You complete mess

di Defendmeharry
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Blue ***
Capitolo 2: *** Black ***
Capitolo 3: *** Luke ***
Capitolo 4: *** Destiny ***
Capitolo 5: *** I miss you ***
Capitolo 6: *** Echo ***
Capitolo 7: *** Feelings ***
Capitolo 8: *** Hug ***
Capitolo 9: *** Mess ***
Capitolo 10: *** Nightmares ***
Capitolo 11: *** Fallin' in love ***
Capitolo 12: *** A promise ***
Capitolo 13: *** Memories ***
Capitolo 14: *** Talent ***
Capitolo 15: *** Annoying ***
Capitolo 16: *** Hands ***
Capitolo 17: *** Blood ***
Capitolo 18: *** Laugh ***
Capitolo 19: *** Swings ***
Capitolo 20: *** Broken ***
Capitolo 21: *** Revenge ***



Capitolo 1
*** Blue ***


Attorno ad Hazel era tutto tranquillo, si sentiva soltano il rumore della natura; le foglie che si muovono accompagnate dal vento che leggere sbattono tra di loro e cadono, le poche persone che passano in quel parco dietro la scuola che Hazel frequenta, calpestano le foglie ormai cadute al suolo, ricreando quel rumore che la ragazza tanto ama. 
Hazel ha un diario con sè, lo porta dentro il suo zaino tutte le volte che esce di casa, quel diario è sempre con lei. Alle tre del pomeriggio quando ormai le lezioni sono finite, si siede nella panchina di sempre dove riesce a concentrarsi, e scrive. 
Hazel non è una ragazza popolare, è una ragazza semplice, una ragazza che vive nell'ombra, una ragazza che nessuno nota. I suoi genitori si chiedono cosa abbia di tanto speciale quel diario che Hazel ha sempre con sè. Non se ne separa mai e la maggior parte del tempo sta sul letto a scrivere sulle pagine scure di quel libriccino riciclato.
Hazel scrive di qualcuno. Qualcuno che non l'ha mai notata ma che lei tanto ammira. 
E se colui di cui Hazel scrive si scopre essere molto simile a lei? Un ragazzo silenzioso, cupo e misterioso dagli occhi azzurri profondi e fragili che tutti conoscono. 



I giorni passano e la routinne rimane sempre la stessa: svegliarsi, scuola, dormire. 
Non c'è nient'altro da fare se non scrivere. 
Come sto facendo adesso, scrivere al mattino presto quando tutti ancora dormono e in casa regna solo la pace, con la finestra aperta e l'aria fresca che entra accarezzandomi piano le gambe lasciate scoperte dal piumone floreale che mamma ha comprato in quel mercatino che le piace tanto.
Do un'occhiata fuori e vedo il sole chiaro che si nasconde tra gli alberi, mi meraviglio di 
quanto la natura possa sconvolgermi a volte.

Mi alzo e chiudo la finistra, mi accorgo che sono ormai le 7:00 e decido di cominciare a prepararmi. Sono pronta alle 7:30 e scendo per fare la colazione. Mamma mi sorride mentre continua a lavare i piatti. Mangio tutto in tempo ed esco di casa. Trovo mio padre in macchina, pronto per accompagnarmi a scuola. 
Prendo il mio diario e ricomincio a leggere quello che ho scritto questa mattina.
"Come va a scuola, Hazel?" mi chiede qualche minuto dopo mio padre come fa quasi ogni mattina. 
"Bene papà" mi affretto a dire, cercando di non sconcentrarmi da quello che stavo facendo. 
"Non ti stufi mai?" chiede pensieroso girandosi velocemente verso il mio diario per poi continuare a guardare la strada.
"No" lo guardo e accenno un sorriso, sorride anche lui.
Papà mi saluta e scendo dalla macchina con il mio zaino sulle spalle e il diario tra le mani.
Vado verso l'ingresso e salgo quelle scale che ho sempre odiato da quando sono in questa scuola. Vedo volti stanchi, stravolti, sorridenti. La maggior parte di questi visi sorridenti finge e nessuno se ne accorge, tutti pensano che siano sinceri e genuini ma nessuno ha mai pensato di guardare negli occhi delle persone che sorridono. Vedo ragazze con grandi sorrisi  e occhi spenti da tutte le parti e mi sento quasi simile a quelle ragazze, mi sento meno sola. 
Poso i libri nel mio armadietto e cammino verso la mia aula. 

I miei occhi cercano l'azzurro del mare, la sfumatura più bella dell'azzurro del mare.
Quell'azzurro che mi sembra un salto nel vuoto, un tuffo nel blu. 
Cercano il biondo chiaro dei suoi capelli e i dolci lineamenti del suo viso. 
Le labbra rosee che gli incorniciano il volto. Il piccolo piercing nero nella parte destra delle sue labbra. Le spalle larghe e le grandi mani.
E finalmente i miei occhi trovano quello che cercano.
E non vorrei mai smettere di ammirare quello che ho a 20 passi da me ma distolgo lo sguardo ed entro nella mia aula.

Mi siedo in fretta anche se la campanella non è ancora suonata e prendo il mio diario e una penna.

Dear diary,

L'ho visto di nuovo, era da solo e camminava con la sua solita andatura sicura di sè.
Per un secondo mi è sembrato che mi stesse guardando ma mi sbaglio, come sempre del resto. Mi sono sbagliata così tante volte. Lui non mi ha mai guardata, non ha mai desiderato vedere i miei occhi, non ha mai sognato un mio saluto.
Lui è troppo per me e io decisamente poco. 

La campanella suona e tutti si affrettano ad entrare. 
Quando tutti entrano io sono indaffarata con il mio diario.
Qualcuno si siede vicino a me ma non distolgo lo sguardo da quello che sto facendo. 
Il professore entra e chiude la porta e io sono costretta a chiudere il mio diario. Guardo di fianco a me, vedo delle grandi mani, al polso destro ha un braccialetto con una faccia sorridente in un sottile cordoncino nero. Ha un buon profumo, uno di quei profumi leggeri che però ti resta tutto il giorno addosso. Chiunque sia il ragazzo che mi siede vicino ha un diario come me. È più nuovo del mio ed è completamente nero tranne per una piccola scritta in bianco. 'You complete mess'. 
Vorrei tanto sapere a chi appartiene quel diario ma non ho il coraggio di alzare lo sguardo. Così riapro il mio e prendo una pagina bianca. 

You complete mess. 

Vorrei scrivere altro sotto quella frase che sembra descrivermi ma il ragazzo vicino a me comincia a muoversi e io chiudo velocemente il mio diario. 
Il ragazzo prende una matita e scrive sul banco il suo nome 'Luke'. 
Alzo in fretta lo sguardo e vedo di fronte a me quella sfumatura di azzurro che i miei occhi cercano ininterrotamente. Il cuore comincia a battermi come se volesse uscire subito fuori dal petto e le mie guance si tingono di rosa. Abbasso di nuovo gli occhi su quel 'Luke' scritto a matita. Prendo anche io una matita e scrivo lentamente il mio nome 'Hazel'. 
La campanella suona, prende il suo diario e la sua matita e se ne va. Io invece resto lì, in quel posto in fondo all'aula a fissare quel nome scritto sul mio banco, ad assaporare con piccoli respiri ciò che rimane del suo profumo. 

Quando finisce la mezz'ora di pausa decido di spostarmi da quel banco e uscire per andare nelle ultime classi di oggi. Sia l'ora di biologia che quella di matematica e fisica sono una noia, e non vedo l'ora di uscire da queste mura per assaporare un po' d'aria fresca. 
Mi incammino verso l'uscita quando qualcuno mi ferma. Il ragazzo che ho di fronte mi sorride e non faccio che guardare la sua bocca e quelle fossette che indossa sulle guance. Sorrido inarcando leggermente le labbra. Ha gli occhi verdi con qualche sfumatura di nocciola e una bandana nera che fa intravedere alcuni dei riccioli sul biondo scuro.
"Ehi, tu sei nella mia stessa classe di biologia vero?" mi chiede sempre con quel sorriso sul viso, spostando leggermente la sua bandana. 
"Si" rispondo piano continuando a fissarlo interrogativa.
"Io sono Ashton, come ti chiami tu?" Il suo sorriso mi sembra uno dei più veri tra quelli che ho visto oggi. 
"Hazel" rispondo un po' intimidita.
Guarda il grande orologio che indossa sul polso sinistro e poi riposa lo sguardo su di me con un'espressione triste sul volto.
"Scusa adesso devo andare, ci si vede Hazel" si allontana a passo veloce dall'uscita principale.
"Ciao" sussurro quasi dispiaciuta che se ne stesse andando. 


Sono le tre e so dove andare, mi incammino velocemente verso quella panchina dietro la scuola, l'unico posto del mondo in cui voglio stare adesso. 
Non c'è nessuno come al solito, solo io e quel leggero brusio di foglie che si sfiorano. 
Calpesto leggermente le foglie secche che ci sono vicino alla panchina e mi siedo mettendo le gambe incrociate. Prendo il mio diario e lo apro, controllo l'ultima pagina e l'unica frase che colora il foglio mi fa sorridere, la sfioro piano. Giro pagina. 

Dear diary, 

Non riesco a cancellare dalla mia testa l'azzurro dei suoi occhi, i suoi bellissimi occhi. 
Il suo viso come non l'ho mai visto, ogni cosa che ho osservato con attenzione da lontano adesso sembra ancora più chiara e indelebile nella mia testa da vicino. 
Adesso che so che anche lui ha un diario ho l'interminabile voglia di leggerlo; cosa scrive su quelle pagine? Quali sono i suoi pensieri più nascosti? 

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Capitolo 2
*** Black ***




Sono le cinque e mezza e non sono ancora andata via da questo posto, la tranquillità che riesce a trasmettere mi tiene inchiodata lì. 
Comincia a calare il sole così decido di andare altrove, prendo le mie cose, guardo indietro per un'ultima volta e mi incammino verso il cancello principale.
Decido di andare a piedi. Passo dopo passo vedo il sole diventare sempre più arancione e più basso, lentamente, mentre sto per arrivare a casa. Ho sempre amato i tramonti; sembra uno di quei momenti della giornata che devi assolutamente passare con qualcuno di speciale, attimi che non devono essere sprecati ma osservati fino in fondo, assaporati e incastrati nella memoria. Il sole tramonta sempre che sia una buona o una cattiva giornata, e questa sembra tanto una buona giornata. 
Arrivo a casa e la prima cosa che noto è il buon profumo che arriva dalla cucina. 
Mamma sta cucinando come al solito, dall'odore sembra pollo e sono subito felice. Il pollo della mamma è uno dei miei piatti preferiti. 
 
Vado in camera mia, decido di farmi una doccia e mettermi comoda dentro al mio morbido pigiama. Mi sistemo sul mio letto e prendo il mio diario. 

Dear diary, 
Il tramonto era bellissimo oggi, sarei voluta restare fuori finchè le stelle non avessero fatto capolino nel cielo. Sono davvero curiosa di sapere se qualcuno come me si affascina di fronte l'alba o il tramonto, di fronte le stelle o la luna. Qualcuno come me che aspetta solo di sentirsi dire "Ti va un tramonto?". 
Accetterei volentieri di fronte quella domanda. 

"Hazel" sento chiamare il mio nome da mia madre e scendo di corsa, mangio la mia razione di pollo e torno in camera mia. 

Mi stendo sul mio letto e per un attimo penso a Luke e al suo diario. Mi fermo ad immaginare cosa potrebbe scrivere un ragazzo come lui. Che cosa sente, che cosa prova ad essere uno dei ragazzi più misteriosi della scuola? Riprendo il mio diario e continuo quello che stavo scrivendo: 

Vorrei tanto scoprire che cosa pensi Luke, come ti senti? Vorrei sapere di cosa scrivi, se scrivi di qualcuno come faccio io con te, o se ti limiti a riportare quello che ti capita ogni ogni giorno. Dubito che tu scriva di me. 
Forse anche tu scrivi di tramonti e di occhi che al solo sguardo ti spezzano in due, di sorrisi che ti stringono in una morsa il cuore. 
E mi chiedo se ti sei mai accorto di me, se mi hai mai guardata e hai pensato che fossi una bella ragazza, se hai mai cercato il mio sguardo tra quelli degli altri. Io i tuoi occhi li ho cercati e li ho trovati, chiari e profondi di fronte ai miei, semplici occhi neri e con un solo sguardo mi sono sentita bene, mi sono sentita felice di una felicità che si è lasciata spazio dentro di me e non vuole più uscire. 
Chiudo gli occhi e ripercorro quell'attimo di gioia, rivivo ogni istante di quello sguardo su di me. 

Chiudo il diario e prendo sonno. 

La mattina dopo mi sveglio tardi, sono sicura che arriverò in ritardo a scuola e sarò l'ultima ad entrare in classe.
Apro la porta dell'ingresso e noto che ci sono ancora parecchie persone in giro per i corridoi ma non me ne curo e corro verso la mia aula. 
La porta è aperta e quasi tutti sono già seduti, la maggior parte di loro è già occupata a fare qualcosa e non si accorge di me. Vado verso il mio posto a testa bassa, quando alzo gli occhi vedo qualcuno già seduto nel mio banco che mi fa posto di fianco a sè. Lo stesso ragazzo che ieri mi ha accennato il suo nome: Ashton. Mi sorride allo stesso modo in cui mi ha sorriso ieri e fa cenno di sedermi.
"Ciao Hazel" dice con una voce abbastanza forte.
"Ciao Ashton" dico io con un sorriso sul volto. Questo ragazzo sembra una di quelle persone a cui la bocca è stata fatta apposta per sorridere. E quando sorride ci sa proprio fare. 
"Frequenti questa scuola da tanto o sei nuova?" dice più piano lui con uno sguardo curioso.
"La frequento da due anni" concludo io, e non mi stupisco affatto di quella che sarà la sua risposta. 
"Non ti ho mai vista qui" dice lui sicuro di quello che sta dicendo. 
La porta si chiude e il professore entra, posa la cartella sulla cattedra e si siede. 
Dopo nemmeno un minuto la porta si riapre e sulla soglia c'è un Luke affannato che chiede al professore se può entrare. Nel vederlo le mie guance si colorano subito e non riesco a smettere di guardare nella sua direzione. 
Cammina, si guarda attorno per trovare un posto libero mentre con una mano si aggiusta la canotta completamentamente nera. Do un'occhiata ai banchi liberi e mi accorgo che l'unico rimasto è davanti Ashton. Incontra il mio sguardo per un istante, così poco che non sembra nemmeno reale e si siede. Faccio uscire piano un sospiro cercando di non farmi sentire da nessuno. Prendo il mio diario e lo sfoglio fino a trovare una pagina pulita, mi assicuro che Ashton non mi stia guardando e con un tratto veloce scrivo al centro della pagina: Black. 
E per tutta la lezione non faccio altro che guardare le sue spalle grandi e le sue lunghe braccia. Si gira un po' e guarda indietro con la coda dell'occhio come se avesse capito che lo stavo osservando. E lo stavo osservando con cura per ricordare ogni piccolo gesto e particolare. Abbasso lo sguardo sulle mie mani che non stanno ferme e tamburellano sul legno del mio banco. Quando riposo lo sguardo su di lui non sta più guardando. Mi sposto leggermente per vedere cosa sta facendo e noto la sua mano muoversi lentamente su una pagina bianca del suo diario e così continua fino alla fine della lezione. 

Ashton mi saluta con un sorriso e dice qualcosa che non riesco a sentire perchè sono immersa ancora nei miei pensieri. 
Vanno via tutti ad uno ad uno, Luke prende il suo diario e il suo zaino e va via anche lui. Aspetto un attimo prima di uscire, vado nel mio armadietto a prendere tutto il necessario per finire le lezioni di oggi.

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Capitolo 3
*** Luke ***


Caro Michael, 
La casa è in disordine e non ho nessuna voglia di sistemare la mia roba. 
Le cuffie suonano nelle mie orecchie una musica assordante che mi tiene sveglio e mantiene calmi i miei pensieri. Avevo davvero bisogno di un giorno di riposo da scuola, di un po' di pace. 
Se ascolto la musica ad alto volume riesco a smettere di pensare a quanto mi manchi e a quando non ero figlio unico. C'è troppo silenzio da quando sei andato via.
Mi avevi detto che dovevo smetterla di scrivere su questo diario, odiavi quando passavo il mio tempo a scrivere e mi lamentavo tutte le volte che aumentavi il volume dello stereo. 
Adesso sono io ad alzarlo fino a che non riesco a sentire nemmeno il mio respiro. 
Non so se mi vedi e se sei arrabbiato con me perchè continuo ad annotare ogni cosa su queste pagine ma mi conforta. Scriverti mi fa stare meglio. 
A scuola pensano che sia un ragazzo misterioso perchè a volte scompaio per qualche giorno e non parlo con molte persone oltre che con Calum. Tutti mi guardano con occhi diversi e le ragazze mi fissano come se fossi un dio greco. So che se ci fossi tu rideresti di questo e saresti felice di come tuo fratello è cresciuto sotto le tue regole ma questa situazione non fa per me. Sai che odio essere osservato, stare con tanta gente. Mi piace stare solo e avere i miei spazi. 
 Solo ora capisco che la mamma aveva ragione quando ci diceva che siamo come dolce e salato, come cioccolata e polpette.

Mi alzai dal letto togliendo le cuffie dalle mie orecchie e andai verso la scrivania per posarle sullo scaffale e andare in cucina. In lontanza vidi una foto di me e Michael da bambini mentre giocavamo in soffitta.

