La principessa di Furipan

di 9dolina0
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Guerrieri, principesse e profezie ***
Capitolo 2: *** Il vincitore del torneo ***
Capitolo 3: *** Chi è veramente Son Goku? ***
Capitolo 4: *** Arrivano i malvagi ***
Capitolo 5: *** Donne e saiyan ***
Capitolo 6: *** Confusione ***
Capitolo 7: *** Incontri al bacio ***
Capitolo 8: *** Incontri notturni ***
Capitolo 9: *** Colazione a Furipan ***
Capitolo 10: *** Volere la Luna ***
Capitolo 11: *** Sospetti e gelosie ***
Capitolo 12: *** Caccia alle sfere del drago ***
Capitolo 13: *** Padri e figli ***
Capitolo 14: *** L'ombra della passione ***
Capitolo 15: *** Come incastrare una donna ***
Capitolo 16: *** Rivelazioni e scoperte ***
Capitolo 17: *** Errori di valutazione ***
Capitolo 18: *** La scoperta di Condor ***
Capitolo 19: *** Il nascondiglio delle sfere ***
Capitolo 20: *** Reagire ***
Capitolo 21: *** Uomini traditi ***



Capitolo 1
*** Guerrieri, principesse e profezie ***



 

Capitolo I – Guerrieri, principesse e profezie

 

«Il tempo non risparmia nessuno, mio caro Giumaho, e non risparmierà nemmeno la principessa. Verrà il giorno in cui le forze del male riusciranno a trovarla e pretenderanno da lei il grande potere delle sette sfere del drago. Tu non sarai forte abbastanza per proteggerla, né il Supremo di questo pianeta potrà in alcun modo impedire la venuta dei malvagi. Il destino sarà beffardo con la principessa: lei, designata dalle divinità come unica custode delle sfere, sarà costretta sottostare a esseri spietati e fuori controllo, dediti unicamente al soddisfacimento dei propri megalomani bisogni.»

 

«Ma come posso, onnisciente Baba, cambiare il destino di mia figlia? Nessun padre potrebbe accettare una simile sorte senza nemmeno tentare di ribaltarla. Sono il grande stregone di Furipan e Chichi ha ereditato la corona di sovrana del regno dalla sua defunta madre; molti dei sudditi di mia moglie sono guerrieri valorosi, pronti a sacrificare la loro vita pur di proteggere l’incolumità della principessa. Io stesso posso vantare delle ottime capacità combattive: chi mai sono questi esseri malvagi che nemmeno noi potremmo sperare di battere? Da dove vengono? E se avessimo l’opportunità di preparaci per tempo, non riusciremmo comunque a scongiurare la sorte di mia figlia?»

 

«Il futuro di Chichi è drammaticamente avvolto da una coltre di nebbia attraverso la quale i miei poteri non possono penetrare. Vedo i malvagi incombere sul suo regno; vedo il sangue scorrere lentamente lungo le terre di Furipan e contaminare il vostro fiume; ma non posso vedere cosa ne sarà esattamente di vostra figlia. Perderà, usurpata dai malvagi, il controllo delle sfere del drago, ma che lei sopravviva o meno alla venuta di quegli esseri non posso in alcun modo saperlo. Tuttavia, riesco distintamente a scorgere accanto a lei la figura di un giovane forte e valoroso. Non so chi sia, né da dove venga, né se sarà davvero in grado di proteggerla. Cerca quel giovane e spera che possa davvero fare qualcosa. Ma sta’ attento a non confondere il designato con un malintenzionato: il destino di tua figlia potrebbe essere nelle sue mani.»

 

«Baba, ti prego, dimmi almeno come saprò che i malvagi staranno per arrivare.»

 

«La perla di Chichi, quella che porta legata al polso, si tingerà di rosso tre giorni prima della venuta delle forze del male. Ricorda bene tutto ciò che ti ho detto perché mi vedrai di nuovo qui soltanto quando il bene sarà tornato a regnare tra le terre della principessa e il grande Kaioshin avrà sigillato i confini tra il Paradiso e il regno degli Inferi.»

 

***

 

«No, accidenti, così non ci siamo proprio! Yamcha, togli di mezzo tutti quegli inutili attrezzi e sistemali nel ripostiglio. Ah, vorrei tanto sapere cosa dovrebbe farsene mio padre di tutta questa ferraglia!»

 

«Insomma, principessa, che fastidio le danno questi pesi? E poi, noi guerrieri stanotte vorremmo continuare ad allenarci.»

 

«Ma non dire assurdità!»

 

Chichi era su di giri; dopo quasi vent’anni di attesa, era forse giunto il momento per lei di conoscere il giovane combattente che la strega Baba aveva indicato come suo protettore. Di cose, in quel lasso di tempo, ne erano accadute parecchie: suo padre si era risposato, i suoi sudditi si erano allenati per poter affrontare i nemici venturi, lei stessa si era data da fare per diventare un’ottima regnante.

Chichi non era mai rimasta con le mani in mano: tenace e spregiudicata, coraggiosa e impulsiva, la splendida principessa di Furipan aveva viaggiato in lungo e in largo alla personale ricerca del guerriero perfetto. Si era imbattuta in mutanti, robot, delinquenti, giovani più o meno palestrati. Aveva affrontato gelo e siccità, uragani e tempeste di sabbia; aveva sottoposto il suo fisico a notevoli prove, risultando, alla fine, sempre vincitrice.

Ma trovare il suo guerriero si era rivelata un’impresa più difficile del previsto.

La giovane principessa non aveva mai davvero creduto alle favole, anche se una piccola parte di lei, sommessamente nascosta nel profondo del suo cuore, aveva sempre sperato che ci fosse un minimo di verità in tutte le leggende narratele. Quando suo padre le aveva consigliato di andare a cercare il suo vecchio maestro di arti marziali, Chichi disperava davvero che quell’uomo potesse essere quello apparso nelle visioni di Baba. A quanto ne sapeva la ragazza, Muten doveva essere molto anziano; eppure, l’idea di conoscere personalmente il celeberrimo genio delle tartarughe l’aveva spinta, appena diciassettenne, a volare con la sua nuvola d’oro verso la Kame Hause.

 

Da allora erano passati quasi tre anni.

Sebbene Chichi ricordasse con parecchia nostalgia le intense giornate trascorse a rincorre gli allievi di Muten sulla bianca spiaggia dove dimorava l’anziano maestro, la principessa sapeva benissimo che avrebbe dovuto mettere una pietra sopra a quel recente passato.

Il destino della sovrana di Furipan si era ormai compiuto e da poche ore la perla che portava legata a un bracciale si era tinta di rosso. Aveva poco meno di tre giorni per trovare l’eroe che avrebbe potuto proteggerla, ma, per quanto quel torneo di arti marziali fosse stato organizzato appositamente per quello scopo, nulla le garantiva che ci sarebbe riuscita.

 

«Chichi, tesoro, non dovresti disturbare i guerrieri! Domani li attende una dura giornata e hanno bisogno di riposo!»

 

«La penso così anch’io, padre; ma, vedi, Yamcha sostiene che lui e gli altri vorrebbero passare la notte a sollevare pesi!»

 

La pungente risposta della principessa aveva messo non poco in imbarazzo il giovane Yamcha.

Da ormai tre giorni, lui, il suo maestro e un altro allievo di Muten avevano raggiunto il regno di Furipan intenzionati più che mai a vincere il torneo.

Yamcha, in effetti, era un ottimo combattente e pochi dubitavano sul fatto che sarebbe stato lui a vincere. Con un passato da ladruncolo alle spalle e forte di un fortuito incontro con Muten avvenuto circa dieci anni prima, il ragazzo aveva avuto modo di affinare le proprie doti combattive prendendo lezioni dal grande Muten. A dire il vero, quest’ultimo non era stato il solo ad addestrare il giovane: una volta giunta alle orecchie del Supremo la notizia della profezia di Baba, egli stesso aveva voluto conoscere i guerrieri più promettenti che si fossero presentati al cospetto di Muten.

Yamcha aveva seguito col Supremo un addestramento durato un anno, poi aveva fatto ritorno alla Kame Hause, e lì aveva scoperto che la principessa di Furipan era andata a cercare il suo maestro.

Ma la sua vita, nel frattempo, si era sempre più divisa tra la piccola dimora del genio e le grandi città: una volta carpiti tutti i segreti di Muten, il ragazzo aveva iniziato a diradare sempre di più gli allenamenti col genio, convinto che mettendo il naso fuori dalla dimora del maestro avrebbe avuto l’occasione di imparare di più.

In parte aveva avuto ragione; in parte forse no.

Nulla, comunque, lo avrebbe mai distolto dal grande obiettivo che si era prefissato fin da quando il suo maestro gli aveva raccontato la storia della principessa di Furipan: sarebbe stato lui a proteggerla dai malvagi.

 

Yamcha recuperò un minimo di compostezza dopo il divampante rossore che aveva ricoperto le sue gote. Doveva ammetterlo: avere a che fare con Chichi non era mai stato semplice, e più quella ragazzina cresceva e più diventava linguacciuta e insolente. A volte, aveva persino l’impressione che nemmeno suo padre, il grande stregone del toro, riuscisse a domarla fino in fondo.

 

«Non si preoccupi, Giumaho, io e sua figlia stavamo solo avendo un piccolo scambio di opinioni.»

 

«Be’, ragazzo, se credi che ti farà bene un allenamento notturno, non c’è assolutamente alcun problema.»

 

«Sì, ecco, magari… magari è meglio che io lasci perdere. In fondo, non saranno i pesi che solleverò questa notte a cambiare la mia situazione. Forse è meglio che mi ritiri; raggiungerò la mia fidanzata visto che sono due giorni che non ci vediamo.»

 

***

 

Una sigaretta accesa già da un paio di minuti, lo schermo di un computer ormai in stand-by e una finestrella dalla quale osservare il via vai di guerrieri che ancora gironzolavano tra le vie di Furipan; Bulma, quella sera, non aveva né voglia di lavorare, né tantomeno di dormire.

Tutta quella storia della principessa da salvare le sembrava ridicola e infondata, tanto più che a metterla in circolazione era stata una vecchia megera ai più sconosciuta.

Da brava donna di scienza qual era, Bulma aveva sempre cercato di trovare una spiegazione logica a tutto, compresa la presunta e prossima venuta dei cosiddetti malvagi, di cui nessuno, tra l’altro, conosceva l’identità. Di fatto, se non fosse stata certa che dietro tutta la storia della profezia ci fosse stato davvero qualcosa di reale, di sicuro non avrebbe mai appoggiato il suo fidanzato in quella ridicola impresa.

Ridicola, certo; perché non poteva dirsi altrimenti una cosa organizzata su due piedi con lo scopo di trovare il guerriero perfetto. Chi mai avrebbe potuto garantire a Chichi e a suo padre che a quel torneo si sarebbero presentati tutti i più validi combattenti del pianeta?

D’altra parte, a lei della gara in sé importava ben poco.

Nonostante lo scetticismo iniziale circa la faccenda della profezia e delle sfere del drago, Bulma aveva dovuto almeno in parte ricredersi. Suo padre, infatti, era riuscito a dimostrare l’esistenza di quei misteriosi oggetti brevettando un radar che poi lei stessa avrebbe perfezionato. Tuttavia, non capiva come fosse possibile che una sensitiva tanto accorta non avesse saputo dare indicazioni più precise circa l’identità dei malvagi e del  guerriero protettore.

Anche se Bulma si era rassegnata ormai da un paio di anni al fatto che il mondo fosse regolato da logiche non sempre comprensibili per la mente umana, la giovane scienziata era comunque convinta che a mettere in pericolo Chichi e il regno di Furipan non sarebbero stati dei demoni, come invece la maggior parte della gente sosteneva. Bulma capiva ben poco di cose sovrannaturali e per di più il suo unico incontro col Supremo si era concluso con uno svenimento; ma ciò non significava affatto che avrebbe accettato incondizionatamente tutte le dicerie che circolavano intorno alla faccenda dell’invasione di Furipan.

Tra l’altro, il caso aveva voluto che proprio quella stessa mattina, il giorno prima dell’inizio del torneo, la perla di Chichi cambiasse colore e si tingesse di un intenso rosso vermiglio.

Certo, questo avvenimento aveva sconvolto Bulma non poco, ma ciò non era stato sufficiente perché la scienziata finisse col credere proprio a tutto.

I malvagi, in fondo, ancora non erano arrivati.

 

Yamcha entrò nella stanza facendo parecchio rumore.

Bulma ormai lo conosceva bene: il suo ragazzo doveva essere di pessimo umore.

 

«Che c’è? Hai deciso di sfondare la porta della stanza? Guarda che io non ho intenzione di pagare all’albergo i tuoi danni!»

 

Yamcha sbuffò, poi si buttò di peso sul letto, portandosi un braccio dietro la nuca e grattandosi con la mano libera la pancia.

 

«Per favore, non ti ci mettere anche tu!»

 

Bulma evitò di rispondere e tornò a guardare fuori dalla finestra. Ormai, della sua sigaretta era rimasto ben poco, ma del fumo ancora si alzava dal mozzicone gettato con noncuranza nel posacenere.

Di tutti i guerrieri che vedeva passeggiare per le strette vie di Furipan, ne conosceva giusto un paio. Uno era Muten, il maestro del suo ragazzo, l’uomo considerato da molti il più abile esperto di arti marziali di tutti i tempi. Da come le aveva riferito Yamcha, persino Giumaho, da giovane, si era fatto allenare dal cosiddetto genio.

L’altro era Crilin, il compagno di squadra di Yamcha.

Bulma, in realtà, lo aveva visto solo un paio di volte, e solo quando il giovane aveva accompagnato il suo ragazzo alla Capsule Corporation. Di lui la scienziata non era riuscita a farsi alcuna idea. Le sembrava una persona estremamente timida e posata, ma la verità era che con lei Crilin non aveva mai spiaccicato parola. Sembrava quasi che l’imponenza della sua dimora lo mettesse estremamente a disagio.

 

In un istante di divagazione, la ragazza si chiese perché Yamcha non fosse fuori con i suoi compagni.

Si voltò verso di lui, trovandolo sul letto sdraiato a pancia in giù e con la testa rivolta verso la porta della stanza.

 

«Non dirmi che ti sei già addormentato!»

 

«E come potrei, con la luce ancora accesa?»

 

Bulma si zittì per qualche secondo, contemplando il ragazzo che giaceva su quel letto. No, decisamente, quel comportamento infantile non si addiceva affatto a una persona dal fisico tanto prestante.

 

«Vuoi spiegarmi che hai? Non dirmi che hai discusso di nuovo con quella ragazzina!»

 

«Che ti devo dire? Ha un caratteraccio. Avrei voluto rimanere ancora un po’ sul ring ad allenarmi, ma alla principessa non sembrava opportuno.»

 

«Quante storie, Yamcha. Tanto, sei o non sei già certo di vincere?»

 

Il ragazzo, finalmente si sollevò dal letto e prese a guardare Bulma dritto negli occhi.

 

«Certo che lo sono! Ma avevo comunque bisogno di rilassare un po’ i nervi. E comunque, questa faccenda del torneo è ridicola. Davvero Giumaho crede nella possibilità che ci sia qualcuno più forte di me su questo pianeta?»

 

Bulma non rispose e tornò a guardare fuori dalla finestra.

Per la verità, lei qualche dubbio ce l’aveva. Non aveva mai osato dire nulla al suo ragazzo per non ferirlo, ma se lo stregone del Toro, pur avendo personalmente conosciuto Yamcha, aveva deciso comunque di indire il torneo, voleva dire che evidentemente non era affatto convinto che fosse lui il più forte.

E, d’altra parte, Yamcha non aveva mai avuto alcuna prova del fatto di aver superato il suo maestro.

Anche Crilin e Muten avrebbero partecipato al torneo e, con loro, un altro centinaio di guerrieri pronti a dimostrare il proprio valore.

Magari Yamcha avrebbe vinto davvero, ma di sicuro avrebbe dovuto darsi parecchio da fare.

 

«Di’ un po’, è vero che la perla della principessa si è tinta di rosso?» chiese la scienziata, tentando, per quanto possibile, di non continuare la noiosa conversazione precedente.

 

«Sì, l’ho vista coi miei occhi. Fra tre giorni, a quante pare, arriveranno i malvagi

 

«Molto interessante. Sono proprio curiosa di guardarli in faccia, sempre ammesso che esistano veramente.»

 

«Non so come tu possa dubitarne ancora, accidenti! Hai visto coi tuoi occhi le sfere del drago e ti ho appena detto che parte della profezia si è già avverata. Capisco che sei una scienziata, però dovresti provare, almeno in questo caso, a mettere da parte la tua razionalità e ad accettare il fatto che non tutto può essere soggetto alle leggi della fisica.»

 

«Non ho detto di non crederci, Yamcha; però ammetterai anche tu che ci sono molte falle in questa profezia! Se davvero Baba ha visto l’arrivo dei malvagi, perché non ha rivelato anche che faccia abbiano? E, comunque, se proprio vuoi saperlo, io mi sto dando da fare molto più di te per svelare questo mistero. Le mie preziosissime leggi della fisica forse stanno per darmi qualche risposta.»

 

Yamcha spalancò gli occhi e buttò lo sguardo verso lo schermo del computer in stand-by. Certo, da Bulma doveva aspettarselo! Lei non era una che rimaneva con le mani in mano, né avrebbe mai accettato di dar credito a una presunta profezia senza fare degli studi per verificarne l’attendibilità. Ma cosa avesse potuto scoprire quell’imprevedibile scienziata era per lui un mistero e, d’altra parte, nemmeno gli importava più di tanto venirne a capo.

Quante volte aveva cercato di seguire – inutilmente – i calcoli di Bulma? Ormai aveva perso il conto.

Il guerriero tornò a sdraiarsi sul letto, ormai desideroso solo di farsi una bella dormita.

L’indomani avrebbe vinto quel maledetto torneo e sarebbe diventato il protettore della principessa di Furipan.

 

CONTINUA

 

Angolo dell’autrice

Ebbene, sì, ho deciso di postare la mia ennesima fanfiction su Dragon Ball.

In realtà questo primo capitolo non dice ancora praticamente nulla su come si svolgeranno le vicende future, però ho voluto darvi un assaggio di alcuni protagonisti. Come al solito – chi mi segue ormai lo sa bene – ho voluto alternare parti dialogate a parti descrittive/introspettive. Adoro immergermi nella mente dei miei personaggi, per cui ho “seminato” qua e là qualche divagazione. Spero che tutto ciò sia utile per comprendere la psicologia dei personaggi, i quali vorrei non sembrassero né piatti, né monocromi.

Lo so, Yamcha in questo primo capitolo appare immaturo, esaltato e piuttosto antipatico, ma vi assicuro che non intendo stereotiparlo! Un po’ di pazienza e riuscirò a concentrarmi anche sulla sua personalità non proprio ancora adulta.

Per quanto riguarda i nomi, ho cercato di mantenermi fedele a quelli del manga; tuttavia ho preferito utilizzare Supremo al posto di Dio e di affiancare a Muten l’appellativo genio delle tartarughe – volutamente scritto con lettere minuscole per indicare che non è del nome proprio del personaggio – e a Giumaho quello di stregone del toro. Per quanto riguarda Furipan, si tratta del nome originale del Monte Padella, luogo in cui, secondo il manga, sorge la dimora di Giumaho.

Se dovessero venirmi in mente altre annotazioni “tecniche”, le inserirò nelle note del prossimo capitolo che, ci tengo a precisarlo, è già scritto! 


Il banner è stato realizzato dalla bravissima e gentilissima Nede, che ha voluto farmi questo graditissimo regalo.

 

Ringrazio chiunque abbia letto e apprezzato questo primo capitolo,

baci a tutti :*******

9dolina0

 

   

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** Il vincitore del torneo ***


Capitolo II – Il vincitore del torneo

 

Niente e nessuno l’avrebbe convinta a rimanere a letto un secondo di più.

Chichi era su di giri, in fervente attesa che risuonasse il gong.

Erano appena le sei del mattino nel villaggio di Furipan; il monte, i boschi e il castello stesso, dimora della principessa, ancora apparivano dormienti sotto la tenue luce del sole sorgente. Ma quello era il gran giorno, e solo in apparenza il suo popolo era ancora in dormiveglia.

Chichi si alzò dal letto e si sgranchì le ossa. Da quanto tempo non le capitava di trascorre una notte quasi completamente insonne? Il risultato, tra l’altro, era stato un forte mal di testa.

La giovane principessa si tolse in pochi secondi la vestaglia da notte e indossò la sua tunica bianca preferita. Lo sapeva perfettamente: quello che la moglie di suo padre definiva un orribile straccio non era effettivamente un capo di grande eleganza; ma a lei piaceva da impazzire, perché era morbido, perché l’aveva sempre accompagnata in tutti i suoi viaggi, perché era appartenuto a sua madre.

Il fugace ricordo della donna che l’aveva messa al mondo ricoprì con un velo di tristezza il volto della ragazza. Le capitava raramente di pensare a lei, un po’ perché sapeva che i vecchi ricordi avevano il potere di renderla vulnerabile, un po’ perché in fondo quando l’aveva persa era ancora un bambina. Il volto di quella donna, oramai, le appariva nitido solo in sogno; di giorno, la sua mente non riusciva a plasmare nulla di più concreto di un’immagine evanescente.

 

«Ah, sto perdendo un sacco di tempo dietro a queste sciocchezze!»

 

Finì di prepararsi in un attimo, indossando un paio di comodi sandali e legando i lunghi capelli mori in una coda di cavallo. Aveva fretta: non avrebbe mai perdonato a sé stessa il fatto di arrivare sugli spalti a estrazioni ultimate.

 

***

 

«Sai, Muten? È davvero pazzesco. Io non credevo che sarebbero passati così tanti anni prima che potessimo farci di nuovo una bella chiacchierata. Ho conosciuto i tuoi ragazzi, oltretutto, e mi sembrano molto preparati.»

 

«Ho cercato di fare del mio meglio. Ho dato loro tutti miei insegnamenti e spero proprio che si facciano onore. Vedo un sacco di concorrenti che mi sembrano preparati e sono sicuro che gli allievi di Condor daranno a tutti del filo da torcere.»

 

Mancavano pochi minuti all’inizio dei sorteggi.

Giumaho faticava a rimanere seduto sugli spalti. L’uomo sapeva perfettamente che tutta quell’ansia non gli avrebbe fatto bene, eppure non riusciva proprio a mantenere la calma. A dire il vero, era molto preoccupato: da quando aveva deciso di organizzare quel torneo era vissuto con la preoccupazione che la voce non si fosse sparsa abbastanza e che qualche valido guerriero non vi prendesse parte.

Dall’alto delle gratinate, poteva scorgere almeno un centinaio di uomini che di lì a poco si sarebbero contesi il titolo di campione. Ma cento era un numero insignificante in confronto ai miliardi di persone che vivevano sul pianeta.

E, tuttavia, il fatto che fossero così tanti a partecipare si stava rivelando un grosso problema.

Nelle intenzioni di Giumaho il torneo avrebbe dovuto concludersi in tre giorni; ma il fatto che la perla di Chichi si fosse tinta di rosso già da diverse ore imponeva per forza di cose una soluzione diversa. Lo stregone del toro non era affatto sicuro che l’avvalersi di misuratori di potenza meccanici per fare una prima cernita sarebbe stata una soluzione adeguata, ma, purtroppo, non aveva altra scelta. E comunque, visti i cambi di programma, non aveva potuto non ringraziare le divinità Kaioh del fatto che la fidanzata di Yamcha avesse deciso di assistere a quel torneo: come avrebbe fatto, altrimenti, a procurarsi dei macchinari del genere in poche ore?

Tutto sommato, la soluzione proposta dalla signorina Brief e appoggiata da Muten pareva essere l’unica accettabile.

 

«Muten, lei non va sul ring con gli altri concorrenti? Stanno per iniziare le misurazioni del livello di combattimento e tra dieci minuti al massimo ci saranno i sorteggi.»

 

«Ah, Chichi! Non ti avevo nemmeno sentita arrivare.»

 

«Me ne sono accorta.»

 

«Be’, comunque, scenderò per ultimo. Non ho voglia di fare la fila in piedi. Quando gli altri concorrenti avranno finito andrò a sferrare anch’io il mio pugno a quell’aggeggio. Ehi, Giumaho, ma tu sai quanti concorrenti passeranno il turno?»

 

L’uomo ci pensò un po’ su. Ne aveva parlato la sera prima con gli organizzatori ufficiali ma non ricordava esattamente il numero preciso.

 

«Credo sedici, ma non vorrei sbagliarmi. Chichi, tesoro, perché non vai a informarti?»

 

«Scusa, papà, ma ho fatto colazione molto in fretta credendo di essere in ritardo. Preferisco andare a mettere qualche altra cosa sotto i denti. Assisterò ai sorteggi dalla sala da pranzo.»

 

***

 

A dire il vero, Chichi non aveva fame per niente; tuttavia rimanere lì in attesa che le eliminatorie terminassero  l’avrebbe soltanto resa impaziente. Da questo punto di vista, sapeva di somigliare molto a suo padre. Per quanto nell’aspetto quell’uomo sembrasse molto minaccioso e incutesse timore in chiunque a causa della sua enorme mole, Chichi sapeva quanto in realtà fosse ansioso e anche sensibile. A volte, di nascosto, rideva di lui e della sua preoccupazione paterna; ma si trattava di risa colme di affetto e di stima.

Chissà se suo padre avesse delle aspettative sul futuro vincitore del torneo!

Chichi, in cuor suo, sperava che vincesse Yamcha. Lo conosceva bene: era un bravo ragazzo; magari a volte si comportava come un bambino capriccioso, ma doveva comunque riconoscere che lei lo stuzzicava parecchio. E poi, di tutti gli altri concorrenti non sapeva quasi nulla. Non aveva mai visto combattere Crilin, né tantomeno Muten. Suo padre le raccontava spesso del suo passato da allievo con il grande genio delle tartarughe, ma, nonostante questo, non era mai riuscita a farsi un’idea precisa su di lui. Che dipendesse dal suo aspetto gracile e deperito? Probabilmente sì; ma Chichi non aveva comunque alcun dubbio sul fatto che quell’uomo dovesse essere un eccellente guerriero.

 

Quando la principessa arrivò nella sala da pranzo, si accorse di non essere sola.

Una ragazza in apparenza più grande di lei, dal fisico asciutto e dall’insolito colore dei capelli, sorseggiava senza fretta una tazzina di caffè. La sconosciuta non aveva propriamente un bell’aspetto: nonostante l’indubbio fascino che emanavano i suoi colori esotici e le sue gambe toniche e slanciate, la ragazza pareva piuttosto sfiancata e aveva le occhiaie tipiche di chi aveva passato una nottata in bianco.

 

Chichi si avvicinò al suo tavolo e prese posto accanto a lei, che immediatamente cominciò a guardarla con un certo interesse. La principessa ordinò  una tazza di tè e iniziò a picchiettare le dita sul tavolo, in attesa di riuscire a cogliere qualche dettaglio che le rivelasse l’identità della ragazza.

 

«Oh, credo di aver fatto una pessima figura» proferì a un tratto Bulma, poggiando il caffè sul tavolo. «Tu devi essere la principessa, non è vero? Deve essere per forza così visto che questa sala è interdetta alla gente comune. A meno che tu non sia una partecipante al torneo, ma ne dubito profondamente.»

 

Chichi spalancò gli occhi e prese a fissare la sconosciuta con un cipiglio piuttosto severo. Non che la principessa pretendesse chissà quale trattamento di riguardo nei suoi confronti, ma non le era mai capitato che una persona, intuendo chi ella fosse, si rivolgesse a lei come se fosse una ragazza qualunque.

 

«È corretta la tua prima intuizione. Però, proprio perché questa sala è interdetta, mi sto chiedendo chi sia tu.»

 

La ragazza allungò una mano e strinse quella della principessa.

 

«Molto piacere; io mi chiamo Bulma Brief e sono la scienziata che ha progettato i rilevatori per le eliminatorie. È per questo che mi trovo qui: in qualche modo ho dato una mano agli organizzatori.»

 

«Bulma… Brief. Ah, ecco! Sei la fidanzata di Yamcha, non è vero? Ogni tanto mi parla di te: dice che sei davvero in gamba.»

 

Sentir nominare il suo compagno da un’altra donna fu per Bulma abbastanza fastidioso. Lei sapeva tutto, ovviamente. Era al corrente del fatto che il suo ragazzo si fosse allenato per anni al solo scopo di proteggere la custode delle sfere del drago e ovviamente immaginava anche che tra loro due ci fosse una certa confidenza.

Bulma non aveva mai avuto alcun bisogno di essere gelosa, né, d’altra parte, ce ne sarebbe stato motivo. Era bella, molto bella, e ne era perfettamente consapevole. Sapeva che Yamcha era ammaliato dal suo fascino e che le bastava davvero poco per farlo rincitrullire completamente dietro alle sue belle gambe nude.

Tuttavia, nonostante sapesse che la principessa avesse ormai quasi vent’anni, non immaginava certo che anche lei fosse molto piacente. Era una bellezza discreta, la sua, molto sottile e per nulla appariscente; ma, pur nella sua apparente trascuratezza, era evidente che sotto quella tunica un po’ troppo larga e piuttosto logora si nascondesse un fisico longilineo e molto curato, scolpito, evidentemente, da anni e anni di allenamenti nel campo delle arti marziali. Anche il volto della principessa pareva essere assai gradevole: pur senza un filo di trucco, i grandi occhi scuri della ragazza riuscivano a brillare su un viso candido e pulito, reso ancor più piacevole da dei lineamenti per nulla marcati.

Bulma rovesciò la testa all’indietro e per un attimo chiuse gli occhi.

 

«Già, sono proprio io. Spero che Yamcha non ti abbia detto cose troppo cattive. Comunque, è un grande piacere per me assistere a questo evento. Anche se non sono una grande patita di arti marziali, mi pare davvero un torneo interessante.»

 

«Ah, eppure io scommetto che tu sei qui più per vedere se arriveranno  davvero i malvagi che non per assistere ai combattimenti tra i guerrieri. Sbaglio?»

 

Lo sguardo di Bulma si fece alquanto stizzito. Ora capiva come mai Yamcha tornasse da lei sempre nervoso dopo aver avuto a che fare con la principessa. Fortuna che Bulma aveva sempre la risposta pronta! Eppure, in quel momento si chiese da dove provenisse tutta la sagacia di quella ragazzina.

 

«Sbagli, e anche di grosso. Io mi trovo qui a Furipan già da quattro giorni, mentre la tua perla si è colorata solo ieri, a quanto ne so. Come vedi, non avrei potuto in alcun modo sapere che avrei visto davvero questi fantomatici malvagi

 

«Forse; però ammetterai che è strano che una scienziata si metta a perdere tempo dietro a delle profezie, non credi? Io, per la verità, non ho alcun dubbio sul fatto che qualcosa di terribile accadrà per davvero, ma mi metto comunque nei panni altrui e mi rendo conto che questa storia ha dell’assurdo. Quindi, mi chiedo, cosa ha spinto una scienziata, oltretutto di fama mondiale, a dirigersi in questo luogo sperduto per assistere a un torneo il cui fine è trovare un protettore per una principessa?»

 

«Se ti dicessi che l’ho fatto per Yamcha

 

«Non ci crederei. Ripeto, sei una scienziata.»

 

«Le scienziate non sono prive di sentimenti. Credi forse che io sia completamente insensibile? Volevo sostenere il mio ragazzo, tutto qui; e volevo anche veder combattere Muten. Non mi pare poi così assurda come cosa.»

 

Chichi distese le braccia per un attimo e guardò l’orologio.

 

«Io credo che le eliminatorie siano terminate. Se andiamo fuori al balcone avremo una visuale stupenda sul ring e riusciremo a seguire i sorteggi.»

 

Bulma si limitò ad annuire col capo e ad alzarsi in piedi.

Di una cosa era certa: chiunque fosse stato il vincitore del torneo, costui non avrebbe avuto vita facile dietro a una ragazza dal simile temperamento.

 

***

 

«Bene, signore e signori, vedo che gli spalti in pochi minuti si sono completamente riempiti. Scommetto che siete tutti trepidanti di conoscere i finalisti del torneo, non è vero? Bene, e allora, che salgano sul ring gli otto concorrenti!»

 

Dall’alto della balconata che si affacciava sullo stadio, Chichi e Bulma osservano in religioso silenzio la sfilata dei guerrieri. Come entrambe avevano immaginato, Yamcha, Crilin e Muten avevano passato il turno.

Chichi, a dire il vero, era convinta che il numero dei finalisti sarebbe stato molto più alto, ma probabilmente ciò avrebbe prolungato di molto la durata del torneo.

Per un attimo buttò lo sguardo sulla sua perla ormai vermiglia: di tempo, effettivamente, ne era rimasto davvero poco.

 

«Bene, ragaz… ehm, vedo che c’è anche qualche concorrente un po’ più maturo… Comunque, uno alla volta, quando sarete chiamati, estraete una pallina dal box che avete davanti a voi e mostratemi il numero. È tutto chiaro? Benissimo! E allora, diamo il via alla prima edizione del torneo di Furipan

 

Un’ovazione del pubblico accompagnò le parole entusiastiche del cronista.

Chichi riconobbe in quell’allegria il germe dell’incoscienza: nessuno era davvero consapevole del fatto che molto presto una tragedia si sarebbe abbattuta su quel ridente villaggio.

 

«Il primo concorrente a estrarre il numero è Yamcha. Dunque, giovanotto, fammi vedere un po’… Ah, Yamcha ha il numero tre! Bene, proseguiamo. Il prossimo è Tensinhan! Dunque dunque, Tensinhan ha il numero uno! Ora è il turno di Condor. Dai, Condor, un po’ di rapidità! Oh, perfetto. Condor ha il numero otto! E adesso, si avvicini Muten, per cortesia. Muten ha il numero sette! Proseguiamo con… ah, sì! Jaozi! Questo giovane concorrente ha preso il numero sei! Ora è il turno di Tai Pai. Tai Pai, fammi vedere cos… ah, ecco! Tai Pai ha il numero due! Mancano solo due concorrenti, a quanto pare. Crilin, è il tuo turno! Bene, ragazzo, Crilin ha il numero cinque! E infine, tocca a Son Goku, che ovviamente ha il numero quattro.»

 

Bulma lanciò un’occhiata al tabellone coi nomi e gli abbinamenti.

Non aveva idea di chi fossero i cinque partecipanti oltre a Yamcha, Muten e Crilin, ma aveva sempre di più la sensazione che non sarebbe stata affatto una passeggiata per Yamcha vincere quel torneo.

Sospirò e si buttò di peso sulla ringhiera del balcone. La nottata trascorsa completamente in bianco iniziava a far sentire i suoi effetti.

 

«Tensinhan contro Tai Pai; Yamcha contro Son Goku; Crilin contro Jaozi e Muten contro Condor. Mi pare un bell’assortimento di sfide! Ah, è un peccato che da qui non si riescano a vedere bene i volti dei concorrenti. Forse siamo troppo in alto! Ehi, Bulma, e se ci spostassimo? Dove è seduto mio padre c’è senz’altro una visuale migliore.»

 

La scienziata buttò lo sguardo sulla principessa e prese a sbuffare. A dire il vero, non aveva affatto voglia di guardarsi tutte le sfide in programma. Di nuovo, si voltò verso il ring e si accorse che i due primi concorrenti erano già pronti a sfidarsi. Improvvisamente, sperò con tutta sé stessa che quella pagliacciata finisse al più presto.

 

Persa nei suoi pensieri e distratta dalla tiepida brezza che le accarezzava il volto, Bulma non fece caso né al suo cellulare che squillava, né a Chichi che cercava di avvisarla. Solo quando quest’ultima le diede uno scossone alle spalle la bella signorina Brief tornò coi piedi per terra.

 

«Insomma, si può sapere che hai? Quell’aggeggio sta suonando da più di un minuto! Se non hai voglia di rispondere alle mie domande, mi va anche bene, ma se ti dà noia pure il tuo cellulare, quanto meno spegnilo

 

«Oh, cavolo! Non mi sono proprio resa conto!»

Bulma afferrò il cellulare dalla tasca e vi lesse cosa c’era sullo schermo. Per un attimo, la ragazza fissò il suo telefono con incredulità, poi fece sì che smettesse di suonare.

Chichi, nel contempo, la guardava infastidita ed esterrefatta. In quel momento si chiese come facesse uno come Yamcha a sopportare una tipa del genere. D’accordo, era bella; ma sembrava vivesse tra le nuvole.

 

«Io devo andare, Chichi. Scusa, ma ho avuto un imprevisto.»

 

«Ah, non se ne parla proprio! Credi di potertela dare a gambe così? Ci tenevi tanto a sostenere il tuo ragazzo! Tra poco toccherà a lui. Guarda là… Tensinhan ha praticamente già chiuso l’incontro! Che ti costa aspettare ancora un po’?»

 

Bulma diede un ultimo sguardo al ring e sospirò.

Certo, effettivamente non sarebbe stato carino andarsene proprio in quel momento, ma un’emergenza era pur sempre un’emergenza. La scienziata non sapeva bene cosa fosse successo: da quando la perla della principessa si era dipinta di rosso, il suo computer non faceva altro che captare dei segnali provenienti dagli estremi confini della galassia. E, puntualmente, all’arrivo di ogni nuova onda cosmica, il suo cellulare la avvisava come una sorta di antifurto.

La ragazza sapeva che c’era qualcosa di strano.

Ovviamente, non aveva avuto modo di raccontare a nessuno cosa stesse succedendo, né era riuscita a capire di che natura fossero effettivamente quei segnali. Bulma aveva progettato il suo nuovo computer appositamente per trovare della vita intelligente su altri pianeti. Lei se ne fotteva dei draghi e delle principesse. Peccato che la leggenda di Furipan si stesse rivelando tutt’altro che una stupida pagliacciata.

Più volte, nel giro delle ultime ventiquattro ore, Bulma avrebbe voluto saperne di più circa l’identità dei malvagi. Non che pensasse davvero a un collegamento fra i segnali intercettati nello spazio e la profezia sul conto di Chichi; però, alla luce dei fatti, non sarebbe stato prudente escludere a priori ogni singola ipotesi. E, questa volta, Bulma avrebbe dovuto capire assolutamente il luogo esatto da cui provenivano quelle strane onde cosmiche.

 

«Yamcha se la caverà benissimo anche senza il mio appoggio morale. Mi spiace, è una questione che riguarda il mio lavoro e non posso trascurarla.»

 

«Allora verrò con te.»

 

Bulma sgranò gli occhi per la sorpresa.

 

«Oh, per favore! Questo è davvero troppo. Guarda che non sto affatto giocando!»

 

«Nemmeno io. Cosa credi? Pensi forse che io voglia scherzare? Mi incuriosisce il tuo lavoro. Sei una scienziata, giusto? Non ho mai avuto a che fare con persone come te.»

 

«Per forza! Il tuo mondo è un’altra cosa. Non capiresti nemmeno il senso del mio lavoro. E comunque non voglio nessuno tra i piedi quando devo stare al computer. Credimi, non c’è niente che possa interessarti in quel tecnologico marchingegno!»

 

«Questo lascialo decidere a me.»

 

Chichi si avvicinò con calma verso l’interno della sala da pranzo, seguita a ruota dallo sguardo inferocito di Bulma. Anche se a pelle sentiva che lei e quella scienziata erano davvero infinitamente lontane, la principessa aveva la sensazione che Bulma potesse tornarle utile in qualche modo. Non sapeva esattamente il perché di quella pesante inquietudine che da diverse ore le era scivolata addosso: se anche la causa fosse stata l’ansia di sapere che il suo destino era sul punto di compiersi, Chichi non poteva ignorare il forte senso di malessere che l’aveva colpita nel momento in cui sentì squillare il cellulare della scienziata.

Quella ragazza stava nascondendo qualcosa, e quel qualcosa riguardava lei.

 

Bulma trattenne a stento un ringhio di rabbia, ma poi finì per abbozzare.

 

«Fa’ come vuoi. Vuoi seguirmi in albergo? Libera di farlo; ma sappi che non ho intenzione di perdere tempo dietro a te. Limitati a guardare e a stare zitta, altrimenti è la volta buona che faccio le valigie e me ne vado. Dopo di che, ti arrangerai coi tuoi guerrieri.»

 

Le parole di Bulma avevano scosso non poco la calma apparente di Chichi. In un certo senso, la scienziata si era tradita: a cosa stava lavorando quella pazza? E perché mai la sua eventuale partenza avrebbe dovuto metterla in difficoltà?

 

***

 

Il letto era ancora disfatto e la stanza odorava di chiuso.

A giudicare dal disordine che imperava in quei pochi metri quadri, Chichi ebbe la sensazione che lì dentro, invece che dormirci, Bulma e Yamcha ci avessero fatto la guerra.

O, magari, del sesso selvaggio.

Ci mise poco la mente della principessa a immaginare le belle gambe della scienziata avvinghiate al busto scolpito di colui che sperava diventasse il suo protettore. Per lei, ancora vergine sia a livello sentimentale che sessuale, quella scena era quasi nauseante.

Solo per un istante, si scoprì terribilmente invidiosa.

Ma la luce pulsante di un monitor poggiato maldestramente sulla piccola scrivania di fianco al comodino la fece rinsanire. Quello doveva essere il famoso computer.

A passo svelto, Chichi raggiunse il macchinario prima di Bulma, destando le ire di quest’ultima.

 

«Insomma, vuoi toglierti di mezzo? Anche se ti ho lasciata venire, non significa che puoi muoverti liberamente qui dentro come se questa stanza fosse tua.»

 

«Tecnicamente lo è. Tutto ciò che si trova a Furipan mi appartiene.»

 

Bulma spintonò la principessa lontano dal suo computer. Ignorando le non troppo velate minacce che riusciva a scorgere sul volto accigliato della giovane figlia di Giumaho; poi si sedette davanti allo schermo e prese a digitare frettolosamente qualcosa sulla tastiera.

 

Sebbene Chichi non avesse gradito la mancanza di rispetto nei suoi confronti, la tentazione di prendere a schiaffi la scienziata svanì nel momento in cui vide accresce la preoccupazione sul volto di quest’ultima.

La principessa non aveva idea di cosa stesse succedendo, eppure capiva che c’era qualcosa di strano. Quella era una scienziata, accidenti; e, a quanto ne sapeva, gli scienziati credevano di avere sempre tutto sotto controllo. Perché Bulma sembrava tanto scossa?

 

«Cosa sono quei segnali luminosi?» chiese Chichi, avvicinandosi di nuovo al monitor.

 

«Se lo sapessi non sarei qui a scervellarmi con questi dannati calcoli!»

 

«Ah, questa è bella! Non è che magari il tuo computer ha captato le energie negative dei malvagi

 

Bulma smise per un secondo di respirare, poi batté i pugni sopra la scrivania.

 

«Dimmi un po’, principessa» proferì, cercando di mantenere i nervi saldi e di non perdere ulteriormente la pazienza «chi sarebbero, secondo te, i malvagi

 

Chichi sussultò impercettibilmente, presa in contropiede dalla domanda.

 

«Non ne ho idea. So solo che sono delle entità maligne che puntano a rubare le sfere del drago. Purtroppo, Baba non ha detto altro sul loro conto.»

 

«Entità maligne, eh?»

 

Bulma tremava ormai vistosamente, in parte innervosita dal fatto che non riuscisse a stabilire con precisione da quale punto della Galassia provenisse il segnale; in parte perché, di qualunque cosa si trattasse, sicuramente era opera di esseri intelligenti.

Un’astronave, forse.

O magari anche tre, quattro, dieci, cento…

E i segnali erano molto più vicini rispetto a quanto non fossero il giorno prima.

 

«Insomma, scienziata, si può sapere che diavolo significa tutta questa stor…»

 

Chichi si interruppe prima di concludere.

Un forte, triplice gong annunciò con largo anticipo rispetto alle previsioni della principessa la fine del torneo di arti marziali.

 

***

 

«Per colpa tua ci siamo perse la finale!»

 

«Mia!? Stupida principessa viziata! Ti ho forse obbligata io a seguirmi?»

 

Le due giovani correvano a tutta velocità verso lo stadio. Non che fossero chissà quanto distanti, ma entrambe avevano la sensazione che, tardando ancora, si sarebbero perse qualcosa di interessante.

Chichi era molto più rapida di Bulma e in poco tempo la superò.

La scienziata, intanto, cercava di chiamare Yamcha al cellulare, ma il ragazzo non voleva saperne di rispondere.

 

Quando Chichi raggiunse finalmente suo padre sugli spalti, notò quanto il ring fosse malridotto.

Strabuzzò gli occhi alla vista di tanto degrado e immediatamente si voltò verso il genitore, in cerca di qualche risposta alla sua tacita domanda.

 

«Ah, figlia mia! Non sai cosa ti sei persa! Quel ragazzo… Quel ragazzo è incredibilmente forte! Ha steso tutti i suoi avversari in pochissimo tempo! Roba da non credere.»

 

La ragazza buttò lo sguardo nuovamente verso il ring, sul quale si stava affollando un gran numero di persone.

Non ci pensò due volte e saltò giù, incapace, da quella posizione, di capire esattamente cosa stesse succedendo.

 

«Ah, principessa! Finalmente è arrivata anche lei! Non sa che emozione ho provato nel vivere così da vicino questi incontri! Mi creda, il suo protettore darà del filo da torcere a qualunque malvag»

 

«La faccia finita anche lei, per favore!»

 

L’interruzione improvvisa e imprevista di Yamcha zittì immediatamente il povero cronista del torneo, il quale, da parte sua, non poteva nemmeno essere ritenuto responsabile per come erano andati a finire gli scontri.

 

Chichi si voltò verso Yamcha e lo guardò con stupore e afflizione.

Il ragazzo era davvero malconcio: della sua tuta da combattimento era rimasto ben poco e sul viso aveva una profonda ferita. Di sicuro, gli sarebbe rimasta una cicatrice a vita.

La principessa prese a guardare sia Yamcha che l’ancora incredulo cronista.

 

«Qualcuno vuole spiegarmi cosa diavolo è successo?»

 

«Lascia che lo faccia io, principessa.»

 

Chichi ebbe un sussulto. La voce proveniva dalle sue spalle, eppure non aveva percepito alcun tipo di movimento. La principessa si voltò e notò che a parlare era stato un giovane che fino a pochi istanti prima non era su quel ring, in mezzo a quella bolgia di persone urlanti.

Ne era certa: sicuramente lei non era forte come i guerrieri che si erano appena sfidati al torneo, ma riusciva comunque a percepire e a distinguere perfettamente le energie spirituali delle persone che aveva intorno.

Quel ragazzo pareva comparso dal nulla.

E che ragazzo!

 

«E tu chi saresti?» proferì la giovane, con la voce rotta, per la prima volta in vita sua, dal disagio e dall’imbarazzo.

 

«Molto piacere, Chichi. Io mi chiamo Son Goku e sono il vincitore del torneo.»

 

CONTINUA

 

 

Angolo dell’autrice

Buon giorno/sera/notte a tutti, carissimi lettori e lettrici!

Innanzitutto, perdonate l’eccessiva lunghezza di questo capitolo: so di essermi dilungata un po’ troppo, ma non mi pareva comunque il caso di dividere questo popò di roba in due parti, anche perché ho fretta di arrivare al punto centrale della questione.

Spero comunque di non avervi annoiati e che i battibecchi tra donne isteriche di cui sono state protagoniste Chichi e Bulma vi abbiano strappato un sorriso.

 

Grazie a chiunque abbia letto la storia!

Un bacio :*****

9dolina0

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** Chi è veramente Son Goku? ***


Capitolo III – Chi è veramente Son Goku?

 

Gli arti dolevano e il viso era in fiamme; in particolare, a bruciargli era il profondo taglio che quel novellino gli aveva procurato in faccia.

Inutile negarlo: il suo orgoglio era completamente in frantumi. Come aveva potuto farsi sconfiggere da un perfetto sconosciuto, al primo incontro poi?

Bulma, oltretutto, pareva completamente indifferente alla cosa. Anche se si stava occupando di lui già da un paio d’ore, cercando di medicarlo come meglio poteva coi pochi strumenti che aveva trovato in infermeria, Yamcha aveva capito che tutto sommato alla sua donna non importava un granché della profonda umiliazione da lui subita.

 

«Girati dall’altra parte, Yamcha, vorrei dare un’occhiata anche ai polpacci.»

 

«Diamine, Bulma! Sembra quasi che tu non ti renda conto di ciò che è successo!»

 

Bulma posò il piccolo contenitore col disinfettante e si tolse i guanti, lasciando in parte basito il ragazzo. Quasi la scienziata non riusciva a capacitarsi di quanto Yamcha fosse immaturo. Quando lo aveva conosciuto, le aveva fatto un’impressione decisamente migliore.

 

«Certo che lo so!» gli rispose sbuffando. «Hai perso! E ora smettila di fare il moccioso e di lamentarti. Girati dall’altra parte, per favore!»

 

A Yamcha tutta quell’indifferenza non andava proprio giù.

A dargli fastidio non era tanto il fatto che la sua donna non si curasse del suo stato emotivo, quanto piuttosto che non si rendesse conto di cosa fosse successo davvero su quel dannato ring.

Il ragazzo, seppur contrariato, assunse la posizione intimatagli dalla compagna e si buttò di pancia sulla barella dell’infermeria.

Iniziò a guardarsi intorno e, tutto sommato, si rese conto di non essere quello messo peggio.

Crilin, il suo amico e compagno di allenamenti, aveva almeno tre fratture scomposte. Quel pazzo di Son Goku, in finale, lo aveva conciato davvero per le feste! E nemmeno Tensinhan sembrava stare meglio.

Certo, negare l’evidenza era impossibile: sia il suo amico che l’allievo di Condor erano riusciti a tenere testa al novellino molto meglio di lui. La verità era piuttosto difficile da digerire: quello spilungone spettinato non si era degnato di combattere al cento per cento contro di lui perché non lo riteneva un degno avversario.

Ovvio, chiarissimo. Poteva anche starci, dopotutto.

Ma da quando, però, Crilin aveva superato il suo livello di combattimento? E perché lui non se ne era mai accorto?

La delusione e la rabbia bruciavano in lui come dei roghi indomati. Yamcha non aveva perso soltanto la possibilità di diventare il protettore della principessa di Furipan – cosa che gli avrebbe garantito fama e gloria imperitura – ma anche tutta la sua autostima.

Valeva davvero così poco?

In troppi, in quel maledetto torneo, si erano dimostrati più bravi di lui.

E poi, c’era proprio quel Son Goku. Da dove accidenti saltava fuori? Una forza del genere  non era normale.

 

«Quel tizio nasconde qualcosa, me lo sento.»

 

«Chi?» ribatté Bulma, più per dar fiato alla voce che per curiosità.

 

«Quel Son Goku. C’è qualcosa che non mi convince in lui.»

 

«Accidenti, Yamcha, ma ti rode proprio così tanto? Credevo tu fossi decisamente più maturo e sportivo.»

 

«Qui non c’entra un bel niente la sportività! Cavolo, Bulma, se invece di sparire chissà dove avessi assistito agli scontri, ti saresti resa conto che la sua forza ha qualcosa di sovrumano.»

 

La donna sbuffò per l’ennesima volta e gli lanciò un’occhiataccia.

Il suo ragazzo aveva alzato un po’ troppo la voce destando le ire degli infermieri e degli altri pazienti.

E anche le sue.

Non era una sciocca, né una menefreghista come credeva supponesse il suo ragazzo, ma, davvero, non aveva idea del perché Yamcha se la fosse presa in quel modo. Se veramente era stato così sciocco da non mettere in conto la possibilità di perdere era un problema suo. D’accordo, il suo maestro era tra i migliori del mondo, ma questo non avrebbe di certo potuto garantirgli la sicurezza della vittoria.

E poi, perché tutta questa smania di diventare il protettore di quella ragazzina?

Nel ripensare a lei, Bulma strinse con impeto i polpacci di Yamcha, strappandogli un urlo di dolore.

 

«Ben ti sta, così la prossima volta ci pensi bene prima di rivolgerti così a me!»

 

«Ah, certo» ribatté contrariato il guerriero «spiegami cosa accidenti ho detto di sbagliato, stavolta.»

 

«La tua illazione sul fatto che, mentre tu eri sul ring, io stessi perdendo tempo.»

 

«Vuoi forse negarlo?»

 

Bulma tolse le mani dai polpacci doloranti di Yamcha e se le portò ai fianchi.

Questo era troppo. Già di per sé la bella scienziata non aveva un carattere smielato; quando poi il suo ragazzo le si rivolgeva in quel modo antipatico e provocatorio, Bulma perdeva completamente ogni briciolo di pazienza.

Come, poi, se quello sciocco avesse potuto capire davvero il perché della sua sparizione.

Yamcha sapeva a cosa Bulma stesse lavorando e sul perché gli strani segnali captati nello spazio la impensierissero tanto; eppure non aveva mai dimostrato il benché minimo interesse per quegli studi. Per lui erano un perdita di tempo, un po’ come per lei lo era tutta la faccenda della profezia e del protettore, e tutto sommato non si era stupita troppo di come il torneo si fosse concluso.

La megera aveva mentito, o quantomeno, aveva taciuto qualcosa, e di questo ne era sicura.

Qualcosa stava arrivando, ma non si trattava affatto di entità.

Extraterrestri, magari? A quel pensiero, Bulma si innervosì ancora di più. Se ci avesse visto giusto era altamente probabile che nessun essere umano sarebbe stato in grado di competere con gli invasori. Non sapeva niente di loro, questo era vero, ma già l’aver constatato di quale tecnologia si avvalessero, le era stato sufficiente per capire che un qualunque, misero, umano protettore avrebbe avuto vita breve.

 

«Quante storie, Yamcha. Suvvia, in fondo dovresti essere felice per la tua principessina! Ha trovato un guerriero molto più preparato di te che saprà proteggerla a dovere. Ah, ovviamente, che non ti venga in mente di andare via da Furipan proprio adesso! Voglio vedere i malvagi, questo sia chiaro.»

 

A Yamcha non era sfuggito il tono sprezzante con cui Bulma aveva pronunciato quel tua. Per quanto l’idea potesse sembrargli sciocca, il ragazzo ebbe quasi l’impressione che la sua donna fosse gelosa.

Si mise in ginocchio sulla barella, poi, faticosamente, si sedette, trovandosi faccia a faccia con la scienziata.

 

«Che ti passa per la testa, eh?»

 

«Che vuoi dire?» rispose seccata la donna, ormai più vicina alla porta dell’infermeria che non alla barella dove giaceva il suo compagno.

 

«Pensavo non credessi alla faccenda dei malvagi

 

«Non come ci credi tu, questo è sicuro.»

 

«Allora temo di essermi perso qualcosa.»

 

Bulma esplose.

Si era perso qualcosa? Quella stupida affermazione uscita dalla bocca del compagno le sbatté in faccia una triste realtà: lui non l’aveva mai ascoltata. Non aveva capito un bel niente di cosa stesse cercando e del perché, nonostante le palesi scemenze proferite dalla megera, avesse comunque deciso di seguirlo a Furipan.

D’accordo, di sicuro non si era mai aspettata da lui che credesse alla faccenda degli extraterrestri – in fondo, anche lei derideva le convinzioni del suo uomo – però, quanto meno, sperava che avesse capito che per lei i malvagi non potessero essere demoni o entità simili.

La ragazza impuntò i piedi per terra e rivolse al compagno uno sguardo furente, ricco di collera a tal punto da spaventare anche gli altri pazienti.

 

«Be’, io non ho intenzione di ripeterti, per l’ennesima volta, come diavolo la penso su tutta questa storia. Non mi importa un bel niente di questo stupido torneo e del fatto che tu abbia perso. Anzi, se proprio vuoi saperlo, credo che questo sia stato un bene per te! Non sei in grado di fronteggiare proprio nessuno, caro il mio bel protettore mancato, e non hai avuto nemmeno il buonsenso e l’educazione di ascoltarmi quando ti parlavo delle mie recenti scoperte. Ringrazia il cielo che la principessa abbia trovato un guerriero con le palle! Non so come se la caverà questo Son Goku, ma di sicuro resisterà più di quanto avresti fatto tu.»

 

Il tonfo della porta che Bulma si sbatté alle spalle, insieme alle dure parole proferite dalla ragazza, lasciarono tutti ammutoliti.

Se fino a qualche minuto prima né Crilin, né Muten, né nessun altro avevano prestato attenzione alla conversazione tra i due fidanzati, quella breve ma intensa lavata di capo non sfuggì a nessuno.

Tansinhan si alzò dalla barella, nonostante l’infermiera non avesse ancora terminato di bendarlo.

Per quel poco che aveva conosciuto Yamcha, non gli era sembrato un granché come combattente. Aveva molta fiducia in sé stesso – almeno fino a qualche ora prima – ma per il resto era poco di più di un fuoco di paglia.

Eppure, era convinto che su quel dannato Son Goku non avesse poi tutti i torti.

Quel misterioso combattente non gli era piaciuto per niente. Ricordava fin troppo bene lo sguardo che aveva: beffardo, fottutamente sicuro di sé, a tratti crudele.

L’allievo di Condor rabbrividì ripensando al momento in cui quel guerriero, precipitandosi a tutta velocità dall’alto verso il suo corpo ormai stramazzato al suolo, gli spezzò con una forza inaudita un braccio. Riuscì a scorgere la perfidia del suo sorriso compiaciuto solo per pochissimi istanti, ma ciò gli fu sufficiente.

E pensare che lui credeva di essere il cattivo!

Se aveva deciso di partecipare a quell’insulso torneo era stato solo per poter mettere le mani sulle sfere del drago.

Ma quel Son Goku era decisamente peggio di lui.

Cosa avrebbe dato per poter portare le proprie mani al collo di quel ragazzo e spezzarglielo! Peccato che fosse troppo forte per lui, e peccato anche che, a conti fatti, ora quel maledetto aveva molte più possibilità di lui di appropriarsi delle sfere.

 

Una sensazione di forte disagio lo pervase quando iniziò a fissare uno ad uno gli altri guerrieri, ancora malconci e provati. Tutti ricambiarono il suo sguardo; nessuno fiatò. C’era ben poco da dire, in fondo. La sconfitta bruciava ancora sulla pelle di tutti e tanti non si erano nemmeno ripresi completamente.

 

Quando Tensinhan fece per andarsene, incurante degli ammonimenti dell’infermiera, Jaozi lo seguì all’istante. Tra tutti, lui era quello messo meglio: Crilin, sebbene fosse molto più forte di lui, lo aveva trattato con rispetto, evitandogli inutili ferite.

 

«Aspetta, Ten, vengo con te!»

 

Jaozi sembrava un giocattolo, o un bambolotto. Non aveva un aspetto propriamente normale e sia Crilin che Muten sospettavano che avesse degli strani poteri psichici.

Quel guerriero stravagante e minuto aveva capito tutto.

Era praticamente impossibile per Tensinhan nascondergli cosa gli passasse per la testa.

Era chiaro: Jaozi voleva dargli una mano e Ten accettò la sua muta proposta di buon grado. In fondo, quel piccoletto era sempre stato molto più bravo di lui nello svelare gli arcani.

 

***

 

Il cuore di Chichi non aveva smesso di tamburellare un attimo e quel giorno riusciva persino a captare distintamente ogni singolo battito.

Quel Son Goku le aveva fatto uno strano effetto.

Non le era mai capitato di provare una sensazione simile di fronte a una persona, soprattutto se conosciuta da poco più di un paio d’ore.

Ciò che le stava capitando non le piaceva affatto. Le voci dei commensali, la musica dal vivo, persino le trombe che di tanto in tanto squillavano sembravano non avere dei suoni distinti.

Aveva capito ben poco di tutto quello che Son Goku e suo padre si erano detti durante quel lunghissimo pranzo. Nonostante i suoi sforzi, tenere la mente concentrata su qualcosa di diverso che non fosse il sorriso sghembo del suo novello protettore era stato praticamente impossibile.

Chichi non si era mai innamorata in vita sua, né tanto meno avrebbe permesso a sé stessa di concedersi quel lusso proprio adesso.

Sarebbe stato, oltretutto, un insulto alla sua risaputa imperturbabilità.

Tutte le fanciulle di Furipan la invidiavano per la sua capacità di tenere a freno gli uomini. Di corteggiatori ne aveva parecchi, e alcuni erano anche dotati di un certo fascino, ma lei era sempre riuscita a non farsi abbindolare da nessuno sguardo, nemmeno quello più ammaliatore.

Fino a poche ore prima aveva creduto che, se mai il suo cuore avesse vacillato, lo avrebbe fatto per Yamcha. Chichi avrebbe desiderato innamorarsi di lui, ma questo, nonostante i suoi sforzi, non era mai successo.

Meglio così, si disse, tanto una ragazza ce l’ha già.

 

Nel momento in cui si accorse che Mamanu aveva notato il suo sguardo fisso sul guerriero, Chichi lo abbassò di colpo, per poi lanciare un’occhiataccia alla nuova moglie di suo padre.

Lo capì all’istante: la stava deridendo.

Tra lei e Mamanu le cose non erano mai andate bene. A Chichi piaceva davvero poco la svolta che aveva preso la vita di suo padre dopo che quella straniera aveva fatto il suo ingresso a palazzo. Per la verità – e questo doveva pur ammetterlo – Mamanu non si era mai comportata male con lei; non apparentemente, per lo meno. Ma sembrava che ogni cosa che facesse col finto intento di farle piacere fosse in realtà studiata appositamente per indispettirla. Odiava il suo perenne sorriso da donna felice e compiaciuta, il suo potere di ammaliare il proprio – ormai unico – genitore, la sua capacità di farsi voler bene anche dal più viscido dei suoi sudditi.

I suoi, appunto. Chichi sentiva che, a poco a poco, Mamanu le avrebbe tolto l’affetto del suo popolo. Era lei quella destinata a governare, ma i sorrisi che gli abitanti di Furipan le riservavano non erano compiaciuti e ricchi di ammirazione come quelli che elargivano alla sua matrigna.

 

Il risentimento verso Mamanu ebbe l’effetto di distrarre per qualche minuto la principessa dal suo protettore. La donna, intanto, aveva preso a stuzzicare qualche oliva ritraendosi dal continuare a posare gli occhi su Chichi.

La giovane principessa non poté fare a meno di pensare a cosa si fosse messa in testa quella che per lei era solo un’arpia. Che avesse notato il modo trasognato in cui aveva per ore fissato Son Goku non c’era alcun dubbio, ma come avesse interpretato quello sguardo non poteva di certo saperlo.

Lei stessa era confusa.

Quel ragazzo la metteva oltremodo in soggezione e la cosa non le piaceva per niente.

Suo padre, per fortuna, preso dalla conversazione, non aveva notato nulla, neppure l’occhiataccia che la giovane aveva rivolto a Mamanu.

Per un attimo, Chichi avrebbe voluto chiedergli cosa accidenti si fossero detti durante il pranzo, ma sapeva che avrebbe fatto una figuraccia. In fondo, tecnicamente lei avrebbe dovuto ascoltare.

 

Quando suo padre si alzò dal tavolo, Chichi poté tornare finalmente alla realtà.

Il brusco cambio di situazione l’aveva mandata in tilt. Che fosse già terminato il pranzo?

 

«Be’, miei cari, è decisamente giunta l’ora che io vada a schiacciare un pisolino.»

 

Anche Mamanu si alzò dal tavolo e si avvicinò al marito, desiderosa, evidentemente, di seguirlo.

 

«Chichi, io credo che sarebbe gentile e opportuno da parte tua far visitare il castello a Goku e poi mostrargli la stanza che abbiamo preparato per lui.»

 

La ragazza si voltò di scatto verso suo padre, avendo colto solo in un secondo momento il senso di quelle parole.

 

«Tesoro mio, oggi mi sembri parecchio distratta. Non è da te. Va tutto bene?»

 

«Certo, papà» biascicò la principessa con ben poca convinzione «sono solo un po’ stanca, tutto qui.»

 

«Vuoi che sia io ad accompagnare Goku al castello?» si intromise Mamanu, destando le ire di Chichi e beccandosi da parte sua uno sguardo degno della più feroce belva assassina.

 

«Ho detto di essere stanca, non completamente imbambolata dal sonno.»

 

La ragazza si alzò di scatto e si voltò di nuovo verso il guerriero, regalandogli involontariamente un assaggio di come si trasformava il suo viso in preda all’ira.

Il giovane sorrise compiaciuto alla smorfia di rabbia della principessa.

Era un ghigno divertito il suo, in parte beffardo. Chichi ebbe l’impressione che in quello sguardo ilare vi fosse quasi un’esternazione di compassione verso la sua infantilità, e se ne vergognò non poco.

Era la seconda volta nell’arco di quella giornata che i suoi occhi si specchiavano in quelli neri, taciturni e profondi e di Son Goku e, per la seconda volta, ebbe l’impressione di essere impotente.

 

***

 

Mai come in quel pomeriggio il corridoio che portava verso le stanze del palazzo reale le era sembrato così lungo. Quel ragazzo si muoveva all’interno della dimora come se fosse casa sua, perfettamente a suo agio, e Chichi faceva addirittura fatica a stargli dietro.

Gli aveva mostrato la sala da pranzo, quella dei congressi, quella degli oracoli, ma Son Goku sembrava non essere impressionato da nulla, neppure dalla magnificenza degli arredamenti o dall’ampiezza di quelle stanze. Quasi, la ragazza aveva l’impressione che fosse lei a seguire lui.

Goku avanzava sicuro, posando il suo sguardo incuriosito e vagamente altezzoso su qualunque angolo della dimora. Per quanto Chichi cercasse di tanto in tanto di dar fiato alla voce proferendo qualche dettaglio circa l’antichità della struttura, il ragazzo sembrava non essere minimamente interessato alle sue parole.

La principessa sentiva che un simile comportamento avrebbe dovuto farla irritare, ma l’inquietante soggezione che le incuteva il suo protettore non permetteva al cervello di elaborare la rabbia.

 

Quando i due giovani si diressero verso la camera che avrebbe ospitato il guerriero, Goku era ormai passato avanti a Chichi. Sebbene dovesse essere lei a fare da guida al suo ospite e non il contrario, sembrava proprio che la principessa non riuscisse a riprendere il controllo della situazione, né a chiarire a sé stessa e al ragazzo, una volta per tutte, quali fossero i rispettivi ruoli.

Osservarlo da dietro, se non altro, le permetteva di non abbassare lo sguardo.

Troppe volte, durante quella breve visita guidata all’interno del castello, Chichi si era fatta beccare dal ragazzo mentre lo fissava.

Non aveva mai avuto paura di guardare in faccia nessuno lei, che prima di ogni altra donna del pianeta aveva saggiato il potere conferitole da un regno e, contemporaneamente, la forza fisica e spirituale derivante dalle arti marziali.

In questo, e forse in nient’altro, aveva di gran lunga superato sua madre.

Rimaneva il fatto, però, che quando Goku si era voltato improvvisamente verso di lei e le aveva elargito quel sorriso compiaciuto e dannatamente beffardo, Chichi non avesse retto, arrossendo vistosamente.

Che diavolo si era messo in testa, poi, il suo cuore? Sembrava non volesse far altro che uscire fuori dal petto della ragazza.

Tecnicamente, lei era riuscita anche a far finta di niente, sostenendo per qualche attimo quello sguardo penetrante e pericolosamente ambiguo; eppure aveva la sensazione che quel Son Goku percepisse senza troppe difficoltà i battiti del suo cuore.

 

Arrivati alla fine del corridoio, il ragazzo si fermò e Chichi per poco non andò a sbattergli addosso.

Erano giunti a destinazione: l’ultima porta dell’ultimo corridoio dell’ultimo piano nascondeva dietro di sé la stanza allestita per il protettore.

La principessa passò avanti al guerriero e aprì la porta, per poi porgere al ragazzo le chiavi.

La vista di quella camera e del lusso che si portava dietro aveva lasciato di stucco più lei che il suo ospite.

Doveva ammetterlo: ad allestire in maniera così elegante quello che fino a un paio di giorni prima era solo una sorta di enorme sgabuzzino era stata Mamanu. Il destino, dunque, le diede un motivo in più per detestarla.

 

«Ecco, Son Goku, questa è la tua stanza. Alloggerai qui per… be’, stando alla profezia, giusto un paio di giorni; ma credo che se dovessi sconfiggere i malvagi mio padre ti terrà come ospite fisso.»

 

«Ah, tuo padre. Perché parli sempre di lui?»

 

Il ragazzo pronunciò quelle parole con evidente distacco.

Non era realmente preso dalla conversazione con Chichi – o, perlomeno, lei aveva quell’impressione – e il suo girovagare sicuro all’interno di quella camera le diedero conferma di ciò.

Goku si portò le mani dietro la nuca e prese a guardare con morbosa attenzione ogni singolo oggetto che si era trovato davanti. Un letto da mille e una notte, un enorme tappeto rosso, un armadio in legno di mogano grande quanto un’intera parete, una scrivania, un comò, una porta che, probabilmente, lo avrebbe condotto a un bagno privato.

 

Di lì a poco, Chichi lo vide buttarsi a peso morto sul letto.

Avrebbe in qualche modo voluto avvicinarsi, o quanto meno rispondere all’illazione poco prima rivoltale, ma si bloccò nel contemplare quel corpo statuario rilassarsi su quel letto ancora intatto.

Il guerriero aveva chiuso gli occhi; probabilmente era stanco morto e la principessa pensò di non disturbarlo ulteriormente.

Arretrò di qualche passo e si avvicinò alla porta, ma, quando fece per aprire la maniglia, Son Goku parlò nuovamente.

 

«Aspetta. Hai davvero tutta questa fretta di andartene? Se non sbaglio, prima ti ho fatto una domanda.»

 

Chichi rimase impietrita di fronte alla porta, le spalle rivolte al ragazzo.

Sapeva che rispondere senza nemmeno guardarlo in faccia sarebbe stato un comportamento immaturo e maleducato, perciò tentò di allontanare da sé la strana ansia che aveva in corpo e si voltò verso il guerriero.

 

«Non capisco cosa tu voglia sapere esattamente. Cosa c’è di strano nel parlare del proprio padre?»

 

«Se tu fossi una bambina, niente. Ma ormai sei una ragazza. Non fraintendermi, non voglio dire che sia sbagliato alla tua età avere un rapporto speciale col proprio padre, però…»

 

«Però?» incalzò Chichi, profondamente infastidita dall’ambiguità di quel discorso.

 

Il ragazzo sorrise, si alzò dal letto e si avvicinò a Chichi, afferrandole la mano che ancora teneva ben salda la maniglia della porta semiaperta e chiudendo poi quest’ultima alle spalle della ragazza.

 

«Però ho come l’impressione che tu non abbia mai avuto a che fare con altri uomini. Dico bene?»

 

Il silenzio che precipitò in quell’enorme stanza principesca fu talmente assordante da costringere Chichi a contare i battiti del proprio cuore pur di non impazzire sotto lo sguardo malizioso e penetrante del suo protettore.

La sensazione di essere stata in qualche modo smascherata l’aveva mandata completamente in tilt, rendendole impossibile non soltanto una risposta immediata ma anche il solo ragionare lucidamente.

Nessuno aveva mai osato fare certe illazioni su di lei, nemmeno le poche ragazze con le quali seguiva di tanto in tanto le lezioni di storia e di poesia. Nessuno aveva mai osato tanto, semplicemente perché essere così espliciti con la principessa di Furipan – soprattutto a riguardo di certi argomenti – era assolutamente proibito.

Il risultato di un tale silenzio fu che Chichi si era ormai auto convinta di poter nascondere tutto, comprese le sue insicurezze.

Perché, poi, quel dannato guerriero si fosse permesso di indagare così a fondo nella sua vita, questo davvero non riusciva a capirlo.

Ci mise poco a riprendere il controllo di sé stessa e a tornare la Chichi di sempre. Senza quasi rendersene conto, tentò di schiaffeggiare con forza il ragazzo davanti a sé, per poi maledirsi notando che quest’ultimo era riuscito a parare il colpo senza la benché minima difficoltà.

 

«Mi dispiace, principessa» sussurrò provocatoriamente, quasi a non voler rivelare neppure ai muri ciò che stava per dirle «non pensavo di farti arrabbiare a tal punto. E, se devo essere sincero, non ho nemmeno capito perché tu te la sia presa tanto.»

 

«Non devi permetterti mai più di impicciarti degli affari miei, è chiaro? Oppure devo ricordarti qual è il mio ruolo e qual è il tuo?»

 

Il ragazzo lasciò la mano della principessa, che solo a fatica la ritrasse indietro.

Goku l’aveva colpita nel profondo, permettendosi di scavare all’interno della sua vita e dei suoi pensieri più reconditi. Chichi non poteva in alcun modo negarlo: quella piccola violazione le aveva fatto male, molto più male di quanto avrebbe mai potuto immaginare; non soltanto perché a farla era stata un perfetto sconosciuto che, oltretutto, non riusciva a esserle indifferente, ma anche perché il ragazzo in questione aveva messo a nudo una delle più grandi debolezze della ragazza.

A quasi vent’anni ancora non aveva mai provato l’ebbrezza di un bacio rubato, o di una carezza un po’ troppo audace, e se ciò poteva anche essere tutto sommato lecito considerando la giovane età della principessa, non lo era più se si andavano a indagare le motivazioni. Chichi aveva sempre voluto mostrare il lato peggiore di sé, quello sfrontato, audace, antipatico che, comunque, finiva col far impazzire – nel bene e nel male – un sacco di uomini; ma non aveva mai osato andare oltre, approfondire una conoscenza, innamorarsi, per paura di perdere sé stessa, il proprio carisma, la propria forza.

Aveva paura di indebolirsi, insomma, di dover mostrare le proprie incapacità, di non essere, magari, all’altezza della situazione. E questa era un’onta da evitare a qualunque costo.

In quel momento, e solo perché un guerriero dal fascino goliardico e sbarazzino glielo aveva fatto notare, Chichi scoprì di aver paura di amare qualcun altro che non fosse suo padre.

 

Il ragazzo si lasciò sfuggire una risata compiaciuta e divertita, beffandosi altamente di chi aveva di fronte.

 

«Non è necessario che lo faccia tu, Chichi. Conosco perfettamente i nostri ruoli. Ora, se permetti, avrei proprio bisogno di riposare.»

 

La principessa indietreggiò e, senza proferire parola, uscì dalla stanza sbattendo la porta.

Decisamente, quel Son Goku l’aveva resa impotente, come se ella fosse una ragazzina qualunque.

 

***

 

Quel castello non era poi così male.

Quando il suo defunto maestro gliene parlò per la prima volta, Kakaroth pensò che si trattasse di una sorta di riproduzione del palazzo reale del pianeta Vegeta.

Erano passati più di dieci anni da quando aveva ucciso Son Gohan, forse addirittura quindici, ma ancora ricordava perfettamente tutto ciò che quel vecchio gli aveva narrato e raccontato.

Se non fosse stato assolutamente certo dell’incondizionata sincerità dell’uomo, l’allora piccolo saiyan avrebbe sterminato tutte le creature del pianeta come gli era stato ordinato. Ma la faccenda delle sfere del drago lo aveva oltremodo incuriosito. Se la leggenda fosse stata vera, per i saiyan si sarebbero finalmente e definitivamente aperte le porte della conquista dell’universo. In fondo, a quei barbari guerrieri mancava soltanto il potere divino; per il resto, avevano tutto: forza, coraggio, astuzia, crudeltà, tecnologia. Di quest’ultima non ce n’era mai abbastanza, questo era vero; ma in fondo una tale, piccolissima mancanza veniva ampiamente controbilanciata dalla loro potenza fuori dal comune.

Il principe Vegeta non si era mostrato molto entusiasta dell’idea del suo sottoposto: il fatto di dover temporeggiare la conquista di un pianeta florido e vitale come la Terra solo per dar credito a una sciocca leggenda lo aveva fatto non poco imbestialire. Anche lui era poco più di un bambino quando Kakaroth lo informò dell’esistenza delle sfere del drago e, nonostante la voglia matta di mandare a quel paese il figlio di Bardack e di intimargli di darsi una mossa con la conquista del pianeta, finì, per qualche strano motivo, col fidarsi di lui e dell’assurda storia raccontatagli dal tizio che lo aveva scioccamente cresciuto.

Alla fine, comunque, Kakaroth ebbe il tempo di raccogliere informazioni e di scoprire che era tutto vero. Fu un inaspettato colpo di fortuna a condurlo a Furipan e dalla principessa custode delle sfere: tra le tante cose che Son Gohan gli aveva raccontato prima che quel vecchio sospettasse qualcosa circa la sua reale identità c’era anche la storia del Maestro Muten, colui che aveva addestrato lo stesso Gohan alle arti marziali. Fu quando il saiyan si avviò verso la sua dimora che, ancora nascosto dietro a una nuvola, si accorse di due guerrieri che volavano a tutta velocità verso una meta sconosciuta. Seguirli senza che questi ultimi si accorgessero della sua presenza fu fin troppo facile, e Kakaroth arrivò in poche ore a Furipan. Da lì al carpire qualche informazione in più il passo fu breve.

 

Il guerriero si tolse quella stupidissima tuta arancione che aveva trafugato chissà dove e si buttò sul letto quasi completamente nudo. Non era stanco affatto, ovviamente – quegli sciocchi terrestri non erano nemmeno riusciti a fargli un graffietto! – però aveva bisogno di riflettere, e anche parecchio, sul da farsi. Per qualche strano motivo, i terrestri sapevano che, entro un paio di giorni, alcuni malvagi sarebbero giunti sulla Terra, e non c’era dubbio sul fatto che si trattasse dei saiyan.

Chi diavolo era la strega che li messi al corrente della cosa?

Kakaroth ebbe l’impressione che tutto ciò che stava succedendo non dipendesse in alcun modo dalla sua crudeltà o dalla sua volontà di agire, ma soltanto dal destino.

La profezia risaliva a quando la principessa era ancora una bambina e Kakaroth aveva più o meno la sua età; dunque, i terrestri sapevano che i malvagi sarebbero giunti su quell’insulso pianeta ancor prima che lui stesso venisse a conoscenza dell’esistenza delle sfere del drago.

 

Quel pensiero lo distrasse a tal punto che solo dopo diversi squilli si accorse che il suo rilevatore, nascosto da qualche parte dentro la tuta che si era appena tolto, stava suonando.

Lo afferrò di scatto e rispose, più per mettere fine a quel fastidioso trillo che non per parlare con il suo principe.

 

«Allora, Kakaroth, sei riuscito a mettere le mani sulle sfere?»

 

«Certo. Avevi dei dubbi, forse? Domani mattina lo stregone imporrà alla figlia di condurmi nel luogo dove sono custodite e io ne prenderò possesso. A quanto pare sono tutti al corrente del vostro arrivo, quindi vogliono che il protettore usi qualunque mezzo pur di salvare la principessa, sfere del drago comprese.»

 

«Ah, un giorno mi spiegherai questa assurdità del protettore. Poveri, sciocchi terrestri! Si sono lasciati abbindolare con troppa facilità.»

 

Kakaroth per un attimo rimase a fissare il vuoto davanti a sé, pensando a quella stupida ragazzina che egli stesso avrebbe dovuto proteggere. Non gli sembrava vero di essere riuscito a imbambolarla solo con qualche sorrisetto sghembo e un paio di battute sagaci.

Gli avevano raccontato che fosse una tipa tosta, che nessuno, nemmeno suo padre, fosse mai riuscito a metterle in piedi in testa; ma evidentemente la spiegazione di tutto ciò stava semplicemente nel fatto che quella povera imbecille non aveva mai messo piede fuori da Furipan. Le era bastato incrociare lo sguardo di uno sconosciuto per non capire più niente.

A quel punto, Kakaroth aveva persino il dubbio che non fosse nemmeno forte come si raccontava in giro. Non che si aspettasse da lei chissà che, dato che comunque si trattava di una terrestre, ma aveva sperato che la custode di oggetti tanto preziosi valesse quantomeno qualcosa in più.

Una delusione, insomma; se le sue intenzioni, fino a poche ore prima erano quelle di sfidarla in una sorta di combattimento – pur senza mostrarle davvero la sua forza – ora aveva perso completamente interesse nello scontro. Sperava soltanto che quei due fottuti giorni trascorressero in fretta e che finalmente il principe e il suo esercito mettessero piede sul pianeta, così che lui avrebbe potuto cominciare a eliminare ad uno ad uno prima gli abitanti di Furipan – principessa compresa – e poi il resto della popolazione di quel pianeta, risparmiando soltanto quegli individui forti abbastanza da poter lavorare sodo per loro.

 

«Kakaroth, che diavolo ti prende? Mica ti sarai addormentato, vero?»

 

«Scusami, Vegeta, stavo semplicemente già pregustando il momento in cui questo fottuto pianeta sarà in mano nostra.»

 

CONTINUA

 

 

Angolo dell’autrice

Ebbene, sì: Goku, a quanto pare, non ha mai battuto la testa!

Yamcha, insomma, tutto sommato aveva ragione.

In questo capitolo, comunque, mi sono soffermata più che altro su Chichi – come è giusto che sia visto che è la protagonista della storia – e ho tirato fuori qualcosa del suo carattere. Mi dispiace averla dipinta, almeno in parte, come una ragazza molto ingenua – non si può definire altrimenti una persona che crede di potersi innamorare “a comando!” – ma ho pensato che, vista la vita che ha condotto, non ci si potesse aspettare una maturazione completa della principessa sotto tutti i punti di vista. Magari, Goku/Kakaroth ha esagerato nel ritenere che la sua protetta non sia mai uscita da Furipan – e sappiamo che non è vero – ma è comunque lecito aspettarsi che una principessa, sulla quale gravano elevatissime aspettative, non abbia avuto la possibilità di vivere come una qualsiasi altra adolescente.

Be’, fatte le dovute precisazioni, ora è tempo di ringraziare tutti coloro che leggono, seguono, ricordano, preferiscono e recensiscono la storia.

Grazie di cuori a tutti!

 

9dolina0                             

 

 

Avviso!

 

Lo so, avevo promesso che avrei aggiornato una volta a settimana almeno fino al sesto capitolo, ma… Venerdì parto e sarò di rientro il 28 settembre. Quindi – ahimé! – martedì prossimo non potrò pubblicare.

Chiedo venia, abbiate pietà di una povera neolaureata che si aggrappa a ogni corso/stage/progetto pur di non rimanere con le mani in mano! ><

 

 

 

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Capitolo 4
*** Arrivano i malvagi ***


Capitolo IV – Arrivano i malvagi

 

Muten si era ripreso abbastanza in fretta dal torneo.

Certo, gli arti ancora dolevano e il sangue ribolliva non poco per aver perso contro il suo acerrimo rivale, ma Crilin, nel turno successivo, era riuscito a vendicarlo egregiamente.

Non c’era stata storia, dopotutto: il suo allievo aveva una tecnica e una potenza decisamente superiori a quelle di Condor. L’anziano maestro non si era mai davvero soffermato a pensare a quanto i suoi allievi potessero essere migliorati dopo l’allenamento con il Supremo, ma quell’assurdo torneo aveva insinuato in lui troppe domande.

Una di queste riguardava proprio Crilin.

Avrebbe dovuto puntare su di lui molto di più?

In fondo, in finale contro quel Son Goku si era fatto valere non poco, molto di più di quanto non avesse fatto Yamcha al primo turno.

Per la verità, Muten non aveva mai visto nell’ex predone del deserto il guerriero ideale profetizzato da Baba, né, oltretutto, avrebbe mai scommesso che quel ragazzo avrebbe potuto fare qualcosa contro i malvagi. Muten conosceva fin troppo bene sua sorella: se Baba aveva avuto paura nel rivelare tutti i dettagli di ciò che realmente aveva visto nella sfera, evidentemente doveva esserci sotto qualcosa di grosso; e Yamcha non era di certo il tipo da poter affrontare qualcosa di più grosso delle tette di Bulma. Era un bravo ragazzo, per carità, e anche un valido guerriero; ma non aveva mai preso troppo seriamente tutta la faccenda della profezia – non a tal punto, per lo meno, da impegnarsi seriamente e migliorare la sua tecnica.

 

Il pensiero di Baba lo riportò per un istante al giorno in cui l’anziana sorella decise di confidare allo stregone del toro ciò che aveva visto nella sua sfera. Quanto doveva essere costato a quella vigliacca tirare fuori una simile confessione?

Muten sapeva che sua sorella, in quanto a coraggio, lasciava parecchio a desiderare.

Ne aveva viste di cose dentro quella sfera! Eppure, quella era stata in assoluto la prima volta in cui la strega avesse deciso di aprire la bocca.

Con le forze del bene, perlomeno.

Muten non era affatto uno stupido: sapeva perfettamente che sua sorella, più di una volta, era scesa a patti con creature poco raccomandabili pur di avere salva la pelle.

E lei, di cose da donare in cambio, ne aveva fin troppe.

 

Quando Muten si accorse della presenza di Giumaho al suo fianco, lo stregone del toro era lì già da diversi minuti.

Era strano per l’enorme omaccione vedere il broncio sul viso del suo anziano maestro. Si conoscevano da una vita, quei due, e avevano condiviso mille allenamenti e altrettante avventure; ma mai sul volto del mitico genio delle tartarughe era stato impresso un ghigno tanto amaro.

 

«Smettila di pensarci, Muten. Condor ha imbrogliato. Non vale quanto te, e tu lo sai benissimo.»

 

Muten si voltò verso l’ex allievo, soppesando minuziosamente le parole appena udite.

 

«Per la verità, non stavo pensando al mio incontro. Sai, non sono sicuro di aver allenato bene i miei due nuovi allievi. Con Crilin specialmente avrei dovuto fare molto di più.»

 

«È questo che ti impensierisce, dunque? Be’, io non mi farei tutti questi problemi. D’accordo, Yamcha e Crilin hanno perso, ma il ragazzo che ha vinto proviene comunque dalla tua scuola, quindi…»

 

«Aspetta un attimo» lo interruppe Muten, certo di non aver afferrato bene il concetto «che significa che proviene dalla mia scuola? Io non l’ho mai visto in vita mia!»

 

Giumaho si abbandonò a una grassa risata. Una volta tanto era stato lui a stupire il genio e non il contrario.

 

«Andiamo, Muten! Eppure già il nome dovrebbe dirti qualcosa! Son Goku è l’allievo di Son Gohan! Ah, quando quel giovane me l’ha rivelato stavo per esplodere dalla felicità! Sono passati talmente tanti anni da quando eravamo compagni di lezione, ma, nonostante questo, ancora ricordo tutti i nostri allenamenti insieme. Roba da morire di crepacuore all’istante!»

 

Il volto di Muten assunse una strana espressione, a metà strada tra il confuso e l’accigliato.

Erano anni che non sentiva più nominare il suo ex allievo e di certo non si sarebbe mai aspettato di trovarsi ad avere a che fare con un ragazzo che diceva di essere stato allenato proprio da lui.

 

«Questa è davvero bella. Un allievo di Son Gohan, quel Son Gohan

 

«Già, stentavo a crederci quando me l’ha detto. È un peccato che io non possa muovermi da Furipan per andarlo a trovare, ma comunque sono riuscito a farmi promettere da Goku che me lo avrebbe salutato.»

 

Muten storse la bocca e sgranò quasi impercettibilmente gli occhi.

Un brivido freddo percorse tutto il suo corpo, dalle punte degli alluci fino alla testa. 

Decisamente, c’era qualcosa di assurdo in quanto rivelatogli dallo stregone.

 

«Giumaho, quel ragazzo non può salutarti proprio nessuno! Son Gohan è morto.»

