The darkest of times

di TheGayShark
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sweet revenge. ***
Capitolo 2: *** La punizione ***
Capitolo 3: *** La Foresta ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Cap. 6 ***



Capitolo 1
*** Sweet revenge. ***



ATTENZIONE: i primi tre capitoli sono "slegati" momentaneamente dalla storia vera e propria.
Questo è successo perché, dopo un lungo periodo di inattività, ho deciso di riprendere la ff dandole un tono diverso. Verranno fatti riferimenti a questi capitoli in un secondo momento nella storia. Se volete leggerli, tanto meglio, ma non sono strettamente legati al nuovo inizio --> Cap. 4


 

A Very Potter Crossover- Sweet Revenge.


Inferno.
Santana non trovava una parola migliore per descrivere la lezione di divinazione che si stava svolgendo davanti ai suoi occhi.  Come suo solito sedeva all’ultimo banco,o per meglio dire in questo caso tavolo, con la sua migliore amica/nemica, Quinn Fabray, e quell’imbecille patentato dal furetto morto in testa, Noah Puckerman.

Erano un trio quasi inseparabile sebbene nessuno, probabilmente neanche loro stessi, capisse cosa li legasse realmente. Ad occhio esterno sembrava che la colla che li teneva uniti fosse niente meno che il mix di insulti fantasiosi e le continue frecciatine che erano soliti tirarsi l'un l'altro, poiché ogni tre per due si ritrovavano ad urlarsi contro. Era una sorta di gioco infinito, senza capo né coda, fastidioso e allo stesso tempo divertente, dal quale non riuscivano a uscire fuori. 
Santana aveva un carattere ingestibile, trovava  sempre qualcosa da ridire su tutto. Era di malumore il novantanove percento delle volte ed anche quando miracolosamente si alzava col piede giusto, terminava la giornata arrabbiata per qualche futile motivo.
Gli unici lavori che considerava perfetti erano quelli fatti da lei in persona, gli altri erano ovviamente su svariati livelli inferiori, poiché realizzati da individui inferiori. Nella sua visione del mondo, infatti, le persone esistevano solo per soddisfare i suoi bisogni fisici. Non c'era altra utilità nel genere umano, non a suo dire. 
Quinn Fabray, invece, era la ragazza più popolare della scuola. I suoi voti erano tanto alti da far girare la testa, motivo per cui spesso veniva chiamata "corvonero mancata". Purosangue esattamente come l'altra serpeverde, con l'unica differenza di un retaggio sociale maggiore: la sua famiglia era una delle più rispettate, nonché prestigiose del mondo magico.
 Anche Quinn aveva il suo caratterino, era una specie di perfettina so-tutto-io-guai-a-chi-mi-contraddice, ma il suo approccio  alla vita era decisamente più positivo. Innanzitutto non aveva quell'odio verso il mondo tipico di             Santana, ed in secondo luogo era difficile vederle un broncio sul viso.  
Il suo malumore era provocato quasi sempre dalla latina, che la provocava volutamente.
Nonostante ciò, c'è da dire che  la bionda era l'unica ragazza in grado di sopportare il carattere dell'amica. No, mi correggo immediatamente: era l'unica in grado di farla ragionare, perché in quanto a sopportazione la faccenda si  fa più complicata. 
Per riuscire a convivere con Santana Lopez non basterebbe neanche l’infinita pazienza di Merlino.
Non c'è dunque da stupirsi se, durante i litigi più focosi o in casi particolari, le due arrivassero addirittura a mettersi le mani addosso. Niente bacchette, solo battaglie portate aventi a suon di schiaffi. 
Puck, dal canto suo, si limitava a separarle per far in modo che l'una non sfigurasse il faccino dell'altra e viceversa. Non si interessava molto alle loro discussioni, solitamente si perdeva nel fissarle (nel fissare i loro petti).  
Aveva a che fare con due serpi -o forse sarebbe meglio dire vipere?- parecchio velenose, ma non poteva lamentarsi, erano indubbiamente le più carine della scuola. 
A differenza delle amiche, Noah Puckerman era un nato babbano. Tutti si chiedevano come avesse fatto uno così a finire nella nobile casa di Salazar, era una specie di "abominio", un insulto vivente. 
Per convincere gli altri studenti di meritare realmente il titolo di serpeverde, il ragazzo si era costruito un alone di mistero intorno, aveva lavorato sodo per peggiorare la propria condotta e diventare uno dei "duri" di Hogwarts. Come risultato era diventato ospite fisso nello studio del preside e compagno fidato di Hagrid, presso il quale scontava la maggior parte delle punizioni.
Abbinati assieme quei tre facevano uno strano effetto, ma nessuno avrebbe mai osato metterseli contro. 
 
La mora alzò lo sguardo verso il soffitto, sul punto di mettersi a piangere dalla disperazione. A giudicare da ciò che mostrava la grossa clessidra posizionata sulla cattedra doveva mancare ancora una buona mezz’ora al termine della tortura, motivo per cui la latina doveva inventare assolutamente uno stratagemma per ingannare il tempo.  
In seguito ad uno sguardo d’intesa con la biondina seduta di fronte a sé, le due sfoderarono le proprie bacchette e riversarono la loro creatività repressa sul ragazzone assopito sul loro tavolino. Non una coda di maiale,né due orecchie da asino, né tantomeno una bocca da papero furono sufficienti a svegliarlo. Noah fece qualche verso simile ai grugniti, cambiò posizione e riprese a sonnecchiare indisturbato. 
Rassegnata all’idea di annoiarsi per il resto della lezione, Santana  tentò di imitare l’amico posando il capo sul tavolo e lasciando che il suo sguardo vagasse da studente a studente nella speranza che una botta di sonno potesse salvarla.  
Scrutò un gruppetto di tassorosso alla ricerca di nuove vittime per futuri scherzi di cattivo gusto.
 Un biondo dalla bocca enorme stava cercando di trovare qualcosa di interessante nei fondi del caffè nella propria tazza, mentre il compagno impacciato, alto e dalla testa a patata stava provando ad aggiustare alla meglio la sua, rotta pochi secondi prima. Dopo aver decretato che, siccome la natura aveva già castigato abbastanza quei ragazzi menomati, i tassi non fossero le giuste vittime, passò oltre con lo sguardo.
Fu così che si imbatté in una coppia di grifondoro omosessuali- probabilmente i primi e gli ultimi nella storia di Hogwarts- innamorati da lungo tempo. Questi  si stavano scambiando attenzioni a dir poco vomitevoli. Il ragazzo dalla pelle chiara e curata si stava letteralmente mangiando l’altro con gli occhi. In men che non si dica un ghigno divertito prese forma sul viso della mora, Quinn in qualche  modo intercettò lo sguardo ed i pensieri dell’amica e si mise all’opera. Sventolò appena la bacchetta in direzione di uno dei due grifondoro in questione e subito una chioma riccioluta si liberò dalla gabbia di gel che solitamente la teneva a bada. L’espressione a metà tra lo schifato e l’esterrefatto che si dipinse sul faccino del fidanzato fu impagabile,tanto che le due serpeverde scoppiarono in una sonora risata che attirò l’attenzione dell’intera classe. Nel giro di dieci secondi tutti i ragazzi erano piegati in due dal ridere,alcuni addirittura con le lacrime agli occhi. La professoressa, ignara dell’accaduto, puntò gli occhi (che dietro a quegli occhiali sembravano sproporzionatamente grandi) sul  riccioluto, per poi avvicinarsi incuriosita.  
- Hai visto qualcosa, Jesse caro?- 
La domanda della donna non fece che incrementare le risate. Solo lei poteva scambiare il ragazzo  del coro per quella serpe di Jesse St. James. I colori della divisa, poi, non erano neanche lontanamente simili. 
Anderson scosse educatamente il capo, non ebbe tempo di rispondere alla professoressa perché il suo compagno aveva preso a urlare, inferocito. 
“So che sei stata tu, Satana!” il dito del ragazzo dalla pelle marmorea si puntò come una freccia verso il petto della mora. 
Puck finalmente alzò il capo dal tavolo, svegliato dalla vocina stridula del grifondoro. Si guardò attorno confuso, cercando di mettere insieme i pezzi. Cosa si era perso?
"Devi smetterla, sei pesante e ripetitiva e ultimamente stai diventando anche più noiosa! REINVENTATI!" 
Santana sgranò gli occhi, fingendosi offesa. Non era stata opera sua, lei si era limitata ad immaginare la scena nella sua testa.
Cosa ne poteva se Quinn era un'eccellente leggimente con scarse capacità inventive?
Quella critica, però l'aveva toccata nel profondo. Reinventarsi? Noiosa? Pesante? Come osava dire che i suoi soliti tiri mancini stessero diventando ripetitivi? Era una mancanza di rispetto bell'e buona. 
Maledetto bastardo. 
"Vuoi della fantasia, Maga Magò?" Gli occhi di Santana si erano ridotti a due fessure. Con tutta la rabbia che da tempo reprimeva avventò la mano sulla propria bacchetta, ma due braccia forti, e per nulla intenzionate a mollare la presa, le impedirono ogni movimento. 
Sebbene la lezione non fosse ancora finita, la professoressa autorizzò -o per meglio dire invitò caldamente- i tre ragazzi ad uscire prima, per evitare che qualcuno finisse in infermeria proprio durante le ore di divinazione. Si stava rivelando una materia estremamente pericolosa. 
(Forse perché il grado di supervisione degli studenti da parte dell'insegnate era inesistente? )
Tra un’imprecazione e l’altra Santana si lasciò trascinare fuori da quel posto infernale, portando con sé anche la propria rabbia.
Neanche il delizioso pranzo preparato dagli elfi domestici delle cucine riuscì a migliorarle l’umore.
Passò l’intera giornata ad escogitare una vendetta.
Non che Kurt le avesse detto qualcosa di così denigratorio, aveva solo che da provarci.
Quello che realmente infastidiva Santana era il fatto che avesse osato criticarla davanti a tutti, opponendosi così al “regime” dei serpeverde.
Reinventarsi.
Come se uno che se ne va in giro con la sciarpina rossa e gialla ornata di strass potesse realmente dispensare consigli sullo stile.
Aspettò che arrivasse la sera.
Non riuscendo ad elaborare  nulla di concreto, decise di affrontarlo apertamente. Non come aveva fatto lui, però,  non era tanto stupida.
Si congratulò mentalmente con se stessa per la propria furbizia, alle volte si meravigliava ancora di sé.
Grazie a Salazar la sera prima era rimasta nella sala comune dei serpeverde un po’ più a lungo, riuscendo così a sentire i pettegolezzi di quella nasona insopportabile della Berry.
Non erano proprio pettegolezzi, in effetti.  Stava più che altro dettando la propria giornata alla penna stregata che si muoveva da sola sulla carta ad un ritmo folle, cosa piuttosto ragguardevole per un oggettino tanto piccolo. Santana era abbastanza certa che quella nana potesse arrivare a sputar fuori un qualcosa come sette parole al secondo.
In un primo momento oppose resistenza, imponendosi di ignorare quella presenza sgradita. Poi però la voce della Berry si era insinuata nella testa della latina, senza che questa potesse impedirlo.
Un po’ come accade con le canzoni dei cantanti particolarmente antipatici. Uno ci prova a non farsi condizionare, poi però , senza che nessuno sappia come, queste ti entrano in testa e non c’è modo di liberarsene. È una tortura.
Venne così a conoscenza dei piani di Kurt e il ragazzotto dai capelli cespugliosi, che per quanto avesse capito doveva chiamarsi Bler, Blade, Blake..Blaine? Poco importava.
Per una volta fu felice della strana abitudine della nasona di tenere un diario, magari più tardi le avrebbe anche risparmiato un insulto.
Prima però doveva occuparsi degli innamorati. O meglio, del fastidioso grifondoro dal naso a punta, tanto effeminato da sembrare una fata, che le aveva rovinato la giornata.
Dopo cena si liquidò dagli amici con una scusa banale, alla quale Quinn e Puck protestarono, come immaginabile.
“Devi restituire un libro alla.. biblioteca? E da quando abbiamo una biblioteca?”   Domandò prontamente il ragazzo, incrociando le braccia. Quel castello sapeva sempre come sorprenderlo.
Quinn sbuffò, incredula della stupidità dell’amico. “La biblioteca chiude alle sei di sera.”
Inarcò il sopracciglio, soddisfatta della propria osservazione. Provò ad insinuarsi nella mente dell’altra ma questa volta la trovò vuota.
“Non per Santana Lopez!” Si affrettò a rispondere la mora che aveva intuito le intenzioni di Quinn e si era preparata ad un possibile assedio mentale.  Se solo non fosse stata tanto di fretta gliene avrebbe detto delle belle. Si limitò invece a difendersi e, con quella frase, se ne andò.
Era ormai lontana quando l’amico parlò di nuovo, rivolgendosi alla bionda.
“Aspetta, ma non aveva nessun libro tra le mani!” Puck si illuminò, come se avesse appena ricevuto la rivelazione  più brillante del secolo. In risposta Quinn sibilò un "che ti prenda una pluffa" e si voltò, lasciandolo solo, diretta al proprio dormitorio.
Le risposte prive di ogni logica di Santana, molto spesso, la facevano uscire di testa.

 


Era arrivata senza troppe fatiche al giardino che precedeva la torre di astronomia, dove a dire della Berry i due Grifondoro si erano  appartati per una seratina romantica.
Si sedette sul muretto che separava il porticato dal giardino, appoggiando la schiena contro una delle tante colonne che ogni cinque metri circa intervallavano il piccolo tramezzo.
La sua carnagione scura e la sua folta chioma corvina si fondevano alla perfezione con la zona ombrosa in cui si era appartata, ancora una volta si ritrovò a complimentarsi con se stessa.
Non le rimaneva che aspettare.
Alzò gli occhi in direzione del quadro  appeso alla parete poco distante che si trovava di fronte all’infinita scalinata che portava alla cima della torre.
'E' vuoto. Perfetto'.
Sorrise compiaciuta, chiudendo poi gli occhi. In quel modo si sarebbe potuta concentrare meglio sui rumori.
“Sono meravigliose.”
Santana aprì gli occhi come stregata, voltandosi alla ricerca della fonte di quel suono.
Era una voce femminile. Proveniva dalle sue spalle. Non poteva essere troppo lontana, allora perché non la vedeva?
Portò la mano alla bacchetta, nessuno le avrebbe rovinato i piani quella sera.
“Vengo spesso qui a vedere le stelle. E' divertente, ogni volta trovo dei nuovi animali!”
Animali? Costellazioni, casomai! Ma chi cavolo era questa deficiente?
Senza esitare oltre si alzò in piedi, puntò la bacchetta davanti a sé e gridò a gran voce “Lumos!”

Le mancò il fiato.

Doveva essere stata la paura, non si immaginava che la fonte di quel suono fosse tanto vicina a lei.

Era rimasta senza fiato per la paura, di certo.

Non aveva nulla a che fare con la visione angelica che le si era parata davanti.
La ragazza era più alta di lei. Aveva una pelle tanto  chiara da sembrar essa stessa luminosa, come aveva fatto a non vederla?
Gli occhi erano talmente blu da poterci affogare dentro, la luce della bacchetta si rifletteva nelle sue iridi facendole sembrare dello stesso colore dell’acqua del lago nelle sere estive, quando per qualche tratto questa  riflette la luce della luna, colorandosi d’argento.
Il viso era contornato da pagliuzze dorate – no, non pagliuzze, capelli- che si liberavano per pochi centimetri dallo strano cappello a forma di unicorno e dalla sciarpa.
Il colore della sciarpa si intonava perfettamente con quello dei suoi occhi, blu.
Il tempo sembrava essersi fermato.
Esistevano solo loro due.
Loro due e quei fastidiosi rumori di passi che..Accidenti!
Santana si ricordò solo allora del perché si fosse spinta  fino a lì quella sera.
Altro che stelle ed occhi blu di corvonero.
Puntò la bacchetta sul petto della bionda e, riportando in superficie tutta la rabbia della mattina, le ringhiò contro “Fuori dai piedi, corvoscemo!”
Poi sventolò la bacchetta, facendo calare il buio su di loro.
Sperò con tutta se stessa che l’altra se ne fosse andata, non avrebbe voluto dover schiantare anche lei.
Si nascose in fretta e furia nell’ombra del porticato.
 Aspettò che i due mettessero piede sull’ultimo scalino prima di muovere qualche passo in loro direzione.
Un’espressione di disgusto si dipinse sul suo volto quando notò che le loro mani erano strette insieme.
Patetici innamorati.
Puntò la bacchetta contro la schiena del ragazzo più basso, ignaro di ciò che lo attendeva.
Una luce rossa uscì dal piccolo pezzo di legno della latina, che gridò a gran voce uno “stupeficium”.
Il ragazzo volò a qualche metro di distanza, cadendo a terra svenuto. Kurt aveva emesso un gridolino di terrore, rimanendo come paralizzato sul posto.
Quando Santana lo salutò questo sembrava essere combattuto tra il correre dal proprio ragazzo e il vendicarlo.
Invece si mise ad urlare.
“Sei una cod---”
“LEVICORPUS!” per l’ennesima volta, fu più veloce lei.
Il grifondoro in men che non si dica si ritrovò a testa in giù, come se qualcosa lo tenesse in aria, stretto per le caviglie.
“Non cominciare neanche, Lady Hummel!”  Se solo ci fosse stata più luce, la fiamma di vendetta che bruciava negli occhi scuri di Santana sarebbe stata sufficiente a spaventare a morte chiunque.
“Che ne dici, questo è abbastanza nuovo  per i tuoi gusti o devo reinventarmi?”
Non gli diede tempo di rispondere.
Con un gesto della bacchetta lanciò il ragazzo addosso al fidanzato, che finalmente stava riprendendo conoscenza.
Si voltò per andarsene con un ghigno di vittoria scolpito sulle labbra quando un piccolo dettaglio la colpì come un pugno nel petto.
Diede nuovamente  un’occhiata al quadro, fortunatamente vuoto.
Eppure le era sembrato di aver visto qualcosa o, meglio, qualcuno.
No, l'adrenalina doveva averle giocato un brutto scherzo.
Senza esitare oltre svanì nell’ombra del castello, facendo ritorno al proprio dormitorio.
 
 
..Hellooooo.. *scappa*
Un grosso saluto dallo SqualoGay!(che sarei io,d'uh) Eheh.
E' la prima fanfiction che scrivo, quindi siate buoni con me, vi prego. ç__ç
Senza contare che non so neanche se mandarla avanti o meno.. 
Le idee non mancano, ma fatemi sapere tramite le recensioni cosa ne pensate! :3
Uhg, mi scuso per tutti gli errori che sono opera miamiamiamia completamente mia. u.u
 



 

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Capitolo 2
*** La punizione ***


“Può sembrare un completo idiota, ma al-”
“Che detto da te, poi, è tutto dire.”
Puck aggrottò la fronte, guardando l’amica con aria torva. Sbuffò appena e tentò di riprendere la propria frase, nella speranza di non essere interrotto anche questa volta.
“Ma alla fine”  Scandì ogni parola  per poi fare una pausa, come per assicurarsi di avere il benestare dell’altra. “non è così male.”
Santana aveva passato la mattinata in silenzio, ad eccezione delle piccole sequenze di parole di cui si era avvalsa per insultare chiunque intercettasse il suo sguardo.

Durante la lezione di pozioni non aveva gettato il contenuto del proprio calderone addosso a Sugar semplicemente perché non era sicura che il liquido giallastro che bolliva dentro al pentolone in ferro fosse abbastanza nocivo da impartirle una lezioncina memorabile.
Non era mai stata un genio in quella materia.

Il suo malumore non faceva che aumentare con il passare delle ore, poiché segnava l’inarrestabile avvicinamento della sua punizione.
Se solo avesse avuto un giratempo sarebbe tornata alla serata precedente e avrebbe fatto in modo da eliminare ogni traccia della sua bravata.
Nulla era andato come si era aspettata.

Già il suo risveglio non fu dei migliori, alla sua abituale sveglia – Quinn- si sostituì una ben peggiore: le urla di Sue.
Sue Sylvester era l’insegnante più temuto della scuola.
Quando Santana mise piede per la prima volta ad Hogwarts si imbatté in ogni genere di leggende riguardanti la bionda maledetta e sperò con tutta se stessa di non dover mai avere a che fare con quella tipa.
Ben presto si rese conto che non sarebbe potuto essere possibile: considerata la lunga discendenza di serpeverde della sua famiglia,  con ogni probabilità sarebbe stata smistata anche lei in quella casa.
Quando il cappello gridò a gran voce “Serpeverde” si rassegnò all’idea di dover combattere per sette anni contro quella strega della direttrice della sua casa.
Alcuni dicevano che fosse l’unica degna erede di Tom Riddle, altri che fosse la discendente di Salazar in persona.  Gli alunni più fantasiosi, invece, erano arrivati a raccontare che, come il basilisco, il suo sguardo potesse pietrificare le persone.
Non a caso uno dei suoi soprannomi era Medusa.
Da quando Sue era diventata direttrice dei verdi-argento, i Serpeverde non persero neanche un anno la coppa delle case.
Alla base di tutto, come è ben immaginabile, c’era una politica di terrore. Ogni studente doveva portare almeno cinque punti al giorno, altrimenti avrebbe dovuto fari i conti con la rabbia di Sue Sylvester.
E che Merlino abbia pietà di chiunque non fosse nelle sue grazie e si fosse guadagnato una punizione!
Essendo giocatori della squadra di Quidditch della casata,  sia Puck sia Santana avevano dei trattamenti di favore.  Per quanto riguardava Quinn, invece, lei era un caso a parte. Nessuno si sapeva spiegare esattamente come avesse fatto a diventare la cocca della direttrice.
Ad ogni modo, non bastarono neanche i favoritismi per salvare Santana dalla propria punizione.
Qualcosa era andato storto la sera precedente.
A dire della Sylvester “qualcuno” aveva cantato, e per sfortuna della mora questo qualcuno era decisamente affidabile.
Santana rifletté attentamente su chi poteva averla messa all’angolo e non le ci volle molto per arrivare a pensare a due occhioni blu.
I grifondoro, per quanto coraggiosi, non avrebbero mai rischiato tanto.
Aveva controllato per due volte il dipinto appeso al muro quella sera e di Silente non  c’era neanche un pelo della barba.
Dunque o si era auto costituita in un momento di distaccamento della personalità- alquanto improbabile- o la corvoscemo aveva fatto la spia, da brava studentessa modello.
Era fortunata che non sapesse il suo nome, le ci sarebbe voluto più tempo per mettere in atto una vendetta.
Come si risvegliò passò una buona  mezz’ora tra urla (principalmente della Sylvester) e singhiozzi (esclusivamente da parte della latina) prima di poter ascoltare la sentenza, o meglio la condanna, della professoressa.
La giornata di Santana era segnata ed irreparabilmente rovinata: avrebbe  dovuto passare due ore del suo pomeriggio alle dipendenze di Hagrid, perdendosi così l’allenamento della squadra.

Perfetto, si addice ad un capitano.

