Liquid society

di alpha_omega
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prayers written on water ***
Capitolo 2: *** Prayers written on sand ***
Capitolo 3: *** Prayers written on fog ***



Capitolo 1
*** Prayers written on water ***


                               Prayers written on water
 
 
 
 
Arthur Kirkland
La scossa della sveglia faceva un male cane, ma Artur kirkland ormai ci era abituato; dopo diciannove anni non ci faceva neanche più caso.
Ciao Arty! Oggi è un giorno speciale per lei e per tutti i Cittadini! Il Sistema le offre una colazione di quattrocento calorie, scelga pure ciò che le aggrada! La Voce era identica alla sua, ma avrebbe desiderato di possederne anche metà dell’entusiasmo mattiniero.
Si strofinò piano gli occhi, eliminando le ultime tracce di torpore nel suo corpo. Si alzò dal materasso con tutta l’eleganza che permettevano le due ore di sonno concessogli. Un sibilo metallico alle sue spalle indicò che il letto si era appena ritirato nella parete. Si girò e al suo posto era sbucato un tavolo con gli ologrammi di diverse pietanze. Scelse uova al burro e un’aranciata. Usò anche un paio di Buoni Extra avanzatogli dalla festa di qualche sera prima. Sorrise al ricordo: essere l’unico studente su settemila ad aver ricevuto il massimo era davvero un onore; lo stesso avrebbe potuto dirsi del suo incarico permanente. Non era da tutti entrare nelle forze dell’ordine a pieni voti. Nel giro di qualche ora gran parte del dipartimento di polizia sarebbe stato di sua responsabilità.
La stanza assegnatogli, originariamente non misurava che pochi metri quadrati, ma era progettata per poter assumere qualunque forma lui desiderasse, un altro piccolo privilegio della sua nuova carica. Quella mattina era impostata su un modello vecchia Europa: riproduceva un ambiente basato sulla ricostruzione di una dimora austriaca, con le pareti in pietra e i mobili in legno. In un angolo c’era persino un caminetto con sopra tanti piccoli quadri che riproducevano ambienti che lui dubitava esistessero. In quelli più assurdi c’erano come degli strani edifici in un materiale che non riusciva a riconoscere da cui spuntavano dei pali con strani tessuti bianchi attaccati sopra. Galleggiavano sopra una gigantesca distesa d’acqua in movimento e sotto un cielo plumbeo da far paura. Prima di addormentarsi lo aveva fissato per quasi mezz’ora senza capire il perché del suo gesto. Non importava più, ormai, tempo poche ore e sarebbe stato sostituito con qualcos’altro.
Selezionò l’opzione Specchio sul menù oculare impiantatogli al compimento del decimo anno di età e selezionò la divisa da lavoro sulla Omnituta, che si stabilì secondo il codice inseritogli tre giorni prima. Tempo dodici secondi e si ritrovò a rimirare un ragazzo minuto e pallido, con una divisa, che, sebbene fosse impostata sulla sua misura sembrava troppo grande per lui. I capelli biondi e sottili ricadevano in ciocche aggraziate attorno a due occhi verde intenso. Sarebbe potuto essere scambiato per un adolescente se non fosse stato per due sopracciglia che sembrava occupassero da sole un terzo del viso e che gli davano un’aria perennemente seria.
Sospirò e imboccò l’uscio della porta -Ci si vede-.
A presto Arty!
Superati in ascensore i duecentosettanta piani che lo dividevano dal suolo si ritrovò nel centro storico di Nuova Londra, anche se di storico non possedeva granchè: solo un paio di sculture ologramma commemorative e qualche vecchia targa. Per il resto era solo un insieme di corsie luminose dove uomini e veicoli transitavano verso le proprie unità lavorative. Alzò gli occhi verso il cielo, era una cosa che gli capitava spesso ultimamente. Ma come al solito non riuscì a scorgere che uno sprazzo di nuvole in uno spicchio grigio. Nascosto com’era dalle enormi città grattacielo che si stagliavano imponenti per tutta la visuale. Si avviò verso la corsia preferenziale per le forze dell’ordine con una breve corsetta. Mostrò il codice che aveva tatuato sul polso allo scanner e passò senza problemi. Buona giornata Arty, congratulazioni per il suo incarico, il Sistema ha grande stima di lei, non ci deluda!
-Primo giorno, Cheri?- un ragazzo, sulla venticinquina, con lunghi capelli biondi che non aveva notato prima gli stava sorridendo: era alto e ben proporzionato, indossava un largo impermeabile di un viola acceso.
-Tutto a posto? Mi sembri piuttosto teso- gli occhi azzurri dell’altro lo squadravano perplessi -Ti chiami…- le iridi assunsero un colore verde acqua mentre lo scannerizzava -Arthur Kirkland, ce est ça? -.
Annuì – Francis Bonnefoi, giusto? -.
-Oui.- il sorriso si fece ancora più largo –Mi ricordo di te, ero al quinto anno e tu mi hai fermato, chiedendomi di farti fare un giro dell’accademia. Non sei cresciuto molto, però.
Decise sin da subito che quel ragazzo non gli piaceva. Si ricordava di lui: un adolescente borioso e arrogante che per tutta la visita non aveva fatto altro che deridere la sua statura e i goffi abiti dell’orfanatrofio in cui era avvolto.
-Mon Dieu, anche tu un ispettore? Sono nella sezione accanto alla tua.
Strabuzzò gli occhi -Come, scusa?- non era possibile. Era vero quello che aveva appena sentito?
Quello gonfiò il petto -Ma certo, che altro ti aspettavi?-.
Magnifico! Non aveva ancora iniziato a lavorare che la giornata gli si parava più nera che mai.
-Di che grado sei? Non c’è scritto.- Almeno si sarebbe potuto fare due risate: con quell’atteggiamento era quasi impossibile che il Sistema l’avesse ritenuto idoneo anche solo per una misera E...
L’altro si portò un dito alle labbra, come per ricordare. -Mi sembra…B. Se non sbaglio-. Era il grado più alto dopo la A e la S e la 0. Lui era appena alla C. Incredibile, era un suo diretto superiore.
Sospirò. Sarebbe stata dura.
 
