jason con quel loro mezzo così personale e intimo. Anche lei lo amava ma non gliel’aveva mai detto, ma dopo un discorso del genere capiva che non c’era bisogno di aggiungere nient’altro. Bastava stringersi a lui e avrebbe capito quanto lo amava. Sentiva però il suo corpo sempre più freddo. Era rimasto più del solito sulla Terra e ora doveva tornare a “casa”.

-Jason, dobbiamo tornare indietro. Sei gelido.

-Lo so, ma non posso permettere che l’altro ti veda.

-Facciamo un’altra strada, ma devi assolutamente andare al caldo!

La prese di nuovo tra le braccia e spiccò il volo, anche se adesso volavano molto più lentamente perché Jason era molto stanco. Arrivarono in una via buia e solitaria dietro al locale dove Vannie ballava di solito e lui la posò dolcemente a terra. Le disse di andare a casa e di non tornare più al loro rifugio al monastero. La seguì mentre tornava a casa per assicurarsi che non le succedesse niente di male. Aveva già in mente quello che doveva fare.

 

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Capitolo 5
*** Polvere e Piume... ***


Non poteva rischiare che tutto venisse scoperto, avrebbe dovuto sistemare la situazione alla svelta

Non poteva rischiare che tutto venisse scoperto, avrebbe dovuto sistemare la situazione alla svelta. Doveva scoprire chi fosse l’intruso prima che succedesse un cataclisma. Appena si fosse ripreso sarebbe andato al monastero per vedere l’intruso.

Gli ci vollero tuttavia settimane per riprendersi dall’ultimo viaggio in superficie, in quei giorni aveva sentito finalmente il dolore che tanto gli mancava, ma non poteva andare a chiamare Vannie, anche se lei sempre più spesso andava al solito locale, come se aspettasse la sua voce che la chiamava. Finalmente un giorno fu pronto. A notte fonda Jason si recò sulla collina e appena vi giunse captò la presenza dell’Angelo.

-Finalmente ti sei deciso, sapevo che saresti venuto a cercarmi, sei prevedibile.

-Chi sei e cosa ci fai qui?

-Nessuno mi vieta di stare qui. A differenza di te e di tutti gli altri Caduti, io non mi sono ritirato al calduccio e mentre tu stavi a crogiolarti nella tua sofferenza per quella umana, io mi adattavo a vivere sulla Terra, come i mortali che tu ami tanto.

-Io non amo i mortali. Li reputo patetici e non desidero vivere sulla Terra come loro. Io non mi mischio a loro.

-A no? E allora quella Vannie cosa centra con te? Non ti mischi a loro…vero?

-Lei è diversa. Quelli non sono affari tuoi. Stalle lontano.

-Io faccio quello che voglio. Ah, e comunque io sono Arthur.

-Sparisci.

Arthur era un Angelo caduto da poco anche se già sapeva il fatto suo. Anche lui aveva deciso di saltare perché era stanco di tutti buoni falsi sentimenti che lo circondavano, ma, a differenza di Jason, non cercava dei buoni sentimenti che fossero reali, anzi, voleva provocarne di cattivi senza nessuno scopo se non la malvagità fine a se stessa. La sua prima vittima sarebbe stata proprio Jason. Era molto alto, più alto di Jason; le sue ali erano più o meno delle stesse dimensioni e tonalità di quelle di Jason, era pallido quanto lui ma aveva una luce diversa negli occhi. I suoi occhi erano grigi e glaciali e riflettevano perfettamente tutta la sua crudeltà, i capelli lisci e biondi gli ricoprivano la fronte e il collo. Aveva incollata in faccia un’espressione da strafottente che dava parecchio sui nervi a Jason. Alle sue parole aspre se la rideva di gusto, anche la sua risata era irritante.

-E io dovrei fare quello che vuole un insulso Angelo che si mischia agli umani?! Ma tu sei completamente fuori di strada. Impara a stare al mondo e cercati un altro posto dove divertirti con quella.

Detto questo Arthur prese il volo ma fu subito seguito da Jason. Volarono appena sopra gli alberi per circa 10 minuti, come se volessero vedere chi dei due era più veloce dell’altro, e raggiunsero la fine del boschetto vicino al monastero, poi Arthur si fermò di colpo.

-Hai intenzione di seguirmi fino in capo al mondo? Ti ricordo che tra poco inizierai a indebolirti sempre di più e dovrai tornare all’Inferno da dove sei venuto, e vedi di restarci stavolta.   

Arthur riprese il volo appena pronunciate quelle parole ma questa volta Jason non lo seguì. Sapeva che quello aveva ragione e la cosa lo frustrava enormemente, tra poco avrebbe iniziato a soffrire per il freddo dell’aria. Non aveva altra scelta che tornare al caldo e lasciare perdere tutto, almeno per il momento.