Era passato ormai un anno da quando Michael era stato trovato morto nella stanza di fianco alla mia. Overdose ci avevano detto. 
Michael era dipendente da almeno un anno e io lo sapevo ma non avevo fatto niente per aiutarlo ingenuo nel pensare che un giorno avrebbe smesso da solo con le sue forze e che questa non era una vera dipendenza. 
Invece lo era: la mattina faceva sempre fatica ad alzarsi e prima di andare a scuola si chiudeva in soffitta per almeno un'ora. Era in ritardo a scuola quasi ogni giorno, andava male in quasi tutte le materie e faceva quello che voleva senza chiedere il permesso a nessuno. Tornava tardi a casa e dormiva quasi tutto il pomeriggio, si alzava alla sera, usciva e ritornava nelle prime ore del mattino. 
Tutte le volte che tornava più tardi del solito bussava alla mia porta e mi chiedeva se ero sveglio, io gli dicevo di entrare e lui mi guardava stanco e pronunciava sempre le stesse parole "Vieni, andiamo in soffitta". Io lo seguivo perchè sapevo cosa stavamo per fare e sorridevo.
Ci sedevamo sulle sedie a dondolo e guardavamo l'alba dalla finestra.
Era stato difficile i primi mesi abituarsi a quel silenzio, a non sentirlo più mentre cantava sotto la doccia le canzoni dei green day o sentirlo suonare la chitarra. Mi aveva insegnato a suonare e avevo provato con cura a diventare bravo come lui ma da quando è morto non ho più toccato una chitarra. 
Non sono più entrato nella sua stanza, non ne ho il coraggio. 

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Capitolo 4
*** Destiny ***


Il sole alto nel cielo ricoperto dalle nuvole e la campanella della scuola mi avvisano che sono le tre del pomeriggio. 
Sto seduta sulla panchina di sempre mentre tutto tace, sono solo i miei pensieri a fare rumore.
Sento un lontano fruscio dal suono familiare: il fruscio delle foglie calpestate. Mi giro lentamente per vedere chi si avvicina senza dare troppo nell'occhio. Luke sta camminando verso una panchina abbastanza lontana da dove mi trovo io, si stringe nella sua camicia rossa e nera come se sentisse freddo e finalmente arriva e si siede. Abbasso subito gli occhi sul diario cercando di evitare di incontrare il suo sguardo accidentamente. 
La tentazione mi spinge a guardare alcune volte verso la sua direzione, una sigaretta tra le dita lunghe brucia lentamente, le gambe incrociate e una posizione comoda, il viso pallido come sempre e le labbra strette quasi pronte a scomparire del tutto. Gli occhi azzurri che mi scrutano. Limpidi e cupi allo stesso tempo, lontani ma così vicini. 
Per una volta riesco a sentirmi sicura di me e non distolgo lo sguardo, prende la sigaretta tra le labbra e fa un lungo tiro, assaporo questo piccolo e stupido momento in ogni suo particolare. 
La sicurezza finisce in fretta e afferro la penna che stava tra le pagine del mio diario.

Dear diary, 
Mi sono sempre chiesta se il destino esistesse, non so ancora dare una risposta a questa domanda.
C'è stato un momento in cui ho guardato i suoi occhi da vicino per la prima volta e ho pensato 'questo è sicuramente il destino'. 
Non so bene cosa sia davvero il destino o a cosa serve o perchè tutti lo bramano o perchè in molti ci credono. 
C'è chi crede che il destino sia prodotto del caso e chi pensa che sia creato da noi stessi e dalle nostre scelte. Secondo me è il destino stesso a variare sempre a seconda delle nostre decisioni, delle nostre azioni. Non riesco a credere che nasciamo con un destino prestabilito, con una storia già scritta. Io credo che noi siamo gli autori della storia della nostra vita. Siamo noi stessi a scrivere il percorso giorno dopo giorno, scelta dopo scelta, passo dopo passo. Se è così allora il destino è una strada con tante vie secondarie e strade principali e sta solo a noi decidere che strada prendere e percorrerla fino in fondo o solo per metà per poi scegliere altre strade che portano ad altre vie e ad altre decisioni. 
Il destino è come la vita, o è addirittura la vita stessa. 

Guardo le pagine su cui ho appena inciso i miei pensieri e mi stupisco di come può essere facile perdersi in un concetto così difficile da spiegare. Chiudo il diario e ne accerezzo la copertina, guardo l'orario sul cellulare e mi accorgo che è tardi. Poso tutto nella borsa e mi guardo in giro. Luke è già andato via e non mi sono nemmeno accorta di quando sia successo perchè ero troppo concentrata a fare altro. 

A casa non c'è nessuno, vado in cucina e poso lo zaino sul tavolo. Noto un bigliettino sul tavolo firmato da mia madre: Torniamo tardi la cena è nel forno. 
Non ho neanche tutta questa fame così salgo le scale e mi butto sul mio letto senza pensarci due volte. Resto in quella posizione per almeno mezz'ora cercando di far tacere i miei irrefrenabili pensieri.

Vedo la luce chiara del mattino venire dalla mia finestra e capisco di essermi addormentata dopo qualche minuto. 
Quando entro a scuola mi accorgo di non essere affatto in ritardo come credevo, prendo i libri per le lezioni di oggi dall'armadietto e quando lo chiudo vedo Ashton davanti a me che mi sorride. È incredibile il buon umore che riesce a trasmettere quindi sorrido anche io. Non ha nessuna intenzione di parlare per primo quindi mi decido a salutarlo.
"Ehi Ashton" gli dico senza smettere di sorridere. È contagioso. 
"Ehi Hazel" mi dice lui distogliendo lo sguardo solo per un secondo per poi ritornare su di me. 
"Ti va di camminare verso la classe di biologia insieme?" 
"Certo" dico io incerta mettendo il diario che ho in mano di nuovo dentro lo zaino e sento lo sguardo di lui seguire ogni mio movimento.
"Cosa scrivi?" dice diretto e io lo guardo come se fingessi di non capire quello che dice ma alla fine rispondo con un'altra domanda.
"Tu cosa scriveresti su un diario?" lo guardo interrogativa con un mezzo sorriso sul volto.
"Io scriverei di qualcuno o di qualcosa che mi tormenta" 
Torno a fissare le scarpe e penso a quanto ha detto Ashton e a cosa potrebbe tormentare un ragazzo che sembra così solare e senza problemi, un ragazzo a cui la vita sorride. 
"Scriverei di questioni importanti e di pensieri irrisolti, di incubi e bei sogni e tu cosa scrivi Hazel?" il riccio torna a fissarmi e guarda con aria impaziente. 
"Mi piacciono i dettagli, descrivo le cose che mi stanno vicino o le persone" 
Stiamo entrambi in silenzio per un po' e ci accorgiamo di essere arrivati in classe appena in tempo al suono della campanella. 
"Allora scriverai di me prima o poi visto che sono una persona e ti sto vicino" dice piano guardandomi un attimo, poi sorride e sposta gli occhi sulle sue mani che continuano a muoversi. 
Il professore entra e ci sediamo di nuovo vicini. 

 

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Capitolo 5
*** I miss you ***


Caro michael, Oggi ho risentito una delle tue canzoni preferite: American idiot dei Green Day. L'ho cantata a sguarciagola fino a che non mi è sembrato di sentirti cantare insieme a me. Mi sono bloccato, ho spento la tv e ho detto a mamma che non avevo fame. Adesso sono qui a chiedermi se sto impazzendo o se sono solo paranoie. Forse mi manchi e non voglio ammetterlo perchè se lo ammetto mi mancherai ancora di più. Calum non smette di chiedermi come sto da un anno, non è un ragazzo come gli altri, lui ha bisogno di sapere che sto bene, non me lo chiede perchè non ha altre domande da fare. La mia risposta è sempre la stessa: sto bene. Lui non ci crede molto e tace. Lo percepisce da solo come sto ed è come una sorta di superpotere. Io fingo di essere forte e felice, ogni tanto sorrido e nessuno si accorge del mio malessere interiore. Non pensavo che ci si sentisse così a perdere una parte  della propria famiglia. Mi passerà Michael, mi passerà e sarò solare come prima, come quando c'eri tu. Sento bussare alla porta e smetto di scrivere. Corro giù ed apro. Davanti a me vedo Calum con una faccia preoccupata. "Che hai Calum?" chiedo sospettoso. "Io vorrei sapere che hai tu" dice lui buttando gli occhi al cielo. Io non ho niente, penso. "Cos'ho?" "Ti ho chiamato dieci volte mi sono preoccupato e sono venuto a piedi da te" Prendo il telefono dalla tasca e controllo le chiamate perse. 10 notifiche da Calum. "Scusa Cal ero distratto" lo guardo cercando di sembrare il più dispiaciuto possibile. "Posso entrare?" Mi sposto e lo faccio entrare, chiudo la porta e lo seguo su per le scale. Il suo sguardo si posa sulla porta di fianco alla mia. Sposta lo sguardo su di me e mi sorride lievemente. Quando entra in stanza si guarda in giro e mi chiede come sto e io rispondo sempre che sto bene. Si acciglia per un attimo e si siede sul mio letto di fianco al computer. "Tu come stai, cal?" "Io sto bene ma lo dico sul serio." butto gli occhi in direzione del pavimento e per un attimo penso di dovergli dire la verità. Ma cambio subito idea. "C'è una ragazza a scuola che scrive sempre su un diario." dico velocemente senza pensare all'interrogatorio che subirò. Gli occhi gli si illuminano speranzosi di vedere un po' di luce in me dopo tanto tempo. Non parlo con Calum di ragazze da un po', in realtà lui me ne parla ma io non lo ascolto del tutto. "Quindi? Raccontami un po' di questa ragazza" comincia a chiedermi curioso. "Non so niente e non mi importa saperne di più, è solo una ragazza, ho altre cose per la testa" spengo in fretta la sua curiosità con un tono di voce pacato e tranquillo. "E cosa? Come passare un altro giorno chiuso in questa stanza a pensare a quanto il destino sia stato ingiusto con te e con la tua famiglia?" quando conclude la frase mi guarda serio e cambia subito la sua espressione sul volto. "Scusami luke" mi poggia una mano sulla spalla e io la sposto subito. "Vattene per favore" si alza dispiaciuto e mi chiede scusa questa volta piano così tanto che quasi non lo sento. Dalla rabbia prendo la prima cosa che mi capita vicino e la tiro contro il muro e poi contro la porta. Ho voglia di rompere tutto, ogni cosa che sta in questa piccola e soffocante casa piena di ricordi che voglio cancellare come si cancellano le foto da un cellulare. Voglio dimenticare tutte queste stupide memorie e pensare ad altro. Ho bisogno di ricominciare, di creare nuovi ricordi, di sentirmi bene. Ho davvero bisogno di sentirmi bene e senza pensieri solo per un po'. Decido di uscire da lì per andare da qualche altra parte. Mia madre comincia ad urlarmi contro ma non la ascolto. Dopo tre minuti sono già seduto in spiaggia e rimpiango di non aver portato nessuna felpa per coprirmi. Il mare è in tempesta, come solo a piace: variegato di colori, pieno di gabbiani e vuoto di persone. Ci sono solo io nei paraggi e tutto quello che voglio fare è rimanere qui in silenzio cullato dal rumore delle onde che sbattono sulla sabbia e sugli scogli violente, una dopo l'altra. Anche se continuano a imbattersi in sabbia e scogli, le onde hanno sempre la forza di riprovarci. Io la sto cercando la forza per riprovarci. La spiaggia è il posto migliore per rilassarsi ma non per mettere a tacere i propri pensieri. Sono ancora lì, tutti quanti. Ma provo a non pensarci e ci riesco per quasi mezz'ora. Non ricordo nemmeno a cosa penso in questi trenta minuti, cose stupide e inutili sicuramente. Torno a casa stanco, così tanto che salgo le scale molto lentamente. Appena arrivo in camera due occhi blu mi scrutano furiosi.
"Perchè sei qui?" dico curioso e dubbioso allo stesso tempo.
"Perchè non mi ascolti mai quando ti parlo? Ti avevo detto di non uscire e l'hai fatto lo stesso. Hai fatto un buco nella parete di nuovo, vorrei davvero sapere cosa ti prende, Luke" mi guardava con gli occhi lucidi di chi sta per piangere dalla rabbia e la capivo. Non voleva sbagliare anche questa volta, anche con me. Voleva solo assicurarsi che tutto andasse per il meglio.
"Va tutto bene mamma, volevo soltanto provare a non pensare" dico sincero avvicinandomi a lei per accarezzarle le braccia e le spalle. Guarda in giro per la stanza e il suo sguardo cade sulla foto di me e Michael il giorno di natale di tre anni fa. La sento respirare più forte e la abbraccio per cercare di farla sentire meglio.
"Vorrei che fosse facile dimenticare" dice lei in un sussurro quasi per non farmi capire che sta piangendo. "
Come puoi dimenticare qualcuno che ti ha dato tanto da ricordare? Non puoi dimenticarlo mamma. Michael non puoi dimenticarlo e nemmeno io posso"

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Capitolo 6
*** Echo ***


Le strade sono vuote, non passa quasi nessuno tranne qualche macchina ogni cinque minuti. È domenica pomeriggio e immagino tutte le famiglie riunite intorno a tavoli imbanditi, pieni di cibo delizioso e sorrisi sinceri. A casa mia non è mai così, non ci sono sorrisi sinceri da quando quattro anni fa ci siamo trasferiti in Australia a causa del lavoro di mio padre. Non sono mai voluta andare via da Orlando, non ho mai digerito questo trasferimento. Da quel giorno ho perso tutti i miei amici più cari, alcuni di loro non li sento da molto tempo, altri sono ancora in contatto con me ma non è più come una volta. In quattro anni della nostra vita siamo cambiati e non abbiamo vissuto a pieno ogni trasformazione avvenuta in noi. Non è come crescere insieme nella stessa città, con le stesse abitudini e con gli stessi programmi. Il fuso orario ci divide ancora di più. Forse è proprio a causa di questo trasferimento che mi sono chiusa in me stessa e non ho più avuto il coraggio di farmi nuovi amici. Forse è per questo che non riesco ad essere sinceramente felice a tavola o dopo scuola quando ritorno a casa. Ogni volta che varco quella porta e vedo mia madre in cucina che mi sorride e mio padre che non è ancora tornato da lavoro, è come rivivere di nuovo quel trasferimento, è come perdere tutti i miei amici e la mia autostima per mille volte. È arrabbiarsi tante volte per qualcosa che non puoi cambiare. È soffrire costantemente per gli amici che hai perso e per quelli che non riesci a farti. È l'essere lontani dalle persone a cui tieni migliaia di km e poterle vedere solo una volta al giorno su skype. Ed è questo il motivo per cui adesso mi ritrovo per strada a cercare il bar più vicino e a pensare a come sarebbe la mia vita ad Orlando con i miei amici e un sorriso vero sul volto. Ho le mani nelle tasche e una sciarpa al collo. Cuffie nelle orecchie e desideri nella testa. Trovo finalmente un bar a pochi isolati da casa. Non ci sta quasi nessuno e decido di entrare e sedermi in un tavolo piccolo e in fondo alla sala, un posto nascosto. Prendo l'elenco e comincio a ripetere nella mia testa gli strani nomi che hanno dato a queste bevande calde e fredde. Scelgo un morocchino e lo aspetto con ansia. Mentre tutto sembra muto fuori, dentro la mia testa risuona la melodia di Echo di Jason Walker e una folla inaspettata di pensieri che si espande. È come sentirsi più sola ad ogni parola pronunciata e mi sento spenta e indifesa. Sento il cuore battere più forte e i ricordi tornare indietro come un boomerang che qualche anno prima avevo lanciato. Kat, Melodie, Brad, Sam e Kurt. Ad ogni nome sento come se mi svuotassi sempre di più, mi sento un sacco pieno che pian piano comincia a perdere contenuto. La canzone finisce e senza pensarci troppo spengo l'mp3 e lo poso nella mia borsa. Sento il rumore della porta di legno chiudersi e qualcuno entrare. Luke con i suoi skinny jeans neri e strappati in entrambe le ginocchia, con una maglia dei Rolling Stones e le cuffie alle orecchie. Le sfila subito dopo e le infila dentro la tasca posteriore dei suoi jeans. I suoi occhi hanno l'aspetto di chi ha pianto, rossi e gonfi ma non troppo, e il suo viso pallido sembra essere più bianco del solito. Si siede in un tavolo con una sola sedia lontano da me e sono felice che non abbia ancora notato che non è solo in questo bar. Non riesco a scrollargli gli occhi di dosso e seguo ogni suo movimento. Si passa una mano tra i capelli biondi mentre guarda quello strano elenco e appena arriva il cameriere ordina un morocchino. Sorrido leggermente alla sua scelta. Arriva il cameriere al tavolo con la mia richiesta e sorrido per la gentilezza con cui svolge il suo lavoro, dico grazie e poggio il conto sul vassoio. Guardo quello che ho ordinato e ne assaggio un po', mi stupisco di come sia buono e ne prendo un altro sorso. Alzo gli occhi verso il tavolo in cui Luke è seduto e sorrido quasi senza accorgemene quando noto che mi sta guardando. Comincio a sentire caldo e immagino di avere le guance rosse dall'imbarazzo. Guarda senza distrarsi e dopo un attimo sorride anche lui a labbra strette quasi intimorito da quale sarà la mia reazione successiva. Rigetto lo sguardo nel morocchino e lo finisco ma decido di restare un altro po' per assaporare qualche dettaglio in più su di Luke. E noto di quando sia perfetta la linea della sua mascella e la curva del suo collo. Osservo con cura il modo in cui beve il suo morocchino sorseggiando piano e senza avere fretta come se volesse che quel momento fosse infinito. Alza di nuovo gli occhi verso di me e si accorge che lo sto guardando ancora e non ho voglia di distogliere i miei occhi da lui. Sorride di nuovo leggermente in un modo quasi impercettibile dalla mia posizione. Eppure me ne rendo conto e ne sono felice come una bambina che riceve il regalo che vuole da sempre a Natale. Mi basta distogliere lo sguardo per uno o due minuti e Luke scompare.
Mi alzo dal mio posto e raggiungo quello in cui era seduto il biondo. Un pezzo di carta ruvida piegato in due incornicia il tavolo. Una X è incisa con una penna nera sopra il tovagliolino bianco. La mia curiosità mi porta ad aprire quel pezzo di carta colorato da poche parole: Sapevo che l'avresti aperto, Hazel.

