Long live the queen

di summers001
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Greet the princess! ***
Capitolo 2: *** Growing up in grace and beauty ***
Capitolo 3: *** The king is dead ***
Capitolo 4: *** Long live the Queen ***



Capitolo 1
*** Greet the princess! ***


Long live the Queen

 

 

C 'era una volta Biancaneve, lunghi capelli neri, pelle color latte, bocca rossa come una rosa, figlia del re più potente di quel mondo.

Aveva una matrigna cattiva, che suo padre aveva sposato prima di morire e che non era gelosa della sua bellezza come i popolani bisbigliavano. La principessa conosceva tutte quelle storie che si raccontavano, aveva letto i libri stampati o trascritti a mano dalla gente, perché era stata esiliata dal suo stesso castello e si nascondeva dalla regina che la voleva morta: aveva inviato persino un cacciatore ad ucciderla. Ma questa è un'altra storia.
Anni dopo Biancaneve era di nuovo nel suo castello, aveva sposato il principe Azzurro, o David per gli amici, ed avevano avuto una bella bambina, Emma. Emma era giovane e bella, aveva la vitalità dei suoi cinque anni, correva ovunque ed era impossibile starle dietro. C'erano due guardie addirittura che la sorvegliavano e lei riusciva sempre ad eluderli nel modo innocente che solo i bambini hanno.
Biancaneve la guardava dalla sua finestra, mentre suo marito nella sala del trono incontrava contadini, nani, elfi, fate e cavalieri. Era il giorno dell'incontro con la marina del suo alleato. Da molto lontano erano arrivate squadroni di marinai avventurieri che il re David aveva richiesto e pagato per salpare alla scoperta delle nuove terre, in cambio dall'apertura delle frontiere per il commercio. Il castello era affollato, i marinai avevano portato le loro famiglie: c'erano donne e bambini, piccoli, adolescenti, in fasce. Per Emma fu semplice come schioccar le dita fuggire dalle sue guardie del corpo. Corse nel giardino posteriore dove nessuno poteva vederla. O almeno così credeva, sua madre era sempre alla finestra a spiarla.
Era una calda giornata, il sole primaverile danzava sui capelli color diamante della piccola Emma che si muovevano boccolosi come onde bionde nel mare di sole mentre correva. Aveva un semplice vestito bianco, ampio che non le intralciava i passi. Si rotolava nell'erba e raccoglieva fiori e se ne metteva alcuni dietro le orecchie e nei capelli e poi si arruffava la testa e li toglieva, perché non le piaceva avere altra roba addosso oltre ai capelli.
Guardava il cielo distesa sulla rugiada quando un uccellino le si avvicinò credendola una statua e cinguettava.
"Io non ci so parlare con te!" disse Emma, ignorandolo e cercando di mandarlo via scuotendo una mano. Quello tornò allora indietro a darle fastidio, quando Emma d'improvviso s'alzo. Agitò di nuovo il braccio per zittire il canarino, o il fringuello, o avvoltoio, o quel che era. Aveva sentito dei singhiozzi provenire dall'ombra, sotto le mura, tra gli archi di pietra fredda del castello. Si era avvicinata quatta quatta, aveva girato l'angolino ed aveva trovato un bambino.
Quello aveva sussultato, spaventato d'esser stato scoperto, era saltato all'inpiedi da quella pietra da dove era seduto, Emma invece s'era irrigidita nelle spalle ed aveva strabuzzato gli occhi come se avesse visto un fantasma.
"Chi... Chi sei?" chiese quello, asciugandosi le lacrime e pulendosi il naso con la manica del vestito blu che gli avevano fatto mettere per l'evento. Aveva gli occhi blu bagnati di lacrime tristi, non di quelle che la sua mamma aveva versato la guerra era finita.
"Emma." rispose lei sorpresa con una strana espressione sulla faccia. Nessuno le aveva mai fatto quella domanda, tutti sapevano chi era.
Il bambino tirò su col naso. "Killian." disse allungando la mano come facevano gli adulti, come gli avevano insegnato a fare, perché sua madre ci teneva alle buone maniere, gli aveva sempre detto che ci teneva che fosse un buon signorino.
Emma si tirò indietro la manina delicata e mugugnò disgustata. "Che ci fai qua?" chiese sistemandosi il vestito.
"Mio padre è il primo ufficiale e mio fratello diventerà capitano di una di quelle navi laggiù." fece indicando le vele bianche che si vedevano all'orizzonte, oltre le mura, oltre il castello e parevano nuvole sopra la linea dell'oceano. "Ed io voglio diventare come lui."
E allora? Era una cosa bella, no? "E tua madre?" chiese Emma che già aveva quel fare di pretese, come se una risposta gli fosse dovuta. Magari piangeva perché gli mancava la mamma. Per un attimo pensò alla sua.
Killian scrollò le spalle. Morta. "Tu?" chiese prima di cominciare a piangere di nuovo, tirando su il muco che sentiva arrivargli di nuovo.
Emma si ricompose, unì i piedi, schiena dritta, mani giunte davanti alla pancia, come sua madre. "Io sono la principessa." disse tutta soddisfatta, cercando di darsi delle arie.
Killian s'irrigì e la mente s'annebbiò. Che doveva fare? Che doveva fare? S'inchinò con un ginocchio a terra e l'altra gamba piegata, abbassò la testa e fissò il pavimento.
Emma rise di gusto, si avvicinò di scatto e gli rubò la spada di legno che aveva appesa alla cintura, come tutti i ragazzini della sua età e gli adulti, ma forse quella era vera. Corse via nell'erba ridendo ed ondeggiandola per aria. Killian alzò gli occhi e la vide che correva e correva e correva. Si sporse in avanti oltre l'ombra e mise il braccio davanti agli occhi per vedere al sole.
"Aspetta!" le urlò dietro e corse anche lui, a riprendere la sua piccola arma, o per scusarsi o per ridere, neanche lui lo sapeva. La raggiunse in tempo record, era più veloce, più grande e più alto di lei e le sue gambe erano più lunghe. Le si parò davanti ed Emma si bloccò di colpo, ma rideva ancora. Era divertente per una volta giocare con qualcuno.
"Chinati!" gli disse poi, ricomponendosi di nuovo nonostante il fiatone.
Killian non sapeva come comporarsi, prima giocava, poi era autoritaria, doveva forse solo accontentarla, ma cosa poteva saperne lui? Questo sua madre non gliel'aveva insegnato! Killian s'inchinò.
Emma si sistemò i capelli ed il vestito. Alzò la spada di legno e gliela poggiò sulla spalla. Non sapeva di preciso come si faceva, non sapeva che andava poggiata prima su una spalla e poi sull'altra, senza tentare di ucciderlo suonandoglielo sul collo come aveva appena fatto, mentre lui nascondeva una smorfia di dolore. "Io ti nomino Capitano di tutte le navi del reame!" pronunciò innocentemente.
Killian si mise a ridere. Ma non esisteva quella carica!! Tentò comunque di mantenere la posizione per non sgarrare con la principessa: suo padre e suo fratello non l'avrebbero mai perdonato. Ma era troppo divertente per non ridere di gusto! Allora cominciò a ridere e si tenne la pancia.
Emma poi, gettò la spada a terra e lo spintonò lanciandolo nell'erba. Killian si rialzò e la spintonò più gentilmente anche lui. La vide ondeggiare, vacillare sui talloni e poi cadere. Per un attimo infinito ebbe paura di averle fatto male, che avrebbe urlato, che gli avrebbero tagliato la testa, tirato via il cuore dal petto e maciullato davanti ai suoi occhi. Poi Emma cominciò a ridere, senza accennare al dolore che aveva al sedere per esserci caduta sopra come una pera matura. O una mela. Allora rise anche lui e si lanciò nell'erba. Si spintonarono l'un l'altro e si arrotolarono appiattendo fili verdi pieni di rugiada e fiorellini.
Si fermarono solo poco dopo per riprendere fiato. E guardarono il cielo. Avevano il fiatone entrambi e solo per quello avevano smesso di ridere e girare e giocare.
"Quando sarò regina," cominciò Emma guardando le nuvole "ti nominerò capitano di tutte le navi del reame!" fece questa volta seria.
Killian sentì la distanza tra sé stesso e la bambina che un giorno sarebbe diventata regina. Ignorò quel sentimento e tornò alla cosa del capitano. "Ma quella non esiste!" le disse girandosi verso di lei.
"Shhh!" fece Emma e si rilanciò su di lui, che cercò di pararsi con le mani davanti alla faccia.
Biancaneve dall'alto aveva visto tutto e sorrise. Tutta quella gente al castello oltre alla noia le avevano portato un amico.

 

 

 

 

Era sera al castello, che sorgeva al limite della foresta incantata.

Emma aveva dieci anni ed aveva scoperto solo poco prima che sua madre avrebbe dato alla luce un altro erede, un fratellino o una sorellina. Era corsa nel cortile anteriore del castello, quello murato in pietra, dove c'erano sassi e petruzze che odiava, in cui non andava mai per quello. Aveva interrotto gli allenamenti della marina del re, dove insegnavano a tirare di spada ed azionare i cannoni, fare nodi, tutte quelle cose utili che un marinaio dovrebbe conoscere. Era corsa avanti a tutti, tra le stangate ed i calci che gli uomini si tiravano, in mezzo alla puzza di sudore dei soldati e degli ufficiali che portavano sotto il sole la divisa bianca coi bottoni blu.
"Killian!" correva urlando, cercandolo tra la folla. Dove passava intanto gli altri si fermavano, non era la prima volta che era successo, lo sapevano che avrebbero dovuto fermarsi, aspettare che parlasse col suo prediletto e poi tornare finalmente ad allenarsi. Il comandante tra l'altro faceva sempre recuperare il tempo perduto e l'unico risultato era che i soldati tornavano ai loro dormitori più tardi e più stanchi. Killian ne restava imbarazzato a volte, ma lo sopportava per amore della sua presenza, perché quando avrebbe finito, dopo cena o nelle mattine di domenica, avrebbero potuto incontrarsi e giocare di nuovo. Emma aveva cominciato intanto a seguire le lezioni a giorni alterni: studiava geografia, storia, politica, lingue... Tutto per diventare un giorno una brava regina.
Emma lo giustificò per andar via prima per quella giornata, perché era un pomeriggio speciale e presto l'avrebbero scoperto anche loro. Killian protestò che non poteva farlo ogni volta che voleva solo perché poteva, lei gli rispose che avrebbe capito anche lui. Lo portò poi al loro solito posto, dietro il castello, sui prati, dove sorgeva una piccola collina con l'albero di mele ed i fiori che spuntavano dalla corteccia.
Lì gli raccontò la notizia, di sua madre giovane e bella e del suo prossimo fratello o sorella. Saltarono insieme e gioirono insieme e mangiarono mele.
"Forse lui sarà re!" disse Killian sgranocchiando il frutto con gli occhi azzurri fissi al cielo, poggiato di schiena contro la corteccia.
"Forse." rispose lei. Non le era mai importato più di tanto, re e regine, l'importante è che potesse fare comunque quello che voleva. I re e la regina erano noioso allora solo perché erano adulti. Lei comunque non lo sarebbe mai stata."Gli farò promettere di darti una nave." rifletté poi, era l'unica promessa che come prossimo erede al trono aveva mai fatto.
Killian rise. "Non era per quello!" rispose scuotendosi i capelli scuri sopra alla testa. Avrebbe voluto grattarsi la barba, come facevano gli altri adulti, ma a tredici anni ancora non ce l'aveva.
Emma si alzò sulle ginocchia e gattonò verso di lui. "Ah sì? E per cosa?" chiese curiosa, fingendo un interrogatorio, sospettosa per averlo colto in flagrante.
"C-così potresti..." cominciò lui a balbettare coi boccoli biondi di lei sul naso e il faccione tondo a due centimetri dal suo "P-potresti... potresti sposarti...c-con c-chi vuoi..."
Emma rise di gusto e si accasciò sull'erba di schiena, ridendo con le mani alla pancia. "Balbetti!" disse additandolo e ridendo ancor peggio di prima.
Killian si fece prima rosso poi si infuriò. Strinse i pugni ancora piccoli, ma già callosi per la spada, tenendoli stretti vicino ai fianchi e si lanciò su di lei e ricominciarono a ridere insieme.
Quando tornò al castello aveva il vestito bianco sporco di terra, fango, erba e qualcosa di melmoso indecifrabile che probabilmente aveva pestato. I capelli biondi erano diventati appiccicosi ed i boccoli s'erano sciupati ed appiattiti sulla schiena. Biancaneve, sua madre, le fece preparare un bagno. Restò nella sua camera da letto, mente le domestiche addette alla principessa le sciacquavano le braccia e le gambe, mentre lei in piedi dentro la tinozza si chiedeva perché non potesse farlo da sola. Le lavarono i capelli con dell'acqua che s'era ormai fatta fredda. Si avvicinarono per pettinarglieli ma lei agitò la testa perché non voleva che glieli legassero come faceva di solito. Biancaneve allora mandò via le due domestiche, che fecero un inchino e si dileguarono, chiudendo la porta dietro di loro.
Emma tirò un sospiro di sollievo e si rivestì da sola, tirandosi su la camicia da notte, che almeno quella non era piena di lacci da annodare. Sua madre la invitò accanto al fuoco vicino a lei. Emma le si sedette vicino, si allungò e posò la testa sul suo grembo guardandole la pancia. Aspettava suo fratello, o sua sorella, ma non aveva ancora il pancione come ce l'avevano tutte le dame, come quando poi nasceva un bambino.
Biancaneve cominciò a passarle le dita tra i capelli, pettinandoglieli dolcemente mentre lasciava che s'asciugassero davanti al fuoco.
"Mamma," cominciò Emma senza aspettare quel cenno della voce che sua madre le rivolgeva sempre "mio fratello sarà re?" chiese ingenuamente mente giocava con le dita in aria con lo scoppiettio del fuoco in sottofondo.
"No Emma," le rispose lei col viso dolce e la voce dolce e le mani delicate "tu sarai regina."
"E lui quando sarà re?" chiese allora piegando la testa verso l'altro incontrando gli occhi verdi e castani di sua madre, che aveva preso da lei. Agitò i capelli nel gesto e costrinse la regina e tirar un attimo via la mano.
"Non lo sarà!" rispose semplicemente, tentando poi di tornare alle sue cure.
Emma ci pensò un attimo. "Dovrò sposarmi?". Come facevano le regine importanti si chiedeva, per avere figli pensava, altrimenti chi sarebbe stato poi re?
"Solo se vorrai."
Una lampo di luce proveniente dal camino eruppe poco distante da loro.
"E posso sposare chi voglio?" chiese tornando a giocare con le manine, forse in parte imbarazzata.
"Puoi sposare chiunque tu voglia!" le rispose allora intenerita sua madre, che aveva già capito di cosa sua figlia parlava e cosa in realtà voleva sapere, prima che raggiungesse l'età per cui capisse cosa le sue parole stavano realmente celando.