 
 
 
 
Alfred F Jones
Il ragazzo correva con tutte le sue forze per i vicoli secondari di Nuova Londra, cercando di sviare le telecamere come meglio poteva. Il cuore a mille Il chip rubato che sembrava pesare come un macigno nella tasca della felpa.
Il materiale da lei sottratto è strettamente riservato la maledetta Voce gli rimbombava nelle orecchie Se non si consegna subito agli agenti di pattuglia saranno adottate misure restrittive estremamente spiacevoli. Non ci costringa a farle del male.
-Col cavolo- borbottò fra se e se mentre si nascondeva dietro uno smaltitore di rifiuti, nell’angolo più buio che riuscì a trovare. Lo avrebbero eliminato sul posto anche senza Chip. Non aveva né un nome ufficiale né una qualsiasi identità elettronica. Suo padre glieli aveva fatti togliere prima della fuga da Nuova Washington.
La tuta che gli aveva prestato Kiku era in grado di eludere i sistemi a rilevazione termica. Altrimenti non avrebbe durato due giorni come ladro, me era consapevole.
Entrò nel cassonetto, fortunatamente ancora vuoto. E aspettò che la truppa fosse passata. Strinse con forza la piccola schedina: stando a quanto gli aveva detto l’Agenzia ancora qualche furto e lui e suo fratello avrebbero ottenuto un chip falso per poter passare i controlli.
Sentì uno spiacevole brontolio allo stomaco. Si strinse con forza la pancia, ignorando la sensazione di vuoto. Quello non era il momento di stare male.
Uno scalpiccio, il rumore del coperchio che si apriva, un fascio di luce -Ce ne hai messo di tempo Jones. Ivan Braginski, un ragazzo circa della sua età, ma dalla corporatura enorme lo aiutò ad uscire. Le sue sorelle Sofia e Natalia sembravano quasi le sue guardie del corpo da quanto stavano all’erta. Probabilmente essere figli del più grande nemico che il Sistema avesse mai avuto non aiutava.
-C’è un furgone che ci aspetta a pochi isolati da qui- la voce sottile e cadenzata del russo era stranamente intonata alla sua figura.
Avrebbe aspettato a consegnargli il contenuto della sua tasca. Non si fidava degli Anarchici nemmeno un po’. Quando gli aveva comunicato che non aveva intenzione di diventare uno di loro erano diventati subito ostili nei loro confronti, ma poco importava. Sarebbero tornati in America; ad ogni costo.
 
 
 
 
ANGOLO AUTRICE
Ecco…non so da dove cominciare: innanzitutto vi ringrazio per aver letto il capitolo, spero vivamente che come prologo sia abbastanza accattivante. E’ la prima storia che pubblico dopo mesi e non so come mi è venuta. So che è davvero da pazzi incominciare una nuova storia quando se ne ha un'altra in sospeso; mi scuso per non averla più continuata, ma la verità è che non sono più riuscita a mandarla avanti. Ricomincerò a pubblicarla non appena mi verrà un’idea buona, lo prometto!
Un saluto speciale ad aka-sama. Un giorno pubblicherai quella fanfic, ricordatelo u__u
Grazie a tutti e alla prossima
Un bacione
Alpha_omega.

