Che ne sarà di noi.

di DulceVoz
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La festa di compleanno. ***
Capitolo 2: *** Conoscenze più o meno gradite. ***
Capitolo 3: *** Come un uragano. ***
Capitolo 4: *** Un dolore devastante. ***
Capitolo 5: *** Un amico fantasma. ***
Capitolo 6: *** Un testamento particolare. ***
Capitolo 7: *** Restare o scappare? ***
Capitolo 8: *** Decisioni da prendere. ***
Capitolo 9: *** Guerra e pace. ***
Capitolo 10: *** Il giorno del giudizio. ***
Capitolo 11: *** La fuga di Diego. ***
Capitolo 12: *** Sistemare le cose. ***
Capitolo 13: *** Incontri a sorpresa. ***
Capitolo 14: *** Clima rovente. ***
Capitolo 15: *** Confusioni del cuore. ***
Capitolo 16: *** Non è mai un errore. ***
Capitolo 17: *** Ser quien soy. ***
Capitolo 18: *** Un'altra possibilità. ***
Capitolo 19: *** Allontanarsi o agire. ***
Capitolo 20: *** Farsi coraggio. ***
Capitolo 21: *** Una conclusione affrettata. ***
Capitolo 22: *** Senza riserve. ***
Capitolo 23: *** Una notte magica. ***
Capitolo 24: *** Quanto amore nell'aria. ***
Capitolo 25: *** L'amore è una cosa semplice. ***
Capitolo 26: *** Reazione a catena. ***
Capitolo 27: *** Intuizioni e chiarimenti. ***
Capitolo 28: *** Doni preziosi. ***
Capitolo 29: *** Una nuova avventura. ***
Capitolo 30: *** Fuochi d'artificio. ***
Capitolo 31: *** 4 anni dopo - Epilogo. ***



Capitolo 1
*** La festa di compleanno. ***


La festa di compleanno. Cap.1
 
 
“- Mamma vedrai che zia Angie porterà una torta favolosa!”. Il giardino della villetta dei Castillo era già addobbato di palloncini e festoni, con tavoli imbanditi di ogni prelibatezza che facevano bella mostra di sé sotto al portico della casa, adorno di vasi zeppi fiori, in particolare violette e gerani dai mille colori. “- Non ho dubbi, tesoro! E soprattutto sarà squisita come al solito! E’ una maga nei dolci!” Esmeralda Saramego scese i gradini della veranda e si avviò sul vialetto principale della casa, guardandosi intorno per studiare che tutto fosse in perfetto ordine per la festa di compleanno di sua figlia minore, Ambar. “- Dici che porterà anche i cupcakes? Io adoro i suoi, sono così colorati, gustosi… adorabili!” Violetta saltellò dietro sua madre allegramente, ancora dei nastri lilla in mano, con i quali aveva appena finito di contornare, per decorarlo, lo steccato che circondava la casa. “- Penso di sì… Dov’è tuo fratello?” Chiese d’un tratto la donna, rivolgendosi alla giovane che indicò la casa accanto con un cenno fugace del capo. “- Indovina un po’! tra poco inizierà il frastuono e capirai da te…” Ridacchiò con aria sarcastica, indicando il villino vicino al loro: dalla direzione mostrata dalla giovane, proprio in quell’istante, iniziò una musica assordante, una accozzaglia di suoni di due chitarre elettriche, batteria e una voce intonata ma ancora troppo coperta dagli strumenti. “- E’ di nuovo dai La Fontaine? Ottimo! Gli avevo anche detto che oggi era un giorno speciale… non mi ascolta mai quel ragazzo!” Sentenziò la donna seria, ma tradendo il suo tono severo con un dolce sorriso. Come poteva rimproverare il suo primogenito, 17enne sempre così allegro e spensierato? Sarebbe tornato di lì a poco come se nulla fosse accaduto e sicuramente avrebbe cominciato a girovagare intorno al cibo invece di aiutare… tanto valeva lasciarlo andare dal suo migliore amico! Diego era una peste, lo era stato fin da piccolo e continuava su quella strada… vivace, divertente, solare, disordinato… e pure affettuoso e tanto, sia con le sue sorelle che con lei e German. Il padre lo chiamava il suo:“mini capo”, per il fatto che a volte si mostrasse tanto duro con gli altri… ma quando riguardava la sua famiglia, i suoi affetti era un’altra persona e tutti dovevano riconoscerlo, amici e parenti compresi. “- Mamma sai com’è fatto! I maschi sono tutti uguali!” Sentenziò la ragazzina, ruotando gli occhi al cielo e prendendo a riflettere su come posizionare il tavolo sul quale disporre i regali di compleanno per la sua sorellina minore. “- Che dici se i pacchetti li lasciamo qui, all’ingresso? Così non appena torna impazzirà di gioia nel vederli!” Sorrise poi la giovane, facendo annuire la donna che si riavviò una ciocca ramata per portarsela nervosamente dietro all’orecchio: Ambar e German sarebbero tornati di lì a poco ma di sua sorella e degli altri invitati ancora non c’era traccia… non che fossero molti, ma se voleva che la festa a sorpresa funzionasse doveva avvertire il marito per farlo ritardare ancora un po’ o sarebbe andato tutto in frantumi. “- Chiamo tuo padre e gli dico di trattenersi in spiaggia… manca tutto, torta, dolci e zia compresi!” Sentenziò la Saramego, facendole l’occhiolino prima di rientrare in casa, scuotendo il capo per il chiasso ancora proveniente da quella accanto. Sua sorella… sempre la solita! Era sicura che avrebbe avuto problemi con la sua pasticceria, il Restò Bar, o con i turni di lavoro che organizzava… se poi si fosse ricordata all’ultimo secondo di qualche pasticcino in ritardo con la consegna sarebbe stata la fine! Ci teneva così tanto al suo piccolo locale, un tempo dei loro genitori… così tanto che lì dentro, a volte, sembrava perdere la cognizione del tempo. Esmeralda cercò il cellulare sotto ad un mucchio di progetti sul tavolinetto del salotto, tutti del lavoro di German e compose il numero per dirgli di prolungare la sua passeggiata con la figlia più piccola… poi avrebbe dovuto chiamare quella confusionaria di Angie per ricordarle della festa: non se ne sarebbe mai dimenticata, ma almeno così facendo, si sarebbe data una mossa per arrivare in tempo. Guardò l’orologio appeso nella grande cucina e notò che segnasse già le 17:30… per le sei sarebbero stati tutti lì, amici e parenti, pronti a festeggiare la più piccola di casa. Un lampo di preoccupazione le attraversò improvvisamente lo sguardo: e se sua sorella si fosse rifiutata di andare comprendendo che al party ci sarebbe stato anche Pablo, il migliore amico di German? Sapeva che lei lo odiasse, che per quanto lei e suo marito avessero tentato di farli finire insieme, avessero fallito miseramente: in effetti quei due erano i poli opposti, due facce diverse di una stessa medaglia, due binari destinati a non incontrarsi mai… ma no, in ogni caso Angie non aveva potuto lasciare la sua adorata nipotina senza dolci di compleanno, non era proprio nel suo stile.
“- Esme… ci sono problemi?” Senza neppure essersene accorta, gli squilli dall’altra parte del ricevitore erano terminati e la voce profonda di Castillo, ansioso come sempre, la interpellava con un tremito di tensione nel tono, sin da subito, preoccupato. “- No, o meglio nulla di grave. Restate ancora un po’ in spiaggia… Angie non è arrivata, di conseguenza mancano i pasticcini e… facciamo così, venite qui per le sei e trenta, d’accordo?” German ascoltò in silenzio per non far insospettire la figlia, seppure fosse ancora sul bagnasciuga a raccogliere conchiglie, a qualche metro di distanza da lui. “- Tranquilla, amore… andrà tutto a meraviglia!” Esclamò soddisfatto, senza staccare nemmeno per un secondo gli occhi dalla bambina.  “- Speriamo… a dopo. Ti amo.” Sussurrò lei, timidamente, imbarazzandosi come una ragazzina alla prima cotta per le sue stesse parole. “- Anch’io, tanto. Ci vediamo più tardi.” E così dicendo, riagganciò.
“- Toc, toc… posso entrare?” Una voce fece sobbalzare la donna e la sua ospite si preoccupò prontamente di averla spaventata troppo. “- Marcela, ciao! Scusa ero sovrappensiero e devo telefonare a mia sorella… aveva detto sarebbe venuta prima per aiutarmi ma come al solito è in ritardo!”  Sentenziò Esmeralda, facendo segno all’altra di accomodarsi alla sedia del tavolo del soggiorno, strapieno di pietanze salate pronte per essere portate in giardino insieme al resto delle leccornie preparate dalla stessa padrona di casa. “- Perdona l’intrusione ma quei ragazzi con questa storia della band mi manderanno al manicomio! Non li sopporto più! Avevo bisogno di evadere!”. Marcela Parodi era la vicina di casa dei Castillo da poco tempo, circa due mesi, ma suo figlio Leon e Diego erano diventati sin da subito amici… erano tanto simili caratterialmente che sarebbe stato inevitabile non vederli legare dal primo istante che si erano conosciuti. “- Non sarà la band, ma piuttosto tuo marito a mandarti alla Neuro prima o poi!” La corresse la Saramego ridendo, riferendosi a Matias, stesso carattere di suo figlio maschio, allegro ma di certo da non poter vincere il premio di “marito modello”, almeno a detta della moglie e del resto dell’intero vicinato. “- Marcy, finalmente! Fran non è ancora arrivata? Non dirmi che sta ancora studiando latino!” Violetta, rientrata in casa, subito corse incontro alla mora che le sorrise amichevolmente, annuendo. “- Ebbene sì… anzi, se vai a tirarla fuori da quella cameretta mi fai un favore! Portala qui, ti autorizzo ad usare le maniere forti se necessario!” Sentenziò la donna fingendo un tono solenne e facendo l’occhiolino alla ragazza. “- Ma come diamine riesce a concentrarsi con quel baccano, poi! Assurdo!” Ribatté Violetta, agitando le braccia, confusa. Se quella musica assordante arrivava sin lì immaginava cosa avrebbe dovuto significare tradurre dall’antica lingua avendola al piano di sotto. Il garage dei La Fontaine, nonostante fossero gli ultimi arrivati al borgo di Madeira, era la sala prove del gruppo di suo fratello e dei suoi amici ma lei non andava quasi mai a vederli… quel Leon la imbarazzava decisamente troppo e poi… e poi cosa c’era da andare ad assistere se erano così scarsi? Francesca invece era simpatica e se si avvicinava a quella casa era soprattutto per lei: non la conosceva da molto ma poteva già definirla la sua migliore amica, insieme a Camilla che conosceva, però, sin da bambina. La figlia di Marcela e Matias era la gemella di Leon  ma i due non potevano essere più diversi… condividevano solo i loro 17 anni e la data di nascita identica! Lei mora, lui castano dorato, lei occhi scuri, lui verde smeraldo, lei precisa, ordinata e intelligente, pacata ma con un bel caratterino all’occorrenza,  come la madre… lui… beh, lui caratterialmente identico al padre, se non peggio… insomma, gli antipodi probabilmente avevano più somiglianze tra loro.
Uscendo dal suo giardino, passò davanti ai ragazzi e fu costretta a tapparsi le orecchie con le mani, avanzando il passo per raggiungere la porta del villino accanto, non notando, tra due alberi, disteso su un’amaca , il padrone di casa che tentò invano di salutarla, chiamandola a gran voce… ma con quel baccano era praticamente inutile. “- VIOLETTA, CIAO!” La musica cessò di colpo e l’urlo del biondo rimase forte nell’aria, facendo sì che la giovane si voltasse finalmente e lo vedesse. “- Salve, Matias! Salgo un minuto da Francesca!” Sorrise gentilmente lei vedendolo annuire sorridente come al solito, ma, come se l’avesse chiamata, la bruna apparve come una furia alla finestra della sua stanza, iniziando ad inveire contro il padre. “- EH NO! ADESSO TI CI METTI ANCHE TU, PAPA’? BASTA! IO STO TENTANDO DI STUDIARE!” La Fontaine si alzò di colpo quasi avesse preso la scossa e, goffamente, rovesciò il piatto con i suoi tramezzini sul prato, cibo che venne prontamente invaso dalle formiche che iniziarono a pasteggiarvi a frotte. “- Il mio spuntino, dannazione!” Imprecò l’uomo, osservandolo con aria affranta per qualche secondo. “- Francesca dai, chiudi quei libri ed aiutami con la festa di Ambar! Tra poco arriva anche Cami, muoviti!” Violetta si portò le mani ai fianchi e cominciò a battere nervosamente un piede a terra, mentre la musica aveva ripreso improvvisamente a distruggere i loro timpani. La bruna scosse il capo con stizza e rassegnazione e, di botto, chiuse entrambe le ante della finestra provocando un rumore forte che si sarebbe udito potentemente in tutto il vicinato, se solo la band avesse smesso per un secondo di provare cosa che, invece, non fece affatto.
“- Eccomi, scappiamo da qui!” Sbottò la ragazza, correndo verso l’amica che si era seduta a dondolare sull’amaca al posto del padrone di casa, rientrato per prepararsi un altro toast al formaggio. “- Non ci credo! Finalmente ti sei degnata di farti viva, devo ringraziare mio fratello &co per questo repentino cambio di programma?!” Rise ironicamente Violetta, balzando giù dal telo su cui si era accomodata, atleticamente. “- Smettila, mancano ancora settimane all’inizio della scuola, dovremmo divertirci un po’, non credi?” Sorrise ancora la Castillo, dandole una lieve gomitata mentre si incamminavano di nuovo verso casa sua. Il sole stava tramontando e intorno a loro era tutto di una tenue sfumatura color arancio che rendeva l’atmosfera magica. “- Sì, certo! Ma sai che devo recuperare con quella materia… non sono un granché e non voglio che i nuovi professori notino le mie carenze…” Si giustificò la La Fontaine, facendo scuotere il capo all’altra. “- Da quanto ne so io sei un genietto in tutto e tua madre me lo ha confermato!” Sbottò per tutta risposta Violetta, socchiudendo gli occhi per cercare di vedere meglio di fronte a sé: la sagoma di una ragazza correva verso di loro e solo quando fu a pochi metri di distanza la Castillo riuscì a riconoscerla, a causa dei raggi accecanti della palla di fuoco che stava calando dietro la linea dell’orizzonte. “- Camilla!” Salutò allegramente, gettandole le braccia al collo. “- Salve, ragazze! La nana c’è? Le ho portato un regalino per cui potrebbe impazzire di felicità…” Se Francesca era diversa da Violetta la Torres era l’opposto della La Fontaine: spirito libero, vivace, sempre in giro a divertirsi, simpatica, spigliata, affettuosissima con le sue amiche e, tra l’altro, l’unica già fidanzata con il batterista del gruppo, Sebastian, detto Seba. “- No, Ambar è con mio padre in spiaggia, sarà una festa a sorpresa!” Sorrise la giovane prendendo il pacchetto regalo che la rossa le porgeva. “- Venite che staranno per arrivare tutti gli ospiti e voi mi dovete aiutare con il resto del buffet!” Spiegò poi Violetta, trascinandosele di forza sul vialetto per correre verso casa sua: le due tentarono di opporre resistenza ma la Castillo fu più forte e le portò sino al portico, dove, finalmente, le amiche si bloccarono di colpo. “- Ma io volevo andare a trovare Seba! Sta suonando con i vostri fratelloni!” Sbuffò Camilla, annoiata. “- Che vuoi? Pretendi che passi tutta la serata in mezzo a decine di bambini al massimo 10enni?” Esclamò piccata, quando sia Francesca che Violetta la fissarono di colpo, con cipiglio stizzito. “- Avevate promesso che mi avreste aiutato e invece tu eri presa dal tuo amato Catullo e lei pensa solo al suo amoruccio di un batterista! Povera me!”. A quelle parole della Castillo, le due abbassarono gli occhi rattristate… in effetti erano settimane che Violetta chiedeva ad entrambe una mano con quella festa da organizzare per la sua amata sorellina… ma quelle pasticcione delle ragazze sembravano sempre annoiate all’idea, l’una troppo presa dallo studio e l’altra dal suo storico fidanzato. “- D’accordo, ci sacrificheremo per te!” Sbuffò Camilla dopo qualche secondo di silenzio, sorridendole poi buffamente e forzatamente. “- Molto gentili, entriamo!” Esclamò ironica la giovane padrona di casa, spalancando la porta per condurle dentro… sarebbe stata una lunga serata, lunghissima.
 
 
“- Dai stiamo migliorando!” Diego, togliendo la tracolla che sorreggeva la sua chitarra elettrica, alquanto malridotta e scordata, si sedette in un angolo del garage dei La Fontaine su uno scatolone contenente, a quanto diceva la scritta su un lato, addobbi Natalizi. “- Siamo un gruppo da troppo poco, neanche due settimane… dobbiamo continuare a provare e provare fino a quando…” “- Fino a quando non ricovereranno in manicomio tutta la tua famiglia per esaurimento nervoso!” A continuare la frase di Leon era stato Seba, che, ancora dietro alla batteria, fece roteare in aria le bacchette, riafferrandole al volo con una mossa rapida e perfetta. “- Ci manca poco, con quella noiosa di mia sorella, quel folle di mio padre e quella stressata di mia madre…” Ridacchiò la voce del gruppo, nonché proprietario della sala prove, sistemando alcuni cavi della tastiera, a cui ancora non avevano nessuno. “- Forse dovremmo cercare altri membri per il gruppo… ovviamente all’altezza! Magari posso chiedere ad alcuni amici di scuola, o potremmo mettere un avviso in qualche bacheca dei locali più in e fare delle audizioni…” Sentenziò Castillo, agitando le braccia entusiasta della sua stessa idea geniale. Viveva lì da molto più tempo rispetto a Leon eppure, pensare di formare quel gruppo rock, era venuto in mente a quest’ultimo. Per trovare il batterista non aveva avuto dubbi dopo averlo sentito suonare: Sebastian Calixto, sotto insistenza dell’amica di sua sorella, Camilla, era perfetto per occupare quel posto e la Torres stessa lo aveva spinto precedentemente a chiedere ai due se potesse far parte della band non appena aveva saputo da Violetta e Fran della voglia dei rispettivi fratelli di voler creare quel gruppo. Ora però… ora, non erano ancora al completo e a mano a mano che passavano i giorni se ne rendevano sempre più conto. “- Sì, Castillo… potremmo provare!” Esclamò il moro, alzandosi, ma esibendosi prima un assolo ai piatti, alquanto rumoroso e fastidiosamente buono. “- Tuo fratello non suona il basso?” Chiese subito Diego, ricordando vagamente che qualche volta, a scuola, avesse preso parte all’orchestra dell’istituto nonostante non spiccasse in nessun’altra materia. Andres Calixto era così: genio e follia… a detta di tutto il liceo più follia che genio. “- Tu sei sicuro che vuoi che quell’impiastro sia dei nostri?” Domandò Seba alzando un sopracciglio, perplesso per quella proposta che gli pareva un’assurdità bella e buona. “- E’ così male?” Si intromise Leon che non conosceva ancora molto i ragazzi di Madeira… in fondo non aveva ancora iniziato la scuola lì e a parte Diego, Seba e pochi altri frequentatori di bar o della spiaggia non aveva ancora stretto moltissime amicizie, per quanto socievole fosse. “- No, ammetto che suona bene… il problema è che… è… particolarmente folle.” Quelle parole fecero ghignare il figlio di German che sapeva della fama del bruno e sconvolsero La Fontaine che rimase invece perplesso. “- Che significa ‘particolarmente folle’ per te?” Chiese infatti a Calixto che lanciò un’occhiata all’amico che conosceva da più tempo. “- Lo vedrai e capirai da te… allora lo porto qui? Dai ci serve il basso se davvero vogliamo comporre qualcosa di serio!”. I due si fissarono e, in contemporanea, finirono per annuire. “- Sì, dai! Facciamo una prova, non è detto che dobbiamo prenderlo!” Insisté Diego, alzandosi lentamente e prendendo a stiracchiarsi: quella mattina la madre aveva deciso di svegliare tutta la casa all’alba per il compleanno di Ambar e quella diamine di festa a sorpresa incombeva da giorni… per non parlare dell’entusiasmo della più piccola della famiglia che alle 7 in punto era già in piedi saltellando euforica per le camere da letto, aspettandosi auguri e regali. “- Devo andare, tra poco c’è il party della mia mocciosetta!” Sentenziò poi scherzosamente, indicando l’uscita dal garage. “- Vi direi di venire ma sono sicuro che vi annoiereste a morte!” Esclamò poi, infilandosi la chitarra a tracolla facendola finire dietro la schiena. “- Io sono costretto…” Ribatté Seba, alzando le braccia in segno di resa. “- Cami ci va e vuole che l’accompagni!” Spiegò il bruno, facendo sì che l’altro ghignasse soddisfatto. “- L’unica cosa positiva sarà il cibo, credimi!” Sbottò, immaginandosi già circondato da bambini urlanti: adorava Ambar ma a volte le sue amichette potevano essere decisamente troppo moleste… soprattutto quando tentavano di coinvolgerlo in giochi di bambine, come le bambole o in qualcosa come prendere il thé con i peluche. “- Io ci vengo perché ci sarà tutta la mia famiglia.” Commentò invece Leon che, nonostante sapesse che quella sarebbe stata una festa per piccoli, non voleva perdersi l’occasione di allargare il giro delle sue amicizie… chissà, magari la festeggiata aveva invitato ragazze carine che non fossero mocciose come lei, sua sorella o la Torres. “- D’accordo, allora ci vediamo dopo! E tu non dimenticare di parlare con Andres!” Si raccomandò Castillo, prima di incamminarsi verso il del giardino dei La Fontaine per poi raggiungere il suo. “- Contaci, amico! A dopo!” Salutò Seba, sbracciandosi da dietro alla batteria, per poi continuare a chiacchierare con il castano, ancora incuriosito dall’altro Calixto, e ancor di più dal fatto che non fosse presente ancora nella sua cerchia di conoscenze.
 
 
“- Finalmente! Stavo per chiamare la polizia e darti per scomparsa! E calcola che la mia vicina è un ispettore… quindi non avrei avuto problemi a farlo!” Esmeralda si affacciò sull’uscio della porta, le braccia incrociate al petto quasi fosse indispettita da quel ritardo ma un sorriso splendente che tradiva la sua felicità di rivedere la sorella minore. Angie abitava in centro ed era sempre impegnata con il bar, a metà strada tra la costa dove vivevano i Castillo e casa sua. Parcheggiò la sua piccola auto rossa lungo il marciapiede di fronte alla villetta e, dopo essere scesa con tutta calma come se  nulla fosse, aprì il cofano per estrarne uno scatolone bianco sul quale ne poggiavano altri tre in bilico, più piccoli e sempre del medesimo colore. “- Zia, non far cadere nulla!” Violetta, ancora in giardino con le due amiche, le corse incontro con loro e ognuna afferrò uno dei piccoli pacchettini che coprivano addirittura il volto della donna, per darle una mano. “- Ah, la mia nipotina! Ti abbraccerei se potessi ma dovremo rimandare!” Ridacchiò la Saramego alludendo al fatto che avesse le braccia occupate, mentre Francesca e Camilla cominciarono a tirare su col naso, sentendo un profumino invitante provenire da quelle scatoline. “- Ah, Angie! Non ti smentisci mai! I tuoi dolci regnano!” Sentenziò categorica la Torres, pregustando già cosa avrebbero potuto contenere quei pacchi: Muffins? Cupcakes? Ciambelline? O forse tutte e tre le cose? “- Sono Cupcakes! Spero che siano venuti bene li ho fatti di fretta e furia…” Sussurrò quasi la donna come se l’avesse letta nel pensiero, incerta sul risultato di quei dolcetti preparati di corsa, quando aveva notato che le fosse rimasto abbastanza impasto e crema dalla torta di compleanno di Ambar per prepararne qualcuno. Fino all’ultimo secondo aveva intenzione di non presentarsi a quel party mandando un corriere con i dolci fino a casa Castillo, sicura che suo cognato German avrebbe avuto la brillante idea di invitare anche quell’odioso del suo migliore amico storico, Pablo Galindo… poi però pensò che non poteva lasciare la piccola Ambar senza sua zia, voleva prendersi un po’ di tempo per stare con Violetta, Diego, sua sorella, con la sua famiglia… perché privarsi di quella festa solo per evitare di vedere quel tizio? “- Non c’è ancora nessuno degli invitati, mi pare! Vedi allora non sono così in ritardo?!” Sorrise la bionda, schioccando un bacio sulla guancia alla rossa che le fece strada fino al salotto, accogliendo tra le braccia le scatole consegnatole dalla figlia e dalle altre due giovani, le quali tornarono a chiacchierare in giardino.
“- Sei in ritardo se calcoli che mi avevi promesso di venire un po’ prima per aiutarmi… per fortuna Marcela ti ha sostituita egregiamente!” Concluse Esmeralda, recandosi verso la cucina per prendere dei vassoi dove sistemare le leccornie portate dalla sorella e indicandole la mora seduta al tavolo del soggiorno, che la salutò sorridendo con un cenno del capo. “- Va beh, sai che sono sempre impegnatissima!” Provò di giustificarsi la bionda, mentre tentava di ricordare anche il cognome della nuova vicina dei Castillo, vista solo poche volte. “- Io ci ho provato a placare le sue ire ma… niente! Ti aspettava a braccia aperte!” Rise la Parodi, facendole cenno di accomodarsi accanto a lei, cosa che l’altra fece, ancora con il fiatone e distrutta per la stanchezza che le provocava il suo lavoro. Per fortuna il Restò Bar andava benone ma aveva pochissimo tempo a disposizione per sé… tempo che spesso spendeva a dormire, fare shopping o a cercare di dimenticare le sue innumerevoli pene amorose, di norma davanti ad una vaschetta di gelato al cioccolato. “- Scommetto che sei tornata a casa a cambiarti prima di venire…” Suppose la rossa tornando nel salone, notando quanto fosse elegante la bionda e squadrandola dalla testa ai piedi. “- Che vuoi? Era il minimo! Non potevo mica presentarmi sporca di farina e crema?” Esclamò con tono ovvio Angie, facendo sogghignare la signora La Fontaine. “- Non è che ti sei fatta bella per gli… invitati?” Azzardò Esmeralda, beccandosi un’occhiataccia letale dall’altra che poi la ignorò, alzandosi per cominciare a sistemare le sue creazioni su dei rialzi da esposizione. La maggiore rise, capendo che la sua intuizione potesse essere corretta e stizzì ancor di più la piccola che si voltò verso di lei con un cipiglio stizzito e della panna su una mano. “- Se solo tuo marito non invitasse certa gente sarebbe tutto più semplice!” Osò Angie, leccandosi la parte impiastricciata per pulirla ma rovinandosi il makeup alle labbra. “- Io vi lascio… porto questi fuori e dopo vado a casa per controllare che Matias e Leon si diano una mossa… a dopo!” Marcela, comprendendo il momento teso tra le sorelle, preferì togliere il disturbo seppure non sapesse nulla della faccenda sulla quale discutevano e, afferrando un vassoio di muffins da portare in giardino, uscì. Quando la Parodi si richiuse la porta alle spalle le due ricominciarono a conversare sulla vicenda con tono alto e lanciandosi frecciatine tra loro… “- Sei così sicura che verrà? Ti interessa tanto?” Chiese la padrona di casa, assumendo una buffa espressione interrogativa sporgendosi in avanti per studiare quella dell’altra, la quale continuava però a darle le spalle. “- Ti pare? Vorrà rivedermi, quell’imbecille! E siccome è il compleanno di Ambar e sa per certo che ci sarò, non ci penserà due volte prima di presentarsi… io fossi in lui scapperei in Alaska sotto falso nome! Quell’antipatico!”. Il tono nervoso della minore delle due era palese e l’altra si rattristò un po’: sapeva che il primo appuntamento organizzatole da lei e suo marito con Galindo non fosse andato troppo bene ma non pensava che potesse essere così grave… in fondo conosceva Pablo da quando praticamente conosceva German e le sembrava un uomo apposto… beh, forse un po’… vivace, ma Castillo prima di provare a farlo uscire con sua sorella le aveva giurato che Pablo si sarebbe comportato bene con lei… eppure Angie, dopo un mese, ancora non voleva parlare di quell’uscita, affermando solo di non volerlo rivedere mai più in vita sua, tanto meno come ipotetico fidanzato. “- Si puo’ sapere cosa ti ha sconvolto tanto di lui?” Le chiese l’altra affiancandola vicino al tavolo mentre lei, aperto lo scatolone più grande, rimirava l’enorme torta preparata per la piccola di casa. “- Favolosa, eh?” Si pavoneggiò, indicandola alla sorella che annuì, per poi voler ritornare sul discorso precedente. “- Sì, ma non mi hai risposto!” Sbottò la maggiore, aprendo un pacco di candeline rosa e cominciando a contarle: nella confezione erano più delle otto che servivano così ne mise da parte un mucchietto e preparò le altre per quando sarebbe giunto il momento di posizionarle sul dolce. “- Un cafone! Ecco cos’è! Tutto il tempo a telefono con una tizia, commenti poco carini e… dai, si capisce che non sia affatto interessato ad una storia seria! Ce lo vedi quel tipo impegnato?” Elencò la bionda con disprezzo, ruotando gli occhi al cielo e dimenticandosi del suo da fare, andando a gettarsi a peso morto sul sofà, venendo prontamente raggiunta dalla rossa che rimase scioccata da quelle dichiarazioni. “- Sul serio? Ecco perché non me ne volevi parlare! Devo fare quattro chiacchiere con mio marito, allora! aveva promesso che Pablo volesse mettere la testa a posto, che volesse una relazione stabile e… ah, ma quando torna mi sente!” Esclamò con aria stizzita, immaginandosi già un bel discorsetto da fare a German, non appena la festa sarebbe finita. “- No, dai Esme tranquilla, alla fine posso tentare una convivenza pacifica solo per stasera, no? Ci sono già riuscita in altre occasioni… Non intendo rovinare la serata a nessuno, men che meno a te e tuo marito in un giorno così bello per tutti...” Sorrise teneramente la bionda, appoggiando la sua mano su quella della sorella che a sua volta si addolcì a quel gesto: se c’era una cosa che amava di Angie era la sua dolcezza che mascherava dietro a un bel caratterino ribelle, lo aveva sempre fatto sin da bambina… ma con la sua famiglia quella parte amorevole di lei emergeva sempre e comunque. Peccato che la sua vita sentimentale fosse un disastro: un dolore dietro ad un altro l’avevano letteralmente portata ad una drastica idea che aveva già confessato ad Esmeralda: per lei, l’amore, non esisteva. Ci credeva per gli altri, vedeva quanto si amassero sua sorella e il cognato, alcuni dei suoi amici o colleghi… ma era sicura che evidentemente quel sentimento si preoccupava di evitare accuratamente solamente lei.
“- Sarà una bella giornata anche per te… e non dirmi che sei ancora di quell’idea folle sull’amore…?!” Le domandò la moglie di German quasi come se volesse la conferma dei suoi pensieri, stringendole entrambe le mani con le sue. “- Non è colpa mia! Evidentemente non merito di essere felice in quel campo! Ci ho provato e non è andata bene, mai… che posso fare?” Esclamò Angie amaramente, fissando intensamente l’altra che le sorrise teneramente. “- Attendere che arrivi… ma non smettere di crederci e vedrai che prima o poi incontrerai l’uomo della tua vita… quando meno te lo aspetti.”. Le parole della sorella si ripeterono varie volte nella mente della bionda che annuì, comunque ancora poco convinta. Ormai era anche abituata a stare sola… stava bene, aveva una casetta in centro, un lussuoso appartamento, un lavoro che le piaceva, i suoi parenti… eppure non riusciva a negare neppure a sé stessa che in realtà sperava di condividere la sua vita con un’altra persona, che l’amasse davvero… era così difficile da trovare?
 
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Ciao a tutti, DulceVoz è tornata! Siete contenti? XD *Canto dei grilli e… silenzio* No, dai, spero di sì! XD Allora che ve ne pare della nuova storia? Famiglia Castillo composta da German, Esmeralda (sorella di Angie…), Diego, Vilu e Ambar! Famiglia La Fontaine invece che vede i Maticela genitori dei gemelli diciassettenni… Leon e Francesca! :3 Di Pablo sappiamo ancora poco… di sicuro non è il solito Galindo, sarà il più OOC di tutti mi sa! XD Ma lo conosceremo presto e vedrete e giudicherete da voi… xD E poi c’è la band, che per ora vede tra i suoi membri Seba (fidanzato storico di Cami, aw <3), Diego e Leon! ;) Fatemi sapere cosa ve ne pare di questo primo capitolo, per ora il dramma che ci attende sembra lontanissimo, ma, ahinoi, arriverà… ç___ç Alla prossima, ciao! :) DulceVoz. :)

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Capitolo 2
*** Conoscenze più o meno gradite. ***


Conoscenze più o meno gradite. Cap.2
 
“- Papà, è inutile che continui a mentirmi, so bene che se siamo usciti da soli è perché a casa mi stanno preparando una festa megagalattica!”. Ambar, camminando mano nella mano con German, fece sbiancare l’uomo con il solo affermare quella frase che, a quel punto, davvero non sapeva più cosa dire o fare per farle cambiare idea... Quanto poteva essere astuta la sua bambina? Di certo quella caratteristica l’aveva ereditata da sua madre che riusciva a capire sempre tutto solo guardando in volto lui o i ragazzi, a differenza sua, sempre ingenuo e a volte anche troppo come in quel caso, in cui la figlioletta era quasi riuscita a fargli spifferare tutto. La piccola prese a fissarlo come se attendesse un suo passo falso, il nasino all’insù e gli occhietti attenti, per quanto il sole le infastidisse abbastanza la visuale. “- Guarda, un paguro!” Gridò quasi l’uomo, indicandole la sabbia battuta dalle onde sulla quale, proprio davanti ai loro piedi, c’era quel piccolo esemplare. “- Papà! Non mi hai risposto!” Rise la piccola, agitando la chioma rossa divertita, accovacciandosi accanto al moro per osservare meglio il crostaceo. “- Lo sapevi che i paguri cambiano la conchiglia in cui vivono quando crescono?” Le spiegò con tono pacato l’uomo, rimettendosi in piedi e tenendole di nuovo la mano per riprendere a camminare verso casa. “- Per forza! Altrimenti ci starebbero stretti! E a nessuno piace qualcosa di stretto… io, ad esempio, dovrei avere una camera più grande di quella che ho… ai miei giocattoli non piace stare stretti!” Esclamò con tono ovvio Ambar, facendo scuotere il capo a German che si fermò, fissando l’orizzonte: l’Oceano aveva preso una splendida sfumatura arancio e il sole stava a poco a poco calando, lasciando il posto ad un’altra calda sera estiva. “- Non è vero che la tua stanza è piccola! E’ identica a quella di Diego e Violetta e sono tutte e tre abbastanza grandi.” Sentenziò lui poi, indicando di fronte a sé, cambiando discorso. “- Dovremmo tornare a casa, la mamma sarà in ansia…” Aggiunse, guardandola con tenerezza: la bambina aveva abbassato gli occhi e, raccogliendo l’ennesima conchiglia, l’aveva depositata nella borsetta, ormai già stracolma e che a stento riusciva a chiudere. “- Quello in ansia di solito sei tu!” Lo canzonò la bambina, risollevando il visino verso di lui, attendendo la reazione del papà. “- Ah sì? Beh è perché mi preoccupo per voi!” Si giustificò l’uomo, arrivando in una zona dove la sabbia lasciava il posto ad una collinetta scoscesa, poco lontana da dove avevano lasciato l’auto. “- Lo sappiamo, papà! Lo dici sempre!” Lo rincuorò la bambina ridacchiando, cominciando a correre verso la macchina che aveva subito notato da lontano. “- Vai piano, Ambar! Attenta alle buche potresti farti male e non ho la cassetta del pronto soccorso, qui!” La rimproverò German, venendo totalmente ignorato dalla piccola che era già arrivata alla meta e se ne stava comodamente appoggiata alla portiera con il fiatone ma aria soddisfatta. “- Prima arriviamo e prima avrò i miei regali e la mia festa!” Esclamò convinta, quando il padre finalmente, si avvicinò all’auto e aprì lo sportello dopo aver armeggiato per circa un minuto con un folto mazzo di chiavi. “- Sei così sicura che a casa ti aspetti tutto ciò che pensi?” Disse con aria misteriosa, aggirando la vettura e andando al posto di guida, mettendo in moto per partire alla volta di casa, sperando che Esmeralda avesse tutto sotto controllo e che la piccola non rimanesse delusa dalle sue alte aspettative riguardo quel party. “- Credo… di sì. Beh, almeno lo spero!” Sorrise Ambar, osservandosi nello specchietto retrovisore: dal finestrino si poteva scorgere ancora l’Oceano ma, quando iniziarono ad apparirle davanti alcune villette a schiera, capì che ormai mancava poco e che ben presto avrebbe visto anche la loro. German deviò prontamente nel vialetto che portava al garage e fermò la macchina velocemente, notando il bel lavoro di addobbi fatto per tutto lo steccato e i tavoli imbanditi di ogni leccornia, adibiti sotto al portico, mentre altri, circa sei più piccoli, erano disposti per tutto l’ampio prato davanti alla casa, per far accomodare gli ospiti. “- Wow!” La bambina si incantò, fissando soprattutto il tavolino pieno zeppo di pacchetti regalo più o meno voluminosi sistematole all’ingresso dalla sorella maggiore, immaginando già il contenuto di quelle scatole con aria sognante. “- SORPRESA!” La porta di ingresso si aprì a quel grido e quello a sobbalzare fu German, mentre, la bambina che se lo aspettava da settimane, felice, subito corse verso la madre, abbracciandola forte, per poi venire stretta da Violetta, dal fratello, dalla zia e dal resto degli invitati, tra cui una quindicina di bambini scalmanati i quali cominciarono subito a giocare allegramente dopo averle fatto gli auguri. La festa cominciò e tutti si fiondarono sul buffet, Matias in primis che venne ripetutamente rimproverato per la sua ingordigia dalla moglie e dai due figli, mentre Esmeralda fissava di tanto in tanto una nervosa e insofferente Angie aggirarsi per il giardino con aria inquieta. “- Ehi…” La rossa le poggiò una mano sulla spalla quando l’altra era assorta a fissare oltre lo steccato, facendola però sobbalzare di colpo. “- I tuoi Cup Cakes sono un successone!” Esclamò allegramente la maggiore, osservando l’espressione nervosa della sorella, la quale abbozzò un veloce quanto forzato sorriso verso di lei e riprese a studiare la via di fronte a sé. “- Aspetti qualcuno?” La prese in giro Esmeralda sapendo perfettamente chi attendesse di vedere comparire da un momento all’altro, dandole una piccola gomitata rischiando di farla cadere di lato. “- Scema!” La canzonò l’altra, facendole la linguaccia come quando erano bambine. “- Pablo è sempre in ritardo, ormai dovresti saperlo! Era il testimone di German al nostro matrimonio ed è riuscito a presentarsi più tardi di me che ero la sposa! Un record!” Rise la donna, arricciandosi una ciocca ramata intorno ad un dito, persa nei ricordi di quel giorno, uno dei più belli della sua vita insieme a quelli riguardanti la nascita dei suoi tre figli. “- Lo so, ti ricordo che c’ero anch’io quel giorno, ero la tua di testimone!” Ribatté Angie piccata, senza staccare gli occhi dalla strada oltre la staccionata, con tono stizzito. Conosceva Pablo Galindo, di solito alle grandi feste dei Castillo era sempre presente, incollato a suo cognato e si limitava a studiarla con fare ammiccante e altamente irritante da lontano, ma il limite massimo l’aveva superato quel mese prima, quando ci aveva avuto strettamente a che fare durante quell’appuntamento organizzatole da Esmeralda e German… era un caso così disperato in fatto d’amore? Aveva bisogno di consulenti che le organizzassero le uscite? Evidentemente, sì, considerate le sue ultime avventure sentimentali... “- Smettila di stare in allerta! Sembra che tu stia di vedetta! Se vuoi sali anche sulla casetta sull’albero dei ragazzi, così scruterai meglio l’orizzonte!” La prese in giro Esmeralda, indicandole la quercia sul retro della casa dove German aveva costruito un piccolo rifugio in legno, con tanto di scaletta in corda, per Diego, quando era ancora un bambino. “- In effetti potrei…” Ironizzò la bionda, dandole un buffetto sulla spalla per sdrammatizzare. “- Buonasera a tutti!” Una voce, quella voce. Angie credé di svenire: si era distratta un secondo, uno solo a chiacchierare con la sorella di un argomento che non riguardasse la sua vita sentimentale ma alcune pietanze della serata e quel saluto la fece letteralmente sobbalzare. Pablo era entrato dal cancelletto principale e già stava abbracciando suo cognato, il quale non la smetteva di parlare con lui di chissà quale sciocchezza. Quando i due uomini già ebbero preso a ridere da lontano, Esmeralda le lanciò un’ occhiata per vedere se stesse bene e notò che Angie fissasse nella direzione del marito e del suo amico con un cipiglio nervoso. “- Cerca di stare tranquilla, te l’ho detto… è un po’… pazzerello… ma non è cattivo, ci metterei la mano sul fuoco.” La rincuorò la rossa, per poi allontanarsi nel vedere che Galindo l’avesse puntata anche mentre faceva gli auguri ad Ambar che lo salutò distrattamente ma che fissava incantata un grande pacco regalo che l’uomo tentava di nascondere dietro la schiena. “- Dove vai, Esme?! Vieni subito qui!” Sussurrò Angie cercando di richiamare la sorella che, invece, aveva già preso a chiacchierare con Marcela e altre donne del quartiere, da come fissavano le decorazioni, probabilmente dell’abilità di Violetta nell’averle disposte.
“- Guarda un po’ chi si rivede… la bellissima sorellina Saramego! E’ un piacere rincontrarti…” Distrattasi a fissare Esmeralda, la bionda non aveva neppure notato che Pablo le fosse arrivato di fronte così velocemente e si voltò di colpo spaventata, rendendosi conto di aver fatto un mezzo balzo all’indietro, finendo quasi con la schiena nella staccionata laterale che separava casa Castillo da quella dei La Fontaine. “- Per me non lo è nemmeno un po’.” Ribatté seccamente Angie, fissando gli occhi neri dell’uomo che la scrutavano sin troppo per i suoi gusti… “- Mi dispiace per com’è finita quell’uscita, insomma… non credevo ci rimanessi così male… avevo un’amica malata quella sera e dovevo correre da lei… a consolarla.” Quell’ultima parola fece assumere una buffa espressione alla Saramego che alzò un sopracciglio, piccata. “- Certo, come no! E pretendi ancora che io ti creda? Patetico!” Sbraitò, rendendosi poi conto di aver alzato troppo la voce e di sentirsi già fin troppo accaldata per la rabbia… probabilmente doveva aver assunto la tonalità di un pomodoro perché Pablo ghignò e la cosa la infuriò ancora di più. “- Non so se mi credi o no… in ogni caso volevo scusarmi con te.” Disse semplicemente lui, scrollando le spalle con noncuranza, facendo per allontanarsi. Perché diamine si scusava, adesso? Possibile che German gli avesse chiesto come fosse andato quell’appuntamento e lui, in qualche modo, voleva chiarire le cose con lei? Assurdo! Se pensava che quel perdono così striminzito bastasse per sistemare la vicenda per quel giorno poteva andar bene, ma la questione che non volesse più nemmeno vederlo in fotografia restava, esattamente come aveva deciso quella notte dopo quell’orribile uscita. Fotografia… quella parola era perfetta per lui, il fotografo di “Top”, la rivista mensile più venduta di Buenos Aires e provincia… era bravo, su quello non c’erano dubbi, ma quando il cognato mostrava fiero gli articoli o le interviste con tanto di immagini immortalate dal suo migliore amico, oppure le faceva vedere gli inserti di moda con le sue foto del magazine, lei assumeva sempre un’espressione saccente e vi trovava sempre qualche difetto. “- Non roviniamo la festa ad Ambar, ma tu dopo sparisci dalla mia vista per sempre, o almeno fino a quando German, mio malgrado, non ti inviterà di nuovo a qualche compleanno e saremmo costretti ad incrociarci ancora, chiaro il concetto?” La Saramego sibilò quella frase con tono glaciale e lui sorrise soddisfatto, soprattutto del fatto che l’avesse preso per il polso prima di parlare e se lo fosse trascinato con le spalle al muro del laterale della villetta, bloccandolo lì con entrambe le braccia tese vicino alla parete. “- Sapevo che fossi aggressiva ma non credevo arrivassi a tanto…” Mormorò con voce calda il moro, sfiorandole il mento con un dito  e beccandosi di rimando un pestone al piede. Con un tacco 12. Una fitta lo fece ghignare sofferente ma non le diede la soddisfazione di sentirlo gridare dal dolore, per quanto esso fosse lancinante. “- Bada bene a come parli con me… e a quello che fai…” sibilò ancora la bionda, sentendo che ormai fosse furiosa. “- E se volessi rischiare?” La provocò Galindo, con aria maliziosa e sguardo che saltava dal volto della donna alle sue curve perfette. “- Io al posto tuo non lo farei…” Ribatté la sorella di Esmeralda, indicandogli un pugno chiuso con lo sguardo. “- Ok, farò il bravo ma… permetti?” Senza che Angie riuscisse ad accorgersene, Pablo afferrò la macchina fotografica che aveva appesa al collo e la immortalò a tradimento: la mano stretta e minacciosa e l’espressione corrucciata in un impeto di rabbia… l’unica cosa certa era che non poteva essere venuta mossa perché se ne era rimasta pietrificata, sotto shock alla vista di quel flash. “- Sei tu che hai detto di non volermi più vedere nemmeno in foto, piccola! Non io!” Rise Galindo, aggirandola facilmente e allontanandosi per ritornare alla festa come se nulla fosse. La Saramego aveva gli occhi sgranati e si sentiva impossibilitata dal fare qualsiasi cosa… come diavolo poteva sopportare quel rompiscatole depravato del migliore amico di suo cognato? Strinse anche l’altro pugno tentando di mantenere la calma, appoggiandosi con la schiena al muro e prendendo a respirare con nervosismo: lo aveva promesso a sua sorella, a sé stessa… poteva farcela. Solo qualche ora, poi avrebbe sicuramente rivisto quel brutto grugno direttamente alla prossima festa… tentò di ricordare quale fosse il prossimo compleanno in ordine di tempo… Esmeralda? Sì, prima lei, poi il cognato due mesi dopo… ma ci voleva ancora un po’ di tempo, per fortuna, pensò tra sé e sé, sperando di essere ritornata al suo normale colorito prima di potersi recare di nuovo sul davanti della casa per stare in mezzo alla sua famiglia ma ben lontana da quel tizio fastidioso e antipatico.
 
 
“- Che grande noia mortale!” Leon era seduto sotto alla quercia sul retro della casa e accanto a lui, Diego, scrutava l’orizzonte con aria preoccupata, sperando che Francesca, la sorella del suo amico, tenesse a bada quella banda di mocciosi che correvano per ogni dove: stavano giocando a ruba bandiera o qualcosa del genere e la ragazza stava provando, insieme a Violetta, a controllare che tutto andasse bene e che nessuno di loro si facesse male. “- Poverine, le nostre sorelline sono costrette anche a fare da animatrici! Almeno noi possiamo starcene qui a rilassarci…” esclamò Castillo pigramente, appoggiandosi con la testa al tronco dell’albero e aspettando la reazione dell’altro che non tardò ad arrivare. “- Rilassarci? Con queste urla nelle orecchie? Ah, beh! Hai un bel modo di rilassarti!” Rispose il castano, storcendo il naso e scattando poi in piedi di colpo. “- Eh no! FRAN! Attenta al moccioso paffuto con le lentiggini che ha barato! L’ho visto io fin qui!” Strillò d’un tratto, facendo accigliare la sorella e scoppiare in una fragorosa risata il bruno, mentre Violetta si voltò e si perse per un secondo a fissarlo, stupita da quel grido… quanto era bello il fratello della sua amica?! Alto, muscoloso, occhi verdi che sembravano dei fari accesi nella notte, di un intenso smeraldo che le faceva mancare il fiato ogni qualvolta che li incrociava… e poi… e poi c’era la voce. Nella band non rendeva perché i musicisti non erano ancora al top e la loro coordinazione era poco ritmica ma immaginava sempre di sentir cantare Leon da solo, magari a cappella, magari in duetto con lei… pensava che senza quella fastidiosa base creata da Diego e Seba, sarebbe sicuramente stata eccezionale. “- Non è vero, fatti gli affari tuoi!” L’amichetto di Ambar accusato di barare prese a correre verso Leon che ghignò e lo sfidava con lo sguardo, attendendolo con le mani sui fianchi e battendo un piede a terra ma il bambino, per raggiungerlo, diede uno spintone che, a causa della sua velocità e della distrazione della giovane, ebbe come risultato il far cadere rovinosamente Violetta al suolo, sull’erba. “- Vilu!” Sia Francesca che Diego corsero verso di lei, e la stessa Ambar si avvicinò alla sorella preoccupata, piagnucolando per lo spavento che la maggiore si fosse fatta troppo male. “- Sto bene, tranquilli… ho solo un po’ di dolore al polso ma va tutto bene…” Li rassicurò lei, scattando in posizione seduta, e osservando il ragazzo per cui aveva una clamorosa cotta continuare a litigare con il bimbo, evidentemente nemmeno accortosi che lei fosse caduta o, probabilmente, non dando troppo peso alla cosa. La giovane si rattristò e prese a fissarsi la parte lesa nel tonfo, mentre si rimetteva in piedi, aiutata da Francesca e dal fratello, osservando finalmente il faccino di Ambar risollevarsi e ritornare sereno. Leon le piaceva, e tanto. passava ore a scrivere di lui sul suo diario, a osservarlo mentre passava il tagliaerba in giardino, o semplicemente a sentirlo parlare di sotto con il fratello, adorando il fatto che lui e Diego chiacchierassero proprio sotto alla sua finestra, appoggiati pigramente allo steccato che li divideva. Peccato che lui non la considerasse minimamente, o meglio che evidentemente la reputasse una ragazzina, la sorellina piccola del suo amico e null’altro… per lo meno così lei aveva sempre inteso. “- Sei sicura di voler continuare? Se vuoi aiuto io Francesca a gestire i monelli!” Le sussurrò Diego, tirandosela un po’ in disparte e studiando il polso ferito, sperando che non le facesse troppo male, mentre i piccoli avevano ripreso a giocare con la bruna. “- No, non ti preoccupare… sto bene, però vado a riposarmi un po’… comunque Fran se la sa cavare bene con i bambini, lo sai… è qui solo da pochi mesi ma è già la babysitter preferita da Ambar! Non dovrai fare troppa fatica al suo fianco!” Sorrise Violetta, dandogli una pacca sulla spalla e vedendo l’espressione del giovane preoccuparsi: ecco fatto. Alla fine quello che temeva era successo… odiava da morire dover sottoporsi a giochi da bambini per volere della sorella più piccola e, alla fine, era successo comunque. “- LEON!” Il moro richiamò a gran voce l’amico, mentre, dal davanti della casa, arrivarono anche Seba e Camilla, abbracciati ma che si preoccuparono subito nel notare che la giovane amica si tenesse il braccio e che non fosse più con Francesca ad intrattenere i piccoli invitati. “- Vilu, stai bene?” Chiese la Torres, sgranando gli occhi preoccupata, quando, finalmente, anche il figlio di La Fontaine si decise a smettere di litigare con il bambino lentigginoso su chi avesse torto o ragione tra i due, e si avvicinò al gruppo. “- Sì, sul serio… continuate voi con Francesca se vi va… io vado a sedermi un po’…” Sentenziò lei, rendendosi però conto che si fosse persa decisamente troppo a guardare Leon, distogliendo infatti lo sguardo, imbarazzata. “- Dai, ci pensiamo noi… tu va’ a metterti del ghiaccio e aspettaci di là, così ti riposi…” Le sorrise dolcemente Camilla, vedendola annuire e fuggire via. Mentre camminava a passo svelto sentiva il cuore batterle all’impazzata… era stata a pochi metri da Leon e si sentiva così tesa, così emozionata… improvvisamente si ricordò della caduta e della figuraccia fatta solo qualche istante prima e si bloccò di colpo, fermandosi sotto al portico e avvicinandosi ad uno dei grandi tavoli imbanditi, afferrando un bicchiere per versarsi dell’aranciata. Il dolore al braccio era quasi sparito ma sentiva di essere diventata paonazza per la vergogna… vergogna, poi! Considerato che Leon non fosse subito corso da lei evidentemente si era perso anche la caduta… e in effetti quello non era di certo un male! Le voci festose provenienti dal retro della villa significavano che il gruppo avesse ripreso a giocare con tutti i ragazzi più grandi e si immaginava già la sfida tra suo fratello e il suo amico, nonché colui che sognava essere il suo fidanzato… si riscosse dai suoi stessi pensieri scuotendo il capo di colpo, mentre Angie le si avvicinò distrattamente, quasi camminando al ritroso come se non volesse perdere di vista qualcuno. “- Zia, va tutto bene?” Le chiese, osservandola annuire di fretta, facendo sì che i suoi boccoli dorati ondeggiassero rapidamente. “- Ho una gran sete, oggi fa molto caldo…” Si mantenne sul vago la donna, versandosi della Coca Cola e iniziando a sorseggiarla piano, sempre con lo sguardo fisso di fronte a sé, ancora con le gote rosse, quasi quanto quelle di Violetta. “- Sei accaldata… non è che hai qualche linea di febbre?” Chiese poi alla nipote, che sgranò gli occhi immaginando quanto dovesse essere rossa in viso. “- No, sono caduta, mi sono fatta male… c’è stato un po’ di trambusto sul retro ma sto benone!” Sorrise, osservando l’aria preoccupata della bionda che le mise comunque una mano sulla fronte come per controllarle la temperatura. “- Ti sei fatta male?! Caspita allora ci servirà del ghiaccio! Presto, corriamo in casa!” Sentenziò di colpo, quasi non aspettasse altro che fuggire verso l’interno della villa e volesse usarla come pretesto per la sua sparizione dal party. “- Non sai nemmeno dove mi sono…” “- Non c’è tempo! Me lo dirai strada facendo!” Sentenziò Angie di colpo, facendola sogghignare. Chiaramente la zia voleva evitare quel Pablo, l’amico di suo padre… aveva sempre avuto l’impressione che i genitori li volessero insieme ma che a lei Galindo non piacesse un granché… chissà, forse in un certo senso l’aveva anche salvata con quel polso malandato!
 
 
“- Ok, con questo andrà meglio… povera la mia piccolina!” Angie, sedendosi su uno sgabello del bancone della cucina, posizionò un blocco di ghiaccio avvolto in un canovaccio sul polso della nipote che la fissava con aria interrogativa. “- Zia?” “- Sì, tesoro?” “- Posso farti una domanda un po’… strana?” A quelle parole la donna si preoccupò e alzò lo sguardo dal braccio disteso sul tavolo di Violetta al suo viso, in attesa di risposta. Non era brava in quel genere di cose, non era madre e non sapeva nulla dell’amore… quindi pregò con tutte le sue forze che si trattasse di dolci o moda, le due cose in cui era più esperta. “- Dimmi…” sussurrò quasi, togliendole il ghiaccio dal polso, sperando di apparire rilassata. “- Hai qualche problema con l’amico di papà, Pablo?”. La donna deglutì rumorosamente e credé di aver sentito male. “- Come?!” Chiese infatti, assumendo un’espressione enigmatica che fece sogghignare la ragazzina. “- Dai, si vede lontano due miglia che lui… beh, che secondo me gli piaci!” Spiegò con tono ovvio Violetta, facendola scattare in piedi con un balzo, quasi avesse preso la scossa, cosa che confermò ancor di più la tesi della Castillo che la seguì con lo sguardo mentre andava a posare il ghiaccio nel freezer. “- Non… non mi va di parlarne, sul serio…” Biascicò la donna, appoggiandosi con la schiena al lavello, poco lontano dal frigorifero e sfuggendo agli occhi indagatori della ragazza. “- Sbaglio o siete anche usciti insieme?” Incalzò Violetta, sistemandosi meglio a sedere per studiare ancor più da vicino la bionda che sorrise allegramente nel vedere che fosse entrato Diego, accaldato e grondante di sudore e che camminasse nella loro direzione, aprendo con foga la porta del frigo. “- Per colpa dei  mocciosi, dovrò salire a farmi una doccia!” Sbottò, cercando qualcosa che, evidentemente, non trovò. “- Tutte le bibite sono fuori e noi stiamo parlando di cose serie… vai a farti lavarti che è meglio!” Lo cacciò la sorellina, facendogli la linguaccia divertita. “- Come va il braccio?” Chiese il ragazzo, ancora con il fiatone avvicinandosi al bancone, ricordandosi del piccolo incidente della giovane. “- Nulla di grave! Se lo avesse saputo papà saremmo già tutti in gita all’ospedale!” Rise Violetta, scherzando sul fatto che German fosse sempre troppo ansioso. Una volta per un ginocchio sbucciato di Ambar stava per chiamare l’ambulanza, aveva anche digitato il numero… spesso ricordavano quell’aneddoto e ridevano tutti, facendo accigliare l’uomo che ripeteva essere: “- Solo un pochino ansioso…”.
“- Ehi gente! Esmeralda ha detto di cacciarvi da qui perché tra poco ci sarà la torta e vi vuole tutti in giardino, forza!” Pablo, fermandosi sotto l’uscio che separava la cucina dal salotto, fece sobbalzare tutti, soprattutto la Saramego che lo fissò con aria ancora stizzita, sperando almeno che bruciasse quella foto orribile che le aveva fatto poco prima. “- Cheese!” Rise poi lui improvvisamente, sollevando la sua macchina fotografica, immortalando la zia con i due nipoti che si voltarono sorridenti, sicuramente molto più di Angie che rimase serissima a studiare quel tipo così poco simpatico. “- Papà ti ha chiesto come al solito di fare foto in giro, eh?” Chiese Violetta, alzandosi per uscire seguita da Diego, mentre una nervosa Saramego rimase in coda a tutti e tre, le braccia incrociate al petto, felice di sapere che finalmente la festa volgesse al termine e non avrebbe più rivisto per parecchio tempo Pablo. L’uomo annuì alla supposizione della ragazza e, una volta giunti in veranda, riprese a scattare con la sua macchinetta all’impazzata, scatenando fastidiosi flash per tutto il giardino, in particolar modo alla torta e ad Ambar che, dietro ad essa, era tutta contenta per quel compleanno magnifico appena trascorso.
 
 
“- Devo chiederti un enorme favore!” Esmeralda, a festa finita, quando tutti erano già andati via, fermò la sorella sul vialetto d’ingresso, mentre era diretta alla sua auto per tornare a casa. “- Dimmi pure…” Sorrise lei con aria un po’ stanca e un terribile dolore ai piedi per via dei tacchi vertiginosi. “- Domani sera devi restare con i ragazzi… se non fosse un’emergenza non te lo chiederei nemmeno! So che hai il Restò Bar e tutto ma…” “- Domani è lunedì, e il lunedì per tua fortuna siamo chiusi. Dovresti saperlo, sorellona!” Sorrise Angie, pregustando già di passare del tempo con i suoi adorati nipoti: l’idea l’allettava, non ci sarebbe stato Pablo in giro a rovinarle la serata e si immaginava già sul sofà a vedere un film con i ragazzi… eppure si chiedeva come mai quella richiesta così insolita da parte di Esmeralda. “- Come mai? Siete fuori sia tu che German?” Domandò infatti curiosa, vedendo annuire l’altra con aria serena. “- Ti sembrerà insolito ma… ho saputo tramite Pablo che il mio maritino ha prenotato una serata romantica… domani è il nostro anniversario di matrimonio ed era da tanto che speravo che si inventasse qualcosa del genere!” Esclamò con aria sognante la rossa, sotto lo sguardo disgustato di Angie, nell’aver udito quel nome in quell’affermazione. “- Quindi Galindo ti ha rovinato la sorpresa?! Ma che carino da parte sua!” Ironizzò la minore delle due, facendo ruotare gli occhi al cielo all’altra. “- Smettila! Sei sempre prevenuta nei confronti di quell’uomo! Ho capito che non hai un’ottima considerazione di lui e che la vostra uscita sia stata un fiasco ma… beh, non è cattivo! Te lo ripeto!” Sentenziò Esmeralda, tentando di placarla e spiegandole meglio come fossero andate le cose. Angie sbuffò sonoramente, ravviandosi una ciocca bionda con stizza dietro l’orecchio: a volte la pacatezza di sua sorella la innervosiva quasi quanto quel Galindo…  beh, quasi. “- German stava parlando di una sorpresa a Pablo e io, avendo sentito tutto, ho aspettato che lui andasse via per interrogare l’altro…” Ammiccò la rossa, facendo scuotere il capo alla più piccola con aria rassegnata. “- Sempre la solita! Ecco da chi ha preso Ambar! German ha detto che strada facendo gli ha fatto il terzo grado sulla presunta festa per farlo parlare! Devi chiedere alla tua vicina se in centrale hanno bisogno di una piccola spia… poi magari assumono anche te!” Rise Angie, interrompendo ancora l’altra che zittì la minore con un gesto della mano. “- Mi fai finire o no? Insomma, alla fine Pablo ha spifferato della cenetta che mi attende e sono al settimo cielo! Però è stato un bene che lo abbia saputo ora, così almeno mi organizzo con i fantastici tre!” Sorrise la moglie di Castillo, facendo annuire l’altra: “- Non ti preoccupare, io sarò muta come un pesce e mi offrirò per passare del tempo con loro senza aggiungere altro su dove andrete, ma invitandovi solo a uscire per il vostro anniversario… così potrete andare a divertirvi senza problemi!”. Era sempre stata un geniaccio, ma come al solito Angie riusciva a stupire Esmeralda, in ogni campo… beh, forse sorgeva qualche problema in quello sentimentale ma per il resto la sorellina se la cavava sempre con successo. “- Ah ti adoro! Sai che ti adoro, vero?” Di slancio, la più grande l’abbracciò euforica e l’altra si ritrovò stretta tra le sue braccia, sorridendo felice. Era così bello vederla serena, innamorata… era il suo mito fin da piccola. Per lei, la maggiore era un modello da seguire, sempre pacata, gentile, intelligente… sperava un giorno di sentirsi pienamente realizzata come era certa che si sentisse Esmeralda. “- Sì, lo so… anch’io mi adorerei!” Aggiunse con un’allegra risata: “- …E adoro te, ovviamente!” Concluse poi, soddisfatta, prendendole le mani dolcemente. “- Domattina chiamo a German e gli dico che avete la serata libera… fidati che non dirò niente di più!” Ammiccò la bionda, facendo annuire l’altra, felice come una Pasqua, già pregustando la serata che l’attendeva con il marito. Angie salì in auto e salutò ancora attraverso il finestrino la sorella, prima di mettere in moto per recarsi a casa sua… si ritrovò a pensare a quella festa, a quell’irritante di Pablo ma scosse il capo, allontanando quelle scene che le si rincorrevano nella mente: focalizzò la sua attenzione sulla strada, pensando poi al giorno dopo, a quello che sarebbe accaduto… in fondo non le sarebbe affatto pesato passare del tempo tra i ragazzi: appuntamenti previsti non ne aveva, come al solito… ed era sicura che si sarebbero anche divertiti tutti e quattro insieme.
 
 
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Pablito è comparso! Aw! :3 Più OOC non poteva essere ma lo adoro comunque… ovviamente! xD E finalmente abbiamo anche gli accenni Leonettosi, per ora solo da parte di una Vilu stracotta… :3 Ma il problema è lui però, uffa! :'( Vi avviso che dal prossimo capitolo inizierà il dramma, quello vero… e lì ci sarà da piangere tanto, prepariamo i fazzoletti… :’( Grazie a tutti per le recensioni dello scorso capitolo e alla prossima, ciao! :) DulceVoz. :)

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Capitolo 3
*** Come un uragano. ***


Come un uragano. Cap.3
 
 
“- I numeri utili sono tutti scritti e attaccati al frigo: il mio cellulare, quello di tua sorella, il pronto intervento, la polizia, i pompieri…” “- La marina militare e l’esercito Argentino, non li hai segnati?” Angie era in cucina, appena arrivata a casa Castillo e osservava German correre da una parte all’altra della casa come un’anima in pena: l’uomo non amava dover lasciare i figli con altri, ma quella era un’occasione speciale e poi si fidava cecamente della cognata, quindi, nonostante la sua solita e perenne ansia, cercò di sciogliersi in un sorriso alla battuta della sorella di sua moglie. “- Amore, lasciala in pace, non ha 6 anni! E nemmeno i ragazzi sono più dei bambini, accettalo una volta per tutte!” Esmeralda apparve sotto la porta che divideva il salone dalla cucina, intenta ad indossare degli orecchini di perla: avrebbe potuto farlo in camera sua, ma conosceva bene suo marito e sapeva quanto potesse essere esasperante nelle sue raccomandazioni, così aveva deciso di seguirlo di corsa per evitare che facesse impazzire Angie. “- Andrà tutto bene e poi saremo sicuramente qui non troppo tardi…” Sentenziò la donna, beccandosi un’occhiataccia da German per il fatto che l’avesse rimproverato e un sorriso dalla sorella. “- Mi troverete dormiente sul divano, allora!” Esclamò con decisione la bionda, avvicinandosi alla sorella per chiuderle un braccialetto con il quale aveva preso ad armeggiare freneticamente. “- Ecco qui… ah, ma siete uno splendore!” Sorrise poi euforica, facendo passare lo sguardo dall’una all’altro che, imbarazzati prima si fissarono e poi abbassarono il volto, ognuno sulle proprie scarpe. “- Ma che meraviglia questi sposini!” Diego, apparendo alle spalle della madre, seguito da Violetta e da una saltellante Ambar, sorrise ai genitori compiaciuto: era bello vederli così uniti dopo tanti anni insieme e le difficoltà che si erano presentate durante il loro matrimonio, per fortuna tutte superate con successo, a partire dai problemi lavorativi di suo padre sino a quando la madre si era licenziata dal suo ruolo di maestra per stare con i figli e avevano vissuto un periodo non proprio roseo a livello economico… tuttavia, nonostante gli intoppi, erano sempre rimasti una famiglia molto compatta, si amavano ed era quello ciò che contava. “- Ragazzi mi raccomando non fate impazzire zia Angie… soprattutto tu, signorinella! Niente capricci!” La rossa si rivolse alla più piccola di casa che annuì con entusiasmo, sorridendo alla sorella della madre che per tutta risposta le accarezzò la morbida chioma scarlatta. “- Sarò un angioletto!” La rassicurò la piccola, mentre Violetta assunse un’espressione divertita a quella promessa della sorellina. “- Tu non sei mai un angioletto… forse solo mentre dormi!” La corresse infatti la maggiore, ottenendo per tutta risposta una linguaccia dalla bambina. “- Come volevasi dimostrare!” Ghignò Diego, facendo scoppiare in una fragorosa risata anche gli altri membri della famiglia. German guardò distrattamente l’orologio e si accorse che fossero già le otto. “- Tesoro, dobbiamo andare… fate i bravi, mi raccomando!” Esclamò allegramente l’uomo fingendo un’espressione minacciosa, pregustando già la serata romantica che non aveva da tempo con sua moglie, schioccando poi un bacio sulla guancia alle due figlie e una pacca sulla spalla al maggiore dei tre. “- …E divertitevi!” Aggiunse Esmeralda, stringendo forte Diego per poi passare a salutare le ragazze e la sorella. “- Noi? Voi piuttosto! Passate una bella serata!” Esclamò la bionda, con un luminoso sorriso rivolto ai due che lo ricambiarono di rimando voltandosi verso di lei. La donna, insieme con i ragazzi, seguì i coniugi Castillo fino alla porta d’ingresso e poi in giardino, rimanendo ferma con i loro figli sotto al portico, osservando marito e moglie che si avvicinavano sempre di più all’auto, voltandosi di tanto in tanto a salutare i quattro con la mano sino a quando, dopo essere entrati in macchina e aver fatto retromarcia nel vialetto, dalla casa li videro allontanarsi, mentre continuavano a sbracciarsi allegramente. “- Ragazzi, che ne dite se ci ordiniamo una bella pizza?” Angie, quando German e Esmeralda furono un puntino lontano sulla strada, si avviò di nuovo verso l’interno della villetta, mentre Ambar, ultima a rientrare, richiuse la porta con un tonfo. “- Ottima idea!” Esclamò Violetta, andando subito a cercare, in cucina, la rubrica con i numeri di telefono. “- E se ci vedessimo anche un bel film?” Propose Diego, incamminandosi con la sorellina più piccola e la zia verso la tv, piazzata in salotto proprio di fronte al divano e ad un piccolo tavolinetto basso di cristallo. “- Voglio sceglierlo io!” Cominciò a piagnucolare la bambina, sotto lo sguardo rassegnato del bruno. “- Non fare i capricci! Cos’ha detto la mamma?” Le ricordò Angie, osservando distrattamente una pila interminabile di cofanetti di DVD disposti ordinatamente in una piccola libreria posizionata appena al lato della televisione. “- Non cominciare a lamentarti, Ambar! Sceglieremo tutti insieme!” Sentenziò Violetta dando man forte alla zia, ritornando con il cordless e un’agenda verde sotto braccio, avendo seguito comunque tutta la conversazione anche dall’altra stanza. “- D’accordo…” Sbuffò la rossa, sedendosi con un balzo sul sofà, con le braccia al petto, un po’ offesa. “- Niente roba strappalacrime, vi supplico!” Le pregò Diego, quando vide che la secondogenita avesse afferrato “I Passi Dell’Amore” e lo stesse mostrando alla Saramego, forse tentando di convincerla. “- Allora neppure thriller o horror! Che poi Ambar non dorme…” Sbottò Violetta, dandogli un piccolo pugno sul braccio scherzosamente. “Ambar o tu?” La schernì il fratello ridendo e facendo annuire la piccola di casa. “- Ok, così non decideremo mai…” Constatò Angie, passando ancora in rassegna tutti quei titoli così differenti. “- Sorteggeremo.” Esclamò poi improvvisamente, facendo interessare anche la bambina che scattò di nuovo in piedi e si avvicinò a loro. “- Scrivete su un foglietto un paio di nomi di film e metteteli in questo centrotavola...” Spiegò semplicemente la donna, indicando un soprammobile sul tavolinetto. “- Quello estratto, vince.” Concluse, prendendo il telefono e la rubrica dalle mani di Violetta per andare ad ordinare le pizze, dirigendosi verso la stanza accanto, mentre loro cominciavano a creare i foglietti per l’estrazione. “- Per me una margherita!” Urlò Diego, beccandosi un’occhiataccia dalla piccola. “- Sta’ zitto o prenderà la margherita per tutti a causa tua!” Borbottò, facendogli la linguaccia. “- Io quella con prosciutto e funghi!” Rise Violetta, cercando di far sentire la sua voce superando il tono dei due fratelli che presero a battibeccare, soprattutto Ambar. “- Zitti un secondo!” Angie, esasperata, tornò indietro con aria meno pacata del solito… per fortuna non aveva ancora chiamato e stava solo cercando il numero in quella marea che erano scritti nell’agenda. “- Vediamo se ricordo bene…” Iniziò con un sorriso, indicando prima il maggiore dei nipoti: “- Margherita!” Esclamò, facendolo annuire divertito, “- Prosciutto e funghi senza mozzarella…” Sentenziò poi facendo passare il suo sguardo su Violetta che accennò un applauso. “- E per la più piccola… wurstel e patatine!” Disse in ultimo, facendo saltellare contenta la rossa. “- Avrei detto una capricciosa…” La canzonò Diego, beccandosi la seconda occhiataccia e linguaccia della serata dalla terzogenita. “- Visto? Io mi ricordo tutto!” Concluse con tono ovvio la donna, ricominciando a sfogliare l’agendina freneticamente. “- Trovato!” Sorrise tra sé, notando il numero scritto con un elegante calligrafia in fondo ad una paginetta stracolma di cifre. “- Se solo vostro padre si fosse preoccupato di attaccare questo al frigo avremmo fatto molto prima!” Aggiunse poi, ruotando gli occhi al cielo divertita. “- Vado a telefonare, voi fate i bravi e cercate di trovare un accordo per il DVD… ok?” Sentenziò con tono serio lei, vedendoli annuire e avvicinarsi tutti e tre insieme ai vari cofanetti dei film. Angie, soddisfatta, si avviò verso la cucina… sarebbe stata una lunga serata, ma era sicura che alla fine i tre si sarebbero comportati bene, come al solito.
 
 
“- Papà, io esco!” Leon, vestito di tutto punto, apparve in cucina, facendo accigliare Matias, intento a organizzarsi per la cena: dei toast al prosciutto che aveva già bruciato due volte in forno e che stava preparando per la terza di fila. “- Non ci pensare neanche!” Borbottò l’uomo, riemergendo con la testa da una nuvola di fumo nero, tossendo fastidiosamente. “- Che cosa?!” Il giovane era convinto di aver sentito male… cosa diamine voleva ora suo padre? Di solito aveva piena libertà di uscita, certo con dei limiti d’orario che puntualmente infrangeva… ma ce l’aveva. Come mai ora gli vietava così categoricamente di andare a quella megafesta per cui aveva ricevuto l’invito da Seba? Già Diego aveva dato forfait per l’anniversario dei genitori: doveva restare a casa e non creare problemi alla famiglia… adesso ci si metteva anche lui ad intralciargli la strada? “- Non vai da nessuna parte, bello! Resti qui con me e papino!” Francesca, scendendo le scale per raggiungere la cucina dove i due si trovavano, aveva ascoltato tutto ed entrò nella stanza esclamando quella frase, ghignando allegramente. “- Ma si puo’ sapere almeno il perché?” Domandò Leon, sconvolto, appoggiandosi con la schiena allo stipite della porta, mentre la sorella corse in soccorso di Matias quando la nube di fumo nero si stava espandendo nella camera, cominciando a puzzare decisamente troppo. “- Perché tua madre è in centrale, ha il turno di notte, purtroppo… e io la responsabilità di farti uscire non me la prendo!” Sentenziò categoricamente il biondo, andando ad aprire la finestra mentre la figlia continuava attenta la preparazione dei tramezzini. “- E cosa c’entra, scusami?! Chiamala e dille che esco, no?!” Provò ad insistere il giovane, mentre il padre scuoteva già il capo in segno di dissenso. “- Sapete che vostra madre non vuole essere disturbata al lavoro, men che meno per futili motivi come questo!” Esclamò categorico La Fontaine senior, prendendo un pezzo di formaggio e masticandolo velocemente, sperando che Francesca non se ne accorgesse. La ragazza finse di non vedere e continuò come se nulla fosse, pregustandosi già la serata: avrebbe cenato con il padre e il fratello, il quale di sicuro non l’avrebbe spuntata in quella discussione, e poi si sarebbe fiondata alla sua finestra con il telescopio… sempre che quei nuvoloni estivi che coprivano il cielo da tutto il pomeriggio si fossero almeno un po’ diradati… cosa che, in quel momento, non sembrava affatto che sarebbe potuta accadere. “- Ma papino…” “- Leon, ho detto di no.” Concluse Matias, facendolo sbuffare sonoramente, stizzito. “- La mamma non se ne accorgerebbe nemmeno se uscissi… tanto tornerà domattina, no?” Continuò il ragazzo, piccato. “- Se la mamma dovesse scoprire che sei uscito e che avessimo tentato di tenerla all’oscuro di tutto mi ammazzerebbe: ha il porto d’armi… e io non voglio rischiare.” Commentò Matias serissimo, appoggiandosi pigramente al lavello, osservando la mora destreggiarsi abilmente tra i fornelli. “- Che ingiustizia, però!” Urlò Leon, sedendosi al tavolo e cominciando ad armeggiare con il cellulare… tanto valeva avvisare l’amico che non ci sarebbe stato. “- Dai, fratellino, guarda il lato positivo: non ci va nemmeno Diego e poi… e poi potremmo restare insieme a casa tutta la sera… non è fantastico?!” Il gemello non capì se la bruna lo stesse prendendo in giro o se dicesse sul serio… a casa? Era impazzita o cosa? “- Piuttosto me ne vado a letto…” Borbottò tra i denti, mentre Francesca sistemava la loro cena in dei piatti e iniziava a servire i due uomini di casa che avevano preso già posto. “- Che melodrammatico!” Lo schernì la ragazza, andando verso il frigorifero per estrarne una bottiglia di Coca Cola. Leon era fatto così: amava la vita sociale, stare al centro del mondo, essere sempre il cuore delle feste… era lo stesso nel vecchio quartiere e voleva che fosse uguale anche ora, seppure fossero arrivati da poco lì. Lei invece era sempre più riservata: odiava essere sotto esame, al centro dell’attenzione… preferiva decisamente immergersi nella lettura, in un angolo appartato senza farsi notare troppo. Aveva sempre avuto pochi amici, faticava un sacco a farsene… ma con Violetta era stato diverso: era stata la Castillo ad avvicinarla sin dal primo giorno, si sentiva accettata con lei, sé stessa senza doversi nascondere… e quando aveva conosciuto anche Camilla era stato… strano. Persino la Torres, tanto diversa da lei la considerava un’ amica e ci aveva messo un po’ ad abituarsi all’idea, considerato che di norma, di certo non stringeva tanti legami con altri coetanei. “- Papà, ma la mamma non aveva lasciato la cena in forno?” D’un tratto, la bruna, interrogò l’uomo che sussultò dalla sedia a quella frase, divorando voracemente il suo secondo toast al formaggio. “- Non saprei…”. Si tenne sul vago Matias, versandosi distrattamente da bere, rischiando di far debordare il bicchiere. “- A me stamane ha detto che avrebbe preparato delle cotolette e patatine fritte per la serata, visto che non ci sarebbe stata… e la mamma non mente. Mai.” Leon, con quella frase categorica, studiò attentamente l’espressione furtiva di suo padre che si alzò di colpo per portare il suo piatto nel lavello. “- Le ha mangiate! Ha spazzolato tutto da solo!!!” Francesca, intuendo di colpo cosa fosse accaduto, esclamò quella frase fissandolo di sbieco e facendo annuire il fratello con decisione. “- Lo fa sempre, è la terza volta che capita questo mese!” Le diede man forte Leon, incrociando le braccia al petto mentre l’uomo si voltò, fissandoli con una buffa espressione di rammarico. “- Avevo fame… è accaduto nel pomeriggio. Le tre fettine panate mi hanno tentato troppo… sono mortificato.” Concluse con aria afflitta, avviandosi poi come se nulla fosse verso il salotto, pronto a sbracarsi sul divano per guardare chissà quale partita di calcio. “- Che faccia tosta!” Sentenziò Francesca, portandosi le mani ai fianchi con stizza ma divertita… sempre il solito suo padre! E pensare che avesse un supermercato in zona che gestiva lì da quando si erano trasferiti… chissà quanto cibo finisse nei carrelli dei clienti e quanto nel suo stomaco!
“- E noi? Che facciamo?” Chiese Leon, alzandosi per aiutare la gemella a sparecchiare. “- Intanto laviamo i piatti…” Spiegò la bruna, cominciando a riempire l’acqua per iniziare il lavoro. “- Preferisco… meglio che sentirti straparlare su qualche autore di scuola…” La prese in giro il ragazzo, avvicinandosi a lei e beccandosi una gomitata che lo fece barcollare di lato e sorridere allo stesso tempo, alludendo alla voglia di studiare della giovane. “- Tanto posso comunque fare le due cose insieme, fratellino… e poi un po’ di cultura puo’ solo farti bene! Se vuoi lascio a te la scelta della materia!” Lo riprese Francesca, cominciando a strofinare la spugnetta sul primo piatto, osservando fuori dalla finestra proprio davanti a sé il cielo: era sempre più grigio e, in lontananza, alcuni bagliori, dei lampi improvvisi, cominciarono a risplendere nel buio della sera. L’idea di passare la notte a guardare le stelle della giovane, per quella volta, sfumò sul rombo dell’ennesimo potente tuono.
 
 
Il bagliore della televisione accesa era l’unica luce che si irradiava nel salotto, tralasciando quella delle saette che avevano iniziato una folle danza fuori dalla finestra. La voce di Anna ed Elsa, protagoniste di ‘Frozen’ che cantavano una canzone era l’unico suono nella stanza, seguito dal russare di Diego, seduto sul divano tra le due sorelle, e qualche tuono improvviso che, per fortuna di Angie, non era riuscito a svegliare i tre fratelli Castillo. La bionda, invece, a parte essersi assopita per metà film, era stata svegliata di soprassalto da uno di quei rombi e, ferma davanti alla finestra, osservava preoccupata la pioggia venire giù a catinelle, senza dare l’impressione di voler smettere neppure per un istante. La sua mente volò a quella serata: si era divertita un sacco con i suoi nipotini… le pizze erano state un successone, alla fine era stato estratto un dvd sicuramente inserito nel sorteggio da Ambar, ovvero una pellicola della Disney, ed ora i tre diavoletti dormivano, l’uno accanto all’altra. Secondo gli ordini di German avrebbe dovuto mettere a letto la piccola di casa entro le dieci, massimo dieci e mezza… ma perché muoverla da lì se dormiva così bene? In effetti però non poteva lasciare che rimanesse sul sofà per quanto comodo fosse, o al ritorno del cognato sarebbero stati guai e, lentamente, l’avvicinò per poi inginocchiarsi all’altezza del divano. “- Piccola, ehi!” Ambar aprì un occhio a quel dolce sussurro e prese a strofinarseli entrambi cominciando a guardarsi intorno per capire dove si trovasse, leggermente spaesata. “- Devi andare a dormire, su! Nel tuo lettino, forza!” Le ordinò la bionda, indicandole le scale. “- Ma ora Anna si scongela!” Si lamentò la bambina, lanciando una mezza occhiata allo schermo del televisore e individuando il punto esatto in cui il DVD si trovasse. “- Sì, ma tanto già sai come finisce… quindi a nanna, dai!” Sorrise teneramente la donna, vedendola alzarsi pigramente per raggiungere i gradini che portavano al piano superiore, dove si trovavano le camere da letto. “- Lavati i denti, metti il pigiamino e poi sotto le coperte, subito… va bene? Altrimenti chi li sente poi i tuoi genitori!” Esclamò Angie, seguendola sino in fondo alla scalinata. “- Va bene… buonanotte, zia.” Salutò la bimba, schioccandole un bacio sulla guancia. “- Buonanotte, piccolina… vuoi che ti accompagni?” Ricambiò la Saramego, accarezzandole lievemente il capo, osservandola salire piano tenendosi al corrimano. “- No, me la caverò…” Ribatté Ambar, facendo annuire l’altra, soddisfatta. In fondo per quanto inesperta fosse con i bambini non se l’era cavata poi così male… ma comunque non è che avesse dovuto fare un granché: Diego e Violetta erano grandi e la minore dei tre era in gamba… quindi badare a loro non era mai un compito troppo difficile. I tuoni sembravano essere cessati ma comunque il maltempo non si attenuava: e pensare che era ancora estate! Fino a quella mattina il caldo era stato torrido, opprimente… ed ora sembrava inverno inoltrato con quella tempesta, se non fosse che la calura nell’aria era rimasta comunque. Si andò a sedere sulla poltrona poco distante dal sofà e prese a fissare i titoli di coda scorrere in tv, per poi spegnere il dvd con il telecomando di fianco a Violetta, sul bracciolo del divano. Chissà se Esmeralda e German fossero ancora al ristorante… si voltò a guardare l’orologio e notò che fosse già mezzanotte… quanto era durato quel film? Sentiva di aver perso la cognizione del tempo e, tra un ragionamento e l’altro, finì per ritrovarsi a pensare a quel Pablo. Non sapeva dire come né perché ma quell’uomo la irritava, in tutto ciò che faceva. Aveva un atteggiamento irritante, una voce irritante, un ego di proporzioni irritanti… insomma, lo detestava. Si chiedeva, ora che lo aveva conosciuto meglio, come gli altri membri della famiglia si trovassero abbastanza bene con lui eppure, per quanto la riguardava, avrebbe seriamente potuto fare a meno della sua inutile presenza, in ogni occasione. German era figlio unico, aveva perso i genitori da ragazzo e la sua ancora di salvezza era stato quel tizio scalmanato che lui considerava il fratello minore che non aveva mai avuto. Avevano praticamente condiviso la loro giovinezza… e anche quando suo cognato aveva conosciuto sua sorella, Galindo era comunque il suo migliore amico a cui teneva tantissimo, quanto alla sua fidanzata. Per lui Pablo era uno di famiglia e, per quanto diverso caratterialmente da lui fosse, si trovavano sempre in perfetta sintonia. Le palpebre cominciarono a farsi pesanti… in fondo se i padroni di casa l’avessero trovata addormentata lì non si sarebbero poi arrabbiati più di tanto, pensò… o meglio, il sonno ebbe il sopravvento e non ebbe neppure il tempo di rendersi conto che fosse presto caduta tra le braccia di Morfeo, accoccolata su sé stessa e appoggiata alla morbida spalliera della poltroncina.
Improvvisamente, qualcosa la svegliò di colpo. Non si rese conto subito da dove provenisse quel suono e ci mise circa due minuti abbondanti prima di razionalizzare: il campanello suonava ininterrottamente e, pigramente, si alzò per trascinarsi sino alla porta, mentre sia Diego che Violetta cominciarono a muoversi sul divano e a risvegliarsi a loro volta per tutto quel trambusto. German aveva dimenticato le chiavi? Impossibile, le teneva legate a quelle dell’auto quindi non poteva essere così… mentre attraversava la sala per raggiungere l’ingresso un milione di ipotesi le passarono per la testa e, prima di aprire, guardò l’orologio sul suo polso: l’una di notte… dov’erano finiti sua sorella e suo cognato?
“- Angie, vieni con me, subito. Dobbiamo andare in ospedale…” Tutto trafelato e bagnato dalla pioggia, segno evidente che non avesse neppure avuto il tempo di prendere l’ombrello, Matias La Fontaine il vicino dei Castillo, aveva un’espressione così tesa che la fece spaventare subito, portandola di fatti ad ipotizzare il peggio. Lo aveva visto si o no un paio di volte, era un uomo simpatico, divertente… e vedere che avesse quella faccia nervosa le trasmise in meno di un secondo il panico più totale. “- Cosa è…?” Tentò di dire la donna, sentendo il fiato mancare per la paura, mentre lui scosse il capo, agitando i suoi capelli dorati zuppi d’acqua piovana. “- Non c’è tempo, ti spiego strada facendo… un incidente… loro… loro…” Balbettava. Matias aveva le lacrime agli occhi, non erano gocce di pioggia ma Angie ci mise un po’ ad accorgersene, sentendo il sangue raggelarsi nelle vene a quelle parole dell’uomo. “ospedale”, “incidente”, “loro”… stava cominciando a riunire tutti i pezzi di quelle frasi sconclusionate e il terrore che fosse accaduto qualcosa di gravissimo le fece tremare la terra sotto ai piedi, tanto che dovette appoggiarsi con una mano allo stipite della porta d’ingresso per sorreggersi. “- Cosa è successo?” Diego, scattato in piedi per quella confusione, si avvicinò alla zia insieme a Violetta che già si sentì scuotere anche le ossa per la paura e per la sensazione che fosse successo qualcosa di orribile ai suoi genitori. “- Mi ha chiamato Marcela, dobbiamo andare… sbrighiamoci!” La Saramego, senza nemmeno rientrare in casa, si precipitò dietro all’uomo, seguita da i ragazzi che fecero lo stesso. “- AMBAR!” Si ricordò improvvisamente, già sul vialetto di casa, mentre la pioggia continuava a battere impietosa sulla strada, su di loro, sui loro profili, mischiandosi alle lacrime che già avevano preso a correre sui loro volti. “- Non ti preoccupare, Francesca si occuperà di lei…” La rincuorò l’uomo, avviandosi verso il suo garage per prendere la macchina: quella della donna era piccola e mal ridotta, non potevano rischiare di rimanere in mezzo alla strada con quella tempesta, dovevano sbrigarsi. Mentre parlavano videro la figlia di Matias attraversare il loro cammino in direzione opposta, a passo svelto, segno che stesse andando a controllare la piccola, seguita da Leon che, anche più veloce della sorella, si dirigeva come lei verso la porta spalancata di villa Castillo, lasciata così per la fretta dalla Saramego. La Fontaine senior mise subito in moto e sfrecciò fuori in retromarcia, ritrovandosi prontamente sulla strada che portava all’ospedale centrale di Buenos Aires, il più grande della città. I ragazzi erano rimasti in silenzio sui sedili posteriori, impossibilitati anche dal semplice proferire parola: nessuno aveva la forza di dire nulla, forse perché nessuno aveva il coraggio di sapere altro. Matias superò il primo incrocio e finalmente la pioggia andò diradandosi, lasciando posto ad un’aria più fresca e ad un venticello fastidioso che entrava dai finestrini, scompigliando loro i capelli. Angie, seduta accanto al biondo, si sentì più volte mancare l’aria… cosa diamine era accaduto? Era così grave? Avrebbe dovuto portare i ragazzi? Inutile anche solo pensare il contrario, tanto si sarebbero comunque opposti a qualunque divieto… si trattava dei loro genitori, come avrebbero potuto restarsene tranquilli a casa?
“- Mi ha chiamato mia moglie, era di servizio alla centrale di polizia…” Inaspettatamente fu il conducente ad iniziare a parlare come aveva promesso, ancora con la voce insolitamente tremante. I Castillo sul retro dell’auto sobbalzarono a quelle parole, volendo sentire il più possibile sull’accaduto. “- E’ molto grave?” Diego, mentre la sorella aveva ripreso silenziosamente a singhiozzare con le mani giunte e le dita intrecciate, chiese quello che avrebbero voluto sapere sia sua zia che Violetta, se solo ne avessero avuto la forza. “- Ha detto che c’è stata una frana sulla Statale 102, e che lei ha riconosciuto subito l’auto di German… e… e poi ne ha avuto la conferma…” Balbettò tesissimo l’uomo, tenendosi ancora troppo sul vago. Il fatto che avesse cambiato discorso fece rabbrividire i passeggeri dell’auto e il giovane incalzò con quella domanda, la stessa: “- MATIAS! Dicci se è molto grave, per favore…” Ripeté per la seconda volta il ragazzo, urlando quel nome e poi parlando con una freddezza glaciale, sentendosi però gli occhi pizzicare, tanto che dovette stringerli per evitare che le lacrime fuoriuscissero: doveva essere forte, doveva essere forte per Violetta, per Angie… e per quanto fosse terrorizzato provò a mantenere la calma. “- Non voglio mentirvi…” L’uomo fissava la strada di fronte a sé senza staccarvi lo sguardo neppure per un istante: come poteva dire loro quello che sapeva? Non era stato facile nemmeno per lui quando aveva ricevuto la chiamata di sua moglie… come affrontare quel discorso, quindi? “- E ALLORA NON FARLO!” Ci provò. Diego provò a placare il suo nervosismo ma non ci riuscì e solo dopo aver gridato quelle parole e scagliato un pugno sul sediolino, si rese conto che non ne fosse stato capace. La Fontaine non disse nulla per alcuni istanti che parvero eterni ai tre, che pendevano dalle sue labbra. “- Sì.” Concluse in ultimo, facendo avere ai ragazzi e alla donna la consapevolezza che l’amara ipotesi che avevano in mente potesse essere in realtà una cruda verità.
 
 
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Prepariamo i fazzoletti, ecco qui il capitolo che da il via al dramma! :'( Con il prossimo si piange proprio, vi avverto! D’: Iniziava tutto così bene in questo tre, abbiamo visto prima la zia con i nipoti e poi un po’ di vita a casa La Fontaine e… e poi finale shock, blocco che darà la svolta a tutta la storia. Cosa sarà accaduto? Ansia! :’( Alla prossima e grazie a tutti coloro che seguono la storia… :3 ciao! :) DulceVoz. :)

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Capitolo 4
*** Un dolore devastante. ***


Un dolore devastante. Cap.4
 
“- Coraggio, ragazzi, forza...” Pablo, circondando le spalle di Violetta, invitò i giovani a resistere a tutta quella sofferenza come se così dicendo potesse lenire anche la sua, mentre un fastidioso venticello sferzava i loro volti umidi di lacrime. Il cielo era rimasto nuvoloso dopo quella notte tempestosa di tre giorni prima, e il loro animo era stato messo a dura prova da un dolore troppo grande, un dolore che li avrebbe segnati per tutto il resto delle loro vite: German ed Esmeralda non ce l’avevano fatta, se n’erano andati insieme, una volta raggiunto l’ospedale dopo una folle corsa in ambulanza, e il vuoto che avevano lasciato nel cuore dei loro figli e di chi li aveva amati tanto, era incolmabile.
Diego fissava le lapidi dei genitori, una accanto all’altra, con sguardo perso: non riusciva neppure a piangere sembrava piuttosto pietrificato, sotto un qualche incantesimo che privasse di provare qualunque sentimento, tranne il dolore. Quei due nomi incisi in nero sul marmo candido, quelle date a caratteri cubitali… non poteva essere vero, non poteva e basta. Perché? Perché la famiglia perfetta che erano si era sgretolata così, in una maledetta sera temporalesca? Leon, a qualche passo di distanza da lui, non sapeva cosa fare: non aveva mai visto l’amico in quello stato, gli faceva un effetto strano… il solare Castillo poteva realmente essere lo stesso giovane che aveva di fronte a sé, così spento e vuoto? Ecco cosa vedeva negli occhi del ragazzo: il nulla, eppure, l’unica cosa chiara in essi era un’immane sofferenza. Rabbrividì. Gli si avvicinò a passo lento e, senza parlare, gli strinse le spalle con un braccio: non avrebbe saputo cosa dire, non riusciva a proferire parola ma con quella vicinanza sapeva che lo avrebbe fatto sentire non di certo meglio ma almeno un po’ meno solo, e quel pensiero lo rincuorò, mentre non accennò neppure a mollare la presa su di Diego che rimase fermo come una statua.
Angie era altrettanto immobile, stringeva tra le braccia la piccola Ambar, mentre Marcela la sorreggeva per la vita, avendo notato quanto fosse pallida e con la paura che potesse svenire da un momento all’altro. La sua sorellona, la sua Esme non c’era più, se n’era andata per sempre insieme all’unico grande amore della sua vita, a German, e non voleva crederci, non ci riusciva proprio. Era sicura di star vivendo un incubo, un incubo da cui presto si sarebbe svegliata perché quella non poteva essere la realtà, non era giusto che lo fosse. Che cosa ne sarebbe stato dei loro figli, adesso? Che ne sarebbe stato di lei? Un'altra lacrima le percorse la guancia bianca e istintivamente abbassò lo sguardo, sentendola intraprendere una strada diversa dalle altre per quel cambio repentino di posizione, per poi scivolare comunque giù rapida. “- Non torneranno più, vero zia?” Ambar, con gli occhi che luccicavano, sfiorò con un dito il viso bagnato della bionda che si lasciò sfuggire un singhiozzo nel sentire quelle parole, non riuscendo a parlare, non riuscendo a dire che era così: non sarebbero più tornati. La piccola aveva ragione, per quanto facesse male sentirselo dire, era così.
“- Ambar tesoro, va’ con Francesca… ti porterà a casa e giocherete un po’ insieme…” La Parodi, prendendo la bimba tra le braccia fece cenno alla figlia di avvicinarsi a lei, e la giovane, comprendendo al volo, si staccò dalla stretta con Camilla e Violetta e si avvicinò alla donna che aveva messo giù la piccola e le stringeva la manina. “- Non ne ho voglia, voglio stare qui con mamma e papà!” La vocina squillante e piccata della minore dei Castillo fece voltare tutti i presenti nella sua direzione ma la ragazza mora si accovacciò raggiungendo l’altezza della bimba e le carezzò piano una guancia, sperando di riuscire a convincerla ad allontanarsi da quel luogo tanto triste, quel luogo in cui nemmeno lei che era ormai grande riusciva a resistere troppo a lungo senza sentire una grande angoscia montarle dentro ad ogni passo, una volta varcata l’entrata. “- Su, vieni con me, faremo tutto ciò che vorrai…” La pregò dolcemente Francesca, mentre la piccola, di slancio, l’abbracciò forte: la bruna non seppe dire come mai lo avesse fatto, la bimba si trovava sempre bene con lei, essendo, da quando i La Fonatine erano diventati loro vicini, la sua babysitter preferita, ma ricambiò teneramente, sollevandola poi e incamminandosi con la rossa stretta al suo petto che aveva ripreso a piangere forte, tenendo le braccia al collo della ragazza. Ambar era sempre stata molto più sveglia della sua età e aveva capito prontamente la verità, per quanto avessero tutti tentato di tenerla all’oscuro da tutto quella sofferenza… ma come riuscirci? La bambina non era una sciocca, aveva intuito come stessero le cose sin dai primi attimi di quella maledetta notte, in cui si era svegliata all’improvviso e, accanto a lei, aveva trovato i due fratelli La Fontaine che tentavano di non far trasparire nulla dai loro volti, inutilmente, che fosse accaduto qualcosa di grave. “- Andrà tutto bene, tesoro…” Le sussurrò lieve la giovane all’orecchio, precedendo tutti e avviandosi verso casa, uscendo a passo rapido dal cimitero più grande di Buenos Aires. Il secondo a recarsi fuori fu Matias che fece cenno alla moglie di seguirlo in auto, mentre Marcela continuava a sostenere la Saramego. “- Grazie…” Balbettò Angie alla bruna, abbracciandola forte: si conoscevano pochissimo ma in quei terribili giorni la poliziotta le stava accanto come un’amica di vecchia data e l’aiutava in tutto. “- Non ho fatto nulla di straordinario… non esitare a cercarmi per qualunque cosa.” Sussurrò l’altra, sentendo ancora la donna singhiozzare silenziosamente. “- Per qualsiasi cosa sai dove trovarci: io e Mati, ma anche Fran e Leon siamo a disposizione per tutto, tranquilla.” Sentenziò ancora, mentre si separavano e la bruna, notando che lei volesse rimanere un po’ da sola con i nipoti, si incamminasse a passo rapido.  
Violetta era in piedi tra Camilla e Pablo ed era come se non riuscisse ancora a razionalizzare cosa fosse accaduto: non erano loro, non potevano essere i suoi amati genitori, il funerale al quale aveva presenziato non poteva sul serio essere dell’uomo e della donna che più amava al mondo, quegli stessi che dal loro amore sconfinato le avevano dato la vita, a lei e ai suoi fratelli. Come avrebbe fatto ad andare avanti senza di loro? Dove avrebbe mai trovato la forza per continuare la sua di esistenza? Non lo sapeva, non sapeva neppure se mai avesse avuto il coraggio di cercarla quella forza.
Molte delle persone che conoscevano suo padre e sua madre, ovvero buona parte della città e del quartiere avevano portato i loro omaggi alla famiglia ed ora continuavano a tornare alle proprie dimore, in un clima di rispettoso silenzio, mentre solo i più intimi erano ancora fermi, senza accennare a voler andare via da lì. “- Signori devo chiudere, dovete andare, ora…” Un uomo anziano, con una pala stretta nella mano destra, si avvicinò per la seconda volta a loro: il guardiano del cimitero li aveva già invitati a recarsi a casa poco prima, ed ora non avevano scelta, se non avviarsi verso il cancello d’ingresso per farvi sul serio ritorno. Leon, senza lasciare l’amico, lo condusse piano verso il sentiero che riportava all’entrata e il moro, senza dire una parola, si incamminò al suo fianco dopo aver opposto resistenza, tanto che l’altro dovette stringerlo più forte a sé per convincerlo ad uscire. “- Io vado con Seba, ma ci vediamo oggi… coraggio…” Camilla, schioccando un bacio sulla guancia e abbracciandola ancora, salutò con quelle parole l’amica: non l’aveva lasciata sola un attimo in quelle ore drammatiche e Violetta lo sapeva bene, seppure ancora non riuscisse a dirle grazie come avrebbe voluto e si limitò a stringerla più forte, prima di seguirla con lo sguardo allontanarsi con il suo ragazzo. “- Piccolina, vieni…” Galindo, asciugandosi gli occhi con la manica della camicia, tentò di accompagnare fuori la ragazza che, invece, si voltò a fissare la zia, l’ultima rimasta vicino alle due tombe: “- Angie…” Pablo, sapendo quanto la donna lo odiasse la richiamò con un filo di voce, consapevole comunque che in quel momento, in ogni caso, il loro rapporto teso sarebbe stato l’ultimo dei problemi di entrambi. “- Andiamo, zia…” Violetta, tendendo la mano alla bionda che si voltò impercettibilmente verso di loro, la invitò a seguirli: nemmeno lei si aspettava che sarebbe riuscita a spiccicare parola e, quando la donna la raggiunse, a passo lento e gliela strinse, sorrise amaramente, sentendola vicina, sperando di poterla avere sempre così, accanto a sé. Sua zia era lì con lei e, mentre il moro, lanciando un’ultima occhiata mesta alle due si allontanò, la ragazza gettò le braccia al collo della Saramego che si lasciò cadere sulle ginocchia sulla bassa e pungente erbetta sotto i loro piedi, ricominciando a piangere più forte, sentendo a sua volta la nipote cominciare a singhiozzare nuovamente. “- Non… non mi lasciare zia, ti prego… io… io non… non voglio perdere anche te… sei tutto ciò che mi rimane oltre ai miei fratelli…” Balbettò, affondando il volto contro il petto della donna che le accarezzava la schiena, per tentare di calmarla almeno un po’. “- Non ti lascerò, amore mio. Te lo prometto.” Sussurrò tra le lacrime Angie, schioccandole poi un dolce bacio sulla fronte, restando ancora qualche secondo così, insieme alla giovane, prima di rialzarsi per tornare a casa.
 
 
Il garage dei La Fontaine era silenzioso e, stranamente, anche il figlio dei proprietari lo era: Leon se ne stava seduto da solo dietro alla batteria ma per rispetto al lutto dei vicini, ovviamente, aveva deciso con Seba di spostare le prove a data da definirsi e di conseguenza anche l’audizione del fratello dello stesso, la prova del bassista Andres. Che brutti giorni erano passatati, ancora non riusciva a credere a ciò che era accaduto: il suo amico aveva perso entrambi i genitori in un colpo e si ritrovava con il peso, che era sicuro avesse, di badare alle sue sorelle e alla casa da solo. Incredibile quanto fosse strana e malvagia a volte la vita… Fino alla domenica prima erano tutti felici per il compleanno di Ambar, avevano festeggiato e riso per gli otto anni della piccola e il giorno dopo: la catastrofe. Ricordava bene quella notte, era stata un inferno per tutti… l’angoscia di sapere, la paura di chiedere per il terrore di risposte negative e poi quella chiamata da parte della madre quando era già l’alba, quando finalmente aveva trovato la forza per avvertire lui e Francesca di quanto fosse successo, entrambi infatti rimasti a villa Castillo con Ambar, la quale aveva tentato in tutti modi di estorcergli informazioni. La bambina si era svegliata e li aveva raggiunti in salotto e se chiudeva gli occhi aveva ancora davanti l’ombra di terrore nel suo sguardo nel trovare loro due lì e non vedendo né i fratelli, né la zia.
“- Tesoro, vieni a tavola, il pranzo è pronto.” Marcela, ancora stravolta dal lavoro immane di quell’inizio settimana, apparve sul vialetto e si abbassò per riuscire a superare la saracinesca abbassata per metà, per poi avvicinarsi al figlio che la fissò con tristezza. “- Hai notizie dei vicini?” Chiese distrattamente, vedendola scuotere il capo con aria mesta. “- Prima gli ho portato qualcosa da mangiare… so che Angie è dentro con loro…” Sentenziò la donna, spostando uno scatolone e avvicinandolo al ragazzo per poi sedersi in cima ad esso. “- Leon, so che è dura e che sei preoccupato per il tuo amico… ma Diego è forte, vedrai che si riprenderà. Non subito, è ovvio… ma sono sicura che prima o poi sarà di nuovo qui a suonare con te. Dovrai dargli tempo e stargli accanto.” La donna si fermò per riprendere fiato, e forse per cercare le parole giuste: per quanto il figlio sembrasse spavaldo e faccia tosta lei, da madre, sapeva che in fondo avesse un animo sensibile e vederlo così abbattuto gliene aveva dato per l’ennesima volta la conferma. “- Se riuscissi a farlo sfogare, se… se provassi… non subito chiaramente, a portarlo fuori, in giro per farlo distrarre… tu sei giovane, siete coetanei e per quanto vi conosciate da poco puoi aiutarlo più di quanto non possa immaginare.” Sorrise amaramente la signora La Fontaine, accarezzandogli piano una guancia, facendo sì che il giovane sollevasse lo sguardo verso la madre perdendosi in qualche secondo di silenzio, come se non fosse del tutto concorde con lei. “- Io però… l’ho visto troppo male, mamma! Ho paura che non si riprenderà mai più dopo questo duro colpo!” Spiegò infatti, facendo annuire piano, volendo comunque tentare di rasserenarlo. In effetti quello dei ragazzi che aveva avuto la reazione più forte tra i figli dei Castillo era proprio il maggiore che, in disparte da tutti, non era nemmeno riuscito a piangere e sembrava essere su un altro pianeta. “- Tesoro, è normale… tu stagli accanto, te l’ho detto. Alcune ferite, quelle più profonde, ci mettono più tempo a rimarginarsi rispetto a quelle in superficie…” Mormorò la bruna, prendendogli una mano, dolcemente. “- Sempre che si rimarginino.” Concluse freddamente il castano, osservando il microfono dietro al quale di solito si posizionava l’amico, pensando a chissà quando l’avrebbe rivisto lì a cantare e fare confusione con lui e Seba. “- Ce la farà, vedrai.” Sentenziò Marcela, alzandosi e schioccandogli un bacio sulla guancia prima di dirigersi di nuovo verso l’entrata alla loro “sala prove”. “- Mamma…” La voce di Leon la fece voltare quando ormai era già quasi arrivata fuori ma si bloccò, fissando teneramente il giovane. “- Tu come stai?” A quelle parole la Parodi fece qualche passo in avanti, provando a tenere un sorriso palesemente forzato sul viso per rasserenarlo. “- Sono solo un po’ stanca e triste, come tutti…” Minimizzò la donna, colpita dall’interesse del figlio: non che Leon non l’amasse ma non era solito chiederle una cosa del genere e la bruna comprese che se l’aveva fatto era perché doveva proprio avere un’espressione distrutta. “- Riposati un po’, sembri una trottola impazzita.” Le consigliò il ragazzo preoccupato, vedendola annuire lentamente. “- Tu sta’ tranquillo e pensa a riprenderti… io sono grande e con il mio lavoro sono abituata a situazioni simili, tu invece, sei il mio piccolino… e voglio che stia sereno, d’accordo?” Esclamò la donna dolcemente, facendogli nascere sul volto un’aria più tenera. “- D’accordo, mammina…” Sentenziò sottolineando quel nomignolo affettuoso che fece ridacchiare Marcela. “- Da quando è successo ciò che è… successo… ho… paura…” Ammise infine, quasi in un sussurro: la Parodi si morse nervosamente il labbro… se il giovane, di solito forte stava così non osava pensare in che stato fosse la sua Fran, molto più chiusa e sensibile il triplo di Leon. “- Non devi, tesoro. Non stare così, per favore…” Mormorò la donna, vedendolo alzarsi e avvicinarsi piano a lei, prima di ritrovarselo stretto tra le sue braccia… sapeva bene cosa intendesse il castano: il terrore di perderla doveva essere grande dopo aver visto come potesse accadere ai Castillo, a maggior ragione per una madre che aveva un lavoro pericoloso come il suo, poi. “- Vieni di là o tuo padre divorerà il tuo e il mio piatto che sono già in tavola… lo conosci, no?” Gli sussurrò all’orecchio, sperando di allentare un po’ la tensione di quella conversazione, mentre il giovane sciolse quella stretta e annuì debolmente, lasciandosi andare a una debole risata. Se c’era una cosa che adorava di sua madre era senza dubbio la sua forza e la sua dolcezza e no, non voleva pensare al peggio… doveva essere forte e voleva divertirsi, magari più in là trascinandosi anche Diego per aiutarlo a riprendersi quanto prima.
 
 
Pablo si rigirò su sé stesso tra le lenzuola candide del suo letto: un mal di testa martellante si era impossessato del suo capo e sentiva ancora la bocca impastata dal forte sapore di alcool… cosa diamine aveva combinato? Caspita, quella notte si era superato, peggio del solito… a patto che fosse notte… o forse era pomeriggio? Non si ricordava molto, la cognizione del tempo l’aveva del tutto persa e l’unica cosa rimastagli era un vuoto creato dai troppi aperitivi bevuti che gli aveva comportato persino dei dubbi sul suo stesso nome. Si mise a sedere e si sforzò di capire cosa diamine fosse accaduto: si voltò impercettibilmente verso il comodino alla sua destra e notò una cornice con una fotografia luccicare alla luce dell’abatjour, la quale immagine, come un lampo, riuscì a rievocargli talmente tanti ricordi che sentì il cerchio al cranio aumentare sempre di più ma non avendo la minima intenzione di posarla, anzi restando a fissarla con aria malinconica. Non era una delle immagini perfette scattate da lui, anzi era proprio di una pessima definizione, ma non era quello che contava: in quella foto c’erano lui che con un braccio circondava le spalle di German, al centro tra lui ed Esmeralda, i loro ragazzi qualche anno prima palesemente più piccoli e, accanto alla moglie dell’amico, non poco imbronciata, c’era Angie che lo aveva sopportato sempre troppo poco. Pablo si sforzò di rimettere al suo posto quella cornice della famiglia e si ristese supino a fissare il soffitto con aria assente. Ecco cosa era successo il giorno prima: era andato al funerale del suo migliore amico, colui che considerava a tutti gli effetti come un suo fratello, con il quale aveva condiviso le tante gioie e i non pochi dolori che avevano caratterizzato le loro vite, talmente drammatiche da sembrare quasi connesse tra loro. E pensare che aveva conosciuto Castillo in una biblioteca, luogo che di certo non avrebbe mai frequentato se non per un valido motivo… e pensare che all’inizio e a primo impatto lo ritenesse un secchione, a differenza sua… e pensare che fosse molto più piccolo di lui ma poi… beh, quando aveva conosciuto la sua storia e i loro destini si erano incrociati, tutto era cambiato. German voleva andare all’Università, costruirsi una famiglia ed essere felice circondato dall’amore che essa avrebbe potuto dargli, amore che aveva perso da ragazzo poco più che adolescente con la scomparsa di suo padre e, poco dopo, con quella della madre, Galindo, il quale nemmeno lui aveva avuto vita facile, anzi tutt’altro, era il suo polo opposto: viveva alla giornata, lo aveva sempre fatto e il suo unico talento era la fotografia. Si ricordava ancora quando aveva trovato e avvicinato per la prima volta il cognato di Angie, varcando quella soglia per volere non di certo suo, ma della sua anima: lui stava lì, sfogliando un libro che gli provocò una fitta alla base del cuore, “Il Piccolo Principe”… non poteva essere vero, non poteva star leggendo proprio quello… se non altro, fu un segno del destino.
 
German sentì qualcuno avvicinarsi a passo lento e, istintivamente, alzò gli occhi dal volumetto che stringeva tra le mani, ritrovandosi di fronte un ragazzino moro, più basso di lui e dall’aria simpatica ma tristemente malinconica. Il giovane fissava quella copertina con sguardo perso, come se però nascondesse qualcosa, qualcosa che nessuno voleva sapesse e, quando Castillo fece per andarsene a sedere rimettendo a posto quel libretto per tornare a ciò che stava facendo, ovvero studiare ad uno dei grandi tavoli in legno verso le finestre più soleggiate di quel caldissimo pomeriggio di giugno, il ragazzo lo fermò di colpo: “- Se non ti serve posso prenderlo io?”  Ecco perché l’osservava tanto! Voleva prendere lui in prestito quel racconto! German non aveva mai letto nulla di quell’autore francese eppure ne aveva sentito tanto parlare e, pur di staccarsi dallo studio per almeno cinque minuti, si era messo a vagare tra le enormi librerie in cerca di qualcosa di più leggero per distrarsi un po’. “- Certo, io ho altro da fare, purtroppo.” Sentenziò Castillo con tono pacato, indicando il banco ancora stracolmo di tomi enormi dai quali avrebbe dovuto tornare per terminare di prepararsi per il suo primo esame universitario di ingegneria, a cui teneva decisamente troppo. Lo aveva promesso ai suoi, a suo padre… ed ora la sua meta doveva essere raggiunta anche per loro che non c’erano più.
“- Non è per me!” Ci tenne a sottolineare, quasi a giustificarsi con un tono serissimo, il più giovane, facendo sorridere l’altro. “- Anche se lo fosse non ci sarebbe niente di male!” Esclamò divertito German, bloccandosi di nuovo nel suo percorso e ritrovandosi di nuovo a fissare quello sguardo vivace ma tuttavia con una nota di angoscia vivida in esso. “- E’ per mio fratello… dice sia un bel libro, io però non l’ho mai letto, non mi piace perdere tempo con queste cose…” Ghignò amaramente l’altro, dando però sin da subito l’aria di non contarla giusta a quella frase un po’ strana. “- Beh, non ti farebbe male iniziare ad acculturarti, allora!”  Lo prese in giro il più grande, beccandosi un’occhiataccia dal suo interlocutore che, non sapendo spiegarsi di preciso il perché, si sentì quasi in dovere di ammettere però prontamente la realtà… “- Sai, ti ho mentito… in realtà sono qui per me, per leggere proprio quel preciso libro…” Affermò infatti, dopo qualche minuto di silenzio alquanto imbarazzante, in cui erano rimasti a disagio, l’uno di fronte all’altro a squadrarsi a vicenda senza sapere cosa dire di preciso. “- E perché ti vergognavi tanto a dirlo?” Domandò Castillo confuso, osservando il viso del giovane incupirsi improvvisamente e gli occhi quasi istantaneamente di lui farsi lucidi. “- Perché mi sarebbe piaciuto che lui potesse ancora leggerlo, da bambino era il suo libro preferito…” Sussurrò quasi Pablo, risollevando lo sguardo dalle fughe delle mattonelle del pavimento e ritrovandosi a fissare quello sconosciuto che aveva assunto un’aria rammaricata, come se avesse capito al volo tutto. Quel fratello di cui parlava, probabilmente, non c’era più e ora intese il perché di quel viso angosciato dell’altro nel dover rispondere a quella domanda. “- Sono German, se vuoi puoi sederti lì con me e iniziare a sfogliarlo mentre finisco di studiare…” Consigliò il maggiore dei due, con un mezzo sorriso amaro. “- Pablo, piacere e… si, mi piacerebbe molto.” Galindo gli strinse la mano che l’altro gli aveva teso e, insieme, si incamminarono verso quella scrivania, l’uno di fronte all’altro, mentre i raggi di sole del pomeriggio si facevano sempre più roventi ad illuminare la sala, semivuota e silenziosa. Da lì iniziò tutto, da lì si ritrovarono sempre più spesso e si raccontarono tutto: senza rendersene conto erano diventati migliori amici nel giro di poco tempo e, confrontandosi, si  accorsero di non essere poi così diversi, in fondo… entrambi erano soli e avrebbero fatto un patto: nonostante l’età differente, nonostante le diversità caratteriali, loro erano come fratelli e lo sarebbero rimasti per sempre.
 
Una lacrima percorse il suo volto e, senza rendersene neanche conto, stava singhiozzando silenziosamente, rimanendo disteso a pancia in su, bagnando persino la federa del cuscino. Non poteva sentirsi così uno straccio, non era da lui… ma cosa ci poteva fare? Aveva provato a far svanire quell’amarezza con l’alcool ma la perdita di German era comunque riaffiorata e, con essa, quello di Gabriel. Quanto gli mancava suo fratello, quanto soffriva per quella ferita profonda che era riemersa insieme al dolore per Castillo… Si asciugò gli occhi con una mano e provò a rimettersi seduto: gli girava la testa e la vista era annebbiata, eppure doveva andare in redazione per consegnare le sue ultime foto pronte per l’inserto: “Moda Autunno 2014” del magazine per cui lavorava… e per quanto si sentisse uno straccio, doveva alzarsi e andare a prepararsi per presentarsi al meglio che poteva al cospetto della direttrice, la temibile Priscilla Ferro… e non era il caso farla infuriare per un’assenza ingiustificata… che poi, a detta del suo terribile capo era tutto ingiustificato, anche allontanarsi per andare un secondo al bagno… ma quello era un dettaglio. Si vestì di fretta, controllò l’orario e capì subito che si sarebbe comunque beccato una partaccia dalla donna… però in effetti consegnare delle immagini solo in quella mattina, per un numero da mandare in stampa il giorno dopo non era il massimo, soprattutto se partiva da casa alle 11 e 30, e già immaginava le urla della donna rimbombare nel suo ufficio, rabbrividendo al solo pensiero. Si sistemò i capelli alla meno peggio e, provando a camminare a passo svelto, si recò in salotto per raggiungere la cucina dove una voce lo vece sobbalzare, spaventandolo a morte. “- Buongiorno…” Si voltò di scatto con una mano al cuore per quel mezzo colpo che si era preso e, raggomitolata sul sofà, notò un’avvenente bionda ghignargli furbamente con aria ammiccante. E chi era ora quella tizia? “- Jackie…” Si ricordò al volo, passandosi un braccio sulla fronte che cominciò subito a sentire imperlata di sudore. “- Almeno ricordi ancora il mio nome, che bravo bambino!” Esclamò lei divertita, afferrando una tazza dal tavolinetto davanti a sé e prendendo a soffiarci sopra per diradare il fumo che proveniva da quel thé bollente che di lì a poco prese a sorseggiare. “- Vai a lavoro? Con quella faccia?” Ridacchiò lei, facendo accigliare l’uomo. “- Perché che faccia ho, scusami?” Domandò di rimando, confuso. “- Sei sconvolto, si vede e di là ti ho sentita piangere… non voglio sapere cosa ti sia accaduto, non è affar mio, ma sappi che è stata una fortuna averti incontrato in quel bar ieri sera…” Ammiccò la bionda, appoggiando la tazza ancora dal contenuto bollente di fronte a sé e alzandosi con movenze provocanti. “- Ci sai fare, Galindo devo ammetterlo…” Soffiò ad un centimetro dalle sue labbra, prendendogli il volto tra le mani, con la chiara intenzione di schioccargli un bacio a fior di labbra, che l’uomo si evitò facendo un mezzo balzo indietro. “- Devo proprio andare…” Sentenziò lui, con altri passi a ritroso per porre una buona distanza tra loro due. Ora era lucido, e se quella notte era stato con quella Jackie ora no, era troppo sconvolto e non voleva più vedere quella bionda. “- Ricordati di quella proposta…!” Esclamò la donna, incrociando le braccia al petto e prendendo a battere un piede sul parquet. “- Quale proposta?” Chiese distrattamente il moro, cercando nel disordine, che regnava sovrano in quel suo piccolo appartamento, la cartelletta con le fotografie da consegnare a Priscilla. “- Le agenzie di moda con cui collabori! Parlagli di me, dai! Sono certa che mi farebbero di sicuro un contratto per qualche servizio fotografico o… o per sfilare… mi va bene anche apparire sulla copertina di ‘Top’… sbaglio o ci lavori?!” L’uomo si bloccò sul colpo, sgranando gli occhi per poi voltarsi a fissarla… ora sì che ricordava: quella tipa probabilmente era stata con lui solo per farsi raccomandare! “- Non hai nemmeno un agente, un book… figurati!” Esclamò rapido lui, facendola accigliare. “- Capirai! Tu parla di me a qualcuno di importante al giornale, magari alla direttrice, alla signora Ferro! Se comparissi lì di certo non avrei alcun problema ad essere poi lanciata nel mondo della moda!” Disse con sicurezza lei, un po’ stizzita. “- Sarà meglio che tu vada…” Le suggerì Pablo, indicandole la porta con un cenno del capo e la chiara intenzione di liquidarla: ok, quella notte voleva divertirsi come al solito ma di certo incappare in quell’arrampicatrice non gli stava bene, per niente. “- Mi stai cacciando?!” Sentenziò lei, sconvolta, non staccando gli occhi dai suoi, serissima. “- No, è che… sai, io non sono per le storie d’amore e… lo dico per te. Stammi lontano che è meglio…”. Galindo prese un profondo respiro e rimase immobile, sperando che lei seguisse il suo ordine: la bionda, stizzita, afferrò la borsetta dal divano e scattò in piedi, aggirandolo per raggiungere la porta d’ingresso che sbatté con foga. Pablo avrebbe voluto rilassarsi per essersi liberato di quella donna ma non c’era tempo: che fosse distrutto dai suoi ricordi e dal dolore per la perdita di German o no, doveva correre in ufficio, o sarebbero stati guai.
 
