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Capitolo 1 *** Guerrieri, principesse e profezie ***
Capitolo
I – Guerrieri, principesse e profezie
«Il tempo non risparmia
nessuno, mio caro Giumaho, e non risparmierà nemmeno
la principessa. Verrà il giorno in cui le forze del male riusciranno a trovarla
e pretenderanno da lei il grande potere delle sette sfere del drago. Tu non
sarai forte abbastanza per proteggerla, né il Supremo di questo pianeta potrà
in alcun modo impedire la venuta dei malvagi. Il destino sarà beffardo con la
principessa: lei, designata dalle divinità come unica custode delle sfere, sarà
costretta sottostare a esseri spietati e fuori controllo, dediti unicamente al
soddisfacimento dei propri megalomani bisogni.»
«Ma come posso,
onnisciente Baba, cambiare il destino di mia figlia?
Nessun padre potrebbe accettare una simile sorte senza nemmeno tentare di
ribaltarla. Sono il grande stregone di Furipan e Chichi ha ereditato la corona di sovrana del regno dalla
sua defunta madre; molti dei sudditi di mia moglie sono guerrieri valorosi, pronti
a sacrificare la loro vita pur di proteggere l’incolumità della principessa. Io
stesso posso vantare delle ottime capacità combattive: chi mai sono questi
esseri malvagi che nemmeno noi potremmo sperare di battere? Da dove vengono? E
se avessimo l’opportunità di preparaci per tempo, non riusciremmo comunque a
scongiurare la sorte di mia figlia?»
«Il futuro di Chichi è drammaticamente avvolto da una coltre di nebbia
attraverso la quale i miei poteri non possono penetrare. Vedo i malvagi
incombere sul suo regno; vedo il sangue scorrere lentamente lungo le terre di Furipan e contaminare il vostro fiume; ma non posso vedere
cosa ne sarà esattamente di vostra figlia. Perderà, usurpata dai malvagi, il
controllo delle sfere del drago, ma che lei sopravviva o meno alla venuta di
quegli esseri non posso in alcun modo saperlo. Tuttavia, riesco distintamente a
scorgere accanto a lei la figura di un giovane forte e valoroso. Non so chi
sia, né da dove venga, né se sarà davvero in grado di proteggerla. Cerca quel giovane
e spera che possa davvero fare qualcosa. Ma sta’ attento a non confondere il
designato con un malintenzionato: il destino di tua figlia potrebbe essere
nelle sue mani.»
«Baba,
ti prego, dimmi almeno come saprò che i malvagi staranno per arrivare.»
«La perla di Chichi, quella che porta legata al polso, si tingerà di
rosso tre giorni prima della venuta delle forze del male. Ricorda bene tutto
ciò che ti ho detto perché mi vedrai di nuovo qui soltanto quando il bene sarà
tornato a regnare tra le terre della principessa e il grande Kaioshin avrà sigillato i confini tra il Paradiso e il
regno degli Inferi.»
***
«No,
accidenti, così non ci siamo proprio! Yamcha, togli
di mezzo tutti quegli inutili attrezzi e sistemali nel ripostiglio. Ah, vorrei
tanto sapere cosa dovrebbe farsene mio padre di tutta questa ferraglia!»
«Insomma,
principessa, che fastidio le danno questi pesi? E poi, noi guerrieri stanotte
vorremmo continuare ad allenarci.»
«Ma
non dire assurdità!»
Chichi
era su di giri; dopo quasi vent’anni di attesa, era forse giunto il momento per
lei di conoscere il giovane combattente che la strega Baba
aveva indicato come suo protettore. Di cose, in quel lasso di tempo, ne erano
accadute parecchie: suo padre si era risposato, i suoi sudditi si erano allenati
per poter affrontare i nemici venturi, lei stessa si era data da fare per
diventare un’ottima regnante.
Chichi
non era mai rimasta con le mani in mano: tenace e spregiudicata, coraggiosa e
impulsiva, la splendida principessa di Furipan aveva
viaggiato in lungo e in largo alla personale ricerca del guerriero perfetto. Si
era imbattuta in mutanti, robot, delinquenti, giovani più o meno palestrati.
Aveva affrontato gelo e siccità, uragani e tempeste di sabbia; aveva sottoposto
il suo fisico a notevoli prove, risultando, alla fine, sempre vincitrice.
Ma
trovare il suo guerriero si era
rivelata un’impresa più difficile del previsto.
La
giovane principessa non aveva mai davvero creduto alle favole, anche se una
piccola parte di lei, sommessamente nascosta nel profondo del suo cuore, aveva
sempre sperato che ci fosse un minimo di verità in tutte le leggende narratele.
Quando suo padre le aveva consigliato di andare a cercare il suo vecchio
maestro di arti marziali, Chichi disperava davvero
che quell’uomo potesse essere quello apparso nelle visioni di Baba. A quanto ne sapeva la ragazza, Muten
doveva essere molto anziano; eppure, l’idea di conoscere personalmente il
celeberrimo genio delle tartarughe
l’aveva spinta, appena diciassettenne, a volare con la sua nuvola d’oro verso
la KameHause.
Da
allora erano passati quasi tre anni.
Sebbene
Chichi ricordasse con parecchia nostalgia le intense
giornate trascorse a rincorre gli allievi di Muten sulla bianca spiaggia dove
dimorava l’anziano maestro, la principessa sapeva benissimo che avrebbe dovuto
mettere una pietra sopra a quel recente passato.
Il
destino della sovrana di Furipan si era ormai
compiuto e da poche ore la perla che portava legata a un bracciale si era tinta
di rosso. Aveva poco meno di tre giorni per trovare l’eroe che avrebbe potuto
proteggerla, ma, per quanto quel torneo di arti marziali fosse stato
organizzato appositamente per quello scopo, nulla le garantiva che ci sarebbe
riuscita.
«Chichi, tesoro, non dovresti disturbare i guerrieri! Domani
li attende una dura giornata e hanno bisogno di riposo!»
«La
penso così anch’io, padre; ma, vedi, Yamcha sostiene
che lui e gli altri vorrebbero passare la notte a sollevare pesi!»
La
pungente risposta della principessa aveva messo non poco in imbarazzo il
giovane Yamcha.
Da
ormai tre giorni, lui, il suo maestro e un altro allievo di Muten
avevano raggiunto il regno di Furipan intenzionati
più che mai a vincere il torneo.
Yamcha,
in effetti, era un ottimo combattente e pochi dubitavano sul fatto che sarebbe
stato lui a vincere. Con un passato da ladruncolo alle spalle e forte di un
fortuito incontro con Muten avvenuto circa dieci anni
prima, il ragazzo aveva avuto modo di affinare le proprie doti combattive
prendendo lezioni dal grande Muten. A dire il vero,
quest’ultimo non era stato il solo ad addestrare il giovane: una volta giunta
alle orecchie del Supremo la notizia della profezia di Baba,
egli stesso aveva voluto conoscere i guerrieri più promettenti che si fossero
presentati al cospetto di Muten.
Yamcha
aveva seguito col Supremo un addestramento durato un anno, poi aveva fatto
ritorno alla KameHause, e lì
aveva scoperto che la principessa di Furipan era
andata a cercare il suo maestro.
Ma
la sua vita, nel frattempo, si era sempre più divisa tra la piccola dimora del genio e le grandi città: una volta
carpiti tutti i segreti di Muten, il ragazzo aveva
iniziato a diradare sempre di più gli allenamenti col genio, convinto che mettendo il naso fuori dalla dimora del maestro
avrebbe avuto l’occasione di imparare di più.
In
parte aveva avuto ragione; in parte forse no.
Nulla,
comunque, lo avrebbe mai distolto dal grande obiettivo che si era prefissato
fin da quando il suo maestro gli aveva raccontato la storia della principessa
di Furipan: sarebbe stato lui a proteggerla dai malvagi.
Yamcha
recuperò un minimo di compostezza dopo il divampante rossore che aveva
ricoperto le sue gote. Doveva ammetterlo: avere a che fare con Chichi non era mai stato semplice, e più quella ragazzina
cresceva e più diventava linguacciuta e insolente. A volte, aveva persino
l’impressione che nemmeno suo padre, il grande stregone del toro, riuscisse a domarla fino in fondo.
«Non
si preoccupi, Giumaho, io e sua figlia stavamo solo
avendo un piccolo scambio di opinioni.»
«Be’,
ragazzo, se credi che ti farà bene un allenamento notturno, non c’è
assolutamente alcun problema.»
«Sì,
ecco, magari… magari è meglio che io lasci perdere.
In fondo, non saranno i pesi che solleverò questa notte a cambiare la mia
situazione. Forse è meglio che mi ritiri; raggiungerò la mia fidanzata visto
che sono due giorni che non ci vediamo.»
***
Una
sigaretta accesa già da un paio di minuti, lo schermo di un computer ormai in stand-by e una finestrella dalla quale
osservare il via vai di guerrieri che ancora gironzolavano tra le vie di Furipan; Bulma, quella sera, non
aveva né voglia di lavorare, né tantomeno di dormire.
Tutta
quella storia della principessa da salvare le sembrava ridicola e infondata,
tanto più che a metterla in circolazione era stata una vecchia megera ai più
sconosciuta.
Da
brava donna di scienza qual era, Bulma aveva sempre
cercato di trovare una spiegazione logica a tutto, compresa la presunta e
prossima venuta dei cosiddetti malvagi,
di cui nessuno, tra l’altro, conosceva l’identità. Di fatto, se non fosse stata
certa che dietro tutta la storia della profezia ci fosse stato davvero qualcosa
di reale, di sicuro non avrebbe mai appoggiato il suo fidanzato in quella
ridicola impresa.
Ridicola,
certo; perché non poteva dirsi altrimenti una cosa organizzata su due piedi con
lo scopo di trovare il guerriero perfetto.
Chi mai avrebbe potuto garantire a Chichi e a suo
padre che a quel torneo si sarebbero presentati tutti i più validi combattenti del pianeta?
D’altra
parte, a lei della gara in sé importava ben poco.
Nonostante
lo scetticismo iniziale circa la faccenda della profezia e delle sfere del drago, Bulma
aveva dovuto almeno in parte ricredersi. Suo padre, infatti, era riuscito a
dimostrare l’esistenza di quei misteriosi oggetti brevettando un radar che poi
lei stessa avrebbe perfezionato. Tuttavia, non capiva come fosse possibile che
una sensitiva tanto accorta non avesse saputo dare indicazioni più precise
circa l’identità dei malvagi e delguerriero
protettore.
Anche
se Bulma si era rassegnata ormai da un paio di anni
al fatto che il mondo fosse regolato da logiche non sempre comprensibili per la
mente umana, la giovane scienziata era comunque convinta che a mettere in
pericolo Chichi e il regno di Furipan
non sarebbero stati dei demoni, come invece la maggior parte della gente
sosteneva. Bulma capiva ben poco di cose
sovrannaturali e per di più il suo unico incontro col Supremo si era concluso
con uno svenimento; ma ciò non significava affatto che avrebbe accettato
incondizionatamente tutte le dicerie che circolavano intorno alla faccenda
dell’invasione di Furipan.
Tra
l’altro, il caso aveva voluto che proprio quella stessa mattina, il giorno
prima dell’inizio del torneo, la perla di Chichi
cambiasse colore e si tingesse di un intenso rosso vermiglio.
Certo,
questo avvenimento aveva sconvolto Bulma non poco, ma
ciò non era stato sufficiente perché la scienziata finisse col credere proprio
a tutto.
I
malvagi, in fondo, ancora non erano
arrivati.
Yamcha
entrò nella stanza facendo parecchio rumore.
Bulma
ormai lo conosceva bene: il suo ragazzo doveva essere di pessimo umore.
«Che
c’è? Hai deciso di sfondare la porta della stanza? Guarda che io non ho
intenzione di pagare all’albergo i tuoi danni!»
Yamcha
sbuffò, poi si buttò di peso sul letto, portandosi un braccio dietro la nuca e
grattandosi con la mano libera la pancia.
«Per
favore, non ti ci mettere anche tu!»
Bulma
evitò di rispondere e tornò a guardare fuori dalla finestra. Ormai, della sua
sigaretta era rimasto ben poco, ma del fumo ancora si alzava dal mozzicone
gettato con noncuranza nel posacenere.
Di
tutti i guerrieri che vedeva passeggiare per le strette vie di Furipan, ne conosceva giusto un paio. Uno era Muten, il maestro del suo ragazzo, l’uomo considerato da
molti il più abile esperto di arti marziali di tutti i tempi. Da come le aveva
riferito Yamcha, persino Giumaho,
da giovane, si era fatto allenare dal cosiddetto genio.
L’altro
era Crilin, il compagno di squadra di Yamcha.
Bulma,
in realtà, lo aveva visto solo un paio di volte, e solo quando il giovane aveva
accompagnato il suo ragazzo alla Capsule Corporation. Di lui la scienziata non
era riuscita a farsi alcuna idea. Le sembrava una persona estremamente timida e
posata, ma la verità era che con lei Crilin non aveva
mai spiaccicato parola. Sembrava quasi che l’imponenza della sua dimora lo
mettesse estremamente a disagio.
In
un istante di divagazione, la ragazza si chiese perché Yamcha
non fosse fuori con i suoi compagni.
Si
voltò verso di lui, trovandolo sul letto sdraiato a pancia in giù e con la
testa rivolta verso la porta della stanza.
«Non
dirmi che ti sei già addormentato!»
«E
come potrei, con la luce ancora accesa?»
Bulma
si zittì per qualche secondo, contemplando il ragazzo che giaceva su quel
letto. No, decisamente, quel comportamento infantile non si addiceva affatto a
una persona dal fisico tanto prestante.
«Vuoi
spiegarmi che hai? Non dirmi che hai discusso di nuovo con quella ragazzina!»
«Che
ti devo dire? Ha un caratteraccio. Avrei voluto rimanere ancora un po’ sul ring
ad allenarmi, ma alla principessa non
sembrava opportuno.»
«Quante
storie, Yamcha. Tanto, sei o non sei già certo di
vincere?»
Il
ragazzo, finalmente si sollevò dal letto e prese a guardare Bulma
dritto negli occhi.
«Certo
che lo sono! Ma avevo comunque bisogno di rilassare un po’ i nervi. E comunque,
questa faccenda del torneo è ridicola. Davvero Giumaho
crede nella possibilità che ci sia qualcuno più forte di me su questo pianeta?»
Bulma
non rispose e tornò a guardare fuori dalla finestra.
Per
la verità, lei qualche dubbio ce l’aveva. Non aveva mai osato dire nulla al suo
ragazzo per non ferirlo, ma se lo stregone
del Toro, pur avendo personalmente conosciuto Yamcha,
aveva deciso comunque di indire il torneo, voleva dire che evidentemente non
era affatto convinto che fosse lui il più forte.
E,
d’altra parte, Yamcha non aveva mai avuto alcuna
prova del fatto di aver superato il suo maestro.
Anche
Crilin e Muten avrebbero
partecipato al torneo e, con loro, un altro centinaio di guerrieri pronti a
dimostrare il proprio valore.
Magari
Yamcha avrebbe vinto davvero, ma di sicuro avrebbe
dovuto darsi parecchio da fare.
«Di’
un po’, è vero che la perla della principessa si è tinta di rosso?» chiese la
scienziata, tentando, per quanto possibile, di non continuare la noiosa
conversazione precedente.
«Sì,
l’ho vista coi miei occhi. Fra tre giorni, a quante pare, arriveranno i malvagi.»
«Molto
interessante. Sono proprio curiosa di guardarli in faccia, sempre ammesso che
esistano veramente.»
«Non
so come tu possa dubitarne ancora, accidenti! Hai visto coi tuoi occhi le sfere
del drago e ti ho appena detto che parte della profezia si è già avverata.
Capisco che sei una scienziata, però dovresti provare, almeno in questo caso, a
mettere da parte la tua razionalità e ad accettare il fatto che non tutto può
essere soggetto alle leggi della fisica.»
«Non
ho detto di non crederci, Yamcha; però ammetterai
anche tu che ci sono molte falle in questa profezia! Se davvero Baba ha visto l’arrivo
dei malvagi, perché non ha rivelato anche che faccia abbiano? E, comunque, se
proprio vuoi saperlo, io mi sto dando da fare molto più di te per svelare
questo mistero. Le mie preziosissime leggi della fisica forse stanno per darmi
qualche risposta.»
Yamcha
spalancò gli occhi e buttò lo sguardo verso lo schermo del computer in stand-by. Certo, da Bulma
doveva aspettarselo! Lei non era una che rimaneva con le mani in mano, né
avrebbe mai accettato di dar credito a una presunta profezia senza fare degli
studi per verificarne l’attendibilità. Ma cosa avesse potuto scoprire
quell’imprevedibile scienziata era per lui un mistero e, d’altra parte, nemmeno
gli importava più di tanto venirne a capo.
Quante
volte aveva cercato di seguire – inutilmente – i calcoli di Bulma?
Ormai aveva perso il conto.
Il
guerriero tornò a sdraiarsi sul letto, ormai desideroso solo di farsi una bella
dormita.
L’indomani
avrebbe vinto quel maledetto torneo e sarebbe diventato il protettore della principessa di Furipan.
CONTINUA
Angolo dell’autrice
Ebbene,
sì, ho deciso di postare la mia ennesima fanfiction
su Dragon Ball.
In
realtà questo primo capitolo non dice ancora praticamente nulla su come si
svolgeranno le vicende future, però ho voluto darvi un assaggio di alcuni
protagonisti. Come al solito – chi mi segue ormai lo sa bene – ho voluto
alternare parti dialogate a parti descrittive/introspettive. Adoro immergermi
nella mente dei miei personaggi, per cui ho “seminato” qua e là qualche
divagazione. Spero che tutto ciò sia utile per comprendere la psicologia dei
personaggi, i quali vorrei non sembrassero né piatti, né monocromi.
Lo
so, Yamcha in questo primo capitolo appare immaturo,
esaltato e piuttosto antipatico, ma vi assicuro che non intendo stereotiparlo!
Un po’ di pazienza e riuscirò a concentrarmi anche sulla sua personalità non
proprio ancora adulta.
Per
quanto riguarda i nomi, ho cercato di mantenermi fedele a quelli del manga;
tuttavia ho preferito utilizzare Supremo al
posto di Dio e di affiancare a Mutenl’appellativo genio delle tartarughe – volutamente scritto con lettere minuscole
per indicare che non è del nome proprio del personaggio – e a Giumaho quello di
stregone del toro. Per quanto
riguarda Furipan,
si tratta del nome originale del Monte
Padella, luogo in cui, secondo il manga, sorge la dimora di Giumaho.
Se
dovessero venirmi in mente altre annotazioni “tecniche”, le inserirò nelle note
del prossimo capitolo che, ci tengo a precisarlo, è già scritto!
Il banner è stato realizzato dalla bravissima e gentilissima Nede, che ha voluto farmi questo graditissimo regalo.
Ringrazio
chiunque abbia letto e apprezzato questo primo capitolo,
Niente
e nessuno l’avrebbe convinta a rimanere a letto un secondo di più.
Chichi
era su di giri, in fervente attesa che risuonasse il gong.
Erano
appena le sei del mattino nel villaggio di Furipan; il
monte, i boschi e il castello stesso, dimora della principessa, ancora
apparivano dormienti sotto la tenue luce del sole sorgente. Ma quello era il gran giorno, e solo in apparenza il suo
popolo era ancora in dormiveglia.
Chichi
si alzò dal letto e si sgranchì le ossa. Da quanto tempo non le capitava di
trascorre una notte quasi completamente insonne? Il risultato, tra l’altro, era
stato un forte mal di testa.
La
giovane principessa si tolse in pochi secondi la vestaglia da notte e indossò
la sua tunica bianca preferita. Lo sapeva perfettamente: quello che la moglie
di suo padre definiva un orribile
straccio non era effettivamente un capo di grande eleganza; ma a lei
piaceva da impazzire, perché era morbido, perché l’aveva sempre accompagnata in
tutti i suoi viaggi, perché era appartenuto a sua madre.
Il
fugace ricordo della donna che l’aveva messa al mondo ricoprì con un velo di
tristezza il volto della ragazza. Le capitava raramente di pensare a lei, un
po’ perché sapeva che i vecchi ricordi avevano il potere di renderla
vulnerabile, un po’ perché in fondo quando l’aveva persa era ancora un bambina.
Il volto di quella donna, oramai, le appariva nitido solo in sogno; di giorno,
la sua mente non riusciva a plasmare nulla di più concreto di un’immagine evanescente.
«Ah,
sto perdendo un sacco di tempo dietro a queste sciocchezze!»
Finì
di prepararsi in un attimo, indossando un paio di comodi sandali e legando i
lunghi capelli mori in una coda di cavallo. Aveva fretta: non avrebbe mai
perdonato a sé stessa il fatto di arrivare sugli spalti a estrazioni ultimate.
***
«Sai,
Muten? È davvero pazzesco. Io non credevo che
sarebbero passati così tanti anni prima che potessimo farci di nuovo una bella
chiacchierata. Ho conosciuto i tuoi ragazzi, oltretutto, e mi sembrano molto
preparati.»
«Ho
cercato di fare del mio meglio. Ho dato loro tutti miei insegnamenti e spero
proprio che si facciano onore. Vedo un sacco di concorrenti che mi sembrano
preparati e sono sicuro che gli allievi di Condor daranno a tutti del filo da
torcere.»
Mancavano
pochi minuti all’inizio dei sorteggi.
Giumaho
faticava a rimanere seduto sugli spalti. L’uomo sapeva perfettamente che tutta
quell’ansia non gli avrebbe fatto bene, eppure non riusciva proprio a mantenere
la calma. A dire il vero, era molto preoccupato: da quando aveva deciso di
organizzare quel torneo era vissuto con la preoccupazione che la voce non si
fosse sparsa abbastanza e che qualche valido guerriero non vi prendesse parte.
Dall’alto
delle gratinate, poteva scorgere almeno un centinaio di uomini che di lì a poco
si sarebbero contesi il titolo di campione. Ma cento era un numero
insignificante in confronto ai miliardi di persone che vivevano sul pianeta.
E,
tuttavia, il fatto che fossero così tanti a partecipare si stava rivelando un
grosso problema.
Nelle
intenzioni di Giumaho il torneo avrebbe dovuto
concludersi in tre giorni; ma il fatto che la perla di Chichi
si fosse tinta di rosso già da diverse ore imponeva per forza di cose una
soluzione diversa. Lo stregone del toro
non era affatto sicuro che l’avvalersi di misuratori di potenza meccanici per
fare una prima cernita sarebbe stata una soluzione adeguata, ma, purtroppo, non
aveva altra scelta. E comunque, visti i cambi di programma, non aveva potuto
non ringraziare le divinità Kaioh del fatto che la
fidanzata di Yamcha avesse deciso di assistere a quel
torneo: come avrebbe fatto, altrimenti, a procurarsi dei macchinari del genere
in poche ore?
Tutto
sommato, la soluzione proposta dalla signorina Brief
e appoggiata da Muten pareva essere l’unica
accettabile.
«Muten, lei non va sul ring con gli altri concorrenti?
Stanno per iniziare le misurazioni del livello di combattimento e tra dieci
minuti al massimo ci saranno i sorteggi.»
«Ah,
Chichi! Non ti avevo nemmeno sentita arrivare.»
«Me
ne sono accorta.»
«Be’,
comunque, scenderò per ultimo. Non ho voglia di fare la fila in piedi. Quando
gli altri concorrenti avranno finito andrò a sferrare anch’io il mio pugno a
quell’aggeggio. Ehi, Giumaho, ma tu sai quanti concorrenti
passeranno il turno?»
L’uomo
ci pensò un po’ su. Ne aveva parlato la sera prima con gli organizzatori
ufficiali ma non ricordava esattamente il numero preciso.
«Credo
sedici, ma non vorrei sbagliarmi. Chichi, tesoro,
perché non vai a informarti?»
«Scusa,
papà, ma ho fatto colazione molto in fretta credendo di essere in ritardo.
Preferisco andare a mettere qualche altra cosa sotto i denti. Assisterò ai
sorteggi dalla sala da pranzo.»
***
A
dire il vero, Chichi non aveva fame per niente; tuttavia
rimanere lì in attesa che le eliminatorie terminasserol’avrebbe soltanto resa impaziente. Da questo
punto di vista, sapeva di somigliare molto a suo padre. Per quanto nell’aspetto
quell’uomo sembrasse molto minaccioso e incutesse timore in chiunque a causa
della sua enorme mole, Chichi sapeva quanto in realtà
fosse ansioso e anche sensibile. A volte, di nascosto, rideva di lui e della
sua preoccupazione paterna; ma si trattava di risa colme di affetto e di stima.
Chissà
se suo padre avesse delle aspettative sul futuro vincitore del torneo!
Chichi,
in cuor suo, sperava che vincesse Yamcha. Lo
conosceva bene: era un bravo ragazzo; magari a volte si comportava come un
bambino capriccioso, ma doveva comunque riconoscere che lei lo stuzzicava
parecchio. E poi, di tutti gli altri concorrenti non sapeva quasi nulla. Non
aveva mai visto combattere Crilin, né tantomeno Muten. Suo padre le raccontava spesso del suo passato da
allievo con il grande genio delle
tartarughe, ma, nonostante questo, non era mai riuscita a farsi un’idea
precisa su di lui. Che dipendesse dal suo aspetto gracile e deperito?
Probabilmente sì; ma Chichi non aveva comunque alcun
dubbio sul fatto che quell’uomo dovesse essere un eccellente guerriero.
Quando
la principessa arrivò nella sala da pranzo, si accorse di non essere sola.
Una
ragazza in apparenza più grande di lei, dal fisico asciutto e dall’insolito
colore dei capelli, sorseggiava senza fretta una tazzina di caffè. La
sconosciuta non aveva propriamente un bell’aspetto: nonostante l’indubbio
fascino che emanavano i suoi colori esotici e le sue gambe toniche e slanciate,
la ragazza pareva piuttosto sfiancata e aveva le occhiaie tipiche di chi aveva
passato una nottata in bianco.
Chichi
si avvicinò al suo tavolo e prese posto accanto a lei, che immediatamente
cominciò a guardarla con un certo interesse. La principessa ordinòuna tazza di tè e iniziò a picchiettare le
dita sul tavolo, in attesa di riuscire a cogliere qualche dettaglio che le rivelasse
l’identità della ragazza.
«Oh,
credo di aver fatto una pessima figura» proferì a un tratto Bulma,
poggiando il caffè sul tavolo. «Tu devi essere la principessa, non è vero? Deve
essere per forza così visto che questa sala è interdetta alla gente comune. A
meno che tu non sia una partecipante al torneo, ma ne dubito profondamente.»
Chichi
spalancò gli occhi e prese a fissare la sconosciuta con un cipiglio piuttosto
severo. Non che la principessa pretendesse chissà quale trattamento di riguardo
nei suoi confronti, ma non le era mai capitato che una persona, intuendo chi
ella fosse, si rivolgesse a lei come se fosse una ragazza qualunque.
«È
corretta la tua prima intuizione. Però, proprio perché questa sala è
interdetta, mi sto chiedendo chi sia tu.»
La
ragazza allungò una mano e strinse quella della principessa.
«Molto
piacere; io mi chiamo BulmaBrief
e sono la scienziata che ha progettato i rilevatori per le eliminatorie. È per
questo che mi trovo qui: in qualche modo ho dato una mano agli organizzatori.»
«Bulma…Brief. Ah, ecco! Sei la
fidanzata di Yamcha, non è vero? Ogni tanto mi parla
di te: dice che sei davvero in gamba.»
Sentir
nominare il suo compagno da un’altra donna fu per Bulma
abbastanza fastidioso. Lei sapeva tutto, ovviamente. Era al corrente del fatto
che il suo ragazzo si fosse allenato per anni al solo scopo di proteggere la
custode delle sfere del drago e
ovviamente immaginava anche che tra loro due ci fosse una certa confidenza.
Bulma
non aveva mai avuto alcun bisogno di essere gelosa, né, d’altra parte, ce ne
sarebbe stato motivo. Era bella, molto bella, e ne era perfettamente
consapevole. Sapeva che Yamcha era ammaliato dal suo
fascino e che le bastava davvero poco per farlo rincitrullire completamente
dietro alle sue belle gambe nude.
Tuttavia,
nonostante sapesse che la principessa avesse ormai quasi vent’anni, non
immaginava certo che anche lei fosse molto piacente. Era una bellezza discreta,
la sua, molto sottile e per nulla appariscente; ma, pur nella sua apparente
trascuratezza, era evidente che sotto quella tunica un po’ troppo larga e
piuttosto logora si nascondesse un fisico longilineo e molto curato, scolpito,
evidentemente, da anni e anni di allenamenti nel campo delle arti marziali.
Anche il volto della principessa pareva essere assai gradevole: pur senza un
filo di trucco, i grandi occhi scuri della ragazza riuscivano a brillare su un
viso candido e pulito, reso ancor più piacevole da dei lineamenti per nulla
marcati.
Bulma
rovesciò la testa all’indietro e per un attimo chiuse gli occhi.
«Già,
sono proprio io. Spero che Yamcha non ti abbia detto
cose troppo cattive. Comunque, è un grande piacere per me assistere a questo
evento. Anche se non sono una grande patita di arti marziali, mi pare davvero
un torneo interessante.»
«Ah,
eppure io scommetto che tu sei qui più per vedere se arriverannodavvero i malvagi
che non per assistere ai combattimenti tra i guerrieri. Sbaglio?»
Lo
sguardo di Bulma si fece alquanto stizzito. Ora
capiva come mai Yamcha tornasse da lei sempre nervoso
dopo aver avuto a che fare con la principessa. Fortuna che Bulma
aveva sempre la risposta pronta! Eppure, in quel momento si chiese da dove
provenisse tutta la sagacia di quella ragazzina.
«Sbagli,
e anche di grosso. Io mi trovo qui a Furipan già da
quattro giorni, mentre la tua perla si è colorata solo ieri, a quanto ne so.
Come vedi, non avrei potuto in alcun modo sapere che avrei visto davvero questi
fantomatici malvagi.»
«Forse;
però ammetterai che è strano che una scienziata si metta a perdere tempo dietro
a delle profezie, non credi? Io, per la verità, non ho alcun dubbio sul fatto
che qualcosa di terribile accadrà per davvero, ma mi metto comunque nei panni
altrui e mi rendo conto che questa storia ha dell’assurdo. Quindi, mi chiedo,
cosa ha spinto una scienziata, oltretutto di fama mondiale, a dirigersi in
questo luogo sperduto per assistere a un torneo il cui fine è trovare un
protettore per una principessa?»
«Se
ti dicessi che l’ho fatto per Yamcha?»
«Non
ci crederei. Ripeto, sei una scienziata.»
«Le
scienziate non sono prive di sentimenti. Credi forse che io sia completamente
insensibile? Volevo sostenere il mio ragazzo, tutto qui; e volevo anche veder
combattere Muten. Non mi pare poi così assurda come
cosa.»
Chichi
distese le braccia per un attimo e guardò l’orologio.
«Io
credo che le eliminatorie siano terminate. Se andiamo fuori al balcone avremo
una visuale stupenda sul ring e riusciremo a seguire i sorteggi.»
Bulma
si limitò ad annuire col capo e ad alzarsi in piedi.
Di
una cosa era certa: chiunque fosse stato il vincitore del torneo, costui non
avrebbe avuto vita facile dietro a una ragazza dal simile temperamento.
***
«Bene,
signore e signori, vedo che gli spalti in pochi minuti si sono completamente
riempiti. Scommetto che siete tutti trepidanti di conoscere i finalisti del
torneo, non è vero? Bene, e allora, che salgano sul ring gli otto concorrenti!»
Dall’alto
della balconata che si affacciava sullo stadio, Chichi
e Bulma osservano in religioso silenzio la sfilata dei
guerrieri. Come entrambe avevano immaginato, Yamcha, Crilin e Muten avevano passato il
turno.
Chichi,
a dire il vero, era convinta che il numero dei finalisti sarebbe stato molto
più alto, ma probabilmente ciò avrebbe prolungato di molto la durata del
torneo.
Per
un attimo buttò lo sguardo sulla sua perla ormai vermiglia: di tempo,
effettivamente, ne era rimasto davvero poco.
«Bene,
ragaz… ehm, vedo che c’è anche qualche concorrente un
po’ più maturo… Comunque, uno alla volta, quando
sarete chiamati, estraete una pallina dal box che avete davanti a voi e
mostratemi il numero. È tutto chiaro? Benissimo! E allora, diamo il via alla
prima edizione del torneo di Furipan!»
Un’ovazione
del pubblico accompagnò le parole entusiastiche del cronista.
Chichi
riconobbe in quell’allegria il germe dell’incoscienza: nessuno era davvero
consapevole del fatto che molto presto una tragedia si sarebbe abbattuta su
quel ridente villaggio.
«Il
primo concorrente a estrarre il numero è Yamcha.
Dunque, giovanotto, fammi vedere un po’… Ah, Yamcha
ha il numero tre! Bene, proseguiamo. Il prossimo è Tensinhan!
Dunque dunque, Tensinhan ha
il numero uno! Ora è il turno di Condor. Dai, Condor, un po’ di rapidità! Oh,
perfetto. Condor ha il numero otto! E adesso, si avvicini Muten,
per cortesia. Muten ha il numero sette! Proseguiamo con… ah, sì! Jaozi! Questo
giovane concorrente ha preso il numero sei! Ora è il turno di Tai Pai. Tai Pai,
fammi vedere cos… ah, ecco! Tai Pai ha il numero due! Mancano solo due
concorrenti, a quanto pare. Crilin, è il tuo turno!
Bene, ragazzo, Crilin ha il numero cinque! E infine,
tocca a Son Goku, che ovviamente ha il numero quattro.»
Bulma
lanciò un’occhiata al tabellone coi nomi e gli abbinamenti.
Non
aveva idea di chi fossero i cinque partecipanti oltre a Yamcha,
Muten e Crilin, ma aveva
sempre di più la sensazione che non sarebbe stata affatto una passeggiata per Yamcha vincere quel torneo.
Sospirò
e si buttò di peso sulla ringhiera del balcone. La nottata trascorsa
completamente in bianco iniziava a far sentire i suoi effetti.
«Tensinhan contro Tai Pai; Yamcha
contro Son Goku; Crilin contro Jaozi
e Muten contro Condor. Mi pare un bell’assortimento
di sfide! Ah, è un peccato che da qui non si riescano a vedere bene i volti dei
concorrenti. Forse siamo troppo in alto! Ehi, Bulma,
e se ci spostassimo? Dove è seduto mio padre c’è senz’altro una visuale
migliore.»
La
scienziata buttò lo sguardo sulla principessa e prese a sbuffare. A dire il
vero, non aveva affatto voglia di guardarsi tutte le sfide in programma. Di
nuovo, si voltò verso il ring e si accorse che i due primi concorrenti erano
già pronti a sfidarsi. Improvvisamente, sperò con tutta sé stessa che quella
pagliacciata finisse al più presto.
Persa
nei suoi pensieri e distratta dalla tiepida brezza che le accarezzava il volto,
Bulma non fece caso né al suo cellulare che
squillava, né a Chichi che cercava di avvisarla. Solo
quando quest’ultima le diede uno scossone alle spalle la bella signorina Brief tornò coi piedi per terra.
«Insomma,
si può sapere che hai? Quell’aggeggio sta suonando da più di un minuto! Se non
hai voglia di rispondere alle mie domande, mi va anche bene, ma se ti dà noia
pure il tuo cellulare, quanto meno spegnilo!»
«Oh,
cavolo! Non mi sono proprio resa conto!»
Bulma
afferrò il cellulare dalla tasca e vi lesse cosa c’era sullo schermo. Per un
attimo, la ragazza fissò il suo telefono con incredulità, poi fece sì che
smettesse di suonare.
Chichi,
nel contempo, la guardava infastidita ed esterrefatta. In quel momento si
chiese come facesse uno come Yamcha a sopportare una
tipa del genere. D’accordo, era bella; ma sembrava vivesse tra le nuvole.
«Io
devo andare, Chichi. Scusa, ma ho avuto un
imprevisto.»
«Ah,
non se ne parla proprio! Credi di potertela dare a gambe così? Ci tenevi tanto
a sostenere il tuo ragazzo! Tra poco toccherà a lui. Guarda là…Tensinhan ha praticamente già chiuso l’incontro! Che
ti costa aspettare ancora un po’?»
Bulma
diede un ultimo sguardo al ring e sospirò.
Certo,
effettivamente non sarebbe stato carino andarsene proprio in quel momento, ma
un’emergenza era pur sempre un’emergenza. La scienziata non sapeva bene cosa
fosse successo: da quando la perla della principessa si era dipinta di rosso,
il suo computer non faceva altro che captare dei segnali provenienti dagli
estremi confini della galassia. E, puntualmente, all’arrivo di ogni nuova onda
cosmica, il suo cellulare la avvisava come una sorta di antifurto.
La
ragazza sapeva che c’era qualcosa di strano.
Ovviamente,
non aveva avuto modo di raccontare a nessuno cosa stesse succedendo, né era
riuscita a capire di che natura fossero effettivamente quei segnali. Bulma aveva progettato il suo nuovo computer appositamente
per trovare della vita intelligente su altri pianeti. Lei se ne fotteva dei
draghi e delle principesse. Peccato che la leggenda di Furipan
si stesse rivelando tutt’altro che una stupida pagliacciata.
Più
volte, nel giro delle ultime ventiquattro ore, Bulma
avrebbe voluto saperne di più circa l’identità dei malvagi. Non che pensasse davvero a un collegamento fra i segnali
intercettati nello spazio e la profezia sul conto di Chichi;
però, alla luce dei fatti, non sarebbe stato prudente escludere a priori ogni
singola ipotesi. E, questa volta, Bulma avrebbe
dovuto capire assolutamente il luogo esatto da cui provenivano quelle strane
onde cosmiche.
«Yamcha se la caverà benissimo anche senza il mio appoggio
morale. Mi spiace, è una questione che riguarda il mio lavoro e non posso
trascurarla.»
«Allora
verrò con te.»
Bulma
sgranò gli occhi per la sorpresa.
«Oh,
per favore! Questo è davvero troppo. Guarda che non sto affatto giocando!»
«Nemmeno
io. Cosa credi? Pensi forse che io voglia scherzare? Mi incuriosisce il tuo lavoro. Sei una scienziata, giusto? Non
ho mai avuto a che fare con persone come te.»
«Per
forza! Il tuo mondo è un’altra cosa. Non capiresti nemmeno il senso del mio lavoro. E comunque non voglio nessuno tra
i piedi quando devo stare al computer. Credimi, non c’è niente che possa
interessarti in quel tecnologico marchingegno!»
«Questo
lascialo decidere a me.»
Chichi
si avvicinò con calma verso l’interno della sala da pranzo, seguita a ruota
dallo sguardo inferocito di Bulma. Anche se a pelle
sentiva che lei e quella scienziata erano davvero infinitamente lontane, la
principessa aveva la sensazione che Bulma potesse
tornarle utile in qualche modo. Non sapeva esattamente il perché di quella
pesante inquietudine che da diverse ore le era scivolata addosso: se anche la
causa fosse stata l’ansia di sapere che il suo destino era sul punto di
compiersi, Chichi non poteva ignorare il forte senso
di malessere che l’aveva colpita nel momento in cui sentì squillare il
cellulare della scienziata.
Quella
ragazza stava nascondendo qualcosa, e quel qualcosa riguardava lei.
Bulma
trattenne a stento un ringhio di rabbia, ma poi finì per abbozzare.
«Fa’
come vuoi. Vuoi seguirmi in albergo? Libera di farlo; ma sappi che non ho
intenzione di perdere tempo dietro a te. Limitati a guardare e a stare zitta,
altrimenti è la volta buona che faccio le valigie e me ne vado. Dopo di che, ti
arrangerai coi tuoi guerrieri.»
Le
parole di Bulma avevano scosso non poco la calma
apparente di Chichi. In un certo senso, la scienziata
si era tradita: a cosa stava lavorando quella pazza? E perché mai la sua
eventuale partenza avrebbe dovuto metterla in difficoltà?
***
Il
letto era ancora disfatto e la stanza odorava di chiuso.
A
giudicare dal disordine che imperava in quei pochi metri quadri, Chichi ebbe la sensazione che lì dentro, invece che
dormirci, Bulma e Yamcha ci
avessero fatto la guerra.
O,
magari, del sesso selvaggio.
Ci
mise poco la mente della principessa a immaginare le belle gambe della
scienziata avvinghiate al busto scolpito di colui che sperava diventasse il suo
protettore. Per lei, ancora vergine sia a livello sentimentale che sessuale,
quella scena era quasi nauseante.
Solo
per un istante, si scoprì terribilmente invidiosa.
Ma
la luce pulsante di un monitor poggiato maldestramente sulla piccola scrivania
di fianco al comodino la fece rinsanire. Quello doveva essere il famoso
computer.
A
passo svelto, Chichi raggiunse il macchinario prima
di Bulma, destando le ire di quest’ultima.
«Insomma,
vuoi toglierti di mezzo? Anche se ti ho lasciata venire, non significa che puoi
muoverti liberamente qui dentro come se questa stanza fosse tua.»
«Tecnicamente
lo è. Tutto ciò che si trova a Furipan mi
appartiene.»
Bulma
spintonò la principessa lontano dal suo computer. Ignorando le non troppo
velate minacce che riusciva a scorgere sul volto accigliato della giovane
figlia di Giumaho; poi si sedette davanti allo
schermo e prese a digitare frettolosamente qualcosa sulla tastiera.
Sebbene
Chichi non avesse gradito la mancanza di rispetto nei
suoi confronti, la tentazione di prendere a schiaffi la scienziata svanì nel
momento in cui vide accresce la preoccupazione sul volto di quest’ultima.
La
principessa non aveva idea di cosa stesse succedendo, eppure capiva che c’era
qualcosa di strano. Quella era una scienziata, accidenti; e, a quanto ne
sapeva, gli scienziati credevano di avere sempre tutto sotto controllo. Perché Bulma sembrava tanto scossa?
«Cosa
sono quei segnali luminosi?» chiese Chichi,
avvicinandosi di nuovo al monitor.
«Se
lo sapessi non sarei qui a scervellarmi con questi dannati calcoli!»
«Ah,
questa è bella! Non è che magari il tuo computer ha captato le energie negative
dei malvagi?»
Bulma
smise per un secondo di respirare, poi batté i pugni sopra la scrivania.
«Dimmi
un po’, principessa» proferì, cercando di mantenere i nervi saldi e di non
perdere ulteriormente la pazienza «chi sarebbero, secondo te, i malvagi?»
Chichi
sussultò impercettibilmente, presa in contropiede dalla domanda.
«Non
ne ho idea. So solo che sono delle entità maligne che puntano a rubare le sfere del drago. Purtroppo, Baba non ha detto altro sul loro conto.»
«Entità
maligne, eh?»
Bulma
tremava ormai vistosamente, in parte innervosita dal fatto che non riuscisse a
stabilire con precisione da quale punto della Galassia provenisse il segnale;
in parte perché, di qualunque cosa si trattasse, sicuramente era opera di
esseri intelligenti.
Un’astronave,
forse.
O
magari anche tre, quattro, dieci, cento…
E
i segnali erano molto più vicini rispetto a quanto non fossero il giorno prima.
«Insomma,
scienziata, si può sapere che diavolo significa tutta questa stor…»
Chichi
si interruppe prima di concludere.
Un
forte, triplice gong annunciò con largo anticipo rispetto alle previsioni della
principessa la fine del torneo di arti marziali.
***
«Per
colpa tua ci siamo perse la finale!»
«Mia!?
Stupida principessa viziata! Ti ho forse obbligata io a seguirmi?»
Le
due giovani correvano a tutta velocità verso lo stadio. Non che fossero chissà
quanto distanti, ma entrambe avevano la sensazione che, tardando ancora, si
sarebbero perse qualcosa di interessante.
Chichi
era molto più rapida di Bulma e in poco tempo la superò.
La
scienziata, intanto, cercava di chiamare Yamcha al
cellulare, ma il ragazzo non voleva saperne di rispondere.
Quando
Chichi raggiunse finalmente suo padre sugli spalti,
notò quanto il ring fosse malridotto.
Strabuzzò
gli occhi alla vista di tanto degrado e immediatamente si voltò verso il
genitore, in cerca di qualche risposta alla sua tacita domanda.
«Ah,
figlia mia! Non sai cosa ti sei persa! Quel ragazzo…
Quel ragazzo è incredibilmente forte! Ha steso tutti i suoi avversari in
pochissimo tempo! Roba da non credere.»
La
ragazza buttò lo sguardo nuovamente verso il ring, sul quale si stava
affollando un gran numero di persone.
Non
ci pensò due volte e saltò giù, incapace, da quella posizione, di capire
esattamente cosa stesse succedendo.
«Ah,
principessa! Finalmente è arrivata anche lei! Non sa che emozione ho provato
nel vivere così da vicino questi incontri! Mi creda, il suo protettore darà del
filo da torcere a qualunque malvag…»
«La
faccia finita anche lei, per favore!»
L’interruzione
improvvisa e imprevista di Yamcha zittì
immediatamente il povero cronista del torneo, il quale, da parte sua, non
poteva nemmeno essere ritenuto responsabile per come erano andati a finire gli
scontri.
Chichi
si voltò verso Yamcha e lo guardò con stupore e afflizione.
Il
ragazzo era davvero malconcio: della sua tuta da combattimento era rimasto ben
poco e sul viso aveva una profonda ferita. Di sicuro, gli sarebbe rimasta una
cicatrice a vita.
La
principessa prese a guardare sia Yamcha che l’ancora incredulo
cronista.
«Qualcuno
vuole spiegarmi cosa diavolo è successo?»
«Lascia
che lo faccia io, principessa.»
Chichi
ebbe un sussulto. La voce proveniva dalle sue spalle, eppure non aveva
percepito alcun tipo di movimento. La principessa si voltò e notò che a parlare
era stato un giovane che fino a pochi istanti prima non era su quel ring, in
mezzo a quella bolgia di persone urlanti.
Ne
era certa: sicuramente lei non era forte come i guerrieri che si erano appena
sfidati al torneo, ma riusciva comunque a percepire e a distinguere
perfettamente le energie spirituali delle persone che aveva intorno.
Quel
ragazzo pareva comparso dal nulla.
E
che ragazzo!
«E
tu chi saresti?» proferì la giovane, con la voce rotta, per la prima volta in
vita sua, dal disagio e dall’imbarazzo.
«Molto
piacere, Chichi. Io mi chiamo Son Goku e sono il
vincitore del torneo.»
CONTINUA
Angolo dell’autrice
Buon
giorno/sera/notte a tutti, carissimi lettori e lettrici!
Innanzitutto,
perdonate l’eccessiva lunghezza di questo capitolo: so di essermi dilungata un
po’ troppo, ma non mi pareva comunque il caso di dividere questo popò di roba
in due parti, anche perché ho fretta di arrivare al punto centrale della
questione.
Spero
comunque di non avervi annoiati e che i battibecchi tra donne isteriche di cui
sono state protagoniste Chichi e Bulma
vi abbiano strappato un sorriso.
Gli
arti dolevano e il viso era in fiamme; in particolare, a bruciargli era il
profondo taglio che quel novellino gli aveva procurato in faccia.
Inutile
negarlo: il suo orgoglio era completamente in frantumi. Come aveva potuto farsi
sconfiggere da un perfetto sconosciuto, al primo incontro poi?
Bulma,
oltretutto, pareva completamente indifferente alla cosa. Anche se si stava
occupando di lui già da un paio d’ore, cercando di medicarlo come meglio poteva
coi pochi strumenti che aveva trovato in infermeria, Yamcha
aveva capito che tutto sommato alla sua donna non importava un granché della
profonda umiliazione da lui subita.
«Girati
dall’altra parte, Yamcha, vorrei dare un’occhiata
anche ai polpacci.»
«Diamine,
Bulma! Sembra quasi che tu non ti renda conto di ciò
che è successo!»
Bulma
posò il piccolo contenitore col disinfettante e si tolse i guanti, lasciando in
parte basito il ragazzo. Quasi la scienziata non riusciva a capacitarsi di
quanto Yamcha fosse immaturo. Quando lo aveva
conosciuto, le aveva fatto un’impressione decisamente migliore.
«Certo
che lo so!» gli rispose sbuffando. «Hai perso! E ora smettila di fare il
moccioso e di lamentarti. Girati dall’altra parte, per favore!»
A
Yamcha tutta quell’indifferenza non andava proprio
giù.
A
dargli fastidio non era tanto il fatto che la sua donna non si curasse del suo
stato emotivo, quanto piuttosto che non si rendesse conto di cosa fosse
successo davvero su quel dannato ring.
Il
ragazzo, seppur contrariato, assunse la posizione intimatagli dalla compagna e
si buttò di pancia sulla barella dell’infermeria.
Iniziò
a guardarsi intorno e, tutto sommato, si rese conto di non essere quello messo
peggio.
Crilin,
il suo amico e compagno di allenamenti, aveva almeno tre fratture scomposte.
Quel pazzo di Son Goku, in finale, lo aveva conciato davvero per le feste! E
nemmeno Tensinhan sembrava stare meglio.
Certo,
negare l’evidenza era impossibile: sia il suo amico che l’allievo di Condor
erano riusciti a tenere testa al novellino molto meglio di lui. La verità era
piuttosto difficile da digerire: quello spilungone spettinato non si era
degnato di combattere al cento per cento contro di lui perché non lo riteneva
un degno avversario.
Ovvio,
chiarissimo. Poteva anche starci, dopotutto.
Ma
da quando, però, Crilin aveva superato il suo livello
di combattimento? E perché lui non se ne era mai accorto?
La
delusione e la rabbia bruciavano in lui come dei roghi indomati. Yamcha non aveva perso soltanto la possibilità di diventare
il protettore della principessa di Furipan – cosa che
gli avrebbe garantito fama e gloria imperitura – ma anche tutta la sua
autostima.
Valeva
davvero così poco?
In
troppi, in quel maledetto torneo, si erano dimostrati più bravi di lui.
E
poi, c’era proprio quel Son Goku. Da dove accidenti saltava fuori? Una forza
del generenon era normale.
«Quel
tizio nasconde qualcosa, me lo sento.»
«Chi?»
ribatté Bulma, più per dar fiato alla voce che per
curiosità.
«Quel
Son Goku. C’è qualcosa che non mi convince in lui.»
«Accidenti,
Yamcha, ma ti rode proprio così tanto? Credevo tu
fossi decisamente più maturo e sportivo.»
«Qui
non c’entra un bel niente la sportività! Cavolo, Bulma,
se invece di sparire chissà dove avessi assistito agli scontri, ti saresti resa
conto che la sua forza ha qualcosa di sovrumano.»
La
donna sbuffò per l’ennesima volta e gli lanciò un’occhiataccia.
Il
suo ragazzo aveva alzato un po’ troppo la voce destando le ire degli infermieri
e degli altri pazienti.
E
anche le sue.
Non
era una sciocca, né una menefreghista come credeva supponesse il suo ragazzo,
ma, davvero, non aveva idea del perché Yamcha se la
fosse presa in quel modo. Se veramente era stato così sciocco da non mettere in
conto la possibilità di perdere era un problema suo. D’accordo, il suo maestro
era tra i migliori del mondo, ma questo non avrebbe di certo potuto garantirgli
la sicurezza della vittoria.
E
poi, perché tutta questa smania di diventare il protettore di quella ragazzina?
Nel
ripensare a lei, Bulma strinse con impeto i polpacci
di Yamcha, strappandogli un urlo di dolore.
«Ben
ti sta, così la prossima volta ci pensi bene prima di rivolgerti così a me!»
«Ah,
certo» ribatté contrariato il guerriero «spiegami cosa accidenti ho detto di
sbagliato, stavolta.»
«La
tua illazione sul fatto che, mentre tu eri sul ring, io stessi perdendo tempo.»
«Vuoi
forse negarlo?»
Bulma
tolse le mani dai polpacci doloranti di Yamcha e se
le portò ai fianchi.
Questo
era troppo. Già di per sé la bella scienziata non aveva un carattere smielato;
quando poi il suo ragazzo le si rivolgeva in quel modo antipatico e
provocatorio, Bulma perdeva completamente ogni
briciolo di pazienza.
Come,
poi, se quello sciocco avesse potuto capire davvero il perché della sua
sparizione.
Yamcha
sapeva a cosa Bulma stesse lavorando e sul perché gli
strani segnali captati nello spazio la impensierissero tanto; eppure non aveva
mai dimostrato il benché minimo interesse per quegli studi. Per lui erano un
perdita di tempo, un po’ come per lei lo era tutta la faccenda della profezia e
del protettore, e tutto sommato non si era stupita troppo di come il torneo si
fosse concluso.
La
megera aveva mentito, o quantomeno, aveva taciuto qualcosa, e di questo ne era
sicura.
Qualcosa
stava arrivando, ma non si trattava affatto di entità.
Extraterrestri,
magari? A quel pensiero, Bulma si innervosì ancora di
più. Se ci avesse visto giusto era altamente probabile che nessun essere umano
sarebbe stato in grado di competere con gli invasori. Non sapeva niente di
loro, questo era vero, ma già l’aver constatato di quale tecnologia si
avvalessero, le era stato sufficiente per capire che un qualunque, misero,
umano protettore avrebbe avuto vita
breve.
«Quante
storie, Yamcha. Suvvia, in fondo dovresti essere
felice per la tua principessina! Ha
trovato un guerriero molto più preparato di te che saprà proteggerla a dovere.
Ah, ovviamente, che non ti venga in mente di andare via da Furipan
proprio adesso! Voglio vedere i malvagi,
questo sia chiaro.»
A
Yamcha non era sfuggito il tono sprezzante con cui Bulma aveva pronunciato quel tua. Per quanto l’idea potesse sembrargli sciocca, il ragazzo ebbe
quasi l’impressione che la sua donna fosse gelosa.
Si
mise in ginocchio sulla barella, poi, faticosamente, si sedette, trovandosi
faccia a faccia con la scienziata.
«Che
ti passa per la testa, eh?»
«Che
vuoi dire?» rispose seccata la donna, ormai più vicina alla porta
dell’infermeria che non alla barella dove giaceva il suo compagno.
«Pensavo
non credessi alla faccenda dei malvagi.»
«Non
come ci credi tu, questo è sicuro.»
«Allora
temo di essermi perso qualcosa.»
Bulma
esplose.
Si
era perso qualcosa? Quella stupida
affermazione uscita dalla bocca del compagno le sbatté in faccia una triste
realtà: lui non l’aveva mai ascoltata. Non aveva capito un bel niente di cosa
stesse cercando e del perché, nonostante le palesi scemenze proferite dalla
megera, avesse comunque deciso di seguirlo a Furipan.
D’accordo,
di sicuro non si era mai aspettata da lui che credesse alla faccenda degli
extraterrestri – in fondo, anche lei derideva le convinzioni del suo uomo –
però, quanto meno, sperava che avesse capito che per lei i malvagi non potessero essere demoni o entità simili.
La
ragazza impuntò i piedi per terra e rivolse al compagno uno sguardo furente,
ricco di collera a tal punto da spaventare anche gli altri pazienti.
«Be’,
io non ho intenzione di ripeterti, per l’ennesima
volta, come diavolo la penso su tutta questa storia. Non mi importa un bel
niente di questo stupido torneo e del fatto che tu abbia perso. Anzi, se
proprio vuoi saperlo, credo che questo sia stato un bene per te! Non sei in
grado di fronteggiare proprio nessuno, caro il mio bel protettore mancato, e non hai avuto nemmeno il buonsenso e
l’educazione di ascoltarmi quando ti parlavo delle mie recenti scoperte.
Ringrazia il cielo che la principessa abbia trovato un guerriero con le palle!
Non so come se la caverà questo Son Goku, ma di sicuro resisterà più di quanto
avresti fatto tu.»
Il
tonfo della porta che Bulma si sbatté alle spalle,
insieme alle dure parole proferite dalla ragazza, lasciarono tutti ammutoliti.
Se
fino a qualche minuto prima né Crilin, né Muten, né nessun altro avevano prestato attenzione alla
conversazione tra i due fidanzati, quella breve ma intensa lavata di capo non
sfuggì a nessuno.
Tansinhan
si alzò dalla barella, nonostante l’infermiera non avesse ancora terminato di
bendarlo.
Per
quel poco che aveva conosciuto Yamcha, non gli era
sembrato un granché come combattente. Aveva molta fiducia in sé stesso – almeno
fino a qualche ora prima – ma per il resto era poco di più di un fuoco di
paglia.
Eppure,
era convinto che su quel dannato Son Goku non avesse poi tutti i torti.
Quel
misterioso combattente non gli era piaciuto per niente. Ricordava fin troppo
bene lo sguardo che aveva: beffardo, fottutamente sicuro di sé, a tratti crudele.
L’allievo
di Condor rabbrividì ripensando al momento in cui quel guerriero,
precipitandosi a tutta velocità dall’alto verso il suo corpo ormai stramazzato
al suolo, gli spezzò con una forza inaudita un braccio. Riuscì a scorgere la
perfidia del suo sorriso compiaciuto solo per pochissimi istanti, ma ciò gli fu
sufficiente.
E
pensare che lui credeva di essere il cattivo!
Se
aveva deciso di partecipare a quell’insulso torneo era stato solo per poter
mettere le mani sulle sfere del drago.
Ma
quel Son Goku era decisamente peggio di lui.
Cosa
avrebbe dato per poter portare le proprie mani al collo di quel ragazzo e
spezzarglielo! Peccato che fosse troppo forte per lui, e peccato anche che, a
conti fatti, ora quel maledetto aveva molte più possibilità di lui di
appropriarsi delle sfere.
Una
sensazione di forte disagio lo pervase quando iniziò a fissare uno ad uno gli
altri guerrieri, ancora malconci e provati. Tutti ricambiarono il suo sguardo;
nessuno fiatò. C’era ben poco da dire, in fondo. La sconfitta bruciava ancora sulla
pelle di tutti e tanti non si erano nemmeno ripresi completamente.
Quando
Tensinhan fece per andarsene, incurante degli
ammonimenti dell’infermiera, Jaozi lo seguì
all’istante. Tra tutti, lui era quello messo meglio: Crilin,
sebbene fosse molto più forte di lui, lo aveva trattato con rispetto,
evitandogli inutili ferite.
«Aspetta,
Ten, vengo con te!»
Jaozi
sembrava un giocattolo, o un bambolotto. Non aveva un aspetto propriamente normale e sia Crilin
che Muten sospettavano che avesse degli strani poteri
psichici.
Quel
guerriero stravagante e minuto aveva capito tutto.
Era
praticamente impossibile per Tensinhan nascondergli
cosa gli passasse per la testa.
Era
chiaro: Jaozi voleva dargli una mano e Ten accettò la
sua muta proposta di buon grado. In fondo, quel piccoletto era sempre stato
molto più bravo di lui nello svelare gli arcani.
***
Il
cuore di Chichi non aveva smesso di tamburellare un
attimo e quel giorno riusciva persino a captare distintamente ogni singolo
battito.
Quel
Son Goku le aveva fatto uno strano effetto.
Non
le era mai capitato di provare una sensazione simile di fronte a una persona,
soprattutto se conosciuta da poco più di un paio d’ore.
Ciò
che le stava capitando non le piaceva affatto. Le voci dei commensali, la
musica dal vivo, persino le trombe che di tanto in tanto squillavano sembravano
non avere dei suoni distinti.
Aveva
capito ben poco di tutto quello che Son Goku e suo padre si erano detti durante
quel lunghissimo pranzo. Nonostante i suoi sforzi, tenere la mente concentrata
su qualcosa di diverso che non fosse il sorriso sghembo del suo novello
protettore era stato praticamente impossibile.
Chichi
non si era mai innamorata in vita sua, né tanto meno avrebbe permesso a sé
stessa di concedersi quel lusso proprio adesso.
Sarebbe
stato, oltretutto, un insulto alla sua risaputa imperturbabilità.
Tutte
le fanciulle di Furipan la invidiavano per la sua
capacità di tenere a freno gli uomini. Di corteggiatori ne aveva parecchi, e
alcuni erano anche dotati di un certo fascino, ma lei era sempre riuscita a non
farsi abbindolare da nessuno sguardo, nemmeno quello più ammaliatore.
Fino
a poche ore prima aveva creduto che, se mai il suo cuore avesse vacillato, lo
avrebbe fatto per Yamcha. Chichi
avrebbe desiderato innamorarsi di lui, ma questo, nonostante i suoi sforzi, non
era mai successo.
Meglio così,
si disse, tanto una ragazza ce l’ha già.
Nel
momento in cui si accorse che Mamanu aveva notato il
suo sguardo fisso sul guerriero, Chichi lo abbassò di
colpo, per poi lanciare un’occhiataccia alla nuova moglie di suo padre.
Lo
capì all’istante: la stava deridendo.
Tra
lei e Mamanu le cose non erano mai andate bene. A Chichi piaceva davvero poco la svolta che aveva preso la
vita di suo padre dopo che quella straniera aveva fatto il suo ingresso a
palazzo. Per la verità – e questo doveva pur ammetterlo – Mamanu
non si era mai comportata male con lei; non apparentemente, per lo meno. Ma
sembrava che ogni cosa che facesse col finto intento di farle piacere fosse in
realtà studiata appositamente per indispettirla. Odiava il suo perenne sorriso
da donna felice e compiaciuta, il suo potere di ammaliare il proprio – ormai
unico – genitore, la sua capacità di farsi voler bene anche dal più viscido dei
suoi sudditi.
I
suoi, appunto. Chichi
sentiva che, a poco a poco, Mamanu le avrebbe tolto
l’affetto del suo popolo. Era lei quella destinata a governare, ma i sorrisi
che gli abitanti di Furipan le riservavano non erano
compiaciuti e ricchi di ammirazione come quelli che elargivano alla sua matrigna.
Il
risentimento verso Mamanu ebbe l’effetto di distrarre
per qualche minuto la principessa dal suo protettore. La donna, intanto, aveva
preso a stuzzicare qualche oliva ritraendosi dal continuare a posare gli occhi
su Chichi.
La
giovane principessa non poté fare a meno di pensare a cosa si fosse messa in
testa quella che per lei era solo un’arpia. Che avesse notato il modo
trasognato in cui aveva per ore fissato Son Goku non c’era alcun dubbio, ma
come avesse interpretato quello sguardo non poteva di certo saperlo.
Lei
stessa era confusa.
Quel
ragazzo la metteva oltremodo in soggezione e la cosa non le piaceva per niente.
Suo
padre, per fortuna, preso dalla conversazione, non aveva notato nulla, neppure
l’occhiataccia che la giovane aveva rivolto a Mamanu.
Per
un attimo, Chichi avrebbe voluto chiedergli cosa
accidenti si fossero detti durante il pranzo, ma sapeva che avrebbe fatto una
figuraccia. In fondo, tecnicamente lei avrebbe dovuto ascoltare.
Quando
suo padre si alzò dal tavolo, Chichi poté tornare
finalmente alla realtà.
Il
brusco cambio di situazione l’aveva mandata in tilt. Che fosse già terminato il
pranzo?
«Be’,
miei cari, è decisamente giunta l’ora che io vada a schiacciare un pisolino.»
Anche
Mamanu si alzò dal tavolo e si avvicinò al marito,
desiderosa, evidentemente, di seguirlo.
«Chichi, io credo che sarebbe gentile e opportuno da parte
tua far visitare il castello a Goku e poi mostrargli la stanza che abbiamo
preparato per lui.»
La
ragazza si voltò di scatto verso suo padre, avendo colto solo in un secondo
momento il senso di quelle parole.
«Tesoro
mio, oggi mi sembri parecchio distratta. Non è da te. Va tutto bene?»
«Certo,
papà» biascicò la principessa con ben poca convinzione «sono solo un po’
stanca, tutto qui.»
«Vuoi
che sia io ad accompagnare Goku al castello?» si intromise Mamanu,
destando le ire di Chichi e beccandosi da parte sua
uno sguardo degno della più feroce belva assassina.
«Ho
detto di essere stanca, non completamente imbambolata dal sonno.»
La
ragazza si alzò di scatto e si voltò di nuovo verso il guerriero, regalandogli
involontariamente un assaggio di come si trasformava il suo viso in preda
all’ira.
Il
giovane sorrise compiaciuto alla smorfia di rabbia della principessa.
Era
un ghigno divertito il suo, in parte beffardo. Chichi
ebbe l’impressione che in quello sguardo ilare vi fosse quasi un’esternazione
di compassione verso la sua infantilità, e se ne vergognò non poco.
Era
la seconda volta nell’arco di quella giornata che i suoi occhi si specchiavano
in quelli neri, taciturni e profondi e di Son Goku e, per la seconda volta,
ebbe l’impressione di essere impotente.
***
Mai
come in quel pomeriggio il corridoio che portava verso le stanze del palazzo
reale le era sembrato così lungo. Quel ragazzo si muoveva all’interno della
dimora come se fosse casa sua, perfettamente a suo agio, e Chichi
faceva addirittura fatica a stargli dietro.
Gli
aveva mostrato la sala da pranzo, quella dei congressi, quella degli oracoli,
ma Son Goku sembrava non essere impressionato da nulla, neppure dalla
magnificenza degli arredamenti o dall’ampiezza di quelle stanze. Quasi, la
ragazza aveva l’impressione che fosse lei a seguire lui.
Goku
avanzava sicuro, posando il suo sguardo incuriosito e vagamente altezzoso su
qualunque angolo della dimora. Per quanto Chichi
cercasse di tanto in tanto di dar fiato alla voce proferendo qualche dettaglio
circa l’antichità della struttura, il ragazzo sembrava non essere minimamente
interessato alle sue parole.
La
principessa sentiva che un simile comportamento avrebbe dovuto farla irritare,
ma l’inquietante soggezione che le incuteva il suo protettore non permetteva al
cervello di elaborare la rabbia.
Quando
i due giovani si diressero verso la camera che avrebbe ospitato il guerriero,
Goku era ormai passato avanti a Chichi. Sebbene
dovesse essere lei a fare da guida al suo ospite e non il contrario, sembrava
proprio che la principessa non riuscisse a riprendere il controllo della
situazione, né a chiarire a sé stessa e al ragazzo, una volta per tutte, quali
fossero i rispettivi ruoli.
Osservarlo
da dietro, se non altro, le permetteva di non abbassare lo sguardo.
Troppe
volte, durante quella breve visita guidata all’interno del castello, Chichi si era fatta beccare dal ragazzo mentre lo fissava.
Non
aveva mai avuto paura di guardare in faccia nessuno lei, che prima di ogni
altra donna del pianeta aveva saggiato il potere conferitole da un regno e,
contemporaneamente, la forza fisica e spirituale derivante dalle arti marziali.
In
questo, e forse in nient’altro, aveva di gran lunga superato sua madre.
Rimaneva
il fatto, però, che quando Goku si era voltato improvvisamente verso di lei e
le aveva elargito quel sorriso compiaciuto e dannatamente beffardo, Chichi non avesse retto, arrossendo vistosamente.
Che
diavolo si era messo in testa, poi, il suo cuore? Sembrava non volesse far
altro che uscire fuori dal petto della ragazza.
Tecnicamente,
lei era riuscita anche a far finta di niente, sostenendo per qualche attimo
quello sguardo penetrante e pericolosamente ambiguo; eppure aveva la sensazione
che quel Son Goku percepisse senza troppe difficoltà i battiti del suo cuore.
Arrivati
alla fine del corridoio, il ragazzo si fermò e Chichi
per poco non andò a sbattergli addosso.
Erano
giunti a destinazione: l’ultima porta dell’ultimo corridoio dell’ultimo piano
nascondeva dietro di sé la stanza allestita per il protettore.
La
principessa passò avanti al guerriero e aprì la porta, per poi porgere al
ragazzo le chiavi.
La
vista di quella camera e del lusso che si portava dietro aveva lasciato di
stucco più lei che il suo ospite.
Doveva
ammetterlo: ad allestire in maniera così elegante quello che fino a un paio di
giorni prima era solo una sorta di enorme sgabuzzino era stata Mamanu. Il destino, dunque, le diede un motivo in più per
detestarla.
«Ecco,
Son Goku, questa è la tua stanza. Alloggerai qui per…be’, stando alla profezia, giusto un paio di giorni;
ma credo che se dovessi sconfiggere i malvagi mio padre ti terrà come ospite
fisso.»
«Ah,
tuo padre. Perché parli sempre di lui?»
Il
ragazzo pronunciò quelle parole con evidente distacco.
Non
era realmente preso dalla conversazione con Chichi –
o, perlomeno, lei aveva quell’impressione – e il suo girovagare sicuro
all’interno di quella camera le diedero conferma di ciò.
Goku
si portò le mani dietro la nuca e prese a guardare con morbosa attenzione ogni
singolo oggetto che si era trovato davanti. Un letto da mille e una notte, un
enorme tappeto rosso, un armadio in legno di mogano grande quanto un’intera
parete, una scrivania, un comò, una porta che, probabilmente, lo avrebbe
condotto a un bagno privato.
Di
lì a poco, Chichi lo vide buttarsi a peso morto sul
letto.
Avrebbe
in qualche modo voluto avvicinarsi, o quanto meno rispondere all’illazione poco
prima rivoltale, ma si bloccò nel contemplare quel corpo statuario rilassarsi
su quel letto ancora intatto.
Il
guerriero aveva chiuso gli occhi; probabilmente era stanco morto e la
principessa pensò di non disturbarlo ulteriormente.
Arretrò
di qualche passo e si avvicinò alla porta, ma, quando fece per aprire la
maniglia, Son Goku parlò nuovamente.
«Aspetta.
Hai davvero tutta questa fretta di andartene? Se non sbaglio, prima ti ho fatto
una domanda.»
Chichi
rimase impietrita di fronte alla porta, le spalle rivolte al ragazzo.
Sapeva
che rispondere senza nemmeno guardarlo in faccia sarebbe stato un comportamento
immaturo e maleducato, perciò tentò di allontanare da sé la strana ansia che
aveva in corpo e si voltò verso il guerriero.
«Non
capisco cosa tu voglia sapere esattamente. Cosa c’è di strano nel parlare del
proprio padre?»
«Se
tu fossi una bambina, niente. Ma ormai sei una ragazza. Non fraintendermi, non
voglio dire che sia sbagliato alla tua età avere un rapporto speciale col proprio
padre, però…»
«Però?»
incalzò Chichi, profondamente infastidita
dall’ambiguità di quel discorso.
Il
ragazzo sorrise, si alzò dal letto e si avvicinò a Chichi,
afferrandole la mano che ancora teneva ben salda la maniglia della porta
semiaperta e chiudendo poi quest’ultima alle spalle della ragazza.
«Però
ho come l’impressione che tu non abbia mai avuto a che fare con altri uomini.
Dico bene?»
Il
silenzio che precipitò in quell’enorme stanza principesca fu talmente
assordante da costringere Chichi a contare i battiti
del proprio cuore pur di non impazzire sotto lo sguardo malizioso e penetrante
del suo protettore.
La
sensazione di essere stata in qualche modo smascherata
l’aveva mandata completamente in tilt, rendendole impossibile non soltanto una
risposta immediata ma anche il solo ragionare lucidamente.
Nessuno
aveva mai osato fare certe illazioni su di lei, nemmeno le poche ragazze con le
quali seguiva di tanto in tanto le lezioni di storia e di poesia. Nessuno aveva
mai osato tanto, semplicemente perché essere così espliciti con la principessa
di Furipan – soprattutto a riguardo di certi
argomenti – era assolutamente proibito.
Il
risultato di un tale silenzio fu che Chichi si era
ormai auto convinta di poter nascondere tutto, comprese le sue insicurezze.
Perché,
poi, quel dannato guerriero si fosse permesso di indagare così a fondo nella
sua vita, questo davvero non riusciva a capirlo.
Ci
mise poco a riprendere il controllo di sé stessa e a tornare la Chichi di sempre. Senza quasi rendersene conto, tentò di
schiaffeggiare con forza il ragazzo davanti a sé, per poi maledirsi notando che
quest’ultimo era riuscito a parare il colpo senza la benché minima difficoltà.
«Mi
dispiace, principessa» sussurrò provocatoriamente, quasi a non voler rivelare
neppure ai muri ciò che stava per dirle «non pensavo di farti arrabbiare a tal
punto. E, se devo essere sincero, non ho nemmeno capito perché tu te la sia
presa tanto.»
«Non
devi permetterti mai più di impicciarti degli affari miei, è chiaro? Oppure devo
ricordarti qual è il mio ruolo e qual è il tuo?»
Il
ragazzo lasciò la mano della principessa, che solo a fatica la ritrasse
indietro.
Goku
l’aveva colpita nel profondo, permettendosi di scavare all’interno della sua
vita e dei suoi pensieri più reconditi. Chichi non
poteva in alcun modo negarlo: quella piccola violazione le aveva fatto male,
molto più male di quanto avrebbe mai potuto immaginare; non soltanto perché a
farla era stata un perfetto sconosciuto che, oltretutto, non riusciva a esserle
indifferente, ma anche perché il ragazzo in questione aveva messo a nudo una
delle più grandi debolezze della ragazza.
A
quasi vent’anni ancora non aveva mai provato l’ebbrezza di un bacio rubato, o
di una carezza un po’ troppo audace, e se ciò poteva anche essere tutto sommato
lecito considerando la giovane età della principessa, non lo era più se si
andavano a indagare le motivazioni. Chichi aveva
sempre voluto mostrare il lato peggiore di sé, quello sfrontato, audace,
antipatico che, comunque, finiva col far impazzire – nel bene e nel male – un
sacco di uomini; ma non aveva mai osato andare oltre, approfondire una
conoscenza, innamorarsi, per paura di perdere sé stessa, il proprio carisma, la
propria forza.
Aveva
paura di indebolirsi, insomma, di dover mostrare le proprie incapacità, di non
essere, magari, all’altezza della situazione. E questa era un’onta da evitare a
qualunque costo.
In
quel momento, e solo perché un guerriero dal fascino goliardico e sbarazzino
glielo aveva fatto notare, Chichi scoprì di aver
paura di amare qualcun altro che non fosse suo padre.
Il
ragazzo si lasciò sfuggire una risata compiaciuta e divertita, beffandosi
altamente di chi aveva di fronte.
«Non
è necessario che lo faccia tu, Chichi. Conosco
perfettamente i nostri ruoli. Ora, se permetti, avrei proprio bisogno di
riposare.»
La
principessa indietreggiò e, senza proferire parola, uscì dalla stanza sbattendo
la porta.
Decisamente,
quel Son Goku l’aveva resa impotente, come se ella fosse una ragazzina
qualunque.
***
Quel
castello non era poi così male.
Quando
il suo defunto maestro gliene parlò per la prima volta, Kakaroth
pensò che si trattasse di una sorta di riproduzione del palazzo reale del
pianeta Vegeta.
Erano
passati più di dieci anni da quando aveva ucciso Son Gohan,
forse addirittura quindici, ma ancora ricordava perfettamente tutto ciò che
quel vecchio gli aveva narrato e raccontato.
Se
non fosse stato assolutamente certo dell’incondizionata sincerità dell’uomo,
l’allora piccolo saiyan avrebbe sterminato tutte le
creature del pianeta come gli era stato ordinato. Ma la faccenda delle sfere del drago lo aveva oltremodo
incuriosito. Se la leggenda fosse stata vera, per i saiyan
si sarebbero finalmente e definitivamente aperte le porte della conquista
dell’universo. In fondo, a quei barbari guerrieri mancava soltanto il potere
divino; per il resto, avevano tutto: forza, coraggio, astuzia, crudeltà,
tecnologia. Di quest’ultima non ce n’era mai abbastanza, questo era vero; ma in
fondo una tale, piccolissima mancanza veniva ampiamente controbilanciata dalla
loro potenza fuori dal comune.
Il
principe Vegeta non si era mostrato molto entusiasta dell’idea del suo
sottoposto: il fatto di dover temporeggiare la conquista di un pianeta florido
e vitale come la Terra solo per dar credito a una sciocca leggenda lo aveva
fatto non poco imbestialire. Anche lui era poco più di un bambino quando Kakaroth lo informò dell’esistenza delle sfere del drago e, nonostante la voglia
matta di mandare a quel paese il figlio di Bardack e
di intimargli di darsi una mossa con la conquista del pianeta, finì, per
qualche strano motivo, col fidarsi di lui e dell’assurda storia raccontatagli
dal tizio che lo aveva scioccamente cresciuto.
Alla
fine, comunque, Kakaroth ebbe il tempo di raccogliere
informazioni e di scoprire che era tutto vero. Fu un inaspettato colpo di
fortuna a condurlo a Furipan e dalla principessa
custode delle sfere: tra le tante cose che Son Gohan
gli aveva raccontato prima che quel vecchio sospettasse qualcosa circa la sua
reale identità c’era anche la storia del Maestro Muten,
colui che aveva addestrato lo stesso Gohan alle arti
marziali. Fu quando il saiyan si avviò verso la sua
dimora che, ancora nascosto dietro a una nuvola, si accorse di due guerrieri
che volavano a tutta velocità verso una meta sconosciuta. Seguirli senza che
questi ultimi si accorgessero della sua presenza fu fin troppo facile, e Kakaroth arrivò in poche ore a Furipan.
Da lì al carpire qualche informazione in più il passo fu breve.
Il
guerriero si tolse quella stupidissima tuta arancione che aveva trafugato
chissà dove e si buttò sul letto quasi completamente nudo. Non era stanco
affatto, ovviamente – quegli sciocchi terrestri non erano nemmeno riusciti a
fargli un graffietto! – però aveva bisogno di riflettere, e anche parecchio,
sul da farsi. Per qualche strano motivo, i terrestri sapevano che, entro un
paio di giorni, alcuni malvagi sarebbero
giunti sulla Terra, e non c’era dubbio sul fatto che si trattasse dei saiyan.
Chi
diavolo era la strega che li messi al corrente della cosa?
Kakaroth
ebbe l’impressione che tutto ciò che stava succedendo non dipendesse in alcun
modo dalla sua crudeltà o dalla sua volontà di agire, ma soltanto dal destino.
La
profezia risaliva a quando la principessa era ancora una bambina e Kakaroth aveva più o meno la sua età; dunque, i terrestri
sapevano che i malvagi sarebbero
giunti su quell’insulso pianeta ancor prima che lui stesso venisse a conoscenza
dell’esistenza delle sfere del drago.
Quel
pensiero lo distrasse a tal punto che solo dopo diversi squilli si accorse che
il suo rilevatore, nascosto da qualche parte dentro la tuta che si era appena
tolto, stava suonando.
Lo
afferrò di scatto e rispose, più per mettere fine a quel fastidioso trillo che
non per parlare con il suo principe.
«Allora,
Kakaroth, sei riuscito a mettere le mani sulle
sfere?»
«Certo.
Avevi dei dubbi, forse? Domani mattina lo stregone imporrà alla figlia di
condurmi nel luogo dove sono custodite e io ne prenderò possesso. A quanto pare
sono tutti al corrente del vostro arrivo, quindi vogliono che il protettore usi qualunque mezzo pur di
salvare la principessa, sfere del drago comprese.»
«Ah,
un giorno mi spiegherai questa assurdità del protettore. Poveri, sciocchi terrestri! Si sono lasciati abbindolare
con troppa facilità.»
Kakaroth
per un attimo rimase a fissare il vuoto davanti a sé, pensando a quella stupida
ragazzina che egli stesso avrebbe dovuto proteggere.
Non gli sembrava vero di essere riuscito a imbambolarla solo con qualche
sorrisetto sghembo e un paio di battute sagaci.
Gli
avevano raccontato che fosse una tipa tosta, che nessuno, nemmeno suo padre,
fosse mai riuscito a metterle in piedi in testa; ma evidentemente la
spiegazione di tutto ciò stava semplicemente nel fatto che quella povera
imbecille non aveva mai messo piede fuori da Furipan.
Le era bastato incrociare lo sguardo di uno sconosciuto per non capire più
niente.
A
quel punto, Kakaroth aveva persino il dubbio che non
fosse nemmeno forte come si raccontava in giro. Non che si aspettasse da lei
chissà che, dato che comunque si trattava di una terrestre, ma aveva sperato
che la custode di oggetti tanto preziosi valesse quantomeno qualcosa in più.
Una
delusione, insomma; se le sue intenzioni, fino a poche ore prima erano quelle
di sfidarla in una sorta di combattimento – pur senza mostrarle davvero la sua
forza – ora aveva perso completamente interesse nello scontro. Sperava soltanto
che quei due fottuti giorni trascorressero in fretta e che finalmente il
principe e il suo esercito mettessero piede sul pianeta, così che lui avrebbe
potuto cominciare a eliminare ad uno ad uno prima gli abitanti di Furipan – principessa compresa – e poi il resto della
popolazione di quel pianeta, risparmiando soltanto quegli individui forti
abbastanza da poter lavorare sodo per loro.
«Kakaroth, che diavolo ti prende? Mica ti sarai
addormentato, vero?»
«Scusami,
Vegeta, stavo semplicemente già pregustando il momento in cui questo fottuto
pianeta sarà in mano nostra.»
CONTINUA
Angolo dell’autrice
Ebbene,
sì: Goku, a quanto pare, non ha mai battuto la testa!
Yamcha,
insomma, tutto sommato aveva ragione.
In
questo capitolo, comunque, mi sono soffermata più che altro su Chichi – come è
giusto che sia visto che è la protagonista della storia – e ho tirato fuori
qualcosa del suo carattere. Mi dispiace averla dipinta, almeno in parte, come
una ragazza molto ingenua – non si può definire altrimenti una persona che
crede di potersi innamorare “a comando!” – ma ho pensato che, vista la vita che
ha condotto, non ci si potesse aspettare una maturazione completa della
principessa sotto tutti i punti di vista. Magari, Goku/Kakaroth
ha esagerato nel ritenere che la sua protetta
non sia mai uscita da Furipan – e sappiamo che
non è vero – ma è comunque lecito aspettarsi che una principessa, sulla quale
gravano elevatissime aspettative, non abbia avuto la possibilità di vivere come
una qualsiasi altra adolescente.
Be’,
fatte le dovute precisazioni, ora è tempo di ringraziare tutti coloro che
leggono, seguono, ricordano, preferiscono e recensiscono la storia.
Grazie
di cuori a tutti!
9dolina0
Avviso!
Lo
so, avevo promesso che avrei aggiornato una volta a settimana almeno fino al
sesto capitolo, ma… Venerdì parto e sarò di rientro
il 28 settembre. Quindi – ahimé! – martedì prossimo
non potrò pubblicare.
Chiedo
venia, abbiate pietà di una povera neolaureata che si aggrappa a ogni
corso/stage/progetto pur di non rimanere con le mani in mano! ><
Muten
si era ripreso abbastanza in fretta dal torneo.
Certo,
gli arti ancora dolevano e il sangue ribolliva non poco per aver perso contro
il suo acerrimo rivale, ma Crilin, nel turno
successivo, era riuscito a vendicarlo egregiamente.
Non
c’era stata storia, dopotutto: il suo allievo aveva una tecnica e una potenza
decisamente superiori a quelle di Condor. L’anziano maestro non si era mai
davvero soffermato a pensare a quanto i suoi allievi potessero essere
migliorati dopo l’allenamento con il Supremo, ma quell’assurdo torneo aveva
insinuato in lui troppe domande.
Una
di queste riguardava proprio Crilin.
Avrebbe
dovuto puntare su di lui molto di più?
In
fondo, in finale contro quel Son Goku si era fatto valere non poco, molto di
più di quanto non avesse fatto Yamcha al primo turno.
Per
la verità, Muten non aveva mai visto nell’ex predone
del deserto il guerriero ideale profetizzato da Baba,
né, oltretutto, avrebbe mai scommesso che quel ragazzo avrebbe potuto fare
qualcosa contro i malvagi. Muten conosceva fin troppo bene sua sorella: se Baba aveva avuto paura nel rivelare tutti i dettagli di ciò
che realmente aveva visto nella sfera, evidentemente doveva esserci sotto
qualcosa di grosso; e Yamcha non era di certo il tipo
da poter affrontare qualcosa di più grosso delle tette di Bulma.
Era un bravo ragazzo, per carità, e anche un valido guerriero; ma non aveva mai
preso troppo seriamente tutta la faccenda della profezia – non a tal punto, per
lo meno, da impegnarsi seriamente e migliorare la sua tecnica.
Il
pensiero di Baba lo riportò per un istante al giorno
in cui l’anziana sorella decise di confidare allo stregone del toro ciò che aveva visto nella sua sfera. Quanto
doveva essere costato a quella vigliacca tirare fuori una simile confessione?
Muten
sapeva che sua sorella, in quanto a coraggio, lasciava parecchio a desiderare.
Ne
aveva viste di cose dentro quella sfera! Eppure, quella era stata in assoluto
la prima volta in cui la strega avesse deciso di aprire la bocca.
Con
le forze del bene, perlomeno.
Muten
non era affatto uno stupido: sapeva perfettamente che sua sorella, più di una
volta, era scesa a patti con creature poco raccomandabili pur di avere salva la
pelle.
E
lei, di cose da donare in cambio, ne aveva fin troppe.
Quando
Muten si accorse della presenza di Giumaho al suo fianco, lo stregone del toro era lì già da diversi minuti.
Era
strano per l’enorme omaccione vedere il broncio sul viso del suo anziano
maestro. Si conoscevano da una vita, quei due, e avevano condiviso mille
allenamenti e altrettante avventure; ma mai sul volto del mitico genio delle tartarughe era stato
impresso un ghigno tanto amaro.
«Smettila
di pensarci, Muten. Condor ha imbrogliato. Non vale
quanto te, e tu lo sai benissimo.»
Muten
si voltò verso l’ex allievo, soppesando minuziosamente le parole appena udite.
«Per
la verità, non stavo pensando al mio incontro. Sai, non sono sicuro di aver
allenato bene i miei due nuovi allievi. Con Crilin
specialmente avrei dovuto fare molto di più.»
«È
questo che ti impensierisce, dunque? Be’, io non mi farei tutti questi
problemi. D’accordo, Yamcha e Crilin
hanno perso, ma il ragazzo che ha vinto proviene comunque dalla tua scuola, quindi…»
«Aspetta
un attimo» lo interruppe Muten, certo di non aver
afferrato bene il concetto «che significa che proviene dalla mia scuola? Io non l’ho mai visto in vita mia!»
Giumaho
si abbandonò a una grassa risata. Una volta tanto era stato lui a stupire il genio e non il contrario.
«Andiamo,
Muten! Eppure già il nome dovrebbe dirti qualcosa!
Son Goku è l’allievo di Son Gohan! Ah, quando quel
giovane me l’ha rivelato stavo per esplodere dalla felicità! Sono passati
talmente tanti anni da quando eravamo compagni di lezione, ma, nonostante questo,
ancora ricordo tutti i nostri allenamenti insieme. Roba da morire di crepacuore
all’istante!»
Il
volto di Muten assunse una strana espressione, a metà
strada tra il confuso e l’accigliato.
Erano
anni che non sentiva più nominare il suo ex allievo e di certo non si sarebbe
mai aspettato di trovarsi ad avere a che fare con un ragazzo che diceva di
essere stato allenato proprio da lui.
«Questa
è davvero bella. Un allievo di Son Gohan, quel Son Gohan.»
«Già,
stentavo a crederci quando me l’ha detto. È un peccato che io non possa
muovermi da Furipan per andarlo a trovare, ma
comunque sono riuscito a farmi promettere da Goku che me lo avrebbe salutato.»
Muten
storse la bocca e sgranò quasi impercettibilmente gli occhi.
Un
brivido freddo percorse tutto il suo corpo, dalle punte degli alluci fino alla
testa.
Decisamente,
c’era qualcosa di assurdo in quanto rivelatogli dallo stregone.
«Giumaho, quel ragazzo non può salutarti proprio nessuno!
Son Gohan è morto.»
***
Chichi
non aveva affatto voglia di trovarsi di nuovo da sola con Goku, ma suo padre si
aspettava da lei che mostrasse al suo protettore
le sfere del drago e la
principessa non avrebbe potuto in alcun modo sviarsela da quell’incarico.
Tanto
più che non aveva nemmeno una scusa plausibile per farlo.
Erano
passate parecchie ore dalla loro fastidiosissima e imbarazzante chiacchierata; Chichi aveva avuto una nottata intera per dormirci su,
eppure non era riuscita a rimuovere completamente la piccola umiliazione
subita.
Di
fare colazione non voleva affatto saperne: buttare qualcosa nello stomaco non
avrebbe fatto altro che peggiorare la già forte acidità che sentiva quella
mattina. Suo padre, oltretutto, aveva pensato bene di lasciarla sola al tavolo
con Mamanu per far visita a Muten.
Chichi
si aggirava da sola tra i corridoi che avrebbero condotto verso la camera di
Goku.
Nemmeno
lui era sceso a fare colazione e la ragazza sospettava che stesse ancora
dormendo. In fondo, il giorno prima aveva pur sempre partecipato a un torneo di
arti marziali!
Quell’ultimo
pensiero la fece quasi sorridere.
Erano
anni, ormai, che aspettava di conoscere il suo protettore e il destino le aveva sbattuto in faccia un guerriero
tanto abile e forte quanto linguacciuto e insolente.
Eppure,
si disse, era il suo guerriero.
Per
quanto le costasse una gran fatica ammetterlo, in fondo al proprio cuore Chichi aveva sempre sognato che il prescelto fosse un
ragazzo sagace e sfrontato, capacedi
penetrare i suoi pensieri anche meglio di quanto non facesse suo padre.
In
fondo, lui doveva proteggerla, no?