 

***

 

Chichi non aveva affatto voglia di trovarsi di nuovo da sola con Goku, ma suo padre si aspettava da lei che mostrasse al suo protettore le sfere del drago e la principessa non avrebbe potuto in alcun modo sviarsela da quell’incarico.

Tanto più che non aveva nemmeno una scusa plausibile per farlo.

Erano passate parecchie ore dalla loro fastidiosissima e imbarazzante chiacchierata; Chichi aveva avuto una nottata intera per dormirci su, eppure non era riuscita a rimuovere completamente la piccola umiliazione subita.

Di fare colazione non voleva affatto saperne: buttare qualcosa nello stomaco non avrebbe fatto altro che peggiorare la già forte acidità che sentiva quella mattina. Suo padre, oltretutto, aveva pensato bene di lasciarla sola al tavolo con Mamanu per far visita a Muten.

 

Chichi si aggirava da sola tra i corridoi che avrebbero condotto verso la camera di Goku.

Nemmeno lui era sceso a fare colazione e la ragazza sospettava che stesse ancora dormendo. In fondo, il giorno prima aveva pur sempre partecipato a un torneo di arti marziali!

Quell’ultimo pensiero la fece quasi sorridere.

Erano anni, ormai, che aspettava di conoscere il suo protettore e il destino le aveva sbattuto in faccia un guerriero tanto abile e forte quanto linguacciuto e insolente.

Eppure, si disse, era il suo guerriero.

Per quanto le costasse una gran fatica ammetterlo, in fondo al proprio cuore Chichi aveva sempre sognato che il prescelto fosse un ragazzo sagace e sfrontato, capace  di penetrare i suoi pensieri anche meglio di quanto non facesse suo padre.

In fondo, lui doveva proteggerla, no?

Se non fosse stato in grado di capire cosa le passasse per la testa e cosa nascondesse il suo sguardo apparentemente ribelle e sicuro di sé, come avrebbe potuto salvarla dai malvagi?

 

Avvolta nei suoi mille pensieri, Chichi si ritrovò di fronte alla camera di Goku.

Bussò, col cuore in gola, promettendo a sé stessa che non si sarebbe lasciata intimorire di nuovo dalle parole impunemente pungenti di quello strano guerriero.

Quando la porta si aprì, la principessa si trovò di fronte un ragazzo assonnato, quasi completamente nudo, vestito solo di un paio di boxer neri un po’ troppo aderenti che lasciavano ben poco spazio all’immaginazione.

 

Chichi avvampò e dovette mantenere tutta la concentrazione possibile per non lasciar cadere lo sguardo troppo in basso.

 

«Che diavolo ci fai ancora conciato… così?» proferì la giovane, constatando a mente affatto lucida che Goku non era di certo il primo ragazzo che gli capitava di vedere a petto nudo, ma, sfortunatamente per lei, era senz’altro il più bello.

 

Il ragazzo iniziò a grattarsi la testa, poi si lasciò sfuggire un pesante sbadiglio.

 

«Cavolo, mica saranno già le nove?»

 

«Sono le nove e un quarto, per la precisione. Oh, santo Supremo, non dirmi che ti sei appena svegliato?»

 

Goku diede le spalle a Chichi poi tornò a sedersi sul letto.

La mattinata era iniziata nel peggiore dei modi, così come il suo piano di conquista del pianeta. Cavolo, quella ragazzina lo stava per condurre nella stanza in cui erano custodite le sfere del drago e lui non solo ancora non era vestito, ma non aveva nemmeno fatto colazione!

L’aria malsana di quel castello doveva avergli fatto male.

Finì di fare i conti con sé stesso e con la sua leggerezza, poi si alzò di nuovo, volgendo lo sguardo a una spazientita, confusa e imbarazzatissima Chichi.

Peccato che la principessina fosse tanto inebetita.

Se solo si fosse dimostrata un po’ meno pudica avrebbe preso in seria considerazione l’eventualità di un amplesso prima di fotterle definitivamente le sfere del drago.

 

«Non guardarmi così, Chichi… Ho solo dormito un po’ più del dovuto!»

 

«Lo vedo anche da sola. Be’, datti una mossa, almeno! Che diavolo aspetti a vestirti!»

 

«Cavolo, solo con uno stupido ritardo sono riuscito a tirare fuori il peggio di te!»

 

Il ragazzo si alzò, afferrò ai piedi del letto la sua tuta arancione e se la infilò in pochi secondi. Dovette spendere un paio di minuti nella ricerca dei suoi stivali, almeno un quarto d’ora in bagno e qualche altro secondo per “sistemarsi” i capelli, ma riuscì a concludere tutto prima che Chichi, spazientita, se ne andasse dalla stanza.

 

«Ecco, sono pronto. E ora, andiamo a vedere queste  benedette sfere.»

 

Chichi non rispose, distratta dal nervosismo per aver dovuto aspettare il suo protettore e dal pensiero che quel ragazzo fosse un po’ troppo affascinante per la sua apparente imperturbabilità.

Si avviò verso l’uscita della stanza a passo piuttosto svelto: Goku, d’altra parte, le aveva già fatto perdere un mucchio di tempo.

 

***

 

Bulma non aveva affatto voglia di lavorare.

La rabbia per come si era concluso il diverbio verbale con Yamcha il giorno prima l’aveva resa isterica e nervosa più di quanto non si sarebbe aspettata.

Non aveva idea di dove il suo ragazzo avesse passato la notte, ma era più che certa che, prima o poi, quello sciocco sarebbe tornato da lei chiedendole scusa. Le doveva questo e altro, in fondo: che colpa ne aveva lei se si era lasciato sconfiggere da un ragazzino sconosciuto?

Anche la voglia di continuare a poltrire a letto scemò a poco a poco.

Le mancavano la sua camera, la sua casa, il suo giardino, la sua palestra privata, il suo laboratorio; tutto si poteva dire di quella stanza d’albergo che occupava ormai da qualche giorno, tranne che fosse confortevole. Suo padre l’aveva abituata bene, in fondo. Gli agi di cui godeva alla Capsule Corporation potevano essere oggetto d’invidia persino per un re.

In quel momento si chiese quanto grandi e confortevoli fossero le stanze del castello in cui alloggiava la principessa.

Bulma avrebbe scommesso qualsiasi cosa che non fossero altrettanto lussuose quanto la sua.

 

Il pensiero di Chichi le fece nuovamente venire un fastidiosissimo senso di disgusto.

Aveva avuto a che fare pochissimo con quella strana ragazzina, ma già sentiva che, a pelle, non le stava affatto simpatica. D’altra parte, come avrebbe potuto farsi piacere la tizia di cui il suo fidanzato aveva aspirato a diventare il bodyguard?

L’ennesimo prurito sulle braccia la costrinse a grattarsi e a cacciare dalla testa l’immagine di Chichi.

Si alzò, giusto in tempo per interrompere il fastidiosissimo suono che proveniva dal suo computer.

Se non fosse stato per amore della scienza, Bulma avrebbe già lanciato il suo PC dalla finestra da un bel pezzo. Quei maledetti cosi provenienti dallo spazio si stavano avvicinando a incredibile velocità al pianeta Terra e ormai la ragazza non aveva più dubbi sul fatto che fosse quella la destinazione degli alieni.

Quella constatazione dava ancora più credito alla teoria che identificava gli extraterrestri con i malvagi, tuttavia non spiegava affatto come mai la veggente non avesse fornito qualche dettaglio in più sulla loro identità.

Possibile che, davvero, non fosse in grado di capire chi fossero e da dove provenissero?

Difficile, visto che aveva rivelato delle cose fin troppo dettagliate.

 

L’ingresso di Yamcha nella stanza non distrasse affatto Bulma dai suoi calcoli e dalle sue considerazioni. Non aveva voglia di pensare a lui, né tantomeno di dare spazio ai suoi infantili lamenti. Mai come negli ultimi due giorni, la scienziata aveva preso in seria considerazione l’idea di rivedere da cima a fondo la sua relazione con Yamcha: gli voleva bene, per carità, e lo trovava anche un ragazzo molto attraente; ma a livello di maturità le aveva dimostrato di essere parecchio indietro, almeno rispetto a lei.

 

«Ah, vedo che hai deciso di ignorarmi completamente! Bene, farò lo stesso anch’io.»

 

«Perfetto, Yamcha. Comincia col chiudere la bocca, allora.»

 

Gli extraterrestri erano molto più vicini di quanto Bulma non si aspettasse. Che razza di diavolerie tecnologiche potevano avere a disposizione per viaggiare a una simile velocità nello spazio aperto?

Facendo i dovuti calcoli e confrontando la distanza in cui si trovavano esattamente ventiquattro ore prima, Bulma si rese conto che, effettivamente, il giorno dopo avrebbero raggiunto la Terra.

Proprio come aveva profetizzato la strega.

 

La ragazza si accese una sigaretta e iniziò a picchiettare le dita sulla scrivania.

Non c’era nulla da fare: avrebbe dovuto aspettare il loro arrivo con le mani  in mano.

 

Crilin non aveva mai visto Bulma tanto nervosa e insofferente nei confronti di Yamcha.

Sembrava quasi che dentro quel monitor ci fosse qualcosa di vitale importanza. D’altra parte, nemmeno si era accorta del suo arrivo.

Non aveva staccato gli occhi da quello schermo nemmeno per un secondo, né aveva in qualche modo cercato di dissuadere Yamcha dal non rivolgerle la parola.

Crilin, da parte sua, ancora non si era ripreso completamente.

Lo scontro con Son Goku, dal quale per altro era uscito sconfitto, lo aveva letteralmente distrutto. Era già un miracolo che riuscisse a reggersi in piedi su una gamba.

Tuttavia, si era imposto di uscire da quella maledetta infermeria e di raggiungere Bulma.

Sebbene, infatti, Yamcha non volesse dar credito agli studi condotti dalla ragazza, a Crilin era saltata comunque una pulce nell’orecchio. Aveva imparato a conoscere abbastanza bene la figlia del dottor Brief, anche se di fatto non avevano mai avuto modo di parlare seriamente, e sapeva che, se quella ragazza si stava dando tanto da fare dietro ai misteriosi segnali che provenivano dallo spazio, allora doveva esserci sotto qualcosa di grosso.

 

«Ehm, Bulma?» sussurrò Crilin, sperando di non alterare ancora di più l’umore già traballante della scienziata.

 

La ragazza, da parte sua, sussultò.

Solo in quel momento si accorse di una terza presenza in quella stanza.

 

«Oh, cavolo. Che ci fai qui? Guarda come accidenti sei ridotto! Dovresti tornare subito in infermeria!»

 

«Sono appena scappato, veramente. Avevo bisogno di parlarti, sempre che tu non sia troppo impegnata, ovviamente.»

 

Bulma gettò dapprima uno sguardo al monitor, poi si voltò di nuovo, con fare piuttosto cortese, verso l’amico di Yamcha.

 

«Tranquillo, tanto ormai non ho più niente da fare. Dimmi pure.»

 

«Be’, ecco… Si tratta dei tuoi studi, Bulma. So che hai scoperto qualcosa di interessante al di fuori del sistema solare e volevo capire esattamente di cosa si tratti e se sia in qualche modo riconducibile ai…»

 

«Malvagi? Be’, di questo ormai credo di avere la certezza assoluta.»

 

Bulma fece cenno con la mano al ragazzo di avvicinarsi al monitor e Crilin obbedì.

 

«Ascolta bene. Riesci a sentire questo stridio? Proviene da alcuni oggetti che si stanno avvicinando a forte velocità al pianeta Terra. Ho fatto i dovuti calcoli e non ho più dubbi: arriveranno domani.»

 

«Come aveva detto Baba» proseguì Crilin.

 

«Come aveva accennato Baba. A quanto ne so, la strega non ha mai parlato di extraterrestri.»

 

Crilin indietreggiò e puntò lo sguardo verso Yamcha.

Era sdraiato sul letto, con gli occhi chiusi e un evidente broncio stampato in faccia.

Crilin sapeva cosa aveva il suo amico: la sconfitta gli bruciava ancora.

Non riusciva a darsi pace per quanto accaduto, lui che già si vedeva come il protettore di Chichi. Additare la sua sconfitta alla presunta spietatezza di Goku, poi, era stato solo un modo per esorcizzare la sua brutta disfatta.

Cosa avesse di sbagliato il vincitore del torneo proprio non riusciva a capirlo. Crilin aveva cercato di parlare con Yamcha e di capire la sua posizione ma, nonostante gli sforzi, non venne a capo di nulla.

D’accordo, Goku era forte, incredibilmente forte; ma questo non significava necessariamente che fosse anche un poco di buono.

 

Crilin si schiarì la voce con un colpo di tosse, con l’intento di attirare l’attenzione di Yamcha.

 

«I malvagi, a quanto pare, sono degli extraterrestri. Che pensi di fare, ora, Yamcha? Io credo sia il caso di avvertire Son Goku.»

 

«Che se la veda da solo, quel farabutto. Io non ho intenzione di avvertire nessuno, tanto più che sono assolutamente certo che alla prima occasione quel novellino metterà le mani sulle sfere del drago e se la darà a gambe. Altro che protettore

 

«Ma perché sei tanto convinto di questo? Insomma, Yamcha, si è rivelato un eccellente guerriero. Sicuramente è molto più forte di noi due messi insieme.»

 

«Ricordi cosa diceva la profezia a proposito del guerriero perfetto? Occhio a non prendere un granchio

 

«Non erano esattamente queste le parole.»

 

«Ma il senso sì, eccome!»

 

Yamcha si sollevò dal letto e si diresse verso l’armadio. Tirò fuori una tuta da combattimento e si cambiò in pochi istanti. Non aveva voglia di continuare quel discorso. Sarebbe stato completamente inutile.

Lui quel Son Goku lo aveva visto bene in faccia.

Era pericoloso; spietato e pericoloso.

Non era semplice smania di vittoria quella che aveva sfoggiato durante l’incontro con lui: quel maledetto ragazzino voleva conquistare. I suoi occhi emanavano una luce sinistra e il suo sguardo celava odio, disprezzo, distruzione.

 

«Comunque, la faccenda ormai non mi riguarda più. Fa’ quello che credi.»

 

«Ti riguarda ancora, invece. Nessuno di noi aveva messo in conto che si potesse trattare di extraterrestri! Goku potrebbe avere bisogno del nostro aiuto.»

 

«Ah, che idiozia! Fidati, quell’individuo non muoverà un muscolo contro i malvagi. Anzi, sono quasi pronto a scommettere che si alleerà con loro.»

 

Crilin avrebbe voluto ribattere, ma Yamcha non gli diede il tempo di farlo.

L’ex predone del deserto uscì dalla stanza con una certa fretta, sbattendo con forza la porta.

C’era poco da fare: lui non avrebbe collaborato e Crilin questo lo aveva capito a sue spese. Tanto valeva, allora, che ognuno facesse di testa propria.

Il ragazzo sapeva di avere delle responsabilità nei confronti di Chichi: aveva perso, d’accordo, e non era lui il prescelto; ciò non toglieva però che si fosse allenato per anni al solo scopo di proteggerla e che dunque  non avrebbe potuto lavarsene le mani solo perché un altro guerriero si era dimostrato molto più potente di lui.

 

«Pazzesco. Ma perché deve fare così, accidenti?»

 

«Ignoralo, è molto meglio. Un bambino di cinque anni l’avrebbe presa molto più sportivamente.»

 

La risposta di Bulma stupì non poco Crilin.

Gli era capitato poche volte di vedere insieme Yamcha e la sua fidanzata e, fino a quel momento, era assolutamente certo che andassero d’amore e d’accordo. La cosa, però, riflettendoci bene, non era poi così logica: Bulma e Yamcha erano due persone completamente diverse, forse addirittura opposte, e Crilin non vedeva niente che li accomunasse a parte un’indubbia avvenenza.

Certo, se fosse bastata la bellezza a rendere quella coppia perfetta, quei due sarebbero rimasti insieme per sempre; ma, purtroppo, l’empatia non si basa mai sull’aspetto fisico delle persone.

 

«Eppure, mi pare assurdo il suo comportamento. Forse, dobbiamo solo dargli il tempo di sbollire la rabbia.»

 

«Non gli basterebbe una vita, credimi. Io mi domando perché ancora perdo tempo dietro a un tipo del genere. Assurdo! Ora fa pure l’incazzato solo perché ha perso. Poteva allenarsi di più prima invece che ridursi a piagnucolare come un moccioso!»

 

Crilin sollevò le spalle e indietreggiò di qualche passo.

La ragazza era decisamente nervosa. Se avesse continuato con quel discorso, probabilmente avrebbe aggredito verbalmente anche lui.

 

«Be’, io ora devo andare. Ho bisogno di parlare col mio maestro. Ci vediamo presto, Bulma

 

La scienziata non rispose.

Forse, non lo aveva nemmeno sentito parlare.

Quei maledetti, chiunque essi fossero, erano già dannatamente vicini e il radar del suo computer continuava a captare segnali inequivocabili.

 

***

 

«Questa è bella! Una stanza tanto grande per contenere degli oggetti tanto piccoli?»

 

L’occhiataccia fulminante di Chichi lo persuase dal proseguire quel discorso.

Vedere la ragazza osservare in religioso silenzio le sette sfere del drago gli aveva infuso una strana inquietudine. Non era da lui soffermarsi a contemplare i volti delle persone, ma nello sguardo cupo e profondo della ragazza al suo fianco Goku vedeva qualcosa di insolito, qualcosa che negli altri esseri umani non aveva mai colto.

Mistero? Magia?

Qualunque cosa fosse, non era sicuro che gli piacesse.

Le sfere del drago giacevano inerti su un morbido cuscino rosso sangue, della stessa tonalità di cui si era tinta la perla che Chichi portava al polso.

Ogni tanto si illuminavano.

Nella sua mente, Goku aveva immaginato quegli oggetti molto più grandi e preziosi. In apparenza, infatti, sembravano delle stupidissime palle di vetro. Quale poteva essere il potere che nascondevano? L’idea di scoprirlo, improvvisamente, divenne ancora più forte di quanto non fosse in precedenza.

 

«Come funzionano?»

 

«Cosa?»

 

«Le sfere del drago.»

 

Chichi cambiò di nuovo espressione, e tornò a fissarlo con quello sguardo a metà tra l’inebetito e l’incazzato che ormai Goku aveva imparato a conoscere. Addirittura, gli sembrava di avere davanti una persona diversa. Se la Chichi di prima era riuscita quasi a intimorirlo, questa gli risvegliava soltanto l’istinto di spaccarle la faccia.

A tempo debito, si disse, lo avrebbe di sicuro fatto.

 

«La faccenda non ti riguarda. Il tuo compito è proteggermi, non utilizzare le sfere.»

 

«Non mi hai risposto.»

 

«Non ho intenzione di farlo.»

 

«Mica avrai paura che il tuo protettore ti rubi l’esclusiva!»

 

«Questa è una cosa seria, Goku. Le sfere del drago hanno il potere di intervenire sul corso naturale della vita e della morte, sulle forze che plasmano l’universo, sui principi che regolano la sussistenza del cosmo. Non andrebbero mai usate, mai. Neppure per fare del bene.»

 

Per la prima volta in vita sua, Goku percepì il proprio cuore battere all’impazzata per via dell’ansia. Non gli erano piaciute affatto le parole che quella ragazzina impudente aveva proferito, tanto più che, almeno in apparenza, sembravano non avere senso.

Una cosa, comunque, era certa: se lui aveva accettato di trascorrere l’infanzia e l’adolescenza su quel dannato pianeta era solo per conquistarlo e per mettere le mani su quelle sfere e, al costo di rimetterci la salute mentale, avrebbe raggiunto il suo scopo.

 

«Se non si possono usare nemmeno per fare del bene, a che diavolo ti servono?»

 

«La tua scarsa perspicacia mi stupisce non poco, Goku. Io non sono colei che le utilizza, ma che le custodisce

 

«Perché me le hai mostrate, allora?»

 

«Perché se cadessero nelle mani sbagliate, sarebbe la fine per tutti noi. Il tuo compito è impedire che ciò accada. Sono stata chiara?»

 

***

 

Come si aspettava, Muten era lì.

Lo aveva cercato in lungo e in largo durante tutta la mattinata, ma ci era voluta l’ora di cena prima che il maestro decidesse di affacciarsi nella sala da pranzo riservata ai guerrieri.

Crilin non sapeva bene da dove cominciare. Di cose da dire ne aveva parecchie, ma gli mancava una scusa per avviare il discorso.

Quella sera, oltretutto, Giumaho, sua figlia e il protettore avrebbero cenato insieme agli altri partecipanti del torneo. La sala era gremita: non erano presenti soltanto gli otto finalisti, ma anche tutti i guerrieri usciti alle eliminatorie insieme agli amici e ai compagni che si erano portati dietro.

Yamcha se ne stava buttato in disparte su un tavolo isolato.

Era solo quando Crilin era entrato nella sala, ma ben presto il ragazzo si accorse con disappunto che Tensinhan e Jaozi avevano preso posto accanto a lui.

Parlottavano.

Cosa diavolo si stavano dicendo?

Un voce nota lo distrasse, però, da quell’insolita scena.

 

«Non dirmi che ancora non hai preso posto!»

 

«Ah, Muten! Mi hai quasi spaventato. Comunque, sono appena arrivato.»

 

«Perfetto, allora sarai sicuramente felice di unirti a noi!»

 

Quel noi aveva incuriosito parecchio Crilin, distraendolo da Yamcha.

Dietro l’esile figura di Muten si ergeva quella possente e inquietante di Giumaho. Era la prima volta che il minuto ragazzo aveva l’opportunità di vedere così da vicino quel colosso umano, tanto che trattenne a stento un moto di terrore.

 

«Non fare il prezioso» aggiunse Muten, incalzando il suo tentennante allievo «sarà un’ottima occasione per conoscere finalmente questo famoso Son Goku.»

 

Nell’udire quel nome, a Crilin tornò in mente il compito che si era prefissato.

Già, doveva parlare con lui e rivelargli l’identità dei malvagi.

In quel momento, il ragazzo scorse la figura di Bulma che si apprestava a prendere posto su uno dei tavoli ancora liberi. Senza nemmeno rispondere al suo maestro, il giovane guerriero si avventò su di lei e la trattenne per un braccio impedendole di sedersi. Quasi, rischiarono di cadere entrambi viste le condizioni delle ossa di Crilin.

 

«Ehi, ma… Dico, sei impazzito?»

 

«Scusami, Bulma, ma ho visto che stavi per prendere posto e ho pensato di impedirtelo, tutto qui.»

 

«Ah, questa poi! E perché mai? Sei in combutta con Yamcha per farmi arrabbiare ancora di più?»

 

Mentre pronunciava quelle parole, Bulma si accorse delle due figure che avevano seguito Crilin.

Le aveva riconosciute subito, ovviamente, e il fatto di trovarsele davanti a una distanza tanto ravvicinata le mise una certa inquietudine.

In fondo, si trattava pur sempre del grande genio delle tartarughe e dello stregone del toro.

La scienziata si ricompose immediatamente e assunse un atteggiamento il meno possibile imbarazzato; non era tipa, lei, da tremare al cospetto di una presunta personalità, eppure la fama che circondava quei due uomini la metteva stranamente in soggezione.

 

«Be’, comunque, ancora non mi sono seduta, quindi…»

 

«Quindi sei dei nostri!» la incalzò Crilin, non nascondendo un certo entusiasmo. Era la prima volta, da quando aveva conosciuto Bulma, che il giovane guerriero si permetteva con lei una tale confidenza. Ma la reazione della ragazza, infastidita più a parole che non nei fatti, gli fece in qualche modo intendere che, nonostante fosse una delle donne più ricche, affascinanti, desiderate del pianeta, probabilmente era molto più affabile di tante altre sgualdrine pseudo famose.

Chissà, magari Bulma stava solo aspettando l’occasione buona per avvicinarsi allo stregone e alla sua schiera di conoscenti, schiera che, da poco più di un giorno, si era arricchita di un guerriero sconosciuto e potentissimo.

 

«Ah, ragazzi, ma voi non avete fame? Ve ne state qui a chiacchierare e ancora non avete scelto un tavolo. Chiaramente, io desidero per i miei commensali il posto migliore! Seguitemi, lì in fondo alla sala staremo benissimo!»

 

L’entusiasmo di Giumaho sembrava aver contagiato tutti, tranne Muten.

Crilin conosceva un po’ troppo bene il suo maestro per non capire che qualcosa lo tormentava. Qualunque cosa fosse, comunque, avrebbero avuto modo di parlarne tutti insieme intorno a quel meraviglioso tavolo riservato appositamente per loro da Giumaho.

Son Goku si era già accomodato ancora prima del loro arrivo.

Chichi e Mamanu avevano fatto lo stesso.

 

***

 

«Dunque, Bulma, cosa avresti scoperto esattamente sui malvagi

 

La domanda di Muten arrivò repentina e inaspettata.

Avevano toccato l’argomento appena si erano seduti tutti quanti al tavolo, ma il ricordo dei vecchi tempi aveva trascinato lo stregone e il genio verso un turbinio di rimembranze quasi perdute. Per la verità, avevano parlato quasi esclusivamente loro, lasciando praticamente in silenzio gli altri commensali, i quali, interessati solo molto marginalmente all’argomento, si erano in poco tempo distratti nei loro più reconditi pensieri.

Bulma aveva avuto modo di osservare da vicino l’ormai celeberrimo Son Goku e l’impressione che ne aveva tratto era tutt’altro che negativa. Certo, in apparenza non sembrava poter essere il guerriero perfetto – non fosse stato altro per quei capelli spettinati che gli conferivano un’aura di irresponsabilità – ma doveva pur ammettere che quel ragazzo aveva un fisico davvero niente male. In apparenza, doveva essere di poco più giovane di lei, anche se l’altezza e la prestanza fisica avrebbero potuto trarre in inganno, e il suo atteggiamento eccessivamente tranquillo sembrava denotare una grandissima fiducia nei propri mezzi.

In un certo senso, la velata spavalderia che Bulma riuscì a cogliere in Son Goku le ricordava Yamcha, ma, chissà perché, aveva come l’impressione che il prescelto avesse motivazioni molto più valide per non dubitare di sé stesso.

Per quasi tutta la durata della cena, Chichi non aveva proferito parola.

Non che le dispiacesse che quella ragazzina avesse messo a tacere la lingua, ma, per quel poco che l’aveva conosciuta, le sembrava abbastanza strano.

Quasi, la bella principessa di Furipan non aveva mai alzato gli occhi dal suo piatto, anche se aveva mangiato pochissimo. Che fosse a disagio per qualche motivo? Forse; ma di certo non era continuando a fissarla di sottecchi che avrebbe capito il motivo del suo silenzio.

 

L’unico momento in cui Muten e Giumaho invitarono qualcun altro a prendere parte alla discussione fu quando si arrivò a parlare di un certo Son Gohan.

Bulma non sapeva chi fosse, né tutto sommato le interessava scoprirlo; ma pareva proprio che, per gli altri, l’argomento fosse molto interessante. Aveva seguito ben poco di ciò che i due uomini avevano detto circa il misterioso Son Gohan, ma quando il genio delle tartarughe si rivolse a Son Goku chiedendogli che fine avesse fatto il suo maestro, la scienziata tornò a prestare attenzione.

Il tono di Muten le era sembrato, stranamente, piuttosto sospetto, come se lui conoscesse già la risposta e volesse trovare una conferma.

C’era qualcosa di anomalo nel modo in cui l’anziano guerriero aveva fissato il giovane protettore. Bulma era un’abile osservatrice, in fondo; riusciva a cogliere anche le sfumature meno percettibili di un volto apparentemente imperturbato e, in quel preciso istante, sentiva che anche nel cervello di Son Goku si era acceso un campanello d’allarme.

Possibile che Muten gli avesse teso una sorta di trappola?

Il sorriso nervoso e quasi infastidito del guerriero più potente seduto al tavolo aveva attirato l’attenzione di tutti gli altri convitati. Era stato toccato un tasto dolente?

Evidentemente, sì, visto che il “è morto tanti anni fa” di Son Goku aveva fatto cadere di nuovo tutti nel mutismo.

Eppure, Bulma ne era certa, quella risposta era stata la più giusta; come se, dandone un’altra, il ragazzo avesse potuto compromettere qualcosa.

Giumaho avrebbe voluto parlare, ma Muten lo interrupe ancor prima che lo stregone potesse proferire parola.

Era giunto il momento di cambiare discorso: per quanto la morte del misterioso Son Gohan avesse turbato il padre della principessa di Furipan, il genio non sembrava intenzionato ad approfondire la questione.

 

Fu così che l’anziano maestro riprese a parlare dei malvagi.

La domanda, rivolta direttamente a Bulma, aveva suscitato una certa attenzione in quasi tutti, tranne in Mamanu, la consorte dello stregone, che sembrava quasi non avere alcun interesse per la questione.

 

«Be’, ecco… diciamo… diciamo che sono ormai certa che domani qualcosa accadrà.»

 

Bulma non aveva affatto voglia di spiattellare ai quattro venti i dettagli delle sue scoperte, in parte perché sperava ancora di essersi sbagliata, in parte perché, comunque, era molto probabile che non le avrebbero creduto.

Per quel poco che aveva colto dei suoi commensali, infatti, tutto sembravano tranne che degli appassionati di astrofisica.

 

«Questo, a dire il vero, lo aveva profetizzato anche Baba

 

Alla fine, Chichi aveva trovato l’occasione per dar fiato alla voce.

Era assurdo come, qualunque cosa dicesse la principessina, a Bulma salisse il sangue al cervello.

In fondo, sarebbe bastato semplicemente rispondere educatamente e mostrarsi indifferente al suo sarcasmo, ma con quella ragazza tale impresa sembrava praticamente impossibile.

 

«La tua preziosa Baba ha però dimenticato di dire che i malvagi sono in realtà degli extraterrestri. Ah, oltretutto sono riuscita a intercettare la rotta delle loro astronavi: saranno qui all’alba. Fossi in te, Chichi, lascerei perdere i riti vudù e comincerei a procurarmi della criptonite Così, tanto per non rischiare di ritrovarmi, tra qualche ora, nello spazio aperto.»

 

Il silenzio che seguì le parole di Bulma fu spezzato solamente dai pugni che Muten aveva violentemente sbattuto sul tavolo.

 

«Dovevo immaginarlo che quella vigliacca aveva taciuto la parte più importante! Appena riesco a beccare mia sorella giuro che…»

 

«Muten, per favore! Non c’è bisogno di adirarsi tanto! Magari Baba non era riuscita a vedere proprio tutto!»

 

«Sciocchezze, Giumaho! Lei ha il controllo sui vivi e sui morti. Può osservare qualunque dannata cosa desideri! Altro che entità maligne, accidenti!»

 

Per quanto Bulma desiderasse intervenire, non ebbe il coraggio di proferire parola.

Col senno di poi, avrebbe sicuramente fatto meglio a tenere la bocca chiusa, non solo perché la sua rivelazione aveva mandato su tutte le furie Muten, ma anche perché Baba era la sorella del grande maestro.

Quest’ultima cosa, poi, non l’aveva davvero messa in conto, ma se non altro la reazione dell’uomo dimostrava che i suoi dubbi nei confronti della veggente erano fondati.

La scienziata cominciò a guardarsi intorno, posando lo sguardo di volta in volta su tutti i presenti.

Se Chichi sembrava voler mantenere una parvenza di compostezza, suo padre pareva invece sul punto di svenire. Crilin taceva, come gli altri, ma il suo viso mostrava quella consapevolezza già acquisita durante il precedente colloquio con Bulma. Lui già sapeva tutto, purtroppo, e anzi lo scopo di quella cena era proprio mettere gli altri a conoscenza della novità.

Son Goku non aveva fatto una piega da quando Bulma aveva preso a fissarlo; peccato che, nel momento in cui aveva rivelato la vera identità dei malvagi, la scienziata fosse intenta a gustarsi l’espressione basita di Chichi.

Forse, sarebbe stato molto più interessante vedere l’immediata reazione del protettore; in fondo, sarebbe toccato a lui l’arduo compito di tener testa agli alieni venturi!

 

«D’accordo, mi dispiace. Non avrei dovuto dirvelo così» tentò di scusarsi la bella scienziata.

 

«Non dire sciocchezze, potresti averci salvati tutti quanti! Piuttosto, cosa pensi che dovremmo fare adesso?»

 

«cosa vuoi che ne sappia, Muten? Non sono mica io la protettrice

 

Lo sguardo dei presenti si rivolse di nuovo verso Son Goku.

Ovvio, chi altri potevano guardare in quel momento? Era su di lui che gravava tutto il peso di quella difficile situazione; lui che, vincendo quel dannato torneo, aveva in qualche modo incatenato la sua vita a quella di una principessa scontrosa e irascibile.

O, almeno, questo era quello che pensavano tutti.

 

Kakaroth avrebbe voluto far saltare in aria all’istante quella maledetta sala da pranzo e tutti i suoi commensali.

Questa proprio non se la sarebbe mai aspettata.

Come accidenti aveva fatto una sciocca terrestre qualunque a captare nello spazio aperto la presenza delle navicelle dei saiyan? La cosa peggiore, oltretutto, era che sembrava assolutamente convinta di ciò che aveva scoperto.

Aveva fatto male i calcoli, ecco tutto.

Quando quell’ingenuo di Son Gohan lo aveva avvertito, in punto di morte, di non sottovalutare i terrestri, avrebbe dovuto dargli retta.

Non troverai mai qualcuno più forte di te su questo pianeta, ragazzo, ma a volte un cervello ben allenato può dare del filo da torcere ai muscoli più sviluppati.

Ecco, ora davanti a sé Kakaroth aveva trovato quel dannato cervello.

E, per di più, apparteneva a una donna.

Nel momento in cui il saiyan si chiese se fosse il caso di avvertire il principe, una voce squillante e ormai familiare lo distrasse di nuovo dai suoi pensieri.

 

«Che differenza volete che faccia se questi malvagi siano demoni, fantasmi, robot, oppure alieni? A me pare che, tutto sommato, la situazione non sia cambiata poi molto.»

 

«Il problema, Chichi, è che se lo avessimo saputo prima, magari avremmo potuto prepararci diversamente

 

Le parole di suo padre non l’avevano convinta.

No, Chichi non credeva possibile che i malvagi si potessero affrontare in maniera diversa da come aveva predetto Baba. D’accordo, Muten per primo aveva ammesso che sua sorella non era affatto affidabile e che era capace di nascondere dettagli importanti; ma la scienziata aveva appena confermato che qualcuno stava davvero arrivando.

E poi c’era lui, Son Goku, il suo protettore.

In quelle poche ore in cui aveva avuto a che fare con lui l’aveva fatta rincitrullire più di quanto non fossero riusciti a fare tutti gli uomini che aveva incontrato nella sua vita. Non era sicura che ciò fosse un bene; anzi, probabilmente non lo era affatto. Ma alternative a lui proprio non ne vedeva: aveva dimostrato sul campo di essere il più forte; su chi altri avrebbe dovuto fare affidamento per sperare di sconfiggere le forze del male?

Nel momento in cui la principessa lanciò al suo guerriero uno sguardo, il saiyan percepì dei brividi sconosciuti. Negli occhi della ragazza, Kakaroth riuscì a scorgere tutta l’immensa fiducia che ella riponeva in lui e tutto l’entusiasmo che la giovane ancora covava.

Quello scambio di sguardi non durò più di un attimo, ma ciò bastò a far aumentare in Kakaroth un inaspettato disagio.

Stava per tradirla.

Come aveva detto la scienziata, entro l’alba gli alieni sarebbero arrivati sulla Terra e poi…

 

«Sai dove atterreranno?»

 

«Suppongo nelle vicinanze, Crilin. La valle ai piedi del monte Furipan mi sembra vasta abbastanza per accogliere una ventina di navicelle monoposto.»

 

«A me è passata la fame.»

 

Giumaho si alzò di scatto dal suo posto.

La fame era passata a tutti, ovviamente, ma il suo ruolo nei confronti della gente di Furipan aveva reso lo stregone più nervoso di tutti gli altri.

Mamanu si alzò dopo di lui.

Come sempre, sua moglie lo avrebbe seguito ovunque egli avesse deciso di andare.

Il silenzio del tavolo cui erano sedute le più alte personalità di Furipan contrastava con forza col rumore assordate delle risate e delle chiacchierate nel resto della stanza. Bulma avrebbe voluto essere da tutt’altra parte, così come anche Crilin e Kakaroth, ognuno travolto da un’infinità di pensieri.

 

«Be’, sarà meglio che ce ne andiamo tutti a dormire. Domani la giornata inizierà prestissimo, a quanto pare.»

 

Bulma si voltò verso Crilin e gli rivolse uno sguardo di assenso.

Già, l’indomani mattina era ormai vicino, e anche se aveva la sensazione che nessuno avrebbe chiuso occhio, era di sicuro meglio cambiare aria. L’atmosfera intorno a quel dannato tavolo si era fatta molto più pesante del previsto.

 

«Aspettate, e io?» intervenne la principessa. «Come faccio ad andare a letto come se niente fosse sapendo che fra poche ore arriveranno i malvagi

 

«Vuoi passare la notte con me e Mamanu

 

«No» si intromise a sorpresa Goku, lasciando di stucco sia Giumaho che Chichi «va’ nella tua stanza e non muoverti da lì finché non sarò io stesso a venirti a prendere.»

 

Il tono autoritario con cui il giovane guerriero aveva proferito quelle parole aveva sortito uno strano effetto sui commensali. Era chiaro che quello non poteva che essere un ordine, anche se, per qualche strana ragione, a Bulma sembrò somigliare in qualche modo a una minaccia.

Guardando di sottecchi ad uno ad uno i volti degli altri presenti, si rese conto che Muten doveva averla pensata come lei.

Son Goku, dal canto suo, non diede a nessuno, neppure alla principessa, il tempo di replicare.

In poco meno di un secondo si alzò dal tavolo e se ne andò, lasciando un po’ tutti a bocca aperta.

A poco a poco, tutti seguirono il suo esempio, nel silenzio più totale.

Bulma, lasciando la sala da pranzo, si chiese se quell’invito a non uscire dalla propria stanza fosse rivolto solo alla principessa o anche a tutti gli altri. Si convinse per la seconda opzione e, proprio per questo, lei avrebbe disobbedito.

 

***

 

«Dannato pianeta! Ah, a che diavolo servono tutte queste stupide montagne? Ecco perché detesto i pianeti rocciosi!»

 

L’atterraggio sulla Terra non era stato dei migliori, né, tutto sommato, il principe aveva previsto di meglio. Kakaroth gliel’aveva detto, in fondo: quello stupido ammasso di roccia non era affatto adatto agli atterraggi di fortuna. Non che il suo lo fosse, ma il principe si era accorto, con un certo disappunto, di aver fatto male i conti e di aver immaginato la vallata ai piedi del monte Furipan molto più ampia di quanto in realtà non fosse.

Il risultato fu un tamponamento di massa che vide coinvolte ben sedici navicelle su ventuno, compresa la sua.

 

L’aria tuttavia, era fresca e frizzante.

Erano anni, ormai, che il giovane Vegeta, erede dell’impero più grandioso e potente mai affacciatosi sulla faccia dell’universo, non assaporava il piacere di respirare del sano ossigeno tutto insieme. A prima vista, quel pianeta non sembrava poi così male e il principe doveva dare atto a Kakaroth di averci visto giusto anche su questo aspetto.

L’idea che il suo sottoposto avesse così tanta perspicacia non gli andava poi troppo a genio ma, tutto sommato, era un bene che a finire su quel ricco pianeta non fosse stato un perfetto imbecille.

 

«Dannazione, principe, un paio di navicelle sono andate quasi completamente distrutte.»

 

«Non è questo il nostro problema principale, Bardack. Piuttosto, dov’è quell’incompetente di tuo figlio? Ci aveva assicurato che sarebbe stato qui ad accoglierci al nostro arrivo.»

 

«Sono qui, Vegeta, proprio come ti avevo promesso.»

 

La figura di Kakaroth si stagliò quasi prepotentemente di fronte a quella basita di tutti gli altri saiyan; tutti, tranne il principe e Bardack. Il giovane figlio del generale più potente dell’armata reale aveva fatto passi da gigante durante gli anni trascorsi sulla Terra, nonostante quel pianeta fosse abitato perlopiù da perfetti incompetenti nel campo della lotta.

Eppure, nessuno, tranne loro due, si era accorto del suo arrivo.

L’alba stava sorgendo in quel momento lungo la verdeggiante vallata che si stagliava in tutta la sua rigogliosa bellezza ai piedi del monte Furipan; l’atmosfera che si respirava tra i combattenti più potenti dell’universo pareva riecheggiare i più cupi meandri dell’inferno.

 

«Ti aspettavo con ansia, Kakaroth. E ora, portami dalle sfere del drago

 

CONTINUA

 

 

Angolo dell’autrice

Buongiorno/pomeriggio/sera a tutti!

Innanzitutto, grazie di cuore a chi è riuscito ad arrivare in fondo anche a questo capitolo. Spero con tutta me stessa di non avervi annoiati, anche se, ovviamente, ancora non è successo niente di che. Per ora mi sono limitata a scandagliare la mente dei miei personaggi: qualcuno inizia a sospettare qualcosa, qualcun altro sembra, invece, non nutrire alcun dubbio circa la buona fede di Goku.

Mi auguro di essere riuscita a rendere abbastanza bene il vortice di sentimenti che sta turbando i protagonisti della storia. Per il resto, evito di stressarvi ulteriormente con discorsi inutili vista la lunghezza del capitolo.

Di nuovo, grazie a tutti!

 

9dolina0

 

 

 

 

 

 

   

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** Donne e saiyan ***


Capitolo V – Donne e saiyan

 

Lei lo aveva promesso a sé stessa: non avrebbe dato retta a Son Goku.

Qualunque cosa fosse successa, qualunque cosa avesse visto, lei avrebbe atteso lì, proprio dove aveva previsto che sarebbero giunti gli alieni, il loro manifestarsi.

 

L’alba era sorta già da qualche minuto nella valle di Furipan e una fresca brezza mattutina sembrava contrastare con forza con lo scenario di distruzione che Baba aveva prospettato per il villaggio e per l’intero pianeta. Bulma era piuttosto assonnata e solo a fatica era riuscita a tenere gli occhi aperti dopo che si era accampata dietro a una delle tante macchie di bosco che si estendevano lungo la vallata.

Fortuna che aveva la buona abitudine di portarsi sempre dietro un accampamento di emergenza.

Trascorrere la nottata all’aria aperta in quella piccola tenda, che era comunque più confortevole della sua stanza d’albergo, l’aveva aiutata a cacciare dalla testa un sacco di brutti pensieri.

Il primo era Yamcha.

Cose ne fosse stato di lui dopo la loro discussione non poteva di certo saperlo.

Fino a qualche ora prima pensava che nemmeno le interessasse più di tanto, ma la solitudine di quel luogo ameno e incontaminato l’aveva aiutata ad ascoltare anche rimorsi urlati a bassa voce dalla sua coscienza.

Che avesse esagerato con lui? Chissà, in fondo, pensandoci bene, i sospetti di Yamcha potevano anche essere legittimi. Da quando si era interrotta la cena con le grandi personalità di Furipan, alla quale aveva preso parte anche l’ormai celeberrimo Son Goku, una sensazione di profonda inquietudine continuava ad albergare nell’animo della scienziata. Goku non aveva reagito esattamente come previsto e lo strano teatrino che lo aveva visto protagonista quando Muten gli aveva chiesto che fine avesse fatto quel tale Son Gohan aveva convinto in qualche modo la scienziata che nel protettore ci fosse qualcosa di ambiguo.

Qualcosa, certo.

Ma mai Bulma avrebbe potuto immaginare che egli stesso facesse parte della schiera dei malvagi.

 

Le gambe della scienziata tremavano e a fatica ella riusciva a rimanere immobile dentro alla sua tenda.

Non appena ebbe scorto Son Goku tra le fronde capì che qualcosa non andava. I terrestri, purtroppo, avevano preso un clamoroso granchio e, a quanto pareva, non avevano sufficientemente prestato orecchio all’avvertimento di Baba di fare a attenzione a non scambiare un male intenzionato per il protettore.

Detto fatto.

Gli alieni erano ancora lì fuori e parlottavano. Qualcuno sembrava parecchio nervoso. Be’, pensò la scienziata, lo sarebbe stata anche lei se la sua preziosa navicella fosse andata distrutta. Pensare che quegli esseri tanto simili agli umani provenissero da chissà quale zona della galassia le incuteva uno strano timore referenziale. Quanto dovevano essere forti quegli alieni per essere riusciti a sopravvivere nello spazio aperto dentro quelle microscopiche navicelle? E quanto dovevano essere tecnologicamente avanzate queste ultime?

Ormai Bulma non era più affacciata all’oblò della sua tenda e, anzi, se ne stava rannicchiata a terra, cercando di rimanere il più possibile immobile per non essere vista.

La scienziata non poteva sapere se gli alieni fossero ancora lì fuori. Immaginò che, probabilmente, non avrebbero perso tempo in chiacchiere e avrebbero raggiunto al più presto la principessa e le sfere del drago.

Ah, Chichi! Ora sì che la principessina era in guai seri!

Se solo quell’imbecille di suo padre avesse tastato un po’ meglio il terreno prima di affidarsi completamente a Son Goku, forse a quest’ora ci sarebbe stata qualche speranza di salvare le sfere. Probabilmente, nel giro di qualche ora, Goku e i suoi scagnozzi se ne sarebbero appropriati.

Bulma emise un sospiro di sconforto.

Era finita.

Per quanto cercasse di mettere in moto il cervello, non riusciva a prospettare alcuna soluzione.

 

Nell’attimo in cui il suo animo si dimenava tra lo sconforto e la disperata ricerca di una qualunque soluzione, un forte scossone la destò e la fece capitolare. Il suo orecchio fece appena in tempo a percepire un forte squarcio che due possenti braccia la afferrarono dalla schiena. L’urlo disperato che lanciò fu immediatamente soffocato dalla mano di un uomo.

L’avevano trovata, maledizione!

 

«E questa? Accidenti, davvero sfortunata la donzella! Decidere di accamparsi in questa stupida valle proprio quando stanno per arrivare i saiyan

 

«Evita di parlare troppo, Napa. Prendiamola e portiamola verso il castello dove sono custodite le sfere

 

«E perché dovremmo farlo, Bardack? È solo una stupida terrestre! Guardala, è già svenuta dalla paura!»

 

«Non sappiamo chi sia. Portiamola al castello e basta. Deciderà il principe cosa fare di lei.»

 

***

 

Chichi le aveva viste bene quelle piccole astronavi precipitare ai piedi di Furipan.

A colpo d’occhio sembravano essere una ventina. Erano forse gli alieni? Sicuramente, sì; in fondo suo padre era sempre stato chiaro sul da farsi: guai a coinvolgere l’esercito! Quei palloni gonfiati che risolvevano le grane dei cittadini comuni solo dietro lauti compensi non dovevano sapere nulla dei malvagi.

Dormire per lei era stato impossibile.

Dal momento in cui Goku le aveva ordinato di non muoversi dalla sua stanza fino al suo arrivo, la principessa aveva aspettato con trepidazione che il protettore spalancasse le porte della sua camera e le dicesse che gli alieni erano stati sconfitti, che le sfere del drago erano salve, che lei era ragazza più coraggiosa e bella di Furipan e che…

Chichi avvampò; stava divagando.

Fare avanti e indietro dalla finestra alla porta non le era affatto d’aiuto, tanto più che l’alba era ormai sorta da un pezzo e che al di fuori del castello sembrava non esserci alcun segno di vita.

Nessuno, evidentemente, aveva avuto il coraggio di lasciare la propria dimora o l’albergo in cui alloggiava sapendo che quello era il gran giorno. Lei stessa, che pure sarebbe dovuta essere la prima a tentare di difendere a spada tratta i preziosi oggetti di cui era custode, se ne stava chiusa in quella stanza ad aspettare chissà che.

In realtà, cosa stesse aspettando lo sapeva benissimo; ciò di cui non era affatto sicura era se desiderasse dal suo protettore semplicemente la conferma del suo successo o se, più maliziosamente, si aspettava che succedesse dell’altro.

Ma cosa, poi? Lei non aveva mai avuto un uomo, e quello sfrontato di Goku l’aveva messa non poco in imbarazzo facendoglielo notare. Era dal senso di rivalsa di quel piccolo affronto subito che nasceva in Chichi il desiderio di approfondire la conoscenza col suo protettore? O, magari, la giovane principessa stava solamente cedendo al suo fino ad allora celato istinto di donna?

 

La porta della sua camera si spalancò improvvisamente facendola sussultare.

Era raro che Chichi si spaventasse ma, stranamente, come già era successo al loro primo incontro, la ragazza non aveva percepito l’aura di Goku avvicinarsi a lei.

Il sospiro di sollievo che tirò la principessa nello scorgere la figura del suo protettore davanti a sé fu interrotto dallo strano aspetto che aveva Goku. Nulla nel suo sguardo serio e stranamente minaccioso sembrava aver a che fare col giovane linguacciuto e un po’ troppo impertinente che aveva conosciuto nei giorni addietro. E cosa accidenti era quell’affare che portava a un occhio?

 

«Guarda che diavolo hai fatto, stupido!» osò Chichi, cercando di non farsi spaventare dall’aspetto insolito del ragazzo. «Hai praticamente distrutto la porta della mia camera!»

 

«Sta’ zitta.»

 

«Cos… Cosa?»

 

«Ti ho detto di chiudere la bocca! Cosa non ti è chiaro, ragazzina?»

 

I passi di Kakaroth che, lenti, avvicinavano il saiyan alla principessa di Furipan erano scanditi da un forte tonfo. Il silenzio quasi surreale che aleggiava nel castello e al di fuori di esso aveva avuto l’inquietante effetto di amplificare anche il più piccolo rumore.

Chichi cominciò a indietreggiare, completamente allibita da ciò che stava succedendo.

Ma ormai aveva raggiunto la parete opposta a quella di Goku e, a meno di buttarsi dalla finestra, era definitivamente in trappola.

 

«Si può sapere che diavolo ti prende? Io… Io non ti ho mai visto così.»

 

«Tu non hai visto ancora niente di me, sciocca. Se solo sapessi in che razza di guaio vi siete cacciati tu e tutti gli abitanti di questo sciocco pianeta!»

 

Deliziarsi della paura che trapelava dallo sguardo esterrefatto di Chichi era per Kakaroth una piccola goduria. Sperava proprio che tornare a vestire i panni del terribile guerriero che era lo avrebbe distratto definitivamente da tutte le sciocche premure che nelle ultime ore erano sorte in lui nei riguardi della principessa. Non che l’idea di proteggerla dai saiyan lo allettasse davvero – in fondo, appartenendo anche lui a quella razza, ciò avrebbe significato rinnegare i suoi avi e le sue origini – ma quella che stava per compiere era senza dubbio l’infamia più grande dopo l’assassinio del suo maestro.

Anche Chichi, come Son Gohan, si era fidata di lui, ma, a differenza del vecchio, lei non aveva la benché minima possibilità di azzardare un tentativo di difesa.

Le vittorie facili non gli erano mai piaciute.

Kakaroth aveva aspettato con ansia quel torneo anche per mettere alla prova i presunti guerrieri più potenti del pianeta e, oltretutto, ne aveva ricevuto in cambio una bella delusione. Rimanevano ancora le sfere del drago, però, che erano il suo obiettivo più importante. Chichi, senza dubitare minimamente della sua buona fede, gliele aveva mostrate. Il saiyan ricordava benissimo dove fossero, ma non era certo che il solo entrarne in possesso ne avrebbe garantito l’utilizzo.

Sarebbe stato troppo facile, altrimenti, e quello stupido gioco si sarebbe concluso davvero troppo in fretta.

 

Costringere Chichi a spiaccicarsi di schiena contro il muro con il suo semplice avvicinarsi era stato l’unico modo per verificare quale reazione avrebbe avuto la ragazza.

Di primo acchito, la principessa gli era sembrata una povera sprovveduta – e forse lo era veramente – ma la fiamma che si era accesa nei suoi occhi quando l’aveva sentita parlare delle sfere del drago gli aveva in qualche modo messo la pulce nell’orecchio. Se qualcuno, dall’alto, l’aveva scelta come custode, qualche dannato pregio doveva pur avercelo quella stupida ragazzina!

 

Goku era a pochi passi da lei e la guardava con aria quasi collerica.

Per quanto la giovane erede di Furipan desiderasse mantenere una parvenza di calma, i muscoli del suo corpo non facevano altro che tremare e, lei temeva, molto vistosamente.

Prima di quel momento non aveva mai sperimentato la paura. Ancora non riusciva a capire cosa stesse succedendo, né a cosa alludesse Goku quando aveva parlato di guai, ma una cosa era sicura: da sola non avrebbe potuto tener testa al suo protettore.

Perché, ormai non aveva più dubbi: stava per attaccarla.

 

«Se proprio hai deciso di tradire il patto, spiegami almeno che diavolo hai intenzione di fare, Goku.»

 

«Tradire, io? Ti sbagli di grosso. Avrei tradito me stesso se avessi prestato fede a quella stupida leggenda. Io non sono quello che credi, o che credevi: di te, di tuo padre, di Furipan e di questo inutile pianeta non mi importa un bel niente. Non appartengo nemmeno a questo mondo, se proprio ti interessa saperlo. Se la tua amica scienziata non avesse previsto con tanta precisione l’arrivo dei miei compagni, probabilmente questa farsa sarebbe andata avanti ancora un po’» sussurrò a mezza bocca il saiyan avvicinando ancora di più il volto a quello pallido e impaurito di Chichi «e tutto sommato la cosa non mi sarebbe nemmeno dispiaciuta.»

 

«Mi fai schifo!»

 

L’urlo di Chichi e il tentativo di spintonare il guerriero lontano da lei si conclusero con un buco nell’acqua. Fu fin troppo facile per Kakaroth afferrarle i palmi delle mani prima che queste raggiungessero il suo petto.

 

«Ah, vedo che un po’ di grinta ce l’hai! Allora non erano tutte balle quelle che sentivo raccontare negli spogliatoi tra  uno scontro e l’altro.»

 

«Che diavolo vuoi, Goku?»

 

«Kakaroth. Ho preferito non presentarmi col mio vero nome perché avevo paura che il vecchio, prima di morire schiacciato da un enorme gorilla, avesse riferito a qualcuno dei suoi amici qualche dettaglio un po’ troppo compromettente su di me. Ma ormai non ha più senso mentire.»

 

«Non mi importa niente di come diavolo ti chiami. Lasciami andare! Se vuoi le sfere, sai dove andarle a prendere.»

 

Il saiyan liberò una risata trattenuta fin troppo a lungo.

Senza che quasi la principessa avesse il tempo di accorgersi di alcunché, l’afferrò per i fianchi e la scaraventò per terra, impedendole solo all’ultimo di sbattere la testa.

Un attimo dopo era sopra di lei, una mano sotto la testa della ragazza e l’altra sul pavimento a sostenere il proprio corpo.

 

«Credi davvero che io sia così sciocco, eh? Scommetto che esiste un meccanismo segreto per far funzionare quelle dannate sfere e scommetto anche che sei la sola a conoscerlo. Senza di te le prodigiose sfere del drago sono solo delle inutili palle di vetro, ammettilo.»

 

A Chichi iniziava a mancare il fiato.

Se fino a pochi minuti prima aveva fantasticato sul trionfale ingresso di Goku nella sua stanza, ora doveva fare i conti con un alieno senza scrupoli e con un potenziale dominatore del mondo. A che altro potevano servirgli, altrimenti, le sfere?

Lacrime amare cominciarono a scivolare lentamente lungo il volto affranto della giovane principessa di Furipan. Un misto tra rassegnazione e delusione aveva preso posto nel cuore della ragazza, impedendole di mantenere i nervi saldi.

Non era semplicemente la constatazione di aver preso un granchio riguardo a Goku. A dare più fastidio alla principessa e a farla sentire un’immensa stupida era soprattutto il fatto di essersi concessa su quel maledetto traditore fantasie poco consone a una principessa.

Se poi quel bastardo lo avesse addirittura capito, per lei sarebbe stato il colpo di grazia.

 

Veder piangere Chichi sotto di sé lo aveva fatto innervosire più di quanto già non fosse.

Probabilmente, non gli sarebbe bastata una vita intera per capire le donne. Sapeva che quel pianto non era dovuto solo alla consapevolezza di essere in trappola. Quella maledetta ragazzina stava cercando con ogni mezzo di evitare il suo sguardo, pur avendo gli occhi del suo aguzzino a pochissimi centimetri dai suoi.

Sciocca, ingenua e inesperta.

I suoi tentativi di abbindolamento erano andati ben oltre i risultati sperati.

Come aveva fatto quella dannata principessa a invaghirsi di lui soltanto per avergli parlato un paio di volte? Se Vegeta e suo padre fossero venuti a conoscenza di una cosa del genere lo avrebbero preso in giro per il resto dei suoi giorni.

O gli avrebbero consigliato di approfittarne.

 

Kakaroth si alzò, liberando a poco a poco Chichi dal peso opprimente del suo corpo muscoloso.

Chissà perché, quella situazione, che pure avrebbe dovuto divertirlo, non gli piaceva per niente.

 

«Alzati.»

 

Lo stordimento di Chichi era ancora troppo forte perché ella riuscisse davvero a muovere anche un solo muscolo. Ovviamente, alzarsi sembrava per lei un’impresa impossibile.

 

«Si può sapere che diavolo stai aspettando? Io non ho affatto voglia di giocare. Rimettiti in piedi immediatamente! Gli altri saiyan ci stanno aspettando.»

 

«Gli altri… cosa?»

 

«Alzati, maledizione! Se non ubbidisci ti solleverò con la forza.»

 

L’assoluta immobilità della ragazza aveva fatto infuriare Kakaroth. Possibile che, cadendo a terra, quella mocciosa si fosse fatta male davvero? Comunque stessero le cose, il saiyan sapeva di aver temporeggiato fin troppo. Vegeta aveva già occupato il castello da un bel pezzo e sia lo stregone del toro che la sua consorte dovevano essere caduti nelle sue mai.

 

«Al diavolo tu e la tua stupida debolezza!»

 

Senza che la ragazza avesse modo di replicare o di reagire, il saiyan la afferrò da terra e se la caricò in spalla come se fosse un sacco.

Se non altro, la principessina non sembrava voler opporre alcuna resistenza, anche se le lacrime della giovane scendevano copiose lungo il torace del guerriero.

 

***

 

«Questa poi… si può sapere dove avete trovato questa donna?»

 

Il principe non sembrava affatto entusiasta della scoperta annunciatagli da Napa. Sapeva che quell’imbecille aveva il brutto vizio di esagerare, ma definire una qualunque creatura di sesso femminile come una cosa interessante era a dir poco da idioti.

E Napa, in effetti, lo era.

Se conosceva bene i suoi uomini, Bardack doveva aver suggerito di risparmiarla perché non si sa mai e il guerriero d’élite più inutile della storia aveva sicuramente interpretato le sue parole come un di sicuro nasconde qualcosa di interessante.

Al diavolo lui e il maledetto giorno in cui aveva deciso di portarselo dietro! Non sarebbe stato meglio lasciarlo sul pianeta Vegeta in mezzo ai saibaim e alle puttane?

Tuttavia, più guardava la misteriosa donna dormiente e più si rendeva conto che, tutto sommato, i suoi due sottoposti erano incappati in un gran bell’esemplare di femmina. Non sapeva se tutte le terrestri fossero così, ma di certo i colori esotici di quella sconosciuta avevano un certo fascino.

Dopo tanti anni, il principe dei saiyan poteva finalmente dire di essersi imbattuto in una bella donna.

Ma ciò non toglieva affatto che, in quel dannato e preciso momento, non aveva idea di che cosa farsene.

 

«Era accampata nella valle dove siamo atterrati. La sua tenda era nascosta tra i boschi.»

 

«D’accordo, Napa, e come credi che possa tornarmi utile?»

 

Le parole del principe avevano lasciato di sasso l’imponente guerriero d’élite. Nonostante la mole, Napa non era un tipo particolarmente coraggioso, o, per lo meno, non lo era quando si trovava a cospetto del suo principe.

Nonostante negli anni il forte guerriero avesse tentato più e più volte di mettere un freno al tremolio della voce che lo colpiva ogni volta che doveva parlare con Vegeta, ancora non era riuscito a imparare come darsi un contegno. Persino quell’enorme colosso che il principe aveva appena fatto prigioniero sembrava più a suo agio di lui.

Quasi, il saiyan ebbe l’impressione che il tanto blasonato stregone del toro lo stesse deridendo.

 

«Be’, ecco… io… L’idea è stata di Bardack

 

«Certo, questo lo avevo immaginato. Tu non sei così perspicace da pensare che è strano che una donna campeggi da sola in una vallata pur sapendo dell’arrivo dei malvagi. Comunque, io al momento ho altro a cui pensare.»

 

Il principe gettò un’ultima occhiata alla donna dormiente stesa ai suoi piedi.

Era da parecchio tempo che non si concedeva un diversivo che implicasse la presenza di una creatura femminile.

Un sorriso perverso si delineò tra le labbra del giovane principe.

 

«Chiudila in una delle stanze del castello e portami qui le chiavi» ordinò rivolgendosi a Napa. «E, ovviamente, assicurati che giaccia su un letto.»

 

***

 

La luce del sole non le era mai parsa tanto accecante come quel giorno, ma la sua presenza, se non altro, le rendeva più facile sopportare ciò che stava succedendo.

Il suo aguzzino aveva preferito tenerla lontana da Giumaho, pensando, erroneamente, che ella avesse una qualche influenza sulle decisioni prese da suo marito e dalla figlia.

Ma quell’alieno dalle sembianze umane era incappato in un errore non da poco.

Mamanu aveva accettato di sposare lo stregone del toro dopo che nel suo regno era giunta la notizia della sua vedovanza. Suo padre aveva sempre ambito a sistemare come meglio poteva le sue quattro figlie e, in quel tempo, Mamanu era l’unica ancora senza marito.

Perché avesse accettato di sposarlo faticava ancora a capirlo, nonostante fossero già trascorsi svariati anni, e la sensazione che, tutto sommato, anche Giumaho fosse stato sopraffatto dagli eventi senza poter decidere lucidamente cosa fare della propria vita tornava di tanto in tanto a tormentarla come un chiodo fisso.

Lei era stata educata all’obbedienza e al rispetto e con il marito si era sempre comportata di conseguenza. In fondo, le era andata anche bene: nonostante l’aspetto minaccioso, Giumaho era in realtà una delle persone più docili e affettuose che avesse mai incontrato.

Tutto sommato, il suo era stato un matrimonio felice: suo marito non le aveva mai fatto mancare nulla, gli abitanti di Furipan l’avevano accolta con benevolenza, gli uomini di corte le portavano rispetto.

Ma lei, in quel regno, non contava davvero nulla.

 

«Non so chi siate, né tantomeno cosa vogliate da noi, ma se sono le sfere del drago a interessarvi state tenendo prigioniera la donna sbagliata.»

 

«Lo so. Della principessa si sta già occupando mio figlio.»

 

Mamanu ebbe un sussulto.

Suo figlio? Da quando quell’uomo e un suo compagno avevano fatto irruzione nella sua camera da letto e l’avevano separata da Giumaho, Mamanu non aveva riflettuto a sufficienza sulla loro identità. L’essere che in quel momento la teneva prigioniera aveva un che di noto. Capelli spettinati, sguardo profondo e minaccioso, un corpo massiccio…

Già, somigliava dannatamente a Goku.

 

«E così, abbiamo sbagliato protettore

 

Bardack si lasciò sfuggire una risata.

 

«Non credo; dubito che ci fosse qualcun altro sulla faccia della Terra in grado di vincere quel torneo. Semplicemente, il più forte non sta sempre dalla parte del bene.»

 

«Già, e non sempre le cose vanno come previsto. È un peccato. Sai, la principessa ha un sacco di difetti: è impulsiva, testarda, spesso saccente. Ma ha un cuore immenso e un dono straordinario. La sua forza spirituale è ineguagliabile. Non mi intendo molto di queste cose, ma sono certa che nemmeno Goku sia al suo livello da quel punto di vista. Commetterebbe un grave errore se le facesse del male.»

 

«In realtà, non so quali siano le intenzioni di Kakaroth. Una cosa è certa: lui non è un idiota.»

 

Kakaroth.

E così, quello era il suo vero nome.

Mamanu sospirò, poi si alzò da terra e si affacciò alla finestra. Il suo aguzzino aveva deciso di rinchiuderla nell’unica stanza non arredata di tutto il castello. La donna aveva le ossa doloranti; da quanto non le capitava di sedere per terra? Stranamente, sembrava che al padre di Goku non interessasse poi molto che lei si muovesse liberamente per la stanza. In fondo, non avrebbe potuto in alcun modo uscire di lì.

 

Bardack, dal canto suo, si era stupito non poco della calma apparente della sua prigioniera. Quella donna tanto giovane e attraente sembrava totalmente indifferente alla sorte che il destino aveva riservato per lei. Sembrava che fosse abituata a subire gli eventi piuttosto che a domarli.

D’accordo, tutti in quello strano villaggio sapevano dell’arrivo dei malvagi e, probabilmente, si erano anche preparati psicologicamente, ma l’indifferenza che stava dimostrando la regina era quasi irritante. La sovrana del suo popolo non avrebbe mai e poi mai reagito così.

 

«Pensi che guardare fuori dalla finestra ti aiuterà a risolvere la situazione?»

 

«Io non ambisco a risolvere niente.»

 

«Lo immaginavo. Certo, è un comportamento piuttosto anomalo da parte di una regina.»

 

La donna si voltò verso di lui, incrociando per l’ennesima volta nell’arco di appena una mezz’ora le iridi scure del saiyan. Bardack faticò a riportare la sua mente lontano dalle fantasie inopportune che gli occhi grigi della donna avevano fatto scaturire in lui.

Doveva ammetterlo: il fatto che i terrestri somigliassero tanto ai saiyan lo aveva in qualche modo spiazzato. In fondo, l’idea di dover sterminare un popolo alieno risultava più facile se quest’ultimo era costituito da umanoidi coi tentacoli, scimmie con le ali o giganteschi felini parlanti. Ma se gli alieni in questione somigliavano dannatamente agli uomini e alle donne della sua razza, era chiaro che, istintivamente, era facile farsi venire qualche scrupolo in più.

Mamanu poi, lo incuriosiva oltremodo, nonostante il suo atteggiamento gli sembrasse riprovevole; ma era pur vero che raramente aveva visto una donna saiyan con un aspetto tanto femminile e curato.

 

«Io non sono la regina. La sovrana di Furipan è morta tanti anni fa. Qui è tutto in mano alla principessa Chichi e a suo padre che ne ha gestito il potere e la proprietà finché la giovane erede era ancora una bambina.»

 

«Quindi non è tua figlia.»

 

«No.»

 

«È per questo, dunque, che ti mostri tanto indifferente alla sua sorte?»

 

Un brivido di rabbia attraversò il corpo di Mamanu e, per la prima volta da quando l’aveva rinchiusa in quella stanza, Bardack riuscì a scorgere nel suo volto i segni inconfondibili dell’indignazione.

 

«Io non sono indifferente alla sorte di nessuno. È assurdo! Hai messo piede su questo pianeta stamattina e già credi di aver capito tutto di me e della mia famiglia?»

 

«Ah, questa è bella! Nessuno dei miei prigionieri si è mai azzardato a fare l’offeso.»

 

Bardack si spostò dallo stipite della porte dove, fino a quel momento era rimasto fermo. Si avvicinò con lentezza snervante a quella che fino a poco tempo prima credeva essere la sovrana di Furipan e prese a osservarla da vicino.

Il cipiglio severo che le aveva rivolto non sembrava averla intimorita affatto.

Mamanu sosteneva con caparbia lo sguardo, sempre più affilato e penetrante, che lo sconosciuto le stava rivolgendo con insistenza.

La stava studiando.

In fondo, Mamanu era abituata a questo. Cos’altro era la vita se non un continuo sottoporsi al giudizio degli altri? Anche Giumaho l’aveva guardata attentamente prima di accettare la proposta di suo padre di prenderla in moglie; lo stesso aveva fatto la piccola Chichi, quando, ancora bambina, aveva dovuto sopportare l’intromissione nella sua vita di un’altra donna.

Pensandoci bene, lo sguardo del suo aguzzino somigliava molto di più a quello della principessa che non a quello dello stregone del toro. Era uno sguardo oltremodo indagatore, minaccioso, curioso in maniera perversa. Non prometteva nulla di buono, insomma; ma Chichi, parole indegne a parte, non le aveva mai fatto nulla di male… Poteva aspettarsi lo stesso da un alieno dalla forza sovrumana venuto sulla Terra con lo scopo di conquistarla? 

 

«Non so in che razza di prigionieri sei incappato fino ad ora, ma ho una dignità e ancora ci tengo, nonostante io sappia di essere in grave pericolo.»

 

«La tua audacia mi piace, questo è sicuro.»

 

Il saiyan si avvicinò ulteriormente alla donna, fino a trovarsi a un paio di centimetri dal suo naso. La sua prigioniera non era indietreggiata affatto, quasi che volesse in qualche modo sfidarlo.

Perché diavolo si stava comportando in quel modo assurdo?

In quel momento, a Bardack non importava più niente né della principessa né delle sue beghe familiari. Se, fino a pochi secondi prima, il rapporto tra lei e la sua matrigna lo aveva in qualche modo incuriosito, ora era decisamente passato in secondo piano.

Quella donna lo stava sfidando e l’ultima volta che una creatura di sesso femminile aveva osato fare una cosa del genere, era poi diventata la sua sposa.

 

***

 

«Ah, io lo sapevo, dannazione! Come diavolo hanno potuto fidarsi ciecamente di un tipo del genere? Si capiva da come combatteva che c’era qualcosa di sbagliato in lui.»

 

«Basta, Yamcha! Non è continuando a rimuginarci sopra che ci libereremo di lui e dei suoi compagni.»

 

«Lo so, Tensinhan, ma se penso a come mi ha trattato Bulma, io…»

 

«A proposito, che fine ha fatto la tua donna?»

 

Yamcha si zittì per qualche istante prima di sussurrare un timido “non lo so”.

Era vero, lui non aveva più notizie di Bulma da quando aveva lasciato la sala di pranzo la sera precedente per seguire Tensinhan e Jaozi sulla vetta più alta del monte Furipan. Da lì avevano visto tutto: l’arrivo delle astronavi, il loro atterraggio e lo sparpagliamento degli alieni in giro per il villaggio. Ma dove fosse andata a cacciarsi Bulma proprio non lo sapeva.

Conoscendola, non era affatto improbabile che si fosse nascosta da qualche parte in attesa che arrivassero i malvagi.

Ah, quella donna era tanto intelligente quanto cocciuta! E pure sprovveduta, oltretutto.

D’accordo, era un genio assoluto, forse addirittura più di suo padre, ma la testardaggine che la contraddistingueva avrebbe potuto recargli un sacco di problemi.

Il ragazzo sospirò, poi tornò a guardare verso la valle.

 

«Lei è in gamba: in qualche modo se la caverà. Piuttosto, che facciamo adesso? Già Goku da solo è fuori dalla nostra portata, ma un esercito intero di alieni da battere mi pare un’impresa impossibile.»

 

«Hai contato le navicella, Yamcha? Sono appena una ventina di guerrieri.»

 

«Sì, ma ognuno di loro ha una forza sovrumana.»

 

«Li batteremo con l’astuzia.»

 

Il ghigno che si era stampato sul volto di Tensinhan aveva fatto suonare un campanello d’allarme nella testa di Yamcha. Effettivamente, le poche cose che Muten gli aveva raccontato su Condor e sui suoi allievi non promettevano niente di buono, ma comunque lui e il nanerottolo dai poteri psichici erano stati i soli ad accorgersi del doppio gioco di Son Goku.

Tanto valeva collaborare con loro; a sistemarli ci avrebbe pensato una volta messe le mani sulle sfere del drago.

 

CONTINUA

 

 

Angolo dell’autrice

Ci siamo! I saiyan hanno messo finalmente piede sulla Terra. In fondo, ormai li aspettavano tutti, donne comprese. Non ho chiarimenti da fare su questo capitolo: rispetto ai precedenti è un po’ più breve e abbastanza semplice, per cui eviterò di dilungarmi troppo con le note.

Ovviamente, mi ritaglio un piccolo spazio per ringraziare di cuore chi legge, segue, ricorda, preferisce e/o recensisce la mia storia. Il prossimo aggiornamento sarà, come sempre, tra una settimana!

 

9dolina0

     

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Capitolo 6
*** Confusione ***


Capitolo VI – Confusione

 

Il cuore le batteva forte; forse un po’ troppo.

D’accordo, quello non era stato di certo il risveglio che aveva sognato e, d’accordo, probabilmente da quel giorno in poi ne avrebbe avuti di peggiori, se l’alieno davanti a lei, nonché padre del protettore, avesse deciso di risparmiarla; ma ciò non giustificava affatto il disagio che non stava provando.

Perché, accidenti?

Avrebbe dovuto inorridire di fronte a un essere del genere, un malefico usurpatore pronto a tutto pur di mettere le mani sulle sfere del drago. Perché era quello che l’alieno voleva, giusto? Per quale altro motivo, altrimenti, avrebbe dovuto accollarsi un viaggio del genere attraverso la galassia del Nord?

Mamanu non riusciva ad avere paura di lui. No.

Per quanto cercasse di mettere in moto un minimo di razionalità, questa finiva col perdersi  tra i pensieri sconnessi partoriti dalla sua mente. Era piuttosto normale, in fondo: qualunque donna, prima di avere paura di un uomo del genere, ne avrebbe notato la prestanza; e a lei gli occhi non mancavano.

Era in trappola, costretta a un contatto forzato col muscoloso petto del suo aguzzino, eppure non riusciva a fare a meno di pensare a cosa diavolo non avesse avuto dalla vita: dei figli suoi, una dimora piccola e accogliente, il lavoro di sarta che aveva sempre sognato. E, soprattutto, un compagno di vita scelto da lei.

Mamanu non era mai stata una donna di alte pretese e forse Giumaho l’aveva scelta più per questo motivo che non per i suoi lunghi capelli corvini e per i magnetici occhi grigi che aveva. A lui serviva una donna che non ambisse a spodestare sua figlia e Mamanu, da quel punto di vista, era senz’altro la persona più disinteressata che avesse mai incontrato.

Per assurdo, la bella moglie di Giumaho non si era nemmeno mai soffermata a pensare se tutto ciò la gratificasse: doveva accettarlo e basta perché il destino aveva deciso di riservarle quel tipo di vita.

Peccato che, per la prima volta da quando era nata, un uomo che non fosse suo padre o suo marito le stava addosso togliendole il fiato, e a farle quel dannato effetto non era soltanto l’eccessiva vicinanza che li accumulava.

Anche questo evento era stato voluto dal destino?

 

«Detesto le persone che mi fissano e tu lo stai facendo da quando ho messo piede qui dentro.»

 

«E io detesto trovarmi nei guai per questioni che non mi riguardano. Mi pare che siamo pari.»

 

Bardack trattenne a stento un sorriso beffardo, ma la curva disegnata dalle sue labbra ghignanti era ben visibile e dannatamente sprezzante. Eppure, più osservava quella donna e più gli sembrava davvero esasperata.

In fondo, una reazione del genere poteva anche starci: non era lei la madre della principessa e, probabilmente, prima o poi avrebbe perso tutto se quella ragazzina avesse deciso di buttarla fuori da Furipan. Ma che diavolo poteva mai possedere quella donna? Se non aveva capito male, un bel niente, a parte il peso di un marito che gestiva un regno non suo sulle spalle.

Bardack si chiese, in un momento di riflessione, perché diavolo una femmina tanto piacente avesse deciso di accettare una vita del genere. Doveva essere assolutamente priva di carattere se non era riuscita a opporsi a un destino che, evidentemente, non era stata lei a scegliere; e che qualcun altro avesse deciso al suo posto era evidente dal modo in cui stava reagendo all’arrivo degli usurpatori.

Esasperata, spossata, rassegnata.

 

«Se davvero la questione non ti riguardasse, non ti avrei trovata nel letto di quell’energumeno quando ho fatto irruzione qui dentro.»

 

«Ero nel letto di mio marito, ma ti ho già spiegato che io non ho alcun potere qui a Furipan. Se è per questo, non sono nemmeno nata qui. D’accordo, ho accettato di sposare il vedovo della sovrana di questo regno e di occuparmi di sua figlia, ma qui non conto niente, è chiaro? Assolutamente niente!»

 

Lo sguardo indagatore che Bardack le stava rivolgendo per la seconda volta da quando l’aveva rinchiusa nella sua stessa stanza la stava mettendo a disagio. E poi, come diavolo le era saltato in mente di rivelare certe cose al suo aguzzino? Sperava forse di convincerlo a risparmiarla? Pensandoci bene, Mamanu non era nemmeno certa di voler salvare a tutti i costi la pelle. Per quanto ne sapeva lei, in fondo, Giumaho e la principessa potevano essere già passati a miglior vita.

Avrebbe avuto senso continuare a vivere senza di loro?

Perché, tutto sommato, anche se quella non era la vita che lei aveva scelto per sé stessa, rimaneva pur sempre l’unica cosa che le rimanesse.

 

Bardack nel frattempo arretrò di qualche passo e prese a ghignare, stavolta vistosamente.

 

«Se è così che stanno le cose, non ha senso che io perda tempo con te. In realtà, non sono certo di potermi fidare delle tue parole, ma credo che ti concederò il beneficio del dubbio.»

 

Mamanu ebbe un sussultò e sgranò impercettibilmente gli occhi dalla sorpresa.

 

«Vuol dire che te ne andrai da questa stanza?»

 

«No, vuol dire che non ti ucciderò.»

 

***

 

Goku, o Kakaroth, o come diavolo si chiamava, se l’era caricata sulle spalle con così tanta facilità che quasi le sembrava inutile tentare di divincolarsi. Guardare i lunghi corridoi del suo palazzo da quella prospettiva non era affatto male se si rifletteva sul fatto che poteva, sì, essere comunque in quella scomoda posizione, ma magari morta da un pezzo.

Era ancora viva e, per come si erano messe le cose, doveva soltanto ringraziare tutte le divinità delle quattro galassie.

D’accordo, se fosse stata più lungimirante, probabilmente non avrebbe preso un simile abbaglio; ma quel maledetto che ora la portava in giro a mo’ di sacco aveva ingannato praticamente tutti.

O quasi?

Se non aveva capito male, le sembrava di aver sentito dire che Yamcha nutriva dei sospetti su di lui.

Voci, voci, voci.

Chiacchiere che si allungavano come il passo di Goku in quei dannati corridoi.

La verità era che negli ultimi due giorni a tutto aveva pensato tranne che a guardarsi un attimo intorno. Se lo avesse fatto, magari si sarebbe accorta che le ferite riportate dagli avversari del suo protettore durante il torneo era davvero un po’ troppo gravi.

Crilin, la sera prima, zoppicava ancora parecchio; peccato che nemmeno a lui fosse sorto alcun tipo di dubbio. Evidentemente, l’allievo più giovane di Muten doveva essere molto più buono e ingenuo di quanto Chichi non avesse immaginato. Che fosse colpa del suo maestro? In fondo, nemmeno suo padre, il grande stregone del toro, allenato anni addietro dal celeberrimo Muten Roshi, aveva colto nello sguardo di Goku alcunché di anomalo.

Ah, si spaccia per il più abile guerriero di tutti i tempi e nemmeno è in grado di insegnare ai suoi allievi come smascherare un nemico!

I pensieri scivolavano nella testa di Chichi a una velocità tale da sembrare dei fiumi in piena; poi si alternavano, si mescolavano, cozzavano tra loro dileguandosi, infine, tra mille contraddizioni.

La principessa non sapeva se, in quel momento, avrebbe dovuto piangere o fingere impassibilità. Una cosa era certa: Goku si era fermato e, di lì a qualche istante, l’avrebbe lasciata cadere a terra con noncuranza.

 

«Era ora che ti facessi vivo, Kakaroth. Ma dove diavolo eri finito? Ti ci voleva davvero tutto questo tempo per caricarti in spalla una stupida ragazzina?»

 

Chichi non aveva ancora alzato la testa da quando il suo protettore l’aveva gettata a terra.

Non che ci tenesse particolarmente a farlo, ma un minimo di curiosità iniziava a insinuarsi anche dentro di lei.

Li aveva aspettati per anni, accidenti; e ora, perché mai avrebbe dovuto avere paura di alzare lo sguardo su di loro?

Si era preparata a lungo al suo incontro con i malvagi e oltretutto lei era la principessa di Furipan. Volevano le sue sfere del drago. Poteva davvero rimanere lì a crogiolarsi nella delusione di aver scoperto la verità su Son Goku?

Già, son Goku.

Era vero, certo, che per anni si era ripromessa di guardare in faccia gli sporchi usurpatori del suo regno; tuttavia, aveva previsto di farlo con al fianco un protettore degno di quel nome.

E invece si era ritrovata completamente sola.

 

«Hai forse fretta, Vegeta? Fossi in te mi rilasserei un po’.»

 

«Ah, va’ al diavolo. Di certo non sono venuto qui per prendermela comoda! Dove accidenti sono le sfere del drago

 

Kakaroth ebbe un impercettibile sussulto e, altrettanto impercettibilmente, rivolse uno sguardo a Chichi, ancora malamente seduta a terra.

 

«Non lo so.»

 

«Che diavolo stai dicendo, imbecille! Mi avevi assicurato che…»

 

«Lasciami spiegare, per favore. Questa ragazzina è la custode delle sfere. Lo so per certo perché me le ha mostrate. Il punto è che non posso sapere dove le abbia nascoste dopo. Tra l’altro, a quanto ne so, è l’unica in grado di usarle, quindi, se anche riuscissimo a sottrargliele, non potremmo in alcun modo avvalercene.»

 

Il principe schioccò la lingua sul palato e accennò un ghigno che non prometteva niente di buono.

 

«Sai, se tu non fossi figlio di Bardack e non conoscessi alla perfezione la sua astuzia e la sua potenza, ti avrei già spedito all’altro mondo appena messo piede su questo maledetto pianeta. Non prendermi in giro, Kakaroth: lo so che nascondi qualcosa. Ma, sai che ti dico? Per ora non me ne importa niente. Costi quel che costi, prima o poi metterò le mani su quelle sfere. E se proprio ci tieni, seguirò il tuo consiglio e me la prenderò comoda. Sappi però che odio i doppiogiochisti… Spero che tu non faccia parte di questa categoria.»

 

Lo sguardo carico di attesa che Vegeta riservò al suo sottoposto la diceva lunga su quanto e cosa il principe si aspettasse da quest’ultimo. Kakaroth sapeva bene quanto quel dannato saiyan, erede di una stirpe di guerrieri straordinari, fosse spietato e pericoloso. Sua padre gliel’aveva detto un sacco di volte: guai a sottovalutarlo! Tu, su quel pianeta di imbecilli, potrai anche essere il più forte, ma contro Vegeta non avresti speranze.

Probabilmente era vero. Anche se lo aveva conosciuto personalmente solo da poche ore – così come da poche ore soltanto aveva visto per la prima volta BardackKakaroth aveva intuito quale potenza si celasse dietro l’aspetto apparentemente innocuo di Vegeta.

E il fatto che avesse deciso di dargli corda non prometteva nulla di buono.

D’accordo, in fondo Kakaroth non avrebbe dovuto avere niente da temere – di certo non aveva intenzione di tradire la sua gente – ma il solo fatto che il principe insinuasse l’esistenza di un doppio gioco lo aveva messo in allerta.

Perché – accidenti! – un vero complotto contro il principe dei saiyan non c’era; ma Kakaroth, o il Goku che c’era in lui, aveva il dannato bisogno di capire quale virtù avesse permesso a Chichi di diventare la custode delle sfere del drago.

 

L’ingresso repentino di Napa nel salone delle cerimonie del castello distrasse Kakaroth dai suoi pensieri.

 

«Ho fatto quello che mi hai chiesto, principe. La ragazza non si è ancora svegliata.»

 

Vegeta non aveva prestato grande attenzione a Napa, nonostante il baccano sollevato per entrare in quella stanza. A dire il vero, in quel momento nemmeno ricordava più la faccenda della donna accampata a valle del monte Furipan.

Lo sguardo perplesso di Kakaroth e quello spaesato di Napa gli fecero tornare in mente la fanciulla dai capelli turchini sequestrata da Bardack e dall’imbecille che aveva messo a capo dei guerrieri d’élite. Per la verità, continuava a non essere molto interessato a lei, ma quando iniziò a scorgere un barlume di preoccupazione negli occhi della principessa, si rese conto che probabilmente Kakaroth potesse sapere chi ella fosse e perché si trovasse proprio lì, nonostante una profezia avesse previsto l’arrivo dei malvagi.

 

«Di’ un po’, Kakaroth, tu sai niente della tizia accampata nella valle di Furipan? Sembrava quasi stesse aspettando il nostro arrivo.»

 

«Io non mi sono accorto di niente. Non so di chi tu stia parlando.»

 

«Ah, certo. Se ti dicessi che ha dei lunghi capelli turchini e un fisico molto avvenente, ti verrebbe in mente il suo nome?»

 

Kakaroth si ammutolì per qualche istante, certo ormai di aver capito a chi il suo principe si stesse riferendo. Dannata scienziata! Fin dove si era spinta quella sciocca terrestre? Da lei si sarebbe aspettato una mossa ben più intelligente di quella. In fondo, era riuscita a scoprire l’identità dei malvagi ancor prima che toccassero il suolo terrestre; perché mai andarsi a rovinare infilandosi volontariamente nella tana del lupo?

Be’, per quanto il comportamento di quella donna gli desse noia, tutto sommato a Kakaroth importava poco o niente di lei.

 

«Sì, Vegeta. Credo di aver capito chi sia. Si chiama Bulma e non vive a Furipan. È venuta qui solo perché ha dato una mano per l’organizzazione del torneo. Oh, è anche una scienziata. Ha captato con largo anticipo le vostre navicelle spaziali. Non chiedermi, però, che diavolo ci facesse in quella vallata perché non ne ho idea. Credo sia semplicemente masochista.»

 

«Una… scienziata?»

 

«Già, e se la cava anche piuttosto bene, a quanto pare. Ha quasi rischiato di mandare all’aria i miei piani. Per fortuna che nessuno ha colto il collegamento tra me e gli extraterrestri

 

Vegeta ne aveva abbastanza, e Kakaroth glielo lesse in faccia senza problemi.

Anche se il principe non era mai stato un tipo molto paziente, in quel momento sembrava che i terrestri volessero mettere alla prova il lato peggiore del suo carattere.

Ci mancava solo la scienziata, accidenti!

Per quel che ne sapeva lui, quella pazza poteva pure aver teso ai saiyan qualche trappola.

 

Il principe si voltò di scatto e raggiunse in pochi secondi la porta d’ingresso del salone. Non diede spiegazioni a nessuno, ma ciò che aveva in mente di fare era abbastanza chiaro a tutti.

 

«Sta andando da Bulma, accidenti!» si lasciò sfuggire Chichi, ormai completamente priva di ogni barlume di raziocinio.

 

***

 

Il risveglio non era stato poi così male.

Bulma era rimasta accasciata sul letto per diversi minuti prima che il suo cervello si mettesse in modo e le facesse suonare in testa un campanello d’allarme.

Per la verità, appena aveva ripreso coscienza, nemmeno ricordava cosa le fosse successo. Poi, a poco a poco, qualche immagine riaffiorò e andò a colorare il nero che aveva nella memoria.

I malvagi, gli extraterrestri, Goku

Ah, quel dannato farabutto! Aveva imbrogliato tutti con la sua faccia da bravo ragazzo! Lei per prima, la geniale Bulma Brief, non si era resa conto del suo fottutissimo doppio gioco.

