Ghiaccio e fiamme

di Foglia 21
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Angosciante attesa ***
Capitolo 2: *** Agitazione ***
Capitolo 3: *** Fuga ***
Capitolo 4: *** Scintillio e sapore ***
Capitolo 5: *** Inizio ***
Capitolo 6: *** Cambiamento ***
Capitolo 7: *** Scia ***
Capitolo 8: *** Re ***
Capitolo 9: *** La fine di qualcosa ***



Capitolo 1
*** Angosciante attesa ***


Vedere i suoi occhi di ghiaccio gli procurava una rabbia profonda, un sentimento forte e primitivo che raramente lo aveva pervaso. Li guardava e si sentiva posseduto, li guardava e non poteva distogliere lo sguardo. Non aveva mai cercato di negare l’odio che provava per lui ma non poteva neanche mentire a se stesso, non più.
Fu in quella prigione buia che raggiunse la consapevolezza. Mentre litigavano, aveva visto, nell’attimo in cui gli aveva mostrato il suo vero volto, anche uno squarcio della sua anima. Quell’anima ora la sentiva vicina, lo aveva stregato.
“Maledetti elfi!”. Thorin borbottò sputando a terra. Doveva trovare un modo per uscire. I minuti scorrevano scaricando sul suo corpo il loro immenso peso, lasciandolo in preda ad una angosciante agonia che lo avrebbe pervaso fino a che non fosse stato libero.
“Sputare sul mio pavimento non ti servirà a granché, faresti meglio a riflettere sulla mia proposta.”
La sua inconfondibile voce, delicata e imperiosa, lo distolse dalle amare riflessioni. Alzò lo sguardo e lo vide al di là della porta, con la lieve luce delle lanterne ad accarezzare quella pelle lattea e delicata. Stava appoggiato alle sbarre e con le mani le stringeva, quasi appoggiandovi la fronte.
“Quale onore…una visita dal Re degli Elfi…”. Il Nano si mosse lentamente verso di lui, fino a che non furono vicinissimi. Poi osservò con stupore l’Elfo mentre si inginocchiava per raggiungere il suo livello.
Ora potevano sentire l’uno il respiro dell’altro, mentre i loro occhi si agganciavano in una presa di fuoco.
Sdegno, sfiducia e tradimento, questo il passato aveva scritto nella loro storia. Poteva nascere un’alleanza da una simile eredità?
“Parlai a tuo nonno, ma non mi ascoltò. Poi non agii per paura, per paura di far soffrire il mio popolo. Sbagliai a tirarmi indietro.” Thranduil pronunciò quelle parole con calma e per la prima volta la boria scomparve dal suo volto per lasciar spazio ad una profonda sofferenza. E l’altro ne fu colpito. Afferrò a sua volta le sbarre, proprio sopra alle sue mani, e si sfiorarono per la prima volta. Un brivido corse lungo le loro schiene, e il fiero nano assaporò un nuovo sconosciuto sentimento. Avrebbe voluto spogliare l’altro di ogni veste, mordere la sua morbida pelle e accarezzare quei capelli splendenti. Avrebbe voluto creare una gemma della sua stessa splendida e fulgida bellezza. Ma non è facile far cadere ogni barriera e dimenticare il passato, perciò si allontanò e si volse verso l’oscurità della cella.
“Se cambi idea fammelo sapere.”
Poi rimase solo.
 
Solo nella sua stanza, il Re si tolse la corona e si liberò del prezioso mantello ricamato, come se quei gesti potessero anche ripulirlo dall’afflizione che provava. Dopo la visita fatta al prigioniero avvertiva in corpo una forte sensazione, una sensazione che non riusciva bene a comprendere. Sentiva una sorta di impazienza che lottava con la razionalità.
Si stese sul letto e strinse le lenzuola sotto di sé, ripensando alla sguardo infuocato di Thorin nel momento in cui erano così vicini. Quegli occhi erano impressi nella sua mente e per nulla al mondo avrebbe voluto cancellare quell’immagine.
Senza rendersene conto crollò in un sonno profondo, chiudendo gli occhi al mondo come raramente capitava agli elfi. Sognò le fiamme del drago e quegli occhi di ghiaccio, terribile presagio di sconvolgimenti futuri.
“Ada…”
Thranduil aprì gli occhi e sorrise al figlio con la dolcezza che solo a lui riservava.
“Ada, cosa turba la tua mente?”. Egli si era steso accanto a lui e lo osservava con preoccupazione. “A cosa si riferiva quell’immonda creatura con le fiamme della guerra?
“Non è ancora il tempo per parlarne Legolas…”
L’altro sospirò, contrariato. “Sei tornato da Scudodiquercia...ha riconsiderato la proposta?”
“Abbi pazienza e lo sapremo”. Intuì che il figlio avrebbe voluto porgli molte altre domande, ma egli si limitò a sistemarsi meglio al suo fianco e ad abbracciarlo. Ricambiò il gesto e così rimasero per parecchie ore, godendo della reciproca presenza e di quei momenti sempre preziosi prima di una tempesta.
 

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Capitolo 2
*** Agitazione ***