Se
non fosse stato in grado di capire cosa le passasse per la testa e cosa
nascondesse il suo sguardo apparentemente ribelle e sicuro di sé, come avrebbe
potuto salvarla dai malvagi?
Avvolta
nei suoi mille pensieri, Chichi si ritrovò di fronte
alla camera di Goku.
Bussò,
col cuore in gola, promettendo a sé stessa che non si sarebbe lasciata
intimorire di nuovo dalle parole impunemente pungenti di quello strano
guerriero.
Quando
la porta si aprì, la principessa si trovò di fronte un ragazzo assonnato, quasi
completamente nudo, vestito solo di un paio di boxer neri un po’ troppo
aderenti che lasciavano ben poco spazio all’immaginazione.
Chichi
avvampò e dovette mantenere tutta la concentrazione possibile per non lasciar
cadere lo sguardo troppo in basso.
«Che
diavolo ci fai ancora conciato… così?» proferì la
giovane, constatando a mente affatto lucida che Goku non era di certo il primo
ragazzo che gli capitava di vedere a petto nudo, ma, sfortunatamente per lei,
era senz’altro il più bello.
Il
ragazzo iniziò a grattarsi la testa, poi si lasciò sfuggire un pesante
sbadiglio.
«Cavolo,
mica saranno già le nove?»
«Sono
le nove e un quarto, per la precisione. Oh, santo Supremo, non dirmi che ti sei
appena svegliato?»
Goku
diede le spalle a Chichi poi tornò a sedersi sul
letto.
La
mattinata era iniziata nel peggiore dei modi, così come il suo piano di
conquista del pianeta. Cavolo, quella ragazzina lo stava per condurre nella
stanza in cui erano custodite le sfere del drago e lui non solo ancora non era
vestito, ma non aveva nemmeno fatto colazione!
L’aria
malsana di quel castello doveva avergli fatto male.
Finì
di fare i conti con sé stesso e con la sua leggerezza, poi si alzò di nuovo,
volgendo lo sguardo a una spazientita, confusa e imbarazzatissima Chichi.
Peccato
che la principessina fosse tanto inebetita.
Se
solo si fosse dimostrata un po’ meno pudica avrebbe preso in seria
considerazione l’eventualità di un amplesso prima di fotterle definitivamente
le sfere del drago.
«Non
guardarmi così, Chichi… Ho solo dormito un po’ più
del dovuto!»
«Lo
vedo anche da sola. Be’, datti una mossa, almeno! Che diavolo aspetti a
vestirti!»
«Cavolo,
solo con uno stupido ritardo sono riuscito a tirare fuori il peggio di te!»
Il
ragazzo si alzò, afferrò ai piedi del letto la sua tuta arancione e se la
infilò in pochi secondi. Dovette spendere un paio di minuti nella ricerca dei
suoi stivali, almeno un quarto d’ora in bagno e qualche altro secondo per
“sistemarsi” i capelli, ma riuscì a concludere tutto prima che Chichi, spazientita, se ne andasse dalla stanza.
«Ecco,
sono pronto. E ora, andiamo a vedere questebenedette sfere.»
Chichi
non rispose, distratta dal nervosismo per aver dovuto aspettare il suo protettore e dal pensiero che quel
ragazzo fosse un po’ troppo affascinante per la sua apparente imperturbabilità.
Si
avviò verso l’uscita della stanza a passo piuttosto svelto: Goku, d’altra
parte, le aveva già fatto perdere un mucchio di tempo.
***
Bulma
non aveva affatto voglia di lavorare.
La
rabbia per come si era concluso il diverbio verbale con Yamcha
il giorno prima l’aveva resa isterica e nervosa più di quanto non si sarebbe
aspettata.
Non
aveva idea di dove il suo ragazzo avesse passato la notte, ma era più che certa
che, prima o poi, quello sciocco sarebbe tornato da lei chiedendole scusa. Le
doveva questo e altro, in fondo: che colpa ne aveva lei se si era lasciato
sconfiggere da un ragazzino sconosciuto?
Anche
la voglia di continuare a poltrire a letto scemò a poco a poco.
Le
mancavano la sua camera, la sua casa, il suo giardino, la sua palestra privata,
il suo laboratorio; tutto si poteva dire di quella stanza d’albergo che
occupava ormai da qualche giorno, tranne che fosse confortevole. Suo padre
l’aveva abituata bene, in fondo. Gli agi di cui godeva alla Capsule Corporation
potevano essere oggetto d’invidia persino per un re.
In
quel momento si chiese quanto grandi e confortevoli fossero le stanze del
castello in cui alloggiava la principessa.
Bulma
avrebbe scommesso qualsiasi cosa che non fossero altrettanto lussuose quanto la
sua.
Il
pensiero di Chichi le fece nuovamente venire un
fastidiosissimo senso di disgusto.
Aveva
avuto a che fare pochissimo con quella strana ragazzina, ma già sentiva che, a
pelle, non le stava affatto simpatica. D’altra parte, come avrebbe potuto farsi
piacere la tizia di cui il suo fidanzato aveva aspirato a diventare il bodyguard?
L’ennesimo
prurito sulle braccia la costrinse a grattarsi e a cacciare dalla testa
l’immagine di Chichi.
Si
alzò, giusto in tempo per interrompere il fastidiosissimo suono che proveniva
dal suo computer.
Se
non fosse stato per amore della scienza, Bulma
avrebbe già lanciato il suo PC dalla finestra da un bel pezzo. Quei maledetti cosi provenienti dallo spazio si stavano
avvicinando a incredibile velocità al pianeta Terra e ormai la ragazza non
aveva più dubbi sul fatto che fosse quella la destinazione degli alieni.
Quella
constatazione dava ancora più credito alla teoria che identificava gli
extraterrestri con i malvagi,
tuttavia non spiegava affatto come mai la veggente non avesse fornito qualche
dettaglio in più sulla loro identità.
Possibile
che, davvero, non fosse in grado di capire chi fossero e da dove provenissero?
Difficile,
visto che aveva rivelato delle cose fin troppo dettagliate.
L’ingresso
di Yamcha nella stanza non distrasse affatto Bulma dai suoi calcoli e dalle sue considerazioni. Non
aveva voglia di pensare a lui, né tantomeno di dare spazio ai suoi infantili
lamenti. Mai come negli ultimi due giorni, la scienziata aveva preso in seria
considerazione l’idea di rivedere da cima a fondo la sua relazione con Yamcha: gli voleva bene, per carità, e lo trovava anche un
ragazzo molto attraente; ma a livello di maturità le aveva dimostrato di essere
parecchio indietro, almeno rispetto a lei.
«Ah,
vedo che hai deciso di ignorarmi completamente! Bene, farò lo stesso anch’io.»
«Perfetto,
Yamcha. Comincia col chiudere la bocca, allora.»
Gli
extraterrestri erano molto più vicini di quanto Bulma
non si aspettasse. Che razza di diavolerie tecnologiche potevano avere a
disposizione per viaggiare a una simile velocità nello spazio aperto?
Facendo
i dovuti calcoli e confrontando la distanza in cui si trovavano esattamente
ventiquattro ore prima, Bulma si rese conto che,
effettivamente, il giorno dopo avrebbero raggiunto la Terra.
Proprio
come aveva profetizzato la strega.
La
ragazza si accese una sigaretta e iniziò a picchiettare le dita sulla
scrivania.
Non
c’era nulla da fare: avrebbe dovuto aspettare il loro arrivo con le maniin mano.
Crilin
non aveva mai visto Bulma tanto nervosa e
insofferente nei confronti di Yamcha.
Sembrava
quasi che dentro quel monitor ci fosse qualcosa di vitale importanza. D’altra
parte, nemmeno si era accorta del suo arrivo.
Non
aveva staccato gli occhi da quello schermo nemmeno per un secondo, né aveva in
qualche modo cercato di dissuadere Yamcha dal non
rivolgerle la parola.
Crilin,
da parte sua, ancora non si era ripreso completamente.
Lo
scontro con Son Goku, dal quale per altro era uscito sconfitto, lo aveva
letteralmente distrutto. Era già un miracolo che riuscisse a reggersi in piedi
su una gamba.
Tuttavia,
si era imposto di uscire da quella maledetta infermeria e di raggiungere Bulma.
Sebbene,
infatti, Yamcha non volesse dar credito agli studi
condotti dalla ragazza, a Crilin era saltata comunque
una pulce nell’orecchio. Aveva imparato a conoscere abbastanza bene la figlia
del dottor Brief, anche se di fatto non avevano mai
avuto modo di parlare seriamente, e sapeva che, se quella ragazza si stava
dando tanto da fare dietro ai misteriosi segnali che provenivano dallo spazio,
allora doveva esserci sotto qualcosa di grosso.
«Ehm,
Bulma?» sussurrò Crilin,
sperando di non alterare ancora di più l’umore già traballante della
scienziata.
La
ragazza, da parte sua, sussultò.
Solo
in quel momento si accorse di una terza presenza in quella stanza.
«Oh,
cavolo. Che ci fai qui? Guarda come accidenti sei ridotto! Dovresti tornare
subito in infermeria!»
«Sono
appena scappato, veramente. Avevo bisogno di parlarti, sempre che tu non sia
troppo impegnata, ovviamente.»
Bulma
gettò dapprima uno sguardo al monitor, poi si voltò di nuovo, con fare
piuttosto cortese, verso l’amico di Yamcha.
«Tranquillo,
tanto ormai non ho più niente da fare. Dimmi pure.»
«Be’,
ecco… Si tratta dei tuoi studi, Bulma.
So che hai scoperto qualcosa di interessante al di fuori del sistema solare e
volevo capire esattamente di cosa si tratti e se sia in qualche modo
riconducibile ai…»
«Malvagi? Be’, di questo ormai credo di
avere la certezza assoluta.»
Bulma
fece cenno con la mano al ragazzo di avvicinarsi al monitor e Crilin obbedì.
«Ascolta
bene. Riesci a sentire questo stridio? Proviene da alcuni oggetti che si stanno
avvicinando a forte velocità al pianeta Terra. Ho fatto i dovuti calcoli e non
ho più dubbi: arriveranno domani.»
«Come
aveva detto Baba» proseguì Crilin.
«Come
aveva accennato Baba.
A quanto ne so, la strega non ha mai parlato di extraterrestri.»
Crilin
indietreggiò e puntò lo sguardo verso Yamcha.
Era
sdraiato sul letto, con gli occhi chiusi e un evidente broncio stampato in
faccia.
Crilin
sapeva cosa aveva il suo amico: la sconfitta gli bruciava ancora.
Non
riusciva a darsi pace per quanto accaduto, lui che già si vedeva come il protettore di Chichi.
Additare la sua sconfitta alla presunta spietatezza di Goku, poi, era stato
solo un modo per esorcizzare la sua brutta disfatta.
Cosa
avesse di sbagliato il vincitore del
torneo proprio non riusciva a capirlo. Crilin aveva
cercato di parlare con Yamcha e di capire la sua
posizione ma, nonostante gli sforzi, non venne a capo di nulla.
D’accordo,
Goku era forte, incredibilmente forte;
ma questo non significava necessariamente che fosse anche un poco di buono.
Crilin
si schiarì la voce con un colpo di tosse, con l’intento di attirare
l’attenzione di Yamcha.
«I
malvagi, a quanto pare, sono degli extraterrestri. Che pensi di fare, ora, Yamcha? Io credo sia il caso di avvertire Son Goku.»
«Che
se la veda da solo, quel farabutto. Io non ho intenzione di avvertire nessuno,
tanto più che sono assolutamente certo che alla prima occasione quel novellino
metterà le mani sulle sfere del drago e se la darà a gambe. Altro che protettore!»
«Ma
perché sei tanto convinto di questo? Insomma, Yamcha,
si è rivelato un eccellente guerriero. Sicuramente è molto più forte di noi due
messi insieme.»
«Ricordi
cosa diceva la profezia a proposito del guerriero perfetto? Occhio a non prendere un granchio!»
«Non
erano esattamente queste le parole.»
«Ma
il senso sì, eccome!»
Yamcha
si sollevò dal letto e si diresse verso l’armadio. Tirò fuori una tuta da
combattimento e si cambiò in pochi istanti. Non aveva voglia di continuare quel
discorso. Sarebbe stato completamente inutile.
Lui
quel Son Goku lo aveva visto bene in faccia.
Era
pericoloso; spietato e pericoloso.
Non
era semplice smania di vittoria quella che aveva sfoggiato durante l’incontro
con lui: quel maledetto ragazzino voleva conquistare.
I suoi occhi emanavano una luce sinistra e il suo sguardo celava odio,
disprezzo, distruzione.
«Comunque,
la faccenda ormai non mi riguarda più. Fa’ quello che credi.»
«Ti
riguarda ancora, invece. Nessuno di noi aveva messo in conto che si potesse
trattare di extraterrestri! Goku potrebbe avere bisogno del nostro aiuto.»
«Ah,
che idiozia! Fidati, quell’individuo non muoverà un muscolo contro i malvagi. Anzi, sono quasi pronto a
scommettere che si alleerà con loro.»
Crilin
avrebbe voluto ribattere, ma Yamcha non gli diede il
tempo di farlo.
L’ex
predone del deserto uscì dalla stanza con una certa fretta, sbattendo con forza
la porta.
C’era
poco da fare: lui non avrebbe collaborato e Crilin
questo lo aveva capito a sue spese. Tanto valeva, allora, che ognuno facesse di
testa propria.
Il
ragazzo sapeva di avere delle responsabilità nei confronti di Chichi: aveva perso, d’accordo, e non era lui il prescelto;
ciò non toglieva però che si fosse allenato per anni al solo scopo di
proteggerla e che dunquenon avrebbe
potuto lavarsene le mani solo perché un altro guerriero si era dimostrato molto
più potente di lui.
«Pazzesco.
Ma perché deve fare così, accidenti?»
«Ignoralo,
è molto meglio. Un bambino di cinque anni l’avrebbe presa molto più
sportivamente.»
La
risposta di Bulma stupì non poco Crilin.
Gli
era capitato poche volte di vedere insieme Yamcha e
la sua fidanzata e, fino a quel momento, era assolutamente certo che andassero
d’amore e d’accordo. La cosa, però, riflettendoci bene, non era poi così
logica: Bulma e Yamcha
erano due persone completamente diverse, forse addirittura opposte, e Crilin non vedeva niente che li accomunasse a parte
un’indubbia avvenenza.
Certo,
se fosse bastata la bellezza a rendere quella coppia perfetta, quei due
sarebbero rimasti insieme per sempre; ma, purtroppo, l’empatia non si basa mai
sull’aspetto fisico delle persone.
«Eppure,
mi pare assurdo il suo comportamento. Forse, dobbiamo solo dargli il tempo di
sbollire la rabbia.»
«Non
gli basterebbe una vita, credimi. Io mi domando perché ancora perdo tempo
dietro a un tipo del genere. Assurdo! Ora fa pure l’incazzato solo perché ha
perso. Poteva allenarsi di più prima invece che ridursi a piagnucolare come un
moccioso!»
Crilin
sollevò le spalle e indietreggiò di qualche passo.
La
ragazza era decisamente nervosa. Se avesse continuato con quel discorso,
probabilmente avrebbe aggredito verbalmente anche lui.
«Be’,
io ora devo andare. Ho bisogno di parlare col mio maestro. Ci vediamo presto, Bulma!»
La
scienziata non rispose.
Forse,
non lo aveva nemmeno sentito parlare.
Quei
maledetti, chiunque essi fossero, erano già dannatamente vicini e il radar del
suo computer continuava a captare segnali inequivocabili.
***
«Questa
è bella! Una stanza tanto grande per contenere degli oggetti tanto piccoli?»
L’occhiataccia
fulminante di Chichi lo persuase dal proseguire quel
discorso.
Vedere
la ragazza osservare in religioso silenzio le sette sfere del drago gli aveva infuso una strana inquietudine. Non
era da lui soffermarsi a contemplare i volti delle persone, ma nello sguardo
cupo e profondo della ragazza al suo fianco Goku vedeva qualcosa di insolito,
qualcosa che negli altri esseri umani non aveva mai colto.
Mistero?
Magia?
Qualunque
cosa fosse, non era sicuro che gli piacesse.
Le
sfere del drago giacevano inerti su un morbido cuscino rosso sangue, della
stessa tonalità di cui si era tinta la perla che Chichi
portava al polso.
Ogni
tanto si illuminavano.
Nella
sua mente, Goku aveva immaginato quegli oggetti molto più grandi e preziosi. In
apparenza, infatti, sembravano delle stupidissime palle di vetro. Quale poteva
essere il potere che nascondevano? L’idea di scoprirlo, improvvisamente,
divenne ancora più forte di quanto non fosse in precedenza.
«Come
funzionano?»
«Cosa?»
«Le
sfere del drago.»
Chichi
cambiò di nuovo espressione, e tornò a fissarlo con quello sguardo a metà tra
l’inebetito e l’incazzato che ormai Goku aveva imparato a conoscere.
Addirittura, gli sembrava di avere davanti una persona diversa. Se la Chichi di prima era riuscita quasi a intimorirlo, questa
gli risvegliava soltanto l’istinto di spaccarle la faccia.
A
tempo debito, si disse, lo avrebbe di sicuro fatto.
«La
faccenda non ti riguarda. Il tuo compito è proteggermi, non utilizzare le
sfere.»
«Non
mi hai risposto.»
«Non
ho intenzione di farlo.»
«Mica
avrai paura che il tuo protettore ti
rubi l’esclusiva!»
«Questa
è una cosa seria, Goku. Le sfere del drago hanno il potere di intervenire sul
corso naturale della vita e della morte, sulle forze che plasmano l’universo,
sui principi che regolano la sussistenza del cosmo. Non andrebbero mai usate, mai. Neppure per fare del bene.»
Per
la prima volta in vita sua, Goku percepì il proprio cuore battere all’impazzata
per via dell’ansia. Non gli erano piaciute affatto le parole che quella
ragazzina impudente aveva proferito, tanto più che, almeno in apparenza,
sembravano non avere senso.
Una
cosa, comunque, era certa: se lui aveva accettato di trascorrere l’infanzia e
l’adolescenza su quel dannato pianeta era solo per conquistarlo e per mettere
le mani su quelle sfere e, al costo di rimetterci la salute mentale, avrebbe
raggiunto il suo scopo.
«Se
non si possono usare nemmeno per fare del bene, a che diavolo ti servono?»
«La
tua scarsa perspicacia mi stupisce non poco, Goku. Io non sono colei che le utilizza, ma che le custodisce.»
«Perché
me le hai mostrate, allora?»
«Perché
se cadessero nelle mani sbagliate, sarebbe la fine per tutti noi. Il tuo
compito è impedire che ciò accada. Sono stata chiara?»
***
Come
si aspettava, Muten era lì.
Lo
aveva cercato in lungo e in largo durante tutta la mattinata, ma ci era voluta
l’ora di cena prima che il maestro decidesse di affacciarsi nella sala da
pranzo riservata ai guerrieri.
Crilin
non sapeva bene da dove cominciare. Di cose da dire ne aveva parecchie, ma gli
mancava una scusa per avviare il discorso.
Quella
sera, oltretutto, Giumaho, sua figlia e il protettore avrebbero cenato insieme agli
altri partecipanti del torneo. La sala era gremita: non erano presenti soltanto
gli otto finalisti, ma anche tutti i guerrieri usciti alle eliminatorie insieme
agli amici e ai compagni che si erano portati dietro.
Yamcha
se ne stava buttato in disparte su un tavolo isolato.
Era
solo quando Crilin era entrato nella sala, ma ben
presto il ragazzo si accorse con disappunto che Tensinhan
e Jaozi avevano preso posto accanto a lui.
Parlottavano.
Cosa
diavolo si stavano dicendo?
Un
voce nota lo distrasse, però, da quell’insolita scena.
«Non
dirmi che ancora non hai preso posto!»
«Ah,
Muten! Mi hai quasi spaventato. Comunque, sono appena
arrivato.»
«Perfetto,
allora sarai sicuramente felice di unirti a noi!»
Quel
noi aveva incuriosito parecchio Crilin, distraendolo da Yamcha.
Dietro
l’esile figura di Muten si ergeva quella possente e
inquietante di Giumaho. Era la prima volta che il
minuto ragazzo aveva l’opportunità di vedere così da vicino quel colosso umano,
tanto che trattenne a stento un moto di terrore.
«Non
fare il prezioso» aggiunse Muten, incalzando il suo
tentennante allievo «sarà un’ottima occasione per conoscere finalmente questo
famoso Son Goku.»
Nell’udire
quel nome, a Crilin tornò in mente il compito che si
era prefissato.
Già,
doveva parlare con lui e rivelargli l’identità dei malvagi.
In
quel momento, il ragazzo scorse la figura di Bulma
che si apprestava a prendere posto su uno dei tavoli ancora liberi. Senza
nemmeno rispondere al suo maestro, il giovane guerriero si avventò su di lei e
la trattenne per un braccio impedendole di sedersi. Quasi, rischiarono di
cadere entrambi viste le condizioni delle ossa di Crilin.
«Ehi,
ma… Dico, sei impazzito?»
«Scusami,
Bulma, ma ho visto che stavi per prendere posto e ho
pensato di impedirtelo, tutto qui.»
«Ah,
questa poi! E perché mai? Sei in combutta con Yamcha
per farmi arrabbiare ancora di più?»
Mentre
pronunciava quelle parole, Bulma si accorse delle due
figure che avevano seguito Crilin.
Le
aveva riconosciute subito, ovviamente, e il fatto di trovarsele davanti a una distanza
tanto ravvicinata le mise una certa inquietudine.
In
fondo, si trattava pur sempre del grande genio
delle tartarughe e dello stregone del
toro.
La
scienziata si ricompose immediatamente e assunse un atteggiamento il meno
possibile imbarazzato; non era tipa, lei, da tremare al cospetto di una
presunta personalità, eppure la fama che circondava quei due uomini la metteva
stranamente in soggezione.
«Be’,
comunque, ancora non mi sono seduta, quindi…»
«Quindi
sei dei nostri!» la incalzò Crilin, non nascondendo
un certo entusiasmo. Era la prima volta, da quando aveva conosciuto Bulma, che il giovane guerriero si permetteva con lei una
tale confidenza. Ma la reazione della ragazza, infastidita più a parole che non
nei fatti, gli fece in qualche modo intendere che, nonostante fosse una delle
donne più ricche, affascinanti, desiderate del pianeta, probabilmente era molto
più affabile di tante altre sgualdrine pseudo famose.
Chissà,
magari Bulma stava solo aspettando l’occasione buona
per avvicinarsi allo stregone e alla sua schiera di conoscenti, schiera che, da
poco più di un giorno, si era arricchita di un guerriero sconosciuto e
potentissimo.
«Ah,
ragazzi, ma voi non avete fame? Ve ne state qui a chiacchierare e ancora non
avete scelto un tavolo. Chiaramente, io desidero per i miei commensali il posto
migliore! Seguitemi, lì in fondo alla sala staremo benissimo!»
L’entusiasmo
di Giumaho sembrava aver contagiato tutti, tranne Muten.
Crilin
conosceva un po’ troppo bene il suo maestro per non capire che qualcosa lo
tormentava. Qualunque cosa fosse, comunque, avrebbero avuto modo di parlarne
tutti insieme intorno a quel meraviglioso tavolo riservato appositamente per
loro da Giumaho.
Son
Goku si era già accomodato ancora prima del loro arrivo.
Chichi
e Mamanu avevano fatto lo stesso.
***
«Dunque,
Bulma, cosa avresti scoperto esattamente sui malvagi?»
La
domanda di Muten arrivò repentina e inaspettata.
Avevano
toccato l’argomento appena si erano seduti tutti quanti al tavolo, ma il
ricordo dei vecchi tempi aveva trascinato lo stregone e il genio verso
un turbinio di rimembranze quasi perdute. Per la verità, avevano parlato quasi
esclusivamente loro, lasciando praticamente in silenzio gli altri commensali, i
quali, interessati solo molto marginalmente all’argomento, si erano in poco
tempo distratti nei loro più reconditi pensieri.
Bulma
aveva avuto modo di osservare da vicino l’ormai celeberrimo Son Goku e
l’impressione che ne aveva tratto era tutt’altro che negativa. Certo, in
apparenza non sembrava poter essere il guerriero
perfetto – non fosse stato altro per quei capelli spettinati che gli
conferivano un’aura di irresponsabilità – ma doveva pur ammettere che quel
ragazzo aveva un fisico davvero niente male. In apparenza, doveva essere di
poco più giovane di lei, anche se l’altezza e la prestanza fisica avrebbero
potuto trarre in inganno, e il suo atteggiamento eccessivamente tranquillo
sembrava denotare una grandissima fiducia nei propri mezzi.
In
un certo senso, la velata spavalderia che Bulma
riuscì a cogliere in Son Goku le ricordava Yamcha,
ma, chissà perché, aveva come l’impressione che il prescelto avesse motivazioni molto più valide per non dubitare di
sé stesso.
Per
quasi tutta la durata della cena, Chichi non aveva
proferito parola.
Non
che le dispiacesse che quella ragazzina avesse messo a tacere la lingua, ma,
per quel poco che l’aveva conosciuta, le sembrava abbastanza strano.
Quasi,
la bella principessa di Furipan non aveva mai alzato
gli occhi dal suo piatto, anche se aveva mangiato pochissimo. Che fosse a
disagio per qualche motivo? Forse; ma di certo non era continuando a fissarla
di sottecchi che avrebbe capito il motivo del suo silenzio.
L’unico
momento in cui Muten e Giumaho
invitarono qualcun altro a prendere parte alla discussione fu quando si arrivò
a parlare di un certo Son Gohan.
Bulma
non sapeva chi fosse, né tutto sommato le interessava scoprirlo; ma pareva
proprio che, per gli altri, l’argomento fosse molto interessante. Aveva seguito
ben poco di ciò che i due uomini avevano detto circa il misterioso Son Gohan, ma quando il genio
delle tartarughe si rivolse a Son Goku chiedendogli che fine avesse fatto
il suo maestro, la scienziata tornò a prestare attenzione.
Il
tono di Muten le era sembrato, stranamente, piuttosto
sospetto, come se lui conoscesse già la risposta e volesse trovare una
conferma.
C’era
qualcosa di anomalo nel modo in cui l’anziano guerriero aveva fissato il
giovane protettore. Bulma era un’abile osservatrice, in fondo; riusciva a
cogliere anche le sfumature meno percettibili di un volto apparentemente
imperturbato e, in quel preciso istante, sentiva che anche nel cervello di Son
Goku si era acceso un campanello d’allarme.
Possibile
che Muten gli avesse teso una sorta di trappola?
Il
sorriso nervoso e quasi infastidito del guerriero più potente seduto al tavolo
aveva attirato l’attenzione di tutti gli altri convitati. Era stato toccato un
tasto dolente?
Evidentemente,
sì, visto che il “è morto tanti anni fa” di Son Goku aveva fatto cadere di
nuovo tutti nel mutismo.
Eppure,
Bulma ne era certa, quella risposta era stata la più giusta; come se, dandone un’altra, il
ragazzo avesse potuto compromettere qualcosa.
Giumaho
avrebbe voluto parlare, ma Muten lo interrupe ancor
prima che lo stregone potesse proferire
parola.
Era
giunto il momento di cambiare discorso: per quanto la morte del misterioso Son Gohan avesse turbato il padre della principessa di Furipan, il genio non
sembrava intenzionato ad approfondire la questione.
Fu
così che l’anziano maestro riprese a parlare dei malvagi.
La
domanda, rivolta direttamente a Bulma, aveva
suscitato una certa attenzione in quasi tutti, tranne in Mamanu,
la consorte dello stregone, che
sembrava quasi non avere alcun interesse per la questione.
«Be’,
ecco…diciamo… diciamo che
sono ormai certa che domani qualcosa accadrà.»
Bulma
non aveva affatto voglia di spiattellare ai quattro venti i dettagli delle sue
scoperte, in parte perché sperava ancora di essersi sbagliata, in parte perché,
comunque, era molto probabile che non le avrebbero creduto.
Per
quel poco che aveva colto dei suoi commensali, infatti, tutto sembravano tranne
che degli appassionati di astrofisica.
«Questo,
a dire il vero, lo aveva profetizzato anche Baba.»
Alla
fine, Chichi aveva trovato l’occasione per dar fiato
alla voce.
Era
assurdo come, qualunque cosa dicesse la principessina, a Bulma
salisse il sangue al cervello.
In
fondo, sarebbe bastato semplicemente rispondere educatamente e mostrarsi
indifferente al suo sarcasmo, ma con quella ragazza tale impresa sembrava
praticamente impossibile.
«La
tua preziosa Baba ha però dimenticato di dire che i malvagi sono in realtà degli
extraterrestri. Ah, oltretutto sono riuscita a intercettare la rotta delle loro
astronavi: saranno qui all’alba. Fossi in te, Chichi,
lascerei perdere i riti vudù e
comincerei a procurarmi della criptonite… Così, tanto per non rischiare di ritrovarmi, tra
qualche ora, nello spazio aperto.»
Il
silenzio che seguì le parole di Bulma fu spezzato
solamente dai pugni che Muten aveva violentemente
sbattuto sul tavolo.
«Dovevo
immaginarlo che quella vigliacca aveva taciuto la parte più importante! Appena
riesco a beccare mia sorella giuro che…»
«Muten, per favore! Non c’è bisogno di adirarsi tanto!
Magari Baba non era riuscita a vedere proprio tutto!»
«Sciocchezze,
Giumaho! Lei ha il controllo sui vivi e sui morti.
Può osservare qualunque dannata cosa desideri! Altro che entità maligne,
accidenti!»
Per
quanto Bulma desiderasse intervenire, non ebbe il
coraggio di proferire parola.
Col
senno di poi, avrebbe sicuramente fatto meglio a tenere la bocca chiusa, non
solo perché la sua rivelazione aveva mandato su tutte le furie Muten, ma anche perché Baba era
la sorella del grande maestro.
Quest’ultima
cosa, poi, non l’aveva davvero messa in conto, ma se non altro la reazione
dell’uomo dimostrava che i suoi dubbi nei confronti della veggente erano
fondati.
La
scienziata cominciò a guardarsi intorno, posando lo sguardo di volta in volta
su tutti i presenti.
Se
Chichi sembrava voler mantenere una parvenza di
compostezza, suo padre pareva invece sul punto di svenire. Crilin
taceva, come gli altri, ma il suo viso mostrava quella consapevolezza già
acquisita durante il precedente colloquio con Bulma.
Lui già sapeva tutto, purtroppo, e anzi lo scopo di quella cena era proprio
mettere gli altri a conoscenza della novità.
Son
Goku non aveva fatto una piega da quando Bulma aveva
preso a fissarlo; peccato che, nel momento in cui aveva rivelato la vera
identità dei malvagi, la scienziata
fosse intenta a gustarsi l’espressione basita di Chichi.
Forse,
sarebbe stato molto più interessante vedere l’immediata reazione del protettore; in fondo, sarebbe toccato a
lui l’arduo compito di tener testa agli alieni venturi!
«D’accordo,
mi dispiace. Non avrei dovuto dirvelo così» tentò di scusarsi la bella
scienziata.
«Non
dire sciocchezze, potresti averci salvati tutti quanti! Piuttosto, cosa pensi
che dovremmo fare adesso?»
«cosa
vuoi che ne sappia, Muten? Non sono mica io la protettrice!»
Lo
sguardo dei presenti si rivolse di nuovo verso Son Goku.
Ovvio,
chi altri potevano guardare in quel momento? Era su di lui che gravava tutto il
peso di quella difficile situazione; lui che, vincendo quel dannato torneo,
aveva in qualche modo incatenato la sua vita a quella di una principessa
scontrosa e irascibile.
O,
almeno, questo era quello che pensavano tutti.
Kakaroth
avrebbe voluto far saltare in aria all’istante quella maledetta sala da pranzo
e tutti i suoi commensali.
Questa
proprio non se la sarebbe mai aspettata.
Come
accidenti aveva fatto una sciocca terrestre qualunque a captare nello spazio
aperto la presenza delle navicelle dei saiyan? La
cosa peggiore, oltretutto, era che sembrava assolutamente convinta di ciò che
aveva scoperto.
Aveva
fatto male i calcoli, ecco tutto.
Quando
quell’ingenuo di Son Gohan lo aveva avvertito, in
punto di morte, di non sottovalutare i terrestri, avrebbe dovuto dargli retta.
Non troverai mai
qualcuno più forte di te su questo pianeta, ragazzo, ma a volte un cervello ben
allenato può dare del filo da torcere ai muscoli più sviluppati.
Ecco,
ora davanti a sé Kakaroth aveva trovato quel dannato
cervello.
E,
per di più, apparteneva a una donna.
Nel
momento in cui il saiyan si chiese se fosse il caso
di avvertire il principe, una voce squillante e ormai familiare lo distrasse di
nuovo dai suoi pensieri.
«Che
differenza volete che faccia se questi malvagi
siano demoni, fantasmi, robot, oppure alieni? A me pare che, tutto sommato,
la situazione non sia cambiata poi molto.»
«Il
problema, Chichi, è che se lo avessimo saputo prima,
magari avremmo potuto prepararci diversamente.»
Le
parole di suo padre non l’avevano convinta.
No,
Chichi non credeva possibile che i malvagi si potessero affrontare in
maniera diversa da come aveva predetto Baba.
D’accordo, Muten per primo aveva ammesso che sua
sorella non era affatto affidabile e che era capace di nascondere dettagli
importanti; ma la scienziata aveva appena confermato che qualcuno stava davvero arrivando.
E
poi c’era lui, Son Goku, il suo protettore.
In
quelle poche ore in cui aveva avuto a che fare con lui l’aveva fatta
rincitrullire più di quanto non fossero riusciti a fare tutti gli uomini che
aveva incontrato nella sua vita. Non era sicura che ciò fosse un bene; anzi,
probabilmente non lo era affatto. Ma alternative a lui proprio non ne vedeva:
aveva dimostrato sul campo di essere il più forte; su chi altri avrebbe dovuto
fare affidamento per sperare di sconfiggere le forze del male?
Nel
momento in cui la principessa lanciò al suo guerriero uno sguardo, il saiyan percepì dei brividi sconosciuti. Negli occhi della
ragazza, Kakaroth riuscì a scorgere tutta l’immensa
fiducia che ella riponeva in lui e tutto l’entusiasmo che la giovane ancora
covava.
Quello
scambio di sguardi non durò più di un attimo, ma ciò bastò a far aumentare in Kakaroth un inaspettato disagio.
Stava
per tradirla.
Come
aveva detto la scienziata, entro l’alba gli alieni sarebbero arrivati sulla
Terra e poi…
«Sai
dove atterreranno?»
«Suppongo
nelle vicinanze, Crilin. La valle ai piedi del monte Furipan mi sembra vasta abbastanza per accogliere una
ventina di navicelle monoposto.»
«A
me è passata la fame.»
Giumaho
si alzò di scatto dal suo posto.
La
fame era passata a tutti, ovviamente, ma il suo ruolo nei confronti della gente
di Furipan aveva reso lo stregone più nervoso di tutti gli altri.
Mamanu
si alzò dopo di lui.
Come
sempre, sua moglie lo avrebbe seguito ovunque egli avesse deciso di andare.
Il
silenzio del tavolo cui erano sedute le più alte personalità di Furipan contrastava con forza col rumore assordate delle
risate e delle chiacchierate nel resto della stanza. Bulma
avrebbe voluto essere da tutt’altra parte, così come anche Crilin
e Kakaroth, ognuno travolto da un’infinità di
pensieri.
«Be’,
sarà meglio che ce ne andiamo tutti a dormire. Domani la giornata inizierà
prestissimo, a quanto pare.»
Bulma
si voltò verso Crilin e gli rivolse uno sguardo di
assenso.
Già,
l’indomani mattina era ormai vicino, e anche se aveva la sensazione che nessuno
avrebbe chiuso occhio, era di sicuro meglio cambiare aria. L’atmosfera intorno
a quel dannato tavolo si era fatta molto più pesante del previsto.
«Aspettate,
e io?» intervenne la principessa. «Come faccio ad andare a letto come se niente
fosse sapendo che fra poche ore arriveranno i malvagi?»
«Vuoi
passare la notte con me e Mamanu?»
«No»
si intromise a sorpresa Goku, lasciando di stucco sia Giumaho
che Chichi «va’ nella tua stanza e non muoverti da lì
finché non sarò io stesso a venirti a prendere.»
Il
tono autoritario con cui il giovane guerriero aveva proferito quelle parole
aveva sortito uno strano effetto sui commensali. Era chiaro che quello non
poteva che essere un ordine, anche se, per qualche strana ragione, a Bulma sembrò somigliare in qualche modo a una minaccia.
Guardando
di sottecchi ad uno ad uno i volti degli altri presenti, si rese conto che Muten doveva averla pensata come lei.
Son
Goku, dal canto suo, non diede a nessuno, neppure alla principessa, il tempo di
replicare.
In
poco meno di un secondo si alzò dal tavolo e se ne andò, lasciando un po’ tutti
a bocca aperta.
A
poco a poco, tutti seguirono il suo esempio, nel silenzio più totale.
Bulma,
lasciando la sala da pranzo, si chiese se quell’invito a non uscire dalla
propria stanza fosse rivolto solo alla principessa o anche a tutti gli altri.
Si convinse per la seconda opzione e, proprio per questo, lei avrebbe
disobbedito.
***
«Dannato
pianeta! Ah, a che diavolo servono tutte queste stupide montagne? Ecco perché
detesto i pianeti rocciosi!»
L’atterraggio
sulla Terra non era stato dei migliori, né, tutto sommato, il principe aveva
previsto di meglio. Kakaroth gliel’aveva detto, in
fondo: quello stupido ammasso di roccia non era affatto adatto agli atterraggi
di fortuna. Non che il suo lo fosse, ma il principe si era accorto, con un
certo disappunto, di aver fatto male i conti e di aver immaginato la vallata ai
piedi del monte Furipan molto più ampia di quanto in
realtà non fosse.
Il
risultato fu un tamponamento di massa che vide coinvolte ben sedici navicelle
su ventuno, compresa la sua.
L’aria
tuttavia, era fresca e frizzante.
Erano
anni, ormai, che il giovane Vegeta, erede dell’impero più grandioso e potente
mai affacciatosi sulla faccia dell’universo, non assaporava il piacere di
respirare del sano ossigeno tutto insieme. A prima vista, quel pianeta non
sembrava poi così male e il principe doveva dare atto a Kakaroth
di averci visto giusto anche su questo aspetto.
L’idea
che il suo sottoposto avesse così tanta perspicacia non gli andava poi troppo a
genio ma, tutto sommato, era un bene che a finire su quel ricco pianeta non
fosse stato un perfetto imbecille.
«Dannazione,
principe, un paio di navicelle sono andate quasi completamente distrutte.»
«Non
è questo il nostro problema principale, Bardack. Piuttosto, dov’è
quell’incompetente di tuo figlio? Ci aveva assicurato che sarebbe stato qui ad
accoglierci al nostro arrivo.»
«Sono
qui, Vegeta, proprio come ti avevo promesso.»
La
figura di Kakaroth si stagliò quasi prepotentemente
di fronte a quella basita di tutti gli altri saiyan;
tutti, tranne il principe e Bardack. Il giovane
figlio del generale più potente dell’armata reale aveva fatto passi da gigante
durante gli anni trascorsi sulla Terra, nonostante quel pianeta fosse abitato
perlopiù da perfetti incompetenti nel campo della lotta.
Eppure,
nessuno, tranne loro due, si era accorto del suo arrivo.
L’alba
stava sorgendo in quel momento lungo la verdeggiante vallata che si stagliava
in tutta la sua rigogliosa bellezza ai piedi del monte Furipan;
l’atmosfera che si respirava tra i combattenti più potenti dell’universo pareva
riecheggiare i più cupi meandri dell’inferno.
«Ti
aspettavo con ansia, Kakaroth. E ora, portami dalle sfere del drago.»
CONTINUA
Angolo dell’autrice
Buongiorno/pomeriggio/sera
a tutti!
Innanzitutto,
grazie di cuore a chi è riuscito ad arrivare in fondo anche a questo capitolo.
Spero con tutta me stessa di non avervi annoiati, anche se, ovviamente, ancora
non è successo niente di che. Per ora mi sono limitata a scandagliare la mente
dei miei personaggi: qualcuno inizia a sospettare qualcosa, qualcun altro
sembra, invece, non nutrire alcun dubbio circa la buona fede di Goku.
Mi
auguro di essere riuscita a rendere abbastanza bene il vortice di sentimenti
che sta turbando i protagonisti della storia. Per il resto, evito di stressarvi
ulteriormente con discorsi inutili vista la lunghezza del capitolo.
Lei
lo aveva promesso a sé stessa: non avrebbe dato retta a Son Goku.
Qualunque
cosa fosse successa, qualunque cosa avesse visto, lei avrebbe atteso lì,
proprio dove aveva previsto che sarebbero giunti gli alieni, il loro manifestarsi.
L’alba
era sorta già da qualche minuto nella valle di Furipan
e una fresca brezza mattutina sembrava contrastare con forza con lo scenario di
distruzione che Baba aveva prospettato per il
villaggio e per l’intero pianeta. Bulma era piuttosto
assonnata e solo a fatica era riuscita a tenere gli occhi aperti dopo che si
era accampata dietro a una delle tante macchie di bosco che si estendevano
lungo la vallata.
Fortuna
che aveva la buona abitudine di portarsi sempre dietro un accampamento di emergenza.
Trascorrere
la nottata all’aria aperta in quella piccola tenda, che era comunque più
confortevole della sua stanza d’albergo, l’aveva aiutata a cacciare dalla testa
un sacco di brutti pensieri.
Il
primo era Yamcha.
Cose
ne fosse stato di lui dopo la loro discussione non poteva di certo saperlo.
Fino
a qualche ora prima pensava che nemmeno le interessasse più di tanto, ma la
solitudine di quel luogo ameno e incontaminato l’aveva aiutata ad ascoltare
anche rimorsi urlati a bassa voce dalla sua coscienza.
Che
avesse esagerato con lui? Chissà, in fondo, pensandoci bene, i sospetti di Yamcha potevano anche essere legittimi. Da quando si era
interrotta la cena con le grandi personalità di Furipan,
alla quale aveva preso parte anche l’ormai celeberrimo Son Goku, una sensazione
di profonda inquietudine continuava ad albergare nell’animo della scienziata.
Goku non aveva reagito esattamente come previsto e lo strano teatrino che lo
aveva visto protagonista quando Muten gli aveva
chiesto che fine avesse fatto quel tale Son Gohan
aveva convinto in qualche modo la scienziata che nel protettore ci fosse qualcosa di ambiguo.
Qualcosa,
certo.
Ma
mai Bulma avrebbe potuto immaginare che egli stesso
facesse parte della schiera dei malvagi.
Le
gambe della scienziata tremavano e a fatica ella riusciva a rimanere immobile
dentro alla sua tenda.
Non
appena ebbe scorto Son Goku tra le fronde capì che qualcosa non andava. I
terrestri, purtroppo, avevano preso un clamoroso granchio e, a quanto pareva,
non avevano sufficientemente prestato orecchio all’avvertimento di Baba di fare a attenzione a non scambiare un male
intenzionato per il protettore.
Detto
fatto.
Gli
alieni erano ancora lì fuori e parlottavano. Qualcuno sembrava parecchio
nervoso. Be’, pensò la scienziata, lo sarebbe stata anche lei se la sua
preziosa navicella fosse andata distrutta. Pensare che quegli esseri tanto
simili agli umani provenissero da chissà quale zona della galassia le incuteva
uno strano timore referenziale. Quanto dovevano essere forti quegli alieni per
essere riusciti a sopravvivere nello spazio aperto dentro quelle microscopiche
navicelle? E quanto dovevano essere tecnologicamente avanzate queste ultime?
Ormai
Bulma non era più affacciata all’oblò della sua tenda
e, anzi, se ne stava rannicchiata a terra, cercando di rimanere il più
possibile immobile per non essere vista.
La
scienziata non poteva sapere se gli alieni fossero ancora lì fuori. Immaginò
che, probabilmente, non avrebbero perso tempo in chiacchiere e avrebbero
raggiunto al più presto la principessa e le sfere
del drago.
Ah,
Chichi! Ora sì che la principessina era in guai seri!
Se
solo quell’imbecille di suo padre avesse tastato un po’ meglio il terreno prima
di affidarsi completamente a Son Goku, forse a quest’ora ci sarebbe stata qualche
speranza di salvare le sfere. Probabilmente, nel giro di qualche ora, Goku e i
suoi scagnozzi se ne sarebbero appropriati.
Bulma
emise un sospiro di sconforto.
Era
finita.
Per
quanto cercasse di mettere in moto il cervello, non riusciva a prospettare alcuna
soluzione.
Nell’attimo
in cui il suo animo si dimenava tra lo sconforto e la disperata ricerca di una
qualunque soluzione, un forte scossone la destò e la fece capitolare. Il suo
orecchio fece appena in tempo a percepire un forte squarcio che due possenti
braccia la afferrarono dalla schiena. L’urlo disperato che lanciò fu
immediatamente soffocato dalla mano di un uomo.
L’avevano
trovata, maledizione!
«E
questa? Accidenti, davvero sfortunata la donzella! Decidere di accamparsi in questa
stupida valle proprio quando stanno per arrivare i saiyan!»
«Evita
di parlare troppo, Napa. Prendiamola e portiamola
verso il castello dove sono custodite le sfere!»
«E
perché dovremmo farlo, Bardack? È solo una stupida
terrestre! Guardala, è già svenuta dalla paura!»
«Non
sappiamo chi sia. Portiamola al castello e basta. Deciderà il principe cosa
fare di lei.»
***
Chichi
le aveva viste bene quelle piccole astronavi precipitare ai piedi di Furipan.
A
colpo d’occhio sembravano essere una ventina. Erano forse gli alieni?
Sicuramente, sì; in fondo suo padre era sempre stato chiaro sul da farsi: guai
a coinvolgere l’esercito! Quei palloni gonfiati che risolvevano le grane dei
cittadini comuni solo dietro lauti compensi non dovevano sapere nulla dei malvagi.
Dormire
per lei era stato impossibile.
Dal
momento in cui Goku le aveva ordinato di non muoversi dalla sua stanza fino al
suo arrivo, la principessa aveva aspettato con trepidazione che il protettore spalancasse le porte della
sua camera e le dicesse che gli alieni erano stati sconfitti, che le sfere del drago erano salve, che lei era
ragazza più coraggiosa e bella di Furipan e che…
Chichi
avvampò; stava divagando.
Fare
avanti e indietro dalla finestra alla porta non le era affatto d’aiuto, tanto
più che l’alba era ormai sorta da un pezzo e che al di fuori del castello
sembrava non esserci alcun segno di vita.
Nessuno,
evidentemente, aveva avuto il coraggio di lasciare la propria dimora o
l’albergo in cui alloggiava sapendo che quello era il gran giorno. Lei stessa, che pure sarebbe dovuta essere la prima a
tentare di difendere a spada tratta i preziosi oggetti di cui era custode, se
ne stava chiusa in quella stanza ad aspettare chissà che.
In
realtà, cosa stesse aspettando lo sapeva benissimo; ciò di cui non era affatto
sicura era se desiderasse dal suo protettore semplicemente la conferma del suo
successo o se, più maliziosamente, si aspettava che succedesse dell’altro.
Ma
cosa, poi? Lei non aveva mai avuto un uomo, e quello sfrontato di Goku l’aveva
messa non poco in imbarazzo facendoglielo notare. Era dal senso di rivalsa di
quel piccolo affronto subito che nasceva in Chichi il
desiderio di approfondire la
conoscenza col suo protettore? O,
magari, la giovane principessa stava solamente cedendo al suo fino ad allora
celato istinto di donna?
La
porta della sua camera si spalancò improvvisamente facendola sussultare.
Era
raro che Chichi si spaventasse ma, stranamente, come
già era successo al loro primo incontro, la ragazza non aveva percepito l’aura
di Goku avvicinarsi a lei.
Il
sospiro di sollievo che tirò la principessa nello scorgere la figura del suo
protettore davanti a sé fu interrotto dallo strano aspetto che aveva Goku.
Nulla nel suo sguardo serio e stranamente minaccioso sembrava aver a che fare
col giovane linguacciuto e un po’ troppo impertinente che aveva conosciuto nei
giorni addietro. E cosa accidenti era quell’affare che portava a un occhio?
«Guarda
che diavolo hai fatto, stupido!» osò Chichi, cercando
di non farsi spaventare dall’aspetto insolito del ragazzo. «Hai praticamente
distrutto la porta della mia camera!»
«Sta’
zitta.»
«Cos…
Cosa?»
«Ti
ho detto di chiudere la bocca! Cosa non ti è chiaro, ragazzina?»
I
passi di Kakaroth che, lenti, avvicinavano il saiyan alla principessa di Furipan
erano scanditi da un forte tonfo. Il silenzio quasi surreale che aleggiava nel
castello e al di fuori di esso aveva avuto l’inquietante effetto di amplificare
anche il più piccolo rumore.
Chichi
cominciò a indietreggiare, completamente allibita da ciò che stava succedendo.
Ma
ormai aveva raggiunto la parete opposta a quella di Goku e, a meno di buttarsi
dalla finestra, era definitivamente in trappola.
«Si
può sapere che diavolo ti prende? Io… Io non ti ho
mai visto così.»
«Tu
non hai visto ancora niente di me, sciocca. Se solo sapessi in che razza di
guaio vi siete cacciati tu e tutti gli abitanti di questo sciocco pianeta!»
Deliziarsi
della paura che trapelava dallo sguardo esterrefatto di Chichi
era per Kakaroth una piccola goduria. Sperava proprio
che tornare a vestire i panni del terribile guerriero che era lo avrebbe
distratto definitivamente da tutte le sciocche premure che nelle ultime ore
erano sorte in lui nei riguardi della principessa. Non che l’idea di
proteggerla dai saiyanlo allettasse davvero – in fondo,
appartenendo anche lui a quella razza, ciò avrebbe significato rinnegare i suoi
avi e le sue origini – ma quella che stava per compiere era senza dubbio
l’infamia più grande dopo l’assassinio del suo maestro.
Anche
Chichi, come Son Gohan, si
era fidata di lui, ma, a differenza del vecchio, lei non aveva la benché minima
possibilità di azzardare un tentativo di difesa.
Le
vittorie facili non gli erano mai piaciute.
Kakaroth
aveva aspettato con ansia quel torneo anche per mettere alla prova i presunti
guerrieri più potenti del pianeta e, oltretutto, ne aveva ricevuto in cambio
una bella delusione. Rimanevano ancora le sfere
del drago, però, che erano il suo obiettivo più importante. Chichi, senza dubitare minimamente della sua buona fede,
gliele aveva mostrate. Il saiyan ricordava benissimo
dove fossero, ma non era certo che il solo entrarne in possesso ne avrebbe
garantito l’utilizzo.
Sarebbe
stato troppo facile, altrimenti, e quello stupido gioco si sarebbe concluso
davvero troppo in fretta.
Costringere
Chichi a spiaccicarsi di schiena contro il muro con
il suo semplice avvicinarsi era stato l’unico modo per verificare quale
reazione avrebbe avuto la ragazza.
Di
primo acchito, la principessa gli era sembrata una povera sprovveduta – e forse
lo era veramente – ma la fiamma che si era accesa nei suoi occhi quando l’aveva
sentita parlare delle sfere del drago
gli aveva in qualche modo messo la pulce nell’orecchio. Se qualcuno, dall’alto,
l’aveva scelta come custode, qualche
dannato pregio doveva pur avercelo quella stupida ragazzina!
Goku
era a pochi passi da lei e la guardava con aria quasi collerica.
Per
quanto la giovane erede di Furipan desiderasse
mantenere una parvenza di calma, i muscoli del suo corpo non facevano altro che
tremare e, lei temeva, molto vistosamente.
Prima
di quel momento non aveva mai sperimentato la paura. Ancora non riusciva a
capire cosa stesse succedendo, né a cosa alludesse Goku quando aveva parlato di
guai, ma una cosa era sicura: da sola
non avrebbe potuto tener testa al suo protettore.
Perché,
ormai non aveva più dubbi: stava per attaccarla.
«Se
proprio hai deciso di tradire il patto, spiegami almeno che diavolo hai
intenzione di fare, Goku.»
«Tradire, io? Ti sbagli di grosso. Avrei tradito me stesso se avessi prestato
fede a quella stupida leggenda. Io non sono quello che credi, o che credevi: di
te, di tuo padre, di Furipan e di questo inutile
pianeta non mi importa un bel niente. Non appartengo nemmeno a questo mondo, se
proprio ti interessa saperlo. Se la tua amica scienziata non avesse previsto
con tanta precisione l’arrivo dei miei compagni, probabilmente questa farsa
sarebbe andata avanti ancora un po’» sussurrò a mezza bocca il saiyan avvicinando ancora di più il volto a quello pallido
e impaurito di Chichi «e tutto sommato la cosa non mi
sarebbe nemmeno dispiaciuta.»
«Mi
fai schifo!»
L’urlo
di Chichi e il tentativo di spintonare il guerriero
lontano da lei si conclusero con un buco nell’acqua. Fu fin troppo facile per Kakaroth afferrarle i palmi delle mani prima che queste
raggiungessero il suo petto.
«Ah,
vedo che un po’ di grinta ce l’hai! Allora non erano tutte balle quelle che
sentivo raccontare negli spogliatoi trauno scontro e l’altro.»
«Che
diavolo vuoi, Goku?»
«Kakaroth. Ho preferito non presentarmi col mio vero nome
perché avevo paura che il vecchio, prima di morire schiacciato da un enorme
gorilla, avesse riferito a qualcuno dei suoi amici qualche dettaglio un po’
troppo compromettente su di me. Ma ormai non ha più senso mentire.»
«Non
mi importa niente di come diavolo ti chiami. Lasciami andare! Se vuoi le sfere,
sai dove andarle a prendere.»
Il
saiyan liberò una risata trattenuta fin troppo a
lungo.
Senza
che quasi la principessa avesse il tempo di accorgersi di alcunché, l’afferrò
per i fianchi e la scaraventò per terra, impedendole solo all’ultimo di
sbattere la testa.
Un
attimo dopo era sopra di lei, una mano sotto la testa della ragazza e l’altra
sul pavimento a sostenere il proprio corpo.
«Credi
davvero che io sia così sciocco, eh? Scommetto che esiste un meccanismo segreto
per far funzionare quelle dannate sfere e scommetto anche che sei la sola a
conoscerlo. Senza di te le prodigiose sfere
del drago sono solo delle inutili palle di vetro, ammettilo.»
A
Chichi iniziava a mancare il fiato.
Se
fino a pochi minuti prima aveva fantasticato sul trionfale ingresso di Goku
nella sua stanza, ora doveva fare i conti con un alieno senza scrupoli e con un
potenziale dominatore del mondo. A che altro potevano servirgli, altrimenti, le
sfere?
Lacrime
amare cominciarono a scivolare lentamente lungo il volto affranto della giovane
principessa di Furipan. Un misto tra rassegnazione e
delusione aveva preso posto nel cuore della ragazza, impedendole di mantenere i
nervi saldi.
Non
era semplicemente la constatazione di aver preso un granchio riguardo a Goku. A
dare più fastidio alla principessa e a farla sentire un’immensa stupida era
soprattutto il fatto di essersi concessa su quel maledetto traditore fantasie
poco consone a una principessa.
Se
poi quel bastardo lo avesse addirittura capito, per lei sarebbe stato il colpo
di grazia.
Veder
piangere Chichi sotto di sé lo aveva fatto
innervosire più di quanto già non fosse.
Probabilmente,
non gli sarebbe bastata una vita intera per capire le donne. Sapeva che quel
pianto non era dovuto solo alla consapevolezza di essere in trappola. Quella
maledetta ragazzina stava cercando con ogni mezzo di evitare il suo sguardo,
pur avendo gli occhi del suo aguzzino a pochissimi centimetri dai suoi.
Sciocca,
ingenua e inesperta.
I
suoi tentativi di abbindolamento erano andati ben oltre i risultati sperati.
Come
aveva fatto quella dannata principessa a invaghirsi di lui soltanto per avergli
parlato un paio di volte? Se Vegeta e suo padre fossero venuti a conoscenza di
una cosa del genere lo avrebbero preso in giro per il resto dei suoi giorni.
O
gli avrebbero consigliato di approfittarne.
Kakaroth
si alzò, liberando a poco a poco Chichi dal peso
opprimente del suo corpo muscoloso.
Chissà
perché, quella situazione, che pure avrebbe dovuto divertirlo, non gli piaceva
per niente.
«Alzati.»
Lo
stordimento di Chichi era ancora troppo forte perché
ella riuscisse davvero a muovere anche un solo muscolo. Ovviamente, alzarsi
sembrava per lei un’impresa impossibile.
«Si
può sapere che diavolo stai aspettando? Io non ho affatto voglia di giocare.
Rimettiti in piedi immediatamente! Gli altri saiyan
ci stanno aspettando.»
«Gli
altri… cosa?»
«Alzati,
maledizione! Se non ubbidisci ti solleverò con la forza.»
L’assoluta
immobilità della ragazza aveva fatto infuriare Kakaroth.
Possibile che, cadendo a terra, quella mocciosa si fosse fatta male davvero?
Comunque stessero le cose, il saiyan sapeva di aver
temporeggiato fin troppo. Vegeta aveva già occupato il castello da un bel pezzo
e sia lo stregone del toro che la sua
consorte dovevano essere caduti nelle sue mai.
«Al
diavolo tu e la tua stupida debolezza!»
Senza
che la ragazza avesse modo di replicare o di reagire, il saiyan
la afferrò da terra e se la caricò in spalla come se fosse un sacco.
Se
non altro, la principessina non sembrava voler opporre alcuna resistenza, anche
se le lacrime della giovane scendevano copiose lungo il torace del guerriero.
***
«Questa
poi… si può sapere dove avete trovato questa donna?»
Il
principe non sembrava affatto entusiasta della scoperta annunciatagli da Napa. Sapeva che quell’imbecille aveva il brutto vizio di
esagerare, ma definire una qualunque creatura di sesso femminile come una cosa interessante era a dir poco da
idioti.
E
Napa, in effetti, lo era.
Se
conosceva bene i suoi uomini, Bardack doveva aver
suggerito di risparmiarla perché non si
sa mai e il guerriero d’élite più inutile della storia aveva sicuramente
interpretato le sue parole come un di
sicuro nasconde qualcosa di interessante.
Al
diavolo lui e il maledetto giorno in cui aveva deciso di portarselo dietro! Non
sarebbe stato meglio lasciarlo sul pianeta Vegeta in mezzo ai saibaim e alle puttane?
Tuttavia,
più guardava la misteriosa donna dormiente e più si rendeva conto che, tutto
sommato, i suoi due sottoposti erano incappati in un gran bell’esemplare di
femmina. Non sapeva se tutte le terrestri fossero così, ma di certo i colori
esotici di quella sconosciuta avevano un certo fascino.
Dopo
tanti anni, il principe dei saiyan poteva finalmente
dire di essersi imbattuto in una bella donna.
Ma
ciò non toglieva affatto che, in quel dannato e preciso momento, non aveva idea
di che cosa farsene.
«Era
accampata nella valle dove siamo atterrati. La sua tenda era nascosta tra i
boschi.»
«D’accordo,
Napa, e come credi che possa tornarmi utile?»
Le
parole del principe avevano lasciato di sasso l’imponente guerriero d’élite.
Nonostante la mole, Napa non era un tipo particolarmente
coraggioso, o, per lo meno, non lo era quando si trovava a cospetto del suo
principe.
Nonostante
negli anni il forte guerriero avesse tentato più e più volte di mettere un
freno al tremolio della voce che lo colpiva ogni volta che doveva parlare con
Vegeta, ancora non era riuscito a imparare come darsi un contegno. Persino
quell’enorme colosso che il principe aveva appena fatto prigioniero sembrava
più a suo agio di lui.
Quasi,
il saiyan ebbe l’impressione che il tanto blasonato stregone del toro lo stesse deridendo.
«Be’,
ecco…io… L’idea è stata di
Bardack.»
«Certo,
questo lo avevo immaginato. Tu non sei così perspicace da pensare che è strano
che una donna campeggi da sola in una vallata pur sapendo dell’arrivo dei malvagi. Comunque, io al momento ho
altro a cui pensare.»
Il
principe gettò un’ultima occhiata alla donna dormiente stesa ai suoi piedi.
Era
da parecchio tempo che non si concedeva un diversivo che implicasse la presenza
di una creatura femminile.
Un
sorriso perverso si delineò tra le labbra del giovane principe.
«Chiudila
in una delle stanze del castello e portami qui le chiavi» ordinò rivolgendosi a
Napa. «E, ovviamente, assicurati che giaccia su un
letto.»
***
La
luce del sole non le era mai parsa tanto accecante come quel giorno, ma la sua
presenza, se non altro, le rendeva più facile sopportare ciò che stava
succedendo.
Il
suo aguzzino aveva preferito tenerla lontana da Giumaho,
pensando, erroneamente, che ella avesse una qualche influenza sulle decisioni
prese da suo marito e dalla figlia.
Ma
quell’alieno dalle sembianze umane era incappato in un errore non da poco.
Mamanu
aveva accettato di sposare lo stregone
del toro dopo che nel suo regno era giunta la notizia della sua vedovanza.
Suo padre aveva sempre ambito a sistemare come meglio poteva le sue quattro
figlie e, in quel tempo, Mamanu era l’unica ancora
senza marito.
Perché
avesse accettato di sposarlo faticava ancora a capirlo, nonostante fossero già
trascorsi svariati anni, e la sensazione che, tutto sommato, anche Giumaho fosse stato sopraffatto dagli eventi senza poter
decidere lucidamente cosa fare della propria vita tornava di tanto in tanto a
tormentarla come un chiodo fisso.
Lei
era stata educata all’obbedienza e al rispetto e con il marito si era sempre
comportata di conseguenza. In fondo, le era andata anche bene: nonostante
l’aspetto minaccioso, Giumaho era in realtà una delle
persone più docili e affettuose che avesse mai incontrato.
Tutto
sommato, il suo era stato un matrimonio felice: suo marito non le aveva mai
fatto mancare nulla, gli abitanti di Furipan
l’avevano accolta con benevolenza, gli uomini di corte le portavano rispetto.
Ma
lei, in quel regno, non contava davvero nulla.
«Non
so chi siate, né tantomeno cosa vogliate da noi, ma se sono le sfere del drago a interessarvi state
tenendo prigioniera la donna sbagliata.»
«Lo
so. Della principessa si sta già occupando mio figlio.»
Mamanu
ebbe un sussulto.
Suo
figlio? Da quando quell’uomo e un suo
compagno avevano fatto irruzione nella sua camera da letto e l’avevano separata
da Giumaho, Mamanu non
aveva riflettuto a sufficienza sulla loro identità. L’essere che in quel
momento la teneva prigioniera aveva un che di noto. Capelli spettinati, sguardo
profondo e minaccioso, un corpo massiccio…
Già,
somigliava dannatamente a Goku.
«E
così, abbiamo sbagliato protettore.»
Bardack
si lasciò sfuggire una risata.
«Non
credo; dubito che ci fosse qualcun altro sulla faccia della Terra in grado di
vincere quel torneo. Semplicemente, il più forte non sta sempre dalla parte del
bene.»
«Già,
e non sempre le cose vanno come previsto. È un peccato. Sai, la principessa ha
un sacco di difetti: è impulsiva, testarda, spesso saccente. Ma ha un cuore
immenso e un dono straordinario. La sua forza spirituale è ineguagliabile. Non
mi intendo molto di queste cose, ma sono certa che nemmeno Goku sia al suo
livello da quel punto di vista. Commetterebbe un grave errore se le facesse del
male.»
«In
realtà, non so quali siano le intenzioni di Kakaroth.
Una cosa è certa: lui non è un idiota.»
Kakaroth.
E
così, quello era il suo vero nome.
Mamanu
sospirò, poi si alzò da terra e si affacciò alla finestra. Il suo aguzzino aveva
deciso di rinchiuderla nell’unica stanza non arredata di tutto il castello. La
donna aveva le ossa doloranti; da quanto non le capitava di sedere per terra?
Stranamente, sembrava che al padre di Goku non interessasse poi molto che lei
si muovesse liberamente per la stanza. In fondo, non avrebbe potuto in alcun
modo uscire di lì.
Bardack,
dal canto suo, si era stupito non poco della calma apparente della sua
prigioniera. Quella donna tanto giovane e attraente sembrava totalmente
indifferente alla sorte che il destino aveva riservato per lei. Sembrava che
fosse abituata a subire gli eventi
piuttosto che a domarli.
D’accordo,
tutti in quello strano villaggio sapevano dell’arrivo dei malvagi e, probabilmente, si erano anche preparati
psicologicamente, ma l’indifferenza che stava dimostrando la regina era quasi
irritante. La sovrana del suo popolo non avrebbe mai e poi mai reagito così.
«Pensi
che guardare fuori dalla finestra ti aiuterà a risolvere la situazione?»
«Io
non ambisco a risolvere niente.»
«Lo
immaginavo. Certo, è un comportamento piuttosto anomalo da parte di una
regina.»
La
donna si voltò verso di lui, incrociando per l’ennesima volta nell’arco di
appena una mezz’ora le iridi scure del saiyan. Bardack faticò a riportare la sua mente lontano dalle
fantasie inopportune che gli occhi grigi della donna avevano fatto scaturire in
lui.
Doveva
ammetterlo: il fatto che i terrestri somigliassero tanto ai saiyan
lo aveva in qualche modo spiazzato. In fondo, l’idea di dover sterminare un
popolo alieno risultava più facile se quest’ultimo era costituito da umanoidi
coi tentacoli, scimmie con le ali o giganteschi felini parlanti. Ma se gli
alieni in questione somigliavano dannatamente agli uomini e alle donne della
sua razza, era chiaro che, istintivamente, era facile farsi venire qualche
scrupolo in più.
Mamanu
poi, lo incuriosiva oltremodo, nonostante il suo atteggiamento gli sembrasse
riprovevole; ma era pur vero che raramente aveva visto una donna saiyan con un aspetto tanto femminile e curato.
«Io
non sono la regina. La sovrana di Furipan è morta
tanti anni fa. Qui è tutto in mano alla principessa Chichi
e a suo padre che ne ha gestito il potere e la proprietà finché la giovane
erede era ancora una bambina.»
«Quindi
non è tua figlia.»
«No.»
«È
per questo, dunque, che ti mostri tanto indifferente alla sua sorte?»
Un
brivido di rabbia attraversò il corpo di Mamanu e,
per la prima volta da quando l’aveva rinchiusa in quella stanza, Bardack riuscì a scorgere nel suo volto i segni
inconfondibili dell’indignazione.
«Io
non sono indifferente alla sorte di nessuno. È assurdo! Hai messo piede su
questo pianeta stamattina e già credi di aver capito tutto di me e della mia
famiglia?»
«Ah,
questa è bella! Nessuno dei miei prigionieri si è mai azzardato a fare
l’offeso.»
Bardack
si spostò dallo stipite della porte dove, fino a quel momento era rimasto
fermo. Si avvicinò con lentezza snervante a quella che fino a poco tempo prima
credeva essere la sovrana di Furipan e prese a
osservarla da vicino.
Il
cipiglio severo che le aveva rivolto non sembrava averla intimorita affatto.
Mamanu
sosteneva con caparbia lo sguardo, sempre più affilato e penetrante, che lo
sconosciuto le stava rivolgendo con insistenza.
La
stava studiando.
In
fondo, Mamanu era abituata a questo. Cos’altro era la
vita se non un continuo sottoporsi al giudizio degli altri? Anche Giumaho l’aveva guardata attentamente prima di accettare la
proposta di suo padre di prenderla in moglie; lo stesso aveva fatto la piccola Chichi, quando, ancora bambina, aveva dovuto sopportare
l’intromissione nella sua vita di un’altra donna.
Pensandoci
bene, lo sguardo del suo aguzzino somigliava molto di più a quello della
principessa che non a quello dello stregone
del toro. Era uno sguardo oltremodo indagatore, minaccioso, curioso in
maniera perversa. Non prometteva nulla di buono, insomma; ma Chichi, parole indegne a parte, non le aveva mai fatto
nulla di male… Poteva aspettarsi lo stesso da un
alieno dalla forza sovrumana venuto sulla Terra con lo scopo di
conquistarla?
«Non
so in che razza di prigionieri sei incappato fino ad ora, ma ho una dignità e
ancora ci tengo, nonostante io sappia di essere in grave pericolo.»
«La
tua audacia mi piace, questo è sicuro.»
Il
saiyan si avvicinò ulteriormente alla donna, fino a
trovarsi a un paio di centimetri dal suo naso. La sua prigioniera non era
indietreggiata affatto, quasi che volesse in qualche modo sfidarlo.
Perché
diavolo si stava comportando in quel modo assurdo?
In
quel momento, a Bardack non importava più niente né
della principessa né delle sue beghe familiari. Se, fino a pochi secondi prima,
il rapporto tra lei e la sua matrigna lo aveva in qualche modo incuriosito, ora
era decisamente passato in secondo piano.
Quella
donna lo stava sfidando e l’ultima volta che una creatura di sesso femminile
aveva osato fare una cosa del genere, era poi diventata la sua sposa.
***
«Ah,
io lo sapevo, dannazione! Come diavolo hanno potuto fidarsi ciecamente di un
tipo del genere? Si capiva da come combatteva che c’era qualcosa di sbagliato
in lui.»
«Basta,
Yamcha! Non è continuando a rimuginarci sopra che ci
libereremo di lui e dei suoi compagni.»
«Lo
so, Tensinhan, ma se penso a come mi ha trattato Bulma, io…»
«A
proposito, che fine ha fatto la tua donna?»
Yamcha
si zittì per qualche istante prima di sussurrare un timido “non lo so”.
Era
vero, lui non aveva più notizie di Bulma da quando aveva
lasciato la sala di pranzo la sera precedente per seguire Tensinhan
e Jaozi sulla vetta più alta del monte Furipan. Da lì avevano visto tutto: l’arrivo delle
astronavi, il loro atterraggio e lo sparpagliamento degli alieni in giro per il
villaggio. Ma dove fosse andata a cacciarsi Bulma
proprio non lo sapeva.
Conoscendola,
non era affatto improbabile che si fosse nascosta da qualche parte in attesa
che arrivassero i malvagi.
Ah,
quella donna era tanto intelligente quanto cocciuta! E pure sprovveduta,
oltretutto.
D’accordo,
era un genio assoluto, forse addirittura più di suo padre, ma la testardaggine
che la contraddistingueva avrebbe potuto recargli un sacco di problemi.
Il
ragazzo sospirò, poi tornò a guardare verso la valle.
«Lei
è in gamba: in qualche modo se la caverà. Piuttosto, che facciamo adesso? Già
Goku da solo è fuori dalla nostra portata, ma un esercito intero di alieni da
battere mi pare un’impresa impossibile.»
«Hai
contato le navicella, Yamcha? Sono appena una ventina
di guerrieri.»
«Sì,
ma ognuno di loro ha una forza sovrumana.»
«Li
batteremo con l’astuzia.»
Il
ghigno che si era stampato sul volto di Tensinhan
aveva fatto suonare un campanello d’allarme nella testa di Yamcha.
Effettivamente, le poche cose che Muten gli aveva
raccontato su Condor e sui suoi allievi non promettevano niente di buono, ma
comunque lui e il nanerottolo dai poteri psichici erano stati i soli ad
accorgersi del doppio gioco di Son Goku.
Tanto
valeva collaborare con loro; a sistemarli ci avrebbe pensato una volta messe le
mani sulle sfere del drago.
CONTINUA
Angolo dell’autrice
Ci
siamo! I saiyan hanno messo finalmente piede sulla
Terra. In fondo, ormai li aspettavano tutti, donne comprese. Non ho chiarimenti
da fare su questo capitolo: rispetto ai precedenti è un po’ più breve e
abbastanza semplice, per cui eviterò di dilungarmi troppo con le note.
Ovviamente,
mi ritaglio un piccolo spazio per ringraziare di cuore chi legge, segue,
ricorda, preferisce e/o recensisce la mia storia. Il prossimo aggiornamento
sarà, come sempre, tra una settimana!
D’accordo,
quello non era stato di certo il risveglio che aveva sognato e, d’accordo,
probabilmente da quel giorno in poi ne avrebbe avuti di peggiori, se l’alieno
davanti a lei, nonché padre del protettore,avesse deciso di risparmiarla; ma ciò
non giustificava affatto il disagio che non
stava provando.
Perché,
accidenti?
Avrebbe
dovuto inorridire di fronte a un essere del genere, un malefico usurpatore
pronto a tutto pur di mettere le mani sulle sfere
del drago. Perché era quello che l’alieno voleva, giusto? Per quale altro
motivo, altrimenti, avrebbe dovuto accollarsi un viaggio del genere attraverso
la galassia del Nord?
Mamanu
non riusciva ad avere paura di lui. No.
Per
quanto cercasse di mettere in moto un minimo di razionalità, questa finiva col
perdersitra i pensieri sconnessi
partoriti dalla sua mente. Era piuttosto normale, in fondo: qualunque donna,
prima di avere paura di un uomo del genere, ne avrebbe notato la prestanza; e a
lei gli occhi non mancavano.
Era
in trappola, costretta a un contatto forzato col muscoloso petto del suo
aguzzino, eppure non riusciva a fare a meno di pensare a cosa diavolo non avesse avuto dalla vita: dei figli
suoi, una dimora piccola e accogliente, il lavoro di sarta che aveva sempre
sognato. E, soprattutto, un compagno di vita scelto da lei.
Mamanu
non era mai stata una donna di alte pretese e forse Giumaho
l’aveva scelta più per questo motivo che non per i suoi lunghi capelli corvini
e per i magnetici occhi grigi che aveva. A lui serviva una donna che non
ambisse a spodestare sua figlia e Mamanu, da quel
punto di vista, era senz’altro la persona più disinteressata che avesse mai
incontrato.
Per
assurdo, la bella moglie di Giumaho non si era
nemmeno mai soffermata a pensare se tutto ciò la gratificasse: doveva
accettarlo e basta perché il destino aveva deciso di riservarle quel tipo di
vita.
Peccato
che, per la prima volta da quando era nata, un uomo che non fosse suo padre o
suo marito le stava addosso togliendole il fiato, e a farle quel dannato
effetto non era soltanto l’eccessiva vicinanza che li accumulava.
Anche
questo evento era stato voluto dal destino?
«Detesto
le persone che mi fissano e tu lo stai facendo da quando ho messo piede qui
dentro.»
«E
io detesto trovarmi nei guai per questioni che non mi riguardano. Mi pare che
siamo pari.»
Bardack
trattenne a stento un sorriso beffardo, ma la curva disegnata dalle sue labbra
ghignanti era ben visibile e dannatamente sprezzante. Eppure, più osservava
quella donna e più gli sembrava davvero esasperata.
In
fondo, una reazione del genere poteva anche starci: non era lei la madre della
principessa e, probabilmente, prima o poi avrebbe perso tutto se quella
ragazzina avesse deciso di buttarla fuori da Furipan.
Ma che diavolo poteva mai possedere quella donna? Se non aveva capito male, un
bel niente, a parte il peso di un
marito che gestiva un regno non suo sulle spalle.
Bardack
si chiese, in un momento di riflessione, perché diavolo una femmina tanto
piacente avesse deciso di accettare una vita del genere. Doveva essere
assolutamente priva di carattere se non era riuscita a opporsi a un destino
che, evidentemente, non era stata lei a scegliere; e che qualcun altro avesse
deciso al suo posto era evidente dal modo in cui stava reagendo all’arrivo
degli usurpatori.
Esasperata,
spossata, rassegnata.
«Se
davvero la questione non ti riguardasse, non ti avrei trovata nel letto di
quell’energumeno quando ho fatto irruzione qui dentro.»
«Ero
nel letto di mio marito, ma ti ho già
spiegato che io non ho alcun potere qui a Furipan. Se
è per questo, non sono nemmeno nata qui. D’accordo, ho accettato di sposare il
vedovo della sovrana di questo regno e di occuparmi di sua figlia, ma qui non
conto niente, è chiaro? Assolutamente niente!»
Lo
sguardo indagatore che Bardack le stava rivolgendo
per la seconda volta da quando l’aveva rinchiusa nella sua stessa stanza la
stava mettendo a disagio. E poi, come diavolo le era saltato in mente di
rivelare certe cose al suo aguzzino? Sperava forse di convincerlo a
risparmiarla? Pensandoci bene, Mamanu non era nemmeno
certa di voler salvare a tutti i costi la pelle. Per quanto ne sapeva lei, in
fondo, Giumaho e la principessa potevano essere già
passati a miglior vita.
Avrebbe
avuto senso continuare a vivere senza di loro?
Perché,
tutto sommato, anche se quella non era la vita che lei aveva scelto per sé
stessa, rimaneva pur sempre l’unica cosa che le rimanesse.
Bardack
nel frattempo arretrò di qualche passo e prese a ghignare, stavolta
vistosamente.
«Se
è così che stanno le cose, non ha senso che io perda tempo con te. In realtà,
non sono certo di potermi fidare delle tue parole, ma credo che ti concederò il
beneficio del dubbio.»
Mamanu
ebbe un sussultò e sgranò impercettibilmente gli occhi dalla sorpresa.
«Vuol
dire che te ne andrai da questa stanza?»
«No,
vuol dire che non ti ucciderò.»
***
Goku,
o Kakaroth, o come diavolo si chiamava, se l’era
caricata sulle spalle con così tanta facilità che quasi le sembrava inutile
tentare di divincolarsi. Guardare i lunghi corridoi del suo palazzo da quella
prospettiva non era affatto male se si rifletteva sul fatto che poteva, sì,
essere comunque in quella scomoda posizione, ma magari morta da un pezzo.
Era
ancora viva e, per come si erano messe le cose, doveva soltanto ringraziare
tutte le divinità delle quattro galassie.
D’accordo,
se fosse stata più lungimirante, probabilmente non avrebbe preso un simile
abbaglio; ma quel maledetto che ora la portava in giro a mo’ di sacco aveva
ingannato praticamente tutti.
O
quasi?
Se
non aveva capito male, le sembrava di aver sentito dire che Yamcha
nutriva dei sospetti su di lui.
Voci,
voci, voci.
Chiacchiere
che si allungavano come il passo di Goku in quei dannati corridoi.
La
verità era che negli ultimi due giorni a tutto aveva pensato tranne che a
guardarsi un attimo intorno. Se lo avesse fatto, magari si sarebbe accorta che
le ferite riportate dagli avversari del suo protettore
durante il torneo era davvero un po’ troppo gravi.
Crilin,
la sera prima, zoppicava ancora parecchio; peccato che nemmeno a lui fosse
sorto alcun tipo di dubbio. Evidentemente, l’allievo più giovane di Muten doveva essere molto più buono e ingenuo di quanto Chichi non avesse immaginato. Che fosse colpa del suo
maestro? In fondo, nemmeno suo padre, il grande stregone del toro, allenato anni addietro dal celeberrimo MutenRoshi, aveva colto nello
sguardo di Goku alcunché di anomalo.
Ah, si spaccia per il
più abile guerriero di tutti i tempi e nemmeno è in grado di insegnare ai suoi
allievi come smascherare un nemico!
I
pensieri scivolavano nella testa di Chichi a una
velocità tale da sembrare dei fiumi in piena; poi si alternavano, si
mescolavano, cozzavano tra loro dileguandosi, infine, tra mille contraddizioni.
La
principessa non sapeva se, in quel momento, avrebbe dovuto piangere o fingere
impassibilità. Una cosa era certa: Goku si era fermato e, di lì a qualche
istante, l’avrebbe lasciata cadere a terra con noncuranza.
«Era
ora che ti facessi vivo, Kakaroth. Ma dove diavolo
eri finito? Ti ci voleva davvero tutto questo tempo per caricarti in spalla una
stupida ragazzina?»
Chichi
non aveva ancora alzato la testa da quando il suo protettore l’aveva gettata a terra.
Non
che ci tenesse particolarmente a farlo, ma un minimo di curiosità iniziava a
insinuarsi anche dentro di lei.
Li
aveva aspettati per anni, accidenti; e ora, perché mai avrebbe dovuto avere
paura di alzare lo sguardo su di loro?
Si
era preparata a lungo al suo incontro con i malvagi
e oltretutto lei era la principessa di Furipan.
Volevano le sue sfere del drago.
Poteva davvero rimanere lì a crogiolarsi nella delusione di aver scoperto la
verità su Son Goku?
Già,
son Goku.
Era
vero, certo, che per anni si era ripromessa di guardare in faccia gli sporchi
usurpatori del suo regno; tuttavia, aveva previsto di farlo con al fianco un protettore degno di quel nome.
E
invece si era ritrovata completamente sola.
«Hai
forse fretta, Vegeta? Fossi in te mi rilasserei un po’.»
«Ah,
va’ al diavolo. Di certo non sono venuto qui per prendermela comoda! Dove
accidenti sono le sfere del drago?»
Kakaroth
ebbe un impercettibile sussulto e, altrettanto impercettibilmente, rivolse uno
sguardo a Chichi, ancora malamente seduta a terra.
«Non
lo so.»
«Che
diavolo stai dicendo, imbecille! Mi avevi assicurato che…»
«Lasciami
spiegare, per favore. Questa ragazzina
è la custode delle sfere. Lo so per certo perché me le ha mostrate. Il punto è
che non posso sapere dove le abbia nascoste dopo. Tra l’altro, a quanto ne so,
è l’unica in grado di usarle, quindi, se anche riuscissimo a sottrargliele, non
potremmo in alcun modo avvalercene.»
Il
principe schioccò la lingua sul palato e accennò un ghigno che non prometteva
niente di buono.
«Sai,
se tu non fossi figlio di Bardack e non conoscessi
alla perfezione la sua astuzia e la sua potenza, ti avrei già spedito all’altro
mondo appena messo piede su questo maledetto pianeta. Non prendermi in giro, Kakaroth: lo so che nascondi qualcosa. Ma, sai che ti dico?
Per ora non me ne importa niente. Costi quel che costi, prima o poi metterò le
mani su quelle sfere. E se proprio ci tieni, seguirò il tuo consiglio e me la
prenderò comoda. Sappi però che odio i doppiogiochisti…
Spero che tu non faccia parte di questa categoria.»
Lo
sguardo carico di attesa che Vegeta riservò al suo sottoposto la diceva lunga
su quanto e cosa il principe si aspettasse da quest’ultimo. Kakaroth
sapeva bene quanto quel dannato saiyan, erede di una
stirpe di guerrieri straordinari, fosse spietato e pericoloso. Sua padre
gliel’aveva detto un sacco di volte: guai
a sottovalutarlo! Tu, su quel pianeta di imbecilli, potrai anche essere il più
forte, ma contro Vegeta non avresti speranze.
Probabilmente
era vero. Anche se lo aveva conosciuto personalmente solo da poche ore – così
come da poche ore soltanto aveva visto per la prima volta Bardack
– Kakaroth aveva intuito quale potenza si celasse
dietro l’aspetto apparentemente innocuo di Vegeta.
E
il fatto che avesse deciso di dargli corda non prometteva nulla di buono.
D’accordo,
in fondo Kakaroth non avrebbe dovuto avere niente da
temere – di certo non aveva intenzione di tradire la sua gente – ma il solo
fatto che il principe insinuasse l’esistenza di un doppio gioco lo aveva messo in allerta.
Perché
– accidenti! – un vero complotto contro il principe dei saiyan
non c’era; ma Kakaroth, o il Goku che c’era in lui,
aveva il dannato bisogno di capire quale virtù avesse permesso a Chichi di diventare la custode delle sfere del drago.
L’ingresso
repentino di Napa nel salone delle cerimonie del
castello distrasse Kakaroth dai suoi pensieri.
«Ho
fatto quello che mi hai chiesto, principe. La ragazza non si è ancora
svegliata.»
Vegeta
non aveva prestato grande attenzione a Napa,
nonostante il baccano sollevato per entrare in quella stanza. A dire il vero,
in quel momento nemmeno ricordava più la faccenda della donna accampata a valle
del monte Furipan.
Lo
sguardo perplesso di Kakaroth e quello spaesato di Napa gli fecero tornare in mente la fanciulla dai capelli
turchini sequestrata da Bardack e dall’imbecille che
aveva messo a capo dei guerrieri d’élite.
Per la verità, continuava a non essere molto interessato a lei, ma quando
iniziò a scorgere un barlume di preoccupazione negli occhi della principessa,
si rese conto che probabilmente Kakaroth potesse
sapere chi ella fosse e perché si trovasse proprio lì, nonostante una profezia
avesse previsto l’arrivo dei malvagi.
«Di’
un po’, Kakaroth, tu sai niente della tizia accampata
nella valle di Furipan? Sembrava quasi stesse
aspettando il nostro arrivo.»
«Io
non mi sono accorto di niente. Non so di chi tu stia parlando.»
«Ah,
certo. Se ti dicessi che ha dei lunghi capelli turchini e un fisico molto
avvenente, ti verrebbe in mente il suo nome?»
Kakaroth
si ammutolì per qualche istante, certo ormai di aver capito a chi il suo
principe si stesse riferendo. Dannata scienziata! Fin dove si era spinta quella
sciocca terrestre? Da lei si sarebbe aspettato una mossa ben più intelligente
di quella. In fondo, era riuscita a scoprire l’identità dei malvagi ancor prima
che toccassero il suolo terrestre; perché mai andarsi a rovinare infilandosi
volontariamente nella tana del lupo?
Be’,
per quanto il comportamento di quella donna gli desse noia, tutto sommato a Kakaroth importava poco o niente di lei.
«Sì,
Vegeta. Credo di aver capito chi sia. Si chiama Bulma
e non vive a Furipan. È venuta qui solo perché ha
dato una mano per l’organizzazione del torneo. Oh, è anche una scienziata. Ha
captato con largo anticipo le vostre navicelle spaziali. Non chiedermi, però,
che diavolo ci facesse in quella vallata perché non ne ho idea. Credo sia
semplicemente masochista.»
«Una… scienziata?»
«Già,
e se la cava anche piuttosto bene, a quanto pare. Ha quasi rischiato di mandare
all’aria i miei piani. Per fortuna che nessuno ha colto il collegamento tra me
e gli extraterrestri.»
Vegeta
ne aveva abbastanza, e Kakaroth glielo lesse in
faccia senza problemi.
Anche
se il principe non era mai stato un tipo molto paziente, in quel momento
sembrava che i terrestri volessero mettere alla prova il lato peggiore del suo
carattere.
Ci
mancava solo la scienziata, accidenti!
Per
quel che ne sapeva lui, quella pazza poteva pure aver teso ai saiyan qualche trappola.
Il
principe si voltò di scatto e raggiunse in pochi secondi la porta d’ingresso
del salone. Non diede spiegazioni a nessuno, ma ciò che aveva in mente di fare
era abbastanza chiaro a tutti.
«Sta
andando da Bulma, accidenti!» si lasciò sfuggire Chichi, ormai completamente priva di ogni barlume di
raziocinio.
***
Il
risveglio non era stato poi così male.
Bulma
era rimasta accasciata sul letto per diversi minuti prima che il suo cervello
si mettesse in modo e le facesse suonare in testa un campanello d’allarme.
Per
la verità, appena aveva ripreso coscienza, nemmeno ricordava cosa le fosse
successo. Poi, a poco a poco, qualche immagine riaffiorò e andò a colorare il
nero che aveva nella memoria.
I
malvagi, gli extraterrestri, Goku…
Ah,
quel dannato farabutto! Aveva imbrogliato tutti con la sua faccia da bravo
ragazzo! Lei per prima, la geniale BulmaBrief, non si era resa conto del suo fottutissimo doppio
gioco.
D’accordo,
Goku aveva saputo mentire alla grande e, oltretutto, nemmeno gli altri
guerrieri avevano sospettato nulla.
Tranne
Yamcha, però.
In
quel momento, l’idea di dover dare ragione una volta tanto al suo fidanzato non
le piaceva per niente. Troppo orgogliosa e troppo saccente era Bulma per capire che avrebbe dovuto quanto meno tenere in
considerazione i dubbi dal ragazzo. In fondo, Yamcha
negli ultimi tempi si era mostrato tutt’altro che interessato a lei; per quale
motivo, dunque, la scienziata avrebbe dovuto dargli ascolto?
Certo,
recriminare a Yamcha le sue mancanze non l’avrebbe aiutata
a divincolarsi da quella dannata situazione. Per la verità, nemmeno aveva avuto
il coraggio di aprire gli occhi da quando aveva ripreso coscienza e, si diceva,
probabilmente avrebbe aspettato ancora qualche minuto.
Sapeva,
sentiva di essere su un letto. Sotto la sua testa c’era un morbido cuscino.
Che
avesse solamente sognato? Per un attimo, Bulmacredette davvero a questa possibilità, ma il raziocinio le
aveva prontamente intimato dinon
illudersi troppo.
Chissà
che fine avevano fatto la principessa e suo padre!
Se
non ricordava male, Goku la sera prima le aveva promesso che sarebbe andato a
prenderla l’indomani mattina. Bene, ciò voleva dire che probabilmente Chichi era già passata a miglior vita, a meno che quella
ragazzina gli servisse in qualche modo.
Il
rumore di una porta spalancata con forza la fece sussultare e sbarrare gli
occhi.
Per
la prima volta, vide in che razza di posto era finita, sebbene non riuscisse a
spiegarsi come ci fosse arrivata. Ma di certo non era la consapevolezza di
trovarsi in una lussuosa camera da letto in stile retrò a farla sentire in trappola.