D’accordo, Goku aveva saputo mentire alla grande e, oltretutto, nemmeno gli altri guerrieri avevano sospettato nulla.

Tranne Yamcha, però.

In quel momento, l’idea di dover dare ragione una volta tanto al suo fidanzato non le piaceva per niente. Troppo orgogliosa e troppo saccente era Bulma per capire che avrebbe dovuto quanto meno tenere in considerazione i dubbi dal ragazzo. In fondo, Yamcha negli ultimi tempi si era mostrato tutt’altro che interessato a lei; per quale motivo, dunque, la scienziata avrebbe dovuto dargli ascolto?

Certo, recriminare a Yamcha le sue mancanze non l’avrebbe aiutata a divincolarsi da quella dannata situazione. Per la verità, nemmeno aveva avuto il coraggio di aprire gli occhi da quando aveva ripreso coscienza e, si diceva, probabilmente avrebbe aspettato ancora qualche minuto.

Sapeva, sentiva di essere su un letto. Sotto la sua testa c’era un morbido cuscino.

Che avesse solamente sognato? Per un attimo, Bulma credette davvero a questa possibilità, ma il raziocinio le aveva prontamente intimato di  non illudersi troppo.

Chissà che fine avevano fatto la principessa e suo padre!

Se non ricordava male, Goku la sera prima le aveva promesso che sarebbe andato a prenderla l’indomani mattina. Bene, ciò voleva dire che probabilmente Chichi era già passata a miglior vita, a meno che quella ragazzina gli servisse in qualche modo.

 

Il rumore di una porta spalancata con forza la fece sussultare e sbarrare gli occhi.

Per la prima volta, vide in che razza di posto era finita, sebbene non riuscisse a spiegarsi come ci fosse arrivata. Ma di certo non era la consapevolezza di trovarsi in una lussuosa camera da letto in stile retrò a farla sentire in trappola.

Qualcuno aveva varcato le soglie di quella stanza e quel qualcuno lei lo aveva intravisto qualche ora prima tra i malvagi giunti nella valle di Furipan.

 

«Chi diavolo sei?»

 

«Qui le domande le faccio io, scienziata

 

Sentirsi chiamare in quel modo non era mai stato piacevole per Bulma. Le sembrava che chi la appellasse così volesse in qualche modo prenderla in giro.

O metterla alla prova.

Tanto più che quello sconosciuto non avrebbe dovuto sapere chi lei fosse.

Chi glielo aveva detto?

Ah, certo. Ogni tanto tendeva a dimenticare che quell’imbecille dello stregone del toro aveva scelto come protettore di sua figlia nientemeno che un malvagio.

 

Bulma alzò la testa dal cuscino e si mise a sedere sul letto. Stranamente, sentiva un forte giramento di testa. Passare una nottata quasi completamente in bianco in attesa di vedere l’arrivo degli usurpatori non era stata un granché come idea.

Oltretutto, ora si trovava in una stanza che non conosceva con uno degli extraterresti.

Gli occhi della ragazza si posarono con evidente curiosità su quelli dello sconosciuto, nonostante sia l’istinto che il cervello le suggerissero con insistenza di non mostrarsi troppo interessata. Doveva ammetterlo: se mai avesse immaginato che in giro per l’universo ci fossero stati esseri tanto simili agli umani, probabilmente si sarebbe data da fare molto prima per avviare le sue ricerche. Magari, invece che imbattersi in quegli alieni, ne avrebbe trovati altri ugualmente somiglianti ai terrestri ma senza cattive intenzioni. 

Il destino, insomma, non era stato affatto buono con lei e con la principessa di Furipan: per quanto Bulma fosse convinta che i grandi e anziani guerrieri avrebbero dovuto prestare maggiore attenzione a chi si fosse presentato al torneo, era inutile negare che una simile somiglianza fisica avrebbe indotto chiunque in errore.

 

E davanti a lei non c’era niente di più spaventoso di un qualunque ragazzo di bell’aspetto.

Uno dei tanti, insomma; uno di quelli che si incontrano in giro per strada e fanno voltare tutte le adolescenti nel pieno della tempesta ormonale.

Eppure, gli occhi di quel dannato ragazzo incutevano terrore puro.

Bulma lo sapeva, aveva capito perfettamente che probabilmente anche il tizio che era entrato prepotentemente in quella stanza doveva essere un guerriero. Era persino possibile che l’intera razza cui apparteneva Son Goku fosse composta da combattenti forti e spietati.

Un brivido di consapevolezza attraversò in un attimo tutto il suo corpo: probabilmente era davvero nei guai e non era affatto sicura che la sua astuzia sarebbe bastata a cavarla d’impaccio.

 

«Visto che mi pare che tu abbia dormito abbastanza, alzati e seguimi. Non ho tempo da perdere, quindi vedi di obbedire senza fare troppe storie.»

 

Il ragazzo si era voltato di spalle nel momento in cui aveva pronunciato quelle parole.

Evidentemente, non aveva nemmeno troppa voglia di scherzare.

Bulma non aveva idea di quale fosse il comportamento più idoneo da tenere in una situazione del genere, anche se di sicuro la ribellione non le sembrava una strada percorribile.

Tanto più che non aveva idea di quale fine avessero fatto Chichi, Giumaho, Muten e gli altri guerrieri.

Senza indugiare oltre, la donna si alzò dal letto e prese a seguire lo sconosciuto invasore.

Certo, doveva però sperare con tutta sé stessa che quella non fosse una trappola.

 

CONTINUA

 

Angolo dell’autrice

Ciao, miei cari! Anche questo capitolo è giunto a una conclusione. Lo ammetto: non è successo niente di che, ma avevo bisogno di creare un’appendice al capitolo precedente in modo da rendere ancora più evidente il tipo di approccio tra i saiyan e i (le) terrestri.

Pian piano dovrò far venire fuori le personalità dei nuovi arrivati e in parte gli incontri con le donne mi sono serviti anche a questo.

Piccola precisazione: anche se in molte storie si legge di saiyan veramente crudeli e spietati, un po’ per questioni di rating – non intendo sfociare nel rosso! – e un po’ per non rischiare l’OOC – in fondo, i saiyan di Akira Toriyama hanno dimostrato di poter provare dei sentimenti, principe compreso – ho deciso che concederò ai nostri adorati guerrieri alieni un po’ di umanità. Ciò non significa, ovviamente, che per le nostre eroine non ci sarà da sudare o che i saiyan riveleranno immediatamente la loro parte migliore – sarebbe un insulto a tutte le fantasie erotiche di ogni brava fanwriter – ma semplicemente che anche loro, come tutti gli altri personaggi – e le persone normali dotate di intelletto – entrando a contatto con una realtà diversa, saranno costretti in qualche modo a mettersi in discussione.

Ma non nell’immediato, ovviamente.

 

Bene, detto questo, ringrazio di nuovo e come sempre chi mi segue e mi tiene su il morale con delle belle recensioni.

Un bacione :***************

9dolina0

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Capitolo 7
*** Incontri al bacio ***


Capitolo VII – Incontri al bacio

 

 

Era passata ormai una settimana da quando i malvagi o, meglio, i saiyan avevano messo piede sulle terre di Furipan e da allora né Muten, né Condor avevano più avuto notizie di Yamcha, Tensinhan e Jaozi.

Tutto sommato, a dispetto delle peggiori previsioni, la vita era proceduta in maniera relativamente tranquilla. Certo, ai saiyan piaceva essere serviti e riveriti e ciò aveva comportato un aumento di lavoro per tutti i terrestri. Ma, in fondo, se ciò era sufficiente a tenerli buoni, un piccolo sacrificio si poteva anche fare.

Già; ma per quanto tempo ancora avrebbero pazientato in attesa che la principessa rivelasse loro il segreto per usare le sfere del drago?

Muten non era uno sciocco e aveva capito che il principe era tutto, fuorché uno sprovveduto. Certo, in quel momento si trovava praticamente in trappola, dato che non aveva alcun potere sulle prodigiose sfere, ma l’anziano maestro avrebbe scommesso qualunque cosa che quel dannato ragazzo avrebbe scoperto, prima o poi, il modo per farle funzionare.

Perché tenere Bulma con sé al castello, altrimenti?

In un momento di relativa tranquillità mentale, Muten si chiese, tra l’altro, come procedesse la convivenza nella vecchia dimora di Giumaho. Vegeta, Son Goku – o come si chiamava – il padre di quest’ultimo e un energumeno pelato di cui non ricordava il nome avevano deciso di stabilirsi proprio lì, senza però buttare fuori i vecchi proprietari. E il principe aveva preteso che anche Bulma restasse.

Era chiaro: quel giovane principe senza scrupoli doveva aver capito perfettamente quanto la signorina Brief fosse arguta. In fondo, in poco meno di mezz’ora, quella scienziata aveva riparato completamente le astronavi dei saiyan andate distrutte con l’impatto sul suolo terrestre, e lo aveva fatto ricostruendo alla perfezione materiali inesistenti sul pianeta Terra.

Qualunque sovrano con un minimo di raziocinio, per quanto spietato, si sarebbe tenuto stretto un simile gioiello della scienza.

 

Il sole stava ormai tramontando sull’ancora ridente villaggio di Furipan e Muten aveva quasi terminato di arare la parte di campo che gli era toccata. Quei dannati invasori mangiavano come dinosauri! Le provvigioni di cibo che gli abitanti di Furipan avevano messo da parte l’anno precedente non erano sufficienti a sfamare ventuno alieni dalle fattezze umane.

Be’, se non altro, i saiyan avevano preferito mettere i terrestri a lavorare la terra e ad allevare bestiame piuttosto che farli fuori.

Probabilmente, a quei disgraziati la Terra piaceva; perché altrimenti stabilirsi lì? D’accordo, c’era sempre la questione delle sfere del drago in sospeso, ma ciò non bastava a giustificare il modo in cui il principe dei saiyan aveva cura di non distruggere il pianeta.

Magari ne aveva colto le potenzialità ma, alla luce dei fatti, Muten non poteva essere certo che ciò fosse necessariamente un bene.

 

Anche quella sera, come tutte le altre, Crilin aveva terminato di lavorare prima di lui e, come sempre, aveva raggiunto il suo anziano maestro. Al giovane allievo di Muten era andata piuttosto male: i saiyan si erano accorti che la sua forza era decisamente sopra la media e, pur essendo comunque superiori a lui in quanto a prestanza fisica, avevano pensato di sfruttarlo come cavia per i marchingegni creati da Bulma.

Quella ragazza era un pozzo di idee senza fine ma, evidentemente, il principe non era convinto al cento per cento di potersi fidare di lei. La strategia di Vegeta, in fondo, aveva un senso: semmai le creazioni della scienziata si fossero volutamente rivelate fallaci o, peggio, letali, a farne le spese sarebbe stato Crilin.

Bulma, insomma, si era ritrovata in trappola.

 

Crilin quella sera pareva più stanco del solito. Muten sapeva qual era il problema: il principe era molto forte e Bulma progettava i suoi marchingegni a prova di Vegeta. Non doveva essere semplice per Crilin testarli, tanto più che il giovane saiyan si era messo in testa di fare esperimenti riguardanti il campo gravitazionale.

 

«Accidenti, ragazzo, sembra che tu sia appena stato investito da un tir!»

 

«Credo che sarebbe stato decisamente più piacevole, Muten. Ah, se continuo così, non arriverò al mio prossimo compleanno!»

 

«Non dire sciocchezze! Vedrai che in qualche modo riusciremo a risolvere la situazione. Per ora sembra che i saiyan se ne stiano relativamente buoni.»

 

«Già, per ora

 

La perplessità che lesse negli occhi del suo allievo non piacque molto a Muten.

Era evidente: il ragazzo, oltre a essere molto affaticato per il duro lavoro che i saiyan gli avevano imposto, doveva essere anche a conoscenza di vari dettagli, sconosciuti a chi non frequentava assiduamente la corte. Sebbene, infatti, Crilin non dormisse lì, era ovvio che con la mansione che doveva svolgere trascorresse nel castello parecchie ore ogni giorno.

 

«C’è qualcosa che ti preoccupa, ragazzo?»

 

Crilin sospirò, cercando di tagliare sul proprio volto un sorriso di circostanza.

 

«Niente che tu non sappia già, Muten. Anche se, a dire il vero, non capisco quali intenzioni abbia Gok… cioè, Kakaroth

 

«Che vuoi dire?»

 

«Ho scoperto per puro caso che ha mentito a Vegeta dicendogli di non sapere dove siano nascoste le sfere. Tra l’altro, credo che le abbia fatte sparire dalla loro stanza, dato che i saiyan hanno perlustrato ogni angolo del palazzo. Quello che mi chiedo è se Chichi sia complice di tutto ciò o se il finto protettore le abbia di fatto sottratte anche a lei.»

 

Muten si mise a riflettere per un po’, rimanendo imbambolato in mezzo al campo.

Solo l’arrivo di un saiyan lo ridestò dai suoi pensieri, costringendolo a interrompere anche il discorso con Crilin.

 

«Ehi, vecchio, vedi di non battere la fiacca! Non vedi che hai quasi terminato il tuo lavoro?  Datti una mossa se ci tieni alla pelle!»

 

Crilin abbassò lo sguardo e strinse i pugni: detestava sentire con quanta mancanza di rispetto quegli esaltati scimmioni si rivolgessero al suo maestro.

 

«Muten, ti do una mano io, così finiamo prima.»

 

«Cosa!? Ma tu sei già stanco per il tuo lavo…»

 

«Appunto, cosa vuoi che sia un po’ di terra da arare in confronto a una stanza dalla super gravità?»

 

Il ragazzo prese l’aratro e si mise all’opera come aveva promesso. Muten ebbe un moto di compassione: oltre ad essere il più forte tra tutti gli allievi che avesse mai avuto, era decisamente anche il più magnanimo.

 

***

 

«Così non va, Chichi. Ma è possibile che tu non riesca a fare di meglio? Hai una forza pari a quella di un moscerino!»

 

La principessa di Furipan stava tirando calci e pugni da circa tre ore, ma ancora, come ogni fottuto giorno, non era riuscita nemmeno a colpirlo. Più passava il tempo e più si chiedeva come accidenti fosse venuto in mente a Gok… a Kakaroth di impartirle lezioni di arti marziali.

Non ne aveva bisogno, oltretutto: per essere una terrestre lei era già spaventosamente forte; ma quel maledetto saiyan sembrava proprio non volersi accontentare.

Era come se si fosse messo in testa di tirarle fuori qualche potere nascosto.

La cosa, inizialmente, le aveva anche fatto comodo considerando che quello poteva essere l’unico modo per tenere salva la pelle più a lungo; peccato che lei non avesse uno straccio di potere nascosto.

Per quanto ancora sarebbe andata avanti quella farsa?

Tra l’altro, Chichi aveva il forte sospetto che il suo protettore volesse in qualche modo spodestare Vegeta. Gli aveva mentito sulle sfere del drago e aveva permesso a lei di restituirle al Supremo. Insomma, non era un atto molto leale nei confronti del proprio principe.

 

Un pugno dalla potenza fuori dal normale la colpì in pieno viso scaraventandola contro le pareti della vecchia palestra del palazzo, ormai di uso esclusivo di Kakaroth.

 

«Ma si può sapere che diavolo combini? Se continui così finirai col farti ammazzare!» urlò il saiyan sputando a terra.

 

La ragazza si asciugò con la manica della sua tunica un rivolo di sangue che le scendeva dal labbro superiore.

Era tutto inutile: per quanto potesse sforzarsi, Chichi non sarebbe mai riuscita a competere con un mostro del genere.

 

«Non fare la preziosa e rimettiti in piedi! Non era poi così forte quel pugno.»

 

Chichi, per l’ennesima volta da quando aveva cominciato gli allenamenti quotidiani, fece forza sui gomiti e si rialzò. Sentiva che non avrebbe retto ancora per molto e sapeva che prima o poi quel bastardo l’avrebbe uccisa se non avesse iniziato a regolare la sua forza.

Più passava il tempo e più si chiedeva cosa diamine si aspettasse da lei.

Certo, però, mettere a nudo le proprie debolezze in quel momento sarebbe stata una pessima mossa. Lei era la principessa di Furipan e aveva sulle spalle la responsabilità di un regno. In un modo o nell’altro avrebbe dovuto trovare a tutti i costi la forza di sopravvivere.

 

La ragazza non fece in tempo ad alzare lo sguardo che si ritrovò Kakaroth vicino.

Molto vicino.

Un’altra delle abilità di quel saiyan che lei proprio non tollerava era la sua eccezionale velocità.

La guardava negli occhi con sguardo severo, in parte beffardo. Davvero, la principessa non sapeva se si stesse arrabbiando sul serio o volesse prenderla in giro.

 

«Continuiamo l’allenamento!» cercò di urlare la ragazza; ma ciò che uscì fuori dalla sua bocca fu poco più di un sussurro.

 

L’ennesimo, patetico tentativo di tirare un pugno a Kakaroth si concluse con un buco nell’acqua; stavolta, però, il guerriero aveva preferito parare il colpo piuttosto che schivarlo.

La mano di Chichi era ancora chiusa dentro quella del suo protettore/aguzzino e, nonostante gli sforzi, la giovane principessa non riusciva proprio a liberarsi dalla presa.

E quel maledetto continuava a sorriderle sfacciatamente, burlandosi della sua patetica debolezza.

 

«Fossi in te chiuderei la bocca e risparmierei il poco fiato che hai ancora in corpo.»

 

La ragazza respirava affannosamente.

Era vero: ormai non aveva quasi più la forza nemmeno per parlare. Inutile mentire a sé stessa: Kakaroth voleva ucciderla a poco a poco, umiliandola e ferendo sia il suo corpo che il suo orgoglio. E lei presto avrebbe ceduto, nonostante il suo ego le intimasse di non mostrare alcun segno di sofferenza al suo aguzzino.

Ma sarebbe stato da stupidi credere che lui non lo avesse capito da solo.

La sua debolezza iniziava a farle pena.

Quel dannato saiyan l’aveva costretta a fare i conti con sé stessa e a mettere in discussione la persona che era.

O che credeva di essere.

Dov’era finita la Chichi spavalda che si prendeva gioco di Yamcha e degli altri guerrieri terrestri? Anche questi ultimi, in fondo, erano più forti di lei, ma la principessa non si era mai fatta spaventare dall’abisso che c’era tra loro per quanto riguardava la forza fisica.

In altri ambiti, lei stravinceva alla grande.

Si era sempre ritenuta una ragazza intelligente, coraggiosa, responsabile e pronta a tutto. Era cresciuta con la consapevolezza che essere la custode delle sfere del drago le avrebbe portato un sacco di guai. Eppure, nonostante tutto, non le era mai passato per la mente di darsela a gambe. Avrebbe potuto farlo, in fondo. Dove sarebbero andati a cercarla i malvagi se lei avesse abbandonato Furipan quando la perla aveva cominciato a tingersi? Probabilmente, l’avrebbe fatta franca.

Al prezzo, però, di non salvare il suo regno.

Poteva abbandonare i suoi sudditi in mano a un finto protettore e un gruppo di alieni spietati?

Probabilmente, ragionandoci bene, il suo problema era proprio quello: lei desiderava ardentemente morire con il suo popolo. Perché, in fondo, aveva mai davvero creduto che da sola avrebbe potuto battere i malvagi? Nel profondo del suo cuore sapeva che anche un eventuale protettore fedele avrebbe potuto fare poco e nulla.

 

Le gambe le cedettero all’improvviso, facendola accasciare al suolo.

Kakaroth aveva accompagnato la sua caduta tenendo ancora stretta la sua mano nel pugno.

Era in ginocchio davanti a lei, che ormai a fatica riusciva a tenere alta la testa per guardarlo dritto negli occhi.

Quei maledetti occhi.

Non era alla sua altezza e non lo sarebbe mai stata, e la consapevolezza di non riuscire a detestare quel traditore come avrebbe dovuto la faceva sentire ancora più in difetto.

Con sé stessa, prima di tutto; poi col suo popolo.

Perché, certo, era facile professarsi vittima di uno sporco usurpatore e suscitare così la pietà della povera gente, costretta a subire la schiavitù dagli invasori; ma sapere comunque, in cuor suo, che lei avrebbe voluto essere qualcosa di più per Kakaroth che non una patetica prigioniera la faceva sentire terribilmente in colpa.

E il modo in cui quel maledetto le sorrideva in quel momento le faceva capire che lui se n’era accorto.

 

«Basta così» sussurrò appena il ragazzo, mollando la presa. «Non è nel mio interesse mandarti all’altro mondo, e questo lo sai bene anche tu.»

 

Chichi annuì con un cenno della testa, ma la furia che c’era in lei avrebbe voluto esplodere.

Era riuscita a suscitare pietà persino in un essere malvagio per natura; quanto poco valeva, dunque?

 

«Probabilmente, questo modo di allenarti non fa per te. Pazienza, vorrà dire che studierò un altro sistema per far venir fuori tutta la potenza che nascondi.»

 

«Goku…»

 

«Ti ho detto mille volte che non devi chiamarmi con quel nome.»

 

«Già, è vero. Ogni tanto tendo a dimenticare quanto tu sia ostile al finto bravo ragazzo che hai impersonato venendo a Furipan. Ti fa così tanto schifo il fatto che un terrestre ti abbia dato un nome, quando eri solo un bambino?»

 

Chichi ricevette il secondo, forte pugno di quella lunga giornata di allenamento.

 

«Se ti impegnassi nella lotta almeno quanto ti impegni nello sparare spropositi mi avresti già messo al tappeto da un pezzo.»

 

Goku prese tra le mani il volto di Chichi,

La vedeva bene in faccia, quella ragazzina sfrontata. Era arrabbiata, probabilmente anche delusa. Ma di certo questo vortice di sensazioni non dipendeva da lui.

Non completamente, per lo meno.

Durante quell’ultima settimana che aveva trascorso a palazzo nei panni, finalmente, di Kakaroth, nulla gli era sfuggito di tutto ciò che celavano le smorfie della principessa. Aveva capito quanto quest’ultima fosse testarda: incredibilmente cocciuta per quanto riguardava il suo ruolo sociale, affidabile, caparbia, un vero punto di riferimento per ogni suddito; ma quando si trattava di lui sembrava proprio che Chichi perdesse completamente la testa.

Con Napa non si comportava di certo così, nonostante fosse anch’egli un saiyan e nonostante l’enorme mole di quel saiyan d’élite lo rendesse particolarmente spaventoso.

E il fatto che una terrestre si fosse innamorata di lui non gli piaceva per niente. Come accidenti aveva fatto a suscitare in lei un simile sentimento? D’accordo, all’inizio aveva finto, e anche bene, di essere una persona diversa. Ma ormai era passata una settimana da quando aveva rivelato a tutti la proprio identità. A lui, per iniziare a odiare una persona, di solito bastava molto meno.

Che con lei fosse stato troppo buono? Forse. Anzi, riflettendoci bene, la risposta era senz’altro .

Ma lui l’aveva fatto per le sfere del drago, solo ed esclusivamente per le sfere del drago.

E allora perché, si chiedeva, vederla affranta in quel modo lo faceva arrabbiare?

Quel maledetto modo di ragionare alla maniera dei terrestri lo aveva influenzato troppo.

 

«Smettila di fissarmi. Che c’è? Ti piace davvero così tanto vedermi in queste condizioni?»

 

Goku non rispose immediatamente.

No.

Prima aveva bisogno di capire quanta amarezza si nascondesse dietro a quelle parole.

Era chiaro che a lei non piaceva affatto farsi vedere così. Lo si leggeva nei suoi occhi, che, nonostante non avessero ancora versato una lacrima – troppa era la dignità che si celava dietro a quella fragile e giovane donna – sprizzavano rancore da tutti i pori.

Rancore verso sé stessa e verso la sua stupida debolezza.

 

«Se è questo che vuoi, la smetterò di fissarti» disse a mezza bocca avvicinandosi a pochi millimetri dal suo viso.

 

Fu lei, a quel punto, a guardarlo, e a rendersi conto di quanto i loro volti fossero vicini.

Goku non aveva mai azzardato tanto. Si era divertito a provocarla fin dal primo giorno in cui si erano conosciuti, ma nel concreto non le si era mai avvicinato a tal punto se non per picchiarla.

Quasi la ragazza non si rese conto che Kakaroth la stava baciando.

Inizialmente fu un bacio leggero, appena strappato alle labbra inesperte di una principessa poco avvezza all’amore. Ma il saiyan che stava dilettando la sua bocca non era esattamente il tipo di persona che potesse definirsi dolce. Era crudele, infame e, come sempre ci si aspetta da uomini del genere, terribilmente passionale.

 

Lo shock di Chichi non fu forte a sufficienza da impedirle di ricambiare quel bacio, ormai tutt’altro che casto.

La principessa non aveva mai provato nulla del genere e l’emozione di scoprirsi finalmente donna aveva superato il dolore fisico dei pugni ricevuti.

Perché, sì… a dispetto di ciò che il cervello le implorava di fare, ogni fibra del suo corpo reagiva a quel bacio tremando di passione. Le sue labbra si erano ormai perfettamente amalgamate a quelle del saiyan, la sua lingua abbracciava con scarso pudore quella di Goku e le sue mani tremavano immobili al tocco ben poco pudico del ragazzo che, incurante della scarsa esperienza della giovane donna che stava aggiogando, scivolava con le dite sul seno della principessa.

Non era solo un vortice di sensazioni nuove ad aver catturato completamente Chichi: pensieri mai concepiti prima si stavano facendo largo tra i brividi di piacere accesi dal saiyan, costringendo in parte la principessa a spegnere il fuoco di emozioni che la stava divorando.

Perché, cavolo, va bene che lei non aveva la forza fisica per opporsi a quel bacio; ma, sfortunatamente, nemmeno lo voleva. Fino a pochi secondi prima credeva che la sua forza di volontà fosse decisamente più spiccata.

A cosa era servito chiedersi dove fosse finita la vecchia Chichi se quella nuova non provava disgusto per un bacio strappatole da un poco di buono?

La cosa peggiore era che nel preciso istante in cui assaporava le labbra del saiyan, la giovane principessa non era poi più tanto convinta che la vecchia Chichi fosse migliore di quella nuova.

Cosa ci aveva guadagnato a non cedere mai alla corte di un ragazzo, se non l’incapacità di fronteggiare a dovere il bacio di Goku? Aveva davvero desiderato di finire tra le braccia di un assassino trovandosi a perdere completamente la teta per lui? Perché, se forse in passato avesse già conosciuto l’amore, forse le audaci mani del saiyan che le stavano ormai sfiorando il ventre non l’avrebbero messa completamente in crisi.

 

Nell’unico attimo di lucidità che la principessa riuscì a concedersi, fece forza con le mani sul petto di Kakaroth nel tentativo di allontanarlo.

Era chiaro che in realtà non avesse la forza per farlo, ma il saiyan decise comunque di assecondare quel gesto e di sciogliere il bacio che lo stava unendo alla sua protetta.

Protetta. Come gli era saltato in mente di pensare di nuovo a lei in quei termini?

E perché diavolo l’aveva baciata?

 

Il ragazzo arretrò di qualche centimetro da lei e poi si alzò in piedi, dandole infine le spalle.

 

«Per stavolta è andata così. Ma se domani non riuscirai a colpirmi almeno una volta, giuro che ti ammazzo. E non sto scherzando.»

 

Chichi restò immobile a fissare il pavimento.

Non aveva il coraggio di alzare lo sguardo verso l’unico ragazzo che l’avesse mai avvinta in quel modo. Tanto più che il suo scopo era soltanto quello di fotterle in qualche modo le sfere del drago.

Sapeva che mentre le diceva quelle parole, lui non la stava guardando. Ma lei, evidentemente, era tutt’altro che forte e spavalda come aveva sempre pensato di essere.

 

Il rumore sordo della porta della palestra che Kakaroth si era chiuso alle spalle non era bastato a permetterle di alzare lo sguardo.

Aveva fallito. Aveva fallito alla grande.

E provando piacere per mano di quel folle assassino, aveva anche tradito il suo popolo.

 

***

 

La voce di Giumaho, soffocata a stento in un esile bisbiglio, aveva di nuovo attirato le attenzioni di Mamanu.

Ormai erano giorni che lo stregone del toro tentava di mettersi in contatto con la veggente Baba, ma sembrava proprio che quest’ultima fosse sparita nel nulla.

O, meglio, avesse deciso di non farsi trovare.

Mamanu non era affatto certa che chiudersi in quella stanza a invocare il suo spirito avrebbe aiutato suo marito a scovare la megera; eppure non si era sognata nemmeno per un istante di smuoverlo dalle sue convinzioni. Giumaho si era messo in testa che solo lei avrebbe potuto indicargli la via della salvezza del regno e, nonostante Baba fosse stata chiara in passato nel dire che non si sarebbe fatta trovare se non dopo il ritorno della pace, lo stregone del toro non perdeva occasione di chiudersi nella sua stanza a intonare canti di invocazione.

 

Quella sera, però, aveva lasciato la porta aperta.

Mamanu non aveva voglia di entrare. Si limitò semplicemente a guardarlo, accucciata allo stipite, e a osservare la sua inutile perseveranza. Suo marito si stava logorando per salvare il regno di sua figlia. L’enorme dolore provocatogli dalla scoperta della vera identità di Goku non era infatti bastato a distoglierlo dal proposito di aiutare Chichi.

Già, Chichi.

Mentre Mamanu osservava di soppiatto il marito, non riuscì a non rivolgere un pensiero a quella ragazzina tanto audace quanto sfrontata che ora, improvvisamente, si era trovata faccia a faccia con un nemico molto più grande di lei.

E la giovane moglie di Giumaho non era nemmeno convinta che fosse la sola.

 

Sospirando, Mamanu si allontanò da quella porta e riprese la via del corridoio verso la sua meta iniziale.

In quel momento pensava a Chichi e le faceva una gran pena. La bella principessa di Furipan non poteva nemmeno lontanamente immaginare quanto lei e l’odiata moglie di suo padre fossero simili.

E, soprattutto, fossero incappate nel medesimo guaio.

In fondo, Mamanu non era affatto una stupida e aveva capito perfettamente che Chichi aveva perso la testa per Kakaroth. Peccato che il suo dannato orgoglio le impedisse di affrontare la realtà come avrebbe dovuto.

Per lei, invece, non era affatto una questione di orgoglio.

Lei era sposata, accidenti! E, oltretutto, non con un uomo qualunque.

Se avesse avuto la possibilità di concedersi una chance senza il peso di un matrimonio sulle spalle, lei lo avrebbe seguito in capo al mondo, fregandosene di chi fosse veramente e dello scopo per il quale era giunto fin lì.

In fondo, gli eventi portano le persone a cambiare, e sebbene non fosse totalmente certa di essere un evento abbastanza significativo per lui, Mamanu sapeva che vivere nel dubbio non avrebbe mai portato ad alcuna certezza.

 

La stanza era buia, come sempre, ma la flebile luce della luna piena le permetteva comunque di scorgere la sua elegante sagoma in piedi davanti alla finestra.

 

«Ti stavo aspettando. Oggi hai tardato più del solito… Meriteresti una bella punizione.»

 

Un sorriso compiaciuto si delineò sul volto di Mamanu.

Il saiyan non aspettò che fosse lei a raggiungerlo. Si avvicinò alla donna e chiuse la porta dietro di lei per poi avvincerla in un lungo bacio.

Bardack era per lei quel tutto che aveva sempre desiderato ma che non aveva mai avuto il coraggio di reclamare. Sentire le sue braccia stringerla in un abbraccio e provare l’ebbrezza del proprio respiro soffocato da un bacio passionale era quanto di più gratificante la donna avesse mai provato.

E lo aveva scelto.

Nessuno l’aveva obbligata a cedere a Bardack, nessuno l’aveva obbligata a tradire quell’uomo che il padre le aveva fatto sposare. Ma, per la prima volta in vita sua, nonostante fosse consapevole della grave colpa in cui era caduta, Mamanu sentiva davvero di essere felice.

 

CONTINUA

 

Angolo dell’autrice

Ciao a tutti! Eccomi di nuovo qui con un altro capitolo e con altri colpi di scena. Be’, forse tutto ciò che è accaduto qui era in realtà nell’aria, anche se la rapidità con cui ho deciso di dare una svolta agli eventi ha sorpreso persino me (lo ammetto: non è nel mio stile).

Dunque, qualche precisazione tecnica è d’obbligo.

Come avrete notato, in questo capitolo, più che nei precedenti, ho usato indistintamente sia il nome Goku che Kakaroth. La mia è una scelta voluta: ciò che mi preme, infatti, è far notare come il saiyan stia entrando in crisi, come cioè il Kakaroth che c’è in lui senta sempre più addosso il peso opprimente di quel Goku di cui vorrebbe liberarsi. Insomma, in alcune scene sta diventando difficile segnare un confine netto tra Goku e Kakaroth, per cui anche la scelta dei nomi da parte mia “risente” della crisi d’identità del ragazzo.

Per quanto riguarda Mamanu e Bardack, mi rendo conto di non aver approfondito a sufficienza ciò che sta succedendo tra loro, mettendovi di fronte al fatto compiuto. Chiaramente, nei prossimi capitoli avrò modo di spiegare cosa passi loro per la testa.

Non ho altre annotazioni tecniche da fare e credo che il capitolo, per quanto riguarda la trama in generale, parli da sé.

Ringrazio nuovamente tutti coloro che trovano il tempo di leggere la mia storia e, magari, anche di lasciare un commento.

Grazie di cuore,

9dolina0

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Capitolo 8
*** Incontri notturni ***


Capitolo VIII – Incontri notturni

 

Tra tutte le cose che il principe le aveva chiesto di fare, quella era senza dubbio la meno sensata.

Perché, d’accordo, ci poteva stare che le ordinasse di riparare astronavi, costruire stanze gravitazionali e progettare marchingegni per i suoi assurdi allenamenti; ma che pretendesse addirittura che fosse lei a lavare i piatti e a pulire la cucina dopo che i pochi saiyan residenti a corte avevano cenato, be’… era davvero troppo.

Tanto più che Giumaho, fino al giorno prima, aveva un esercito intero di domestici che provvedeva a tenere lindo e pulito il palazzo principesco.

Che ne era stato di quello stuolo infinito di uomini e donne tanto prodighi?

Bulma sbuffava, e intanto strofinava con vigore la stoviglia che le capitava in mano.

Pensandoci bene, quel lavoro tanto insulso aveva un piccolo pregio: le concedeva un attimo di solitudine e di silenzio.

Da quando, infatti, Vegeta aveva deciso che lei sarebbe stata la sua scienziata personale, si era ritrovata a contatto col principe quasi ogni minuto della sua giornata. Quel dannato saiyan non la lasciava in pace un attimo: pretendeva da lei l’impossibile e le stava alle calcagna come un marito geloso della propria donna.

 

A proposito di mariti, da quanto tempo Giumaho non si faceva vedere in giro per il palazzo?

Bulma era quasi certa che Mamanu continuasse, nonostante la sparizione del consorte, a occuparsi delle proprie faccende e a rabbonire il popolo di Furipan.

Doveva ammetterlo: senza l’aiuto di quella donna, i sudditi di Chichi avrebbero già tentato una rivolta da un pezzo. Ovviamente, ci avrebbero rimesso la pelle.

La scienziata non aveva ancora capito quale tipo di sentimento legasse Mamanu a Chichi; sapeva dell’astio della ragazza nei confronti della matrigna, ma quest’ultima era sempre stata molto brava a non svelare le proprie opinioni.

Che le volesse bene davvero? Oppure il suo era solo un tentativo per tenersi buona la principessina e, all’occorrenza, sottrarle poi il regno?

Per quanto Bulma non avesse in simpatia Chichi, doveva però ammettere che difficilmente Mamanu sarebbe stata all’altezza del compito che il Supremo aveva affidato alla giovane figlia di Giumaho. D’accordo: Mamanu era molto più elegante ed educata di Chichi, ma molto probabilmente non aveva la sua spiccata forza di volontà.

 

Il rumore di un sasso che batteva sul vetro della finestra distrasse Bulma dai suoi pensieri e dalle poco amate stoviglie. Non c’era alcun dubbio: qualcuno le stava chiedendo di aprire.

Da quando viveva a stretto contatto con i malvagi – o saiyan, che dir si voglia – la scienziata aveva imparato a rapportarsi in maniera diversa col rischio.

Era vero: poteva esserci chiunque al di là di quella finestra; ma quante possibilità c’erano che costui fosse peggiore del principe?

La ragazza non ci pensò su ulteriormente e andò ad aprire, trovandosi faccia a faccia col suo fidanzato.

 

«Oh, questa poi! Che c’è? Hai finito le scorte di cibo e non sai più dove andare a cercare la pappa?»

 

«Ma piantala, Bulma! Tu non perdi mai l’occasione di parlare a vuoto.»

 

«Che diavolo ci fai qui?»

 

«Non vuoi sapere dove fossi finito?»

 

«Sinceramente no.»

 

Bulma fece per richiudere la finestra, ma l’uomo la fermò in tempo e riuscì a entrare nella cucina.

Erano diversi giorni, in effetti, che Yamcha non si faceva vivo. Per quanto ne sapeva lui, potevano benissimo essere morti tutti quanti, nel frattempo.

Trovare Bulma sana e salva fu per lui un sollievo: se i malvagi avevano deciso di non eliminare gli esseri umani, forse c’era la possibilità di trattare.

E di fregarli.

Con sorpresa, Yamcha si accorse che la sua ragazza era intenta nelle faccende di casa.

Da quando la conosceva, mai gli era capitato di vederla pulire anche un solo piatto.

Come avevano fatto quei dannati mostri a convincerla a diventare una brava domestica?

Yamcha scoppiò a ridere di gusto, immaginando le imprecazioni che la sua donna doveva aver elargito mentalmente nei confronti di chi l’aveva messa a lavorare.

 

«Che diavolo hai da ridere, idiota?»

 

«Ah, datti una calmata! Il ruolo della donna alterata con i piatti da lavare non ti si addice per niente.»

 

Bulma afferrò il primo bicchiere che le capitò a tiro e glielo lanciò, mancando però il bersaglio.

 

«Niente da fare: sono ancora troppo agile per te. Dammi retta, metti da parte il nervosismo e ascoltami.»

 

La ragazza si tolse i guanti da cucina e si mise le mani ai fianchi, con fare decisamente poco amichevole.

 

«Che diavolo vuoi? Sei sparito per giorni e adesso vieni qui a burlarti di me? Sei un idiota.»

 

«L’idiota sei tu che non mi hai dato ascolto quando ti dicevo che quel Son Goku non mi piaceva affatto. O dovrei chiamarlo Kakaroth

 

«E dunque? Se sei venuto qui a farmi la paternale, puoi anche risparmiartela e tornare da dove sei venuto.»

 

«Però sul suo conto avevo ragione. Siete stati dei fottuti ingenui!»

 

«Forse, ma tu che te la sei data a gambe sei stato un fottuto traditore!»

 

A Yamcha non piacque affatto sentirsi apostrofare in quel modo.

Conosceva molto bene Bulma e sapeva che l’orgoglio era uno dei suoi difetti peggiori: per quanto ella stessa sapesse di avere torto marcio, mai e poi mai gli avrebbe dato la soddisfazione di riconoscerlo.

Era fatta così, e lui da diversi anni ormai aveva perso ogni speranza di cambiarla.

 

Ma quella vicenda del protettore gli bruciava dentro come non mai.

Aveva dimostrato a Bulma e a Crilin di aver sempre avuto ragione e che tutti i suoi sospetti erano terribilmente fondati.

E, nonostante tutto, la sua donna non aveva nemmeno contemplato l’idea di chiedergli scusa.

Addirittura, sembrava quasi che non si fosse minimamente preoccupata per lui nel corso di quei giorni. Possibile che non avesse mai pensato a quale fine potesse aver fatto? Per quanto ne sapeva lei, poteva benissimo darsi che gli invasori lo avessero fatto fuori.

La cosa assurda e, in un certo senso, preoccupante, era che Bulma stava bene.

A parte la rabbia per le stoviglie da lavare, infatti, la sua donna sembrava non avere addosso alcun segno di stanchezza, sofferenza fisica o sofferenza psicologica. Che ne era stato, poi, dei saiyan? Da quando li aveva visti atterrare, di loro non aveva avuto più notizie, se non le poche che era riuscito a rubare a qualche boscaiolo che si inoltrava nella foresta di Furipan per ordine degli invasori.

E quel poco che sapeva era che il principe si era stabilito definitivamente a palazzo.

In effetti, poteva anche starci.

Ma che diavolo ci faceva, allora, Bulma lì dentro?

Solo in quel momento si rese conto che la presenza della ragazza nel castello era tutt’altro che normale, come tutt’altro che normale era il fatto che non sembrasse particolarmente provata da quella strana situazione. Che il principe l’avesse ingaggiata per lavare i piatti e poi la lasciasse tornare nella sua camera d’albergo gli sembrava piuttosto improbabile.

Ma, allora, perché si trovava lì? E dove erano finiti Giumaho, Chichi e Mamanu?

In quel momento, l’uomo ebbe un’illuminazione: il geniale, dannatissimo, fottutissimo cervello di Bulma. Tutto iniziava ad avere senso: il sovrano dei saiyan l’aveva tenuta con sé a causa delle sue incredibili doti intellettive.

Con sé.

Erano soli?

Possibile che quel pazzoide avesse sfrattato i legittimi proprietari dell’edificio?

 

«Come mai ti trovi qui, Bulma? E dove sono Giumaho e Chichi

 

«Oh, ora vuoi riprendere il ruolo del fidanzato preoccupato? Be’, non serve. Come vedi me la sono cavata alla grande anche senza di te. Non sprecare il fiato e tornatene da dove sei venuto, tanto sono certa che avrei più possibilità io di te di eliminare i saiyan

 

«Non mi hai risposto.»

 

«Non credo che ti interessi sul serio saperlo.»

 

«Perché una volta tanto non metti da parte il tuo pessimo carattere e non cerchi di collaborare? Credi forse che in questi giorni io sia stato a perdere tempo?»

 

«Non mi interessa cosa accidenti hai fatto in questi ultimi giorni! A me interessa sapere dove non sei stato: cioè, qui. Ora torni, come se niente fosse, e mi fai pure il terzo grado. Se proprio ci tieni a saperlo, siamo tutti sani e salvi, Giumaho è nella sua stanza e Chichi si sta allenando con Gok… Kakaroth. Ora, te lo dico per l’ultima volta, sparisci, o rischi di mettermi seriamente nei guai.»

 

La risposta di Yamcha tardò ad arrivare.

Nella sua testa, si era creato mille film su come sarebbero potute andare le cose, ma di sicuro non aveva messo in conto tutto quell’astio da parte di Bulma.

Non credeva nemmeno di trovarla tutta intera, a dirla tutta.

Eppure, tutto gli si poteva rinfacciare, tranne che fosse lui il responsabile di quella situazione.

Se gli avessero dato ascolto a suo tempo, probabilmente le cose sarebbero andate diversamente. E tra le persone che non avevano prestato attenzione ai suoi sospetti c’era anche Bulma. Con quale coraggio si permetteva di aggredirlo in quel modo?

Yamcha era sempre stato invaghito di lei; forse, in alcuni momenti della sua vita, l’aveva persino amata davvero. Ma quella che aveva di fronte in quel momento non era certo la donna che gli aveva fatto perdere la testa. Che ne era stato della scienziata impulsiva ma fottutamente brillante che non sbagliava nemmeno un calcolo? Dove era andata a finire la donna dall’intuito sopraffino in grado di smascherare ogni tresca? Bulma si era fatta raggirare da un impostore, uno che, per giunta, mirava a impossessarsi delle sfere del drago.

A proposito delle sfere, cosa diavolo stava facendo Chichi?!

Aveva capito male oppure si stava allenando con Kakaroth?

Dire che aveva fatto male i conti era poco. Conosceva bene la principessa – o, almeno, così credeva – e mai si sarebbe aspettato che decidesse di allenarsi con uno dei malvagi.

Per quale motivo, poi? Che diavolo aveva in mente di fare quella ragazzina?

 

Yamcha storse la bocca e digrignò i denti.

 

«Vorrà dire che risolverò la questione senza il vostro aiuto. Pazienza, Bulma. Poteva essere una buona occasione per contribuire alla salvezza del pianeta.»

 

L’uomo non attese la risposta della compagna e uscì dalla finestra in pochi attimi.

Bulma, nel frattempo, aveva perso completamente la voglia di continuare a fare le pulizie.

 

«Al diavolo Yamcha e la sua patetica vigliaccher…» cominciò a urlare la donna; ma l’elegante figura del principe dei saiyan materializzatasi in quel momento davanti a lei la fece desistere dal continuare.

Quel saiyan si era sicuramente accorto della presenza di Yamcha, e per lui adesso erano guai seri.

 

***

 

Bardack e Mamanu erano stesi l’uno al fianco dell’altra, nudi, sul comodo letto di cui il guerriero si era appropriato da quando aveva messo piede al castello. Il volto della donna era leggermente inclinato verso l’incavo delle spalle dell’uomo e la loro vicinanza era tale da permettere il mescolarsi dei loro respiri.

Nessuno dei due stava realmente dormendo.

Riuscire ad abbracciare il sonno dopo aver consumato la passione in quel modo non sarebbe stato possibile per entrambi.

O, almeno, questo era ciò che pensava Mamanu.

La moglie di Giumaho non poteva davvero sapere cosa passasse per la testa del saiyan con cui aveva appena fatto l’amore. Di lui non sapeva nulla, se non che era il padre di Kakaroth e che era stato promosso a generale dal principe in persona prima che partissero dal loro pianeta per giungere sulla Terra.

Per conquistarla, oltretutto.

Eppure, pareva proprio che fino a quel momento i saiyan non avessero conquistato altro che i cuori di tante donne terrestri. Nonostante i brividi di piacere che ancora correvano lungo la pelle nuda, Mamanu  aveva ancora una lucidità tale da poter riflettere su ciò che stava accadendo.

Che Chichi si fosse infatuata di Goku se ne era accorta ancor prima che costui rivelasse la propria identità; ma, a suo avviso, tale scioccante scoperta aveva tutt’altro che spento i sentimenti della ragazza. Chichi, volente o nolente, era per lei un libro aperto. Sebbene tra loro il rapporto non fosse mai stato amichevole, Mamanu aveva imparato comunque a conoscerla a fondo, approfittando dei pochi momenti di cordialità che la figlia di Giumaho le riservava.

Pochi, certo, ma ce n’erano stati; e per quel che la riguardava, erano più che sufficienti per tracciare un profilo della bella principessa.

Mamanu aveva qualche anno più di lei e uno spirito d’osservazione maggiore.

Non poteva essersi sbagliata.

Sapeva che Chichi era tutt’altro che insensibile al fascino di Kakaroth.

Già, poteva anche essere giustificata una cosa del genere.

In fondo, lui era un magnifico ragazzo e lei un’altrettanto splendida fanciulla, testarda, sì, ma non indifferente alle pulsioni del corpo.

 

Ma lei?

Cosa avrebbe dovuto pensare di sé stessa l’ancora bella e piacente Mamanu?

I bollori dovuti al focoso rapporto sessuale appena consumato si stavano ormai spegnendo e, puntuali, stavano sopraggiungendo i sensi di colpa.

Perché, d’accordo che non era stata lei a decidere di sposarsi e di accollarsi un impegno forse troppo grande per le sue possibilità; ma era pur vero che nessun uomo sulla Terra l’aveva mai trattata con tanto rispetto come aveva fatto Giumaho.

Nemmeno Bardack.

Quel saiyan non si era lasciato andare a troppi complimenti e a troppe smancerie.

La voleva, e gliel’ha detto chiaro e tondo.

Che poi lei non avesse opposto la minima resistenza era un altro conto.

Col senno di poi, lui avrebbe potuto farle qualsiasi cosa se lei avesse rifiutato quella sorta di avance. E, probabilmente, nemmeno la amava.

Poteva esserci spazio per l’amore nella cultura di un popolo dedito alla guerra e alle conquiste? Probabilmente no. E Mamanu non era mai stata tipa da credere alle favole.

 

Lasciando sulla pelle di Bardack un ultimo respiro, la donna si sollevò pian piano dal letto e prese a rivestirsi.

Il saiyan la osservava senza battere ciglio.

Le sue iniziali aspettative rispetto a quel dannato pianeta che suo figlio avrebbe dovuto conquistare da solo si erano rivelate al quanto riduttive. Egli non aveva messo in conto la ricchezza minerale di quel pianeta, né la varietà dei climi, né tantomeno la presenza di creature intelligenti tanto simili ai saiyan. Di umanoidi, in giro per l’universo, ne aveva scovati fin troppi, spesso approfittando impunemente delle donne che quegli astri potevano offrire.

Ma, di sicuro, mai gli era capitato di imbattersi in una popolazione che non aveva alcuna differenza fisica con i saiyan, se non l’assenza della coda.

Coda che, oltretutto, erano riusciti a mascherare egregiamente a quasi tutti gli esseri umani.

 

La vera disgrazia, in tutto ciò, era l’essere incappato in Mamanu.

A lui non importava niente di lei – o, perlomeno, questo era ciò che pretendeva da sé stesso – ma quella donna lo aveva in qualche modo stregato.  Certo, sicuramente ciò dipendeva dal fatto che era passato molto tempo da quando si era concesso il lusso di possedere una femmina; ma ciò non giustificava affatto il desiderio malsano che provava nei suoi confronti.

Se avesse continuato in quel modo, presto avrebbe finito per considerarla sua, e ciò avrebbe rischiato di compromettere i piani di conquista del pianeta.

Perché, d’accordo che lui era uno dei guerrieri saiyan più potenti del pianeta Vegeta – probabilmente, il secondo dopo il principe, se suo figlio, nel frattempo, non aveva superato il suo livello – ma questo non gli garantiva comunque un qualche potere decisionale sugli schiavi.

Quello ce l’aveva soltanto Vegeta e, allo stato attuale, Bardack non aveva ancora capito cosa diavolo avesse intenzione di fare.

Se si fosse affezionato davvero a quella donna, avrebbe mai potuto permettere che il principe ordinasse lo sterminio di tutta la popolazione umana e, dunque, anche la sua uccisione?

In fondo, era vero che nel corso della sua vita si era macchiato di crimini atroci nei confronti di creature innocenti; tuttavia, quando si era trattato di difendere coi pugni e coi denti qualcuno a cui teneva, che fosse un suo commilitone o la sua ex compagna, Bardack aveva lottato.

 

Mamanu, nel frattempo, aveva già lasciato la stanza, nel totale silenzio di una notte ormai inoltrata.

Il corridoio che l’avrebbe riportata nella stanza in cui Giumaho stava ancora pregando le sembrava stranamente più lungo del solito.

 

***

 

«Te l’ho già detto e te lo ripeterò all’infinito: io non stavo complottando un bel niente contro di te!»

 

Bulma aveva paura e il tono alterato della sua voce lasciava trasparire senza alcuna mitigazione il suo stato emotivo.

Vegeta aveva visto Yamcha con lei e li aveva sentiti parlare ma, ritenendo Bulma più astuta di una volpe, non credeva affatto che le parole rivolte a quel terrestre fossero sincere.

No.

Quella dannata donna lo aveva sempre sorpreso, da quando egli aveva messo piede nel castello di Furipan, e di lei aveva capito ben poco, se non che ci si poteva aspettare di tutto.

Tutto.

Persino che trattasse volutamente in malo modo uno sporco terrestre per non destare sospetti nel principe dei saiyan.

Più approfondiva la conoscenza della scienziata e meno riusciva a fidarsi di lei.

Troppo intelligente e troppo astuta per essere degna della sua totale fiducia.

La presenza di quell’uomo nella sua cucina lo aveva mandato oltremodo su tutte le furie, in parte perché la sorveglianza messa a guardia del castello aveva miseramente fallito, in parte perché quella stupida donna gli aveva aperto la finestra. I suoi ordini erano sempre stati chiari: guai a parlare con chiunque che non vivesse stabilmente al castello!

E, tra questi ultimi, della moglie di Giumaho nemmeno si fidava più di tanto.

 

Bulma non era una sprovveduta e sapeva perfettamente a quale reazione sarebbe andato incontro Vegeta se l’avesse sorpresa lì. Lei, a dire il vero, aveva la coscienza pulita, ma dimostrarlo a quel maledetto principe, ormai infuriato, era un’impresa tutt’altro che facile.

Vegeta era a pochi passi da lei, e lei era con le spalle al muro. Vie di fuga non ne aveva, né avrebbe potuto costruirsene una. Gli occhi del saiyan tralucevano rabbia e malvagità. Mai, prima di allora, aveva avuto davvero paura del principe. In fondo, non l’aveva trattata poi così male. Certo, l’aveva costretta a lavorare duramente e a sottoporre Crilin a esercizi estenuanti; ma, fondamentalmente, lei non aveva tratto altro che giovamento dalle assurde pretese di Vegeta.

Sì, perché alla fine era sempre riuscita a dimostrare a sé stessa e al saiyan che la sua intelligenza non aveva limiti.

Ma avrebbe potuto il suo cervello tirarla fuori da una situazione del genere?

 

Vegeta le aveva messo le mani intorno al collo, rendendo più difficoltoso il suo respiro.

Bulma annaspava e, pur cercando di mantenere la calma, sentiva che il terrore stava pian piano prendendo il dominio sulla sua razionalità

 

«Non mi piace essere preso per i fondelli, lo sai?»

 

«Lo so» sussurrò Bulma col poco fiato che riuscì a tirar fuori «e non l’ho fatto. Te lo giur…»

 

Vegeta allentò la presa e le si avvicinò ulteriormente, ridendo dei suoi goffi tentativi di riprendere aria.

 

«Dei tuoi giuramenti non me ne faccio niente. Se davvero non stavi complottando contro di me, non devi far altro che dimostrarlo.»

 

Bulma alzò lo sguardo verso il principe e cercò di ricomporsi.

Quell’uomo aveva iniziato a farle paura davvero.

Cosa diavolo avrebbe dovuto dimostrare lei a lui? Non gli bastava il fatto che da una settimana eseguisse tutti i suoi ordini senza battere ciglio?

 

«Ho la coscienza pulita, caro principe. Avanti, cosa vuoi che faccia?»

 

Sul volto del saiyan si delineò un ghigno perverso, un sorriso a mezza bocca che non prometteva nulla di buono.

Bulma ingoiò, temendo di aver azzardato troppo.

 

«Uccidilo. Tanto, prima o poi, quel bastardo tornerà da te.»

 

***

 

Continuare a rigirarsi nel letto non lo avrebbe di certo aiutato a fare meglio i conti con sé stesso.

E questo Kakaroth lo sapeva benissimo.

Eppure, cercare di rilassarsi e far finta di niente era praticamente inutile.

L’aveva baciata, accidenti a lui, e per quanto il suo cervello gli suggerisse di credere che lo avesse fatto per provocazione, la sua coscienza continuava a tormentarlo.

Ma era la coscienza saiyan o quella terrestre a impedirgli di dormire?

 

La verità era che Kakaroth aveva fantasticato su Chichi fin dal primo momento in cui l’aveva vista. Non che si fosse innamorato o smancerie simili, ma quella ragazzina dal temperamento ballerino e dal carattere tutt’altro che principesco l’aveva incuriosito parecchio.

C’era poco da fare: sognare di mettere le mani addosso a una ragazza che fingeva indifferenza nei confronti del piacere carnale e che a fatica riusciva a nascondere il fatto di avere una cotta per lui lo elettrizzava da morire.

Eppure, fino al giorno prima aveva resistito all’impulso di toccarla.

In fondo, lui era consapevole del fatto che la principessina lo incuriosiva più del dovuto. Anche se non riusciva a capire cosa fosse, c’era in lei una forza particolare che la rendeva speciale. Certo, a livello di forza fisica non era al suo livello e non lo sarebbe mai stata, ma era assolutamente certo che in lei si nascondesse un potere misterioso e aveva la sensazione di aver percepito quel qualcosa durante la loro visita alle sfere del drago.

Sfere che, nel frattempo, erano tornate nelle mani del legittimo proprietario.

Kakaroth sapeva che Chichi era solo la custode di quei preziosi oggetti – in fondo, la stessa ragazza glielo aveva ripetuto più volte – anche se, probabilmente, ciò non le avrebbe impedito di usarli. A volte, il saiyan si chiedeva se fosse il caso di costringerla a esaudire un suo desiderio.

Già. Ma quale?

Prima di allora, Kakaroth non aveva mai pensato di avvalersi personalmente delle sfere del drago. La sua missione non era di certo quella. Se suo padre lo aveva spedito su quello stupido pianeta quando era ancora bambino era solo per conquistarlo e poi consegnarlo nelle mani del Re.

Re che nel frattempo era morto e aveva lasciato il suo vasto impero all’unico figlio che aveva.

 

Kakaroth, insomma, aveva sempre obbedito, e, per di più, a persone che non aveva mai visto in vita sua se non dopo il loro arrivo a Furipan. Per anni il saiyan aveva comunicato col padre e col suo principe tramite il dispositivo monoculare che gli avevano lasciato in dotazione. Di costoro aveva sentito soltanto la voce e visto qualche immagine sfuocata che di tanto in tanto si formava sulla lente del dispositivo.

Ma niente di più.

Non c’era quasi alcun legame con loro.

Ma per i saiyan esisteva il concetto di legame affettivo?

Che lui sapesse, no.

E, tutto sommato, anche a lui, fino al giorno prima, l’idea che ci si potesse affezionare a qualcuno faceva venire il voltastomaco.

 

Poi, il suo dannatissimo cervello gli aveva suggerito di baciare Chichi.

Nemmeno lui avrebbe saputo spiegare perché lo avesse fatto. Sapeva solo che in quel momento sentiva il dannato bisogno di farlo.

E gli era piaciuto.

E se lo avessero scoperto?

Certo, Kakaroth avrebbe sempre potuto trincerarsi dietro a un avevo bisogno di una distrazione; ma il modo violento in cui pulsava il suo cuore e la rabbia con sé stesso che provava per essersi concesso quel maledetto bacio gli suggerivano che quella era solo una scusa.

Un’inutile e patetica menzogna.

 

Il saiyan si alzò dal letto e decise di uscire dalla sua stanza per sgranchirsi le gambe.

Non aveva una meta precisa verso la quale dirigersi, ma restare imperterrito sdraiato su quel materasso lo avrebbe mandato ai matti.

I corridoi del castello gli sembravano più lunghi del solito, nonostante li stesse percorrendo a una velocità tutt’altro che modica. La solitudine, poi, di certo non lo aiutava a cacciare dalla mente i suoi patetici dubbi. Era incredibile come, in pochi, stupidissimi giorni, una persona riuscisse a mettere in discussione sé stessa a tal punto. Ed era altrettanto incredibile che tale messa in discussione fosse sopraggiunta col ricongiungimento di Kakaroth alla sua famiglia di origine.

A chi apparteneva veramente?

La verità era che il giovane saiyan si sentiva fuori luogo ovunque: la Terra non era la sua patria perché lui non apparteneva a quel mondo; ma del pianeta Vegeta e dei suoi abitanti la sua mente non conservava alcun ricordo.

 

Con disappunto, il ragazzo si accorse che nel castello c’era ancora qualcuno sveglio.

La luce della sala da pranzo tradiva una presenza che non poteva di certo nascondersi.

Kakaroth si affacciò e scorse la scienziata seduta al tavolo con le mani sul volto, come se stesse piangendo.

Non che le importasse chissà quanto di cosa le fosse successo, ma il fatto che a quell’ora fosse ancora sveglia e in piedi lo incuriosì oltremodo.

Vegeta ci teneva molto a lei. Riteneva che fosse l’unico essere umano a meritare un briciolo di rispetto viste le sue incredibili doti intellettive e, proprio per questo, non le permetteva mai di andare a letto troppo tardi.

La voleva al meglio delle sue capacità e sapeva che i terrestri, per dare il massimo, dovevano anche riposare più dei saiyan.

 

Il ragazzo entrò nella stanza, facendo sussultare Bulma.

 

«E tu che ci fai qui?» chiese con disappunto la scienziata.

 

«Potrei farti la stessa domanda.»

 

«Ah, è il mio destino, insomma. Questa è la giornata degli interrogatori.»

 

«Come se mi importasse davvero qualcosa. Semplicemente, mi sembrava strano che tu fossi ancora in piedi. E con i piatti da lavare, oltretutto. Che c’è, le pulizie ti danno noia?»

 

«Se proprio ci tieni a saperlo, a darmi noia è quel pazzo furioso del tuo principe. Ma che te lo dico a fare, tanto siete fatti della stessa pasta.»

 

La ragazza si alzò di scatto e si diresse verso la porta della sala.

 

«Buonanotte, Goku, o come accidenti ti chiami. È meglio che vada a dormire se non voglio rischiare la vita domani mattina. Vegeta è già abbastanza nervoso, a quanto pare.»

 

Il ragazzo seguì con lo sguardo Bulma e rifletté sulle sue parole.

Quella stupida doveva aver commesso qualche sciocchezza seria se era riuscita a far infuriare Vegeta. Non che ci volesse molto a far scaldare le corde del principe dei saiyan, ma con Bulma, fino a quel momento, si era sempre contenuto abbastanza.

Che c’entrasse il tizio che lui stesso aveva sorpreso ad aggirarsi nei dintorni del castello, quella sera?  Ora che ci pensava, lui lo conosceva.

Già, lo aveva affrontato durante il torneo di arti marziali.

Poi non lo aveva più visto.

Kakaroth non si era né preoccupato, né occupato di lui. In fondo, era solo uno stupido terrestre e, per quel che aveva visto, non era nemmeno il più potente.

 

«Be’, se la vedrà Vegeta. Casomai gli dirò che non vale la pena darsi cruccio per quella mezza cartuccia.»

 

Ormai erano quasi le due di notte.

Kakaroth sapeva che a quell’ora i terrestri solitamente dormivano.

Già il fatto di aver trovato Bulma ancora sveglia lo aveva in qualche modo infastidito e al contempo risollevato: quella breve chiacchierata lo aveva distratto per un attimo dai suoi pensieri.

Per un solo attimo, appunto.

Kakaroth aveva da qualche minuto imboccato di nuovo le vie del corridoio e l’idea di girovagare a vuoto lo disturbava abbastanza. Se poi a tutto ciò aggiungeva il fatto che a farlo reagire così fosse stato un inutile bacio, la sua indignazione lo rendeva ancora più nervoso.

 

Certo era che andare a passeggio per il castello durante orari per lui insoliti gli aveva dato la possibilità di capire meglio quali fossero le abitudini degli inquilini della dimora.

Giumaho stava pregando. Per sua figlia? Per il suo regno? Per la sua gente?

A Kakaroth, tutto sommato, non importava affatto. Ciò che lo aveva incuriosito, affacciandosi a quella porta semiaperta, era che Mamanu non fosse con lui.

Che i due coniugi dormissero separatamente era improbabile, visto che Napa e suo padre li avevano sorpresi insieme il giorno in cui avevano invaso il castello.

Eppure, nonostante l’orario, della moglie dello stregone del toro non c’era traccia in quella stanza.

 

Il ragazzo se ne andò.

Era stanco ormai, e quel continuo girovagare non aveva portato ad alcunché di concreto.

Nel mentre in cui riprendeva la via per tornare nella sua stanza, la vide.

Mamanu gli era passata davanti.

Si erano ritrovati faccia a faccia, inaspettatamente, senza che nessuno dei due capisse, lì per lì, da dove venisse l’altro.

Lo sguardo tra i due durò meno di un secondo.

Kakaroth fece in tempo a scorgere sul viso di Mamanu l’onta della vergogna.

Il saiyan conosceva bene quel sentimento. Non lo aveva mai provato sulla propria pelle, ma il solo fatto di aver vissuto per anni a contatto con gli esseri umani, lo aveva istruito a sufficienza sull’interpretazione degli sguardi altrui.

Lui non disse niente; lasciò che la donna lo oltrepassasse e tornasse nella sua camera.

Chissà, magari Giumaho stava pregando che lei tornasse.

Ma da dove?

E perché?

 

La curiosità lo avvinse e il saiyan fece qualche altro passo.

In fondo a quel corridoio c’erano solo due stanze: la sua e quella di Bardack.

Il ragazzo si avvicinò a quella del genitore e, notando che era solo socchiusa, si affacciò.

Suo padre era sdraiato sul letto.

Dormiente e completamente nudo.

 

CONTINUA

 

 

Angolo dell’autrice

Ciao, miei affezionati lettori!

Mentre mi accingo a scrivere le note di questo capitolo, il cielo si sta annuvolando e il vento comincia a soffiare. Che sia il preludio di un temporale?

Una bella tempesta, comunque, sta sorprendendo i protagonisti della mia storia. Lo so, questo capitolo probabilmente vi ha lasciato l’amaro in bocca. Insomma, tutti i protagonisti della storia hanno iniziato ad amoreggiare (più o meno) e Vegeta tratta Bulma in questo modo? D’altra parte, il principe è pur sempre il principe e ho voluto che mantenesse più degli altri una parvenza da cattivo. In realtà, ciò non significa affatto che gli altri siano buoni, ma comunque lui deve essere peggio.

Nei prossimi capitoli tornerò a parlare di Chichi e Kakaroth, ovviamente – in questo ho deciso di concentrarmi solo sul saiyan per non mettere troppa carne al fuoco – e avremo anche modo di vedere come se la caverà Bulma.

Detto questo, la smetto di tartassarvi con le mie logorroiche note.

Grazie di cuore a tutti per il vostro sostegno!

 

9dolina0

 

 

 

  

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Capitolo 9
*** Colazione a Furipan ***


Capitolo IX – Colazione a Furipan

 

La mattinata non era iniziata col piede giusto per lei.

Bulma non aveva quasi chiuso occhio durante la precedente nottata e la colpa era di quel sadico bastardo del principe dei saiyan.

E anche di Yamcha, visto che aveva avuto la geniale idea di intrufolarsi nel castello pur sapendo che ormai ci abitavano anche alcuni invasori.

Perché, ne era certa, lui lo sapeva.

 

Anche se erano ancora le sei del mattino, Bulma non era riuscita a rimanere a letto un secondo di più. In parte, lo stare sveglia tutte quelle ore le aveva fatto venire fame; in parte, l’incontro con Yamcha prima e quello con Vegeta poi l’avevano spinta a riflettere seriamente su cosa volesse fare della sua relazione sentimentale.

La voracità con cui stava ingurgitando i biscottini alla crema preparati da Mamanu il giorno prima era il segno visibile e tangibile di quanto la scienziata, sempre molto attenta alla linea, stesse vivendo un momento di crisi.

Il buio, poi, che ancora albergava in quell’enorme sala da pranzo, non l’aiutava affatto a ragionare serenamente.

Era davvero quello che voleva dalla vita?

Le bastava un fidanzato di bell’aspetto, ma immaturo e fifone?

D’accordo, lei aveva sbagliato a non fidarsi del suo intuito; ma era pur vero che, da quando conosceva Yamcha, quella era in assoluto la prima volta che ci vedeva giusto su qualcosa.

E che dire, poi, del fatto che l’aveva lasciata lì, in quel castello, invaso da un esercito di pazzi assassini?

Più passavano i giorni e più Bulma si rendeva conto che Yamcha non era l’uomo che aveva sempre sognato. Poteva andar bene quando era ancora un’adolescente, ma ora che era una donna – alle prese con degli alieni cattivi, oltretutto – un uomo come lui non poteva più fare al caso suo.

Quasi in quel momento Bulma si stupì di essersene innamorata tanti anni prima.

E poi, di bei ragazzi in giro ce n’erano a bizzeffe.

A dirla tutta, gli stessi saiyan erano uomini molto affascinanti – fatte salve le dovute eccezioni, come Napa.

Era inutile girarci intorno: quei maledetti usurpatori si muovevano con una fierezza e una sicurezza in sé stessi tali che era impossibile non rimanerne ammaliati guardandoli. E, oltretutto, avevano anche dei fisici molto scolpiti.

Bulma si era lasciata sorprendere più di una volta da Vegeta mentre lo osservava.

Il principe, più di ogni altro saiyan, aveva un portamento elegante e regale. Si muoveva come se fosse consapevole di avere il mondo sotto i suoi piedi e guardava i terrestri con una sufficienza tale da mettere in soggezione anche il più impavido – o pazzo – degli esseri umani.

Eppure, con lei non si era più permesso un simile atteggiamento da quando aveva riparato alla perfezione le sue astronavi.

Ricordava benissimo quel giorno, quello in cui ebbe il dispiacere di fare la conoscenza del principe. Gok… Kakaroth doveva avergli detto che lei era una scienziata e lui l’aveva svegliata dal suo sonno per costringerla a seguirlo.

Durante la lunga camminata che l’avrebbe portata nella valle di Furipan, a tutto aveva pensato, tranne che volesse una mano per sistemare quelle stupide astronavi.

Non che a Bulma gratificasse particolarmente collaborare con il nemico, ma avere la possibilità di toccare delle vere astronavi aliene era per lei quanto di più ambizioso ci fosse tra i suoi progetti di vita.

E Vegeta, con quella richiesta, glielo aveva appena fatto realizzare.

 

Certo, la convivenza forzata col principe era stata tutt’altro che facile, così come complicato era stato spesso esaudire le sue assurde richieste. Ma lei, alla fine, ci era sempre riuscita; e lui, volente o nolente, non aveva potuto far altro che rispettarla.

Fino al giorno prima, per lo meno, quando il rientro in scena di Yamcha aveva mandato il sovrano della stirpe guerriera più potente dell’universo su tutte le furie.

 

Avvolta nei suoi pensieri, Bulma non aveva notato l’ingresso di Chichi nella sala da pranzo.

Più o meno, erano passati dieci minuti da quando si era seduta e il sole stava iniziando timidamente a sorgere. Possibile che la principessa si alzasse sempre a quell’ora?

Tra l’altro, la giovane figlia di Giumaho sembrava essere di pessimo umore.

Non che le altre volte che le era capitato di stare a tavola con lei sprizzasse felicità e cordialità da tutti i pori, ma almeno non aveva l’aria afflitta.

 

Bulma bevve un sorso di tè, poi riempì un’altra tazza e la passo a Chichi.

Magari, un po’ di gentilezza nei confronti di quella ragazza avrebbe convinto qualche divinità a cavarla dall’impaccio di dover uccidere il suo fidanzato.

 

Chichi aveva notato quel gesto da parte della scienziata. In altre occasioni, l’avrebbe sicuramente mandata al diavolo, ma gli ultimi eventi le avevano fatto capire che avere un caratteraccio non significava automaticamente essere più forte e decisa.

Afferrò la tazza e sussurrò un timido “grazie”.

 

«Tutto bene?» chiese Bulma, notando lo strano atteggiamento della ragazza.

 

No, non andava tutto bene.

Quel giorno avrebbe dovuto colpire Goku almeno una volta e, se non ci fosse riuscita, lui l’avrebbe ammazzata.

Un’ottima prospettiva di giornata, insomma.

E, oltretutto, c’era pure il rischio che prima di toglierle la vita decidesse di portarsela a letto.

In quest’ultimo caso, il vero problema non erano le intenzioni di Goku in sé, quanto il fatto che lei ci sarebbe stata.

Era inutile negarlo. Più tentava di convincere sé stessa a odiare il saiyan, e più le tornavano in mente le sensazioni provate durante il bacio che le aveva rubato.

Chichi avvampò e cercò di nascondere il rossore abbassando lo sguardo.

 

«Sei sicura? Ti vedo piuttosto strana, stamattina. Non ti senti bene? Magari hai bisogno di prenderti una pausa degli allen…»

 

«Ti ho detto che non ho niente, Bulma

 

«D’accordo. Be’, avevi iniziato bene: sembravi un po’ più malleabile del solito oggi.»

 

Chichi alzò di nuovo lo sguardo, quasi esasperata dalle chiacchiere insolenti di Bulma. Piuttosto, che diavolo ci faceva già sveglia a quell’ora?

 

«Tu, invece, non dovresti essere a letto come tutte le altre mattine?»

 

«Ah, Chichi, pensi forse di essere l’unica ad avere delle grane? Sono nei guai fino al collo e non sono riuscita a dormire. Ora vuoi dirmi che cos’hai? Hai l’aria di una che sta per buttarsi sotto un ponte.»

 

La principessa posò la tazza di tè, poi emise un lungo sospiro.

Bulma non le piaceva affatto e, dunque, non le avrebbe detto niente di ciò che la stava tormentando realmente. A dire il vero, non sapeva nemmeno se a farla stare in quel pessimo stato fossero le minacce di morte di Goku o, piuttosto, la consapevolezza di essersi innamorata di lui.

 

«Non è necessario che ti preoccupi per la mia vita. So badare a me stessa.»

 

«A guardarti così non si direbbe proprio. Che ha combinato Son Kakaroth

 

La principessa trattenne a stento l’impulso di aggredire la scienziata.

Di sicuro, però, non voleva darle la soddisfazione di farsi smascherare.

Sarebbe stata l’ennesima umiliazione, oltretutto, e lei non poteva di certo permettersi un’altra caduta di stile.

 

«Lui non c’entra niente. Mi sono solo alzata col piede sbagliato, tutto qui.»

 

In quel momento, Bardack e Kakaroth fecero il loro ingresso in sala da pranzo.

Bulma notò immediatamente come il viso di Chichi si fosse fatto più contratto.

A chi voleva darla a bere, quella sciocca ragazzina? Era chiaro come il sole che era successo qualcosa. Un qualcosa che, in qualche modo, doveva aver incrinato il rapporto tra lei e il suo protettore.

Ora che ci pensava, Bulma aveva avuto il dispiacere, la sera prima, di scambiare quattro chiacchiere col saiyan, ma il suo pessimo umore le aveva impedito di prestare attenzione all’atteggiamento di Kakaroth.

La bella scienziata si voltò verso i nuovi arrivati, sorseggiando un po’ troppo rumorosamente del tè.

Bardack aveva il solito sguardo sprezzante e vagamente menefreghista. Quasi non si era nemmeno degnato di posare gli occhi su di lei o su Chichi.

Possibile che quell’uomo, già di prima mattina, fosse così dannatamente insolente e affascinante?

Pareva che lui non sentisse affatto la stanchezza o, quantomeno, quella sensazione di affaticamento che si prova solitamente appena messo un piede giù dal letto.

In fondo, era ancora molto presto e lei stessa, nonostante fosse in piedi già da un po’, ancora faticava a tenere gli occhi completamente aperti.

Anche Kakaroth sembrava già essere nel pieno delle energie, nonostante il cipiglio severo – più severo del solito – che aveva.

Bulma non fece immediatamente caso al suo sguardo corrucciato, ma ci mise comunque poco ad accorgersi che anche lui, come Chichi, era di pessimo umore.

Che fosse colpa della principessa?

Quei due dovevano aver combinato qualcosa.

Bulma si voltò di sottecchi verso Chcihi che, all’arrivo dei due saiyan, aveva posato sul tavolo la sua brioche.

E non sembrava intenzionata a riprenderla in mano.

L’atmosfera in quella sala da pranzo si era fatta improvvisamente tesa.

La scienziata non riusciva a capire esattamente a cosa fosse dovuta quella strana elettricità nell’aria, ma intuiva perfettamente che stava succedendo qualcosa.

Qualcosa di buono?

Se avesse dovuto azzardare una previsione basandosi sulle facce scure di Kakaroth e Chichi, Bulma avrebbe giurato che, entro la fine della giornata, uno dei due sarebbe passato all’altro mondo.

Insieme a Yamcha.

Accidenti, ogni tanto tendeva a dimenticare l’ordine impartitole da Vegeta la sera prima.

C’era poco da fare: doveva assolutamente dire a Crilin di contattarlo e di intimargli di stare alla larga dal castello.

 

Kakaroth non si era affatto svegliato col piede giusto e la crepa che aveva lasciato sul frigorifero, richiudendolo dopo aver preso del latte, lo dimostrava in pieno.

Erano anni che non gli capitava di passare una simile nottataccia.

Nemmeno dopo aver ucciso il suo maestro Son Gohan aveva avuto incubi tanto assillanti.

D’accordo, l’idea di baciare Chichi si era rivelata pessima, ma girovagare in piena notte per il castello di Furipan era stata decisamente peggiore.

Già, perché ora, oltre a quella dannata principessa, la sua testa non faceva altro che pensare anche a suo padre.

E alla puttana che si era scopato.

Che diavolo gli era passato per la testa?

E va bene, quelli non erano affari suoi, in fondo; ma ciò non significava che lui non ci avrebbe riflettuto sopra. Era solo per sfogare i suoi istinti che Bardack era andato a letto con Mamanu?

A rigor di logica, sì, perché era quello che ci si sarebbe aspettato da un saiyan – uno dei più potenti in circolazione, per giunta.

Il vero problema era per quale assurdo motivo Mamanu ci fosse stata.

Kakaroth non era un idiota e sapeva che nemmeno la moglie di Giumaho lo era. Sapeva anche che se Bardack avesse preteso del sesso da lei, lo avrebbe ottenuto anche con la forza. Rifiutarsi, al caro prezzo di rimetterci le penne, non sarebbe stata affatto una mossa intelligente.

Qualunque donna sarebbe scesa a simili compromessi pur di non perdere la vita.

Qualunque, certo.

Ma lui era convinto che per gli umani i sentimenti valessero più della vita.

La propria vita.

Lui era convinto che le donne terrestri, quelle dai principi più retti, ovviamente, avrebbero preferito morire piuttosto che tradire il proprio uomo.

Mamanu non gli aveva mai dato l’impressione di essere una moglie poco seria.

Che anche lei avesse solamente recitato un ruolo?

Tra l’altro, il giovane saiyan non era nemmeno certo che suo padre l’avesse costretta.

Kakaroth aveva osservato bene il suo sguardo quando l’aveva incrociata lungo quel corridoio, e nei suoi occhi rilucevano due sentimenti contrastanti ma ben definiti: la vergogna per essere stata smascherata e l’appagamento.

No, probabilmente Bardack non aveva usato violenza su di lei.

 

Anche Vegeta, nel frattempo, aveva fatto il suo ingresso.

Kakaroth, nel guardarlo, ripensò immediatamente alle parole che gli aveva proferito la scienziata la sera prima. Nemmeno lei doveva passarsela tanto bene a corte, negli ultimi tempi, e il fatto che a quell’ora fosse già in piedi ne era la palese dimostrazione.

Il principe la osservò per qualche secondo prima di redarguirla.

Era ovvio: il sovrano dei saiyan era piuttosto divertito all’idea che Bulma non avesse chiuso occhio durante la precedente nottata.

Era pur vero, però, che da quando la conosceva, quella sciocca non aveva fatto altro che ficcarsi nei guai in ogni modo. Sfidare il principe non era mai una buona idea, nemmeno se si godeva del suo beneplacito.

Anzi, forse a maggior ragione.

In fondo, lui stesso era stato accusato da Vegeta di essere un doppiogiochista e sapeva perfettamente che, dal momento in cui il principe aveva manifestato tale pensiero, gli occhi di quest’ultimo su di lui si erano fatti più attenti. 

Oltre tutto, qualcosa da nascondere ce l’aveva per davvero, ed erano le sfere del drago; ma fino a che non avesse deciso cosa fare di Chichi, sarebbe stato meglio che quelle dannate palle di vetro restassero nelle mani del Supremo.

 

«Ma guarda un po’ chi c’è. A fatica è sorto il sole e tu sei già in piedi?»

 

Vegeta non era solito fare dell’ironia, ma evidentemente, in quella particolare circostanza, lo cosa lo divertiva più del solito.

Tanto più che Bulma non si era affatto lasciata intimorire e aveva spostato, con aria di sfida, lo sguardo sul bel principe.

 

«Sai com’è, qualcuno qui è molto esigente e poco ci manca che da me pretenda anche la luna.»

 

Vegeta non spense il sorriso beffardo che aveva in volto, nonostante la risposta pungente della scienziata.

In fondo, tutto si aspettava – e voleva – da lei, tranne che si dimostrasse una rammollita.

Il principe prese posto vicino alla scienziata, mentre, a poco a poco, anche gli altri saiyan si mettevano a sedere.

Era arrivato anche Napa, sebbene in ritardo, e l’insolita faccia che trovò quella mattina non doveva piacergli per niente.

 

«Ah, questa è bella! La scienziata è già in piedi a quest’ora? Era ora che il principe ti mettesse a lavorare seriamente!»

 

«Chi ti ha detto di intervenire, razza di imbecille?»

 

Vegeta riusciva a essere minaccioso anche quando parlava con estrema calma.

Come aveva appena fatto.

Il principe sapeva perfettamente che per zittire Napa bastava qualche insulto proferito dalla sua bocca e raramente gli concedeva il lusso di alzare lo sguardo su di lui, o addirittura la voce.

In fondo, quel colosso era l’ultimo dei suoi pensieri e, probabilmente, la persona di cui avrebbe dovuto preoccuparsi di meno tra tutti i presenti.

Ah, già. Mancava Mamanum quella mattina.

Che fine aveva fatto la moglie di Giumaho?

Di solito era la prima a mettere piede nella sala da pranzo la mattina ed era anche l’ultima ad andarsene, dato che provvedeva lei a pulire.

A Vegeta quella donna piaceva molto poco.

Non avrebbe saputo spiegare il perché di una simile antipatia a pelle, ma dentro di sé era assolutamente convinto che Mamanu fosse meno accondiscendente e fedele di quanto volesse far credere. Il principe aveva imparato fin da bambino a diffidare di quelle persone che non avevano mai nulla da obbiettare; era chiaro: tipi del genere erano o degli opportunisti o dei menomati.

E Mamanu, a occhio e croce, non sembrava appartenere a quest’ultima categoria.

Il fatto, però, che la donna non avesse mai opposto la benché minima resistenza agli ordini impartiteli lo aveva in qualche modo messo in allarme.

Il suo non sembrava di certo un comportamento coerente col ruolo che ricopriva.

D’accordo, quel regno non era il suo, ma a Vegeta sembrava davvero strano che proprio non le importasse niente. Piuttosto, era molto più probabile che stesse architettando qualcosa, o che, per lo meno, sarebbe stata la prima a voltare le spalle in caso di necessità.

Già, ma voltare le spalle a chi?

La risposta non sembrava essere poi così scontata.

Il principe aveva osservato più di una volta l’atteggiamento di Mamanu nei confronti di tutti gli abitanti – vecchi e nuovi – del castello ed era quasi certo del fatto che a lei il ruolo di moglie dello stregone del toro non fosse poi così gradito.

Ma, probabilmente, da lì a dire che avrebbe pugnalato alle spalle il marito e la figlia di quest’ultimo forse era troppo.

Forse.

 

Kakaroth, nel frattempo, aveva appena frantumato la seconda tazza in pochi secondi.

Che diavolo aveva quell’idiota?

Vegeta alzò lo sguardo su di lui e si accorse che era piuttosto nervoso.

Nemmeno a Bardack sfuggì lo strano comportamento del figlio, tanto che lui e il principe si scambiarono un’occhiata d’intesa.

Chi non batté ciglio fu Chichi, la quale evitò accuratamente di alzare lo sguardo dal tavolo nonostante il rumore del coccio frantumato.

 

«Kakaroth, se sei tanto nervoso perché non vai a spaccare le ossa a qualche terrestre nullafacente invece che prendertela con delle stupide tazze e un frigorifero?»

 

«Non preoccuparti, padre, è quello che intendo fare oggi stesso.»

 

Il giovane saiyan si alzò dal proprio posto senza aver quasi toccato cibo.

L’idea di mettere in bocca i dolci preparati da Mamanu gli dava improvvisamente disgusto.

In un attimo i suoi occhi si posarono su Chichi, che invece non sembrava intenzionata a ricambiare il suo sguardo.

Come sempre.

Stupida, inesperta e innamorata.

Di lui.

Sul volto di Kakaroth si delineò una smorfia di disprezzo quasi impercettibile, ma che Vegeta colse benissimo.

 

«Credo che tu abbia mangiato abbastanza, Chichi. Oggi è il tuo giorno: devi dimostrarmi quanto vali.»

 

La ragazza non rispose. Si limitò a lasciar cadere a terra le braccia in modo rassegnato.

Subito dopo si alzò.

Anche se sapeva di essere spacciata, non avrebbe mai lasciato che Goku la chiamasse più di una volta.

Fisicamente era debole, certo; ma mai avrebbe voluto dimostrarsi fragile anche a livello emotivo.

 

L’uscita di scena di Kakaroth e Chichi diede modo agli altri commensali di parlare di loro.

Era da parecchio tempo che Vegeta desiderava mettere in chiaro alcune cose con Bardack circa suo figlio e lo strano comportamento tenuto dal ragazzo quella mattina lo aveva convinto del fatto che bisognasse agire in fretta.

In lui c’era qualcosa di strano, qualcosa di anomalo per un saiyan.

Vegeta non aveva molti ricordi piacevoli del proprio padre, ma alcuni discorsi che gli faceva quando era ancora un bambino o poco più li aveva ben stampati in testa.

Uno di questi riguardava i saiyan mandati in missione su altri pianeti quando erano ancora in fasce.

È raro che uno di quei guerrieri torni sul pianeta Vegeta; ma se lo fa, è meglio che non ti fidi troppo di lui. Un uomo del genere rimane saiyan nell’aspetto, ma spesso il suo animo viene forgiato sull’onda delle abitudini del pianeta su cui ha vissuto. E poco importa che lo abbia conquistato e distrutto: un pezzo di quel pianeta rimarrà sempre in lui e sopravvivrà in eterno nella sua anima.

 

«Credo che quella ragazzina abbia fatto incazzare tuo figlio, Bardack. Ah, mi chiedo come sia possibile che un saiyan si faccia mancare di rispetto così! Vivere sulla Terra lo ha fatto diventare un rammollito.»

 

«Io invece penso che dovresti tapparti la bocca e osservare di più, Napa

 

Le parole del principe, proferite con tono un po’ troppo serioso, ebbero il curioso effetto di ridestare anche l’attenzione di Bulma.

La scienziata sospettava già da tempo che a Vegeta Goku non piacesse poi molto e il fatto che per la prima volta da quando lo aveva conosciuto si fosse deciso a parlare di lui non poteva che essere un buon segno.

Se fosse stata in grado di dare il giusto valore alle sue parole, magari avrebbe potuto carpire al principe qualche utile informazione.

Qualche, certo.

Doveva ammetterlo: lei e Vegeta parlavano molto insieme, più di quanto si sarebbe aspettata all’inizio; ma gli argomenti che toccavano non si allontanavano mai troppo dalla scienza e dalla tecnologia.

Scoprire che il principe dei saiyan avesse una cultura tanto raffinata in materia di scienza, e che fosse decisamente più intelligente di quanto ci si potesse aspettare sapendo che aveva trascorso gran parte della sua vita a sterminare popolazioni innocenti, fu per lei un’interessante sorpresa.

Probabilmente, nemmeno lui aveva immaginato che sulla Terra potesse esserci qualcuno in grado di sostenere con lui conversazioni inerenti i bosoni e i buchi neri e ciò lo aveva portato a cercarla più del dovuto.

E anche a farla lavorare parecchio.

Dei suoi compagni, però, il principe non aveva mai parlato.

Bulma non sapeva esattamente quale opinione avesse dei suoi commilitoni.

Immaginava che stimasse molto Bardack e che invece mal sopportasse Napa, ma esplicitamente a lei non aveva mai dato alcuna conferma di ciò.

Di cosa pensasse esattamente su Kakaroth, poi, non poteva averne la benché minima idea.

Da quando i saiyan erano giunti sulla Terra, quella era la prima volta che le capitava di vedere il principe e il protettore nella stessa stanza.

Che si evitassero di proposito?