Quando scoccò l’ora x , Santana si rifiutò categoricamente di presentarsi in quella catapecchia, per nulla al mondo avrebbe aiutato il guardiacaccia. Specialmente perché   avrebbe dovuto rivedere quelle due bestie enormi e bavose che qualcuno osava chiamare cani.
Sembravano piuttosto dei thestral mannari, o qualcosa di simile insomma.
Puck mise piede nella sala comune dei Serpeverde  e vi  trovò l’amica, con la tuta indosso e la firebolt in mano.
Si guardarono in silenzio per svariati secondi, poi il sorriso spavaldo sul viso di Santana sparì.
Borbottando parole che sicuramente non erano inglesi, scese le scale del sotterraneo e fece ritorno alla sala dopo una manciata di minuti, con la divisa normale dei serpeverde.
Noah decise che, da bravo amico, l’avrebbe accompagnata da Hagrid, con il quale era già in buoni rapporti per via delle numerose ore di punizione passate insieme.
Una volta fuori dal castello aveva fatto salire l’amica sulla Nimbus, per percorrere più rapidamente la strada.
Santana inizialmente aveva fatto storie perché era abituata a comandare e quindi a guidare da sé la scopa, ma Puck non si fece spaventare. 
“Mia scopa, Io padrone!” erano state le quattro parole tramite le quali aveva imposto a Santana di salire come passeggera.
Ed ora erano lì, seduti sull’erba  fresca, illuminata dal freddo sole di novembre.
La mora faceva un gran sbuffare, scuoteva la testa come una pazza.
Puck passò un po’ di tempo con lei prima di alzarsi ridacchiando.
“Dove pensi di andare, Pucktetico?” Santana alzò lo sguardo allarmata in direzione dell’amico.
Io ho un allenamento che mi aspetta.”
Il sorriso del ragazzo non fece che irritarla di più.
Lei si mosse  per portare la mano alla bacchetta, ma Puck fu più veloce.
Gli bastò pronunciare un incantesimo di richiamo  per far scivolare legnetto dalle mani della ragazza direttamente alle proprie. “Scusa zuccherino, ordini di Medusa.”
Alzò le spalle, come per scaricare la colpa unicamente sulla direttrice dei Serpeverde.
Santana restò immobile, privata della bacchetta non era poi così minacciosa.
Si voltò dall’altra parte, indispettita. E quello era un amico?
“Ti conviene andare o farai tardi, San.”
“Si beh, non credo che quell’energumeno sappia leggere l’orologio.” Sputò Santana, più arrabbiata che mai.
“No, ma di certo sa contare i rintocchi della campan-”
“VAI, JARVEY.”*
Puck alzò le mani in segno di resa. Avrebbe avuto maggiori risultati se al posto della mora ci fosse stato Pix, sicuramente era più ragionevole di lei.
“Ti passo a prendere tra due ore. Sempre che Thor non ti abbia ancora sbranata..”
Salì a cavalcioni della scopa e volò via ridendo, prima che Santana potesse anche solo ribattere.
Se prima era soltanto irritata ed incazzata come  uno Spinato, ora aveva anche un briciolo di paura da portarsi dietro.
Grande.
 Si alzò in piedi, consapevole che se solo avesse provato a saltare quella punizione la Sylvester l’avrebbe ridotta in cenere, ma a differenza delle fenici lei non sarebbe rinata.
A testa bassa, pensando a tutti gli insulti che aveva nel repertorio da rivolgere alla buona stella che ultimamente gliene stava facendo passare di cotte e di crude, si avvicinò verso il rudere in cui a quanto pare viveva quel barbone.
Bussò alla porta per ben tre volte, ma non rispose nessuno.
Convinta di aver fatto il possibile per scontare la propria pena, Santana si girò per tornare al castello.
Lei ci aveva messo tutta la sua buona volontà, non era colpa sua se non l’aveva trovato.
Fu proprio quando si girò che vide l’ultima cosa al mondo che desiderava vedere.
“Oh Salazar, no. Piuttosto un acromantula!”
Il cane  inclinò la testa a lato, probabilmente domandandosi cosa ci facesse quella tipa nel suo territorio. Smise di scodinzolare e arricciò il muso fino a ringhiare.
Santana non poté fare a meno di paragonarlo mentalmente a Quinn, la somiglianza in quel gesto era.. totale.
Sentì una risatina alle sue spalle, e Thor smise di ringhiare.
Miracolo.
“Ne sei proprio sicura? Ce ne sono a bizzeffe, qua.”
Prima che la serpeverde potesse anche solo pensare di girarsi, il cane prese a correre in sua direzione.
Sprovvista di bacchetta non era che una piccola personcina indifesa, perciò fece ciò che le riusciva meglio in questi casi: urlare.
Si portò le mani davanti al viso e tentò di ripararsi, serrò gli occhi e si espresse in quello che più che un grido sembrava una specie di allarme ad ultrasuoni.
Il cane la sorpassò come se non esistesse nemmeno e si gettò tra le braccia della persona alle sue spalle.
Quando riuscì a superare lo spavento si voltò e vide la seconda cosa che avrebbe voluto non vedere.
Una chioma bionda.
Sciarpa blu e nera.
Quante possibilità c’erano di rincontrare la persona che l’aveva messa nei guai?
Ah, ma adesso l’avrebbe sentita.
Non subito, magari. Prima le avrebbe lasciato accarezzare quell’essere bavoso che in quell’istante si faceva grattare la pancia  dalla ragazza.
“Hagrid, l’ho trovata!”
La biondina si mise a urlare tra una coccola e l’altra.
Quindi la stavano cercando?
Santana dischiuse le labbra per dire qualcosa ma una mano pesante si posò sulle sue spalle, facendola quasi cadere.
“Ti stavamo aspettando!”
‘ti’? Aveva sentito bene?
Guardò schifata la mano premuta sulla sua spalla, accanto a quel mezzo gigante si sentiva più bassa del solito.
Se la tolse di dosso con un aria di superiorità scolpita sul viso.
“Andiamo, abbiamo tanto da fare.”
Hagrid s’incamminò, facendo segno alle due di seguirlo.
Non che non si aspettasse un simile trattamento da una ragazzina viziata convinta nell’importanza dei purosangue, però faceva sempre male quando qualcuno gli ricordava di essere un diverso.
Questo Brittany lo capiva, perciò dopo un’ultima carezza a Thor si alzò, scoccò un’occhiataccia alla latina e tentò di sorpassarla.
Qualcosa le afferrò il braccio.
“Un centauro!” la bionda si voltò spaventata, ma quando prese il proprio tempo ad osservare meglio la situazione notò che le dita strette attorno al suo polso appartenevano alla mora. Tirò un sospiro di sollievo, provocando una risata di cuore da parte di Hagrid.
Santana roteò gli occhi, sembrava tutto un  grande scherzo.
“Come ti è venuto in mente?!”
Brittany la osservò, cercando di decifrare quella frase criptica.
Negli occhi di Santana bruciava una strana fiamma.
Il viso della bionda si illuminò, forse aveva capito di cosa stesse parlando.
“La foresta è piena di Centauri. E’ uno dei motivi per cui non ci possiamo andare.
Hagrid però dice che sono persone brave ed è vero, ne ho conosciuto uno che si chiama tipo Firenze--”
“Fiorenzo!” L’omone qualche metro più avanti rispetto alle ragazze la corresse.
“Fiorenzo!” Si portò la mano libera sulla fronte. “Non lo ricorderò mai! Beh, Fiorenzo mi ha promesso di farmi vedere un unicorno! Quindi no, non sono cattive persone. Ed è naturale che abbia pensato subito che tu fossi un centauro.”
Santana non aveva capito un accidente. Non era nemmeno certa che i Centauri fossero classificabili come persone.
Continuava a domandarsi perché quella fosse una Corvonero e per quale motivo fosse con lei ed Hagrid, quel giorno.
A meno che.. certo! Era ovvio. Aveva fatto la spia e l’avevano punita.
Giustizia.
Santana scosse il capo dopo un imbarazzante silenzio e l’attirò a sé.
Non voleva che quel mezzo gigante mezzo balordo la sentisse, perciò tenne un tono di voce molto basso ma ugualmente  minaccioso.
“Come ti è saltato in mente di spifferare quello che hai visto l’altra notte?!”
Questa volta fu Brittany ad essere confusa.
“Spifferato cosa?”
“Lo sai cosa!” Sbottò la mora, attirando l’attenzione di Hagrid.
Come poteva fare la finta tonta con tanta nonchalance ?
“Beh, visto che sembrate in buoni rapporti potreste lavorare assieme.” Decretò Hagrid, felice di sapere che la biondina si era fatta un’amica.
Aveva un occhio di riguardo per quella corvonero tanto speciale.
Faceva amicizia a fatica perché tutti in quella scuola la credevano ‘strana’.
 Certo, forse sarebbe stata più azzeccata in Tassorosso ma chi era lui per giudicare? Il cappello avrà avuto le sue ragioni per averla smistata in quella casa, e se c’era una cosa che aveva imparato durante tutti quegli anni di permanenza al castello era che il cappello difficilmente sbagliava.
Brittany era come un fiore che tardava a sbocciare, ma era proprio ciò che la rendeva speciale.
La frase che Hagrid le ripeteva più frequentemente era  qualcosa di simile a “i ragazzi d’oggi proprio non sanno aspettare, quando diventerai un giglio meraviglioso si mangeranno le mani per non averti trattata bene”.  
Non vi dico lo stupore sul viso dell’uomo quando questa gli disse che a lei andava bene anche una ragazza.
Alla fine arrivarono di comune accordo alla conclusione che poco importava se ad amarla era un ragazzo o una ragazza.
Hagrid era diventato una specie di padre per quella ragazzina.
Da quando aveva messo piede ad Hogwarts Brittany aveva trascorso quasi tutti i pomeriggi ad aiutare il guardiacaccia nei compiti dai più semplici ai più complessi.
Alla fine del quinto anno lo aveva addirittura informato che avrebbe intrapreso la stessa strada dell’uomo, perché cura delle Creature Magiche l’appassionava troppo.
Aveva sempre sognato di poter vivere tra riccio corni, ippogrifi e la natura, più in generale.
Ciò che Hagrid sperava, però, era che Brittany potesse condividere quello stile di vita con una persona.
Una persona speciale quanto lei.
Santana non gli piaceva molto, quell’aria da figlia di papà dal sangue puro e cazzate varie la rendeva quasi insopportabile.
In cuor suo sperava che Brittany potesse cambiarla un po’, come aveva  fatto ai suoi tempi Lily con Severus.
Magari sperando in un risultato migliore.

“Ma Hagrid,  pensavo che oggi ti avrei potuto aiutare con Fler--”
Brittany provò a protestare, ma la mano possente dell’uomo si levò in alto, intimandola di zittirsi.
“No, continua il tuo progetto di classificazione. E tu, signorinella..” puntò il dito paffuto contro il petto di Santana. “L’aiuterai. Come un elfo domestico.”
Santana alzò il sopracciglio, come aveva osato paragonarla ad un tale essere?
Poi però si rese conto della spettacolare occasione che quell’energumeno le aveva appena fornito.
Quale modo migliore per una vendetta?
Avrebbe addirittura potuto colpirla con un ramo d’albero e seppellirla nel bosco. O farlo passare per un incidente.
“Non so, non credo sia giusto schiavizzare gli elfi, Hagrid. Lo sai.”
Brittany incrociò le braccia, liberandosi finalmente dalla presa della mora.
Su certe cose  non le andava proprio di scherzare.
Hagrid sembrò notevolmente dispiaciuto.
“Qualsiasi cosa sia muoviamoci, voglio finirla in fretta.”
Entrambi si voltarono verso la mora, stupefatti.
Mai e poi mai si sarebbero aspettati che una serpeverde morisse dalla voglia di classificare piante, insettini e creature di ogni genere.
I due si scambiarono uno sguardo  confuso, alla fine del quale Brittany alzò le spalle.
Hagrid afferrò uno zainetto posato sul tavolo alle sue spalle, sul quale erano disposte anche diverse Mandragore, e lo porse alla bionda.
“Bene, allora andiamo!”




**********************
Scusate, non volevo spezzare il capitolo in due ma alla fine è stato necessario, altrimenti veniva una roba troppo lunga..
Uhm, prossimamente assisteremo ad un omicidio o alla nascita di qualcosa?
Solo Santana può saperlo.
Grazie a chiunque segua la storia, grazie specialmente a Cri, mi ha fatto piacere la recensione. :3
Spero di poter aggiornare in fretta.
Scusate gli errori, non è betata.
Alla prossima! :3
The Gay Shark

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Capitolo 3
*** La Foresta ***


A VERY POTTER CROSSOVER_La Foresta


Santana aspettò che le ombre delle fronde degli alberi della foresta proibita oscurassero completamente   il terreno prima mettere in atto il suo piano.
Si era ritrovata costretta ad aspettare, altrimenti le urla  della bionda si sarebbero sentite facilmente e quell’idiota del mezzo gigante sarebbe arrivato subito a salvarla, in groppa al suo prode destriero bavoso.
Così facendo, invece, poteva anche scambiare facilmente l’accaduto come un’aggressione da parte di qualche strana creatura della foresta.
Anche con tutti questi pensieri in tetta fingere cordialità per la bionda o provare ad ignorare i suoi sproloqui senza senso, tuttavia, era tutt’altro che facile. Sembrava la versione svampita della Berry.
Ogni tre per due Brittany si fermava a scarabocchiare appunti su un taccuino, riguardanti per lo più piante.
Era già passata un’eternità, Santana sperò solo di poterla tramortire in fretta.
La mora si era limitata ad annuire per tutta la camminata, sicura che se avesse aperto bocca avrebbe mandato tutto all’aria.
Doveva impartirle una lezione, e senza bacchetta era praticamente impossibile. Avrebbe dovuto ricorrere alle mani, in onore dei vecchi tempi quando ancora non sapeva come usare propriamente la propria magia. Magari si sarebbe aiutata con qualche ramo spezzato.
“Aaah!”
Santana si voltò rapidamente verso la fonte del suono ed incrociò due occhioni blu. Solo che non erano alla solita altezza, bensì a terra.
La mora cercò di inquadrare la situazione e dopo qualche attimo alzò un sopracciglio, interrogandola con lo sguardo.
“Non ho visto la radice..” rispose una Brittany dolorante, rannicchiata a terra. Si stava massaggiando il ginocchio sinistro con gli occhi fissi sull’enorme radice sporgente dal terreno dell’imponente albero.
Santana pensò che forse neanche un cieco sarebbe riuscito ad inciampare così stupidamente. Era quasi impossibile non notare l’ostacolo che aveva mandato al K.O. la bionda.
Era un’ottima occasione, però.
“Aspetta, fa vedere.” Un sorrisino spuntò sulle labbra della latina.
Brittany ritrasse le mani, stendendosi maggiormente a terra.
Quando le due non furono che a pochi centimetri di distanza, Santana si gettò su di lei in un’azione repentina.
Per un istante Brittany pensò che la ragazza volesse proteggerla dall’arietta gelida di dicembre o che anche lei fosse inciampata, ma non fu che una fugace illusione.
Le mani della mora infatti andarono subito ad afferrare l’uniforme dell’altra all’altezza del colletto, stringendo il tessuto con quanta più rabbia avesse in corpo.
“Guarda che mi fa male il ginoc-- ”
“Il ginocchio sarà l’ultimo dei tuoi pensieri, spiona!” Santana, che era come inginocchiata con le gambe ai lati dei fianchi della corvonero, strinse leggermente la presa tirando la ragazza maggiormente a sé.
Giurò di vederla arrossire.
“Non è una bella cosa da dire.” Brittany si accigliò appena, offesa dall’insolito nomignolo e decisamente scombussolata dalla situazione.
Non riusciva a capire cosa stesse succedendo.
“Sai cosa non è carino? Spifferare al preside qualcosa che può creare immensi guai ad un’altra persona! Specialmente se quella persona sono io!”
Brittany rifletté a lungo su quelle parole, prima di concordare con lei con un cenno del capo.
“A dire il vero non ha più importanza se a finire nei pasticci sei tu piuttosto che qualcun altro. Siamo tutti ug-.”
Santana non le diede il tempo di finire la frase perché senti un moto di rabbia scuoterla dentro.
“Adesso mi prendi anche per il culo!?”
Brittany posò le proprie mani sui pugni scuri chiusi attorno alla propria divisa. Cominciava a darle fastidio essere presa in quel modo.
“Senti, se avessi detto al preside di averti vista fuori l’altra sera, sarei finita in punizione anche io.”
“Vuoi anche negare l’evidenza? È ovvio che tu sia finita in punizione assieme a me, guarda dove siamo!”
Santana la odiava.
La odiava con tutto il cuore.
Nessuno fino ad allora aveva osato prendersi tanto gioco di lei. Eppure questa corvoscemo, perché di fatto era svampita quanto Lumacorno, sembrava non avere nessuna remora nel farlo.
Notando che l’espressione sul viso della serpeverde cominciava a farsi realmente minacciosa, Brittany si affrettò ad aggiungere il resto della frase.
“Io sono qui perché mi piace. L’ufficio del preside invece mi fa paura, motivo per cui non  gli ho mai rivolto neanche la parola! Mi dispiace che il quadro di Silente ti abbia vista a vedere le stelle.”
Santana aggrottò la fronte. A vedere le stelle?
Ok, alla bionda mancava un venerdì.
“Ti sembro il tipo che guarda le stelle?”
Brittany puntò i suoi occhioni blu sulle iridi scure di Santana, rivolgendole un caldo sorriso.
A Santana non piaceva affatto, era qualcosa a cui non era abituata.
“Mi sembra che tu sia il tipo di persona che lo fa e poi lo nega. Ti ho vista con i miei occhi, c’ero anche io ricordi?”
Santana provò a superare il disagio dovuto alla situazione. Solitamente le sue prede a questo punto piagnucolavano.
Brittany invece sembrava calma e quasi impietosita.
Eppure non c’era traccia di bugia in quegli occhi chiari.
“Aspetta, cos’hai detto del quadro?”
Brittany provò a rispondere ma proprio in quel momento Santana lasciò la presa, facendole così battere il capo sul terreno.
Fortunatamente la caduta non fu che di qualche centimetro, perciò la bionda questa volta non si fece poi così male.
Brittany la sentì dire una parola che non conosceva,  ma che dal suono sembrava proprio..”Parli serventese?”
“E’ spagnolo.” Rispose l’altra inacidita. Si era finalmente alzata, liberando il corpo di Brittany.
Dunque ecco cos’era successo.
Il movimento nel quadro che le era parso di vedere la sera precedente era stato reale e non frutto della sua immaginazione.
Se da una parte le faceva piacere sapere di avere ancora tutte le rotelle al posto giusto, dall’altra parte si stava maledicendo per non essere stata più attenta.
“Oh, non fare rumore! Non ti muovere”
Le parole di Brittany arrivarono come un sussurro alle orecchie di Santana.
Uno strano pennuto colorato si era appena appollaiato sul ramo sopra alle loro teste.
Santana lo squadrò con disgusto, domandandosi perché mai avrebbe dovuto trattenersi dal mandare via quell’affare che probabilmente, da un momento all’altro, avrebbe lasciato sull’uniforme di una delle due uno sgradevole ricordino maleodorante.
Invece si mise a cantare, e a Santana si fermò il cuore.
Era la cosa più melodiosa che avesse mai sentito.
Quando posò nuovamente lo sguardo su Brittany lo fece sorridendo.
La bionda notò immediatamente quanto fosse più carina quando il sorriso che le formava due tenerissime fossette sulle guance, fosse provocato non da un pensiero cattivo ma da una vera emozione positiva.
Pensò che l’unica cosa che volesse fare da lì in avanti fosse farla sorridere di cuore.
Santana sgranò gli occhi notando che la bionda adesso aveva tra le mani un squadernino e stava scarabocchiando una serie di informazioni. Doveva averlo già avvistato precedentemente perché sul foglio, in alto a destra, era presente un piccolo disegno del pennuto.
Accadde in un battito d’ali.
La creatura si levò in picchiata verso le due malcapitate e con una mossa fulminea rapì la sciarpa della corvonero.
Santana levò un grido spaventato, credendo che l’uccello si fosse calato in picchiata per puntare il suo viso.
Quando riaprì gli occhi Brittany era in piedi e aveva gli occhi lucidi.
“Ehi, ti ha fatto male?”
Brittany scosse il capo mordicchiandosi appena il labbro inferiore, nel tentativo di non piangere.
“Cosa diavolo era?!”
Brittany alzò le spalle, proprio non le andava di parlare.
“Credo che le tue ore di condanna siano finite,  meglio tornare alla capanna.”
Detto questo le rivolse un timido sorriso, incamminandosi sulla strada del ritorno.
Santana proprio non si sentiva di controbattere, non aveva più una ragione per restare. Eppure vedere la bionda così triste era  come ascoltare la vecchia musica malinconica di un carillon.
Quando questa, circa a metà strada, prese a battere i denti dal freddo, Santana non ci pensò due volte a sciogliersi dal collo la sciarpa e a buttarla sulle spalle dell’altra.
Brittany le sorrise dolcemente, limitandosi a mormorare un “Grazie.”
Santana pensò che se la situazione fosse stata opposta, lei avrebbe fatto molte più storie prima di accettare l’indumento. Soprattutto, non avrebbe detto grazie.
Non appena  le due sbucarono fuori dalla foresta una voce maschile richiamò la serpe verde.
“Finalmente, credevo avessi deciso di passare il resto dei tuoi giorni là dentro!”
Santana alzò gli occhi al cielo, evitando di rispondere all’amico. Brittany salutò Noah con tranquillità, come se fossero amici di vecchia data, e lui contraccambiò con un cenno del capo.
“Dai, ti riporto al castello.”
“Ci mancherebbe altro.” Replicò la mora, ritornando ad essere la stronzetta conosciuta in tutto il castello.
Ancora con l squadernino tra le mani e lo zaino in spalla, Brittany si congedò dai due, augurandogli una buona serata.
Santana la seguì con lo sguardo prima di salire sulla firebolt dell’amico.
 

“Te lo dico io, si è fatta amica la corvonero!”
Quinn non ci mise molto ad allungare la mano verso la nuca dell’amico, lasciandogli uno schiaffo.
“Non parlare con la bocca piena, idiota!”
Puck si allontanò appena, massaggiandosi la zona colpita con fare offeso.
Santana roteò gli occhi sbuffando, per poi ritornare a dare attenzioni alla propria coscia di pollo.
Era una scenetta che accadeva ad ogni colazione, ad ogni pranzo e, proprio come in quel momento, ad ogni cena.
Alla lunga era quasi diventata una tradizione. “Il coppino dell’appetito”.
Quel teatrino però non distraesse Quinn dalla conversazione. “Allora, è vero? Ora te la fai con le corvonero?”
Prima che Santana potesse rispondere, Puck parlò per lei. “L’ho vista con i miei occhi! Oh, dovevi vedere la sua espressione quando quella se n’è andata!”
Santana agitò la bacchetta ed il calice d’acqua davanti a Puck si alzò per poi rovesciare il contenuto sulla divisa del ragazzo.
Contrariamente a quanto si aspettava Santana, Puck sorrise.
Le bastò aspettare un secondo per capire il perché.
“Ehi.”
La corvonero era in piedi, dietro a Santana, con una sciarpa verde e argento tra le mani.
La risatina di Noah non passò inosservata.
Santana si girò, maledicendo il karma per il suo tempismo perfetto.
“Cosa vuoi? Il tavolo dei corvonero è più in là.”
“Lo so, lo so.” Anche Brittany rise, ma era una risata genuina.
“Volevo solo ridarti questa. Sai, me l’hai prestata oggi nel bosco e ci tenevo a fartela riavere, sei stata davvero gent-”
“OKAY,” Santana scattò in piedi come una molla e strappò dalle mani dell’altra la propria sciarpa.
Le due si fissarono per qualche istante in silenzio.
“Oh, buon appetito.”
Proprio come era apparsa, la ragazza in pochi secondi scomparse dal raggio visivo di Santana, che tornò a sedersi al tavolo.
Addentò sbuffando la coscia di pollo per poi alzare lo sguardo sui suoi amic, stranamente silenziosi.
Non appena lo fece, i due scoppiarono in una grossa risata, prendendola in giro.
“Oh, Sannie, sei stata così gentile!”