Angolo dell'autore:

Hello everybody!
Piccolo slancio letterario per piccola botta improvvisa di ispirazione per questa piccola cosuccia. Durerà tre capitoli. Ho deciso di spezzarla fin qui solo per vedere come reagivate alla cosa. Che mi dite, si può fare? Com'è per ora?
Non so quando aggiornerò, forse una settimana, poco dopo aver aggiornato anche l'altra long che sto scrivendo, per cui colgo l'occasione per ringraziarvi. 
Restando comunque a QUESTA ff, raccontatemi tutto! Ho cercato anche di mettere un'impostazione caruccia, a tipo libro delle favole ;) 
A presto!

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Capitolo 2
*** Growing up in grace and beauty ***


Il tenente Jones sarebbe dovuto tornare in giornata da una missione. L'avevano annunciato le fate, che l'avevano visto salpare su quella nave dal porto solo due giorni prima.

Emma aspettava annoiata da qualche giorno. Per lo più faceva quello che sua madre le diceva di fare. Aveva sedici anni ormai, Killian appena tre più di lei e poteva girare il mondo. Lei invece no, chiusa in quella stanza a studiare. Giocava a rigirarsi una penna tra le dita, scuotendola ed osservando l'arcobaleno di colori tondo che creava, quando invece aveva promesso che avrebbe imparato tutte quelle stupide capitali.
Era diventata davvero bella intanto con gli anni. Il viso ancora in parte tondo cominciava a mostrare i lineamenti che le si sarebbero affermati più in là. La pelle morbida, le guance rosa, gli zigomi alti, i capelli lunghissimi che teneva sciolti e basta. Era diventata una ragazzina muscolosa che si arrampicava sugli alberi e s'era fatta insegnare a tirare di spada anche lei da suo padre, ridendo tra una lezione e l'altra. Sua madre avrebbe potuto insegnarle a tirar d'arco, ma preferiva tentare con la danza. Detestava i gioielli e l'unica cosa che portava era una collana con un pendente tondo ed un cigno inciso in superficie.
Quando alzò gli occhi e vide le navi i suoi occhi si illuminarono. Mollò tutto e corse di sotto appendendosi alla ringhiera delle scale. Si fece aprire il portone principale dai nani, uno mezzo addormentato, l'altro in crisi allergica, che stavano là davanti. Prese un respiro profondo prima di ricominciare a correre. Si fermò sulla piazza del paese affannata, ispirò forte e cacciò tutto fuori con le mani sulle ginocchia. Pochi metri più lontano un gruppo di paesani si apriva, le truppe reali passavano in gruppo. Erano tutti uomini alti e muscolosi, stranamente riposati, e Killian non era là in mezzo, almeno così sembrava. Si sporse a destra ed a sinistra con la testa per vedere meglio e finalmente lo trovò: pochi metri dietro suo fratello, gli ultimi a scendere come due veri ufficiali, il capitano e il suo tenente.
Quando Killian alzò gli occhi la trovò lì ad aspettarlo. Mollò il suo borsone a terra, corse da lei e la sollevò in aria, abbracciandosela poi stretta, inalando l'odore della sua pelle fresca, non di fastidiosi profumi che le altre dame emanavano a metri di distanza. Suo fratello di lontano scosse la testa sorridendo, si caricò sulla spalla il borsone che Killian aveva lasciato e se ne andò.
Killian ed Emma si sorrisero a vicenda, lei gli carezzò una guancia e lo guardò dal basso verso l'alto ed era tanto cresciuto, mentre lei ancora bassa pensava che solo tra qualche anno avrebbe potuto guardarlo in viso. Gli era cresciuta la barba in viaggio, le sua spalle erano un po' più larghe ed in generale la sua presenza s'era fatta più imponente. Lui le mise invece una mano sulla testa fingendo di riuscire a guardar oltre. Lei pareva così piccola e delicata, l'avrebbe presa e l'avrebbe potretta fino in capo al mondo!
Andarono via su quella collina che era il loro posto poi. Lasciò che lì lei si arrampicasse a cogliere le mele più alte e più mature. L'ombra ed il teporino primaverile erano piacevoli, il sole non troppo forte, c'era una piccola brezza che a mala pena scuoteva l'erba, ma lasciava addosso una sensazione di fresco. Lui si tolse la giacca e la stese sul terriccio, in quel loro angolo di quercia. Restarono a mangiare distesi all'ombra guardando le nuvole.
Killian d'un tratto si scosse, ricordandosi di una cosa importante che aveva trovato durante il viaggio. Si piegò quel poco che bastava per recuperare il pezzo di pergamena che aveva infilato tra il panciotto e la camicia. Tornò giù ed a metà tra lui e lei lo srotolò. Comparve la faccia di Emma disegnata sul pezzo di carta, una carrozza, un paio di date, annunci di viaggi ed incontri per salutare la principessa. "La principessa Emma Swan." cominciò lui leggendo a voce alta. "Swan?" chiese incuriosito con fare sospettoso, che aveva copiato da una certa bambina bionda anni fa.
"E' il mio secondo nome." rispose semplicemente lei colpevole sospirando: non avrebbe mai voluto ammetterlo! Si girò verso di lui e lo vide che la guardava con finto sdegno o divertimento. "Che c'è?" chiese con voce irritata, permalosa. "Mi avresti presa in giro per sempre!"
"Non è vero!" rispose lui imitando il suo tono cantilenoso. Era un gentiluomo non l'avrebbe mai fatto, non ci aveva neanche mai pensato! D'accordo, forse un po' l'aveva fatto, ma non era quello il punto. Decise di lasciar cadere l'argomento e tornò a guardare le nuvole, aspettando che fosse lei a far la prima mossa.
"Non vedo l'ora di uscire da questa prigione!" sospirò poi lei dopo poco. Sarebbe andata un po' per volta in ogni angolo del regno, come diceva il manifesto, a conoscere i suoi sudditi. Era un rito di passaggio per ogni prossimo erede al trono, così che tutti lo conoscessero, lo amassero, lo capissero; così che l'erede potesse conoscere il suo regno, il suo popolo, i suoi problemi. Emma non aveva mai visto il modo fuori dal castello se non per qualche rara fuga o per i pic nic organizzati mentre suo padre e gli altri uomini si divertivano in una battuta di caccia, e lei annoiata all'ombra, costretta con le altre dame.
"Sei uscita altre volte!" le rispose lui girandosi sul fianco verso di lei con una mano a reggersi la testa.
"Già," rispose lei, quelle fughe "ma solo di notte e con te per giunta, che volevi fermarti sempre davanti a quelle taverne!" disse strattonandolo, cercando di fargli cadere l'equilibrio, ricominciando quel gioco che facevano sempre da bambini.
Killian rispose e le spostò le mani, lei allora l'aggredì più convinta girandosi verso di lui, chiudendo le mani a pugno ed usando i gomiti. Lui dapprima si parò con le braccia, poi incrociò le gambe con le sue e gli bastò rigirarsi per sulle braccia per trovarsi sopra di lei, mentre scherzavano e ridevano ancora entrambi. "Non ti lamentavi fino a qualche mese fa!" disse cercando di tenerla buone le braccia che ancora s'agitavano. Aveva uno sguardo strano sul viso mentre si mordeva un labbro, che ad Emma fece ridere e perdere la sfida.
Quando finalmente riuscì a bloccarle le mani con le sue sull'erba si bloccò. I sorrisi e le risate sparirono prima sul volto di lui e poi su quello di lei e per un breve attimo riuscì a vederla ridere da così vicino. Ed era paragonabile al sole e le stelle. I suoi occhi accesi di verde, così pieni di colore che a malapena riusciva a notarle le pupille. Non ebbe il coraggio di fissarle la bocca, non un secondo o avrebbe fatto qualcosa. Non sapeva cosa, forse uno di quei baci bagnati sulle labbra.
Emma sfilò le braccia da sotto le mani di lui e si ricompose. Era tanto che non facevano quel gioco. "Forse non..." cominciò perché da quando era cresciuta aveva cominciato a volere i suoi spazi, perché si sentiva strana ad avere qualcuno così vicino, ad avere lui così vicino.
"Sì," cominciò dandosi del cretino, illuso che lei volesse essergli vicino almeno tanto quanto volesse anche lui "sì, scusa." disse tornando alla posizione iniziale disteso sulla schiena. Emma scosse la testa, non fa niente, non poteva saperlo.
"Devo ripartire la settimana prossima!" disse Killian con un tono tra l'annoiato ed il rilassato. Sapeva che lì ci sarebbe stato qualcuno ad aspettarlo, ma non era ancora abbastanza per decidere di restare e basta. Quell'affetto, Emma, ci sarebbe sempre stato ad aspettarlo.
"Di già?" fece lei sbalordita e triste.
"Già!" Lì c'era ancora troppo poco per pensare di restare.
"Tra me nel reame e te in missione ci vedremo pochissimo!" fece lei accettando al volo l'idea. Sarebbero tornati entrambi. SI rilassò ed incrociò le braccia dietro la testa. Lui si girò e la guardò di nuovo e s'incantò ancora. Se non fosse stato per i vestiti che era costretta a portare non gli sarebbe mai sembrata una principessa, ma ancora una donna, o una ragazza, bella da far star male. Riusciva a notarle i seni tondi che le avevano cominciato a crescerle sotto i corsetti che ora portava. E quasi le si voleva avvicinare, baciarla e toccarla come le avevano raccontato gli uomini più grandi con cui condivideva la nave, ma più gentile, in un modo tutto suo. Parevano sodi e morbidi e sentiva qualcosa crescergli dentro, che non aveva ancora mai provato davvero. Il cuore gli aveva accellerato e la mente fantasticava, di lei, con lui.
"Già." risponde lasciando cadere la voce, distratto, mentre la guardava. "ma sarà l'ultima volta" disse ricomponendosi e scuotendo la testa e scompigliandosi i capelli, perché si sarebbe potuta girare e non voleva che lei sapesse. Sentì un barlume di speranza però nelle sue stesse parole, di poterla vedere ogni giorno, che forse quel qualcosa, magari tra un anno o due, sarebbe diventato qualcos'altro. Sarebbe valsa la pena restare.
"Nel senso?" chiese lei guardandolo in viso ed allora lui ringraziò di aver distolto lo sguardo, si sarebbe vergognato da morire se lei l'avesse scoperto.
"E' l'ultima missione per il re del mio reame, dopo saremo solo al servizio di tuo padre, che non ha programmato spedizioni." E sì, era contento di restare, starle vicino, continuare a sentirsi così. Sarebbe presto cresciuta anche lei e avrebbe cominciato a volere anche lei quelle cose che lui aveva appena deciso che avrebbe conosciuto solo con lei. Perché era così che doveva andare. Era giusto così.
"Dove andate stavolta?" chiese lei. Le piaceva da morire ascoltare quei racconti, sarebbe voluta andare via volentieri anche lei. Anche con lui magari, sarebbe stato il viaggio più divertente della sua vita, la vita più divertente che aveva mai vissuto. Sicuramente meglio di quelle quattro mura in cui era rinchiusa.
"Una qualche isola che non ho mai sentito a recuperare erbe medicali." fece lui sufficiente. La missione non era un granché in realtà, ma erano i particolari a stuzzicare il suo interesse.
"Che isola?" chiese lei. Immaginava giganti ed orchi, fate e folletti, ninfe e fiori e colori ed il mare.
"E' importante?" chiese impaziente perché doveva prorpio dirle quel dettaglio. Emma non ebbe il tempo di rispondere prima che lui parlò di nuovo. "Useremo il gioiello del reame"
"Cos'è?" chiese. Una qualche corona forse?
"La nave più veloce che questo mondo abbia conosciuto!" rispose finalmente lui e sorrideva a bocca aperta, coi denti bianchi che gli riempirono il sorriso. Si alzò poi e la aiutò a tirarsi su acciuffandola per i polsi. La sollevò poi in aria sentendo per un attimo i fianchi perfetti e la stoffa morbida del vestito sotto le dita, la fece girare. Emma allargò le braccia ed urlò godendosi il vento sulla faccia e si chiese se era così che ci si sentiva in mare, sicura ed al caldo col vento sulla faccia.
Tornarono al castello felici, ridendo di nuovo. Ma non era tutto ancora perfetto: c'era un battito in più nei loro cuori che solo Killian riuscì a spiegarsi. Emma s'accontentò di tirarlo via per mano e costringerlo a rubare le fragole dalla cucina, fin quando vennero scoperti ed un valletto, senza commentare, le riferì che sua madre e suo padre la stavano aspettando per il pranzo. Salutò Killian e corse via, mentre lui rimase a guardare la nuvola bianca di vestito che volava e le cadeva addosso come facevano i suoi capelli, ora ricci ed ora lisci.
Più tardi, di notte, Emma si stava pettinando, era coperta da una semplice stoffa bianca di cotone, quando sentì qualcosa picchiare contro la finestra. Si avvicinò e notò i sassolini accumulati sul piccolo balcone che c'era davanti. Aprì i vetri, si affacciò e notò di nuovo Killian. "Dici che se mi lanci i tuoi capelli riesco a salire fin lassù?" chiese senza neanche salutarla prima. Lei fece una smorfia prima poi sorrise.
"Che ci fai lì?" chiese, ma era contenta di vederlo di nuovo.
"Volevo salutarti e..." disse e le indicò qualcosa in lontananza. Emma alzò lo sguardo e vide vele bianche, maestose, enormi. Capì che quella era la nave con cui sarebbe dovuto partire presto, ma dopo di lei. Era magnifica da lontano. In un cielo azzurro le sarebbero parse solo nuvole. C'era una bandiera azzurra piantata sull'albero maestro. Si chiese quanto poteva essere grande da vicino se riusciva a notarla dal castello.
"Buona notte, Killian!" sorrise lei. Era così bello quando lui si emozionava per qualcosa, sembrava ancora il bambino felice che giocava nell'erba. Gli allungò la mano e desiderò quasi di riuscire a toccarlo. Sentì freddo in quell'istante, così a distanza da lui, era come un'ombra che le era calata addosso, un vuoto che aveva bisogno di riempire.
"Buona notte, Emma!" disse sorridendo con la stessa espressione di lei, sollevando appena un braccio. Quando lei chiuse la finestra si ritrovò a fissare il balcone e toccare la pietra, chiedendosi quanto fosse lunga la notte che li stava dividendo.