Forse.

Per quel che ne sapeva lei era possibilissimo che tra quei due non scorresse buon sangue.

In fondo, Bulma aveva sempre avuto la sensazione che Goku, in quella corte, fosse di troppo. Se non fosse stato per il legame che aveva con Chichi, probabilmente Vegeta e Bardack nemmeno gli avrebbero permesso di restare lì.

E, forse, nemmeno sarebbe stato un male.

Come lei, Vegeta doveva aver notato che a Kakaroth quella convivenza forzata stava un po’ stretta.

Bulma non sapeva nulla dei rapporti tra il giovane finto protettore e la sua famiglia di origine, ma aveva il sospetto che, in realtà, questi rapporti fossero meramente limitati a qualche contatto via rilevatore.

E se così fosse stato, non c’era da stupirsi che le cose tra lui e gli altri saiyan non andassero a gonfie vele.

 

«Non so cosa abbia, principe. In parte, Napa ha ragione. Oggi non si è comportato da vero saiyan e non ne capisco il motivo.»

 

«Appunto, Bardack, oggi. Credo che il lato terrestre di tuo figlio stia iniziando a venire a galla e la cosa, ovviamente, non mi piace per niente.»

 

Bardack spalancò gli occhi.

 

«Questo è impossibile, Vegeta. Non avrebbe permesso la nostra venuta se avesse avuto dei dubbi su chi veramente volesse appoggiare.»

 

«Questo lo so perfettamente. Rimane il fatto, però, che ancora non si sappia dove siano le sfere del drago. Spero tanto di sbagliarmi, ma credo che tuo figlio c’entri qualcosa. Tienilo d’occhio e, se necessario, seguilo

 

Vegeta non diede a Bardack il tempo di replicare.

Si alzò di scatto e si diresse verso la porta, intimando a Bulma di seguirlo.

La scienziata preferì non intervenire nella discussione di fronte agli altri due saiyan. Dato che il principe si era concesso il lusso di obbligarla a uccidere il suo ragazzo, avrebbe quanto meno potuto anche rispondere a qualche sua domanda.

In privato, però.

 

***

 

Il modo in cui Kakroth si sbatté la porta della palestra alle spalle aveva fatto sussultare Chichi.

Quel saiyan era decisamente più arrabbiato del solito.

Molto di più.

Ma che colpa ne aveva lei, in fondo?

D’accordo, era debole; e d’accordo, si era anche lasciata baciare da lui. Ma di sicuro non era stata lei a obbligarlo a fare una simile sciocchezza. Se davvero quel maledetto bacio lo aveva reso tanto nervoso, bastava evitare di ripeterlo. In fondo, lei non si sarebbe mai azzardata a tentare un approccio con lui di sua iniziativa e il saiyan lo sapeva perfettamente.

 

Goku non andò subito da lei, che, al contrario, si era già posizionata al centro della palestra in attesa dei suoi attacchi.

Rimase appoggiato alla porta per qualche secondo, con la testa bassa e i pugni stretti.

Da quando lo conosceva, quella era la prima volta in assoluto che il saiyan si comportava in quel modo.

La rabbia che aveva in corpo trasudava da ogni poro della sua pelle e Chichi riusciva a cogliere perfettamente l’energia negativa emanata dal corpo statuario del saiyan.

Kakaroth stava perdendo il controllo.

 

Quella situazione a Chichi non piaceva affatto.

Nonostante il ragazzo avesse rivelato la sua vera identità già da qualche giorno, non le era mai capitato prima di allora di sentirsi davvero in pericolo.

Nemmeno quando l’aveva rapita dalla sua stanza e portata al cospetto di Vegeta.

La cosa che più la preoccupava era il non riuscire a capire quale fosse realmente il motivo di tanta rabbia.

Ce l’aveva con lei?

O con sé stesso?

E se ce l’aveva con sé stesso, quale poteva essere il motivo?

Possibile che quel bacio lo avesse sconvolto a tal punto da metterlo in crisi?

Se così fosse stato, Chichi doveva sperare che l’orgoglio di Goku non avesse la meglio sul suo buonsenso.

In quel momento, la ragazza non sapeva come comportarsi.

Affrontarlo e chiedergli cosa avesse non le sembrava un granché come idea, ma nemmeno aveva intenzione di stare lì impalata in attesa che magari le tirasse un pugno in faccia senza alcun motivo plausibile.

Perché, ne era certa, presto l’avrebbe attaccata.

 

«E va bene, Gok… Kakaroth. A quanto pare ti sei alzato col piede sbagliato e, se l’intuito non mi inganna, la colpa è mia. Vuoi che ti dica che mi dispiace? Se ci tieni lo farò; ma giuro che non capisco perché tu ce l’abbia tanto con me.»

 

La sua stessa presa di coraggio le aveva anche dato la forza di schiodarsi dal centro della palestra e di avvicinarsi a lui.

Chichi non era una codarda e, in fondo, era già nei guai fino al collo. Che differenza potava fare qualche passo più in là? Se lui avesse voluto, le avrebbe fatto del male comunque.

Tanto valeva affrontare la questione.

Cosa credeva, quello stupido guerriero?

Anche lei si sentiva uno schifo per essersi lasciata baciare.

E la sua posizione era decisamente più scomoda di quella del saiyan: perché lei era la vittima e Kakaroth il carnefice.

Goku avrebbe potuto liberarsi di lei in qualsiasi momento, mentre Chichi avrebbe dovuto aspettare con pazienza che fosse il ragazzo a stancarsi.

Non erano affatto pari, insomma.

E non lo sarebbero mai stati se la ragazza non avesse trovato dentro di sé la forza di affrontarlo a parole.

Tanto, coi pugni non aveva alcuna speranza di batterlo.

 

«Mi avevi detto che oggi avrei dovuto colpirti almeno una volta, Kakaroth. È questo che stai aspettando? Perché sto per farlo.  O, per lo meno, sto per provarci. E pazienza se il mio colpo andrà a vuoto: se c’è una cosa che detesto è passare per vigliacca.»

 

La ragazza si avvicinò ulteriormente al saiyan e gli tirò un pugno, usando tutta la forza che aveva in corpo. Non aspettò nemmeno che Kakroth reagisse alle sue parole: vederlo ridere divertito probabilmente l’avrebbe convinta a desistere.

E lei non voleva.

Con gli occhi chiusi e la bocca digrignata, Chichi si avventò sul petto del saiyan e sferrò il suo pugno.

Un pugno che, ne era certa, non sarebbe mai arrivato a destinazione.

 

Invece, lo colpì.

In pieno.

 

Il silenzio che seguì a quel colpo fu più assordante delle ossa scricchiolanti della mano di Chichi.

D’accordo, probabilmente si era fatta più male lei del suo avversario, ma rimaneva il fatto che lo aveva preso. O, meglio, Kakaroth si era lasciato prendere.

Perché, accidenti? Perché?

 

«Ora sei contenta?» proferì a bassa voce il guerriero.

 

Lo sgomento di Chichi fu tale che solo dopo qualche secondo di imbarazzante silenzio riuscì a ribattere.

 

«Dovrei essere io a chiedertelo. Eri tu quello che desiderava ricevere un pugno da me.»

 

«Sì, certo. E come non ricordarlo!»

 

Kakaroth non aveva affatto voglia di scherzare, ma di continuare quella farsa non voleva proprio saperne. Quando aveva capito che Chichi voleva davvero tentare di colpirlo, aveva preferito lasciarla fare.

Tanto lo sapeva che da sola non ce l’avrebbe mai fatta.

Tanto lo sapeva che quella ragazza era troppo debole.

Fisicamente, certo; ma dentro di sé aveva una forza spaventosa.

Era quello che gli umani chiamavano coraggio?

Lui non era affatto sicuro di possederlo perché, in fondo, non gli era mai capitato di affrontare qualcuno più forte di lui.

Chichi lo aveva fatto, invece. Da giorni e giorni si lasciava allenare da un pazzoide extraterrestre che in teoria avrebbe dovuto rubarle le sfere del drago.

In teoria, appunto; perché, in realtà, non era più tanto convinto che gli interessassero per davvero.

Interessavano a Vegeta, ma quello era un altro discorso.

In fondo, lui col principe dei saiyan non aveva nulla a che spartire se non il sangue alieno e la consapevolezza di appartenere alla sua stessa razza, da qualche ora a quella parte, non lo riempiva più tanto di orgoglio.

Sì, perché, per quanto i saiyan volessero far credere di essere crudeli e spietati più di qualunque altra creatura vivente, probabilmente le cose non stavano esattamente così. Che fino ad allora si fossero mossi solo in base alla convenienza non c’era alcun dubbio, ma che nessuno di loro potesse provare dei sentimenti diversi dall’odio, be’… forse non era del tutto vero.

 

Fino alla notte precedente si sentiva in difetto perché aveva capito di non riuscire a provare indifferenza nei confronti di Chichi; poi aveva scoperto che suo padre –  suo padre, accidenti! – si era abbandonato ai piaceri della carne con Mamanu, la matrigna della principessa e futura sovrana di Furipan.

Come se ciò non bastasse, aveva il forte sospetto che a Bardack Mamanu piacesse sul serio.

In fondo, quando lui aveva baciato Chichi, aveva dovuto faticare parecchio per non farle male. C’era un abisso praticamente incolmabile tra la forza fisica di una saiyan e quella di una terrestre. Se Mamanu era uscita intatta, completamente intatta, da un rapporto sessuale con uno dei guerrieri più potenti della galassia, evidentemente il guerriero in questione, per qualche motivo, aveva deciso di andarci piano.

E perché farlo?

Di donne sulla Terra ce n’erano a bizzeffe.

Avrebbe potuto scoparsi una puttana al giorno e poi lasciare il suo corpo a marcire nella valle di Furipan.

Ma non lo aveva fatto.

Aveva preferito andare a letto con lei e lasciarla vivere piuttosto che godere delle grazie di mille sgualdrine.

E chissà cosa avrebbe fatto Chichi se lo avesse saputo.

Da quel poco che aveva intuito, tra lei e la sua matrigna non correva affatto buon sangue.

Non che la cosa gli interessasse più di tanto, ma era certo che la principessa avrebbe reagito parecchio male.

Ma, in fondo, non aveva nessuna intenzione di dirglielo.

Per quale motivo avrebbe dovuto farlo?

Quelli non erano affari loro, né suoi, né di Chichi e, vista la strana tensione che si era creata a corte nelle ultime ore anche tra Bulma e Vegeta, sarebbe stato decisamente più opportuno non gettare benzina sul fuoco.

 

Già, ma intanto aveva deciso di farsi colpire da Chichi.

In parte le faceva pena, quella strana ragazza dalla forza fisica misera ma dall’incredibile coraggio; in parte, però, provava nei suoi confronti anche un’inspiegabile ammirazione.

Era in gamba, più di quanto potesse sembrare prestando fede al suo pessimo carattere, e, oltretutto, sapeva il fatto suo.

Forse, aveva imparato a trattare con lui meglio di quanto egli stesso non si aspettasse e, sempre forse, aveva già capito che lui presto avrebbe vacillato.

 

«Be’, non mi piacciono le vittorie facili, Kakaroth. Se pensi che non valga la pena mettermi alla prova, ti prego di non farlo. Ma, d’ora in poi, evita di prendermi in giro, per favore.»

 

«Prenderti in giro? Io? Oh, andiamo…»

 

Il saiyan si mosse finalmente dalla posizione in cui era e avanzò di qualche passo verso la principessa. Le afferrò il pugno e, con grande sorpresa da parte della ragazza, non le fece male.

Non ce n’era bisogno, in fondo.

Ormai sapevano entrambi chi era il più forte e Kakaroth aveva capito che continuare a umiliare quella ragazza non avrebbe portato a niente di buono.

No.

Perché, evidentemente, il problema non era lei ma lui, i suoi fottuti ideali, il suo senso di lealtà nei confronti del popolo saiyan e la terribile consapevolezza di aver preso un abbaglio.

Lo stesso abbaglio che, probabilmente, aveva preso anche suo padre.

 

I saiyan, come tutte le altre creature viventi, potevano cedere.

E lui, dannazione, lo aveva già fatto con Chichi.

Tanto valeva andare fino in fondo.

 

«Ti ho solo risparmiato l’ennesima umiliazione, Chichi. Tanto non mi avresti mai colpito.»

 

«Lo so perfettamente. E allora perché ieri hai preteso che lo facessi?»

 

«Perché era arrabbiato con te e non è detto che mi sia passata.»

 

«E saresti così gentile da spiegarmi che cosa avrei fatto di sbagliato?»

 

«Questo, Chichi

 

Goku si avvicinò ulteriormente a lei che, in modo inaspettato, non tentò nemmeno di indietreggiare.

Le sorrise beffardamente, ormai a pochi millimetri dal suo viso, e fissò con disarmante intensità gli occhi neri e smarriti della ragazza.

Smarriti, sì; ma comunque consapevoli di ciò che Kakaroth stava per fare.

Di nuovo.

Per la seconda volta in due giorni.

Entrambi erano pronti, anche se in maniera diversa, ed entrambi lo volevano.

Chichi lasciò che il saiyan le cingesse la vita con un braccio e che con la mano libera le accarezzasse prima il viso e poi il collo.

E poi, ancora più giù.

La mano di Goku scivolava con estrema delicatezza lungo la pelle nuda della ragazza, mentre le bocche dei due giovani erano di nuovo unite in un bacio.

Le dita del ragazzo sfioravano ogni parte del corpo di lei che non fosse coperto dalla veste: le gote, il collo, la parte superiore del petto, il braccio sinistro.

Solo quando il bacio era divenuto più intenso e nessuno dei due fingeva più di volerlo sciogliere, anche Chichi trovò il coraggio di toccare il suo amante.

L’idea che lui potesse rifiutare quel tocco appena accennato sul suo fianco la sfiorò appena, ma svanì non appena si rese conto che Kakaroth voleva lasciarla fare.

Fu così che Chichi tentò di prendere la mano del saiyan, quella che la stava accarezzando con più delicatezza di quanto non si aspettasse.

Riuscì ad afferrarla ma non a tenerla stretta: quella mano era già scivolata più in basso, lungo la tunica, e si era posata sul ventre della principessa.

 

La porta della palestra si spalancò all’improvviso, facendo accelerare di colpo il cuore di Chichi.

 

«Chichi, ascoltami, devo darti una notiz… Ehm… Ecco…»

 

Farfugliava, e ne aveva ben ragione.

Farfugliava dall’imbarazzo e la cosa era ovviamente più che comprensibile.

Ma di sicuro, quella più imbarazzata di tutti era lei, che si era vista precipitare il suo amico dentro quella maledetta palestra mentre era avvinghiata a Goku.

A Kakaroth, anzi.

Al nemico.

La sorpresa fu tale che l’abbraccio tra i due non si sciolse subito.

E se Chichi sembrava volesse sotterrarsi dalla vergogna, Kakaroth pareva invece piuttosto infastidito.

Quasi furente, a dire il vero.

 

«Spero che tu abbia avuto un motivo più che valido per recarti qui, razza di idiota! Oppure devo provvedere nell’immediato a spedirti all’altro mondo?»

 

Crilin ancora balbettava dallo shock.

Ok, in fondo era prevedibile.

Cioè, sarebbe stato prevedibile se Goku non fosse stato in realtà Kakaroth.

Ci aveva pensato, qualche volta; si era accorto che Chichi, quando ancora lo credeva il suo protettore, si era invaghita di lui.

Però, credeva che la cose fosse finita lì, che quel sentimento si fosse spento nel momento esatto in cui il saiyan aveva rivelato la propria identità.

E le proprie intenzioni.

Aveva fatto male i conti, evidentemente.

Aveva preso un grosso abbaglio.

Il guaio peggiore era che non sapeva assolutamente come comportarsi a quel punto.

Crilin sapeva che anche Kakaroth era in quella palestra, e sapeva anche che era stato lui a permettere alla ragazza di far sparire le preziose sfere del drago. Non avrebbe avuto problemi, insomma, a metterla a conoscenza di ciò che era successo in presenza del saiyan.

Ma non immaginava che tra i due ci fosse quel tipo di rapporto.

Perché, certo, lui stesso era stato il primo a fidarsi ciecamente di quel guerriero sconosciuto; ma gli eventi lo avevano portato a ricredersi, purtroppo.

A rigor di logica, lei avrebbe dovuto fare la stessa cosa.

 

Kakaroth, nel frattempo si era allontanato da Chichi e si era avvicinato a Crilin, afferrandolo per la maglia.

 

«Hai deciso di farmi incazzare sul serio, nanerottolo? Che diavolo sei venuto a fare qui?»

 

«Io… Io volevo solo informarvi che… che mi ha contattato Popo e mi ha detto che le sfere del drago sono scomparse.»

 

CONTINUA

 

 

Angolo dell’autrice

Ciao a tutti!

Scusatemi per questo capitolo infinito.

Mi era preso un attacco di “ispirazione”, ed eccomi qui, con l’ennesima prova della mia infermità mentale. È un capitolo molto lungo, come avete potuto vedere, e in gran parte introspettivo. Avevo bisogno di sviscerare le menti di alcuni personaggi chiave per spiegare gli eventi futuri e quindi mi sono dilungata un bel po’.

Avete avuto modo di leggere le opinioni di alcuni protagonisti su altri. Forse non era indispensabile fornire certi dettagli, ma credo che sia comunque importante capire la psicologia dei personaggi. Vegeta è sospettoso praticamente di chiunque, Kakaroth è in crisi esistenziale (e di identità), Mamanu ha preferito non farsi vedere, Chichi alterna momenti di paura a vampate di coraggio, Bulma osserva e  studia la situazione, Bardack pensa a Mamanu, Napa pensa a sé stesso e Crilin… Arriva nel momento sbagliato (e con una pessima notizia).

Una svolta nella storia ci voleva, dopo tutto.

Per ora, lascio a voi ogni congettura sulla sparizione delle sfere del drago.

Vi mando nuovamente tanti baci e vi ringrazio di cuore!

 

9dolina0

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  

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Capitolo 10
*** Volere la Luna ***


Capitolo X – Volere la Luna

 

Da quando erano entrati in laboratorio, Vegeta non aveva ancora accennato a Yamcha.

Bulma non era affatto un’ingenua e conosceva abbastanza bene il principe dei saiyan da poter dire che stava volutamente tacendo.

Magari voleva che fosse lei ad aprire il discorso.

O, magari, aveva davvero cose più serie a cui pensare.

Già, ma cosa?

 

Lo sguardo della scienziata si spostò dal monitor del suo computer alla capsula che il principe stava maneggiando ed esaminando con cura.

La figura elegante di Vegeta stonava non poco con l’ambiente circostante. Quel vecchio ripostiglio, riciclato ad arte come laboratorio in meno di un giorno, ancora portava i segni del vecchio utilizzo che ne faceva Giumaho prima che Vegeta prendesse possesso del castello. Come stanza da lavoro era piuttosto lugubre: mura scalcinate, vecchia mobilia, ragnatele appese qua e là; e più Bulma e Mamanu tentavano di ripulire la stanza e più sembrava che il degrado aumentasse.

Al principe, però, non importava nulla delle condizioni in cui versava il suo nuovo laboratorio. Ciò che premeva all’uomo era che Bulma avesse lo spazio sufficiente per lavorare ai suoi progetti e per portarli a termine senza fatica.

Rimaneva il fatto, però, che ogni tanto pioveva sulla testa del principe e della scienziata qualche calcinaccio e che più volte l’intrepida Bulma Brief si era lamentata del fatto che quella stanza stesse letteralmente cadendo a pezzi.

 

Vegeta, in mezzo a quello squallore, sembrava essere ancora più bello.

Bulma solitamente non pensava a lui in quei termini. Certo, si era accorta fina dalla prima volta in cui aveva incrociato il suo sguardo che il sovrano dei saiyan era effettivamente un uomo affascinante, mai i difetti che aveva rendevano assolutamente privi di ogni valore i suoi pregi.

Tali pregi, però, non si limitavano di certo all’aspetto esteriore.

Quel dannato principe era molto intelligente e perspicace. Bulma aveva l’impressione che fosse anche un abilissimo stratega. Parlare con lui le piaceva, così come si sentiva realizzata nell’aver trovato finalmente qualcuno che apprezzasse in pieno le sue doti di scienziata.

Yamcha non aveva mai dato un gran peso al suo lavoro.

Le voleva bene, certo, ma sapeva che per lui molti dei suoi esperimenti erano del tutto inutili.

E il motivo era semplice: non li capiva.

La maggior parte delle cose a cui lavorava Bulma era fuori dalla sua portata.

 

Vegeta, invece, capiva tutto.

E alla perfezione.

Magari non aveva le sue stesse abilità manifatturiere, però riusciva sempre a intuire con largo anticipo dove volessero andare a parare gli strani esperimenti della scienziata.

E li approvava.

 

Bulma sapeva che la comparsa di Yamcha aveva rovinato tutto.

Una delle speranze della scienziata era quella di conquistare la fiducia del principe, di adombrare il più possibile quei maledetti difetti che aveva.

E non si trattava di roba da nulla.

Vegeta era un assassino. Sebbene Bulma non avesse mai visto personalmente il sovrano dei saiyan uccidere qualcuno, capiva da come lo guardavano tutti i suoi sottoposti quanto fosse pericoloso.

Erano a dir poco terrorizzati da lui.

Solamente Bardack e Kakaroth riuscivano a mantenere un portamento dignitoso in sua presenza e questo fatto l’aveva spaventata da morire.

Chi diavolo era realmente Vegeta? E quanto doveva essere forte se un esercito intero di spietati assassini tremava al cospetto di costui?

 

Bulma scosse il capo con l’intento di cacciare via quei brutti pensieri.

Il suo cruccio principale, in quel momento, non era rivolto tanto alle vittime passate del principe ma alla fine che il saiyan aveva in mente per lei.

Perché, ne era sicura, Vegeta stava pensando a come eliminarla.

Convincersi del fatto che senza di lei lui non avrebbe più avuto a disposizione tutti quei marchingegni tecnologici non fu affatto di consolazione.

Per quanto ne sapeva la donna, in fondo, quell’astuto guerriero poteva avere in mano altre mille risorse.

Cosa sapeva davvero di lui?

Magari, sul pianeta Vegeta c’era uno stuolo intero di scienziati rapiti da chissà quali pianeti lontani che, in quel preciso istante, stava lavorando ai suoi stessi progetti.

Il guaio sarebbe stato se li avessero realizzati meglio di lei.

E poi, Bulma aveva anche ricevuto l’ordine, tutt’altro che inerente alla tecnologia, di far fuori Yamcha. Ma per quale assurdo motivo Vegeta si era incaponito su quella faccenda?

Solo una pazza avrebbe potuto fare un simile doppio gioco sapendo che in mezzo c’era anche il principe dei saiyan.

E lei, per quanto ancora tenesse a Yamcha, pazza non era.

Mandare via il suo fidanzato in malo modo non era servito a nulla, vista la reazione di Vegeta e, probabilmente, non sarebbe nemmeno bastato tenere il predone del deserto lontano dal castello.

Tanto più che non poteva avvertirlo personalmente e aveva bisogno che qualcuno intercedesse per lei.

Già, ma chi?

 

Quella mattina, Crilin ancora non si era fatto vivo e Bulma temeva che non sarebbe arrivato affatto.

Solo quando anche il principe iniziò a lamentare l’assenza del giovane allievo di Muten, la scienziata iniziò a preoccuparsi.

Durante quella settimana di collaborazione forzata, Bulma aveva imparato a conoscere bene il ragazzo. Tra loro era nata una sorta di affiatamento che andava oltre il rapporto che si instaura tra due conoscenti costretti a lavorare insieme.

Si sarebbe potuto parlare di amicizia.

Crilin aveva un carattere molto più affabile di quello di Bulma e non andare d’accordo con lui era praticamente impossibile. Non si lamentava mai, non cercava mai di attaccare briga, non si ribellava alle sue mansioni.

Per certi versi, a Bulma sembrava che Crilin somigliasse a Mamanu.

In fondo, la scienziata sapeva bene che se non fosse stata per l’accondiscendenza dimostrata dalla moglie di Giumaho e dall’allievo di Muten, i saiyan avrebbero già perso le staffe da un pezzo.

Perché, era inutile girarci intorno, lei e Chichi facevano molta più fatica a tenere a freno la lingua.

 

Intanto, Vegeta si era alzato dalla logora poltrona su cui era seduto da quando aveva messo piede nel laboratorio per avvicinarsi a Bulma

 

«Come hai detto che si chiamano questi aggeggi?»

 

«Capsule Hoi-Poi. Ti interessano? Io credo che siano una delle mie invenzioni meglio riuscite.»

 

«Non credo. Io continuo a mettere al primo posto la camera gravitazionale.»

 

Il saiyan tacque per qualche istante, poi con un movimento impercettibile del braccio, staccò la presa di corrente del computer su cui stava lavorando Bulma.

La scienziata sussultò in preda all’ira.

 

«Ma dico! Che ti passa per la mente? Io stavo lavorando al perfezionamento di quelle capsule! Se mi hai fatto perdere tutti i dati, io…»

 

«Non credo che tu sia così sprovveduta da non aver inserito un programma per il salvataggio automatico dei file.»

 

La donna esitò per un attimo a controbattere. In fondo, a modo suo, Vegeta le aveva fatto un complimento.

 

«D’accordo, mettiamola così. Rimane il fatto che mi devi una spiegazione.»

 

Il principe sorrise a quell’impeto di coraggio mostrato da Bulma. Bastava toccarle il suo preziosissimo lavoro e la donna, che pur non brillava di temperanza, andava su tutte le furie.

 

«È semplice, donna, ho bisogno di fare due chiacchiere con te sul funzionamento di queste capsule. Sai, fino a oggi mi sono sempre chiesto come tu abbia fatto ad allestire un accampamento in piena regola nel bel mezzo della Foresta di Furipan pur avendo intorno a te solo il nulla più totale. Avevi nascosto il tutto dentro una di queste capsule?»

 

Bulma riprese a respirare regolarmente. La rabbia stava a poco a poco scemando.

 

«Sì. Ma era un modello vecchio rispetto a quella che tieni in mano in questo momento. Aveva una capacità di contenimento molto più limitata.»

 

Vegeta aprì il palmo della sua mano e iniziò a contemplare la sua capsula, accennando appena un sorriso.

A Bulma, quella strana smorfia di approvazione non piacque per niente.

 

«E dimmi, donna, quale sarebbe la capacità massima di contenimento di questi aggeggi?»

 

«Be’, ecco… Per ora non possono racchiudere un oggetto dal volume più grande e dal peso maggiore della tua gravity room. Perché me lo domandi?»

 

«Sei proprio sicura di volerlo sapere?» proferì il principe, continuando a fissare la capsula.

 

«Certo, tanto sono certa che tu stia per avanzarmi una delle tue assurde richieste.»

 

Il principe rise di gusto a quella perspicace affermazione.

In quel momento, l’insolente lingua di Bulma non sembrava nemmeno dargli fastidio.

E quando rideva, Vegeta, che di suo era già bellissimo, diventava praticamente irresistibile.

 

«Questa mattina hai detto che ci manca poco che da te io pretenda anche la Luna. Ebbene, la voglio per davvero.»

 

Bulma strabuzzò gli occhi all’incredibile richiesta avanzatale da Vegeta.

Era uno scherzo?

Non poteva essere altrimenti, accidenti.

Che diavolo voleva dire con la voglio per davvero?

E per farsene cosa?

Forse, quel maledetto principe stava impazzendo; o, forse, dietro alla sua richiesta si celava uno dei tanti segreti del popolo saiyan che Bulma bramava di conoscere ma che non le era dato sapere.

 

«Che diavolo significa, Vegeta? Non riesco a capire.»

 

«Esattamente quello che ho detto. Ho notato che su questo pianeta, che pure, in base ai calcoli fatti anni addietro da mio padre, dovrebbe averne una, non possiede alcuna Luna. Pretendo che tu ne faccia orbitare una intorno alla Terra. Non mi importa come intendi riuscirci; ciò che conta è che tu lo faccia, e in fretta.»

 

Bulma era sul punto di andare in apnea a causa dello shock.

Non era divertente; quello scherzo non era affatto divertente. Già le pareva un’assurdità il fatto che Vegeta le avesse chiesto una stanza gravitazionale, ma la Luna era una cosa aberrante.

Inconcepibile.

Tanto più che non aveva la più pallida idea di come fare per portarne una intorno alla Terra.

Persino ribattere a quella richiesta malata le sembrava ridicolo: ciò che le era stato ordinato di fare era fuori dalla portata di una qualunque creatura vivente, per quanto intelligente ella fosse.

Bulma sapeva di essere una brillante scienziata, ma la Luna…

Accidenti, la Luna era troppo persino per lei.

 

«Io… Io non so cosa ti passi per la testa, Vegeta, ma spero tu ti renda conto che realizzare il tuo desiderio è impossibile.»

 

Il saiyan sorrise di rimando e si avvicinò ulteriormente alla scienziata.

Adorava vederla così: spaesata, sconvolta, terrorizzata.

Non da lui, certo: lui non le aveva mai fatto davvero quell’effetto.

Bulma era terrorizzata all’idea di fallire in quello che sapeva essere il suo campo di battaglia.

La scienza.

Vegeta questo lo sapeva, e anche molto bene. Aveva capito quanto quella donna fosse devota al suo lavoro e quanta dedizione impiegasse per il raggiungimento dei suoi obbiettivi.

E poco importava che fossero impossibili: lei, alla fine, aveva sempre strabiliato tutti.

Persino sé stessa.

Ecco perché il principe si era affidato a lei per la realizzazione del suo piano.

Ecco perché il sovrano dei saiyan era certo che la scienziata, pur sudando mille camicie, alla fine ce l’avrebbe fatta.

 

«Mettiamola così, Bulma. Tu mi procuri una bella Luna e io ti risparmierò la grana di dover uccidere quel ficcanaso.»

 

Al ricatto del principe, Bulma si irrigidì.

Vegeta vide nascere nei suoi occhi il barlume della speranza.

La cosa, stranamente, gli piacque ben poco. Chi diavolo era, in effetti, quel tizio? E perché la sua scienziata ci teneva tanto a salvargli la pelle?

 

Il cambio di espressione che si delineò sul volto di Vegeta mise in allarme Bulma.

Chissà perché, aveva l’impressione che dimostrarsi troppo entusiasta per quella proposta non avrebbe giovato né a lei, né a Yamcha.

 

«Va… Va bene, ci proverò. Ma so già che l’impresa è impossibile.»

 

«Questo lo vedremo, scienziata. Fossi in te, mi darei da fare parecchio; in fondo, la vita del tuo amico dipende da te.»

 

Vegeta si girò dall’altra parte e fece per uscire dal laboratorio.

Certo, lui avrebbe mantenuto la promessa.

Se Bulma gli avesse procurato una Luna, non l’avrebbe costretta a uccidere quel pivello.

Ma l’avrebbe ammazzato lui, con le sue stesse mani.

Su questo, il principe dei saiyan non aveva alcun dubbio.

 

Bulma guardava Vegeta mentre usciva dalla stanza con gli occhi spaventati dal terrore.

Più il suo cervello cercava di trovare una motivazione razionale a ciò che il saiyan le aveva ordinato e più i suoi neuroni sembravano andare in tilt.

L’unica parola che rimbombava nella sua mente era irrazionale.

Quel dannato principe era irrazionale.

Le sue pretese erano irrazionali.

La sua convinzione che lei ce l’avrebbe fatta era irrazionale.

La donna, oltretutto, non riusciva a togliersi dalla testa quella maledetta domanda: perché?

Che senso poteva avere una simile pretesa?

Quella di Vegeta era solo una scusa per liberarsi definitivamente di lei?

 

Nell’istante in cui afferrò la maniglia della porta, il principe sciolse dalla vita quella che fino a quel momento Bulma aveva creduto essere una cintura.

Il cuore le si fermò in gola e ogni singolo muscolo del suo corpo iniziò a tremare.

I saiyan avevano la coda, e lei, come una pivella qualunque, non se ne era mai accorta.

 

***

 

Kakaroth scaraventò il terrestre a terra e prese a guardarlo con aria più inferocita di quanto non avesse fatto in precedenza.

Se quel dannato incompetente avesse detto la verità, lui era nei guai.

 

«Come… Come accidenti è successo? Parla, terrestre!»

 

Crilin tremava ancora, di paura e di stupore.

Il cervello gli intimava di mettere da parte il bacio che aveva involontariamente visto tra Kakaroth e Chichi, ma il suo animo non poteva non tormentarsi per ciò che poteva esserci tra quei due.

La sua amica – perché ormai la considerava tale – si era messa nei guai, e la cosa peggiore era che se davvero si fosse infatuata di quel saiyan, probabilmente sarebbe stato molto difficile tirarla fuori.

Tra l’altro, il problema maggiore in quel momento erano le sfere del drago.

Fino a poche ore prima, Crilin non sapeva assolutamente che Chichi e Goku le avessero affidate al Supremo. Il riserbo che la custode aveva voluto preservare sul destino di quei magici oggetti non aveva risparmiato nemmeno lui.

Qualcosa, però, era andato evidentemente storto.

Il ragazzo era stato svegliato nel cuore della notte da Popo, il fedele assistente del Supremo.

Aveva capito subito che c’era qualcosa che non andava. Popo era stranamente inquieto e, per la prima volta da quando lo conosceva, aveva lasciato da parte la sua aria impassibile.

Fu proprio lui a dirgli della sparizione delle sfere e a supplicarlo di avvertire la principessa il prima possibile.

Per la verità, quella mattina Crilin avrebbe dovuto raggiungere Bulma in laboratorio per aiutarla con i suoi esperimenti, ma la situazione gli era sembrata più grave del previsto.

Tanto più che dietro che a quella misteriosa sparizione potevano benissimo esserci dietro i saiyan e il loro principe.

Magari anche Goku.

Chissà perché, però, il cuore di Crilin gli aveva suggerito di scartare quell’ultima ipotesi.

 

«Non… Non ne ho la più pallida idea. Popo mi ha semplicemente riferito della scomparsa, tutto qui.»

 

«Oh, certo! In effetti, è normale che da un momento all’altro le sfere del drago spariscano nel nulla! È così che il loro creatore le protegge?»

 

«Non so che cosa dirti, mi dispiace. Non conosco la dinamica dei fatti.»

 

Kakaroth tirò un pugno sulla parete più vicina che aveva a disposizione, creando un buco nel muro.

Aveva sbagliato i calcoli. Sottrarre le sfere alla custodia di Chichi non aveva affatto impedito che qualcuno potesse appropriarsene al suo posto.

La cosa peggiore era che non poteva assolutamente sapere chi fosse quel maledetto qualcuno.

Che fosse un saiyan?

Possibile; come altrettanto possibile era che invece si trattasse di un terrestre.

Erano loro, in fondo, a voler tutelare a ogni costo le sfere del drago.

Ed erano sempre loro che sapevano dell’esistenza del Supremo.

Già, perché i saiyan non ne erano a conoscenza, o, per lo meno, non lo erano in teoria.

Di certezze, ormai, il giovane Kakaroth non ne aveva più.

Una dopo l’altra tutte le sue convinzioni si stavano sgretolando sotto i pesanti colpi di una realtà imprevista e imprevedibile.

E anche di qualche verità indegnamente affiorata dal nulla.

Certo, perdere la calma non avrebbe portato ad alcun risultato concreto. In fondo, usare quelle dannate sfere non doveva essere poi così semplice e il solo possederle, a quanto ne sapeva il saiyan, non garantiva affatto un potere su di loro.

 

Il ragazzo si voltò verso Chichi, che aveva l’aria di essere altrettanto sconvolta.

Goku, però, aveva l’impressione che la notizia della scomparsa delle sfere non l’avesse tramortita tanto quanto la consapevolezza di essere stata sorpresa in un bacio.

Con lui.

Per qualche strano motivo, l’idea che la ragazza si vergognasse dell’accaduto gli procurava un certo fastidio.

Kakaroth cercò comunque di allontanare quei pensieri dalla sua testa.

A risolvere la faccenda con la principessa ci avrebbe pensato poi; prima doveva trovare le sfere del drago.

 

«Ascolta, Chichi» disse all’improvviso il saiyan «tu sei assolutamente certa di essere l’unica persona a conoscere il segreto per utilizzare le sfere?»

 

La ragazza sollevò appena la testa, quel tanto che bastava per guardare negli occhi il suo interlocutore.

 

«Sì, su questo non ho alcun dubbio.»

 

«Bene. Per lo meno sappiamo che chi le ha prese non può farsene un bel niente. E ora, vieni con me, andiamo a far visita a quel babbeo del Supremo.»

 

Chichi alzò di nuovo la testa, stavolta completamente.

 

«Dici… Dici a me?»

 

«E a chi altri, scusa? Non credo che il nanerottolo possa permettersi di tardare ulteriormente in laboratorio. Ci manca soltanto che Vegeta si insospettisca e siamo fottuti, tutti quanti.»

 

La principessa si voltò verso l’unico altro terrestre presente nella stanza.

Crilin notò nel suo sguardo un miscuglio di sentimenti contrastanti: la paura, lo sbigottimento, la voglia di scusarsi con lui – per cosa, poi? Per quel bacio strappato al nemico? – e il desiderio malsano di seguire davvero Kakaroth.

Lo aveva capito perfettamente, in fondo: la ragazza aveva perso la testa.

E con essa, presto avrebbe detto addio anche alla ragione, alla libertà e, probabilmente, alla vita.

Crilin, però, non avrebbe mai avuto il coraggio di farglielo notare; e non perché avesse paura della reazione di Kakaroth – tanto, prima o poi lo avrebbe eliminato comunque e, se non lo avesse fatto lui, ci avrebbe pensato qualche altro saiyan – quanto perché temeva di abbattere definitivamente l’autostima di Chichi.

Sapeva quanto per la ragazza fosse vergognoso il fatto di essere stata sorpresa, e immaginava che probabilmente non era nemmeno fiera di ciò che provava nei confronti di Kakaroth.

Non aveva senso infierire: Chichi, molto probabilmente, era già perfettamente consapevole di essere nei guai fino al collo e di aver commesso una grave sciocchezza.

 

«Va’ pure, Chichi. In fondo, Kakaroth ha ragione: è meglio che io raggiunga al più presto Bulma

 

«Vedi di non farti scappare niente di questa storia nemmeno con la scienziata. Quella pende dalle labbra di Vegeta, purtroppo per voi. Sarebbe capace di spifferare tutto in cambio di qualche rivelazione sul funzionamento dei nostri rilevatori monoculari.»

 

«D’accordo, Kakaroth, starò zitto.»

 

Il saiyan non rispose nemmeno.

Si avvicinò a Chichi, se la caricò in spalla, e in meno di un secondo volò fuori dalla palestra.

Lui non amava perdere tempo, e, in quell’occasione, non avrebbe neanche potuto permettersi di farlo.

 

***

 

Più ripensava alle sue parole e più Crilin capiva che la situazione era sfuggita di mano un po’ a tutti.

E la colpa, in fondo, non era nemmeno imputabile alle ragazze.

Avrebbe dovuto pensarci subito, accidenti!

Avrebbe dovuto capirlo che una somiglianza tanto plateale tra terrestri e saiyan avrebbe potuto indurre gli umani in inganno.

Perché, a ragion veduta, tutto si poteva dire degli invasori tranne che fossero dei mostri.

Nel senso più estetico del termine, ovviamente.

Invece no: la sorte aveva fatto sì che i famigerati malvagi, quelli per cui tanti guerrieri si erano allenati per anni e anni nel disperato tentativo di eliminarli, altri non fossero che creature umanoidi simili in tutto e per tutto agli esseri umani.

E, forse, pure con un briciolo di fascino in più.

Gran bella rogna, quella!

Chichi era già caduta tra le braccia di Goku, o, meglio, di Kakaroth, e Crilin sapeva perfettamente che per il saiyan sarebbe stato un gioco da ragazzi manipolare la situazione a suo piacimento. Il ragazzo non avrebbe saputo dire se quella della principessa potesse davvero definirsi ingenuità.

Magari, aveva provato a non cedere.

Magari, quel bacio non lo aveva voluto.

Ma chi stava prendendo in giro?

Lui la scena l’aveva vista benissimo e in quello scambio di effusioni non c’era la benché minima traccia di violenza.

Quel maledetto bacio lo avevano desiderato entrambi, e lui era stato così imbecille da permettere a Chichi di andare con Kakaroth dal Supremo.

Imbecille, certo.

Perché, se davvero Kakaroth aveva detto la verità su Bulma, il suo tentativo di non far insospettire il principe sarebbe stato del tutto inutile.

 

Cos’è che aveva detto esattamente Goku?

Ah, già.

Quella pende dalle labbra di Vegeta.

Ci mancava solo questa bella notizia a rendere uno schifo totale la giornata.

Ma era davvero possibile una cosa del genere?

Insomma, Bulma era una delle donne più intelligenti che avesse mai conosciuto. Avrebbe scommesso qualunque cosa, fino a dieci minuti prima, che non si sarebbe lasciata abbindolare da niente e da nessuno, nemmeno da un principe spietato – per quanto intrigante – venuto da chissà dove.

In fondo, il principe in questione voleva distruggere la razza umana.

Crilin era assolutamente certo che Bulma avesse paura di Vegeta.

Lo aveva capito da come ne parlava con lui quando lavoravano al miglioramento della gravity room.

Mai, dalle sue parole, era emerso il fatto che lo trovasse interessante. E per quale motivo, poi, una donna brillante come lei avrebbe dovuto sentirsi attratta da un folle assassino del calibro di Vegeta?

Be’, riflettendoci bene, Crilin faticava a spiegarsi anche come mai Bulma stesse con Yamcha, ammesso che ancora fossero una coppia.

Li aveva visti discutere coi suoi occhi prima dell’arrivo dei saiyan e avrebbe potuto giurare che quei due non avrebbero resistito insieme una settimana di più.

Possibile che i suoi problemi di coppia avessero influenzato a tal punto Bulma da interessarsi al principe dei saiyan?

No, accidenti, non era possibile.

La spiegazione doveva essere un’altra e, probabilmente, Kakaroth gliel’aveva servita su un piatto d’argento.

Sarebbe capace di spifferare tutto in cambio di qualche rivelazione sul funzionamento dei nostri rilevatori monoculari.

 

A quelle parole, Crilin non poteva che dare un’unica interpretazione: Vegeta – del quale aveva già intuito l’astuzia e l’intelligenza – non doveva essere affatto digiuno di faccende tecnologiche.

E, se così fosse stato, era probabile che, venendo da un altro pianeta, avesse delle conoscenze che in alcuni campi superavano quelle di Bulma.

Un gran bel guaio, certo.

Perché lui aveva imparato bene a conoscere la scienziata e sapeva perfettamente che per lei lo sviluppo tecnologico veniva prima di tutto.

Prima dei malvagi, prima delle sfere del drago, prima di Yamcha.

Veniva anche prima della salvaguardia dell’umanità?

No, di questo il ragazzo era assolutamente certo.

Ma Bulma amava superare sé stessa e se quel dannato principe lo avesse capito e le avesse dato man forte, probabilmente l’avrebbe tenuta in pugno senza nemmeno costringerla con le cattive maniere.

E per i terrestri sarebbero stati guai grossi.

In fondo, fino a quel momento la scienziata non si era opposta praticamente a nessuno dei suoi ordini. Il principe aveva chiesto una camera gravitazionale, e lei gliene aveva costruita una su misura; il principe le aveva chiesto di perfezionarla, e lei l’aveva migliorata superando brillantemente ogni più ottimistica aspettativa; il principe le aveva chiesto di usare lui come cavia, e lei, seppur a malincuore, si era piegata senza battere ciglio.

D’accordo, Bulma non avrebbe potuto in alcun modo opporsi alla volontà di Vegeta visto l’abisso che c’era tra loro in quanto a forza fisica.

Ma chi glielo diceva a Crilin che il principe l’avesse davvero minacciata?

 

Il ragazzo si ritrovò davanti al laboratorio di Bulma quasi senza rendersene conto.

Aprì la porta e trovò la scienziata seduta sulla poltrona col computer spento e il viso afflitto.

Quasi, il giovane terrestre fu colpito dai rimorsi di coscienza per ciò che aveva pensato di lei fino a pochi secondi prima.

Non sapeva cosa le fosse successo, ma, ne era convinto, Bulma doveva avere seri problemi.

 

«Ehi, Bulma…» sussurrò Crilin, quasi timoroso di spaventarla.

 

La bella scienziata sollevò appena il volto, solcato visibilmente dalle lacrime.

 

«Ciao» rispose a mezza bocca.

 

«Si può sapere che ti è successo? Se Vegeta si è arrabbiato per il mio ritardo, be’…»

 

«No, Crilin. Tu non c’entri assolutamente niente.»

 

«E allora che cos’hai?»

 

Bulma si asciugò le lacrime con una mano.

No, non glielo avrebbe detto.

Non tutto, ovviamente.

Qualcosa avrebbe dovuto pur rivelargli, visto che il ragazzo l’aveva sorpresa a piangere; ma da lì a raccontargli proprio tutto ne passava.

Tanto più che era ancora sotto shock e temeva seriamente che, se avesse parlato, anche Crilin avrebbe passato dei guai.

 

«Be’, ecco… Ieri sera Yamcha si è intrufolato al castello.»

 

«Che cosa? Stai dicendo sul serio, Bulma

 

«Già, non so cosa gli abbia detto il cervello, credimi. Tra l’altro, aveva solo voglia di litigare, a quanto ho capito. Comunque, Vegeta si è accorto di lui.»

 

«Oh, cavolo. E… E che cosa gli ha fatto?»

 

«Niente, tranquillo. Non si è nemmeno fatto vedere mentre Yamcha era qui. Solo che poi se l’è presa con me. Mi ha ordinato di ucciderlo la prossima volta che metterà piede qui dentro.»

 

Crilin trattenne a stento le imprecazioni.

Yamcha doveva essere completamente impazzito. Perché aveva deciso di fare una stupidaggine del genere? Muten lo aveva avvertito: guai a tentare di avvicinarsi al castello.

Certo, il suo maestro aveva omesso di dirgli che Bulma lavorava per il principe, ma Crilin era assolutamente certo che Yamcha sapesse della sua presenza a corte.

Oltretutto, così facendo, oltre che mettere nei guai sé stesso, aveva anche incastrato Bulma.

Già, perché era facile immaginare cosa fosse passato per la testa di Vegeta.

Doppio gioco.

Tradimento.

E se, come aveva insinuato Goku, Bulma aveva dato l’impressione di pendere dalle labbra di Vegeta, scoprire che il suo ragazzo gironzolava nel castello doveva aver messo in allerta il principe dei saiyan.

E solo le divinità Kaio potevano sapere che cosa fosse passato per la testa di quel guerriero senza scrupoli.

 

«Come sarebbe a dire che ti ha ordinato di ucciderlo? È… assurdo, accidenti!»

 

«No, non lo è. Quello non conosce né la pietà, né le mezze misure. Ascoltami, Crilin, fa’ in modo di parlare con lui e di dirgli di stare lontano da qui o rischiamo entrambi di fare una brutta fine.»

 

«Sì, certo. Ma, insomma, non ti ha spiegato perché è venuto al castello?»

 

«No, e nemmeno mi interessa saperlo. Meriterebbe di morire davvero solo per tutti i guai che mi sta facendo passare! La verità è che ho sprecato gli anni migliori della mia gioventù dietro a un perfetto imbecille che mi sta ripagando mettendo a repentaglio la vita di entrambi. Al diavolo lui e il suo patetico egocentrismo!»

 

«Bulma, calmati per favore. Gli parlerò. Vedrai che non succederà niente di niente. E, insomma… Non parlare così di lui. So per certo che ti vuole bene.»

 

La ragazza si alzò di scatto dalla poltrona, come se volesse aggredire il suo interlocutore.

Lo avrebbe fatto se la disperazione non le avesse tolto ogni forza.

In fondo, la faccenda di Yamcha era solo una scusa. Con quale coraggio avrebbe potuto rivelare a Crilin che Vegeta voleva la Luna e che quei dannati invasori erano mostri con la coda?

Tra l’altro, Bulma era assolutamente certa che ci fosse una correlazione tra quest’ultima e l’assurda richiesta di Vegeta.

Perché mostrargliela, altrimenti?

Perché farle capire proprio in quel momento che quella cosa legata intorno alla sua vita non era affatto un semplice accessorio del suo vestiario.

 

«Non ha importanza, Crilin. Ora va’ via e fa’ quello che ti ho chiesto.»

 

«Come sarebbe a dire, scusa? Non devo aiutarti con gli esperimenti sulla gravity room

 

«No, non è più necessario. Da oggi dovrò dedicarmi a ben altri progetti

 

Il tono amaro con cui Bulma aveva proferito quell’ultima parola avevano lasciato capire a Crilin che non era il caso di insistere.

No, decisamente no.

La scienziata, evidentemente, non era dell’umore adatto per conversare, né tanto meno aveva voglia di parlare con lui dei suoi problemi sentimentali e dei progetti ai quali doveva lavorare.

Per conto di Vegeta, supponeva il ragazzo.

E, vista la non facile situazione, non era il caso di mettere il dito nella piaga.

A questo punto, il ragazzo iniziava a sperare che non fosse solo Bulma a pendere dalle labbra di Vegeta, ma anche – e soprattutto – il contrario.

Perché con Chichi ce la poteva pure avere qualche speranza di aiutarla – ragionare con Kakaroth gli sembrava una missione difficile ma non impossibile –; ma con Bulma non avrebbe potuto far nulla.

Il principe dei saiyan non ascoltava che le proprie ragioni e, sperava, quelle della scienziata.

 

CONTINUA

 

 

 

Angolo dell’autrice

Ciao a tutti!

A dispetto delle mie peggiori previsioni, sono riuscita a concludere degnamente – almeno spero – anche il decimo capitolo.

Non ho molte precisazioni tecniche da fare, se non che sto continuando ad alternare il nome Goku a Kakaroth proprio per rendere più evidente la crisi in cui versa il nostro eroe.

Per il resto, niente da aggiungere.

Magari, qualche parolina in più andrebbe spesa per la trama, anche se credo che fino a qui la storia sia abbastanza chiara. In questo capitolo ho voluto giocare molto sulla paura, sui dubbi e sui sospetti. Il povero Crilin – che merita a pieno diritto il titolo di personaggio sfigato della storia – è alle prese con due brutte scoperte: primo, Chichi è innamorata palesemente di Goku; secondo, Bulma è stata incaricata da Vegeta di uccidere Yamcha.

Oltre a ciò, c’è da aggiungere anche il sospetto insinuatogli da Goku circa una presunta attrazione letale di Bulma nei confronti di Vegeta, attrazione che noi già sappiamo esserci ma che il terrestre ha interpretato in modo parzialmente distorto, creandosi un’opinione di Bulma ben poco lusinghiera. Poi, chissà… Magari ha ragione lui!

In questo caso, direi proprio che la paura porta le persone a dubitare di chiunque e Crilin, avendo una paura matta – e giustificata – di Vegeta, teme che la scienziata sia in combutta con lui.

Per ora, non ha nemmeno tutti i torti, anche se c’è sotto un ricatto.

Passiamo a Vegeta. Avete notato che, finalmente, inizia a mostrare un po’ di gelosia nei confronti di Bulma? Molto poca, lo so, ma per lo meno la corazza del principe sta iniziando a cedere.

Certo, lo fa un po’ a modo suo, ma comunque è un inizio.

E, rimanendo in tema saiyan, avevate notato, prima di oggi, che non avevo mai menzionato la loro coda? 

Eh, già, i nostri amati guerrieri l’hanno nascosta bene. Per lo meno, Vegeta l’ha nascosta bene a BulmaMamanu, per ovvie ragioni, deve averla già notata.

Mi sto dilungando decisamente troppo, stavolta, con le mie note, quindi le chiudo qui e vi saluto dandovi un grandissimo bacio. Alla fine della storia, vi ringrazierò ad uno ad uno!

:******

 

9dolina0

 

 

 

 

 

 

 

 

   

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Capitolo 11
*** Sospetti e gelosie ***


Capitolo XI – Sospetti e gelosie

 

Era già mattina da un pezzo, eppure quel giorno al castello non c’era la solita routine.

Doveva essere successo qualcosa; forse, anche più di qualcosa, e l’essere all’oscuro di un evento che poteva essere significativo gli dava noia.

C’era poco da fare, però: se il principe stesso non lo avesse messo al corrente, lui difficilmente avrebbe potuto carpire le informazioni da altri.

Napa si sentiva sempre di più preso in giro negli ultimi tempi.

Egli era assolutamente certo di essere il saiyan più poteste dopo Vegeta, ma quest’ultimo prediligeva sempre di più la compagnia di quell’invadente terza classe di Bardack.

Che cosa aveva quel dannato spilungone che a lui mancava?

E perché, nonostante fosse trascorsa già più di una settimana dal loro arrivo sulla Terra, il principe non si era ancora deciso a mettere le mani sulle sfere del drago?

Tra l’altro, Napa iniziava persino a dubitare che esistessero realmente, dato che non le aveva mai viste di persona e, se non aveva capito male, neppure il principe aveva avuto modo di appurare coi propri occhi la loro esistenza.

Per quello che ne sapevano loro, quella poteva essere tutta una bufala ideata da Kakaroth per convincere gli altri saiyan a raggiungere la Terra e aiutarlo, così, a conquistarla.

In fondo, il figlio di Bardack tutto gli pareva tranne che un guerriero di buon livello.

Ci poteva anche stare che avesse bisogno di una mano da parte di uomini più in gamba di lui.

Rimaneva il fatto, però, che quel pivellino sembrava in qualche modo tenere in scacco il principe.

Già; per quanto fosse assurda una cosa del genere, finché non fossero saltate fuori le sfere del drago, Vegeta aveva le mani praticamente legate.

Napa, però, conosceva molto bene il suo sovrano e aveva imparato a diffidare della sua calma apparente.

E anche ad averne paura.

Nelle ultime ore, sembrava che il principe fosse più rilassato del solito; quasi, a colazione gli era sembrato di vederlo sorridere e la cosa lo preoccupava da morire. La prima e ultima volta che lo aveva visto accennare a una smorfia di compiacimento, Vegeta aveva poi ucciso suo padre.

Gran brutta storia, quella!

Napa aveva stampato in testa ogni singolo dettaglio di quel truce assassinio, dall’agguato nel salone reale all’incenerimento del cadavere.

Sempre e solo per mano dell’allora ancora adolescente principe dei saiyan.

Peccato che di quell’assurda faccenda fossero a conoscenza solo lui e Bardack.

Il giovane Vegeta non amava vantarsi delle proprie imprese, né gli piaceva che i suoi sudditi sapessero davvero quanto egli fosse potente. In fondo, l’abisso che c’era tra lui e i più valorosi guerrieri del popolo saiyan era elevato a tal punto che se anche questi ultimi non conoscevano i reali poteri del principe, quel poco che sapevano era più che sufficiente per farli tremare di paura al suo cospetto.

E ne avevano ben ragione.

Pur senza sapere tutto.

 

Quella mattina, Napa avrebbe dovuto finalmente fare un giro di ricognizione intorno alle terre di Furipan. Egli, per la verità, avrebbe preferito conquistare l’intero pianeta in pochi giorni, senza perdere inutilmente troppo tempo, ma il principe, venuto a conoscenza della presunta sparizione delle altrettanto presunte sfere del drago, aveva pensato bene di dar retta a Kakaroth e di fare le cose con calma.

Quel dannato moccioso, evidentemente, non aveva idea dell’essere con cui aveva a che fare.

Ma, tutto sommato, quelli non erano affari suoi. Napa non aveva di certo il compito di intercedere tra il principe e i suoi sudditi: lui era principalmente un guerriero, uno sterminatore, un boia; e tra i suoi doveri c’era anche quello di recuperare della nuova forza-lavoro.

 

Peccato che, insieme a lui, sarebbe dovuto partire Giumaho e che quel dannato terrestre ancora non avesse messo piede fuori dalla sua stanza.

Napa non era mai stato un tipo molto paziente e quell’inutile attesa lo mandava in bestia.

Tanto più che aveva incrociato il principe qualche minuto prima e, pur avendolo messo al corrente del ritardo di Giumaho, Vegeta non aveva battuto ciglio e, anzi, gli aveva detto di non prendersela per così poco.

Già, per così poco.

Ma quella, in fondo, era soltanto una delle tante stranezze che aveva notato a corte quella mattina.

Più gironzolava senza meta nel castello e più si rendeva conto che c’era qualcosa di anomalo.

E non soltanto nel comportamento di Vegeta.

Il terrestre pelato era arrivato in laboratorio in clamoroso ritardo, ma, prima di andare lì, si era fermato in palestra. Subito dopo, Napa aveva visto alzarsi in volo a tutta velocità il figlio di Bardack, che aveva pensato bene di portarsi dietro anche la principessina.

Il guerriero d’élite avrebbe voluto mettere al corrente di ciò anche Vegeta, ma non sapeva se fosse una buona idea.

Quel Kakaroth nascondeva sicuramente qualcosa, e una di queste era senza dubbio la sua aura. Se Napa non avesse visto coi suoi occhi il ragazzo spiccare il volo, non si sarebbe accorto di niente poiché il suo rilevatore non aveva captato l’energia del giovane saiyan.

Certo, che quell’inutile terza classe fosse chissà quanto più forte di ciò che dava a vedere era molto improbabile, però rimaneva il fatto che aveva il potere di non far rilevare la sua energia.

 

L’ennesima stranezza si materializzò proprio in quel momento sotto ai suoi occhi.

Il pivello terrestre che aiutava la scienziata con i suoi esperimenti stava lasciando il castello nonostante fosse ancora mattina.

Possibile che avesse già finito col suo lavoro?

Il saiyan non perse tempo e gli si parò davanti, facendolo cadere all’indietro per lo spavento.

 

«Ehi, Napa! Acc… Accidenti! Mi hai fatto prendere un colpo!»

 

«Non osare rivolgerti così a me, sciocco! Dimmi, piuttosto, dove stai andando, eh?»

 

Il ragazzo cercò di ricomporsi come meglio poteva, spolverandosi i pantaloni e la casacca.

 

«Vado ad aiutare Muten,  tanto oggi Bulma non ha bisogno di me.»

 

«Ah, davvero? E come mai? Possibile che la sua camera gravitazionale sia già perfetta

 

«Be’, questo non lo so. Ma il principe, a quanto pare, le ha ordinato di lavorare ad altri progetti che non necessitano della mia presenza. Non chiedermi di cosa si tratti perché non ne ho idea, mi dispiace.»

 

Crilin fece per andarsene, ma Napa lo trattenne sollevandolo per un braccio.

 

«Ehi, ma… Che diavolo fai?»

 

«Senti un po’, terrestre, visto che quel fifone di Giumaho ha deciso di non presentarsi all’appuntamento, perché non vieni tu con me?»

 

«Venire dove, scusa? Oh, andiamo, io ho dei compiti ben precisi e tra i miei doveri non c’è quello di…»

 

«Poche storie, ragazzo. Tanto mi pare che tu sia rimasto senza far niente, no? Si tratta solo di fare un giro nei dintorni e recuperare qualche altro lavoratore. Gli abitanti di Furipan non ci bastano. Voi umani siete dannatamente lenti e pigri, accidenti!»

 

Crilin digrignò i denti e sputò a terra.

 

«Magari, siete voi saiyan ad avere delle pretese un po’ troppo elevate. Siete solo in ventidue e non vi bastano tutte le nostre scorte di cibo. Comunque, non intendo venire con te a cercare altri schiavi. Sei grande e grosso: puoi cavartela benissimo da solo.»

 

«Invece verrai. Quando non c’è il principe, sono io quello che ha il potere, è chiaro?»

 

Il ragazzo trattenne a stento una risata.

Degli equilibri a corte non aveva capito proprio tutto, ma se c’era una cosa lampante come il sole era che la seconda persona più importante dopo Vegeta fosse Bardack.

Bardack, non Napa.

Certo, vista la brutta piega che aveva preso quella maledetta giornata, andarsela a rovinare discutendo anche con quel colosso non avrebbe avuto proprio senso.

Anche perché – e questo Crilin doveva ammetterlo – Napa era decisamente più forte di lui.

Il giovane sospirò con aria rassegnata e abbassò il capo in segno di resa.

 

«E va bene, basta che questa non diventi un’abitudine.»

 

In fondo, pensandoci un po’ su, magari la sua presenza avrebbe impedito a quello spartano guerriero di alzare troppo le mani su degli innocenti.

E avrebbe concesso a lui di cacciare dalla testa tanti brutti pensieri.

 

***

 

Il volo era stato tutt’altro che piacevole, ma, se non altro, Chichi non aveva mai avuto il timore di cadere a terra.

Per quanto le costasse un’enorme fatica ammetterlo, nessun guerriero che l’aveva mai portata in spalle le aveva dato la stessa sicurezza di Kakaroth.

Certo, nessuno l’aveva mai nemmeno trasportata a una simile velocità.

L’arrivo a palazzo fu un vero sollievo per la principessa. Quasi, le sembrava che se il volo fosse durato anche solo dieci minuti in più, lei sarebbe morta soffocata.

Kakaroth, al contrario, pareva fresco come una rosa.

Che razza di poteri aveva quel dannato saiyan?

Possibile che a lui ogni cosa risultasse estremamente facile?

La ragazza cercò di ricomporsi come meglio poteva, sistemandosi la tunica bianca e i capelli. Peccato che durante il volo avesse perso i lacci e che ora la sua chioma fluttuasse al vento.

Chichi non era abituata a tenere i capelli sciolti, soprattutto in luoghi estremamente ventosi come il palazzo del Supremo.

In realtà, non era abituata e basta.

Lei era una guerriera, prima che una principessa, e i capelli lunghi e fluenti erano sempre stati fonte di intralcio. Se suo padre non fosse stato contrario, li avrebbe tagliati già da un pezzo; ma Giumaho desiderava ardentemente che sua figlia non sacrificasse tutta la sua femminilità in nome della lotta e l’aveva pregata più e più volte di non rinunciare alla sua lunga chioma corvina.

Detto, fatto.

In fondo, Chichi glielo doveva. Quell’uomo non le aveva mai fatto mancare nulla e lei, al contrario, l’aveva ripagato cacciandosi in mille guai e facendogli venire mille preoccupazioni.

E Giumaho ancora non sapeva di lei e Kakaroth.

 

La bella principessa cacciò all’istante quel pensiero dalla sua testa e raggiunse il saiyan, che nel frattempo si stava inoltrando dentro le sale del palazzo.

 

«Strano, credevo ci stessero aspettando» sussurrò la principessa, sorpresa di non vedere né Popo, né il Supremo all’esterno.

 

«Infatti è così, Chichi. Ma evidentemente preferiscono non esporsi troppo. Raggiungiamoli dentro.»

 

Rispetto a qualche giorno prima, quando, sempre insieme a Kakaroth, si era recata a palazzo per consegnare le sfere del drago al Supremo, le stanze interne erano diverse. A occhio e croce, sembrava che Popo avesse fatto pulizia di tutte le cianfrusaglie inutili che riempivano quei saloni.

Se non altro, almeno, il rischio di inciampare su qualche anfora vuota era scomparso.

Chichi nutriva un certo timore reverenziale nei confronti del Supremo, anche se, di fatto, non lo aveva mai dato a vedere. Sapeva che in lui c’era qualcosa di strano, qualcosa che lo rendeva diverso dai normali esseri umani; e quel qualcosa non era solo il colorito verde della sua pelle, ma anche l’inquietante capacità che quell’essere aveva di carpire i segreti più nascosti di chi gli si parava davanti.

Proprio per questo, Chichi quel giorno si sentiva più a disagio del solito.

E più cercava di non pensare al suo accompagnatore sotto quell’aspetto, e più qualche brivido di piacere andava a stuzzicare il suo basso ventre.

 

«Benvenuti, ragazzi. Sono contento che siate arrivati così in fretta.»

 

«Risparmia il fiato per le cose serie, vecchio. Si può sapere che diavolo è questa storia che le sfere del drago sono scomparse?»

 

Il Supremo della Terra aveva un’aria affranta ma sostanzialmente composta e questo, in un certo senso, rassicurò Chichi.

Quell’anziano dio, l’essere che aveva il compito di tutelare il pianeta e i suoi abitanti, si stagliava davanti a loro con una certa sicurezza, quasi a voler ostentare la sua divina superiorità.

Ma non era arroganza, la sua; no, il Supremo era semplicemente collocato più in alto nella scala celeste e la sua posizione si rifletteva in un atteggiamento di elegante remissività e compostezza.

Il saiyan, però, sembrava non avvertire minimamente la fortissima aura di spiritualità che emanava quell’anziano governatore.

Goku aveva un atteggiamento quasi di sfida nei suoi confronti; lo detestava, in quel momento, perché evidentemente lo riteneva responsabile del furto delle sfere.

Tutto sommato, non aveva nemmeno torto; peccato che quello non fosse il momento adatto per recriminare alcunché. In fondo, l’idea di allontanare le sfere del drago dal castello di Furipan era stata di Goku e Chichi gliel’aveva appoggiata in pieno.

Prendersela con il Supremo sembrava quasi un atto di vigliaccheria ingiustificata e, oltretutto, non li avrebbe aiutati a recuperare i preziosi oggetti.

 

«Mi dispiace davvero, ragazzo, anche perché non so spiegarmi come sia potuto succedere. Nessuno poteva sapere che le sfere fossero qui e questo complica non poco le cose. La cosa inquietante è che non mi sono accorto assolutamente di nulla.»

 

«Quindi, stai ammettendo di essere un perfetto idiota?»

 

Chichi diede una gomitata al saiyan.

Per quanto la ragazza comprendesse la rabbia di Kakaroth, mancare di rispetto a quel modo a colui che aveva l’enorme responsabilità di vegliare sul pianeta Terra era a dir poco spregevole.

 

«Be’, ragazzo, se vuoi metterla in questi termini, non te ne do una colpa.»

 

«Senta Supremo» intervenne prontamente Chichi «lei non saprebbe dirci proprio nulla a riguardo? Quando è successo, per esempio. O in quale frangente. Come è possibile che non abbiate percepito alcuna presenza? Insomma, tutti abbiamo un’aura.»

 

«Sì, Chichi, è così. Ma ci sono creature in grado di azzerarla completamente. Come ben sai, non è una cosa impossibile. Anche Kakaroth ci riesce alla perfezione.»

 

Il saiyan fece qualche altro passo in direzione del Supremo, fino a trovarsi a pochi centimetri dal suo viso.

Si sentiva chiamato in causa, in un certo senso, e la cosa non gli piaceva affatto.

Insomma, già collaborare con la principessa gli era costata un’enorme fatica, ma addirittura scoprire che il suo sforzo fosse stato ricompensato con una totale mancanza di fiducia da parte dell’idiota che avrebbe dovuto sorvegliare le sfere, be’… Era decisamente troppo.

E poi, a quanto ne sapeva lui, alcuni dei tizi che avevano partecipato al torneo erano stati allenati proprio dal Supremo in persona, quindi era altamente probabile che fossero in grado di controllare la loro aura.

 

«Se è per questo, vecchio imbecille, ci riescono anche i tuoi ex allievi. Oppure vuoi farmi credere che tu, in previsione dell’arrivo dei malvagi, non abbia insegnato loro quella tecnica? Io l’ho appresa da Son Gohan, che l’aveva appresa da Muten, che l’aveva appresa da te. Facendo bene i conti, di probabili ladri in giro ce ne sono molti di più di quanto non sembri.»

 

«Lo so perfettamente, Kakaroth. E sono anche certo che non sia stato tu a rubare le sfere. Però, mi rifiuto anche di credere che sia stato uno dei miei ex allievi. Non tutti hanno l’onore di farsi allenare da me, e la sola forza fisica non è un requisito sufficiente. Bisogna essere persone oneste e valorose, e posso scommettere ciò che vuoi che nessuno degli uomini che ho allenato potrebbe fare una cosa del genere.»

 

«Nemmeno se la Terra fosse minacciata da un esercito alieno e le sfere del drago fossero l’unica possibilità per salvarla?»

 

Le parole di Kakaroth spiazzarono il Supremo che, di fatto, non riuscì a controbattere.

Il ragionamento del saiyan, in fondo, non faceva una piega, ed egli sarebbe stato alquanto sciocco e ingenuo a non prendere minimamente in considerazione il dubbio del ragazzo.

Oltretutto, era più che fondato.

Rimaneva però il fatto che egli nutriva un’estrema fiducia verso gli uomini che, nel corso degli anni, aveva avuto modo di allenare e di educare alle arti marziali ed era assolutamente certo che se uno di loro avesse voluto prendere per precauzione le sfere del drago, gliele avrebbe chieste, piuttosto che sottrarle.

I fatti, però, parlavano chiaro.

I saiyan non avevano il potere di azzerare la loro aura ed era quindi fuori discussione che fosse stato qualcuno di loro. Tra l’altro, nemmeno erano a conoscenza dell’esistenza del Supremo e non avevano idea di come fossero fatte le prodigiose sfere.

Insomma, per quanto fosse difficile ammetterlo, era molto più probabile che a compiere quel furto fosse stato un terrestre piuttosto che un saiyan.

Poteva rimanere il dubbio su Goku, ma il Supremo sapeva che per lui rubarle non avrebbe avuto alcun senso.

In fondo, aveva Chichi in pugno.

Perché compiere un furto quando poteva semplicemente convincere la principessa a riprendersele? Tanto più che egli sapeva perfettamente che Chichi era la sola in grado di utilizzarle.

 

Il Supremo emise un lungo sospiro e abbassò la testa in segno di resa.

 

«E va bene. Non hai affatto tutti i torti, Kakaroth

 

«Vedo che inizi a ragionare. Perfetto. Allora, per prima cosa, io andrei a cercare il tizio che si è battuto per primo contro di me al torneo.»

 

Chichi spalancò gli occhi di rimando.

 

«Che cosa? Yamcha? E perché mai? Perché proprio lui?»

 

Il tono con cui la ragazza pose quelle domande, a metà tra lo sbigottito e l’incredulo, non piacque affatto a Goku.

Evidentemente, lei non credeva possibile che quell’insulso combattente fosse il responsabile della scomparsa delle sfere. Ma cosa le dava una simile sicurezza?

Non ci voleva un genio per capire che egli doveva trovarsi in cima alla lista dei sospettati, visto che di lui non si erano avute più notizie da quando i malvagi erano usciti allo scoperto.

E poi, be’… quello che era accaduto la sera prima non poteva che complicare la sua posizione.

 

«Perché è sparito dalla circolazione da quando sono arrivati i miei compagni e perché ieri sera l’ho visto aggirarsi nei dintorni del castello in maniera furtiva. Credo sia anche entrato, a dire il vero. Anzi, ne sono praticamente certo, visto il pessimo umore che aveva la scienziata questa notte.»

 

Chichi impiegò più del previsto per mettere insieme tutte le informazioni carpite e per dare loro un senso logico.

In realtà che Yamcha non si fosse più fatto vedere nemmeno lo aveva notato. Lei aveva passato giornate intere chiusa in palestra ad allenarsi con Kakaroth, e di quello che stava succedendo fuori non aveva la benché minima idea.

Per la verità, fino a quel momento credeva addirittura che non dovesse importarle affatto.

Insomma, con tutti i problemi che le stava causando il suo ex protettore, poteva davvero preoccuparsi del fatto che tutti i suoi amici fossero ancora a Furipan?

E poi, cos’era questa storia che questa notte la scienziata era di pessimo umore?

Che diavolo ne sapeva Goku?

Un improvviso lampo di gelosia si dipanò dagli occhi di Chichi.

Fino a quel momento, la ragazza non aveva assolutamente messo in conto che il suo ben poco simpatico maestro di arti marziali avesse a che fare con altre donne, oltre a lei.

Con altre donne che fossero, oltretutto, dannatamente attraenti.

La sensazione che per l’ennesima volta quel farabutto di Kakaroth l’avesse umiliata divenne improvvisamente concreta.

Già, perché lei, come una stupida, aveva creduto nel profondo del suo cuore di essere per lui speciale.

 

«Che c’è, Chichi, hai perso la lingua?»

 

«Ah, piantala, Kakaroth! Stavo solo pensando, tutto qui.»

 

«Potresti anche rendermi partecipe di ciò che ti passa per la testa, visto e considerato che senza il mio aiuto non ritroverai mai le tue preziose sfere!»

 

«Già, e poi sarai tu a sottrarmele, non è vero?»

 

La risposta pungente di Chichi spiazzò Kakaroth.

Che diavolo stava passando per la testa di quella ragazzina?

O, magari, voleva fingere di cadere dalle nuvole?

Certo che gliele avrebbe sottratte!

Aveva rimandato la conquista di quell’inutile pianeta solo per poter mettere le mani sulle sfere del drago. Chichi, oltretutto, ne era perfettamente a conoscenza.

Certo, in quel preciso istante non avrebbe saputo che cosa farsene ma, ne era sicuro, un modo per sfruttarle lo avrebbe trovato.

In fondo, ne aveva pure diritto.

Era o non era stato lui a sottrarre la principessa e le sue sfere dalle grinfie di Vegeta?

Quest’ultimo, tra l’altro, prima o poi sarebbe uscito allo scoperto e avrebbe rivendicato con la forza i magici oggetti di cui Chichi era custode.

Era, appunto; perché, per colpa del Supremo, ora non si sapeva nemmeno che fine avessero fatto.

 

«Meglio in mano mia che di uno sprovveduto terrestre.»

 

«Oh, certo. E cosa ti fa pensare che io intenda assecondarti?»

 

Sul volto di Kakaroth si delineò un sorriso sghembo e beffardo.

 

«Ne vogliamo proprio parlare, Chichi

 

La ragazza si irrigidì di colpo, vinta dalle allusioni di Goku e dalla sua sfacciataggine.

Tremava, di rabbia e di imbarazzo, e il rossore che le infiammò le gote non poté che dare ragione al saiyan.

Lei stessa temeva che quel farabutto l’avrebbe convinta a cedergli le sfere.

Lei stessa sapeva che quel miserabile guerriero avrebbe potuto ottenere qualsiasi cosa da lei mettendo le mani al posto giusto.

E questo era un affronto non da poco per il suo orgoglio perché, per quanto ella volesse con tutta sé stessa far prevalere la ragione, aveva già sperimentato quanto il suo cervello si spegnesse ogni qualvolta Kakaroth si avvicinasse a lei con intenti diversi dal solo combattere.

 

«Per favore, ragazzi, non è il caso di discutere» intervenne il Supremo, cercando, per quanto possibile, di aiutare la povera Chichi a riprendere il controllo della situazione. «E tu, Kakaroth, non credere che sarà davvero così facile per te godere dei poteri delle sfere del drago. A prescindere da Chichi, infatti, sono comunque io il loro creatore e sempre io ho il potere di metterle fuori uso. Se vuoi aiutarci nella ricerca, fallo pure, ma senza pretese, però. Altrimenti, tornatene dai tuoi compagni e non farti vedere più qui. Ho già troppi problemi per colpa dei saiyan e, se anche credo di potermi fidare di te, mai e poi mai vorrei correre il rischio di aver sbagliato a valutarti.»

 

Il silenzio che trascorse dopo le parole pronunciate dal Supremo ebbe l’effetto di far riflettere un po’ tutti i presenti.

Kakaroth tardava a rispondere, e per Chichi ciò significava che il discorso appena udito lo aveva turbato non poco.

In fondo, quella del sommo governatore della Terra era stata una minaccia in piena regola e, per quanto il saiyan potesse faticare ad accettarlo, non era di certo lui ad avere il coltello dalla parte del manico.

 

«Perché, allora, non le disattivi subito queste dannate sfere?»

 

«Perché non è necessario: so per certo che nessuno, a parte me e Chichi, conosce la formula per attivarle.»

 

«E se invece ti sbagliassi?»

 

«Mi accorgerei comunque se il drago fosse stato invocato. La sua comparsa provoca degli effetti ben visibili.»

 

«Aspetta un momento. Quale drago

 

Questa volta, a sorridere in modo beffardo fu il Supremo.

A quell’anziana divinità Goku piaceva e sapeva che, dentro di sé, quel ragazzo aveva molti più dubbi e incertezze di quante non ne volesse far trapelare.

Egli sapeva tutto: aveva il dono di sviscerare all’interno dell’animo delle creature mortali e non era affatto difficile per lui percepire le contraddizioni insite nel cuore di Kakaroth.

O, meglio, di Goku.

Son Gohan, in fondo, per quel poco che l’aveva accudito, l’aveva cresciuto bene.

Certo, lo aveva fatto a discapito della propria vita ma, come sempre gli aveva detto il suo ex allievo, era sicuro che, alla fine dei giochi, ne sarebbe valsa la pena.

Già, perché Son Gohan sapeva fin dall’inizio che, prima o poi, Goku lo avrebbe ucciso.

Non era certo uno stupido, lui: fin dalla prima volta in cui aveva visto quello strano bambino con la coda, l’uomo aveva avuto la sensazione che gli avrebbe fatto patire le pene dell’inferno.

E così era stato; ma, per quanto la natura saiyan avesse prevalso nei primi anni di vita del fanciullo, prima o poi, ne era certo, i buoni sentimenti umani lo avrebbero influenzato.

E mandato in tilt.

Il Supremo sorrideva all’idea che, fortunatamente, Son Gohan ci aveva visto giusto.

Il suo ex allievo era un portento, e non di certo solo in quanto a forza fisica.

No; lui aveva un dono speciale, ed era quello di rabbonire i cuori di chiunque, di plasmarli a proprio piacimento e di renderli puri.

Certo, con Kakaroth l’impresa era stata quasi disperata e, alla luce dei fatti, tutt’altro che compiuta; eppure, gli insegnamenti di Son Gohan si erano insediati nell’animo di quel ragazzo piantando le loro debolissime radici e, qualcuna di queste, sembrava proprio aver attecchito.

 

«Non ha importanza, ragazzo. Lo scoprirai a tempo debito, sempre ammesso che tu voglia mettere da parte momentaneamente le tue brame di conquista e decida di collaborare.»

 

«Non mi piace per niente la tua espressione, vecchio, ma non importa. A quanto pare, non ho altra scelta. Al resto penserò dopo averle ritrovate.»

 

Chichi tirò un sospiro di sollievo.

Il Supremo, con un’abile mossa strategica, aveva rabbonito il saiyan.

Certo, l’idea che comunque Goku mirasse a sottrarle le sfere l’aveva messa in allerta, anche se, in fondo, lei lo aveva sempre saputo.

Già, sempre; da quando, per lo meno, il saiyan aveva rivelato la propria identità.

Probabilmente, l’intento del Supremo era anche quello di ridestare l’attenzione di Chichi.

In fondo era chiaro come il sole che lei, negli ultimi tempi, aveva notevolmente abbassato la guardia.

 

***

 

Osservarla dall’ombra era una vera goduria, perché in quel modo aveva l’opportunità di saggiare tutta la paura che provava la ragazza.

E ne aveva tanta, da quando aveva scoperto che i saiyan avevano la coda.

Vegeta era a pochi passi da lei, dietro alle ante aperte di un armadio vecchissimo, la cui struttura era stata quasi completamente rosicchiata dai topi.

Bulma non si era accorta di lui.

La scienziata se ne stava da più di mezz’ora col capo chino rivolto verso il monitor del suo computer, forse ancora intenta a dare un senso alla sua assurda richiesta.

Assurda per lei, ovviamente, anche se la scoperta della coda doveva averle acceso in testa un campanello d’allarme.

 

Vegeta si era tormentato per giorni su quella faccenda.

Suo padre aveva mille difetti, certo, ma sicuramente non era tipo da sbagliare dei calcoli tanto semplici.

E se il re dei saiyan aveva detto che intorno a quel fottuto pianeta gravitava una luna con le stesse caratteristiche di quella che orbitava attorno al pianeta Vegeta, quella stramaledetta luna doveva esserci.

Doveva.

E, invece, lì non ve n’era traccia.

La cosa assurda era che Kakaroth non aveva più la sua coda e di questo egli si era accorto praticamente subito.

Chissà quando diavolo l’aveva persa e se fosse consapevole di averne avuta una in precedenza.

Comunque fossero andate le cose in passato, quello era un problema a cui egli avrebbe dovuto trovare una soluzione al più presto.

Vegeta dubitava difficilmente delle proprie possibilità ed era quasi certo che, se lo avesse voluto, avrebbe potuto eliminare Kakaroth senza problemi.

Quasi, appunto; perché, per quanto il suo sottoposto non avesse mai dimostrato di essere un reale pericolo, il fatto che si ostinasse tanto a nascondergli le sfere del drago aveva indotto il principe a pensare che presto avrebbe potuto ribellarsi.

Vegeta sapeva bene che non c’era mai da fidarsi di un saiyan, né della sua classe di appartenenza. Bardack, in fondo, aveva dimostrato di essere di gran lunga superiore a tanti guerrieri d’élite.

E Kakaroth era suo figlio.

Se quella scienziata, però, gli avesse procurato una bella luna, Vegeta lo avrebbe messo sicuramente fuori gioco.

In fondo, lui la coda ce l’aveva ancora e poteva trasformarsi; ma, Kakaroth no.

 

Bulma, nel frattempo, si stava dannando per trovare una soluzione ai suoi problemi.

Aveva già avvertito Crilin di mettere in guardia Yamcha e sperava che il ragazzo lo avesse già fatto.

Tutto sommato, Vegeta ci aveva visto giusto e lei lo sapeva: prima o poi, il suo fidanzato sarebbe tornato lì e, a quel punto, sarebbero stati guai seri per lui.

Già; perché per quanto la scienziata si sforzasse, sapeva perfettamente che non sarebbe mai riuscita a portare una luna al principe dei saiyan.

 

A meno che, non gliene avesse costruita una su misura.

Già, ma che tipo di luna voleva quel pazzoide?

Se almeno avesse saputo cosa voleva farsene, forse avrebbe potuto lavorare su qualche base più solida.

Certo, Bulma era consapevole del fatto che, qualunque cosa avesse in mente quell’uomo, non era niente di buono; tuttavia, vista la posizione in cui si trovava, non aveva altra scelta se non quella di collaborare.

Almeno fino a che qualcun altro non si fosse deciso a intervenire seriamente.

Insomma, che diavolo stava aspettando Chichi a mettere in funzione le sue preziosissime sfere e a liberarsi dei saiyan una volta per tutte?

Se, fino al giorno prima, la convivenza con quegli alieni non le aveva procurato chissà quali ansie, da quando aveva scoperto il segreto di Vegeta aveva una paura fottuta che l’aver dato troppo spago ai desideri di quel principe maledetto fosse stata una mossa dannatamente sbagliata.

Peccato che ormai fosse troppo tardi per tornare indietro e che, tutto sommato, non era nemmeno certa di volerlo fare.

Se solo Vegeta non fosse stato lo spietato assassino che era, Bulma avrebbe avuto a che fare con lui con estremo piacere, e non solo perché era un bel ragazzo – di uomini affascinanti, intorno, ne aveva a bizzeffe – ma perché, fino a quel momento, era stata l’unica persona ad avere una totale e incondizionata fiducia nelle sue doti di scienziata.

Non era un aspetto da poco, quello.

Gli uomini più intelligenti del pianeta avevano sempre avuto qualche riserva sul suo modo di fare ricerca e di portare avanti certi esperimenti.

E più la scienziata dimostrava di averci visto giusto, e più costoro prendevano le distanze da lei.

Che fosse invidia, la loro?

O, semplicemente, sapevano di non essere alla sua altezza?

Comunque stessero le cose, Vegeta non aveva mai dimostrato né l’uno, né l’altro sentimento nei suoi riguardi.

Era chiaro: il principe dei saiyan non si sentiva inferiore a nessuno e lei, evidentemente, non faceva eccezione.

Però la considerava, eccome se la considerava!

Molto più di quanto non avesse fatto chiunque altro.

Probabilmente, era proprio per questo che l’ultima scoperta sul suo conto l’aveva spiazzata.

E le aveva anche fatto riaprire, finalmente, gli occhi.

Vegeta non era un uomo qualunque, non era un essere umano e, probabilmente, non era nemmeno il classico cattivo che, alla fine delle più belle fiabe d’amore, finiva col diventare buono.

No, lui non aveva la stoffa per cambiare.

Non era come Kakaroth: Bulma sapeva che, prima o poi, Goku avrebbe ceduto.

Ci sperava, più che altro, perché era ormai l’unico in grado di fermare i suoi stessi fratelli.

In fondo, era uno di loro.

Chi meglio di lui poteva conoscere i segreti degli spietati guerrieri saiyan?

E se quella saccente di Chichi fosse davvero riuscita a farlo innamorare, magari Kakaroth si sarebbe messo contro Vegeta.

 

Un rumore sinistro alle sue spalle la fece voltare di scatto.

Il principe era lì, dietro di lei, e la osservava in modo inquietante.

A parte la luce che proveniva dal monitor del computer al quale stava lavorando, il laboratorio era completamente avvolto nell’oscurità.

Vegeta, nella penombra, faceva ancora più paura del solito.

Le era capitato molto raramente di tremare al suo cospetto, ma, stranamente, quel giorno non riusciva proprio a controllare i suoi muscoli.

Né la sua voce.

 

«Che… Che cosa ci fai qui?»

 

«Sono il principe, Bulma, e vado dove mi pare e piace senza dare spiegazioni a nessuno.»

 

«Già, certo» sussurrò la donna, prima di voltarsi nuovamente.

 

L’idea di continuare a incrociare lo sguardo di Vegeta non le piaceva poi molto.

Non quel giorno, per lo meno.

C’era poco da fare: era sconvolta da ciò che quell’uomo si era rivelato essere.

Un mostro con la coda.

Avrebbe voluto urlare tutto il suo disagio in quel preciso istante, ma si contenne. Non era quello il momento adatto per fargli capire – più di quanto già non avesse compreso – che lei lo temeva.

 

Vegeta, dal canto suo, la sollevò per un braccio e la trascinò a forza verso il muro, facendola poi cozzare contro la parete.

 

«Ma… Che diavolo fai, sei impazzito, forse?»

 

Sì, probabilmente sì.

Probabilmente la scienziata aveva ragione, per l’ennesima volta.

Era impazzito, di sicuro.

La verità era che nemmeno lui sapeva perché avesse appena fatto quel gesto, ma nella sua mente, nelle ultime ore, si erano create tante di quelle immagini sulla scienziata che lui stesso aveva fatto una fatica tremenda per cacciarle tutte.

E, a quanto pareva, non ci era riuscito.

Aveva, però, raggiunto uno degli scopi che si era prefissato all’inizio della sua collaborazione forzata con la scienziata: farla tremare davvero dalla paura.

Peccato che, a dispetto delle sue previsioni, quella cosa non lo avesse elettrizzato per niente.

Tutt’altro.

 

Il principe aveva gli occhi fissi su quelli della donna.

Avevano un colore così strano, quelle iridi! A quale assurdo fenomeno era legato la luce azzurra che si propagava da quegli occhi?

In quel momento, le pupille della scienziata, dilatate al massimo, sembravano voler dire di tutto e di più.

Lo stavano quasi supplicando, implorando, pregando.

Aveva paura.

Bulma aveva una fottuta paura di ciò che il principe le avrebbe fatto.

E, probabilmente, stava per farle.

Perché lui detestava che non lo si trattasse con il dovuto rispetto e, fino ad allora, nessuno aveva mai avuto l’ardire di guardare negli occhi il principe dei saiyan.

Nemmeno in punto di morte.

 

CONTINUA

 

 

Angolo dell’autrice

Di nuovo, ciao a tutti.

Con immenso piacere ho concluso anche questo capitolo e ringrazio la santa Ispirazione per avermi assistito.