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Hola!
Eccoci al dramma! German e Esme… *Piange disperata*. ç___ç Diego è quello messo peggio tra i ragazzi, cucciolo! Cuccioli tutti! :’( Leon è preoccupato per l’amico e conosciamo il suo lato tenero che viene fuori con sua madre… :’) Intanto Pablo per dimenticare il suo dolore, ha passato la notte con… non riesco a dirlo, scusate… D: *Afferra il sacchetto per il vomito* XD E si risveglia però lucido, piangendo per German e questo fratello di sangue, Gabriel, di cui si parlerà più avanti… grazie a tutti coloro che recensiscono e leggono la storia, alla prossima, ciao! :)

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Capitolo 5
*** Un amico fantasma. ***


Un amico fantasma. Cap.5
 
Un urlo squarciò il silenzio della notte: Angie fece un salto dal divano e si precipitò per le scale che dal salotto portavano alle camere da letto, nel buio più totale di casa Castillo. Tutti avrebbe dovuto essere addormentati calcolando che fossero più o meno le tre del mattino ma, i suoi abitanti, straziati dal dolore, o erano svegli nei propri letti o, per chi riusciva a chiudere occhio, tormentato dai propri sogni, ormai tramutati unicamente in incubi. Erano passati solo due giorni dalla morte di German ed Esmeralda e i ragazzi stavano reagendo uno peggio dell’altro a quell’immenso dolore, lasciando ad Angie, anch’essa soffocata dalla sua stessa sofferenza, un grande senso di impotenza: cosa poteva fare per sopperire ad un vuoto così profonda? Non lo sapeva e, sentendosi del tutto inutile, gli stava vicino, stando a sua volta malissimo anche lei, dunque non riuscendo neanche ad aiutarli più di tanto, se non facendogli sentire il suo affetto e la sua vicinanza. Attraversò il corridoio a passo svelto e il grido aveva lasciato il posto a singhiozzi di un pianto silenzioso. “- Mamma…” Varcando la soglia della stanza di Ambar, la donna rimase sconvolta: la piccola si era svegliata in un mare di lacrime a causa di un brutto sogno, come anche la notte prima, durante la quale era successo per ben due volte la stessa cosa, “- Tesoro, sono io… calma… va tutto bene…” La Saramego, sentendosi quasi mancare per il fatto che la nipotina l’avesse scambiata per la madre, si appoggiò allo stipite della porta, per poi avvicinarsi a passo lento fino a sedersi sul bordo del letto, ai piedi della piccola che ancora piangeva, senza dire una parola e stringendo a sé un orsetto di peluche. “- Sei rimasta qui anche stanotte, zia?” Chiese quasi sottovoce, singhiozzando un po’ meno, mentre la donna accendeva il lume sul comodino della bambina. “- Sì, è ovvio. Non ho alcuna intenzione di lasciarvi soli e non lo farò.” Sentenziò categorica la bionda, osservando la figlia della sorella rilassarsi un po’ a quelle parole, mentre si asciugava gli occhi con il dorso di una mano. “- Li ho visti… c’erano mamma e papà, giocavamo in un prato con Diego e Vilu e… e poi c’era solo la loro ombra e io non li vedevo più, erano spariti nel nulla… ho provato a chiamarli, a cercarli! CI HO PROVATO! MA NON C’E’ STATO NIENTE DA FARE!” Ambar si innervosì ancora per quell’incubo, impaurita e tremante sotto la sua trapunta rosa, colore dominante anche in quasi tutto il resto della cameretta. “- Sssh, va tutto bene tesoro, vieni qui…” Angie si slanciò verso di lei per stringerla a sé in un dolce abbraccio al quale la piccolina ricambiò con forza. “- Che succede qui? Tutto ok?” Violetta e Diego apparvero sull’uscio e rimasero fermi a fissare la zia che cullava tra le braccia la sorellina, ancora palesemente sotto shock. “- Un altro incubo…” Mormorò la donna voltandosi un secondo verso i due: il giovane fece per andarsene di nuovo nella sua stanza mentre la ragazza si avvicinò piano a loro. “- Vuoi venire a dormire in camera mia?” Domandò alla minore, vedendola scuotere il capo con foga. “- No, resto qui con Sara.” Rispose con naturalezza lei, facendo accigliare la castana e la zia. “- Chi è una delle tue bambole?” Le domandò Angie, guardandosi intorno: quella stanza era stracolma di giocattoli che sbucavano da ogni dove e la donna, a quella domanda, indicò una grande casa per le Barbie, sul pavimento. “- Ma no! Sara! La mia amichetta! E’ già qui!” A quelle parole Violetta fissò preoccupata la zia che alzò le spalle, perplessa. Ci mancava solo Ambar e la compagna di giochi immaginaria… che fosse stato lo stress e il dolore di quei giorni ad aver influito sulla sua mente per fargliela creare? Non lo sapeva ma la cosa aveva dovuto inquietare parecchio Violetta che faceva passare lo sguardo dalla bambina alla sorella della madre con aria spaventata. “- D’accordo piccola, rimettiti a dormire… fa’ la brava e se hai bisogno di qualcosa chiamami. Io sono in salotto, ok?” Ambar annuì e, piano, si risistemò sotto le coperte per riaddormentarsi, mentre Angie e Violetta si avvicinarono all’uscita dalla stanza per lasciarla riposare. “- Sara? Chi è adesso Sara? Zia, ho paura…” Chiudendosi la porta alle spalle, la donna alzò le spalle di nuovo, sempre più confusa e in ansia. “- Non ne ho idea, sarà un’immagine creata dalla sua mente per vincere la solitudine… o qualcosa del genere.” Mormorò, incamminandosi accanto alla giovane per il corridoio, intenzionata a raggiungere la cucina per prepararsi una tisana. “- Va’ a dormire anche tu…” Aggiunse poi Angie, fermandosi davanti alla sua camera, ma vedendo la giovane scuotere il capo con fermezza. “- Non posso… non ci riesco.” Balbettò, sentendo gli occhi farsi lucidi di colpo: la Saramego, al solo guardarla, prese un profondo respiro e annuì, con aria sconsolata. “- E’ normale, tesoro…” Sussurrò, non sapendo davvero cosa dirle per farla stare meno male. “- Facciamo così: andiamo a prepararci una bella tazza di qualcosa di buono… ti va? Così parliamo un po’…” Non sapeva se fosse la cosa giusta da proporle, ma vedere Violetta aprirsi in un breve, quanto mesto, sorriso, la fece comunque sentire meglio e, stringendole la mano come quando era bambina, la condusse fino alle scale per poi imboccarle e scendere a passo lento al suo fianco. Attraversato il salotto, le due giunsero in cucina e se Violetta si sedette su uno degli sgabelli alti vicino al tavolo che divideva la stanza, la donna cominciò ad armeggiare con cassetti e ante dei mobili in cerca di tazze e di un bollitore. “- Mamma tiene i cucchiaini nel terzo cassetto in basso…” Esclamò d’un tratto la Castillo, indicandoglielo. “- Teneva.” Si corresse poi da sé, riassumendo quell’aria malinconica che non l’aveva comunque mai lasciata. “- Al diavolo la tisana, ci facciamo una bella cioccolata…” Sentenziò la bionda, glissando sul commento amaro della nipote per non intristirla ancora di più o per non sentirsi male maggiormente anche lei. “- D’accordo.” Annuì la ragazza, prendendosi poi la testa tra le mani. “- Vilu…” Angie la richiamò dopo abbondanti minuti di silenzio, in cui gli unici suoni erano prodotti dai rumori che la donna provocava nel preparare quelle due bevande calde. “- Non vi lascerò soli, non ne ho la minima intenzione. Vi sarò accanto per quanto possa servire e… e farò il possibile per far ritornare il sereno in questa casa. So che sarà un’ impresa per niente facile ma io ci devo provare, almeno…” A quel punto prese una pausa e tirò su col naso, rendendosi conto che una lacrima le fosse sfuggita al controllo, mentre Violetta la seguiva con attenzione percorrere la guancia della zia, per poi abbassare lo sguardo. “- Anche tu stai soffrendo… e per te dev’essere difficile il doppio.” Concluse la Castillo, mentre Angie si voltava, con la scusa di dover prendere le tazze dal mobile sopra al lavello, per non mostrarsi in quello stato. “- Vedervi stare male… e stare male a mia volta mi fa sentire più che altro inutile… vorrei fare qualcosa ma non ho la forza, né so di preciso come aiutarvi… è una sensazione tremenda.” La voce della bionda era tremante, si sentiva si stesse sforzando per non piangere più forte e mantenere il controllo, mentre afferrava una presina per togliere il bollitore dal fuoco. La ragazza ascoltò attenta quelle parole e capì perfettamente cosa doveva provare la sorella di sua madre: German diceva sempre che il legame tra fratelli e quello tra genitori e figli era il più forte e profondo del mondo, e la cosa strana è che lui lo dicesse pur essendo stato figlio unico.
“- Capisco, credimi…” Sussurrò la giovane, soffiando piano sulla sua tazza che emanava ancora un fumo denso. “- Ma come farai con il Restò Bar?” Chiese perplessa la più giovane, mentre Angie aggirava il tavolo che le divideva e si andò a sedere ad un altro sgabello accanto a lei, in silenzio, non sapendo davvero cosa risponderle. Come avrebbe fatto? Non lo sapeva nemmeno lei, ma di certo in quei giorni era l’ultimo dei suoi pensieri. “- Non ne ho idea…” Sussurrò confusa, restandosene poi zitta a riflettere su quel dettaglio che aveva troppo trascurato ma che, in effetti, era importantissimo. Un rumore di passi, dopo qualche minuto, le fece voltare entrambe di colpo e la figura di Diego apparve sull’uscio, capelli in disordine e volto stralunato. “- Ehi! Hai sentito l’odore della cioccolata, vero? Ammettilo!” Lo schernì la sorella dolcemente, mentre Angie, invece, lo fissava con preoccupazione: lui era quello che non aveva mai pianto, che sapeva stesse soffrendo, se possibile, più di tutti, sicura che sentisse il peso della responsabilità di maggiore della famiglia gravargli addosso. “- No. Prendo un bicchiere d’acqua e torno a letto.” Sentenziò con voce ferma e decisa lui, lanciando un’occhiata alle due senza farsi troppo notare e andando ad aprire il frigo per prendersi da bere. Un silenzio teso calò sulla cucina, fino a quando la Saramego, preoccupata, lo interruppe. “- Diego perché non prendi una tazza e ti unisci a noi? Così… così siamo più vicini.” Balbettò a disagio, osservando il ragazzo voltarsi di scatto e chiudere l’anta di un mobile con foga, provocando un suono sordo che fece sobbalzare la zia e la sorella. “- No! Non ne ho bisogno. Ho detto che vado a dormire.” Castillo disse quelle parole con una freddezza tale e scandendole attentamente che diede l’impressione provenissero dalla bocca di un robot… ed in effetti lui così si sentiva: vuoto come poteva essere una macchina costituita solamente da gelido metallo. “- D’accordo, come preferisci…” Sussurrò dolcemente la bionda, abbassando lo sguardo sulla sua tazza che aveva smesso di fumare tanto. Quando il maggiore dei figli di German uscì, le due si guardarono e rimasero in silenzio: non era facile, era stato chiaro sin dall’inizio, ma se Diego cominciava ad apparire così assente, la situazione non poteva che peggiorare anche di più.
 
 
“- Leon dobbiamo prenderci una pausa con la band, per rispetto di Diego, fino a data da definirsi.” Leon era andato a correre nel grande parco del quartiere insieme a Seba, il quale l’aveva supplicato di accompagnarlo: di solito ci andava con Castillo, ma visto che lui neppure rispondeva più alle loro telefonate, aveva letteralmente costretto La Fontaine a seguirlo. Le prime luci dell’alba si irradiavano timide attraverso un fitto strato di nubi e l’afa cominciava sin da subito a farsi sentire, unita ad un alto tasso di umidità che creava una vera e propria cappa di calore sulla città. “- Sì, te l’ho detto, io sono pienamente d’accordo…” Annaspò l’altro, fermandosi alla prima panchina e sedendosi con aria stanca e confusa, facendo sì che anche Seba prendesse posto accanto a lui: Leon voleva riuscire a trovare un modo per aiutare il bruno… ma come? Era una situazione difficile, troppo per un diciassettenne… come era lui, come era anche Diego. Castillo stava affrontando quel dolore e sembrava che volesse farlo da solo, eppure il La Fontaine sapeva che starsene lontano da tutto e tutti avrebbe solamente peggiorato il suo stato d’animo, sicuramente già devastato. Doveva dargli tempo, come aveva detto sua madre? In effetti la ferita era troppo fresca, esageratamente recente… ed era difficile, ma lui doveva riuscire per un po’a rimanersene con le mani in mano a lasciare che i giorni passassero... soffriva a non far nulla con l’amico in quello stato di totale apatia, ma cosa poteva inventarsi, allora? “- Sbaglio o tra poco apre quel nuovo bar in centro…?” Chiese d’un tratto Seba, passandosi nervosamente una mano nei capelli che sentiva appiccicati di sudore, pensando subito di invitarci anche Diego, per distrarlo un po’. “- Allora, so già per certo che all’inaugurazione sarà pieno di ragazze carine…” Commentò dopo aver visto l’altro annuire, beccandosi però una gomitata all’avambraccio dall’amico che lo fece ghignare di dolore. “- Ehi ma che vuoi?!” Ridacchiò Seba, massaggiandosi la parte colpita, fingendosi offeso. “- Come ‘cosa voglio’? Tu sei fidanzato! Non ti azzardare a dire mai più una cosa del genere, non puoi! Mica sei libero e felice come me?” Sentenziò Leon con tono categorico ma divertito. “- Ma io dicevo per te, infatti!” Tentò di giustificarsi il batterista, facendo annuire poco convinto, la voce del gruppo, che gli lanciò prima un’occhiataccia letale, per poi continuare a punzecchiarlo. “- Se Cami sapesse… ti concerebbe lei per le feste, altro che un piccolo colpetto al braccio!” Ghignò Leon, facendo sbiancare l’altro che si voltò di colpo per capire dai suoi occhi se corresse il rischio che la Torres lo venisse a sapere o no. “- Io amo la mia piccola rossa, ti ripeto che dicevo per te che sei sempre a caccia di nuove conoscenze!” “- Rilassati… ti puoi fidare di me, anche se ci conosciamo da poco… in fondo, hai fatto solo un innocente commento, dai!” Sorrise il castano, sistemandosi bene vicino alla spalliera della panchina e prendendo a fissare il cielo: ormai faceva decisamente caldo e il sole era alto e luminoso, circondato solo da una fitta foschia mattutina. “- Ehi, sbaglio o quello è Diego?” Chiese d’un tratto Seba, strattonando l’altro e costringendolo a riabbassare lo sguardo verso il viale principale del parco. “- Che ci fa in giro così presto?” Sbottò Leon, perplesso. “- EHI, AMICO!” Calixto, senza pensarci due volte, scattò in piedi sbracciandosi verso di lui che, voltandosi per un nanosecondo, li salutò con un minimo cenno della mano, riprendendo a camminare rapido, stringendo qualcosa in una mano, un sacchetto bianco. “- Vieni, dobbiamo almeno parlargli…” Sussurrò piano l’altro, tirandosi per il braccio il fratello di Andres, rimasto decisamente perplesso da quella reazione fredda di Castillo. I due con la scusa di riprendere a fare jogging, lo raggiunsero in silenzio, ma non riuscirono a farsi notare, né a farlo fermare per scambiarci quattro chiacchiere, anzi: il ragazzo continuò ad avanzare quasi non accorgendosi degli amici alle sue spalle, tanto che Leon e Seba dovettero affiancarlo, uno a destra e l’altro a sinistra, per farsi vedere da lui. “- Diego! Come… cosa fai in giro così presto?” Il fratello di Francesca, con il fiato corto, fu il primo a parlare al bruno al centro tra i due che, finalmente, si fermò, nascondendo ciò che aveva in mano dietro alla schiena. Il giovane disse quella frase con amarezza e insicurezza, non sapendo come affrontare di preciso l’amico… voleva chiedergli in realtà come stesse ma aveva cambiato la domanda giusto in tempo: era inutile chiedergli se si sentisse meglio quando era chiaro che non potesse essere così. “- Volevo prendere una boccata d’aria. Scusatemi ma voglio tornare presto a casa.” Castillo fece per andarsene ma Leon lo bloccò per un polso, facendolo voltare piano, osservando il viso tanto sconvolto quanto nervoso… Diego non aveva intenzione di fermarsi a chiacchierare, non era dell’umore giusto e non voleva trattarli male, non lo meritavano. Era abbastanza pentito della freddezza con cui aveva trattato Angie e Violetta quella notte, tanto che per farsi perdonare voleva portare loro la colazione già pronta e per questo era passato a comprare dei cornetti al bar più vicino casa. Il moro sapeva che era sua responsabilità occuparsi della famiglia, delle sue sorelle, della zia… ma proprio non riusciva a comportarsi diversamente: si sentiva come se il ghiaccio la facesse da padrona nel suo cuore, nei suoi gesti, dopo ciò che era accaduto e non era capace di farsi dominare da altro se non da un distacco totale da tutto e tutti, come se fosse stato svuotato di qualunque sentimento. Forse però, credeva che non era del tutto sbagliato mantenere quel controllo così crudo: se voleva portare avanti le redini della famiglia, in quella maniera evidentemente ci sarebbe potuto riuscire più facilmente. Era quello il suo dovere. Non aveva altra scelta e, seppure sentisse una responsabilità enorme gravargli sulle spalle insieme al dolore per la perdita dei suoi genitori, non gli pesava, piuttosto lo spaventava. Ne sarebbe stato capace? Suo padre sarebbe stato fiero di lui? Da primogenito maschio era sempre stato  il “mini capo” per German e lui soltanto poteva vegliare sulle sorelle e sulla zia. Essere freddo poteva aiutarlo, ne era sicuro. “- Sabato andiamo all’inaugurazione di quel nuovo bar, in centro… ti andrebbe di venire con noi?” Quella proposta del batterista fece prima accigliare il ragazzo, che poi ghignò amaramente ai due, scuotendo il capo con aria mesta. “- Credete davvero che io voglia andare ad una festa?”. Una semplice frase raggelò gli amici: Leon ripensò istintivamente alla conversazione con Marcela: dovevano dargli tempo, non poteva di certo non infuriarsi se avessero agito così in fretta e avrebbe anche avuto ragione ad arrabbiarsi. Seba invece rimase a fissarlo con aria cupa, sicuramente dispiaciuto di aver azzardato lui per primo quell’invito. “- Lo facevamo per farti distrarre… sappiamo che è dura ma…” Provò La Fontaine, cercando di giustificare l’altro ma venendo stoppato subito dal suo interlocutore. ”- No, invece. Voi non sapete proprio nulla. Nessuno puo’ sapere o peggio, capire.” Il sibilo di Diego li fece rabbrividire… era così pacato e vuoto, così furioso ma fermo, tanto che i due abbassarono lo sguardo tristi. “- Scusaci, sul serio.” Esclamò Leon, mettendogli una mano sulla spalla che Castillo allontanò facendo un mezzo balzo indietro e sconvolgendo anche sé stesso per essere stato così scostante. Era più forte di lui, non accettava che i due gli avessero chiesto di andare ad un party dopo quello che stava passando, non riusciva a comportarsi diversamente… che senso aveva ormai? Che senso aveva tutto? “- Devo proprio andare.” Concluse, sotto lo sguardo scioccato degli altri due membri della band. Leon deglutì rumorosamente ripensando alle parole della madre, che ripeté, una volta che Diego si allontanò da loro a passo rapido, a Seba, il quale era ancora amareggiato, non tanto per l’essere stato trattato così freddamente dell’amico, ma più che altro perché lo vedeva soffrire e si sentiva altamente impotente, esattamente come il gemello di Francesca: “- Diamogli tempo ma stiamogli accanto… Alcune ferite, quelle più profonde ci mettono più tempo a rimarginarsi rispetto a quelle in superficie.”.
 
 
“- Angie… vieni, entra!” Marcela, con un sorriso dolce, spalancò la porta di casa e si fece da parte per accogliere l’inattesa ospite che aveva preso a torturarsi le mani nervosamente. La bionda, a passo incerto, seguì la donna sino al salotto dove c’era intenta a leggere seduta su una poltrona Francesca la quale, nel vedere la Saramego, si alzò di scatto e riposò il volumetto nella libreria sopra il grande televisore di fronte al sofà, restandosene in piedi accanto allo scaffale. “- Come va?” La Parodi la fece accomodare sul divano e pose quella domanda con la pacatezza che la caratterizzava sempre, tentando di non apparire forzata o troppo impaziente di avere una risposta. “- Male… sono qui per questo.” Soffiò piano la sorella di Esmeralda, iniziando ad arrotolarsi una ciocca dorata attorno ad un indice con aria assorta e preoccupata. “- Fran, potresti portarci una tazza di caffè, per favore?” Domandò la signora La Fontaine, facendo cenno alla figlia di andare in cucina, chiaramente per lasciarle da sole. “- Sì, certo, mamma… vado a preparalo.” Sorrise la giovane, avviandosi verso la stanza accanto. Marcela aspettò che la ragazza si fosse allontanata a sufficienza, per poi rivolgersi di nuovo alla vicina, che prese a torturarsi l’orlo della gonna dell’abito, nervosamente. “- Dimmi tutto, sai che sono pronta ad aiutarti.” Sentenziò la bruna, appoggiando una mano su quella dell’altra e stringendogliela, per incuterle sicurezza. Angie la fissò e capì che, per quanto la conoscesse appena, quella donna fosse affidabile e gentile, lo aveva già dimostrato in quei giorni tremendi, così prese un profondo respiro e cominciò a parlare: “- Non so da dove iniziare…” Sussurrò piano e sinceramente, quasi vergognandosene. “- Come vanno le cose con i ragazzi?” Per facilitarle il compito, la madre dei gemelli le fece quella domanda generica quanto, allo stesso tempo, specifica, facendo scuotere il capo con rammarico all’altra. “- E’ così dannatamente difficile… Ambar ad esempio.” Disse d’un tratto,mentre la bruna l’ascoltava attenta, senza interromperla. “- …Sta avendo incubi su incubi… ma stanotte mi ha spaventato un sacco.” A quel punto la moglie di Matias assunse un’aria accigliata quanto preoccupata: “- Cos’è successo?” Le chiese, tesa. “- Ha parlato di essere in compagnia di una certa Sara… io pensavo fosse una bambola, un peluche… e lei ha detto di no, che era una sua ‘amichetta’… ti rendi conto?” A quell’ansia Marcela sorrise, lasciando di stucco l’altra. “- Non devi preoccuparti tanto! Capita a parecchi bambini, soprattutto dopo uno shock del genere…” A quelle parole, Angie si rassicurò un po’, ma la donna, di fretta, si alzò e afferrò un grosso tomo dagli scaffali più in basso della libreria di fronte a loro. “- Quando erano bambini Leon e Francesca, mi hanno regalato questo libro… parla di psicologia infantile… anche io ovviamente non ne sapevo nulla, immagina: due gemelli che crescono in contemporanea… mi sentivo persa!” Ridacchiò, e, sedendosi accanto a lei, prese a sfogliare il volume fino a raggiungere la pagina desiderata iniziando a leggere ad alta voce: “- Senti cosa dice: ’Capita spesso che i bambini a seguito di un trauma o più semplicemente per noia o solitudine di inventarsi un amico immaginario…’” Iniziò la donna con tono calmo, mentre l’altra si era avvicinata e si sporgeva in avanti per vedere meglio quelle pagine di cui in quel momento sentiva di aver bisogno come una Bibbia. “- …Ma non c’è da preoccuparsi, esso potrebbe sparire spontaneamente quando il bambino si sentirà pronto ad affrontare il mondo da solo.” Concluse poi, richiudendo il tomo e porgendolo alla bionda. “- Prendilo, a me i ragazzi sono cresciuti e non serve più… te lo regalo.” Esclamò gentilmente, mentre la Saramego prese a fissarla, sorpresa. “- Sei gentilissima, sul serio… te lo restituirò prima o poi, promesso!” Sorrise Angie, stringendo al petto quel dono di cui avrebbe fatto tesoro. “- Ma figurati puoi tenerlo! A me non ci sono più bimbi in casa, a parte mio marito… ma quello è un caso a sé...” Ironizzò Marcela prendendo un profondo respiro di rassegnazione, facendo abbozzare una risata persino alla sua interlocutrice. “- E a parte Ambar? Violetta, ad esempio, come sta?” Domandò ancora la mora, tornando seria e fissando negli occhi la Saramego che sollevò le spalle, confusa. “- Sembra quella che ha una reazione più normale tra i tre… sì è ovvio che stia malissimo, piange, non dorme bene… ma a volte ho l’impressione che riesca persino a dare lei forza a me.” Sussurrò, quasi vergognandosi di quell’ultima parte, la bionda. “- …Un altro che mi spaventa poi è Diego…” Francesca, ormai sotto l’uscio della porta della cucina pronta a portare il caffè alle due, si fermò e si appiattì contro una parete, per non volerle disturbare: avevano ancora da parlare di cose importanti e quasi si sentiva in imbarazzo a starsene ferma lì, le due tazze fumanti che le annebbiavano persino la vista, schiacciata contro un muro nemmeno fosse stata una ladra e dovesse nascondersi. Voleva però che Angie si sfogasse, le poteva solo fare bene, quindi se ne rimase impalata ad attendere e, inevitabilmente, ad ascoltare.
“- E’ maschio ed è il maggiore… lo credo bene che sia quello più sconvolto. Leon mi ha accennato qualcosa.” La voce di Marcela risuonò nel salotto e la ragazza prese a respirare lentamente, quasi volesse sentire meglio e quel suono la infastidisse: in fondo gli dispiaceva per gli amici, Vilu era ancora così spenta, e la piccola Ambar era così chiusa in quel periodo… ma Diego? Come stava? Si vergognava a chiedere informazioni sul suo stato, immaginava già che, nel chiedere alla madre, il fratello, nell’ascoltarla, l’avrebbe canzonata su chissà quale interesse amoroso nei confronti dell’amico… e non era proprio il caso.
“- E’ cambiato, Marcela. Non lo riconosco più e fatico anche a gestirlo. Stanotte io e Vilu eravamo in cucina a prenderci una cioccolata, lui è arrivato e… ed è glaciale. Come se fosse un robot senza sentimenti.” La Parodi annuì, ricordandosi della conversazione simile riguardo al Castillo, avuta con il figlio poco tempo prima. “- Devi dargli tempo… si sentirà male e vuoto, in più con un grosso peso sulle spalle…” Spiegò la mora con naturalezza. “- E poi non tutti reagiscono ad un lutto in maniera uguale, i ragazzi ne sono la prova. Diego è più grande e… stagli accanto ma non opprimerlo troppo. Prima o poi, vedrai si riprenderà.” Concluse lei, poggiandole una mano sulla spalla per incoraggiarla. Francesca, quando sentì che fossero in silenzio, si avviò a passo svelto verso la stanza e servì le due, poggiando il vassoio che teneva in mano sul tavolinetto di cristallo davanti a loro... povero Diego, doveva stare davvero malissimo… e dire che non era da lui, sempre così solare, allegro, casinista quasi quanto Leon… o almeno così le era sempre parso. Il moro per lei era un mistero: lo osservava di tanto in tanto quando suonava con il suo gemello, ma al massimo ci aveva interagito due o tre volte, l’ultima alla festa di Ambar, quando avevano intrattenuto i piccoli invitati insieme con Camilla e Seba. Le dispiaceva un sacco e sperò che, quanto prima, smettesse di soffrire tanto, come lo sperava anche per la sua amica e l’ultima nata nella famiglia Castillo.
“- Vi avrei portato anche dei biscotti ma in questa casa un pacco non resiste più di un’ora…” Sorrise la La Fontaine riferendosi al padre, per poi imboccare le scale che portavano sino alla sua camera: basta, stava perdendo troppo tempo e doveva studiare un sacco… l’inizio della scuola era alle porte e una nuova studentessa come sarebbe stata lei in quel liceo, doveva dimostrare sin da subito il suo valore. Si richiuse la porta alle spalle e si sedette alla scrivania della sua ordinatissima stanza… chissà se un giorno quei tre ragazzi si sarebbero ripresi del tutto.
Intanto, nella sala da pranzo, le due donne continuavano a parlare e a sorseggiare i loro caffè. “- E tu? Non mi hai parlato di te… come stai tu?” Marcela prese un sorso della sua bevanda e attese con calma la risposta della vicina, studiandola attentamente: ebbe l’impressione, e da buona poliziotta era sicuro che fosse così, che Angie fosse rimasta sorpresa da quella domanda rispetto alle altre che le aveva posto, e dai suoi grandi occhi verdi leggeva sofferenza mascherata, occultata per non far stare ulteriormente male i nipoti. “- Non lo so.”. Tre semplici parole, una miriade di significati. “- Sto male, è ovvio… eppure sento che non posso permettermelo, io devo badare a loro…” Si affrettò ad aggiungere la bionda, vedendo annuire l’altra. “- Sono così fragili io… io per quanto non sappia neppure cucinare una minestra, non posso e non voglio lasciarli soli.” Marcela si sporse per posare la sua tazza di nuovo sul tavolo con calma: “- E il lavoro? Hai deciso come farai?” Le domandò piano, risollevando il volto verso la donna. “- Non ancora. Adesso se ne sta occupando Olga, una mia dipendente, una grande cuoca e pasticciera… poi dovrò decidere cosa fare con il bar.” Concluse semplicemente, alzandosi poi dal sofà, e avvicinandosi a passo lento verso la finestra alla sua sinistra: oltre lo steccato dei La Fontaine si intravedeva solo un lato della casa Castillo, ma riusciva a sentire chiaramente le voci di Ambar rimasta in giardino e quella Violetta, seppure non riuscisse a vederle.
“- Angie…” La bruna, rimasta seduta dov’era la fece voltare di colpo, come se l’avesse appena risvegliata dai suoi complessi pensieri. “- Si sistemerà tutto, vedrai.” La rincuorò la poliziotta, osservandola prendere un profondo sospiro che sperò la calmasse. “- Lo spero, Marcela. Lo spero.” Sussurrò appena, abbassando lo sguardo sulle sue scarpe e pregando con tutte le sue forze che la vicina avesse ragione.
 
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Povero Dieguito! *Lo abbraccia*. Ambar nemmeno scherza, piccola. *Abbraccia anche lei* E le povere Angie e Vilu! *Abbraccia tutti*. Seba, al parco con Leon, ha provato ad invitare Diego ad una festa ma lui ha rifiutato con freddezza, ancora troppo sconvolto dal dramma che ha straziato la sua vita… Ambar è ancora tormentata dagli incubi e si presenta la vicenda dell’amica immaginaria che preoccupa la zia la quale si confida con Marcela… e, intanto, Francesca sente qualcosa riguardante il più grande dei Castillo… Come proseguirà la vicenda? Grazie a tutti coloro che seguono la storia! :3 Alla prossima, ciao! :) DulceVoz. :)

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Capitolo 6
*** Un testamento particolare. ***


Un testamento particolare. Cap.6
 
Angie si aggirava per la stanza come in preda ad un attacco d’ansia imminente, sotto lo sguardo attonito dei tre nipoti seduti pigramente sul sofà, i quali la fissavano andare avanti e indietro per il salotto. “- Se non cambi percorso farai un solco nel parquet…” Sbottò distrattamente Violetta, incrociando le braccia al petto e scrutandola ancora con attenzione: quella mattina la Saramego era passata un secondo per casa sua, in centro, a prendere il suo miglior tallieur ed un paio di eleganti scarpe per ciò che l’attendeva quel pomeriggio, occasione che le metteva un’ agitazione terribile. “- Non posso più rimandare, siete minorenni e… e probabilmente ci sarà un processo per il vostro affido, anzi è quasi sicuro...” Esclamò nervosamente la donna, afferrando una borsetta appoggiata sul bracciolo del sofà accanto ad Ambar e continuando a camminare con lo stesso movimento ipnotico degno di un pendolo. “- Ti ha richiamato il notaio, vero? Per quanto riguarda il testamento… non si sa ancora nulla di noi?” Chiese distrattamente Diego, che conosceva troppo bene la zia: stava posticipando all’infinito quell’appuntamento come se lo temesse da morire, ma evidentemente se si stava per recare allo studio del dottor Lisandro in centro, era solo perché lui l’aveva sollecitata per l’ennesima volta. “- Sì mi ha telefonata e no, non so nulla di preciso… ma voi non vi preoccupate. Tornerò per cena e porterò delle pizze perché… beh, perché non ho avuto nemmeno un secondo per respirare, oggi… figuriamoci per preparare la cena!” Sentenziò la bionda, fermandosi per un secondo ad osservarli per poi riprendere nel suo agitato andirivieni. Non poteva crederci: quel giorno si stabiliva tutto, il destino dei ragazzi era nelle mani di quei pezzi di carta firmati da German ed Esmeralda, eppure era sicura che la tutela dei loro figli le fosse concessa senza dubbio, unica parente da parte di madre dei giovani. Insomma, chi meglio di lei? Sapeva di essere dannatamente negata con i bambini o peggio, adolescenti, con la cucina che non riguardasse dolci e torte, con tutto ciò che dovesse fare una madre… ma in fondo chi meglio di lei, una zia che li amava con tutta l’anima? Se nel testamento non si fosse parlato dell’affido avrebbe fatto carte false pur di prendersi cura personalmente di Diego, Violetta e Ambar… anche se era del tutto incapace rispetto a sua sorella. Esmeralda aveva avuto l’istinto materno sin da piccola, ricordava ancora quando, una volta, aveva trovato un cagnolino piccolissimo e ferito in strada: la rossa lo aveva portato a casa nonostante le urla dei loro genitori che non ammettevano animali nell’appartamento, si era occupata di lui e, una volta guarito, lo aveva regalato ad una vicina sola e anziana. Beh, un cucciolo non era la stessa cosa rispetto a tre figli… ma lei se l’era sempre cavata egregiamente e suo marito aveva fatto altrettanto. Ora stava a lei donare l’immenso amore che aveva nel cuore ai loro ragazzi e per quanto le facesse strano non le pesava, anzi… era solo preoccupatissima di non esserne all’altezza.
“- Di nuovo pizza? E’ la terza volta consecutiva in due giorni!” Si lagnò Ambar, sbuffando sonoramente e fissando la Saramego che alzò le spalle, incapace di riuscire a dire altro. “- Non ti lamentare, zia Angie fa tutto il possibile… e poi a te non piaceva la pizza?” La riprese la sorella maggiore dolcemente, facendo annuire anche la bionda, grata dell’aiuto con la piccolina. “- Sì ma non tutti i giorni… sto cominciando ad odiarla! Ed anche Sara!” Sentenziò la rossa, incrociando le braccia al petto e appoggiandosi pigramente con le spalle allo schienale del sofà, nominando di nuovo la sua amichetta immaginaria e facendo restare sconvolti tutti gli altri. “- Beh, dì a Sara che stasera mangerà quello che decide Angie e sarà così per tutto il resto della sua e nostra vita!” Sbottò il Castillo, con tono stizzito. “- …E smettila di fare sempre capricci una buona volta! Ci mancano solo le tue lamentele! BASTA!” Diego, scattando in piedi come una furia, lasciò di stucco le tre e si precipitò verso le scale con aria tesissima: che stesse pensando ancora alla questione dell’affido? Perché reagiva così dopo essere rimasto in silenzio per circa dieci minuti di fila, come perso nei suoi pensieri, scagliandosi poi duramente contro la terzogenita di casa? “- Diego, che ti prende? Scusati con tua sorella, dai!” La Saramego lo richiamò mentre lui prese a salire a due alla volta i gradini che portavano alle camere da letto, ignorandola. “- DIEGO!” Urlò ancora la donna invano, notando che il ragazzo fosse scappato letteralmente via. Ambar era pietrificata e Violetta scuoteva il capo con rassegnazione: era evidente che il fratello fosse diventato un altro dopo la tragedia e che, se in alcuni momenti sembrava volesse farsi carico di tutta la famiglia informandosi sull’affido, in altri dava l’impressione di voler evadere e trattava male tutti quelli che gli erano intorno. “- Non parlo più, zia… va bene la pizza.” Concluse la piccola Castillo, tremante, abbassando poi lo sguardo su una bambola di pezza che stringeva a sé, un po’ impaurita. “- No, tesoro… parla, almeno tu. Dovrebbe imparare a farlo anche tuo fratello, almeno saprei come aiutarlo…” Mormorò quasi tra sé e sé la bionda, allontanandosi dal fondo della gradinata per accomodarsi dove prima era seduto il nipote. Non voleva opprimerlo, voleva seguire il consiglio di Marcela nel non fargli troppe pressioni, ma almeno delle spiegazioni per quell’atteggiamento gliele doveva. Capiva quanto stesse soffrendo ma non poteva rivolgersi in quella maniera alla sua famiglia, o almeno a quello che ne rimaneva: avrebbe dovuto ascoltarla, avrebbe dovuto rispettarla come unica persona maggiorenne e adulta tra quelle quattro mura… ma come avrebbe potuto affrontarlo? Inoltre sapeva che se ne sarebbe pentito, come l’ultima volta, ovvero quella notte in cucina… la mattina dopo si era presentato con la colazione per farsi perdonare, dunque aveva sofferto di sensi di colpa che si erano aggiunti allo stato pessimo in cui si trovava per tutto il resto della situazione già di per sé tragica. “- Ci parlo io con lui… ma aspettiamo ancora un po’.” A sorpresa, Violetta, prese la mano della donna e, capendo tutto il suo disagio, decidendo che la miglior soluzione sarebbe stata che lei avesse, con calma, affrontato poi il fratello. “- Tempo al tempo, fidati di me.” Sussurrò la castana, intrecciando le dita con quelle della zia che annuì mestamente. Certo, forse il tempo avrebbe un po’ cambiato le cose… ma sarebbe mai riuscito a far tornare il giovane quello che era in passato? Ecco, era quello uno dei dubbi cardine che affliggeva la mente e il cuore della Saramego.
“- Io devo andare, sono già le sei. Fate le brave.” Salutò dolcemente la donna, facendo annuire le due, ancora un po’ sconvolte per quanto accaduto, mentre, di nuovo, il tormento della lettura del testamento si impossessò dei pensieri della donna, insieme alla reazione cruda di Diego che l’aveva lasciata sbigottita e preoccupata per il suo stato.
 
 
Pablo era seduto sul divano, lo sguardo fisso di fronte a sé e l’aria confusa: doveva ammettere che quell’ennesima telefonata del notaio non se l’aspettava di certo, e il solo pensiero di dover andare ad ascoltare quali fossero le ultime volontà del suo migliore amico gli metteva un’angoscia tremenda. Perché German gli avrebbe dovuto lasciare qualcosa in eredità? Lui non voleva nulla… o meglio, l’unica cosa di cui sentiva il bisogno sarebbe stata l’averlo ancora accanto a sé, ma purtroppo era impossibile. L’uomo si portò le mani al volto strofinandoselo con vigore: non poteva piangere, non era il momento, anzi doveva sbrigarsi se non voleva presentarsi in ritardo. Si era vestito nel migliore dei modi che potesse e si sentiva dannatamente a disagio in quel completo elegante in cui si vedeva come un pinguino dell’alta società, con la cravatta che credeva quasi lo stesse soffocando, come stingendosi da sola sempre più… ma di certo non avrebbe potuto indossare altro. Galindo si alzò e si specchiò ancora: non credeva di avere un bell’aspetto per quanto riguardava il viso considerato il suo stato d’animo, ma poco importava in quell’occasione. Per un secondo la sua mente fu assalita da un ennesimo pensiero: cosa ne sarebbe stato dei figli dei Castillo? Che vi fosse qualche clausola riguardante loro nel testamento? Sicuramente. Conoscendo quanto fosse preciso e previdente German non poteva non aver pensato anche a loro nella redazione di quel documento e di sicuro la tutela l’avrebbe avuta la loro zia… già, ed Angie? Il volto di quella bellissima donna gli si materializzò quasi davanti agli occhi nel riflesso nel quale continuava a rimirarsi e a sistemarsi i capelli corvini, decisamente spettinati e in contrasto con quel suo look elegante. Sicuramente i ragazzi sarebbero stati affidati a lei, la sorella della loro madre, unica parente di quella famiglia e, francamente, lo sperava, realizzando che in quell’occasione l’avrebbe anche rincontrata. L’ultima volta che l’aveva vista era stato al funerale ed era distrutta quanto lui, cosa che l’aveva fatto soffrire abbastanza... Pablo si chiedeva come quella bionda riuscisse ad essere così affascinante in ogni occasione: era davvero perfetta, linee perfette, corpo da urlo, volto stupendo come non ne aveva mai visti… insomma un angelo, ma dal carattere forte che riusciva a tenergli testa, impresa non di certo facile. Peccato che si fosse comportato in una maniera orribile al loro primo appuntamento… ne era consapevole ma lui era così: in quel periodo si vedeva con una moretta niente male e di certo non poteva rischiare di perderla per un’uscita combinata con la sorellina di Esmeralda! Tanto era sicurissimo che lei avrebbe capito, che si fosse bevuta la scusa dell’amica “malata” e che comunque sarebbe riuscito nel suo intento di aggiungerla alla sua lista di conquiste… ma, suo malgrado, Angie non era una sciocca, l’aveva sottovalutata decisamente troppo. Alla festa di Ambar si era anche scusato con lei ma era stato tutto inutile… beh, poco importava, tanto lui di certo non cercava una fidanzata, a maggior ragione in un momento come quello. Scosse il capo, allontanando quei pensieri… basta, doveva darsi una mossa: diede un ultima sistemata ai capelli, riuscendo solo a peggiorare la situazione del suo aspetto e si affrettò a correre verso la porta d’ingresso... chissà cosa gli spettava secondo le volontà di colui che era stato e sarebbe continuato ad essere, senza alcun dubbio, suo fratello.
 
 
 
Lo studio del dottor Lisandro era tutto arredato con mobili antichi quanto pregiati di un color ciliegio scuro che dava una sensazione di calore alla stanza, un po’ cupa e scura a causa di grandi e pesanti tende rosse chiuse davanti all’unica finestra che dava su un giardino esterno all’edificio. Angie, dopo un cenno del capo del notaio, si sedette su una sedia rivestita di un velluto scarlatto e cominciò a torturarsi le mani che teneva in grembo, sperando che quell’appuntamento finisse quanto prima. Roberto la fissava in silenzio di tanto in tanto, rimanendo immobile intento a scribacchiare su dei fogli ordinatamente disposti di fronte a sé, mentre la bionda si chiedeva per quale arcano motivo non si potesse ancora iniziare la lettura del testamento. “- Mi perdoni…” Dopo alcuni imbarazzanti minuti, la donna interrogò l’uomo che alzò di poco il volto per ascoltarla. “- …Per caso aspettiamo qualcuno?” Chiese la Saramego, sentendo chiaramente la voce incrinarsi in un tremito per lo sguardo di sufficienza che l’altro le rivolse già al sentirla pronunciare le prime due parole. “- Ovviamente, altrimenti avremmo già cominciato.” Sentenziò lui, ritornando poi al suo lavoro come se nulla fosse. Angie sospirò rumorosamente e abbassò lo sguardo con aria confusa, mentre la sua mente cominciò a vagare… forse attendevano qualche altro collega del notaio che riguardasse l’aspetto burocratico della vicenda e non pensò troppo al motivo di quell’attesa, piuttosto si ritrovò a ricordare la discussione avuta con Diego a casa. Non sapeva davvero cosa fare con lui, inoltre non voleva nemmeno trascurare troppo Violetta e Ambar per dedicare tutto il suo tempo e le sue attenzioni al giovane che, tra l’altro, non voleva neppure opprimere troppo. Il ragazzo aveva giustamente bisogno di più tempo, reagiva diversamente dalle sorelle, tutti e tre reagivano in maniera differente tra loro, e la donna non sapeva proprio da dove cominciare per aggiustare almeno un po’ le cose.
“- Scusate il ritardo!” Una voce la fece voltare di colpo e, sotto l’uscio dell’enorme porta d’ingresso, un trafelato Pablo avanzò sino all’altra sedia libera alla sinistra della Saramego che lo fissava con stupore… stavano aspettando lui? Possibile che fosse stato inserito nel testamento da suo cognato? Cosa ci faceva Galindo lì? Il fotografo le rivolse un mezzo sorriso a cui lei non rispose, voltandosi nuovamente verso il notaio, il quale prese invece ad osservarlo stizzito per quella mancanza di precisione. “- Avevamo specificato un orario, signor Galindo...” Sentenziò Roberto, facendolo annuire, mentre si metteva comodo scompostamente sulla sua poltroncina. “Lo so… perdonatemi.” Si limitò a scusarsi lui, guardando di nuovo la bionda che non lo degnò nemmeno di un’occhiata. “- Potremmo cominciare, per favore?” Sbottò nervosamente la sorella di Esmeralda, stringendo con foga i braccioli della sedia e ancorandosi ad essi con le unghie. Non sapeva per quale motivo German nel testamento avesse deciso di inserire anche Pablo, ma sperava con tutto il cuore che per il suo amico si fosse limitato ad un qualche oggetto di valore materiale e nulla di più: l’affido dei ragazzi doveva essere suo, suo e di nessun altro. “- Certo… dunque, antecedentemente alla lettura delle ultime volontà dei coniugi Castillo, entrambi mi hanno lasciato una lettera ciascuno per voi da consegnarvi per far sì che la visionaste prima che ciò avvenga.” Detto ciò, Lisandro aprì una cartelletta di fronte a sé e ne estrasse due buste che sia Pablo che Angie fissavano con aria assorta mentre l’uomo gliele porgeva.  La Saramego subito strappò la carta esterna per leggere il contenuto della missiva indirizzata a lei, mentre il moro si limitava a rigirarsi la sua tra le mani con aria afflitta.
D’un tratto, dei singhiozzi irruppero nel silenzio di quel momento e i due uomini si voltarono a osservare la bionda: le lacrime avevano sin dalle prime lettere, cominciato a scorrerle sulle gote pallide, mentre non dava impressione di voler sospendere nonostante sentisse la vista annebbiata dal pianto.
 
Cara Angie,
Mi auguro con tutto il cuore che non debba mai leggere queste mie parole, perché se dovrai farlo potrà significare solamente una cosa… e non voglio nemmeno immaginarlo. Ad ogni modo, se hai ricevuto questa lettera ciò è accaduto e, prima di tutto, non voglio che tu pianga. So che potrebbe sembrare impossibile ma tu sei forte, sorellina mia, io lo so meglio di chiunque altro… lo sei sempre stata e dovrai esserlo anche in questa straziante situazione. Se nel testamento leggerai qualcosa che potrà scioccarti sappi che è l’unica soluzione che io e German siamo riusciti a trovare nel caso in cui una disgrazia si fosse dovuta abbattere su noi due, insieme. Non pretendo che tu ne sia subito favorevole, penserai sia un’assurda follia, ma ti prego di cuore di accettare le nostre ultime volontà, per favore. Sarà difficile... Sarà difficilissimo, me ne rendo conto… ma sono certa che le divergenze verranno prima o poi appianate, gli ostacoli superati e riuscirete a far crescere i nostri ragazzi nel migliore dei modi. Digli che li abbiamo amati sempre con tutta l’anima, digli anche che veglieremo su di loro per sempre e donagli quell’affetto e quel calore che senza di noi sentiranno venire a mancare. Dai a Diego modo di accettare la perdita, sono sicura che sarà colui che ti farà disperare di più… la sua allegria è sempre stata sintomo di una grande sensibilità mascherata e se saprai prenderlo come è necessario, tutto andrà bene... ha un grande cuore, credimi… anche se a volte tende a nasconderlo. Aiuta Violetta a non soffrire troppo, lei è così fragile… deve sfogare il suo dolore e non soffocarlo tentando a tutti i costi di essere la roccia della famiglia. E Ambar… beh, lei non ho idea di come possa prendere una cosa del genere, ora è così piccola… prenditi cura di lei, è affettuosa e avendoti accanto ti si affezionerà ancor di più di quanto non lo sia già adesso che ti ha come una semplice zia.
Non hai idea di quanto mi faccia strano scriverti queste poche righe… ma in fondo nella vita, come dice mio marito, bisogna essere previdenti, no? Ti affido il mio tesoro più prezioso con la certezza che tu farai di tutto per tenerlo al sicuro e crescerlo con amore. Ti adoro, mia piccola Angie, non dimenticartelo mai.
Con affetto,
 
Esmeralda.
 
Angie non riuscì a trattenere un singhiozzo che le fuoriuscì quasi involontariamente, avendo tentato di trattenerlo con tutte le sue forze fino alla fine, invano. Pablo la guardò dispiaciuto per un secondo, facendo poi passare il suo sguardo alla busta che ancora stringeva tra le mani. “- Proseguiamo, per favore.” Sibilò Galindo, facendo accigliare Roberto che scosse il capo. “- Rispetta le loro ultime volontà come ho fatto io… apri anche tu quella dannata busta e facciamola finita.” Inaspettatamente, la Saramego, fissando un punto indefinito alle spalle di Lisandro, sussurrò quasi quelle parole con aria gelida e Pablo si voltò di colpo per osservarla: era così fredda, così determinata mentre le lacrime ancora le segnavano il volto stanco, tuttavia meraviglioso… quella frase lo aveva raggelato ma, nonostante tutto, decise che non voleva leggere in quel momento la sua lettera da parte di German, non voleva mettersi a piangere di fronte a tutti, non poteva e basta. “- Lo farò per conto mio, dopo.” Sentenziò, facendo alzare le spalle a Roberto con aria confusa. “- D’accordo, ma sbrighiamoci che dopo di voi ho altri due appuntamenti… allora iniziamo subito.” Il notaio, riaprendo la cartellina, prese dei fogli tra le mani e cominciò a leggere. Solo in quei momenti della lettura Angie realizzò che con quella lettera Esmeralda, oltre a parlarle dei suoi figli, aveva chissà perché tentato quasi di scusarsi… Perché il testamento avrebbe dovuto scioccarla tanto?
 
“L’ unica soluzione”, “Sarà difficile”…
 
I pezzi della vicenda si stavano ricomponendo nella sua mente, mentre sentiva ancora le guance umide per le troppe lacrime. Cosa avevano deciso di tanto strano, sua sorella e  Castillo? Lisandro aveva iniziato a scorrere il testo e a pronunciare con tono solenne ad alta voce quelle parole, ancora tanto tecniche e in cui si poteva riconoscere poco della scrittura di pugno proprio dei coniugi deceduti.
 
“- … Lasciamo, di comune accordo e nel pieno possesso delle nostre facoltà, la casa e l’affido congiunto dei nostri figli: Diego, Viola e Ambar Castillo, ad Angela Saramego e Pablo Galindo.”.
 
Un silenzio di tomba calò nella stanza: Roberto interruppe la lettura e prese a far passare il suo sguardo dall’uno all’altro dei suoi interlocutori, i quali fissavano di fronte a sé con aria sconvolta. Il migliore amico di German si voltò di colpo verso la bionda che fece contemporaneamente lo stesso, incredula su ciò che aveva appena udito. “- Ci dev’essere un errore…” Balbettò la donna, sporgendosi verso la scrivania e strappando dalle mani del notaio quelle carte ufficiali, lasciandolo stizzito. “- Non puo’ essere così…” Mormorò ancora Angie, prendendo a osservare con aria afflitta quei fogli con aria confusa quanto sorpresa. Non poteva essere vero, Esmeralda non poteva davvero farle una cosa del genere, non avrebbe mai accettato, con suo marito, di lasciare i loro ragazzi anche sotto la tutela di quello squinternato. “- Siamo sicuri che siano le loro volontà?” Azzardò ancora lei, mentre Pablo era rimasto piuttosto paralizzato. Se la zia dei figli Castillo non avrebbe mai immaginato una cosa del genere lui ne era ancor più sconvolto: tutore di minorenni con… con Angie? Dire che lei lo odiasse in fondo era anche poco, il che rendeva tutto ancor più difficile al solo pensiero di condividere una villa ed educare tre ragazzini così diversi. Insomma, non era da lui, German avrebbe dovuto saperlo, conoscendolo così bene! Non era un compito da potergli affidare, lui non ne sarebbe stato in grado e, soprattutto, forse, non voleva. Ok, era affezionato a Diego, Violetta e alla piccolina di casa… ma una cosa era vederli quattro, massimo cinque volte l’anno, un’altra ben diversa sarebbe stata fargli da… padre. Lui? Padre? No, il solo pensiero lo faceva rabbrividire. “- Sì, signorina. Le spiego come mai sua sorella e suo cognato hanno optato per questa soluzione…” A quelle parole entrambi rivolsero lo sguardo a Roberto che era riuscito a catturare la loro attenzione con quella frase pronunciata con tono serissimo e solenne. “- I Castillo, a parte lei, non avevano altri parenti e essendo la signorina Saramego nubile, non avrebbe potuto prendere in affido i ragazzi da sola, o meglio sarebbe stato più complesso e rischioso… ma se nelle loro ultime volontà, il signor German e la signora Esmeralda, avessero scelto due tutori, il problema non sarebbe poi sorto, nonostante comunque dobbiate passare per un’ aula di tribunale ad ufficializzare la cosa.” Angie annuì silenziosamente, mentre Galindo scosse il capo con aria confusa. “- E se uno dei due tutori si rifiutasse?” Chiese, facendo alzare le spalle con perplessità al notaio. “- Beh, in quel caso i ragazzi potrebbero essere affidati ad una casa famiglia, suppongo… non credo che la signorina da sola, seppure richiesta espressamente come tutrice nel testamento, abbia valenza come unica affidataria, dipenderebbe tutto dal giudice incaricato poi del processo...” Sentenziò Lisandro, mentre il moro abbassò gli occhi, asserendo con il capo. ”- Non puoi nemmeno pensare di fare questo a quei poveri ragazzi… io non te lo permetterò.” Improvvisamente, ad intromettersi nella conversazione fu la Saramego che, con un gelido sibilo, mormorò quelle parole con decisione glaciale, un tono da far accapponare la pelle. Era ancora incredula ma di certo non poteva rischiare di perdere i suoi nipoti solo perché quell’idiota non si sarebbe assunto le proprie responsabilità. Ora aveva chiaro il motivo per cui i genitori dei giovani avevano preso quella decisione, ora capiva perché avessero tentato sempre di farle stringere almeno amicizia con quel tizio… e poi c’era la lettera. Tutto il puzzle si stava componendo nella sua mente e non voleva assolutamente che andasse in frantumi la possibilità di vegliare su Diego, Violetta e Ambar, solo a causa di Pablo Galindo.
“- Devo… devo andare.” Quelle parole biascicate dell’uomo lasciarono tutti di stucco, soprattutto la Saramego che scattò in piedi a sua volta con la chiara intenzione di fermarlo. “- Non ti azzardare neppure!” Sbraitò, facendo sì che anche Lisandro si alzasse da dietro alla sua enorme scrivania per tentare di placare gli animi. “- Signori, per favore…” Provò il notaio, ma la bionda non lo calcolò minimamente e puntò i suoi grandi occhi verdi velati ancora di lacrime in quelli neri del fotografo. “ – Io non… io non posso.” Mormorò con stizza Pablo, salutando Roberto con un cenno del capo e avviandosi, ancora la lettera in mano, verso l’uscita di quell’ufficio. “- NON PUOI FARLO DAVVERO!” Le urla di Angie lo accompagnarono per tutto il corridoio ma lui finse di non sentirla, per quanto quelle parole lo ferissero profondamente. “- SE QUEI RAGAZZI ANDRANNO IN UN ORFANOTROFIO SARA’ SOLO COLPA TUA! E IO TI FARO' FUORI, TE LO GIURO!” La Saramego continuava a gridare come in preda ad una crisi di nervi e quella distanza dalla sedia su cui era seduto, fino alla porta, sembrò per il moro essere infinita. “- SEI UN MALEDETTO CODARDO!” E, su quell’ultima frase, l’uomo sbatté la porta, sentendo finalmente che potesse dare libero sfogo alle lacrime. Corse verso l’uscita dall’edificio senza guardare in faccia a nessuno e ritrovandosi persino a spintonare gente per arrivare presto alla sua auto, parcheggiata proprio di fronte al palazzone, situato nel centro di Buenos Aires: le imprecazioni delle persone per i colpi ricevuti gli arrivavano come un eco lontano e afferrò le chiavi dalla tasca dei pantaloni per fiondarsi al posto di guida, con aria distrutta. Pablo si accasciò con la testa sulle braccia che incrociò sul volante e continuò a singhiozzare rumorosamente… Perché? Perché German aveva pensato a lui come affidatario dei suoi figli? Non ce l’avrebbe fatta, non era una vita adatta a lui che viveva alla giornata, senza pretese, che lavorava solo per sé, non di certo per una famiglia! Angie aveva ragione, era un dannatissimo codardo e si odiava, si odiava con tutta l’anima per quella reazione che, come tale, l’aveva fatto apparire... Ci teneva a quei ragazzi ma in quel momento voleva solo stare lontano da tutto e tutti, almeno per quella notte… o forse di più. Quasi senza pensarci la mano si ritrovò nella tasca interna della giacca e ne estrasse la busta… per lo stato in cui era avrebbe preferito non aprirla mai, ma la tentazione di leggerla era troppo grande e così, senza quasi rendersene contro, strappò la carta e si ritrovò con quel foglio di fronte, dal quale subito riuscì a distinguere chiaramente l’ordinata calligrafia di German.
 
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Hola chicos! Dunque, capitolo importante, mi rendo conto che forse sia un po’ noiosetto ma ci voleva, è la chiave di tutto. Allora… l’affido dei figli Castillo va, congiunto, ad Angie e Pablo, e se la donna accetta con decisione le volontà dei coniugi deceduti, l’uomo è confuso e spaventato… accetterà la situazione? E i ragazzi come la prenderanno? Intanto Diego ha un'altra forte reazione, stavolta contro la sorellina più piccola… riusciremo mai a ritrovare il ragazzo di un tempo?
Alla prossima e grazie a tutti coloro che recensiscono e seguono la storia… siete gentilissimi! :3 Ciao! :) DulceVoz. :)

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Capitolo 7
*** Restare o scappare? ***


Restare o scappare? Cap.7
 
 
Caro Pablo,
Non so esattamente come iniziare a scriverti questa lettera… non voglio nemmeno immaginare il giorno in cui la leggerai e francamente spero che non arrivi mai. Purtroppo però la vita non sempre ci riserva cose belle, anzi… e so che, sfortunatamente, tu questo lo sai bene, dunque per tutelare i miei figli non posso fare altro che essere previdente, forse fino all’eccesso, rideresti chiaramente tu, prendendomi in giro… o, probabilmente se avrai davvero questo foglio tra le mani non sarai poi così in vena di scherzare. Amico mio, se nel testamento ho preso quella decisione sappi che l’ho fatto perché non c’era alternativa, ma sono sicuro che con l’aiuto di mia cognata te la caverai alla grande… ho molta fiducia in te, ne ho sempre avuta. Mi dispiace averti dovuto inserire come tutore dei ragazzi, so che probabilmente mi maledirai, chiedendoti cosa diavolo mi sia saltato in mente quando l’ho stabilito, ma credimi se ti dico che non ho davvero avuto altra scelta. Sei sempre stato un fratello per me, Pablo, e sappi che ti ho sempre considerato come tale, come quello che non ho mai avuto e come quello che tu, invece, hai perso troppo presto. So anche che, in fin dei conti, non posso obbligarti a questa situazione, quindi lascio a te l’ultimo margine di scelta: fa’ come ti senti, pensa che queste però sono le mie ultime volontà e rifletti sul fatto che il bene dei miei figli sarebbe ciò che più mi importa in assoluto e dipenderà dalla tua decisione finale. So che non è bello per uno come te trovarsi in una circostanza simile, in effetti, forse, non lo sarebbe per nessuno… ma sono sicuro che alla fine farai la scelta giusta perché, nonostante tu sia sempre stato un casinista folle così diverso da me, io so che hai un animo nobile… e noi sappiamo bene che, come ci ha insegnato il Piccolo Principe: “- Non si vede bene che col cuore… l’essenziale è invisibile agli occhi.” Quindi, sono sicuro che saprai cosa fare se ti lasci comandare e guidare da esso… ascoltalo… e poi decidi tu.
Ti voglio bene, amico… anzi, fratello mio, e ti porterò nella mia mente e nella mia anima, per sempre.

German.
 
Frotte di lacrime coprivano il suo volto e scendevano rapide percorrendo le sue guance pallide, fino a ricadere sulla lettera che ancora teneva aperta sul volante dell’ auto, disperdendosi tra quelle poche righe dalla calligrafia raffinata e lineare. Se uscito dallo studio del notaio Pablo stava malissimo, ora era anche peggio, decisamente peggio. Sentiva come se con quelle parole avesse detto definitivamente addio a German e non avrebbe mai voluto. Mai. Sentiva il peso di quella responsabilità gravare ancor di più sulle sue spalle e lui odiava ogni restrizione alla sua libertà, da morire. Quante ne avevano passate insieme lui e l’amico? Tante. Tantissime. Perché la vita si era accanita così contro la famiglia Castillo, contro di lui, che aveva trovato in quell’uomo il fratello perduto, un’ ancora di salvezza in tutta la sua esistenza così difficile e solitaria? E poi ci si aggiungeva la questione dell’affidamento… insomma, sì, erano le ultime volontà del padre dei ragazzi ma lui come avrebbe potuto essere all’altezza di quel compito così difficile da portare a termine? Sarebbe riuscito ad adempiere al volere di quello che considerava un parente di sangue anche se, effettivamente, non lo era? Non voleva pensarci, non ci riusciva, e il cellulare che prese a vibrargli e a trillare vivacemente nella tasca dei pantaloni lo riportò fuori da quel flusso di pensieri ingarbugliati e malinconici: il nome che lampeggiava come un forsennato sul display, però, lo obbligò a rifiutare la chiamata. Immaginava che Angie gli avrebbe dato la caccia peggio di una poliziotta e non si sarebbe nemmeno arresa facilmente, dal poco che la conosceva era chiarissimo, ma in ogni caso non voleva risponderle, tanto che, dopo aver fatto una rapida telefonata, spense il telefonino e lo gettò sul sediolino vuoto accanto a sé. Voleva solamente stare lontano da tutto per schiarirsi le idee e le urla della Saramego, che riusciva quasi già ad immaginare stordirgli i timpani, avrebbero solo complicato di più le cose, abbastanza confuse di per sé nella sua mente. Doveva prendersi del tempo e voleva pensare ad altro, a cominciare da quella sera stessa, rendendosi irraggiungibile per tutti e andando a trovare, chissà, forse stabilendosi anche lì per un po’, una sua amica che sembrava tenerci tanto a lui, molto più di quanto ci tenesse lui a lei: Jackie Saenz. L’ultima volta avevano litigato… ma era certo che lei sicuramente non gli avrebbe sbattuto la porta in faccia, quello non avrebbe mai e poi mai avuto il coraggio di farlo e la chiamata fattale qualche istante prima ne era stata la prova: “- Ti aspetto.” Gli aveva detto, con tono suadente… e lui sarebbe arrivato lì quanto prima, solo perché aveva bisogno di lei per scappare da quella situazione tremenda… almeno fino a quando non avesse deciso cosa fare.
 
 
Francesca era in camera sua china sui libri di algebra ma le urla dei suoi genitori o meglio, solo di sua madre, arrivavano chiare e forti alle sue orecchie nonostante tenesse la porta chiusa.
“- SI PUO’ SAPERE PERCHE’ DIAMINE GLI HAI PERMESSO DI USCIRE SENZA DIRMI NIENTE? TI E’ DATO DI VOLTA IL CERVELLO? SEMPRE A PATTO CHE TU NE ABBIA UNO!” La donna sbraitava insolitamente più del dovuto, mentre il padre si limitava a risponderle piano, provando a farsi ascoltare nonostante le ire della consorte. Ovviamente, come quasi il 95% delle volte, la giovane sapeva bene che il motivo della litigata era quello scapestrato di suo fratello gemello, il quale trovava sempre un buon motivo per darsi alla vita mondana, ricevendo il favore di Matias ma la rabbia di Marcela. Francesca doveva ammettere che, per quanto trovasse sciocco e inutile rintanarsi in una buia discoteca con orribile musica assordante e superalcolici, a volte  un pochino lo invidiava. Insomma, non per quelle notti brave, ma per il semplice fatto che lui era quello sempre sulla cresta dell’onda, quello amato e con una schiera di ragazze che gli andavano dietro: l’anima della festa, insomma… ed era sempre stato così, anche quando vivevano in centro, prima di trasferirsi a Madeira. Lei invece… beh, lei era sempre la solita, dove vivevano prima, nel borgo o, ne era sicura, ovunque sarebbe mai andata: riusciva a sentirsi fuori luogo in ogni occasione, odiava essere al centro dell’attenzione, non frequentava i posti che il gemello amava e adorava rintanarsi in qualche angolino tranquillo a leggere o a studiare… che cosa aveva di sbagliato? Scosse il capo e allontanò quel pensiero. Nulla. Lei, per quanto ne fosse la gemella, era solo molto diversa da Leon e la cosa non poteva essere un difetto… anzi, a pensarci bene, aveva persino un lato positivo: almeno lei, con il suo atteggiamento tranquillo, non provocava mai risse familiari come quella che si stava svolgendo al piano di sotto tra i genitori.
“- Tesoro, ti ho lasciato un messaggio in segreteria… e poi mi ha promesso che tornerà entro l’una…” La voce di La Fontaine arrivò titubante persino al piano di sopra, in un secondo di silenzio, attimo in cui era riuscito a far valere le sue parole. “- L’ una? L’UNA E’ TROPPO TARDI PER UN DICIASSETTENNE!” Sbottò ancora furiosa la donna, facendo sogghignare la figlia che annuì concorde. Anche secondo lei, Leon si prendeva troppe libertà ed era chiaro che l’origine di tutto fosse anche Matias, sempre troppo permissivo con il figlio, tanto che il ragazzo riusciva spesso a fregarlo con qualche scusa e promesse che quasi mai, poi, rispettava.  Lo sbattere della porta d’ingresso fece sobbalzare la mora che, istintivamente si avvicinò alla sua finestra: il padre era uscito in giardino per trovare pace dalle grida della mamma e, infatti, era disteso sulla sua amaca come se nulla fosse, seppure dal volto sembrasse alquanto dispiaciuto. Francesca sogghignò ancora tra sé e sé… Matias non sapeva che così facendo peggiorasse ancor di più le cose ma, inevitabilmente e per fortuna, lei conosceva come sarebbe finita la vicenda, ovvero come al solito: dormita sul divano per il biondo e il giorno dopo si sarebbe presentato con un mazzo di rose, rigorosamente rosse, per farsi perdonare… e poi, se tutto proseguiva come sempre ci avrebbe aggiunto un pacco di cioccolatini che sarebbe arrivato a destinazione mezzo vuoto: la madre si sarebbe messa a ridere e gli avrebbe chiesto scusa, come sempre. La giovane spostò il suo sguardo dal genitore allo scorcio di giardino di casa Castillo che riusciva a scrutare dalla sua finestra e la aprì per vedere meglio: da lì capiva solo che il salotto fosse illuminato… chissà come stavano passando la serata quei poveri ragazzi. Afferrò il cellulare sulla scrivania per chiamare l’amica e vicina ma fu interrotta dall’arrivo furioso di sua madre che cominciò a straparlare come di suo solito dopo una furiosa litigata con il marito. “- Se n’è andato, ti rendi conto? Come si permette?! Come diamine osa?!” Sbraitò, con un cesto sotto al braccio stracolmo di lenzuola pulite e ripiegate, prima di posarle sul letto della figlia. Francesca ruotò gli occhi al cielo e prese la pila di coperte per riporla nel suo armadio, cercando di rimanere in silenzio per evitare di alterare ancor di più la donna di quanto già non lo fosse di suo. “- Ah, ma stavolta me la paga! Lui, e quando torna anche suo figlio!” Sentenziò con decisione ancora sua madre, sedendosi stizzita sul soffice materasso di Francesca, ricoperto da una trapunta a pois bianca e blu. “- Leon è responsabile, tranquilla… è solo che da quanto ho capito, quando lo spiegava a papà, lui e Seba hanno avuto una sorta di discussione con Diego e volevano uscire per distrarsi…” Spiegò la giovane pacata, prendendo posto accanto all’altra che si accigliò confusa. “- Tutto questo però tuo padre ha pensato bene di non dirmelo! Sai con chi è uscito?” Domandò poi, notando che la ragazza fosse anche più informata dei fatti rispetto al marito. “- Penso con lo stesso Calixto… o meglio, l’ho dedotto dal fatto che ho sentito Cami nel pomeriggio e fosse furiosa perché lei era in punizione per chissà quale arcano motivo, e non voleva che il ragazzo uscisse da solo, senza di lei.” Marcela annuì mantenendo un’aria stizzita, per poi abbassare lo sguardo tristemente. “- Chissà come mai hanno discusso con Diego… ci manca solo che si allontanino proprio ora che lui ha bisogno degli amici più stretti…” Balbettò angustiata, pensando alla conversazione avuta con Angie: quel ragazzo non se la stava passando per niente bene e l’ultima cosa che doveva fare era rimanere da solo per qualche battibecco con il figlio e Seba, magari anche per futili motivi. “- Non lo so ma credo che c’entrasse questa serata a cui sono andati Leon e il fidanzato di Camilla… ho capito qualcosa da una telefonata tra i due…” “- Fran! Non si origliano le telefonate…!” La riprese la donna seria, facendole sollevare le spalle, come per giustificarsi. “- …Sai altro?” La interrogò però ancora, come se fosse in ufficio a fare il terzo grado ad un testimone di qualche crimine. “- No… ma Diego sta ancora molto male?” Era rimasta incuriosita del fatto che il fratello e il batterista della band avessero discusso con Castillo… insomma, capiva che non fosse affatto un momento facile per il giovane, ma avrebbe tanto voluto sapere se fosse almeno in fase di ripresa: Violetta più o meno stava affrontando la vicenda seppur restasse spenta e malinconica, Ambar pareva chiusa in un mondo tutto suo… ma lui? “- E sì, purtroppo. Angie mi ha raccontato anche che avesse avuto una discussione con lei e la sorella…” La ragazza annuì, fingendo di non sapere nulla su quella questione: in realtà quando la Saramego stava parlando con sua madre lei aveva sentito tutto ma non poteva certo ammetterlo… “- Si riprenderà, secondo te?” A quella domanda la mamma la fissò: era strano sentire la figlia farle tante domande su un perfetto estraneo per lei, ma la donna, cominciando ad intuire qualcosa di tutto quell’interesse, cercò di non farglielo notare e si alzò di nuovo in piedi, riprendendo la cesta della biancheria per continuare a mettere a posto il bucato. “- Tempo al tempo, non siate tutti così frettolosi con quel ragazzo… ha subito un trauma non indifferente, povero.” Sentenziò seria la moglie di Matias, facendo annuire Francesca. “- Tu chiudi quei libri e va’ a dormire… o almeno, se non vuoi ancora andare a letto, limitati a far sparire quei… cosi.” Sbottò ridacchiando la Parodi, indicandole i grossi tomi su cui stava studiando prima che lei entrasse, ancora illuminati dalla luce fioca del lume acceso sulle loro pagine. “- D’accordo, mammina…” Rispose la giovane sorridendo dolcemente, non riuscendo però a smettere di pensare ai Castillo e, soprattutto, al maggiore di essi… cosa le stava succedendo? Perché il pensiero di quel ragazzo l’assillava più di un’equazione difficile da risolvere? Chiuse la porta e si distese sul letto con lo sguardo fisso sul soffitto: voleva chiamare l’amica per sapere come proseguissero le cose, così cercò il numero in rubrica e sentì il cellulare squillare in attesa… una trafelata Violetta le rispose con il fiato corto. “- Ciao, come va?” Le chiese con tono incerto. “- Così e così, a parte l’ennesima sfuriata di Diego contro Ambar che ancora non vuole mangiare, offesa…” Sentenziò la castana, facendo rimanere di stucco Francesca… Di nuovo. il fratello dell’amica riusciva sempre a comparire nella sua mente anche quando non era lei a pensarlo! “- Se vuoi ti vengo ad aiutare con la nana!” scherzò affettuosamente la La Fontaine, sentendo però la voce di Angie attraverso il telefono. “- Non ti preoccupare c’è mia zia e poi è tardi, anche se ci siamo appena messi a tavola… ci vediamo domani, d’accordo?” Tentò di apparire serena la Castillo. “- Ok, per qualsiasi cosa chiama! Anche se dovesse essere piena notte, tranquilla.” Le disse dolcemente Francesca, riagganciando poi la chiamata, dopo averla salutata. Chissà cosa era successo per far litigare ancora il maggiore con le sorelle. Avrebbe mai decifrato l’enigma che rappresentava quel giovane? E soprattutto, avrebbe mai risolto quello per il quale lei continuava a pensare a lui? Si rigirò sul fianco con aria confusa: doveva solo essere preoccupata per la sua situazione, sì… doveva essere così.
 
 
“- Ma questo posto è uno sballo!” Seba era accanto a Leon, appoggiato pigramente al bancone del “Gringo’s” già affollatissimo fin dalla sua apertura: era la sera dell’inaugurazione e tantissimi ragazzi sia di Buenos Aires, in cui si trovava il discobar, che della periferia della città, erano accorsi per quell’imperdibile notte di festeggiamenti. “- Come l’ha presa Cami, poi?” Chiese ridendo La Fontaine, afferrando un bicchiere di cocktail appena servitogli, cominciando a sorseggiarlo con gusto. “- Potrei farti la stessa domanda inserendo le parole “tua madre” al posto di “Cami”… ti aspetterà con la volante qui fuori, sicuro!” Lo sbeffeggiò il bruno, facendo assumere una buffa espressione preoccupata all’amico. “- Con la pistola puntata su di me piuttosto, se calcoli che non sapeva nemmeno che uscissi! E bada bene che non presti armi anche alla tua ‘piccola rossa’, a patto che la Torres non ne abbia già di sua proprietà…” Sentenziò Leon, facendo scoppiare a ridere il batterista. “- Nah, io sono qui per divertirmi ma sto bene con lei, non cerco avventure ma voglio solo stare con gli amici, con te!” Esclamò lui, facendo ghignare l’altro. “- Anch’io voglio stare con te, tesoruccio!” Lo prese in giro Leon, beccandosi una gomitata da Calixto che gli fece assumere una smorfia di dolore mista a divertimento, sul viso furbo. “- Guarda che carina quella biondina…” Indicò poi Leon, allungando il braccio in direzione di un’elegantissima ragazzina esile, in un abito scintillante di un fucsia acceso, e dai boccoli dorati. “- Ah, lasciala perdere quella! E’ fidanzata… ma soprattutto… è insopportabile, fidati!”. Sentenziò Seba, voltandosi di nuovo verso il bancone per ordinare un altro cocktail, senza avere l’intenzione di voler aggiungere altro. “- La conosci? Tu conosci quella bambolina? E Cami lo sa che il tuo giro di conoscenze è così… interessante?” Rise il castano, prendendo un altro grande sorso della sua bibita. “- Sì, certo che lo sa, la conosce anche lei! Chi nel borgo di Madeira non conosce Ludmilla Ferro? E’ la stellina più popolare della scuola… ti dico solo che la madre gestisce ‘Top’, il giornale prettamente di moda… pensa lei come dev’essere montata!” Sbottò con tono acido il batterista, lanciandole poi un’occhiata stizzita. “- Ah, interessante e anche di classe… quindi potrei beccarla per i corridoi o addirittura nella stessa sezione… ottimo!” Ridacchiò La Fontaine, posando il bicchiere sul bancone e girandosi di nuovo verso la ragazza. “- E’ fidanzata.” Ripeté Seba, passandosi una mano nel ciuffo corvino e spettinandoselo. “- …E, se possibile, il fidanzato è più odioso di lei…” Sentenziò con decisione, indicando con un movimento rapido del capo un giovane accanto alla ragazza che, effettivamente, dall’atteggiamento sembrava già darsi molte arie. “- Federico è già famoso nell’orchestra della scuola, suona il piano… e si vanta anche peggio di lei.”. Leon fissò nella direzione in cui c’erano i due e sbuffò, come per sbeffeggiarli. “- Insomma per la serie: gli opposti non si attraggono… sono i simili a farlo!” Esclamò il fratello di Francesca, con tono divertito, facendo annuire l’altro. “- Già!” Concluse Calixto, alzandosi poi con la chiara intenzione di dirigersi verso la pista. “- Vado a ballare, mi sono stancato di stare qui seduto… vieni?” Propose a Leon che, invece, scosse il capo: da lì aveva una visuale perfetta di tutto il locale e non aveva intenzione di mollare lo sgabello libero trovato solo dopo varie peripezie. “- Nah, ti aspetto qui…” Esclamò annoiato, cominciando a guardarsi intorno mentre l’amico scompariva tra la folla. Le luci soffuse e quelle ad intermittenza rendevano il posto illuminato solo a tratti e se prima il posto sembrava solamente pienissimo ma piuttosto tranquillo, ora una musica assordante si levò nell’aria fastidiosamente, facendo sì che tutti coloro che si avvicinassero al bancone per ordinare prendessero a urlare alla barista per farsi sentire. “- UN ANALCOLICO, PER FAVORE!” Dove fino a qualche secondo prima era seduto Seba, una ragazza castana si sporse verso il bancone con aria già stanca, forse per lo sgomitare nel farsi notare tra la calca di ragazzi che chiedevano bibite. Leon si voltò a fissarla e dovette ammettere che era proprio carina: capelli castani raccolti in una coda di cavallo e look elegante ma non troppo. “- Qualcuno vuole rimanere sobrio!” Ridacchiò in direzione della giovane che lo guardò accigliata: non aveva mai visto quel tipo in giro… se ne sarebbe ricordata, sicuramente. “- Non per forza devono tutti sbronzarsi… come te!” Sbottò stizzita, facendo sogghignare La Fontaine. “- Ah sì? Ho l’aria di essere sbronzo?” Chiese, sporgendosi verso di lei che ruotò gli occhi al cielo, perplessa. “- E io ho l’aria di voler rimanere sobria?” ”- Non si risponde mai ad una domanda con un’altra domanda…” Si apprestò ad interromperla Leon, facendola annuire con un cipiglio piccato. “- Hai ragione. Non posso darti torto su questo…” Sentenziò, afferrando poi il bicchiere che finalmente le fu servito e cominciando a sorseggiarne il contenuto. “- Piacere, Leon…” Esordì di nuovo lui, allungandole il braccio per presentarsi. “- Lara.” Disse semplicemente lei, stringendogli la mano amichevolmente, non perdendo però il contatto visivo con quei grandi occhi verdi che la scrutavano con attenzione. “- Sei di qui?” Si informò il ragazzo, cercando di ricordarsi se alle altre feste a cui aveva preso parte l’avesse mai vista. “- Abito a Madeira, poco distante da qui… la conosci?” Chiese lei, prendendo un piccolo sorso del suo cocktail. “- Sì… mi ci sono trasferito da poco con la mia famiglia, è un borgo carino e sembra tranquillo… a volte anche troppo!” Sentenziò, guardando poi verso la pista: Seba era facilmente individuabile tra la folla, dato che era quello che ballava più energicamente, agitandosi come un forsennato… che lontano da lui avesse continuato con i cocktail e avesse bevuto troppo? “- Sei qui con la fidanzata?” Si informò Lara, mordendosi poi nervosamente un labbro, quasi si fosse pentita di quella domanda così precisa, forse indiscreta. “- No… non ce l’ho una fidanzata.” Sentenziò Leon sicuro, prendendo di nuovo a fissarla con insistenza, mentre un sorriso speranzoso si era dipinto sul volto della giovane. “- Strano…” Mormorò lei, cosa che nonostante la musica assordante, lui intese comunque. “- Cosa?” Chiese infatti, alzando un sopracciglio e assumendo una buffa espressione divertita. “- Che uno come te non abbia una ragazza!” Spiegò Lara, alzando le spalle confusa. “- …Insomma… di solito quelli belli come te sono tutti impegnati!” Sentenziò, posando il calice ormai vuoto sul bancone. “- Non vige una legge su questa cosa, suppongo…” Rise Leon, alzando una mano per ordinare qualcos’altro da bere. “- Due analcolici, uno a me e uno alla signorina… offro io.” disse con tono sicuro alla barista che  annuì e si affretto a preparagli l’ordinazione. “- Molto gentile, Leon!” Esclamò la castana allegramente stupita per il gesto gentile, facendogli assumere un’aria soddisfatta. “- Che ci vuoi fare, quando uno è un gentleman nell’anima c’è poco da meravigliarsi…” Sbottò lui, facendo sì che entrambi scoppiassero in una fragorosa risata. Il ragazzo lanciò un’occhiata in direzione di Lara quando lei era rimasta per un attimo assorta e in silenzio: in fondo era proprio un’ottima compagnia, visto che quel folle di Seba continuava a dimenarsi come un tarantolato sulla pista, circondato da almeno un’altra ventina di persone: ora capiva perfettamente perché Camilla non voleva che uscisse da solo… ok, lui amava la Torres era evidente, ma era: “L’occasione a far l’uomo ladro”, no? E Calixto di belle ‘personcine’ da conquistare intorno, in quel momento, ne aveva anche troppe. “- E tu sei venuta da sola?” Chiese poi alla giovane, che scosse il capo, facendo ondeggiare la sua coda castana e lucente. “- Sono qui con alcuni amici, ma sono a ballare!” Esclamò, indicando con un cenno la sala in direzione della quale i ragazzi si scatenavano. “- E il fidanzato?” Chiese a sua volta Leon, facendole sgranare gli occhi: per poco non le andò la bibita di traverso, tanto che cominciò  a tossire per provare a riprendersi. Come mai quella domanda? Che lui fosse interessato? “- Non esiste.” Scherzò lei, facendolo accigliare. “- Beh, vedi che anche questo è molto strano?” La interrogò il giovane, facendola sorridere… il riferimento allo stralcio conversazione di poco prima era evidente e Lara si sentì arrossire nella zona delle guance… allora la reputava così carina e impossibile come aveva detto lei a lui? Incredibile. “- Caspita è tardissimo… devo andare!” Leon si era voltato verso un angolo della sala per puro caso e solo allora aveva notato che l’orologio appeso in quel punto indicasse già le 2:45 del mattino. Era sicuro che sua madre lo avrebbe ucciso a mani nude e poi avrebbe ucciso suo padre… a patto che, per averlo fatto uscire, lui non fosse già morto da ore! Doveva recuperare Seba e tornare a casa, subito, o non avrebbe visto l’alba successiva. “- Di già?” Chiese la castana delusa… peccato, proprio quando iniziava a divertirsi, quella splendida compagnia la lasciava. “- Devo…” Esclamò lui, puntando Seba e pensando un modo per raggiungerlo e poi per trascinarlo via di lì. “- D’accordo… e poi noi possiamo comunque rivederci!” Esclamò lei, facendogli l’occhiolino e afferrando un tovagliolo per poi estrarre una penna dalla sua pochette. “- Questo è il mio numero…” Sorrise, ripiegando quella carta sottile e allungando il braccio per consegnargliela. “- Ci sentiremo presto, allora!” Esclamò lui, visualizzando finalmente un varco per andare a chiamare Calixto. “- Ci conto. ciao!”. Leon si allontanò attraverso quel percorso che aveva stabilito già mentalmente, mentre parlava con Lara, e raggiunse, finalmente, l’amico che pareva alquanto su di giri. “- SEBA! DOBBIAMO ANDARE!” Urlò, strattonando con forza l’amico per un braccio, intenzionato a guidarlo verso l’uscita d’emergenza che individuò alle spalle di un’altra dozzina di persone. “- SCORDATELO!” Sentenziò l’altro, continuando a dimenarsi come un pazzo. “- MUOVITI! E SENZA DISCUTERE!” Esclamò stizzito Leon, continuando a gridare per farsi sentire dall’altro che sembrava ignorarlo. “- EDDAI! STO COSI’ BENE QUI!” Rise Seba, facendo accigliare l’altro… non pensava avesse bevuto così tanto… e evidentemente lui aveva anche ben poca resistenza a quei cocktail alcolici. “- No! E’ tardi, sei messo maluccio e… non puoi restare da solo in questo stato… CAMMINA!” Sbottò La Fontaine, tirandoselo verso la porta verde dell’uscita d’emergenza, che, a mano a mano che avanzavano, diventava sempre più vicina e la musica assordante sempre più lontana. Una volta fuori si ritrovarono sul parcheggio posto sul retro del discobar e, mentre Leon sorreggeva l’amico per le spalle, piano, si fecero strada fino alla moto del castano. Il figlio di Matias afferrò due caschi da sotto la sella del veicolo e, dopo essersi assicurato che il suo fosse ben chiuso e sicuro, mise l’altro al batterista che barcollava parlottando su cose senza senso e ridendosela di gusto. Era tardissimo, doveva portare prima Seba a casa e per rientrare ci avrebbe messo ancora più del previsto: era consapevole che, con quel suo ulteriore ritardo, la sua fine fosse vicina, più vicina di quanto si fosse mai aspettato.
 
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Il nido e Lara… che orrore! D: Galindo e Leon ma come vi salta in mente?! D: Non vi preoccupate che dal capitolo otto (il prossimo, praticamente! ;)) avremo primi barlumi di speranza Leonetta! *___* Cosa farà Pablo per quanto riguarda il testamento? E Fran cosa prova per Diego? Solo amicizia o tutto questo interesse celerà… altro? ;) Camilla e Marcela le suoneranno di santa ragione a Seba e Leon? xD  Cosa succederà? Grazie infinite a tutti e alla prossima, ciao! :) DulceVoz. :)

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Capitolo 8
*** Decisioni da prendere. ***


Decisioni da prendere. Cap. 8
 
Erano passati già due giorni da quando Angie aveva parlato con il notaio riguardo al testamento, eppure, quando i ragazzi facevano domande su come fosse andato l’appuntamento, nello specifico per la parte riguardante il loro affido, lei girava il discorso verso altre argomentazioni, rassicurandoli e dicendogli che non li avrebbe mai lasciati. Quanto avrebbe potuto proseguire così con quella farsa? Non molto, ne era sicura, anche perché aveva notato che sempre più frequentemente, soprattutto Diego, la fissasse per alcuni minuti in silenzio quasi con la speranza che si decidesse a dire tutto, quasi come se sapesse che ci fosse dell’altro che tendeva a non raccontare loro. Già… ma come avrebbe potuto dirgli che Pablo era un altro tutore, colui che avrebbe dovuto fargli da padre, sostituendosi al ruolo occupato, fino a poco tempo prima, da German? Perché, per quanto assurdo potesse sembrare persino a lei, di quello si trattava: né più, né meno.
La Saramego se ne stava in salotto, seduta sul grande divano a fissare lo schermo della televisione su cui scorrevano immagini di un talk show inguardabile, ma la sua mente era tutta concentrata altrove: in un certo senso sperava che con quel programma spazzatura sarebbe riuscita a distrarsi almeno un po’, ma a quanto sembrava era tutto dannatamente inutile. Galindo era sparito nel nulla: quella mattina andando al Restò Bar per vedere come andassero le cose lì, era passata davanti al condominio in centro in cui abitava l’uomo, ma il suo appartamento, che sapeva essere al quarto piano, sembrava disabitato… tuttavia, non ancora convinta, aveva anche provato a citofonargli. Inutile, nessuna risposta. Quel disgraziato avrebbe rinunciato al suo compito, ne era certa! E i nipoti… i suoi nipoti, a causa di quello squinternato avrebbero rischiato di finire chissà dove, lontani da lei. Li avrebbe persi, per sempre, e al solo pensiero rabbrividiva e sentiva un’angoscia enorme montarle dentro. Come avrebbe potuto fare nel caso il giudice avesse deciso di toglierglieli? Lei era sola, non era sposata e di certo in quella situazione non avrebbero acconsentito a lasciarle la tutela su tutti e tre. Sospirò profondamente e si appoggiò di più allo schienale del divano, lasciando ciondolare la testa dal lato opposto, socchiudendo gli occhi e sperando di svegliarsi da quel maledetto incubo che era diventata la sua realtà. A costo di girare tutta Buenos Aires e dintorni avrebbe trovato quel maledetto codardo di Pablo e lo avrebbe trascinato in aula, per i capelli se necessario, in modo che l’affido richiesto da German ed Esmeralda sarebbe andato in porto senza problemi… quell’uomo non poteva essere tanto egoista da scappare così, facendo perdere le sue tracce come il più in gamba dei criminali, non poteva, non doveva e lei non l’avrebbe permesso.
“- Zia, tutto bene?” La voce di Violetta le fece aprire di scatto gli occhi e l’intravide a testa in giù, scendere dalle scale seguita da Ambar e da Diego che si teneva qualche passo più dietro rispetto alle sorelle. “- Sì, sono solo un po’… stanca.” Si affrettò a giustificarsi lei, rimettendosi compostamente a sedere e seguendo con lo sguardo i ragazzi che le presero posto vicino, le due femmine una alla sua destra e l’altra alla sua sinistra e il più grande su una poltrona poco distante. “- Hai risolto poi con la questione del locale?” Domandò la secondogenita, facendole riaffiorare alla mente altri pensieri… già, il suo Resto Bar. Quel giorno stesso era passata a vedere come andassero le cose: al reparto cucina e dolci era tutto nelle mani di Olga Peña, la migliore pasticciera di tutta la città, che le aveva detto subito non avere alcun problema ad aiutarla anche con la gestione, mansione di cui, prima di tutta quella tragedia si occupava solamente lei. La cuoca era una dipendente storica del locale sin da quando a lavorarvi erano i suoi genitori, i proprietari del “Restò Bar”… e poi essi, in accordo con sua sorella maggiore, avevano deciso di passare nelle sue mani tutto quanto. Il pensiero di Esmeralda la rattristò di colpo ma scosse il capo, ricordandosi di avere una conversazione in sospeso con i ragazzi, sperando di non far notare troppo la sua improvvisa malinconia. “- Non ancora, ma tranquilli che Olghina se la cava alla grande!” Sorrise, camuffando quell’aria angustiata che riaffiorava ancora troppo spesso, seppur dovesse continuare a farsi forza, per loro. “- C’è qualcosa che devi dirci, zia?” La voce del giovane, rimasto in silenzio e guardingo come al solito, interruppe il suo flusso di pensieri e tutte e tre si voltarono verso di lui che, immobile come una statua di sale, le fissava in attesa di una risposta. “- E’ arrivato il momento di affrontare l’argomento, non credi?” Aggiunse serissimo, riferendosi palesemente alla questione che era emersa dalle ultime volontà dei coniugi Castillo. Come sospettava: i ragazzi non erano degli sciocchi e avevano capito sin da subito che in tutte quelle sue spiegazioni sul testamento e il loro affido, mancasse un dettaglio chiave… Pablo. “- Di cosa parli?” Chiese la Saramego, cercando di prendere tempo per trovare le parole giuste in modo da esprimere con sincerità e schiettezza quanto aveva appreso dal notaio. “- Lo sai.” La sfidò con lo sguardo Diego, facendo accigliare Violetta e Ambar. “- Dacci un taglio, se parli del nostro affido zia Angie ci ha già detto tutto… vero?” “- No. Diego ha ragione.” Quella semplice frase fece sgranare gli occhi a Violetta e assumere un’espressione saccente al moro, che sembrava già aver capito dal principio che qualcosa non tornasse. “- Ci… ci hai detto una bugia?” Balbettò Ambar, perplessa, fissandola dapprima con aria delusa, per abbassare poi il visino, amareggiata. “- No… io… non è facile credetemi… ma ora vi spiegherò tutto.” Sentenziò la donna, mettendosi in piedi e andando a spegnere la tv a passo lento, seguita con lo sguardo dai nipoti che pendevano dalle sue labbra. Angie si riaccomodò tra le ragazze e spostò gli occhi sulle sue scarpe, non sapendo proprio da dove iniziare ad affrontare l’argomento… forse, in effetti, era un bene che Diego glielo avesse chiesto o chissà quanto tempo avrebbe aspettato prima di decidersi a raccontare tutto. “- Nel testamento che abbiamo letto dal notaio non sono l’unica tutrice scelta dai vostri genitori… per voi.” Ammise, osservando poi i nipoti: Diego la fissava, gli occhi ridotti a due fessure e l’attenzione a livelli massimi. Violetta, invece, sembrava perplessa e la piccola attendeva forse una spiegazione con parole più elementari… per quanto arguta fosse aveva pur sempre otto anni. “-’Abbiamo letto…?’ Chi altro c’era con te?” Domandò subito il moro, sporgendosi in avanti in attesa di una risposta. “- Pablo.” Sussurrò quasi la donna, facendolo accigliare. “- German ed Esmeralda avevano deciso che in caso fosse accaduta una disgrazia, come questa… la casa restasse a me insieme al vostro affidamento ma… non da sola, ecco.” Angie restò un secondo in silenzio e prese un profondo respiro: ora o mai più, doveva dirglielo. “- E cosa… cosa c’entra Pablo in tutto questo?” Chiese la secondogenita, sgranando poi gli occhi, sconvolta. “- Non dirmi che…?” Realizzò, vedendo la zia annuire, mordendosi nervosamente un labbro quasi stesse per piangere. “- Io non sono sposata e l’affidamento sarebbe più difficile, seppure fossero state le loro ultima volontà… invece, insieme a Galindo, si faciliterebbe tutto.” Aggiunse infine, facendo scattare in piedi Diego come una furia. “- Non ci posso credere. Cos’è uno scherzo di cattivo gusto?!” Sbottò sconvolto passandosi una mano nel ciuffo corvino, facendo sollevare alle tre lo sguardo, confuse. “- No, ma vorrei tanto anch’io che lo fosse… soprattutto perché non riesco a contattarlo da quando ci siamo visti da Lisandro e… e se lui non accettasse l’incarico la questione si complicherebbe.” Ammise con un filo di voce la Saramego. “- Aspetta… Pablo quindi non vuole l’affidamento? Non se la sente di prendersi questo incarico?” Chiese Violetta, mentre il fratello aveva preso a camminare come una furia avanti e indietro per tutto il salotto. “- No… o almeno così pare… non lo so. Ma voi non vi preoccupate, farò di tutto per farvi restare con me!” Esclamò Angie, sperando di calmarli. “- E nella peggiore delle ipotesi? Se Galindo non si facesse vivo e non ci lasciassero stare con te?! Che ne sarà di noi?!” Chiese senza mezzi termini il maggiore, fermandosi di colpo di fronte al divano con aria spaventata, che tentò di mascherare con una nota d’arroganza nella voce. “- Non dobbiamo pensare alla peggiore delle…” “- ZIA! COSA NE SAREBBE DI NOI?! PARLA!” Urlò di colpo Diego, spaventando Ambar che si fiondò più vicina alla donna che le strinse le spalle con un braccio, per tranquillizzarla. “- Finiremmo in un orfanotrofio, vero? Se il processo andasse a tuo sfavore e quel tipo non si presentasse, noi… andremmo prima in qualche casa famiglia e forse pure affidati ad altri… probabilmente separati… non ci posso credere.” La Saramego non disse nulla ma era chiaro che tacitamente gli stava dando ragione: evidentemente c’era davvero il rischio che finisse così, per quanto volesse tenere viva fino alla fine la speranza che tutto finisse bene. “- Io non voglio lasciare Vilu, Diego e nemmeno te, zietta!” Strepitò la più piccola, con lo sguardo sconvolto e spaventato, stretta ancora alla donna che prese ad accarezzarle piano il capo. “- Non succederà, io non lo permetterò, ve lo prometto. Calmatevi e fidatevi di me.” Sentenziò con forza Angie, facendo annuire Violetta. “- Dobbiamo essere ottimisti… nessuno ci separerà, né da nostra zia, né tra di noi.” Esclamò la ragazza, osservando asserire energicamente con il capo la sorella della madre. “- In ogni caso io quel tizio qui non ce lo voglio, si presenti in tribunale e poi sparisca.” Sbottò il più grande con tono piccato, avviandosi poi verso la porta per sbatterla con foga. “- DIEGO VIENI QUI!” L’urlo della Saramego non sortì alcun effetto ma la castana scattò in piedi e le fece cenno di stare ferma lì… era arrivato il momento di affrontare suo fratello, da sola. “- Ci penso io… tu consola Ambar.” Concluse poi, avviandosi fuori e cercando con lo sguardo Diego: non era lontano, era corsa così velocemente fino al portico che era certa fosse ancora vicinissimo, seppure fosse incredibilmente sparito nel nulla.
 
 
Violetta sentì un familiare cigolio giungerle alle orecchie, come se qualcuno stesse tirando una corda e, improvvisamente, capì dove si fosse nascosto Diego. Si incamminò verso il retro della casa e individuò la grande quercia sulla quale era costruita una casetta, ormai ricoperta dalla folta chioma dell’albero stesso, creata da German quando loro erano bambini, in particolare proprio per il figlio maggiore. Era sicurissima del fatto che il fratello se ne fosse andato lì in cima a riflettere, lo faceva spesso, così alzò il capo e prese a chiamarlo a gran voce: “- DIEGO! VIENI GIU’ SO CHE SEI LI’!” Gridò, non ottenendo alcuna risposta. La Castillo incrociò le braccia al petto e cominciò a battere stizzita un piede sulla verde erbetta sotto di lei: era inutile che lui opponesse resistenza, dovevano parlare e dovevano farlo quanto prima. “- SE NON SCENDI TU SALGO IO!” Strillò ancora, sentendo finalmente dei rumori delle travi di legno come se il ragazzo si stesse muovendo… improvvisamente vide a stento, tra il fitto fogliame, la testa del fratello apparire dall’ingresso della casetta e fissarla con aria agitata. “- Lasciami in pace.” Sibilò stizzito, per poi rientrare come se nulla fosse. La giovane scosse il capo con rassegnazione e stava per incamminarsi di nuovo verso la casa, quando però si bloccò: no, non poteva lasciar perdere così, doveva tentare di farlo ragionare, lui ne aveva bisogno, tutti in casa avevano bisogno che si riprendesse almeno un po’… perché era chiaro che, se stesse così, il motivo di fondo era la sua sofferenza. Si voltò di nuovo per fissare la piccola abitazione sull’albero e, a passo sicuro, si avvicinò alla scaletta in corda che pendeva da essa: sperò vivamente di non spiaccicarsi al suolo, aveva il terrore delle altezze, anche le più piccole, e ci era salita si o no un paio di volte ricordò di colpo, cominciando a scalare il tronco grazie ai pioli ultra resistenti che loro padre aveva istallato: non poteva di certo rischiare che i suoi piccoli si facessero male! Il pensiero rattristò Violetta ma continuò a salire e finalmente, si affacciò all’interno della piccola fortezza, dove, in un angolo rannicchiato, c’era il moro, sguardo assente e stanco. “- Vieni giù. Adesso.” Sussurrò decisa la giovane, ancora con il fiatone, facendolo sobbalzare. “- Tu cosa diamine…?!” Iniziò Diego, indicandola sconvolto. “- Te l’avevo detto che sarei venuta io su! E comunque sei cresciuto per questo posto! Ci entri a malapena e puoi starci solo in ginocchio… che ne dici di andare di sotto per scambiare quattro chiacchiere con la tua sorellina?” Il ragazzo la scrutò: non sapeva di preciso cosa volesse ma l’unico pensiero che gli balenò in mente è che lei avesse bisogno di parlare con lui e non il contrario… così, annuendo mestamente, le fece cenno di cominciare a scendere, così che lui l’avrebbe potuta raggiungere.
Il giardino sul retro era sempre stato molto curato, esattamente quanto quello sul davanti della villetta: meravigliose aiuole di gerani erano in fiore e ogni volta potate alla perfezione, essendo Esmeralda una appassionata di piante e quindi occupandosene con attenzione… eppure era chiaro che ora l’erba fosse diventata alquanto alta e che necessitasse una tagliata, cosa che faceva settimanalmente German con il tagliaerba modernissimo di cui si vantava sempre, soprattutto con il nuovo vicino, La Fontaine.
I fratelli si sedettero ai piedi della quercia, l’uno accanto all’altra, e rimasero in silenzio per alcuni minuti abbondanti: Diego fissava di fronte a sé con aria spenta ma pur sempre preoccupata e nervosa, mentre Violetta gli mise una mano sul ginocchio e lo fissò con ansia. “- Non devi prendertela sempre con zia Angie… ci vuole bene e ci è sempre accanto… dobbiamo fidarci di lei.” Iniziò la castana con tono fermo e calmo, facendo scuotere il capo all’altro. “- Fidarci? Ci ha mentito sulla questione del testamento…” “- Stava solo cercando le parole giuste per raccontarci tutto!” Lo interruppe di colpo la ragazza, facendogli cenno di lasciarle spiegare. “- E’ difficile anche per lei, forse soffre anche il doppio rispetto a noi. Zia Angie fa il possibile per starci vicino e non mostrarci quanto in realtà stia male… e dev’essere ancor più complesso non potersi nemmeno sfogare per non farci deprimere di più… e so che capisci cosa intendo.” A quella frase seguì ancora silenzio e alle loro orecchie giungeva solo il cinguettio di alcuni passerotti appollaiati tra i rami del possente albero sotto alla quale chioma i fratelli stavano parlando. “- Pablo… ti rendi conto?! Sicuramente non si presenterà e finiremo in qualche squallido orfanotrofio della capitale… poi, se mai dovesse andarci di lusso, ci adotteranno ma di sicuro uno per volta, tutti in famiglie diverse… e non ci vedremo mai più.” La voce di Castillo era seria e un singhiozzo fuoriuscì involontariamente dalle sue labbra, spezzandogliela inesorabilmente. Violetta lo scrutava con attenzione: Diego era sempre stato forte, ma era chiaro che in quella situazione avesse perso ogni sua, anche la più piccola, sicurezza, dimostrando la sua, comunque evidente, fragilità di fondo. “- Non pensiamo al peggio, ehi! Andrà tutto bene, vedrai… Angie smuoverà mari e monti pur di tenerci con sé, ne sono sicura.” Sorrise debolmente la giovane, appoggiando poi la testa nell’incavo della spalla del maggiore, che prese ad accarezzarle piano la schiena, con mano tremante: non aggiunse null’altro. Non era convinto che sarebbe andato tutto così bene ma non volle dirlo alla sua Violetta, non poteva sconfortare anche lei. Era il più grande e qualunque cosa sarebbe accaduta non avrebbe permesso che altri si prendessero cura delle sue sorelle… accettava Angie, le voleva bene… ma non altre persone, nessun altro. Non ci sarebbero state leggi, orfanotrofi o Pablo che avessero tenuto. Già, nella migliore utopica delle ipotesi che Galindo avesse accettato non lo voleva a fargli da padre… lui un padre lo aveva già ed era German: niente avrebbe cambiato ciò, né lui avrebbe acconsentito che questo accadesse.
Oltre il loro steccato, Leon era seduto al piccolo tavolo da picnic che si trovava poco distante dal garage: odiava essere in punizione ma quella volta doveva ringraziare il cielo che la madre non l’avesse direttamente eliminato. Quel sabato, per riaccompagnare Seba a casa, era rientrato solo alle prime luci dell’alba e, come era già successo, Marcela l’aveva aspettato in piedi per preoccuparsi personalmente della sua pena: una settimana da recluso in casa, ecco qual era la sua condanna per quella volta… per sconti ad essa aveva dovuto tagliare l’erba, lavare l’auto, sia quella della madre che quella del padre, e mettersi a studiare… o almeno così aveva finto per tutta la notte, facendosi trovare, di proposito, con un libro aperto sulla pancia la mattina dopo. Finalmente, aveva riottenuto il cellulare sequestrato e un dimezzamento della punizione, tanto che aveva appena finito di chiamare Lara per organizzare un appuntamento, quando però, delle voci provenienti dalla casa accanto, l’avevano attirato: Violetta stava cercando stizzita il fratello e, allo stesso tempo, poco dopo, provava a calmarlo su una questione che aveva intuito riguardare il loro affido… ok, sapeva che non avrebbe dovuto origliare, non era una buona abitudine, ma si trattava del suo amico e, in più, se voleva aiutarlo doveva sapere tutta la vicenda, ma con lui non vi avrebbe cavato un ragno dal buco. Ascoltando quella flebile e dolce voce della Castillo si sentì stranamente scombussolato… insomma, lui non aveva praticamente mai considerato più di tanto quella ragazzina, la sorellina di Diego, la migliore amica di Fran… eppure doveva ammettere che avesse una forza incredibile che mai avrebbe creduto poter possedere una personcina tanto graziosa e fragile, ancor di più dopo tutto quello che stava passando. Leon era rimasto ad ascoltarli attento, fingendo di giocherellare con il suo cellulare per non far insospettire i suoi genitori che avrebbero potuto uscire da un momento all’altro, o quella spiona di Francesca che pur di vederlo in casa come lei, sarebbe stata capace di spifferare che fosse seduto lì tranquillamente a riprendere fiato dopo aver pulito la grondaia senza iniziare ancora a potare l’erba… solo alcuni dei tanti lavoretti riservati a suo padre ma che ormai aveva arretrati da una vita. Poveri ragazzi, povero Diego… e Violetta. Fino a poco prima aveva sempre solo considerato l’amico come quello che stesse soffrendo, sottovalutando scioccamente le altre due sorelle. Era chiaro che la Castillo, con quel discorso, volendo rassicurare il fratello, paradossalmente, avesse quasi voluto rassicurare sé stessa. Quella ragazza era molto intelligente, era evidente da come avesse provato a placare il maggiore… intelligente e forte, molto forte. Il cellulare che gli squillò tra le mani lo fece sobbalzare e il nome di Lara seguito da una bustina lampeggiò sullo schermo:
 
“Non vedo l’ora di rivederti…”
 
Leon rimase per alcuni secondi a fissare il display, stranamente confuso: cosa diamine gli prendeva? A lui piaceva quella ragazza, aveva tentato lui di conoscerla al discobar e lui l’aveva chiamata per uscire… e allora cosa diamine aveva da essere così perplesso, di punto in bianco?
 
“Forse per domani ho un impegno… ti faccio sapere.”
 
Inviò quel sms quasi senza pensarci ma poco convinto… odiava sentirsi poco deciso sul da farsi, non era da lui, a maggior ragione se, come in quel caso, non sapesse spiegarsi il perché… quale impegno?! Perché diamine si era inventato quella patetica scusa? Le parole determinate e dolci di Violetta continuavano a frullargli in mente… no, non poteva essere come pensava… sarebbe uscito con Lara e si sarebbe divertito. Forse.
 
 
Forse era stata una scelta avventata, o forse avrebbe dovuto farlo anche da prima: Angie era ferma nella sua auto, parcheggiata esattamente davanti al Restò Bar, e non sapeva proprio cosa fare. Quella sera stessa aveva dato appuntamento ad una persona per far sì che qualcun altro si occupasse della gestione al posto suo ma nella sua mente continuavano a farle pressione troppi pensieri di tutt’altro genere: dov’era finito quel maledetto di Galindo? Violetta aveva parlato con Diego? Francesca poteva prendersi cura di Ambar da sola, il tempo che lei sarebbe andata a quell’importante appuntamento? Non lo sapeva, ma ormai era tardi per ripensamenti. La verità era che non le sarebbe piaciuto vedere il suo locale senza di lei, con un altro direttore… eppure non aveva trovato altre vie d’uscita: in quel momento la priorità era la sua famiglia, o quello che ne rimaneva, cioè i suoi adorati nipoti… e doveva pensare solo e unicamente a loro. Ad ogni modo, come le aveva chiesto Violetta e precedentemente detto Marcela, non poteva ignorare il fatto che fosse proprietaria di quel luogo, quindi doveva per forza darsi una mossa e prendere un provvedimento. Uscì dalla macchina sbattendone la portiera con stizza e si avviò piano verso l’entrata del bar: si perse per un istante a fissare l’insegna con malinconia: gli sarebbe mancato, ne era certa… in fondo però era una separazione momentanea e doveva concentrarsi su quel pensiero. Non lo perdeva, il suo amato Restò Bar, era e restava il suo, solo che, a differenza di prima in cui per distrarsi dalle sue fallimentari storie d’amore ci passava praticamente tutto il giorno dedicandovi anima e corpo, ora sarebbe potuta passare a vedere come andassero le cose molto più raramente.
“- TESORO MIO!” Olga, non appena ebbe varcato la soglia, l’accolse con il suo solito entusiasmo e nel giro di pochi secondi si ritrovò stretta nella sua morsa, un abbraccio calorosissimo, tipico della Peña. “- Olga! Come vanno le cose?” Riuscì a balbettare la bionda, riprendendo fiato dopo quella stretta affettuosa, facendo annuire l’altra. “- Bene, come puoi vedere siamo sempre pieni! Ed è grazie a te, bambina!” Angie sorrise a quel tenero appellativo e si guardò intorno: in effetti i tavolini erano quasi tutti occupati per la maggior parte da ragazzi, ma nella loro clientela non mancavano anche adulti, bambini e anziani. “- Merito mio? Ma se praticamente non vengo qui da giorni!” Esclamò la donna, incamminandosi verso il bancone, affiancata dalla bruna. “- Oh, non intendevo questo! Sei sempre stata una grande direttrice del locale e i clienti ti adorano da sempre! Non pensare che sia cosa da poco… il successo del bar è merito tuo, tesoro!” Sorrise con fare materno la più anziana, andando a sistemare dietro al bancone, alcune bibite colorate su un vassoio. “- Libi, porta queste al tavolo 5.” Esclamò, quando una ragazza si avvicinò alle due. “- Tu devi essere Angie, vero?!” Chiese quella moretta, dandole un bacio sulla guancia con entusiasmo. “- Emh, sì ma tu… tu chi sei?” Le domandò la donna, allegramente ma confusa … alla Saramego fece strano vedere quella nuova cameriera lì, non sapeva che Olga l’avesse assunta senza dirle nulla, inoltre mancava l’abituale cameriere che le aiutava di solito con il servizio ai tavoli, ovvero Tavelli. “- Lei mia nipote, si è trasferita a Buenos Aires da poco dall’Israele, dove suo padre lavorava e voleva un piccolo impiego... mi sta aiutando, non ti da fastidio, vero? Ha iniziato solo ieri, Marco si è licenziato lasciandomi completamente sola… ho provato a chiamarti ma…” Esclamò la donna, facendo scuotere il capo alla bionda che con il solo gesto la interruppe. “- No, anzi! Perdonami. In mia assenza sarà stata durissima per te tutta questa fatica… mi dispiace davvero tanto, credimi! E benvenuta Libi!” Disse, vedendo la giovane sorriderle timida e scappare via verso i tavoli. “- Ma piccolina ti pare che mi sia pesato? L’ho fatto con piacere! Sai quanto ti adoro, quanto fossi legata ai tuoi genitori e a…” A quelle parole la bruna si bloccò, non riuscendo a completare la frase ma continuando a carezzare una guancia alla più giovane. “- A Esmeralda… lo so.” Sorrise tristemente Angie abbassando lo sguardo, concludendo al suo posto e facendola annuire. “- Io… io ancora non riesco a credere a ciò che sia accaduto… poveri ragazzi, tutti soli e… e tu, tesoro, io…” Olga, nel giro di pochi secondi, aveva cominciato a piangere come una fontana, mentre la Saramego, da lontano, avvistò la persona che tanto attendeva prendere posto ad un tavolo libero in un angolo tranquillo del locale. “- E’ terribile, credimi… ma ci riprenderemo presto.” Esclamò Angie, appoggiandosi con i gomiti al bancone, per poi rigirarsi verso la donna. “- Devo parlare con quell’uomo… per quanto riguarda la gestione. E’ mio amico, per cui è una bravissima persona… così tu ti occuperai come al solito solo della cucina e Libi potrà restare ai tavoli e al bancone…” Riassunse la bionda, mentre Olga prese a tamponarsi gli occhi con un fazzoletto di carta. “- D’accordo. Va’, tesoro… buona fortuna.” Concluse la cuoca, stringendole una mano per incoraggiarla per poi ritornare in cucina.
“- Angeles Saramego! Quanto tempo!” La voce allegra di quel moro la fece sorridere e con calma prese posto di fronte a lui con aria tranquilla. “- Roberto Benvenuto! Sempre un piacere vederti!” Esclamò, fingendo quel tono solenne e formale con cui l’altro aveva cominciato e facendolo sghignazzare. Il bruno, dalla folta chioma riccia, sollevò un braccio per chiamare la cameriera che, affannante, si avvicinò a loro. “- Due spremute d’arancia e due ciambelle, come ai vecchi tempi!” Ordinò Benvenuto, facendo sì che Libi annotasse su un taccuino la sua richiesta per poi scattare a quel comando, veloce come il vento. “- Ti ricordi ancora, allora!” Esclamò ammirata la Saramego, torturandosi nervosamente le mani sotto al tavolo. “- Certo! Quando studiavamo insieme era sempre la stessa merenda! E poi comunque qualche altra volta sono passato a trovarti, amica, ricordi?!” Le chiese lui, facendola annuire. “- Già, ma mica così tante volte?! E anche gli anni del liceo sono così lontani, ormai…” Mormorò, con un filo di voce la donna, rimembrando quante volte lei e il suo migliore amico di scuola avessero fatto i compiti insieme, durante i quali la aiutava soprattutto in geografia, unica  e sola materia in cui lui era un vero genio e lei una totale frana. “- Beh, però è stato un bene tenersi in contatto nonostante sia passato tanto, no?” Esclamò Beto, facendola quasi sobbalzare e saltando a sua volta dalla sedia per l’entusiasmo, mentre Libi serviva loro le aranciate. “- Sì infatti… ed io ho bisogno di te, ora più che mai.” Sentenziò la donna, senza mezzi termini, prendendo un profondo respiro e vedendolo sporgersi sul tavolo, interessato. “- L’avevo intuito… dimmi tutto.” Commentò l’uomo allegramente, cominciando a divorare il suo dolce con voracità. “- Ecco io… necessito di qualcuno che gestisca il Restò Bar al posto mio perché io non potrò più farlo… e così ho pensato a te… mi hai detto ancora che cerchi lavoro per telefono, dunque quale migliore occasione? Tu aiuterai me e io aiuterò te.” Spiegò con calma la bionda, facendolo annuire felice. “- Lo stipendio non è chissà che, te lo dico subito… ma non è male! E poi se lo farai mi salveresti davvero! Mi fido di te e… insomma, potresti farcela? Si tratta di stare alla cassa, o gestire le ordinazioni, un minimo di contabilità… niente di troppo complesso!” Elencò lei, rendendosi conto che forse stesse minimizzando un po’ troppo le mansioni che gli sarebbero spettate. “- Sarà un piacere!” Sorrise entusiasta lui, saltando in piedi come una molla e facendola sobbalzare di nuovo… sempre il solito! Angie si portò una mano al cuore: sperava di aver fatto ricadere la sua scelta sulla persona giusta, per quanto cominciasse sin da subito a dubitarne. “- Vieni con me, così ti presento le colleghe…” Disse lei, avviandosi a passo svelto verso il retro del bancone, facendo cenno a Libi di seguirla, cosa che la mora fece di colpo, abbandonando il vassoio sul primo tavolinetto vuoto pur di andarle dietro di fretta. “- Olga… lui è Roberto, detto Beto. Beto, ti presento Olga, la nostra cuoca ma soprattutto… pasticciera!” Angie, appoggiata alla maniglia della porta che dava sulla cucina, vide la donna avvicinarsi piano, con aria confusa e fissa sull’uomo. “Benvenuto!” Esclamò con un grande sorriso, facendo accigliare lui. “- Come sa il mio cognome?!” Chiese, facendo un mezzo balzo all’indietro, che per poco non travolse la cameriera, appena entrata, la quale fece giusto in tempo a spostarsi su un lato per evitarlo. “- Ok… calma! Lui sarà il mio sostituto alla gestione… mi auguro. E’ la soluzione più veloce che possa prendere. Ve la caverete alla grande, siete un bel trio!” Sorrise, mascherando la sua preoccupazione, Angie, facendo annuire poco convinte soprattutto Olga e Libi. “- Io devo scappare dai ragazzi, sono soli da troppo tempo… per qualsiasi cosa, chiamatemi.” Esclamò poi, guardando l’orologio di fretta e prendendo un profondo respiro. “- Aspetta!” A richiamarla fu la nipote della cuoca che la fece voltare di colpo, quando ormai era già pronta ad uscire. “- Che c’è?” Domandò trafelata la Saramego, vedendola sorridere. “- Non ci auguri ‘Buona Fortuna’?” Ridacchiò, osservando Beto che stava studiando con attenzione una pila di pentoloni come se avesse appena trovato un prezioso tesoro: un frastuono metallico interruppe la conversazione e fece sobbalzare le tre donne. “- Basterà non farlo avvicinare alla cucina, ho dimenticato di avvisarvi che è un po’ maldestro…” lo giustificò l’amica, facendo annuire la ragazza con poca convinzione. “- E… buona fortuna. Ne avremo bisogno. Tutti.” Sentenziò poi, allontanandosi per uscire dal suo amato Restò Bar. Che aiutare Beto avrebbe potuto rovinare lei? Sperò vivamente di no, ma il dubbio, dopo averlo visto in azione lì, aveva riportato alla mente vecchi ricordi… sperava che Benventuo almeno un po’ fosse cambiato ma, in effetti, era sempre lo stesso di anni addietro e, ormai il danno era fatto… non le restava che sperare.
 