Qualcuno aveva
varcato le soglie di quella stanza e quel qualcuno
lei lo aveva intravisto qualche ora prima tra i malvagi giunti nella valle di Furipan.
«Chi
diavolo sei?»
«Qui
le domande le faccio io, scienziata.»
Sentirsi
chiamare in quel modo non era mai stato piacevole per Bulma.
Le sembrava che chi la appellasse così volesse in qualche modo prenderla in
giro.
O
metterla alla prova.
Tanto
più che quello sconosciuto non avrebbe dovuto sapere chi lei fosse.
Chi
glielo aveva detto?
Ah,
certo. Ogni tanto tendeva a dimenticare che quell’imbecille dello stregone del toro aveva scelto come protettore di sua figlia nientemeno che
un malvagio.
Bulma
alzò la testa dal cuscino e si mise a sedere sul letto. Stranamente, sentiva un
forte giramento di testa. Passare una nottata quasi completamente in bianco in
attesa di vedere l’arrivo degli usurpatori non era stata un granché come idea.
Oltretutto,
ora si trovava in una stanza che non conosceva con uno degli extraterresti.
Gli
occhi della ragazza si posarono con evidente curiosità su quelli dello
sconosciuto, nonostante sia l’istinto che il cervello le suggerissero con
insistenza di non mostrarsi troppo interessata. Doveva ammetterlo: se mai
avesse immaginato che in giro per l’universo ci fossero stati esseri tanto
simili agli umani, probabilmente si sarebbe data da fare molto prima per
avviare le sue ricerche. Magari, invece che imbattersi in quegli alieni, ne avrebbe trovati altri ugualmente somiglianti ai
terrestri ma senza cattive intenzioni.
Il
destino, insomma, non era stato affatto buono con lei e con la principessa di Furipan: per quanto Bulma fosse
convinta che i grandi e anziani guerrieri avrebbero dovuto prestare maggiore
attenzione a chi si fosse presentato al torneo, era inutile negare che una
simile somiglianza fisica avrebbe indotto chiunque in errore.
E
davanti a lei non c’era niente di più spaventoso di un qualunque ragazzo di
bell’aspetto.
Uno
dei tanti, insomma; uno di quelli che si incontrano in giro per strada e fanno
voltare tutte le adolescenti nel pieno della tempesta ormonale.
Eppure,
gli occhi di quel dannato ragazzo incutevano terrore puro.
Bulma
lo sapeva, aveva capito perfettamente che probabilmente anche il tizio che era
entrato prepotentemente in quella stanza doveva essere un guerriero. Era
persino possibile che l’intera razza cui apparteneva Son Goku fosse composta da
combattenti forti e spietati.
Un
brivido di consapevolezza attraversò in un attimo tutto il suo corpo:
probabilmente era davvero nei guai e non era affatto sicura che la sua astuzia
sarebbe bastata a cavarla d’impaccio.
«Visto
che mi pare che tu abbia dormito abbastanza, alzati e seguimi.
Non ho tempo da perdere, quindi vedi di obbedire senza fare troppe storie.»
Il
ragazzo si era voltato di spalle nel momento in cui aveva pronunciato quelle
parole.
Evidentemente,
non aveva nemmeno troppa voglia di scherzare.
Bulma
non aveva idea di quale fosse il comportamento più idoneo da tenere in una
situazione del genere, anche se di sicuro la ribellione non le sembrava una
strada percorribile.
Tanto
più che non aveva idea di quale fine avessero fatto Chichi,
Giumaho, Muten e gli altri
guerrieri.
Senza
indugiare oltre, la donna si alzò dal letto e prese a seguire lo sconosciuto
invasore.
Certo,
doveva però sperare con tutta sé stessa che quella non fosse una trappola.
CONTINUA
Angolo dell’autrice
Ciao,
miei cari! Anche questo capitolo è giunto a una conclusione. Lo ammetto: non è
successo niente di che, ma avevo bisogno di creare un’appendice al capitolo
precedente in modo da rendere ancora più evidente il tipo di approccio tra i saiyan e i (le) terrestri.
Pian
piano dovrò far venire fuori le personalità dei nuovi arrivati e in parte gli
incontri con le donne mi sono serviti anche a questo.
Piccola
precisazione: anche se in molte storie si legge di saiyanveramente crudeli e spietati, un po’
per questioni di rating – non intendo sfociare nel rosso! – e un po’ per non
rischiare l’OOC – in fondo, i saiyan di AkiraToriyama hanno dimostrato
di poter provare dei sentimenti, principe compreso – ho deciso che concederò ai
nostri adorati guerrieri alieni un po’ di umanità. Ciò non significa,
ovviamente, che per le nostre eroine non ci sarà da sudare o che i saiyan riveleranno immediatamente la loro parte migliore –
sarebbe un insulto a tutte le fantasie erotiche di ogni brava fanwriter – ma semplicemente che anche loro, come tutti gli
altri personaggi – e le persone normali dotate di intelletto – entrando a
contatto con una realtà diversa, saranno costretti in qualche modo a mettersi in discussione.
Ma
non nell’immediato, ovviamente.
Bene,
detto questo, ringrazio di nuovo e come sempre chi mi segue e mi tiene su il
morale con delle belle recensioni.
Era
passata ormai una settimana da quando i malvagi
o, meglio, i saiyanavevano messo piede sulle terre di Furipan e da allora né Muten, né
Condor avevano più avuto notizie di Yamcha, Tensinhan e Jaozi.
Tutto
sommato, a dispetto delle peggiori previsioni, la vita era proceduta in maniera
relativamente tranquilla. Certo, ai saiyan piaceva
essere serviti e riveriti e ciò aveva comportato un aumento di lavoro per tutti
i terrestri. Ma, in fondo, se ciò era sufficiente a tenerli buoni, un piccolo
sacrificio si poteva anche fare.
Già;
ma per quanto tempo ancora avrebbero pazientato in attesa che la principessa
rivelasse loro il segreto per usare le sfere del drago?
Muten
non era uno sciocco e aveva capito che il principe
era tutto, fuorché uno sprovveduto. Certo, in quel momento si trovava
praticamente in trappola, dato che non aveva alcun potere sulle prodigiose
sfere, ma l’anziano maestro avrebbe scommesso qualunque cosa che quel dannato
ragazzo avrebbe scoperto, prima o poi, il modo per farle funzionare.
Perché
tenere Bulma con sé al castello, altrimenti?
In
un momento di relativa tranquillità mentale, Muten si
chiese, tra l’altro, come procedesse la convivenza nella vecchia dimora di Giumaho. Vegeta, Son Goku – o come si chiamava – il padre
di quest’ultimo e un energumeno pelato di cui non ricordava il nome avevano
deciso di stabilirsi proprio lì, senza però buttare fuori i vecchi proprietari.
E il principe aveva preteso che anche Bulma restasse.
Era
chiaro: quel giovane principe senza scrupoli doveva aver capito perfettamente
quanto la signorina Brief fosse arguta. In fondo, in
poco meno di mezz’ora, quella scienziata aveva riparato completamente le
astronavi dei saiyan andate distrutte con l’impatto
sul suolo terrestre, e lo aveva fatto ricostruendo alla perfezione materiali
inesistenti sul pianeta Terra.
Qualunque
sovrano con un minimo di raziocinio, per quanto spietato, si sarebbe tenuto
stretto un simile gioiello della scienza.
Il
sole stava ormai tramontando sull’ancora ridente villaggio di Furipan e Muten aveva quasi
terminato di arare la parte di campo che gli era toccata. Quei dannati invasori
mangiavano come dinosauri! Le provvigioni di cibo che gli abitanti di Furipan avevano messo da parte l’anno precedente non erano
sufficienti a sfamare ventuno alieni dalle fattezze umane.
Be’,
se non altro, i saiyan avevano preferito mettere i
terrestri a lavorare la terra e ad allevare bestiame piuttosto che farli fuori.
Probabilmente,
a quei disgraziati la Terra piaceva; perché altrimenti stabilirsi lì?
D’accordo, c’era sempre la questione delle sfere
del drago in sospeso, ma ciò non bastava a giustificare il modo in cui il
principe dei saiyan aveva cura di non distruggere il pianeta.
Magari
ne aveva colto le potenzialità ma, alla luce dei fatti, Muten
non poteva essere certo che ciò fosse necessariamente un bene.
Anche
quella sera, come tutte le altre, Crilin aveva
terminato di lavorare prima di lui e, come sempre, aveva raggiunto il suo
anziano maestro. Al giovane allievo di Muten era
andata piuttosto male: i saiyan si erano accorti che
la sua forza era decisamente sopra la media e, pur essendo comunque superiori a
lui in quanto a prestanza fisica, avevano pensato di sfruttarlo come cavia per
i marchingegni creati da Bulma.
Quella
ragazza era un pozzo di idee senza fine ma, evidentemente, il principe non era
convinto al cento per cento di potersi fidare di lei. La strategia di Vegeta,
in fondo, aveva un senso: semmai le creazioni della scienziata si fossero volutamente rivelate fallaci o, peggio, letali, a farne le spese sarebbe stato Crilin.
Bulma,
insomma, si era ritrovata in trappola.
Crilin
quella sera pareva più stanco del solito. Muten
sapeva qual era il problema: il principe era molto forte e Bulma
progettava i suoi marchingegni a prova di Vegeta. Non doveva essere semplice
per Crilin testarli, tanto più che il giovane saiyan si era messo in testa di fare esperimenti
riguardanti il campo gravitazionale.
«Accidenti,
ragazzo, sembra che tu sia appena stato investito da un tir!»
«Credo
che sarebbe stato decisamente più piacevole, Muten.
Ah, se continuo così, non arriverò al mio prossimo compleanno!»
«Non
dire sciocchezze! Vedrai che in qualche modo riusciremo a risolvere la
situazione. Per ora sembra che i saiyan se ne stiano
relativamente buoni.»
«Già,
per ora.»
La
perplessità che lesse negli occhi del suo allievo non piacque molto a Muten.
Era
evidente: il ragazzo, oltre a essere molto affaticato per il duro lavoro che i saiyan
gli avevano imposto, doveva essere anche a conoscenza di vari dettagli, sconosciuti a chi non
frequentava assiduamente la corte. Sebbene, infatti, Crilin
non dormisse lì, era ovvio che con la mansione che doveva svolgere trascorresse
nel castello parecchie ore ogni giorno.
«C’è
qualcosa che ti preoccupa, ragazzo?»
Crilin
sospirò, cercando di tagliare sul proprio volto un sorriso di circostanza.
«Niente
che tu non sappia già, Muten. Anche se, a dire il
vero, non capisco quali intenzioni abbia Gok… cioè, Kakaroth.»
«Che
vuoi dire?»
«Ho
scoperto per puro caso che ha mentito a Vegeta dicendogli di non sapere dove
siano nascoste le sfere. Tra l’altro, credo che le abbia fatte sparire dalla
loro stanza, dato che i saiyan hanno perlustrato ogni
angolo del palazzo. Quello che mi chiedo è se Chichi
sia complice di tutto ciò o se il finto protettore
le abbia di fatto sottratte anche a lei.»
Muten
si mise a riflettere per un po’, rimanendo imbambolato in mezzo al campo.
Solo
l’arrivo di un saiyan lo ridestò dai suoi pensieri,
costringendolo a interrompere anche il discorso con Crilin.
«Ehi,
vecchio, vedi di non battere la fiacca! Non vedi che hai quasi terminato il tuo
lavoro?Datti una mossa se ci tieni alla
pelle!»
Crilin
abbassò lo sguardo e strinse i pugni: detestava sentire con quanta mancanza di
rispetto quegli esaltati scimmioni si rivolgessero al suo maestro.
«Muten, ti do una mano io, così finiamo prima.»
«Cosa!?
Ma tu sei già stanco per il tuo lavo…»
«Appunto,
cosa vuoi che sia un po’ di terra da arare in confronto a una stanza dalla
super gravità?»
Il
ragazzo prese l’aratro e si mise all’opera come aveva promesso. Muten ebbe un moto di compassione: oltre ad essere il più
forte tra tutti gli allievi che avesse mai avuto, era decisamente anche il più magnanimo.
***
«Così
non va, Chichi. Ma è possibile che tu non riesca a
fare di meglio? Hai una forza pari a quella di un moscerino!»
La
principessa di Furipan stava tirando calci e pugni da
circa tre ore, ma ancora, come ogni fottuto giorno, non era riuscita nemmeno a
colpirlo. Più passava il tempo e più si chiedeva come accidenti fosse venuto in
mente a Gok… a Kakaroth di
impartirle lezioni di arti marziali.
Non
ne aveva bisogno, oltretutto: per essere una terrestre lei era già
spaventosamente forte; ma quel maledetto saiyan
sembrava proprio non volersi accontentare.
Era
come se si fosse messo in testa di tirarle fuori qualche potere nascosto.
La
cosa, inizialmente, le aveva anche fatto comodo considerando che quello poteva
essere l’unico modo per tenere salva la pelle più a lungo; peccato che lei non
avesse uno straccio di potere nascosto.
Per
quanto ancora sarebbe andata avanti quella farsa?
Tra
l’altro, Chichi aveva il forte sospetto che il suo protettore volesse in qualche modo
spodestare Vegeta. Gli aveva mentito sulle sfere
del drago e aveva permesso a lei di restituirle al Supremo. Insomma, non era un atto molto leale nei confronti del
proprio principe.
Un
pugno dalla potenza fuori dal normale la colpì in pieno viso scaraventandola
contro le pareti della vecchia palestra del palazzo, ormai di uso esclusivo di Kakaroth.
«Ma
si può sapere che diavolo combini? Se continui così finirai col farti
ammazzare!» urlò il saiyan sputando a terra.
La
ragazza si asciugò con la manica della sua tunica un rivolo di sangue che le
scendeva dal labbro superiore.
Era
tutto inutile: per quanto potesse sforzarsi, Chichi
non sarebbe mai riuscita a competere con un mostro del genere.
«Non
fare la preziosa e rimettiti in piedi! Non era poi così forte quel pugno.»
Chichi,
per l’ennesima volta da quando aveva cominciato gli allenamenti quotidiani,
fece forza sui gomiti e si rialzò. Sentiva che non avrebbe retto ancora per
molto e sapeva che prima o poi quel bastardo l’avrebbe uccisa se non avesse
iniziato a regolare la sua forza.
Più
passava il tempo e più si chiedeva cosa diamine si aspettasse da lei.
Certo,
però, mettere a nudo le proprie debolezze in quel momento sarebbe stata una
pessima mossa. Lei era la principessa di Furipan e
aveva sulle spalle la responsabilità di un regno. In un modo o nell’altro
avrebbe dovuto trovare a tutti i costi la forza di sopravvivere.
La
ragazza non fece in tempo ad alzare lo sguardo che si ritrovò Kakaroth vicino.
Molto
vicino.
Un’altra
delle abilità di quel saiyan che lei proprio non
tollerava era la sua eccezionale velocità.
La
guardava negli occhi con sguardo severo, in parte beffardo. Davvero, la
principessa non sapeva se si stesse arrabbiando sul serio o volesse prenderla
in giro.
«Continuiamo
l’allenamento!» cercò di urlare la ragazza; ma ciò che uscì fuori dalla sua
bocca fu poco più di un sussurro.
L’ennesimo,
patetico tentativo di tirare un pugno a Kakaroth si
concluse con un buco nell’acqua; stavolta, però, il guerriero aveva preferito
parare il colpo piuttosto che schivarlo.
La
mano di Chichi era ancora chiusa dentro quella del
suo protettore/aguzzino e, nonostante gli sforzi, la giovane principessa non
riusciva proprio a liberarsi dalla presa.
E
quel maledetto continuava a sorriderle sfacciatamente, burlandosi della sua
patetica debolezza.
«Fossi
in te chiuderei la bocca e risparmierei il poco fiato che hai ancora in corpo.»
La
ragazza respirava affannosamente.
Era
vero: ormai non aveva quasi più la forza nemmeno per parlare. Inutile mentire a
sé stessa: Kakaroth voleva ucciderla a poco a poco,
umiliandola e ferendo sia il suo corpo che il suo orgoglio. E lei presto
avrebbe ceduto, nonostante il suo ego le
intimasse di non mostrare alcun segno di sofferenza al suo aguzzino.
Ma
sarebbe stato da stupidi credere che lui non lo avesse capito da solo.
La
sua debolezza iniziava a farle pena.
Quel
dannato saiyan l’aveva costretta a fare i conti con
sé stessa e a mettere in discussione la persona che era.
O
che credeva di essere.
Dov’era
finita la Chichi spavalda che si prendeva gioco di Yamcha e degli altri guerrieri terrestri? Anche questi
ultimi, in fondo, erano più forti di lei, ma la principessa non si era mai
fatta spaventare dall’abisso che c’era tra loro per quanto riguardava la forza
fisica.
In
altri ambiti, lei stravinceva alla grande.
Si
era sempre ritenuta una ragazza intelligente, coraggiosa, responsabile e pronta
a tutto. Era cresciuta con la consapevolezza che essere la custode delle sfere del drago le avrebbe portato un
sacco di guai. Eppure, nonostante tutto, non le era mai passato per la mente di
darsela a gambe. Avrebbe potuto farlo, in fondo. Dove sarebbero andati a
cercarla i malvagi se lei avesse
abbandonato Furipan quando la perla aveva cominciato
a tingersi? Probabilmente, l’avrebbe fatta franca.
Al
prezzo, però, di non salvare il suo regno.
Poteva
abbandonare i suoi sudditi in mano a un finto protettore e un gruppo di alieni
spietati?
Probabilmente,
ragionandoci bene, il suo problema era proprio quello: lei desiderava
ardentemente morire con il suo
popolo. Perché, in fondo, aveva mai davvero creduto che da sola avrebbe potuto
battere i malvagi? Nel profondo del
suo cuore sapeva che anche un eventuale protettore fedele avrebbe potuto fare
poco e nulla.
Le
gambe le cedettero all’improvviso, facendola accasciare al suolo.
Kakaroth
aveva accompagnato la sua caduta tenendo ancora stretta la sua mano nel pugno.
Era
in ginocchio davanti a lei, che ormai a fatica riusciva a tenere alta la testa
per guardarlo dritto negli occhi.
Quei maledetti occhi.
Non
era alla sua altezza e non lo sarebbe mai stata, e la consapevolezza di non
riuscire a detestare quel traditore come avrebbe dovuto la faceva sentire
ancora più in difetto.
Con
sé stessa, prima di tutto; poi col suo popolo.
Perché,
certo, era facile professarsi vittima di uno sporco usurpatore e suscitare così
la pietà della povera gente, costretta a subire la schiavitù dagli invasori; ma
sapere comunque, in cuor suo, che lei avrebbe voluto essere qualcosa di più per
Kakaroth che non una patetica prigioniera la faceva
sentire terribilmente in colpa.
E
il modo in cui quel maledetto le sorrideva in quel momento le faceva capire che
lui se n’era accorto.
«Basta
così» sussurrò appena il ragazzo, mollando la presa. «Non è nel mio interesse
mandarti all’altro mondo, e questo lo sai bene anche tu.»
Chichi
annuì con un cenno della testa, ma la furia che c’era in lei avrebbe voluto
esplodere.
Era
riuscita a suscitare pietà persino in un essere malvagio per natura; quanto
poco valeva, dunque?
«Probabilmente,
questo modo di allenarti non fa per te. Pazienza, vorrà dire che studierò un
altro sistema per far venir fuori tutta la potenza che nascondi.»
«Goku…»
«Ti
ho detto mille volte che non devi chiamarmi con quel nome.»
«Già,
è vero. Ogni tanto tendo a dimenticare quanto tu sia ostile al finto bravo
ragazzo che hai impersonato venendo a Furipan. Ti fa
così tanto schifo il fatto che un terrestre ti abbia dato un nome, quando eri
solo un bambino?»
Chichi
ricevette il secondo, forte pugno di quella lunga giornata di allenamento.
«Se
ti impegnassi nella lotta almeno quanto ti impegni nello sparare spropositi mi
avresti già messo al tappeto da un pezzo.»
Goku
prese tra le mani il volto di Chichi,
La
vedeva bene in faccia, quella ragazzina sfrontata. Era arrabbiata,
probabilmente anche delusa. Ma di certo questo vortice di sensazioni non
dipendeva da lui.
Non
completamente, per lo meno.
Durante
quell’ultima settimana che aveva trascorso a palazzo nei panni, finalmente, di Kakaroth, nulla gli era sfuggito di tutto ciò che celavano
le smorfie della principessa. Aveva capito quanto quest’ultima fosse testarda:
incredibilmente cocciuta per quanto riguardava il suo ruolo sociale,
affidabile, caparbia, un vero punto di riferimento per ogni suddito; ma quando
si trattava di lui sembrava proprio
che Chichi perdesse completamente la testa.
Con
Napa non si comportava di certo così, nonostante
fosse anch’egli un saiyan e nonostante l’enorme mole
di quel saiyan d’élite
lo rendesse particolarmente spaventoso.
E
il fatto che una terrestre si fosse innamorata di lui non gli piaceva per
niente. Come accidenti aveva fatto a suscitare in lei un simile sentimento?
D’accordo, all’inizio aveva finto, e anche bene, di essere una persona diversa.
Ma ormai era passata una settimana da quando aveva rivelato a tutti la proprio
identità. A lui, per iniziare a odiare una persona, di solito bastava molto
meno.
Che
con lei fosse stato troppo buono? Forse. Anzi, riflettendoci bene, la risposta
era senz’altro sì.
Ma
lui l’aveva fatto per le sfere del drago,
solo ed esclusivamente per le sfere del drago.
E
allora perché, si chiedeva, vederla affranta in quel modo lo faceva arrabbiare?
Quel
maledetto modo di ragionare alla maniera dei terrestri lo aveva influenzato
troppo.
«Smettila
di fissarmi. Che c’è? Ti piace davvero così tanto vedermi in queste
condizioni?»
Goku
non rispose immediatamente.
No.
Prima
aveva bisogno di capire quanta amarezza si nascondesse dietro a quelle parole.
Era
chiaro che a lei non piaceva affatto farsi vedere così. Lo si leggeva nei suoi
occhi, che, nonostante non avessero ancora versato una lacrima – troppa era la
dignità che si celava dietro a quella fragile e giovane donna – sprizzavano
rancore da tutti i pori.
Rancore
verso sé stessa e verso la sua stupida debolezza.
«Se
è questo che vuoi, la smetterò di fissarti» disse a mezza bocca avvicinandosi a
pochi millimetri dal suo viso.
Fu
lei, a quel punto, a guardarlo, e a rendersi conto di quanto i loro volti
fossero vicini.
Goku
non aveva mai azzardato tanto. Si era divertito a provocarla fin dal primo
giorno in cui si erano conosciuti, ma nel concreto non le si era mai avvicinato
a tal punto se non per picchiarla.
Quasi
la ragazza non si rese conto che Kakaroth la stava
baciando.
Inizialmente
fu un bacio leggero, appena strappato alle labbra inesperte di una principessa
poco avvezza all’amore. Ma il saiyan che stava
dilettando la sua bocca non era esattamente il tipo di persona che potesse
definirsi dolce. Era crudele, infame e, come sempre ci si aspetta da uomini del
genere, terribilmente passionale.
Lo
shock di Chichi non fu forte a sufficienza da
impedirle di ricambiare quel bacio, ormai tutt’altro che casto.
La
principessa non aveva mai provato nulla del genere e l’emozione di scoprirsi finalmente
donna aveva superato il dolore fisico dei pugni ricevuti.
Perché,
sì… a dispetto di ciò che il cervello le implorava di
fare, ogni fibra del suo corpo reagiva a quel bacio tremando di passione. Le
sue labbra si erano ormai perfettamente amalgamate a quelle del saiyan, la sua lingua abbracciava con scarso pudore quella
di Goku e le sue mani tremavano immobili al tocco ben poco pudico del ragazzo
che, incurante della scarsa esperienza della giovane donna che stava
aggiogando, scivolava con le dite sul seno della principessa.
Non
era solo un vortice di sensazioni nuove ad aver catturato completamente Chichi: pensieri mai concepiti prima si stavano facendo
largo tra i brividi di piacere accesi dal saiyan,
costringendo in parte la principessa a spegnere il fuoco di emozioni che la
stava divorando.
Perché,
cavolo, va bene che lei non aveva la forza fisica per opporsi a quel bacio; ma,
sfortunatamente, nemmeno lo voleva. Fino a pochi secondi prima credeva che la
sua forza di volontà fosse decisamente più spiccata.
A
cosa era servito chiedersi dove fosse finita la vecchia Chichi
se quella nuova non provava disgusto per un bacio strappatole da un poco di
buono?
La
cosa peggiore era che nel preciso istante in cui assaporava le labbra del saiyan, la giovane principessa non era poi più tanto
convinta che la vecchia Chichi fosse migliore di
quella nuova.
Cosa
ci aveva guadagnato a non cedere mai alla corte di un ragazzo, se non
l’incapacità di fronteggiare a dovere il bacio di Goku? Aveva davvero desiderato
di finire tra le braccia di un assassino trovandosi a perdere completamente la
teta per lui? Perché, se forse in passato avesse già conosciuto l’amore, forse
le audaci mani del saiyan che le stavano ormai
sfiorando il ventre non l’avrebbero messa completamente in crisi.
Nell’unico
attimo di lucidità che la principessa riuscì a concedersi, fece forza con le
mani sul petto di Kakaroth nel tentativo di
allontanarlo.
Era
chiaro che in realtà non avesse la forza per farlo, ma il saiyan
decise comunque di assecondare quel gesto e di sciogliere il bacio che lo stava
unendo alla sua protetta.
Protetta.
Come gli era saltato in mente di pensare di nuovo a lei in quei termini?
E
perché diavolo l’aveva baciata?
Il
ragazzo arretrò di qualche centimetro da lei e poi si alzò in piedi, dandole
infine le spalle.
«Per
stavolta è andata così. Ma se domani non riuscirai a colpirmi almeno una volta,
giuro che ti ammazzo. E non sto scherzando.»
Chichi
restò immobile a fissare il pavimento.
Non
aveva il coraggio di alzare lo sguardo verso l’unico ragazzo che l’avesse mai avvinta
in quel modo. Tanto più che il suo scopo era soltanto quello di fotterle in
qualche modo le sfere del drago.
Sapeva
che mentre le diceva quelle parole, lui non la stava guardando. Ma lei,
evidentemente, era tutt’altro che forte e spavalda come aveva sempre pensato di
essere.
Il
rumore sordo della porta della palestra che Kakaroth
si era chiuso alle spalle non era bastato a permetterle di alzare lo sguardo.
Aveva
fallito. Aveva fallito alla grande.
E
provando piacere per mano di quel folle assassino, aveva anche tradito il suo
popolo.
***
La
voce di Giumaho, soffocata a stento in un esile
bisbiglio, aveva di nuovo attirato le attenzioni di Mamanu.
Ormai
erano giorni che lo stregone del toro tentava
di mettersi in contatto con la veggente Baba, ma
sembrava proprio che quest’ultima fosse sparita nel nulla.
O,
meglio, avesse deciso di non farsi trovare.
Mamanu
non era affatto certa che chiudersi in quella stanza a invocare il suo spirito
avrebbe aiutato suo marito a scovare la megera; eppure non si era sognata
nemmeno per un istante di smuoverlo dalle sue convinzioni. Giumaho
si era messo in testa che solo lei avrebbe potuto indicargli la via della
salvezza del regno e, nonostante Baba fosse stata
chiara in passato nel dire che non si sarebbe fatta trovare se non dopo il
ritorno della pace, lo stregone del toro non
perdeva occasione di chiudersi nella sua stanza a intonare canti di
invocazione.
Quella
sera, però, aveva lasciato la porta aperta.
Mamanu
non aveva voglia di entrare. Si limitò semplicemente a guardarlo, accucciata
allo stipite, e a osservare la sua inutile perseveranza. Suo marito si stava
logorando per salvare il regno di sua figlia. L’enorme dolore provocatogli
dalla scoperta della vera identità di Goku non era infatti bastato a
distoglierlo dal proposito di aiutare Chichi.
Già,
Chichi.
Mentre
Mamanu osservava di soppiatto il marito, non riuscì a
non rivolgere un pensiero a quella ragazzina tanto audace quanto sfrontata che
ora, improvvisamente, si era trovata faccia a faccia con un nemico molto più
grande di lei.
E
la giovane moglie di Giumaho non era nemmeno convinta
che fosse la sola.
Sospirando,
Mamanu si allontanò da quella porta e riprese la via
del corridoio verso la sua meta iniziale.
In
quel momento pensava a Chichi e le faceva una gran
pena. La bella principessa di Furipan non poteva
nemmeno lontanamente immaginare quanto lei e l’odiata moglie di suo padre
fossero simili.
E,
soprattutto, fossero incappate nel medesimo guaio.
In
fondo, Mamanu non era affatto una stupida e aveva
capito perfettamente che Chichi aveva perso la testa
per Kakaroth. Peccato che il suo dannato orgoglio le
impedisse di affrontare la realtà come avrebbe dovuto.
Per
lei, invece, non era affatto una questione di orgoglio.
Lei
era sposata, accidenti! E, oltretutto, non con un uomo qualunque.
Se
avesse avuto la possibilità di concedersi una chance senza il peso di un matrimonio sulle spalle, lei lo avrebbe
seguito in capo al mondo, fregandosene di chi fosse veramente e dello scopo per
il quale era giunto fin lì.
In
fondo, gli eventi portano le persone a cambiare, e sebbene non fosse totalmente
certa di essere un evento abbastanza
significativo per lui, Mamanu sapeva che vivere nel
dubbio non avrebbe mai portato ad alcuna certezza.
La
stanza era buia, come sempre, ma la flebile luce della luna piena le permetteva
comunque di scorgere la sua elegante sagoma in piedi davanti alla finestra.
«Ti
stavo aspettando. Oggi hai tardato più del solito…
Meriteresti una bella punizione.»
Un
sorriso compiaciuto si delineò sul volto di Mamanu.
Il
saiyan non aspettò che fosse lei a raggiungerlo. Si
avvicinò alla donna e chiuse la porta dietro di lei per poi avvincerla in un
lungo bacio.
Bardack
era per lei quel tutto che aveva
sempre desiderato ma che non aveva mai avuto il coraggio di reclamare. Sentire
le sue braccia stringerla in un abbraccio e provare l’ebbrezza del proprio
respiro soffocato da un bacio passionale era quanto di più gratificante la
donna avesse mai provato.
E
lo aveva scelto.
Nessuno
l’aveva obbligata a cedere a Bardack, nessuno l’aveva
obbligata a tradire quell’uomo che il padre le aveva fatto sposare. Ma, per la
prima volta in vita sua, nonostante fosse consapevole della grave colpa in cui
era caduta, Mamanu sentiva davvero di essere felice.
CONTINUA
Angolo dell’autrice
Ciao
a tutti! Eccomi di nuovo qui con un altro capitolo e con altri colpi di scena.
Be’, forse tutto ciò che è accaduto qui era in realtà nell’aria, anche se la
rapidità con cui ho deciso di dare una svolta agli eventi ha sorpreso persino
me (lo ammetto: non è nel mio stile).
Dunque,
qualche precisazione tecnica è d’obbligo.
Come
avrete notato, in questo capitolo, più che nei precedenti, ho usato
indistintamente sia il nome Goku che Kakaroth. La mia
è una scelta voluta: ciò che mi preme, infatti, è far notare come il saiyan stia entrando in crisi, come cioè il Kakaroth che c’è
in lui senta sempre più addosso il peso opprimente di quel Goku di cui vorrebbe liberarsi. Insomma, in alcune scene sta
diventando difficile segnare un confine netto tra Goku e Kakaroth,
per cui anche la scelta dei nomi da parte mia “risente” della crisi d’identità
del ragazzo.
Per
quanto riguarda Mamanu e Bardack,
mi rendo conto di non aver approfondito a sufficienza ciò che sta succedendo
tra loro, mettendovi di fronte al fatto compiuto. Chiaramente, nei prossimi
capitoli avrò modo di spiegare cosa passi loro per la testa.
Non
ho altre annotazioni tecniche da fare e credo che il capitolo, per quanto
riguarda la trama in generale, parli da sé.
Ringrazio
nuovamente tutti coloro che trovano il tempo di leggere la mia storia e,
magari, anche di lasciare un commento.
Tra
tutte le cose che il principe le
aveva chiesto di fare, quella era senza dubbio la meno sensata.
Perché,
d’accordo, ci poteva stare che le ordinasse di riparare astronavi, costruire stanze
gravitazionali e progettare marchingegni per i suoi assurdi allenamenti; ma che
pretendesse addirittura che fosse lei a lavare i piatti e a pulire la cucina
dopo che i pochi saiyan residenti a corte avevano
cenato, be’… era davvero troppo.
Tanto
più che Giumaho, fino al giorno prima, aveva un
esercito intero di domestici che provvedeva a tenere lindo e pulito il palazzo
principesco.
Che
ne era stato di quello stuolo infinito di uomini e donne tanto prodighi?
Bulma
sbuffava, e intanto strofinava con vigore la stoviglia che le capitava in mano.
Pensandoci
bene, quel lavoro tanto insulso aveva un piccolo pregio: le concedeva un attimo
di solitudine e di silenzio.
Da
quando, infatti, Vegeta aveva deciso che lei sarebbe stata la sua scienziata personale, si era
ritrovata a contatto col principe quasi ogni minuto della sua giornata. Quel
dannato saiyan non la lasciava in pace un attimo:
pretendeva da lei l’impossibile e le stava alle calcagna come un marito geloso
della propria donna.
A
proposito di mariti, da quanto tempo Giumaho non si
faceva vedere in giro per il palazzo?
Bulma
era quasi certa che Mamanu continuasse, nonostante la
sparizione del consorte, a occuparsi delle proprie faccende e a rabbonire il
popolo di Furipan.
Doveva
ammetterlo: senza l’aiuto di quella donna, i sudditi di Chichi
avrebbero già tentato una rivolta da un pezzo. Ovviamente, ci avrebbero rimesso
la pelle.
La
scienziata non aveva ancora capito quale tipo di sentimento legasse Mamanu a Chichi; sapeva
dell’astio della ragazza nei confronti della matrigna, ma quest’ultima era
sempre stata molto brava a non svelare le proprie opinioni.
Che
le volesse bene davvero? Oppure il suo era solo un tentativo per tenersi buona
la principessina e, all’occorrenza, sottrarle poi il regno?
Per
quanto Bulma non avesse in simpatia Chichi, doveva però ammettere che difficilmente Mamanu sarebbe stata all’altezza del compito che il Supremo aveva affidato alla giovane
figlia di Giumaho. D’accordo: Mamanu
era molto più elegante ed educata di Chichi, ma molto
probabilmente non aveva la sua spiccata forza di volontà.
Il
rumore di un sasso che batteva sul vetro della finestra distrasse Bulma dai suoi pensieri e dalle poco amate stoviglie. Non
c’era alcun dubbio: qualcuno le stava chiedendo di aprire.
Da
quando viveva a stretto contatto con i malvagi
– o saiyan,
che dir si voglia – la scienziata aveva imparato a rapportarsi in maniera
diversa col rischio.
Era
vero: poteva esserci chiunque al di
là di quella finestra; ma quante possibilità c’erano che costui fosse peggiore
del principe?
La
ragazza non ci pensò su ulteriormente e andò ad aprire, trovandosi faccia a
faccia col suo fidanzato.
«Oh,
questa poi! Che c’è? Hai finito le scorte di cibo e non sai più dove andare a
cercare la pappa?»
«Ma
piantala, Bulma! Tu non perdi mai l’occasione di
parlare a vuoto.»
«Che
diavolo ci fai qui?»
«Non
vuoi sapere dove fossi finito?»
«Sinceramente
no.»
Bulma
fece per richiudere la finestra, ma l’uomo la fermò in tempo e riuscì a entrare
nella cucina.
Erano
diversi giorni, in effetti, che Yamcha non si faceva
vivo. Per quanto ne sapeva lui, potevano benissimo essere morti tutti quanti,
nel frattempo.
Trovare
Bulma sana e salva fu per lui un sollievo: se i malvagi avevano deciso di non eliminare
gli esseri umani, forse c’era la possibilità di trattare.
E
di fregarli.
Con
sorpresa, Yamcha si accorse che la sua ragazza era
intenta nelle faccende di casa.
Da
quando la conosceva, mai gli era capitato di vederla pulire anche un solo
piatto.
Come
avevano fatto quei dannati mostri a convincerla a diventare una brava
domestica?
Yamcha
scoppiò a ridere di gusto, immaginando le imprecazioni che la sua donna doveva
aver elargito mentalmente nei confronti di chi l’aveva messa a lavorare.
«Che
diavolo hai da ridere, idiota?»
«Ah,
datti una calmata! Il ruolo della donna alterata con i piatti da lavare non ti
si addice per niente.»
Bulma
afferrò il primo bicchiere che le capitò a tiro e glielo lanciò, mancando però
il bersaglio.
«Niente
da fare: sono ancora troppo agile per te. Dammi retta, metti da parte il
nervosismo e ascoltami.»
La
ragazza si tolse i guanti da cucina e si mise le mani ai fianchi, con fare
decisamente poco amichevole.
«Che
diavolo vuoi? Sei sparito per giorni e adesso vieni qui a burlarti di me? Sei un
idiota.»
«L’idiota
sei tu che non mi hai dato ascolto quando ti dicevo che quel Son Goku non mi
piaceva affatto. O dovrei chiamarlo Kakaroth?»
«E
dunque? Se sei venuto qui a farmi la paternale, puoi anche risparmiartela e
tornare da dove sei venuto.»
«Però
sul suo conto avevo ragione. Siete stati dei fottuti ingenui!»
«Forse,
ma tu che te la sei data a gambe sei stato un fottuto traditore!»
A
Yamcha non piacque affatto sentirsi apostrofare in
quel modo.
Conosceva
molto bene Bulma e sapeva che l’orgoglio era uno dei
suoi difetti peggiori: per quanto ella stessa sapesse di avere torto marcio,
mai e poi mai gli avrebbe dato la soddisfazione di riconoscerlo.
Era
fatta così, e lui da diversi anni ormai aveva perso ogni speranza di cambiarla.
Ma
quella vicenda del protettore gli
bruciava dentro come non mai.
Aveva
dimostrato a Bulma e a Crilin
di aver sempre avuto ragione e che tutti i suoi sospetti erano terribilmente
fondati.
E,
nonostante tutto, la sua donna non aveva nemmeno contemplato l’idea di chiedergli
scusa.
Addirittura,
sembrava quasi che non si fosse minimamente preoccupata per lui nel corso di
quei giorni. Possibile che non avesse mai pensato a quale fine potesse aver
fatto? Per quanto ne sapeva lei, poteva benissimo darsi che gli invasori lo avessero
fatto fuori.
La
cosa assurda e, in un certo senso, preoccupante, era che Bulma
stava bene.
A
parte la rabbia per le stoviglie da lavare, infatti, la sua donna sembrava non
avere addosso alcun segno di stanchezza, sofferenza fisica o sofferenza psicologica.
Che ne era stato, poi, dei saiyan? Da quando li aveva
visti atterrare, di loro non aveva avuto più notizie, se non le poche che era
riuscito a rubare a qualche boscaiolo che si inoltrava nella foresta di Furipan per ordine degli invasori.
E
quel poco che sapeva era che il principe
si era stabilito definitivamente a palazzo.
In
effetti, poteva anche starci.
Ma
che diavolo ci faceva, allora, Bulma lì dentro?
Solo
in quel momento si rese conto che la presenza della ragazza nel castello era
tutt’altro che normale, come tutt’altro che normale era il fatto che non
sembrasse particolarmente provata da quella strana situazione. Che il principe
l’avesse ingaggiata per lavare i piatti e poi la lasciasse tornare nella sua
camera d’albergo gli sembrava piuttosto improbabile.
Ma,
allora, perché si trovava lì? E dove erano finiti Giumaho,
Chichi e Mamanu?
In
quel momento, l’uomo ebbe un’illuminazione: il geniale, dannatissimo,
fottutissimo cervello di Bulma. Tutto iniziava ad
avere senso: il sovrano dei saiyan l’aveva tenuta con
sé a causa delle sue incredibili doti intellettive.
Con sé.
Erano
soli?
Possibile
che quel pazzoide avesse sfrattato i legittimi proprietari dell’edificio?
«Come
mai ti trovi qui, Bulma? E dove sono Giumaho e Chichi?»
«Oh,
ora vuoi riprendere il ruolo del fidanzato preoccupato? Be’, non serve. Come
vedi me la sono cavata alla grande anche senza di te. Non sprecare il fiato e
tornatene da dove sei venuto, tanto sono certa che avrei più possibilità io di
te di eliminare i saiyan.»
«Non
mi hai risposto.»
«Non
credo che ti interessi sul serio saperlo.»
«Perché
una volta tanto non metti da parte il tuo pessimo carattere e non cerchi di
collaborare? Credi forse che in questi giorni io sia stato a perdere tempo?»
«Non
mi interessa cosa accidenti hai fatto in questi ultimi giorni! A me interessa
sapere dove non sei stato: cioè, qui.
Ora torni, come se niente fosse, e mi fai pure il terzo grado. Se proprio ci
tieni a saperlo, siamo tutti sani e salvi, Giumaho è
nella sua stanza e Chichi si sta allenando con Gok…Kakaroth. Ora, te lo dico
per l’ultima volta, sparisci, o rischi di mettermi seriamente nei guai.»
La
risposta di Yamcha tardò ad arrivare.
Nella
sua testa, si era creato mille film su come sarebbero potute andare le cose, ma
di sicuro non aveva messo in conto tutto quell’astio da parte di Bulma.
Non
credeva nemmeno di trovarla tutta intera, a dirla tutta.
Eppure,
tutto gli si poteva rinfacciare, tranne che fosse lui il responsabile di quella
situazione.
Se
gli avessero dato ascolto a suo tempo, probabilmente le cose sarebbero andate
diversamente. E tra le persone che non avevano prestato attenzione ai suoi
sospetti c’era anche Bulma. Con quale coraggio si
permetteva di aggredirlo in quel modo?
Yamcha
era sempre stato invaghito di lei; forse, in alcuni momenti della sua vita,
l’aveva persino amata davvero. Ma
quella che aveva di fronte in quel momento non era certo la donna che gli aveva
fatto perdere la testa. Che ne era stato della scienziata impulsiva ma
fottutamente brillante che non sbagliava nemmeno un calcolo? Dove era andata a
finire la donna dall’intuito sopraffino in grado di smascherare ogni tresca? Bulma si era fatta raggirare da un impostore, uno che, per
giunta, mirava a impossessarsi delle sfere
del drago.
A
proposito delle sfere, cosa diavolo stava facendo Chichi?!
Aveva
capito male oppure si stava allenando con Kakaroth?
Dire
che aveva fatto male i conti era poco. Conosceva bene la principessa – o,
almeno, così credeva – e mai si sarebbe aspettato che decidesse di allenarsi con uno dei malvagi.
Per
quale motivo, poi? Che diavolo aveva in mente di fare quella ragazzina?
Yamcha
storse la bocca e digrignò i denti.
«Vorrà
dire che risolverò la questione senza il vostro aiuto. Pazienza, Bulma. Poteva essere una buona occasione per contribuire
alla salvezza del pianeta.»
L’uomo
non attese la risposta della compagna e uscì dalla finestra in pochi attimi.
Bulma,
nel frattempo, aveva perso completamente la voglia di continuare a fare le
pulizie.
«Al
diavolo Yamcha e la sua patetica vigliaccher…»
cominciò a urlare la donna; ma l’elegante figura del principe dei saiyan materializzatasi in quel momento davanti a lei la
fece desistere dal continuare.
Quel
saiyan si era sicuramente accorto della presenza di Yamcha, e per lui adesso erano guai seri.
***
Bardack
e Mamanu erano stesi l’uno al fianco dell’altra,
nudi, sul comodo letto di cui il guerriero si era appropriato da quando aveva
messo piede al castello. Il volto della donna era leggermente inclinato verso
l’incavo delle spalle dell’uomo e la loro vicinanza era tale da permettere il
mescolarsi dei loro respiri.
Nessuno
dei due stava realmente dormendo.
Riuscire
ad abbracciare il sonno dopo aver consumato la passione in quel modo non
sarebbe stato possibile per entrambi.
O,
almeno, questo era ciò che pensava Mamanu.
La
moglie di Giumaho non poteva davvero sapere cosa
passasse per la testa del saiyan con cui aveva appena
fatto l’amore. Di lui non sapeva nulla, se non che era il padre di Kakaroth e che era stato promosso a generale dal principe
in persona prima che partissero dal loro pianeta per giungere sulla Terra.
Per
conquistarla, oltretutto.
Eppure,
pareva proprio che fino a quel momento i saiyan non
avessero conquistato altro che i
cuori di tante donne terrestri. Nonostante i brividi di piacere che ancora
correvano lungo la pelle nuda, Mamanuaveva ancora una lucidità tale da poter
riflettere su ciò che stava accadendo.
Che
Chichi si fosse infatuata di Goku se ne era accorta
ancor prima che costui rivelasse la propria identità; ma, a suo avviso, tale
scioccante scoperta aveva tutt’altro che spento i sentimenti della ragazza. Chichi, volente o nolente, era per lei un libro aperto.
Sebbene tra loro il rapporto non fosse mai stato amichevole, Mamanu aveva imparato comunque a conoscerla a fondo, approfittando
dei pochi momenti di cordialità che la figlia di Giumaho
le riservava.
Pochi,
certo, ma ce n’erano stati; e per quel che la riguardava, erano più che
sufficienti per tracciare un profilo della bella principessa.
Mamanu
aveva qualche anno più di lei e uno spirito d’osservazione maggiore.
Non
poteva essersi sbagliata.
Sapeva
che Chichi era tutt’altro che insensibile al fascino
di Kakaroth.
Già,
poteva anche essere giustificata una cosa del genere.
In
fondo, lui era un magnifico ragazzo e lei un’altrettanto splendida fanciulla,
testarda, sì, ma non indifferente alle pulsioni del corpo.
Ma
lei?
Cosa
avrebbe dovuto pensare di sé stessa l’ancora bella e piacente Mamanu?
I
bollori dovuti al focoso rapporto sessuale appena consumato si stavano ormai spegnendo
e, puntuali, stavano sopraggiungendo i sensi di colpa.
Perché,
d’accordo che non era stata lei a decidere di sposarsi e di accollarsi un
impegno forse troppo grande per le sue possibilità; ma era pur vero che nessun
uomo sulla Terra l’aveva mai trattata con tanto rispetto come aveva fatto Giumaho.
Nemmeno
Bardack.
Quel
saiyan non si era lasciato andare a troppi
complimenti e a troppe smancerie.
La
voleva, e gliel’ha detto chiaro e tondo.
Che
poi lei non avesse opposto la minima resistenza era un altro conto.
Col
senno di poi, lui avrebbe potuto farle qualsiasi cosa se lei avesse rifiutato
quella sorta di avance. E,
probabilmente, nemmeno la amava.
Poteva
esserci spazio per l’amore nella cultura di un popolo dedito alla guerra e alle
conquiste? Probabilmente no. E Mamanu non era mai
stata tipa da credere alle favole.
Lasciando
sulla pelle di Bardack un ultimo respiro, la donna si
sollevò pian piano dal letto e prese a rivestirsi.
Il
saiyan la osservava senza battere ciglio.
Le
sue iniziali aspettative rispetto a quel dannato pianeta che suo figlio avrebbe
dovuto conquistare da solo si erano rivelate al quanto riduttive. Egli non
aveva messo in conto la ricchezza minerale di quel pianeta, né la varietà dei
climi, né tantomeno la presenza di creature intelligenti tanto simili ai saiyan. Di umanoidi, in giro per l’universo, ne aveva
scovati fin troppi, spesso approfittando impunemente delle donne che quegli
astri potevano offrire.
Ma,
di sicuro, mai gli era capitato di imbattersi in una popolazione che non aveva
alcuna differenza fisica con i saiyan, se non
l’assenza della coda.
Coda
che, oltretutto, erano riusciti a mascherare egregiamente a quasi tutti gli
esseri umani.
La
vera disgrazia, in tutto ciò, era l’essere incappato in Mamanu.
A
lui non importava niente di lei – o, perlomeno, questo era ciò che pretendeva
da sé stesso – ma quella donna lo aveva in qualche modo stregato.Certo, sicuramente ciò dipendeva dal fatto
che era passato molto tempo da quando si era concesso il lusso di possedere una
femmina; ma ciò non giustificava affatto il desiderio malsano che provava nei
suoi confronti.
Se
avesse continuato in quel modo, presto avrebbe finito per considerarla sua, e ciò avrebbe rischiato di
compromettere i piani di conquista del pianeta.
Perché,
d’accordo che lui era uno dei guerrieri saiyan più
potenti del pianeta Vegeta – probabilmente, il secondo dopo il principe, se suo
figlio, nel frattempo, non aveva superato il suo livello – ma questo non gli
garantiva comunque un qualche potere decisionale sugli schiavi.
Quello
ce l’aveva soltanto Vegeta e, allo stato attuale, Bardack
non aveva ancora capito cosa diavolo avesse intenzione di fare.
Se
si fosse affezionato davvero a quella
donna, avrebbe mai potuto permettere che il principe ordinasse lo sterminio di
tutta la popolazione umana e, dunque, anche la sua uccisione?
In
fondo, era vero che nel corso della sua vita si era macchiato di crimini atroci
nei confronti di creature innocenti; tuttavia, quando si era trattato di
difendere coi pugni e coi denti qualcuno a cui teneva, che fosse un suo
commilitone o la sua ex compagna, Bardack aveva
lottato.
Mamanu,
nel frattempo, aveva già lasciato la stanza, nel totale silenzio di una notte
ormai inoltrata.
Il
corridoio che l’avrebbe riportata nella stanza in cui Giumaho
stava ancora pregando le sembrava stranamente più lungo del solito.
***
«Te
l’ho già detto e te lo ripeterò all’infinito: io non stavo complottando un bel
niente contro di te!»
Bulma
aveva paura e il tono alterato della sua voce lasciava trasparire senza alcuna
mitigazione il suo stato emotivo.
Vegeta
aveva visto Yamcha con lei e li aveva sentiti parlare
ma, ritenendo Bulma più astuta di una volpe, non
credeva affatto che le parole rivolte a quel terrestre fossero sincere.
No.
Quella
dannata donna lo aveva sempre sorpreso,
da quando egli aveva messo piede nel castello di Furipan,
e di lei aveva capito ben poco, se non che ci si poteva aspettare di tutto.
Tutto.
Persino
che trattasse volutamente in malo modo uno sporco terrestre per non destare
sospetti nel principe dei saiyan.
Più
approfondiva la conoscenza della scienziata e meno riusciva a fidarsi di lei.
Troppo
intelligente e troppo astuta per essere degna della sua totale fiducia.
La
presenza di quell’uomo nella sua cucina
lo aveva mandato oltremodo su tutte le furie, in parte perché la sorveglianza
messa a guardia del castello aveva miseramente fallito, in parte perché quella
stupida donna gli aveva aperto la finestra. I suoi ordini erano sempre stati
chiari: guai a parlare con chiunque che
non vivesse stabilmente al castello!
E,
tra questi ultimi, della moglie di Giumaho nemmeno si
fidava più di tanto.
Bulma
non era una sprovveduta e sapeva perfettamente a quale reazione sarebbe andato
incontro Vegeta se l’avesse sorpresa lì. Lei, a dire il vero, aveva la
coscienza pulita, ma dimostrarlo a quel maledetto principe, ormai infuriato,
era un’impresa tutt’altro che facile.
Vegeta
era a pochi passi da lei, e lei era con le spalle al muro. Vie di fuga non ne
aveva, né avrebbe potuto costruirsene una. Gli occhi del saiyan
tralucevano rabbia e malvagità. Mai, prima di allora, aveva avuto davvero paura
del principe. In fondo, non l’aveva
trattata poi così male. Certo, l’aveva costretta a lavorare duramente e a
sottoporre Crilin a esercizi estenuanti; ma,
fondamentalmente, lei non aveva tratto altro che giovamento dalle assurde
pretese di Vegeta.
Sì,
perché alla fine era sempre riuscita a dimostrare a sé stessa e al saiyan che la sua intelligenza non aveva limiti.
Ma
avrebbe potuto il suo cervello tirarla fuori da una situazione del genere?
Vegeta
le aveva messo le mani intorno al collo, rendendo più difficoltoso il suo respiro.
Bulma
annaspava e, pur cercando di mantenere la calma, sentiva che il terrore stava
pian piano prendendo il dominio sulla sua razionalità
«Non
mi piace essere preso per i fondelli, lo sai?»
«Lo
so» sussurrò Bulma col poco fiato che riuscì a tirar
fuori «e non l’ho fatto. Te lo giur…»
Vegeta
allentò la presa e le si avvicinò ulteriormente, ridendo dei suoi goffi
tentativi di riprendere aria.
«Dei
tuoi giuramenti non me ne faccio niente. Se davvero non stavi complottando
contro di me, non devi far altro che dimostrarlo.»
Bulma
alzò lo sguardo verso il principe e cercò di ricomporsi.
Quell’uomo
aveva iniziato a farle paura davvero.
Cosa
diavolo avrebbe dovuto dimostrare lei a lui? Non gli bastava il fatto che da
una settimana eseguisse tutti i suoi ordini senza battere ciglio?
«Ho
la coscienza pulita, caro principe.
Avanti, cosa vuoi che faccia?»
Sul
volto del saiyan si delineò un ghigno perverso, un
sorriso a mezza bocca che non prometteva nulla di buono.
Bulma
ingoiò, temendo di aver azzardato troppo.
«Uccidilo.
Tanto, prima o poi, quel bastardo tornerà da te.»
***
Continuare
a rigirarsi nel letto non lo avrebbe di certo aiutato a fare meglio i conti con
sé stesso.
E
questo Kakaroth lo sapeva benissimo.
Eppure,
cercare di rilassarsi e far finta di niente era praticamente inutile.
L’aveva
baciata, accidenti a lui, e per
quanto il suo cervello gli suggerisse di credere che lo avesse fatto per
provocazione, la sua coscienza continuava a tormentarlo.
Ma
era la coscienza saiyan o quella terrestre a
impedirgli di dormire?
La
verità era che Kakaroth aveva fantasticato su Chichi fin dal primo momento in cui l’aveva vista. Non che
si fosse innamorato o smancerie simili, ma quella ragazzina dal temperamento
ballerino e dal carattere tutt’altro che principesco l’aveva incuriosito
parecchio.
C’era
poco da fare: sognare di mettere le mani addosso a una ragazza che fingeva
indifferenza nei confronti del piacere carnale e che a fatica riusciva a
nascondere il fatto di avere una cotta per lui lo elettrizzava da morire.
Eppure,
fino al giorno prima aveva resistito all’impulso di toccarla.
In
fondo, lui era consapevole del fatto che la principessina lo incuriosiva più
del dovuto. Anche se non riusciva a capire cosa fosse, c’era in lei una forza
particolare che la rendeva speciale.
Certo, a livello di forza fisica non era al suo livello e non lo sarebbe mai
stata, ma era assolutamente certo che in lei si nascondesse un potere
misterioso e aveva la sensazione di aver percepito quel qualcosa durante la
loro visita alle sfere del drago.
Sfere
che, nel frattempo, erano tornate nelle mani del legittimo proprietario.
Kakaroth
sapeva che Chichi era solo la custode di quei
preziosi oggetti – in fondo, la stessa ragazza glielo aveva ripetuto più volte
– anche se, probabilmente, ciò non le avrebbe impedito di usarli. A volte, il saiyan si chiedeva se fosse il caso di costringerla a
esaudire un suo desiderio.
Già.
Ma quale?
Prima
di allora, Kakaroth non aveva mai pensato di
avvalersi personalmente delle sfere del
drago. La sua missione non era di certo quella. Se suo padre lo aveva
spedito su quello stupido pianeta quando era ancora bambino era solo per
conquistarlo e poi consegnarlo nelle mani del Re.
Re
che nel frattempo era morto e aveva lasciato il suo vasto impero all’unico
figlio che aveva.
Kakaroth,
insomma, aveva sempre obbedito, e,
per di più, a persone che non aveva mai visto in vita sua se non dopo il loro
arrivo a Furipan. Per anni il saiyan
aveva comunicato col padre e col suo principe tramite il dispositivo monoculare
che gli avevano lasciato in dotazione. Di costoro aveva sentito soltanto la
voce e visto qualche immagine sfuocata che di tanto in tanto si formava sulla
lente del dispositivo.
Ma
niente di più.
Non
c’era quasi alcun legame con loro.
Ma
per i saiyan esisteva il concetto di legame affettivo?
Che
lui sapesse, no.
E,
tutto sommato, anche a lui, fino al giorno prima, l’idea che ci si potesse
affezionare a qualcuno faceva venire il voltastomaco.
Poi,
il suo dannatissimo cervello gli aveva suggerito di baciare Chichi.
Nemmeno
lui avrebbe saputo spiegare perché lo avesse fatto. Sapeva solo che in quel
momento sentiva il dannato bisogno di farlo.
E
gli era piaciuto.
E
se lo avessero scoperto?
Certo,
Kakaroth avrebbe sempre potuto trincerarsi dietro a
un avevo bisogno di una distrazione;
ma il modo violento in cui pulsava il suo cuore e la rabbia con sé stesso che
provava per essersi concesso quel maledetto bacio gli suggerivano che quella
era solo una scusa.
Un’inutile
e patetica menzogna.
Il
saiyan si alzò dal letto e decise di uscire dalla sua
stanza per sgranchirsi le gambe.
Non
aveva una meta precisa verso la quale dirigersi, ma restare imperterrito
sdraiato su quel materasso lo avrebbe mandato ai matti.
I
corridoi del castello gli sembravano più lunghi del solito, nonostante li
stesse percorrendo a una velocità tutt’altro che modica. La solitudine, poi, di
certo non lo aiutava a cacciare dalla mente i suoi patetici dubbi. Era
incredibile come, in pochi, stupidissimi giorni, una persona riuscisse a
mettere in discussione sé stessa a tal punto. Ed era altrettanto incredibile
che tale messa in discussione fosse
sopraggiunta col ricongiungimento di Kakaroth alla
sua famiglia di origine.
A
chi apparteneva veramente?
La
verità era che il giovane saiyan si sentiva fuori
luogo ovunque: la Terra non era la
sua patria perché lui non apparteneva a quel mondo; ma del pianeta Vegeta e dei
suoi abitanti la sua mente non conservava alcun ricordo.
Con
disappunto, il ragazzo si accorse che nel castello c’era ancora qualcuno
sveglio.
La
luce della sala da pranzo tradiva una presenza che non poteva di certo
nascondersi.
Kakaroth
si affacciò e scorse la scienziata seduta al tavolo con le mani sul volto, come
se stesse piangendo.
Non
che le importasse chissà quanto di cosa le fosse successo, ma il fatto che a
quell’ora fosse ancora sveglia e in piedi lo incuriosì oltremodo.
Vegeta
ci teneva molto a lei. Riteneva che fosse l’unico essere umano a meritare un
briciolo di rispetto viste le sue incredibili doti intellettive e, proprio per
questo, non le permetteva mai di andare a letto troppo tardi.
La
voleva al meglio delle sue capacità e
sapeva che i terrestri, per dare il massimo, dovevano anche riposare più dei saiyan.
Il
ragazzo entrò nella stanza, facendo sussultare Bulma.
«E
tu che ci fai qui?» chiese con disappunto la scienziata.
«Potrei
farti la stessa domanda.»
«Ah,
è il mio destino, insomma. Questa è la giornata degli interrogatori.»
«Come
se mi importasse davvero qualcosa. Semplicemente, mi sembrava strano che tu
fossi ancora in piedi. E con i piatti da lavare, oltretutto. Che c’è, le
pulizie ti danno noia?»
«Se
proprio ci tieni a saperlo, a darmi noia è quel pazzo furioso del tuo principe. Ma che te lo dico a fare,
tanto siete fatti della stessa pasta.»
La
ragazza si alzò di scatto e si diresse verso la porta della sala.
«Buonanotte,
Goku, o come accidenti ti chiami. È meglio che vada a dormire se non voglio
rischiare la vita domani mattina. Vegeta è già abbastanza nervoso, a quanto
pare.»
Il
ragazzo seguì con lo sguardo Bulma e rifletté sulle
sue parole.
Quella
stupida doveva aver commesso qualche sciocchezza seria se era riuscita a far
infuriare Vegeta. Non che ci volesse molto a far scaldare le corde del principe
dei saiyan, ma con Bulma,
fino a quel momento, si era sempre contenuto abbastanza.
Che
c’entrasse il tizio che lui stesso aveva sorpreso ad aggirarsi nei dintorni del
castello, quella sera?Ora che ci
pensava, lui lo conosceva.
Già,
lo aveva affrontato durante il torneo di arti marziali.
Poi
non lo aveva più visto.
Kakaroth
non si era né preoccupato, né occupato di lui. In fondo, era solo uno stupido
terrestre e, per quel che aveva visto, non era nemmeno il più potente.
«Be’,
se la vedrà Vegeta. Casomai gli dirò che non vale la pena darsi cruccio per
quella mezza cartuccia.»
Ormai
erano quasi le due di notte.
Kakaroth
sapeva che a quell’ora i terrestri solitamente dormivano.
Già
il fatto di aver trovato Bulma ancora sveglia lo aveva
in qualche modo infastidito e al contempo risollevato: quella breve
chiacchierata lo aveva distratto per un attimo dai suoi pensieri.
Per
un solo attimo, appunto.
Kakaroth
aveva da qualche minuto imboccato di nuovo le vie del corridoio e l’idea di girovagare
a vuoto lo disturbava abbastanza. Se poi a tutto ciò aggiungeva il fatto che a
farlo reagire così fosse stato un inutile bacio, la sua indignazione lo rendeva
ancora più nervoso.
Certo
era che andare a passeggio per il castello durante orari per lui insoliti gli
aveva dato la possibilità di capire meglio quali fossero le abitudini degli
inquilini della dimora.
Giumaho
stava pregando. Per sua figlia? Per il suo regno? Per la sua gente?
A
Kakaroth, tutto sommato, non importava affatto. Ciò
che lo aveva incuriosito, affacciandosi a quella porta semiaperta, era che Mamanu non fosse con lui.
Che
i due coniugi dormissero separatamente era improbabile, visto che Napa e suo padre li avevano sorpresi insieme il giorno in
cui avevano invaso il castello.
Eppure,
nonostante l’orario, della moglie dello stregone
del toro non c’era traccia in quella stanza.
Il
ragazzo se ne andò.
Era
stanco ormai, e quel continuo girovagare non aveva portato ad alcunché di
concreto.
Nel
mentre in cui riprendeva la via per tornare nella sua stanza, la vide.
Mamanu
gli era passata davanti.
Si
erano ritrovati faccia a faccia, inaspettatamente, senza che nessuno dei due
capisse, lì per lì, da dove venisse l’altro.
Lo
sguardo tra i due durò meno di un secondo.
Kakaroth
fece in tempo a scorgere sul viso di Mamanu l’onta
della vergogna.
Il
saiyan conosceva bene quel sentimento. Non lo aveva
mai provato sulla propria pelle, ma il solo fatto di aver vissuto per anni a
contatto con gli esseri umani, lo aveva istruito a sufficienza
sull’interpretazione degli sguardi altrui.
Lui
non disse niente; lasciò che la donna lo oltrepassasse e tornasse nella sua
camera.
Chissà,
magari Giumaho stava pregando che lei tornasse.
Ma
da dove?
E
perché?
La
curiosità lo avvinse e il saiyan fece qualche altro
passo.
In
fondo a quel corridoio c’erano solo due stanze: la sua e quella di Bardack.
Il
ragazzo si avvicinò a quella del genitore e, notando che era solo socchiusa, si
affacciò.
Suo
padre era sdraiato sul letto.
Dormiente
e completamente nudo.
CONTINUA
Angolo dell’autrice
Ciao,
miei affezionati lettori!
Mentre
mi accingo a scrivere le note di questo capitolo, il cielo si sta annuvolando e
il vento comincia a soffiare. Che sia il preludio di un temporale?
Una
bella tempesta, comunque, sta sorprendendo i protagonisti della mia storia. Lo
so, questo capitolo probabilmente vi ha lasciato l’amaro in bocca. Insomma,
tutti i protagonisti della storia hanno iniziato ad amoreggiare (più o meno) e
Vegeta tratta Bulma in questo modo? D’altra parte, il
principe è pur sempre il principe e ho voluto che mantenesse più degli altri
una parvenza da cattivo. In realtà, ciò non significa affatto che gli altri
siano buoni, ma comunque lui deve essere
peggio.
Nei
prossimi capitoli tornerò a parlare di Chichi e Kakaroth, ovviamente – in questo ho deciso di concentrarmi
solo sul saiyan per non mettere troppa carne al fuoco
– e avremo anche modo di vedere come se la caverà Bulma.
Detto
questo, la smetto di tartassarvi con le mie logorroiche note.
La
mattinata non era iniziata col piede giusto per lei.
Bulma
non aveva quasi chiuso occhio durante la precedente nottata e la colpa era di
quel sadico bastardo del principe dei
saiyan.
E
anche di Yamcha, visto che aveva avuto la geniale
idea di intrufolarsi nel castello pur sapendo che ormai ci abitavano anche
alcuni invasori.
Perché,
ne era certa, lui lo sapeva.
Anche
se erano ancora le sei del mattino, Bulma non era
riuscita a rimanere a letto un secondo di più. In parte, lo stare sveglia tutte
quelle ore le aveva fatto venire fame; in parte, l’incontro con Yamcha prima e quello con Vegeta poi l’avevano spinta a
riflettere seriamente su cosa volesse fare della sua relazione sentimentale.
La
voracità con cui stava ingurgitando i biscottini alla crema preparati da Mamanu il giorno prima era il segno visibile e tangibile di
quanto la scienziata, sempre molto attenta alla linea, stesse vivendo un
momento di crisi.
Il
buio, poi, che ancora albergava in quell’enorme sala da pranzo, non l’aiutava
affatto a ragionare serenamente.
Era
davvero quello che voleva dalla vita?
Le
bastava un fidanzato di bell’aspetto, ma immaturo e fifone?
D’accordo,
lei aveva sbagliato a non fidarsi del suo intuito; ma era pur vero che, da
quando conosceva Yamcha, quella era in assoluto la
prima volta che ci vedeva giusto su qualcosa.
E
che dire, poi, del fatto che l’aveva lasciata lì, in quel castello, invaso da
un esercito di pazzi assassini?
Più
passavano i giorni e più Bulma si rendeva conto che Yamcha non era l’uomo che aveva sempre sognato. Poteva
andar bene quando era ancora un’adolescente, ma ora che era una donna – alle
prese con degli alieni cattivi, oltretutto – un uomo come lui non poteva più
fare al caso suo.
Quasi
in quel momento Bulma si stupì di essersene
innamorata tanti anni prima.
E
poi, di bei ragazzi in giro ce n’erano a bizzeffe.
A
dirla tutta, gli stessi saiyan erano uomini molto
affascinanti – fatte salve le dovute eccezioni, come Napa.
Era
inutile girarci intorno: quei maledetti usurpatori si muovevano con una
fierezza e una sicurezza in sé stessi tali che era impossibile non rimanerne
ammaliati guardandoli. E, oltretutto, avevano anche dei fisici molto scolpiti.
Bulma
si era lasciata sorprendere più di una volta da Vegeta mentre lo osservava.
Il
principe, più di ogni altro saiyan, aveva un portamento elegante e regale. Si muoveva
come se fosse consapevole di avere il mondo sotto i suoi piedi e guardava i
terrestri con una sufficienza tale da mettere in soggezione anche il più
impavido – o pazzo – degli esseri umani.
Eppure,
con lei non si era più permesso un simile atteggiamento da quando aveva
riparato alla perfezione le sue astronavi.
Ricordava
benissimo quel giorno, quello in cui ebbe il dispiacere di fare la conoscenza
del principe. Gok…Kakaroth
doveva avergli detto che lei era una scienziata e lui l’aveva svegliata dal suo
sonno per costringerla a seguirlo.
Durante
la lunga camminata che l’avrebbe portata nella valle di Furipan,
a tutto aveva pensato, tranne che volesse una mano per sistemare quelle stupide
astronavi.
Non
che a Bulma gratificasse particolarmente collaborare
con il nemico, ma avere la possibilità di toccare delle vere astronavi aliene era per lei quanto di più ambizioso ci fosse
tra i suoi progetti di vita.
E
Vegeta, con quella richiesta, glielo aveva appena fatto realizzare.
Certo,
la convivenza forzata col principe era stata tutt’altro che facile, così come
complicato era stato spesso esaudire le sue assurde richieste. Ma lei, alla fine,
ci era sempre riuscita; e lui, volente o nolente, non aveva potuto far altro
che rispettarla.
Fino
al giorno prima, per lo meno, quando il rientro in scena di Yamcha
aveva mandato il sovrano della stirpe guerriera più potente dell’universo su
tutte le furie.
Avvolta
nei suoi pensieri, Bulma non aveva notato l’ingresso
di Chichi nella sala da pranzo.
Più
o meno, erano passati dieci minuti da quando si era seduta e il sole stava
iniziando timidamente a sorgere. Possibile che la principessa si alzasse sempre
a quell’ora?
Tra
l’altro, la giovane figlia di Giumaho sembrava essere
di pessimo umore.
Non
che le altre volte che le era capitato di stare a tavola con lei sprizzasse
felicità e cordialità da tutti i pori, ma almeno non aveva l’aria afflitta.
Bulma
bevve un sorso di tè, poi riempì un’altra tazza e la passo a Chichi.
Magari,
un po’ di gentilezza nei confronti di quella ragazza avrebbe convinto qualche
divinità a cavarla dall’impaccio di dover uccidere il suo fidanzato.
Chichi
aveva notato quel gesto da parte della scienziata. In altre occasioni,
l’avrebbe sicuramente mandata al diavolo, ma gli ultimi eventi le avevano fatto
capire che avere un caratteraccio non significava automaticamente essere più
forte e decisa.
Afferrò
la tazza e sussurrò un timido “grazie”.
«Tutto
bene?» chiese Bulma, notando lo strano atteggiamento
della ragazza.
No,
non andava tutto bene.
Quel
giorno avrebbe dovuto colpire Goku almeno una volta e, se non ci fosse
riuscita, lui l’avrebbe ammazzata.
Un’ottima
prospettiva di giornata, insomma.
E,
oltretutto, c’era pure il rischio che prima di toglierle la vita decidesse di
portarsela a letto.
In
quest’ultimo caso, il vero problema non erano le intenzioni di Goku in sé,
quanto il fatto che lei ci sarebbe stata.
Era
inutile negarlo. Più tentava di convincere sé stessa a odiare il saiyan, e più le tornavano in mente le sensazioni provate
durante il bacio che le aveva rubato.
Chichi
avvampò e cercò di nascondere il rossore abbassando lo sguardo.
«Sei
sicura? Ti vedo piuttosto strana, stamattina. Non ti senti bene? Magari hai
bisogno di prenderti una pausa degli allen…»
«Ti
ho detto che non ho niente, Bulma.»
«D’accordo.
Be’, avevi iniziato bene: sembravi un po’ più malleabile del solito oggi.»
Chichi
alzò di nuovo lo sguardo, quasi esasperata dalle chiacchiere insolenti di Bulma. Piuttosto, che diavolo ci faceva già sveglia a
quell’ora?
«Tu,
invece, non dovresti essere a letto come tutte le altre mattine?»
«Ah,
Chichi, pensi forse di essere l’unica ad avere delle
grane? Sono nei guai fino al collo e non sono riuscita a dormire. Ora vuoi
dirmi che cos’hai? Hai l’aria di una che sta per buttarsi sotto un ponte.»
La
principessa posò la tazza di tè, poi emise un lungo sospiro.
Bulma
non le piaceva affatto e, dunque, non le avrebbe detto niente di ciò che la
stava tormentando realmente. A dire il vero, non sapeva nemmeno se a farla
stare in quel pessimo stato fossero le minacce di morte di Goku o, piuttosto,
la consapevolezza di essersi innamorata di lui.
«Non
è necessario che ti preoccupi per la mia vita. So badare a me stessa.»
«A
guardarti così non si direbbe proprio. Che ha combinato Son Kakaroth?»
La
principessa trattenne a stento l’impulso di aggredire la scienziata.
Di
sicuro, però, non voleva darle la soddisfazione di farsi smascherare.
Sarebbe
stata l’ennesima umiliazione, oltretutto, e lei non poteva di certo permettersi
un’altra caduta di stile.
«Lui
non c’entra niente. Mi sono solo alzata col piede sbagliato, tutto qui.»
In
quel momento, Bardack e Kakaroth
fecero il loro ingresso in sala da pranzo.
Bulma
notò immediatamente come il viso di Chichi si fosse
fatto più contratto.
A
chi voleva darla a bere, quella sciocca ragazzina? Era chiaro come il sole che
era successo qualcosa. Un qualcosa che,
in qualche modo, doveva aver incrinato il rapporto tra lei e il suo protettore.
Ora
che ci pensava, Bulma aveva avuto il dispiacere, la
sera prima, di scambiare quattro chiacchiere col saiyan,
ma il suo pessimo umore le aveva impedito di prestare attenzione
all’atteggiamento di Kakaroth.
La
bella scienziata si voltò verso i nuovi arrivati, sorseggiando un po’ troppo
rumorosamente del tè.
Bardack
aveva il solito sguardo sprezzante e vagamente menefreghista. Quasi non si era
nemmeno degnato di posare gli occhi su di lei o su Chichi.
Possibile
che quell’uomo, già di prima mattina, fosse così dannatamente insolente e
affascinante?
Pareva
che lui non sentisse affatto la stanchezza o, quantomeno, quella sensazione di
affaticamento che si prova solitamente appena messo un piede giù dal letto.
In
fondo, era ancora molto presto e lei stessa, nonostante fosse in piedi già da
un po’, ancora faticava a tenere gli occhi completamente aperti.
Anche
Kakaroth sembrava già essere nel pieno delle energie,
nonostante il cipiglio severo – più severo del solito – che aveva.
Bulma
non fece immediatamente caso al suo sguardo corrucciato, ma ci mise comunque
poco ad accorgersi che anche lui, come Chichi, era di
pessimo umore.
Che
fosse colpa della principessa?
Quei
due dovevano aver combinato qualcosa.
Bulma
si voltò di sottecchi verso Chcihi che, all’arrivo
dei due saiyan, aveva posato sul tavolo la sua brioche.
E
non sembrava intenzionata a riprenderla in mano.
L’atmosfera
in quella sala da pranzo si era fatta improvvisamente tesa.
La
scienziata non riusciva a capire esattamente a cosa fosse dovuta quella strana
elettricità nell’aria, ma intuiva perfettamente che stava succedendo qualcosa.
Qualcosa
di buono?
Se
avesse dovuto azzardare una previsione basandosi sulle facce scure di Kakaroth e Chichi, Bulma avrebbe giurato che, entro la fine della giornata,
uno dei due sarebbe passato all’altro mondo.
Insieme
a Yamcha.
Accidenti,
ogni tanto tendeva a dimenticare l’ordine impartitole da Vegeta la sera prima.
C’era
poco da fare: doveva assolutamente dire a Crilin di
contattarlo e di intimargli di stare alla larga dal castello.
Kakaroth
non si era affatto svegliato col piede giusto e la crepa che aveva lasciato sul
frigorifero, richiudendolo dopo aver preso del latte, lo dimostrava in pieno.
Erano
anni che non gli capitava di passare una simile nottataccia.
Nemmeno
dopo aver ucciso il suo maestro Son Gohan aveva avuto
incubi tanto assillanti.
D’accordo,
l’idea di baciare Chichi si era rivelata pessima, ma
girovagare in piena notte per il castello di Furipan
era stata decisamente peggiore.
Già,
perché ora, oltre a quella dannata principessa, la sua testa non faceva altro
che pensare anche a suo padre.
E
alla puttana che si era scopato.
Che
diavolo gli era passato per la testa?
E
va bene, quelli non erano affari suoi, in fondo; ma ciò non significava che lui
non ci avrebbe riflettuto sopra. Era solo per sfogare i suoi istinti che Bardack era andato a letto con Mamanu?
A
rigor di logica, sì, perché era quello che ci si sarebbe aspettato da un saiyan – uno dei più potenti in circolazione, per giunta.
Il
vero problema era per quale assurdo motivo Mamanu ci
fosse stata.
Kakaroth
non era un idiota e sapeva che nemmeno la moglie di Giumaho
lo era. Sapeva anche che se Bardack avesse preteso
del sesso da lei, lo avrebbe ottenuto anche con la forza. Rifiutarsi, al caro
prezzo di rimetterci le penne, non sarebbe stata affatto una mossa
intelligente.
Qualunque
donna sarebbe scesa a simili compromessi pur di non perdere la vita.
Qualunque,
certo.
Ma
lui era convinto che per gli umani i sentimenti valessero più della vita.
La
propria vita.
Lui
era convinto che le donne terrestri, quelle dai principi più retti, ovviamente,
avrebbero preferito morire piuttosto che tradire il proprio uomo.
Mamanu
non gli aveva mai dato l’impressione di essere una moglie poco seria.
Che
anche lei avesse solamente recitato un ruolo?
Tra
l’altro, il giovane saiyan non era nemmeno certo che
suo padre l’avesse costretta.
Kakaroth
aveva osservato bene il suo sguardo quando l’aveva incrociata lungo quel
corridoio, e nei suoi occhi rilucevano due sentimenti contrastanti ma ben
definiti: la vergogna per essere stata smascherata
e l’appagamento.
No,
probabilmente Bardack non aveva usato violenza su di
lei.
Anche
Vegeta, nel frattempo, aveva fatto il suo ingresso.
Kakaroth,
nel guardarlo, ripensò immediatamente alle parole che gli aveva proferito la
scienziata la sera prima. Nemmeno lei doveva passarsela tanto bene a corte,
negli ultimi tempi, e il fatto che a quell’ora fosse già in piedi ne era la
palese dimostrazione.
Il
principe la osservò per qualche secondo prima di redarguirla.
Era
ovvio: il sovrano dei saiyan era piuttosto divertito
all’idea che Bulma non avesse chiuso occhio durante
la precedente nottata.
Era
pur vero, però, che da quando la conosceva, quella sciocca non aveva fatto
altro che ficcarsi nei guai in ogni modo. Sfidare il principe non era mai una
buona idea, nemmeno se si godeva del suo beneplacito.
Anzi,
forse a maggior ragione.
In
fondo, lui stesso era stato accusato da Vegeta di essere un doppiogiochista e sapeva perfettamente
che, dal momento in cui il principe aveva manifestato tale pensiero, gli occhi
di quest’ultimo su di lui si erano fatti più attenti.
Oltre
tutto, qualcosa da nascondere ce l’aveva per davvero, ed erano le sfere del drago; ma fino a che non
avesse deciso cosa fare di Chichi, sarebbe stato
meglio che quelle dannate palle di vetro restassero nelle mani del Supremo.
«Ma
guarda un po’ chi c’è. A fatica è sorto il sole e tu sei già in piedi?»
Vegeta
non era solito fare dell’ironia, ma evidentemente, in quella particolare
circostanza, lo cosa lo divertiva più del solito.
Tanto
più che Bulma non si era affatto lasciata intimorire
e aveva spostato, con aria di sfida, lo sguardo sul bel principe.
«Sai
com’è, qualcuno qui è molto esigente
e poco ci manca che da me pretenda anche la luna.»
Vegeta
non spense il sorriso beffardo che aveva in volto, nonostante la risposta
pungente della scienziata.
In
fondo, tutto si aspettava – e voleva – da lei, tranne che si dimostrasse una
rammollita.
Il
principe prese posto vicino alla scienziata, mentre, a poco a poco, anche gli
altri saiyan si mettevano a sedere.
Era
arrivato anche Napa, sebbene in ritardo, e l’insolita
faccia che trovò quella mattina non doveva piacergli per niente.
«Ah,
questa è bella! La scienziata è già
in piedi a quest’ora? Era ora che il principe ti mettesse a lavorare
seriamente!»
«Chi
ti ha detto di intervenire, razza di imbecille?»
Vegeta
riusciva a essere minaccioso anche quando parlava con estrema calma.
Come
aveva appena fatto.
Il
principe sapeva perfettamente che per zittire Napa
bastava qualche insulto proferito dalla sua bocca e raramente gli concedeva il
lusso di alzare lo sguardo su di lui, o addirittura la voce.
In
fondo, quel colosso era l’ultimo dei suoi pensieri e, probabilmente, la persona
di cui avrebbe dovuto preoccuparsi di meno tra tutti i presenti.
Ah,
già. Mancava Mamanum quella mattina.
Che
fine aveva fatto la moglie di Giumaho?
Di
solito era la prima a mettere piede nella sala da pranzo la mattina ed era
anche l’ultima ad andarsene, dato che provvedeva lei a pulire.
A
Vegeta quella donna piaceva molto poco.
Non
avrebbe saputo spiegare il perché di una simile antipatia a pelle, ma dentro di
sé era assolutamente convinto che Mamanu fosse meno
accondiscendente e fedele di quanto volesse far credere. Il principe aveva
imparato fin da bambino a diffidare di quelle persone che non avevano mai nulla
da obbiettare; era chiaro: tipi del genere erano o degli opportunisti o dei
menomati.
E
Mamanu, a occhio e croce, non sembrava appartenere a
quest’ultima categoria.
Il
fatto, però, che la donna non avesse mai opposto la benché minima resistenza
agli ordini impartiteli lo aveva in qualche modo messo in allarme.
Il
suo non sembrava di certo un comportamento coerente col ruolo che ricopriva.
D’accordo,
quel regno non era il suo, ma a Vegeta sembrava davvero strano che proprio non
le importasse niente. Piuttosto, era molto più probabile che stesse
architettando qualcosa, o che, per lo meno, sarebbe stata la prima a voltare le
spalle in caso di necessità.
Già,
ma voltare le spalle a chi?
La
risposta non sembrava essere poi così scontata.
Il
principe aveva osservato più di una volta l’atteggiamento di Mamanu nei confronti di tutti
gli abitanti – vecchi e nuovi – del castello ed era quasi certo del fatto che a
lei il ruolo di moglie dello stregone del
toro non fosse poi così gradito.
Ma,
probabilmente, da lì a dire che avrebbe pugnalato alle spalle il marito e la
figlia di quest’ultimo forse era troppo.
Forse.
Kakaroth,
nel frattempo, aveva appena frantumato la seconda tazza in pochi secondi.
Che
diavolo aveva quell’idiota?
Vegeta
alzò lo sguardo su di lui e si accorse che era piuttosto nervoso.
Nemmeno
a Bardack sfuggì lo strano comportamento del figlio,
tanto che lui e il principe si scambiarono un’occhiata d’intesa.
Chi
non batté ciglio fu Chichi, la quale evitò accuratamente
di alzare lo sguardo dal tavolo nonostante il rumore del coccio frantumato.
«Kakaroth, se sei tanto nervoso perché non vai a spaccare le
ossa a qualche terrestre nullafacente invece che prendertela con delle stupide
tazze e un frigorifero?»
«Non
preoccuparti, padre, è quello che intendo fare oggi stesso.»
Il
giovane saiyan si alzò dal proprio posto senza aver
quasi toccato cibo.
L’idea
di mettere in bocca i dolci preparati da Mamanu gli
dava improvvisamente disgusto.
In
un attimo i suoi occhi si posarono su Chichi, che
invece non sembrava intenzionata a ricambiare il suo sguardo.
Come
sempre.
Stupida,
inesperta e innamorata.
Di
lui.
Sul
volto di Kakaroth si delineò una smorfia di disprezzo
quasi impercettibile, ma che Vegeta colse benissimo.
«Credo
che tu abbia mangiato abbastanza, Chichi. Oggi è il
tuo giorno: devi dimostrarmi quanto vali.»
La
ragazza non rispose. Si limitò a lasciar cadere a terra le braccia in modo
rassegnato.
Subito
dopo si alzò.
Anche
se sapeva di essere spacciata, non avrebbe mai lasciato che Goku la chiamasse
più di una volta.
Fisicamente
era debole, certo; ma mai avrebbe voluto dimostrarsi fragile anche a livello
emotivo.
L’uscita
di scena di Kakaroth e Chichi
diede modo agli altri commensali di parlare di loro.
Era
da parecchio tempo che Vegeta desiderava mettere in chiaro alcune cose con Bardack circa suo figlio e lo strano comportamento tenuto
dal ragazzo quella mattina lo aveva convinto del fatto che bisognasse agire in
fretta.
In
lui c’era qualcosa di strano, qualcosa di anomalo
per un saiyan.
Vegeta
non aveva molti ricordi piacevoli del proprio padre, ma alcuni discorsi che gli
faceva quando era ancora un bambino o poco più li aveva ben stampati in testa.
Uno
di questi riguardava i saiyan mandati in missione su
altri pianeti quando erano ancora in fasce.
È raro che uno di quei
guerrieri torni sul pianeta Vegeta; ma se lo fa, è meglio che non ti fidi
troppo di lui. Un uomo del genere rimane saiyan
nell’aspetto, ma spesso il suo animo viene forgiato sull’onda delle abitudini
del pianeta su cui ha vissuto. E poco importa che lo abbia conquistato e
distrutto: un pezzo di quel pianeta rimarrà sempre in lui e sopravvivrà in
eterno nella sua anima.
«Credo
che quella ragazzina abbia fatto incazzare tuo figlio, Bardack.
Ah, mi chiedo come sia possibile che un saiyan si
faccia mancare di rispetto così! Vivere sulla Terra lo ha fatto diventare un
rammollito.»
«Io
invece penso che dovresti tapparti la bocca e osservare di più, Napa.»
Le
parole del principe, proferite con tono un po’ troppo serioso, ebbero il
curioso effetto di ridestare anche l’attenzione di Bulma.
La
scienziata sospettava già da tempo che a Vegeta Goku non piacesse poi molto e
il fatto che per la prima volta da quando lo aveva conosciuto si fosse deciso a
parlare di lui non poteva che essere un buon segno.
Se
fosse stata in grado di dare il giusto valore alle sue parole, magari avrebbe
potuto carpire al principe qualche utile informazione.
Qualche,
certo.
Doveva
ammetterlo: lei e Vegeta parlavano molto insieme, più di quanto si sarebbe
aspettata all’inizio; ma gli argomenti che toccavano non si allontanavano mai
troppo dalla scienza e dalla tecnologia.
Scoprire
che il principe dei saiyan avesse una cultura tanto
raffinata in materia di scienza, e che fosse decisamente più intelligente di
quanto ci si potesse aspettare sapendo che aveva trascorso gran parte della sua
vita a sterminare popolazioni innocenti, fu per lei un’interessante sorpresa.
Probabilmente,
nemmeno lui aveva immaginato che sulla Terra potesse esserci qualcuno in grado
di sostenere con lui conversazioni inerenti i bosoni e i buchi neri e ciò lo
aveva portato a cercarla più del dovuto.
E
anche a farla lavorare parecchio.
Dei
suoi compagni, però, il principe non aveva mai parlato.
Bulma
non sapeva esattamente quale opinione avesse dei suoi commilitoni.
Immaginava
che stimasse molto Bardack e che invece mal
sopportasse Napa, ma esplicitamente a lei non aveva
mai dato alcuna conferma di ciò.
Di
cosa pensasse esattamente su Kakaroth, poi, non
poteva averne la benché minima idea.
Da
quando i saiyan erano giunti sulla Terra, quella era
la prima volta che le capitava di vedere il principe e il protettore nella stessa stanza.
Che
si evitassero di proposito?
Forse.
Per
quel che ne sapeva lei era possibilissimo che tra quei due non scorresse buon
sangue.
In
fondo, Bulma aveva sempre avuto la sensazione che
Goku, in quella corte, fosse di troppo. Se non fosse stato per il legame che
aveva con Chichi, probabilmente Vegeta e Bardack nemmeno gli avrebbero permesso di restare lì.
E,
forse, nemmeno sarebbe stato un male.
Come
lei, Vegeta doveva aver notato che a Kakaroth quella
convivenza forzata stava un po’ stretta.
Bulma
non sapeva nulla dei rapporti tra il giovane finto protettore e la sua famiglia di origine, ma aveva il sospetto che,
in realtà, questi rapporti fossero
meramente limitati a qualche contatto via rilevatore.
E
se così fosse stato, non c’era da stupirsi che le cose tra lui e gli altri saiyan non andassero a gonfie vele.
«Non
so cosa abbia, principe. In parte, Napa ha ragione.
Oggi non si è comportato da vero saiyan e non ne
capisco il motivo.»
«Appunto,
Bardack, oggi.
Credo che il lato terrestre di tuo figlio stia iniziando a venire a galla e la
cosa, ovviamente, non mi piace per niente.»
Bardack
spalancò gli occhi.
«Questo
è impossibile, Vegeta. Non avrebbe permesso la nostra venuta se avesse avuto
dei dubbi su chi veramente volesse appoggiare.»
«Questo
lo so perfettamente. Rimane il fatto, però, che ancora non si sappia dove siano
le sfere del drago. Spero tanto di
sbagliarmi, ma credo che tuo figlio c’entri qualcosa. Tienilo d’occhio e, se
necessario, seguilo.»
Vegeta
non diede a Bardack il tempo di replicare.
Si
alzò di scatto e si diresse verso la porta, intimando a Bulma
di seguirlo.