 
Thorin Scudodiquercia bevve d’un colpo il poco vino rimasto nel suo bicchiere, poi lanciò un occhio ai resti del suo pasto. Non si poteva certo dire che il Re degli Elfi fosse avaro con i suoi prigionieri, cosa del tutto inaspettata. Sospirò, gettandosi sul suo giaciglio e accarezzando con la mano la dura pietra accanto a lui. La sua indecisione stava compromettendo la buona riuscita della missione e i suoi compagni non facevano che ricordarglielo. Balin, suo vicino di cella, gli aveva intimato di cedere: “e non solo per la nostra missione”.
Il nano non aveva risposto a quella frase. Sapeva che gli altri stavano tralasciando un particolare. Quel particolare era un piccolo e astuto scassinatore, che sicuramente si trovava nei paraggi e meditava un piano per liberarli. Eppure, in una piccola e remota parte del suo cervello, egli non era del tutto soddisfatto di quella opzione. Voleva e doveva rivederlo.
Fu una forza sconosciuta a spingerlo. “Ehi, guardia!” L’elfo dai lunghi capelli bruni comparve fissandolo con un certo disgusto. “Voglio parlare con il tuo Re!” sbottò, astenendosi dall’insultarlo come avrebbe voluto. L’altro non disse nulla, ma si voltò e se ne andò, presumibilmente per richiedere il colloquio con Thranduil.
Non dovette aspettare molto prima che tornasse, assieme ad altre due guardie, che lo strattonarono a malo modo fuori dalla cella per condurlo alla sala del trono. Thorin ignorò le occhiate curiose degli altri nani e cercò di mantenere uno sguardo inespressivo.
Gli elfi, con sua sorpresa, lo condussero non alla sala del trono ma a quelle che immaginò essere le stanze private del Re, situate in una zona remota e tranquilla. Si fermarono fuori dalla porta e gli intimarono di muoversi.
Thorin entrò in un’ampia e luminosa stanza, al cui centro si trovava un tavolo con vari libri a ricoprirne la superficie. Tali libri erano una minima parte delle centinaia che dimoravano sugli scaffali alle pareti, intervallati da enormi finestre che affacciavano sull’oscura foresta. In un angolo troneggiava una porta che probabilmente conduceva alla camera da letto.
Lui se ne stava appoggiato ad un davanzale, con un bicchiere di vino tra le mani e la luce dorata delle lanterne ad accarezzarne i tratti. Era senza corona e i lunghi capelli erano scompigliati, come se vi avesse passato la mano più volte. Aveva abbandonato anche le solite ricche vesti, optando per una tunica argentea, più corta della precedente, e dei pantaloni neri.
Il nano pensò a quanto l’altro fosse bello in quel momento, maledicendosi poi per simili pensieri.
“Parla, Thorin Scudodiquercia.” disse l’elfo con tranquillità.
C’era qualcosa, qualcosa nei suoi occhi di ghiaccio, che rivelò al nano un turbamento interiore nell’altro. Quel turbamento era come una specie di prurito che gli impediva di stare tranquillo anche solo per un secondo.
Si avvicinò lentamente, gli occhi dell’elfo che stranamente sfuggivano ai suoi e che guizzavano da una parte all’altra come pesci in un lago. Sapeva che lui non avrebbe permesso a molti di vederlo così.
Quando gli fu di fronte poggiò una mano sul suo petto, come se fosse la cosa più naturale da fare. Il suo cuore batteva all’impazzata e ciò destò in lui una grande inquietudine.
Thranduil lo guardò serio, senza allontanare la mano e agganciando finalmente i loro occhi. “Ti rendi conto dell’immensa malvagità e dell’enorme pericolo che la tua missione sta per destare?”. Si osservarono in silenzio per qualche minuto. Sì, ne era consapevole.
Abbassò la mano e lui si allontanò, appoggiando il calice sul tavolo e raggiungendo un’altra finestra. “Guerra e morte.” Disse con una flebile sussurro.
Un’altra cosa che di lui non immaginava e che fosse così sensibile.
“Combatteremo e vinceremo.” Disse con convinzione.
L’altro si girò verso di lui, il volto ancora più pallido e una nuova luce negli occhi. “Sei un illuso, nano.” Sbottò iniziando a camminare per la stanza, finché l’altro non si mosse all’improvviso, raggiungendolo e spingendolo contro il muro. Entrambi avevano il fiato corto, il desiderio era quasi incontrollabile.
“Quando risponderai?” sussurrò Thranduil. Al nuovo silenzio che seguì, sospirò e lo scansò. “Guardie!” urlò e senza più degnarlo di uno sguardo scomparve dietro la porta della camera da letto.
Mentre gli elfi lo riportavano in cella il cuore di Thorin Scudodiquercia batteva all’impazzata.
 
 
 
 
Dunque…non so come sia venuto fuori questo capitolo! XD Come il precedente è un po’ breve, ma prometto di impegnarmi per migliorare questo difetto. Che dire, spero vi piaccia e spero mi darete la vostra opinione a riguardo. Baci e alla prossima! ;)

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Capitolo 3
*** Fuga ***


 
Bilbo Baggins, lo scassinatore, si aggirava fuori dalle celle che rinchiudevano i suoi compagni. Con l’immancabile anello al dito, aveva deciso di non farsi vedere finché non avesse trovato un modo per liberarli.
Osservò attentamente le guardie appostate alle scalinate. Gli elfi erano di una bellezza mozzafiato, eterei e splendenti più di quanto si fosse immaginato. Tuttavia il più bello e misterioso era sicuramente il loro re: Thranduil. Il piccolo hobbit era rimasto affascinato dalla sua maestosità e dal suo portamento e lo aveva osservato per lunghe ore mentre stava seduto sul trono, con lo sguardo perso nel vuoto. Aveva anche assistito alla sua discussione con Thorin, ed era convinto di avervi visto qualcosa. Si chiedeva se il nano avrebbe mai ceduto, ma non c’era tempo per scoprirlo. Doveva liberarli al più presto.
Trovare le chiavi non era il solo punto fondamentale. Come avrebbero fatto, una volta liberi, ad evadere da quel palazzo e dall’infernale foresta?
Decise di tornare all’esplorazione, in quanto aveva sentito le voci di una festa e forse avrebbe avuto libero accesso ad alcune zone di solito sorvegliate. Senza una meta precisa, si ritrovò tra grandi sale e stretti sentieri finché non giunse ad una zona sotterranea: le cantine. Decine di lanterne illuminavano gli elaborati scaffali in legno, che ospitavano centinaia di preziose bottiglie di vino. Il pavimento era invece occupato da innumerevoli barili, divisi tra pieni e vuoti.  
Lo hobbit si mise in disparte e osservò due elfi che spingevano alcuni barili in una grossa botola. Egli poteva chiaramente sentire l’acqua scorrere al di sotto della voragine e lampante come un fulmine gli giunse un’illuminazione. Quel metodo che permetteva agli Elfi Silvani il commercio con l’estero poteva rappresentare la salvezza della compagnia.
                                                                                                                                         
Ben più difficile che rubare le chiavi (l’unica guardia rimasta aveva bevuto decisamente troppo vino) fu raggiungere le cantine con tredici nani che inciampavano e imprecavano. Fortunatamente il destino sembrava essere dalla loro parte e non incontrarono nessuno.
“Cose da non crederci!” sbottò Bombur sghignazzando.
“Questi elfi sono proprio dei fessi!” concordò Gloin, ricevendo molti assensi.
Thorin zittì tutti a malo modo e si rivolse a Bilbo: “Come diamine pensi di portarci fuori di qui?”
Bilbo si schiarì la gola, osservando prima i barili e poi la botola.
“Cooosa!?” urlò Balin.
“Zitti e muovete le chiappe!” ruggì Thorin intimando i primi due nani ad entrare. “Se non volete marcire qua dentro!”
Una volta entrati nei barili lo hobbit e Thorin aprirono la botola, con non poche difficoltà, e spinsero giù i compagni. Nel momento in cui rimasero soli il nano lanciò uno sguardo a Bilbo, che aveva già capito.
“Tornerò il prima possibile, intanto tu entra nel barile!”
Bilbo annuì e, quando l’altro fu scomparso, si infilò l’anello al dito, rimanendo poi in trepidante attesa.
 
Thranduil dormiva tranquillo, con i biondi capelli sparsi sul cuscino e le labbra lievemente dischiuse. Thorin, nell’ombra, lo osservava e bruciava di desiderio. Si avvicinò lentamente e gli scostò alcune ciocche dal viso pallido, facendo poi scorrere un dito sul suo profilo. Balin una volta gli aveva detto che il sonno degli elfi era ben diverso da quello degli esseri mortali. Essi si limitavano a vagare con la mente lontani dalla realtà, in mondi sconosciuti. Evidentemente il Re degli Elfi era diverso dagli altri suoi simili, e non solo per quell’aspetto. Il nano era indeciso sul da farsi, aveva corso un pericolo assurdo per un motivo che sfuggiva alla sua piena consapevolezza. Thorin Scudodiquercia era sempre stato padrone delle sue azioni, fino a quel momento. Strinse i pugni e diede un’ultima occhiata all’elfo prima di girarsi, deciso ad andarsene.
“Non farlo…” la voce dell’altro lo colse di sorpresa, anche se avrebbe dovuto sospettare di averlo destato dal suo riposo. Aveva sentito parlare dell’udito sopraffino della sua razza.
“Devo!”. Per una volta fu diretto, senza giri di parole, facendogli capire che ogni discussione era vana.
Non disse più nulla, rimanendo steso a letto con lo sguardo fisso sul soffitto, con l’altro che gli dava le spalle.
Poi successe. Thranduil si mise a sedere e Thorin gli fu subito vicino, afferrandogli il volto e posandovi le labbra. Fu un bacio violento e passionale, di due cuori che correvano assieme. Pochi minuti dopo il nano era già sparito, senza ce l’altro facesse nulla per fermarlo.
 