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Capitolo 7
*** Feelings ***


Mi sveglio di colpo nel bel mezzo della notte. Non so che ore sono, nè quanto tempo mi rimane ancora per dormire so che ho bisogno di uscire da questa stanza e conosco il posto in cui sono diretto. Cammino piano nel buio illuminato soltanto dalla luce della luna che sta per scomparire con il bagliore dell'alba. 
Mi ritrovo in soffitta e mi siedo in una di quelle vecchie sedie a dondolo che scricchiolano. Fisso fuori dalla finestra fino a che non si fa giorno e mi sembra di rivivere ogni minuto che ho vissuto con Michael su questa soffitta. Il tempo in cui mi raccontava di come si sentiva solo tra la gente, tra tutti quelli che lui chiamava amici. Amici che non l'hanno mai aiutato ad uscire da quella brutta dipendenza. Gli amici che si trovava attorno non erano altro che la sua rovina. Il suo passaporto per la perdizione. 
Mi girai a guardare accanto e nessuno era seduto vicino a me, una sedia vuota, uno spazio che nessun'altro avrebbe potuto colmare. 
Pensai a quel giorno e tutti gli altri che seguirono e mi meravigliai di come provai invano ad essere forte e non piangere. La realtà era che ci provavo ogni giorno a piangere ma non ci riuscivo. Ripercorrevo ogni istante con Michael solo per fare uscire le mie emozioni più nascoste. Ma non usciva altro che rabbia o solitudine. 
La voglia di starmene solo, per conto mio, di non badare a nessuno se non ai miei genitori troppo afflitti per badare completamente a se stessi. 
Adesso è un continuo susseguirsi di emozioni diverse, per un attimo sono triste poi sono arrabbiato, e magari in fine non sto poi così male. Dopo un'ora avrò cambiato umore altre due volte. Non ho più il controllo dei miei sentimenti. 
È ormai ora di andare a scuola quando sento il cellulare vibrare che mi sveglia dai miei pensieri. 
Calum che mi chiede di scendere. Non si stupirà quando saprà che non sono ancora pronto. In fretta mi vesto e sono pronto per andare a scuola. 
Appena entro in macchina Calum abbassa il volume della musica e come da routine mi chiede "Come stai Luke?"
Mi giro verso di lui per far sembrare ancora più vero quello che sto dicendo. 
"Bene." Concludo in fretta tra uno sbuffo e l'altro di Calum che sembra non sopportare più la risposta alla sua solita domanda. E credo che prima o poi si annoierà a farmela e se ne dimenticherà. 
"Ne vuoi una?" Mi dice lui guardando la sigaretta che tiene tra le mani e accetto prendendola da solo dal cruscotto della macchina. 
Arriviamo in fretta a scuola e tutto quello a cui penso adesso è poter dormire ancora. 
Calum si siede di fianco a me e comincia a rigirarsi a destra e a sinistra come se stia cercando qualcosa o forse qualcuno. 
"Cal?" chiedo curioso cercando anche di farlo smettere. 
"Che c'è?" si gira verso di me distratto ma senza guardarmi completamente coinvolto da quello che sta facendo. 
Si ferma d'un tratto e mi accorgo che ha trovato quello che stava cercando. 
Una ragazza alta, con i capelli biondi lunghi e due occhi azzurro mare. 
La ragazza gli sorride e arrosisce mentre lui sorride e la saluta con un cenno, la bionda si avvicina al banco di Calum e cominciano a farfugliare su argomenti che non conosco. 
Mi perdo nei miei pensieri così tanto che mi accorgo dopo un po' che il professore è già in classe ed è nel bel mezzo della spiegazione. 
La parola emozioni è scritta in cima alla lavagna e da quella parola si diramano tantissime altre parole: tristezza, felicità, allegria, sconforto, malinconia, paura. 
Prendo il mio diario e lo sfoglio provando a minimizzare il rumore. 

Dear Michael, 
forse devo smetterla di scrivere su queste pagine ma in qualche modo mi fa stare bene. Si parla sempre di emozioni e di come può essere bello provarle. La forte emozione che si prova ad essere felici o tristi. Ed è questo che ci distingue da tutti gli esseri viventi, provare dei sentimenti. 
Per me non è facile controllarle, mi sento come se nessuno potesse capirmi e dopo qualche minuto sento che qualcuno forse c'è. Che c'è speranza e che l'arcobaleno arriva sempre per tutti dopo la tempesta. 
Forse è solo colpa mia se l'arcobaleno non è ancora arrivato. Forse sono io a ignorarlo e a non volerlo vedere. 
Convinco me stesso che non posso provare emozioni troppo forti come la felicità o il sentirsi bene e le poche emozioni che devono essere provate mi distruggono piano piano inconsapevolmente. 


Alzo la testa dal diario e la campanella suona, chiudo il diario e mi dirigo fuori. 
Sento Calum chiamare il mio nome ma me ne accorgo pienamente quando si ferma di fronte a me. 
"Luke dove vai?" dice lui sorridendo. Di fianco, la ragazza dagli occhi azzurri mi sorride. 
"A lezione di storia" parlo incerto delle sue intenzioni. 
Mi sorride anche lui e quasi si imbarazza ad essere di fronte a me con una ragazza. 
"Questa è Chelsie, la mia nuova amica, ci siamo conosciuti al parco e ci siamo resi conto di essere in alcune classi insieme." dice lui convinto che l'argomento possa interessarmi pienamente. Lui le stringe le spalle in un abbraccio e la ragazza un po' intimidità mi saluta con un ciao appena sussurrato. 
Ricambio il saluto con un sorriso un po' forzato e dopo qualche secondo mi accorgo di quanto possono essere teneri nel loro modo di apparire. Così timidi e pieni di gioia. Sorrido un po' più sinceramente questa volta e vanno via.

Cammino per la mia strada in corridoio e vedo due occhi scuri che ho già visto. Hazel. Procede lentamente con tanti libri tra le mani, non si accorge di me. Mi giro dal lato opposto e cambio strada sperando di non essere notato.

---- 
Non ho voglia di tornare subito a casa dopo le lezioni e decido di andare dietro la scuola. 
Non capisco perchè ho cercato di evitare il contatto visivo con Hazel e cosa mi ha spinto a farlo. 
Appena arrivo la vedo seduta sulla solita panchina e decido di sedermi in quella di fianco.
Guardo verso di lei e mi accorgo che sta scrivendo sul suo diario con una calligrafia piccola e leggera. 
Scrive con cura come se nulla potesse distrarla, con le gambe incrociate e la schiena appoggiata dritta. I capelli lunghi e castani le incorniciavano il viso e delle ciocche erano state spostate dietro l'orecchio per la fretta che ci metteva nello scrivere. Forse scrive di qualcosa che la appassiona in tal modo da renderla così partecipe.
Non si è ancora accorta di me quando decido di scrivere sul mio diario. 
Dear Michael, 
è una bella giornata oggi nonostante i nuvoloni che riempiono il cielo. Tutto sembra essere silenzioso, così tanto che riesco a sentire i battiti del mio cuore, forse più forti del normale. 
Una ragazza di fianco a me scrive su un diario proprio come sto facendo io adesso. Gli occhi profondi e immersi in un mare di piccole parole scritte con una matita. 
Il suo nome è Hazel e non so nient'altro di lei, solo che scrive su un diario e non so neanche di cosa. 
E forse sono curioso di saperlo. 

Senza pensarci mi volto verso destra dove Hazel è seduta, si è accorta di me e mi sta guardando con uno sguardo dolce da bambina. Mi spaventa il modo in cui il mio cuore comincia a battere.

Prendo il mio diario e me ne vado in silenzio tra un battito e l'altro. 

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Capitolo 8
*** Hug ***




Rimango sola nella luce calda del sole che sta per tramontare in quella solita panchina di sempre. Non riesco a capire perchè sono ancora qui e cosa mi ha portato a restarci, invece forse lo capisco e anche bene. 
Un ricordo. Un altro ricordo da memorizzare e scolpire nella mia mente. Il suo volto stanco e gli occhi spenti. Il modo in cui scrive e le espressioni del sul viso che cambiano radicalmente da un momento all'altro. 
Sono rimasta qui a pensare sul perchè Luke se ne sia andato dopo che i nostri sguardi si sono incontrati. Forse ho sbagliato io, forse l'ho spaventato o semplicemente si era accorto dei miei occhi su di lui già da prima ed era stufo di essere squadrato. 
Così se n'è andato, piano e senza fretta come qualcuno che non ha nessun impegno, come qualcuno che ha tutto il tempo di questo mondo e nessun peso sulle spalle. 
Eppure sembra così stanco e debole nei suoi movimenti ma pochi se ne accorgono, quasi nessuno riuscirebbe ad accorgersene. Il modo in cui riesce a nascondere quello che prova con qualche sorriso forzato o con quell'aria indifferente che mantiene quando è in giro per scuola. 
Ma io non ci credo Luke, la finzione la riconosco subito perchè anche io so fingere bene come te.

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Ho sempre odiato la mensa della scuola e non ci sono svariati motivi, non è a causa del cibo cattivo, quello non è molto malvagio. 
L'unico reale motivo è la selezione dei posti, non so mai dove sedermi quindi mi siedo da sola in un tavolo di fianco ad una finestra piccolo e in disparte dove nessuno può disturbarmi. Le voci dei ragazzi si confondono tra di loro e mi stupisco di come questa sorta di rumore somigli ad un misto di ronzio di api e stormi di uccelli in fuga. 
Comincia a farmi male la testa dal rumore che sembra essere più forte delle altre giornate, così appoggio la testa tra le mani e riposo gli occhi in cerca di un po' di pace. Ma questo non sembra attutire il suono. 
Mentre provo a rilassarmi e a non pensare a Luke che si allontana piano da me, qualcuno comincia a parlarmi piano ma non capisco chi è fino a quando non alzo la testa e un Ashton serio mi guarda accigliato "Che succede Hazel?" 
Inalca le labbra in un leggero sorriso come a volermi confortare. 
"Mal di testa" dico accigliando il naso. 
"Posso sedermi qui?" dice ancora serio e mi preoccupo per un po' fino a quando non sorride e ridacchia con una vocina parecchio stridula. 
Annuisco e sorrido un po' anche io. Dopotutto mi piace la sua compagnia e il suo buon umore è contagioso. 
"Prova a massaggiare un po' le tempie, vedrai che passa" prova a darmi un consiglio che pare essere anche utile. Si avvicina di più al tavolo per dimunire la distanza dal mio viso. Il mio cuore batte più forte alla vista del suo volto così vicino e mi ritrovo ad osservare le piccole sfumature verdi e nocciola che contornano la pupilla. 
Poggia i gomiti sul tavolo e con l'indice alza il mio mento più in sù. 
Con le dita comincia a massaggiarmi le tempie piano, chiudo gli occhi e comincio a rilassarmi. Penso che il suo consiglio sia davvero utile e sorrido un po'. 
Quando smette di muovere le dita apro gli occhi e ringrazio riconoscente del bene che quel gesto mi ha fatto. Sembra che il dolore si sia attutito. Mi sento in imbarazzo così comincio a guardarmi intorno e noto che nessuno ci stava guardando, nessuno tranne qualcuno. Luke con gli occhi più azzurri di come li ho sempre visti ma con il solito sguardo indifferente, quasi superficiale. Distoglie lo sguardo e fissa il cibo che ha sul piatto e che non ha ancora toccato. Una mela, un piatto di maccheroni al formaggio e Pepsi. Accanto a lui Calum, il ragazzo moro del corso di algebra e una ragazza che lo stringeva a sè. 
"Se vuoi ti aiuto ancora." parla forte Ashton per essere ascoltato e recepito meglio perchè capì che il mio sguardo era rivolto a qualcos'altro. E anche i miei pensieri.
"No, è passato, grazie mille Ash" mi rendo conto di aver involontariamente accorciato il suo nome in un nomignolo che lo fa sorridere a 32 denti. 
Vedo il suo viso contratto e le mani che si muovono velocemente sul tavolo.
"Hazel, mi chiedevo se, ti andava di uscire con me venerdì sera?" dice tutto troppo velocemente e chiedo di ripetere, quando capisco la proposta che mi ha fatto, sorrido appena e mi giro a guardare il posto in cui avevo visto Luke prima. I suoi occhi erano ancora lì gelati e fermi, le labbra socchiuse. Mi girai di nuovo a guardare Ashton che continuava a sorridermi nervoso. Volevo assaporare un po' del suo stato d'animo ancora una volta quindi accettai semplicemente con un cenno di capo. 
Quando cercai gli occhi di Luke erano scomparsi. Non era più in sala pranzo. 
"Ciao Ashton, adesso andare!" dissi liquidandolo velocemente a passo svelto con il mio diario tra le mani. Uscita dalla porta di ingresso alla mensa mi accorsi che nessuno era in giro per i corridoi. Camminai piano verso il mio armadietto quando senti dei passi dietro di me e una voce forte e roca chiamò il mio nome. Non conoscevo quella voce. Mi girai a guardare dietro di me e un ragazzo alto e dai capelli corvini mi fermò il polso stringendolo e facendomi male, un male che riuscivo a sopportare e che non mi fece gridare. 
"Cos'hai di tanto diventente da scrivere sul quel diario tu?" sussurra nel mio orecchio destro. Mi accorgo che non è solo ma ci sono altri due ragazzi altrettanto alti e muscolosi dietro di lui. Ero sicura di non averli mai visti prima. 
"Secondo me ci prende tutti in giro." ridacchia uno dei due. 
Mi tremavano le ginocchia e dalla paura mi sentivo debole e sul punto di piangere. Avevo gli occhi pieni di lacrime quando il ragazzo dai capelli corvini mi strappò dalle mani il diario porgendolo ad uno dei suo amici che cominciò a sfogliarlo. 
"Non ti immagini quanto è divertente leggerlo, Bill." disse il ragazzo ridendo senza smettere. 
Il ragazzo dai capelli scuri strinse di più la presa, facendomi ansimare ad alta voce dal dolore. Ormai le lacrime solcavano il mio viso e la paura che potesse succedere qualcosa di peggiore mi terrorizzò. 


"Ehi!" urlò una voce in fondo al corridoio. 
Riconobbi quella voce e l'avrei riconosciuta ovunque. La voce di Luke, ascoltata di nascosto parlare di argomenti senza senso con persone di cui non conoscevo il nome. 
I tre ragazzi cominciarono a ridere e uno dei tre parlò.
"Guarda è arrivato il tuo superman, cerbiattino" il ragazzo mi lasciò il polso quando Luke cominciò a correre verso i tre ragazzi. 
"Lasciatela stare." urlò mentre si stava per fermare, quando si fermò i ragazzi lo guardarono ridacchiando e indietreggiarono. 
"Va bene, ce ne andiamo." dissero quasi in coro i tre. Allontanandosi. 
Con il polso che non mi faceva male mi asciugai le lacrime e provai a non singhiozzare. Avevo lo sguardo sfuocato rivolto verso il mio polso dolorante rosso per la forza con cui aveva stretto il ragazzo moro, quando sentii un paio di braccia lunghe avvolgermi piano in un abbraccio delicato. Mi investì un buon profumo di colonia mischiato all'odore di fumo, un essenza dolce e aspra allo stesso tempo. Un'odore che non avrei mai avuto dimenticare, provai ad inalarlo tutto fino in fondo con dei piccoli respiri affanti per il pianto. La mano destra mi accarezzava la schiena con un tocco leggero e la sinistra giocava con i mie capelli. 
"Tranquilla, va tutto bene adesso, Hazel" sussurra con un sopriro Luke, un sospiro rotto e lungo. 

Si va tutto bene adesso, Luke. 

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Capitolo 9
*** Mess ***


"Lasciatela stare" dissi senza paura delle conseguenze a quei ragazzi che stavano facendo del male ad Hazel. 
Sentivo l'adrenalina darsi spazio dentro di me e in quel momento non mi preoccupai di niente. Arrivai correndo verso di loro e alla fine ridendo se ne andarono. 
Guardai Hazel come non l'avevo mai vista prima, debole e scossa. Era davanti a me con le lacrime agli occhi e lo sguardo puntato sul polso che il ragazzo moro aveva stretto sotto la sua mani. Faceva fatica a trattenere i singhiozzi e sembrava sul punto di cadere. 
Non pensai alle mie emozioni per una volta, non pensai a niente di questo ma detti retta solo al mio istinto. La circondai in un abbraccio stringendola poco e facendolo con cura. Avevo paura di farle male o di tenerla troppo stretta o di non essere in grado di calmarla. 
Sentivo ancora qualche singhiozzo e tra i pensieri del momento, sospirai. 
"Tranquilla va tutto bene adesso, Hazel" le sussurrai per calmarla. 
Sentii il profumo di fiori e cocco che i suoi capelli emanavano e non pensai un attimo a sporgermi un po' in giù per sentire ancora quell'essenza. 
 
 
Michael era allo stipite della mia porta che guardava ogni mio gesto mentre mi preparavo per uscire. La cosa mi infastidiva così decisi di chiedergli perchè era lì e continuava a fissarmi. 
"Ti fai bello per qualcuno?" dice lui spavaldo ridendo. 
"Forse" rispondo io tenendolo sulle spine. 
"Profumano di cocco e rose" dice quasi sussurrando. Sorrise leggermente e se ne andò di nuovo nella sua stanza. 
 
Cocco e rose pensai. E aveva ragione. 
 