La
scienziata preferì non intervenire nella discussione di fronte agli altri due saiyan. Dato che il principe si era concesso il lusso di
obbligarla a uccidere il suo ragazzo, avrebbe quanto meno potuto anche
rispondere a qualche sua domanda.
In
privato, però.
***
Il
modo in cui Kakroth si sbatté la porta della palestra
alle spalle aveva fatto sussultare Chichi.
Quel
saiyan era decisamente
più arrabbiato del solito.
Molto
di più.
Ma
che colpa ne aveva lei, in fondo?
D’accordo,
era debole; e d’accordo, si era anche lasciata baciare da lui. Ma di sicuro non
era stata lei a obbligarlo a fare una simile sciocchezza. Se davvero quel
maledetto bacio lo aveva reso tanto nervoso, bastava evitare di ripeterlo. In
fondo, lei non si sarebbe mai azzardata a tentare un approccio con lui di sua
iniziativa e il saiyan lo sapeva perfettamente.
Goku
non andò subito da lei, che, al contrario, si era già posizionata al centro
della palestra in attesa dei suoi attacchi.
Rimase
appoggiato alla porta per qualche secondo, con la testa bassa e i pugni
stretti.
Da
quando lo conosceva, quella era la prima volta in assoluto che il saiyan si comportava in quel modo.
La
rabbia che aveva in corpo trasudava da ogni poro della sua pelle e Chichi riusciva a cogliere perfettamente l’energia negativa
emanata dal corpo statuario del saiyan.
Kakaroth
stava perdendo il controllo.
Quella
situazione a Chichi non piaceva affatto.
Nonostante
il ragazzo avesse rivelato la sua vera identità già da qualche giorno, non le
era mai capitato prima di allora di sentirsi davvero in pericolo.
Nemmeno
quando l’aveva rapita dalla sua stanza e portata al cospetto di Vegeta.
La
cosa che più la preoccupava era il non riuscire a capire quale fosse realmente
il motivo di tanta rabbia.
Ce
l’aveva con lei?
O
con sé stesso?
E
se ce l’aveva con sé stesso, quale poteva essere il motivo?
Possibile
che quel bacio lo avesse sconvolto a tal punto da metterlo in crisi?
Se
così fosse stato, Chichi doveva sperare che
l’orgoglio di Goku non avesse la meglio sul suo buonsenso.
In
quel momento, la ragazza non sapeva come comportarsi.
Affrontarlo
e chiedergli cosa avesse non le sembrava un granché come idea, ma nemmeno aveva
intenzione di stare lì impalata in attesa che magari le tirasse un pugno in
faccia senza alcun motivo plausibile.
Perché,
ne era certa, presto l’avrebbe attaccata.
«E
va bene, Gok…Kakaroth. A
quanto pare ti sei alzato col piede sbagliato e, se l’intuito non mi inganna,
la colpa è mia. Vuoi che ti dica che mi dispiace? Se ci tieni lo farò; ma giuro
che non capisco perché tu ce l’abbia tanto con me.»
La
sua stessa presa di coraggio le aveva anche dato la forza di schiodarsi dal
centro della palestra e di avvicinarsi a lui.
Chichi
non era una codarda e, in fondo, era già nei guai fino al collo. Che differenza
potava fare qualche passo più in là? Se lui avesse voluto, le avrebbe fatto del
male comunque.
Tanto
valeva affrontare la questione.
Cosa
credeva, quello stupido guerriero?
Anche
lei si sentiva uno schifo per essersi lasciata baciare.
E
la sua posizione era decisamente più scomoda di quella del saiyan:
perché lei era la vittima e Kakaroth il carnefice.
Goku
avrebbe potuto liberarsi di lei in qualsiasi momento, mentre Chichi avrebbe dovuto aspettare con pazienza che fosse il
ragazzo a stancarsi.
Non
erano affatto pari, insomma.
E
non lo sarebbero mai stati se la ragazza non avesse trovato dentro di sé la
forza di affrontarlo a parole.
Tanto,
coi pugni non aveva alcuna speranza di batterlo.
«Mi
avevi detto che oggi avrei dovuto colpirti almeno una volta, Kakaroth. È questo che stai aspettando? Perché sto per
farlo.O, per lo meno, sto per provarci.
E pazienza se il mio colpo andrà a vuoto: se c’è una cosa che detesto è passare
per vigliacca.»
La
ragazza si avvicinò ulteriormente al saiyan e gli
tirò un pugno, usando tutta la forza che aveva in corpo. Non aspettò nemmeno
che Kakroth reagisse alle sue parole: vederlo ridere
divertito probabilmente l’avrebbe convinta a desistere.
E
lei non voleva.
Con
gli occhi chiusi e la bocca digrignata, Chichi si
avventò sul petto del saiyan e sferrò il suo pugno.
Un
pugno che, ne era certa, non sarebbe mai arrivato a destinazione.
Invece,
lo colpì.
In
pieno.
Il
silenzio che seguì a quel colpo fu più assordante delle ossa scricchiolanti
della mano di Chichi.
D’accordo,
probabilmente si era fatta più male lei del suo avversario, ma rimaneva il
fatto che lo aveva preso. O, meglio, Kakaroth si era
lasciato prendere.
Perché,
accidenti? Perché?
«Ora
sei contenta?» proferì a bassa voce il guerriero.
Lo
sgomento di Chichi fu tale che solo dopo qualche
secondo di imbarazzante silenzio riuscì a ribattere.
«Dovrei
essere io a chiedertelo. Eri tu quello che desiderava ricevere un pugno da me.»
«Sì,
certo. E come non ricordarlo!»
Kakaroth
non aveva affatto voglia di scherzare, ma di continuare quella farsa non voleva
proprio saperne. Quando aveva capito che Chichi
voleva davvero tentare di colpirlo, aveva preferito lasciarla fare.
Tanto
lo sapeva che da sola non ce l’avrebbe mai fatta.
Tanto
lo sapeva che quella ragazza era troppo debole.
Fisicamente,
certo; ma dentro di sé aveva una forza spaventosa.
Era
quello che gli umani chiamavano coraggio?
Lui
non era affatto sicuro di possederlo perché, in fondo, non gli era mai capitato
di affrontare qualcuno più forte di lui.
Chichi
lo aveva fatto, invece. Da giorni e giorni si lasciava allenare da un pazzoide
extraterrestre che in teoria avrebbe dovuto rubarle le sfere del drago.
In
teoria, appunto; perché, in realtà, non era più tanto convinto che gli
interessassero per davvero.
Interessavano
a Vegeta, ma quello era un altro discorso.
In
fondo, lui col principe dei saiyan non aveva nulla a
che spartire se non il sangue alieno e la consapevolezza di appartenere alla
sua stessa razza, da qualche ora a quella parte, non lo riempiva più tanto di
orgoglio.
Sì,
perché, per quanto i saiyan volessero far credere di
essere crudeli e spietati più di qualunque altra creatura vivente,
probabilmente le cose non stavano esattamente così. Che fino ad allora si
fossero mossi solo in base alla convenienza non c’era alcun dubbio, ma che
nessuno di loro potesse provare dei sentimenti diversi dall’odio, be’… forse non era del tutto vero.
Fino
alla notte precedente si sentiva in difetto perché aveva capito di non riuscire
a provare indifferenza nei confronti di Chichi; poi
aveva scoperto che suo padre –suo padre, accidenti! – si era
abbandonato ai piaceri della carne con Mamanu, la
matrigna della principessa e futura sovrana di Furipan.
Come
se ciò non bastasse, aveva il forte sospetto che a BardackMamanu piacesse sul serio.
In
fondo, quando lui aveva baciato Chichi, aveva dovuto
faticare parecchio per non farle male. C’era un abisso praticamente incolmabile
tra la forza fisica di una saiyan e quella di una
terrestre. Se Mamanu era uscita intatta,
completamente intatta, da un rapporto sessuale con uno dei guerrieri più
potenti della galassia, evidentemente il guerriero in questione, per qualche
motivo, aveva deciso di andarci piano.
E
perché farlo?
Di
donne sulla Terra ce n’erano a bizzeffe.
Avrebbe
potuto scoparsi una puttana al giorno e poi lasciare il suo corpo a marcire
nella valle di Furipan.
Ma
non lo aveva fatto.
Aveva
preferito andare a letto con lei e lasciarla vivere piuttosto che godere delle
grazie di mille sgualdrine.
E
chissà cosa avrebbe fatto Chichi se lo avesse saputo.
Da
quel poco che aveva intuito, tra lei e la sua matrigna non correva affatto buon
sangue.
Non
che la cosa gli interessasse più di tanto, ma era certo che la principessa
avrebbe reagito parecchio male.
Ma,
in fondo, non aveva nessuna intenzione di dirglielo.
Per
quale motivo avrebbe dovuto farlo?
Quelli
non erano affari loro, né suoi, né di Chichi e, vista
la strana tensione che si era creata a corte nelle ultime ore anche tra Bulma e Vegeta, sarebbe stato decisamente più opportuno non
gettare benzina sul fuoco.
Già,
ma intanto aveva deciso di farsi colpire da Chichi.
In
parte le faceva pena, quella strana ragazza dalla forza fisica misera ma
dall’incredibile coraggio; in parte, però, provava nei suoi confronti anche un’inspiegabile
ammirazione.
Era
in gamba, più di quanto potesse sembrare prestando fede al suo pessimo
carattere, e, oltretutto, sapeva il fatto suo.
Forse,
aveva imparato a trattare con lui meglio di quanto egli stesso non si
aspettasse e, sempre forse, aveva già
capito che lui presto avrebbe vacillato.
«Be’,
non mi piacciono le vittorie facili, Kakaroth. Se
pensi che non valga la pena mettermi alla prova, ti prego di non farlo. Ma,
d’ora in poi, evita di prendermi in giro, per favore.»
«Prenderti
in giro? Io? Oh, andiamo…»
Il
saiyan si mosse finalmente dalla posizione in cui era
e avanzò di qualche passo verso la principessa. Le afferrò il pugno e, con
grande sorpresa da parte della ragazza, non le fece male.
Non
ce n’era bisogno, in fondo.
Ormai
sapevano entrambi chi era il più forte e Kakaroth aveva
capito che continuare a umiliare quella ragazza non avrebbe portato a niente di
buono.
No.
Perché,
evidentemente, il problema non era lei
ma lui, i suoi fottuti ideali, il suo
senso di lealtà nei confronti del popolo saiyan e la
terribile consapevolezza di aver preso un abbaglio.
Lo
stesso abbaglio che, probabilmente, aveva preso anche suo padre.
I
saiyan, come tutte le altre creature viventi,
potevano cedere.
E
lui, dannazione, lo aveva già fatto con Chichi.
Tanto
valeva andare fino in fondo.
«Ti
ho solo risparmiato l’ennesima umiliazione, Chichi.
Tanto non mi avresti mai colpito.»
«Lo
so perfettamente. E allora perché ieri hai preteso che lo facessi?»
«Perché
era arrabbiato con te e non è detto che mi sia passata.»
«E
saresti così gentile da spiegarmi che cosa avrei fatto di sbagliato?»
«Questo,
Chichi.»
Goku
si avvicinò ulteriormente a lei che, in modo inaspettato, non tentò nemmeno di
indietreggiare.
Le
sorrise beffardamente, ormai a pochi millimetri dal suo viso, e fissò con
disarmante intensità gli occhi neri e smarriti della ragazza.
Smarriti,
sì; ma comunque consapevoli di ciò che Kakaroth stava
per fare.
Di
nuovo.
Per
la seconda volta in due giorni.
Entrambi
erano pronti, anche se in maniera diversa, ed entrambi lo volevano.
Chichi
lasciò che il saiyan le cingesse la vita con un
braccio e che con la mano libera le accarezzasse prima il viso e poi il collo.
E
poi, ancora più giù.
La
mano di Goku scivolava con estrema delicatezza lungo la pelle nuda della ragazza,
mentre le bocche dei due giovani erano di nuovo unite in un bacio.
Le
dita del ragazzo sfioravano ogni parte del corpo di lei che non fosse coperto
dalla veste: le gote, il collo, la parte superiore del petto, il braccio
sinistro.
Solo
quando il bacio era divenuto più intenso e nessuno dei due fingeva più di
volerlo sciogliere, anche Chichi trovò il coraggio di
toccare il suo amante.
L’idea
che lui potesse rifiutare quel tocco appena accennato sul suo fianco la sfiorò
appena, ma svanì non appena si rese conto che Kakaroth
voleva lasciarla fare.
Fu
così che Chichi tentò di prendere la mano del saiyan, quella che la stava accarezzando con più
delicatezza di quanto non si aspettasse.
Riuscì
ad afferrarla ma non a tenerla stretta: quella mano era già scivolata più in
basso, lungo la tunica, e si era posata sul ventre della principessa.
La
porta della palestra si spalancò all’improvviso, facendo accelerare di colpo il
cuore di Chichi.
«Chichi, ascoltami, devo darti una notiz…
Ehm… Ecco…»
Farfugliava,
e ne aveva ben ragione.
Farfugliava
dall’imbarazzo e la cosa era ovviamente più che comprensibile.
Ma
di sicuro, quella più imbarazzata di tutti era lei, che si era vista
precipitare il suo amico dentro quella maledetta palestra mentre era
avvinghiata a Goku.
A
Kakaroth, anzi.
Al
nemico.
La
sorpresa fu tale che l’abbraccio tra i due non si sciolse subito.
E
se Chichi sembrava volesse sotterrarsi dalla
vergogna, Kakaroth pareva invece piuttosto
infastidito.
Quasi
furente, a dire il vero.
«Spero
che tu abbia avuto un motivo più che valido per recarti qui, razza di idiota!
Oppure devo provvedere nell’immediato a spedirti all’altro mondo?»
Crilin
ancora balbettava dallo shock.
Ok,
in fondo era prevedibile.
Cioè,
sarebbe stato prevedibile se Goku non fosse stato in realtà Kakaroth.
Ci
aveva pensato, qualche volta; si era accorto che Chichi,
quando ancora lo credeva il suo protettore,
si era invaghita di lui.
Però,
credeva che la cose fosse finita lì, che quel sentimento si fosse spento nel
momento esatto in cui il saiyan aveva rivelato la
propria identità.
E
le proprie intenzioni.
Aveva
fatto male i conti, evidentemente.
Aveva
preso un grosso abbaglio.
Il
guaio peggiore era che non sapeva assolutamente come comportarsi a quel punto.
Crilin
sapeva che anche Kakaroth era in quella palestra, e
sapeva anche che era stato lui a permettere alla ragazza di far sparire le
preziose sfere del drago. Non avrebbe
avuto problemi, insomma, a metterla a conoscenza di ciò che era successo in
presenza del saiyan.
Ma
non immaginava che tra i due ci fosse quel
tipo di rapporto.
Perché,
certo, lui stesso era stato il primo a fidarsi ciecamente di quel guerriero
sconosciuto; ma gli eventi lo avevano portato a ricredersi, purtroppo.
A
rigor di logica, lei avrebbe dovuto fare la stessa cosa.
Kakaroth,
nel frattempo si era allontanato da Chichi e si era
avvicinato a Crilin, afferrandolo per la maglia.
«Hai
deciso di farmi incazzare sul serio, nanerottolo? Che diavolo sei venuto a fare
qui?»
«Io… Io volevo solo informarvi che…
che mi ha contattato Popo e mi ha detto che le sfere del drago sono scomparse.»
CONTINUA
Angolo dell’autrice
Ciao
a tutti!
Scusatemi
per questo capitolo infinito.
Mi
era preso un attacco di “ispirazione”, ed eccomi qui, con l’ennesima prova della
mia infermità mentale. È un capitolo molto lungo, come avete potuto vedere, e
in gran parte introspettivo. Avevo bisogno di sviscerare le menti di alcuni
personaggi chiave per spiegare gli eventi futuri e quindi mi sono dilungata un
bel po’.
Avete
avuto modo di leggere le opinioni di alcuni protagonisti su altri. Forse non
era indispensabile fornire certi dettagli, ma credo che sia comunque importante
capire la psicologia dei personaggi. Vegeta è sospettoso praticamente di
chiunque, Kakaroth è in crisi esistenziale (e di
identità), Mamanu ha preferito non farsi vedere, Chichi alterna momenti di paura a vampate di coraggio, Bulma osserva estudia la situazione, Bardack pensa a Mamanu, Napa pensa a sé stesso e Crilin… Arriva nel momento sbagliato (e con una pessima
notizia).
Una
svolta nella storia ci voleva, dopo tutto.
Per
ora, lascio a voi ogni congettura sulla sparizione delle sfere del drago.
Vi
mando nuovamente tanti baci e vi ringrazio di cuore!
Da
quando erano entrati in laboratorio, Vegeta non aveva ancora accennato a Yamcha.
Bulma
non era affatto un’ingenua e conosceva abbastanza bene il principe dei saiyan da poter dire che stava volutamente tacendo.
Magari
voleva che fosse lei ad aprire il discorso.
O,
magari, aveva davvero cose più serie a cui pensare.
Già,
ma cosa?
Lo
sguardo della scienziata si spostò dal monitor del suo computer alla capsula
che il principe stava maneggiando ed
esaminando con cura.
La
figura elegante di Vegeta stonava non poco con l’ambiente circostante. Quel
vecchio ripostiglio, riciclato ad arte come laboratorio in meno di un giorno,
ancora portava i segni del vecchio utilizzo che ne faceva Giumaho
prima che Vegeta prendesse possesso del castello. Come stanza da lavoro era
piuttosto lugubre: mura scalcinate, vecchia mobilia, ragnatele appese qua e là;
e più Bulma e Mamanu
tentavano di ripulire la stanza e più sembrava che il degrado aumentasse.
Al
principe, però, non importava nulla delle condizioni in cui versava il suo
nuovo laboratorio. Ciò che premeva all’uomo era che Bulma
avesse lo spazio sufficiente per lavorare ai suoi progetti e per portarli a
termine senza fatica.
Rimaneva
il fatto, però, che ogni tanto pioveva sulla testa del principe e della
scienziata qualche calcinaccio e che più volte l’intrepida BulmaBrief si era lamentata del fatto che quella stanza
stesse letteralmente cadendo a pezzi.
Vegeta,
in mezzo a quello squallore, sembrava essere ancora più bello.
Bulma
solitamente non pensava a lui in quei termini. Certo, si era accorta fina dalla
prima volta in cui aveva incrociato il suo sguardo che il sovrano dei saiyan era effettivamente un uomo affascinante, mai i
difetti che aveva rendevano assolutamente privi di ogni valore i suoi pregi.
Tali
pregi, però, non si limitavano di certo all’aspetto esteriore.
Quel
dannato principe era molto intelligente e perspicace. Bulma
aveva l’impressione che fosse anche un abilissimo stratega. Parlare con lui le
piaceva, così come si sentiva realizzata nell’aver trovato finalmente qualcuno
che apprezzasse in pieno le sue doti di scienziata.
Yamcha
non aveva mai dato un gran peso al suo lavoro.
Le
voleva bene, certo, ma sapeva che per lui molti dei suoi esperimenti erano del
tutto inutili.
E
il motivo era semplice: non li capiva.
La
maggior parte delle cose a cui lavorava Bulma era
fuori dalla sua portata.
Vegeta,
invece, capiva tutto.
E
alla perfezione.
Magari
non aveva le sue stesse abilità manifatturiere, però riusciva sempre a intuire
con largo anticipo dove volessero andare a parare gli strani esperimenti della
scienziata.
E
li approvava.
Bulma
sapeva che la comparsa di Yamcha aveva rovinato
tutto.
Una
delle speranze della scienziata era quella di conquistare la fiducia del
principe, di adombrare il più possibile quei maledetti difetti che aveva.
E
non si trattava di roba da nulla.
Vegeta
era un assassino. Sebbene Bulma non avesse mai visto
personalmente il sovrano dei saiyan uccidere qualcuno,
capiva da come lo guardavano tutti i suoi sottoposti quanto fosse pericoloso.
Erano
a dir poco terrorizzati da lui.
Solamente
Bardack e Kakaroth
riuscivano a mantenere un portamento dignitoso in sua presenza e questo fatto
l’aveva spaventata da morire.
Chi
diavolo era realmente Vegeta? E quanto doveva essere forte se un esercito
intero di spietati assassini tremava al cospetto di costui?
Bulma
scosse il capo con l’intento di cacciare via quei brutti pensieri.
Il
suo cruccio principale, in quel momento, non era rivolto tanto alle vittime
passate del principe ma alla fine che
il saiyan aveva in mente per lei.
Perché,
ne era sicura, Vegeta stava pensando a come eliminarla.
Convincersi
del fatto che senza di lei lui non avrebbe più avuto a disposizione tutti quei
marchingegni tecnologici non fu affatto di consolazione.
Per
quanto ne sapeva la donna, in fondo, quell’astuto guerriero poteva avere in
mano altre mille risorse.
Cosa
sapeva davvero di lui?
Magari,
sul pianeta Vegeta c’era uno stuolo intero di scienziati rapiti da chissà quali
pianeti lontani che, in quel preciso istante, stava lavorando ai suoi stessi
progetti.
Il
guaio sarebbe stato se li avessero realizzati meglio di lei.
E
poi, Bulma aveva anche ricevuto l’ordine, tutt’altro
che inerente alla tecnologia, di far fuori Yamcha. Ma
per quale assurdo motivo Vegeta si era incaponito su quella faccenda?
Solo
una pazza avrebbe potuto fare un simile doppio gioco sapendo che in mezzo c’era
anche il principe dei saiyan.
E
lei, per quanto ancora tenesse a Yamcha, pazza non
era.
Mandare
via il suo fidanzato in malo modo non era servito a nulla, vista la reazione di
Vegeta e, probabilmente, non sarebbe nemmeno bastato tenere il predone del deserto lontano dal
castello.
Tanto
più che non poteva avvertirlo personalmente e aveva bisogno che qualcuno
intercedesse per lei.
Già,
ma chi?
Quella
mattina, Crilin ancora non si era fatto vivo e Bulma temeva che non sarebbe arrivato affatto.
Solo
quando anche il principe iniziò a lamentare l’assenza del giovane allievo di Muten, la scienziata iniziò a preoccuparsi.
Durante
quella settimana di collaborazione forzata, Bulma
aveva imparato a conoscere bene il ragazzo. Tra loro era nata una sorta di
affiatamento che andava oltre il rapporto che si instaura tra due conoscenti
costretti a lavorare insieme.
Si
sarebbe potuto parlare di amicizia.
Crilin
aveva un carattere molto più affabile di quello di Bulma
e non andare d’accordo con lui era praticamente impossibile. Non si lamentava
mai, non cercava mai di attaccare briga, non si ribellava alle sue mansioni.
Per
certi versi, a Bulma sembrava che Crilin
somigliasse a Mamanu.
In
fondo, la scienziata sapeva bene che se non fosse stata per l’accondiscendenza
dimostrata dalla moglie di Giumaho e dall’allievo di Muten, i saiyan avrebbero già
perso le staffe da un pezzo.
Perché,
era inutile girarci intorno, lei e Chichi facevano
molta più fatica a tenere a freno la lingua.
Intanto,
Vegeta si era alzato dalla logora poltrona su cui era seduto da quando aveva messo
piede nel laboratorio per avvicinarsi a Bulma
«Come
hai detto che si chiamano questi aggeggi?»
«Capsule Hoi-Poi.
Ti interessano? Io credo che siano una delle mie invenzioni meglio riuscite.»
«Non
credo. Io continuo a mettere al primo posto la camera gravitazionale.»
Il
saiyan tacque per qualche istante, poi con un
movimento impercettibile del braccio, staccò la presa di corrente del computer
su cui stava lavorando Bulma.
La
scienziata sussultò in preda all’ira.
«Ma
dico! Che ti passa per la mente? Io stavo lavorando al perfezionamento di
quelle capsule! Se mi hai fatto perdere tutti i dati, io…»
«Non
credo che tu sia così sprovveduta da non aver inserito un programma per il
salvataggio automatico dei file.»
La
donna esitò per un attimo a controbattere. In fondo, a modo suo, Vegeta le
aveva fatto un complimento.
«D’accordo,
mettiamola così. Rimane il fatto che mi devi una spiegazione.»
Il
principe sorrise a quell’impeto di coraggio mostrato da Bulma.
Bastava toccarle il suo preziosissimo lavoro e la donna, che pur non brillava
di temperanza, andava su tutte le furie.
«È
semplice, donna, ho bisogno di fare
due chiacchiere con te sul funzionamento di queste capsule. Sai, fino a oggi mi
sono sempre chiesto come tu abbia fatto ad allestire un accampamento in piena
regola nel bel mezzo della Foresta di Furipan pur
avendo intorno a te solo il nulla più totale. Avevi nascosto il tutto dentro
una di queste capsule?»
Bulma
riprese a respirare regolarmente. La rabbia stava a poco a poco scemando.
«Sì.
Ma era un modello vecchio rispetto a quella che tieni in mano in questo
momento. Aveva una capacità di contenimento molto più limitata.»
Vegeta
aprì il palmo della sua mano e iniziò a contemplare la sua capsula, accennando
appena un sorriso.
A
Bulma, quella strana smorfia di approvazione non
piacque per niente.
«E
dimmi, donna, quale sarebbe la capacità massima di contenimento di questi
aggeggi?»
«Be’,
ecco… Per ora non possono racchiudere un oggetto dal
volume più grande e dal peso maggiore della tua gravityroom. Perché me lo domandi?»
«Sei
proprio sicura di volerlo sapere?» proferì il principe, continuando a fissare
la capsula.
«Certo,
tanto sono certa che tu stia per avanzarmi una delle tue assurde richieste.»
Il
principe rise di gusto a quella perspicace affermazione.
In
quel momento, l’insolente lingua di Bulma non
sembrava nemmeno dargli fastidio.
E
quando rideva, Vegeta, che di suo era già bellissimo, diventava praticamente
irresistibile.
«Questa
mattina hai detto che ci manca poco che da te io pretenda anche la Luna. Ebbene, la voglio per davvero.»
Bulma
strabuzzò gli occhi all’incredibile richiesta avanzatale da Vegeta.
Era
uno scherzo?
Non
poteva essere altrimenti, accidenti.
Che
diavolo voleva dire con la voglio per
davvero?
E
per farsene cosa?
Forse,
quel maledetto principe stava impazzendo; o, forse, dietro alla sua richiesta
si celava uno dei tanti segreti del popolo saiyan che
Bulma bramava di conoscere ma che non le era dato
sapere.
«Che
diavolo significa, Vegeta? Non riesco a capire.»
«Esattamente
quello che ho detto. Ho notato che su questo pianeta, che pure, in base ai
calcoli fatti anni addietro da mio padre, dovrebbe averne una, non possiede
alcuna Luna. Pretendo che tu ne faccia orbitare una intorno alla Terra. Non mi
importa come intendi riuscirci; ciò che conta è che tu lo faccia, e in fretta.»
Bulma
era sul punto di andare in apnea a causa dello shock.
Non
era divertente; quello scherzo non era affatto divertente. Già le pareva un’assurdità
il fatto che Vegeta le avesse chiesto una stanza gravitazionale, ma la Luna era una cosa aberrante.
Inconcepibile.
Tanto
più che non aveva la più pallida idea di come fare per portarne una intorno
alla Terra.
Persino
ribattere a quella richiesta malata le sembrava ridicolo: ciò che le era stato
ordinato di fare era fuori dalla portata di una qualunque creatura vivente, per
quanto intelligente ella fosse.
Bulma
sapeva di essere una brillante scienziata, ma la Luna…
Accidenti,
la Luna era troppo persino per lei.
«Io… Io non so cosa ti passi per la testa, Vegeta, ma spero
tu ti renda conto che realizzare il tuo desiderio è impossibile.»
Il
saiyan sorrise di rimando e si avvicinò ulteriormente
alla scienziata.
Non
da lui, certo: lui non le aveva mai fatto davvero quell’effetto.
Bulma
era terrorizzata all’idea di fallire
in quello che sapeva essere il suo campo di battaglia.
La
scienza.
Vegeta
questo lo sapeva, e anche molto bene. Aveva capito quanto quella donna fosse
devota al suo lavoro e quanta dedizione impiegasse per il raggiungimento dei
suoi obbiettivi.
E
poco importava che fossero impossibili: lei, alla fine, aveva sempre
strabiliato tutti.
Persino
sé stessa.
Ecco
perché il principe si era affidato a lei per la realizzazione del suo piano.
Ecco
perché il sovrano dei saiyan era certo che la
scienziata, pur sudando mille camicie, alla fine ce l’avrebbe fatta.
«Mettiamola
così, Bulma. Tu mi procuri una bella Luna e io ti
risparmierò la grana di dover uccidere quel ficcanaso.»
Al
ricatto del principe, Bulma si irrigidì.
Vegeta
vide nascere nei suoi occhi il barlume della speranza.
La
cosa, stranamente, gli piacque ben poco. Chi diavolo era, in effetti, quel
tizio? E perché la sua scienziata ci teneva tanto a salvargli la pelle?
Il
cambio di espressione che si delineò sul volto di Vegeta mise in allarme Bulma.
Chissà
perché, aveva l’impressione che dimostrarsi troppo entusiasta per quella proposta non avrebbe giovato né a lei,
né a Yamcha.
«Va… Va bene, ci proverò. Ma so già che l’impresa è
impossibile.»
«Questo
lo vedremo, scienziata. Fossi in te,
mi darei da fare parecchio; in fondo, la vita del tuo amico dipende da te.»
Vegeta
si girò dall’altra parte e fece per uscire dal laboratorio.
Certo,
lui avrebbe mantenuto la promessa.
Se
Bulma gli avesse procurato una Luna, non l’avrebbe
costretta a uccidere quel pivello.
Ma
l’avrebbe ammazzato lui, con le sue stesse mani.
Su
questo, il principe dei saiyan non aveva alcun
dubbio.
Bulma
guardava Vegeta mentre usciva dalla stanza con gli occhi spaventati dal
terrore.
Più
il suo cervello cercava di trovare una motivazione razionale a ciò che il saiyan le aveva ordinato e più i suoi neuroni sembravano
andare in tilt.
L’unica
parola che rimbombava nella sua mente era irrazionale.
Quel
dannato principe era irrazionale.
Le
sue pretese erano irrazionali.
La
sua convinzione che lei ce l’avrebbe fatta era irrazionale.
La
donna, oltretutto, non riusciva a togliersi dalla testa quella maledetta domanda:
perché?
Che
senso poteva avere una simile pretesa?
Quella
di Vegeta era solo una scusa per liberarsi definitivamente di lei?
Nell’istante
in cui afferrò la maniglia della porta, il principe sciolse dalla vita quella
che fino a quel momento Bulma aveva creduto essere
una cintura.
Il
cuore le si fermò in gola e ogni singolo muscolo del suo corpo iniziò a
tremare.
I
saiyan avevano la coda,
e lei, come una pivella qualunque, non se ne era mai accorta.
***
Kakaroth
scaraventò il terrestre a terra e prese a guardarlo con aria più inferocita di
quanto non avesse fatto in precedenza.
Se
quel dannato incompetente avesse detto la verità, lui era nei guai.
«Come… Come accidenti è successo? Parla, terrestre!»
Crilin
tremava ancora, di paura e di stupore.
Il
cervello gli intimava di mettere da parte il bacio che aveva involontariamente
visto tra Kakaroth e Chichi,
ma il suo animo non poteva non tormentarsi per ciò che poteva esserci tra quei
due.
La
sua amica – perché ormai la considerava tale – si era messa nei guai, e la cosa
peggiore era che se davvero si fosse infatuata di quel saiyan,
probabilmente sarebbe stato molto difficile tirarla fuori.
Tra
l’altro, il problema maggiore in quel momento erano le sfere del drago.
Fino
a poche ore prima, Crilin non sapeva assolutamente
che Chichi e Goku le avessero affidate al Supremo. Il
riserbo che la custode aveva voluto
preservare sul destino di quei magici oggetti non aveva risparmiato nemmeno
lui.
Qualcosa,
però, era andato evidentemente storto.
Il
ragazzo era stato svegliato nel cuore della notte da Popo,
il fedele assistente del Supremo.
Aveva
capito subito che c’era qualcosa che non andava. Popo
era stranamente inquieto e, per la prima volta da quando lo conosceva, aveva
lasciato da parte la sua aria impassibile.
Fu
proprio lui a dirgli della sparizione delle sfere e a supplicarlo di avvertire
la principessa il prima possibile.
Per
la verità, quella mattina Crilin avrebbe dovuto
raggiungere Bulma in laboratorio per aiutarla con i
suoi esperimenti, ma la situazione gli era sembrata più grave del previsto.
Tanto
più che dietro che a quella misteriosa sparizione potevano benissimo esserci
dietro i saiyan e il loro principe.
Magari
anche Goku.
Chissà
perché, però, il cuore di Crilin gli aveva suggerito
di scartare quell’ultima ipotesi.
«Non… Non ne ho la più pallida idea. Popo
mi ha semplicemente riferito della scomparsa, tutto qui.»
«Oh,
certo! In effetti, è normale che da un momento all’altro le sfere del drago spariscano nel nulla! È
così che il loro creatore le protegge?»
«Non
so che cosa dirti, mi dispiace. Non conosco la dinamica dei fatti.»
Kakaroth
tirò un pugno sulla parete più vicina che aveva a disposizione, creando un buco
nel muro.
Aveva
sbagliato i calcoli. Sottrarre le sfere alla custodia di Chichi
non aveva affatto impedito che qualcuno potesse appropriarsene al suo posto.
La
cosa peggiore era che non poteva assolutamente sapere chi fosse quel maledetto qualcuno.
Che
fosse un saiyan?
Possibile;
come altrettanto possibile era che invece si trattasse di un terrestre.
Erano
loro, in fondo, a voler tutelare a ogni costo le sfere del drago.
Ed
erano sempre loro che sapevano dell’esistenza del Supremo.
Già,
perché i saiyan non ne erano a conoscenza, o, per lo
meno, non lo erano in teoria.
Di
certezze, ormai, il giovane Kakaroth non ne aveva
più.
Una
dopo l’altra tutte le sue convinzioni si stavano sgretolando sotto i pesanti
colpi di una realtà imprevista e imprevedibile.
E
anche di qualche verità indegnamente affiorata dal nulla.
Certo,
perdere la calma non avrebbe portato ad alcun risultato concreto. In fondo,
usare quelle dannate sfere non doveva essere poi così semplice e il solo
possederle, a quanto ne sapeva il saiyan, non
garantiva affatto un potere su di loro.
Il
ragazzo si voltò verso Chichi, che aveva l’aria di
essere altrettanto sconvolta.
Goku,
però, aveva l’impressione che la notizia della scomparsa delle sfere non
l’avesse tramortita tanto quanto la consapevolezza di essere stata sorpresa in
un bacio.
Con
lui.
Per
qualche strano motivo, l’idea che la ragazza si vergognasse dell’accaduto gli
procurava un certo fastidio.
Kakaroth
cercò comunque di allontanare quei pensieri dalla sua testa.
A
risolvere la faccenda con la principessa ci avrebbe pensato poi; prima doveva
trovare le sfere del drago.
«Ascolta,
Chichi» disse all’improvviso il saiyan
«tu sei assolutamente certa di essere l’unica persona a conoscere il segreto
per utilizzare le sfere?»
La
ragazza sollevò appena la testa, quel tanto che bastava per guardare negli
occhi il suo interlocutore.
«Sì,
su questo non ho alcun dubbio.»
«Bene.
Per lo meno sappiamo che chi le ha prese non può farsene un bel niente. E ora,
vieni con me, andiamo a far visita a quel babbeo del Supremo.»
Chichi
alzò di nuovo la testa, stavolta completamente.
«Dici… Dici a me?»
«E
a chi altri, scusa? Non credo che il nanerottolo possa permettersi di tardare
ulteriormente in laboratorio. Ci manca soltanto che Vegeta si insospettisca e
siamo fottuti, tutti quanti.»
La
principessa si voltò verso l’unico altro terrestre presente nella stanza.
Crilin
notò nel suo sguardo un miscuglio di sentimenti contrastanti: la paura, lo
sbigottimento, la voglia di scusarsi con lui – per cosa, poi? Per quel bacio
strappato al nemico? – e il desiderio malsano di seguire davvero Kakaroth.
Lo
aveva capito perfettamente, in fondo: la ragazza aveva perso la testa.
E
con essa, presto avrebbe detto addio anche alla ragione, alla libertà e,
probabilmente, alla vita.
Crilin,
però, non avrebbe mai avuto il coraggio di farglielo notare; e non perché
avesse paura della reazione di Kakaroth – tanto,
prima o poi lo avrebbe eliminato comunque e, se non lo avesse fatto lui, ci
avrebbe pensato qualche altro saiyan – quanto perché
temeva di abbattere definitivamente l’autostima di Chichi.
Sapeva
quanto per la ragazza fosse vergognoso il fatto di essere stata sorpresa, e
immaginava che probabilmente non era nemmeno fiera di ciò che provava nei
confronti di Kakaroth.
Non
aveva senso infierire: Chichi, molto probabilmente,
era già perfettamente consapevole di essere nei guai fino al collo e di aver
commesso una grave sciocchezza.
«Va’
pure, Chichi. In fondo, Kakaroth
ha ragione: è meglio che io raggiunga al più presto Bulma.»
«Vedi
di non farti scappare niente di questa storia nemmeno con la scienziata. Quella
pende dalle labbra di Vegeta, purtroppo per voi. Sarebbe capace di spifferare
tutto in cambio di qualche rivelazione sul funzionamento dei nostri rilevatori
monoculari.»
«D’accordo,
Kakaroth, starò zitto.»
Il
saiyan non rispose nemmeno.
Si
avvicinò a Chichi, se la caricò in spalla, e in meno
di un secondo volò fuori dalla palestra.
Lui
non amava perdere tempo, e, in quell’occasione, non avrebbe neanche potuto
permettersi di farlo.
***
Più
ripensava alle sue parole e più Crilin capiva che la
situazione era sfuggita di mano un po’ a tutti.
E
la colpa, in fondo, non era nemmeno imputabile alle ragazze.
Avrebbe
dovuto pensarci subito, accidenti!
Avrebbe
dovuto capirlo che una somiglianza tanto plateale tra terrestri e saiyan avrebbe potuto indurre gli umani in inganno.
Perché,
a ragion veduta, tutto si poteva dire degli invasori tranne che fossero dei mostri.
Nel
senso più estetico del termine, ovviamente.
Invece
no: la sorte aveva fatto sì che i famigerati
malvagi, quelli per cui tanti guerrieri si erano allenati per anni e anni
nel disperato tentativo di eliminarli, altri non fossero che creature umanoidi
simili in tutto e per tutto agli esseri umani.
E,
forse, pure con un briciolo di fascino in più.
Gran
bella rogna, quella!
Chichi
era già caduta tra le braccia di Goku, o, meglio, di Kakaroth,
e Crilin sapeva perfettamente che per il saiyan sarebbe stato un gioco da ragazzi manipolare la
situazione a suo piacimento. Il ragazzo non avrebbe saputo dire se quella della
principessa potesse davvero definirsi ingenuità.
Magari,
aveva provato a non cedere.
Magari,
quel bacio non lo aveva voluto.
Ma
chi stava prendendo in giro?
Lui
la scena l’aveva vista benissimo e in quello scambio di effusioni non c’era la
benché minima traccia di violenza.
Quel
maledetto bacio lo avevano desiderato entrambi, e lui era stato così imbecille
da permettere a Chichi di andare con Kakaroth dal Supremo.
Imbecille,
certo.
Perché,
se davvero Kakaroth aveva detto la verità su Bulma, il suo tentativo di non far insospettire il principe
sarebbe stato del tutto inutile.
Cos’è
che aveva detto esattamente Goku?
Ah,
già.
Quella pende dalle
labbra di Vegeta.
Ci
mancava solo questa bella notizia a rendere uno schifo totale la giornata.
Ma
era davvero possibile una cosa del genere?
Insomma,
Bulma era una delle donne più intelligenti che avesse
mai conosciuto. Avrebbe scommesso qualunque cosa, fino a dieci minuti prima,
che non si sarebbe lasciata abbindolare da niente e da nessuno, nemmeno da un
principe spietato – per quanto intrigante – venuto da chissà dove.
In
fondo, il principe in questione voleva distruggere la razza umana.
Crilin
era assolutamente certo che Bulma avesse paura di
Vegeta.
Lo
aveva capito da come ne parlava con lui quando lavoravano al miglioramento
della gravityroom.
Mai,
dalle sue parole, era emerso il fatto che lo trovasse interessante. E per quale motivo, poi, una donna brillante come lei
avrebbe dovuto sentirsi attratta da un folle assassino del calibro di Vegeta?
Be’,
riflettendoci bene, Crilin faticava a spiegarsi anche
come mai Bulma stesse con Yamcha,
ammesso che ancora fossero una coppia.
Li
aveva visti discutere coi suoi occhi prima dell’arrivo dei saiyan
e avrebbe potuto giurare che quei due non avrebbero resistito insieme una
settimana di più.
Possibile
che i suoi problemi di coppia avessero influenzato a tal punto Bulma da interessarsi al principe dei saiyan?
No,
accidenti, non era possibile.
La
spiegazione doveva essere un’altra e, probabilmente, Kakaroth
gliel’aveva servita su un piatto d’argento.
Sarebbe capace di
spifferare tutto in cambio di qualche rivelazione sul funzionamento dei nostri
rilevatori monoculari.
A
quelle parole, Crilin non poteva che dare un’unica
interpretazione: Vegeta – del quale aveva già intuito l’astuzia e
l’intelligenza – non doveva essere affatto digiuno di faccende tecnologiche.
E,
se così fosse stato, era probabile che, venendo da un altro pianeta, avesse
delle conoscenze che in alcuni campi superavano quelle di Bulma.
Un
gran bel guaio, certo.
Perché
lui aveva imparato bene a conoscere la scienziata e sapeva perfettamente che
per lei lo sviluppo tecnologico veniva prima di tutto.
Prima
dei malvagi, prima delle sfere del drago,
prima di Yamcha.
Veniva
anche prima della salvaguardia dell’umanità?
No,
di questo il ragazzo era assolutamente certo.
Ma
Bulma amava superare sé stessa e se quel dannato
principe lo avesse capito e le avesse dato man forte, probabilmente l’avrebbe
tenuta in pugno senza nemmeno costringerla con le cattive maniere.
E
per i terrestri sarebbero stati guai grossi.
In
fondo, fino a quel momento la scienziata non si era opposta praticamente a
nessuno dei suoi ordini. Il principe aveva chiesto una camera gravitazionale, e
lei gliene aveva costruita una su misura; il principe le aveva chiesto di
perfezionarla, e lei l’aveva migliorata superando brillantemente ogni più
ottimistica aspettativa; il principe le aveva chiesto di usare lui come cavia,
e lei, seppur a malincuore, si era piegata senza battere ciglio.
D’accordo,
Bulma non avrebbe potuto in alcun modo opporsi alla
volontà di Vegeta visto l’abisso che c’era tra loro in quanto a forza fisica.
Ma
chi glielo diceva a Crilin che il principe l’avesse davvero
minacciata?
Il
ragazzo si ritrovò davanti al laboratorio di Bulma
quasi senza rendersene conto.
Aprì
la porta e trovò la scienziata seduta sulla poltrona col computer spento e il
viso afflitto.
Quasi,
il giovane terrestre fu colpito dai rimorsi di coscienza per ciò che aveva
pensato di lei fino a pochi secondi prima.
Non
sapeva cosa le fosse successo, ma, ne era convinto, Bulma
doveva avere seri problemi.
«Ehi,
Bulma…» sussurrò Crilin,
quasi timoroso di spaventarla.
La
bella scienziata sollevò appena il volto, solcato visibilmente dalle lacrime.
«Ciao»
rispose a mezza bocca.
«Si
può sapere che ti è successo? Se Vegeta si è arrabbiato per il mio ritardo, be’…»
«No,
Crilin. Tu non c’entri assolutamente niente.»
«E
allora che cos’hai?»
Bulma
si asciugò le lacrime con una mano.
No,
non glielo avrebbe detto.
Non
tutto, ovviamente.
Qualcosa
avrebbe dovuto pur rivelargli, visto che il ragazzo l’aveva sorpresa a
piangere; ma da lì a raccontargli proprio tutto ne passava.
Tanto
più che era ancora sotto shock e temeva seriamente che, se avesse parlato,
anche Crilin avrebbe passato dei guai.
«Be’,
ecco… Ieri sera Yamcha si è
intrufolato al castello.»
«Che
cosa? Stai dicendo sul serio, Bulma?»
«Già,
non so cosa gli abbia detto il cervello, credimi. Tra l’altro, aveva solo
voglia di litigare, a quanto ho capito. Comunque, Vegeta si è accorto di lui.»
«Oh,
cavolo. E… E che cosa gli ha fatto?»
«Niente,
tranquillo. Non si è nemmeno fatto vedere mentre Yamcha
era qui. Solo che poi se l’è presa con me. Mi ha ordinato di ucciderlo la
prossima volta che metterà piede qui dentro.»
Crilin
trattenne a stento le imprecazioni.
Yamcha
doveva essere completamente impazzito. Perché aveva deciso di fare una
stupidaggine del genere? Muten lo aveva avvertito:
guai a tentare di avvicinarsi al castello.
Certo,
il suo maestro aveva omesso di dirgli che Bulma
lavorava per il principe, ma Crilin era assolutamente
certo che Yamcha sapesse della sua presenza a corte.
Oltretutto,
così facendo, oltre che mettere nei guai sé stesso, aveva anche incastrato Bulma.
Già,
perché era facile immaginare cosa fosse passato per la testa di Vegeta.
Doppio
gioco.
Tradimento.
E
se, come aveva insinuato Goku, Bulma aveva dato l’impressione
di pendere dalle labbra di Vegeta, scoprire che il suo ragazzo gironzolava nel
castello doveva aver messo in allerta il principe dei saiyan.
E
solo le divinità Kaio potevano sapere che cosa fosse
passato per la testa di quel guerriero senza scrupoli.
«Come
sarebbe a dire che ti ha ordinato di ucciderlo? È…
assurdo, accidenti!»
«No,
non lo è. Quello non conosce né la pietà, né le mezze misure. Ascoltami, Crilin, fa’ in modo di parlare con lui e di dirgli di stare
lontano da qui o rischiamo entrambi di fare una brutta fine.»
«Sì,
certo. Ma, insomma, non ti ha spiegato perché è venuto al castello?»
«No,
e nemmeno mi interessa saperlo. Meriterebbe di morire davvero solo per tutti i
guai che mi sta facendo passare! La verità è che ho sprecato gli anni migliori
della mia gioventù dietro a un perfetto imbecille che mi sta ripagando mettendo
a repentaglio la vita di entrambi. Al diavolo lui e il suo patetico
egocentrismo!»
«Bulma, calmati per favore. Gli parlerò. Vedrai che non
succederà niente di niente. E, insomma… Non parlare
così di lui. So per certo che ti vuole bene.»
La
ragazza si alzò di scatto dalla poltrona, come se volesse aggredire il suo
interlocutore.
Lo
avrebbe fatto se la disperazione non le avesse tolto ogni forza.
In
fondo, la faccenda di Yamcha era solo una scusa. Con
quale coraggio avrebbe potuto rivelare a Crilin che
Vegeta voleva la Luna e che quei
dannati invasori erano mostri con la coda?
Tra
l’altro, Bulma era assolutamente certa che ci fosse
una correlazione tra quest’ultima e l’assurda richiesta di Vegeta.
Perché
mostrargliela, altrimenti?
Perché
farle capire proprio in quel momento che quella cosa legata intorno alla sua vita non era affatto un semplice
accessorio del suo vestiario.
«Non
ha importanza, Crilin. Ora va’ via e fa’ quello che
ti ho chiesto.»
«Come
sarebbe a dire, scusa? Non devo aiutarti con gli esperimenti sulla gravityroom?»
«No,
non è più necessario. Da oggi dovrò dedicarmi a ben altri progetti.»
Il
tono amaro con cui Bulma aveva proferito quell’ultima
parola avevano lasciato capire a Crilin che non era
il caso di insistere.
No,
decisamente no.
La
scienziata, evidentemente, non era dell’umore adatto per conversare, né tanto
meno aveva voglia di parlare con lui dei suoi problemi sentimentali e dei progetti
ai quali doveva lavorare.
Per
conto di Vegeta, supponeva il ragazzo.
E,
vista la non facile situazione, non era il caso di mettere il dito nella piaga.
A
questo punto, il ragazzo iniziava a sperare che non fosse solo Bulma a pendere dalle
labbra di Vegeta, ma anche – e soprattutto – il contrario.
Perché
con Chichi ce la poteva pure avere qualche speranza
di aiutarla – ragionare con Kakaroth gli sembrava una
missione difficile ma non impossibile –; ma con Bulma
non avrebbe potuto far nulla.
Il
principe dei saiyan non ascoltava che le proprie
ragioni e, sperava, quelle della scienziata.
CONTINUA
Angolo dell’autrice
Ciao
a tutti!
A
dispetto delle mie peggiori previsioni, sono riuscita a concludere degnamente –
almeno spero – anche il decimo capitolo.
Non
ho molte precisazioni tecniche da fare, se non che sto continuando ad alternare
il nome Goku a Kakaroth proprio per rendere più
evidente la crisi in cui versa il nostro eroe.
Per
il resto, niente da aggiungere.
Magari,
qualche parolina in più andrebbe spesa per la trama, anche se credo che fino a
qui la storia sia abbastanza chiara. In questo capitolo ho voluto giocare molto
sulla paura, sui dubbi e sui sospetti. Il povero Crilin
– che merita a pieno diritto il titolo di personaggio
sfigato della storia – è alle prese con due brutte scoperte: primo, Chichi è innamorata palesemente di Goku; secondo, Bulma è stata incaricata da Vegeta di uccidere Yamcha.
Oltre
a ciò, c’è da aggiungere anche il sospetto insinuatogli da Goku circa una
presunta attrazione letale di Bulma nei confronti di Vegeta, attrazione che noi già
sappiamo esserci ma che il terrestre ha interpretato in modo parzialmente
distorto, creandosi un’opinione di Bulma ben poco
lusinghiera. Poi, chissà… Magari ha ragione lui!
In
questo caso, direi proprio che la paura porta le persone a dubitare di chiunque
e Crilin, avendo una paura matta – e giustificata –
di Vegeta, teme che la scienziata sia in combutta con lui.
Per
ora, non ha nemmeno tutti i torti, anche se c’è sotto un ricatto.
Passiamo
a Vegeta. Avete notato che, finalmente, inizia a mostrare un po’ di gelosia nei
confronti di Bulma? Molto poca, lo so, ma per lo meno
la corazza del principe sta iniziando a cedere.
Certo,
lo fa un po’ a modo suo, ma comunque è un inizio.
E,
rimanendo in tema saiyan, avevate notato, prima di
oggi, che non avevo mai menzionato la loro coda?
Eh,
già, i nostri amati guerrieri l’hanno nascosta bene. Per lo meno, Vegeta l’ha
nascosta bene a Bulma – Mamanu,
per ovvie ragioni, deve averla già notata.
Mi
sto dilungando decisamente troppo, stavolta, con le mie note, quindi le chiudo
qui e vi saluto dandovi un grandissimo bacio. Alla fine della storia, vi
ringrazierò ad uno ad uno!
Era già mattina da un pezzo, eppure quel
giorno al castello non c’era la solita routine.
Doveva essere successo qualcosa; forse, anche
più di qualcosa, e l’essere
all’oscuro di un evento che poteva essere significativo gli dava noia.
C’era poco da fare, però: se il principe stesso
non lo avesse messo al corrente, lui difficilmente avrebbe potuto carpire le
informazioni da altri.
Napa si sentiva sempre di più preso in giro negli
ultimi tempi.
Egli era assolutamente certo di essere il saiyan più poteste dopo Vegeta, ma quest’ultimo prediligeva
sempre di più la compagnia di quell’invadente terza classe di Bardack.
Che cosa aveva quel dannato spilungone che a
lui mancava?
E perché, nonostante fosse trascorsa già più
di una settimana dal loro arrivo sulla Terra, il principe non si era ancora
deciso a mettere le mani sulle sfere del
drago?
Tra l’altro, Napa
iniziava persino a dubitare che esistessero realmente, dato che non le aveva
mai viste di persona e, se non aveva capito male, neppure il principe aveva
avuto modo di appurare coi propri occhi la loro esistenza.
Per quello che ne sapevano loro, quella
poteva essere tutta una bufala ideata da Kakaroth per
convincere gli altri saiyan a raggiungere la Terra e
aiutarlo, così, a conquistarla.
In fondo, il figlio di Bardack
tutto gli pareva tranne che un guerriero di buon livello.
Ci poteva anche stare che avesse bisogno di
una mano da parte di uomini più in gamba di lui.
Rimaneva il fatto, però, che quel pivellino
sembrava in qualche modo tenere in scacco il principe.
Già; per quanto fosse assurda una cosa del
genere, finché non fossero saltate fuori le sfere
del drago, Vegeta aveva le mani praticamente legate.
Napa, però, conosceva molto bene il suo sovrano e
aveva imparato a diffidare della sua calma apparente.
E anche ad averne paura.
Nelle ultime ore, sembrava che il principe
fosse più rilassato del solito; quasi, a colazione gli era sembrato di vederlo
sorridere e la cosa lo preoccupava da morire. La prima e ultima volta che lo
aveva visto accennare a una smorfia di compiacimento, Vegeta aveva poi ucciso
suo padre.
Gran brutta storia, quella!
Napa aveva stampato in testa ogni singolo
dettaglio di quel truce assassinio, dall’agguato nel salone reale
all’incenerimento del cadavere.
Sempre e solo per mano dell’allora ancora
adolescente principe dei saiyan.
Peccato che di quell’assurda faccenda fossero
a conoscenza solo lui e Bardack.
Il giovane Vegeta non amava vantarsi delle
proprie imprese, né gli piaceva che i suoi sudditi sapessero davvero quanto egli fosse potente. In
fondo, l’abisso che c’era tra lui e i più valorosi guerrieri del popolo saiyan era elevato a tal punto che se anche questi ultimi
non conoscevano i reali poteri del principe, quel poco che sapevano era più che
sufficiente per farli tremare di paura al suo cospetto.
E ne avevano ben ragione.
Pur senza sapere tutto.
Quella mattina, Napa
avrebbe dovuto finalmente fare un giro di ricognizione intorno alle terre di Furipan. Egli, per la verità, avrebbe preferito conquistare
l’intero pianeta in pochi giorni, senza perdere inutilmente troppo tempo, ma il
principe, venuto a conoscenza della presunta sparizione delle altrettanto
presunte sfere del drago, aveva
pensato bene di dar retta a Kakaroth e di fare le
cose con calma.
Quel dannato moccioso, evidentemente, non
aveva idea dell’essere con cui aveva a che fare.
Ma, tutto sommato, quelli non erano affari
suoi. Napa non aveva di certo il compito di
intercedere tra il principe e i suoi sudditi: lui era principalmente un
guerriero, uno sterminatore, un boia; e tra i suoi doveri c’era anche quello di
recuperare della nuova forza-lavoro.
Peccato che, insieme a lui, sarebbe dovuto
partire Giumaho e che quel dannato terrestre ancora
non avesse messo piede fuori dalla sua stanza.
Napa non era mai stato un tipo molto paziente e
quell’inutile attesa lo mandava in bestia.
Tanto più che aveva incrociato il principe
qualche minuto prima e, pur avendolo messo al corrente del ritardo di Giumaho, Vegeta non aveva battuto ciglio e, anzi, gli aveva
detto di non prendersela per così poco.
Già, per
così poco.
Ma quella, in fondo, era soltanto una delle
tante stranezze che aveva notato a corte quella mattina.
Più gironzolava senza meta nel castello e più
si rendeva conto che c’era qualcosa di anomalo.
E non soltanto nel comportamento di Vegeta.
Il terrestre pelato era arrivato in
laboratorio in clamoroso ritardo, ma, prima di andare lì, si era fermato in
palestra. Subito dopo, Napa aveva visto alzarsi in
volo a tutta velocità il figlio di Bardack, che aveva
pensato bene di portarsi dietro anche la principessina.
Il guerriero d’élite avrebbe voluto mettere al corrente di ciò anche Vegeta, ma
non sapeva se fosse una buona idea.
Quel Kakaroth
nascondeva sicuramente qualcosa, e una di queste era senza dubbio la sua aura.
Se Napa non avesse visto coi suoi occhi il ragazzo
spiccare il volo, non si sarebbe accorto di niente poiché il suo rilevatore non
aveva captato l’energia del giovane saiyan.
Certo, che quell’inutile terza classe fosse
chissà quanto più forte di ciò che dava a vedere era molto improbabile, però
rimaneva il fatto che aveva il potere di non far rilevare la sua energia.
L’ennesima stranezza si materializzò proprio
in quel momento sotto ai suoi occhi.
Il pivello terrestre che aiutava la
scienziata con i suoi esperimenti stava lasciando il castello nonostante fosse
ancora mattina.
Possibile che avesse già finito col suo
lavoro?
Il saiyan non perse
tempo e gli si parò davanti, facendolo cadere all’indietro per lo spavento.
«Ehi, Napa! Acc… Accidenti! Mi hai fatto prendere un colpo!»
«Non osare rivolgerti così a me, sciocco!
Dimmi, piuttosto, dove stai andando, eh?»
Il ragazzo cercò di ricomporsi come meglio
poteva, spolverandosi i pantaloni e la casacca.
«Vado ad aiutare Muten,tanto oggi Bulma
non ha bisogno di me.»
«Ah, davvero? E come mai? Possibile che la
sua camera gravitazionale sia già perfetta?»
«Be’, questo non lo so. Ma il principe, a
quanto pare, le ha ordinato di lavorare ad altri progetti che non necessitano
della mia presenza. Non chiedermi di cosa si tratti perché non ne ho idea, mi
dispiace.»
Crilin fece per andarsene, ma Napa
lo trattenne sollevandolo per un braccio.
«Ehi, ma… Che diavolo
fai?»
«Senti un po’, terrestre, visto che quel
fifone di Giumaho ha deciso di non presentarsi
all’appuntamento, perché non vieni tu con me?»
«Venire dove, scusa? Oh, andiamo, io ho dei
compiti ben precisi e tra i miei doveri non c’è quello di…»
«Poche storie, ragazzo. Tanto mi pare che tu
sia rimasto senza far niente, no? Si tratta solo di fare un giro nei dintorni e
recuperare qualche altro lavoratore. Gli abitanti di Furipan
non ci bastano. Voi umani siete dannatamente lenti e pigri, accidenti!»
Crilin digrignò i denti e sputò a terra.
«Magari, siete voi saiyan
ad avere delle pretese un po’ troppo elevate. Siete solo in ventidue e non vi
bastano tutte le nostre scorte di cibo. Comunque, non intendo venire con te a
cercare altri schiavi. Sei grande e grosso: puoi cavartela benissimo da solo.»
«Invece verrai. Quando non c’è il principe,
sono io quello che ha il potere, è chiaro?»
Il ragazzo trattenne a stento una risata.
Degli equilibri a corte non aveva capito proprio
tutto, ma se c’era una cosa lampante come il sole era che la seconda persona
più importante dopo Vegeta fosse Bardack.
Bardack, non Napa.
Certo, vista la brutta piega che aveva preso
quella maledetta giornata, andarsela a rovinare discutendo anche con quel
colosso non avrebbe avuto proprio senso.
Anche perché – e questo Crilin
doveva ammetterlo – Napa era decisamente più forte di
lui.
Il giovane sospirò con aria rassegnata e
abbassò il capo in segno di resa.
«E va bene, basta che questa non diventi
un’abitudine.»
In fondo, pensandoci un po’ su, magari la sua
presenza avrebbe impedito a quello spartano guerriero di alzare troppo le mani
su degli innocenti.
E avrebbe concesso a lui di cacciare dalla
testa tanti brutti pensieri.
***
Il volo era stato tutt’altro che piacevole,
ma, se non altro, Chichi non aveva mai avuto il
timore di cadere a terra.
Per quanto le costasse un’enorme fatica
ammetterlo, nessun guerriero che l’aveva mai portata in spalle le aveva dato la
stessa sicurezza di Kakaroth.
Certo, nessuno l’aveva mai nemmeno
trasportata a una simile velocità.
L’arrivo a palazzo fu un vero sollievo per la
principessa. Quasi, le sembrava che se il volo fosse durato anche solo dieci
minuti in più, lei sarebbe morta soffocata.
Kakaroth, al contrario, pareva fresco come una rosa.
Che razza di poteri aveva quel dannato saiyan?
Possibile che a lui ogni cosa risultasse
estremamente facile?
La ragazza cercò di ricomporsi come meglio
poteva, sistemandosi la tunica bianca e i capelli. Peccato che durante il volo
avesse perso i lacci e che ora la sua chioma fluttuasse al vento.
Chichi non era abituata a tenere i capelli sciolti,
soprattutto in luoghi estremamente ventosi come il palazzo del Supremo.
In realtà, non era abituata e basta.
Lei era una guerriera, prima che una
principessa, e i capelli lunghi e fluenti erano sempre stati fonte di
intralcio. Se suo padre non fosse stato contrario, li avrebbe tagliati già da
un pezzo; ma Giumaho desiderava ardentemente che sua
figlia non sacrificasse tutta la sua femminilità in nome della lotta e l’aveva
pregata più e più volte di non rinunciare alla sua lunga chioma corvina.
Detto, fatto.
In fondo, Chichi
glielo doveva. Quell’uomo non le aveva mai fatto mancare nulla e lei, al
contrario, l’aveva ripagato cacciandosi in mille guai e facendogli venire mille
preoccupazioni.
E Giumaho ancora
non sapeva di lei e Kakaroth.
La bella principessa cacciò all’istante quel
pensiero dalla sua testa e raggiunse il saiyan, che
nel frattempo si stava inoltrando dentro le sale del palazzo.
«Strano, credevo ci stessero aspettando»
sussurrò la principessa, sorpresa di non vedere né Popo,
né il Supremo all’esterno.
«Infatti è così, Chichi.
Ma evidentemente preferiscono non esporsi troppo. Raggiungiamoli dentro.»
Rispetto a qualche giorno prima, quando,
sempre insieme a Kakaroth, si era recata a palazzo
per consegnare le sfere del drago al
Supremo, le stanze interne erano diverse. A occhio e croce, sembrava che Popo avesse fatto pulizia di tutte le cianfrusaglie inutili
che riempivano quei saloni.
Se non altro, almeno, il rischio di
inciampare su qualche anfora vuota era scomparso.
Chichi nutriva un certo timore reverenziale nei
confronti del Supremo, anche se, di fatto, non lo aveva mai dato a vedere.
Sapeva che in lui c’era qualcosa di strano, qualcosa che lo rendeva diverso dai normali esseri umani; e quel
qualcosa non era solo il colorito verde della sua pelle, ma anche l’inquietante
capacità che quell’essere aveva di carpire i segreti più nascosti di chi gli si
parava davanti.
Proprio per questo, Chichi
quel giorno si sentiva più a disagio del solito.
E più cercava di non pensare al suo
accompagnatore sotto quell’aspetto, e
più qualche brivido di piacere andava a stuzzicare il suo basso ventre.
«Benvenuti, ragazzi. Sono contento che siate
arrivati così in fretta.»
«Risparmia il fiato per le cose serie,
vecchio. Si può sapere che diavolo è questa storia che le sfere del drago sono scomparse?»
Il Supremo della Terra aveva un’aria affranta
ma sostanzialmente composta e questo, in un certo senso, rassicurò Chichi.
Quell’anziano dio, l’essere che aveva il
compito di tutelare il pianeta e i suoi abitanti, si stagliava davanti a loro
con una certa sicurezza, quasi a voler ostentare la sua divina superiorità.
Ma non era arroganza, la sua; no, il Supremo
era semplicemente collocato più in alto nella scala celeste e la sua posizione
si rifletteva in un atteggiamento di elegante remissività e compostezza.
Il saiyan, però,
sembrava non avvertire minimamente la fortissima aura di spiritualità che
emanava quell’anziano governatore.
Goku aveva un atteggiamento quasi di sfida
nei suoi confronti; lo detestava, in quel momento, perché evidentemente lo
riteneva responsabile del furto delle sfere.
Tutto sommato, non aveva nemmeno torto;
peccato che quello non fosse il momento adatto per recriminare alcunché. In
fondo, l’idea di allontanare le sfere del
drago dal castello di Furipan era stata di Goku e
Chichi gliel’aveva appoggiata in pieno.
Prendersela con il Supremo sembrava quasi un
atto di vigliaccheria ingiustificata e, oltretutto, non li avrebbe aiutati a
recuperare i preziosi oggetti.
«Mi dispiace davvero, ragazzo, anche perché
non so spiegarmi come sia potuto succedere. Nessuno poteva sapere che le sfere
fossero qui e questo complica non poco le cose. La cosa inquietante è che non
mi sono accorto assolutamente di nulla.»
«Quindi, stai ammettendo di essere un
perfetto idiota?»
Chichi diede una gomitata al saiyan.
Per quanto la ragazza comprendesse la rabbia
di Kakaroth, mancare di rispetto a quel modo a colui
che aveva l’enorme responsabilità di vegliare sul pianeta Terra era a dir poco
spregevole.
«Be’, ragazzo, se vuoi metterla in questi
termini, non te ne do una colpa.»
«Senta Supremo» intervenne prontamente Chichi «lei non saprebbe dirci proprio nulla a riguardo?
Quando è successo, per esempio. O in quale frangente. Come è possibile che non
abbiate percepito alcuna presenza? Insomma, tutti abbiamo un’aura.»
«Sì, Chichi, è
così. Ma ci sono creature in grado di azzerarla completamente. Come ben sai,
non è una cosa impossibile. Anche Kakaroth ci riesce
alla perfezione.»
Il saiyan fece
qualche altro passo in direzione del Supremo, fino a trovarsi a pochi
centimetri dal suo viso.
Si sentiva chiamato in causa, in un certo
senso, e la cosa non gli piaceva affatto.
Insomma, già collaborare con la principessa
gli era costata un’enorme fatica, ma addirittura scoprire che il suo sforzo
fosse stato ricompensato con una totale mancanza di fiducia da parte
dell’idiota che avrebbe dovuto sorvegliare le sfere, be’…
Era decisamente troppo.
E poi, a quanto ne sapeva lui, alcuni dei
tizi che avevano partecipato al torneo erano stati allenati proprio dal Supremo
in persona, quindi era altamente probabile che fossero in grado di controllare
la loro aura.
«Se è per questo, vecchio imbecille, ci
riescono anche i tuoi ex allievi. Oppure vuoi farmi credere che tu, in
previsione dell’arrivo dei malvagi,
non abbia insegnato loro quella tecnica? Io l’ho appresa da Son Gohan, che l’aveva appresa da Muten,
che l’aveva appresa da te. Facendo bene i conti, di probabili ladri in giro ce
ne sono molti di più di quanto non sembri.»
«Lo so perfettamente, Kakaroth.
E sono anche certo che non sia stato tu a rubare le sfere. Però, mi rifiuto
anche di credere che sia stato uno dei miei ex allievi. Non tutti hanno l’onore
di farsi allenare da me, e la sola forza fisica non è un requisito sufficiente.
Bisogna essere persone oneste e valorose, e posso scommettere ciò che vuoi che
nessuno degli uomini che ho allenato potrebbe fare una cosa del genere.»
«Nemmeno se la Terra fosse minacciata da un
esercito alieno e le sfere del drago fossero
l’unica possibilità per salvarla?»
Le parole di Kakaroth
spiazzarono il Supremo che, di fatto, non riuscì a controbattere.
Il ragionamento del saiyan,
in fondo, non faceva una piega, ed egli sarebbe stato alquanto sciocco e
ingenuo a non prendere minimamente in considerazione il dubbio del ragazzo.
Oltretutto, era più che fondato.
Rimaneva però il fatto che egli nutriva
un’estrema fiducia verso gli uomini che, nel corso degli anni, aveva avuto modo
di allenare e di educare alle arti
marziali ed era assolutamente certo che se uno di loro avesse voluto prendere per precauzione le sfere del drago,
gliele avrebbe chieste, piuttosto che sottrarle.
I fatti, però, parlavano chiaro.
I saiyan non
avevano il potere di azzerare la loro aura ed era quindi fuori discussione che
fosse stato qualcuno di loro. Tra l’altro, nemmeno erano a conoscenza
dell’esistenza del Supremo e non avevano idea di come fossero fatte le
prodigiose sfere.
Insomma, per quanto fosse difficile
ammetterlo, era molto più probabile che a compiere quel furto fosse stato un
terrestre piuttosto che un saiyan.
Poteva rimanere il dubbio su Goku, ma il
Supremo sapeva che per lui rubarle non avrebbe avuto alcun senso.
In fondo, aveva Chichi
in pugno.
Perché compiere un furto quando poteva
semplicemente convincere la
principessa a riprendersele? Tanto più che egli sapeva perfettamente che Chichi era la sola in grado di utilizzarle.
Il Supremo emise un lungo sospiro e abbassò
la testa in segno di resa.
«E va bene. Non hai affatto tutti i torti, Kakaroth.»
«Vedo che inizi a ragionare. Perfetto.
Allora, per prima cosa, io andrei a cercare il tizio che si è battuto per primo
contro di me al torneo.»
Chichi spalancò gli occhi di rimando.
«Che cosa? Yamcha?
E perché mai? Perché proprio lui?»
Il tono con cui la ragazza pose quelle
domande, a metà tra lo sbigottito e l’incredulo, non piacque affatto a Goku.
Evidentemente, lei non credeva possibile che
quell’insulso combattente fosse il responsabile della scomparsa delle sfere. Ma
cosa le dava una simile sicurezza?
Non ci voleva un genio per capire che egli
doveva trovarsi in cima alla lista dei sospettati, visto che di lui non si
erano avute più notizie da quando i malvagi
erano usciti allo scoperto.
E poi, be’… quello
che era accaduto la sera prima non poteva che complicare la sua posizione.
«Perché è sparito dalla circolazione da
quando sono arrivati i miei compagni e perché ieri sera l’ho visto aggirarsi
nei dintorni del castello in maniera furtiva. Credo sia anche entrato, a dire
il vero. Anzi, ne sono praticamente certo, visto il pessimo umore che aveva la
scienziata questa notte.»
Chichi impiegò più del previsto per mettere insieme
tutte le informazioni carpite e per dare loro un senso logico.
In realtà che Yamcha
non si fosse più fatto vedere nemmeno lo aveva notato. Lei aveva passato
giornate intere chiusa in palestra ad allenarsi con Kakaroth,
e di quello che stava succedendo fuori non aveva la benché minima idea.
Per la verità, fino a quel momento credeva
addirittura che non dovesse importarle affatto.
Insomma, con tutti i problemi che le stava
causando il suo ex protettore, poteva
davvero preoccuparsi del fatto che tutti i suoi amici fossero ancora a Furipan?
E poi, cos’era questa storia che questa notte la scienziata era di
pessimo umore?
Che diavolo ne sapeva Goku?
Un improvviso lampo di gelosia si dipanò
dagli occhi di Chichi.
Fino a quel momento, la ragazza non aveva
assolutamente messo in conto che il suo ben poco simpatico maestro di arti
marziali avesse a che fare con altre donne, oltre a lei.
Con altre donne che fossero, oltretutto,
dannatamente attraenti.
La sensazione che per l’ennesima volta quel
farabutto di Kakaroth l’avesse umiliata divenne
improvvisamente concreta.
Già, perché lei, come una stupida, aveva
creduto nel profondo del suo cuore di essere per lui speciale.
«Che c’è, Chichi,
hai perso la lingua?»
«Ah, piantala, Kakaroth!
Stavo solo pensando, tutto qui.»
«Potresti anche rendermi partecipe di ciò che
ti passa per la testa, visto e considerato che senza il mio aiuto non
ritroverai mai le tue preziose sfere!»
«Già, e poi sarai tu a sottrarmele, non è
vero?»
La risposta pungente di Chichi
spiazzò Kakaroth.
Che diavolo stava passando per la testa di
quella ragazzina?
O, magari, voleva fingere di cadere dalle
nuvole?
Certo che gliele avrebbe sottratte!
Aveva rimandato la conquista di quell’inutile
pianeta solo per poter mettere le mani sulle sfere del drago. Chichi, oltretutto, ne
era perfettamente a conoscenza.
Certo, in quel preciso istante non avrebbe
saputo che cosa farsene ma, ne era sicuro, un modo per sfruttarle lo avrebbe
trovato.
In fondo, ne aveva pure diritto.
Era o non era stato lui a sottrarre la
principessa e le sue sfere dalle grinfie di Vegeta?
Quest’ultimo, tra l’altro, prima o poi
sarebbe uscito allo scoperto e avrebbe rivendicato con la forza i magici
oggetti di cui Chichi era custode.
Era, appunto; perché,
per colpa del Supremo, ora non si sapeva nemmeno che fine avessero fatto.
«Meglio in mano mia che di uno sprovveduto
terrestre.»
«Oh, certo. E cosa ti fa pensare che io
intenda assecondarti?»
Sul volto di Kakaroth
si delineò un sorriso sghembo e beffardo.
«Ne vogliamo proprio parlare, Chichi?»
La ragazza si irrigidì di colpo, vinta dalle
allusioni di Goku e dalla sua sfacciataggine.
Tremava, di rabbia e di imbarazzo, e il
rossore che le infiammò le gote non poté che dare ragione al saiyan.
Lei stessa temeva che quel farabutto
l’avrebbe convinta a cedergli le sfere.
Lei stessa sapeva che quel miserabile
guerriero avrebbe potuto ottenere qualsiasi cosa da lei mettendo le mani al
posto giusto.
E questo era un affronto non da poco per il
suo orgoglio perché, per quanto ella volesse con tutta sé stessa far prevalere
la ragione, aveva già sperimentato quanto il suo cervello si spegnesse ogni
qualvolta Kakaroth si avvicinasse a lei con intenti
diversi dal solo combattere.
«Per favore, ragazzi, non è il caso di
discutere» intervenne il Supremo, cercando, per quanto possibile, di aiutare la
povera Chichi a riprendere il controllo della
situazione. «E tu, Kakaroth, non credere che sarà
davvero così facile per te godere dei poteri delle sfere del drago. A prescindere da Chichi,
infatti, sono comunque io il loro creatore e sempre io ho il potere di metterle
fuori uso. Se vuoi aiutarci nella ricerca, fallo pure, ma senza pretese, però.
Altrimenti, tornatene dai tuoi compagni e non farti vedere più qui. Ho già
troppi problemi per colpa dei saiyan e, se anche credo
di potermi fidare di te, mai e poi mai vorrei correre il rischio di aver
sbagliato a valutarti.»
Il silenzio che trascorse dopo le parole
pronunciate dal Supremo ebbe l’effetto di far riflettere un po’ tutti i
presenti.
Kakaroth tardava a rispondere, e per Chichi ciò significava che il discorso appena udito lo
aveva turbato non poco.
In fondo, quella del sommo governatore della
Terra era stata una minaccia in piena regola e, per quanto il saiyan potesse faticare ad accettarlo, non era di certo lui
ad avere il coltello dalla parte del manico.
«Perché, allora, non le disattivi subito
queste dannate sfere?»
«Perché non è necessario: so per certo che
nessuno, a parte me e Chichi, conosce la formula per
attivarle.»
«E se invece ti sbagliassi?»
«Mi accorgerei comunque se il drago fosse
stato invocato. La sua comparsa provoca degli effetti ben visibili.»
«Aspetta un momento. Quale drago?»
Questa volta, a sorridere in modo beffardo fu
il Supremo.
A quell’anziana divinità Goku piaceva e
sapeva che, dentro di sé, quel ragazzo aveva molti più dubbi e incertezze di
quante non ne volesse far trapelare.
Egli sapeva tutto: aveva il dono di
sviscerare all’interno dell’animo delle creature mortali e non era affatto
difficile per lui percepire le contraddizioni insite nel cuore di Kakaroth.
O, meglio, di Goku.
Son Gohan, in
fondo, per quel poco che l’aveva accudito, l’aveva cresciuto bene.
Certo, lo aveva fatto a discapito della propria
vita ma, come sempre gli aveva detto il suo ex allievo, era sicuro che, alla
fine dei giochi, ne sarebbe valsa la pena.
Già, perché Son Gohan
sapeva fin dall’inizio che, prima o poi, Goku lo avrebbe ucciso.
Non era certo uno stupido, lui: fin dalla
prima volta in cui aveva visto quello strano bambino con la coda, l’uomo aveva
avuto la sensazione che gli avrebbe fatto patire le pene dell’inferno.
E così era stato; ma, per quanto la natura saiyan avesse prevalso nei primi anni di vita del
fanciullo, prima o poi, ne era certo, i buoni sentimenti umani lo avrebbero
influenzato.
E mandato in tilt.
Il Supremo sorrideva all’idea che, fortunatamente, Son Gohan
ci aveva visto giusto.
Il suo ex allievo era un portento, e non di
certo solo in quanto a forza fisica.
No; lui aveva un dono speciale, ed era quello
di rabbonire i cuori di chiunque, di plasmarli a proprio piacimento e di
renderli puri.
Certo, con Kakaroth
l’impresa era stata quasi disperata e, alla luce dei fatti, tutt’altro che
compiuta; eppure, gli insegnamenti di Son Gohan si
erano insediati nell’animo di quel ragazzo piantando le loro debolissime radici
e, qualcuna di queste, sembrava proprio aver attecchito.
«Non ha importanza, ragazzo. Lo scoprirai a
tempo debito, sempre ammesso che tu voglia mettere da parte momentaneamente le
tue brame di conquista e decida di collaborare.»
«Non mi piace per niente la tua espressione,
vecchio, ma non importa. A quanto pare, non ho altra scelta. Al resto penserò
dopo averle ritrovate.»
Chichi tirò un sospiro di sollievo.
Il Supremo, con un’abile mossa strategica,
aveva rabbonito il saiyan.
Certo, l’idea che comunque Goku mirasse a
sottrarle le sfere l’aveva messa in allerta, anche se, in fondo, lei lo aveva
sempre saputo.
Già, sempre; da quando, per lo meno, il saiyan aveva rivelato la propria identità.
Probabilmente, l’intento del Supremo era
anche quello di ridestare l’attenzione di Chichi.
In fondo era chiaro come il sole che lei,
negli ultimi tempi, aveva notevolmente abbassato la guardia.
***
Osservarla dall’ombra era una vera goduria,
perché in quel modo aveva l’opportunità di saggiare tutta la paura che provava
la ragazza.
E ne aveva tanta, da quando aveva scoperto
che i saiyan avevano la coda.
Vegeta era a pochi passi da lei, dietro alle
ante aperte di un armadio vecchissimo, la cui struttura era stata quasi
completamente rosicchiata dai topi.
Bulma non si era accorta di lui.
La scienziata se ne stava da più di mezz’ora
col capo chino rivolto verso il monitor del suo computer, forse ancora intenta
a dare un senso alla sua assurda richiesta.
Assurda per lei, ovviamente, anche se la
scoperta della coda doveva averle acceso in testa un campanello d’allarme.
Vegeta si era tormentato per giorni su quella
faccenda.
Suo padre aveva mille difetti, certo, ma
sicuramente non era tipo da sbagliare dei calcoli tanto semplici.
E se il re dei saiyan
aveva detto che intorno a quel fottuto pianeta gravitava una luna con le stesse
caratteristiche di quella che orbitava attorno al pianeta Vegeta, quella
stramaledetta luna doveva esserci.
Doveva.
E, invece, lì non ve n’era traccia.
La cosa assurda era che Kakaroth
non aveva più la sua coda e di questo egli si era accorto praticamente subito.
Chissà quando diavolo l’aveva persa e se
fosse consapevole di averne avuta una in precedenza.
Comunque fossero andate le cose in passato,
quello era un problema a cui egli avrebbe dovuto trovare una soluzione al più
presto.
Vegeta dubitava difficilmente delle proprie
possibilità ed era quasi certo che, se lo avesse voluto, avrebbe potuto
eliminare Kakaroth senza problemi.
Quasi,
appunto; perché, per quanto il suo sottoposto non avesse mai dimostrato di
essere un reale pericolo, il fatto che si ostinasse tanto a nascondergli le sfere del drago aveva indotto il
principe a pensare che presto avrebbe potuto ribellarsi.
Vegeta sapeva bene che non c’era mai da
fidarsi di un saiyan, né della sua classe di
appartenenza. Bardack, in fondo, aveva dimostrato di
essere di gran lunga superiore a tanti guerrieri d’élite.
E Kakaroth era suo
figlio.
Se quella scienziata, però, gli avesse
procurato una bella luna, Vegeta lo avrebbe messo sicuramente fuori gioco.
In fondo, lui la coda ce l’aveva ancora e
poteva trasformarsi; ma, Kakaroth no.
Bulma, nel frattempo, si stava dannando per
trovare una soluzione ai suoi problemi.
Aveva già avvertito Crilin
di mettere in guardia Yamcha e sperava che il ragazzo
lo avesse già fatto.
Tutto sommato, Vegeta ci aveva visto giusto e
lei lo sapeva: prima o poi, il suo fidanzato sarebbe tornato lì e, a quel
punto, sarebbero stati guai seri per lui.
Già; perché per quanto la scienziata si
sforzasse, sapeva perfettamente che non sarebbe mai riuscita a portare una luna
al principe dei saiyan.
A meno che, non gliene avesse costruita una
su misura.
Già, ma che tipo di luna voleva quel pazzoide?
Se almeno avesse saputo cosa voleva farsene,
forse avrebbe potuto lavorare su qualche base più solida.
Certo, Bulma era
consapevole del fatto che, qualunque cosa avesse in mente quell’uomo, non era
niente di buono; tuttavia, vista la posizione in cui si trovava, non aveva
altra scelta se non quella di collaborare.
Almeno fino a che qualcun altro non si fosse
deciso a intervenire seriamente.
Insomma, che diavolo stava aspettando Chichi a mettere in funzione le sue preziosissime sfere e a
liberarsi dei saiyan una volta per tutte?
Se, fino al giorno prima, la convivenza con
quegli alieni non le aveva procurato chissà quali ansie, da quando aveva
scoperto il segreto di Vegeta aveva una paura fottuta che l’aver dato troppo
spago ai desideri di quel principe maledetto fosse stata una mossa dannatamente
sbagliata.
Peccato che ormai fosse troppo tardi per
tornare indietro e che, tutto sommato, non era nemmeno certa di volerlo fare.
Se solo Vegeta non fosse stato lo spietato
assassino che era, Bulma avrebbe avuto a che fare con
lui con estremo piacere, e non solo perché era un bel ragazzo – di uomini
affascinanti, intorno, ne aveva a bizzeffe – ma perché, fino a quel momento,
era stata l’unica persona ad avere una totale e incondizionata fiducia nelle
sue doti di scienziata.
Non era un aspetto da poco, quello.
Gli uomini più intelligenti del pianeta
avevano sempre avuto qualche riserva sul suo modo di fare ricerca e di portare
avanti certi esperimenti.
E più la scienziata dimostrava di averci
visto giusto, e più costoro prendevano le distanze da lei.
Che fosse invidia, la loro?
O, semplicemente, sapevano di non essere alla
sua altezza?
Comunque stessero le cose, Vegeta non aveva
mai dimostrato né l’uno, né l’altro sentimento nei suoi riguardi.
Era chiaro: il principe dei saiyan non si sentiva inferiore a nessuno e lei,
evidentemente, non faceva eccezione.
Però la considerava, eccome se la
considerava!
Molto più di quanto non avesse fatto chiunque
altro.
Probabilmente, era proprio per questo che l’ultima
scoperta sul suo conto l’aveva spiazzata.
E le aveva anche fatto riaprire, finalmente,
gli occhi.
Vegeta non era un uomo qualunque, non era un
essere umano e, probabilmente, non era nemmeno il classico cattivo che, alla
fine delle più belle fiabe d’amore, finiva col diventare buono.
No, lui non aveva la stoffa per cambiare.
Non era come Kakaroth:
Bulma sapeva che, prima o poi, Goku avrebbe ceduto.
Ci sperava, più che altro, perché era ormai
l’unico in grado di fermare i suoi stessi fratelli.
In fondo, era uno di loro.
Chi meglio di lui poteva conoscere i segreti
degli spietati guerrieri saiyan?
E se quella saccente di Chichi
fosse davvero riuscita a farlo innamorare, magari Kakaroth
si sarebbe messo contro Vegeta.
Un rumore sinistro alle sue spalle la fece
voltare di scatto.
Il principe era lì, dietro di lei, e la
osservava in modo inquietante.
A parte la luce che proveniva dal monitor del
computer al quale stava lavorando, il laboratorio era completamente avvolto
nell’oscurità.
Vegeta, nella penombra, faceva ancora più
paura del solito.
Le era capitato molto raramente di tremare al
suo cospetto, ma, stranamente, quel giorno non riusciva proprio a controllare i
suoi muscoli.
Né la sua voce.
«Che… Che cosa ci
fai qui?»
«Sono il principe, Bulma,
e vado dove mi pare e piace senza dare spiegazioni a nessuno.»
«Già, certo» sussurrò la donna, prima di
voltarsi nuovamente.
L’idea di continuare a incrociare lo sguardo
di Vegeta non le piaceva poi molto.
Non quel giorno, per lo meno.
C’era poco da fare: era sconvolta da ciò che quell’uomo si era rivelato essere.
Un mostro con la coda.
Avrebbe voluto urlare tutto il suo disagio in
quel preciso istante, ma si contenne. Non era quello il momento adatto per
fargli capire – più di quanto già non avesse compreso – che lei lo temeva.
Vegeta, dal canto suo, la sollevò per un
braccio e la trascinò a forza verso il muro, facendola poi cozzare contro la
parete.
«Ma… Che diavolo
fai, sei impazzito, forse?»
Sì, probabilmente sì.
Probabilmente la scienziata aveva ragione,
per l’ennesima volta.
Era impazzito, di sicuro.
La verità era che nemmeno lui sapeva perché
avesse appena fatto quel gesto, ma nella sua mente, nelle ultime ore, si erano
create tante di quelle immagini sulla scienziata che lui stesso aveva fatto una
fatica tremenda per cacciarle tutte.
E, a quanto pareva, non ci era riuscito.
Aveva, però, raggiunto uno degli scopi che si
era prefissato all’inizio della sua collaborazione forzata con la scienziata:
farla tremare davvero dalla paura.
Peccato che, a dispetto delle sue previsioni,
quella cosa non lo avesse elettrizzato per niente.
Tutt’altro.
Il principe aveva gli occhi fissi su quelli
della donna.
Avevano un colore così strano, quelle iridi!
A quale assurdo fenomeno era legato la luce azzurra che si propagava da quegli
occhi?
In quel momento, le pupille della scienziata,
dilatate al massimo, sembravano voler dire di tutto e di più.
Lo stavano quasi supplicando, implorando, pregando.
Aveva paura.
Bulma aveva una fottuta paura di ciò che il
principe le avrebbe fatto.
E, probabilmente, stava per farle.
Perché lui detestava che non lo si trattasse
con il dovuto rispetto e, fino ad allora, nessuno aveva mai avuto l’ardire di
guardare negli occhi il principe dei saiyan.
Nemmeno in punto di morte.
CONTINUA
Angolo dell’autrice
Di nuovo, ciao a tutti.
Con immenso piacere ho concluso anche questo
capitolo e ringrazio la santa Ispirazione per avermi assistito.
Ebbene, sì, il principe ha finalmente deciso
di tirare fuori il peggio di sé e, a quanto pare, ha pensato bene di servirsi
di Bulma per raggiungere il suo obbiettivo.
Obbiettivo che, fedelmente al manga, è quello
di uccidere Goku.
Ora, vi starete senz’altro chiedendo che fine
abbia fatto la Luna – e invece no! Della luna non ve ne frega niente;
piuttosto, morite dalla voglia di sapere dove siano finiti Mamanu
e Bardack –; ebbene, prima o poi, uno dei
personaggi della storia, riuscirà a fornire una spiegazione.
Nel frattempo, dovete accontentarvi di questo
capitolo un po’ particolare, dove nessuno amoreggia, ma in tanti vengono allo
scoperto.
Spero di non avervi delusi e di aver fatto un
buon lavoro.
Vi lascio con un grande bacio :***********
A presto!
9dolina0
Avviso!
Innanzitutto, ringrazio infinitamente di cuore tutti voi che, dopo ben
undici capitoli, siete arrivati a leggere questa nota. Siete lo stimolo più
grande che io possa avere per portare avanti la storia!
Detto questo, vi informo che domani abbandonerò ufficialmente l’Italia e
mi trasferirò all’estero. Attualmente sono arrivata a scrivere fino al
tredicesimo capitolo, dunque ci sono due settimane di aggiornamento assicurato.
Il problema è che non ho la più pallida idea di come cambierà la mia routine quotidiana a partire da domani.
In poche parole, non so se potrò continuare ad aggiornare di martedì, se avrò
il tempo di pubblicare una volta a settimana e se riuscirò a concludere la
storia nei tempi previsti.
Pensare
non le era mai risultato così scomodo; in fondo, fino a una settimana prima non
aveva neppure avuto un motivo valido per riflettere sulle proprie scelte.
La
verità – scomodissima, oltretutto – faceva più male di quanto non avesse
creduto e, alla luce dei fatti, non poteva che prenderne atto.
L’unica
fottuta occasione della sua vita in cui si era permessa di decidere
autonomamente per sé stessa si era rivelata la più sbagliata che potesse
capitarle.
Già.
Perché
diavolo, invece che quegli alieni,
non erano atterrati sulla Terra degli scarafaggi giganti?