 

La notizia della morte di Liam Jones aveva raggiunto persino le terre lontane, fuori dal limite della foresta incantata, oltre il lago Nostos, quasi alle terre calde e sabbiose della lontana Agraba.

Era stata una vera tragedia, il tradimento, le accuse al re, come quello aveva sfruttato i suoi marinai credendo che forse sarebbe potuto entrare facilmente in guerra e vincerla. Il re David se ne preoccupò poco, visto com'erano finiti i suoi tentativi, ma interruppe la pace e ruppe i commerci, acquisendo intanto quello che gli era dovuto, le navi, l'esercito ed il resto.
Emma si trovava in viaggio con sua madre quando lo venne a sapere, in quella terra ai confini di tutto, leggendaria perché circondata da tutti gli altri regni, neutrale al centro del mondo. Era sicura che ormai fosse successo da tempo. Erano passati almeno due mesi da quando aveva visto Killian l'ultima volta e le notizie viaggiano veloci tanto quanto i cavalli.
Pregò il re di quel reame di prepararle una carrozza e dei destrieri. Si organizzò un viaggio a sole cinque fermate, impiegando poco meno di una settimana per tornare indietro. Quando i cavalli erano fermi per riposare lei diventava agitata, camminava avanti e dietro e la notte non riusciva a dormire. Faceva piccole pause di sonno tra un chilometro e l'altro, senza però mai perdere d'occhio la strada sulla cartina.
Quando arrivò, smontò da cavallo solo davanti alle porte di legno enormi del castello. Brontolo le aprì e le chiese cosa fosse successo, cosa avrebbe dovuto farne del cavallo. Lei non rispose e corse dentro, raggiunse prima le scale e salì al piano di sopra. Girò i corridoi invano non sapendo dove poter cominciare a cercare. Sporgeva la testa in ogni porta. Quando incrociò il piccolo Neal si bloccò di scatto. Si lasciò per terra sulle ginocchia davanti a lui e gli mise le mani sulle spalle. Riprese fiato mentre quello la guardava e non sapeva che fare.
"Neal," cominciò lei sospirando. "dov'è..." aveva il fiato corto per la corsa ed a mala pena le uscivano le parole. "Dov'è Killian?"
Il bambino fece una faccia triste. "Nella sua stanza." disse appena indicando con un dito corto e cicciottello verso le scale che portavano al piano di sotto, dove appunto c'era la sua stanza.
"Bravo ragazzo!" fece Emma e si rialzò, ancora affannata. Diede una piccola pacca sui capelli scuri come sua madre al piccolo fratello e si incamminò con le spalle ricurve e piegata su un fianco a tenersi la milza che faceva male, tanta era stata la corsa.
"Emma!" la richiamò Neal. Emma si girò con il volto sofferente, chiedendo cos'altro voleva e perché non capiva che doveva lasciarla andare, che quella volta era importante. Lo trovò che stendeva una mano su cui teneva una mela verde e croccante, di quelle che tutti ricordavano piacessero a Killian. Era l'unico che le mangiava quando avanzavano nei cesti di frutta che le domestiche portavano nelle stanze. Neal doveva averla presa dal suo piatto. Emma la prese e la tenne stretta tra le dita, fece un segno di grazie con la testa e corse di nuovo giù.
Quando spalancò la porta della sua camera non era pronta a quello che avrebbe trovato. Killian era steso in un angolo con la schiena mezza appoggiata alla parete e la testa a ciondoloni in avanti. C'era una serie di bottiglie vuote attorno a lui, sopra al letto, sotto, accanto alla scrivania. La puzza che si respirava era incredibile, ringraziò il cielo che Neal non fosse arrivato fin laggiù a controllare.
"Hey!" esclamò Emma gettandosi su di lui. Lo tirò su per il bavero della giacca aperta cercando gli occhi, o almeno per controllare se fosse vivo, ma dai versi che aveva appena fatto doveva esserlo. "Hey!" lo richiamò, ma quello non rispondeva e teneva gli occhi chiusi e puzzava da morire e aveva addosso la divisa blu e bianca e forse non se l'era tolta da quando era tornato, cioè settimane. Emma alzò la mano e lo schiaffeggiò sulla guancia.
Killian si riebbe ed aprì gli occhi, sbattendoli di continuo e strizzandoli per mettere a fuoco. Vide un qualcosa di rosa e giallo sfocato e capì che era lei. "Swan!" fece senza forze, mezzo sorpreso, mezzo disperato. Alzò un braccio pesante e lo portò sulla spalla di lei.
"Andiamo." lo incitò lei invitandolo ad alzarsi con tutta l'intenzione di lanciarlo in una tinozza e lavarlo con tutti i vestiti. O magari di chiamare qualcuno per non doverlo fare proprio lei.
Provò a reggere entrambi, tirandosi su, con la schiena tutta storta e lui lanciato addosso. Caddero dopo poco ed erano di nuovo punto ed accapo. "Andiamo!" fece di nuovo lei e cercò di nascondere la frenesia della disperazione. "Andiamo!" lo chiamò ancora ed ancora, tirandolo su, ma lui pareva aver perso di nuovo conoscenza e se lo ritrovava di nuovo addosso, pesante, non collabborante. "Killian!" lo supplicò piangendo quasi, ma non si smuoveva. Tentò un'ultima volta, s'alzò prima lei e poi cercò di sollevarlo dall'alto tenendolo per la giacca. Cadde quando gli pesò poi sulle gambe, costrigendola all'indietro. "Killian!" gli urlò, ma lui neanche la sentiva. Emma se lo scrollò da dosso, spingendolo via con le mani e scusciò all'indietro piangendo, seduta sul pavimento.

 

La principessa aveva aiutato per tanto il suo protetto, finché non fu costretta a partire di nuovo, finché qualche altro re non domandasse la sua presenza.

Fu solo tre settimane dopo dacché era tornata. Lei non voleva e neanche sua madre e suo padre volevano vederla costretta, ma Emma avrebbe dovuto capire che quello non era il tipo di lavoro da cui poteva prendersi una pausa e lei lo sapeva e l'accettava sempre meno volentieri.
Killian era uscito dalla sua stanza solo di recente. Ogni volta che era in sé, che non era ubriaco e privo di sensi, non faceva altro che mandarla via, offenderla sperando che quello bastasse, ma l'aveva sottovalutata e non era sempre così. Allora era lui ad andar via. Non voleva lo vedesse, non così. Non lei.
Nell'ultima settimana che era stata al castello allora l'aveva evitato, s'era chiusa anche lei nella sua stanza e guardava dall'alto, dal balcone, tutte le volte che usciva e tornava con altri soldati, la sera tardi e la mattina presto, una bottiglia in mano e qualche sciacquetta ogni tanto dalla veste slacciata. Emma al contrario aveva un portagioie accanto alla finestra di vetro. Ci teneva dentro tanti sassolini, i sopravvissuti di quelli che lui le lanciava sul balcone, quelli che riuscivano ad arrivare a destinazione. Li raccoglieva ogni volta, ci giocava con le mani fino a pochi mesi prima e li aggiungeva a quelli della sera precedente. Emma li guardava, a volte li toccava. Si affacciava per controllare quel rumore sospetto che aveva sentito solo un secondo prima, guardava e poi tornava a letto a domire.
Emma partì. Aveva chiesto alle sue guardie di tenerlo d'occhio però. Gli impegni reali stavano diventando soffocanti. Ricevette notizia dopo soli due giorni delle liti che aveva iniziato ad intavolare, del nuovo occhio nero di Killian e delle bende strette che gli fasciavano la mano e le ossa rotte. Bruciò quei fogli. Quello non era lui.
La principessa non lesse più alcuna lettera. Tornò poi tre mesi dopo sperando che il tempo gli avesse fatto bene, ma il filo dell'amicizia che c'era prima era ormai bruciato.
La principessa era sola.

 

 

Il castello s'era fatto paurosamente silenzioso negli ultimi anni.

