Sunrise

di Underground_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il morso ***
Capitolo 2: *** Il risveglio ***
Capitolo 3: *** Ricordi ***



Capitolo 1
*** Il morso ***


Correvo. Il fiato corto, il sudore che mi imperlava la fronte. Era l’unica cosa che sapevo di dover fare: andare il più veloce possibile tra le querce e i tigli che mi sovrastavano. Il sangue usciva copioso dal morso sulla gamba, avevo la mente annebbiata dal dolore, ma non mi fermavo. Con una mano cercai di tappare alla bell’ e meglio la ferita anche se era inutile. Sapevo che, se avessi ceduto, se mi fossi bloccata, non sarei vissuta un giorno di più. No, non era quello il mio obbiettivo. Il respiro diventava affannoso, i miei sensi si affievolivano; perché non riuscivo più a sentire la terra? Perché pensavo di star galleggiando nel vuoto? È questo che si prova quando si muore? No. Non potevo lasciarmi trascinare dallo sconforto, non ora! Avevo sbagliato, mi ero fidata di un perfetto sconosciuto fregandomene delle raccomandazioni che i miei genitori non facevano altro che ricordarmi prima di sparire nel nulla, ora stava a me rimediare a questo madornale errore. Non avrei mai dovuto accettare il suo invito nel bosco. Non avrei mai dovuto fidarmi della sua promessa di proteggermi sempre e comunque, ormai, però, era troppo tardi per piangere sul latte versato. Lui mi aveva lasciata sola nel nulla dicendomi che sarebbe tornato e io ero rimasta come uno stoccafisso ad aspettarlo perché credevo che mi avrebbe portata via da lì. Non conoscevo quel posto e mi ero persa, ma il lupo mi stava inseguendo e io non volevo lasciarmi mangiare. Le mie gambe iniziavano a cedere e si rifiutarono di proseguire. Mi guardai intorno; gli alberi erano diminuiti rispetto a prima, la luce del sole riusciva a passare tra le fronde: forse c’ero quasi! Stavo per uscire da lì! Iniziai a correre con le ultime forze che avevo, il sole mi accecò e, appena riaprì gli occhi, mi ritrovai in una radura. Ero ancora lì… non ero uscita dal bosco… ero nel centro. Caddi in ginocchio stremata, il suolo multicolore dell’autunno che si avvicinava al mio viso mentre il buio mi avvolgeva. Il panorama divenne rosso sangue. Sentì lo scricchiolio delle foglie secche subito dopo il tonfo del mio corpo a terra e poi tutto si spense.
Era finita veramente.


 

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Capitolo 2
*** Il risveglio ***