 
 
 
Ciaooo! Scusate immensamente per il ritardo, ma ho avuto un sacco da fare! Spero che vi piaccia anche questo capitolo. Bacioni e alla prossima! ;)

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Capitolo 4
*** Scintillio e sapore ***


In pochi hanno il privilegio di conoscere il vero volto di un Re. Egli deve sempre nascondere se stesso dietro ad una maschera, buona o malvagia essa sia. Thranduil, Re del Reame Boscoso, aveva costruito attorno a sé un’immagine parecchio contradditoria e solo in pochi potevano dire di conoscerlo davvero. Tra questi pochi vi era certamente la madre di suo figlio, un tempo la sua compagna. Ederil era molto sensibile alle oscillazioni del suo animo e poteva leggere il suo sguardo come un libro aperto. “Legolas non riuscirà ad imprigionare nuovamente quei nani, il fiume è troppo veloce.”
“Non è detto, Ederil.”
“Eppure tutto ciò viene da una nostra mancanza. Come credi che i prigionieri siano riusciti ad evadere dalle celle?”
Thranduil osservò l’elfa dai capelli bruni e la pelle nivea e sospirò. “Questo è un dettaglio che purtroppo mi sfugge, ma a cui credimi farò luce.”
“Non mi sembri in collera quanto avevo previsto. C’è qualcosa che mi stai nascondendo, vero?”
Il Re alzò le sopracciglia in un’espressione stupita, cambiando posizione sulla sedia. “Cosa mai dovrei nascondere, mia cara?”
Ederil fece scorrere lo sguardo sulla stanza dove loro due si incontravano più spesso e dove un tempo avevano trascorso momenti d’amore e di tranquillità. Nei secoli lo studio del Re non era cambiato e vi regnava il solito disordine di carte e tomi rilegati. Quando era solamente un bambino Legolas trovava un’enorme fascino per quel luogo pieno di conoscenza, e vi si intrufolava sempre scatenando le ire del padre. A differenza delle sue stanze l’elfo che aveva di fronte non era più lo stesso.
“Sento che il tuo cuore sta soffrendo e vorrei conoscerne il motivo. C’è qualcosa di più profondo della preoccupazione per il potere oscuro che sta crescendo.”
Thranduil chiuse gli occhi e rimase in silenzio per qualche minuto prima di rispondere a bassa voce. “Il mio cuore non segue più il sentiero della ragione.”
Con suo sgomento l’altra rise. “E mai lo ha fatto! Nonostante tu ne fossi fermamente convinto, tesoro mio.”
Suo malgrado il Re sorrise e avrebbe risposto se non fosse stato interrotto da qualcuno che bussava alla porta. “Avanti!”
Legolas entrò nella stanza con passo deciso e fece un breve cenno di saluto. “Padre, i nani sono riusciti a fuggire traendo vantaggio dall’attacco di un gruppo di orchi.” Il principe descrisse brevemente l’accaduto e il Re ascoltò attentamente ogni sua parola. Evidentemente il figlio temeva le sue ire.
“Stai tranquillo, Legolas. Non ho nulla da rimproverarti. Ora desidero che tu intensifichi la sorveglianza ai confini, nessuno deve entrare o uscire senza che io sappia.”
Il giovane elfo annuì deciso e fece per voltarsi. “C’è un’altra cosa…” disse poi con tono incerto.
Thranduil gli fece cenno di proseguire.
“Scudodiquercia mi ha salvato la vita, eliminando un nemico che stava per colpirmi alle spalle.”
Fu Ederil, che fino a quel momento aveva fatto da silenziosa spettatrice, a prendere parola. “Ti senti in debito nei suoi confronti, meleth?”
Legolas scrollò le spalle. “Non saprei, ma sicuramente mi ha stupito.” Detto ciò si congedò per eseguire gli ordini.
Thranduil e Ederil rimasero di nuovo soli. La donna si alzò dal suo posto e raggiunse l’altro, poggiandogli una mano sul viso e attirando i suoi occhi di ghiaccio. “Cosa pensi dell’azione del nano?”
“Non saprei, mi lascia perplesso.”
Lei sospirò. “Noto una certa somiglianza di risposte tra te e nostro figlio. Ma è proprio questa vaghezza che ti tradisce ai miei occhi. Il Thranduil che conosco ora sarebbe una furia, eppure quello davanti a me ha dimenticato la rabbia verso Thorin, rimpiazzandola con qualcos’altro. Ho distratto Legolas affinché non notasse la luce nei tuoi occhi quando ti ha dato la notizia, eppure non puoi ingannare me.”
“No, non posso ora e mai ho potuto.”
Ederil gli posò un dolce bacio sulla fronte. “Ti do un avvertimento. Fuggi da questa pazzia prima che sia troppo tardi. Ciò a cui ti stai abbandonando è più pericoloso di tutti gli orchi della Terra di Mezzo messi assieme.”
Thranduil non rispose.
 
Thorin Scudodiquercia fissava Esgaroth dalla finestra di un’umile dimora degli uomini, la casa del traghettatore Bard. Quell’uomo era riuscito a condurli all’interno della città nascondendoli in barili colmi di pesce e ora aveva offerto loro un rifugio. In cambio di tutto il loro denaro li avrebbe aiutati a trovare armi e provviste e a superare quel lago che ancora li divideva dalla Montagna Solitaria. Ormai mancava poco.
Il suo sguardo venne attirato da una particolare arma, posta sulla cima di un’alta torre: una Lancia del Vento. L’unica arma a poter uccidere un drago, pensò, se usata a dovere.
Balin gli si avvicinò e gli appoggiò una mano sulla spalla. “Cosa pensi, ragazzo?”
“Guarda, Balin.”
Balin sospirò. “Terribili ricordi riaffiorano alla mente. Tu tienili lontani.”  
Thorin volse di scatto le spalle alla finestra, guardando negli occhi il vecchio nano e poi gli altri compagni, che si scaldavano davanti al piccolo camino.
“Ci provo.” Ma per tenerli lontani devo concentrarmi su qualcosa di nuovo. E quel qualcosa di nuovo aveva lunghi capelli biondi e uno sguardo che gli divorava l’anima. Il nano poteva sentire ancora il sapore delle sue labbra e il profumo della sua pelle.
Balin lo osservò mentre si appoggiava alla finestra e si stringeva la stoffa dei vestiti con tanta foga che avrebbe potuto strapparli. “Parlami, cosa diavolo ti passa per la testa?” Abbassò la voce. “Il tuo barile è uscito dalla botola un’eternità dopo gli altri. Dove sei stato rischiando di farci scoprire? E soprattutto, ne è valsa la pena?” La rabbia gli era passata, ma era curioso.
Il giovane lo fulminò con lo sguardo. “Non sono affari tuoi, Balin!”
“Io penso proprio di sì. Porta rispetto a chi ti ha visto crescere!”
“Io…”
“Sei stato da lui…non è vero?”
“Come fai a…”
“A sapere? Non sottovalutarmi, ho visto i vostri sguardi e ti avviso: sarà un male per entrambi.”
“Non puoi saperlo.”
“Non è difficile da immaginare, e faresti meglio a non chiudere gli occhi di fronte all’evidenza!”. Esclamò Balin.
Thorin si allontanò per parlare con Bard, non aveva più intenzione di ascoltarlo.
 