 

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Capitolo 2
*** Prayers written on sand ***


                                                                                                                                                                                                        Prayers written on sand




Francis Bonnefoy

Attraversarono insieme l’ingresso del Ministero: la sede centrale della pubblica sicurezza. Era un enorme complesso di edifici dalle pareti lucide che riproducevano l’azzurro pallido di un cielo estivo. Si trovava a qualche chilometro di distanza dal Centro Storico. E la vista sulle colline e sul cielo della neo metropoli sarebbe stata limpida se non si fossero contate le olo-pubblicità e le gigantesche antenne radio che pareva, sfidassero il cielo.
All’entrata c’erano moltissme persone; perlopiù tecnici, affollati contro le transenne, che attendevano il loro turno per essere riconosciuti ed entrare. Ci avrebbero messo parecchi minuti a farsi strada tra la folla, se non fosse stato per il segnale inviato dai loro chip, avvertendo la folla della presenza di due agenti. Come un onda ogni singolo individuo si schiacciò contro le pareti par farli passare. Era la procedura. Come ogni volta da sei anni a quel giorno Francis si meravigliò dei propri privilegi. Da come la vedevano gli altri cittadini, il suo lavoro era così importante da lasciarlo passare anche quando il sistema non lo riteneva necessario. Era gratificante camminare con addosso gli sguardi ammirati delle altre persone.
- Sorpreso Oui?- sorrise allo sguardo sorpreso del suo collega più giovane –A quanto pare ci considerano le mani del Sistema in terra-. Quello non lo guardò nemmeno, impegnato com’era a consultare le proprie mansioni - Se è qualcosa che viene dal sistema non può esere che giusta, non le pare?-
- Oui-. Certo che era proprio scontroso.
Si incamminarono in silenzio verso l’entrata a vetri scuri,che li riconobbe subito. Sbucarono nell’atrio: una grossa sala circolare dal soffitto a volta, abbellita con grosse lastre di marmo bianco che ne ricoprivano l’intera superficie.
Gettò un’occhiata al minuscolo tatuaggio mobile, sull’indice sinistro: numeri digitali che indicavano l’ora, utilissimo quando non poteva accedere al server durante le missioni. Se non si fosse sbrigato avrebbe rischiato di arrivare in ritardo.
-Oh, ce le plus tard!-. Era stato piacevole riconoscere un vecchio compagno di corso, anche se quello non faceva altro che rivolgergli sguardi truci e taciturni da sotto due gigantesche sopracciglia che lo invecchiavano di qualche decina d’ anni. Fece un cenno di saluto- Beh, a dopo cherie.-

Arthur Kirkland

Il suo dipartimento si trovava a uno dei piani più alti: l’ascensore era addirittura più ampio di quelli che si usavano nelle Città-Grattacielo, e anche più veloce; arrivò al 57° piano in quattro minuti; trascorsi a guardare le facce cupe delle persone sedute sulle panche a parete. Il pavimento mostrava un fondale marino: con tanto di pesci variopinti e sabbia e sassi mossi dalla corrente: con tanto di musichetta rilassante. Poggiò un piede su un grosso pesce azzurro: quasi ci rimase male quando lo vide sgusciare via.
Gli fu riservata una fredda accoglienza da parte del suo superiore: se lo aspettava, Ludwig Beillshimdt non era famoso per un carattere particolarmente solare: un ragazzo alto e muscoloso, dagli squadrati lineamenti nordici con sottili occhi azzurro cenere, quasi inespressivi. Sedeva composto sulla sedia in sinto pelle, con un atteggiamento freddo e distaccato. I suoi gesti sembravano quasi meccanici. - Sei quello nuovo, Kirkland, giusto?-
- Si.
- Bene – Gli inviò un file – Perdonami , ma non abbiamo il tempo per farti ambientare: questi sono i dati relativi ad un furto di dati di media importanza, avvenuto la scorsa notte. Da un ragazzo che non veniva rilevato da alcun tipo di scanner.
Arthur sentì un brivido percorrergli la spina dorsale, un “Refrattario”, impossibile da controllare o prevedere. Il loro organismo rigettava ogni tipo di modifica. Erano appena lo 0,01% della popolazione, ma non esisteva niente di più pericoloso. Ogni singolo crimine dall’installazione del programma era stato compiuto da uno di loro. Erano abbastanza facili da riconoscere, il difficile però, era catturarli. Se l’istallazzione, al decimo anno di età, era rigettata immediatamente, si poteva tranquillamente internare in un qualche edificio militare, mentre se passava diverso tempo prima che l’organismo rifiutasse le sostanze estranee potevano tranquillamente trovare il tempo per scappare. Quelli catturati vivi erano impiegati per trovare un vaccino, o, nei casi più rari, aiutare le forze di polizia a catturarne altri. Per una frazione di secondo rivide ogni singolo video, ogni singolo documento di quando da bambino lo mettevano in guardia da quanto fossero pericolosi. Non passava giorno che qualcuno venisse ucciso da uno di loro.
-Non possediamo né foto né registrazioni audio o video, eccetto le testimonianze di alcuni studenti che stavano rientrando alle loro abitazioni dopo il turno serale. Gli porse una lastra intelligente sulla quale era impresso il volto di un ragazzino, con capelli biondo cenere e gli occhi tendenti all’azzurro: un paio di occhiali squadrati incorniciava il tutto.
- Quelle non sono lenti normali -, il suo superiore scosse la testa – Creano un’identità fasulla per un breve periodo di tempo agli occhi dei cittadini, mentre per un breve periodo di tempo avviano una sequenza in loop di quindici secondi agli occhi delle telecamere: riproducono l’ultima immagine prima che inquadrassero lui. Non è il primo episodio: sospettiamo che questo ladro sia al servizio di un gruppo di anarchici che si fa chiamare Timkov.
- Timkov?-
- Sono i responsabili di quasi tutti gli attacchi terroristici degli ultimi quattro anni,per quanto ci proviamo, è impossibile catturarne uno vivo, si avvelenano appena si rendono conto di essere in trappola con una pillola che portano sempre con loro. Sospettiamo che facciano uso di mercenari Refrattari sotto la promessa di un viaggio di fuga all’estero, in questo caso c’è un’alta probabilità che non si uccidano prima che li si catturi. Il tuo compito sarà quello di indagare su questo tizio. Ti sarà assegnato un partner Refrattario controllato e un collega esperto. Domande?-
-No signore.-
-Fatti trovare sul tetto tra cinque minuti: vi verranno assegnate una librauto e delle armi: sono settate per sparare a fonti di calore prive di chip. Se il Refrattario assegnatovi dovesse darvi problemi avrai il permesso di ucciderlo. Chiaro?-
- Trasparente, signore -.