Ebbene, sì, il principe ha finalmente deciso di tirare fuori il peggio di sé e, a quanto pare, ha pensato bene di servirsi di Bulma per raggiungere il suo obbiettivo.

Obbiettivo che, fedelmente al manga, è quello di uccidere Goku.

Ora, vi starete senz’altro chiedendo che fine abbia fatto la Luna – e invece no! Della luna non ve ne frega niente; piuttosto, morite dalla voglia di sapere dove siano finiti Mamanu e Bardack –; ebbene, prima o poi, uno dei personaggi della storia, riuscirà a fornire una spiegazione.

Nel frattempo, dovete accontentarvi di questo capitolo un po’ particolare, dove nessuno amoreggia, ma in tanti vengono allo scoperto.

Spero di non avervi delusi e di aver fatto un buon lavoro.

Vi lascio con un grande bacio :***********

A presto!

 

9dolina0

 

 

Avviso!

 

Innanzitutto, ringrazio infinitamente di cuore tutti voi che, dopo ben undici capitoli, siete arrivati a leggere questa nota. Siete lo stimolo più grande che io possa avere per portare avanti la storia!

Detto questo, vi informo che domani abbandonerò ufficialmente l’Italia e mi trasferirò all’estero. Attualmente sono arrivata a scrivere fino al tredicesimo capitolo, dunque ci sono due settimane di aggiornamento assicurato.

Il problema è che non ho la più pallida idea di come cambierà la mia routine quotidiana a partire da domani. In poche parole, non so se potrò continuare ad aggiornare di martedì, se avrò il tempo di pubblicare una volta a settimana e se riuscirò a concludere la storia nei tempi previsti.

Ce la metterò tutta, ovviamente, per riuscirci.

Un saluto a tutti e… buona fortuna a me!

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 12
*** Caccia alle sfere del drago ***


Capitolo XII – Caccia alle sfere del drago

 

Pensare non le era mai risultato così scomodo; in fondo, fino a una settimana prima non aveva neppure avuto un motivo valido per riflettere sulle proprie scelte.

La verità – scomodissima, oltretutto – faceva più male di quanto non avesse creduto e, alla luce dei fatti, non poteva che prenderne atto.

L’unica fottuta occasione della sua vita in cui si era permessa di decidere autonomamente per sé stessa si era rivelata la più sbagliata che potesse capitarle.

Già.

Perché diavolo, invece che quegli alieni, non erano atterrati sulla Terra degli scarafaggi giganti?

O anche delle sanguisughe con la testa da rinoceronte.

Insomma, sarebbe andata bene una qualsiasi creatura mostruosa.

Qualsiasi, davvero.

Ma non loro; non i saiyan.

Non le creature fisicamente più simili agli esseri umani che circolassero per l’universo.

Il loro aspetto fisico aveva finito per incantare tutti e, per quanto la maggior parte degli abitanti di Furipan ancora dicesse di voler cacciare gli invasori, la verità era che tutti avevano tirato un sospiro di sollievo nello scoprire che i malvagi non erano demoni con le corna giunti direttamente dal Regno degli Inferi.

Ma all’Inferno ci sarebbero andati loro, e anche molto presto; e Mamanu avrebbe fatto la stessa fine dei sudditi di Chichi.

C’era poco da fare: qualche terrestre un po’ troppo spregiudicato ancora pensava di potersi ribellare. In fondo, i saiyan non erano dei mostri, ma soltanto degli uomini un po’ più forti della media.

Un po’, certo; peccato che nessuno di quei terrestri li avesse davvero mai visti in azione.

 

Eppure, in tutto ciò, non era quello il lato peggiore.

No.

Mamanu trascorreva intere ore in giro tra le strade di Furipan per assicurarsi che tutti i sudditi del regno facessero il loro dovere – quello imposto dai saiyan, naturalmente – e quel giorno avrebbe fatto la stessa cosa.

Sapeva già cosa la aspettava: la solita chiacchierata col vecchio carpentiere, i pianti dei bambini che, costretti ai lavori forzati, avrebbero preferito di gran lunga andare a scuola, due rapide parole con Muten che chiedeva informazioni su Giumaho.

E lei avrebbe sorriso a tutti, nascondendo le angosce che si portava dentro, i timori sulla pericolosità dei saiyan e la paura che divenissero fuori controllo.

 

In fondo, lei non era molto diversa da quei cittadini che, contro ogni logica, tentava di rabbonire o confortare ogni mattina.

Lei, più di tutti gli altri – e più di chiunque altro – si era lasciata fregare dal fascino di quei maledetti guerrieri e aveva finito per concedersi a uno dei più pericolosi.

Dei più pericolosi, sì; ma anche tra i più affascinanti.

Più pensava a quanto fosse folle il suo comportamento e più si rendeva conto che proprio non riusciva a pentirsi di ciò che aveva fatto e che, sapeva, avrebbe continuato a fare.

Certo, ora doveva fare i conti con Kakaroth, oltre che con sé stessa, e lei aveva una paura matta che ne sarebbe uscita sconfitta.

O che non ne sarebbe uscita proprio.

E se Kakaroth lo avesse detto a Chichi?

Il Supremo solo poteva immaginare come avrebbe reagito quella ragazza.

E, alla fine dei conti, se anche l’avesse picchiata, Mamanu era consapevole del fatto che Chichi non avrebbe avuto torto.

Ovvio: il torto marcio ce l’aveva lei.

Era lei che aveva tradito il marito, e sempre lei si era concessa a un folle depravato.

Già, un folle depravato.

Ma perché diamine quel megalomane di Bardack non si mostrava così anche con lei?

Non che la riempisse di romanticherie o cose del genere, però nemmeno le aveva mai fatto del male. Stavano insieme come stavano insieme un qualsiasi uomo e una qualsiasi donna desiderosi di fare del sano sesso senza impegnarsi sentimentalmente.

Ci poteva stare, in fondo.

Ci poteva anche stare che lei tradisse un marito che non aveva scelto personalmente.

Ci poteva stare benissimo tutto.

Per le coppie normali, però.

Lei era la moglie dello stregone del toro e lui era uno dei malvagi. 

Che razza di connubio poteva mai essere quello?

Una follia, un errore colossale che, ne era certa, avrebbe pagato a caro prezzo.

Ma non quel giorno, no.

Quel giorno, Kakaroth aveva ben altre grane da risolvere e, ne era certa, avrebbe tenuto la bocca chiusa ancora per un po’.

La scomparsa delle sfere del drago aveva la priorità su tutto.

Doveva avercela, a qualunque costo.

E lei aveva la grandissima fortuna di dover fingere di non sapere nulla a riguardo.

 

«Ti stavo cercando, Mamanu

 

La donna fermò di colpo il suo incedere e si voltò di scatto.

 

«Oh, Muten, perdonami. Ero sovrappensiero. Come mai non sei ancora nei campi?»

 

«Be’, ecco, a quanto pare oggi i piani sono stati stravolti. Anzi, volevo chiedere a te se sapevi cosa fosse successo.»

 

«Riguardo a cosa, esattamente?»

 

«Al fatto che Napa non è venuto, come al suo solito, a sorvegliare il mio lavoro. Sai, so perfettamente che Vegeta vuole tenere d’occhio le persone che avevano a che fare con la principessa prima dell’arrivo dei saiyan, per questo mi pare strana l’assenza di quel colosso.»

 

Mamanu prese a riflettere.

Già, ora che ci pensava, il principe aveva ordinato un’altra mansione a Napa per quel giorno, ovvero quella di reclutare qualche altro lavoratore nei dintorni di Furipan.

La cosa, effettivamente, era strana.

Vegeta sapeva benissimo che, così facendo, i terrestri – alcuni terrestri, in particolare – avrebbero potuto approfittarne per organizzare qualche offensiva.

Possibile che quel dannato saiyan avesse teso loro una sorta di tranello?

Be’, per quel poco che aveva imparato a conoscere di Vegeta, sì, era possibilissimo.

Tra l’altro, secondo i piani originali, con Napa sarebbe dovuto partire anche Giumaho.

Mamanu, a dire il vero, non sapeva se suo marito avesse o meno accompagnato il saiyan in quella missione.

Certo era che, se così fosse stato, al castello sarebbero rimasti solo lui e Bulma, dato che Kakaroth era volato via con Chichi – diretto, senza ombra di dubbio, al palazzo del Supremo – e che Bardack aveva avuto l’ordine di tenerlo d’occhio per tutto il giorno, anche di pedinarlo se fosse stato necessario.

Mamanu aveva visto uscire Crilin dal castello molto prima del previsto.

Era probabile, dunque, che Vegeta avesse in mente qualche altra stramberia delle sue e che non volesse gente tra i piedi.

Tra l’altro il principe, pur non sapendo dove stessero andando Goku e Chichi, doveva sicuramente essersi accorto della loro partenza.

Doveva, certo, perché se Bardack che, per quanto forte, era comunque più debole del principe, aveva imparato a captare i movimenti di qualcuno anche quando costui azzerava l’aura, era ovvio che ci fosse riuscito anche il sovrano dei saiyan.

E, dunque, Kakaroth e Chichi erano in guai seri.

 

«Sta’ tranquillo, Muten. I saiyan si sono semplicemente accorti che gli abitanti di Furipan non sono sufficienti a portare a termine alcuni lavori. Napa sta girovagando nei dintorni alla ricerca di qualche altro umano da sfruttare. Che io sappia, non sta succedendo niente di strano, credimi.»

 

«Bene, la cosa mi fa molto piacere. Temevo… Be’, temevo che Vegeta stesse architettando qualcosa.»

 

Mamanu sospirò con fare sconsolato.

 

«Se vuoi un consiglio, continua a temere. A prescindere da oggi, quel saiyan è estremamente furbo e pericoloso.»

 

«Lo terrò a mente.»

 

La donna accennò un mezzo sorriso e fece per andarsene, ma l’anziano maestro la richiamò indietro.

 

«Aspetta un attimo, Mamanu

 

«Che cosa c’è, Muten

 

«Hai più avuto modo di parlare con Tensinhan? Quel ragazzo mi preoccupa molto e temo che abbia in mente qualcosa di pericoloso.»

 

Mamanu strinse istintivamente i pugni, ma mantenne uno sguardo vacuo e distaccato.

 

«No, mi dispiace. Non lo vedo da quattro giorni.»

 

***

 

«Se volevi spaventarmi, ci sei riuscito. Ora falla finita, Vegeta.»

 

«Comincia con l’evitare di darmi degli ordini.»

 

Erano ancora lì, occhi negli occhi, l’uno di fronte all’altra.

Vegeta doveva ancora capire perché lo avesse fatto.

Cosa gli aveva detto la testa?

Perché l’aveva afferrata e sbattuta contro quel muro?

Era da parecchio tempo che il principe dei saiyan rifletteva su quella donna.

Aveva imparato a poco a poco a conoscerla e ad apprezzarla, probabilmente anche più del dovuto visto che, con le doti che aveva, poteva benissimo tentare di fregarlo; eppure, più rifletteva sul ruolo che ricopriva quella dannata scienziata a corte e più si rendeva conto che la sua posizione all’interno di quel castello era tutt’altro che comoda.

E lui, da sempre, impazziva per le cose difficili.

 

Con lei, in fondo, stava solo giocando.

Si era concesso il lusso di farle prendere un bello spavento e di vederla tremare al suo cospetto. La cosa, tutto sommato, avrebbe anche potuto farlo divertire; ma evidentemente il suo ego non era perverso a tal punto da godere nel vedere la sua scienziata in preda al terrore.

Sua, certo.

Perché ormai Vegeta aveva deciso: comunque fossero andate le cose, qualunque fosse stata la sua opinione a riguardo, lui un simile gioiello della scienza non se lo sarebbe fatto scappare per nulla al mondo. E poco importava che Bulma avrebbe sicuramente tentato, prima o poi, di darsela a gambe o di metterlo fuori gioco: l’idea che con la su intelligenza ci sarebbe anche potuta riuscire lo elettrizzava ancora di più.

 

E poi, gli doveva procurare una luna.

Soltanto un folle avrebbe potuto credere che uno scienziato, per quanto in gamba, avrebbe potuto portare a termine una simile impresa.

Forse, in quel momento la sua follia risiedeva più nel dare fiducia alla terrestre che non nell’averla volutamente spaventata.

Eppure, ne era certo, se stimolato al meglio, dal cervello di quella donna sarebbero potute uscire fuori cose inimmaginabili.

 

«Ascoltami bene, scienziata» proferì l’uomo, arretrando di qualche passo «non ho intenzione né di giocare, né tantomeno di perdere tempo. Ti sto dando fiducia per un progetto al quale tengo molto più di quanto non immagini e finiresti in guai seri se la tradissi. Non so se è chiaro il discorso.»

 

«Certo che lo è» rispose Bulma annaspando, contenendo il più possibile il tremolio della voce. «Ti ho già spiegato, però, che l’impresa è disperata. Senza contare, inoltre, che esistono infiniti tipi di lune, e anche se riuscissi a portarne qui una, non è detto che faccia al caso tuo. Se mi spiegassi a che cosa ti serve, io…»

 

«Ha davvero tutta questa importanza, Bulma

 

«Direi che è praticamente fondamentale.»

 

Il principe si lasciò sfuggire un sorriso compiaciuto, dettato probabilmente dalla discreta insolenza di Bulma.

E dalla sua evidente voglia di collaborare a quel folle progetto.

In fondo, lui lo sapeva: quella donna adorava le sfide, e le piaceva oltre modo vincerle. Più le venivano richieste cose difficili e più Bulma tirava fuori il meglio di sé.

In quel preciso istante, più che la luna in sé, era Vegeta la sua sfida.

Lui lo aveva capito perfettamente: la scienziata voleva a tutti i costi la sua fiducia e il principe gliel’aveva anche promessa.

Quale orgoglio più grande per una terrestre qualunque, che mai aveva avuto a che fare con un alieno, se non quello di soddisfare le aspettative del principe dei saiyan?

Vegeta ormai ne era certo: aveva la scienziata in pugno; e con lei, anche le sorti di quel traditore di Kakaroth.

Perché, sebbene non ne avesse ancora le prove, il principe ne era comunque convinto: il figlio di Bardack si sarebbe presto o tardi ribellato.

 

«La luna che serve a me deve essere come quella che dovrebbe orbitare intorno alla Terra. Spero tu sappia come sia fatta.»

 

«Certo che lo so. Ero una bambina quando è scomparsa, ma ho a disposizione molti studi fatti da mio padre e da altri scienziati.»

 

«Benissimo, allora mettiti subito al lavoro.»

 

Il principe fece per andarsene, ma Bulma lo richiamò indietro.

 

«Aspetta un attimo, Vegeta.»

 

«Che altro vuoi?»

 

«Non mi hai ancora spiegato il perché.»

 

«Fatti bastare quello che ti ho detto, per ora

 

Bulma vide il saiyan lasciare il laboratorio e chiudersi la porta alle spalle.

Era fottuta, definitivamente fottuta.

Dare al principe quel barlume di speranza era stata tutt’altro che una mossa intelligente da parte sua, e la donna temeva che ne avrebbe pagato le conseguenze sulla propria pelle.

A meno che non avesse fatto di tutto per accontentarlo.

La scienziata si portò nuovamente davanti al suo computer e si lasciò scivolare sulla sedia.

Il cuore le batteva all’impazzata.

Già; ma, di certo, non per la paura.

Non solo, per lo meno.

Vegeta si era aperto con lei più di quanto si sarebbe mai aspettata e aveva ampiamente dimostrato di voler scommettere sul suo cervello.

Era la prima volta in tutta la sua vita che un uomo anteponesse la sua intelligenza al suo fisico mozzafiato.

E l’uomo in questione, oltretutto, era il più affascinante che avesse mai incontrato.

 

***

 

Volare a quella velocità senza nemmeno avere una meta precisa lo stava rendendo particolarmente nervoso.

Tanto più che stava seguendo suo figlio ma che, probabilmente, non sarebbe mai riuscito a raggiungerlo.

Tutta colpa di Napa, accidenti!

Se quell’imbecille non fosse stato nei dintorni nel momento della dipartita di Kakaroth e Chichi, Bardack avrebbe potuto iniziare l’inseguimento molto prima.

E, forse, non li avrebbe persi di vita.

Seguire gli spostamenti d’aria provocati da suo figlio non era poi così semplice: Kakaroth stava volando a fortissima velocità e ad altissima quota, in punti dell’atmosfera dove erano particolarmente forti le correnti d’aria. Possibile che Chichi riuscisse a sopravvivere a quelle raffiche e a quelle temperature?

Evidentemente, quella ragazzina era più in gamba di quanto sembrasse.

 

Seguendo le poche tracce lasciate dal figlio e il proprio intuito, il guerriero era giunto nei pressi di una foresta. Ma, ne era certo, Kakaroth non era mai sceso a terra.

Dove diavolo poteva essersi cacciato quell’irriconoscente?

Quel ragazzo stava rendendo tutt’altro che facile il suo lavoro a corte.

Bardack era un generale di altissimo livello, l’unico guerriero di terza classe ad aver ricevuto l’onore di ricoprire tale carica.

Ed era meritatissima.

Aveva vinto le battaglie più dure, eliminato i nemici più ostici, affrontato le difficoltà più impervie.

E il principe gli aveva riconosciuto il merito di essere il più potente guerriero dopo di lui.

Certo, qualcuno ancora si ostinava a credere che bastasse l’etichetta di terza classe a renderlo automaticamente inferiore agli élite, ma lui sapeva qual era il suo valore e sapeva anche che il principe, nonostante l’importanza che conferiva alle classi sociali, aveva nel suo caso chiuso un occhio.

Anche due, visto il ruolo che gli aveva affidato.

 

Peccato che suo figlio stesse rovinando tutto.

Bardack aveva faticato a credere alle insinuazioni di Vegeta circa un presunto tradimento da parte di Kakaroth nei confronti dei saiyan, ma l’improvvisa fuga del ragazzo dalla palestra aveva acceso nella testa dell’uomo un campanello d’allarme.

Tra l’altro, si era portato dietro pure la principessa che, come ben sapevano tutti, era la custode delle sfere del drago.

Fino a quel momento, Bardack aveva dato assolutamente per scontata la buona fede del figlio.

Non era da lui fidarsi ciecamente di chiunque, ma, evidentemente, il suo istinto di padre lo aveva portato a prendere un abbaglio.

E la cosa, oltretutto, lo metteva in seria difficoltà.

Certo, per quel che ne sapeva lui, Kakaroth e Chichi potevano benissimo essere andati ad allenarsi da un’altra parte; peccato che prima della loro fuga dalla palestra, lì dentro ci fosse entrato il pelato terrestre.

E la cosa era anomala.

 

Finalmente, davanti a lui riuscì a vedere qualcosa di interessante.

Non sapeva bene di cosa si trattasse ma, a occhio e croce, somigliava a una torre.

Era molto sottile, però.

Il saiyan notò immediatamente che era impossibile scorgerne la cima. Più cercava di sollevare lo sguardo e più si rendeva conto che quella strana costruzione sembrava infinita.

E Kakaroth non era mai sceso a terra.

Bardack si avvicinò all’edificio e prese a osservarlo da vicino.

Sembrava un obelisco, o qualcosa del genere, e aveva tutta l’aria di essere una sorta di monumento a qualche divinità.

O, magari, la dimora di un essere superiore.

Che cosa era andato a fare suo figlio da quelle parti?

E qual era il ruolo di Chichi in tutta quella faccenda?

Nel mentre in cui Bardack si convinse che sarebbe stato opportuno salire in cima, scorse suo figlio in volo.

Stava tornando indietro, non c’erano dubbi.

Il saiyan si trovava in dubbio su come agire: sarebbe stato meglio seguire il figlio, oppure accertarsi di cosa ci fosse in cima alla torre?

Bardack, alla fine, si convinse per la seconda opzione: in fondo, quello strano edificio non si sarebbe potuto spostare da lì; di Kakaroth, invece, poteva perdere le tracce da un momento all’altro.

 

***

 

«Goku, secondo me stai prendendo un granchio.»

 

«Ti ho detto mille volte di non chiamarmi così.»

 

Chichi sospirò e chiuse definitivamente la bocca.

Era inutile: se c’era una cosa che aveva capito di quel saiyan era che non si poteva in alcun modo fargli cambiare idea.

Qualunque cosa si fosse messo in mente, ovviamente.

In quel momento, il suo obiettivo era Yamcha.

Chichi, per tutta la durata del volo, aveva tentato in tutti i modi di convincerlo a togliersi quella stupida idea dalla testa, ma, nonostante gli sforzi, il saiyan non voleva proprio saperne di fidarsi del suo intuito.

In fondo, non aveva nemmeno tutti i torti: solo nove giorni prima, aveva scommesso qualunque cosa sulla buona fede del suo protettore, ritrovandosi, poi, nelle mani del nemico.

Certo, pensare a quanto fosse stata stupida non era il modo migliore per recuperare la sua precaria autostima. Chichi non riusciva a non pensare al fatto che, durante la precedente nottata, Goku aveva visto Bulma.

Già, tutto sommato ci poteva anche stare: vivevano entrambi nella stessa dimora, no?

Eppure, la cosa le dava terribilmente fastidio.

Chi le garantiva che il loro fosse stato un incontro casuale?

Per la verità, il saiyan non aveva specificato nulla a riguardo e lei non avrebbe voluto chiedergli esplicitamente dei chiarimenti.

Non ne aveva neanche il diritto, a dire il vero.

In fondo, chi era lei per lui, se non un’allieva ben poco dotata e la custode delle sfere del drago?

Probabilmente, nessuno; e, oltretutto, delle sfere aveva perso le tracce già da diverse ore.

 

Chichi non aveva idea del perché Kakaroth avesse deciso di perlustrare da cima a fondo la foresta di Furipan, ma, comunque, il ragazzo non venne a capo di nulla.

Se mai Yamcha si fosse davvero stanziato lì, era ovvio che ormai avesse abbandonato quel luogo.

Per andare dove, però?

Nei dintorni di Furipan non c’erano molti posti in cui nascondersi.

La principessa conosceva le sue terre meglio di chiunque altro e sapeva che sarebbe stato estremamente difficile trovare un nascondiglio decente entro i confini delle sue terre.

Probabilmente, il posto più sicuro era proprio quella fitta foresta ma, per quanto i due giovani si sforzassero, lì non c’era proprio nessuno.

 

Il sole era tramontato già da qualche minuto e Chichi aveva preso a sbuffare rumorosamente.

L’idea di trovarsi in quel luogo – da sola con Kakaroth, per giunta – non le piaceva per niente.

A quell’ora, i loro allenamenti sarebbero dovuti essere terminati da un pezzo e loro dovevano già trovarsi in sala da pranzo per la cena.

Che cosa si sarebbero inventati una volta fatto rientro al castello?

Perché, qualunque cosa stesse passando per la testa di Kakaroth, lei pretendeva di tornarsene a casa, prima o poi.

Tra l’altro, suo padre era nel castello, in compagnia di Vegeta, Bardack e Napa.

Era l’unica persona indifesa lì dentro.

D’accordo, c’erano anche Mamanu e Bulma, ma Chichi non sapeva quanto davvero ci si potesse fidare di loro in caso di necessità.

E, oltretutto, se anche avessero voluto fare qualcosa, avevano le mani legate, esattamente come Giumaho.

Non che lei potesse fare chissà cosa ora che, oltretutto, aveva smarrito le sfere del drago, ma, comunque, era sua la responsabilità di ciò che stava accadendo a suo padre e ai suoi sudditi.

In fondo, i saiyan volevano lei, non tutti gli abitanti di Furipan.

Ma, paradossalmente, la sventurata principessa era quella che se la stava passando meglio.

E a lei quella situazione creava parecchio fastidio.

 

«Senti, qui non c’è nessuno. Perché non ce ne torniamo al castello?»

 

«Perché prima devo trovare quel traditore.»

 

«Traditore Yamcha? Ma senti da quale pulpito viene la predica!»

 

Kakaroth si voltò verso la ragazza.

Era stanca, davvero stanca, e lo si capiva perfettamente dal gonfiore delle sue palpebre.

Forse, aveva anche fame.

A lui, però, in quel momento non importava davvero niente.

Le sfere del drago erano la sua priorità, lo erano sempre state e lo sarebbero rimaste;

Era giusto così, in fondo.

Per quale altro motivo era rimasto in quella dannata corte se non per entrare in possesso delle sfere?

D’accordo, negli ultimi giorni aveva in realtà dubitato di essere davvero interessato a quegli stupidi aggeggi ma, il solo fatto che fossero spariti, gli aveva di nuovo fatto aprire gli occhi sui suoi reali obiettivi.

E, in quel momento, li aveva ben chiari in testa.

Certo, passare la notte in quella foresta non sarebbe stato il massimo neppure per lui, però non aveva altra scelta. In fondo, era già tardi, troppo tardi, e sicuramente a palazzo si erano già accorti della loro assenza.

Tanto valeva andare fino in fondo.

Al principe avrebbe sempre potuto dire che aveva scoperto che fine avessero fatto le sfere del drago.

E non sarebbe nemmeno stata una bugia.

Non completamente, almeno.

Certo, avrebbe omesso di dire che, prima di quell’insulso terrestre, le sfere le avevano fatte sparire lui e Chichi ma, a quel punto, non avrebbe avuto poi tanta importanza.

Doveva perseverare in quell’impresa a qualsiasi costo: Kakaroth doveva riprendersi ciò che gli spettava sin dall’inizio.

 

«Evita le battute di spirito, ragazzina. Non ho affatto voglia di scherzare.»

 

«Nemmeno io, se è per questo.»

 

«Non è colpa mia se quello sprovveduto del Supremo si è lasciato rubare le sfere. Lamentati con lui, se proprio devi farlo.»

 

«No che non voglio. Solo che non capisco perché non ce ne torniamo a casa. Yamcha non è qui e, se anche ci fosse, sono sicura che lui non c’entra niente con questa storia.»

 

La sguardo di Kakaroth si fece più sottile e affilato.

Era la seconda volta nell’arco della giornata che Chichi si diceva assolutamente certa del fatto che quel terrestre fosse innocente.

Perché quella sciocca principessa voleva fidarsi a tutti i costi di lui?

La strana reverenza che la ragazza nutriva verso quel miserabile guerriero da quattro soldi lo faceva oltremodo irritare. Non che lui fosse geloso – perché mai avrebbe dovuto, in fondo? – però il fatto che Chichi non volesse mettere in discussione la buona fede di quel suo amico non gli piaceva affatto.

Possibile che, nonostante gli eventi che l’avevano vista protagonista negli ultimi giorni, Chichi ancora non avesse capito che non c’era nessuno al mondo di cui potersi fidare ciecamente?

E poi, quella stupida principessa riteneva inaffidabili Bulma e Mamanu, e metteva la mano sul fuoco su uno che, alla prima occasione utile, se l’era data a gambe?

D’accordo, probabilmente sul conto delle due donne aveva ragione – soprattutto su quello di Mamanu – ma, proprio, avrebbe dovuto tenere gli occhi aperti con i guerrieri.

Oltretutto, quel tizio non ambiva forse a divenire il suo protettore?

Be’, di sicuro la principessa si sarebbe trovata in guai seri se quello spilungone avesse davvero vinto il torneo di arti marziali.

Se non altro, la presenza di Kakaroth aveva contribuito a tenere a freno il principe; ma se al suo posto ci fosse stato quel Yamcha, probabilmente Chichi sarebbe morta già da un pezzo.

Insieme al suo sogno di salvare Furipan.

 

«Se c’entra oppure no lo verificheremo al più presto. Se ti dai un’occhiata intorno, ti accorgerai che il terreno di questa radura è smosso, come se qualcuno ci avesse costruito una dimora provvisoria. La scienziata non aveva fatto forse la stessa cosa il giorno dell’arrivo dei saiyan

 

«Non ne ho idea, Kakaroth. Sai, quel dannato giorno io mi ero chiusa nella stanza in attesa che tu venissi a salvarmi dai malvagi

 

Il ragazzo tacque per qualche istante.

Ricordare quella promessa infranta gli provocava sempre un fastidioso senso di pesantezza sul petto.

Che fossero quelli i cosiddetti rimorsi di coscienza?

In fondo, in quell’occasione aveva pur sempre ingannato la principessa – e in modo subdolo, oltretutto.

Non che si fosse pentito di quel gesto, ma, col senno di poi, non era più tanto certo che Chichi avesse meritato un simile trattamento.

 

«Rimane il fatto che qui c’è stato qualcuno.»

 

«Stai cercando di cambiare argomento, protettore

 

«Non ne ho bisogno. Recrimina ciò che vuoi, ma sappi che non ho alcuna voglia di discutere.»

 

Per un attimo, Chichi ebbe la sensazione di essere stata definitivamente sconfitta.

Sapeva ormai piuttosto bene com’era fatto Kakaroth e, di conseguenza, sarebbe stato inutile illudersi: non le avrebbe mai chiesto scusa né , probabilmente, si era pentito di quel gesto.

La verità era che quel ragazzo la confondeva.

Prima l’aveva illusa spacciandosi per il suo protettore; poi l’aveva ignobilmente tradita; infine, si era beffato di lei baciandola.

Due volte, tra l’altro.

I precedenti, insomma, erano tutt’altro che a suo favore.

Quel saiyan l’aveva in pugno, e Kakaroth non aveva perso l’occasione di farlo notare persino al Supremo.

Gran bella faccia tosta, la sua!

Però, allo stato attuale, lei non poteva far altro che ammettere con sé stessa che Goku aveva ragione.

E sopportare, finché non avesse trovato la forza sufficiente per mandarlo a quel paese.

 

«E va bene, lasciamo perdere questo discorso. Però, te lo chiedo per favore, andiamocene da qui. Torniamo al castello, ti prego!»

 

«Puoi scordartelo, Chichi. Resteremo qui in attesa che quel vigliacco si faccia vivo.»

 

«Se fossi in te, Kakaroth, io darei ascolto alla principessina.»

 

La voce che avevano appena udito fece raggelare entrambi.

Il cuore di Chichi perse un battito nello scorgere dietro a Goku il materializzarsi di una figura a lei nota.

Dannatamente nota.

 

Il ragazzo rimase immobile, con gli occhi fissi e spalancati su Chichi.

Questa davvero non ci voleva.

Un sorriso arrendevole ma comunque sfacciato si delineò sul volto del saiyan più giovane.

 

«A quanto pare, non sono incappato nella persona che speravo di trovare, padre

 

«A quanto pare, hai parecchie spiegazioni da darmi, figlio

 

***

 

Il piccolo falò che i tre guerrieri si erano accesi rendeva ancor più pacifico il clima di quell’isola. Il cielo stellato, terso più che mai, appariva come un ampio manto nero puntinato di bianco e si apriva in tutta la sua magnificenza sopra la bianca spiaggia sabbiosa dove giacevano i tre uomini.

 

Tra tutti, Yamcha era quello più in ansia.

L’idea di occupare abusivamente la casa di Muten non gli era piaciuta poi così tanto, ma Tensinhan era stato irremovibile: avrebbero dovuto abbandonare al più presto la foresta di Furipan.

Tutto sommato, aveva anche ragione.

Yamcha sapeva che, facendosi vedere da Bulma, era ormai uscito troppo allo scoperto.

Era improbabile, infatti, che sarebbero riusciti a scappare ai saiyan ancora per molto.

Ciò che al ragazzo sembrava strano era la fretta con cui Tensinhan aveva deciso di darsela a gambe quella mattina.

Yamcha sapeva per certo che l’allievo di Condor non aveva trascorso la nottata nell’accampamento di Furipan, tuttavia non aveva idea di dove si fosse recato.

Che avesse cercato anche lui di contattare Bulma?

Probabile; in fondo, Yamcha gli aveva detto che il suo primo tentativo si era risolto in un buco nell’acqua.

E a Tensinhan, evidentemente, non piaceva avere dei contrattempi.

Se Bulma non fosse stata tanto maleducata con lui, probabilmente a quest’ora le cose sarebbero state già a posto.

Chi meglio di lei avrebbe potuto dar loro una mano per trovare le sfere del drago?

Chissà quell’incosciente della principessa dove accidenti le aveva nascoste.

Il piano di Tensinhan non era poi così male: sottrarre le sfere a Chichi per avere la certezza che non gliele avrebbero rubate i saiyan.

E Bulma, da brava scienziata qual era, avrebbe solamente dovuto farla parlare.

Con le buone o con le cattive.

Ma, evidentemente, la sua fidanzata non aveva più la benché minima intenzione di collaborare con le forze del bene.

Che la colpa fosse di quei dannati usurpatori?

Be’, la risposta era senza dubbio ; ma come avevano fatto a convincerla a voltare le spalle persino a lui?

D’accordo, negli ultimi tempi avevano discusso parecchio, ma ciò non giustificava la reazione che la donna aveva avuto nel vederlo.

Magari, temeva davvero che sarebbe potuto succedergli qualcosa di brutto se lo avessero sorpreso lì.

Se il principe lo avesse sorpreso lì.

Eppure, il comportamento di Bulma sembrava celare non solo preoccupazione, ma anche astio.

Astio nei suoi confronti.

Cosa le era successo in quei giorni trascorsi nel castello?

Possibile che i saiyan fossero riusciti a infonderle tanto odio?

 

«Yamcha, la cena è quasi pronta. Perché non vai a farti una doccia?»

 

«Certo, Jaozi. Vado subito.»

 

Tensinhan aveva prestato molta attenzione ai movimenti di Yamcha e non fiatò finché l’uomo non rientrò davvero dentro casa.

Lui non sapeva niente e non avrebbe dovuto in alcun modo saperlo.

Così come all’oscuro della faccenda erano i saiyan e i terrestri.

Quasi tutti.

Jaozi lo sapeva.

E anche Mamanu.

Non era stata voluta la cosa; Tensinahn inizialmente non aveva di certo intenzione di dire alla moglie di Giumaho che voleva sottrarre le sfere del drago al Supremo.

Per la verità, almeno in teoria, lui nemmeno avrebbe dovuto sapere che la principessa avesse restituito i preziosi oggetti al legittimo proprietario, ma le varie chiacchierate con Mamanu lo avevano illuminato.

Se, come aveva detto la signora, Chichi aveva fatto sparire le sfere, era chiaro che le avesse riconsegnate al suo creatore.

Mamanu, durante le più o meno lunghe chiacchierate con Tensinhan, era riuscita a carpirgli qualche informazione interessante circa il luogo in cui si era andato a nascondere.

L’intento della donna era senz’altro quello di mietere il minor numero di vittime possibile, e dunque di convincere i terrestri fuggitivi a tornare a Furipan e a collaborare con i saiyan.

Peccato che Tensinhan non avesse la benché minima intenzione di scendere a patti con quegli extraterrestri.

Lui puntava al dominio del mondo e al possesso delle sfere del drago e, per quanto i saiyan potessero essere forti e pericolosi, mai egli avrebbe accettato di condividere con loro tali cose.

Rimaneva il problema della presenza di Yamcha, colui che gli aveva insegnato a portare a zero la propria aura.

L’allievo di Muten non doveva assolutamente sapere che lui aveva intuito dove fossero le sfere.

Per questo lo aveva mandato da Bulma nel tentativo inutile di farsi rivelare qualcosa.

Qualcosa che, come Tensinahn ben sapeva, Bulma non avrebbe mai potuto rivelargli.

 

Peccato che, prima dell’intrusione di Yamcha nel castello di Furipan, Tansinhan si fosse imbattuto di nuovo in Mamanu.

Quella donna aveva il brutto vizio di gironzolare nei dintorni di Furipan a qualunque ora del giorno e di fermarsi a parlare con chiunque nel tentativo di sedare gli animi in rivolta.

Era chiaro: doveva avere una paura fottuta dei saiyan, e piuttosto che rischiare che i cittadini perdessero la calma, preferiva assicurarsi personalmente che gli animi fossero ancora sedati.

Lo erano quasi tutti, a dire il vero; tranne il suo.

Tensinhan aveva visto sfumare con uno stupido torneo il sogno di mettere le mani sulle sfere del drago. A lui non importava un bel niente di proteggere la principessa; semplicemente, voleva carpire il segreto del funzionamento delle sfere.

L’uomo aveva provato più di una volta a parlare con Mamanu di questo, ma la donna gli aveva giurato di non sapere come quegli oggetti si attivassero.

Quel pomeriggio, era successa la stessa cosa.

Ormai, Mamanu sapeva dove trovarlo.

Aveva scandagliato in lungo e in largo tutta la foresta di Furipan, senza trascurare alcuna radura e, alla fine, se lo era ritrovato davanti.

Tensinhan si fidava ciecamente di lei.

Mamanu era la persona più discreta e pura di cuore che avesse mai conosciuto e lui sapeva recitare bene il ruolo di bravo ragazzo.

Non avrebbe saputo dire perché lo avesse fatto, ma, alla fine, glielo aveva detto.

Stanotte andrò a rubare le sfere del drago al Supremo.

La donna non aveva battuto ciglio.

Probabilmente, vista la sua espressione, neppure sapeva che le sfere si trovassero lì.

Sorrise e indietreggiò di qualche passo, fino a voltargli le spalle.

Buona fortuna, Tensinhan. Ne avrai bisogno.

 

CONTINUA

 

Angolo dell’autrice

Salve a tutti!

Questo capitolo è stato abbastanza movimentato.

Credo di poter dire che siamo giunti a un punto di svolta nella storia. Si è scoperto, finalmente, chi ha preso le sfere del drago, ma anche il ruolo giocato da personaggi insospettabili.

Bardack ha scoperto che suo figlio sta agendo contro gli interessi dei saiyan, e Bulma è praticamente caduta in pieno nella trappola di Vegeta, sedotta dalla stima che il principe prova nei suoi confronti.

Pian piano, i giochi sporchi stanno uscendo allo scoperto e i protagonisti della storia si ritrovano ingarbugliati nelle trappole tese dagli avversari.

Insomma, la storia è entrata nel vivo.

Non mi dilungo troppo con le note perché credo che il capitolo parli da solo.

Nel caso, chiedete tutte le spiegazioni che volete!

Un grazie di cuore a tutti coloro che seguono/preferiscono/ricordano/recensiscono la storia.

Mi siete di grande aiuto in questo periodo non proprio semplicissimo della mia vita!

Un bacione :********

9dolina0

 

 

Avviso!

 

Dati i miei nuovi impegni settimanali, probabilmente l’aggiornamento verrà spostato dal martedì al mercoledì. Tutto, però, è ancora provvisorio. Grazie per la pazienza e buona giornata/serata a tutti!

 

 

 

 

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Capitolo 13
*** Padri e figli ***


Capitolo XIII – Padri e figli

 

L’ora di cena era passata da un pezzo, ma Bulma ancora non aveva messo piede nella sala da pranzo.

Probabilmente, quella sera non lo avrebbe proprio fatto.

Aveva trascorso l’intera giornata dentro al laboratorio del castello senza uscire fuori dalla stanza se non per concedersi una doccia riposante e una tazza di caffè, e ora guardava con gli occhi arrossati dalla stanchezza i risultati delle sue ricerche.

Tutti quei numeri che si susseguivano sul monitor del computer l’avevano mandata in tilt.

Aveva fatto i conti almeno una ventina di volte da quando il principe aveva abbandonato il laboratorio e l’aveva lasciata alle prese con il suo lavoro e, fino a quel momento, non aveva ancora trovato una soluzione adeguata.

Certo, di lune in giro per l’universo ce n’erano a bizzeffe, ma più analizzava i dati relativi alla vecchia Luna scomparsa dall’orbita terrestre e più si rendeva conto che le sue caratteristiche erano più uniche che rare.

E poi, quale particolarità di quella luna interessava a Vegeta?

La verità era che quel saiyan era stato tutt’altro che preciso nel fornire dettagli utili e lei non aveva avuto altra scelta se non quella di trovare una soluzione da sola.

Forse, una strada percorribile l’avrebbe anche scovata; peccato che confrontare i dati relativa alla luna orbitante intorno al pianeta Vegeta con quelli relativi alla luna terrestre non fosse poi così facile. E non perché sapesse poco del satellite orbitante intorno al pianeta dei saiyan, ma perché le informazioni su quello della Terra erano più scarse di quanto non avesse immaginato.

Paradossalmente, era stato più facile reperire i dati su un astro lontano milioni di chilometri di anni luce che non su uno che, fino a pochi anni prima, gravitava intorno al globo terrestre. La verità era che le astronavi dei saiyan, delle quali aveva provveduto a clonare i computer di bordo, contenevano al loro interno ogni tipo di informazione utile circa la zona della galassia in cui vivevano quei burberi guerrieri.

Non era stato difficile, dunque, entrare in possesso dei dati necessari.

Peccato che, per quel poco che era riuscita a mettere a confronto, di simile le due lune non avessero un bel niente.

 

Bulma sospirò, presa dallo sconforto.

Sapeva di essere a un passo dall’accontentare la richiesta del principe e dal salvare la vita di Yamcha, ma ancora non era in possesso di quei pochi, fottuti dati che le avrebbero garantito un sicuro successo.

Una cosa era certa: portare lì una luna era fuori discussione. Nemmeno le capsule Hoi-Poi avrebbero potuto fare tanto. Però, chissà, magari riuscendo a capire quale legame ci fosse tra la luna del pianeta Vegeta e l’ormai scomparsa luna terrestre, forse avrebbe potuto ricostruirne artificialmente alcune caratteristiche.

Costruire una luna.

Be’, non era di certo un’ambizione da poco, quella; tanto più che niente le avrebbe garantito che un satellite finto avrebbe fatto comunque al caso di Vegeta.

Ma cosa aveva da perdere, ormai?

Tanto valeva provarle tutte.

 

Dopo ore e ore trascorse seduta davanti al computer, Bulma decise quindi di alzarsi.

Quasi barcollava dalla stanchezza.

Eppure, si disse, sarebbe bastato uno sforzo in più, solo un altro piccolo sforzo e il gioco sarebbe stato fatto. Lei avrebbe vinto, di nuovo, contro sé stessa e contro il principe e lui le avrebbe portato rispetto per sempre.

Già, sarebbe proprio andata così; l’importante era continuare a non chiedersi a cosa accidenti gli servisse una luna. Bulma sapeva che dietro a una simile richiesta non poteva celarsi nulla di buono; ma, in fondo, lei non aveva la forza fisica necessaria per opporsi alla volontà del principe e, vista la situazione, non assecondarlo sarebbe stato un grandissimo errore a prescindere.

 

Bulma ci mise poco a trovare il suo cellulare, nonostante lo avesse gettato malamente tra i modellini delle gravity room.

Era da molto tempo che non sentiva suo padre.

Da quando aveva lasciato la città dell’Ovest per recarsi a Furipan non aveva più contattato telefonicamente la sua famiglia. In fondo, tra loro c’era una sorta di tacito accordo per il quale nessuno avrebbe informato gli altri se non in caso di estrema necessità. E poi, i suoi genitori ancora non sapevano nulla dell’arrivo dei malvagi.

Perché impensierirli, dunque?

Peccato che, nel frattempo, la situazione d’emergenza fosse sopraggiunta e lei, volente o nolente, doveva farsi aiutare.

 

«Pronto, Bulma

 

«Oh, papà! Non sai quanto io sia felice di sentirti!»

 

«Anch’io, tesoro. Come va da quelle parti? Hai conosciuto lo stregone del toro? E il torneo? Yamcha ha vinto?»

 

«Ne parliamo un’altra volta; ora, ho bisogno del tuo aiuto. Ascoltami, tu hai qualche dato interessante sulla Luna?»

 

«Sulla Luna, dici? Be’, se ti riferisci a cose rimaste inedite, sì, ho parecchio materiale. Ma sono informazioni che non interessano agli astronomi, quindi ho preferito tenerle per me e non pubblicarle. Ti servono?»

 

«Come il pane, papà! Mandami tutto quello che hai immediatamente, è una questione di vitale importanza.»

 

«D’accordo, Bulma. Dammi il tempo di reperire il materiale e te lo faccio avere.»

 

La donna tirò un sospiro di sollievo.

Per il momento, era fatta. Doveva solo sperare che davvero, in mezzo a quei dati, ci fosse qualcosa di utile.

 

«Grazie mille. Tu riguardati, mi raccomando; e salutami la mamma!»

 

Vegeta osservava la scena da dietro lo stipite della porta.

Bulma non lo aveva notato, presa com’era dalla telefonata e dal suo lavoro.

Il principe si lasciò sfuggire un ghigno soddisfatto: aveva fatto bene a scommettere sulla scienziata.

 

***

 

Bardack spalancò il portone d’ingresso del castello e strattonò suo figlio all’interno del salone.

Chichi non fiatava.

Kakaroth aveva avuto il buonsenso di non opporre resistenza quando suo padre, infuriato, gli aveva intimato di seguirlo immediatamente a corte.

Lei, ovviamente, era dovuta tornare con lui.

Il ragazzo avrebbe preferito, però, non mettere piede all’interno della dimora: sapeva che dentro c’era Vegeta e, per quanto durante il volo di rientro non avesse pensato ad altro, la sua mente era troppo frastornata per riuscire a inventare qualcosa di credibile.

Bardack, però, era stato irremovibile.

Avevano tardato già troppo e, probabilmente, a quell’ora il principe era già su tutte le furie. Di sospetti, purtroppo, già ne aveva parecchi e quel clamoroso ritardo non poteva non averli alimentati. Qualcosa avrebbe inventato.

Per forza.

Quale altra scelta aveva?

Certo, se almeno suo figlio si fosse preso la briga di dare una qualche spiegazione, sarebbe stato molto più facile per lui mettere in piedi uno straccio di difesa.

Perché, accidenti, quello scapestrato era comunque suo figlio, per quanto avesse indubbiamente tramato alle spalle dei saiyan e, nonostante la collera che provava in quel momento nei suoi confronti, aveva comunque il dovere di capire cosa gli fosse passato per la testa.

E cosa avesse combinato esattamente.

 

Quando padre e figlio, seguiti da una terrorizzata Chichi, si addentrarono nella sala da pranzo, trovarono il tavolo perfettamente apparecchiato con il cibo già servito.

Evidentemente, però, nessuno si era presentato a cena.

Mamanu aveva sgranato gli occhi dalla sorpresa.

Era lì, in quella stanza, intenta a ripulire il gas e a mettere un po’ d’ordine tra i fornelli. Quella sera, a parte Napa che aveva fatto una fugace apparizione senza però toccare cibo, nessuno si era fatto vivo per mangiare. Mamanu sapeva qualcosa; anzi, molto più di qualcosa.

Peccato che le sue informazioni non fossero sufficienti a giustificare anche l’assenza di Bulma e Vegeta.

La cosa la impensieriva parecchio.

Era chiaro che la sparizione di Kakaroth, Chichi e Bardack sarebbe stata un’ottima scusa per il principe per mettere alle strette il figlio del generale e la principessa di Furipan; eppure, Vegeta aveva deciso di non approfittarne.

Perché?

Che cosa aveva in mente quel folle guerriero?

Un comportamento del genere non aveva senso, come non aveva senso il fatto che Crilin non avesse lavorato con Bulma quella mattina.

 

«Fuori di qui.»

 

Il tono di voce con cui Bardack aveva pronunciato quell’ordine aveva fatto raggelare sia Chichi che Mamanu.

Il generale, tra l’altro, le aveva fissate entrambe, senza nascondere tutta la collera che portava in corpo. Era chiaro: quel comando era rivolto espressamente a loro.

 

«Aspetta un momento, Bard…»

 

«Ho detto fuori di qui. Non fartelo ripetere, Mamanu

 

La moglie di Giumaho e la figlia di quest’ultimo si scambiarono, forse per la prima volta in vita loro, uno sguardo di intesa. Era inutile cercare di calmare le acque: Bardack aveva perso le staffe.

Nessuna delle due donne era così pazza da tentare di convincerlo ulteriormente e Mamanu, benché sapesse di avere un certo ascendente sulle persone, aveva saggiamente deciso di non sfidare la sorte col suo amante.

No, contraddirlo non sarebbe stata una buona idea anche perché, a grandi linee, lei immaginava quale fosse il motivo di tanta rabbia.

 

«Andiamo, Chichi

 

Mamanu si avvicinò alla ragazza e la prese per mano; poi, insieme, lasciarono a passo svelto la sala da pranzo.

Chichi era troppo frastornata per riflettere coerentemente ma, di sicuro, una cosa l’aveva capita: da quel momento in poi, le cose sarebbero cambiate per lei.

E per loro.

Ella non poteva far altro che sperare che Goku fosse in grado di tenere testa a suo padre almeno con la forza.

 

***

 

«Bene, Kakaroth. Ora siamo soli. Parla pure. Ti concedo l’onore di cominciare.»

 

«Io non ho niente da dire, padre.»

 

Tutto sommato, quella non era una bugia.

Lui di cose da dire, non ne aveva affatto.

Non quante ne avrebbe avute suo padre, per lo meno.

Era vero: in un certo senso, era stato in combutta con la principessa per non far cadere le sfere del drago in mano a Vegeta; ma, di certo, non lo aveva fatto col proposito di mettergli i bastoni tra le ruote.

Voleva solo temporeggiare, tutto qui.

In fondo, ne aveva diritto.

Perché fingere che le cose stessero diversamente?

La verità era che, all’arrivo dei saiyan, egli conosceva molto meglio la principessa che non suo padre e il suo legittimo sovrano.

Un minimo di diffidenza sarebbe anche stata giustificabile.

Tuttavia, Kakaroth sapeva benissimo che il motivo non era solo quello.

Egli temeva parecchio Vegeta e non era affatto sicuro che uno come lui si sarebbe fatto qualche scrupolo di fronte alle sue richieste. Il figlio di Bardack aveva un obiettivo: capire cosa ci fosse dietro al mistero delle sfere del drago e dietro al fatto che fossero state lasciate in custodia a Chichi.

Insomma, una ragione doveva pur esserci se il loro creatore le aveva affidate a quella petulante ragazzina!

D’accordo, visto il modo in cui il sedicente dio si era fatto fregare quei preziosi oggetti, forse sarebbe anche stato lecito dubitare della validità del suo metro di giudizio nei confronti della principessa; ma, il fatto che ella fosse comunque l’unica persona a saper utilizzare le sfere rimaneva un’indiscutibile certezza.

E lui, in qualche modo, doveva pur tutelarla.

E tutelarsi.

Per quel poco che aveva capito di Vegeta attraverso gli sporadici contatti mantenuti in quegli anni, Kakaroth sapeva che sarebbe stato impossibile sperare che il principe temporeggiasse se egli gli avesse messo sotto il naso le sfere del drago. E Chichi avrebbe fatto una brutta fine perché, cocciuta com’era, di sicuro non avrebbe mai collaborato.

In fondo, il principe dei saiyan era sveglio abbastanza per scoprire da solo come attivare quelle dannate sfere. Kakaroth ci avrebbe scommesso qualsiasi cosa: se Chichi, con la sua complicità, non le avesse fatte sparire, di Furipan e della sua principessa, in quel preciso istante, non esisterebbe più nulla.

 

La mano di suo padre andò a schiaffeggiarlo in pieno volto, ridestandolo dai mille pensieri che stava covando in testa. Non tentò nemmeno di pararla.

Kakaroth sapeva di aver in parte sbagliato e sapeva anche che il suo gesto avrebbe messo nei guai non solo lui e Chichi, ma anche suo padre.

Non che a lui dovesse importare davvero qualcosa – in fondo, non era stato di certo Bardack a occuparsi di lui durante la sua infanzia! – però si rendeva conto che sarebbe stato molto più maturo da parte sua non raccontare tutte quelle fandonie.

Gli eventi, tuttavia, lo avevano spiazzato.

Non solo si era ritrovato davvero a pochi passi dalle sfere del drago e dalla realizzazione del suo sogno di sottomissione della razza umana, ma la custode di tali oggetti aveva anche riposto in lui la più totale fiducia.

Una bella beffa, insomma.

Uscirne non era stato per niente facile e, di fatto, era rimasto incastrato all’interno del suo stesso gioco.

Come accidenti avrebbe potuto spiegarlo a suo padre?

A un padre, tra l’altro, che una ventina d’anni prima non si era fatto scrupoli a spedirlo su un pianeta lontano milioni di anni luce dal suo.

Aveva davvero il diritto, quell’uomo, di ricevere una spiegazione?

Probabilmente no, secondo quanto aveva appreso dalla mentalità umana.

Ma Bardack non era umano, e nemmeno lui; e, se era vero ciò il padre gli aveva sempre raccontato, quella di spedire neonati su altri pianeti era una prassi assolutamente consolidata.

Dunque, secondo tale logica, il genitore non era in difetto nei suoi confronti.

Già, ma quale logica sarebbe stato giusto seguire?

 

Il ragazzo sospirò e alzò gli occhi verso il genitore.

Bardack era furente, ma nel suo sguardo leggeva un miscuglio di sentimenti non riconducibili solo alla rabbia: lì, incastonati tra quelle iridi scuse, c’erano la delusione, il rimpianto, la paura di aver fallito.

Era chiaro: Kakaroth aveva deluso le aspettative di suo padre.

 

«E va bene. Tanto ormai è inutile continuare a nascondere la verità. Qualcuno ha rubato le sfere del drago

 

Bardack spalancò gli occhi, impietrito da quella rivelazione.

Qualcuno aveva fatto cosa!?

Il guerriero sorrise beffardamente accennando in maniera quasi impercettibile un no con la testa. Ma per chi diavolo lo aveva preso suo figlio?

Pensava forse di avere a che fare con un perfetto imbecille?

 

«Vedi di non prendermi in giro ancora, Kakaroth. Sappiamo entrambi che sei stato tu a far sparire le sfere. Credi davvero che non lo abbia capito?»

 

«Ti sbagli, padre. Io… Lo ammetto: ho aiutato Chichi a nasconderle subito dopo il vostro arrivo. Ma stanotte sono scomparse e, te lo giuro sul mio onore, io non c’entro nulla.»

 

Bardack si trattenne a stento dal picchiare di nuovo suo figlio.

Quello smidollato aveva aiutato Chichi a nasconderle.

Ma quanto poteva essere imbecille Kakaroth?

Dannate femmine e dannati ormoni!

D’accordo, era stato un ragazzino anche lui e anche lui aveva ceduto più di una volta al fascino di qualche bella donna, commettendo pure parecchie sciocchezze. Ma le sue, in confronto a quelle del figlio, erano davvero delle bazzecole.

Mai a Bardack era passato per la mente di tentare di fregare il Re.

In fondo, era troppo astuto e troppo lungimirante per poter commettere una simile leggerezza. Erano state la sua forza, la sua furbizia e la sua lealtà a farlo ascendere dai bassifondi di terza classe dove era stato miseramente relegato alla nascita agli allori della corte imperiale, e mai, mai in vita sua, avrebbe potuto immaginare che suo figlio, colui al quale era stata affidata una missione di estrema importanza, avrebbe potuto tradire la fiducia che egli aveva riposto in lui.

E tutto perché aveva perso la testa per quella maledetta principessa.

Chi diavolo avrebbe dovuto incolpare Bardack per una simile catastrofe?

Perché, ciò che era capitato a suo figlio non poteva definirsi altrimenti.

Quando un uomo arrivava al punto di sottomettere la ragione ai sentimenti, la sua vita era finita.

Finita, senza alcuna possibilità di scampo.

Per lo meno, ciò accadeva se l’uomo in questione era un saiyan.

Lui lo sapeva bene, anche troppo.

Quante volte era stato sul punto di rimetterci la pelle in nome di qualcuno a cui teneva seriamente?

Il fatto che egli avesse una potenza fuori dal comune lo aveva, però, sempre aiutato.

Ma suo figlio ce l’aveva quella dannata forza? E, soprattutto, era abbastanza fuori dal comune da salvarlo dalle ire del principe?

 

Il generale si guardò attorno e notò che il cibo sul tavolo non era stato toccato.

Ciò significava che, evidentemente, Vegeta non si era ancora recato a cena.

E nemmeno Bulma, Giumaho e Napa.

Di Giumaho, in realtà, non si preoccupava affatto.

Da quando i saiyan avevano colonizzato il villaggio di Furipan, lo stregone del toro, o come diavolo si faceva chiamare, non aveva quasi mai messo piede fuori dalla sua stanza.

A impensierirlo era l’assenza degli altri. 

Che cosa stava architettando Vegeta?

Possibile che non avesse approfittato dell’assenza di Kakaroth e della principessa per metterlo alle strette?

 

«E va bene. Posso anche fare lo sforzo di crederti, Kakaroth. Ma, per favore, saresti così gentile da spiegarmi per quale accidenti di motivo tu avresti dovuto aiutare Chichi a nascondere le sfere del drago? Tu, cavolo? Tu che sei un guerriero saiyan

 

Il giovane guerriero rimase in silenzio per qualche istante, prima di balbettare un fin troppo colpevole non lo so.

Tutta quella dannata storia lo aveva fatto andare fuori di testa e, nelle condizioni in cui versava il suo cervello in quel momento, non avrebbe saputo mettere in piedi una spiegazione coerente.

Quel non lo so, però, diceva più di quanto il significato in sé di quelle tre parole avrebbe potuto far pensare.

Era un’ammissione di colpa, semplicemente una palese ammissione di colpa, e Bardack non aveva potuto non interpretarla in quel modo.

 

«Visto che non sai rispondere a questa domanda, dimmi almeno se credi che valga la pena buttare all’aria un progetto su cui hai lavorato per un’intera vita solo perché ti sei innamorato di quella maledetta principessa. Spiegami, Kakaroth; spiegami le tue ragioni, accidenti! Sei libero di tirar fuori anche la più idiota delle risposte ma, in nome del rispetto che dovresti portare al tuo popolo, di’ qualcosa!»

 

Il ragazzo spalancò gli occhi.

Nell’udire quelle parole, il suo cuore aveva perso un battito.

Suo padre era stato fin troppo diretto nei suoi confronti e quel discorso lo aveva colto certamente di sorpresa.

Ma lo aveva anche fatto imbestialire.

Cosa accidenti aveva avuto l’ardire di insinuare suo padre?

Innamorato… lui? E di Chichi, poi?

E da quando i saiyan potevano cadere vittima di un sentimento del genere?

E comunque, se anche fosse stato vero, proprio suo padre si permetteva un simile discorso?

 

«Dimmi, padre, tu invece pensi che ne valga la pena?»

 

Lo sguardo perplesso che Kakaroth sperò di leggere sul volto del padre non si manifestò.

Se lo aspettava, evidentemente.

Bardack si aspettava di ricevere in risposta quella domanda.

 

«Nel mio caso, probabilmente no. Ma cosa vuoi che importi? Non sono stato io a nascondere le sfere del drago per proteggere l’incolumità di una donna.»

 

«Quindi, fammi capire bene, se tu dovessi scegliere tra la fedeltà al tuo popolo e il compiacere Mamanu, opteresti per la prima opzione?»

 

Bardack si lasciò andare a una risata soffocata a stento.

Perfetto. Davvero perfetto.

Con quell’ulteriore domanda, suo figlio aveva praticamente ammesso di essere innamorato.

In fondo, era quello che Bardack voleva.

Capire.

Capire la verità, però.

Cosa se ne sarebbe fatto dell’ennesima menzogna da parte del figlio?

Era stato un bene, in fondo, che la notte precedente Kakaroth si fosse accorto di lui e Mamanu.

Certo, Bardack si era guardato bene dal fargli capire subito che lo aveva visto, ma ciò che contava veramente era averlo messo alle strette.

Se il principe non avesse insinuato in lui quel dubbio circa la buona fede del giovane saiyan, probabilmente Bardack avrebbe continuato a nutrire nei suoi confronti una fiducia esagerata. E sarebbe caduto con Kakaroth nelle ire di Vegeta.

Ma, evidentemente, scoprirlo a letto con Mamanu aveva contribuito a metterlo in crisi.

E a tradirsi.

 

«Ovviamente, Kakaroth. Te l’ho detto, nel mio caso non ne vale la pena.»

 

«Perché te la scopi, allora? E non venirmi a parlare di bollenti spiriti da placare, per favore. Per quello esistono le puttane; non è necessario scomodare la donna più influente di Furipan

 

La domanda di Kakaroth, tutto sommato, non era poi così fuori luogo.

Anzi, non lo era affatto.

L’osservazione che ne era seguita, oltretutto, era estremamente difficile da controbattere.

Suo figlio aveva ragione: per placare i bollenti spiriti non era certo necessario l’aiuto di quella donna.

Ma perché Bardack aveva voluto proprio lei?

Il pensiero dell’uomo tornò immediatamente al loro primo incontro.

Mamanu non gli aveva fatto esattamente una buona impressione: era apparsa demotivata, disinteressata e rassegnata alle sorti che il destino aveva scelto per Furipan. Eppure, il suo modo di parlare e di agire lo avevano in qualche modo stregato.

Quella donna aveva saputo mantenere di fronte a lui il sangue freddo; lo aveva sfidato, in un certo senso, pur non volendolo effettivamente fare. Lo aveva sfidato col solo aprirsi a lui senza mezzi termini, rivelandogli il suo ruolo a corte e facendogli capire che della schiavitù non aveva alcuna paura.

In fondo, libera non lo era mai stata.

Per questo l’aveva risparmiata.

Avrebbe potuto eliminarla all’istante dato che, al contrario di ciò che aveva pensato inizialmente, Mamanu non era la regina di Furipan. La donna non aveva esitato a confessarlo candidamente: lei, in quella corte, non aveva alcun ruolo.

Peccato che non fosse vero.

Gli ci volle qualche giorno per capire davvero attorno a cosa ruotassero gli equilibri di Furpan: da una parte c’era Giumaho, lo stregone del toro, che provvedeva a governare il villaggio in attesa che la figlia diventasse forte e matura abbastanza per reclamare quel ruolo; dall’altra c’era Chichi, la principessa e legittima sovrana di Furipan, che aveva il compito di preservare l’incolumità del suo villaggio attraverso la custodia delle sfere del drago.

Al centro c’era Mamanu, colei che, senza alcuna diritto lecito, controllava le masse.

Quella donna aveva un dono non da poco: sapeva incantare la gente, opponendo la sua calma e i suoi modi estremamente gentili ai cuori più ostili e induriti.

Bardack ne era sicuro: se non fosse intervenuta lei, gli abitanti di Furipan non avrebbero reagito all’invasione da parte dei saiyan con tanta compostezza. Per quanto, infatti, il compito di tenere a freno gli animi dei loro sudditi spettasse a Chichi e a Giumaho, questi ultimi non sarebbero stati in grado di portare a termine un simile compito.

In fondo, loro stessi non erano riusciti a reagire con troppa compostezza: Chichi si era disperata non poco dopo la scoperta della vera identità del suo protettore e Giumaho era caduto in uno stato di sconforto tale da restare chiuso nella sua stanza per giorni e giorni.

Mamanu, invece, quella forza ce l’aveva dentro di sé, ed era grande a tal punto da riuscire a sedare persino il temperamento di Bardack.

Doveva ammetterlo: erano anni che non gli capitava di stare bene a tal punto con una donna.

Scopare con lei non faceva bene soltanto ai suoi bollenti spiriti, ma anche all’umore e all’animo. Mamanu era una donna con i piedi per terra e sapeva esattamente cosa volesse dire avere a che fare con un uomo come lui. Aveva dimostrato fin da subito di non essere insensibile al suo fascino; eppure, mai si era permessa di pretendere da lui qualcosa di più rispetto al sesso. Le andava bene così, o, per lo meno, aveva deciso di farselo bastare.

Era una donna intelligente: sapeva che, pretendendo dell’altro, non solo non l’avrebbe ottenuto, ma avrebbe rischiato di perdere anche quel poco che il generale le aveva concesso.

E, forse, anche la vita.

Quante altre donne avrebbero accettato un simile compromesso pur essendo innamorate?

Probabilmente, nessuna.

E Mamanu, sebbene non glielo avesse mai confessato, lo amava più di quanto amasse Giumaho.

 

Però, di mettere in discussione il suo essere e i suoi ideali non se ne parlava proprio.

Bardack era uno dei saiyan più potenti in assoluto.

Per raggiungere quel livello aveva sudato parecchio, e per guadagnarsi la stima del principe aveva dovuto far ricorso a tutta la propria astuzia e intelligenza, oltre che alla forza.

Solo con quest’ultima, infatti, non sarebbe mai arrivato da nessuna parte.

Per quanto la maggior parte dei guerrieri saiyan non desse un’importanza adeguata all’intelligenza, Bardack non aveva mai sottovalutato quanto l’astuzia e la furbizia fossero utili alla formazione di una grande combattente.

Per questo lui poteva definirsi tale e uno come Napa no: l’eccessiva sicurezza che il più potente guerriero d’élite riponeva nei propri muscoli lo aveva portato a essere un po’ più in gamba della media ma, di certo, non un eccellente guerriero.

Tra l’altro, egli nemmeno lo aveva capito.

 

Mamanu si era insidiata nel suo letto e nella sua mente regalandogli quel piacere che non si concedeva da troppo tempo. Per i guerrieri come lui, costretti a mesi e mesi di missioni extraplanetarie, riuscire ad avere a disposizione una donna vera, somigliante il più possibile a quelle della sua razza, non era un’impresa facile.

Ecco perché si era lasciato andare in quel modo.

Ecco perché, tutto sommato, credeva che non valesse la pena eliminare la popolazione umana.

Ma questo lo aveva capito anche Vegeta; il problema era scoprire cosa avrebbe voluto farsene.

A Bardack, in fondo, non importava poi così tanto delle sorti dei terrestri e, se Vegeta avesse optato per schiavizzarli completamente, egli non avrebbe battuto ciglio.

E non lo avrebbe fatto nemmeno Mamanu.

Quella donna era forte, certo, ma aveva un’educazione che le impediva di capire davvero cosa fosse la libertà. Probabilmente – e paradossalmente – la moglie di Giumaho l’aveva scoperta per la prima volta propria con lui. Per questo Bardack sapeva che non sarebbe affatto valsa la pena mettersi contro Vegeta in nome della libertà della donna.

E nemmeno del suo compiacimento.

A lei sembrava già tanto, troppo, avere Bardack, e, ne era certo, Mamanu avrebbe impedito con la sua eloquente raffinatezza ogni tentativo di ribellione.

 

«Sai, Kakaroth, comincio seriamente a pensare che spedirti su questo pianeta sia stato un grosso errore.»

 

«Non hai risposto alla mia domanda.»

 

«E non intendo farlo. Sei libero di crearti in testa tutte le congetture che vuoi. Fossi in te, però, inizierei a preoccuparmi seriamente di Vegeta. Quanto pensi che ci impiegherà a scoprire che gli hai nascosto le sfere del drago e che te le sei fatte fregare come un pivello qualunque?»

 

«Se ti fai gli affari tuoi, non verrà a saperlo. Tanto, conto comunque di rientrarne in possesso molto presto.»

 

Bardack accennò un no con la testa.

Suo figlio si era decisamente lasciato sfuggire la situazione di mano.

 

«Gran bel guaio quello in cui mi stai cacciando. Davvero Grazie, Kakaroth. Be’, se credi che io possa divenire complice di una simile vigliaccata, puoi benissimo scordartelo. Al massimo, posso concederti di tenere la bocca chiusa fino a dopodomani. Dopodiché, o mi fai vedere le sfere del drago e le riconsegni al principe, oppure gli dirò la verità.»

 

Kakaroth trattenne a stento l’impulso di picchiare suo padre.

D’altra parte, nemmeno poteva accusarlo di niente. Era stato fin troppo clemente con lui, anche se sapeva benissimo che l’idea di lasciare le sfere del drago in mano a Vegeta non gli piaceva per niente.

 

«E va bene, tanto so già dove andare a cercarle.»

 

«Me lo auguro per te, figlio.»

 

Il ragazzo uscì dalla sala senza aggiungere altro.

Era nei guai e lo sapeva bene, ma quel farabutto di Yamcha non l’avrebbe passata liscia ancora per molto.

 

Bardack osservò suo figlio allontanarsi da quella stanza.

Il generale stava rischiando grosso e ne era consapevole.

Tacere a Vegeta quella verità per due giorni lo avrebbe messo in seri casini.

Peccato che non avesse altra scelta: in ballo c’erano suo figlio e la sua incolumità.

Forse, una volta tanto, era giusto che lui anteponesse il suo ruolo di padre a quello di generale.

Anche se ciò avrebbe significato macchiarsi di omertà.

Anche se ciò avrebbe significato andare contro il principe dei saiyan.

 

CONTINUA

 

Angolo dell’autrice

Di uovo, ciao a tutti!

Spero davvero che questo capitolo vi sia piaciuto.

Lo so, non c’è stata molta azione, però avevo bisogno di far uscire allo scoperto Bardack, di indagare nella sua mente come ho già fatto con tanti altri personaggi. Non so se la caratterizzazione che gli ho dato vi piacerà, ma io credo che, nel caso di un uomo come lui, capire di essere un padre prima che un guerriero è indice di quell’intelligenza e di quella grandezza di spirito che caratterizzano anche il personaggio originale. Certo, tale presa di coscienza è avvenuta soltanto dopo una ventina d’anni dalla nascita del figlio, ma siamo comunque alle prese con un saiyan e i saiyan, quando ci sono di mezzo i sentimenti, hanno bisogno di tempo.

Detto questo, vi mando un grosso bacio e spero di sentirvi al più presto! :******

9dolina0

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 14
*** L'ombra della passione ***


Capitolo XIV – L’ombra della passione

 

Come immaginava, Giumaho era già sveglio.

Lei e suo marito non parlavano da parecchio tempo e, chissà, magari lui non ne aveva voglia nemmeno quella mattina. Lei, però, qualcosa da dire ce l’aveva.

Le cose non potevano andare avanti così e ciò che era accaduto durante la precedente nottata le aveva fatto capire che tutta la faccenda dei malvagi doveva giungere al più presto a una svolta.

E suo marito, in quanto unico genitore della legittima sovrana di Furipan, avrebbe dovuto far qualcosa.

E alla svelta.

 

Mamanu aveva paura.

Per la prima volta da quando i saiyan erano arrivati sulla Terra, la moglie di Giumaho temeva seriamente che le cose potessero finire nel peggiore dei modi.

Certo, lei ci avrebbe rimesso la credibilità e la stima di suo marito ma, visto come si era evoluta la sua vita negli ultimi tempi, era più che normale che, prima o poi, avrebbe dovuto fare i conti con le proprie scelte.

Anche con quelle sbagliate.

Ma poteva davvero permettersi di dirgli proprio tutta la verità?

Sicuramente no.

Non nell’immediato, per lo meno.

Di sicuro, però, avrebbe dovuto aprirgli gli occhi sui rapporti che correvano tra i saiyan e sul fatto che nemmeno tra di loro ci fosse reciproca fiducia.

Kakaroth era nei guai, così come ora lo era anche Bardack. Mamanu avrebbe scommesso qualunque cosa sul fatto che il generale avrebbe tentato di salvaguardare l’incolumità del figlio anche a costo di mettersi contro il suo principe, e il fatto che il ragazzo avesse passato la notte a palazzo era indice che le sue supposizioni fossero veritiere.

Nella dimora di Giumaho e nella sua corte, però, si stavano consumando intrighi e tradimenti che presto avrebbero fatto affondare Furipan. Lei ce l’aveva messa tutta per tenere a bada i cittadini e per farli collaborare con gli invasori, ma, se davvero i problemi più gravi erano nei rapporti tra gli stessi saiyan, allora anche la bella Mamanu aveva le mani legate.

Anzi, lei più di tutti.

In pochissimi giorni si era ritrovata ad essere la tutrice della tranquillità di Furipan e al contempo l’amante del generale Bardack. Non era un granché come posizione.

Poteva davvero dirsi sicura di saper portare avanti un simile doppio gioco?

E quali interessi voleva davvero tutelare?

Mamanu non aveva ancora avuto modo di parlare con Bardack dopo che costui l’aveva cacciata in malo modo dalla sala da pranzo per discutere col figlio, ma immaginava – anzi, sapeva – che l’argomento del litigio fossero le sfere del drago.

Lei era a conoscenza della verità e, a quanto aveva apito, era l’unica insieme a Tensinhan.

Ma qual era il meglio per Furipan?

Mamanu sapeva che il terrestre che aveva rubato le sfere non era tra i più affidabili, però era anche certa del fatto che, senza l’intervento di Chichi, quegli oggetti non avrebbero mai e poi mai funzionato.

Se avesse detto alla figlia di Giumaho la verità sulle sfere, la ragazza ci avrebbe messo poco a rientrarne in possesso e altrettanto poco avrebbe impiegato per consegnarle a Kakaroth.

Con la differenza, però, che rispetto a Tensinhan lui avrebbe saputo farsi dire come attivarle.

Mamanu ne era certa: Chichi, innamorata com’era, gli avrebbe spifferato tutto.

E chi poteva garantirle che Kakaroth non ne avrebbe fatto un utilizzo spregevole?

Nessuno; anzi, per quel poco che aveva imparato a conoscere i saiyan, era decisamente meglio che le sfere restassero in possesso di un terrestre, per quanto ignobile fosse costui.

 

Mamanu si richiuse la porta della camera alle spalle.

Suo marito non aveva affatto una bella cera e, probabilmente, non l’aveva nemmeno lei, dato che aveva passato la notte sveglia nel tentativo, inutile, di contattare Muten.

Giumaho, però, aveva l’aria di uno che non dormiva da giorni.

La donna fu travolta dai sensi di colpa nel vederlo in quelle condizioni: come era possibile che non si fosse accorta dello stato di salute psichica in cui versava il marito?

D’accordo, lei non lo amava; ma Giumaho era comunque la persona che l’aveva trattata meglio negli ultimi anni e, nonostante tutto, non meritava di certo di soffrire in quel modo.

Tanto più che lui aveva fatto l’impossibile per evitare la catastrofe.

In parte, senza saperlo, ci era anche riuscito.

In fondo, se Giumaho non avesse indetto quel torneo, Kakaroth, sotto le mentite spoglie di Son Goku, non avrebbe avuto modo di conoscere la principessa prima dell’invasione ufficiale di Furipan da parte dei suoi compagni e, dunque, non si sarebbe affezionato a lei.

Non era cosa da poco, quella, e, col senno di poi, forse i sentimenti reciproci di Kakaroth e Chichi rimanevano l’unica carta vincente da giocare.

Nel frattempo, però, era assolutamente indispensabile richiamare lo stregone del toro alle sue responsabilità.

 

Giumaho fece un sorriso forzato alla moglie.

Era un sorriso di circostanza, il suo, ma l’educazione che aveva ricevuto gli impediva di mostrarsi troppo sofferente di fronte alla consorte.

 

«Ciao, Mamanu» sussurrò a mezza bocca.

 

«Ciao. Come ti senti?»

 

«Non troppo bene, mia cara. Non troppo bene.»

 

Mamanu sospirò e i avvicinò all’uomo, saldamente piantonato a terra di fronte a un talismano nel disperato tentativo di richiamare la strega Baba.

 

«Non verrà, lo sai benissimo. Te lo ha detto lei stessa e te lo ha ripetuto Muten. Dammi ascolto, lascia perdere la veggente! Non è cercando di contattare lei che salverai Furipan dal suo destino.»

 

Giumaho non si scompose troppo nell’udire quelle parole.

Era vero: nemmeno lui nutriva chissà quale speranza nel fatto che la strega, prima o poi, si sarebbe fata viva. Ma in quale altro modo avrebbe potuto aiutare sua figlia e la sua gente?

Lo stregone del toro, nonostante lo strano appellativo che gli avevano dato, non aveva alcun potere sovrannaturale. Era un essere umano come tutti gli altri; un inutile, semplice, comune essere umano che non avrebbe avuto alcuna possibilità di sconfiggere i malvagi.

Né di placarli.

 

«Tu hai forse in mente un’idea migliore, mia cara?»

 

«Io… Io non lo so. Mi dispiace, ma non so più che cosa fare. Ce l’ho messa tutta, te lo giuro! Ho tentato in tutti i modi di tenere la gente tranquilla e forse, per un po’, ci sono anche riuscita. Ma le cose, fuori da questa stanza, non vanno affatto bene. I saiyan hanno problemi tra di loro e Kakaroth sta cercando di tenere il piede in due staffe. Per non parlare del fatto che sono scomparse le sfere del drago

 

Le ultime parole pronunciate da Mamanu ebbero l’effetto di rimettere in piedi Giumaho.

Che diavolo significava che le sfere del drago erano scomparse?

Da quando? E da dove?

 

«Mamanu, che cosa stai dicendo? Vuoi dire che mia figlia non le ha custodite come avrebbe dovuto?»

 

«Mi dispiace, non conosco i dettagli della faccenda. Ieri sera ho origliato una discussione tra Kakaroth e suo padre e, a quanto pare, Chichi e Goku non hanno più in mano le sfere. Questo è tutto ciò che so, ma credo sia abbastanza per metterti in allarme. Giumaho, le cose non possono andare avanti così. Qui si rischia davvero che i saiyan si mettano l’uno contro l’altro e a quel punto per Furipan sarebbe una catastrofe. Il principe si sta comportando in modo strano e ho paura che…»

 

«Ho capito, non c’è bisogno di aggiungere altro.»

 

«Giumaho, parla con tua figlia, ti scongiuro. Ha bisogno di te! Quella ragazza sta brancolando nel buio da quando ha perso il tuo sostegno. È forte, è vero, ma sta combattendo contro un nemico molto più grande di lei. Non può farcela da sola.»

 

«Dunque, per te i saiyan sono un nemico molto più grande di lei

 

«No, Giumaho. Lo sono Goku e i sentimenti che tua figlia prova nei suoi confronti.»

 

***

 

Era già passato un giorno da quando Bulma lo aveva implorato di avvertire Yamcha di stare alla larga dal castello, ma lui ancora non era riuscito a trovarlo.

Crilin era piuttosto frustrato: Napa il giorno prima gli aveva ordinato di andare con lui alla ricerca di nuova forza-lavoro e il giovane, per evitare grane, era stato costretto ad accettare. Egli era convinto, comunque, di poter poi rintracciare l’amico senza problemi ma, sfortunatamente, Yamcha aveva fatto perdere le sue tracce.

Forse era meglio così: dopotutto, rivelargli che Bulma aveva ricevuto l’ordine di ucciderlo non era una missione poi tanto gratificante.

Già, Bulma.

Più Crilin pensava a lei e più si convinceva del fatto che quella ragazza si fosse cacciata in un grosso guaio. Anzi, tutti erano in guai seri.

L’aveva vista piangere coi suoi occhi, disperata e incredula. L’aveva vista soffrire come una donna qualunque. Peccato che lei non fosse una delle tante: Bulma aveva un’intelligenza fuori dal comune, tanto fine e spiazzante da poter mettere i piedi in testa a chiunque.

Tranne, però, al principe dei saiyan.

Sembrava proprio che, da quando aveva conosciuto Vegeta, la vita di Bulma si fosse ridotta al solo lavoro, giorno e notte, con l’unico scopo di compiacere il sovrano.

Perché la sua amica si comportava così? Cosa le aveva fatto Vegeta?

L’idea che la scienziata avesse perso la testa per il principe dei saiyan gli faceva accapponare la pelle. Crilin, negli ultimi tempi, si era avvicinato molto a lei e aveva capito più o meno di che pasta fosse fatta. Insite nella scienziata c’erano mille contraddizioni: già il fatto che potessero coesistere in un unico essere tanta bellezza e tanto intelletto rendeva Bulma una persona tutt’altro che comune; poi c’era la questione Yamcha. Per quanto Crilin volesse bene al suo compagno di squadra, proprio non riusciva a capire cosa l’amico avesse in comune con la scienziata. Quei due, ormai, stavano insieme da qualche anno e all’epoca del loro fidanzamento erano entrambi adolescenti.

Evidentemente, lo scorrere del tempo aveva plasmato molto di più Bulma che non Yamcha.

L’aveva cambiata; o, magari, aveva soltanto contribuito a tirar fuori la sua vera personalità.

Oggettivamente parlando, egli vedeva molto meglio la scienziata insieme al principe.

Per quanto detestasse ammetterlo, Crilin non poteva di certo fingere che il carisma di Vegeta passasse inosservato. Quell’uomo aveva tutto: potere, ambizione, intelligenza, perseveranza.

Oh, certo: era anche estremamente pericoloso; ma Bulma, purtroppo per lei, non era tipa da lasciarsi intimidire da certe cose.

In fondo, a Furipan ci era andata di sua spontanea volontà e, sempre di sua spontanea volontà, ci era rimasta dopo aver saputo dell’avverarsi della profezia.

A preoccuparlo realmente erano gli ultimi segretissimi progetti ai quali Bulma stava lavorando. Vegeta, fino a quel momento, si era sempre servito di Crilin come cavia ma, a quanto pareva, il principe aveva deciso di estraniarlo dall’ultimo lavoro della scienziata.

Perché? Che cosa aveva in mente Vegeta?

Il terrestre sapeva fin troppo bene che a corte c’erano dei problemi.

Era chiaro: se Kakaroth aveva nascosto al suo principe le sfere del drago, evidentemente il rapporto tra loro non doveva poi essere chissà quanto idilliaco.

D’altra parte, per quel che ne sapeva lui, Goku aveva conosciuto di persona gli altri saiyan soltanto dopo il loro arrivo sulla Terra. Quale legame poteva esserci, dunque, fra di loro?

Probabilmente, nessuno.

Un fatto simile, però, era da considerarsi un bene o una male?

 

Non sapeva perché, anche quel giorno, avesse deciso di recarsi al castello.

La verità era che, ormai, quella era diventata la sua routine.

Certo, ufficialmente non aveva più una mansione dato che Vegeta non voleva che lavorasse con Bulma, però era chiaro che rimanere a casa a poltrire non lo avrebbe gratificato un granché. E poi, vista la strana situazione a corte, era comunque meglio non far arrabbiare troppo Vegeta.

Sicuramente, gli avrebbe trovato qualche altro lavoro da svolgere e, con ogni probabilità, avrebbe avuto la possibilità di studiare la situazione più da vicino.

L’unica cosa che il ragazzo sperava era che il principe non lo scegliesse come braccio destro di Napa.

La ricerca di nuova forza-lavoro era andata a buon fine, secondo il punto di vista dei saiyan, ma la verità era che, nei confronti degli abitanti di Momo, era stata usata molta violenza.

Addirittura, c’erano state due vittime.

Il povero sindaco del villaggio era stato freddato dallo stesso Napa, mentre sua moglie era morta di crepacuore. I momotani avevano tentato di ribellarsi ma ciò non aveva fatto altro che innescare ancora di più le ire del colosso d’élite. C’era poi il problema degli alloggi. Il principe aveva deciso di stipare tutti i nuovi arrivati nell’ospedale e nella scuola di Furipan, ma si trattava comunque di più di seicento persone, e di per sé a Furipan ce n’erano già più di mille.

Ciò aveva costretto il principe a ordinare la deforestazione di una parte della vallata e la costruzione di qualche edificio in più. In fondo, Vegeta non era un idiota: sapeva che i terrestri avevano una resistenza fisica molto minore rispetto a quella dei saiyan e, se non voleva che morissero tutti di stenti nel giro di un mese, avrebbe dovuto procurare loro un tetto sopra la testa e del cibo.

Sembrava proprio che l’intenzione del principe fosse quella di stabilirsi definitivamente sulla Terra.

Ma perché?

Cosa aveva trovato di così interessante il sovrano della stirpe guerriera più potente della Galassia?

Ah, certo; ogni tanto tendeva a dimenticare le preziosissime sfere del drago.

Peccato che ora fossero scomparse per davvero.

Crilin non aveva più saputo niente a riguardo. Dopo aver seguito Napa al villaggio di Momo aveva completamente perso le tracce di Chichi e Kakaroth.

Ovviamente, il ragazzo sperava che la principessa e il suo protettore avessero rimesso le mani su quei prodigiosi oggetti.

Tuttavia, chissà perché, la strana calma che si respirava fuori dal castello gli suggeriva che le cose non stessero così.

 

Il terrestre cacciò dalla mente tutti i pensieri fatti fino a quel momento e decise di recarsi in palestra, dove sapeva che Chichi e Kakaroth si allenavano tutti i giorni.

Crilin aprì la porta con discrezione, temendo di assistere a qualche altro episodio imbarazzante.

Ma non fu così.

I suoi timori circa l’iterarsi di un bacio tra i due ragazzi scomparvero quando egli si accorse che all’interno della palestra c’era solamente Chichi.

La principessa di Furipan era seduta a terra, in un angolo, con lo sguardo appesantito da una nottata evidentemente insonne. Negli ultimi tempi quella povera fanciulla faticava a trovare il tempo per chiudere occhio e, se i sensi non lo ingannavano, le preoccupazioni della giovane dovevano essersi accresciute ancora di più rispetto al giorno prima.

Evidentemente, come aveva sospettato, le sfere del drago ancora non erano state ritrovate.

 

«Ehi, Chichi» sussurrò Crilin a bassa voce.

 

«Ciao» ribatté con tono spento la ragazza.

 

Era chiaro: la principessa non stava bene per niente.

Il furto delle sfere doveva averla buttata giù più del previsto e il fatto che Kakaroth non fosse lì gli suggeriva che la situazione fosse più seria di quanto non avesse ipotizzato.

 

«Immagino… Immagino che non le abbiate ancora trovate.»

 

«Già. Siamo nei guai, Crilin

 

«Dai, non abbatterti! Non è ancora detta l’ultima parola. Finché gli altri saiyan non vengono a sapere della cosa, abbiamo tutto il tempo per recuperarle.»

 

«Lo sanno già.»

 

Il cuore di Crilin perse un battito.

Cosa aveva detto la sua amica?

Che accidenti significava quel lo sanno già?

Chi lo sapeva? E che cosa, esattamente?

 

«Come sarebbe a dire, Chichi? Non può…»

 

«Sì, invece. Mi dispiace tanto, davvero. La situazione mi è completamente sfuggita di mano. Ho sbagliato tutto! Ho sbagliato a fidarmi di Goku, ho sbagliato a restituire le sfere al Supremo, ho sbagliato a… Ho sbagliato e basta.»

 

Le lacrime che solcavano il viso della principessa erano tanto copiose quanto fragili.

O meglio, lei era fragile.

Per la prima volta, Crilin poteva finalmente vedere coi propri occhi cosa ci fosse dietro l’animo apparentemente guerriero della bella Chichi. In fondo, lei era una ragazza come tutte le altre: dolce, apprensiva, umanamente soggetta alla mutevolezza delle emozioni. Peccato che il destino le avesse donato in sorte una responsabilità forse più grande di lei.

Essere la custode delle sfere del drago l’aveva relegata nella scomoda posizione di dover tutelare la salvaguardia dei sui sudditi e di tutti i terrestri. Eppure, si chiedeva Crilin, quanto effettivamente una ragazza tanto giovane poteva essere in grado di assumersi una simile responsabilità?

Certo, sicuramente lei aveva sbagliato; ma l’errore più grande non l’aveva forse commesso colui che le aveva affidato un simile compito già alla nascita?

Perché il Supremo aveva osato tanto?

Cosa aveva davvero in mente la divinità il cui dovere era quello di salvaguardare il benessere del pianeta Terra?

 

«D’accordo, ma non tormentarti in questo modo. Perché, invece, non mi spieghi che cosa è successo?»

 

«Gok… Kakaroth è convinto che sia stato Yamcha a prendere le sfere. Per questo, dopo aver parlato con il Supremo, ha deciso di andarlo a cercare nella foresta di Furipan. Ovviamente, non ho avuto altra scelta se non quella di seguirlo.»

 

«Yamcha?! Oh, andiamo. Io non credo affatto che lui c’entri qualcosa.»

 

«Nemmeno io, ma ragionare con quel saiyan è diventato impossibile dopo che ha saputo del furto. Comunque, be’… non è questa la parte peggiore.»

 

«Immagino. Raccontami, allora. Che cosa è successo dopo?»