 
 

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Capitolo 5
*** Inizio ***


Il male stava crescendo e Thranduil sentiva chiaramente che la foresta soffriva. Gli alberi fremevano e gli animali tacevano, rintanandosi negli antri più bui. L’oscurità si addensava e una tempesta stava per scoppiare: una tempesta di fuoco.
Diede l’ordine di produrre altre armi e ben presto l’antico palazzo elfico risuonò di quella nuova e frenetica attività.
“Padre, cosa intendi fare? Perché hai impartito questo nuovo ordine?” Legolas era seduto assieme a lui nella sala da pranzo e osservava il padre mentre quest’ultimo giochicchiava con il cibo nel suo piatto, senza tuttavia mangiarlo. Era un comportamento poco regale, ma egli lo faceva spesso quando qualche pensiero lo tormentava.
“Sotto la Montagna c’è qualcosa che mi appartiene e intendo lottare per riaverla.”
“Pensi che i Nani riusciranno ad eliminare il drago?”
Thranduil posò lo sguardo sulle colonne di tronchi intrecciati e rimase in silenzio per qualche minuto. “No, non saranno loro a farlo!”. Detto questo si alzò e camminò fino alla terrazza, che guardava sul bosco. Da lì non poteva intravedere il lago, ma immaginava comunque i riflessi del tramonto sull’acqua.
“Si può sapere perché ultimamente sei diventato così criptico?” Legolas detestava non avere le idee chiare.
“Trovo inopportuno rivelarti certe informazioni prima del dovuto.”
“Ma cosa diamine ti ha fatto quel nano?”
Thranduil lanciò al figlio uno sguardo gelido. “Non osare mancarmi di rispetto, Legolas! Ricorda sempre chi sono!”
“Anche tu! Sono tuo figlio, con me puoi parlare!”
L’altro sospirò. “Quando i Nani sveglieranno il drago, egli cercherà la sua vendetta. Attaccherà la città degli uomini e noi saremo in allerta, aspettando il momento di agire.”
“Correremo in loro aiuto?”
“Non intendo immischiarmi in uno scontro diretto con un drago, sarebbe un massacro. Tuttavia interverremo per offrire viveri e riparo e garantirci l’appoggio del Governatore.”
“Cos’è che ti interessa tanto nel tesoro di Erebor?”
“Tempo fa Thròr mi ha sottratto qualcosa di molto prezioso, legato al mio passato.”
Legolas lo fissò incuriosito, aveva capito di cosa si trattava. “E intendi recuperare quel qualcosa anche se significherebbe mettersi contro Thorin?”
“Sono già contro Thorin.”
“Non ne sono certo.”
Thranduil sogghignò: il figlio stava diventando più perspicace, anche se la cosa non era sempre positiva. Alzò una mano e gli scostò le lunghe ciocche bionde dal viso, facendolo sorridere. “Fidati di me!”
“Non c’è bisogno che tu lo dica.”
 
Thorin era rimasto abbagliato dall’enorme tesoro contenuto nelle sale di Erebor, sotto le grinfie del potente Smaug. Non era più lui il nano che aveva puntato la propria lama alla gola dello scassinatore, nel tentativo di sapere se avesse trovato l’Archengemma. L’unica cosa che gli interessava ora era di entrarne in possesso e confermare così il proprio dominio sulla Montagna.
Una rabbia inumana lo animava mentre correva, assieme agli altri nani, cercando di evitare la furia del drago che distruggeva qualsiasi cosa gli sbarrasse il cammino, tentando di seppellirli sotto le macerie. Capì in un attimo di doverlo attirare in una trappola, e cercare di sommergerlo sotto a una cascata di metallo fuso. Sarebbe stata una scena spettacolare.
Gli urlò contro tutta la sua rabbia, così forte da rimanere senza aria nei polmoni e con la gola bruciante. Poi agì e il drago venne sommerso da una cascata dorata, prodotta dagli ingegnosi macchinari nanici. Il pensiero di aver vinto la battaglia lo sfiorò solo per un secondo, prima di essere infranto.
L’enorme essere emerse ruggendo, completamente ricoperto d’oro, e fuggì urlando vendetta.
Sotto gli occhi allibiti del gruppo si diresse verso Pontelagolungo. Thorin invece ritornò alla stanza del tesoro.
 
Ederil osservò il figlio con affetto. Il giovane era venuto a trovarla nelle sue stanze e aveva espresso le sue preoccupazioni verso il padre, ritenendo un pericolo la sua infatuazione e il suo morboso attaccamento al passato.
“Non credere che tuo padre sia uno sprovveduto, Legolas. Non agirà solo per il passato, ma anche per il futuro. Gli Elfi di Bosco Atro non possono tacere di fronte a una così grave situazione. Dobbiamo occupare una posizione salda di fronte ai cambiamenti che stanno per avvenire…”
“D’accordo, ma che mi dici del Nano? Sai quanto è pericoloso per un elfo infatuarsi di un essere mortale…”
Ederil fece per rispondere ma fu interrotta da una guardia che irruppe nella stanza.
“Principe Legolas! La città degli uomini è stata attaccata! Il Re ha ordinato di predisporre la partenza dell’esercito per le prime luci dell’alba!”
Legolas annuì e lanciò un ultimo sguardo alla madre prima di uscire.
“E così comincia…” Borbottò l’Elfa, oramai sola.
 
 

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Capitolo 6
*** Cambiamento ***


Salve salve!:) Dunque, sono sparita nel nulla, ma ora eccomi tornata! Ovviamente questo capitolo (un po’ bruttino) è ispirato anche all’ultimo film de Lo hobbit, quindi se siete ritardatari come me (che l’ho visto solo la settimana scorsa) è meglio che aspettiate per leggerlo! Per gli altri invece, spero sia di vostro gradimento. Baci e alla prossima (molto presto si spera!)!
 