Il re e la regina stavano invecchiando e per lo più le loro attività si riducevano alla sala del trono, dove incontravano i loro sudditi. Non c'erano più risatine tra di loro, si stringevano solo duri come la roccia le mani in silenzio tra le due poltrone. Il re poi ultimamente non era nel pieno delle forze, ma si sarebbe ripreso, pensava, lo faceva sempre. La regina per stargli vicino aveva disdetto anche le ultime partenze, lasciando la principessa andar da sola ad esplorare il regno ed il mondo. Da sola con uno stuolo di dame e cavalieri a proteggerla. Neal aveva cominciato il suo percorso di istruzione. Non era l'erede, ma avrebbe dovuto studiare anche lui come tale, nel remoto caso in cui ce ne fosse stato il bisogno: a castello ti tagliano fuori prima ancora di farti accomodare!
Il castello era davvero silenzioso.
Emma era da sola. Stava fiorendo bella e delicata come un gelsomino, rigogliosa come una mimosa. La vita però era diventata noiosa. Si lasciava pettinare ed annodare i capelli più spesso, perché tanto non aveva nulla da fare. Provava vestiti ogni tanto e sceglieva stoffe, disponeva ordini a destra ed a manca per riordinare i giardini che sua madre stava trascurando. Si portava libri nel prato all'ombra delle foglie. Si toglieva le scarpe e passava i piedi nudi nell'erba umida, tentando di apprezzare la ruggiada. Ricordava quando era costretta a sgattaiolare via dalle guardie. Nell'ultimo periodo invece erano state gli unici amici che aveva. A volte provava ad intavolare discorsi, ma era peggio che parlar da sola. Alcuni di loro però capivano quanto sola fosse ed a volte rispondevano con cortesia.
Una sera s'era trovata a passeggiar per le ale. Aveva passato la giornata fino a sera tardi in biblioteca, dove aggiornava i suoi diari di viaggio. Si diceva sempre che doveva ricordare e conservare, come suo padre le aveva insegnato. Teneva una penna stretta tra le dita quando le capitò di passare dinanzi all'ingresso imponente per arrivare alle scale. Fu catturata da una risata femminea provenire dai corridoi. Pensò subito potesse essere la cameriera gentile che le porgeva sempre il piatto a cena, che ricordava essersi sposata di recente col giovane giardiniere che Emma vedeva ogni mattina portarle una rosa nelle cucine. La principessa si sporse a controllare, volendo solo per qualche secondo spiare la scena, vedere com'era, immaginare cosa si prova.
Quello che si trovò davanti agli occhi invece la sconvolse. Killian stava schiacciando contro il muro una donna dai colori volgari dipinti in viso, i capelli mori e arruffati sopra la testa ed una mano di lui che vagava sotto la vestaglia. Strinse i pugni arrabbiata e sentì le lacrime graffiarle la pelle delicata delle guance.
Quando la notarono, la donna si ricompose, aspettò che lui che si stringesse il laccio della camicia e gli acciuffò la mano per trascinarlo via, lontano dalla vista della tenera e dolce principessina. Le fece un inchino sbruffona e poi saltellò via ridendo. Lui invece alzò gli occhi solo di nascosto per guardarla preoccupato e li nascose poi tra le ciglia, sconfitto, evitando i suoi.
Quella lo trascinava via e lui rideva, ma non era divertito, non erano i sorrisi che le dava quando erano al balcone o correvano nel prato. Era diverso, quasi cattivo. I suoi vestiti scomposti e sporchi, i capelli unti a grandi ciocche ed il codino arruffato, le guance rosse ed un'espressione così diversa negli occhi. Emma teneva lo sguardo dritto orgogliosa mentre lui gli passava accanto a testa bassa.
"Che cosa sei diventato, Killian?" bisigliò Emma. La sua voce era accusatoria, preoccupata e cattiva e disgustata quasi. Tradiva un turbine di emozioni che era stata di recente costretta a tenere nascosti.
Killian gelò. Sentì l'accusa prima e la rabbia poi investirlo e scivolargli via con la stessa violenza. Si girò verso di lei che gli dava le spalle. "Qualcuno che non dovrai più far finta di non voler ignorare..." Rispose con distacco e solo quando le parole gli uscirono da bocca si rese conto che era la prima volta che le parlava da mesi ormai. "...Sua maestà!". Le fece un inchino anche se lei non poteva vederlo, perché era quello che facevano gli altri, era quello che faceva la servitù. La principessa si voltò giusto in tempo per vederlo rialzarsi. Strinse la stoffa chiara del lungo vestito tra i pugni mentre lo osservava di spalle andar via.

 

 

Quando una principessa compie diciott'anni tra i regni si è soliti dare una festa, un'ulteriore occasione per consentirle di conoscere altre persone, altri principi, stringere alleanze.

Sua madre e suo padre non ci tenevano molto, al contrario degli altri regnanti, ma per mantenerne i buoni rapporti fu data una festa grandiosa come ci si aspettava. Emma passò l'intero pomeriggio a farsi intrecciare steli di fiori bianchi tra i capelli, mentre guardava dalla finestra sconsolata. Il vestito che le era stato preparato era di un rosa pallido ed innocente, fatto di veli che cadevano giù lisci, nascondendo le forme ancora poco pronunciate di una ragazza ancora troppo piccola per trovar marito.
Mentre una le annodava ciocche bionde, lei sporgendosi in avanti notò una cosa e s'appoggiò sulla finestra, facendosi tirare così i capelli. La smorfia sul suo viso fece girar tutti prima verso di lei, poi verso cosa stesse guardando di sotto e tutti notarono il protetto della principessa andar a braccetto con quelle che davan proprio l'idea di offrirsi per denaro.
Emma provò vergogna davanti alle sue ancelle. "Chiamatemi Graham." sospirò lei, chiudendo gli occhi sperando di potersi nascondere e poter nascondere quello scempio, sperando in più con l'aiuto della sua guardia, ereditata da sua madre, di poter risolvere la situazione. Sentì una rabbia strana dentro, voleva urlare e si sentiva infastidita, tradita, non era così che dovevano andar le cose, non doveva.
Più tardi la festa sembrò durare in eterno: ci furono presentazioni, inchini e danze a cui neanche il re e la regina potettero partecipare, solo i giovani potevano.
Killian aveva guardato Emma divertirsi da un angolo buio. Spiava il suo sorriso, le sue mosse aggrazziate, i suoi passi e si ricordava di quando tutto quello pensava potesse essere suo. Ad ogni sfarzo la corte gli sbatteva in faccia ciò che lei era, ciò che lei non sarebbe mai potuta essere e la sua grazia e il suo agio in quel posto gli urlavano quello che lei non avrebbe mai voluto essere: sua. Dal canto suo la principessa invece l'aveva notato un'unica volta. Si era girata, l'aveva cercato, l'aveva visto e poi aveva ignorato nervosa.
Quando le ultime luci, prima delle candeline poi delle torce, furono spente nel grande salone del castello, Emma si complimentò con tutti: i suoi invitati prima, la servitù o collaboratori, come lei preferiva chiamarli, dopo. Volle rimanere poi sola in silenzio qualche minuto dopo per togliersi dalla faccia quel sorriso finto che mal sopportava e fissare il buio. Quando tutti furono andati via pensò anche di volersi avvicinare al trono. Provò una ormai triste ed arresa curiosità. Ci si appropinquò ed a mala pena riuscì a sfiorarne il bracciolo imbottito di stoffa rossa e dorata, quando sentì una voce sorprenderla da dietro.
"Le mie signore." fece la voce di uomo che ben conosceva. L'espressione di Emma si indurì e mise da parte la curiosità per occuparsi di quella questione scomoda. Sperava di non dover vivere quel confronto che a dirla tutta però s'aspettava.
"Andate." rispose lei dura.
"Sono un'offesa alla tua presenza." fece lui il verso di quello che s'era sentito dire, quando due ufficiali della guardia reale gli avevano strappato per il braccio le donne a cui aveva dovuto pagare troppi drink per poterci rinunciare.
"Già," confermò lei "ed erano solo prostitute." disse sentendosi quasi sporca ad aver pronunciato quella parola. Intanto stava ancora girata di spalle e non s'azzardava a concedergli la sua presenza. Lo guardava con la coda dell'occhio, inclinando la testa di lato mentre i capelli ormai scompigliati le si piegavano su una spalla.
Killian ne rimane irritato. Da quando quella ragazzina era diventata tanto altezzosa e presuntuosa? Strinse i pugni mentre mesi e mesi di abbandoni, il confronto tra ciò che era e ciò che poteva essere gli scorrevano addosso come un torrente in piena, pronto a straripare gli argini. "Oh e tu sei meglio di loro." disse cattivo, improvvisamente alleggerito.
Emma si voltò, non disposta certo ad essere umiliata. Rimase calma con le mani congiunte in grembo, gesto che aveva appreso da sua madre, dietro il quale si nascondeva, che le incateneva le lacrime dentro. "Loro non hanno nient'altro che mani tanto sudicie quanto le loro anime!" Il suo tono di voce tradiva risentimento e gelosia e fastidio per il dover essere gelosa di donne da cui non aveva mai pensato di poter essere toccata.
Lui si fece coraggioso e si avvicino. Le accarezzò la guancia sprezzante, mentre lo sguardo di lei era fiero e intimorito su quello di lui. "Devo pur prendere le soddisfazioni che tu non mi dai da qualche parte, dolcezza."
Emma s'offese e si ricordò di quel ragazzo che era, di quel giorno di qualche anno prima, del cambiamento, delle delusioni, del tradimento. "Soddisfazioni?" chiese retorica senza allontanarsi, rimanendo con coraggio sotto il tocco della sua mano."Tu sei come loro," constatò "non sei più un onesto marinaio. Sei diventato nient'altro che un pirata."
Quelle parole ferirono Killian nel profondo, ferirono il ragazzo che più di tutto voleva emulare suo fratello, onesto fino alla morte, fedele alla corona. Provò rabbia verso di lei e amore insieme e voglia di ferirla tanto quanto l'aveva ferito lei. Si fece più vicino a gesti ampi d'odio, la spinse contro quella sedia che lei stava guardando fino poco prima e la sollevò, schiacciandosela addosso e contro il legno morbido del trono reale. Le alzò la gonna e le mise una mano sulla coscia, mentre lei in silenzio senza attirare nessuno dal castello si divincolava per slacciarsi da quella morsa pericolosa. Provò a tirargli qualche pugno, che riuscì ad evitare prima che le bloccasse le mani. Allora Emma agitò le gambe, sperando di colpirgli le ginocchia o di riuscire a spingerlo via, ma il vestito era stretto e Killian s'era già parato tra le sue gambe che gli aveva aperto con forza.
"E tu?" fece lui ed era una voce che lei non aveva mai sentito, una persona che forse non aveva mai visto. "Credi che mi piaccia?" continuò lui e dalla sua bocca uscivano solo frasi sconnesse, degne di un ubriaco o di un represso. "Ti vedo e non posso averti, ti sto così vicino e..." le disse annusandole il collo. Emma cercò ancora di divincolarsi ed allontanò la testa quanto più potesse disgustata.
Killian non seguiva la conversazione o il discorso, era preso solo dalle sue cose, dalle sue idee. Nella sua testa quello era l'unico modo in cui poteva averla, s'era costruito quella fantasia fatta di odio, montata sul trauma e sulla sofferenza degli ultimi anni. Pareva quasi ubriaco, ma il suo alito non puzzava, i vestiti erano puliti ed i suoi capelli sistemati e non unti come li aveva visti nei giorni precedenti.
Killian si ricordò di quello che aveva pensato non molto tempo fa, che avrebbe avuto solo lei, che doveva andare così "Mi prendo solo quello che è mio di diritto. Ho bisogno di..." cominciò in cerca di qualcosa che Emma sperò potesse solo essere conforto, mentre lei scansava la testa, evitava il suo viso e si dimenava per uscire dalla morsa di lui. "Mio fratello è morto e..." fece lui passando violento le labbra vicino al suo orecchio, come aveva fatto altre volte con quelle donne con cui era solito ormai avere rapporti.
"E così anche tu." Emma colse la sua occasione. Gli occhi di lui s'aprirono come sorpreso o sconvolto. Il corpo piccolo di lei sgusciò via, mentre lui stava a fissare la poltrona vuota e stringeva i braccioli dove prima le aveva bloccato le mani. Gli era scappata. La sentì chiamare le guardie dietro di lui che, prima che se ne rendesse conto l'avevano già circondato e preso le braccia. Killian s'agitò per essere mollato e quelli allora lo buttarono a terra davanti ai piedi di lei, che non s'era riaggiustata. Aveva lasciato che la gonna le cadesse di nuovo fino ai piedi da sola. Emma era fiera, non gli avrebbe mai dato la soddisfazione di sistemare i suoi errori. Dal basso Killian guardava scorrere la stoffa lungo la pelle delle sue gambe perfette.
"Esiliatelo." fece solo lei composta, con calma e grazia, senza sprecar parola di più, lo sguardo fisso privo di qualsiasi emozione che faceva contrasto col vestito candido. Le guardie che le erano affianco, sorprese, avevano appena riconosciuto quella che sarebbe diventata la prossima regina.
"Sono stato tradito dal mio paese," cominciò e la sua suonava quasi una supplica, forse perché costretto in ginocchio, forse perché dietro di lui s'erano armati con le spade per proteggere una donna che una volta correva con lui nei campi. "non posso sopportare anche il tuo."
"Ti sto risparmiando." rispose semplicemente lei e fece un cenno alle guardie che lo strinsero di nuovo per le braccia, lo costrinsero in piedi e poi lontano dalla vista di lei, fuori dal castello.
Più tardi nella sua camera, uno di loro le era rimasto vicino. "Dobbiamo comunicarlo alle loro maestà?" chiese Graham con garbo, senza timore di ferirla ricordandole ciò che era successo col solo suono della sua voce. Lei non si spezzava. Lei non si spezzava mai.
"No, mio padre lo ucciderebbe ed il mio esilio sarebbe inutile" rispose lei. Le forze che l'avevano accompagnata durante la serata la stavano abbandonando e solo allora si permise il lusso di accasciarsi contro i muri di pietra sospirando.
Il cavaliere fece un cenno con la testa che Emma non vide.
"Graham, grazie." gli disse lei girandosi appena..
Il mattino dopo Emma vide una nave salpare. Riconobbe il gioiello del reame, ma a sventolare dall'albero maestro c'era una bandiera nera.
 