 

Chichi si asciugò le ultime lacrime dal viso e si lasciò andare a un profondo sospiro.

 

«Bardack ci ha seguiti senza che ce ne accorgessimo e, ovviamente, ora sa tutto.»

 

«Oh, cavolo.»

 

Crilin non riuscì a dire altro.

Era chiaro: la situazione era precipitata in men che non si dica e la cosa peggiore era che a scoprire il misfatto fosse stato proprio il padre di Kakaroth.

Gran bel guaio, quello!

Come ne sarebbe uscito il giovane saiyan?

E a chi avrebbe dato man forte?

 

«Già. Tra l’altro, non ho più notizie di Gok… di Kakaroth da quando Bardack ci ha ordinato di seguirlo al castello. So che hanno discusso da soli. In sala da pranzo, per fortuna, quando siamo arrivati c’era soltanto Mamanu, ma Bardack ha cacciato sia me che lei. Non so come sia andata a finire la faccenda.»

 

«C’è poco da fare, Chichi: bisogna trovare Goku.»

 

«Ha azzerato la sua aura da almeno un paio d’ore. Non so dove sia, mi dispiace.»

 

«E allora, parlerò con Bardack

 

La principessa sgranò gli occhi dalla sorpresa.

Che cosa aveva intenzione di fare il suo amico?!

No, era fuori discussione! Lei non avrebbe permesso che Crilin rischiasse la pelle per colpa sua. Era stata lei a perdere le sfere del drago e sempre lei aveva dato al suo famigerato protettore più fiducia di quanta non ne meritasse. La responsabilità era sua, non di Crilin.

 

«Scordatelo, Crilin. Ci parlerò io.»

 

«Chichi, sei già abbastanza nei guai. Lascia fare a me, per favore!»

 

«Al massimo, ti concedo di accompagnarmi. Ma voglio risolvere io la situazione. Sono io la responsabile, ricordatelo!»

 

«E va bene. Allora, io direi che possiamo avviarci subito. È inutile perdere altro tempo.»

 

***

 

Ce l’aveva fatta e ciò che aveva compiuto era un vero e proprio miracolo.

Aveva capito perfettamente cosa volesse il principe, nonostante quest’ultimo si fosse guardato bene dal rivelarle cosa stesse cercando.

Magari, non lo sapeva nemmeno lui.

A Vegeta non interessava la Luna in sé, ma le particolari onde che alcuni satelliti naturali erano in grado di sprigionare. Aveva trascorso l’intera nottata a fare confronti tra la struttura dell’ormai scomparsa luna terrestre e quella del pianeta d’origine dei saiyan, e aveva scoperto, con enorme sorpresa, che l’unica cosa che avessero in comune fossero le cosiddette onde Bluetz.

Perché costruire un satellite intero quando al principe bastavano solamente quelle?

In questo modo, il suo lavoro si sarebbe semplificato notevolmente e lei avrebbe potuto portare a termine il compito nel giro di un paio di giorni.

Certo, costruire un macchinario in grado di produrre delle simili onde non era cosa da niente, ma sicuramente sarebbe stato molto più semplice e meno dispendioso che non mettere assieme un’intera luna.

Poteva farcela! Anzi, doveva farcela; e alcuni dei robot che aveva costruito per altri esperimenti potevano facilmente essere adattati al nuovo progetto.

 

L’urlo di gioia che la scienziata si lasciò sfuggire non passò inascoltato.

Il principe era lì, dietro la porta di quel laboratorio da almeno due ore e aveva assistito con estremo interesse e nel massimo silenzio al lavoro di Bulma.

In realtà, era da quando aveva affidato alla scienziata quella mansione che Vegeta la spiava.

Non gli era sfuggito nulla: la disperazione iniziale di Bulma, i suoi dubbi su cosa realmente il saiyan stesse cercando, la telefonata con il padre.

Poco importava che la precedente nottata l’avesse passata quasi completamente in piedi: il principe della stirpe guerriera più potente dell’intero universo necessitava di quella maledetta luna che, chissà come mai, non ruotava più attorno all’orbita terrestre. Per la verità, egli aveva un sospetto circa la misteriosa sparizione del satellite e immaginava che quest’ultima avesse a che fare con la perdita della coda di Kakaroth.

Ma, oramai, spremere il cervello per fare simili congetture non aveva più senso.

Quel traditore molto presto avrebbe assaggiato l’ira del guerriero saiyan per eccellenza e sarebbe morto schiacciato sotto il peso travolgente del principe trasformato nella creatura più devastante che esistesse in natura.

Vegeta si era accorto di tutto, ma aveva finto sapientemente di non aver notato i movimenti del giorno prima. Certo, una mossa del genere avrebbe sicuramente allarmato Bardack, ma egli conosceva il generale meglio di chiunque altro ed era assolutamente certo che non avrebbe rinnegato la stirpe dei saiyan in nome di un figlio tanto insolente quanto vigliacco.

Rimaneva il problema di scoprire dove fossero andate a finire le sfere del drago, ma a quello avrebbe pensato dopo essersi liberato di Kakaroth. Che fretta aveva, in fondo? Finché la principessina teneva la bocca tappata, nessuno avrebbe potuto usare quegli oggetti.

Vegeta sapeva anche quello, ovviamente.

Egli aveva l’udito di una cane, la vista di un’aquila e l’astuzia di una volpe.

Aveva intuito fin dall’inizio come mai l’eccentrica Chichi fosse tenuta tanto in considerazione in quella corte e gli ci era voluto poco per capire quanto Kakaroth fosse ormai sottomesso ai voleri della ragazza. Evidentemente, quel fallito non era riuscito a farsi rivelare il modo per utilizzare le sfere.

Stupido incapace!

Avrebbe potuto sottomettere quella donna in tutti i modi che voleva: poteva picchiarla a sangue, minacciare di morte il padre o anche scoparsela e farsi dire tutto con le buone; invece, si era lasciato imbambolare come un moccioso alle prime armi dal carattere pepato di quell’insolente ragazzina e aveva finito per lasciare a lei il controllo della situazione.

Peggio per lui.

Vegeta aveva temporeggiato anche troppo e, vista la situazione che si stava creando e la crisi che quest’ultima aveva insinuato in Bardack, sarebbe stato da sciocchi aspettare ancora chissà quanto. Prima si sarebbe sbarazzato di Kakaroth e prima avrebbe costretto la principessa di Furipan a collaborare.

 

Bulma, nel frattempo, aveva portato a termine ciò che egli le aveva ordinato di fare.

Era stata brillante, rapida, estremamente intuitiva e fottutamente geniale.

Da dietro quella porta cigolante, Vegeta ghignava soddisfatto e ammirava con una certa reverenza le mani di lei che, rapide, pigiavano sulla tastiera di un computer di seconda mano. Incappare in quella donna era stata una delle più grandi fortune che gli fossero capitate negli ultimi tempi. Di scienziati ne aveva schiavizzati parecchi da quando aveva preso in mano le redini del suo regno, ma mai gli era capitato di incontrare qualcuno dotato di tanta perseveranza e di tanta intelligenza.

Bulma, oltretutto, era una donna, una donna giovane e molto bella, dal fascino tutt’altro che discreto. Si era accorto di come gli uomini la guardavano: che fossero terrestri o saiyan, tutti avevano posato i loro occhi sul viso candido della ragazza, sui suoi capelli dal colore tanto esotico e sul suo corpo longilineo e ben proporzionato.

Valeva davvero molto, quella donna; e a lui, tutto sommato, delle cure mozzafiato di Bulma importava solo relativamente: era il cervello della scienziata a meritare ogni attenzione e lui, scelto dal destino per governare il popolo più potente di tutti i tempi, voleva al suo fianco qualcuno che potesse tornargli utile in qualche modo e che non si limitasse a scaldargli il letto o a generargli un figlio.

Una compagna, insomma; anzi, una regina.

Lui che presto avrebbe rivendicato per sé il ruolo di legittimo sovrano del pianeta Vegeta e che, al contempo, avrebbe ricevuto ufficialmente la corona paterna, era pronto a condividere il potere con qualcuno che, tanto quanto lui, avrebbe saputo accrescere la supremazia dei saiyan.

E, fino a quel momento, Bulma era stata l’unica persona in assoluto a stregarlo con le sue innate capacità intellettive.

Certo, in quanto a forza fisica, la scienziata era davvero messa male.

Vegeta sapeva che sarebbe bastato un semplice schiaffo da parte sua per mandarla definitivamente all’altro mondo e sapeva anche che una donna tanto fragile avrebbe avuto seri problemi a vivere su un pianeta dalla forza di gravità elevata come quello da cui provenivano i saiyan; ma, ne era certo, se Bulma era stata in grado di scovare e riprodurre le onde Bluetz, in qualche modo si sarebbe anche adattata alle caratteristiche del pianeta Vegeta.

In fondo, a lui non serviva affatto una compagna fisicamente forte: lui era potente abbastanza per sottomettere al proprio volere qualunque essere circolante per l’Universo. Al principe serviva qualcuno che sapesse valorizzare al meglio la potenza che egli aveva innata dentro di sé e che potesse aiutarlo a moltiplicarla a dismisura.

Lei poteva.

Lo aveva già fatto, anzi. La camera gravitazionale che aveva costruito per lui ne era una prova.

Solo negli ultimi giorni, il principe aveva triplicato la sua forza e lo aveva fatto proprio grazie ai marchingegni costruiti per lui dalla scienziata.

Sarebbe stato da imbecilli lasciarsi sfuggire dalle mani una creatura del genere e lui imbecille non lo era affatto. Certo, rimaneva il problema dell’erede legittimo e di sangue puro che avrebbe dovuto, prima o poi, ereditare il suo regno, ma a quello avrebbe pensato in un secondo momento, quando cioè sarebbe stato certo che nessun altro al mondo avrebbe potuto ambire a spodestarlo.

Lui non avrebbe fatto la fine di suo padre: non sarebbe stato tanto sciocco e sprovveduto da farsi ammazzare a tradimento. Un eventuale erede avrebbe dovuto sudarselo quel maledetto regno e lo avrebbe ottenuto solo dopo che lo scorrere naturale del tempo avesse sottratto al futuro re dei saiyan la vita.

Non prima, di sicuro.

Non per mano di un altro guerriero.

 

«Voltati, Bulma

 

Il cuore della scienziata perse un battito.

Nonostante, oramai, dovesse già essere abituata all’ingresso silenzioso e repentino del saiyan nel suo laboratorio, ogni volta che sentiva la voce del guerriero, il suo corpo cominciava a tremare.

Quel dannato principe le faceva ancora quell’effetto e, probabilmente, glielo avrebbe sempre fatto.

Lo temeva e lo ammirava al tempo stesso.

Sapeva di piacergli e aveva capito quanto Vegeta tenesse al suo preziosissimo cervello. In fondo, aveva dimostrato appieno di meritare la sua fiducia. Aveva vinto; anzi, aveva stravinto. Era riuscita a dimostrare a sé stessa e all’uomo più potente dell’universo quali fossero le sue reali capacità e quali limiti potesse superare una scienziata del suo calibro.

 

Bulma obbedì e rivolse il volto al saiyan.

Vegeta aveva un’aria apparentemente indifferente: non sorrideva, non ghignava, non ringhiava di rabbia.

Impassibile.

Forse era appena arrivato e, magari, non sapeva che lei aveva appena trovato una soluzione al problema luna.

 

«Ce l’ho fatta. Credo di aver capito di cosa hai bisogno. Non è necessario portare qui alcuna luna, Vegeta! Basta semplicemente riprodurre le onde Bluetz. Ci ho lavorato tutta la notte e so per certo che sono l’unica cosa che accomuna il satellite naturale della Terra al satellite naturale del tuo pianeta d’origine. È di queste che hai bisogno, non è vero? Perché, se è così, tempo un paio di giorni e…»

 

«Sta’ zitta.»

 

Il tono perentorio con cui Vegeta aveva proferito quelle parole fece tremare Bulma.

Lei aveva paura del principe dei saiyan, nonostante ne fosse intimamente affascinata. Sapeva, infatti, cosa quell’uomo fosse in grado di fare ed era consapevole del fatto che farlo arrabbiare fosse una delle cose più stupide che una persona potesse fare.

Lo temeva e lo venerava.

Provava nei suoi confronti quell’ammirazione che non credeva potesse davvero esistere.

Forse, se fosse stata meno intelligente e razionale di quanto non fosse realmente, lo avrebbe idolatrato; e la venerazione, per quanto ne sapeva lei, portava anche a provare terrore nei confronti dell’oggetto del desiderio.

 

«Scu… Scusa. Io volevo semplicemente…»

 

Vegeta si avvicinò rapidamente a lei e le posò delicatamente un dito sopra le labbra, lasciandola sgomenta e confusa.

Tutte le incertezze che in quel momento leggeva tra le iridi azzurre della scienziata lo stavano facendo divertire più di quanto non avesse immaginato.

Quanto era debole quella donna!

Se non fosse stata tanto intelligente, probabilmente nemmeno si sarebbe sporcato personalmente le mani per farla fuori. Avrebbe delegato Napa, come sempre, o qualche altro miserabile suddito.

Ma, all’interno del cranio di quell’affascinante terrestre, pulsava uno dei cervelli più laboriosi nel quale fosse mai incappato.

E, alla fine, sarebbe stato suo.

A qualunque costo.

 

«Lo so. So benissimo cosa stavi dicendo. So anche come e quanto hai lavorato.»

 

Il principe ritrasse l’indice dalle labbra della terrestre e le lanciò un ghigno compiaciuto, sinceramente compiaciuto.

 

«Un paio di giorni e sarà tutto pronto. Posso iniziare subito: ho già in mano quello che mi serve.»

 

«Quanta fretta, Bulma. Comincerai più tardi, quando ti chiederò di farlo.»

 

Vegeta allungò una mano lungo il fianco della donna e la spinse ad alzarsi in piedi.

Gli occhi di lei erano spalancati, molto più di quanto non fossero mai stati. Il leggero tremolio delle membra della scienziata, che il principe avvertì distintamente non appena sfiorò il suo corpo con una mano, ebbe il potere di risvegliare i suoi sensi e di farlo eccitare.

Da quanto tempo non si concedeva il lusso di possedere una donna?

Probabilmente mesi e, oltretutto, nemmeno ricordava che faccia avesse la tizia in questione.

Per lui le femmine erano poco più che oggetti per il sollazzo e, di fatto, mai gli era capitato di avere delle mire diverse dal sesso su una donna.

Ma Bulma doveva essere sua, a tutti gli effetti. Avrebbe dovuto marchiarla al più presto prima che qualcun altro cercasse di metterle le mani addosso.

I suoi sudditi dovevano capire fin dall’inizio che mai e poi mai avrebbero potuto toccare quella donna, perché lui l’aveva scelta e soltanto lui avrebbe potuto godere appieno delle sue grazie e della sua straordinaria intelligenza.

 

Senza che nemmeno se ne rendesse conto, Bulma si trovò con la schiena spiaccicata contro la parete. Se non fosse stata dannatamente attratta dall’uomo che col suo corpo le impediva di divincolarsi da quella posizione, la scienziata si sarebbe sentita in trappola.

Razionalmente, in realtà, sapeva di esserlo; ma nelle iridi scure e profonde del principe dei saiyan non leggeva alcuna minaccia in quel momento. Magari, ella era semplicemente abbagliata dal fascino magnetico di quello spietato guerriero e ciò le impediva di far funzionare a dovere il cervello.

Poco importava, in realtà.

Ogni fibra del suo corpo reagiva al contatto con il principe dei saiyan accelerando le vibrazioni e lei sentiva che stava per cedere alla lussuria.

Lo voleva, e lo voleva più di ogni altra cosa al mondo.

Lo voleva perché Vegeta era tutto: carisma, forza, bellezza, potere, mistero, sensualità.

Lo voleva perché era l’unico uomo che avesse mai dimostrato di anteporre la sua intelligenza al bel fisico che aveva la scienziata e lo aveva dimostrato più volte concedendole il lusso di sopravvivere e di lavorare per lui.

Sapeva che tutto ciò era sbagliato.

Probabilmente, tutto quel desiderio che provava nei confronti del principe non avrebbe portato a nulla di buono se non alla sua morte certa.

Ma voleva rischiare.

Lei non amava le cose facili e cedere al volere di un uomo di quel calibro sarebbe stato un enorme rischio. Vegeta avrebbe potuto farle qualunque cosa, anche ucciderla dopo averla brutalmente seviziata; ma, ne era certa, lui aveva bisogno di lei come di nessun altra creatura al mondo e, a prescindere da come l’avrebbe fatta sua, non sarebbe mai stato capace di toglierle la vita.

 

Il principe percorse lentamente il corpo della donna con le dita, risalendo dai fianchi al seno, fino al collo e alle labbra. La carezza lasciva che aveva lasciato sulla sua pelle fece tremare Bulma di eccitazione. Il tocco dell’uomo era stato volutamente delicato e sensuale, molto più di quanto avesse fantasticato in passato.

Ella non oppose resistenza.

Lasciò che il principe si avvicinasse con il viso alle sue labbra e che la baciasse senza remore. Il contatto con la bocca di lui fece avvampare Bulma. Un attimo prima che le loro lingue si intrecciassero in quel caldo contatto, la donna aveva temuto che Vegeta le facesse male, che la costringesse a sottostare al suo volere con la forza, nonostante ella non avesse avuto alcun bisogno di subire un sopruso per concedersi a colui di cui sapeva di essere invaghita.

Ma il saiyan l’aveva stupita, evitando di farle del male e lasciandola libera di ricambiare quel bacio come avesse voluto.

Istintivamente, Bulma portò i palmi delle mani sul petto di Vegeta. Non voleva allontanarlo da lei, in realtà. Ciò che bramava era toccarlo, sentire sotto i polpastrelli la consistenza dei muscoli del guerriero più potente dell’universo e deliziarsi di quel corpo perfetto che l’uomo le stava in qualche modo concedendo.

Vegeta, però, sciolse il bacio che li teneva legati e portò la terrestre a guardarlo con timore.

Bulma pensò immediatamente di aver osato troppo e ritrasse le mani.

 

«Scusami, io non…»

 

«Tu cosa, Bulma?» sussurrò divertito l’uomo, non nascondendo una certa soddisfazione per averla indotta a spaventarsi.

 

«Vegeta, che cosa… Che cosa stai facendo?»

 

La scienziata si pentì immediatamente della domanda fatta e le risa del principe le diedero conferma del fatto che avrebbe dovuto riflettere di più prima di chiedere una simile stupidaggine.

Era chiaro come il sole cosa Vegeta stesse facendo.

La voleva, punto.

E lei gli aveva anche fatto capire con gli spasmi del suo corpo che si sarebbe concessa a lui senza remore.

Con una mossa a lei impercettibile, il saiyan le strappò la camicetta e la fece rimanere a petto seminudo e col reggiseno in vista. Poi riprese a baciarla, prima sulle labbra e dopo sul collo, mentre una delle sue mani si insinuava nei pantaloni di lei.

Come l’uomo immaginava, tra le gambe la scienziata era già calda e umida.

Era pronta ad accoglierlo, e lui non l’avrebbe fatta attendere ancora per molto.

Vegeta la spinse a terra, permettendole di stare seduta, poi si scostò leggermente da lei.

 

«Spogliati.»

 

Bulma temporeggiò un istante, annaspando per l’eccitazione.

 

«Che stai aspettando? Ti ho detto di spogliarti.»

 

La scienziata aveva paura, di nuovo, e il tono perentorio di Vegeta l’aveva riportata parzialmente coi piedi per terra.

Quell’essere era pericoloso, dannatamente pericoloso, e probabilmente si stava servendo di lei per sottomettere definitivamente i terrestri.

Perché, però, non riusciva a dirgli di no?

Perché sentiva il basso ventre pulsare impazzito nell’ammirare il principe che, a sua volta, si stava denudando?

Ormai era troppo tardi per tirarsi indietro e Bulma lo sapeva bene.

Era anche certa del fatto che probabilmente presto si sarebbe pentita di quel folle gesto e avrebbe odiato sé stessa e la sua precaria forza di volontà.

Ma, nonostante il suo raziocinio cercasse di farla tornare coi piedi per terra, il suo cuore aveva deciso di non dargli ascolto e di obbedire all’ennesimo ordine del principe.

In fondo, gli aveva già donato una camera gravitazionale e le onde Bluetz; perché non concedergli anche il suo corpo? Chissà se ne sarebbe rimasto altrettanto entusiasta.

 

I due amanti erano nudi, l’uno di fronte all’altro, e Bulma aveva finalmente la possibilità di toccare con mano ciò che ai suoi occhi appariva come la perfezione.

Vegeta si portò sopra di lei e la fece sua con un’unica, decisa spinta, concedendole il diletto di una lussuria che mai in vita sua la donna aveva provato con altri uomini.

Nemmeno col suo fidanzato.

Il pensiero di Yamcha scivolò via in fretta dalla sua mente.

Non voleva e non doveva pensare a lui in quel momento.

Lo stava vigliaccamente tradendo e, nonostante si fosse resa conto ormai da tempo di non amarlo più, l’idea di essersi comportata in modo meschino e riprovevole la faceva sentire terribilmente in colpa.

Ma, in quel momento, Vegeta stava godendo dentro di lei e Bulma, nonostante fosse consapevole del grave errore che stava commettendo, non desiderava altro che accompagnare il suo principe all’apice del piacere carnale e deliziarsi tanto quanto lui di quell’amplesso focoso e irrazionale.

A tutto il resto avrebbe pensato dopo, un dopo che, sapeva, sarebbe comunque arrivato troppo in fretta.

 

Bulma e Vegeta giacevano l’uno accanto all’altra.

La donna era stanca, vinta non solo dall’amplesso che l’aveva vista coinvolta insieme al principe dei saiyan, ma anche dalla stanchezza accumulata negli ultimi giorni.

Da quanto tempo non dormiva seriamente?

Forse, da quando Vegeta aveva iniziato a pretendere da lei tutti quegli assurdi marchingegni.

Guardava il soffitto pericolante di quel laboratorio cupo e fatiscente.

In quel momento, lo trovava decisamente interessante. D’altra parte, l’alternativa sarebbe stata voltarsi verso Vegeta, e lei non era coraggiosa a tal punto da volerlo fare.

In fondo, ci aveva appena fatto sesso, nonostante fossero poco più che perfetti sconosciuti.

Lui oltretutto, mirava a schiavizzare la razza umana.

Gran bella mossa davvero, quella di Bulma!

I sensi di colpa stavano a poco a poco affiorando in lei, sostituendosi al piacere dell’orgasmo appena raggiunto. Cosa avrebbe fatto da quel momento in poi? E come avrebbe potuto togliersi dall’impaccio di essere l’amante del principe dei saiyan?

Certo, per quel che ne sapeva lei, Vegeta avrebbe anche potuto non cercarla più; ma qualcosa le diceva che quello era solo l’inizio e che, nonostante quell’uomo potesse avere ai suoi piedi tutte le donne del mondo, avrebbe di nuovo reclamato il suo corpo e la sua mente.

 

Vegeta, dal canto suo, non aveva proferito parola.

Il principe era completamente immerso nelle sue riflessioni e quell’amplesso l’aveva turbato più del previsto.

D’accordo, egli non era di certo nato il giorno prima, e aveva immaginato che quella donna avesse avuto già dei rapporti con altri uomini.

Ma, dopo averci scopato, il suo dubbio era diventato certezza.

Con chi diavolo era andata a letto Bulma?

Chi si era permesso di violare prima di lui la scienziata?

Chiunque fossero costoro, egli li avrebbe trovati e fatti fuori.

 

Il telefono della scienziata prese in quel momento a squillare, ma Bulma era troppo stanca e pensierosa per alzarsi da lì e andare a rispondere.

Tanto più che era ancora completamente nuda e che, chissà perché, non aveva voglia di mettersi in piedi in quello stato.

 

«Che stai aspettando a far tacere quel dannato aggeggio, Bulma

 

«La smetterà da solo quando si attiverà la segreteria.»

 

«E correresti il rischio che io ascolti un messaggio per te?»

 

«Non ho niente da nascondere, Vegeta.»

 

Era vero: Bulma ormai aveva concesso al principe dei saiyan praticamente tutto ciò che aveva e, di sicuro, non poteva esserci niente di più compromettente al mondo che fare sesso con lui.

Chiunque ci fosse stato dall’altra parte della cornetta e qualunque cosa avesse detto, lei non avrebbe dovuto preoccuparsene più di quanto avrebbe dovuto fare per la relazione sessuale che aveva intrapreso con l’uomo più pericoloso e affascinante dell’universo.

La segreteria telefonica, però, si avviò per davvero.

 

Bulma, tesoro, sono papà! Volevo dirti che sono riuscito a ultimare il radar cerca sfere e che a breve lo metterò in funzione. In questo modo, potreste nascondere le sfere del drago prima dell’arrivo dei malvagi e poi recuperarle senza difficoltà una volta sconfitti. Che ne pensi? Fammi sapere al più presto così faccio un salto a Furipan e te lo porto. Salutami tanto Yamcha e digli che, appena tornate a casa, è invitato a cena. Buona giornata, mia cara! Ti mando un bacione.

 

Bulma prese a tremare vistosamente.

Era fottuta.

In mezzo al trambusto degli ultimi giorni aveva completamente dimenticato il progetto di suo padre di costruire un aggeggio in grado di captare le vibrazioni elettriche sprigionate dalle sfere del drago. E Vegeta aveva ascoltato tutto.

Per la prima volta da quando era terminato l’amplesso, la scienziata si voltò verso il saiyan.

Vegeta ghignava divertito.

Era fatta. Presto avrebbe messo definitivamente le mani sugli oggetti da lui tanto bramati e, ancora una volta, doveva ringraziare la terrestre.

 

«Vegeta, per favore…»

 

«Vestiti, avanti. Dobbiamo andare a far visita a tuo padre.»

 

CONTINUA

 

Angolo dell’autrice

Ciao a tutti! In questo capitolo mi sono dilungata un po’ troppo, lo so, ma il concretizzarsi della relazione tra Bulma e Vegeta mi ha fatto prendere la mano.    

Non ho molto da dire se non che spero che questa svolta abbia compensato bene i digiuni di amoreggiamento nei precedenti capitoli. Presto arriverà anche il turno di tutti gli altri protagonisti.

Qui si è rivista anche un po’ di azione.

Nel prossimo capitolo, Chichi e Crilin andranno a cercare Bardack e tornerà in scena anche Kakaroth. Spero che lo aspetterete con curiosità e che non deluda le vostre aspettative.

Intanto, vi saluto e vi auguro una buonissima giornata.

A presto!

9dolina0

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Capitolo 15
*** Come incastrare una donna ***


Capitolo XV – Come incastrare una donna

 

Convincere Chichi a concedersi prima una sana colazione non era stato affatto semplice.

La ragazza aveva una fretta tremenda di parlare con Bardack e di scoprire cosa ne fosse stato di Kakaroth. Crilin non aveva avuto il coraggio di toccare l’argomento, ma sapeva perfettamente che la sua amica era innamorata di lui.

Li aveva visti baciarsi e aveva anche colto negli occhi della ragazza un profondo imbarazzo.

Ella, però, non sembrava intenzionata ad aprire quel discorso, e il modo in cui stava non troppo magistralmente evitando l’argomento aveva fatto capire al giovane guerriero che era meglio farsi gli affari propri.

 

Chichi, comunque, non aveva mangiato un granché quella mattina.

Mamanu aveva lasciato sul tavolo della sala da pranzo il ben di dio, come tutti gli altri giorni, ma sembrava che nessuno avesse fatto gli onori alla cuoca facendo colazione.

Era strano, in effetti; al ragazzo, però, non pareva proprio il caso di andarsi a preoccupare anche dell’appetito dei residenti a corte: in fondo, aveva già parecchi problemi da risolvere e, se non avesse provveduto in fretta ad affrontarli, forse per Furipan sarebbero davvero iniziati i guai.

 

«Avanti, andiamo.»

 

«Chichi, per favore. Rilassati un attimo! Dammi il tempo di bere un po’ di succo di arancia!»

 

La ragazza saettò in piedi, ignorando la supplica dell’amico.

 

«Lo berrai dopo. Dobbiamo parlare con Bardack prima che se ne vada.»

 

«Non andrà da nessuna parte. È il guerriero più forte dopo Vegeta e sicuramente rimarrà a guardia del palazzo per verificare che non ci siano strani movimenti.»

 

«Eppure, mi pare che ieri, invece che starsene qui, abbia seguito me e Goku.»

 

Crilin sospirò sconfortato.

La sua amica, ormai, aveva perso il lume della ragione e, tutto sommato, ciò che le stava accadendo era anche comprensibile. Lui per primo sapeva che bisognava parlare faccia a faccia con Bardack per capire quali intenzioni avesse, ma, chissà perché, cominciava ad avere la sensazione che non sarebbe stata una buona idea presentarsi da lui di soprassalto.

A Crilin, il generale di terza classe incuteva un certo timore reverenziale.

Lo ammirava per la discrezione, la forza fisica, l’intelligenza che aveva dimostrato di avere fin da quando aveva messo piede sulla Terra.

Era un uomo di grande equilibrio, oltre che un fenomenale guerriero e il suo modo di muoversi e di parlare lasciavano trasparire un’enorme fiducia in sé stesso.

In un certo senso, l’allievo di Muten era molto curioso di vedere come Bardack avesse preso la notizia del tradimento del figlio. Egli era la seconda personalità in ordine di importanza nella corte dei saiyan – anche se, almeno ufficialmente, tale ruolo spettava a Napa – e di sicuro il comportamento del figlio aveva messo in crisi anche la sua posizione nei confronti di Vegeta.

Crilin non sapeva esattamente cosa avrebbe voluto dirgli.

Da qualche minuto, non faceva che pensarci, ma, per quanto si sforzasse, i timori che aveva nei riguardi del generale gli impedivano di concentrarsi sui suoi ragionamenti.

L’idea più sensata sarebbe stata quella di chiedere indulgenza per tutti i guai provocati e assicurare a Bardack che presto avrebbero rimesso le mani sulle sfere del drago.

Già, ma a che pro?

In fondo, anche il padre di Kakaroth mirava a recuperarle, ma non di certo per preservarle dalla bramosia dei saiyan. Lui stesso apparteneva a quella razza ed era anche una delle personalità più in vista della corte reale.

Forse, la cosa più saggia da fare sarebbe stata semplicemente tastare il terreno e cercare di capire se Bardack sapesse che fine avesse fatto suo figlio. Crilin sapeva che il giovane saiyan sospettava di Yamcha, ma non aveva idea di dove fosse andato a cercarlo.

Come poteva, però, sperare che il generale gli rivelasse davvero le intenzioni di Goku?

Per la verità, era addirittura probabile che il saiyan fosse fuori di sé dalla rabbia e che avrebbe ucciso all’istante sia lui che Chichi non appena li avesse scorti nei suoi paraggi.

 

La principessa, però, ne frattempo si era alzata e, da sola, si stava avviando fuori dalla stanza.

 

«Ehi, aspetta! Dove stai andando così di corsa!»

 

«Lo sai dove sto andando. Vuoi aiutarmi oppure no a cercare Bardack

 

«E va bene, ma fai andare avanti me. È più sicuro!»

 

«Quante storie! Tanto, se vuole farmi fuori, lo farà con o senza di te.»

 

Crilin abbassò la testa sconsolato e si apprestò a superare la ragazza.

Ora capiva perché Kakaroth si era innamorato di lei: la bella principessina aveva la testa più dura di quella di un saiyan.

 

***

 

«Bardack, per favore, vuoi spiegarmi che cosa è successo?»

 

Lo sguardo fulminante che ricevette in risposta avrebbe terrorizzato chiunque, ma non Mamanu. La donna aveva passato gran parte della mattinata a cercare di risvegliare nel marito un briciolo di senso di responsabilità nei confronti di Furipan e della figlia, e ora, con coraggio, stava affrontando il generale Bardack.

Ella non lo temeva più di quanto non avesse paura di un moscerino.

La paura di perdere la vita non l’aveva mai scalfita da quando erano arrivati i saiyan e, tutto sommato, l’idea di sacrificarsi per le sorti di una terra alla quale si era ormai affezionata non le pareva così fuori luogo.

Era vero: nel frattempo, la moglie di Giumaho aveva finito col perdere la testa per quell’uomo estremamente affascinante e carismatico al quale ora stava cercando di carpire qualche informazione; ma ciò non toglieva affatto che lei avrebbe in ogni modo cercato di mantenere gli animi il più possibile sedati.

Il fatto, poi, di sapere effettivamente dove fossero finite le sfere del drago la metteva in una posizione scomoda e, al contempo, privilegiata. Se fosse riuscita a rientrarne in possesso prima che Kakaroth o Chichi intuissero davvero chi fosse il colpevole, forse avrebbe potuto placare un poco la situazione.

Già; ma come avrebbe giustificato di fronte ai saiyan e a suo marito il fatto che lei sapesse?

Avrebbe potuto dire la verità, certo, e confessare come Tensinhan l’avesse messa a conoscenza del suo piano; eppure, era assolutamente certa che nessuno – la principessa in primis – le avrebbe creduto.

Però, magari, Bardack qualche titubanza in merito l’avrebbe avuta.

Anche se il loro rapporto non era andato molto oltre il sesso, Mamanu sapeva quanto il generale fosse astuto e intuitivo. In fondo, se egli l’aveva risparmiata, era proprio perché conosceva la sua grande affabilità e perché la riteneva l’unica in grado di controllare gli abitanti di Furipan con le buone. Forse, lui sarebbe stato l’unico a non mettere la mano sul fuoco circa la colpevolezza della donna.

Forse.

 

Ultimamente, però, Mamanu tendeva sempre meno a fidarsi del proprio istinto.

I sensi di colpa per il tradimento nei confronti di Giumaho e il sapere che Kakaroth avesse scoperto tutto, l’avevano non poco destabilizzata. Anche se, in apparenza, ella stava cercando il più possibile di mantenere una parvenza di controllo, la bella Mamanu sapeva benissimo che la razionalità che l’aveva contraddistinta fino a pochi giorni prima stava pian piano lasciando il posto al ben più pericoloso istinto.

In fondo, l’idea di recarsi da Bardack denotava proprio una certa carenza di lucidità.

Si era intrufolata nella sua stanza da letto come faceva praticamente ogni notte ma, invece che trovarlo accoccolato sul materasso, lo aveva visto in piedi, affacciato alla finestra, con i gomiti poggiati sul davanzale.

Era furioso, ma anche pensieroso.

Nonostante si fosse accorto certamente della sua presenza, non l’aveva cacciata via, né, però, le aveva dato la soddisfazione di guardarla in faccia più di mezzo secondo.

Mamanu sapeva di essere per lui solo un sollazzo. Non si era mai illusa davvero che il potente generale di terza classe perdesse la testa per lei e, probabilmente, nemmeno avrebbe saputo reagire con raziocinio a un ipotetico evento del genere.

Tuttavia, il modo in cui la stava ignorando la infastidiva parecchio. Egli non sembrava intenzionato a prestarle ascolto, rapito da chissà quali elucubrazioni mentali, e pareva proprio che Mamanu stesse sprecando il fiato per parlare con i muri.

 

«Insomma, Bardack, non credo di meritare un simile atteggiamento da parte tua. So che è successo qualcosa. Ti prego, vuoi dirmi di che cosa si tratta? Sai che posso darti una mano, nei limiti delle mie possibilità.»

 

Il guerriero si voltò lentamente verso di lei, per poi tornare a guardare fuori dalla finestra dopo pochissimi istanti.

 

«Sono convinto anch’io di ciò che dici, Mamanu; ma, chissà perché, credo che tu sia implicata in questa faccenda più di quanto non voglia farmi credere.»

 

Le parole del guerriero giunsero taglienti alle orecchie della donna.

La sua era un’accusa senza mezzi termini, l’espressione palese della sua totale mancanza di fiducia in lei. La cosa peggiore era che Bardack, tutto sommato, aveva anche ragione, e l’idea di essere stata in qualche modo scoperta la stava facendo tremare di paura.

Paura di perderlo.

 

Dal canto suo, Bardack sapeva di aver azzardato troppo.

Il generale non aveva mai davvero dubitato della buona fede della sua amante, ma, al contempo, aveva imparato a conoscerla bene e aveva capito che se c’era qualcuno a Furipan in grado di smascherare i tranelli, quel qualcuno era proprio Mamanu.

Voleva metterla alle strette e aveva dovuto anche farlo in fretta.

In fondo, il ruolo strategico che ricopriva la moglie di Giumaho aveva fatto comodo a tutti, a Vegeta in primis, e se davvero quella donna era riuscita a controllare tanto bene la popolazione di Furipan, era assolutamente probabile che ciò fosse avvenuto perché la gente aveva fiducia in lei.

Qualche imbecille doveva pur aver parlato!

Possibile che le sfere del drago fossero sparite nel nulla senza che qualcuno avesse informato anche indirettamente i governanti di Furipan della loro scomparsa?

Se la risposta fosse stata , allora i colpevoli potevano essere soltanto Chichi e suo figlio oppure qualche altro saiyan; ma i suoi commilitoni non sapevano assolutamente come fossero fatte le sfere del drago e, con molta probabilità, nemmeno ne avevano mai sentito parlare.

A parte Napa, ovviamente.

Ma lui – e Bardack di ciò era certo – non si sarebbe mai messo contro Vegeta.

Per questo era necessario obbligare Mamanu a parlare.

Il generale sapeva che quella donna aveva a cuore molto di più la sorte di Furipan che non gli interessi del suo amante; ma, se fino al giorno prima di ciò gli importava poco o nulla, ora la situazione era precipitata in maniera inaspettata e la moglie di Giumaho, volente o nolente, avrebbe dovuto contribuire a tirare fuori dai guai sia lui che Kakaroth.

In fondo, era in gioco anche l’incolumità di Chichi.

D’accordo, quella ragazza non era sua figlia ma, per quanto tra le due donne il rapporto non fosse proprio idilliaco, Bardack sapeva che Mamanu si era affezionata a lei.

 

«Allora, Mamanu, non hai nulla da dire?»

 

Finalmente, Bardack si era preso la briga di voltarsi sul serio.

Avere gli occhi di quell’uomo puntati contro le sue iridi non le faceva poi così male. Si era abituata al suo sguardo feroce e dannatamente razionale e, forse, erano stati proprio quegli occhi a farla innamorare.

Innamorare?

Per un istante, Mamanu si sorprese dello strano pensiero che le era balenato in testa.

Mai, prima di allora, aveva ammesso con sé stessa di provare qualcosa di forte nei confronti del suo amante, e l’idea di averlo fatto proprio nell’unico momento in cui Bardack stava mettendo in discussione la sua buona fede le fece tremare impercettibilmente le membra.

Lei non voleva perderlo.

Avrebbe rinunciato a tutto, anche a quella felicità che il destino le aveva concesso facendo piombare il generale Bardack nella sua vita; ma mai avrebbe voluto perdere l’uomo che aveva risvegliato in lei il senso di libertà. A costo di farsi del male, a costo di subire le ire del saiyan, lei avrebbe fatto di tutto per tenerselo stretto.

Lo amava, anche se ancora non si sarebbe azzardata ad ammetterlo, e se il prezzo da pagare fosse stato la perdita della sua incolumità, Mamanu sarebbe stata ben felice di pagarlo.

Ma dirgli la verità, no; questo non l’avrebbe fatto mai e poi mai.

Il rischio era troppo grande e la donna, per quanto amasse Bardack, non poteva svendere sé stessa e tradire la fiducia che Giumaho aveva riposto in lei. Con quale coraggio avrebbe potuto farlo? Suo marito le era sempre stato vicino.

Sempre.

Non l’aveva mai maltrattata, non l’aveva mai costretta a fare da madre a Chichi, non l’aveva mai implicata volutamente in faccende più grandi di lei.

In queste ultime ci si era messa da sola.

I risultati, tra l’altro, si stavano rivelando pessimi.

 

«No, Bardack. Non finché non mi spiegherai esattamente cosa vuoi che ti dica.»

 

«Semplicemente, dove sono le sfere del drago

 

«E perché dovrei saperlo?»

 

«Non insultare la mia intelligenza, Mamanu. A meno che tu non voglia passare all’altro mondo in anticipo.»

 

Nel pronunciare la sua minaccia, Bardack si era avvicinato a lei di parecchio.

Il modo in cui l’uomo le si era parato davanti e lo sguardo fiero e rovente che stava mostrando erano gli stessi che il generale assumeva quando pretendeva del sesso da lei.

Trovarselo davanti a quella distanza faceva male: Mamanu sentiva la sua lucidità venir meno e aveva la sensazione che il generale stesse volutamente cercando di farla vacillare.

Oppure, per quell’uomo minacciare e fare l’amore erano più o meno la stessa cosa.

La donna si ritrovò inconsapevolmente a pensare che la seconda ipotesi le faceva più paura della prima. Se mai, prima di allora, aveva rimuginato a fondo su cosa significasse per Bardack la loro relazione, in quel momento capì di essere stata fottutamente ingenua  e poco avveduta.

D’accordo, lei sapeva benissimo che il generale non l’amava e che, probabilmente, mai avrebbe nutrito nei suoi confronti un sentimento più forte dell’indifferenza; ma, da donna adulta e matura quale sarebbe dovuta essere, quanto meno avrebbe dovuto riflettere di più prima di concedersi a lui con tanta facilità.

Per la prima volta da quando aveva intrapreso quella relazione sessuale, Mamanu cominciava a pensare di aver gestito molto male la situazione. In fondo, lui era un saiyan e lei la moglie di Giumaho; possibile che fosse stata davvero così stupida da non rifletterci prima?

E perché mai, nonostante tutto, ella desiderava con tutta sé stessa che quella dannata tresca non finisse?

Mamanu sfidò Bardack per l’ennesima volta da quando si erano conosciuti.

Si avvicinò ulteriormente a lui, anticipando ciò che l’uomo aveva in mente di fare. Lei non aveva paura del male che Bardack avrebbe potuto farle: lei temeva soltanto di perderlo e, in un modo o nell’altro, avrebbe impedito che ciò accadesse davvero.

Ma, sulle sfere del drago, doveva temporeggiare.

 

«Sei arrivato al punto di minacciarmi di morte, generale? E cosa farai dopo avermi uccisa? Non risolverai di certo il tuo problema.»

 

«Questo lo so benissimo; ma non lo risolverò nemmeno qualora tu decidessi di tenere la bocca chiusa. E allora, tanto vale che ti tolga di mezzo. Mi saresti solo d’intralcio.»

 

L’espressione di Mamanu, dopo aver udito quelle parole, era impassibile.

Eppure, Bardack sapeva benissimo di averla ferita. Egli aveva imparato a interpretare i più impercettibili cambi di umore della donna e sapeva che un silenzio da parte sua che durasse più di due secondi stava a significare turbamento. Ma, purtroppo per lei, ella era davvero troppo orgogliosa per poterlo ammettere.

Era incredibile quanto poco Mamanu si rendesse conto di essere forte.

Nessuno prima di lei, uomo o donna che fosse, aveva sostenuto con tanta padronanza di sé lo sguardo minaccioso di Bardack. E la scusa che ella non avesse nulla da perdere nemmeno reggeva più di tanto. Mamanu aveva un regno tra le mani, oltre alla sorte degli abitanti di Furipan sulla coscienza, e, per quanto la donna si autodefinisse impotente rispetto ai legittimi governanti del regno, lei stessa sapeva benissimo che in realtà le cose stavano in tutt’altro modo.

E poi, rischiava di perdere lui.

Il saiyan era cosciente di aver fatto in qualche modo breccia nel cuore della bella terrestre. Quella sciocca si era innamorata con estrema facilità, come se fosse la cosa più scontata del mondo. Egli, tutto sommato, non si era mai soffermato troppo sulla questione. Sapeva come andavano certe cose: perdere la testa per qualcuno che sembrava avere tutto ciò che si desiderava per sé stessi era una delle cose più semplici del mondo. Anche a lui era capitato da ragazzino, quando, ancora troppo giovane e debole, non poteva far altro che limitarsi a guardare come i saiyan adulti trascinavano nei corridoi delle basi militari le loro puttane.

Quante volte si era ritrovato a credere di amare una di queste?

E quale soddisfazione aveva provato quando, diventato il guerriero eccezionale che era, le donne che aveva sempre bramato gli si erano concesse con onore?

Ma tutto quell’ardore, tutta quella fame di attenzioni erano solo un’illusoria distrazione.

L’amore non era fatto per albergare nei sentimenti dei guerrieri come lui e, a riprova di ciò, si era sempre spento nel giro di pochi giorni, ammesso che lo avesse mai davvero provato.

Mamanu, purtroppo per lui, stava durando un po’ troppo.

Avrebbe dovuto sbarazzarsi di lei molto prima e rinunciare al suo corpo prima che quest’ultimo diventasse un’ossessione. Sebbene egli riuscisse perfettamente a non darlo a vedere, sapeva che ormai era troppo tardi, che quella donna si era insinuata nella sua anima in maniera troppo profonda e che ormai aveva già piantato le radici nel suo cuore.

La amava?

No, questo no.

Mai!

I saiyan non potevano amare se non per pochi istanti e nei momenti di debolezza.

Eppure, quella maledetta terrestre riusciva a far vibrare i muscoli del suo corpo come mai nessun’altra donna era riuscita a fare, nemmeno la madre dei suoi figli.

 

«Tu non lo farai, Bardack

 

Mamanu stava osando tanto, troppo.

Per la prima volta in vita sua, aveva deciso di lottare per qualcosa e contro qualcuno.

Peccato che quel qualcuno fosse un pericoloso guerriero e che, oltretutto, lei ne era innamorata.

La donna si ritrovò a credere che, evidentemente, il destino per lei non aveva previsto la felicità. E se davvero le cose stavano così, ella avrebbe affrontato a testa alta anche il fato.

 

«Ah, no?»

 

Bardack le mise la mani al collo.

Temporeggiò qualche secondo prima di decidere cosa fare esattamente.

Avrebbe dovuto strangolarla senza pensarci troppo; invece preferì spingerla a letto e poi sovrastare il corpo della donna con il suo.

I loro occhi erano a pochi centimetri di distanza l’uno dall’altro, e lo erano anche le loro bocche.

Come ogni volta, ogni fottuta volta, avere quella donna inerme sotto di sé lo stava facendo eccitare. Bardack sentiva la sua erezione crescere e avvertiva gli spasmi del cuore di Mamanu.

 

«Non sfidarmi, sciocca. Ti farai male, dovresti saperlo.»

 

In risposta, la donna portò le mani tra i capelli del guerriero e sorrise beffarda all’ennesima minaccia del saiyan. Era quello che voleva.

Bardack era ciò che ella aveva sempre desiderato e, nonostante sapesse quanto quella relazione fosse rischiosa per la sua incolumità, lei sarebbe andata fino in fondo e avrebbe risolto tutto, anche la faccenda delle sfere del drago.

Sì, ce l’avrebbe fatta, in un modo o nell’altro.

 

«Non ho paura di ciò che potresti farmi, Bardack. Ho paura di perderti.»

 

Quelle parole fecero impercettibilmente sussultare il guerriero.

Alla fine, Mamanu ci era riuscita. La bella terrestre aveva tirato fuori completamente tutto il suo spregiudicato coraggio e aveva anteposto, forse per la prima volta in vita sua, i propri sentimenti alla discrezione.

Gli aveva lasciato una dichiarazione in piena regola e lo aveva fatto pur sapendo il rischio che avrebbe potuto correre.

Di sicuro, lei era la donna più coraggiosa con cui avesse mai fatto sesso; peccato che ella stessa non se ne rendesse conto. Come avrebbe dovuto reagire il generale a quelle parole?

Bardack era consapevole di essere un uomo interessante agli occhi di una donna. Egli non era un idiota e sapeva che la sua figura suscitava fantasie erotiche in tantissime femmine. Che qualcuna, però, osasse dirgli apertamente di volerlo non era mai capitato.

Quale pazza avrebbe azzardato tanto?

Nella società da cui egli proveniva non funzionava di certo così. Le donne non dovevano permettersi il lusso di esternare i loro sogni proibiti poiché il loro compito non era quello di realizzarsi come persone ma soltanto sfornare dei marmocchi.

Tutt’al più, se se la cavano discretamente, potevano ambire a intraprendere una carriera militare di buon livello. Ma, quello di perdere un uomo era un rischio che avrebbero dovuto correre sempre e solo tenendo la bocca tappata.

Chi era Mamanu per permettersi di dire una cosa del genere senza subirne le conseguenze?

Ovviamente – e questo Bardack lo sapeva benissimo – colei che, con le proprie abilità oratorie, avrebbe tolto dai guai sia lui che Kakaroth.

 

Il generale non rispose alle parole di Mamanu.

Si limitò a chiudere gli occhi per qualche istante e a sospirare, quasi rassegnato.

Ella, nel frattempo, aveva preso ad accarezzargli la testa e, pian piano, era scivolata con le mani lungo il suo petto.

Voleva denudarlo.

Voleva che lui la possedesse.

Di nuovo.

Come sempre.

Voleva sentire dentro di sé il calore del suo membro e voleva provare per l’ennesima volta l’ebbrezza di essere violata dall’uomo più potente e affascinante che avesse mai incontrato.

 

Egli avrebbe dovuto alzarsi da lì e lasciarla in balia di sé stessa e dei suoi malsani propositi. Cedere ai desideri di quella donna avrebbe significato sottomettersi a lei. I saiyan non facevano sesso per soddisfare le loro donne: no; loro lo facevano per sé stessi, solo ed esclusivamente per sé stessi.

Eppure, il richiamo di Mamanu era troppo forte e la sua mente, tanto quanto il suo corpo, bramavano di possederla.

 

«Non vuoi, Bardack? Perché non…»

 

«Sta’ zitta.»

 

Con una falcata, il saiyan tirò via alla sua amante la veste che portava indosso e immediatamente si fiondò sulla bocca di lei. Baciarla gli piaceva, così come apprezzava le carezze di Mamanu e i tentativi di lei di privarlo della sua divisa da combattimento.

Dovette aiutarla, ovviamente.

Il guerriero sciolse il bacio che li teneva avvinghiati e si spogliò degli abiti che portava.

Poi la afferrò per il bacino, le tolse gli indumenti intimi e la portò sopra di sé, lasciandole per la prima volta la possibilità di condurre il gioco.

Quella mossa l’aveva spiazzata.

Lei non era abituata a stare sopra e mai si sarebbe aspettata che Bardack le concedesse una cosa del genere, fiero e dominatore com’era.

Lo sguardo sgomento della donna fece ridere di gusto il saiyan.

 

«Che c’è? Non dirmi che adesso non sai cosa fare! Mi deludi, Mamanu»

 

Ella rispose con uno sguardo stizzito.

Bardack era seduto sul letto e lei era a cavallo delle sue gambe. Guardava con ammirazione e un briciolo di rabbia lo sguardo strafottente che il saiyan le stava elargendo.

Lo amava – e quanto lo amava! – e in quel dannato momento, nonostante la provocazione dell’uomo, ella avrebbe fatto di tutto pur di non lasciarsi sfuggire l’occasione di fare sesso con lui e, soprattutto, di farlo da un’altra prospettiva.

Seguì il suo istinto e si posizionò in modo da accogliere dentro di sé il membro dell’uomo. Costui sorrise di rimando.

 

«Non sono una che si tira indietro di fronte alle sfide, sappilo.»

 

«Già» sussurrò il saiyan all’orecchio della donna «peccato che tu abbia cominciato a farlo troppo tardi.»

 

Mamanu si muoveva sopra il suo amante con un certa disinvoltura, nonostante quell’insolita posizione la mettesse piuttosto in imbarazzo. Non le era mai capitato prima di allora di condurre il gioco. Non lo aveva mai fatto né con Bardack, né con gli altri uomini che aveva avuto.

Era questo che il guerriero voleva da lei?

Il generale le stava implicitamente chiedendo di prendere definitivamente in mano la situazione?

Ella non volle rimuginare più di tanto su quei pensieri, preferendo abbandonarsi completamente ai baci e alle carezze che Bardack le stava concedendo.

Paradossalmente, sebbene avesse dovuto temerle, ella si sentiva protetta tra le calde braccia di Bardack e in quel momento aveva quasi la certezza che quel saiyan fosse la cosa più bella mai capitatale in vita sua.

 

Ma l’uomo, improvvisamente, sgranò gli occhi, smise di baciarla e la staccò di forza dal suo corpo scaraventandola sul letto.

 

«Rivestiti immediatamente.»

 

«Cosa… Bardack, io non…»

 

«Rivestiti, ho detto! Fa’ in fretta» proferì il guerriero mentre, a sua volta si sbrigò a recuperare la propria divisa.

 

«Ma che cosa… Che cosa ho fatto, Bard…»

 

In quel momento, Mamanu li sentì.

Erano dei passi, fuori dalla sua stanza.

Qualcuno stava percorrendo il corridoio e aveva tutta l’aria di dirigersi verso la camera del generale.

 

***

 

«Chichi, è una pessima idea, credimi.»

 

«Piantala, stai iniziando a diventare noioso!»

 

«Ragiona, accidenti! Non puoi fiondarti nella sua stanza! Insomma, se qualcuno entrasse nella tua senza preavviso…»

 

«Non mi pare che questa sia la situazione adatta per farsi venire qualche scrupolo, Crilin

 

La principessa stava camminando a passo svelto verso il suo obiettivo.

Avevano cercato in tutto il palazzo, ma di Bardack non c’era traccia. Dove poteva essersi cacciato il padre di Kakaroth?

Possibile che avesse davvero lasciato la corte?

Chichi, per la verità, non si sarebbe stupita affatto di una cosa del genere: per quanto ne sapeva lei, era molto probabile che il generale avesse deciso, anche indirettamente, di dare una mano a Goku nella ricerca delle sfere del drago.

In fondo, in due avrebbero avuto maggiori probabilità di trovarle.

Tuttavia, c’era ancora un luogo in cui i due terrestri non avevano controllato, e quel luogo era la camera del saiyan. A Chichi, in realtà, pareva strano che l’uomo stesse ancora oziando lì dentro; tuttavia, prima di andarlo a cercare altrove, sarebbe stato meglio perlustrare per bene tutte le stanze.

Compresa la sua.

 

Crilin, dal canto suo, aveva tentato con ogni mezzo di fermarla.

Sarebbe stata una catastrofe se la sua amica avesse davvero aperto quella porta.

Ormai erano lì, a pochi passi dalla meta della ragazza, e più il povero Crilin cercava di dissuaderla dal proseguire, più la principessa accelerava il passo.

Gran bel guaio, quello.

Il ragazzo tremava di paura e di imbarazzo.

Lui se ne era accorto, accidenti!

Anche se l’aura di Mamanu era incredibilmente debole, egli, trovandosi a pochi metri di distanza da quella maledetta camera, aveva per un attimo avvertito la sua presenza.

Crilin non volle pensare a cosa stesse facendo lì dentro la moglie di Giumaho.

Aver colto sul fatto Chichi e Kakaroth lo aveva già destabilizzato abbastanza e l’idea che ciò potesse ripetersi anche con Mamanu e Bardack lo faceva letteralmente rabbrividire.

Tanto più che egli non aveva sospettato nulla fino a quel momento e che, se davvero ci fosse stato qualcosa tra l’odiata matrigna di Chichi e il potente generale di terza classe, il povero terrestre e tutti gli abitanti di Furipan avrebbero dovuto definitivamente dire addio a ogni speranza di rimettere a posto le cose.

No, accidenti!

Non dovevano entrare lì dentro!

Da quando erano arrivati i saiyan, l’allievo di Muten era stato travolto dalla sfortuna. Pur senza volerlo, si era ritrovato invischiato in faccende che, teoricamente, avrebbero dovuto essergli estranee e aveva rischiato la pelle già una volta solo per aver involontariamente sorpreso Chichi e Kakaroth a baciarsi. L’ex protettore, comunque, lo aveva risparmiato.

Ma Bardack sarebbe stato altrettanto clemente?

E, soprattutto, lui e Mamanu si stavano limitando a un semplice bacio?

 

La principessa, intanto, era giunta a destinazione, e aveva afferrato la maniglia della porta.

 

«Chichi, ti scongiuro. Lascia perdere!» piagnucolò il ragazzo bloccando il tentativo dell’amica di aprire.

 

«Quante paranoie, Crilin! Io voglio sapere cosa ne è stato di Goku e intendo andare fino in fondo!»

 

«Che diavolo ti costa aspettare che Bardack scenda… Scenda a fare colazione? Dai, andiamo giù. Prima o poi verrà in sala da pranzo!»

 

«Tu hai qualche serio problema, credimi. E adesso, lasciami aprire questa dann…»

 

Le parole di Chichi furono interrotte di colpo.

Il saiyan li aveva preceduti.

Bardack aveva inaspettatamente spalancato la porta della sua camera, trovandosi di fronte un’infuriata Chichi e un terrorizzato Crilin.

Era fatta, ora erano entrambi fottuti.

Il terrestre prese a tremare nel constatare lo sguardo furente del guerriero.

L’avevano fatta grossa, questo era certo, e probabilmente le ire di Bardack sarebbero state ben peggiori delle sue stesse previsioni.

 

«Che diavolo volete voi due?»

 

«Voglio sapere dove si trova Kakaroth. Non ho paura di te, è chiaro? Non so cosa ti abbia raccontato tuo figlio ieri, ma non ho alcun problema a dirti la verità, basta che mi riveli dove diavolo si è cacciat… Ehi, ma…»

 

Crilin indietreggiò di qualche passo e si portò una mano sul volto, come a voler celare alla propria vista ciò che stava accadendo.

Chichi l’aveva vista.

Si era accorta di Mamanu, in piedi accanto alla finestra della stanza.

 

«E tu che cosa… Che cosa ci fai qui?»

 

La principessa aveva pronunciato quelle parole in un sussurro.

Non voleva crederci; non poteva crederci.

Il suo cervello faticava a trovare una risposta alla domanda che ella stessa aveva posto.

Bardack e… Mamanu?

Insieme?

La moglie di suo padre nella camera del generale in persona?

No, quello doveva essere un incubo.

D’accordo, la donna aveva gli abiti indosso ed era in piedi; ma si trovava comunque , in quella dannatissima stanza.

Se avesse potuto, Chichi l’avrebbe uccisa all’istante.

Perché avere pietà di lei, in fondo?

Già prima la detestava, e ora… Ora nel suo corpo non ribolliva altro che la rabbia.

 

«Chichi, sta’ calma, per favore» disse Crilin, cercando ti trattenerla per un braccio.

 

«Lasciami immediatamente!»

 

«Ah, questa poi! Smettetela entrambi di fare i babbei! O preferite che vi zittisca con le maniere forti?»

 

Bardack, tutto sommato, aveva parlato con estrema tranquillità.

Sembrava che il fatto di essere stato sorpreso con Mamanu non lo avesse minimamente turbato.

Probabilmente, era davvero così.

In fondo, egli era un guerriero, uno di quei personaggi che, in cima alle loro preoccupazioni, avevano tutt’altro che qualche tresca amorosa.

Crilin cercava di supplicare pietà con lo sguardo, mentre tratteneva Chichi.

La ragazza era ancora incredula e i toni del generale l’avevano mandata ancora di più in confusione.

 

«Non c’è bisogno, Bardack. Per favore! Io e la principessa volevamo solo parlarti, ma… Be’, ecco…»

 

L’evidente rossore che si tinse sulle gote del terrestre suscitarono nel saiyan una smorfia di disgusto.

Questa poi!

Come se a lui importasse qualcosa di essere stato quasi sorpreso.

Quasi, appunto.

Perché il generale, fortunatamente, si era accorto in tempo del loro arrivo.

Tutto sommato, quello era stato un gran bel colpo di fortuna.

Se avesse giocato al meglio la sua carta, le cose sarebbero potute andare di gran lunga meglio rispetto alle più rosee previsioni.

 

«Se cercate mio figlio, non so dove sia. Per tutto il resto, se ne può discutere.»

 

Sul volto del guerriero si delineò un mezzo sorriso sghembo.

Poi, fece cenno ai due terrestri di seguirli.

 

«Entrate, avanti. Non mi pare il caso di sbraitare in corridoio.»

 

Sia Chichi che Crilin erano sgomenti.

Si trattava forse di una trappola?

Il ragazzo non aveva la benché minima intenzione di entrare in quella stanza, ma sapeva di non avere alternative. La sua amica, oltretutto, non sembrava essersi soffermata molto sull’ipotesi tranello, tanto che, dopo un primo momento di sbigottimento, aveva accettato l’invito del generale e si era precipitata in camera.

Per picchiare Mamanu, però.

Bardack l’aveva fermata in tempo afferrandola per la tunica e sbattendola a terra.

 

«Che diavolo stavi tentando di fare, ragazzina?»

 

«Quello che farei anche a te se non fossi così forte. Ucciderla, con le mie stesse mani!»

 

«Oh, certo, che idiozia! Cerca di rilassarti invece, sciocca!»

 

«Non ti permettere di…»

 

Bardack le si parò davanti con aria minacciosa.

Aveva lo sguardo serio, terribilmente serio. Il modo in cui la stava guardando la zittì all’istante. I suoi occhi le ricordavano in maniera impressionante quelli di Kakaroth. In fondo, quell’uomo era suo padre e, purtroppo per lei, pochi istanti prima aveva dimenticato quel particolare.

 

«Ti ho detto di non sbraitare. Abbassa la voce! Ricordati che Napa e Vegeta sono nei dintorni. Se ci scoprissero adesso sarebbe la fine, per te, per il tuo fottuto regno e per quell’incapace di mio figlio.»

 

Crilin entrò in fretta nella stanza e si frappose tra Bardack e Chichi.

 

«D’accordo, senti. Lascia stare la principessa e discuti con me. Cosa significa quel se ci scoprissero? Ascolta, non sono un idiota come potrebbe sembrare a prima vista e so per certo che io e te abbiamo degli obbiettivi molto diversi, quindi, per favore, non mi prendere in giro.»

 

«Non ti do torto: sicuramente ambiamo a cose incompatibili. Però, mi pare che abbiamo entrambi lo stesso problema, giusto? State o non state cercando le sfere del drago che Kakaroth e la custode si sono lasciati fregare?»

 

«Certo che sì. Ma io non direi che Chichi e Goku se le sono lasciate freg…»

 

«I dettagli non mi interessano. Chiudi quella dannata porta e ascoltami. Mamanu sa chi le ha prese.»

 

Bardack si voltò con fare sprezzante verso la sua incredula amante.

 

«Avanti, dillo anche a loro.»

 

La moglie di Giumaho trattenne a stento l’impulso di accasciarsi a terra e di piangere.

Era stata colta quasi sul fatto e Chichi non gliel’avrebbe fatta passare liscia.

Ma la cosa peggiore era che Bardack aveva meschinamente approfittato della situazione per metterla alle strette.

Il generale, l’uomo più attraente, furbo e pericoloso che avesse mai incontrato le stava offrendo su un piatto d’argento la possibilità di giustificare la sua presenza lì dentro; ma lo aveva fatto estorcendole una confessione che non avrebbe mai potuto carpire in nessun altro modo.

L’aveva incastrata.

 

***

 

Yamcha, Tensinhan e Jaozi erano ormai concordi nel voler lasciare l’isola di Muten.

Rimanere lì ancora per molto sarebbe stato un enorme rischio. Tutti e tre sapevano benissimo che Kakaroth era in grado di percepire le loro aure e, benché fossero stati particolarmente attenti nell’azzerarle, era probabile che comunque il saiyan avesse captato qualcosa.

 

Tensinhan, oltretutto, aveva il fardello delle sfere del drago.

Ne aveva momentaneamente nascoste sei nella foresta di Furipan, mentre una l’aveva portata nella stanza di Muten. Come fortezze, erano tutt’altro che inespugnabili.

Cercando con un minimo di attenzione, chiunque avrebbe potuto trovarle, soprattutto quelle che erano nella boscaglia.

E se le avesse consegnate a Mamanu?

Quell’idea, a dire il vero, non gli sembrava poi tanto inopportuna.

La moglie di Giumaho era insospettabile, tuttavia rimaneva il forte rischio che ella le restituisse ai legittimi proprietari.

Egli doveva scongiurare in tutti i modi un simile evento.

Cosa ne sarebbe stato del suo sogno di gloria?

Certo, se non avesse scoperto il segreto per attivare le sfere, non avrebbe comunque concluso nulla; ma Tensinhan era ormai a buon punto e fare un passo falso in quel momento gli sarebbe costato davvero caro.

 

Una forte folata di vento e il rumore sordo di un pugno lo distrassero dai suoi pensieri.

Il ragazzo si voltò e vide a terra la sagoma di Yamcha.

 

«Ma che diavolo…»

 

Le parole gli morirono in gola quando, a fianco a sé, scorse la figura di Kakaroth.

 

«E tu da dove salti fuori?»

 

«Levati di mezzo, Tensinhan, o come diavolo ti chiami. È il tuo amico che mi interessa, non tu.»

 

CONTINUA

 

Angolo dell’autrice

Ce l’ho fatta! Ho terminato anche questo capitolo! *momento felicità: ON*

Vi avevo promesso che Mamanu e Bardack sarebbero tornati e, be’… eccoli qui. Ho faticato da morire per non sfociare nel rating rosso – e non sono nemmeno certa di esserci riuscita in pieno! – ma questi due mi piacciono troppo e, soprattutto, mi piace il padre di Goku. Anche in questo capitolo ho lasciato molto spazio all’introspezione dei personaggi. Mamanu è alle prese con la realtà dei fatti e, probabilmente, è stata colta di sorpresa più di quanto non si sarebbe aspettata. Le accuse di Bardack l’hanno spiazzata ma, al contempo, hanno contribuito a tirare fuori il suo carattere.

Per quanto riguarda l’ingresso in scena di Chichi e Crilin… Ok, lo so, sono davvero perfida nei confronti di questo povero ragazzo! Tocca sempre a lui scoprire gli arcani! Però mi piace troppo: è talmente pudico e buono di cuore che mi pare il personaggio perfetto per queste situazioni tragicomiche. Bardack ha tentato di salvare il salvabile sfoderando l’arma sfere del drago. In realtà, lo ha fatto più per costringere Mamanu a parlare che non per occultare la sua relazione con quest’ultima; però, così facendo, ha di fatto incastrato la donna.

Kakaroth ha finalmente trovato Yamcha! Riuscirà a scoprire che non è lui il colpevole prima di spedirlo all’altro mondo?

Chi lo sa!

Nel frattempo, vi ringrazio di cuore come sempre per il sostegno che mi date.

Vi adoro, tutti quanti!

 

9dolina0

 

 

Avviso!

 

Come sapete, si sta avvicinando il Natale. Ebbene, ho scoperto con enorme piacere che potrò trascorrere le vacanze in Italia, con la mia famiglia. Inizialmente, temevo che ciò non fosse possibile, ma, per fortuna, mi son dovuta ricredere.

Ciò significa, però, che per tutta la durata del mio soggiorno in Italia non pubblicherò alcun aggiornamento. Lo so, è pessimo da parte mia; ma voglio godermi appieno questa quindicina di giorni e dedicarmi ai miei parenti, ai miei amici, e a tutte le cose che ho lasciato in sospeso trasferendomi all’estero.

Spero comprendiate!

Il prossimo aggiornamento sarà il 7 gennaio.

A presto e…

 

 

Buon Natale!

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Capitolo 16
*** Rivelazioni e scoperte ***


Capitolo XVI – Rivelazioni e scoperte

 

«Aspetta un attimo, Vegeta, che ne sarà adesso dei miei studi sulla Luna? Credevo ci tenessi particolarmente.»

 

«Certo, Bulma; ma tengo molto di più alle sfere del drago. E, comunque, non ti ho affatto chiesto di accantonare il progetto, ma solo di spendere qualche ora del tuo preziosissimo tempo per portarmi da tuo padre.»

 

Bulma era nei guai.

Di nuovo.

Non bastava che su di lei gravasse la colpa di aver ceduto alla lussuria con il sovrano del popolo guerriero intenzionato a mettere le mani sugli oggetti più preziosi del pianeta; ora doveva anche fare i conti con la troppa leggerezza di suo padre, che aveva avuto l’ardire di svelare l’esistenza del radar cerca sfere parlando con la segreteria telefonica.

In tutto ciò, anche la stanchezza e la debolezza iniziavano ad avere un certo peso.

La scienziata era esausta e spossata.

Anche se l’incontro sessuale con Vegeta aveva momentaneamente messo in secondo piano le ore di sonno perse, ora che i brividi di piacere sul suo corpo si stavano a poco a poco spegnendo, ella sentiva di nuovo le forze venirle a mancare.

Ragionare in quelle condizioni non era affatto facile, nemmeno per lei.

Tanto più che, dopo essersi concessa a lui senza opporre la benché minima resistenza, Bulma non poteva di certo sperare ancora di poterlo convincere con le buone.

Il suo primo e unico tentativo, in fondo, si era concluso con un buco nell’acqua.

Già; ma come avrebbe dovuto muoversi allora?

Poteva davvero lasciare che Vegeta mettesse le mani sulle sfere del drago?

La sua coscienza la stava implorando di non cedere al fascino di quel principe megalomane, ma dare retta alla ragione piuttosto che ai sentimenti pareva in quel momento quasi impossibile.

 

«Alzati e rivestiti, scienziata. Non ho intenzione di perdere troppo tempo.»

 

Vegeta era già in piedi da qualche minuto.

Aveva lasciato a Bulma il tempo di riprendersi e di metabolizzare lo shock.

Sapeva quanto la donna si stesse tormentando per la stupida leggerezza appena compiuta.

Le sarebbe convenuto mille volte rispondere a quel dannato telefono e ascoltare da sola le parole di suo padre.

La fortuna, però, aveva deciso di girare dalla parte del principe.

Vegeta non aveva mai creduto, fino ad allora, alla buona sorte, ma l’incontro fortuito con la donna più intelligente che avesse mai conosciuto gli aveva in qualche modo suggerito che, alle volte, il fato poteva essere benevolo.

Peccato che, in cuor suo, sapeva che Bulma non avrebbe ceduto tanto facilmente e che avrebbe tentato in qualche modo di impedirgli di mettere le mani sulle sfere del drago.

Sarebbe stato troppo semplice, altrimenti; e lui non aveva scelto la scienziata perché lei gli rendesse facile la vita.

 

Bulma, dal canto suo, guardava con timore allo sguardo sprezzante del principe dei saiyan.

Doveva impedirgli a ogni modo di mettere le mani sul radar  e avrebbe dovuto farlo nonostante i sentimenti che provava nei confronti di Vegeta.

Gran bell’affare quello di fare sesso con lui!

La cosa peggiore era che lo aveva fatto non solo per soddisfare il piacere fisico, ma anche – e soprattutto – perché quel ragazzo la affascinava da morire.

Ma era pericoloso, dannatamente pericoloso; e lei, in quel momento, aveva le mani quasi legate.

 

***

 

Crilin sentiva che presto, dentro quella stanza, si sarebbe abbattuta una tempesta.

Bardack non aveva fatto una piega quando aveva visto lui e Chichi precipitarsi nella sua camera da letto, nonostante ci fosse anche Mamanu.

Quest’ultima, però, anche se poteva vantare lo stesso sangue freddo del generale, non aveva di certo la sua sfacciataggine.

Era stata praticamente colta sul fatto; non proprio, d’accordo, ma lo stato in cui versava la donna era inconfondibile.

Tutto del suo aspetto fisico, nonostante fosse completamente vestita, lasciava intendere che aveva appena consumato un rapporto sessuale: il lieve rossore sulle gote, i capelli leggermente arruffati e il battito impercettibilmente accelerato del suo cuore.

Un terrestre normale non avrebbe mai potuto notare quest’ultimo dettaglio, ma lui aveva imparato bene ad analizzare i cambiamenti del corpo umano in situazioni di stress.

O di piacere.

Egli avrebbe fatto finta di niente, ovviamente.

Di sicuro non avrebbe gettato altra benzina sul fuoco.

Ma quante possibilità c’erano che Chichi si fosse bevuta la storia del “Mamanu era qui per dirmi dove fossero le sfere del drago”?

Probabilmente molto poche.

E, oltretutto, non era nemmeno certo del fatto che ella sapesse davvero chi le avesse prese.

Perché mai avrebbe dovuto, in fondo?

Possibile che lei fosse in qualche modo complice del furto?

 

Lo sguardo che Crilin lanciò a Bardack pareva essere quasi implorante.

Egli lo guardava negli occhi senza nascondere tutta la preoccupazione che aveva in corpo.

Il saiyan sapeva cosa il terrestre volesse dirgli: “fa’che sia vero”; dal canto suo, però, il generale non mostrava alcun segno di titubanza. Mamanu avrebbe parlato, ne era certo. Quella donna non era così pazza da confessare alla figlia del marito di avere una relazione extraconiugale.

Con un saiyan, per giunta.

E con il padre di Kakaroth.

A Bardack veniva quasi da ridere pensando a quanto i terrestri fossero patetici. Davvero ritenevano la fedeltà un valore tanto forte?

A lui non era mai passato per la testa di preoccuparsi per un tradimento, né tantomeno aveva mai tentato di nasconderne uno. La madre dei suoi figli aveva dovuto fare i conti più volte con situazioni del genere, eppure non aveva mai battuto ciglio.

Improvvisamente, però, si chiese se lui avrebbe reagito allo stesso modo se fosse stata lei a tradirlo. Non che di quella donna gli importasse chissà quanto, ma l’idea di essere sbeffeggiato dai suoi commilitoni non gli piaceva di certo.

Possibile, però, che fino a quel momento non avesse mai riflettuto su una simile ipotesi?

Quel maledetto pianeta e tutti i suoi abitando lo stavano deviando.

Egli era un guerriero, un assassino, un generale di rango elevatissimo.

Aveva combattuto guerre che quegli sciocchi scansafatiche umani difficilmente avrebbero anche solo potuto immaginare.

Però, loro avevano dei valori, e questi ultimi trascendevano di parecchio l’orgoglio e il potere.

 

«Tu, maledetta opportunista, vorresti farmi credere che sai chi ha rubato le sfere del drago

 

Le parole di Chichi fecero tornare Bardack coi piedi per terra e lo costrinsero a voltarsi di nuovo verso di lei.

Quella ragazza pareva un fiume in piena.

La bella principessina doveva aver subito un pesante colpo nel trovare la sua matrigna in quella stanza. Anche se tra le due donne non c’era un rapporto molto profondo, evidentemente la figlia di Giumaho non aveva mai dubitato comunque della fedeltà di Mamanu nei confronti di suo padre.

Già; ma perché?

Possibile che Chichi non sapesse che Mamanu si era sposata solo per assecondare la volontà del suo genitore?

Di certo, però, l’espressione con cui la principessa aveva apostrofato la sua amante a Bardack non era piaciuta per niente.

Opportunista Mamanu?

Se veramente ella fosse stata tale, probabilmente a quell’ora avrebbe già avuto il pieno controllo di Furipan da diversi anni.

Chichi era accecata dal risentimento nei suoi confronti e questo Bardack lo aveva capito chiaramente. Quelle due sarebbero potute diventare delle ottime alleate se solo la legittima sovrana di quelle terre ormai perdute non avesse in ogni modo ostacolato l’ascesa della moglie del padre.

Temeva forse di perdere i suoi sudditi?

La risposta era senz’altro sì.

Chichi era in gamba e aveva un’incredibile forza spirituale – forse addirittura più potente di quella di un saiyan – ma non era astuta abbastanza da poter gestire da sola un regno. L’impulsività che la caratterizzava cozzava non poco con il prototipo di sovrano ideale.

Mamanu, invece, da quel punto di vista non era seconda a nessuno.

Bastava vedere come aveva tenuto a freno gli animi degli abitanti di Furipan e come, per permettere loro di sopravvivere, li avesse in qualche modo convinti a collaborare.

Chichi e suo padre erano completamente spariti durante i primi giorni di sottomissione.

Se non ci avesse pensato la tanto detestata Mamanu, effettivamente quegli sciocchi terrestri si sarebbero già ribellati e, dunque, fatti eliminare.

La mancanza di rispetto che Chichi dimostrava nei confronti della matrigna lo irritava parecchio, ma ancor più gli dava ribrezzo il fatto che quella donna non osasse battere ciglio.

Perché diavolo non ne diceva quattro a quella scriteriata della principessa?

Che gusto ci provava a farsi trattare a pesci in faccia, lei che, sola, aveva avuto il merito di preservare l’incolumità degli abitanti di Furipan?

Eppure, quando si trattava di rispondere per bene a lui, Mamanu non si faceva di certo dei problemi.

Che si sentisse in colpa nei confronti di Chichi?

Evidentemente, sì; ma, di sicuro, non ne aveva motivo.

 

«Che c’è, Mamanu, hai perso la lingua, forse? Ti ho fatto una domanda. Lo sai oppure no, dove diavolo sono andate a finire le sfere del drago

 

«Chichi, abbassa la voc…»

 

«Taci, Crilin. Non è con te che sto parlando.»

 

Bardack arretrò di qualche passo e si avvicinò a Mamanu con fare piuttosto scocciato.

Il tono della principessa gli piaceva davvero poco e il fatto che quella ragazzina sembrasse aver perso completamente la ragione lo costringeva in qualche modo a prendere in mano la situazione.

Non poteva e non doveva fallire.

Quel nome, quello del ladro delle sfere del drago, interessava anche a lui e, con le buone o con le cattive, la sua amante lo avrebbe tirato fuori.

Ammesso che realmente lo conoscesse; eppure, chissà perché, di questa cosa il generale non riusciva proprio a dubitare.

 

«Te lo ripeto anche io, Chichi. Abbassa la voce.»

 

Il tono di Bardack era piuttosto perentorio, ma aveva sortito più effetto su Crilin che non sulla principessa, sebbene l’avesse comunque zittita.

Lei non era una stupida, né tantomeno una persona ingenua.

A chi diavolo voleva darla a bere quel saiyan?

Mamanu non sapeva un accidente di niente sulla sparizione delle sfere. Egli lo aveva detto solo per giustificare in maniera goffa la presenza di quella maledetta donna lì dentro.

D’accordo, Chichi non aveva mai avuto quel tipo di esperienza, ma di certo non era nata il giorno prima. Lo avrebbe capito anche un cieco che Mamanu era lì per Bardack e che, senza ombra di dubbio, quei due non avevano trascorso l’ultima mezz’ora a chiacchierare del più e del meno.

Ma con quale coraggio quella sgualdrina aveva osato tradire il marito nella dimora di costui?

E con un saiyan, per giunta.

Pensare, però, alla razza cui apparteneva Bardack, l’aveva in qualche modo frenata dai suoi propositi bellicosi. Quanto poteva definirsi lei migliore di Mamanu se aveva intrapreso una tresca con Kakaroth?

Anche lui era un saiyan e, oltretutto, l’aveva ingannata spacciandosi per un comune essere umano.

Lei, però, non era di certo sposata.

Per quanto la sua coscienza tentasse di dirle che le posizioni in cui si trovavano non erano poi chissà quanto differenti, Chichi continuava razionalmente a far presa sul fatto che nel suo caso non c’era di mezzo alcun matrimonio.

Già; peccato che, pur non sapendo esattamente il perché, ripensare a Kakaroth e ai baci che si era scambiata con lui l’aveva fatta desistere dal continuare a inveire contro Mamanu.

In fondo, se Crilin non fosse entrato in palestra sorprendendoli, probabilmente lei e il suo sedicente protettore non si sarebbero fermati ai baci.

Quest’ultima constatazione la fece rabbrividire.

E anche tacere.

 

«E tu, Mamanu, sbrigati a dire anche a loro come stanno le cose. Non abbiamo chissà quanto tempo da perdere.»

 

Ella, in quel momento, avrebbe voluto mandare al diavolo tutto e tutti.

Chichi, Furipan, e anche Bardack.

Per quanto sapesse che la sua eventuale assenza l’avrebbe fatta precipitare nella depressione, la donna non poteva fare a meno di dirsi che la sofferenza era il suo pane e quotidiano e che, dunque, la sua vita sarebbe andata avanti lo stesso.

Poteva andarsene sul serio, in fondo.

Poteva dire di non conoscere quel nome e che lei era lì solamente perché voleva vedere Bardack.

Tanto, ormai, Chichi aveva già capito tutto.

Ma lo amava.

Mamanu amava a tal punto quel guerriero da non riuscire davvero a volere la sua sparizione dalla sua vita.

Cosa ne sarebbe stato di lei da quel momento in poi?

Chichi l’avrebbe cacciata da Furipan e su questo non nutriva alcun dubbio; ma come si sarebbe comportato il generale se lei avesse continuato a tacere quel nome?

Probabilmente, avrebbe perso anche lui.

Ne valeva la pena?

Davvero le sfere del drago erano più importanti della sua felicità?

Una volta tanto – una solamente – avrebbe voluto rispondere no.

 

«Parlerò purché che la smettiate tutti quanti di inveire contro di me.»

 

L’espressione di rabbia che si dipinse sul volto di Mamanu non lasciava spazio a interpretazioni errate. Quella donna era sull’orlo di una crisi di nervi e, probabilmente, tutta quella situazione era molto più grande di lei.

Crilin provò una gran pena nei suoi confronti.

Anche se egli non conosceva affatto bene la moglie di Giumaho, il ragazzo aveva sempre avuto l’impressione, fin dalla prima volta in cui l’aveva vista, che ella portasse dentro di sé un grande dolore. Sapeva che lo stregone del toro l’aveva sempre trattata coi guanti bianchi e che non le aveva mai fatto mancare nulla ma, a poco a poco, Crilin aveva cominciato a dubitare del fatto che quella fosse proprio la vita scelta da Mamanu.

L’aveva osservata più volte, essendo anche lui costretto a frequentare la corte.

L’aveva vista cucinare, pulire e parlare.

Quest’ultima cosa, però, l’aveva sempre fatta fuori dal palazzo.

I sudditi di Chichi le volevano un gran bene e le portavano un enorme rispetto.

Era con lei che si erano confidati quando i soprusi dei saiyan cominciarono a diventare troppo oppressivi e a lei avevano dato ascolto quando la donna li aveva implorati di non lasciarsi trasportare dalla rabbia e dall’impulsività.

Effettivamente, era stata in gamba.

Tuttavia, Chichi non le aveva mai riservato quella riconoscenza che la sua matrigna avrebbe meritato. Probabilmente, la ragazza era invidiosa e gelosa di lei.

Crilin, dal canto suo, era certo che Mamanu non meritasse un simile trattamento ma, vista la posizione in cui anche egli si trovava – e viste anche le circostanze – difendere a spada tratta la moglie di Giumaho non sarebbe stata di sicuro una mossa intelligente.

In fondo, anche lei aveva le sue colpe e la sua presenza nella stanza di Bardack non poteva che confermarlo.

 

«Mamanu, ascoltami. Mi dispiace per il caos che si è creato, sul serio. Mi scuserò all’infinito con te, se è questo che vuoi. Però, ti scongiuro, se davvero sai che fine hanno fatto le sfere del drago, diccelo. Chichi deve assolutamente rientrarne in possesso il prima possibile. Sono oggetti molto…»

 

«Lo so, Crilin, lo so. Non immagini quante volte io abbia ascoltato la storia delle prodigiose sfere del drago. Ne ho quasi la nausea, credimi.»

 

«Non sei nella posizione adatta per fare la stizzita.»

 

«E tu non sei la persona alla quale devo rispondere delle mie azioni, Chichi. Comunque, è stato Tensinhan a prendere le sfere. Non conosco bene quel ragazzo e non posso giurare che avesse buone intenzioni, ma le ha lui. E adesso, vedetevela voi. Io non so nient’altro.»

 

Mamanu fece per andarsene ma, quando passò al fianco di Chichi, quest’ultima la trattenne per un braccio.

 

«Pensi forse di svignartela così?»

 

«Credevo avessi una certa fretta di recuperare i tuoi preziosi oggetti. E poi, te l’ho già detto, non devo rendere conto di niente a te.»

 

Crilin afferrò il braccio con cui la principessa aveva stretto la matrigna e fece una pressione tale da indurre la ragazza a mollare la presa.

 

«Chichi, andiamo a recuperare le sfere, per favore. Penserai dopo a… tutto il resto

 

Dagli occhi di Chichi iniziarono a sgorgare le lacrime.

Ella ce l’aveva messa tutta per trattenerle, ma quelle maledette erano state più forti di lei.

Ci era rimasta male, molto più di quanto non avrebbe potuto immaginare.

Persino la scoperta che Mamanu sapesse davvero chi avesse preso le sfere del drago non aveva contribuito affatto a distrarla. Dentro quella corte si erano consumate passioni che lei stessa avrebbe voluto non carpire mai ed ella era stata protagonista di una di queste tresche.

Fino a pochi minuti prima, aveva creduto che il guaio peggiore lo avesse fatto lei perdendo la testa per Kakaroth.

Ormai, nemmeno riusciva più a mentire a sé stessa.

Si era innamorata di lui, della sua forza smisurata, del suo ego sprezzante e dei suoi modi tutt’altro che raffinati.

Avrebbe dovuto odiarlo e temerlo, eppure, in quel preciso istante, l’unica cosa che desiderava era piangere tra le sue braccia.

Sapeva che lui l’avrebbe sbeffeggiata e avrebbe riso di lei – quanto poteva importargli, in fondo, se suo padre si portava a letto Mamanu? –, ma il conforto che avrebbe trovato piangendo sul suo petto sarebbe stato decisamente più efficace di quello che le stava dando il gesto di Crilin.

Anche lui le voleva bene e si era rivelato fin da subito un ottimo amico; ma non era direttamente coinvolto in quella storia. Lui con Mamanu e Bardack non aveva niente a che fare.

Per quanto potesse dispiacergli per la sofferenza della principessa, egli aveva davvero come priorità le sfere del drago.

Chichi, invece, non ne era più così certa.

Ora anche Bardack sapeva chi le aveva prese e, di sicuro, avrebbe fatto in modo di entrarne in possesso prima di lei.

E, magari, avrebbe anche finito con il consegnarle al principe.

E poi?

Cosa ne sarebbe stato di lei e di Kakaroth?

Quest’ultimo aveva in qualche modo tradito il suo popolo e il suo sovrano.

Chichi ancora non aveva ben compreso il motivo che aveva spinto quel saiyan a nascondere le sfere a Vegeta e a suo padre ma, evidentemente, ciò non poteva che essere indice di una frattura nei rapporti tra lui, il generale Bardack e il sovrano della stirpe guerriera più temuta dell’universo.

 

«Chichi, non fare così, ti prego. Lascia stare Mamanu e pensa alle sfere del drago

 

«Sai anche dove le ha nascoste?»

 

La voce di Bardack, praticamente impassibile, aveva zittito Crilin e aveva messo una pietra sopra al suo tentativo di placare la principessa.

Chiaramente, il generale si era rivolto a Mamanu, ma quest’ultima si era ben guardata dal girarsi verso di lui.

Gli occhi della donna erano poggiati ancora su Chichi e sulle sue lacrime, delle quali, però, la matrigna sembrava non volersi preoccupare.

Evidentemente, quella donna aveva raggiunto il culmine dell’esasperazione e, forse, il fatto che la figlia di suo marito avesse smascherato la sua relazione con Bardack aveva contribuito a toglierle un macigno dalla coscienza.

 

«No, non lo so. Mi dispiace, ma questo dovrete farvelo dire da lui.»

 

«E allora, bisogna trovarlo alla svelta» aggiunse Bardack. «Se solo non avesse anche lui il potere di azzerare la sua aura, sarebbe molto più facile rintracciarlo.»

 

«Eppure, durante il torneo non era in grado di farlo. Forse… Forse gliel’ha insegnato Yamcha

 

Le parole di Crilin ricordarono a Chichi che Kakaroth sospettava proprio dell’allievo di Muten.