Mi sentivo bene in quell'abbraccio così tanto che non volevo più andarmene ma qualcosa mi spingeva a staccarmi da Hazel e scappare senza dire più niente. Per più di 30 secondi pensai di andarmene e tornare nella mia stanza con la musica nelle orecchie e la mia solitudine. 
Poi tutti quei castelli in aria crollarono e ritornai con i piedi per terra. 
Mi staccai e poggiai le mani sulle sue spalle, le asciugai le lacrime che erano rimaste con un gesto lento e deciso. Cercò di sorridere leggermente con il labbro che tremava ancora e sorrisi anche io. 
"Stai bene?" chiesi parlando piano, senza spostare il mio sguardo altrove. 
Lei annuì portandosi una ciocca di capelli che le scendeva sul viso, dietro le orecchie. 
Sembrava calma e di nuovo a suo agio. Alzò il polso destro piano e lo guardò arricciando il naso. 
"Mi dispiace, spero che non succeda più, Hazel" 
Raccolsi il diario che i ragazzi avevano gettato per terra e glielo porsi. 
"Anche io" sussurrò impercettibile. 
Pensai che era ora di andare, la salutai con un cenno di mano e mi incamminai per la mia strada. 
 
È quasi diventato un appuntamento, la sosta che faccio ogni giovedì pomeriggio al mare. 
Nessuno che mi disturba, solo il rilassante rumore delle onde che arrivano a riva e poi si ritirano. 
E mi ricordai di quell'ultimo Natale con Michael quando dopo pranzo andammo al mare tutti insieme come una vera famiglia. Senza preoccupazioni e problemi per un giorno, per un ora, per un momento. 
Un momento che dura un'attimo ma che ricordi in eterno. E sono sicuro che di quel Natale non dimenticherò nessun particolare raccolto con cura dalla mia memoria. 
Michael era felice e ricordo di quanto ha riso quel giorno. Si svegliò e ritrovò sulla sua scrivania una nuova chitarra elettrica nera e lucida così tanto da potersi specchiare. Corse nella mia stanza mentre io ancora dormivo e cercavo di godermi a pieno quelle poche ore di sonno che mi rimanevano prima di ritonare a scuola. Attaccò la spina e cominciò a suonare Wake me up when september ends dei Green Day. 
Ricordo di essermi svegliato di colpo e di aver sentito ogni nota di quella canzone fino alla fine. Ero sempre stato affascinato dalla voglia e della passione che Mike metteva in quello che faceva, che metteva quando suonava, o quando cantava. 
E quel Natale che non è così lontano come può sembrare, ero felice anche io insieme a lui. 
Quando la canzone finì, Michael era su di giri. "Luke, non è bellissima?" disse lui quasi urlando con gli occhi che luccicavano per la felicità. 
"Si è davvero bella." 
"Voglio vedere il tuo regalo!" parlò cominciando a cercare il posto in cui i nostri genitori avevano nascosto il mio regalo di Natale. E lo trovò sotto il mio letto. Un pacco di esigue dimensioni con una lettera sopra. 
"Leggila." mi implorò quasi supplicando. Sorrisi. 
 
"Abbiamo speso quasi tutti i nostri risparmi per la chitarra di Michael, sai quanto ci teneva e quanto la bramava. Quanto ci costa questo ragazzo? Questo è il tuo regalo fatto con amore da mamma e papà. Speriamo che sia perfetto per te."
 
Mi guardava ansioso di scoprire il mio regalo. 
Spostai la carta regalo messa alla rinfusa dentro quel pacco. 
Un microfono in fondo allo scatolo e un'altra lettera. La guardavo un po' confuso e quando alzai lo sguardo su Michael mi incitò a leggerla ad alta voce: 
"Ti abbiamo sentito cantare sotto la doccia, sei davvero bravo Luke. 
E poi Mike ha sempre avuto bisogno di un solista." 
 
Michael cominciò a ridere senza smettere, guardandomi di continuo e io sospettoso inarcai le sopracciglia perplesso. 
"Che c'è?" 
"Li ho aiutati io a scegliere il tuo regalo" sorrise poi stanco di ridere. 
"Quindi sono bravo?" chiesi confuso e scettico. 
"Si Luke, adesso tocca al mio regalo per te!" disse sbattendo le mani. 
"Mike io non ti ho fatto un regalo, potevi dirmelo e.." mi fermò subito tappandomi la bocca con le mani. 
"Non importa." 
Mi porge una scatola di medie dimensioni molto leggera così tanto che penso sia solo uno scherzo. 
Apro la scatola e all'interno contiene una maglia smanicata nera con una scritta in bianco. You complete mess. 
"Ho pensato che ti rispecchiasse pienamente" disse serio per poi sorridermi tornando a guardare la maglia, fiero della sua scelta. 
 
Mi sveglio dai miei pensieri e ritorno a guardare la spiaggia. 
Prendo il mio diario dal mio zaino e accarezzo la copertina colorata soltanto da quella frase. 
 
Dear Michael, 
non credo di essere un disastro in tutto. 
Sono un disastro con le mie emozioni, sono un disastro a scuola, sono un disastro con la solitudine, sono stato un disastro con te. Ma forse in qualcosa sono bravo e sto solo cercando di scoprire in cosa. 

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Capitolo 10
*** Nightmares ***


Mi sveglio di colpo nella notte sopraffatta dai miei incubi. 
Incubi che continuo a sognare ormai da parecchio tempo. Un nuovo incubo non mi lascia dormire: vengo picchiata a sangue, sono a terra appoggiata sugli armadietti e una popolosa folla guarda la scena. Tre ragazzi robusti cominciano a darmi schiaffi e poi pugni sul viso fino a farlo sanguinare, mi tirano dei calci nello stomaco, mi accovaccio su me stessa cercando di evitarli ma sono sempre più forti. La folla sorride ai tre ragazzi e annuisce in consenso. Si fermano quando stavo per perdere completamente i sensi e sento una voce chiamarmi. La voce di Luke. 
Dopo mi sveglio e sono in lacrime. 
E vorrei tanto avere le braccia di Luke strette sul mio corpo ancora e ancora. Le sue mani che mi accarezzano i capelli cercando di calmarmi, cercando di far smettere le lacrime di scendere. Il suo profumo aspro e così dolce allo stesso tempo. Continuo a sentirlo in giro per la mia camera tra i miei vestiti, tra le lenzuola, è un profumo così forte e secco che il mio naso si rifiuta di dimenticarlo. 
I suoi occhi calmi e rassicuranti, blu e azzurri, profondi e leggeri, cupi e pieni di luce, così difficili da decifrare. 
E il suo cuore così veloce, battito dopo battito. 
 
Sposto il polso sotto il mio sguardo accurato e mi accorgo di quanto sia diventato gonfio e colorato di viola verde e nero. Poso una mano sui lividi e sussulto per il dolore. Vado in bagno, prendo qualche fascia e l'avvolgo sopra quei brutti segni. Il dolore sembra attutirsi leggermente. 
Metto la giacca e ne assaporo il profumo. 
 
 
Appena entro a scuola tanti occhi mi scrutano e alcuni volti ridono. 
Cammino cercando di non guardare nessuno ma riesco a sentire il rumore delle risate in sottofondo. Sento pronunciare il mio nome come se finalmente l'avessero scoperto tutti e si fossero accorti di me. Non ero sicuramente sulla bocca di quella folla perchè ero diventata famosa o perchè ero bella o mi vestivo bene, parlavano di me per quanto era successo il giorno precedente. Per il resto della scuola ormai ero la sfigata che scrive sul diario. 
Non capisco cosa ci sia di "sfigato" nello scrivere su un paio di pagine tutte quelle cose sensate che mi passano per la testa. Non capisco perchè delle parole scritte a matita possano essere giudicate invece di alcune stupide parole dette a voce e gettate così, a casaccio. Parole per cui non si riflette, dette tanto per dirle. 
 
Alzo lo sguardo per un attimo e senza pensarci più di un minuto mi avvio fuori scuola. Dietro la scuola, mi siedo sulla panchina di sempre. È desolato e la luce del mattino filtra tra gli spazi che le foglie lasciano. 
L'aria, che diventa di giorno in giorno più sottile e fresca mi sfiora il viso e rabbrividisco per il freddo. Mi stringo un po' di più nella mia giacca contorcendo il naso per il dolore che provoco con questo innocuo gesto al mio polso destro. 
Decido di prendere il mio diario per scrivere qualcosa che possa far passare il tempo più in fretta. 
 
Dear diary, 
non riesco a capire cosa c'è di sbagliato e di diverso in me. Non capisco perchè scrivere su un diario sia una cosa da sfigati.
Io penso che sia bellissimo fissare i propri ricordi in delle pagine per riviverle tutte le volte che se ne ha il bisogno. Penso che sia straordinario riuscire ad intrappolare le parole giuste, le parole che nessuno, compresa me, ha il coraggio di pronunciare, in delle pagine pulite, che hanno solo voglia di essere sporcate. Così le scrivo. Scrivere mi rende più facile controllare i miei pensieri e talvolta anche le mie emozioni. Con quelle ci sto ancora lavorando. 
 
 
Sento il peso di qualcuno che fa leva sul lato opposto della panchina. 
"Che scrivi?" mi chiede Luke curioso accigliando le sopracciaglia.
Mi giro a guardarlo cercando nella mia testa una risposta sensata da dargli. Le mani mi sudano e sento un nodo in gola che cerca di non farmi parlare ma schiarisco la voce.
"Sto, sto scrivendo di questo posto." mento un po' preoccupata delle conseguenze. 
"Sicura? Eri accigliata quando scrivevi." si acciglia anche lui e cerco una risposta tra i mille pensieri che passano per la mia testa. 
Vedo che tiene il suo diario tra le mani. "Tu che scrivi?" dico di getto e abbastanza sicura di me e della domanda che ho posto a Luke. 
"Scrivo ad una persona di quello che penso o mi succede." 
 
Comincio a pensare ad una possibile persona a cui Luke possa scrivere e non mi viene nessuno in mente. Guardo i suoi occhi che diventano sempre più cupi e quasi persi nei pensieri del momento. 
 
"A chi scrivi?" 
 
La curiosità mi brucia dentro e non riesco a controllare le parole che sono appena uscite dalla mia bocca. 
Il suo sguardo si posa prima sulle mie labbra, come se fosse spaventato da quello che sono riuscite a pronunciare poi sulle sue mani poggiate sul diario. 
Non risponde e non sposta più lo sguardo dal suo diario. 
Stiamo in silenzio per più di cinque minuti fino a quando non sento Luke alzarsi dal suo posto "Devo andare a scuola. Mi piace la lezione di musica moderna." 
Annuisco, sorride un po' quasi per accontentarmi e si allontana senza dire una parola in più. 
 
 
La campanella suona e lo stomaco mi si rivolta dentro il mio corpo. 
Aspetto dieci minuti prima di avviarmi verso casa per cercare di evitare più sguardi possibili. 
 
Il cellulare vibra e sorpresa che qualcuno mi stia cercando apro velocemente il messaggio. 
È un numero che non ho in rubrica. 
 
14:32 pm: 
Buongiorno Hazel, non ti ho vista a scuola e penso proprio che non c'eri. Mi sono fatto dare il tuo numero dalla segreteria scolastica e devo dire che non è stato semplice. 
Ci vediamo davanti scuola alle cinque in punto, spero ti piaccia il gelato. 
 
Sorrido appena alla vista di quel messaggio e rispondo:
 
Mi piace il gelato, però fa un po' freddo non credi? 
 
Cammino verso casa, passo dopo passo la strada sembra stia per finire in fretta. Sono a 100 metri da casa quando Ashton risponde al mio messaggio:
 
Si, hai ragione fa freddo. Magari una cioccolata calda o un caffè. 
 
L'idea della cioccolata calda non mi dispiace quindi opto per quella e rispondo: 
 
 
Vada per la cioccolata, a dopo. 
 
 
Sono le cinque meno dieci e pronta per andare, esco da casa e mi incammino verso scuola dove Ashton mi ha detto di aspettarlo. 
Quando arrivo è già lì con il solito sorriso stampato sul viso. 
"Hazel, sei venuta." dice quasi sorpreso della mia decisone. 
"Già, avevo voglia di cioccolata." 
Lui sorride e cominciamo ad andare per la nostra strada. Non so in che bar mi sta portando fino a quando non riconosco la strada che sto percorrendo. 
Lo strano bar che ha dato nomi bizzarri alle bevande in elenco. Inarcai le labbra ripensando a quel bigliettino che Luke lasciò sul tavolo appena se ne andò quel giorno che mi sorrise, lasciandomi poi sola. 
"Perchè sorridi?" chiese lui curioso di sapere la mia risposta.
"Conosco questo posto." dico invece io di getto, senza pensarci troppo sù. 
 
Appena entriamo Ashton ed io ci sediamo e scegliamo quello che voglio ordinare dallo strano elenco. 
"Un morocchino, per favore." dico decisa quando il cameriere si avvicina e mi guarda aspettando il mio ordine. Anche Ashton ordina e in fretta arrivano le nostre cose. 
"Perchè oggi non eri a scuola?" 
"Ero stanca, non avevo voglia." dico mentendo un po'. In fondo era vero, non avevo voglia. 
Non avevo voglia di essere guardata e derisa da tutti per quello che era successo il giorno prima fuori dalla mensa. 
"Mi dispiace per quello che ti hanno fatto Tristan, Brandon e Tyler. È stato cattivo da parte loro." 
Già, cattivo. Penso io tra me e me guardando ancora il mio polso. 
"Li conosci?" domandai. 
"Si, abbiamo delle cose in comune." 
Riflettei su quello che voleva significare quel 'abbiamo delle cose in comune' ma non me ne preoccupai molto e non continuai a parlare, a corto di domande. 
 
La serata passò in fretta tra domande stupide e risposte imbarazzanti. Tra le risate di Ashton e i miei sorrisi stipati. Ritornai a casa e mi resi conto di quante parole era capace di utilizzare Ashton e di quanti argomenti avevamo parlato. 
Eppure pensavo ancora a quelle poche parole che avevo scambiato con Luke questa mattina. 
Alla fine mi resi conto di preferire dei silenzi e poche parole a dei dialoghi forzati e sorrisi falsi. 

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Capitolo 11
*** Fallin' in love ***


Sentivo odori diversi quasi ogni giorno in camera di Micheal, era solito portarsi dietro una ragazza diversa ogni giorno. 
Nessuno ci faceva più caso ormai, le ragazze entravano ed uscivano da casa nostra continuamente. Michael era considerato un ragazzo davvero interessante da molte, e irrilevante da poche. Quasi tutte a scuola, anche se sapevano che tipo era Mike continuavano ad andargli dietro come cagnolini. 
Cominciai a sentire lo stesso profumo per un'intero mese nella sua stanza. 
Non pensai che fosse la stessa ragazza ogni giorno, fino a quando non cominciai a vedere sempre lo stesso volto ovale, contornato da capelli rossi ramati e due grandi occhi verdi e adescatori.
 
Mi ritrovai davanti la porta di camera sua in cerca di risposte da ricevere alle mie domande. 
"Chi è la rossa?"
Michael smise di strimpellare le corde della sua chitarra e fissò la scrivania come se ci fosse la spiegazione alle mie domande su di essa. 
Mi avvicinai e trovai poggiata una foto di Michael e questa ragazza che sorridevano. Lui aveva il braccio sulle sue spalle e le stringeva di più a sè. 
Quello che mi stupì non fu tanto il gesto ma il sorriso che Mike aveva nella foto. 
Se pensavo di aver visto un solo sorriso così sincero da parte sua come questo mi sbagliavo. Quel sorriso smentiva ogni sorriso precendente. Le labbra ben incurvate, i denti in vista, le guance più rosee del solito. 
"Ti sei innamorato, ammettilo!" dissi io sicuro di me, sorridendo. 
"Non è vero." cercò di smentire lui, suonando qualcosa di impercettibile.
Mi sedetti vicino a lui e spostai la chitarra lontana da noi. 
"Ti sei innamorato." 
 
Si era innamorato e aveva paura di cambiare quello che era sempre stato, aveva timore di perdere la sua virilità e il suo modo duro e cupo di essere. 
Non era felice di quella fotografia ma allo stesso tempo l'amava. Mi confessò di averla guardata per ben due ore prima che entrassi e rimasi quasi stupito da quel segreto. 
Reprimeva la felicità che riusciva a provare con lei, reprimeva i sorrisi, reprimeva il contatto fisico e quello visivo prima di tutto. Reprimeva anche il solo pensiero di essere innamorato di lei ma sapeva di esserlo perdutamente come mai lo era stato. La odiava e l'amava. La sopportava e la desiderava. Lo rendeva felice e allo stesso tempo introverso. 
Si chiudeva a riccio e si apriva completamente di fronte a lei. Era veleno e antidoto. 
 
Quando Michael morì la rossa non si presentò. Scrisse soltanto una lettera e la imbucò nella nostra posta, lettera, che non ho ancora avuto il coraggio di leggere. È chiusa nella camera di Michael come il resto delle sue cose. 
 
Caro Michael, 
sei stato coraggioso ad affrontare te stesso e ammettere di amarla quel giorno quando parlammo di lei. 
Io sono come te in questo caso e mi viene difficile ammettere di esserti simile. Mamma non ha sempre ragione su tutto. 
 
Voglio parlarle come non voglio, voglio scrivere di lei come non voglio, voglio starle più vicino come non voglio. 
Sono un'eterna contraddizione e non riesco più a controllarmi. 
 