-Ancora non si è svegliata?-
-No, è ancora incosciente… povera piccola, chissà che cos’ha passato… ha perso parecchio sangue a causa di quel morso. Dobbiamo rintracciare Brandon. So che tiene molto a questa ragazzina.-
“Brandon”. Appena sentì il suo nome scattai e mi alzai di botto a sedere sul letto. Un ragazzo e una ragazza che, almeno per l’aspetto, dimostravano circa diciotto anni ciascuno, si girarono a guardarmi. Sbiancai senza riuscire a parlare, la mia timidezza mi aveva bloccata. Cercavo di dire qualcosa, ma la mia bocca non emetteva un fiato. Loro continuavano a guardarmi.
-Kris. Vai a chiamare Brandon. Ora.-
Kris. Ok, questo era il nome di quel ragazzo dagli occhi di cielo. Lui seguì gli ordini della ragazza senza fiatare mentre lei mi si avvicinava. I suoi capelli erano particolari, rossi come il fuoco mentre i suoi occhi erano due pozzi scuri, neri. Sembravano composti di ossidiana, non avevo mai visto occhi tanto singolari quanto spaventosi in vita mia… non fino a quel giorno per lo meno.
-Hey piccolina, è un vero piacere conoscerti! Io mi chiamo Kira. Come ti senti? Va tutto bene?-
La sua voce era calma, rassicurante. Io rimasi in silenzio limitandomi ad annuire; la testa mi girava, ma non volevo crollare di nuovo. Rimasi a fissarla per un po’, probabilmente le facevo pena perché dai suoi occhi capivo che dovevo avere un’aria molto spaurita.
-Ti faccio paura vero? Lo so che qui è tutto nuovo per te, ti capisco bene. Anche io mi sono sentita smarrita il primo giorno qui, ma fidat… -
Lei si sedette sul letto e cercò di prendermi la mano, ma io mi scansai e finì contro il muro gelato. Iniziai a pensare ad un idea per scappare: il letto era situato in un angolo della stanza quindi due lati del letto erano bloccati dalle pareti color crema di quella stanza, il terzo lato, parallelo alla testiera, era incastrato per metà con un armadio dall’aspetto antico e robusto. L’unico modo per scendere dal letto era passare nel lato in cui si era seduta la ragazza dagli occhi d’oblio; se avessi provato a fuggire di sicuro lei mi avrebbe bloccata o, se non mi avesse bloccata lei, mi avrebbero fermata le mie forze quasi inesistenti. Era una trappola… di nuovo.
-Ti giuro che non voglio farti male.-
Mi accovacciai su me stessa contro il muro più distante possibile da lei. Più lei si avvicinava più io mi appiccicavo al muro come se potessi trapassarlo. Si sentivano dei passi nel corridoio e delle voci. Le riconobbi e la cosa non mi fece sentire meglio. Quella più dolce doveva essere quella di Kris… l’altra era sicuramente quella di Brandon. Potevo riconoscerla a kilometri di distanza ormai. Io sapevo il suo nome, la sua età e altri stupidi particolari su di lui, mi aveva sempre raccontato qualsiasi cosa volessi sapere su di se mentre io non gli avevo mai detto neanche la mia età. Nessuno, tranne gli amici più cari, sapeva quanti anni avevo, i pochi che avevano provato ad indovinare avevano fallito miseramente. Io non dimostravo la mia età, ero troppo alta, parlavo come un adulta e, molto probabilmente, ero cresciuta troppo in fretta. I miei occhi si sgranarono quando lui entrò nella stanza e mi guardò con i suoi occhi di smeraldo che sembravano pronunciare il mio nome.
-Brandon. Spero che tu riesca a farla parlare perché io ci rinuncio.-
La ragazza affianco pronunciò quelle poche parole senza perdere il leggero sorriso che le imperlava il viso. Si alzò e si allontanò dal letto, io mi alzai subito dopo di lei suscitando un leggero stupore negli occhi di tutti e tre i presenti. Ringraziai il cielo mentalmente quando notai che non indossavo più i miei vecchi vestiti sporchi di sangue, ma una soffice camicia da notte bianca. I miei capelli scendevano morbidi sulle spalle mentre io mi avvicinavo a Brandon mordendomi il labbro per non fargli notare che stavo sulla soglia delle lacrime. Lui mi sorrise e allungò le braccia verso di me come faceva sempre quando voleva abbracciarmi e io gli mollai un ceffone in piena guancia che risuonò per alcuni secondi nella stanza. Sentivo gli occhi sbarrati di Kris e Kira che mi fissavano. Una parola mi aleggiava per la mente pronta a farsi liberare per portare via con se il bisogno di piangere e tutte le mie forze.
-Bugiardo.-
E tutto tornò a farsi buio mentre io svenivo e il mio cuore si frantumava insieme alla mia voglia di andare avanti.