Gilbert Bellshimdt

-Hai ricevuto un incarico, trenta secondi per prepararti-.La voce della guardia lo colse di sorpresa.
-Stavo dormendo, non si bussa?- Ghignò, stiracchiando le gambe sul pavimento imbottito. La camera era completamente all’oscuro, ma per i suoi occhi abituati alla scarsità di luce era uno scherzo vedere come se fosse giorno.
Il fascio di luce improvviso gli ferì gli occhi. -Esci - .
- Siamo maleducati, eh? Che c’è la tua fidanzata ti ha tradito?-.
Ricevette un calcio allo stomaco –Seguimi -. Si alzò barcollando, massaggiandosi la pancia con una smorfia. Non si sarebbe mai piegato. Era stata l’unica promessa che non aveva ancora tradito. Anche se a volte tirava un po’ troppo la corda con i carcerieri.
Passarono per un corridoio basso e scuro, con piccole cellette identiche alla sua sparse in modo regolare ai lati. La maggior parte delle persone all’interno erano rannicchiate in un angolo delle camere imbottite, svenute o semincoscienti a causa dei farmaci. Avrebbe dovuto ringraziare Francis, se la maggior parte delle volte riusciva a evitare di prenderli.
Nell’ascensore blindato le pareti a specchio gli restituirono lo sguardo stanco di un ragazzo pallidissimo, con due pesanti occhiaie per la mancanza di sonno. I capelli candidi erano cresciuti leggermente dall’ultima volta che si era visto. Ora arrivavano quasi alle orecchie. La divisa era la cosa più orribile che avesse mai visto. Bianca, come tutto il resto: una camicia e dei pantaloni di tela con un numero. L’unico accenno di colore nella sua figura erano gli occhi, di un rosso acceso, le pupille ridotte alle dimensioni della capocchia di uno spillo.
Quando arrivarono al tetto la luce quasi lo bruciò. Si coprì gli occhi con una mano, anche se sapeva che per la sua pelle non aveva altra protezione che quello schifo di uniforme. -Volete davvero che il magnifico me vada conciato in città in questo modo?!?-
La guardia gli porse un bracciale di metallo –Funziona come un chip. Toglilo e nel giro di una frazione di secondo salterai in aria come un petardo-.
Appena lo indossò sentì i minuscoli arpioni di metallo conficcarsi nella vena del polso per confermare il battito cardiaco; dopodiché la sua divisa cambiò forma, assumendo le sembianze di un completo da Jogging rosa.
–Agirete in borgese. Niente lamentele- disse la sentinella, in risposta alla sua occhiata torva.-
Sospirò – Povero magnifico me!-
Avrebbe preferito la divisa.