Angolo dell'autore
Colgo l'occasione soltanto per un salutino veloce. Spero che la mia storia piccia ancora! Ci saranno altri due capitoli oltre questo, vista la recente prolissità! 
Mi spiace avervi tenuti sulle spine. Prossima storia che aggiorno sarà l'altra! 
Ringrazio chi c'è stato, chi c'è e chi ci sarà e me ne vado a dormire ;) 
Recensioni? Ps ho fatto a cazzotti con l'html, un giorno aggiusterò!
 

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Capitolo 3
*** The king is dead ***


A sei anni di distanza, la salute del re stava peggiorando giorno dopo giorno e così anche il suo regno, che diventava sempre più povero ed affamato.

La regina era con lui per la maggior parte della sua giornata, lo aiutava a venir fuori dal letto, a mangiare con gli altri, tollerava il suo mal umore e cercava in tutti i modi di rendere piacevole la sua giornata.
Gli obblighi reali erano ormai passati pesantemente ed ufficiosamente ad Emma e sua madre. Entrambe non vedevano l'ora di uscir fuori dalla sala del trono. La principessa sedeva a quel che era il posto di sua madre, che invece occupava il trono del re. Erano obbligate ogni giorno per due ore al giorno ad ascoltare le richieste della popolazione. Per i sudditi quel tempo addirittura poco. Molti restavano in file ordinate fuori alle porte del castello anche per più giorni di fila pur di riuscire a parlare col re e la regina, magri, sempre più magri, ormai abituati a saltare tutti i pasti della giornata. Emma invece s'agitava sulla sedia, non ascoltava, guardava fuori dalla finestra le nuvole ed il mare in lontananza.
C'era una donna davanti a lei, con suo figlio pelle ed ossa, chiedevano grano, solo grano, duecento o trecento grammi sarebbero bastati per una settimana nella sua famiglia. Ci avrebbero fatto il pane, aggiungendo molta acqua, sarebbe stato molliccio ma avrebbe visto almeno un po' di carne sulle costole dei suoi bambini.
"Santo cielo!" cominciò Emma mettendosi una mano sulla fronte ed abbassando lo sguardo infastidita, annoiata, disforica. La contadina strinse suo figlio tra le braccia ed indietreggiò impaurita. A volte il popolo mostrava ancora la paura del regno della regina cattiva.
"Emma!" la rimproverò sua madre a bassa voce.
"Non c'è niente anche qui!" rispose alla fine lei irritata, alzandosi e rivolgendosi alla donna che altro non aveva chiesto che un piccolo aiuto. Il suo cervello bolliva, non sopportava più niente di tutto quello: gli obblighi, i doveri, il castigo di una vita non libera, dover restare lì, non poter salpare. Negli ultimi anni era cambiata da un momento all'altro, indurita, incattivita.
"Emma!" insistette Biancaneve, sporgendosi dal trono in avanti verso di lei.
"Cosa?" chiese allora lei urlando . "Cosa vogliono? Che ci affamiamo noi al posto loro? Che affamiamo Neal? La nostra servitù?" disse usando quella parola che sua madre odiava tanto.
La contadina corse via dietro le due guardie che sorvegliavano l'ingresso, protetta dietro l'angolo del muro che la principessa non avrebbe mai oltrepassato.
Biancaneve era furiosa con sua figlia. Fece avvicinare una guardia e sottovoce chiese di dispensare per ogni suddito che era fuori alle porte del castello un chilo del loro grano migliore e di chiamare il guaritore e le fate per assistere suo marito. Appena si liberò cominciò a seguire sua figlia che era corsa a grandi passi su per una torre,verso nella sua stanza.
"Emma!" la chiamò sua madre "Emma!" ma lei non si fermava e correva. Biancaneve fece segno ad una guardia che stava poco davanti a lei di pararsi davanti e quella la bloccò, mentre lei s'agitò frustrata. La regina raggiunse finalmente sua figlia e la afferrò per il polso. "Il regno prenderà te d'esempio, signorina!" disse lei sgridandola.
Emma sbuffò scettica e cercò di divincolarsi per andar via, ma la presa di sua madre era forte.
"Che cosa ti è successo?" chiese Biancaneve.
"Non sono più sicura di volerlo farlo!" ammise arresa lei alla fine e s'afflosciò a terra quasi piangendo davanti ai piedi di sua madre.

 

"Io, Emma Swan, principessa della Foresta Incantata, rinuncio all'ascesa al trono che mi spetta per diritto di nascita e designo mio fratello Neal come mio diretto successore per il bene del regno e dei suoi sudditi. La principessa Em..."

Aveva il polso tremolante dalla fretta, ma mai era stata più sicura di quello che stava facendo. Intingeva la penna nel calamaio e scriveva, veloce quanto più potesse, non poteva restare lì ancora molto tempo: suo padre era sempre più malato ed era ormai da quel mattino, che sorgeva all'alba dei suoi ventisei anni, che uno stuolo di medici e fate s'era riunito al suo capezzale per aiutarlo a rilassarsi e superare il baratro tra la vita e la morte senza dolore né pentimenti.
Emma era corsa allora nella sua stanza, s'era fatta portare pergamene ed inchiostro, aveva scritto tutto di corsa per evitare ormai in prossimità della vigilia della sua incoronazione la prigionia di quella vita che la sua nascita aveva scelto per lei.
Una goccia d'inchiostro le macchiò la carta prima che potesse firmare. Alzò gli occhi alla finestra e vide il mare
"Principessa," la chiamò Graham battendo con le nocche davanti alle porte della sua stanza "il re vostro padre chiede di voi!"
"Maledizione!" mormorò tra sé e sé. Lasciò andare la penna e decise che sarebbe tornata più tardi per continuare e firmare. Ringraziò la sua guardia e volò di corsa nelle stanze reali, quelle che a breve sarebbero potute diventare le sue, pensò con una fitta di dolore e malinconia.
Il re David era nel letto coperto da lenzuola dorate ed un drappo rosso che gli copriva i piedi. "Lasciateci soli." mormorò lui con un fil di voce. Le lacrime di Emma erano ormai sull'orlo delle sue ciglia e solo quando tutti se ne furono andati concesse alla sua compostezza il lusso di poter farne cadere una sul volto, singhiozzando.
"Emma!" disse lui allungandole la mano che lei si precipitò ad afferrare.
"Padre!" sospirò lei, portandosi la sua mano sulla guancia e strofinandola tra le sue.
"Emma, sei bella come tua madre!" disse lui, cercando di allungare un dito e sfiorarle il naso come faceva sempre quando la principessa era piccola e la chiamava e lei correva dai giardini per incontrarlo, mentre un altro bambino raccoglieva i giochi che lei aveva lasciato cadere via. Ed il re padre si abbassava alla sua altezza le sfiorava il naso, lo rubava e glielo restituiva alla fine con un bacio.
Emma sorrise tra le lacrime. Ricordava benissimo quei giorni in cui della regina Biancaneve si diceva "la più bella del reame".
"Emma," la voce era sempre più un soffio e faceva male ad entrambi "devi farmi una promessa." chiese lui impotente ed inerme.
"Qualunque cosa, padre!"
Pochi minuti dopo un colpo di tosse ed uno sputo di sangue richiamarono la regina e gli assistenti al suo capezzale. La mano di Emma venne allontanata per far passare i curatori. Emma si vide allontanata da uno stuolo di persone che le impedivano di tener ferma la mano del padre tra le sue, consolarlo, accompagnarlo. Lei sapeva che lui l'avrebbe preferita a tutti gli altri. Non staccò gli occhi da lui fin quando, arrabbiata dal fondo della stanza, lo vide agitarsi un'ultima volta ed esalare l'ultimo respiro.
Un vociare frastornante e veloce cominciò nella stanza: medici, servi, reali, dame, gentiluomini, tutti bisbigliavano fra di loro e la guardavano sotto le ciglia e lei voleva solo scappare e piangere, urlare, disperarsi finché non si fosse abituata al dolore, finché il suo viso ed il suo corpo non avessero preso la forma dello strazio che la stava affliggendo.
Improvvisamente una guardia batté col bastone, grande, spesso, dorato, sulla pietra del pavimento ed annunciò. "Il re è morto!". Il rito si ripeté per ogni guardia posta nei corridoi, sulle torri, nei giardini, nel paese, come un effetto domino, inarrestabile, opprimente, una furia implacabile, un fiume senza argini, e tutto il regno seppe: il suo re era morto. Il dolore non faceva altro che aumentare ed aumentare. L'annuncio placò le voci ed Emma poté sentire solo il suono del suo respiro affannoso e disperato. Incrociò per un attimo gli occhi umidi di sua madre, che sapeva cosa sarebbe arrivato poi e si ricordò quando successe anche a lei col re suo padre.. Il secondo annuncio ebbe un effetto diverso sulla principessa.
"Lunga vita alla regina!" fu l'ultima onda di notizie.
Emma si sentì allora travolta. Se prima faceva solo male, ora uccideva, opprimeva, non lasciava respiro.
Un'ultima onda si levò ed il mondo cominciò ad inchinarsi ai suoi piedi: merletti e seta di vestiti toccarono terra, ginocchia piegate e teste chine erano tutto quello che la principessa, ormai quasi regina, riusciva a vedere.

 

 

Erano stati cuciti vestiti neri per un'intera settimana.

In precedenza la regina Biancaneve s'era rifiutata di rinunciare a suo marito ed aveva proibito che stoffa nera venisse utilizzata in tutto il reame. Dopo la morte del re, le sarte invece ebbero un gran da fare. Una mattina, dopo appena sette giorni, furono portati abiti funerei per la famiglia reale. Emma guardava il suo perplessa, appeso all'anta dell'armadio, sospirando di tanto in tanto. Ormai s'era abituata agli occhi gonfi e le lacrime sul cuscino di notte quando tornava a dormire. Di giorno non riusciva a restare nel castello: non tollerava i pianti strazianti di sua madre, che non faceva niente per soffocarli. La sua servitù aspettava ore con piatti freddi nelle mani davanti alla sua porta chiusa. Allora Emma evadeva e si nascondeva tra il popolo, vagando, percorreva i giardini ed a volte guardava il mare.
Si decise a vestirsi e scese nella grande ala del castello dove era deciso si sarebbe verificato il rito funebre. Il popolo era in raccolta nei giardini, nei fienili, nelle cucine, tra i corridoi, nelle loro case. Era stato aperto il castello a tutti coloro che avessero conosciuto il re di persona. Emma capì solo allora quanto il popolo avesse amato il suo re e si commosse. Cominciò a passeggiare nei corridoi cercando un angolo buio in cui potersi nascondere ed aspettare la grande assente, sua madre, prima che i riti cominciassero.
Qualcuno di tanto in tanto bisbigliava "La regina!" e dava gomitate al suo vicino perché si chinasse ed allora Emma vedeva altre teste, altri veli, altre parrucche.
"Mio fratello sarà re, non io!" rispondeva allora di tanto in tanto e scappava e cercava di ricordare quello che suo padre le aveva fatto promettere. Teneva i palmi premute sulle tempie ed ignorava, ci provava. Era un assedio, nel giorno più brutto, alla fine del regno.
"Stai bene, sorella?" le mani grandi e cresciute di Neal le circondarono le dita, la sua voce a metà tra quella sottile del bambino e roca dell'adolescente la richiamò al mondo fuori. Emma aprì gli occhi quasi spaventata. Il sole la colpì dritta nelle pupille ed allontanò lo sguardo infastidita. Fece sì con la testa e deglutì. Voltò il capo verso l'esterno e notò appena nuvole scure. Aguzzò la vista e delle vele nere si fecero spazio tra la nebbia opaca sul mare.
Si voltò di nuovo verso suo fratello e gli diede un bacio sulla fronte e l'abbracciò per rassicurarlo. Neal si fece abbracciare e strinse sua sorella di sua volta, chiuse gli occhi e le ciglia scure picchiettarono sul vestito nero di lei.
"Come sei diventato alto!" gli disse lei sorridendogli ed abbracciandolo di nuovo.