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Eccoci al cap. 8! Aw, accenni Leonetta finalmente! *Stappa lo spumante* Peccato per l’appuntamento con Lara previsto, ci sarà o no? Vedremo! :S Per ora sa di avere una vicina e per un Leon così particolare… è già un grande passo avanti! XD Povero Diego, che tenero! :’( E conosciamo anche Olga, Libi e Beto, lo strano trio… beh, cosa ve ne pare? Grazie a tutti e alla prossima, ciao! :) DulceVoz. :) 

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Capitolo 9
*** Guerra e pace. ***


Guerra e pace. Cap.9
 
“- Questo gelato è divino! Non ne ho mai mangiato uno così buono!” Lara Gonzales, entusiasta come una bambina alle giostre, precedeva quasi saltellando sul vialetto del parco, Leon, il quale, sentendosi stranamente annoiato e confuso, reggeva la sua coppetta con pigrizia: cosa diamine gli stava accadendo? Non ne aveva idea, ma forse era dovuto a quei giorni di reclusione in casa per scontare la sua punizione: da allora, si sentiva così diverso, così… cambiato. “- Leon, mi stai ascoltando?” Chiese la castana improvvisamente, quando il ragazzo, finalmente, la vide seduta su una panchina che gli faceva cenno di accomodarsi accanto a lei. “- Certo, scusami… dicevi?” Borbottò La Fontaine, sedendosi e fissando con disgusto il suo gelato, ormai quasi del tutto sciolto e tramutatosi in un ammasso informe, liquido, dal colore arancione chiaro. “- Vedi allora che non mi stavi sentendo?” Sorrise Lara, prendendo un'altra cucchiaiata di panna e gustandosela con calma. Alla fine, per quella sua indecisione sull’ uscire o no con la giovane, era stato richiamato da lei stessa dopo un fitto scambio di messaggi, e aveva così deciso di accettare di rivederla. Come mai allora era così distratto? Non lo sapeva ma qualche sospetto lo aveva già da quando si era mantenuto incerto nella risposta a quel sms, qualche giorno prima di quell’appuntamento. “- Scusami davvero, oggi ho la testa altrove.” Sentenziò il ragazzo sforzandosi di sorriderle, iniziando finalmente a mangiare. “- Me ne sono accorta! Al ‘Gringo’s’ eri più simpatico!” Esclamò la Gonzales, facendolo accigliare… era così evidente che si stesse annoiando? “- Nessuno osa definire un La Fontaine poco simpatico!” Esclamò, con tono solenne, facendola scoppiare a ridere di gusto. “- Ma non volevo dire questo!” Si giustificò lei, arrossendo di colpo, mentre lui prese a ghignare allegramente. “- No, hai ragione… oggi forse è la prima volta in cui non sono per niente di compagnia.” Sussurrò quasi Leon, facendola preoccupare. Aveva detto o fatto qualcosa che non andava? “- Forse sono io… ti sto annoiando…” Balbettò, improvvisamente a disagio, la giovane, mentre lui prese a scuotere il capo in segno di dissenso. “- No, cosa dici? Non è per te! Sono solo stanco… con la punizione, mia madre mi ha sfiancato! Ho dovuto praticamente ripulire casa e giardino! Ci è mancato poco che non mi mettesse anche a riverniciare il garage!” Scherzò il ragazzo, facendola sorridere debolmente. Lara era felice di essere riuscita a rivederlo eppure il comportamento di La Fontaine era completamente diverso da quella sera in cui l’aveva conosciuta e mille ipotesi si facevano largo nella sua mente, tra cui una in particolare: che avesse già una ragazza e glielo avesse nascosto? Le scuse varie per evitarla dopo la serata al discopub non se l’era di certo bevute… eppure lui le aveva detto di essere single ma, a quel punto, i dubbi non la lasciavano tranquilla a godersi quel sole pomeridiano e quella bella compagnia, seppur quel giorno fosse meno piacevole del solito.
“- Sei proprio un cattivo ragazzo se ti meriti tutti questi castighi!” Ironizzò la castana, dandogli una piccola gomitata che lo fece sobbalzare e traballare su un lato, nonostante fosse seduto. “- Non hai idea di quanto tu abbia ragione!” La prese in giro il figlio di Matias, ridacchiando di gusto.
Nel frattempo, Violetta camminava mano nella mano con Ambar, diretta alle giostre situate al centro parco, per prendere un po’ d’aria con la sorellina e uscire da quelle quattro mura che ormai la stavano seriamente mandando ai pazzi: aveva bisogno di uscire e, con la scusa di accompagnare la bambina, era praticamente evasa da casa. Le raccomandazioni di Angie ancora le risuonavano nelle orecchie come un eco, ma non voleva farsi condizionare troppo: sapeva badare alla piccola, lo aveva fatto spessissimo, anche insieme a Francesca nell’ultimo periodo. Voleva godersi quella bella giornata di sole, una delle ultime di libertà prima che ricominciasse la scuola senza troppi pensieri per la mente: di quelli ne aveva già abbastanza e non erano di certo allegri dopo ciò che le era accaduto. La morte dei genitori era ancora così dolorosamente vicina… e poi c’erano la vicenda dell’affido, il fratello maggiore e tutto il resto che la tormentava, notte e giorno. “- Mi spingerai sull’altalena come fa Diego? Lui mi fa andare sempre in alto, in alto!” Le chiese la bimba, con il nasino all’insù per osservare meglio la reazione della sorella, mentre con l’altro braccio le indicò approssimativamente come la il Castillo la facesse “volare”, sulla giostra. “- Certo, ci divertiremo, vedrai!” Sorrise lei dolcemente, facendo ondeggiare le loro mani intrecciate. Per pensare al più grande e alle sue reazioni rabbiose, ormai all’ordine del giorno, Violetta si era resa improvvisamente conto che nell’ultimo periodo aveva trascurato un po’ la rossa e non le andava proprio giù: con Ambar era sempre stata molto legata, le voleva un mondo di bene e il fatto che avesse solo otto anni non significava che, nel suo piccolo, non stesse soffrendo quanto lei o il maggiore dei tre. “- Sara andrà sullo scivolo me lo ha già detto! Non le piacciono molto le altalene…” Cominciò a raccontare la bambina, facendo annuire distrattamente la castana. “- …E poi non potresti spingere me se ci fosse anche lei… così ho deciso che cambierà giostra!” Sentenziò decisa la minore, facendo ridacchiare l’altra. “- Meno male! Non sarebbe stato divertente per me far andare avanti e indietro un’altalena vuota!” Rise Violetta, facendo accigliare la minore che sbuffò, piccata. “- Non è carino che tu dica così, la offenderai!” La riprese, lasciandole la mano e fermandosi per poi incrociare le braccia al petto, stizzita. “- Ma chi si dovrebbe offendere?!” Domandò confusa la castana, ruotando gli occhi al cielo. “- Sara, mi sembra ovvio!” Sbottò Ambar, senza dare l’impressione di voler continuare a camminare. Improvvisamente la più grande si ricordò di una conversazione con la zia: la Saramego aveva letto da qualche parte che quella storia dell’amica immaginaria sarebbe finita probabilmente da sola, ma lei non doveva far credere alla piccolina che la considerasse una stupidaggine o avrebbe peggiorato le cose. “- D’accordo, d’accordo! Sara farà quello che le pare… ma io voglio dedicarmi solo alla mia bambolina!” Sussurrò dolcemente la ragazza, accovacciandosi per raggiungere il volto della rossa che si sciolse in un sorriso tenero e, di slancio, abbracciò l’altra con foga. “- Ti voglio bene, Vilu!” Esclamò con voce spezzata in un singhiozzo. “- Ehi! Perché piangi, adesso?!” Sussurrò perplessa la sorella, stringendola a sé e accarezzandole piano la schiena. “- Io… io… non lo so…” Mormorò la piccola, staccandosi da lei e tirando su col naso, fissandola con aria perplessa, mentre la sorella le accarezzava una guancia umida con un sorriso amaro dipinto sul volto. La secondogenita, nel suo piccolo, comprese che la bimba si sentisse male per la perdita dei genitori quanto lei e, con quelle lacrime, probabilmente, le aveva espresso la sua gratitudine per starle accanto… solo che lei non sapeva di preciso cosa le stesse accadendo.
Violetta si rimise in piedi e le tese la mano che lei riafferrò con entusiasmo, asciugandosi gli occhi con il braccio libero e continuò a percorrere il vialetto del parco che si estendeva tra due file di alberi alti e frondosi ma, d’un tratto, attraverso due grandi tronchi, dall’altro lato del viale vide, su una panchina, qualcosa che la scombussolò alquanto. “- Vilu, andiamo?” La vocina di Ambar quasi non la sentì ma si bloccò sul posto a fissare due giovani a parlare animatamente, seduti l’uno accanto all’altra: tra loro, la ragazza riconobbe Leon La Fontaine e fu come se sentisse il cuore spezzarsi ancora una volta in mille frammenti taglienti e piccolissimi, così da renderne impossibile la ricostruzione ma che riuscivano solo a farle male, molto male. Dal momento in cui quel ragazzo era arrivato alla casa accanto ne era innamorata perdutamente eppure, da quando la sua vita era stata sconvolta così bruscamente e irreparabilmente da quella tragedia familiare, aveva lasciato che tutto passasse in secondo piano, anche quella sua cotta che sapeva sarebbe rimasta sempre tale, se non più forte… ora però, nel vederlo lì, con quella giovane, sentì come se il mondo le fosse crollato addosso, come se improvvisamente fosse ritornata con la mente e il cuore a prima che accadesse il dramma che l’aveva tanto addolorata e che ancora la faceva soffrire. “- Vilu! Dai, muoviti!” La riprese la piccola, tirandosela con forza via di lì, continuando a precederla e a trascinarsela per un braccio per alcuni metri, finché la giovane non riprese da sola a camminare a passo svelto. Lui non l’aveva vista, ne era certa. Lui era lì con una ragazza, probabilmente la sua fidanzata. Era definitivamente finita, doveva immaginarsi che, non essendo interessato minimamente a lei, Leon sarebbe presto uscito con altre, evidentemente molto più interessanti… in fondo per lui. Violetta Castillo era solo la sorellina del suo migliore amico, no? Se non aveva chance prima, ora sapeva che avrebbe fatto meglio a dimenticarlo definitivamente… in fondo aveva altri pensieri per la testa e tra quelli, in un momento così triste per lei, non figurava minimamente l’amore.
 
 
Se Galindo non le dava altra scelta allora avrebbe agito nel peggiore dei modi, non poteva fare altrimenti, non potendo rischiare di perdere i suoi nipoti. Angie camminava per le vie del centro di Buenos Aires a piedi, avendo raggiunto la zona ricca ma pedonale della città, quella in cui vi erano i negozi di lusso e le persone parevano uscite da Hollywood, un po’ per il loro aspetto eccentrico, alcune avevano persino cappellini in stile Elisabetta d’Inghilterra, e un po’ perché tutto, lì, le ricordava l’atmosfera frenetica dei film ambientati o nella Grande Mela o a Manhattan. Strade affollate di gente che sorseggiava caffè o parlava fittamente al cellulare la facevano sentire ancor più sperduta in quel quartiere alto che non era più solita frequentare come un tempo, quando per giornate di shopping selvaggio e sfrenato vi camminava abitualmente. Ricordò distrattamente i vecchi tempi in cui, per farsi passare il mal d’amore, dopo aver divorato chili e chili di gelato al cioccolato, si dedicava a regalarsi qualche capo costoso e alla moda per placare le sue sofferenze dovute a quel dannato sentimento che tanto l’aveva fatta stare male. Sembrava essere passata una vita da quei giorni… era incredibile quanto il destino, in poche settimane, potesse cambiare radicalmente l’esistenza di una persona. Finalmente, dopo tanto cammino, all’orizzonte vide il palazzo che cercava: era un altissimo edificio imponente, dalle grandi vetrate trasparenti che mostravano l’interno, uno dei più moderni di tutta la città, e doveva avere almeno una ventina di piani… un grattacielo in pieno centro, il grattacielo nel quale sapeva aver sede la redazione di “Top”, il magazine per cui lavorava Pablo. La donna non aveva idea di dove fosse finito l’uomo dalla lettura del testamento da parte del notaio, ma era certa che, seppure avesse cambiato appartamento per non farsi chiaramente trovare, lo avrebbe potuto incontrare in redazione o, almeno, avrebbe potuto chiedere se lì sapessero qualcosa di lui. Angie varcò l’entrata del palazzo, in cui per lo più vi si trovavano uffici di grande spessore della capitale, e si avvicinò agli ascensori davanti ai quali già attendeva un capannello di persone, la maggior parte intenta a ingannare l’attesa con tablet, ipad o cellulari super tecnologici. “- A che piano si trova il “Top”?” Chiese ad una giovane elegantissima, all’incirca dell’età di Violetta, che la squadrò dapprima da capo a piedi e poi, ignorandola, continuò a digitare qualcosa, mentre un ghignetto fastidioso le si disegnava sul volto. “- In vetta, mi pare ovvio! Come le sue vendite in tutta la Nazione!” Sentenziò quella biondina con sicurezza, senza neppure guardarla in faccia. “- Devo dedurre che devo arrivare all’ultimo piano?” Chiese ancora la Saramego, impaziente dal volere ottenere quell’informazione, prendendo a osservarla confusa: ci mancava solo quella ragazzina a farla innervosire, come se non lo fosse già abbastanza di suo. “- Of course. Sei per caso la nuova segretaria di mia madre? Allora anche Margaret si è licenziata! Beh, non stento a crederlo…” Concluse l’altra, facendo scuotere il capo alla donna, perplessa. “- No, ti sbagli! Io…” “- Ludmilla Ferro, la figlia della direttrice del giornale… hai un appuntamento con lei, allora?” Chiese ancora la ragazza, riponendo il cellulare all’ultimo grido in una piccola pochette dorata e varcando le porte dell’ascensore, seguita da Angie e da un'altra decina di persone. “- No… in realtà non cerco la direttrice, cerco un fotografo… forse tu puoi aiutarmi!” Sorrise la donna, vedendo la ragazza ridacchiare di gusto, mentre si prese a rimirare nell’enorme specchio alle sue spalle. “- Io non aiuto, soprattutto rischiando di inferocire mia madre per farlo!” Sbottò Ludmilla, aggiustandosi alcune ciocche dorate che le erano ricadute scompostamente sulla fronte. “- Maledizione, se mi dovesse vedere in questo stato mi caccerebbe a calci da qui…” Sbottò poi, riferendosi ancora alla direttrice della rivista, lasciando ancor più confusa la Saramego. “- Non sarai mica una spia per rubarci l’ultima intervista alla modella Ginevra Callez?” Realizzò di colpo la giovane, puntando un indice al petto di Angie, ormai era decisamente sbigottita da quella strampalata ragazzina. “- No, santo cielo! Cerco una persona ti ho detto!” Esclamò esasperata, ravviandosi alla meglio la chioma bionda, notando che, quando al ventesimo piano ne mancassero solo cinque, lì dentro per lo più fossero rimaste donne all’ultima moda, almeno quanto la piccola Ferro se non addirittura più eleganti e chic. “- Allora se cerchi qualcuno ti conviene provare a raggiungere Priscilla Ferro, lei sa tutto di tutti qui… ma ti do un piccolo consiglio: cerca di intuire prima il suo umore… se senti dire che è pessimo, evitala. Lo dico per il tuo bene.” Le sussurrò ad un orecchio la giovane improvvisamente, lasciandola ancor più stranita… quella che appariva già come una iena era il capo di Pablo, quindi. Sicuramente sapeva dove fosse lui e lei aveva bisogno di sapere… arrabbiata o no, doveva parlarle. Le porte si aprirono quando l’ascensore raggiunse l’ultimo piano e tutti corsero fuori a passo rapido, tranne Ludmilla, che rimase indietro con lei. “- Mamma!” Esclamò la ragazza, avvicinandosi ad una donna alta, circondata già da quattro giovani che le giravano intorno carpendo ogni sua parola e appuntandola su dei blocnotes. “- Scusate un secondo, c’è mia figlia… vedo cosa vuole e torno subito da voi…” Sentì dire persino Angie, che rimase alle spalle della biondina che avanzava verso quella donna. “- Ludmilla, quante volte ti ho detto di non disturbarmi quando siamo in chiusura di rivista? Cosa c’è?” Le chiese sottovoce andandole incontro, avvicinandosi ad ampie falcate alla giovane. “- Volevo solo dirti che mi serve la tua carta di credito, tra poco si ritorna a scuola e non ho nulla da mettere!” Sbottò la ragazza incrociando le braccia al petto, mentre Priscilla prese a fissarla con aria poco convinta. “- La tua dov’è? Non l’avrai mica persa?” Le chiese la madre, incenerendola con lo sguardo al solo dover formulare quell’ipotesi. “- Conto in rosso… mi serve la tua!” Rispose stizzita, facendo prendere un profondo respiro all’altra: Priscilla Ferro assomigliava incredibilmente alla figlia, stessi capelli dorati, stesso sguardo fiero e, ovviamente, stesso stile costosissimo ed elegante nel vestire. “- Parla con Eva, dille che sei mia figlia, è nuova non ti ha mai vista, poi va’ nel mio ufficio e prenditela! Ma non svuotare anche quella, per favore… a casa facciamo i conti!” Si raccomandò la signora Ferro, puntando poi i suoi occhi su Angie, rimasta qualche passo più indietro rispetto alla giovane. “- Abbiamo già assunto la mia segretaria personale, sono desolata. Se ne vada che non ho tempo da perdere, a maggior ragione oggi!” Concluse Priscilla, facendole un cenno noncurante con la mano per spingerla a lasciare il posto, avendo l’effetto di far sgranare gli occhi alla Saramego. Quanto poteva essere antipatica e saccente quella tizia? Per un secondo quasi le dispiacque per Galindo, non doveva essere semplice avere a che fare con quell’arpia viziata, ma poi ignorò il suo stesso pensiero, credendo anzi che lui se lo meritasse per come si comportava male, e si avvicinò di colpo alla direttrice. “- No, sono qui perché devo parlare con lei.” Sentenziò la sorella di Esmeralda con decisione, facendo bloccare di colpo la donna, mentre Ludmilla, che stava già rientrando in ascensore le sussurrò un: “- In bocca al lupo…”, passandole accanto. “- Non ho appuntamenti per oggi… quindi dubito che io debba avere qualcosa da dirti.” Esclamò seccata la Ferro, voltandosi rapidamente di nuovo verso di lei, per poi incamminarsi ancora con l’intenzione raggiungere le sue aiutanti. “- Sto cercando un fotografo che lavora per lei: Pablo Galindo.” A quel nome Priscilla si girò di scatto verso la Saramego che, capendo di aver attirato la sua attenzione, sorrise astutamente: finalmente avrebbe saputo dove andare per prendere a calci il moro. “- Beh, se lo trova me lo mandi che lo sto aspettando con un fucile carico.” Ironizzò, forse data quell’aria malvagia neppure troppo, la madre di Ludmilla, facendo assumere un’espressione perplessa ad Angie. “- Devo mandare in stampa il nuovo numero di ‘Top’ e lui non c’è, sparendo con le ultime foto… giuro che se lo prendo, prima lo elimino e poi lo licenzio!” Spiegò la donna, assumendo un tono decisamente preoccupante. “- Anch’io lo cerco per eliminarlo anche se prima deve aiutarmi… e… e devo sapere dov’è! Lei non sa nulla?” Chiese l’altra avendo trovato l’odio per Galindo come punto in comune per farsi aiutare, correndole dietro, mentre la Ferro continuava a camminare e ad indicare qualcosa su dei taccuini alle assistenti, parlottando sottovoce con esse. “- No, non ne ho la minima idea, altrimenti lo avrei già fatto fuori, mi creda!” Sentenziò Priscilla, liquidando le aiutanti battendo solo le mani e prendendo a fissare oltre le spalle della sua interlocutrice. “- ECCOLO, QUEL MALEDETTO!” Sbottò poi, indicando gli ascensori e facendo voltare di colpo la Saramego che precedette l’altra, iniziando a correre come una forsennata, seguita dalla direttrice che non venne frenata neppure dai suoi tacchi vertiginosi: tutto pur di eliminare Pablo. “- Ehi, tesorucci, calma! So che sono irresistibile ma di qui a inseguirmi come delle fans scatenate ce ne…” “- TACI!” Gridarono in coro le due bionde, fissandosi poi per un nanosecondo, tornando in seguito a osservare, alquanto infuriate, il bruno. “- Ti giuro che se non ti presenterai al processo per l’affido congiunto, ti ucciderò a mani nude! Lo sai cosa rischiano i miei nipoti?! NE HAI IDEA, ALMENO?!” Priscilla rimase ferma come un blocco di cemento: non se lo sarebbe mai aspettato, credeva Angie una fidanzata gelosa o qualcosa del genere… ma era chiaro che quella questione fosse molto seria e, strappando una cartelletta dalle mani dell’uomo in malo modo, fece per andarsene. Era venuta a sapere della morte di un amico del suo dipendente e ci doveva essere un motivo grave se quella povera donna fosse così infuriata. “- Te lo lascio, fanne ciò che vuoi… ma in quanto a te…” Sentenziò poi, puntando un indice al petto a Pablo che ghignò, sperando però di non essere troppo nei guai con la signora Ferro. “- Se la prossima volta i tuoi preziosissimi scatti dovessero arrivare ancora in ritardo considerati disoccupato o peggio… MORTO!” Esclamò, prima di tacchettare via e di avergli mostrato un’ipotetica decapitazione con un dito vicino al proprio collo ingioiellato. “- Devo andare… ciao, Angie.” La salutò Galindo, ma lei fu più lesta e appena si voltò dandole le spalle, gli afferrò con foga un polso, con aria rabbiosa. “- Non puoi farlo davvero. Non puoi essere così egoista. Pensa a loro… li vuoi vedere in uno squallido orfanotrofio o separati in diverse famiglie? E’ questo che vuoi? Perché se tu non vieni dal giudice io quasi sicuramente li perderò, e tu lo sai!” Sibilò la donna, ad un centimetro dal suo viso, sentendo la voce spezzarsi in un singhiozzo: Pablo, avendola così vicina in un’altra situazione avrebbe avuto solamente l’istinto di aggredire con un bacio appassionato quelle splendide labbra ma, in quel caso, ebbe solo la sensazione di sentire tutta la sua disperazione trasmessagli con un unico sguardo e abbassò gli occhi, sentendosi confuso e codardo. Codardo nei confronti di Angie, dei ragazzi, di Esmeralda, ma soprattutto, di German. “- Io… non credo di farcela. Scusami, davvero.” Sussurrò quasi lui, liberandosi con uno strattone dalla stretta di Angie e premendo il bottone per chiamare l’ascensore: in fondo era vero, aveva dannatamente paura e sapeva di non essere in grado di fare da genitore… ma di certo non l’avrebbe mai ammesso in quei termini alla Saramego. “- Non devi fare nulla, te lo giuro! Presentati e basta a quel dannato processo! Una volta a casa penserò a tutto io, fidati! Non devi avere nulla da temere. Niente!” Colpito e affondato. Era chiaro che la donna avesse colto la sua ansia per quel ruolo da occupare e la cosa lo spaventò alquanto: era così prevedibile? O Angie lo capiva così bene? “- Anch’io ho paura… ma me la devo far passare per il bene dei ragazzi. Per Esme…” Sussurrò la bionda, sentendo una lacrima solcarle la guancia, venendo poi seguita da altre. “- …E tu… se davvero hai voluto bene a German come dici… devi farti passare ogni timore e accettare questa ‘eredità ‘ che ci è toccata.” Pablo sollevò di pochissimo un braccio con l’intenzione di asciugarle quelle lacrime con il pollice ma il gesto fu fermato dall’ascensore che, arrivata, si spalancò facendo sì che l’uomo vi si fiondasse all’interno. “- Perdonami, sul serio.” Sussurrò lui, con lo sguardo basso sulle sue scarpe, mentre le porte si richiudevano e a poco a poco vedeva la donna scomparire dietro ad esse. Angie sospirò profondamente, appoggiandosi con la schiena contro il muro che divideva le ascensori e scivolando fino al suolo, sfinita: ormai non poteva fare altro che aspettare il volere di Galindo e, soprattutto, del giudice. “- Non vi abbandonerò, ragazzi. In ogni caso io sarò con voi.” Balbettò tra sé e sé continuando a piangere, prima di strofinarsi con vigore il volto per rimettersi in piedi e recarsi fuori da quel maledetto grattacielo.
 
 
“- Non credere che, pur essendo venuta all’appuntamento, non te la farò pagare lo stesso!” Camilla, senza neanche salutare Seba, si fiondò sulla loro solita panchina del parco dove lui la stava già attendendo, quella su cui si erano dati il loro primo bacio, sulla quale si erano dichiarati e la stessa dove avevano discusso animatamente più volte e, altrettante, avevano fatto pace. “- …Anzi, potrei essere qui proprio perché voglio farti fuori! AH! Come la mettiamo adesso?!” Aggiunse la rossa, sporgendosi verso di lui che rimase impassibile a fissarla, come se la Torres non avesse affatto proferito parola. La ragazza non gli staccò gli occhi di dosso e rimase a specchiarsi nel nero di quelli di lui che sembrava incantato dal suo sguardo. “- Se ti ho detto di venire qui è perché voglio chiarire con te.” Sentenziò fiero il bruno, incrociando le braccia al petto e puntando il volto di fronte a sé. Camilla ce l’aveva con lui da quella famosa uscita con Leon per l’inaugurazione del “Gringo’s”: lei quella sera era in punizione per non essersi comportata nel migliore dei modi con degli ospiti, a detta sua noiosissimi, del padre… era andata a nuotare, cosa che amava fare più di qualunque altra cosa, invece di presentarsi a quella cena organizzata dal genitore. Ad ogni modo, non avrebbe voluto mai e poi mai che il fidanzato, mentre lei scontava la sua pena chiusa in camera, uscisse senza di lei. Il giovane però in quell’occasione l’aveva ignorata e le aveva comunque detto che non avrebbe accettato quel suo, vero e proprio, ordine. Odiava quando la ragazza gli imponeva qualcosa, entrambi avevano due caratteri molto forti, dunque i conflitti erano all’ordine del giorno, seppure il loro amore fosse forte da far sì che comunque la loro storia proseguisse sempre e comunque. “- Chiarire? Cosa c’è da chiarire?” Sbottò la Torres piccata, agitando le braccia e facendo per alzarsi, venendo però tirata delicatamente per un polso dal ragazzo che, con calma, le fece cenno di ascoltarlo e di risedersi dov’era. “- Ho sbagliato, non avrei dovuto andare con Leon al ‘Gringo’s’… ma tu di certo non sei stata da meno imponendomi il tuo volere con i soliti toni da folle!” La voce del giovane era così pacata che ebbe l’effetto di far innervosire anche di più la fidanzata, la quale, a quell’appellativo, sgranò gli occhi sconvolta. “- COME MI HAI CHIAMATA?!” Urlò, facendogli ruotare i suoi con aria stanca. “- Come volevasi dimostrare.” Sentenziò con calma, appoggiandosi con la schiena alla panchina e reclinando la testa all’indietro. “- Mi spieghi cosa ho fatto io? Tu sei uscito con il tuo nuovo amichetto e tu, il giorno dopo, sembrava ti fossi preso una sbornia colossale! Ti…””- Cosa ti infastidisce di più, che ti abbia contraddetto e disubbidito, o che sia andato a quell’inaugurazione senza di te? Ci scommetterei che è più per la prima opzione che mi odi.” Camilla rimase impietrita a quella frase e, stranamente, anche senza parole, lasciando così che l’altro continuasse a parlare: “- Il fatto è che se ti fidi di me, devi permettermi di uscire comunque con i miei amici! Lo sai che amo solo te! Se non mi credi chiedi a La Fontaine… ho solo ballato e, sbagliando, bevuto un po’ troppo… questo però non ricapiterà, te lo prometto.” Sentenziò con sguardo fiero Seba, facendole abbassare gli occhi, perplessa ma ancora nervosa. “- E poi… non guarderei un’altra neppure se fossi sbronzo da far schifo, e lo sai.” A quelle parole Calixto le prese la mano facendo sì che lei sollevasse il volto ritornando a specchiarsi nel corvino degli occhi del suo ragazzo: non aveva tutti i torti. In fondo anche lei aveva quel terribile vizio di volere a tutti i costi far prevalere le sue idee, e a volte, lo sapeva bene, rendendosi un pochino insopportabile. “- Ok… non sei stato solo tu lo sciocco… anch’io non mi sono comportata nel migliore dei modi e… mi dispiace.” La rossa sussurrò quelle ultime due parole con un filo di voce, quasi non avesse mai voluto doversi scusare, in fondo lei non era il tipo che ammetteva facilmente i suoi errori. “- Non ho sentito…” Ghignò il batterista provocandola e fissandola con un sopracciglio inarcato che gli fece assumere un’espressione buffissima. “- Hai capito perfettamente, non fare il finto tonto.” Sibilò lei, schioccandogli però un rapidissimo bacio sulla guancia. “- Ho una cosa per te…” Sorrise l’amico di Leon, afferrando una bustina da dietro alla schiena di un vivace color scarlatto e porgendogliela. La ragazza fissò quel contenitore e si morse un labbro, curiosa come una bambina. “- Cos’è?” Chiese, facendo ridacchiare lui con aria sicura. “- Se te lo dicessi non ci sarebbe gusto! Ti dico solo che vedendolo, mi ha fatto pensare che dovevo regalartelo…” La ragazza strappò letteralmente dalle mani il regalino e cominciò a spacchettarlo, ignorando persino il piccolo bigliettino che pendeva dal manico della bustina. “- E’… è un granchietto a portachiavi, che carino!” Trillò entusiasta la ragazza, rigirandosi tra le mani quel piccolo peluche dall’aria simpatica. “- Non è un granchietto qualsiasi… è Sebastian, l’amico di Ariel: La Sirenetta!” Spiegò il bruno, notando che lei si fosse incantata ad ascoltarlo: “- …In fondo ci rappresenta entrambi: tu ami nuotare, e assomigli alla Sirenetta con la tua chioma rossa e io… beh, io mi chiamo Sebastian… quindi penserai a me ogni volta che lo guarderai, anzi… a noi.” Sentenziò il fratello di Andres, ritrovandosi in un secondo stretto tra le braccia della giovane. “- Ti amo!” Esclamò colpita, mentre lui prese ad accarezzarle la schiena, dolcemente. “- Anch’io ti amo, mia piccola sirenetta.” Le sussurrò all’orecchio, facendo sì che lei, sciogliendo quell’abbraccio, si apprestasse a far combaciare le loro labbra, dando vita ad un appassionato bacio di riappacificazione. Amava il suo Seba, riusciva sempre a calmarla, a farla ragionare e a sorprenderla… non l’avrebbe cambiato per nulla al mondo, avrebbero potuto scontrarsi mille volte… ma era certa che, altrettante, avrebbero fatto pace, sempre e comunque.
 
 
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Hola! Allora, capitolo, come suggerisce il titolo, di guerra e pace! Lara fa la sua ricomparsa… -.-“ e Vilu si deprime, cucciola! :’( Deve credere in lei ma con questa situazione, l’ultimo dei suoi problemi, attualmente, è Leon… ed ora che lo ha visto con un’altra la questione si complica… :( La parte di Angie, Priscilla contro Pablo… ridevo come una folle nello scriverla! xD Però il finale è commovente: la Saramego sta supplicando Galindo di accettare le ultime volontà di German ed Esmeralda… l’uomo cederà e andrà al processo per l’affido dei ragazzi? Vedremo... ;)
Parte finale con Seba e Cami protagonisti, coppia che adoro… :3 pace fatta per loro, aw! :3 Che caratterini! xD  Mi piacciono un sacco! :3
A lunedì con il nuovo capitolo e buon Natale a tutti! Ciao! :)
DulceVoz. :) 

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Capitolo 10
*** Il giorno del giudizio. ***


Il giorno del giudizio. Cap.10
 
La cena a casa La Fontaine era insolitamente silenziosa: nessuno osava parlare, forse perché nessuno voleva,  dopo l’ennesima malefatta del padrone di casa, dare ulteriori motivi ai commensali per discutere. A capotavola, Matias teneva gli occhi bassi sul piatto che, stranamente, non stava divorando come al solito, parlando con la bocca piena e beccandosi partacce dalla figlia o dalla moglie... in quell’occasione faceva bene a restare zitto, in effetti era consapevole di averla fatta grossa quella volta, molto più del solito. “- Cosa c’è per dolce?” Azzardò Leon, facendo passare il suo sguardo da quello impassibile della madre alla sorella che, invece, alzò le spalle, preoccupata. “- Ho visto del tiramisù in frigo…” Provò Francesca, voltandosi verso Marcela che scattò in piedi, senza neppure guardare dalla parte del marito. “- Sì, per voi ce n’è quanto volete… e poi c’è chi andrà a dormire senza assaggiarlo! Qualcuno… che è già tanto che ha mangiato, stasera.” Sbottò, togliendo i piatti vuoti davanti ai due figli e facendo sospirare profondamente il biondo che fece per alzarsi, una volta che la donna si fu allontanata verso la cucina. “- Papà stavolta l’hai fatta proprio grossa… mamma ha ragione!” Sussurrò la ragazza, facendo annuire persino il gemello, con cui raramente era d’accordo. “- Non avevo altra scelta! Mettetevi nei miei panni…” Iniziò, con aria dispiaciuta. “- …Tu se tua sorella ti chiamasse, in grave difficoltà… non l’aiuteresti?” Domandò l’uomo, rivolgendosi al figlio che fece spallucce, assumendo un’espressione volutamente indifferente. “- No, ovviamente!” Ironizzò, beccandosi un calcione da sotto al tavolo da parte della diretta interessata la quale, però, si sciolse subito in un sorriso… era evidente che quel “simpaticone” di Leon facesse di tutto per farla arrabbiare, ma ormai non ci cascava più: per quanto lui non l’avrebbe mai ammesso, le voleva bene, e tanto. Il ragazzo prese a massaggiarsi lo stinco colpito e un ghigno divertito gli si dipinse sul volto, facendo sì che l’altra sbuffasse sonoramente. “- Questo non c’entra! Hai invitato a vivere qui, a tempo indeterminato, zio Nicolas, zia Jade e Clement! Il tutto senza neppure interpellarla! Permetti almeno che si sia infuriata?” Spiegò la mora, fissando il genitore e vendendolo abbassare il capo, con aria affranta. “- Zia Jade mi ha chiamato in lacrime chiedendomi ospitalità perché sono in guai economici con le imprese Europee! Sono anni che non la vedo… e poi… beh, non ce l’ho fatta a dirle di no! Mi ha chiesto esplicitamente asilo! Che dovevo fare?! E’ mia sorella!” Sbottò, nel momento in cui la moglie ritornò con il dessert che servì solo ai ragazzi, continuando ad ignorarlo. “- Sì, ma se non avessi sentito per caso la vostra telefonata, non me l’avresti detto. Ho aspettato due giorni per vedere se mi avessi consultata… e invece niente, ovviamente! E facevi pure il finto tonto quando ti ho chiesto di Jade… sempre il solito bugiardo!” Sibilò fredda la donna, prendendo posto accanto a Francesca con stizza, iniziando a mangiare la fetta di dolce. “- Te lo avrei detto, amore! Sicuramente lo avrei fatto… a tempo debito!” Provò il marito rimasto sotto l’arco della porta che separava la sala da pranzo dal salotto, facendo di nuovo scattare in piedi la bruna che cominciò a rispondere a tono decisamente più elevato rispetto al suo. “- E quando?! Quando avrebbero suonato al campanello e io avrei fatto la figura dell’idiota perché non mi avevi avvertito prima? Questo è il tuo: ‘a tempo debito’?!” Sentenziò, facendo di nuovo abbassare lo sguardo al biondo, colpito nel segno. “- …E, tra l’altro, siccome vengono dalla Francia e non dalla casa accanto, mettendomi di fronte al fatto compiuto, non avremmo nemmeno potuto mandarli via in un solo giorno! Bravo, hai una mente tanto stupida quanto ingegnosamente astuta!” Concluse Marcela, sorpassandolo ma venendo coraggiosamente bloccata per un polso dall’uomo. “- Lasciami, che non è serata!” Sbottò lei, provando a riprendere il suo solito tono calmo e pacato, nonostante avesse appena aggirato quella presa, facendo ritrovare lui con la faccia al muro e il braccio con cui l’aveva afferrata dietro la schiena, per poi lasciarlo di colpo. “- Ti posso spiegare o mi vuoi ancora aggredire?” Mormorò Matias che, in effetti non sapeva dove avesse trovato quella faccia tosta, ma la cosa dovette sconvolgere parecchio anche la donna che, mordendosi un labbro, probabilmente per evitare di imprecargli contro, annuì. “- Non davanti ai nostri figli, per favore. Mi hai fatto già gridare abbastanza per oggi.” Sibilò, trascinandoselo in giardino sotto lo sguardo sconvolto della ragazza e quello,addirittura divertito, di Leon.
“- Si puo’ sapere cos’hai da ridacchiare? Stavolta la vedo proprio brutta!” Esclamò Francesca, occupandosi di continuare a sparecchiare e venendo seguita dal fratello che si era deciso a darle una mano solo dopo alcuni minuti. “- Mamma è una grande, ma hai visto che mossa?” Chiese lui entusiasta, facendo scuotere il capo con rassegnazione all’altra: c’era poco da fare… il cervello lo aveva ereditato tutto dal padre, non c’erano dubbi al riguardo. “- Se divorziano non ci sarà proprio nulla di ‘grande’…” Lo rimproverò la bruna,riponendo i piatti nel lavello e appoggiandosi con la schiena ad esso, pensierosa. “- E dai, sta’ tranquilla! Quei due pazzi si amano, ti pare che per una sciocchezza del genere si lascino? Ma figurati!” Sminuì la questione il ragazzo, mentre l’altra, più riflessiva rispetto a lui, iniziò a pensare, perplessa. “- Sì, fino alla scorsa litigata lo pensavo anch’io ma ora è diverso! Credi che la mamma lo perdonerà mai per una cosa del genere? Invitare gli zii e Clement qui, senza dirglielo! Mi pare assurdo!” Borbottò Francesca, facendolo accigliare per un secondo. “- E dire che non li vediamo da una vita! Ricordo che con Clemy litigavo in continuazione da piccolo…io e te avevamo circa 10 anni l’ultima volta che ci siamo incontrati, cioè al matrimonio del padre e zia Jade… e lui era un esserino odioso, già all’epoca!” Sentenziò, con improvvisa preoccupazione, Leon. “- Già, e pensa che ci dovremmo convivere per chissà quanto tempo insieme!” Gli spiegò la gemella, cominciando a riempire l’acqua per lavare i piatti. “- Vabbè, ma sono anche passati sette anni, ora lui ha 18 anni e noi 17! Sarà pur cambiato un po’ no?” Provò il castano con ottimismo, facendole alzare le spalle, confusa. “- Io lo spero… perché da moccioso era un viziato e insopportabile… battibeccavate per ogni minima stupidaggine, quelle rare volte che vi siete visti. Non potrei reggere una situazione simile qui  a tempo indeterminato: mamma ha ragione.” Decretò poi, chiudendo la manopola del rubinetto e voltandosi nuovamente verso il fratello che, finalmente, aveva preso a sua volta a riflettere: e se Fran avesse avuto ragione? Se Clement non fosse affatto cambiato e avesse avuto sempre la solita aria snob e insopportabile di un tempo? All’epoca aveva da poco perso sua madre e tutti lo giustificavano, definendo il suo caratterino particolare per il fatto che il padre, prontamente, si fosse innamorato e poi risposato con un’altra donna, non di certo un’ottima matrigna se considerava il carattere della zia… ma lui voleva credere che, passati sette anni, il cugino fosse pur divenuto un'altra persona rispetto ad anni prima. “- Hai finito di pensare?! Il tuo povero neurone sarà in sovraccarico e se lo perdiamo siamo rovinati!” Lo prese in giro d’improvviso Francesca, tirandogli un canovaccio e facendolo sciogliere in un sorriso: si, doveva pensare positivo, Clement, come lo avevano fatto lui e sua sorella, doveva per forza essere cambiato.
 
 
L’aula del tribunale era afosa e dai grandi finestroni entravano prorompenti e copiosi raggi di sole che infuocavano l’ambiente: Angie era già al suo posto, presso un banco di legno ciliegio scuro, accanto ad un uomo elegante e distinto, il suo avvocato, il dottor Sanchez. Se in quel momento avesse dovuto definire il suo stato d’animo, probabilmente non avrebbe trovato parole per acclararlo nemmeno a sé stessa: Pablo ancora non c’era e forse non si sarebbe presentato, ormai era tardissimo e il processo per l’affido stava per cominciare, dunque avrebbe fatto meglio ad abbandonare ogni speranza di vederlo entrare dalla porta verso la quale si voltava circa ogni venti secondi. “- Signorina Saramego, stiamo per cominciare.” Le riferì Sanchez, notando subito la sua aria preoccupata, assente. “- Il signor Galindo dunque non verrà?” Le chiese d’un tratto, dopo alcuni secondi di silenzio, facendola sussultare al solo sentire quel cognome. “- Pare di no… e lei dovrà fare il possibile per farmi avere l’affido dei miei nipoti, la supplico…” Sussurrò la bionda, facendo annuire lui che tentò di rassicurarla. “- Farò del mio meglio.” Sorrise amaramente, sapendo in cuor suo che sarebbe stato molto difficile, anche se, in quel caso, avesse sfoderato le sue armi migliori. “- In piedi, entra il giudice.” Annunciò qualcuno, con tono serio: nello stesso momento in cui tutti si furono alzati, fece il suo ingresso un uomo anziano, canuto, con indosso una lunga tonaca nera che portava con aria fiera: Antonio Fernandez sembrava pacato quanto severo e Angie non sapeva di preciso se preoccuparsi oppure no per quell’aspetto così serioso quanto calmo, di colui che avrebbe dovuto decidere la sorte sua e, soprattutto dei figli di German e Esmeralda. Mentre l’uomo prendeva posto dietro alla sua scrivania, sulla quale c’era un piccolo microfono per farsi udire meglio, un martelletto per tenere l’ordine in sala e alcuni fascicoli, evidentemente riguardanti il loro caso, si sentì un boato che fece voltare tutti verso l’ingresso all’aula: Pablo, trafelato e con il fiato corto, si piegò sulle ginocchia per riprendere a respirare, evidentemente avendo fatto una corsa colossale per raggiungere il tribunale. Nello stesso momento però, alcune guardie di sicurezza fecero per avvicinarsi con la chiara intenzione di braccarlo ma il giudice fece segno loro di lasciarlo perdere. “- Mi perdoni, come osa presentarsi a quest’ora? Il processo è appena cominciato e se lei è chi penso che sia…” Sentenziò con voce ferma Fernandez, interrompendosi a metà frase, mentre Galindo provava a proferire parola senza svenire a causa di quella mancanza di fiato. “- La prego… mi perdoni… so che sono un maleducato a presentarmi solo adesso… ma dovevo esserci, per forza. Mi faccia entrare. Per favore.” Disse, prendendo aria a pieni polmoni tra una parola e l’altra, facendo ruotare gli occhi al cielo all’anziano e sorridere meccanicamente la Saramego, rimasta di sasso ma felice come mai in vita sua. Ok, avrebbe voluto comunque strangolare a mani nude Pablo per essersi degnato solo all’ultimo secondo di arrivare… ma ormai era lì, voleva occupare quel ruolo richiesto da German, i ragazzi erano salvi e lei non poteva non gioirne… con lui avrebbe poi fatto i conti dopo. “- Venga avanti.” Acconsentì Antonio, facendo sì che il bruno si avvicinasse al banco dov’era già la Saramego che continuava a fissarlo, sorpresa quanto entusiasta: a quel punto non si aspettava minimamente che avesse mai presenziato a quel processo… eppure, evidentemente, qualcosa era scattato in lui, tanto da fargli cambiare idea… che la loro conversazione in redazione fosse quel qualcosa? Non lo sapeva ma non poteva fare a meno di essere contenta di quel suo repentino cambiamento di opinione. “- Lei è Pablo Galindo, giusto?” Ipotizzò ad alta voce il giudice, vedendolo annuire. “- E come mai si è degnato di venire giusto adesso? Aveva forse dubbi riguardo all’incarico che l’aspetta?” Domandò ancora Fernandez, facendogli sgranare gli occhi: quell’anziano era tanto saggio quanto prespicace… inutile mentirgli, non avrebbe comunque creduto ad una sola delle sue scuse considerando quanto, sin da subito, si fosse mostrato intelligente e astuto. “- Sì. Lo ammetto.” Rispose infatti seccamente, facendo sì che Angie sbiancasse di colpo e che l’avvocato si sporgesse oltre la Saramego per fissarlo: non poteva star davvero dicendo quelle parole, avrebbe comunque rovinato tutto pur essendosi presentato e… non doveva. “- …Ma ammetto anche che, avendo quei dubbi, sono stato un idiota, mi perdoni il termine…” Continuò Galindo, facendo accigliare il giudice, che si sporse in avanti verso di lui dal suo banco, interessato, come per ascoltarlo meglio. “- Glielo perdono, se lo sta dicendo da solo…” Ridacchiò stranamente l’anziano, facendo poi silenzio, avendo intuito che l’interlocutore volesse continuare a parlare. “- …E so che quei ragazzi, i figli dei coniugi Castillo… hanno bisogno di stabilità, della loro zia… però per dargli tutto ciò… necessitano anche di me, di conseguenza.” Concluse l’uomo, sedendosi poi accanto ad una scioccata Angie: da quando il bruno era così saggio? Alla fine aveva capito, in extremis, come tipico suo… ma ci era riuscito. La donna prese a fissarlo ma lui non si voltò minimamente e sembrava insolitamente perso nei suoi pensieri. Antonio rimase silenzioso per qualche secondo, osservando da sotto ai suoi occhialini rotondi quell’uomo che aveva dimostrato un enorme coraggio ad essere così sincero: chiunque avrebbe tentato di raccontargli qualche frottola ma lui subito, al primo colpo, aveva detto la pura verità. “- Lo trovo giusto. Cominciamo, allora.” Sentenziò d’improvviso Fernandez, facendo sì che il vero e proprio processo iniziasse subito. Fu un tempo lungo, tanto che Angie pensò seriamente, prima o poi, di svenire per la tensione: Pablo, invece, le appariva più tranquillo… forse perché non ci teneva tanto come lei? O era semplicemente più ottimista a differenza sua? Non lo sapeva ma era certo che quelle parole che aveva riferito al giudice non le avrebbe più dimenticate, qualunque cosa fosse accaduta. Quando, dopo molto tempo, Antonio Fernandez rientrò per leggere la sentenza, la bionda si sentì mancare e dovette aggrapparsi al banco davanti a lei per non cedere all’ansia: potevano farcela, i ragazzi sarebbero rimasti con lei e… con Pablo, con il quale dopo avrebbe dovuto scambiare quattro chiacchiere. La donna però, si rese conto che, con quelle riflessioni, si stava perdendo la parte più importante di tutte, la decisione che la legge aveva preso per i suoi nipoti… così provò a carpire, da quei paroloni difficili e formali, quale sarebbe stata la sentenza finale che, però, fu chiarissima:  “- …Dichiaro dunque, rispettando le volontà testamentarie dei coniugi Castillo: Diego, Viola e Ambar Castillo, sotto la tutela legale dei qui presenti Pablo Galindo e Angeles Saramego, così è deciso. L’udienza è tolta.” Esclamò il giudice con un sorriso, battendo il martelletto per decretare il termine del processo e mettendosi in piedi per uscire dall’aula. “- Abbiamo… vinto?” Chiese Angie quasi timorosa, voltandosi verso l’avvocato che annuì con un ghigno compiaciuto e soddisfatto. “- Oh santo cielo! Non ci posso credere!” Esultò, abbracciando di colpo il dottor Sanchez che rimase scioccato e divertito da quella situazione. Pablo, nel frattempo, stava già uscendo e quando la Saramego si voltò verso di lui per ringraziarlo, non lo ritrovò più al suo fianco, restandone sorpresa. “- Penso che sia già fuori…” Le sussurrò l’avvocato, intuendo le sue intenzioni e vedendola poi, di colpo, afferrare la borsa sulla panca alle sue spalle per andare a cercarlo: doveva ringraziarlo, senza di lui non sarebbe stato possibile nulla e gli doveva comunque fare una partaccia per averle fatto prendere un colpo, sia perché era arrivato tardi, sia perché, quando aveva iniziato a parlare con Fernandez facendogli credere che non fosse stato all’altezza dell’incarico, aveva rischiato di far fallire tutto.
“- Pablo…” All’uscita del tribunale, sotto al colonnato e appoggiato con le spalle al muro sorseggiando un caffè preso al distributore, c’era lui, con  aria assente e sguardo perso nel vuoto: per un secondo ad Angie ricordò Diego, quello che era diventato dopo la morte dei genitori e capì che, per quanto non lo volesse voluto dare a vedere, fosse stanco e triste quanto loro. L’uomo nel sentirsi chiamare si voltò verso la bionda e sorrise, un ghigno amaro ma, allo stesso tempo, compiaciuto. “- …Volevo… ringraziarti, ecco. Se non fosse stato per te…” “- Sì lo so, la mia presenza qui era fondamentale, bambolina.” Sussurrò, lasciando perplessa lei: ricominciava con quei toni maliziosi? Sorvolò su quell’appellativo e continuò a parlare come se nulla fosse: “- Sì, in effetti è così… sono contenta che alla fine abbia fatto la scelta giusta.” Sorrise Angie, avvicinandosi ancora a lui che non si mosse di un centimetro. “- Sì ma non illuderti che l’abbia fatto per te o per quello che sei venuta a dirmi in redazione.” Sentenziò seccamente, facendola accigliare… no, non era cambiato. Non era cambiato per niente, e il solo fatto di averlo potuto ipotizzare migliore di quanto fosse, solo per quelle belle paroline con Fernandez, la fece sentire un’ idiota. “- Non mi interessa perché tu l’abbia deciso, mi importa solo che, grazie al cielo, il processo sia andato come speravamo e che ora verrai a stare da noi.” Ribatté a tono, facendolo scoppiare in una fredda risata divertita. “- No, questo te lo scordi!” Esclamò Pablo, passandosi una mano nel ciuffo corvino. Non aveva la minima intenzione di andare a vivere con i ragazzi, nella casa che era stata del suo migliore amico… per quanto la presenza in quella dimora di Angie gli interessasse e lo intrigasse abbastanza… “- …L’unico motivo per cui potrei mettere piede lì è perché verrei a sapere che sei sola, magari di notte… e vuoi compagnia...” Soffiò, avanzando verso di lei e facendole sgranare gli occhi di colpo: ma come si permetteva?! Sempre il solito depravato! “- Ma non ti vergogni nemmeno un po’?! Ti senti quando parli?! Ascolti le cose che dici, almeno?!” Prese a rimproverarlo lei, facendolo sorridere: adorava farla infuriare, era ancora più bella quando le guance le diventavano rosse per il nervosismo, tanto meglio se provocato da lui. “- Ascoltami bene…” Sentenziò Angie, bloccandolo al muro con le braccia tese, non ottenendo però alcuna reazione da parte di lui, se non divertimento. “- E’ la seconda volta che ci ritroviamo così… si vede che anch’io ti interesso tanto, sarà il tuo inconscio che ti guida…” Ghignò Galindo, facendole prendere un profondo respiro per tentare di calmarsi. “- Ignorerò queste tue frasette da quattro soldi per rimorchiare, ma tu apri bene le orecchie: ora ti trasferisci a villa Castillo con me, i ragazzi e tenterai di essere un tutore quantomeno decente, mi hai capito? Ti è chiaro il concetto?” Lo fissò negli occhi e non ottenne alcuna risposta, se non uno sbuffare da parte dell’altro. “- Non era nei nostri accordi.” Biascicò, stizzito, perdendosi nel verde smeraldo dello sguardo della bionda. “- Era nel testamento, però… cosa succederebbe se ci mandassero un assistente sociale a tradimento, cosa che faranno di sicuro, e si scoprisse che tu non vivi lì…? Te lo dico io: ci metteremo in un bel guaio, mandando in frantumi quello che abbiamo ottenuto oggi.” Spiegò la bionda, liberandolo da quella posizione e appoggiandosi affianco a lui con la schiena sul freddo marmo della facciata dell’edificio. “- Ti do qualche giorno, e renditi rintracciabile… resta nello Stato, per cortesia.” Sentenziò ancora Angie, per poi allontanarsi, palesemente furiosa. Galindo dal canto suo rimase impietrito a pensare: aveva preso parte a quel processo per German, per i ragazzi e, in effetti, aveva mentito alla donna… lo aveva fatto anche per lei… perché vederla piangere e supplicarlo in redazione gli provocato una fitta alla base del cuore, perché non se la sentiva di lasciarla sola, di far stare i suoi nipoti in una casa famiglia o qualcosa del genere. Angie gli piaceva, e tanto… e in fondo l’idea di condividere casa con lei non gli dispiaceva affatto, per quanto sapesse che lo odiasse con tutta l’anima, a maggior ragione dopo quell’ennesima litigata. Continuava ad avere una paura enorme che mascherava con quell’atteggiamento intraprendente quanto insopportabile, ma era più forte di lui: non se la sentiva proprio di fare da genitore ai giovani di casa Castillo… però, ora, con la questione delle visite a sorpresa probabili dell’assistente sociale di cui gli aveva parlato la Saramego la situazione cambiava: doveva per forza trasferirsi lì o quanto ottenuto fino a quel momento sarebbe stato tutto inutile… forse, chissà… un giorno avrebbe anche ottenuto un po’ d’interesse da parte della bionda e non era di certo cosa da poco. Ecco, quello poteva essere un motivo in più, una scusa per compiere e concludere anche il volere, l’ultimo, di quello che considerava suo fratello, ovvero badare ai suoi figli e donargli l’amore che gli era venuto a mancare così drammaticamente.
 
 
“- E quindi? Parla, non tenerci sulle spine!” Violetta era seduta sul sofà intenta a scrivere sul suo fido diario che aveva chiuso di scatto vedendo entrare la zia. Ambar giocava con le bambole ai piedi della sorella sul grande tappeto e Diego, scompostamente seduto sulla poltrona, armeggiava con il suo Gameboy fingendo di non interessarsi, quando invece dentro di sé stava morendo d’ansia per cercare di capire come fosse andato il processo. “- E’ andata che dovrete sopportarmi per tutto il resto della vostra vita…” Sorrise amaramente la Saramego, lasciando perplessi i ragazzi i quali, nel sentire la sua enigmatica risposta, presero a fissarla curiosi. “- E ciò che significa? Ti hanno concesso l’affido?” Domandò la secondogenita di Esmeralda e German, scattando in piedi titubante, per avere la certezza di ciò che aveva intuito. “- Esattamente! E bisogna festeggiare con un bel pranzo!” Esclamò la donna, senza neppure avere il tempo di aggiungere altro: Violetta le saltò letteralmente tra le braccia e la più piccola l’aveva emulata, riuscendo però a stringere solo una gamba della zia che le accarezzò il capo dolcemente, mentre con l’altra mano teneva a sé la castana. Diego, perplesso, rimase immobile a osservarle… c’era dell’altro, qualcosa che la sorella della loro madre non aveva ancora raccontato, sicuramente. “- Com’è che ti hanno dato la nostra tutela nonostante fossi da sola a richiederla?” Domandò di colpo, alludendo al fatto che era quasi sicuro che Galindo non si fosse neppure presentato. “- Pablo è arrivato giusto in tempo, è stato rispettato il testamento.” Si limitò a rispondere Angie, ricordando la lite con l’uomo fuori dal tribunale: sapeva di averlo comunque convinto a trasferirsi lì, ne era sicura… se si era spinto tanto fino a recarsi al processo, di certo non avrebbe gettato tutto al vento per quella “piccolezza”. “- Ah… quindi verrà a stare qui?” Chiese Violetta, ritornando a sedersi sul divano, affiancata dalla minore. A quella domanda della sorella, Diego contrasse la mascella: non poteva essere vero. Non così. Non voleva. Non avrebbe accettato Pablo in casa neppure per tutto l’oro del mondo: lui non era suo padre e mai avrebbe potuto occuparne quel ruolo. Galindo non era nemmeno uno zio, un parente lontano ma solo un conoscente, un estraneo… quindi avrebbe fatto di tutto per averlo lontano da lui e dalla sua famiglia, o meglio, da quello che ne restava. “- Pare di sì… o almeno lo spero, così assistenti sociali e simili non potranno avere nulla da ridire… faranno dei controlli, questo è certo… e se troveranno tutto in regola non avremo alcun tipo di problema.” Spiegò la zia, andando a sedersi accanto alle due Castillo: si stava appena cominciando a mettere comoda, togliendosi quelle scarpe divenute due morse insopportabili, quando avvenne ciò che davvero non si aspettava nessuno… il maggiore dei fratelli scattò in piedi e, ad ampie falcate, attraversò il salotto ignorando gli sguardi sorpresi delle tre che non sapevano cosa pensare. “- Diego dove vai? DIEGO!” Esclamò la Saramego, saltando in piedi come se avesse preso la scossa e provando a rincorrerlo, invano. “- Penso non appoggi la presenza di Pablo in casa… è l’unica spiegazione che riesco a darmi per… questo!” Ipotizzò la sorella, facendo alzare le spalle alla zia che cominciò a correre in confusione, per raggiungere la porta, appena sbattuta con foga dal ragazzo. “- DIEGO!” Arrivata sotto al portico, il giovane si era già volatilizzato nel nulla, probabilmente avendo iniziato correre a perdifiato per chissà dove. “- Dobbiamo trovarlo!” Esclamò preoccupata e spaventata Violetta, venendo raggiunta anche dalla sorellina, sconvolta quanto lei. “- Rientrate, io lo devo riportare qui…” Sentenziò la donna serissima, fiondandosi a prendere le scarpe dal tappeto e correndo di nuovo dove si trovavano le due nipoti. “- Zia, da sola non ce la farai mai!” Esclamò urlando Violetta, facendo però continuare a camminare la donna, senza meta, nel giardino antistante la villetta. “- ANDATE DENTRO, HO DETTO!” Gridò per tutta risposta, cominciando seriamente a preoccuparsi, vedendo le due rientrare di colpo a quell’ordine: non sapeva dove cominciare a cercarlo, non sapeva perché fosse scappato in quella maniera, né cosa avrebbe fatto nell’ipotesi che l’avesse ritrovato. Scosse il capo, sentendo gli occhi cominciare a pizzicare: cosa andava a pensare? Lo avrebbe sicuramente trovato, doveva per forza. “- Angie che succede?” Marcela, parcheggiando nel vialetto antistante al suo garage, aveva sicuramente sentito il trambusto provocato dalle tre e si affacciò oltre lo steccato per cercare di capire cosa stesse accadendo. “- Aiutami, per favore…” La supplicò in un mormorio la Saramego, sentendo le lacrime cominciare a scorrerle sulle guance, bollenti per il nervosismo e la tensione. “- Ma che…? Aspetta, ora ti raggiungo di là, ma tu calmati, così mi racconti tutto…” Disse con calma la Parodi, aggirando di tutta fretta il cortile che la separava dalla bionda. “- Diego… è… è scappato.” Riuscì a sussurrare tra le lacrime la donna, quando la vicina la raggiunse confusa, tenendole le mani che avevano preso a tremarle. “- Che cosa?!” Esclamò Marcela, pensando di aver capito male, fissando perplessa l’altra e cominciando ad analizzare in mente sua mille modi per mettersi subito sulle tracce del giovane. “- Lo devo… riportare a casa, subito. Prima che faccia buio.” Balbettò Angie, facendo annuire la bruna. “- Ce la faremo, te lo prometto…” La rassicurò lei, abbracciando rapidamente l’altra che continuava a singhiozzare.
 
 
Diego correva, correva a perdifiato senza una meta: si sentiva angustiato, si sentiva infastidito e sempre più sconfortato da tutto ciò che stava accadendo… pensava seriamente che prima o poi sarebbe scoppiato, non ce l’avrebbe fatta ancora a lungo. Se inizialmente aveva iniziato a fuggire senza una destinazione precisa, ora sapeva dove voleva andare, aveva bisogno di raggiungere quel luogo che era così importante per lui e non solo. Gli occhi avevano cominciato a lacrimare e la vista gli si era annebbiata di colpo: forse così avrebbe sfogato la sua rabbia, il suo dolore… forse così sarebbe tornato quanto prima dalle sorelle, avevano bisogno di lui e lo sapeva. Il ruolo di quel Pablo in quella casa spettava a lui e non avrebbe mai e poi mai permesso che se ne appropriasse, a costo di mettersi contro tutto e tutti. Continuava a scappare, ancora, prendendo sempre più velocità, tenendo gli occhi bassi sul marciapiede intervallato solo da alberi e lampioni spenti: era primo pomeriggio, il sole coceva, picchiando forte sul selciato, proiettando l’ombra del giovane che gli stava incollata con la sua stessa velocità. D’un tratto, raggiunto l’incrocio che lo allontanava dalla schiera di villette tra le quali c’era anche casa sua, vide solo il buio: un tonfo tremendo e si ritrovò al suolo, sotto di sé un corpicino esile che tremava per lo spavento. “- Sta’ attenta a dove vai!!!” Sbottò, rimettendosi in piedi e focalizzando la sua attenzione su quella ragazza che, solo dopo qualche secondo, riconobbe: Francesca La Fontaine lo fissava quasi impaurita e con il fiatone, provando a rialzarsi e riuscendoci, ma con non poche difficoltà. “- Scusami, io… ma… cosa è successo?” Gli chiese la bruna, recuperando alcuni libri dal suolo, caduti nello scontro col ragazzo e notando subito che stesse piangendo. “- Fatti gli affari tuoi!” Sibilò Castillo glaciale, lanciandole un’ultima occhiata di fuoco, per poi riprendere a correre senza sosta. La ragazza rimase immobile a fissarlo allontanarsi, incamminandosi di nuovo per tornare a casa per pranzo. Chissà cosa aveva Diego, non l’aveva mai trattata in quella maniera… non che avessero avuto molte conversazioni, certo… ma doveva essere accaduto qualcosa di grave, ne era sicura. Quasi istintivamente, prese a percorrere il tratto che la distanziava dalla sua abitazione a passo rapido: doveva sapere, quanto prima. Se non ricordava male, quella mattina c’era stato il processo d’affido e, sicuramente, quello stato del ragazzo era dovuto all’esito di ciò: l’amica le aveva raccontato tutto, quindi pensò subito che il Castillo avesse ricevuto qualche notizia negativa… orfanotrofio? I tre fratelli sarebbero finiti separati dalla loro amata zia? Non lo sapeva ma di certo la reazione del maggiore lasciava presagire il peggio. Arrivata dopo circa dieci minuti di cammino di fronte casa sua, vide nel giardino a parlottare Angie, Violetta, Ambar, sua madre e addirittura suo fratello. “- Ho visto Diego scappare… che è successo?” Chiese, ancora con il fiato corto la bruna. “- In che direzione andava?” Le chiese subito la poliziotta, aprendole il cancelletto e facendo sì che anche la Saramego la raggiungesse di corsa. “- Non lo so, credo… verso la costa…” “- Angie, andiamo. VOI NON MUOVETEVI DI QUI!” Sentenziò di colpo Marcela, tirandosi la donna, ancora sotto shock, verso l’auto e rivolgendosi anche ai ragazzi in giardino, partendo a tutta velocità verso la zona indicata approssimativamente dalla figlia. “- Fran resta con Ambar… sta arrivando anche Cami, le ho appena mandato un sms.” Esclamò Violetta, andandole incontro tenendo la mano della sorellina che la fissava, confusa su ciò che dovesse invece fare la più grande per non poter badare a lei. “- Ma mia madre ha detto…” “- Lo so, l’ho sentita! Ma non posso stare qui senza aiutare a ritrovare mio fratello, capisci?!” Ribatté la ragazza tesissima, mentre anche Leon si avvicinava alle due. “- Ti aiuto io. Non puoi andare a cercarlo da sola, potrebbe essere pericoloso.” Sentenziò improvvisamente il giovane, facendola annuire distrattamente, troppo presa ad ipotizzare dove si potesse essere cacciato Diego. “- Pensa ad Ambar, ti prego. Io devo… andare.” Esclamò Violetta con decisione, facendola prima sospirare profondamente e poi annuire. “- State attenti!” Si raccomando la bruna, tenendo le spalle della piccola Castillo che la salutò con la manina, abbastanza preoccupata anche lei. “- Andiamo con la mia moto… vado a prenderla.” Disse il fratello di Francesca, vedendola annuire di fretta: non riusciva a pensare a nulla se non al maggiore di casa… doveva ritrovarlo e non sapeva spiegarsi perché, ma aveva la sensazione che lei, con l’aiuto di Leon, ci sarebbe riuscita.
 
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Buon pomeriggio! :) Eccoci ad un bel capitolo di litigate! Iniziamo con i La Fontaine in guerra per l’arrivo di zii e cuginetto Clement dalla Francia… prepariamoci al peggio con quei tre, anche se, per fortuna, ci vorrà ancora un bel po’ per la loro comparsa! XD E poi abbiamo il processo a favore dei Pangie come tutori dei figli di German ed Esmeralda che precede la fuga di uno sconvolto Diego… i Leonetta che lo vanno a cercare insieme, aw! :3 Approfitto per augurare a tutti un felice 2015! :3 Alla prossima, ciao! :)

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Capitolo 11
*** La fuga di Diego. ***


La fuga di Diego. Cap.11
 
“- Speriamo che lo trovino presto…” Francesca era seduta sulle scale del portico di casa sua e Camilla, accanto a lei, armeggiava con il cellulare, ascoltandola distrattamente. “- Sì, sicuramente...” Mormorò, quasi tra sé e sé, la Torres, continuando a scrivere il suo sms: la bruna capì subito che fosse indirizzato a Seba perché un sorriso a trentadue denti era dipinto sul viso dell’amica che a stento la stava sentendo. “- Mi stai ascoltando almeno? Guarda che la situazione è grave!” Sbottò la padrona della villetta, portandosi le mani sui fianchi e voltandosi poi dal lato opposto alla rossa, in modo da tenere d’occhio, contemporaneamente, anche Ambar la quale si dondolava sull’altalena che pendeva dal ramo dell’albero, esattamente davanti a loro. “- Fran, calmati! Si puo’ sapere cosa ti preoccupa tanto? Probabile che Diego si sia soltanto andare a fare un giro per sbollire la sua rabbia… magari tornerà da solo!” La rincuorò Camilla, scattando in piedi e poggiandosi pigramente alla piccola ringhiera in legno. “- Sì ma era così… sconvolto! Cami non hai idea in che stato fosse! Mi ha travolta correndo e…” A quel punto il racconto si interruppe e la fidanzata di Calixto, sentendola bloccarsi, ripose il cellulare in tasca e cominciò ad interessarsi alla questione. “- E…? Aspetta, aspetta… non mi avevi detto che l’avevi incontrato così, pensavo l’avessi notato solo correre via… ma da lontano!” Sentenziò, accigliandosi, disorientata. “- Ho detto che l’ho visto andare verso la zona costiera…” “- Sì, ma non che vi siete scontrati!” La riprese Camilla, lanciandole un’occhiata perplessa. “- Ok, te lo sto dicendo adesso, cosa cambia?! Non ti scaldare…!” Rispose Francesca, rendendosi conto di essere arrossita di botto: il solo pensare a quel piccolo incidente con Diego la faceva sentire strana… confusa. Se la bruna da una parte era tristissima e in ansia per le condizioni del ragazzo, dall’altra non poteva fare a meno di pensare a quanto fosse stato bello sentirlo così vicino quando le era caduto addosso, anche se solo per qualche secondo: i loro respiri si erano fusi, il suo calore, il suo odore muschiato che le aveva invaso le narici… aveva sentito un dolore lancinante alla schiena per quel rovinoso capitombolo… ma pensava comunque di essere stata, per quei circa tre secondi, in Paradiso… o qualcosa del genere. “- Io non mi scaldo, ma tu sei diventata violacea! E poi tutto questo nervosismo mi fa pensare solo ad una cosa…” Ridacchiò Camilla, facendola sobbalzare: cosa diamine aveva ora la Torres da sghignazzare tanto? “- Cosa?!” Chiese ingenuamente la ragazza, portandosi nervosamente una ciocca corvina dietro l’orecchio. “- Tu, mia cara Fran… ti sei presa una bella cotta per il Castillo disperso! Sei innamorata!” A quelle parole la La Fontaine saltò come se avesse preso la scossa… come poteva la rossa pensare una cosa del genere?! Certo che no! Lei non era innamorata, era soltanto molto preoccupata per un amico… conoscente… anzi, per quello che non era altro se non il fratello della sua migliore amica. Ecco. Quello era il modo migliore per definire Diego, nessun altro. “- Ma come ti viene in mente una cosa del genere? Non dirlo nemmeno per scherzo!” Sentenziò con aria severa la bruna, mentre Camilla, per quella reazione e quello sguardo infuocato che le lanciò l’amica, non poté fare altro che continuare a ridere di gusto: Francesca, senza rendersene neppure conto, le aveva appena confermato la sua ipotesi… e il suo viso ancora paonazzo era una prova schiacciante. “- E smettila di ridere! Sto cominciando a… a innervosirmi!” Concluse la figlia di Matias, avviandosi poi verso la piccola Ambar che continuava a starsene ferma sull’altalena, oscillando di pochissimo e solo per il lieve venticello che si era sollevato in quei minuti nell’aria. La Torres la seguì di corsa e, prima che arrivassero dalla piccola, trattenne per un polso l’altra che si voltò di colpo. “- Francesca Castillo… suona bene!” Le sussurrò ad un orecchio, facendo sì che la bruna le lanciasse un’ennesima occhiata assassina. “- Smettila! Non sei divertente!” Esclamò stizzita, facendo sì che l’altra alzasse le mani in segno di resa. “- Ok, d’accordo… mamma mia, che noiosa che sei…” Borbottò tra i denti, facendo ruotare gli occhi al cielo alla La Fontaine. Sempre la solita, la Torres! Ipotizzava cose assurde dal nulla, solo perché… non lo sapeva perché di preciso. Forse perché l’aveva vista arrossire? O… intuito? Beh, in ogni caso si sbagliava, e di grosso anche. “- Pensiamo a cose serie: Ambar.” Sbottò Francesca di colpo sottovoce, per far sì che la bambina non le sentisse e indicandola con un rapido gesto del capo. “- Anche la tua cotta è una cosa seria, serissima, direi!” Sentenziò con un buffo tono solenne la rossa. “- Ok sto zitta.” Aggiunse poi, facendo annuire l’altra che si sciolse poi in un ghigno soddisfatto. La piccola continuava a fissarsi le scarpe dondolando pianissimo, quasi impercettibilmente, tenendosi stretta alle due corde che pendevano ai lati dell’altalena. “- Ehi, nana!” La salutò Camilla, vedendola sollevare il capo con aria corrucciata, per poi riprendere a fissare l’erbetta sotto di sé. “- Come butta?!” Continuò la Torres allegramente, beccandosi un cenno di disapprovazione dall’amica che la fece tacere di colpo: se c’era una cosa che l’amica non sapeva fare poi così bene era interagire con i bambini… in quello, l’esperta era lei. Ambar infatti rimase in silenzio, ma prese un profondo sospiro, lasciando intendere che fosse pensierosa. “- Che ne dici se ti do una piccola spinta, così andrai più in alto?” Sorrise Francesca, intuendo che non dovessero chiederle nulla ma solo aiutarla e farle compagnia. “- Non ne ho voglia.” Replicò la bambina, fissando la bruna con aria afflitta. “- E se giocassimo a qualcos’altro per esempio… nascondino?” Propose la ragazza, facendo sì che Camilla le lanciasse uno sguardo perplesso e quasi spaventato: pensava di coinvolgere anche lei, era chiaro… e la cosa le piaceva poco o nulla. “- Diego tornerà, vero?” A quella domanda con cui le rispose, Francesca capì quale fosse il problema: aveva paura e, se ne avevano tutti, Angie compresa, era normalissimo che la bimba ne avesse a sua volta. “- Certo, vedrai che sarà qui prima che faccia buio…” Tentò di rassicurarla, accovacciandosi davanti a lei che era scesa dall’altalena con un piccolo salto. “- Non voglio che se ne vada anche lui…” balbettò la piccola, alludendo sicuramente alla perdita dei genitori. A quelle parole quasi sussurrate, la mora non poté, né riuscì a fare altro, se non stringerla forte a sé, accarezzandole piano la schiena, sotto lo sguardo intenerito della Torres. Ecco quello di cui aveva bisogno Ambar, sentirsi meno sola. Non che la sorella o la zia non facessero il possibile per aiutarla, anzi! Loro erano sempre tanto dolci e attente con lei… ma in quel momento c’era il problema del maggiore sparito e la bambina si era sentita come lasciata in balia del suo destino, in più, anche il terrore di dover perdere il fratello. “- Non se ne andrà, te lo prometto.” Soffiò Francesca al suo orecchio, stupendo persino sé stessa per quelle parole… come poteva giurarle una cosa simile? Diego era così diverso in quel periodo, l’aveva provato sulla sua pelle, lo aveva visto fuggire in quel modo, ne aveva sentito tanto parlare… era cambiato, e tanto. E allora come le saltava in mente di dire ad una bambina una cosa del genere? Lo sentiva, ecco. Non era molto per basare una promessa fatta ad una piccolina, ma era ciò che si sentiva di dirle in quel momento, per calmarla o forse perché davvero sapeva, non capendo come, che dietro quella freddezza e indifferenza verso il mondo mostrata dal fratello di Ambar e Violetta, vi fosse ancora quel grande affetto che aveva sempre capito, provasse nei confronti delle due sorelle. “- …E ora entriamo, così ti faccio assaggiare i muffins che ho provato a fare!” Sorrise Francesca, porgendole la mano che lei strinse con la sua. “- Ci sono dei muffins dentro e io non ne sapevo niente?” Sbottò la Torres fingendosi piccata, facendo scoppiare a ridere le due. “- Se lo avessi saputo sarebbero già finiti, Cami! Sei peggio di mio padre!” Scherzò la bruna, per poi continuare, rivolgendosi di nuovo alla bimba: “- Non saranno come quelli che fa tua zia Angie… ma sono commestibili, ed è già tanto da una negata in cucina come me!” Spiegò, conducendola verso le scalette per rientrare in casa, sperando di smorzare e distrarre un po’ tutti da quella tensione che si respirava nell’aria per la fuga improvvisa del maggiore dei Castillo.
 
 
Violetta avvertiva il vento scompigliarle i capelli sulle spalle nonostante il grosso quanto pesante casco prestatole da Leon che indossava e, di tanto in tanto, stringeva le sue braccia intorno alla vita del giovane, sentendo la velocità aumentare in tratti di strada meno trafficati come quello su cui erano, percependo una sorta di adrenalina mista a paura, mai provate prima di allora. Se un giorno le avessero detto che sarebbe salita sulla moto dietro La Fontaine non ci avrebbe mai creduto e si sarebbe spenta in un sorriso amareggiato: quel ragazzo non l’aveva mai considerata da quando aveva messo piede a Madeira, quindi già il fatto che le avesse proposto il suo aiuto per trovare Diego era un’occasione significativa che, se non fosse stata troppo nervosa per la scomparsa del fratello, avrebbe immaginato essere un chissà quale segno importante del destino, sul fatto che lei e Leon fossero destinati a stare insieme. “- Sì, Violetta… nei tuoi sogni, sicuramente.”  Pensò distrattamente, ricordandosi di quella ragazza con cui l’aveva visto al parco… doveva essere la sua ragazza, senza alcun dubbio: bella, intraprendente, simpatica… si vedeva lontano tre miglia che al castano piacesse una tipa così, non di certo la sorellina del suo migliore amico, l’amichetta di giochi di sua sorella gemella, Francesca. “- Non ho idea di dove svoltare… guidami tu… proviamo a seguire il tuo istinto…” D’un tratto, Leon, rallentando, si voltò di poco verso di lei, per poi tornare con gli occhi fissi sulla strada di fronte a sé… era chiaro che non avesse giustamente ipotesi per provare a mettersi sulle tracce del moro fuggito via.
 “- Fran ha detto di averlo visto correre verso la costa, ma è una zona troppo vasta… quindi potremmo tentare vicino al porto…” Sentenziò pensierosa la ragazza, avendo poi un lampo di genio improvviso: davanti a loro svettava, oltre un tratto di strada costeggiato da una natura piuttosto selvaggia, il faro, dove German era solito portare loro da piccoli, soprattutto il fratello maggiore quando era bambino. “- FERMA!” Gridò d’un tratto, facendo sì che il conducente inchiodasse rumorosamente sull’asfalto e che lei si poggiasse con il volto sulla sua schiena, terrorizzata, seppure non lo avrebbe ammesso neppure sotto tortura. “- Che c’è? Ti è venuto in mente qualcosa?” Intuì al volo il giovane, vedendola scendere di colpo dal grande e rumorosissimo mezzo che, in quel momento, smise di emettere quei fastidiosi rombi, essendo stato spento dal ragazzo. “- Credo di sapere dove sia Diego!” Sentenziò la Castillo, facendo accigliare La Fontaine: erano su una strada poco trafficata, tutto intorno non c’era nulla se non una fitta erba alta che dava su un praticello ricco di papaveri rossi in fiore e, oltre questo, iniziava una costa rocciosa piuttosto alta, una piccola montagna, preceduta da una stretta lingua di sabbia che faceva da spiaggia. I giovani ancora non erano nel centro della zona sulla costa, quella della vita mondana, dei negozi e dei ristoranti… anzi. Un faro alto, bianco ma contornato da alcune strisce rosse come il suo tetto, si innalzava alto di fronte a loro, su quell’isolotto di rocce, grazie al quale si aveva accesso tramite un tortuoso percorso di massi scoscesi. “- E’ lì.” Spiegò Violetta a Leon, indicandogli la struttura a parecchi metri da loro e facendolo accigliare. “- E come mai pensi che tuo fratello sia in quel coso o… o in cima ad esso?” Domandò, lecitamente, il giovane, non avendo idea dell’infanzia dei Castillo. “- Perché lo sento. E perché lo conosco.” Si limitò a spiegare la castana, rendendosi comunque conto di non essere stata per niente esaustiva: non c’era però tempo per fermarsi a chiacchierare, voleva solo stringere tra le sue braccia Diego quanto prima, per evitare che la zia si preoccupasse ancora… lo doveva riportare a casa per lei stessa, per la sorella, per Angie… e doveva far sì che fosse sano e salvo. Violetta cominciò a farsi strada per un piccolo sentiero tra l’erba alta e iniziò poi a scendere verso il prato, diretta verso la sua meta con sguardo deciso: se il fratello non fosse stato lì, non avrebbe avuto davvero più idee per capire dove andarlo a cercare. Leon, dal canto suo, rimase dapprima perplesso da quelle parole della vicina di casa… successivamente poi, preso dalla paura che potesse farsi male per quella stradicciola sconnessa, la seguì a passo rapido, senza fare ulteriori domande. Se c’era qualcosa di cui però aveva preso coscienza in quella ricerca era che la sua teoria sulla determinazione di quel piccolo scricciolo dolce, di fronte, a lui era reale: Violetta Castillo era una forza della natura e quella sua caratteristica lo aveva colpito non poco, sin da quando l’aveva sentita parlare a Diego nel loro giardino, tempo prima. “- Quando eravamo bambini, papà portò qui me e Diego… io ho sempre avuto paura delle altezze e non ci volli mai salire, così non ci venni più… invece lui e mio fratello presero a venirci abitualmente: la mamma diceva che il faro era la loro seconda casa…” Iniziò a spiegare improvvisamente la giovane, attirando di colpo l’attenzione del ragazzo: aveva un tono fermo ma ci mise alcuni secondi prima di continuare a parlare: “- …Ci venivano spesso, soprattutto d’estate. Papà strinse amicizia con il guardiano, portava Diego in cima e lì gli raccontava sempre le storie che lui amava tanto, quelle sul mare: pirati, marinai, tesori e isole sperdute… mio fratello al loro ritorno me lo diceva sempre, entusiasta, forse sperando di convincermi a salire in cima con loro, senza mai ottenere alcun risultato.” Violetta si zittì di colpo e rimase immobile a fissare l’orizzonte, rendendosi conto, dalla superficie morbida che sentiva sotto i piedi, di essere arrivata sulla sabbia e che le mancasse ormai davvero poco per raggiungere il suo obiettivo. “- Mi dispiace. Sul serio.” Sussurrò Leon, appoggiandole una mano sulla spalla e vedendola voltarsi verso di lui, quasi impercettibilmente, dopo essersi asciugata gli occhi con un rapido gesto di una mano, cosa evidente, nonostante fosse rimasta di schiena per non darlo a vedere. Il ragazzo, nonostante la forza della giovane, non rimase sorpreso da quel crollo: in fondo era umana ed era chiaro che soffrisse tanto, nonostante mascherasse il suo dolore con quel coraggio quasi innaturale. “- Aveva ragione, Diego… avrei dovuto sconfiggere la mia paura all’epoca e sarei dovuta andare con loro quando venivano qui, a sentire quei racconti… ora non potrò mai più farlo e non immagini quanto vorrei...” A quelle parole Violetta si voltò completamente e si ritrovò occhi negli occhi con quelli verdi e profondi di Leon, dimenticandosi quasi di quante volte avesse bramato di restare a parlare così vicina a lui: il giovane, dal canto suo, rimase quasi ipnotizzato da quello sguardo dolce da cerbiatto, velato di tristezza e di lacrime, ma non disse nulla, anzi si limitò a restare in silenzio, senza sapere cosa aggiungere di preciso. Senza pensarci troppo poi, guidato soltanto dal suo istinto, l’attirò a sé e l’abbracciò forte, fortissimo: Violetta sentì come se tra quelle possenti braccia fosse al sicuro, come se tutto intorno si fermasse, come se i suoi pensieri e ricordi che tanto la rendevano malinconica, sparissero di colpo. Era un po’ come quando suo padre riusciva a consolarla dopo che aveva litigato con i fratelli, o dopo una caduta dalla bici: solo German aveva quell’effetto su di lei e… Leon. Avrebbe voluto che quel momento non finisse mai, che il tempo avesse potuto bloccarsi per sempre ma, d’un tratto il ragazzo allentò la presa e diresse di nuovo il suo sguardo sul faro. “- Andiamo…” Sussurrò poi, tendendole la mano che lei gli stinse forte: in una situazione diversa sarebbe svenuta per la felicità, ma quella non era il momento, doveva andare a recuperare Diego, doveva parlargli e convincerlo a tornare a casa. “- Dovrò salire in cima…” Balbettò d’un tratto, quando ormai lei e La Fontaine avevano raggiunto, ancora con il fiatone per la tortuosità della strada percorsa, il tratto roccioso che li separava dall’accesso al faro. “- Ce la farai, io lo so.” Sorrise il ragazzo… ed era così: era sicuro che ci sarebbe riuscita, lei sarebbe arrivata con lui sulla vetta pur di ritrovare suo fratello. “- Il guardiano vive lì… dovremmo chiedergli il permesso per entrare.” Spiegò Violetta indicando una piccola abitazione poco distante dalla struttura, sempre però tra i grossi scogli, mentre l’odore del mare iniziò a invadere le loro narici, potente. “- Chi siete?! Che ci fate lì?! Andatevene subito o vi caccerò io, a calci!” Una voce minacciosa li fece sobbalzare, proveniente dalle loro spalle: un uomo brizzolato, alto e corpulento, dall’aria piuttosto burbera, li spaventò a morte e Leon tentò di intervenire per placarlo e fargli capire che non avessero alcuna cattiva intenzione. “- Ha visto per caso un ragazzo moro, alto poco meno di me, occhi verdi…?” “- Diego! Si chiama Diego!” Aggiunse Violetta a quella descrizione, facendolo ridacchiare e lasciandoli perplessi per quella reazione decisamente sconnessa. “- Conosco bene Diego… ma voi non potete salire!” Sentenziò duro l’uomo, bloccandoli con un gesto del braccio che alla sola vista, per quanto fosse possente, li fece indietreggiare. “- La prego, è mio fratello, io devo… parlargli.” Spiegò la castana, facendolo accigliare di colpo: “- Tu devi essere Violetta, allora!” Si sciolse in un sorriso l’uomo, corrucciando la fronte, perplesso, e assumendo un’espressione buffa ma tuttavia ancora poco rassicurante per quanto si sforzasse per farla apparire tale. “- E lei Oscar… Cardozo! Giusto?!” Ricordò di colpo la ragazza, per poi continuare: “- …L’ho vista una sola volta anni fa ma mio padre e mio fratello erano suoi amici, venivano sempre… i Castillo, non è vero?” A quelle parole l’uomo si incupì: secondo i racconti di German e Diego, Oscar era un uomo solitario che all’apparenza sembrava pericoloso ma egli, in fondo, aveva un cuore buono e puro, tanto che gli permetteva di andare al faro quando volevano, come se ne fossero anche loro i padroni. Nonostante non fosse particolarmente dedito alla vita del borgo, però, era chiaro che la notizia della morte dei coniugi Castillo gli fosse giunta all’orecchio e vedere Violetta lì gli aveva chiaramente portato una marea di ricordi. “- Salite, tuo fratello è in cima.” Si limitò a dire infatti, ritirandosi senza aggiungere altro, a passo lento verso la sua dimora, sorpassandoli con aria malinconica. I ragazzi varcarono la piccola porta in metallo e Leon prese a salire i primi gradoni di pietra che li separavano dal Castillo: era lì, lo avevano trovato grazie alla geniale intuizione della sorella ma lei, ormai, pareva davvero impaurita. Violetta prese un profondo respiro sotto lo sguardo dell’amico del fratello che, rendendosi conto che non lo stesse seguendo, si voltò, facendo sì che lei, stringendo i pugni prendendo a tenere lo sguardo fisso sul pavimento, cominciasse a raggiungere Leon che le tese la mano. Quando la giovane gliela strinse sentì come se una scossa elettrica le attraversasse il braccio ma ignorò quella sensazione per concentrarsi su ciò che doveva fare… raggiungere la vetta e Diego. Le scale sembravano essere infinite e, una volta in cima, la ragazza strinse più forte la mano del La Fontaine per cercare un coraggio che non aveva: i gabbiani volavano alti, vicinissimi a loro, e prontamente individuò qualcuno di spalle affacciato alla balaustra che dava sul mare, quel giorno piatto come una tavola che si infrangeva appena sugli scogli della riva. “- Diego…” Lo chiamò, piano ma tremante, rendendosi conto di essere a parecchi metri d’altezza. Il ragazzo si voltò e gli parve stranissimo trovare lì il suo migliore amico, mano nella mano con sua sorella, evidentemente terrorizzata da quel posto. “- Vilu, che fai qui? Va’ a casa, so che non riesci a stare così in alto…” Sentenziò il bruno, mentre notò che la sorella avesse lasciato la mano di Leon e gli si stesse avvicinando a passi lentissimi, gli occhi fissi sulla pavimentazione e le mani serrate di nuovo in due pugni per darsi sicurezza, mentre sentiva alcuni brividi di paura percorrere la colonna vertebrale, scuotendole l’esile corpo. “- Ti prego, fratellone… vieni con me.” Sussurrò quasi lei, facendolo accigliare: aveva forse paura che non sarebbe più voluto tornare con loro? Impossibile, come le era saltato in mente? “- Fermati! Sei nel panico e io non voglio che ti spaventi tanto!” La rimproverò Castillo, andandole incontro ma venendo ignorato e sorpassato da lei che, a poco a poco, raggiunse il parapetto di ferro al quale prima era affacciato lui. Violetta, ancora con il volto basso, si decise a risollevarlo piano e si ritrovò davanti un panorama spettacolare: il sole stava calando dietro la linea dell’orizzonte e tutto intorno era di un arancio vivido che rendeva il mare di un colore quasi rossastro e splendente. “- Wow…” Riuscì a balbettare, distogliendo comunque, di tanto in tanto, gli occhi da lì… a quanti metri erano? Parecchi. Forse preferiva non saperlo. “- Ho provato a convincerti così tante volte a venire a vedere il tramonto qui con me e papà… ormai ci avevo rinunciato!” Esclamò amaramente Diego, voltandosi per un secondo verso Leon che era rimasto sotto l’accesso alla balconata, per poi avvicinarsi piano alla sorella che, nel sentirlo camminare verso di lei, si girò e gli sorrise, a sua volta, malinconicamente. “- Non volevo fuggire in quel modo, mi dispiace. Avevo solo bisogno di venire qui, di stare un po’ da solo per pensare.” Sussurrò quasi il bruno, facendo sì che la giovane, senza pensarci due volte, lo abbracciasse di colpo: il maggiore rimase un po’ sorpreso da quel gesto ma, piano, prese ad accarezzarle la schiena dolcemente, come faceva prima che tutta quella tragedia li travolgesse e che lui si rinchiudesse nel suo mondo. “- Va tutto bene… andiamo giù.” Le sussurrò teneramente ad un orecchio, per poi depositarle un bacio sulla sommità del capo. Senza aggiungere altro, i due si presero per mano e, lasciando un’ultima occhiata al panorama, si diressero verso la porticina sotto la quale c’era ancora l’altro ragazzo che, non aggiungendo nulla, si limitò a dare una pacca sulla spalla a Diego che gli sorrise tristemente. “- Sai che avevate ragione? Questo posto è stupendo… e non avrei dovuto perdere l’occasione di venirci con te e papà quando era il momento.” Disse Violetta, cominciando a scendere i gradoni per ritornare alla scogliera. “- Ci possiamo venire quando vuoi.” Sentenziò con sguardo fermo Diego, circondandole le spalle con un braccio. “- Io per te ci sarò sempre, qualunque cosa accada.” Aggiunse poi, dopo un lungo silenzio e un'altra manciata di scalini discesi.
 
 
“- Non l’abbiamo trovato! Ti rendi conto?! Come me lo hanno affidato me lo toglieranno, subito! IMMEDIATAMENTE! Nemmeno il tempo di darmi la tutela che me lo toglieranno insieme alle sorelle e io…” “- Riesci a tacere per 10 minuti di fila?!” Angie, in macchina con Marcela, era decisamente troppo in ansia per il fatto che non fossero riuscite a ritrovare Diego nella zona più in voga del borgo di Madeira, e di conseguenza, non riuscendo a calmarsi, aveva preso a straparlare da circa mezz’ora sulla strada del ritorno. “- Non ti preoccupare, avvertirò la centrale e iniziamo subito le ricerche.” Tentò di placarla la Parodi riassumendo il suo solito tono dolce, non sortendo però l’effetto sperato: a quelle parole anzi, la donna si impaurì ancora di più e pensò subito al peggio. “- No! Non puoi farlo! Verrà fuori che il ragazzo è sparito e… e la colpa sarà solo mia, i giudici lo manderanno in qualche casa famiglia insieme a Vilu e Ambar perché non sono in grado di essere una buona tutrice e poi c’è Pablo… anzi, lui non c’è, magari ci fosse a dare una mano! Non sa nulla e…” “- ANGIE!” Gridò la mora, esasperata. La bionda si zittì di colpo e la fissò, impaurita come mai per tutta quella tremenda situazione. “- …E’ probabile anche che sia già a casa. Il fatto che sia fuggito non significa che non voglia far ritorno.” Spiegò con calma la poliziotta, per poi continuare: “- …Inoltre, non puoi denunciare la scomparsa se non sono passate alcune ore.” Sentenziò la moglie di Matias, facendola annuire. “- Quindi abbiamo ancora tempo per cercarlo noi due, no?” Chiese la Saramego, sperando di trovare l’appoggio dell’altra. “- Sì e lo troveremo, sta’ tranquilla. Più ti agiti e meno mi aiuti!”  Concluse la donna, facendola annuire di fretta. “- …E comunque penso che dovresti avvisare Pablo… in fondo ha la tutela dei ragazzi esattamente come te.” Aggiunse, dopo alcuni secondi di silenzio Marcela, facendola accigliare di colpo. “- Non è necessario. Sono sicura che non si unirebbe alle ricerche. A lui non importa nulla, se non di sé stesso.” Ribatté stizzita, facendo però scuotere il capo alla madre di Leon e Francesca. “- Al processo hai detto che c’era ed ora avete l’affido dei ragazzi… insieme. Non credo che non gli importi niente di niente se ha fatto sì che questo fosse possibile e che tutto andasse come di dovere.” Sentenziò con calma la bruna, facendo ruotare gli occhi al cielo all’altra che si ricordò improvvisamente di quella discussione avuta fuori al tribunale con Pablo. “- Non vuole trasferirsi a casa con noi… andrà comunque tutto in fumo.” Quella frase fece accigliare la signora La Fontaine, che però non demorse. “- Parlagli con calma, Angie. Ha bisogno di tempo un po’ come… Diego.” Concluse la donna, facendo scuotere il capo in segno di disapprovazione alla zia dei ragazzi. “- Tu non lo conosci. E’ un egoista, inaffidabile, irresponsabile e per giunta anche depravato!” Sentenziò lei, facendo sogghignare la sua interlocutrice. “- Sarà spaventato, bisogna anche capirlo. Mettiti nei suoi panni: tu sei responsabile quindi non ci hai pensato due volte a farti carico dei tuoi nipoti… lui non è abituato ad una situazione simile…” Concluse la Parodi, mentre Angie prendeva un profondo respiro per tentare di tranquillizzarsi. “- Spaventato quello lì? Non credo.” “- Tu non credi… ma potrebbe essere. Se ho capito bene lo conosci poco e potrebbe nascondere qualche sorpresa...” Ribatté l’altra, inchiodando improvvisamente nel bel mezzo di una strada poco trafficata. “- Quella è la moto di Leon!” Sentenziò confusa, parcheggiando sul ciglio della strada poco dietro il mezzo di trasporto abituale del figlio. “- E che ci fa qui?” Domandò distrattamente Angie, vedendola scendere di colpo e sbattere la portiera, facendo sì che anche la bionda la seguisse di corsa. “- Mi ha disubbidito ancora, ecco cosa ci fa.” Mormorò quasi Marcela, inginocchiandosi e raccogliendo un piccolo fiore di stoffa rosa accanto alla ruota posteriore. “- E pare sia in compagnia…” Sentenziò poi, passando quel piccolo oggetto alla donna che lo riconobbe al volo. “- E’ un pezzo del bracciale di Violetta, non se ne separa mai…” Spiegò alla bruna che sollevò le spalle, sicura. “- Non avevo dubbi. Di certo non sarebbe venuto a cercare l’amico con Ambar o Francesca.” Concluse la donna, alzando poi lo sguardo e individuando tre figure che camminavano nella loro direzione. “- Eccoli!” Gridò Angie che, nell’individuare anche Diego tra i due ragazzi, prese a correre verso di loro, seguita dall’altra. “- Diego, santo cielo mi hai fatto prendere un colpo! Stai bene?! Sei ferito?!” La Saramego stritolò tra le sue esili braccia il ragazzo il quale, per quella salda presa, non riuscì neppure a rispondere subito ma dovette riprendere prima fiato per riuscire a spiccicare parola. “- Sto bene, tranquilla.” Si limitò a rispondere con freddezza, recuperando il suo tono serio e triste, ricordandosi del fatto che Galindo, presto, si sarebbe dovuto unire sotto il loro stesso tetto… e la questione ancora non gli andava giù, neppure il solo pensiero. “- Leon… cosa ti avevo detto? E questa domanda vale anche a te, Vilu…” Domandò la Parodi, vedendo i due abbassare lo sguardo per la ramanzina che, sapevano, li attendeva. “- E’ stata colpa mia, io volevo cercare Diego, Violetta mi ha solo accompagnato.” D’un tratto, il La Fontaine alzò lo sguardo e lo puntò in quello della madre che lo fissò, incerta, sorprendendo la ragazza… non era vero, era stata lei ad infrangere per prima quella regola imposta dalla madre di lui… e allora cosa voleva fare, allora? Possibile che la stesse difendendo, coprendola? “- Credimi.” Aggiunse in fatti lui, mentre Angie continuava a interrogare il nipote, ottenendo solo risposte monosillabi e tese. “- Salite in auto…” Esclamò Marcela con calma, vedendo i ragazzi procedere come tre soldati in una fila ordinata verso la sua macchina. “- Ti avevo detto che lo avremmo ritrovato, hai visto?” Sorrise poi, sorpassando Angie che annuì, ancora sotto shock e con le lacrime agli occhi. “- Grazie, sul serio.” Balbettò d’un tratto, facendola voltare e sorridere: “- E di cosa?” sentenziò lei, decisa. “- Io ci sono, sempre. Per qualunque cosa avrai bisogno.” La rassicurò la bruna, per poi riprendere a camminare davanti alla donna. Angie aveva ritrovato il nipote e non poteva esserne più felice… inoltre, aveva trovato anche qualcosa di altrettanto prezioso… una vera amica.
 
 
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Dieguito, scappando, ci ha aiutato e non lo sa nemmeno! XD Insomma… la scena Leonetta, aw! :3 Tanti scleri per loro! aodofoogog :3 Abbiamo poi Fran stracotta e in ansia con la geniale Cami, la quale ha capito già tutto! XD :3 Infine l’amicizia che cresce tra Angie e Marcy, insomma… grazie Diego! Tutto grazie a te! XD Alla fine è andato tutto bene, non voleva scappare… ma ora cosa accadrà? Pablo si trasferirà a casa Castillo? E lui come la prenderà? Aiuto! D: Alla prossima, ancora buon 2015 a tutti! Ciao! :) DulceVoz. :)

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Capitolo 12
*** Sistemare le cose. ***


Sistemare le cose. Cap.12
 
“- Angie posso portarti qualcosa?” Il Restò Band era quasi vuoto per l’orario, prossimo alla chiusura del locale, ma la Saramego se ne stava seduta in un angolo, lo sguardo di tanto in tanto verso l’ingresso e la speranza di vedere entrare da quella porta una sola persona: Pablo. La donna scosse il capo con un sorriso teso, rivolgendosi a Libi che, annuendo, si allontanò verso altri tavoli per prendere le ordinazioni, preferendo rimanere discreta su cosa ci facesse di preciso lì la proprietaria. Angie sospirò profondamente, abbassando gli occhi sul suo cellulare: che Galindo le avesse inviato qualche sms per avvertirla di quel ritardo? No, niente di nuovo… e poi avrebbe dovuto saperlo: la puntualità non era certo una delle sue virtù, a patto che l’uomo ne avesse qualcuna. Gli aveva mandato un messaggio quella mattina per incontrarlo e lui non si era neppure degnato di risponderle, ovviamente. Troppo disturbo, che poteva mai aspettarsi da quel tizio?
“- Che bello, finalmente ti sei degnata di invitarmi a bere qualcosa!” Troppo presa a giocherellare distrattamente con il telefonino, la bionda neppure si era accorta che qualcuno le si fosse seduto di fronte: Pablo le ghignava divertito, perdendosi in quei grandi smeraldi che avevano preso sin da subito a scrutarlo con aria poco amichevole. “- E tu ti sei degnato di venire, vedo! Un ottimo inizio, considerando che stamattina neppure hai considerato l’idea di farmi sapere se mai ti fossi fatto vivo!” Sentenziò lei, posando sul tavolo l’oggetto con cui stava armeggiando e sporgendosi di poco verso di lui, con stizza. “- Touché, mademoiselle!” Sibilò il bruno, squadrandola con attenzione: era bellissima, nel suo abito a fiori leggero e uno chignon che lasciava scoperto il suo elegante collo. “- Ma bravo! Parli anche francese, adesso?!” Lo provocò Angie, facendolo ridacchiare di gusto. “- Le frasi basilari… quelle che possono aiutarmi con una bella e seducente donna. Come te, intendo…” Sentenziò sottovoce quelle ultime parole, facendole sgranare gli occhi di colpo: sarebbe mai cambiato quel tizio? Ne dubitava fortemente, ma decise di mantenere la calma e di intavolare una conversazione civile per provare a convincerlo di ciò che l’aveva spinta ad invitarlo lì: far sì che si trasferisse con lei e i ragazzi, a villa Castillo. “- Se ti ho fatto venire qui è perché…” “- Perché mi ami e mi trovi decisamente affascinante. Devi solo accettarlo.” Quella frase la disse con una tale sicurezza che la Saramego scattò in piedi scioccata, attirando l’attenzione dei pochi clienti rimasti a chiacchierare ai propri tavoli e della stessa Libi, la quale si bloccò sul posto, per poi abbassare di colpo lo sguardo imbarazzata. “- Come, prego?!” Sbottò Angie, stupita da quella dichiarazione tanto decisa. “- Sto scherzando, rilassati… ti vedo così… tesa!” Esclamò Pablo, osservando ogni minimo movimento della donna che, lentamente, si risedette. “- Sono tesa?!” Chiese lei spiazzata, facendolo ghignare ancora di gusto. “- Dovresti trovare la maniera per placarti un po’…” Sorrise con tono fin troppo ammiccante, poggiando una mano sulla sua che, prontamente, tirò indietro per non farsi neppure sfiorare. “- Azzardati di nuovo a toccarmi anche solo con un dito e ti faccio ingoiare il centrotavola con tutti i fiorellini. Mi hai sentito bene?!” Sibilò glaciale la bionda, facendolo annuire e sollevare le braccia in segno di innocenza e resa, continuando, nonostante tutto, a sghignazzare. “- Focosa come immaginavo… mi piace.” Aggiunse comunque, facendole prendere un altro profondo respiro: come diamine si poteva parlare con Galindo senza provare l’istinto di sferrargli un calcio ben assestato in uno stinco? Impossibile. “- Applicherò l’arte dell’ignorarti, ma ho una cosa da dirti… ricominciamo e apri bene le orecchie: se ti ho fatto venire qui è per riprendere il nostro discorso sul tuo trasferimento a Madeira, a casa Castillo… e ti dico subito che non accetto eventuali: ‘no’ come risposte valide.” “- D’accordo, accetto.” Angie pensò di aver capito male… accettava? Subito? Cosa stava tramando? “- Non mi guardare così, non sono impazzito! Mi hanno dato lo sfratto dal mio bellissimo appartamento, dunque non ho molta scelta. E poi il borgo dista pochissimo da Buenos Aires, dunque non avrò problemi per il lavoro… è perfetto. La soluzione ideale.” Concluse Pablo, facendole storcere il naso. “- Di quanti mesi eri in ritardo sull’affitto per farti cacciare?” Chiese una scioccata Saramego, pentendosi subito per quella domanda: in fondo non doveva importarle più di tanto… ce l’aveva fatta e non ci sarebbero stati altri problemi con assistenti sociali o giudici. “- E chi ti dice che mi hanno cacciato per quello? Magari… rumori molesti notturni, no?! Ti dice nulla, bambolina?” Angie sgranò gli occhi: ecco, avrebbe fatto meglio a non sapere, con Galindo era meglio così. Quanto poteva essere sfacciato e impertinente? “- Sto scherzando, calmati! Ero in ritardo di 3 mesi… problemi economici.” Si limitò ad aggiungere di fretta lui, vedendola troppo sconvolta e impallidita alla sua rivelazione falsa. “- Mi chiedo come German abbia potuto considerare te un fratello… assurdo!” Borbottò d’un tratto lei, facendolo accigliare: un lampo di tristezza attraversò lo sguardo dell’uomo, un lampo così vivido che persino Angie lo percepì, abbassando poi gli occhi, dispiaciuta per quel commento. Pablo non disse nulla ma troppi ricordi affollarono la sua mente: German, il loro primo incontro… e suo fratello, quello di sangue, Gabriel. “- Scusami, non volevo rattristarti… è che ho sempre considerato te e mio cognato così… diversi.” Si apprestò a continuare la donna, facendolo annuire con il volto basso sul tavolo. “- Diversi ma simili.” Si limitò a sbottare lui, senza la sua usuale vena ironica che lo caratterizzava: lui e Castillo si erano conosciuti in una biblioteca, erano uniti da un filo invisibile, un filo di dolore. German era solo al mondo sin da ragazzino. Come lui. Ma tutto quello Angie non l’avrebbe capito, l’avrebbe presa per un’ennesima tattica disperata per rimorchiare, non gli avrebbe neppure creduto, forse… e poi lui non aveva intenzione di perdere tempo a raccontarglielo. “- Allora? Tu vuoi venire adesso a casa o… o passi prima a prendere i tuoi bagagli?” Domandò distrattamente la bionda, alzandosi e appoggiandosi con una mano allo schienale della sedia su cui era seduta poco prima. “- Ho omesso un dettaglio, sai? Dormo da due giorni in auto… ho già tutto ciò che mi serve nella macchina.” Sentenziò lui con un sorriso amaro, facendola annuire, sconvolta. “- D’accordo… allora possiamo andare.”. Quel tipo era così particolarmente strano… ma non era cattivo, di ciò ne era sicura. In fondo, German gli aveva messo in mano la vita delle tre persone che amava di più insieme a sua moglie, non doveva essere poi così male. Forse.
Il viaggio verso il borgo non durò tanto e per fortuna non incontrarono nemmeno troppo traffico, tanto che nel giro di poco tempo la Saramego parcheggiò la sua auto nel vialetto della casa, mentre Galindo lasciò la sua vettura fuori, presso il marciapiede di fronte alla villetta. Pablo rimase alcuni secondi a fissare attraverso il finestrino al suo fianco quell’abitazione, le mani sul volante e lo sguardo vuoto: gli faceva un effetto terribile rimettervi piede sapendo di non trovare vicino al cancelletto il suo migliore amico ad accoglierlo. L’ultima volta che l’aveva visto era stato proprio lì, al compleanno di Ambar e adesso… adesso il pensiero che non avrebbe potuto più parlarci, scambiarvi opinioni o semplicemente scherzare insieme gli metteva un’angoscia infinita. “- Ehi, muoviti! Ti sto aspettando!” A farlo sobbalzare dal mare di ricordi in cui era caduto fu la voce di Angie che, sorridente, gli bussò sul tettuccio provocando un fastidioso ticchettio. “- Sì, lo so, bellezza… fammi recuperare le mie cose e sono subito da te.” Sentenziò lui, aprendo la portiera e scendendo rapidamente, per poi dirigersi verso il portabagagli e estrarre un trolley nero e un piccolo borsone dello stesso colore. “- Tutto qui? Hai solo quello?” Indicò la bionda, facendolo ghignare di gusto. “- Certo, non sono mica una donna! Voi siete come le formiche: riuscite a portare un carico che pesa il doppio di voi.” Commentò allegro lui, provando con tutte le sue forze a mascherare quello stato d’animo di tristezza che, più avanzava nel giardino dei Castillo, più lo attanagliava nel profondo. Angie, dal canto suo, percepì che l’uomo non fosse proprio al meglio delle sue condizioni… che quella casa gli portasse alla mente troppe cose passate e mai più rivivibili? “- Andrà tutto bene.” Sussurrò quasi, bloccandosi nel mezzo del vialetto, mentre l’uomo era già sotto al portico: Galindo si voltò e scese i due gradini che era riuscito a raggiungere: come aveva, la Saramego, potuto cogliere la sua amarezza? Forse non la stava nascondendo abbastanza? “- Infatti non mi preoccupa nulla. Cosa mai potrebbe andare storto?” Mentì spudoratamente con aria indifferente, specchiandosi negli occhi smeraldo di lei che quasi lo sfidava con essi: quel verde così intenso lo faceva sentire strano, e se ne accorse quando dovette subito abbassare il viso per non dare a vedere di provare una situazione particolare, mai percepita prima. Poteva essere tale l’attrazione per Angie da renderlo così debole, tanto da non riuscire a sostenere il suo sguardo? Che diamine gli prendeva? Di solito non ricordava neppure il colore degli occhi delle sue conquiste, né lo notava… e allora cosa aveva di diverso quella donna?
Riprese a camminare verso la porta come se nulla fosse, seguito dalla bionda e, quando lei lo raggiunse e aprì la porta si ritrovarono di fronte, seduti sul sofà, i tre figli di German e Esmeralda, tutti intenti a fare qualcosa di diverso: Violetta giocava con Ambar davanti ad una dama disposta tra le due, mentre Diego con aria scocciata, armeggiava con il suo pc portatile. “- Buonasera… vi ho portato qualcuno…” A quelle parole della zia, i ragazzi alzarono gli occhi di colpo e rimasero a fissare Pablo che sorrise distrattamente. “- Si poteva risparmiare il viaggio.” Sentenziò prontamente Diego senza nemmeno guardare in faccia l’uomo ma venendo fissato sia dalle sorelle che da Angie, in maniera serissima. “- Diego, senti io so che…” Tentò Galindo, provando a mantenere un tono che di certo non era il suo solito, ma più pacato e amichevole possibile. “- Tu non sai niente.” Sbottò il giovane con freddezza glaciale, interrompendolo e scattando in piedi, sbattendo il pc sul divano e facendo per salire in camera sua. “- Per favore, Diego… ascoltalo, almeno.” Intervenne la Saramego, vedendolo bloccarsi di spalle e tornare indietro, rimanendo a pochi metri da lei e da Pablo, ancora sotto l’uscio con aria tesissima. “- Che parli! Tanto io non ho niente da dirgli…” Concluse, in preda all’ira, il maggiore dei Castillo, incrociando le braccia al petto e sfidando con lo sguardo prima la zia e poi l’amico di suo padre che abbassò gli occhi, palesemente agitato. “- Io non sono qui per mia volontà ma per quella di tuo padre, facendo ciò che era la sua decisione secondo il testamento… e voglio rispettare la scelta di German.” Iniziò il bruno con voce ferma. “- Certo, la volevi così tanto rispettare che ci hai fatto rischiare che ci sbattessero in orfanotrofio piuttosto che assumerti subito le tue responsabilità, complimenti!” Ribatté il ragazzo, abbozzando un applauso ironico che risuonò nella stanza come un eco pesante come un macigno, in un secondo di silenzio calato implacabile su tutti loro. “- Lo so… ho sbagliato. Ma alla fine… avete bisogno anche di me…” “- Alla fine… MA CHE DIAMINE DICI?!” Gridò furioso il giovane, spintonandolo di forza fino a fargli sbattere, violentemente, la schiena contro la porta. “- Ma non ti vergogni?! Sei un egoista, un bastardo che ora pretende di arrivare qui a vivere come fossi nostro padre… beh, mettiti l’anima in pace perché non sei il capofamiglia qui, e MAI LO SARAI!”. Un rumore sordo, secco quanto inaspettato e Galindo scivolò a terra lungo il legno al quale era appoggiato, tenendosi il naso che aveva preso a sanguinargli per quell’improvviso pugno arrivato come un fulmine a ciel sereno. “- Diego ma che diamine hai fatto?! SEI IMPAZZITO?!” Angie, disperata, prese ad urlargli contro come una furia, mentre Ambar, spaventata ancor di più, piangeva tra le braccia di Violetta che fissava il fratello, atterrita: immaginava una reazione forte alla presenza di Pablo in casa ma non fino a quel punto. Diego esagerava sempre di più, ormai era fuori controllo e quell’atteggiamento, accompagnato a quel gesto ne era stato la prova. “- Lascialo stare, non è niente…” Biascicò Galindo, rimettendosi in piedi a fatica e continuando a tamponarsi il sangue con una mano, mentre Diego, ignorando tutti, come una furia, si precipitò in camera sua, sbattendo la porta tanto da provocare un rumore sordo fino al piano di sotto. “- Lui è cattivo, non è più il mio fratellone!” Piangeva disperata la più piccola di casa, con il viso affondato contro il petto della sorella maggiore. “- Va tutto bene, tranquilla…” Le sussurrò la più grande all’orecchio, fissando poi in direzione della zia e dell’uomo. “- Portala un po’ in giardino… io provo a… sistemare le cose.” Le consigliò la Saramego, sostenendo per la vita Pablo e conducendolo sino alla cucina, mentre le due Castillo si diressero verso la porta per uscire un po’ fuori a distrarsi.
“- Bel destro tuo nipote… fa pugilato?” Ironizzò il bruno, mentre Angie estraeva dal freezer una bistecca congelata e gliela appoggiava, avvolta in un canovaccio, sul naso. “- Ahi…” Si lamentò lui, facendola sogghignare. “- Non vorrei dire, ma un po’ ti sta bene! Per tutte le frecciatine che mi lanci in continuazione questo è il minimo!” Ridacchiò la donna, sporgendosi verso di lui che, seduto al bancone della cucina, si incantò a fissarla: non aveva notato che quando sorridesse fosse ancora più affascinante… incredibilmente affascinante. “- Non sono frecciatine, sono modi per rimorchiare!” Spiegò lui, sentendo forti brividi scuotergli persino le ossa quando Angie tolse il ghiaccio e gli prese il volto tra le mani per controllare se il naso avesse smesso di sanguinare. “- E funzionano?” Sussurrò piano la bionda, riapplicando la bistecca sulla parte lesa e rimanendo ad un centimetro dal suo volto. “- Ovviamente…” Si pavoneggiò lui, facendola ridere di nuovo… amava quella risata così cristallina, l’adorava alla follia. “- Ok, non sempre… la conquista varia da soggetto a soggetto.” Sentenziò Pablo con tono solenne, quasi scientifico, mentre la donna aveva preso a incerottargli il naso con dell’ovatta. “- Ah, ecco… ora è tutto più chiaro.” Ironizzò quella volta lei, continuando a creare tamponcini di ovatta. “- Tu, ad esempio…” Azzardò l’uomo, con tono sicuro, indicandola con un lieve cenno del capo. “- …Non riesco a capire in che modo potrei rubarti il cuore…” Soffiò ad un centimetro dal suo volto, mentre lei attaccava l’ennesima garza, facendogli contrarre il viso in una smorfia di dolore. “- Io non mi innamoro, perderesti in partenza.” Confessò lei d’istinto, troppo delusa da quel maledetto sentimento, dopo tutte le sofferenze che le aveva comportato. Angie si pentì subito di quella risposta… come diavolo le saltava in mente di dar corda a quel depravato? “- Che peccato, mia sexy infermiera!” Sogghignò il bruno, fissandola con interesse dalla tesa ai piedi con aria maliziosa, beccandosi uno spintone che per poco non lo fece cadere dallo sgabello. “- Idiota!” Sbottò, applicando con più vigore l’ultima garza. “- Ahia!” Si lamentò lui, ridendo però come un matto. “- Se Diego non è riuscito nell’impresa di disintegrarti il setto nasale e non la smetti… beh, ci penserò io!” Concluse la bionda, andando a riporre la bistecca nel frigo con aria nervosa. Galindo però rimase confuso: la sua era attrazione o c’era dell’altro? E perché cominciava a pensare che uno come era lui, potesse andare oltre quella? E poi… perché Angie non si innamorava? Era stata sincera, quello era evidente… e allora come mai non si lasciava andare a quel sentimento? Non lo sapeva ma lo voleva scoprire.
 
 
Casa La Fontaine era particolarmente tranquilla quella sera, forse quella tranquillità era dovuta al fatto che il capofamiglia ancora non fosse rientrato da lavoro. Francesca era su una poltrona del salotto sfogliando un grosso volume di astronomia, non riuscendo però a concentrarsi del tutto, mentre Leon giocava alla Play Station facendo un baccano infernale. Il fatto che il fratello stesse utilizzando i videogiochi però non era il motivo principale della sua distrazione: da quando Diego era stato ritrovato, a detta del fratello grazie alla perspicacia di Violetta, non riusciva a pensare a nulla se non a quanto dovesse stare male il ragazzo. Avrebbe voluto aiutarlo, chiedere almeno se si sentisse meglio e, non solo non aveva il coraggio di domandare nulla all’amica, anche lei in quella situazione delicata, ma nemmeno al fratello o alla madre… oppure, peggio ancora, a Cami, la quale già si era preoccupata di definirla stracotta del maggiore dei Castillo.
 “- Se proprio non puoi spegnere, potresti abbassare il volume, almeno?” Sbottò d’un tratto la ragazza, guardandolo da sopra al suo librone e vedendo il gemello sogghignare, senza però neppure staccare gli occhi dallo schermo, anzi, agitandosi ancor di più sul divano, tutto preso da una corsa di grosse moto che rombavano, fin troppo realisticamente. “- Sono al traguardo! Sì! CAMPIONE DEL MONDO!” Esultò il giovane, cominciando a saltellare, buttando il joystick sul tavolinetto di fronte a sé e infastidendo volutamente ancora di più la giovane. Leon doveva ammettere che passare del tempo con Violetta lo avesse destabilizzato non poco e non sapeva spiegarsi bene il perché… tuttavia, non voleva pensarci, in quel momento doveva tenere la mente occupata in qualche modo per non darvi troppo peso, così si era messo a giocare come se nulla fosse. Non era possibile che si fosse sentito così bene con la sorellina di Diego, non era il suo tipo né aveva mai ipotizzato neppure che  potesse esserlo… cosa gli stava prendendo, allora?! Il non saperlo lo irritava, così preferiva buttare il suo tempo in maniera futile, rimbecillendosi davanti ai videogames. “- Sempre il solito infantile!” Sussurrò tra i denti la sorella, ricominciando a concentrarsi sul suo libro. “- Devo assolutamente sfidare qualcuno…” Borbottò Leon, passandosi una mano nel ciuffo dorato, scompigliandolo nervosamente. “- Non guardare me…!” Esclamò, categorica, la bruna, provando per l’ennesima volta a riprendere la sua lettura dallo stesso paragrafo su cui era ormai da parecchi minuti. “- Lo so, vincerei facilmente e sono troppo carico per stracciare una schiappa come te… quando torna papà?” Sbottò lui d’un tratto, facendo sì che finalmente anche la ragazza, nel sentire quella domanda, alzasse gli occhi, di colpo preoccupata. “- Sempre dopo le undici, a quanto pare…” Soffiò quasi, prendendo a riflettere su quella situazione. Da quando i genitori avevano litigato per l’imminente arrivo degli zii e del cugino, in casa non c’era una bella atmosfera, anzi: il padre rientrava sempre più tardi da lavoro, orgogliosamente convinto di aver fatto benissimo ad invitare la sorella e la sua famiglia a stare lì in un momento di difficoltà, mentre la madre a stento gli rivolgeva la parola, ancora offesa a morte per non essere stata interpellata su quella decisione. “- Buonasera, famiglia!” La porta si aprì e, proprio in quel momento, Matias fece il suo ingresso, venendo subito accolto a braccia aperte dal figlio che lo attendeva per la “sfida del secolo”. “- Buonanotte, papà! Stavamo per andare a letto!” Lo corresse Francesca, mentre lui le si avvicinò per depositarle un dolce bacio sulla sommità del capo. “- Vostra madre?” Domandò distrattamente il biondo, mentre Leon già stava sistemando un altro joystick per proporgli la corsa. “- In cucina…” Rispose la ragazza, vedendolo dirigersi verso la stanza da lei indicata. “- …Papà…” Lo richiamò poi, facendolo voltare di colpo con curiosità. “- Che c’è piccolina?” “- Fate pace. Per favore…”. La voce della bruna fu quasi un sussurro e Matias, colpito per quella supplica della figlia, si intenerì sciogliendosi in un sorriso. “- Tranquilla tesoro, la mia intenzione è quella.” La rassicurò, per poi scomparire nella camera dove si trovava la moglie.
Marcela era intenta a fare i piatti e neppure lo vide entrare né avvertì il rumore dei suoi passi, avendo lo scorrere dell’acqua come unico rumore potente di sottofondo. “- Ehi…” L’uomo le si avvicinò piano, vedendola voltarsi di colpo, evidentemente sobbalzata. “- Ah, sei tu…” Commentò, fingendosi rilassata e fissandolo per pochi secondi, ritornando poi a strofinare con più foga delle stoviglie. “- Dobbiamo parlare.” Commentò lui, vedendola ghignare di gusto con freddezza, senza neppure sollevare gli occhi dal piatto che aveva preso a lucidare. “- Ah, quindi quando non ci sono importanti decisioni da prendere, dobbiamo parlare, vero? Un po’ tardi, mi pare…” Commentò ironicamente, posando poi l’ennesimo oggetto con stizza nella vasca del lavello. “- Fran mi ha praticamente supplicato di fare pace con te, e sinceramente lo voglio anch’io. Per quanto ancora hai intenzione di essere arrabbiata?!” Domandò lui, andandosi a sedere al tavolo, venendo seguito dalla donna che, afferrando un canovaccio, si asciugò di fretta le mani e lo seguì, accomodandosi nervosamente di fronte a lui. “- Lo so. I ragazzi stanno male per questa storia e nemmeno a me va per niente giù questa tensione che si è creata. Tu hai sbagliato ma… l’ho fatto anch’io, in fondo.”. Quelle ultime parole fecero accigliare l’uomo che si sporse verso di lei, sicuro di aver capito male: sentire Marcela ammettere i suoi errori e dargli ragione, era raro come assistere ad un’eclissi solare. “- Non mi guardare così! Dico sul serio. Jade è tua sorella ed è giusto e sacrosanto che tu voglia aiutarla. Non sono felice né di avere qui lei, né, tantomeno Nicolas e Clement che conosciamo appena… ma non posso di certo condannare la tua decisione.” La Parodi prese un profondo respiro, per poi continuare: “- …Sono stata troppo aggressiva, mi dispiace. Ma ciò non toglie che avresti prima dovuto parlarmene e non lo hai fatto.” Sentenziò la donna, abbassando poi gli occhi sulle sue mani, intrecciate sul tavolo. “- Mi perdoni?” Chiese La Fontaine sottovoce, vedendola comunque restare in silenzio, mentre lui provava a cercare le parole giuste. “- Mi manchi, amore mio. Mi manchi troppo e… e sono felice che abbia capito che non avessi intenzioni sbagliate: Jade è mia sorella, mi ha chiamato in difficoltà, spiazzandomi e non sapevo nemmeno io cosa dirle se non che poteva venire qui… e poi dirlo a te… io… non avevo nemmeno idea di come affrontare l’argomento.” “- Lo so, l’ho capito. Anche se un modo avresti potuto anche trovarlo...” Sentenziò lei, alzandosi in piedi e facendo per ritornare alle sue faccende. “- E allora?! Mi posso considerare perdonato?” Il frastuono che provocò con la sedia fece ridacchiare la bruna: sempre il solito maldestro… ma lo amava così, non poteva farci nulla, era sempre stato così, da quando erano due ragazzini. La donna gli si avvicinò a passo lento con le mani sui fianchi, fingendosi ancora stizzita e, una volta giunta a nemmeno una spanna da lui, gli prese il volto tra le mani e lo baciò a sorpresa, lasciando lui dapprima sconvolto: non se lo aspettava, aveva intuito di essere stato scusato ma non ebbe neppure il tempo di concentrarsi sulle sue riflessioni che il cervello andò in standby e si lasciò solamente andare a quel gesto tanto dolce quanto appassionato. “- Ti amo…” Soffiò quando, senza fiato, furono costretti a staccarsi. “- Anch’io… purtroppo per me.” Rise lei, accarezzandogli una guancia per poi gettarsi tra le sue braccia. Francesca, di spalle alla porta, aveva sentito tutto e felice come una Pasqua, si avvicinò al gemello che aveva ripreso ad allenarsi per sfidare il padre. “- Credo proprio che si siano riappacificati…” Gli sussurrò la ragazza, vedendolo sbuffare. “- Ciò significa che ne avranno per molto e io mi sono giocato la grande sfida…” Sbottò lui, per poi sciogliersi in un sorriso ironico. “- Ti sfido io… ma non con questo coso: a scacchi!” Esultò Francesca, vedendolo accigliarsi di colpo. “- Non ci penso nemmeno! Ci ho messo un’estate intera ad imparare a causa tua… e perdo sempre!” “- Appunto!” Ridacchiò allegramente la ragazza, dirigendosi poi verso le scale per andare a prendere il gioco con cui avrebbe stracciato per l’ennesima volta Leon, così da togliere dal suo viso quel ghigno fastidioso e soddisfatto da campione.
 