Era lui che il saiyan stava cercando il giorno prima ed era per scovare Yamcha che si erano fatti sorprendere dal padre del protettore.

Il cambio di espressione della principessa non passò inosservato al generale che, anzi, diede man forte ai suoi sospetti.

 

«Temo che quell’imbecille di mio figlio sia andato proprio a cercare questo Yamcha

 

Crilin si voltò verso Bardack con aria abbastanza stupita, ma, pochi istanti dopo, non poté non riflettere su ciò che gli aveva confessato la principessa circa i sospetti di Goku.

 

«In effetti… Sì, credo che sia possibile.»

 

Il suono del cellulare di Crilin, però, lo distrasse di nuovo e attirò l’attenzione di tutti i presenti.

Il ragazzo, per la verità, nemmeno ricordava di averne uno.

Bulma glielo aveva regalato per poter rimanere in contatto con lui quando il guerriero non era a palazzo. Il giovane allievo di Muten aveva sentito più volte la scienziata lamentarsi del fatto che Vegeta avrebbe voluto avere Crilin a disposizione praticamente ventiquattro ore su ventiquattro, ma gli altri impegni del ragazzo, quelli a cui lo aveva costretto Napa, non gli permettevano di risiedere stabilmente a corte.

Ecco perché la brillante donna con cui aveva lavorato negli ultimi tempi aveva deciso di donargli un telefono di quelli portatili.

Per la verità, fino a quel momento lo aveva usato una sola volta e il ragazzo nemmeno ricordava bene la circostanza.

Forse a Bulma serviva un aiuto extra per un collaudo?

Forse; ma, in quel preciso istante, la cosa non gli interessava più di tanto.

Ciò che importava era che la scienziata gli aveva appena mandato un messaggio.

Crilin ancora non aveva imparato bene a usare quell’aggeggio, ma era abile abbastanza da saperlo gestire discretamente.

Mollò il braccio di Chichi e infilò la mano in tasca alla ricerca della piccola scatola elettronica.

La afferrò  e aprì il messaggio.

I suoi occhi si sbarrarono dal terrore.

 

«Oh, cavolo!»

 

«E adesso che ti prende, terrestre?» proferì Bardack, con tono piuttosto irritato.

 

Il ragazzo si voltò verso il saiyan, indeciso sul da farsi.

Sarebbe stata una buona idea svelare a tutti i presenti il contenuto del messaggio?

Probabilmente, no.

Tuttavia, se c’era qualcuno che avrebbe potuto fare qualcosa, costui era proprio Bardack.

 

«Bulma mi ha mandato un messaggio. C’è scritto: Vegeta ha scoperto l’esistenza del radar cerca sfere e vuole a tutti i costi sottrarlo a mio padre. Tra pochi minuti, raggiungeremo la città dell’Ovest e la Capsule Corporation. Fa’ qualcosa!»

 

Quando Crilin alzò gli occhi dal cellulare per osservare i presenti, colse sui loro volti lo sbigottimento.

Evidentemente, oltre a non sapere dell’esistenza di un dispositivo elettronico in grado di ritrovare le sfere del drago, neppure avevano idea che la scienziata di corte ne possedesse uno.

Per la verità, la notizia aveva sconvolto anche lo stesso Crilin.

Bulma gli aveva accennato un paio di volte ad alcuni progetti di suo padre riguardanti proprio le prodigiose sfere, ma non era mai scesa nei dettagli ed egli non aveva mai capito che il dottor Brief stesse lavorando proprio a un radar in grado di localizzarle.

Ma come aveva fatto Vegeta a venirne a conoscenza?

Era stata lei, incautamente, a rivelarglielo?

 

In un attimo di rabbia, Bardack chiuse una mano a pugno e colpì una parete, polverizzandola all’istante e lasciando basito il povero Crilin.

 

«Razza di imbecille, perché non mi hai detto subito che la scienziata aveva un radar cerca sfere?»

 

«Ma, io… Io non lo sapevo, lo giuro!»

 

«E allora perché ha mandato proprio a te questo messaggio, terrestre?»

 

«Non ne ho idea, credimi. Magari ha pensato che potessi darle una mano.»

 

Bardack ritrasse il pugno dal muro e assunse un portamento controllato.

 

«Sai perlomeno dove accidenti si trova la Capsule Corporation?»

 

«Sì, certo. Ci sono stato più di una volta.»

 

«Perfetto. Allora, sbrigati a darmi le coordinate. Io vado a cercare il principe e la scienziata, tu invece dovrai scovare questo Tensinhan. Vedi di fare alla svelta, però.»

 

Chichi rimase per un attimo basita, sconvolta anche lei dalla notizia.

Bulma non le aveva mai detto nulla a riguardo del radar cerca sfere, nonostante ella fosse la legittima custode di quegli oggetti.

Perché le aveva taciuto una cosa del genere?

L’aveva messa nei guai, in quel modo.

Se ne fosse entrata a conoscenza prima, avrebbe potuto evitare tutte le spiacevoli situazioni in cui era incappata negli ultimi due giorni.

E, magari, non avrebbe mai scoperto la tresca tra Mamanu e Bardack.

In quel momento, persino Bulma le sembrava responsabile per ciò che aveva incautamente visto entrando in quella stanza.

Ella sapeva che, razionalmente parlando, avercela con il mondo intero non avrebbe attenuato la sua delusione, eppure non riusciva a non pensare a quanto il silenzio della scienziata avesse contribuito a far precipitare gli eventi.

Gli ordini appena elargiti da Bardack, poi, non contemplavano affatto Kakaroth.

Perché il generale non si preoccupava anche di trovare suo figlio?

Forse, avrebbe dovuto lasciare il più in fretta possibile quella stanza e andare dal suo protettore.

Una strana sensazione la stava pervadendo e, per qualche strano motivo, l’istinto le suggeriva che Goku stava per commettere un grave errore.

Doveva andare da lui e doveva farlo subito, al costo di mollare lì Crilin insieme a Bardack e a Mamanu. Non riusciva assolutamente a localizzarlo poiché aveva ancora l’aura azzerata, ma l’energia negativa del ragazzo che amava stava aumentando.

Perché?

Forse aveva trovato Yamcha?

Se così fosse stato, l’allievo di Muten sarebbe stato davvero in guai seri.

 

«Ehi, aspetta. Vuoi andare tu alla Capsule Corporation?»

 

«Esattamente, terrestre.»

 

Crilin rimase sbalordito a quella conferma.

L’idea di Bardack aveva un senso, certamente, ma egli, al suo posto, non avrebbe mai fatto una cosa del genere.

Cosa passava per la testa di quell’uomo?

E perché, nonostante egli fosse un saiyan, Crilin non riusciva a dubitare del fatto che, una volta trovati Vegeta e Bulma, Bardack non avrebbe dato al suo principe il suo aiuto?

 

«E come la mettiamo con il tuo principe? Non avrai forse intenzione di metterti contro di lui?»

 

Bardack rimase in silenzio per qualche istante.

Per la verità, non sapeva nemmeno lui cosa volesse realmente fare.

Una cosa era certa: ormai la situazione gli era sfuggita di mano e, qualunque fosse stato il destino a cui sarebbe andato incontro, egli non aveva la benché minima intenzione di sottrarsi alla sua sorte.

Di sicuro, non avrebbe permesso a Vegeta di fare qualcosa di cui, prima o poi, si sarebbe pentito.

Perché, ne era certo, il sovrano dei saiyan avrebbe tratto molti più vantaggi da quel pianeta governandolo con le buone che non sottomettendolo con la sua forza e con l’ausilio delle sfere del drago.

Ciò che contava per Bardack era che i saiyan ne riprendessero al più presto il possesso e il controllo; alla loro gestione avrebbe pensato in un altro momento.

 

«Quello che ho intenzione di fare io non ti riguarda. Fa’ quello che ti ho detto, Crilin

 

Il giovane allievo di Muten avrebbe voluto replicare, ma fu distratto dall’ennesimo evento inaspettato.

Chichi era fuggita via, di corsa, da quella stanza.

Dove avesse intenzione di andare, nessuno poteva saperlo.

 

***

 

Condor ne aveva viste tante, troppe, in quei pochi giorni.

Non solo i suoi due allievi si erano lasciati soffiare il posto di protettore della principessa, ma aveva dovuto persino assistere alla reale venuta dei malvagi.

O saiyan, come amavano farsi chiamare quegli energumeni.

Certo, a quel torneo aveva partecipato anche lui, ma nemmeno per un istante aveva davvero sperato di vincere.

La giovinezza, ormai, lo aveva abbandonato da parecchio e con essa se n’era andata anche la forza che un tempo lo contraddistingueva.

Muten era sempre stato una spanna sopra a lui e, anche se durante il loro ultimo incontro lo aveva battuto, Condor sapeva che ciò era stato dettato unicamente dalla fortuna.

O, magari, dal desiderio del suo avversario di non infierire su di lui.

Ma Tensinhan e Jaozi erano forti sul serio.

Egli aveva scommesso tutto su quei ragazzi e quei due ingrati lo avevano ripagato facendosi battere come dei principianti.

D’accordo, Son Goku si era rivelato essere un saiyan, ma rimaneva il fatto che non aveva notato una grande differenza tra il livello di combattimento dei suoi allievi e quello degli allievi di Muten.

Tra l’altro, da quando erano giunti i malvagi, egli nemmeno li aveva più visti.

Se aveva imparato a conoscere bene Tensinhan, probabilmente quel ragazzo stava architettando qualcosa.

Già; ma cosa?

E contro chi?

L’idea di essere tagliato fuori dai piani del suo allievo prediletto gli faceva enormemente rabbia.

Condor aveva istruito alle arti marziali quel giovane promettente come meglio non avrebbe potuto fare. Conosceva perfettamente il valore di quel guerriero e aveva imparato anche a interpretare le sue azioni.

Era chiaro: la sconfitta gli bruciava parecchio e ancor di più Tensinhan soffriva per il fatto che, allo stato attuale, era assolutamente impotente.

 

Peccato che ciò non bastava a giustificare appieno la sua sparizione.

Condor era preoccupato.

Il fatto che i suoi allievi non si fossero presi la briga di andarlo a cercare subito dopo il torneo lo aveva messo in allarme.

La cosa più strana, però, era che nemmeno di uno degli allievi di Muten si avevano notizie da giorni.

 

Continuare a rimuginare su queste cose lo aveva per un attimo distratto, tanto che l’anziano maestro non aveva nemmeno notato di essere finalmente giunto a destinazione.

Da quanto tempo non desiderava mettere piede all’interno del palazzo di Furipan?

Il fatto, poi, che quel luogo fosse stranamente quasi deserto non aveva fatto altro che accrescere la sua bramosia.

Giumaho non era nel salone, così come non c’erano nemmeno sua figlia e sua moglie.

E che ne era stato dei saiyan?

Possibile che si fossero allontanati a bordo di quell’elicottero che aveva scorto pochi minuti prima?

Certo, era assurdo: quei guerrieri sapevano volare.

E allora perché munirsi di un simile mezzo di trasporto?

E per andare dove?

A Condor tutta quella faccenda suonava strana e, dunque, gli piaceva ben poco.

Che fosse stata Bulma a lasciare il palazzo?

Possibile; anzi, forse era quasi certo.

In fondo, lui la conosceva piuttosto bene, non fosse stato per altro che era la figlia di uno degli scienziati più strampalati e geniali del pianeta.

 

Il desiderio di andare a fondo in quella vicenda lo spinse a dirigersi verso quello che sapeva essere il laboratorio del palazzo. Aveva origliato parecchie volte le chiacchierate tra Crilin e Muten e, tra le righe, aveva colto parecchi dettagli sulla struttura interna di quell’enorme dimora.

Non poteva sbagliare: il laboratorio doveva essere dalla parte opposta rispetto a dove si trovava lui in quel momento.

 

L’anziano maestro corse alla svelta verso quel luogo a lui sconosciuto e spalancò con vorace curiosità la porta della stanza interdetta.

Come aveva supposto, lì dentro non c’era nessuno; tuttavia, sulla logora scrivania dove la scienziata lavorava, ancora erano sparpagliati diversi fogli.

 

«Che diavolo è questa roba?» sussurrò a sé stesso il vecchio Condor.

 

Quelle carte giallognole, usurate dallo scorrere del tempo, recavano su di esse calcoli improbabili e disegni di difficile interpretazione.

La mano di Brief su alcuni di quei fogli era inconfondibile: tutta quella roba era stata scritta di suo pugno dal proprietario della Capsule Corporation e, per qualche strano motivo, sua figlia aveva deciso di appropriarsene e di aggiungere dei dettagli.

Perché?

Più osservava quei calcoli e quei disegni e più si convinceva del fatto che essi riguardavano la Luna.

La vecchia Luna.

Ormai, erano trascorsi almeno una quindicina di anni da quando il satellite naturale della Terra era esploso del nulla.

Che senso aveva mettersi a studiare la sua conformazione geologica, ammesso che di conformazione geologica si trattasse?

E perché, soprattutto, farlo proprio in quel momento?

Bulma non era stata trattenuta a corte per lavorare agli ordini dei saiyan?

Se così fosse stato, allora dovevano essere stati loro a ordinarle di mettere mano a quella roba.

Ciò, però, non faceva che rendere il tutto ancora più complicato.

 

Condor sparpagliò i fogli sulla scrivania e provò ad accendere il computer, ma il tentativo finì in un buco nell’acqua.

 

«Ah, quella maledetta ha inserito una parola chiave!»

 

Il maestro, allora, tornò a rovistare tra i progetti cartacei alla ricerca di qualche dettaglio chiarificatore.

Doveva venirne fuori, in un modo o nell’altro.

Doveva.

Gli occhi, alla fine, caddero su un dettaglio che aveva inizialmente trascurato.

Era una scritta in rosso, piuttosto piccola ma comunque ben visibile.

Come gli era potuta sfuggire?

L’uomo lesse con attenzione ciò che vi era impresso sopra.

 

«Onde Bluetz» sussurrò Condor a mezza bocca. «Ma che diavolo significa?»

 

Il burbero e anziano guerriero alzò per un momento gli occhi e sospirò in preda alla preoccupazione.

Forse, era giunto il momento di mettere momentaneamente da parte i risentimenti nei confronti di Muten e di informarlo sugli studi di Bulma e di suo padre.

Se agli occhi dei saiyan quella roba sembrava interessante, evidentemente, benché lui non capisse il significato di quei calcoli, questi ultimi non dovevano celare niente di buono.

 

CONTINUA

 

Angolo dell’autrice

Ben ritrovati!

Puntuale, come avevo promesso, ho pubblicato anche il sedicesimo capitolo di questa storia.

Be’, chiaramente non posso non ringraziarvi per la pazienza e la comprensione che avete dimostrato nei miei confronti.

Vi ho ricompensati con un capitolo abbastanza corposo, privo di amoreggiamenti ma ricco di piccoli colpi di scena e spero che ciò abbia contribuito a rendere più sopportabili gli intermezzi introspettivi. A tal proposito, ci tengo a precisare – come ho già fatto altre volte – che i miei personaggi, protagonisti compresi, non sono perfetti, ma, al contrario, hanno delle sfaccettature molto umane. Chichi, in particolare, in questo capitolo non ha dato il meglio di sé, giudicando l’atto del tradimento di Mamanu nei confronti di Giumaho senza riflettere per nulla sul fatto che ella non ha mai desiderato spontaneamente quel matrimonio. Non è stata affatto comprensiva, in fondo, ma trovo che una qualunque figlia avrebbe reagito allo stesso modo sapendo che la moglie del proprio padre avesse una relazione extraconiugale. Anche Mamanu, dopotutto, sta iniziando a vacillare e a perdere la calma, oltre che il suo autocontrollo.

Piccole e doverose anticipazioni.

Nel prossimo capitolo tratterò, molto probabilmente, del fatidico incontro tra Bulma e Vegeta e i coniugi Brief. Lo so, fino a questo momento la storia non ha ancora avuto risvolti comici – o tragicomici – ma credo che sia giunto l’ora, dopo ben sedici capitoli, di inserire un intermezzo ilare. Insomma, cercherò il più possibile di rendere IC i genitori di Bulma e, dunque, di alleggerire un poco la trama, rimanendo fedele al puro stile Dragon Ball.

Spero vivamente di non fare pasticci!

 

Intanto, vi ringrazio come sempre per aver letto il capitolo.

Siete meravigliosi!

 

9dolina0

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 17
*** Errori di valutazione ***


Capitolo XVII – Errori di valutazione

 

 

Lo zigomo doleva più di quanto non avesse fatto la prima e ultima volta in cui aveva ricevuto un pugno da Kakaroth.

O Son Goku, come si faceva chiamare allora.

Ma Yamcha, nel frattempo, non aveva elaborato alcuna strategia per difendersi da un altro eventuale attacco da parte del saiyan.

Perché mai, in fondo, quel maledetto avrebbe dovuto attaccarlo?

Il torneo era finito da un pezzo, e i malvagi avevano ottenuto tutto ciò che potevano desiderare: il controllo di Furipan, la collaborazione della principessa e persino le sfere del drago.

Ecco perché il pugno di Kakaroth gli aveva procurato più incredulità che dolore.

Non se lo sarebbe mai aspettato, dopo tutto; non dopo che quel saiyan era riuscito tanto brillantemente a spianare la strada ai suoi compagni.

 

«Si può sapere che diavolo vuoi?»

 

«Lo sai benissimo cosa voglio, terrestre.»

 

Yamcha si passò una mano sulla bocca e raccolse i rivoli di sangue che gli stavano colando dal naso.

No, lui non lo sapeva affatto.

A parte sparire dalla circolazione – vigliaccamente, come aveva osato dire Bulma – egli non aveva fatto proprio nulla di male e, comunque, niente che avrebbe potuto infastidire i saiyan.

Era vero: l’idea iniziale era quella di complottare qualcosa con Tensinhan e Jaozi per liberarsi una volta per tutte di Kakaroth e della sua feccia, ma in quei pochi giorni che avevano avuto a disposizione, loro tre non erano riusciti a concludere niente di niente.

 

«Tu sei completamente fuori di testa!» urlò il terrestre, ancora accasciato a terra. «Che c’è? Ti sei alzato col piede sbagliato?»

 

Il saiyan si avvicinò di nuovo a Yamcha e lo afferrò per il bavero della tuta, fino a farlo sollevare con la forza.

Erano a pochi centimetri di distanza l’uno dall’altro, occhi negli occhi ed entrambi inferociti.

Goku detestava dover avere a che fare con i finti tonti e ancor più gli dava noia l’idea che qualcuno decisamente più debole si permettesse il lusso di prendersi gioco di lui.

Possibile che a quell’idiota non fosse bastata la lezione ricevuta al torneo di arti marziali?

Se ben ricordava, oltretutto, Yamcha aveva dimostrato una certa presunzione nei suoi confronti ancora prima di battersi con lui proprio perché convinto di poter vincere senza problemi.

Un incompetente, insomma.

Una vera piaga.

Kakaroth aveva però erroneamente pensato che la sconfitta subita gli avesse insegnato a tenere a freno a lingua.

E, invece, eccolo lì a prendere a pugni un povero disgraziato che fingeva anche di avere la coscienza pulita.

Solo per quello, il terrestre avrebbe meritato la morte.

Kakaroth, però, dovette trattenersi.

Spedirlo all’altro mondo in quel momento non avrebbe in alcun modo risolto i suoi problemi e, anzi, forse li avrebbe addirittura fatti aumentare.

Lui aveva uno scopo, ovvero rientrare in possesso delle sfere del drago e, senza la collaborazione di quel damerino, egli non ci sarebbe riuscito mai e poi mai.

 

«Allora, te lo chiedo senza giri di parole. Dove hai nascosto le sfere del drago

 

Il cuore di Yamcha, nell’udire quella domanda, perse un battito.

Che diavolo stava farneticando quel pazzoide di Kakaroth?

 

«E lo chiedi a me? Sei tu quello che è a contatto ventiquattro ore su ventiquattro con la principessa di Furipan

 

Un secondo pugno sullo zigomo impedì al terrestre di continuare a parlare.

Il ragazzo si accasciò a terra dolorante e prese a inveire mentalmente contro il suo avversario.

Era chiaro: il saiyan stava cercando una scusa per attaccare briga con lui e, anche se gli sfuggiva il perché di un simile comportamento, Yamcha avrebbe fatto qualunque cosa pur di capirlo.

 

«Non accetto che mi si prenda in giro così, idiota. Dimmi dove sono le sfere, adesso!»

 

«Ma che diavolo vuoi che ne sappia? Ti sei bevuto il cervello, per caso?»

 

Mentre pronunciava quelle parole, il terrestre ebbe un’illuminazione.

 

«Ah, forse ho capito! Tu e la principessa ve le siete fatte soffiare da sotto il naso, non è vero?»

 

Un calcio in pieno volto si aggiunse ai pugni già subiti da Yamcha per mano di Kakaroth.

L’allievo di Muten, evidentemente, aveva fatto centro.

Ma come aveva potuto quel saiyan pensare che fosse stato lui a prenderle?

Certo, il ragazzo ci aveva seriamente pensato; ma inoltrarsi nel castello di Furipan da quando ci si erano stabiliti dentro gli invasori era diventata un’impresa quasi impossibile.

Il suo primo e unico tentativo si era rivelato un buco nell’acqua e, oltretutto, per mano non di un malvagio, ma della sua fidanzata.

Davvero Kakaroth pensava che lui fosse tanto idiota da rimettere piede lì dentro senza nemmeno avere in mente un piano efficace?

Magari, quel saiyan pensava che ne avesse avuto uno.

Ma si sbagliava! E quanto si sbagliava!

 

«Smettila di attaccarmi, accidenti! Hai preso un granchio, lo vuoi capire? Io non c’entro un bel niente con la sparizione delle tue preziose sfere!»

 

«Ma a chi vorresti darla a bere, terrestre? Vorresti forse farmi credere che tu, per tutto il tempo in cui sei stato lontano dalla corte, non abbia architettato proprio un bel niente? So benissimo che sei in grado di azzerare la tua aura! Ci sarebbe voluto poco per te per fregare quell’incapace del Supremo!»

 

«Cosa? Vuoi forse dire che le aveva lui?!»

 

«Smettila di fare il finto tonto!»

 

L’ennesimo colpo che il saiyan stava per infliggere al suo avversario venne bloccato da Tensinhan.

Il ragazzo aveva la coscienza sporca e ne era perfettamente consapevole.

Per la verità, l’idea che fosse qualcun altro a subire le conseguenze del suo gesto avrebbe dovuto in qualche modo metterlo in una botte di ferro; ma una simile vigliaccata non faceva proprio per lui.

Tensinhan era un ottimo guerriero, un giovane dalle incredibili doti tecniche e di grande coraggio.

Certo, fare del bene non era esattamente nelle sue corde.

Egli era stato educato da uno dei maestri di arti marziali più in gamba e cinici del pianeta, e da lui aveva appreso a non conformarsi troppo al bene.

Dove avrebbe portato, in fondo, un eccessivo buonismo?

Gli eventi della vita gli avevano insegnato che nessuno al mondo si sarebbe fatto scrupoli di fronte a una persona in difficoltà.

Per sopravvivere in mezzo agli infami, bisognava conformarsi alla loro mentalità e diventare più spietati di loro.

Lui lo aveva fatto, e ci aveva guadagnato il rispetto di Condor e la soddisfazione di vedere tremare di fronte a lui gente che, con altri individui, si sarebbe comportata da spavalda.

 

In quel momento, però, l’idea che qualcuno prendesse pugni al suo posto gli piaceva ben poco.

Era incredibile come la vicinanza agli allievi di Muten avesse in qualche modo plasmato la sua coscienza.

Tensinhan non avrebbe mai confessato, ovviamente, ma neppure avrebbe permesso che Yamcha perisse sotto i micidiali colpi di quel saiyan.

 

«Ti ho già detto prima di non intrometterti» ringhiò Kakaroth, osservando con sguardo truce l’allievo di Condor.

 

«Mi dispiace, ma credo proprio che tu abbia sbagliato persona.»

 

«Io penso di no. Sai? Difficilmente il mio intuito sbaglia su certe cose. Il tuo amico è un codardo, e lo ha dimostrato scappando da Furipan nonostante i suoi compagni fossero tenuti dai saiyan ai lavori forzati. E poi, l’ho visto con i miei occhi aggirarsi furtivamente nei dintorni del castello. Credo che se ne sia accorto anche Vegeta! Se il principe venisse a sapere della sparizione delle sfere del drago, da chi credi che andrebbe a cercarle?»

 

«Yamcha è soltanto un ingenuo. Ha agito d’impulso! Ma sono sicuro che lui non c’entra niente.»

 

Le parole di Tensinhan in sua difesa accesero nell’allievo di Muten un agghiacciante sospetto.

Il ragazzo con cui aveva deciso di collaborare non godeva certo di un’ottima reputazione presso Muten. Yamcha non aveva dato troppo peso ai brutti epiteti che il suo maestro aveva riservato agli allievi di Condor, anche perché, in effetti, questi ultimi erano stati i soli a dar credito ai suoi sospetti circa la natura ambigua di Kakaroth.

Però – e questo doveva purtroppo ammetterlo – il guerriero dai tre occhi aveva sempre mantenuto nei suoi confronti un atteggiamento ambiguo.

Lo aveva coinvolto solo in parte nei suoi piani, tenendolo all’oscuro di tanti dettagli che, evidentemente, egli aveva poi studiato e analizzato per conto proprio.

C’era anche da dire che troppe volte, nel corso delle lunghe giornate che trascorrevano insieme, egli lo aveva perso di vista, senza però chiedersi con troppa insistenza dove fosse finito.

 

E se fosse stato proprio lui a rubare le sfere del drago?

In fondo, Yamcha gli aveva insegnato personalmente ad azzerare l’aura, quindi, in effetti, Tensinhan poteva rientrare benissimo nella lista dei sospettati.

 

Tutti le sue riflessioni, però, furono interrotte dall’improvviso avvicinarsi di un’aura a lui conosciuta.

Era debole, certo, ma molto familiare.

 

Kakaroth si voltò di spalle.

Era chiaro: anche lui se n’era accorto.

Chichi li stava raggiungendo a e elevata velocità.

Veniva dall’alto.

Possibile che avesse imparato a volare?

 

***

 

Bulma non aveva mai guidato un elicottero con tanta ansia.

Aveva una paura matta di ciò che sarebbe accaduto molto presto nella Città dell’Ovest.

Vegeta non era esattamente il tipo di persona che si potesse convincere con le buone a desistere da un determinato proposito.

Ora, il principe dei saiyan aveva un obiettivo ben preciso: mettere le mani sul radar cerca sfere.

Tentare di allungare la strada per arrivare alla Capsule Corporation sarebbe stata una mossa controproducente. Non solo, infatti, Vegeta se ne sarebbe accorto, ma la scienziata avrebbe addirittura rischiato di farlo innervosire ancora di più.

Ecco perché ella sperava con tutta sé stessa che Crilin avesse ricevuto il suo messaggio.

Bulma non sapeva esattamente se il suo amico sarebbe stato in grado di fare qualcosa – e, soprattutto, per tempo – ma, di sicuro, non poteva lasciare nulla di intentato.

Era in gioco la vita dei suoi genitori, oltre, naturalmente, all’incolumità di tutti i terrestri.

E la cosa peggiore era che la colpa era sua.

Solo ed esclusivamente sua.

 

***

 

«Eppure… Eppure ero assolutamente certo di aver installato nel nuovo prototipo di auto volante anche un dispositivo per il posizionamento automatico della sveglia da bordo. Mia cara, per caso hai idea di che fine abbia fatto?»

 

«No, mi dispiace. Vuoi che ti prepari una tazza di tè?»

 

Il signor Brief sollevò la testa dall’ultimo bolide appena collaudato e prese a guardare la sua dolce e tenera moglie.

No, decisamente no.

Quello non era affatto il momento adatto per concedersi un break, ma la tenera signora, in realtà, quel tè lo aveva già preparato e stringeva tra le mani la tazza fumante.

Quella donna sapeva sempre come sorprenderlo.

A lei non interessava un bel niente della scienza e della tecnologia.

Probabilmente, su tutto il pianeta non c’era una coppia più male assortita della loro.

Eppure, nonostante l’apparente incompatibilità dei loro caratteri e dei loro interessi, i coniugi Brief erano una coppia solida e felice, nella quale ognuno dei due sposi contribuiva a rendere appagante la vita dell’altro.

 

Bulma era il risultato del loro più che ventennale amore.

Quella ragazza era la sintesi perfetta tra la bellezza angelica della madre e l’acutissimo cervello del padre.

Al signor Brief piaceva molto rimuginare sulle qualità della sua splendida figliola: egli sapeva che quella ragazza aveva talento da vendere nel campo della tecnologia e che, molto presto, sarebbe probabilmente riuscita anche a superare suo padre.

Peccato che avesse una tendenza sfrenata a cacciarsi nei guai.

Lo scienziato non avrebbe saputo dire se quella fosse una sua inconscia predisposizione o se la sua dolce figliola fosse semplicemente sfortunata. Una cosa, però, era certa: ovunque andasse Bulma Brief succedeva sempre qualcosa di spiacevole.

Sebbene egli avesse fatto finta di niente con lei, lo scienziato sapeva che a Furipan erano giunti i malvagi. Era stato lo stesso Muten a metterlo a conoscenza della novità, pregandolo di accelerare al più presto la realizzazione del radar cerca sfere.

Egli, alla fine, ci era anche riuscito.

Il prezioso oggetto era lì, poggiato su una mensola e pronto all’uso.

Ci voleva soltanto qualcuno che venisse a prenderlo.

Inizialmente, Brief aveva pensato di chiamare proprio Muten, ma la proverbiale poca dimestichezza che il grande maestro aveva con la tecnologia lo fece desistere da un tale proposito.

Perché, allora, non rivolgersi proprio a Bulma?

In fondo, la ragazza era lì ormai da diversi giorni e, di sicuro, era molto più probabile che riuscisse lei a fuggire per qualche ora da Furipan senza dare nell’occhio, piuttosto che lo facesse Muten.

Tra l’altro, quest’ultimo nemmeno sapeva guidare un elicottero.

 

Lo scienziato posò per terra gli attrezzi che aveva in mano e prese dalle mani della moglie la tazza di tè.

Era da parecchio che non si concedeva il lusso di accoccolarsi per terra e di degustare qualcosa con tanta tranquillità.

Egli, tendenzialmente, non era un tipo che amasse fare le cose di fretta, ma, da quando lavorava insieme alla figlia, aveva finito per cambiare le proprie abitudini.

L’esuberanza della ragazza l’aveva costretto a rivedere i suoi tempi di lavoro e anche il suo modo di operare.

Bulma aveva energie da vendere: era capace persino di lavorare un’intera nottata senza chiudere occhio se prima non avesse portato a compimento un progetto.

Brief non aveva mai conosciuto una persona più testarda di lei.

Da chi diavolo aveva preso, quella benedetta ragazza?

Sua moglie non era affatto così e tantomeno lo era lui.

Tuttavia, l’impetuosità di Bulma gli aveva dato un’enorme carica negli ultimi tempi.

Era grazie a lei se il dottor Brief aveva portato a termine vecchi progetti e studi rimasti per anni accantonati tra i suoi file.

Uno di questi, riguardava la Luna.

Della sua scomparsa si era parlato molto anni addietro, ma nessuno scienziato era mai riuscito a trovare una spiegazione plausibile.

A suo parere, qualcuno l’aveva distrutta.

Un’idea del genere, peraltro esposta in uno dei grandi congressi tematici riguardanti i corpi celesti, era stata sbeffeggiata a più riprese, ma lo scienziato aveva sempre nutrito il sospetto di averci visto giusto.

Chissà perché, il fatto che Bulma, in occasione dell’arrivo dei malvagi, avesse messo di nuovo le mani sui suoi vecchi studi sulla Luna, gli fece pensare, per l’ennesima volta, di aver indovinato alla grande.

 

«Caro, oggi sei più silenzioso del solito. Che cosa ti succede?»

 

«Oh, tesoro! Niente di che. Stavo solo pensando a Bulma

 

«Ah, quella benedetta ragazza! Mi fa sempre preoccupare! Ma quando la deciderà di smetterla di cacciarsi nei guai e di mettere su famiglia? Ormai non è più un’adolescente! E poi, ha al suo fianco un bellissimo ragazzo! Dovrebbe pensare un po’ di più a sé stessa invece che a risolvere i problemi del mondo intero.»

 

Il dottor Brief prese a sospirare e lanciò un’occhiata al radar cerca sfere.

 

«Che ci vuoi fare. Anche a me piacerebbe che fosse meno spregiudicata, ma è fatta così. Ormai è adulta e, di certo, non possiamo più sperare che la sua indole cambi.»

 

«Chissà se si sposerà mai. È così bella, la mia bambina! Potrebbe avere intorno tutti gli uomini che vuole! E quel Yamcha mi pare un giovanotto per bene. Già mi ci vedo: rilassata, felice, e con tanti nipotini attorno.»

 

«Ah, mia cara! Non credo che quel ragazzo diventerà mai il marito di Bulma

 

«Perché dici questo?»

 

«Perché… be’, perché…»

 

Il rumore molto familiare di un elicottero interruppe il dottor Brief.

 

«Oh, caro! Bulma è arrivata, finalmente!»

 

«Aspetta! Non precipitarti subito fuori!»

 

La signora Brief, però, non diede ascolto al marito.

In poco meno di dieci secondi, la consorte dello scienziato più blasonato del pianeta era già in cortile, in attesa che la sua splendida figlia scendesse dall’apparecchio.

 

***

 

Crilin non c’era.

La prima cosa che Bulma aveva fatto appena messo piede nel giardino della Capsule Corporation fu quella di verificare se il suo amico fosse già lì.

Purtroppo, le cose stavano diversamente.

La scienziata aveva il fiato sul collo.

Vegeta non aveva proferito mezza parola durante tutto il volo, ma aveva osservato con morboso interesse tutto ciò che saettava sotto i suoi occhi dal finestrino.

Evidentemente, da quando aveva messo piede sulla Terra, Vegeta non aveva avuto il tempo di perlustrarla a sufficienza.

Che la trovasse interessante?

Evidentemente sì, visto il religioso silenzio nel quale era piombato durante quell’ora scarsa di volo.

Tuttavia, il non sapere esattamente cosa passasse per la testa del saiyan le metteva una certa inquietudine.

Era poi troppo imbarazzata per rompere quel silenzio.

Avevano da poco fatto sesso e l’idea che ciò potesse portarle delle brutte conseguenze la stava facendo impazzire.

Più cercava di capire cosa le fosse passato per la testa e più doveva fare i conti con un’amara verità: quel maledetto principe le piaceva da morire.

E la sua morte, probabilmente, sarebbe stata l’inevitabile conclusione di tutta quell’assurda storia.

 

Bulma incedeva a passo lento verso la porta di casa, percependo dietro di sé l’inquietante presenza di Vegeta.

Ormai era fatta: Crilin non sarebbe mai arrivato in tempo e lei doveva solo sperare che il sovrano dei saiyan non facesse del male a suo padre.

O a sua madre.

Per la verità, a impensierire di più Bulma era proprio la sorte della signora Brief.

Lei conosceva fin troppo bene la genitrice e sapeva che il suo modo di fare sarebbe stato assolutamente insopportabile per un tipo come Vegeta.

 

Peccato che il destino avesse deciso, per l’ennesima volta, di remare contro di lei.

Bulma non fece in tempo ad aprire la porta della Capsule Corporation che sua madre l’aveva preceduta e si era precipitata tra le sue braccia ad abbracciarla.

 

«Oh, tesoro mio! Finalmente ti sei decisa a tornare a casa! Ero preoccupata per te, sai? Ti cacci sempre in tanti di quei guai! Mi fa piacere che tu ti sia fatta accompagnare da Yamc…»

 

Il silenzio che travolse la signora Brief era per Bulma inequivocabile.

Sua madre doveva finalmente essersi resa conto che l’uomo che stava con lei non era il suo fidanzato.

La giovane scienziata prese a tremare e, istintivamente, strinse ancora più forte a sé la donna più importante della sua vita.

 

«Mamma, per favore, non è il momento di chiacchierare. Ho urgenza di vedere papà.»

 

La bella signora Brief, però, sembrava totalmente disinteressata alle parole della figlia.

Ella guardava con stupore e con sfacciata curiosità lo splendido giovane che Bulma aveva portato con sé a casa.

Doveva ammetterlo: Yamcha era un bellissimo ragazzo, ma il tizio che aveva in quel momento davanti agli occhi era ancora più attraente di lui.

Ella aveva sempre avuto buon gusto in fatto di uomini e riusciva perfettamente a cogliere la bellezza di un individuo anche se costui tentava di mascherarla.

Ma la persona che accompagnava Bulma non cercava di nascondere un bel niente.

Era lì, dietro la sua dolce figliola, ostentando un portamento fiero e decoroso e mostrando senza remore la sua sviluppatissima muscolatura. La divisa che indossava, di un modello che mai le era capitato di vedere prima di allora, metteva ancora di più in risalto il suo fisico scolpito.

Lo sguardo di quel giovane non pareva né particolarmente sereno né, tantomeno, rilassato.

Eppure, la strana inquietudine e la rabbia che scorgeva in quegli occhi le sembravano avere un fascino ammaliatore.

 

«Tesoro, che cos’è questa novità? Non sapevo che avessi un nuovo ragazzo!» sussurrò a mezza bocca la signora Brief all’orecchio della figlia.

 

Bulma avrebbe voluto sprofondare e sperò con tutta sé stessa che Vegeta non avesse un udito raffinato a tal punto da udire le parole dell’irriverente madre della scienziata.

 

«Infatti, mamma. Tappati la bocca e non dire più mezza parola. Devo vedere papà, adesso. Lasciami entrare in casa!»

 

«Quanta fretta, tesoro! Hai fatto… Anzi, avete fatto un viaggio molto lungo! Rilassati un attimo! Tuo padre è in laboratorio e sta’ sicura che non scapperà!»

 

«Oh, andiamo! Ma quale viaggio lungo! Mamma, lasciami andare. Ho fretta!»

 

L’affascinante signora sciolse l’abbraccio che la legava alla figlia e si avvicinò allo sconosciuto accompagnatore.

Era bello, c’era poco da fare.

Bulma aveva la testa dura e anche un pessimo carattere, ma, chissà come, riusciva sempre a farsi circondare da uomini molto interessanti.

 

«Perdona la scortesia di mia figlia, ragazzo. Ha sempre così poco tatto! Comunque, accomodati pure dentro casa. Sei il benvenuto!»

 

Vegeta lanciò un’occhiata infuocata prima alla signora Brief e poi a Bulma.

Che razza di donna spudorata era quella?

Possibile che fosse davvero la madre della scienziata?

Di cose assurde, il principe dei saiyan ne aveva viste in giro per l’universo; ma che una persona dall’intelligenza spiccata come la giovane che poche ore prima aveva fatto sua fosse stata partorita da una creatura tanto sprovveduta quanto poco perspicace era a dir poco ridicolo.

Era forse uno scherzo della genetica, quello?

Probabile, o magari Bulma lo stava solo prendendo in giro.

 

Vegeta, comunque, ignorò l’eccentrica signora e si avvicinò a Bulma, col risultato di far tirare a quest’ultima un sospiro di sollievo.

La bella scienziata aveva seriamente temuto per l’incolumità della genitrice.

Le voleva bene e sapeva che se le fosse capitato qualcosa per colpa sua non se lo sarebbe mai perdonato.

Forse Vegeta aveva letto nei suoi occhi la preoccupazione che aveva?

Chissà; di sicuro, era bene approfittare della magnanimità del principe dei saiyan prima che cambiasse idea e decidesse di far saltare in aria sua madre e tutta la Capsule Corporation.

 

«Vedi di darti una mossa, Bulma. Non ho molto tempo da perdere, come ben sai.»

 

«Certo» sbuffò la ragazza «e come potrei dimenticarlo? Seguimi

 

***

 

Al suo interno, quella che Bulma aveva chiamato più di una volta con il nome di Capsule Corporation era una vera meraviglia della tecnologia.

Raramente Vegeta aveva potuto ammirare tanta spropositata evoluzione scientifica in giro per l’universo.

Certo, lui non avrebbe mai usato dei robot tanto avanzati solo per pulire una stupida casa; però doveva ammettere che, se sfruttati in altri modi, quegli aggeggi metallici avrebbero potuto facilitare non poco il suo ruolo di sovrano dei saiyan.

In fondo, quello era il tipo di dimora che il principe dei saiyan aveva immaginato per Bulma: estremamente lussuosa, comoda oltre ogni dire e superavanzata tecnologicamente.

Il senso di delusione provato nello scoprire che razza di madre avesse colei che, volente o nolente, sarebbe presto diventata a tutti gli effetti la sua donna, stava pian piano lasciando il posto a una rassicurante presa di coscienza: ci aveva visto giusto.

La Capsule Corporation era un mondo a parte, profondamente diverso dagli altri edifici del pianeta.

Era maestosa, imponente, ricca.

Perfetta, insomma.

Perfetta come ipotetica dimora reale.

 

L’uomo che il principe scorse accucciato al pavimento di quello che, a detta di Bulma, doveva essere il laboratorio scientifico, aveva un’aria mesta e piuttosto trasandata.

Si era accorto subito del loro ingresso il famoso dottor Brief.

Li aspettava con ansia, a dire il vero.

Certo, che Bulma arrivasse in compagnia di qualcuno non era di affatto previsto, ma lo scienziato aveva imparato già da diversi anni a tenere la bocca chiusa, soprattutto quando le faccende non risultavano troppo chiare e pulite.

In quel caso, tacere su quel ragazzo gli era sembrata la mossa migliore.

Bulma non aveva alzato nemmeno per un secondo lo sguardo verso di lui.

Non solo sua figlia sembrava avere molta fretta, ma, probabilmente, voleva anche evitare che egli le facesse troppe domande.

Domande su quel tizio, appunto.

Apparentemente, il ragazzo in questione non aveva proprio niente di anormale, ma il fatto che fosse con lei in quell’occasione aveva acceso nella testa dell’eccelso dottore un campanello d’allarme.

Chi era costui?

Perché Bulma lo aveva portato con sé per recuperare il radar cerca sfere?

Possibile che…

 

«Dov’è, papà?»

 

«Su quella mensola, tesoro» rispose prontamente l’uomo indicando il punto esatto con un indice «ma perché vai tanto di corsa? Calmati un attimo! Non fa bene alla salute agitarsi così!»

 

«Lo so, figurati. E comunque… E comunque non sono agitata.»

 

Bulma si avvicinò alla mensola e prese tra le mani il prezioso oggetto.

Era più piccolo di quanto immaginasse, a dire il vero, ma la sola fattura che vantava era una prova dell’elevata qualità del radar.

La scienziata non fece nemmeno in tempo ad ammirarlo per bene che Vegeta glielo sfilò dalle mani.

 

«Questo lo tengo io, per il  momento. E ora andiamocene.»

 

Il signor Brief avrebbe voluto replicare, ma lo sguardo con cui tacitamente sua figlia lo supplicò di stare zitto lo frenò dal suo intento.

Quello era un malvagio; ormai non aveva più dubbi.

Bulma doveva essersi cacciata in un guaio parecchio grosso e, se l’intuito non lo ingannava, almeno in parte doveva essersela cercata.

 

***

 

La signora Brief, dal maestoso giardino della Capsule Corporation, aveva lo sguardo rivolto verso il portone di casa e ripensava sognante al misterioso accompagnatore di Bulma.

Doveva ammetterlo: sua figlia aveva superato tutte le sue più rosee aspettative.

Più di una volta aveva temuto che rimanesse zitella o che non riuscisse a tenersi stretto un uomo per più di mezza giornata.

Già con Yamcha, Bulma aveva fatto passi da gigante.

Ma quel ragazzo… Quel meraviglioso ragazzo che aveva visto scendere con lei dall’elicottero, be’, era una goduria pura per gli occhi. Dove accidenti era andata a pescare un simile gioiello antropomorfo? Ah, la sua dolce bambina aveva finalmente deciso di mettere la testa a posto!

 

L’allegra signora canticchiava in giardino.

Era passato poco più di un minuto da quando Bulma e il ragazzo senza nome erano entrati dentro la Capsule Corporation, e lei, da brava padrona di casa, aveva deciso di prendere la scopa in mano e di spazzare per bene il viale.

Tanto, prima o poi sua figlia sarebbe dovuta passare da quella porta e, chissà, magari avendo risolto la famosa questione urgente con il padre, si sarebbe lasciata andare a una bella chiacchierata con lei.

Fu in quel momento che la signora Brief scorse all’orizzonte qualcosa che dal cielo si stava avvicinando.

E più il misterioso oggetto si faceva distinto e più si rendeva conto che in realtà quel qualcosa era qualcuno.

 

«Oh, cielo!» esclamò stupefatta la madre della scienziata più spregiudicata del pianeta. «Ma quello… Quello chi è?»

 

In pochi secondi, la bella signora si trovò davanti un uomo, un uomo dal fascino indiscutibile letteralmente piovuto dal cielo.

 

«No, non ci credo! Oggi è proprio il mio giorno fortunato!»

 

Bardack si guardò intorno, stupito non poco dalla magnificenza dell’edificio in cui era appena approdato. Se il terrestre pelato non aveva mentito, quella doveva essere la Capsule Corporation, la residenza della ragazzina che si era fatta raggirare come un pedalino dal grande Vegeta.

Già; peccato che di fronte a lui ci fosse una perfetta sconosciuta, dall’aria anche piuttosto inebetita.

Il generale non batté ciglio di fronte all’insistenza con cui quella donna lo stava guardando.

Che diavolo aveva quella svampita?

Una qualunque persona normale avrebbe tremato di paura nel vedere un uomo volare.

A quanto aveva potuto capire, infatti,  non era una facoltà comune tra gli esseri umani.

Eppure, quella strana signora non sembrava affatto essere spaventata.

Bardack evitò qualunque discorso che potesse allungare una conversazione che, già di per sé e ancora prima che fosse iniziata, non lo entusiasmava affatto.

 

«Dove sono il principe e la scienziata?»

 

Nell’udire quelle parole, per poco l’esuberante moglie del dottor Brief non ebbe un mancamento.

Il tizio in compagnia di sua figlia era… un principe?

 

CONTINUA

 

Angolo dell’autrice

Ciao a tutti!

Innanzitutto, perdonate il mio ritardo ma la scorsa settimana non sono stata molto bene e non ho avuto il tempo per completare il capitolo.

Oggi, per fortuna, va un po’ meglio.

Bene, finalmente abbiamo assistito all’ingresso in scena dei coniugi Brief. Ho cercato di renderli più IC possibile e spero di esserci riuscita, anche se in realtà non ho ancora dedicato loro tutto lo spazio che vorrei. Credo proprio che lascerò alla madre di Bulma ancora un po’ di tempo per godersi i bei maschietti appena atterrati alla Capsule Corporation.

Kakaroth, nel frattempo, le sta dando di santa ragione a Yamcha, che, come ben sappiamo, non c’entra niente con la sparizione delle sfere del drago. Tensinhan inizia a tal proposito ad avere qualche rimorso di coscienza. Gli ho dedicato un discreto angolo introspettivo e spero che sia sufficiente a far capire il suo modo di ragionare. Tra l’altro, Chichi sta per raggiungere Kakaroth e, molto probabilmente, il segreto di Tensinhan verrà a galla.

 

Ok, ammetto di essere abbastanza stanca e quindi eviterò di dilungarmi oltre con le note.

Vi ringrazio, come sempre, per il sostegno che mi date!

Un bacione :**********

9dolina0

 

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Capitolo 18
*** La scoperta di Condor ***


La scopeta di Condor

Capitolo XVIII – La scoperta di Condor


Da quando in qua Chichi sapeva volare?
Yamcha pensava di conoscere la principessa abbastanza bene, ma evidentemente la bella guerriera gli aveva nascosto questa verità.
Già, ma a che pro?
Forse nemmeno lei si fidava completamente di lui?
L’idea di essere stato in un certo modo preso in giro da Chichi non gli piaceva per niente: Yamcha era ancora talmente disgustato dal trattamento che gli aveva riservato Bulma che ormai vedeva come un affronto personale praticamente ogni cosa che gli venisse detta.
O taciuta.
Persino i colpi infertigli da Kakaroth gli dolevano meno al confronto.
Ecco, appunto.
Kakaroth.
Da quanto poteva scorgere attraverso il suo sguardo confuso, nemmeno lui sapeva che Chichi fosse in grado di volare.
Benissimo: erano stati presi in giro entrambi.
Tra l’altro, sebbene ancora Yamcha non riuscisse a scorgere la sua figura nel cielo, si era reso conto benissimo che la principessa stava volando a una velocità piuttosto sostenuta. Un essere umano normale non avrebbe potuto arrivare a tanto.
Come accidenti era possibile?

Dal canto suo, Kakaroth aveva finalmente deciso di lasciar perdere la faccia martoriata di Yamcha per dirigere il suo sguardo – e la sua attenzione – verso la giovane donna che stava arrivando.
No, ne era certo: Chichi non aveva quella capacità.
Se ne fosse stata in grado, avrebbe certamente utilizzato quella tecnica anche durante i loro allenamenti. Tuttavia, era chiaro che qualcosa non quadrava: una strana aura avvolgeva la principessa e lui riusciva percepirla senza alcuna difficoltà. Non era certo, però, che fosse la sua.
Anzi, sicuramente non lo era.
C’era qualcosa di anomalo e di magico nella strana forza che stava percependo nell’aria, e più diventava forte quell’energia, più era tentato di spiccare anch’egli il volo e di raggiungere la bella guerriera.
Ma l’arrivo repentino di quest’ultima gli fece accantonare il proposito e gli fece venire voglia, al contempo, di imprecare contro di lei e contro quella maledetta nuvola sulla quale era seduta.
Già, una fottutissima nuvola volante.

Chichi aveva il fiatone.
Certo: non aveva fatto alcuno sforzo fisico per raggiungere il suo
protettore presso la Kame House, ma l’ansia di trovare Yamcha esanime sulla spiaggia dell’isola di Muten le aveva messo in corpo talmente tanta angoscia che il suo cuore aveva preso a tamburellare all’impazzata.
Per fortuna che si era ricordata del dono che tanti anni prima le aveva fatto sua madre prima di morire.
Se non avesse avuto a disposizione la
nuvola Kinton, non avrebbe mai fatto in tempo a salvare il suo amico.
E a impedire al suo
protettore di commettere un gravissimo errore.
Gli sguardi sbigottiti che si era vista piovere addosso le avevano dato la certezza che gli eventi non erano ancora precipitati. Yamcha era malconcio, certo, ma esattamente come tutti gli altri la stava fissando incredulo, con la faccia di chi aveva appena visto qualcosa di sconvolgente.
E la sua preziosissima nuvola d’oro senz’altro lo era.
Ma a dare le dovute spiegazioni su quel meraviglioso oggetto ci avrebbe pensato in un secondo momento, ammesso che ne avrebbe avuta l’occasione.

«Sei completamente impazzito, Goku? Volevi forse ammazzarlo?»

La ragazza scese velocemente dalla nuvola e corse incontro al suo amico, a terra e sanguinante, ma comunque ancora lucido.

«Ah, Yamcha! Temevo di non fare in tempo, accidenti! Prendi un senzu, avanti.»

«Un… cosa?»

Lo sguardo sbigottito dell’uomo si posò su un minuscolo fagiolo stretto nella mano della principessa.
Che diavolo avrebbe dovuto fare con quello stupido legume?
Mangiarlo, certo; ma a che pro? Era forse un oggetto miracoloso anche quello?
In fondo, da una ragazza che volava in groppa a una nuvola, avrebbe potuto aspettarsi anche questo.

«Mangialo, Yamcha! Non è il momento di fare domande questo!»

Il guerriero strappò il fagiolo dalle mani della principessa e lo ingurgitò.
Assurdo, davvero assurdo!
Probabilmente non avrebbe dimenticato quella giornata per tutto il resto della sua vita. Prima era stato attaccato senza motivo da un alieno venuto sulla Terra per fottere le preziose
sfere del drago alla sua protetta; poi, la donzella in questione era venuta a salvarlo a cavallo di una dannata nuvola volante; infine, la stessa fanciulla pretendeva di alleviare le sofferenze patite per colpa di quel farabutto del suo protettore somministrandogli uno stupidissimo fagiolo.
Se ciò che stava accadendo non lo stesse vivendo sulla propria pelle, senz’altro avrebbe riso della trama ridicola di quell’ipotetico romanzo.
Ma era tutto incredibilmente vero, così come era vero che quel
senzu – o come lo aveva chiamato Chichi – aveva il potere di guarire in fretta le persone.

Yamcha era di nuovo in piedi.
Le ferite sul suo volto si erano rapidamente e completamente rimarginate.
Chichi era riuscita a guarirlo con chissà quale medicina e, come se ciò non bastasse, lo aveva fatto ignorando completamente il suo sguardo minaccioso.
Quella stupida ragazzina non si era curata quasi per nulla di lui e si era precipitata a salvare la vita all’uomo che aveva rubato le
sfere del drago.
Ridicolo.
Pazzesco e ridicolo.
Chichi doveva essere una masochista; oppure non doveva interessarle poi tanto delle sue preziose sfere. Kakaroth avrebbe voluto sbraitare dalla rabbia, ma il viso atterrito della principessa lo confuse non poco. Che cosa stava succedendo a quella maledetta ragazza? Egli non poté non notare il tremolio della sua voce e i residui di lacrime che le erano evidentemente scivolati sul viso.
Possibile che si fosse ridotta a piangere per Yamcha?
Teneva davvero alla sua vita fino a quel punto?
Un moto di gelosia gli attraversò ogni singola fibra del corpo. A lui non interessava niente di quella stupida principessa dal carattere un po’ troppo pepato,
però lei era la sua protetta e Goku sapeva di aver fatto breccia nel suo cuore. O, per lo meno, così credeva.
Che avesse esagerato?
Che il suo comportamento l’avesse spinta a ricredersi?
Probabilmente sì; ma, tutto sommato, perché avrebbe dovuto dolersi per una cosa del genere?
Lui non era interessato a Chichi.
No.
Eppure…

«Chichi, vuoi spiegarmi che cosa ci fai qui e… Che diavolo è quella cosa

«Ah, Yamcha! Invece di pensare a me, dovresti prestare più attenzione alle persone che ti ronzano intorno! Si può sapere come ti è saltato in mente di metterti in combutta con gli allievi di Condor? Il tuo maestro ti aveva avvertito su quanto quel tizio fosse poco raccomandabile!»

«Oh, cavolo! Non ti ci mettere anche tu! Ci ha già pensato Bulma a farmi la ramanzina!»

«Ne aveva tutte le ragioni, accidenti! Ma come hai potuto abbandonare Furipan senza lasciare alcuna traccia? Così facendo hai solo destato inutili sospetti.»

Yamcha sbatté un pugno a terra.

Il sollievo di aver visto Chichi arrivare e il fatto che quest’ultima l’avesse salvata da una fine certa svanirono in men che non si dica. Ci era riuscita: aveva rovinato tutto rivolgendogli delle stupidissime e subdole accuse. Possibile che non si rendesse conto che non aveva avuto altra scelta? Possibile che non capisse quanto per lui quella scelta fosse stata difficile e obbligata?

«Chichi, se ben ricordi io ho cercato di mettervi in guardia fin da subito sul conto del tuo protettore. Eppure, né tu, né nessun altro mi avete ascoltato! Cos’altro credi che potessi fare se non allearmi con le uniche persone che sembravano pensarla come me? Io ho provato a mettermi in contatto con Bulma, ma…»

«Sei un idiota!»

L’urlo rancoroso di Chichi interruppe bruscamente le parole del guerriero.
La ragazza era furente, con sé stessa, con Yamcha, con Kakaroth, con Bardack e, soprattutto, con Mamanu. Era colma di rabbia a tal punto che avrebbe potuto esplodere da un momento all’altro. Il discorso di Yamcha aveva un senso, certo; ma proprio per questo lei si sentiva ancora più in colpa e, di conseguenza più inviperita. Non avrebbe dovuto diffidare dei sospetti dell’allievo di Muten. Era stato molto ingenuo da parte sua fidarsi ciecamente di un perfetto sconosciuto.
Chichi non aveva mai sbagliato in maniera tanto clamorosa e la consapevolezza di essere stata in parte responsabile dell’allontanamento di Yamcha, seppur in maniera indiretta, fece crollare ancora di più la sua già precaria autostima.
Certo, lui avrebbe potuto agire in maniera molto più razionale, ma il discorso che quel ragazzo aveva proferito in propria difesa non faceva, purtroppo, una sola piega.
Erano stati gli eventi a spingerlo nella rete di Tensinhan e lui, lasciato completamente solo, non aveva potuto fare altro che caderci dentro.

Chichi prese a guardare dritto davanti a sé.
Prima i suoi occhi incontrarono quelli furenti e sbigottiti di Goku, poi si posarono su quelli sconvolti di Tensinhan.
Ella capì dallo sguardo colpevole dell’allievo di Condor che Mamanu aveva detto la verità: era stato lui a prendere le
sfere del drago, e sempre lui le aveva fatte sparire, forse addirittura all’insaputa di Yamcha.
Jaozi era terrorizzato e si stringeva con forza alla schiena di Tensinhan.
A Chichi quel piccoletto faceva una gran pena e, nonostante ella sapesse bene quanto in realtà egli fosse pericoloso grazie ai suoi poteri psichici, non poteva non ignorare la sua debolezza fisica.
Aveva paura, e ne aveva ben ragione.
Tremava di terrore e sudava freddo, mentre aumentava con forza la vigorosa stretta intorno all’amico.

«Sei davvero un gran bel farabutto, Tensinhan» proferì la principessa, non nascondendo tutto il suo astio. «Grazie alla tua bravata, hai messo nei guai non solo me e Goku, ma anche Yamcha e il tuo amico Jaozi. Come accidenti hai potuto? Che cosa diavolo speravi di ottenere rubando le sfere del drago

Sia Kakaroth che Yamcha si voltarono di scatto verso Tensinhan.
Ora era tutto chiaro: a far sparire le sfere era stato l’allievo di Condor.
In effetti, non faceva una piega: Yamcha doveva aver insegnato a Tensinhan come azzerare l’aura e lui, approfittando dell’ingenuità del
predone del deserto, si era recato di soppiatto presso la dimora di quello scansafatiche del Supremo, rubandogli i preziosi oggetti da sotto il naso.
Già; ma come aveva fatto Chichi a scoprirlo?
Kakaroth tornò a guarda la principessa.
Il viso gonfio e le gote leggermente arrossate tradivano sicuramente una caduta di copiose lacrime. Chichi aveva pianto – quello era certo – ma Kakaroth non era più tanto convinto che quel pianto fosse stato causato dalla sorte di Yamcha.

«Sei sicura di quello che dici, Chichi? È stato davvero lui?»

«Sì, Gok… Kakaroth. Come vedi hai preso un granchio: Yamcha non c’entra niente.»

«E tu come accidenti fai a saperlo?»

Chichi trattenne a stento un moto di disgusto sul volto.
Quella domanda le aveva fatto tornare in menti gli avvenimenti della mattina: lei che si precipita con Crilin verso la camera di Bardack, Mamanu nella stanza del generale, la rivelazione sulla scomparsa delle sfere, il messaggio di Bulma…
Già, Bulma.
Se la principessa non avesse convinto Tensinhan a parlare alla svelta, il principe dei saiyan avrebbe messo le mani sulle
sfere del drago prima di loro.

«Te lo spiego più tardi. Ora dobbiamo assolutamente recuperare le sfere prima che Vegeta le faccia sparire. Il padre di Bulma ha costruito un radar apposito per localizzarle e il principe e la scienziata stanno andando nella Città dell’Ovest a recuperarlo.»

Il silenzio che avvolse l’isola di Muten fu paragonabile solo al senso di shock provato da Chichi poche ore prima quando scorse la sua matrigna insieme al padre di Goku.
Tutti erano rimasti attoniti, sconvolti dall’ultima rivelazione della principessa.
Persino Tensinhan antepose il terrore per il fatto che Vegeta avesse potuto trovare le sfere al fatto che egli stesso fosse stato smascherato.
Non lo aveva previsto; in nessun modo avrebbe potuto immaginare che quella maledetta scienziata avrebbe finito per mettere nelle mani del sovrano dei
malvagi uno strumento in grado di localizzare le sfere del drago.
Tutti i suoi sforzi per sottrarle alla custodia del Supremo erano stato inutili: qualcuno, molto più abilmente di lui, senza neppure muovere un dito le avrebbe presto fatte sue, semplicemente approfittando del genio di una donna apparentemente inutile.
E ora, Tensinhan doveva decidere se collaborare con la principessa, oppure allearsi con i saiyan.


***


Giumaho si sentiva debole.
Molto debole.
Erano giorni che non si concedeva un pasto decente e il fatto che si fosse quasi lasciato avvincere dalla depressione lo aveva reso ancora più instabile e vulnerabile.
Ma Mamanu aveva ragione: lui era il padre della principessa, e finché sua figlia non fosse diventata a tutti gli effetti la sovrana di Furipan, spettava a lui proteggere la sua terra e i suoi abitanti da qualunque minaccia si fosse ravvisata all’orizzonte.
E i saiyan erano una minaccia terribile.
Sebbene sentisse di non essere pienamente in forze, lo
stregone del toro si decise finalmente ad alzarsi in piedi e a uscire dalla sua stanza. Aveva paura di ciò che avrebbe potuto trovare al di fuori delle quattro mura in cui era stato rinchiuso per giorni, ma sapeva di non avere altra scelta: sua figlia non era in grado di gestire da sola quella terribile situazione e se, come aveva detto Mamanu, la presenza di Goku l’aveva mandata in confusione, spettava a lui cercare di riprendere in mano le redini del destino della principessa.
Giumaho si chiuse la porta alle spalle e prese a girovagare quasi senza meta all’interno del palazzo.
Per la verità, non aveva la più pallida idea di dove andare e di chi cercare.
Troppe cose gli erano sfuggite durante quei lunghissimi e difficili giorni ed egli si sentiva come se brancolasse nel buio.
Già; ma le
sfere del drago erano scomparse, e Chichi era nei guai fino al collo.
In un modo o nell’altro avrebbe dovuto assolutamente fare qualcosa.

Il castello sembrava essere deserto. In cucina non c’era nessuno, e anche la sala da pranzo era completamente vuota. Giumaho si recò persino nella palestra, ma all’interno non vi trovò anima viva. Possibile che tutti avessero abbandonato la reggia?
E per quale motivo?
Che fine aveva fatto Mamanu?
Lo
stregone del toro tornò indietro, rientrò a palazzo ed effettuò un altro rapido giro.
Non era possibile che fosse completamente solo lì dentro!
Vegeta, da quel poco che aveva capito, si allontanava assai raramente da quella che considerava la sua nuova dimora, e Bulma…

«Ah, Bulma!» esclamò Giumaho, improvvisamente colto da un’illuminazione.

L’uomo accelerò il passo e si diresse verso il vecchio sgabuzzino del seminterrato.
Chichi stessa lo aveva informato del fatto che il principe dei saiyan aveva fatto prigioniera Bulma e che l’aveva rinchiusa lì dentro per farle mettere a punto qualche diavoleria tecnologica.
Probabilmente, la scienziata doveva aver adibito quella stanza ormai vecchia e logora in una sorta di laboratorio di fortuna.
Quando l’uomo arrivò, si accorse che effettivamente la porta era aperta.
Non poteva sbagliare: lì dentro c’era ancora qualcuno.

Condor non aveva fatto in tempo a scappare.
Preso com’era dalla faccenda della Luna, aveva temporeggiato più del dovuto nel laboratorio della scienziata.
Ma ormai era troppo tardi per darsela a gambe: Giumaho era lì, davanti a lui, e lo guardava con fare irato.
Il proprietario del castello era furente e, a ben vedere, ne aveva anche tutte le ragioni. Egli aveva messo piede in quel laboratorio elargendo un enorme sorriso, convinto, evidentemente, di trovarsi poi di fronte una persona diversa.
Cercava la figlia di Brief, certo, e scoprire che invece a trafugare tra quelle scartoffie c’era l’acerrimo nemico del suo ex compagno di allenamenti lo aveva fatto infuriare.
D’altra parte, sebbene si fosse introdotto lì dentro in maniera indegna, l’anziano maestro di arti marziali era comunque incappato in roba grossa. Bulma aveva riesumato dai vecchi archivi di quel pazzoide di suo padre degli studi quanto meno anomali sulla Luna. Condor non credeva certo che tutto ciò fosse un caso: lei era lì, in quel maledetto castello, per assecondare le idee folli del principe dei saiyan e se sul suo dannato tavolo c’erano dei calcoli inerenti alla Luna, evidentemente l’argomento doveva interessare a Vegeta.
Senza ombra di dubbio.

«Miserabile farabutto!»

«Non ti arrabbiare, Giumaho! Prima lasciami spiegare!»

«Che diavolo ci fai qui, eh? Questo non è forse il laboratorio della scienziata?»

Condor si avvicinò allo stregone del toro sventolando tra le mani le carte di Bulma.

«Esatto; e guarda un po’ qua? La tua cara scienziata è in combutta con i saiyan per qualcosa di grosso!»

Giumaho prese a osservare Condor con aria sospetta.
Non si era mai fidato di lui e, a meno di essere clamorosamente smentito, non vedeva alcuna buona ragione per la quale iniziare proprio in quel momento. Quel vecchio maestro viveva di malvagità e di inganni e, per quanto la situazione fosse confusa e disperata, lo stregone non avrebbe avuto alcun motivo di pensare che Bulma stesse collaborando spontaneamente con i
malvagi.
Senza troppi preamboli, Giumaho strappò dalle mani di Condor i documenti che teneva in mano e prese a visionarli.
Lui non ci capiva niente di scienza e di tecnologia, ma era chiaro che in quei fogli ci fossero dei dati inerenti a una
luna.
Anzi, quella era proprio la
luna terrestre, scomparsa dai cieli notturni circa una quindicina di anni prima.

«Stai forse cercando di prendermi in giro? Ma quale combutta con i saiyan: questi sono dei vecchi studi sulla Luna! La carta oltretutto è logora: non è nemmeno roba recente! Anzi, a dirla tutta, non credo nemmeno che questa sia roba della scienziata.»

«Certo, idiota! Quei documenti li ha stesi di suo pugno il dottor Brief!»

«Appunto, e questo cosa credi che c’entri con i saiyan?»

«Be’, forse nei giorni di clausura che ti sei concesso, ti è sfuggito un piccolo particolare: Bulma sta lavorando per Vegeta! Se quelle carte erano sulla sua scrivania, vuol dire che i saiyan sono interessati all’argomento.»

Giumaho preso a ridere di gusto.
Per chi lo aveva preso?
Credeva davvero che sarebbe stato così sciocco a credere a una simile baggianata?

«La verità, mio caro, è che non avevi una scusa migliore per giustificare la tua presenza qui dentro e hai tirato fuori la prima scusa che ti è saltata in mente. Rimetti quei fogli al loro posto e esci da qui.»

«Ti si è fuso il cervello, per caso? Prova a ragionare, accidenti! Alcuni di questi appunti sono recentissimi e ci sono due grafie visibilmente diverse. Per qualche strana ragione, Bulma ha ripreso in mano gli studi sulla Luna e lo ha sicuramente fatto per ordine di Vegeta!»

«Andiamo, è ridicolo! Per quale assurdo motivo ai saiyan dovrebbe interessare una cosa del genere? Persino noi umani, ormai, ci siamo dimenticati della Luna!»

Condor incrinò le labbra in una evidente smorfia di stizza.
No, stavolta Giumaho stava prendendo un grosso abbaglio e, sebbene non gli piacesse l’idea di collaborare con il migliore amico di Muten, doveva in qualche modo convincerlo ad aprire gli occhi.

«Quanto tempo fa è scomparsa la luna, caro il mio stregone?»

«Circa quindici anni fa, se proprio ti interessa saperlo.»

«Oh, Bene. E, dimmi un po’, quanto tempo fa è morto Son Gohan?»


***



«Mi… Mi dispiace molto, Mamanu.»

Crilin non sapeva cos’altro dire.
Era vero: gli dispiaceva; ma i sentimenti che egli provava in quel momento andavano ben oltre questo. Era sconvolto – inutile negarlo – e per quanto quella donna accasciata a terra e in lacrime gli facesse una gran pena, il giovane guerriero non era sicuro che ella meritasse anche la sua pietà.
In fondo, se l’era cercata.
E si era anche messa in un guaio non da poco.
Ma che diavolo le era saltato in mente di iniziare una relazione clandestina con Bardack?
Lei era la moglie di Giuaho, accidenti, ed era anche una delle persone più influenti di Furipan.
Quella bravata, oltretutto, l’aveva messa ancora di più in cattiva luce con la principessa. Non che quest’ultima, a dire il vero, avesse la coscienza del tutto pulita, ma se non altro Chichi era soltanto una ragazzina: la sua leggerezza nei confronti di Gok… di Kakaroth poteva anche imputarsi all’ingeuità.
Ma quali scuse aveva Mamanu?
Nessuna; né tanto meno spettava a lui trovargliene qualcuna.
In un’altra occasione, probabilmente, il valoroso, onesto, generoso Crilin avrebbe tentato con maggiore convinzione di tirare su il morale affranto di un amico; ma in quel momento egli sentiva di non provare alcun interesse nel volerlo fare.
Era stanco, deluso e terribilmente preoccupato.
Da qualche parte sul suo bel pianeta si stavano per abbattere le furie scatenate dei guerrieri più potenti dell’universo e la cosa peggiore era che i saiyan stavano per combattere tra di loro l’uno contro l’altro.
Che diavolo poteva importargliene del cuore infranto di Mamanu e della rabbia che Chichi avrebbe potuto scatenare verso di lei? Se Bardack non fosse riuscito a frenare i propositi di Vegeta, avrebbero fatto tutti quanti una brutta fine ancor prima che la principessa avesse la possibilità di prendere a schiaffi l’impudica matrigna.

Eppure, nonostante ciò, Crilin non riusciva a non provare compassione per lei e di sottecchi continuava a fissare il suo viso mentre gli occhi riversavano lacrime.
Mamanu aveva sbagliato, certo, ma non spettava certamente a lui giudicare il suo comportamento. Cosa ne sapeva, in fondo, di come andasse il suo matrimonio con Giumaho? Tra i due coniugi c’era qualche anno di differenza e lo
stregone del toro in quei giorni aveva dimostrato di essere un uomo dalla mole tanto minacciosa quanto dall’indole docile e remissiva.
Un
debole, insomma.
Crilin non poteva di certo negare che, al contrario di Giumaho, Mamanu si fosse data enormemente da fare per salvare Furipan e i suoi abitante, sebbene, tutto sommato, non fosse nemmeno suo interesse o competenza. L’atteggiamento arrendevole di suo marito poteva averla delusa a tal punto da spingerla tra le braccia di un altro uomo?
Perché no; in fondo, per quel poco che aveva potuto capire, la scelta di sposare Giumaho non fu presa dalla stessa Mamanu ma da suo padre. Er
a probabile, dunque, che tra quei due non ci fosse poi chissà quale forte sentimento a unirli, a parte il rispetto reciproco.
Rispetto che però, evidentemente, con quel tradimento era venuto meno.


«Non giudicarmi per quello che ho fatto.»

La voce di Mamanu era tremolante, seria, rotta dal pianto.
Si vergognava, e anche molto, per essere stata smascherata in quel modo, ma la cosa che più la faceva star male era che proprio non riusciva a pentirsi di ciò che aveva fatto.

«Non lo sto facendo, infatti.»

Le labbra della donna si incurvarono in un sorriso sarcastico.
Certo, come no.
Chiunque l’avrebbe tacciata di essere una puttana.
Chiunque
.
Perché Crilin avrebbe dovuto esimersi? In fondo, lui l’aveva quasi colta sul fatto e ciò che era accaduto in quella stanza tra lei e il generale prima dell’arrivo del guerriero e della principessa era a dir poco inequivocabile.

«Io lo amo, lo capisci? Non l’ho fatto per convenienza o per noia, e nemmeno per placare gli ormoni. Non so cosa accidenti mi abbia fatto quell’uomo, ma io mi sono innamorata di lui.»

«Ah, questa poi! E si può sapere perché accidenti vieni a dirlo proprio a me? Per chi mi hai preso? Io non sono il tuo confidente e, te lo ripeto, non ti sto giudicando. Questa faccenda riguarda solo te e tuo marito.»

In un attimo di ritrovata lucidità, Mamanu si vergognò di quello sfogo tanto infantile.
Non era da lei.
Ma la verità era che la moglie di Giumaho era stanca di ricoprire perennemente il ruolo della consolatrice e della confidente. Alle volte desiderava che qualcuno si comportasse con lei come lei faceva con gli altri. In quel momento aveva la disperata necessità di sfogarsi e di essere consolata e, chissà perché, Crilin le aveva sempre dato l’impressione di essere un potenziale buon ascoltatore.

Ma quel ragazzo, evidentemente, era ormai giunto al limite della sopportazione. Quante ne aveva passate da quando i malvagi erano arrivati a corte? Mamanu sapeva che spettava proprio a lui testare tutte le invenzioni che Bulma creava per il principe dei saiyan e, da quel poco che aveva potuto cogliere dei lavori della scienziata, il lavoro non doveva essere affatto semplice.
Anche lui, d’altra parte, aveva cercato di mettere un freno, per quanto gli fosse possibile, all’istinto ribelle degli abitanti di Furipan.
E di quello di Chichi specialmente.
Evidentemente, però, aveva fallito.

«Hai ragione. Non è con te che dovrei chiarire la questione.»

«Già. Sei in un bel guaio, lo sai? E lo è anche il tuo generale. E anche Kakaroth e la principessa. Per non parlare di Bul...»

«Ah, se solo… Se solo riuscissi a evitare lo scontro tra Bardack e Vegeta, forse… Forse potrei scongiurare la catastrofe.»

Crilin abbozzò un mezzo sorriso.

«Perdonami la franchezza, Mamanu, ma a questo punto forse sarebbe meglio se tu ti facessi da parte.»

«E perché dovrei? Ormai sono dentro a questa situazione fino al collo.»

«Perché non hai detto subito chi avesse preso le sfere del drago?»

«Per evitare un inutile spargimento di sangue. Tensinhan non mi ha rivelato dove le abbia nascoste, per cui...»

«Certo, capisco.»

Il giovane guerriero sbuffò.
No, questa volta Mamanu stava mentendo. Se non aveva detto niente era perché non voleva schierarsi.
Sciocca.
In quel dannato cotesto, per quanto tempo ancora sperava di riuscire a tenere il piede in due staffe?
Le staffe, a dire il vero, erano anche tre o quattro.
Egli faticava a capire se lei avesse agito così per ignavia o col sincero proposito di tenere gli animi il più possibile a freno ma, in ogni caso, la sua strategia si era rivelata assolutamente perdente.

«In ogni caso, Mamanu, non ho altra scelta che raggiungere la Capsule Corporation e vedere com’è la situazione. Tu resta qui e, per favore, non dire niente a nessuno.»

«Si può sapere che diavolo sta succedendo, nanerottolo? Cos’è che la regina non dovrebbe dire?»

I due terrestri si voltarono di scatto verso la porta ancora spalancata.
Merda
.
Napa era lì, poggiato allo stipite, che guardava Crilin e Mamanu con l’aria collerica di chi sapeva di essere stato ingannato.
Quei maledetti esseri inferiori gli stavano nascondendo qualcosa.
Qualcosa di grosso.
E a giudicare dagli strani movimenti a palazzo degli ultimi giorni, dovevano essere coinvolti anche il principe, il generale e quella mezza checca di suo figlio.
Perché lui era stato tenuto all’oscuro di tutto?

Tutta questa omertà lo stava facendo innervosire parecchio.

«Na… Napa!?»

«In persona, zucca pelata. Che cosa ci fate voi due nella stanza di Bardack?»


CONTINUA


Angolo dell’autrice

Innanzitutto, mi scuso per aver interrotto la long per così tanto tempo. Non sto qui a darvi troppe spiegazioni perché ciò significherebbe raccontarvi come è trascorsa la mia vita negli ultimi due anni, ma avevo sinceramente bisogno di staccare la spina da EFP (anche se, lo ammetto, non ho mai del tutto abbandonato questo sito).

Per poter buttare giù i capitolo in questione, ho dovuto rileggere tutta la storia o quasi, poiché di fatto avevo perso il filo degli eventi; dunque, anche se l’idea di tornare a pubblicare era in cantiere da molto tempo, ho dovuto rimandare di qualche settimana.

Questo è un capitolo più che altro di transizione: mi è servito per riprendere confidenza con alcuni personaggi e per fare un piccolo passo avanti nel racconto. Spero che la caratterizzazione non abbia risentito troppo della mia lunga assenza da questo fandom e dalla storia.

Nel prossimo capitolo – che spero di pubblicare regolarmente la prossima settimana – torneranno Vegeta, Bulma, Bardack e i coniugi Brief. Volevo inserirli già in questo capitolo ma… mi sentivo arrugginita a tal punto che non avrei saputo come impostare il paragrafo!


Spero abbiate pietà di me.


Un forte abbraccio a tutti :*


9dolina0


PS: sto rileggendo anche i capitoli già pubblicati di Nova Spes. Conto di aggiornare al più presto anche questa storia.


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Capitolo 19
*** Il nascondiglio delle sfere ***


Il nascondiglio delle sfere

Capitolo XIV – Il nascondiglio delle sfere


Raramente al grande generale Bardack era capitato di sentirsi tanto a disagio come in quel maledetto momento. La sconosciuta che gli era davanti lo fissava da diversi secondi con un’aria inebetita e lo sguardo sognante, come se non avesse mai visto un uomo in vita sua.
D’accordo, Bardack non era così modesto da non rendersi conto di essere un tipo molto piacente, ma la sfrontatezza di quella donna era un qualcosa di talmente molesto e disturbante che quasi il valoroso saiyan si sentiva in imbarazzo.
E, soprattutto, perché mai quella strana signora non aveva fatto una piega pur vedendolo arrivare dal cielo?


«Hai per caso detto principe?»


Bardack non riusciva a capire se quella donna fosse veramente stupida o se lo stesse volutamente provocando.


«Sì. Ho detto proprio principe. Dove sono lui e la scienziata? Non ho tempo da perdere.»


«Oh, ma quanta fretta, giovanotto! Anche Bulma e il suo amico andavano così di corsa! Non fa bene a nessuno tutta questa ansia. Comunque, mia figlia e il principe – pronunciò con aria sognante – sono in casa a parlare con mio marito. Se vuoi un consiglio, sta’ alla larga da quella benedetta ragazza! Oggi pare proprio di pessimo umore.»


Bardack superò la signora e si avviò verso il portone di casa, noncurante dei continui sguardi che l’eccentrica donna riversava su di lui. Sperava di aver capito male ma, a quanto pareva, quella tipa era la madre della brillante scienziata Bulma Brief.
Roba da non credere.
Come diavolo aveva fatto una donna del genere a partorire una figlia con cotanto cervello?
Be’, in effetti, quell’idiota di Kakaroth non sembrava avere un minimo del buonsenso del generale Bardack, segno che non sempre la prole somigliasse ai genitori.
Ah, maledetti figli!
Venivano messi al mondo per rendere orgogliosi i loro genitori e poi si cacciavano in un mucchio di guai!
Il saiyan giurò a sé stesso che se fosse uscito vivo da quella dannata situazione, avrebbe dato a suo figlio una lezione che non avrebbe dimenticato facilmente.


In quel momento, Vegeta e Bulma varcarono il portone di casa.
La scienziata ebbe un fremito di terrore nel constatare che fuori ad attenderli c’era Bardack.
Che fine aveva fatto Crilin?
Perché ancora non si decideva a raggiungerli?
Lo sgomento e la rabbia, però, durarono giusto il tempo di rendersi conto che lo sguardo del generale era tutt’altro che sereno.
E, oltretutto, era puntato su quello altrettanto stupito e nervoso di Vegeta.
Possibile che quei due fossero in rotta?
No, accidenti, ci mancava solo quello!
Bulma negli ultimi giorni era stata talmente concentrata sul suo lavoro che non era riuscita a cogliere appieno le dinamiche di corte. Aveva intuito che c’era qualcosa di strano – e la stessa richiesta di Vegeta di fare studi sulla Luna lo dimostrava – ma non aveva assolutamente idea di cosa ci fosse dietro a tutti gli strani movimenti nel castello. Probabilmente stava succedendo qualcosa di grosso.
Da quel poco che poteva intuire leggendo tra gli sguardi dei due saiyan, Bardack non si trovava lì con l’intenzione di aiutare il suo principe nella ricerca delle sfere del drago.
Voleva ostacolarlo; o, quantomeno, convincerlo a desistere dal suo proposito.
Raramente la scienziata si era sentita realmente in trappola e inerme, ma in quel momento sembrava proprio che ella si trovasse tra due fuochi.
E l’inquietante silenzio sceso su quel dannato cortile sembrava preannunciare una catastrofe.


«Oh, Bulma, non dirmi che già volete andare via? È quasi ora di pranzo. Perché non rimanete a mangiare qui? Sono sicura che i tuoi amici apprezzerebbero.»


Vegeta fece finta di non aver udito le parole della signora, ma aveva colto l’espressione implorante della scienziata che le chiedeva tacitamente di non aprire bocca.
Il principe abbozzò un mezzo sorriso, carico di astio e di sfida verso il suo generale.
Il fatto che Bardack fosse lì era per lui una sorta di tradimento. Vegeta aveva sempre nutrito una grandissima stima nei confronti di quel saiyan – a ragione ritenuto il migliore dopo di lui – e il solo trovarselo davanti in quella circostanza era il chiaro segno che egli volesse in qualche modo parare il sedere a quell’ingrato di suo figlio.
Doveva aspettarselo, in fondo.
Era lecito che Bardack tentasse di riabilitare Kakaroth, ma gli dava terribilmente noia il fatto che ciò significasse mettersi contro di lui.
No, questo non lo avrebbe mai accettato.


«Sono grato agli dei di averti trovato in tempo, principe


«In tempo per cosa? Per impedirmi di andare a prendere ciò che mi spetta? Sai benissimo che non te lo permetterò.»


Bardack chiuse gli occhi e si lasciò sfuggire un sospiro di frustrazione.
Già, era chiaro che non glielo avrebbe permesso. D’altra parte, sarebbe stato giusto andare contro la volontà del suo principe? Perché mai avrebbe dovuto, in fondo?
A lui non era mai importato nulla delle sorti degli altri e i suoi figli non facevano di certo eccezione. Tra l’altro, su Kakaroth non aveva nemmeno mai riposto chissà quali aspettative visto il bassissimo livello di combattimento rivelatogli alla nascita, ma era chiaro che, per qualche assurdo motivo, vivendo su un pianeta insulso come la Terra il suo potenziale era decisamente migliorato.
Il generale non aveva alcun interesse nel mettere i bastoni tra le ruote al potente Vegeta e, oltretutto, era fermamente convinto che le sfere del drago spettassero davvero al principe dei saiyan.
Già.
Ma come diavolo avrebbe dovuto metterla con Kakaroth?
Quale padre avrebbe voltato le spalle al figlio – seppur dimostratosi un perfetto imbecille – senza tentare quantomeno una sorta di difesa?
Per la verità, tra i saiyan questa pratica era molto comune.
Anche troppo.
Ma lui non era certo diventato il generale più potente della storia del pianeta Vegeta perché uguale a tutti gli altri.
No: lui ragionava con la sua testa. La sua accidenti. Ed egli sapeva fin troppo bene che se la situazione era precipitata, se Kakaroth aveva commesso un grave errore, la colpa non era certo esclusivamente di suo figlio.
Anche lui ne era responsabile.
Avrebbe dovuto occuparsi di quel ragazzo diversamente, prima impedendo che da neonato venisse spedito su quel dannato pianeta, e poi preoccupandosi di educarlo alle rigide regole dei saiyan.
Sarebbe stato troppo facile voltargli le spalle e lasciare che Vegeta sfogasse su di lui la sua ira. Tanti lo avrebbero fatto, certo; ma lui non era un vigliacco. Lui si sarebbe assunto davanti al principe le proprie responsabilità, al costo di dover affrontare in duello il guerriero più potente dell’universo.


«So benissimo che tenterai con ogni mezzo di trovare quelle dannate sfere, Vegeta. È per questo, in fondo, che hai deciso di rimanere qui, giusto?»


«Giusto,» ribatté il principe sorridendo, «ma suppongo che tu voglia in qualche modo mettermi i bastoni fra le ruote, Bardack. Dico bene?»


Quello scambio inopportuno di domande superflue non faceva altro che mettere in luce un certo imbarazzo da parte di entrambi i saiyan.
A Vegeta non piaceva quella situazione, innanzitutto perché sapeva perfettamente che Bardack era il guerriero saiyan più potente dopo di lui, e poi perché, in un certo senso, era sempre stato il generale a occuparsi di lui dopo che egli stesso aveva eliminato il re. Bardack era un grande stratega, un uomo forte, una persona di valore. Anche se Vegeta non lo avrebbe mai ammesso nemmeno a sé stesso, per lui quel dannato saiyan era un punto di riferimento non da poco.
Averlo in contrasto in quella circostanza non gli faceva di certo piacere: sapeva che avrebbe dovuto attaccarlo e, seppur a malincuore, non avrebbe rinunciato ai suoi propositi di dominio solo perché quel vile di Kakaroth era suo figlio.


«Mi dispiace tanto, Vegeta. Non avrei mai voluto trovarmi in una situazione del genere, ma sono costretto a chiederti di temporeggiare.»


«Ah, questa è bella! Spiegami per quale assurdo motivo dovrei fare una cosa del genere.»


«Perché sono io a chiedertelo e non ritengo di essere un suddito qualunque. Non pretendo certo che tu abbandoni il tuo proposito, ma mio figlio è coinvolto in questa dannata storia e devo pur tentare di farlo redimere. Non so cosa gli sia passato per la testa quando ha permesso a quella ragazzina di nascondere le sfere del drago, ma non è certo scatenando un conflitto che si troverà una soluzione ai nostri problemi.»


«Nostri?» ripeté beffardamente Vegeta. «Casomai tuoi e di Kakaroth.»


«Uno scontro ai vertici più alti della corte che ti vedesse coinvolto sarebbe un grosso guaio anche per te, tanto più se si venisse a sapere che un tuo suddito ha remato contro il tuo potere e la tua autorità nascondendoti le sfere del drago. Daresti adito ad altri tentativi di ribellione.»


Il principe dei saiyan indurì l’espressione del volto e strinse gli occhi in segno di sfida.
No, non gliel’avrebbe data vinta, anche se Bardack aveva ragione.
Da quando aveva messo piede sulla Terra, Vegeta aveva volutamente lasciato correre fin troppi comportamenti ambigui, convinto che, a breve termine, avrebbe sistemato ogni cosa a suo vantaggio. Tra l’altro, era sul punto di farlo davvero dato che Bulma gli aveva messo tra le mani un radar in grado di localizzare i preziosi oggetti del desiderio.
Il vero problema – e ciò non avrebbe potuto negarlo nemmeno a sé stesso – era che egli aveva sottovalutato la situazione.
Tutta la situazione.
Non aveva previsto che la Terra potesse ospitare creature tanto simili agli esseri umani.
Non aveva indagato fin da subito circa le reali intenzioni di Kakaroth.
Non aveva permesso a Bardack di passare più tempo con quell’idiota di suo figlio, facendo sì che invece quest’ultimo si sollazzasse dietro alla gonnella della principessina.
Dannate femmine.
Erano sempre loro la causa di tutto.
Bastava che una di queste mostrasse un po’ di carattere in più e gli uomini finivano con lo sbavare loro dietro. E la cosa peggiore era che neppure lui, il grande Vegeta, si era rivelato immune da questa debolezza.
La scienziata che lo guardava di sottecchi con volto terrorizzato ne era la prova.
Quanto ci aveva messo a decidere di portarsela a letto e di renderla sua futura sposa?
Forse una settimana a partire da quando l’aveva conosciuta.
Per la verità, Bulma non era ancora al corrente di quanto i piani futuri del principe la riguardassero da vicino, ma per il momento non c’era alcun bisogno che lei sapesse che Vegeta voleva legarla a sé per sempre. In quel momento, oltretutto, non voleva nemmeno pensarci. Aveva altre questioni di cui occuparsi.
Altri dannatissimi guai.