 
Calum e Chelsie sono seduti insieme a mensa e non ho voglia di mettermi in mezzo come sempre. 
Do un'occhiata in giro e non trovo nessun posto libero, nessuno con cui sedermi. Poso quello che ho preso sul tavolo di Calum ed esco dalla mensa.
Penso a dove potrebbe nascondersi qualcuno che non vuole essere osservato da mille occhi e arrivo alla mia conclusione. 
Sono davanti la porta della palestra e cercò quel po' di coraggio che mi resta per entrare. Osservo dalla piccola finestrella sulla porta e scopro che la mia intuizione era palesemente giusta. Spio Hazel dalla finestra con una mela tra le mani dargli un morso dopo l'altro. 
Apro la porta di scatto ed Hazel spaventata che sia qualcuno che vuole importunarla, fa cadere la mela e si stringe alle sue ginocchia. Si rilassa quando capisce che sono io e sorride un po' timidamente, arrossendo di colpo. 
Cammino e mi siedo proprio vicino a lei, fissando il vuoto. Dopo qualche minuto mi decido a parlare. 
"Scusa per il modo con cui me ne sono andato ieri. Ero nervoso." 
Mi giro a controllare se mi sta guandando e scopro di aver pensato bene. 
"Non fa niente." sussurra distogliendo lo sguardo. 
La sua voce flebile risuona nelle mie orecchie e mi sento ancora peggio. 
I miei occhi ricadono sul suo polso destro pieno di lividi tutti in cerchio più scuri. Mi avvicino di più a lei per guardare meglio i segni che le sono rimasti. 
Come un bambino inesperto che ha scoperto una nuova cosa, avvicino la mia mano alla sua e sfioro leggermente i lividi. La sento sospirare e alzo la testa per capire se le sto facendo male oppure no. 
Siamo molto vicini e vedo i suoi occhi scuri puri e dolci fissare i miei azzurri incerti e pieni di paura. 
Mi perdo in quel contatto visivo per un attimo e la paura di provare qualcosa svanisce. Si vanifica tra l'oscurita dei suoi occhi. 
 
E d'improvviso mi sento di nuovo teso e distolgo lo sguardo, fisso la punta delle mie scarpe. 
"Usciamo da qui." dico di getto senza pensarci e mi alzo da dove mi ero seduto, mi giro verso Hazel e le sorrido tendendo la mano verso di lei. Incerta la prende. 

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Capitolo 12
*** A promise ***



Tendeva la mano verso di me e io la presi. Allo stesso modo colsi l'occasione di stare qualche minuto in più con Luke. 
La mia mano era sudata ed anche la sua così non me ne preoccupai. 
Attraversammo il corridoio della scuola sotto gli occhi di tutti e questa volta non mi curai degli occhi interessati puntati su di me. 
Mi sentii avvampare leggermente quando la mano di Luke strinse più forte la mia. 
"Ciao Luke." disse una voce seria verso di noi. Alzai lo sguardo, conoscevo bene quella voce. Non potevo sbagliarmi, era Ashton. 
Inarcai le sopracciglia cercando di capire se si conoscessero già. 
Mi girai verso Luke che sembrava stringere più forte la mia mano ad ogni passo che Ashton faceva verso la nostra direzione. Serrò la mascella quando arrivò proprio davanti a noi. 
"Ehi Hazel." 
"Ehi." dissi piano, cercando di capire la situazione.
Ashton sorrideva, in un modo diverso, con un'aria complice. Quasi un ghigno di sfida. 
"Che vuoi Ashton?" parla Luke con un tono duro e voce roca. 
Gli occhi vuoti guardavano quelli del riccio con lo stesso sguardo che Ashton aveva posato su di lui dal primo istante che ci aveva visti. 

"Volevo soltanto salutarti, amico."
"Non siamo amici." conferma Luke prima di trascinarmi fuori da scuola e cominciare a camminare più velocemente di me, così tanto che rimasi indietro di un po. 
Decido di accantonare la curiosità e dimenticare la scena a cui avevo appena assistito. 
"Luke." parlo forte per farmi sentire. 
Lui, perso in degli ignoti pensieri, si volta e mi guarda come qualcuno che ha ricordato qualcosa di spiacevole. Con uno sguardo debole e arreso. 
Si ferma e aspetta che arrivi vicino a lui per cominciare a camminare questa volta piano, passo dopo passo. 
Nessuno parla per il resto della strada, arriviamo davanti un giardino abbandonato a se stesso, con tante sterpaglie e foglie dai svariati colori nel prato inglese ormai rovinato. 
Sono dietro di lui, apre il cancello e mi rivolge un sorriso invitandomi ad entrare.
"È casa mia." mi dice appena arrivati davanti la porta di casa, rispondendo ai miei pensieri. 
Entriamo in casa e le luci sono spente, come se non ci fosse nessuno. 
E credo proprio che non ci sia nessuno fino a quando non noto la televisione del soggiorno accesa e una donna bionda sui 50 anni distesa sul divano che si volta verso di noi. 
"Mamma lei è Hazel, noi andiamo di sopra." La signora annuisce e ci sorride leggermente senza proferire parola. 
"Non ama parlare." sussura Luke appena ci troviamo davanti una porta che penso sia la sua camera. 
Annuisco leggermente comprensiva. 

Luke apre la porta e mi ritrovo ad osservare ogni cosa in quella stanza. Rimane fuori mentre io do un'occhiata in giro veloce e senza muovermi troppo. Sento i suoi passi venire dietro di me e seguirmi mentre scruto ogni cosa con attenzione. 
La stanza emana un buon odore ed era in ordine. Pensavo che puzzasse come tutte le stanze dei ragazzi di quell'età ma la mia conclusione si affermò errata. 
I miei occhi si posano su una foto, una vecchia foto di un ragazzino biondo con gli occhi chiari e limpidi.  Al suo fianco un ragazzino più grande di lui di qualche anno credo, con gli occhi chiari come quelli di Luke però tendendi al verde. 
Si ferma quando capisce cosa sto guardando. Mi giro a guardarlo e i suoi occhi sono puntati sulla foto. Fa qualche passo in avanti, quanto basta per prendere la cornice dorata tra le mani. 
"Chi è?" chiedo incerta della domanda e timorosa che eviti di rispondere.
Il suo sguardo è sempre puntato sulla foto e le sue mani rigidamente aggrappate ad un ricordo. 
Sembra fare fatica a rispondere. 

"Michael, mio fratello." 

Prendo la cornice dalle sue mani. 
"Avete gli stessi occhi." soffio piano quelle parole. 
"Avevamo." 

Giro il capo verso di lui e mi sembra di aver detto le parole più sbagliate che avessi potuto pronunciare quando i suoi occhi diventano più scuri davanti i miei. 
Mi ritrovo dritta e in piedi di fronte ad un Luke scosso che cerca solo di respirare piano e non crollare. 
Mi avvicino un po' di più e sussurrò un mi dispiace. Un mi dispiace sincero, così sentito che fa quasi male pronunciarlo.
Si gira su se stesso e va a sedersi, lo seguo, mi fa cenno di sedermi e obbedisco. 
"È successo un anno fa." mi dice lui sempre con un tono basso e pacato. 
E non so proprio cosa dire, mi mancano le parole e non pensavo potesse succedere. 
Ho le parole giuste su tutto e per tutto, eppure in quel momento non riuscivo a pensare a niente. 
Pensai che forse i gesti potevano rimediare alle parole mancate, cosi poggiai la mia mano sulla sua spalla.
Sposto la sua mano sulla mia e per un attimo restò immobile, dopo un po' cominciò a sfiorarla con il pollice lentamente. 
"Raccontami qualcosa di te, Hazel." 

La sua voce tuonò nelle mie orecchie e pensai che di me non c'era molto da dire. 
"Mi piace scrivere." dissi soltanto, la prima cosa che mi veniva in mente quando chiedevano di raccontarmi era questa. E non ci pensavo mai su prima di rispondere, usciva da sola, di getto, come se scrivere fosse la cosa più naturale del mondo. Come se contasse solo quella per me. 
Luke mi guarda curioso speranzoso di sentire altro uscire dalla mia bocca. 
"Mi piace il silenzio e i tramonti." 
Nessuno parlò per circa due minuti.
"Mi piace il mare." dissi la prima cosa che mi venne in mente e il viso di 
Luke si illuminò in un sorriso. 

"Allora ci andiamo insieme, un giorno." 

"È una promessa?" sorrido, ricordando quanto le promesse siano importanti per me. 

"Si, è una promessa."  

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Capitolo 13
*** Memories ***



Dei forti rumori provenivano dalla camera di Michael quando mi svegliai quel pallido giorno di autunno. 
Guardai l'orario, erano le 10 del mattino e la musica era già al massimo del volume nella stanza accanto. Come as you are faceva tremare i pavimenti della casa. 
Pieno di sonno e con gli occhi stanchi mi alzai di scatto e andai davanti la sua porta. Era chiusa, così cominciai a bussare cercando di provocare un rumore più forte della musica. 
"Che c'è?" urla Michael da dietro la porta senza aprire. 
"Puoi abbassare? Stavo dormendo." parlo forte per farmi sentire. 
Abbassa la musica di poco e mi chiede se va bene. Non soddisfatto continuo a bussare. 
Sento i suoi passi pesanti avanzare e il suo viso sciupato appare nel piccolo spazio che lascia tra la porta e il muro. 
Occhi lucidi e scavati mi guardano, labbra socchiuse mi sussurrano "Che vuoi?" 
"Fammi dormire Mike, è domenica, voglio riposare." dico tra il sonno e la veglia. 
Sento rumori di passi nella stanza di Michael e mi sporgo a guardare di chi si tratta. Pensai alla rossa per cui aveva perso la testa ma appena spinsi la mia mano sulla porta per aprirla, un ragazzo riccio e sorridente mi salutò con la mano. 
"Ashton, lui è Luke, mio fratello." 
Il ragazzo mi guarda spaesato e continua ad agitare la mano a destra e sinistra sorridendo. 
Pensai di essere capitato in un posto di matti quando il riccio cominciò a ridere a crepapelle senza un vero e proprio motivo. 
Michael si girò a guardare verso il suo amico e rise piano. 
"È fatto." 
Ritornai in camera senza chiedere altro. 

Così avevo conosciuto Ashton, e da quel momento avevo cominciato ad odiarlo. Quasi ogni giorno era in casa nostra. 
Quando i nostri genitori non c'erano Ashton entrava in casa e urlava quasi sempre 'Diamo inizio alla festa'. I primi periodi non capivo di che festa parlava. Non capivo che per loro la festa era barcollare per casa e ridere come matti. 
Non capivo nemmeno perchè mio fratello Michael lo facesse e non facevo niente per aiutarlo. 
Prima che Michael conoscesse Ashton ero sicuro che non facesse uso di droghe. 
Mi raccontava tutto ed era sincero e mi fidavo di lui in parola. 
Ashton l'aveva rovinato e non potevo perdonarlo. Ashton l'aveva ucciso e non se ne rendeva ancora conto. 

La rabbia ribollì nelle mie vene e cominciai a tirare calci ai mobili della mia camera: prima la scrivania, poi l'armadio, il letto. 
Mi ritrovai davanti la foto che aveva preso il giorno prima Hazel tra le mani. Mi calmai al pensiero di Hazel nella mia stanza, tra la mia roba inutile. 
Mi sedetti di nuovo nella scrivania e afferrai il mio diario. 

Dear Michael, 
non sopporto l'idea di Ashton ancora qui, in carne ed ossa. 
È stata la causa primaria della tua dipendenza ed è ancora qui.
Tu non ci sei e lui è ancora qui. 
Ho preso a calci la mia camera perchè ti rivoglio qui anche se a volte mi viene difficile ammetterlo. 
Ti ricordi quando ti dissi che solo Calum e tu potevate entrare nella mia stanza? Ricordi quando era il mio rifugio e volevo condividerlo solo con voi? 
Ho sentito il bisogno di spezzare questa promessa.
Per la prima volta ieri qualcun'altro è entrato nella mia camera e mi sono sentito meno solo. Mi sono sentito parte di qualcosa di diverso che non riguardava me e te o me e Calum. 
Riguardava sempre me, lunatico ed inguaribile solitario ed una ragazza dagli occhi scuri, col viso da bambina. 
Non riesco a controllare le mie emozioni quando sto con lei, un attimo non voglio più andare via, un altro vorrei scappare. 
Forse scappare non serve a niente. E se restare fosse la scelta giusta? 

Corro a vestirmi con le prime cose che mi capitano e scendo di fretta le scale. 
Calum non è ancora arrivato e decido di chiamarlo. 
Il telefono squilla ma lui non risponde. Chelsie, penso.
Cominciai a camminare verso scuola a passo svelto temendo di arrivare tardi. 
Una ragazza dai capelli rossi camminava davanti a me, un fiore tra le mani e lo zaino in spalla. 
Attraversò la strada e continuò a camminare fino a quando non svoltò al Greenwood cemetery. 
Curioso svoltai anche io e mi fermai davanti i cancelli per seguire il percorso della rossa. Le sfumature arancioni e rosse tra i suoi capelli si rivelarono più lucenti quando il sole fece capolino da un grande palazzo dai colori tenui. E ricordai quello strano bagliore che i capelli della ragazza emanavano mesi fa quando nella stanza di Michael batteva il sole. 
Li accarezzava ciocca per ciocca affascinato, come se nessun altro potesse avere dei riflessi così brillanti come i suoi. 
Mi avvicinai con cautela e affiancai la ragazza davanti una lapide nera incisa in bianco. 

"Amico, figlio e fratello, il più grande chitarrista della storia." sussurrò la ragazza posando il fiore nel piccolo vaso di fianco. 
Mia madre insistette per far incidere quella frase oltre il suo nome, la data di nascita e quella di morte. 
Sentii un singhiozzo e poi ne seguirono altri. 
Abbracciai la ragazza che non vidi per tanto tempo dopo la morte di Michael. 
"Non ce la facevo, Luke, scusami." soffio tra un singhiozzo e l'altro. 
E pensai che se questo sentimento così forte non era amore allora l'amore non esisteva sul serio. 
Allora l'amore era solo un'illusione. 

----


Evitai tutte le ore di scuola restando nascosto in palestra. Con le cuffie nelle orecchie mi distesi per terra mentre tutti erano a lezione. 
La terza campana della giornata suonò e il silenzio che vigeva prima tra i corridoi si infestò di voci e stridolii. 
L'intervallo era cominciato e non avevo nessuna voglia di uscire da qui. 
Forse speravo che qualcuno arrivasse. 
E qualcuno arrivò. 
Hazel chiuse dietro di sè le grandi porte della palestra, con un'aria impaurita. 
Non si accorse subito che ero lì disteso per terra e quando mi vide sussultò. 
"Ehi" disse lei sorridendo, calmandosi. 
"Ehi Hazel" 
"Che ci fai qui?" parlò incurvando le sopracciglia. 
"Volevo stare solo." dico ancora disteso sul pavimento. 
Ed era vero, volevo stare solo, tranquillamente sdraiato sul pavimento di quella palestra a pensare.
"Se vuoi vado via." 
Mi alzai da terra e mi sedetti su una delle panchine, vicino ad Hazel. 
"No." sussurrai dispiaciuto che potesse pensare che non volessi la sua compagnia. 
Sorrise poco alla mia risposta e non distolse lo sguardo dalle sue scarpe. 
"Che cosa stavi ascoltando?" mi chiese lei notando le cuffie che scendevano dalle mie mani. 
"I miss you dei blink182" 
"Wow, io amo quella canzone." affermò lei sorridendomi. 
"Io e Michael la cantavamo sempre." 
Ci fu un profondo silenzio dopo quelle parole, nessuno dei due si decideva a parlare. 
"Mi piaceva cantare." ruppi il silenzio con una voce flebile. 
"Perchè non canti più?"

"Era una cosa che facevo solo con mio fratello." parlai ricordando di quanto le nostre voci potessero stare bene insieme.
"Quante volte ho pensato di andare via da questo posto. Di lasciarmi tutto alle spalle e ricominciare di nuovo." 
pensai ad alta voce i miei desideri più nascosti. 
"Sai, Luke, a volte allontanarsi dai ricordi non risolve le cose." parla lei sincera guardandomi dritto negli occhi. Le sue parole risuonano nella mia testa e mi stupii della verità che aveva appena pronunciato. 
"I ricordi rimangono sempre lì, non se ne vanno." 

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Capitolo 14
*** Talent ***



La campanella suona di nuovo e ci avverte che è ora di ritornare in classe. 
Luke prende il suo diario e le sue cuffie e faccio lo stesso anche io con le mie cose. Quando ho finito noto che Luke mi aspetta davanti la porta della palestra. Incurvo le labbra in un sorriso. 

"Che classe hai adesso? Ti accompagno" mi dice Luke sorridendo alla sua stessa proposta.
"Storia." affermo io cercando di mostrare più tranquillità possibile. In realtà mi sento un concentrato di emozioni tutte le volte che sto con Luke. Camminammo in silenzio per un po' e poi mi chiese "Hai mai pensato a quale sarà il tuo futuro?" 
Ci ho sempre pensato a quale sarà il mio futuro.
Da bambina, tutte le mattine prima di andare a scuola scrivevo di tutto quello che mi capitava nelle giornate fresche o calde ad Orlando. 
Prendevo il mio diario e scrivevo quello che mi passava per la testa. 
Niente mi poteva far saltare l'appuntamento che avevo ogni giorno con quelle pagine. 
Anno dopo anno gli argomenti cambiarono e le parole si moltiplicarono e si migliorarono. 

"Voglio scrivere, tutta la vita se è possibile." parlo sicura di me per una volta. 
Mi giro a guardarlo per vedere la sua reazione. Sorride verso di me. 
"Tu invece?" chiedo palesemente curiosa.
"Non so cosa voglio dal mio futuro, non sono bravo in niente." si gira a fissare la porta dell'aula di storia. Siamo arrivati, ma lui è ancora lì ad aspettare una mia risposta. 
"Troverai qualcosa in cui sei bravo, tutti siamo bravi in qualcosa, almeno in una." lo incoraggio mentre comincio ad avvicinarmi all'aula. 
Mi sorride e annuisce verso di me per poi girarsi e cominciare a camminare. 
"Luke." parlo io sperando di non essere sentita. 
Invece vedo Luke girarsi nella mia direzione un'altra volta. 
"Dopo scuola, ti andrebbe di prendere qualcosa insieme?" mi dico cercando di capire con quale coraggio pronunciai quelle parole. 
"Certo, ci vediamo davanti la porta principale." dice prima di andare, si confonde tra la gente. 