 
“- Non hai idea di quello che è successo quindi con il trasferimento di Pablo da noi…” Violetta era in giardino seduta ai piedi della grande quercia sul retro della villetta e stava raccontando a Francesca le ultime novità di casa Castillo. La bruna rimase confusa da tutte quelle informazioni insieme e immaginò quanto potesse essere stato difficile per i tre fratelli affrontare tutti quegli eventi senza impazzire. Diego aveva preso a pugni Galindo e la cosa non la sorprese più di tanto: prima di allora non avrebbe mai definito il maggiore dei figli dei vicini aggressivo, anzi. Il giovane le era sempre parso affettuoso e premuroso, soprattutto per quanto riguardava le sorelle e gli amici… ma da quando la sua vita era stata sommersa da quell’immenso dolore, da quando aveva travolto lei quel giorno e si comportava diversamente con tutti, non poteva, in effetti, dire diversamente di lui, seppure lo comprendesse. “- Diego sta male, se ha avuto una zuffa con l’amico di tuo padre è comprensibile, per quanto ingiustificabile per i modi che ha usato.” Sentenziò Francesca, prendendo a giocare distrattamente con le pieghe del suo vestito. “- Sì ma… insomma lo deve capire, Fran! Non puo’ comportarsi così! Tratta male chiunque gli capiti a tiro, scappa via, ora addirittura arriva a rompere quasi il setto nasale di Pablo! La deve smettere!”. Da quando avevano toccato l’argomento che riguardava il fratello di Violetta, la La Fontaine era seria e riflessiva: aveva una voglia pazzesca di sapere come stessero andando le cose per il giovane e si sentì meglio quando l’amica iniziò lei stessa a parlargliene, senza che dovesse farle domande a riguardo. “- Non è il solo che sta soffrendo, anch’io sto male e non passa notte che non pianga nel sonno pensando ai miei genitori… Ambar ha incubi quasi sempre a causa dell’accaduto… ma nessuna di noi si sta comportando così!” Continuò la Castillo, abbassando gli occhi con aria malinconica. “- Ognuno reagisce in maniera diversa a questo genere di cose, credo…” Sussurrò quasi l’altra, portandosi i capelli dietro le orecchie con un gesto nervoso e rapido. “- Sì, d’accordo… ma se Pablo è venuto a stare da noi non è colpa sua! Il testamento lo richiedeva, è un tutore tanto quanto nostra zia Angie e se lui fa così… non si rende conto che complica la vita anche a lei che si sta facendo in quattro per noi.” Mormorò la castana, facendo annuire l’altra distrattamente. Dall’altro lato dello steccato, Leon le stava ascoltando da un po’, preoccupato per l’amico: come poteva star reagendo così? Non era da Diego… inoltre, non voleva stare da tempo con lui o Seba che, più volte, avevano provato a rintracciarlo, beccandosi solo declini a tutti i loro inviti anche alla più semplice delle passeggiate. “- Fran… Violetta… come va?” La voce del castano le fece sobbalzare e lui, stranamente intimidito, sensazione che di norma non gli apparteneva, le salutò con un cenno della mano, scavalcando con un abile balzo il recinto, grazie ad una serie di scatoloni appoggiati a mo di scaletta nel suo giardino. “- Leon…” Sorrise la Castillo, ricordandosi improvvisamente del giorno in cui l’aveva aiutata a ritrovare il fratello, sostenendola e facendole battere forte il cuore. “- Solite storie, se non peggio.” Concluse Francesca, osservando il fratello sedersi accanto a loro, per terra. “- Ammetto di aver sentito qualcosa… Diego? E’ dentro?” Domandò alla Castillo che annuì con aria malinconica. “- Sì ma ha esplicitamente detto che non vuole vedere nessuno… e dopo aver assistito a come ha reagito alla vista di Pablo… beh, ti consiglio di non avvicinarti almeno fino a domani se non vuoi un setto nasale disintegrato.” Sentenziò con tono amareggiato, vedendolo prendere un profondo respiro. “- Ragazzi io vi lascio… mia madre voleva una mano per scegliere un regalo, o qualcosa del genere… a dopo!” Salutò la La Fontaine, scattando in piedi e avviandosi a passo svelto verso l’uscita della proprietà dei Castillo, lasciando che un abbondante minuto di silenzio calasse su Leon e Violetta, rimasti l’uno accanto all’altra in un teso imbarazzo. “- Volevo ringraziarti per l’aiuto dell’altro giorno…” Iniziò lei, tenendo lo sguardo basso sulle sue mani, appoggiate in grembo. Leon sorrise, incantandola con quegli occhi verdi e profondi che lei tanto adorava, sin dalla prima volta che li aveva incrociati. “- Figurati. L’ho fatto con piacere… è tuo fratello ma anche mio amico.” Aggiunse, vedendola di nuovo abbassare il viso, per poi continuare: “- Insomma volevo ringraziarti anche per… per essere stato così forte, per avermi dato coraggio. Da sola non so se ce l’avrei fatta.” Concluse la Castillo, mordendosi nervosamente il labbro inferiore. Leon rimase sorpreso da quella frase: stava palesando una fragilità che gli aveva dimostrato solo un’altra volta, quando erano insieme, al faro. Prima, in realtà, non l’aveva mai considerata più di tanto, ma, non sapendo perché, da quel giorno in cui l’aveva sentita parlare con Diego in giardino come una donna matura per la sua forza e saggezza, in lui si era acceso un grande interesse nel voler conoscerla meglio. Tanto coraggiosa eppure fragile… Violetta era ancora un mistero per lui. “- Ce l’avresti fatta comunque. Sei forte e determinata, anche se non lo sembri.” Concluse il giovane, rimettendosi in piedi appoggiandosi pigramente al tronco dell’albero dietro di loro, per poi incamminarsi a passo lento. “- Lo pensi sul serio?” Chiese lei distrattamente, alzandosi a sua volta, facendo voltare il ragazzo, ormai di spalle, di nuovo nella sua direzione. Sì, lo pensava. Pensava che quello scricciolo dall’aspetto di una bambolina nascondesse una forza incredibile e ne aveva avuto più volte la prova: se era crollata in alcuni momenti era stato più che lecito, considerata la situazione. Annuì a quella domanda, ammaliato dai suoi grandi occhi da cerbiatto di un nocciola intenso. “- Meglio che vada… devo vedere Seba tra poco… verrà per raccontarmi sicuro tutte le news sul fronte Cami.” Ridacchiò a disagio, allontanandosi di nuovo verso casa sua, procedendo verso l’uscita dal giardino dei Castillo. Si sentiva strano, quasi in imbarazzo per essere rimasto solo con Violetta dopo che, quel giorno, avevano cercato Diego ed erano stati tanto tempo insieme. Che gli prendeva? Era andato davvero lì solo per sapere dell’amico?  L’ammirava unicamente per il suo coraggio o c’era dell’altro? Lui stava uscendo con Lara, il prototipo della ragazza da discoteca… e Violetta era sempre stata l’amichetta di Fran, la sorellina minore del vicino con cui suonava, nient’altro. Eppure non poteva negare che quel giorno al faro con lei gli avesse fatto bene, la sua compagnia gli faceva bene… e se fossero diventati amici? No. Non poteva. O sì? Confuso e con lo sguardo dolce e determinato di Violetta immortalato nella mente, si avviò verso il garage: chissà, forse suonando nell’attesa che Seba lo raggiungesse, avrebbe anche potuto distrarsi o meglio… chiarire cosa volesse davvero.
 
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Ehilà! :) Eccoci ad un altro capitolo di questa folle storia! :3 In questo 12, Angie convince Pablo a trasferirsi a villa Castillo ed è guerra aperta con Diego! D: A casa La Fontaine i coniugi fanno pace… :3 Avvistati anche altri accenni Diecesca e Leonetta! (E sì, anche Pangie! :3) Ci siamo, gente, ormai è questione di tempo e vedremo sbocciare nuovi amori! :3 Grazie a tutti coloro che continuano a seguire la fan fiction e alla prossima, ciao! :) DulceVoz. :)

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Capitolo 13
*** Incontri a sorpresa. ***


Incontri a sorpresa. Cap.13
 
“- Speravo che saresti venuto, eppure non sapevo con certezza se l’avessi fatto.” Lara, seduta su una panchina del parco dove l’ultima volta aveva incontrato Leon, teneva lo sguardo basso anche quando avvertì chiaramente qualcuno sedersi accanto a lei. “- Scusami, sono un po’ in ritardo.” Balbettò a disagio il ragazzo, prendendo a fissarsi le scarpe come se fossero improvvisamente divenute la cosa più interessante del mondo: aveva riflettuto tanto in quei giorni e, per schiarirsi le idee, si era ritrovato spesso a rifiutare le chiamate o gli sms della castana. A volte, invece, aveva inventato le scuse  più assurde per evitare di uscire con lei oppure, in altre occasioni, semplicemente aveva spento il telefonino per rendersi irraggiungibile. Per prendere una decisione doveva stare da solo: se da una parte sentiva crescere in lui il desiderio di conoscere meglio Violetta, dall’altra percepiva affievolirsi quello di fare lo stesso con la Gonzales e ancora non sapeva neppure spiegarsi di preciso il perché.
“- Pensavo addirittura che avessi cambiato numero…” Buttò lì Lara, alzando il volto e prendendo a fissare lui che, in imbarazzo, iniziò a scompigliarsi il ciuffo dorato nervosamente. “- No, è solo che… avevo bisogno di tempo, dovevo riflettere. Perdonami, non meritavi un trattamento del genere, lo so.” Commentò il ragazzo, addolcendo il più possibile il suo tono di voce per non peggiorare la situazione. “- Già…” Sussurrò la castana, riabbassando gli occhi sul selciato e prendendo a torturarsi nervosamente le mani che teneva in grembo. Doveva immaginarselo: quello splendido giovane non poteva essere realmente interessato a lei, che si aspettava? L’ipotesi che le avesse però mentito sul fatto di avere una fidanzata la mandava in bestia… perché usarla in quel modo? Voleva forse far ingelosire quell’ipotetica ragazza? Doveva saperlo. Lara doveva e voleva sapere fino a che punto, quella volta, fosse stata sfortunata in amore. “- Devo chiederti una cosa.” Esclamò d’un tratto, vedendolo accigliarsi di colpo. “- Certo…” Rispose Leon, voltandosi verso di lei e attendendo con ansia quella domanda. “- Perché mi hai detto di essere single? E’ la verità?”. A quelle parole il giovane non riuscì a trattenere un ghigno confuso. “- Come? Pensi che io abbia una ragazza e che per qualche strano motivo volessi uscire con te? Per tradirla o… o farla soffrire?” Ipotizzò subito, vedendola scattare in piedi con stizza per allontanarsi, facendo sì che il La Fontaine capisse quanto la sua teoria fosse quella corretta. “- Lara, non lo farei mai!” Aggiunse, bloccandola per un polso e osservandola negli occhi: non voleva ferirla e voleva essere sincero, completamente sincero. “- Tu sei una ragazza meravigliosa… sei simpatica, ami divertirti come me, sei bella… ma la verità è che se inizialmente pensavo di provare qualcosa di più di una semplice amicizia per te, beh… non è più così.” Concluse Leon, vedendola risedersi con aria assente: l’aveva ferita, lo sapeva… ma se voleva chiarire le cose con lei non c’erano altri mezzi per farle mandare giù quella realtà. Quando aveva ricevuto quell’ennesimo sms da lei, era stato felice di vederla, così almeno avrebbe potuto affrontarla una volta per tutte. “- Allora, sono stata io? Ho fatto qualcosa di sbagliato io per farti cambiare idea?” Domandò timidamente la Gonzales, mordendosi nervosamente un labbro. “- No, affatto! E’ colpa mia… faccio continuamente errori ma credimi… non avrei mai voluto darti false speranze se avessi saputo che… che poi ci saresti stata così male. Dovevo immaginarlo.” Stava per dire che, se avesse saputo che prima o poi avrebbe avuto dubbi sulla sorellina di Diego, non avrebbe neppure tentato di conoscere meglio lei con quei modi da Don Giovanni… ma ormai era tardi, voleva frequentare Violetta e doveva mettere i puntini sulle ‘i’ con Lara. “- Mi dispiace tanto…” Aggiunse, stringendo una mano con quella della castana che prese un profondo sospiro per provare a non scoppiare in lacrime di fronte a lui: Leon le era piaciuto sin dal primo istante che lo aveva visto al “Gringo’s” e avrebbe voluto con tutto il suo cuore che tra loro potesse nascere qualcosa ma, evidentemente, come al solito si era immaginata troppo in fretta un futuro tutto rose e fiori senza alcun motivo. “- No, non… non fa niente. Almeno sei stato sincero.” Provò a dire lei, cercando di non tradirsi con quella voce tremante provocata dal fatto che, di lì a poco, sentiva sarebbe esplosa in un pianto liberatorio. “- Scommetto che prima o poi troverai una persona che ti ami come meriti.” Concluse Leon, amareggiato per aver dovuto far arrivare sull’orlo delle lacrime quella ragazza. Se c’era una cosa che odiava era essere confuso, qualunque fosse stato il motivo per farlo stare così e, proprio a causa di ciò, aveva deciso di lasciare Lara ancor prima che tra loro potesse cominciare una relazione… perché su una cosa non aveva dubbi: dopo aver passato del tempo con la secondogenita dei Castillo tutto in lui stava cambiando inspiegabilmente e non c’era più posto per la Gonzales, neppure per provare ad avere una storia con lei… quindi perché illuderla ulteriormente? Così avrebbe sofferto in quel momento, ma tirare troppo per le lunghe quella sorta di conoscenza sarebbe stato inutile per entrambi. Leon aveva intuito che, mentre lui fosse solo rimasto attratto da lei, la giovane fosse cotta e non era giusto tenerla ulteriormente sulle spine. “- Meglio che vada… ciao, Leon.” Lo salutò la ragazza, portandosi mestamente una ciocca dietro l’orecchio, sentendo che non stesse più riuscendo a trattenere le lacrime. “- Ciao.” Ribatté il castano, vedendola correre via, diretta verso l’uscita del parco. Era rimasto nervoso da quell’incontro, non era da lui lasciare perdere una bella ragazza, avendo capito di non essere sul serio interessato a lei… cosa diamine gli prendeva?! Cosa sperava di ottenere facendo il bravo ragazzo? Che incantesimo gli aveva fatto la Castillo da portarlo ad essere così diverso da quello che era e, per giunta, in così poco tempo? Non lo sapeva, ma sentiva solo che volesse starle accanto, volesse stringerla tra le sue braccia ed era tutto così… diverso. Percepiva che fosse nettamente cambiato tutto, come se il suo essere avesse preso a girare di colpo in un’altra direzione… lei era speciale, era stato bene con Violetta e quella sua forza, dovuta al susseguirsi degli eventi drammatici che l’avevano coinvolta, mascherata dalla sua dolcezza e fragilità di sempre, lo affascinava tanto. Si appoggiò meglio con la schiena alla panchina e sospirò profondamente: qualcosa stava nascendo o, almeno, stava iniziando a nascere in lui e voleva seguire quelle strane quanto nuove sensazioni che lo stavano travolgendo come un uragano.
 
 
“- Non è possibile, però! Sei troppo una secchiona!” Camilla apparve sotto l’uscio della camera di Francesca, la quale, seduta alla scrivania, era già alle prese con un grosso volume di chimica. “- Che vuoi? Mi intrattenevo ripetendo qualcosa mentre ti aspettavo!” Sbottò sbuffando la mora, vedendo l’amica entrare e sedersi sul suo letto, appoggiando lo zaino al suolo con aria distrutta, ancor prima di cominciare i compiti. “- Senti, so che è un lusso averti in classe con me perché finalmente avrò qualcuno da cui copiare… ma qui si esagera!” Rise la Torres, facendo scuotere il capo all’altra con aria afflitta. “- Hai portato almeno il quaderno o ti costava troppa fatica?” La rimproverò seria Francesca, vedendola annuire. “- Sì, prof! E oggi addirittura sono dotata di libri! Pensa che fortuna hai avuto!” La prese in giro la rossa, gettando un braccio fuori dal materasso, sperando di recuperare alla cieca la cartella per mettersi al lavoro. La scuola era cominciata da appena due giorni, eppure Francesca adorava essere sempre in pari con il programma e dare il meglio di sé in ogni materia: le piaceva studiare e adorava quasi tutte le materie, non amando troppo solamente l’educazione fisica, in cui si definiva un’autentica frana ma in cui eccelleva con la teoria, grazie alla quale riusciva a salvarsi dai rovinosi quattro, rimediati spesso nella pratica.
“- Dobbiamo ripassare il paragrafo tre… com’è la prof di chimica? Tu la conosci bene, no?” A quelle parole, Camilla storse il naso. “- E’ peggio di una strega! Odiosa, severa e malefica… ah! E subdola! Molto subdola… specie quando interroga!” Sentenziò con tono scioccato al solo pensiero di dover affrontare un ennesimo anno con quella insegnante. “- …Pensa che l’anno scorso mi riprese perché non studiai per l’ultimo compito, capisci?! Era l’ultimo! Ed ero stata anche già interrogata, portandomi a casa il mio stupendo 5 meno!” Francesca alzò un sopracciglio assumendo una buffa espressione perplessa, per poi riconcentrarsi sul libro. “- Insomma, il giorno prima avevo una finale di nuoto! Ero giustificata a priori!” Sbottò, mentre la La Fontaine prese a scuotere il capo, con rassegnazione. “- Quest’anno ti farò rigare dritto io, signorina Torres!” Iniziò Francesca, imitando la voce squillante dell’anziana professoressa, che Camilla pareva odiare abbastanza, e i suoi movimenti esagerati: la conosceva da pochissimo eppure aveva già notato la sua passione per lo sbracciarsi come una forsennata durante le spiegazioni. “- Non ci credo, sei uguale!” Sghignazzò difatti l’altra, piegandosi in due per le risate. “- Basta, al lavoro!” Sentenziò dopo un po’ Francesca, prendendo poi a riflettere: a ricreazione aveva intravisto Diego seduto in un angolo del cortile, da solo e con la solita aria assente. Leon aveva detto che fosse nervoso e che avesse detto di voler starsene per i fatti suoi, lo stesso aveva riferito loro Violetta e anche Seba, aveva ripetuto le medesime parole a Camilla, mentre ognuno rientrava nella propria aula. “- Torna sul nostro pianeta, dobbiamo fare gli esercizi, sì o no?” Sbraitò d’un tratto la Torres, lanciandole una pallina di carta strappata dal suo quaderno per farla scuotere da quello stato di trance in cui pareva essere caduta la bruna. “- CI SEI?” Urlò ancora, vedendola annuire. “- Sì, sul diario li ho segnati…” Commentò di fretta, sbirciando la sua agenda e cercando la pagina del libro. “- Tu stai pensando a qualcos’altro, e voglio subito sapere cosa! Impressioni sulla nuova classe, scuola, prof…?” Cominciò Camilla, a cui, ormai, Francesca aveva imparato, non potesse nascondere niente. “- No, sono solo… dispiaciuta. Hai visto come stava oggi Diego? Poverino, vorrei parlargli, vorrei… aiutarlo ma non saprei nemmeno cosa fare o dire...” A quelle parole la Torres alzò lo sguardo e lo puntò sull’amica, assumendo un’espressione soddisfatta e lasciandola confusa. “- Ah, vorresti parlargli… e magari anche abbracciarlo o… baciarlo?” La La Fontaine sgranò gli occhi sconvolta e le rilanciò la sfera di fogli tiratale prima dalla stessa, facendola ridere di gusto. “- Sto solo dicendo che mi fa male vederlo così, sembra un… fantasma!” Sentenziò Francesca, vedendo l’altra farsi seria di colpo e annuire: era chiaro a tutti come Castillo fosse ancora in una fase di shock che lo faceva comportare come se non gli importasse più di nulla e di nessuno. “- Già, questo è vero… io lo conosco da più tempo di te e posso assicurarti che prima era del tutto un’altra persona, ma lo sai anche tu, suppongo. Povero Diego.” Commentò Camilla, avendo assunto un’aria tesa che non era tipica di una giovane sempre sorridente e allegra come lei: quell’argomento, però, la rendeva angosciata… perché quei poveri ragazzi dovevano soffrire così tanto? “- Dovremmo fare qualcosa… parlare con Seba e Leon, ad esempio!” Esclamò la bruna, vedendo la sua interlocutrice scuotere il capo con decisione. “- Non vuole vedere nessuno… i ragazzi, nel loro piccolo, stanno provando spesso a contattarlo ma lui li tratta male, è aggressivo… e loro non vogliono nemmeno sembrare troppo invadenti…” Commentò la rossa, notando come la La Fontaine abbassasse lo sguardo, mestamente. “- …E comunque io continuo a pensare che tu ti stia affezionando tanto a lui… troppo per volere una semplice amicizia…” Aggiunse poi la rossa, vedendola sgranare gli occhi, stizzita. “- No, dai! Smettila con questa storia assurda, Cami! Per favore!” Sbottò Francesca, irritata: come poteva, la fidanzata di Seba, avere ancora quella assurda ipotesi in mente? Aveva già ripetuto alla Torres che non era interessata a Diego se non come amica, ma lei proseguiva con la sua convinzione. “- Assurda? Pensi a lui, parli di lui, vuoi aiutarlo, ti perdi a fissarlo… e poi io, dico cose assurde?” Le chiese ridacchiando l’amica, vedendola mordersi nervosamente il labbro inferiore: in effetti forse stava dando l’impressione di essersi presa una cotta per il vicino ma non era così, non poteva essere così. “- Sì, Camilla! Tu dici solo cose assurde!” La rimproverò la bruna, incrociando le braccia al petto, piccata. “- Ad una personcina, Diego piace e pure parecchio! Dovrebbe solo accettarlo e ammetterlo a sé stessa.” Concluse Camilla, con il tono di chi non ammettesse ulteriori repliche. “- A chi piace mio fratello?” Quella voce fece sobbalzare tutte e due che, di colpo, si voltarono verso la porta della stanza: Violetta le fissava confusa e faceva passare i suoi occhi nocciola indagatori dall’una all’altra, sperando di capirci qualcosa di più. “- Vilu, cosa ci fai già qui?” Esclamò Francesca agitata, scattando in piedi come se avesse preso la scossa e avvicinandola a passo lento, rendendosi conto di star diventando paonazza in viso per l’imbarazzo. “- Dovevamo andare al parco dopo i compiti e io i miei li ho già finiti…” Commentò lei, continuando a scrutare le due con attenzione. “- Ah! Pensa noi ancora non abbiamo nemmeno cominciato!” Gridò Camilla tesa, aprendo finalmente il quaderno davanti a sé e cercando una pagina bianca. “- Sempre le solite! Conoscendo meglio la qui presente Torres, avrà anche rallentato la regina delle secchione!” Scosse il capo rassegnata la Castillo ghignando e riferendosi a Francesca, andando a sedersi poi sul letto della La Fontaine vicino alla rossa, la quale teneva lo sguardo concentrato come mai in vita sua sugli appunti presi durante le lezioni. “- Allora? A chi piace Diego? C’è un nuovo scoop che non so su mio fratello e non me ne parlate?” Incalzò ancora Violetta, vedendole lanciarsi una rapida occhiata. E ora? Come la mettevano?
 
 
Pablo era nella camera degli ospiti, intento a sistemare le sue ultime cose rispettando ciò che gli aveva severamente ordinato Angie: siccome la stanza era una per entrambi, l’armadio spettava a lei quasi per intero, il letto matrimoniale anche, i comodini lo stesso… così Galindo si ritrovò a ordinare i suoi effetti personali in un misero mobiletto basso e qualcosa la inserì nella cassapanca ai piedi del letto, piena, già per metà, di scarpe della Saramego. “- Ah, le donne! Povero me…” Sibilò tra sé e sé, stendendosi sulla brandina che la bionda gli aveva posto quasi vicino alla porta d’accesso alla camera: per poco non ruzzolò dal lato opposto e si ripromise di gettarsi lì sopra con più lentezza la prossima volta… non poteva certo rischiare di cappottare, magari di fronte a lei? Che figuraccia ci avrebbe fatto, poi? L’uomo prese a fissare il soffitto con aria stanca: il naso, dopo il cazzotto ricevuto da Diego, gli faceva ancora male, seppure non tanto come i primi giorni da quando lo aveva beccato… tuttavia, ancora il ragazzo lo snobbava, ignorandolo del tutto, come se lui, in casa, quasi non ci fosse… e neppure gli aveva chiesto scusa, sebbene la zia e la sorella maggiore gli avessero domandato più volte di farlo. In fondo però, Pablo lo capiva: era arrivato lì all’improvviso, contro la sua stessa volontà e poi, prima di andare al processo per l’affido, aveva fatto sudare a tutti sette camicie, anche solo per presentarsi in tribunale… quindi era normalissimo che ora lo odiasse. Prima che German e Esmeralda avessero quel tragico incidente, i ragazzi con lui avevano un rapporto di conoscenza, nulla di più… e ora, immaginava che ritrovarsi sotto il loro stesso tetto fosse visto, soprattutto dal maggiore dei tre, come una vera e propria invasione della sua proprietà. E poi c’era Angie. La sera che lo aveva curato dopo il cazzotto aveva seriamente avuto l’istinto di baciarla con trasporto ma, per evitare di prendere un ceffone che si sarebbe unito al dolore del destro di Diego, aveva evitato. Non sapeva spiegarsi perché, ma quella donna lo intrigava particolarmente e non era un fascino come quello che aveva sempre sentito rispetto alle altre… no. Più volte si era reso conto di perdersi a osservarla dormire, contemplandola quasi come fosse una sorta di divinità… sembrava tanto dolce e calma, eppure, per quanto non volesse darlo a vedere, soffriva, e tanto. A volte, o meglio, sempre più frequentemente nell’ultimo periodo, Galindo aveva notato quanto si agitasse nel sonno per qualche incubo, svegliandosi poi di soprassalto e rannicchiandosi in posizione fetale tentando di tranquillizzarsi, ignorando l’aiuto che più volte lui le aveva offerto in quei momenti così drammatici. Improvvisamente si ritrovò a pensare a quando, la Saramego, qualche tempo prima, gli aveva detto che non si innamorava e la cosa lo faceva ancora riflettere sul perché di tale affermazione. D’un tratto, decise che voleva chiederglielo, così, d’istinto… e si alzò di colpo dal suo letto, se così si poteva definire, uscendo quasi di corsa, per poi scendere le scale. Ambar era nella sua cameretta a giocare con le bambole, Diego era andato a fare un giro da solo e Violetta era a casa dei La Fontaine… ma la donna dove si era cacciata? In salotto non c’era traccia di lei, così Galindo si avviò verso la cucina e, di spalle, la vide seduta al bancone, con il volto tra le mani e l’aria di chi stesse piangendo. “- Angie…” Balbettò, facendo qualche passo verso di lei e non ottenendo alcun risultato. Le si avvicinò ancora, arrivandole a pochi metri e il sangue gli si raggelò quando, davanti alla donna, intravide un bicchiere di vetro e una bottiglia di liquore, di quelli forti, che persino lui non riusciva a reggere. “- Non ci posso credere…” Esclamò, sedendole poi accanto e scrutandola: la Saramego nemmeno aveva alzato gli occhi, seppure fosse chiaro che lo avesse sentito, e continuava a celare il volto dietro le sue dita, con disperazione. “- Non l’ho nemmeno aperta. Sono troppo codarda anche per bere, non ti preoccupare.” Sentenziò d’un tratto, rimanendo però immobile e sentendolo prendere un profondo respiro. “- Codarda?! Tu?! Ma che diamine dici?! Non potevi farlo, non ti ci vedrei nemmeno ad ubriacarti! Tu… insomma, tu sei quella razionale, responsabile e… e intelligente! Quello che si attacca alla bottiglia, il cretino rimbambito e immaturo qui… beh, quello sono io!” Esclamò Pablo, scattando in piedi e prendendo a camminare nervosamente avanti e indietro per la cucina, confuso. “- Appunto. Io sono quella razionale, responsabile e intelligente… però, in ogni caso, non ce la faccio più.” Concluse la bionda, incrociando finalmente le braccia davanti a sé e perdendosi a fissare un punto indefinito di fronte a lei. “- Sì che ce la fai, forza! Tu sei… sei coraggiosa, non puoi mollare ora! Come facciamo senza una guida in questa casa? Ti avverto che io non sarei capace di fare neppure la metà di quello che fai tu con i ragazzi!” “- E cosa sto facendo di tanto speciale?” Domandò di colpo la donna, sbattendo le mani sul legno del bancone con stizza. “- …Insomma… Diego sta sempre peggio e ti stava per spaccare il setto nasale, Violetta si finge forte ma so che sta malissimo e Ambar parla con altalene vuote! Pensi che stia facendo qualcosa di buono? Io non credo.” Concluse la bionda, con tono quasi tremante per la rabbia e la disperazione: Angie era crollata e Galindo doveva ammettere che non se lo sarebbe mai aspettato. Se lei alzava bandiera bianca come avrebbero fatto a portare avanti quella casa, lui, da solo? “- Ma non è colpa tua! Tu stai facendo il possibile e credimi se ti dico che nessuno sarebbe stato meraviglioso come te nell’aiutarli. Ne sono sicuro.” Il tono del bruno si addolcì di colpo e si risedette vicino a lei, sfiorandole una spalla ma venendo fulminato con lo sguardo, cosa che gli fece ritirare di colpo il braccio, quasi avesse preso la scossa sul serio al solo toccarla. “- Non li sto aiutando affatto! Non saprei nemmeno da dove iniziare per farlo!” Sbottò lei, prendendosi di nuovo la testa tra le mani, distrutta ancor di più da quella conversazione. “- Tu, in realtà, stai male per Esmeralda.” Quelle parole di Galindo la fecero voltare di colpo e prese a fissarlo a bocca aperta: come gli era preso di dire una cosa del genere? “- E’ ovvio. E’… era mia sorella.” Sibilò freddamente la donna, prendendosi a mordere freneticamente il labbro inferiore per provare a non scoppiare in lacrime. Forse Pablo aveva ragione: non c’era giorno o notte che non pensasse a lei e terribili incubi le mostravano spesso un auto in un dirupo… la macchina dei coniugi Castillo. Si svegliava in un mare di lacrime e la cosa più terribile era riuscire a riprendere sonno, respingendo ogni notte l’aiuto che l’uomo le offriva, persino quando si limitava a proporle di andare a prendere per lei un semplice bicchiere d’acqua. “- Intendevo che non hai mai sfogato tutto il tuo dolore per la sua scomparsa… sei sempre stata completamente presa dai ragazzi, dal loro destino… nemmeno avrai avuto il tempo per farlo... e ti stai tenendo tutto dentro.” Quella frase così saggia sorprese lo stesso Galindo il quale, prontamente, abbassò gli occhi, sperando che lei non l’avrebbe mandato a quel paese per non essersi fatto gli affari propri. Angie, dal canto suo, non disse nulla e si voltò di poco verso di lui, guardandolo dritto negli occhi e non avendo neppure la forza per proferire parola. “- Ma tu che ne sai?!” Balbettò d’un tratto un po’ stizzita. “- Che ne so? Beh, lo posso intuire e poi… lo so cosa provi…” Sussurrò il bruno, vedendola di nuovo abbassare gli occhi sul bicchiere, vuoto e ancora pulito sul tavolo. Nessuno sapeva meglio di lui come stesse la Saramego. Ci era passato. Aveva perso non uno, ma ben due fratelli e ancora ne soffriva troppo, per quanto tentava di non darlo a vedere.“- …Posa questa roba. Piangi, grida, picchiami se ti farà sentire meglio… ma l’alcool no. Non risolverà nulla e lo dico per esperienza personale.” Concluse Pablo, alzandosi e porgendole una mano per farle fare lo stesso, essendo lo sgabello abbastanza alto: la Saramego ignorò l’uomo e scese da sola, restando però ad osservarlo con aria circospetta e cupa. Il moro, seppure lei non l’avrebbe mai ammesso, in effetti, aveva ragione, su tutto. Sì, stava male per i suoi nipoti ma forse, il motivo di fondo del suo stato, era la morte della sorella per la quale non aveva nemmeno avuto il tempo di sfogare il suo dolore del tutto. “- Meglio che prepari la cena…” Soffiò tra sé la donna, prendendo poi un profondo sospiro e stringendo i pugni per farsi forza, aggirandolo e cominciando a cercare qualcosa di commestibile e facilmente cucinabile nei mobili. “- Wow, anche stasera rischieremo l’avvelenamento?” Scherzò lui, venendo raggelato da un’altra occhiataccia da parte della zia dei figli di German. “- Scherzo, tesoro! Te l’ho già detto che dovresti trovare un modo per rilassarti…” Il barlume di sanità mentale di Pablo, pensò Angie, era svanito di nuovo. Era tornato nel giro di qualche minuto il solito folle di sempre con quei toni irritanti e maliziosi che le davano il voltastomaco. E dire che fino a poco prima pensava che potesse esserci anche altro oltre a quel solito immaturo che ora la fissava con aria fin troppo interessata. “- Dacci un taglio.” Commentò seccamente lei, afferrando una confezione di uova da uno dei ripiani interni del frigorifero e richiudendone l’anta con foga, ancora innervosita da lui. Improvvisamente il campanello suonò ripetutamente e Pablo, più vicino alla porta della cucina, si avviò con passo tranquillo verso quella d’ingresso alla casa. “- Arrivo!” Urlò con tutta calma, accendendosi prima la tv per non perdersi la partita del suo amato Independiente, impegnato contro il Boca Junior. Il campanello risuonò ancora, e la Saramego, esasperata, si avvicinò al salotto, avendo intuito che Galindo fosse troppo preso a fare altro per prendersi la briga di andare a vedere chi fosse. “- Diego avrà dimenticato le chiavi…” Parlottò tra sé e sé, aprendo di colpo e ritrovandosi di fronte un uomo che di certo non era suo nipote. “- Lei dev’essere la signorina Saramego… buonasera.” La donna lo fissò perplessa cercando di capire chi diamine potesse essere quel tipo così distinto: non era elegantissimo, indossava una camicia azzurra, un lungo cappotto, e dei pantaloni classici. Una valigetta nera in una mano attirò poi la sua attenzione… che voleva? Un venditore porta a porta? A quell’ora? Aveva un certo aplomb e l’aria seria e severa la fece quasi rabbrividire. “- Scusi ma lei chi…?” Domandò, senza dire se avesse ragione o no. “- Mi perdoni, non mi sono presentato…” A quelle parole persino Pablo si avvicinò alla porta, lasciando addirittura la sua amata partita di calcio per capire a chi appartenesse quella voce. “- Sono Gregorio Casal, l’assistente sociale mandato dal tribunale.” Concluse, vedendoli sbiancare di colpo, dopo essersi lanciati un’eloquente occhiata tra loro. “- So che non mi aspettavate ma funziona così… visite a sorpresa.” Commentò l’uomo come se nulla fosse, vedendoli indietreggiare e appoggiandosi allo stipite con aria stizzita. “- Posso entrare o devo segnare sin da subito che siete due maleducati?” Sbottò, ticchettando con una penna dorata che estrasse repentinamente dalla tasca del suo lungo impermeabile, su una cartelletta che teneva sottobraccio. “- No, no! Per carità! Si accomodi pure!” Si sforzò di sorridere la bionda, tirandosi Pablo per un braccio come per farlo risvegliare da quello stato di trance in cui sembrava essere caduto nel sentire chi fosse quell’improvviso ospite. “- Molto gentili e spontanei…” Ironizzò lui, varcando la soglia e cominciando sin da subito a guardarsi intorno con aria disgustata per il troppo disordine: sul divano erano ammassati due gameboy, un pc portatile, svariati libri e bambole sparse sul tappeto tra le quali dovette fare lo slalom, mentre la tv a tutto volume doveva evidentemente infastidirlo, tanto che le si avvicinò come un falco che punta la sua preda e la spense con stizza. “- Si… si accomodi, gradirebbe una tazza di caffè?” Domandò Angie, ravviandosi nervosamente i capelli, in quel momento di certo non pettinati alla perfezione. “- No, grazie.” Sbottò con noncuranza lui, cominciando a girare per il salotto analizzando con attenzione tutto ciò che vedeva, mentre Pablo e la Saramego rimasero immobili ancora vicino alla porta a fissarlo. “- I ragazzi dove sono?” Domandò di colpo l’uomo, facendoli quasi sobbalzare. “- Il maggiore, Diego è uscito a fare una passeggiata e lo stesso ha fatto Violetta, la secondogenita.” Rispose la bionda, per poi continuare: “- …La piccola Ambar invece è in camera sua a giocare.” Concluse, vedendolo osservarla con aria imperscrutabile da sotto ai suoi occhialetti tondi che gli davano un aspetto ancor più severo di quanto non avesse già di per sé. “- E come mai lei ha il naso in quello stato?” Domandò poi rivolgendosi a Pablo, senza neppure voltarsi per guardarlo in faccia, avendo probabilmente notato la vistosa fasciatura appena fosse entrato in casa. “- Fa pugilato.” Inventò Angie prima che Galindo potesse aprir bocca per dire qualunque cosa: se solo l’uomo avesse intuito che il cazzotto l’avesse rimediato da Diego avrebbe mandato i tre Castillo, seduta stante, in chissà quale orfanotrofio della capitale, credendo non si trovassero per niente bene con l’uomo. “- Certo, e in che categoria: pesi formica?” Incalzò Casal ironico, cominciando a scribacchiare qualcosa sul blocco che aveva tra le mani. “- Non l’ascolti, sta scherzando!” Ridacchiò Galindo, fissandola di sbieco e facendo sì che con un solo sguardo capisse che, quella scusa assurda, Gregorio non se la sarebbe mai bevuta. “- Ho sbattuto contro una porta… Angie non fa altro che prendermi in giro! Le voglio così bene!” Sentenziò l’uomo, provando ad abbracciarla per le spalle e beccandosi un’occhiataccia, vedendo annuire l’assistente sociale, comunque poco convinto. Gregorio si diresse poi verso la cucina e, la prima cosa che vide, sul bancone, gli fece storcere il naso: il bicchiere vuoto e la bottiglia di liquore attirarono prontamente la sua attenzione e afferrò quest’ultima per studiarla meglio. “- Chi è l’alcolizzato tra i due? La bella principessina o lo scalmanato?” Ghignò come se volesse prenderli in giro, lasciandoli perplessi sotto l’uscio. “- No, macché! Siamo astemi!” Si affrettò a sbottare la Saramego, mentre Pablo assunse un’espressione come se quella descrizione non lo rappresentasse appieno. “- Andiamo in salotto e sedetevi per favore, voglio parlare con voi… sinceramente.” Commentò Casal riappoggiando l’oggetto sul tavolo e vedendoli dirigersi verso la stanza accanto, alquanto turbati. Se c’era qualcosa che Gregorio odiava era essere preso in giro e sentirsi rispondere con una marea di menzogne: dovevano chiarire le cose… e subito.
 
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Lo so, stiamo tutti festeggiando per il fatto che Leon ha lasciato perdere Lara che, in fondo, non è cattiva! ;) Vedremo cosa accadrà in seguito… e come il ragazzo si avvicinerà a Vilu! Dgtrgtrtr :3 Intanto Cami insiste con la storia di Fran cotta di Diego e Violetta ha sentito qualcosa… ora cosa le diranno? E passiamo poi al crollo della povera Angie… :’( Dolce Pablito che tenta di aiutarla sempre, aw! :3 Mentre, sul finale, arriva Gregorio Casal, l’assistente sociale… apparentemente spaventoso… Sarà davvero così cattivo? Lo scopriremo presto! ;) Grazie a tutti coloro che seguono e recensiscono la storia, siete gentilissimi! :3 Alla prossima, ciao! :) DulceVoz. :)

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Capitolo 14
*** Clima rovente. ***


Clima rovente. Cap.14
 
Violetta attendeva spiegazioni e faceva passare il suo sguardo dalla sua amica storica, Camilla, alla padrona di casa, la quale, rimasta di sasso, si scambiò un’eloquente occhiata con la rossa. “- Allora? Perché non volete dirmelo?! Chi ha questa cotta per Diego?” Domandò ancora la Castillo, vedendo Francesca abbassare lo sguardo di nuovo sul suo libro di chimica come se nulla fosse, sperando che la Torres, senza dubbio più brava di lei nell’inventare scuse, si facesse venire in mente qualcosa. “- Francesca.” Concluse invece l’altra come se fosse la cosa più ovvia del mondo, lasciando di stucco Violetta e facendo sobbalzare la mora che scattò come una molla dalla sedia per avvicinare le due, scioccata dalla risposta dell’amica. “- Non è vero! Ignorala! Sai com’è fatta, dice un sacco di sciocchezze!” Prese a straparlare e gesticolare la La Fontaine, camminando nervosamente avanti e indietro per la camera, alla ricerca di chissà cosa per dissimulare il suo nervosismo. No, quella non era la realtà, lei non era innamorata di Castillo e mai lo sarebbe stata. Perché Camilla si ostinava a portare avanti quell’assurda teoria, adesso per giunta comunicandola a Violetta? Incredibile!
“- Sì, non è vero, come no! Guardala com’è nervosa…” Commentò sottovoce la Torres, osservando la bruna scavare qualche oggetto introvabile dall’interno del suo zaino, ai piedi della scrivania, dal quale aveva preso ad estrarre almeno una dozzina di libri e quaderni. “- E perché non lo vuoi ammettere? Guarda che non c’è nulla di male, eh… cognatina!” Ridacchiò la castana, facendo sì che Francesca le lanciasse uno sguardo infuocato quanto sconvolto. Cognatina? Cosa saltava in mente alle sue amiche? “- Dateci un taglio, non vi sopporto più!” Esclamò la bruna, rialzandosi con due volumi e un astuccio sotto al braccio per dirigersi di nuovo verso la sedia alla quale era prima, ignorando le due con cipiglio piccato. Il suo interesse per Diego era dovuto solo al fatto che lo considerasse quello più sconvolto per la morte dei suoi genitori… e le dispiaceva vederlo in quello stato. Era così difficile da capire per le due ragazze? “- D’accordo, allora rispondi a questa semplice domanda…” Iniziò Camilla, vedendola voltarsi di pochi millimetri con noncuranza, continuando a sfogliare il libro di chimica davanti a sé senza neppure guardare a che pagina si trovasse. “- Parla! E prega per te che il tuo quesito riguardi la geometria molecolare!” Sbottò stizzita Francesca, facendo ridacchiare Violetta e scuotere il capo alla Torres. “- Io ho una domanda… che diamine è la geometria molecolare?” Chiese la Castillo, continuando a sghignazzare. “- Non ne ho idea, ma Fran: ascoltami bene e tieniti pronta perché dopo pretenderò una risposta valida.” Ribatté con decisione la rossa, vedendola ruotare gli occhi al cielo e annuire con stizza. Almeno poi l’avrebbe lasciata in pace… “- …Se Dieguito non ti interessa perché non fai altro che parlare di lui, di pensare a lui, di nominare lui?” “- Ah davvero? Io non ne sapevo nulla!” Sorrise di colpo Violetta, stringendo a sé un cuscino a pois che era accanto a lei sul letto di Francesca. “- Che cosa c’entra?! Mi interessa perché lo vedo sconvolto e soffro nel sentire che soffre…” La La Fontaine sussurrò quelle ultime parole abbassando gli occhi e la Castillo, azzittendo con un gesto della mano la fidanzata di Seba che stava per ribattere qualcosa, le si avvicino a passo lento, accovacciandosi poi davanti a lei per guardarla bene negli occhi. “- Fran è molto dolce da parte tua…” Mormorò la castana, prendendole le mani e stringendole con le sue, per poi continuare: “- …Però credimi, attualmente, a parte tentare di parlare con mio fratello, possiamo fare poco o nulla. E’ distrutto e ha bisogno solo di sentirci tanto vicini, senza però invadere i suoi spazi…” Concluse Violetta, vedendola mordersi un labbro con nervosismo. “- Sì, penso che sia giusto così.” Balbettò a disagio l’altra, vedendo la Castillo annuire con decisione, rialzarsi e dirigersi di nuovo verso il posto in cui era seduta poco prima accanto alla Torres. “- Comunque se dovesse piacerti sappi che non avrei nulla in contrario, eh! Anzi… penso che potrebbe fargli bene una ragazza tenera e intelligente come te, accanto.” Aggiunse poi dolcemente, con tono serio e non scherzoso come quello precedentemente usato dalla Torres riguardo ad un ipotetico innamoramento della mora. Francesca non disse nulla ma sorrise amaramente, colpita dalle parole dell’amica e anche da quell’ultima frase. Cos’era quella, una sorta di benedizione? Lei non amava Diego dunque non ne carpiva il senso… ma ad ogni modo era stato carino da parte di Violetta dirle quelle cose così amorevoli. “- Prima o poi diventerete parenti voi due, lo sento…” Allentò l’atmosfera la solita Camilla, facendole sogghignare, più rilassate. “- Vilu se lei non vuole sentire ragioni, seppure io sono convinta che qualcosa prima o poi accadrà, punta tu a Leon! Se proprio vuoi una cognata così secchiona, beh… accomodati!” Sentenziò ancora la rossa, facendo sentire offesa per quell’affronto la La Fontaine e sgranare gli occhi alla Castillo che la fissò per lunghi secondi con una buffa espressione sorpresa. “- Come?!” Esclamò scioccata, mentre la ragazza era ormai distesa a ridere come una pazza. Il fratello di Francesca le era piaciuto sin dal primo istante in cui l’aveva visto e doveva ammettere che, nell’ultimo periodo, averlo così vicino, l’aveva fatta sentire meglio, bene… seppure non si fosse potuta godere appieno quegli attimi di spensieratezza neppure per un secondo. In realtà era da parecchio che non viveva con quella gioia e leggerezza nel cuore e la sensazione le mancava non poco… ma non doveva crogiolarsi in quegli attimi sereni e spensierati, lei sapeva di dover farsi forza per sé, per i fratelli e sua zia… non poteva crollare definitivamente, né in quel momento, né mai. “- Sì, insomma… anche Fran ha un fratello gemello carino, è innegabile!” Sentenziò la Torres, fissando dapprima lei, con aria sconvolta e poi la bruna che alzò le spalle, confusa ma con aria divertita. “- Cami hai mai pensato di aprire un’agenzia matrimoniale?” Ironizzò la La Fontaine, facendo assumere un’espressione pensierosa alla rossa. “- Ci potrei pensare, in effetti! Almeno non dovrei studiare la tua amata chimica!” Rispose sbuffando, mentre le due amiche ridacchiarono allegramente, momento al quale seguì un secondo di silenzio che venne poi interrotto da Violetta: “- Sono felice di stare con voi… almeno riesco a distrarmi e a non pensare sempre a…” La castana, con aria improvvisamente rattristata, abbassò gli occhi e si interruppe a metà di quella frase senza avere la forza di continuare, ma le altre due capirono al volo e non dissero nulla, annuendo comprensive. “- Noi ci siamo, Vilu… e ci saremo sempre, lo sai.” Commentò Camilla, mentre Francesca si alzò e si andò a sedere accanto alla Castillo, prendendo ad accarezzarle la schiena dolcemente per rassicurarla. “- Per qualunque cosa sai dove trovarci, a qualunque ora del giorno e della notte… non farti mai alcun problema per chiamarci o venire, sul serio.” Aggiunse la mora, vedendo un piccolo e amaro sorriso dipingersi sul volto della sorella di Diego. “- Grazie…”  Balbettò lei, risollevando gli occhi e fissando entrambe, partendo dalla Torres. “- Cami, io e te ci conosciamo da una vita, da quando eravamo due mocciosette capricciose…” Sussurrò, per poi posare il suo sguardo sull’altra: “- …E Fran… non ci conosciamo da tanto, anzi… ma credimi se ti dico che è come se ti conoscessi da tutta la vita…” Aggiunse, mentre la ragazza le poggiò la testa su una spalla per farle coraggio. “- Vi voglio bene, un mondo di bene.” Concluse la Castillo, stringendo entrambe a sé con affetto, con forza, quella che loro riuscivano a infonderle con una semplice chiacchierata. Era da un po’ che voleva ringraziarle e non sapeva perché fosse riuscita solo in quell’istante a farlo… però era contenta di esserci riuscita, perché aveva due amiche meravigliose che meritavano il meglio e sapeva già che avrebbe fatto di tutto per ricambiare a quell’affetto che le facevano sentire ogni giorno.
 
 
Pablo e Angie erano sul sofà con aria nervosa, mentre Gregorio si era accomodato sulla poltrona alla loro sinistra e li fissava di tanto in tanto da sotto agli occhialetti, continuando a scribacchiare sul suo blocco qualcosa con una calligrafia incomprensibile. “- Signori, innanzitutto dovete sapere che, per quanto imperfetti possiate essere, non credo ci sia un motivo valido per cui debba consegnare un verbale che indichi qualcosa fuori posto in questa casa…” Iniziò l’uomo, sentendo un sospiro di sollievo provenire chiaramente dalla Saramego. “- La bottiglia che ho trovato era sigillata e il bicchiere pulito, dunque, dopo tutto quello che avete e state passando, non lo trovo poi così strano il pensiero di bere… finché rimanga un pensiero e basta, sia ben chiaro.” Esclamò criptico Gregorio, facendo sì che i due annuissero di fretta: no, la scusa degli astemi non se l’era bevuta, era evidente… che quella del pugilato neppure avesse retto? “- Come stanno i ragazzi? Intendo… dopo il trauma, voi come li vedete?” Chiese l’assistente sociale, notando subito la donna mordersi nervosamente il labbro inferiore con aria pensierosa. “- …Siate sinceri per favore… il loro stato non dipende da voi, è tutto una sorta di clima che si sarà formato dopo l’incidente… e leggendo la vostra storia, non mi aspetto che sia tutto rose, fiori e arcobaleni...” Aggiunse Gregorio serio, osservando con attenzione i due scambiarsi una rapidissima occhiata eloquente. “- Ecco, vede… qualche problemino c’è, il colpo è stato durissimo ed è inutile nasconderle che loro, ecco… beh, bene non stanno…” Azzardò Angie, vedendolo annuire con calma, continuando a scrivere come se stesse appuntando ogni parola uscisse dalle sue labbra, cosa che le mise addosso ancor più tensione. “- Problemino? Cosa intende per… problemino?” Chiese l’altro con aria pacata, mentre lei prendeva un profondo respiro, cercando le parole giuste per spiegarglielo. “- Penso che… abituarsi a questa convivenza con noi due non sia una passeggiata e poi ci aggiunga la profonda ferita per la perdita dei genitori.” Commentò ancora la Saramego, facendo annuire l’uomo che, bloccandosi di colpo con la penna a mezz’aria, si passò una mano sotto al mento con aria serissima e imperscrutabile. “- Capisco.” Commentò riflettendo attentamente per poi continuare: “- E voi due? In che relazione siete?” Chiese ancora l’assistente sociale, facendo accigliare i due di colpo. “- Siamo… conoscenti, più o meno.” Si affrettò Galindo ad anticipare la bionda, attendendo la reazione severa dell’interlocutore che non tardò ad arrivare. “- E spero rimarrete tali.” Sentenziò glaciale, per poi spiegarsi meglio, vedendoli alquanto perplessi: “- Se mai dovesse nascere qualcosa che vada oltre questo stato di… conoscenza attuale, ecco… sappiate che vi mettereste in un bel guaio…” “- No, no! Stia pur tranquillo che noi due non proviamo assolutamente nulla l’una per l’altro, se è questo che intende!” Esclamò di fretta Angie, vedendo Pablo voltarsi di colpo verso di lei, quasi contrariato da quell’affermazione: beh, se lui provava un’enorme attrazione verso la donna, pur sempre qualcosa provava e non era affatto un “nulla”. “- Adesso, magari signorina… ma vivete sotto lo stesso tetto e siete single… ‘l’occasione fa l’uomo ladro’… e l’amore, nel vostro caso… è un gravissimo errore!” Aggiunse con tono freddo e autorevole Gregorio, azzittendola quando stava per dire qualcosa di più. “- …Vede, una vostra ipotetica relazione, potrebbe complicare non poco le cose… ci pensi: come la prenderebbero i ragazzi? E se dovesse poi la storia finire male… come fareste voi a vivere sotto lo stesso tetto? Sono tutte cose che vanno tenute in conto.” Concluse Casal, vedendola annuire, serissima. “- Sì, ma ciò non accadrà, glielo assicuriamo. Se un giorno da ‘conoscenti’ dovessimo passare ad ‘amici’ è già tanto.” Esclamò la donna dopo qualche secondo di silenzio, facendo annuire Gregorio, tuttavia poco convinto. “- Bene, io dovevo avvertirvi.” Disse lui, scribacchiando altri appunti freneticamente. “- Posso parlare alla bambina? Mi pare sia in casa, avete detto, no?” Domandò riferendosi ad Ambar, osservando ancora con attenzione i due: da quanto avevano detto il loro rapporto si fermava ad un conoscersi lontano, ma il fatto che solo Angie avesse risposto con tanta sicurezza alle sue affermazioni riguardo ad un loro futuro come coppia, lo rendeva perplesso… se Galindo non parlava, beh… poteva significare solo che lui provasse qualcosa per la Saramego, seppure Casal non sapesse a che punto si fermasse quel “qualcosa”. Attrazione? Probabile, la sorella della defunta Esmeralda era una bella donna, non era di certo un segreto. Amore? Ad ogni modo, in entrambi i casi, la faccenda era delicata e si sentì la coscienza apposto nell’avere avvisato loro a cosa andassero incontro con l’iniziare un qualsiasi tipo di relazione. “- Certo, la vado a chiamare…” Sorrise la Saramego, alzandosi per avviarsi verso le scale che davano al piano superiore  e lasciando Pablo e l’assistente sociale da soli nel salotto, sui quali era calato un teso e imbarazzato silenzio. “- Levi gli occhi di dosso alla signorina… mi creda, è meglio per tutti voi.” Sussurrò glaciale e improvvisamente Gregorio, facendo sobbalzare il moro che lo fissò per qualche secondo imbambolato. “- Prego?!” “- Non ha l’aria del finto tonto, quindi non lo faccia con me che, mi creda, non sono affatto uno stolto. Ha capito perfettamente cosa intendo…” Sibilò ancora l’altro, analizzando la sua espressione, per poi alzarsi e andare ad accomodarsi di colpo accanto a lui. “- Che sia solo sesso o ne sia innamorato sul serio, beh... poco importa. Si allontani da lei in quel senso.” Concluse Gregorio, vedendolo scuotere il capo in segno di dissenso. “- No, mi sa che ha capito male, ha sentito Angie? Tra me e lei non c’è assolutamente nulla e stia tranquillo che mai ci sarà…” Tentò il bruno, venendo interrotto con un gesto stizzito della mano dall’uomo mandato dal tribunale: “- Certo, però appunto, lo ha detto lei, solo lei… ma, mio caro Pablito, ti do del tu, non ti ho sentito intervenire quando la signorina mi ha riferito quelle cose… ed io l’ho interpretato, per carità forse sbagliandomi, quasi come se tu non fossi stato d’accordo… e poi come la guardi… insomma, volevo solo la certezza che approvassi a tua volta ciò che ha detto Angeles…” A quelle parole il moro si accigliò: poteva essere così astuto quel tizio da avergli letto la mente o qualcosa del genere? “- Sì, ovviamente…” Balbettò con nervosismo, vedendo ghignare il più anziano e sentendo dei rumori provenire dalle loro spalle. “- Eccoci qui.” La melodiosa voce di Angie riecheggiò nel salotto e accanto a lei c’era la più piccola dei fratelli Castillo che fissava, seria e quasi impaurita, il signore accanto a Pablo. “- Ciao, piccolina! Io sono Gregorio, tu devi essere...” “- Ambar Castillo.” Esclamò lei tutto d’un fiato, un po’ tesa, fissando poi la zia che le sorrise, come per rassicurarla. “- Come stai?” Domandò l’uomo, mentre la bambina si voltò di nuovo verso la donna che le fece cenno di rispondere, stringendole teneramente le spalle con un braccio. “- Bene… però dovresti chiederlo a lui che si è beccato un pugno da Diego, non a me!” Esclamò, indicando Pablo che sobbalzò dal divano, mentre la Saramego sbiancò paurosamente. “- Ah, i bimbi… la bocca della verità!” Esclamò Casal, vedendo la piccola sedersi accanto a Galindo che, intanto, aveva preso a guardare la donna che alzò le spalle, chiaramente in panico. “- E come mai? Hanno litigato?” Incalzò Gregorio, vedendo la bimba scuotere il capo con foga. “- Oh, no! Pablo non ha fatto nulla di male… è mio fratello che non lo voleva qui… beh, almeno credo!” Spiegò con naturalezza la piccola, vedendo annuire l’assistente sociale. “- Ah, dev’essere lui!” Saltò in piedi come una molla Ambar, sentendo le chiavi girare nella serratura della porta d’ingresso. “- Eccoti!” Saltellò felice, correndo ad abbracciare Diego che apparve sull’uscio e si ritrovò stritolato in un abbraccio fino alla vita, rimanendo immobile e sorpreso di vedere quel tipo sconosciuto, tranquillamente seduto sul loro sofà: cosa era successo?! Che voleva?! Se pensava di separare loro tre in qualche casa famiglia chissà dove, si sbagliava di grosso e come aveva dato una lezione a Pablo l’avrebbe fatto anche con lui senza problemi, poco ma sicuro. “- Il signore è…?” Domandò alla zia, accarezzando debolmente e quasi meccanicamente il capo ad Ambar che lo stringeva ancora in una morsa affettuosa. “- L’assistente sociale mandato dal tribunale.” Ribatté la donna, sentendo la porta alle spalle del nipote cigolare di nuovo, venendo ancora aperta: anche Violetta apparve in casa tutta trafelata e, come il fratello, rimase sorpresa nel vedere quel volto mai visto prima sul divano del loro salotto. “- Prima che te lo chieda anche tu, signorina, sono l’assistente sociale, Gregorio Casal… piacere di avere finalmente la famiglia al completo!” Sorrise amichevolmente l’uomo, facendo ghignare amaramente il maggiore dei tre figli dei coniugi scomparsi. “- Famiglia al completo… le pare il termine più adatto?” Iniziò Diego con tono minaccioso, facendo qualche passo in avanti verso il sofà e incrociando le braccia al petto. “- Hai ragione, perdonami.” Castillo sbiancò a quelle parole così naturali e sincere: gli passò di colpo la voglia di tirare un pugno a quel tizio e abbassò gli occhi, rattristato e non potendo non darlo a vedere: non erano più una famiglia, la sua era distrutta, sgretolata come neve al sole… e solo sentire quella parola lo mandava in bestia. Annuì come se l’avesse scusato e fece per salire di sopra ma l’uomo lo interruppe ancora: “- Devo parlare con te, e con le tue sorelle. Mi farai l’onore di scendere tra cinque minuti?” Esclamò Casal, attirando la sua attenzione e facendogli stringere con più foga il corrimano della scala. “- Non voglio uno strizzacervelli, grazie.” “- E infatti non lo sono.” Sentenziò a tono Casal, scattando in piedi e osservandolo con attenzione: era rimasto spiazzato da quella frase e lo fissava a sua volta, la mascella contratta in una smorfia di disappunto e gli occhi verdi spenti, per lo più vuoti, in cui era chiara solo una nota di rabbia. “- Diego, vieni a sederti…” Lo pregò Violetta, supplicandolo con lo sguardo e osservandolo prendere un profondo respiro, per poi scendere quei due gradini sui quali era riuscito a salire. Il silenzio era calato nella stanza, Gregorio era ritornato a sedersi sulla poltrona e aveva invitato Angie e Pablo a chiudersi da soli in cucina, sperando di non doversi pentire di quell’allontanamento inevitabile: in fondo precedentemente li aveva avvertiti e poi doveva parlare da solo con i ragazzi e i tre, accomodati già di fronte a lui, lo guardavano in attesa di domande. Non sarebbe stato facile ma Casal voleva e doveva capire qualcosa in più sui Castillo e sui loro tutori.
 
 
“- Sono chiusi da una vita di là… e se andasse male?” “- E se andasse bene?” “- E se non fosse così, Pablo?” Angie e Galindo erano rimasti in cucina e l’uomo, seduto al bancone, sorseggiava un bicchiere di Cola, mentre osservava ipnoticamente la donna andare avanti e indietro per la stanza, come un pendolo, facendogli quasi girare la testa. “- Se… se Diego ammettesse che ti odia? Già Ambar che si mette a raccontare del cazzotto, io…” “- Angie, calma!” La interruppe l’uomo, alzandosi e appoggiandole le mani sulle spalle per fermare quel suo nervoso andirivieni, apparentemente inarrestabile. “- Se non la smetti, ti allontaneranno dai ragazzi perché ti reputeranno pazza, ecco perché!” Borbottò il bruno, vedendola prendere un profondo sospiro come se si fosse placata, per poi, invece, assestargli un calcio a tradimento in uno stinco. “- Ahia, ma che diamine…?!” Sbottò sconvolto Pablo, contorcendo il viso in una smorfia di dolore. “- Osa di nuovo darmi della fuori di testa e punterò in un'altra zona più dolorosa, con una ginocchiata e il doppio della forza…” Sibilò la donna, ad un centimetro dal suo viso, vedendolo ghignare: almeno era riuscita a farle cambiare argomento per almeno trenta secondi e con una come lei era anche troppo. “- Io l’ho detto che secondo me sei passionale…” Mormorò lui maliziosamente, puntando gli occhi sulle sue labbra e vedendola fare un mezzo balzo indietro. “- Taci.” Esclamò semplicemente la donna, avvicinandosi poi alla porta e appoggiandosi con l’orecchio destro e tutto il lato del corpo, ritrovandovisi appiccicata nella speranza di riuscire a sentire qualcosa. Voleva stare lontana a chilometri da Galindo già da prima, e adesso, con la paura di poter mai, in un lontano futuro, rovinare tutto con un improvviso innamoramento come aveva predetto Casal, era anche peggio. Ma cosa le saltava in mente? Cosa era saltato in mente a quell’uomo nell’avvisarli di un qualcosa di così… impossibile? Non ne aveva idea, ma con stizza si allontanò da dov’era e si appiattì con la schiena contro una parete, stanca e confusa. Si sarebbe volentieri fiondata a fare una doccia e poi dritta a dormire… e invece no, doveva ancora preparare la cena, parlare con i ragazzi, con l’assistente sociale… “- Perché non vai a riposarti non appena Casal se ne sarà andato? Sei uno straccio…” Pablo le si era riavvicinato a passo lento e, a pochi passi da lei, la fissava quasi preoccupato. Ecco, era colpa sua se Gregorio li aveva avvertiti di fare attenzione! Era chiaro che lui avesse sempre avuto un interesse per lei ed evidentemente anche l’altro aveva dovuto notarlo! “- Non mi sembra il caso!” Sbottò, fissandolo dritto negli occhi e vedendolo scuotere il capo: stava per ribattere qualcosa ma la porta si aprì ed entrò Ambar, seguita da Violetta. “- Andate di là, noi apparecchiamo…” Sorrise la bimba, tirandosi la sorella per un braccio verso i due. “- Com’è andata?” Domandò la bionda alla più grande che subito la tranquillizzò: “- Bene, stai calma!” Esclamò allegra, osservando la zia prendere un grande respiro di sollievo, come se fosse il primo da quando erano chiusi lì dentro.
Nel salotto, Casal era sempre sulla sua poltrona e li guardava di sottecchi avvicinarsi a lui con un mezzo sorrisetto soddisfatto, sicuramente, del suo lavoro. “- Non mi guardate così…!” Esordì, vedendoli sedersi sul divano con aria tesissima, la donna in particolare. “- Ho intuito i ‘problemini’ di cui mi parlava la signorina poco fa, li ho potuti constatare. Ma mi voglio fidare di voi e del volere, di conseguenza, dei coniugi Castillo per aver deciso di farvi fare da tutori in caso fosse successa una disgrazia, dunque mi raccomando… buona serata. Ci rivedremo presto, signori.” Esclamò con calma l’uomo, alzandosi e facendo leva sui braccioli della poltroncina per andare via. “- Buona serata a lei.” Sorrise più rilassata la bionda, accompagnandolo alla porta insieme a Galindo che, quando l’uomo ebbe lasciato il vialetto del giardino, la richiuse fissando Angie con aria vittoriosa: “- Te l’avevo detto che sarebbe andata bene, visto?” Ghignò, vedendola annuire più tranquilla. “- Potresti ordinare tu delle pizze per la cena? Ho un disperato bisogno di andare a riposare…” Soffiò la donna esausta, accasciandosi a peso morto sul grande divano socchiudendo gli occhi e provando a scaricare lo stress di quella giornata sorprendentemente faticosa, anche più del solito. “- Certo, vai pure…” Sorrise Pablo, per poi sedersi accanto a lei riassumendo il suo tono malizioso: “- …Se vuoi ti raggiungo…” Sussurrò al suo orecchio, vedendola sgranare gli occhi e allontanarsi di colpo. “- Cafone!” Sbottò la donna, alzandosi nel sentire il suo cellulare squillare, probabilmente rimasto in cucina. Le due figlie Castillo nemmeno si accorsero di lei che corse a rispondere di fretta nella stanza accanto, preoccupata, dopo grida e lamenti incomprensibili dall’altro lato del ricevitore. “- Olga, che succede?! Smettila di piangere o non ci capirò nulla!” Esclamò, sentendo la voce della cuoca continuare a frignare e a farfugliare parole incomprensibili. “- Angie, è andato tutto perduto, tutto! I conti non tornano e non sappiamo cosa fare!” Per fortuna, Libi, strappato il telefono dalle mani della zia in lacrime, aveva preso a parlare con nervosismo ma rendendo il tutto più comprensibile, lasciando la proprietaria del locale di stucco nell’udire quelle parole. “- Aspetta, che stai dicendo? No, non… non è possibile!” Riuscì a balbettare la donna, sotto gli occhi di Galindo che la fissava: Angie si era pietrificata al centro del salotto e d’improvviso, era sbiancata. “- Ma come è accaduto in così poco, da un giorno all’altro? E’… impossibile.” Concluse, portandosi una mano al cuore con aria terrorizzata. “- Va bene aspettatemi, vengo lì… a dopo.” Salutò, richiudendo la telefonata e rimanendo ferma come una statua, lo sguardo vuoto e improvvisamente, nervoso di nuovo come quando Casal era ancora in casa. “- Che è successo?!” Chiese Pablo, alzandosi e schioccandole le dita davanti al viso per farla risvegliare da quella sorta di trance in cui sembrava essere caduta dopo la telefonata. “- Il Restò Band… è… è fallito.” Balbettò, abbassando poi gli occhi con malinconia, senza sapere cosa fare o neppure cosa pensare. “- Cosa?! Come è possibile?!” Domandò Galindo, sconvolto.  “- Non lo so ma tu taci sulla questione con i ragazzi, non voglio farli preoccupare ulteriormente, è un problema mio che devo risolvere io. Vado a vedere da vicino cosa è successo e torno, a loro dì che sono andata a comprare qualcosa per cena…” Sentenziò lei, afferrando la sua borsa dal tavolinetto e fiondandosi fuori come un fulmine, lasciando l’uomo perplesso e preoccupato: era la prima volta che restava da solo con i ragazzi e doveva anche mentirgli sul dove fosse la zia… poteva farcela? Sarebbe riuscita la Saramego a risolvere la questione? Vederla in quello stato gli aveva provocato una fitta alla base del cuore, non era giusto che la vita si accanisse tanto contro quella donna! Prese un profondo respiro e andò ad accendere la tv… la partita era finita ormai, ma doveva mostrarsi naturale per non destare sospetti: ora condivideva un segreto con Angie e avrebbe fatto di tutto per mantenerlo, per non vederla ancora triste anche a causa sua se lo avesse mai dovuto rivelare o farsi beccare, anche per puro caso. Nello schermo alcuni cronisti commentavano la sconfitta del suo amato Independiente… poteva andare peggio di così?
 
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Eccoci! Capitolo con Gregorio protagonista! XD Anche se questo 14 è un po’ noiosetto ci serve per il proseguimento della storia! ;) L’assistente sociale tornerà a trovare i Castillo, ma per ora abbiamo una brutta sorpresa sul finale… il Restò Band di Angie è fallito! D: Violetta intanto scopre che a Fran piace Diego, seppure la diretta interessata continui a negare… xD Eheh Cami che propone la Leonetta! W Camilla, la leader Diecesca e Leonetta! u.u :3 Come al solito grazie di cuore a tutti coloro che seguono la storia, siete davvero gentilissimi! :3 Alla prossima, ciao! :) DulceVoz. :)

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Capitolo 15
*** Confusioni del cuore. ***


Confusioni del cuore. Cap.15
 
“- Eccola la zia! Eccola qui!” Pablo sentì le chiavi girare nella serratura, la porta aprirsi e tirò finalmente un sospiro di sollievo: le domande dei ragazzi erano cominciate a diventare insistenti e l’assenza di Angie a quell’ora destava non pochi sospetti: i Castillo non erano sciocchi e avevano capito che qualcosa non andasse nonostante le sue rassicurazioni. Galindo era seduto a capotavola, in attesa che arrivasse la bionda e Diego, per tutto il tempo, a stento aveva alzato lo sguardo dal suo cellulare che produceva suoni strani e acuti, segno che stesse giocando con chissà cosa. “- Non dovevi portare le pizze?” Saltellò allegramente Ambar, vedendola appoggiare dei pacchettini bianchi sul grande tavolo e ignorando la sua aria stravolta. “- La pizzeria era chiusa.” Inventò, provando a riprendere fiato e gettandosi a peso morto su una delle sedie libere, la più vicina a Diego. “- E quanto ci hai messo a capirlo? Sono almeno due ore che sei fuori…” Sbottò il ragazzo con noncuranza, senza neppure alzare gli occhi dal suo gioco con il quale continuava freneticamente a smanettare. La Saramego sbiancò ma non aveva neppure la forza di replicare, tanto che fu Pablo, fortunatamente, ad intervenire per salvarla in calcio d’angolo: “- Iniziamo a mangiare, che ne dite?” Chiese infatti l’uomo cambiando discorso e alzandosi, iniziando ad aprire quelle confezioni da cui proveniva un forte profumo di fritto, segno che la donna fosse passata per la rosticceria sulla via del ritorno. “- Ci vorrebbe una birra…” Tentò, facendo sì che la sorella di Esmeralda gli lanciasse un’occhiataccia di sbieco, come a zittirlo. “- Ok, scherzavo… tanto comunque non ce ne sono mai in questa casa…” Sentenziò lui, alzando le braccia in segno di resa, cominciando a servire per prime la bambina e la secondogenita che ringraziarono l’uomo con un sorriso. “- Ti puoi alzare dal posto di mio padre per favore? Mi da fastidio da morire vederti seduto lì.” Diego, che non riuscì più a trattenersi, buttò il cellulare con stizza di fronte a sé rischiando anche di romperlo e fissò dritto negli occhi con aria di sfida Pablo, il quale sbiancò terribilmente ma notò comunque, sott’occhio, la Saramego alzarsi e allontanarsi verso la stanza accanto con aria particolarmente afflitta. “- Diego, per favore, cerchiamo di mangiare in pace per una volta! Hai visto cosa hai combinato?!” Sbottò la sorella, vedendolo stizzirsi ancora di più ma in silenzio, rigirandosi una forchetta tra le dita con una furia tale negli occhi che la piccola Ambar si strinse di più alla castana, spaventata. “- Non mi ero accorto del posto. Scusami, hai ragione.” Ribatté distrattamente Galindo, osservandolo contrarre la mascella a disagio ma con l’unica intenzione di correre a vedere come stesse la Saramego e cosa fosse accaduto con il Restò Bar. “- Voi continuate a mangiare o si fredderà tutto… io arrivo subito.” Esclamò il moro, mettendosi in piedi e andando alla ricerca di Angie che sicuramente doveva essersi rintanata in camera da letto. Salì le scale a passo rapido con la sola voglia di raggiungerla e capire come fosse andata al locale e, non appena si avvicinò alla porta, gli si raggelò il sangue, nel sentire dei singhiozzi provenire dalla loro stanza: spinse la maniglia e si ritrovò di fronte una figura raggomitolata sul grande materasso e provò una strana stretta al cuore. La Saramego sobbalzava di tanto in tanto, scossa dai sussulti di un pianto disperato, i capelli dorati erano sparsi sulla trapunta bianca e di sicuro non aveva neppure avvertito la sua presenza lì dentro. “- Ehi…” Pablo le si avvicinò piano, si sedette sul letto e le sfiorò piano la chioma, sentendo la sua mano tremare a quel semplice quanto rapido contatto: che diamine gli prendeva?! Angie sobbalzò e si voltò per qualche secondo verso di lui, il viso rosso e bagnato di lacrime. “- Lasciami in pace, per favore. Vattene.” Balbettò rigirandosi verso la parete, facendogli scuotere il capo quasi meccanicamente. “- Non puoi chiedermelo. Che ti piaccia o no questa è anche camera mia.” Sentenziò lui serio, per poi continuare, sentendola sbuffare sonoramente nonostante i singhiozzi: “- Mi dispiace per prima io non… non volevo occupare il posto di German ed è ovvio che Diego si sia infuriato, stavolta ha ragione…” Iniziò lui, a disagio, vedendola mettersi a sedere asciugandosi alla meglio gli occhi con le maniche della maglietta. “- E’ fallito. Il Restò Bar è fallito e sono costretta a venderlo o… o a chiuderlo… o entrambe. Lo perderò… per sempre.” A quelle parole Galindo sbiancò di colpo e dovette ammettere che aveva pensato che il suo stato fosse dovuto anche a quello ma non che fosse così grave. “- Come?!” Riuscì a balbettare l’uomo, stordito da una notizia di quel calibro e osservandola annuire, tirando su con il naso, cercando di smettere di piangere. “- Non abbiamo più soldi per la gestione, per le bollette… pare che da quando ha aperto il Gringo’s nella zona, i clienti siano diminuiti notevolmente e Beto… Beto ha fatto un grosso debito con innumerevoli fornitori che non potrò pagare… io… non so cosa fare!” La donna, di colpo, si gettò nuovamente sul materasso, supina e le mani sul volto e l’aria distrutta. “- Santo cielo, è… è assurdo…” Pablo, incredulo, si scompigliò nervosamente il ciuffo corvino, provando a trovare una soluzione: da dove avrebbero trovato i soldi per pagare quei danni per i quali chissà quanti bigliettoni servivano? “- Per fortuna conosco i fornitori da anni e potranno attendere… ma se voglio saldare tutto sarò costretta a vendere il Restò Bar, non ho altra scelta.” Concluse lei, vedendo l’uomo scuotere il capo con vigore. “- Ma non puoi farlo quel posto è troppo importante per te e…” “- …E NON POSSO FARE ALTRIMENTI!” Gridò esasperata lei, facendogli abbassare gli occhi di colpo. “- Scusami io…” Provò la bionda, rimettendosi seduta e sollevandogli il volto con due dita, lasciandolo di stucco: un brivido a quel contatto gli aveva percorso la schiena e non poté resistere all’istinto di sfiorare quelle labbra sottili e dolci che aveva preso a mordere dispiaciuta per averlo trattato male, più del solito quella volta. Pablo le accarezzò piano una guancia umida e lei non si mosse di un millimetro, probabilmente troppo sbalordita per quella sua intraprendenza o perché, in fondo, aveva bisogno di sentirsi consolata. Galindo però non si fermò lì e, lentamente, si avvicinò al suo viso e più era a poca distanza, più il desiderio di quel bacio si faceva sentire forte e potente: avrebbe voluto tranquillizzarla con quel gesto, renderla sua per qualche secondo, farle sentire il suo appoggio, forse persino distrarla ma, nel momento in cui la sua bocca era ad un millimetro da quella di Angie, quando ne avvertiva il suo caldo e affannoso respiro sulla sua, un sordo suono e un dolore lancinante alla guancia destra lo fecero allontanare di colpo. “- CHE DIAVOLO FAI?” La donna era sobbalzata dal letto e, come se avesse preso la scossa si alzò di colpo, avvicinandosi alla porta. “- ESCI! VATTENE VIA, SUBITO!” Sbottò, spalancandola e indicandogli l’uscita. “- Io… io non…” Balbettò il bruno, tenendosi la parte colpita con una mano e non sapendo cosa dire: aveva sbagliato, era stato avventato forse, ma non si aspettava un gesto simile… per un secondo, quando lei si era scusata, aveva creduto… male. Ecco cosa aveva creduto. Che idiota era stato! “- Te ne vai da solo o devo cacciarti a pedate nel didietro? E non una parola ai ragazzi del locale, per favore.” Strepitò ancora la Saramego, vedendolo alzarsi e afferrare il cuscino dalla sua brandina: era chiaro che avrebbe passato la notte sul divano ma non aveva intenzione di farsi venire un torcicollo a causa di Angie. “- Scusami.” Sussurrò mestamente prima di uscire, sentendo lei sbattere con foga la porta non appena ebbe varcato la soglia. Si diede del cretino mentalmente scendendo le scale e pregò che il segno rosso delle cinque dita della donna non fosse apparso sulla sua guancia… non voleva domande, non era proprio quello il momento.
 
 
“- Sei nervosa, eh?” Matias, spaparanzato sul sofà davanti alla tv, faceva freneticamente zapping sperando di trovare un qualsiasi match di calcio, anche in replica, per accompagnare il delizioso tramezzino al formaggio che si era preparato con non poca cura. Era arrivato il giorno dell’arrivo dei Galán a casa La Fontaine e Marcela correva sin dall’alba da una parte all’altra della casa per far sì che tutto fosse perfetto: se ricordava bene Jade, e la ricordava non bene ma perfettamente, era una maniaca compulsiva dell’ordine, della bellezza e dell’arredamento d’interni e non voleva di certo fare brutta figura non appena avesse varcato la soglia, seppure, sinceramente, non badasse poi tanto al suo parere. “- No che non lo sono!” Sbottò lei, portandosi le braccia sui fianchi e cominciando a guardarsi intorno: sì, così era tutto sistemato al meglio e la cognata non avrebbe potuto avere nulla da ridire. “- Saranno qui a momenti…” Incalzò il marito, azzannando il suo toast con noncuranza ma volendo punzecchiare Marcela per capire se davvero fosse in ansia per quelle visite e se ancora ce l’avesse con lui per aver permesso a Jade, Nicolás e Clement di andare a stare da loro per un po’, seppure lo avesse perdonato. “- Lo so e… e smettila di lasciare briciole tra i cuscini del divano o giuro, La Fontaine, che te le faccio togliere una per una!”  Sentenziò la donna furiosa, avvicinandolo minacciosamente e strappandogli il piatto dalle mani con stizza. “- Ehi! Lo stavo mangiando quello!” Piagnucolò lui, mentre Leon e Francesca scesero a vedere come stessero andando le cose di sotto per l’arrivo imminente degli zii e del cugino dalla Francia. “- Va’ a mangiare in cucina! Questo è un salotto, se per caso non te ne fossi accorto!” Ribatté la Parodi, vedendolo alzarsi controvoglia per raggiungere la stanza indicata dalla consorte, in cui, tra l’altro, gli aveva lasciato anche il suo spuntino. “- Avevo ragione io e lo confermo, sei nervosa.” Ridacchiò lui, irritandola ancor di più e vedendola avvicinarsi ad ampie falcate fino all’uscio della cucina. “- Screanzato! Nemmeno all’aeroporto ti sei degnato di andarli a prendere, dovresti vergognarti invece di prendere in giro tua moglie!” Sbottò lei, sorridendo ai figli che si accomodarono subito al posto del padre sul divano finalmente liberato dalla pigra presenza dell’uomo. “- Conoscono la strada, tranquilla! Gliel’ho spiegata dettagliatamente!” Si sentì gridare dalla camera accanto dov’era il biondo, probabilmente con la bocca piena per quella voce quasi incomprensibile. Quella domenica mattina era importantissima per tutta la famiglia e niente doveva andare storto: erano sette anni che non vedevano i parenti e tutti, forse Matias compreso seppur all’apparenza non sembrasse, volevano fare bella figura con i ricchi, probabilmente ora meno data la situazione, zii di Parigi. “- Speriamo che Clemy sia diventato più sopportabile…” Si lasciò scappare Leon all’orecchio della sorella che annuì con ottimismo. “- …E che zia Jade non mi rimproveri ancora per il taglio di capelli…” Mormorò con aria afflitta la ragazza, vedendo la madre sedersi tra loro con aria distrutta, avendo ascoltato il discorso dei gemelli. “- Andrà tutto bene dobbiamo solo pensare positivo… e pregare che le imprese di zio Nico si riprendano in fretta cosicché  levino presto le ancore…” Mormorò, circondando le spalle dei due figli con la determinazione tipica del suo carattere, sentendo poi il campanello suonare ripetutamente e scattando in piedi di colpo avvicinandosi alla porta ma venendo inaspettatamente preceduta dal marito che corse verso l’uscio, felice. “- Sorellina! Ciao!” Matias, in meno di due secondi, abbracciò Jade che per poco non perse dalla testa il suo voluminoso e sicuramente costosissimo cappello, provando quasi subito a scollarsi di dosso il fratello che non sembrava voler sciogliere quella calorosa stretta affettuosa, restando, nonostante tutto sorridente. “- Matu, fratellino! Che bello rivederti!” Esclamò euforica con la sua vocina squillante avanzando in casa e prendendo a guardarsi intorno con aria quasi disgustata, sotto lo sguardo di Marcela che provò in tutti i modi a mantenere la calma, mentre anche i due figli le si erano avvicinati. Alle spalle della La Fontaine apparvero finalmente anche Nicolás, il quale trascinava almeno quattro trolley e aveva l’aria affaticata, pur mantenendo la sua classe impeccabile che lo aveva sempre caratterizzato, e Clement, il quale armeggiava con un sofisticatissimo tablet senza degnare nessuno neppure di uno sguardo. “- Ehilà cugino! Come stai? Il viaggio è stato stancante?” Lo salutò allegramente Leon, tentando di apparire simpatico e sfoggiando uno dei suoi più bei sorrisi, facendo sì che la sorella, dopo essere stata appena salutata dalla zia, per paura che le si sciupasse il maquillage, lo imitasse e avvicinasse il figlio di Nicolás con aria solare. “- Bonjour… scusatemi ma sto cercando di seguire una lezione online della mia Facoltà di economia d’impresa, parleremo a tempo debito… la mia camera è pronta, vero?” Esclamò con un marcatissimo accento francese e una vena di acidità palese nella voce, vedendo Francesca annuire con aria un po’ stupita da cotanta poca cortesia. “- Sì, è quella accanto alla mia…” Spiegò la bruna, notando che, finalmente, avesse staccato gli occhi dal suo “libro elettronico” per fissarla con aria sarcastica, quasi si aspettasse una suite. “- Clement, come sei cresciuto, che bello vederti!” Matias, dopo aver salutato il cognato, avvicinò il ragazzo che a stento gli rivolse un mezzo sorriso di circostanza, per poi fissare Marcela che gli diede un bacio sulla guancia. “- Sei alto il triplo dall’ultima volta che ti ho visto!” Esclamò allegramente la donna, vedendolo sbuffare sonoramente. “- Perdonami zia, sono stanco… il fuso orario mi ha distrutto. Potresti accompagnarmi in camera, per favore?” Domandò quasi annoiato, sbadigliando forzatamente e osservando la reazione della Parodi, un po’ sconcertata ma pur sempre comprensiva: avevano affrontato un viaggio non indifferente ed era normale che fosse stravolto. “- Certo, Mati aiuta Nicolás con i bagagli.” Ordinò lei, salendo le scale precedendo il nipote che si guardava intorno storcendo il naso. Se c’era una cosa che Clement odiava era avere una stanza minuscola che non fosse almeno dotata di un bagno personale al suo interno e quella, di sicuro, non poteva averlo. Era sempre stato, sin da piccolo, abituato a vivere nella ricchezza più assoluta e il fatto di dover condividere il tetto con degli “estranei”, per giunta non del suo rango, lo mandava in bestia. “- Ecco qui, è questa.” Sorrise Marcela, aprendo la porta di una camera modesta e ordinata, analizzando la reazione del ragazzo che sembrò palesemente trattenersi dal fare una scenata per le dimensioni ridotte di quel posto. “- Grazie…” Si limitò a sibilare freddamente, buttando lo zaino che aveva sulle spalle al suolo e gettandosi a peso morto sul letto. Sarebbe stata una convivenza orribile, odiava l’Argentina, odiava i La Fontaine, odiava quel posto… avrebbe pagato oro pur di ritornarsene in Francia ma suo padre non gliel’avrebbe mai permesso, nonostante fosse maggiorenne e vaccinato.
Al piano di sotto, intanto, Leon si avvicinò a Francesca con aria nervosa, facendo già intuire alla sorella cosa volesse dirgli: “- E’ cambiato, abbi fiducia! Prima era solo un bimbo che aveva da poco perso la mamma…” Sibilò, imitando prima la voce della sorella e poi quella della madre, osservando la gemella ghignare, divertita per quelle imitazioni sussurrate al suo orecchio. “- E’ sempre il solito riccone viziato e antipatico. Lo sapevo.” Sbottò, per poi allontanarsi verso la cucina, seguito dalla mora. “- E’ appena arrivato, diamogli tempo…” Tentò la ragazza, nonostante anche lei avesse avuto la stessa identica sensazione del fratello: il cugino, se possibile, con il tempo sembrava essere anche peggiorato da quando era un mocciosetto viziato e pieno di sé. “- Sì, certo, come no! ‘Parleremo a tempo debito…’ ma lo hai sentito?!” Esclamò sconvolto lui, prendendosi una lattina di Coca Cola dal frigo e iniziando a scolarne il contenuto. Se Clement aveva già dato dimostrazione di essere sempre il solito… beh, secondo lui non c’era speranza che quella storia finisse bene. Non ce n’era proprio.
 
 
La sera era calata e il giardino dei La Fontaine era già tutto illuminato sin dal tramonto del sole e, da lì, proveniva un odore di salsicce, wurstel e verdure alla griglia che arrivava fino a casa Castillo.
“- Si puo’ sapere perché devo venirci anch’io?!” Uno stizzito Diego scese le scale come una furia, facendo ruotare gli occhi al cielo alla sorella che si bloccò in cima all’ultimo gradino, provando a farlo ragionare. “- Perché hanno invitato tutti noi, e tu fai parte di quel ‘tutti’. Sarebbe scortese non venire, non ti pare?” Esclamò esasperata Violetta, già pronta per andare alla grigliata che i vicini avevano organizzato per l’arrivo dei Galán. Doveva ammettere che se era così elettrizzata per quella serata era perché non vedeva l’ora di stare un po’ con Leon… da un po’ non passavano del tempo insieme e quello era il momento perfetto per conoscerlo meglio… ma cosa andava a pensare? Lui sicuro doveva avere una fidanzata, forse quella ragazza del parco… ma sinceramente voleva sentirlo accanto anche come amico… si sarebbe forse accontentata… o forse no? “- Diego, preparati per favore e fa’ anche in fretta!” Angie, sorpassandoli sulle scale seguita da Galindo, fu la seconda persona a rivolgergli quelle parole e il Castillo credé di impazzire… perché non potevano lasciarlo in pace? Perché doveva andare a quella stupida festicciola se non ne aveva la benché minima voglia? Sapeva che sarebbe stato solo un peso per tutti, che avrebbe reso noiosa la serata e non chiedeva altro che starsene rintanato a letto a giocare con qualche videogioco. Sospirò profondamente, stringendo i pugni e appoggiandosi pigramente con la schiena alla fine del corrimano, vedendo scendere l’ultimo membro della famiglia, sua sorella minore, in un elegantissimo vestitino rosa confetto. “- Ma che bella principessa!” Sorrise la zia, dandole la mano che lei strinse prontamente. “- Ci ho messo un’ora per decidere!” Spiegò la bambina, entusiasta per quella festa imprevista, facendo una mezza piroetta per far gonfiare la gonna abbastanza ampia. “- Ah, a soli otto anni già ci mette un’ora per prepararsi, pensa a venti quanto ci impiegherà!” Scherzò Pablo, facendo ridacchiare anche Violetta. Diego osservò la scena:  Pablo e Angie sembravano allegri, e le sue sorelle altrettanto… poteva rovinare la festa a tutti? Poteva essere sempre l’impiccio che distruggeva la fugace serenità di quei momenti? No, non poteva ma soprattutto, non voleva. Avrebbe fatto un sacrificio per quella sera. Sapeva che di certo non si sarebbe mai divertito ma, se proprio si sarebbe annoiato troppo, non ci avrebbe messo molto a ritornare a casa, che fossero i vicini ad aver dato quel party, in fondo, era un vantaggio. “- Sono pronto, andiamo…” Sbuffò improvvisamente il moro, vedendo la sorella saltargli tra le braccia e stringerlo forte a sé… Violetta era felice. Felice che Diego, finalmente, stesse facendo un tentativo per far andare avanti le cose senza creare problemi come al solito ed era certa che, in fondo, con l’aiuto di Leon con il quale era amico da tempo, forse si sarebbe anche potuto distrarre un po’ dai suoi soliti cupi pensieri.
 
 
La serata dai vicini proseguiva tranquilla, Leon aveva più volte tentato di avvicinarsi a Diego ma lui lo scacciava, volendo restare da solo. “- Diego, mi potresti aiutare a cambiare la corda alla chitarra? Dai, tu sei un genio in queste cose!” Seba, invitato con Cami dai figli dei padroni di casa, fece un ultimo disperato tentativo ma il giovane, sbuffando, si allontanò inventando che avesse dimenticato come si facesse a riparare lo strumento, lasciando intuire ai due amici che la situazione fosse ancor più complicata delle ultime volte. Violetta, seduta tra Francesca e la Torres sotto al portico della villetta dei La Fontaine, osservava con aria afflitta come si stesse comportando il fratello maggiore, facendolo notare anche alle due amiche. “- Non lo riconosco più… è come… un fantasma.” Sussurrò appena lei, facendo annuire Camilla. “- Già, e pare non ci sia niente che lo possa aiutare… i ragazzi hanno tentato varie volte a scuoterlo ma con nessun risultato.” Concluse seria, mordendosi nervosamente un labbro, mentre Francesca aveva continuato a restare in silenzio. “- Eppure vorrei parlare con lui.” Mormorò la bruna d’un tratto, facendo sobbalzare le due amiche di colpo, dopo un abbondante minuto in cui tutte e tre erano rimaste a riflettere. “- Inutile, hai visto che allontana tutti? Sarà rientrato in casa…” Spiegò Violetta, mettendosi in piedi ma non vedendo più Diego seduto al posto dov’era, in un angolino in disparte da tutti gli altri. Francesca però non la ascoltò e si alzò di scatto, prendendo a scendere i gradini che dal portico portavano al vialetto principale del giardino. “- Ma dove vai?” Domandò la Torres, vedendola voltarsi a metà strada, mentre afferrava un piattino con della torta al cioccolato da un tavolo. “- Gli porto questa e torno.” Sentenziò la La Fontaine, sollevando il dolce come un trofeo e avviandosi verso l’uscita che dava sul marciapiede che collegava le due villette. Camminò a passo svelto stringendosi nelle spalle per il venticello freddo che si era alzato e trovando il cancelletto dei Castillo socchiuso le bastò spingerlo con un fianco, avendo le mani occupate, per spalancarlo… di Diego nessuna traccia, dove si era cacciato? Le finestre della casa erano tutte buie e, a meno che non si fosse messo a letto, non poteva essere dentro. Dei singhiozzi, a mano a mano che si avvicinava al retro della casa, attirarono la sua attenzione e sotto la quercia sulla quale vi era la casetta di legno sull’albero, un ombra nel buio la fece quasi sobbalzare. Il ragazzo, aria distrutta e mani sul volto, stava chiaramente piangendo e la giovane non sapeva proprio spiegarsi il perché, se fosse accaduto qualcosa che l’avesse potuto disturbare o se semplicemente avesse bisogno di sfogarsi, da solo. Si morse il labbro inferiore, indecisa se avvicinarsi o lasciarlo in pace ma non ci riuscì, così a passo lentissimo, lo avvicinò, fino a sedersi sull’erba accanto a lui. “- Ehi.” Sussurrò, a disagio, appoggiando il piattino sul praticello e vedendolo sobbalzare: “- Che vuoi?! Che ci fai qui?! Lasciami in pace!” Sbottò di colpo, lasciando intendere che se non avesse parlato, neppure si sarebbe accorto di lei. “- Volevo solo portarti questa…” Rispose, ormai paonazza per la vergogna, Francesca, indicando il dolce accanto a lei. “- Non la voglio, puoi riportartela.” Sentenziò serio, asciugandosi gli occhi con la manica della giacca di pelle che indossava. “- Perché sei andato via? E’ successo qualcosa?” Domandò timidamente la bruna, vedendolo alzare le spalle con noncuranza. “- Secondo te?” La spiazzò lui, voltandosi impercettibilmente verso la ragazza e analizzando la sua espressione, chiaramente sorpresa da quella domanda. “- Secondo me hai bisogno di sfogarti, ecco cosa c’è.” Rispose sinceramente e seccamente lei, sottovoce, un po’ titubante, quasi con il terrore di essere mandata a quel paese. “- Mi sento male nel vedere famigliole felici quando la mia… la mia è distrutta e so che non tornerà mai più.” Sbottò con stizza lui, sbattendo un pugno contro la corteccia dell’albero alle loro spalle e facendosi male, tanto che poi cominciò a sfregarsi le nocche con l’altra mano, sentendo quella destra indolenzita. “- Non è del tutto perduta… hai le tue sorelle, tua zia che ti adora… devi pensare a loro e farti forza.” Esclamò pacatamente la ragazza, lasciandolo basito ma, stranamente, non infastidito. La voce dolce della giovane lo aveva sorpreso, nessuno gli aveva mai parlato con quella calma eppure, al contempo, con quella stessa determinazione. “- Pensi che non lo sappia? Se resisto dall’impazzire è per loro. Sono io il capofamiglia ora, è tutto sulle mie spalle.” Concluse acidamente Diego, vedendola annuire, non perché fosse completamente d’accordo ma soprattutto perché aveva capito in pieno cosa intendesse lui. “- Non caricarti pesi che non ti competono… tu sei loro fratello, devi prenderti cura di Violetta ed Ambar questo sì, ma… ma certe cose spettano ad Angie e a Pablo, non a te.” Al sentire il nome di Galindo, il ragazzo scattò in piedi come una furia e fece per allontanarsi, lasciando sorpresa Francesca che però lo seguì, riuscendo a bloccarlo per un polso sfoderando un coraggio che neppure pensava di avere. “- Scusami, non erano affari miei io… non dovevo.” Balbettò, specchiandosi negli occhi verdi quanto vuoti del giovane che annuì, abbassando il volto, stranamente a disagio… cosa voleva quella ragazzina da lui? “- Io voglio solo il bene delle mie sorelle e di mia zia.” Sibilò glaciale, osservando l’espressione per nulla spaventata della La Fontaine che, anzi, annuì, allentando la presa sul suo braccio e restando di fronte a lui con aria serissima. “- Non ho alcun dubbio su questo…” Sussurrò la bruna, fissandolo intensamente: a guardarlo bene, quello sguardo più che rabbia esprimeva una sofferenza enorme, quella che lui non aveva mai, forse, mai esternato del tutto. “- …Ma penso che tu debba prima di tutto cacciar fuori tutto il tuo dolore… lo hai ancora dentro, Diego. Lo riesco a vedere dai tuoi occhi e gli occhi non mentono. Mai.” Mormorò con un filo di voce, rendendosi conto di essere forse stata troppo intraprendente e pentendosene mentalmente. Castillo non riuscì a dire nulla ma fu come se con quella frase e con un solo sguardo, la gemella di Leon fosse riuscita a leggergli l’anima e, non sapendo spiegarsi perché, sentì una lacrima percorrergli rapida la guancia, venendo subito catturata dagli occhi neri e attenti di lei. Perché si stava sfogando davanti a lei? Cosa aveva detto o fatto per far sì che si comportasse così? Erano la sua dolcezza, la sua tranquillità, forse la sua voce o le parole giuste che era riuscita a dirgli come una saggia e matura piccola donna? Di slancio la ragazza lo abbracciò e si sentì piccolissima tra le braccia possenti del ragazzo che continuava a singhiozzare senza sosta, senza sapere il perché, senza riuscire a fermarsi. Francesca sentì una serie di brividi percorrerle la schiena, mentre accarezzava piano quella di Diego che piangeva, sconvolto. Non si spiegava perché, stretto all’esile corpo della giovane, si sentisse meglio, non bene certo, ma almeno più tranquillo. Forse era vero quello che si diceva, forse era vero che sfogare con una persona estranea alla vicenda fosse più facile e Francesca per lui era una sconosciuta in ogni senso, né più, né meno. Restarono così alcuni secondi che parvero eterni ad entrambi, poi lui si staccò dalla ragazza, stupito da sé stesso e scappò in casa quasi spaventato, lasciandola impalata nel giardino e confusa come mai… che Camilla avesse avuto ragione? Che si fosse presa una cotta per Diego Castillo?
 
 
Nel giardino dei La Fontaine, invece, Violetta era rimasta seduta da sola sotto al portico, dato che Camilla si era fiondata tra le braccia di Seba e Francesca era sparita da un po’, probabilmente ancora provando a farsi aprire la porta da Diego il quale, sicuramente, doveva essersi andato a barricarsi in casa. Leon, a sua volta rimasto da solo provando ad intavolare una fitta conversazione calcistica con Pablo e Matias sul match perso clamorosamente dall’Independiente, la notò e fece per avvicinarsi ma nel voltarsi, vide che Clement lo avesse preceduto e si fosse accomodato proprio accanto a lei con aria da seduttore che lo infastidì alquanto. Li vide ridacchiare, come se il cugino gli stesse raccontando chissà quale aneddoto divertente e la osservò fissare distrattamente verso di lui, sentendosi il cuore saltargli in gola: Violetta era bellissima, quella sera ancor più del solito con i capelli raccolti in una treccia laterale e un abito lilla leggero… e odiava da morire vederla accanto al Galán che continuava a chiacchierare amabilmente con lei. Per fortuna, dopo qualche secondo, arrivò Camilla con Seba vicino a loro e lui si allontanò dagli adulti per avvicinare il francesino e mettere in chiaro le cose, sin da subito: un conto era essere odioso con tutta la sua famiglia, fare il ragazzino viziato che era e ostentare la sua ricchezza contro la loro vita umile fatta di cose modeste e semplici… un altro, ben diverso, era puntare alla Castillo che, con molta fatica, aveva capito di voler conoscere meglio. “- Cugino, puoi venire un secondo, devo parlarti…” Gli disse pacatamente, vedendolo ghignare divertito e avvicinarsi a lui, che lo condusse su uno dei due lati della casa in modo da fargli un bel discorsetto con tutta calma. “- Vedo che hai conosciuto Violetta…” Iniziò distrattamente Leon, appoggiandosi con la schiena allo steccato che divideva la loro villetta da quella dei Castillo. “- Mi sembra simpatica… ed è carina, molto carina.” Sentenziò Galán, scompigliandosi i capelli con noncuranza. “- Già, e, sai… non è libera.” Concluse con tono allusivo, indicandosi con le mani facendo sghignazzare l’altro. “- State insieme? Tu e quello splendore?” Chiese sorpreso Clement, allargando le braccia curioso di quella futura risposta, quanto sconvolto. “- Non ancora… ma è solo questione di tempo.””- E allora qual è il problema?” Ribatté serio l’Europeo, osservando con quanta ira Leon stesse provando a mantenere la calma, stringendo i pugni e respirando profondamente, divertendolo alquanto. “- Il problema è che io sto qui da prima di te, e tu le devi stare alla larga.” Sbottò La Fontaine, sorridendogli forzatamente e sperando che il concetto fosse abbastanza chiaro. Il figlio di Nicolás sghignazzò ancora, trovando la situazione ancor più esilarante. “- Allora ci avevo visto giusto, la giovane vicina ti piace, eh?” Leon sentì le guance andargli a fuoco e non sapeva se fosse per la rabbia che gli provocasse quell’antipatico di suo cugino o per quella domanda così diretta. “- …Beh, in ogni caso stavamo solo parlando e poi non state insieme, dunque non vedo il problema… sarà una conquista divertente, mi sa. Vado a mangiare la torta…” Lo salutò il francese con un cenno del capo, ghignando ancora e aggirandolo con facilità, lasciando ancor più stizzito Leon che sbuffò sonoramente, non sapendo che, la Castillo, dall’altra parte dello steccato essendo andata alla ricerca di Francesca che non si era resa conto fosse rientrata a casa sua, avesse sentito tutto e si fosse precipitata dentro… possibile che Leon fosse stato interessato sul serio a lei? E Clement? Confusa. Ecco come si sentiva. Non era mai stata più confusa in vita sua.
 
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Che confusione! Sono arrivati i Galán … D: Porteranno molti problemi e incomprensioni, teniamoci pronti! Clement, giù le mani! >.< E w i Diecesca! Aw! :3 Leon geloso… asppfgpgp ha detto che è solo questione di tempo e poi Vilu sarà sua! Yeah! :3 E all’inizio del capitolo scopriamo come sia fallito il Restò Bar e… Pablo si becca un bel ceffone! xD Grazie a tutti e alla prossima, ciao! :3

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Capitolo 16
*** Non è mai un errore. ***


Non è mai un errore. Cap.16
 
Violetta, sulla panchina del parco vicino alla scuola, ancora confusa da ciò che era accaduto la sera precedente, era seduta tra Francesca e Camilla, la prima stranamente silenziosa e la seconda che, al contrario, non la smetteva di straparlare della sua storia d’amore perfetta con Seba. Le lezioni erano appena finite e le ragazze, tornando a casa per pranzo, si erano intrattenute a chiacchierare insieme… o meglio, solo Camilla parlava senza sosta, stordendo letteralmente le altre due. “- Capite? Ieri sera ha detto che mi ama più della sua batteria, ma vi rendete conto?! Non era mai arrivato a tanto!” Trillò euforica, battendo le mani allegramente, rendendosi però conto di essere praticamente ignorata dalle amiche. “- Mi state ascoltando?!” Domandò infatti, incrociando le braccia al petto stizzita, sentendosi quasi come se fosse stata un fantasma. “- Scusami, sono un po’…” “- Assenti! Ecco cosa siete! Tutte e due!” Sbottò piccata la Torres, rispondendo stizzita a Violetta e indicando però entrambe, facendo sobbalzare addirittura la La Fontaine, persa nei suoi pensieri. “- Posso capire come mai siete così taciturne e distratte da ieri? E’ successo qualcosa che non so?” Chiese la rossa, fissando prima Francesca che sgranò gli occhi a quella domanda, come se si fosse appena svegliata da quella sorta di trance in cui era caduta, e poi la Castillo, la quale alzò le spalle, sorpresa per l’intuizione della ragazza: che Camilla fosse peggio di un’investigatrice lo sapeva, ma non credeva che potesse arrivare a tanto! “- Ok, comincio io… credo di… piacere a tuo fratello e anche a tuo cugino, con cui a stento ho parlato ieri, per la prima volta! Sono al centro di un triangolo… praticamente a mia insaputa!” Confessò rivolgendosi alla mora che si accigliò, stranita. “- Aspetta… che cosa?” Domandò la La Fontaine, stupita: Clement era lì da solo un giorno e già le pareva alquanto strano… ma ancor più strano era non essersi accorta che il suo gemello si fosse preso una cotta per una delle sue migliori amiche! Incredibile. E vabbè che in quel periodo era stata presa da altri pensieri, soprattutto la notte precedente in cui non aveva chiuso occhio a causa del suo particolare avvicinamento a Diego, ma non pensava si sarebbe lasciata sfuggire una cosa del genere. “- Hai capito Leoncino! E io che vi prendevo in giro poco tempo fa su una vostra ipotetica parentela!” Ridacchiò Camilla, indicando la Castillo e l’altra che era ancora perplessa e presa contemporaneamente dalle sue riflessioni mentali. “- Li ho sentiti parlare! E litigavano… e il motivo del litigio ero… io!” Sentenziò sbalordita la castana che di certo non si sarebbe mai aspettata quell’interesse: con Clement ci aveva a malapena scambiato quattro chiacchiere quella sera stessa, quindi reputava un po’ affrettato che lui fosse già tanto preso da lei da sfidare il cugino… e poi c’era Leon, il suo sogno impossibile da sempre, colui che sognava dal primo giorno che aveva incrociato quegli occhi smeraldo ma che credeva già appartenere ad un’altra. “- Caspita, la piccolina qui ha fatto proprio colpo!” Commentò seria la Torres, per poi interrogarla ancora: “- …E a te chi piace dei due?” Chiese, repentinamente, lasciandola confusa. Sapeva bene la risposta e forse, per ottenere un consiglio sincero dalle due, era arrivato il momento di  confessare la sua passione per il gemello di Francesca. “- Io… io… credo che sia il momento di dirvelo.” Violetta, prese un profondo respiro notando quanto le altre due pendessero dalle sue labbra, nonostante la La Fontaine paresse ancora tuttavia su un altro pianeta. “- Leon… ecco lui… mi piace praticamente da quando vi siete trasferiti qui, ma non mi ha mai considerata minimamente e io non è che mi sia in nessun momento avvicinata troppo a lui. Mi vergognavo, ecco.” Iniziò la ragazza, venendo ascoltata dalle amiche che non dissero una parola, avendo intuito che dovesse ancora terminare. “- …Poi sapete cosa ho passato e… diciamo che l’amore è stato l’ultimo dei miei pensieri, ne avevo e ne ho ancora di ben più gravi. Immaginavo che lui avesse una ragazza, una volta lo vidi al parco con una tipa carina… non so più cosa pensare!” Esclamò di colpo, portandosi le mani al viso con aria perplessa e distrutta. “- No che non ha una ragazza! Ti pare? Una sola volta ne ha avuta una per più di un mese e lo sapevano in tutta Buenos Aires e provincia!” Esclamò Francesca, sbuffando al solo ricordo… che il fratello non fosse un tipo da relazione fissa lo sapeva, ma se voleva davvero stare con la sua amica era bene che mettesse la testa apposto o se la sarebbe vista con lei. “- Che devo fare?!” Piagnucolò la Castillo, riprendendosi la testa tra le mani, sentendo ridacchiare Camilla. “- Un mese? Tuo fratello resiste non più di un mese con la medesima ragazza?” Esclamò, vedendo mestamente annuire la bruna. “- Vilu, tu non ti preoccupare, con Leon ci parlo io e…” “- Non gli dirai mica che ho una cotta per lui?!” Si affrettò a mettere in chiaro la Castillo, osservandola alzare le mani in segno di resa. “- Tranquilla, non lo farei mai! Dovrai dirglielo tu… “ Ammiccò la bruna, ormai attentissima alla conversazione da quando era stato tirato in ballo il gemello, osservando sbiancare Violetta a quelle parole. “- Io, piuttosto, vedrò cosa posso fare per combinarti un appuntamento o qualcosa del genere, e soprattutto per capire se lui ha intenzioni serie con te, altrimenti lo farò fuori con le mie stesse mani, te lo giuro.” Sentenziò categorica, facendo annuire con aria fredda e severa anche la Torres. “- E con Clement che faccio? Vorrei mettere le cose in chiaro con lui e…” “- Lascialo perdere, fidati. Non è simpatico e carino come sembra… ci penserà mio fratello a rimetterlo al suo posto.” La rassicurò Francesca, vedendola annuire, più tranquilla. “- Così si parla, amica!” Esclamò la rossa, dandole una pacca sulla spalla, per poi concentrare la sua attenzione su di lei, ritornata malinconica. “- E tu cos’hai?” Chiese, analizzandola: quando la La Fontaine si mordeva il labbro come in quell’istante c’era qualcosa di grosso sotto, e la fidanzata di Seba, da attenta osservatrice qual era, aveva subito notato quel piccolo gesto di nervosismo tipico della bruna. “- Ieri sera… ho parlato con Diego.” Rispose lei, ancora turbata. “- Olé! Ma qui qualcosa si muove, allora!” Scherzò la Torres alludendo alla cotta di Francesca ormai di dominio pubblico, scalzando Violetta dal suo posto rapidamente e circondando le spalle sia della Castillo che della mora. “- Sei riuscita a parlargli? Sul serio?” Chiese la sorella del giovane in questione, facendo annuire l’altra. “Si è sfogato e… ha pianto, abbracciato a me. Ammetto che nemmeno io me lo sarei mai aspettato però… se la mia presenza in qualche modo puo’ fargli bene proverò ad avvicinarlo ancora, pur di aiutarlo a superare il suo dolore.” Esclamò, riprendendo a torturarsi il labbro inferiore. “- Non posso crederci… noi gli siamo vicini in tutti i modi e lui sfoga con te che a stento ti conosce… che strano, però!” Commentò Violetta, nonostante tutto sorridente, sia per il futuro appuntamento rimediato con Leon a cui già pensava e immaginava, che per la reazione del fratello con la sua amica. “- Già, eppure da qualche parte ho letto che è più facile aprirsi con chi non conosciamo… forse Diego aveva solo bisogno di tirar fuori la sua sofferenza… anche se credo sarà comunque un processo lungo e per nulla semplice.” Rispose saggiamente la figlia di Matias, vedendo annuire l’altra. “- Se gli fai così bene, se ti vuole accanto e non ti respinge come fa con tutti noi… anche come amica, ti supplico: restagli vicina.” La pregò la sorella del giovane, scalzando di nuovo la Torres e prendendole le mani, dopo essersi ripresa il suo posto al centro tra le due. Francesca sorrise amaramente, annuendo. “- Farò il possibile. Te lo prometto.” Sussurrò lei, per poi abbracciare di colpo l’altra che la strinse forte a sé, affettuosamente, sotto lo sguardo commosso della Torres che, anche se non c’entrava nulla, si strinse alle due, venendo notata solo quando loro si staccarono. “- Scusate… mi sentivo sola!” Ridacchiò smorzando la tensione Camilla, facendo sì che le altre due prima si lanciassero una rapida occhiata e poi scoppiassero a ridere di gusto. Se il loro trio era tanto tenero grazie soprattutto a loro due, il divertimento era tutto dovuto alla sirenetta, a Camilla Torres.
 
 
Angie correva, correva come non aveva mai fatto in vita sua a causa di una telefonata che l’aveva sconvolta, anche peggio di quella ricevuta quando era fallito il Restò Bar: Pablo, voce seria e tono forzatamente pacato, l’aveva avvertita di raggiungerla al pronto soccorso dell’ospedale centrale di Buenos Aires, per fortuna poco lontano dal borgo di Madeira e quindi raggiunto facilmente da lui e da Ambar. Aveva tentato invano di tranquillizzarla, di dirle che la piccola stesse bene, a parte un polso malandato… ma lei non aveva creduto ad una sola parola ed era letteralmente in panico mentre continuava a correre come una forsennata verso il posto da lui indicatole, a piedi e con un tacco dodici decisamente poco consono a quell’andatura rapidissima. Non si fidava di quell’imbecille di Galindo e aveva fatto l’errore più grande della sua vita a lasciargli la piccola per qualche ora, credendo che sarebbe stato capace di badare a sé stesso, più la bambina. Come diamine le era saltato in mente? Violetta era a studiare dai vicini e Diego aveva detto che voleva andare a prendere una boccata d’aria… ma lei cosa ci poteva fare se era l’unico che poteva badare alla nipotina? Non era per molto tempo e poi lei doveva per forza tentare con quel primo colloquio da quando aveva perso il suo amato bar. Cosa gli costava, considerato che il moro dovesse terminare di sistemare delle foto per “Top” e poteva farlo benissimo restando a casa? La Saramego fu costretta a fermarsi appena varcata la soglia dell’ospedale per riprendere fiato e bloccò prontamente un paio di infermiere, sperando di trovare presto la sua bambina. “- Mi potreste dire da che parte è il pronto soccorso?” Domandò affannando, a una donna che le indicò una porta bianca alla sua sinistra e, senza chiedere ulteriori spiegazioni, la bionda si fiondò verso essa, individuando subito Pablo in fondo al corridoio che andava avanti e indietro come un leone in gabbia. “- Non è colpa mia, te lo giuro!” Esclamò, vedendola arrivare come una furia a pochi passi da lui, ancor prima che lei lo afferrasse per il colletto della camicia, sbattendolo contro il muro nonostante non avesse più un filo di forza per quella enorme stanchezza dovuta alla corsa. “- Dov’è la mia piccolina?” Ringhiò, distrutta, scandendo bene ogni parola, vedendolo indicare con il capo la stanza alle sue spalle. “- Le hanno appena fatto una lastra e ora dorme, le avranno dato qualche sedativo per il dolore. Ma sta bene, te lo assicuro! Ero in salotto e… ed è scappata a giocare in giardino, l’ho persa di vista per un secondo, il tempo di uscire a vedere dove fosse finita che mi è corsa incontro con un polso ferito e le lacrime agli occhi!” Spiegò l’uomo, venendo finalmente lasciato da Angie che si accasciò sulla sedia più vicina, provando a ritornare ad avere un battito regolare e un respiro normale. “- Mi dispiace.” Sussurrò infine Galindo, sedendosi accanto a lei che scattò subito di nuovo in piedi, avvicinandosi alla stanzetta in cui, dalla porta socchiusa, intravide la bimba addormentata, un braccino fasciato ma l’aria tuttavia tranquilla. “- Io… io ti detesto!” Quelle semplici parole dette in un mormorio provocarono all’uomo una fitta alla base del cuore e, nel vedere la bionda allontanarsi, la seguì fino alla toilette nella quale era diretta… ok, era quella delle donne, ma doveva parlarle, lei doveva capire che per una volta, in fondo, non avesse poi tutta la colpa. La vide appoggiata con le mani sul lavandino che piangeva a singhiozzi, rossa in viso e probabilmente neppure la forza di alzare il volto e guardarsi nell’enorme specchio di fronte a lei o forse, semplicemente, era il coraggio a mancarle. Pablo fece un passo avanti e urtò un cestino dei rifiuti, facendola sobbalzare e prendere a fissare nella sua direzione con aria distrutta. “- Non avrei mai voluto che Ambar si facesse male, credimi.” Il tono dell’uomo era serio e le si avvicinava sempre più a passo lento, facendola indietreggiare e finire spalle al muro. “- Ma come…? Io mi chiedo come abbia fatto German a fidarsi di uno come te, lasciandogli in mano la vita dei suoi figli…!” Angie non riuscì a frenarsi e lo vide accigliarsi e tremare a quelle parole, al solo sentire il nome di Castillo: fu come se la donna gli avesse riaperto una profonda ferita, come se gli avesse strappato quei punti di sutura che a poco, a poco, stavano riuscendo a ricucirla. “- Mi voleva bene. Ecco come.” Balbettò a disagio il moro, abbassando gli occhi sulle mattonelle del pavimento e lasciando stupefatta la Saramego per quelle parole. “- Come diamine avevate fatto a legare?! Tu sei un maledetto immaturo, hai bisogno di una balia… non sei come era mio cognato e mai lo sarai! Il suo essere responsabile e intelligente non farà mai parte del tuo carattere!” Gridava. Angie, ancora con le lacrime agli occhi, gridava e, dandogli un mezzo spintone per aggirarlo e uscire di fretta da lì, lo fece traballare all’indietro senza che opponesse la minima resistenza. Non ce la faceva più. La donna forse sapeva di aver esagerato e ne soffriva… ma Galindo non faceva nulla per farsi apprezzare e quella era solo la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. L’ennesima goccia e, soprattutto, l’ennesimo vaso. Mentre si allontanava si sentì frenare per un polso e, non riuscendo a proseguire, si ritrovò costretta a voltarsi, ritrovandosi ad un centimetro dal volto di Pablo che, non l’avrebbe mai detto, aveva le guance solcate da alcune lacrime solitarie che scorrevano rapide lungo esse. “- Vuoi davvero sapere come siamo diventati amici io e German? Te lo racconto, ma sappi che mi fa male toccare l’argomento, lo sapeva soltanto lui…” Sussurrò in quella frase spezzata da un singhiozzo che egli tentò con tutte le sue forze di trattenere sino all’ultimo, invano. La Saramego non disse nulla ma si accigliò di colpo, sorpresa da quella reazione: nessuno, in effetti, sapeva quella storia ma non fece in tempo a dire altro che l’uomo iniziò, lasciandole il braccio e appoggiandosi con le spalle al muro con aria affaticata al solo dover ricordare tutto. “- Ho conosciuto tuo cognato in una biblioteca… cercavo un libro, un libro che mio fratello Gabriel amava da sempre, “Il Piccolo Principe”. Lui lo stava sfogliando e a me serviva, volevo finalmente leggerlo… un segno del destino. German era solo al mondo e lo ero anch’io.” Pablo prese fiato, asciugandosi con un braccio gli occhi, venendo interrotto dalla donna che, finalmente riuscì a balbettare una domanda: “- Tu hai un… un fratello?” “- Avevo.” Sibilò l’uomo con freddezza, lasciandola basita e vedendola fare un passo verso di lui per studiare meglio la sua espressione: i suoi occhi neri erano arrossati e malinconici come non li aveva mai visti ed era chiaro e leggibile al loro interno il suo profondo dolore. “- …L’ultima volta che avevo messo piede in quest’ospedale è stato tanti anni fa… era perché lui era ricoverato qui e… mi ha lasciato dopo mesi e mesi di sofferenza e degenza, sempre tra queste maledette mura, per un male incurabile. Solo tuo cognato mi ha amato come il fratello che avevo perso e ci siamo fatti forza a vicenda, come se davvero tra noi vi fosse stato un legame di sangue.” Mormorò con un filo di voce Galindo, mentre Angie era rimasta pentita per tutto ciò che gli aveva detto. Quell’uomo aveva sofferto così tanto… prima Gabriel, poi German… incredibile. Non sapeva spiegarsi perché ma in quell’istante sentiva di aver conosciuto il vero Pablo, un uomo sopraffatto dal dolore che lo aveva accompagnato troppe volte nella sua esistenza, forse rendendolo quello che era proprio perché aveva sempre affrontato tutto senza nessuno, ritrovandosi troppe volte sperduto e, se per la morte di  Gabriel sembrava essersi potuto aggrappare a suo cognato, poi era rimasto come all’inizio, solo al mondo. Di nuovo. Lo avvicinò ancora, prendendogli il volto tra le mani, mortificata per averlo trattato così duramente senza conoscerlo fino in fondo e, con i pollici, catturò alcune delle lacrime che scendevano a frotte sul suo viso, incatenata al suo sguardo, forte e tenace nonostante stesse confessandole qualcosa di così difficile per lui da affrontare.  Il respiro caldo e spezzato dai sussulti dovuti al pianto del moro contro la sua bocca la fecero sragionare del tutto e, non sapendo il perché, premette con foga le labbra contro le sue, continuando a tenergli il viso, facendogli sgranare gli occhi, sconvolto. Perché diamine lo stava baciando ora se l’ultima volta era stata lei a scacciarlo con un ceffone? Pena, pietà o cos’altro? E le parole di Gregorio? E i ragazzi? Nonostante tutto, Pablo non poté fare a meno di spegnere il cervello e ricambiare con trasporto a quel gesto, prendendo a farle scorrere le mani lungo ogni centimetro della schiena con una passione smodata… era da troppo che lo sognava, da troppo che desiderava sfiorare quella bocca con la stessa foga che lei ci stava mettendo in quegli istanti che parvero ad entrambi eterni. Quando si staccarono, per mancanza di fiato, Angie si morse nervosamente un labbro e indietreggiò di qualche passo, quasi fosse impaurita da sé stessa… cosa diamine aveva fatto? “- Perché?” La domanda che l’uomo le rivolse, in un sussurro teso, riassunse anche quella miriade che affollavano la sua mente… perché? Perché lo aveva baciato? “- E’… è sbagliato, lasciamo perdere quello che è accaduto, sarà meglio per tutti.” Balbettò a disagio la bionda, riavviandosi una ciocca dorata dietro all’orecchio, ricordandosi le parole dell’assistente sociale continuando a tentare di riprendere aria dopo quel gesto tanto passionale quanto avventato. “- Andiamo, Ambar sarà sveglia ormai…” Sussurrò poi, lasciandolo di stucco ma felice: se l’aveva baciato non poteva essere un errore, lei voleva quel bacio quanto lui e il fatto che fosse stato così travolgente ne era la prova lampante. Si stava tirando indietro per il discorso fatto loro da Casal? O l’aveva realmente baciato per mettere a tacere i suoi sensi di colpa dovuti all’averlo trattato in quel modo, essendo poi venuta a conoscenza del suo drammatico passato? Non lo sapeva ma il trasporto di quel gesto non poteva mentire: era per la prima ipotesi, ne era certo e, a passo lento e stordito, la seguì fuori dai bagni per raggiungere la camera della bambina… prima o poi, tanto, avrebbe affrontato l’argomento, ne era più che sicuro.
 