«Nessun altro saiyan a parte noi verrà a sapere della bravata di Kakaroth, quindi io non rischierò alcun tentativo di ribellione. Ho tra le mie mani il radar cerca sfere: metterò le mani su ciò che mi spetta e poi darò una bella lezione sia a te che a tuo figlio.»


«E come pensi di cavartela con le sfere del drago? L’unica a sapere come utilizzarle è Chichi. Da’ retta a me: se anche ne entrassi in possesso, non potresti realizzare alcun desiderio. Vale davvero la pena mettersi contro di me o contro Kakaroth?»


Bardack aveva ragione.
Di nuovo.
Le sfere del drago, senza l’intervento della principessa, erano soltanto delle inutili palle. Questo però non significava di certo che avrebbe mollato la presa tanto facilmente. Avrebbe trovato, prima o poi, un fottuto modo per attivarle, con o senza quella stupida ragazzina.
Abbassarsi a fingere di chiudere un occhio non era certo nel suo stile.
Che cosa si aspettava da lui il generale? Che continuasse a far finta di niente e lasciasse la partita in mano a Kakaroth?
Perché, ne era sicuro, quel vile traditore avrebbe convinto Chichi a rivelargli il segreto sull’utilizzo delle sfere. Poteva davvero starsene lì buono ad aspettare?
E ad aspettare cosa, poi? Che il figlio di Bardack esprimesse il suo desiderio?
O magari avrebbe dovuto tendergli un’imboscata, attendendo il momento opportuno per farlo fuori?
In ogni caso, Vegeta non capiva se Bardack puntasse o meno a una risoluzione pacifica del problema. Magari, egli sperava di convincere il figlio a non fare cazzate e a consegnare volutamente le sfere al principe.
Già; ma Chichi?
Chi mai avrebbe potuto convincerla a cedergli le sfere?
Kakaroth, certamente; ma egli non era affatto convinto che l’influenza di quel saiyan sulla giovane custode fosse così forte. Piuttosto, gli pareva l’esatto contrario.
E comunque lui non avrebbe voluto per alcun motivo scendere a compromessi.
Vegeta non era un saiyan qualunque, accidenti: lui era il principe di quei dannati guerrieri.


«Troverò un modo per farle funzionare. E adesso levati di torno se non vuoi che ti attacchi.»


Il saiyan più giovane fece per oltrepassare il più anziano, ma quest’ultimo lo trattenne per un braccio.


«Non fare cavolate, Vegeta. Potrebbe non andarti così bene stavolta


Il principe ebbe un sussulto.
Era la prima volta in assoluta che Bardack faceva un riferimento esplicito al fatto che Vegeta, in passato, avesse compiuto una grande sciocchezza. Egli sapeva bene a cosa si riferisse il generale, ma non voleva di certo che quella dannata storia riaffiorasse proprio in quel momento.
In fondo, la morte di Re Vegeta non era stata poi così dannosa per il popolo saiyan: il principe era molto più forte, autorevole e intelligente di suo padre. Da quando aveva preso lui le redini del regno, i saiyan erano diventati ancora più temibili e potenti ed erano riusciti a sottomettere popolazioni che prima avevano doto loro del filo da torcere.
Ucciderlo non era stato un male.
No.
No,
accidenti.
Eppure, chissà perché, le parole di Bardack
avevano comunque smosso la sua sporchissima coscienza.


«Va’ al diavolo.»


Il principe liberò la presa e proseguì verso l’elicottero con cui era giunto fin lì.


«Muoviti, Bulma. Dobbiamo andare a recuperare le sfere del drago


La scienziata rimase in silenzio, alternando il suo sguardo prima su quello sbigottito della madre e poi su quello nervoso e preoccupato di Bardack.
Ma che diavolo stava succedendo?
Kakaroth aveva davvero voltato le spalle al suo principe e a suo padre?
Quando quel giovane guerriero, presentatosi a tutti sotto le mentite di spoglie di Son Goku, aveva fatto il suo ingresso trionfale nella fiabesca sala da pranzo del castello di Furipan, Bulma non ebbe il benché minimo dubbio che quel ragazzo fosse una persona per bene.
Si era sbagliata, ovviamente; ma Kakaroth era riuscito a ingannare tutti, o quasi, dimostrandosi perfettamente a proprio agio tra i terrestri. Era cresciuto su quel pianeta, dopotutto. Da quel che aveva avuto modo di appurare, quel giovane non aveva mai vissuto sul pianeta dei saiyan e questo, in un certo senso, poteva aver costituito un limite nella sua ortodossa formazione.
Anzi, doveva.
Kakaroth, oltre che i suoi commensali, aveva ingannato anche sé stesso: lui non sentiva affatto il senso di appartenenza al suo popolo o, per lo meno, non lo percepiva in maniera tanto forte come invece era per Bardack.
La forza interiore, la sfrontatezza e l’indubbia caparbietà di Chichi lo avevano messo in crisi, convincendolo, a quanto pareva, a rivedere i propri interessi e le proprie priorità.
E anche a nascondere al principe le sfere del drago.
Con quali intenzioni, poi?
Voleva forse utilizzarle personalmente?
Possibile che, non riconoscendo del tutto l’autorità di Vegeta, volesse in qualche modo spodestarlo attraverso il potere misterioso di quei preziosi oggetti?
Se davvero fosse stato così, Bardack aveva ragione nel dire che l’autorità del principe era in pericolo.
Ma, in fondo, Vegeta lo aveva intuito già da molto tempo, pur non volendolo ammettere esplicitamente: non per niente, aveva convinto lei stessa a fabbricargli le potenti onde Bluetz.


Bulma trasse un profondo sospiro e fece per seguire il principe.
Guardò di sottecchi Bardack, scoprendo che il suo sguardo era ricambiato.


«Mi dispiace,» sussurrò rivolgendosi al generale, «purtroppo non sono nella posizione adatta da potermi opporre al suo volere.»


Bardack chiuse gli occhi in segno di resa e tornò a rivolgersi a Vegeta.


«Vengo con voi.»


«Che c’è? Speri forse di convincermi strada facendo a non ammazzare tuo figlio?»


«Esattamente. Tanto sei consapevole almeno quanto me che, eventualmente, faresti una sciocchezza.»


***


«Un radar… un radar in grado di localizzare le sfere del drago? Sei sicura di quello che dici?»


«Sicurissima, come è vero che mi chiamo Chichi.»


Kakaroth si sentiva come se gli fosse appena piombata sulla testa una tegola pesante qualche tonnellata.
Ora capiva tutto.
Finalmente era chiaro come mai il principe fosse apparentemente tanto disinteressato nei confronti suoi e di Chichi e come mai fingesse di non accorgersi dei loro movimenti inequivocabilmente sospetti.
Vegeta sapeva come entrare in possesso delle sfere bypassando totalmente lui, la principessa e quell’idiota del Supremo.
Ma come diavolo era saltato in mente a Bulma di collaborare con lui?
Possibile che fosse vigliacca a tal punto da mettere in pericolo il suo pianeta pur di accontentare il principe dei saiyan? Kakaroth si era fatto un’idea completamente diversa di lei: credeva che la scienziata fosse un tipo tosto, una donna con la testa sulle spalle, e che soprattutto avesse a cuore il destino dell’umanità.
Si era sbagliato, per l’ennesima volta.
Quella sciocca non aveva esitato minimamente ad accontentare tutti i capricci di Vegeta. Possibile che non si rendesse conto di quanto fosse pericoloso quell’uomo? Possibile che non sapesse che mettere tra le mani di Vegeta le sfere del drago avrebbe significato la fine dell’umanità, compresa la sua?
Non che a Kakaroth importasse qualcosa delle sorti dei terrestri, ma pensava quantomeno che almeno loro stessi ci tenessero alla pelle.
Bulma, con il suo gesto sconsiderato, aveva ampiamente dimostrato di non curarsene affatto.
Forse era convinta che Vegeta, alla fine, l’avrebbe risparmiata?
Probabile; in fondo, pensandoci bene, se quella donna era riuscita a costruire cotanti marchingegni, era più che probabile che il principe dei saiyan avrebbe continuato a usufruire delle sue potenzialità a prescindere dal destino che aveva in mente per gli altri esseri umani.
Peccato che la bravata di Bulma avesse messo in seri guai anche lui: Vegeta gliel’avrebbe fatta pagare, in un modo o nell’altro, dato che considerava le sfere del drago di sua legittima proprietà.
E lui, scioccamente, aveva contribuito a farle sparire.


«Sai dove si trova di preciso la dimora della scienziata?»


«No, mi dispiace.»


«Io sì.»


Yamcha, nonostante lo choc e le ferite subite per mano di Kakaroth, aveva comunque trovato la forza – e il coraggio – di intromettersi nella discussione tra Chichi e il suo protettore.
Non sapeva neanche lui perché l’avesse fatto: forse era semplicemente troppo sconvolto da ciò che la ragazza aveva appena detto da volerci a tutti i costi vedere chiaro.
Perché mai Bulma aveva messo al corrente Vegeta dell’esistenza di uno strumento del genere?
E perché, soprattutto, non aveva mai detto nulla a lui?
Egli non poteva credere che la sua donna avesse fatto tutto di sua spontanea volontà. Quel tipo doveva averla minacciata o ingannata.
Già; certo, se fosse stata vera la seconda ipotesi, quella sarebbe stata la prima volto in assoluto che qualcuno fosse riuscito a beffare la geniale Bulma Brief.
Impossibile.
Vegeta doveva averle estorto la verità a suon di minacce e di violenza.
Non poteva esserci altra spiegazione.
Proprio non poteva.


«Sei sicuro di quello che dici, terrestre?»


«Certo. Bulma è la mia fidanzata: so benissimo dove abita.»


Kakaroth lanciò uno sguardo minaccioso al suo interlocutore, poi si voltò verso Tensinhan.
Il tipo che aveva ingannato terrestri e saiyan era immobile, in un angolo, a fissare la scena incredulo.


«A quanto pare,» gli disse Kakaroth, «il principe è riuscito a fregarti. Se avrò la fortuna di uscire vivo da questo guaio, ti farò fuori.»


Tensinhan non rispose.
Replicare a una simile minaccia sarebbe stato inutile.
Ormai era fottuto: nessuno avrebbe potuto salvarlo.


«Goku, non sarebbe meglio andare a recuperare le sfere piuttosto che raggiungere la casa di Bulma? Tanto il principe starà sicuramente puntando verso il nascondiglio.»


«Infatti a casa di Bulma ci andrà il suo presunto fidanzato


Chichi e Yamcha si guardarono in faccia perplessi.


«Co… come, scusa?»


«Hai capito bene, Chichi: ci andrà lui. Magari c’è la remota possibilità che la scienziata sia ancora lì e che soprattutto nasconda qualche altro marchingegno utile.»


«Credi che Vegeta la lascerebbe a casa, dopo aver messo le mani sul radar?»


«Non lo posso escludere. E comunque, se anche lei non fosse lì, ci sarebbe suo padre. A quanto ho capito, è una specie di genio anche lui. Magari può disattivare il radar a distanza. Insomma, dobbiamo tentare ogni possibile via.»


Chichi cercò di regolarizzare il suo respiro e di mettere a fuoco tutta la situazione.
Il modus operandi di Goku era tipico di chi le stava tentando tutte perché non sapeva che pesci pigliare. Ella non era affatto convinta che mandare Yamcha alla celeberrima Capsule Corporation sarebbe servito a qualcosa; tuttavia era certa del fatto che meno persone avesse avuto il suo protettore tra i piedi e meglio sarebbe stato. Yamcha era già stato preso di mira ingiustamente una volta: la principessa non voleva che egli restasse coinvolto anche in un ipotetico scontro tra Goku e Vegeta.


«Va bene, ho capito. In effetti questa cosa ha un senso,» ribatté la giovane. «Yamcha, vola il più in fretta possibile e raggiungi la Capsule Corporation.»


«Io… Io...» balbettò il terrestre, «e va bene. Farò come dici. Anche se l’idea di essere di aiuto a Kakaroth non mi alletta per niente.»


Lo sguardo inviperito che ricevette dalla principessa in quel momento fu inequivocabile: non era certo quella l’occasione adatta per mettersi a fare l’eroe. Ne aveva già prese abbastanza, in fondo. Perché indispettire ancora di più quel pazzo del protettore?


«D’accordo. Non dire niente. Vado da Bulma.»


Prima di alzarsi in volo e lasciare definitivamente l’isola di Muten, Yamcha guardò per l’ultima volta Tensinhan. Quel vile aveva approfittato della sua fiducia e della sua ingenuità per raggiungere i propri scopi. Che diavolo di intenzioni aveva, oltretutto? Che cosa sperava di fare con le sfere del drago? Il guerriero sapeva benissimo che, se Tensinhan fosse sopravvissuto a tutti quei dannati eventi, la prima cosa che avrebbe fatto sarebbe stata vedersela con lui.
Yamcha decollò il più velocemente possibile.
Non voleva rimanere in quel posto un secondo di più.


«Bene, Tensinhan o come diavolo ti chiami, dove accidenti hai nascosto le sfere?»


L’allievo di Condor alzò gli occhi verso il saiyan, che nel frattempo gli si era minacciosamente avvicinato. Egli sentiva attorno alla vita la stretta sempre più forte del piccolo Jaozi, evidentemente spaventato a morte.
Tensinhan era consapevole del fatto che Kakaroth gliel’avrebbe fatta pagare cara.
Gliel’aveva anche detto esplicitamente.
In quel momento, però, doveva scegliere il male minore: meglio consegnare le sfere del drago alla principessa e al suo protettore piuttosto che rischiare che queste ultime finissero in mano a Vegeta.


«Le sfere sono a Furipan. Le ho nascoste nella stanza dell’albergo in cui ho alloggiato durante il torneo di arti marziali.»


«Benissimo, seguimi fino laggiù.»


«D’accordo, Kakaroth; ma ti chiedo il favore di permettere al mio amico Jaozi di rimanere qui. Lui non c’entra niente in tutta questa storia.»


Il saiyan rivolse uno sguardo veloce e fuggevole verso il piccoletto avvinghiato attorno a Tensinhan. Quel nanerottolo, apparentemente innocuo, nascondeva dei potenti poteri psichici. Kakaroth lo sapeva benissimo, dato che aveva avuto modo di assistere ai suoi incontri durante il torneo e aveva notato, forse più di chiunque altro, il potenziale di quello strano terrestre.
Certo, in quel momento pareva proprio che Jaozi fosse davvero terrorizzato.
Magari in quelle condizioni non avrebbe nemmeno potuto usare i suoi misteriosi poteri.
Certo era che, qualora ci fosse riuscito, quella sarebbe potuta essere un’arma in più contro Vegeta – perché, ne era certo, il principe lo avrebbe attaccato.


«No, il tuo amichetto viene con noi.»


Kakaroth, infine, si rivolse alla principessa.


«Ovviamente, vale lo stesso per te. Salta sulla tua nuvola e seguimi.»


***


Giumaho non riusciva a capire dove accidenti volesse andare a parare Condor.
Che cosa c’entrava la scomparsa della Luna con la morte del suo amico Son Gohan?
Quel farabutto stava farneticando.
O voleva confonderlo.
D’accordo, da quando i malvagi erano giunti sulla Terra, lui aveva perso parecchi passaggi. Non poteva incolpare nessuno di ciò – neppure Condor – poiché di fatto egli aveva deciso autonomamente di isolarsi nella sua stanza. Questo però non significava certo che il suo vecchio rivale potesse permettersi il lusso di prenderlo in giro.


«Condor, non arrampicarti sugli specchi. Volevi rubare i progetti di Bulma, punto.»


«Per farmene cosa, secondo te? Se sono venuto qui è stato solo per vederci chiaro in tutta questa storia. Non ti rendi conto che ci sono delle coincidenze inquietanti? E poi,che fine ha fatto la scienziata? Come mai non è qui?»


«Questo… Questo non lo so, ma...»


«Appunto.»


Condor era colmo di rabbia.
Diversi anni prima, seppur a malincuore, era stato costretto a frequentare Giumaho. Da storico rivale del grande maestro Muten, egli aveva avuto modo di conoscere, affrontare e inimicarsi anche lo stregone del Toro e l’ormai misteriosamente defunto Son Gohan. Sebbene non nutrisse alcuna simpatia per quei due guerrieri, aveva sempre dovuto ammettere con sé stesso quanto fossero in gamba.
La morte di Son Gohan lo aveva lasciato al quanto perplesso, sebbene, prima di conoscere i saiyan, egli non si era minimamente preoccupato di come fosse avvenuta.
Errore gravissimo.
Giumaho, invece, si stava rivelando un’autentica delusione: che cosa era successo a quel giovane forte e coraggioso di tanti anni fa? Come mai un uomo come lui non riusciva a trovare il coraggio di guardare in faccia la realtà?
Era assolutamente evidente che i saiyan fossero coinvolti in tutto ciò.
Se era vero che Son Gohan aveva fatto da maestro a Kakaroth, era molto probabile che fosse stato proprio quest’ultimo a ucciderlo.
Non ci voleva di certo un genio per arrivare a una simile conclusione.
Condor, per la verità, ancora faticava a capire quale fosse il nesso tra Kakaroth, la morte del suo maestro e la scomparsa della Luna, ma se con l’arrivo dei Saiyan la geniale Bulma Brief aveva ripreso in mano gli studi di suo padre sul satellite naturale della Terra, un collegamento doveva pur esserci.


Lo sbattere violento e improvviso della porta del laboratorio distrasse Condor dai suoi discorsi e dalle sue elucubrazioni.
Sia lui che Giumaho si voltarono di scatto, scorgendo davanti a sé la figura irata e minacciosa di Napa e quelle meste e preoccupate di Crilin e Mamanu.
Mamanu, per la verità, sembrava anche mortificata.


«Ma che diavolo...»


Le parole di Condor gli morirono in gola quando Napa sbatté un pugno contro il tavolo che aveva di fronte, distruggendolo con un solo colpo.


«Ho sorpreso questi due sciocchi nella stanza del generale Bardack e si rifiutano di dirmi che accidenti ci facevano lì dentro. Ma, a quanto pare, le sorprese non sono finite. Come mai voi due vi trovate nel laboratorio della scienziata? E dove sono lei e il principe?»


Napa era su tutte le furie.
Aveva costretto i due terrestri a seguirlo fin lì convinto di poterli consegnare direttamente nelle mani di Vegeta. Invece, del suo sovrano non c’era alcuna traccia.
Stava succedendo qualcosa di grosso, accidenti; qualcosa che il suo principe gli aveva volutamente tenuto nascosto.
Perché?
Che cosa aveva fatto di sbagliato da giocarsi in quel modo la fiducia di Vegeta?


«Rispondete, accidenti!»


«Non lo sappiamo!» rispose Condor a gran voce. «Non abbiamo la più pallida idea di dove siano finiti quel megalomane e la sua scienziata pazza.»


«Che cosa ci fate qui, allora?»


«Ah, per quel che mi riguarda, sono venuto a indagare, dato che ci sono parecchie cose che non mi tornano nel comportamento di Vegeta e di Kakaroth. Giumaho credo si sia semplicemente svegliato da poco dal suo lungo sonno e si sia imbattuto casualmente nel laboratorio.»


Napa esplose di rabbia di fronte alla sfrontatezza con cui il terrestre gli si era rivolto.
Ma con chi diavolo credeva di avere a che fare quell’idiota? Non sapeva, forse, di essere al cospetto del guerriero più potente dopo Vegeta?
Il saiyan afferrò Condor per il collo riducendo a qualche millimetro la distanza tra le loro facce.


«Vedi di fare poco lo spiritoso, terrestre. Se credi che io stia giocando, ti stai sbagliando.»


«Faccio sul serio anch’io, che cosa credi? Non intendo certo lasciare a voi saiyan il controllo totale del mio pianeta. Punto a diventarne il sovrano, se proprio ci tieni a saperlo; ma temo che il tuo adorato principe, anche a tua insaputa, stia pensando bene di distruggerlo… O qualcosa del genere.»


Napa si sentì punto sull’orgoglio.


«Io non sono all’insaputa di niente! È logico che Vegeta voglia distruggere questo stupido pianeta: che cosa dovrebbe farsene di questo ammasso di roccia e degli stupidi esseri che ci vivono sopra?»


Lo sguardo del saiyan, però, in quel momento cadde sui carteggi che il vecchio stringeva tra le mani.


«Che accidenti è quella roba?»


«Appunti della scienziata.»


«Come ti sei permesso di prenderli? Non sai che tutto ciò a cui sta lavorando quella donna è di interesse del mio sovrano?»


«Certo, proprio per questo li ho presi.»


Il guerriero fece una smorfia stizzita e glieli strappò dalle mani.
Dannato terrestre! Ma come gli era saltato in mente di mettersi contro il grande Napa? Lo avrebbe ammazzato, senza ombra di dubbio. Avrebbe ammazzato lui e tutti i terrestri che si trovavano in quella stanza.
Certo; ma non in quel momento.
Il saiyan d’élite sfogliò con una certa leggerezza iniziale i carteggi che aveva sottratto a Condor e, sebbene non ci capisse un granché di scienza, quegli strani calcoli avevano attirato la sua attenzione, a tal punto da mollare definitivamente la presa sul terrestre.
Nella stanza calò un silenzio inquietante, avallato in primis dallo stesso Napa.
Crilin si avvicinò di soppiatto a Giumaho, cercando di capire cosa stesse succedendo, ma lo stregone del Toro non sembrava avere occhi che per Mamanu, sebbene non fosse assolutamente ricambiato.
Condor, invece, continuava a fissare il colosso che poco prima lo aveva minacciato e lo sguardo che quest’ultimo aveva non gli piaceva per niente.


«Allora? Hai perso la lingua, saiyan?»


Napa, dal canto suo, non si preoccupò minimamente di rispondere al terrestre, continuando a guardare esterrefatto quei dannati appunti.
Ma che accidenti aveva in mente di fare Vegeta?
E, soprattutto, come era possibile che una semplice terrestre fosse riuscita a identificare e a studiare le onde Bluetz?


CONTINUA


Angolo dell’autrice

Ciao a tutti!
Eccomi qui con il nuovo aggiornamento, arrivato, come preannunciato, in tempi relativamente brevi. Mi fa molto piacere che, nonostante la mia lunga assenza, la storia continui ad avere un certo seguito: questo mi dà lo stimolo per portarla avanti e per farlo nel modo migliore.
In questo capitolo sono venuti a galla tanti segreti e gli animi dei nostri protagonisti iniziano a essere parecchio turbati.
I dubbi stanno assalendo un po’ tutti.
Come ho sempre detto fin dall’inizio, non voglio che i miei personaggi risultino piatti, né che i saiyan in particolare siano ridotti soltanto ad assassini, stupratori e vili. Tutti, e dico tutti, hanno dentro di sé quel minimo di umanità che di tanto in tanto li fa dubitare della propria forza e delle proprie idee. Allo stesso modo, una perfidia più o meno accentuata può albergare nel cuore di chiunque, anche dei terrestri. Il comportamento di Condor ne è un chiaro esempio, anche se il suo atteggiamento può far aprire gli occhi a Giumaho, Crilin, Mamanu e Napa sull’intenzione di Vegeta di utilizzare le onde Bluetz.
A proposito di Vegeta, pare proprio che il nosro bel principe voglia convolare a nozze...
Detto questo, spero che nei prossimi aggiornamenti riuscirò a dare un po’ di spazio a Goku e a Chichi – da soli! – e a dare una spinta in più alla loro relazione.
Grazie di nuovo a tutti!


9dolina0

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Capitolo 20
*** Reagire ***


Strategie

Capitolo XX – Reagire


A Furipan.
Le sfere del drago non si erano mai spostate da lì.
O forse sì; ma, in ogni caso, chiunque le avesse fatte sparire aveva poi pensato bene di riportarle nel regno di Chichi.
A Bulma venne un brivido di stizza quando, insieme al principe Vegeta e al generale Bardack, ella entrò di prepotenza nell’albergo in cui aveva alloggiato prima dell’inizio del torneo. Le venne in mente Yamcha e una delle ultime chiacchierate che avevano fatto insieme.
Che cosa accidenti si erano detti?
La scienziata, per la verità, faticava a ricordare nei dettagli quella conversazione, ma sapeva benissimo che comunque era finita male.
Come sempre, del resto.
Questo, però, non giustificava affatto il suo tradimento, né il modo in cui lo aveva ignorato negli ultimi tempi. Dire a sé stessa che non aveva avuto altra scelta era piuttosto ipocrita: va bene, si era ritrovata ad essere la scienziata personale del sovrano dei saiyan, ma sapeva di essere in gamba a tal punto da potersi mettere in contatto con il suo fidanzato qualora lo avesse voluto.
A Crilin era riuscita a inviare quel fottuto messaggio.
Certo, probabilmente nemmeno era arrivato a destinazione visto che del suo amico non c’era traccia in giro, ma per lo meno ci aveva provato.
Con Yamcha no, neanche quello.
Bulma si sentiva una merda. Il suo compagno – se ancora avesse potuto definirsi tale – aveva parecchi difetti e per una come lei era decisamente troppo infantile.
Troppo.
Ciò non toglieva però che fosse una brava persona e che, soprattutto, sul conto di Kakaroth ci avesse visto giusto. Lei era stata la prima a screditare la sua ipotesi senza nemmeno provare a indagare
su chi fosse realmente il misterioso protettore. Si era lasciata ingannare come una pivellina qualunque ed era finita tra le grinfie dei malvagi e, soprattutto, del loro principe.
Già,
Vegeta.
Il tipo che in quel preciso istante stava camminando a passo fiero tra i corridoi di quel dannato albergo
l’aveva costretta a lavorare su progetti quasi impossibili e, alla fine, l’aveva anche fatta sua.
E lei era caduta tra le sue braccia senza nemmeno tentare di opporre la benché minima resistenza.
Dare la colpa al fatto che non avrebbe potuto fare nulla per allontanarlo da sé era una sciocca bugia, che avrebbe potuto raccontare agli altri solo per lavarsi la coscienza: la verità era che a lei il principe piaceva da morire e che con lui aveva fatto il miglior sesso della sua vita.
Peccato che quell’uomo fosse anche uno sporco assassino e che mirasse a spazzare via dalla Terra la razza umana.
Cosa farsene altrimenti delle onde Bluetz?
Tra l’altro, Bulma non aveva avuto ancora modo di capire quale collegamento ci fosse esattamente tra queste ultime e la coda dei saiyan.

Distratta dai suoi pensieri, la scienziata andò a sbattere contro la schiena di Bardack.

«Scu… scusami.»

Il saiyan non si degnò nemmeno di voltarsi a guardarla.
Erano giunti a destinazione: quella era la stanza in cui il radar aveva segnalato la presenza delle sfere del drago.
Vegeta buttò giù la porta con un colpo energetico e si precipitò all’interno della camera.
I preziosi oggetti che cercava erano lì in bella vista.

«Ah, lo sciocco che le ha nascoste qui non si è nemmeno preoccupato di nasconderle un po’ meglio. Il tipo doveva avere parecchia fiducia in sé stesso.»

Bardack non commentò.
Egli non aveva voluto rivelare al principe il nome del ladro.
Non che a quel punto della vicenda la questione avesse molta importanza, ma non aveva alcuna intenzione di raccontare
come ne fosse venuto a conoscenza e soprattutto chi glielo avesse detto.
Se lo avesse fatto, Mamanu sarebbe finita nei guai insieme a lui e a Kakaroth.
Per la verità, al generale ancora non era molto chiaro come mai la sua amante sapesse di Tensinhan e del suo furto – anche se immaginava che fosse stato lui stesso a rivelarglielo – ma il fatto che avesse taciuto per chissà quanto tempo avrebbe sicuramente fatto irritare il già parecchio suscettibile sovrano.
E poi, sebbene egli faticasse ad ammetterlo persino con sé stesso, non voleva assolutamente che a Mamanu succedesse qualcosa. Era stato lui il primo a rimanerci male per il silenzio ostentato dalla donna nonostante le sue pressanti richieste di chiarimento, e il fatto che ella si fosse decisa a parlare solamente perché sorpresa da Chichi nella sua stanza gli dava oltremodo noia.
Eppure, Mamanu stava diventando per lui molto importante.
Anche troppo importante.
Era la prima volta, dopo la morte della madre dei suoi figli, che Bardack intratteneva una relazione più lunga di un paio di giorni con la stessa donna,
e il fatto che quest’ultima dimostrasse nei suoi confronti un sentimento diverso dal solo timore referenziale gli faceva in un certo senso piacere.
Il suddito più potente di Vegeta non aveva mai pensato prima di allora a quanto avesse bisogno di una compagna. Non ci aveva mai pensato perché non era mai incappato in qualcuna che meritasse quel tipo di attenzioni.
Anche se Mamanu si era dimostrata per certi versi una donna remissiva e arrendevole, egli aveva scorto in lei un’enorme forza interiore ed era assolutamente convinto che se ella si fosse liberata dello scomodo ruolo di moglie di Giumaho – e quindi di tutrice di Furipan – avrebbe potuto tirare fuori tutte le buone qualità che nascondeva.
Prima tra tutte, quella di riuscire ad accaparrarsi la fiducia di chiunque.
E poi, quella di saper controllare le masse.
Chiunque avesse consigliato a quel vile di Giumaho di prenderla in sposa ci aveva visto giusto, peccato che non avesse suggerito al sovrano di prendersene cura in maniera adeguata.
Fin dalla prima volta in cui aveva stretto Mamanu tra le braccia, Bardack aveva colto il profondo bisogno di affetto che quella donna covava dentro di sé e che non aveva mai avuto il coraggio di reclamare al marito. Ella, pur comprendendo benissimo il ruolo e la pericolosità di Bardack, aveva fatto l’amore con lui senza remore, regalando al saiyan tutta la passione e la dolcezza di cui era capace. Mai una donna si era rapportata a lui in un modo che altri saiyan avrebbero definito sfacciato: il prorompente fascino e l’indubbia prestanza di Bardack non erano mai bastati a far sì che una creatura del gentil sesso si lasciasse andare a lui completamente. Il timore reverenziale che egli incuteva e l’implicita minaccia di morte che si celava dietro a ogni atto sessuale avevano frenato praticamente tutte le sue partner, sebbene queste ultime fossero quasi tutte molto più forti di Mamanu.
Eppure, non sembrava affatto che per lei la debolezza fisica fosse un difetto: piuttosto, ella aveva imparato a usarla come tacita scusa per richiedere implicitamente la protezione del generale.
Perché era quello che la donna cercava ogni volta che finiva a letto con Bardack: voleva sentirsi protetta, al sicuro, immune dai rischi e dalle pressioni che il suo ruolo non voluto di matrigna di Chichi le recava ormai da anni.
La faccenda delle sfere del drago era soltanto l’ultima piaga che le si era scagliata addosso per colpa della principessa. E, oltretutto, quell’imbecille di suo figlio aveva provveduto a metterci un bel carico da novanta.

«Bardack, metti qui dentro le sfere e andiamocene.»

Il principe lanciò al generale un sacco che aveva trovato rovistando a terra, poi si voltò a dare un’occhiata alla stanza.
Non sapeva chi accidenti avesse alloggiato lì dentro ultimamente, ma di sicuro, chiunque egli fosse, era stato lì solo di passaggio. Non pareva, infatti, che qualcuno avesse giaciuto su quel letto.
La cosa, in realtà, non aveva molta importanza dato che ormai, in ogni caso, i preziosi oggetti che aveva tanto bramato erano nelle sue mani; tuttavia, egli non poteva fare a meno di riflettere su quanto quei dannati esseri umani fossero scaltri.
Li aveva sottovalutati: il ladro era riuscito a sottrargli le sfere del drago da sotto il naso nascondendole praticamente a due passi dal castello di Furipan.
Gran bella beffa.
E per ritrovarle, oltretutto, era dovuto volare fino alla Città dell’Ovest e recuperare un dannato radar.

«Ho eseguito l’ordine, Vegeta.»

«Perfetto. Andiamocene. Non ho voglia per ora di incrociare Kakaroth.»

Bardack accennò a una smorfia di sufficienza.
Già, come se a Vegeta importasse davvero qualcosa di rinviare l’incontro con il suddito che gli aveva messo i bastoni tra le ruote. Evidentemente, il principe non aveva ancora ideato una strategia. Come accidenti avrebbe potuto, infatti, convincere Chichi a farsi rivelare il segreto delle sfere del drago?
Durante il silenziosissimo viaggio in elicottero che aveva riportato i due saiyan e la scienziata a Furipan, il potente sovrano doveva aver riflettuto parecchio su quanto Bardack gli aveva detto alla Capsule Corporation: tentare di far fuori Kakaroth sarebbe stata una mossa controproducente, soprattutto alla luce del fatto che se c’era qualcuno che av
rebbe avuto qualche speranza di farsi dire dalla principessa come funzionassero quei dannati oggetti, quello era proprio il figlio del generale.
Magari, Vegeta stava pensando di tendere ai due giovani un’imboscata mettendoli in qualche modo alle strette.
In ogni caso, egli era riuscito comunque a guadagnare un po’ di tempo e avrebbe dovuto sfruttarlo al meglio per impedire a suo figlio di fare una brutta fine.
Ah, se invece di quell’idiota di Napa, Vegeta avesse portato sulla Terra Radish, forse Bardack avrebbe avuto qualche possibilità in più. Però, chissà… Magari avrebbe potuto convocarlo comunque lui stesso e sperare che arrivasse prima dell’inevitabile scontro tra il principe e il protettore.


***


Muten, nascosto in una delle camere situate nello stesso piano di quella in cui si erano precipitati Vegeta, Bardack e Bulma, aveva assistito a tutta la scena.
Tutta.
Chichi e Goku avevano definitivamente perso il controllo delle
sfere del drago e lui non aveva potuto fare niente per impedirlo.
Non restava altro da fare che sperare che il principe le portasse al castello e decidesse di nasconderle lì da qualche parte, ma, ovviamente, egli non era sciocco a tal punto da credere che Vegeta fosse tanto sprovveduto.
Doveva avvertire qualcuno.
Già, ma chi?


***


Napa si era letteralmente fossilizzato davanti ai fogli che aveva sottratto a Condor, dimenticandosi quasi di non essere solo.
Crilin non aveva la più pallida idea di quale fosse il contenuto di quelle carte ma, a giudicare dall’espressione del colosso, doveva essere qualcosa di estremamente importante.
Il giovane guerriero si ritrovò per un istante ad apprezzare il silenzio tombale calato in quel laboratorio tecnologico di fortuna: era stanco, avvilito e decisamente preoccupato per ciò che stava succedendo lì fuori da qualche parte, però sentiva che il proprio corpo e la propria mente avevano urgentemente bisogno di staccare la spina. Quella situazione era insopportabile persino per uno come lui, che aveva sempre fatto del coraggio e della perseveranza le sue doti maggiori. Da quando i saiyan erano entrati nella sua vita, l’allievo più promettente di Muten Roshi aveva seriamente iniziato a dubitare delle proprie capacità, sia di guerriero che di amico.
Aveva lasciato Chichi in balia di un presunto protettore che non ci aveva pensato due volte a darle le spalle e ad allearsi con il popolo che lo aveva spedito sulla Terra quando ancora era un ragazzino; non aveva messo in guardia la principessa sul rischio di passare troppo tempo da sola con Kakaroth; aveva taciuto quando li aveva sorpresi a baciarsi nella palestra; aveva ignorato le richieste di aiuto più o meno esplicite da parte di Bulma, vittima, se possibile, di un aguzzino ben più spietato e temibile; aveva abbandonato la scienziata al suo destino lasciandola nelle grinfie di Vegeta.
Ah, certo, aveva anche tentato di impedire che Chichi venisse a sapere della relazione tra la sua matrigna e il generale Bardack; ma anche in quel caso il suo buon proposito si era concretizzato in un mero buco nell’acqua.
Che cosa ci facessero, poi, Condor e Giumaho nel laboratorio di Bulma, nemmeno osava chiederlo: per quel che lo riguardava, aveva già abbastanza grattacapi.
E sensi di colpa.

«Ehi, nanerottolo!»

La testa di Crilin scattò come in un gesto automatico.
Il saiyan che lo aveva appena chiamato aveva un volto indecifrabile, a metà tra il preoccupato e l’inviperito.

«Che cosa vuoi?»

«Tu non sei forse la cavia di tutti gli esperimenti della scienziata?»

Un cipiglio di angoscia si disegnò sul viso già contratto del terrestre.

«Sì, e allora?»

«Come mai la tua amica ha fatto degli studi sulle onde Bluetz

Crilin prese a fissare Napa con perplessità.

«Non ho la più pallida idea di che cosa siano queste onde Bluetz, mi dispiace.»

Il saiyan si avvicinò al ragazzo con fare minaccioso e lo sollevò per il collo.

«Non cercare di fare il furbo con me.»

«Sto dicendo la verità, accidenti. So che Bulma stava lavorando a un progetto molto importante, ma su esplicita richiesta del tuo principe, io dovevo starne fuori. Più di questo, non so che dirti.»

Napa mollò la presa e lasciò cadere a terra Crilin.

«Al diavolo. Voi terrestri siete completamente inutili.»

Il guerriero d’élite era molto preoccupato.
Quella involontaria scoperta non faceva che mettere ulteriore luce sul fatto che a corte ci fossero dei grossi problemi e, soprattutto, sul fatto che Vegeta avesse voluto lasciarlo fuori. Le onde Bluetz non erano cosa da poco: i saiyan scatenavano tutta la loro potenza repressa quando la Luna piena brillava nel cielo ed erano capaci di fare danni anche irreversibili al pianeta su cui si trovavano.
Era per questo che a molti neonati di terza classe la coda veniva recisa: non tutti i siayan, infatti, erano in grado di controllare l’
Oozaru. Certo, Vegeta ovviamente non faceva testo dato che apparteneva una categoria di guerrieri decisamente superiore; ma il fatto che il principe avesse in mente di risvegliare il suo potere oscuro voleva dire che, per qualche assurdo motivo, si sentiva minacciato da qualcosa.
O da
qualcuno.
Che fosse Bardack a preoccuparlo tanto?
Forse; ma il guerriero d’élite non capiva come mai il principe dovesse temere il suo generale.
Sebbene quel tipo non fosse mai stato simpatico a Napa, egli non poteva certo negare la sua fedeltà nei confronti di Vegeta. Da quel punto di vista, era assolutamente affidabile.
Possibile che quel pazzo volesse davvero ripudiare il suo sovrano?
Al guerriero pareva praticamente impossibile.
No; doveva esserci un’altra spiegazione.
Probabilmente non era lui l’avversario da battere.
Già; ma allora chi accidenti poteva essere?
A parte lui e Bardack, nessun altro saiyan poteva aspirare ad avere un livello di combattimento lontanamente simile a quello del principe, ed era fuori discussione che quest’ultimo intendesse trasformarsi in Oozaru per uccidere proprio Napa.
Il fatto, poi, che avesse sorpreso i due terrestri nella stanza del generale doveva essere collegato in qualche modo a tutta quell’oscura faccenda.
Doveva, accidenti.
Altrimenti proprio non riusciva a capire cosa diavolo stesse succedendo.

Fu in quel momento che il suo rilevatore captò l’aura di Bardack.
Finalmente, quello smidollato si era deciso a rientrare nel castello.
Da solo, però.
Di tutti gli altri continuava a non esserci traccia.

Napa si diresse verso l’uscita del laboratorio, spalancò la porta e corse via più in fretta che poteva, ignorando completamente i terrestri rimasti lì dentro.
Tanto – ne era certo – quei quattro babbei non sarebbero stati così sciocchi da tentare la fuga e, se anche lo avessero fatto, lui aveva cose ben più urgenti di cui occuparsi.


***


«Siamo arrivati tardi, accidenti.»

Kakaroth sfondò con un pugno una delle pareti di quella stramaledetta stanza, ignorando completamente il moto di stizza di Chichi.
Vegeta era arrivato prima di loro e aveva già fatto sparire le sfere del drago.

«Sei assolutamente certo di averle nascoste qui dentro?»

«Sì, sicurissimo.»

«Questa non ci voleva.»

Il breve scambio di battute fra Tensinhan e Kakaroth aveva messo Jaozi ancora più in agitazione di quanto non fosse.
In quel momento, sebbene egli fosse ingenuo quanto un bambino, sentiva di aver commesso un’enorme sciocchezza nell’aver assecondato il suo maestro quando gli aveva chiesto di partecipare a quello strano torneo di arti marziali.
Perché lo aveva fatto?
Che cosa importava a lui dei piani di conquista di Condor?
Era stato divertente schierarsi con lui nelle forze del male, ma il trovarsi i fronte creature molto più pericolose di lui gli aveva fatto aprire gli occhi sull’inutilità di comportarsi come un teppista. E a lui, tutto sommato, il ruolo di brava persona piaceva abbastanza. Da quando i malvagi erano giunti sulla Terra, nessuno si era più preoccupato delle minacce di Condor e dei suoi allievi, e il piccolo Jaozi aveva potuto sperimentare il ruolo di “neutrale”.
Tutto sommato, gli si addiceva abbastanza.
Più passava il tempo e più si convinceva del fatto che Muten sarebbe stato un maestro migliore e che anche Tensinhan avrebbe potuto apprezzare molto di più la tranquillità della vita se avesse voltato le spalle al vecchio che li aveva incastrati in quella brutta storia.

«A questo punto, non ci rimane altro da fare che cercare Vegeta,» proferì l’unico saiyan presente, tentando di nascondere il più possibile la rabbia.

«Ma insomma, si può sapere che cosa sta succedendo?»

L’intrusione improvvisa e inaspettata di Muten colse di sorpresa tutti i presenti.
L’anziano maestro non si era mosso dall’albergo da quando aveva visto Vegeta, Bardack e Bulma rubare le sfere del drago. Non aveva potuto far niente per impedire loro di compiere quel gesto, ma il fatto di essere completamente impotente lo aveva reso parecchio nervoso.
Possibile che ormai fosse ridotto al solo ruolo di spettatore passivo in tutta quell’assurda vicenda? Possibile che proprio non potesse in alcun modo tentare di mettere i bastoni tra le ruote a quei vili che stavano usurpando Furipan e tutta la Terra?
L’arrivo di Chichi gli aveva ridato in un certo qual modo una lieve speranza.
La principessa, evidentemente, sapeva che le sfere del drago erano lì e aveva tutta l’intenzione di andarsele a riprendere.
Peccato che non fosse sola e che fosse arrivata troppo tardi.
Come mai Kakaroth, Tensinhan e Jaozi erano con lei?
Che il giovane falso protettore avesse deciso di schierarsi contro il suo legittimo sovrano e contro suo padre?
La faccenda puzzava, e anche parecchio, e lui, sebbene ormai vecchio e debole rispetto ai giovani guerrieri in circolazione, aveva comunque il dovere morale di vederci chiaro.
E di fare un tentativo per risolvere il problema.

«Ah, Muten! Siamo nei guai fino al collo. Abbiamo perso le sfere del drago… anzi, ce le hanno rubate.»

Chichi era quasi in lacrime.
Stava facendo uno sforzo madornale per trattenerle e Muten non capiva davvero come mai una ragazza tanto forte stesse subendo in quel momento una tale pressione. D’accordo, gli oggetti che aveva il sacro compito di custodire erano scoparsi, ma ciò non significava affatto che chi le aveva rubate avesse la possibilità di utilizzarle.

«Lo so, ho assistito a tutta la scena. Ma non è il caso di farsi prendere dal panico, Chichi: tu sei l’unica a conoscerne il segreto e senza di te le sfere sono solo delle inutili palle di vetro. Asciugati le lacrime e siediti un attimo. Hai bisogno di ritrovare il controllo di te.»

Chichi non ribatté. Trasse un enorme respiro e, sebbene a malincuore, accettò la proposta di Muten di ristorarsi un attimo. Era stanca, provata e indebolita dagli enormi sforzi fisici e mentali compiuti durante quell’assurda giornata.
Sapeva che stava tenendo un comportamento decisamente anomalo per una come lei, ma proprio non riusciva a essere forte pensando che Vegeta potesse scoprire il segreto delle sfere del drago e che quella sciocca di Mamanu avesse temporeggiato chissà quanti giorni prima di rivelare chi le avesse rubate.
Già, Mamanu. La bellissima, affascinante, dolcissima Mamanu.
La donna che aveva sposato il suo povero padre diversi anni prima e che aveva pensato bene di tradirlo con il padre di Goku. Se fino a quel momento Chichi pensava di non essere in grado di provare odio, le circostanze in cui era incappata dovettero farla ricredere.
Lei detestava la sua matrigna.
La detestava perché non l’aveva mai davvero aiutata nel suo delicato ruolo e aveva lasciato sulle sue giovani spalle incombenze che nessun adulto avrebbe accettato di sopportare; la odiava perché, mentre lei buttava sangue e sudore nell’arduo tentativo di apprendere come controllare le sfere del drago, Mamanu si accaparrava la benevolenza dei suoi sudditi facendo implicitamente passare la principessa per egoista; provava disgusto perché, non paga della bella vita che lo stregone del toro le aveva concesso, aveva pensato bene di pugnalarlo alle spalle buttandosi tra le braccia di Bardack.
E questo, più di ogni altra cosa, non glielo avrebbe mai perdonato.
Mai.

«Sai dove si siano diretti dopo aver preso le sfere?»

«No, Goku, mi dispiace.»

«Non chiamarmi così, accidenti!»

Muten non disse altro.
Avrebbe voluto fare un sacco di domande, ma capiva perfettamente che tutti i presenti avevano i nervi a fior di pelle. Doveva essere successo qualcosa di molto grave se la principessa era buttata su un letto quasi in lacrime e se Goku – o come diavolo si chiamava – stava faticando più del solito per trattenere la sua aura. Nemmeno il fatto che Bulma si trovasse con Bardack e Vegeta era normale.
Era chiaro che la scienziata si fosse cacciata, volutamente o meno, in un grosso guaio e che evidentemente non aveva avuto altra scelta che assecondare gli usurpatori.
Ma che diavolo poteva aver combinato?
E come faceva Vegeta a sapere che le sfere si trovassero lì?
Che fosse colpa di quello strano marchingegno che stringeva tra le mani?
Una cosa era certa: appena Chichi avesse ritrovato un po’ di contegno, lui le avrebbe fatto un interrogatorio degno di un detective privato.

«Chichi, dobbiamo andarcene. Non possiamo restare nei dintorni di Furipan.»

La principessa sollevò appena il capo dal cuscino e si asciugò l’unica lacrima che le era sfuggita.

«Che cosa vuoi dire, Kakaroth

«Che finché non elaboro un fottuto piano per scovare e affrontare Vegeta, non ha senso rimanere qui.»

«Già, tutto sommato hai ragione. E dove vorresti andare, sentiamo?»

«Chiama la tua nuvola e seguimi, senza fare domande.»

Tensinhan prese a guardare il saiyan con insistenza.
Era chiaro: il protettore non voleva che qualcun altro seguisse lui e la principessa.
Non si fidava, e aveva ragione.
Possibile però che già avesse dimenticato i suoi propositi di vendetta?
Possibile che non tentasse di ammazzarlo, dato che lui era il primo responsabile di quella situazione?
Evidentemente, Vegeta doveva essere per lui una grande minaccia.

«E noi? Che cosa dovremmo fare noi?» chiese Tensinhan con un tono che a Kakaroth doveva essere parso piuttosto arrogante.

«Per quel che mi riguarda, potete pure ammazzarvi.»


***


Quel dannato rilevatore non funzionava mai quando serviva.
Bardack aveva già perso diversi minuti nel tentativo di collegarsi con suo figlio, ma pareva proprio che quello stupido aggeggio avesse deciso di non collaborare.
Merda.
Il saiyan tentò per l’ennesima volta di scollegare e collegare qualche cavo, sperando di riuscire a ristabilire la funzionalità dell’apparecchio.

«Ah, finalmente!»

A Bardack capitava raramente di parlare da solo, ma quando si sentiva particolarmente sotto pressione, si lasciava sfuggire qualche imprecazione di troppo.
E in quel momento, accidenti, dire che era sotto pressione era un eufemismo.

Il rilevatore emise un paio di flebili segnali acustici prima che il tanto atteso interlocutore rispondesse.

«Ehi, papà...»

«Ascoltami bene, Radish, non ho molto tempo da perdere...»

In quel momento, il generale sentì spalancarsi la porta dietro di sé e scorse il viso dubbioso e furente di Napa.
Lo ignorò.
A quel pallone gonfiato avrebbe pensato in un altro momento.

«Prendi la prima navicella che trovi e raggiungici sulla Terra. Le coordinate esatte sono 21ӄӃӁҵҶ ҰүҰӀӍ44.»

«Ehi, tu,» si intromise Napa, «ma che diavolo stai combinando?»

«Non ora, accidenti!»

Bardack guardò il guerriero d’élite dritto negli occhi, assumendo lo sguardo più minaccioso che potesse lanciare.
Lo avrebbe attaccato.
Se quel ficcanaso avesse osato provare a interrompere quella chiamata, il generale non ci avrebbe pensato due volte a scagliare contro di lui uno dei suoi attacchi più potenti.
Il tempo di fare buon viso a cattivo gioco era finito e lui non poteva più permettersi di lasciare in mano ad altri il controllo di una situazione già disperata.
E, soprattutto, non avrebbe permesso al principe di commettere un’altra sciocchezza.
Questo dettaglio, probabilmente, Napa non lo avrebbe mai colto.

«Papà, ma che sta succedendo? Con chi stai parlando?»

«Lascia perdere. Muoviti a venire sulla Terra! È un ordine.»

La chiamata si interruppe bruscamente.
Radish era perplesso, molto perplesso.
Sospirò con fare rassegnato e si voltò verso la donna che lo attendeva già nuda sul letto.

«Mi dispiace, ma devo andare. A quanto pare è successo un casino.»


***


Da quando avevano messo piede nella dimora del Supremo, Chichi non aveva fatto altro che starsene buttata sul letto che Popo le aveva gentilmente preparato e poltrire in religioso silenzio.
Non aveva alcuna voglia di parlare, e non lo aveva fatto nemmeno dopo le non troppo velate richieste di spiegazione da parte di Goku.
Il saiyan aveva capito perfettamente che in lei c’era qualcosa che non andava, che per qualche strano motivo era davvero sconvolta; ma la principessa non aveva alcuna voglia di parlare, tanto meno con lui.
Se non altro, l’incombenza delle sfere del drago da recuperare lo aveva in qualche modo persuaso dal continuare a tormentarla. Aveva delle priorità in quel momento e, per fortuna della principessa, lei non ci rientrava affatto.
O, almeno, così credeva.

Il saiyan aveva messo subito al corrente il Supremo del furto da parte di Vegeta e aveva intimato alla divinità di non rivelargli, qualora si fosse presentato lì, il segreto delle sfere.
Kakaroth sapeva benissimo, infatti, che Chichi non era la sola a poterle attivare e che anche il loro creatore, ovviamente, avrebbe potuto utilizzarle e servirsene.
Per la verità, era assolutamente improbabile che Vegeta sapesse dell’esistenza del Supremo ma, in ogni caso, da quando quella sciocca scienziata si era messa a collaborare con lui, ci si sarebbe potuto aspettare di tutto dal potente principe dei saiyan.
Bulma, in fondo, era la fidanzata di Yamcha ed era dunque altamente probabile che il guerriero l’avesse informata circa l’esistenza sulla Terra di cotanta divinità superiore.
Se così fosse stato, probabilmente sarebbe stato lo stesso Vegeta e raggiungerli.
Chichi però pareva disinteressata a tutto.
Ormai si era quasi autoconvinta che non ci sarebbe stato più niente da fare per fermare il correre degli eventi e, tutto sommato, non aveva nemmeno chissà quanta voglia di lottare ancora.
Contro chi, poi?
O contro cosa?
Se non fosse stato Vegeta a esprimere il suo desiderio, lo avrebbe fatto Kakaroth e, in ogni caso, di sicuro non avrebbe chiesto la pace nel mondo.
Era fottuta.
E non aveva nemmeno un protettore degno di questo nome, visto che il grande Son Goku si era rivelato essere uno sporco impostore. Oltretutto, in quel momento, ella non avrebbe potuto fare affidamento su nessun altro oltre a lui.

«Gran bella merda.»

«Che c’è? Adesso parli anche da sola?»

Chichi non si era accorta dell’ingresso di Kakaroth nella stanza.
Per la verità, pensava che quel tipo l’avrebbe evitata come la peste vista la sua reticenza nell’intavolare una conversazione decente.
Era di pessimo umore e gli aveva già fatto capire chiaramente che non aveva alcuna intenzione di mettersi a parlare con lui di sfere del drago, furti, principi megalomani e padri voltagabbana.
Eppure, sembrava proprio che il saiyan non avesse intenzione di lasciarla in pace.
Si era persino chiuso la porta alle spalle, segno che, evidentemente, aveva intenzione di affrontare di nuovo con lei qualche discorso.
O, semplicemente, di passare la notte lì.
Ormai era tardi e il sole era calato da un pezzo, ma pareva proprio che fino a quel momento Chichi non ci avesse badato poi molto.
Continuava a pensare a quanto fosse stata sciocca e debole, a come aveva tradito la promessa fatta a suo padre di vegliare sulle sfere e al modo in cui Mamanu lo aveva tradito.
Già, quella brutta storia non riusciva proprio a digerirla.
Le sembrava un affronto troppo grande da poter anche solo prendere in considerazione l’idea di non prenderla a schiaffi la prossima volta che l’avrebbe incontrata. Perché, accidenti, prima o poi l’avrebbe rivista e allora le avrebbe scagliato addosso tutti gli insulti che la sua bocca avrebbe potuto lanciare.

«Lasciami stare, per favore.»

Kakaroth assottigliò lo sguardo e si avvicinò a lei, mettendosi a sedere al suo fianco sul letto.
No, non l’avrebbe lasciata stare.
Quella non era la Chichi che aveva conosciuto e che aveva imparato ad ammirare anche contro la sua volontà. Le era successo qualcosa, qualcosa che doveva essere legato in qualche modo alla scoperta su chi avesse rubato per primo le sfere del drago.

«Come facevi a sapere che era Tensinhan il colpevole?»

Ecco.
Quello era proprio il discorso che la principessa non voleva aprire.

«Che importanza vuoi che abbia? Tanto siamo arrivati tardi comunque.»

«Ti ho fatto una domanda: rispondi.»

Chichi si voltò verso il saiyan rivelandogli lo sguardo più astioso che avesse mai recato in viso.

«Non piace l’arroganza con cui ti rivolgi a me. È possibile che tu non riesca mai a capire quando è il momento di chiudere la bocca e rispettare il silenzio altrui?»

«Accidenti, Chichi! Qui è in gioco il tuo regno, il tuo popolo e il tuo destino e tu, proprio oggi che hai perso le sfere del drago, hai pensato bene di chiuderti in una dannata stanza e piagnucolare come una femminuccia qualunque. Dimmi, principessa, è questo che il Supremo si aspettava da te quando ti ha affidato quei dannati oggetti? È questo che tuo padre voleva che tu facessi quando temeva che sarebbero arrivati i malvagi

«Non lo so, cavolo! Io non lo so che razza di aspettative avessero su di me, lo capisci? Ma cosa posso fare io, da sola? Che cosa? Tu vuoi sottrarmi le sfere – e non negare che sia così – e il Supremo, a parte vegliare sulle sorti di questo pianeta, non ha intenzione di muovere un dito. Per non parlare di quello zuccone di mio padre che… Che...»

Chichi non trattenne più le lacrime.
Per la prima volta dopo tanto tempo si lasciò cadere in un pianto copioso, carico di angoscia, rabbia e delusione. Avrebbe voluto dirgli quanto il suo genitore fosse stato sciocco ad affidare le sorti del Regno a lei e a Mamanu e quanto la sua assenza nelle ultime settimane avesse fatto precipitare gli eventi.
Entrambe le donne avevano in qualche modo tradito la sua fiducia: sua figlia restituendo le sfere del drago al Supremo e Mamanu andando a letto con il generale Bardack.
Ah, oltretutto, Chichi si era anche presa una bella cotta per Gok… Kakaroth e la sua matrigna aveva taciuto per chissà quanto tempo sul fatto che Tensinhan avesse rubato le sfere.
Gran bella situazione, quella.
E ora il suo protettore pretendeva che lei gli raccontasse tutto, che mettesse a nudo le sue debolezze e si facesse sbeffeggiare ancora di più.
No, non lo avrebbe fatto, anche se piangendo aveva già ceduto.

Dal canto suo, Kakaroth provava tanta rabbia quanta angoscia.
Rabbia, perché la principessa stava pericolosamente precipitando dentro a un pericolosissimo buco nero; angoscia perché – ahimé – la ragazza aveva ragione: lei, da sola, non avrebbe potuto fare nulla contro Vegeta e contro i saiyan.
Ma non era sola, accidenti!
Davvero pensava che lui non si sarebbe assunto le sue responsabilità di fronte al principe e a suo padre? Davvero pensava che avrebbe potuto abbandonarla al suo destino?
La testa gli diceva , ma il guerriero sapeva perfettamente che ormai quella ragazza contava per lui più di tutta la fottuta razza saiyan.
Suo padre non si era fatto scrupoli, a suo tempo, nel mandarlo su un pianeta lontano chissà quanti anni luce dal suo e Kakaroth non aveva certo intenzione di dimenticare questo piccolo particolare.
Non glielo avrebbe mai rinfacciato, ovviamente, ma neanche avrebbe mai dimenticato.
E per quanto assurdo e ridicolo potesse sembrare, egli si stava pian piano convincendo del fatto che continuare a vivere sulla Terra, magari proprio al fianco di Chichi, non sarebbe stato poi così vergognoso e frustrante.
Certo, come aveva giustamente affermato la principessa, lui puntava a sottrarle le sfere del drago ; però non gli interessava diventare il despota dell’universo.
Lui del potere non sapeva che accidenti farsene.

«Va bene, Chichi, adesso smettila di piangere,» sussurrò accarezzandole delicatamente il viso con le dita. «Ne verremo fuori.»

Chichi ebbe un impercettibile sussulto causato dal gesto inaspettato di Goku.

«Fino a poche ore fa eri tu quello che aveva perso completamente il lume della ragione.»

«Sì, è vero. Ma ho pensato a diverse cose nel frattempo, e sono convinto che abbiamo ancora diverse possibilità di farcela.»

«Abbiamo?» ripeté Chichi a metà tra lo scetticismo e il sarcasmo.

«Sì, principessa, abbiamo.»

Il bacio che seguì sancì l’inizio di una nottata fatta di lacrime, dolore, speranza e passione.


CONTINUA


Angolo dell’autrice


Buonsalve a tutti!
Il capitolo è stato abbastanza corposo, e infatti ho impiegato parecchio tempo per riuscire a buttarlo giù tutto. Avevo un sacco di idee, ma erano decisamente troppe da scrivere tutte qui. In ogni caso, spero che la lettura non sia stata noiosa e che abbiate colto qualche spunto interessante.
Da parte mia, la vera sorpresa del capitolo è l’ingresso in scena di Radish, fino ad ora quasi nemmeno menzionato. Chissà come mai Bardack gli ha ordinato di venire sulla Terra!
Chichi e Goku si apprestano a passare una bella nottata.
Bulma e Vegeta non si sa che fine abbiano fatto.
E Napa… Napa inizia a innervosirsi parecchio.

Ringrazio chiunque abbia letto il capitolo e spero di poter aggiornare presto.

Un bacio :*

9dolina0

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Capitolo 21
*** Uomini traditi ***


Uomini traditi

Capitolo XXI – Uomini traditi


Mentre sentiva le labbra umide di Kakaroth premute con forza contro le sue, Chichi pensò di non essere ancora del tutto pronta a ciò che di lì a poco sarebbe sicuramente successo; eppure, la sua volontà non era forte abbastanza da mettere a tacere il formicolio e le vibrazioni che si stavano espandendo lungo il suo giovane corpo.
Fare l’amore per la prima volta nella vita con un essere tanto riprovevole sarebbe stata un’onta che la bella principessa non avrebbe mai potuto cancellare, ma il suo cuore batteva all’impazzata ogni qualvolta il suo famigerato protettore incrociava con gli occhi lo sguardo riluttante di lei, e per quanto ella avesse tentato per settimane di ignorare quello stupido muscolo, esso tornava puntualmente a tradirla e a farle ricordare di essere una donna prima ancora che la sovrana di un regno allo sbaraglio.
Ecco perché, ormai avvinta da tutti i contraddittori dubbi che le si stavano moltiplicando nell’anima, Chichi preferì non opporsi a quel bacio per nulla casto che il guerriero le stava donando.
Aveva un debole per lui; forse ne era addirittura innamorata.
E se così fosse stato, avrebbe dovuto trovare il coraggio di ammetterlo il prima possibile almeno con sé stessa.

Kakaroth sembrava tutt’altro che intenzionato a lasciarsela scappare.
Si mise sopra di lei, lasciandola di fatto sdraiata a letto, nella stessa posizione in cui l’aveva trovata appena messo piede in quella camera.
Era da tempo che fantasticava su quella la notte, sulla notte in cui finalmente avrebbe avuto la possibilità di far sua la bella principessa di Furipan.
In fondo, lui era pur sempre un uomo e non si potevano ignorare chissà quanto a lungo certi bisogni.
Già.
Ma perché si era fissato proprio con Chichi?
Fisicamente era un tipetto interessante, certo; ma di belle ragazze in giro su quel pianeta ce n’erano a bizzeffe. Da quando aveva conosciuto lei, però, la mente di Kakaroth era stata completamente soggiogata da quella giovane donna tanto forte e sfrontata.
La ammirava, forse perché Chichi non aveva mai abbassato la testa di fronte alle sue minacce e aveva dimostrato di avere una forza spirituale forse addirittura maggiore della sua.
E chissà quali altre doti nascoste nascondeva.
Kakaroth non aveva mai fatto mistero di volerla fare sua e glielo aveva dimostrato più volte baciandola; dal canto suo, Chichi non aveva mai mostrato alcuna ritrosia nei confronti dei gesti impudici del suo protettore. Il saiyan sapeva che la principessa non aveva ancora concesso ad alcuno le sue grazie e il fatto che lui fosse il primo lo eccitava ancora di più.
E lo rendeva, chissà perché, orgoglioso.
Più pensava alla verginità di Chichi e più il suo bacio diventava passionale.
La sua non era semplice necessità di fare sesso: no; il suo era un bisogno sconsiderato di avere lei e di farglielo capire.

La stretta alla quale Goku l’aveva avvinghiata non le avrebbe lasciato alcuna via di scampo. Era come se quel saiyan temesse che lei potesse sottrarsi a quell’amplesso venturo e volesse impedirglielo con forza. Chichi non avrebbe avuto alcuna possibilità di fuggire o di ribaltare quella posizione se il guerriero non glielo avesse concesso; tuttavia, essere lì sotto di lui, a godere delle sue sfrontate mani e di quel bacio così passionale le piaceva e, per una volta in vita sua, si disse che avrebbe dovuto lasciare da parte la razionalità e assecondare gli spasmi del suo cuore.
Ai sensi di colpa, semmai fossero sopraggiunti, avrebbe pensato dopo.
Goku baciava da dio, o forse le sembrava così perché quello era il suo primo vero approccio intimo con un ragazzo. Non le stava facendo alcun male, anzi pareva proprio che egli si stesse impegnando per essere il più delicato possibile.
Delicato, certo, ma al contempo determinato nel voler portare a termine quanto iniziato.
Lei ricambiò quel bacio come meglio poteva, senza però celare del tutto la sua inesperienza.
Non si oppose nemmeno quando le mani del saiyan andarono a lambire il suo corpo, insinuandosi sotto i vestiti, tra le cavità più nascoste di Chichi. Lei si muoveva di rimando, assecondando i gesti del guerriero e semplificandogli la strada.
Le piaceva, e ancor più si accorse che le piaceva partecipare a quel gioco velatamente erotico avviato da Kakaroth. Anche lei iniziò a toccarlo, prima timidamente portando le sue mani ancora incerte attorno al collo del saiyan, poi lasciandole scivolare sempre più giù, seguendo gli stessi movimenti che il guerriero disegnava sul corpo fremente e caldo di lei.
Ebbe un fremito incontrollato quando avvertì chiaramente le dita di Goku insinuarsi tra gli slip, andando a stuzzicare la parte più intima e femminile di lei. Se razionalmente la ragazza pensò che avrebbe dovuto chiudere le gambe, l’istinto la portò a fare l’esatto contrario, facilitando al saiyan la penetrazione con le dita. Chichi ebbe un primo assaggio di quanto potesse essere profonda quella parte di lei, quel luogo celato e quasi mistico che non ebbe mai il coraggio di violare nemmeno con le sue stesse mani.
Il gemito di piacere che uscì dalla sua bocca, ancora impegnata nel caldo e passionale bacio di Kakaroth, fu colto dal saiyan come un solerte invito a continuare e ad andare più a fondo.
Lo fece, e penetrò di nuovo, e ancora, la principessa con le dita, scoprendosi poi il membro avvolto dalla candida mano della ragazza.
Gli abiti che entrambi ancora avevano addosso furono improvvisamente di troppo e Kakaroth provvide subito a denudare prima la sua amante e poi sé stesso, togliendo definitivamente l’ultima labile barriera che ancora separava i loro corpi.

«Mi farai impazzire, Chichi, tu e la tua dannata bocca.»

«A me pare che tu sia già impazzit… Ah!»

La stretta della principessa attorno al corpo di Goku si fece immediatamente più forte quando ella percepì il membro del ragazzo farsi strada tra le sue gambe, nel tentativo di insinuarsi più a fondo che potesse.
Provò dolore, ma nulla in confronto a quanto quel maledetto guerriero le avesse fatto sentire durante i loro allenamenti. Si fece forza e resistette, senza cercare di respingerlo.
Aveva sopportato pene ben peggiori nella sua vita e non avrebbe certamente desistito di fronte al primo approccio sessuale della sua giovinezza.
Gli spasmi di dolore mutarono
lentamente in fitte di piacere a mano a mano che il saiyan riusciva ad andare più a fondo.
Era una bella sensazione, tutto sommato, molto meno traumatica di quanto avesse immaginato.
Muoversi seguendo i ritmi e le spinte del saiyan le sembrava quanto di più naturale ci fosse al mondo e, sebbene fosse razionalmente assurdo, sentiva che in quel momento non avrebbe voluto essere da nessun’altra parte.
Godette e gemette fino alla fine, quando il saiyan si divincolò dalla femminilità della ragazza e riversò sul corpo caldo ed eccitato di lei il prodotto del suo piacere orgasmico.

Il silenzio che seguì, interrotto soltanto dai respiri affannati dei due amanti, non fu che l’adeguata cornice di un abbraccio sincero e desiderato da entrambi.
Anche se con estrema delicatezza, i due giovani continuarono ad accarezzarsi vicendevolmente, godendo dell’inusuale sensazione di appagamento provato.
Chichi affondò il viso tra la spalla e la clavicola del saiyan, continuando a elargire qualche piccolo bacio. Di tanto in tanto alzava gli occhi verso il volto del ragazzo, meravigliandosi di quanto esso apparisse ancora dannatamente bello e affascinante, nonostante ella avesse già saziato il suo inconscio – o forse no – desiderio di fare l’amore con il suo protettore.
Pensava che, una volta fatto, la magnetica attrazione nei confronti di Kakaroth si sarebbe spenta, o quanto meno affievolita; si scoprì, invece, ancora più presa da lui.
Inutile continuare a girarci attorno: si era innamorata.


***


«Giumaho, dobbiamo parlare.»

Mamanu non avrebbe voluto arrivare a tanto, o, per lo meno, non avrebbe voluto farlo così presto; ma ormai Chichi aveva scoperto tutto e di sicuro non avrebbe retto il gioco della sua matrigna.
Quella era stata in assoluto la giornata peggiore della sua vita e ritrovarsi lì, in quella che per anni era stata la camera da letto che condivideva con il marito, le dava una strana inquietudine.
O, forse, erano semplicemente i sensi di colpa.
Da quando Napa era uscito di corsa dal laboratorio per andare a parlare con Bardack, nessun saiyan si era più preoccupato della loro presenza. Era come se lei, Crilin, Giumaho e persino Condor e le sfere del drago avessero immediatamente perso tutta la loro importanza.
Lei stessa aveva incrociato l’energumeno saiyan d’élite un paio di volte tra i corridoi, ma quell’uomo non aveva mostrato il benché minimo interesse nei suoi confronti. Sembrava, anzi, che tutte le sue priorità fossero improvvisamente cambiate.
Di che cosa avevano parlato lui e Bardack?
E che fine avevano fatto Vegeta e Kakaroth?
L’imprevisto volgere degli eventi doveva aver spiazzato persino Napa; tuttavia ella non capiva quale fosse esattamente la fonte della sua preoccupazione. Quel guerriero non si era mai preoccupato più di tanto dei movimenti del suo principe, né si era volutamente invischiato nella questione delle sfere del drago. Piuttosto, egli si era limitato a reperire forza-lavoro e a dirigere i lavori di ampliamento della città di Furipan. Pareva che lo sviluppo di quel regno tutto sommato relativamente piccolo stesse a cuore a Napa ben più del potere stesso. D’altra parte, per quel poco che aveva avuto modo di conoscerlo, Mamanu aveva colto il timore reverenziale del saiyan d’élite nei confronti di Vegeta ed era convinta del fatto che egli non avrebbe mai ambito a un potere maggiore di quello conferitogli dal suo stesso sovrano.
Viveva e lavorava per compiacere Vegeta,
punto.
Non aveva altre mire o pretese.
Peccato, però, che il suo adorato capo non lo avesse capito e che anzi avesse sottovalutato parecchio cotanta reverenza. Napa pareva punto nell’orgoglio, come un cucciolo tradito dal proprio padre e, qualunque fosse la causa di quell’inconsueto stato d’animo, Mamanu sperava proprio che quest’ultima non diventasse un’ulteriore grosso problema.

«Di che cosa, mia cara?»

La risposta di Giumaho riportò Mamanu alla realtà, accantonando momentaneamente Napa.
Già, di che cosa dovevano parlare?
L’oggetto in questione, in realtà, era un
chi.

«Ascoltami,» disse la donna, chiudendosi la porta della camera alle spalle e sedendosi sulla sua poltroncina, «io… Io ho commesso diversi errori in queste ultime settimane. Non voglio tentare di giustificarmi e non lo farò, ma ci tengo a chiarire tutto il prima possibile, prima che sia qualcun altro a informarti.»

Lo sguardo perplesso che Giumaho elargì a sua moglie, gelò la donna all’istante. Come aveva immaginato, suo marito non aveva sospettato nulla.
Dal canto suo, lo
stregone del toro non sapeva assolutamente come ribattere. Aveva sbagliato a isolarsi tra le mura della sua stanza per tutto quel tempo senza mai tentare di aiutare la sua famiglia a risolvere i vari problemi. Era stato un vigliacco, al contrario di Chichi e Mamanu che, magari commettendo errori, avevano comunque guardato in faccia la realtà e affrontato i malvagi nei limiti delle loro possibilità.
Che cosa poteva aver combinato Mamanu di tanto grave?
Che in qualche modo avesse favorito l’ascesa degli invasori?
Se anche fosse stato così, Giumaho sapeva perfettamente che quella donna, da sola, non avrebbe potuto far nulla per impedire una cosa del genere.

«Non tormentarti in questo modo, mia cara. Leggo tanta angoscia nel tuo sguardo ma, qualunque cosa sia successa, ti aiuterò a venirne fuori.»

«No, Giumaho, tu non puoi proprio fare niente, a parte iniziare a odiarmi come già fa Chichi.»

L’uomo si incupì ulteriormente.
Perché sua moglie era arrivata a pensare una cosa del genere?
Lui non aveva mai odiato nessuno in vita sua e, nel profondo del suo cuore, sapeva che neanche sua figlia era capace di provare un simile sentimento. Mamanu doveva essere davvero scossa se era era giunta a una simile conclusione, ma la cosa che lo impensieriva di più era che evidentemente Chichi gliene aveva dato modo.

«È successo qualcosa con mia figlia? Avete discusso?»

«Oh, no, ti prego... Non mettere in mezzo la principessa! Lei non c’entra niente. L’unica colpevole sono io. È di me che dobbiamo parlare. Di me e… di noi due. Il nostro matrimonio non funziona, Giumaho. Non ha mai funzionato. Anche se abbiamo sempre fatto finta di niente, sappiamo benissimo entrambi che...»

Il pianto dirotto in cui Mamanu si lasciò andare interruppe un argomento per lei fin troppo duro da affrontare. In vita sua non aveva mai avuto il coraggio di ammettere ciò che ora stava sentenziando, né aveva mai lasciato che dalla sua bocca uscissero discorsi compromettenti come se fossero un fiume in piena.
Ma non poteva permettersi di continuare a mentire e, soprattutto,
di ignorare quelle che erano le sue pulsioni. Lei era innamorata… Innamorata, accidenti! Bardack le aveva completamente stravolto l’esistenza e Mamanu non voleva assolutamente rischiare di mandare all’aria l’unico vera relazione sentimentale che l’avesse mai vista coinvolta.
Poco contava che magari al generale non importasse niente di lei: avrebbe comunque corso il rischio di sentirselo dire e di mandare all’aria sia la tresca con Bardack che il matrimonio con Giumaho, pur di riuscire a liberarsi dei ruoli impostigli dalla società e di vivere secondo le sue libere scelte.

«Sappiamo benissimo entrambi,» riprese, «che tra noi non c’è niente di più che una sincera stima reciproca e dell’affetto. Tu mi hai dato tutto, Giumaho, e nei miei riguardi ti sei sempre comportato da vero gentiluomo; ma io non ti amo, non ti ho mai amato. L’ho capito quando i malvagi – come ancora li chiami tu – sono giunti qui a Furipan. E io… Io ti ho tradito.»

«Tu… cosa!?»

In quel momento fu come se il mondo gli fosse crollato addosso.
Lo
stregone del toro venne colpito da una sorta di fulmine a ciel sereno, ma ben più doloroso e beffardo. Se l’era cercata, in fondo. Aveva lasciato sua moglie e il suo regno in balia di un gruppetto ben assortito di depravati venuti da chissà quale parte dell’Universo per rinchiudersi a meditare fra quattro stupide mura, sperando che Baba tornasse a risolvere i suoi problemi.
E intanto aveva costretto Mamanu e Chichi ad affrontarli da sole, rifiutandosi di dar loro una mano.
La sua consorte aveva già provato una volta a parlare con lui, nel tentativo di fargli assumere le proprie responsabilità; aveva anche accennato a un rapporto ambiguo tra Chichi e Son Goku. Tuttavia, ella si era ben guardata dal dirgli che nel frattempo stava intrattenendo una relazione clandestina con qualcuno.
Con chi, poi?
Si era forse invaghita di un suddito del regno?
Giumaho sapeva che erano molti gli uomini spudorati che in un passato più o meno recente avevano fatto la corte alla sua affascinante moglie. Mai prima di allora, però, ella aveva ceduto.
E se invece Mamanu si fosse invaghita di uno dei guerrieri partecipanti al torneo di arti marziali?
Da quel che ne sapeva lui, erano rimasti tutti, o quasi, a Furipan dopo l’arrivo dei
malvagi.

«Moglie mia, vuoi dire che tu… tu...»

«Sì, Giumaho. Ho una relazione con un altro uomo.»

Il silenzio che seguì venne interrotto solamente da un appena sussurrato mi dispiace da parte di Mamanu. Ella sperava che lui le chiedesse chi fosse il suo amante, ma il marito pareva fin troppo sotto shock da poter continuare quella conversazione.
Non se lo aspettava.
Giumaho non aveva mai dubitato della fedeltà di sua moglie
e, purtroppo, aveva fatto male.

L’uomo cercò di ricomporsi, di trattenere le lacrime che gli stavano gonfiando gli occhi.
Non poteva avere una crisi in quel momento, non dopo che sua moglie aveva dimostrato di essere molto meno vile e codarda di lui. Perché, tutto sommato, almeno lei aveva avuto il coraggio di confessare e di assumersi le proprie colpe con il rischio di una ritorsione.

«Ho capito, Mamanu. Quanto è importante per te questa persona?»

Ecco, quella era proprio la reazione che la donna non avrebbe voluto.
Compassione.
La meritava?
Certo che no; ma pareva proprio che Giumaho non avesse intenzione di perdere le staffe nemmeno dopo aver scoperto il tradimento da parte sua.

«Sì, lo è. Credo… credo di essermi innamorata di lui,» ammise senza mezzi termini, mantenendo però lo sguardo basso.

«Oh.»

«Mi dispiace, non sono stata abbastanza forte da resistere.»

Lo stregone del toro si alzò dal letto e si diresse verso la finestra, dando le spalle alla consorte.
In realtà, lui non aveva mai immaginato che Mamanu si sentisse costretta a stare con lui e che addirittura lei non lo avesse mai amato. Come le era passato per la testa, poi, che per lui fosse la stessa cosa? Giumaho era totalmente devoto a sua moglie e l’amava con tutto sé stesso. Non le aveva mai fatto mancare niente, l’aveva trattata come e meglio di una regina, l’aveva sempre lasciata libera di coltivare le sue passioni.
Certo, il rapporto con Chichi era pessimo; lo era sempre stato.
Nonostante i suoi tentativi di mettere un freno all’astio che sua figlia provava nei riguardi della matrigna, Giumaho non era mai riuscito a far avvicinare realmente le due donne e, davvero, di ciò non si capacitava affatto.
La principessa aveva sempre avuto un carattere molto forte – acuito, probabilmente, dal senso di responsabilità che ella sentiva gravare sulle proprie spalle in quanto erede del regno di Furipan – ma con nessuno mai aveva intrattenuto rapporti tanto poco civili come con Mamanu. Egli sapeva che a sua moglie era sempre pesata molto questa situazione e che il fatto di non essere accettata da Chichi le creava disagio e sconforto.
Possibile però che a Mamanu
desse noia a tal punto da finire, poco a poco, col rifiutare persino suo marito e da credere di non averlo mai amato?
Perché, ne era convinto, ella aveva mentito sui suoi veri sentimenti.

«D’accordo Mamanu,» proferì in tono rassegnato, ormai incapace di trattenere le sue timide lacrime, «io credo che tutta questa situazione ti abbia sconvolta, e probabilmente adesso sei molto confusa.»

«No, Giumaho, accidenti! Non c’entra niente la confusione.»

«Ti prego, mia cara, lasciami finire. Voglio dire che, dato che ci troviamo in una situazione d’emergenza e che io non mi sono assunto le mie responsabilità per tutto ciò, è normale che tu ti senta delusa e che credi che la soluzione migliore sia trovare conforto tra le braccia di un altro uomo; ma, ne sono sicuro, quando tutto si sistemerà e i malvagi saranno tornati sul loro pianeta, troveremo di nuovo il nostro equilibrio.»

Mamanu avrebbe voluto urlare.
No, Giumaho non aveva capito niente.
O non voleva rassegnarsi all’evidenza.
Il loro matrimonio non stava attraversando semplicemente una crisi passeggera:
la verità era che lei in quell’unione contrattuale si era sempre sentita prigioniera. Mai avrebbe potuto negare quanto rispetto il marito le avesse portato, ma lei non aveva mai scelto di sposarlo e sebbene lui non le avesse mai fatto mancare nulla, Mamanu non avrebbe mai potuto definire felice la loro unione.
Per lo meno, dal suo punto di vista.
Forse era stata troppo insensibile nel pensare che anche per lui potesse essere la stessa cosa, ma in ogni caso, un matrimonio in cui l’amore fosse a senso unico non avrebbe comunque potuto funzionare.
E poi… Perché mai i
malvagi sarebbero dovuti tornare sul loro pianeta?
Da quel poco che aveva intuito – ed era certo di averci visto giusto – sia Kakaroth che Vegeta stavano seriamente prendendo in considerazione l’ipotesi di stabilirsi sulla Terra.
Certo, Mamanu non poteva assolutamente essere sicura del fatto che Bardack avrebbe fatto lo stesso – d’altra parte, ancora non sapeva se lei fosse una motivazione sufficientemente forte per prendere una simile decisione – ma era molto probabile che, alla fine, egli
avrebbe seguito suo figlio e il principe.
Sempre ammesso che quei due maledetti ragazzi non si ammazzassero tra di loro.

«Giumaho, tu – ahimé – non hai la più pallida idea di come e quanto siano cambiate le cose in queste ultime settimane. Non basterà l’eventuale partenza dei malvagi per rimettere tutto a posto perché ormai ho la certezza di non voler più rivestire il ruolo di tua consorte e perché, a essere sincera, nutro parecchi dubbi sul fatto che i saiyan se ne andranno via da Furipan tanto presto.»

«Perché devi dire queste cose, Mamanu? Mi dispiace, ma non ci credo. Non riesco davvero a pensare che da un momento all’altro tu ti sia resa conto di non amarmi più. Non sono cose che si scoprono dall’oggi al domani, queste; e tu sei una donna abbastanza intelligente da capire che non mi farò abbindolare da simili scuse. È solo un periodo, Mamanu, un brutto ma passeggero periodo. Passerà, vedrai.»

Nel dire ciò, Giumaho si era di nuovo voltato verso la moglie e le aveva stretto con dolcezza le mani.
Ella, dal canto suo, accennò un
no con la testa, ormai incapace di trattenere il secondo pianto.
Suo marito l’amava più di quanto si aspettasse
e lei non aveva alcuna intenzione di rinunciare a Bardack.


***


«Preferisci del pollo arrosto o una bella braciola di maiale?»

«Co… Come?»

«Dicevo, Yamcha, che cosa ti piacerebbe mangiare? Pollo o maiale?»

«Ah, certo, mi scusi signora Brief. Be’, ecco… prepari pure ciò vuole lei, per me è indifferente.»

L’allievo di Muten era decisamente sovrappensiero.
Aveva seguito il consiglio di Chichi e si era precipitato verso la Capsule Corporation sperando di riuscire a intercettare Bulma, ma purtroppo era arrivato tardi.
La sua fidanzata, a detta della sua strampalata madre, se n’era già andata da un pezzo con il suo bell’elicottero in compagnia di due baldi giovani a lei totalmente sconosciuti.
Per la verità, la gentile signora ci aveva tenuto a precisare che uno dei due uomini era abbastanza maturo, ma comunque rimaneva pur sempre un gran bel vedere.
Non si trattava di Napa, insomma.
Yamcha ci mise poco a capire che i due tizi in questione non erano altri che Vegeta e Bardack; ciò che lo impensieriva era il fatto che Bulma fosse stata costretta a seguirli chissà dove.
La madre della scienziata non aveva saputo dire molto di più e il dottor Brief nemmeno si era accorto del secondo uomo.
Il generale, evidentemente, doveva essere giunto lì dopo il principe.
Nonostante i vari tentativi di telefonare alla sua fidanzata, ella non aveva mai risposto.
L’allievo di Muten era seriamente preoccupato per lei ma non aveva davvero idea di come fare per riuscire a trovarla.

«Eccoti qua il pollo, ragazzo.»

«Ah, grazie mille, signora.»

Il giovane prese a giocare con la forchetta, ingurgitando qualche boccone di tanto in tanto, solo per non fare brutta figura con i genitori di Bulma; ma la verità era che il suo stomaco era quasi completamente chiuso.
La preoccupazione lo stava divorando.
A impensierirlo di più, tra l’altro, era il fatto che non sapeva fino a che punto Bulma fosse
stata consenziente nel seguire il principe dei saiyan. C’era qualcosa di strano nella sua fidanzata, qualcosa che a lui non tornava. Egli ricordava benissimo quanto lei lo avesse trattato male la sera in cui si intrufolò nel castello di Furipan. Lo aveva accusato di essere un vigliacco e temeva che il suo gesto sconsiderato potesse metterla nei guai. Nei suoi occhi c’erano astio e insolenza.
Lui e Bulma avevano litigato parecchio negli ultimi tempi e sicuramente le colpe dei loro diverbi potevano equamente essere divise tra loro; però mai Yamcha aveva dubitato del fatto che la sua fidanzata stesse seriamente rivalutando il loro rapporto.

Mai, fino a quando si era reso conto che dovunque fosse Bulma c’era anche Vegeta.

«Yamcha, ti vedo pensieroso. Va tutto bene?»

Il ragazzo alzò gli occhi verso la sorridentissima signora Brief.
Quella donna s
i comportava come se vivesse in un mondo parallelo.

«Be’, non proprio, direi. Non sappiamo che fine abbia fatto Bulma e se si trovi ancora in compagnia di quei brutti ceffi. E poi, be’… Hanno anche preso il radar cerca sfere, quindi...»

«Oh, secondo me ti stai preoccupando troppo. Quei due ragazzi non mi hanno fatto per nulla una brutta impressione, sai?»

Yamcha sospirò, non nascondendo un certo disappunto.
Con la coda dell’occhio osservò il dottor Brief mentre sorseggiava una tazza di camomilla.
Il padre di Bulma era evidentemente preoccupato.
Non aveva detto una parola da quando si erano messi a tavola ed era molto probabile che nella sua testa stesse già pensando a un modo per aiutare lui e la figlia.

«Quel radar funziona davvero?»

Alla domanda del giovane, lo scienziato sollevò la testa e alzò per un attimo gli occhi al cielo.

«Sì, ahimé.»

«E non c’è nulla che si possa fare per disattivarlo a distanza?»

«Ci ho provato, ma il processo è molto lungo, e credo che ormai sia troppo tardi. Bisogna solo sperare che quel tipo non ne faccia un cattivo uso.»

«Questo è impossibile, mi creda.»

«In ogni caso, potrei lavorare a un sistema per localizzare il radar e trovare Bulma.»

A quella rivelazione, gli occhi di Yamcha si illuminarono.

«Crede davvero che sarebbe possibile?»

«Sì. E se magari ti andasse di darmi una mano, forse potremmo farcela entro domani mattina.»


CONTINUA


Angolo dell’autrice

Di nuovo, salve a tutti!
Ho finalmente terminato questo capitolo in cui Goku e Chichi sono stati i protagonisti quasi assoluti. Spero che la loro prima volta vi sia piaciuta! So di aver temporeggiato parecchio, ma d’altra parte loro sono i protagonisti e meritavano un po’ di suspance. Il titolo del capitolo, però, è dedicato agli altri personaggi che compaiono: pian piano, i tradimenti stanno venendo a galla; Mamanu lo ha confessato, Yamcha lo sta intuendo. A proposito di Mamanu, che ve ne pare della reazione di Giumaho? Come sempre, ho cercato di dare molta importanza alla caratterizzazione dei personaggi e all’introspezione, e dato che lo stregone del toro è sempre stato in disparte fino a questo momento, ho pensato di sviscerare per bene anche nella sua mente. Spero proprio che vi piaccia il risultato finale!
Come sempre, vi ringrazio per aver dedicato un po’ di tempo alla lettura del capitolo e mando un bacione a chi sarà così gentile da voler recensire.
A presto!

9dolina0

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