***********************

Ehi! 
Ciao, grazie a tutti quelli che hanno lasciato una recensione, ho apprezzato moltissimo. :3
Chiedo scusa per il ritardo, ma purtroppo non sono riuscita ad aggiornare prima.
Chiedo anche scusa per lo schifo di capitolo, prometto di impegnarmi di più da ora in avanti.
Bacione, alla prossima!
The Gay Shark.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Con immenso piacere, annuncio la ripresa di questa ff. È cambiato il titolo, è cambiata la descrizione, ma rimane sempre quella che all'inizio era "A very potter crossover". 
Avviso da subito che, per via dell'università, gli aggiornamenti saranno lenti, nota positiva: punto di pubblicare capitoli sostanziosi.
Spero che il cambio di rotta non vi dispiaccia, fatemi sapere cosa ne pensate con una recensione o con un messaggio privato.
Ricordate la storia del "un autore infelice non pubblica capitoli?" Ecco. Le recensioni mi rendono felice!
Buona lettura.
[Potrebbero comparire diversi orrori grammaticali qua e là. Sono sempre tutti miei. <3 ]




Hogwarts - Gennaio. 

 

Il prato era ormai ricoperto da un soffice manto bianco di neve e le acque del lago nero avevano dovuto porre fine anche quel  piccolo moto che erano solite fare nelle giornate vagamente ventose come quella per via dello strato di ghiaccio che  si era completamente impossessato della superficie di quello specchio d'acqua, rendendo impossibile anche la più minima increspatura.

Solo a guardare fuori dalla finestra della sala comune del sotterraneo serpeverde, Santana rabbrividì. A volte quasi dimenticava che l'Inghilterra potesse essere un posto tanto freddo. 

'Non farà bene alle tue ossa latine, ma forse calmerà il tuo temperamento, mija.'

Un sorrisetto si presentò sulle labbra di Santana al ricordo delle parole che, prima di iscriverla ad Hogwarts, suo padre era solito dirle. Per Merlino, il clima del castello, umido e freddo, le aveva letteralmente distrutto le ossa e minacciato varie volte la salute, ma non aveva potuto fare nulla contro al sangue caldo della ragazza. Non era cambiata di una virgola ed in parte, non poteva che essere fiera di sé stessa. Anche suo padre poteva dirsi quantomeno orgoglioso di lei, nonostante ciò comportasse le continua lamentele della signora Lopez. 

Il suo compito nella scuola era semplice: far rispettare l'autorità dei serpeverde, i quali - secondo i piani alti- avrebbero ristabilito il normale ordine delle cose. 

Erano ormai passati quasi vent'anni dalla sconfitta del  Signore Oscuro, per i più fedeli mangiamorte quello era stato un duro colpo. Ciò che gli stregoni del Ministero fecero loro successivamente alla battaglia fu orribile, non c'era da meravigliarsi se la maggior parte dei Serpeverde ed i seguaci di Voldemort covassero tanto rancore nei confronti dei "nemici del sangue". Il trionfo di Harry Potter non portò quella proverbiale pace di cui tanto si vociferava prima della grande battaglia, anzi. L'inimicizia tra le case crebbe all'inverosimile dopo un breve periodo di calma piatta. 

Molti mangiamorte si erano convinti di un possibile ritorno del Signore Oscuro, altri, in modo forse più ragionevole e meno folle, si proponevano invece di rincorrere nuovamente il sogno che Tom Riddle non era mai riuscito a realizzare. Da svariati anni le forze del male si stavano riorganizzando per sovvertire il governo del mondo magico senza che i componenti del ministero sospettassero di nulla.  

Il signor Fabray ed il signor Lopez erano due delle famiglie a capo del progetto. 

Santana fu messa al corrente dell'intera situazione solo al ritorno da Hogwarts, durante le vacanze estive tra il sesto ed il settimo anno. Suo padre le chiese di sedere a tavola assieme a lui dopo cena, invitando invece Maribel a godersi la piacevole serata d'inizio estate in giardino. Tool, l'elfo domestico, si sarebbe occupato di ciò che Maribel si ostinava a fare nonostante l'aiuto delle numerose creature che albergavano in casa Lopez. 

Santana temette per qualche istante che il padre avesse scoperto la sua inclinazione a preferire le attenzioni delle ragazze, piuttosto che dei ragazzi. Temette di dover dire addio, proprio sul più bello, al quidditch, alla sua bacchetta e a tutti i privilegi che aveva acquisito dal primo respiro, per diritto di sangue. Certe volte nascere in una famiglia agiata comporta ben più di qualche beneficio. 

Luis Lopez, contrariamente alle aspettative tenebrose della figlia, iniziò a parlare ricordandole ciò che successe durante la battaglia magica più sanguinolenta e ricordata della storia moderna. Santana fece qualche fatica a comprendere cosa avesse causato quell'ondata di "nostalgia" nel padre e i suoi dubbi furono chiariti dopo poco. 

Il signor Lopez si alzò in piedi e misurando a grossi passi la lunghezza della sala, continuò a spiegare alla figlia ciò che era successo dopo la guerra. Le vigliaccherie dei traditori, le trappole, le torture, le pene a suo dire insensate che alcuni mangiamorte dovettero scontare a causa dello scompiglio creatosi dopo la caduta del signore oscuro. Le ricordò cos'aveva causato tutto quello, le disse che era una vergogna che Harry Potter fosse ancora vivo, per di più a capo del Ministero. 

Poi, sedendosi nuovamente di fronte alla figlia, posò le mani sulle sue e aspettò che la latina lo guardasse negli occhi per continuare. Fu allora che le svelò i piani alti. 

Per Santana non fu poi così scioccante, sapeva di cosa era capace suo padre. 

Era stata cresciuta secondo quelli che furono gli ideali della vecchia generazione, le era stato insegnato che alla base di un mondo giusto c'era la purezza del sangue. Le era stato detto che per un mondo sicuro,  era necessario sottomettere ed eliminare sistematicamente tutti i babbani. Non era stato difficile per lei puntare il dito contro i non-maghi ed additarli come cattivi, perché i libri di storia e le favole per bambini (le favole paurose) avevano sempre come antagonisti dei babbani. I roghi delle streghe, le persecuzioni protrattesi nel tempo.. erano solo alcune delle ragioni che facevano rabbrividire ed inferocire i Lopez.

Luis le spiegò che dall'autunno, villa Lopez sarebbe stata più trafficata del solito, perché l'organizzazione si sarebbe riunita lì. Le disse ciò che sarebbe successo con ogni probabilità entro un anno, ma non entrò nei dettagli dei piani di azione. C'era ancora così tanto da discutere… 

Quando ebbe finito di parlare, Santana si alzò in piedi sicura di poter andare in camera sua per elaborare quanto appena appreso ma ancora una volta, le intenzioni del padre diversero dalle sue aspettative. Le fu chiesto un segno particolare che potesse attestare la sua più totale devozione al nuovo ordine.

Allora Santana dovette interrogarsi. Si riconosceva negli ideali del padre? Sicuro. Avrebbe dato la vita per vedere il nuovo ordine al Governo? Di certo avrebbe aiutato. 

La giovane rispose che non sarebbe stato un problema e che avrebbe fatto qualsiasi cosa per essere parte integrante del futuro. 

Il padre le sorrise, orgoglioso di aver cresciuto una ragazza così intelligente. Le disse che sarebbe arrivato il momento opportuno per dimostrare la sua lealtà e le chiese infine di fare assoluto segreto di quanto appreso quella sera. 

 

Sfortunatamente per Russel Fabray, sua figlia Quinn - per quanto schiava di pregiudizi sui mezzosangue, babbani e maghinò - non gli aveva mai dato la soddisfazione di avvalorare le sue tesi e prendere parte attivamente ai piani prestabiliti, respingendo più volte la proposta del padre di entrare a far parte del nuovo ordine. 

Luis Lopez aveva tranquillizzato l'uomo dicendogli che purtroppo le donne sono fatte così, sono testarde. Alle volte si impuntano più contro l'uomo che porta il messaggio piuttosto che contro al messaggio di per sé. Gli disse di darle del tempo per abituarsi al suo ruolo nel nuovo mondo. Poi, siccome il signor Lopez era solito dire di non sbagliare mai, non volendo perdere il suo record di veridicità, impose a sua figlia Santana d'impegnarsi per far ravvedere Quinn. 

Russel, tuttavia, preferì fare a modo suo. Non poteva permettersi che la sua figlia maggiore portasse tanto disonore al buon nome dei Fabray.

 

Durante le vacanze di Natale del settimo anno, Quinn e Santana vinsero un tatuaggio che le avrebbe contraddistinte per il resto della loro vita. 

Avvenne la notte del trentun dicembre. I Lopez organizzarono quella che aveva tutta l'aria di essere una festa. Invitarono decine di famiglie, ovviamente purosangue, che accettarono senza batter ciglio. 

Santana fu certa fosse perché come al solito, avrebbero celebrato in compagnia l'inizio dell'ennesimo anno nuovo. Non era insolito che la loro villa fosse popolata da molte persone, fino ad allora aveva creduto fosse perché il padre aveva tanti amici - o forse solo tanti galeoni da poterci sguazzar dentro.

Le supposizioni della giovane, però, si rivelarono nuovamente sbagliate un'altra volta. Poco prima della mezzanotte, i capi famiglia si congedarono temporaneamente dalle loro mogli per radunarsi in una delle tante sale della villa. Santana e Quinn rimasero a bocca aperta quando Luis le invitò a seguirli. Quinn provò a rifiutarsi, ma si accorse in breve tempo che quello del padre di Santana non era esattamente una richiesta, ma un ordine. Non volendo mancare di rispetto a chi li stava ospitando, e rassicurata dalla presenza di Santana, si decise infine a seguire silenziosamente la banda di uomini che si era inoltrata nei corridoi tetri e freddi di villa Lopez.

Raggiunsero in breve tempo una stanza immensa. Al centro, un tavolo rettangolare in marmo, il vero protagonista di quella camera. A contornare il tavolo vi erano una serie di sedie che avevano più l'aspetto di troni, in qualche modo tutto ciò ricordò a Quinn della tavola rotonda. 

Tutti presero posto - sembrava quasi che rispettassero un ordine anche  per i posti a sedere - , il signor Lopez si sistemò a capo del tavolo, di fronte al caminetto in pietra che fino ad allora rimase spento. 

Qualcuno mormorò "incendio" e subito la stanza prese un po' di calore, oltre che colore.

Santana e Quinn si sedettero l'una di fianco all'altra, ma furono subito rimproverate. Santana venne chiamata a sedere al lato sinistro del padre, mentre Quinn fu fatta accomodare di fianco a Russel, il quale aveva la stessa posizione della latina, ma dal lato destro. 

Spesero qualche parola di buon auspicio, poi il padre di Santana si alzò in piedi e chiese alla figlia di fare altrettanto. 

Fu allora che le chiese quel tanto atteso segno di lealtà e devozione. Le fu chiesto di scoprire l'avambraccio sinistro e così lei fece. 

Luis posò la punta della bacchetta sopra al polso della figlia ed in breve delle piccole linee nere presero posto sulla pelle di Santana, accompagnate da una buona dose di bruciore e dolore.

Santana però, non distolse mai lo sguardo da quello del padre e fece di tutto per impedirsi di acquisire un'espressione che realmente rivelasse il male che stava soffrendo. Da allora indossò una maschera che non tolse mai, se non in brevi istanti con sua madre.

La latina osservò la figura formatasi sul suo avambraccio ed impiegò meno di un secondo per capire dove l'aveva già vista. Non c'era ombra di dubbio, quello era il marchio nero. 

Coronata da un applauso e da qualche risata di scherno qua e là, Santana tornò a sedersi al tavolo con un pizzico in più di orgoglio. Era a tutti gli effetti parte del piano che avrebbe portato i maghi - quelli meritevoli di essere chiamati tali - in cima al mondo. Si scambiò un'occhiata con Quinn, ma invece che vedere nei suoi occhi la voglia di fare altrettanto, Santana lesse paura ed orrore.

La bionda però non batté ciglio quando venne chiamato il suo nome, si alzò in piedi e raggiunse il padre di Santana. Si scoprì l'avambraccio sinistro e con gli occhi fissi sul fuoco del caminetto attese che il marchio nero fosse ben chiaro anche sulla sua pelle. Santana non perse il modo in cui l'amica si morse il labbro inferiore per trattenere il dolore durante quella strana cerimonia e non riuscì a comprendere come mai Quinn non fosse felice di quello che le era appena successo. 

Perché non riusciva a vedere che loro due avrebbero fatto la storia? 

Quando la bionda si risedette al tavolo, sostenne per poco tempo lo sguardo incuriosito e lievemente irritato della mora. Quella volta, ciò che Santana lesse fu "vergogna". 

 

Al ritorno ad Hogwarts, nulla era cambiato più di tanto. Certo, Quinn si era fatta più seria e silenziosa, ma dopo qualche giorno passato tra le mura della scuola, Santana riuscì a farle ritrovare il buonumore di sempre.

La mora si sistemò meglio sul divanetto e rimase ad osservare la neve cadere imperterrita sul paesaggio osservabile dal sotterraneo, domandandosi perché dovesse nevicare anche a gennaio.

Passò inconsciamente le dita sopra alla tunica del braccio sinistro, era diventato un gesto abituale per lei, ormai. 

Il più delle volte le bruciava, non era facile nascondere i momenti in cui il dolore era tanto forte da farle fare strane facce, specie se le fitte di dolore la prendevano alla sprovvista. Fortunatamente per lei, il suo migliore amico era talmente idiota da bersi qualsiasi genere di bugia. Fu invece sollevata dal fatto che, per una volta, non si sarebbe dovuta preoccupare degli sguardi inquisitori di Quinn Fabray e della sua curiosità.

A complicare la cosa, però, c'era la strana e differente percezione della temperatura di Santana: tenere le maniche della divisa sempre abbassate stava diventando una tortura per lei, che in ogni situazione tendeva ad avere caldo. Suo padre però non si era raccomandato d'altro: discrezione. 

Il nuovo ordine di mangiamorte aveva fatto il possibile per rimanere nell'ignoto, lontano da sguardi curiosi. Si erano fidati di Santana, una delle prime persone sotto ai vent'anni a farsi imprimere quel segno sulla pelle, e Santana non poteva - non doveva - azzardarsi a tradire la loro fiducia o peggio, a mandare tutto a monte. Era più che certa che se qualcosa fosse andato storto per colpa sua, suo padre l'avrebbe ridotta in polvere prima di poter dire "SALEM".

La ragazza ci stava provando con tutta sé stessa, aveva tenuto la bocca chiusa per più di un mese, ma sentiva il bisogno di doversi vantare con qualcuno. Era pur sempre un risultato di un certo livello. Avrebbe potuto parlarne con Quinn se solo quella testona si fosse dimostrata un po' più aperta sull'argomento, invece si divincolava ogni volta che Santana provava a portare a galla la conversazione.

Quel tatuaggio significava che, una volta realizzato il folle piano del padre, a lei sarebbe spettato un ruolo molto importante. Sarebbe stata una pedina decisamente rilevante anche durante l'applicazione del piano. Avrebbe aiutato il nuovo ordine a salire al potere, lei e Quinn dovevano essere gli occhi, le orecchie e le bacchette dell'organizzazione all'interno della scuola. Avrebbe compiuto il suo dovere e quello di Quinn, visto che la bionda non sembrava intenzionata a fare il proprio.

"Ehilà, Cerbero, ho saputo che mi stavi cercando." 

La voce di Puck la fece trasalire dai suoi pensieri. In fretta spostò lo sguardo dal lago nero, su cui imperterriti scendevano i fiocchi di neve, per dedicarsi all'amico. Quasi involontariamente, si portò la mano sull'avambraccio sinistro, decisa a tenere segreto quel tesoro ancora per un po'. Cosa sarebbe successo a Noah una volta che gli uomini di suo padre avessero preso il potere? Non era difficile immaginarlo. 

Il nuovo ordine era basato sulla purezza del sangue e di certo il giovane moicano non poteva dire di avere del sangue rispettabile nelle vene. Aveva riflettuto a lungo sulla questione, ed era arrivata ad un'unica soluzione sensata.

"Un piccolo draghetto è venuto a dirmi di muovere le chiappe per venire qui ed .. eccomi!" Continuò scherzosamente il giovane serpeverde, facendo riferimento al patronus della latina. 

Santana fece un piccolo sorriso, ricordando il giorno in cui a lezioni di Difesa contro le Arti Oscure era riuscita ad evocare il suo patrono. Per settimane ad Hogwarts non si era parlato d'altro perché, in tutta onestà, non si vedeva qualcosa di tanto figo da anni, in quel posto. 

Gli alunni non fecero che vociferare di quanto potesse essere azzeccato per la serpeverde un patronus del genere e Santana non poteva che andarne fiera. Il drago, da sempre simbolo di devastazione, potere, morte e, perché no, egoismo. Ciò che altri invece non riuscivano a spiegarsi, era a cosa potesse pensare la latina per evocare qualcosa del genere.

Nessuno sapeva esattamente quali ricordi felici potesse avere quell'arpia. 

"Hogwarts chiama Lopez, rispondete!" Riprovò il ragazzo, sedendosi senza troppa grazia sul divanetto accanto a lei. 

"Ti avevo sentito la prima volta, Noah. Per Merlino, quanto sei irritante." Santana si sistemò la divisa, riprendendosi parte del mantello su cui si era seduto maldestramente l'amico.

"Se ti irritassi davvero non vorresti avermi attorno, invece continui a farmi chiamare.. È perché vuoi fare un giro sul mio Erumpent?" 

Prima che potesse arrivare a fine frase, la ragazza lo riprese con uno scappellotto sul braccio. "Sei disgustoso, Puckerman, non so perché ancora ti parli." 

La latina scosse il capo, sapendo in realtà perché continuasse a parlargli, Noah era il suo unico vero amico oltre a Quinn. "Piuttosto… devo parlarti di qualcosa. Qualcosa di serio e privato." La mora inarcò un sopracciglio ed il ragazzo si fece serio. Di certo la sala comune dei serpreverde non era il posto migliore per una conversazione privata. "Forse allora dovremmo spostarci nella stanza delle necessità." Provò a proporre, incuriosito dall'affermazione dell'amica. 

Santana scosse il capo e tirò fuori la bacchetta dalla tasca. L'agitò in aria un paio di volte  ed attese qualche secondo prima di riprendere a parlare. "No, non è necessario." 

"Non sapevo si potessero fare queste cose all'interno di Hogwarts.." Mormorò Puck, intuendo che l'amica avesse appena silenziato la stanza.

"Puoi se sei Santana Lopez." 

Le ci volle un po' di tempo per organizzare il discorso, poi, con calma, iniziò a spiegare Puck cosa stesse succedendo. Iniziò minacciandolo, solo per sottolineare la segretezza della situazione, poi gli spiegò di suo padre, del nuovo ordine. Gli raccontò tutto, tralasciando i particolari destinati a rimanere segreti - come ad esempio il fatto che stessero tramando un attentato decisamente significativo che avrebbe preso luogo entro breve - e a racconto finito, quasi un quarto d'ora dopo, rimase in attesa di una reazione.

Puck però non si mosse, aveva mantenuto per tutto il tempo la stessa espressione da pesce lesso da quando Santana cominciò a parlare. Poi, lentamente, un piccolissimo solco si formò tra le sue sopracciglia. Santana si controllò le mani e quando fu certa di averle ben lontane dalla bacchetta, si disse che non c'era modo in cui avrebbe potuto inconsciamente stregare l'amico, pietrificandolo. Era un inconveniente che capitava di tanto in tanto, specie quando si manifestava quella che era stata ribattezzata "Snixx", ma non era quello il caso.

"Dammi un segno di vita, per tutte le pluffe!" Sbottò la latina, non ricevendo alcuna risposta. 

Sentendo la voce della ragazza farsi più stridula, Noah alzò il capo in sua direzione e dopo aver sollevato le sopracciglia in segno di sorpresa, dischiuse le labbra, restando letteralmente a bocca aperta.

"Uh-i-io.." Provò, ma non riuscì ad elaborare altro.

Santana, che aveva appena svelato un segreto dalla portata storica, si sentì come cadere nel vuoto. Sapeva di potersi fidare del ragazzo e sospettava di non poter ottenere da lui una reazione tanto felice quanto quella che aveva avuto lei stessa quando suo padre aveva deciso di condividere il fardello di quell'informazione anche con sua figlia. Di certo, però, non si aspettava neanche una non-reazione.

"Quinn lo sa?" Domandò infine il giovane serpeverde. Nello stesso istante, Santana avrebbe preferito fare ritorno alla non-reazione.

"Seriamente, Fuckerman? Ti confido il segreto più grosso del secolo, ti ho svelato quello che potrebbe essere il nostro futuro e tutto quello che ti viene in mente è chiedermi se Quinn lo sa!?" La mora non si fece problemi ad aggredirlo verbalmente, con gli incantesimi fatti prima nessuno avrebbe comunque potuto sentire le sue urla. "Che razza di problemi hai!" 

Noah alzò le mani  in aria in segno di resa, l'ultima cosa che voleva affrontare era una Santana inviperita. Aveva bisogno di più spiegazioni e non avrebbe certo esitato a farsi rinfrescare la memoria su quanto l'amica gli aveva confidato, più avanti. "È che hai nominato il signor Fabray, mi domandavo se - " 

"Certo che Quinn lo sa!" La ragazza alzò gli occhi al cielo, esasperata dalla lentezza mentale del compagno. Era sicura di aver nominato George Fabray ad inizio racconto, quindi non poté fare a meno di chiedersi se Noah avesse captato solo quel pezzettino di storia, incartandosi lì per via delle sue 'riflessioni' e perdendo il resto del racconto. Inoltre, era abbastanza certa di aver detto a Noah che anche Quinn si era guadagnata il marchio nero.

Il ragazzo dalla carnagione olivastra annuì semplicemente, metabolizzando  lentamente quanto appena appreso. "Quindi..me lo hai detto perché hai bisogno del mio aiuto?"

La latina sollevò un sopracciglio, ancora una volta stupita dalle conclusioni affrettate ed elementari a cui arrivava il nato babbano. Certo, non c'era poi da meravigliarsi. Anche Santana sapeva di avere la fama di approfittatrice e sfruttatrice, non era così assurdo pensare che quella confessione fosse stata fatta per un semplice tornaconto personale. A che fine, poi? Perché chiedere aiuto ad un nato gabbano quando il piano del nuovo ordine era quello di eliminare tutti i maghi come lui?

Con lentezza, la ragazza scosse il capo decidendo di non inveire contro la stupidità dell'amico. "Ti meraviglierà saperlo, Puckerman, ma non mi dispiacerebbe continuare a vederti vivo. Anche quando il regno dei nuovi mangiamorte prenderà vita."

Lasciò all'amico il tempo necessario per comprendere quanto appena confessato. Non poteva ammettere di essersi affezionata a lui né tantomeno di volergli bene. Aveva pur sempre un nome da difendere.

Come immaginabile, però, il ragazzo non comprese. Il modo in cui stava guardando la compagna era di per sé sufficiente a spiegare il grado di confusione interna del povero serpreverde. 

"Santana, lo sai che ho solo un neutrone.." Provò ad argomentare Noah, ma fu subito fermato.

"Si chiamano neuroni, idiota, e potresti anche farli funzionare ogni tanto!" Sconsolata, con la consapevolezza di aver affidato il suo segreto ad un completo imbecille, Santana si lasciò cadere di peso sul divanetto della sala. 