 
“- Leon, dobbiamo parlare.” Francesca scese dall’interno della casa nel garage adibito a sala prove, sapendo che solo lì avrebbe potuto chiacchierare con il gemello senza orecchie indiscrete pronte a sentirli. “- Sorellina! Problemi con il Francesino?”. Esclamò il ragazzo alludendo a Clement, standosene seduto su uno sgabello di fronte ad un’asta di microfono, tentava invano di aggiustare la corda della chitarra che si era rotta, con scarsi risultati. “- Dannazione! Ci vorrebbe Diego!” Imprecò poi, sbattendo lo strumento con modi poco garbati nel suo supporto e, incrociando le braccia al petto con stizza, prendendo finalmente a fissare la mora che si morse un labbro a disagio. “- No, tutto bene con nostro cugino, più o meno… volevo parlare di un’altra cosa, in realtà…” Esclamò lei a disagio, prendendo posto sullo scatolone sul quale si accomodava di solito Diego, trascinandoselo accanto al castano che però, risultava fastidiosamente più in alto rispetto a lei. “- E parla, allora! Da quando ti vergogni di tuo fratello maggiore? Ti devo ricordare che una volta, a 2 anni, abbiamo fatto il bagnetto insieme?” Ironizzò lui, osservandola imbronciarsi di colpo. “- Sei nato solo due minuti prima di me con un cesareo e ne avevamo 3 di anni in quell’altra occasione. Comunque no, grazie. Non voglio che me lo ricordi… anzi, taci sull’argomento!” Sbottò con aria  piccata, incrociando a sua volta le braccia, stizzita. “- E allora?!” Incalzò il fratello, confuso. “- Volevo sapere cosa ne pensi di Violetta… ieri nostro cugino sembrava molto interessato, la fissava sempre…” Iniziò un po’ a disagio, vedendo però la reazione di lui che non tardò ad arrivare a quelle parole: il giovane contrasse la mascella e si finse rilassato, voltandosi meglio verso la sorella che sorrise, avendo capito al volo che quella situazione l’avesse innervosito alquanto. “- E non hai visto quando le si è seduto accanto per chiacchierare come se la conoscesse da una vita… patetico.” Sbottò Leon, alludendo a quando lei si era recata a cercare Diego. Centro. La ragazza si rese conto che fosse riuscita a farlo parlare… ora doveva solo fargli ammettere che fosse cotto e che avesse intenzioni serie con lei e poi… beh, poi combinare un appuntamento non sarebbe stato niente male. Forse pretendeva troppo? Non lo sapeva, in ogni caso una cosa avrebbe tirato l’altra, ne era certa. “- No! Questa non la sapevo! Che tipo il nostro cuginetto!” Esclamò Francesca fingendosi estranea alla situazione, quando invece Violetta le aveva già detto che avesse scambiato quattro chiacchiere con Clement. Se c’era una cosa però su cui non aveva dubbi era che, dal tono e dal nervosismo espresso dai gesti e dalla voce del fratello, era chiaro che la vicinanza del Galán alla bella vicina di casa gli desse fastidio, e anche parecchio. “- Troppo intraprendente. Lo detesto.” Sbottò acidamente Leon, scattando in piedi e cominciando ad armeggiare con dei cavi per sistemare il caos che regnava incontrastato lì dentro: anche se le prove della band erano interrotte da ormai tempo indefinito, spesso si vedeva lì per chiacchierare con Seba e comunque c’era un disordine che la faceva da padrone dai tempi del trasloco. “- Lo so. Lo detestavi prima ma mi pare che ora il tuo disprezzo nei suoi confronti sia anche aumentato… da quando, pare, ronzi intorno a Vilu.” A quelle parole il gemello della mora si voltò di scatto e lei assunse una buffa espressione compiaciuta, sapendo di avere colto nel segno. “- Leon, Leon, Leon…” Iniziò la ragazza, alzandosi e avvicinandosi a lui, di spalle, a passo lento ma sicuro. “- Sei mio fratello, per giunta gemello… pensi davvero che non abbia capito che senti qualcosa per Violetta?” Gli chiese, appoggiandogli una mano sulla spalla e facendolo voltare piano, quasi impaurito dalla sua stessa sorella, o meglio, dalle parole da lei pronunciate. “- Che dici? Io…” Tentò La Fontaine, cominciando a gesticolare nervosamente cercando qualcosa di credibile che allontanasse quell’idea dalla mente della mora la quale, però, lo fermò con un gesto della mano prima ancora che potesse proseguire. “- Non dire nulla, sta’ zitto e ascoltami bene senza interrompermi…” Ribatté, vedendolo annuire con aria colpevole: Francesca non era per niente una sciocca … era sicuro che avesse capito il suo interesse per la sorella di Diego, anzi, se era lì a parlargliene, probabilmente non era un caso e cominciò a sospettare che, se fosse andata a cercarlo quel pomeriggio, era perché aveva già da prima la precisa intenzione di chiarire i suoi dubbi a riguardo. “- Io so che tipo sei…” Iniziò la ragazza, portandosi una ciocca dietro l’orecchio nervosamente. Leon ebbe l’istinto di chiedere che tipo fosse secondo lei, ma restò in silenzio, o meglio, non ebbe neppure il tempo di ribattere poiché lei continuò, seria. “- …Sei il classico ragazzo che non consiglierei mai ad una mia amica. E Vilu è una mia amica.” Aggiunse, mantenendo un tono calmo e pacato che riuscirono ad innervosire ancor di più il giovane. “- …Se non hai intenzioni serie con lei, sappi che te la vedrai con me e non scherzo.” Sembrò concludere la figlia di Matias, per poi invece continuare: “- …Le voglio molto bene, Leon, e non ho intenzione di vederla soffrire… ha già patito abbastanza e non voglio mai più vederla piangere come in quel periodo e sai a cosa mi riferisco... men che meno a causa tua.” Leon annuì mestamente, convinto che la sorella avesse pienamente ragione: la Castillo meritava la felicità, ma poteva riuscire a donargliela? Poteva lei essere interessata a lui? “- Perché non uscite, così magari la tieni anche lontana da qui e da quella spina nel fianco di Clement?” Ammiccò d’un tratto Francesca, smorzando quella tensione che era calata su loro come un velo invisibile di tristezza. “- Dici che le farebbe piacere?” Azzardò Leon, confuso. Lui era stato benissimo con lei al faro… che avesse sentito lo stesso? E, ad ogni modo… una passeggiata non poteva che fare bene ad entrambi per conoscersi meglio, no? Cosa c’era di male? “- Certo! E tanto anche!” Trillò Francesca entusiasta, battendo le mani allegramente, saltellando sul posto sotto lo sguardo un po’ stupito del fratello, che poi si sciolse in un dolce sorriso. La ragazza era riuscita nel suo intento e non poteva esserne più felice e soddisfatta: a Leon piaceva Violetta e non aveva intenzioni stupide come suo solito, era chiaro come l’acqua, lo aveva letto nei suoi occhi e l’aveva in ogni caso avvertito. “- Allora ci penserò, sorellina! Perché a me non dispiacerebbe affatto conoscerla meglio…” Sentenziò infine lui, incrociando le braccia al petto e osservandola annuire, felice. “- Bene, sono tanto contenta che voglia finalmente mettere la testa apposto!” Esclamò Francesca ancora con un bel sorriso stampato sul volto, dandogli poi una pacca sulla spalla e osservando l’uscita interna dal garage per ritornarsene a studiare. “- Vado, che Seneca mi aspetta…” Lo salutò poi, facendolo sghignazzare. “- Addirittura? Non farlo attendere, allora!” La schernì lui, facendola voltare per fargli una linguaccia, esattamente come facevano da quando erano bambini. Adorava la sua gemellina, l’aveva sempre considerata una secchiona e la prendeva in giro in continuazione, ma sapeva quanto fosse intelligente e determinata, dolce ma forte e l’ammirava un sacco. Distrattamente prese il cellulare e scrisse un sms:
 
“Ho visto che al cinema in centro danno quel nuovo film sui vampiri… che ne dici di andare a vederlo domani alle 20? Leon.”
 
Inviò quasi senza rendersene neppure conto quel messaggio a Violetta e dovette ammettere che mai in vita sua si era sentito così in imbarazzo nello scrivere ad una ragazza. Insomma, lui di solito invitava le coetanee in discoteca, ad uscire per bere qualcosa… ma no, Violetta non era una delle tante, lei era diversa e lo sapeva bene e, ad essere sincero, non gli dispiaceva l’idea del cinema, seppure il film lasciasse molto a desiderare e non fosse per nulla di suo gradimento. La Fontaine prese poi a pregare mentalmente che Diego non se la fosse presa per quell’uscita amichevole con la giovane… in ogni caso, se davvero lo considerava un amico come diceva, lo avrebbe dovuto capire e accettare, no? Che doveva farci se gli piaceva sua sorella? Non voleva farsene una colpa, men che meno ora che neppure stavano insieme! Beh, non ancora…
Sobbalzò con il trillo del suo telefonino appoggiato sulla tastiera accanto a lui e sorrise istintivamente per ciò che aveva appena letto.
 
“Ci sto! Ci vediamo fuori al cinema. Vilu.”
 
Ce l’aveva fatta! E doveva ammettere che ce ne aveva messo di tempo per azzardare anche solo l’ipotesi di un’uscita con Violetta! Tutta colpa, anzi merito, di Fran e, se ogni cosa sarebbe andata come sperava, non avrebbe mai smesso di ringraziarla, o meglio, l’avrebbe fatto in ogni caso. Aveva capito che Clement voleva la guerra e… beh, l’avrebbe avuta. Che un giorno avesse dovuto ringraziare anche l’Europeo per aver fatto sì che si desse una svegliata? La Castillo non meritava un poco di buono che la voleva conquistare di sicuro solo per noia o per voler far arrabbiare suo cugino… e Leon l’avrebbe protetta, ad ogni costo.
 
 
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I Leonetta, aw! :3 I Pangiosi… bacio, aw! :3 E grazie a Fran ci attende l’appuntamento Leonettoso, aw, aw, aw! :3 Prepariamoci a sclerare, dimenticandoci per un po’ del francesino fastidioso ! ;) Grazie a tutti coloro che seguono la storia e alla prossima, ciao! :) DulceVoz. :)

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Capitolo 17
*** Ser quien soy. ***


Ser quien soy. Cap.17
 
Diego tentennava davanti al campanello di casa La Fontaine e fece per andar via dopo pochi minuti in cui se ne era rimasto fermo, immobile, a fissare la porta, impalato come una statua di sale. Che doveva fare? Voleva vedere Francesca, voleva parlarle rispetto a quello che era successo la sera della grigliata, eppure, doveva ammetterlo, quella situazione lo metteva alquanto in imbarazzo. Perché aveva pianto tra le braccia della giovane? Perché con lei si era aperto tanto e, soprattutto… perché si era sentito così bene stretto alla sorella di Leon, la quale, gli pareva leggesse la sua mente con così tanta facilità da fargli quasi paura? Non ne aveva idea, sapeva solo che, da quando era accaduto, si sentiva come svuotato di una parte di quella sofferenza che gli celava l’anima… non che stesse meglio, ma già il fatto che avesse deciso di voler vedere la vicina era probabilmente sintomo che, in effetti, Francesca gli aveva dovuto far bene in qualche maniera, seppur non sapesse dire come. Scese alcuni gradini del portico per scappare ma si rese conto che non sarebbe stato da lui: da quando in qua Diego Castillo scappava da qualcosa? Non poteva. Voleva capire, voleva uscire da quello stato di confusione in cui la La Fontaine l’aveva gettato e ci sarebbe riuscito solo rivedendola. Senza pensarci troppo, con la paura che potesse cambiare idea, bussò e nel giro di pochi minuti si ritrovò di fronte la madre della ragazza che lo accolse sorpresa ma comunque con un sorriso. “- Diego! Che bello che sia venuto! Vieni, entra… Leon però non c’è, è andato un po’ ad aiutare Mati al supermercato…” Iniziò, guidandolo sino al salotto e invitandolo ad accomodarsi, cosa che lui subito fece, ringraziandola con un cenno del capo. “- …Però puoi aspettarlo qui senza alcun problema, lo sai.” Esclamò la bruna, vedendolo scuotere il capo con un velo di imbarazzo che alla donna non sfuggì di certo, intuitiva com’era. “- In realtà sono qui per vedere Francesca… è in casa?” Domandò Castillo, abbassando poi lo sguardo per sfuggire a quello indagatore della Parodi che rimase palesemente sorpresa da quella domanda. “- Sì… sì certo, è di sopra… puoi salire tu o vuoi che la chiami io?” Gli chiese, quasi a disagio quanto lui ma nonostante tutto felice di vedere il giovane lì dopo tanto tempo e, soprattutto, non costretto a recarsi in quella casa da Angie o da altri, ma di sua spontanea volontà. “- Non ti preoccupare, vado io se posso…” Balbettò, ancor più nervosamente lui, alzandosi e indicando le scale con un cenno del capo. “- Certo, fa’ come se fossi a casa tua!” Sorrise Marcela, precedendolo sulla gradinata per mostrargli la camera della figlia, seppure il ragazzo, di sfuggita, l’avesse già vista, quando andava a trovare l’altro gemello La Fontaine.
“- Fran, tesoro…” La moglie di Matias chiamò la giovane, bussando contemporaneamente alla sua porta. “- …Hai una visita…” Le disse ancora, sentendo la chiave girare nella serratura e intravedendo finalmente il volto stanco della giovane. “- Mamma, se è Clement che vuole ancora il mio pc digli che mi serve perché sto studian…” Francesca si interruppe solo quando la donna aprì meglio la porta e lei si ritrovò Diego di fronte… cosa ci faceva lì? Il suo primo pensiero fu per il fatto che avesse addosso un pigiama felpato non di certo all’ultimo grido e i capelli erano raccolti in una spettinata coda di cavallo… da quando poi si creava problemi per apparire carina con il vicino? “- E’ voluto venire direttamente su…” Le sussurrò ad un orecchio la Parodi, come se l’avesse letta nel pensiero, mortificata del fatto che la giovane non si fosse potuta dare una sistemata prima di incontrarlo come sicuramente avrebbe voluto. “- Clement e gli zii sono in giro per Madeira, tranquilli… e io vi lascio.” Concluse, osservando prima il bruno e poi Francesca che le fece cenno di allontanarsi senza ghignare soddisfatta, come invece stava facendo. “- Non mi aspettavo che… insomma… accomodati!” Balbettò la La Fontaine a disagio, sentendo i passi della madre ormai sulle scale e perdendosi negli occhi smeraldo del giovane che, imbarazzato quasi quanto lei, entrò e si sedette sul suo letto, cosa che lei gli accennò di fare con un gesto del capo. “- Volevo parlarti io… beh, ma se hai da fare però non fa niente…” Esclamò Diego osservando la sua scrivania stracolma di volumi e quaderni, sotto ai quali si intravedeva appena un pc portatile. “- No, figurati stavo anticipando dei compiti per la prossima settimana, io e Cami dovremmo fare una ricerca insieme e… niente di urgentissimo, ecco.” Sorrise la bruna, ravviandosi alla meno peggio la chioma corvina e trascinandosi la sedia girevole più vicina a lui, rischiando almeno due volte di inciamparvi sopra per la tensione, facendo trattenere a stento un ghigno al giovane che, per pura gentilezza, si trattenne dallo scoppiarle a ridere in faccia, ennesimo segno che con la ragazza riuscisse a distrarsi almeno un po’ dai suoi mesti pensieri. “- Attenzione!” Esclamò comunque, vedendola finalmente accomodarsi e fissarlo, rossa come un pomodoro. Cominciava decisamente male! Come diavolo poteva essere così nervosa? Era solo… l’amico di Leon, nonché fratello della sua migliore amica… poteva farcela. Inoltre, doveva focalizzarsi sulla promessa fatta a Violetta: voleva aiutarlo e, se per farlo ridere doveva cadere e fare una figuraccia colossale era disposta anche a quello pur di vederlo perdere quella vuotezza che caratterizzava il suo sguardo. “- Volevo ringraziarti per… quella sera… tu sai a cosa mi riferisco.” Iniziò Castillo, abbassando lo sguardo sulle sue scarpe e sentendo il battito accelerargli per la tensione. Francesca capì ovviamente al volo a cosa alludesse il ragazzo e sorrise dolcemente, mordendosi il labbro inferiore non sapendo, di preciso, cosa dire. “- Non c’è bisogno di ringraziarmi, Diego. Io ci sono e in qualunque momento tu dovessi avere voglia di parlare io sarà pronta ad ascoltarti, davvero.” Sussurrò, seguendo solo ciò che il suo cuore le stava dettando in quel momento. A quelle parole, il moro alzò lo sguardo e rimase alcuni secondi in silenzio a specchiarsi negli occhi castani e teneri della ragazza, con una convinzione: non era una delle solite frasi di circostanza, nello sguardo di Francesca leggeva sincerità, sentiva che davvero volesse aiutarlo e la cosa gli faceva uno strano effetto. “- Ho capito che stare con te, sfogarmi con te, come alla grigliata, mi aiuta e… voglio essere tuo amico… se tu vorrai, ovviamente.” Aggiunse il ragazzo, scompigliandosi poi il ciuffo corvino e osservandola di nuovo per studiare la sua reazione che non tardò ad arrivare: la gemella di Leon si alzò e lo affiancò sul morbido materasso, annuendo soddisfatta. “- Sì, certo che lo voglio…” Mormorò teneramente e con il suo solito tono pacato che Diego sentì fargli subito tanto bene: poteva la voce di Francesca fargli quell’effetto? Cosa diamine gli stava succedendo? Con lei si sentiva paradossalmente forte, lui, il capofamiglia, il “minicapo” di suo padre, aveva bisogno di qualcuno a cui appoggiarsi per superare il dolore? Impossibile… eppure stava accadendo, incredibilmente. “- Come sta Ambar? Vilu mi ha detto del braccio… avevo pensato di passare a trovarla ma non volevo disturbare…” Cambiò discorso la giovane, dopo che un abbondante minuto di silenzio era calato sui due, mettendoli estremamente in imbarazzo. “- Un po’ meglio, per fortuna nulla di grave. Zia Angie la sta ricoprendo di attenzioni e regali!” Esclamò il giovane, scurendosi in volto però al ricordo di Pablo che, doveva ammetterlo, stava facendo lo stesso. La Saramego aveva detto che fosse stato un incidente ma lui era convinto che il tutto fosse accaduto quando c’era solo quell’incapace di Galindo in casa… ecco perché adesso la viziava tanto anche lui. “- C’è qualcosa che non va?” Chiese la ragazza, forse notando quanto fosse diventato improvvisamente taciturno e cupo in viso di colpo. “- No, è che… quando è caduta credo ci fosse solo l’amico di mio padre in casa e… non posso sopportare che mia sorella si sia fatta male a causa della sua inettitudine.” Concluse stizzito Diego, mentre Francesca si accigliò: era chiaro come il sole che i rapporti con Pablo non fossero ancora dei migliori ma in quel caso doveva davvero essere stato un incidente e non poteva accusarlo solo perché, evidentemente, lo detestava. “- Beh, io sono stata spesso con Ambar e ho fatto da babysitter ad un mucchio di bambini… e ti posso assicurare che non puoi perderli di vista neppure un minuto che subito si sbucciano qualche ginocchio!” Sorrise la mora, portandosi una ciocca dietro all’orecchio, notando quanto lui si fosse accigliato a quelle parole. “- Appunto! Non avrebbe dovuto perderla di vista!” Borbottò, incrociando le braccia al petto, pensando che lei gli stesse dando gentilmente ragione. “- Non ho finito…” Lo redarguì però lei con la sua solita pacatezza, osservando la sua espressione corrucciata per quel rimprovero: “- Anche se comunque Pablo fosse stato poco attento… beh, è stato un incidente, non puoi accusarlo di questo… non è che se fosse stato lì, lei non sarebbe comunque caduta, poteva accadere lo stesso! E’ così vivace quella piccoletta!” Sentenziò con calma Francesca, vedendolo, seppur ancora poco convinto, annuire. Per quanto fastidio gli desse doverlo ammettere, Galindo in effetti non aveva in ogni caso troppe colpe e la figlia di Matias, anche quella volta, gli aveva spiegato qualcosa facendogliela valutare sotto un altro punto di vista, senza puntare subito il dito solo perché i suoi rapporti con l’uomo non fossero dei migliori. “- Già, forse hai ragione…” Sorrise lui più rilassato, annuendo. Quella conversazione era l’ennesima prova che Francesca gli facesse bene e che volesse passare più tempo con lei che, inaspettatamente, si era rivelata sin da subito preziosissima per lui. “- Che ne dici di bere qualcosa?” Esclamò Francesca di colpo, sorridendo e alzandosi, vedendo  anche lui fare lo stesso. “- Sì, mi farebbe molto piacere!” Asserì lui, rendendosi conto che, nel giro di giorni e con la sola presenza della ragazza avesse ripreso a sorridere e a conversare senza usare modi sgarbati… e come avrebbe potuto con quella tenera e dolce giovane che era lei comportarsi male? Impossibile. Scese le scale e venne guidato da lei in cucina dove spesso prendeva una birra con Leon parlando del più e del meno e dove, perennemente, trovavano il padrone di casa a prepararsi qualche spuntino… ora era così diverso… mai avrebbe immaginato di essere in quella casa per la sorella e non per l’amico! “- Se ne hanno lasciata… dovrebbe esserci della Coca Cola!” Rise Francesca allegramente, sparendo dietro alla porta del grande frigo e facendo sghignazzare lui che, subito, associò quella frase alla voracità degli uomini di casa. “- Se non c’è non preoccuparti, sarà per la prossima!” Esclamò il ragazzo, vedendola uscire trionfante da dove era seminascosta con in alto due lattine con aria vittoriosa. “- Le ultime e le avevano nascoste per bene! Immagino la faccia che avranno stasera a cena quando non le troveranno!” Ghignò Francesca, imitando poi una risata malefica alla quale si unì il bruno che, però, rideva per davvero. “- Non ti facevo così malvagia!” La prese in giro, sedendosi di fronte a lei al tavolo per scolarsi la bibita. “- Non mi conosci ancora bene…” Sorrise lei, prendendosi un sorso della bevanda ma osservando la sua reazione perplessa che la fece ridacchiare di gusto per quanto era divenuta buffa. Quanti segreti nascondeva Francesca? Diego non lo sapeva ma con quell’amicizia voleva scoprirlo… e poi, in fondo… era sicuro di provare solo quel sentimento per lei? Forse, eppure era confuso: lei lo faceva distrarre, star meglio, si perdeva decisamente spesso nei suoi occhi seppure l’avesse avvicinata solo da troppo poco… cosa gli stava accadendo?
“- Devo andare a studiare o zia Angie mi farà fuori a suon di libri in testa!” Scherzò dopo circa mezz’ora in cui si erano divertiti a chiacchierare del più e del meno e in cui il ragazzo aveva completamente lasciato i suoi cattivi pensieri fuori da quella cucina, cosa che per un po’ non gli era affatto dispiaciuta, anzi. Quella leggerezza che avvertiva lì dentro con quella amabile compagnia gli era mancata tantissimo, come l’aria che respirava e gli dispiaceva troppo doverla lasciare proprio ora, seppure non avesse altra scelta. “- Vai, vai! E sappi che approvo le librate se non fai il bravo!” Esclamò lei, alzandosi per accompagnarlo alla porta, vedendolo allargare le braccia e scuotere il capo. “- E io che pensavo che tu non fossi pazza come lei!” Rise, fermandosi sotto al portico di fronte alla ragazza, dopo aver varcato la soglia d’ingresso. “- Fa bene! Devi studiare e se te lo dice con insistenza ricorda che lo fa per il te, testone che non sei altro!” Sentenziò categorica, vedendolo poi farsi serio nuovamente, specchiandosi ancora una volta nei suoi occhi castani e teneri. “- Grazie.” Sussurrò, attirandola a sé con affetto, lasciandola sorpresa e felice. “- Di nulla…” Balbettò la bruna, sentendosi di nuovo percossa dai brividi a quel gesto e avvertendo il cuore accelerarle almeno di dieci battiti in quell’istante: Diego le era diventato amico, ufficialmente… ma poteva restare tale se lei si sentiva così ogni volta che lui l’abbracciava? Le sue amiche avevano ragione: era stracotta di Castillo e ne ebbe l’ennesima conferma proprio in quell’istante… ma lui cosa provava? Il fatto che l’avesse avvicinata era significativo o no? Lo osservò allontanarsi sul vialetto e lo salutò con la mano, sentendo ancora le guance andarle a fuoco e avendo un unico pensiero in testa… quando avrebbe avuto di nuovo l’occasione di stargli accanto?
 
 
“- Hai vinto di nuovo, non è giusto!” La voce risentita di Pablo proveniva dalla cameretta di Ambar che, seduta per terra di fronte a lui davanti ad una dama, ridacchiava soddisfatta. “- Non è colpa mia se sei una frana!” Sbottò la piccola, risistemando tutte le pedine al loro posto per iniziare una nuova partita. “- Ti concedo la rivincita, se vuoi perdere ancora…” Lo prese in giro con aria soddisfatta, facendolo sbuffare, annoiato. “- Non è che potremmo fare un Pokerino?” Propose ironicamente, vedendo la bambina ignorarlo del tutto, cercando un pezzo dei neri che era sparito. Angie, da fuori alla porta di poco socchiusa, osservava la scena incantata: Galindo stava facendo di tutto per farsi amare dai ragazzi e doveva ammettere che non se lo sarebbe mai aspettata, considerando il soggetto che credeva, prima di conoscere la sua vera storia, avere come unico interesse le donne e il divertimento. Da quando poi l’aveva baciato, in ospedale, aveva sempre cercato di evitarlo in casa ma per quanto ancora sarebbe riuscita a sfuggirgli? E soprattutto, cosa gli avrebbe detto quando avrebbe dovuto parlargli? D’un tratto, la porta della cameretta di Ambar si spalancò e lei per poco non cadde travolta dalla nipotina che si stava fiondando per le scale per andare a prendere qualcosa da sgranocchiare a quanto aveva urlato all’uomo, il quale, dall’interno, vide la donna e sorrise. “- Che fai prima mi eviti e poi mi spii?” Domandò ghignando, vedendola scuotere il capo. Sempre il solito presuntuoso! “- Stavo solo controllando che andasse tutto bene…” Biascicò a disagio, facendo poi per andarsene ma accorgendosi che Galindo si fosse alzato in piedi e la stesse seguendo, fino a riuscire a bloccarle il polso, costringendola a voltarsi. “- E’ mai possibile che debba fare sempre una corsa per fermarti?” Le chiese, sentendola prendere un profondo sospiro con aria afflitta. A quel semplice contatto con lui, qualcosa come una scossa le aveva fatto sentire i brividi partire dal braccio per poi propagarsi sin nelle ossa e pensò seriamente di star maledettamente bene. “- Perché mi hai dato quel bacio? E non dirmi che è stato un errore perché non puo’ esserlo. Non con quell’intensità.” La voce di Pablo era ridotta ad un sussurro serio, sicuro e il tono era basso solo perché, evidentemente, temeva che la bambina, ancora al piano di sotto, potesse sentire. “- Non capiresti e… lasciami!” Strillò lei, lasciandolo perplesso sul posto a specchiarsi nei suoi grandi occhi smeraldo, facendogli subito mollare la presa al suo polso. “- Io ho bisogno di… sapere!” Incalzò l’uomo confuso, agitando le braccia spazientito e osservandola appoggiarsi stanca con la schiena alla parete, il volto basso e triste. “- Noi non possiamo… sai a cosa mi riferisco…!” Balbettò a disagio, alludendo alla conversazione che entrambi avevano avuto con l’assistente sociale. “- Come non possiamo? Quindi tu…? Aspetta… non ci sto capendo nulla!” “- NEMMENO IO!” La voce alterata della Saramego lo spiazzò: era innamorata di lui? Possibile? O, di preciso, non lo sapeva neppure lei? “- Sto cercando di starti lontana in tutti i modi, non complicarmi la vita ulteriormente… prendiamo le distanze e sarà meglio per tutti, credimi.” Aggiunse la donna, appoggiandogli una mano sulla spalla e fissandolo intensamente negli occhi: lo sguardo di Pablo esprimeva perplessità ma era sicura che, con quelle parole, avesse capito benissimo cosa intendesse. La bionda aveva paura, e il fatto che si stesse tanto affezionando a lui e lo avesse addirittura baciato era un segno chiaro come il sole che cominciasse a provare qualcosa e doveva in tutti i modi evitarlo standogli lontana. “- Tu provi qualcosa per me?” Domandò a bruciapelo il moro, studiando la sua espressione, attento. Angie non disse nulla ma si morse il labbro a disagio: no, per lei l’amore non esisteva e infatti quello lì non poteva esserlo. Avrebbe sofferto di nuovo e poi… e poi c’erano i ragazzi, la loro convivenza forzata che avrebbe dovuto continuare, qualunque cosa sarebbe accaduta. “- Gregorio Casal aveva ragione… allontaniamoci e… andrà tutto bene.” Concluse Angie, vedendolo scuotere il capo: non gli aveva risposto ma bastavano quelle parole a fargli capire che sentisse qualcosa di forte nei suoi confronti, il quale, a sua volta, stava seriamente cominciando a capire di provare un sentimento diverso per la bionda, non la solita attrazione ma… c’era dell’altro, dell’ignoto che gli faceva paura ma che avrebbe voluto esplorare, buttandosi a capofitto in una relazione con la Saramego che, in quel senso, restava per lui un enigma per gli effetti che gli provocava. “- Non mi importa di ciò che dice quel tizio… siamo… siamo entrambi soli e io…” “- Non siamo soli! E’ proprio questo il punto!” Sbottò Angie, vedendolo annuire: già, c’erano i ragazzi e di certo lei era frenata anche da tutta quella intricatissima situazione. In quell’istante di silenzio, il cellulare di Galindo trillò vivace e lui, facendole cenno di restare lì, non essendo conclusa quella conversazione, si allontanò un po’ per rispondere. La sorella di Esmeralda rimase immobile ad osservarlo e più lo fissava più sentiva il cuore impazzirle nel petto e, seppure volesse placarlo, non riusciva in alcun modo a fargli rallentare quei battiti accelerati. Durante quel bacio  nei bagni dell’ospedale si era sentita su una nuvola, felice come mai… e continuava a chiedersi se quello potesse essere sintomo di una passione improvvisa che aveva sentito dopo aver conosciuto il vero Pablo Galindo. Non era pena, non era pietà… lei lo aveva finalmente visto, aveva capito che quell’uomo indossava una maschera costruita con strati e strati di dolore e ciò che aveva visto quando l’aveva calata le era piaciuto tanto. Pablo aveva un cuore, malato dalle tante sofferenze ma che batteva, che poteva regalarle forse anche il tanto agognato amore che mai aveva avuto e che continuava a credere, forse, di non meritare. “- Era per te…” Concluse dopo alcuni minuti il moro, riavvicinandola e riponendo in tasca il telefonino. “- Come?!” Chiese confusa la donna, vedendolo sorridere. “- Ho trovato un modo per riaprire il Restò Bar… o meglio, i soldi per saldare i debiti fatti da Beto.” Concluse soddisfatto, vedendola sbiancare di colpo. “- Cosa? No, senti non voglio che ti metta in qualche guaio e… e lascia stare, troverò un lavoretto giusto per tirare avanti ma al locale ormai ci ho già rinunciato!” Esclamò Angie, facendolo ghignare ancora, scuotendo il capo. “- E hai fatto male! Io ho la soluzione… legale, tranquilla, a tutti i tuoi problemi…” Disse con tono misterioso, analizzando la sua espressione perplessa. “- …Ma, se vuoi sapere di cosa si tratta, devi accettare di venire a cena con me sabato sera… e con Priscilla Ferro, vuole parlartene lei stessa…” Concluse l’uomo, non aggiungendo altro e lasciandola interdetta: che diamine aveva in mente ora quel folle di Galindo? Si poteva fidare di lui? E cosa c’entrava il suo capo, la direttrice di “Top”, adesso? “- …Sto aspettando una risposta…” Incalzò, canticchiando quelle parole, Pablo, vedendola annuire di colpo. “- Accetto. Ma prima voglio capire di cosa si tratta…” Ci tenne a sottolineare la donna, puntandogli un indice alla gola con decisione come per minacciarlo. “- Ovviamente… e mal che vada io mi sarò guadagnato una serata con te…” “- E con la tua datrice di lavoro!” Ridacchiò la zia dei Castillo, osservando la sua faccia quasi spaventata che era tutta un programma. “- Non ci avevo pensato… e vabbé me ne farò una ragione… tutto pur di cenare fuori insieme a te.” Sussurrò al suo orecchio con voce calda, per poi allontanarsi di colpo nell’avvertire i passi di Ambar sulle scale e, sotto al braccio una busta di caramelle trovate in dispensa e aria perplessa nel vedere i due, vicini, senza litigare come al solito. “- Zia, ti unisci a noi? Se siamo in tre però dobbiamo cambiare gioco!” Si lagnò, cominciando a riflettere quale dei migliaia di giochi da tavola potesse prendere per far sì che anche la donna si aggiungesse a loro. “- Sì dai, unisciti a noi così la smetterò di perdere a dama contro una mocciosa di otto anni!” Ridacchiò Pablo, vedendola annuire divertita. “- Non sono una mocciosa! E comunque, se perdi è perché sei tonto, io non posso farci niente!” Strepitò la rossa, facendogli una linguaccia e tornando in camera, scatenando le risate della zia che, seguendo i due, entrò nella cameretta della piccola. Sarebbe stata una lunga serata… molto lunga.
 
 
Violetta si sporgeva verso la strada, voltandosi a destra e a sinistra per sperare di veder apparire Leon dall’ennesima ondata di persone che si avviava verso le biglietterie per gli spettacoli serali. Che si fosse ricreduto sull’andare al cinema con lei? Era nervosissima eppure non poteva crederci: Francesca le aveva rimediato davvero un’uscita con il ragazzo dei suoi sogni… inoltre, a quanto le aveva detto l’amica, il gemello le era parso essere anche molto interessato a lei e non aveva neppure intenzioni poco serie! Incredibile. Chissà come sarebbe andato quell’appuntamento: era tesa come una corda di violino e ci aveva messo ore per prepararsi, chiedendo consiglio persino ad Ambar sul suo look, la quale era anche più critica di Camilla, rimasta con lei tutto il pomeriggio per aiutarla, e di Angie, contenta nel sentire che uscisse con il vicino, seppure fosse rimasta un po’ sorpresa dalla notizia. Per quanto riguardava Diego, resasi conto quasi improvvisamente che fosse l’amico del fratello colui con il quale stava per vedersi, come se l’avesse del tutto dimenticato, aveva deciso di dirglielo per correttezza, e, di sfuggita, appena lui era rientrato proprio da casa La Fontaine gliel’aveva confessato: era stata diretta e sincera e si aspettava una qualche scenata di gelosia dal maggiore ma nulla, pareva su un altro pianeta e le aveva solo detto di divertirsi e di avvertire Leon che se avesse fatto il cretino gli avrebbe spaccato il naso come aveva fatto con Pablo, facendola sghignazzare di gusto. Il più grande aveva visto Francesca, ne era sicura… lo intuì da come era tranquillo. Pareva che quella sua “terapia”  che era l’amica doveva continuare a fargli bene e la giovane, pur di vederlo in fase di ripresa, ne era estremamente felice. Avevano sofferto tanto e meritavano, seppure fossero attimi, un minimo di serenità dopo l’inferno che avevano passato e continuavano a vivere per la perdita della madre e del padre contemporaneamente. Si ricordò improvvisamente di quante volte fosse andata in quello stesso cinema con i suoi genitori e i suoi fratelli e sentì gli occhi istantaneamente cominciare a pizzicarle, probabilmente essendosi già riempiti di lacrime… per fortuna, proprio in quel momento, individuò un ragazzo correre verso di lei e, quando fu più vicino, si rese conto che fosse proprio Leon. Il giovane l’avvicinò  con un sorriso affaticato, piegandosi poi sulle ginocchia per provare a riprendere fiato, con una mano appoggiata ad un lampione accanto alla ragazza.  “- So che sono imperdonabile per il mio ritardo ma… ho dovuto aiutare mio padre in negozio per scaricare gli ultimi pacchi arrivati…” Balbettò, riprovando a recuperare fiato con non poche difficoltà. “- Abbiamo solo due dipendenti e sono entrambi in malattia! Maledetta influenza!” Sbottò, vedendola sorridere: era bellissima e non pareva affatto arrabbiata per il suo ritardo… evidentemente aveva capito la situazione in cui era Matias al suo piccolo minimarket aperto da poco al borgo, uno dei motivi per il quale si erano trasferiti dalla capitale a lì, seppure la distanza dal centro di Buenos Aires non fosse troppa, anzi. “- Non aspettavo da molto, non ti preoccupare…” mentì lei gentilmente, voltandosi poi verso la coda ormai scemata alle casse. “- Allora vada per ‘Amór y Vampiros’, che ne dici?” Domandò lui fingendosi felice della scelta, indicando la locandina enorme del film alle loro spalle nella quale era raffigurata la foto di una ragazza abbracciata ad un biondino con lunghi canini affilatissimi che era sul punto di morderle il candido collo. “- Sì, va bene! Sono mesi che aspettavo di vederlo!” Esclamò lei entusiasta, camminando al suo fianco verso le biglietterie, alla quale il giovane la precedette, pagando, da gentiluomo, anche per lei. “- Non c’è bisogno io ho…” “- No. Io ti ho invitata e tocca a me!” La fermò subito Leon con un sorriso, quando lei aveva già provato a posare le banconote davanti alla signorina dietro alla cassa che consegnò loro i biglietti. I ragazzi, un po’ in imbarazzo, entrarono nel multisala e li accolse, insieme ad un forte vociare di persone, anche un potente odore di pop corn al burro che andò prontamente ad invadere le loro narici. “- Che profumino!” Esclamò lui, facendola sogghignare divertita. “- So che siamo in ritardo per il film ma io senza quelli non vado da nessuna parte!” Sentenziò categorico La Fontaine, indicando il bar di fronte a loro e, in particolare, il più grosso contenitore di pop corn esposto in esso. “- Beh, ammetto che io, invece, non resisto ad una bibita durante il film!” Esclamò la ragazza, la quale, senza nemmeno rendersene conto, venne trascinata verso quell’enorme bancone dal ragazzo. Non appena gli aveva stretto la mano per dirigerla con lui a comprare qualcosa da sgranocchiare in sala, Violetta aveva sentito un brivido attraversarle tutto il braccio, come se avesse preso la scossa e osservava incantata il ragazzo ordinare due confezioni di quei succulenti salatini e lo stesso numero di Coca Cola. “- Per fortuna non c’è fila neppure qui!” Mormorò poi lui, nel frattempo che veniva servito dalla barista. “- Già… è perché sono già tutti dentro…” Ridacchiò la giovane, alludendo al fatto che gli spettatori fossero già tutti ai propri posti per assistere allo spettacolo serale. “- Per me solo una Coca Cola, grazie!” Gli disse di fretta, vedendolo prima accigliarsi e poi annuire e modificare la sua richiesta alla donna dietro al banco che cominciava a spazientirsi. “- Hai ragione… colpa mia, anche in questo caso!” Ammise lui, consegnandole la sua bibita, per poi afferrare il suo spuntino e avviarsi al suo fianco verso la sala. “- No, ma figurati! La prima mezz’ora sono solo trailer e spot vari… non ci perderemo nulla!” Esclamò la Castillo, vedendolo annuire ed indicarle con un cenno del capo il percorso da seguire per raggiungere il posto dove davano il loro film. L’interno era già buio e si avvertiva potente l’audio del grande schermo sul quale stavano passando un’anteprima di un pauroso horror. “- Con i posti siamo in cima, seguimi…” Sussurrò al suo orecchio Leon, facendole strada sui gradini sino alle loro poltroncine, un po’ in difficoltà per tentare di non inciampare nell’oscurità e con la lattina in mano. Leon individuò la loro fila grazie al fatto che avesse consultato in precedenza i biglietti e si sedette vedendo Violetta sistemarsi accanto a lui, il quale aveva già imbracciato la sua porzione gigante di Pop Corn. “- Se cambi idea prendine pure quanti ne vuoi!” Esclamò il giovane, vedendola annuire, alquanto imbarazzata, mentre apriva la sua bevanda e vi posizionava la cannuccia, per poi riporla nell’apposito porta bibite accanto al bracciolo della poltrona. “- Hai visto? Ancora trailer!” Sorrise lei, indicando lo schermo e vedendolo annuire. “- Questo sembra un horror con i fiocchi… dovremmo vederl…” Il castano non riuscì a concludere la frase che lei si scaraventò sulla sua spalla per una scena che l’aveva fatta sobbalzare dalla sedia. “- Non ci pensare neppure!” Si lagnò, coprendosi gli occhi e sperando di sentire che quell’incubo fosse finito. Leon sogghignò ed ebbe l’istinto di rassicurarla, accarezzandole il capo o sussurrandole qualcosa di dolce… ma non lo fece: l’avrebbe preso per uno che corre troppo? Non lo sapeva ma lasciò perdere e si limitò a mormorarle che il trailer pauroso fosse terminato vedendola sollevare di poco il capo per specchiarsi nei suoi occhi, forse per accertarsi che fosse vero. “- Ok, mi rimangio ciò che ho detto… la prossima volta ci veniamo a vedere una qualche stupida commedia! Almeno ci facciamo due risate!” Le sorrise, vedendola annuire, un po’ in imbarazzo per ciò che aveva fatto… e se lui se la fosse presa per quel gesto un po’ avventato? “- Scusami per… ecco… non avrei dovuto… io…” Iniziò la ragazza, un po’ a disagio, mentre sullo schermo passava l’ennesimo trailer, quello di un cartone animato. “- Nah, so di essere irresistibile, tranquilla!” Scherzò, facendole sgranare gli occhi perplessa. “- Scherzo, Vilu!” La rassicurò, vedendola riprendere fiato e appoggiarsi allo schienale più rilassata. Finalmente il film cominciò e, come sapeva, Leon iniziò ad annoiarsi sin da subito: la trama era banale, c’era la solita ragazza innamorata di un tizio pallido che si rivelava essere un vampiro e… il resto se l’era perso, piuttosto mangiava e rifletteva su quell’uscita con la Castillo la quale, invece, era rimasta tutta concentrata sui personaggi senza staccare gli occhi dallo schermo neppure per un secondo, rapita e ipnotizzata da quella che lui avrebbe definito “pura robaccia”. Però, in quelle due ore, ebbe tutto il tempo di capire che stare con quella che, fino a poco tempo prima, avrebbe solo definito la sorellina del suo migliore amico, non gli dispiaceva affatto: Violetta era divertente, molto carina, intelligente e matura e dovette ammettere che, quando lei, senza staccare gli occhi dal film, infilò la mano nel secchiello dei pop corn e sfiorò per puro caso la sua, sentì il cuore accelerargli di almeno dieci battiti. A quel lieve contatto, Leon la vide voltarsi con aria tesa verso di lui che era rimasto molto scosso da quella sensazione nei confronti della castana, tanto da non riuscire a far altro che abbassare gli occhi, nervoso come mai in vita sua. Dopo quel gesto rimasero zitti e, quando finì il supplizio per il La Fontaine, proprio lui aveva ancor più chiaro quanto Violetta gli piacesse ma uscirono dalla sala silenziosi, l’uno accanto all’altra, taciturni sino a quando, fuori al cinema, il giovane si avvicinò al vetro di una delle porte esterne per leggere distrattamente un grande volantino che era stato evidentemente appena affisso. “- La Fiera di Madeira… ne ho sentito parlare e quando io e Fran eravamo bambini ci venivamo quasi ogni anno, seppur non fossimo di qui!” Le disse, vedendola illuminarsi a quelle parole: adorava quell’evento che avveniva il 21 luglio, il giorno in cui cadeva la Festa Della Musica, molto sentita nel borgo, eppure, allo stesso tempo, una marea di ricordi le riaffiorarono alla mente: sua madre che preparava dolci per quell’evento, Diego e il padre allegri per lo spettacolo di fuochi d’artificio della serata conclusiva, Ambar entusiasta per l’arrivo delle giostre che si aggiungevano a quelle già presenti nel parco… una vera e propria festa. “- Già… anche io e… la mia famiglia. Non ce ne perdevamo una.” Balbettò la castana, avvicinandosi a lui per leggere meglio quella locandina, rattristando non poco anche il ragazzo che si pentì di aver aperto l’argomento. “- Quest’anno pare ci sarà una gara di musica. Caspita ci sarà il grande Emilio Marotti, il discografico di YouMix! E presenterà il mitico Rafa Palmer lo show!” Aggiunse Violetta, immaginandosi già quelle serate di festa per Madeira. “- Forte! Sarebbe bello ricomporre la band per provare a parteciparvi…” Sorrise lui, per poi abbassare gli occhi, afflitto: erano rimasti lui e Seba, Diego non avrebbe mai e poi mai deciso di ritornarvi quindi non avevano speranza, erano sconfitti in partenza. “- Io so chi potrebbe convincere mio fratello… se noi siamo qui e tu non hai il setto nasale rotto è grazie a questa persona che lo calma come una tisana!” Ammiccò la ragazza, vedendolo accigliarsi. “- Aspetta… Diego sa che io e te siamo venuti al cinema…?!” Ebbe la forza di formulare quella frase solo perché la voglia di conoscere una risposta era troppa. “- Non si è arrabbiato, fidati! E ti giuro che voi suonerete alla Fiera di quest’anno! Dobbiamo solo cercare tua sorella…” Sorrise Violetta, osservandolo sgranare gli occhi di colpo. “- E’ Fran che riesce ad interagire con tuo fratello?! Sul serio?!” Chiese perplesso il figlio di Matias, vedendola annuire, soddisfatta. “- Ti racconto tutto strada facendo…” Esclamò, incamminandosi verso casa, accanto a Leon che l’ascoltava, attento. Voleva partecipare a quel concorso e magari chissà, vincere persino un contratto discografico… ma aveva molto da lavorare e, soprattutto, sapeva che per vincere avevano bisogno del primogenito Castillo.
 
 
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Aw, capitolo ricco di Diecesca, Leonetta e Pangie! :3 Francesca  è la terapia calmante del maggiore dei Castillo, Angie è cotta ma si allontana da Pablo per paura e i Leonettosi sono dolcissimi al cinema… :3 Inoltre, i due scoprono anche della Fiera…  cosa accadrà ora? :) Grazie a tutti e alla prossima, ciao! :) DulceVoz. :)

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Capitolo 18
*** Un'altra possibilità. ***


Un’altra possibilità. Cap.18
 
Nicolás Galán era seduto sul divano nel salotto di casa La Fontaine e provava con difficoltà a lavorare al computer per controllare ancora una volta che i conti delle sue imprese in Sud America funzionassero, a differenza di quelle che riguardavano l’Europa nella quale, purtroppo, erano già in fase di fallimento. C’era un modo per rimettere in sesto almeno quelle Argentine? Non lo sapeva, ma voleva sperarci o sarebbe stato tutto finito, ogni cosa. Con stizza appoggiò il portatile sul tavolinetto di fronte a sé e si portò la testa tra le mani: la sua vita in quel periodo non era di certo tutta rose e fiori e, se pensava di aver ritrovato la felicità con Jade dopo la morte, anni addietro, della sua amata Caroline per un brutto male, ormai non aveva più alcuna certezza in nessun campo. Il lavoro andava in frantumi, sacrifici di anni che si sgretolavano come neve al sole per aver giocato troppo male e in maniera eccessivamente azzardata in borsa e la vita sentimentale non se la passava di certo meglio… l’unica soddisfazione di sempre era il suo rampollo, Clement, a cui sperava di riuscire a lasciare almeno una parte del patrimonio, a patto che avesse prima risollevato e salvato qualcosa. L’uomo stava permettendo, nonostante la sua crisi economica personale, al ragazzo di studiare presso una prestigiosa università francese alla facoltà di economia d’impresa, desideroso che, un giorno, il figlio fosse riuscito a farsi valere in quel campo, magari non commettendo i suoi stessi errori che lo avevano quasi portato sul lastrico. “- Nicolas ho appena fatto il caffè, te ne porto una tazza?” Marcela, con gentilezza, apparve sull’uscio e fino all’ultimo tentennò per non disturbarlo: era chiaro che l’uomo stesse lavorando e che le cose andassero anche abbastanza male ma, alla fine, aveva deciso di interpellarlo per capire dalla sua reazione se avesse ragione e se la sua ipotesi riguardante il suo disastro fosse reale. “- Sì grazie… lo prendo amaro.” Sentenziò l’uomo, sorridendole mestamente e vedendola scomparire nella stanza accanto, per poi ritornare con un vassoio e due bevande fumanti su esso. Se Jade e Clement erano altamente irritanti al pari di una pianta di ortiche, la Parodi intuì subito che Nicolás, per quanto poco lo conoscesse, non era come loro, anzi. Aveva sempre avuto un’aria elegante e raffinata, il classico Parigino ricco ed ben educato, erede della fortuna di suo padre. “- E’ così irreparabile?” Chiese la donna, sedendosi accanto a lui e osservandolo annuire mestamente. “- Vedrai che si risolverà in qualche modo… non puo’ piovere per sempre!” Sentenziò solenne la bruna, mentre lui prendeva a sorseggiare piano il suo caffè, ancora bollente. “- O comunque bisognerà imparare a ballare sotto la pioggia... in qualche modo.” Ribatté lui, vedendola annuire. “- Se proprio non dovesse smettere, puo’ andar bene anche la tua soluzione…” Scherzò, facendolo ridacchiare, seppur continuasse a mantenere la sua aria tesa e malinconica. “- Jade? Sai dove si è cacciata mia moglie?” Chiese d’un tratto l’uomo, vedendola sollevare le spalle. “- Non ne ho idea ma ho sentito che stava fissando un appuntamento con un suo vecchio parrucchiere di fiducia…” Spiegò, alludendo ad uno stralcio di telefonata carpito mentre preparava la colazione per quella marea di persone che si era ritrovata in casa da un momento all’altro. Come mai, la cognata, neppure aveva informato il marito? Prontamente la donna pensò che fosse strano, eppure rimase comunque in silenzio a riguardo. “- Sì, allora probabile che sia lì.” Concluse lui, prendendo un profondo sospiro per poi riappoggiarsi il pc sulle gambe e tentare di finire i suoi incarichi. “- Io vado…” Lo salutò la bruna, vedendolo di nuovo preso dallo schermo del portatile, osservandolo però scuotere il capo con sguardo vuoto. “- Aspetta, Marcela… come te la cavi con i numeri?” Chiese spiazzandola, lasciandola perplessa per quella domanda così particolare. “- Non male… ti serve aiuto?” Esclamò, riavvicinandolo e sedendosi accanto a lui nuovamente. Era sempre stata molto brava a scuola, esattamente come Francesca, ma era sempre stata, allo stesso modo, umile… così si mantenne vaga. “- Beh, quattro occhi sono meglio di due in ogni caso...” Iniziò l’uomo, riaprendo un file ricco di numeri tanto da far sgranare gli occhi alla Parodi. “- Wow… beh, ci posso provare… ma non assicuro nulla!” Sorrise lei, cominciando a scorrere tutte quelle cifre, ascoltando le parole di Nicolás che le spiegava cosa fare: “- Non si tratta di matematica in realtà, io ti leggerò questi moduli e devi solo controllare che sia tutto trascritto bene, d’accordo?” Le chiese Galán, osservandola prendere il pc in grembo, annuendo. Se poteva aiutarlo in qualche modo l’avrebbe fatto, gli dispiaceva vederlo così afflitto… e sperava anche con tutto il cuore che le sue imprese si fossero riprese quanto prima, ma non tanto per riavere la sua casa di nuovo come prima, soprattutto perché vederlo così doveva ammettere che le mettesse malinconia. Iniziarono presto quel lavoro e, nel giro di un’oretta erano già quasi alla fine, soddisfatti della velocità con cui avevano proseguito sino al termine quel controllo. “- Già abbiamo verificato questa voce!” Indicò la signora La Fontaine, su uno dei moduli che impugnava il cognato, osservandolo annuire. “- Credo proprio che abbiamo concluso! E tra una lettura e l’altra ho controllato i conti e ti posso assicurare che mi trovo con ogni tuo calcolo!” Sorrise Marcela, lasciandolo di sasso… sul serio era stata in grado di scorrere tutte quelle somme così in fretta? “- Come ci sei riuscita?” Le chiese infatti, sorpreso. “- …Mi sa che non te la cavi ‘non male’ in aritmetica come hai detto! Sei geniale!” Sorrise, facendola scoppiare a ridere, divertita e imbarazzata. “- Non erano poi così complessi…” Si giustificò, facendogli scuotere il capo in segno di disapprovazione. “ - ’Non erano poi così complessi?’ Io sto già seriamente pensando di assumerti come mia commercialista! Ecco da chi ha preso mia nipote…”  Continuò lui, sorridendo sollevato e alludendo all’intelligenza della figlia della donna, per poi continuare: “- …Beh, in effetti mi chiedevo da dove fosse venuta fuori la sua genialità… e direi, senza offesa, che fosse chiaro che dal padre non avesse di certo preso!” Rise ancora Nicolás, facendo sogghignare anche la bruna che però, rimase un po’ piccata… sapeva che il suo Mati non fosse un cervellone, ma solo lei poteva dirglielo! “- Se è per questo neppure la zia è una grande mente!” Sbottò di rimando, riferendosi a Jade e vedendolo annuire, cupo in volto al solo sentire il nome della moglie, nonostante, però, si sforzasse di sorridere. “- Beh, siamo pari, allora!” Commentò sghignazzando, per provare ad allentare quell’improvvisa tensione creatasi al solo nominare la sua consorte, dettaglio carpito prontamente dalla poliziotta che rimase un po’ perplessa ma che tentò di non darlo a vedere, sorridendo a sua volta. Proprio in quel momento di allegria, la porta si aprì e il padrone di casa fece il suo ingresso impugnando un mazzo di chiavi e una busta della spesa nell’altra: Matias rimase un po’ sorpreso nel notare tutta quella ilarità di sua moglie, comodamente seduta vicina al cognato… di solito il posto di Nicolás era il suo, ma non vi diede troppo peso… e per quanto riguardava le risate della sua amata Marcela era così, tanto severa quanto allegra, soprattutto con lui e i ragazzi. “- Buonasera…” Salutò un po’ a disagio il biondo, squadrando la situazione e cercando di capire cosa stessero facendo i due con ancora davanti tutti quei fogli. “- Cognato! Tu hai una moglie geniale, sul serio! Mi ha aiutato un sacco con dei calcoli complessi…” Spiegò prontamente il padre di Clement, vedendolo annuire convinto. “- Sì… so che è geniale, lo so bene. Siamo sposati da anni! La conosco…” Rispose un po’ confuso lui rimanendo impalato davanti al divano e vedendo la donna alzarsi per allacciargli prontamente le braccia al collo, depositargli un bacio a fior di labbra, tutta sorridente. “- Jade non c’è? E i ragazzi?” Chiese lui, come se con quel gesto la moglie lo avesse tranquillizzato senza sapere da cosa di preciso e la strinse a sé circondandole la vita con un braccio, lasciandola un po’ perplessa da cotanta possessività, per quanto sapesse che il marito fosse estremamente geloso in presenza di qualunque altro uomo, di famiglia o no che fosse. “- No, è dal parrucchiere, o almeno così supponiamo! Clement è in camera sua e Leo e Fran sono in garage… stasera mangeranno qui anche i tre fratelli Castillo.” Rispose la donna, prendendogli la busta dalla mano e avviandosi in cucina, venendo seguita da lui che, dopo aver lanciato un'altra occhiata al francese, le andò dietro, ancora turbato… di cosa si preoccupava? Aveva avuto un senso di fastidio solo nel vederla seduta accanto al marito della sorella… che non fosse abituato a vederla affiancata da altri uomini in casa sua? Sì, doveva essere per quello: Marcela lo amava alla follia e quei pensieri confusi dovevano finire lì… anche perché, un invitante profumino proveniente dal forno, riuscì a placarlo come la migliore delle terapie: pollo con le verdure.
 
 
Il garage dei La Fontaine, quella sera, era in piena attività dopo tanto tempo di inutilizzazione da parte dei ragazzi. Leon e Violetta, avevano invitato lì Seba, Camilla e Francesca, e tutti e tre attendevano Diego, il quale, come al solito, si faceva attendere, lasciandoli con il panico che non si sarebbe neppure presentato. I due giovani che avevano visto il volantino riguardante la Fiera di Madeira, non avevano pensato due volte a convocare il batterista per riferirgli la notizia di ricomporre la band e ovviamente lui, favorevolissimo alla cosa, si era portato lì anche la Torres, la quale apparve subito anche lei entusiasta all’idea che i giovani potessero riprendere a provare per inseguire il loro sogno musicale. La sorella di Leon invece, era stata invitata a partecipare sia per badare ad Ambar, che stava letteralmente, pur se con un solo braccio avendo l’altro ancora fasciato, smontando dei suoi vecchi giocattoli in uno scatolone, sia per un motivo ancor più importante: era l’unica che riusciva ad interagire con Diego come nessuno e solo lei lo avrebbe potuto convincere a ritornare a suonare con i suoi amici. “- Dite che verrà? Quando io e Ambar siamo uscite per venire qui lui è rimasto chiuso in camera, stizzito del fatto che zia Angie avesse un appuntamento di lavoro e anche Pablo… manco se fossero usciti insieme!” Sbuffò Violetta, seduta pigramente su uno sgabello alto, vedendo il fratello di Francesca scrollare le spalle. Angie aveva detto loro che avrebbe dovuto incontrare dei fornitori per il Restò Bar che loro pensavano chiuso da un po’ per lavori in corso come da lei riferitogli, mentre Pablo aveva ammesso che avesse un impegno con una vecchia amica. “- Se non viene ci mandiamo la mia gemellina a prenderlo!” Esclamò con tono ovvio, vedendo la bruna sgranare gli occhi con stizza… probabilmente anche Seba era stato informato della “terapia calmante” che la La Fontaine avesse come effetto su Castillo e quindi nessuno si sconvolse per quella frase. “- Non posso mica trascinarlo qui con la forza?!” Sentenziò seria, lanciando una bambola semidistrutta di nuovo nella cassa in cui era prima che la piccola Castillo la lasciasse sul pavimento, sul quale continuava a giocare silenziosamente. “- Beh, tu lo puoi convincere… magari con un bel bacio!” Ghignò Camilla, osservando prima l’espressione dell’amica e poi quella seria e quasi sconvolta dell’altro La Fontaine che contrasse la mascella. “- Non esageriamo, Torres!” Sbottò nervoso… già era geloso di sua sorella, se poi immaginava una scena del genere sentiva una strana sensazione di rabbia montargli dentro ma si controllò: in fondo con Diego era meglio non scherzare, e poi lui con Violetta non stava forse facendo lo stesso, ovvero frequentarla per conoscerla meglio? Non poteva dire nulla se non tenere a bada il suo senso di protezione nei confronti di Francesca… e comunque si fidava di lei e del suo migliore amico, quindi doveva solo essere felice per loro due… e se la gemella fosse davvero riuscita a farlo stare meglio davvero ne era entusiasta. “- Eccolo!” Ambar, voltandosi verso l’uscita del garage, vide apparire sul viale il fratello maggiore e gli corse incontro facendolo sorridere teneramente. “- Ma tu guarda che riunione! Aspettavate solo me?” Chiese, avvicinandosi a Francesca che annuì, allegra. “- Sì e dobbiamo parlarti…” Esclamò la ragazza, facendogli posto su una vecchia panca sulla quale si era accomodata poco prima. “- Leon e Vilu hanno visto la locandina della Fiera di Madeira e pare che quest’anno ci sarà una gara di musicisti esordienti…” Iniziò subito Francesca, osservando come lui l’ascoltasse con aria attenta. “- E quindi? No… non penserete che…” Il ragazzo capì al volo cosa volessero gli amici da lui e scosse il capo, credendo che lo stessero prendendo in giro… davvero pensavano che avrebbe di nuovo preso parte alla band per una stupida sottospecie sagra del borgo? “- Sì… vogliamo ricomporre il nostro gruppo ma senza di te… senza di te non sarebbe lo stesso.” Commentò Leon, vedendolo abbassare il volto con aria cupa. “- Ma siamo scarsi… sarebbe una perdita di tempo inutile!” Sbottò lui, rialzando gli occhi e fissando prima Seba e poi La Fontaine. “- E lo sarebbero ancor di più senza di te.” Rispose all’improvviso sempre la gemella di Leon, spiazzandolo. Era sempre così diretta, così… tremendamente diretta ma allo stesso tempo dolce… e la cosa lo confondeva e destabilizzava alquanto. “- Non è vero… se vi impegnaste sareste bravi anche senza il vostro chitarrista…” Commentò lui, meno teso di qualche istante prima, riabbassando gli occhi afflitto. Far parte di un gruppo era sempre stato un suo sogno e quando aveva incontrato Leon con la sua idea di formarne uno era subito stato d’accordissimo, al settimo cielo. “- Si vince un contratto discografico per l’importante casa di “YouMix”… e voi potreste farcela sul serio, iniziando a prepararvi, però, già da adesso…” Aggiunse Francesca, mordendosi poi il labbro, visibilmente tesa. Diego rimase sorpreso da quella notizia: doveva ammettere che non si sarebbe mai aspettato un premio di quella portata! Per un secondo si perse negli occhi della sorella che lo supplicavano di accettare e poi passò in rassegna tutti i presenti: Seba era dietro alla batteria e sulle sue gambe era seduta la fidanzata… quello era il suo mondo, la musica di quello strumento e la giovane Torres. Poi c’era Leon, su uno sgabello accanto a Vilu, che giocherellava con un microfono… aveva una bella voce, forte e graffiante, e sapeva che non avrebbe voluto perdersi quell’occasione per nulla al mondo. Rimase un po’ sorpreso nel notare che sua sorella fosse seduta vicino a lui e si perdesse di tanto in tanto a fissarlo, con aria sognante… sapeva che fossero usciti insieme e sapeva anche che, prima o poi, avrebbe dovuto chiarire con l’amico: o faceva il bravo con la sorella o gliel’avrebbe fatta pagare di brutto… però se si comportava bene con la sua Violetta non gli sarebbe dispiaciuto che i due si frequentassero, anzi. Capiva quanto la giovane meritasse un po’ di felicità e sperava che Leon avrebbe potuto regalargli tutta quella che doveva ricevere, se si fosse impegnato ad amarla sul serio. No, non credeva fossero solo amici, leggeva nei loro occhi che ci fosse qualcosa di più, che forse neppure loro sapevano provare ancora chiaramente… ma, presto o tardi, era sicuro che quel sentimento sarebbe sbocciato. In ultima, analizzò l’espressione di Francesca, accanto a lui: era fiduciosa, quasi sapesse per certo che lui, alla fine, avrebbe accettato di riprendere a suonare. “- Ci vediamo domani… tu fa’ venire Andres al più presto che gli faremo l’audizione…” Sorprendentemente Diego scattò in piedi e, senza neppure rendersene conto, si ritrovò stritolato nell’abbraccio della sorella castana. “- Domani? A me mi sa che ci toccherà metterci al lavoro sin da subito… quindi… ragazze, gentilmente portateci la cena qui che abbiamo tanto lavoro da fare!” Sbottò Leon, vedendo annuire Seba e lo stesso chitarrista il quale, dopo essersi staccato dalla stretta di Violetta lanciò una rapida occhiata verso Francesca che sorrise, soddisfatta del fatto che avesse preso la giusta decisione. “- D’accordo, lasciamo i Beatles alle loro prove!” Borbottò la Torres, depositando un rapido bacio a fior di labbra al batterista che rimase a fissarla allontanarsi con un sorriso imbambolato, mentre la secondogenita Castillo, prese la manina ad Ambar che si portò dietro almeno una dozzina di giocattoli vecchi dei gemelli La Fontaine. Mentre le quattro salirono in casa dalla scaletta interna, Leon si alzò e diede una pacca sulla spalla al figlio di German, felicissimo di riaverlo a bordo nel gruppo. “- Senza di te non saremmo andati da nessuna parte.” Commentò il gemello di Francesca, per poi abbracciare il moro, vedendo anche Seba raggiungerli da dietro alla batteria. “- Già, il cofondatore non poteva abbandonarci!” Esclamò, stringendo anche lui forte a sé l’amico che sorrise. “- Comunque non fare il finto tonto, La Fontaine! Noi due dobbiamo fare un discorsetto riguardante mia sorella!” Sbottò, di nuovo cupo in volto, Diego, osservando l’altro inarcare un sopracciglio, stizzito. “- Ah, certo! E chi è che frequenta Fran in segreto? Mio nonno Giacinto?” Ribatté piccato, mentre Calixto si interpose tra i due che si stavano scherzosamente avvicinando con aria minacciosa. “- Ehi, voi! Vediamo di non sfasciare già la band! L’abbiamo appena rimessa in piedi con fatica…” Li redarguì, facendo scoppiare entrambi in una fragorosa risata, lasciandolo basito. “- Scherzavamo, amico! A me basta che questo qui prometta di fare il bravo con la mia Vilu… o se la vedrà con me!” “- E tu con la mia gemella o te la farò pagare!” Sbottò subito di rimando Leon, allungandogli la mano per stringergliela, cosa che Castillo prontamente fece. “- Oh, ed ora… al lavoro! Quell’Emilio Marotti che manderà la casa discografica non sa che qui, in questo piccolo borgo, troverà i nuovi One Direction!” Esclamò soddisfatto il fratello di Andres, facendo annuire fieri gli altri due, seppur molto poco convinti dal paragone. Adesso dovevano solo impegnarsi e sperare… se volevano vincere ce la potevano fare, niente e nessuno avrebbe ora potuto impedirgli di raggiungere il loro obiettivo: vincere la gara della Fiera di Madeira.
 
 
“- Ora mi puoi spiegare che cosa vuole da me Priscilla Ferro, per favore?” Pablo, in un elegantissimo completo nero, parcheggiò la sua auto davanti a quella rossa di Angie la quale, scesa di fretta, lo interrogò ancora su quella misteriosa cena con la datrice di lavoro dell’uomo. “- Te ne parlerà lei, io sono solo un mediatore tra due belle bionde!” Spiegò con un ghigno Pablo, bloccandosi sul marciapiede di fronte al ristorante in cui avrebbero cenato, ad osservarla: indossava un abito blu notte corto e molto semplice, ma era di una bellezza strabiliante, tanto che Galindo non poté fare a meno di farglielo notare. “- Wow, sei… sei favolosa.” Balbettò, rendendosi conto di essere a disagio come non gli capitava quasi mai con una donna… doveva far parte di quelli che aveva catalogato come: “Effetti Saramego”, ovvero una lista di cose che accanto ad Angie provava ma che con le sue ex avventure non aveva mai sentito: imbarazzo, tremore alle gambe, nervosismo, battiti accelerati… o era sul serio innamorato o stava per avere un qualche infarto, ne era ormai certo. Lei abbassò gli occhi e sentì le guance andarle a fuoco: doveva provare a stargli lontana, ma più ci provava e più l’uomo l’attirava a sé come una calamita, non poteva farci nulla. “- Andiamo che Priscilla sarà già dentro…” Balbettò, stringendo nervosamente una pochette nera, cercando di non guardare negli occhi il suo accompagnatore per tentare di mantenere il controllo della situazione. Quando però Pablo le porse il braccio da buon cavaliere, lei, con riluttanza, lo accettò dopo alcuni secondi, e camminarono così, senza proferire parola per il percorso, sino alla sala in cui la stessa signora Ferro aveva prenotato un tavolo per tutti e tre, cosa che lasciò sorpresa la Saramego… allora non era una sciocchezza! L’uomo sul serio aveva pensato di aiutarla per il suo amato Restò Bar… continuò a non dire nulla ma ne rimase colpita, seguendo l’amico di German fino ad un enorme terrazza dove, ad uno dei tavoli più vicini alla ringhiera che dava sul mare, era già seduta la direttrice di ‘Top’. “- Buonasera, mia bella datrice, scusa il ritardo…” Pablo, le sorrise, ma la donna lo ignorò, puntando i suoi gelidi occhi azzurri subito su Angie che la fissava nervosa: il loro primo e unico incontro era stato poco prima del processo per l’affido, quando lei era disperata e nemmeno si era gustata come avrebbe voluto la visita in quella redazione del magazine che amava tanto, seppur all’epoca non l’avrebbe mai ammesso perché ci lavorava in parte anche quello che era il suo peggior incubo. “- Salve, Angeles… allora ricordavo bene chi fossi…” Sibilò fredda Priscilla, indicandola con un cenno del capo e facendola sciogliere in un sorriso, tuttavia ancora teso. “- …Sei quella che voleva uccidere Galindo e sappi che mi sei già simpatica solo per questo!” Sentenziò poi, alludendo alla volta in cui si erano conosciute, quando entrambe volevano fare la festa all’uomo, seppur per due motivi ben distinti. “- Eh già… per fortuna alla fine ha capito cosa dovesse fare…” Esclamò un po’ a disagio Angie mantenendosi sul generico, mentre il moro le scostava la sedia per farla accomodare, da perfetto gentleman. “- Questo qui capisce sempre e solo alla fine… sempre che comprenda, sia chiaro!” Ridacchiò Priscilla, beccandosi un’occhiata torva da Galindo mentre prendeva posto accanto alla zia dei ragazzi, di fronte alla Ferro. “- Quando avete finito di sparlare di me, potremmo per favore spiegare alla mia ‘quasi cognata’ perché l’abbiamo fatta venire qui?” Sbottò Pablo, giocherellando con una forchetta. Priscilla lo fissò un po’ sconcertata: come osava interrompere la sua ilarità? In effetti però dovette ammettere che Galindo avesse ragione: chiaramente la Saramego non sapeva nulla dei suoi piani e quindi, rimandando uno sguardo raggelante al fotografo, la bionda riprese la parola. “- Quindi deduco che non ne sappia nulla… beh, Angie cara, sappi che il qui presente idiota, mi ha parlato di te e del fatto che cercassi lavoro, che avessi bisogno di soldi… e come tu hai bisogno di lavoro e soldi, io ho bisogno di te.” Sentenziò seria e pacatamente la direttrice di ‘Top’, vedendo l’altra accigliarsi e Pablo studiare la situazione: Priscilla a lui aveva già spiegato tutto ma non voleva assolutamente che aprisse bocca con la donna, doveva parlarle solo lei riguardo alla questione. “- Sì, è vero che sto cercando un impiego… non so se sa che ho perso da poco il mio amato bar, sto pensando di venderlo e… non è un periodo facile per me…” Sussurrò amaramente la Saramego, abbassando gli occhi, venendo subito risposta dalla Ferro. “- No, no… dammi del tu, chérie, tra poco potresti collaborare con me e guadagnare molto di più di quanto non abbia mai fatto con il tuo piccolo locale…” Ribatté, vedendo Galindo alzare gli occhi dal menù al sentire parlare con tanta dolcezza Priscilla: non era tipico del suo capo avere tanto riguardo per un’altra persona, o almeno con lui non ne aveva mai avuto. Non che avesse fatto mai nulla per farsi apprezzare da lei la quale, se non lo cacciava, era solo perché lo reputava nonostante il suo carattere discutibile, un ottimo fotografo. “- Io… io non capisco cosa intenda… voglio dire, intendi…” Si corresse subito la sorella di Esmeralda, vedendola sogghignare con tutta l’aria di chi sapesse bene il fatto suo. “- Ecco vedi… ho litigato con l’ennesima agenzia di modelle… quei tizi pensano che senza di loro il mio giornale perda di ogni collaborazione con le grandi case di abiti firmati, patetici...” Sbottò storcendo il naso la donna e assumendo un’aria disgustata, vedendo annuire l’altra, interessata e sperando di capirci ancor di più. “- …E, siccome Pablo mi ha fatto ricordare chi fossi tu, ho pensato a te per il prossimo numero…” Spiegò, ancora misteriosamente, la bionda, scuotendo la chioma dorata soddisfatta e analizzando l’espressione tuttavia perplessa della Saramego. “- Aspetti… vuole che io le faccia da modella?” Chiese, confusa, Angie, lanciando prima un’occhiata a Pablo che scrollò le spalle e poi prendendo di nuovo a fissare la donna che annuì con un sorriso fiero. “- Esattamente. Ho bisogno di una donna semplice, bella e con degli occhi che illuminino la copertina… e già quando ti vidi la prima volta, devo ammetterlo, pensavo ti avesse mandato una qualche agenzia…” Spiegò con tono fermo e serio Priscilla, facendo restare a bocca aperta Angie. Una modella per “Top”? Lei? Pensò per un secondo che la stessero prendendo in giro, che dopo quelle parole, la Ferro sarebbe scoppiata a ridere dicendole che era tutto uno scherzo e che doveva andarsene da quel ristorante di lusso della capitale in cui erano seduta stante… ma lo sguardo freddo dell’altra non fece altro che darle la certezza che non stesse sognando e che fosse la realtà. “- Lei crede, cioè tu credi che io…?” “- Non lo credo, tesoro. Ne sono sicura.” Sbottò quasi con noncuranza e tono ovvio la madre di Ludmilla, vedendo avvicinarsi un cameriere che prese subito le ordinazioni, interrompendo la loro conversazione. Quando l’uomo si allontanò verso la sala interna, potettero continuare a parlare tranquillamente. “- Ma io non ho mai fatto la modella, non ho un’agente, un book e… non lo so, mi sembra una cosa… strana, ecco!” Priscilla ridacchiò di gusto a quelle parole, osservando i due di fronte a lei: era strano vedere Galindo che se ne stesse buono e in silenzio… poteva quella donna essere così importante per lui, tanto che preferisse tacere pur di far andare in porto quel lavoro per lei? Sì, probabile. “- Strana? Mia cara ma tu come minimo mi faresti impennare le vendite! La gente è stufa di vedere sempre le solite modelle famose… e tu, la sconosciuta Angeles Saramego, del piccolo borgo di Madeira, stravolgeresti il mondo della moda e, cosa più importante, ti avrò inventata io e me ne prenderò, ovviamente, i dovuti meriti!” Esclamò soddisfatta Priscilla, continuando a sorriderle gentilmente, leggendo però lo sconcerto negli occhi della bionda. Il primo pensiero della donna volò subito ai nipoti… come avrebbero preso quella sua decisione? Beh, Diego di sicuro non bene… e pensare che si fosse inventata mille scuse per giustificare la chiusura del Restò Bar, pregando gli stessi Olga, Beto e Libi di non dire nulla sul fallimento per non far trapelare quello che per lei era un vero e proprio scandalo. Voleva riaprirlo, le mancava troppo e sapeva anche che, per farlo, avrebbe dovuto per forza accettare l’incarico della signora Ferro. “- Io vorrei solo riaprire il mio locale, saldandone i debiti… non voglio diventare una diva da copertina…” Spiegò timidamente la Saramego, vedendo annuire l’altra con sicurezza. “- E così lo farai. Credimi, con quello che guadagnerai con un paio di foto per qualche numero potrai aprirtene tre di bar e in zone decisamente chic, oserei dire!” A quelle parole, la direttrice di ‘Top’ estrasse dalla sua borsa super chic una cartelletta rossa con il marchio del giornale e l’allungò alla sua interlocutrice che la fissò, ancora sconcertata. “- Qui ci sono tutti i dettagli… saresti un volto da copertina stupendo, non ho dubbi!” Esclamò euforica Priscilla, senza staccare lo sguardo da Angie che prese a sfogliare quei moduli con interesse: ancora non riusciva a credere che fosse tutto vero e, mentre girava quelle pagine, pensava a cosa dire ai ragazzi per giustificare la sua scelta… “- Beh, io… non so che dire! Prima di tutto ti ringrazio…” Sorrise la Saramego, alzando gli occhi da quelle scartoffie e vedendo annuire soddisfatta l’elegantissima Ferro. “- …E, suppongo debba ringraziare anche te…” Sussurrò in imbarazzo, incrociando per un secondo gli occhi neri del silenzioso Galindo, il quale si perse nel verde che tanto amava di quelli di lei. “- Accetto.” Balbettò nervosamente la donna, sentendo poi una voce, non proveniente dal loro tavolo, bensì dalle sue spalle, che la fece sobbalzare. “- Pablo! Allora sei ancora nello Stato! E vedo che alla fine hai trovato una modella a Priscilla… che non sono io, però!” Jackie Saenz, vestita da cameriera di sala, si avvicinò all’uomo ad ampie falcate, facendolo sbiancare: lavorava lì? E da quando? Rimase scioccato e non era in grado nemmeno di proferire parola: era stata una sua avventura di poche settimane e, dal processo in poi, aveva cambiato numero per rendersi irrintracciabile, preferendo dormire in auto dopo aver perso il suo piccolo appartamento che stare con lei. “- Jackie che… sorpresa!” Balbettò a disagio, mentre le due bionde al suo tavolo la fissavano un po’ interdette. “- Anche per me… credevo ti fossi trasferito in Alaska sotto falso nome!” Ironizzò lei, vedendolo accigliarsi: la Saramego sbiancò… che quella fosse la sua fidanzata? Che fosse stata scaricata come di solito finiva per lei? “- Signora Ferro, è un piacere per me fare la sua conoscenza!” Esclamò poi con un sorriso entusiasta, quasi non notando l’aria sconvolta e un po’ disgustata di Priscilla. Galindo non sapeva cosa diamine fare… e ora? Avrebbe rovinato tutto solo per vendicarsi di lui? E Angie cosa avrebbe pensato di quella donna?
 
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 Eccoci al 18! Capitolo di gelosie! Eheheh Leon e Diego finalmente sanno delle rispettive sorelle e si danno a vicenda una sorta di “benedizione” a modo loro! XD E la Band riparte! Olé! :3 Poi passiamo a Nicolás… ahahah Mati geloso è il top! :P Ma che cosa nasconde Galán senior? E Clement che non compare da un po’? Beh, purtroppo riapparirà prestissimo… D: Alla fine proposta di lavoro per Angie… qualcuno faccia fuori la cornacchia molesta di Jackie! -.-“ Grazie a tutti e alla prossima, ciao! :) DulceVoz. :)

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Capitolo 19
*** Allontanarsi o agire. ***


Allontanarsi o agire.Cap.19
 
Jackie prese a fissare con odio Angie, per poi studiare l’espressione di Pablo, ormai sbiancato completamente. “- Mi dispiace ma… ho avuto molto da fare, non hai idea cosa sia successo con la questione dell’affido dei figli di German!” Tentò di giustificarsi lui, vedendola ghignare amaramente, ignorandolo poi, per rivolgersi invece alla Saramego, rimasta stupita da cotanta sfacciataggine di quella bionda… certo era che se si comportava così, Galindo l’aveva dovuta ferire per benino, non c’era altra spiegazione. “- E tu chi sei? La nuova avventura di Pablo? E’ già riuscito ad ottenere quello che vuole o…? Ah, ho capito! Ti farà fare la modella sperando di essere ripagato come vuole…” Il tono allusivamente malizioso della cameriera fece diventare paonazza l’altra che non riuscì a proferire parola, immobilizzata. Che diamine voleva quella lì? “- Attenta con lui… ti farà soffrire. Lo fa con tutte e tu, di certo, non farai eccezione...” Sorrise con fare malefico, rivolgersi successivamente alla Ferro, la quale la interruppe ancor prima che lei potesse dire qualunque cosa... “- Se hai finito con la tua sceneggiata, noi staremmo parlando…” Esclamò seccata Priscilla, vedendola fare qualche passo indietro, rispettosissima del suo mito, la grandiosa direttrice di “Top”. “- Mi perdoni io…” “- Senti, tesoruccio… non ti prenderei nemmeno per portarmi il caffè in ufficio, figurarsi per un servizio per il mio giornale… non lavoro con persone così arroganti e indisponenti, sai? Dunque, sparisci o mi costringerai a lamentarmi di te con un tuo superiore: ci stai importunando.” Sentenziò, serissima, la madre di Ludmilla, scattando in piedi e tenendosi con le mani ancorate al tavolo, troppo stizzita per starsene ancora lì ad ascoltare le parole di quella insistente rompiscatole. “- Come vuole, signora Ferro…” Biascicò fredda Jackie, preoccupata: se perdeva quell’ennesimo posto di lavoro per aver infastidito i clienti non avrebbe davvero saputo cosa fare… e non sarebbe neppure stata la prima volta. In passato, le era già capitato quando ci provava con bei ragazzi da rimorchiare, nel discobar in cui lavorava, esattamente come aveva fatto con Galindo. “- Io… vado un secondo alla toilette, perdonatemi…” A rompere l’imbarazzante silenzio calato sul tavolo, ci pensò Angie che, prendendo un profondo sospiro ancora sconvolta, si alzò e si allontanò, sotto lo sguardo incerto di Priscilla e quello amareggiato di Pablo.
“- Sei proprio un idiota! Se non fosse stato per me quella tipa sarebbe ancora qui ad infastidirci.” Esclamò la donna, non appena la Saramego scomparve verso i bagni. “- Non sapevo cosa fare… abbiamo avuto una relazione brevissima e…” “- …E tu sei un idiota, ribadisco!” Sibilò fredda la bionda, scuotendo il capo con stizza. “- Angie è innamorata di te, si vede… suppongo che ti stia allontanando soltanto per la situazione che avete… o per il semplice fatto che conosca la tua fama da playboy…” Aggiunse Priscilla, lanciandogli un’occhiataccia torva, facendolo deglutire rumorosamente… quella donna lo inquietava ma era chiaro che avesse capito perfettamente come stessero le cose. “- …Vai dalla Saramego e parlale, ORA!” Gridò infine la direttrice di “Top”, vedendolo alzarsi in stato confusionario. “- …Spiegale che vuoi cambiare, mettere la testa apposto… o te la stacco io, a morsi!” Mormorò ancora lei, facendolo accigliare. “- Io… ecco, penso di essermi innamorato di Angie, davvero, ma è una situazione delicata e…” “- Tu intanto valle a parlare, impiastro che non sei altro! Si vede lontano un miglio che ami quella donna, l’ho già capito da quando siete entrati! E sono sicura che lei ti renderà migliore… inoltre, non voglio perdere la mia stupenda modella a causa tua... VAI!” Galindo rimase impietrito: tutti in redazione dicevano che la Ferro avesse il potere di leggere la mente dei suoi interlocutori ma pensava fosse una leggenda metropolitana… e invece, a quanto pareva, era proprio così. Annuì veloce, iniziando a seguire lo stesso percorso fatto poco prima dalla Saramego ma, sul suo cammino, passando davanti alle cucine, trovò ancora la Saenz che lo bloccò per un polso, con stizza, non permettendogli più alcun movimento. “- Non solo mi hai snobbata in quella maniera, ma hai avuto anche la faccia tosta di ignorarmi per tutto questo tempo per poi presentare al tuo capo quella tua nuova fiammetta e non me? Me lo avevi promesso, maledetto!” Il sibilo di Jackie fece quasi accapponare la pelle all’uomo che comunque agitò il braccio per farle mollare la presa, lanciandole uno sguardo furioso. “- Tu non sai cosa diamine dici… Angie non è una ‘fiammetta’… lei è favolosa, non come te… e comunque, perché ti sia chiaro, io e te non siamo niente, non lo siamo mai stati e mai lo saremo!” Uscendo dalla toilette, la Saramego si appiattì vicino ad una parete, nascosta dietro alla porta, avendo sentito quelle parole dei due. “- Angie? E tra quanto la mollerai, una, due settimane? Sei proprio ridicolo!” Esclamò poi la bionda, spintonandolo un po’ ma non smuovendolo di un millimetro. “- Tu sei venuta con me quella notte perché ero ubriaco e pretendevi che io ti raccomandassi… e dici che dovrei essere io quello a vergognarmi? Ok, ho sbagliato… ma qui quella patetica mi pare sia proprio tu!” Quel gelido sussurro di Pablo, la lasciò di sasso per quella cocente verità, tanto che se ne rimase addirittura zitta. “- …Tu pensavi solo al tuo obiettivo, di me non ti importava nulla… a nessuno importa mai di me! E sai cosa ti dico? A Angie sì. Sono sicuro che a lei importo almeno un po’ e non perché voglia qualcosa in cambio.  L’ho dovuta  praticamente trascinare qui, pur sapendo che avrebbe cenato con Priscilla Ferro e sai perché questo? Perché ha un cuore sincero… non come il tuo, approfittatrice che non sei altro!”. A quelle parole la Saenz si allontanò furiosa, senza proferire parola, chiaramente stizzita da quelle cocenti verità sentenziate dell’uomo: l’ultima volta lui l’aveva cacciata di casa, poi, in seguito, lei lo aveva riaccolto nella sua solo per perseguire il suo interesse, ovvero  arrivare ad essere lanciata nel mondo della moda… il moro non aveva poi tutti i torti e il sentirselo dire in faccia le faceva male, molto male. Quando l’uomo rimase a fissarla allontanarsi, mentre la Saramego avanzava piano verso di lui, era di spalle e con aria davvero afflitta: Priscilla aveva ragione, era stato un idiota a non difendere subito la zia dei ragazzi ed ora lo avrebbe reputato solo un cretino e per giunta anche codardo. “- Pablo…” Una voce, la voce melodiosa che tanto amava, lo fece voltare di scatto e si ritrovò occhi negli occhi con Angie che prese a mordersi un labbro nervosamente, palesemente a disagio. “- Ho sentito e… hai ragione. Mi importa di te e tanto…” Iniziò, imbarazzata, vedendolo fare un passo verso di lei, fisso nel suo sguardo. “- Tu sei… diverso da quello che credevo: ti stai impegnando con i ragazzi, sei divertente, dolce… mi hai aiutata con il bar e… ed è proprio per questo che devo allontanarmi da te.” Sentenziò infine con voce più bassa e tono distrutto, sapendo che quella sarebbe stata l’unica cosa che non avrebbe mai voluto fare ma con la consapevolezza di non avere altra scelta. “- Io non posso, invece… non puoi chiedermi questo…” Sussurrò l’uomo, scuotendo il capo e accarezzandole piano una guancia, con mano tremante, facendole socchiudere gli occhi con aria sognante. “- Nessuna donna mi ha mai fatto sentire nulla di quello che provo con te e… ed è incredibile.” Balbettò teso, perdendo, in un solo colpo, tutta la sua sicurezza da Don Giovanni. “- Pablo, io non ho mai avuto fortuna in amore, quasi non penso di meritarmela… e non posso rischiare, proprio con te… lo sai, lo sappiamo entrambi.” Mormorò, sentendo gli occhi cominciare a pizzicarle sempre di più, diventando improvvisamente lucidi. Galindo si ricordò improvvisamente di una conversazione avuta con lei in cucina, tempo addietro… gli aveva detto che, se mai si fosse innamorato di lei, avrebbe “- Perso in partenza…” ed ora gli era tutto molto chiaro. La bionda doveva essere stata ferita troppe volte in campo sentimentale e, insieme alle parole severe di Casal, ad impedire loro qualunque tipo di avvicinamento, ci si metteva il terrore di lei di ricadere in quella che considerava una vera e propria trappola che la terrorizzava. “- Non è detto che vada male, Angie…” Disse il bruno, continuando a tenerle il viso con dolcezza. “- Non è detto neppure che vada bene però, e in quel caso… avremmo un problema. Un grosso problema.” A quelle parole la bionda lo aggirò e sentì che una lacrima le stesse percorrendo rapida la guancia, tanto che la catturò al volo, prima di ritornare a sedersi di fronte alla Ferro. “- Va tutto bene?” Le chiese la donna, vedendola annuire e calare il suo sguardo sul piatto davanti a sé. Se prima pensava di essersi presa una cotta passeggera per Pablo, la cosa si stava complicando: adesso non riusciva a guardarlo negli occhi senza avvertire una miriade di farfalle svolazzarle nello stomaco, se lo sfiorava, anche per puro caso, credeva di impazzire… lo amava, lo amava troppo e il solo doverlo tenere distante la faceva soffrire, ma non poteva fare altrimenti. In quell’istante anche Galindo ritornò ad accomodarsi al suo posto e, tutta la cena, proseguì silenziosa, a parte le parole di Priscilla che spiegava loro il lavoro e i dettagli di quell’inserto di moda che voleva nella sua rivista. Pablo era devastato: perché la prima e unica volta che sentiva qualcosa di sincero nei confronti di una donna doveva farsi da parte? No. Galindo non ne aveva alcuna intenzione, non quando poteva seriamente aver incontrato l’amore, quello vero, quello da togliere il fiato e il sonno: avrebbe fatto di tutto per stare con Angie, anche a costo di beccarsi altri quattrocento cazzotti da Diego e, diamine, ci sarebbe riuscito.
 
 
La cena a casa La Fontaine era proseguita tranquilla: le ragazze e Ambar non avevano fatto altro che chiacchierare tra loro del più e del meno e Clement, rimasto seduto tra suo padre e Francesca, non aveva smesso un attimo di lanciare sguardi in direzione di Violetta, la quale sfuggiva alle sue occhiate, ignorandolo e concentrandosi sulla fitta conversazione di Camilla, riguardante la sua ultima gara di nuoto in cui era arrivata seconda per un soffio. “- Dai meritavo io, non c’è dubbio!” Sbottò la Torres, facendo ridacchiare la gemella di Leon. “- Hai perso, Cami, accettalo! Il cronometro non mente!” Rise, vedendola accigliarsi, offesa. La Castillo, cominciando a sentirsi piuttosto a disagio per gli occhi fissi su di lei di Galán junior, scattò di colpo in piedi, sotto lo sguardo perplesso di Francesca e della fidanzata di Seba, nonché di tutto il resto della tavolata, adulti compresi. “- Cosa c’è? Qualche problema?” Le chiese la mora preoccupata, vedendola scuotere il capo, tentando di apparire calma. “- No, no… vado solo a prendere il cellulare, credo di averlo dimenticato in casa…” Sorrise la ragazza, tenendosi con le mani alla spalliera della sedia nervosamente, scrutando con la coda dell’occhio che ancora il figlio di Nicolás la fissasse, interessato.  “- …Restate con Ambar, io torno tra cinque minuti.” Disse con calma, vedendo le amiche annuire perplesse e seguirla con lo sguardo. “- Dici che è successo qualcosa?!” Commentò Camilla, facendo sollevare le spalle all’altra, confusa. “- No… è distratta, ultimamente… quindi è probabile che abbia scordato qualcosa!” Sentenziò la sorellina della Castillo seria, azzannando poi l’ennesima patatina fritta, dopo averla intinta anche troppo nel ketchup. Le due amiche si lanciarono un furtivo sguardo e capirono al volo ciò che l’una voleva dire all’altra: Leon doveva essere la distrazione di Violetta, in quel periodo ancor di più… sì, era sicuramente così. Dopo alcuni minuti, Francesca, la Torres e Ambar si spostarono nella cameretta della La Fontaine, lasciando la cucina e avvertendo Marcela di riferire a Violetta, al suo rientro, che le avrebbe trovate di sopra a scegliere quale film vedere per passare la serata. Inaspettatamente, fu proprio in quel momento che Clement, trovando campo libero, scattò in piedi e disse di voler andare a trovare i ragazzi in garage per vedere come se la cavassero con le prove del gruppo cosa che, invece, non fece affatto. Aggirò la casa per non passare di fronte al cugino e gli altri, allungando parecchio il percorso, deciso a conquistare, quella sera stessa, Violetta Castillo. Quando si metteva qualcosa in testa, sapeva bene quanto fosse difficile fargliela togliere, lui che era abituato ad ottenere sempre e comunque tutto ciò che voleva, essendo fin troppo viziato dal padre il quale, per sopperire alla mancanza della madre, morta tanti anni addietro, lo aveva ricoperto sin da piccolo di ogni bene materiale. Camminò a passo svelto e, con l’agilità di un gatto, scavalcò senza troppi problemi lo steccato, aiutandosi con la panca del gazebo accostato ad esso. Clement, con un piccolo balzo, atterrò nel giardino della casa di Violetta e notò subito la luce al piano di sotto accesa, rispetto al buio che dominava in tutte le altre camere. Un brivido gli attraversò la schiena: da quando il perfetto e unico erede della fortuna, a patto che ne fosse rimasta una parte, dei Galán, si introduceva come un ladro in una proprietà privata, solo per una ragazzina? Beh, a quanto pareva, proprio da quel preciso momento. Sentì la porta d’ingresso sbattere e subito si avvicinò alle scalette che davano sul portico, osservandola di spalle richiudere a chiave: era davvero bellissima, capiva perfettamente perché piacesse a Leon, non c’era dubbio che fosse una meraviglia della natura, per quanto lui fosse pienamente consapevole di non esserne innamorato per nulla. Se era lì lo doveva alla sua noia e al divertimento che avrebbe avuto nel vedere il figlio di Matias rimanere a mani vuote, battendolo sul tempo per rapire il cuore della castana… inoltre, il suo fascino Parigino lo avrebbe aiutato, ne era certo.
“- Ehilà!” Violetta sobbalzò e si portò una mano al cuore, spaventatissima, appiattendosi contro la porta. “- Clement mi hai… terrorizzata.” Commentò seccata, sforzandosi di sorridere e vedendolo avvicinarsi, mentre prese a scendere i gradini per poi ritrovarsi sull’erbetta del prato. “- Scusami, non era mia intenzione… ti ho vista uscire e non rientrare subito e… mi sono preoccupato.” Sorrise, incamminandosi accanto a lei sul vialetto, vedendola annuire. Se aveva deciso di tornarsene a casa anche se solo per dieci minuti, era stato per evitarlo, cosicché, a cena finita, lei sarebbe potuta rientrare tranquillamente a casa La Fontaine e dileguarsi con le amiche da quel tavolo per non vederlo ancora, magari per andare ad assistere alle prime prove del gruppo nel garage. “- Non mi ricordavo dove avessi lasciato il cellulare, sono troppo disordinata!” Inventò al momento, omettendo un dettaglio: il telefonino lo aveva sempre avuto in tasca, sin dall’inizio. “- E poi lo hai trovato?” Sorrise lui, parandosi di fronte alla giovane, a disagio e infastidita da tutte quelle occhiatine. Violetta avrebbe solo voluto ritornare dalle amiche di fretta, aggirandolo e gridandogli in faccia che non aveva la benché minima intenzione di illuderlo con un qualcosa che non sarebbe mai e poi mai accaduta. “- Sì.” Si limitò a dire, rendendosi conto di rispondergli a monosillabi. Che altro poteva fare? Se lo teneva distante lui non si sarebbe fatto idee strane su loro due, no? Da come l’aveva guardata quella sera era chiaro come il sole che fosse più interessato di uno che cercasse solo amicizia e, se la prima sera in cui aveva scambiato amichevolmente quattro chiacchiere con lui le era parso persino simpatico, doveva ammettere che ora era diventato sin troppo insistente per i suoi gusti e la cosa la seccava. Ripresero a camminare a passo lento ma Clement, accortosi che la giovane lo stesse letteralmente snobbando, incalzò azzardando un appuntamento. “- Che ne diresti di accompagnarmi a vedere un po’ il borgo uno di questi giorni? In realtà conosco poco anche Buenos Aires…” Iniziò, mantenendosi sul vago, lasciandola basita: in fondo non le stava chiedendo la luna, era solo un’uscita… però, rimase comunque convinta che, accettando, gli avrebbe lasciato intendere ancora di avere speranze, cosa che invece, non era. “- Magari potremmo invitare Leon…” Sorrise lei, ipotizzando che, se il ragazzo di cui era innamorata e che, finalmente, le sembrava dare i primi segnali di interesse, fosse stato presente, il francese non avrebbe potuto farsi idee sbagliate su loro due. “- Io, in realtà… preferirei andarci solo con te… non ho un ottimo rapporto con mio cugino.” Concluse lui in un mormorio nervoso, aggirandola di nuovo e avvicinandola di parecchio, resosi conto che fossero finiti proprio, volutamente da parte sua, davanti al garage dei ragazzi, i quali, presi dall’organizzazione delle prove, parvero non notarli subito, a parte Leon che, come Clement immaginava, fu subito risentito da quella scena. Cosa diamine faceva il cugino? Lo sfidava apertamente? Non gli era bastata la raccomandazione che gli aveva fatto alla grigliata? E lei perché non diceva nulla? Sembrava piuttosto sotto shock, era evidente. Ok, stavano solo parlando, doveva controllarsi. Provò a voltarsi e a concentrarsi come se nulla fosse su uno spartito che stava scribacchiando Seba: dovevano comporre un brano se davvero volevano presentarsi al concorso e loro, cantando solo pezzi già famosi, non ne avevano di propri, se non appena qualche bozza. Con la coda dell’occhio continuò a seguire la scena: la Castillo era immobile e Galán le aveva preso ad accarezzare una guancia, avvicinandosi sempre di più a lei la quale, pietrificata, doveva ammettere che non voleva che quel tizio la sfiorasse nemmeno con un dito. “- Clement, senti…” Balbettò, afferrandogli il polso e facendogli smettere di toccarle la guancia, ormai paonazza. “- Non c’è bisogno che tu mi dica nulla, sul serio… so di piacerti.” Ammise fiero di sé con un tono altezzoso che fece assumere un’aria sconvolta alla castana. Che diavolo stava dicendo? E con quanta sicurezza poi? “- No, mi dispiace, ma io non… non…” Mentre lei cercava le parole giuste per respingerlo, si accorse che La Fontaine, ad ampie falcate, li stava avvicinando, sotto lo sguardo sconvolto di Seba e quello confuso di Diego che sentì solo l’impulso di tirare un pugno sul naso al francesino… come osava prendersi tutte quelle confidenze con la sua sorellina? Calixto prontamente lo tenne per un braccio: ci avrebbe pensato Leon, era suo cugino e avrebbe dato una lezione a quel montato di Galán. “- Che succede qui?” Chiese ai due, arrivando di fronte a loro e incrociando le braccia al petto, fissando il ragazzo che scrollò le spalle con noncuranza. “- Parlavamo. Hai qualche problema?” Ghignò Clement, facendogli saltare i nervi. Ora l’aveva davvero stancato. “- Leon, io non…” Provò Violetta, tentando di giustificarsi. “- Lo so, ti ho visto allontanarlo, tranquilla. Conosco mio cugino e ho capito che fossi a disagio con lui…” Cominciò Leon, fissando la ragazza, per poi puntare i suoi occhi verdi in quelli dell’altro con determinazione: “- …Quindi, prego il qui presente Galán di allontanarsi di almeno dieci metri da te o lo farò io, ma con le maniere forti.” Sentenziò, provando a mantenere la calma per non fare a botte con il figlio di zio Nicolás. “- Si puo’ sapere che ti prende? Tu non sei il suo ragazzo!” Sbottò acidamente l’altro, agitando le braccia stizzito e perdendo il suo solito aplomb impeccabile. “- Sì, ma ti ho già detto di stare al tuo posto, e poi la stavi infastidendo, era evidente.” Clement deglutì rumorosamente: il suo piano di baciare Violetta davanti al cugino era miseramente fallito e ancora non lo credeva possibile. Come mai la ragazza lo aveva respinto? Inoltre, non aveva messo nemmeno in conto che quell’idiota di suo cugino sarebbe potuto arrivare lì ad interromperli… lo aveva sempre reputato un codardo un po’ stupido come suo zio Matias ma, a quanto pareva, si sbagliava di grosso ed ora non poteva fare altro che arrendersi, per quanto gli facesse male ammetterlo persino a sé stesso. “- Violetta ti stavo forse importunando?” Domandò a tradimento il francese, vedendola sbiancare: la Castillo non rispose subito, stava cercando le parole giuste per dirgli che, in effetti, tutta quella intraprendenza da parte di quel tipo che a stento conosceva, piacere di certo non le faceva. “- Ehi tu!” Diego, seguito dal batterista, era evidentemente riuscito a liberarsi della presa di quest’ultimo e arrivò correndo verso i tre con aria minacciosa. “- …Giù le mani da mia sorella o te la farò pagare. Ho già quasi rotto un setto nasale, e con te potrei portare a termine il lavoro.” Concluse serissimo e con una calma spaventosa il fratello maggiore di Violetta, vedendo Clement indietreggiare di qualche passo. Il francese, finalmente, girò i tacchi e se ne ritornò in casa, sbattendo con stizza la porta, imprecando qualcosa in uno stretto dialetto parigino, sotto gli occhi della band e della ragazza. “- Perdonami Leon, io…” “- Non ti devi giustificare, è lui che ti disturba, lo avevo già intuito…” Sentenziò, senza permetterle di finire, il gemello di Francesca, dolcemente. “- …Va tutto bene…” La ragazza, improvvisamente, gli si gettò tra le braccia sotto lo sguardo un po’ geloso del maggiore dei Castillo che si voltò dal lato opposto e quello divertito di Seba che accennò un applauso soddisfatto per come si fossero concluse le cose. Violetta si sentì protetta da quelle forti braccia e una calma inspiegabile si impossessò di lei, “- Ti accompagno dalle ragazze, saranno di sicuro già di sopra…” Le sussurrò dolcemente, depositandole un bacio sulla sommità del capo e sciogliendo quella stretta. A passo lento, i due si avviarono verso l’entrata della villetta La Fontaine e, anche Leon, dovette ammettere che tenere stretta così la Castillo gli aveva fatto bene, dannatamente bene.
 
 
“- Ti rendi conto di quello che ha fatto ieri sera tuo cugino?” Diego, seduto sotto la quercia sul retro di casa sua, stava parlando con Francesca che, tenendo d’occhio Ambar che scorrazzava allegramente con una bambola di pezza nell’erba del giardino, un po’ più incolta in quella zona della villetta, lo ascoltava attenta. La La Fontaine sospirò profondamente nel sentire quelle parole: già aveva ascoltato la versione di Violetta della notte prima e quella di Leon che era stata molto più furiosa e ricca di imprecazioni nei confronti del francese, cosa che l’amica aveva evitato, seppure leggesse nei suoi occhi quanto avrebbe voluto fare lo stesso. “- Clement è strano… ho come la sensazione che abbia intuito che Vilu piaccia a mio fratello e che l’abbia voluta in tutti i modi tentare di conquistare a scapito di Leon…” Concluse seria la ragazza, fissando l’orizzonte: che il cugino non fosse uno stinco di santo lo avevano intuito sin da quando era piccolo ma gli avevano lasciato tutti un po’ di fiducia, magari sperando che potesse essere cambiato, essendo ormai grande… peccato che avessero sbagliato nel crederlo capace di essere diverso da quel moccioso di undici anni che rovinava la vita ai suoi cuginetti. “- Sì, lo credo anch’io… se si avvicina ancora alla mia Vilu… lo gonfio!” Sbottò Castillo, tirando un pugno sull’erba con nervosismo, facendo sobbalzare la ragazza e scusandosi poco dopo, essendosene accorto. “- …Perdonami è che… mi irrita terribilmente questa storia.” Sentenziò, serio, perdendosi per un secondo nei grandi occhi castani della giovane: Francesca era andata lì solo per portargli dei suoi appunti di matematica e inglese, poiché la giovane voleva aiutarlo a rimettersi in sesto con i voti, considerato lo stato d’animo dei primi mesi dell’inizio dell’anno scolastico del figlio di German, durante i quali non aveva reso un granché. Trovandosi però lì, la bruna era rimasta a chiacchierare con lui che stava già tenendo sott’occhio la sorellina, evitando che potesse farsi ancora male, correndo. “- Hai ragione, anch’io sarei furiosa… è tua sorella, ci tieni tanto a lei, è chiaro che sia arrabbiato!” Esclamò Francesca, seria, per poi aggiungere subito: “- …Ma devi mantenere la calma. Leon sa come gestirlo, fidati.” Commentò, alludendo al fatto che bastasse il suo gemello a mettere le cose in chiaro con Clement. Diego sorrise a quelle parole, fidandosi della giovane. Quasi improvvisamente, al solo perdersi nel suo sguardo, si rese conto ancora una volta di quanto Francesca riuscisse a farlo sentire vivo, come non succedeva da mesi, eppure aveva quasi paura di quella sensazione così decisa, provocata da una ragazza tanto fragile e impacciata, per quanto forte gli fosse sempre apparsa, sin da quando erano diventati amici. “- Fran! Diego! Venite a giocare con me!” Ambar, apparendo da chissà dove di fronte ai due, li tirò entrambi in piedi e, allegra, si piazzò davanti a loro che la fissavano, un po’ interdetti per quell’improvvisa idea della rossa. “- Giochiamo a nascondino!” Esclamò la bimba, vedendo il fratello sbuffare sonoramente per poi sorriderle forzatamente, mentre la bruna era già pronta ad organizzare quella gara. “- Io conto e voi vi nascondete, va bene?” Propose allegra, facendo ruotare di nuovo gli occhi al cielo a Diego. “- Devo andare a studiare i tuoi appunti!” Tentò disperatamente di salvarsi con quell’ultima spiaggia lui, indicando con un cenno del capo il mucchio di bloc-notes, fotocopie, quaderni e raccoglitori ancora sotto all’albero, all’ombra del quale erano seduti fino a qualche secondo prima. “- E dai, che qui la secchiona sono io! Avrai tutto il tempo per metterti a ripassare dopo aver giocato con noi!” Ammiccò la mora, scuotendolo per una spalla con la mano e vedendolo, finalmente, sciogliersi in un’ aria più rilassata e abbozzare persino un altro mezzo sorriso rivolgendosi prima a lei e poi alla sorellina che esultò, soddisfatta di essere riuscita a coinvolgerli. “- Io conto fino a sessanta… voi nascondetevi per bene… ma tanto comunque vi trovo!” Ridacchiò Francesca, vedendo la piccolina annuire serissima, con la chiara intenzione di impegnarsi per vincere: si sarebbe andata a nascondere in camera di Violetta… e la sorella, era sicura, l’avrebbe coperta. “- Ok… io inizio, via! 1…2…3…” Francesca si appoggiò con le braccia alla parete della casa e cominciò a contare lentamente coprendosi gli occhi con le stesse, dando il tempo ai due di correre via di lì per cercare di non farsi trovare da lei. Ambar fece cenno al fratello che sarebbe rientrata nella villetta e lui annuì rapido, facendo veloce le scale della sua casetta sull’albero, avendola precedentemente indicata alla piccola. La La Fontaine arrivò al sessanta e, subito, prese a guardarsi intorno, interrogandosi su dove i fratelli Castillo si fossero cacciati, iniziando da alcuni cespugli cresciuti nelle aiuole, ormai non più curate, di cui ricordava si occupasse sempre Esmeralda. Troppo facile lì, nessuna traccia dei due. Mentre faceva per dirigersi sul lato davanti della casa sentì qualcosa che la fece sobbalzare. “- Ahi!” Imprecò qualcuno, facendola sghignazzare e alzare il capo di colpo: Diego doveva essere sulla quercia e, probabilmente, essendo piccola l’abitazione in legno tra i rami, doveva anche aver dato una testata sotto al tetto di quest’ultima. La bruna finse di non aver sentito e, piano, iniziò ad arrampicarsi lì sopra, sperando vivamente di non cadere da quell’altezza o si sarebbe fatta male sul serio: voleva beccarlo di soppiatto per spaventarlo e ridere un po’ con lui. “- Tana per Dieguito!” Esclamò infatti una volta in cima, facendolo sobbalzare, e dare una seconda testata, cercando poi di dissimulare il dolore solo perché ci fosse lei a fissarlo. “- Dovresti correre di sotto a questo punto…” Scherzò Fran, restando sulla scaletta e osservandolo con aria divertita: Diego sbuffò, massaggiandosi con una mano la sommità del capo con cui aveva sbattuto e, piano, si avvicinò all’uscita della casetta. “- Precedenza alle signorine…” Sorrise alla mora, indicandole che dovesse scendere per prima, poiché insieme non avrebbero potuto farlo: lei ghignò soddisfatta per averlo beccato e, con un piccolo balzo, riatterrò nel prato, attendendo che anche lui facesse lo stesso. “- Potevi correre a tana e non lo hai fatto…” Le fece notare il ragazzo confuso, mostrandole con un gesto della mano il punto in cui la giovane avesse iniziato a contare poco prima. “- Eri lì sopra, sarei stata avvantaggiata… facciamo che, al mio tre, partendo entrambi dai piedi della quercia, dobbiamo raggiungere il muro… chi lo tocca per primo, è salvo.” Esclamò diplomaticamente lei, facendo anche sogghignare Castillo per quel tono tanto solenne. “- 1, 2 e… 3!” Iniziò, cominciando a correre prima verso la parete, seguita dal moro, poi deviando per vedere se lui puntasse a salvarsi o la seguisse, allungando ancora di più lo spazio che li separava dal lato della casa che, in fondo, non era nemmeno troppo ampio. “- Dove vai?!” Esclamò sorpreso Diego, vedendola fare il giro dell’albero, prendendo ad andarle dietro. Era divertito. Rideva. E a Francesca rideva il cuore nel sentirlo almeno un po’ più sereno del solito, distratto da quello stupido gioco che, seppure per pochi minuti, aiutava la sua mente ad allontanare i pensieri tristi che continuavano, seppur meno di prima, ad attanagliarla. “- Fran!” Gridò lui con il fiato corto, vedendola continuare a sfuggirgli, quella volta però avvicinandosi paurosamente alla “tana”. Per fortuna, il ragazzo riuscì a raggiungerla e le bloccò un polso, vedendola però sbilanciarsi paurosamente e poi… un tonfo. Il giovane, nell’erba, era steso sotto di lei e sghignazzava ancora, ascoltando lei fare lo stesso: d’un tratto, smisero quasi simultaneamente di colpo, e parve che solo in quel momento si fossero resi conto di essere l’una distesa al suolo sull’altro, in una posa alquanto ambigua. Francesca rimase immobile, le guance cominciarono a tingersi di rosso e sentiva improvvisamente caldo, molto caldo. Diego, dal canto suo, era rimasto paralizzato dalla bellezza della ragazza e dal suono melodioso della sua risata rendendosi conto di quanto, quella giovane, lo facesse impazzire. Che diamine gli stava accadendo? In un secondo, invertì le posizioni lasciandola di stucco per quel movimento repentino, ma la La Fontaine lo lasciò fare, imbarazzata, sentendo il cuore batterle all’impazzata, quasi fino a volerle schizzare fuori dal petto: il volto di Castillo era sempre più vicino al suo, sempre di più e, improvvisamente, riuscì persino ad avvertire il suo respiro ancora affannoso e bollente, sulla sua bocca, prima che il ragazzo la facesse combaciare con la sua. Francesca credé di sognare e, chiudendo gli occhi, schiuse le labbra, lasciandosi travolgere da quel turbinio di emozioni che Diego le stava facendo provare con quel bacio, il suo primo bacio. Quando il fratello di Violetta si staccò da lei, rimase a fissarla, un po’ teso… l’aveva baciata. L’aveva baciata ed era felice, si sentiva… bene. Diego si sollevò facendo leva sulle braccia e aiutò lei, allungandole una mano, a fare lo stesso, osservando il suo viso, ancora paonazzo per l’emozione e non resistendo all’istinto di accarezzarle una guancia che sentì ardente, restando in piedi di fronte a lei. “- Io… mi dispiace se sono stato un po’ avventato ma… non so cosa mi sia preso.” “- Non sei stato avventato.” Balbettò a disagio la ragazza, abbassando poi gli occhi sulle sue scarpe, tesissima ma felice. “- Io non ho idea di cosa tu mi abbia fatto ma… tu mi piaci, Fran, e… sento che con te ogni mio pensiero negativo sparisce, che con i tuoi consigli, le tue parole, la tua dolcezza io… io ho ricominciato a credere che devo farmi forza, andare avanti e… diamine, che sto dicendo?! Mi sento ridicolo!” Imprecò poi, facendola sorridere teneramente e allontanandosi un po’ da lei, cominciando a camminare nervosamente avanti e indietro. “- Anche tu mi piaci, Diego. E molto.” Esclamò quasi intimorita dalle sue stesse parole Francesca, puntando di nuovo i suoi occhi nocciola in quelli verde smeraldo di lui che si incantò a guardarla. “- …Non sei ridicolo, io… ho sempre saputo che il vecchio Castillo fosse nascosto ancora dentro di te… e volevo solo farlo riaffiorare, per il bene delle tue sorelle, per il tuo, soprattutto.” Iniziò la bruna, vedendolo corrucciare le sopracciglia, confuso. “- …Ti faceva male indossare quella maschera di freddezza… soffrivi e non te ne rendevi nemmeno conto: non eri più tu. Quello non era Diego. E né Angie, né le tue sorelle, né nessun altro avrebbe voluto mai vederti così.” Aggiunse lei, facendo qualche passo verso il ragazzo che annuì: era vero, maledettamente vero e faceva male sentirlo. “- I tuoi genitori non… non avrebbero voluto vederti stare male per quel cambiamento, oltre che per il dolore causato dal loro incidente…” A quelle parole, alla stessa La Fontaine sfuggì un singhiozzo, catturando con lo sguardo una lacrima che scivolava sulla guancia del ragazzo a quelle parole. “- …Era normale che stessi così, che ti chiedessi perché fosse capitato a voi, perché tutto quel dolore a cui si aggiungeva anche quel peso da fratello maggiore che ormai gravava sulle tue spalle… non sentirti in colpa per questo.”Aggiunse poi lei, capendo che quel pianto silenzioso in cui era scoppiato lui, fosse dovuto soprattutto al fatto che si sentisse responsabile del suo comportamento ai danni delle sorelle e della zia che aveva tenuto per tutto quel tempo. Francesca, con mani tremanti, gli tenne il volto e, di colpo, lo lasciò per poi attirarlo a sé, stringendolo in un forte abbraccio, sentendolo continuare a singhiozzare tra le sue braccia. “- Sssh, ci sono io con te… e ti aiuterò, te lo prometto.” Gli sussurrò la bruna all’orecchio, accarezzandogli piano la schiena. “- Grazie, Fran. Davvero.” Balbettò lui, staccandosi da lei e asciugandosi gli occhi con la manica della giacca. “- Non devi ringraziarmi… ti giuro che ti sarò accanto da oggi in poi. Sempre, Diego. Sempre.” Sorrise dolcemente Francesca, stringendo le sue mani con quelle di lui. Diego capì che non si era sbagliato nel crederlo: una ragazza come la sorella di Leon era un tesoro prezioso, e non gli bastava averla come amica… con quel bacio ne aveva avuta un’ulteriore conferma: amava Francesca, la amava con tutto sé stesso e voleva dimostrarglielo in ogni maniera possibile, da quel momento in avanti.
 
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Ciao a tutti! :)
Aw, la Leonetta, aw! Quell'abbraccio! :3 Etgtfsgr sclero! :3 Qualcuno rispedisca Clement con un calcio nel didietro in Francia! >.<” E Jackie, poi! D: E’ proprio ridicola! >.<” Il discorsetto di Pablo… Angie lo ha sentito, aw! Nonostante tutto, però, continua ad allontanarlo! :’( Infine, abbiamo i Diecescosi! :3 Sto ancora sclerando anche per la loro scena, aw, sono tenerissimi! :3  Grazie a tutti davvero e alla prossima, ciao! :) DulceVoz. :)

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Capitolo 20
*** Farsi coraggio. ***


Farsi coraggio. Cap.20
 
“- Si puo’ sapere perché Priscilla ha scelto questo posto per le foto?” Angie scese dalla sua auto con stizza, affondando subito un tacco in una zolla d’erba fangosa e imprecando sotto voce, venendo comunque sentita da Galindo che, per tutta risposta, ridacchiò sotto ai baffi. “- E’ la sua villa di campagna… ha lasciato qui i vestiti e il trucco per il servizio ma non vuole che ci siano addetti al makeup, capelli o roba del genere… te l’ha già detto: foto semplici ma d’effetto.” Pablo si avvicinò al cancello di quella enorme villa che gli si stagliava di fronte e tirò fuori dalla tasca un mazzo di chiavi prestate lui dalla stessa direttrice del giornale per cui lavorava: quella casa era un sogno già da fuori, ma, varcandone l’entrata, se possibile, era anche meglio. Un giardino enorme si aprì davanti a loro e i due sgranarono gli occhi alla vista di quel vero e proprio paradiso terrestre: due fontane zampillavano allegramente, aiuole rigogliose e zeppe di fiori rendevano il prato una tavolozza di colori e un enorme scalinata in marmo portava a quella che era la porta d’accesso principale.
“- D’accordo, mi aveva detto che sarebbe stato tutto in salotto… quelli sono gli abiti.” Pablo, entrato in quella reggia, seguito dalla donna che continuava a guardarsi intorno estasiata, le indicò un carrello su cui erano appesi almeno una quindicina di vestiti e, sotto ad ognuno di essi, vi erano tacchi di ogni colore e modello. “- Wow…” Ebbe la forza di balbettare Angie, avvicinandosi piano a quella sfilza di capi di vari stilisti tra i più famosi al mondo. La bionda sfiorò piano la superficie di quelle stoffe e pensò di non star riuscendo a godersi appieno il momento come avrebbe voluto: in fondo la moda le era sempre piaciuta e quello, probabilmente, sarebbe stato un sogno per qualunque donna… ma per lei non lo era, era una sorta di incubo ad occhi aperti. Non aveva ancora parlato ai nipoti del fallimento del suo amato Restò Bar e stava inventando scuse su scuse anche solo per uscire di casa, come quando era andata a vari colloqui, o per la cena con Priscilla… per fortuna quella mattina lei e Pablo erano andati alla villa della Ferro dopo che i ragazzi fossero andati a scuola… ma tutto quel mistero le metteva un’ansia incredibile. Come avrebbero preso quella novità i Castillo? Prese un profondo respiro e Galindo, avvertendo la sua tensione, l’avvicinò a passo lento, smettendola di armeggiare con la sua ultratecnologica attrezzatura fotografica. “- Andrà tutto bene, rilassati e va’ a cambiarti.” Le sussurrò piano all’orecchio, vedendola voltarsi di colpo: ecco il secondo motivo del suo nervosismo, ce l’aveva esattamente di fronte in quel preciso istante. Stare in casa con Pablo quando c’erano i nipoti era una cosa, riusciva ad evitarlo più facilmente per allontanarlo dalla sua mente e dal suo cuore… in quella residenza enorme però erano da soli e Angie al solo pensiero che sarebbe potuto accadere qualcosa credé seriamente d’impazzire. “- Vado…” Esclamò di colpo, prendendo una gruccia con un vestito rosso fuoco ampio e le scarpe abbinate ad esso per poi, a passo rapido, andare a cercare un posto dove cambiarsi e indossare quella meraviglia d’alta sartoria, facendo attenzione a non rovinare nulla. Galindo la vide scappare letteralmente via da lui a passo rapido e si lasciò cadere a peso morto sull’enorme divano nel salone: era evidente che Priscilla avesse voluto che fossero da soli in quella villa, che tifasse per loro, che, probabilmente li appoggiasse tanto perché in qualche maniera sapeva che la Saramego lo avrebbe reso migliore… ma per quanto lui avesse combattuto, sarebbe mai riuscito a convincere Angie che nel loro amarsi reciproco non ci fosse nulla di male? Ok, avrebbero dovuto affrontare Gregorio Casal, i ragazzi… ma poi era certo che avrebbe potuto rendere felice la Saramego, era diventato quello il suo vero e unico obiettivo. Si portò la testa tra le mani e si fregò il viso con stizza: perché doveva tutto essere così dannatamente difficile? Una voce melodiosa, nel bel mezzo delle sue riflessioni, lo fece però sobbalzare. “- Sono pronta… credo.” Incerta, la bionda fece qualche passo verso l’uomo che, voltandosi di colpo, rimase abbagliato dalla meraviglia che era la donna: i capelli le ricadevano dolcemente sulle spalle, quel vestito le stava d’incanto e sembrava una principessa uscita da qualche fiaba. “- Mi aiuti con la cerniera…?” Domandò lei, essendo riuscita a chiudere la zip sul retro del corsetto solo fino a metà. Pablo deglutì a disagio e, scattando in piedi, la vide voltarsi in imbarazzo, spostandosi la chioma dorata su una spalla, per facilitare il lavoro di Galindo. Aveva fatto di tutto per tentare di chiuderlo da sola, ma non ci era riuscita e, se aveva chiesto al moro quel favore, era solo perché non aveva avuto altra scelta. Il fotografo rimase immobile alle sue spalle: la schiena nuda e candida della donna lo avrebbe fatto sragionare in passato ed era chiaro che ora non fosse molto diverso, ma tentò con tutte le sue forze di contenersi, limitandosi a far salire la lampo del bustino provando a pensare ad altro… inutilmente. Quel momento così semplice l’aveva mandato in tilt e dovette fare un grande sforzo per apparire rilassato, per fermare quel tremore alle mani che si era impossessato di sé, mentre, ad Angie, non fu di certo più facile: il fiato sulle sue spalle dell’uomo la mandò in estasi e socchiuse gli occhi, costringendosi a concentrarsi su altro… lo sapeva che quella questione del servizio fotografico era un errore, un maledetto errore e a maggior ragione se doveva restare tutto quel tempo in contatto con Galindo… ma che colpa ne aveva lei? Cosa poteva saperne che Priscilla avrebbe lasciato fare a loro due… da soli? Si aspettava almeno una decina di persone intorno a loro, tra parrucchieri e truccatori… e invece niente. Lei e Pablo, lì, senza nessun altro in giro. Purtroppo.
“- Ecco fatto.” Sorrise Pablo, risistemandole i capelli e conducendola fino al giardino: dovevano iniziare da lì, la luce era ideale e sarebbero venute delle foto stratosferiche. La donna lo seguì e, superato il suo iniziale imbarazzo, si lasciò completamente guidare da lui che, dovette ammetterlo, sul lavoro era tutta un'altra persona, professionale e serissima, seppure, di tanto in tanto, si rese conto che si perdesse a fissarla più del necessario seppure, a differenza di prima quando il suo sguardo scorreva su tutto il suo corpo, ora era focalizzato nei suoi occhi, con aria innamorata che in passato non gli era mai appartenuta. Fecero vari scatti sia all’esterno della villa che all’interno, e l’atmosfera magica fu favorita anche dall’estremamente elegante arredamento della casa di Priscilla. Arrivarono alla fine giusto un’ora prima che i ragazzi stessero per rientrare a casa e, un po’ stanca ma felice, la donna si lasciò per un secondo cadere sul grande divano, seguita dall’uomo che fece lo stesso. “- Sono distrutta! Non pensavo che sarebbe stato così estenuante!” Sorrise Angie, finalmente distrattasi dai suoi meri pensieri, più rilassata. “- Visto? E tu che ti lamentavi di gestire il Restò Bar!” Ironizzò il fotografo, facendola sorridere amaramente: per quanto amasse la moda, la sua priorità sarebbe sempre rimasta il suo piccolo locale e non vedeva l’ora di poterlo riaprire, dopo aver saldato tutti i debiti. “- Ma quando mai io mi sono lamentata?! Tu, casomai… scansafatiche che non sei altro!” Rise lei, vedendolo sghignazzare di gusto. “- Sai, ho notato che non abbiamo mai fatto una foto insieme io e te… a parte in rare ed eleganti occasioni…” Sentenziò il moro, alzando lo sguardo dallo schermo dalla sua fotocamera sulla quale stava osservando le immagini catturate alla sua modella d’eccezione poco prima. “- E perché dovremmo averne?” Ribatté lei, fingendosi piccata… doveva tenerlo lontano e, invece, perdeva tempo a scherzare con lui, sentendosi dannatamente bene nel farlo ma maledettamente in colpa. “- Cheese!” Sorrise lui, provando a fare una foto ai due con la stessa macchina super tecnologica che teneva appesa al collo, appoggiando il capo sulla spalla della Saramego per far entrare tutti e due nell’obiettivo. “- Siamo venuti bene… tu sei più bella ma questo è ovvio e lo sapevo già...” Commentò lui, armeggiando con l’apparecchio, per passarlo poi a lei che, sorridente, fissò quell’immagine di loro due in quella vera e propria reggia. “- Anche tu non sei male…” Ghignò la bionda con gli occhi fissi sul display della fotocamera, sentendosi improvvisamente avvicinare da Pablo che le depositò, a tradimento, un caldo bacio sul collo, lasciandola basita e immobile: quello che provò a quel contatto non avrebbe saputo spiegarlo… era così tremendamente felice, avrebbe voluto implorargli di continuare seppure dovesse dirgli, invece, di fermarsi… ma non ci riuscì, tanto che, anche quando Galindo la fece stendere sotto di sé su quell’enorme sofà, non fu in grado di proferire parola alcuna, né di opporre resistenza. Angie lo voleva, avrebbe voluto tanto che accadesse qualcosa ed era in balia del suo cuore che batteva come un forsennato sembrando quasi che le volesse schizzare fuori dal petto, mentre l’uomo, fissandola dolcemente, aveva appena depositato un altro bacio sotto al lobo e poi un altro ancora più in basso, allungandosi su di lei e sentendola sospirare profondamente, socchiudendo gli occhi.
“- Pablo, no… noi non… non possiamo.” Non sapeva neppure dire come, eppure, d’un tratto, Angie ebbe la forza di balbettare quelle parole, appoggiandogli le mani sul petto e allontanandolo da sé lentamente, nonostante fosse travolta da una marea di sensazioni contrastanti: gioia, serenità, senso di completezza… ma anche ansia, paura, nervosismo… no. La mente aveva prevalso sulla sua anima e, a quelle parole, lo vide sollevarsi piano da sé, imbarazzato e con lo sguardo basso, mentre anche lei rimase tesissima, riavviandosi alla meglio i capelli e sistemando le pieghe alla gonna dell’abito con le mani, quasi come a volersi distrarsi da ciò che era avvenuto e, ancor peggio, da quello che sarebbe potuto accadere se quel barlume di lucidità non l’avesse colta.
“- Perdonami, però io… io ti amo, Angie, dannazione, e… so che non possiamo, ma io non riesco più a starti lontano, non ce la faccio! E’ una punizione troppo difficile da sopportare…” Il fotografo, alzando gli occhi e incatenandoli a quelli smeraldo di lei, sussurrò un po’ a disagio quelle parole e lei, mordendosi nervosamente un labbro, scosse il capo, mestamente. “- Dobbiamo.” Sentenziò in un mormorio amaro la donna, alzandosi e avvicinandosi alla stanza in cui si stava cambiando d’abito per le foto. Gli aveva detto che l’amava e lei doveva respingerlo… quanto stava male per quella terribile situazione? Troppo. Angie avrebbe voluto gridargli con tutto il fiato che aveva in corpo che aveva imparato a conoscerlo e ad amarlo anche lei, con un’intensità che non aveva mai provato… ma dovette resistere, ancora una volta. “- Andiamo via, tanto abbiamo finito, no?” Chiese lei ancora in imbarazzo, vedendolo asserire tristemente con il capo. “- Perfetto. Vado a mettermi i miei vestiti e torniamo a casa.” Aggiunse la Saramego, sospirando profondamente per allontanarsi dall’uomo, con un dolore lacerante alla base del cuore. Per quanto ancora avrebbe dovuto reprimere i suoi sentimenti? Per sempre, certo… ma ci sarebbe riuscita? Si richiuse con stizza la porta alle spalle e si portò le mani al volto, scivolando con la schiena lungo il legno in ciliegio dell’accesso a quello che, più che un bagno, per dimensioni e classe, pareva un appartamento a sé stante. La Saramego scese fino a toccare il pavimento e pianse amare lacrime, le ennesime… perché tutto doveva essere così dannatamente complicato? Si costrinse quasi subito a mettersi in piedi e si sciacquò il viso con acqua fredda… i ragazzi sarebbero rientrati tra poco da scuola e lei doveva farsi trovare in casa, cosicché non sospettassero nulla… per quanto ancora avrebbe potuto mentirgli riguardo al servizio fotografico e al Restò Bar? Sbuffò sonoramente, specchiandosi nervosa: il trucco le era colato, era meno accaldata ma comunque era agitata… poteva farcela, un passo alla volta… sperando che tutto, prima o poi, si sarebbe risolto.
 