 
Thròr, come tutti i re, non aveva un carattere facile da domare. Era un nano particolarmente testardo; avido in maniera quasi preoccupante.
“Se continui a percorrere questa via, attirerai più attenzione di quella raccomandabile. Ci sono molti esseri bramosi e potenti che potrebbero minacciare la Montagna.”
“E certamente tu sei uno di loro!” Il Sovrano di Erebor sogghignò, divertito dalle affermazioni dell’altro.
Thranduil non si scompose, era abituato al suo atteggiamento sprezzante e lo ricambiava con convinzione. “Tra tutti i tesori che possiedi, c’è n’è uno solo che m’interessa. Tuttavia non sono qui per questo, come ho detto prima.”
“Dunque saresti qui solo per darmi un avvertimento?”
“Sì, sento che un’ombra scura si sta avvicinando a queste terre e temo ciò che potrebbe accadere.”
Thròr scoppiò a ridere. “Dunque le tue paure si basano su un semplice presentimento? Fesserie!”
L’Elfo lo osservò attentamente prima di rispondere. “Dovresti considerare con più serietà le sensazioni di una creatura millenaria.” Disse poi, con un mezzo sorriso stampato sulle labbra. Un sorriso tutt’altro che allegro.
“Mi limiterò a basarmi su informazioni concrete. Ora, se non ti dispiace, ho degli impegni che mi attendono.”
“…come desideri…” Thranduil lo salutò con un cenno del capo, poi fece segno ai suoi elfi di seguirlo mentre si dirigeva verso l’uscita. Ogni volta che si trovava ad Erebor sentiva un senso di oppressione stringergli il petto. C’era qualcosa in quella montagna che gli oscurava l’animo e Thròr era peggiorato sempre più con il passare degli anni.
Non appena ebbero superato l’entrata monumentale il Re degli Elfi si voltò di nuovo, convinto che due occhi lo stessero seguendo. All’ombra di una delle imponenti colonne vide un giovane nano che lo osservava. Non gli ci volle molto per riconoscere Thorin, il nipote di Thròr. Il suo sguardo era pieno di curiosità e cieca determinazione, tipici della gioventù, e in Thranduil nacque spontaneo un sorriso.
 
Thranduil non aveva conosciuto molti uomini buoni nei suoi lunghi secoli di vita. Il vecchio governatore di Pontelagolungo, in particolare, era un individuo sgradevole e meschino, che prosciugava il suo popolo riservando a se stesso ogni ricchezza. Non appena, tra le rovine di Dale, i suoi occhi avevano incontrato quelli di Bard egli aveva capito di avere a che fare con una persona ben diversa. Quell’uomo era generoso e il primo pensiero non andava mai a se stesso, ma agli altri. Lo osservò mentre aiutava a distribuire il cibo e le bevande portate loro in dono, assicurandosi che ciascuno ricevesse la sua parte.
“Come potrò mai ripagarti, mio signore?” Disse poi avvicinandosi nuovamente a lui.
Il Re degli Elfi sorrise. “Semplice. Non ostacolare la mia lotta contro i nani.”
“Vuoi davvero muovere guerra contro la Montagna?”
“A dispetto di quello che credi, Thorin non cederà quello che ci spetta del tesoro di Smaug se non con le maniera forti.”
“Lui ha dato la sua parola!” Bard credeva davvero alla correttezza di Thorin e forse lo avrebbe fatto anche Thranduil, se non avesse visto cosa stava succedendo all’ingresso della montagna. Avrebbe tanto voluto che fosse semplice come l’uomo sperava.
“Prima di scatenare una guerra gli parleremo!”
“Davvero? E credi che ci farà passare attraverso la muraglia con cui ha sbarrato l’ingresso?”
Bard si voltò di scatto verso la Montagna Solitaria e spalancò gli occhi, sbalordito. “N-noi…ci proveremo comunque!”
“Come desideri…”
 
“Il tesoro appartiene ai Nani e a nessun altro! Voi non avete il diritto di reclamare nulla, andatevene!”. La voce di Thorin Scudodiquercia era cambiata, si era fatta meschina e priva della melodia che Thranduil vi aveva colto in precedenza. Il Nano aveva perso l’equilibrio e stava assumendo l’immagine del nonno. Si nascondeva dietro a quel muro di pietra e parlava attraverso una feritoia, ma lui poteva vederlo.
“Molto tempo fa strinsi un patto con Thròr. Gli commissionai la costruzione di un bracciale con gemme appartenute alla mia famiglia sin dai tempi più antichi. Ma egli non rispetto l’accordo e tu lo sai. Io non sto reclamando nulla se non ciò che già mi appartiene!”
“Sei un bugiardo, Thranduil! Tu non pagasti il lavoro svolto!”
“Credi davvero a ciò che ti disse tuo nonno? Non leggesti la bramosia e la follia nel suo sguardo?”
“Andatevene! O verrete trafitti senza esitazione!” Dall’alto delle mura partì una freccia di avvertimento che si conficcò nel terreno, a poca distanza da loro.
Bard sferrò un pugno alla parete. “Avevi promesso una parte del tesoro a noi! Quando passasti per Pontelagolungo ti offrimmo il nostro aiuto! Avevi dato la tua parola!”
“Non ho memoria di quanto dici…e ora non ho altro tempo da perdere!”
“Thorin Scudodiquercia non ha il coraggio di mostrare il suo volto?” Thranduil parlò con calma, istigando l’orgoglio del nano. E finalmente, dopo alcuni istanti, i loro occhi di ghiaccio si incontrarono di nuovo. Il Re degli Elfi tentò di trasmettere qualche emozione all’altro, che però era distante come mai. Rivisse con lo sguardo il momento di passione che avevano vissuto, ma inutilmente.
Bard, uomo perspicace, posò una mano sulla spalla dell’Elfo e lo distolse dal tentativo. “Andiamocene, avevi ragione!”.
Thranduil si lasciò guidare per qualche passo, poi esclamò, sicuro di essere sentito: “Rifletti su ciò che abbiamo detto, Re sotto la Montagna. Hai due giorni prima che il peggio possa accadere.”
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 7
*** Scia ***