O
anche delle sanguisughe con la testa da rinoceronte.
Insomma,
sarebbe andata bene una qualsiasi creatura mostruosa.
Qualsiasi,
davvero.
Ma
non loro; non i saiyan.
Non
le creature fisicamente più simili agli esseri umani che circolassero per
l’universo.
Il
loro aspetto fisico aveva finito per incantare tutti e, per quanto la maggior
parte degli abitanti di Furipan ancora dicesse di
voler cacciare gli invasori, la verità era che tutti avevano tirato un sospiro
di sollievo nello scoprire che i malvagi non
erano demoni con le corna giunti direttamente dal Regno degli Inferi.
Ma
all’Inferno ci sarebbero andati loro, e anche molto presto; e Mamanu avrebbe fatto la stessa fine dei sudditi di Chichi.
C’era
poco da fare: qualche terrestre un po’ troppo spregiudicato ancora pensava di
potersi ribellare. In fondo, i saiyan non erano dei
mostri, ma soltanto degli uomini un po’ più forti della media.
Un po’,
certo; peccato che nessuno di quei terrestri li avesse davvero mai visti in
azione.
Eppure,
in tutto ciò, non era quello il lato peggiore.
No.
Mamanu
trascorreva intere ore in giro tra le strade di Furipan
per assicurarsi che tutti i sudditi del regno facessero il loro dovere – quello
imposto dai saiyan, naturalmente – e quel giorno
avrebbe fatto la stessa cosa.
Sapeva
già cosa la aspettava: la solita chiacchierata col vecchio carpentiere, i
pianti dei bambini che, costretti ai lavori forzati, avrebbero preferito di
gran lunga andare a scuola, due rapide parole con Muten
che chiedeva informazioni su Giumaho.
E
lei avrebbe sorriso a tutti, nascondendo le angosce che si portava dentro, i
timori sulla pericolosità dei saiyan e la paura che
divenissero fuori controllo.
In
fondo, lei non era molto diversa da quei cittadini che, contro ogni logica,
tentava di rabbonire o confortare ogni mattina.
Lei,
più di tutti gli altri – e più di chiunque altro – si era lasciata fregare dal
fascino di quei maledetti guerrieri e aveva finito per concedersi a uno dei più
pericolosi.
Dei
più pericolosi, sì; ma anche tra i più affascinanti.
Più
pensava a quanto fosse folle il suo comportamento e più si rendeva conto che
proprio non riusciva a pentirsi di ciò che aveva fatto e che, sapeva, avrebbe
continuato a fare.
Certo,
ora doveva fare i conti con Kakaroth, oltre che con
sé stessa, e lei aveva una paura matta che ne sarebbe uscita sconfitta.
O
che non ne sarebbe uscita proprio.
E
se Kakaroth lo avesse detto a Chichi?
Il
Supremo solo poteva immaginare come avrebbe reagito quella ragazza.
E,
alla fine dei conti, se anche l’avesse picchiata, Mamanu
era consapevole del fatto che Chichi non avrebbe
avuto torto.
Ovvio:
il torto marcio ce l’aveva lei.
Era
lei che aveva tradito il marito, e sempre lei si era concessa a un folle
depravato.
Già,
un folle depravato.
Ma
perché diamine quel megalomane di Bardack non si
mostrava così anche con lei?
Non
che la riempisse di romanticherie o cose del genere, però nemmeno le aveva mai
fatto del male. Stavano insieme come stavano insieme un qualsiasi uomo e una
qualsiasi donna desiderosi di fare del sano sesso senza impegnarsi
sentimentalmente.
Ci
poteva stare, in fondo.
Ci
poteva anche stare che lei tradisse un marito che non aveva scelto
personalmente.
Ci
poteva stare benissimo tutto.
Per
le coppie normali, però.
Lei
era la moglie dello stregone del toro
e lui era uno dei malvagi.
Che
razza di connubio poteva mai essere quello?
Una
follia, un errore colossale che, ne era certa, avrebbe pagato a caro prezzo.
Ma
non quel giorno, no.
Quel
giorno, Kakaroth aveva ben altre grane da risolvere
e, ne era certa, avrebbe tenuto la bocca chiusa ancora per un po’.
La
scomparsa delle sfere del drago aveva
la priorità su tutto.
Doveva
avercela, a qualunque costo.
E
lei aveva la grandissima fortuna di dover fingere di non sapere nulla a
riguardo.
«Ti
stavo cercando, Mamanu.»
La
donna fermò di colpo il suo incedere e si voltò di scatto.
«Oh,
Muten, perdonami. Ero sovrappensiero. Come mai non
sei ancora nei campi?»
«Be’,
ecco, a quanto pare oggi i piani sono stati stravolti. Anzi, volevo chiedere a
te se sapevi cosa fosse successo.»
«Riguardo
a cosa, esattamente?»
«Al
fatto che Napa non è venuto, come al suo solito, a
sorvegliare il mio lavoro. Sai, so perfettamente che Vegeta vuole tenere
d’occhio le persone che avevano a che fare con la principessa prima dell’arrivo
dei saiyan, per questo mi pare strana l’assenza di
quel colosso.»
Mamanu
prese a riflettere.
Già,
ora che ci pensava, il principe aveva ordinato un’altra mansione a Napa per quel giorno, ovvero quella di reclutare qualche
altro lavoratore nei dintorni di Furipan.
La
cosa, effettivamente, era strana.
Vegeta
sapeva benissimo che, così facendo, i terrestri – alcuni terrestri, in particolare – avrebbero potuto approfittarne
per organizzare qualche offensiva.
Possibile
che quel dannato saiyan avesse teso loro una sorta di
tranello?
Be’,
per quel poco che aveva imparato a conoscere di Vegeta, sì, era possibilissimo.
Tra
l’altro, secondo i piani originali, con Napa sarebbe
dovuto partire anche Giumaho.
Mamanu,
a dire il vero, non sapeva se suo marito avesse o meno accompagnato il saiyan in quella missione.
Certo
era che, se così fosse stato, al castello sarebbero rimasti solo lui e Bulma, dato che Kakaroth era
volato via con Chichi – diretto, senza ombra di
dubbio, al palazzo del Supremo – e che Bardack aveva
avuto l’ordine di tenerlo d’occhio per tutto il giorno, anche di pedinarlo se
fosse stato necessario.
Mamanu
aveva visto uscire Crilin dal castello molto prima
del previsto.
Era
probabile, dunque, che Vegeta avesse in mente qualche altra stramberia delle
sue e che non volesse gente tra i piedi.
Tra
l’altro il principe, pur non sapendo dove stessero andando Goku e Chichi, doveva sicuramente essersi accorto della loro
partenza.
Doveva,
certo, perché se Bardack che, per quanto forte, era
comunque più debole del principe, aveva imparato a captare i movimenti di
qualcuno anche quando costui azzerava l’aura, era ovvio che ci fosse riuscito
anche il sovrano dei saiyan.
E,
dunque, Kakaroth e Chichi
erano in guai seri.
«Sta’
tranquillo, Muten. I saiyan
si sono semplicemente accorti che gli abitanti di Furipan
non sono sufficienti a portare a termine alcuni lavori. Napa
sta girovagando nei dintorni alla ricerca di qualche altro umano da sfruttare.
Che io sappia, non sta succedendo niente di strano, credimi.»
«Bene,
la cosa mi fa molto piacere. Temevo… Be’, temevo che
Vegeta stesse architettando qualcosa.»
Mamanu
sospirò con fare sconsolato.
«Se
vuoi un consiglio, continua a temere. A prescindere da oggi, quel saiyan è estremamente furbo e pericoloso.»
«Lo
terrò a mente.»
La
donna accennò un mezzo sorriso e fece per andarsene, ma l’anziano maestro la
richiamò indietro.
«Aspetta
un attimo, Mamanu.»
«Che
cosa c’è, Muten?»
«Hai
più avuto modo di parlare con Tensinhan? Quel ragazzo
mi preoccupa molto e temo che abbia in mente qualcosa di pericoloso.»
Mamanu
strinse istintivamente i pugni, ma mantenne uno sguardo vacuo e distaccato.
«No,
mi dispiace. Non lo vedo da quattro giorni.»
***
«Se
volevi spaventarmi, ci sei riuscito. Ora falla finita, Vegeta.»
«Comincia
con l’evitare di darmi degli ordini.»
Erano
ancora lì, occhi negli occhi, l’uno di fronte all’altra.
Vegeta
doveva ancora capire perché lo avesse fatto.
Cosa
gli aveva detto la testa?
Perché
l’aveva afferrata e sbattuta contro quel muro?
Era
da parecchio tempo che il principe dei saiyan
rifletteva su quella donna.
Aveva
imparato a poco a poco a conoscerla e ad apprezzarla, probabilmente anche più
del dovuto visto che, con le doti che aveva, poteva benissimo tentare di
fregarlo; eppure, più rifletteva sul ruolo che ricopriva quella dannata
scienziata a corte e più si rendeva conto che la sua posizione all’interno di
quel castello era tutt’altro che comoda.
E
lui, da sempre, impazziva per le cose difficili.
Con
lei, in fondo, stava solo giocando.
Si
era concesso il lusso di farle prendere un bello spavento e di vederla tremare
al suo cospetto. La cosa, tutto sommato, avrebbe anche potuto farlo divertire;
ma evidentemente il suo ego non era perverso a tal punto da godere nel vedere
la sua scienziata in preda al
terrore.
Sua,
certo.
Perché
ormai Vegeta aveva deciso: comunque fossero andate le cose, qualunque fosse
stata la sua opinione a riguardo, lui un simile gioiello della scienza non se
lo sarebbe fatto scappare per nulla al mondo. E poco importava che Bulma avrebbe sicuramente tentato, prima o poi, di darsela
a gambe o di metterlo fuori gioco: l’idea che con la su intelligenza ci sarebbe
anche potuta riuscire lo elettrizzava ancora di più.
E
poi, gli doveva procurare una luna.
Soltanto
un folle avrebbe potuto credere che uno scienziato, per quanto in gamba,
avrebbe potuto portare a termine una simile impresa.
Forse,
in quel momento la sua follia risiedeva più nel dare fiducia alla terrestre che
non nell’averla volutamente spaventata.
Eppure,
ne era certo, se stimolato al meglio, dal cervello di quella donna sarebbero
potute uscire fuori cose inimmaginabili.
«Ascoltami
bene, scienziata» proferì l’uomo, arretrando di qualche passo «non ho
intenzione né di giocare, né tantomeno di perdere tempo. Ti sto dando fiducia
per un progetto al quale tengo molto più di quanto non immagini e finiresti in
guai seri se la tradissi. Non so se è chiaro il discorso.»
«Certo
che lo è» rispose Bulma annaspando, contenendo il più
possibile il tremolio della voce. «Ti ho già spiegato, però, che l’impresa è
disperata. Senza contare, inoltre, che esistono infiniti tipi di lune, e anche
se riuscissi a portarne qui una, non è detto che faccia al caso tuo. Se mi
spiegassi a che cosa ti serve, io…»
«Ha
davvero tutta questa importanza, Bulma?»
«Direi
che è praticamente fondamentale.»
Il
principe si lasciò sfuggire un sorriso compiaciuto, dettato probabilmente dalla
discreta insolenza di Bulma.
E
dalla sua evidente voglia di collaborare a quel folle progetto.
In
fondo, lui lo sapeva: quella donna adorava le sfide, e le piaceva oltre modo
vincerle. Più le venivano richieste cose difficili e più Bulma
tirava fuori il meglio di sé.
In
quel preciso istante, più che la luna in sé, era Vegeta la sua sfida.
Lui
lo aveva capito perfettamente: la scienziata voleva a tutti i costi la sua
fiducia e il principe gliel’aveva anche promessa.
Quale
orgoglio più grande per una terrestre qualunque, che mai aveva avuto a che fare
con un alieno, se non quello di soddisfare le aspettative del principe dei saiyan?
Vegeta
ormai ne era certo: aveva la scienziata in pugno; e con lei, anche le sorti di
quel traditore di Kakaroth.
Perché,
sebbene non ne avesse ancora le prove, il principe ne era comunque convinto: il
figlio di Bardack si sarebbe presto o tardi
ribellato.
«La
luna che serve a me deve essere come quella che dovrebbe orbitare intorno alla
Terra. Spero tu sappia come sia fatta.»
«Certo
che lo so. Ero una bambina quando è scomparsa, ma ho a disposizione molti studi
fatti da mio padre e da altri scienziati.»
«Benissimo,
allora mettiti subito al lavoro.»
Il
principe fece per andarsene, ma Bulma lo richiamò
indietro.
«Aspetta
un attimo, Vegeta.»
«Che
altro vuoi?»
«Non
mi hai ancora spiegato il perché.»
«Fatti
bastare quello che ti ho detto, per ora.»
Bulma
vide il saiyan lasciare il laboratorio e chiudersi la
porta alle spalle.
Era
fottuta, definitivamente fottuta.
Dare
al principe quel barlume di speranza era stata tutt’altro che una mossa
intelligente da parte sua, e la donna temeva che ne avrebbe pagato le
conseguenze sulla propria pelle.
A
meno che non avesse fatto di tutto per accontentarlo.
La
scienziata si portò nuovamente davanti al suo computer e si lasciò scivolare
sulla sedia.
Il
cuore le batteva all’impazzata.
Già;
ma, di certo, non per la paura.
Non
solo, per lo meno.
Vegeta
si era aperto con lei più di quanto si sarebbe mai aspettata e aveva ampiamente
dimostrato di voler scommettere sul suo cervello.
Era
la prima volta in tutta la sua vita che un uomo anteponesse la sua intelligenza
al suo fisico mozzafiato.
E
l’uomo in questione, oltretutto, era il più affascinante che avesse mai
incontrato.
***
Volare
a quella velocità senza nemmeno avere una meta precisa lo stava rendendo particolarmente
nervoso.
Tanto
più che stava seguendo suo figlio ma che, probabilmente, non sarebbe mai
riuscito a raggiungerlo.
Tutta
colpa di Napa, accidenti!
Se
quell’imbecille non fosse stato nei dintorni nel momento della dipartita di Kakaroth e Chichi, Bardack avrebbe potuto iniziare l’inseguimento molto prima.
E,
forse, non li avrebbe persi di vita.
Seguire
gli spostamenti d’aria provocati da suo figlio non era poi così semplice: Kakaroth stava volando a fortissima velocità e ad altissima
quota, in punti dell’atmosfera dove erano particolarmente forti le correnti
d’aria. Possibile che Chichi riuscisse a sopravvivere
a quelle raffiche e a quelle temperature?
Evidentemente,
quella ragazzina era più in gamba di quanto sembrasse.
Seguendo
le poche tracce lasciate dal figlio e il proprio intuito, il guerriero era
giunto nei pressi di una foresta. Ma, ne era certo, Kakaroth
non era mai sceso a terra.
Dove
diavolo poteva essersi cacciato quell’irriconoscente?
Quel
ragazzo stava rendendo tutt’altro che facile il suo lavoro a corte.
Bardack
era un generale di altissimo livello, l’unico guerriero di terza classe ad aver
ricevuto l’onore di ricoprire tale carica.
Ed
era meritatissima.
Aveva
vinto le battaglie più dure, eliminato i nemici più ostici, affrontato le
difficoltà più impervie.
E
il principe gli aveva riconosciuto il merito di essere il più potente guerriero
dopo di lui.
Certo,
qualcuno ancora si ostinava a credere che bastasse l’etichetta di terza classe a renderlo automaticamente
inferiore agli élite, ma lui sapeva qual era il suo valore e sapeva anche che
il principe, nonostante l’importanza che conferiva alle classi sociali, aveva
nel suo caso chiuso un occhio.
Anche
due, visto il ruolo che gli aveva affidato.
Peccato
che suo figlio stesse rovinando tutto.
Bardack
aveva faticato a credere alle insinuazioni di Vegeta circa un presunto
tradimento da parte di Kakaroth nei confronti dei saiyan, ma l’improvvisa fuga del ragazzo dalla palestra
aveva acceso nella testa dell’uomo un campanello d’allarme.
Tra
l’altro, si era portato dietro pure la principessa che, come ben sapevano
tutti, era la custode delle sfere del
drago.
Fino
a quel momento, Bardack aveva dato assolutamente per
scontata la buona fede del figlio.
Non
era da lui fidarsi ciecamente di chiunque, ma, evidentemente, il suo istinto di
padre lo aveva portato a prendere un abbaglio.
E
la cosa, oltretutto, lo metteva in seria difficoltà.
Certo,
per quel che ne sapeva lui, Kakaroth e Chichi potevano benissimo essere andati ad allenarsi da
un’altra parte; peccato che prima della loro fuga dalla palestra, lì dentro ci
fosse entrato il pelato terrestre.
E
la cosa era anomala.
Finalmente,
davanti a lui riuscì a vedere qualcosa di interessante.
Non
sapeva bene di cosa si trattasse ma, a occhio e croce, somigliava a una torre.
Era
molto sottile, però.
Il
saiyan notò immediatamente che era impossibile
scorgerne la cima. Più cercava di sollevare lo sguardo e più si rendeva conto
che quella strana costruzione sembrava infinita.
E Kakaroth
non era mai sceso a terra.
Bardack
si avvicinò all’edificio e prese a osservarlo da vicino.
Sembrava
un obelisco, o qualcosa del genere, e aveva tutta l’aria di essere una sorta di
monumento a qualche divinità.
O,
magari, la dimora di un essere superiore.
Che
cosa era andato a fare suo figlio da quelle parti?
E
qual era il ruolo di Chichi in tutta quella faccenda?
Nel
mentre in cui Bardack si convinse che sarebbe stato
opportuno salire in cima, scorse suo figlio in volo.
Stava
tornando indietro, non c’erano dubbi.
Il
saiyan si trovava in dubbio su come agire: sarebbe
stato meglio seguire il figlio, oppure accertarsi di cosa ci fosse in cima alla
torre?
Bardack,
alla fine, si convinse per la seconda opzione: in fondo, quello strano edificio
non si sarebbe potuto spostare da lì; di Kakaroth,
invece, poteva perdere le tracce da un momento all’altro.
***
«Goku,
secondo me stai prendendo un granchio.»
«Ti
ho detto mille volte di non chiamarmi così.»
Chichi
sospirò e chiuse definitivamente la bocca.
Era
inutile: se c’era una cosa che aveva capito di quel saiyan
era che non si poteva in alcun modo fargli cambiare idea.
Qualunque
cosa si fosse messo in mente, ovviamente.
In
quel momento, il suo obiettivo era Yamcha.
Chichi,
per tutta la durata del volo, aveva tentato in tutti i modi di convincerlo a
togliersi quella stupida idea dalla testa, ma, nonostante gli sforzi, il saiyan non voleva proprio saperne di fidarsi del suo
intuito.
In
fondo, non aveva nemmeno tutti i torti: solo nove giorni prima, aveva scommesso
qualunque cosa sulla buona fede del suo protettore,
ritrovandosi, poi, nelle mani del nemico.
Certo,
pensare a quanto fosse stata stupida non era il modo migliore per recuperare la
sua precaria autostima. Chichi non riusciva a non
pensare al fatto che, durante la precedente nottata, Goku aveva visto Bulma.
Già,
tutto sommato ci poteva anche stare: vivevano entrambi nella stessa dimora, no?
Eppure,
la cosa le dava terribilmente fastidio.
Chi
le garantiva che il loro fosse stato un incontro casuale?
Per
la verità, il saiyan non aveva specificato nulla a
riguardo e lei non avrebbe voluto chiedergli esplicitamente dei chiarimenti.
Non
ne aveva neanche il diritto, a dire il vero.
In
fondo, chi era lei per lui, se non un’allieva ben poco dotata e
la custode delle sfere del drago?
Probabilmente,
nessuno; e, oltretutto, delle sfere
aveva perso le tracce già da diverse ore.
Chichi
non aveva idea del perché Kakaroth avesse deciso di
perlustrare da cima a fondo la foresta di Furipan,
ma, comunque, il ragazzo non venne a capo di nulla.
Se
mai Yamcha si fosse davvero stanziato lì, era ovvio
che ormai avesse abbandonato quel luogo.
Per
andare dove, però?
Nei
dintorni di Furipan non c’erano molti posti in cui
nascondersi.
La
principessa conosceva le sue terre meglio di chiunque altro e sapeva che
sarebbe stato estremamente difficile trovare un nascondiglio decente entro i
confini delle sue terre.
Probabilmente,
il posto più sicuro era proprio quella fitta foresta ma, per quanto i due
giovani si sforzassero, lì non c’era proprio nessuno.
Il
sole era tramontato già da qualche minuto e Chichi
aveva preso a sbuffare rumorosamente.
L’idea
di trovarsi in quel luogo – da sola con Kakaroth, per
giunta – non le piaceva per niente.
A
quell’ora, i loro allenamenti sarebbero dovuti essere terminati da un pezzo e
loro dovevano già trovarsi in sala da pranzo per la cena.
Che
cosa si sarebbero inventati una volta fatto rientro al castello?
Perché,
qualunque cosa stesse passando per la testa di Kakaroth,
lei pretendeva di tornarsene a casa,
prima o poi.
Tra
l’altro, suo padre era nel castello, in compagnia di Vegeta, Bardack e Napa.
Era
l’unica persona indifesa lì dentro.
D’accordo,
c’erano anche Mamanu e Bulma,
ma Chichi non sapeva quanto davvero ci si potesse
fidare di loro in caso di necessità.
E,
oltretutto, se anche avessero voluto fare qualcosa, avevano le mani legate,
esattamente come Giumaho.
Non
che lei potesse fare chissà cosa ora che, oltretutto, aveva smarrito le sfere del drago, ma, comunque, era sua
la responsabilità di ciò che stava accadendo a suo padre e ai suoi sudditi.
In
fondo, i saiyan volevano lei, non tutti gli abitanti di Furipan.
Ma,
paradossalmente, la sventurata principessa era quella che se la stava passando
meglio.
E
a lei quella situazione creava parecchio fastidio.
«Senti,
qui non c’è nessuno. Perché non ce ne torniamo al castello?»
«Perché
prima devo trovare quel traditore.»
«Traditore Yamcha?
Ma senti da quale pulpito viene la predica!»
Kakaroth
si voltò verso la ragazza.
Era
stanca, davvero stanca, e lo si capiva perfettamente dal gonfiore delle sue
palpebre.
Forse,
aveva anche fame.
A
lui, però, in quel momento non importava davvero niente.
Le
sfere del drago erano la sua
priorità, lo erano sempre state e lo sarebbero rimaste;
Era
giusto così, in fondo.
Per
quale altro motivo era rimasto in quella dannata corte se non per entrare in
possesso delle sfere?
D’accordo,
negli ultimi giorni aveva in realtà dubitato di essere davvero interessato a
quegli stupidi aggeggi ma, il solo fatto che fossero spariti, gli aveva di
nuovo fatto aprire gli occhi sui suoi reali obiettivi.
E,
in quel momento, li aveva ben chiari in testa.
Certo,
passare la notte in quella foresta non sarebbe stato il massimo neppure per
lui, però non aveva altra scelta. In fondo, era già tardi, troppo tardi, e sicuramente a palazzo si erano già accorti della
loro assenza.
Tanto
valeva andare fino in fondo.
Al
principe avrebbe sempre potuto dire che aveva scoperto che fine avessero fatto
le sfere del drago.
E
non sarebbe nemmeno stata una bugia.
Non
completamente, almeno.
Certo,
avrebbe omesso di dire che, prima di quell’insulso terrestre, le sfere le
avevano fatte sparire lui e Chichi ma, a quel punto,
non avrebbe avuto poi tanta importanza.
Doveva
perseverare in quell’impresa a qualsiasi costo: Kakaroth
doveva riprendersi ciò che gli spettava sin dall’inizio.
«Evita
le battute di spirito, ragazzina. Non ho affatto voglia di scherzare.»
«Nemmeno
io, se è per questo.»
«Non
è colpa mia se quello sprovveduto del Supremo si è lasciato rubare le sfere.
Lamentati con lui, se proprio devi farlo.»
«No
che non voglio. Solo che non capisco perché non ce ne torniamo a casa. Yamcha non è qui e, se anche ci fosse, sono sicura che lui
non c’entra niente con questa storia.»
La
sguardo di Kakaroth si fece più sottile e affilato.
Era
la seconda volta nell’arco della giornata che Chichi
si diceva assolutamente certa del fatto che quel terrestre fosse innocente.
Perché
quella sciocca principessa voleva fidarsi a tutti i costi di lui?
La
strana reverenza che la ragazza nutriva verso quel miserabile guerriero da
quattro soldi lo faceva oltremodo irritare. Non che lui fosse geloso – perché
mai avrebbe dovuto, in fondo? – però il fatto che Chichi
non volesse mettere in discussione la buona fede di quel suo amico non gli piaceva affatto.
Possibile
che, nonostante gli eventi che l’avevano vista protagonista negli ultimi
giorni, Chichi ancora non avesse capito che non c’era
nessuno al mondo di cui potersi
fidare ciecamente?
E
poi, quella stupida principessa riteneva inaffidabili Bulma
e Mamanu, e metteva la mano sul fuoco su uno che,
alla prima occasione utile, se l’era data a gambe?
D’accordo,
probabilmente sul conto delle due donne aveva ragione – soprattutto su quello
di Mamanu – ma, proprio, avrebbe dovuto tenere gli
occhi aperti con i guerrieri.
Oltretutto,
quel tizio non ambiva forse a divenire il suo protettore?
Be’,
di sicuro la principessa si sarebbe trovata in guai seri se quello spilungone avesse
davvero vinto il torneo di arti marziali.
Se
non altro, la presenza di Kakaroth aveva contribuito
a tenere a freno il principe; ma se al suo posto ci fosse stato quel Yamcha, probabilmente Chichi
sarebbe morta già da un pezzo.
Insieme
al suo sogno di salvare Furipan.
«Se
c’entra oppure no lo verificheremo al più presto. Se ti dai un’occhiata
intorno, ti accorgerai che il terreno di questa radura è smosso, come se
qualcuno ci avesse costruito una dimora provvisoria. La scienziata non aveva
fatto forse la stessa cosa il giorno dell’arrivo dei saiyan?»
«Non
ne ho idea, Kakaroth.
Sai, quel dannato giorno io mi ero chiusa nella stanza in attesa che tu venissi a salvarmi dai malvagi.»
Il
ragazzo tacque per qualche istante.
Ricordare
quella promessa infranta gli provocava sempre un fastidioso senso di pesantezza
sul petto.
Che
fossero quelli i cosiddetti rimorsi di
coscienza?
In
fondo, in quell’occasione aveva pur sempre ingannato la principessa – e in modo
subdolo, oltretutto.
Non
che si fosse pentito di quel gesto, ma, col senno di poi, non era più tanto
certo che Chichi avesse meritato un simile
trattamento.
«Rimane
il fatto che qui c’è stato qualcuno.»
«Stai
cercando di cambiare argomento, protettore?»
«Non
ne ho bisogno. Recrimina ciò che vuoi, ma sappi che non ho alcuna voglia di
discutere.»
Per
un attimo, Chichi ebbe la sensazione di essere stata
definitivamente sconfitta.
Sapeva
ormai piuttosto bene com’era fatto Kakaroth e, di
conseguenza, sarebbe stato inutile illudersi: non le avrebbe mai chiesto scusa
né , probabilmente, si era pentito di quel gesto.
La
verità era che quel ragazzo la confondeva.
Prima
l’aveva illusa spacciandosi per il suo protettore; poi l’aveva ignobilmente
tradita; infine, si era beffato di lei baciandola.
Due
volte, tra l’altro.
I
precedenti, insomma, erano tutt’altro che a suo favore.
Quel
saiyan l’aveva in pugno, e Kakaroth
non aveva perso l’occasione di farlo notare persino al Supremo.
Gran
bella faccia tosta, la sua!
Però,
allo stato attuale, lei non poteva far altro che ammettere con sé stessa che
Goku aveva ragione.
E
sopportare, finché non avesse trovato la forza sufficiente per mandarlo a quel
paese.
«E
va bene, lasciamo perdere questo discorso. Però, te lo chiedo per favore, andiamocene da qui. Torniamo
al castello, ti prego!»
«Puoi
scordartelo, Chichi. Resteremo qui in attesa che quel
vigliacco si faccia vivo.»
«Se
fossi in te, Kakaroth, io darei ascolto alla
principessina.»
La
voce che avevano appena udito fece raggelare entrambi.
Il
cuore di Chichi perse un battito nello scorgere
dietro a Goku il materializzarsi di una figura a lei nota.
Dannatamente
nota.
Il
ragazzo rimase immobile, con gli occhi fissi e spalancati su Chichi.
Questa davvero non ci
voleva.
Un
sorriso arrendevole ma comunque sfacciato si delineò sul volto del saiyan più giovane.
«A
quanto pare, non sono incappato nella persona che speravo di trovare, padre.»
«A
quanto pare, hai parecchie spiegazioni da darmi, figlio.»
***
Il
piccolo falò che i tre guerrieri si erano accesi rendeva ancor più pacifico il
clima di quell’isola. Il cielo stellato, terso più che mai, appariva come un
ampio manto nero puntinato di bianco e si apriva in tutta la sua magnificenza
sopra la bianca spiaggia sabbiosa dove giacevano i tre uomini.
Tra
tutti, Yamcha era quello più in ansia.
L’idea
di occupare abusivamente la casa di Muten non gli era
piaciuta poi così tanto, ma Tensinhan era stato
irremovibile: avrebbero dovuto abbandonare al più presto la foresta di Furipan.
Tutto
sommato, aveva anche ragione.
Yamcha
sapeva che, facendosi vedere da Bulma, era ormai
uscito troppo allo scoperto.
Era
improbabile, infatti, che sarebbero riusciti a scappare ai saiyan
ancora per molto.
Ciò
che al ragazzo sembrava strano era la fretta con cui Tensinhan
aveva deciso di darsela a gambe quella mattina.
Yamcha
sapeva per certo che l’allievo di Condor non aveva trascorso la nottata
nell’accampamento di Furipan, tuttavia non aveva idea
di dove si fosse recato.
Che
avesse cercato anche lui di contattare Bulma?
Probabile;
in fondo, Yamcha gli aveva detto che il suo primo
tentativo si era risolto in un buco nell’acqua.
E
a Tensinhan, evidentemente, non piaceva avere dei
contrattempi.
Se
Bulma non fosse stata tanto maleducata con lui,
probabilmente a quest’ora le cose sarebbero state già a posto.
Chi
meglio di lei avrebbe potuto dar loro una mano per trovare le sfere del drago?
Chissà
quell’incosciente della principessa dove accidenti le aveva nascoste.
Il
piano di Tensinhan non era poi così male: sottrarre
le sfere a Chichi per avere la certezza che non
gliele avrebbero rubate i saiyan.
E
Bulma, da brava scienziata qual era, avrebbe
solamente dovuto farla parlare.
Con
le buone o con le cattive.
Ma,
evidentemente, la sua fidanzata non aveva più la benché minima intenzione di
collaborare con le forze del bene.
Che
la colpa fosse di quei dannati usurpatori?
Be’,
la risposta era senza dubbio sì; ma
come avevano fatto a convincerla a voltare le spalle persino a lui?
D’accordo,
negli ultimi tempi avevano discusso parecchio, ma ciò non giustificava la
reazione che la donna aveva avuto nel vederlo.
Magari,
temeva davvero che sarebbe potuto succedergli qualcosa di brutto se lo avessero
sorpreso lì.
Se
il principe lo avesse sorpreso lì.
Eppure,
il comportamento di Bulma sembrava celare non solo
preoccupazione, ma anche astio.
Astio
nei suoi confronti.
Cosa
le era successo in quei giorni trascorsi nel castello?
Possibile
che i saiyan fossero riusciti a infonderle tanto
odio?
«Yamcha, la cena è quasi pronta. Perché non vai a farti una
doccia?»
«Certo,
Jaozi. Vado subito.»
Tensinhan
aveva prestato molta attenzione ai movimenti di Yamcha
e non fiatò finché l’uomo non rientrò davvero dentro casa.
Lui
non sapeva niente e non avrebbe dovuto in alcun modo saperlo.
Così
come all’oscuro della faccenda erano i saiyan e i
terrestri.
Quasi
tutti.
Jaozi
lo sapeva.
E
anche Mamanu.
Non
era stata voluta la cosa; Tensinahn inizialmente non
aveva di certo intenzione di dire alla moglie di Giumaho che voleva sottrarre
le sfere del drago al Supremo.
Per
la verità, almeno in teoria, lui
nemmeno avrebbe dovuto sapere che la principessa avesse restituito i preziosi
oggetti al legittimo proprietario, ma le varie chiacchierate con Mamanu lo avevano illuminato.
Se,
come aveva detto la signora, Chichi aveva fatto
sparire le sfere, era chiaro che le avesse riconsegnate al suo creatore.
Mamanu,
durante le più o meno lunghe chiacchierate con Tensinhan,
era riuscita a carpirgli qualche informazione interessante circa il luogo in
cui si era andato a nascondere.
L’intento
della donna era senz’altro quello di mietere il minor numero di vittime
possibile, e dunque di convincere i terrestri fuggitivi a tornare a Furipan e a collaborare con i saiyan.
Peccato
che Tensinhan non avesse la benché minima intenzione
di scendere a patti con quegli extraterrestri.
Lui
puntava al dominio del mondo e al possesso delle sfere del drago e, per quanto i saiyan
potessero essere forti e pericolosi, mai egli avrebbe accettato di condividere
con loro tali cose.
Rimaneva
il problema della presenza di Yamcha, colui che gli
aveva insegnato a portare a zero la propria aura.
L’allievo
di Muten non doveva assolutamente sapere che lui
aveva intuito dove fossero le sfere.
Per
questo lo aveva mandato da Bulma nel tentativo
inutile di farsi rivelare qualcosa.
Qualcosa
che, come Tensinahn ben sapeva, Bulma
non avrebbe mai potuto rivelargli.
Peccato
che, prima dell’intrusione di Yamcha nel castello di Furipan, Tansinhan si fosse
imbattuto di nuovo in Mamanu.
Quella
donna aveva il brutto vizio di gironzolare nei dintorni di Furipan
a qualunque ora del giorno e di fermarsi a parlare con chiunque nel tentativo
di sedare gli animi in rivolta.
Era
chiaro: doveva avere una paura fottuta dei saiyan, e
piuttosto che rischiare che i cittadini perdessero la calma, preferiva
assicurarsi personalmente che gli animi fossero ancora sedati.
Lo
erano quasi tutti, a dire il vero; tranne il suo.
Tensinhan
aveva visto sfumare con uno stupido torneo il sogno di mettere le mani sulle sfere del drago. A lui non importava un
bel niente di proteggere la principessa; semplicemente, voleva carpire il
segreto del funzionamento delle sfere.
L’uomo
aveva provato più di una volta a parlare con Mamanu di questo, ma la donna gli
aveva giurato di non sapere come quegli oggetti si attivassero.
Quel
pomeriggio, era successa la stessa cosa.
Ormai,
Mamanu sapeva dove trovarlo.
Aveva
scandagliato in lungo e in largo tutta la foresta di Furipan,
senza trascurare alcuna radura e, alla fine, se lo era ritrovato davanti.
Tensinhan
si fidava ciecamente di lei.
Mamanu
era la persona più discreta e pura di cuore che avesse mai conosciuto e lui
sapeva recitare bene il ruolo di bravo ragazzo.
Non
avrebbe saputo dire perché lo avesse fatto, ma, alla fine, glielo aveva detto.
Stanotte andrò a rubare
le sfere del drago al Supremo.
La
donna non aveva battuto ciglio.
Probabilmente,
vista la sua espressione, neppure sapeva che le sfere si trovassero lì.
Sorrise
e indietreggiò di qualche passo, fino a voltargli le spalle.
Buona fortuna, Tensinhan. Ne avrai bisogno.
CONTINUA
Angolo dell’autrice
Salve
a tutti!
Questo
capitolo è stato abbastanza movimentato.
Credo
di poter dire che siamo giunti a un punto di svolta nella storia. Si è
scoperto, finalmente, chi ha preso le sfere
del drago, ma anche il ruolo giocato da personaggi insospettabili.
Bardack
ha scoperto che suo figlio sta agendo contro gli interessi dei saiyan, e Bulma è praticamente
caduta in pieno nella trappola di Vegeta, sedotta dalla stima che il principe
prova nei suoi confronti.
Pian
piano, i giochi sporchi stanno uscendo allo scoperto e i protagonisti della
storia si ritrovano ingarbugliati nelle trappole tese dagli avversari.
Insomma,
la storia è entrata nel vivo.
Non
mi dilungo troppo con le note perché credo che il capitolo parli da solo.
Nel
caso, chiedete tutte le spiegazioni che volete!
Un
grazie di cuore a tutti coloro che seguono/preferiscono/ricordano/recensiscono
la storia.
Mi
siete di grande aiuto in questo periodo non proprio semplicissimo della mia
vita!
Un
bacione :********
9dolina0
Avviso!
Dati i miei nuovi
impegni settimanali, probabilmente l’aggiornamento verrà spostato dal martedì
al mercoledì. Tutto, però, è ancora provvisorio. Grazie per la pazienza e buona
giornata/serata a tutti!
L’ora
di cena era passata da un pezzo, ma Bulma ancora non
aveva messo piede nella sala da pranzo.
Probabilmente,
quella sera non lo avrebbe proprio fatto.
Aveva
trascorso l’intera giornata dentro al laboratorio del castello senza uscire
fuori dalla stanza se non per concedersi una doccia riposante e una tazza di
caffè, e ora guardava con gli occhi arrossati dalla stanchezza i risultati
delle sue ricerche.
Tutti
quei numeri che si susseguivano sul monitor del computer l’avevano mandata in
tilt.
Aveva
fatto i conti almeno una ventina di volte da quando il principe aveva
abbandonato il laboratorio e l’aveva lasciata alle prese con il suo lavoro e,
fino a quel momento, non aveva ancora trovato una soluzione adeguata.
Certo,
di lune in giro per l’universo ce n’erano a bizzeffe, ma più analizzava i dati
relativi alla vecchia Luna scomparsa dall’orbita terrestre e più si rendeva
conto che le sue caratteristiche erano più uniche che rare.
E
poi, quale particolarità di quella luna
interessava a Vegeta?
La
verità era che quel saiyan era stato tutt’altro che
preciso nel fornire dettagli utili e lei non aveva avuto altra scelta se non
quella di trovare una soluzione da sola.
Forse,
una strada percorribile l’avrebbe anche scovata; peccato che confrontare i dati
relativa alla luna orbitante intorno al pianeta Vegeta con quelli relativi alla
luna terrestre non fosse poi così facile. E non perché sapesse poco del
satellite orbitante intorno al pianeta dei saiyan, ma
perché le informazioni su quello della Terra erano più scarse di quanto non
avesse immaginato.
Paradossalmente,
era stato più facile reperire i dati su un astro lontano milioni di chilometri
di anni luce che non su uno che, fino a pochi anni prima, gravitava intorno al
globo terrestre. La verità era che le astronavi dei saiyan,
delle quali aveva provveduto a clonare i computer di bordo, contenevano al loro
interno ogni tipo di informazione utile circa la zona della galassia in cui
vivevano quei burberi guerrieri.
Non
era stato difficile, dunque, entrare in possesso dei dati necessari.
Peccato
che, per quel poco che era riuscita a mettere a confronto, di simile le due
lune non avessero un bel niente.
Bulma
sospirò, presa dallo sconforto.
Sapeva
di essere a un passo dall’accontentare la richiesta del principe e dal salvare
la vita di Yamcha, ma ancora non era in possesso di
quei pochi, fottuti dati che le avrebbero garantito un sicuro successo.
Una
cosa era certa: portare lì una luna era fuori discussione. Nemmeno le capsule Hoi-Poi
avrebbero potuto fare tanto. Però, chissà, magari riuscendo a capire quale
legame ci fosse tra la luna del pianeta Vegeta e l’ormai scomparsa luna
terrestre, forse avrebbe potuto ricostruirne artificialmente alcune
caratteristiche.
Costruire una luna.
Be’,
non era di certo un’ambizione da poco, quella; tanto più che niente le avrebbe
garantito che un satellite finto avrebbe fatto comunque al caso di Vegeta.
Ma
cosa aveva da perdere, ormai?
Tanto
valeva provarle tutte.
Dopo
ore e ore trascorse seduta davanti al computer, Bulma
decise quindi di alzarsi.
Quasi
barcollava dalla stanchezza.
Eppure,
si disse, sarebbe bastato uno sforzo in più, solo un altro piccolo sforzo e il
gioco sarebbe stato fatto. Lei avrebbe vinto, di nuovo, contro sé stessa e
contro il principe e lui le avrebbe portato rispetto per sempre.
Già,
sarebbe proprio andata così; l’importante era continuare a non chiedersi a cosa
accidenti gli servisse una luna. Bulma sapeva che dietro
a una simile richiesta non poteva celarsi nulla di buono; ma, in fondo, lei non
aveva la forza fisica necessaria per opporsi alla volontà del principe e, vista
la situazione, non assecondarlo sarebbe stato un grandissimo errore a
prescindere.
Bulma
ci mise poco a trovare il suo cellulare, nonostante lo avesse gettato malamente
tra i modellini delle gravityroom.
Era
da molto tempo che non sentiva suo padre.
Da
quando aveva lasciato la città dell’Ovest per recarsi a Furipan
non aveva più contattato telefonicamente la sua famiglia. In fondo, tra loro
c’era una sorta di tacito accordo per il quale nessuno avrebbe informato gli
altri se non in caso di estrema necessità. E poi, i suoi genitori ancora non
sapevano nulla dell’arrivo dei malvagi.
Perché
impensierirli, dunque?
Peccato
che, nel frattempo, la situazione d’emergenza fosse sopraggiunta e lei, volente
o nolente, doveva farsi aiutare.
«Pronto,
Bulma!»
«Oh,
papà! Non sai quanto io sia felice di sentirti!»
«Anch’io,
tesoro. Come va da quelle parti? Hai conosciuto lo stregone del toro? E il torneo? Yamcha ha
vinto?»
«Ne
parliamo un’altra volta; ora, ho bisogno del tuo aiuto. Ascoltami, tu hai
qualche dato interessante sulla Luna?»
«Sulla
Luna, dici? Be’, se ti riferisci a cose rimaste inedite, sì, ho parecchio
materiale. Ma sono informazioni che non interessano agli astronomi, quindi ho
preferito tenerle per me e non pubblicarle. Ti servono?»
«Come
il pane, papà! Mandami tutto quello che hai immediatamente, è una questione di
vitale importanza.»
«D’accordo,
Bulma. Dammi il tempo di reperire il materiale e te
lo faccio avere.»
La
donna tirò un sospiro di sollievo.
Per
il momento, era fatta. Doveva solo sperare che davvero, in mezzo a quei dati,
ci fosse qualcosa di utile.
«Grazie
mille. Tu riguardati, mi raccomando; e salutami la mamma!»
Vegeta
osservava la scena da dietro lo stipite della porta.
Bulma
non lo aveva notato, presa com’era dalla telefonata e dal suo lavoro.
Il
principe si lasciò sfuggire un ghigno soddisfatto: aveva fatto bene a
scommettere sulla scienziata.
***
Bardack
spalancò il portone d’ingresso del castello e strattonò suo figlio all’interno
del salone.
Chichi
non fiatava.
Kakaroth
aveva avuto il buonsenso di non opporre resistenza quando suo padre, infuriato,
gli aveva intimato di seguirlo immediatamente a corte.
Lei,
ovviamente, era dovuta tornare con lui.
Il
ragazzo avrebbe preferito, però, non mettere piede all’interno della dimora:
sapeva che dentro c’era Vegeta e, per quanto durante il volo di rientro non
avesse pensato ad altro, la sua mente era troppo frastornata per riuscire a
inventare qualcosa di credibile.
Bardack,
però, era stato irremovibile.
Avevano
tardato già troppo e, probabilmente, a quell’ora il principe era già su tutte
le furie. Di sospetti, purtroppo, già ne aveva parecchi e quel clamoroso
ritardo non poteva non averli alimentati. Qualcosa avrebbe inventato.
Per
forza.
Quale
altra scelta aveva?
Certo,
se almeno suo figlio si fosse preso la briga di dare una qualche spiegazione,
sarebbe stato molto più facile per lui mettere in piedi uno straccio di difesa.
Perché,
accidenti, quello scapestrato era comunque suo figlio, per quanto avesse
indubbiamente tramato alle spalle dei saiyan e,
nonostante la collera che provava in quel momento nei suoi confronti, aveva
comunque il dovere di capire cosa gli
fosse passato per la testa.
E
cosa avesse combinato esattamente.
Quando
padre e figlio, seguiti da una terrorizzata Chichi,
si addentrarono nella sala da pranzo, trovarono il tavolo perfettamente
apparecchiato con il cibo già servito.
Evidentemente,
però, nessuno si era presentato a cena.
Mamanu
aveva sgranato gli occhi dalla sorpresa.
Era
lì, in quella stanza, intenta a ripulire il gas e a mettere un po’ d’ordine tra
i fornelli. Quella sera, a parte Napa che aveva fatto
una fugace apparizione senza però toccare cibo, nessuno si era fatto vivo per
mangiare. Mamanu sapeva qualcosa; anzi, molto più di
qualcosa.
Peccato
che le sue informazioni non fossero sufficienti a giustificare anche l’assenza
di Bulma e Vegeta.
La
cosa la impensieriva parecchio.
Era
chiaro che la sparizione di Kakaroth, Chichi e Bardack sarebbe stata
un’ottima scusa per il principe per mettere alle strette il figlio del generale
e la principessa di Furipan; eppure, Vegeta aveva
deciso di non approfittarne.
Perché?
Che
cosa aveva in mente quel folle guerriero?
Un
comportamento del genere non aveva senso, come non aveva senso il fatto che Crilin non avesse lavorato con Bulma
quella mattina.
«Fuori
di qui.»
Il
tono di voce con cui Bardack aveva pronunciato
quell’ordine aveva fatto raggelare sia Chichi che Mamanu.
Il
generale, tra l’altro, le aveva fissate entrambe, senza nascondere tutta la
collera che portava in corpo. Era chiaro: quel comando era rivolto
espressamente a loro.
«Aspetta
un momento, Bard…»
«Ho
detto fuori di qui. Non fartelo
ripetere, Mamanu.»
La
moglie di Giumaho e la figlia di quest’ultimo si
scambiarono, forse per la prima volta in vita loro, uno sguardo di intesa. Era
inutile cercare di calmare le acque: Bardack aveva
perso le staffe.
Nessuna
delle due donne era così pazza da tentare di convincerlo ulteriormente e Mamanu, benché sapesse di avere un certo ascendente sulle
persone, aveva saggiamente deciso di non sfidare la sorte col suo amante.
No,
contraddirlo non sarebbe stata una buona idea anche perché, a grandi linee, lei
immaginava quale fosse il motivo di tanta rabbia.
«Andiamo,
Chichi.»
Mamanu
si avvicinò alla ragazza e la prese per mano; poi, insieme, lasciarono a passo
svelto la sala da pranzo.
Chichi
era troppo frastornata per riflettere coerentemente ma, di sicuro, una cosa
l’aveva capita: da quel momento in poi, le cose sarebbero cambiate per lei.
E
per loro.
Ella
non poteva far altro che sperare che Goku fosse in grado di tenere testa a suo
padre almeno con la forza.
***
«Bene,
Kakaroth. Ora siamo soli. Parla pure. Ti concedo
l’onore di cominciare.»
«Io
non ho niente da dire, padre.»
Tutto
sommato, quella non era una bugia.
Lui
di cose da dire, non ne aveva affatto.
Non
quante ne avrebbe avute suo padre, per lo meno.
Era
vero: in un certo senso, era stato in combutta con la principessa per non far
cadere le sfere del drago in mano a
Vegeta; ma, di certo, non lo aveva fatto col proposito di mettergli i bastoni
tra le ruote.
Voleva
solo temporeggiare, tutto qui.
In
fondo, ne aveva diritto.
Perché
fingere che le cose stessero diversamente?
La
verità era che, all’arrivo dei saiyan, egli conosceva
molto meglio la principessa che non suo padre e il suo legittimo sovrano.
Un
minimo di diffidenza sarebbe anche stata giustificabile.
Tuttavia,
Kakaroth sapeva benissimo che il motivo non era solo
quello.
Egli
temeva parecchio Vegeta e non era affatto sicuro che uno come lui si sarebbe
fatto qualche scrupolo di fronte alle sue richieste. Il figlio di Bardack aveva un obiettivo: capire cosa ci fosse dietro al
mistero delle sfere del drago e
dietro al fatto che fossero state lasciate in custodia a Chichi.
Insomma,
una ragione doveva pur esserci se il loro creatore le aveva affidate a quella
petulante ragazzina!
D’accordo,
visto il modo in cui il sedicente dio si era fatto fregare quei preziosi
oggetti, forse sarebbe anche stato lecito dubitare della validità del suo metro
di giudizio nei confronti della principessa; ma, il fatto che ella fosse
comunque l’unica persona a saper utilizzare le sfere rimaneva un’indiscutibile
certezza.
E
lui, in qualche modo, doveva pur tutelarla.
E
tutelarsi.
Per
quel poco che aveva capito di Vegeta attraverso gli sporadici contatti
mantenuti in quegli anni, Kakaroth sapeva che sarebbe
stato impossibile sperare che il principe temporeggiasse se egli gli avesse
messo sotto il naso le sfere del drago.
E Chichi avrebbe fatto una brutta fine perché,
cocciuta com’era, di sicuro non avrebbe mai collaborato.
In
fondo, il principe dei saiyan era sveglio abbastanza
per scoprire da solo come attivare quelle dannate sfere. Kakaroth
ci avrebbe scommesso qualsiasi cosa: se Chichi, con
la sua complicità, non le avesse fatte sparire, di Furipan
e della sua principessa, in quel preciso istante, non esisterebbe più nulla.
La
mano di suo padre andò a schiaffeggiarlo in pieno volto, ridestandolo dai mille
pensieri che stava covando in testa. Non tentò nemmeno di pararla.
Kakaroth
sapeva di aver in parte sbagliato e sapeva anche che il suo gesto avrebbe messo
nei guai non solo lui e Chichi, ma anche suo padre.
Non
che a lui dovesse importare davvero qualcosa – in fondo, non era stato di certo
Bardack a occuparsi di lui durante la sua infanzia! –
però si rendeva conto che sarebbe stato molto più maturo da parte sua non
raccontare tutte quelle fandonie.
Gli
eventi, tuttavia, lo avevano spiazzato.
Non
solo si era ritrovato davvero a pochi
passi dalle sfere del drago e dalla realizzazione del suo sogno di
sottomissione della razza umana, ma la custode di tali oggetti aveva anche
riposto in lui la più totale fiducia.
Una
bella beffa, insomma.
Uscirne
non era stato per niente facile e, di fatto, era rimasto incastrato all’interno
del suo stesso gioco.
Come
accidenti avrebbe potuto spiegarlo a suo padre?
A
un padre, tra l’altro, che una ventina d’anni prima non si era fatto scrupoli a
spedirlo su un pianeta lontano milioni di anni luce dal suo.
Aveva
davvero il diritto, quell’uomo, di ricevere una spiegazione?
Probabilmente
no, secondo quanto aveva appreso dalla mentalità umana.
Ma
Bardack non era umano, e nemmeno lui; e, se era vero
ciò il padre gli aveva sempre raccontato, quella di spedire neonati su altri
pianeti era una prassi assolutamente consolidata.
Dunque,
secondo tale logica, il genitore non era in difetto nei suoi confronti.
Già,
ma quale logica sarebbe stato giusto seguire?
Il
ragazzo sospirò e alzò gli occhi verso il genitore.
Bardack
era furente, ma nel suo sguardo leggeva un miscuglio di sentimenti non
riconducibili solo alla rabbia: lì, incastonati tra quelle iridi scuse, c’erano
la delusione, il rimpianto, la paura di aver fallito.
Era
chiaro: Kakaroth aveva deluso le aspettative di suo
padre.
«E
va bene. Tanto ormai è inutile continuare a nascondere la verità. Qualcuno ha
rubato le sfere del drago.»
Bardack
spalancò gli occhi, impietrito da quella rivelazione.
Qualcuno aveva
fatto cosa!?
Il
guerriero sorrise beffardamente accennando in maniera quasi impercettibile un no con la testa. Ma per chi diavolo lo
aveva preso suo figlio?
Pensava
forse di avere a che fare con un perfetto imbecille?
«Vedi
di non prendermi in giro ancora, Kakaroth. Sappiamo
entrambi che sei stato tu a far sparire
le sfere. Credi davvero che non lo abbia capito?»
«Ti
sbagli, padre. Io… Lo ammetto: ho aiutato Chichi a nasconderle subito dopo il vostro arrivo. Ma
stanotte sono scomparse e, te lo giuro sul mio onore, io non c’entro nulla.»
Bardack
si trattenne a stento dal picchiare di nuovo suo figlio.
Quello
smidollato aveva aiutato Chichi a nasconderle.
Ma
quanto poteva essere imbecille Kakaroth?
Dannate
femmine e dannati ormoni!
D’accordo,
era stato un ragazzino anche lui e anche lui aveva ceduto più di una volta al
fascino di qualche bella donna, commettendo pure parecchie sciocchezze. Ma le
sue, in confronto a quelle del figlio, erano davvero delle bazzecole.
Mai
a Bardack era passato per la mente di tentare di
fregare il Re.
In
fondo, era troppo astuto e troppo lungimirante per poter commettere una simile
leggerezza. Erano state la sua forza, la sua furbizia e la sua lealtà a farlo
ascendere dai bassifondi di terza classe dove era stato miseramente relegato
alla nascita agli allori della corte imperiale, e mai, mai in vita sua, avrebbe
potuto immaginare che suo figlio, colui al quale era stata affidata una
missione di estrema importanza, avrebbe potuto tradire la fiducia che egli
aveva riposto in lui.
E
tutto perché aveva perso la testa per quella maledetta principessa.
Chi
diavolo avrebbe dovuto incolpare Bardack per una
simile catastrofe?
Perché,
ciò che era capitato a suo figlio non poteva definirsi altrimenti.
Quando
un uomo arrivava al punto di sottomettere la ragione ai sentimenti, la sua vita
era finita.
Finita,
senza alcuna possibilità di scampo.
Per
lo meno, ciò accadeva se l’uomo in questione era un saiyan.
Lui
lo sapeva bene, anche troppo.
Quante
volte era stato sul punto di rimetterci la pelle in nome di qualcuno a cui
teneva seriamente?
Il
fatto che egli avesse una potenza fuori dal comune lo aveva, però, sempre
aiutato.
Ma
suo figlio ce l’aveva quella dannata forza? E, soprattutto, era abbastanza fuori dal comune da salvarlo dalle ire
del principe?
Il
generale si guardò attorno e notò che il cibo sul tavolo non era stato toccato.
Ciò
significava che, evidentemente, Vegeta non si era ancora recato a cena.
E
nemmeno Bulma, Giumaho e Napa.
Di
Giumaho, in realtà, non si preoccupava affatto.
Da
quando i saiyan avevano colonizzato il villaggio di Furipan, lo stregone
del toro, o come diavolo si faceva chiamare, non aveva quasi mai messo
piede fuori dalla sua stanza.
A
impensierirlo era l’assenza degli altri.
Che
cosa stava architettando Vegeta?
Possibile
che non avesse approfittato dell’assenza di Kakaroth
e della principessa per metterlo alle strette?
«E
va bene. Posso anche fare lo sforzo di crederti, Kakaroth.
Ma, per favore, saresti così gentile da spiegarmi per quale accidenti di motivo
tu avresti dovuto aiutare Chichia nascondere le sfere del drago? Tu,
cavolo? Tu che sei un guerriero saiyan?»
Il
giovane guerriero rimase in silenzio per qualche istante, prima di balbettare
un fin troppo colpevole non lo so.
Tutta
quella dannata storia lo aveva fatto andare fuori di testa e, nelle condizioni
in cui versava il suo cervello in quel momento, non avrebbe saputo mettere in
piedi una spiegazione coerente.
Quel
non lo so, però, diceva più di quanto
il significato in sé di quelle tre parole avrebbe potuto far pensare.
Era
un’ammissione di colpa, semplicemente una palese
ammissione di colpa, e Bardack non aveva potuto
non interpretarla in quel modo.
«Visto
che non sai rispondere a questa domanda, dimmi almeno se credi che valga la
pena buttare all’aria un progetto su cui hai lavorato per un’intera vita solo
perché ti sei innamorato di quella maledetta principessa. Spiegami, Kakaroth; spiegami le tue ragioni, accidenti! Sei libero di
tirar fuori anche la più idiota delle risposte ma, in nome del rispetto che dovresti portare al tuo popolo, di’
qualcosa!»
Il
ragazzo spalancò gli occhi.
Nell’udire
quelle parole, il suo cuore aveva perso un battito.
Suo
padre era stato fin troppo diretto nei suoi confronti e quel discorso lo aveva
colto certamente di sorpresa.
Ma
lo aveva anche fatto imbestialire.
Cosa
accidenti aveva avuto l’ardire di insinuare suo padre?
Innamorato…
lui? E di Chichi, poi?
E
da quando i saiyan potevano cadere vittima di un
sentimento del genere?
E
comunque, se anche fosse stato vero, proprio suo padre si permetteva un simile
discorso?
«Dimmi,
padre, tu invece pensi che ne valga la pena?»
Lo
sguardo perplesso che Kakaroth sperò di leggere sul
volto del padre non si manifestò.
Se
lo aspettava, evidentemente.
Bardack
si aspettava di ricevere in risposta quella
domanda.
«Nel
mio caso, probabilmente no. Ma cosa vuoi che importi? Non sono stato io a
nascondere le sfere del drago per
proteggere l’incolumità di una donna.»
«Quindi,
fammi capire bene, se tu dovessi scegliere tra la fedeltà al tuo popolo e il
compiacere Mamanu, opteresti per la prima opzione?»
Bardack
si lasciò andare a una risata soffocata a stento.
Perfetto.
Davvero perfetto.
Con
quell’ulteriore domanda, suo figlio aveva praticamente ammesso di essere
innamorato.
In
fondo, era quello che Bardack voleva.
Capire.
Capire
la verità, però.
Cosa
se ne sarebbe fatto dell’ennesima menzogna da parte del figlio?
Era
stato un bene, in fondo, che la notte precedente Kakaroth
si fosse accorto di lui e Mamanu.
Certo,
Bardack si era guardato bene dal fargli capire subito
che lo aveva visto, ma ciò che contava veramente era averlo messo alle strette.
Se
il principe non avesse insinuato in lui quel dubbio circa la buona fede del
giovane saiyan, probabilmente Bardack
avrebbe continuato a nutrire nei suoi confronti una fiducia esagerata. E sarebbe
caduto con Kakaroth nelle ire di Vegeta.
Ma,
evidentemente, scoprirlo a letto con Mamanu aveva
contribuito a metterlo in crisi.
E
a tradirsi.
«Ovviamente,
Kakaroth. Te l’ho detto, nel mio caso non ne vale la
pena.»
«Perché
te la scopi, allora? E non venirmi a parlare di bollenti spiriti da placare,
per favore. Per quello esistono le puttane; non è necessario scomodare la donna
più influente di Furipan.»
La
domanda di Kakaroth, tutto sommato, non era poi così
fuori luogo.
Anzi,
non lo era affatto.
L’osservazione
che ne era seguita, oltretutto, era estremamente difficile da controbattere.
Suo
figlio aveva ragione: per placare i bollenti spiriti non era certo necessario
l’aiuto di quella donna.
Ma
perché Bardack aveva voluto proprio lei?
Il
pensiero dell’uomo tornò immediatamente al loro primo incontro.
Mamanu
non gli aveva fatto esattamente una buona impressione: era apparsa demotivata,
disinteressata e rassegnata alle sorti che il destino aveva scelto per Furipan. Eppure, il suo modo di parlare e di agire lo
avevano in qualche modo stregato.
Quella
donna aveva saputo mantenere di fronte a lui il sangue freddo; lo aveva
sfidato, in un certo senso, pur non volendolo effettivamente fare. Lo aveva
sfidato col solo aprirsi a lui senza mezzi termini, rivelandogli il suo ruolo a
corte e facendogli capire che della schiavitù non aveva alcuna paura.
In
fondo, libera non lo era mai stata.
Per
questo l’aveva risparmiata.
Avrebbe
potuto eliminarla all’istante dato che, al contrario di ciò che aveva pensato
inizialmente, Mamanu non era la regina di Furipan. La donna non aveva esitato a confessarlo
candidamente: lei, in quella corte, non aveva alcun ruolo.
Peccato
che non fosse vero.
Gli
ci volle qualche giorno per capire davvero attorno a cosa ruotassero gli
equilibri di Furpan: da una parte c’era Giumaho, lo stregone
del toro, che provvedeva a governare il villaggio in attesa che la figlia
diventasse forte e matura abbastanza per reclamare quel ruolo; dall’altra c’era
Chichi, la principessa e legittima sovrana di Furipan, che aveva il compito di preservare l’incolumità
del suo villaggio attraverso la custodia delle sfere del drago.
Al
centro c’era Mamanu, colei che, senza alcuna diritto
lecito, controllava le masse.
Quella
donna aveva un dono non da poco: sapeva incantare la gente, opponendo la sua
calma e i suoi modi estremamente gentili ai cuori più ostili e induriti.
Bardack
ne era sicuro: se non fosse intervenuta lei, gli abitanti di Furipan non avrebbero reagito all’invasione da parte dei saiyan con tanta compostezza. Per quanto, infatti, il
compito di tenere a freno gli animi dei loro sudditi spettasse a Chichi e a Giumaho, questi ultimi
non sarebbero stati in grado di portare a termine un simile compito.
In
fondo, loro stessi non erano riusciti a reagire con troppa compostezza: Chichi si era disperata non poco dopo la scoperta della
vera identità del suo protettore e Giumaho era caduto in uno stato di sconforto tale da
restare chiuso nella sua stanza per giorni e giorni.
Mamanu,
invece, quella forza ce l’aveva dentro di sé, ed era grande a tal punto da
riuscire a sedare persino il temperamento di Bardack.
Doveva
ammetterlo: erano anni che non gli capitava di stare bene a tal punto con una
donna.
Scopare
con lei non faceva bene soltanto ai suoi bollenti
spiriti, ma anche all’umore e all’animo. Mamanu
era una donna con i piedi per terra e sapeva esattamente cosa volesse dire
avere a che fare con un uomo come lui. Aveva dimostrato fin da subito di non
essere insensibile al suo fascino; eppure, mai si era permessa di pretendere da
lui qualcosa di più rispetto al sesso. Le andava bene così, o, per lo meno,
aveva deciso di farselo bastare.
Era
una donna intelligente: sapeva che, pretendendo dell’altro, non solo non
l’avrebbe ottenuto, ma avrebbe rischiato di perdere anche quel poco che il
generale le aveva concesso.
E,
forse, anche la vita.
Quante
altre donne avrebbero accettato un simile compromesso pur essendo innamorate?
Probabilmente,
nessuna.
E
Mamanu, sebbene non glielo avesse mai confessato, lo amava
più di quanto amasse Giumaho.
Però,
di mettere in discussione il suo essere e i suoi ideali non se ne parlava
proprio.
Bardack
era uno dei saiyan più potenti in assoluto.
Per
raggiungere quel livello aveva sudato parecchio, e per guadagnarsi la stima del
principe aveva dovuto far ricorso a tutta la propria astuzia e intelligenza,
oltre che alla forza.
Solo
con quest’ultima, infatti, non sarebbe mai arrivato da nessuna parte.
Per
quanto la maggior parte dei guerrieri saiyan non
desse un’importanza adeguata all’intelligenza, Bardack
non aveva mai sottovalutato quanto l’astuzia e la furbizia fossero utili alla
formazione di una grande combattente.
Per
questo lui poteva definirsi tale e uno come Napa no:
l’eccessiva sicurezza che il più potente guerriero d’élite riponeva nei propri
muscoli lo aveva portato a essere un po’ più in gamba della media ma, di certo,
non un eccellente guerriero.
Tra
l’altro, egli nemmeno lo aveva capito.
Mamanu
si era insidiata nel suo letto e nella sua mente regalandogli quel piacere che
non si concedeva da troppo tempo. Per i guerrieri come lui, costretti a mesi e
mesi di missioni extraplanetarie, riuscire ad avere a disposizione una donna vera, somigliante il più possibile a
quelle della sua razza, non era un’impresa facile.
Ecco
perché si era lasciato andare in quel modo.
Ecco
perché, tutto sommato, credeva che non valesse la pena eliminare la popolazione
umana.
Ma
questo lo aveva capito anche Vegeta; il problema era scoprire cosa avrebbe
voluto farsene.
A
Bardack, in fondo, non importava poi così tanto delle
sorti dei terrestri e, se Vegeta avesse optato per schiavizzarli completamente,
egli non avrebbe battuto ciglio.
E
non lo avrebbe fatto nemmeno Mamanu.
Quella
donna era forte, certo, ma aveva un’educazione che le impediva di capire
davvero cosa fosse la libertà.
Probabilmente – e paradossalmente – la moglie di Giumaho
l’aveva scoperta per la prima volta propria con lui. Per questo Bardack sapeva che non sarebbe affatto valsa la pena
mettersi contro Vegeta in nome della libertà della donna.
E
nemmeno del suo compiacimento.
A
lei sembrava già tanto, troppo, avere
Bardack, e, ne era certo, Mamanu
avrebbe impedito con la sua eloquente raffinatezza ogni tentativo di
ribellione.
«Sai,
Kakaroth, comincio seriamente a pensare che spedirti
su questo pianeta sia stato un grosso errore.»
«Non
hai risposto alla mia domanda.»
«E
non intendo farlo. Sei libero di crearti in testa tutte le congetture che vuoi.
Fossi in te, però, inizierei a preoccuparmi seriamente di Vegeta. Quanto pensi
che ci impiegherà a scoprire che gli hai nascosto le sfere del drago e che te le sei fatte fregare come un pivello
qualunque?»
«Se
ti fai gli affari tuoi, non verrà a saperlo. Tanto, conto comunque di
rientrarne in possesso molto presto.»
Bardack
accennò un no con la testa.
Suo
figlio si era decisamente lasciato sfuggire la situazione di mano.
«Gran
bel guaio quello in cui mi stai cacciando. Davvero Grazie, Kakaroth.
Be’, se credi che io possa divenire complice di una simile vigliaccata, puoi benissimo
scordartelo. Al massimo, posso concederti di tenere la bocca chiusa fino a
dopodomani. Dopodiché, o mi fai vedere le sfere
del drago e le riconsegni al principe, oppure gli dirò la verità.»
Kakaroth
trattenne a stento l’impulso di picchiare suo padre.
D’altra
parte, nemmeno poteva accusarlo di niente. Era stato fin troppo clemente con
lui, anche se sapeva benissimo che l’idea di lasciare le sfere del drago in
mano a Vegeta non gli piaceva per niente.
«E
va bene, tanto so già dove andare a cercarle.»
«Me
lo auguro per te, figlio.»
Il
ragazzo uscì dalla sala senza aggiungere altro.
Era
nei guai e lo sapeva bene, ma quel farabutto di Yamcha
non l’avrebbe passata liscia ancora per molto.
Bardack
osservò suo figlio allontanarsi da quella stanza.
Il
generale stava rischiando grosso e ne era consapevole.
Tacere
a Vegeta quella verità per due giorni lo avrebbe messo in seri casini.
Peccato
che non avesse altra scelta: in ballo c’erano suo figlio e la sua incolumità.
Forse,
una volta tanto, era giusto che lui anteponesse il suo ruolo di padre a quello
di generale.
Anche
se ciò avrebbe significato macchiarsi di omertà.
Anche
se ciò avrebbe significato andare contro il principe dei saiyan.
CONTINUA
Angolo dell’autrice
Di
uovo, ciao a tutti!
Spero
davvero che questo capitolo vi sia piaciuto.
Lo
so, non c’è stata molta azione, però avevo bisogno di far uscire allo scoperto Bardack, di indagare nella sua mente come ho già fatto con
tanti altri personaggi. Non so se la caratterizzazione che gli ho dato vi piacerà,
ma io credo che, nel caso di un uomo come lui, capire di essere un padre prima che un guerriero è indice di
quell’intelligenza e di quella grandezza di spirito che caratterizzano anche il
personaggio originale. Certo, tale presa di coscienza è avvenuta soltanto dopo
una ventina d’anni dalla nascita del figlio, ma siamo comunque alle prese con
un saiyan e i saiyan,
quando ci sono di mezzo i sentimenti, hanno bisogno di tempo.
Detto
questo, vi mando un grosso bacio e spero di sentirvi al più presto! :******
Lei
e suo marito non parlavano da parecchio tempo e, chissà, magari lui non ne
aveva voglia nemmeno quella mattina. Lei, però, qualcosa da dire ce l’aveva.
Le
cose non potevano andare avanti così e ciò che era accaduto durante la
precedente nottata le aveva fatto capire che tutta la faccenda dei malvagi doveva giungere al più presto a
una svolta.
E
suo marito, in quanto unico genitore della legittima sovrana di Furipan, avrebbe dovuto far qualcosa.
E
alla svelta.
Mamanu
aveva paura.
Per
la prima volta da quando i saiyan erano arrivati
sulla Terra, la moglie di Giumaho temeva seriamente
che le cose potessero finire nel peggiore dei modi.
Certo,
lei ci avrebbe rimesso la credibilità e la stima di suo marito ma, visto come
si era evoluta la sua vita negli ultimi tempi, era più che normale che, prima o
poi, avrebbe dovuto fare i conti con le proprie scelte.
Anche
con quelle sbagliate.
Ma
poteva davvero permettersi di dirgli proprio tutta la verità?
Sicuramente
no.
Non
nell’immediato, per lo meno.
Di
sicuro, però, avrebbe dovuto aprirgli gli occhi sui rapporti che correvano tra
i saiyan e sul fatto che nemmeno tra di loro ci fosse
reciproca fiducia.
Kakaroth
era nei guai, così come ora lo era anche Bardack. Mamanu avrebbe scommesso qualunque cosa sul fatto che il
generale avrebbe tentato di salvaguardare l’incolumità del figlio anche a costo
di mettersi contro il suo principe, e il fatto che il ragazzo avesse passato la
notte a palazzo era indice che le sue supposizioni fossero veritiere.
Nella
dimora di Giumaho e nella sua corte, però, si stavano
consumando intrighi e tradimenti che presto avrebbero fatto affondare Furipan. Lei ce l’aveva messa tutta per tenere a bada i
cittadini e per farli collaborare con gli invasori, ma, se davvero i problemi
più gravi erano nei rapporti tra gli stessi saiyan,
allora anche la bella Mamanu aveva le mani legate.
Anzi,
lei più di tutti.
In
pochissimi giorni si era ritrovata ad essere la tutrice della tranquillità di Furipan e al contempo l’amante del generale Bardack. Non era un granché come posizione.
Poteva
davvero dirsi sicura di saper portare avanti un simile doppio gioco?
E
quali interessi voleva davvero tutelare?
Mamanu
non aveva ancora avuto modo di parlare con Bardack
dopo che costui l’aveva cacciata in malo modo dalla sala da pranzo per
discutere col figlio, ma immaginava – anzi, sapeva – che l’argomento del
litigio fossero le sfere del drago.
Lei
era a conoscenza della verità e, a quanto aveva apito,
era l’unica insieme a Tensinhan.
Ma
qual era il meglio per Furipan?
Mamanu
sapeva che il terrestre che aveva rubato le sfere non era tra i più affidabili,
però era anche certa del fatto che, senza l’intervento di Chichi,
quegli oggetti non avrebbero mai e poi mai funzionato.
Se
avesse detto alla figlia di Giumaho la verità sulle
sfere, la ragazza ci avrebbe messo poco a rientrarne in possesso e altrettanto
poco avrebbe impiegato per consegnarle a Kakaroth.
Con
la differenza, però, che rispetto a Tensinhan lui
avrebbe saputo farsi dire come attivarle.
Mamanu
ne era certa: Chichi, innamorata com’era, gli avrebbe
spifferato tutto.
E
chi poteva garantirle che Kakaroth non ne avrebbe
fatto un utilizzo spregevole?
Nessuno;
anzi, per quel poco che aveva imparato a conoscere i saiyan,
era decisamente meglio che le sfere restassero in possesso di un terrestre, per
quanto ignobile fosse costui.
Mamanu
si richiuse la porta della camera alle spalle.
Suo
marito non aveva affatto una bella cera e, probabilmente, non l’aveva nemmeno
lei, dato che aveva passato la notte sveglia nel tentativo, inutile, di
contattare Muten.
Giumaho,
però, aveva l’aria di uno che non dormiva da giorni.
La
donna fu travolta dai sensi di colpa nel vederlo in quelle condizioni: come era
possibile che non si fosse accorta dello stato di salute psichica in cui
versava il marito?
D’accordo,
lei non lo amava; ma Giumaho era comunque la persona
che l’aveva trattata meglio negli ultimi anni e, nonostante tutto, non meritava
di certo di soffrire in quel modo.
Tanto
più che lui aveva fatto l’impossibile per evitare la catastrofe.
In
parte, senza saperlo, ci era anche riuscito.
In
fondo, se Giumaho non avesse indetto quel torneo, Kakaroth, sotto le mentite spoglie di Son Goku, non avrebbe
avuto modo di conoscere la principessa prima dell’invasione ufficiale di Furipan da parte dei suoi compagni e, dunque, non si
sarebbe affezionato a lei.
Non
era cosa da poco, quella, e, col senno di poi, forse i sentimenti reciproci di Kakaroth e Chichi rimanevano
l’unica carta vincente da giocare.
Nel
frattempo, però, era assolutamente indispensabile richiamare lo stregone del toro alle sue
responsabilità.
Giumaho
fece un sorriso forzato alla moglie.
Era
un sorriso di circostanza, il suo, ma l’educazione che aveva ricevuto gli
impediva di mostrarsi troppo sofferente di fronte alla consorte.
«Ciao,
Mamanu» sussurrò a mezza bocca.
«Ciao.
Come ti senti?»
«Non
troppo bene, mia cara. Non troppo bene.»
Mamanu
sospirò e i avvicinò all’uomo, saldamente piantonato a terra di fronte a un
talismano nel disperato tentativo di richiamare la strega Baba.
«Non
verrà, lo sai benissimo. Te lo ha detto lei stessa e te lo ha ripetuto Muten. Dammi ascolto, lascia perdere la veggente! Non è
cercando di contattare lei che salverai Furipan dal
suo destino.»
Giumaho
non si scompose troppo nell’udire quelle parole.
Era
vero: nemmeno lui nutriva chissà quale speranza nel fatto che la strega, prima o
poi, si sarebbe fata viva. Ma in quale altro modo avrebbe potuto aiutare sua
figlia e la sua gente?
Lo
stregone del toro, nonostante lo
strano appellativo che gli avevano dato, non aveva alcun potere sovrannaturale.
Era un essere umano come tutti gli altri; un inutile, semplice, comune essere umano che non avrebbe
avuto alcuna possibilità di sconfiggere i malvagi.
Né
di placarli.
«Tu
hai forse in mente un’idea migliore, mia cara?»
«Io… Io non lo so. Mi dispiace, ma non so più che cosa fare.
Ce l’ho messa tutta, te lo giuro! Ho tentato in tutti i modi di tenere la gente
tranquilla e forse, per un po’, ci sono anche riuscita. Ma le cose, fuori da
questa stanza, non vanno affatto bene. I saiyan hanno
problemi tra di loro e Kakaroth sta cercando di
tenere il piede in due staffe. Per non parlare del fatto che sono scomparse le sfere del drago.»
Le
ultime parole pronunciate da Mamanu ebbero l’effetto
di rimettere in piedi Giumaho.
Che
diavolo significava che le sfere del
drago erano scomparse?
Da
quando? E da dove?
«Mamanu, che cosa stai dicendo? Vuoi dire che mia figlia non
le ha custodite come avrebbe dovuto?»
«Mi
dispiace, non conosco i dettagli della faccenda. Ieri sera ho origliato una
discussione tra Kakaroth e suo padre e, a quanto
pare, Chichi e Goku non hanno più in mano le sfere.
Questo è tutto ciò che so, ma credo sia abbastanza per metterti in allarme. Giumaho, le cose non possono andare avanti così. Qui si
rischia davvero che i saiyan si mettano l’uno contro
l’altro e a quel punto per Furipan sarebbe una
catastrofe. Il principe si sta comportando in modo strano e ho paura che…»
«Ho
capito, non c’è bisogno di aggiungere altro.»
«Giumaho, parla con tua figlia, ti scongiuro. Ha bisogno di
te! Quella ragazza sta brancolando nel buio da quando ha perso il tuo sostegno.
È forte, è vero, ma sta combattendo contro un nemico molto più grande di lei.
Non può farcela da sola.»
«Dunque,
per te i saiyan sono un nemico molto più grande di lei?»
«No,
Giumaho. Lo sono Goku e i sentimenti che tua figlia
prova nei suoi confronti.»
***
Era
già passato un giorno da quando Bulma lo aveva
implorato di avvertire Yamcha di stare alla larga dal
castello, ma lui ancora non era riuscito a trovarlo.
Crilin
era piuttosto frustrato: Napa il giorno prima gli
aveva ordinato di andare con lui alla ricerca di nuova forza-lavoro e il
giovane, per evitare grane, era stato costretto ad accettare. Egli era
convinto, comunque, di poter poi rintracciare l’amico senza problemi ma,
sfortunatamente, Yamcha aveva fatto perdere le sue tracce.
Forse
era meglio così: dopotutto, rivelargli che Bulma
aveva ricevuto l’ordine di ucciderlo non era una missione poi tanto
gratificante.
Già,
Bulma.
Più
Crilin pensava a lei e più si convinceva del fatto
che quella ragazza si fosse cacciata in un grosso guaio. Anzi, tutti erano in guai seri.
L’aveva
vista piangere coi suoi occhi, disperata e incredula. L’aveva vista soffrire
come una donna qualunque. Peccato che lei non fosse una delle tante: Bulma aveva un’intelligenza fuori dal comune, tanto fine e
spiazzante da poter mettere i piedi in testa a chiunque.
Tranne,
però, al principe dei saiyan.
Sembrava
proprio che, da quando aveva conosciuto Vegeta, la vita di Bulma
si fosse ridotta al solo lavoro, giorno e notte, con l’unico scopo di
compiacere il sovrano.
Perché
la sua amica si comportava così? Cosa le aveva fatto Vegeta?
L’idea
che la scienziata avesse perso la testa per il principe dei saiyan
gli faceva accapponare la pelle. Crilin, negli ultimi
tempi, si era avvicinato molto a lei e aveva capito più o meno di che pasta
fosse fatta. Insite nella scienziata c’erano mille contraddizioni: già il fatto
che potessero coesistere in un unico essere tanta bellezza e tanto intelletto
rendeva Bulma una persona tutt’altro che comune; poi
c’era la questione Yamcha. Per quanto Crilin volesse bene al suo compagno di squadra, proprio non
riusciva a capire cosa l’amico avesse in comune con la scienziata. Quei due,
ormai, stavano insieme da qualche anno e all’epoca del loro fidanzamento erano
entrambi adolescenti.
Evidentemente,
lo scorrere del tempo aveva plasmato molto di più Bulma
che non Yamcha.
L’aveva
cambiata; o, magari, aveva soltanto contribuito a tirar fuori la sua vera
personalità.
Oggettivamente
parlando, egli vedeva molto meglio la scienziata insieme al principe.
Per
quanto detestasse ammetterlo, Crilin non poteva di
certo fingere che il carisma di Vegeta passasse inosservato. Quell’uomo aveva
tutto: potere, ambizione, intelligenza, perseveranza.
Oh,
certo: era anche estremamente pericoloso; ma Bulma,
purtroppo per lei, non era tipa da lasciarsi intimidire da certe cose.
In
fondo, a Furipan ci era andata di sua spontanea
volontà e, sempre di sua spontanea volontà, ci era rimasta dopo aver saputo
dell’avverarsi della profezia.
A
preoccuparlo realmente erano gli ultimi segretissimi progetti ai quali Bulma stava lavorando. Vegeta, fino a quel momento, si era
sempre servito di Crilin come cavia ma, a quanto
pareva, il principe aveva deciso di estraniarlo dall’ultimo lavoro della
scienziata.
Perché?
Che cosa aveva in mente Vegeta?
Il
terrestre sapeva fin troppo bene che a corte c’erano dei problemi.
Era
chiaro: se Kakaroth aveva nascosto al suo principe le sfere del drago,
evidentemente il rapporto tra loro non doveva poi essere chissà quanto
idilliaco.
D’altra
parte, per quel che ne sapeva lui, Goku aveva conosciuto di persona gli altri saiyan soltanto dopo il loro arrivo sulla Terra. Quale
legame poteva esserci, dunque, fra di loro?
Probabilmente,
nessuno.
Un
fatto simile, però, era da considerarsi un bene o una male?
Non
sapeva perché, anche quel giorno, avesse deciso di recarsi al castello.
La
verità era che, ormai, quella era diventata la sua routine.
Certo,
ufficialmente non aveva più una mansione dato che Vegeta non voleva che
lavorasse con Bulma, però era chiaro che rimanere a
casa a poltrire non lo avrebbe gratificato un granché. E poi, vista la strana
situazione a corte, era comunque meglio non far arrabbiare troppo Vegeta.
Sicuramente,
gli avrebbe trovato qualche altro lavoro da svolgere e, con ogni probabilità,
avrebbe avuto la possibilità di studiare la situazione più da vicino.
L’unica
cosa che il ragazzo sperava era che il principe non lo scegliesse come braccio
destro di Napa.
La
ricerca di nuova forza-lavoro era andata a buon fine, secondo il punto di vista
dei saiyan, ma la verità era che, nei confronti degli
abitanti di Momo, era stata usata molta violenza.
Addirittura,
c’erano state due vittime.
Il
povero sindaco del villaggio era stato freddato dallo stesso Napa, mentre sua moglie era morta di crepacuore. I momotani avevano tentato di ribellarsi ma ciò non aveva
fatto altro che innescare ancora di più le ire del colosso d’élite. C’era poi il problema degli
alloggi. Il principe aveva deciso di stipare tutti i nuovi arrivati
nell’ospedale e nella scuola di Furipan, ma si
trattava comunque di più di seicento persone, e di per sé a Furipan
ce n’erano già più di mille.
Ciò
aveva costretto il principe a ordinare la deforestazione di una parte della
vallata e la costruzione di qualche edificio in più. In fondo, Vegeta non era
un idiota: sapeva che i terrestri avevano una resistenza fisica molto minore
rispetto a quella dei saiyan e, se non voleva che
morissero tutti di stenti nel giro di un mese, avrebbe dovuto procurare loro un
tetto sopra la testa e del cibo.
Sembrava
proprio che l’intenzione del principe fosse quella di stabilirsi
definitivamente sulla Terra.
Ma
perché?
Cosa
aveva trovato di così interessante il sovrano della stirpe guerriera più
potente della Galassia?
Ah,
certo; ogni tanto tendeva a dimenticare le preziosissime sfere del drago.
Peccato
che ora fossero scomparse per davvero.
Crilin
non aveva più saputo niente a riguardo. Dopo aver seguito Napa
al villaggio di Momo aveva completamente perso le tracce di Chichi
e Kakaroth.
Ovviamente,
il ragazzo sperava che la principessa e il suo protettore avessero rimesso le mani su quei prodigiosi oggetti.
Tuttavia,
chissà perché, la strana calma che si respirava fuori dal castello gli
suggeriva che le cose non stessero così.
Il
terrestre cacciò dalla mente tutti i pensieri fatti fino a quel momento e
decise di recarsi in palestra, dove sapeva che Chichi
e Kakaroth si allenavano tutti i giorni.
Crilin
aprì la porta con discrezione, temendo di assistere a qualche altro episodio
imbarazzante.
Ma
non fu così.
I
suoi timori circa l’iterarsi di un bacio tra i due ragazzi scomparvero quando
egli si accorse che all’interno della palestra c’era solamente Chichi.
La
principessa di Furipan era seduta a terra, in un
angolo, con lo sguardo appesantito da una nottata evidentemente insonne. Negli
ultimi tempi quella povera fanciulla faticava a trovare il tempo per chiudere
occhio e, se i sensi non lo ingannavano, le preoccupazioni della giovane
dovevano essersi accresciute ancora di più rispetto al giorno prima.
Evidentemente,
come aveva sospettato, le sfere del drago
ancora non erano state ritrovate.
«Ehi,
Chichi» sussurrò Crilin a
bassa voce.
«Ciao»
ribatté con tono spento la ragazza.
Era
chiaro: la principessa non stava bene per niente.
Il
furto delle sfere doveva averla buttata giù più del previsto e il fatto che Kakaroth non fosse lì gli suggeriva che la situazione fosse
più seria di quanto non avesse ipotizzato.
«Immagino… Immagino che non le abbiate ancora trovate.»
«Già.
Siamo nei guai, Crilin.»
«Dai,
non abbatterti! Non è ancora detta l’ultima parola. Finché gli altri saiyan non vengono a sapere della cosa, abbiamo tutto il
tempo per recuperarle.»
«Lo
sanno già.»
Il
cuore di Crilin perse un battito.
Cosa
aveva detto la sua amica?
Che
accidenti significava quel lo sanno già?
Chi lo
sapeva? E che cosa, esattamente?
«Come
sarebbe a dire, Chichi? Non può…»
«Sì,
invece. Mi dispiace tanto, davvero. La situazione mi è completamente sfuggita
di mano. Ho sbagliato tutto! Ho sbagliato a fidarmi di Goku, ho sbagliato a
restituire le sfere al Supremo, ho sbagliato a… Ho
sbagliato e basta.»
Le
lacrime che solcavano il viso della principessa erano tanto copiose quanto
fragili.
O
meglio, lei era fragile.
Per
la prima volta, Crilin poteva finalmente vedere coi
propri occhi cosa ci fosse dietro l’animo apparentemente guerriero della bella Chichi. In fondo, lei era una ragazza come tutte le altre:
dolce, apprensiva, umanamente soggetta alla mutevolezza delle emozioni. Peccato
che il destino le avesse donato in sorte una responsabilità forse più grande di
lei.
Essere
la custode delle sfere del drago
l’aveva relegata nella scomoda posizione di dover tutelare la salvaguardia dei
sui sudditi e di tutti i terrestri. Eppure, si chiedeva Crilin,
quanto effettivamente una ragazza tanto giovane poteva essere in grado di
assumersi una simile responsabilità?
Certo,
sicuramente lei aveva sbagliato; ma
l’errore più grande non l’aveva forse commesso colui che le aveva affidato un
simile compito già alla nascita?
Perché
il Supremo aveva osato tanto?
Cosa
aveva davvero in mente la divinità il cui dovere era quello di salvaguardare il
benessere del pianeta Terra?
«D’accordo,
ma non tormentarti in questo modo. Perché, invece, non mi spieghi che cosa è
successo?»
«Gok…Kakaroth è convinto che sia
stato Yamcha a prendere le sfere. Per questo, dopo
aver parlato con il Supremo, ha deciso di andarlo a cercare nella foresta di Furipan. Ovviamente, non ho avuto altra scelta se non
quella di seguirlo.»
«Yamcha?! Oh, andiamo. Io non credo affatto che lui c’entri
qualcosa.»
«Nemmeno
io, ma ragionare con quel saiyan è diventato
impossibile dopo che ha saputo del furto. Comunque, be’…
non è questa la parte peggiore.»
«Immagino.
Raccontami, allora. Che cosa è successo dopo?»
Chichi
si asciugò le ultime lacrime dal viso e si lasciò andare a un profondo sospiro.
«Bardack ci ha seguiti senza che ce ne accorgessimo e,
ovviamente, ora sa tutto.»
«Oh,
cavolo.»
Crilin
non riuscì a dire altro.
Era
chiaro: la situazione era precipitata in men che non
si dica e la cosa peggiore era che a scoprire il misfatto fosse stato proprio
il padre di Kakaroth.
Gran
bel guaio, quello!
Come
ne sarebbe uscito il giovane saiyan?
E
a chi avrebbe dato man forte?
«Già.
Tra l’altro, non ho più notizie di Gok… di Kakaroth da quando Bardack ci ha
ordinato di seguirlo al castello. So che hanno discusso da soli. In sala da
pranzo, per fortuna, quando siamo arrivati c’era soltanto Mamanu,
ma Bardack ha cacciato sia me che lei. Non so come
sia andata a finire la faccenda.»
«C’è
poco da fare, Chichi: bisogna trovare Goku.»
«Ha
azzerato la sua aura da almeno un paio d’ore. Non so dove sia, mi dispiace.»
«E
allora, parlerò con Bardack.»
La
principessa sgranò gli occhi dalla sorpresa.
Che
cosa aveva intenzione di fare il suo amico?!
No,
era fuori discussione! Lei non avrebbe permesso che Crilin
rischiasse la pelle per colpa sua. Era stata lei a perdere le sfere del drago e sempre lei aveva dato
al suo famigerato protettore più
fiducia di quanta non ne meritasse. La responsabilità era sua, non di Crilin.
«Scordatelo,
Crilin. Ci parlerò io.»
«Chichi, sei già abbastanza nei guai. Lascia fare a me, per
favore!»
«Al
massimo, ti concedo di accompagnarmi. Ma voglio risolvere io la situazione.
Sono io la responsabile, ricordatelo!»
«E
va bene. Allora, io direi che possiamo avviarci subito. È inutile perdere altro
tempo.»
***
Ce
l’aveva fatta e ciò che aveva compiuto era un vero e proprio miracolo.