ANGOLO AUTRICE
Scusate il ritardo: non sono stata molto bene in questi giorni, e posso aggiornare solo adesso.
Ringrazio tutti quelli che hanno letto fino alla fine. Spero che il secondo capitolo vi sia piaciuto <3
A presto Alpha_omega

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Capitolo 3
*** Prayers written on fog ***


                                                                                                     Prayers written on fog
 
 
 
Alfred F Jones
Le luci della città notturna sfrecciavano come lucciole impazzite dal vetro del finestrino, illuminando, mano a mano che viaggiavano, un paesaggio sempre meno curato. Le insegne si fecero più rade, le stelle meno spente, e da qualche parte nell’erba scura si sarebbe potuto ancora sentire il profumo della rugiada.
Si fermarono in un sobborgo di periferia, a pochi chilometri dal Tamigi, tra case diroccate e vecchi capannoni, ormai usati come tana da qualche famiglia di roditori.
Dietro una vecchia saracinesca sbrindellata, addossato ad un grosso stabile di lamiera arrugginita c’era’ologramma che nascondeva l’ingresso alle gallerie: era tra i migliori nel mercato nero. Se lo si apriva, si sarebbe trovato solo un banalissimo capanno degli attrezzi in disuso. Il campo di forze era così perfetto che anche le pareti, se toccate, avrebbero mandato le stesse situazioni di pareti vere.
Alfred indossò gli occhiali. Gli venne quasi un colpo a vedere il grosso squarcio che si apriva nel terreno, proprio davanti a lui.
La sede degli anarchici si trovava in quella che un tempo era stata la metropolitana londinese, nel sottosuolo della Londra originale: la linea di trasporti era, ormai, abbandonata da decenni, sostituita dai nastri mobili in superficie.  Non era una bella vista: solo una apparentemente infinita serie di corridoi semi crollati, ai cui lati sopravviveva qualche piastrella cadente e sporadici murales, ormai corrosi dalla muffa. A volte spuntavano qua e la i vecchi treni, alcuni fermi e arrugginiti, altri gettati di lato, come carcasse abbandonate, tra fango e polvere.
Malgrado gli anarchici disprezzassero il sistema dal profondo dell’animo, non potevano fare a meno dei benefici della tecnologia moderna. Una delle ale distrutte era in realtà un ologramma di ottima fattura, se a qualcuno fosse passata per la testa, l’idea di andare a sbatterci contro, si sarebbe ritrovato in una serie di strettissimi e claustrofobici corridoi illuminati a giorno; sprofondavano nelle viscere di cemento, nella profondità del settimo livello sotterraneo, che, a detta delle autorità era completamente allagato. Gli anarchici, con un enorme dispendio di tempo, denaro ed energie, ne avevano fatto la loro sede.
Il dormitorio era stato ricavato da un ampio corridoio, con file e file di letti a castello numerati, un minuscolo armadietto laterale per tenere i vestiti e gli oggetti personali a testa e una decina di piccoli altoparlanti per gli annunci ai lati.
La postazione riservata a lui e a suo fratello più piccolo era una delle più lontane dall’entrata, si buttò nel letto di sopra, sfinito dalla lunga giornata. Ancora un altro chip da rubare, stavolta ad un semplice impiegato, sulla compravendita di un qualche tipo di vernice intelligente che si adattava ad ogni tipo di superficie e si illuminava a seconda del momento della giornata, avrebbe fatto risparmiare parecchio.
-Fratellone?- Il viso infantile del fratellino occupò gran parte del suo campo visivo. Era dimagrito molto dal loro viaggio in Europa, ma le guance piene non accennavano a sparire, e insieme a quegli occhi chiari come il cielo tradivano i suoi otto anni. Anche i capelli, in principio corti, gli erano cresciuti fin sotto le orecchie, le labbra piene e carnose aperte in un sorriso radioso. – Come è andato l’incarico?-.
Gli scompigliò scherzosamente i capelli con una carezza stanca – A posto, come al solito. –  Lo abbracciò, con i capelli del bambino a solleticargli il mento. – Ti sei fatto dei nuovi amici? –
L’altro annuì, con il viso affondato tra le pieghe della felpa lisa, stringendosi il più possibile a tutto ciò che restava della sua famiglia – Abbiamo trovato un pallone, c’era un ragazzo che ci ha spiegato le regole di un gioco nuovo. Dovevi colpire con la palla quelli dell’altra squadra, e se ci riuscivi allora li avevi fatto prigioniero.–
–Era bello? –
-Si, ma sono stato preso tante volte-. Si staccò da lui e si rannicchiò sotto le coperte – questa notte posso dormire con te, fratellone?
Annuì , cercando di spiegarsi come diamine ci sarebbero potuti entrare tutti e due in quel materassino minuscolo che fino a pochi secondi prima era il suo letto – Certo Matt, puoi dormire con me tutte le volte che vuoi. –
-Può dormire con noi anche Kimimaro? –
– Kimimaro? –
Senza dare risposta, il bambino scese come un fulmine, giù per la stretta scaletta di metallo, e ritornò con un orso bianco di pezza, che pareva aver vissuto tempi migliori: mancavano il braccio, e l’occhio sinistro, terminanti entrambi in una serie di fili strappati e penzolanti nel vuoto. Il sorriso che vi era ricamato sopra era tutto fuorché rassicurante e il pelo sintetico era strappato e liso in più punti, lasciando uscire l’imbottitura giallastra e maleodorante.
Deglutì, sperando che gli anarchici addetti alla pulizia lo scambiassero per un qualche rifiuto e lo gettassero nel riciclatore. Avrebbe dormito volentieri sul pavimento pur di non trovarsi quel coso davanti alla faccia al suo risveglio, ma se poteva fare felice suo fratello non avrebbe mai protestato per nessuna ragione al mondo.
Annuì con un sorriso tirato. Fece per mettersi seduto, ma dovette sdraiarsi a causa di un capogiro improvviso.