Thranduil aprì lentamente gli occhi e si lasciò sfuggire un gemito. Attorno a lui c’era solo roccia e oscurità e non riusciva a ricordare come fosse finito in quel luogo tetro. Avvertiva un forte dolore al fianco e alla gamba destra e si sentiva debole. Tastò con non poche difficoltà le parti dolenti, incontrando la fredda armatura, ma ritraendo la mano bagnata. Non ebbe dubbi nell’immaginare che fosse sporca di sangue. Chiuse gli occhi e si sforzò di riportare alla memoria gli avvenimenti delle ultime ore.
Bilbo. Bilbo aveva rubato l’Archengemma e l’aveva consegnata a lui e a Bard dopodiché, passati i due fatidici giorni, si erano presentati con gli eserciti alle porte di Erebor. Dopo una discussione che stava per portarli ad ottenere ciò che volevano era arrivato un esercito di nani, guidato dal pazzo cugino di Thorin e aveva mandato in fumo ogni speranza di accordo pacifico. Nani contro elfi e uomini stavano già per cominciare la battaglia, quando gli orchi avevano fatto la loro comparsa. Seppur riluttante il Re degli Elfi era stato costretto ad allearsi con Dain, per combattere un male superiore. E così era cominciata, tra urla e sangue, quella terribile guerra. Richiuse gli occhi quando i ricordi si fecero più confusi e non li riaprì neppure nel sentire dei passi pesanti avvicinarsi a lui. Se le ferite non avevano cominciato a rimarginarsi da sole dovevano essersi infettate, oppure la lama che le aveva inflitte era avvelenata. In ogni caso si sentiva strano e nervoso, privo del pieno controllo delle sue azioni. L’individuo si inginocchiò accanto a lui e l’elfo si sentì sfiorare il viso da una mano ruvida le cui dita percorsero il profilo della guancia per poi posarsi sulla fronte. Si lasciò sfuggire un gemito quando venne bruscamente sollevato e l’armatura gli venne tolta con gesti frettolosi.
“Non stare lì a fissarmi come un idiota! Aiutami!”
Un sospiro fu l’unica risposta che Thorin ricevette prima che altre due mani iniziassero a muoversi sul Re degli Elfi, che dunque capì di trovarsi all’interno della montagna. Solo ascoltando la sua voce egli non riusciva a comprendere se il nano fosse tornato in sé. Sinceramente non avrebbe neanche saputo dire se la rudezza nei suoi movimenti caratterizzava il suo normale modo di agire.
“Sembra che tu voglia peggiorare una situazione che è già tragica. Non puoi tenerlo chiuso qua dentro! Anzi…non so nemmeno come tu abbia fatto a portarcelo, dannazione!”
“Passami le bende.” Thorin lavò e medicò le ferite con una delicatezza sorprendente, che stupì enormemente il ferito.
“Cerca di ragionare, ti prego!”
Silenzio.
“Thorin…là fuori si sta scatenando l’inferno! Noi dobbiamo andare ad aiutarli!”
Scudodiquercia rise. “E pensi che farebbe differenza?”
“Forse no! Ma c’è il nostro onore in ballo!”
“Onore…” La sua voce era disgustata.
“Sì, onore. Una cosa a cui tu non sembri più dare alcuna importanza.”
Thranduil sentì il rumore di qualcosa che veniva lanciato.
“Fuori dai piedi, Balin!”
Un sospiro e poi di nuovo silenzio. L’elfo ascoltò per un po’ l’altro mentre andava avanti e indietro per la stanza mugugnando, poi perse conoscenza. Il nano non era per niente tornato in sé.
 
Legolas abbassò la spada insanguinata e trasse un profondo respiro, guardandosi attorno. La battaglia procedeva nel caos più assoluto e molti elfi erano caduti per mano di quelle immonde creature. Decapitò un orco con un rapido fendente e si gettò su un nuovo nemico, rimettendosi così in azione.
Era molto preoccupato e da qualche minuto si guardava attorno alla ricerca del padre, che sembrava essere svanito nel nulla. In cuor suo sentiva che gli era successo qualcosa.
L’ultima volta che lo aveva visto si trovava poco lontano, vicino ad un cumulo di macerie ai piedi della montagna. Lì ora la battaglia si era estinta, ma un luccichio attirò la sua attenzione. Seppur lontano non faticò a riconoscere la spada del Re. Si diresse verso quel punto e rimase inorridito nel notare una scia di sangue sul terreno. Quello non era sangue di orco; un elfo era stato trascinato verso le pietre a pochi metri da lì. Una rabbia cieca si impossessò del principe quando immaginò il padre privo di sensi nelle mani degli orchi. Strinse ancor di più il suo pugnale e seguì la scia.
 
Quando Thranduil riaprì gli occhi si rese subito conto di stare meglio e, nonostante soffrisse ancora parecchio, sentiva già più forza scorrergli nelle membra. Con qualche sforzo riuscì a mettersi seduto e poté guardarsi finalmente attorno. I suoi occhi incontrarono subito quelli di un nano da capelli e barba bianchi, che lo stava fissando insistentemente dalla sedia su cui si era accomodato. Aveva un’aria preoccupata e desolata.
Rimasero in silenzio per qualche minuto, prima che l’Elfo si spazientisse. “Non hai intenzione di dire nulla?”
L’altro ridacchiò, con una risata ben poco allegra. “Quello che ho da dirti richiede qualche altro minuto di riflessione.”
“Dove si trova?”. Non c’era bisogno di nominare il diretto interessato affinché il nano comprendesse.
“Nella sala del tesoro.”
“Dunque hai formulato la tua richiesta?”. Non voleva parlare di ciò che Thorin era diventato, anche se sapeva che sarebbe stato inevitabile.
“Thorin prova qualcosa di profondo per te e, nonostante ciò sfugga alla mia piena comprensione, è ovvio che tu abbia un ascendente su di lui.”
“Ascendente?” lo interruppe l’altro. “È scappato dal mio regno all’interno di dannati barili e ha preferito scatenare una guerra piuttosto che allearsi con me!”
“Ha rischiato di farsi catturare venendo nella tua stanza quella notte e non ha esitato un secondo a portarti in salvo quando ha visto che eri ferito!”
Thranduil scosse il capo. “Come sta procedendo la battaglia là fuori?”. In un lampo aveva riacquistato coscienza della situazione nella quale si trovavano. I suoi elfi erano coinvolti in quella guerra disperata e lui era rinchiuso in quella dannata montagna a fare discorsi insensati con quel nano, troppo debole per tornare a combattere.
“Non molto bene temo…”
Thranduil sospirò e tornò a stendersi. La stanza buia aveva cominciato a danzare attorno a lui.
“Tu lo ami?”
“Manchi di tatto e riservatezza. Lo sai, nano?”
“Mi chiamo Balin. E non parlare come se tu fossi l’essere più educato della Terra di Mezzo.”
L’altro ridacchiò e si passò una mano tra i capelli biondi. “Non risponderò alla tua domanda.”
“Beh…ho già capito la risposta!” Il nano ricevette un’occhiataccia che lo divertì parecchio. “E proprio per questo ritengo che tu sia l’unico in grado di farlo ragionare.”
“Non sono convinto che tu abbia ragione.”
Balin incollò i suoi occhi disperati a quelli del Re elfico. “Provaci, ti scongiuro.”
Thranduil annuì. Non aveva idea del come, ma sicuramente avrebbe tentato.
 
 
 

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Capitolo 8
*** Re ***


“Thorin?”
Il nano immerse nell’acqua il panno che stava usando per pulire le ferite e spostò lo sguardo sul viso dell’elfo. Vedere finalmente i suoi occhi azzurri gli tolse un enorme peso dal petto.
“P-perché sei ancora qui?” Thranduil alzò una mano per scostarsi i capelli dal viso e nel farlo incontro quella dell’altro.
“Dove dovrei essere secondo te?”
“A combattere con la tua gente. Non nascosto qui dentro come un codardo.”
Thorin finì bruscamente la medicazione, ma nonostante il dolore l’elfo non si lasciò sfuggire un solo gemito. “Potresti anche dimostrare un po’ di riconoscenza verso che ti ha salvato la vita!”
“Ce l’ho credimi, ma non posso lasciare che tu faccia la fine di tuo nonno.” Thranduil provò ad alzarsi, ma le grandi mani di Thorin lo spinsero sul giaciglio con fermezza.
“Smettila di insultare mio nonno!” ringhiò furioso. “Era un nano rispettabile e tu provasti ad ingannarlo.”
“Ti sbagli! Gli diedi le antiche gemme della mia famiglia affinché ne producesse dei gioielli come solo la vostra stirpe sa fare, ma dopo avergli pagato la somma pattuita si rifiutò di consegnarmeli dicendo che la cifra non era esatta. Era impazzito per la bramosia e lo scintillio dell’oro gli aveva dato alla testa. Provai a metterlo in guardia, ma mi cacciò via!”
“Zitto!” Il nano si allontanò di scatto e lanciò la ciotola colma d’acqua contro la parete, mandandola in frantumi.
Thranduil osservò l’acqua riversarsi sul pavimento assieme ai cocci e si alzò in piedi, appoggiandosi al muro per non cadere. “Sei davvero diventato come lui! Non ascolti nessuno e pensi solo a te stesso. Sei rinchiuso qua dentro mentre altri là fuori muoiono per te.”
“Io non penso solo a me stesso!”
“Passi le ore a fissare il tuo tesoro e non ti interessi ad altro.”
“Sono venuto a salvarti!” urlò Thorin volgendosi di nuovo verso di lui.
I loro occhi si agganciarono e Thranduil gli rivolse uno sguardo implorante, che probabilmente ben pochi avevano potuto vedere. “Allora se tieni così tanto a me, ascolta ciò che dico.”
“Ciò che dici non ha senso!” borbottò il nano prima di uscire dalla stanza.
“Tu sei cambiato!” gli urlò dietro l’elfo.
 