Mentre la mora si massaggiava le tempie per trovare la calma necessaria per non pietrificare o schiantare l'amico, Puck si rimboccò le maniche e si diede da fare per comprendere ciò che la ragazza aveva voluto dire con quella frase. "Vedermi vivo.." borbottò formulando qualche ipotesi. 

Passarono diversi minuti, poi finalmente ebbe la rivelazione. "È perché sono un nato gabbano, giusto?! Cazzo San, non mi aspettavo una cosa del genere da te. Sei la mia migliore amica!" 

Questa volta fu il ragazzo a scattare in piedi. Si passò una mano sopra alla striscia di capelli che cominciava ad essere un po' troppo lunga, e continuò a borbottare su quanto fosse ingiusto criticare le persone in base ad una cosa tanto stupida quanto il sangue. "È vero, non ho una dinastia nobile alle spalle come la tua, anzi mio padre rubava le macchine per rivenderle e mia madre, beh, lei.. lasciamo perdere. Però non vuol dire!"

Santana aggrottò la fronte alle sue parole, non aveva idea di cosa fosse una macchina ma non le piaceva affatto il modo in cui il suo compagno si stava rivolgendo a lei. Sapeva anche lei, da qualche parte molto sepolta nella sua anima, che non fosse esattamente corretto giudicare le persone per il sangue, ma allo stesso tempo non poteva fare a meno di discriminare i ragazzini della scuola che non potevano vantarsi di avere nelle vene qualcosa di tanto puro e magico come lei. Per non parlare dei nemici dell'erede. Ciò che più la infastidiva in quel momento, tuttavia, fu il modo in cui il ragazzo aveva cominciato a sbraitarle contro. Se solo avesse saputo che avrebbe reagito così non avrebbe perso tempo a cercare una soluzione per mantenere Puck in vita nonostante la pulizia che avrebbero effettuato i componenti del nuovo ordine a cose fatte.

"Insomma, San, che cazzo, lo sai che.." 

"Adesso basta!" Stanca di sentirlo blaterare, la latina si alzò in piedi e portò la mano alla bacchetta. In men che non si dica il ragazzo aveva già la punta della bacchetta della mora che premeva contro il suo mento. "Stammi bene a sentire, Ghoul ritardato. Non so quale logica contorta tu stia seguendo ma ho detto che ti voglio vivo." Santana digrignò i denti e scandì bene l'ultima parola per assicurarsi che l'altro potesse comprenderla senza chiedere altre spiegazioni e tenendo sempre lo sguardo sui suoi occhi. "Se avessi voluto sbarazzarmi di te perché sei un nato babbano lo avrei già fatto, non trovi?"

Noah annuì più per paura di essere schiantato da un momento all'altro che per comunicare all'altra che aveva afferrato - specie perché non aveva ancora capito. La latina vide nei suoi occhi una buona dose di incertezza, motivo per cui  anziché lasciarlo andare, fece maggiore pressione con la bacchetta sotto al suo mento. "Adesso spiegami perché ho detto che non mi dispiacerebbe vederti vivo anche dopo il regno del nuovo ordine."

Il ragazzo aggrottò la fronte cercando di mantenere la calma, non aveva tanto timore neanche della strega a capo della loro casata, Sue Sylvester. Eppure le sue punizioni erano tutt'altro che piacevoli. In quel particolare frangente, tuttavia, la bacchetta di Santana e l'incredibile facilità con cui l'altra scattava come una molla su tutte le furie, rendevano la ragazzina ben più spaventosa della direttrice.

Pregò perché il suo cervello potesse creare qualcosa di abbastanza verosimile e appropriato, non voleva di certo passare la settimana in infermeria. 

"Perché..Santana, mi stai inchiodando la gola.." Provò il ragazzo, sperando di guadagnare un po' di tempo (magari qualche atro secondo da passare in totale coscienza).

"Puckerman, parla." Lo ammonì senza troppa pazienza. Strinse maggiormente le dita sul manico della bacchetta e ruotò lievemente il polso senza allentare la pressione.

Lui tossicchiò e dopo essersi schiarito la voce, riprovò. "Perché.. sono tuo amico?" 

"Me lo chiedi o me lo dici?" Domandò la ragazza con un ghigno in viso, dimenticando per qualche istante di essere 'minacciosa'.

"Te lo dico, perché i sentimenti e le relazioni ti confondono. Ma non è l'unica ragione!" Aggiunse con sicurezza, vedendo l'espressione della compagna diventare lentamente più seria e scettica contemporaneamente. Inarcò un sopracciglio, segno inconfondibile che nella loro lingua dei segni significava "vai avanti".

"È perché.. questi nuovi mangiamorte.. Sono un po' come quelli dei libri di storia. Insomma, la cosa del sangue.." Provò nuovamente Noah con un po' di incertezza, ricordando come pochi istanti prima la latina lo avesse aggredito per aver tirato fuori quella 'scusa'. Era ad ogni modo certo che  fosse quello il centro dell'argomento.

Quella volta Santana non fece storie e Puck lo prese come un buon segno, quindi continuò con quella che era la sua teoria-appena-elaborata.

"Farete piazza pulita." Santana trasalì a quel sarete. Sapeva di essere parte integrante dei nuovi mangiamorte ormai, ma non aveva ancora metabolizzato a pieno ciò che il suo ruolo comportasse realmente. Era vero, però, avrebbe dovuto uccidere delle persone. "Anche se personalmente credo sia più sensato colpire maggiormente i nemici del.. di .. beh, tu-sai-chi-non-devo-nominare." Continuò Noah, sperando di poter essere liberato al più presto. "Sono un nato gabbano, farete piazza pulita dei nati gabbani ma tu mi vuoi vivo!" Ricapitolò alla svelta, ormai al limite della sopportazione.

Con un sospiro, Santana lo lasciò andare. Se non altro aveva afferrato il nocciolo. Poi, come se avesse realizzato solo allora ciò che il suo cervello aveva prodotto, Puck si illuminò in viso e si lasciò andare ad un sorriso. "San, tu mi vuoi vivo! Vuol dire che qualsiasi cosa accada sarò.. Fatti abbracciare, brontolona!"

Santana fece in fretta ad allontanarsi da lui, saltò alla svelta alla poltrona dove poteva dirsi al riparo dalle manone dell'amico. "L'unica cosa che accadrà sarà che finalmente prenderemo il potere! E se continui così, sarai morto molto prima che gli attentati comincino!"

Noah non diede peso alle sue parole da tanto era felice. Nella sua mente, ciò che Santana gli aveva appena confessato, era che ormai lui stesso era diventato uno di loro. Ce l'aveva fatta, aveva convinto Santana delle sue capacità e si era meritato di vivere nonostante il suo status per ciò che sapeva fare. Una sola domanda gli frullava nella testa…

"San.." Cominciò, aggrottando nuovamente la fronte. Non aveva idea di cosa aspettarsi e il non sapere lo turbava abbastanza. "Hai detto che vuoi tenermi in vita. Come?"

Santana si rilassò dopo aver sentito la sua domanda, ripose la bacchetta nel fodero e certa di aver scampato il pericolo abbracci superò la poltrona per sedersi su un bracciolo. Poi portò lo sguardo altrove, sulla finestra. Nel mentre, si erano sistemati sopra al manto già esistente, almeno altri dieci centimetri di neve. 

"L'unico modo per tenerti al sicuro è cambiare forma. Senza contare che potrebbe tornare utile a tutti e tre avere un mascheramento efficace." Mormorò la latina in risposta, senza dare troppe attenzioni a ciò che stava uscendo dalle sue labbra. Ciò  che più la turbava in quel momento era il dover affrontare il giorno successivo la gita ad Hogsmeade con tutta quella neve. Le si sarebbe infilata sicuramente tra gli scarponi e i calzini. Rabbrividì solo al pensiero.

"Tutti e tre? Quindi anche Quinn si unirà a noi?" Domandò Puck, il quale invece era abbastanza preso dalla conversazione, specialmente perché riguardava lui in prima persona.

Santana annuì semplicemente, rimbeccandosi la divisa come se si trovasse già nel bel mezzo della bufera. Noah si andò a sedere sulla poltrona, rimanendo così letteralmente appiccicato alla latina. Si voltò verso il bracciolo  su cui sedeva la ragazza e posò le mani incrociate sulle sue gambe. "Di che si tratta San? Pozione polisucco?" 

La serpeverde contorse il viso in un'espressione a metà tra l'offesa e l'allibita, emettendo poi uno sbuffo d'aria per sottolineare quanto l'idea di Puck l'avesse schifata. "Ti pare che proporrei qualcosa di tanto scontato? E poi come credi che possa essere un camuffamento efficace?" 

Puck annuì, mormorando un hub, giusto. Santana sospirò e si voltò per poter guardare in viso l'amico. "Dobbiamo riuscire a diventare Animagi entro la fine dell'anno Puck."

"Cosa? Mi prendi per il culo? Non esiste Santana, non conosco nessuno che ci sia riuscito in meno di un anno e tu vorresti impiegarci quanto? Cinque mesi? Sei pazza." Il moicano la guardò come se avesse detto la cosa più assurda mai sentita e vedendosi già spacciato, si prese la fronte tra le mani.

"Certo che no, io ho iniziato a provarci molto prima e sento di essere incredibilmente vicina all'obbiettivo. Tu e Quinn dovrete riuscirci in cinque mesi." Puntualizzò la latina, non troppo toccata dal poco tempo a disposizione. 

"Cos-Non è divertente! Santana, mi conosci, ci ho messo un anno solo per imparare a far levitare un oggetto come credi che possa trasformarmi in un animale in così poco tempo?!" 

"Ce la farai se vorrai realmente restare vivo." Ribatté Santana senza tanto interesse. Poi, sentendo arrivare qualcuno, fece sventolare la bacchetta in aria per rimuovere l'incantesimo pronunciato quasi un'ora prima. In pochi istanti, la chioma bionda di Quinn Fabray apparse nella sala comune dei serpeverde. 

"Fabray, avevo giusto bisogno di te." La latina le fece segno di avvicinarsi a loro due.

Noah, nel mentre, aveva cominciato a disperarsi. Non sarebbe mai riuscito a diventare un animagus e non sarebbe neanche riuscito a tenere completamente segreta tutta quella faccenda. Santana, tuttavia, aveva già pensato a quell'evenienza. 

"Cosa avete combinato questa volta?" Domandò la bionda. Aveva trascorso meno di qualche secondo con loro e già ne aveva abbastanza.

"Puck ed io stiamo per pronunciare il voto infrangibile e tu devi farci da suggello." Spiegò la latina con tranquillità, alzandosi in piedi e ponendosi di fronte al nato babbano. "Alzati, Noah, non ho tutto il giorno."

Puck alzò un sopracciglio, le sorprese per lui quel giorno sembravano non finire mai. "E cosa sto per giurare, esattamente?" Domandò il ragazzo, facendo quanto gli aveva chiesto l'amica.

"Di non fare parola con nessuno di quanto ti ho appena raccontato." 

 

 

 

Hogwarts - Aprile

 

"Lopez, dietro!" La preoccupazione nella voce di Noah era piuttosto evidente. 

Santana si voltò repentinamente e quando vide il bolide venirle addosso non ebbe neanche il tempo di pensare, dovette agire d'istinto. Caricò tutto il peso sul lato sinistro, capovolgendosi completamente con la firebolt e restando a naso in su. Se solo avesse esitato per una frazione di secondo sarebbe stata disarcionata, avrebbe vinto una permanenza in infermeria che non poteva permettersi ed i serpeverde avrebbero dovuto dire addio al loro cercatore. 

Dalle tribune si alzò un "ooh" di apprensione e di spavento, mentre la voce di Jacon Ben Israel, il cronista, risuonò nello stadio per enunciare il gesto atletico della latina, che stava lottando per rimettersi a cavalcioni della scopa. 

"Bella chiamata, Puckerman." Lo ringraziò la mora, una volta tornata a suo agio sulla scopa volante. Poi si preoccupò personalmente di svegliare i cacciatori della squadra, per colpa della loro disattenzione aveva quasi rischiato di farsi staccare la testa dal collo da una palla di ferro. Dopo aver ripreso i suoi compagni, si mise con lo sguardo alla ricerca del boccino, rimuginando mentalmente sull'accaduto.

Non aveva bisogno di guardarsi attorno per capire chi fosse stato a battere il bolide in sua direzione, e il sorrisetto compiaciuto sulle labbra di Artie Abrams ne era la vivida conferma. Santana faticava ancora a capire come un ragazzino tanto mingherlino quanto lui potesse ricoprire quel ruolo nella squadra dei corvonero. 

La storia di quel ragazzo era stata una tra le più chiacchierate tra le mura del castello.

Nato babbano, proprio come Puckerman, all'età di nove anni qualcosa come un incidente stradale - in pochi sapevano realmente cosa fosse un incidente stradale, Santana era tra i tanti che ne ignoravano il significato - aveva costretto il giovane ad una sedia con le ruote. Apparentemente, aveva perso l'abilità di muovere le gambe. 

Il ragazzino fu più che sorpreso di ricevere la lettera per Hogwarts, posto che mai aveva sentito nominare e dalla dubbia esistenza, neanche internet diceva nulla a riguardo di una scuola di magia e stregoneria chiamata Hogwarts. Eppure, dopo pochi giorni, una maga con il cappello a punta e troppe rughe sul viso si presentò alla sua porta, scortata da un gufo. Spiegò la situazione ai suoi genitori, che impiegarono diversi giorni per metabolizzare la faccenda. Era abbastanza comprensibile, a dire di Artie, nessun babbano sano di mente crede all'esistenza di maghi veri e propri. Alla fine, comunque, la maga e i genitori di Abrams raggiunsero un compromesso. Se qualcuno del mondo magico fosse riuscito a restituire le gambe ad Artie, i due babbani avrebbero permesso al loro figlio di frequentare la scuola di magia e stregoneria di Hogwarts.

La vicepreside accettò senza batter ciglio, per gli stregoni le paralisi erano acqua passata. Figurarsi che le prime cure furono inventate già nel settecento. Una strega straordinaria, Evanora Redwood, capì che il problema non era nell'arto che non rispondeva più agli stimoli, ma nella memoria. Era come se il cervello dei maghi colpiti da paralisi dimenticasse come fare a comunicare con l'arto, dando come effetto collaterale la sgradevole situazione in cui era caduto anche Artie. Tutto ciò che fece per risolvere la situazione, fu creare una pozione che rimettesse in sesto la memoria dei pazienti.

Artie venne ricoverato per una settimana al San Mungo, dove con due pozioni al giorno e qualche cioccorana, riuscì a riprendere il controllo delle sue gambe.

Ai genitori sembrava un sogno, poter rivedere il loro bambino correre e giocare, spostarsi senza quella dannata sedia a rotelle che era diventata la tortura della famiglia era stato per loro l'unico desiderio da due anni a quella parte, mai si sarebbero immaginati di vederlo avverare.

Pieni di gratitudine, non esitarono un secondo in più, si fecero accompagnare da Hagrid a Diagon Alley dove comprarono libri, calderone e gufo al loro pargoletto felice ritrovato. 

Sul treno, Artie riuscì a farsi qualche amico. Arrivato ad Hogwarts, fu subito smistato dal cappello in Corvonero, dove venne accolto con dei calorosi applausi da parte dei nuovi compagni. 

Tra Artie e Santana l'antipatia nacque spontanea, al primo sguardo. Crebbe con gli anni, ma nessuno sapeva spiegarsi il perché di tanto odio reciproco. La latina liquidava la cosa dicendo che il ragazzino era semplicemente invidioso del fatto che una serpeverde potesse essere più intelligente di lui, ma le ragioni erano ben altre.

Per Santana sarebbe stato meglio se al corvonero non fosse mai arrivata la lettera. Ancora faticava a capire perché il preside mandasse inviti anche ai figli di babbani. Certo è che se non lo facesse, Santana non avrebbe avuto neanche il piacere di conoscere quel festaiolo di Noah Puckerman, diventato per lei come un fratello.

 

Decise di spostarsi dal campo per sistemarsi più vicino alle tribune, certa che in quella postazione avrebbe perlomeno evitato di fare da target alle due palle di ferro. 

Sospirò cercando di calmarsi, era l'ultima partita dei serpeverde e se volevano vincere il trofeo e portare qualche punto in più per il trofeo delle case, dovevano assolutamente vincere quel match. Nessun serpeverde voleva essere vittima delle ire di Sue Sylvester che un'ipotetica sconfitta avrebbe scatenato. Sfortunatamente per loro, i corvonero erano in vantaggio di quaranta punti e sembravano essere decisamente più reattivi dei verde-argento. Era come se i serpeverde non riuscissero a connettere. La maggior parte di loro erano stanchi e sfaticati, altri sfiancati in partenza dagli eccessivi allenamenti che il coach Tanaka gli imponeva di fare.

Santana si passò una mano tra i capelli mentre scrutava il campo da Quidditch alla ricerca del boccino d'oro. Michael Chang, il cercatore dei Corvonero, sembrava essere intento a fare la stessa cosa dall'altra parte del prato. 

La voce di Jacob rese noto a tutti che, finalmente, dieci punti erano stati assegnati a Serpeverde. Forse anche il portiere dei blu-argento cominciava ad essere stanco.

Quando Santana riportò lo sguardo sul campo, notò che Mike si era spostato. Localizzarlo non le prese molto tempo, ma le si formò un nodo alla gola quando vide che stava seguendo il boccino d'oro. Fulminea, si lanciò in picchiata con la firebolt e ringraziò mentalmente suo padre per aver fornito la squadra di scope tanto veloci. In un batter d'occhio fu dietro al ragazzo e solo allora si rese conto di quanto il corvonero fosse vicino al boccino. Santana decise di affiancarsi a lui, per poterlo spalleggiare nonostante l'evidente differenza fisica dei due. 

Se c'era una cosa che la latina aveva imparato durante i sette anni passati nei serpeverde, era che giocare sporco non è mai una cattiva idea. Così, la seconda volta, accompagnò la spallata con una gomitata dritta nel fianco sinistro del ragazzo.

"Ti vedo in affanno Chang." Lo schernì ironicamente quando il corvonero fu costretto a rallentare per portarsi una mano alle costole con il respiro corto per via del colpo. 

Santana ne approfittò per porsi davanti a lui, ma il boccino invertì rotta e volò in direzione delle torri all'esterno del campo. Ancora una volta, la serpeverde fu più veloce.

La sua squadra era debitrice più ai suoi riflessi e alla sua prontezza che a lei di per sé. Mike fece il possibile per starle dietro e ad un tratto cominciò a rallentare. Aveva preso a procedere ad una velocità non troppo elevata che sembrava addirittura essere calcolata.

Ma Santana non se ne accorse, presa com'era dalla caccia al boccino. Si sistemò meglio sul manico della scopa e non si accorse neanche del colpo della mazza di Artie contro il bolide, che questa volta le colpì la punta del manico. La scopa fece un giro di trecentosessanta gradi non appena la palla di ferro ruppe la punta del manico della firebolt. Il colpo improvviso e violento mischiato all'alta velocità con cui stava volando la ragazze, le fece perdere l'equilibrio e quella volta non poté fare nulla per restare a cavalcioni della scopa.

Riuscì tuttavia a tenersi aggrappata con la mano sinistra al manico, senza avere la più pallida idea di come avrebbe fatto a rimettersi sulla firebolt ed inseguire il boccino. 

Michael si accostò a lei, indossando quello che aveva tutta l'aria di essere un ghigno compiaciuto tipico di coloro che ottengono la tanto attesa vendetta. "Io invece ti vedo in infermeria, Lop…ez." 

Santana non comprese immediatamente perché Mike avesse tentennato sulla chiusura della frase, accecata com'era dalla rabbia e dalla voglia di prenderlo a pluffe sulla schiena. Senza contare poi che stava davvero rischiando di cadere a oltre dieci metri d'altezza. L'unica cosa a tenerla in aria era la sua mano sinistra e dal modo in cui Mike stava osservando il suo avambraccio, le sembrò quasi che stesse architettando un piano per farle mollare la presa. 

I secondi passarono veloci ed il boccino schizzò via, ma Mike non dava segni di volerlo inseguire. Era rimasto come pietrificato, le sopracciglia increspate in direzione del braccio della mora, e fu allora che Santana mise assieme i pezzi del puzzle.

Appesa com'era alla scopa, la manica della divisa le era scivolata verso la spalla, rivelando buona parte del braccio sinistro. In quel momento, Santana maledisse la divisa estiva, che dotava i cercatori solo dei guanti in pelle che arrivavano a coprire poco più del polso. Le bastò uno sguardo con il corvonero per capire cosa avesse visto il ragazzo. Improvvisamente, il fatto che stesse penzolando a dieci metri d'altezza non sembrava essere più tanto spavento, non in confronto a ciò che sarebbe potuto accadere se il ragazzo avesse deciso di spifferare quanto appena visto.

Santana studiò alla veloce le proprie possibilità. Non poteva stregarlo in quel momento, sarebbe stato troppo stupido e probabilmente l'avrebbe messa nei guai. Allo stesso tempo, non poteva permettersi di lasciare andare Mike con il suo segreto come non poteva permettersi di cadere e finire in infermeria, perché avrebbe dovuto scoprire il braccio e allora tutti avrebbero scoperto la verità. 

Fece uno sforzo e si aggrappò anche con la mano destra al manico, poi tentò di tirarsi su in ogni modo. Tra i due mali, optò per quello minore. 

"Confundus!" Pronunciò distintamente, pur sapendo degli occhi puntati su di loro. Poi, sapendo di avere il tempo limitato, Santana riuscì a mettersi nuovamente in sella alla firebolt, tra i fischi del pubblico e le urla di gioia degli spettatori serpeverde. Jacob, nel frattempo, sembrava essere più interessato all'impresa impossibile di Santana che alla telecronaca della partita  e se da un lato alla latina tutte quelle attenzioni facevano piacere, dall'altro in quel momento avrebbe preferito essere in uno stanzino buio dove nessuno avrebbe potuto intravedere il segno sul suo avambraccio. 

"Abrams, me la paghi!" Ringhiò inferocita, si sistemò meglio la manica e dopo essersi scambiata uno sguardo con Mike si lanciò all'inseguimento del boccino d'oro.

Mike scosse il capo e aggrottò la fronte, domandandosi cosa fosse appena successo e perché non stesse rincorrendo il boccino in modo simile a quello della latina.  Qualcosa di tutto ciò non gli tornava, era possibile che avesse avuto un black-out proprio durante la partita? Si portò una mano alla tempia che pulsava in modo strano e dopo aver riacquistato un po' di orientamento e senso di causa, aggiustò la presa sul manico della firebolt e si rimise in volo. Si lanciò all'inseguimento disperato della cercatrice serpeverde, ma fu tardi. Santana era volata dietro agli anelli dei Corvonero e stringeva vittoriosa, tra le dita della mano destra, il boccino d'oro.

 

 

Hogwarts - Giugno

 

 

"No ragazze, ferme, io non me la sento." Noah si frappose tra Quinn e Santana, portandosi disperatamente le mani tra i capelli che aveva lasciato crescere durante l'anno.

Santana, scocciata, roteò gli occhi, lasciando che fosse l'amica ad occuparsi della faccenda. La bionda, però, non disse nulla, si limitò ad incrociare le braccia al petto e ad osservare Puck con un sopracciglio inarcato.

"Davvero, non sono abbastanza pronto. Già gli esami finali quest'anno mi hanno distrutto, non ho avuto tempo per esercitarmi, non lo so fare!" 