Si portò una mano tremante allo stomaco, sentendo un familiare brontolio. Eppure era stato alla mensa poche ore prima. Non si stupì, non era la prima volta che gli capitava qualcosa del genere: gli alimenti di sintesi a volte davano degli effetti collaterali ai Refrattari, essendo progettati anche per nutrire i chip impiantati nelle varie parti del corpo, ma che potevano farci, visto che era l’unico cibo disponibile sottobanco?
A volte ripensava alla sua vita a Nuova Washington, domandandosi se fosse successo davvero o se fosse stato solo l’ennesimo strano sogno, provocato da quella sbobba insapore che chiamavano cibo.
Gli mancava la sua vecchia vita: un semplice ragazzo alle prime prese con l’adolescenza, che non pensava ad altro che ad uscire con gli amici il sabato sera o a giocare nei locali di ologiochi fingendo di essere degli stupidi eroi in calzamaglia.
Era stato tutto un sogno. Una semplice Chimera a cui aveva sfiorato la coda avvelenata.
Il suo organismo aveva rigettato il Sistema.
Era stato come in un videogame: quando nel bel mezzo del Volo della vittoria, per festeggiare la vincita contro l’antagonista megalomane di turno, i segnali sensoriali falsi smettevano di funzionare, e doveva togliersi il casco, tornando alla solita saletta male illuminata e gremita di ragazzini.
Il camion blindato è venuto a prenderlo a scuola. Cammina, con il capo chino, tra i banchi e le occhiate di disgusto dei compagni. Non ha la minima idea di come sia potuto succedere: pochi minuti prima stava tranquillamente giocando a palla,  nel cortile con gli amici durante la ricreazione e ora è nel mirino di almeno una cinquantina di fucili di precisione, i ragazzi che considerava quasi come dei fratelli a guardarlo come se fosse un mostro.
Si è sentito male durante il rientro in classe. Non fa in tempo a sedersi che vomitava in ginocchio, con le mani premute convulsamente nello stomaco, ha l’impressione che qualcosa dentro di lui vada a fuoco. Non respira, si porta una mano alla gola, stretta in un nodo invisibile.  Si accascia a terra e chiede aiuto tra le lacrime,ogni parola sembra avere l’effetto dell’acido. La sensazione del pavimento freddo contro la guancia si fa sempre meno precisa. Quando gli sparano sente il suono del suo stesso urlo. Chiude gli occhi, e la sua visione del mondo lo saluta, con le espressioni schifate dei compagni a fare da sfondo.
Sa che sta per morire. Si stende sulla superficie liscia, che inizia a sembrargli sempre meno gelida …
Una mano poco gentile lo scosse con violenza. Cacciò un urlo, terrorizzato, e si tirò a sedere sopra il materasso, tremante di paura.
– … Fratellone? –.
Fu come se il mondo avesse ricominciato a girare. Era nell’infermeria dei Timkov. Un largo salone asettico e punteggiato di grossi letti con le apparecchiature a fianco e qualche armadietto per i medicinali. Sentiva la consistenza morbida della brandina dove era sdraiato e l’odore di disinfettante delle coperte pulite, sulla fronte sentiva la consistenza fresca di un qualche unguento.
-Sei svenuto, ti abbiamo portato qui noi-  la voce squillante di Yao Wang gli risparmiò la fatica di alzare lo sguardo: un ragazzo orientale di appena diciannove anni, il fisico minuto e androgino, unito con gli espressivi occhi a mandorla e i lunghi capelli neri stretti in un codino, che se non stato per l’atteggiamento sicuro e certe volte addirittura rude, gli avrebbero dato quasi un’aria femminea. Era il medico della Timkov: insieme a suo fratello Kiku, erano arrivati poco prima di lui e Matt; dal loro primo incontro non si erano scambiati che poche parole, ma gli dava l’impressione che fosse una delle poche persone simpatiche lì dentro, quando lo incrociava nella mensa gli rivolgeva sempre un breve sorriso.
Si portò una mano alla testa, dove avvertiva un doloroso pulsare. Sentì le dita sottili dell’orientale stringergli delicatamente il braccio, fermandolo. – Sei caduto di testa, ti ho dovuto applicare qualche punto –. Con gesti precisi e veloci gli scostò una ciocca di capelli dalla fronte. Prese una garza pulita intinta in un liquido trasparente e la passò sulla ferita. Alfred trattenne un grido di dolore al contatto con il disinfettante.
– Si, lo so, brucia un po’, ma è meglio se per un po’ non ci metti sopra le mani –. Il suo tono di voce era straordinariamente pacato.
– Grazie –.
Scosse la testa – Di niente, come è successo? E’ qualcosa di cronico? –
– Più o meno: ce l’ho da quando … da quando non ero più un … – le parole gli morirono in gola, era stato così abituato a vivere sotto il Sistema che qualcosa dentro di lui, si rifiutava ancora di convincersi della sua situazione.
– Capisco, ma non preoccuparti, non sei il primo a cui capita, ecco, aspetta …  –. Corse verso l’armadietto dei medicinali, dall’altro lato della sala e gli portò un piccolo contenitore cilindrico – Sono ancora sperimentali, ma nessuno di quelli che le hanno prese ha mostrato segni di intolleranza, prendili ogni volta che ti senti male, ma se peggiora vieni a dirmelo subito, intesi? –.
– Grazie, dott –
Non gli diede il tempo di finire la frase – Chiamami Yao – disse con un sorriso. Gli porse una mano, il polso magro che quasi affogava nelle maniche troppo ampie della divisa candida – Alfred, giusto? –
La strinse – Si –. Si sorprese di quanto potesse essere forte. Ricambiò il sorriso.
Yao gettò un’occhiata al’orologio da polso – Temo di dover andare, passa pure la notte in infermeria, se vuole può stare con te anche tuo fratello–.
I grandi occhioni blu di Mattew brillarono – Davvero!? E può stare con noi anche Kimimaro? – Si strinse al petto quella cosa informe che un tempo era stata un orsacchiotto di pezza. – Vero? –.
Nessuno dei due ebbe il coraggio di negarglielo.
 