Entro in classe e il professore comincia a spiegare la rivoluzione francese del 1789. 
Comincio ad annoiarmi dopo le prime frasi che pronuncia. 
Guardo fuori dalla finestra sperando che finisca in fretta e comincio a pensare a quanto coraggio sono riuscita a tirare fuori da quando parlo con Luke. È come se mi desse quella forza necessaria per fare cose che non immaginavo nemmeno possibili da fare a causa della mia timidezza e della mancanza di autostima. Mi sorpresi di me stessa e sorrisi piano verso il mio diario. 
 
Dear diary, 
sono felice. Almeno un po'.

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La campanella suona e mi precipito davanti la porta della scuola. 
Cerco di nascondere il più possibile il mio viso guardando il cellulare e massaggiando le tempie per non farmi notare da nessuno. 
Sento qualcuno sussurrare il mio nome e mi rendo conto di essere piuttosto visibile anche provando a nascondermi. Decido di non pensarci troppo sù. 
"Hazel." 
Luke è davanti a me con un sorriso tra le labbra. Penso a quanto bello sia vederlo sorridere. 
"Dove andiamo?" chiede dopo qualche secondo e in cerca di qualcosa da dire comincio a muovere il piede velocemente. 
"Cominciamo a camminare." dice lui vedendomi in difficoltà. 
"Tu seguimi." affermo io. 

Camminando arriviamo davanti ad una gelateria e penso che sia il momento perfetto per qualcosa di dolce, ottimo per ricaricarsi un po' dopo una giornata stancante. 
"Ti piace il gelato, vero?" chiedo perpressa a Luke poi penso alla domanda stupida che ho appena posto. A chi non piace il gelato? 
"Certo, ho proprio voglia di un gelato." dice sorridendomi. 
Poi lo vedo incupirsi con lo sguardo rivolto verso una chioma rossa di capelli. Il sorriso gli sparisce dal volto e torna con lo sguado fisso sui gelati, facendo finta di scegliere un gusto. 
"Luke?" lo chiamo per farlo svegliare dai suoi pensieri. 
Scuote la testa un po' e poi mi guarda con lo stesso sguardo triste e cupo. Comincio a domandarmi il perchè di quel cambiamento d'umore così repentino. 
"Cioccolato." dice voltandosi verso il barista. Prende il cono in mano e sembra essere ancora disturbato da qualcosa. Così quando ho finito e ci sediamo in una delle tante panchine chiedo "Stai bene?" 
Mi guarda ancora un po' in trance poi vedo l'angolo sinistro del suo labbro incurvarsi leggermente. 
"È tutto okay." mi dice vagamente lui. 
Comincio a credere che non ci sia niente di okay in questa situazione ma continuo ad ignorare quel dubbio. 
Fisso le mie scarpe fare avanti ed indietro a ritmo fino a quando Luke non mi poggia una mano sulla coscia sinistra per farmi fermare. Sento il peso delle sue mani sulla mia gamba e arrosisco un po' al pensiero. 
Sposto lo sguardo su di lui che mi guarda con aria strana, quasi innervosito dai miei movimenti. 
I miei occhi diventano subito piu tristi e continuano a fissare le goccioline di pioggia che sono cadute tra il prato, bagnandolo un po'. 
"È quasi ora di pranzo, Hazel." 
"Ci vediamo in giro." dico io ormai delusa. 
"Ti va di pranzare a casa mia?" chiede lui sorridente quasi ansioso di riceve una risposta. 
Annuisco perplessa, si alza e lo seguo mentre a passo svelto attraversiamo la strada. 
Penso di essere solo paranoica e continuo a camminare. 
"Luke?" 
Si volta a guardarmi e inarca più che può le sopracciglia a modo di scherzo. 
"Ho fame. Corriamo." dice lui già correndo. 
Ritorna un po' indietro dove io cammino a passo svelto e comincia a corrermi intorno. 
"Dai Hazel, corri!" ride tra un passo e l'altro. 
Decido di correre anche io e comicio piano provando a raggiungerlo con i miei stivaletti non adatti alla corsa. 
"Aspettami." urlò io quando lui è già davanti casa. Si gira e mi aspetta. 
"Grazie!" dico io in tono sarcastico appena arrivo vicino a lui. 


---
La madre di Luke ci porge i piatti che riempiamo da soli con la quantita di spaghetti che desideriamo. Ne prendo una quantità minima ma la madre di Luke mi costringe a mangiarne di più. 
Mangio tutto quello che ho nel piatto e ringrazio per l'invito a pranzo e l'ospitalità. 
Osservo l'orologio e poi mi volto a guardare Luke ancora indaffarato con la sua porzione di spaghetti quasi finita. 
Penso a quanto buffo può essere il suo viso in questo momento, sporco di salsa e contratto per il movimento. 
Sorrido a quella scena. Poi rido cercando di farlo in silenzio e Luke si gira a guardarmi ancora sporco. 
Rido di più "Che c'è da ridere?" mi chiede perplesso incurvando le sopracciglia.
"Sei sporco." indico con un dito la parte in cui la sua pelle è coperta di salsa. Sorride anche lui mentre con un tovagliolo pulisce intorno alla bocca e vicino la guancia. 
Riguardo l'orologio e penso che si stia facendo tardi per me. 
"Luke io devo andare, ti ringrazio per avermi invitata." dico io alzandomi ringraziando anche la bionda signora. 
"Resta un'altro po'." incurvo le sopracciglia meravigliata delle sua affermazione. 
Si alza anche lui e senza voltarsi sale le scale pienamente convinto che le farò anche io. E in realtà le salgo una per una fino in camera sua. 
"Che hai da fare di impegnativo?" chiede curioso e allo stesso tempo un po' sarcastico, sedendosi sul suo letto. 
"Studiare." sorrido ammettendo stupidamente a me stessa che per una volta posso ritardare l'orario dei compiti da svolgere per casa. 
Annuisce e rimane in silenzio. 

Noto una chitarra classica appoggiata ad un piedistallo, da questa posizione. 
"Sai suonare?" chiedo d'improvviso sperando in un si come risposta. 
"No." lo guardo accigliata e comincio a credere che stia mentendo per lo sguardo cupo che assume poco dopo.
Il silenzio sembra fare più rumore di qualsiasi altra parola che potessi pronunciare. 
Nessuno dei due parla per almeno cinque minuti. Luke tra i suoi pensieri e io tra i miei. 
"Adesso vado." 
Mi alzo ed esco dalla porta. Rimango un'attimo sullo stipite per calmare le mie idee. Quando decido di scendere sento un dolce rumore provenire dalla stanza di Luke. 
Note che si susseguono una dopo l'altra, in una sequenza veloce e soave. 
Apro di nuovo la porta e faccio passare solo la testa. Lo osservo un un po', affascinata dal movimento che fanno le sue dita. 
"Allora sei bravo in qualcosa." 

 

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Capitolo 15
*** Annoying ***


La seconda pioggia della stagione cadeva incessante e premurosa verso il suolo. 
Le finestre piene di goccie lucide che venivano investite da alcune di loro e si univano a formare delle lunghe striscie, simili a delle lacrime che scendono dritte su tutto il percorso della guancia. Dopo poco ritornavano ad essere di nuovo piccole goccie di acqua piovana. 

Dear Michael, 
solo tu sai quando io ami la pioggia, l'odore che lascia sul suolo bagnato, il rumore flebile che diventa più forte, delle prime pioggie della stagione, la tranquillità che riesce a trasmettermi. 

Quando sei a casa e guardi fuori mentre piove è una sensazione davvero confortevole. La sensazione di essere al sicuro tra le proprie coperte. 
Mi piace la pioggia, ma non starci sotto. Odio bagnarmi e sentire il vento freddo penetrare ogni passo che faccio, la pelle e poi le ossa. 
Da quando non ci sei tu mi sembra di essere costantemente sotto la pioggia,al freddo e allo scoperto. 
È così anche dentro di me, sento di non essere mai protetto o coperto abbastanza. Prima piove forte e poi smette per qualche ora. Poi ricomincia e non finisce più. 
Non mi sento al sicuro se non ci sei. 



Esco dalla classe e vedo Calum aspettarmi in macchina. 
Perplesso, percorro il vialetto di casa correndo sotto la pioggia per poi entrare in macchina. 
"So che odi stare sotto la pioggia quindi eccomi qui." dice lui sorridendomi strizzando un'occhio. 
Ridacchio pensando a quanto Calum mi conosca bene. 
"Come va?" mi rivolge la solita domanda e rispondo subito che sto bene, senza guardarlo negli occhi. 
Non mi accorgo di inarcare le labbra in un sorriso. 
"Sono felice." sorride guardando la strada. 
"Anche io." rispondo cercando di non fingere troppo. 
E forse era vero, forse ero felice. 

--- 
Da una prospettiva distante osservavo Ashton avvicinarsi sempre di più ad Hazel cercando di non essere notato. 
La salutò e le disse qualcosa che non riuscivo a sentire, anche lei lo salutò, sorridendo a denti stretti. Sorrisi un po' anche io pensando a quando falso appariva quel modo di essere gentile. 
Ashton era sempre più vicino a lei così chiusi l'armadietto provocando un forte rumore. Alcuni si girarono verso di me e seguirono tutto il mio tragitto verso Ashton ed Hazel che parlavano ancora. 
Arrivai in fretta davanti Ashton che mi salutò con la mano con uno dei suoi soliti e patetici sorrisi sul volto. 
"Ciao amico." disse poi Ashton credendo di potermi irritare più di come lo ero già. 
"Non siamo amici." dico freddo cercando di non distogliere lo sguardo da lui. 
"Rilassati." parla lui, sorridendomi. 
"Vai via Ashton." dico sempre più vicino al suo viso con uno sguardo minaccioso. 
"Non vado da nessuna parte, amico. Qui mi piace." comincia a ridacchiare lui con un tono bizzarro che mi perfora le orecchie e mi fa diventare solo più nervoso. 
"Luke" mi distrae la voce di Hazel "Non stava facendo niente, stavamo parlando." Distolgo lo sguardo da Hazel tornando di nuovo su quello superficiale di Irwin.
"Vai via Ashton, non ti sembra di aver causato già abbastanza problemi?" parlo, arrivando al dunque e cercando di essere il più esplicito possibile per farlo spostare da qui. 
"Io non ho fatto niente." sussurra lui stringendo i denti e spostando lo sguardo altrove, camminando lontano da noi. 
La campanella suona e io decido di uscire, lasciando Hazel sola in corridoio, cercando di calmarmi. 
Corro verso le panchine dietro la scuola e decido di sedermi e saltare alcune lezioni per cercare di alleviare il dolore. 
Non piove più ma le panchine sono ancora bagnate quindi decido di asciugarla più che posso con dei fazzoletti che ho fortunatamente trovato nella mia borsa. Quando è abbastanza asciutta, mi siedo. 

Sento dei passi raggiungermi e qualcuno sedersi vicino a me. So già di chi si tratta per cui non mi giro a controllare. 
"Che problemi ha creato Ashton?" chiede Hazel insicura nel parlarmi. 
Sento la sua curiosità bruciare ancora viva nell'aria. 
"Luke." mi chiama lei sussurrando il mio nome e senza accorgemi mi giro a guardarla. Questione di un attimo, di uno sguardo e poso di nuovo la mia attenzione altrove e noto che sotto gli alberi è come se piovesse ancora. Le goccioline che si erano depositate sulle foglie scivolano e volano allo scoperto, schiantandosi al suolo. 
"Che ha fatto Ashton?" chiede Hazel troppo curiosa di sapere. 
Non ho intenzione di rispondere alla sua domanda. 
"Non parlare con lui." affermo cercando di non dirle altro, continuando a guardare le goccioline. 
"Perche non devo?" parla lei piano con un tono quasi dispiaciuto. 
Guardo il mio orologio restando il più indifferente possibile provando ad evitare il contatto fisico, unico mio punto debole. 
"È tardi Hazel, perderai la prima lezione." 
"Non vado da nessuna parte." afferma lei posando lo zaino sulla panchina incrociando le gambe, cercando una posizione comoda.
"Hazel." mi giro a guardarla negli occhi, rossa per la rabbia. 
"No." dice lei con le braccia incrociate sul petto con fare capriccioso. 
"Ascoltami bene Hazel." mi giro a guardarla cercando di dimostrare più sincerità possibile. 
Lei si gira e mi guarda con attenzione aspettando che le mie parole escano dalla mia bocca. 
"Vai in classe e tieni in mente il mio consiglio. Parleremo un'altra volta." 

Lei annuisce e prende il suo zaino, se ne va lasciandomi solo a pensare. 

Rimango lì per molto tempo cercando di studiare tutto quello che i professori hanno spiegato dall'inizio della scuola, cose che io non ho nemmeno guardato prima di oggi. 
Quando finisco tutto quello che c'è da fare, mi sento fiero di me stesso e sorrido distratto chiudendo ogni libro che mi ritrovo davanti. 
Prendo il diario e decido di scrivere. 

Dear Mikey, 
ti ricordi quando la mamma mi rincorreva per casa perchè non volevo studiare? Ricordi le F che mi aiutavi a nascondere e le B- e le C+ che riuscivo a guadagnare con un po' di sforzo? 
Mi mancano quei momenti, mi mancano queste piccole stupide cose perchè le abbiamo vissute insieme e non è bello ricordarle senza di te. 

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Capitolo 16
*** Hands ***


Entro a scuola affrentandomi per cercare di non arrivare in ritardo, prendo un posto lontano dalla cattedra e mi siedo. 
Tiro fuori il mio diario per cercare di fare chiarezza su alcune cose su Ashton e Luke. 

Dear diary, 
forse Luke ha ragione, forse devo stare lontana da Ashton.
Ma non riesco a capirne il motivo. Ho cercato di andare in fondo a questa storia per saperne di più ma Luke non ha pronunciato parola, cercando di placare la mia curiosità dicendomi che avremmo parlato un'altra volta. 
E penso proprio che non parleremo più di questa situazione. 
Non so più di chi fidarmi, di Ashton che ha sempre cercato di sorridermi ed è sempre sembrato sincero con me, o di Luke che forse con il suo fare misterioso sta solo cercando di proteggermi dalla verità? 

Alzo la testa dal diario e comincio a pensare che magari è Luke ad avere ragione. Ma cosa di così sbagliato ha fatto Ashton nei suoi confronti? 
Comincio a pensare che le mie domande non troveranno mai una risposta. 


---- 
La lezione finisce ed esco dalla classe a testa bassa cercando di non farmi notare da nessuno. 
Sento qualcuno sussurrare a qualcun'altro che sono strana o che sembro una sfigata, cammino più velocemente per evitare gli sgradevoli commenti su di me. 
Mi scontro con qualcuno e chiedo scusa sussurrando, sperando di essere sentita e scusata. 
"Ehi Hazel." dice una voce acuta, Ashton, decreto quando vedo il suo viso vicino al mio. 
"Scusa, devo andare." dico in fretta io cercando di non essere coinvolta in nessuna conversazione con lui. Provando ad evitarlo come Luke mi aveva consigliato di fare. Ma non mi lascia passare. Si mette di fronte a me e sorride. 
"Ti va un caffè?" mi chiede cercando di apparire gentile. 
"No davvero Ashton, ho delle cose da fare." 

"Parliamo un'attimo." mi trattiene ancora lui "non vuoi sapere niente?" 
Colpisce la mia curiosità e penso che forse vuole solo spiegarmi cosa c'è che non va tra lui e Luke. 
Annuisco seguendolo verso la macchinetta del caffè, ne prende due extra zuccherati e mi chiede di seguirlo. Mi porta in un'aula vuota convincendomi che così nessuno può sentirci. 
"Luke ed io ci conosciamo già, da  quasi due anni." 
Guardo interessata Ashton aspettando che dica qualcosa che non sia così scontata. 
"Conoscevo suo fratello Michael, in realtà ero amico principalmente con lui. Ero quasi sempre in casa sua." 

"Cosa c'entra Luke con te e suo fratello?" chiedo curiosa di sentire una risposta. 
"Ho sbagliato a volte, lo ammetto, ma  sono sempre stato un buon amico." Parla ma non mi guarda negli occhi, continua a fissare la cattedra dell'aula senza far trasudare nessuna emozione.  

"In cosa hai sbagliato?" gli chiedo cercando di avere più risposte possibili. 
"Non sono andato al suo funerale quando ho saputo che era morto, non ho chiamato nè Luke nè i genitori per dispiacermi per la loro perdita. Sono rimasto in disparte e non ho più parlato con Luke. Penso che sia questo l'errore di cui parla." 
Si alza dalla sedia e si avvicina alla mia, finalmente mi guarda negli occhi, pallido in viso e sul punto di piangere. Quando si trova davanti la porta e sta per aprirla, si rigira a guardarmi. 
"Spero di aver chiarito le tue idee." 
Ed esce senza dire altro. 


----
Le lezioni finiscono ed esco da scuola ancora più confusa di prima. Sta piovendo così prendo il mio ombrello e cerco di ripararmi dalla pioggia e dagli sguardi altrui. 
Luke poggiato sotto una tettoia, sembra che stia aspettando che la pioggia finisca per ritornare a casa. 
Decido di andare da lui. 
"Chi aspetti?" chiedo guardandomi un po' in giro per capire. 
"Nessuno." dice indiscreto Luke guardandosi le scarpe zuppe di acqua. Poi ci ripensa e smentisce la sua affermazione precedente "Aspetto che la pioggia smetta di scendere." 
Sposta lo sguardo al cielo strizzando gli occhi. 
"Aspetto che finisca anche io." dico chiudendo l'ombrello, mi fa spazio sotto la tettoia. 
"Ashton era un amico di mio fratello." conferma quello che Ashton mi aveva detto stamattina. 
"Ha sbagliato in tutto e lo sa bene." mi confessa ancora lui. 
Annuisco guardando il viso di Luke contrarsi e diventare più pallido. 
Le mani stringersi in pugni e gli occhi incupirsi sempre di più. 
Il silenzio che scende su di noi mi spaventa, anche la pioggia aveva smesso di scendere e noi non ce ne eravamo nemmeno accorti. 
Luke continua a viaggiare nei suoi pensieri, forse ricordi indesiderati. Continua ad avere quella sua espressione spenta e impenetrabile. 
Senza accorgemene con il palmo della mano sfioro la sua. Fredda ed immobile. Abbasso lo sguardo sulle nostre mani, le mie dita vengono intrappolate tra le sue con un gesto veloce e scaltro. 
"Non piove più." sussurro io sospirando piano, Luke si guarda intorno e si gira a fissarmi. 
La sua mano lascia la mia. 
"A domani Hazel." dice lui ormai lontano da me. 
Mi pento di aver parlato e rimango lì, tra il silenzio della natura e il rumore dei miei pensieri. 