Santana scoppiò a ridere. Le sembrava esilarante vedere un omaccione imponente come lui frignare. Quinn invece, che aveva avuto lo stesso tempo dell'amico per riuscire a trasformarsi in un animagus e che quindi comprendeva il disagio e la paura del compagno, non riuscì a farsi beffa dell'amico. Mise da parte l'aria da dura e ripose la bacchetta nel fodero. Si affiancò al ragazzo e gli posò una mano sulla spalla che fece scivolare lentamente lungo la sua schiena per accarezzarlo, sperando che un po' di contatto umano potesse calmarlo. "Lo so, Noah, ma non abbiamo altre possibilità. Non c'è più tempo." Provò a farlo ragionare, senza mai smettere di strofinargli la schiena.

A dire di Santana, l'organizzazione avrebbe colpito da lì a pochi giorni. Avevano le ore contate, il mondo sarebbe sprofondato nel caos entro poche albe. Nessuno dei tre si sentiva realmente pronto, ne avevano parlato per così tanto tempo che il piano folle dei nuovi mangiamorte sembrava essere diventato più una leggenda, una fantasticheria, piuttosto che la realtà.

"Ma se qualcosa andasse storto durante la trasformazione?" Domandò titubante il ragazzo,  con le mani aperte a coprire il viso.

"Siamo nella stanza delle necessità, saprà lei di cosa avremo bisogno se dovesse andare storto qualcosa. Ma non succederà nulla, andrà tutto per il meglio. Vero, Santana?" Neanche Quinn era così certa delle sue parole. Dimostrarsi forti stava diventando sempre più difficile da quando il padre della sua amica le aveva impresso contro il suo volere quell'orrendo simbolo sull'avambraccio. Era certa che in futuro, se ancora poteva dire di averne uno, ne avrebbe pagato le conseguenze.

"Se qualcosa dovesse andarti storto Puckerman, non sarebbe altro che una fortuna per te. Moriresti risparmiandoti infinite torture." Spiegò pacatamente la latina, come se stesse parlando di una formica. 

Sia il modicano che la bionda squadrarono la serpeverde ad occhi sgranati, si erano accorti del cambiamento di Santana durante gli ultimi sei mesi, ma nessuno dei due si era realmente reso conto di quanto fosse cambiata. Evidentemente, l'organizzazione le aveva fatto un lavaggio del cervello.

Trovandosi a disagio in quell'imbarazzante silenzio, Santana alzò nuovamente gli occhi al cielo e prese la sua bacchetta. "Oh, per Salazar, facciamola finita. Mi trasformo prima io, poi voi due. E non tollero imprevisti." Chiarì, rivolta ai due. Aveva ancora il timore che uno dei due si potesse tirare indietro all'ultimo secondo o combinare un vero pasticcio. 

"Sei sicura che ci sia abbastanza spazio?" La interruppe Puck, che si era lentamente rassegnato all'idea di dover provare almeno a trasformarsi. Non sapeva esattamente cosa aspettarsi, sapeva che non fosse possibile scegliere l'animale in cui trasformarsi ma allo stesso tempo sperava potesse essere qualcosa di tanto figo quanto il suo patronus. 

Per tutta risposta, Santana increspò la fronte e sbuffò. "Questa stanza è immensa, Puckerman, smettila di fare il cagasotto e lasciami provare." 

Noah alzò le mani in alto in segno di resa e le fece segno di continuare. 

Santana guardò per un'ultima volta i due serpeverde di fronte a lei fare due passi indietro, poi socchiuse gli occhi alla ricerca della concentrazione necessaria per trovare la sua natura.

"È solo che molte persone si trasformano nello stesso animale che gli fa da patronus e se tu dovessi trasformarti in un drago nero delle ebridi sarebb-"

"Puck!" La latina riaprì gli occhi e marciò verso il ragazzo, decisa ad impartirgli una lezione. Quinn fu più veloce nel frapporsi tra i due e tirare fuori la bacchetta.

"Non ha tutti i torti Santana, e se avesse ragione sai anche tu che questa stanza non raggiunge i nove metri."

Santana guardò inorridita la bacchetta dell'amica puntata dritta verso il proprio petto. Scosse il capo e capì che ribattere avrebbe solo tirato per le lunghe quella che doveva essere una faccenda da sbrigare in meno di mezz'ora. Si limitò quindi a mettere in guardia la bionda. "Fallo stare zitto o giuro che non avrà neanche il tempo di immaginare la sua forma animale!"

Quinn roteò gli occhi e spiegò pacatamente a Noah quanto fosse importante non fare rumore e permettere a quell'arpia della latina di concentrarsi.

Santana sentì i commenti poco carini della bionda, ma decise di non dargli troppo peso. Si allontanò dai due e dopo aver chiuso gli occhi riprovò. 

Passarono due minuti in assoluto silenzio senza che non succedesse nulla, poi lentamente, il cambiamento fu evidente.

I lunghi capelli neri di Santana cominciarono ad accorciarsi, la sua schiena si fece ricurva, il suo viso si fece sporgente ed in poco tempo la ragazza era sparita. 

La prima a rompere il silenzio fu Quinn. "Un lupo. Fai tanto cliché, Santana." La ragazza scosse il capo per avvicinarsi alla creatura pelosa che stava studiando il proprio nuovo corpo con molto interesse, tanto che non si accorse della vicinanza con la serpeverde finché le dita piccole e fredde di Quinn le si posarono sul capo.

"Un drago sarebbe stato più bello." Borbottò Puck un po' deluso, avvicinandosi alle due. " Vuol dire che non sarò un toro?" Domandò rivolto a Quinn, vedendo le speranze di trasformarsi nel suo patronus andare a poco a poco in frantumi.

"Non lo sappiamo con certezza, ma sarebbe un bene per te se fosse qualcosa di diverso da un toro. Non è semplice nasconderne uno." Rispose gentilmente la bionda, mentre studiava con lo sguardo la forma animale di Santana. A parte il colore insolito, non sembrava essere tanto diversa da un qualsiasi altro lupo. Poi le differenze vennero fuori tutte assieme. Il pelo della criniera più lungo del normale, gli occhi insolitamente scuri - era certa che Hagrid avesse detto che i lupi dal manto scuro avessero occhi gialli o azzurri, quelli di Santana erano neri da far paura. Quinn fu sul punto di alzare il labbro all'animale per scoprire se anche i denti potessero avere qualche particolarità, ma non ebbe tempo di verificare. Santana era tornata alle sue naturali sembianze. 

La latina fece un passo indietro per distaccarsi e si portò una mano sul fianco mentre con il fittone, cercò di riprendere fiato. "Cliché.. tua sorella." Borbottò a fatica, tra un respiro e l'altro.

Quinn sorrise, incrociando le braccia. "Solitaria, per certi versi intelligente, fedele alle gerarchie, legata alla famiglia e al branco.." Pronunciò l'ultima parola con un sano disprezzo. Santana se ne accorse subito anche se non capì esattamente a cosa facesse riferimento. Non sapeva neanche se prendere quella piccola descrizione come un complimento o come un insulto.

"Cosa vuoi dire?"

La bionda fece schioccare le labbra ed alzò una spalla, rispondendole con un'ovvietà tanto palese da risultare ostile. "Il mangiamorte alfa. È quello che è tuo padre ed è ciò che sarai tu." 

Santana dischiuse le labbra per ribattere, ma la stanchezza ebbe la meglio. Quinn ne approfittò per cambiare argomento, se solo avesse continuato ad insultare la famiglia di Santana e la latina stessa, non avrebbe avuto modo di trasformarsi tutt'intera. "C'è solo un aspetto che non mi torna. I lupi sono estremamente fedeli, quando scelgono un compagno è per tutta la vita. Non posso dire lo stesso delle tue avventure da una settimana." 

"Ehi, io sono durato più di una settimana!" Puck si intromise nella discussione, andando poi al fianco di Santana per darle un sostegno. La ragazza si stava riprendendo lentamente, ma Noah non avrebbe mai rinunciato a mettere le mani sul corpo della mora. Santana lasciò che il ragazzo le stringesse i fianchi con un braccio e si appoggiò a lui interamente. "Hai una bella parlantina, Fabray. Compensa la tua incapacità a trasformarsi?" 

Quinn prese lo sguardo che si scambiarono come una sfida, aveva appena trovato un motivo in più per scoprire di  avere o meno la stoffa da animagus. Dopo aver borbottato un "ti faccio vedere io", chiuse gli occhi e raccolse la concentrazione.

Dopo cinque minuti di attesa, la latina era sul punto di scoppiare in una risata di scherno. Aspettò ancora un paio di secondi e fu allora che Quinn stupì tutto quanti.

La sua figura si rimpicciolì e al posto della ragazza bionda comparì un'aquila dal piumaggio splendido. I due serpeverde si guardano a metà tra l'essere esterrefatti e l'essere stupiti, di tutti gli animali mai avrebbero pensato ad un pennuto per lei. Santana si sarebbe giocata il calderone che la bionda sarebbe diventata un gatto o una volpe. Magari un serpente.

Quinn emise un grido per catalizzare nuovamente l'attenzione, Santana e Puck dovettero portarsi le mani sulle orecchie tanto stridulo fu quel verso. Non ebbero tempo di capire cosa stesse passando per la testa della ragazza che questa stava già provando il suo nuovo paio d'ali. Svolazzò più o meno fieramente lungo il perimetro della stanza, mettendo in mostra la sua ampia apertura alare e la sua abilità - a dire di Santana, ancora da migliorare - nel volo. I particolari più spiccanti, ciò che dopo un'osservazione prolungata l'avrebbero tradita, erano gli occhi verdi e le penne del capo più tendenti al giallo che al bianco. 

L'animale si gettò in picchiata sulle teste dei due ragazzi, Santana fu troppo lenta nel tirar su il cappuccio della divisa perché il becco dell'aquila arrivò prima ad una sua ciocca di capelli. 

"Maledetta bastarda, ti sistemo io!" Brontolò la mora, portando la mano alla bacchetta. Sembrava aver ripreso tutte le forze in un attimo dopo quella tirata di capelli che aveva fatto sbellicare dal ridere Puck.

Quinn si allontanò il più possibile con un colpo d'ali ed emise nuovamente quel grido stridulo, che già sembrava rinvigorito. 

"Stupef-"

"San, la uccidi!" Il serpeverde dovette far presto ritorno alla serietà per salvare le piume a Quinn. Gettò immediatamente le mani attorno al polso sinistro di Santana e spinse il suo braccio il più lontano possibile dall'animale svolazzante, cercando di dirottare alla meglio gli incantesimi che imperterriti continuavano ad uscire dalla sua bacchetta. 

"Lo farei se mi lasciassi andare, togliti di mezzo Noah!" Protestò la mora, continuando testardamente a scagliare incantesimi contro le pareti della stanza. Si sentì l'ennesimo verso di scherno da parte dell'aquila.

"Quinn, non ti ci mettere anche tu!" Piagnucolò il moicano, alzando gli occhi verso l'uccello per far vedere anche a Quinn quanto fosse disperato.

Santana approfittò di quel momento di distrazione per scrollarsi di dosso il ragazzo e sgattaiolare sotto alle sue braccia. "Cos-Santana!"

Noah non ebbe tempo di riprenderla che già la latina aveva la bacchetta issata in aria. La sua mano seguì per qualche secondo il moto dell'uccello, poi una luce chiara fuoriuscì dal legno affusolato.  

In corrispondenza dell'animale si levò una piccola nuvoletta di fumo dalla quale fuoriuscì Quinn, con il suo aspetto normale. La ragazza cadde a terra, ma venne prontamente intercettata da Puck, che aveva nel frattempo estratto la bacchetta ed arrestato la caduta libera della serpeverde. 

"Allora qualcosa la impari anche tu." Commentò ironica Santana, fiera della propria vittoria. 

"Volevi che mi rompessi una gamba, Satana?!" Quinn marciò come una furia in direzione della mora, che in risposta alzò le spalle.

"Avresti preferito il naso, di nuovo?"

"Ragazze potreste non uccidervi per il momento? Voglio scoprire cosa sono!" Puck si intromise nuovamente per calmare le acque, ultimamente le due ragazze erano nervose all'inverosimile.

"Possiamo ritardare la sepoltura di Quinn, sì." Accettò Santana, facendogli segno con la mano di accomodarsi pure a centro stanza per provare a trasformarsi. 

Quinn sbuffò, decise però di lasciar perdere le battute della latina e fece un sorriso incoraggiante al ragazzo, che sembrava aver ripreso tutto il nervosismo lasciato in disparte fino ad allora.

"Ok.." Mormorò a se stesso, passandosi una mano sul viso  e prendendo un grosso respiro.

Contrariamente alle attese di tutti, fu quello che ci mise meno tempo. Non appena diventò un animale, Santana sbiancò. Quinn, al suo fianco, ebbe una reazione molto simile.

Le due si guardarono negli occhi per qualche istante prima di ritornare con lo sguardo verso il quadrupede dinnanzi a loro. 

Santana deglutì rumorosamente, sentendo il pavimento farsi meno sotto i suoi piedi. Avevano lavorato così a lungo per niente. 

"Come cazzo faccio a far passare una cosa del genere inosservata.." Mormorò incerta, a metà tra una domanda ed un'affermazione. Di tutti gli animali esistenti al mondo… Avrebbe quasi preferito il toro.

Quinn dischiuse le labbra per rispondere, ma prima che la sua voce potesse farsi largo nella stanza, un dolore lancinante si impossessò del suo avambraccio sinistro. 

Sembrò capitare la stessa cosa a Santana, perché anche lei imitò il gesto della bionda, prendendosi il braccio nella mano destra e portandolo verso il petto. I loro visi trasfigurati da un'espressione di pura sofferenza.

Puck fu svelto nel ritornare in forma umana, il suo fiato si fece corto non tanto per la fatica quanto per la paura. Non dovette chiedere informazioni per capire cosa stesse succedendo. 

 

Era arrivato il momento, quello era l'inizio della fine. 






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So che sembra essere slegata dai primi capitoli, ma non è così. 
Come si suol dire, chi vivrà vedrà. ;)

-TGS

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5


Da qualche settimana, circolavano strane voci a Lilburrow. Voci provenienti da fonti sicure. Da quando persino i media divennero meno affidabili– per non dire completamente–, le informazioni avevano fatto ritorno al vecchio modo di viaggiare. Niente che avesse a che vedere con gufi, no.

L'antica gerarchia era stata ristabilita. Nessuno dava qualcosa per certo se non proveniva direttamente dalla bocca di un anziano del paese. Questi poi, a loro volta, facevano affidamento agli ancor più datati "saggi", le tre pietre miliari della città, che, di tanto in tanto, ancora si riunivano nella piccola taverna di Mrs. Edel per fumare la pipa e parlare dei cari bei tempi che furono. Questo, s'intende, solo nelle ore sicure, quelle in cui era permesso gironzolare per le vie deserte del paese, le ore non toccate dal coprifuoco che, per sicurezza o per pura formalità, il sindaco della cittadina aveva deciso di imporre.

La maggior parte degli abitanti, tuttavia, riteneva di poco uso quella sua premura perché da qualche tempo, i Mangiamorte avevano preso a fare agguati anche sotto alla luce del sole timido d'Inghilterra. I giorni in cui le forze del male potevano essere ricondotte e relegate esclusivamente alle tenebre erano purtroppo giunti al termine. 

Tra tutto il fumo proveniente dalle pipe che sembravano ormai essere protuberanze legnose naturali e facenti parte dei visi dei tre saggi, Lehanne Fetch, Jehoida Goosebump e Leofric Hows, capitava poi, che si nascondessero parole rivelatrici. Non era raro, infatti, scorgere in quei loro discorsi fitti ed animati, previsioni del cupo futuro che, a loro dire, attendeva molte generazioni di maghi. Nessuno osava contraddirli, d'altro canto  doveva pur esserci un motivo dietro all'incredibile resistenza di quei tre personaggi raggrinziti che erano sopravvissuti a tutte le guerre magiche avvenute dalla fine dell'ottocento ad allora.

"Ho ricevuto il gufo di Amos, questa mattina. O per meglio dire, il gufo che fu di Amos, perché dopo avermi consegnato il suo messaggio quella bestiaccia ha deciso di stramazzare sulla mia poltrona." Brontolò un pomeriggio il più anziano dei tre.

"Sarà la stessa fine che farai tu, 'Hoid, uno di questi giorni. Sia maledetto il tuo vizio di poltrire in soggiorno." Lo canzonò immediatamente la sua compagna, Medora, riscuotendo qualche risatina di assenso. Nessuno aveva mai compreso se quei due si fossero mai realmente sposati, nessuna fede compariva alle loro dita e nessun cittadino aveva preso parte a niente che assomigliasse ad una cerimonia dei due. Di certo, però, sembravano a tutti gli effetti una coppia di coniugi ben consolidata.Non c'era alcun dubbio invece, sul fatto che i due condividessero lo stesso tetto da tantissimi inverni.

"E sarà la stessa fine che farai tu, ti dico, se non mi fai finire di parlare!" Borbottò Jehoida, già rosso in faccia. Si sistemò il lungo cappello a punta sul capo e dopo essersi passato una mano tra la barba, come per assicurarsi che non fosse caduta ma che bensì fosse ancora attaccata alla sua pelle raggrinzita, continuò. "Dicevo?"

"Il gufo di Amos."  Suggerì pazientemente la donna più anziana del villaggio.

"Oh, il gufo, giusto. Grazie, Lea. Il gufo. Beh, sì, il gufo è morto sulla mia poltrona."

"Che ti prenda un bolide, Goosebump!" Intervenì prontamente la terza figura. "Il messaggio del gufo, per Merlino! Cosa diceva il messaggio di Amos?" La voce del più giovane dei tre saggi, quello che agli occhi degli altri due era rimasto il giovane impulsivo e testardo che era stato in adolescenza, tuonò roca e spazientita. Alle volte Leofric Hows si domandava perché si ostinasse a frequentare ancora quei due vecchi rimbambiti. 

"Dagli tempo, Leofric, ci stava arrivando." Lehanne, con il solito tono pacato che sembrava essere costantemente imperturbabile, provò a calmare gli animi dei due quasi-coetanei. Nel mentre, una folla di curiosi tendeva le orecchie alla conversazione dei tre saggi, ansiosi di scoprire cosa il futuro avesse in serbo per loro.

Jehoida si accorse del suo nuovo pubblico e non perse l'occasione per dare sfoggio alle sue maestose capacità d'interpretazione e recitazione. Increspò la fronte, sulla quale si formarono tante piccole rughe talmente profonde da sembrare quasi piaghe, e quando fu certo di avere la più totale attenzione, rese noto quanto aveva appreso quella stessa mattina. 

"I bastardi hanno preso anche Tutshill. Rasa al suolo, completamente." Il vecchio si assicurò che tutti avessero sentito le sue parole e, per chiarire ogni dubbio, fece segno di piazza pulita con le mani. Poi continuò. "Non c'è neanche più un edificio in piedi, non hanno fatto rimanere traccia neanche dei mattoni. Il povero Amos si è smaterializzato non appena ha sentito l'esplosione."

I tre scossero il capo desolati e presero atto dell'accaduto mentre una serie di "per la miseria" e simili, accompagnati da diversi "ohh", riempivano il locale di Mrs. Edel. 

"Poveri noi, dopo una vita di fatiche si arriva al tramonto degli anni senza casa e senza un gufo. Nei boschi." Commentò amareggiata l'unica donna, Lehanne. Sembrava essere turbata maggiormente dalla perdita dell'animale piuttosto che dal fatto che un'intera cittadina fosse stata rasa al suolo dai Mangiamorte.

Si creò un gran vociare, i pensieri confusi dei presenti furono lasciati liberi all'interno della taverna. Poi, qualcuno, parlò, e nel farlo sovrastò le parole dei compaesani. Una nota di puro terrore era contenuta nella voce stridula che si fece spazio. "Ma Tutshill non è che a sei giorni di cammino da qua!" 

Tutti i presenti sembrarono rendersene conto solo allora. In quattro e quattr'otto, si seminò il panico nella taverna, tanto che per riportare un po' di pace la proprietaria dovette portare la bacchetta alla gola ed urlare "SILENZIO!", un ordine che non ammetteva repliche.

"Ti confondi con Rubpill, Wenckle."Docile e pacata, con la sua solita gentilezza tanto calda da sciogliere il cuore, Lehanne parlò dopo secondi di silenzio che parvero infiniti.

"Tutshill non è poi così lontana, però." Ragionò Jehoida, troppo pessimista d'animo per ignorare quella possibilità e farsi scappare un'occasione simile per intimorire gli animi dei compaesani. Qualcuno doveva pur mettere un po' di buon senso in quelle zucche o non sarebbero mai cresciuti, poco importava che le persone a cui si riferisse avevano un'età media di ottant'anni. Per lui, erano ragazzini.

"Arriveranno anche da noi, prima o poi. È solo una questione di tempo!"

"Ma cosa potrebbero volere da un paesino come il nostro? Non abbiamo grandi segreti, noi!" 

"Una città vale l'altra, radere al suolo case è un ottimo modo di creare scompiglio, Oprha!"

"Ci uccideranno tutti!"

"Non tutti, no, i purosangue sono al sicuro!"

"I purosangue hanno smesso di essere al sicuro da quando quelle maschere hanno preso il Governo."

"È una questione di tempo, vi dico, arriveranno anche da noi."

Ciò che venne detto quel pomeriggio, fu subito riportato alle pettegole del paese ed in meno di ventiquattr'ore, la notizia era ben nota in ogni casa. 

Così, molti smisero di circolare liberamente per il paese. La maggior parte dei maghi mettva la barba fuori dal passetto della porta solo per fare le commissioni indispensabili al sostentamento. Non si sapeva quando, ma si aveva la certezza matematica che sarebbero arrivati, proprio come avevano fatto con il resto della nazione.

Era stato un processo lungo e molti maghi valorosi avevano perso la vita per evitare che il sogno malato di un centinaio di persone si imponesse sul quieto vivere di uno Stato creatosi a fatica dopo la sconfitta del Signore Oscuro. I valorosi combattenti, però, non ebbero successo.

La battaglia durò anni ed in un primo momento sembrò possibile sventare la minaccia incombente. Sfortunatamente, in quegli stessi anni, crebbe il consenso del nuovo ordine di Mangiamorte tra giovani maghi dagli ideali sbagliati che non vedevano l'ora di far valere quanto appreso dai genitori o sui banchi di scuola, sfoggiando le loro capacità fattucchiere. Molte famiglie che fino a quel momento si credevano morte, tornarono alla luce. Con numerosi ed inferociti nuovi e vecchi sostenitori, l'esercito di maschere e mantelli neri crebbe a dismisura. Come da accordi, le creature magiche si unirono – non per loro iniziativa– alla causa delle forze oscure ed il passo per la vittoria, allora, fu breve.

Ciò che segnò nella pratica l'avvento del nuovo Governo, fu quanto avvenne la notte del 12 Febbraio 2018. Due giorni prima, i mantelli neri annunciarono di aver catturato Harry Potter. Inizialmente, nessuno volle credere a quella notizia. Non era possibile che il mago più famoso e più potente dei tempi moderni, il quale era sopravvissuto più e più volte agli attacchi del Signore Oscuro, fosse stato sconfitto dai nuovi mangiamorte. Per tacere ogni dubbio una volta per tutte, i mantelli neri decisero di giustiziare pubblicamente Harry Potter e due dei suoi figli, quelli che al momento della cattura del mago si trovavano con il padre. Per permettere un tale evento, le forze a difesa di piazza Morgana, l'immensa piazza della capitale, furono triplicate. Sebbene si pensasse che non esistesse più un vero e proprio Ordine della Fenice, i Mangiamorte erano certi che, anche se decimati, gli amici del maghetto difficilmente avrebbero lasciato che una cosa simile accadesse al loro leader senza provare di salvargli la vita per un'ultima volta.