 
 
 
 
 
Arthur Kirkland
Erano passate già due ore dall’inizio della perlustrazione. Ma di indizi neanche l’ombra, e il Refrattario che avrebbe dovuto fargli da semplice supporto scorta non la smetteva più di parlare del più e del meno.
– Sicuro che non ne vuoi una? – gli porse l’ennesima caramella al miele dal grosso pacchetto, che aveva avuto la sfacciataggine di comprare, da uno dei commercianti interrogati, per alleviare la perdita del furto e lenire il duro allenamento di due poveri atleti.
La loro copertura era quella di due ragazzi che si allenavano per le olimpiadi di Neo Atene, anche se avevano un aspetto tutt’altro che atletico, o almeno lui non ce l’aveva. L’altro, malgrado il fisico minuto presentava un aspetto allenato e quasi sano.
Per fare un po’ di scena dovettero fare una breve corsetta per un viale di alberi olografici, fu deprimente quando si rese conto di essere già zuppo di sudore dopo pochi minuti.
Si maledì per non aver portato una qualche pastiglia energetica, o tantomeno qualche pillola idratante. Uno di quei giorni avrebbe richiesto un trattamento muscolare intensivo all’ufficio, sempre se quella corsa non lo ammazzasse prima.
L’albino gli porse una bottiglia d’acqua – Tieni –.
Per poco non gli prese un colpo, erano anni che non beveva della vera e propria acqua; avrebbe rischiato di rovinare qualche chip che si trovava nello stomaco, era praticamente illegale anche solo trasportarne una dose minima.
Si sentì avvampare – Tu, in una posizione delicata come la tua ti permetti di … –.
Quello si trattenne a malapena dal ridere – Non ti scaldare, sembri quel mezzo soldatino di mio fratello; sono un Refrattario, ricordi? Ho un’idratazione diversa dalla tua –.
Vero. Come aveva fatto a non pensarci? C’erano poche persone nel parco, fortunatamente, e lui per poco non aveva rischiato di far saltare la copertura. Cercò di recuperare – In ogni caso non posso berla –.
– In dosi minime non ha mai fatto male a nessuno –. Gli rivolse una strizzatina d’occhio. – Dai, prendine un po’–.
– No –.
Fece spallucce – Come vuoi, che facciamo allora, capo?–
Sospirò – Continuiamo a chiedere in giro e a consultare i droni da perlustrazione, prima o poi ne ricaveremo qualcos–
Refrattario latente in fase di rigetto a ore due, quattrocento metri codice rosso, armi in arrivo.
Le olo tute scomparvero, sostituite dalle divise da poliziotti.  Individuate l’obbiettivo e non perdetelo di vista, non intervenite fino a che non ve ne sarà dato l’ordine. Attendete maggiori dettagli.
– Stammi dietro capo! – Il Refrattario scattò a sinistra, selezionando contemporaneamente delle opzioni sul bracciale a velocità vertiginosa. Gli indicò un piccolo drone volante che sfrecciava rasoterra verso di loro, le minuscole eliche che lo tenevano in aria erano quasi invisibili tanto andavano veloci, imprimendo piccoli solchi circolari nella sintoerba sotto di loro.
Sapeva cosa fare: non si erano contate le esercitazioni all’accademia. Corse verso il robot, che si fermò a mezz’aria con uno scatto. Un piccolo braccio meccanico gli porse una pistola con una minuscola lucina rossa sul mirino. Brutto segno, il soggetto sarebbe dovuto essere eliminato.
Raggiunsero insieme l’albino, inginocchiato a fianco di una giovane donna in lacrime, un piccolo capannello di curiosi increduli si andava formando attorno a loro.