 

 

Il mantello le copriva il volto solo per metà. I capelli biondi erano nascosti dalle pieghe del tessuto, con una mano lo teneva fermo sugli occhi perché non la scoprisse troppo.

Emma si mischiò alla folla che abbandonava il castello quella stessa sera e si allontanò stringendo tra le mani un paio di ciondoli che aveva appesi al collo e che le avrebbero ricordato casa sua ovunque sarebbe stata, ovunque sarebbe andata. Provava paura ed uno spaventoso ed invitante senso di liberazione.
Raggiunse il molo in un batti baleno, prima che al castello potessero rendersene conto, prima che la nave lasciasse il porto. La puzza di pesce e di sale era inconfondibile. Si avviò quindi sulla passerella, salì quei primi grandini prima di raggiungere il pavimento di legno ed il parapetto giallo. Era ancora come se la ricordava, non era stata nemmeno riverniciata. A capo chino riusciva a vedere qualche stivale, piedi, gambe grassoccie ed altre muscolose che le si muovevano attorno e la circondavano.
"Chiedo il permesso di salire a bordo!" disse Emma prima che qualcun altro potesse parlare, ancora a testa bassa nascondendo un ghigno sotto al mantello blu, camminando sul pontile di quella nave che conosceva assai bene, facendosi spazio tra la gente coi semplici passi. Non sapeva che il permesso si chiedeva prima di essere lì, perché per lei era una formalità. Lei chiedeva solo per cortesia, perché poteva prendersi tutto quello che voleva e nessuno le aveva mai detto no.
"Permesso negato!" rispose cattivo il capitano, comparso dal nulla col sorriso da spaccone di uno che puntava la sua preda fresca e giovane da umiliare. Scese allora le scale abbandonando il timone. Emma vide gli stivali di pelle scura e il cappotto lungo e nero avvicinarsi e nascose ancor di più il viso, solo per un attimo ansiosa. "Chi diavolo sei tu comunque?". Killian Jones le si avvicinò ed in un gesto veloce le tolse il cappuccio, scoprendole le testa. Vide i capelli lunghi e biondi che avrebbe riconosciuto anche da lontano, anche dopo mille anni, e poi la faccia seria di lei. "Swan!" riuscì a bisbigliare sbigottito.
I suoi occhi erano azzurri e brillavano al sole come non mai. Avevano il riflesso del mare ed erano vivi come quand'era ragazzo e giocavano con le spade di legno persi in un prato verde. Era vestito di pelle nera e questo era diverso da qualsiasi cosa Emma potesse mai aspettarsi. Portava degli orecchini ed una collana appesa al petto. La sua pelle era rosea, i capelli spettinati dal vento, opachi ed increspati di salsedine. Quasi volle correre verso di lui, mossa da un vecchio spirito che credeva di aver soppresso già dagli ultimi anni della sua permanenza a palazzo. Si ricordò solo allora di suo padre, della bara di vetro che aveva visto scendere nel terreno. Il lutto si fece vivo come senso di colpa per la stupida felicità che l'aveva pervasa.
"Santi numi!" cominciò uno tra i marinai, tra i pirati. Emma allora si riscosse dai suoi pensieri e si voltò verso uno dei tanti.
"E' la regina!" seguì a ruota un altro.
"La regina? Biancaneve?"
"Non quella regina, stupido baccalà! E' la figlia, il re è morto."
"Non è la regina!" protestò lei a quella nenia che aveva imparato ormai a memoria, forse soltanto più colorita del solito.
"Mi dispiace." sussurrò sbalordito il capitano, mentre la sua voce veniva coperta dalle altre. Il suo volto era triste, empatico. Emma strinse le labbra e non era sicura di aver capito bene, ma fece segno di no con la testa, non fa niente, non preoccuparti.
"Sulla pedana!" urlò poi uno.
"Siamo al porto!" replicò un altro.
"Riscatto!" fece allora uno di quelli che l'aveva riconosciuta per primo.
Emma si guardò attorno e quasi si sentì smarrita. Gli anni di vita come principessa le avevano insegnato però a non mostrare mai le proprie emozioni, ad avere sempre quell'espressione risoluta sul viso che contraddistingueva lei e suo fratello. Si guardò attorno e sembrò sprezzante, quasi come a provare pietà di tante anime perse.
Killian invece dall'altro lato aveva riconosciuto la maschera che l'aveva allontanata da lui giorno dopo giorno. Lo aveva portato a tessersi addosso un carattere nuovo e diverso da quello che lei conosceva, con il quale replicò ai suoi occhi e tenne calmi contemporaneamente la sua ciurma di manigoldi.
"Che ci fa, allora, una principessa sulla mia nave?" cominciò col tono di voce che quei marinai chiedevano da lui. "Noi non siamo famosi per l'accoglienza ai reali, soprattutto con quelli che ci hanno cacciato via dal regno!"
Emma a quel gioco era più dura di lui e cominciò a giocare. Intanto tutto ciò che al principio li aveva separati crescendo riemerse potente. "Ti ho salvato la vita," urlò allora "se l'avesse saputo mio padre ti avrebbe fatto tagliare la testa come quella regina di cuori." Una fitta di dolore le attraversò il petto a chiedersi cosa suo padre avrebbe o non avrebbe fatto.
Killian però era cambiato. Per anni l'alto rango di lei gli aveva fatto tenere la testa bassa e la bocca cucita. Il mare, l'alcol, la sregolatezza, le compagnie, il non dover stare a nessuna regola se non alle proprie, avevano insegnato all'uomo che era diventato invece a non doversi trattenere nulla di quel che voleva. "Ah, dovrei ringraziarti?"
"Esatto!" disse lei quasi spiazzata.
"Swan, Emma," si corresse e s'avvicinò a lei. Emma quasi ne rimase intimorita ma pietrificata dalla ligia educazione. Killian le si avvicinò e le prese una ciocca di capelli spostandogliela dietro all'orecchio. La trattò come una qualunque, una tra tante, come le tante che si portava tra i corridoi del castello. "qui comando io e tu scendi da questa nave, se non vuoi soddisfare le pretese di tutta la mia ciurma!" disse malizioso, indicando gli altri che s'infogliavano.
"No." rispose semplice e risoluta.
"No?"
"Io decido cosa faccio, dove vado, come ci vado, tu ti assicuri di non metterti davanti ai piedi o vi faccio arrestare tutti." I pirati erano al cospetto della principessa, quella che detta ordini, che intima gli altri ad obbedirle, che intimorisce chi le si para davanti.
Killian rise. Aveva visto tutti quei reali da lontano, aveva studiato mosse, sguardi, parole. Ed in più sapeva riconoscere un bluff. S'era ripromesso anche che non si sarebbe fatto spaventare da nessuno di loro mai più. "E come credi di fare? Sei su una nave, piena di pirati... Che non vedono una donna da molti anni oserei dire," ripeté il concetto forse per spaventarla, spaventato anche lui dalla sua presenza "se il signor Spugna conferma!" concluse allora indicando un uomo grassoccio nascosti da tutti, che fece solo un cenno di sì col capo. Killian fece allora un segno col mento e tutti i pirati le furono attorno, accerchiandola, stringendola, costringendola.
Emma prese un respiro profondo allora e dettò. "Così stanno le cose: nessuno di voi mi torcerà un capello, tu" disse indicando Killian "ti assicurerai che chiunque lo faccia cada da quella dannatissima pedana o calcerò il tuo culo strizzato nella pelle così forte da farti vomitare."
Il capitano sorrise soddisfatto e fiero. Quella era la sua donna, quella che aveva amato fin dal principio. Capì che ogni tentativo sarebbe stato inutile, l'avrebbe lasciata fare, l'avrebbe lasciata a bordo se tanto ci teneva. Se l'era dimenticata, così forte. La rabbia che gli era nata dentro per quel ceto gli aveva fatto dimenticare ogni singolo motivo per cui s'era innamorato della sua Emma e solo allora lei cominciò a brillare di nuovo: i capelli biondi al sole, gli occhi verdi che gli ricordavano il prato dove giocavano da ragazzini.
"Dove stai andando?" disse poi risvegliandosi da quella epifania, rincorrendo lei che aveva tirato dritta di volata verso la porticina che portava sotto coperta.
"Nella mia cabina." rispose lei secca.
"Solo il capitano ha una cabina." fece lui afferrandola per il braccio. Il calore del suo braccio nudo lo fece ritrarre.
"Allora prendo la tua."
La nave salpò allora portando la principessa lontano.

 

 

La Jolly Roger attraccava spesso per fare rifornimenti. I pirati erano tanti, il cibo sempre poco, l'acqua ed il rhum ancor meno.

Emma sedeva sul parapetto della nave, ormeggiata al buio di notte e guardava i marinai andare e venire dal porto, le persone vivere, ridere, muoversi brulicanti nell'ombra: la foresta incantata sembrava viva. Agitava un piede nel vento, un po' nervosa, un po' triste. Aveva lasciato l'abito nero di pizzi e merletti in un armadio, mentre il suo nuovo abbigliamento di fortuna era dotato solo di pantaloni da uomo bianchi, probabilmente di una vecchia uniforme della marina militare e una camicia nera da pirata.
"Capitano!" un pirata chiamò di lontano, facendo cenno con la mano al suo interlocutore di avvicinarsi e stare tra loro. Killian alzò il palmo, chiedendo scusa per l'assenza programmata che avrebbe fatto. Si diresse invece da Emma che aveva seguito tutto con la coda degli occhi ed un filo dello sguardo.
"Non ti unisci alla tua ciurma?" chiese quando l'ombra di lui le coprì la luce che le veniva da dietro dalla luna.
"E tu non vuoi vedere il tuo regno?" domandò allora lui di rimando.
"Conosco già il mio regno!" rispose lei duramente. Ogni volta che parlava con lui le vecchie abitudini tornavano ed Emma ricordava solo la persona che lui era stato negli ultimi periodi, l'adulto che era diventato.
"Ne sei sicura?" la voce di lui era seria tanto quanto quella di lei. Forse vi si poteva leggere anche un filo di rabbia, simile a quello della popolana timorosa che qualche tempo prima si era recata a palazzo a chieder udienza solo per un tozzo di pane o qualche grammo di grano.
"Ma certo!" rispose lei ovvia, memore di tutti quei viaggi che aveva intrapreso, ormai quasi dieci anni prima.
Sollevò lo sguardo e per un attimo alla luce della luna l'uomo tormentato tornò ad essere con lo sguardo quel ragazzino che correva tra i prati come navigava quel pirata nel mare. Sorrise tra sé e sé ripensando a vecchie promesse, vecchi giochi. "Avevamo progettato di andarcene insieme quando eravamo bambini." considerò malinconica ad alta voce. "Sognavamo il mondo!" la voce di lei era persa tra i ricordi più passati e più recenti. Killian abbassò lo sguardo verso il mare, verso le piccole onde che si infrangevano contro la nave, e guardando nello specchio d'acqua leggeva tutte le emozioni che da Emma fluivano via con le lacrime, gli sguardi e le parole: la paura, la tristezza, l'inadeguatezza, la pressione.
"Abbiamo preso la strada lunga!" considerò allora lui, sintonizzandosi sulla scia dei suoi sentimenti. Avrebbe voluto fare di più, avrebbe voluto proteggere la sua principessa. Si ritrovava invece a non riuscire a recuperare il coraggio di poggiarle una mano sulla spalla e consolarla. Si sentiva come quel ragazzino che guardava la giovane Emma di nascosto. Ritrovarsela davanti era stato come essere catapultati in una guerra di emozioni diverse: la frustrazione, la rabbia, la malinconia, l'amore, l'affetto, la paura, il timore, la pudicizia, l'ammirazione.
"Cosa ci è successo?" chiese lei di punto in bianco.
Killian fu preso in contro piede dalla domanda. Guardò alla luna, al riflesso sui tetti delle case in lontananza. Sentì uno dei suoi marinai urlare qualcosa a qualcuno. "La vita, Swan, solo la vita." disse tristemente. "Non era destino, sua altezza!"
Un rantolo le salì dal cuore fino alla gola. "Smettila di chiamarmi così!" disse poi lei. C'erano dei tempi in cui era solo Emma e quell'appellativo le tagliava il fiato in gola, le colpiva il cervello, le faceva scendere le lacrime. Aveva rovinato tutto.
"E' quello che sei." considerò alla fine lui con una rammaricata accettazione, frutto di anni di allenamento nel palazzo reale stesso.
"E' quello che tutti vogliono costringermi ad essere." corresse veloce lei. Ed allora Killian vide qualcosa, una Emma nuova, una diversa, una che non conosceva e non accettava il ruolo che la società le aveva imposto, una che era arrabbiata tanto quanto lui verso le classi, il ceto, il sangue blu.
"Una volta ti stava bene." disse, più per confermare quello che aveva pensato. Poi se ne sentì in colpa ed aggiunse veloce ed un po' divertente "Mi avevi quasi mozzato la testa con una spada di legno!"
"Una volta pensavo di dover stare seduta su una sedia e decidere di che colore avrei voluto i fiori nel giardino del castello." rispose lei e sorrise leggermente dell'ingenuità di quella bambina e della scelta curiosa dei giochi.
"Chi li decide a proposito?" chiese lui, sorridendo al sorriso di lei.
"Mia madre." rispose guardandolo fisso negli occhi ed una luce sulle labbra.