La notte del dodici febbraio, i tre uomini condannati sfilarono un'ultima volta davanti agli occhi dei maghi oscuri che avrebbero preso senza pietà le loro vite. Il volto del mago più grande era irriconoscibile, sformato com'era dalle ore di torture che dovevano aver preceduto l'ora della sua esecuzione. L'esaltazione del momento, tuttavia, mise a tacere i pensieri di chiunque potesse ancora avere il dubbio di non avere Potter per le mani. Furono condannati al rogo, perché dei loro corpi non restassero nemmeno le ceneri.

Sebbene nessun Mangiamorte ebbe mai la certezza matematica di aver ucciso Harry Potter, i fatti e la logica erano dalla loro parte. 

Dopo quella notte, la speranza di poter mantenere la pace e la felicità nel Paese sparì. 

Seguì un periodo di calma apparente, i maghi sopravvissuti erano troppo atterriti per riprendere in mano le bacchette e alzarsi nuovamente in una lotta a qualcosa di infinitamente più grande di loro. I Mangiamorte approfittarono della situazione per creare il loro regno di follia. Dapprima, piantarono le radici nel Governo, dove crebbero folte e forti grazie alla mancanza di una vera opposizione. Dopo essersi assicurati di avere un fulcro stabile e resistente, cercarono di intrufolarsi anonimamente in ogni aspetto della vita quotidiana dei maghi d'Inghilterra, in modo analogo a quanto avrebbe fatto un parassita, che inizialmente non dà segni di vita ma che di punto in bianco, scatena l'inferno nel corpo ospite.  

Non passò molto prima che mettessero le loro grinfie sui media: venne data a ciascuna testata giornalistica la possibilità di scegliere tra una conversione– e quindi un conseguente costante elogio dell'operato del nuovo Governo sulle copie del giornale del giorno – e la distruzione della casa editoriale. Come immaginabile, molti giornali vennero censurati ed i loro proprietari e collaboratori vennero uccisi. In contemporanea fu creata al Governo una commissione che si occupasse solamente della propaganda, nella sua forma più sublime. Slogan ad effetto, messaggi ricorrenti alla radio e manifesti animati semplici da memorizzare e tenere a mente. Principalmente, i manifesti ritraevano il volto del nuovo regno, Luis Lopez, alle volte raffigurato assieme alla donna più spregevole che il Mondo avesse mai visto, nonché sua figlia.

Per plasmare le giovani menti dei maghi ancora troppo piccoli per poter distinguere il bene dal male, fu poi creata un Ministero, detto "Della Cultura Popolare Magica". Era fondamentale avere un organo che potesse gestire e modificare oltre al passato storico del mondo magico, anche il futuro. Successivamente, l'organo cominciò anche a programmare eventi per gestire il tempo libero dei maghi purosangue. Gufi neri come la pece distribuivano inviti ad ogni famiglia purosangue che aveva l'obbligo di partecipare di volta in volta.

Ancor prima, però, per dare ai maghi d'Inghilterra l'illusione di avere ancora un briciolo di potere e di influenza sulla vita politica del paese, vennero indette immediatamente delle elezioni per eleggere la Corte che avrebbe creato il nuovo programma del Governo e la nuova Costituzione Magica. Venne tuttavia negato il diritto di voto ai mezzosangue e ai nati-babbani. Anche tra i purosangue, però, ci furono delle restrizioni: solo coloro che possedevano più di cinquecentomila Galeoni, tra proprietà e fondi bancari, potevano avere accesso ai seggi. 

Con una tale restrizione della massa votante, i Mangiamorte ebbero la certezza di poter ottenere la maggioranza per vie legali. Vi era una piccola minoranza di maghi purosangue nell'Assemblea Costituente, che lottò con le unghie per difendere i diritti di tutte le creature magiche - soprattutto quelli dei mezzosangue, dei nati babbani e dei maghinò- , diritti che i Mangiamorte volevano invece eliminare.

Sebbene la minoranza fosse composta da meno di una decina di membri, i mantelli neri decisero di sopprimere le richieste dei maghi nel modo più tranquillo e silenzioso possibile. Per far sembrare al popolo che il loro cambio di idea fosse "naturale", questi furono prima stregati e convinti a schierarsi dalla parte dei Mangiamorte, lasciando perciò perdere i diritti delle categorie inferiori di maghi. Anche così, però si alzarono proteste che vennero spente nel sangue. Una volta placate le proteste, i maghi dell'opposizione vennero imprigionati nelle segrete del Ministero dove furono tenuti sotto la costante minaccia di un trasferimento ad Azkaban. Non furono così fortunati da spendere la fine dei loro giorni nel carcere di massima sicurezza, però. Furono tutti giustiziati prima del loro spostamento, segretamente, e sostituiti alla Corte Costituente da altri membri facenti parte dell'ordine delle forze oscure.

Se da una parte il malcontento non fece che crescere, dall'altra i Mangiamorte non fecero che aumentare il loro potere. Fu rafforzato ulteriormente l'esercito, che si sarebbe occupato di sedare di volta in volta i moti rivoluzionari, mentre venne creato un ordine particolare di sicurezza che si sarebbe invece impegnato per far rispettare le nuove leggi: il D.A.M.M. . 

Le milizie del DAMM, in realtà, divennero attive solo recentemente, in seguito all'approvazione, alla pubblicazione ed alla messa in vigore delle leggi. Esse rastrellarono dapprima la capitale del nuovo impero magico ed in seguito passarono di città in città espandendo a macchia d'olio la follia del Governo creatosi. 

Fu subito chiaro a tutti quale fosse il vero compito del DAMM: una caccia disperata ai nati-babbani ed ai mezzosangue. Raramente venivano fatti prigionieri, più spesso venivano giustiziati sul momento. 

Ultimamente, tuttavia, si diceva che il Governo fosse a corto di giovani braccia lavoratrici da sfruttare e che proprio per quel motivo i Mangiamorte avessero cominciato a mantenere in vita i mezzosangue, più sopportabili e meritevoli – a loro dire– dei nati babbani, per i quali l'unica cosa certa era la morte.  

 

Lilburrow era sempre stata una cittadina tranquilla. Se non fosse stato per i gufi neri del Governo che di tanto in tanto sorvolavano i cieli del villaggio, gli abitanti del paese si sarebbero potuti lasciar cullare dalla piacevole illusione che la terza guerra magica non fosse mai avvenuta. Sì, perché la cittadina non dava segni apparenti di devastazione. Certo, qualche abitante aveva preso parte alla battaglia e non aveva fatto ritorno al piccolo nido natio, ma erano piccoli numeri. 

Lilburrow assomigliava ad un paese incantato, perché anche il tempo sembrava non voler passare in quel posto nascosto dalle fronde degli alberi e le numerose colline che gli facevano da corona. 

Lilburrow era la città perfetta per mettere su famiglia e questo i Pierce lo avevano compreso da generazioni. 

La famiglia Pierce era, assieme ai tre saggi, una delle componenti che contraddistinguevano quell'insieme di case da qualsiasi altro borgo magico, tanto da essersi meritati anche una via in loro nome. Il primo Pierce a fare di quel paese la propria casa fu Broderick, il quale arrivò in veste di turista accompagnato sua moglie Demeiza a metà del diciassettesimo secolo e che, dopo aver fatto ritorno a casa solo per fare le valige, si trasferì nel giro di un mese in quel luogo meravigliosamente silenzioso e pacifico. Tra Lilburrow ed i Pierce fu amore a prima vista. 

Broderick e Demeiza misero al mondo tre bellissime femminucce e due maschietti. A Lilburrow, i bambini erano rare creature. Non mancavano, certo, ma solo i pargoli della famiglia Pierce, all'epoca, contavano come il quaranta percento dei bambini presenti nel borgo. Dovettero subito fare i conti con i servizi dedicati ai giovani maghi che, per forza di cose, scarseggiavano. Non c'erano parchi, non c'erano asili ed  all'epoca Hogwarts prevedeva  ancora il pagamento di una tassa d'iscrizione troppo alta per i cittadini di quel piccolo paese, che difficilmente godevano di un conto in banca alla Gringott. Broderick non si fece scoraggiare dalla situazione, con le sue ottime capacità si mise all'opera per dotare anche quel piccolo borgo di un parco dove poter far scorrazzare i bambini e dove i più anziani potessero passeggiare all'ombra delle frasche. Ripulì il bosco a meraviglia, recintò la zona per assicurarsi che nessuna creatura magica pericolosa potesse avvicinarsi troppo a chiunque decidesse di passare un'oretta all'aperto e costruì qualche piccola giostra per i bambini.

Sua moglie, invece, che da poco tempo aveva terminato il suo percorso scolastico con un'ottima media di voti, aprì il primo centro per l'istruzione a Lilburrow – era troppo modesta per chiamarla propriamente scuola–, in attesa che qualche ministro si decidesse a rimuovere la ridicola tassa d'istruzione. 

Con il passare del tempo, i bambini aumentarono e la soluzione della signora Pierce divenne sempre più inadatta. La loro casa, per quanto spaziosa, non poteva accogliere più di dieci persone. Quindi, con l'aiuto della gente del posto, i Pierce ricostruirono il vecchio edificio in cui Elwin Meadow, il meteorologo, aveva passato gli ultimi anni della sua vita. Le figlie dei Pierce, ormai cresciute, si dedicarono totalmente al progetto della madre e l'aiutarono ad istruire i giovani maghetti. Il figlio più grande, invece, si diede alla politica. Fu eletto sindaco, un destino analogo spettò a suo figlio e così ancora per due generazioni. Le cose a Lilburrow cambiarono in meglio in poco tempo e tutti sapevano chi fosse alla base di quel miglioramento.

Fu Pierce Pierce a rompere la tradizione, il primo uomo della famiglia a declinare totalmente la possibilità di diventare Sindaco. Sapeva di essere troppo ingenuo per ricoprire un ruolo di tale responsabilità e, nel lungo periodo, quella sua scelta si rivelò azzeccata. Pierce preferiva la vita tranquilla tra la natura. Dopo aver frequentato Hogwarts ed esserne uscito per pura fortuna, si era dedicato alla vita nella sua forma più semplice e pura. Gli era costato molti sacrifici, ma nel giro di qualche anno riuscì a mettere su una sorta di fattoria. Ciò che proveniva dalla sua proprietà, fosse esso frutto di piante o di animali, veniva poi rivenduto alla comunità. Aveva assunto un ragazzino che portasse il latte di casa in casa, vendeva le sue verdure a chiunque bussasse ai suoi cancelli e si occupava personalmente della distribuzione dei cereali al fornaio del paese. Fu così che conobbe Whitney Konstig, la figlia del panettiere Olandese trasferitosi da poco a Lilburrow. La ragazza non parlava una parola, ma i due sembravano avere un'intesa fatta di occhiatine e gesti e pasticcini. In poco tempo si sposarono e misero al mondo una bambina di una bellezza veramente rara.

Fisicamente, Brittany non aveva nulla in comune al padre e non appena fu mostrata in pubblico, in paese non si fece che vociferare che Pierce non fosse il padre naturale della piccola.

Anche dopo anni ed anni, con una tale storia alle spalle, i Pierce erano una tra le famiglie più conosciute ed apprezzate del posto –specie per quanto avevano fatto per i paesani nel corso dei secoli. 

Proprio come la madre, Brittany Pierce aveva dei bellissimi capelli biondi, setosi, profumati. Era alta da dare le vertigini, due occhi di un azzurro indescrivibile ed un cuore tanto gentile da far invidia a quello di Lehanne Fetch. Aveva conquistato l'amore dei compaesani da piccola, con minuscole gentilezze rivolte ad ogni singolo abitante. 

L'unica cosa che l'accomunava al padre era l'amore per la natura e per gli animali. A otto anni sgambettava assieme al padre per la fattoria, con l'unico sogno di diventare in futuro una curatrice d'animali. Non appena mise piede ad Hogwarts, la scuola che sognava da tempo, creò un forte legame d'amicizia con Hagrid, guardacaccia, custode ed insegnante di Cura delle Creature Magiche. 

Quando Brittany informò i genitori tramite Goofy, il pennuto della famiglia, del suo amore per la materia insegnata dal mezzo gigante, i due non ne furono per nulla sorpresi. Pierce ne era talmente certo che ancor prima che la bambina comprasse il materiale per frequentare, l'uomo scommesse dieci galeoni con Madama Edel. Come da copione, la lettera probatoria arrivò prima della luna d'ottobre, portando con sé i dieci galeoni della barista.

Ciò che sbalordì i coniugi Pierce, invece, fu sapere che la loro ragazza era stata smistata nella casa di Corvonero perché, come i genitori, la biondina non sembrava avere grandi capacità intellettuali.

Anche gli studenti della scuola di magia e stregoneria sembravano aver capito che, almeno in quella circostanza, il cappello avesse commesso uno sbaglio colossale. Brittany non era esattamente una bambina "sveglia". Passava la maggior parte delle ore a fantasticare nei mondi che aveva in testa e ogni volta che le veniva posta una domanda, lei dava risposte all'apparenza prive di ogni senso. 

Per tutti e sette gli anni, Brittany venne appellata come "corvoscemo", "ritardata", o più comunemente "stupida" da tutti coloro che incrociavano il suo cammino. Essere stata smistata in Corvonero, pensò, fu una grandissima scocciatura. Nessuno l'avrebbe trattata così se fosse capitata tra i Tassi. 

Per quanto si impegnò per ignorarli, quelle parole la ferirono e la segnarono. Certe cose non si possono proprio evitare o silenziare con una mossa della bacchetta.

Pur di tenersi alla larga dagli studenti maliziosi e cattivi del castello, Brittany iniziò a frequentare maggiormente Hagrid fino al punto da trascorrere ogni pomeriggio assieme a lui, guadagnando in un secondo tempo anche i permessi per accompagnarlo durante le rare visite a Diagon Alley per rifornimenti di mangime. 

Sebbene preferisse la compagnia dei Tassorosso, nella casa di Corvonero ebbe il piacere di farsi qualche amico e, addirittura, un compagno per la vita.  

Quando si sparse la voce della scomparsa di Whitney e Pierce Pierce, anch'essi caduti nella guerra magica, l'intero paese rimase a lutto per una settimana per esprimere al meglio il loro dispiacere all'unico membro della famiglia rimasto. 

Brittany sembrò apprezzare, un gesto tanto caloroso le fu d'aiuto in quei giorni difficili in cui l'amore sembrava voler prendere una scopa e volare fuori dal mondo. 

Nessuno abitante di Lilburrow rimase sorpreso quando, dopo essersi sposata in fretta e furia per via della battaglia, Brittany decise di mettere su famiglia a Lilburrow. 

Rimase nella casa dei genitori, riuscendo a stento a provvedere a tutti i lavori a cui solitamente si dedicava il padre con l'aiuto della moglie. Questo anche perché Artie, suo marito, non era esattamente il tipo da campagna. Eppure, insieme, erano una coppia deliziosa. O almeno, così dicevano gli abitanti di Lilburrow.

Da più di due anni i giovani innamorati cercavano un bambino, che tardava ad arrivare. Avevano provato qualsiasi cosa, dai consigli delle anziane alle pozioni, ma nulla sembrava servire. 

Una mattina Lehanne incontrò casualmente la bionda dallo Speziale, posò la sua mano raggrinzita sul ventre della ragazza e scosse il capo, rattristata. "Verrà la luna giusta e pregherai di non averlo mai desiderato. Desisti, fanciulla, e scappa lontano." 

La voce con cui l'anziana saggia parlò, fece prendere a Brittany l'ipotesi in considerazione per qualche secondo. Dopotutto, era una delle poche bocche di verità rimaste ed era ciò che più si avvicinava ad una mamma dalla scomparsa di Whitney. Non aveva motivo di mentirle su una cosa tanto bella e pura quanto un bambino, quindi perché non crederle?

La bionda tornò a casa preoccupata, marciando per le vie del paese con più fretta di quanto avesse mai avuto in tutta la sua vita. Giunta alla sua abitazione, posò il velo per capelli che aveva cominciato ad usare ultimamente – perché a dire di Rose Vince "il sole sulla zucca è per il bambino come il sale sulla terra"– sul tavolo e chiamò a gran voce il marito. Artie, borbottando, lasciò il solaio e le sue pozioni per qualche minuto e scese al piano terra, in cucina, per sentire cosa avesse da dirgli quella volta la sua consorte. Dopo aver ascoltato quello che aveva tutta l'aria di essere una specie di delirio da donna isterica, con la solita freddezza distaccata, le disse che doveva smettere di credere a qualsiasi cosa le dicessero, perché non era più una bambina. 

Brittany arricciò le labbra non troppo convinta, né rassicurata, dalle parole dell'unica persona che avrebbe dovuto comprendere il suo disagio. Ad ogni modo, cambiò eventualmente idea col passare dei giorni e si convinse che le parole di Lehanne dovessero essere state frutto di una cattiva lettura della situazione o di un pisolino mancato. 

A distanza di un anno, con il dispiacere ormai solo più della ragazza, di un bambino neanche l'ombra. Ancora Brittany non voleva arrendersi all'idea di non poter avere prole.

Aveva appena finito di rifornire il nuovo fornaio di farina quando, per la prima volta dalla fuga da Hogwarts quella maledetta sera in cui la battaglia aveva raggiunto il castello, sentì una forte esplosione. Pregò con tutto il cuore che si trattasse dell'ennesimo esperimento andato male del marito ma, in cuor suo, già conosceva la verità.

Prima che potesse prendere atto di ciò che stesse accadendo, udì delle urla, poi altre esplosioni. Brittany, istintivamente, prese a correre per la piccola e stretta via che separava il negozio del panettiere dalla piazza e quindi dal lungo viale che portava a casa Pierce, sentendo che in quel momento nessun posto sarebbe stato tanto sicuro quanto la sua abitazione. 

Alzò intimorita gli occhi in alto e vide nel cielo il marchio che per notti le era apparso negli incubi. 

L'unica cosa visibile era quel maledetto serpente aggrovigliato attorno ad un cranio dalla bocca aperta, da cui era uscita la creatura viscida, sebbene fosse solo fumo. Un simbolo tanto raccapricciante quanto gli atti che quei violentatori di civiltà stavano promuovendo.

Giunta alla fine della via, sporse il capo oltre l'angolo dell'ultima casa per vedere una trentina di Mangiamorte sfilare in fila a due a due per la strada principale. Le maschere che indossavano erano ancora più spaventose del loro marchio. Si domandava di cosa avessero paura, non c'era motivo per loro di mascherarsi così. 

I lunghi mantelli neri perdevano di numero ogni volta che la loro marcia si imbatteva in un portone. Il plotone non si fermava mai, ma due  mangiamorte puntualmente si staccavano dal resto per far saltare in aria le porte e farsi largo nelle abitazioni, probabilmente alla ricerca di mezzosangue o nati-babbani. 

La ragazza sentì una goccia di sudore freddo colarle lungo la schiena e si accorse di non potersi muovere, terrorizzata com'era. 

I suoi genitori erano morti invano. Il loro sacrificio non era servito a nulla. 

Riprendendo un po' di coraggio, allungò la mano verso la bacchetta per poi accorgersi che non sarebbe mai riuscita a combattere un tale numero di maghi tutti assieme. Così chiuse gli occhi e raccolse tutta la concentrazione che poteva. Non era mai stata un asso nella materializzazione, eseguire quell'incanto le aveva sempre richiesto una dose di tempo di cui, in quel momento, non disponeva per cause maggiori. Si ripeté mentalmente ciò che l'istruttore del ministero le aveva spiegato l'ultimo anno al castello, durante il corso per l'esame di materializzazione. Le tre D.

Destinazione. "Casa. Voglio andare a casa". Determinazione. Decisione. "Adesso!"

Brittany chiuse gli occhi sentendo il proprio corpo venire compresso e vorticare attorno al proprio baricentro. Proprio quando stava per materializzarsi all'interno del salotto di casa sua, le sorse un dubbio atroce."Posso materializzarmi in un luogo che non esiste più?" L'istruttore del Ministero non aveva mai accennato ad una situazione simile a quella che stava vivendo la bionda.

Quella piccola indecisione fu cruciale.

Quando Brittany ricomparse, lo fece  anziché nel salotto di casa sua, davanti alla sua proprietà, ormai ridotta ad un cumulo di macerie.

I Mangiamorte si erano presi anche Artie. Il dolore che sentì dentro al petto non fu nulla in confronto a quello che provò al braccio e all'anca. Non appena voltò il capo verso i propri arti superiori per capire cosa fosse successo, si sentì mancare.

L'osso dell'avambraccio le era letteralmente schizzato fuori dal gomito e sporgeva di una decina di centimetri. Non ebbe la forza per controllare cosa stesse provocando il dolore all'altezza del suo bacino, ciò che aveva visto le era bastato. Sapeva cosa avesse provocato quegli effetti collaterali, era stata la sua indecisione durante la materializzazione, il cambio di rotta improvviso ed insicuro. 

Presa dal panico e dal dolore, lanciò un urlo straziante, poco importava se dei Mangiamorte l'avessero sentita e fossero tornati per lei. Tutto ciò che voleva fare, in quel momento, era piangere.

L'ultima persona a lei rimasta cara era morta, schiacciata dal peso della casa saltata in aria mentre al suo interno ancora vi era il suo compagno di vita. La speranza che fosse rimasto illeso non era che un pensiero comico nella sua testolina. Il suo povero Artie non aveva avuto modo di  apprendere in anticipo dell'arrivo dei distruttori, non aveva avuto possibilità di avere salva la vita. 

Brittany ed Artie lo sapevano. Sapevano che, quando i mantelli neri avrebbero attaccato, la loro casa sarebbe stata una tra le prime ad essere distrutte. Artie era l'unico nato-babbano del villaggio e Brittany, sposandolo, era diventata una traditrice del sangue. Erano consapevoli del fatto che la loro famiglia sarebbe stata tormentata, solo nessuno dei due immaginava che dovesse andare a finire così.

Sovrastata dal dolore fisico e mentale, Brittany lasciò che il suo corpo cadesse a terra. Non capì, però, perché la sua carne non raggiunse mai le fredde pietre dure che formavano il vialetto di casa Pierce. Era curiosa di conoscere la risposta, sapeva che non era possibile che avesse imparato a fluttuare nell'aria proprio in quel momento. 

Per quanto volesse soddisfare la sua curiosità, non riuscì a tenersi sveglia.

Sentì le forze farsi meno, era consapevole del fatto che non fossero né le circostanze né il posto migliore per svenire, ma non le importava più. Al suo risveglio, non avrebbe comunque più trovato nessuno ad aspettarla.

Ciò che era successo non faceva parte della serie dei brutti sogni che ultimamente aveva preso a fare, al suo risveglio Lilburrow sarebbe stata ancora un cumulo di mattoni a terra, pianti e fumo. Artie non l'avrebbe svegliata per salvarla da quella realtà ingannevole, non le avrebbe più portato la colazione a letto per calmarla. Non era nemmeno certa che i suoi animali fossero ancora vivi. 

In uno strano modo, comunque, non riusciva a preoccuparsi per ciò che era successo, non più.

Poi tutto divenne nero ed anche il dolore svanì. 

 

***

 

Brittany fu costretta a riaprire gli occhi quando qualcosa di duro le colpì con forza la guancia. Si stupì di se stessa perché, nonostante il colpo, dalle sue labbra non uscì nemmeno un piccolo lamento.

«Bentornata al mondo, zuccherino.» Una voce sgradevolmente acuta fu la prima cosa che registrò dopo quel colpo. Seguì una risata di scherno, troppo grassa per appartenere ad una sola persona.

Brittany fece del suo meglio per mettere a fuoco le figure attorno a lei. Non si spiegava perché stesse fissando un uomo con la testa al posto delle gambe finché non prese coscienza di trovarsi a penzoloni sulle spalle di un uomo da uno sgradevole odore. 