Aveva
capito perfettamente cosa volesse il principe, nonostante quest’ultimo si fosse
guardato bene dal rivelarle cosa stesse cercando.
Magari,
non lo sapeva nemmeno lui.
A
Vegeta non interessava la Luna in sé,
ma le particolari onde che alcuni satelliti naturali erano in grado di
sprigionare. Aveva trascorso l’intera nottata a fare confronti tra la struttura
dell’ormai scomparsa luna terrestre e quella del pianeta d’origine dei saiyan, e aveva scoperto, con enorme sorpresa, che l’unica
cosa che avessero in comune fossero le cosiddette onde Bluetz.
Perché
costruire un satellite intero quando al principe bastavano solamente quelle?
In
questo modo, il suo lavoro si sarebbe semplificato notevolmente e lei avrebbe
potuto portare a termine il compito nel giro di un paio di giorni.
Certo,
costruire un macchinario in grado di produrre delle simili onde non era cosa da
niente, ma sicuramente sarebbe stato molto più semplice e meno dispendioso che
non mettere assieme un’intera luna.
Poteva
farcela! Anzi, doveva farcela; e
alcuni dei robot che aveva costruito per altri esperimenti potevano facilmente
essere adattati al nuovo progetto.
L’urlo
di gioia che la scienziata si lasciò sfuggire non passò inascoltato.
Il
principe era lì, dietro la porta di quel laboratorio da almeno due ore e aveva
assistito con estremo interesse e nel massimo silenzio al lavoro di Bulma.
In
realtà, era da quando aveva affidato alla scienziata quella mansione che Vegeta
la spiava.
Non
gli era sfuggito nulla: la disperazione iniziale di Bulma,
i suoi dubbi su cosa realmente il saiyan stesse
cercando, la telefonata con il padre.
Poco
importava che la precedente nottata l’avesse passata quasi completamente in
piedi: il principe della stirpe guerriera più potente dell’intero universo
necessitava di quella maledetta luna che, chissà come mai, non ruotava più
attorno all’orbita terrestre. Per la verità, egli aveva un sospetto circa la
misteriosa sparizione del satellite e immaginava che quest’ultima avesse a che
fare con la perdita della coda di Kakaroth.
Ma,
oramai, spremere il cervello per fare simili congetture non aveva più senso.
Quel
traditore molto presto avrebbe assaggiato l’ira del guerriero saiyan per eccellenza e sarebbe morto schiacciato sotto il
peso travolgente del principe trasformato nella creatura più devastante che
esistesse in natura.
Vegeta
si era accorto di tutto, ma aveva finto sapientemente di non aver notato i
movimenti del giorno prima. Certo, una mossa del genere avrebbe sicuramente
allarmato Bardack, ma egli conosceva il generale
meglio di chiunque altro ed era assolutamente certo che non avrebbe rinnegato
la stirpe dei saiyan in nome di un figlio tanto
insolente quanto vigliacco.
Rimaneva
il problema di scoprire dove fossero andate a finire le sfere del drago, ma a
quello avrebbe pensato dopo essersi liberato di Kakaroth.
Che fretta aveva, in fondo? Finché la principessina teneva la bocca tappata,
nessuno avrebbe potuto usare quegli oggetti.
Vegeta
sapeva anche quello, ovviamente.
Egli
aveva l’udito di una cane, la vista di un’aquila e l’astuzia di una volpe.
Aveva
intuito fin dall’inizio come mai l’eccentrica Chichi
fosse tenuta tanto in considerazione in quella corte e gli ci era voluto poco
per capire quanto Kakaroth fosse ormai sottomesso ai
voleri della ragazza. Evidentemente, quel fallito non era riuscito a farsi
rivelare il modo per utilizzare le sfere.
Stupido
incapace!
Avrebbe
potuto sottomettere quella donna in tutti i modi che voleva: poteva picchiarla
a sangue, minacciare di morte il padre o anche scoparsela e farsi dire tutto
con le buone; invece, si era lasciato imbambolare come un moccioso alle prime
armi dal carattere pepato di quell’insolente ragazzina e aveva finito per lasciare
a lei il controllo della situazione.
Peggio
per lui.
Vegeta
aveva temporeggiato anche troppo e, vista la situazione che si stava creando e
la crisi che quest’ultima aveva insinuato in Bardack,
sarebbe stato da sciocchi aspettare ancora chissà quanto. Prima si sarebbe
sbarazzato di Kakaroth e prima avrebbe costretto la
principessa di Furipan a collaborare.
Bulma,
nel frattempo, aveva portato a termine ciò che egli le aveva ordinato di fare.
Era
stata brillante, rapida, estremamente intuitiva e fottutamente geniale.
Da
dietro quella porta cigolante, Vegeta ghignava soddisfatto e ammirava con una
certa reverenza le mani di lei che, rapide, pigiavano sulla tastiera di un
computer di seconda mano. Incappare in quella donna era stata una delle più
grandi fortune che gli fossero capitate negli ultimi tempi. Di scienziati ne
aveva schiavizzati parecchi da quando aveva preso in mano le redini del suo
regno, ma mai gli era capitato di incontrare qualcuno dotato di tanta
perseveranza e di tanta intelligenza.
Bulma,
oltretutto, era una donna, una donna giovane e molto bella, dal fascino
tutt’altro che discreto. Si era accorto di come gli uomini la guardavano: che
fossero terrestri o saiyan, tutti avevano posato i
loro occhi sul viso candido della ragazza, sui suoi capelli dal colore tanto
esotico e sul suo corpo longilineo e ben proporzionato.
Valeva
davvero molto, quella donna; e a lui, tutto sommato, delle cure mozzafiato di Bulma importava solo relativamente: era il cervello della
scienziata a meritare ogni attenzione e lui, scelto dal destino per governare
il popolo più potente di tutti i tempi, voleva al suo fianco qualcuno che
potesse tornargli utile in qualche modo e che non si limitasse a scaldargli il
letto o a generargli un figlio.
Una
compagna, insomma; anzi, una regina.
Lui
che presto avrebbe rivendicato per sé il ruolo di legittimo sovrano del pianeta
Vegeta e che, al contempo, avrebbe ricevuto ufficialmente la corona paterna,
era pronto a condividere il potere con qualcuno che, tanto quanto lui, avrebbe saputo
accrescere la supremazia dei saiyan.
E,
fino a quel momento, Bulma era stata l’unica persona
in assoluto a stregarlo con le sue innate capacità intellettive.
Certo,
in quanto a forza fisica, la scienziata era davvero messa male.
Vegeta
sapeva che sarebbe bastato un semplice schiaffo da parte sua per mandarla
definitivamente all’altro mondo e sapeva anche che una donna tanto fragile
avrebbe avuto seri problemi a vivere su un pianeta dalla forza di gravità
elevata come quello da cui provenivano i saiyan; ma,
ne era certo, se Bulma era stata in grado di scovare
e riprodurre le onde Bluetz,
in qualche modo si sarebbe anche adattata alle caratteristiche del pianeta
Vegeta.
In
fondo, a lui non serviva affatto una compagna fisicamente forte: lui era potente abbastanza per sottomettere al proprio
volere qualunque essere circolante per l’Universo. Al principe serviva qualcuno
che sapesse valorizzare al meglio la potenza che egli aveva innata dentro di sé
e che potesse aiutarlo a moltiplicarla a dismisura.
Lei
poteva.
Lo
aveva già fatto, anzi. La camera gravitazionale che aveva costruito per lui ne
era una prova.
Solo
negli ultimi giorni, il principe aveva triplicato la sua forza e lo aveva fatto
proprio grazie ai marchingegni costruiti per lui dalla scienziata.
Sarebbe
stato da imbecilli lasciarsi sfuggire dalle mani una creatura del genere e lui
imbecille non lo era affatto. Certo, rimaneva il problema dell’erede legittimo
e di sangue puro che avrebbe dovuto, prima o poi, ereditare il suo regno, ma a
quello avrebbe pensato in un secondo momento, quando cioè sarebbe stato certo
che nessun altro al mondo avrebbe potuto ambire a spodestarlo.
Lui
non avrebbe fatto la fine di suo padre: non sarebbe stato tanto sciocco e
sprovveduto da farsi ammazzare a tradimento. Un eventuale erede avrebbe dovuto
sudarselo quel maledetto regno e lo avrebbe ottenuto solo dopo che lo scorrere
naturale del tempo avesse sottratto al futuro re dei saiyan
la vita.
Non
prima, di sicuro.
Non
per mano di un altro guerriero.
«Voltati,
Bulma.»
Il
cuore della scienziata perse un battito.
Nonostante,
oramai, dovesse già essere abituata all’ingresso silenzioso e repentino del saiyan nel suo laboratorio, ogni volta che sentiva la voce
del guerriero, il suo corpo cominciava a tremare.
Quel
dannato principe le faceva ancora quell’effetto e, probabilmente, glielo
avrebbe sempre fatto.
Lo
temeva e lo ammirava al tempo stesso.
Sapeva
di piacergli e aveva capito quanto Vegeta tenesse al suo preziosissimo
cervello. In fondo, aveva dimostrato appieno di meritare la sua fiducia. Aveva
vinto; anzi, aveva stravinto. Era
riuscita a dimostrare a sé stessa e all’uomo più potente dell’universo quali
fossero le sue reali capacità e quali limiti potesse superare una scienziata
del suo calibro.
Bulma
obbedì e rivolse il volto al saiyan.
Vegeta
aveva un’aria apparentemente indifferente: non sorrideva, non ghignava, non
ringhiava di rabbia.
Impassibile.
Forse
era appena arrivato e, magari, non sapeva che lei aveva appena trovato una
soluzione al problema luna.
«Ce
l’ho fatta. Credo di aver capito di cosa hai bisogno. Non è necessario portare
qui alcuna luna, Vegeta! Basta semplicemente riprodurre le onde Bluetz. Ci ho lavorato tutta la
notte e so per certo che sono l’unica cosa che accomuna il satellite naturale
della Terra al satellite naturale del tuo pianeta d’origine. È di queste che
hai bisogno, non è vero? Perché, se è così, tempo un paio di giorni e…»
«Sta’
zitta.»
Il
tono perentorio con cui Vegeta aveva proferito quelle parole fece tremare Bulma.
Lei
aveva paura del principe dei saiyan, nonostante ne
fosse intimamente affascinata. Sapeva, infatti, cosa quell’uomo fosse in grado
di fare ed era consapevole del fatto che farlo arrabbiare fosse una delle cose
più stupide che una persona potesse fare.
Lo
temeva e lo venerava.
Provava
nei suoi confronti quell’ammirazione che non credeva potesse davvero esistere.
Forse,
se fosse stata meno intelligente e razionale di quanto non fosse realmente, lo
avrebbe idolatrato; e la venerazione,
per quanto ne sapeva lei, portava anche a provare terrore nei confronti
dell’oggetto del desiderio.
«Scu… Scusa. Io volevo semplicemente…»
Vegeta
si avvicinò rapidamente a lei e le posò delicatamente un dito sopra le labbra,
lasciandola sgomenta e confusa.
Tutte
le incertezze che in quel momento leggeva tra le iridi azzurre della scienziata
lo stavano facendo divertire più di quanto non avesse immaginato.
Quanto
era debole quella donna!
Se
non fosse stata tanto intelligente, probabilmente nemmeno si sarebbe sporcato
personalmente le mani per farla fuori. Avrebbe delegato Napa,
come sempre, o qualche altro miserabile suddito.
Ma,
all’interno del cranio di quell’affascinante terrestre, pulsava uno dei
cervelli più laboriosi nel quale fosse mai incappato.
E,
alla fine, sarebbe stato suo.
A
qualunque costo.
«Lo
so. So benissimo cosa stavi dicendo. So anche come e quanto hai lavorato.»
Il
principe ritrasse l’indice dalle labbra della terrestre e le lanciò un ghigno
compiaciuto, sinceramente
compiaciuto.
«Un
paio di giorni e sarà tutto pronto. Posso iniziare subito: ho già in mano
quello che mi serve.»
«Quanta
fretta, Bulma. Comincerai più tardi, quando ti
chiederò di farlo.»
Vegeta
allungò una mano lungo il fianco della donna e la spinse ad alzarsi in piedi.
Gli
occhi di lei erano spalancati, molto più di quanto non fossero mai stati. Il
leggero tremolio delle membra della scienziata, che il principe avvertì
distintamente non appena sfiorò il suo corpo con una mano, ebbe il potere di
risvegliare i suoi sensi e di farlo eccitare.
Da
quanto tempo non si concedeva il lusso di possedere una donna?
Probabilmente
mesi e, oltretutto, nemmeno ricordava che faccia avesse la tizia in questione.
Per
lui le femmine erano poco più che oggetti per il sollazzo e, di fatto, mai gli
era capitato di avere delle mire diverse dal sesso su una donna.
Ma
Bulma doveva essere sua, a tutti gli effetti. Avrebbe dovuto marchiarla al più presto
prima che qualcun altro cercasse di metterle le mani addosso.
I
suoi sudditi dovevano capire fin dall’inizio che mai e poi mai avrebbero potuto
toccare quella donna, perché lui l’aveva scelta e soltanto lui avrebbe potuto
godere appieno delle sue grazie e della sua straordinaria intelligenza.
Senza
che nemmeno se ne rendesse conto, Bulma si trovò con
la schiena spiaccicata contro la parete. Se non fosse stata dannatamente
attratta dall’uomo che col suo corpo le impediva di divincolarsi da quella
posizione, la scienziata si sarebbe sentita in trappola.
Razionalmente,
in realtà, sapeva di esserlo; ma nelle iridi scure e profonde del principe dei saiyan non leggeva alcuna minaccia in quel momento. Magari,
ella era semplicemente abbagliata dal fascino magnetico di quello spietato
guerriero e ciò le impediva di far funzionare a dovere il cervello.
Poco
importava, in realtà.
Ogni
fibra del suo corpo reagiva al contatto con il principe dei saiyan
accelerando le vibrazioni e lei sentiva che stava per cedere alla lussuria.
Lo
voleva, e lo voleva più di ogni altra cosa al mondo.
Lo
voleva perché Vegeta era tutto: carisma, forza, bellezza, potere, mistero,
sensualità.
Lo
voleva perché era l’unico uomo che avesse mai dimostrato di anteporre la sua
intelligenza al bel fisico che aveva la scienziata e lo aveva dimostrato più
volte concedendole il lusso di sopravvivere e di lavorare per lui.
Sapeva
che tutto ciò era sbagliato.
Probabilmente,
tutto quel desiderio che provava nei confronti del principe non avrebbe portato
a nulla di buono se non alla sua morte certa.
Ma
voleva rischiare.
Lei
non amava le cose facili e cedere al volere di un uomo di quel calibro sarebbe
stato un enorme rischio. Vegeta avrebbe potuto farle qualunque cosa, anche
ucciderla dopo averla brutalmente seviziata; ma, ne era certa, lui aveva
bisogno di lei come di nessun altra creatura al mondo e, a prescindere da come
l’avrebbe fatta sua, non sarebbe mai stato capace di toglierle la vita.
Il
principe percorse lentamente il corpo della donna con le dita, risalendo dai
fianchi al seno, fino al collo e alle labbra. La carezza lasciva che aveva
lasciato sulla sua pelle fece tremare Bulma di
eccitazione. Il tocco dell’uomo era stato volutamente delicato e sensuale,
molto più di quanto avesse fantasticato in passato.
Ella
non oppose resistenza.
Lasciò
che il principe si avvicinasse con il viso alle sue labbra e che la baciasse
senza remore. Il contatto con la bocca di lui fece avvampare Bulma. Un attimo prima che le loro lingue si intrecciassero
in quel caldo contatto, la donna aveva temuto che Vegeta le facesse male, che
la costringesse a sottostare al suo volere con la forza, nonostante ella non
avesse avuto alcun bisogno di subire un sopruso per concedersi a colui di cui
sapeva di essere invaghita.
Ma
il saiyan l’aveva stupita, evitando di farle del male
e lasciandola libera di ricambiare quel bacio come avesse voluto.
Istintivamente,
Bulma portò i palmi delle mani sul petto di Vegeta.
Non voleva allontanarlo da lei, in realtà. Ciò che bramava era toccarlo, sentire sotto i polpastrelli
la consistenza dei muscoli del guerriero più potente dell’universo e deliziarsi
di quel corpo perfetto che l’uomo le stava in qualche modo concedendo.
Vegeta,
però, sciolse il bacio che li teneva legati e portò la terrestre a guardarlo
con timore.
Bulma
pensò immediatamente di aver osato troppo e ritrasse le mani.
«Scusami,
io non…»
«Tu
cosa, Bulma?» sussurrò divertito l’uomo, non
nascondendo una certa soddisfazione per averla indotta a spaventarsi.
«Vegeta,
che cosa… Che cosa stai facendo?»
La
scienziata si pentì immediatamente della domanda fatta e le risa del principe
le diedero conferma del fatto che avrebbe dovuto riflettere di più prima di
chiedere una simile stupidaggine.
Era
chiaro come il sole cosa Vegeta stesse facendo.
La
voleva, punto.
E
lei gli aveva anche fatto capire con gli spasmi del suo corpo che si sarebbe
concessa a lui senza remore.
Con
una mossa a lei impercettibile, il saiyan le strappò
la camicetta e la fece rimanere a petto seminudo e col reggiseno in vista. Poi
riprese a baciarla, prima sulle labbra e dopo sul collo, mentre una delle sue
mani si insinuava nei pantaloni di lei.
Come
l’uomo immaginava, tra le gambe la scienziata era già calda e umida.
Era
pronta ad accoglierlo, e lui non l’avrebbe fatta attendere ancora per molto.
Vegeta
la spinse a terra, permettendole di stare seduta, poi si scostò leggermente da
lei.
«Spogliati.»
Bulma
temporeggiò un istante, annaspando per l’eccitazione.
«Che
stai aspettando? Ti ho detto di spogliarti.»
La
scienziata aveva paura, di nuovo, e il tono perentorio di Vegeta l’aveva
riportata parzialmente coi piedi per terra.
Quell’essere
era pericoloso, dannatamente pericoloso, e probabilmente si stava servendo di
lei per sottomettere definitivamente i terrestri.
Perché,
però, non riusciva a dirgli di no?
Perché
sentiva il basso ventre pulsare impazzito nell’ammirare il principe che, a sua
volta, si stava denudando?
Ormai
era troppo tardi per tirarsi indietro e Bulma lo
sapeva bene.
Era
anche certa del fatto che probabilmente presto si sarebbe pentita di quel folle
gesto e avrebbe odiato sé stessa e la sua precaria forza di volontà.
Ma,
nonostante il suo raziocinio cercasse di farla tornare coi piedi per terra, il
suo cuore aveva deciso di non dargli ascolto e di obbedire all’ennesimo ordine
del principe.
In
fondo, gli aveva già donato una camera gravitazionale e le onde Bluetz; perché non concedergli anche
il suo corpo? Chissà se ne sarebbe rimasto altrettanto entusiasta.
I
due amanti erano nudi, l’uno di fronte all’altro, e Bulma
aveva finalmente la possibilità di toccare con mano ciò che ai suoi occhi
appariva come la perfezione.
Vegeta
si portò sopra di lei e la fece sua con un’unica, decisa spinta, concedendole
il diletto di una lussuria che mai in vita sua la donna aveva provato con altri
uomini.
Nemmeno
col suo fidanzato.
Il
pensiero di Yamcha scivolò via in fretta dalla sua
mente.
Non
voleva e non doveva pensare a lui in quel momento.
Lo
stava vigliaccamente tradendo e, nonostante si fosse resa conto ormai da tempo
di non amarlo più, l’idea di essersi comportata in modo meschino e riprovevole
la faceva sentire terribilmente in colpa.
Ma,
in quel momento, Vegeta stava godendo dentro di lei e Bulma,
nonostante fosse consapevole del grave errore che stava commettendo, non
desiderava altro che accompagnare il suo principe all’apice del piacere carnale
e deliziarsi tanto quanto lui di quell’amplesso focoso e irrazionale.
A
tutto il resto avrebbe pensato dopo, un dopo
che, sapeva, sarebbe comunque arrivato troppo in fretta.
Bulma
e Vegeta giacevano l’uno accanto all’altra.
La
donna era stanca, vinta non solo dall’amplesso che l’aveva vista coinvolta
insieme al principe dei saiyan, ma anche dalla
stanchezza accumulata negli ultimi giorni.
Da
quanto tempo non dormiva seriamente?
Forse,
da quando Vegeta aveva iniziato a pretendere da lei tutti quegli assurdi
marchingegni.
Guardava
il soffitto pericolante di quel laboratorio cupo e fatiscente.
In
quel momento, lo trovava decisamente interessante. D’altra parte, l’alternativa
sarebbe stata voltarsi verso Vegeta, e lei non era coraggiosa a tal punto da
volerlo fare.
In
fondo, ci aveva appena fatto sesso, nonostante fossero poco più che perfetti
sconosciuti.
Lui
oltretutto, mirava a schiavizzare la razza umana.
Gran
bella mossa davvero, quella di Bulma!
I
sensi di colpa stavano a poco a poco affiorando in lei, sostituendosi al
piacere dell’orgasmo appena raggiunto. Cosa avrebbe fatto da quel momento in
poi? E come avrebbe potuto togliersi dall’impaccio di essere l’amante del
principe dei saiyan?
Certo,
per quel che ne sapeva lei, Vegeta avrebbe anche potuto non cercarla più; ma
qualcosa le diceva che quello era solo l’inizio e che, nonostante quell’uomo
potesse avere ai suoi piedi tutte le donne del mondo, avrebbe di nuovo
reclamato il suo corpo e la sua mente.
Vegeta,
dal canto suo, non aveva proferito parola.
Il
principe era completamente immerso nelle sue riflessioni e quell’amplesso
l’aveva turbato più del previsto.
D’accordo,
egli non era di certo nato il giorno prima, e aveva immaginato che quella donna
avesse avuto già dei rapporti con altri uomini.
Ma,
dopo averci scopato, il suo dubbio era diventato certezza.
Con
chi diavolo era andata a letto Bulma?
Chi
si era permesso di violare prima di lui la scienziata?
Chiunque
fossero costoro, egli li avrebbe trovati e fatti fuori.
Il
telefono della scienziata prese in quel momento a squillare, ma Bulma era troppo stanca e pensierosa per alzarsi da lì e
andare a rispondere.
Tanto
più che era ancora completamente nuda e che, chissà perché, non aveva voglia di
mettersi in piedi in quello stato.
«Che
stai aspettando a far tacere quel dannato aggeggio, Bulma?»
«La
smetterà da solo quando si attiverà la segreteria.»
«E
correresti il rischio che io ascolti un messaggio per te?»
«Non
ho niente da nascondere, Vegeta.»
Era
vero: Bulma ormai aveva concesso al principe dei saiyan praticamente tutto ciò che aveva e, di sicuro, non
poteva esserci niente di più compromettente al mondo che fare sesso con lui.
Chiunque
ci fosse stato dall’altra parte della cornetta e qualunque cosa avesse detto,
lei non avrebbe dovuto preoccuparsene più di quanto avrebbe dovuto fare per la relazione
sessuale che aveva intrapreso con l’uomo più pericoloso e affascinante
dell’universo.
La
segreteria telefonica, però, si avviò per davvero.
Bulma, tesoro, sono papà! Volevo dirti
che sono riuscito a ultimare il radar cerca sfere e che a breve lo metterò in
funzione. In questo modo, potreste nascondere le sfere del drago prima
dell’arrivo dei malvagi e poi recuperarle senza difficoltà una volta sconfitti.
Che ne pensi? Fammi sapere al più presto così faccio un salto a Furipan e te lo porto. Salutami tanto Yamcha
e digli che, appena tornate a casa, è invitato a cena. Buona giornata, mia
cara! Ti mando un bacione.
Bulma
prese a tremare vistosamente.
Era
fottuta.
In
mezzo al trambusto degli ultimi giorni aveva completamente dimenticato il
progetto di suo padre di costruire un aggeggio in grado di captare le
vibrazioni elettriche sprigionate dalle sfere
del drago. E Vegeta aveva ascoltato tutto.
Per
la prima volta da quando era terminato l’amplesso, la scienziata si voltò verso
il saiyan.
Vegeta
ghignava divertito.
Era
fatta. Presto avrebbe messo definitivamente le mani sugli oggetti da lui tanto
bramati e, ancora una volta, doveva ringraziare la terrestre.
«Vegeta,
per favore…»
«Vestiti,
avanti. Dobbiamo andare a far visita a tuo padre.»
CONTINUA
Angolo dell’autrice
Ciao
a tutti! In questo capitolo mi sono dilungata un po’ troppo, lo so, ma il
concretizzarsi della relazione tra Bulma e Vegeta mi
ha fatto prendere la mano.
Non
ho molto da dire se non che spero che questa svolta abbia compensato bene i
digiuni di amoreggiamento nei precedenti capitoli. Presto arriverà anche il
turno di tutti gli altri protagonisti.
Qui
si è rivista anche un po’ di azione.
Nel
prossimo capitolo, Chichi e Crilin
andranno a cercare Bardack e tornerà in scena anche Kakaroth. Spero che lo aspetterete con curiosità e che non
deluda le vostre aspettative.
Intanto,
vi saluto e vi auguro una buonissima giornata.
Convincere
Chichi a concedersi prima una sana colazione non era
stato affatto semplice.
La
ragazza aveva una fretta tremenda di parlare con Bardack
e di scoprire cosa ne fosse stato di Kakaroth. Crilin non aveva avuto il coraggio di toccare l’argomento,
ma sapeva perfettamente che la sua amica era innamorata di lui.
Li
aveva visti baciarsi e aveva anche colto negli occhi della ragazza un profondo
imbarazzo.
Ella,
però, non sembrava intenzionata ad aprire quel discorso, e il modo in cui stava
non troppo magistralmente evitando l’argomento aveva fatto capire al giovane
guerriero che era meglio farsi gli affari propri.
Chichi,
comunque, non aveva mangiato un granché quella mattina.
Mamanu
aveva lasciato sul tavolo della sala da pranzo il ben di dio, come tutti gli
altri giorni, ma sembrava che nessuno avesse fatto gli onori alla cuoca facendo
colazione.
Era
strano, in effetti; al ragazzo, però, non pareva proprio il caso di andarsi a
preoccupare anche dell’appetito dei residenti a corte: in fondo, aveva già
parecchi problemi da risolvere e, se non avesse provveduto in fretta ad
affrontarli, forse per Furipan sarebbero davvero
iniziati i guai.
«Avanti,
andiamo.»
«Chichi, per favore. Rilassati un attimo! Dammi il tempo di
bere un po’ di succo di arancia!»
La
ragazza saettò in piedi, ignorando la supplica dell’amico.
«Lo
berrai dopo. Dobbiamo parlare con Bardack prima che
se ne vada.»
«Non
andrà da nessuna parte. È il guerriero più forte dopo Vegeta e sicuramente
rimarrà a guardia del palazzo per verificare che non ci siano strani
movimenti.»
«Eppure,
mi pare che ieri, invece che starsene qui, abbia seguito me e Goku.»
Crilin
sospirò sconfortato.
La
sua amica, ormai, aveva perso il lume della ragione e, tutto sommato, ciò che
le stava accadendo era anche comprensibile. Lui per primo sapeva che bisognava
parlare faccia a faccia con Bardack per capire quali
intenzioni avesse, ma, chissà perché, cominciava ad avere la sensazione che non
sarebbe stata una buona idea presentarsi da lui di soprassalto.
A
Crilin, il generale di terza classe incuteva un certo
timore reverenziale.
Lo
ammirava per la discrezione, la forza fisica, l’intelligenza che aveva
dimostrato di avere fin da quando aveva messo piede sulla Terra.
Era
un uomo di grande equilibrio, oltre che un fenomenale guerriero e il suo modo
di muoversi e di parlare lasciavano trasparire un’enorme fiducia in sé stesso.
In
un certo senso, l’allievo di Muten era molto curioso
di vedere come Bardack avesse preso la notizia del
tradimento del figlio. Egli era la seconda personalità in ordine di importanza
nella corte dei saiyan – anche se, almeno
ufficialmente, tale ruolo spettava a Napa – e di
sicuro il comportamento del figlio aveva messo in crisi anche la sua posizione
nei confronti di Vegeta.
Crilin
non sapeva esattamente cosa avrebbe voluto dirgli.
Da
qualche minuto, non faceva che pensarci, ma, per quanto si sforzasse, i timori
che aveva nei riguardi del generale gli impedivano di concentrarsi sui suoi
ragionamenti.
L’idea
più sensata sarebbe stata quella di chiedere indulgenza per tutti i guai
provocati e assicurare a Bardack che presto avrebbero
rimesso le mani sulle sfere del drago.
Già,
ma a che pro?
In
fondo, anche il padre di Kakaroth mirava a
recuperarle, ma non di certo per preservarle dalla bramosia dei saiyan. Lui stesso apparteneva a quella razza ed era anche
una delle personalità più in vista della corte reale.
Forse,
la cosa più saggia da fare sarebbe stata semplicemente tastare il terreno e
cercare di capire se Bardack sapesse che fine avesse
fatto suo figlio. Crilin sapeva che il giovane saiyan sospettava di Yamcha, ma
non aveva idea di dove fosse andato a cercarlo.
Come
poteva, però, sperare che il generale gli rivelasse davvero le intenzioni di
Goku?
Per
la verità, era addirittura probabile che il saiyan
fosse fuori di sé dalla rabbia e che avrebbe ucciso all’istante sia lui che Chichi non appena li avesse scorti nei suoi paraggi.
La
principessa, però, ne frattempo si era alzata e, da sola, si stava avviando
fuori dalla stanza.
«Ehi,
aspetta! Dove stai andando così di corsa!»
«Lo
sai dove sto andando. Vuoi aiutarmi oppure no a cercare Bardack?»
«E
va bene, ma fai andare avanti me. È più sicuro!»
«Quante
storie! Tanto, se vuole farmi fuori, lo farà con o senza di te.»
Crilin
abbassò la testa sconsolato e si apprestò a superare la ragazza.
Ora
capiva perché Kakaroth si era innamorato di lei: la
bella principessina aveva la testa più dura di quella di un saiyan.
***
«Bardack, per favore, vuoi spiegarmi che cosa è successo?»
Lo
sguardo fulminante che ricevette in risposta avrebbe terrorizzato chiunque, ma
non Mamanu. La donna aveva passato gran parte della
mattinata a cercare di risvegliare nel marito un briciolo di senso di responsabilità
nei confronti di Furipan e della figlia, e ora, con
coraggio, stava affrontando il generale Bardack.
Ella
non lo temeva più di quanto non avesse paura di un moscerino.
La
paura di perdere la vita non l’aveva mai scalfita da quando erano arrivati i saiyan e, tutto sommato, l’idea di sacrificarsi per le
sorti di una terra alla quale si era ormai affezionata non le pareva così fuori
luogo.
Era
vero: nel frattempo, la moglie di Giumaho aveva
finito col perdere la testa per quell’uomo estremamente affascinante e
carismatico al quale ora stava cercando di carpire qualche informazione; ma ciò
non toglieva affatto che lei avrebbe in ogni modo cercato di mantenere gli
animi il più possibile sedati.
Il
fatto, poi, di sapere effettivamente dove fossero finite le sfere del drago la metteva in una
posizione scomoda e, al contempo, privilegiata. Se fosse riuscita a rientrarne
in possesso prima che Kakaroth o Chichi
intuissero davvero chi fosse il colpevole, forse avrebbe potuto placare un poco
la situazione.
Già;
ma come avrebbe giustificato di fronte ai saiyan e a
suo marito il fatto che lei sapesse?
Avrebbe
potuto dire la verità, certo, e confessare come Tensinhan
l’avesse messa a conoscenza del suo piano; eppure, era assolutamente certa che
nessuno – la principessa in primis –
le avrebbe creduto.
Però,
magari, Bardack qualche titubanza in merito l’avrebbe
avuta.
Anche
se il loro rapporto non era andato molto oltre il sesso, Mamanu
sapeva quanto il generale fosse astuto e intuitivo. In fondo, se egli l’aveva
risparmiata, era proprio perché conosceva la sua grande affabilità e perché la
riteneva l’unica in grado di controllare gli abitanti di Furipan
con le buone. Forse, lui sarebbe stato l’unico a non mettere la mano sul fuoco
circa la colpevolezza della donna.
Forse.
Ultimamente,
però, Mamanu tendeva sempre meno a fidarsi del
proprio istinto.
I
sensi di colpa per il tradimento nei confronti di Giumaho
e il sapere che Kakaroth avesse scoperto tutto,
l’avevano non poco destabilizzata. Anche se, in apparenza, ella stava cercando
il più possibile di mantenere una parvenza di controllo, la bella Mamanu sapeva benissimo che la razionalità che l’aveva
contraddistinta fino a pochi giorni prima stava pian piano lasciando il posto
al ben più pericoloso istinto.
In
fondo, l’idea di recarsi da Bardack denotava proprio
una certa carenza di lucidità.
Si
era intrufolata nella sua stanza da letto come faceva praticamente ogni notte
ma, invece che trovarlo accoccolato sul materasso, lo aveva visto in piedi,
affacciato alla finestra, con i gomiti poggiati sul davanzale.
Era
furioso, ma anche pensieroso.
Nonostante
si fosse accorto certamente della sua presenza, non l’aveva cacciata via, né,
però, le aveva dato la soddisfazione di guardarla in faccia più di mezzo
secondo.
Mamanu
sapeva di essere per lui solo un sollazzo. Non si era mai illusa davvero che il
potente generale di terza classe perdesse la testa per lei e, probabilmente,
nemmeno avrebbe saputo reagire con raziocinio a un ipotetico evento del genere.
Tuttavia,
il modo in cui la stava ignorando la infastidiva parecchio. Egli non sembrava
intenzionato a prestarle ascolto, rapito da chissà quali elucubrazioni mentali,
e pareva proprio che Mamanu stesse sprecando il fiato
per parlare con i muri.
«Insomma,
Bardack, non credo di meritare un simile
atteggiamento da parte tua. So che è successo qualcosa. Ti prego, vuoi dirmi di
che cosa si tratta? Sai che posso darti una mano, nei limiti delle mie
possibilità.»
Il
guerriero si voltò lentamente verso di lei, per poi tornare a guardare fuori
dalla finestra dopo pochissimi istanti.
«Sono
convinto anch’io di ciò che dici, Mamanu; ma, chissà
perché, credo che tu sia implicata in questa faccenda più di quanto non voglia
farmi credere.»
Le
parole del guerriero giunsero taglienti alle orecchie della donna.
La
sua era un’accusa senza mezzi termini, l’espressione palese della sua totale
mancanza di fiducia in lei. La cosa peggiore era che Bardack,
tutto sommato, aveva anche ragione, e l’idea di essere stata in qualche modo
scoperta la stava facendo tremare di paura.
Paura di perderlo.
Dal
canto suo, Bardack sapeva di aver azzardato troppo.
Il
generale non aveva mai davvero dubitato della buona fede della sua amante, ma,
al contempo, aveva imparato a conoscerla bene e aveva capito che se c’era
qualcuno a Furipan in grado di smascherare i
tranelli, quel qualcuno era proprio Mamanu.
Voleva
metterla alle strette e aveva dovuto anche farlo in fretta.
In
fondo, il ruolo strategico che ricopriva la moglie di Giumaho
aveva fatto comodo a tutti, a Vegeta in
primis, e se davvero quella donna era riuscita a controllare tanto bene la
popolazione di Furipan, era assolutamente probabile
che ciò fosse avvenuto perché la gente aveva fiducia in lei.
Qualche
imbecille doveva pur aver parlato!
Possibile
che le sfere del drago fossero
sparite nel nulla senza che qualcuno avesse informato anche indirettamente i
governanti di Furipan della loro scomparsa?
Se
la risposta fosse stata sì, allora i
colpevoli potevano essere soltanto Chichi e suo
figlio oppure qualche altro saiyan; ma i suoi
commilitoni non sapevano assolutamente come fossero fatte le sfere del drago e, con molta probabilità,
nemmeno ne avevano mai sentito parlare.
A
parte Napa, ovviamente.
Ma
lui – e Bardack di ciò era certo – non si sarebbe mai
messo contro Vegeta.
Per
questo era necessario obbligare Mamanu a parlare.
Il
generale sapeva che quella donna aveva a cuore molto di più la sorte di Furipan che non gli interessi del suo amante; ma, se fino
al giorno prima di ciò gli importava poco o nulla, ora la situazione era
precipitata in maniera inaspettata e la moglie di Giumaho,
volente o nolente, avrebbe dovuto contribuire a tirare fuori dai guai sia lui
che Kakaroth.
In
fondo, era in gioco anche l’incolumità di Chichi.
D’accordo,
quella ragazza non era sua figlia ma, per quanto tra le due donne il rapporto
non fosse proprio idilliaco, Bardack sapeva che Mamanu si era affezionata a lei.
«Allora,
Mamanu, non hai nulla da dire?»
Finalmente,
Bardack si era preso la briga di voltarsi sul serio.
Avere
gli occhi di quell’uomo puntati contro le sue iridi non le faceva poi così
male. Si era abituata al suo sguardo feroce e dannatamente razionale e, forse,
erano stati proprio quegli occhi a farla innamorare.
Innamorare?
Per
un istante, Mamanu si sorprese dello strano pensiero
che le era balenato in testa.
Mai,
prima di allora, aveva ammesso con sé stessa di provare qualcosa di forte nei
confronti del suo amante, e l’idea di averlo fatto proprio nell’unico momento
in cui Bardack stava mettendo in discussione la sua
buona fede le fece tremare impercettibilmente le membra.
Lei
non voleva perderlo.
Avrebbe
rinunciato a tutto, anche a quella felicità che il destino le aveva concesso
facendo piombare il generale Bardack nella sua vita;
ma mai avrebbe voluto perdere l’uomo che aveva risvegliato in lei il senso di
libertà. A costo di farsi del male, a costo di subire le ire del saiyan, lei avrebbe fatto di tutto per tenerselo stretto.
Lo
amava, anche se ancora non si sarebbe azzardata ad ammetterlo, e se il prezzo
da pagare fosse stato la perdita della sua incolumità, Mamanu
sarebbe stata ben felice di pagarlo.
Ma
dirgli la verità, no; questo non l’avrebbe fatto mai e poi mai.
Il
rischio era troppo grande e la donna, per quanto amasse Bardack,
non poteva svendere sé stessa e tradire la fiducia che Giumaho
aveva riposto in lei. Con quale coraggio avrebbe potuto farlo? Suo marito le
era sempre stato vicino.
Sempre.
Non
l’aveva mai maltrattata, non l’aveva mai costretta a fare da madre a Chichi, non l’aveva mai implicata volutamente in faccende
più grandi di lei.
In
queste ultime ci si era messa da sola.
I
risultati, tra l’altro, si stavano rivelando pessimi.
«No,
Bardack. Non finché non mi spiegherai esattamente
cosa vuoi che ti dica.»
«Semplicemente,
dove sono le sfere del drago.»
«E
perché dovrei saperlo?»
«Non
insultare la mia intelligenza, Mamanu. A meno che tu
non voglia passare all’altro mondo in anticipo.»
Nel
pronunciare la sua minaccia, Bardack si era
avvicinato a lei di parecchio.
Il
modo in cui l’uomo le si era parato davanti e lo sguardo fiero e rovente che
stava mostrando erano gli stessi che il generale assumeva quando pretendeva del
sesso da lei.
Trovarselo
davanti a quella distanza faceva
male: Mamanu sentiva la sua lucidità venir meno e
aveva la sensazione che il generale stesse volutamente cercando di farla
vacillare.
Oppure,
per quell’uomo minacciare e fare l’amore erano più o meno la stessa cosa.
La
donna si ritrovò inconsapevolmente a pensare che la seconda ipotesi le faceva
più paura della prima. Se mai, prima di allora, aveva rimuginato a fondo su
cosa significasse per Bardack la loro relazione, in
quel momento capì di essere stata fottutamente ingenuae poco avveduta.
D’accordo,
lei sapeva benissimo che il generale non l’amava e che, probabilmente, mai
avrebbe nutrito nei suoi confronti un sentimento più forte dell’indifferenza;
ma, da donna adulta e matura quale sarebbe dovuta essere, quanto meno avrebbe
dovuto riflettere di più prima di concedersi a lui con tanta facilità.
Per
la prima volta da quando aveva intrapreso quella relazione sessuale, Mamanu cominciava a pensare di aver gestito molto male la
situazione. In fondo, lui era un saiyan e lei la
moglie di Giumaho; possibile che fosse stata davvero
così stupida da non rifletterci prima?
E
perché mai, nonostante tutto, ella desiderava con tutta sé stessa che quella
dannata tresca non finisse?
Mamanu
sfidò Bardack per l’ennesima volta da quando si erano
conosciuti.
Si
avvicinò ulteriormente a lui, anticipando ciò che l’uomo aveva in mente di
fare. Lei non aveva paura del male che Bardack
avrebbe potuto farle: lei temeva soltanto di perderlo e, in un modo o
nell’altro, avrebbe impedito che ciò accadesse davvero.
Ma,
sulle sfere del drago, doveva
temporeggiare.
«Sei
arrivato al punto di minacciarmi di morte, generale?
E cosa farai dopo avermi uccisa? Non risolverai di certo il tuo problema.»
«Questo
lo so benissimo; ma non lo risolverò nemmeno qualora tu decidessi di tenere la
bocca chiusa. E allora, tanto vale che ti tolga di mezzo. Mi saresti solo
d’intralcio.»
L’espressione
di Mamanu, dopo aver udito quelle parole, era
impassibile.
Eppure,
Bardack sapeva benissimo di averla ferita. Egli aveva
imparato a interpretare i più impercettibili cambi di umore della donna e
sapeva che un silenzio da parte sua che durasse più di due secondi stava a
significare turbamento. Ma, purtroppo
per lei, ella era davvero troppo orgogliosa per poterlo ammettere.
Era
incredibile quanto poco Mamanu si rendesse conto di
essere forte.
Nessuno
prima di lei, uomo o donna che fosse, aveva sostenuto con tanta padronanza di
sé lo sguardo minaccioso di Bardack. E la scusa che
ella non avesse nulla da perdere nemmeno reggeva più di tanto. Mamanu aveva un regno tra le mani, oltre alla sorte degli
abitanti di Furipan sulla coscienza, e, per quanto la
donna si autodefinisse impotente rispetto ai legittimi governanti del regno,
lei stessa sapeva benissimo che in realtà le cose stavano in tutt’altro modo.
E
poi, rischiava di perdere lui.
Il
saiyan era cosciente di aver fatto in qualche modo
breccia nel cuore della bella terrestre. Quella sciocca si era innamorata con
estrema facilità, come se fosse la cosa più scontata del mondo. Egli, tutto
sommato, non si era mai soffermato troppo sulla questione. Sapeva come andavano
certe cose: perdere la testa per qualcuno che sembrava avere tutto ciò che si
desiderava per sé stessi era una delle cose più semplici del mondo. Anche a lui
era capitato da ragazzino, quando, ancora troppo giovane e debole, non poteva
far altro che limitarsi a guardare come i saiyan
adulti trascinavano nei corridoi delle basi militari le loro puttane.
Quante
volte si era ritrovato a credere di amare una di queste?
E
quale soddisfazione aveva provato quando, diventato il guerriero eccezionale
che era, le donne che aveva sempre bramato gli si erano concesse con onore?
Ma
tutto quell’ardore, tutta quella fame di attenzioni erano solo un’illusoria
distrazione.
L’amore
non era fatto per albergare nei sentimenti dei guerrieri come lui e, a riprova
di ciò, si era sempre spento nel giro di pochi giorni, ammesso che lo avesse
mai davvero provato.
Mamanu,
purtroppo per lui, stava durando un po’ troppo.
Avrebbe
dovuto sbarazzarsi di lei molto prima e rinunciare al suo corpo prima che
quest’ultimo diventasse un’ossessione. Sebbene egli riuscisse perfettamente a
non darlo a vedere, sapeva che ormai era troppo tardi, che quella donna si era
insinuata nella sua anima in maniera troppo profonda e che ormai aveva già
piantato le radici nel suo cuore.
La
amava?
No,
questo no.
Mai!
I
saiyan non potevano amare se non per pochi istanti e
nei momenti di debolezza.
Eppure,
quella maledetta terrestre riusciva a far vibrare i muscoli del suo corpo come
mai nessun’altra donna era riuscita a fare, nemmeno la madre dei suoi figli.
«Tu
non lo farai, Bardack.»
Mamanu
stava osando tanto, troppo.
Per
la prima volta in vita sua, aveva deciso di lottare per qualcosa e contro
qualcuno.
Peccato
che quel qualcuno fosse un pericoloso
guerriero e che, oltretutto, lei ne era innamorata.
La
donna si ritrovò a credere che, evidentemente, il destino per lei non aveva
previsto la felicità. E se davvero le cose stavano così, ella avrebbe
affrontato a testa alta anche il fato.
«Ah,
no?»
Bardack
le mise la mani al collo.
Temporeggiò
qualche secondo prima di decidere cosa fare esattamente.
Avrebbe
dovuto strangolarla senza pensarci troppo; invece preferì spingerla a letto e
poi sovrastare il corpo della donna con il suo.
I
loro occhi erano a pochi centimetri di distanza l’uno dall’altro, e lo erano anche
le loro bocche.
Come
ogni volta, ogni fottuta volta, avere quella donna inerme sotto di sé lo stava
facendo eccitare. Bardack sentiva la sua erezione
crescere e avvertiva gli spasmi del cuore di Mamanu.
«Non
sfidarmi, sciocca. Ti farai male, dovresti saperlo.»
In
risposta, la donna portò le mani tra i capelli del guerriero e sorrise beffarda
all’ennesima minaccia del saiyan. Era quello che
voleva.
Bardack
era ciò che ella aveva sempre desiderato e, nonostante sapesse quanto quella
relazione fosse rischiosa per la sua incolumità, lei sarebbe andata fino in
fondo e avrebbe risolto tutto, anche la faccenda delle sfere del drago.
Sì,
ce l’avrebbe fatta, in un modo o
nell’altro.
«Non
ho paura di ciò che potresti farmi, Bardack. Ho paura
di perderti.»
Quelle
parole fecero impercettibilmente sussultare il guerriero.
Alla
fine, Mamanu ci era riuscita. La bella terrestre
aveva tirato fuori completamente tutto il suo spregiudicato coraggio e aveva
anteposto, forse per la prima volta in vita sua, i propri sentimenti alla
discrezione.
Gli
aveva lasciato una dichiarazione in piena regola e lo aveva fatto pur sapendo
il rischio che avrebbe potuto correre.
Di
sicuro, lei era la donna più coraggiosa con cui avesse mai fatto sesso; peccato
che ella stessa non se ne rendesse conto. Come avrebbe dovuto reagire il
generale a quelle parole?
Bardack
era consapevole di essere un uomo interessante agli occhi di una donna. Egli
non era un idiota e sapeva che la sua figura suscitava fantasie erotiche in
tantissime femmine. Che qualcuna, però, osasse dirgli apertamente di volerlo non era mai capitato.
Quale
pazza avrebbe azzardato tanto?
Nella
società da cui egli proveniva non funzionava di certo così. Le donne non
dovevano permettersi il lusso di esternare i loro sogni proibiti poiché il loro
compito non era quello di realizzarsi come persone ma soltanto sfornare dei
marmocchi.
Tutt’al
più, se se la cavano discretamente, potevano ambire a intraprendere una
carriera militare di buon livello. Ma, quello di perdere un uomo era un rischio che avrebbero dovuto correre sempre
e solo tenendo la bocca tappata.
Chi
era Mamanu per permettersi di dire una cosa del
genere senza subirne le conseguenze?
Ovviamente
– e questo Bardack lo sapeva benissimo – colei che,
con le proprie abilità oratorie, avrebbe tolto dai guai sia lui che Kakaroth.
Il
generale non rispose alle parole di Mamanu.
Si
limitò a chiudere gli occhi per qualche istante e a sospirare, quasi
rassegnato.
Ella,
nel frattempo, aveva preso ad accarezzargli la testa e, pian piano, era
scivolata con le mani lungo il suo petto.
Voleva
denudarlo.
Voleva
che lui la possedesse.
Di
nuovo.
Come
sempre.
Voleva
sentire dentro di sé il calore del suo membro e voleva provare per l’ennesima volta
l’ebbrezza di essere violata dall’uomo più potente e affascinante che avesse
mai incontrato.
Egli
avrebbe dovuto alzarsi da lì e lasciarla in balia di sé stessa e dei suoi
malsani propositi. Cedere ai desideri di quella donna avrebbe significato sottomettersi
a lei. I saiyan non facevano sesso per soddisfare le
loro donne: no; loro lo facevano per sé stessi, solo ed esclusivamente per sé
stessi.
Eppure,
il richiamo di Mamanu era troppo forte e la sua
mente, tanto quanto il suo corpo, bramavano di possederla.
«Non
vuoi, Bardack? Perché non…»
«Sta’
zitta.»
Con
una falcata, il saiyan tirò via alla sua amante la
veste che portava indosso e immediatamente si fiondò sulla bocca di lei.
Baciarla gli piaceva, così come apprezzava le carezze di Mamanu
e i tentativi di lei di privarlo della sua divisa da combattimento.
Dovette
aiutarla, ovviamente.
Il
guerriero sciolse il bacio che li teneva avvinghiati e si spogliò degli abiti
che portava.
Poi
la afferrò per il bacino, le tolse gli indumenti intimi e la portò sopra di sé,
lasciandole per la prima volta la possibilità di condurre il gioco.
Quella
mossa l’aveva spiazzata.
Lei
non era abituata a stare sopra e mai
si sarebbe aspettata che Bardack le concedesse una
cosa del genere, fiero e dominatore com’era.
Lo
sguardo sgomento della donna fece ridere di gusto il saiyan.
«Che
c’è? Non dirmi che adesso non sai cosa fare! Mi deludi, Mamanu»
Ella
rispose con uno sguardo stizzito.
Bardack
era seduto sul letto e lei era a cavallo delle sue gambe. Guardava con ammirazione
e un briciolo di rabbia lo sguardo strafottente che il saiyan
le stava elargendo.
Lo
amava – e quanto lo amava! – e in quel dannato momento, nonostante la
provocazione dell’uomo, ella avrebbe fatto di tutto pur di non lasciarsi
sfuggire l’occasione di fare sesso con lui e, soprattutto, di farlo da un’altra
prospettiva.
Seguì
il suo istinto e si posizionò in modo da accogliere dentro di sé il membro
dell’uomo. Costui sorrise di rimando.
«Non
sono una che si tira indietro di fronte alle sfide, sappilo.»
«Già»
sussurrò il saiyan all’orecchio della donna «peccato
che tu abbia cominciato a farlo troppo tardi.»
Mamanu
si muoveva sopra il suo amante con un certa disinvoltura, nonostante quell’insolita
posizione la mettesse piuttosto in imbarazzo. Non le era mai capitato prima di
allora di condurre il gioco. Non lo
aveva mai fatto né con Bardack, né con gli altri
uomini che aveva avuto.
Era
questo che il guerriero voleva da lei?
Il
generale le stava implicitamente chiedendo di prendere definitivamente in mano
la situazione?
Ella
non volle rimuginare più di tanto su quei pensieri, preferendo abbandonarsi
completamente ai baci e alle carezze che Bardack le
stava concedendo.
Paradossalmente,
sebbene avesse dovuto temerle, ella si sentiva protetta tra le calde braccia di
Bardack e in quel momento aveva quasi la certezza che
quel saiyan fosse la cosa più bella mai capitatale in
vita sua.
Ma
l’uomo, improvvisamente, sgranò gli occhi, smise di baciarla e la staccò di
forza dal suo corpo scaraventandola sul letto.
«Rivestiti
immediatamente.»
«Cosa…Bardack, io non…»
«Rivestiti,
ho detto! Fa’ in fretta» proferì il guerriero mentre, a sua volta si sbrigò a
recuperare la propria divisa.
«Ma
che cosa… Che cosa ho fatto, Bard…»
In
quel momento, Mamanu li sentì.
Erano
dei passi, fuori dalla sua stanza.
Qualcuno
stava percorrendo il corridoio e aveva tutta l’aria di dirigersi verso la
camera del generale.
***
«Chichi, è una pessima idea, credimi.»
«Piantala,
stai iniziando a diventare noioso!»
«Ragiona,
accidenti! Non puoi fiondarti nella sua stanza! Insomma, se qualcuno entrasse
nella tua senza preavviso…»
«Non
mi pare che questa sia la situazione adatta per farsi venire qualche scrupolo, Crilin.»
La
principessa stava camminando a passo svelto verso il suo obiettivo.
Avevano
cercato in tutto il palazzo, ma di Bardack non c’era
traccia. Dove poteva essersi cacciato il padre di Kakaroth?
Possibile
che avesse davvero lasciato la corte?
Chichi,
per la verità, non si sarebbe stupita affatto di una cosa del genere: per
quanto ne sapeva lei, era molto probabile che il generale avesse deciso, anche
indirettamente, di dare una mano a Goku nella ricerca delle sfere del drago.
In
fondo, in due avrebbero avuto maggiori probabilità di trovarle.
Tuttavia,
c’era ancora un luogo in cui i due terrestri non avevano controllato, e quel
luogo era la camera del saiyan. A Chichi,
in realtà, pareva strano che l’uomo stesse ancora oziando lì dentro; tuttavia,
prima di andarlo a cercare altrove, sarebbe stato meglio perlustrare per bene
tutte le stanze.
Compresa
la sua.
Crilin,
dal canto suo, aveva tentato con ogni mezzo di fermarla.
Sarebbe
stata una catastrofe se la sua amica avesse davvero aperto quella porta.
Ormai
erano lì, a pochi passi dalla meta della ragazza, e più il povero Crilin cercava di dissuaderla dal proseguire, più la
principessa accelerava il passo.
Gran
bel guaio, quello.
Il
ragazzo tremava di paura e di imbarazzo.
Lui
se ne era accorto, accidenti!
Anche
se l’aura di Mamanu era incredibilmente debole, egli,
trovandosi a pochi metri di distanza da quella maledetta camera, aveva per un
attimo avvertito la sua presenza.
Crilin
non volle pensare a cosa stesse facendo lì dentro la moglie di Giumaho.
Aver
colto sul fatto Chichi e Kakaroth
lo aveva già destabilizzato abbastanza e l’idea che ciò potesse ripetersi anche
con Mamanu e Bardack lo
faceva letteralmente rabbrividire.
Tanto
più che egli non aveva sospettato nulla fino a quel momento e che, se davvero
ci fosse stato qualcosa tra l’odiata matrigna di Chichi
e il potente generale di terza classe, il povero terrestre e tutti gli abitanti
di Furipan avrebbero dovuto definitivamente dire
addio a ogni speranza di rimettere a posto le cose.
No,
accidenti!
Non
dovevano entrare lì dentro!
Da
quando erano arrivati i saiyan, l’allievo di Muten era stato travolto dalla sfortuna. Pur senza volerlo,
si era ritrovato invischiato in faccende che, teoricamente, avrebbero dovuto
essergli estranee e aveva rischiato la pelle già una volta solo per aver
involontariamente sorpreso Chichi e Kakaroth a baciarsi. L’ex protettore, comunque, lo aveva risparmiato.
Ma
Bardack sarebbe stato altrettanto clemente?
E,
soprattutto, lui e Mamanu si stavano limitando a un
semplice bacio?
La
principessa, intanto, era giunta a destinazione, e aveva afferrato la maniglia
della porta.
«Chichi, ti scongiuro. Lascia perdere!» piagnucolò il
ragazzo bloccando il tentativo dell’amica di aprire.
«Quante
paranoie, Crilin! Io voglio sapere cosa ne è stato di
Goku e intendo andare fino in fondo!»
«Che
diavolo ti costa aspettare che Bardackscenda… Scenda a fare colazione? Dai, andiamo giù. Prima o
poi verrà in sala da pranzo!»
«Tu
hai qualche serio problema, credimi. E adesso, lasciami aprire questa dann…»
Le
parole di Chichi furono interrotte di colpo.
Il
saiyan li aveva preceduti.
Bardack
aveva inaspettatamente spalancato la porta della sua camera, trovandosi di
fronte un’infuriata Chichi e un terrorizzato Crilin.
Era
fatta, ora erano entrambi fottuti.
Il
terrestre prese a tremare nel constatare lo sguardo furente del guerriero.
L’avevano
fatta grossa, questo era certo, e probabilmente le ire di Bardack
sarebbero state ben peggiori delle sue stesse previsioni.
«Che
diavolo volete voi due?»
«Voglio
sapere dove si trova Kakaroth. Non ho paura di te, è
chiaro? Non so cosa ti abbia raccontato tuo figlio ieri, ma non ho alcun
problema a dirti la verità, basta che mi riveli dove diavolo si è cacciat… Ehi, ma…»
Crilin
indietreggiò di qualche passo e si portò una mano sul volto, come a voler
celare alla propria vista ciò che stava accadendo.
Chichi
l’aveva vista.
Si
era accorta di Mamanu, in piedi accanto alla finestra
della stanza.
«E
tu che cosa… Che cosa ci fai qui?»
La
principessa aveva pronunciato quelle parole in un sussurro.
Non
voleva crederci; non poteva crederci.
Il
suo cervello faticava a trovare una risposta alla domanda che ella stessa aveva
posto.
Bardack
e… Mamanu?
Insieme?
La
moglie di suo padre nella camera del
generale in persona?
No,
quello doveva essere un incubo.
D’accordo,
la donna aveva gli abiti indosso ed era in piedi; ma si trovava comunque lì, in quella dannatissima stanza.
Se
avesse potuto, Chichi l’avrebbe uccisa all’istante.
Perché
avere pietà di lei, in fondo?
Già
prima la detestava, e ora… Ora nel suo corpo non ribolliva altro che la rabbia.
«Chichi, sta’ calma, per favore» disse Crilin,
cercando ti trattenerla per un braccio.
«Lasciami
immediatamente!»
«Ah,
questa poi! Smettetela entrambi di fare i babbei! O preferite che vi zittisca
con le maniere forti?»
Bardack,
tutto sommato, aveva parlato con estrema tranquillità.
Sembrava
che il fatto di essere stato sorpreso con Mamanu non
lo avesse minimamente turbato.
Probabilmente,
era davvero così.
In
fondo, egli era un guerriero, uno di quei personaggi che, in cima alle loro
preoccupazioni, avevano tutt’altro che qualche tresca amorosa.
Crilin
cercava di supplicare pietà con lo sguardo, mentre tratteneva Chichi.
La
ragazza era ancora incredula e i toni del generale l’avevano mandata ancora di
più in confusione.
«Non
c’è bisogno, Bardack. Per favore! Io e la principessa
volevamo solo parlarti, ma… Be’, ecco…»
L’evidente
rossore che si tinse sulle gote del terrestre suscitarono nel saiyan una smorfia di disgusto.
Questa
poi!
Come
se a lui importasse qualcosa di essere stato quasi sorpreso.
Quasi,
appunto.
Perché
il generale, fortunatamente, si era accorto in tempo del loro arrivo.
Tutto
sommato, quello era stato un gran bel colpo di fortuna.
Se
avesse giocato al meglio la sua carta, le cose sarebbero potute andare di gran
lunga meglio rispetto alle più rosee previsioni.
«Se
cercate mio figlio, non so dove sia. Per tutto il resto, se ne può discutere.»
Sul
volto del guerriero si delineò un mezzo sorriso sghembo.
Poi,
fece cenno ai due terrestri di seguirli.
«Entrate,
avanti. Non mi pare il caso di sbraitare in corridoio.»
Sia
Chichi che Crilin erano
sgomenti.
Si
trattava forse di una trappola?
Il
ragazzo non aveva la benché minima intenzione di entrare in quella stanza, ma
sapeva di non avere alternative. La sua amica, oltretutto, non sembrava essersi
soffermata molto sull’ipotesi tranello,
tanto che, dopo un primo momento di sbigottimento, aveva accettato l’invito del
generale e si era precipitata in camera.
Per
picchiare Mamanu, però.
Bardack
l’aveva fermata in tempo afferrandola per la tunica e sbattendola a terra.
«Che
diavolo stavi tentando di fare, ragazzina?»
«Quello
che farei anche a te se non fossi così forte. Ucciderla, con le mie stesse
mani!»
«Oh,
certo, che idiozia! Cerca di rilassarti invece, sciocca!»
«Non
ti permettere di…»
Bardack
le si parò davanti con aria minacciosa.
Aveva
lo sguardo serio, terribilmente serio. Il modo in cui la stava guardando la
zittì all’istante. I suoi occhi le ricordavano in maniera impressionante quelli
di Kakaroth. In fondo, quell’uomo era suo padre e,
purtroppo per lei, pochi istanti prima aveva dimenticato quel particolare.
«Ti
ho detto di non sbraitare. Abbassa la voce! Ricordati che Napa
e Vegeta sono nei dintorni. Se ci scoprissero adesso sarebbe la fine, per te,
per il tuo fottuto regno e per quell’incapace di mio figlio.»
Crilin
entrò in fretta nella stanza e si frappose tra Bardack
e Chichi.
«D’accordo,
senti. Lascia stare la principessa e discuti con me. Cosa significa quel se ci scoprissero? Ascolta, non sono un
idiota come potrebbe sembrare a prima vista e so per certo che io e te abbiamo
degli obbiettivi molto diversi, quindi, per favore, non mi prendere in giro.»
«Non
ti do torto: sicuramente ambiamo a cose incompatibili. Però, mi pare che
abbiamo entrambi lo stesso problema, giusto? State o non state cercando le sfere del drago che Kakaroth
e la custode si sono lasciati
fregare?»
«Certo
che sì. Ma io non direi che Chichi e Goku se le sono
lasciate freg…»
«I
dettagli non mi interessano. Chiudi quella dannata porta e ascoltami. Mamanu sa chi le ha prese.»
Bardack
si voltò con fare sprezzante verso la sua incredula amante.
«Avanti,
dillo anche a loro.»
La
moglie di Giumaho trattenne a stento l’impulso di
accasciarsi a terra e di piangere.
Era
stata colta quasi sul fatto e Chichi non
gliel’avrebbe fatta passare liscia.
Ma
la cosa peggiore era che Bardack aveva meschinamente
approfittato della situazione per metterla alle strette.
Il
generale, l’uomo più attraente, furbo e pericoloso che avesse mai incontrato le
stava offrendo su un piatto d’argento la possibilità di giustificare la sua presenza lì dentro; ma lo aveva fatto
estorcendole una confessione che non avrebbe mai potuto carpire in nessun altro
modo.
L’aveva
incastrata.
***
Yamcha,
Tensinhan e Jaozi erano
ormai concordi nel voler lasciare l’isola di Muten.
Rimanere
lì ancora per molto sarebbe stato un enorme rischio. Tutti e tre sapevano
benissimo che Kakaroth era in grado di percepire le
loro aure e, benché fossero stati particolarmente attenti nell’azzerarle, era
probabile che comunque il saiyan avesse captato
qualcosa.
Tensinhan,
oltretutto, aveva il fardello delle sfere
del drago.
Ne
aveva momentaneamente nascoste sei nella foresta di Furipan,
mentre una l’aveva portata nella stanza di Muten.
Come fortezze, erano tutt’altro che inespugnabili.
Cercando
con un minimo di attenzione, chiunque avrebbe potuto trovarle, soprattutto
quelle che erano nella boscaglia.
E
se le avesse consegnate a Mamanu?
Quell’idea,
a dire il vero, non gli sembrava poi tanto inopportuna.
La
moglie di Giumaho era insospettabile, tuttavia
rimaneva il forte rischio che ella le restituisse ai legittimi proprietari.
Egli
doveva scongiurare in tutti i modi un simile evento.
Cosa
ne sarebbe stato del suo sogno di gloria?
Certo,
se non avesse scoperto il segreto per attivare le sfere, non avrebbe comunque concluso
nulla; ma Tensinhan era ormai a buon punto e fare un
passo falso in quel momento gli sarebbe costato davvero caro.
Una
forte folata di vento e il rumore sordo di un pugno lo distrassero dai suoi
pensieri.
Il
ragazzo si voltò e vide a terra la sagoma di Yamcha.
«Ma
che diavolo…»
Le
parole gli morirono in gola quando, a fianco a sé, scorse la figura di Kakaroth.
«E
tu da dove salti fuori?»
«Levati
di mezzo, Tensinhan, o come diavolo ti chiami. È il
tuo amico che mi interessa, non tu.»
CONTINUA
Angolo dell’autrice
Ce
l’ho fatta! Ho terminato anche questo capitolo! *momento
felicità: ON*
Vi
avevo promesso che Mamanu e Bardack
sarebbero tornati e, be’… eccoli qui. Ho faticato da morire
per non sfociare nel rating rosso – e non sono nemmeno certa di esserci
riuscita in pieno! – ma questi due mi piacciono troppo e, soprattutto, mi piace
il padre di Goku. Anche in questo capitolo ho lasciato molto spazio
all’introspezione dei personaggi. Mamanu è alle prese
con la realtà dei fatti e, probabilmente, è stata colta di sorpresa più di
quanto non si sarebbe aspettata. Le accuse di Bardack
l’hanno spiazzata ma, al contempo, hanno contribuito a tirare fuori il suo
carattere.
Per
quanto riguarda l’ingresso in scena di Chichi e Crilin… Ok, lo so, sono davvero perfida nei confronti di
questo povero ragazzo! Tocca sempre a lui scoprire gli arcani! Però mi piace
troppo: è talmente pudico e buono di cuore che mi pare il personaggio perfetto
per queste situazioni tragicomiche. Bardack ha
tentato di salvare il salvabile sfoderando l’arma sfere del drago. In realtà, lo ha fatto più per costringere Mamanu a parlare che non per occultare la sua relazione con
quest’ultima; però, così facendo, ha di fatto incastrato la donna.
Kakaroth
ha finalmente trovato Yamcha! Riuscirà a scoprire che
non è lui il colpevole prima di spedirlo all’altro mondo?
Chi
lo sa!
Nel
frattempo, vi ringrazio di cuore come sempre per il sostegno che mi date.
Vi
adoro, tutti quanti!
9dolina0
Avviso!
Come sapete, si sta
avvicinando il Natale. Ebbene, ho scoperto con enorme piacere che potrò
trascorrere le vacanze in Italia, con la mia famiglia. Inizialmente, temevo che
ciò non fosse possibile, ma, per fortuna, mi son dovuta ricredere.
Ciò significa, però,
che per tutta la durata del mio soggiorno in Italia non pubblicherò alcun
aggiornamento. Lo so, è pessimo da parte mia; ma voglio godermi appieno questa
quindicina di giorni e dedicarmi ai miei parenti, ai miei amici, e a tutte le cose
che ho lasciato in sospeso trasferendomi all’estero.
«Aspetta
un attimo, Vegeta, che ne sarà adesso dei miei studi sulla Luna? Credevo ci
tenessi particolarmente.»
«Certo,
Bulma; ma tengo molto di più alle sfere del drago. E, comunque, non ti ho affatto
chiesto di accantonare il progetto, ma solo di spendere qualche ora del tuo
preziosissimo tempo per portarmi da tuo padre.»
Bulma
era nei guai.
Di
nuovo.
Non
bastava che su di lei gravasse la colpa di aver ceduto alla lussuria con il
sovrano del popolo guerriero intenzionato a mettere le mani sugli oggetti più
preziosi del pianeta; ora doveva anche fare i conti con la troppa leggerezza di
suo padre, che aveva avuto l’ardire di svelare l’esistenza del radar cerca
sfere parlando con la segreteria telefonica.
In
tutto ciò, anche la stanchezza e la debolezza iniziavano ad avere un certo
peso.
La
scienziata era esausta e spossata.
Anche
se l’incontro sessuale con Vegeta aveva momentaneamente messo in secondo piano
le ore di sonno perse, ora che i brividi di piacere sul suo corpo si stavano a
poco a poco spegnendo, ella sentiva di nuovo le forze venirle a mancare.
Ragionare
in quelle condizioni non era affatto facile, nemmeno per lei.
Tanto
più che, dopo essersi concessa a lui senza opporre la benché minima resistenza,
Bulma non poteva di certo sperare ancora di poterlo
convincere con le buone.
Il
suo primo e unico tentativo, in fondo, si era concluso con un buco nell’acqua.
Già;
ma come avrebbe dovuto muoversi allora?
Poteva
davvero lasciare che Vegeta mettesse le mani sulle sfere del drago?
La
sua coscienza la stava implorando di non cedere al fascino di quel principe
megalomane, ma dare retta alla ragione piuttosto che ai sentimenti pareva in
quel momento quasi impossibile.
«Alzati
e rivestiti, scienziata. Non ho
intenzione di perdere troppo tempo.»
Vegeta
era già in piedi da qualche minuto.
Aveva
lasciato a Bulma il tempo di riprendersi e di
metabolizzare lo shock.
Sapeva
quanto la donna si stesse tormentando per la stupida leggerezza appena
compiuta.
Le
sarebbe convenuto mille volte rispondere a quel dannato telefono e ascoltare da sola le parole di suo padre.
La
fortuna, però, aveva deciso di girare dalla parte del principe.
Vegeta
non aveva mai creduto, fino ad allora, alla buona sorte, ma l’incontro fortuito
con la donna più intelligente che avesse mai conosciuto gli aveva in qualche
modo suggerito che, alle volte, il fato poteva essere benevolo.
Peccato
che, in cuor suo, sapeva che Bulma non avrebbe ceduto
tanto facilmente e che avrebbe tentato in qualche modo di impedirgli di mettere
le mani sulle sfere del drago.
Sarebbe
stato troppo semplice, altrimenti; e lui non aveva scelto la scienziata perché lei gli rendesse facile la vita.
Bulma,
dal canto suo, guardava con timore allo sguardo sprezzante del principe dei saiyan.
Doveva
impedirgli a ogni modo di mettere le mani sul radare avrebbe dovuto farlo nonostante i
sentimenti che provava nei confronti di Vegeta.
Gran
bell’affare quello di fare sesso con lui!
La
cosa peggiore era che lo aveva fatto non solo per soddisfare il piacere fisico,
ma anche – e soprattutto – perché quel ragazzo la affascinava da morire.
Ma
era pericoloso, dannatamente pericoloso; e lei, in quel momento, aveva le mani quasi legate.
***
Crilin
sentiva che presto, dentro quella stanza, si sarebbe abbattuta una tempesta.
Bardack
non aveva fatto una piega quando aveva visto lui e Chichi
precipitarsi nella sua camera da letto, nonostante ci fosse anche Mamanu.
Quest’ultima,
però, anche se poteva vantare lo stesso sangue freddo del generale, non aveva
di certo la sua sfacciataggine.
Era
stata praticamente colta sul fatto; non
proprio, d’accordo, ma lo stato in cui versava la donna era inconfondibile.
Tutto
del suo aspetto fisico, nonostante fosse completamente vestita, lasciava
intendere che aveva appena consumato un rapporto sessuale: il lieve rossore
sulle gote, i capelli leggermente arruffati e il battito impercettibilmente
accelerato del suo cuore.
Un
terrestre normale non avrebbe mai potuto notare quest’ultimo dettaglio, ma lui
aveva imparato bene ad analizzare i cambiamenti del corpo umano in situazioni
di stress.
O
di piacere.
Egli
avrebbe fatto finta di niente, ovviamente.
Di
sicuro non avrebbe gettato altra benzina sul fuoco.
Ma
quante possibilità c’erano che Chichi si fosse bevuta
la storia del “Mamanu era qui per dirmi dove fossero
le sfere del drago”?
Probabilmente
molto poche.
E,
oltretutto, non era nemmeno certo del fatto che ella sapesse davvero chi le
avesse prese.
Perché
mai avrebbe dovuto, in fondo?
Possibile
che lei fosse in qualche modo complice del furto?
Lo
sguardo che Crilin lanciò a Bardack
pareva essere quasi implorante.
Egli
lo guardava negli occhi senza nascondere tutta la preoccupazione che aveva in
corpo.
Il
saiyan sapeva cosa il terrestre volesse dirgli:
“fa’che sia vero”; dal canto suo, però, il generale non mostrava alcun segno di
titubanza. Mamanu avrebbe parlato, ne era certo.
Quella donna non era così pazza da confessare alla figlia del marito di avere
una relazione extraconiugale.
Con
un saiyan, per giunta.
E
con il padre di Kakaroth.
A
Bardack veniva quasi da ridere pensando a quanto i
terrestri fossero patetici. Davvero ritenevano la fedeltà un valore tanto
forte?
A
lui non era mai passato per la testa di preoccuparsi per un tradimento, né
tantomeno aveva mai tentato di nasconderne uno. La madre dei suoi figli aveva
dovuto fare i conti più volte con situazioni del genere, eppure non aveva mai
battuto ciglio.
Improvvisamente,
però, si chiese se lui avrebbe reagito allo stesso modo se fosse stata lei a
tradirlo. Non che di quella donna gli importasse chissà quanto, ma l’idea di
essere sbeffeggiato dai suoi commilitoni non gli piaceva di certo.
Possibile,
però, che fino a quel momento non avesse mai riflettuto su una simile ipotesi?
Quel
maledetto pianeta e tutti i suoi abitando lo stavano deviando.
Egli
era un guerriero, un assassino, un generale di rango elevatissimo.
Aveva
combattuto guerre che quegli sciocchi scansafatiche umani difficilmente
avrebbero anche solo potuto immaginare.
Però,
loro avevano dei valori, e questi
ultimi trascendevano di parecchio l’orgoglio e il potere.
«Tu,
maledetta opportunista, vorresti farmi credere che sai chi ha rubato le sfere del drago?»
Le
parole di Chichi fecero tornare Bardack
coi piedi per terra e lo costrinsero a voltarsi di nuovo verso di lei.
Quella
ragazza pareva un fiume in piena.
La
bella principessina doveva aver subito un pesante colpo nel trovare la sua
matrigna in quella stanza. Anche se tra le due donne non c’era un rapporto
molto profondo, evidentemente la figlia di Giumaho
non aveva mai dubitato comunque della fedeltà di Mamanu
nei confronti di suo padre.
Già;
ma perché?
Possibile
che Chichi non sapesse che Mamanu
si era sposata solo per assecondare la volontà del suo genitore?
Di
certo, però, l’espressione con cui la principessa aveva apostrofato la sua
amante a Bardack non era piaciuta per niente.
OpportunistaMamanu?
Se
veramente ella fosse stata tale, probabilmente a quell’ora avrebbe già avuto il
pieno controllo di Furipan da diversi anni.
Chichi
era accecata dal risentimento nei suoi confronti e questo Bardack
lo aveva capito chiaramente. Quelle due sarebbero potute diventare delle ottime
alleate se solo la legittima sovrana di quelle terre ormai perdute non avesse
in ogni modo ostacolato l’ascesa della moglie del padre.
Temeva
forse di perdere i suoi sudditi?
La
risposta era senz’altro sì.
Chichi
era in gamba e aveva un’incredibile forza spirituale – forse addirittura più
potente di quella di un saiyan – ma non era astuta
abbastanza da poter gestire da sola un regno. L’impulsività che la
caratterizzava cozzava non poco con il prototipo di sovrano ideale.
Mamanu,
invece, da quel punto di vista non era seconda a nessuno.
Bastava
vedere come aveva tenuto a freno gli animi degli abitanti di Furipan e come, per permettere loro di sopravvivere, li
avesse in qualche modo convinti a
collaborare.
Chichi
e suo padre erano completamente spariti durante i primi giorni di sottomissione.
Se
non ci avesse pensato la tanto detestata Mamanu,
effettivamente quegli sciocchi terrestri si sarebbero già ribellati e, dunque,
fatti eliminare.
La
mancanza di rispetto che Chichi dimostrava nei confronti
della matrigna lo irritava parecchio, ma ancor più gli dava ribrezzo il fatto
che quella donna non osasse battere ciglio.
Perché
diavolo non ne diceva quattro a quella scriteriata della principessa?
Che
gusto ci provava a farsi trattare a pesci in faccia, lei che, sola, aveva avuto
il merito di preservare l’incolumità degli abitanti di Furipan?
Eppure,
quando si trattava di rispondere per bene a lui, Mamanu
non si faceva di certo dei problemi.
Che
si sentisse in colpa nei confronti di Chichi?
Evidentemente,
sì; ma, di sicuro, non ne aveva motivo.
«Che
c’è, Mamanu, hai perso la lingua, forse? Ti ho fatto
una domanda. Lo sai oppure no, dove diavolo sono andate a finire le sfere del drago?»
«Chichi, abbassa la voc…»
«Taci,
Crilin. Non è con te che sto parlando.»
Bardack
arretrò di qualche passo e si avvicinò a Mamanu con
fare piuttosto scocciato.
Il
tono della principessa gli piaceva davvero poco e il fatto che quella ragazzina
sembrasse aver perso completamente la ragione lo costringeva in qualche modo a
prendere in mano la situazione.
Non
poteva e non doveva fallire.
Quel
nome, quello del ladro delle sfere del
drago, interessava anche a lui e, con le buone o con le cattive, la sua
amante lo avrebbe tirato fuori.
Ammesso
che realmente lo conoscesse; eppure, chissà perché, di questa cosa il generale
non riusciva proprio a dubitare.
«Te
lo ripeto anche io, Chichi. Abbassa la voce.»
Il
tono di Bardack era piuttosto perentorio, ma aveva
sortito più effetto su Crilin che non sulla
principessa, sebbene l’avesse comunque zittita.
Lei
non era una stupida, né tantomeno una persona ingenua.
A
chi diavolo voleva darla a bere quel saiyan?
Mamanu
non sapeva un accidente di niente sulla sparizione delle sfere. Egli lo aveva
detto solo per giustificare in maniera goffa la presenza di quella maledetta
donna lì dentro.
D’accordo,
Chichi non aveva mai avuto quel tipo di esperienza, ma di certo non era nata il giorno prima.
Lo avrebbe capito anche un cieco che Mamanu era lì
per Bardack e che, senza ombra di dubbio, quei due
non avevano trascorso l’ultima mezz’ora a chiacchierare del più e del meno.
Ma
con quale coraggio quella sgualdrina aveva osato tradire il marito nella dimora
di costui?
E
con un saiyan, per giunta.
Pensare,
però, alla razza cui apparteneva Bardack, l’aveva in
qualche modo frenata dai suoi propositi bellicosi. Quanto poteva definirsi lei
migliore di Mamanu se aveva intrapreso una tresca con
Kakaroth?
Anche
lui era un saiyan e, oltretutto, l’aveva ingannata
spacciandosi per un comune essere umano.
Lei,
però, non era di certo sposata.
Per
quanto la sua coscienza tentasse di dirle che le posizioni in cui si trovavano
non erano poi chissà quanto differenti, Chichi
continuava razionalmente a far presa sul fatto che nel suo caso non c’era di
mezzo alcun matrimonio.
Già;
peccato che, pur non sapendo esattamente il perché, ripensare a Kakaroth e ai baci che si era scambiata con lui l’aveva
fatta desistere dal continuare a inveire contro Mamanu.
In
fondo, se Crilin non fosse entrato in palestra
sorprendendoli, probabilmente lei e il suo sedicente protettore non si sarebbero fermati ai baci.
Quest’ultima
constatazione la fece rabbrividire.
E
anche tacere.
«E
tu, Mamanu, sbrigati a dire anche a loro come stanno
le cose. Non abbiamo chissà quanto tempo da perdere.»
Ella,
in quel momento, avrebbe voluto mandare al diavolo tutto e tutti.
Chichi,
Furipan, e anche Bardack.
Per
quanto sapesse che la sua eventuale assenza l’avrebbe fatta precipitare nella
depressione, la donna non poteva fare a meno di dirsi che la sofferenza era il
suo pane e quotidiano e che, dunque, la sua vita sarebbe andata avanti lo
stesso.
Poteva
andarsene sul serio, in fondo.
Poteva
dire di non conoscere quel nome e che
lei era lì solamente perché voleva vedere Bardack.
Tanto,
ormai, Chichi aveva già capito tutto.
Ma
lo amava.
Mamanu
amava a tal punto quel guerriero da non riuscire davvero a volere la sua
sparizione dalla sua vita.
Cosa
ne sarebbe stato di lei da quel momento in poi?
Chichi
l’avrebbe cacciata da Furipan e su questo non nutriva
alcun dubbio; ma come si sarebbe comportato il generale se lei avesse
continuato a tacere quel nome?
Probabilmente,
avrebbe perso anche lui.
Ne
valeva la pena?
Davvero
le sfere del drago erano più
importanti della sua felicità?
Una
volta tanto – una solamente – avrebbe voluto rispondere no.
«Parlerò
purché che la smettiate tutti quanti di inveire contro di me.»
L’espressione
di rabbia che si dipinse sul volto di Mamanu non
lasciava spazio a interpretazioni errate. Quella donna era sull’orlo di una crisi
di nervi e, probabilmente, tutta quella situazione era molto più grande di lei.
Crilin
provò una gran pena nei suoi confronti.
Anche
se egli non conosceva affatto bene la moglie di Giumaho,
il ragazzo aveva sempre avuto l’impressione, fin dalla prima volta in cui
l’aveva vista, che ella portasse dentro di sé un grande dolore. Sapeva che lo stregone del toro l’aveva sempre
trattata coi guanti bianchi e che non le aveva mai fatto mancare nulla ma, a
poco a poco, Crilin aveva cominciato a dubitare del
fatto che quella fosse proprio la vita scelta da Mamanu.
L’aveva
osservata più volte, essendo anche lui costretto a frequentare la corte.
L’aveva
vista cucinare, pulire e parlare.
Quest’ultima
cosa, però, l’aveva sempre fatta fuori dal palazzo.
I
sudditi di Chichi le volevano un gran bene e le
portavano un enorme rispetto.
Era
con lei che si erano confidati quando i soprusi dei saiyan
cominciarono a diventare troppo oppressivi e a lei avevano dato ascolto quando
la donna li aveva implorati di non lasciarsi trasportare dalla rabbia e
dall’impulsività.
Effettivamente,
era stata in gamba.
Tuttavia,
Chichi non le aveva mai riservato quella riconoscenza
che la sua matrigna avrebbe meritato. Probabilmente, la ragazza era invidiosa e
gelosa di lei.
Crilin,
dal canto suo, era certo che Mamanu non meritasse un
simile trattamento ma, vista la posizione in cui anche egli si trovava – e
viste anche le circostanze – difendere a spada tratta la moglie di Giumaho non sarebbe stata di sicuro una mossa intelligente.
In
fondo, anche lei aveva le sue colpe e la sua presenza nella stanza di Bardack non poteva che confermarlo.
«Mamanu, ascoltami. Mi dispiace per il caos che si è creato,
sul serio. Mi scuserò all’infinito con te, se è questo che vuoi. Però, ti
scongiuro, se davvero sai che fine hanno fatto le sfere del drago, diccelo. Chichi deve
assolutamente rientrarne in possesso il prima possibile. Sono oggetti molto…»
«Lo
so, Crilin, lo so. Non immagini quante volte io abbia
ascoltato la storia delle prodigiose sfere
del drago. Ne ho quasi la nausea, credimi.»
«Non
sei nella posizione adatta per fare la stizzita.»
«E
tu non sei la persona alla quale devo rispondere delle mie azioni, Chichi. Comunque, è stato Tensinhan
a prendere le sfere. Non conosco bene quel ragazzo e non posso giurare che
avesse buone intenzioni, ma le ha lui. E adesso, vedetevela voi. Io non so
nient’altro.»
Mamanu
fece per andarsene ma, quando passò al fianco di Chichi,
quest’ultima la trattenne per un braccio.
«Pensi
forse di svignartela così?»
«Credevo
avessi una certa fretta di recuperare i tuoi
preziosi oggetti. E poi, te l’ho già detto, non devo rendere conto di
niente a te.»
Crilin
afferrò il braccio con cui la principessa aveva stretto la matrigna e fece una
pressione tale da indurre la ragazza a mollare la presa.
«Chichi, andiamo a recuperare le sfere, per favore. Penserai
dopo a…tutto
il resto.»
Dagli
occhi di Chichi iniziarono a sgorgare le lacrime.
Ella
ce l’aveva messa tutta per trattenerle, ma quelle maledette erano state più forti
di lei.
Ci
era rimasta male, molto più di quanto non avrebbe potuto immaginare.
Persino
la scoperta che Mamanu sapesse davvero chi avesse
preso le sfere del drago non aveva
contribuito affatto a distrarla. Dentro quella corte si erano consumate passioni
che lei stessa avrebbe voluto non carpire mai ed ella era stata protagonista di
una di queste tresche.
Fino
a pochi minuti prima, aveva creduto che il guaio peggiore lo avesse fatto lei
perdendo la testa per Kakaroth.
Ormai,
nemmeno riusciva più a mentire a sé stessa.
Si
era innamorata di lui, della sua forza smisurata, del suo ego sprezzante e dei
suoi modi tutt’altro che raffinati.
Avrebbe
dovuto odiarlo e temerlo, eppure, in quel preciso istante, l’unica cosa che
desiderava era piangere tra le sue braccia.
Sapeva
che lui l’avrebbe sbeffeggiata e avrebbe riso di lei – quanto poteva
importargli, in fondo, se suo padre si portava a letto Mamanu?
–, ma il conforto che avrebbe trovato piangendo sul suo petto sarebbe stato
decisamente più efficace di quello che le stava dando il gesto di Crilin.
Anche
lui le voleva bene e si era rivelato fin da subito un ottimo amico; ma non era direttamente coinvolto in quella storia.
Lui con Mamanu e Bardack
non aveva niente a che fare.
Per
quanto potesse dispiacergli per la sofferenza della principessa, egli aveva davvero come priorità le sfere del drago.
Chichi,
invece, non ne era più così certa.
Ora
anche Bardack sapeva chi le aveva prese e, di sicuro,
avrebbe fatto in modo di entrarne in possesso prima di lei.
E,
magari, avrebbe anche finito con il consegnarle al principe.
E
poi?
Cosa
ne sarebbe stato di lei e di Kakaroth?
Quest’ultimo
aveva in qualche modo tradito il suo
popolo e il suo sovrano.
Chichi
ancora non aveva ben compreso il motivo che aveva spinto quel saiyan a nascondere le sfere a Vegeta e a suo padre ma,
evidentemente, ciò non poteva che essere indice di una frattura nei rapporti
tra lui, il generale Bardack e il sovrano della
stirpe guerriera più temuta dell’universo.
«Chichi, non fare così, ti prego. Lascia stare Mamanu e pensa alle sfere
del drago!»
«Sai
anche dove le ha nascoste?»
La
voce di Bardack, praticamente impassibile, aveva
zittito Crilin e aveva messo una pietra sopra al suo
tentativo di placare la principessa.
Chiaramente,
il generale si era rivolto a Mamanu, ma quest’ultima
si era ben guardata dal girarsi verso di lui.
Gli
occhi della donna erano poggiati ancora su Chichi e
sulle sue lacrime, delle quali, però, la matrigna sembrava non volersi
preoccupare.
Evidentemente,
quella donna aveva raggiunto il culmine dell’esasperazione e, forse, il fatto
che la figlia di suo marito avesse smascherato la sua relazione con Bardack aveva contribuito a toglierle un macigno dalla
coscienza.
«No,
non lo so. Mi dispiace, ma questo dovrete farvelo dire da lui.»
«E
allora, bisogna trovarlo alla svelta» aggiunse Bardack.
«Se solo non avesse anche lui il potere di azzerare la sua aura, sarebbe molto
più facile rintracciarlo.»
«Eppure,
durante il torneo non era in grado di farlo. Forse…
Forse gliel’ha insegnato Yamcha.»
Le
parole di Crilin ricordarono a Chichi
che Kakaroth sospettava proprio dell’allievo di Muten.
Era
lui che il saiyan stava cercando il giorno prima ed
era per scovare Yamcha che si erano fatti sorprendere
dal padre del protettore.
Il
cambio di espressione della principessa non passò inosservato al generale che,
anzi, diede man forte ai suoi sospetti.
«Temo
che quell’imbecille di mio figlio sia andato proprio a cercare questo Yamcha.»
Crilin
si voltò verso Bardack con aria abbastanza stupita,
ma, pochi istanti dopo, non poté non riflettere su ciò che gli aveva confessato
la principessa circa i sospetti di Goku.
«In
effetti… Sì, credo che sia possibile.»
Il
suono del cellulare di Crilin, però, lo distrasse di
nuovo e attirò l’attenzione di tutti i presenti.
Il
ragazzo, per la verità, nemmeno ricordava di averne uno.
Bulma
glielo aveva regalato per poter rimanere in contatto con lui quando il
guerriero non era a palazzo. Il giovane allievo di Muten
aveva sentito più volte la scienziata lamentarsi del fatto che Vegeta avrebbe
voluto avere Crilin a disposizione praticamente
ventiquattro ore su ventiquattro, ma gli altri impegni del ragazzo, quelli a
cui lo aveva costretto Napa, non gli permettevano di
risiedere stabilmente a corte.
Ecco
perché la brillante donna con cui aveva lavorato negli ultimi tempi aveva
deciso di donargli un telefono di quelli portatili.
Per
la verità, fino a quel momento lo aveva usato una sola volta e il ragazzo
nemmeno ricordava bene la circostanza.
Forse
a Bulma serviva un aiuto extra per un collaudo?
Forse;
ma, in quel preciso istante, la cosa non gli interessava più di tanto.
Ciò
che importava era che la scienziata gli aveva appena mandato un messaggio.
Crilin
ancora non aveva imparato bene a usare quell’aggeggio, ma era abile abbastanza
da saperlo gestire discretamente.