 
Il garage dei La Fontaine si era appena svuotato della band e solo Diego aveva chiesto il permesso al padrone di casa di restare ancora un po’ lì per continuare ad aggiustare una delle chitarre che, oltre a mancare di una corda, necessitava di una sistemata urgentemente. Il ragazzo era seduto sullo sgabello che di solito occupava Leon, quello di fronte al microfono, riflettendo su ciò che gli era accaduto con Francesca. Ancora non riusciva a credere al potere che aveva su di lui quella giovane, sul suo animo: si sentiva bene, dannatamente bene con lei che lo capiva, lo ascoltava, sapeva come consigliargli sempre la cosa giusta… e non voleva lasciarla andare, tanto che, dopo ciò che era accaduto nel suo giardino, aveva continuato a frequentarla, tuttavia ancora come un’amica. Non c’erano stati altri gesti troppo romantici, piuttosto chiacchieravano, ridevano, scherzavano eppure, più di una volta, aveva avuto l’impulso di riprovare quelle emozioni sentite durate quel bacio… era come se la La Fontaine lo avesse risvegliato da una sorta di trance fatta unicamente di sofferenza in cui era caduto, come se, solo con lei accanto, stesse finalmente iniziando una lenta ripresa per ritornare a stare meglio. Finalmente, dopo tanto armeggiare con lo strumento che ora imbracciava dopo essere riuscito anche ad accordarlo, iniziò quasi meccanicamente a strimpellare e ad intonare delle parole, le prime che gli passarono per la testa:
 
“Es el amor lo qué arrancó, el dolor,
Es mi valor, la fuerza, el corazón...
Lo qué cambió,
Y estoy mejor, estoy mejor, estoy mejor,
Por ti, por mi.”
 
Si fermò e sentì un lieve applauso provenire dalle sue spalle: Francesca, scesa in garage dall’entrata interna della casa, era appoggiata con la schiena alla parete e lo fissava, euforica. Quella strofa le piaceva parecchio, era orecchiabile, dolce e la voce di Diego rendeva il tutto più entusiasmante. “- Wow, non sapevo di avere una spettatrice!” Esclamò il moro, voltandosi verso di lei e posando la chitarra sul suo supporto, per poi avvicinare la ragazza. “- Non sono una semplice spettatrice, sono proprio una fan, la numero uno, oserei dire!” Lo corresse la bruna, un libro di Astronomia sotto ad un braccio e l’aria sorpresa: fino a poco tempo prima, Diego non voleva nemmeno sentir parlare di musica ed ora lo trovava a comporre un brano… era felicissima dei suoi passi da gigante e quelle parole erano la chiara dimostrazione che si sentisse almeno un po’ meglio… mentre una domanda continuava a vagarle in mente:  quell’amore nato nel dolore, di cui lui parlava in musica… poteva essere riferito al loro? “- Perché non componi anche il resto? E’ molto bella…” Aggiunse Francesca, indicandogli lo sgabello, con il chiaro desiderio di volerlo sentire ancora cantare. “- Ci penserò… per ora non abbiamo ancora un brano per la gara, ma ci sta pensando tuo fratello.” Commentò lui, sorridendo: Leon si stava impegnando tantissimo per tentare di scrivere una canzone ma ancora non aveva nulla di concreto in mano, se non una base molto elettro che piaceva molto sia a lui che a Seba. “- Proponigliela, sicuramente piacerà anche a lui… ora però è corso di sopra a prepararsi, so che esce con Vilu stasera!”. A quelle parole, la giovane vide lui annuire in silenzio: doveva ancora fare l’abitudine al fatto che il suo migliore amico stesse frequentando la sorella, ma in fondo, lui non poteva dire proprio nulla visto che stava facendo lo stesso con la gemella di Leon. “- Che c’è, sei ancora geloso?” Lo provocò la ragazza, dandogli un buffetto sul braccio che lo fece sghignazzare, un po’ a disagio. “- Chi, io? No, affatto! Mi basta che il tuo fratellino faccia il bravo!” Sbottò, incrociando le braccia al petto e osservando Francesca ghignare divertita. “- …E non guardarmi così! Ho già chiarito con il tuo gemellino!” Esclamò piccato lui, appoggiandosi con la schiena contro la parete accanto a lei. “- Sì, lo so… e lui ha chiarito con te su… ecco… noi due.” Rispose l’altra, un po’ a disagio per aver toccato, quasi involontariamente, quell’argomento. Diego rimase spiazzato da quelle parole e annuì, restandosene zitto: in un certo senso si erano già dichiarati eppure si sentiva in imbarazzo con lei, molto più di prima che tutto ciò accadesse. “- Diego…” Provò la bruna, ma lui la interruppe, parandolesi di fronte e stringendo le mani della ragazza con le sue, lasciandola stupita da quel gesto così dolce. “- Voglio andarci con i piedi di piombo io… ci tengo a te e… ecco, voglio che tu lo sappia.” Iniziò Castillo, vedendola annuire: il giovane non usciva da un periodo facile ed era normale che il correre troppo lo spaventasse. “- Non c’è nessuna fretta…” Sorrise dolcemente la La Fontaine, mordendosi il labbro inferiore, un po’ a disagio. “- Scusami io… beh, mi viene difficile parlare ma se hai sentito quella sorta di strofa prima, beh… esprime tutto ciò che vorrei dirti.” La voce di Diego era ridotta quasi ad un sussurro e la giovane, istintivamente, gli accarezzò piano una guancia, con tocco tremante ed estrema delicatezza. “- L’ho sentita, Diego… l’ho sentita.” Mormorò Francesca, osservandolo sorridere: il ragazzo si beò di quel gesto tanto dolce della bruna e credé di impazzire per l’estrema serenità che riusciva a trasmettergli… che incantesimo gli aveva fatto mai? Non lo sapeva ma, senza pensarci troppo, l’abbracciò di slancio, depositandole un bacio sulla sommità del capo, ispirando a pieni polmoni il profumo di camomilla proveniente dai capelli castano scuro di lei. “- Sto meglio, Fran. Sto meglio per te… e anche per me.” Soffiò, stringendola a sé, facendola commuovere: le piaceva starsene tra le braccia di Diego, si sentiva dannatamente bene e sapere che gli facesse quell’effetto così positivo la rese ancor più felice. Rimasero per alcuni secondi così, poi il ragazzo, staccandosi da lei e sorridendole, tornò a strimpellare sullo sgabello, segnandosi di tanto in tanto note e parole su un foglietto sgualcito, posto su un mobiletto alto attaccato al muro. Francesca rimase rapita ad ascoltarlo, accomodata su uno scatolone, stringendo al petto il suo libro… ormai era certissima di amarlo e, anche a costo di aspettare tutta la vita, voleva stare con lui a qualunque prezzo. In fondo nemmeno a lei andava di correre con la loro storia, non era di certo abituata a stare con un ragazzo che non fosse frutto della mente di un qualche autore letterario! Per ora si godeva quei momenti brevi ma intensi in sua compagnia: era contenta di essere la sua cura per farlo uscire da quel mare di sofferenza e voleva continuare, come diceva quella canzone in via di composizione, a farlo: stare meglio.
 
 
“- Stai scherzando? Sono sul serio i biglietti per il Boca? Caspita, ma erano introvabili!” Leon, euforico, aveva sgranato gli occhi alla vista di quei tickets nelle mani della ragazza quel pomeriggio, facendola sorrise furbescamente: in realtà quei tagliandi erano di proprietà di Pablo che, un pochino, si stupì quando lei gli aveva chiesto se potesse prenderli… cosa ci doveva mai fare? Possibile che volesse andare allo stadio per assistere a quella partita? Con calma aveva spiegato all’uomo che intendesse regalarne uno a Leon per accompagnarlo e lui, capendo perfettamente la sua intenzione, vi aveva rinunciato, regalandoglieli senza opporre alcuna resistenza… in fondo gli faceva piacere vedere la giovane così felice, lui poteva vedere il match in tv, e poi tifava per l’Independiente, quindi poco gli importava, per quanto fosse appassionato di quello sport, di quei posti in tribuna, vinti da lui stesso qualche giorno prima grazie ad un concorso radiofonico. Addirittura, la figlia di German gli aveva lanciato le braccia al collo, euforica per quel dono, stritolandolo in un forte abbraccio come non era mai accaduto prima, sotto lo sguardo estasiato della zia.
Adesso, i due ragazzi, appena scesi dalla potente moto di La Fontaine, erano fuori dall’enorme stadio, la cosiddetta: “Bombonera” che era già circondato di venditori ambulanti di ogni gadget e tifosi, i quali, allegramente, si avvicinavano ai cancelli per accedere alle varie sezioni delle gradinate. “- Ammetti che non ti aspettavi riuscissi a trascinarti qui!” Lo provocò Violetta, osservandolo annuire, ancora sorpreso da quell’idea geniale della ragazza. “- E sì, ma soprattutto ammetto anche che non mi aspettavo amassi tanto il calcio!” Ribatté lui sorridendole, curioso: che uno dei segreti nascosti della sorella di Diego fosse la passione per il pallone? Riusciva sempre a sorprenderlo, quello era sicuro! Quando, quel pomeriggio. gli aveva detto che voleva portarselo alla partita, lo aveva lasciato alquanto spiazzato… ma, ovviamente, lui aveva accettato, felice. “- Molte cose non sai di me, La Fontaine!” Sbottò lei divertita, guardandosi intorno soddisfatta: quella di trascinarsi il ragazzo lì era stata un’ottima idea, nonostante il gioco tanto amato da suo fratello non la facesse particolarmente impazzire… “- I biglietti me li ha regalati Pablo, e se tu ti sei sopportato ‘Amor y Vampiros’ io merito di guardarmi questo big match per farmi perdonare!” Aggiunse la castana, vedendolo sgranare gli occhi… era così evidente che avesse odiato quel film? Probabilmente sì, tanto che, tesissimo, cambiò discorso, consultando i biglietti che la giovane gli aveva ceduto e cercando il varco dal quale avrebbero dovuto accedere per assistere alla gara. “- Ecco, dobbiamo salire quella gradinata e poi dovremmo ritrovarci nelle tribune…” Indicò con un gesto della mano, vedendola annuire in silenzio ma con un bel sorriso stampato sul volto. “- Una volta ci sono stata con papà e Diego… e devo dire che mi divertii un sacco…” Balbettò amaramente la Castillo, con tono tuttavia malinconico ma non troppo, per non far pesare al ragazzo quella situazione. “- Vedrai che ci divertiremo anche oggi… la partita si promette uno spettacolo calcistico da veri intenditori!” Riuscì a distrarla il giovane, stringendole istintivamente una mano e prendendo a salire le scale al suo fianco. Violetta avvertì un brivido attraversarle l’intero braccio a quel contatto e prese un profondo respiro, sperando di non inciampare per l’emozione. “- Non ti preoccupare che io sono un’esperta!” Scherzò la ragazza, dandogli una piccola spinta che lo fece barcollare su un lato, ridendo. “- Certo… di pallidi vampiri innamorati!” La schernì, facendole però un dolce occhiolino. Dopo molto camminare, finalmente, i due giunsero sugli spalti e il figlio di Matias cominciò a vantarsi delle sue conoscenze storiche oltre che sportive per fare ulteriormente colpo... “- Sai perché questo posto è chiamato “Bomboneira”?” Le chiese a bruciapelo, sedendosi accanto a lei e osservandola scuotere il capo, curiosa. “- …In realtà lo stadio si chiama Alberto Jacinto Armando ma uno dei suoi progettisti, lo paragonò, una volta finito, ad una scatola di ‘bombones’, di cioccolatini, quelli che gli avevano regalato per la sua inaugurazione.” Raccontò con tono solenne e serio, mentre Violetta pendeva interessata e incantata dalle sue labbra: per quanto la riguardava, Leon poteva dirle tutte le storie che voleva, lei comunque sapeva che se ne sarebbe rimasta immobile a sentirlo parlare… era troppo dolce il suo della sua voce, l’avrebbe ascoltato per ore. “- Wow, caspita quante ne sai!” Si complimentò la Castillo, ammirata, facendolo sorridere soddisfatto. “- Se ne sapessi la metà di sport e un pochino in più di matematica e letteratura sarebbe meglio, in effetti…” Si prese in giro da solo il giovane, facendola scoppiare a ridere di gusto. “- E dimmi, espertone, ti sei portato la giusta dose di popcorn, almeno?” Lo schernì la figlia di German, ironizzando sulla voracità del La Fontaine che alzò le braccia in segno di resa. “- Mi hai beccato! Sì, ho cibo a bizzeffe!” Rise, facendole ruotare gli occhi al cielo, tuttavia divertita. “- Sei incredibile!” Esclamò, osservandolo aprire lo zaino che portava in spalla e cominciare a cercare qualcosa: improvvisamente, Leon tirò fuori due sciarpe blu e gialle e, senza pensarci due volte, ne passò una alla giovane che rimase inizialmente un po’ interdetta… poi, però, se la mise al collo sorridente e lo stesso fece lui, con aria solenne come se si trattasse di un oggetto sacro. “- Senza queste non siamo credibili come tifosi!” Scherzò Leon, vedendola annuire, fiera. “- Eh già! Non sia mai che ci scambino per comuni mortali!” Commentò lei, sghignazzando. Doveva ammettere che Leon, oltre ad essere bellissimo, era anche tanto simpatico e la cosa le piaceva davvero molto… mentre, dal canto suo, il ragazzo, scoprì in Violetta una sottile ironia che non si aspettava ma che lo sorprese in positivo, ancora una volta.
La partita cominciò dopo pochissimo e, subito, le azioni si fecero interessantissime tanto che, più volte, la squadra di casa andò vicina al goal, facendo scattare in piedi i ragazzi, soprattutto Leon, il quale si disperava ad ogni occasione sprecata. “- Maledizione, guarda quella difesa! Fa acqua da tutte le parti! Devono marcarli stretti gli avversari, non lasciargli fare ciò che gli pare!” Sbottò stizzito il La Fontaine, portandosi le mani al volto, esasperato dagli errori dei suoi idoli sportivi. “- Dai, vedrai che ora segnano! In fondo stanno attaccando moltissimo! Prima o poi il goal verrà fuor…” Un boato. Gente in visibilio in ogni dove, ovunque si voltassero. Leon alzò il viso rendendosi conto solo in quell’istante che, per disperarsi, si fosse perso la magistrale azione in contropiede del Boca il quale, in meno di trenta secondi, era andato a segnare un eccezionale punto di vantaggio. “- GOOOOL!” Urlò poco dopo il giovane, abbracciando di slancio Violetta che ricambiò, gridando, a sua volta, felice. Lo stadio era ancora un’insieme indefinito di applausi e cori euforici, mentre i giocatori festeggiavano in mezzo al campo per quella rete, avvenuta nonostante la squadra stesse soffrendo per la forza degli avversari. “- Te lo avevo detto! Te lo avevo detto! Te…” Violetta tutto si sarebbe aspettato tranne quello: Leon, in meno di un secondo, ancora entusiasta dell’uno a zero dei suoi beniamini, le prese il volto tra le mani e fece combaciare le loro labbra, seguendo solo il suo cuore. La ragazza si sentì avvampare e, non sapendo di preciso cosa fare, essendo il suo primo bacio, gli allacciò le braccia al collo lasciandosi trasportare dal momento e seguendo i suoi movimenti, mentre intorno a loro la gente ancora esultava per il risultato del match. Il ragazzo fece scorrere le mani sulla schiena di lei appassionatamente mentre Violetta si lasciò travolgere da quell’attimo, in cui credé di essere su una nuvola: si sentiva dannatamente bene, lo amava da tempo indefinito e con quel bacio pensò seriamente che stesse vivendo un sogno. Quando si staccarono, Leon le prese la mano e, tenendo le dita intrecciate alle sue, si sedettero simultaneamente. Il ragazzo era al settimo cielo: non era mai stato un codardo in fatto d’amore, anzi… eppure prendere l’iniziativa con Violetta gli era costato, il coraggio gli mancava e ogni volta che la guardava sentiva che il cuore gli tremasse… insieme alle gambe. Poteva esserci solo un motivo per il fatto che non l’avesse baciata prima: il castano voleva essere sicuro al cento per cento dei suoi sentimenti, conoscendola meglio, accettando che l’amasse perdutamente. Aveva imparato col tempo che la Castillo non era una mocciosa infantile, aveva appreso quanto fosse forte, che avesse sicuramente più coraggio di lui e che nascondesse ancora altre mille risorse, consapevole del fatto che fossero solo alcune quelle di cui lui era venuto a conoscenza. “- Io… non esulto sempre così, eh… è colpa tua!” Esclamò Leon d’un tratto, serissimo, fissandola però dolcemente. “- …Mi… mi hai fatto innamorare di te e… tu sei tutto ciò che non credevo fosse possibile trovare in una ragazza.” A quelle parole tesissime ma sincere, Violetta sorrise teneramente, notando quanto fosse imbarazzato il giovane, il quale, facendo cadere lo sguardo sulle loro mani, ancora intrecciate, continuò: “- …Sei così… forte, decisa, coraggiosa… eppure tanto fragile e… e poi sei bella, molto bella, sai?” Sussurrò appena il La Fontaine, ormai ignorando completamente il match. “- Voglio stare con te, Vilu… voglio proteggerti, io… voglio che tu mi doni un po’ della tua grande personalità che, per quanto appaia sicuro, credimi, mi manca. Sei eccezionale.” A quelle parole, lei si appoggiò con il capo nell’incavo della sua possente spalla e lui le circondò le sue con un braccio, tenendola così, stretta a sé. “- Leon, tu mi piaci dal primo istante in cui ti ho visto e… anche se forse tu mi reputavi solo la sorellina di Diego, sappi che io ti ho sempre considerato il ragazzo dei miei sogni.” Violetta, alzò gli occhi e si ritrovò incatenata a quelli smeraldo del giovane che cominciò ad accarezzarle la schiena dolcemente. “- Sì, e sono stato un cretino. Tu sei stata la più matura sin dall’inizio e il bimbo, per giunta tonto… io. Scusami.” Le sussurrò piano, posandole un tenero bacio sulla fronte, sentendola, dopo quel romantico gesto, accoccolarsi ancor di più a lui. Rimasero così per un tempo indefinito, sembrava ad entrambi di vivere un sogno e, quando la partita terminò, rimasero ancora per lunghi istanti abbracciati: esistevano solo loro, erano insieme, ormai. Finalmente insieme.
 
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Leonetta! Sodoofof Finalmente abbiamo avuto il loro primo bacio! Spddppd :3 E poi abbiamo i Diecesca! Dieguito inizia a comporre “Ser Quien Soy”… :3 Inoltre i Pangie alle prese con il sevizio fotografico per “Top”! Ddofof (beh, qui ci dobbiamo lavorare ancora, ma vi assicuro che non manca molto alla formazione di quest’altra coppia! :3) Che ve ne pare di questo 20? Spero vi sia piaciuto! :3 Grazie come sempre a tutti e alla prossima, ciao! :) DulceVoz. :)

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Capitolo 21
*** Una conclusione affrettata. ***


Una conclusione affrettata. Cap.21
 
“- Tuo fratello è un po’ strano ma al basso è davvero un grande!” Leon camminava su un affollatissimo marciapiede nella zona alta di Madeira, quella nei pressi della costa, e Seba, al suo fianco, annuì soddisfatto del provino appena fatto da Andres. Quel pomeriggio, subito dopo scuola, Diego, Leon e i due Calixto si erano incontrati nella loro sala prove, ovvero il solito garage dei La Fontaine, per fare una sorta di audizione al giovane il quale, per quanto si fosse dimostrato strambo, era stato ammesso con successo nella band. Dopo che il secondogenito Calixto, tutto entusiasta per la sua entrata nel gruppo era tornato a scuola per le prove dell’orchestra dell’istituto, gli altri tre ragazzi avevano deciso di dover cercare  l’ultimo membro che mancava: un tastierista… e, a quanto pareva, il fratello di Andres sapeva già benissimo dove trovarlo.
“- Dobbiamo superare quell’incrocio e lì troveremo casa Ferro… a quest’ora i Supernovi staranno lì perché fanno sempre i compiti insieme.” Spiegò il fidanzato di Camilla, vedendo annuire l’altro di fretta. Diego era rientrato presto per rimettersi in pari con lo studio e così Leon era andato alla ricerca di quello che da tutti era descritto come un giovane Beethoven, insieme al batterista che, come Castillo, conosceva sia il famoso Federico che la fidanzata. La Fontaine ricordava di aver visto entrambi qualche volta nei corridoi della scuola e anche prima che cominciasse l’anno scolastico, ad esempio la sera in cui era andato al “Gringo’s” con l’amico, quando aveva incontrato anche Lara. Leon rammentava che già all’epoca, i commenti di Seba sui due non erano certo stati dei migliori, essendo loro conosciuti come i divi dell’istituto, eppure, in mancanza di meglio e consci della sua bravura, quel famoso ragazzo sarebbe stato comunque perfetto per il gruppo. Quei momenti dell’inaugurazione di quel locale in centro, quando per la prima volta aveva conosciuto la Gonzales, in quell’istante gli parvero lontanissimi… qualche giorno prima aveva baciato Violetta, si stavano frequentando e si sentiva dannatamente bene con la giovane, provando sensazioni nuove che non aveva mai sentito con una ragazza, non che queste gli fossero mancate, anzi. E pensare che, come un emerito idiota, per molto tempo l’aveva giudicata una mocciosetta, senza conoscerla… e invece la Castillo l’aveva stupito, dimostrandosi intelligente e matura, forse, anzi, sicuramente, anche più di lui. I ragazzi, dopo un lungo percorso a piedi, tra vetrine d’alta moda e ristorantini di lusso, giunsero ad un cancello enorme in una zona più tranquilla e lontana dalla vitalità della strada, all’imbocco di una discesa che portava quella schiera di case di classe direttamente a picco sul mare. “- Wow, un cottage modesto…” Scherzò subito Leon, facendo sghignazzare l’altro che si allungò per bussare al citofono dorato sul quale spiccava il cognome “Ferro.”. Poco dopo, la voce metallica ma elegante di una donna, al sentire che fossero amici di Ludmilla, li invitò ad accomodarsi, facendo sì che il cancello si aprisse meccanicamente di fronte a loro. Lì dentro sembrava di essere in una reggia principesca uscita fuori da qualche fiaba… e invece, era tutto reale. Mentre camminavano sul vialetto i giovani si guardavano intorno estasiati… era tutto perfetto, in ordine, non c’era un filo d’erba fuori posto o un fiore cresciuto all’esterno della sua aiuola… un paradiso. “- Questo posto è…” “- E’ dei Ferro, ecco cos’è. Ci sono stato solo un paio di volte ma quando ci torno mi pare sempre un castello reale.” Concluse Seba, facendo annuire l’amico che non la smetteva di fissare quella meraviglia da film in cui si era ritrovato. “- Buon pomeriggio, ragazzi.” Una bionda, identica alla ragazza che Leon ricordava abbastanza bene, li accolse con un sorriso sotto al portico e li condusse dentro, informandosi attentamente su chi fossero quei due visitatori: Priscilla aveva visto poche volte il moro ma lo ricordava a stento, mentre l’altro aveva un volto a lei del tutto sconosciuto. “- Siete a scuola con mia figlia, vero?” Domandò, facendogli comprendere che fosse la madre della biondina. “- Sì… emh… vorremmo parlarle un secondo, magari se c’è anche Federico Bianchi ancora meglio.” Rispose intimidito Calixto, mentre la donna li guidò all’enorme salotto e li fece accomodare su un divano grande e comodissimo. “- Aspettateli qui, li vado a chiamare.” Esclamò gentilmente, raccogliendo prima dal tavolinetto di cristallo di fronte ai due alcune cartellette e una pila di riviste che i ragazzi subito riconobbero essere il famoso “Top”, di cui la donna era a capo. Fatto ciò, Priscilla si diresse verso la scalinata in marmo lucidissimo che conduceva ai piani superiori… perché di sicuro, in quel castello, non potevano esserci solo due piani, pensarono i giovani. “- Cavolo, questa situazione mi mette ansia!” Sbottò Leon, continuando a guardarsi intorno, ammirando anche l’interno della villa con stupore… veniva da una famiglia modesta e mai e poi mai aveva visto qualcosa del genere. “- E non sai ancora con chi dovremmo avere a che fare… lì sì che ti verrà l’ansia!” Ridacchiò Seba sotto ai baffi, mentre, dei rumori di passi provenienti dalle scale, li fecero voltare di colpo: Ludmilla, in un, sicuramente, costosissimo abito rosa confetto con rifiniture dorate, apparve nella sala e parlottava fitto fitto con un ragazzo che sicuramente doveva essere il giovane pianista. “- Ciao, Ludmilla!” Seba, che conosceva la giovane almeno un po’ meglio di Leon, essendo nella sua stessa classe, la medesima anche del fidanzato, prese la parola, osservando l’aria un po’ disgustata della Ferro dipingersi sin da subito sul suo viso. “- Salvador!” Trillò, lasciando stupefatto il batterista e divertito l’altro. “- Sebastian…” La corresse Federico, assumendo un’aria saccente e accomodandosi su una poltrona di fronte ai due ospiti. “- Sorry, io non ricordo il nome di chi non mi interessa!” Sbottò la Ferro, sedendosi sul bracciolo accanto al suo ragazzo e fissandoli con superiorità.“- Cominciamo bene…” Sussurrò sottovoce il La Fontaine, venendo azzittito dall’amico con un cenno della mano. “- Amore mio, è nella nostra sezione da anni…!” Ribatté ancora Bianchi, non sortendo alcun effetto su di lei che, noncurante, alzò le spalle come se non fosse affar suo. “- Si puo’ sapere cosa ci fate qui? Abbiamo molto lavoro da fare, io mi sto preparando per la Fiera di Madeira e Fede mi deve aiutare, facendomi da manager… che volete?” Chiese acidamente, analizzandoli con i suoi occhietti furbi di un intenso color nocciola. “- Ecco, vedi… in realtà vorremmo parlare con te, Bianchi.” Iniziò Seba, vedendo scattare in piedi un po’ stizzita la Ferro. “- What?! Questa è casa mia e se non siete venuti per me potete anche andarvene!” Strepitò istericamente la biondina, mentre il giovane si alzò dalla poltrona e le circondò la vita teneramente. “- Calma, mia deliziosa Supernova… conta fino a cento e passa tutto.” Le sussurrò lui ad un orecchio a mo di terapeuta, scatenando l’ilarità di Leon che riuscì a stento a trattenersi, appiccicandosi una mano davanti alla bocca, venendo fulminato da un’occhiataccia di Seba: non sia mai la ragazza avesse scoperto che stesse ridendo di lei… si sarebbero sognati il pianista, il gruppo e, di conseguenza, anche la gara. “- Ludmilla, ovviamente puoi restare… volevamo proporre a Federico, se ovviamente vorrà, di entrare nella nostra band.” Iniziò pacatamente il fidanzato di Camilla, vedendo accigliarsi il diretto interessato e sgranare gli occhi sconvolta della sua dolce metà. “- Ah, beh… spero stiate scherzando!” Si lamentò difatti la figlia di Priscilla, risedendosi, ma con meno eleganza di quanto era entrata. “- Mia tenera Stellina Binaria, li ascoltiamo, per favore?” Federico, per fortuna, si mostrò subito interessato al loro progetto e ascoltò attentamente i dettagli, fino a quando la giovane riscattò in piedi, esausta di quelle che per lei erano un mucchio di stupidaggini. “- Fede, tu mi servi! E’ la prima volta che partecipo e ho bisogno di te… al mio fianco!” Si lagnò piccata, meno furiosa di prima, quasi piagnucolando quella frase avendo intuito che il suo fidanzato fosse colpito dalla proposta dei due ospiti, soprattutto dal fatto che la sua fama avesse fatto pensare a lui ai ragazzi, come prima opzione per la loro band. “- Tesoro, potrò comunque aiutarti! E… voi, sappiate che sono contento che mi abbiate subito tenuto in conto come musicista… si vede che il mio successo, misto al mio talento, vi ha catturato!” Sorrise furbescamente, vedendoli annuire. In effetti era vero: il giovane, di origini italiane, era un nome celebre sia della scuola che dell’élite di giovani musicisti della Nazione… e, seppur prediligesse la musica classica, erano sicuri che la sua destrezza con i tasti lo avrebbe aiutato anche nel pop, rock o in qualunque altro genere avesse deciso di suonare.
“- Va bene, accetto… non posso di certo lasciarvi senza di me se bramate tanto la mia maestria! Avete una tastiera decente o dovrò farvi recapitare la mia in sala prove?” Sbottò, recuperando la sua aria superiore e vedendo i due alzare le spalle: lo strumento era di Leon ma di certo non era ai livelli di quel piccolo genio… era un po’ vecchia, l’aveva trovata in uno scatolone dopo il trasloco e aveva saputo fosse di sua madre… quindi non era di certo l’ultimo modello. “- Forse è meglio.” Intervenne La Fontaine, vedendolo annuire, con fare comprensivo. “- Bene, domani stesso manderò il mio maggiordomo da voi con la mia amata ‘Audrey’.” Concluse Federico, accavallando una gamba e esclamando quel nome con aria innamorata. “’Audrey?!’” Leon non poté fare a meno di sghignazzare e Seba gli lanciò un’altra occhiataccia letale. “- Sì, la mia bambina ha un nome… vi sconvolge tanto?!” Sentenziò il castano quasi offeso per quello che considerava un vero e proprio affronto, osservando il batterista mettere una mano sulla bocca all’amico. “- No, maestro Bianchi, per carità!” Scherzò, nonostante l’aria serissima, Seba, facendolo finalmente annuire, più convinto. “- Sconvolge me che devo essere gelosa di quell’affare elettronico! E del pianoforte, poi! Non ne parliamo nemmeno!” Si intromise nella discussione Ludmilla, per poi continuare, stizzita. “- Se proprio vuoi andare a suonare con questa banda di planetoidi… va’ pure! Ma promettimi che non mancherai alle mie prove… a costo di sdoppiarti!” Sbottò irata, vedendolo annuire con calma. “- Ogni promessa è debito, piccola mia. E ogni tuo desiderio, un ordine.” La rassicurò il giovane, schioccandole un tenero bacio sulla guancia. “- Allora ci accordiamo a scuola per le prove, d’accordo?” Sorrise Calixto, alzandosi e facendo sì che anche l’altro facesse lo stesso, seguito da Federico. “- Va bene… ma spero che teniate conto dei miei numerosi impegni per quanto riguarda gli orari.” Esclamò il pianista, facendoli annuire. “- Ma certo… buona serata!” Salutarono i due del gruppo, venendo accompagnati alla porta e sentendosela sbattere alle spalle poco dopo. “- Dici che dovevamo provinarlo, prima?” Chiese Leon confuso da quell’incontro, osservando l’altro scuotere il capo, sicuro. “- E’ la reincarnazione di Mozart, non sia mai gli avessimo proposto un’audizione! Ci avrebbe cacciato sicuro a pedate, profondamente offeso.” Commentò il batterista, facendo annuire La Fontaine. “- Federico non è cattivo e nemmeno Ludmilla… è molto vanitoso come la sua fidanzatina ma è bravo e se vogliamo vincere, come ho detto a Diego quando si è opposto prima, abbiamo bisogno di lui.” Sentenziò serio il giovane, sotto lo sguardo perplesso di Leon. In effetti quella strana coppia poteva apparire acida e bisbetica, superba e un po’ altezzosa… ma non erano malvagi, era sicuro di ciò sin da quando li aveva visti la prima volta al Gringo’s… eppure… si sarebbero pentiti prima o poi di quella scelta oppure no?
 
 
Diego, spaparanzato sul divano, aveva appena finito di ripassare l’ennesima pagina di appunti prestatagli da Francesca ed ora si godeva il meritato relax, distrutto dal troppo studio. Il ragazzo si appoggiò con la testa allo schienale e socchiuse gli occhi, mentre una sensazione di calma per aver recuperato l’ennesima lezione persa ad inizio anno, si impossessava di lui: se non fosse stato per la La Fontaine era molto probabile che avrebbe perso l’anno. Distrattamente, si rimise a sedere compostamente e gli venne voglia di una lattina di birra… a patto che quel dannato Galindo ne avesse lasciata una in frigo… sapeva che le beveva di nascosto da loro poiché Angie non voleva che se ne consumassero a tavola e così, svogliatamente, si alzò e si trascinò in cucina, ancora stanco e affaticato per quella miriade di compiti. Aprì il frigorifero e rimase sorpreso da ciò che vide di fronte a sé: il nulla. Vuoto. Ancora, tra l’altro… era il secondo giorno che riviveva quella vicenda e la cosa lo scioccò alquanto. Lì dentro c’erano in tutto mezzo limone, un uovo e quelli che sembravano un paio di muffins ammuffiti preparati dalla zia chissà quanto tempo prima… forse la Saramego si era dimenticata di passare al supermercato per la spesa e l’avrebbe fatta tornando, dato che era fuori con Pablo, Violetta ed Ambar per una passeggiata… ma come mai era il secondo giorno che non c’era poi così tanto cibo in giro? Scocciato per quell’ennesima disfatta, se ne ritornò in salotto e si diresse verso la tv, volendo accenderla per mettersi a giocare un po’ con qualche videogames ma, mentre apriva l’anta per prendere il suo preferito, quello di calcio, una cartelletta che non aveva mai visto in giro gli cadde addosso e, quasi meccanicamente, l’aprì: appunti della calligrafia ordinata, che subito riconobbe essere come quella di sua zia, lo lasciarono un po’ interdetto… erano conti, un mare di calcoli mentre, sopra ad essi, riuscì a carpire alcune scritte che lo stupirono: “Restò Bar”, “Saldo da pagare”, “Debito fornitori”… E, accanto a quell’ultima parola, vi era segnata una cifra esorbitante a più zeri. No, non poteva essere vero. Richiuse tutto e si fiondò fuori, voleva vedere Francesca parlarle… ma si ricordò improvvisamente che quel pomeriggio fosse ad una gara di nuoto di Camilla a farle da sostenitrice, così cominciò a camminare senza meta, la testa piena di pensieri e in particolare, uno a cui non riusciva a credere, lo mandava in crisi… il bar della Saramego poteva essere fallito? Possibile quella dei lavori fosse una scusa? Per questo erano due giorni che non facevano la spesa? I soldi in casa scarseggiavano? Sì, tutto tornava. Non sapeva cosa diamine fare, in che modo aiutare la sua famiglia… lo stipendio di Pablo, a patto che il suo capo ancora non lo avesse cacciato a calci, poteva bastare? No, di sicuro no, e lui non voleva che mancasse nulla alle sue sorelle e a sua zia. Percorse le stradine del borgo non sapendo dove stesse andando di preciso e, d’un tratto, si ritrovò di fronte all’emporio di Matias, un vero e proprio minimarket in piena regola… ci era stato solo una volta per cercare Leon che stava aiutando il padre e, non sapendo dire perché, entrò, forse nella vana speranza che la sorella di Leon potesse essere lì, per raccontarle tutto, per ascoltarla… seppure sapeva fosse impossibile. Il padre dei gemelli era dietro alla cassa e parlottava con sua moglie Marcela, quasi non facendo caso al suo ingresso o meglio, lui, non sapendo perché, si mimetizzò tra un paio di clienti i quali, insieme a lui, avevano varcato la soglia del negozio. Vicino ad un espositore di libri e giornali, aveva intravisto quel brutto ceffo di Clement, il tizio che ci aveva provato con sua sorella ma lo ignorò, addentrandosi tra i vari reparti. Prima che i La Fontaine arrivassero lì, quel posto aveva un altro proprietario e gli faceva salire un groppo alla gola ricordare quante volte, in passato, era stato lì dentro con la madre, le sorelle e suo padre, tutti intenti a fare la spesa… Ambar voleva sempre caramelle o cioccolata, Violetta passava quasi tutto il tempo vicino ai libri e lui aiutava German a caricare l’auto, vantandosi della sua forza nel sollevare le borse stracolme di alimenti. Scosse il capo per allontanare quei pensieri e si ritrovò davanti al reparto del pane: non aveva che pochi spiccioli, cosa diamine poteva comprare per cena con meno di 3 pesos? Afferrò da uno scaffale due buste di primi piatti precotti e, senza quasi accorgersene, si fece scivolare sotto la giacca di pelle la terza confezione. Si sentì dannatamente male ma non voleva che restassero a stomaco vuoto, seppure non fosse mai successo, né quel giorno e neppure per quelli precedenti… doveva subito trovarsi un lavoro, non era un ladro e voleva soltanto aiutare a sbancare il lunario alla sua famiglia. Senza rendersene conto svoltò a tutta velocità per andare a pagare quei due pacchetti alla cassa: era un mostro, un dannato mostro e stava facendo qualcosa di sbagliatissimo, lo sapeva… suo padre non avrebbe mai e poi mai approvato una cosa del genere… ma non sapeva di preciso neppure perché lo avesse fatto: si sentiva responsabile per le sue donne di casa, era lui il capofamiglia, l’unico uomo che dovesse occuparsi di loro. Camminava a passo rapido e testa bassa, quasi fosse inseguito dal suoi stessi sensi di colpa… nemmeno gli passò per la testa che quel luogo appartenesse alla famiglia della ragazza di cui era innamorato, del suo migliore amico… quando quel pensiero attraversò la sua mente, si rese conto che quello era anche un torto a loro, ai La Fontaine che sempre lo avevano supportato, che avevano fatto di tutto per tentare di risollevare la zia e ognuno di loro.
“- Diego… posso parlarti?” Senza nemmeno rendersene conto, andò a sbattere contro qualcuno e, sollevando il capo, si accorse che quell’ostacolo era Matias, che lo fissava un po’ confuso mentre, al suo fianco, c’era Marcela, la quale gli aveva posto quella domanda, dolcemente ma con aria seria. “- Volevo andare a… pagare questi e poi… non ho tempo, io… io devo correre a casa, mi dispiace…” Balbettò nervosamente il ragazzo, sentendosi analizzare attentamente dalla Parodi, mentre il biondo scosse il capo, un po’ stizzito: “- Non c’è fretta, signorino…” Gli disse minacciosamente, venendo zittito con un cenno della mano dalla consorte. “- Vieni un secondo con me sul retro? Voglio solo scambiare quattro chiacchiere con te, fidati di me.” Sorrise gentilmente la donna, mentre lui sentiva il cuore accelerare i battiti per la tensione: ecco fatto, l’avevano beccato. Certo che era stato un vero tonto e pure poco furbo. Per non guardare il padrone del negozio che sembrava alquanto teso, il Castillo si perse ad osservare la bruna che aveva l’aria più rassicurante tra i due e annuì, prendendo a seguirla in silenzio fino a chissà dove. La donna e Diego passarono davanti a Clement il quale sogghignò, avendo intuito qualcosa, ma fingendosi comunque indifferente, continuando a sfogliare un giornale, mentre sua zia e il giovane vicino di casa, aggiravano anche la cassa per andare in una stanzetta che doveva essere una sorta di ufficio del padrone del negozio. Marcela si sedette dietro ad una piccola scrivania in un disordine clamoroso e fece cenno al giovane di accomodarsi di fronte a lei, ancora fredda ma quasi in imbarazzo per quella situazione. “- Perché siamo qui? Io non ho fatto niente.” Esordì il ragazzo, alzando le mani e facendo cadere al suolo il pacchetto sotto alla sua giacca, osservando di nuovo gli occhi della Parodi studiarlo con attenzione, comunque come se nulla fosse accaduto. “- E va bene, volevo prendere quello, ma le altre due potevo pagarle, lo giuro.” Aggiunse il bruno, senza ottenere alcuna risposta da Marcela che, era chiaro, stesse cercando le parole giuste per affrontare lo spinoso argomento. “- Diego, ti ho visto dalle telecamere di sorveglianza. Perché?” Gli domandò semplicemente e con tono pacato la bruna, sporgendosi verso di lui che, finalmente, a peso morto, si era lasciato cadere sulla sedia. “- Perché non ho altra scelta.” Sbottò, sbuffando e battendo un pugno sul tavolo di fronte a sé, abbassando gli occhi: si vergognava dannatamente, non voleva che si venisse a sapere, avrebbe voluto sprofondare. “- Ci sono problemi economici a casa credo e… io devo occuparmene.” Sussurrò appena, facendo prendere un profondo sospiro alla bruna che lo ascoltò, restando ancora in silenzio. “- Ho trovato dei fogli e… ho scoperto che mia zia ha perso il locale, non fa la spesa da due giorni io… che diavolo potevo fare…?” “- Fidarti di Angie e Pablo.” Concluse la Parodi al suo posto, vedendolo sollevare lo sguardo, colpito. Ecco da chi Francesca aveva ereditato la sua pacatezza e la sua intelligenza, l’origine l’aveva di fronte. “- Diego, ascoltami… per quanto ti senta responsabile della tua famiglia come unico maschio dei Castillo tu… tu sei solo un ragazzo e devi unicamente pensare a studiare. Questi problemi sono di tua zia e di Galindo, loro sono i vostri tutori e sono sicura che poi la situazione non sarà tanto tragica come pensi…” Commentò seria lei, appoggiando una sua mano sul pugno ancora chiuso del ragazzo. “- Parlerò io ad Angie e…” Il ragazzo provò a protestare ma la donna lo zittì con una sola occhiata, vedendolo annuire. “- Diego, rubare è un reato… e non scatterà alcuna denuncia ovviamente, ma tua zia lo deve sapere… mi capisci, vero?” Ancora una volta, il moro annuì, risentito ma convinto che la moglie di Matias avesse ragione: un pensiero però, accompagnato da un volto, gli attraversò la mente… Francesca. Se avesse saputo l’avrebbe mai perdonato? “- Marcela, comprendo che tu debba dirlo a mia zia ma… posso chiederti un enorme favore, seppure sappia di non essere nella posizione di permettermi nulla visto la cavolata che ho provato a fare?” Le domandò, vedendola annuire con la solita calma. “- Potresti non dirlo a tua figlia? Per favore…” Balbettò nervoso il Castillo, facendo accigliare la donna: che Francesca e Diego fossero diventati molto uniti nell’ultimo periodo l’avrebbe notato anche un cieco, ma da qui a volere che lei non sapesse del suo furto, per quanto amici fossero, la lasciava perplessa. “- …Mi sta aiutando molto e… me ne vergogno. So che non dovevo farlo e…””- D’accordo. Non dirò nulla… ma mi auguro che, prima o poi, gli racconterai tutto tu.” Lo interruppe Marcela per toglierlo da quell’imbarazzo, facendolo sorridere.
“- Clement mi ha detto che sei venuto qui a rubare… è vero?” Francesca, immobile sotto l’uscio, era appena arrivata e, spalancata la porta, fece voltare di colpo la madre e il bruno nella sua direzione: era pallida, le gambe le tremavano e non poteva credere a ciò che suo cugino le aveva raccontato non appena l’aveva vista entrare nel supermercato. Diego non disse nulla ma scattò in piedi, mentre anche la Parodi si alzò, serissima. “- Non ci posso credere…” Mormorò, mordendosi nervosamente un labbro e facendo oscillare il suo peso dalla gamba sinistra a quella destra, nervosamente. Si sentiva ferita nel profondo: non sapeva i motivi precisi, né in quel momento le interessavano… l’unica cosa che avvertiva era rabbia e sentiva anche di aver perso, per la delusione, tutta la sua solita razionalità. “- Mi dispiace…” Balbettò il giovane, senza nemmeno avere il coraggio di guardarla negli occhi: si sentiva un maledetto codardo e voleva solo scappare da lì, da tutto. La cosa che più gli faceva male era vedere in quello stato Francesca, leggere nei suoi occhi lo sconforto più assoluto ed era tutta colpa sua. L’aggirò di fretta e corse via, le lacrime ad annebbiargli la vista e la voglia di andarsene lontano da quel negozio. “- Fran… ascoltami…” Provò la madre, avvicinandola, ma lei, scuotendo il capo amaramente, le fece intendere che non volesse ascoltarla, almeno non in quegli istanti: era tornata dalla piscina dove la Torres aveva sfiorato ancora una volta l’oro e, sulla via del ritorno, si era fermata al supermercato del padre, così da aiutarlo con l’inventario, essendo un genietto dei numeri. Una volta dentro però, il primo in cui si era imbattuta era stato suo cugino il quale, senza mezzi termini, senza che lei gli chiedesse nulla, le aveva detto che sua madre fosse sul retro con quello che aveva definito un: ladruncolo sfigato. Diego Castillo. Fino all’ultimo la giovane aveva sperato fosse uno scherzo stupido del francese, una maniera per vendicarsi della lezione che aveva provato a dargli il vicino quando aveva difeso Violetta… e invece era vero, dannatamente vero. La La Fontaine corse anch’ella verso l’esterno dell’emporio senza meta, le lacrime che le scorrevano sulle guance e, finalmente, una domanda in testa… perché? Perché Diego l’aveva fatto? Arrivò senza accorgersene al parco e scoppiò in un pianto disperato, mentre la sera, a poco a poco, cominciava a rendere l’aria più fresca e intorno si faceva gradualmente buio. La giovane rimase lì alcuni minuti indefiniti fino a quando, svogliatamente, si costrinse a tornare a casa per non far preoccupare la sua famiglia.
 
 
Angie camminava nervosamente davanti al sofà, dove i tre nipoti avevano preso pasto e Pablo, svogliatamente, si era accomodato su una poltrona come se nulla fosse ma fissandola di tanto in tanto con preoccupazione. Diego teneva gli occhi bassi e già immaginava cosa volesse dire la zia ma se ne stava zitto e in disparte, sapendo di essere il motivo di quella imminente discussione, seppure la donna lo avesse già preso da parte, avendo parlato con Marcela, una volta rientrata a casa. “- Ormai non ha senso mentirvi… dovete sapere la verità.” Cominciò la Saramego, avvertendo una sorta di tremore alla voce, mentre si fermò di fronte ai ragazzi che presero a fissarla, confusi. “- …Il Restò Bar è fallito… non ci sono lavori in corso né null’altro. Ho dovuto chiudere, per forza.” Spiegò, con aria afflitta. “- Come è possibile?!” Chiese Violetta, perplessa. “- Debiti con i fornitori, concorrenza spietata… un po’ di tutto.” Rispose la zia, lanciando una rapida occhiata a Galindo che annuì come per farle capire che,  smettendo di mentire, stesse facendo la cosa giusta, invitandola poi a continuare con un cenno del capo. “- Ad ogni modo, ci tengo a precisare che non abbiamo alcun problema economico in casa…” Aggiunse, puntando i suoi occhi smeraldo in quelli del nipote maschio che asserì col capo, abbassando nuovamente il volto. “- …Se non ho fatto la spesa per due giorni è solo perché ho avuto vari impegni… e poi mi pare che comunque non vi sia mancato mai nulla, giusto?” La secondogenita si affrettò a rispondere affermativamente, un po’ perplessa da quella frase enigmatica della bionda. “- Se non ho avuto tempo, è perché, ho trovato un nuovo impiego e… caspita, come ve lo spiego?” Si disse tra sé e sé a disagio: ok, non era un lavoro usuale ma alla fine non aveva di certo a che fare con l’illegale, dunque, perché nasconderglielo ancora? Mancava poco all’uscita del magazine, quindi, meglio parlare, prima che i ragazzi avessero visto quelle immagini da sé, in edicola. “- Priscilla, la direttrice di ‘Top’, mi ha contattato per delle foto di moda… usciranno sul prossimo numero e se sono stata un po’ assente era perché stavo facendo le foto con Pablo in questi giorni.” A quelle parole la Castillo maggiore sgranò gli occhi felice, mentre quello che apparve più nervoso fu lo stesso Diego. “- Una modella, in pratica? Zia Angie, sei diventata la modella di ‘Top’?” Domandò Violetta, euforica al solo pensiero. “- Sì, ma l’ho fatto solo perché voglio riaprire il mio locale, la paga è ottima… e dopo questa volta non si ripeterà più.” Si giustificò la donna, mentre il maggiore borbottò qualcosa che suonava come: “- Ci mancava solo questa.”. “- Ah, ma è fantastico! Voglio vedere le foto!” Trillò la giovane, battendo le mani contenta, rivolgendo subito il suo sguardo all’amico di German. “- Anch’io!” Convenne la sorellina felice, continuando comunque a pettinare la sua Barbie con aria super concentrata. “- Mi dispiace bamboline, ma dovrete aspettare il giornale o Priscilla mi farà fuori! Queste sono le regole!” Esclamò categorico Galindo, lasciando un po’ deluse le due. “- Dovevo trovarmelo io un lavoro, non tu.” Sbottò improvvisamente Diego, scattando in piedi con le braccia incrociate al petto, facendo sì che tutti si voltassero verso di lui. “- Tu sei un ragazzo e devi fare il ragazzo. A queste cose ci penso io.” Ribatté secca la bionda, vedendolo sfuggire al suo sguardo attento. “- …Il bar è mio e se voglio riaprilo è perché ci tengo io. Voi non c’entrate nulla… abbiamo comunque lo stipendio di Pablo, vivremmo lo stesso dignitosamente e io avrei trovato un altro impiego, a prescindere da questo servizio di moda.” Gli spiegò con calma Angie, osservandolo sedersi a peso morto di nuovo dov’era. “- Beh, allora potevi anche dircelo prima che non c’era alcun problema! Almeno non mi sarei visto costretto a fare ciò che ho fatto.” Castillo, con quella frase enigmatica, attirò l’attenzione delle sorelle e di Pablo che, comunque, sapeva cosa intendesse, avendo assistito alla conversazione tra la Saramego e la Parodi. “- Perché, cosa hai fatto?” Gli domandò la secondogenita, confusa, perdendosi nello sguardo spento del fratello. “- Sono andato a rubare al supermercato dei La Fontaine… in attesa che tutto si sistemasse e che mi cercassi un lavoro quantomeno decente, era mia responsabilità mantenere la mia famiglia.” Rispose, lasciando sconvolta la giovane: cosa diamine diceva? Era forse impazzito? “- Ma come diavolo ti è saltato in mente?” Sentenziò la ragazza, scioccata. “- Diego, non si fa! E’ una cosa molto brutta!” Lo riprese persino Ambar, mentre lui, ignorando tutti, si diresse verso le scale per salire al piano di sopra, con la sola intenzione di andare in camera sua per dimenticare quel maledetto giorno. Ok, aveva agito troppo d’impulso, facendo una stupidaggine colossale, deludendo le sue sorelle, Angie, Francesca… e, sicuramente, anche i suoi genitori, ovunque essi fossero… ma ormai era tardi per i rimpianti, aveva già fatto ciò che credeva corretto, sbagliando. Non l’avrebbe fatto mai più e lo sapeva. D’improvviso, mentre era disteso sul letto e fissava il soffitto, con le lacrime agli occhi, avvertì la presenza di qualcuno nella stanza. “- Scusami. Non avrei dovuto aggredirti in quel modo…” La voce dolce della secondogenita dei Castillo lo fece sobbalzare e, subito, si mise a sedere al centro del materasso, specchiandosi negli occhi dolci della sorella. “- Figurati, ci sono abituato.” Borbottò il giovane serio, incrociando le braccia al petto e sporgendosi verso il suo comodino per afferrare il suo lettore mp3. “- Volevi solo… aiutare noi, in un certo senso.” Incalzò la ragazza, sedendosi accanto a lui e osservandolo fare un mezzo sorriso amaro. “- E invece sono un idiota che vi ha solo deluso, ancora.” Sentenziò sottovoce il bruno, mentre Violetta, senza che aggiungesse altro, gli allacciò le braccia al collo e lo attirò a sé, coinvolgendolo in un forte abbraccio. “- Non ci hai mai deluso, Diego… mai. Io ho, e sempre avrò fiducia in te.” La voce calma della castana all’orecchio riuscì almeno un po’ a tranquillizzarlo e, in quella stretta, per una volta, non era lui a proteggere la minore… ma quello protetto si sentiva lui.
 
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Ciao! :)
Aw, i fratellini Castillo sono tanto dolci! :3 Diego ma cosa ci combini? O.O Povera Fran, è distrutta! D: E nel primo blocco incontriamo i Fedemilla! La strana coppia! XD Come proseguirà la vicenda? Grazie a tutti e alla prossima, ciao! :) DulceVoz. :)

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Capitolo 22
*** Senza riserve. ***


Senza riserve. Cap.22
 
“- Pensi davvero che portare i ragazzi qui abbia aiutato in qualche modo?” Erano passati alcuni giorni dal “furto” di Diego e Pablo, per smorzare un po’ quella tensione, ormai divenuta costante in casa, aveva deciso di portare tutti a fare un picnic sulla spiaggia, approfittando di quella splendida domenica mattina soleggiata. “- Aiutare non so, ma almeno abbiamo respirato un po’ d’aria pura.” Commentò seccamente Galindo, seduto sul grande telo a quadri rossi e bianchi che la Saramego aveva disteso sulla sabbia, per poi disporvi sopra tante leccornie da mangiare… dolci compresi preparati da lei, ovviamente. Pochi metri più avanti, Violetta, orecchio incollato al suo cellulare per chiacchierare con Leon, seguiva Ambar che raccoglieva conchiglie, mentre il maggiore dei tre Castillo, ancora distrutto per la sua lite con Francesca, alla quale non aveva più avuto nemmeno il coraggio di avvicinarsi dopo ciò che era accaduto, se ne stava a distanza dal resto del gruppo. Diego, subito dopo aver consumato il suo pasto, si era seduto in macchina, parcheggiata poco distante dalla spiaggia, con tanto di cuffiette nelle orecchie e musica rock a tutto volume nel tentativo di sovrastare il rumore dei suoi molteplici pensieri. Inutile dire che avrebbe volentieri preferito starsene a dormire fino a tardi quel giorno, per poi sprecare il suo tempo davanti ai videogames… ma dopo ciò che aveva fatto al supermercato La Fontaine, poteva solo tacere e assecondare le richieste della zia, per quanto odiasse il fatto che quell’idea della gita fosse stata addirittura dell’amico di suo padre che ancora tanto detestava.
Angie si sedette dall’altro lato della tovaglia dopo aver finito di sparecchiare e, distrattamente, si ritrovò a fissare Pablo: stava armeggiando con la sua fotocamera, probabilmente lavorando o facendo spazio nella memoria per scattare qualche nuova immagine con aria particolarmente incantata. “- Che fai?” Gli chiese d’un tratto curiosa, sporgendosi verso di lui e puntando i suoi occhi sul display dell’oggetto, vedendogli alzare finalmente lo sguardo per rivolgerlo a lei, arrivata al suo fianco senza che nemmeno se ne accorgesse. “- …Ehi, ma queste sono le foto per ‘Top’! Le mie foto! E pensare che domani uscirà la rivista… sono così… nervosa!” Rise la donna, dandogli un piccolo buffetto dietro al collo. “- Lo so, ammiravo ancora una volta, e in anteprima, il mio talento… oltre alla straordinaria bellezza della modella, ovviamente.” Le sussurrò il bruno ad un orecchio con voce calda, facendola avvampare: ormai era sempre più difficile stargli lontano, più voleva evitarlo e più lo pensava o se lo ritrovava di fronte in qualunque camera della casa si trovasse… oppure, come in quel caso, addirittura lo cercava lei stessa. Cosa poteva fare? L’uomo le aveva chiaramente detto di amarla quando erano nella villa di Priscilla per il servizio di moda… e, la cosa peggiore, era che più viveva con lui, più sentiva i sentimenti nei suoi confronti crescere in maniera smisurata, devastante. Pablo l’attirava come una calamita, era sempre più affettuoso con i ragazzi, cercava di calmarla quando era nervosa, di risollevarle il morale quando era triste, l’aiutava, consigliava… insomma, una vera catastrofe e, se il cuore lo considerava un disastro in positivo, la mente le urlava che lo fosse invece in negativo. Si alzò di scatto, realizzando solo in quell’istante che lei e Galindo fossero troppo vicini e si avviò verso la riva, sotto lo sguardo stupito dell’uomo. Cosa c’era che non andava quella volta? Si perse a fissarla allontanarsi verso una vecchia cabina in legno poco distante da lì e, senza pensarci troppo, si mise in piedi a sua volta con la chiara intenzione di seguirla. Angie si appoggiò con la schiena a quella cadente struttura, rimasta unica nella sua fila, considerando che, probabilmente, le altre fossero state già abbattute per la loro fatiscenza. Prese a respirare affannosamente, provando a calmarsi: quella vicinanza che cercava con Galindo non le faceva bene, o meglio, a lei sì… ma non faceva bene a nessuno degli altri, dei ragazzi… doveva smetterla e, stringendo i pugni, socchiuse le palpebre per provare ad allontanare anche l’ultimo dei suoi pensieri dall’amico di suo cognato. “- Stai fuggendo da me, vero?” Nemmeno si era accorta che qualcuno le si fosse parato di fronte e, riaprendo gli occhi di colpo, se li ritrovò incatenati a quelli neri e indagatori di Pablo che, con un solo sguardo, la fece sentire spogliata anche della sua stessa anima. “- Io… volevo solo…” Tentò di giustificarsi la Saramego, provando a cercare una scusa convincente, sfuggendo a quei fari corvini per provare a non sragionare del tutto. “- Angie…” L’uomo, inaspettatamente, le accarezzò una guancia, lasciandola basita e impossibilitata nel fare o dire qualunque cosa. “- No… noi non…” “- Ascoltami, ti prego…” La supplicò lui con calma interrompendola di colpo, osservandola annuire e abbassare il volto sulle sue scarpe: aveva le guance rosse ed era bella, tremendamente bella con quell’aria imbarazzata e dolcissima, tanto che il bruno dovette prendere un profondo respiro prima di parlarle senza svenire di fronte a cotanto splendore. Galindo sapeva bene cosa volesse dirgli la bionda: che non potevano, che la loro sarebbe stata una relazione pericolosa quanto impossibile, che dovevano stare lontani… ma no, quella volta non voleva sentire quelle solite parole. Basta. “- Io so che cosa pensi… credimi, lo penso anch’io…” Iniziò l’uomo, continuando a tenerle il viso con la mano e facendo sì che lei risollevasse gli occhi. “- …So cosa ci ha detto l’assistente sociale, so cosa sarebbe giusto fare… ma io non posso, Angie. Non posso più reprimere i miei sentimenti e stare lontano da te.”  La voce del bruno era ridotta ad un sussurro, quasi avesse paura di quell’amore così forte, a cui di certo non era abituato, che sentiva nei confronti della donna. La Saramego sentì i battiti accelerarle e le gambe tremarle a quella frase… inoltre, doveva ammettere che, ancora una volta, così vicina a lui, si sentisse maledettamente bene, troppo. “- Pensi che per me sia facile?” Lo interruppe la bionda improvvisamente, sentendo gli occhi iniziare a pizzicarle di colpo, trovandoseli di nuovo incatenati a quelli di Pablo. “- …Io non ho mai avuto fortuna in amore, pensavo addirittura di non meritare neppure qualcuno da amare e che ricambiasse alla mia stessa maniera! E non ho mai provato per nessuno quello che sento ora, con te: tu sei sia l’unico che devo dimenticare, sia l’unico che abbia mai amato davvero!” Angie aveva alzato decisamente il tono e, con stizza, si rese conto di avergli quasi gridato in faccia cosa sentisse, cosa aveva sempre creduto fosse giusto per lei. “- … Io pensavo di riuscire a superarla, che fosse solo un’infatuazione passeggera… e invece no, continui ad essere nella mia mente e nel mio cuore… costantemente, purtroppo.” Mormorò poi, vedendolo sorridere teneramente. “- …Però lo sai bene, sai che non possiamo. Casal ci ha avvertiti, i ragazzi ne rimarrebbero sconvolti, se dovesse andare male, poi… non ne parliamo nemmeno! Come potremmo poi vivere sotto lo stesso tetto? Ci hai pensato?” Continuò la Saramego, facendo qualche passo per allontanarsi da lui che, però, la bloccò per un polso delicatamente, facendola voltare ancora, di nuovo una volta ritrovandosi fissa nei suoi occhi corvini. “- Sì e hai ragione, su tutto.” Ammise il fotografo, vedendola tornare dov’era, appoggiata con le spalle al legno freddo della cabina, di fronte a lui. “- …Ma su una cosa ti sbagli… d’accordo, non possiamo farlo… per loro, per i tuoi nipoti. Per il loro bene ci ostiniamo a negare i nostri sentimenti… ma per noi? Possiamo, per noi due, continuare a farci del male? Possiamo continuare ad ignorare ciò che proviamo? Io no. Non posso più continuare.” Concluse, osservando la sua reazione: dal rossore sulle gote era sbiancata e si mordeva nervosamente il labbro inferiore, a disagio. Anche lei doveva essere esausta di quella situazione che li vedeva costretti a comportarsi come due estranei, conoscenti a stento. “- E cosa pensi sia giusto fare?” Mormorò appena la Saramego, seguendo il movimento di lui che, lentamente e dolcemente, le scostò una ciocca dorata dietro l’orecchio. “- Io non so cosa sia giusto, Angie… però so che è sicuramente sbagliato vietare a noi stessi di amarci…” Lei annuì piano, avvertendo Pablo fare qualche passo verso di lei sino a sentire il suo corpo aderire contro il suo, mentre a quel contatto, il cuore iniziò a batterle ancora di più, come un forsennato, un tamburo impazzito. Galindo le prese il volto con entrambe le mani e, delicatamente, fece combaciare le sue labbra con quelle della donna che, chiudendo gli occhi, si sentì dannatamente bene, d’improvviso, come se ogni pensiero fosse scomparso in quell’attimo, mentre quel bacio diventava da dolce e puro, sempre più passionale e profondo. Angie gli gettò le braccia al collo e si lasciò andare a quel turbinio di emozioni fortissime che la travolsero, mentre l’uomo, continuando a tenerle il viso con una mano, le fece scivolare l’altra su un fianco, attirandola, se possibile, ancora di più a sé. Rimasero a baciarsi per lunghi istanti, sentendosi desiderosi di quel gesto da troppo tempo: la donna prese a giocare con le dita tra i suoi capelli corvini e lui ad accarezzarle con movimenti irregolari la schiena, fino a quando, rimasti senza fiato, furono costretti a staccarsi, rimanendo comunque fronte contro fronte, occhi negli occhi, verde contro nero. “- Ti amo da impazzire…” Soffiò sulla sua bocca lei, ancora il fiato corto per quella passione smodata di qualche minuto prima. “- Promettimi che non mi abbandonerai…” Le sussurrò lui, vedendola annuire di fretta. “- E tu… tu giurami che non andrà male e che i ragazzi non sapranno nulla, finché non arriverà il momento giusto.” Mormorò la bionda, facendolo asserire con il capo, retrocedendo di qualche passo. “- Un amore segreto, dici? Ce la faremo?” Le chiese, osservando l’espressione decisa della sorella di Esmeralda. “- Pur di stare con te, sì. Mi va bene anche così.” Commentò, mentre lui posandole le mani sui fianchi, l’attirò di nuovo a sé, facendole appoggiare la testa contro il suo petto. “- Andrà tutto bene…” Le mormorò ad un orecchio, depositandole poi un bacio sulla sommità del capo, sperando di mantenere un barlume di lucidità quando inspirò a pieni polmoni l’odore di camomilla proveniente dai suoi capelli. “- E se non fosse così? Mi giuri che i ragazzi non pagheranno alcuna situazione negativa per colpe solamente nostre?” Esclamò lei preoccupata, sollevando il volto e incrociando lo sguardo tenero del bruno. “- Te lo giuro. Mi sono affezionato troppo ai tuoi nipoti e, anche se questo tentativo dovesse andare male, cosa di cui dubito, loro non ne risentiranno in alcun modo… è una promessa la mia.” Le sussurrò dolcemente, stringendola tra le sue braccia: non poteva credere che, finalmente, avesse trovato l’amore, quello vero, quello che, incredibilmente, aveva scoperto una meraviglia di donna come lei pensasse addirittura di non meritare per nulla. “- Sei speciale, Angie… sei troppo importante per me e… diamine, quanto sono sdolcinato… non mi riconosco più!” Ridacchiò, sciogliendo quella stretta ma prendendole le mani teneramente, intrecciando le sue dita con quelle di lei, affusolate e delicate. “- Mi piaci anche sdolcinato, sai?” Scherzò la bionda, depositandogli un altro rapido bacio a fior di labbra, lasciandolo intontito e felice. “- …Andiamo che i ragazzi ci staranno aspettando…” Sorrise poi con calma, lasciando le sue mani e precedendolo, per poi voltarsi di nuovo nella sua direzione, facendogli cenno di non seguirla. “- …Vado prima io, tu aspetta ancora e poi compari, altrimenti capiranno già qualcosa…” Suggerì astutamente, facendolo annuire: sarebbe stata ancor più dura tenere la loro storia, appena cominciata, nascosta a tutti… ma potevano farcela, la Saramego aveva ragione. La situazione era delicata e complessa, quindi, senza alcun dubbio, meglio andarci con i piedi di piombo. La osservò incantato ritornare verso il posto in cui si erano accampati per mangiare e parve che tutto fosse tranquillo come quando erano andati via: Diego sembrava essersi addormentato con gli auricolari, Ambar e Violetta facevano un castello di sabbia e Angie, la sua Angie, stava cominciando a caricare l’auto per tornare a casa, mentre il sole iniziava a scomparire sotto la linea dell’orizzonte.
 
 
“- Fran dai, apri questa porta, per favore!” Marcela, un vassoio con la cena tra le mani e aria spazientita, bussava senza sosta alla porta della figlia, barricata lì dentro da alcuni giorni, uscendo solo per lo stretto necessario: non era voluta andare a scuola per un paio di mattine, non scendeva a mangiare, né permetteva a nessuno di entrare, troppo delusa per ciò che aveva fatto Diego. “- …Guarda che se non apri butto giù la porta e sai che ci sono abituata e ci riuscirei!” Sentenziò categorica la bruna alludendo al suo lavoro, avendo già perso da un po’ la sua calma che di solito la caratterizzava. “- Va’ via, mamma...” Si sentì dall’interno della camera, da una voce stanca e afflitta. “- Non ci penso nemmeno!” Replicò la donna con tono ovvio, cercando qualcosa tra i capelli: la mora si inginocchiò e, appoggiati i vari piatti sul pavimento, prese ad armeggiare con una forcina e la serratura di fronte a sé, mentre Matias, un po’ sconvolto, la fissava appoggiato al corrimano della scala che portava al piano di sopra. “- E da quando sei una scassinatrice?” Ridacchiò, facendola voltare con aria seria e quasi infastidita. “- Hai un’alternativa?” Sbottò la Parodi, riuscendo, finalmente, a sentir scattare la maniglia, ormai sbloccata. “- Ho sposato un genio del male…” Borbottò il biondo, avviandosi poi verso la camera da letto, sorpassando la moglie che gli sorrise, soddisfatta, riafferrando il vassoio e dirigendosi dalla giovane che, stesa sul letto, nel sentire il cigolio della porta scattò in posizione seduta e fissò, stupita e stizzita, la bruna. “- Non voglio sapere nemmeno come ci sia riuscita…” Sentenziò piccata Francesca, per poi aggiungere di fretta:  “- … E comunque non volevo che entrassi.” Concluse, gettandosi di nuovo a peso morto in posizione supina, a fissare il soffitto di cui ormai, era sicura conoscere ogni crepa. “- Ti devo parlare e voglio che tu mi ascolti.” Disse con calma Marcela, appoggiando le vivande sulla scrivania, scostando prima una pila tra libri e quaderni, per poi accostare la porta e andare a sedersi ai piedi del letto della figlia. “- Non voglio sentire nulla… lasciami stare, per favore!” Si lagnò la ragazza, tappandosi entrambe le orecchie con le mani. “- No, invece dovrai fare uno sforzo… ti rubo pochi secondi, poi, se proprio vorrai, tornerai pure a fissare il nulla!” Sbottò nervosa la moglie di Matias, sorprendendo la giovane per quella inusuale rabbia, palesata in quelle parole. “- …Non posso vederti così, non è da te! Tu non manchi mai ad una lezione e sei stata assente il giorno del compito di chimica, non vuoi vedere Vilu e Cami e mi fai dire loro che sei influenzata… e guarda questa camera… un porcile! Quasi peggio di quella di Leon…” Esclamò la donna, allargando le braccia e indicandole di guardare intorno a lei: diversi vestiti erano ammassati sulle sedie, la scrivania era un inferno, ai piedi del letto erano buttate varie riviste e una puzza di chiuso, come se la finestra non fosse stata aperta da giorni, inondava l’ambiente, “- Quasi… e allora? Sono solo un po’ fuori forma… mi rimetterò, vedrai.” Concluse Francesca, con la chiara intenzione di liquidarla con quella semplice frase, non sortendo però effetto alcuno su quella testarda, almeno quanto lei, di sua madre. “- Sei fuori forma, d’accordo. Ma io so che stai così per un motivo ben preciso… un motivo che ha occhi verdi, capelli neri, visino da angelo... e un nome: Diego.” A quel nome pronunciato dalla mamma, la figlia scattò a sedersi, le gambe incrociate al centro del materasso e gli occhi fissi in quelli della donna. Che ne sapeva lei? D’accordo che fosse intuitiva come ogni brava poliziotta ma… era stato così evidente che ci fosse rimasta malissimo per quel pomeriggio in cui l’aveva beccata sul retro con Castillo, scoprendo che lui avesse rubato nel minimarket di suo padre? “- Tesoro, ho qualche anno più di te… so che ci tieni a quel ragazzo, che lo stai aiutando… e so anche quanto tu ti sia sentita ferita da ciò che ha fatto… ma è bene che tu sappia il perché lui abbia deciso di commettere una sciocchezza del genere.” A quelle parole tanto pacate della signora La Fontaine, la gemella di Leon si concentrò attentamente su ciò che l’altra stesse dicendo: in effetti si era chiesta, dopo una rabbia iniziale, il motivo di quel furto, a patto che ce ne fosse uno… e se la bruna lo sapeva pretendeva di venirne a conoscenza, subito. Marcela, avendo capito di aver catturato l’attenzione della figlia, continuò, con la solita fermezza ma calma. “- …Diego ha frainteso una situazione: pensava che in casa non ci fossero soldi e voleva rendersi utile, a modo suo… modo discutibile, aggiungerei.” La giovane sgranò gli occhi a quella rivelazione inaspettata. “- …Lo ha fatto per le sorelle e la zia… inoltre, mi ha fatto capire che sapeva quanto stesse sbagliando ma, a quanto pare, la voglia di non far mancare nulla alla sua famiglia, lo ha spinto quasi inconsciamente a prendere quel pacchetto che aveva sotto la giacca.” La Parodi prese una pausa, analizzando l’espressione concentrata della giovane, alla quale poi strinse le mani, dolcemente. “- …Lui non è un ladro… si è sentito disperato e… Francesca… credo che abbia bisogno di te, ora più che mai.” Perfetto, ora si sentiva anche peggio. Come aveva potuto, lei, giudicarlo, prima di sapere le vere motivazioni di quel gesto, per quanto ingiustificabile fosse stato? Era vero e lo sapeva: Castillo aveva bisogno di sentirla accanto, anche senza dire nulla, anche solo continuando ad appoggiarlo come aveva sempre fatto fino a quel momento. “- Hai ragione…” Sussurrò appena, continuando a riflettere: doveva riavvicinarlo al più presto, non voleva perderlo per nessun motivo al mondo. “- Grazie, mamma.” Esclamò con tono più sollevato, allacciandole le braccia al collo e stringendola in un forte abbraccio che la donna ricambiò con un sorriso tenero. “- La mia piccolina…” Le sussurrò, depositandole un bacio sulla sommità del capo. “- Prima ho preso da parte anche Leon… è il suo migliore amico e prima o poi l’avrebbe saputo… non parlate più a Diego di questa storia, o sarà peggio. Se vorrà dirvelo dovrà farlo lui.” Aggiunse poi Marcela, sciogliendo quella stretta e guardandola attentamente negli occhi, facendola annuire. Sì, era giusto così… la cosa migliore era lasciarsi alle spalle quella vicenda triste e andare avanti, per il bene di tutti.
 
 
“- Jade, amore… che ne diresti di andare a fare una passeggiata con Clement? Sarebbe l’ideale, è una serata così bella…” Nicolás, avvicinandosi al divano sul quale era seduta la moglie, provò a scuoterla dalla sua manicure con quella proposta, non sortendo però alcun effetto. “- Tesoro mio, sono impegnata e poi è un po’ tardi…” Si giustificò lei, non guardandolo nemmeno in volto, continuando a limarsi le unghie con cura, mentre l’uomo, esasperato, si gettò sul sofà a peso morto, facendola sobbalzare. “- Nico! Che hai, ti senti male?” Esclamò la donna, senza comunque distrarsi dal suo operato. “- No, no… sto benissimo. Non si vede?” Ribatté con tono palesemente polemico Galán, incrociando le braccia al petto e sbuffando sonoramente. Sapeva che tra lui e sua moglie i rapporti fossero alquanto tesi da un bel po’, eppure aveva sperato con tutte le sue forze che, andando a stare dai La Fontaine, le cose si sarebbero potute ancora salvare. Quel muro di freddezza e indifferenza tra loro era calato da tempo, molto tempo… esattamente qualche anno dopo il loro matrimonio e si protraeva ancora, come un vetro che li separava senza permettergli mai di incontrarsi, di ritornare ai tempi del loro breve, ma intenso, fidanzamento. La donna non disse nulla, anzi prese un profondo sospiro e afferrò una pochette di smalti dal tavolinetto di fronte a sé, ignorando quel tono stizzito del marito il quale, a differenza di quanto poteva sembrare, aveva carpito eccome. “- Jade… guardami.” Il padre di Clement la richiamò serio, appoggiando una sua mano su quella della donna che, a quel contatto che mancava da troppo tempo, si voltò di colpo, sorpresa. “- Stiamo provando a ricucire il nostro rapporto, no? Allora perché tu non collabori?” Le chiese il francese, perdendosi in quegli occhi azzurri che continuava ad amare follemente. “- Perché so già dove vuoi andare a parare…” Balbettò a disagio la bruna, riprendendo la scelta del colore del suo smalto, sapendo benissimo a cosa alludesse e convinta che anche il coniuge avesse capito. “- Jade! Perché pensi sempre e solo a quella vicenda?!” Urlò di colpo Nicolas, scattando in piedi furioso e vedendola fare lo stesso. “- Perché, se ci siamo allontanati sin da subito non è quello il vero motivo? E ora? Vuoi andare a girare a vuoto per poi riaprire quell’argomento che sai quanto io detesti, no?!” Sbottò acida la La Fontaine, agitando le braccia, stizzita. “- Una passeggiata e basta volevo ma non fa nulla, restatene qui chiusa nel tuo salone di bellezza e non ti curare di me…” Si allontanò furioso l’imprenditore, venendo completamente ignorato dalla moglie che, con tutta calma, si risedette e cominciò a smaltarsi le unghie di un rosso acceso e lucente. “- Jade cos’erano quelle urla?” Marcela, scendendo dalla camera della figlia, subito interrogò la donna, di spalle sul divano, che neppure le rispose. “- Ehi, parlo con te!” Esclamò ancora la poliziotta, vedendola accennare con il capo verso la cucina. “- Niente di che, parlavo con lui…” Disse con calma, concentratissima nello stendere il colore come se nulla fosse, alzandosi poi per andarsene in camera sua… era già abbastanza, ne era stufa. Parlare… la Parodi sapeva che non fossero affari suoi ma quelle grida di certo non rappresentavano il ‘parlare’… almeno, non per quanto avesse riguardato una conversazione civile. Cosa stava accadendo ai coniugi Galán? Qualche sospetto che le cose andassero male tra i due lo aveva già da tempo: Nicolás sembrava distaccato, triste al solo parlare di sua moglie… e poi a stento si rivolgevano la parola o si guardavano… insomma, i segnali di una crisi c’erano tutti e a lei non era di certo sfuggito. “- Nicolás, va tutto bene?” Ok, la vicenda non la riguardava… ma il fatto che vivessero in casa sua la portò a trovare un pretesto per giustificare il voler sapere cosa stesse succedendo a quei due, magari anche per aiutarli. “- Marcela…” L’uomo sobbalzò, essendo compreso in una attenta analisi del contenuto del frigo che teneva aperto, cercando di vederci dentro chissà cosa. “- Stavo solo cercando una tisana… ne ho bisogno.” Concluse, richiudendo lo sportello e vedendola accigliarsi. “- Beh, è difficile che lì dentro l’avresti trovata…” Esclamò la bruna scuotendo il capo rassegnata e cominciando ad armeggiare con delle ante della dispensa: sotto lo sguardo ammirato dell’uomo, preparò il bollitore e lo mise sul fuoco, per poi voltarsi di nuovo verso di lui. “- Abbiamo solo camomilla… ma da come strillavate prima direi che andrà più che bene.” Allentò la tensione la mora, preparando due tazze e, dopo alcuni minuti di imbarazzante silenzio, gettando la bustina all’interno dell’acqua. “- Mi dispiace aver alzato la voce, sul serio. Siamo ospiti e non dovremmo disturbare…” Commentò lui amaramente, prendendo posto a tavola, mentre la donna gli serviva la fumante bevanda, per poi sedersi di fronte a lui. “- Non stavate disturbando, figurati. Capita a tutte le coppie di discutere… lo so per certo, fidati!” Sorrise la moglie di Matias, alludendo alle discussioni continue con il coniuge. “- A noi ormai non capita tanto spesso nemmeno più quello.” La voce dell’uomo si incrinò in un tono malinconico, mentre prese a fissare la tazza davanti a sé con aria afflitta. Marcela si incupì e prese ad analizzare l’uomo con rammarico: aveva intuito sin da subito che con Jade ci fosse qualche problema ma non pensava potesse essere così grave… cosa affliggeva quella coppia che era tanto felice l’ultima volta che li aveva visti a Buenos Aires? “- Mi dispiace.” Si limitò a balbettare seria la donna, non sapendo cosa aggiungere per non apparire troppo invadente. “- Sono anni che va avanti così… se non ci siamo ancora separati è solo perché ci lega un amore forte di fondo… ma non va bene tra noi… e non so ancora quanto potrò resistere in questa situazione.” Le confidò il francese, prendendosi il volto tra le mani e strofinandoselo con vigore, esasperato. “- Caspita, io non… non me lo aspettavo, E’ così grave?” Domandò Marcela, vedendolo annuire scuro in volto. “- Io e Jade, sin da quando ci siamo sposati, abbiamo tentato di avere un bambino e non ci siamo mai riusciti.” Iniziò l’uomo tristemente, osservando l’aria perplessa della Parodi: in effetti lei aveva sempre pensato che il non avere figli fosse stata una loro scelta… non credeva di certo che fosse stata così drammatica per loro. “- …Ci abbiamo provato tante volte, abbiamo consultato i migliori medici della Francia e non solo… ma tutti ci hanno sempre detto che l’unica maniera per averne uno fosse stata attraverso un metodo artificiale.” Continuò, rendendo il tutto più chiaro alla sua interlocutrice che lo ascoltava attenta. “- E anche quello non è servito a nulla?” Chiese la donna, interessata. “- Jade non ha mai voluto sottoporsi a quei trattamenti… ne è terrorizzata, contraria. In più ammetto di aver provato tante volte a convincerla, forse facendole pressione, in effetti…” Sospirò Nicolas, distrutto. Sapeva di aver insistito tante volte con quella faccenda di un figlio loro, sapeva quanto lei ci tenesse, eppure o dovevano proseguire per vie mediche o non ci sarebbe stata un’altra via d’uscita. “- E per questo vi siete allontanati, vero?” Domandò la signora La Fontaine, osservandolo annuire. “- Ogni volta che l’avvicino pensa sempre che il mio secondo fine sia convincerla a sottoporsi a qualche operazione medica per far sì che rimanga incinta… ma non è così, davvero! Però andiamo avanti da troppo tempo in queste condizioni…” Sussurrò quasi l’uomo, mentre la bruna abbassò gli occhi, colpita da quella vicenda: non si aspettava che quella ricca famiglia avesse un tormentato passato e presente da sopportare… e, soprattutto, che quella che ricordava essere la frivola Jade soffrisse tanto quella situazione. “- Io la amo, nonostante tutto. Non mi importa più nulla di un altro figlio! Vorrei solo riavvicinarmi a lei e… ricucire il nostro rapporto. Speravo che, costretti sotto lo stesso tetto le cose potessero migliorare… ma pare sia inutile!” Esclamò, alludendo al fatto che, evidentemente, in Francia non dormissero più nemmeno nella stessa stanza. “- Devi assolutamente parlarle.” Gli consigliò la madre di Leon e Francesca, incrociando le braccia sul tavolo e studiando il volto dell’altro diventare nervoso al solo pensiero di affrontarla. “- Marcela tu non capisci lei mi… tratta con freddezza, mi tiene a distanza…” “- E tu costringila ad ascoltarti!” Sentenziò categorica la donna, facendolo sobbalzare per il suo tono più elevato. “- Diamine, Nicolás… mi rendo conto che è complicato ma non penso sia così irrisolvibile! Dille semplicemente, come hai detto a me, che la ami, che non vuoi perderla e che non vuoi costringerla di certo ad avere un bambino!” Spiegò di nuovo con calma la Parodi, con una forza nello sguardo che Galán non pensava di avere. “- Non credo di farcela…” Balbettò infatti, sfuggendo agli occhi della cognata. “- Beh, non hai molta scelta se vuoi salvare il tuo matrimonio…!” Ribatté seccamente lei, vedendolo, infine, annuire seppur ancora poco convinto. “- Sei fantastica, sai? Matias è fortunato ad avere una moglie come te…” Sorrise poi in imbarazzo, ritornando a guardarla intensamente, con gratitudine. In quell’istante, il padrone di casa, ricordandosi di aver lasciato una fetta di torta in cucina, restò immobilizzato nel sentire quelle parole: Nicolás stava parlando di nuovo con sua moglie? Sì, era fantastica ma solo lui poteva dirglielo… era la seconda volta che erano da soli a chiacchierare di chissà cosa… per quale motivo quella volta? Sbuffò sonoramente e entrò, schiarendosi la voce per farsi notare. “- Mati, tesoro… pensavo fossi già di sopra a dormire…” Sorrise la mora, vedendolo abbozzare un sorriso, molto più tirato… “- Sono sceso solo per riprendere il dolce che ho lasciato qui prima… non temete, se ne avete ancora per molto non vi disturbo…” Ribatté con tono un po’ seccato, dandogli le spalle e cominciando a scavare nel frigorifero. “- Veramente io stavo andando a letto…” Esclamò Nicolás, beccandosi un’occhiataccia dal biondo che, per dissimulare la sua ira, si forzò di apparire calmo e rilassato. “- Buonanotte, allora.” Lo liquidò, ritrovando il suo piatto e cercando una forchetta da un cassetto accanto al lavello… cosa diamine gli stava prendendo? Poteva essere geloso dell’amicizia, perché sicuramente di tale si doveva trattare, tra sua moglie e il marito di sua sorella?
 
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Il blocco Pangie… adofooggo stanno insieme! :3 In segreto, per ora… ma ci va bene anche così! :3 Intanto abbiamo una Marcela protagonista in questo 22! Prima parla con Fran e le spiega di Dieguito… e poi abbiamo la triste storia di Nicolás e Jade che emerge dal racconto di Galán alla cognata… Mati cosa vuoi tu? Geloso? :P Grazie a tutti voi che continuate a seguire la storia, siete gentilissimi! :3 Alla prossima, ciao! :) DulceVoz. :)

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Capitolo 23
*** Una notte magica. ***


Una notte magica. Cap.23
 
Violetta sorrise dolcemente tenendo stretta la mano di Leon, varcando la soglia del Restò Bar che, a tre settimane dall’uscita di ‘Top’, aveva finalmente riaperto. Quella sera, importantissima soprattutto per Angie, era l’inaugurazione del locale per il quale aveva tanto lottato fino a riuscire a riappropriarsene, saldando ogni debito dovuto alla temporanea gestione di Beto e, per questo motivo, amici, parenti e conoscenti si erano uniti a lei per festeggiare quella sua vera e propria rivincita. “- Caspita, è esattamente tutto come prima… mi era mancato tanto!” Esclamò allegramente la Castillo, vedendo annuire l’altro che fece oscillare le loro mani, intrecciate. “- Sarà una splendida serata, ne sono sicuro.” Sentenziò il La Fontaine, guardandosi intorno ammirato: la sala era già affollata di adulti e ragazzi e tutto sembrava essere stato sistemato nei minimi dettagli. Si sedette ad un tavolino un po’ in disparte, facendo però prima accomodare la giovane, spostandole la sedia da vero gentiluomo. Era ormai da tempo che si frequentavano, che stavano insieme e non poteva stare meglio: da quel bacio allo stadio non faceva altro che trascorrere ore a parlare con la sua fidanzata, al telefono, a messaggiare, a fare passeggiate… insomma, erano diventati una coppia a tutti gli effetti e la cosa gli piaceva molto. Violetta, dal canto suo, non poteva essere più felice: quel ragazzo era dolce, simpatico e allegro… e poi bello, tanto da far mozzare il fiato… credeva di star vivendo in un sogno da cui, di certo, non avrebbe voluto svegliarsi. “- Sono contenta di stare con te…” Balbettò d’un tratto la ragazza, abbassando gli occhi intimidita dalla sua stessa improvvisa affermazione, sentendo il cuore cominciare ad accelerare i suoi battiti. Leon, con uno splendido sorriso che, di colpo, gli si disegnò sul volto al solo sentire quelle parole, poggiò delicatamente una mano su quella di lei, distesa lungo il tavolo, facendole alzare lo sguardo lentamente. “- Ti amo, Vilu…” Sussurrò, puntando i suoi grandi occhi verdi e profondi in quelli castani e teneri della giovane, la quale, a quella dichiarazione, avvampò: qualche volta, negli sms, le aveva scritto quelle tre semplici parole… ma era la prima volta che gliele diceva così, in faccia e con una semplicità disarmante. “- Anch’io…” Mormorò la ragazza, incatenata al suo sguardo, senza riuscire a staccarsi da quel contatto visivo, letteralmente rapita da lui e da quegli smeraldi dolci che le infondevano una sicurezza unica. “- Anche tu, cosa?” Ridacchiò il castano, incrociando le braccia al petto e fingendosi interessato ad una risposta che conosceva, ma che desiderava sentir provenire completa dalle sue labbra. “- Anch’io ti amo, Leon.” Sentenziò la Castillo, scandendo bene ogni parola, osservandolo annuire soddisfatto. “- Molto meglio così…” Concluse divertito, mentre ancora si perdeva in quel castano che caratterizzava i suoi occhi da cerbiatta.
“Ti ho già detto che sei la ragazza più bella del mondo?” Mormorò d’un tratto il ragazzo, serissimo, vedendola mordersi, a disagio, il labbro inferiore. “Almeno un migliaio di volte solo da quando siamo usciti di casa…!” Sorrise in imbarazzo la figlia di German, osservando l’espressione di Leon alquanto compiaciuta, mentre continuava a fissarla senza sosta. “Beh… non è mai abbastanza. Sei incantevole, mia piccola Vilu, sappilo.” Sussurrò lui, osservando le guance della fidanzata tingersi a poco a poco di rosso: adorava quando il suo volto assumeva quel colorito, era tenero poter osservare come, a renderla così tesa ma felice, fosse l’effetto che aveva su di lei. “Anche tu non sei niente male, La Fontaine!” Ridacchiò la ragazza, cercando di distrarsi e sperando di non aver assunto troppo la tonalità di un pomodoro maturo per le parole del giovane, per quanto avvertisse il volto abbastanza accaldato.
“- Buonasera!” Vicino a loro, dopo un po’, giunsero Seba e Camilla, il giovane stretto alla sua ragazza tenendole la vita con un braccio e lei, allegra, subito si incantò, invece, ad ammirare la nuova coppia formatasi. “- Ehi! Ci siamo persi qualcosa?!” Sbottò prontamente la rossa, fissando prima intensamente Violetta per poi passare il suo sguardo furbetto ad analizzare il leader della band del suo ragazzo. “- Ma smettila! Te l’ho già raccontato!” Sbottò la mora, fingendosi infastidita, alludendo a quando, una mattina, aveva raccontato dopo scuola alle due migliori amiche che avesse baciato Leon e che, tra loro, andasse a gonfie vele. “- Beh, farvelo ammettere così è molto più divertente, però!” Si lagnò la Torres, facendo scoppiare a ridere il suo batterista. “- Amore, lasciamo stare i piccioncini e andiamo a prenderci qualcosa, che ne dici?” Da quella frase, era chiaro che anche La Fontaine avesse parlato al suo amico della relazione appena nata con la Castillo… tanto che, per giustificarsi, sollevò le spalle osservando Violetta che sorrise dolcemente. “- E’ aggiornatissimo come Cami, vedo…” Lo schernì la giovane, vedendolo annuire con noncuranza. “- E allora? Il nostro amore è così bello che mi sento in dovere di gridarlo ai quattro venti…” Ribatté Leon, con tono fiero e sguardo fisso su di lei. “- …E poi, mi pare che anche a te non sia dispiaciuto raccontare di noi alle tue amiche!” Sentenziò ancora il giovane, facendola sorridere contenta, alzando le braccia in segno di resa. “- No, no, infatti! Siamo pari, La Fontaine! Però adesso fa’ il gentiluomo… va’ a prendere due frullati e muffins, forza!” Gli ordinò lei, vedendolo sbuffare scherzosamente, per poi alzarsi controvoglia ma divertito. “- Pesca per me, grazie! E non mangiare i dolcetti strada facendo!” Aggiunse la sorella di Diego, ammiccando scherzosamente. “- Resisterò… ma prima…” Il ragazzo, aggirando il tavolino e facendo qualche passo verso di lei, si chinò e le depositò un dolce bacio a fior di labbra, lasciandola stupita per l’intraprendenza ma felice. Il suo principe azzurro perfetto, finalmente, si avviò verso il bancone dietro al quale vi era un’indaffaratissima Libi, affiancata da Olga, che faceva avanti e indietro dalla cucina per quella movimentata serata.
 
 
“- Si sono baciati! Pur sapendo che c’è tutta questa gente… si sono baciati comunque!” Diego, piccato, era appena entrato nel locale con una taciturna Francesca. La giovane e il figlio maggiore dei Castillo avevano fatto pace subito dopo che lei aveva parlato con sua madre… si erano riavvicinati, sempre come amici, la sorella di Leon lo aveva cercato senza mai parlargli di ciò che fosse accaduto nel minimarket di suo padre ma solo scusandosi per la sua esagerata reazione d’ira, ottenendo anche le sue scuse per il gesto. Ora però, non poteva fare a meno di pensare che il suo gemello fosse davvero fortunato: con Violetta aveva presto messo le cose in chiaro… lei non aveva avuto quel privilegio. Non aveva capito di preciso cosa ci fosse con il fratello dell’amica, non sapeva cosa provasse nei suoi confronti… ok, lui le aveva detto che lei gli piacesse, si erano baciati… e poi? Solo amici. Ancora. Aveva voluto, di comune accordo con Diego, andarci piano in quella relazione, in fondo era il suo primo ragazzo… o meglio, non sapeva nemmeno se lo fosse davvero e quella confusione in cui si trovava non le piaceva per nulla. “- Loro stanno insieme, ormai è chiaro… dunque è normale che si bacino… non esserne geloso!” Esclamò la bruna, sorridendo in direzione dell’amica e del fratello, per poi ritornare a fissare il giovane, sotto lo sguardo perplesso di suo padre che, nel vederli entrare insieme al Restò Bar per poco non si strozzò con l’ennesimo dolcetto alla crema tra le dozzine che Angie aveva preparato per l’occasione. Francesca nemmeno si accorse di Matias e della madre che tentava di staccare l’uomo dal buffet allestito sul bancone e di distrarlo, allo stesso tempo, dallo sguardo fisso che teneva sulla figlia accompagnata dal giovane. “- Non sono geloso, comunque…” Borbottò Castillo, incrociando le braccia al petto e piazzandosi con la schiena alla parete di fronte al tavolino a cui si era appena riseduto Leon che continuava a fare gli occhi dolci a Violetta… ok, accettava che l’amico si fidanzasse con la sorella, aveva capito avesse buone intenzioni… ma un po’ fastidio glielo dava comunque, non poteva farci nulla e sapeva che, almeno all’inizio, sarebbe stato così. “- Ci tieni a lei e vuoi che sia felice… è normale che un pochino ti infastidisca… ma mio fratello ha intenzioni serie, dunque non hai nulla da temere.” Commentò la giovane, indicando poi i due con un cenno del capo. “- Guardali…” Aggiunse con un sorriso tenero. “- Sono innamorati e se lo stanno dimostrando in tutti i modi, basta vedere come si fissano…” Concluse, alludendo palesemente a ciò che provava per Diego: anche lei pensava seriamente di amarlo… ma lui? Cosa sentiva davvero per lei? Castillo annuì, seppure un po’ teso e provò a sciogliersi a sua volta da quel nervosismo che gli portava a tenere la mascella contratta. “- Vado a prendere qualcosa da mangiare...” Sorrise più rilassato il ragazzo, allontanandosi verso il bancone e osservandola annuire di fretta: un lampo di genio le attraversò la mente: ecco cosa doveva fare! Avanzando tra la folla individuò Camilla, seduta sulle gambe di Seba su una poltroncina in un angolo della sala e, pur dispiacendosi di doverli disturbare, si avvicinò ai due. “- Torres, in piedi! Devo chiederti un favore enorme!” Sbottò, scuotendola per una spalla e vedendola voltarsi appena, controvoglia. “- Sono impegnata…” Soffiò maliziosamente all’orecchio di Seba che ghignò felice, non sortendo però alcun effetto sull’amica la quale, incurante, se la trascinò a forza in un angolo, facendola sbuffare sonoramente. “- Ti ruberò solo un secondo! Devo capire Diego cosa voglia davvero… e tu, mi aiuterai!” Sentenziò decisa, una volta che la rossa fu con le spalle al muro, accigliandola. “- E io che c’entro?” Francesca, freneticamente, afferrò un tovagliolo stropicciato dalla tasca e estrasse una penna dalla sua mini borsetta rossa, appoggiandosi alla parete dov’era l’amica e scrivendo un messaggio. “- Mi farai da Mercurio, il messaggero degli dei!” Ammiccò la bruna, facendo sgranare gli occhi all’altra. “- Spero non sia troppo impegnativo… ma pur di vederti uscire come fidanzata di Castillo… questo e altro!” Esclamò improvvisamente entusiasta l’altra, mentre la figlia di Matias gli consegnava quel piccolo foglietto che ripiegò in quattro parti. “- Dai questo a Diego… e avverti mia madre: dille che sono a fare una passeggiata con Castillo e tornerò a casa con lui… ma bada bene che mio padre non sappia nulla!” Ordinò la La Fontaine serissima. “- …Tutto chiaro?” Chiese poi, facendo annuire la Torres che, per prenderla in giro, si mise sull’attenti come una soldatessa. “- Signorsì, signora!” Esclamò la giovane, allontanandosi per iniziare la sua missione, determinata come non mai, mentre Francesca, facendosi largo tra la gente che pareva essere aumentata nel locale, si avvicinò all’uscita per raggiungere la sua meta.
 
 
“- Sono fiero di lei, signorina Saramego… si è rimessa in sesto prontamente e perfettamente!” Gregorio Casal, invitato dalla stessa Angie all’inaugurazione, le strinse la mano calorosamente, mentre anche Priscilla Ferro si avvicinò a lei e Pablo, indaffarati dietro al bancone per aiutare Olga, Libi e Beto il quale, mortificato, era subito stato perdonato dalla sorella di Esmeralda. La donna, alla fine, un po’ si sentiva colpevole anche lei di tutto ciò che era accaduto: in fondo, non avrebbe mai dovuto affidare il suo amato locale in mani così inesperte. Angie, dopo mille ripensamenti, aveva deciso di raccontare all’assistente sociale del fallimento del bar, poi rimesso in sesto con tanta fatica, convinta che comunque da altre fonti sarebbe potuto venirne a conoscenza. “- E anche io lo sono! ‘Top’ questo mese è già esaurito in quasi tutte le edicole della città! Un successone!” Asserì la direttrice del giornale, intromettendosi nella discussione, soddisfattissima. “- Ah, a proposito… foto strepitose e modella da favola! Congratulazioni a tutti e due e a lei, Priscilla!” Commentò allegramente Casal, rendendo tutti felicissimi per quei complimenti, in primis la madre di Ludmilla. “- Io non vorrei disturbare, ma… credo dovremmo andare a prendere altre bibite nel magazzino…” D’un tratto, Pablo, rivolgendosi alla Saramego, inventò quella bugia, facendola annuire di fretta per poi scusarsi con i suoi ospiti per quel forzato allontanamento: aveva capito benissimo cosa volesse Galindo e lo assecondò, guidandolo fino ad una piccola stanzetta accanto a cui si accedeva dal retro del bancone. Ormai stavano insieme in segreto e doveva ammettere che non pensava sarebbe stato così difficile nascondere quel sentimento così forte, che provava per il fotografo, agli occhi di tutto il resto del mondo. Accese la luce e osservò l’uomo chiudere a chiave la porta, per poi fissarla intensamente. “- Mi sei mancata da morire…” Le sussurrò, attirandola a sé per i fianchi e depositandole un dolce bacio sulle labbra, indietreggiando fino a sbattere nel muro dietro di sé. “- Non è facile stare lontani…” Mormorò la bionda, prendendogli il volto tra le mani per baciarlo ancora, sentendo le mani dell’uomo correrle giù per la schiena con passione, fino a quando non le infilò sotto la sua camicetta, facendole sgranare improvvisamente gli occhi e staccarsi di colpo da lui. “- Ehi tu! Non qui… non… non… non adesso!” Balbettò Angie paonazza, puntandogli un indice al petto e facendolo annuire mestamente, tuttavia divertito. “- Chiedo perdono, signorina… ma che colpa ne ho io se lei è irresistibile…?” Le soffiò all’orecchio con voce calda, facendola sogghignare di gusto, per poi farle prendere l’iniziativa di depositargli un rovente bacio sul collo, appena sotto al lobo. “- Dovrai aspettare…” Gli sussurrò semplicemente all’orecchio, ritornando a sentirsi catturata da quegli occhi neri come la pece che tanto amava: un attimo dopo si era di nuovo fiondata sulle sue labbra con un trasporto ancora maggiore, giocando con i suoi capelli corvini, mentre lui le teneva nuovamente i fianchi, quasi come per non volerla lasciare andare. “- Ti amo… anch’io sono tanto fiero di te.” Le disse dolcemente il bruno incollando la sua fronte a quella della donna, alludendo al fatto che fosse riuscita di nuovo a riaprire il locale, luogo troppo importante per lei e per il quale, seppure inizialmente pareva essersi arresa, alla fine, aveva combattuto con le unghie e con i denti. “- E’ merito tuo… se non avessi parlato a Priscilla di me, ora non saremmo qui.” Ribatté la bionda, ripulendogli con la mano il rossetto che gli aveva lasciato sul viso e sul collo, sotto lo sguardo ammaliato di lui che seguiva attento ogni suo minimo movimento come incantato. “- Andiamo o si insospettiranno…” Esclamò poi per non dargli il tempo di ribattere, prendendogli una mano e fermandosi a fissarlo ancora, prima di aprire la porta: non dissero altro ma quello scambio di sguardi parlò al posto loro, esprimendo quell’enorme amore sbocciato da poco ma che, ancora, erano costretti a reprimere davanti a chiunque. “- E se restassimo ancora un po’ qui? Dai, a casa non mi guardi nemmeno per evitare di farci beccare…” Si lagnò lui, vedendola annuire: era vero, in effetti. Quell’amore clandestino era sempre più un sacrificio ma pur di stare con Pablo sarebbe stata contenta anche in quel modo, continuando a nascondersi fino ad aspettare il momento giusto per poi poterlo vivere, tranquillamente, alla luce del sole. “- Lo so è che se… se solo ti guardo io… io non capisco più nulla e così mi farei scoprire subito!” Si giustificò lei, cominciando ad agitarsi in preda all’ansia al solo pensiero che i nipoti potessero venire a sapere tutto, improvvisamente. “- Ah, ho tutto questo potere su di te, quindi? Wow…” Ammiccò furbamente Galindo, osservandola essere sempre più nervosa, prendersi a mordere il labbro inferiore, palesemente a disagio. “- Ok, calma. Andrà tutto bene, amore mio… vedrai.” La rassicurò serio, attirandola a sé per abbracciarla, lasciandola per qualche secondo stretta tra le sue braccia, tranquillizzandola di colpo. “- Mi hai chiamato… ‘amore mio’… mi fa ancora un certo effetto!” Esclamò sorridendo lei, accarezzandogli una guancia teneramente, sollevando lo sguardo, ammirata. “- E’ così. Tu sei il mio amore, solo mio… e voglio ricordartelo sempre, cosicché tu non abbia mai dubbi su ciò che sento, amore mio.” Ribadì lui, sottolineando con la voce quel dolce nomignolo. “- A me va benissimo, amore mio.” Lo schernì un po’ lei, depositandogli ancora un altro bacio, stavolta a fior di labbra e più delicato. “- Basta smancerie! Andiamo, ora…” Esclamò ridendo lei, indicandogli una confezione di aranciate in un angolo, per rendere almeno credibile il fatto che se ne fossero restati, da soli, almeno venti minuti sul retro, consci del fatto che, per la confusione che c’era al Restò Bar, nessuno avrebbe fatto neppure caso alla loro assenza.
 
 
Francesca camminava sulla cima del faro come un’anima in pena, mentre un lieve venticello le sferzava il volto preoccupato. Diego si sarebbe presentato a quell’appuntamento o si sarebbe intrattenuto all’inaugurazione? Scosse il capo, non poteva lasciarla lì, da sola… aveva preparato tutto per un picnic in cima a quella torre, cosa che le era costata una corsa prima a casa per prendere alcune cose necessarie a ciò che voleva organizzare ed ora era lì, camminando avanti e indietro, sperando di vederlo presto salire lì sopra. Si chinò per l’ennesima volta a sistemare dei tovaglioli che erano svolazzati via dalla tovaglia che aveva disteso al suolo, per poi tornare a fissare l’orologio: le 22:00. E di Diego nessuna traccia. Ok, sul bigliettino gli aveva scritto di raggiungerla esattamente a quell’ora, doveva lasciargli un minimo di lasso temporale per raggiungere il faro a piedi dal Restò Bar, no? Scosse il capo per allontanare quell’ansia e si affacciò: aveva saputo da Violetta quanto quel posto fosse importante per il ragazzo e, avendo convinto per almeno mezz’ora Cardozo a farla salire, ora attendeva solo lui. Si sentiva bene con Diego e sapeva che anche per lui fosse lo stesso ma c’era dell’altro o sentiva solo quel senso di serenità temporanea insieme a lei? Ok, quella strofa che aveva ascoltato nel suo garage parlava di un amore nato dal dolore e lui le aveva fatto intendere di non essere a suo agio nell’esprimere i suoi sentimenti… ma se provava davvero qualcosa, allora perché la trattava ancora come un’ amica dopo che si erano baciati, dopo che le aveva parlato, dopo aver suonato quella misteriosa canzone? Era stata una stupida, non avrebbe dovuto chiedergli di raggiungerla, in fondo lui le aveva detto di volerci andare piano, anche lei lo voleva… ma se per lui il rallentare i tempi significava tornare ad essere solo amici, cosa voleva veramente? “- Francesca!” Troppo presa dai suoi ragionamenti sempre più contorti, la La Fontaine non si era neppure accorta che Diego fosse arrivato di fronte a lei e studiasse con aria confusa quel piccolo buffet allestito da lei stessa. “- Scusami io… forse non avrei dovuto farti venire qui…” Balbettò a disagio la mora, mordendosi nervosamente un labbro e facendo oscillare il suo peso da una gamba all’altra, a disagio. “- A me fa piacere essere con te… e poi questo posto significa tanto per me…” Ribatté Castillo, sedendosi sulla tovaglia a terra e vedendola fare lo stesso, tesissima. “- Lo so…” Si limitò a dire, poggiando una mano sulla sua dolcemente. “- Perché sei corsa via dal locale per venire qui? Insomma… è stata una bella sorpresa, non fraintendermi… ma sono sicuro che c’è dell’altro…” Aggiunse subito il fratello di Violetta, sorridendole con aria furba… insomma, non sapeva cosa aspettarsi di preciso ma il solo fatto che Francesca fosse accanto a lui lo faceva sentire di colpo bene. “- Volevo parlarti e… al Restò Bar con quella confusione era un po’ difficile. ” La ragazza di colpo ritornò seria e il sorriso che le si era increspato sulle labbra al solo vedere Diego, scomparve: ora o mai più… doveva affrontarlo e l’avrebbe fatto. “- Un muffin?” Gli sorrise per allentare la tensione, estraendone uno da un cestino e passandoglielo nervosamente, rischiando di farlo cadere. “- C’è qualcosa che non va? Ho detto o fatto qualcosa di male?” Iniziò però il moro, preoccupato, appoggiando il dolcetto davanti a sé. Ci mancava solo quella, ci mancava solo che, per chissà quale motivo, avrebbe rovinato la sua splendida relazione con Francesca. “- No, no… è che… io vorrei capire di più su noi due.” Balbettò, ormai paonazza, la giovane, osservandolo accigliarsi, forse anche più confuso di lei. “- Fran, è solo questo?” Chiese, preoccupatissimo. “- Ti sembra poco, Diego?” Ribatté la ragazza, incrociando le braccia al petto, tesissima. “No, affatto ma… ecco, pensavo l’avessi capito…” Disse semplicemente lui, grattandosi nervosamente la nuca, non sapendo seriamente cosa aggiungere… da quando era così impacciato con le ragazze? “- Se sei qui è proprio perché non credo di averlo capito… insomma, prima mi baci, poi dici che ti piaccio ma di andarci piano e poi ritorniamo ad essere semplicemente amici, io… sul serio, non saprei di preciso cosa pensare.” Concluse la figlia di Matias, sperando di non avergli messo troppa pressione: in fondo di tempo dal loro bacio ne era passato e lei meritava una valida risposta a quelle sue domande. “- Io… io ti amo, Diego. E voglio sapere se per te è lo stesso.” Sussurrò appena Francesca, specchiandosi nei suoi occhi verdi, per poi abbassare il viso, intimidita dalle sue stesse parole. “- …Se però ci hai ripensato e devi dirmi che non è lo stesso, tranquillo… potremmo comunque restare amici e…” “- E’ lo stesso, Fran.” La interruppe lui e quelle quattro semplici parole le fecero sgranare gli occhi di colpo, felice. “- Ti amo anch’io, e voglio stare con te… più chiaro ora?” Le sussurrò ad un centimetro dal suo collo, facendola avvampare: il fiato caldo di Diego pensò seriamente l’avrebbe fatta sragionare, e poi c’era la sua voce… l’amava dannatamente, avrebbe voluto ascoltarlo parlare per tutta la sua vita: il ragazzo le spostò una ciocca bruna dietro l’orecchio, per poi, teneramente, depositarle un bacio sotto al lobo. Francesca credé d’impazzire a quel semplice contatto e il ragazzo, a sua volta, fece fatica a staccarsi da lei, dalla sua pelle candida, dal suo profumo: quella giovane era perfetta, dolce, tenera e bramava di stringerla a sé, di baciarla ancora e ancora in quella notte così speciale. Alla fine ce l’aveva fatta, le aveva detto quel “ti amo” che lei tanto desiderava e doveva ammettere che, sentirselo dire, era stato altrettanto magico. Senza quasi rendersene conto, Diego dal collo della giovane era passato alle sue labbra, quelle labbra sottili che tanto adorava veder muoversi quando sorrideva, parlava o lo consigliava… erano dolci, sapevano di fragola, probabilmente il suo lucidalabbra e, attirandola a sé prendendole il volto tra le mani, le sfiorò prima delicatamente, poi con sempre più trasporto, venendo seguito da lei che, tremante e con il cuore a mille, imitava i suoi movimenti, sperando di non fare alcun errore, rendendo quel gesto ancor più travolgente e passionale. Cosa diamine stava facendo? Il ragazzo si riscosse e, rendendosi conto che se avesse continuato a baciarla non si sarebbe potuto fermare, si allontanò di colpo. “- Che hai?” Gli domandò balbettando la bruna, tentando di riprendere fiato e forza per parlare, dopo essere stata travolta da un turbinio di emozioni come mai in vita sua: il primo bacio, quello sull’erba, era differente da quello che si erano appena scambiati e immaginò già di essere violacea in viso per quella sensazione incredibile che aveva provato. “- Non sei pronta…” Mormorò categorico, facendo passare il suo sguardo dal telo a scacchi bianchi e rossi alla giovane. “- Non capisco… chi… chi ti dice che io non lo sia…?” Chiese lei, comprendendo appieno cosa intendesse Castillo e perché si fosse fermato: senza pensarci due volte decise che era stanca, che fosse arrivato il momento di fargli capire che non fosse una ragazzina e che, per quanto avesse una paura  enorme, era pronta a fare quel passo insieme a lui, a stare completamente insieme alla persona che amava. Non desiderava altro. Senza dargli alcuna spiegazione, Francesca, mani tremanti e sguardo basso, gli tolse la giacca di pelle e la lasciò per terra, poco distante dalla tovaglia e, sconvolgendolo, lo baciò con passione, prendendogli il volto tra le mani e fissandolo intensamente: panico e desiderio, era terrorizzata ma voleva stare con lui in tutti i sensi… cosa le stava prendendo? “- Vuoi dimostrarmi che sei pronta facendo l’intraprendente?” Sbottò lui divertito, tra un bacio e l’altro, facendola sogghignare. Non sapeva di preciso da dove venisse fuori tutto quel coraggio… e infatti tremava e Diego dovette accorgersene, perché la fissava, come se sapesse che quella forza improvvisa fosse dovuta solo alla voglia di apparire sicura di sé. “- Ok, non sono così intraprendente e non so perché abbia deciso di iniziare ora ad esserlo… tra l’altro sono alquanto impacciata anche, ma… credimi se ti dico che sono pronta. Sono pronta a fare l’amore con te, Diego Castillo.” Sorrise lei, con una determinazione nello sguardo che lasciò di stucco il ragazzo il quale, lentamente si stese sulla tovaglia, facendola adagiare piano su di lui. “- Sei sicura, Fran? Guarda che è un passo importante e…” “- …E voglio farlo. Con te.”. Concluse con un mormorio la ragazza, per poi lasciarsi andare ad un altro bacio appassionato in cui, quella volta, fu Diego a coinvolgerla: le mani del giovane cominciarono a vagare sulla sua schiena, cercando la cerniera dell’abitino leggero di lei e sentì i brividi ad ogni leggiadro tocco di Francesca che, a sua volta, aveva iniziato, con mani tremanti, a sbottonargli la camicia, depositandogli di tanto in tanto un bacio sul petto. Ormai gli indumenti erano diventati decisamente un intralcio troppo fastidioso e, a mano a mano, cominciarono a volare via, mentre loro si avvolsero in quell’enorme telo, invertendo più volte le posizioni e rotolandosi appassionatamente sopra ad esso. Fu una notte magica, per entrambi: Francesca provò emozioni mai sentite prima d’allora, forti, potenti, inarrestabili… stava dannatamente bene con il suo Diego e lui, a sua volta, si accorse, ancor di più, di avvertire sentimenti fortissimi per quello scricciolo che stringeva tra le braccia tanto che un istinto di proteggerla gli sorse spontaneo: lei era sua, sua e di nessun altro e sarebbe stato per sempre così. I ragazzi, sotto ad un cielo pezzato di stelle e una luna piena alta nel cielo che sembrava essere ad un passo da loro, vissero finalmente quel loro amore, tra carezze, baci e dolci parole sussurrate all’orecchio, insieme al suono dell’infrangersi di alcune piccole onde sulla scogliera che gli fecero da colonna sonora.
“- Ti amo, mia piccola salvatrice… mi dispiace averti fatto credere che non fosse così… sono un cretino, lo so!” Diego la fece distendere con il capo sul suo petto e le depositò un bacio tra i capelli, ispirando a pieni polmoni quel profumo di vaniglia che lo faceva impazzire. “- Mia piccola salvatrice?” Sorrise lei, sollevando lo sguardo e specchiandosi nel verde intenso che caratterizzava quello di lui. “- Forse non lo sei?” Le chiese, vedendola accigliarsi. “- In effetti non so perché proprio tu lo sia stata… ma è evidente che senza di te sarei stato perso… e lo sarei ancora adesso.” Commentò, mentre lei riabbassò gli occhi, colpita da quelle parole. “- Voglio stare con te, Fran. Ho bisogno di te e… sono innamorato come mai in vita mia.” Le sussurrò, sentendosi lasciare un caldo bacio sul petto che gli riscaldò l’anima. “- …Si nota ancora che non sono bravo con questi argomenti sdolcinati, eh?” Ridacchiò, facendole risollevare il volto. “- Sei perfetto… e sei anche bravo con le dichiarazioni, fidati!” Esclamò lei, allegramente, abbracciandolo più forte, sentendo lui rafforzare la stretta intorno alla sua schiena. Erano felici e insieme… potevano chiedere di meglio? La notte ormai era calata e il profumo di salsedine era sempre più intenso ad accompagnarli in quel magico momento che, mai e poi mai, avrebbero dimenticato nella loro intera vita.
 
 
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Hola! :)
Spero davvero che questo capitolo vi sia piaciuto! :)
Allora… Diecesca! Aw! Che dolciosi sul faro! :3 (_Trilly_, emh… Tutto bene? xD)
In questo ventitré inoltre, abbiamo la scena Leonettosa al tavolino (*___*), accenni SebaxCamilla e i Pangie nel retro del locale della Saramego… Frefref *___* Hay amór en el aire… un po’ per tutti, insomma! :3 E, di conseguenza, tanti scleri per noi! :3 Il Restò Bar ha riaperto e le coppie festeggiano felici! Olé! :3 Grazie a tutti e alla prossima! Ciao! :) DulceVoz. :)

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Capitolo 24
*** Quanto amore nell'aria. ***


Quanto amore nell’aria. Cap. 24.
 