Il drago. Lo vedeva, poteva sentirlo. La sua voce accompagnava quella degli amici, che aveva deluso profondamente.
Thorin barcollò sulla distesa d’oro che ricopriva il pavimento della sala. Poteva vedere il drago che vi si muoveva all’interno, in una malata e terribile allucinazione. Tutti lo accusavano.
Thorin…là fuori si sta scatenando l’inferno! Noi dobbiamo andare ad aiutarli!”
Le parole di Balin sovrastarono le altre voci, ma fu quella di Thranduil a sconvolgerlo di più: “Tu sei cambiato!”
Thorin crollò in ginocchio e cominciò a singhiozzare. La stirpe di Durin non sarebbe fuggita dalla battaglia; l’oro non si sarebbe impadronito di lui come aveva fatto con suo nonno. Lanciò via la dannata corona che portava sul capo e si alzò di scatto, correndo a cercare i compagni. Dovevano agire, e subito.
Li trovò sul terrazzo. Avevano sguardi desolati che ora finalmente riusciva a comprendere. Lo osservarono con astio e preoccupazione, mentre le urla della battaglia giungevano più forti che mai. Stare lì senza far nulla li stava massacrando.
“Non ho alcun diritto di chiedere questo a nessuno di voi, ma mi seguireste un’ultima volta?”
Non ci fu bisogno di aggiungere altro, strinsero le loro armi e gli rivolsero sguardi fieri: il Re era tornato.
 
Thranduil era seduto con la schiena contro la nuda roccia, sentiva freddo e le poche forze che aveva racimolato dormendo ora lo stavano lasciando. Era disperato. Cosa sarebbe successo se Thorin non avesse ritrovato la ragione? Suo figlio era vivo? E per quanto gli elfi avrebbero resistito?
Aveva sempre esitato nel mostrare ad altri i suoi sentimenti, ma spesso aveva pianto in solitudine per il male e la morte che si stavano avvicinando. Anche in quel momento una lacrima trovò strada sulla sua guancia, percorrendo timida quei tratti di solito così severi ed inespressivi.
Thorin si catapultò nella stanza e corse incontro all’elfo, che si trovò stretto tra le sue braccia. Anche in quel caso non ci fu il bisogno di dire nulla perché Thranduil capisse: Thorin aveva ritrovato se stesso e stava uscendo in battaglia.
“Non ti scordi mai di venirmi a salutare, vero?”
Il nano ridacchiò e gli scostò i capelli dal viso. “Sono fatto così.”
Thranduil annuì e sorrise, fissandolo negli occhi. In quei pozzi leggeva coraggio e determinazione. “Tornerai?”
“Sì, tornerò. È una promessa.”
“I nani mantengono le promesse?”. Chiese Thranduil con tono beffardo.
“Sì, sono più bravi degli elfi in questo senso.”
“Ti risponderò quando tornerai.”
Thorin scoppiò a ridere, poi lo baciò sulle labbra. Prolungarono il bacio fino a rimanere senza respiro e, dopo un ultimo e intenso sguardo, il nano corse via.  
A Thranduil non rimase altro da fare che distendersi e pregare che tutto andasse per il meglio. 
 

Bene bene!:) stavolta sono puntuale e spero che anche questo capitolo sia gradito! Ringrazio tutti coloro che mi seguono e che hanno ancora la pazienza di aspettare i miei aggiornamenti! <3 Che dire...sembra che Thorin e Thranduil abbiano iniziato a fare i romanticoni, ma chissà se riusciranno a rivedersi...

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Capitolo 9
*** La fine di qualcosa ***