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Capitolo 3
*** Ricordi ***


Aprì gli occhi. Un viso dolce mi guardava, era tanto familiare eppure io non riuscivo a riconoscerlo… mi accarezzava le guance con le sue mani enormi.
“Ciao piccola Shae… benvenuta al mondo!”
Benvenuta al mondo?! Cosa significava!? Alzai una mano per cercare di allontanarla e notai che era piccola come quella di una neonata. Cosa mi stava succedendo!? Dov’ero e chi era quella donna che mi stringeva tra le braccia?! Avevo paura e, al contempo, ero calmissima. Cos’era quello strano suono? Chi stava ridendo? Girai il viso paffuto e vidi un altro viso, maschile. Gli occhi che sembravano aver visto i secoli passare, il corpo giovane ed aggraziato. Vidi i loro volti cambiare e diventare spaventati, la stretta delle mani della donna sul mio corpo si affievolì e io vidi nei riflessi delle loro iridi che stavo svanendo nel nulla. La mia mano che diventava trasparente e si disintegrava in tanti piccoli frammenti voltanti che, insieme alle schegge che componevano quello che prima era il mio corpo, si staccavano e scomparivano. Una parola si era posizionata sulla punta della mia lingua: “genitori”. Quindi erano loro…loro erano i miei veri genitori…sapevo di essere stata adottata, me ne ero resa conto crescendo che ero completamente diversa sia dall’ uomo che chiamavo papà sia dalla donna che chiamavo mamma. Loro erano entrambi biondi, sembravano due dei greci usciti da un libro. Io ero alta si, ma avevo i capelli scuri e sembravo un nonnulla in confronto a loro.
Il sogno continuò. Mi trovavo nella mia camera da letto nella casa dei miei genitori adottivi. Mia madre era entrata con il viso rosso di rabbia e preoccupazione, mi stava sbraitando contro.
“Hai superato il limite oggi! Ti rendi conto?! Sono le otto di sera! Non ti azzardare mai più a sparire senza avvertire!”
Io ero in lacrime, i sensi di colpa fino alle punte dei capelli. La vidi avvicinarsi e sedersi affianco a me nel piccolo letto.
“Non farmi mai più una cosa del genere… non puoi neanche immaginare quanto mi sono spaventata…”
Mi abbracciò, i suoi capelli profumavano di miele e cadevano soffici sulle spalle. Le sue braccia forti che erano la mia ancora di salvezza. Non mi chiese dov’ero stata perché non ne ebbe il tempo e io sparì nuovamente.
Quando aprì nuovamente gli occhi mi trovavo nel bosco in cui ero stata trasformata. Tutto sembrava stranamente troppo calmo. Non si sentiva un suono, la terra sembrava aver perso ogni colore. Io indossavo i vestiti di quel giorno, ma non avevo nessun morso addosso; da lontano vidi un ombra avvicinarsi a me: era enorme, con fattezze umane. Ricordavo in modo poco chiaro quella figura, ma, riuscendo a vederne solo l’ombra, non riuscivo ad identificarla. E poi tutto avvenne: l’ombra dell’uomo divenne l’ombra di un animale, un lupo che uscì da dietro un albero avvicinandosi acquattato come per puntare una preda. Feci un passo indietro, poi un altro. Più io andavo indietro più lui si avvicinava; continuai ad arretrare finché non inciampai e caddi a terra e lui mi fu addosso. Le fauci spalancate, i denti aguzzi, il suo maestoso corpo addosso e…


Mi alzai di scatto, il sudore ad imperlarmi la fronte: solo uno stupido incubo, un orribile incubo. Dalla finestra entrava la fredda luce della luna. Era notte… per quanto avevo dormito? Che ore erano? Da quanto tempo mi trovavo in quella stanza? Il giorno del morso mi sembrava così distante eppure così vicino…come avevano fatto a trovarmi e chi erano quei ragazzi che si erano presentati a me quando mi ero svegliata la prima volta? Non avevo fame, ne sete, ma mi sentivo profondamente spossata e stanca. Di sicuro a quell’ora tarda nessuno era sveglio tranne me così decisi di tornare a dormire: le mie mille e mille domande avrebbero dovuto aspettare il giorno dopo per ricevere una risposta.

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