Inviò l’immagine del proprio distintivo ai chip oculari di tutti – Polizia! –. Cercò di essere il più autoritario possibile – Non c’è niente da vedere qui, tornate alle vostre attività. Se assistevano a una eliminazione senza un minimo di allenamenti psicologici avrebbero rischiato grosso anche a livello di equilibrio interno. Non ci teneva proprio a scatenare un altro rigetto.
Qualcuno se ne andò subito, altri aspettarono qualche manciata di secondi per poi dileguarsi.
Puntò la pistola contro la ragazza – Si sposti e prenda l’arma fornitagli, Agente –.
Avrebbe giurato di vedere una punta d’odio, nel rosso delle iridi – Che diavolo stai facendo?!  Può ancora guarire. – ringhiò il ragazzo. – Guarda nello scompartimento sotto la custodia delle armi, pezzo di idiota –.
Senza staccare il mirino dai due si chinò per aprire il piccolo cassettino. C’era un contenitore tubolare pieno di un liquido azzurro pallido, un minuscolo ago spuntava da un’estremità, protetto da un cappuccio in plastica. Lo riconosceva: era un semplice integratore che gli agenti usavano nella caccia all’uomo, per recuperare energie quasi immediatamente, dopo una corsa.
– Lanciamelo –.
Era pazzo, irrimediabilmente pazzo. Probabilmente lui lo era ancora di più. Lo buttò a terra e glielo avvicinò con un calcio, senza smettere di puntare alla ragazza, che nel frattempo aveva smesso di tremare, e guardava il suolo con occhi vacui, accasciata contro Gilbert.
Quello la aiutò a sdraiarsi sull’erba, tenendole la testa sollevata dal suolo e le iniettò una dose minima del siero. – Non avere paura, questo ti aiuterà, cerca solo di non mollare proprio adesso. Con una bellezza come te sarebbe proprio un peccato se te ne dovessi andare – .
Dopo pochi minuti ricominciò a respirare normalmente. Arthur guardò dentro il mirino della pistola: il livello di rigetto si abbassava ulteriormente ogni secondo che passava. La lucina passò da rossa a gialla, e rimase stabile. La pistola si settò su “non letale” e lì rimase. Gilbert prese la propria arma e sparò una scarica minima contro la giovane donna, facendole perdere i sensi. Si alzò e lo squadrò con un sorriso sarcastico – Che io sapessi  il vostro lavoro era proteggere la gente, non ucciderla –.
Non sentì nemmeno la domanda tanto era incredulo – Come hai fatto, quello era soltanto un energizzante –.
L’albino sorrise, mentre chiamava un’ambulanza dall’ospedale più vicino – Il rigetto è puramente psicologico: se fai credere a una persona che le stai dando una cura, allora si fermerà, ovviamente deve essere appena iniziato, altrimenti non funziona –.
Rimasero lì, ad aspettare i rinforzi;  la ragazza fu caricata sopra una barella e portata con tutte le attenzioni dentro il veicolo d’emergenza.
Mentre la librauto sfrecciava verso la centrale, insieme agli altri agenti, per fare rapporto, Artur non poteva fare a meno di osservare il veicolo blindato poco dietro di loro, dove erano chiusi gli Agenti. Non aveva mai sentito parlare di qualcuno in grado di fermare un rigetto in piena esecuzione. Fece una veloce ricerca sull’albino, figurava solo il suo nome, mentre per il cognome si poteva leggere solo la lettera iniziale B. Per il resto delle informazioni occorreva un permesso speciale, che lui non aveva.
Ma chi è veramente questo ragazzo?
 
 
ANGOLO AUTRICE
Salveeeeeeee. Dopo una pausa lunga due settimane eccomi qui! Il terzo capitolo; che ne pensate?  =)  Nel prossimo capitolo ci saranno due nuovi personaggi che personalmente amo! Manca poco e inizierà la storia vera e propria.
Grazie per aver letto il capitolo, a presto.
Alpha_omega

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