Thorin aveva ben chiaro l’obbiettivo da raggiungere. Aveva atteso quel momento per tutta la sua sofferta esistenza e ora che era finalmente palpabile non se lo sarebbe lasciato sfuggire di certo. Quello che voleva era vendetta: una terribile vendetta che sarebbe ricaduta su Azog, il responsabile della morte di suo nonno. Per anni aveva sognato il momento in cui avrebbe strappato la vita da quella schifosa creatura e pure in quell’istante, immerso nella battaglia, sorrideva a ripensarci. Non aveva mai avuto paura della morte, ma per la prima volta sapeva di avere qualcosa da perdere. Ripensare al viso di Thranduil gli dava un motivo in più per combattere, vincere e soprattutto tornare vivo.
Si gettò a terra per evitare il fendente di un orco e con un gesto deciso gli infilzò l’ascia nella schiena. Il sangue gli schizzò sul viso, ma lui non ci fece caso e un attimo dopo si era già lanciato su un nuovo nemico, tranciandogli la testa di netto.
“Ti vedo agguerrito, cugino!”
Thorin si voltò e rivolse un ghigno a Dain, giunto in loro aiuto dai Colli Ferrosi. Il nano brandiva un martello grondante di sangue e sembrava divertirsi come non mai a spaccare braccia e teste. “Non potevo certo lasciare tutto il divertimento a te!”
Dain scoppiò in una risata selvaggia. “Ci avevo quasi sperato…” si interruppe per evitare una mazzata “Ma dovevo immaginare che volevi solo fare la tua entrata teatrale!”
“Sai quanto mi piacciono!” esclamò Thorin, sovrastando le urla dell’orco che gli stava di fronte, prima di spezzargli il collo a mani nude. Si riappropriò dell’ascia, che aveva fatto cadere, e si guardò attorno. L’esito della battaglia stava rapidamente mutando e l’arrivo dei tredici nani aveva risollevato il morale delle truppe, che avevano ritrovato energia e determinazione. Per quanto riguardava gli elfi, loro non avevano per niente bisogno di essere risollevati. Il nano non poteva che ammirare la loro letale eleganza.
Notò con stupore il loro principe, Legolas, che si allontanava dalla battaglia per dirigersi verso una radura non toccata dal combattimento.
“Temo che dovrò lasciarti padrone dei giochi per un po’! Ritieniti fortunato!”
Dain annuì e gli fece un gestaccio, prima di lanciarsi di nuovo nella mischia.
Thorin seguì in tutta fretta l’elfo, mantenendosi tuttavia ad una certa distanza. Quando però quest’ultimo scomparve tra gli alberi affrettò il passo. Sentiva che qualcosa stava per accadere. La resa dei conti era arrivata e sapeva che a pochi metri avrebbe trovato Azog. Non gli interessava che quella fosse un’astuta trappola. Se lo era, si sarebbe ritorta contro al suo artefice.
Sentì subito delle urla e arrivò appena in tempo per vedere l’elfo che volava qualche metro per poi schiantarsi contro il tronco di un albero. Azog lo osservò rotolare a terra con estrema soddisfazione, prima di camminare lentamente verso di lui agitando la sua diabolica arma: una grossa mazza dotata di diverse lame. Cambiò idea a metà strada, voltandosi verso il nano e facendogli un ghigno di scherno. Quell’essere si riteneva invincibile, ma Thorin riuscì a rimanere lucido e a controllare le emozioni. Si avvicinò al nemico e i loro sguardi si incatenarono per un minuto. Il silenzio fu rotto solo da un gemito proveniente dall’elfo ferito che non si era ancora alzato da terra.
I due si lanciarono l’uno contro l’altro nello stesso istante; Thorin sfoderando Orcrist contro la lama che spuntava dal braccio dell’enorme orco. Azog non era meno vendicativo di Thorin e desiderava fargliela pagare. Quel nano ridicolo gli aveva amputato una mano molti anni prima e lui non aveva certo dimenticato l’offesa per la menomazione subita. Aveva sopperito al danno integrando una lama al suo braccio incompleto, ma era comunque enormemente adirato.
Attacca, schiva, attacca. Thorin era migliorato con gli anni, ma la potenza di Azog era formidabile. Dopo ben poco si ritrovò ad arretrare, nonostante la forza dell’odio che lo guidava. Solo quella forza non gli sarebbe bastata per vincere. Quando l’immonda creatura gli provocò una profonda ferita sul braccio fu costretto ad arretrare ancora per riprendere fiato. Lanciò uno sguardo a Legolas, che si stava lentamente rimettendo in piedi, e si chiese cosa lo avesse spinto in quella radura. Probabilmente aveva pensato che eliminare il generale di quell’esercito avrebbe fruttato loro un’enorme vantaggio. Tuttavia non si sarebbe aspettato che agisse da solo, in modo così imprudente.
Fu un attimo e Azog lo spinse a terra, non senza rimanere ferito nell’azione. Thorin gli infilzò la spada nella spalla del braccio monco, ridendo selvaggiamente. Azog spalancò gli occhi e fece per trafiggergli il petto. Il nano fece appena in tempo a liberare la spada e a bloccarlo. Il fatto che la lama di Azog fosse a doppia punta stavolta giocò a sua favore. Tuttavia non avrebbe resistito per molto alla sua forza e per un attimo si sentì perduto. Fu però un solo attimo, poi la mazza che Azog aveva abbandonato poco prima gli fu piantata nella schiena da l’elfo che aveva erroneamente dimenticato di eliminare. La distrazione fu sufficiente perché Thorin lo trapassasse da parte a parte esattamente all’altezza del cuore. Il nano ribaltò così la situazione, schiacciandolo a terra con il suo peso, senza estrarre la lama. Con il cuore che batteva all’impazzata osservò la vita abbandonare finalmente gli occhi di Azog ponendo termine ad una rivalità che era durata fin troppi anni.
“Dov’è mio padre!?” Legolas non lasciò a Thorin il tempo per festeggiare e gli puntò subito la spada alla gola, preso dall’ansia per la scomparsa del suo Re.
“È rimasto ferito ai piedi della montagna…l’ho portato dentro e curato. Si riprenderà!”
L’elfo non abbassò l’arma. “E perché dovrei fidarmi di te? Voglio essere condotto da lui!”
Thorin lo guardò dritto negli occhi, per fargli comprendere la sincerità delle sue parole. “Non gli farei del male, credimi.”
Legolas lo fissò con altrettanta intensità. “Considerando che questa guerra è scoppiata principalmente a causa tua, nano, per me gli hai già fatto del male. Comunque sia…” abbassò la voce e assunse un’aria ancor più minacciosa “se gli procurerai altro dolore dovrai vedertela con me.”
“Se gli farò del male sarò contento di pagare per le mie azioni.”
Finalmente il biondo abbassò la spada. “Portami da lui.” disse semplicemente.
Thorin annuì, altrettanto desideroso di rivedere il suo amato.
Tornare sul campo di battaglia, oramai tranquillo e pieno di cadaveri, fu straziante, nonostante avessero vinto. Nani, Elfi e Uomini si erano già rimessi all’opera. Alcuni si occupavano dei feriti, che avevano già cominciato ad essere trasportati nella montagna, e altri stavano ammucchiando i caduti per predisporre le pire. Legolas e Thorin si diressero verso l’entrata fermandosi parecchie volte per dare ordini o per salutare qualcuno di caro che era sopravvissuto alla giornata. Si informarono anche delle perdite più spiacevoli, perché rimandare sarebbe stato stupido. Fu così che Thorin seppe che i suoi nipoti, Fili e Kili, non ce l’avevano fatta. Pianse lacrime amare, ma per il lutto ci sarebbe stato altro tempo. Il compito primario di un Re era quello di occuparsi del suo popolo. A tal proposito Thranduil aveva già comunicato con i suoi sudditi, impartendo ordini precisi che vennero riferiti anche a Legolas.
L’ultimo tratto che li separava dall’elfo lo fecero quasi di corsa, dopo aver indugiato lungo la strada, e Legolas si precipitò nella stanza urlando. “Ada!”
Thranduil era stato spostato su un giaciglio più comodo e dalle bende pulite Thorin intuì che fosse appena stato medicato. I suoi occhi si illuminarono e si alzò a sedere mentre il figlio si inginocchiava accanto a lui per abbracciarlo. Il padre mormorò al figlio alcune frasi in elfico, mentre gli accarezzava il viso con dolcezza, poi lanciò uno sguardo al suo nano.
“Torno fuori.” disse Legolas, con un sorriso eloquente stampato sul viso.
Non appena la porta si chiuse Thorin si avventò sulle labbra dell’altro, che scoppiò a ridere. Non lo aveva mai sentito ridere così e fu una cosa che lo lasciò ammaliato. Alzò una mano e gli accarezzò una guancia.
Thranduil invece appoggiò la fronte contro la sua e gli sfiorò il naso mentre l’altro si lasciava inebriare dal suo profumo.
“Thorin! Sei ferito!”
“Non è niente…” Borbottò strofinando il viso contro il suo collo e scostandogli i capelli dietro alla spalla.
“Come no! Ora chiamo qualcuno che ti curi!” Thranduil si alzò con cautela e si diresse fuori.
Thorin rise, quell’elfo gli avrebbe dato filo da torcere.
 
Allora…eccoci qui!  Vi dico subito che questa non è la conclusione e che, anzi, credo di considerarla solo come un primo ostacolo superato. Questi due dovranno passarne ancora delle belle! XD Mi sono impegnata molto per scrivere questo capitolo e spero vi piaccia. Ringrazio tutti coloro che leggono la storia e attendono con pazienza che io aggiorni. Baci e alla prossima! :)

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