Il dolore causatole dal braccio la raggiunse subito, si accorse allora di avere ancora un osso fuori dal braccio, curioso di esplorare il mondo.

«Quello sarà l'ultimo delle tue preoccupazioni, pasticcino!» Commentò ironico l'ometto più minuto - quello che doveva averla presa a schiaffi per svegliarla-  notando la linea dello sguardo della ragazza. Era di un biondo cenere, i capelli scompigliati ed una barba incolta ricopriva i lineamenti ossuti del suo viso malcurato. 

Puntuale come un orologio seguì la risata dell'uomo più grande. «Oh, sì, l'ultima delle tue preoccupazioni.» Gli fece eco, dando una pacca sulla schiena della ragazza.

Brittany non riusciva a comprendere come fosse finita in quella situazione. Continuava ad essere sballottata da destra a sinistra, ondeggiando ad ogni passo di quel mezzo gigante, fino a che qualcosa lo fece arrestare.

«Non incasinare tutto come l'ultima volta, Mogunard.» Lo riprese il piccoletto. 

Brittany strinse gli occhi e si sporse per intravedere tra il braccio ed il fianco dell'uomo che la stava portando quale fosse il motivo di quella loro sosta. 

Davanti ai tre si trovava un insieme di mura imponenti, Brittany non si era neanche accorta di aver attraversato un ponticello. 

Come per magia, l'imponente portone incastonato tra le pietre si aprì, lasciando il via libera per il passaggio ai tre. Oltre le mura, per grande sorpresa della bionda, si trovava un giardino meraviglioso, con statue, fontane e siepi spuntate alla perfezione. Da quel che stava capendo, stavano seguendo una sorta di viale, ciò che le mancava era la destinazione. Quei due la stavano portando a casa loro? Sarebbe stata seviziata fino alla morte?

«Speriamo sia nella luna buona.» Il più grande dei due uomini ruppe il silenzio.

«Quella megera non è mai nella luna buona.» Rispose scocciato il piccoletto. 

Brittany voleva davvero rimanere sveglia per sapere cosa le sarebbe successo a breve, ma era come se la strega della notte la stesse forzando a chiudere gli occhi. 

Era troppo, tutto assieme.

Era sicura di essersi lasciata andare tra le braccia di morfeo da meno di un minuto quando, ancora una volta non per sua volontà, fu costretta ad aprire gli occhi.

Mogunard, il mezzo gigante, l'aveva deliberatamente fatta cadere a terra come un sacco di patate. «I braccialetti, zuccherino.»

Brittany non capì le parole della figura più minuta fino a che, dopo ad un gesto della bacchetta, attorno ai suoi polsi apparvero delle manette. «Pura formalità. Sappiamo tutti che con quel braccio non potresti fare niente di concreto.» 

Rise da solo alla sua battuta. Poi, con poca grazia, il mezzo gigante la tirò su per il braccio sano, costringendola a rimanere in piedi.

«D-dove..»

«Allora sai ancora parlare, temevamo fossi muta.» La interruppe il biondo, studiandola più attentamente. «Ora sì che saprai fruttare sul mercato nero. Ma questo è un nostro piccolo segreto.»

Si portò l'indice sulle labbra e muovendo la bacchetta in direzione dei piedi della ragazza, fece comparire altre costrizioni per la povera donna malconcia.

Brittany abbassò lo sguardo, notando le catene che si erano formate attorno alle sue caviglie scoperte - quando aveva perso le scarpe? Poi mise a fuoco le parole dell'uomo. Mercato nero? Quindi sarebbe stata venduta al miglior offerente? No, non era così che sarebbe finita la sua vita.

«Non sarò ma-»

Il dorso della mano dell'ometto colpì per l'ennesima volta la guancia della bionda. «I traditori del sangue non possono mancare di rispetto ai maghi puri.»

Brittany aggrottò la fronte, sentendo la guancia andare in fiamme. In che modo poteva essere puro un uomo tanto vile e disgustoso?

«E adesso fa silenzio.» 

Dopo aver detto addio al mezzo gigante, che a quanto pare non era ammesso nel posto in cui Brittany ed il mago biondo stavano entrando, l'uomo tirò senza alcuna cura la catena che univa quelle legate attorno alle caviglie ed ai polsi di Brittany. La ragazza si sentì come uno di quei cani babbani, tirati al guinzaglio. 

«Fossi in te, terrei la bocca chiusa d'ora in avanti.» Le suggerì l'uomo.

Brittany annuì distrattamente e approfittò di quell'apparente stato di lucidità per studiare l'ambiente attorno a lei. 

Era finita in una specie di castello, a giudicare dalle pareti altissime, in pietra. Il colore predominante era il nero ed il grigio, ogni mobile sulla loro strada fino ad allora era apparso scuro, i drappi alle finestre erano rigorosamente neri come i tappeti su cui stavano camminando.

La ragazza voleva chiedere dove fossero diretti, ma tenne la bocca chiusa. Che importanza aveva?

Dopo quelli che parvero minuti infiniti, il mago che la stava scortando all'interno di quell'edificio si fermò per aprire l'ennesima porta. Brittany non aveva mai visto una stanza tanto imponente.

 

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Villa Lopez era immersa nel silenzio, ad eccezione del grande salone dove, come da tradizione, alla fine di ogni rastrellamento, i maghi tanto coraggiosi - o stolti- da azzardare un tale gesto, si radunavano assieme a quelli che ritenevano essere "ricordi di un lavoro ben fatto". Donne, principalmente. C'era chi le voleva per tenerle al pari degli elfi domestici, chi per vanità, chi per desiderio e chi, contro la legge, per rivenderle come se non fossero null'altro che merci a maghi tanto idioti da comprarle.

L'unica regola era che, prima, la persona a capo della legione passasse in rassegna personalmente le meraviglie raccolte di villaggio in villaggio. Solitamente la cerimonia si teneva nella magione dei comandanti, che fino a quel momento erano giunti ad un totale di quattro. Queste persone di grande prestigio erano responsabili di centinaia di uomini e si occupavano principalmente delle linee di azione dei mantelli neri, affinché il piano superiore potesse essere messo in pratica.

Ogni legione aveva quindi un proprio modo di fare, di muoversi, ogni attacco aveva una particolarità che era la firma identificativa del loro comandante. La legione Dolohov, ad esempio, era famosa per gli incendi che seguivano ogni rastrellamento, per cui spesso i componenti di quel gran battaglione venivano appellati come fiamme nere.

Per quanto, a livello burocratico, ogni legione avesse lo stesso valore delle altre, si erano creati diversi livelli di popolarità e le quattro compagnie non erano temute allo stesso modo. Non c'erano dubbi, ad esempio, sul fatto che la legione Lopez fosse quella più temuta. 

La disciplina ed il rigore imposti dalla giovane Mangiamorte ai suoi uomini erano portati ad un livello di esasperazione tanto alto da far desiderare ad ogni nuovo adepto di entrare a far parte di quella compagnia ed allo stesso tempo pregare per il contrario. 

La giovane mora aveva compiuto un cambiamento impressionante dagli anni in cui era stata ospite ad Hogwarts ad allora. Da quando era finita la battaglia, strane voci percorrevano i salotti delle streghe aristocratiche. Si diceva che Santana Lopez, in quel conflitto, avesse preso la ragione assieme al briciolo di umanità che le era rimasta. Non si era ancora trovata un compagno e rifiutava sempre più spesso la compagnia di maghi in cui non riponeva piena fiducia. La gente cominciò a vociferare e dire che la ragazza stesse diventando paranoica e che l'unico motivo del suo isolamento fosse una paura eccessiva di essere circondata da traditori o spie.

Un episodio che aveva fatto discutere parecchio la nuova nobiltà di maghi purosangue era stato quello riguardante la cessione di Villa Lopez.

Il padre la diede in dono alla figlia per premiare il valore dimostrato durante la guerra magica e le sublimi capacità. 

Santana ringraziò il padre e la madre, ma non appena mise piede in quell'immensa magione si liberò di tutti gli elfi domestici che avevano avuto fino ad allora il compito di prendersi cura della casa. 

A quel punto, condizionato dai pettegolezzi, anche Luis Lopez per diverse settimane ebbe timore che la battaglia avesse incrinato per sempre la mente della figlia, sua unica gioia. Si offrì così di pagarle un curatore che si occupasse di ciò che stava succedendo dentro alla testa della latina, ma Santana non volle sentire ragioni. Anzi, per tutta risposta diede l'ordine che le stanze non usate della villa rimanessero vuote, compressive solo di mobili. 

L'unica compagnia che la mora sembrava apprezzare, era quella della bestia che per pura vanità aveva voluto acquistare al mercato delle belve di Eger. Da allora, difficilmente Santana si spostava senza la compagnia di Mahaf, quello che lei amava chiamare il suo micione

«Hai sentito l'ultima? Santana Lopez ha comprato una pantera!»

«Quella ragazza ha perso la testa. Se fossi suo padre la farei internare al St. Mungo!»

«Secondo me anche suo padre ha paura di lei.»

«Beh, non posso dargli torto. In confronto a lei, anche un Ungaro Spinato sembrerebbe docile.»

I pettegolezzi scivolavano leggeri lungo il mantello della latina, sapeva che per quanto ne dicessero, i maghi e le streghe del Paese non avrebbero mai rifiutato una notte con lei e ciò era sufficiente a farle pensare che, probabilmente, i portatori di tali voci erano ancora più matti di lei.

 

Quando le porte del grande salone di Villa Lopez si aprirono rivelando la figura della tanto discussa maga, improvvisamente, ogni lingua divenne, tremando, muta. Un sorrisino compiaciuto comparve sulle labbra della ragazza formando quello che era divenuto famoso con il nome di "ghigno del diavolo". Sapere che incuteva tanto timore anche tra maghi ben più grandi di lei era sempre una tale fonte di gioia, per la mora. Musica per le sue orecchie, come si suol dire.

Guardò velocemente i maghi disporsi ai lati del lungo tappeto nero che percorreva il pavimento della sala da parte a parte. "Meno del solito." Notò ancor più sollevata la latina, facendo una stima mentale dei presenti. Odiava quel lavoro. 

Vedere come quegli uomini osavano trattare delle donne come lei le faceva accapponare la pelle. Avrebbero fatto lo stesso con lei se solo non avesse avuto tanto potere?

In occasioni come quelle ricordava quanto andasse fiera di essere lesbica

Si sbarazzò alla veloce del sorrisetto malefico per tornare ad essere la solita maschera di serietà e rabbia, il volto del cambiamento.

Il ticchettio dei suoi tacchi fu l'unica cosa che interruppe il silenzio mentre la ragazza avanzava verso le carogne che tanto odiava. Il suo compito era semplice, doveva solo decidere chi aveva il diritto di divertirsi con quelle ragazze e chi no ed eventualmente decidere di prendere una ragazza per sé. Accadeva raramente, ma accadeva. Raramente Santana si concedeva delle serate con delle streghe del genere ed il motivo era semplice: i mezzosangue, per lei, erano vera feccia. Avrebbe avuto orrore anche solo di un contatto fisico con delle persone del genere. Il più delle volte le prede dei suoi scagnozzi erano ragazzine disperate,spesso nate-babbane, più raramente mezzosangue e quasi con la stessa cadenza delle eclissi di luna, purosangue.

Santana aveva già scrutinato più o meno tre quarti del salone quando la sua pantera, finalmente, la raggiunse. 

Un animale imponente, le spalle massicce ed una muscolatura da far rabbrividire la pelle. Gli occhi gialli dell'animale erano la vera perla, aveva uno sguardo capace di restarti addosso per giorni e notti. 

Gli sguardi dei presenti, per un attimo, si catalizzarono sull'animale che felpatamente si sistemò al fianco della latina.

La ragazza sembrò fulminare l'animale con lo sguardo per un breve istante, come a volergli suggerire di non dover osare mai più un'entrata del genere. L'egocentrismo e l'eccentricità della Mangiamorte erano più che conosciuti. Poi, dopo quell'occhiata di fuoco, riprese a passare in rassegna visivamente le ragazze incatenate ed inginocchiate nella sua sala, senza mai dire una parola. Alcune erano estremamente belle per essere sporche mezzosangue o, peggio, nate-babbane. 

Le mancavano si e no cinque ragazze da vedere prima di poter dare il via libera ai suoi Mangiamorte quando un ringhio della pantera attirò la sua attenzione.

Santana si fermò e voltò soltanto il capo di qualche grado in direzione dell'animale. «Mahaf.» Sibilò a denti stretti per richiamarlo una prima volta, certa il nome del giaguaro sarebbe bastato per fargli capire che fosse il caso di ritornare al suo fianco. Così non fu.

La mora si voltò sbuffando, non accettava un "no" in risposta neanche dai suoi pari, non avrebbe mai permesso che il suo animale da compagnia si imponesse su una sua decisione. Allo stesso tempo, tuttavia, sapeva che quel gattone aveva un'intelligenza tutta sua che non andava insultata. Mai fino ad allora si era fermato per studiare una ragazza e mai in passato aveva attaccato qualcuno senza un vero valido motivo. Così, sospirando scocciata, raccolse tutta la pazienza che aveva a disposizione e fece marcia indietro.

Come a voler attirare maggiormente l'attenzione, il felino si mise a soffiare in faccia all'uomo minuto che, fieramente, si reggeva affianco ad una ragazza bionda. 

«Via, bestia!» Non fu che un sussurro pieno di paura, ma la latina sentì lo stesso le parole del biondino. Come avrebbe potuto non sentirlo in quel mare di silenzio?

Santana estrasse la bacchetta dal fodero e, senza esitazione, schiantò il mago che aveva osato riferirsi al suo giocattolo peloso in quel modo. Il corpo del mago minuto schizzò lontano e finì contro la una delle vetrate del salone che, per reazione, andò in pezzi. Per quanto possibile, Santana sembrò ancora più irritata. «Nessuno ti ha chiesto di parlare, Talbot.»

La mora si sforzò per far sembrare la sua voce più calma di quanto non fosse internamente. Le pareva irrispettoso il modo in cui quel mago da strapazzo si era preso la libertà di parlare alla sua pantera, che solo per la sua maestosità era su un gradino sociale superiore rispetto alla posizione del Mangiamorte. 

La ragazza  depredata da Talbot, nel mentre, aveva preso a tremare. Santana non poté darle poi così torto, prima una belva le aveva mostrato le fauci e dopo un incantesimo capace di farle perdere quel poco di vita che le era rimasta, l'aveva sfiorata.

Incuriosita e, allo stesso tempo, scocciata, la mora si avvicinò alla ragazza. «Su con la testa.» 

La istruì, impaziente di vedere i lineamenti del suo viso. La ragazza, tuttavia, sembrava non voler collaborare. Santana roteò gli occhi, certe volte la stupidità dei maghi dal sangue impuro era più evidente che mai. Senza pensarci due volte, le prese la mascella tra le dita della mano sinistra e con poca grazia la obbligò ad alzare il viso.

Si scontrò immediatamente con quegli occhi d'un azzurro topazio, che avevano perso parte della loro lucentezza. Il volto della ragazza era particolarmente fine nonostante le varie ferite sparse qua e là tra guance, labbra e sopracciglia. L'espressione della bionda rendeva abbastanza esplicito l'odio che doveva provare nei confronti della Mangiamorte, tanto da far scappare una mezza risata di scherno alla latina. Senza fretta, la mora scese con lo sguardo sulla veste strappata e sporca di sangue della ragazza in ginocchio. Si chiese se quel sangue fosse suo o di qualcun altro. La risposta le parve evidente quando notò la situazione del suo braccio, non doveva essere nulla di piacevole. 

Tornò a studiare il suo viso, in qualche modo le sembrava familiare anche se non ricordava dove l'avesse già vista. Poi si voltò verso l'animale che si era nel frattempo seduto accanto ai piedi della bionda, anche lui sembrava volerla studiare. 

«Non è ancora l'ora di cena, Mahaf. Togliti da lì. » Suggerì la latina. Probabilmente il micione era stato attirato dall'odore di sangue impresso sulla bionda, per quello si era messo a soffiare. Sì, Santana si disse che l'unico motivo valido fosse proprio quello. 

Senza controllare che la pantera le obbedisse, la latina riprese il compito lasciato in sospeso. Dopo aver passato lo sguardo anche sulle ultime cinque malcapitate, Santana si girò sui tacchi e squadrò i presenti. Il suo animale non si era mosso di un centimetro mentre Talbot, dal fondo della stanza, aveva ripreso a dare segni di vita. Con un po' di fatica si era rimesso in piedi e si stava riavvicinando alla ragazzina che aveva catturato. Quando notò la pantera, rimase come di pietra.

«Molto bene.» Parlò la latina, delicata. «Potete andare. Fuori da qui, tutti quanti, subito.» 

Non passò un secondo dalla sua affermazione che la folla di Mangiamorte si mise in movimento per accedere all'uscita della sala.   

«Non tu Talbot, tu resti. » Chiarì successivamente, vedendo l'ometto mingherlino cercare di svignarsela tra gli altri maghi più alti di lui. Aspettò che la stanza fosse vuota per chiudere con un gesto della mano le porte della sala. 

Talbot e Santana si scambiarono un'occhiata intensa che durò diversi secondi. Poi qualcosa fece pensare all'uomo di avere il diritto di parlare per spiegare meglio l'inconveniente accaduto prima.

«Mia Signora,» tentò, ma non gli fu lasciato il tempo di finire. 

«Avada Kedavra.» Un bagliore verde schizzò fuori dalla punta della bacchetta della latina e prima di poter anche solo pensare di chiedere scusa, Talbot giaceva a terra senza vita.

Brittany trattenne il fiato, incredula. La freddezza del gesto l'aveva lasciata senza parole, non aveva mai visto nessuno morirle davanti, meno che mai aveva visto in diretta un'esecuzione. Sapeva funzionasse così ma le veniva difficile credere quelle due paroline potessero fare così tanti danni. Alzò per un attimo lo sguardo sulla latina, che non sembrava essere minimamente turbata dall'accaduto. Brittany si domandò quante altre vite avesse già preso in quel modo. Con quali pretese, poi. Le movenze e la facilità con cui aveva pronunciato l'incanto avevano dato alla bionda l'impressione che per l'altra quella di uccidere fosse una macabra abitudine  – e così era, in effetti. Lo sapeva anche Brittany, nel profondo, ma per il momento non voleva credere alla vocina nella sua testa che le stava suggerendo quanto fosse essere malvagia e pericolosa la figura minuta ancora in piedi a pochi metri da lei. Semplicemente, non riusciva a capacitarsi che potessero esistere persone così spietate. 

«Mia signora.» Ripeté schifata la latina, interrompendo i pensieri della ragazza incatenata, ancora inginocchiata sul pavimento. Gli occhi della latina si strinsero visibilmente mentre con un semplice movimento del polso puntò la bacchetta verso i cocci di vetro sparsi a terra, che magicamente tornarono a comporre una vetrata ordinata con un sordo "tumpf" finale, segno che ognuno aveva ritrovato la sua posizione.

«Non guardarmi così Mahaf, se l'è cercata.»  Borbottò poi, riponendo la bacchetta nel fodero apposito all'interno del suo lungo ed elegante mantello. Brittany, che era rimasta silenziosa per tutto il tempo, non riusciva a credere a ciò che aveva visto e sentito. Allora era vero che la mora stesse diventando pazza. Insomma, prima uccide un pover'uomo – con quale ingenuità la bionda riuscisse ancora a credere Talbot un "pover'uomo"– senza batter ciglio e poi ne parla con la sua pantera. Non sono esattamente due segni di sanità mentali. 

«Piuttosto, dovresti ringraziarmi per la cena.» Aggiunse successivamente, voltandosi verso la ragazza e la pantera. Per un momento, Brittany pensò che stesse parlando a lei. 

Dovette ricredersi quando l'animale al suo fianco, dopo un'eternità, si mosse, ricordandole un'altra volta della sua presenza. L'osservò marciare in modo estremamente composto e quasi regale verso il corpo di Talbot. La belva annusò per un paio di istanti il cadavere prima di decretare che piuttosto che mangiare quello schifo d'uomo, avrebbe fatto digiuno.

Santana inarcò un sopracciglio, sembrava quasi sapesse già che il suo animale non avrebbe gradito il pasto. «Beh, non è un mio problema.»

Decretò infine, decidendosi a rivolgere le proprie attenzioni sull'altra maga presente nella stanza. Le passò a fianco e la studiò per un'altra manciata di secondi prima di renderla partecipe della sua scelta.

«Alzati.» 

Brittany sentì un brivido correrle lungo la colonna vertebrale. Non voleva passare un altro minuto in compagnia di quella donna, ma non aveva molte altre possibilità. Che male poteva fare rinviare di un altro po' una fine certa? Così, seppur controvoglia, si mise in piedi. Dopo aver passato così tanto tempo sulle ginocchia, alzarsi non fu semplice né piacevole, ma riuscì a farlo.

«Seguimi.» La latina si voltò facendo svolazzare il mantello, non lasciando altra possibilità alla bionda se non di fare quanto le era appena stato ordinato.

 

 


Avevo il capitolo pronto da un po', quindi, perché no?
Spero vi sia piaciuto e che, ora che sapete un po' di più sulla vita di Brittany, la storia non vi dispiaccia.
Come sempre, ricordo che mi piace leggere i vostri pensieri riguardo ciò che scrivo ed una recensione non guasta mai!  
Se ci sono degli errori, magnema. <3

 

 

 

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Capitolo 6
*** Cap. 6 ***


Villa Lopez -

 

L'unico rumore che accompagnò le due streghe nella loro passeggiata  fu quello delle catene di Brittany, che strisciando contro il pavimento ad ogni suo passo,  ricordavano costantemente alla latina la loro presenza. La bionda, dal canto suo, si stava davvero impegnando per non essere troppo rumorosa, tanto da assicurarsi addirittura di respirare nel modo più silenzioso possibile. Voleva a tutti i costi evitare di infastidire la maga che procedeva a passo sicuro davanti a lei in quel labirinto di stanze che, con forse troppo coraggio, la donna chiamava "casa". 

Per quanto si fosse ripetuta di mantenere lo sguardo basso e non proferir parola - consiglio che le aveva dato qualche ora prima il mago che aveva appreso si chiamasse Talbot-, di tanto in tanto, Brittany alzava gli occhi per studiare quell'ambiente cupo e opprimente. Aveva notato subito il cambio di pavimentazione, il parquet di legno era meno freddo e più delicato delle mattonelle gelide in pietra con cui, fino a quel momento, i suoi piedi nudi avevano dovuto aver a che fare. Da quel che aveva registrato, avevano salito lungo ben due rampe di scale, separate da corridoi spaziosi. Sulle pareti, notò, non mancavano quadri e affreschi, né tantomeno fantasie di dubbio gusto. Non avrebbe voluto passare un'ora in più in quella magione, ma qualcosa la portava a pensare che non avrebbe più visto altro all'infuori di quelle quattro mura.

Grazie al cielo i suoi arti inferiori, per quanto doloranti, non le davano grossi problemi. Se non fosse stato così, non sarebbe mai riuscita ad affrontare l'ennesima scalinata che si trovò davanti.

Il braccio, invece, continuava a farle vedere le stelle. Era gonfiato a tal punto da far credere alla bionda che, se quel diavolo d'una strega che la stava portando chissà dove non l'avesse preceduta, l'infezione che sembrava essersi messa in moto nel suo gomito l'avrebbe uccisa. 

Brittany rabbrividì al pensiero ed irrigidì di poco i muscoli del braccio. Quel minuscolo movimento fu sufficiente a provocarle un'ulteriore scarica di dolore alla quale la strega proprio non riuscì a trattenere un lamento disperato. 