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Capitolo 17
*** Blood ***


Mamma e papà non erano in casa quel pomeriggio di ottobre, grigio e pieno di nuvole. 
Qualcuno urlava nella camera di fianco alla mia e non era difficile distinguere di chi fosse quella voce, Michael, assodai alzandomi di scatto correndo verso la sua stanza. 
Michael era disteso a terra in agonia, gridava parole che non riuscivo a comprendere. Ashton in piedi di fianco a lui poco stabile che lo fissava con un ghigno sul volto.
"Che succede?" chiedo urlando cercando di farmi sentire da Ashton che sembrava essersi perso nei suoi pensieri, continuando a sorridere. 
Mi avvicinai alla sagoma di Michael distesa per terra di fianco al letto. La prima cosa che notai appena mi abbassai per vedere meglio fu il viso sconvolto di Michael che continuava ad urlare verso un punto qualsiasi sotto il suo letto. Alla vista del naso di Michael che sanguinava, mi bloccai, scosso, cercando di capire cosa fare. 
"Che è successo Michael?" chiedevo alzando la voce, ripetutamente, cercando di essere ascoltato da uno dei due. Nessuno sembrava essere in sè in quel momento. 
Provai vera e propria paura quando Michael smise di urlare e chiuse gli occhi. Mi voltai a guardare Ashton più vicino al letto questa volta che continuava a sorridere verso me e Michael. 
"Che cosa gli hai fatto?" urlai provando ad essere ascoltato, ma fu un tentativo vano. 
Continuavo a scuotere Michael provando a farlo svegliare di nuovo ma non ci riuscivo. Rimaneva lì fermo per terra senza dare nessun segno di vita. 
Lo sentii respirare poco dopo ma il sangue non smetteva di uscire dal suo naso. Mi misi le mani tra i capelli cercando di capire quello che dovevo fare. Pensai che sarebbe stato meglio se fosse disteso sul suo letto. 
"Ashton, aiutami ad alzarlo." chiamai il suo nome per essere aiutato ma quando mi girai a guardare, Ashton non era più nella stanza. 
Ricordo di aver pianto tanto quel giorno provando in tutti i modi e con tutta la forza che avevo in corpo ad alzare Michael dal pavimento per poggiarlo sul suo letto. 
Cominciai a piangere più forte e ad urlare quando finalmente riuscii ad alzarlo e a poggiarlo sul letto. 
Spostai il cuscino e poggiai la testa di Michael su di esso. Corsi per casa cercando dei tamponi per fermare il sangue che si era ormai indebolito e affievolito, dal naso di Michael. 
Li trovai e corsi nella sua stanza. 
Si era svegliato e stordito guardava le mani macchiate di sangue e appena si accorse che ero sullo stipite della porta mi guardò spaventato con le lacrime agli occhi. 
Mi avvicinai a passo svelto al suo letto e senza sprecare altro tempo spostai il suo viso, misto di lacrime e sangue, verso di me e cominciai a tamponare il sangue dal suo naso che si era in parte fermato. 
Respirava forte e i suoi singhiozzi che si facevano più forti, si univano ai miei più lunghi e pesanti. 
"Va tutto bene adesso." sussurrai tra le lacrime e il respiro spezzato. 
"Scusa." parlo Michael guardandomi nel occhi. 
Lo lasciai sdraiato nel suo letto e mi alzai per ripulire il sangue dal suo viso e quello che era ancora per terra. Andai nel bagno per prendere delle tovaglie bagnate con cui pulire il pavimento e delle pezzette. 
Ritornai da Michael che sembrava più tranquillo adesso, le lacrime si erano asciugate sulle sue guance e il sangue aveva cessato di uscire. 
Mentre cominciai a pulire il suo viso dal sangue asciutto, si addormentò. 
Lo sentii sussurrare "Grazie Luke."
Non parlò più. 

Mi svegliai dai miei ricordi e ammisi a me stesso che quella fu l'ultima volta che piansi così tanto. 
Rimisi insieme i pezzi e affermai che fu l'ultima volta che piansi. 
Dopo quella mattina non riuscii più a tirare fuori una sola lacrima, solo rabbia mista a tristezza che non portavano da nessuna parte. 
Non piansi al suo funerale, non piansi quando morì. Provavo solo rabbia ed era tutta concentrata verso una sola persona: Ashton Irwin. 
Aveva causato tanti problemi dal solo momento in cui aveva messo piede in casa mia. Quella mattina di ottobre, e tutte le altre che precedevano e succedevano a quella giornata. 
A volte mi fermavo a pensare e ammettevo a me stesso che la colpa non era solo di Ashton ma anche di Michael che si faceva condizionare dalle sue idee. 
A volte pensavo solo che Ashton avrebbe dovuto pagare per quello che aveva fatto a mio fratello, l'aveva messo in una situazione più grande di lui solo per avere qualcuno che gli facesse compagnia quando non era in sè. 

Dear Michael, 
lo ammetto, ammetto di essere debole quando si tratta di te. Di girarmi tutte le volte che sento il tuo nome. Ammetto di odiare di essere figlio unico. Ammetto che mi manca suonare la chitarra con te e cantare a squarciagola quando mamma non è a casa. Ammetto finalmente di essere un bravo cantante e di non voler più sprecare fiato per cantare. 
E ammetto di essere intrappolato tra i tuoi ricordi e di volerne uscire. Di liberarmi da questo caratteraccio che ho assunto da quando sei andato via. 

Decido di uscire da questa casa per camminare e distrarmi un po'. Prendo una maglietta pulita dall'armadio e la indosso. Esco dalla porta e comincio a camminare senza pensare ad un posto preciso in cui andare. Ascolto il rumore delle mie Vans che si poggiano sul suolo passo dopo passo. Sento gli uccelli cantare sugli alberi e il fruscio delle foglie che si scontrano. 
Noto che il tempo è visibilmente migliorato da due giorni fa e mi sento sollevato perchè se avesse piovuto sarei dovuto rimanere in casa per ancora molto tempo. Abbasso lo sguardo sulla strada e continuo a camminare. 
Sento il rumore di una porta sbattere e alzo di scatto lo sguardo. 
Una ragazza di media statura, con gli occhi grandi e scuri e i capelli morbidi e castani. Hazel, affermai mentre scendeva le scale velocemente. 
Mi accorsi di aver camminato almeno per un isolato senza guardare dove stavo andando, credo che non sia lontano da casa mia. 
Hazel comincia a camminare a passo svelto nella stessa direzione in cui cammino io. 
"Hazel." parlo forte sperando di essere sentito e di non dover alzare ancora di più la voce. 
Comincia a guardarsi intorno e si gira verso la direzione giusta, appena capisce chi aveva chiamato il suo nome, sorride. Un sorriso dalle esigue dimensioni, chiunque altro direbbe che è un sorriso come un altro ma senza accorgermene sto sorridendo anche io. Si ferma e aspetta che arrivi vicino a lei. 
"Ciao Luke." dice lei con una voce flebile. 
"Ehi Hazel." 

"Mi stai seguendo?" chiede lei con la stessa curiosità di sempre accigliandosi al pensiero. 
"No, stavo facendo una passeggiata." dico soltanto poi chiedo "Dove stai andando?" 
"In realtà da nessuna parte, avevo voglia di uscire di casa." dice facendo spallucce. 
Camminiamo per un po' e il silenzio ci invade, nessuno dei due parla e quando decido di farlo, Hazel mi precede. 
"Come mai una passeggiata?" mi chiede guardandomi mentre cammina. 
Penso a qualcosa da dire che non sia la verità, penso che sia lecito mentire quando la verità è qualcosa di così difficile da mandare giù. Un boccone di pane troppo grande per delle fauci troppo piccole. 
"Avevo bisogno di uscire di casa." senza dire niente di troppo esplicito credo di aver detto la verità. 
"Come mai?" dice Hazel cercando di argomentare per non rimanere in silenzio. O forse le importa sapere davvero il motivo, penso. 
"Troppi ricordi." ammetto ad Hazel e a me stesso. Davvero troppi ricordi di Michael in quella casa. 

Hazel trova una panchina e decide di sedersi, quando arrivo anche io mi fa cenno di accomodarmi e l'accontento. 
Hazel continua a muovere i piedi avanti ed indietro provocando un rumore tutte le volte che piedi si scontrano. Penso che sia ormai un'abitudine per lei dondolare i piedi quando c'è troppo silenzio. 
"Ci sono ricordi di Michael ovunque." accenno guardando il cielo assumendo una posizione piuttosto comoda.
"Sono uscito per non pensarci troppo, sono intrappolato nel passato." 
Capisco di aver detto abbastanza, di aver detto anche troppo, così mi alzo e non aspetto che Hazel risponda ai miei pensieri. Comincio a camminare molto velocemente per non essere raggiunto. Sento i passi di Hazel seguirmi e quando decido di velocizzare ancora di più il passo sento la sua mano prendermi il polso e stringerlo. 
"Non scappare da me perchè pensi che sia sbagliato parlarmi del tuo passato. Non potrai mai scappare dai ricordi se prima non li liberi." 
Ammiro i suoi occhi grandi guardarmi sinceri e mi rendo conto di quanto buone sono le sue intenzioni. 
"Devi parlarne e ammetterli ad alta voce, non basta scriverli." 
Mi convince parola dopo parola così tanto che mi viene voglia di raccontarle anche i dettagli ma non riesco a parlare, le parole passano nella mia mente una dopo l'altra ma non riesco a farle uscire. Mi blocco pensando che forse qualcun'altro dopo Calum riuscirebbe a farmi stare bene. 
Comincio ad aver paura dei miei pensieri, tolgo la mano di Hazel dal mio polso e le sorrido lievemente. Cammino veloce verso un rifugio sicuro.

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Capitolo 18
*** Laugh ***


Quando comincia a calare la sera decido di alzarmi dalla panchina in cui sono rimasta seduta per molto tempo dopo che Luke se n'è andato. 
Cammino fino a casa, l'aria diventa più fredda e comincio a desiderare di arrivare il prima possibile. 
Quando arrivo a casa sento qualcuno litigare, mi si contorce lo stomaco a pensare che sono ancora lì a discutere dopo quasi tre ore che sono via. 
Continua così da mesi ormai, sento mia madre urlare verso mio padre di argomenti e problemi stupidi. Se solo lo volessero, sarebbero così facili da risolvere. Sembra che non smettano mai, sento il silenzio in casa mia solo quando mamma va a dormire nel divano e papà rimane in camera. 

Sento il mio viso arrossire e gli occhi gonfiarsi, salgo le scale in fretta e mi chiudo in camera. Lascio scivolare la schiena contro la porta e rimango rannicchiata per terra sino a che non sento di nuovo silenzio e le lacrime si sono ormai asciugate sul mio volto. 
Mi alzo da terra e mi stendo nel mio letto coprendo tutto il mio corpo con il piumone bianco candido che lo riveste. Mi sento al sicuro tra quelle lenzuola ormai calde e piano piano mi addormento pensando a come sarebbe bello essere stretta di nuovo tra le braccia grandi di Luke. 

Quando arriva il mattino mi accorgo che nessuno è venuto a svegliarmi. Guardo l'orario e suppongo che sia il momento giusto per alzarsi. 

Dear diary, 
sembra essere tutto silenzioso adesso, sembra tornato tutto come lo avevamo lasciato ad Orlando. 
E invece no, niente è più lo stesso. 
Certe volte desidero con tutta me stessa di ritornare di nuovo nel posto in cui sono nata ma credo che per i miei genitori non cambierebbe nulla ormai, continuerebbero a litigare. 
Qui non mi sento mai a mio agio, mi sento fuori posto e non conosco quasi nessuno. Vorrei ritornare ad Orlando dai miei amici, nell'unico luogo in cui mi sento a casa.
Ma qualcosa mi blocca tutte le volte che provo a convincere mia madre a ritornare a casa nostra: la curiosità. 


---
L'ultima campanella mi perfora i timpani e mi rendo conto di essere felice che la scuola sia finita per oggi. 
Cammino dietro la scuola e raggiungo la panchina in cui di solito mi siedo. Poso le mie cose, sbuffando per la stanchezza, tiro fuori il mio diario e quando sono già pronta per scrivere sento la voce di qualcuno chiamarmi.
"Hazel" dice Luke verso di me rivolgendomi un lieve sorriso. 
Sorrido anche io facendogli cenno di sedersi. 
"Che fai qui?" 

"Stavo cercando un po' di pace." parlo piano girandomi verso di Luke che non distoglie lo sguardo dalle pagine sbiadite del mio diario. 
Anche lui tira fuori il suo prendendo una pagina bianca poi mi guarda e sorride.
"Qual'è il tuo colore preferito?" chiede con un ghigno sul volto. 
"Che domanda è mai questa?" domando confusa, sembrerebbe una di quelle stupide domande che si chiedono quando non si ha nient'altro da dire. 
"Il mio è il rosso." dice facendosi serio, decido di rispondere. 
"Verde." affermo senza esitazione. 
Prende la sua penna e scrive con una calligrafia poco decifrabile quello che ho appena detto. Tiene la lingua tra i denti e gli occhi socchiusi. Comincio a ridere pensando a quanto buffa sia la faccia di Luke quando scrive. 
"Che c'è?" mi chiede curioso rilassando gli occhi, mi sorride. 
Scuoto il capo facendogli capire che non è niente di poi così divertente. 
"Il tuo cibo preferito?" 
"Non ne ho uno in particolare, qual'è il tuo?" decido di stare al gioco e aspetto una sua risposta. 
"Pizza e cioccolato bianco." 
Arriccio il naso dopo aver sentito la sua risposta. Ho sempre odiato il cioccolato bianco. 
"Non dirmi che non ti piace la pizza, Hazel. Non possiamo andare d'accordo se non ti piace la pizza." dice lui serio, poi scoppia a ridere e lo seguo. Mi fermo a guardare il suo sorriso, questa volta diverso dalle altre. Più ampio e più divertito, più sincero. 
"Mi piace la pizza, il cioccolato bianco è orribile però." dico io cercando di smettere di ridere. 
Smette di ridere all'istante e si gira verso di me di scatto con un'aria contrariata. 
"Cosa stai dicendo?" apre la bocca cercando di farmi capire il più possibile di come sia stupito dalla mia confessione. 
"Mi sembra di mangiare latte rancido." ammetto guardandolo con volto dispiaciuto. 
"Sei pazza." decreta Luke ridendo ancora un po', scrive sul suo diario e riesco a riconoscere le parole. 

Pizza ok
Cioccolato bianco credo sia pazza 

Alzo lo sguardo contrariata "Ehi! Non sono pazza." mi difendo dall'accusa colpendo piano la sua spalla. 
Sposta lo sguardo sulla sua spalla e poi mi guarda accigliato. 
"Luogo preferito?" 
"Qui." rispondo senza pensarci troppo, questo è l'unico posto in cui mi sento a mio agio. 
"Il mio è la soffitta di casa mia." sorride incarcando leggermente le labbra questa volta come se si rifiutasse di ricordare. 
Il sorriso svanisce tutto d'un tratto e ritorna a fissare le pagine del suo diario. Continua a scrivere. 
"La tua canzone preferita?" chiedo io questa volta, si volta a guardarmi stupito che questa specie di questionario cominciasse a piacermi. 
"American Idiot dei Green Day." dice rimanendo serio. Mi guarda con uno sguardo curioso che aspetta una risposta. 
"La mia è The man who can be moved dei The Script." dico fiera della mia scelta. 
Sorride soddisfatto e annota sul suo diario le ultime parole che ho pronunciato. 
"Il tuo animale preferito?" 
"Non credo di averne uno. Il tuo?" rispondo accigliata sul punto di ridere. 
"Pinguino." 
Appena pronuncia quella parola comincio a ridere cercando di capire se mi sta prendendo in giro o se prova a farmi ridere. 
E capisco che fa sul serio quando comincia a sfogliare il suo diario. In una pagina colorata di bianco e nero, un grande pinguino con dei grandi occhi azzurri che sembra fissarmi. 
Ride un po' anche lui quando si volta verso il grosso pinguino. 
Gira di nuovo pagina e scrive sul suo diario qualcosa che non riesco a capire bene. 
"Che hai scritto?" gli chiedo curiosa cercando di decifrare la sua calligrafia. 
"Non volevo che lo capissi."

Guardai per un attimo ancora quella scrittura che sembrava indecifrabile poi chiuse il suo diario e fissò il vuoto. 

Mi ha fatto ridere. 
Così Luke aveva inciso sulla pagina. Sorrisi verso di lui e anche lui lo fece. 



 

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Capitolo 19
*** Swings ***


Dear Michael, 
mi sembra così strano dirti che ho riso di nuovo. Sembrava impossibile dopo così tanto tempo invece ci sono riuscito e senza sforzarmi tanto. L'ho fatto nel modo più sincero e spontaneo che conosco, un sorriso senza troppe pretese o freni, per niente superficiale o avvenuto solamente per soddisfare le richieste di mamma o papà. 
Dicono di vedermi giù, dicono che non sorrido mai, che senza di te sono diverso e più duro con tutti e con me stesso. 
Credo che non sia vero al cento percento. Credo di aver perso il controllo delle mie emozioni, è questo quello in cui credo. 

Giro pagina, delle parole scritte con una calligrafia poco leggibile imbrattano le pagine del mio diario. 
 
Mi ha fatto ridere.

Leggo a fine pagina e chiudo subito il diario. 