Mollò
il braccio di Chichi e infilò la mano in tasca alla
ricerca della piccola scatola elettronica.
La
afferròe aprì il messaggio.
I
suoi occhi si sbarrarono dal terrore.
«Oh,
cavolo!»
«E
adesso che ti prende, terrestre?» proferì Bardack,
con tono piuttosto irritato.
Il
ragazzo si voltò verso il saiyan, indeciso sul da
farsi.
Sarebbe
stata una buona idea svelare a tutti i
presenti il contenuto del messaggio?
Probabilmente,
no.
Tuttavia,
se c’era qualcuno che avrebbe potuto fare qualcosa, costui era proprio Bardack.
«Bulma mi ha mandato un messaggio. C’è scritto: Vegeta ha scoperto l’esistenza del radar
cerca sfere e vuole a tutti i costi sottrarlo a mio padre. Tra pochi minuti,
raggiungeremo la città dell’Ovest e la Capsule Corporation. Fa’ qualcosa!»
Quando
Crilin alzò gli occhi dal cellulare per osservare i
presenti, colse sui loro volti lo sbigottimento.
Evidentemente,
oltre a non sapere dell’esistenza di un dispositivo elettronico in grado di
ritrovare le sfere del drago, neppure
avevano idea che la scienziata di corte ne possedesse uno.
Per
la verità, la notizia aveva sconvolto anche lo stesso Crilin.
Bulma
gli aveva accennato un paio di volte ad alcuni progetti di suo padre
riguardanti proprio le prodigiose sfere, ma non era mai scesa nei dettagli ed
egli non aveva mai capito che il dottor Brief stesse
lavorando proprio a un radar in grado di localizzarle.
Ma
come aveva fatto Vegeta a venirne a conoscenza?
Era
stata lei, incautamente, a rivelarglielo?
In
un attimo di rabbia, Bardack chiuse una mano a pugno
e colpì una parete, polverizzandola all’istante e lasciando basito il povero Crilin.
«Razza
di imbecille, perché non mi hai detto subito che la scienziata aveva un radar
cerca sfere?»
«Ma,
io… Io non lo sapevo, lo giuro!»
«E
allora perché ha mandato proprio a te questo messaggio, terrestre?»
«Non
ne ho idea, credimi. Magari ha pensato che potessi darle una mano.»
Bardack
ritrasse il pugno dal muro e assunse un portamento controllato.
«Sai
perlomeno dove accidenti si trova la Capsule Corporation?»
«Sì,
certo. Ci sono stato più di una volta.»
«Perfetto.
Allora, sbrigati a darmi le coordinate. Io vado a cercare il principe e la
scienziata, tu invece dovrai scovare questo Tensinhan.
Vedi di fare alla svelta, però.»
Chichi
rimase per un attimo basita, sconvolta anche lei dalla notizia.
Bulma
non le aveva mai detto nulla a riguardo del radar cerca sfere, nonostante ella
fosse la legittima custode di quegli oggetti.
Perché
le aveva taciuto una cosa del genere?
L’aveva
messa nei guai, in quel modo.
Se
ne fosse entrata a conoscenza prima, avrebbe potuto evitare tutte le spiacevoli
situazioni in cui era incappata negli ultimi due giorni.
E,
magari, non avrebbe mai scoperto la tresca tra Mamanu
e Bardack.
In
quel momento, persino Bulma le sembrava responsabile
per ciò che aveva incautamente visto entrando in quella stanza.
Ella
sapeva che, razionalmente parlando, avercela con il mondo intero non avrebbe
attenuato la sua delusione, eppure non riusciva a non pensare a quanto il
silenzio della scienziata avesse contribuito a far precipitare gli eventi.
Gli
ordini appena elargiti da Bardack, poi, non
contemplavano affatto Kakaroth.
Perché
il generale non si preoccupava anche di trovare suo figlio?
Forse,
avrebbe dovuto lasciare il più in fretta possibile quella stanza e andare dal
suo protettore.
Una
strana sensazione la stava pervadendo e, per qualche strano motivo, l’istinto le suggeriva che Goku stava per
commettere un grave errore.
Doveva
andare da lui e doveva farlo subito, al costo di mollare lì Crilin
insieme a Bardack e a Mamanu.
Non riusciva assolutamente a localizzarlo poiché aveva ancora l’aura azzerata,
ma l’energia negativa del ragazzo che amava stava aumentando.
Perché?
Forse
aveva trovato Yamcha?
Se
così fosse stato, l’allievo di Muten sarebbe stato
davvero in guai seri.
«Ehi,
aspetta. Vuoi andare tu alla Capsule
Corporation?»
«Esattamente,
terrestre.»
Crilin
rimase sbalordito a quella conferma.
L’idea
di Bardack aveva un senso, certamente, ma egli, al
suo posto, non avrebbe mai fatto una cosa del genere.
Cosa
passava per la testa di quell’uomo?
E
perché, nonostante egli fosse un saiyan, Crilin non riusciva a dubitare del fatto che, una volta
trovati Vegeta e Bulma, Bardack
non avrebbe dato al suo principe il suo aiuto?
«E
come la mettiamo con il tuo principe? Non avrai forse intenzione di metterti
contro di lui?»
Bardack
rimase in silenzio per qualche istante.
Per
la verità, non sapeva nemmeno lui cosa volesse realmente fare.
Una
cosa era certa: ormai la situazione gli era sfuggita di mano e, qualunque fosse
stato il destino a cui sarebbe andato incontro, egli non aveva la benché minima
intenzione di sottrarsi alla sua sorte.
Di
sicuro, non avrebbe permesso a Vegeta di fare qualcosa di cui, prima o poi, si
sarebbe pentito.
Perché,
ne era certo, il sovrano dei saiyan avrebbe tratto
molti più vantaggi da quel pianeta governandolo con le buone che non
sottomettendolo con la sua forza e con l’ausilio delle sfere del drago.
Ciò
che contava per Bardack era che i saiyan
ne riprendessero al più presto il possesso e il controllo; alla loro gestione
avrebbe pensato in un altro momento.
«Quello
che ho intenzione di fare io non ti riguarda. Fa’ quello che ti ho detto, Crilin.»
Il
giovane allievo di Muten avrebbe voluto replicare, ma
fu distratto dall’ennesimo evento inaspettato.
Chichi
era fuggita via, di corsa, da quella stanza.
Dove
avesse intenzione di andare, nessuno poteva saperlo.
***
Condor
ne aveva viste tante, troppe, in quei pochi giorni.
Non
solo i suoi due allievi si erano lasciati soffiare il posto di protettore della principessa, ma aveva
dovuto persino assistere alla reale venuta dei malvagi.
O
saiyan, come amavano farsi chiamare quegli
energumeni.
Certo,
a quel torneo aveva partecipato anche lui, ma nemmeno per un istante aveva
davvero sperato di vincere.
La
giovinezza, ormai, lo aveva abbandonato da parecchio e con essa se n’era andata
anche la forza che un tempo lo contraddistingueva.
Muten
era sempre stato una spanna sopra a lui e, anche se durante il loro ultimo
incontro lo aveva battuto, Condor sapeva che ciò era stato dettato unicamente
dalla fortuna.
O,
magari, dal desiderio del suo avversario di non infierire su di lui.
Ma
Tensinhan e Jaozi erano
forti sul serio.
Egli
aveva scommesso tutto su quei ragazzi e quei due ingrati lo avevano ripagato
facendosi battere come dei principianti.
D’accordo,
Son Goku si era rivelato essere un saiyan, ma rimaneva
il fatto che non aveva notato una grande differenza tra il livello di
combattimento dei suoi allievi e quello degli allievi di Muten.
Tra
l’altro, da quando erano giunti i malvagi,
egli nemmeno li aveva più visti.
Se
aveva imparato a conoscere bene Tensinhan,
probabilmente quel ragazzo stava architettando qualcosa.
Già;
ma cosa?
E
contro chi?
L’idea
di essere tagliato fuori dai piani del suo allievo prediletto gli faceva
enormemente rabbia.
Condor
aveva istruito alle arti marziali quel giovane promettente come meglio non
avrebbe potuto fare. Conosceva perfettamente il valore di quel guerriero e
aveva imparato anche a interpretare le sue azioni.
Era
chiaro: la sconfitta gli bruciava parecchio e ancor di più Tensinhan
soffriva per il fatto che, allo stato attuale, era assolutamente impotente.
Peccato
che ciò non bastava a giustificare appieno la sua sparizione.
Condor
era preoccupato.
Il
fatto che i suoi allievi non si fossero presi la briga di andarlo a cercare
subito dopo il torneo lo aveva messo in allarme.
La
cosa più strana, però, era che nemmeno di uno degli allievi di Muten si avevano notizie da giorni.
Continuare
a rimuginare su queste cose lo aveva per un attimo distratto, tanto che
l’anziano maestro non aveva nemmeno notato di essere finalmente giunto a
destinazione.
Da
quanto tempo non desiderava mettere piede all’interno del palazzo di Furipan?
Il
fatto, poi, che quel luogo fosse stranamente quasi deserto non aveva fatto
altro che accrescere la sua bramosia.
Giumaho
non era nel salone, così come non c’erano nemmeno sua figlia e sua moglie.
E
che ne era stato dei saiyan?
Possibile
che si fossero allontanati a bordo di quell’elicottero che aveva scorto pochi
minuti prima?
Certo,
era assurdo: quei guerrieri sapevano volare.
E
allora perché munirsi di un simile mezzo di trasporto?
E
per andare dove?
A
Condor tutta quella faccenda suonava strana e, dunque, gli piaceva ben poco.
Che
fosse stata Bulma a lasciare il palazzo?
Possibile;
anzi, forse era quasi certo.
In
fondo, lui la conosceva piuttosto bene, non fosse stato per altro che era la
figlia di uno degli scienziati più strampalati e geniali del pianeta.
Il
desiderio di andare a fondo in quella vicenda lo spinse a dirigersi verso
quello che sapeva essere il laboratorio del palazzo. Aveva origliato parecchie
volte le chiacchierate tra Crilin e Muten e, tra le righe, aveva colto parecchi dettagli sulla
struttura interna di quell’enorme dimora.
Non
poteva sbagliare: il laboratorio doveva essere dalla parte opposta rispetto a
dove si trovava lui in quel momento.
L’anziano
maestro corse alla svelta verso quel luogo a lui sconosciuto e spalancò con
vorace curiosità la porta della stanza interdetta.
Come
aveva supposto, lì dentro non c’era nessuno; tuttavia, sulla logora scrivania dove
la scienziata lavorava, ancora erano sparpagliati diversi fogli.
«Che
diavolo è questa roba?» sussurrò a sé stesso il vecchio Condor.
Quelle
carte giallognole, usurate dallo scorrere del tempo, recavano su di esse
calcoli improbabili e disegni di difficile interpretazione.
La
mano di Brief su alcuni di quei fogli era
inconfondibile: tutta quella roba era stata scritta di suo pugno dal
proprietario della Capsule Corporation e, per qualche strano motivo, sua figlia
aveva deciso di appropriarsene e di aggiungere dei dettagli.
Perché?
Più
osservava quei calcoli e quei disegni e più si convinceva del fatto che essi
riguardavano la Luna.
La
vecchia Luna.
Ormai,
erano trascorsi almeno una quindicina di anni da quando il satellite naturale
della Terra era esploso del nulla.
Che
senso aveva mettersi a studiare la sua conformazione geologica, ammesso che di conformazione geologica si trattasse?
E
perché, soprattutto, farlo proprio in quel momento?
Bulma
non era stata trattenuta a corte per lavorare agli ordini dei saiyan?
Se
così fosse stato, allora dovevano essere stati loro a ordinarle di mettere mano
a quella roba.
Ciò,
però, non faceva che rendere il tutto ancora più complicato.
Condor
sparpagliò i fogli sulla scrivania e provò ad accendere il computer, ma il
tentativo finì in un buco nell’acqua.
«Ah,
quella maledetta ha inserito una parola chiave!»
Il
maestro, allora, tornò a rovistare tra i progetti cartacei alla ricerca di
qualche dettaglio chiarificatore.
Doveva
venirne fuori, in un modo o nell’altro.
Doveva.
Gli
occhi, alla fine, caddero su un dettaglio che aveva inizialmente trascurato.
Era
una scritta in rosso, piuttosto piccola ma comunque ben visibile.
Come
gli era potuta sfuggire?
L’uomo
lesse con attenzione ciò che vi era impresso sopra.
«Onde Bluetz»
sussurrò Condor a mezza bocca. «Ma che diavolo significa?»
Il
burbero e anziano guerriero alzò per un momento gli occhi e sospirò in preda
alla preoccupazione.
Forse,
era giunto il momento di mettere momentaneamente da parte i risentimenti nei
confronti di Muten e di informarlo sugli studi di Bulma e di suo padre.
Se
agli occhi dei saiyan quella roba sembrava
interessante, evidentemente, benché lui non capisse il significato di quei
calcoli, questi ultimi non dovevano celare niente di buono.
CONTINUA
Angolo dell’autrice
Ben
ritrovati!
Puntuale,
come avevo promesso, ho pubblicato anche il sedicesimo capitolo di questa
storia.
Be’,
chiaramente non posso non ringraziarvi per la pazienza e la comprensione che
avete dimostrato nei miei confronti.
Vi
ho ricompensati con un capitolo abbastanza corposo, privo di amoreggiamenti ma
ricco di piccoli colpi di scena e spero che ciò abbia contribuito a rendere più
sopportabili gli intermezzi introspettivi. A tal proposito, ci tengo a
precisare – come ho già fatto altre volte – che i miei personaggi, protagonisti
compresi, non sono perfetti, ma, al contrario, hanno delle sfaccettature molto umane. Chichi,
in particolare, in questo capitolo non ha dato il meglio di sé, giudicando
l’atto del tradimento di Mamanu nei confronti di Giumaho senza riflettere per nulla sul fatto che ella non
ha mai desiderato spontaneamente quel matrimonio. Non è stata affatto
comprensiva, in fondo, ma trovo che una qualunque figlia avrebbe reagito allo
stesso modo sapendo che la moglie del proprio padre avesse una relazione extraconiugale.
Anche Mamanu, dopotutto, sta iniziando a vacillare e
a perdere la calma, oltre che il suo autocontrollo.
Piccole
e doverose anticipazioni.
Nel
prossimo capitolo tratterò, molto probabilmente, del fatidico incontro tra Bulma e Vegeta e i coniugi Brief.
Lo so, fino a questo momento la storia non ha ancora avuto risvolti comici – o
tragicomici – ma credo che sia giunto l’ora, dopo ben sedici capitoli, di
inserire un intermezzo ilare. Insomma, cercherò il più possibile di rendere IC
i genitori di Bulma e, dunque, di alleggerire un poco
la trama, rimanendo fedele al puro stile Dragon Ball.
Spero
vivamente di non fare pasticci!
Intanto,
vi ringrazio come sempre per aver letto il capitolo.
Lo
zigomo doleva più di quanto non avesse fatto la prima e ultima volta in cui
aveva ricevuto un pugno da Kakaroth.
O
Son Goku, come si faceva chiamare allora.
Ma
Yamcha, nel frattempo, non aveva elaborato alcuna strategia
per difendersi da un altro eventuale attacco da parte del saiyan.
Perché
mai, in fondo, quel maledetto avrebbe dovuto attaccarlo?
Il
torneo era finito da un pezzo, e i malvagi
avevano ottenuto tutto ciò che potevano desiderare: il controllo di Furipan, la collaborazione della principessa e persino le sfere del drago.
Ecco
perché il pugno di Kakaroth gli aveva procurato più
incredulità che dolore.
Non
se lo sarebbe mai aspettato, dopo tutto; non dopo che quel saiyan
era riuscito tanto brillantemente a spianare la strada ai suoi compagni.
«Si
può sapere che diavolo vuoi?»
«Lo
sai benissimo cosa voglio, terrestre.»
Yamcha
si passò una mano sulla bocca e raccolse i rivoli di sangue che gli stavano
colando dal naso.
No,
lui non lo sapeva affatto.
A
parte sparire dalla circolazione – vigliaccamente, come aveva osato dire Bulma – egli non aveva fatto proprio nulla di male e,
comunque, niente che avrebbe potuto infastidire i saiyan.
Era
vero: l’idea iniziale era quella di complottare qualcosa con Tensinhan e Jaozi per liberarsi
una volta per tutte di Kakaroth e della sua feccia,
ma in quei pochi giorni che avevano avuto a disposizione, loro tre non erano
riusciti a concludere niente di niente.
«Tu
sei completamente fuori di testa!» urlò il terrestre, ancora accasciato a
terra. «Che c’è? Ti sei alzato col piede sbagliato?»
Il
saiyan si avvicinò di nuovo a Yamcha
e lo afferrò per il bavero della tuta, fino a farlo sollevare con la forza.
Erano
a pochi centimetri di distanza l’uno dall’altro, occhi negli occhi ed entrambi
inferociti.
Goku
detestava dover avere a che fare con i finti tonti e ancor più gli dava noia
l’idea che qualcuno decisamente più debole si permettesse il lusso di prendersi
gioco di lui.
Possibile
che a quell’idiota non fosse bastata la lezione ricevuta al torneo di arti
marziali?
Se
ben ricordava, oltretutto, Yamcha aveva dimostrato
una certa presunzione nei suoi confronti ancora prima di battersi con lui
proprio perché convinto di poter vincere senza problemi.
Un
incompetente, insomma.
Una
vera piaga.
Kakaroth
aveva però erroneamente pensato che la sconfitta subita gli avesse insegnato a
tenere a freno a lingua.
E,
invece, eccolo lì a prendere a pugni un povero disgraziato che fingeva anche di
avere la coscienza pulita.
Solo
per quello, il terrestre avrebbe meritato la morte.
Kakaroth,
però, dovette trattenersi.
Spedirlo
all’altro mondo in quel momento non avrebbe in alcun modo risolto i suoi
problemi e, anzi, forse li avrebbe addirittura fatti aumentare.
Lui
aveva uno scopo, ovvero rientrare in possesso delle sfere del drago e, senza la collaborazione di quel damerino, egli
non ci sarebbe riuscito mai e poi mai.
«Allora,
te lo chiedo senza giri di parole. Dove hai nascosto le sfere del drago?»
Il
cuore di Yamcha, nell’udire quella domanda, perse un
battito.
Che
diavolo stava farneticando quel pazzoide di Kakaroth?
«E
lo chiedi a me? Sei tu quello che è a contatto ventiquattro ore su ventiquattro
con la principessa di Furipan!»
Un
secondo pugno sullo zigomo impedì al terrestre di continuare a parlare.
Il
ragazzo si accasciò a terra dolorante e prese a inveire mentalmente contro il
suo avversario.
Era
chiaro: il saiyan stava cercando una scusa per
attaccare briga con lui e, anche se gli sfuggiva il perché di un simile
comportamento, Yamcha avrebbe fatto qualunque cosa
pur di capirlo.
«Non
accetto che mi si prenda in giro così, idiota. Dimmi dove sono le sfere,
adesso!»
«Ma
che diavolo vuoi che ne sappia? Ti sei bevuto il cervello, per caso?»
Mentre
pronunciava quelle parole, il terrestre ebbe un’illuminazione.
«Ah,
forse ho capito! Tu e la principessa ve le siete fatte soffiare da sotto il
naso, non è vero?»
Un
calcio in pieno volto si aggiunse ai pugni già subiti da Yamcha
per mano di Kakaroth.
L’allievo
di Muten, evidentemente, aveva fatto centro.
Ma
come aveva potuto quel saiyan pensare che fosse stato
lui a prenderle?
Certo,
il ragazzo ci aveva seriamente pensato; ma inoltrarsi nel castello di Furipan da quando ci si erano stabiliti dentro gli invasori
era diventata un’impresa quasi impossibile.
Il
suo primo e unico tentativo si era rivelato un buco nell’acqua e, oltretutto,
per mano non di un malvagio, ma della
sua fidanzata.
Davvero
Kakaroth pensava che lui fosse tanto idiota da rimettere
piede lì dentro senza nemmeno avere in mente un piano efficace?
Magari,
quel saiyan pensava che ne avesse avuto uno.
Ma
si sbagliava! E quanto si sbagliava!
«Smettila
di attaccarmi, accidenti! Hai preso un granchio, lo vuoi capire? Io non c’entro
un bel niente con la sparizione delle tue preziose sfere!»
«Ma
a chi vorresti darla a bere, terrestre? Vorresti forse farmi credere che tu,
per tutto il tempo in cui sei stato lontano dalla corte, non abbia architettato
proprio un bel niente? So benissimo che sei in grado di azzerare la tua aura!
Ci sarebbe voluto poco per te per fregare quell’incapace del Supremo!»
«Cosa?
Vuoi forse dire che le aveva lui?!»
«Smettila
di fare il finto tonto!»
L’ennesimo
colpo che il saiyan stava per infliggere al suo
avversario venne bloccato da Tensinhan.
Il
ragazzo aveva la coscienza sporca e ne era perfettamente consapevole.
Per
la verità, l’idea che fosse qualcun altro a subire le conseguenze del suo gesto
avrebbe dovuto in qualche modo metterlo in una botte di ferro; ma una simile
vigliaccata non faceva proprio per lui.
Tensinhan
era un ottimo guerriero, un giovane dalle incredibili doti tecniche e di grande
coraggio.
Certo,
fare del bene non era esattamente nelle sue corde.
Egli
era stato educato da uno dei maestri di arti marziali più in gamba e cinici del
pianeta, e da lui aveva appreso a non conformarsi troppo al bene.
Dove
avrebbe portato, in fondo, un eccessivo buonismo?
Gli
eventi della vita gli avevano insegnato che nessuno al mondo si sarebbe fatto
scrupoli di fronte a una persona in difficoltà.
Per
sopravvivere in mezzo agli infami, bisognava conformarsi alla loro mentalità e
diventare più spietati di loro.
Lui
lo aveva fatto, e ci aveva guadagnato il rispetto di Condor e la soddisfazione
di vedere tremare di fronte a lui gente che, con altri individui, si sarebbe
comportata da spavalda.
In
quel momento, però, l’idea che qualcuno prendesse pugni al suo posto gli
piaceva ben poco.
Era
incredibile come la vicinanza agli allievi di Muten
avesse in qualche modo plasmato la sua coscienza.
Tensinhan
non avrebbe mai confessato, ovviamente, ma neppure avrebbe permesso che Yamcha perisse sotto i micidiali colpi di quel saiyan.
«Ti
ho già detto prima di non intrometterti» ringhiò Kakaroth,
osservando con sguardo truce l’allievo di Condor.
«Mi
dispiace, ma credo proprio che tu abbia sbagliato persona.»
«Io
penso di no. Sai? Difficilmente il mio intuito sbaglia su certe cose. Il tuo
amico è un codardo, e lo ha dimostrato scappando da Furipan
nonostante i suoi compagni fossero tenuti dai saiyan
ai lavori forzati. E poi, l’ho visto con i miei occhi aggirarsi furtivamente
nei dintorni del castello. Credo che se ne sia accorto anche Vegeta! Se il
principe venisse a sapere della sparizione delle sfere del drago, da chi credi che andrebbe a cercarle?»
«Yamcha è soltanto un ingenuo. Ha agito d’impulso! Ma sono
sicuro che lui non c’entra niente.»
Le
parole di Tensinhan in sua difesa accesero
nell’allievo di Muten un agghiacciante sospetto.
Il
ragazzo con cui aveva deciso di collaborare non godeva certo di un’ottima
reputazione presso Muten. Yamcha
non aveva dato troppo peso ai brutti epiteti che il suo maestro aveva riservato
agli allievi di Condor, anche perché, in effetti, questi ultimi erano stati i
soli a dar credito ai suoi sospetti circa la natura ambigua di Kakaroth.
Però
– e questo doveva purtroppo ammetterlo – il guerriero dai tre occhi aveva
sempre mantenuto nei suoi confronti un atteggiamento ambiguo.
Lo
aveva coinvolto solo in parte nei suoi piani, tenendolo all’oscuro di tanti
dettagli che, evidentemente, egli aveva poi studiato e analizzato per conto
proprio.
C’era
anche da dire che troppe volte, nel corso delle lunghe giornate che
trascorrevano insieme, egli lo aveva perso di vista, senza però chiedersi con
troppa insistenza dove fosse finito.
E
se fosse stato proprio lui a rubare le sfere
del drago?
In
fondo, Yamcha gli aveva insegnato personalmente ad
azzerare l’aura, quindi, in effetti, Tensinhan poteva
rientrare benissimo nella lista dei sospettati.
Tutti
le sue riflessioni, però, furono interrotte dall’improvviso avvicinarsi di
un’aura a lui conosciuta.
Era
debole, certo, ma molto familiare.
Kakaroth
si voltò di spalle.
Era
chiaro: anche lui se n’era accorto.
Chichi
li stava raggiungendo a e elevata velocità.
Veniva
dall’alto.
Possibile
che avesse imparato a volare?
***
Bulma
non aveva mai guidato un elicottero con tanta ansia.
Aveva
una paura matta di ciò che sarebbe accaduto molto presto nella Città
dell’Ovest.
Vegeta
non era esattamente il tipo di persona che si potesse convincere con le buone a
desistere da un determinato proposito.
Ora,
il principe dei saiyan
aveva un obiettivo ben preciso: mettere le mani sul radar cerca sfere.
Tentare
di allungare la strada per arrivare alla Capsule Corporation sarebbe stata una
mossa controproducente. Non solo, infatti, Vegeta se ne sarebbe accorto, ma la
scienziata avrebbe addirittura rischiato di farlo innervosire ancora di più.
Ecco
perché ella sperava con tutta sé stessa che Crilin
avesse ricevuto il suo messaggio.
Bulma
non sapeva esattamente se il suo amico sarebbe stato in grado di fare qualcosa
– e, soprattutto, per tempo – ma, di sicuro, non poteva lasciare nulla di
intentato.
Era
in gioco la vita dei suoi genitori, oltre, naturalmente, all’incolumità di
tutti i terrestri.
E
la cosa peggiore era che la colpa era sua.
Solo
ed esclusivamente sua.
***
«Eppure… Eppure ero assolutamente certo di aver installato
nel nuovo prototipo di auto volante anche un dispositivo per il posizionamento
automatico della sveglia da bordo. Mia cara, per caso hai idea di che fine
abbia fatto?»
«No,
mi dispiace. Vuoi che ti prepari una tazza di tè?»
Il
signor Brief sollevò la testa dall’ultimo bolide
appena collaudato e prese a guardare la sua dolce e tenera moglie.
No,
decisamente no.
Quello
non era affatto il momento adatto per concedersi un break, ma la tenera
signora, in realtà, quel tè lo aveva già preparato e stringeva tra le mani la
tazza fumante.
Quella
donna sapeva sempre come sorprenderlo.
A
lei non interessava un bel niente della scienza e della tecnologia.
Probabilmente,
su tutto il pianeta non c’era una coppia più male assortita della loro.
Eppure,
nonostante l’apparente incompatibilità dei loro caratteri e dei loro interessi,
i coniugi Brief erano una coppia solida e felice,
nella quale ognuno dei due sposi contribuiva a rendere appagante la vita
dell’altro.
Bulma
era il risultato del loro più che ventennale amore.
Quella
ragazza era la sintesi perfetta tra la bellezza angelica della madre e
l’acutissimo cervello del padre.
Al
signor Brief piaceva molto rimuginare sulle qualità
della sua splendida figliola: egli sapeva che quella ragazza aveva talento da
vendere nel campo della tecnologia e che, molto presto, sarebbe probabilmente
riuscita anche a superare suo padre.
Peccato
che avesse una tendenza sfrenata a cacciarsi nei guai.
Lo
scienziato non avrebbe saputo dire se quella fosse una sua inconscia
predisposizione o se la sua dolce figliola fosse semplicemente sfortunata. Una
cosa, però, era certa: ovunque andasse BulmaBrief succedeva sempre qualcosa di spiacevole.
Sebbene
egli avesse fatto finta di niente con lei, lo scienziato sapeva che a Furipan erano giunti i malvagi.
Era stato lo stesso Muten a metterlo a conoscenza
della novità, pregandolo di accelerare al più presto la realizzazione del radar
cerca sfere.
Egli,
alla fine, ci era anche riuscito.
Il
prezioso oggetto era lì, poggiato su una mensola e pronto all’uso.
Ci
voleva soltanto qualcuno che venisse a prenderlo.
Inizialmente,
Brief aveva pensato di chiamare proprio Muten, ma la proverbiale poca dimestichezza che il grande
maestro aveva con la tecnologia lo fece desistere da un tale proposito.
Perché,
allora, non rivolgersi proprio a Bulma?
In
fondo, la ragazza era lì ormai da diversi giorni e, di sicuro, era molto più
probabile che riuscisse lei a fuggire per qualche ora da Furipan
senza dare nell’occhio, piuttosto che lo facesse Muten.
Tra
l’altro, quest’ultimo nemmeno sapeva guidare un elicottero.
Lo
scienziato posò per terra gli attrezzi che aveva in mano e prese dalle mani
della moglie la tazza di tè.
Era
da parecchio che non si concedeva il lusso di accoccolarsi per terra e di
degustare qualcosa con tanta tranquillità.
Egli,
tendenzialmente, non era un tipo che amasse fare le cose di fretta, ma, da
quando lavorava insieme alla figlia, aveva finito per cambiare le proprie
abitudini.
L’esuberanza
della ragazza l’aveva costretto a rivedere i suoi tempi di lavoro e anche il
suo modo di operare.
Bulma
aveva energie da vendere: era capace persino di lavorare un’intera nottata
senza chiudere occhio se prima non avesse portato a compimento un progetto.
Brief
non aveva mai conosciuto una persona più testarda di lei.
Da
chi diavolo aveva preso, quella benedetta ragazza?
Sua
moglie non era affatto così e tantomeno lo era lui.
Tuttavia,
l’impetuosità di Bulma gli aveva dato un’enorme
carica negli ultimi tempi.
Era
grazie a lei se il dottor Brief aveva portato a
termine vecchi progetti e studi rimasti per anni accantonati tra i suoi file.
Uno
di questi, riguardava la Luna.
Della
sua scomparsa si era parlato molto anni addietro, ma nessuno scienziato era mai
riuscito a trovare una spiegazione plausibile.
A
suo parere, qualcuno l’aveva distrutta.
Un’idea
del genere, peraltro esposta in uno dei grandi congressi tematici riguardanti i
corpi celesti, era stata sbeffeggiata a più riprese, ma lo scienziato aveva
sempre nutrito il sospetto di averci visto giusto.
Chissà
perché, il fatto che Bulma, in occasione dell’arrivo
dei malvagi, avesse messo di nuovo le mani sui suoi vecchi studi sulla Luna,
gli fece pensare, per l’ennesima volta, di aver indovinato alla grande.
«Caro,
oggi sei più silenzioso del solito. Che cosa ti succede?»
«Oh,
tesoro! Niente di che. Stavo solo pensando a Bulma.»
«Ah,
quella benedetta ragazza! Mi fa sempre preoccupare! Ma quando la deciderà di
smetterla di cacciarsi nei guai e di mettere su famiglia? Ormai non è più
un’adolescente! E poi, ha al suo fianco un bellissimo ragazzo! Dovrebbe pensare
un po’ di più a sé stessa invece che a risolvere i problemi del mondo intero.»
Il
dottor Brief prese a sospirare e lanciò un’occhiata
al radar cerca sfere.
«Che
ci vuoi fare. Anche a me piacerebbe che fosse meno spregiudicata, ma è fatta
così. Ormai è adulta e, di certo, non possiamo più sperare che la sua indole
cambi.»
«Chissà
se si sposerà mai. È così bella, la mia bambina! Potrebbe avere intorno tutti
gli uomini che vuole! E quel Yamcha mi pare un
giovanotto per bene. Già mi ci vedo: rilassata, felice, e con tanti nipotini
attorno.»
«Ah,
mia cara! Non credo che quel ragazzo diventerà mai il marito di Bulma.»
«Perché
dici questo?»
«Perché…be’, perché…»
Il
rumore molto familiare di un elicottero interruppe il dottor Brief.
«Oh,
caro! Bulma è arrivata, finalmente!»
«Aspetta!
Non precipitarti subito fuori!»
La
signora Brief, però, non diede ascolto al marito.
In
poco meno di dieci secondi, la consorte dello scienziato più blasonato del
pianeta era già in cortile, in attesa che la sua splendida figlia scendesse
dall’apparecchio.
***
Crilin
non c’era.
La
prima cosa che Bulma aveva fatto appena messo piede
nel giardino della Capsule Corporation fu quella di verificare se il suo amico
fosse già lì.
Purtroppo,
le cose stavano diversamente.
La
scienziata aveva il fiato sul collo.
Vegeta
non aveva proferito mezza parola durante tutto il volo, ma aveva osservato con
morboso interesse tutto ciò che saettava sotto i suoi occhi dal finestrino.
Evidentemente,
da quando aveva messo piede sulla Terra, Vegeta non aveva avuto il tempo di
perlustrarla a sufficienza.
Che
la trovasse interessante?
Evidentemente
sì, visto il religioso silenzio nel quale era piombato durante quell’ora scarsa
di volo.
Tuttavia,
il non sapere esattamente cosa passasse per la testa del saiyan
le metteva una certa inquietudine.
Era
poi troppo imbarazzata per rompere quel silenzio.
Avevano
da poco fatto sesso e l’idea che ciò potesse portarle delle brutte conseguenze
la stava facendo impazzire.
Più
cercava di capire cosa le fosse passato per la testa e più doveva fare i conti
con un’amara verità: quel maledetto principe le piaceva da morire.
E
la sua morte, probabilmente, sarebbe stata l’inevitabile conclusione di tutta
quell’assurda storia.
Bulma
incedeva a passo lento verso la porta di casa, percependo dietro di sé
l’inquietante presenza di Vegeta.
Ormai
era fatta: Crilin non sarebbe mai arrivato in tempo e
lei doveva solo sperare che il sovrano dei saiyan non
facesse del male a suo padre.
O
a sua madre.
Per
la verità, a impensierire di più Bulma era proprio la
sorte della signora Brief.
Lei
conosceva fin troppo bene la genitrice e sapeva che il suo modo di fare sarebbe
stato assolutamente insopportabile per un tipo come Vegeta.
Peccato
che il destino avesse deciso, per l’ennesima volta, di remare contro di lei.
Bulma
non fece in tempo ad aprire la porta della Capsule Corporation che sua madre
l’aveva preceduta e si era precipitata tra le sue braccia ad abbracciarla.
«Oh,
tesoro mio! Finalmente ti sei decisa a tornare a casa! Ero preoccupata per te,
sai? Ti cacci sempre in tanti di quei guai! Mi fa piacere che tu ti sia fatta
accompagnare da Yamc…»
Il
silenzio che travolse la signora Brief era per Bulma inequivocabile.
Sua
madre doveva finalmente essersi resa conto che l’uomo che stava con lei non era
il suo fidanzato.
La
giovane scienziata prese a tremare e, istintivamente, strinse ancora più forte
a sé la donna più importante della sua vita.
«Mamma,
per favore, non è il momento di chiacchierare. Ho urgenza di vedere papà.»
La
bella signora Brief, però, sembrava totalmente
disinteressata alle parole della figlia.
Ella
guardava con stupore e con sfacciata curiosità lo splendido giovane che Bulma aveva portato con sé a casa.
Doveva
ammetterlo: Yamcha era un bellissimo ragazzo, ma il
tizio che aveva in quel momento davanti agli occhi era ancora più attraente di
lui.
Ella
aveva sempre avuto buon gusto in fatto di uomini e riusciva perfettamente a
cogliere la bellezza di un individuo anche se costui tentava di mascherarla.
Ma
la persona che accompagnava Bulma non cercava di
nascondere un bel niente.
Era
lì, dietro la sua dolce figliola, ostentando un portamento fiero e decoroso e
mostrando senza remore la sua sviluppatissima muscolatura.
La divisa che indossava, di un modello che mai le era capitato di vedere prima
di allora, metteva ancora di più in risalto il suo fisico scolpito.
Lo
sguardo di quel giovane non pareva né particolarmente sereno né, tantomeno,
rilassato.
Eppure,
la strana inquietudine e la rabbia che scorgeva in quegli occhi le sembravano
avere un fascino ammaliatore.
«Tesoro,
che cos’è questa novità? Non sapevo che avessi un nuovo ragazzo!» sussurrò a
mezza bocca la signora Brief all’orecchio della
figlia.
Bulma
avrebbe voluto sprofondare e sperò con tutta sé stessa che Vegeta non avesse un
udito raffinato a tal punto da udire le parole dell’irriverente madre della
scienziata.
«Infatti,
mamma. Tappati la bocca e non dire più mezza parola. Devo vedere papà, adesso.
Lasciami entrare in casa!»
«Quanta
fretta, tesoro! Hai fatto… Anzi, avete fatto un viaggio molto lungo! Rilassati un attimo! Tuo padre
è in laboratorio e sta’ sicura che non scapperà!»
«Oh,
andiamo! Ma quale viaggio lungo! Mamma, lasciami andare. Ho fretta!»
L’affascinante
signora sciolse l’abbraccio che la legava alla figlia e si avvicinò allo
sconosciuto accompagnatore.
Era
bello, c’era poco da fare.
Bulma
aveva la testa dura e anche un pessimo carattere, ma, chissà come, riusciva
sempre a farsi circondare da uomini molto interessanti.
«Perdona
la scortesia di mia figlia, ragazzo. Ha sempre così poco tatto! Comunque,
accomodati pure dentro casa. Sei il benvenuto!»
Vegeta
lanciò un’occhiata infuocata prima alla signora Brief
e poi a Bulma.
Che
razza di donna spudorata era quella?
Possibile
che fosse davvero la madre della scienziata?
Di
cose assurde, il principe dei saiyan ne aveva viste
in giro per l’universo; ma che una persona dall’intelligenza spiccata come la
giovane che poche ore prima aveva fatto sua fosse stata partorita da una
creatura tanto sprovveduta quanto poco perspicace era a dir poco ridicolo.
Era
forse uno scherzo della genetica, quello?
Probabile,
o magari Bulma lo stava solo prendendo in giro.
Vegeta,
comunque, ignorò l’eccentrica signora e si avvicinò a Bulma,
col risultato di far tirare a quest’ultima un sospiro di sollievo.
La
bella scienziata aveva seriamente temuto per l’incolumità della genitrice.
Le
voleva bene e sapeva che se le fosse capitato qualcosa per colpa sua non se lo
sarebbe mai perdonato.
Forse
Vegeta aveva letto nei suoi occhi la preoccupazione che aveva?
Chissà;
di sicuro, era bene approfittare della magnanimità del principe dei saiyan prima che cambiasse idea e decidesse di far saltare
in aria sua madre e tutta la Capsule Corporation.
«Vedi
di darti una mossa, Bulma. Non ho molto tempo da
perdere, come ben sai.»
«Certo»
sbuffò la ragazza «e come potrei dimenticarlo? Seguimi.»
***
Al
suo interno, quella che Bulma aveva chiamato più di
una volta con il nome di Capsule Corporation era una vera meraviglia della
tecnologia.
Raramente
Vegeta aveva potuto ammirare tanta spropositata evoluzione scientifica in giro
per l’universo.
Certo,
lui non avrebbe mai usato dei robot tanto avanzati solo per pulire una stupida casa;
però doveva ammettere che, se sfruttati in altri modi, quegli aggeggi metallici
avrebbero potuto facilitare non poco il suo ruolo di sovrano dei saiyan.
In
fondo, quello era il tipo di dimora che il principe dei saiyan
aveva immaginato per Bulma: estremamente lussuosa,
comoda oltre ogni dire e superavanzata tecnologicamente.
Il
senso di delusione provato nello scoprire che razza di madre avesse colei che,
volente o nolente, sarebbe presto diventata a tutti gli effetti la sua donna,
stava pian piano lasciando il posto a una rassicurante presa di coscienza: ci
aveva visto giusto.
La
Capsule Corporation era un mondo a parte, profondamente diverso dagli altri
edifici del pianeta.
Era
maestosa, imponente, ricca.
Perfetta,
insomma.
Perfetta
come ipotetica dimora reale.
L’uomo
che il principe scorse accucciato al pavimento di quello che, a detta di Bulma, doveva essere il laboratorio scientifico, aveva un’aria
mesta e piuttosto trasandata.
Si
era accorto subito del loro ingresso il famoso dottor Brief.
Li
aspettava con ansia, a dire il vero.
Certo,
che Bulma arrivasse in compagnia di qualcuno non era
di affatto previsto, ma lo scienziato aveva imparato già da diversi anni a
tenere la bocca chiusa, soprattutto quando le faccende non risultavano troppo
chiare e pulite.
In
quel caso, tacere su quel ragazzo gli era sembrata la mossa migliore.
Bulma
non aveva alzato nemmeno per un secondo lo sguardo verso di lui.
Non
solo sua figlia sembrava avere molta fretta, ma, probabilmente, voleva anche
evitare che egli le facesse troppe domande.
Domande
su quel tizio, appunto.
Apparentemente,
il ragazzo in questione non aveva proprio niente di anormale, ma il fatto che
fosse con lei in quell’occasione aveva acceso nella testa dell’eccelso dottore
un campanello d’allarme.
Chi
era costui?
Perché
Bulma lo aveva portato con sé per recuperare il radar
cerca sfere?
Possibile
che…
«Dov’è,
papà?»
«Su
quella mensola, tesoro» rispose prontamente l’uomo indicando il punto esatto
con un indice «ma perché vai tanto di corsa? Calmati un attimo! Non fa bene
alla salute agitarsi così!»
«Lo
so, figurati. E comunque… E comunque non sono
agitata.»
Bulma
si avvicinò alla mensola e prese tra le mani il prezioso oggetto.
Era
più piccolo di quanto immaginasse, a dire il vero, ma la sola fattura che
vantava era una prova dell’elevata qualità del radar.
La
scienziata non fece nemmeno in tempo ad ammirarlo per bene che Vegeta glielo
sfilò dalle mani.
«Questo
lo tengo io, per ilmomento. E ora
andiamocene.»
Il
signor Brief avrebbe voluto replicare, ma lo sguardo
con cui tacitamente sua figlia lo supplicò di stare zitto lo frenò dal suo
intento.
Quello
era un malvagio; ormai non aveva più
dubbi.
Bulma
doveva essersi cacciata in un guaio parecchio grosso e, se l’intuito non lo
ingannava, almeno in parte doveva essersela cercata.
***
La
signora Brief, dal maestoso giardino della Capsule
Corporation, aveva lo sguardo rivolto verso il portone di casa e ripensava
sognante al misterioso accompagnatore di Bulma.
Doveva
ammetterlo: sua figlia aveva superato tutte le sue più rosee aspettative.
Più
di una volta aveva temuto che rimanesse zitella o che non riuscisse a tenersi
stretto un uomo per più di mezza giornata.
Già
con Yamcha, Bulma aveva
fatto passi da gigante.
Ma
quel ragazzo… Quel meraviglioso ragazzo che aveva
visto scendere con lei dall’elicottero, be’, era una
goduria pura per gli occhi. Dove accidenti era andata a pescare un simile
gioiello antropomorfo? Ah, la sua dolce bambina aveva finalmente deciso di
mettere la testa a posto!
L’allegra
signora canticchiava in giardino.
Era
passato poco più di un minuto da quando Bulma e il
ragazzo senza nome erano entrati dentro la Capsule Corporation, e lei, da brava
padrona di casa, aveva deciso di prendere la scopa in mano e di spazzare per
bene il viale.
Tanto,
prima o poi sua figlia sarebbe dovuta passare da quella porta e, chissà, magari
avendo risolto la famosa questione
urgente con il padre, si sarebbe lasciata andare a una bella chiacchierata
con lei.
Fu
in quel momento che la signora Brief scorse all’orizzonte
qualcosa che dal cielo si stava avvicinando.
E
più il misterioso oggetto si faceva distinto e più si rendeva conto che in
realtà quel qualcosa era qualcuno.
«Oh,
cielo!» esclamò stupefatta la madre della scienziata più spregiudicata del
pianeta. «Ma quello… Quello chi è?»
In
pochi secondi, la bella signora si trovò davanti un uomo, un uomo dal fascino
indiscutibile letteralmente piovuto dal cielo.
«No,
non ci credo! Oggi è proprio il mio giorno fortunato!»
Bardack
si guardò intorno, stupito non poco dalla magnificenza dell’edificio in cui era
appena approdato. Se il terrestre pelato non aveva mentito, quella doveva
essere la Capsule Corporation, la residenza della ragazzina che si era fatta raggirare
come un pedalino dal grande Vegeta.
Già;
peccato che di fronte a lui ci fosse una perfetta sconosciuta, dall’aria anche
piuttosto inebetita.
Il
generale non batté ciglio di fronte all’insistenza con cui quella donna lo
stava guardando.
Che
diavolo aveva quella svampita?
Una
qualunque persona normale avrebbe tremato di paura nel vedere un uomo volare.
A
quanto aveva potuto capire, infatti, non
era una facoltà comune tra gli esseri umani.
Eppure,
quella strana signora non sembrava affatto essere spaventata.
Bardack
evitò qualunque discorso che potesse allungare una conversazione che, già di
per sé e ancora prima che fosse iniziata, non lo entusiasmava affatto.
«Dove
sono il principe e la scienziata?»
Nell’udire
quelle parole, per poco l’esuberante moglie del dottor Brief
non ebbe un mancamento.
Il
tizio in compagnia di sua figlia era… un principe?
CONTINUA
Angolo dell’autrice
Ciao
a tutti!
Innanzitutto,
perdonate il mio ritardo ma la scorsa settimana non sono stata molto bene e non
ho avuto il tempo per completare il capitolo.
Oggi,
per fortuna, va un po’ meglio.
Bene,
finalmente abbiamo assistito all’ingresso in scena dei coniugi Brief. Ho cercato di renderli più IC possibile e spero di
esserci riuscita, anche se in realtà non ho ancora dedicato loro tutto lo
spazio che vorrei. Credo proprio che lascerò alla madre di Bulma
ancora un po’ di tempo per godersi i bei maschietti appena atterrati alla
Capsule Corporation.
Kakaroth,
nel frattempo, le sta dando di santa ragione a Yamcha,
che, come ben sappiamo, non c’entra niente con la sparizione delle sfere del drago. Tensinhan
inizia a tal proposito ad avere qualche rimorso di coscienza. Gli ho dedicato
un discreto angolo introspettivo e spero che sia sufficiente a far capire il
suo modo di ragionare. Tra l’altro, Chichi sta per
raggiungere Kakaroth e, molto probabilmente, il
segreto di Tensinhan verrà a galla.
Ok,
ammetto di essere abbastanza stanca e quindi eviterò di dilungarmi oltre con le
note.
Vi
ringrazio, come sempre, per il sostegno che mi date!
Da
quando in qua Chichi sapeva volare?
Yamcha
pensava di conoscere la principessa abbastanza bene, ma evidentemente
la bella guerriera gli aveva nascosto questa verità.
Già,
ma a che pro?
Forse
nemmeno lei si fidava completamente di lui?
L’idea
di essere stato in un certo modo preso in giro da Chichi non gli
piaceva per niente: Yamcha era ancora talmente disgustato dal
trattamento che gli aveva riservato Bulma che ormai vedeva come un
affronto personale praticamente ogni cosa che gli venisse detta.
O
taciuta.
Persino
i colpi infertigli da Kakaroth gli dolevano meno al confronto.
Ecco,
appunto.
Kakaroth.
Da
quanto poteva scorgere attraverso il suo sguardo confuso, nemmeno lui
sapeva che Chichi fosse in grado di volare.
Benissimo:
erano stati presi in giro entrambi.
Tra
l’altro, sebbene ancora Yamcha non riuscisse a scorgere la sua
figura nel cielo, si era reso conto benissimo che la principessa
stava volando a una velocità piuttosto sostenuta. Un essere umano
normale non avrebbe potuto arrivare a tanto.
Come
accidenti era possibile?
Dal
canto suo, Kakaroth aveva finalmente deciso di lasciar perdere la
faccia martoriata di Yamcha per dirigere il suo sguardo – e la sua
attenzione – verso la giovane donna che stava arrivando.
No,
ne era certo: Chichi non aveva quella capacità.
Se
ne fosse stata in grado, avrebbe certamente utilizzato quella tecnica
anche durante i loro allenamenti. Tuttavia, era chiaro che qualcosa
non quadrava: una strana aura avvolgeva la principessa e lui riusciva
percepirla senza alcuna difficoltà. Non era certo, però, che fosse
la sua.
Anzi,
sicuramente non lo era.
C’era
qualcosa di anomalo e di magico nella strana forza che stava
percependo nell’aria, e più diventava forte quell’energia, più
era tentato di spiccare anch’egli il volo e di raggiungere la bella
guerriera.
Ma
l’arrivo repentino di quest’ultima gli fece accantonare il
proposito e gli fece venire voglia, al contempo, di imprecare contro
di lei e contro quella maledetta nuvola sulla quale era seduta.
Già,
una fottutissima nuvola volante.
Chichi
aveva il fiatone.
Certo:
non aveva fatto alcuno sforzo fisico per raggiungere il suo
protettore
presso
la Kame
House,
ma l’ansia di trovare Yamcha esanime sulla spiaggia dell’isola di
Muten le aveva messo in corpo talmente tanta angoscia che il suo
cuore aveva preso a tamburellare all’impazzata.
Per
fortuna che si era ricordata del dono che tanti anni prima le aveva
fatto sua madre prima di morire.
Se
non avesse avuto a disposizione la nuvola
Kinton,
non avrebbe mai fatto in tempo a salvare il suo amico.
E
a impedire al suo protettore
di
commettere un gravissimo errore.
Gli
sguardi sbigottiti che si era vista piovere addosso le avevano dato
la certezza che gli eventi non erano ancora precipitati. Yamcha era
malconcio, certo, ma esattamente come tutti gli altri la stava
fissando incredulo, con la faccia di chi aveva appena visto qualcosa
di sconvolgente.
E
la sua preziosissima nuvola d’oro senz’altro lo era.
Ma
a dare le dovute spiegazioni su quel meraviglioso oggetto ci avrebbe
pensato in un secondo momento, ammesso che ne avrebbe avuta
l’occasione.
«Sei
completamente impazzito, Goku?
Volevi forse ammazzarlo?»
La
ragazza scese velocemente dalla nuvola e corse incontro al suo amico,
a terra e sanguinante, ma comunque ancora lucido.
«Ah,
Yamcha! Temevo di non fare in tempo, accidenti! Prendi un senzu,
avanti.»
«Un…
cosa?»
Lo
sguardo sbigottito dell’uomo si posò su un minuscolo fagiolo
stretto nella mano della principessa.
Che
diavolo avrebbe dovuto fare con quello stupido legume?
Mangiarlo,
certo; ma a che pro? Era forse un oggetto miracoloso anche quello?
In
fondo, da una ragazza che volava in groppa a una nuvola, avrebbe
potuto aspettarsi anche questo.
«Mangialo,
Yamcha! Non è il momento di fare domande questo!»
Il
guerriero strappò il fagiolo dalle mani della principessa e lo
ingurgitò.
Assurdo,
davvero assurdo!
Probabilmente
non avrebbe dimenticato quella giornata per tutto il resto della sua
vita. Prima era stato attaccato senza motivo da un alieno venuto
sulla Terra per fottere le preziose sfere
del drago
alla sua protetta;
poi, la donzella in questione era venuta a salvarlo a cavallo di una
dannata nuvola volante; infine, la stessa fanciulla pretendeva di
alleviare le sofferenze patite per colpa di quel farabutto del suo
protettore
somministrandogli
uno stupidissimo fagiolo.
Se
ciò che stava accadendo non lo stesse vivendo sulla propria pelle,
senz’altro avrebbe riso della trama ridicola di quell’ipotetico
romanzo.
Ma
era tutto incredibilmente vero, così come era vero che quel senzu
–
o come lo aveva chiamato Chichi – aveva il potere di guarire in
fretta le persone.
Yamcha
era di nuovo in piedi.
Le
ferite sul suo volto si erano rapidamente e completamente
rimarginate.
Chichi
era riuscita a guarirlo con chissà quale medicina e, come se ciò
non bastasse, lo aveva fatto ignorando completamente il suo sguardo
minaccioso.
Quella
stupida ragazzina non si era curata quasi per nulla di lui e si era
precipitata a salvare la vita all’uomo che aveva rubato le sfere
del drago.
Ridicolo.
Pazzesco
e ridicolo.
Chichi
doveva essere una masochista; oppure non doveva interessarle poi
tanto delle sue preziose sfere. Kakaroth avrebbe voluto sbraitare
dalla rabbia, ma il viso atterrito della principessa lo confuse non
poco. Che cosa stava succedendo a quella maledetta ragazza? Egli non
poté non notare il tremolio della sua voce e i residui di lacrime
che le erano evidentemente scivolati sul viso.
Possibile
che si fosse ridotta a piangere per Yamcha?
Teneva
davvero alla sua vita fino a quel punto?
Un
moto di gelosia gli attraversò ogni singola fibra del corpo. A lui
non interessava niente di quella stupida principessa dal carattere un
po’ troppo pepato,
però lei
era la sua protetta
e Goku sapeva di aver fatto breccia nel suo cuore. O, per lo meno,
così credeva.
Che
avesse esagerato?
Che
il suo comportamento l’avesse spinta a ricredersi?
Probabilmente
sì; ma, tutto sommato, perché avrebbe dovuto dolersi per una cosa
del genere?
Lui
non era interessato a Chichi.
No.
Eppure…
«Chichi,
vuoi spiegarmi che cosa ci fai qui e… Che diavolo è quella cosa?»
«Ah,
Yamcha! Invece di pensare a me, dovresti prestare più attenzione
alle persone che ti ronzano intorno! Si può sapere come ti è
saltato in mente di metterti in combutta con gli allievi di Condor?
Il tuo maestro ti aveva avvertito su quanto quel tizio fosse poco
raccomandabile!»
«Oh,
cavolo! Non ti ci mettere anche tu! Ci ha già pensato Bulma a farmi
la ramanzina!»
«Ne
aveva tutte le ragioni, accidenti! Ma come hai potuto abbandonare
Furipan senza lasciare alcuna traccia? Così facendo hai solo destato
inutili sospetti.»
Yamcha
sbatté un pugno a terra.
Il
sollievo di aver visto Chichi arrivare e il fatto che quest’ultima
l’avesse salvata da una fine certa svanirono in men che non si
dica. Ci era riuscita: aveva rovinato tutto rivolgendogli delle
stupidissime e subdole accuse. Possibile che non si rendesse conto
che non aveva avuto altra scelta? Possibile che non capisse quanto
per lui quella scelta fosse stata difficile e obbligata?
«Chichi,
se ben ricordi io ho cercato di mettervi in guardia fin da subito sul
conto del tuo protettore.
Eppure, né tu, né nessun altro mi avete ascoltato! Cos’altro
credi che potessi fare se non allearmi con le uniche persone che
sembravano pensarla come me? Io ho provato a mettermi in contatto con
Bulma, ma…»
«Sei
un idiota!»
L’urlo
rancoroso di Chichi interruppe bruscamente le parole del guerriero.
La
ragazza era furente, con sé stessa, con Yamcha, con Kakaroth, con
Bardack e, soprattutto, con Mamanu. Era colma di rabbia a tal punto
che avrebbe potuto esplodere da un momento all’altro. Il discorso
di Yamcha aveva un senso, certo; ma proprio per questo lei si sentiva
ancora più in colpa e, di conseguenza più inviperita. Non avrebbe
dovuto diffidare dei sospetti dell’allievo di Muten. Era stato
molto ingenuo da parte sua fidarsi ciecamente di un perfetto
sconosciuto.
Chichi
non aveva mai sbagliato in maniera tanto clamorosa e la
consapevolezza di essere stata in parte responsabile
dell’allontanamento di Yamcha, seppur in maniera indiretta, fece
crollare ancora di più la sua già precaria autostima.
Certo,
lui avrebbe potuto agire in maniera molto più razionale, ma il
discorso che quel ragazzo aveva proferito in propria difesa non
faceva, purtroppo, una sola piega.
Erano
stati gli eventi a spingerlo nella rete di Tensinhan e lui, lasciato
completamente solo, non aveva potuto fare altro che caderci dentro.
Chichi
prese a guardare dritto davanti a sé.
Prima
i suoi occhi incontrarono quelli furenti e sbigottiti di Goku, poi si
posarono su quelli sconvolti di Tensinhan.
Ella
capì dallo sguardo colpevole dell’allievo di Condor che Mamanu
aveva detto la verità: era stato lui a prendere le sfere
del drago,
e sempre lui le aveva fatte sparire, forse addirittura all’insaputa
di Yamcha.
Jaozi
era terrorizzato e si stringeva con forza alla schiena di Tensinhan.
A
Chichi quel piccoletto faceva una gran pena e, nonostante ella
sapesse bene quanto in realtà egli fosse pericoloso grazie ai suoi
poteri psichici, non poteva non ignorare la sua debolezza fisica.
Aveva
paura, e ne aveva ben ragione.
Tremava
di terrore e sudava freddo, mentre aumentava con forza la vigorosa
stretta intorno all’amico.
«Sei
davvero un gran bel farabutto, Tensinhan» proferì la principessa,
non nascondendo tutto il suo astio. «Grazie alla tua bravata, hai
messo nei guai non solo me e Goku, ma anche Yamcha e il tuo amico
Jaozi. Come accidenti hai potuto? Che cosa diavolo speravi di
ottenere rubando le sfere
del drago?»
Sia
Kakaroth che Yamcha si voltarono di scatto verso Tensinhan.
Ora
era tutto chiaro: a far sparire le sfere era stato l’allievo di
Condor.
In
effetti, non faceva una piega: Yamcha doveva aver insegnato a
Tensinhan come azzerare l’aura e lui, approfittando dell’ingenuità
del predone
del deserto,
si era recato di soppiatto presso la dimora di quello scansafatiche
del Supremo, rubandogli i preziosi oggetti da sotto il naso.
Già;
ma come aveva fatto Chichi a scoprirlo?
Kakaroth
tornò a guarda la principessa.
Il
viso gonfio e le gote leggermente arrossate tradivano sicuramente una
caduta di copiose lacrime. Chichi aveva pianto – quello era certo –
ma Kakaroth non era più tanto convinto che quel pianto fosse stato
causato dalla sorte di Yamcha.
«Sei
sicura di quello che dici, Chichi? È stato davvero lui?»
«Sì,
Gok… Kakaroth. Come vedi hai preso un granchio: Yamcha non c’entra
niente.»
«E
tu come accidenti fai a saperlo?»
Chichi
trattenne a stento un moto di disgusto sul volto.
Quella
domanda le aveva fatto tornare in menti gli avvenimenti della
mattina: lei che si precipita con Crilin verso la camera di Bardack,
Mamanu nella stanza del generale, la rivelazione sulla scomparsa
delle sfere, il messaggio di Bulma…
Già,
Bulma.
Se
la principessa non avesse convinto Tensinhan a parlare alla svelta,
il principe dei saiyan avrebbe messo le mani sulle sfere
del drago prima
di loro.
«Te
lo spiego più tardi. Ora dobbiamo assolutamente recuperare le sfere
prima che Vegeta le faccia sparire. Il padre di Bulma ha costruito un
radar apposito per localizzarle e il principe e la scienziata stanno
andando nella Città dell’Ovest a recuperarlo.»
Il
silenzio che avvolse l’isola di Muten fu paragonabile solo al senso
di shock provato da Chichi poche ore prima quando scorse la sua
matrigna insieme al padre di Goku.
Tutti
erano rimasti attoniti, sconvolti dall’ultima rivelazione della
principessa.
Persino
Tensinhan antepose il terrore per il fatto che Vegeta avesse potuto
trovare le sfere al fatto che egli stesso fosse stato smascherato.
Non
lo aveva previsto; in nessun modo avrebbe potuto immaginare che
quella maledetta scienziata avrebbe finito per mettere nelle mani del
sovrano dei malvagi
uno
strumento in grado di localizzare le sfere del drago.
Tutti
i suoi sforzi per sottrarle alla custodia del Supremo erano stato
inutili: qualcuno, molto più abilmente di lui, senza neppure muovere
un dito le avrebbe presto fatte sue, semplicemente approfittando del
genio di una donna apparentemente inutile.
E
ora, Tensinhan doveva decidere se collaborare con la principessa,
oppure allearsi con i saiyan.
***
Giumaho
si sentiva debole.
Molto
debole.
Erano
giorni che non si concedeva un pasto decente e il fatto che si fosse
quasi lasciato avvincere dalla depressione lo aveva reso ancora più
instabile e vulnerabile.
Ma
Mamanu aveva ragione: lui era il padre della principessa, e finché
sua figlia non fosse diventata a tutti gli effetti la sovrana di
Furipan, spettava a lui proteggere la sua terra e i suoi abitanti da
qualunque minaccia si fosse ravvisata all’orizzonte.
E
i saiyan erano una minaccia terribile.
Sebbene
sentisse di non essere pienamente in forze, lo stregone
del toro si
decise finalmente ad alzarsi in piedi e a uscire dalla sua stanza.
Aveva paura di ciò che avrebbe potuto trovare al di fuori delle
quattro mura in cui era stato rinchiuso per giorni, ma sapeva di non
avere altra scelta: sua figlia non era in grado di gestire da sola
quella terribile situazione e se, come aveva detto Mamanu, la
presenza di Goku l’aveva mandata in confusione, spettava a lui
cercare di riprendere in mano le redini del destino della
principessa.
Giumaho
si chiuse la porta alle spalle e prese a girovagare quasi senza meta
all’interno del palazzo.
Per
la verità, non aveva la più pallida idea di dove andare e di chi
cercare.
Troppe
cose gli erano sfuggite durante quei lunghissimi e difficili giorni
ed egli si sentiva come se brancolasse nel buio.
Già;
ma le sfere
del drago erano
scomparse, e Chichi era nei guai fino al collo.
In
un modo o nell’altro avrebbe dovuto assolutamente fare qualcosa.
Il
castello sembrava essere deserto. In cucina non c’era nessuno, e
anche la sala da pranzo era completamente vuota. Giumaho si recò
persino nella palestra, ma all’interno non vi trovò anima viva.
Possibile che tutti avessero abbandonato la reggia?
E
per quale motivo?
Che
fine aveva fatto Mamanu?
Lo
stregone
del toro tornò
indietro, rientrò a palazzo ed effettuò un altro rapido giro.
Non
era possibile che fosse completamente solo lì dentro!
Vegeta,
da quel poco che aveva capito, si allontanava assai raramente da
quella che considerava la sua nuova dimora, e Bulma…
«Ah,
Bulma!» esclamò Giumaho, improvvisamente colto da un’illuminazione.
L’uomo
accelerò il passo e si diresse verso il vecchio sgabuzzino del
seminterrato.
Chichi
stessa lo aveva informato del fatto che il principe dei saiyan aveva
fatto prigioniera Bulma e che l’aveva rinchiusa lì dentro per
farle mettere a punto qualche diavoleria tecnologica.
Probabilmente,
la scienziata doveva aver adibito quella stanza ormai vecchia e
logora in una sorta di laboratorio di fortuna.
Quando
l’uomo arrivò, si accorse che effettivamente la porta era aperta.
Non
poteva sbagliare: lì dentro c’era ancora qualcuno.
Condor
non aveva fatto in tempo a scappare.
Preso
com’era dalla faccenda della Luna, aveva temporeggiato più del
dovuto nel laboratorio della scienziata.
Ma
ormai era troppo tardi per darsela a gambe: Giumaho era lì, davanti
a lui, e lo guardava con fare irato.
Il
proprietario del castello era furente e, a ben vedere, ne aveva anche
tutte le ragioni. Egli aveva messo piede in quel laboratorio
elargendo un enorme sorriso, convinto, evidentemente, di trovarsi poi
di fronte una persona diversa.
Cercava
la figlia di Brief, certo, e scoprire che invece a trafugare tra
quelle scartoffie c’era l’acerrimo nemico del suo ex compagno di
allenamenti lo aveva fatto infuriare.
D’altra
parte, sebbene si fosse introdotto lì dentro in maniera indegna,
l’anziano maestro di arti marziali era comunque incappato in roba
grossa. Bulma aveva riesumato dai vecchi archivi di quel pazzoide di
suo padre degli studi quanto meno anomali sulla Luna. Condor non
credeva certo che tutto ciò fosse un caso: lei era lì, in quel
maledetto castello, per assecondare le idee folli del principe dei
saiyan e se sul suo dannato tavolo c’erano dei calcoli inerenti
alla Luna, evidentemente l’argomento doveva interessare a Vegeta.
Senza
ombra di dubbio.
«Miserabile
farabutto!»
«Non
ti arrabbiare, Giumaho! Prima lasciami spiegare!»
«Che
diavolo ci fai qui, eh? Questo non è forse il laboratorio della
scienziata?»
Condor
si avvicinò allo stregone
del toro
sventolando tra le mani le carte di Bulma.
«Esatto;
e guarda un po’ qua? La tua cara scienziata
è
in combutta con i saiyan per qualcosa di grosso!»
Giumaho
prese a osservare Condor con aria sospetta.
Non
si era mai fidato di lui e, a meno di essere clamorosamente smentito,
non vedeva alcuna buona ragione per la quale iniziare proprio in quel
momento. Quel vecchio maestro viveva di malvagità e di inganni e,
per quanto la situazione fosse confusa e disperata, lo stregone non
avrebbe avuto alcun motivo di pensare che Bulma stesse collaborando
spontaneamente con i malvagi.
Senza
troppi preamboli, Giumaho strappò dalle mani di Condor i documenti
che teneva in mano e prese a visionarli.
Lui
non ci capiva niente di scienza e di tecnologia, ma era chiaro che in
quei fogli ci fossero dei dati inerenti a una luna.
Anzi,
quella era proprio la luna
terrestre,
scomparsa dai cieli notturni circa una quindicina di anni prima.
«Stai
forse cercando di prendermi in giro? Ma quale combutta con i saiyan:
questi sono dei vecchi studi sulla Luna! La carta oltretutto è
logora: non è nemmeno roba recente! Anzi, a dirla tutta, non credo
nemmeno che questa sia roba della scienziata.»
«Certo,
idiota! Quei documenti li ha stesi di suo pugno il dottor Brief!»
«Appunto,
e questo cosa credi che c’entri con i saiyan?»
«Be’,
forse nei giorni di clausura che ti sei concesso, ti è sfuggito un
piccolo particolare: Bulma sta lavorando per Vegeta! Se quelle carte
erano sulla sua scrivania, vuol dire che i saiyan sono interessati
all’argomento.»
Giumaho
preso a ridere di gusto.
Per
chi lo aveva preso?
Credeva
davvero che sarebbe stato così sciocco a credere a una simile
baggianata?
«La
verità, mio caro, è che non avevi una scusa migliore per
giustificare la tua presenza qui dentro e hai tirato fuori la prima
scusa che ti è saltata in mente. Rimetti quei fogli al loro posto e
esci da qui.»
«Ti
si è fuso il cervello, per caso? Prova a ragionare, accidenti!
Alcuni di questi appunti sono recentissimi e ci sono due grafie
visibilmente diverse. Per qualche strana ragione, Bulma ha ripreso in
mano gli studi sulla Luna e lo ha sicuramente fatto per ordine di
Vegeta!»
«Andiamo,
è ridicolo! Per quale assurdo motivo ai saiyan dovrebbe interessare
una cosa del genere? Persino noi umani, ormai, ci siamo dimenticati
della Luna!»
Condor
incrinò le labbra in una evidente smorfia di stizza.
No,
stavolta Giumaho stava prendendo un grosso abbaglio e, sebbene non
gli piacesse l’idea di collaborare con il migliore amico di Muten,
doveva in qualche modo convincerlo ad aprire gli occhi.
«Quanto
tempo fa è scomparsa la luna, caro il mio stregone?»
«Circa
quindici anni fa, se proprio ti interessa saperlo.»
«Oh,
Bene. E, dimmi un po’, quanto tempo fa è morto Son Gohan?»
***
«Mi…
Mi dispiace molto, Mamanu.»
Crilin
non sapeva cos’altro dire.
Era
vero: gli dispiaceva; ma i sentimenti che egli provava in quel
momento andavano ben oltre questo. Era sconvolto – inutile negarlo
– e per quanto quella donna accasciata a terra e in lacrime gli
facesse una gran pena, il giovane guerriero non era sicuro che ella
meritasse anche la sua pietà.
In
fondo, se l’era cercata.
E
si era anche messa in un guaio non da poco.
Ma
che diavolo le era saltato in mente di iniziare una relazione
clandestina con Bardack?
Lei
era la moglie di Giuaho, accidenti, ed era anche una delle persone
più influenti di Furipan.
Quella
bravata, oltretutto, l’aveva messa ancora di più in cattiva luce
con la principessa. Non che quest’ultima, a dire il vero, avesse la
coscienza del tutto pulita, ma se non altro Chichi era soltanto una
ragazzina: la sua leggerezza nei confronti di Gok… di Kakaroth
poteva anche imputarsi all’ingeuità.
Ma
quali scuse aveva Mamanu?
Nessuna;
né tanto meno spettava a lui trovargliene qualcuna.
In
un’altra occasione, probabilmente, il valoroso, onesto, generoso
Crilin avrebbe tentato con maggiore convinzione di tirare su il
morale affranto di un amico; ma in quel momento egli sentiva di non
provare alcun interesse nel volerlo fare.
Era
stanco, deluso e terribilmente preoccupato.
Da
qualche parte sul suo bel pianeta si stavano per abbattere le furie
scatenate dei guerrieri più potenti dell’universo e la cosa
peggiore era che i saiyan stavano per combattere tra di loro l’uno
contro l’altro.
Che
diavolo poteva importargliene del cuore infranto di Mamanu e della
rabbia che Chichi avrebbe potuto scatenare verso di lei? Se Bardack
non fosse riuscito a frenare i propositi di Vegeta, avrebbero fatto
tutti quanti una brutta fine ancor prima che la principessa avesse la
possibilità di prendere a schiaffi l’impudica matrigna.
Eppure,
nonostante ciò, Crilin non riusciva a non provare compassione per
lei e di sottecchi continuava a fissare il suo viso mentre gli occhi
riversavano lacrime.
Mamanu
aveva sbagliato, certo, ma non spettava certamente a lui giudicare il
suo comportamento. Cosa ne sapeva, in fondo, di come andasse il suo
matrimonio con Giumaho? Tra i due coniugi c’era qualche anno di
differenza e lo stregone
del toro
in quei giorni aveva dimostrato di essere un uomo dalla mole tanto
minacciosa quanto dall’indole docile e remissiva.
Un
debole,
insomma.
Crilin
non poteva di certo negare che, al contrario di Giumaho, Mamanu si
fosse data enormemente da fare per salvare Furipan e i suoi abitante,
sebbene, tutto sommato, non fosse nemmeno suo interesse o competenza.
L’atteggiamento arrendevole di suo marito poteva averla delusa a
tal punto da spingerla tra le braccia di un altro uomo?
Perché
no; in fondo, per quel poco che aveva potuto capire, la scelta di
sposare Giumaho non fu presa dalla stessa Mamanu ma da suo padre. Era
probabile, dunque, che tra quei due non ci fosse poi chissà quale
forte sentimento a unirli, a parte il rispetto reciproco.
Rispetto
che però, evidentemente, con quel tradimento era venuto meno.
«Non
giudicarmi per quello che ho fatto.»
La
voce di Mamanu era tremolante, seria, rotta dal pianto.
Si
vergognava, e anche molto, per essere stata smascherata in quel modo,
ma la cosa che più la faceva star male era che proprio non riusciva
a pentirsi di ciò che aveva fatto.
«Non
lo sto facendo, infatti.»
Le
labbra della donna si incurvarono in un sorriso sarcastico.
Certo,
come no.
Chiunque
l’avrebbe tacciata di essere una puttana. Chiunque.
Perché
Crilin avrebbe dovuto esimersi? In fondo, lui l’aveva quasi colta
sul fatto e ciò che era accaduto in quella stanza tra lei e il
generale prima dell’arrivo del guerriero e della principessa era a
dir poco inequivocabile.
«Io
lo amo, lo capisci? Non l’ho fatto per convenienza o per noia, e
nemmeno per placare gli ormoni. Non so cosa accidenti mi abbia fatto
quell’uomo, ma io mi sono innamorata di lui.»
«Ah,
questa poi! E si può sapere perché accidenti vieni a dirlo proprio
a me? Per chi mi hai preso? Io non sono il tuo confidente e, te lo
ripeto, non ti sto giudicando. Questa faccenda riguarda solo te e tuo
marito.»
In
un attimo di ritrovata lucidità, Mamanu si vergognò di quello sfogo
tanto infantile.
Non
era da lei.
Ma
la verità era che la moglie di Giumaho era stanca di ricoprire
perennemente il ruolo della consolatrice e della confidente. Alle
volte desiderava che qualcuno si comportasse con lei come lei faceva
con gli altri. In quel momento aveva la disperata necessità di
sfogarsi e di essere consolata e, chissà perché, Crilin le aveva
sempre dato l’impressione di essere un potenziale buon ascoltatore.
Ma
quel ragazzo, evidentemente, era ormai giunto al limite della
sopportazione. Quante ne aveva passate da quando i malvagi erano
arrivati a corte? Mamanu sapeva che spettava proprio a lui testare
tutte le invenzioni che Bulma creava per il principe dei saiyan e, da
quel poco che aveva potuto cogliere dei lavori della scienziata, il
lavoro non doveva essere affatto semplice.
Anche
lui, d’altra parte, aveva cercato di mettere un freno, per quanto
gli fosse possibile, all’istinto ribelle degli abitanti di Furipan.
E
di quello di Chichi specialmente.
Evidentemente,
però, aveva fallito.
«Hai
ragione. Non è con te che dovrei chiarire la questione.»
«Già.
Sei in un bel guaio, lo sai? E lo è anche il tuo generale. E anche
Kakaroth e la principessa. Per non parlare di Bul...»
«Ah,
se solo… Se solo riuscissi a evitare lo scontro tra Bardack e
Vegeta, forse… Forse potrei scongiurare la catastrofe.»
Crilin
abbozzò un mezzo sorriso.
«Perdonami
la franchezza, Mamanu, ma a questo punto forse sarebbe meglio se tu
ti facessi da parte.»
«E
perché dovrei? Ormai sono dentro a questa situazione fino al collo.»
«Perché
non hai detto subito chi avesse preso le sfere del drago?»
«Per
evitare un inutile spargimento di sangue. Tensinhan non mi ha
rivelato dove le abbia nascoste, per cui...»
«Certo,
capisco.»
Il
giovane guerriero sbuffò.
No,
questa volta Mamanu stava mentendo. Se non aveva detto niente era
perché non voleva schierarsi.
Sciocca.
In
quel dannato cotesto, per quanto tempo ancora sperava di riuscire a
tenere il piede in due staffe?
Le
staffe, a dire il vero, erano anche tre o quattro.
Egli
faticava a capire se lei avesse agito così per ignavia o col sincero
proposito di tenere gli animi il più possibile a freno ma, in ogni
caso, la sua strategia si era rivelata assolutamente perdente.
«In
ogni caso, Mamanu, non ho altra scelta che raggiungere la Capsule
Corporation e vedere com’è la situazione. Tu resta qui e, per
favore, non dire niente a nessuno.»
«Si
può sapere che diavolo sta succedendo, nanerottolo? Cos’è che la
regina non dovrebbe dire?»
I
due terrestri si voltarono di scatto verso la porta ancora
spalancata. Merda.
Napa
era lì, poggiato allo stipite, che guardava Crilin e Mamanu con
l’aria collerica di chi sapeva di essere stato ingannato.
Quei
maledetti esseri inferiori gli stavano nascondendo qualcosa.
Qualcosa
di grosso.
E
a giudicare dagli strani movimenti a palazzo degli ultimi giorni,
dovevano essere coinvolti anche il principe, il generale e quella
mezza checca di suo figlio.
Perché
lui era stato tenuto all’oscuro di tutto?
Tutta
questa omertà lo stava facendo innervosire parecchio.
«Na…
Napa!?»
«In
persona, zucca pelata. Che cosa ci fate voi due nella stanza di
Bardack?»
CONTINUA
Angolo
dell’autrice
Innanzitutto,
mi scuso per aver interrotto la long per così tanto tempo. Non sto
qui a darvi troppe spiegazioni perché ciò significherebbe
raccontarvi come è trascorsa la mia vita negli ultimi due anni, ma
avevo sinceramente bisogno di staccare la spina da EFP (anche se, lo
ammetto, non ho mai del tutto abbandonato questo sito).
Per
poter buttare giù i capitolo in questione, ho dovuto rileggere tutta
la storia o quasi, poiché di fatto avevo perso il filo degli eventi;
dunque, anche se l’idea di tornare a pubblicare era in cantiere da
molto tempo, ho dovuto rimandare di qualche settimana.
Questo
è un capitolo più che altro di transizione: mi è servito per
riprendere confidenza con alcuni personaggi e per fare un piccolo
passo avanti nel racconto. Spero che la caratterizzazione non abbia
risentito troppo della mia lunga assenza da questo fandom e dalla
storia.
Nel
prossimo capitolo – che spero di pubblicare regolarmente la
prossima settimana – torneranno Vegeta, Bulma, Bardack e i coniugi
Brief. Volevo inserirli già in questo capitolo ma… mi sentivo
arrugginita a tal punto che non avrei saputo come impostare il
paragrafo!
Spero
abbiate pietà di me.
Un
forte abbraccio a tutti :*
9dolina0
PS:
sto rileggendo anche i capitoli già pubblicati di Nova Spes. Conto
di aggiornare al più presto anche questa storia.
Raramente
al grande generale Bardack era capitato di sentirsi tanto a disagio
come in quel maledetto momento. La sconosciuta che gli era davanti lo
fissava da diversi secondi con un’aria inebetita e lo sguardo
sognante, come se non avesse mai visto un uomo in vita sua.
D’accordo,
Bardack non era così modesto da non rendersi conto di essere un tipo
molto piacente, ma la sfrontatezza di quella donna era un qualcosa di
talmente molesto e disturbante che quasi il valoroso saiyan si
sentiva in imbarazzo.
E,
soprattutto, perché mai quella strana signora non aveva fatto una
piega pur vedendolo arrivare dal cielo?
«Hai
per caso detto principe?»
Bardack
non riusciva a capire se quella donna fosse veramente stupida o se lo
stesse volutamente provocando.
«Sì.
Ho detto proprio principe.
Dove sono lui e la scienziata? Non ho tempo da perdere.»
«Oh,
ma quanta fretta, giovanotto! Anche Bulma e il suo amico andavano
così di corsa! Non fa bene a nessuno tutta questa ansia. Comunque,
mia
figlia
e il
principe
– pronunciò con aria sognante – sono in casa a parlare con mio
marito. Se vuoi un consiglio, sta’ alla larga da quella benedetta
ragazza! Oggi pare proprio di pessimo umore.»
Bardack
superò la signora e si avviò verso il portone di casa, noncurante
dei continui sguardi che l’eccentrica donna riversava su di lui.
Sperava di aver capito male ma, a quanto pareva, quella tipa era la
madre della brillante scienziata Bulma Brief.
Roba
da non credere.
Come
diavolo aveva fatto una donna del genere a partorire una figlia con
cotanto cervello?
Be’,
in effetti, quell’idiota di Kakaroth non sembrava avere un minimo
del buonsenso del generale Bardack, segno che non sempre la prole
somigliasse ai genitori.
Ah,
maledetti figli!
Venivano
messi al mondo per rendere orgogliosi i loro genitori e poi si
cacciavano in un mucchio di guai!
Il
saiyan giurò a sé stesso che se fosse uscito vivo da quella dannata
situazione, avrebbe dato a suo figlio una lezione che non avrebbe
dimenticato facilmente.
In
quel momento, Vegeta e Bulma varcarono il portone di casa.
La
scienziata ebbe un fremito di terrore nel constatare che fuori ad
attenderli c’era Bardack.
Che
fine aveva fatto Crilin?
Perché
ancora non si decideva a raggiungerli?
Lo
sgomento e la rabbia, però, durarono giusto il tempo di rendersi
conto che lo sguardo del generale era tutt’altro che sereno.
E,
oltretutto, era puntato su quello altrettanto stupito e nervoso di
Vegeta.
Possibile
che quei due fossero in rotta?
No,
accidenti, ci mancava solo quello!
Bulma
negli ultimi giorni era stata talmente concentrata sul suo lavoro che
non era riuscita a cogliere appieno le dinamiche di corte. Aveva
intuito che c’era qualcosa di strano – e la stessa richiesta di
Vegeta di fare studi sulla Luna lo dimostrava – ma non aveva
assolutamente idea di cosa ci fosse dietro a tutti gli strani
movimenti nel castello. Probabilmente stava succedendo qualcosa di
grosso.
Da
quel poco che poteva intuire leggendo tra gli sguardi dei due saiyan,
Bardack non si trovava lì con l’intenzione di aiutare il suo
principe nella ricerca delle sfere del drago.
Voleva
ostacolarlo; o, quantomeno, convincerlo a desistere dal suo
proposito.
Raramente
la scienziata si era sentita realmente in trappola e inerme, ma in
quel momento sembrava proprio che ella si trovasse tra due fuochi.
E
l’inquietante silenzio sceso su quel dannato cortile sembrava
preannunciare una catastrofe.
«Oh,
Bulma, non dirmi che già volete andare via? È quasi ora di pranzo.
Perché non rimanete a mangiare qui? Sono sicura che i tuoi amici
apprezzerebbero.»
Vegeta
fece finta di non aver udito le parole della signora, ma aveva colto
l’espressione implorante della scienziata che le chiedeva
tacitamente di non aprire bocca.
Il
principe abbozzò un mezzo sorriso, carico di astio e di sfida verso
il suo generale.
Il
fatto che Bardack fosse lì era per lui una sorta di tradimento.
Vegeta aveva sempre nutrito una grandissima stima nei confronti di
quel saiyan – a ragione ritenuto il migliore dopo di lui – e il
solo trovarselo davanti in quella circostanza era il chiaro segno che
egli volesse in qualche modo parare il sedere a quell’ingrato di
suo figlio.
Doveva
aspettarselo, in fondo.
Era
lecito che Bardack tentasse di riabilitare Kakaroth, ma gli dava
terribilmente noia il fatto che ciò significasse mettersi contro di
lui.
No,
questo non lo avrebbe mai accettato.
«Sono
grato agli dei di averti trovato in tempo, principe.»
«In
tempo per cosa? Per impedirmi di andare a prendere ciò che mi
spetta? Sai benissimo che non te lo permetterò.»
Bardack
chiuse gli occhi e si lasciò sfuggire un sospiro di frustrazione.
Già,
era chiaro che non glielo avrebbe permesso. D’altra parte, sarebbe
stato giusto andare contro la volontà del suo principe? Perché mai
avrebbe dovuto, in fondo?
A
lui non era mai importato nulla delle sorti degli altri e i suoi
figli non facevano di certo eccezione. Tra l’altro, su Kakaroth non
aveva nemmeno mai riposto chissà quali aspettative visto il
bassissimo livello di combattimento rivelatogli alla nascita, ma era
chiaro che, per qualche assurdo motivo, vivendo su un pianeta insulso
come la Terra il suo potenziale era decisamente migliorato.
Il
generale non aveva alcun interesse nel mettere i bastoni tra le ruote
al potente Vegeta e, oltretutto, era fermamente convinto che le sfere
del drago spettassero davvero al principe dei saiyan.
Già.
Ma
come diavolo avrebbe dovuto metterla con Kakaroth?
Quale
padre avrebbe voltato le spalle al figlio – seppur dimostratosi un
perfetto imbecille – senza tentare quantomeno una sorta di difesa?
Per
la verità, tra i saiyan questa pratica era molto comune.
Anche
troppo.
Ma
lui non era certo diventato il generale più potente della storia del
pianeta Vegeta perché uguale a tutti gli altri.
No:
lui ragionava con la sua testa. La sua accidenti. Ed egli
sapeva fin troppo bene che se la situazione era precipitata, se
Kakaroth aveva commesso un grave errore, la colpa non era certo
esclusivamente di suo figlio.
Anche
lui ne era responsabile.
Avrebbe
dovuto occuparsi di quel ragazzo diversamente, prima impedendo che da
neonato venisse spedito su quel dannato pianeta, e poi preoccupandosi
di educarlo alle rigide regole dei saiyan.
Sarebbe
stato troppo facile voltargli le spalle e lasciare che Vegeta
sfogasse su di lui la sua ira. Tanti lo avrebbero fatto, certo; ma
lui non era un vigliacco. Lui si sarebbe assunto davanti al principe
le proprie responsabilità, al costo di dover affrontare in duello il
guerriero più potente dell’universo.
«So
benissimo che tenterai con ogni mezzo di trovare quelle dannate
sfere, Vegeta. È per questo, in fondo, che hai deciso di rimanere
qui, giusto?»
«Giusto,»
ribatté il principe sorridendo, «ma suppongo che tu voglia in
qualche modo mettermi i bastoni fra le ruote, Bardack. Dico bene?»
Quello
scambio inopportuno di domande superflue non faceva altro che mettere
in luce un certo imbarazzo da parte di entrambi i saiyan.
A
Vegeta non piaceva quella situazione, innanzitutto perché sapeva
perfettamente che Bardack era il guerriero saiyan più potente dopo
di lui, e poi perché, in un certo senso, era sempre stato il
generale a occuparsi di lui dopo che egli stesso aveva
eliminato il re. Bardack era un grande stratega, un uomo forte, una
persona di valore. Anche se Vegeta non lo avrebbe mai ammesso nemmeno
a sé stesso, per lui quel dannato saiyan era un punto di riferimento
non da poco.
Averlo
in contrasto in quella circostanza non gli faceva di certo piacere:
sapeva che avrebbe dovuto attaccarlo e, seppur a malincuore, non
avrebbe rinunciato ai suoi propositi di dominio solo perché quel
vile di Kakaroth era suo figlio.
«Mi
dispiace tanto, Vegeta. Non avrei mai voluto trovarmi in una
situazione del genere, ma sono costretto a chiederti di
temporeggiare.»
«Ah,
questa è bella! Spiegami per quale assurdo motivo dovrei fare una
cosa del genere.»
«Perché
sono io a chiedertelo e non ritengo di essere un suddito qualunque.
Non pretendo certo che tu abbandoni il tuo proposito, ma mio figlio è
coinvolto in questa dannata storia e devo pur tentare di farlo
redimere. Non so cosa gli sia passato per la testa quando ha permesso
a quella ragazzina di nascondere le sfere del drago, ma non è
certo scatenando un conflitto che si troverà una soluzione ai nostri
problemi.»
«Nostri?»
ripeté beffardamente Vegeta. «Casomai tuoi e di Kakaroth.»
«Uno
scontro ai vertici più alti della corte che ti vedesse coinvolto
sarebbe un grosso guaio anche per te, tanto più se si venisse a
sapere che un tuo suddito ha remato contro il tuo potere e la tua
autorità nascondendoti le sfere del drago. Daresti adito ad
altri tentativi di ribellione.»
Il
principe dei saiyan indurì l’espressione del volto e strinse gli
occhi in segno di sfida.
No,
non gliel’avrebbe data vinta, anche se Bardack aveva ragione.
Da
quando aveva messo piede sulla Terra, Vegeta aveva volutamente
lasciato correre fin troppi comportamenti ambigui, convinto che, a
breve termine, avrebbe sistemato ogni cosa a suo vantaggio. Tra
l’altro, era sul punto di farlo davvero dato che Bulma gli aveva
messo tra le mani un radar in grado di localizzare i preziosi oggetti
del desiderio.
Il
vero problema – e ciò non avrebbe potuto negarlo nemmeno a sé
stesso – era che egli aveva sottovalutato la situazione. Tutta
la situazione.
Non
aveva previsto che la Terra potesse ospitare creature tanto simili
agli esseri umani.
Non
aveva indagato fin da subito circa le reali intenzioni di Kakaroth. Non
aveva permesso a Bardack di passare più tempo con quell’idiota di
suo figlio, facendo sì che invece quest’ultimo si sollazzasse
dietro alla
gonnella della principessina.
Dannate
femmine.
Erano
sempre loro la causa di tutto.
Bastava
che una di queste mostrasse un po’ di carattere in più e gli
uomini finivano con lo sbavare loro dietro. E la cosa peggiore era
che neppure lui, il grande Vegeta, si era rivelato immune da questa
debolezza.
La
scienziata che lo guardava di sottecchi con volto terrorizzato ne era
la prova.
Quanto
ci aveva messo a decidere di portarsela a letto e di renderla sua
futura sposa?
Forse
una settimana a partire da quando l’aveva conosciuta. Per
la verità, Bulma non era ancora al corrente di quanto i piani futuri
del principe la riguardassero da vicino, ma per il momento non c’era
alcun bisogno che lei sapesse che Vegeta voleva legarla a sé per
sempre. In quel momento,
oltretutto, non voleva nemmeno pensarci. Aveva altre questioni di cui
occuparsi.
Altri
dannatissimi guai.
«Nessun
altro saiyan a parte noi verrà a sapere della bravata di Kakaroth,
quindi io non rischierò alcun tentativo di ribellione. Ho tra le mie
mani il radar cerca sfere: metterò le mani su ciò che mi spetta e
poi darò una bella lezione sia a te che a tuo figlio.»
«E
come pensi di cavartela con le sfere del drago? L’unica a
sapere come utilizzarle è Chichi. Da’ retta a me: se anche ne
entrassi in possesso, non potresti realizzare alcun desiderio. Vale
davvero la pena mettersi contro di me o contro Kakaroth?»
Bardack
aveva ragione.