Vannie era da un po’ che non aveva sentito la presenza dell’Angelo e una notte decise di andare al vecchio monastero, nonostante le fosse stato detto chiaramente che non doveva più tornarci.

Arrivata lì sentì la voce che la chiamava. All’inizio pensava che fosse Jason, ma presto si accorse che non era la solita voce che la stava chiamando. Era una voce sgraziata e fastidiosa, quasi metallica e feriva i timpani.

Vannie…ma brava…anche tu sei prevedibile come lui, sapevo che saresti arrivata!

-Chi sei? Jason dove sei?

-Jason per un po’ non si farà vedere. Credo che abbia parecchio da fare per riprendersi dopo il nostro incontro.

Vannie era terrorizzata dalla visione che le si era parata davanti. Di fronte a lei c’era un Angelo stupendo, ma di una bellezza crudele. Era tutt’altra cosa rispetto al suo jason. E le sue parole l’avevano spaventata a morte.

-Cosa gli hai fatto?! Che cosa vuoi da lui?

Vannie stava urlando dalla rabbia e dallo spavento al pensiero che fosse stato fatto del male al suo Angelo e gli occhi le si stavano riempiendo di lacrime. Intanto Arthur non si lasciava di certo commuovere e se la rideva di gusto vedendo la ragazzina così impaurita e arrabbiata.

-Ma si, niente di che. Gli ho solo fatto capire che doveva sparire e cercarsi un altro posto per giocare con te. Ah…ma guarda, non deve aver capito bene la lezione, sta arrivando.

Arthur aveva captato quello che non era in grado di sentire la mortale, Jason stava volando verso il monastero, anche se molto lentamente in quanto non aveva ancora recuperato di nuovo le forze. Quando arrivò aveva lo sguardo furente ed era pronto a scatenare la sua rabbia contro Arthur.

-Jason stai bene allora!

-Vai a casa Vannie. Ti avevo detto di non tornare più qui.

-Ma…

-Vattene!

Vannie non voleva andarsene e lasciare che Arthur facesse del male a Jason, ma d'altronde non poteva fare niente contro l’Angelo. Si nascose dietro un muro semicaduto del monastero per vedere cosa sarebbe successo tra i due titani.

Jason si scagliò come una furia contro Arthur, i due iniziarono a lottare come bestie che si scannano per un pezzo di cibo, anzi in questo caso per una femmina. Ben presto non si riuscì più a capire chi stesse ferendo chi, se uno dei due aveva la meglio o no. Andarono avanti per un bel po’, tra le urla di Vannie che li pregava di smettere, che c’era abbastanza spazio sulla Terra per entrambi, ma nessuno dei due ne voleva sapere; dopo un tempo che per la ragazza era sembrato infinito, i due Angeli si accasciarono per terra, uno di fianco all’altro. Entrambi sanguinavano parecchio da tutte le parti del corpo e il sangue, sulla loro pelle più bianca della neve, risaltava in modo raccapricciante. Jason sembrava aver avuto la meglio su Arthur, che infatti era in fin di vita. Vannie gli si avvicinò e gli ripulì la faccia dal sangue. Stava per iniziare a parlare quando il corpo dell’altro Angelo si ridusse in polvere, dopo che questi aveva emesso un ultimo strozzato gemito di dolore. La ragazza era rimasta sconvolta da quella vista, non aveva immaginato che la vita di un Angelo potesse finire così tragicamente. Sperava che Jason si sarebbe salvato, in effetti era stato più forte di Arthur, ma era ancora molto debole per i frequenti sbalzi di temperatura che il suo corpo aveva dovuto affrontare in quegli ultimi giorni. Quella lotta era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso, il suo corpo non poteva sopportare più niente ormai.

-Mi dispiace…

Jason aveva appena sussurrato quelle poche parole che anche lui emise un gemito e fu ridotto in polvere. Vannie scoppiò definitivamente in lacrime quando si trovò le mani appoggiate al terreno impolverato e pieno di piume nere dove prima c’era il corpo di Jason. Così era terminata la vita breve ma piena dell’Angelo caduto, che si era sacrificato per una mortale. Vannie era disperata, aveva potuto condividere con lui solo pochi ma intensi momenti. Adesso era troppo tardi, del suo Angelo e così anche di quello che lo aveva ucciso non erano rimasti che polvere e piume. E lei non era rimasto nulla, se non una piuma incorniciata e un ricordo di una storia che le aveva cambiato la vita.    

 

 

 

 

FINE!! Spero che vi sia piaciuta! Lo so che il finale è un po’ tragico, però non mi sembrava adatto alla storia un finale fiabesco… spero che apprezzerete comunque! Grazie alle persone che hanno commentato o anche semplicemente letto e che mi hanno dato la voglia di continuare la storia!

 

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