“- Si puo’ sapere perché ancora non avete cacciato questo sfigato di Calixto dal gruppo?” Federico, appena arrivato nel garage dei La Fontaine, si andò a posizionare dietro alla sua tastiera, “Audrey”, e, nell’entrare, sfidò con lo sguardo Andres che gli lanciò un’ occhiataccia di rimando, stizzita. “- Ok, ok… cominciamo con il calmarci!” Sbottò Diego, continuando a scribacchiare delle note e delle parole su un foglio: voleva proporre agli altri la sua canzone, in fondo per gareggiare ne servivano due e, insieme a quella che Leon stava componendo, ancora misteriosa a tutta la band, poteva andar bene. “- Calmarci? Io sono calmissimo! Ho preso la mia tisana al tiglio, questa mattina… tra l’altro ha effetti benefici anche sulla voce… dovrei preparane una anche per La Fontaine…” Esclamò Bianchi, alludendo a chissà quale imperfezione nel canto del padrone di casa. “- Leon è perfetto e tu placa la tua aria da saccente… abbassa la cresta, o meglio, il ciuffo… o te ne vai!” Lo aggredì Castillo, lanciandogli uno sguardo di fuoco e vedendolo alzare le mani in segno di resa. “- Calmo, amico! Era solo un consiglio… e comunque se sono ancora qui a provare con voi è perché, nonostante le mie critiche, vi stimo…” Commentò Federico, passandosi una mano tra i capelli castani, schioccandosi poi le dita tra loro per iniziare a provare: in realtà non avevano ancora un pezzo completo, quindi si stavano esercitando su canzoni già famose, di cui era facile reperire spartiti.
“- Incredibile! L’ho finita!” Esclamò euforico Leon improvvisamente, sventolando in alto un foglio pentagrammato come un prezioso trofeo. “- …Ci ho lavorato tutta la notte e… emh, anche in classe… ma adesso è pronta!” Sorrise, scattando in piedi dal suo sgabello e rileggendo per l’ultima volta quel testo: era stato per tutto il tempo in silenzio, ignorando i commenti del fidanzato di Ludmilla perché voleva che il brano fosse perfetto prima di proporlo al resto della band ma ora, finalmente, era completo, e al solo pensiero di farlo ascoltare agli altri, era euforico. “- …Prima però… devo chiamare una persona…” Ammiccò in direzione di Diego che, al volo, comprese e annuì, vedendolo correre verso il giardino come un forsennato: Violetta, Francesca e Camilla erano sedute sull’amaca di Matias e chiacchieravano allegramente del più e del meno, interrompendosi poi di colpo quando Leon gli si parò contro con un ghigno furbo. “- Ho bisogno della mia musa ispiratrice…” Sorrise, osservando le espressioni differenti sui volti delle giovani: la sua gemella e la Torres, confuse, avevano preso a fissare entrambe Violetta che sembrava piuttosto sorpresa ma curiosa. “- Musa ispiratrice di cosa?!” Chiese in una risata, mentre lui, scuotendo il capo, le fece cenno di non volerle svelare nulla. “- Lo scoprirai da te…” Rispose fingendo un’aria misteriosa e porgendole il braccio da vero cavaliere. “- …Madamigella, mi farebbe l’onore di seguirmi?” Esclamò, fingendo un tono serio e solenne che fece sghignazzare di gusto la sorella e Camilla. “- Ma certo mio principe!” Sorrise Violetta, stringendosi a lui e seguendolo sino all’entrata al garage: il castano la fece accomodare su uno scatolone e azzardò una mezza riverenza, rischiando anche di inciampare su dei cavi degli strumenti, facendo scoppiare in una fragorosa risata sia gli amici che la giovane, mentre, nel frattempo, anche le altre due ragazze erano corse in direzione della sala prove della band. “- Ok, ho una canzone da proporre a tutto il gruppo… ma volevo che la mia ragazza…” “- Piano con questi termini!” Sbottò prontamente Diego, dandogli uno scherzoso scappellotto, quando l’amico ritornava a sedersi sul suo sgabello, di fronte al microfono. “- Senti chi parla…” Sussurrò Leon tra i denti, lanciandogli un’occhiataccia divertita: era sempre più chiaro che Diego e sua sorella si fossero messi insieme e più volte li aveva beccati al parco o nei corridoi della scuola abbracciati o a sussurrarsi paroline dolci. “- Dicevo…” Proseguì Leon schiarendosi la voce, ritornando al suo discorso iniziale: “- Se questo brano vi piacerà, potrebbe essere uno dei due che proporremo per la gara… e ci tenevo che la mia ragazza fosse qui perché l’ho scritto per lei e pensando a lei…” Sorrise poi, in direzione di Violetta che accennò un applauso, felice. “- E dunque noi dovremmo improvvisare?! Non abbiamo neppure mai visto questo spartito!” Esclamò polemicamente Federico, mentre Diego aveva preso a distribuire dei fogli che La Fontaine gli aveva indicato. “- Paura, Maestro Bianchi?!” Lo prese in giro Seba, vedendolo voltarsi dall’altro lato, piccato. “- Mi stai sfidando, Sebastian?” Ribatté lui, tuttavia divertito. “- Io posso farcela, non è poi così complesso…” Esclamò invece Andres con tranquillità, studiando quelle note, per poi inciampare quasi nei cavi del suo stesso basso elettrico. I ragazzi cominciarono a suonare e Leon, fissando intensamente la sua fidanzata, iniziò ad intonare le prime parole di “Amor En El Aire”. La Castillo si incantò a guardarlo, gli altri non esistevano, erano solo loro due, i loro occhi incatenati e quella voce melodiosa del giovane ad ammaliarla, a rapirle completamente l’anima. Leon, dal canto suo, non smetteva di osservarla e di pensare quanto fosse meravigliosa e quanto lui fosse fortunato ad avere una ragazza come lei, accanto. Per essere una prima prova di quel pezzo nuovo, non venne affatto male e, quando la musica cessò, le tre ragazze presero ad applaudire e a fischiare entusiaste. “- Che ve ne pare?” Domandò Leon, il cui però unico pensiero, era sapere in realtà cosa fosse sembrato del brano a Violetta. “- Sì! Ci siamo! E’ perfetta!” Esultò Diego, prendendo ad accordare di nuovo la chitarra dopo aver suonato, facendo annuire Seba. “- Mi piace, devo ammetterlo!” Sorrise Federico, mentre anche Andres asserì con il capo, approvando quella canzone. “- La trovo… eccezionale! Vincerete senza dubbio!” Esclamò la Castillo, correndo ad abbracciare l’autore del testo che la fece ruotare a mezz’aria, felice, per poi rimetterla giù, perdendosi in quegli occhi nocciola che tanto amava. “- Sono felicissimo che ti piaccia! Il tuo parere era troppo importante per me…” Le sussurrò all’orecchio Leon, stringendola a sé tra le sue possenti braccia, per poi sciogliere la stretta, accostando la sua fronte a quella della giovane. “- Ragazzi, è ufficiale! ‘’Amor En El Aire’  è la vostra prima canzone per la gara… complimenti!” Sentenziò Camilla, vedendoli esultare, soddisfatti. Se cominciavano così erano già a metà dell’opera: avevano finalmente un testo sul quale esercitarsi, dovevano solo provare all’infinito e comporre un’altra canzone… poi, avrebbero avuto tutte le carte in regola per vincere quel contratto discografico che tanto bramavano.
 
 
“- Si puo’ sapere almeno perché mi hai bendato?” Pablo, seduto accanto ad Angie nella piccola auto rossa della donna, era curioso di conoscere il motivo di quell’uscita misteriosa: la bionda prima gli aveva detto di dover passare al Restò Bar e così aveva fatto… poi però, uscendo, gli aveva legato un fazzoletto davanti agli occhi e, ormai, erano in macchina da circa venti minuti, diretti chissà dove. “- Perché è una sorpresa… te l’avrò detto almeno duecento volte, smettila!” Ridacchiò lei, sentendo la mano dell’uomo posarsi sulla sua che, nella retromarcia per parcheggiare,teneva appoggiata sul cambio. “- Mi affascina molto tutta questa situazione, sai...?” Sussurrò appena lui, facendola avvampare a quel semplice contatto: la loro storia era sempre più difficile da gestire in casa, così, ogni qualvolta lei andasse al suo locale e Pablo non avesse impegni al giornale, riuscivano a vedersi al bar per passare del tempo insieme, più liberamente. Angie, nonostante tutto, aveva permesso a Beto di lavorare nel locale, insieme ad Olga e Libi, ma come semplice cameriere per evitare che facesse altri danni, seppure, all’inizio, gestire vassoi e bicchieri comunque non era stato facile, considerato il suo essere alquanto impacciato di natura. La Saramego inoltre, aveva assunto un contabile professionale e stava facendo il possibile per dirigere il suo amato Restò Bar in prima persona come un tempo, come prima che tutta quella tragedia le stravolgesse inesorabilmente la vita.
“- Non starai mica barando? Sicuro che tu non veda nulla?” Esclamò la donna, spegnendo il motore e chiudendo la sua portiera, per andare poi a prendere l’uomo dall’altro lato dell’auto. “- Io non baro mai, amore! A parte a poker… e a dama con Ambar… e perdo comunque in entrambi i casi.” Borbottò il bruno ironicamente, facendola sghignazzare, mentre, su un marciapiede non troppo affollato, lei lo conduceva sottobraccio, per poi fermarsi di colpo davanti ad una saracinesca abbassata dove, finalmente, lo liberò della benda dagli occhi. “- Ta dan!” Esclamò euforica, vedendolo accigliarsi: cosa c’era di tanto sorprendente in quel posto? “- E quindi?” Chiese lui, curioso e alquanto perplesso, mentre la donna estrasse dalla tasca un folto mazzo di chiavi. “- Aiutami ad alzare questa e ti spiegherò tutto…” Gli ordinò la bionda, chinandosi per sollevare la serranda, aiutata prontamente dall’uomo: i due ebbero accesso ad un locale semplice e quasi vuoto, a parte alcuni scatoloni, dei secchi di vernice con pennelli al loro interno, una scala, diversi cavi sul pavimento e un divanetto ancora incellofanato in un angolo. “- Ti piace?” Gli domandò Angie entusiasta, mentre lui prese a girare per quello che doveva essere un negozio in prossima apertura. “- Sì, è molto ampio, ma… cosa ci devi fare?!” “- Io nulla… tu però qualcosa potresti farcela...” Ribatté prontamente la donna, parandoglisi di fronte e fissandolo negli occhi, con un grande sorriso solare ad illuminarle il volto: la divertiva osservare quell’aria confusa di Pablo ma era troppo felice e non vedeva l’ora di rivelargli tutto… così, prendendogli le mani, cominciò a spiegargli cosa aveva progettato in gran segreto: “- …Con i soldi guadagnati dal servizio fotografico, oltre a recuperare il mio bar, volevo farti un regalo e… beh, ci siamo dentro!” Ammiccò allargando le braccia trionfante, analizzando l’espressione di lui, tuttavia perplessa. “- …Questo sarà il tuo studio fotografico e… bisognerà solo finire di imbiancare le pareti, aggiungere tutta la tua attrezzatura, qualche arredo…” Esclamò euforica, trascinandoselo poi sul retro e indicandogli altre due stanze, più piccole. “- …Lì potresti farci la camera oscura per sviluppare i tuoi lavori e… e lì organizzare un set fotografico! Ti aiuterò io e…” “- Davvero lo hai… comprato per me? Pensando a… me?” A quella domanda perplessa, la donna si bloccò di fronte a lui e gli accarezzò dolcemente una guancia. Improvvisamente, Pablo si ricordò di quando aveva uno studio tutto suo, ma era fallito a causa dell’incuria proprio del suo stesso proprietario, quando, all’epoca ancora un poco di buono… fortunatamente, lavorando per la rivista di Priscilla, la donna gli aveva allestito una sorta di ufficio nella redazione stessa, avendo saputo la notizia della perdita del negozio, in modo da tenerlo comunque a lavorare con sé e allo stesso tempo, sotto il suo stretto controllo: per quanto le costasse ammetterlo, la direttrice, era sicura che mai avrebbe trovato fotografo più bravo di Galindo.
“- Se non fosse stato per te non avrei mai salvato il Restò Bar e… e poi ci tenevo di cuore a ringraziarti.” Balbettò Angie, non perdendo però neppure per un attimo il contatto visivo con lui che, istintivamente, l’attirò a sé per la vita, facendo combaciare i loro corpi e osservando le guance di lei tingersi istantaneamente di rosa. “- Cosa ho fatto per meritarmi una donna come te?” Le soffiò ad un centimetro dal suo volto, mentre la Saramego gli allacciava le braccia al collo, sorridendo e specchiandosi in quegli occhi corvini, estasiati da lei. Pablo non aggiunse altro e, con passione, le prese il volto tra le mani, facendo combaciare le sue labbra con quelle della fidanzata che ricambiò con il medesimo trasporto.
“- Non riuscivo più a mantenere il segreto, dovevi sapere cosa stessi architettando!” Esclamò fiera lei, osservando lui rimanere un po’ deluso e abbassare lo sguardo. L’amava. Solo il cielo sapeva quanto l’amasse come non aveva mai amato in vita sua, eppure non era libero di stare con lei in casa e la cosa lo faceva star male, per quanto sapeva che fosse giusto il non dire ancora nulla ai ragazzi. D’improvviso, un tuono squarciò il silenzio calato tra i due e Angie sobbalzò, gettandosi istintivamente tra le braccia dell’uomo che la strinse a sé teneramente, accarezzandole piano la schiena: da quando il trauma di quella maledetta notte in cui, durante una tempesta, aveva perso sua sorella e suo cognato la tormentava, i temporali erano diventati una sua fobia: una paura incontrollabile l’assaliva e non riusciva a controllarla. “- Ehi, va tutto bene…” Le sussurrò Galindo ad un orecchio dolcemente, sentendola tremare come una foglia, ancora ancorata alle sue spalle e con il viso seppellito contro il suo petto. “- Ci sono io con te, non accadrà nulla di male. Aspetteremo che smetta di piovere prima di uscire…” La rassicurò l’uomo, vedendola annuire e andarsi a sedere, quasi meccanicamente, su quel piccolo sofà coperto da un telo durante i lavori di ristrutturazione del locale, l’unico degli arredi già arrivato a destinazione. “- Non ce la faccio io, io da quella notte… ho paura, è più forte di me…” Balbettò fissando un punto indefinito di fronte a sé, mentre Pablo le si andò a sedere accanto, dopo aver abbassato fino al suolo la saracinesca, per impedire all’acqua che pioveva dal cielo di invadere il suo negozio. “- E’ normale…” Le sussurrò il bruno, attirandola a sé e facendogli poggiare la testa sul suo petto, sentendola poi sobbalzare per l’ennesimo potente rombo seguito ad un fulmine. La Saramego non disse nulla ma sollevò lo sguardo, tremante, osservando l’aria calma di Pablo che riuscì a trasmetterle un’enorme serenità: piano, quasi impercettibilmente, si avvicinò al suo volto e lo baciò dapprima dolcemente, poi con sempre maggiore passione, lasciandolo felicemente sorpreso, affondando le sue dita tra i capelli corvini dell’uomo e sedendosi a cavalcioni su di lui, spiazzandolo ancor di più. “- Che… che vuoi fare? Sei… sicura?” Balbettò il fotografo, colpito da quell’intraprendenza, abbassandole comunque una spallina del suo abito a fiori e baciandole il collo, percorrendo poi con le labbra la sottile linea che scendeva da appena sotto al lobo e proseguiva per tutta la sua clavicola. “- Sì.” Rispose lei, decisa. “- Ti amo… io… ti amo da impazzire…” Sussurrò ancora tesa lei, sussultando ad ogni contatto con la bocca dell’uomo che continuava a lasciarle una scia di baci roventi. “- Anch’io ti amo, principessa…” Soffiò piano Galindo al suo orecchio, stendendosi piano e facendola adagiare delicatamente sopra di sé, sentendola armeggiare con i bottoni della sua camicia con fare frenetico e mani tremanti. Com’era bella la sua Angie così emozionata, con le guance ormai rosse… la baciò ancora e ancora… dolcemente, con tutta la tenerezza che aveva dentro, sapendo perfettamente di ritrovarsi in una situazione del tutto nuova per lui: non aveva mai fatto l’amore provando sentimenti così forti come quelli che sentiva per quella donna e si rese conto di trovarsi quasi impacciato in quel campo… lui, impacciato, in quel campo…? Incredibile. Finalmente, dopo un lungo trafficare sul retro del vestito di lei, riuscì a farle correre giù la cerniera, per poi ammirarla, estasiato: era una meraviglia della natura e, incredibilmente, si sentì quasi in imbarazzo di fronte a cotanta perfezione, sensazione nuova, anche quella, per lui in quell’ambito. Angie intanto aveva già gettato la sua camicia ai piedi del sofà e, baciandogli il petto dolcemente, rischiò seriamente di farlo impazzire. Ormai gli abiti erano solo un fastidioso intralcio e, a mano a mano, furono gettati via, divenendo masse informi sul pavimento, mentre la temperatura nel locale diventava sempre più rovente. Pablo e Angie, finalmente, passarono quella mattina insieme, completamente e liberamente, mentre fuori impazzava un diluvio, mentre, qualche volta, la donna ancora si bloccava, terrorizzata, per qualche tuono potente… paura che venne presto sostituita da una passione travolgente e dalle dolci parole che l’uomo le sussurrava, di tanto in tanto, all’orecchio.
“- Non ho mai amato nessuno come amo, te… sei speciale. Giurami che non mi abbandonerai, ti prego…” Dopo un tempo indefinito, il rumore della pioggia si era fatto più tenue e l’uomo, stringendo a sé la Saramego, la vide sollevare di poco il volto che la donna teneva appoggiato sul suo petto, rendendosene conto anche perché si accorse di come il suo caldo respiro sull’addome gli venisse a mancare. “- Te lo giuro, amore mio.” Rispose semplicemente lei, specchiandosi nel suo sguardo rilassatosi vistosamente a quelle parole così sincere e dolci: dolci come era lei, come era stata quella sorpresa, come era la loro storia, il loro amore. Pablo le baciò il capo ispirando a pieni polmoni il profumo dei suoi capelli e pensando seriamente di voler restare così, per tutto il resto dei suoi giorni, con la donna della sua vita abbracciata a lui, teneramente.
 
 
“- Dai, Fran! Non è una tragedia prendere un 5!” Sbuffò Diego, stringendole la mano, arrivati ormai di fronte casa di lui, prima di separarsi dalla giovane, alquanto triste per quel voto non sufficiente. “- In educazione fisica, poi! Sai che dramma!” Scherzò Violetta, camminando stretta a Leon che ruotò gli occhi al cielo, rassegnato, cingendo la vita della sua ragazza con un braccio. “- Lasciatela perdere, mia sorella si lamenta sempre! Avessi io la sua media!” Sbottò, facendo annuire Castillo che, evidentemente, la doveva pensare alla stessa maniera. “- Capirai, poi! Non è un 2 irrecuperabile in stile Diego!” Provocò la castana, dando un buffetto sulla spalla al fratello che era fermo di fronte a lei e che ricambiò con una smorfia di scherno. “- Già, vedrai che studiandoti tutti i libroni di teoria che troverai in biblioteca, alla prossima lezione minimo prenderai…11!” La schernì il gemello La Fontaine, ottenendo per tutta risposta una linguaccia. Ambar, avviatasi verso la loro villetta a passo svelto con una fame da lupi ad attanagliarle lo stomaco, stava per fiondarsi in casa, ma ciò che vide dalla finestra che dava sul salotto, la fece rimanere di sasso: zia Angie e Pablo… si stavano baciando? Sì, era così, ne era sicura. La bambina sgranò gli occhi e prese a strofinarseli più volte, confusa… da quando quei due stavano insieme? E come mai lei non se ne era resa conto, astuta com’era? Corse di nuovo in direzione dei fratelli che, ormai, stavano salutando i due vicini con delicati baci, prima di lasciarli andare via. “- Devo dirvi una cosa sconvolgente!” Esclamò la rossa, tirandoseli per un polso entrambi, dirigendosi verso la finestra da cui aveva fatto la sua scioccante scoperta. “- Che ti prende, piccola?!” Ridacchiò Diego, sorpreso dal gesto della sorellina minore, ma seguendola comunque, o meglio, lasciandosi trascinare da lei, come anche Violetta che sorrideva a sua volta, divertita. “- Angie… la nostra zia Angie e Pablo… si sono baciati, li ho visti io da qui, proprio un secondo fa!” A quelle parole la castana si accigliò, fissando il vetro, coperto ora da una pesante tenda rossa mentre, istantaneamente, Diego contrasse la mascella alla rivelazione della bambina, furioso al solo ipotetico pensiero che quella vicenda fosse vera. “- Ma cosa dici? Se nemmeno si vede nulla dentro!” Esclamò la secondogenita, divertita dalle teorie tanto assurde e irrealizzabili, secondo lei, di Ambar. “- Non sono una stupida e ci vedo benissimo! Prima la tenda era aperta, li ho chiaramente visti baciarsi!” Sentenziò piccata la rossa, agitando le braccia, stizzita dall’incredulità dei due.  Violetta fissò Diego che, improvvisamente, si lasciò andare ad una risata sguaiata: la castana aveva ragione, era impossibile anche solo vedere all’interno della casa, figurarsi poi, per vederci qualcosa di così assurdo. “- Certo, e Sara non era sul sofà dietro di loro cercando di guardare la tv, vero?” La prese in giro il moro, facendola sbuffare: in effetti era da un po’ che Ambar non citava più la sua amica immaginaria, quasi l’avesse dimenticata, probabilmente un segnale che stesse meglio anche lei. “- Vi detesto! Mi credete una bugiarda, ma prima o poi capirete che ho sempre avuto ragione!” Sentenziò seria e nervosa la bambina, avviandosi verso il portico e entrando in casa, ancora stizzita. Com’era possibile che i suoi fratelli non la credessero?
“- Ambar, tesoro, tutto bene?” Angie, uscendo dalla cucina, la vide salire come una furia in camera sua, senza degnarla neppure di risposta. “- Ambar!” Ripeté la donna, confusa, mentre in casa stavano rientrando, ancora ridacchiando, i due nipoti più grandi. “- Che le avete fatto?” Chiese prontamente la Saramego riferendosi alla rossa, portandosi le mani ai fianchi e ostacolandogli il cammino, posizionandosi di fronte a loro e fissandoli con attenzione: Diego e Violetta, ancora sghignazzando, si guardarono tra loro, mentre anche Pablo, dalla cucina, era arrivato accanto al gruppetto. “- Noi?! Niente! E’ lei che si inventa stupidaggini!” Esclamò il ragazzo, abbandonando lo zaino all’ingresso con aria stanca. “- La piccola ha molta fantasia!” Proseguì la ragazza, incrociando le braccia al petto. “- Dice di avervi visto mentre vi baciavate, che assurdità! La tenda era persino chiusa!” Angie a quelle parole lanciò una rapida occhiata a Galindo il quale, per allentare la tensione, scoppiò in una grassa risata, facendo sì che anche la donna, per allontanare sospetti, si unisse alla sua forzata ilarità. “- Ma che fervida immaginazione quella piccoletta! Incredibile!” Ripeté Angie poi, ridendo ancora, tuttavia nervosamente, analizzando le loro espressioni dalle quali intuì che si fossero bevuti le sue parole, per poi osservarli cominciare a salire le scale, ancora ridendo e scuotendo il capo, rassegnati da quelle che credevano fantasie di una bambina.  Quando le porte delle loro camere sbatterono, la Saramego tornò seria e pallida come un fantasma e Pablo, immobile, avvertendo la sua ansia, le poggiò piano una mano sulla spalla, volendola rassicurare. “- Credo che dovremmo parlargli in qualche modo o la faccenda ci sfuggirà di mano, anzi sta già accadendo, hai visto?” Le sussurrò ad un orecchio, mentre lei, terrorizzata dal fatto che i nipoti potessero beccarli di nuovo, lo allontanò di colpo con una mano. “- No, ma… li hai sentiti? La sola ipotesi la credono un’assurdità! Immagina se sapessero tutto!” Mormorò lei tesissima, rientrando in cucina per finire di preparare il pranzo. “- Se lo scoprissero in altro modo sarebbe peggio! E ringrazia che abbia chiuso la tenda dopo averti baciata!” Esclamò Pablo, mentre lei gli fece cenno di abbassare il volume della voce. “- Non ce la faccio più… ahia!” Sobbalzò la bionda, scottandosi con una padella sul fuoco e, facendo un mezzo salto indietro con la mano dolorante. “- E allora diciamoglielo!” Sbottò Galindo, andando a controllare che la sua fidanzata non si fosse fatta troppo male, studiando l’arto ferito, dolcemente. “- Non ci riuscirei… non ancora, almeno.” Disse semplicemente la donna, attanagliata dal terrore della reazione dei ragazzi… per non parlare di Casal e di come l’avrebbe presa lui. “- Come vuoi…” Ribatté Pablo abbassando lo sguardo, seppure pensasse che la miglior cosa sarebbe stata prendere la palla al balzo e raccontare tutto ai nipoti di loro due. “- Però dobbiamo fare ancor più attenzione, adesso… lo sai, no?” Le suggerì lui, osservandola annuire di fretta, passando il dito scottato sotto il getto d’acqua fredda del lavandino. “E sta’ tranquilla… andrà tutto bene, te lo prometto… d’accordo?” Le sussurrò ancora Pablo, avvicinandosi al suo orecchio e stampandole un rapido bacio sul collo, beccandosi una gomitata nello stomaco che gli fece assumere una smorfia di dolore. “Ehi, mi hai fatto male!” Si lagnò, tenendosi la parte lesa con entrambe le braccia. “- Ora saremo costantemente sotto esame… attento a quello che fai, fotografo!” Sbottò lei, aggirandolo e osservandolo comunque sogghignare: l’amore segreto ora si complicava… per quanto ancora avrebbero potuto nascondere a tutti la loro bella storia?
 
 
“- Andres! Perché non sei venuto alle prove oggi?” Seba, entrando di colpo nella camera di suo fratello, lo trovò seduto alla scrivania, un sorriso stampato sul volto e aria assente. “- ANDRES!” Urlò ancora, non sortendo alcun effetto sul giovane, perso palesemente nel suo mondo. “- Fratellino, su quale pianeta stai vagando, ora?” Gli domandò l’altro, schioccandogli le dita davanti al volto e facendolo sobbalzare fino quasi a cadere dalla sedia. “- E’ meravigliosa…” Sorrise nuovamente il bruno, facendo accigliare il batterista e ritornando a fissare con calma il nulla di fronte a sé. “- Eh?” Chiese il fidanzato di Camilla, vedendolo finalmente voltarsi verso di lui. “- Non so come si chiami… l’ho vista alcune volte nei corridoi della scuola e… e ho scoperto che lavora al Restò Bar…” Sospirò teneramente il ragazzo, mentre Camilla, sotto l’uscio, si appoggiò allo stipite, interessata. “- Non ci credo! Il mio cognatino è innamorato!” Esclamò allegra, facendo sobbalzare i due Calixto che si voltarono, l’uno correndo ad affiancare la sua fidanzata, schioccandole un leggiadro bacio sulle labbra, e l’altro rimanendo di sasso, fermo ancora dove poco prima era seduto ma in piedi. “- Da dove sei apparsa tu, Torres?” Chiese infatti Andres, leggermente imbarazzato e alquanto confuso. “- Mi ha fatto entrare vostra madre…” Spiegò semplicemente la rossa, andando a sedersi sul letto del fratello di Seba, venendo imitata dal giovane che fece lo stesso. “- Allora? Chi è la fortunata?” Chiese la rossa con un sorriso allegro, vedendo il ragazzo scuotere il capo, tesissimo. “- Non so il suo nome… lavora al Restò Bar, quello della zia di Diego e Violetta…” Spiegò, facendo ruotare gli occhi al cielo ad una spazientita Camilla. “- Sì, so cos’è il Restò Bar e a chi appartiene… e penso di aver capito anche chi sia questa cameriera…” Esclamò battendo le mani allegramente la rossa, sotto lo sguardo un po’ sconvolto del batterista della band che, per quanto la conoscesse molto bene, rimaneva sempre sorpreso dalla solarità e allegria della giovane. “- La conosci?” Chiese Andres, sgranando gli occhi e raggiungendola, inginocchiandosi di fronte a lei e prendendole una mano. “- Ti prego, ti prego, ti prego… dimmi tutto ciò che sai!” La supplicò il moro, facendo accigliare il fratello maggiore. “- Non so molto, l’ho individuata all’inaugurazione ed era l’unica della nostra età lì dentro che serviva ai tavoli…” Spiegò Camilla con tono ovvio, facendo finalmente ricordare anche al suo ragazzo di quella mora dal sorriso dolce che gli aveva portato dei frullati. “- Sì! L’ho notata! Beh… come non farlo era così carin… ahi!” La Torres, stizzita alle parole di Seba, gli tirò un fortissimo scappellotto dietro al collo, facendolo quasi rotolare giù dal letto, mentre Andres si era affrettato ad accomodarsi accanto alla giovane cognata. “- Sta’ zitto che ti ho appena sfiorato… per quello che hai detto meriteresti almeno due schiaffi e un calcio!” Sbottò nervosamente la rossa, ignorando poi il fidanzato e rivolgendosi completamente verso Andres, dandogli le spalle. “- Bene, Andres… per prima cosa devi rivederla, parlarle e invitarla a bere qualcosa…” Gli spiegò pacatamente la ragazza, vedendo il suo interlocutore sbiancare paurosamente. “- Non so se ne troverò mai il coraggio per fare tutto ciò…” Balbettò infatti a disagio il giovane, facendola annuire di fretta. “- Te la caverai… e io e Seba ti accompagneremo!” Sentenziò poi, serissima e con tono solenne. “- Così tuo fratello si farà perdonare per i complimenti sulla tua futura moglie!” Commentò ancora la Torres, convinta… di una cosa era certa ed erano sicuri anche i due Calixto: se lei si metteva in testa qualcosa sarebbe seriamente stata capace di combinare persino un matrimonio se solo avesse voluto davvero.
 
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Ciao a tutti! :3
Aw, questo ventiquattro è prevalentemente per i Pangiosi, finalmente insieme in tutti i sensi! Rtyryt :3 Poi però, per poco non venivano beccati sul finale dalla astutissima Ambar! XD Per ora la passano liscia, ma per quanto ancora sarà così? La prima scena nel garage, invece, riguarda i Leonetta con la dedica della canzone “Amor en el aire”… aw! Dfogoo :3 E, nell’ultimo blocco, scopriamo che Andres si è preso una bella cotta… adesso, aiutato da Seba e Cami, partirà alla conquista di Libi! :3 Grazie a tutti coloro che seguono la storia! Siete gentilissimi! :3 Alla prossima, ciao! :) DulceVoz. :)

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Capitolo 25
*** L'amore è una cosa semplice. ***


L’amore è una cosa semplice. Cap.25.
 
“- Ho due belle notizie!” Nicolás, sorridente come mai da quando era arrivato a casa La Fontaine, avvicinò Marcela in giardino che toglieva delle erbacce nei pressi del portico, indaffaratissima: tra meno di un’ora sarebbe dovuta essere in ufficio e da quando c’erano ben tre persone in più in famiglia, i lavori domestici triplicavano, eppure Jade non aiutava per niente, anzi…! La cognata pareva fosse convinta di essere in un albergo, stesso valeva per Clement… per non parlare di Matias a cui, ormai, rinunciava in partenza nel chiedere una mano. “- Wow, che entusiasmo! Dimmi tutto!” Esclamò la Parodi allegramente, lanciandogli una rapida occhiata che le fece subito intendere, insieme a quel tono di voce euforico, che ci dovessero essere proprio delle ottime novità per lui. L’uomo, per aiutarla, le passò un paio di cesoie e, finalmente, la donna riuscì nel suo intento di sradicare quelle pianticelle cresciute spontaneamente, che avrebbero già dovute essere potate tempo prima da Matias. “- La più importante è quella che riguarda Jade… il lavoro viene dopo…” Sorrise, quasi imbarazzato delle sue stesse parole, il francese, facendo sollevare improvvisamente il capo alla mora dal suo lavoro, per poi osservarla mettersi in piedi di colpo. felice. “- Come è andata?” Gli chiese, curiosa. “- Inizialmente male, mi ha lanciato una spazzola e ho rischiato di prendere anche una pochette in piena fronte… ma alla fine ho fatto come hai detto tu: mi sono armato di coraggio, ho chiuso la porta della nostra camera a chiave e ha dovuto ascoltarmi per forza.” Sentenziò fiero, analizzando l’espressione colpita della bruna che annuì, seria e soddisfatta. Galán prese un profondo respiro e, con orgoglio, continuò: “- …Le ho detto che non volevo più un bambino se lei non fosse stata d’accordo, che non doveva prendere a male ogni mia parola e… e che torniamo in Francia.” A quell’ultima parola Marcela sgranò gli occhi, sorpresa. “- Aspetta… quindi vi siete chiariti, ma… non capisco però come mai tornate a Parigi…” Ammise la moglie di La Fontaine, facendolo sogghignare. “- Perché questa è la seconda buona notizia che volevo darti…” Sorrise enigmatico il padre di Clement, osservandola accigliarsi. “- Domattina all’alba prenderemo il primo volo, ho saputo da fonti certe, cioè alcuni miei fidati collaboratori, che la situazione si sta a poco a poco risistemando e che buona parte delle mie imprese Europee, grazie al mio lavoro con quelle di qui, è salva!” Esclamò al settimo cielo, perdendo persino la sua solita calma ed eleganza, esultando e facendo ridacchiare la poliziotta. “- E’ una notizia magnifica, sono davvero felice! Te lo meriti!” Sorrise dolcemente, dandogli una pacca sulla spalla allegramente. “- Credimi se ti dico che senza di te non sarei riuscito in nulla di tutto ciò…” Mormorò lui, tornando serio di colpo e analizzando gli occhi azzurri della cognata velarsi di un imbarazzo che gli aveva già mostrato altre volte, dovuto alla sua umiltà. “- Ma se non c’entro nulla! Tu hai risistemato le cose sia con il lavoro che con tua moglie… io al massimo ti ho dato la spinta che ti mancava per farlo!” Si giustificò pacatamente la madre dei gemelli, abbassando lo sguardo intimidita dall’uomo e posandolo sulle sue scarpe. “- Non mi importa ciò che dirai per farmi cambiare idea… io so che è merito tuo e te ne sarò per sempre grato.” Sentenziò categorico Nicolás, osservandola rialzare il volto e annuire, ancora con le guance rosse per l’imbarazzo di quella situazione. “- L’unica cosa che mi dispiace sul serio è che, andando via… beh, perderò te e i tuoi preziosi e inestimabili consigli!” Esclamò poi con un mezzo sorriso lui, facendola sghignazzare, tesissima. “- Ma figurati!” Rise allegramente, ruotando gli occhi al cielo, divertita. “- Mal che vada potremmo sentirci lo stesso, così potrai sopportare le mie lagne ed io potrò ascoltare le tue perle di saggezza!” La corresse l’uomo, vedendola finalmente annuire, più rilassata. “- Mi mancherai, cognato!” Esclamò infatti scherzosamente, mentre lui, improvvisamente, l’attirò a sé e l’abbracciò di colpo, lasciandola esterrefatta. “- Anche tu, cognata saggia!”. Mentre i due erano stretti l’uno all’altro, Matias svoltò nel vialetto per parcheggiare proprio davanti al garage e rimase impietrito da quella visione: ancora quella morsa allo stomaco, quella stretta alla gola, quella voglia di farla pagare al francese… che diamine aveva? Perché sua moglie e il marito di sua sorella erano così vicini per l’ennesima volta? Si fiondò fuori dall’auto e, ad ampie falcate, li avvicinò furioso, con il volto rosso di rabbia, senza sapere realmente cosa volesse dire o fare di preciso.
“- Ehi Mati! Sai che domani io e la mia famiglia torniamo in Francia? Ma che…” L’uomo, come una furia, prese Nicolás per il colletto della camicia, mentre Marcela tentava di placarlo inutilmente, ancor di più quando lui sbatté l’altro contro il muro con forza, continuando a fissarlo di sbieco con la mascella contratta. “- Sono felicissimo, almeno così smetterai di ronzare intorno alla mia consorte!” Sbottò sottovoce, scandendo però ogni lettera, il biondo. “- Ma ti sei rimbecillito del tutto? LASCIALO STARE!” Gridò la poliziotta, allontanandolo da Gálan con uno spintone laterale e interponendosi tra i due, mentre il francese era ormai scivolato al suolo lungo la parete, scioccato e terrorizzato dal La Fontaine. “- Nico, stai bene?” Gli domandò la bruna, chinandosi a controllare se l’uomo fosse in grado di rialzarsi da solo. “- Ma guardatela, come si preoccupa per lui, quante premure…!” Sbottò il marito di lei, sbracciandosi furioso, per poi continuare, nervoso come mai in vita sua: “- …Sei un bastardo! Nei confronti di mia sorella, nei miei!  Ti ho ospitato con la tua famiglia in casa mia senza pensarci due volte e tu…” “- ADESSO BASTA, DIAMINE! STA’ ZITTO!” Urlò la Parodi, lanciandogli un’occhiataccia letale, lasciando poi perdere l’europeo che sconvolto si stava rialzando per avvicinarsi a lui, più ferita che arrabbiata. Come diavolo poteva essere geloso di quella amicizia? Era forse impazzito? Il sospetto che al marito desse fastidio la sua vicinanza all’altro uomo lo aveva già da un po’… ma lei aveva la coscienza apposto, era lui che doveva farsene una ragione e smetterla di essere così ossessivo, immaginandosi cose dove non ce n’erano.
“- Ma come ti permetti? Per chi mi hai presa? Pensavi davvero che tra me e Nicolás ci fosse qualcosa?” La poliziotta, le braccia incrociate al petto e l’aria delusa, sperava che lui le dicesse che non fosse così… ma non accadde nulla. Matias non rispose e la fissò, comprendendo che, con quell’atteggiamento, avesse fatto soffrire soprattutto lei che non lo meritava per nulla. “- Non dire altro… ho già capito.” Rispose la donna, mordendosi un labbro nervosamente e superandolo per rientrare in casa, ma fu Galán stesso a fermarla per un polso, volendo che le cose tra i due sposi si chiarissero quanto prima: Marcela lo aveva aiutato sempre e l’ultimo dei suoi desideri era distruggere il suo matrimonio, sentendosene, tra l’altro, in parte responsabile. “- Aspetta, Marcy…” La chiamò, facendola voltare appena, mentre continuava a tenere lo sguardo basso sul prato. “- …Matias, ho capito che forse hai scambiato il mio affetto per tua moglie per… qualcos’altro, ma sappi che io amo Jade e poi non mi permetterei mai di rubare la tua donna, credimi!” Si giustificò, vedendo annuire debolmente il biondo. “- Scusami, io… non so cosa mi abbia preso.” “- Lo so io cosa ti ha preso… ti ha preso che non ti fidi di me, ecco tutto.” La bruna, alzando improvvisamente il volto e specchiandosi negli occhi altrettanto azzurri del marito, esclamò quella frase con aria quasi disgustata. “- …Qui lui non c’entra niente, Matias… qui il problema siamo noi due, a quanto pare… o meglio… sei tu.” Continuò la madre di Leon e Francesca, vedendo il marito scuotere il capo tristemente. “- Io non… non avrei dovuto, hai ragione. Perdonami.” Le disse piano, tentando di prenderle le mani ma osservandola fare un mezzo balzo indietro per evitarlo, ancora troppo delusa. “- Voglio stare da sola e poi… devo andare in centrale… scusate.” Ribatté la donna, distrutta da quella situazione, avviandosi poi verso il portico. Davvero suo marito era arrivato a tanto? Non solo stava per picchiare Galán ma, accusando lui di averlo tradito, implicitamente accusava soprattutto lei… e la cosa la mandava in bestia. Quanti anni erano che stavano insieme? Tantissimi, sin da quando erano due ragazzini… e da quando la gelosia, sempre avuta dall’uomo, si stava trasformando addirittura in mancanza di fiducia nei suoi confronti? Si fiondò in casa sotto lo sguardo sconvolto di Leon che era seduto sul divano accanto a Violetta, con la quale stava chiacchierando allegramente del più e del meno. “- Mamma ma cos…? MAMMA!” Gridò il ragazzo invano, venendo del tutto ignorato dalla bruna la quale, per tutta risposta, sbatté la porta della camera da letto, al piano di sopra. “- Ok, perdonami… di solito è più tranquilla…” Si giustificò il castano, facendo scuotere il capo alla Castillo con noncuranza. “- Ma figurati! Capita a tutti di essere furiosi! Come se non la conoscessi poi… mia suocera!” Esclamò divertita la giovane facendo sghignazzare Leon. “- Ah, beh tu sei sicura di voler stare con me e di entrare in parentela con una suocera esaurita, un suocero folle e una cognata secchiona e insopportabile?” La schernì il giovane, avvicinandosi piano al suo orecchio, facendole avvertire il suo fiato caldo sul collo. “- Per te, tutto…” Soffiò piano lei, voltandosi di colpo e rimanendo ad un centimetro dalle sue labbra, sfiorandogliele poi piano e dolcemente. “- Ma che bel quadretto!” Una voce fastidiosa con il suo tipico forte accento francese, d’un tratto, li fece sobbalzare e staccare di colpo. “- Che vuoi? Era così bello quando te ne stavi sempre rintanato di sopra senza dar fastidio al mondo intero…!” Sbottò di colpo Leon, scattando in piedi, mentre Clement si accomodava come se nulla fosse sul sofà accanto a loro. “- Volevo solo salutarti… domattina ce ne torniamo a casa nostra, finalmente.” Esclamò come se nulla fosse, lasciando basito il cugino. “- Sul serio? E chi devo ringraziare per questo miracolo?” Sorrise ironicamente il La Fontaine, mentre Violetta, da sempre irritata da quel giovane, se ne rimase in silenzio ad ascoltare. “- Mio padre, lo zietto Nicolás…” Disse con tono sarcastico lui, accentuando quelle ultime due parole. “- Bene, buon viaggio.”  Sentenziò stizzito il castano, sedendosi di nuovo accanto alla sua fidanzata e stringendole le spalle con un braccio. “- La smetti di maltrattarmi? Volevo… chiedervi scusa, in fondo sono stato davvero insopportabile…” ridacchiò, quasi fiero di sé stesso, il francese, facendo accigliare i due che si voltarono a fissarlo, confusi. “- Non le accetto le tue patetiche scuse! E sappi che non mi mancherai affatto!” Sbottò Leon, mentre Violetta gli tirò un po’ la manica della camicia, per farlo girare nuovamente nella sua direzione, implorandogli con lo sguardo di salutarlo almeno, come di dovere. “- Non mi guardare così, tu, tanto è inutile…” Le sussurrò il figlio di Matias, ruotando poi gli occhi al cielo. “- D’accordo, d’accordo… accetto le tue… scuse, credo. E ringrazia la mia fidanzata per questo!” Sentenziò, accentuando con il tono di voce le parole “mia” e “fidanzata”, facendolo sorridere di gusto. “- Vado a preparare le valige… sapete che in fondo non siete poi così male insieme?” Disse d’un tratto l’europeo, rimettendosi in piedi e osservano i ragazzi scambiarsi una rapida occhiata, confusa. “- Nel senso che la stupidità di mio cugino e il suo essere malvagio sono compensati dall’intelligenza e dalla dolcezza tua, Vilu… invitatemi al vostro matrimonio, ci conto! Au revoir!” Li salutò Clement, prima di dirigersi verso il piano di sopra. “- Ok, lascialo perdere…” Sorrise la Castillo, osservando l’aria tuttavia nervosa del suo ragazzo. “- Andiamo a fare una passeggiata, devo sbollire…” Commentò Leon, alzandosi e prendendole la mano. “- Dove mi porti, mio Principe?” Gli chiese la castana, allacciandogli le braccia al collo teneramente, osservando il suo viso addolcirsi a quel gesto. “- E’ una sorpresa…” Soffiò piano il giovane, lasciandola incuriosita come una bambina, seppure nemmeno lui sapesse di preciso dove condurre la figlia di German, per poi coinvolgerla in un bacio appassionato e carico di sentimento.
 
 
“- No, ragazzi io non ne ho il coraggio, voi siete pazzi!” Andres, fuori al Restò Bar, tentennava sul da farsi, mentre sia Camilla che Seba, sbuffarono sonoramente, quasi in coro. Ci erano volute due settimane per convincerlo anche solo a riavvicinarsi al locale di Angie, e, proprio quando con una scusa, i due fidanzati erano riusciti a trascinarlo lì davanti, lui insisteva ancora nel non voler entrare. “- Non è così difficile… tu entri, noi ti seguiamo, ti siedi ad un tavolo e la chiami per fare un’ ordinazione… al resto ci penso io!” Esclamò solenne la Torres, elencando tutte le azioni da compiere come se stesse progettando una missione di guerra. “- Ma io non…” “- MUOVITI!” A quel grido della rossa, Seba mantenne la porta aperta e l’altro venne spinto dentro con foga dalla ragazza, rischiando quasi di inciampare appena sotto la soglia. Alcuni dei clienti accomodatisi nei pressi dell’entrata, si voltarono a fissarlo un po’ perplessi, mentre Libi, indaffaratissima, vagava come una trottola impazzita dal bancone alla sala e neppure si accorse di nulla. “- Non mi ha notato nemmeno così! E’ inutile!” Sussurrò demoralizzato Andres ai suoi due accompagnatori che camminavano a pochi passi dalle sue spalle. “- Ringrazia al cielo che non abbia visto! Stavi per spiaccicarti al suolo!” Sbottò sottovoce il fratello, facendo annuire la sua ragazza che gli prese dolcemente la mano. “- Fiducia in te, cognatino! Ce la puoi fare ed io aiuterò, te lo prometto!” Commentò la giovane vedendolo annuire e, prendendo un profondo respiro, avviarsi verso un posto libero in un angolo, seguito a ruota da Camilla e Seba che si sedettero appena dietro al suo tavolo. Pochi secondi dopo, tempo durante il quale Andres si era nascosto completamente dietro al Menù per studiare le mosse della sua amata con attenzione, un uomo dai capelli ricci si avvicinò a lui facendolo sobbalzare, inciampando sui suoi stessi piedi e aggrappandosi alla sedia del giovane, quasi tirandoselo per terra. “- Aiuto!” Gridò quello che sul cartellino appuntato in petto aveva scritto il nome di “Beto”, mentre il Calixto, terrorizzato, provò a rimetterlo in piedi con non poche difficoltà. “- Sta’ bene?” Gli chiese il ragazzo preoccupato, mentre finalmente Libi,  passando presso il loro tavolo, lo aiutò a sorreggere il collega che tornò in piedi da solo. “- Tutto ok, grazie, giovanotto!” Esclamò trafelato Benvenuto, passandosi una mano nella riccia chioma corvina, mentre la giovane cameriera si allontanava di nuovo verso gli altri clienti, essendosi assicurata che, anche quella volta, l’ultimo arrivato al Restò Bar non si fosse fatto male. “- Che ti porto?” Gli chiese poi Beto, tirando fuori un taccuino dalla tasca della camicia e una matita da dietro ad un orecchio. “- Lei…” Sussurrò deluso Andres, indicandogli con un cenno del capo la sua amata, la quale, con un vassoio stracarico di bicchieri colorati, ritornava al bancone. “- Ah… ma io ho capito tutto, allora!” Ammiccò l’uomo, per poi fare l’impensabile: a gran voce chiamò la ragazza che, di fretta e furia, si precipitò verso di lui, con aria distrutta. “- Libi, servi tu il giovanotto che io penso di essermi slogato una caviglia, prima… a dopo!” Esclamò il cameriere, vedendo accigliarsi la mora che, confusa, fece passare il suo sguardo da Beto che si allontanava, al cliente che le sorrideva, teso. “- Ciao, che ti prendi?” Gli chiese allora la nipote di Olga, ancora presissima dal suo taccuino che sfogliava nervosamente: quel ragazzo di fronte a lei la imbarazzava, era davvero carino e preferiva fingersi occupatissima e far presto: non poteva perdere tempo ad innamorarsi… “- Qualunque cosa, a patto che tu ti sieda a berla con me…” Sussurrò Camilla, cercando di non farsi sentire se non da Andres, sporgendosi verso di lui che era seduto davanti a lei, il quale, però, la ignorò e fece di testa sua. “- Sei indaffarata, se vuoi ti aiuto… gratis ovviamente! Ed ora che il tuo collega si è fatto male potrei esserti molto utile…” Le suggerì, lasciandola di stucco. “- Io non sono la proprietaria e non so se…” “- Non fa nulla. Sono imbranato quanto quel tizio, te lo giuro!” Scherzò il ragazzo, incrociando i suoi occhi e facendola sghignazzare di gusto. “- Piacere, Andres.” Le disse, allungandole la mano che venne subito stretta da lei. “- Io sono Libi… diamoci da fare, allora!” Esclamò allegramente la ragazza, che doveva ammettere, con l’infortunio dell’altro cameriere, era già davvero in crisi. Seba guardò la fidanzata, mentre il fratello si allontanava dietro alla bruna e sospirò: “- Non sempre servono i tuoi consigli, tesoro mio… avevamo sottovalutato il bassista e il suo nuovo amico Beto, il maldestro arguto!” Sentenziò, per poi schioccare un tenero bacio sulla guancia alla rossa che, felice per il cognato, sorrise soddisfatta: in fondo, anche se c’entrava poco… anche in quell’avvicinamento, secondo lei, c’era comunque il suo zampino e forse, alla fine, era davvero così.
 
 
“- Ammetto che questo zucchero filato è eccezionale!” Violetta, mano nella mano con Leon, camminava su una delle spiagge più grandi della capitale: i due ragazzi si erano spostati con la moto del giovane per fare una passeggiata ed erano finiti in centro, nella zona costiera alla quale, comunque, il bordo di Madeira non aveva nulla da invidiare per la bellezza dei suoi paesaggi. “- Voglio assaggiarlo!” Si lamentò il ragazzo ridendo, facendole scuotere il capo, con fermezza. “- Ancora? Ti sei già mangiato il tuo, scordatelo!” Lo schernì, facendogli una linguaccia e vedendolo assumere un’espressione corrucciata. “- Mi sento offeso!” Scherzò lui, schioccandole poi un lieve bacio sulla guancia e osservando la sua reazione: la castana, al semplice contatto con le sue labbra, socchiuse gli occhi e prese un profondo respiro, sentendo il cuore accelerare di colpo i suoi battiti. “- Ok, ok…” Balbettò la giovane, cercando di ritrovare il controllo dopo quel leggiadro e dolce gesto da parte di lui. “- Te lo regalo…” Continuò, mentre un lampo di genio le attraversava la mente. “- …Ma solo se riuscirai a prendermi!” E, a quelle parole, iniziò a correre sulla sabbia dorata, lasciando di stucco Leon che, inizialmente rimasto immobile, prese poi a seguirla rapido, partendo con qualche metro di svantaggio a rendergli ancor più difficile l’impresa. La Castillo svoltò dietro ad una barca capovolta sul bagnasciuga e il ragazzo continuò a starle dietro, cominciando a ridere e rallentando ancor di più nella velocità. “- Tanto ti prendo, principessa!” Scherzò lui, piegandosi sulle ginocchia per provare a riprendere fiato: il sole stava tramontando e un leggero venticello pungente si levava nell’aria, sferzando il viso del ragazzo che, quando risollevò lo sguardo, non incontrò più quello della giovane di fronte a sé… dove si era cacciata? “- Violetta, ma dove sei?” La chiamò, per poi, cominciando a preoccuparsi sul serio, aumentare il tono della voce. “- VILU!” Gridò, camminando verso una fila di cabine abbandonate… che si fosse nascosta in una di quelle? Le raggiunse a passo rapido, il cuore in gola e la paura di averla persa, mentre mille ipotesi si facevano largo nella sua mente… un’ansia tremenda si impossessò di lui e cominciò ad aprire nervosamente le porte in legno delle strette strutture. Nulla. Poco distante, c’era un piccolo cottage in legno, l’ultimo posto dove avrebbe potuto trovarla… doveva essere lì, per forza. Corse verso quell’ennesima speranza di rivedere il volto che tanto amava e, spalancando quell’entrata, la trovò lì dentro, seduta su un lettino sgangherato, mentre alla parete erano appoggiati almeno una dozzina di ombrelloni, accatastati lì in attesa della prossima stagione estiva. “- Mi hai trovato… peccato che nella corsa abbia fatto cadere il tuo premio… ora è diventata una cotoletta di sabbia!” Rise la ragazza, sottovoce, alzandosi e allacciando le braccia al collo a Leon che, tirando un sospiro di sollievo, la strinse inaspettatamente a sé, più rilassato. “- Non farlo più, mi hai fatto prendere un colpo!” Le sussurrò ad un orecchio, per poi perdersi a fissarla dritto negli occhi castani che esprimevano tutta la dolcezza caratteristica della sua Vilu. “- Mi dispiace, non volevo spaventarti…” Mormorò appena la giovane, prendendogli poi il viso tra le mani e accostando la sua fronte a quella di lui, senza però perdere il contatto visivo: era come se i loro sguardi fossero incatenati l’uno all’altro e nessuno dei due aveva intenzione di spezzare quella semplice magia. “- Ti amo…” Soffiò d’un tratto il castano, sfiorandole una guancia in una carezza, mentre lei continuava a tenergli il viso, teneramente. “- Io di più…” Balbettò, tesa, Violetta, per poi correggersi di colpo, ricordandosi di quanto lui adorasse sentirsi dire per bene quel tipo di dichiarazioni: “- Io di più, ti amo anche di più…” Sorrise infatti, sentendo il respiro caldo di La Fontaine sulla sua bocca, sino a quando il ragazzo, improvvisamente, fece congiungere le loro labbra, coinvolgendola in un bacio travolgente, al quale la ragazza rispose con il medesimo trasporto, affondando le dita nei suoi capelli sottili e attirandolo ancor di più a sé, pensando di impazzire per tutta quella passione: i brividi le scossero persino le ossa e il cuore batteva così forte che credé seriamente di vederlo schizzare fuori dal suo petto da un momento all’altro. Non era di certo abituata ad una situazione del genere e le gambe presero a tremarle ancor di più, quando il ragazzo, dopo aver girato una pesante chiave in bronzo nella serratura, delicatamente, la fece adagiare su di sé che si era disteso su quella malconcia branda su cui, pochi minuti prima, era seduta lei. “- Se non ti senti pronta io…” Ma la giovane, intuendo dove volesse andare a parare il ragazzo con quelle semplici parole, scosse il capo con foga, sorridendogli. “- Sono pronta.” Gli sussurrò ancora, ad un centimetro dalle sue labbra, per poi baciarlo di nuovo, dolcemente. Il ragazzo voleva essere sicuro che la sua amata fosse decisa a compiere quel passo, altrimenti avrebbe potuto aspettare, anche una vita se fosse stato necessario: non aveva alcuna fretta, seppure la voglia di lei fosse incredibilmente forte e crescesse sempre di più. Ogni carezza, ogni sguardo, anche la semplice voce di Violetta lo facevano sragionare e sapeva che, presto o tardi, sarebbe accaduto quello che, in quel momento, stava per succedere. Leon, prendendo a baciarle il collo con passione, le fece scivolare via la maglietta delicatamente, mentre la ragazza, con mani tremanti, prese ad armeggiare con i bottoni della sua camicia a quadri che, finalmente, riuscì a togliergli, gettandola al suolo in un punto indefinito di quel cottage, venendo raggiunta, a mano a mano, da tutti gli indumenti dei due innamorati, i quali, dolcemente e sussurrandosi dolci parole d’amore, passarono quel pomeriggio insieme con tutta la tenerezza che avevano nell’anima. Furono attimi fatati e indimenticabili: Violetta, grazie a lui, trascorse dei momenti incredibilmente magici, come non avrebbe mai immaginato di vivere e Leon, a sua volta, si incantò più volte a fissarla… era così fragile, così dolce, così timida… la amava, amava da morire la sua fidanzata e non era mai stato tanto bene in tutta la sua esistenza.
 
 
“- Amore, ehi… dovremmo tornare a casa…” I ragazzi, abbracciati su quello spazio tanto ristretto, erano distesi da un tempo ormai indefinito e Leon soffiò quella frase tra i capelli della Castillo, sparsi in parte sul suo petto nudo. “- Voglio stare con te, per sempre…” Sussurrò la castana lentamente, stringendosi ancor di più al suo amato, solleticandogli l’addome con il suo caldo respiro, regalandogli una sensazione di un’incredibile tranquillità. “- Anch’io…” Fu quella volta lui a ridurre la frase, per poi riprendere subito a specificare: “- Anch’io voglio stare con te, per sempre…” Le disse piano, sentendola sogghignare e facendole sollevare il volto, per poi incrociare i suoi grandi occhi castani che tanto adorava. “- Sei incredibile!” Esclamò, dandogli un piccolo buffetto scherzoso su una guancia, facendolo sorridere. “- Beh, immagino che anche tu volessi sentirti dire tutta la frase, per estesa…” Si giustificò lui, lasciandole un tenero bacio sulla fronte, osservandola socchiudere gli occhi e godersi anche quella piccola attenzione romantica. Quanto era fortunata ad avere accanto un principe come Leon? Finalmente si sentiva bene, finalmente riusciva a guardare al futuro senza l’angoscia che di solito la caratterizzava, dopo tutti i drammi che aveva dovuto attraversare: ora aveva lui al suo fianco ed era sicura che tutto sarebbe stato meraviglioso… non era sola.
“- Hai fatto bene, in effetti è fastidioso sentire qualcosa per metà… avevi ragione.” Scherzò ancora Violetta, mordendosi un labbro, a disagio, studiando poi la sua reazione che non tardò ad arrivare. “- Non ci credo! Come hai detto?” La schernì lui, mettendosi a sedere e costringendo anche lei a rimettersi in posizione seduta, ancora però accoccolata tra le sue possenti braccia e la nuca appoggiata sul suo petto. “- Ho detto che avevi ragione, ma non farci l’abitudine, amore mio!” Sorrise ancora la castana, alzandosi poi per rivestirsi. “- ’Amore mio’… mi piace anche di più dell’ ‘avevi ragione’… neanche a quello posso farci l’abitudine?” La provocò Leon, infilandosi i jeans e prendendo ad abbottonarsi la camicia, seguendola e cingendole la vita, mentre era di spalle, sorprendendola e osservandola voltarsi di colpo, allacciandogli subito le braccia al collo. “- A quello sì, amore mio… non smetterò mai di dirtelo e di reputarti tale...” Ribatté teneramente lei, per poi depositargli un tenero bacio a fior di labbra, finendo di prepararsi per tornare a casa. I ragazzi, una volta pronti, uscirono, rendendosi conto solo in quel momento che fosse calata la sera: quanto tempo erano rimasti lì dentro? Evidentemente ne avevano perso la cognizione… quello fu il pensiero che accomunò i due e, mano nella mano, si avvicinarono al luogo dove Leon aveva parcheggiato la moto, sentendosi ancora più uniti che mai, mentre un forte profumo di salsedine invadeva le loro narici e una mezza luna nel cielo, che aveva fatto da poco la sua comparsa, li vegliava dall’alto.
 
 
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Ciao! :)
Leonetta! asodofgog sto sclerando, gente! :3 Lascio a voi i commenti, sono troppo dolciosi, aw! :3 Poi abbiamo gli accenni della AndresxLibi che, finalmente, si conoscono, e litigio Maticela… Nico, Jade e Clemy sloggiano, olé! XD Alla prossima e grazie a tutti, ciao! :) DulceVoz. :)

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Capitolo 26
*** Reazione a catena. ***


Reazione a catena. Cap.26
 
Angie era seduta sul pavimento con la schiena appoggiata alla porta del bagno e ancora non riusciva a credere a ciò che vedeva: si rigirò per l’ennesima volta il test in una mano, mentre nell’altra stringeva un foglietto illustrativo. “- Non è possibile…” Balbettò tra sé e sé, facendo passare il suo sguardo dall’oggetto alla carta, con aria tesissima: era passato un mese da quando aveva fatto l’amore con Pablo per la prima volta, eppure non credeva potesse essere vero ciò che, in quel momento, aveva davanti agli occhi. Era da un po’ che delle terribili nausee mattutine l’affliggevano, facendola saltare dal letto per correre a vomitare, sotto lo sguardo di uno sconvolto Galindo il quale, ovviamente ignaro di tutto ciò che lei sin da subito aveva sospettato, la pregava ogni giorno per far sì che andasse da un medico che le dicesse perché stesse tanto male. A tutto ciò, inoltre, le si era aggiunto un ritardo di una settimana che le aveva fatto iniziare ancor più seriamente a temere il peggio: una gravidanza. Aspettava un figlio… e il solo pensiero la terrorizzava.
Buttò nel cestino della spazzatura la scatolina, il test con le sue istruzioni e uscì, prendendo a scendere le scale di fretta con quel sacchetto stretto in mano, avendo l’intenzione di andare a buttarlo nel cassonetto in giardino in modo da sbarazzarsi di tutte quelle prove e, una volta che se ne fu finalmente liberata, prese un profondo respiro più rilassato, come se si fosse tolta un peso incredibile dal cuore. Non avrebbe voluto altro che avere un bambino da Pablo, lo amava da morire e in un'altra vita avrebbe fatto i salti di gioia per quella scoperta inaspettata, correndo sino alla redazione anche a piedi per andare a dargli la lieta notizia… ma quella non era un’altra vita, era la sua purtroppo e, con l’essere incinta, era riuscita, se possibile, a complicarsela il triplo di quanto già non lo fosse di per sé. Si portò le mani al viso e se lo strofinò con vigore, non avendo la più pallida idea sul da farsi, sentendo subito gli occhi farsi lucidi: voleva quella creatura, la voleva con tutta l’anima… ma che doveva fare? Nemmeno per un istante le passò per la mente l’idea di abortire e di perdere suo figlio, anzi, piuttosto rifletteva su come dirlo al fidanzato e poi… e poi come affrontare le conseguenze, ovvero raccontando tutto ai nipoti, all’assistente sociale che era stato da sempre molto chiaro sotto quel punto… già, doveva parlare al più presto, anche perché ormai, tra pochi mesi, se ne sarebbero comunque accorti da soli e non poteva più nascondere il suo amore per il fotografo e il frutto che ne portava in grembo.
“- Angie, tesoro, che succede? Stai bene?” Marcela, aggirando lo steccato che separava le loro villette, l’affiancò piano e le poggiò una mano sulla spalla, preoccupata dalla sua espressione tesissima. “- Sto... io…” La Saramego aveva iniziato a piangere quasi inconsapevolmente, e la bruna, senza dire nulla, l’attirò a sé abbracciandola forte, provando a consolarla, pur non capendo cosa l’affliggesse tanto da non farle nemmeno riuscire a spiccicare parola. “- Oh, caspita è così grave? Vieni dentro da me, dai, così parliamo un po’.” Riuscì a sussurrarle la Parodi, dopo un abbondante minuto di silenzio, staccandosi da lei e stringendole le mani, dolcemente, osservandola annuire, il volto ancora grondante di lacrime e l’aria tuttavia nervosa: in fondo l’aiuto di un’amica avrebbe solamente potuto farle bene, così decise di seguire la moglie di Matias sino a casa La Fontaine che era abbastanza silenziosa in quella mattina fresca e nuvolosa: i figli dei padroni di casa dovevano essere, come i nipoti, al liceo per seguire le lezioni e sapeva che gli ospiti della famiglia avevano lasciato da un bel po’ la dimora. “- Non ti preoccupare, siamo da sole… puoi raccontarmi ciò che vuoi…” La rassicurò Marcela, conducendola sino alla cucina e facendola accomodare al grande tavolo in legno, per poi prendere ad armeggiare con mobili e cassetti per prepararle una tisana o qualcosa che la calmasse. “- Sicura che non… non ci sia nessuno?” Balbettò a disagio la bionda, guardandosi intorno nervosamente, torturandosi le mani che teneva in grembo. “- No, Leon e Fran sono a scuola e Matias è al negozio, tranquilla.” Sorrise dolcemente la bruna, appoggiandosi con la schiena al lavello, fissandola per cercare di intuire cosa fosse capitato alla vicina di così grave. Ciò che la Parodi non sapeva, essendo appena tornata da un turno di notte in centrale, era che, al piano di sopra, Francesca fosse rimasta a casa raffreddata e che, accanto a lei, ci fosse Diego, il quale, avendolo saputo, non ci aveva pensato due volte a restarle accanto, evitando di prendere lo scuolabus, senza ovviamente farsi beccare dalla zia che lo credeva insieme a Violetta già in classe da almeno mezza mattinata.
Le due donne rimasero in silenzio e l’unico rumore che giungeva alle loro orecchie era il sibilo del bollitore dell’acqua che, dopo alcuni minuti, aveva preso a borbottare fastidiosamente. “- Non so da dove… cominciare.” A rompere quel silenzio ci pensò la Saramego che, tirando su con il naso, si fece sfuggire un altro singhiozzo dalle labbra, nonostante avesse provato sino all’ultimo a trattenerlo. “- Cosa ti succede, Angie? Sei… distrutta!” Le fece notare l’altra, servendole una bevanda fumante, inodore dal colore verdastro. “- Bevila, ti farà bene…” Le sorrise, sedendosi poi di fronte a lei, preoccupata, e scrutandola con attenzione. “- Mi sono… innamorata. Sono innamorata e… e sto malissimo.” Balbettò d’un tratto la bionda, decidendo che, se doveva dire tutto alla poliziotta, dovesse cominciare dal principio. “- Ma… è magnifico! Però se stai così, ci sarà dell’altro…” Realizzò di colpo l’ispettrice, incrociando le braccia sul tavolo e prendendo di nuovo a fissarla, osservandola annuire, tristemente. “- Mi sono innamorata dell’unica persona che non avrei dovuto considerare… e… e sono incinta.” A quelle parole la Parodi abbassò lo sguardo sulla sua tazza e comprese perfettamente tutto: la situazione dell’amica non era certo facile, con la vicenda dell’affido e tutto il resto… eppure le mancava ancora qualche dettaglio per avere il quadro completamente chiaro. “- Aspetta… il padre non è chi penso che sia, vero?” Le chiese d’un tratto, osservandola mordersi un labbro senza proferire parola, reazione che le lasciò capire quanto fosse corretta la sua improvvisa supposizione. “- Pablo, vero? State insieme in segreto ed ora tu e lui… oh, cavolo…!” Esclamò Marcela, vedendola annuire mestamente per poi prendere il primo sorso di quella tisana, ancora molto calda e fumante. “- Lui lo sa già o…?” “- No! Non lo sapevo nemmeno io fino a un’ora fa!” Ribatté Angie, per poi continuare: “- …Non mi fraintendere, lo amo da morire e… e sono felicissima di questa notizia, però… è tutto dannatamente complicato! Ci sono ragazzi, l’assistente sociale che ci disse chiaramente che non dovevamo complicarci la vita con una storia ma… non abbiamo resistito. Ci siamo messi insieme e… e poi è successo quello che è successo…” Spiegò la sorella di Esmeralda, analizzando lei, quella volta, la reazione sul viso della bruna che rimase impassibile a riflettere su cosa suggerirle.
Intanto, sulle scale, Diego stava scendendo, in silenzio, seguito da Francesca, sapendo che di lì a poco la madre della giovane sarebbe rientrata o forse era anche già lì e, per evitare ulteriori scontri con la suocera dopo il suo tentato furto al supermercato di Matias, rimase zitto a  tentare di uscire da quella casa ma, alcune parole che udì, gli fecero sgranare gli occhi di colpo, scioccato.
“- Devi dirglielo quanto prima, Angie, a lui e ai ragazzi.” Stava dicendo quella che capì subito essere la voce della madre di Francesca che doveva essere in cucina con sua zia, mentre la sua ragazza, imitandolo, un po’ preoccupata per quella frase della mamma, si appiattì contro la parete a sua volta, mentre lui le fece cenno di restare in silenzio per continuare ad ascoltare quella conversazione.
“- Ma come faccio? Diego lo odia e… anche se noi ci amiamo sarebbe… complicato! Non oso pensare come prenderebbe questa mia gravidanza.” Buio. Panico. Rabbia. La Saramego era incinta? E se diceva che lui odiava il padre di quel bambino, allora... contrasse istintivamente la mascella, capendo perfettamente chi dovesse essere l’uomo e, furioso come mai, prese a tremare per il nervosismo, stringendo i pugni per provare a controllarsi, inutilmente. La gemella di Leon, tesissima quanto lui, tentò di dirgli qualcosa all’orecchio per tranquillizzarlo ma lui fece per correre in cucina, spalancando la porta e facendo sobbalzare le due donne all’interno della stanza, lasciando lei immobile, sulle scale. “- Diego che… che ci fai qui?” Gli chiese la bionda, mentre la Parodi scattò in piedi, confusa, scrutandolo con attenzione, temendo subito che lui avesse potuto sentire tutto. “- E’ vero che sei incinta di quell’idiota?” La domanda sconvolta del nipote le arrivò come una doccia gelida e Angie rimase pietrificata, provando ad alzarsi a fatica, sentendo le gambe tremarle come mai in vita sua, senza riuscire a negare quella realtà così spaventosa per il giovane. “- Ma come diavolo ha potuto?! Io lo… faccio fuori.” Sibilò freddamente il giovane, sguardo perso nel vuoto e aria assente. “- Diego… calmati.” Francesca apparve alle sue spalle, ma lui, ignorandola, corse verso il giardino per starsene da solo dopo quella notizia: era incinta. Sua zia era incinta di quel poco di buono. Non poteva crederci… come aveva fatto lui a lasciare che il fotografo si avvicinasse alla sorella di sua madre? Perché non l’aveva protetta come di dovere? Si sentiva così in colpa, distrutto… si arrampicò senza nemmeno farci caso, sulla scaletta che portava alla casa sull’albero e si rintanò lì sopra: voleva aspettare Galindo e da lì avrebbe visto arrivare la sua auto, così da affrontarlo non appena sarebbe rientrato dal giornale… ormai era una questione tra loro due, loro due e basta.
“- Si puo’ sapere che ci facevate di sopra voi due, da soli?” Sbottò invece Marcela contro la figlia che alzò le spalle, confusa, fissando la porta appena sbattuta con foga dal suo ragazzo. “- Sono rimasta qui perché ho i decimi di febbre da questa stanotte… papà non ti ha detto che non sarei andata a scuola, vero?” Si giustificò la ragazza, sorpresa del fatto che La Fontaine senior non avesse informato la moglie al riguardo. “- Lascia perdere quell’imbecille di tuo padre!” Ribatté stizzita la bruna, allontanatasi dal marito dopo che il biondo aveva aggredito Nicolás, e con il quale, nonostante fosse passato del tempo, ancora parlava a stento. “- Ma… Diego perché non era a scuola?” “- Voleva solo stare con me… anche se ti ha mentito, scusaci, Angie.” Sentenziò Francesca, ormai tesissima, sentendosi arrossire di colpo nella zona delle guance a quella rivelazione che lasciava intendere anche che, tra lei e il figlio di German, ci fosse qualcosa. “- Devo… parlargli. Io devo calmarlo e… mamma, so che non dovrei uscire però non ho altra scelta… perdonami.” A quelle parole, la sorella di Leon si fiondò fuori senza che la madre riuscisse a fermarla, anzi, lasciandola di stucco sotto l’uscio della cucina incredula per ciò che la figlia aveva appena fatto, scappando via sulle tracce del moro, mentre la Saramego, sconvolta, si lasciò nuovamente cadere a peso morto sulla sedia, prendendosi la testa tra le mani. “- Perdonami io non sapevo che…” Iniziò la Parodi, cominciando a camminare nervosamente avanti e indietro come un’anima in pena, mentre l’altra fissava il tavolo con aria afflitta, senza neppure avere la forza di sollevare gli occhi, distrutta anche più di prima. Alla fine Diego aveva scoperto tutto nel peggiore dei modi e, come sospettava, lui incolpava solo e solamente Pablo di ogni cosa, ignorando il fatto che lei amasse quell’uomo e che quel figlio l’avessero concepito in due. “- Lascia fare a mia figlia… so che ha un ottimo effetto su di lui e vedrai che lo placherà.” Commentò tuttavia Marcela, lasciandola un po’ stupita ma facendola annuire: aveva intuito che Francesca facesse bene al nipote, che si frequentassero, che la sola presenza nella sua vita lo aveva, almeno un po’, fatto ritornare a quello che era prima di perdere i genitori… ma la paura che nemmeno la ragazza, in quel caso, sortisse alcun effetto, era troppa e la stava già consumando.
 
 
“- Lo sapevo che eri qui!” Francesca, tossendo poi sonoramente, si arrampicò sin dentro la casetta sull’albero e affiancò il giovane con le spalle accostate alle assi di legno che costituivano il muro della piccola abitazione, eppure Diego nemmeno la guardò, continuando invece a fissare di fronte a sé con gli occhi persi nel vuoto. “- …O qui o al faro…” Sentenziò sottovoce ancora la ragazza, alludendo al fatto che lo conoscesse, dopo nemmeno tanto tempo, come le sue tasche. “- …Diego, ascolta… capisco che tu sia scioccato, ma… devi accettarlo. Angie è una donna adulta, intelligente… sa quello che fa e se vuole stare con Pablo tu non puoi fare altro che occuparti degli affari tuoi e lasciarla in pace.” La voce della giovane era un sussurro deciso e, piano, poggiò la sua mano su quella di Castillo che, anche senza voltarsi, gliela strinse, accarezzandogliela con il pollice. “- Lei non c‛entra nulla. E’ stato Galindo. E’ tutta colpa sua.” Sbottò come una cantilena il giovane, inquietando alquanto Francesca che non capiva perché il suo fidanzato odiasse tanto quell’uomo che a lei, per quel poco che lo aveva visto, era parso anche simpatico. “- Si puo’ sapere cos’hai contro di lui?” Gli chiese d’un tratto, facendolo finalmente voltare verso di lei, incatenandolo al suo sguardo che tanto amava. “- Non è la brava persona che voglio accanto a mia zia. E’ un idiota, un poco di buono che va di letto in letto… e mia zia merita di meglio… ha già sofferto troppo, in tutti i sensi.” La voce del giovane si spezzò in un singhiozzo a quelle ultime parole e gli occhi, dall’odio che esprimevano al solo nominare il fotografo, gli si fecero lucidi di colpo: ci teneva alla Saramego, era chiaro, e voleva che fosse felice dopo tutto il dolore che aveva passato. “Tu vuoi molto bene ad Angie, vero?” Gli chiese a bruciapelo, sorprendendolo, la figlia di Matias, “- E’ ovvio, l’adoro!” Rispose semplicemente il ragazzo, con il tono più scontato del mondo, vedendola annuire, serissima. “- E allora devi lasciare che faccia le sue scelte e che viva la sua vita come meglio crede.” A quelle parole, il ragazzo si voltò dal lato opposto, stizzito. “- …Pensa a noi due, ad esempio!” continuò la mora, sperando di calmarlo ad ogni costo e di fargli capire che dovesse vedere tutta quella vicenda anche da un’altra prospettiva: “- Ti piacerebbe che una persona che ami non approvasse la nostra storia? Angie starà sicuramente soffrendo per questa situazione, teme la tua reazione. Si è preoccupata di non dirti nulla per non farti star male, l’hai sentita, no?” Commentò, vedendolo scuotere il capo, in segno di dissenso. “- Non è lo stesso, noi due ci amiamo entrambi, dimmi tu come quel tizio potrà mai amarla! Quello quando saprà che è incinta minimo fuggirà a gambe levate… e anche il nostro affido andrà in fumo!” Sbottò furioso, lanciando nervosamente una pallina da tennis che era accanto a lui al suolo, contro la parete opposta, riprendendola poi al volo, nervoso, avviandosi verso le scalette per andare fuori da lì, distrutto. “- E a te chi ti dice che sarà così?” Lo rimproverò Francesca, seguendolo e rischiando di inciampare nella corda dei pioli, per raggiungere di nuovo il fidanzato di fretta. “- Angie non è una sciocca, se sta con Pablo, se… se è rimasta incinta di lui, vuol dire che entrambi si devono amare molto…” “- Che… che cosa hai detto, Francesca? Angie è… incinta?”. Alle spalle dei due giovani che discutevano appoggiati al muro della casa, si era avvicinato Galindo che, scrutando i ragazzi, in particolare la mora che aveva pronunciato quella frase, rimase imbambolato e confuso: era uno scherzo o cosa? No, la figlia di Matias, per quel poco che ne sapeva, era affidabile e tranquilla, non si sarebbe mai inventata una cosa del genere. Angie aspettava un bambino? Diego aveva scoperto tutto di loro? In quel momento però, la domanda che gli ronzava come un eco nella mente era solamente la prima. Era sicuro di essere sbiancato seppure non potesse vedersi in volto, tanto che la La Fontaine, preoccupata, non gli staccò gli occhi di dosso, mentre Castillo, pigramente appoggiato alla parete, neppure lo considerava più di tanto, cercando di ripetersi in testa le parole di Francesca per non aggredirlo con un pugno simile a quello datogli tempo fa sul naso, se non peggiore. “- Io non… l’abbiamo sentita parlare con mia madre e…” Balbettò a disagio la ragazza, non sapendo come spiegarsi in maniera più chiara, cosa dirgli di preciso. “- Pablo!” Angie, camminando a passo rapido verso di loro, sgranò gli occhi preoccupata del fatto che l’uomo avesse saputo, che il nipote l’avesse aggredito o… era confusa e nervosa, sentiva tutto il peso di quella tremenda situazione caricato sulle sue spalle, la terra tremarle sotto ai piedi, le gambe farsi deboli e, cominciando a vedere annebbiato davanti a sé, si accasciò al suolo, svenuta. “- ANGIE!” L’urlo dell’uomo, accompagnato da quello dei due ragazzi che presero a correre dietro a lui, tesissimi, ruppe il silenzio. “- Amore, ehi! Angie, rispondimi, ti prego…” Galindo, inginocchiandosi al suolo, la prese subito tra le sue braccia, stringendola a sé contro il suo petto, mentre Diego rimase pietrificato dal nervosismo esattamente come Francesca. La Saramego respirava ma, nonostante ciò, non riprese subito i sensi e cominciò a sbattere le palpebre solo dopo un abbondante minuto, durante il quale l’uomo era in lacrime e Castillo, immobile, osservava la scena senza dire nulla: Pablo era realmente così in panico per sua zia? Che Francesca avesse ragione? Che il sentimento che legasse i due fosse veramente così profondo? Beh, la scena dell’uomo che chiamava a gran voce la sua amata dovette farlo ravvedere, perché, lentamente, posò d’istinto una mano sulla spalla di Galindo e si lasciò cadere sulle ginocchia al suolo, accanto a lui, senza però dire nulla, sotto lo sguardo stupito della sua ragazza. “- Angie, amore, dì qualcosa, sono io… va tutto bene…” Le sussurrò dolcemente il fotografo, schioccandole un lieve bacio sulla fronte, mentre la bionda, continuava a non proferire parola, stringendo gli occhi come infastidita dalla luce, segno però, che stesse per riaprirli. “- Zia, come ti senti?” Le chiese dolcemente il ragazzo, facendo voltare verso di lui l’uomo che, evidentemente, solo in quel momento si era reso conto che Castillo gli teneva ancora un arto sulla clavicola e che gli fosse accanto, come per rassicurarlo. “- Sto bene, credo… Pablo, noi dobbiamo parlare…” Balbettò d’un tratto, come se si fosse improvvisamente ricordata di ciò che l’affliggeva tanto. “- …E devo… parlare anche con te, Diego, e con le tue sorelle…” Sussurrò appena la donna, ancora stanca, mentre Galindo, senza preavviso, la prese in braccio come una sposa, per condurla in casa. “- Prima voi… io aspetterò Vilu e Ambar… avremo tempo per… spiegarci…” Le disse sottovoce il nipote, mentre Francesca, soddisfatta, annuì e si strinse al suo braccio, senza dire nulla ma facendogli capire che avesse fatto la cosa giusta, schioccandogli un leggero e tenero bacio su una guancia.
 
 
“- Va un po’ meglio?” Pablo, seduto sul letto accanto alla Saramego, nella loro stanza da letto, le accarezzava piano la fronte e i capelli, notando quanto ancora la donna fosse stordita dopo aver riperso da poco i sensi. Quando l’aveva vista cadere al suolo, le parole di Francesca su quella ipotetica gravidanza della donna erano passate in secondo piano, come tutto il resto del mondo, e solo in quel momento di tranquillità parvero riaffiorare prepotenti nella sua mente. Angie si voltò piano verso di lui, mettendosi su un fianco e gli prese la mano che lui teneva sul materasso, stringendola con la sua. “- Diego sa tutto.” Disse la donna con un filo di voce, deglutendo poi sonoramente, ancora terrorizzata. “- Lo so, ma non era furioso come pensavo…” Balbettò a disagio l’uomo, chinandosi verso di lei per depositarle un bacio a fior di labbra, rapido e delicato. “- Incredibile considerando che è anche a conoscenza… beh, dell’altra cosa che ho appena scoperto e che tu ancora non sai…” Aggiunse la donna, mettendosi a sedere e appoggiandosi con la schiena alla testiera, abbassando gli occhi, ignorando che qualcosa l’uomo già avesse saputo. “- Io non so come dirtelo però… quando lui ha sentito tutto ero da Marcela perché le stavo raccontando di noi… perché… le cose si sono complicate.” Commentò la bionda, osservando la sua reazione: era immobile e pareva pendere dalle sue labbra, preoccupato ma serissimo. “- Sono incinta.” Concluse, incatenata ai suoi occhi neri che, per quanto si sforzasse, non riusciva a capire cosa esprimessero di preciso: di solito riusciva a leggere da un solo sguardo le sensazioni del moro ma, quella volta, non ne fu del tutto capace. “- Capisco.” Commentò lui, prendendo poi un profondo respiro, restando glaciale e abbassando il volto di colpo sulle lenzuola stropicciate del letto. “- Tutto qui…?” Gli chiese la Saramego, perplessa: non se lo immaginava a fare i salti di gioia ma che avesse una reazione sì, anche negativa se necessario. “- …Non… non so cosa dire.” Sussurrò, sinceramente l’uomo, vedendola scuotere il capo, nervosamente. “- Beh, direi che non è necessario che tu aggiunga altro. Sapevo che sarebbe finita male tutta questa nostra relazione… ed io che… che volevo crederci, che volevo credere in noi, nel nostro amore… ma pensa che stupida.” Sbottò la bionda, prendendo un profondo respiro e facendo per alzarsi, venendo però bloccata dall’uomo che, come se fosse uscito da quella sorta di trance in cui era caduto per alcuni secondi, le artigliò delicatamente il polso, obbligandola così a restare dov’era e a voltarsi verso di lui. “- Sono felice di questo bambino, sul serio, ma se ho reagito così è perché… ho paura, ecco tutto.” Le disse piano Pablo, avendo intuito dalla reazione della donna che avesse frainteso tutto. “- Pensi che io non ne abbia?!” Ribatté la Saramego, sentendo una lacrima correrle giù per la guancia, fissando lui che ne seguiva il percorso, afflitto. “- Tu sei sempre stata brava in queste cose, con i ragazzi te la cavi a meraviglia e… mettiti nei miei panni!” Esclamò l’uomo, asciugandole con un pollice quella goccia solitaria venuta giù dai suoi occhi, per poi riprendere il suo discorso con decisione: “- Io sono sempre stato solo al mondo, non so badare nemmeno a me stesso… ho paura ancora di essere un tutore pessimo, figurati come potrei essere un buon padre! Io… ti amo alla follia e già amo questo piccolino, ma sono andato in panico e ci sono ancora…! Dovrai aiutarmi tu ad essere un genitore all’altezza, io ho costantemente bisogno di te.” A quelle parole la bionda si addolcì e intese tutto quello che intendesse Pablo: era terrorizzato all’idea di avere un figlio ma non perché non ci tenesse a lei e al frutto del loro amore che portava in grembo, ma perché non si sentisse in grado di diventare papà: Pablo voleva lei al suo fianco per occupare come di dovere quel ruolo e l’avrebbe avuta, per sempre. “- Ho capito cosa intendi e… non riesco a darti torto…” Balbettò la donna, specchiandosi nei suoi occhi corvini e accarezzandogli piano il viso, teneramente. “- Anche io ho paura ma insieme riusciremo ad essere dei genitori non dico perfetti ma… sicuramente amorevoli…” Sorrise la bionda, afferrando una mano di lui e portandosela sul suo ventre piatto, vedendolo sorridere a sua volta, con gli occhi lucidi: seppure non l’avrebbe mai ammesso era ora persino emozionato, ne era sicura e la cosa le faceva un immenso piacere. “- Scusami se… ti ho fatto credere che non ci tenessi a te per le mie paure… io ti amo come non ho mai amato nessuno in vita mia e… voglio questo bambino, voglio una famiglia con te e… diamine, sei la cosa più bella che mi sia capitata, amore mio, e se mi prometti che mi sarai accanto, sento che ogni mio timore svanirà...” Pablo le sussurrò quella dichiarazione con un filo di voce, imbarazzato dalle sue stesse parole e lei sentì un’altra lacrima scenderle su una gota, quella volta per la gioia che le inondò l’anima a quelle parole tanto meravigliose dell’uomo della sua vita. “- Comincia ad abituarti che gli ormoni mi faranno piangere più del solito…” Singhiozzò la donna, prendendogli il volto tra le mani e schioccandogli un dolce bacio sulle labbra a cui lui prontamente ricambiò, stringendola poi a sé teneramente e accarezzandole la schiena con movimenti circolari per tranquillizzarla. “- Ammetti che è stato il mio essere tenero a farti piangere!” Esclamò lui, ridacchiando, sorprendendosi ancora al ricordo di quel discorso smielato che gli era venuto dal cuore, facendola persino commuovere. “- Ora dobbiamo parlare con i ragazzi… e poi capire come affrontare Casal…” Gli sussurrò preoccupata Angie, mordendosi nervosamente il labbro inferiore quasi a sangue. “- Tranquilla… ce la possiamo fare se resteremo insieme.” La rassicurò l’uomo, riappoggiandole una mano sulla pancia e fissandogliela, incredulo e tuttavia un po’ preoccupato, ma sicuramente felice. “- …E tu non temere, lì dentro… io e la mamma se stiamo uniti non temiamo nessuno, capito?” Disse poi chinandosi verso il ventre della Saramego che ridacchiò allegramente, dandogli un buffetto scherzoso dietro al collo, divertita. “- …Sperando che la mamma non sia sempre così manesca…” Ghignò Galindo, accarezzandosi la parte lesa dietro la nuca e dissimulando una smorfia di dolore. “- Ma se ti ho appena sfiorato!” Si lamentò lei, facendogli la linguaccia come una bambina. “- Andiamo che Vilu e Ambar saranno già tornate…” Cambiò discorso lui, mettendosi in piedi e tendendole la mano che lei prontamente afferrò, per accompagnarla al piano inferiore al suo fianco, avviandosi poi, entrambi, verso l’uscita dalla camera da letto. Il loro pensiero ora era per i nipoti della donna: come avrebbero reagito? Sarebbero riusciti ad accettare la loro storia e quel cuginetto in arrivo? La paura li avvolse e, ostentando una sicurezza che non avevano, vedendoli tutti e tre seduti sul divano sin dalla cima della gradinata, presero a scendere insieme, come, da quel momento, avrebbero dovuto fare ogni cosa per farsi forza a vicenda, ancor più di prima.
 
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Ciao a tutti! :)
Un ventisei con colpo di scena! Angie aspetta un bimbo! :3 Diego viene per fortuna calmato da Fran,  avendo ascoltato una conversazione scottante tra la Saramego e la Parodi ma alla fine pare capire l’amore che Pablo prova nei confronti della zia! :3 La scena finale… tjgtrjitoi tanto amore per i futuri genitori Pangiosi! :3 Pablo confessa le sue paure alla donna su quella gravidanza e... aw, che teneri! *___* Ed ora cosa accadrà?  Grazie davvero a coloro che seguono con la storia, siete gentilissimi! :3 Alla prossima, ciao! :) DulceVoz. :)

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Capitolo 27
*** Intuizioni e chiarimenti. ***


Intuizioni e chiarimenti. Cap.27.
 
“- Ragazzi, è arrivato il momento di parlare…” Angie, arrivando fianco a fianco con Pablo e stringendogli con forza una mano, esclamò quella frase fissando attentamente i tre nipoti: Diego teneva lo sguardo alto e fiero, senza però far intendere cosa provasse di preciso, Violetta sembrava perplessa e non le staccava gli occhi dal volto preoccupato, mentre Ambar, astutamente, osservava le dita della zia amorevolmente intrecciate a quelle di Galindo, ancora più convinta della sua tesi che quei due stessero insieme. “- Lo sapevo…!” Borbottò la piccola, sporgendosi verso il fratello che non si mosse di un centimetro, continuando a perdersi negli occhi della Saramego, smeraldo quanto i suoi. “- E’ successo qualcosa, zia? Sei un po’ pallida…” Commentò la secondogenita, fissando poi a sua volta, distrattamente, le mani della donna e di Pablo, ancora strettissime per infondersi coraggio a vicenda. Come mai si tenevano l’uno all’altra con tanto affetto? Si era forse persa qualcosa? Improvvisamente si ricordò di quella mattina di parecchio tempo prima, in cui Ambar aveva detto a lei e al fratello di aver visto i due baciarsi prima che loro entrassero in casa… potevano davvero stare insieme o Angie voleva solo sentirsi più sicura per chissà quale discorso da affrontare e per quello si teneva con così tanta forza all’uomo?
“- Sto… bene, credo. Ho solo avuto un calo di pressione, poco fa, ma mi sono ripresa.” Esclamò, andandosi a sedere vicino alla piccola di casa, mentre Galindo si accomodò sulla poltrona alla sua sinistra. “- Devo parlarvi perché… è arrivato il momento che voi sappiate tutta la verità su una questione che mi sta a cuore… nel vero senso del termine.” Iniziò la bionda, appoggiando un braccio su un bracciolo del sofà e sentendo la mano dell’uomo subito sfiorare la sua per farle coraggio, ancora una volta: aveva deciso che sarebbe stata lei ad iniziare il difficile dialogo con i ragazzi, in fondo era la zia, ma lui le era accanto e, nel caso non ci sarebbe riuscita, sarebbe intervenuto. “- Vi prego solo di non… interrompermi perché per me non è facile.” Aggiunse Angie, tesissima, mentre i tre, pendendo dalle sue labbra, annuirono seri. “- Io… voglio che sappiate che io e Pablo stiamo insieme, in segreto, da un po’ e… avevamo paura di dirvelo per timore delle vostre reazioni e non solo…” “- LO SAPEVO!” Gridò Ambar, venendo zittita con lo sguardo dalla sorella maggiore che prese ad accarezzarle piano la schiena per dare il tempo alla donna di continuare. “- …E’ complicato considerata la nostra situazione, l’affido, Casal che ci sconsigliò qualsiasi tipo di relazione e tutto il resto ma… ci amiamo e non abbiamo potuto resistere ancora, senza seguire il nostro cuore.” Spiegò la bionda, prendendo poi un profondo sospiro, cercando le parole giuste per continuare ma venendo interrotta da un’euforica Violetta: “- Per me avete fatto bene! Bisogna sempre seguire il proprio cuore contro tutto e tutti, e se pensate che stare insieme sia la cosa giusta da fare per essere felici, beh… io vi appoggerò, senza alcun dubbio.” Commentò con un bel sorriso dipinto sul volto ad indirizzo dei due i quali, ancora serissimi, parvero un po’ più rilassati a quelle incoraggianti parole, nonostante mancasse ancora un pezzo importante di quel racconto: la gravidanza della Saramego. Diego, intanto, a conoscenza di tutta la vicenda, ancora non aveva detto una parola e si limitava a fissare Angie e Pablo soltanto di tanto in tanto, stranamente tranquillo, il che faceva aumentare ancor di più il livello d’ansia nei fidanzati.
“- Il fatto è che… non finisce qui…” Continuò la donna, prendendosi a mordere nervosamente il labbro inferiore, mentre Galindo iniziò ad accarezzarle piano la schiena, sporgendosi poi verso i ragazzi. “- Vuoi che…?” “- No, tranquillo, posso farcela.” Sorrise la donna, interrompendo il moro che annuì, volendo andare in suo soccorso per affrontare il resto di quella conversazione così delicata. “- Zia, qualunque cosa sia, noi ti saremo vicini!” Ambar, inaspettatamente, saltò in piedi dal divano e le si avvicinò, prendendole una mano e sorridendole, per poi continuare con tono sicuro e fiero: “- …Tu sei stata sempre vicina a noi e anche Pablo quando tutto era tanto brutto… e ora noi faremo lo stesso con te… non vi abbandoneremo, mai.” A quelle parole tanto sagge provenienti da una voce tanto flebile e dolce di bambina, persino Diego dovette ammettere che riuscì, ancora una volta, a vedere la situazione sotto un altro punto di vista, uno ancora diverso da quello che Francesca gli aveva mostrato: Angie e Galindo li avevano aiutati, la zia più che mai, e se lei voleva stare con quel tipo l’avrebbe accettato anche per quello, una sorta di riconoscenza nei suoi confronti, e non era cosa da poco.
“- Piccolina, io dovevo starvi vicino, era il minimo che potessimo fare, seguendo anche il volere dei vostri genitori…” Esclamò la donna sussurrando quelle ultime parole con un filo di voce, sollevandola e facendola sedere sulle sue gambe con l’aria quasi commossa per quella sorta ringraziamento da parte di Ambar che si andava ad aggiungere al ricordo dei coniugi Castillo appena citati da lei stessa. ”- Siamo una famiglia e nelle famiglie nessuno viene abbandonato!” Sorrise la piccola con aria sicura, ricevendo per tutta risposta un bacio sulla guancia dalla bionda che ormai avvertì una calda lacrima scorrerle sulla guancia. “- Ambar ha ragione!” Esclamò la secondogenita, fissando poi Diego che, restando taciturno, si limitò ad annuire, dovendo riconoscere che le sorelle non avessero tutti i torti. “- E allora è il momento che sappiate una novità… la famiglia sta per allargarsi perché io… beh… sono incinta.” A quelle parole, Violetta scattò in piedi e si fermò a fissare i due fidanzati con gli occhi sgranati, dapprima sorpresa, poi, felicissima, gettandosi su di loro e stringendoli forte, schiacciando in parte la sorellina ancora seduta in braccio alla zia che si lamentò, tirandole per tutta risposta, una ciocca di capelli e facendole una linguaccia di dissenso. “- Oh caspita un cuginetto! Sono così… così felice! Perché ti preoccupavi tanto a dircelo? E’ una notizia splendida!” Trillò la più grande delle Castillo, ritornandosi a sedere e lanciando una rapida occhiata verso il fratello, rendendosi improvvisamente conto, con quello sguardo in direzione del maggiore, di uno dei fondamentali motivi per cui gli innamorati avessero tenuto il tutto segreto fino al momento in cui era diventato inevitabile nasconderlo, ovvero con quella gravidanza. “- Io lo sapevo già, ho sentito tutto a casa La Fontaine.” Sottolineò Diego, sentendosi sotto esame da parte della secondogenita che continuava a scrutarlo, attenta. La ragazza immaginò quale dovesse essere stata la sua prima reazione a quella scoperta e prontamente collegò la sua tranquillità del momento al fatto che avesse parlato con Francesca, altrimenti non ci sarebbe stata diversa spiegazione per tutta quella pacatezza. “- Da quando sei incinta?” Chiese ancora la ragazza, non vedendo l’ora di avere quel piccolino in casa. “- E’ pochissimo, io l’ho scoperto questa mattina, ci vorrà un bel po’ per farlo nascere…!” La lesse nel pensiero la bionda, un po’ sollevata al solo considerare che ci volesse del tempo prima di dare alla luce la sua creatura: aveva paura, tantissima, e,  per quanto la voglia di stringere tra le sue braccia quell’esserino la mandava in fibrillazione per la gioia, l’ansia del parto l’attanagliava sin da quando era venuta a conoscenza del fatto che aspettasse un bambino. “- Diego tu non dici nulla…?” Azzardò Angie, con sguardo preoccupato rivolto al maggiore dei tre che alzò le spalle indifferente. “- Lo accetto, in fondo è la tua vita… spero solo che sarai felice…” Sussurrò quasi lui, abbassando gli occhi e prendendosi a fissare le scarpe con improvviso interesse, per sfuggire a quelli indagatori della zia la quale, non osando aggiungere altro, fu felice di quelle parole, per quanto non avesse minimamente degnato di nominare Galindo nemmeno in quella frase, chiaro segnale che non fosse ancora del tutto convinto dell’uomo: realizzò che doveva dargli tempo e che doveva confidare nel fatto che, vedendo il moro così innamorato di lei, avesse capito da sé che Pablo non fosse male come credeva. “- E con Casal che farete?” Domandò il più grande dei Castillo: se mai il fotografo e la zia avessero litigato, come avrebbero fatto con l’affido? Loro che fine avrebbero fatto? “- Ci parleremo presto, tu sta’ tranquillo.” Sentenziò seria la Saramego, invitando poi tutti nella stanza accanto: era ora di preparare il pranzo, con quella mattinata così terribile non aveva ancora nulla di pronto e, mai come in quel momento, doveva mettersi in forze, per lei e, soprattutto, per la vita che cresceva nel suo grembo, la quale già occupava ogni parte della sua mente e del suo cuore.
 
 
“- Tra poco dovrebbe arrivare anche Libi, non vi dispiace, vero?” Quel pomeriggio ventoso, le prove nel garage di Leon erano tranquille, ma Andres spezzò il silenzio non appena finirono la prima esecuzione di “Amor en el aire”, vide gli altri accigliarsi confusi, tranne Seba che sapeva benissimo quanto le cose tra il fratello e la ragazza andassero a gonfie vele, mentre al resto del gruppo era stato accennato poco sulla vicenda. Il minore dei Calixto era molto riservato, ma il più grande, grazie anche soprattutto agli interrogatori di Camilla ad Andres, era riuscito a venire a sapere che il bassista e la sua innamorata avessero cominciato a frequentarsi e la cosa gli faceva davvero piacere: aveva sottovalutato il giovane… forse la sua goffaggine aveva una sorta di fascino incomprensibile, fatto stava che la cameriera del Restò Bar sembrava essere alquanto colpita da lui e dalla sua simpatia.
“- Nessun problema, tra poco arriveranno anche le nostre ragazze, tranquillo!” Sorrise Leon, facendo l’occhiolino al bruno che gongolò allegramente, mentre proprio in quell’istante, Camilla, Violetta e Francesca, facevano il loro ingresso nella sala prove, ognuna fissando il proprio ragazzo con aria sognante e un bel sorriso stampato sul volto. “- Permesso! Largo alla Supernova destinata a brillare! Anche al Festival di Madeira!” A quella voce, seguita dal ticchettare di un paio di elegantissime decolté fucsia, Ludmilla Ferro apparve all’entrata del garage e si fece spazio con foga tra le altre giovani, avendo sollevato completamente la saracinesca dall’esterno per fare il suo trionfale ingresso da star. “- E questa che ci fa qui?” Sbottò Camilla, venendo zittita con una mano sulla bocca da Seba che le corse incontro e le tappò la possibile fonte di danno con una mano: sapeva quanto fosse stato difficile convincere Federico a prender parte alla band tralasciando persino il particolare “Ludmilla irata” che gli aveva chiesto aiuto per la gara… quindi non potevano rovinare tutto proprio quando alla gara mancava pochissimo. “- Ciao, Ludmilla! Alla fine hai trovato il mio garage!” Sorrise Leon, cercando di apparire rilassato per placare quell’isterica biondina: quando lui e Seba erano stati a casa sua per invitare a far parte della band Federico aveva passato una mezz’ora d’inferno nonostante si fosse alquanto divertito per quei due soggetti comici… di conseguenza, ricordava troppo bene il carattere della giovane per rischiare di dire o fare qualcosa che potesse innervosirla, facendo perdere loro, in un colpo solo, anche Bianchi dal gruppo. “- Salvador mi aveva dato l’indirizzo e il mio autista non ci ha messo troppo a trovare casa tua!” Trillò la ragazza riferendosi a Seba con quell’erroneo nome, facendo ruotare gli occhi al cielo al giovane La Fontaine e ridacchiare di gusto Diego, sotto lo sguardo sconvolto delle ragazze, rimaste attaccate ad una parete, immobili e scioccate. Tutti a scuola conoscevano la Ferro, meno Francesca, ma qualcosa sulla fidanzata di Federico era arrivato anche alle sue orecchie. “- Sebastian!” La corresse il ragazzo di Camilla con un sorriso tirato, andando di nuovo a sedersi dietro alla batteria. “- Perdonatemi, anche se parteciperà da solista alla gara, non vi dispiace che l’abbia invitata, vero?” Domandò l’italiano. posizionando degli spartiti sul leggio della tastiera. “- No, figurati! Avevamo deciso che oggi avremmo provato con le nostre ragazze e lei è la tua… quindi nessun problema!” Esclamò Leon, vedendolo annuire per poi rivolgere un languido sguardo alla bionda che prese posto un po’ disgustata su degli scatoloni, venendo imitata prontamente da Violetta, Camilla e Francesca che invece continuarono a parlottare tra loro. “- Il trono non ce l’avevamo, peccato…” Sussurrò la Torres all’orecchio della Castillo che dovette soffocare con molte difficoltà una risata, beccandosi comunque un’occhiataccia da Ludmilla che dovette intuire qualcosa ma che, comunque, se ne restò zitta. “- Scusatemi per il ritardo, ho dovuto chiedere un’ora di permesso al Restò Bar ma ce l’ho fatta!” Libi, tutta trafelata e con il fiatone, fu l’ultima delle ragazze a fare il suo ingresso nel garage, appoggiandosi al muro con un braccio tentando di riprendere fiato, mentre Andres si illuminò a quella visione: la bruna aveva i capelli alti in una coda spettinata, portava ancora addosso la maglietta blu con il marchio del locale per cui lavorava ma a lui parve comunque una sorta di apparizione celestiale. “- Ciao, è un piacere che sia venuta!” Esclamò il padrone di casa, facendole cenno di accomodarsi accanto alle altre, cosicché loro potessero cominciare a fare ascoltare il brano per la gara. “- Pronti?” Chiese poi Leon, quando anche l’ultima delle loro dolci metà si fu accomodata, capitando accanto alla Ferro. “- Aspetta… ho un pezzo, è finito… lo sto componendo da un bel po’ e… vorrei sapere cosa ve ne sembrerebbe come secondo brano per la gara…” Ad interrompere Leon fu Diego che, fissando prima Francesca, e poi un foglio  stropicciato che aveva appena estratto dalla tasca, esclamò quella frase con decisione: la sera prima aveva finito quel brano e doveva ammettere che gli piacesse parecchio, soprattutto perché ad ispirarlo era stata la sua storia con Francesca… per quale motivo, quindi. non farlo ascoltare anche agli altri membri del gruppo?
“- Perfetto, ora la passo al pc e stampo altre copie, ok?” Chiese La Fontaine, afferrando il foglio pentagrammato che Castillo gli aveva mostrato e andando subito verso una piccola scrivania sulla quale c’era il suo portatile. “- Ne avete ancora per molto? Ho un appuntamento dal parrucchiere!” Sbottò Ludmilla venendo ignorata da tutti, mentre Leon armeggiava dietro al pc e accendeva una stampante alquanto rumorosa e malridotta. “- Come si chiama la canzone?” Domandò timidamente la La Fontaine, fissando intensamente il giovane che, con un mezzo sorriso, sussurrò: “- Ser quien soy.” Facendole poi l’occhiolino e notando quanto stesse arrossendo: adorava vederla intimidirsi, riusciva, se possibile, ad essere ancora più bella.
Quando tutti i membri della band ebbero il loro spartito, la canzone iniziò e a prendere il posto di cantante nel gruppo per quell’esibizione fu Castillo, mentre Leon prese a suonare la chitarra elettrica dell’amico. I due si invertirono di posto solo per quel brano e fu comunque un successo: le ragazze, quando terminarono, cominciarono ad applaudire come forsennate e persino la Ferro dovette riconoscere la bellezza di quella canzone. “- Devo dire che se suonate così bene avrò dei degni sfidanti…!” Iniziò con tono preoccupato, per poi accavallare una gamba, fingendosi noncurante riguardo alla vicenda: “- In ogni caso soccomberete al mio talento!” sentenziò, seria. “- E ti pareva…” Borbottò Camilla, beccandosi una smorfia di dissenso dall’altra. “- Ludmi, amore! Un po’ di rispetto per il tuo eccellentissimo pianista!” Sbottò Federico, segnando su quei pentagrammi qualche correzione a matita in modo da essere ancora più impeccabile. “- Eh bravo, Dieguito! Se arriviamo alla seconda fase credo che questa canzone sia perfetta per portarci direttamente alla vittoria!” Sorrise Seba, alzandosi per andare a dargli una pacca sulla spalla di approvazione. “- Io però vorrei comunque che la cantasse Leon… è il nostro front man, il cantante… però poi voglio i crediti per averla scritta!” Ghignò Castillo in direzione dell’amico che rimase perplesso. “- Sei sicuro? E’ il tuo brano e…” Gli chiese, senza nemmeno riuscire a finire la frase, venendo immediatamente bloccato dall’altro: “- L’ho scritta grazie ad una persona speciale… e spero solo che lei l’abbia apprezzata, per il resto sono felice di cedertela, per il bene della band!” Esclamò Diego, osservando intensamente la La Fontaine che abbassò lo sguardo imbarazzata, venendo fissata poi anche da tutti gli altri con attenzione. “- Ok… e comunque il fatto che la canti io non significa che tu la perderai… sarà un po’ di tutti, come “Amor en el aire”, d’accordo squadra?”. Tutti gli altri ragazzi con entusiasmo si mostrarono favorevoli a quella frase del loro leader ed esultarono felici, facendo un bel po’ di confusione. “- Squadra? Fede tu stai con un gruppo che nemmeno ha un nome? Patetici!” Sbottò d’un tratto Ludmilla, storcendo il naso ignara di aver fatto un’osservazione valida, tanto che Leon e Diego si scambiarono un’eloquente occhiata… come avevano potuto tralasciare quell’importante dettaglio? Per iscriversi al concorso dovevano avere un nome… ma quale? “- Ludmilla ha ragione!” Convenne il fidanzato di Violetta, perdendosi a fissare tutti gli altri. “- Sul fatto che siamo patetici?” Sgranò gli occhi Andres, sconvolto dalla sua errata intuizione e anche dispiaciuto. “- Ma no! Che dici! Sul fatto che non abbiamo pensato a come chiamare la band!” Sentenziò Diego, vedendo annuire anche la sorella, Francesca e la Torres, quest’ultima un po’ piccata del fatto che lei non avesse pensato ad un dettaglio così fondamentale. “- Dovete pensarci in fretta, il concorso pare lontano ma non lo è poi così tanto!” Esclamò Violetta, mentre Leon prendeva posto accanto a lei, pensieroso, circondandole dolcemente le spalle con un braccio. “- Che ne dite de ‘I Bianchi&boyband’?” Propose Federico, facendo storcere il naso a Castillo e alla voce della gruppo, mentre Seba tentò di contraddirlo meno drasticamente di come avrebbero fatto gli altri due, “- Direi che è un po’… riduttivo, siamo un gruppo di 5 persone e…” “- Stavo scherzando, Calixto senior!” Ridacchiò l’italiano, facendogli l’occhiolino divertito. e osservando l’espressione del giovane rilassarsi di colpo. “- Ce l’ho! “All for one”! Che ve ne pare?” Esclamò incredibilmente Andres, dopo un abbondante minuto di silenzio, avendo avuto una delle sue rare idee geniali, lasciando stupiti tutti gli altri. “- Sapete che non è niente male?” Sorrise Libi, ad indirizzo del giovane innamorato che ricambiò dolcemente al sorriso. “- Mi piace! E’ carinissimo!” Esclamò un’euforica Castillo, facendo annuire anche la Torres. “- Ah, il mio cognatino eccezionale!” “- Peccato che non l’abbia pensato tu, eh tesoruccio?” La prese in giro il suo ragazzo da dietro alla batteria, mentre la ragazza, offesa, afferrò la cosa più vicina a lei, ovvero una lattina vuota lasciata lì da Leon e gliela lanciò, stizzita, facendogli poi una linguaccia quando notò che il giovane avesse evitato di prenderla in piena fronte per un rapido movimento del capo. Gli altri, sconvolti ma non potendo fare a meno di ridere, persino Ludmilla, si lasciarono travolgere dall’ilarità del momento e le prove, in quell’aria d’allegria, continuarono: tutta quell’atmosfera festosa avrebbe solo caricato di più il gruppo e la loro fame di vittoria.
 
 
“- Si puo’ sapere perché mi hai fatto venire qui prima? Non mi pare che la casa andasse a fuoco come avevi detto!” Marcela, non appena individuò Matias sul portico, lo avvicinò furiosa, ad ampie falcate, squadrandolo poi dalla testa ai piedi, rimanendo scioccata da ciò che vide: l’uomo era elegantissimo in un abito scuro con tanto di cravatta e le sorrideva con un fastidioso ghigno sul volto, mentre, dopo alcuni istanti, si affrettò con un piede ad aprire la porta e le porse il braccio, lasciandola di stucco per cotanta faccia tosta. “- Non ci credo! Tu mi hai fatto correre qui con un motivo così grave ma fasullo? Io ti ammazzo, La Fontaine!” Sbottò furiosa la Parodi, spostandolo di lato e varcando la soglia prima di lui, dirigendosi verso il salotto e stupendosi che tutte le luci fossero spente, mentre l’uomo la seguiva in silenzio e soddisfatto, seppur un po’ preoccupato dell’ira della moglie, mai da sottovalutare. “- Hai idea del panico in cui mi hai messa? Ho corso come una folle per arrivare qui pensando di trovare il camion dei pompieri fuori e… cosa è successo qui dentro? Dove sono i ragazzi?” Chiese, continuando a guardarsi intorno nel buio, avendo prontamente l’idea di farsi luce con il cellulare che teneva già in mano. “- E questa puzza di cera?” Domandò poi, mentre Matias continuava a starle dietro, senza dire una parola ma ridacchiando di rimando, irritandola ancora di più. “- …O accendi una lampada o mi metto a urlare! E smettila di fissarmi senza aprir bocca che non è da te e mi stai innervosendo abbastanza!” Esclamò la donna, arrivando finalmente sotto la soglia della cucina, rimanendo a bocca aperta e immobile, riuscendo, finalmente, a zittirsi di colpo: il tavolo era imbandito per due, c’erano candelabri alti con candele bianche accese e un vaso di fiori del medesimo colore al centro tra i due posti. Una cenetta romantica? E pensava davvero così di estorcerle un perdono dopo quella mancanza di fiducia dimostratale? “- Ecco perché sei vestito come un pinguino…” Si placò la bruna, squadrandolo ancora dalla testa ai piedi e tentando di mantenere il controllo, rendendosi conto solo in quel momento di aver esagerato… certo che anche lui! Poteva inventare una scusa meno grave, facendole prendere quasi un colpo! “- Però sono un pinguino affascinante, ammettilo, tesoro…” Le soffiò ad un orecchio improvvisamente, facendola sobbalzare e spostandole una sedia, come per invitarla a sedersi, cosa che la donna fece con titubanza, restando prima a fissarlo, colpita, e poi accettando di accomodarsi, seguendolo con lo sguardo andare a prendere posto di fronte a lei. “- Hai… cucinato tutta quella roba, da solo?” Gli chiese ancora Marcela, osservando il bancone della cucina ricco di pietanze nascoste da coperchi che dovevano essere la fonte dell’espandersi, per tutta la stanza, di quel profumo succulento che si respirava nell’aria. “- Allora, proverò a rispondere a tutte le tue domande in ordine, vediamo se le ricordo…” Ghignò Matias con aria furba, sporgendosi verso di lei che si finse ancora offesa. “- Ho dovuto inventare quella scusa perché sono settimane che mi odi e mai saresti venuta a casa prima, sapendo che io ti volessi parlare e credimi, mi dispiace averti spaventata…” “- Se solo me lo avessi detto, io…” “- Fammi finire…” La interruppe l’uomo, vedendola annuire. “- I ragazzi sono dai vicini e ci resteranno almeno fino a mezzanotte, perché ceneranno con Pablo e Angie… e la puzza di cera erano le candele.” Concluse con tono ovvio, indicandole per poi alzarsi e andare a prendere l’antipasto, stupendosi del fatto che la donna se ne fosse rimasta in silenzio dopo quelle spiegazioni. “- Voilà, madmoiselle…” Sentenziò, servendole un piatto coloratissimo e profumato, per poi risedersi e vedendola scuotere il capo. “Casomai Madame, saremmo sposati, in teoria…” Gli ricordò, incrociando le braccia al petto con la chiara intenzione di affrontarlo, subito: le aveva detto che volesse parlarle, e allora cosa stava aspettando? Era proprio curiosa di sapere cosa avesse da dirle! “- Ma davvero? E pensi che io non ricordi il giorno più bello della mia vita? Molto male, ispettore!” La schernì il biondo, facendole ruotare gli occhi al cielo, stizzita. “- Perché hai organizzato questo, per fare lo spiritoso o sperando che, furiosa con te, ti avrei lasciato la doppia porzione di tutto per andarmene a letto?” Gli chiese seria, vendendolo ingoiare l’ennesimo boccone, fingendosi rilassato: in realtà era nervosissimo, sapeva che aveva preparato quella cena per chiarire con lei ma non era semplice, si era comportato da idiota come al solito eppure, per salvare il rapporto con la donna che tanto amava, sarebbe stato disposto a qualunque cosa, anche un discorso per farsi perdonare, cosa in cui di certo non era un asso. “- No, l’ho fatto perché non voglio perderti…” Disse con un filo di voce, vedendola accigliarsi sorpresa, per poi continuare: “- Ho sempre fatto tutto male, ma sta volta so di avere esagerato: Nicolás non se lo meritava, ma soprattutto tu non ti meritavi quella mancanza di fiducia. Ho sbagliato, Marcela, ma avevo paura anche in quel caso di perderti…” “- Matias…” Provò ad interromperlo lei, scuotendo il capo, ma lui le fece cenno di lasciarlo proseguire. “- Io non sono perfetto, non sono ricco, non sono potente come lui… non posso permettermi di farti regali costosi o di portarti in vacanza come vorrei, come meriteresti… e non avrei mai potuto competere con Galán. So che nei tuoi confronti sono stato un mostro a pensare una cosa del genere ma l’ho fatto guidato dal terrore di non averti più mia, al mio fianco per rendermi migliore come solo tu riesci a fare… perdonami.” Aveva detto quelle parole quasi tutte d’un fiato, come se le avesse preparate da troppo tempo e aspettasse solo l’occasione perfetta per riferirgliele, e la donna non poté fare a meno di sorridere amaramente, appoggiando, tremante, una mano su quella dell’uomo, che teneva il braccio disteso lungo il tavolo. “- Ma io non voglio un uomo perfetto e con un conto in banca come quello di Nicolás… io voglio te, Mati e non hai niente da temere!” Gli sussurrò dolcemente, per poi continuare: “- …Non me ne frega niente di tutto quello che è gioielli o… o viaggi chissà dove! Io ho sempre voluto te per quello che sei, per quella marea di difetti che ti caratterizzano e che io adoro, e non ho mai desiderato di meglio, perché ti amo… e l’ho sempre fatto, anche mettendomi contro chi non ha mai creduto in noi due, soprattutto all’inizio…” A quelle parole, la donna smise di specchiarsi negli occhi azzurri di lui e prese un profondo sospiro, abbassando lo sguardo: Matias sapeva bene a chi si fosse riferita con quel commento, al signor Raimundo Parodi, suo padre, il quale non aveva mai visto di buon grado La Fontaine e sognava un futuro migliore per la sua unica figlia, il che non contemplava di certo rimanere incinta così giovane con un commesso di un supermercato con piccoli precedenti penali. Quante volte aveva tentato la donna, insieme a sua madre, di farlo ragionare? Quante, all’inizio della sua storia con il biondo, il genitore l’aveva cacciata di casa con quello che reputava un moccioso che mai si sarebbe preso le sue responsabilità? I due, restando uniti, avevano passato anni d’inferno e le cose si erano appianate un po’ solo quando i gemelli avevano compiuto 5 anni e Raimundo si era degnato, sotto insistenza della madre della poliziotta. di andare a conoscere i due bambini che, fino ad allora, nemmeno pensavano di avere un nonno.
“- Proprio per questo non possiamo allontanarci! Marcy, noi ne abbiamo passate di tutti i colori e… e le abbiamo sempre superate, insieme. Questa deve essere la nostra serata, non voglio che ti rattristi per… per cose del passato che, nel passato, devono restare.” Le sussurrò l’uomo, serio, posando finalmente la forchetta, mettendosi in piedi e aggirando il tavolo, prendendole una mano e facendola alzare a sua volta, per poi specchiarsi nei grandi occhi azzurri della donna e sorridendole dolcemente. “- Ti amo da impazzire…” Le sussurrò poi, accostando la sua fronte a quella di lei che prese ad accarezzargli una guancia teneramente. “- Ti amo anch’io, tantissimo…” Mormorò, per poi accorciare le distanze e sfiorargli le labbra in un bacio, che divenne subito più appassionato quando il biondo l’attirò a sé per i fianchi e approfondì quel gesto: gli era mancata, sua moglie gli era mancata troppo, il terrore di perderla l’aveva divorato e ora, in quel preciso istante, voleva dimostrarle quanto l’amasse, quanto l’avesse sentita lontana, quanto avesse sofferto senza di lei… il tutto a causa della sua stupidità. Come aveva potuto mancarle di fiducia in quel modo? Era un cretino e ne era consapevole così, quando si staccò da lei, perdendosi ancora nei suoi occhi, glielo fece notare. “- Sono un idiota, scusami…” Soffiò, ancora ad un centimetro dalla sua bocca e con il fiato corto per quel bacio così travolgente. “- Lo so.” Commentò lei seria, per poi scoppiare a ridere, divertita, gettandogli le braccia al collo, felice di aver ritrovato il suo amato “idiota”. “- Però mi sei mancato…” Esclamò la donna, appoggiando il volto sulla sua spalla. “- Anche tu, amore mio… ma ora non ci perderemo mai più, te lo prometto.” Le soffiò l’uomo all’orecchio, rafforzando la stretta di quell’abbraccio intorno a lei come se, con quel gesto, volesse farle comprendere ancor di più quanto, da quel momento, le avrebbe prestato più attenzione e l’avrebbe protetta, non dubitando mai più dell’unica donna che avesse mai amato.
 
 
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Ciao! :) Allora, allora… I ragazzi vengono a sapere dei Pangie e del/della bimbo/a in arrivo, e tutti più o meno accettano la situazione, seppur Diego ancora non abbia avuto un vero e proprio chiarimento con Pablito, ma anche quello arriverà… ;) Scena centrale con la band che sceglie il nome “All For You” e abbiamo dolci momenti con i membri del gruppo e le proprie ragazze… :3 Il finale è Maticela, che finalmente fanno pace, aw! :3 Alla prossima e grazie a tutti coloro che recensiscono, seguono o leggono la storia! :3 Ciao! :) DulceVoz. :)

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Capitolo 28
*** Doni preziosi. ***


Doni preziosi. Cap.28.
 