 

 

Le avventure che stava vivendo per mare erano tra le più grandiose.

Erano stati in un regno strano, fatti di uomini grandi solo quanto un'unghia; in un altro avevano trovato case che parevano funghi e fecero attenzione a non calpestarle; in un altro posto gli uomini succhiavano il sangue da altri uomini; ancora un'altra volta gli uomini e le donne erano vestiti in modo strano e correvano e correvano in modo frenetico ovunque su carri metallici.
Una volta sola furono davvero in pericolo. Erano ai confini della foresta incantata dove s'era aperto un portale, almeno così dicevano, e ne uscivano uomini con viti e bulloni al collo di un colorito strano in scala di grigi, dicevano. S'erano recati allora per poter ammirare un'altra maraviglia e magari oltrepassare il portale. Scoprirono ben presto che gli uomini in grigio, molto forti, ma rigidi stupidi, a metà tra gli umani ed i morti, volevano solo magia e gridavano di continuo "altra magia, altra magia!". Emma dal canto suo ne aveva vista dal vivo solo dalle fate e credeva che fossero le uniche a poterla usare, come proclamava l'editto reale che suo padre e sua madre, come nuovi re e regina diversi anni prima, avevano emanato.
Quegli uomini grigi erano molto più numerosi dei pirati e li circondarono e li catturarono quella volta, sbattendoli poi in celle, stanze buie. Sebbene fossero più stupidi erano molto più numerosi e con uno sguardo s'erano accordati poi sul piano di fuga, come un'unica macchina che funziona da sola. Killian aveva fatto un segno con le dita a Spugna, che lo replicava poi agli altri. Emma non capì e cercò di allungare lo sguardo mentre veniva allontanata, prima di cadere sul pavimento di pietra, anch'esso completamente grigio.
Quando l'aveva interrogata un uomo alto, distinto, dai capelli avrebbe detto chiari ed un parlare educato e forbito, probabilmente colto, s'era fatta valere.
"E tu chi sei?" gli aveva chiesto quello
"La principessa!" aveva risposto allora lei scoprendosi il capo da quel mantello che portava sempre da quando aveva saputo che l'intero suo regno la stava cercando.
Quell'uomo scosse il capo. "Non mi suona alcun campanello!" disse rinchiudendola poi, sperando che potesse valere qualcosa però per un riscatto magico.
Emma cominciò a preparare allora da sé un piano di fuga senza aspettare gli altri pirati. Aveva deciso che si sarebbe fatta trovare poi sul pontile della Jolly Roger ad aspettarli, comportandosi come loro: ognuno si salva da solo.
Si slegò allora le mani, facendo strusciare i lacci contro il muro di pietra della sua cella. "Fin troppo facile!" sussurrò quando le corde che le circondavano i polsi cominciarono a cadere. Era stata allenata bene quando da ragazza cercava di fuggire agli impegni reali, alle guardie ed alle dame che la inseguivano ovunque, per andar poi a giocare libera nei giardini.
Le guardie che la sorvegliavano non erano molto sveglie e lei riuscì a scappare girando tra gli angoli. Le fughe da casa l'avevano allenata. Cominciò allora a correre via, si guardava indietro e negli angoli, ignorando frontalmente, cercando qualcuno che la seguisse, lasciandosi così la strada dietro libera nel caso in cui avesse dovuto cambiar direzione. Sbatté poi contro qualcosa e quasi si trovò ad urlare e cadere, ma s'irrigidì solamente ferma e strabuzzò gli occhi e Killian davanti a lei fece lo stesso.
"Mi hai spaventata a morte!" disse Emma con una mano al petto, prendendo poi anche fiato.
"Ah, io??" chiese lui con tono scettico ed ironico, guardandosi poi sia dietro che davanti per assicurarsi che la via restasse sempre libera, smettendo però di cercare: stava correndo a salvarla un secondo prima che gli facesse venire un infarto.
"Avanti, corri!" bisbigliò lei sottovoce. Lo prese per mano e cominciò a scattare tirandoselo dietro. Quando la mano di lui strinse quella di lei di sua volta si riformò una vecchia alleanza ed un senso di devozione che credevano di aver dimenticato.

 

 

Le notti passate sul pontile della nave erano sempre molto fredde. L'inverno era alle porte ed i vestiti non bastavano più a ripararsi dal vento gelido che saliva lungo le ossa.

Emma e Killian erano ormai soliti passare quelle notti a guardare le stelle. Una volta Killian si avvicinò alla sua principessa con due coperte pelose e prurigginose, gliene spiegò una e gliela poggiò sulle spalle. Si sedette poi accanto a lei in quella posizione che tenevano ormai da mesi. La tristezza ed il lutto di lei erano andati scemando col tempo, restava solo una silenziosa rabbia ed una promessa che non voleva condividere con nessuno. Parlavano come parlavano un tempo, condividevano pensieri e paure, sogni e speranze, come questi sembrassero tutti vivere contemporaneamente in quei giorni. Si raccontavano della giornata perfetta che era stata quella, della cosa che più li aveva sconvolti e divertiti dell'ultima avventura.
Quella notte il ponte della nave era completamente deserto. Un solo pirata c'era stato qualche ora prima: aveva controllato le corde e le funi, le vele, l'ancora calata al suolo, il timone come disposto dal capitano e se n'era poi andata a dormire con gli altri in stiva.
"Perché sei tornato?" chiese lei quella sera.
"Ho saputo che il re era malato." rispose lui avvolgendosi nella coperta, facendo di tutto per non guardarla negli occhi in quel momento, non ancora pronto a confessarle tutto ed ancora vergognandosi per quello che le aveva fatto anni prima, di cui non s'era mai potuto perdonare.
"E allora?" insistette lei, che invece pretendeva spiegazioni famelica. Aveva bisogno di sapere perché era da qualche tempo che provava una strana sensazione quando gli stava accanto, ma non l'avrebbe mai detto da sola. Ancora non sapeva definirla. Non sapeva in più cosa lui in quel momento provasse per lei, se era per lui solo una noia, una donna come un'altra a cui badare. Allora cercava di creare situazioni in cui lui avrebbe potuto confessarsi e s'era data da fare per non essere tra i piedi di nessuno intanto, per essere vista come uno di loro, dei pirati.
"Ero preoccupato per te." rispose lui dolce, sicuro in quel momento come non mai che non l'aveva mai dimenticata, che l'avrebe protetta anche da lontano, che avrebbe cancellato il dolore dal suo mondo anche se lei l'avesse mandato alla forca. Si strinsero le mani allora, un gesto che ormai facevano spesso. Emma poggiò il capo sulla spalla di lui e Killian sobbalzò prima per un attimo e quasi si ritrasse col respiro sospeso, ma poi la guardò e fu come l'ossigeno. Le poggiò coraggioso una mano sul fianco, adagiando poi una guancia sui capelli di lei, sentendola finalmente calda respirare piano.
Killian guardò verso il cielo e cominciò a pensare. Col tempo aveva capito che la Emma arrabbiata non era la vera Emma, era solo un'altra che aveva conosciuto, destinata a morire. La vera Emma era quella principessa entusiasta di girare il mondo, entusiasta delle avventure. La vedeva ogni volta quando la nave faceva porto e lei guardava con occhi estasiati la nuova terra. La vera Emma guardava anche il popolo povero quando credeva che nessuno la osservasse, aiutava le persone che incontrava, tendeva loro la mano per aiutarli a rialzarsi. La vera Emma era la sua principessa, la futura regina. Si ritrovò più volte a pensare quand'era solo di notte e si trovava ad un bivio: agire da egoista e tenersela con sé o aiutarla a ritrovare sé stessa e probabilmente perderla per sempre. Amava da morire il riflesso della luna su quella sua pelle chiara.
"Quella è la stella del nord," cominciò ad indicarle facendo uscir fuori un dito dal fagotto di coperte che s'era creato "punta verso il castello!" disse ricordando quando da ragazzo in tutte quelle notti lontano da lei guardava quella stella e si addormentava verso quella direzione.
Emma alzò gli occhi e guardò dritto anche lei e sorrise. Killian allora capì.

 

 

Killian seppe riconoscere fin da subito quello che sarebbe stato l'ultimo viaggio per loro.