Di
nuovo.
Le
sfere del drago, senza l’intervento della principessa, erano
soltanto delle inutili palle. Questo però non significava di certo
che avrebbe mollato la presa tanto facilmente. Avrebbe trovato, prima
o poi, un fottuto modo per attivarle, con o senza quella stupida
ragazzina.
Abbassarsi
a fingere di chiudere un occhio non era certo nel suo stile.
Che
cosa si aspettava da lui il generale? Che continuasse a far finta di
niente e lasciasse la partita in mano a Kakaroth?
Perché,
ne era sicuro, quel vile traditore avrebbe convinto Chichi a
rivelargli il segreto sull’utilizzo delle sfere. Poteva davvero
starsene lì buono ad aspettare?
E
ad aspettare cosa, poi? Che il figlio di Bardack esprimesse il suo
desiderio?
O
magari avrebbe dovuto tendergli un’imboscata, attendendo il momento
opportuno per farlo fuori?
In
ogni caso, Vegeta non capiva se Bardack puntasse o meno a una
risoluzione pacifica del problema. Magari, egli sperava di convincere
il figlio a non fare cazzate e a consegnare volutamente le sfere al
principe.
Già;
ma Chichi?
Chi
mai avrebbe potuto convincerla a cedergli le sfere?
Kakaroth,
certamente; ma egli non era affatto convinto che l’influenza di
quel saiyan sulla giovane custode fosse così forte. Piuttosto, gli
pareva l’esatto contrario.
E
comunque lui non avrebbe voluto per alcun motivo scendere a
compromessi.
Vegeta
non era un saiyan qualunque, accidenti: lui era il principe di
quei dannati guerrieri.
«Troverò
un modo per farle funzionare. E adesso levati di torno se non vuoi
che ti attacchi.»
Il
saiyan più giovane fece per oltrepassare il più anziano, ma
quest’ultimo lo trattenne per un braccio.
«Non
fare cavolate, Vegeta. Potrebbe non andarti così bene stavolta.»
Il
principe ebbe un sussulto.
Era
la prima volta in assoluta che Bardack faceva un riferimento
esplicito al fatto che Vegeta, in passato, avesse compiuto una grande
sciocchezza. Egli sapeva bene a cosa si riferisse il generale, ma non
voleva di certo che quella dannata storia riaffiorasse proprio in
quel momento.
In
fondo, la morte di Re Vegeta non era stata poi così dannosa per il
popolo saiyan: il principe era molto più forte, autorevole e
intelligente di suo padre. Da quando aveva preso lui le redini del
regno, i saiyan erano diventati ancora più temibili e potenti ed
erano riusciti a sottomettere popolazioni che prima avevano doto loro
del filo da torcere.
Ucciderlo
non era stato un male. No.
No,
accidenti.
Eppure,
chissà perché, le parole di Bardack avevano
comunque smosso la sua sporchissima coscienza.
«Va’
al diavolo.»
Il
principe liberò la presa e proseguì verso l’elicottero con cui
era giunto fin lì.
«Muoviti,
Bulma. Dobbiamo andare a recuperare le sfere del drago.»
La
scienziata rimase in silenzio, alternando il suo sguardo prima su
quello sbigottito della madre e poi su quello nervoso e preoccupato
di Bardack.
Ma
che diavolo stava succedendo?
Kakaroth
aveva davvero voltato le spalle al suo principe e a suo padre?
Quando
quel giovane guerriero, presentatosi a tutti sotto le mentite di
spoglie di Son Goku, aveva fatto il suo ingresso trionfale nella
fiabesca sala da pranzo del castello di Furipan, Bulma non ebbe il
benché minimo dubbio che quel ragazzo fosse una persona per bene.
Si
era sbagliata, ovviamente; ma Kakaroth era riuscito a ingannare
tutti, o quasi, dimostrandosi perfettamente a proprio agio tra
i terrestri. Era cresciuto su quel pianeta, dopotutto. Da quel che
aveva avuto modo di appurare, quel giovane non aveva mai vissuto sul
pianeta dei saiyan e questo, in un certo senso, poteva aver
costituito un limite nella sua ortodossa formazione.
Anzi,
doveva.
Kakaroth,
oltre che i suoi commensali, aveva ingannato anche sé stesso: lui
non sentiva affatto il senso di appartenenza al suo popolo o, per lo
meno, non lo percepiva in maniera tanto forte come invece era per
Bardack.
La
forza interiore, la sfrontatezza e l’indubbia caparbietà di Chichi
lo avevano messo in crisi, convincendolo, a quanto pareva, a rivedere
i propri interessi e le proprie priorità.
E
anche a nascondere al principe le sfere del drago.
Con
quali intenzioni, poi?
Voleva
forse utilizzarle personalmente?
Possibile
che, non riconoscendo del tutto l’autorità di Vegeta, volesse in
qualche modo spodestarlo attraverso il potere misterioso di quei
preziosi oggetti?
Se
davvero fosse stato così, Bardack aveva ragione nel dire che
l’autorità del principe era in pericolo.
Ma,
in fondo, Vegeta lo aveva intuito già da molto tempo, pur non
volendolo ammettere esplicitamente: non per niente, aveva convinto
lei stessa a fabbricargli le potenti onde Bluetz.
Bulma
trasse un profondo sospiro e fece per seguire il principe.
Guardò
di sottecchi Bardack, scoprendo che il suo sguardo era ricambiato.
«Mi
dispiace,» sussurrò rivolgendosi al generale, «purtroppo non sono
nella posizione adatta da potermi opporre al suo volere.»
Bardack
chiuse gli occhi in segno di resa e tornò a rivolgersi a Vegeta.
«Vengo
con voi.»
«Che
c’è? Speri forse di convincermi strada facendo a non ammazzare tuo
figlio?»
«Esattamente.
Tanto sei consapevole almeno quanto me che, eventualmente, faresti
una sciocchezza.»
***
«Un
radar… un radar in grado di localizzare le sfere del drago?
Sei sicura di quello che dici?»
«Sicurissima,
come è vero che mi chiamo Chichi.»
Kakaroth
si sentiva come se gli fosse appena piombata sulla testa una tegola
pesante qualche tonnellata.
Ora
capiva tutto.
Finalmente
era chiaro come mai il principe fosse apparentemente tanto
disinteressato nei confronti suoi e di Chichi e come mai fingesse di
non accorgersi dei loro movimenti inequivocabilmente sospetti.
Vegeta
sapeva come entrare in possesso delle sfere bypassando totalmente
lui, la principessa e quell’idiota del Supremo.
Ma
come diavolo era saltato in mente a Bulma di collaborare con lui?
Possibile
che fosse vigliacca a tal punto da mettere in pericolo il suo pianeta
pur di accontentare il principe dei saiyan? Kakaroth si era fatto
un’idea completamente diversa di lei: credeva che la scienziata
fosse un tipo tosto, una donna con la testa sulle spalle, e che
soprattutto avesse a cuore il destino dell’umanità.
Si
era sbagliato, per l’ennesima volta.
Quella
sciocca non aveva esitato minimamente ad accontentare tutti i
capricci di Vegeta. Possibile che non si rendesse conto di quanto
fosse pericoloso quell’uomo? Possibile che non sapesse che mettere
tra le mani di Vegeta le sfere del drago avrebbe significato
la fine dell’umanità, compresa la sua?
Non
che a Kakaroth importasse qualcosa delle sorti dei terrestri, ma
pensava quantomeno che almeno loro stessi ci tenessero alla pelle.
Bulma,
con il suo gesto sconsiderato, aveva ampiamente dimostrato di non
curarsene affatto.
Forse
era convinta che Vegeta, alla fine, l’avrebbe risparmiata?
Probabile;
in fondo, pensandoci bene, se quella donna era riuscita a costruire
cotanti marchingegni, era più che probabile che il principe dei
saiyan avrebbe continuato a usufruire delle sue potenzialità a
prescindere dal destino che aveva in mente per gli altri esseri
umani.
Peccato
che la bravata di Bulma avesse messo in seri guai anche lui: Vegeta
gliel’avrebbe fatta pagare, in un modo o nell’altro, dato che
considerava le sfere del drago di sua legittima proprietà.
E
lui, scioccamente, aveva contribuito a farle sparire.
«Sai
dove si trova di preciso la dimora della scienziata?»
«No,
mi dispiace.»
«Io
sì.»
Yamcha,
nonostante lo choc e le ferite subite per mano di Kakaroth, aveva
comunque trovato la forza – e il coraggio – di intromettersi
nella discussione tra Chichi e il suo protettore.
Non
sapeva neanche lui perché l’avesse fatto: forse era semplicemente
troppo sconvolto da ciò che la ragazza aveva appena detto da volerci
a tutti i costi vedere chiaro.
Perché
mai Bulma aveva messo al corrente Vegeta dell’esistenza di uno
strumento del genere?
E
perché, soprattutto, non aveva mai detto nulla a lui?
Egli
non poteva credere che la sua donna avesse fatto tutto di sua
spontanea volontà. Quel tipo doveva averla minacciata o ingannata.
Già;
certo, se fosse stata vera la seconda ipotesi, quella sarebbe stata
la prima volto in assoluto che qualcuno fosse riuscito a beffare la
geniale Bulma Brief.
Impossibile.
Vegeta
doveva averle estorto la verità a suon di minacce e di violenza.
Non
poteva esserci altra spiegazione.
Proprio
non poteva.
«Sei
sicuro di quello che dici, terrestre?»
«Certo.
Bulma è la mia fidanzata: so benissimo dove abita.»
Kakaroth
lanciò uno sguardo minaccioso al suo interlocutore, poi si voltò
verso Tensinhan.
Il
tipo che aveva ingannato terrestri e saiyan era immobile, in un
angolo, a fissare la scena incredulo.
«A
quanto pare,» gli disse Kakaroth, «il principe è riuscito a
fregarti. Se avrò la fortuna di uscire vivo da questo guaio, ti farò
fuori.»
Tensinhan
non rispose.
Replicare
a una simile minaccia sarebbe stato inutile.
Ormai
era fottuto: nessuno avrebbe potuto salvarlo.
«Goku,
non sarebbe meglio andare a recuperare le sfere piuttosto che
raggiungere la casa di Bulma? Tanto il principe starà sicuramente
puntando verso il nascondiglio.»
«Infatti
a casa di Bulma ci andrà il suo presunto fidanzato.»
Chichi
e Yamcha si guardarono in faccia perplessi.
«Co…
come, scusa?»
«Hai
capito bene, Chichi: ci andrà lui. Magari c’è la remota
possibilità che la scienziata sia ancora lì e che soprattutto
nasconda qualche altro marchingegno utile.»
«Credi
che Vegeta la lascerebbe a casa, dopo aver messo le mani sul radar?»
«Non
lo posso escludere. E comunque, se anche lei non fosse lì, ci
sarebbe suo padre. A quanto ho capito, è una specie di genio anche
lui. Magari può disattivare il radar a distanza. Insomma, dobbiamo
tentare ogni possibile via.»
Chichi
cercò di regolarizzare il suo respiro e di mettere a fuoco tutta la
situazione.
Il
modus operandi di Goku era tipico di chi le stava tentando
tutte perché non sapeva che pesci pigliare. Ella non era affatto
convinta che mandare Yamcha alla celeberrima Capsule Corporation
sarebbe servito a qualcosa; tuttavia era certa del fatto che meno
persone avesse avuto il suo protettore tra i piedi e meglio
sarebbe stato. Yamcha era già stato preso di mira ingiustamente una
volta: la principessa non voleva che egli restasse coinvolto anche in
un ipotetico scontro tra Goku e Vegeta.
«Va
bene, ho capito. In effetti questa cosa ha un senso,» ribatté la
giovane. «Yamcha, vola il più in fretta possibile e raggiungi la
Capsule Corporation.»
«Io…
Io...» balbettò il terrestre, «e va bene. Farò come dici. Anche
se l’idea di essere di aiuto a Kakaroth non mi alletta per niente.»
Lo
sguardo inviperito che ricevette dalla principessa in quel momento fu
inequivocabile: non era certo quella l’occasione adatta per
mettersi a fare l’eroe. Ne aveva già prese abbastanza, in fondo.
Perché indispettire ancora di più quel pazzo del protettore?
«D’accordo.
Non dire niente. Vado da Bulma.»
Prima
di alzarsi in volo e lasciare definitivamente l’isola di Muten,
Yamcha guardò per l’ultima volta Tensinhan. Quel vile aveva
approfittato della sua fiducia e della sua ingenuità per raggiungere
i propri scopi. Che diavolo di intenzioni aveva, oltretutto? Che cosa
sperava di fare con le sfere del drago? Il guerriero sapeva
benissimo che, se Tensinhan fosse sopravvissuto a tutti quei dannati
eventi, la prima cosa che avrebbe fatto sarebbe stata vedersela con
lui.
Yamcha
decollò il più velocemente possibile.
Non
voleva rimanere in quel posto un secondo di più.
«Bene,
Tensinhan o come diavolo ti chiami, dove accidenti hai nascosto le
sfere?»
L’allievo
di Condor alzò gli occhi verso il saiyan, che nel frattempo gli si
era minacciosamente avvicinato. Egli sentiva attorno alla vita la
stretta sempre più forte del piccolo Jaozi, evidentemente spaventato
a morte.
Tensinhan
era consapevole del fatto che Kakaroth gliel’avrebbe fatta pagare
cara.
Gliel’aveva
anche detto esplicitamente.
In
quel momento, però, doveva scegliere il male minore: meglio
consegnare le sfere del drago alla principessa e al suo
protettore piuttostoche rischiare che queste ultime
finissero in mano a Vegeta.
«Le
sfere sono a Furipan. Le ho nascoste nella stanza dell’albergo in
cui ho alloggiato durante il torneo di arti marziali.»
«Benissimo,
seguimi fino laggiù.»
«D’accordo,
Kakaroth; ma ti chiedo il favore di permettere al mio amico Jaozi di
rimanere qui. Lui non c’entra niente in tutta questa storia.»
Il
saiyan rivolse uno sguardo veloce e fuggevole verso il piccoletto
avvinghiato attorno a Tensinhan. Quel nanerottolo, apparentemente
innocuo, nascondeva dei potenti poteri psichici. Kakaroth lo sapeva
benissimo, dato che aveva avuto modo di assistere ai suoi incontri
durante il torneo e aveva notato, forse più di chiunque altro, il
potenziale di quello strano terrestre.
Certo,
in quel momento pareva proprio che Jaozi fosse davvero terrorizzato.
Magari
in quelle condizioni non avrebbe nemmeno potuto usare i suoi
misteriosi poteri.
Certo
era che, qualora ci fosse riuscito, quella sarebbe potuta essere
un’arma in più contro Vegeta – perché, ne era certo, il
principe lo avrebbe attaccato.
«No,
il tuo amichetto viene con noi.»
Kakaroth,
infine, si rivolse alla principessa.
«Ovviamente,
vale lo stesso per te. Salta sulla tua nuvola e seguimi.»
***
Giumaho
non riusciva a capire dove accidenti volesse andare a parare Condor.
Che
cosa c’entrava la scomparsa della Luna con la morte del suo amico
Son Gohan?
Quel
farabutto stava farneticando.
O
voleva confonderlo.
D’accordo,
da quando i malvagi erano giunti sulla Terra, lui aveva perso
parecchi passaggi. Non poteva incolpare nessuno di ciò – neppure
Condor – poiché di fatto egli aveva deciso autonomamente di
isolarsi nella sua stanza. Questo però non significava certo che il
suo vecchio rivale potesse permettersi il lusso di prenderlo in giro.
«Condor,
non arrampicarti sugli specchi. Volevi rubare i progetti di
Bulma, punto.»
«Per
farmene cosa, secondo te? Se sono venuto qui è stato solo per
vederci chiaro in tutta questa storia. Non ti rendi conto che ci sono
delle coincidenze inquietanti? E poi,che fine ha fatto la scienziata?
Come mai non è qui?»
«Questo…
Questo non lo so, ma...»
«Appunto.»
Condor
era colmo di rabbia.
Diversi
anni prima, seppur a malincuore, era stato costretto a frequentare
Giumaho. Da storico rivale del grande maestro Muten, egli aveva avuto
modo di conoscere, affrontare e inimicarsi anche lo stregone del
Toro e l’ormai misteriosamente defunto Son Gohan. Sebbene non
nutrisse alcuna simpatia per quei due guerrieri, aveva sempre dovuto
ammettere con sé stesso quanto fossero in gamba.
La
morte di Son Gohan lo aveva lasciato al quanto perplesso, sebbene,
prima di conoscere i saiyan, egli non si era minimamente preoccupato
di come fosse avvenuta.
Errore
gravissimo.
Giumaho,
invece, si stava rivelando un’autentica delusione: che cosa era
successo a quel giovane forte e coraggioso di tanti anni fa? Come mai
un uomo come lui non riusciva a trovare il coraggio di guardare in
faccia la realtà?
Era
assolutamente evidente che i saiyan fossero coinvolti in tutto ciò.
Se
era vero che Son Gohan aveva fatto da maestro a Kakaroth, era molto
probabile che fosse stato proprio quest’ultimo a ucciderlo.
Non
ci voleva di certo un genio per arrivare a una simile conclusione.
Condor,
per la verità, ancora faticava a capire quale fosse il nesso tra
Kakaroth, la morte del suo maestro e la scomparsa della Luna, ma se
con l’arrivo dei Saiyan la geniale Bulma Brief aveva ripreso in
mano gli studi di suo padre sul satellite naturale della Terra, un
collegamento doveva pur esserci.
Lo
sbattere violento e improvviso della porta del laboratorio distrasse
Condor dai suoi discorsi e dalle sue elucubrazioni.
Sia
lui che Giumaho si voltarono di scatto, scorgendo davanti a sé la
figura irata e minacciosa di Napa e quelle meste e preoccupate di
Crilin e Mamanu.
Mamanu,
per la verità, sembrava anche mortificata.
«Ma
che diavolo...»
Le
parole di Condor gli morirono in gola quando Napa sbatté un pugno
contro il tavolo che aveva di fronte, distruggendolo con un solo
colpo.
«Ho
sorpreso questi due sciocchi nella stanza del generale Bardack e si
rifiutano di dirmi che accidenti ci facevano lì dentro. Ma, a quanto
pare, le sorprese non sono finite. Come mai voi due vi trovate nel
laboratorio della scienziata? E dove sono lei e il principe?»
Napa
era su tutte le furie.
Aveva
costretto i due terrestri a seguirlo fin lì convinto di poterli
consegnare direttamente nelle mani di Vegeta. Invece, del suo sovrano
non c’era alcuna traccia.
Stava
succedendo qualcosa di grosso, accidenti; qualcosa che il suo
principe gli aveva volutamente tenuto nascosto.
Perché?
Che
cosa aveva fatto di sbagliato da giocarsi in quel modo la fiducia di
Vegeta?
«Rispondete,
accidenti!»
«Non
lo sappiamo!» rispose Condor a gran voce. «Non abbiamo la più
pallida idea di dove siano finiti quel megalomane e la sua scienziata
pazza.»
«Che
cosa ci fate qui, allora?»
«Ah,
per quel che mi riguarda, sono venuto a indagare, dato che ci sono
parecchie cose che non mi tornano nel comportamento di Vegeta e di
Kakaroth. Giumaho credo si sia semplicemente svegliato da poco dal
suo lungo sonno e si sia imbattuto casualmente nel laboratorio.»
Napa
esplose di rabbia di fronte alla sfrontatezza con cui il terrestre
gli si era rivolto.
Ma
con chi diavolo credeva di avere a che fare quell’idiota? Non
sapeva, forse, di essere al cospetto del guerriero più potente dopo
Vegeta?
Il
saiyan afferrò Condor per il collo riducendo a qualche millimetro la
distanza tra le loro facce.
«Vedi
di fare poco lo spiritoso, terrestre. Se credi che io stia giocando,
ti stai sbagliando.»
«Faccio
sul serio anch’io, che cosa credi? Non intendo certo lasciare a voi
saiyan il controllo totale del mio pianeta. Punto a diventarne
il sovrano, se proprio ci tieni a saperlo; ma temo che il tuo adorato
principe, anche a tua insaputa, stia pensando bene di distruggerlo…
O qualcosa del genere.»
Napa
si sentì punto sull’orgoglio.
«Io
non sono all’insaputa di niente! È logico che Vegeta voglia
distruggere questo stupido pianeta: che cosa dovrebbe farsene di
questo ammasso di roccia e degli stupidi esseri che ci vivono sopra?»
Lo
sguardo del saiyan, però, in quel momento cadde sui carteggi che il
vecchio stringeva tra le mani.
«Che
accidenti è quella roba?»
«Appunti
della scienziata.»
«Come
ti sei permesso di prenderli? Non sai che tutto ciò a cui sta
lavorando quella donna è di interesse del mio sovrano?»
«Certo,
proprio per questo li ho presi.»
Il
guerriero fece una smorfia stizzita e glieli strappò dalle mani.
Dannato
terrestre! Ma come gli era saltato in mente di mettersi contro il
grande Napa? Lo avrebbe ammazzato, senza ombra di dubbio. Avrebbe
ammazzato lui e tutti i terrestri che si trovavano in quella stanza.
Certo;
ma non in quel momento.
Il
saiyan d’élite sfogliò con una certa leggerezza iniziale i
carteggi che aveva sottratto a Condor e, sebbene non ci capisse un
granché di scienza, quegli strani calcoli avevano attirato la sua
attenzione, a tal punto da mollare definitivamente la presa sul
terrestre.
Nella
stanza calò un silenzio inquietante, avallato in primis dallo
stesso Napa.
Crilin
si avvicinò di soppiatto a Giumaho, cercando di capire cosa stesse
succedendo, ma lo stregone del Toro non sembrava avere occhi
che per Mamanu, sebbene non fosse assolutamente ricambiato.
Condor,
invece, continuava a fissare il colosso che poco prima lo aveva
minacciato e lo sguardo che quest’ultimo aveva non gli piaceva per
niente.
«Allora?
Hai perso la lingua, saiyan?»
Napa,
dal canto suo, non si preoccupò minimamente di rispondere al
terrestre, continuando a guardare esterrefatto quei dannati appunti.
Ma
che accidenti aveva in mente di fare Vegeta?
E,
soprattutto, come era possibile che una semplice terrestre fosse
riuscita a identificare e a studiare le onde Bluetz?
CONTINUA
Angolo
dell’autrice
Ciao
a tutti!
Eccomi
qui con il nuovo aggiornamento, arrivato, come preannunciato, in
tempi relativamente brevi. Mi fa molto piacere che, nonostante la mia
lunga assenza, la storia continui ad avere un certo seguito: questo
mi dà lo stimolo per portarla avanti e per farlo nel modo migliore.
In
questo capitolo sono venuti a galla tanti segreti e gli animi dei
nostri protagonisti iniziano a essere parecchio turbati.
I
dubbi stanno assalendo un po’ tutti.
Come
ho sempre detto fin dall’inizio, non voglio che i miei personaggi
risultino piatti, né che i saiyan in particolare siano ridotti
soltanto ad assassini, stupratori e vili. Tutti, e dico tutti,
hanno dentro di sé quel minimo di umanità che di tanto in tanto li
fa dubitare della propria forza e delle proprie idee. Allo stesso
modo, una perfidia più o meno accentuata può albergare nel cuore di
chiunque, anche dei terrestri. Il comportamento di Condor ne è un
chiaro esempio, anche se il suo atteggiamento può far aprire gli
occhi a Giumaho, Crilin, Mamanu e Napa sull’intenzione di Vegeta di
utilizzare le onde Bluetz.
A
proposito di Vegeta, pare proprio che il nosro bel principe voglia
convolare a nozze...
Detto
questo, spero che nei prossimi aggiornamenti riuscirò a dare un po’
di spazio a Goku e a Chichi – da soli! – e a dare una spinta in
più alla loro relazione.
Grazie
di nuovo a tutti!
A
Furipan.
Le
sfere del drago non si erano mai spostate da lì.
O
forse sì; ma, in ogni caso, chiunque le avesse fatte sparire aveva
poi pensato bene di riportarle nel regno di Chichi.
A
Bulma venne un brivido di stizza quando, insieme al principe Vegeta e
al generale Bardack, ella entrò di prepotenza nell’albergo in cui
aveva alloggiato prima dell’inizio del torneo. Le venne in mente
Yamcha e una delle ultime chiacchierate che avevano fatto insieme.
Che
cosa accidenti si erano detti?
La
scienziata, per la verità, faticava a ricordare nei dettagli quella
conversazione, ma sapeva benissimo che comunque era finita male.
Come
sempre, del resto.
Questo,
però, non giustificava affatto il suo tradimento, né il modo in cui
lo aveva ignorato negli ultimi tempi. Dire a sé stessa che non aveva
avuto altra scelta era piuttosto ipocrita: va bene, si era ritrovata
ad essere la scienziata personale del sovrano dei saiyan, ma sapeva
di essere in gamba a tal punto da potersi mettere in contatto con il
suo fidanzato qualora lo avesse voluto.
A
Crilin era riuscita a inviare quel fottuto messaggio.
Certo,
probabilmente nemmeno era arrivato a destinazione visto che del suo
amico non c’era traccia in giro, ma per lo meno ci aveva provato.
Con
Yamcha no, neanche quello.
Bulma
si sentiva una merda. Il suo compagno – se ancora avesse
potuto definirsi tale – aveva parecchi difetti e per una come lei
era decisamente troppo infantile. Troppo.
Ciò
non toglieva però che fosse una brava persona e che, soprattutto,
sul conto di Kakaroth ci avesse visto giusto. Lei era stata la prima
a screditare la sua ipotesi senza nemmeno provare a indagare su
chi fosse realmenteil
misterioso protettore.
Si era lasciata ingannare come una pivellina qualunque ed era finita
tra le grinfie dei malvagi e,
soprattutto, del loro principe.
Già,
Vegeta.
Il
tipo che in quel preciso istante stava camminando a passo fiero tra i
corridoi di quel dannato albergo l’aveva
costretta a lavorare su progetti quasi impossibili e, alla fine,
l’aveva anche fatta sua.
E
lei era caduta tra le sue braccia senza nemmeno tentare di opporre la
benché minima resistenza.
Dare
la colpa al fatto che non avrebbe potuto fare nulla per allontanarlo
da sé era una sciocca bugia, che avrebbe potuto raccontare agli
altri solo per lavarsi la coscienza: la verità era che a lei il
principe piaceva da morire e che con lui aveva fatto il miglior sesso
della sua vita.
Peccato
che quell’uomo fosse anche uno sporco assassino e che mirasse a
spazzare via dalla Terra la razza umana. Cosa
farsene altrimenti delle onde Bluetz?
Tra
l’altro, Bulma non aveva avuto ancora modo di capire quale
collegamento ci fosse esattamente tra queste ultime e la coda dei
saiyan.
Distratta
dai suoi pensieri, la scienziata andò a sbattere contro la schiena
di Bardack.
«Scu…
scusami.»
Il
saiyan non si degnò nemmeno di voltarsi a guardarla. Erano
giunti a destinazione: quella era la stanza in cui il radar aveva
segnalato la presenza delle sfere del drago.
Vegeta
buttò giù la porta con un colpo energetico e si precipitò
all’interno della camera.
I
preziosi oggetti che cercava erano lì in bella vista.
«Ah,
lo sciocco che le ha nascoste qui non si è nemmeno preoccupato di
nasconderle un po’ meglio. Il tipo doveva avere parecchia fiducia
in sé stesso.»
Bardack
non commentò.
Egli
non aveva voluto rivelare al principe il nome del ladro.
Non
che a quel punto della vicenda la questione avesse molta importanza,
ma non aveva alcuna intenzione di raccontare come ne
fosse
venuto a conoscenza e soprattutto chi
glielo avesse
detto.
Se
lo avesse fatto, Mamanu sarebbe finita nei guai insieme a lui e a
Kakaroth. Per
la verità, al generale ancora non era molto chiaro come mai la sua
amante sapesse di Tensinhan e del suo furto – anche se immaginava
che fosse stato lui stesso a rivelarglielo – ma
il fatto che avesse taciuto per chissà quanto tempo avrebbe
sicuramente fatto irritare il già parecchio suscettibile sovrano.
E
poi, sebbene egli faticasse ad ammetterlo persino con sé stesso, non
voleva assolutamente che a Mamanu succedesse qualcosa. Era stato lui
il primo a rimanerci male per il silenzio ostentato dalla donna
nonostante le sue pressanti richieste di chiarimento, e il fatto che
ella si fosse decisa a parlare solamente perché sorpresa da Chichi
nella sua stanza gli dava oltremodo noia.
Eppure,
Mamanu stava diventando per lui molto importante. Anche
troppo importante.
Era
la prima volta, dopo la morte della madre dei suoi figli, che Bardack
intratteneva una relazione più lunga di un paio di giorni con la
stessa donna, e il fatto che
quest’ultima dimostrasse nei suoi confronti un sentimento diverso
dal solo timore referenziale gli faceva in un
certo senso piacere.
Il
suddito più potente di Vegeta non aveva mai pensato prima di allora
a quanto avesse bisogno di una compagna. Non ci aveva mai pensato
perché non era mai incappato in qualcuna che meritasse quel tipo di
attenzioni.
Anche
se Mamanu si era dimostrata per certi versi una donna remissiva e
arrendevole, egli aveva scorto in lei un’enorme forza interiore ed
era assolutamente convinto che se ella si fosse liberata dello
scomodo ruolo di moglie di Giumaho – e quindi di tutrice di Furipan
– avrebbe potuto tirare fuori tutte le buone qualità che
nascondeva.
Prima
tra tutte, quella di riuscire ad accaparrarsi la fiducia di chiunque.
E
poi, quella di saper controllare le masse.
Chiunque
avesse consigliato a quel vile di Giumaho di prenderla in sposa ci
aveva visto giusto, peccato che non avesse suggerito al sovrano di
prendersene cura in maniera adeguata.
Fin
dalla prima volta in cui aveva stretto Mamanu tra le braccia, Bardack
aveva colto il profondo bisogno di affetto che quella donna covava
dentro di sé e che non aveva mai avuto il coraggio di reclamare al
marito. Ella, pur comprendendo benissimo il ruolo e la pericolosità
di Bardack, aveva fatto l’amore con lui senza remore, regalando al
saiyan tutta la passione e la dolcezza di cui era capace. Mai una
donna si era rapportata a lui in un modo che altri saiyan avrebbero
definito sfacciato: il prorompente fascino e l’indubbia prestanza
di Bardack non erano mai bastati a far sì che una creatura del
gentil sesso si lasciasse andare a lui completamente. Il timore
reverenziale che egli incuteva e l’implicita minaccia di morte che
si celava dietro a ogni atto sessuale avevano frenato praticamente
tutte le sue partner, sebbene queste ultime fossero quasi tutte molto
più forti di Mamanu.
Eppure,
non sembrava affatto che per lei la debolezza fisica fosse un
difetto: piuttosto, ella aveva imparato a usarla come tacita scusa
per richiedere implicitamente la protezione del generale.
Perché
era quello che la donna cercava ogni volta che finiva a letto con
Bardack: voleva sentirsi protetta, al sicuro, immune dai rischi e
dalle pressioni che il suo ruolo non voluto di matrigna di Chichi le
recava ormai da anni.
La
faccenda delle sfere del drago era soltanto l’ultima piaga
che le si era scagliata addosso per colpa della principessa. E,
oltretutto, quell’imbecille di suo figlio aveva provveduto a
metterci un bel carico da novanta.
«Bardack,
metti qui dentro le sfere e andiamocene.»
Il
principe lanciò al generale un sacco che aveva trovato rovistando a
terra, poi si voltò a dare un’occhiata alla stanza.
Non
sapeva chi accidenti avesse alloggiato lì dentro ultimamente, ma di
sicuro, chiunque egli fosse, era stato lì solo di passaggio. Non
pareva, infatti, che qualcuno avesse giaciuto su quel letto.
La
cosa, in realtà, non aveva molta importanza dato che ormai, in ogni
caso, i preziosi oggetti che aveva tanto bramato erano nelle sue
mani; tuttavia, egli non poteva fare a meno di riflettere su quanto
quei dannati esseri umani fossero scaltri.
Li
aveva sottovalutati: il ladro era riuscito a sottrargli le sfere
del drago da sotto il naso nascondendole praticamente a due passi
dal castello di Furipan.
Gran
bella beffa.
E
per ritrovarle, oltretutto, era dovuto volare fino alla Città
dell’Ovest e recuperare un dannato radar.
«Ho
eseguito l’ordine, Vegeta.»
«Perfetto.
Andiamocene. Non ho voglia per ora di incrociare Kakaroth.»
Bardack
accennò a una smorfia di sufficienza. Già,
come se a Vegeta importasse davvero qualcosa di rinviare l’incontro
con il suddito che gli aveva messo i bastoni tra le ruote.
Evidentemente, il principe non aveva ancora ideato una strategia.
Come accidenti avrebbe potuto, infatti, convincere Chichi a farsi
rivelare il segreto delle sfere del drago?
Durante
il silenziosissimo viaggio in elicottero che aveva riportato i due
saiyan e la scienziata a Furipan, il potente sovrano doveva aver
riflettuto parecchio su quanto Bardack gli aveva detto alla Capsule
Corporation: tentare di far fuori Kakaroth sarebbe stata una mossa
controproducente, soprattutto alla luce del fatto che se c’era
qualcuno che avrebbeavuto
qualche speranza di farsi dire dalla principessa come funzionassero
quei dannati oggetti, quello era proprio il
figlio del generale.
Magari,
Vegeta stava pensando di tendere ai due giovani un’imboscata
mettendoli in qualche modo alle strette.
In
ogni caso, egli era riuscito comunque a guadagnare un po’ di tempo
e avrebbe dovuto sfruttarlo al meglio per impedire a suo figlio di
fare una brutta fine. Ah,
se invece di quell’idiota di Napa, Vegeta avesse portato sulla
Terra Radish, forse Bardack avrebbe avuto qualche possibilità in
più. Però, chissà… Magari avrebbe potuto convocarlo comunque lui
stesso e sperare che arrivasse prima dell’inevitabile scontro tra
il principe e il protettore.
***
Muten,
nascosto in una delle camere situate nello stesso piano di quella in
cui si erano precipitati Vegeta, Bardack e Bulma, aveva assistito a
tutta la scena. Tutta.
Chichi
e Goku avevano definitivamente perso il controllo delle sfere
del drago e lui non aveva potuto
fare niente per impedirlo.
Non
restava altro da fare che sperare che il principe le portasse al
castello e decidesse di nasconderle lì da qualche parte, ma,
ovviamente, egli non era sciocco a tal punto da credere che Vegeta
fosse tanto sprovveduto.
Doveva
avvertire qualcuno.
Già,
ma chi?
***
Napa
si era letteralmente fossilizzato davanti ai fogli che aveva
sottratto a Condor, dimenticandosi quasi di non essere solo.
Crilin
non aveva la più pallida idea di quale fosse il contenuto di quelle
carte ma, a giudicare dall’espressione del colosso, doveva essere
qualcosa di estremamente importante.
Il
giovane guerriero si ritrovò per un istante ad apprezzare il
silenzio tombale calato in quel laboratorio tecnologico di fortuna:
era stanco, avvilito e decisamente preoccupato per ciò che stava
succedendo lì fuori da qualche parte, però sentiva che il proprio
corpo e la propria mente avevano urgentemente bisogno di staccare la
spina. Quella situazione era insopportabile persino per uno come lui,
che aveva sempre fatto del coraggio e della perseveranza le sue doti
maggiori. Da quando i saiyan erano entrati nella sua vita, l’allievo
più promettente di Muten Roshi aveva seriamente iniziato a dubitare
delle proprie capacità, sia di guerriero che di amico. Aveva
lasciato Chichi in balia di un presunto protettore
che non ci aveva pensato due volte a darle le spalle e ad allearsi
con il popolo che lo aveva spedito sulla Terra quando ancora era un
ragazzino; non aveva messo in guardia la principessa sul rischio di
passare troppo tempo da sola con Kakaroth; aveva taciuto quando li
aveva sorpresi a baciarsi nella palestra; aveva ignorato le richieste
di aiuto più o meno esplicite da parte di Bulma, vittima, se
possibile, di un aguzzino ben più spietato e temibile; aveva
abbandonato la scienziata al suo destino lasciandola nelle grinfie di
Vegeta.
Ah,
certo, aveva anche tentato di impedire che Chichi venisse a sapere
della relazione tra la sua matrigna e il generale Bardack; ma anche
in quel caso il suo buon proposito si era concretizzato in un mero
buco nell’acqua.
Che
cosa ci facessero, poi, Condor e Giumaho nel laboratorio di Bulma,
nemmeno osava chiederlo: per quel che lo riguardava, aveva già
abbastanza grattacapi.
E
sensi di colpa.
«Ehi,
nanerottolo!»
La
testa di Crilin scattò come in un gesto automatico.
Il
saiyan che lo aveva appena chiamato aveva un volto indecifrabile, a
metà tra il preoccupato e l’inviperito.
«Che
cosa vuoi?»
«Tu
non sei forse la cavia di tutti gli esperimenti della scienziata?»
Un
cipiglio di angoscia si disegnò sul viso già contratto del
terrestre.
«Sì,
e allora?»
«Come
mai la tua amica ha fatto degli studi sulle onde Bluetz?»
Crilin
prese a fissare Napa con perplessità.
«Non
ho la più pallida idea di che cosa siano queste onde
Bluetz, mi dispiace.»
Il
saiyan si avvicinò al ragazzo con fare minaccioso e lo sollevò per
il collo.
«Non
cercare di fare il furbo con me.»
«Sto
dicendo la verità, accidenti. So che Bulma stava lavorando a un
progetto molto importante, ma su esplicita richiesta del tuo
principe, io dovevo starne fuori. Più di questo, non so che dirti.»
Napa
mollò la presa e lasciò cadere a terra Crilin.
«Al
diavolo. Voi terrestri siete completamente inutili.»
Il
guerriero d’élite era molto preoccupato. Quella
involontaria scoperta non faceva che mettere ulteriore luce sul fatto
che a corte ci fossero dei grossi problemi
e, soprattutto, sul fatto che Vegeta avesse
voluto lasciarlo fuori. Le onde Bluetz
non erano cosa da poco: i saiyan scatenavano tutta la loro potenza
repressa quando la Luna piena brillava nel cielo ed erano capaci di
fare danni anche irreversibili al pianeta su cui si trovavano.
Era
per questo che a molti neonati di terza classe la coda veniva recisa:
non tutti i siayan, infatti, erano in grado di controllare l’Oozaru.
Certo, Vegeta ovviamente non faceva testo dato che apparteneva una
categoria di guerrieri decisamente superiore; ma il fatto che il
principe avesse in mente di risvegliare il suo potere oscuro voleva
dire che, per qualche assurdo motivo, si sentiva minacciato da
qualcosa.
O
da qualcuno.
Che
fosse Bardack a preoccuparlo tanto?
Forse;
ma il guerriero d’élite non capiva come mai il principe dovesse
temere il suo generale. Sebbene
quel tipo non fosse mai stato simpatico a Napa, egli non poteva certo
negare la sua fedeltà nei confronti di Vegeta. Da
quel punto di vista, era assolutamente affidabile.
Possibile
che quel pazzo volesse davvero ripudiare il suo sovrano?
Al
guerriero pareva praticamente impossibile.
No;
doveva esserci un’altra spiegazione.
Probabilmente
non era lui l’avversario da battere.
Già;
ma allora chi accidenti poteva essere? A
parte lui e Bardack, nessun altro saiyan poteva aspirare ad avere un
livello di combattimento lontanamente simile a quello del principe,
ed era fuori discussione che quest’ultimo intendesse trasformarsi
in Oozaru per uccidere
proprio Napa.
Il
fatto, poi, che avesse sorpreso i due terrestri nella stanza del
generale doveva essere collegato in qualche modo a tutta quell’oscura
faccenda. Doveva,
accidenti.
Altrimenti
proprio non riusciva a capire cosa diavolo stesse succedendo.
Fu
in quel momento che il suo rilevatore captò l’aura di Bardack.
Finalmente,
quello smidollato si era deciso a rientrare nel castello.
Da
solo, però.
Di
tutti gli altri continuava a non esserci traccia.
Napa
si diresse verso l’uscita del laboratorio, spalancò la porta e
corse via più in fretta che poteva, ignorando completamente i
terrestri rimasti lì dentro.
Tanto
– ne era certo – quei quattro babbei non sarebbero stati così
sciocchi da tentare la fuga e, se anche lo avessero fatto, lui aveva
cose ben più urgenti di cui occuparsi.
***
«Siamo
arrivati tardi, accidenti.»
Kakaroth
sfondò con un pugno una delle pareti di quella stramaledetta stanza,
ignorando completamente il moto di stizza di Chichi. Vegeta
era arrivato prima di loro e aveva già fatto sparire le sfere
del drago.
«Sei
assolutamente certo di averle nascoste qui dentro?»
«Sì,
sicurissimo.»
«Questa
non ci voleva.»
Il
breve scambio di battute fra Tensinhan e Kakaroth aveva messo Jaozi
ancora più in agitazione di
quanto non fosse.
In
quel momento, sebbene egli fosse ingenuo quanto un bambino, sentiva
di aver commesso un’enorme sciocchezza nell’aver assecondato il
suo maestro quando gli aveva chiesto di partecipare a quello strano
torneo di arti marziali.
Perché
lo aveva fatto?
Che
cosa importava a lui dei piani di conquista di Condor?
Era
stato divertente schierarsi con lui nelle forze del male, ma il
trovarsi i fronte creature molto più pericolose di lui gli aveva
fatto aprire gli occhi sull’inutilità di comportarsi come un
teppista. E a lui, tutto sommato, il ruolo di brava persona piaceva
abbastanza. Da quando i malvagi erano giunti sulla Terra,
nessuno si era più preoccupato delle minacce di Condor e dei suoi
allievi, e il piccolo Jaozi aveva potuto sperimentare il ruolo di
“neutrale”.
Tutto
sommato, gli si addiceva abbastanza.
Più
passava il tempo e più si convinceva del fatto che Muten sarebbe
stato un maestro migliore e che anche Tensinhan avrebbe potuto
apprezzare molto di più la tranquillità della vita se avesse
voltato le spalle al vecchio che li aveva incastrati in quella brutta
storia.
«A
questo punto, non ci rimane altro da fare che cercare Vegeta,»
proferì l’unico saiyan presente, tentando di nascondere il più
possibile la rabbia.
«Ma
insomma, si può sapere che cosa sta succedendo?»
L’intrusione
improvvisa e inaspettata di Muten colse di sorpresa tutti i presenti.
L’anziano
maestro non si era mosso dall’albergo da quando aveva visto Vegeta,
Bardack e Bulma rubare le sfere del drago. Non aveva potuto
far niente per impedire loro di compiere quel gesto, ma il fatto di
essere completamente impotente lo aveva reso parecchio nervoso.
Possibile
che ormai fosse ridotto al solo ruolo di spettatore passivo in tutta
quell’assurda vicenda? Possibile che proprio non potesse in alcun
modo tentare di mettere i bastoni tra le ruote a quei vili che
stavano usurpando Furipan e tutta la Terra?
L’arrivo
di Chichi gli aveva ridato in un certo qual modo una lieve speranza.
La
principessa, evidentemente, sapeva che le sfere del drago erano
lì e aveva tutta l’intenzione di andarsele a riprendere.
Peccato
che non fosse sola e che fosse arrivata troppo tardi.
Come
mai Kakaroth, Tensinhan e Jaozi erano con lei?
Che
il giovane falso protettore avesse deciso di schierarsi contro
il suo legittimo sovrano e contro suo padre?
La
faccenda puzzava, e anche parecchio, e lui, sebbene ormai vecchio e
debole rispetto ai giovani guerrieri in circolazione, aveva comunque
il dovere morale di vederci chiaro.
E
di fare un tentativo per risolvere il problema.
«Ah,
Muten! Siamo nei guai fino al collo. Abbiamo perso le sferedel drago… anzi, ce le hanno rubate.»
Chichi
era quasi in lacrime.
Stava
facendo uno sforzo madornale per trattenerle e Muten non capiva
davvero come mai una ragazza tanto forte stesse subendo in quel
momento una tale pressione. D’accordo, gli oggetti che aveva il
sacro compito di custodire erano scoparsi, ma ciò non significava
affatto che chi le aveva rubate avesse la possibilità di
utilizzarle.
«Lo
so, ho assistito a tutta la scena. Ma non è il caso di farsi
prendere dal panico, Chichi: tu sei l’unica a conoscerne il segreto
e senza di te le sfere sono solo delle inutili palle di vetro.
Asciugati le lacrime e siediti un attimo. Hai bisogno di ritrovare il
controllo di te.»
Chichi
non ribatté. Trasse un enorme respiro e, sebbene a malincuore,
accettò la proposta di Muten di ristorarsi un attimo. Era stanca,
provata e indebolita dagli enormi sforzi fisici e mentali compiuti
durante quell’assurda giornata.
Sapeva
che stava tenendo un comportamento decisamente anomalo per una come
lei, ma proprio non riusciva a essere forte pensando che Vegeta
potesse scoprire il segreto delle sfere del drago e che quella
sciocca di Mamanu avesse temporeggiato chissà quanti giorni prima di
rivelare chi le avesse rubate.
Già,
Mamanu. La bellissima, affascinante, dolcissima Mamanu.
La
donna che aveva sposato il suo povero padre diversi anni prima e che
aveva pensato bene di tradirlo con il padre di Goku. Se fino a quel
momento Chichi pensava di non essere in grado di provare odio, le
circostanze in cui era incappata dovettero farla ricredere.
Lei
detestava la sua matrigna.
La
detestava perché non l’aveva mai davvero aiutata nel suo delicato
ruolo e aveva lasciato sulle sue giovani spalle incombenze che nessun
adulto avrebbe accettato di sopportare; la odiava perché, mentre lei
buttava sangue e sudore nell’arduo tentativo di apprendere come
controllare le sfere del drago, Mamanu si accaparrava la
benevolenza dei suoi sudditi facendo implicitamente passare la
principessa per egoista; provava disgusto perché, non paga della
bella vita che lo stregone del toro le aveva concesso, aveva
pensato bene di pugnalarlo alle spalle buttandosi tra le braccia di
Bardack.
E
questo, più di ogni altra cosa, non glielo avrebbe mai perdonato. Mai.
«Sai
dove si siano diretti dopo aver preso le sfere?»
«No,
Goku, mi dispiace.»
«Non
chiamarmi così, accidenti!»
Muten
non disse altro.
Avrebbe
voluto fare un sacco di domande, ma capiva perfettamente che tutti i
presenti avevano i nervi a fior di pelle. Doveva essere successo
qualcosa di molto grave se la principessa era buttata su un letto
quasi in lacrime e se Goku – o come diavolo si chiamava – stava
faticando più del solito per trattenere la sua aura. Nemmeno il
fatto che Bulma si trovasse con Bardack e Vegeta era normale.
Era
chiaro che la scienziata si fosse cacciata, volutamente o meno, in un
grosso guaio e che evidentemente non aveva avuto altra scelta che
assecondare gli usurpatori.
Ma
che diavolo poteva aver combinato?
E
come faceva Vegeta a sapere che le sfere si trovassero lì?
Che
fosse colpa di quello strano marchingegno che stringeva tra le mani?
Una
cosa era certa: appena Chichi avesse ritrovato un po’ di contegno,
lui le avrebbe fatto un interrogatorio degno di un detective privato.
«Chichi,
dobbiamo andarcene. Non possiamo restare nei dintorni di Furipan.»
La
principessa sollevò appena il capo dal cuscino e si asciugò l’unica
lacrima che le era sfuggita.
«Che
cosa vuoi dire, Kakaroth?»
«Che
finché non elaboro un fottuto piano per scovare e affrontare Vegeta,
non ha senso rimanere qui.»
«Già,
tutto sommato hai ragione. E dove vorresti andare, sentiamo?»
«Chiama
la tua nuvola e seguimi, senza fare domande.»
Tensinhan
prese a guardare il saiyan con insistenza.
Era
chiaro: il protettore non voleva che qualcun altro seguisse
lui e la principessa.
Non
si fidava, e aveva ragione.
Possibile
però che già avesse dimenticato i suoi propositi di vendetta?
Possibile
che non tentasse di ammazzarlo, dato che lui era il primo
responsabile di quella situazione?
Evidentemente,
Vegeta doveva essere per lui una grande minaccia.
«E
noi? Che cosa dovremmo fare noi?» chiese Tensinhan con un tono che a
Kakaroth doveva essere parso piuttosto arrogante.
«Per
quel che mi riguarda, potete pure ammazzarvi.»
***
Quel
dannato rilevatore non funzionava mai quando serviva.
Bardack
aveva già perso diversi minuti nel tentativo di collegarsi con suo
figlio, ma pareva proprio che quello stupido aggeggio avesse deciso
di non collaborare. Merda.
Il
saiyan tentò per l’ennesima volta di scollegare e collegare
qualche cavo, sperando di riuscire a ristabilire la funzionalità
dell’apparecchio.
«Ah,
finalmente!»
A
Bardack capitava raramente di parlare da solo, ma quando si sentiva
particolarmente sotto pressione, si lasciava sfuggire qualche
imprecazione di troppo.
E
in quel momento, accidenti, dire che era sotto pressione era
un eufemismo.
Il
rilevatore emise un paio di flebili segnali acustici prima che il
tanto atteso interlocutore rispondesse.
«Ehi,
papà...»
«Ascoltami
bene, Radish, non ho molto tempo da perdere...»
In
quel momento, il generale sentì spalancarsi la porta dietro di sé e
scorse il viso dubbioso e furente di Napa.
Lo
ignorò.
A
quel pallone gonfiato avrebbe pensato in un altro momento.
«Prendi
la prima navicella che trovi e raggiungici sulla Terra. Le coordinate
esatte sono 21ӄӃӁҵҶ ҰүҰӀӍ44.»
«Ehi,
tu,» si intromise Napa, «ma che diavolo stai combinando?»
«Non
ora, accidenti!»
Bardack
guardò il guerriero d’élite dritto negli occhi, assumendo lo
sguardo più minaccioso che potesse lanciare.
Lo
avrebbe attaccato.
Se
quel ficcanaso avesse osato provare a interrompere quella chiamata,
il generale non ci avrebbe pensato due volte a scagliare contro di
lui uno dei suoi attacchi più potenti.
Il
tempo di fare buon viso a cattivo gioco era finito e lui non poteva
più permettersi di lasciare in mano ad altri il controllo di una
situazione già disperata.
E,
soprattutto, non avrebbe permesso al principe di commettere un’altra
sciocchezza.
Questo
dettaglio, probabilmente, Napa non lo avrebbe mai colto.
«Papà,
ma che sta succedendo? Con chi stai parlando?»
«Lascia
perdere. Muoviti a venire sulla Terra! È un ordine.»
La
chiamata si interruppe bruscamente.
Radish
era perplesso, molto perplesso.
Sospirò
con fare rassegnato e si voltò verso la donna che lo attendeva già
nuda sul letto.
«Mi
dispiace, ma devo andare. A quanto pare è successo un casino.»
***
Da
quando avevano messo piede nella dimora del Supremo, Chichi non aveva
fatto altro che starsene buttata sul letto che Popo le aveva
gentilmente preparato e poltrire in religioso silenzio.
Non
aveva alcuna voglia di parlare, e non lo aveva fatto nemmeno dopo le
non troppo velate richieste di spiegazione da parte di Goku.
Il
saiyan aveva capito perfettamente che in lei c’era qualcosa che non
andava, che per qualche strano motivo era davvero sconvolta; ma la
principessa non aveva alcuna voglia di parlare, tanto meno con lui.
Se
non altro, l’incombenza delle sfere del drago da recuperare
lo aveva in qualche modo persuaso dal continuare a tormentarla. Aveva
delle priorità in quel momento e, per fortuna della principessa, lei
non ci rientrava affatto.
O,
almeno, così credeva.
Il
saiyan aveva messo subito al corrente il Supremo del furto da parte
di Vegeta e aveva intimato alla divinità di non rivelargli, qualora
si fosse presentato lì, il segreto delle sfere.
Kakaroth
sapeva benissimo, infatti, che Chichi non era la sola a poterle
attivare e che anche il loro creatore, ovviamente, avrebbe potuto
utilizzarle e servirsene.
Per
la verità, era assolutamente improbabile che Vegeta sapesse
dell’esistenza del Supremo ma, in ogni caso, da quando quella
sciocca scienziata si era messa a collaborare con lui, ci si sarebbe
potuto aspettare di tutto dal potente principe dei saiyan.
Bulma,
in fondo, era la fidanzata di Yamcha ed era dunque altamente
probabile che il guerriero l’avesse informata circa l’esistenza
sulla Terra di cotanta divinità superiore.
Se
così fosse stato, probabilmente sarebbe stato lo stesso Vegeta e
raggiungerli.
Chichi
però pareva disinteressata a tutto.
Ormai
si era quasi autoconvinta che non ci sarebbe stato più niente da
fare per fermare il correre degli eventi e, tutto sommato, non aveva
nemmeno chissà quanta voglia di lottare ancora.
Contro
chi, poi?
O
contro cosa?
Se
non fosse stato Vegeta a esprimere il suo desiderio, lo avrebbe fatto
Kakaroth e, in ogni caso, di sicuro non avrebbe chiesto la pace nel
mondo.
Era
fottuta.
E
non aveva nemmeno un protettore degno di questo nome, visto
che il grande Son Goku si era rivelato essere uno sporco impostore.
Oltretutto, in quel momento, ella non avrebbe potuto fare affidamento
su nessun altro oltre a lui.
«Gran
bella merda.»
«Che
c’è? Adesso parli anche da sola?»
Chichi
non si era accorta dell’ingresso di Kakaroth nella stanza.
Per
la verità, pensava che quel tipo l’avrebbe evitata come la peste
vista la sua reticenza nell’intavolare una conversazione decente.
Era
di pessimo umore e gli aveva già fatto capire chiaramente che non
aveva alcuna intenzione di mettersi a parlare con lui di sfere del
drago, furti, principi megalomani e padri voltagabbana.
Eppure,
sembrava proprio che il saiyan non avesse intenzione di lasciarla in
pace.
Si
era persino chiuso la porta alle spalle, segno che, evidentemente,
aveva intenzione di affrontare di nuovo con lei qualche discorso.
O,
semplicemente, di passare la notte lì.
Ormai
era tardi e il sole era calato da un pezzo, ma pareva proprio che
fino a quel momento Chichi non ci avesse badato poi molto.
Continuava
a pensare a quanto fosse stata sciocca e debole, a come aveva tradito
la promessa fatta a suo padre di vegliare sulle sfere e al modo in
cui Mamanu lo aveva tradito.
Già,
quella brutta storia non riusciva proprio a digerirla.
Le
sembrava un affronto troppo grande da poter anche solo prendere in
considerazione l’idea di non prenderla a schiaffi la prossima volta
che l’avrebbe incontrata. Perché, accidenti, prima o poi l’avrebbe
rivista e allora le avrebbe scagliato addosso tutti gli insulti che
la sua bocca avrebbe potuto lanciare.
«Lasciami
stare, per favore.»
Kakaroth
assottigliò lo sguardo e si avvicinò a lei, mettendosi a sedere al
suo fianco sul letto.
No,
non l’avrebbe lasciata stare.
Quella
non era la Chichi che aveva conosciuto e che aveva imparato ad
ammirare anche contro la sua volontà. Le era successo qualcosa,
qualcosa che doveva essere legato in qualche modo alla scoperta su
chi avesse rubato per primo le sfere del drago.
«Come
facevi a sapere che era Tensinhan il colpevole?»
Ecco.
Quello
era proprio il discorso che la principessa non voleva aprire.
«Che
importanza vuoi che abbia? Tanto siamo arrivati tardi comunque.»
«Ti
ho fatto una domanda: rispondi.»
Chichi
si voltò verso il saiyan rivelandogli lo sguardo più astioso che
avesse mai recato in viso.
«Non
piace l’arroganza con cui ti rivolgi a me. È possibile che tu non
riesca mai a capire quando è il momento di chiudere la bocca e
rispettare il silenzio altrui?»
«Accidenti,
Chichi! Qui è in gioco il tuo regno, il tuo popolo e
il tuo destino e tu, proprio oggi che hai perso le sfere
del drago, hai pensato bene di chiuderti in una dannata stanza e
piagnucolare come una femminuccia qualunque. Dimmi, principessa,
è questo che il Supremo si aspettava da te quando ti ha affidato
quei dannati oggetti? È questo che tuo padre voleva che tu facessi
quando temeva che sarebbero arrivati i malvagi?»
«Non
lo so, cavolo! Io non lo so che razza di aspettative avessero su di
me, lo capisci? Ma cosa posso fare io, da sola? Che cosa? Tu vuoi
sottrarmi le sfere – e non negare che sia così – e il Supremo, a
parte vegliare sulle sorti di questo pianeta, non ha intenzione di
muovere un dito. Per non parlare di quello zuccone di mio padre che…
Che...»
Chichi
non trattenne più le lacrime.
Per
la prima volta dopo tanto tempo si lasciò cadere in un pianto
copioso, carico di angoscia, rabbia e delusione. Avrebbe voluto
dirgli quanto il suo genitore fosse stato sciocco ad affidare le
sorti del Regno a lei e a Mamanu e quanto la sua assenza nelle ultime
settimane avesse fatto precipitare gli eventi.
Entrambe
le donne avevano in qualche modo tradito la sua fiducia: sua figlia
restituendo le sfere del drago al Supremo e Mamanu andando a
letto con il generale Bardack.
Ah,
oltretutto, Chichi si era anche presa una bella cotta per Gok…
Kakaroth e la sua matrigna aveva taciuto per chissà quanto tempo sul
fatto che Tensinhan avesse rubato le sfere.
Gran
bella situazione, quella.
E
ora il suo protettore pretendeva che lei gli raccontasse
tutto, che mettesse a nudo le sue debolezze e si facesse sbeffeggiare
ancora di più.
No,
non lo avrebbe fatto, anche se piangendo aveva già ceduto.
Dal
canto suo, Kakaroth provava tanta rabbia quanta angoscia.
Rabbia,
perché la principessa stava pericolosamente precipitando dentro a un
pericolosissimo buco nero; angoscia perché – ahimé – la ragazza
aveva ragione: lei, da sola, non avrebbe potuto fare nulla contro
Vegeta e contro i saiyan.
Ma
non era sola, accidenti!
Davvero
pensava che lui non si sarebbe assunto le sue responsabilità di
fronte al principe e a suo padre? Davvero pensava che avrebbe potuto
abbandonarla al suo destino?
La
testa gli diceva sì, ma il guerriero sapeva perfettamente che
ormai quella ragazza contava per lui più di tutta la fottuta razza
saiyan.
Suo
padre non si era fatto scrupoli, a suo tempo, nel mandarlo su un
pianeta lontano chissà quanti anni luce dal suo e Kakaroth non aveva
certo intenzione di dimenticare questo piccolo particolare.
Non
glielo avrebbe mai rinfacciato, ovviamente, ma neanche avrebbe mai
dimenticato.
E
per quanto assurdo e ridicolo potesse sembrare, egli si stava pian
piano convincendo del fatto che continuare a vivere sulla Terra,
magari proprio al fianco di Chichi, non sarebbe stato poi così
vergognoso e frustrante.
Certo,
come aveva giustamente affermato la principessa, lui puntava a
sottrarle le sfere del drago ; però non gli interessava
diventare il despota dell’universo.
Lui
del potere non sapeva che accidenti farsene.
«Va
bene, Chichi, adesso smettila di piangere,» sussurrò accarezzandole
delicatamente il viso con le dita. «Ne verremo fuori.»
Chichi
ebbe un impercettibile sussulto causato dal gesto inaspettato di
Goku.
«Fino
a poche ore fa eri tu quello che aveva perso completamente il lume
della ragione.»
«Sì,
è vero. Ma ho pensato a diverse cose nel frattempo, e sono convinto
che abbiamo ancora diverse possibilità di farcela.»
«Abbiamo?»
ripeté Chichi a metà tra lo scetticismo e il sarcasmo.
«Sì,
principessa, abbiamo.»
Il
bacio che seguì sancì l’inizio di una nottata fatta di lacrime,
dolore, speranza e passione.
CONTINUA
Angolo
dell’autrice
Buonsalve
a tutti!
Il
capitolo è stato abbastanza corposo, e infatti ho impiegato
parecchio tempo per riuscire a buttarlo giù tutto. Avevo un sacco di
idee, ma erano decisamente troppe da scrivere tutte qui. In ogni
caso, spero che la lettura non sia stata noiosa e che abbiate colto
qualche spunto interessante.
Da
parte mia, la vera sorpresa del capitolo è l’ingresso in scena di
Radish, fino ad ora quasi nemmeno menzionato. Chissà come mai
Bardack gli ha ordinato di venire sulla Terra!
Chichi
e Goku si apprestano a passare una bella nottata.
Bulma
e Vegeta non si sa che fine abbiano fatto.
E
Napa… Napa inizia a innervosirsi parecchio.
Ringrazio
chiunque abbia letto il capitolo e spero di poter aggiornare presto.
Mentre
sentiva le labbra umide di Kakaroth premute con forza contro le sue,
Chichi pensò di non essere ancora del tutto pronta a ciò che di lì
a poco sarebbe sicuramente successo; eppure, la sua volontà non era
forte abbastanza da mettere a tacere il formicolio e le vibrazioni
che si stavano espandendo lungo il suo giovane corpo.
Fare
l’amore per la prima volta nella vita con un essere tanto
riprovevole sarebbe stata un’onta che la bella principessa non
avrebbe mai potuto cancellare, ma il suo cuore batteva all’impazzata
ogni qualvolta il suo famigerato protettore incrociava
con gli occhi lo sguardo riluttante di lei, e per quanto ella avesse
tentato per settimane di ignorare quello stupido muscolo, esso
tornava puntualmente
a tradirla e a farle ricordare di essere una donna prima ancora
che la sovrana di un regno
allo sbaraglio.
Ecco
perché, ormai avvinta da tutti i contraddittori dubbi che le si
stavano moltiplicando nell’anima, Chichi preferì non opporsi a
quel bacio per nulla casto che il guerriero le stava donando. Aveva
un debole per lui; forse ne era addirittura innamorata.
E
se così fosse stato, avrebbe dovuto trovare il coraggio di
ammetterlo il prima possibile almeno con sé stessa.
Kakaroth
sembrava tutt’altro che intenzionato a lasciarsela scappare.
Si
mise sopra di lei, lasciandola di fatto sdraiata a letto, nella
stessa posizione in cui l’aveva trovata appena messo piede in
quella camera.
Era
da tempo che fantasticava su quella la notte, sulla notte in cui
finalmente avrebbe avuto la possibilità di far sua la bella
principessa di Furipan.
In
fondo, lui era pur sempre un uomo e non si potevano ignorare chissà
quanto a lungo certi bisogni.
Già.
Ma
perché si era fissato proprio con Chichi?
Fisicamente
era un tipetto interessante, certo; ma di belle ragazze in giro su
quel pianeta ce n’erano a bizzeffe. Da quando aveva conosciuto lei,
però, la mente di Kakaroth era stata completamente soggiogata da
quella giovane donna tanto forte e sfrontata.
La
ammirava, forse perché Chichi non aveva mai abbassato la testa di
fronte alle sue minacce e aveva dimostrato di avere una forza
spirituale forse addirittura maggiore della sua.
E
chissà quali altre doti nascoste nascondeva.
Kakaroth
non aveva mai fatto mistero di volerla fare sua e glielo aveva
dimostrato più volte baciandola; dal canto suo, Chichi non aveva mai
mostrato alcuna ritrosia nei confronti dei gesti impudici del suo
protettore. Il saiyan sapeva che la principessa non aveva
ancora concesso ad alcuno le sue grazie e il fatto che lui fosse il
primo lo eccitava ancora di più.
E
lo rendeva, chissà perché, orgoglioso.
Più
pensava alla verginità di Chichi e più il suo bacio diventava
passionale.
La
sua non era semplice necessità di fare sesso: no; il suo era un
bisogno sconsiderato di avere lei e di farglielo capire.
La
stretta alla quale Goku l’aveva avvinghiata non le avrebbe lasciato
alcuna via di scampo. Era come se quel saiyan temesse che lei potesse
sottrarsi a quell’amplesso venturo e volesse impedirglielo con
forza. Chichi non avrebbe avuto alcuna possibilità di fuggire o di
ribaltare quella posizione se il guerriero non glielo avesse
concesso; tuttavia, essere lì sotto di lui, a godere delle sue
sfrontate mani e di quel bacio così passionale le piaceva e, per una
volta in vita sua, si disse che avrebbe dovuto lasciare da parte la
razionalità e assecondare gli spasmi del suo cuore.
Ai
sensi di colpa, semmai fossero sopraggiunti, avrebbe pensato dopo.
Goku
baciava da dio, o forse le sembrava così perché quello era il suo
primo vero approccio intimo con un ragazzo. Non le stava facendo
alcun male, anzi pareva proprio che egli si stesse impegnando per
essere il più delicato possibile.
Delicato,
certo, ma al contempo determinato nel voler portare a termine quanto
iniziato.
Lei
ricambiò quel bacio come meglio poteva, senza però celare del tutto
la sua inesperienza.
Non
si oppose nemmeno quando le mani del saiyan andarono a lambire il suo
corpo, insinuandosi sotto i vestiti, tra le cavità più nascoste di
Chichi. Lei si muoveva di rimando, assecondando i gesti del guerriero
e semplificandogli la strada.
Le
piaceva, e ancor più si accorse che le piaceva partecipare a quel
gioco velatamente erotico avviato da Kakaroth. Anche lei iniziò a
toccarlo, prima timidamente portando le sue mani ancora incerte
attorno al collo del saiyan, poi lasciandole scivolare sempre più
giù, seguendo gli stessi movimenti che il guerriero disegnava sul
corpo fremente e caldo di lei.
Ebbe
un fremito incontrollato quando avvertì chiaramente le dita di Goku
insinuarsi tra gli slip, andando a stuzzicare la parte più intima e
femminile di lei. Se razionalmente la ragazza pensò che avrebbe
dovuto chiudere le gambe, l’istinto la portò a fare l’esatto
contrario, facilitando al saiyan la penetrazione con le dita. Chichi
ebbe un primo assaggio di quanto potesse essere profonda quella parte
di lei, quel luogo celato e quasi mistico che non ebbe mai il
coraggio di violare nemmeno con le sue stesse mani.
Il
gemito di piacere che uscì dalla sua bocca, ancora impegnata nel
caldo e passionale bacio di Kakaroth, fu colto dal saiyan come un
solerte invito a continuare e ad andare più a fondo.
Lo
fece, e penetrò di nuovo, e ancora, la principessa con le dita,
scoprendosi poi il membro avvolto dalla candida mano della ragazza.
Gli
abiti che entrambi ancora avevano addosso furono improvvisamente di
troppo e Kakaroth provvide subito a denudare prima la sua amante e
poi sé stesso, togliendo definitivamente l’ultima labile barriera
che ancora separava i loro corpi.
«Mi
farai impazzire, Chichi, tu e la tua dannata bocca.»
«A
me pare che tu sia già impazzit… Ah!»
La
stretta della principessa attorno al corpo di Goku si fece
immediatamente più forte quando ella percepì il membro del ragazzo
farsi strada tra le sue gambe, nel tentativo di insinuarsi più a
fondo che potesse.
Provò
dolore, ma nulla in confronto a quanto quel maledetto guerriero le
avesse fatto sentire durante i loro allenamenti. Si fece forza e
resistette, senza cercare di respingerlo.
Aveva
sopportato pene ben peggiori nella
sua vita
e non avrebbe certamente desistito di fronte al primo approccio
sessuale della sua giovinezza.
Gli
spasmi di dolore mutarono lentamente
in fitte di piacere a mano a mano che il saiyan riusciva ad andare
più a fondo.
Era
una bella sensazione, tutto sommato, molto meno traumatica di quanto
avesse immaginato. Muoversi
seguendo i ritmi e le spinte del saiyan le
sembrava quanto di più naturale ci fosse al mondo e, sebbene
fosse razionalmente assurdo, sentiva che in quel momento non avrebbe
voluto essere da nessun’altra parte.
Godette
e gemette fino alla fine, quando il saiyan si divincolò dalla
femminilità della ragazza e riversò sul corpo caldo ed eccitato di
lei il prodotto del suo piacere orgasmico.
Il
silenzio che seguì, interrotto soltanto dai respiri affannati dei
due amanti, non fu che l’adeguata cornice di un abbraccio sincero e
desiderato da entrambi.
Anche
se con estrema delicatezza, i due giovani continuarono ad
accarezzarsi vicendevolmente, godendo dell’inusuale sensazione di
appagamento provato.
Chichi
affondò il viso tra la spalla e la clavicola del saiyan, continuando
a elargire qualche piccolo bacio. Di tanto in tanto alzava gli occhi
verso il volto del ragazzo, meravigliandosi di quanto esso apparisse
ancora dannatamente bello e affascinante,
nonostante ella avesse già saziato il suo inconscio – o forse no –
desiderio di fare l’amore con il suo protettore.
Pensava
che, una volta fatto, la magnetica attrazione nei confronti di
Kakaroth si sarebbe spenta, o quanto meno affievolita; si scoprì,
invece, ancora più presa da lui.
Inutile
continuare a girarci attorno: si era innamorata.
***
«Giumaho,
dobbiamo parlare.»
Mamanu
non avrebbe voluto arrivare a tanto, o, per lo meno, non avrebbe
voluto farlo così presto; ma ormai Chichi aveva scoperto tutto e di
sicuro non avrebbe retto il gioco della sua matrigna.
Quella
era stata in assoluto la giornata peggiore della sua vita e
ritrovarsi lì, in quella che per anni era stata la camera da letto
che condivideva con il marito, le dava una strana inquietudine.
O,
forse, erano semplicemente i sensi di colpa.
Da
quando Napa era uscito di corsa dal laboratorio per andare a parlare
con Bardack, nessun saiyan si era più preoccupato della loro
presenza. Era come se lei, Crilin, Giumaho e persino Condor e le
sfere del drago
avessero
immediatamente perso tutta la loro importanza.
Lei
stessa aveva incrociato l’energumeno saiyan d’élite un paio di
volte tra i corridoi, ma quell’uomo non aveva mostrato il benché
minimo interesse nei suoi confronti. Sembrava, anzi, che tutte le sue
priorità fossero improvvisamente cambiate.
Di
che cosa avevano parlato lui e Bardack?
E
che fine avevano fatto Vegeta e Kakaroth?
L’imprevisto
volgere degli eventi doveva aver spiazzato persino Napa; tuttavia
ella non capiva quale fosse esattamente la fonte della sua
preoccupazione. Quel guerriero non si era mai preoccupato più di
tanto dei movimenti del suo principe, né si era volutamente
invischiato nella questione delle sfere
del drago. Piuttosto,
egli si era limitato a reperire forza-lavoro e a dirigere i lavori di
ampliamento della città di Furipan. Pareva che lo sviluppo di quel
regno tutto sommato relativamente piccolo stesse a cuore a Napa ben
più del potere stesso. D’altra parte, per quel poco che aveva
avuto modo di conoscerlo, Mamanu aveva colto il timore reverenziale
del saiyan d’élite nei confronti di Vegeta ed era convinta del
fatto che egli non avrebbe mai ambito a un potere maggiore di quello
conferitogli dal suo stesso sovrano.
Viveva
e lavorava per compiacere Vegeta, punto.
Non
aveva altre mire o pretese.
Peccato,
però, che il suo adorato capo non lo avesse capito e che anzi avesse
sottovalutato parecchio cotanta reverenza. Napa pareva punto
nell’orgoglio, come un cucciolo tradito dal proprio padre e,
qualunque fosse la causa di quell’inconsueto stato d’animo,
Mamanu sperava proprio che quest’ultima non diventasse un’ulteriore
grosso problema.
«Di
che cosa, mia cara?»
La
risposta di Giumaho riportò Mamanu alla realtà, accantonando
momentaneamente Napa.
Già,
di che cosa dovevano
parlare?
L’oggetto
in questione, in realtà, era un chi.
«Ascoltami,»
disse la donna,
chiudendosi la porta della camera alle spalle e sedendosi sulla sua
poltroncina, «io…
Io ho commesso diversi errori in queste ultime settimane. Non voglio
tentare di giustificarmi e non lo farò, ma ci tengo a chiarire tutto
il prima possibile, prima che sia qualcun altro a informarti.»
Lo
sguardo perplesso che Giumaho elargì a sua moglie, gelò la donna
all’istante. Come aveva immaginato, suo marito non aveva sospettato
nulla.
Dal
canto suo, lo stregone
del toro non sapeva
assolutamente come ribattere. Aveva sbagliato a isolarsi tra le mura
della sua stanza per tutto quel
tempo senza mai tentare di aiutare la sua famiglia a risolvere i vari
problemi. Era stato un vigliacco, al contrario di Chichi e Mamanu
che, magari commettendo
errori, avevano comunque
guardato in faccia la realtà e affrontato i malvagi
nei limiti delle loro
possibilità.
Che
cosa poteva aver combinato Mamanu di tanto grave?
Che
in qualche modo avesse favorito l’ascesa degli invasori?
Se
anche fosse stato così, Giumaho sapeva perfettamente che quella
donna, da sola, non avrebbe potuto far nulla per impedire una cosa
del genere.
«Non
tormentarti in questo modo, mia cara. Leggo tanta angoscia nel tuo
sguardo ma, qualunque cosa sia successa, ti aiuterò a venirne
fuori.»
«No,
Giumaho, tu non puoi proprio fare niente, a parte iniziare a odiarmi
come già fa Chichi.»
L’uomo
si incupì ulteriormente.
Perché
sua moglie era arrivata a pensare una cosa del genere?
Lui
non aveva mai odiato nessuno in vita sua e, nel profondo del suo
cuore, sapeva che neanche sua figlia era capace di provare un simile
sentimento. Mamanu doveva essere davvero scossa se era era giunta a
una simile conclusione, ma la cosa che lo impensieriva di più era
che evidentemente Chichi gliene aveva dato modo.
«È
successo qualcosa con mia figlia? Avete discusso?»
«Oh,
no, ti prego... Non mettere in mezzo la principessa! Lei non c’entra
niente. L’unica colpevole sono io. È di me che dobbiamo parlare.
Di me e… di noi due. Il nostro matrimonio non funziona, Giumaho.
Non ha mai funzionato. Anche se abbiamo sempre fatto finta di niente,
sappiamo benissimo entrambi che...»
Il
pianto dirotto in cui Mamanu si lasciò andare interruppe un
argomento
per lei fin troppo duro da affrontare. In vita sua non aveva mai
avuto il coraggio di ammettere ciò che ora stava sentenziando, né
aveva mai lasciato che dalla sua bocca uscissero discorsi
compromettenti come se fossero
un fiume in piena.
Ma
non poteva permettersi di continuare a mentire e, soprattutto, di
ignorare quelle che erano le sue pulsioni. Lei era innamorata…Innamorata,
accidenti! Bardack le aveva completamente stravolto l’esistenza e
Mamanu non voleva assolutamente rischiare di mandare all’aria
l’unico vera relazione sentimentale che l’avesse mai vista
coinvolta.
Poco
contava che magari al generale non importasse niente di lei: avrebbe
comunque corso il rischio di sentirselo dire e di mandare all’aria
sia la tresca con Bardack che il matrimonio con Giumaho, pur di
riuscire a liberarsi dei ruoli impostigli dalla società e di vivere
secondo le sue libere scelte.
«Sappiamo
benissimo entrambi,» riprese, «che
tra noi non c’è niente di più che una sincera stima reciproca e
dell’affetto. Tu mi hai dato tutto, Giumaho, e nei miei riguardi ti
sei sempre comportato da vero gentiluomo; ma io non ti amo, non ti ho
mai amato. L’ho capito quando i malvagi
– come ancora li
chiami tu – sono giunti qui a Furipan.
E io… Io ti ho tradito.»
«Tu…
cosa!?»
In
quel momento fu come se il mondo gli fosse crollato addosso.
Lo
stregone del toro
venne colpito da una sorta di fulmine a ciel sereno, ma ben
più doloroso e beffardo. Se l’era cercata, in fondo. Aveva
lasciato sua moglie e il suo regno in balia di un gruppetto ben
assortito di depravati venuti da chissà quale parte dell’Universo
per rinchiudersi a meditare fra quattro stupide mura,
sperando che Baba tornasse a risolvere i suoi
problemi.
E
intanto aveva costretto Mamanu e Chichi ad affrontarli da sole,
rifiutandosi di dar loro una mano.
La
sua consorte aveva già provato una volta a parlare con lui, nel
tentativo di fargli assumere le proprie responsabilità; aveva anche
accennato a un rapporto ambiguo tra Chichi e Son Goku. Tuttavia, ella
si era ben guardata dal dirgli che nel frattempo stava intrattenendo
una relazione clandestina con qualcuno.
Con
chi, poi?
Si
era forse invaghita di un suddito del regno?
Giumaho
sapeva che erano molti gli uomini spudorati che in un passato più o
meno recente avevano fatto la corte alla sua affascinante moglie. Mai
prima di allora, però, ella aveva ceduto.
E
se invece Mamanu si fosse invaghita di uno dei guerrieri partecipanti
al torneo di arti marziali?
Da
quel che ne sapeva lui, erano rimasti tutti, o quasi, a Furipan dopo
l’arrivo dei malvagi.
«Moglie
mia, vuoi dire che tu… tu...»
«Sì,
Giumaho. Ho una relazione con un altro uomo.»
Il
silenzio che seguì venne interrotto solamente da un appena
sussurrato mi dispiace
da parte di Mamanu. Ella sperava che lui le chiedesse chi fosse il
suo amante, ma il marito pareva fin troppo sotto shock da poter
continuare quella conversazione.
Non
se lo aspettava.
Giumaho
non aveva mai dubitato della fedeltà di sua moglie e,
purtroppo, aveva fatto male.
L’uomo
cercò di ricomporsi, di trattenere le lacrime che gli stavano
gonfiando gli occhi.
Non
poteva avere una crisi in quel momento, non dopo che sua moglie aveva
dimostrato di essere molto meno vile e codarda di lui. Perché, tutto
sommato, almeno lei aveva avuto il coraggio di confessare e di
assumersi le proprie colpe con il rischio di una ritorsione.
«Ho
capito, Mamanu. Quanto è importante per te questa persona?»
Ecco,
quella era proprio la reazione che la donna non avrebbe voluto. Compassione.
La
meritava?
Certo
che no; ma pareva proprio che Giumaho non avesse intenzione di
perdere le staffe nemmeno dopo aver scoperto il tradimento da parte
sua.
«Sì,
lo è. Credo… credo di essermi innamorata di lui,»
ammise senza mezzi termini, mantenendo però lo sguardo basso.
«Oh.»
«Mi
dispiace, non sono stata abbastanza forte da resistere.»
Lo
stregone del toro si
alzò dal letto e si diresse verso la finestra, dando le spalle alla
consorte.
In
realtà, lui non aveva mai immaginato che Mamanu si sentisse
costretta a stare con lui e che addirittura lei non lo avesse mai
amato. Come le era passato per la testa, poi, che per lui fosse la
stessa cosa? Giumaho era totalmente devoto a sua moglie e l’amava
con tutto sé stesso. Non le aveva mai fatto mancare niente, l’aveva
trattata come e meglio di una regina, l’aveva sempre lasciata
libera di coltivare le sue passioni.
Certo,
il rapporto con Chichi era pessimo; lo era sempre stato.
Nonostante
i suoi tentativi di mettere un freno all’astio che sua figlia
provava nei riguardi della matrigna, Giumaho non era mai riuscito a
far avvicinare realmente le due donne e, davvero, di ciò non si
capacitava affatto.
La
principessa aveva sempre avuto un carattere molto forte – acuito,
probabilmente, dal senso di responsabilità che ella sentiva gravare
sulle proprie spalle in quanto erede del regno di Furipan – ma con
nessuno mai aveva intrattenuto rapporti tanto poco civili come con
Mamanu. Egli sapeva che a sua moglie era sempre pesata molto questa
situazione e che il fatto di non essere accettata da Chichi le
creava disagio e sconforto.
Possibile
però che a Mamanu desse
noia a tal punto da
finire, poco a poco, col rifiutare persino suo marito e
da credere di non averlo mai amato?
Perché,
ne era convinto, ella aveva mentito sui suoi veri sentimenti.
«D’accordo
Mamanu,»
proferì in tono rassegnato, ormai incapace di trattenere le sue
timide lacrime, «io
credo che tutta questa situazione ti abbia sconvolta, e probabilmente
adesso sei molto confusa.»
«No,
Giumaho, accidenti! Non c’entra niente la confusione.»
«Ti
prego, mia cara, lasciami finire. Voglio dire che, dato che ci
troviamo in una situazione d’emergenza e che io non mi sono assunto
le mie responsabilità per tutto ciò, è normale che tu ti senta
delusa e che credi che la soluzione migliore sia trovare conforto tra
le braccia di un altro uomo; ma, ne sono sicuro, quando tutto si
sistemerà e i malvagi
saranno tornati sul
loro pianeta, troveremo di nuovo il nostro equilibrio.»
Mamanu
avrebbe voluto urlare.
No,
Giumaho non aveva capito niente.
O
non voleva rassegnarsi all’evidenza.
Il
loro matrimonio non stava attraversando semplicemente una crisi
passeggera: la verità era
che lei in quell’unione contrattuale si era sempre sentita
prigioniera. Mai avrebbe potuto negare quanto rispetto il marito le
avesse portato, ma lei non aveva mai scelto di sposarlo e sebbene lui
non le avesse mai fatto mancare nulla, Mamanu non avrebbe mai potuto
definire felice la
loro unione.
Per
lo meno, dal suo punto di vista.
Forse
era stata troppo insensibile nel pensare che anche per lui potesse
essere la stessa cosa, ma in ogni caso, un matrimonio in cui l’amore
fosse a senso unico non avrebbe comunque potuto funzionare.
E
poi… Perché mai i malvagi
sarebbero dovuti
tornare sul loro pianeta?
Da
quel poco che aveva intuito – ed era certo di averci visto giusto –
sia Kakaroth che Vegeta stavano seriamente prendendo in
considerazione l’ipotesi di stabilirsi sulla Terra.
Certo,
Mamanu non poteva assolutamente essere sicura del fatto che Bardack
avrebbe fatto lo stesso – d’altra parte, ancora non sapeva se lei
fosse una motivazione sufficientemente forte per prendere una simile
decisione – ma era molto probabile che, alla fine, egli avrebbe
seguito suo figlio e il
principe.
Sempre
ammesso che quei due maledetti ragazzi non si ammazzassero tra di
loro.
«Giumaho,
tu – ahimé – non hai la più pallida idea di come e quanto siano
cambiate le cose in queste ultime settimane. Non basterà l’eventuale
partenza dei malvagi
per
rimettere tutto a posto perché ormai ho la certezza di non voler più
rivestire il ruolo di tua consorte e perché, a essere sincera, nutro
parecchi dubbi sul fatto che i saiyan se ne andranno via da Furipan
tanto presto.»
«Perché
devi dire queste cose, Mamanu? Mi dispiace, ma non ci credo. Non
riesco davvero a pensare che da un momento all’altro tu ti sia resa
conto di non amarmi più. Non sono cose che si scoprono dall’oggi
al domani, queste; e tu sei una donna abbastanza intelligente da
capire che non mi farò abbindolare da simili scuse. È solo un
periodo, Mamanu, un brutto ma passeggero periodo.
Passerà, vedrai.»
Nel
dire ciò, Giumaho si era di nuovo voltato verso la moglie e le aveva
stretto con dolcezza le mani.
Ella,
dal canto suo, accennò un no
con la testa, ormai incapace di trattenere il secondo
pianto.
Suo
marito l’amava più di quanto si aspettasse e
lei non aveva alcuna intenzione di rinunciare a Bardack.
***
«Preferisci
del pollo arrosto o una bella braciola di maiale?»
«Co…
Come?»
«Dicevo,
Yamcha, che cosa ti piacerebbe mangiare? Pollo o maiale?»
«Ah,
certo, mi scusi
signora Brief. Be’, ecco… prepari pure ciò vuole lei, per me è
indifferente.»
L’allievo
di Muten era decisamente sovrappensiero.
Aveva
seguito il consiglio di Chichi e si era precipitato verso la Capsule
Corporation sperando di riuscire a intercettare Bulma, ma purtroppo
era arrivato tardi.
La
sua fidanzata, a detta della sua strampalata madre, se n’era già
andata da un pezzo con il suo bell’elicottero in compagnia di due
baldi giovani a lei totalmente sconosciuti.
Per
la verità, la gentile signora ci aveva tenuto a precisare che uno
dei due uomini era abbastanza maturo, ma comunque rimaneva pur sempre
un gran bel vedere.
Non
si trattava di Napa, insomma.
Yamcha
ci mise poco a capire che i due tizi in questione non erano altri che
Vegeta e Bardack; ciò che lo impensieriva era il fatto che Bulma
fosse stata costretta a seguirli chissà dove.
La
madre della scienziata non aveva saputo dire molto di più e il
dottor Brief nemmeno si era accorto del secondo uomo.
Il
generale, evidentemente, doveva essere giunto lì dopo il principe.
Nonostante
i vari tentativi di telefonare alla sua fidanzata, ella non aveva mai
risposto.
L’allievo
di Muten era seriamente preoccupato per lei ma non aveva davvero idea
di come fare per riuscire a trovarla.
«Eccoti
qua il pollo, ragazzo.»
«Ah,
grazie mille, signora.»
Il
giovane prese a giocare con la forchetta, ingurgitando qualche
boccone di tanto in tanto, solo per non fare brutta figura con i
genitori di Bulma; ma la verità era che il suo stomaco era quasi
completamente chiuso.
La
preoccupazione lo stava divorando.
A
impensierirlo di più, tra l’altro, era il fatto che non sapeva
fino a che punto Bulma fosse stata
consenziente nel seguire il principe dei saiyan. C’era qualcosa di
strano nella sua fidanzata, qualcosa che a lui non tornava. Egli
ricordava benissimo quanto lei lo avesse trattato male la sera in cui
si intrufolò nel castello di Furipan. Lo aveva accusato di essere un
vigliacco e temeva che il suo gesto sconsiderato potesse metterla nei
guai. Nei suoi occhi c’erano astio e insolenza.
Lui
e Bulma avevano litigato parecchio negli ultimi tempi e sicuramente
le colpe dei loro diverbi potevano equamente essere divise tra loro;
però mai Yamcha aveva dubitato del fatto che la sua fidanzata stesse
seriamente rivalutando il loro rapporto. Mai,
fino a quando si era reso conto che dovunque fosse Bulma c’era
anche Vegeta.
«Yamcha,
ti vedo pensieroso. Va tutto bene?»
Il
ragazzo alzò gli occhi verso la sorridentissima signora Brief.
Quella
donna si
comportava come se vivesse in un mondo parallelo.
«Be’,
non proprio, direi. Non sappiamo che fine abbia fatto Bulma e se si
trovi ancora in compagnia di quei brutti ceffi. E poi, be’… Hanno
anche preso il radar cerca sfere, quindi...»
«Oh,
secondo me ti stai preoccupando troppo. Quei due ragazzi non mi hanno
fatto per nulla una brutta impressione, sai?»
Yamcha
sospirò, non nascondendo un certo disappunto.
Con
la coda dell’occhio osservò il dottor Brief mentre sorseggiava una
tazza di camomilla.
Il
padre di Bulma era evidentemente preoccupato.
Non
aveva detto una parola da quando si erano messi a tavola ed era molto
probabile che nella sua testa stesse già pensando a un modo per
aiutare lui e la figlia.
«Quel
radar funziona davvero?»
Alla
domanda del giovane, lo scienziato sollevò la testa e alzò per un
attimo gli occhi al cielo.
«Sì,
ahimé.»
«E
non c’è nulla che si possa fare per disattivarlo a distanza?»
«Ci
ho provato, ma il processo è molto lungo, e credo che ormai sia
troppo tardi. Bisogna solo sperare che quel tipo non ne faccia un
cattivo uso.»
«Questo
è impossibile, mi creda.»
«In
ogni caso, potrei lavorare a un sistema per localizzare il radar e
trovare Bulma.»
A
quella rivelazione, gli occhi di Yamcha si illuminarono.
«Crede
davvero che sarebbe possibile?»
«Sì.
E se magari ti andasse di darmi una mano, forse potremmo farcela
entro domani mattina.»
CONTINUA
Angolo
dell’autrice
Di
nuovo, salve a tutti!
Ho
finalmente terminato questo capitolo in cui Goku e Chichi sono stati
i protagonisti quasi assoluti. Spero che la loro prima volta vi sia
piaciuta! So di aver temporeggiato parecchio, ma d’altra parte loro
sono i protagonisti e meritavano un po’ di suspance. Il titolo del
capitolo, però, è dedicato agli altri personaggi che compaiono:
pian piano, i tradimenti stanno venendo a galla; Mamanu lo ha
confessato, Yamcha lo sta intuendo. A proposito di Mamanu, che ve ne
pare della reazione di Giumaho? Come sempre, ho cercato di dare molta
importanza alla caratterizzazione dei personaggi e all’introspezione,
e dato che lo stregone del toro è sempre stato in disparte
fino a questo momento, ho pensato di sviscerare per bene anche nella
sua mente. Spero proprio che vi piaccia il risultato finale!
Come
sempre, vi ringrazio per aver dedicato un po’ di tempo alla lettura
del capitolo e mando un bacione a chi sarà così gentile da voler
recensire.
A
presto!