Francesca se ne stava seduta sotto la grande quercia del giardino di casa Castillo e Diego, accanto a lei, strimpellava “Ser Quien Soy”  alla chitarra, mentre la ragazza leggeva un romanzo d’amore, genere che adorava. “- Vincerete di sicuro…” Sorrise la La Fontaine, senza nemmeno alzare gli occhi dalle pagine, anzi, immergendosi ancor di più in quel volume, accoccolandosi meglio con le spalle vicino al possente tronco dell’albero. Era una fresca domenica mattina e i due, dopo una lunga passeggiata per il parco, erano rimasti lì a tenersi compagnia, mentre i rispettivi fratelli erano ancora entrambi a poltrire. “- Riesci davvero a concentrarti mentre suono?” Le chiese confuso il moro, vedendola annuire, finalmente chiudendo quel tomo e mettendovi tra le pagine un segnalibro colorato. “- Certo! Non devo mica concentrarmi per leggere?! E poi questa canzone mi rilassa, mi piace troppo!” Esclamò, sorridendogli dolcemente, la ragazza, mentre lui metteva via lo strumento e le permise così di appoggiare la testa sul suo petto. Diego, rimanendo in silenzio, prese ad accarezzarle un braccio e delicatamente, le depositò un bacio tra i capelli, restandosene tuttavia, ancora zitto. Quel giorno Pablo e Angie erano andati a parlare con Gregorio Casal e doveva ammettere che la sua ansia era incredibile… e se l’assistente sociale non fosse stato d’accordo a quella storia? E se gli avesse tolto l’affido suo e delle sorelle, reputandoli due irresponsabili? In fondo, l’uomo non aveva mai fatto segreto di non volere che Galindo stesse con sua zia, a detta della stessa… ma ora che c’era in gioco una creatura che cresceva nel ventre della Saramego cosa sarebbe cambiato? Per quanto riguardava lui, aveva accettato la relazione tra i due, da una parte grazie al fatto che, sul momento, fosse stato placato dalle parole della sua Fran, dall’altra perché, in effetti, come aveva capito persino Ambar, doveva essere riconoscente alla sorella di sua madre e non darle contro: era la sua vita, se l’era sacrificata per lui e le sue sorelle e non poteva continuare a infastidirla. “- A cosa pensi?” Quasi facendolo sobbalzare dalle sue riflessioni, Francesca sollevò il viso e si specchiò nei suoi occhi verdi, illuminati da una strana vena di perplessità. “- A troppe cose…” Si limitò a rispondere il giovane, dandole un leggero bacio sul naso che la fece sorridere ma non di certo desistere dal sapere cosa frullasse in testa al suo fidanzato. “- E’ ancora per il fotografo e la bella pasticciera, eh?” Lo canzonò la giovane, facendolo tuttavia ghignare. “- Che coppia…” Sibilò lui, ancora palesemente infastidito dalla cosa, nonostante tutto. “- Dai, non fare quella faccia! Pensa piuttosto a quando nascerà un pestifero cuginetto!” Lo spaventò volutamente la ragazza, vedendolo assumere un’espressione corrucciata. “- Ci sono passato con Ambar, di quando è nata Vilu non posso ricordarmi, abbiamo quasi la stessa età… ma con la piccoletta non è stata una bella esperienza! I mocciosi strillano, piangono di continuo e sono rompiscatole.” Sentenziò, incrociando le braccia al petto, nel momento in cui lei si mise di nuovo seduta con la schiena contro il tronco, ridacchiando a quelle parole. “- Però poi diventano adorabili come la tua sorellina…” Gli ricordò quasi la bruna, facendolo annuire, convinto. “- Non è per questo che stai così, però…” Sussurrò la giovane, poggiandogli una mano sulla spalla, fissandolo attentamente: capiva troppo bene Diego, per quanto lo conoscesse da non tantissimo tempo per lei era un libro aperto. “- In questo momento i piccioncini stanno parlando con l’assistente sociale, raccontandogli cosa hanno combinato, e sono preoccupato… speriamo vada tutto bene.” Disse sinceramente il giovane, vedendo annuire la La Fontaine che subito lo tranquillizzò: “- Vedrai che sarà così. Ottimismo, Dieguito!” Sentenziò, tirandogli un piccolo buffetto dietro al collo e facendolo sorridere. “- Per questo ti amo…” Le sussurrò il moro, ad un centimetro dalla sua bocca, vedendola socchiudere gli occhi per bearsi di quel momento così incantato. “- Perché sono manesca?” Lo prese in giro lei, soffiando quelle parole sulle labbra del fidanzato. “- Anche…” Scherzò lui. “- …Però soprattutto perché mi capisci e calmi come nessun altro.” Le mormorò, per poi far combaciare le loro labbra, prima delicatamente, poi, rimasto senza fiato, appoggiandosi alla sua fronte, leggendo nei suoi occhi il desiderio di un secondo bacio, più appassionato ma altrettanto dolce. Quando si staccarono, sentirono dei passi avanzare verso di loro e un imbarazzatissimo Pablo gli sorrise a disagio, per poi fissare Diego. “- Mi dispiace disturbarvi, però… posso parlarti un secondo?” Gli disse il moro, mentre lui lanciò una rapida occhiata a Francesca che annuì e si mise in piedi, scuotendo la sua gonna da alcuni fastidiosi fili d’erba, e sorpassando l’uomo che la salutò con un cenno del capo. “- E’ una questione lunga? Perché io dovrei provare il brano per la gara e non ho molto tempo da perdere.” Sbottò un po’ infastidito il giovane, mentre Galindo si accomodava accanto a lui, dove fino a qualche istante prima era seduta la ragazza, annuendo. “- Sì ma non troppo… ti ruberò solo qualche minuto.” Disse serio l’altro, vedendolo asserire. “- Com’è andata con Casal?” Gli chiese il ragazzo, prima che il fotografo potesse dire qualunque altra cosa. “- Bene… cioè, non proprio… inizialmente, dopo aver saputo tutto, ha cominciato a gridarci contro come un forsennato… che scena! Avresti dovuto vederlo…” Ridacchiò tra sé, lanciando uno sguardo al giovane che rimase immobile e freddo, cosa che lo spinse a continuare il suo discorso, schiarendosi la voce e tornando serio. “- …Poi però ha capito che io e tua zia ci amiamo e… lo ha accettato, dopo averci rimproverato dicendoci che lui ci aveva anche avvertito di non far danni… e invece…” Sospirò, mentre il giovane rimase ancora in silenzio. “- Per te questo bambino è un danno, quindi?” Strepitò stizzito il ragazzo improvvisamente, dopo aver riflettuto alcuni secondi, esplodendo poi in quella frase. Galindo sbuffò, appoggiandosi con la testa vicino al tronco dell’albero, socchiudendo gli occhi, serio: “- Perché devi sempre fraintendere ogni parola che dico, Diego?” Gli chiese con calma, senza nemmeno guardarlo ma tenendo quella posizione rilassata, per quanto dentro fosse nervosissimo: era chiaro che il ragazzo ancora lo sopportasse poco e gli dispiaceva. “- Perché tu dici solo cavolate, forse?” Ironizzò Castillo, con una voce sarcastica che fece di nuovo sgranare gli occhi all’uomo, portandolo automaticamente a fissare il ragazzo. “- Puo’ darsi…” Si limitò a sussurrare, sistemandosi meglio a sedere e voltandosi verso di lui. “- …Però ho sempre la sensazione che tu mi giudichi anche quando non dico nulla… perché ce l’hai con me così tanto?” Gli chiese a bruciapelo l’uomo, studiando con attenzione i suoi occhi verdi nei quali saettò la certezza che quella domanda lo avesse spiazzato. Perché? “- Voglio il meglio per mia zia e so benissimo che tipo eri prima di avere questa improvvisa redenzione… che mi auguro per il tuo bene che duri…” Sbottò il giovane sinceramente, incrociando le braccia al petto e senza perdere il contatto visivo con il suo interlocutore, in modo da fargli comprendere bene con chi avesse a che fare. “- Io non ti dico di essere il meglio…” Iniziò l’amico di German, alzando le spalle in segno di umiltà: sapeva di avere una marea di difetti e di non essere perfetto quindi perché nasconderlo? “- …Però so per certo che amo tua zia da morire e voglio con tutto il cuore questo bambino… non la farei mai soffrire, puoi stare tranquillo, né abbandonerei mai lei o voi.” Gli disse lui, vedendolo annuire, finalmente più convinto dal tono sincero dell’uomo. Galindo, all’improvviso, afferrò la chitarra accanto al giovane, sorpassandolo, per poi riaccomodarsi all’ombra della quercia, sotto lo sguardo stupito di Diego che lo fissava senza perderlo di vista nemmeno un attimo. “- Bel modello…” Sussurrò quasi tra sé e sé, imbracciando lo strumento e iniziando a strimpellare una melodia romantica, sotto lo sguardo interessato del giovane che ignorava il fatto che l’uomo sapesse come si suonasse lo strumento. “- Non immaginavo che sapessi come si tiene in mano una chitarra…” Rise il ragazzo, guardandolo poi di sottecchi, fingendosi disinteressato dalla sua stessa affermazione. “- Ho suonato in un gruppo rock per qualche mese da giovane… beh, avevamo un cantante pessimo, io ero il migliore…” Sorrise astutamente il fotografo, sentendo sghignazzare il ragazzo. “- Sì, ovvio…” Lo schernì l’altro, per poi restare in silenzio. “- Una volta tuo padre venne a sentirmi in un locale con il quale avevo un ingaggio… e disse che mai e poi mai ci avrebbe rimesso piede lì dentro! Troppo fumo e alcool giravano tra i tavoli per i suoi gusti!” Iniziò a raccontare istintivamente l’uomo, nemmeno accorgendosi di quanto fosse improvvisamente preso da quell’aneddoto il Castillo. “- …Pensa, mi spinse lui a lasciare quel postaccio e la band, per il mio bene, diceva… e forse aveva ragione.” Spiegò Galindo, posando la chitarra e appoggiandola sull’erba dal suo lato, per poi prendere un profondo respiro. “- Ti potevi mettere nei guai anche tu con quell’ambiente, era ovvio che, se ti voleva bene, ti avesse allontanato da lì.” Concluse Diego, vedendolo annuire. “- Già… me ne voleva. E io a lui, tanto.” Sussurrò, afferrando un ciondolo e stringendolo tra due dita, senza poter far sì che il ragazzo lo vedesse: dopo qualche secondo, armeggiò alla cieca dietro al suo collo e si slacciò la catenina in caucciù dal quale pendeva una piccolissima ancora d’acciaio. “- Tieni…” Gli disse, depositandogli la catenina in una mano e lasciandolo sbigottito. “- Perché?” Gli chiese il bruno, girandosi tra le dita quel pendente e osservandolo: sembrava antico ma gli piaceva, era… forte, originale. Ma per quale motivo l’uomo glielo voleva donare? “- Me l’ha regalata tuo padre ad un compleanno, non ricordo quale di preciso… lui amava il mare, per questo ho sempre pensato che scelse proprio quel simbolo anche se fosse destinato a me…” Sorrise amaramente Pablo, vendendolo ancora fisso a osservare quel ciondolo, attento. “- …Sono sicuro che ti porterà fortuna… magari per il concorso, chissà…” Ammiccò il fotografo, mentre notò che il giovane se la stesse subito mettendo. “- …Non ho secondi fini o te la sto regalando perché così mi accetterai più facilmente… non pensare male, voglio solo che quella collana ti appartenga. Punto.” Si affrettò a spiegargli Galindo quando, inaspettatamente, accadde ciò che mai avrebbe immaginato: il ragazzo, senza pensarci troppo, lo abbracciò di slancio e con presa salda, singhiozzando dopo qualche secondo di titubanza. “- Perdonami…” Gli sussurrò, sentendo delle lacrime rigargli le guance a frotte, piangendo con sempre più foga. “- E di cosa ti devo perdonare?” Gli disse l’uomo, dandogli, un po’ in imbarazzo, qualche pacca sulle spalle, stretto a lui. “- Di tutto! Sono stato un mostro con te, ho esagerato. Scusami, davvero…” Mormorò ancora il Castillo, asciugandosi gli occhi con i palmi delle mani e sciogliendo quella stretta così inaspettata. “- …Ti ho sempre giudicato male, invece dovevo pensare che se mio padre ti adorasse di certo lui non avrebbe mai sbagliato, se ti avesse affidato noi, la cosa più preziosa che aveva… beh, non poteva essere in errore.” Il giovane prese a parlare rapidamente, ancora sussultando tra le lacrime, seguito dallo sguardo intenerito dell’altro. “- Anch’io all’inizio non sono stato il prototipo di bravo tutore… e ancora non lo sono ora… ma mi impegnerò, te lo prometto.” Gli sorrise rassicurante Pablo posandogli una mano sul braccio, osservandolo annuire con lo sguardo basso, sicuramente imbarazzato dalla sua stessa reazione così forte di fronte all’uomo. “- …E mi impegnerò anche a fare il bravo papà con il figlio che nascerà… sarà difficile, certo… ma spero di riuscirci…” Si preoccupò il fidanzato di Angie. “- Sì, ma se hai superato me e i miei… ‘capricci’… puoi superare qualunque cosa…” Rise amaramente il giovane, facendolo annuire. “- E tu ti farai perdonare, aiutandomi?” Gli chiese dolcemente il più grande, vedendolo annuire, più sereno. “- Te lo prometto, Pablo. Te lo prometto.” Concluse, sorridendogli e riabbracciandolo, più sereno nell’aver chiarito con l’amico di suo padre… con quello che, da quel momento, avrebbe considerato, a tutti gli effetti, suo zio.
 
 
Galindo era sul sofà, intento a guardare una partita, quando la Saramego gli si avvicinò e si sedette accanto a lui, seria. Dalla finestra, quella mattina, lo aveva visto parlare con suo nipote ed aveva una certa ansia: che qualcosa fosse andato storto? Non lo sapeva, era rimasta solo pochi secondi a fissarli, il tempo di vederli chiacchierare e poi si era allontanata, cercando di vincere la sua inguaribile curiosità… non sarebbe stato corretto nei confronti dei due continuare a spiarli… eppure ora moriva dalla voglia di sapere come fosse andata la loro conversazione. Pablo, sentendo quello strano silenzio, distolse gli occhi dal match e li posò su di lei che sorrise istintivamente, nonostante tutto, a disagio. “- C’è qualcosa che vuoi chiedermi?” Intuì al volo l’uomo, attirandola a sé e facendole appoggiare il capo sul suo petto. “- No…” Mentì lei, convinta che lui capisse cosa volesse domandargli da sé, magari raccontandole che avesse parlato, a sorpresa, con il maggiore dei Castillo… e, infatti, così fu. “- Quando siamo tornati da Casal ho parlato con Diego.” Iniziò il fotografo infatti, vedendola sollevare il capo e specchiarsi, preoccupata, nei suoi occhi corvini, tranquilli, a differenza dei suoi che dovevano esprimere un enorme nervosismo. “- E come è andata?” Gli chiese, mordendosi nervosamente il labbro inferiore, mentre lui la strinse ancor più a sé, accarezzandole dolcemente la schiena per calmarla. “- Bene. Ho ancora il naso tutto intero e… ha sofferto, Angie. Quel ragazzo ha sofferto tanto e… voglio che sia felice, se lo merita.” Concluse, tenendosi sul vago l’uomo e ironizzando sul fatto che il giovane non avesse di nuovo tentato di rompergli il setto nasale. “- Lo voglio anch’io, credimi. Vorrei che tutti e tre fossero finalmente felici dopo quello che hanno passato.” Sussurrò piano la donna, riappoggiandosi con il capo sul petto di Galindo che le depositò un bacio tra la chioma dorata, ispirando a pieni polmoni quel profumo di vaniglia che tanto amava proveniente da essa. “- Ce la faremo, vedrai.” Mormorò l’uomo, spegnendo il televisore con noncuranza e poggiando delicatamente una mano sul ventre della donna che risollevò il volto, sorridendogli. “- E questo piccoletto…” “- O piccoletta…” Lo corresse subito dolcemente lei, facendolo annuire, serio. “- …Renderà sicuramente me, la persona più felice del mondo.” Concluse, mentre lei gli allacciò le braccia al collo teneramente. “- La prossima settimana dovrò fare la prima ecografia…” Disse con calma la bionda, fissando di fronte a sé, un po’ tesa. “- E sapremo se sarà maschio o femmina?” Domandò, confuso, il moro. “- Ma no, che dici! Per quello ci vorranno almeno quattro mesi, se siamo fortunati… se non lo saremo anche cinque o più!” Rise allegramente la donna, appoggiando la sua mano su quella dell’uomo, rimasta ferma sulla sua pancia, ancora piatta. “- Ah… beh, ero curioso! Mi sa che allora mi toccherà aspettare…” Sbottò lui, schioccandole un leggero bacio sulla guancia. “- Hai una preferenza?” Gli chiese la donna, sistemandosi meglio a sedere tra le sue braccia. “- Nah, sarà sicuramente un bimbo splendido, l’unica cosa che voglio è che sia sano e forte, nient’altro.” Sentenziò sincero il bruno, vedendola sollevare lo sguardo, colpita: era felice di quel figlio, lo era davvero tanto e se inizialmente lui era stato preso dal panico, ora non poteva essere più pacato e gioioso di quella piccola vita che cresceva in lei. “- Quanto sei saggio… hai ragione.” Convenne la donna infatti, occhi negli occhi con lui, che, rapidamente, fece combaciare le loro labbra, dando vita a un dolce bacio. “- E per i nomi? Conoscendoti hai già idee, no?” Chiese Pablo, staccandosi da lei e specchiandosi nei suoi grandi occhi verdi: gli bastava perdersi in quel color smeraldo per capire quanto fosse innamorato di lei, quanto l’adorasse e quanto volesse renderla la persona più felice del mondo, sempre. “- Non sappiamo nemmeno se sarà una bimba o un bimbo… e comunque sì, ammetto di averci pensato…” Ridacchiò la bionda, riaccendendo la tv distrattamente, nella quale subito comparve il campo verde della gara che stava vedendo l’uomo fino a qualche minuto prima. “- I ragazzi sono al centro commerciale, si sono portati anche Ambar…” Gli raccontò distrattamente la donna, vedendolo annuire, di nuovo concentrato sulla partita, quando lei, senza poter far nulla per evitarlo, cominciò a sentire un’impellente quanto improvvisa voglia di cioccolato. “- Amore…” Lo richiamò, sentendolo imprecare qualcosa tra i denti contro un giocatore della squadra avversaria. “- Dimmi…” Le sorrise lui, voltandosi verso lei e ignorando nuovamente la gara. “- Devo avere una tavoletta di cioccolato bianco. Ora.” Esclamò nervosamente, ricordandosi che tutti e tre i ragazzi odiassero quel tipo di cioccolata e che manco a lei in realtà piacesse troppo, quindi consapevole che in casa non ce ne fosse nemmeno un po’. “- Aspetta, ora ci sono i rigori e poi…” “- Pablo, ho detto adesso! Non vogliamo mica rischiare che nostro figlio nasca con una macchia sulla fronte per colpa dei rigori di una stupida partita?” Sentenziò la donna, categorica, lasciando basita sé stessa per quella acidità improvvisa nella voce e lui che prese a fissarla, un po’ stupito. “- D’accordo, d’accordo, tempo 10 minuti e…” L’uomo la guardò e notò l’espressione preoccupante della bionda, così si decise ad alzarsi di colpo, controvoglia, per evitare di essere linciato dalla stessa. “- Ok, vado, vado! Sicuro se chiedo ai vicini ne avranno una tavoletta… i La Fontaine, tra il senior e junior, sicuro sono forniti anche più di Willy Wonka… sperando che non abbiano finito tutto!” Commentò, avviandosi verso la porta. “- Pablo…” Lo richiamò ancora la bionda, mordendosi un labbro, a disagio. “- Scusa e… grazie. Fa’ presto!” Gli disse, cercando di mantenere un tono calmo e meno insopportabile rispetto a poco prima. “- Volerò, figurati! Magari, correndo, riuscirò a vedere un po’ di partita sul finale…” Esclamò l’uomo, sbuffando e uscendo a passo rapido, richiudendosi la porta alle spalle con un tonfo. Angie rimase a fissare da dove Galindo era andato via e rise divertita: poverino, per quel suo improvviso e irrefrenabile desiderio di quel dolcetto l’aveva costretto a perdere quella parte importante della gara della sua squadra del cuore… almeno aveva un'altra prova: Pablo l’amava anche più del calcio, e per un uomo come lui, non era di certo cosa da poco!
 
 
“- Dopo mi comprate il gelato, vero?” Ambar, mano nella mano con Francesca, domandò ancora quello che pretendeva a fine passeggiata: nonostante il clima non fosse propriamente a quel dolce estivo, lei voleva la sua coppetta alla fragola e non esitò a chiederla per l’ennesima volta. “- Non temere che la voglio anch’io! E lo vorrà sicuramente pure Leon quando si deciderà ad arrivare…” Precisò subito Diego, stringendo la vita alla sua fidanzata e depositandole rapido un leggero bacio sulla guancia. Erano almeno venti minuti che giravano nel grande centro commerciale, attendendo la telefonata di Leon e Violetta che avevano detto li avrebbero raggiunti lì per passare un pomeriggio insieme, tutti e quattro più la bambina. “- Perché non lo prendiamo adesso, che ne dite? Mentre aspettiamo che il mio gemello ci onori della sua presenza! Tanto so che se sono in ritardo è colpa sua…!” Sentenziò seria Francesca, avviandosi verso un tavolino in ferro battuto e sedendosi accanto alla piccola rossa che esultò soddisfatta della decisione della La Fontaine. “- Va bene, vado io… Amore, tu come lo prendi?” Chiese il giovane alla fidanzata, sapendo già il gusto prediletto dalla sorellina. “- Cioccolato.” Commentò semplicemente lei, vedendolo annuire e avviarsi verso la cassa del locale. “- Sono contenta di essere tua cognata.” La vocina della bambina fece sobbalzare Francesca che credé di aver capito male. “- Come?” Le chiese, un po’ perplessa quanto stralunata da quella domanda. “- Sono felice che tu e mio fratello stiate insieme, non fare la finta tonta con me!” Sbottò la figlia minore di German, mentre, per fortuna, la mora vide arrivare il fratello insieme a Violetta: lui stringeva la giovane per la vita e lei sorrideva allegramente. “- Eccoci, scusate il ritardo… qualcuno dopo pranzo si era addormentato…” Sbottò la Castillo divertita, facendo ridacchiare Ambar che capì al volo di chi si trattasse e ruotare gli occhi al cielo all’amica. “- Non avevo dubbi…” Sbuffò la gemella di Leon, beccandosi una smorfia di disappunto da parte del ragazzo. “- Sta comprando dei gelati? Lo voglio anch’io!” Si lagnò poi subito, indicando Diego che si era spostato al bancone e già teneva una coppetta in mano. “- Due gelati alla vaniglia, vero tesoro?” Sorrise alla sua ragazza che asserì con il capo, soddisfatta che ricordasse il suo gusto preferito che poi era anche quello di lui. “- Sì, va’ a dargli anche una mano, almeno ti rendi utile!” Ordinò la sorella, vedendolo annuire distrattamente, probabilmente già pregustando il suo cono, correre in direzione dell’amico, dopo aver però schioccato un bacio sulla guancia a Violetta che sorrise e annuì, sedendosi di fronte alla mora, mentre Ambar aveva preso a sfogliare un volantino pubblicitario di un negozio di giocattoli che aveva appena aperto in quell’enorme centro commerciale in cui si trovavano. “- Ho saputo di Angie, sono contentissima!” Sorrise Francesca, facendo annuire l’altra. “- Già, dato che siamo qui vorrei prenderle un regalino per il piccoletto… anche se non sappiamo ancora se sarà maschio o femmina!” Esclamò entusiasta la giovane. “- Speriamo sia una bambina, almeno avrei qualcuno con cui giocare.” Sentenziò, senza nemmeno alzare gli occhi dai fogli, la più piccola, facendo sghignazzare Francesca. “- Io non ti vado bene per giocare?” La provocò la figlia di Matias, vedendola finalmente sollevare il viso da quel dépliant pubblicitario. “- No, ma spesso studi e ultimamente c’è sempre mio fratello con te…” A quella frase della bimba, Francesca arrossì di colpo e Violetta prese a ridere di gusto, indicandole le guance, ormai paonazze. “- Ma non è vero! E poi io ho sempre tempo per te! Sono o non sono la miglior baby sitter del pianeta?” Le chiese la bruna, facendola annuire, seria. “- Certo che sì! E’ solo che sei un po’ distratta ultimamente…” La incalzò la rossa, quando, per fortuna, ad intervenire ci pensò Violetta: “- Ecco i ragazzi con i nostri gelati! E tu fai la brava o ti riporto a casa da Pablo e zia Angie!” La rimproverò la sorella maggiore, facendo continuare a ghignare la piccola che si zittì solo quando Diego le piazzò la coppetta di fronte e iniziò a mangiarla con gusto, mentre il moro e il La Fontaine si sedettero accanto alle rispettive ragazze. Dopo aver passato un’abbondante mezz’ora al tavolino a chiacchierare del più e del meno, i giovani varcarono la soglia dell’enorme negozio di giochi che la più piccola tanto desiderava visitare. “- Caspita, quello è l’ultimo videogames di moto uscito! E si puo’ anche provare!” Leon, nemmeno entrato in quel vero e proprio paese dei balocchi, si trascinò per la mano Violetta verso dei joystick collegati a grandi schermi illuminati, già pronti ad attendere il prossimo giocatore per far partire la sfida di prova. “- In realtà saremmo qui per…” Provò la Castillo, sotto lo sguardo divertito del fratello e della sua fidanzata, mentre la più piccola era già corsa verso il reparto delle bambole, per poi proseguire, attenta a non perdersi alcun dettaglio. “- …Per Ambar, che è una bambina… ma tu sei peggio!” Riuscì a sbottare ridendo la castana, mentre il giovane le aveva già detto dove posizionarsi per dare il via alla gara. “- Vi facciamo da tifoseria!” Rise Diego, avvicinandosi ai due, seguito da Francesca che continuava a tenere d’occhio la sorellina del suo ragazzo, tutta presa a fissare delle scatole come fosse indecisa sul quale scegliere. “- Perché non giochi con mio fratello? Paura che ti stracci?” Ridacchiò la figlia di German al gemello La Fontaine che alzò un sopracciglio, piccato. “- Perché voglio giocarci con te!” Provò, beccandosi un’occhiataccia poco convinta da lei. “- Ok… anche perché lui è più bravo di me, lo ammetto! Ma solo con le moto finte, in quelle vere può solo mangiare la mia polvere!” Esclamò poi, facendo annuire soddisfatto il bruno che incrociò le braccia al petto sicuro e posizionandosi alle spalle della sua ragazza. “- Dunque… con questo acceleri…” Le disse, facendola annuire e arrossire di colpo, mentre sentiva che lui avesse poggiato le sue mani sulle sue per farle capire bene quali tasti premere, per poi iniziare la corsa. “- …Con questi giri nelle curve…” Le spiegò ancora, con un filo di voce, divertendosi del fatto che lei fosse diventata violacea per quel semplice sfiorarsi delle loro dita. “- …E, regola fondamentale… non guardarmi mentre giochiamo: sei così bella che mi faresti distrarre e finire fuori pista in un secondo…” Le soffiò ad un centimetro dal suo orecchio, per poi andare a prendere posto al lato per iniziare la sfida. “- Ragazzi! Ho trovato il regalo per il cuginetto!” Ambar, correndo verso di loro, si avvicinò a Francesca e al fratello con una piccola giostra con tanto di cavalli, chiaramente dipinta a mano, dai tenui colori che andavano dal verde acqua al bianco. “- Carino… cos’è?” Domandò il moro, confuso, rigirandosi l’oggetto tra le mani, cercando di capirci di più di quello che, a lui, pareva solo un soprammobile in legno per una cameretta. “- E’ un carillon… ma dovresti ascoltare che melodia suona per capire…” A quelle parole, la piccola glielo tolse dalle mani e lo girò su sé stesso, facendone scattare il meccanismo: partì un lieve suono, dolce, che accompagnava il movimento ipnotico dei cavalli del carosello che presero a girare in circolo, seguendosi. Diego sgranò gli occhi e non smetteva di fissare come ipnotizzato quella mini giostra ruotare. “- Mamma…” Balbettò, sotto lo sguardo attonito di Francesca che, pur non avendo la certezza di aver capito, lo strinse per la vita appoggiando la testa sulla sua spalla. Violetta, attirata come una calamita da quel suono, lasciò perdere il gioco e si avvicinò ai fratelli e all’amica, facendo voltare di scatto anche Leon che si approssimò a sua volta al gruppo, cingendo le spalle alla ragazza con un braccio, la quale sentì subito la vista annebbiarsi per le lacrime che avrebbero voluto scendere di lì a poco sul suo viso per i ricordi che quel suono aveva rievocato in lei e, sicuramente, anche nei suoi fratelli. “- La melodia è la stessa… mi sembra quasi di sentire la sua voce… ci inventò su una ninna nanna dolcissima…” Balbettò il bruno, stringendo i pugni e alzando gli occhi al cielo per provare a non piangere. “- …Quando è nata Vilu, papà comprò un carillon diverso da questo, era come un piccolo pianoforte… ma produceva la stessa musica… però Ambar, quando aveva circa cinque anni, lo distrusse e nascose le prove in giardino…” Ricordò ancora il giovane, vedendo annuire la rossa. “- Però questa melodia me la ricordo bene… e ricordo bene quando la mamma mi cantava quella canzoncina per farmi addormentare…” Balbettò la bambina, mentre la sorella prese, teneramente, ad accarezzarle il capo piano, quando ormai una lacrima era già sfuggita al suo controllo e le percorreva rapida il volto. “- Prendiamo questo, allora… poi spiegheremo il perché della scelta anche alla zia e a Pablo.” Esclamò la ragazza, asciugandosi gli occhi con una mano, mentre Leon le schioccò un dolce bacio su una guancia. I giovani non dissero più nulla ma si diressero alla cassa con un'unica certezza: quel dono, per quanto semplice e poco costoso, avrebbe fatto felici anche Angie e l’uomo che amava, non tanto per ciò che era ma, soprattutto, per ciò che rappresentava.
 
 
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Ciao! :)
Regali preziosi e simbolici in questo ventotto! Prima abbiamo il chiarimento tra Pablo e Diego con la collana di German che il fotografo dona al ragazzo, poi scena Pangiosa e infine… il carillon, piango! :’( Capitolo anche d’amore con i Diecesca e i Leonetta, aw! :3 E ovviamente anche per Pablo ed Angie! :3 Alla prossima, grazie a tutti! :) Ciao! :) DulceVoz. :)

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Capitolo 29
*** Una nuova avventura. ***


Una nuova avventura. Cap.29.

“- Sono nervosa…” Angie, seduta in una vasta sala d’aspetto non troppo affollata dell’ospedale centrale di Buenos Aires, si sfiorò lievemente l’addome, ormai abbastanza pronunciato: erano passati parecchi mesi da quando aveva scoperto di essere incinta e quasi sicuramente, quel giorno, avrebbe conosciuto il sesso del suo bambino. “- Non è la prima ecografia che fai, tranquilla! Andrà tutto a meraviglia.” La rincuorò Pablo, stringendole dolcemente le spalle con un braccio, provando a calmare l’ansia della donna: non si sarebbe perso per niente al mondo quel momento. Galindo non era riuscito ad assistere la fidanzata nelle altre due visite precedenti per i troppi impegni di lavoro che, con l’apertura dello studio fotografico, erano triplicati… ma quel giorno voleva esserci, tanto che aveva chiuso per qualche ora il negozio che la Saramego gli aveva regalato e supplicato per ore Priscilla di lasciargli quella mattinata libera, nonostante una nota modella straniera lo attendesse per le foto per “Top” da inserire nel prossimo numero. “- Tu davvero hai lasciato Jasmine Vagues senza servizio fotografico, solo per me?” Sorrise dolcemente la bionda, sollevando di poco il volto che teneva appoggiato al petto dell’uomo, lasciandosi cullare dal battito del cuore del moro che annuì, teneramente, a quella domanda. “- Che aspetti pure, quella montata! Stavolta voglio esserci e la Ferro puo’ sbraitare quanto le pare. Voglio farlo per te e per nostro figlio…!” Le sorrise, per poi sfiorarle la fronte con un lieve bacio che ebbe il potere di placare ogni pensiero negativo le passasse per la mente. “- Saramego.” Una porta in fondo alla sala si aprì e una dottoressa castana sulla trentina, li chiamò con calma, accogliendoli con un bel sorriso quando vide i due entrare nella stanza, accorgendosi subito che fossero palesemente nervosi. “- Non preoccupatevi, andrà tutto bene.” Sentenziò infatti la donna, facendo accomodare Angie su un lettino mentre Pablo, in piedi, le stringeva una mano, facendo passare lo sguardo dalla bionda all’altra, che, nel frattempo, stava preparando l’attrezzatura per iniziare la visita. “- Non è la prima volta che è qui… Angeles! Aspetti… mi ricordo di lei! L’ansiosa!” Sorrise il medico, consultando poi dei fogli che teneva sulla scrivania, leggendo attentamente i vari dati della paziente che annuì, imbarazzata da quell’appellativo. “- Eh già, dottoressa Sanchez, per me non è la prima volta… però per lui lo è…” Esclamò la Saramego, indicando con un cenno del capo l’uomo che sgranò gli occhi, nervoso: come mai la compagna ci teneva a precisarlo? Che ci fosse qualcosa che dovesse sapere e che la donna avesse aspettato di essere con il medico per riferirgliela? Confuso, strinse la mano alla Sanchez che gliela allungò sorridendo. “- Ah, molto piacere, finalmente conosco anche il papà!” Lo salutò la dottoressa, per poi cospargere di un gel denso l’addome della futura mamma. “- Allora, visto che il signore qui non l’ha mai sentito, iniziamo dal battito cardiaco del piccoletto…” Esclamò, accendendo un monitor e cominciando a muovere una sonda sulla pancia della donna, mentre, un suono veloce e ritmato si diffondeva intorno a loro, lasciando Galindo alquanto sconvolto ma felice. “- E’… è il suo cuore? Questo rumore è il nostro… bambino?” Domandò, sentendosi stranamente commosso: gli occhi gli si erano fatti lucidi e cominciavano a pizzicargli sempre più e Angie lo fissava, colpita per quella reazione emotiva così forte. “- Fa sempre un certo effetto… pianga pure, io ci sono abituata!” Esclamò il medico, avvicinandosi poi allo schermo sul quale era visibile ora la sagoma del feto, chiaramente distinguibile. “- Non… io non sto piangendo…” Singhiozzò Pablo, accarezzando dolcemente i capelli alla fidanzata che ruotò gli occhi al cielo, divertita dal fatto che lui non volesse ammettere che fosse così felice, tanto da essere in un mare di lacrime per la gioia di quel momento così dolce. “- Confessa che lo stai facendo, tanto è comunque evidente!” Esclamò Angie, per poi osservarlo asciugarsi le lacrime con la manica della giacca, voltandosi repentinamente per non farsi vedere. “- Volete sapere il sesso vero? Lo chiedo perché alcuni genitori amano l’effetto sorpresa…” “- Certo che sì!” Esclamò euforica la bionda, posizionandosi un po’ più comodamente a sedere, mentre un’infinità di preoccupazioni attraversavano la sua mente. “- …Ma prima voglio sapere se va tutto bene.” Precisò infatti, vedendo la Sanchez annuire, per poi annotare qualcosa su dei fogli. “Sta benissimo, cerchi di star tranquilla!” Le disse semplicemente, riavvicinandosi ai monitor. “- La signorina, come potete vedere, è comodamente posizionata e si sta succhiando il pollice… sta benone.”. A quelle parole i due sgranarono gli occhi e si lanciarono una rapida occhiata confusa, per poi tornare a fissare la dottoressa. “- E’ una femminuccia. Congratulazioni.” Confermò la ginecologa, vedendo i futuri genitori aprirsi in un bel sorriso, emozionatissimi entrambi. “- Oh caspita, che meraviglia!” Esultò commossa, ormai anche lei, la Saramego, stringendo con più vigore la mano a Pablo che sembrava piuttosto intontito, con un’espressione inebetita di felicità stampata sul volto, fisso verso lo schermo, catturando ogni minimo movimento di quella che aveva appena scoperto essere una bambina, la sua bambina, la bimba sua e della donna che amava come non aveva mai amato nessuna.
Quando entrambi uscirono dallo studio del medico erano ancora come sotto ad un effetto di qualche sorta di incantesimo capace di stordirli, ed il bello era che, ad avere quel potere così grande, era merito quella immensa felicità che sentivano nell’anima. “- Una figlia… avremo… una figlia.” Il primo a recuperare la capacità di parlare, attendendo l’ascensore, fu Pablo che, specchiandosi nei grandi occhi verdi della fidanzata, pensò seriamente di perdere nuovamente quella facoltà appena ripresa, a causa della bellezza della sua Angie. “- Non riesco a crederci.” Balbettò lei, ancora confusa ma felicissima. Avrebbe avuto una bambina, una femminuccia, la sua piccolina… e la cosa che le faceva ancor più bene era sapere che la bimba fosse sana e forte. “- Non vedo l’ora di poterla abbracciare…” Si lasciò sfuggire il bruno, appoggiando entrambe le mani sul ventre della donna che gli sorrise, accarezzandogli una guancia e facendogli risollevare lo sguardo che lui aveva preso a tenere fisso sulla sua pancia. “- Io ho una paura terribile… anche se sono euforica all’idea di tenerla stretta a me…” Confessò la bionda, abbassando poi lo sguardo, mordendosi il labbro inferiore per la tensione. Certo, la sua priorità sentiva che fosse vedere il volto della sua piccolina, baciarla, prendersi cura di lei con tutto l’amore che già sentiva nei suoi confronti… ma, allo stesso tempo, era letteralmente terrorizzata dal parto. “- Andrà tutto bene. Tu sei forte, molto più di me… lo sei sempre stata.” Mormorò Galindo dolcemente, prendendole il volto tra le mani e costringendola a sollevare nuovamente il viso, incatenata ai suoi occhi neri. “- Non è vero, non sono poi così tenace come puo’ sembrare…” Sussurrò lei con voce flebile, fissando l’uomo che, invece, scosse il capo, poco convinto. “- Non ci credo… sei sempre stata tu quella determinata e lo sarai anche questa volta…” Le disse piano, stringendola poi a sé dolcemente, nonostante il fatto che il ventre pronunciato di lei ormai, fosse un po’ da intralcio. “- Ti amo…  amo la mia regina guerriera…” Soffiò poi il moro, appoggiando la sua fronte a quella della donna e specchiandosi di nuovo in quegli smeraldi che tanto adorava, vedendola sorridere per quelle parole. “- …E amo anche la mia principessa!” Esclamò l’uomo, sciogliendo quell’abbraccio e riappoggiando una mano sulla pancia di lei. “- Hai sentito?!” Esclamò Angie euforica, fissandolo. “- Eh sì! Pare proprio che la principessa mi abbia dato un calcio!” Rise lui, sconvolto ma entusiasta. “- Veramente lo ha dato a me, precisiamo…” Lo corresse la donna, quando, finalmente, le porte dell’ascensore si aprirono e potettero accedervi: erano così felici, così innamorati… sarebbe andato tutto bene, dovevano solo attendere e farsi forza a vicenda, come avevano sempre fatto da quando stavano insieme, e forse, anche da prima. “- Manesca come la madre!” Le soffiò all’orecchio il bruno, appoggiandosi con la schiena allo specchio, beccandosi una gomitata dalla bionda in pieno stomaco. “- Ecco, appunto…” Disse tra sé, assumendo una smorfia di dolore, vedendola sghignazzare allegramente come se nulla fosse.
Non vedevano l’ora di correre a casa per dire tutto ai ragazzi… inoltre, quello era un giorno importante per tutta Madeira, era il giorno della Fiera, e non potevano ricevere notizia più bella in una mattinata calda, e di gran fermento per tutto il borgo.
 
 
“- Non ho idea di cosa abbia combinato con gli ingredienti… ma hanno un bell’aspetto!” Violetta, estraendo un vassoio fumante dal forno, vide Francesca avvicinarsi al tavolo della cucina di casa Castillo e Ambar che fece lo stesso, poco convinta di quei muffins preparati dalla sorella. Ogni anno, per la festeggiare il giorno della Festa Della Musica, data in cui iniziava la Fiera di Madeira, la madre preparava dolci sin dall’alba e lei, per quanto non fosse brava quanto Esmeralda o sua zia ai fornelli, voleva fare lo stesso, non per vendere quelle leccornie alla festa del borgo, per poi donare il ricavato in beneficenza come facevano ogni anno, ma aveva deciso di cucinare qualcosa di buono per il suo Leon. “- Bell’aspetto? Ma tu sei sicura che siano almeno commestibili?” Domandò la piccola di casa, poco convinta da quei pasticcini un po’ bruciacchiati sui bordi e dalla forma asimmetrica. “- Certo! Sono favolosi e sicuramente buonissimi!” Trillò euforica la giovane, battendo le mani e vedendo la La Fontaine incrociare le braccia al petto, sicura. “- Mio fratello mangia anche i sassi, in ogni caso, prevedo che farà i salti di gioia…” Borbottò infatti, andando verso il frigorifero per prenderle della panna che la ragazza voleva mettere in cima ad ognuno di essi. “- Stasera c’è la gara… almeno si tranquillizzerà un po’ con questi…” Commentò Violetta, preoccupata e in ansia quasi quanto il giovane: erano giorni che lui, Diego e gli altri membri del gruppo erano rinchiusi nel garage fino a tarda notte per la gioia della famiglia La Fontaine che sperava che il concorso finisse quanto prima, così da ritrovare un po’ di pace. “- Dovremmo farne una teglia anche per il resto del gruppo, Questi Leon li finirà da solo…” Sentenziò decisa la mora, facendo sghignazzare Ambar e beccandosi un’occhiataccia dall’amica. “- Buongiorno, belle donzelle!” Diego, seguito dalla voce della band, fece a sorpresa il suo ingresso in casa e cominciò a tirar su con il naso, sentendo uno sgradevole odore di bruciato e assumendo, di conseguenza, un’espressione disgustata. “- Come vanno le prove?” Domandò subito la bambina, saltellando intorno al fratello che, ancora perplesso da quella puzza, si andò a prendere, distrattamente, un bicchiere di Coca Cola dal frigorifero. “- Bene, ormai manca poco… devono per forza andar bene.” Commentò, ritornando vicino al bancone e studiando, perplesso, la creazione della sorella. “- Amore, è inutile che li punti… guarda che devi lasciarne qualcuno per mio fratello, Fede e gli altri!” Commentò d’un tratto Violetta, notando che Leon avesse inquadrato i muffins e li stesse fissando già con aria preoccupante. “- Tu davvero vuoi mangiare qualcosa che ha fatto mia sorella? Intrepido!” Sentenziò, ridacchiando, il Castillo, beccandosi uno scappellotto dalla cuoca improvvisata, fingendosi offesa. “- Lascia stare la mia fidanzata! Lei è una chef provetta!” Lo riprese Leon, afferrando subito uno dei dolcetti e dandovi un piccolo morso, rimanendo però perplesso: il suo volto divenne improvvisamente pallido e deglutì a fatica quel boccone, cercando di dissimulare la smorfia di disgusto che sapeva, sarebbe apparsa di lì a poco sul volto. “- Allora? Perché fai quella faccia?” Domandò la giovane, appendendosi al suo braccio e facendolo barcollare su un lato, ancora sotto shock per quello che aveva appena assaggiato. “- Buoni…” Mentì spudoratamente, tanto che Diego, subito, ne afferrò uno dal vassoio, ancora fumante, e se lo portò alla bocca: non passarono nemmeno dieci secondi che il ragazzo corse verso il lavello, sputacchiando come un forsennato e tossendo, rischiando quasi di strozzarsi. “- Tesoro, tutto bene?” Francesca, preoccupata, gli si avvicinò e gli diede qualche colpetto dietro la schiena, il tutto sotto lo sguardo sconvolto di Violetta, Ambar e, meno, di Leon che se non aveva fatto lo stesso era stato solo per non far dispiacere la sua ragazza. “- Come diamine hai fatto  a mangiarlo? E’ disgustosamente salato!” Sbottò il maggiore dei fratelli Castillo, rivolgendosi a Leon quando recuperò la facoltà di parola, afferrando un ennesimo bicchiere di Coca per provare a perdere quel saporaccio dalla bocca. “- Oh caspita! Qualcuno avrà confuso i barattoli! E tu hai di conseguenza usato il sale al posto dello zucchero!” Spiegò la bambina, indicando, ancora sul bancone, il contenitore. “- Angie! Sempre distratta! Ma se qui c’è scritto chiaramente ‘SALE’ perché ci ha messo lo zucchero?” Sbottò, piccata, Violetta, tentando di giustificare il suo disastro mentre il La Fontaine la rassicurò, accarezzandole piano la schiena. “- Io volevo essere gentile per non ferirti… però, in effetti… vabbè che mangio tutto, ma così si esagera!” Ironizzò, tentando di smorzare la tensione, facendo infatti scoppiare tutti in una fragorosa risata. “- Però ho un’idea… e se facessimo uno scherzo a Seba e Fede? Andres no, povero! E’ un tipo apposto!” Ipotizzò subito con un guizzo di furbizia che gli attraversò gli occhi verdi, provando ad afferrare i muffins rimanenti per portarseli nel garage, dove gli amici erano ancora a battibeccare su chissà quale dettaglio riguardante il loro look della serata, insieme a Camilla e a Ludmilla, discussione da cui i due erano letteralmente fuggiti a gambe levate. “- SCORDATELO!” Sbottarono in coro le ragazze, dirigendosi verso il cestino sotto al bancone per gettare via quelli che potevano essere anche fonte di danni allo stomaco della band. “- Non vorrete mica rischiare un intossicazione alimentare a causa di mia sorella, e proprio il giorno della gara?” La vocina saggia di Ambar fece voltare tutti verso di lei, la quale, comodamente su uno degli sgabelli, ricordò loro che quella serata sarebbe stata troppo importante e dovevano mantenersi forti e in salute per non rischiare che saltasse ogni cosa.
“- E’ UNA FEMMINA!” Angie, nemmeno il tempo di aprire la porta di ingresso, urlò quella frase euforica mentre era ancora in salotto, facendo scattare i ragazzi da dov’erano per andarle incontro. “- Sul serio?!” Esultò Violetta, mentre la sorellina minore saltò in braccio a Galindo che per poco non cadde a terra per quell’entusiasmo inaspettato. “- Poveri noi, circondati da donne!” Si lagnò Diego, dando una pacca sulla spalla al fotografo che scoppiò a ridere, tuttavia frastornato da quel clima festoso, stringendo ancora affettuosamente a sé la figlia minore di German. “- Una bambina! Sono così felice!” Urlò la rossa gioiosa della notizia, allacciando le braccia al collo dell’uomo, rimasto sotto shock per quella reazione ma, tuttavia, al settimo cielo. “- Congratulazioni!” Sorrisero sia Francesca che Leon, schioccando un bacio sulla guancia alla donna, mentre il futuro papà provava ad avanzare fino a raggiungere il divano nonostante Ambar non desse impressione di volersi staccare da lui. “- Gemellino, noi andiamo di là, ci vediamo dopo…” La mora, capendo al volo che la famiglia volesse rimanere un po’ sola, si trascinò il fratello sino alla porta e salutando rapidamente, uscì, costringendo anche l’altro a seguirla. Quando anche Angie raggiunse l’uomo sul divano, Violetta scattò verso un mobile basso sotto al televisore e cominciò a tirare fuori una marea di oggetti alla ricerca di chissà cosa. “- Che stai facendo?” Le domandò distrattamente la Saramego, mentre anche Diego prendeva posto accanto alla zia e alla sorellina più piccola. “- Cercavo… questo!” Esclamò la ragazza, estraendo un pacchettino di medie dimensioni che prontamente porse ai futuri genitori, i quali presero a fissarlo un po’ perplessi. “- E’ per voi… beh, per la bimba. Lo abbiamo comprato mesi fa, solo che volevamo aspettare per darvelo… ma penso che sia arrivato il momento.” Commentò la ragazza, accomodandosi sul bracciolo del sofà, analizzando l’espressione dei due, alquanto confusa. “- Non dovevate, ragazzi! Davvero!” Commentò la donna, portandosi il pacchetto sulle gambe e fissando i tre Castillo che, invece, continuavano a sorriderle, felici. “- Per noi invece è importante… e sono sicuro che lo sarà anche per te. Per voi…” A sorpresa, fu il maggiore a prendere la parola e la bionda, ancor più perplessa, osservò la scatola ricoperta da una carta da regalo di un tenue verde e, finalmente, decise di strapparla per capire cosa potesse mai essere quel regalo tanto misterioso. “- E’… un carillon, che teneri siete stati!” Esclamò subito la donna, estraendo la piccola giostra dalla scatola e facendo partire la musica che, seppur lei non conoscesse bene come i nipoti, notò subito quanto avesse qualcosa di familiare. “- Quando eravamo piccoli papà ne comprò uno identico ma io lo ruppi, qualche anno fa.” Spiegò Ambar, notando che i fratelli si fossero subito ammutoliti alle prime note di quella dolce melodia. “- …E la mamma ci inventò su una ninna nanna…”. “- …Y vuelvo a despertar, en mi mundo, siendo lo que soy…” Iniziò Violetta, con un sorriso amaro stampato sul volto, sentendo il fratello e la più piccola, continuare a cantare, in coro: “…Y no voy a parar, ni un segundo, mi destino es hoy…”. Seguirono alcuni istanti di commosso silenzio, il quale venne spezzato dal singhiozzare della Saramego che, a quel racconto, era in lacrime e prontamente Pablo le fece appoggiare il capo sul suo petto, senza dire nulla ma facendole sentire tutta la sua vicinanza e il suo amore. “- E’ il regalo più bello che… che potessi ricevere. Grazie di cuore.” Balbettò, asciugandosi gli occhi e alzandosi, appoggiando il prezioso oggetto sul tavolino di fronte a sé, per poi fiondarsi ad abbracciare i nipoti, uno per uno. “- Vi adoro…” Mormorò timidamente, schioccando un bacio in fine, sulla guancia di Diego che, un po’ in imbarazzo, le accarezzò dolcemente il volto ancora umido di lacrime. Galindo non sapeva cosa dire, e si limitò a ringraziare i giovani: quella grande famiglia aveva imparato ad amarlo e lui amava loro, era tutto quello che non aveva mai avuto e voleva goderselo appieno, circondandosi di quel mare d’affetto che la vita gli aveva sempre negato. Pablo non sarebbe più stato solo, mai più… ora aveva un motivo, anzi, più di uno, per andare avanti, per essere forte, un uomo migliore come non lo era mai stato in passato: sarebbe diventato padre, ancora non gli sembrava vero eppure era così, lo realizzava quando una sensazione incredibile, che riconobbe poi come gioia, alla quale non era stato troppo abituato dalla sua vita drammatica, lo faceva sentire bene, come su una nuvola. Avrebbe continuato ad essere anche una sorta di genitore per quei ragazzi che erano stati tanto sfortunati, proprio come lui in passato, e poi… e poi avrebbe amato la sua Angie, sempre, e sempre, era sicuro, lei avrebbe fatto lo stesso con lui ed entrambi, avrebbero fatto lo stesso con quella piccola vita che cresceva nel ventre della Saramego.
 
 
La sera aveva avvolto il borgo di Madeira e un profumo proveniente dalla vicina spiaggia, unito a quello dei fiori del parco, rendeva ancor più magica l’atmosfera: era stata una giornata abbastanza calda  e soleggiata e anche con il buio appena calato la temperatura era sopportabile e non troppo asfissiante, mentre il cielo era già tappezzato di stelle e una luna sottile era alta. Ai lati del viale del parco erano disposti diversi gazebo, altre giostre illuminate erano state aggiunte a quelle già presenti nel centro del luogo e, in fondo, sulla destra, un enorme palcoscenico troneggiava nella scena, tra alte cime di alcuni alberi rigogliosi. La Fiera di Madeira era prima di tutto la festa della musica, che si celebrava da generazioni nel borgo sul mare nei pressi di Buenos Aires, a cui tutti gli abitanti partecipavano con entusiasmo.
“- Sono in panico…” Leon, stringendo la mano di Violetta, si faceva strada tra le persone, festose per quell’inizio della fiera, con l’intento di raggiungere il palcoscenico, dove il resto del gruppo lo attendeva. “- Andrà tutto bene, tu cerca di stare tranquillo e vedrai che sarà un successo!” Sorrise la Castillo, appoggiando la testa sulla sua spalla e facendolo tirare un sospiro di sollievo. “- Riesci sempre a farmi sentire meglio…” Le sussurrò il ragazzo dolcemente, scansando per poco un bambino che correva contro di loro con due gelati, il quale rischiò di impiastricciare entrambi. “- Diego mi ha mandato un sms proprio pochi secondi fa… ha fatto l’iscrizione, siete… emh, sarete gli ultimi a cantare.” Gli anticipò subito la ragazza, armeggiando con il suo cellulare, per poi riporlo in borsa, tesa anche lei a quella notizia. “- Ottimo, così nel frattempo potrà svenire tranquillamente d’ansia.” Commentò il La Fontaine, serissimo e sbiancando paurosamente a quelle parole della fidanzata che lo fissò, dissimulando il suo stesso nervosismo in un sorriso. “- Siete bravissimi, sono sicura che anche Emilio Marotti, il produttore discografico di YouMix se ne accorgerà!”. Il tono sicuro della Castillo riuscì subito a tranquillizzare il giovane che pensò a quanto fossero migliorati da quando avevano messo su la band. In effetti pensare che all’inizio erano inascoltabili e che ora avessero addirittura un modo per farsi conoscere e dei brani propri era già un grande traguardo e con quella positività voleva affrontare la serata. Potevano farcela, ne era sicuro. “- Eccolo il nostro leader!” Sorrise Seba, dandogli il cinque e notando come si fosse imbarazzato a quelle parole. “- Ne abbiamo già parlato, sono la voce del gruppo, non il capo!” Mormorò, grattandosi la nuca a disagio: Violetta e il ragazzo erano arrivati sotto all’enorme palcoscenico dove già erano disposte file e file interminabili di sedie, per lo più occupate e istintivamente, si voltarono a guardare verso il pubblico. In prima riga c’erano già accomodate le famiglie dei ragazzi: Matias era impegnato a divorare una mela caramellata, Marcela chiacchierava con Angie, accanto a lei, e Pablo, il quale discuteva con la sua tecnologica fotocamera tra le mani, di chissà cosa con la temibile Priscilla Ferro, evidentemente riguardo ad un futuro servizio per il suo giornale.
“- Buonasera, gente, fate largo alla futura star della musica pop!” Ludmilla, in un elegantissimo abito dorato, tacchettò verso i ragazzi, sotto lo sguardo accigliato di Federico che la fissò un po’ a disagio. “- Sei stupenda e bravissima ma lo hai detto: non andiamo sottovalutati, mia piccola Supernova!” Sbottò il giovane, facendole l’occhiolino e stizzendola non poco. “- Vedrete che gli effetti di luce richiesti espressamente da mia madre daranno il tocco di grazia alla mia, già di per sé, splendida esibizione… e non avrete scampo!” A sorpresa, Libi, che era accanto ad Andres per provare a placare le sue terribili ansie, ribatté con decisione per zittirla: “- Ma dai, vediamo che sai fare, Stellina…” Fu appena un mormorio, ma Ludmilla la prese come un affronto, tanto che storse il naso un po’ stizzita da quelle parole. “- Buona fortuna, miei degni rivali!” Si placò la Ferro, pronunciando quella frase nonostante tutto con tono di superiorità, rientrando nel backstage, seguita anche dai giovani che, mostrando dei pass distribuiti da Diego agli altri, decisero che fosse il momento di andare a prepararsi. Purtroppo, sia Francesca, che Violetta, Libi e Camilla, non potettero accedere al dietro le quinte e, dopo aver salutato i fidanzati, si andarono ad accomodare nei posti che si erano fatte riservare dai genitori di Leon, esattamente sotto al palco.
 
 
“- Buonasera e benvenuti ragazzi, tra voi ci sarà la nuova stella della mia casa discografica, la mitica… YouMix!” Dietro al palco, era stato allestito un backstage alquanto improvvisato: dei tavolini erano disposti con una miriade di bottigliette d’acqua in cima e vi erano alcune lunghe panche sulle quali i ragazzi si erano accomodati, coperti da un paio di gazebo. Ogni concorrente aveva lasciato il proprio strumento poco distante, dove era stata riservata una zona apposita. Il vocio dei giovani partecipanti cessò nel momento in cui, due uomini e una donna si avvicinarono loro: uno, colui che aveva parlato, era proprio il celebre Emilio Marotti e gli altri dovevano senza dubbio essere altri membri della giuria del concorso. “- Sono felice di annunciarvi che io e i miei due colleghi, Juan Diaz e Brenda Saldez, vi giudicheremo, mentre il conduttore della serata sarà il celebre cantante… Rafa Palmer!” A quelle parole, un uomo tarchiato e dai capelli neri avanzò, facendosi strada tra i giurati con movenze poco eleganti, salutando i ragazzi con aria sicura. “- Buonasera, giovanotti! Chi sarà tra voi il mio erede musicale?” Annunciò con tono solenne, sollevando sui capelli gli occhiali scuri che portava e venendo accolto da un caloroso applauso dai partecipanti alla gara: Palmer era abbastanza celebre in tutto il Sud America ed era per loro un onore averlo a pochi metri, sentirlo rivolgersi a loro con tanta simpatia. “- Bene, iniziamo che è già tardi…” Commentò Juan, beccandosi un’occhiataccia dalla star e da Marotti. “- La prima è Ludmilla Ferro… preparati che dopo la presentazione ufficiale dell’apertura della gara tocca subito a te.” Le disse la giurata donna, vedendola annuire con sicurezza. “- Io non ho bisogno di prepararmi! Sono già pronta!” Sbottò, vedendo Federico alzarsi e avvicinarsi a lei piano, mentre la giuria e il cantante si erano già avviati sul palco e, dagli applausi che giungevano alle loro orecchie, il concorso doveva essere ufficialmente cominciato. “- In bocca al lupo, mia piccola Supernova…” Le sussurrò dolcemente ad un orecchio, vedendola annuire. “- Crepi… buona fortuna anche a voi…” Mormorò, quasi con la paura di farsi ascoltare, la Ferro. “- Se non vinco io, cosa altamente improbabile, gli ‘All For You’ dovranno portarsi a casa il trofeo!” Sbottò nervosa la biondina, aprendosi poi un sorriso più dolce del solito. “- …Dico anche a voi!” Sentenziò seria, indicando il resto della band, serissima. “- …Vedete di vincere se proprio questi tizi non dovessero apprezzare il mio indiscutibile talento.” Concluse, per poi schioccare un tenero bacio sulla guancia a Federico, avviandosi verso le scale che le avrebbero permesso di avere accesso al centro della scena. “- Ehi, maestro Bianchi! Dove vai?” Gli chiese Seba confuso, vedendo il giovane seguire al fidanzata. “- Devo spiare almeno un po’ da dietro le quinte… emh… torno subito.” Rispose l’italiano bloccandosi sul posto a quelle parole, affrettando poi il passo, riprendendo a camminare: se per lui c’era un amore equiparabile a quello per l’adorato pianoforte, quello era rappresentato da Ludmilla alla quale, per quanto sapeva avesse una miriade di difetti, teneva più della sua stessa vita.
 
 
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Ciao! :)
E’ una bambina! Dfofoggo emh, ok, calma! xD La figlia Pangiosa è in arrivo e inizia ufficialmente la Fiera Di Madeira! :3 Dolci scene Leonetta e una Fedemilla, sul finale! :) Chi vincerà il concorso? :) Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto! Ci avviciniamo alla fine di questa storia, ormai, mancano solo un capitolo e l’epilogo! :) Grazie a tutti e alla prossima, ciao! :) DulceVoz. :)

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Capitolo 30
*** Fuochi d'artificio. ***


Fuochi d’artificio. Cap.30.
 
“- E adesso chiamerò sul palco i tre finalisti del concorso di quest’anno: tra loro, uno verrà eliminato… e poi, proclameremo chi si aggiudicherà il contratto discografico con YouMix e chi la medaglia d’argento!” Rafa Palmer stava per annunciare i concorrenti che si sarebbero giocati il trionfo finale, catturando sin da subito l’attenzione, in particolare, della prima fila della platea. “- VOGLIAMO GLI ‘ALL FOR YOU’ VINCITORI!” Gridò Ambar euforica, venendo zittita teneramente dalla sorella e da Camilla, la quale le lanciò invece un’ occhiataccia letale, mentre Francesca le accarezzò dolcemente i capelli scarlatti: nessuno voleva perdersi nemmeno una parola della lettura dei nomi dei due che si sarebbero giocati la vittoria e tutti, le loro ragazze e parenti in primis, erano attentissimi nell’attesa di ascoltare finalmente il verdetto finale. La band dei ragazzi era già arrivata sul podio insieme a Ludmilla e a una coppia di cantautori che avevano incantato il pubblico con dei teneri duetti: Maxi e Natalia. I due giovani, della loro stessa scuola di Madeira, erano dei tipetti tranquilli e amichevoli che scrivevano canzoni d’amore davvero dolci e orecchiabili. Le giovani fissavano attente ogni minimo movimento anche nel sipario del fondale del palco per vedere comparire i loro ragazzi, e altrettanto attenti erano i loro genitori, “- Vi presento, i nostri campioni! Gli ‘All For You’, Ludmilla Ferro e Maxi e Naty.” Li accolse Rafa e, con il sottofondo di un grande applauso, i ragazzi fecero la loro comparsa sulla scena, visibilmente emozionati, tranne la figlia di Priscilla che ostentava con un sorriso determinato, la sua solita sicurezza. “- Adesso, vi dirò chi tra voi, purtroppo, uscirà dalla gara…” Esclamò il conduttore, andando a prendere una busta dalla giuria che era disposta in fondo al palco, seduta dietro ad una piccola cattedra. Un silenzio incredibile, considerando la grande folla ai piedi del palco, era calato nel parco, a parte le giostre e i vari banchetti che ancora brulicavano di persone e bambini che correvano scalmanati per accaparrarsi l’ultima mela caramellata. “- …A lasciare la competizione è…” La suspense era alle stelle e la tensione era palpabile nell’aria. “- …Ludmilla Ferro.” A quelle parole la ragazza sgranò gli occhi sconvolta, Priscilla in prima fila scattò in piedi furiosa e venne trattenuta a sedere da Pablo che, per evitare una rissa, provò a placarla. “- Che cosa?!”. Sbottò irata la biondina, perdendosi prima a fissare la band che era esterrefatta e poi il duo. “State scherzando? Io mi becco il bronzo e questi sconosciuti almeno l’argento?!” Era furiosa e con ampie falcate si avvicinò a Maxi e Nata che la osservarono un po’ preoccupati: era risaputo per tutta Madeira che le ire della Ferro fossero pericolose quanto quelle di sua madre. “- Mia figlia ha ragione! Questo concorso è truccato, non c’è altra spiegazione!” Strepitò Priscilla alzandosi nuovamente, stavolta non lasciando a Galindo la possibilità di fermarla. “- …Siete degli incompetenti! E sapete cosa vi dico? La mia bambina farà strada comunque! E voi, signori…” Continuò, salendo le scale e ritrovandosi al centro del palcoscenico, sotto lo sguardo preoccupato di Palmer che non sapeva cosa fare. “- …Voi, vi siete persi una grande opportunità di successo con lei!” Concluse, con aria agitata, sentendo di essere diventata paonazza per la rabbia sino alla punta delle orecchie. “- Priscilla e Ludmilla se ne vanno! Branco di incapaci!” Sbottò infine, ancheggiando verso la figlia e circondandole le spalle con un braccio, prima di allontanarsi con lei: se c’era una cosa che la direttrice di ‘Top’ odiava era vedere la sua piccolina perdere. Ludmi era una vincente, esattamente come la madre e la donna non poteva sopportare che quegli idioti, anche fossero della celebre casa discografica di YouMix, non avessero apprezzato il suo talento.
“- Non ti preoccupare, tesoro, mamma li ridurrà in cenere nel prossimo numero del giornale! Nessuno disdegna la mia piccola stellina!” Esclamò dietro le quinte, ormai prive di tutto quel movimento di inizio serata. “- Grazie mamma, non ce n’è bisogno…” Le sorrise la giovane, che aveva ancora, in cuor suo, la speranza che almeno fosse la band dei ragazzi a trionfare e di certo, se così fosse stato, non voleva affatto che la donna avesse sputato veleno su Emilio Marotti e sul fatto che, solo perché lei non avesse vinto, fosse tutto truccato. “- Non possono eliminarti tu sei mia figlia e…” Priscilla era ancora furiosa ma Ludmilla sapeva già come placarla, la conosceva fin troppo bene. “- Mamma… ti ringrazio ma non voglio che tu faccia nulla… ho perso, non  è mica finita qui? Proverò ancora e ancora fino a raggiungere la fama che merito… e spero che tu continuerai ad appoggiarmi.” Sorrise la giovane, mordendosi nervosamente il labbro inferiore e fissando intensamente la donna, quasi a disagio nel mostrarsi così fragile davanti alla grintosissima direttrice di “Top”… se pur fosse la sua genitrice. “- …Lo farai, vero?” Le domandò piano, sapendo comunque già la risposta: sì, lei lo avrebbe fatto, la avrebbe appoggiata e difesa a spada tratta, sempre. “- Certo, tesoro mio… vieni qui…” Priscilla, un po’ in imbarazzo, l’attirò a sé come quando era una bambina e l’abbracciò forte: nessuna delle due era abituata a dimostrazioni d’affetto così forti ma in quel momento poco importava… c’erano loro due e il grande amore che le univa. “- Andiamo a vedere chi vince, ti va?” Domandò la biondina alla madre, staccandosi in maniera impacciata da lei, che annuì, soddisfatta: la sua piccolina era una guerriera, non le dispiaceva nemmeno vedere chi avesse trionfato ad una gara dalla quale era uscita… poi improvvisamente collegò il tutto a Federico: sì, doveva essere per lui che la figlia volesse scoprire l’esito del concorso. “- Andiamo…” Le disse semplicemente, stringendole le spalle con un braccio e conducendola verso il frontstage.
“- Scusateci per questo piccolo contrattempo…” Continuò Palmer, in imbarazzo, beccandosi un’ ennesima occhiataccia da madre e figlia che ripresero posto in prima fila, tuttavia stizzite. “- Dunque… tra gli ‘All For You’ e Maxi e Naty, i vincitori sono…”. Di nuovo un surreale silenzio calò su quel settore del parco: incredibile come la tensione fosse alta, essendo, quel verdetto, la causa del cambiamento dell’esistenza di quei ragazzi. “- MAXI E NATALIA! CONGRATULAZIONI!” I due giovani si abbracciarono di colpo, i componenti della band si fissarono amaramente ma non potettero fare a meno di battere le mani ai due vincitori che saltavano allegramente come due matti, quasi non se lo aspettassero nemmeno loro di aver sconfitto tutta la concorrenza. Il pubblico, festoso, applaudiva i trionfatori che si erano portati a casa il contratto discografico, mentre, a testa bassa, il gruppo lasciava la scena, venendo però accolto subito dalle proprie famiglie e dalle annesse fidanzate. “- Siete stati bravissimi comunque, il secondo posto non è male!” Esclamò Violetta, allacciando le braccia al collo di un depresso Leon che si sforzò di sorriderle per non trasmetterle la sua tristezza: la band era importantissima per lui e l’aver sfiorato il sogno ma non averlo raggiunto lo faceva stare anche peggio. Un conto era arrivare terzi e non avere più speranze di vittoria… uno, ben diverso, era beccarsi l’argento, quando avevi cominciato a crederci davvero, quando, con tutto il cuore, speravi che la tua carriera avrebbe potuto fare il cosiddetto “grande salto”, dal piccolo borgo di Madeira a stella internazionale del panorama musicale. “- Seba io ci sono abituata al secondo gradino del podio! Ora sapete cosa si prova… e la smetterete di prendermi in giro!” Ridacchiò Camilla riferendosi alle sue gare di nuoto, tentando di allentare la tensione. Diego intanto, accanto a Pablo, stava venendo stritolato dall’abbraccio di Angie, sempre più difficile da stringere a causa del pancione che aumentava a dismisura e a vista d’occhio. “- Il mio giovanotto!” Soffiò la donna, prima di schioccargli un tenero bacio sulla fronte che lo fece sorridere in imbarazzo. “- Sono fiera di te… lo sai, vero?” Gli disse dolcemente, sciogliendo quella stretta e accarezzandogli una guancia, specchiandosi in quegli occhi verdi che tanto gli ricordavano il colore intenso di quelli di sua sorella. “- Zia… scusami se non sono stato il prototipo del nipote modello… ti… ti ho sempre complicato la vita e credimi, non avrei mai voluto. L’ho fatto inconsciamente.” Le mormorò un po’ teso. “- …Con Pablo ho già chiarito da un bel po’, ma con te… beh… volevo dirtelo, ecco.” Concluse semplicemente Castillo, vedendola annuire decisa. “- Va’ tutto bene, tesoro mio… sul serio.” Sussurrò appena la Saramego, continuando a tenergli il viso con una mano, schioccandogli poi un bacio sull’altra guancia e restandosene commossa, silenzio. “-I tuoi genitori sarebbero molto fieri di te. Non hai vinto ma hai dato l’anima per questa gara… ed è questo quello che conta.” Galindo, lentamente, si avvicinò a loro ed esclamò quella frase fissando intensamente il ragazzo che asserì convinto anche lui che così fosse. “- L’ancora non ha portato poi tanta fortuna…” Rise Diego, indicando il ciondolo che teneva al collo, facendo sghignazzare il fotografo. “- A volte funziona a scoppio ritardato… fidati.” Spiegò Pablo, stringendo la vita alla sua fidanzata che poggiò piano la testa nell’incavo della sua spalla, sorridendogli e capendo a cosa alludesse: la sua fortuna era arrivata con lei, con quella famiglia allargata con cui stavano vivendo ormai da tempo, provando a ricucirla con almeno un po’ di serenità e che, adesso, sentivano loro più che mai. “- Sei stato grandioso! Che chitarrista il mio ragazzo!” Francesca, euforica, gli allacciò le braccia al collo e lui, sorpreso da quell’improvvisa stretta, la fece girare a mezz’aria, felice e incantandosi nel sentire la risata di lei risuonargli nelle orecchie. “- Cos’ha detto?! La mia bambina ha detto ‘il mio ragazzo’ a Castillo?” Matias, sbiancato di colpo, per poco non interruppe i due ragazzi,  venendo però tirato indietro dalla moglie che lo trattenne per un braccio, mentre Leon e Violetta, mano nella mano, assistevano a quel siparietto, divertiti. “- Placati o ti ammanetto ad una sedia.” Lo redarguì Marcela con una calma glaciale, scatenando l’ilarità dei ragazzi e facendo però zittire il marito, seppure tutta quella vicinanza di Diego alla sua Francesca lo infastidisse anche troppo. “- Ha detto ‘il mio ragazzo’’! La mia bambolina non puo’ avere un fidanzato è… è una bimba, è piccolina, la piccolina di papà! Non ce l’ho con Diego, però… parlo in generale! Non si puo’!” Si lagnò ancora il biondo, facendo ruotare gli occhi al cielo alla Parodi. “- Papà io non sono il tuo piccolino?” Lo prese in giro il figlio, distrattosi ancor di più della sconfitta grazie all’ilarità scatenata dal padre, per poi aggiungere: “- …Anche io e Violetta stiamo insieme!” Gli rivelò, notando quanto si stesse improvvisamente accigliando, aprendosi però poi in un bel sorriso, colpito del fatto che non ne sapesse nulla. “- Complimenti al mio campione! Vilu sono contento di… FERMI TUTTI! QUEI DUE SI STANNO BACIANDO?!” Rigirandosi verso la figlia e quello che aveva scoperto essere da poco il genero, il biondo rimase pietrificato a fissare la scena e il sorriso dal suo volto scomparve di colpo: basta, era troppo. “- Devi sapere, figliolo, che la maggior parte dei padri hanno una gelosia morbosa verso le figlie femmine, e il tuo non è da meno…” Sentenziò rassegnata la madre di Leon, vedendolo ghignare di gusto. “- …Comunque sono felicissima di diventare tua suocera…! Benvenuta in famiglia, Violetta.” Sorrise dolcemente la donna, appoggiandole una mano sulla spalla e continuando con l’altro arto a strattonare Matias che ancora sembrava aver intenzione di andare a gonfiare di botte Diego per il suo stare troppo appiccicato a Francesca. “- E tu… andiamo a comprare un'altra mela caramellata, così starai zitto, almeno!” Borbottò la Parodi, tirandosi via il marito da lì, facendo ridere ancora di gusto Leon e la Castillo che, non appena si furono allontanati, si scambiarono anche loro un bacio appassionato, rimanendo poi a fissarsi per alcuni istanti, occhi negli occhi, innamoratissimi l’uno dell’altra.
Poco distanti dai La Fontaine c’erano Priscilla, Ludmilla e Federico che continuavano a borbottare qualcosa sull’inutilità della YouMix e sul fatto che era quasi un bene che non fossero stati contrattati da loro mentre, Andres e Libi, erano saliti sul palco a complimentarsi con i vincitori che conoscevano molto meglio rispetto al resto dei concorrenti.
 
 
“- Angie, piccolina! Come sei bella con questo pancione!” Pablo, Angie e Ambar, dopo la gara, si erano avvicinati al carosello delle giostre, cosicché la bimba potesse fare un ultimo giro prima di andare a vedere lo spettacolo pirotecnico che si sarebbe visto benissimo solo dalla spiaggia, poco distante dal parco, ma quella voce li fece sobbalzare: Olga, sottobraccio con Beto, la abbracciò improvvisamente e con foga a sé, sotto lo sguardo divertito di Galindo. “- Ci siamo viste questa mattina al Restò Bar, Olghina! Sembra che tu non mi veda da anni!” Ridacchiò la Saramego, cercando di divincolarsi da quella stretta energica. “- Io però non ero di turno questa mattina e  devo dire che sei lievitata parecchio dall’ultima volta che ci siamo visti al locale… e questo è ancora nulla!” Benvenuto, entusiasta, diede una forte pacca sulla spalla al fotografo, facendolo barcollare di lato e accarezzando poi, piano, il ventre della donna. “- Sei molto incoraggiante ricordandomi che sembro una mongolfiera e che tra poco sarà peggio, grazie!” Rise ironica la bionda, avvicinandosi di nuovo a Pablo che le cinse la vita con un braccio. “- Sei e sarai comunque splendida…” La rincuorò l’uomo, schioccandole un bacio sulla guancia che la fece sorridere dolcemente. “- Piuttosto… quando vi deciderete a dirci di voi due?” Continuò il moro, guardandoli con aria furba e mettendoli alquanto in imbarazzo. “- Cosa?! Cosa vuoi insinuare ancora, fotografo dei miei stivali?!” Sbottò acidamente la Peña, alterandosi e diventando paonazza di colpo, mentre Beto provava a placarla. “- Non c’è nulla di male ad ammetterlo, tesoro… ormai lo hanno capito…” A quel dolce tono, a cui si aggiunse quell’appellativo romantico, Pablo e Angie si scambiarono una rapida occhiata complice: avevano intuito che qualcosa fosse accaduto tra i due negli ultimi tempi, ma ad ogni domanda la coppia diveniva sempre evasiva e non ammetteva nulla. “- Io e Olga stiamo insieme e siamo… siamo molto felici.” Confessò l’amico di Angie, vedendo i suoi interlocutori aprirsi in un bel sorriso. “- Che meraviglia, sono tanto contenta per voi!” Ammise la bionda, riabbracciando una innamoratissima Olga, la quale, ancora paonazza, fissava il fidanzato indispettita per quella rivelazione, mentre Galindo non la smetteva di ghignare soddisfatto della sua giusta intuizione. “- Zia Angie ci sono i fuochi d’artificio, muoviamoci o ce li perderemo!” Ambar, dopo l’ennesimo giro su una giostra a cavallo, balzò giù e corse verso i tutori con aria felice e i due, con la piccola, si incamminarono verso il luogo da cui sarebbe stato possibile assistere al finale di quella magnifica serata. “- Andiamo, allora! Mie belle signorine!” Esclamò allegramente Pablo, stringendo la manina alla rossa che ridacchiò divertita e cingendo la vita della Saramego che credé di sognare: sì, Angie era felice, aveva quasi paura di ammetterlo a sé stessa ma dopo tanto dolore, finalmente, stava assaporando con timore quella serenità e quell’amore sconfinato nei confronti di Pablo e ne era pienamente gioiosa.
 
 
La spiaggia principale di Madeira era già piena di gente, alcuni erano accomodati su dei grandi teli da picnic distesi sulla sabbia, altre persone facevano invece capannello a chiacchierare tra loro sulla bellezza della Fiera di quell’anno.
“- E’ sempre così, ogni volta dicono sia stata meglio di quella precedente!” Violetta, stretta a Leon, camminava sulla riva lentamente, mentre l’infrangersi delle onde poco lontano dalle sue scarpe creava un magico e delicato suono di sottofondo. “- Quest’anno però è stata davvero epica! Il concorso è stato la ciliegina sulla torta.” Esclamò il giovane, continuando a cingerle la vita e vedendola sorridere e annuire. “- Peccato per la band… comunque sono sicura che avrete altre occasioni, siete bravissimi!” Sentenziò la castana, parandoglisi di fronte e prendendogli dolcemente le mani. “- Ammetto di esserci rimasto un po’ male, ma va bene così.” Commentò il figlio di Matias, fissandola intensamente negli occhi. “- ...Se avessimo vinto avremmo dovuto allontanarci dalle nostre famiglie, dalle nostre fidanzate… e forse non sarei stato pronto a lasciare tutto per inseguire il mio sogno con tour e impegni costanti. Inoltre, abbiamo ancora tanta strada da fare… per il successo abbiamo tempo!” Commentò il ragazzo, facendola asserire con il capo e sentendosi incantato, come ogni volta, da quello sguardo tanto dolce fisso su di lui. “- …Non avrei potuto fare nessuna tournée sapendo che avrei dovuto allontanarmi da te…” Mormorò appena al suo orecchio, per poi depositarle un caldo bacio appena sotto al lobo, sentendola immobilizzarsi a quel contatto rovente, per poi sciogliersi al secondo medesimo gesto, allacciandogli le braccia al collo e reclinando di poco la testa di lato, come per invitarlo a continuare. “- Ti amo da impazzire…” Soffiò la Castillo, quando il giovane si staccò dal suo collo e la strinse dolcemente tra le sue possenti braccia, facendole adagiare il capo contro il suo petto: amava da sempre abbracciarla, la sentiva sua, solamente sua, e lei amava sentirsi protetta in quelle salde strette, come solo suo padre la faceva sentire in passato, stringendola a sé. “- Io di più, piccola mia…” Sussurrò il ragazzo tra i suoi capelli, prima di depositarle un tenero bacio tra essi. Erano felici, finalmente erano riusciti a conquistare la loro serenità, nonostante i vari ostacoli che si erano interposti tra di loro sin dall’inizio. “- Promettimi che non mi lascerai mai, Leon… per favore…” A quelle parole il giovane sussultò e sciolse quell’abbraccio, prendendole il viso tra le mani per specchiarsi meglio nei suoi occhi, improvvisamente insicuri e tanto teneri. “- Ma scherzi? E’ ovvio che non ti lascerò mai! So bene quanto tu abbia sofferto ma da adesso in poi devi capire che noi siamo una cosa sola, amore mio e lo saremo per sempre.” Le disse dolcemente il castano, per poi avvicinarsi piano al suo viso e, lentamente sfiorare le sue labbra in un delicato bacio con il quale avrebbe voluto tranquillizzarla per trasmetterle tutto il suo amore e la sua sicurezza sulla loro relazione. Violetta, quando si allontanarono, gli sorrise dolcemente accarezzandogli una guancia e vedendolo ghignare. “- Perché ridi ora?!” Gli chiese ridacchiando a sua volta, dopo quel gesto tanto delicato con il quale La Fontaine era riuscito a farla stare decisamente più serena. “- Perché sono felice e fortunato ad avere una fidanzata meravigliosa come te…” Esclamò lui, facendo sì che la giovane lo abbracciasse di colpo e lui la sollevasse a mezz’aria, facendola girare e beandosi del suono della sua risata che tanto amava. Niente l’ avrebbe fatta più soffrire, ci sarebbe sempre stato lui al suo fianco, voleva sentire quella melodia allegra per il resto dei suoi giorni ed era sicuro che insieme, le avrebbero potute superare tutte, perché il loro amore avrebbe vinto su ogni cosa.
 
 
“- Ambar resta dove posso vederti, mi raccomando!” Angie, leggendo un messaggio da parte di Diego, urlò quella frase alla piccola che annuendo, si allontanò verso un gruppo di bambini, probabilmente amichetti di scuola e, in meno di venti secondi, era già intenta a giocare felice con loro, correndo allegramente. “- Dai, sta’ tranquilla! Lasciala divertirsi un po’!” Le sorrise Pablo, stringendola per la vita e depositandole un tenero bacio sulla guancia. “- …Non vorrai tormentare con la tua ansia anche nostro figlio, poi?” Rise ancora Galindo, beccandosi un’occhiataccia torva dalla bionda che gli fece sollevare le braccia in segno di resa, preoccupato. “- …Ok, sto zitto, sei perfetta anche così… iperprotettiva!” Commentò il fotografo, vendendola annuire, soddisfatta da quella sua conclusione. “- Se faccio così è perché ci tengo alle persone che amo… e poi non sono nemmeno tanto esagerata come mi dipingi tu!” Sentenziò piccata la donna, incrociando le braccia al petto, alzando un sopracciglio, offesa. “- Allora lo sei anche con me?” Ghignò furbescamente l’uomo, parandosi di fronte a lei, e appoggiandole le mani sui fianchi così da attirarla a sé appassionatamente, restando fisso a specchiarsi nei suoi occhi verdi che lo facevano impazzire. “- Se fai il bravo, sì…” Lo provocò la donna, prima di prendergli il volto tra le mani e sfiorare le sue labbra con le proprie, coinvolgendolo inizialmente in un bacio delicato che, presto, divenne sempre più travolgente. “- Buonasera…” Quando i due si erano già staccati ma ancora fronte contro fronte, i loro sguardi incatenati e il cuore che batteva a mille, quella voce li fece letteralmente sobbalzare. “- Gregorio…” Balbettò Angie a disagio, cercando istintivamente la mano di Pablo per intrecciarla con la sua cosicché lui le infondesse la sicurezza che le mancava per affrontare l’assistente sociale. L’ultima volta che lo avevano visto era stato quando lei aveva da poco scoperto di essere incinta e per mesi l’uomo non si era fatto né sentire, né vedere, preoccupandoli alquanto, seppure nulla fosse cambiato a casa Castillo e lui avesse anche accettato la loro storia d’amore, però, con non poche riluttanze. “- Sapevo di incontrarvi qui… e volevo scusarmi per come vi ho trattato l’ultima volta.” Iniziò Casal serio, facendo qualche passo verso di loro con un sorriso sornione stampato in volto. “- Maschietto o femminuccia?” Domandò poi d’improvviso, fissando il pancione della Saramego che strabuzzò gli occhi per quella curiosità amichevole. “- Femminuccia.” Sorrise, sentendo Pablo cingerle la vita con un braccio, dolcemente. “- Ho sbagliato ad impedirvi di amarvi, seppure comunque avessi ragione conoscendo la vostra intricata situazione… ma amare è una cosa meravigliosa e voi ve lo meritate più di chiunque altro dopo ciò che avete patito.” Sentenziò ancora Gregorio, poggiando una mano sul ventre della donna che abbassò lo sguardo rapita dal delicato gesto dell’uomo. “- …Vi auguro tanta felicità, a voi e al resto della combriccola. E, a proposito, complimenti per quello che avete fatto con i ragazzi, sul serio. Non era un compito facile, anzi.” Concluse poi, prendendosi una pausa mentre Pablo e Angie presero a fissarlo, commossi quanto sorpresi da quelle parole. “- Grazie, Gregorio. Grazie di cuore.” Sorrise Galindo, dandogli una pacca sulla spalla, colpito da quel discorso. “- No, davvero! All’inizio ero incerto su voi due… soprattutto su te, Pablo…” Continuò l’assistente sociale, facendo sghignazzare la coppia. “- …Però ho sempre saputo che avreste lottato con tenacia per i figli di German ed Esmeralda… e, modestamente, sono stato anche il primo a capire che tra voi due sarebbe nato qualcosa… però non credevo a questo livello!” Ironizzò soddisfatto, indicando, alla parola “nato”, la pancia della bionda che continuò a sorridergli. “- Grazie davvero per aver capito due folli che hanno solo seguito il loro cuore…” Sussurrò quasi la Saramego, vedendolo scuotere il capo in segno di dissenso. “- Ah, no! Avete fatto benissimo! E chiamatela ‘Gregoria’, mi raccomando!” Sbottò sarcastico, vedendo i due sbiancare a quel suggerimento, per poi lanciarsi una rapida occhiata tesa. “- Sto scherzando, tranquilli!” Rise Casal, osservando i fidanzati tirare un vero e proprio sospiro di sollievo. “- Amore, andiamo?” Una donna dai lunghi capelli corvini si avvicinò all’uomo che, improvvisamente, divenne paonazzo e sobbalzò quando lei gli poggiò delicatamente una mano sulla spalla, sorridendogli dolcemente. “- Ehm, sì… sì, ora arrivo, Carla…” Sbottò in imbarazzo, irrigidendosi paurosamente e contraendo la mascella, nervoso. “- Scusate è… emh, la mia fidanzata...” Sentenziò serio, rivolgendosi poi ai due, quando la donna si allontanò, dopo però avergli schioccato un bacio sulla guancia. “- Complimenti, Casal!” Lo prese in giro Angie, alludendo alla bellezza della mora e dandogli un buffetto sul braccio, divertita. “- Sì, sì… emh… arrivederci, eh…” Salutò ancora violaceo l’uomo, sotto lo sguardo divertito dei due. “- Secondo me si è addolcito ora grazie a quella signorina…” Commentò Pablo, piazzandosi nuovamente di fronte a lei e indicando con un cenno del mento la direzione dalla quale si erano allontanati Gregorio e Carla. “- Sì, puo’ essere! Avrà capito quanto è importante l’amore così da darci la sua benedizione completa!” Esclamò la Saramego, prendendogli le mani teneramente e osservandolo sorridere. Galindo non era mai stato più felice in vita sua, era rimasto colpito da quella conversazione con l’assistente sociale ed era certo che avesse ragione: meritavano la felicità e lui voleva far sì soprattutto che la sua Angie fosse sempre serena come quella notte. Un secondo dopo, Matias, tutto trafelato, si avvicinò a loro preoccupato scrutando il suo cellulare con aria scioccata, seguito dalla moglie che aveva tutta l’aria di essere rassegnata dal consorte. “- Perché mia figlia mi ha appena scritto che è con tuo nipote?” Domandò piccato alla Saramego, sottolineando i soggetti della sua domanda, altamente preoccupato, facendola sorridere, divertita dalla sua reazione di gelosia. “- Sono andati a fare una passeggiata, Diego mi ha avvisata poco fa…” Disse con calma la bionda, mentre anche la moglie tentava di tranquillizzarlo. “- Vuoi placarti? Sei più insopportabile del solito!” Sbottò Marcela, prendendolo sottobraccio per tirarselo lontano dai fidanzati. “- …Ti rendi conto che stai esagerando? Fran è grande e responsabile, quindi non hai nulla da temere! E poi lasciala in pace e lascia tranquillo anche Diego! Hai dimenticato tu cosa hai dovuto passare con mio padre?” Domandò la donna, la quale sapeva potersi fidare ciecamente della sua piccolina che, ormai, era diventata una donna, forte e intelligente. “- Hai ragione… ma sono comunque preoccupato, consentimi almeno di esserlo!” Commentò Matias, abbassando gli occhi sulla sabbia sotto ai loro piedi, intenerendo però la bruna. “- E dai non fare così. confida in tua figlia! Che poi lei è sempre stata da sola con i suoi libri… ti ricordi nella vecchia casa?” Gli ricordò la Parodi, sollevandogli il volto con una mano e vedendolo annuire. “- …Insomma, non che ci fosse nulla di male nel fatto che studiasse, anzi! Ma da quando ci siamo trasferiti a Madeira ha cominciato a vivere come un’adolescente della sua età, prima era tutto diverso e tu lo sai! Ora ha amici, un ragazzo…” “- Non dire quella parola!” La interruppe categorico e piccato il La Fontaine, facendola ridere di gusto per quella sua gelosia. “- Ok, ho capito… ti devo distrarre in altro modo per vederti più rilassato…” Mormorò la donna, avvicinandosi alle sue labbra e mettendo in atto il piano b: se fargli capire che Francesca fosse abbastanza in grado ormai di gestire la sua vita come voleva non aveva sortito alcun effetto, essendo l’uomo troppo stizzito per accettare la storia della figlia con Diego in quel momento, non le restava che zittirlo a modo suo… in fondo, voleva che anche la sua notte fosse serena e che non la trascorresse a preoccuparsi inutilmente. Piano lo bruna lo baciò, allacciandogli le braccia al collo e venendo prontamente ricambiata dal marito che l’attirò a sé per i fianchi con passione. “- Mi piace questo modo per mettermi a tacere, ispettore!” Ghignò Matias, quando si staccarono, rimanendo però ad un centimetro dal suo viso. “- Ottimo, almeno ho trovato un metodo che funzioni…” Sorrise Marcela, rimanendo così a fissare il marito, quando un improvviso boato, seguito da voci festose della gente intorno a loro, li fece sobbalzare: lo spettacolo pirotecnico era iniziato, e, incantati, rimasero immobili e felici ad osservarlo, affascinati da quegli strepitosi fuochi d’artificio.
 
 
“- Avevi ragione, vedere lo spettacolo da qui è tutta un’altra storia…” Francesca, tenendo le mani appoggiate al parapetto, scrutava l’orizzonte con aria sognante: a quell’altezza c’era una lieve brezza ma ciò che si apriva di fronte ai suoi occhi era così spettacolare che la temperatura più bassa passava in secondo piano. Le sembrava quasi di essere la protagonista di uno dei romanzi d’amore che tanto adorava e invece era la realtà, la sua realtà e, per quanto stentasse addirittura a crederci, lei era davvero su quel faro con il suo grande amore a godersi quello show da fiaba. Il mare, sotto di loro, era una tavola piatta che si infrangeva sulla scogliera e la luna piena, alta nel cielo, era ancora circondata da barlumi colorati dovuti ai fuochi pirotecnici che esplodevano vicinissimi ad essa, tra le tante stelle che splendevano in quella magica notte. “- Hai freddo?” Diego, tenendole la vita, carpì chiaramente un brivido percorrere la schiena della giovane che aderiva al suo petto e, togliendosi la giacca di pelle, gliela poggiò delicatamente sulle spalle, teneramente. “- No… sono solo emozionata e… felice. Molto. Questo posto per noi è importante… ” Esclamò la bruna, voltandosi e allacciandogli le braccia al collo, mentre una luce particolare, di serenità, attraversò il suo sguardo, ripensando alla prima volta che avevano passato la notte insieme, proprio sull’imponente faro di Madeira. “- Sei così speciale e… con te mi sento bene. Ti amo da morire.” Aggiunse sorridendogli, di quei sorrisi dolci che gli facevano mancare l’aria. Castillo piegò piano un braccio e le accarezzò istintivamente una guancia candida come la neve, avvertendo subito un lieve rossore colorargliela. “- Mi piace vederti sorridere e arrossire… ti amo anch’io, piccolina mia e sarà così per sempre.” Le sussurrò il giovane, continuando a tenerle il viso teneramente, incatenato a quello sguardo dolce che tanto adorava. “- …Mi hai salvato, Fran… e non smetterò mai di essertene grato.” Soffiò ancora con un filo di voce Diego, abbassando solo per un secondo il viso, per poi risollevarlo quasi subito, fiero come sempre, seppure apparisse rattristato al pensiero di ciò che aveva passato con la morte dei genitori. “- Tu mi hai afferrato quando stavo crollando nel baratro più nero, in una gola senza uscita nella quale avrei solo potuto schiantarmi, perdendo tutto quello che amo… io ti devo la vita, amore mio.” Concluse, specchiandosi ancora nei suoi occhi che ormai, a quelle parole, erano divenuti lucidi. “- Tu non mi devi proprio nulla…” Gli sorrise la ragazza, prendendogli una mano e perdendosi nel verde brillante del suo sguardo, nemmeno accorgendosi che si fosse commossa alle parole di Diego e che una piccola lacrima, splendente sotto al chiarore della luna, le stesse percorrendo una gota. “- …Io sono contenta di essere così importante per te… ma la volontà di cambiare ce l’hai messa tu, da solo… io ti ho solo consigliato come ritornare quello che, in fondo, sei sempre stato… il dolce ragazzo che amo…” Sussurrò la mora, riallacciandogli le braccia al collo e osservando le sue labbra piegandosi in un debole sorriso, quasi un po’ imbarazzato, mentre con un pollice le catturò quella piccola goccia solitaria sul suo viso. “- Sei meravigliosa…” Soffiò a pochi centimetri dal suo volto il Castillo, per poi sfiorare la bocca della giovane con la sua, prima piano e poi con sempre più passione, facendole scivolare le mani su ogni centimetro della sua schiena, mentre lei giocava con i suoi capelli corvini. I fuochi cessarono e un silenzio, interrotto solo dall’infrangersi di alcune piccole onde sulla scogliera, calò su di loro che continuarono a baciarsi indisturbati, sognando già come sarebbe stato il loro domani del quale avevano un'unica certezza: qualunque cosa sarebbe successa, l’ avrebbero affrontata e ci sarebbero riusciti, perché non erano più soli. Diego e Francesca erano insieme e così sarebbero stati, per sempre.
 
 
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Ciao! :)
E’ finita! *Piange* Manca solo l’epilogo ma è terminata anche questa storia… :’) I Naxi vincono la gara e abbiamo tante scene dolciose: Leonetta, Pangie, Diecesca, Maticela, persino Betolga (?) xD… non manca nessuno, anche Gregorio si è trovato una fidanzata! xD Ormai manca solo l’epilogo, spero davvero che questa fan fiction vi sia piaciuta… :3 Come al solito ringrazio tutti coloro che hanno seguito la storia, siete davvero gentilissimi! :3 Alla prossima, ciao! :) DulceVoz. :)

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Capitolo 31
*** 4 anni dopo - Epilogo. ***


4 anni dopo – Epilogo.
 
“- Auguri, dottoressa!” Nell’enorme atrio della grande Università di Buenos Aires, Violetta e Camilla furono le prime a correre, euforiche, incontro alla loro amica, lasciando Seba, Leon e tutti gli altri qualche passo indietro, tutti intenti a chiacchierare sulla meravigliosa esposizione della tesi di Psicologia di Francesca. “- Grazie! Non potete capire che peso mi sia tolta! Ero così nervosa…” Commentò la bruna, venendo subito abbracciata dal padre che la sollevò quasi di mezzo metro da terra. “- La mia bambina si è laureata! Sono così felice!” Esultò La Fontaine senior, stritolando prima la figlia in un abbraccio dal quale lei tentò di liberarsi, un po’ a disagio, e consegnandole poi una splendida rosa rossa ben confezionata e incartata con lo stesso colore. “- Grazie, papà! E’ meravigliosa!” Sorrise la neo dottoressa, fissandola e inspirandone il profumo forte ma, allo stesso tempo, dolcissimo. “- Bambina? Tu per caso vedi bambini da qualche parte?” Esclamò invece Leon, spostando di lato il padre, divertito del fatto che avesse ottenuto una quasi caduta dell’uomo nel bel mezzo della folla, e stringendo a sua volta la ragazza che sorrise, emozionata. “- Grazie gemellino!” Gli sussurrò la mora, che, senza neppure il tempo di guardarsi intorno, venne subito avvicinata dalla madre. “- Non avevo dubbi che un giorno ti avrei potuto chiamare ‘dottoressa’…” Sorrise Marcela, abbracciandola a sua volta teneramente per poi schioccarle un bacio sulla sommità del capo, gesto che fece ridacchiare Francesca. “- Auguri, piccola mia, sono tanto orgogliosa di te.” Le sussurrò la donna, sciogliendo quell’ennesima stretta che la giovane stava ricevendo. “- Grazie, mamma…”. La ragazza era commossa da tutto quell’affetto, ma era anche perplessa: dov’era finito il suo fidanzato? Fino a pochi minuti prima era sicura di averlo visto nell’Aula Magna dove aveva esposto la sua tesi: si erano scambiati una rapida occhiata prima che lei cominciasse a parlare e, saperlo lì, insieme alle persone che più amava, l’aveva fatta sentire bene, serena, sicura. Se Diego era in quella classe con lei, nulla sarebbe potuto andare male… ma ora? “-Vilu, dov’è tuo fratello?” Francesca non resistette più e, mentre anche Seba le stava facendo i complimenti, si avvicinò all’amica con aria confusa: mancava all’appello il giovane Castillo ma anche Pablo, Angie con la piccola Esmeralda e Ambar che, era sicura, prima o poi, sarebbero arrivati. “- E’ andato a recuperare i miei zii… l’auto ha avuto un guasto a tre isolati da qui!” Rise la ragazza, stringendosi a Leon con aria divertita e facendo sghignazzare anche lui.  “- Eccoci! Scusate il ritardo! Avevo anche detto a quell’impiastro di mio marito di passare dal meccanico una settimana fa ma tanto lui non mi ascolta…!” Angie, riferendosi a Pablo con cui, un anno prima, si era finalmente sposata e con in braccio una splendida bambina di circa tre anni e mezzo, sorrise radiosa avvicinandosi a loro, dirigendosi prontamente verso la festeggiata che subito si intenerì alla vista della piccola Galindo. “- Auguri, Fran!” Mormorò la bimba, dai lunghi capelli che le ricadevano in boccoli dorati  sulle spalle come la madre e con occhioni neri ereditati dal papà che esprimevano dolcezza ma anche una gran furbizia e vivacità. “- Grazie, tesoro! Ma quanto sei bella! E grazie anche a te, Angie!” Esclamò la giovane, notando subito, alle spalle della donna, un trafelato Pablo che parlottava con Ambar e Diego, il quale camminava con fare misterioso, celando qualcosa dietro alla schiena. “- Auguri, principessa…” Il Castillo, schioccandole un bacio sulla fronte, fu il primo ad avvicinarla, per poi mostrare ciò che teneva nascosto: un enorme fascio di rose scarlatte, dovevano essere sicuramente più di una dozzina, fece restare a bocca aperta la laureata che, felicissima e senza neppure prendere il mazzo di fiori che il ragazzo le porgeva, gli allacciò le braccia al collo, entusiasta. “- Sono meravigliose, amore mio!” Esclamò, con le lacrime agli occhi, per poi sfiorargli le labbra in un candido bacio, ricordandosi che, intorno, c’erano le loro famiglie al gran completo. “- La mia era più bella…” Si lagnò piccato Matias all’orecchio della moglie che non poté fare a meno di sorridere a quell’ennesima dimostrazione di gelosia paterna.
“- Allora ci vediamo tutti questa sera al Restò Bar per festeggiare!” Esclamò la Saramego d’un tratto, mentre coloro che mancavano all’appello facevano ancora gli auguri alla bruna. “- Sì, non mancheremo di certo!” Convennero subito i due uomini La Fontaine, più che per la festa in sé pregustando già, al solo sentire nominare il locale della bionda, cibo in abbondanza e bibite.
 
 
“- Le foto sono venute tutte perfettamente, hai visto? Diego mi sta superando in bravura!” Galindo, quella mattina, per fortuna, aveva delegato il figlioccio di occuparsi del servizio fotografico alla giovane laureata, avendo lui un impegno di lavoro che l’aveva anche costretto, con la moglie e la figlia, ad arrivare più tardi all’Università rispetto a tutti gli altri, senza contare il contrattempo aggiuntosi dell’auto, fermatasi nel bel mezzo della città. Pablo era molto fiero del giovane Castillo, si stava laureando come German in ingegneria, ormai gli mancavano pochi esami alla triennale, e si era appassionato, proprio grazie a lui, alla fotografia, divenendo un assistente ottimo per lo studio che, anni prima, la Saramego gli aveva comprato. Se gliel’avessero detto non ci avrebbe mai creduto: insieme con Diego erano divenuti un duo formidabile, sia sul lavoro che in famiglia… erano, in effetti, circondati da donne sotto lo stesso tetto e, oltre ad aver legato tantissimo, trovandosi sempre in minoranza in casa con quella marea di femmine, si alleavano insieme per una sorta di senso di solidarietà maschile. “- Sì, Pablo io sarò anche bravo… ma con un soggetto così meraviglioso era scontato che sarebbero state incredibili!” Commentò il figlio di German, seduto ad un tavolino al quale l’uomo si era avvicinato per verificare che gli scatti del giovane fossero perfetti. “- Beh, vi lascio… piccioncini!” Ammiccò Pablo, facendo passare il suo sguardo astuto prima su Francesca e Diego e poi su Violetta e Leon che erano proprio seduti di fronte a loro. “- E dai, fa’ una foto anche a noi!” Si lagnò la sorella, abbracciando di colpo Leon che era già preso a divorare un muffin al cioccolato. “- Infatti, Castillo!” Sbottò il La Fontaine, inghiottendo l’ultimo pezzo del dolcetto. “- …Abbiamo capito che non hai occhi che per la mia gemella… ma potresti anche immortalare noi, ogni dieci foto a Fran!” Commentò il castano piccato, osservando il bruno sghignazzare. “- E va bene, mettetevi in posa: 3, 2, 1…” Nemmeno il tempo di scattare che, alle spalle dei due, si materializzarono Camilla e Seba, Ludmilla e Federico e persino Andres e Libi che tentavano di entrare nell’immagine, ma Castillo abbassò la fotocamera ultratecnologica di Pablo e li fissò, sconcertato quanto divertito. “- Che c’è? Senza Supernovi che foto sarebbe?” Borbottò la Ferro, facendo scoppiare tutti gli altri, Bianchi compreso, in una fragorosa risata. “- Facciamo così: una foto per coppia… d’accordo?” Cercò di trovare un compromesso il giovane fotografo, vedendoli annuire, tranne la figlia di Priscilla che, un po’ piccata per quella soluzione, storse il naso prima di asserire con il capo. La ragazza era ormai la vice di sua madre nella redazione di Top ma non esitava a fare, ogni tanto, anche da modella, incontrando frequentemente le ire di Federico, il quale, avendo continuato la carriera da pianista, c’era rare volte al suo fianco ma, trovando le sue foto con avvenenti top model in copertina della rivista della suocera, era decisamente gelosissimo. I due non facevano altro che litigare eppure, nonostante l’amore a distanza, erano sempre uniti… niente e nessuno si sarebbe frapposto tra i Supernovi, o sarebbero stati guai!
“- Tocca a noi!” urlò la Torres, saltellando felice come una bambina: la ragazza, non essendo mai stata una cima, non aveva continuato con gli studi ma si era dedicata alla sua passione anima e corpo: Camilla era un’insegnante di nuoto e i piccoli allievi dei corsi che teneva nella piscina di Madeira l’adoravano per la sua allegria e per l’entusiasmo che metteva nel suo lavoro. Seba si mise in posa accanto alla fidanzata, un po’ a disagio nel farsi fotografare, tuttavia molto divertito, come quando le fans lo assalivano, facendo venire attacchi d’ira alla rossa… era diventato il famoso batterista dei “Rock Bones” e, come Bianchi, il suo amore con la giovane era messo a dura prova dal successo, dalla gelosia e, soprattutto, dalla distanza dovuta ai concerti in giro per il mondo ai quali spesso doveva prendere parte con il resto della band.
Diego, esausto dopo quel vero e proprio servizio fotografico, lasciando Francesca a parlottare con le amiche su chissà quale nuova moda riguardante i tacchi dorati, al cui vertice della discussione c’era ovviamente Ludmilla, si andò a sedere vicino a Pablo per mostrargli il suo lavoro e fu felicissimo nel vederlo annuire soddisfatto ad ogni foto che scorreva. “- Sei proprio un talento, ragazzo! Farai strada!” Sorrise Galindo, restituendogli la macchina e notando quanto, a quelle parole, il giovane si fosse emozionato. Per lui Galindo era diventato un maestro, colui che gli aveva fatto amare quell’arte che prima nemmeno considerava, tanto che, adesso, la sua approvazione lo inorgogliva sempre moltissimo. “- Ti consiglierei a Priscilla ma da quando con noi lavora anche la figlia è un incubo! Salvati, tu che sei ancora in tempo!” Rise l’uomo, facendo sghignazzare anche Angie, al suo fianco, che giocherellava con la figlia allegramente. “- Priscilla è una strega!” Balbettò  d’un tratto la bambina, facendo sgranare gli occhi a Pablo. “- No, tesoro! Questo non devi dirlo o la streg… emh, Priscilla mi licenzierà!” Tentò di farle capire l’uomo: era chiaro che la piccola avesse appreso quella frase da Galindo che spesso, stremato dal lavoro, la ripeteva in casa. “- Esme, vieni andiamo a fare una passeggiata!” Ambar, con aria furba, tentò di sottrarre la piccola dalle braccia della madre che, con un cenno della mano, le frenò l’entusiasmo. “- Dove credi di andare tu? Non è che usi mia figlia come pretesto per andare di nuovo da quel David?” Sbottò Angie, riferendosi ad un ragazzino di tredici anni, uno in più della rossa, che le piaceva da matti e che era in classe con lei. “- Ma no! Cosa vai a pensare?! Zia, tu mi offendi!” Esclamò con tono piccato la Castillo, scatenando le ire di Diego. “- Chi è questo David ora?” Chiese, gelosissimo, incrociando le braccia al petto con stizza. “- Che noia che siete!” Si lamentò la ragazzina, risedendosi e sbuffando sonoramente, essendo chiaramente stata beccata e rincollando lo sguardo al suo tablet con il quale già prima stava armeggiando. “- Zia, vado a prendere delle aranciate sul retro… dietro al bancone sono finite!” Sorrise Violetta, mano nella mano con Leon avvicinandosi al loro tavolino. “- D’accordo! Non… ci mettete troppo…” Sentenziò la Saramego con aria furba, facendo divenire paonazza la giovane e ridacchiare La Fontaine sotto i baffi, alla stessa maniera in cui stava sghignazzando, a quelle parole, anche Pablo. “- Perché lei puo’ avere un fidanzato e io no?” Si lamentò di colpo Ambar, sollevando di poco lo sguardo dal suo schermo. “- Perché tu sei ancora una bimba e lei no!” La prese in giro il fratello, beccandosi per tutta risposta una linguaccia. “- Ecco, vedi? Appunto!” Rise, guardandosi poi intorno, distrattamente. Erano tutti al gran completo, la sua Fran era finalmente riuscita a tagliare quel traguardo che tanto anelava e lui era felicissimo per lei, la sua principessa, la ragazza che amava con tutta l’anima e che, era sicuro, un giorno avrebbe portato all’altare.
 
 
“- Eccole!” Violetta, sentendo Leon raggiungerla alle sue spalle, indicò le bibite da recuperare ma lui, ignorandola, le circondò la vita con un braccio, appoggiando la testa sulla sua spalla e baciandole delicatamente il collo. “- Ehi…” Sorrise la giovane, voltandosi e ritrovandosi a specchiarsi negli occhi del ragazzo che ghignò furbescamente quando lei gli intrecciò le mani dietro alla testa. “- Abbiamo un minuto, no?” Soffiò il ragazzo al suo orecchio, facendola annuire, socchiudendo gli occhi: lei e Leon erano una solidissima coppia che stava insieme da tanto, eppure, ogni volta che si ritrovava accanto al suo amato fidanzato era come se fosse la prima e allo stesso modo, arrossiva come una bambina. “. Anche due…” Si ritrovò a sussurrare la castana, sfiorandogli piano le labbra dopo avergli preso il volto tra le mani. “- Ho una cosa per te…”  Quando si staccarono da quel profondo e appassionato bacio, il ragazzo frugò qualcosa in una tasca dei jeans lasciandola perplessa: quell’aria astuta di Leon l’aveva già vista molte volte, la conosceva bene… ma era più furbetta del solito e la cosa la incuriosiva moltissimo. Il La Fontaine estrasse un foglio spiegazzato e glielo mostrò, osservando la sua aria confusa. “- …Visto che sto lavorando da un bel po’ al Supermercato di mio padre ho messo dei soldi da parte e… beh… quella casa sarebbe perfetta per noi due.” Il giovane, infatti, stava già da circa un anno aiutando frequentemente Matias nel suo negozio e Violetta non sapeva, fino a quel momento, che avesse risparmiato parecchio per riuscire a realizzare il suo sogno: un appartamento in centro per lui e la sua amata. “- …E’ a qualche isolato da qui, nella zona centrale della città, così tu sarai vicino all’Università e al Restò Bar ed io con la moto potrò comunque raggiungere Madeira nel giro di poco tempo per andare al negozio di papà…” Leon parlava e la Castillo, estasiata, continuava a far passare il suo sguardo da quella piantina al suo fidanzato. Quanto poteva essere perfetto il suo Leon? “- E’… è un regalo meraviglioso!” Balbettò, gettandosi tra le sue braccia e inspirando a pieni polmoni quel profumo muschiato che indossava e che lei tanto amava. “- Tu sei meravigliosa…” Le sorrise lui, vedendola sollevare il capo e depositandole un lieve bacio sul naso che la fece ridacchiare dolcemente. “- Andremo a vivere insieme… sono sicura che i miei zii saranno d’accordo!” Sorrise, battendo allegramente le mani, euforica al solo pensiero di condividere il tetto con il suo ragazzo. “- …Ormai sono grande e vaccinata: lavoro al Restò Bar come direttrice sostituendo Angie, studio per diventare una maestra come mia madre e… e non possono non concedermi questa libertà!” Sentenziò seria, incrociando le braccia al petto con aria sicura e determinata che fece ghignare l’altro. “- Wow, che caratterino la mia donna…” Ammiccò Leon, attirandola ancora a sé e coinvolgendola in un altro bacio appassionato. “- Sono davvero felice! Sarà fantastico!” Esclamò ancora lei, indicandogli le bottiglie da prendere per portarle sul bancone del locale. “- Devo dirlo subito a zia Angie!” Esultò, correndo fuori e lasciando lì Leon, confuso ma divertito dalla gioia della fidanzata: quella forza della natura sorrideva e se lo faceva lei, non poteva evitare di farlo anche lui. Uscendo, sotto l’uscio della saletta sul retro, vide la ragazza mostrare la piantina agli zii e i due, dai volti, erano rimasti parecchio allegri e l’abbracciarono, entusiasti: era fatta. Il suo sogno e quello di Violetta si sarebbe avverato… con i suoi aveva già parlato ed erano d’accordo, ora anche i coniugi Galindo sembravano favorevoli… sarebbero stati sereni e innamorati, si sarebbero sicuramente sposati e quella casa sarebbe stato solo l’inizio di una vita felice, insieme.
 
 
“- Hai capito i ragazzi? Rapidissimi, eh?” Pablo, dopo essere stato al tavolo con Marcela e Matias, parlava con Angie di ciò che Leon e Violetta avevano appena annunciato, ovvero il loro trasferirsi in un appartamento da soli, mentre la donna, con la piccola Esme tra le braccia, canticchiava sottovoce una dolce ninna nanna per farla addormentare, avendo notato come la bimba fosse stanca dalla lunga giornata e che si fosse già appisolata al tavolo, poco prima. “- Sono felice per loro, si vede che si amano molto ed è giusto che siano liberi… ormai sono grandi, quindi non mi sorprende che vogliano vivere la propria vita a modo loro!” Sussurrò piano la Saramego, sedendosi su una poltroncina in un angolo della sala con la piccola stretta a sé dolcemente, la quale era già crollata tra le braccia di Morfeo. “- …Violetta ha sofferto tanto in passato… e la capisco. Ora voglio che trovi la sua strada e, accanto a Leon, sono certa che sarà amata e serena come merita.” Mormorò ancora la donna, vedendo annuire il marito che poi si sporse a fissare la loro bimba: da quando Esmeralda era nata lui era impazzito. Del tutto. La coccolava dalla mattina alla sera, ci giocava, cantava canzoncine stupide solo per vederla ridere, le faceva fotografie in continuazione… insomma, era ammattito, ma per amore… come era, in passato, accaduto per quello di colei che, ora, era sua moglie. Adesso Pablo capiva appieno German e le sue perenni ansie da papà apprensivo che, in passato, aveva invece reputato come i primi sintomi perfetti per farlo rinchiudere alla neuro: ora era padre anche lui e non si era mai sentito così felice, ma, allo stesso tempo, preoccupato per volere a tutti i costi proteggere quella creaturina così fragile e delicata che gli occupava il cuore. “- Dorme?” Sussurrò alla donna che annuì, accarezzando lievemente il capo della piccola, “- Com’è bella…” Sorrise Pablo, sentendo di aver assunto un’espressione inebetita nel fissare la bambina, per poi sfiorarle piano la fronte in un tenero bacio. “- Vuoi che la tenga io? Sei stanca?” Domandò premuroso alla Saramego che scosse il capo, mentre un lampo le attraversò al contempo lo sguardo: ora o mai più. Erano settimane che doveva parlare a Galindo ma c’era sempre qualche intoppo che le impediva di affrontarlo. “- Devo dirti una cosa…” Balbettò d’un tratto la bionda, mordendosi il labbro inferiore e notando il fatto che l’uomo la fissasse, confuso. “- Mi devo preoccupare…?” Le chiese lui, accigliandosi e facendole agitare ancora la testa in segno di dissenso. “- No… cioè, non credo…” Iniziò a farneticare lei, agitata, mentre Pablo si sporse dal divanetto verso di lei, ancora più perplesso e stringendole una mano con la sua, dolcemente. “- Io… beh… non so come dirtelo…” Mormorò ancora a disagio la bionda, abbassando gli occhi sulla bimba che aveva preso a ciucciarsi il pollice, profondamente addormentata. “- Parla, Angie! Qualunque cosa sia l’affronteremo insieme, come sempre!” Le sussurrò rassicurante il fotografo, con sguardo incoraggiante. “- Sono… incinta. Di nuovo.” La Saramego disse quelle parole quasi in un unico fiato, temendo lo shock del marito che, invece, dopo l’iniziale sorpresa, si aprì in un sorriso dolce, di quelli che la facevano stare bene e che tanto amava. “- Sul… sul serio? Oh amore mio, sono così felice!”. La reazione quando aveva saputo di Esmeralda era stata più fredda, seppure poi le avesse rivelato che la sua era stata solo paura: ora invece, forte di un’esperienza già da papà, accolse quella notizia manifestando tutta la sua gioia e il suo stupore. L’uomo, euforico, le si avvicinò per stamparle un dolce bacio sulle labbra e, tutto quel movimento, svegliò la figlia che aprì un occhietto per volta, piccata, osservando i genitori ancora intenti a scambiarsi quel dolce gesto. “- Mamma…” La bimba riscosse la Saramego che si staccò di colpo da Pablo e le sorrise teneramente: “- Va tutto bene, tesoro… torna a dormire…” Le sussurrò piano, cullandola tra le braccia, vedendola annuire, poco convinta. “- Presto avrai un fratellino o una sorellina! Non è uno sballo?!” Le rivelò subito il papà, prendendosela sulle ginocchia e improvvisando un ballo con Esmeralda che strabuzzò gli occhi corvini, sicura di aver capito male. “- Ma io ho già Vilu e Ambar… e poi c’è Diego…” Elencò la piccola, evidentemente ancora con le idee confuse: i Castillo erano dei cugini ma, avendo da sempre vissuto con lei, chiaramente la piccola li considerava qualcosa in più. “- Troppo tardi, la cicogna è già in viaggio!” Sorrise l’uomo, sollevandola sopra la sua testa per simulare il librarsi del volatile e facendola sghignazzare, felice. “- Non fa niente! Sono contenta se siamo tanti!” Disse tra le risate la piccola, ancora a mezz’aria, il tutto sotto lo sguardo dolce di Angie che, afferrando la macchina fotografica del marito, scattò una foto ai due: ok, non era brava come lui o il nipote… ma di solito Pablo immortalava lei e la figlia, “Le sue principesse…” come le chiamava sempre lui… ora, la donna, voleva una foto dei suoi tesori… e anche se non fosse venuta perfetta, inoltre perché i due continuavano a giocare felici e a muoversi di continuo, l’ avrebbe fatta stampare e incorniciare, aggiungendovi poi, in futuro, quella del marito con entrambi i suoi bambini. Amava da morire quell’uomo, anni fa mai l’avrebbe immaginato… e mai sarebbe riuscita nemmeno ad ipotizzare di poter essere felice e, invece, la vita l’aveva sorpresa ancora: ora lo era. Angeles Saramego era felice.
 
 
“- Non posso credere che siate venuti fin qui per la mia laurea! Zio Nico, zia Jade sono davvero felice di vedervi!” Francesca, sconvolta dalla sorpresa fattale dai parenti francesi, li accolse abbracciandoli forte, notando solo dopo che, alle spalle dei due, ci fosse Clement che stringeva per le manine due bambini della stessa età ma molto diversi tra loro: il maschietto aveva occhi di un intenso colore azzurro come il cielo e folti capelli corvini, mentre la piccolina era la fotocopia del cugino più grande, con capelli castani sino alle spalle e occhi nocciola. La famiglia La Fontaine si riunì vicino all’ingresso e tutti si congratulavano con i coniugi Galán per i loro gemelli, nati da due anni. Persino Leon, tenendo stretta per la vita la sua Vilu, andò a salutare i parenti, soprattutto gli zii, mentre rivolse appena un cenno a Clement che sorrise, rimanendo a distanza, con i fratellini che continuavano a lagnarsi tirandogli le maniche della giacca. “- Ma… ma… ho dei nipotini bellissimi!” Commentò subito Matias, fiero, posizionandoseli uno sull’arto destro e l’altro sul sinistro: ci era abituato. Quando Leon e Francesca erano piccoli volevano sempre saltargli contemporaneamente in braccio tutti e due insieme, quindi ormai aveva, seppur fossero passati tanti anni, una certa esperienza con i gemelli. “- Sono meravigliosi, Anne somiglia a Clement e al papà! Mentre Damien è davvero uguale a te, Jade!” Sorrise Marcela, schioccando un bacio sulla guancia alla cognata che ricambiò al sorriso, soddisfatta e felice. “- Abbiamo approfittato della laurea del genietto di famiglia per venirvi a trovare!” Sentenziò Nicolas, sorridente, riabbracciando Francesca che stava salutando il cugino più grande, prima di venire stretta di nuovo dallo zio con entusiasmo. “- Fran… posso parlarti un secondo?” Diego le soffiò piano all’orecchio quella frase facendola quasi sobbalzare, tutta presa com’era a dialogare con Galán su chissà quali traguardi universitari del suo rampollo maggiore e lei, annuendo, si scusò con l’uomo e seguì il fidanzato che la prese per mano, guidandola dolcemente verso l’uscita del locale.
Il parco a pochi metri dal Restò Bar era quasi vuoto essendo già buio e Francesca non capiva proprio cosa avesse bisogno di dirle il ragazzo per averla portata lì, sottraendola alla festa così, d’improvviso. La luce dei numerosi lampioni li illuminava e, in alto, una grande luna piena, circondata da molte stelle, irradiava la sua luce in quella notte di giugno. “- Si puo’ sapere dove stiamo andando?” Ridacchiò la bruna, quando, finalmente, lui la condusse ad una panchina, alle spalle della quale vi erano alcune siepi di rose di un candido color pesca che rendevano il posto magico. “- Qui è perfetto.” Concluse Castillo, invitandola a sedersi e restando in piedi di fronte a lei, lasciandola ancor più confusa. Cosa aveva in mente, adesso? Perché la fissava con quell’aria malandrina e con quel ghigno furbo che lei, però, tanto amava? “- Ma perfetto per cosa?!” Domandò ancora Francesca, vedendolo ruotare gli occhi al cielo, rassegnato: la sua ragazza era sempre troppo curiosa ma doveva aspettarselo. In effetti l’aveva allontanata dal locale senza spiegarle neppure ancora il perché… doveva riconoscere che chiunque si sarebbe spazientito. “- Non ti ho ancora dato il mio regalo…” Le sussurrò Diego, estraendo una piccola scatolina di velluto rosso dalla tasca della sua giacca grigia e, di colpo, inginocchiandosi, sotto lo sguardo sconvolto della La Fontaine che restò immobile, seguendo ogni suo minimo gesto. Il moro le prese una mano e, con l’altra libera, aprì il cofanetto nel quale un anello d’oro bianco, sul quale faceva bella mostra di sé una piccola pietra verde smeraldo di forma circolare, incantò la ragazza che non poté far altro che sgranare gli occhi alla sua vista, impossibilitata a dire qualunque cosa. “- Diego…” Riuscì a balbettare dopo parecchi minuti di silenzio, durante i quali lui, restandosene fisso a specchiarsi nel suo sguardo, studiava la sua reazione emozionata, compiacendosene. “- Questa è la copia esatta dell’anello di fidanzamento che mio padre… ecco, che lui regalò a mia madre, poco prima che si sposassero.” Iniziò il giovane, teso, mentre la sua mente era già invasa di ricordi di quando la sua famiglia era al gran completo, prima della tragedia che li aveva colpiti. “- …Mi ricordo che quando ero appena un ragazzino, lui mi prendeva sulle ginocchia mentre eravamo a tavola,  e, mostrandomi fiero la mano di mamma, mi diceva che, un giorno, ne avrei regalato uno identico al grande amore della mia vita…” Spiegò con un filo di voce il giovane, mordendosi un labbro a disagio nel dover nominare i genitori senza provare un profondo senso di vuoto, anche a distanza di anni dalla loro scomparsa. Era sicuro che, per quanto ormai avesse superato il trauma, quell’immenso dolore non l’avrebbe mai abbandonato del tutto e avrebbe sempre ricordato German ed Esmeralda nel profondo della sua anima. “- …Io so che entrambi siamo molto giovani, che… che tu ti sei appena laureata e abbiamo tutta la vita davanti. Non voglio affrettare le cose però…” Il ragazzo prese una pausa e la bruna credé seriamente di svenire per l’emozione: era sempre stata una persona fragile, sensibile… quel momento era troppo per lei e, mentre lo pensava, avvertì subito una lacrima percorrerle rapida una guancia non facendo nulla per fermarla: non poteva e non voleva. “- …Fran, io voglio fare come mi aveva detto il mio papà: tu sei l’amore della mia vita e… e quando vorrai, anche tra qualche anno, io ti aspetterò all’altare per aggiungere a quest’anello, la fede nuziale.” Concluse il ragazzo, la cui voce si spezzò anche a lui in un singhiozzo, cosa che lo spiazzò: non se lo aspettava ma quella dichiarazione lo aveva commosso. “- Diego io… io non ho bisogno di aspettare anni! Io ti sposerei anche ora, subito, qui!” Rispose Francesca, alzandosi e invitandolo a fare lo stesso, accarezzandogli dolcemente il viso con entrambe le mani, catturando le sue lacrime con i pollici, mentre anche lui fece lo stesso identico gesto con lei. “- …Ti amo da impazzire…” Disse semplicemente la mora, rendendosi conto che stesse piangendo ancora di più, allacciandogli le braccia al collo e stringendolo forte a sé. “- Io di più, piccola. Sempre di più.” Sussurrò al suo orecchio lui, prima che, sciogliendo quell’abbraccio, i due si scambiassero un dolce bacio che, se iniziò come delicato, divenne poi sempre più travolgente e profondo. Una lieve brezza sferzava i loro visi che, ancora incantati l’uno dall’altra, rimasero a pochi centimetri, fronte contro fronte, gli sguardi incatenati. Quello era un nuovo inizio per loro e, come quella sera, si sarebbero guardati, innamorati follemente lui di lei e lei di lui, per tutto il resto della vita.
 
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E’ finita! :3 Ehi, qui tra Leonetta che vanno a vivere insieme. Pangie con la bimba e Angie che rivela di essere nuovamente incinta, i Diecesca e l’anello… insomma, sto sclerando come una folle, capitemi! XD Che ve ne pare? Spero vi sia piaciuta questa storia! :3 Approfitto per ringraziare davvero tutti coloro che l’hanno seguita! Siete stati super gentili! :3 Grazie, grazie, GRAZIE! :3 Alla prossima, ciao! :) DulceVoz. :)

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