Tornarono nelle remote terre della foresta incantata, dove una volta si diceva si tenesse un mercato dell'oro, liquidi ambrati venissero offerti ad ogni straniero o cittadino, che le fattorie brulicavano di contadini: un posto perfetto per un pirata.
"Che diavolo ci andiamo a fare di nuovo?" borbottava qualcuno facendo avanti e dietro sul ponte principale per arrivare ad afferrare le funi. In effetti tutti i pirati c'erano ormai già stati. Sia il capitano che i suoi sapevano cosa ci avrebbero trovato.
Emma conosceva quel posto. L'aveva visitato anni prima, una delle prime tappe da adolescente che girava il mondo, ma non l'aveva mai visto dagli occhi di un pirata. Quando attraccarono al porto Emma scese di corsa, tenendosi stretto il suo mantello sui capelli legati, sperando di poter evitar di attirare meglio l'attenzione. Quello che si trovò davanti non era il luogo che ricordava: c'era fango e ghiaia ovunque, le strade erano desolate, non si udiva un suono da quello che una volta era un gran villaggio festoso. In lontananza si vedeva qualche piccola casetta distrutta, i tetti ristrutturati con la paglia, probabilmente l'unica cosa che avevano a disposizione. Emma si guardò attorno come persa. Cominciò a camminare sul terreno completamente spaesata. Quando aveva visto quel posto per la prima volta, ricordava di aver bevuto birra, liquori, aver assaggiato i loro prodotti della terra migliori, aver conosciuto molti giovani della sua età. Killian la guardò dalla nave di lontano.
"Signora," chiamò Emma frettolosa di capire, verso una che passava abbracciata ad una larga vasca tonda arronzata con assi di legno "signora!"
Quella si girò quasi stupita che ci fosse qualcuno oltre lei per le strade, chiedendosi chi mai potesse essere nel villaggio a chiamarla ancora. Vide allora una foresteriera dagli stivali lucidi, qua e là chiazzati di fango ancora fresco.
"Cos'è successo qui?" chiese allora Emma, facendo attenzione che il mantello le rimanesse ben fermo sulla testa.
La contadina si risistemò l'affare nelle braccia e prese un respiro chiedendosi da dove poter cominciare. "Tempi bui, mia signora!" partì a spiegare "La famiglia reale non si occupa più del suo popolo da anni!"
"Ma no, non è vero!" pensò la principessa, ma non rispose. La ringraziò invece e la lasciò. La sentì borbottare qualche imprecazione di lontano. Emma si incamminò allora per le strade. Killian la seguì a qualche passo di distanza con sguardo triste in attesa che lei capisse.
Nel villaggio trovarono volantini di propaganda inchiodati agli alberi ed alle assi di legno tarlate delle case. Invitavano il popolo a riunirsi in un esercito, a scacciare gli orchi. Altri più arrabbiati proponevano di marciare sul castello reale, alcuni di trasferircisi dentro.
"Perché mi hai portato qui?" chiese lei infuriata, arricciando quel pezzo di carta nelle mani, strappandolo dal chiodo di ferro, che lasciò una lunga scia arrugginita lungo lo strappo che Emma vi aveva procurato. Si voltò, alzò gli occhi e si avvicinò. Gli afferrò il bavero e da così vicino Killian poté vedere le lacrime che le scendevano dagli occhi. "Perché?" ribadì lei.
Sentirono poi un pianto venire da dietro l'angolo di una casina, stipata lontano da tutte, alla fine della via. Emma la percorse tutta, presa dal panico per la sofferenza del suo popolo. Vide un bambino vestito a mala pena di stracci marroncini, i pantaloni ormai troppo corti per la sua età, le scarpe larghe, la maglia rattoppata ed un mantellino che gli copriva la testa e le spalle appena.
Emma si abbassò davanti a lui e l'aiutò a rialzarsi dal fango. Lo prese per le braccia e lo sollevò lei stessa. Quando lo toccò sentì quant'erano sottili le sue braccia, ebbe quasi paura di ripoggiarlo a terra e spezzarlo, così magro e smunto. Guardò oltre il cappuccio e notò la massa di capelli neri spettinati che copriva le guance vuote.
"Come ti chiami?" chiese lei in tono dolce, asciugandosi prima però le lacrime dal viso.
"Bealfire." rispose lui e la sua vocina piccola piccola le ricordò quella di suo fratello Neal.
"Ecco, Bealfire," fece lei e s'abbassò il cappuccio scoprendo il viso ed i capelli. Si sganciò una collanina argentata col suo cigno inciso sul pendente e la fece penzolare davanti al viso del bambino. Gli aprì le dita e gliela mise in mano. "prendila tu." Suggerì lei e gli sorrise. "Vendila se non ti piace."
La madre lo stava guardando tutto il tempo e solo allora lo chiamò dalla finestra, una donna dai lunghissimi capelli neri che facevano contrasto coi suoi. La donna la guardò male ed incitò il figlio a rientrare. Questo obbedì e lasciò andare Emma senza dire una parola e fuggendo dentro. Killian notò la scena, nascosto ed appostato in un angolo, incrociò gli occhi della donna che inspirò forte e chiuse poi subito le imposte.
Emma si rialzò.
"Non può venderla." le disse Killian allora, a voce bassa, spiegandole la mala reazione.
"Perché no?" chiese lei sospettando che il gesto sarebbe suonato forse come un torto ai danni della famiglia reale.
"Chi la comprerebbe?" rispose lui interrogativo.
Emma prese un respiro profondo e si guardò intorno, si girò sperando che il venticello che stava soffiando le avrebbe asciugato le lacrime. Si schiacciò il palmo della mano sulle labbra incapace .
Nel tardo pomeriggio, quando il sole arancione entrava dalle finestrelle delle camere del comandante della Jolly Roger, Killian entrò, dopo tanto tempo anche. Riprovò una sensazione di familiarità e contemporaneamente di stranezza per la presenza di lei e di paura vedendola agghindata di nuovo nel suo abito lungo nero, con la gonna che le copriva le caviglie e le scarpe, i capelli pettinati che le cadevano sulle spalle e le scoprivano il viso e gli zigomi, mentre i pantaloni e la sua camicia erano poggiati sul letto già piegati.
Prese un respiro profondo.
Emma era seduta sulla sponda del suo letto, le gambe incrociate, lo sguardo rivolto verso l'alto a guardare il cielo ed i gabbiani per quel poco di squarcio di cielo che riusciva a vedere.
"Nessuna donna mi ha mai abbandonato." cominciò lui sperando di rompere il ghiaccio "Non spontaneamente." disse e si sedette accanto a lei, abbastanza distante da darle spazio, non avendo ancora il coraggio di avvicinarsi e prenderle la mano come in quelle numerose notti sotto le stelle.
"Killian." cominciò lei chiamandolo con tono spento o probabilmente di chi intende scusarsi.
"Almeno posso dire di essere stato una bella avventura!" scherzò lui ed incrociò le mani dietro alla testa, spingendosi all'indietro.
"Killian..." lo sguardo di lei era sempre serio e richiedeva attenzioni ed era forse in difficoltà nello spiegarsi. Aveva gli occhi rossi di pianto, ma le sue mani si muovevano con la decisione di chi sapeva cosa doveva fare.
"Lo so." rispose lui, interrompendola.
"Se potessi scegliere,... " cominciò lei cercando parole per consolarlo e consolarsi anche da sola.
"Sceglieresti ancora casa tua." continuò lui per lei. Le coprì le mani con le sue per trasmetterle calore. Lei le raggiunse prima ancora che quelle di lui potessero avvicinarsi e intrecciò le dita stringendole.
"Stavo per dire che avrei scelto te." disse lei sorridendo tra le lacrime.
Killian sciolse quel piccolo abbraccio di dita e le portò la mano sulla guancia accarezzandola. Emma l'afferrò subito, la tenne stretta e chiuse gli occhi.
"Ti amo da sempre." le sussurrò lui. Emma non volle ancora sollevare le palpebre. Sentì un altro fiotto di lacrime sgorgarle sotto le ciglia.
"Posso aiutarti a restare lì," suggerì frettolosa di poter risolvere la situazione "far decadere tutte le accuse a tuo..."
Killian le fece no con la testa ed Emma capì. Lei si avvicinò allora e chiuse gli occhi, sopprimendo ancora lacrime che fremevano per scendere sulle guance. Poggiò la sua fronte a quella di lui, che si avvicinò e la incontrò a metà strada. Non volle chiudere gli occhi, al contrario di lei, e guardarla ancora coi capelli ordinati ed intrecciati, le guance rosse, le labbra socchiuse: la sua principessa. Le prese il viso tra le mani e le posò un tenero bacio sulle labbra a cui lei rispose, sapendo che era il primo ma anche l'ultimo.
Qualcuno bussò alla porta di legno.
"Mastro Spugna!" chiamò il capitano, sapendo chi si nascondeva dietro il sottile muro.
"Sì, Capitano!" fece lui sull'attenti, senza però girare la maniglia per il timore di finire sulla passerella.
"Rotta per la Foresta Incantata."
"Subito Capitano!"
Le ultime ore insieme furono poi coperte dalle grida di pirati indaffarati dal ponte, che gestivano la nave e riportavano la principessa a casa. Emma e Killian rimasero abbracciati stesi sul letto, sperando che il sole potesse ritardare nel mattino seguente.



 




Angolo dell'autrice:
Vi annuncio che manca solo l'epigolo, yeeeh!
Scusate ovviamente ancora per il ritardo!!
Recensioni? Vi è piaciuta? ;D

Grazie a tutti quelli che hanno seguito fin ora!! ;*

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Capitolo 4
*** Long live the Queen ***


Due dame scelte a caso tra la folla, le stavano stringendo il corpetto di un vestito azzurro cielo, lungo e ricamato di fiori bianchi, semplice, ordinato, leggero e sobrio. Come la regina che Emma voleva diventare.

Quando era tornata nella Foresta Incantata, le porte del castello si erano aperte e basta. Le guardie s'erano fatte da parte lasciandola passare. Graham, la sua guardia del corpo da sempre, l'aveva vista e prima ancora di aprire la bocca dallo stupore, si era chinato in un inchino. Emma camminava tra la gente, che si inchinava, con le mani lasciate libere lungo i fianchi, sul vestito nero che faceva riecheggiare a tutti la memoria della morte del tanto amato re.
Neal aveva sentito un vociare dal piano di sopra. La servitù era diventata frenetica. Se n'era andato allora dalla soffitta dove trascorreva la maggior parte del tempo, ed era corso di sotto a controllare. Aveva visto sua sorella e le era corso incontro e l'aveva abbracciata. Emma sorrise e nascose la testa tra le spalle ed il collo di lui, ormai grande. Gli prese il viso tra le mani e sorridendo gli diede un tenero schiaffetto sulla guancia. Profumava già come un uomo, ma aveva ancora la barba di un ragazzino. Neal sorrise e l'abbracciò di nuovo, riempendosi le narici dell'odore di sale e vento che avevano i suoi capelli.
Biancaneve invece erano diversi mesi che s'era fatta coraggio, aveva cambiato le lenzuola del suo letto, aveva spolverato di sua mano la sala del trono, come se quasi s'aspettasse il ritorno della futura regina. Era riuscita persino a dare uno o due udienze negli ultimi giorni prima di dover scappare via presa dal panico. Congedò l'ultimo suddito, regalandogli quel che poteva e scappò via a riunire la sua famiglia.
Emma era al centro del salone principale quando la vide. Una serie di dame e duchi erano inchinati a formare quasi quattro mura attorno a lei. Biancaneve si fece spazio, prima che le persone si rendessero conto di chi fosse e la lasciassero passare, e corse incontro a sua figlia.
Dopodichè Emma fu lavata, rivestita a dovere. Stavano per pettinarle i capelli quando lei si scostò, lasciando che le ciocche bionde le cadessero libere e ribelli sulle spalle. Si avvicinò alla finestra, mentre qualcuno da dietro ancora le annodava lacci di un corpetto sulla schiena, e guardò il mare. Le vele nere erano ancora lì.
Killian invece non aveva seguito Emma, non subito almeno. Sapeva di potersi presentare a palazzo. Quando vide però la strada che portava fino alla piazza centrale di quel paese che nasceva attorno alle mura del castello gli venne in mente un ricordo: era un ragazzo e stava tornando da uno dei tanti viaggi. Aveva tredici anni ed Emma gli stava correndo incontro, come avrebbe poi sempre fatto negli anni a venire. Lo trascinò via e lo portò sulla cima di una collina verde, dove troneggiava un albero dalle foglie lunghe e creava la loro isola di ombra personale. Seguì la strada e ripercorse i passi. Ritrovò quel posto, la ruggiada, il terriccio marrone scuro ben curato, l'albero pieno e ricco. Riusciva persino a sentire ancora l'odore del pane caldo che rubavano sempre dal forno per la colazione. C'era ancora un punto dove l'erba non cresceva più, dove un'Emma bambina aveva provato una volta a seppellire una bambola con cui sua madre aveva deciso dovesse giocare. Emma finse che fosse un drago e che dopo un lunga battaglia fosse tempo di seppellirlo. Era sempre stata diversa la sua Emma.
Raggiunse la quercia e toccò un punto dove la corteccia non c'era più ed aveva inciso lui stesso di suo pugno due lettere per suggellare una promessa: K ed E, perché fossero rimasti insieme per sempre. Sorrise toccando quel ruvido. Guardò verso il palazzo e venne sommerso dai ricordi e dalla malinconia.
La folla intanto si stava radunando sotto i balconi delle stanze reali ai suoni di due trombe che squillavano in sincronia. Killian si nascose nella folla e s'apprestò. Quando comparì Emma su quella balconata, circondata dalla sua famiglia, pensò che era più bella di sempre.
"Lunga vita alla regina!" urlò uno da sotto.
"Lunga vita alla regina!" le fecero un coro allora, prima disordinato, poi ad ogni "Lunga vita" sempre più coordinato, fino a realizzare un'unica grande voce.
Emma sul balcone salutava. Non indossava gioielli, teneva in mano una coppa di vino, che alzò alla folla e parlò e brindò al popolo, che era la sua più grande risorsa, del suo più grande regno, che aveva visto ed aveva conosciuto in lungo e largo. Promise di essere la regina di cui avevano bisogno. Si scusò per essere andata via.
Le parole le morirono in bocca quando riconobbe un uomo vestito di nero. La folla urlava ancora, commosa questa volta. Emma alzò il calice in aria e poi verso di lui. Killian con la mano a piatto sulla fronte le fece il saluto militare. L'ultimo saluto, un'ultima volta, a nascondere la nostalgia di tempi che furono.
Killian, ormai incompleto, si voltò e se ne andò.
Emma, ormai incompleta, lo guardò andare via.
Quando entrambi furono fuori dalla vista dell'altro furono presi da un sentimento di accettazione. Andava bene così. Era così che sarebbe dovuta sempre andare. Emma bevve il vino, mentre Killian saliva sulla nave di nuovo e cambiava rotta. La nave si allontanò.
Mentre il popolo e la famiglia reale brindava, Graham, il suo fedele, le arrivò vicino, vestito in armata lucida e dorata. "Mia regina." fece chinandosi ai suoi piedi. Emma gli fece gesto di alzarsi e lui si alzò. Le si avvicinò e parlò sotto voce. "Il forziere con i gioielli reali e scomparso." Emma teneva la testa piegata in avanti ed ascoltava. Nascose un sorriso tra i capelli. "Vuole che andiamo a riprenderli?" chiese lui.
Emma sorrise maliziosa. Alzò lo sguardo e ricomponendosi guardò Jolly Roger ormai diventare una nuvola nera che si nascondeva all'orizzonte. "Riportalo da me." comandò prima dura. "Ma diamogli qualche giorno di vantaggio."

 

The end

 



Angolo dell'autore
Ed un'altra è andata :) vi è piaciuta? Sì, no? Perché? 
Mi ha fatto piacere per tutta la durata della storia avervi intrattenuti per un po'. Spero che il tempo ne sia valsa la pena. 
Il finale è volutamente aperto, potrebbe concludere come volte voi. 
A presto, con il capitolo dell'altra storia ;)

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