Un tempo eri uno dei pochi che riusciva a farmi ridere. 


----
Mi svegliai presto quella mattina e mi meravigliai del silenzio che vigeva tra i corridoi della mia scuola. 
Era strano non vederla piena di gente che corre per arrivare presto a lezione o che si preoccupa per come andrà un test, gente che litiga senza dar retta a tutti gli sguardi che osservano ostinati.

Mi sembrò che il tempo non passasse più, che si fosse bloccato e non avesse più voglia di andare avanti e lasciarci vivere la nostra giornata. 
Sentì il rumore che avevo bisogno di udire, tutte le campanelle di quella giornata erano suonate e mi affrettavo ad uscire per respirare un po' d'aria pulita. 
Mi fermai all'ingresso appoggiandomi al muro, accesi una sigaretta e la posai sulle mie labbra. Inspirai ogni respiro di quella sigaretta che sembrava potermi far star meglio, sembrava essere sollievo e relax. 
Ma non era altro che una trappola mortale e non ci feci caso, dimenticai tutti gli effetti negativi e ne trassi quelli positivi. Mi accorsi che non riempivano nemmeno cinque dita. 
La sigaretta finì come il tempo per Hazel di nascondersi dalla folla che usciva in massa da scuola, che la fissava sempre in modo strano, come se non fosse uguale agli altri. 
E in effetti non è uguale agli altri, è tutto l'opposto della massa di ochette che vanno in giro per scuola svestite e parlano solo di trucchi e ragazzi. 
Non ha nemmeno un po' di quello che hanno le altre ragazze della scuola e forse questa mancanza è la sua forza. 
La rende interessante e particolare. 

Mi rende curioso e della curiosità ero sempre stato impaurito. Ha sempre un lato positivo e uno negativo. Essere curiosi ti porta a sapere così tante cose che magari le altre persone non conoscono, ti rende culturalmente ampio e pieno di saperi da condividere. Ma il lato negativo dell'essere curiosi è che sapere la verità a volte può fare male, sapere troppo ti rende vulnerabile. Ed è precisamente com'ero diventato: vulnerabile. 

"Ehi." soprira Hazel, prima di accorgermi che era stata vicino a me fino a quando non mi svegliai dai miei pensieri. 
"Ehi." risposi al suo saluto e le sorrisi quasi per ringraziarla di essere rimasta ed aver aspettato che i miei pensieri smettessero di scorrere per ritornare di nuovo con la testa sulla terra. Mi spostai da dove ero poggiato e presi lo zaino sotto spalla. 
"Andiamo." le dico guardandola negli occhi cercando di incutere più sicurezza che potevo. 
La ragazza mi seguì senza altre parole. Pensai a quanta fiducia Hazel era riuscita a riporre in me in quel momento e in tanti altri, sul fatto che non avesse dubbi sulla mia fedeltà nei suoi confronti. Sorrisi pensando che non le avrei fatto del male e che non avevo doppi fini, ma volevo solo capire cosa la distinguesse dagli altri. Ero curioso. 

Arrivai finalmente nel posto in cui ero diretto e cominciai a camminare più velocemente quando mi accorsi che nessuno era nel parco giochi della città. Le altalene, pensai.
Posai il mio zaino lì vicino senza curarmi su cosa poggiasse, mi adagiai sul sedile ghiacciato dall'aria quasi invernale e sospirai. 
Quando Hazel mi raggiunse si fermò a guardarmi e sorrise perplessa per quella scelta. 
"Io e Michael andavamo sempre sulle altalene, non ci importava degli altri giochi, noi volevamo sentire cosa si prova a volare." sorrisi cercando di tenere ogni emozione repressa dentro di me, convincendomi che fosse sbagliato farle uscire proprio adesso. 
"Michael andava sempre più in alto ed ero geloso di lui ma ci divertivamo." 
Hazel non disse nulla, si posizionò nella seconda altalena, aveva in volto un'aria preoccupata e impaurita e la guardai sorridendo cercando di farle capire che stavo bene. Posai lo sguardo sulle mie scarpe e cominciai a dondolare piano. 

Michael mi teneva per mano e cominciò a correre quando notò che le altalene erano vuote. Nessuno era minimamente interessato alle altalene, lo eravamo solo noi. 
Michael si sedette sul seggiolino freddo e sorrise di gusto. Comincio ad andare avanti ed indietro, guadagnando velocità e toccando quasi gli alberi. Ad ogni spinta era sempre più in alto. 
Provai anche io ad andare così in alto ma non avevo la forza per farlo, piansi perchè non ero bravo come lui. 
Rallentò gradualmente e si precipitò ad aiutarmi. Mi rassicurò dicendomi che mi avrebbe aiutato lui d'ora in poi, quando aveva finito i suoi giri di routine. Mi spinse forte e piano piano presi velocità e riuscì a toccare anche io gli alberi. Cominciai a ridere senza fermarmi per l'immensa sensazione di libertà che riuscivo a sentire. 

Quando mi svegliai dai miei pensieri Hazel stava cercando di fissarmi negli occhi ma andavo troppo veloce. Rallentai e alla fine mi fermai. 
"Non ti piacciono le altalene?" chiesi confuso notando che non aveva fatto molti movimenti da quando si era seduta. 
"Si." sussurro con una vocina quasi impercettibile all'orecchio umano. 
"Solo che non ho voglia." completa Hazel. 
"Se vuoi andiamo via." dico alzandomi dall'altalena. 
"No, voglio rimanere, è calmo qui." 
"Si." sussurro io questa volta. 

Pensai al suono della campana e a quando Hazel uscì da scuola, dopo che tutti erano andati via. 
"Non devi nasconderti a scuola, Hazel, ti guardo le spalle." 



 

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Capitolo 20
*** Broken ***


In macchina si respirava tensione. Nè io, nè mio padre avevamo intenzione di parlare, ci capivamo con lunghi sospiri e occhi tristi.Non avevo bisogno di scuse, non avevo bisogno del suo pentimento e lui lo sapeva. Non era con me che doveva scusarsi, non era con me che doveva sistemare le cose e ricomporre i pezzi di questo puzzle rovinato. 
La colpa è di entrambi non di uno solo e se vogliono che ritorni come qualche anno fa, devono provarci insieme. 
"Non guardarmi così." disse con una voce forte ma allo stesso tempo rotta come se avesse preferito stare in silenzio. 
Ero ormai arrivata a scuola quando prendo le mie cose e il mio zaino. 
"Non guardarmi come se Sidney sia stata la scelta peggiore della nostra vita, Hazel, anche ad Orlando le cose non andavano bene." dice questa volta con una voce più chiara. 
"Le cose qui sono solo peggiorate." dico io e poi lo guardo prima di scendere definitivamente dalla macchina e senza voltarmi indietro, cammino verso l'ingresso della scuola. 
Arrivo al mio armadietto e qualcuno è già lì ad aspettare, non sono sicura su chi stia aspettando finchè non sorride verso di me. 
"Hazel, buongiorno." parla Ashton con il solito sorriso sulle labbra. Questa volta non sorrido in cambio rimango seria cercando di capire cosa fare. 
"Ti va se parliamo un po'?" dice il riccio facendomi l'occhiolino. 
"Di cosa?" chiedo io curiosa di sapere il possibile argomento di cui volesse parlare. Forse lo so, ma incosciamente rifiuto di saperlo. 
"Tu e Luke state molto tempo insieme." 
Non rispondo e lascio che il mio sguardo cada su tutto e tutti ma non su di lui. Provo ad evitarlo perchè credo che sia giusto così e non riesco nemmeno a capire il motivo.
"Siete diventati amici, sai era da tanto che Luke non avesse amici oltre quel ragazzo corvino di cui non so il nome." dice cercando di attirare il mio sguardo su di lui con una risatina irritante. Ma continuo a guardare altrove e tra la gente che passeggia per i corridoi, vedo Luke appoggiato poco distante da noi. 
Penso che sia facile per lui ascoltare quello che Ashton mi sta dicendo dato il timbro stridulo della sua voce. Luke si avvicina sempre di più a noi con un volto serio e sul punto di scoppiare. 
"È sempre solo da quando suo fratello è morto e addossa a me tutta la colpa. Ma io non ho fatto niente." 
Luke tira un pugno sull'armadietto vicino la testa di Ashton che era rivolta verso la mia. 
"Calmino Luke." dice Ashton girandosi, sorpreso di vederlo. 
"Che cosa vuoi ancora? Hai deciso di prenderti gioco della mia vita? Hai deciso di provare a rovinare anche la mia?" sento il biondo urlare come non lo avevo mai sentito prima e vedo il suo volto arrossire per la rabbia con cui sputa quelle parole fuori dalla sua bocca. 
"Io non ho rovinato la vita di nessuno Lucas." comincia a ridere Ashton con un ghigno insopportabile sul viso. 
Intanto mi accorgo che attorno a noi si forma una folla di persone che osserva quello che sta accadendo. 
"Luke, andiamo." dico io parlando piano, sperando di essere capita al volo ma non mi da retta. 
"Dici? Non hai rovinato niente?" urla ancora spaventandomi. 
"No." dice Ashton avvicinandosi al viso di Luke che ride un po' sarcasticamente poi diventa di nuovo serio e con il ginocchio sinistro sferra un colpo nelle parti basse di Ashton facendolo rannicchiare per terra dal dolore. Il naso arricciato e il sorriso scomparso. 
"Luke, basta ti prego andiamo." dico più forte questa volta, si gira verso di me e scuote la testa. 
"Non ora. Lui ha sbagliato, ha sbagliato ogni cosa, ha rovinato la vita di tutti e deve pagare." mi dice lui con gli occhi pieni di rabbia, si volta di nuovo verso Ashton che è ancora sdraiato per terra. 
"Ti prego Luke, ho capito." sussurra il ragazzo.
Si abbassa di scatto verso di lui e fissa il suo viso. 
"No, non hai capito niente Ashton, devi stare lontano da me. Devi stare lontano da Hazel. Hai fatto già abbastanza e non ti sei nemmeno scusato." parla piano questa volta Luke per essere recepito meglio dal riccio. 
"Ho capito Luke." Quest'ultimo si alza e tira un calcio nello stomaco di Ashton facendolo contorcere per l'agonia. 
"Basta Luke smettila." urlo prendendo il suo polso. "Ti prego, andiamo." lo stringo ma la sua mano sposta la mia. 
"Deve ancora chiedermi scusa." dice girandosi di nuovo verso Ashton. "Vero?" domanda al ragazzo disteso per terra. 
"Si Luke, scusami." 
Sorride il biondo soddisfatto e mi guarda sussurrando un 'così va bene'. Mi prende per mano e comincia a correre, mi adatto a quella corsa improvvisa e ci dirigiamo verso le panchine dietro scuola. 
Si siede di fretta col fiatone e mi lascia la mano. 
Nessuno dei due parla, decidiamo di stare in silenzio perchè le parole non avrebbero migliorato le cose. 
Le domande mi torturavano la mente una dopo l'altra. 
Cosa aveva sbagliato Ashton? Perchè Luke aveva tutto questo rancore nei suoi confronti? Che cosa ha rovinato il ragazzo gentile dal bel sorriso? 
Non avevo il coraggio di chiedere, continuai il silenzio senza irrompere nei pensieri profondi di Luke che non smetteva di passare il palmo della mano sul suo viso. 
"Sono diventato rosso, vero?" mi chiede dal nulla come se quella domanda avesse importanza in quel momento. 
"Si, un po'." dico io questa volta guardandolo bene e notando le chiazze rosee sulle sue guance. 
Ci fu di nuovo il silenzio di seguito alla mia domanda. 

"Michael doveva essere vendicato" 
sussurra Luke. 
"E sono stato troppo buono." 

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Capitolo 21
*** Revenge ***


"Michael doveva essere vendicato." sussurrai, quasi pentito del modo rude che avevo usato per far capire ad Ashton che doveva mantenere le distanze da me.
Poi ci ripensai e non feci che ripetere nella mia testa che era l'unica causa della morte di Michael. 
"E sono stato troppo buono." dissi e conclusi pensando ad alta voce. 
Mi girai verso Hazel che mi guardava perplessa come sul punto di fare mille domande a cui non avrei risposto, confusa e allo scuro di tutto, di ogni pezzo del mio passato e di quello di Michael. 

"No, non hai capito niente Ashton, devi stare lontano da me. Devi stare lontano da Hazel. Hai fatto già abbastanza e non ti sei nemmeno scusato."  

Ricordai le parole che avevo sputato dalla rabbia fuori dalla mia bocca. 
Ricordai di aver pensato che proteggere Hazel sarebbe stata la cosa giusta da fare. 
Ricordai di averlo pensato anche quel giorno quando quei tre ragazzi la disturbavano e quando incerta la vedevo varcare l'ingresso della scuola con lo sguardo sulle scarpe che avanzavano una dopo l'altra. 

"Luke." sussurrò cercardo di farmi svegliare dai miei pensieri e lo fece. 
"Mi dispiace." pronunciai, non distolsi lo sguardo da Hazel che accigliata mi guardava. 
"Per cosa?"
"Che tu abbia visto questa parte di me." 
Ero fiero di aver provocato del male ad Ashton come lui ne aveva fatto a me ma allo stesso tempo ero dispiaciuto perchè Hazel aveva assistito alla scena. 
"Che ha fatto Ashton di sbagliato per ricevere questo?" mi chiede scontrosa lei questa volta. 
Avevo pensato tanto a come rispondere a quella domanda in quelle settimane e sapevo che sarebbe arrivata e che non sarei più dovuto scappare. Dovevo restare, mantenere la calma e parlarne. 
"Ha ucciso indirettamente Michael." 
parlai piano, Hazel si girò di scatto verso di me e socchiuse la bocca con gli occhi grandi spalancati e il respiro che sembrava esserle stato sottratto tutto d'un colpo. 
"Michael è morto per overdose, Ashton era il suo procuratore ma anche un suo amico. Così lo considerava." dissi riassumendo milioni di parole al minimo indispensabile sperando di essere stato conciso e di non ricevere più domande. 
"Ashton fa uso di droghe?" parlò con la voce tremante e il viso pallido. 
"Si, ne fa ancora uso." ammetto dopo aver pensato per un attimo al viso scavato e rovinato di Ashton. 
Non parlò più per un po'. 

"Ashton gli ha solo rovinato la vita, l'ha manipolato e condannato ad una morte precoce e terribilmente solitaria. Michael aveva perso tutti i suoi amici, nessuno voleva più parlare con lui se non io e Calum. Quando si ritrovò da solo e pensò di non avere più nessuno che lo proteggesse, si chiuse in se stesso e cominciò a pensare che l'unica fonte di salvezza era Ashton, in qualche modo. Che fosse il suo unico vero amico." parlai di getto e senza fermarmi un attimo, Hazel ascoltava immobile nel suo lato di panchina, impercettibile il movimento delle sue palpebre e il leggero rumore del suo respiro. 
Non aveva intenzione di parlare così continuai io. 
"Un giorno molto vicino alla sua morte, Michael si sentì male, cominciò a urlare in preda al panico, era sdraiato per terra e perdeva sangue dal naso. Ashton era ai piedi del letto che sorrideva alla scena completamente preso dall'effetto della droga. Quando cercai di alzarlo per poggiarlo sul suo letto, piansi e cercai l'aiuto di Ashton ma quando mi girai era già andato via. Fu l'ultima volta che piansi." dissi sincero guardando gli occhi di Hazel rossi e gonfi di lacrime. 
"Hazel." sussurrai avvicinandomi a lei cincendo con la mia mano la sua spalla stringerndola sotto la mia presa, cercando di farle capire che tutto andava bene, che era tutto apposto. 
E capì che niente era okay quando sentì una lacrima rigare il mio viso. Cercai di asciugarla in fretta con la mano libera sperando che Hazel non la vedesse. 
"Non hai più pianto?" chiese cercando di trovare un po' di fiato. 
"No." risposi io, e mi resi conto di aver detto una bugia perchè in quel momento l'unica cosa che avrei voluto fare era piangere ogni lacrima persa e recuperarle tutte una per una. 
Ma non lo feci, rimasi fermo in quella posizione e dimenticai il pensiero di piangere. 
"Ashton ha avuto quello che merita." soffia fuori dalle sue labbra. 
Sfioro i suoi capelli intracciati nelle mie dita morbidi e confortevoli. 

"Michael era bravo a suonare la chitarra e sapeva anche cantare. Mi ha insegnato lui a suonare e mi incoraggiava sempre nel cantare perchè diceva che ero bravo." 
pensai ai miei piccoli ricordi e sognai di svegliarmi con un'amnesia in quel preciso istante. 
"Sai anche cantare?" disse lei guardandomi negli occhi entusiasta. 
"Penso di si." annuii verso di lei sorridendo. 
"Cantami qualcosa." disse ritornando a poggiare la sua testa sulla mia spalla. 
"Non credo di volerlo fare." ammisi ad Hazel e a me stesso. 
Annuì senza chiedermi altro. 
"Lui era davvero bravo in molte cose, prima che conoscesse Ashton, giocava a rugby ed aveva vinto tantissime coppe e medaglie, era uno dei migliori a scuola e dei più popolari. Aveva tante cose in più di me, i miei genitori erano fieri di lui." 
Ricordai i volti contenti dei miei genitori quando Mike era ancora vivo e provai puro sconforto quando mi passò per la testa l'immagine di mamma e papà che piangevano sdraiati sul divano. 

"Non importa quante medaglie vincerai o quanti bei voti riceverai, sei una brava persona a prescindere da queste cose, Luke." 
Non mi convinse così scossi la testa. 
"E se tu non mi avessi raccontato queste cose? Se non mi avessi protetta? Forse proprio adesso, in questo momento Ashton stava cercando di persuadere anche me." ammise ad alta voce i suoi pensieri e mi guardò sincera. 
"Non sono una brava persona." parlai ridacchiando un po'. "Sto solo cercando di non mettere altre persone nei guai." ritornai serio. 
"Sei una proprio brava persona." mi sorrise. 

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