Nonostante il rumore, la mora non si voltò. Proseguì dritta ed indisturbata fino ad arrivare ad una porta il cui legno era stato intagliato in modo da raffigurare il corpo in rilievo di un serpente, accompagnato da varie "S", probabilmente d'oro, incastonate in ogni dove. La Mangiamorte posò la mano sulla maniglia e si fece da parte per far entrare prima Brittany. La bionda capì che non si trattasse di un gesto di cavalleria, quanto più di diffidenza

Senza che Santana dicesse niente, Brittany a testa bassa le sfilò davanti e si sistemò a qualche passo dall'entrata. Sentì il peso di quegli occhi scuri posarsi su di lei e udì la porta richiudersi ma, presa com'era dalla curiosità, anziché rivolgere le proprie attenzioni alla latina, cominciò a guardarsi attorno. Al centro della stanza vi era una scrivania nera, spaziosa, ricoperta da pergamene, libri e piume. A contornare le pareti, invece, c'erano mensole e diversi mobili con scomparti pieni di libri. 

La bionda pensò che o la latina era un'amante della lettura, o quello dovesse essere il suo studio. Probabilmente erano tutti strumenti che le servivano per il suo assurdo lavoro. 

La donna dalla carnagione olivastra si andò a sedere sulla sedia nascosta dietro alla scrivania, agli occhi di Brittany quella specie di poltroncina-trono, sembrava essere l'oggetto più comodo della stanza. Santana prese un respiro profondo e lo sbuffo scocciato che emise successivamente arrivò come un chiaro campanello d'allarme alle orecchie della bionda. 

«Lilburrow, immagino.» Disse la mora con un ghigno esemplare facendo trasparire una buona dose di soddisfazione e mettendo le mani nella smisurata pila di pergamene che abitavano sulla sua scrivania. Emise un verso che parve di scherno, ai suoi occhi quel piccolo paesino non significava chiaramente nulla. Non era totalmente consapevole di aver distrutto un villaggio incantato in cui la vita sembrava essersi fermata a secoli prima, non immaginava cosa volesse dire spazzare via sogni e speranze di centinaia di persone. Come poteva.

Brittany non rispose alle parole dell'altra, l'ultima cosa che voleva fare era conversare allegramente con la donna che le aveva portato via ogni cosa. Ciò che fece, invece, fu lanciarle l'occhiata più cattiva che avesse mai riferito ad anima viva. La latina non la notò nemmeno, immersa com'era da chissà quali pensieri.

«Il tuo nome.» 

Brittany notò che nessuna delle frasi della Mangiamorte veniva mai formulata in forma interrogativa. Non per quanto aveva potuto apprendere fino a quel momento, almeno. Immaginò fosse una sorta di deformazione professionale. Santana Lopez non chiedeva niente a nessuno, esigeva, ringhiava ordini, prendeva, distruggeva. Non aveva bisogno di domandare per ottenere quel che desiderava. Non fino ad allora, comunque. Ma tutto ciò a Brittany cominciava a sembrare irrilevante.

La bionda si disse che, se quelle erano le sue ultime ore, le avrebbe spese insegnando qualcosa a quell'essere spregevole che sembrava essere priva di sentimenti. Non avrebbe più chinato la testa. D'altronde, cosa le restava da perdere?

Non ottenendo risposta, Santana sollevò per un attimo lo sguardo dalla pergamena che stringeva tra le dita. Il suo sopracciglio si alzò all'inverosimile quando i suoi occhi incontrarono quelli chiari della ragazza. 

«Il tuo nome,» Ringhiò allora, a denti stretti, scandendo con una lentezza carica di irritazione ogni singola parola. Poi, come sapendo già che altrimenti non avrebbe ottenuto nemmeno un suono in risposta, aggiunse «Schiava».

Brittany sbiancò improvvisamente, le mancava solo quella. Provò a protestare: «Non sono una sc-»

«Silenzio!» Urlò prontamente la latina, lasciando diversi dubbi nella zucca della bionda. La mangiamorte voleva risposte o silenzio? Come avrebbe potuto rispondere stando zitta? Era chiaro le mancasse qualche venerdì. 

Santana si passò una mano sulla fronte e dopo aver inspirato profondamente inscenò un sorrisetto diabolico che Brittany le avrebbe volentieri strappato dalla faccia con le sue stesse mani, se solo non avesse avuto le catene e un braccio rotto. Non aveva mai avuto impulsi violenti fino ad allora, la presenza di quella donna non aveva un'ottima influenza su di lei. 

«Non te lo chiederò un'altra volta.» L'ammonì spazientita la mora.

«Chiedere? Pensavo me lo stessi ordinando.» Rispose con prontezza l'altra, cavalcando l'onda di coraggio che l'aveva posseduta. Si sforzò addirittura di tenere gli occhi puntati su quelli della latina.

Santana dischiuse le labbra per rispondere, registrando solo in un secondo momento che la ragazza non le avesse dato l'informazione per cui era stata interrogata. Le sopracciglia della mora si abbassarono, facendole assumere un'aria più aggressiva. 

Come osava riferirsi a lei in quel modo, con quel tono? Come poteva un'essere inferiore mostrare tanta ingratitudine? E dire che Santana era certa di averla salvata da un futuro più cupo di quanto non sarebbe stato quello che ora si stava formando per lei, avrebbe almeno dovuto mostrare alla sua salvatrice un po' di gratitudine. Se non altro, le aveva regalato dei minuti in più di vita che ora era tentata di toglierle. Se solo la sua pantera non fosse stata tanto strana..

Ai suoi occhi, comunque, la ragazza era tanto minacciosa quanto un cucciolo ferito, nonostante i suoi nuovi modi scortesi. Era alta, sì, ma allo stesso tempo la sua corporatura delicata non l'aiutava a sembrare tanto pericolosa quanto cercava di fingere con le parole. Nel mezzo bel mezzo del suo studio, in piedi, imprigionata tra le catene create da Talbot, con la veste strappata e sprovvista di bacchetta, l'ospite della latina era più che innocua. Per un momento, le ricordò una specie di bambina dispettosa che tentava di opporsi al volere dei genitori e, solo per quel piccolo frangente, l'impotenza davanti alla realtà della giovane le fece quasi tenerezza.

Se fosse stata un'altra donna, Santana Lopez avrebbe sorriso. Ma Santana Lopez odiava i bambini, soprattutto quelli irrispettosi, e sorrideva solo davanti ad atti di vera crudeltà. 

«Che bel caratterino.» Mormorò la mora, seccata. «Mi domando quanta voglia di scherzare ti resterebbe sotto l'effetto della maledizione cruciatus.»  

Brittany sapeva cosa rispondere, se solo avesse avuto ancora un briciolo di quello strano coraggio che l'aveva abbandonata, le avrebbe detto che c'era un solo modo per scoprirlo, ma non arrivò a tanto. Avrebbe immaginato d'averlo fatto per le ore che le rimanevano da vivere, sempre che ne avesse.

Santana, comunque, sembrava realmente intenzionata di scoprirlo. La sua mano sinistra si era già spostata verso l'interno del mantello, dove riposava la sua bacchetta, quando, spinta dal terrore di dover sopportare ulteriore dolore, Brittany parlò. «BrittanySusanPierce.»

Non fu che un sussurro tremante e spaventato, ma la latina capì che si trattasse del suo nome.

«Brittany Susan Pierce», ripeté con più fermezza.

L'altra esitò diversi secondi prima di allontanare la mano dalla bacchetta e scorrere con gli occhi la pergamena che ancora stringeva nella mano destra. Nel silenzio, la mora scosse il capo. Qualsiasi cosa avesse appena letto non doveva essere stato di suo gradimento.

«Mezzosangue.» Palesò a voce alta poco dopo. Brittany annuì, intuendo a grandi linee dove fosse diretto quel loro discorso. «Sposata con un -»

«Nato babbano» concluse brevemente la ragazza in catene.

«Non ti ho dato il permesso di parlare.» La mora arrivò fulminea per rimproverarla, senza entusiasmo. Perché ogni mezzosangue sembrava non avere il benché minimo rispetto verso le regole basilari del rispetto e della convivenza? Perché sono mezze bestie, non capiscono. Santana sapeva che la voce nella sua testa aveva ragione. Ecco perché stavano cercando di rieducarli ed affidare loro mansioni alla loro altezza. 

Santana posò la pergamena sulla scrivania, inspirando dal naso e sollevando per l'ennesima volta un sopracciglio. «Scelta discutibile, ma tra feccia ci s'intende.»

La mora socchiuse gli occhi e, con fare stanco, si portò le mani alle tempie per massaggiarle. Brittany pensò che un gran mal di testa fosse il minimo che quella creatura malefica si meritasse. Voleva quasi ricordarle che lei, per colpa della Mangiamorte e dei suoi uomini, aveva perso tutto e che avrebbe volentieri barattato la sua situazione con il mal di testa della latina. Il poco buonsenso rimastole, comunque, la fece rimanere zitta.

Santana si alzò in piedi e con gli occhi fissi sull'altra strega, le si avvicinò. Brittany, quasi inconsciamente, si ritrovò ad indietreggiare finché il suo gomito ferito urtò contro il muro, segno che la stanza era giunta alla fine e che per lei non c'era via di fuga. Non si sforzò di trattenere il lamento agonizzante per il dolore che quasi la fece svenire. Cercò di portare la mano al gomito ma, per via delle catene, non riuscì a lenire in nessun modo quel malessere. 

Santana sorrise divertita dalla situazione e presto la sua risata sommessa riempì la stanza. La stessa ragazza che pochi minuti prima si sforzava per fare il vocione in quel momento si era trasformata in un gufetto dall'ala ferita, inoltre il fatto che fosse completamente senza possibilità non faceva che aggiungere comicità alla scena che per Santana pareva tanto ilare. «Deve fare molto male.»

Commentò la mora, con una strana felicità nella voce, indicando poi l'osso della bionda con un cenno del capo. Brittany non riuscì a rispondere, presa com'era dall'insopportabile dolore. L'unica cosa che registrò, fu il movimento dell'altra strega. 

Santana, infatti, aveva nel frattempo estratto la bacchetta dal fodero e dopo aver studiato con poca attenzione la ferita aveva compiuto l'ultimo passo verso la bionda. «È una fortuna che si possa riparare con poco più di un incantesimo.» Cantilenò, poi. 

Brittany arricciò il naso e strinse gli occhi, non riusciva a comprendere se fosse ironica o seria. Annuì, speranzosa che quel mostro di persona che neanche un'ora prima aveva ucciso un uomo, avrebbe cercato di pareggiare il bilancio con la sua coscienza compiendo un'opera caritatevole. Magari non era così crudele o semplicemente non amava le ossa sporgenti.

Però Santana non fece nulla. Si limitò ad osservare il proprio strumento di legno, guardandolo come a voler dire "Guarda che bella bacchetta, è bella ed è mia. È la più bella che ci sia". Così Brittany, ancora legata alle sue speranze, provò a ricordare alla mora che l'unica che poteva fare qualcosa per lei, in quella situazione, era proprio la mangiamorte.

«Non ho più la mia bacchetta.» Brittany si schiarì la voce, sicura che alla latina servisse solo una piccola spintarella. Forse non era abituata a fare del bene e aveva bisogno di essere spronata. 

«Oh, lo so.» Annuì la mora con fare ovvio, scoppiando poi in una risata di scherno. Scosse il capo e dopo averle dato le spalle, con un gesto della bacchetta aprì la porta dello studio. «Muoviti.» La istruì, aspettandola sulla soglia della porta. 

Brittany si sentì cadere. Se vi era ancora un cuore nel suo petto, era sicuramente di pietra. 

«Dove stiamo andando?» 

La latina strinse gli occhi alla sua domanda, prendendo quella frase quasi come un affronto alla sua persona. Le bastò un piccolo movimento del polso per far sì che l'incantesimo da lei pronunciato attirasse le catene di Brittany alla sua mano, costringendo nel frattempo la bionda a muoversi verso la Mangiamorte. «Le domande qui le faccio io.»

Ringhiò irritata, stringendo tra le dita della mano destra la catena che legava i polsi della mezzosangue. Brittany non si sforzò neanche di trattenere l'ennesimo urlo di dolore, non dopo quello strattone che l'aveva ridotta a stare sulle ginocchia.

«Non ti è dato il diritto di protestare.» Continuò la latina, «Non ti è dato proprio nessun diritto dal momento in cui il tuo sangue non vale niente. Anzi, meno di niente. Tu ed il resto della feccia che compone la tua stessa razza, siete dei nessuno.» Si corresse brevemente, « E credimi, diventerete tali anche fisicamente.» 

La latina guardò negli occhi la ragazza finché non fu certa di essersi spiegata bene. Diede poi uno strattone alla catena, facendo uscire un altro grido strozzato di dolore dalle labbra della giovane strega. Poi, con un diavolo per capello, si voltò e sempre tenendo nella mano la catena, quasi come se l'altra fosse stata un cane, si tirò dietro la bionda giù per le scale. 

Con i denti stretti per non dare la soddisfazione alla latina di urlare ancora, Brittany notò che il corridoio del primo piano, in qualche modo, fosse meno tetro di quello del secondo, dove si trovava lo studio di Santana.

La Mangiamorte la scortò fino a raggiungere l'ultima porta sulla sinistra. Sfiorò il pomello del legno con la bacchetta e subito la porticina si aprì, rivelando al suo interno una stanzetta modesta. Non c'era nulla più di un letto, una scrivania, una finestra e un trespolo per gufi. Brittany fu svelta nel capire che quella non dovesse essere una stanza di cui i Lopez avessero mai beneficiato in prima persona. 

«Non toccare niente, non sedere sul letto e trattieni i tuoi bisogni. » Ordinò la latina dopo aver fatto entrare la ragazza in quella stanzetta. Prima  che Brittany potesse aprire bocca per chiederle perché la stesse lasciando lì, Santana era fuori dal suo raggio visivo. Sentì la porta chiudersi a chiave e il suo stomaco fece una capriola. L'avrebbe lasciata lì a morire di fame o sarebbe tornata per finirla prima con un guizzo verde della maledizione letale senza perdono?

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Santana capì nel momento in cui si svegliò che quella giornata non sarebbe stata una delle migliori. Non appena la sveglia suonò, le prime avvisaglie di un terribile mal di testa si fecero sentire, fu sufficiente quello per portarla a ricercare la bacchetta sotto al cuscino con il solo intento di far esplodere l'oggettivo metallico. La distruzione della sveglia stava diventando un macabro rituale, il segno dell'ennesimo giorno iniziato male e destinato a finire anche peggio, il più delle volte.

La strega aveva provato ogni genere di pozione, ma niente riusciva ad allontanare per più di qualche ora quello sgradevole dolore al capo che si protraeva ormai da svariati mesi. Era come se uno sciame di Doxy avesse preso residenza nella sua testa e la mora non riusciva più a sopportare oltre quell'increscente situazione.

Anche quella mattina aveva ovviamente saltato la colazione, perché quel fastidio le impediva di introdurre qualsiasi forma di cibo nel suo corpo, e si era preparata invece per la riunione che si sarebbe tenuta da lì a poco in quella che un tempo veniva chiamata Villa Malfoy, ora sede principale dei raduni più importanti di una ristretta cerchia di maghi oscuri. 

Passò un'ora intera a litigare con Jerzy Dolohov, esattamente come aveva preventivato di fare la sera prima. 

Da qualche tempo il Consiglio dei Mangiamorte aveva come usuale punto dell'ordine del giorno l'organizzazione dell'unica scuola di Magia e Stregoneria del Regno Unito. Era fondamentale che tutti i componenti del corpo docenti fossero membri conosciuti dall'Ordine, convinti professanti degli ideali e degli stili di vita del nuovo Governo. 

Santana sapeva che i suoi "colleghi" del Consiglio avrebbero fatto di tutto pur di liberarsi dell'unica donna a cui era consentito far politica, perciò non rimase troppo sorpresa quando venne proposto, con tanto di domanda scritta, che fosse proprio la Latina a prendere la cattedra vacante di presidenza dell'intero istituto. Per quanto la mora non avesse mai disprezzato la figura dell'insegnante, non aveva proprio alcuna intenzione di lasciare quello che aveva scoperto essere il lavoro dei suoi sogni per passare mesi e mesi con ragazzini ignoranti ed irritanti. Non faceva per lei. 

Perciò si stava battendo da diverse settimane contro ogni membro del Consiglio, in particolari modo con Dolohov, lo scoglio più grande. 

Sfortunatamente per lei, con il tempo quell'uomo era riuscito a guadagnassi una posizione privilegiata tra le grazie di Luis Lopez. Per suo padre, il biondino era diventato il figlio maschio mancato, sebbene Santana non lo percepisse affatto come fratello. Non era mai stata una ragazza gelosa ed avrebbe negato fino alla morte che si trattasse di gelosia,  ma non riusciva più a sopportare il modo in cui l'uomo che l'aveva cresciuta guardava quel mago, né tantomeno riusciva ad ascoltare le promesse che Luis faceva al ragazzo. 

Quella di Dolohov stava diventando una presenza fastidiosa tanto quanto il mal di testa della latina. Ad ogni cena di famiglia prendeva parte anche il mangiamorte, era con loro durante le domeniche in campagna ed aveva avuto anche la bella faccia tosta di presentarsi con al seguito i bagagli quando i Lopez erano partiti per una settimana di vacanze estive.

Santana sapeva che da lì a poco, suo padre avrebbe dato più ascolto a lui che a lei, perciò temeva di perdere ogni suo privilegio. Aveva addirittura cominciato a pensare di doversi sbarazzare del Mangiamorte per poter tornare a dormire sogni tranquilli. 

La mora aveva fatto il possibile per far valere le proprie ragioni quella mattina, ma con un'emicrania da spavento ed un branco di uomini che non sembravano neanche lontanamente interessati alle parole della ragazza, la giovane Lopez non riuscì ad ottenere quello che desiderava. Almeno, non completamente

Al posto di un lavoro a tempo pieno come comandante, Santana fu costretta a ripiegare su due lavori parziali. Con la promessa di presentare entro la settimana successiva un perfetto candidato per il ruolo di insegnante di Difesa contro le arti oscure, Santana era riuscita a mantenere, sebbene con qualche riduzione di uomini, il suo attuale impiego. 

Quando fece ritorno alla sua villa, la mora doveva ancora digerire quell'amaro boccone. Non riusciva neanche a capacitarsi di doversi trasferire nel castello in cui aveva passato alcuni degli anni più noiosi e cupi della sua vita. 

Non aveva neanche fatto in tempo a stappare la pozione che le avrebbe permesso di passare due ore senza mal di testa che una schiera di viscidi ed orribili magneti da quattro soldi si era presentato, come usuale, nel suo salone. Fosse stato per lei, avrebbe saltato ogni cerimonia del genere, ma in quanto membro del Consiglio e comandante di legione, era una mansione che non poteva affatto evitare.

Non aveva programmato di uccidere un uomo, né tantomeno di doversi far carico di una mezzosangue. Non aveva messo in conto, quella mattina, l'eventualità di una situazione tanto assurda.

La possibilità di un colpo di testa da parte del suo compagno più fedele, Mahaf, non le aveva neanche lontanamente sfiorato l'anticamera del cervello.

 

Santana non era affatto nervosa o irritata, bensì furente.

 

Il rumore deciso dei tacchi della strega giunse nella sua camera ancor prima della sua figura e dal brevissimo lasso di tempo che intercorreva tra un ticchettio e l'altro, era possibile intuire buona parte del malumore della Mangiamorte. Non appena la latina aprì la porta della stanza, vide l'ombra con cui tanto desiderava scambiare due insulti. Se ne stava comodamente sdraiata nel morbido materasso della strega e se solo Santana non avesse saputo leggere lo sguardo dell'animale, lo avrebbe fatto volare fuori dalla finestra all'istante. 

Sebbene la postura della bestia sembrava far trasparire un atteggiamento tranquillo e spensierato, quegli occhioni gialli dicevano tutt'altro. Preoccupazione, paura, speranza.

La strega incrociò le braccia al petto, come se fosse in attesa di una vera spiegazione da parte dell'animale che prese quella postura come un chiaro segnale. La pantera scese dal letto ed in un istante divenne un uomo. La figura maschile rivelatasi, si stiracchiò brevemente prima di levarsi sui due piedi, assumendo una postura più consona alla sua nuova forma.

«Dimmi che -» 

Santana non gli permise di concludere la frase. Con la bacchetta già pronta nella mano, le bastò alzare il braccio e premette la punta dell'arma contro il petto largo e muscoloso dell'uomo, che si vide costretto ad indietreggiare fino al letto, con le labbra serrate ed un'espressione di paura sul viso.

«Ricordami ancora perché ti ho tenuto in vita.» Sibilò lentamente la latina, a denti stretti.  

Passarono diversi secondi di silenzio prima che il ragazzo riuscisse a far rotolare le parole fuori dalle sue labbra, dopo quello che sembrò un momento di seria riflessione. «Perché sono il ragazzo più bello che tu conosca e perché sogni ancora di fare un salto sotto le lenzuola con me?»

L'espressione da ebete di Noah Puckerman non sarebbe mai bastata ad evitargli di essere schiantato e lui lo sapeva bene. 

La ragazza, inorridita dalla risposta dell'altro, strinse con più forza l'impugnatura della bacchetta e, aiutandosi con la mano, scagliò il copro dell'animagus contro il muro su cui era sistemata la testiera del suo letto. Se non altro, gli aveva concesso un atterraggio morbido. 

«Uomini,» cominciò con una chiara nota di disprezzo nella voce, «credete tutti che le donne non vedano l'ora di gettarsi tra le vostre braccia, magari a gambe aperte.» Continuò poi, avvicinandosi al letto dove Puck stava cercando di rimettersi in piedi. Essere lanciato da una parte all'altra della stanza gli creava ancora qualche problema sebbene dopo un paio d'anni di convivenza con Santana Lopez, le sue ossa avevano sviluppato una strana resistenza agli urti. 

«Siete disgustosi.» Ringhiò infine la ragazza,  fermandosi a pochi centimetri dall'altro mago.

Noah aveva imparato a conoscere il carattere della latina e con il tempo, aveva appreso quando aveva la possibilità di parlare ed essere semplicemente spostato di qualche metro, e quando invece aprir bocca gli sarebbe potuto costare molto di più. 

Capì in fretta che quella situazione ricadeva nella seconda categoria, perciò rimase in silenzio e permise alla latina di osservarlo e sfogarsi. Sapeva che se non glielo avesse permesso, ci avrebbero rimesso tutti e tre, lui, lei e Brittany. 

«Non ti ho salvato la vita perché tu potessi incasinarmela, Noah. Non ti ho insegnato a trasformarti per poter passare il resto dei tuoi giorni a condurre un'esistenza che non ti spetta, perlopiù a mie spese, non ne hai alcun diritto.» Calcò maggiormente le ultime due parole, con le sopracciglia increspate e la mascella contratta per lo sforzo che stava facendo per non urlare. Non poteva permetterselo, con quel mal di testa. «Vivi nella mia casa, mangi con me, dormi con me e questa è la tua gratitudine per me. Impazzisci nell'unico giorno in cui avrei preferito non vedere neanche il tuo brutto muso.»

Noah cominciava a non capire più molto. Insomma sì, era vero, stava conducendo uno stile di vita che molti come lui, altri della sua razza, avrebbero pregato di avere. Era al sicuro, protetto, agiato. Aveva un lavoro che  lo costringeva a stare per la maggior parte del tempo sotto la forma di una pantera, ma non era nulla paragonato al genere di torture che attendevano invece gli altri nati babbani. 

Quello che non capiva, però, era perché Santana se la stesse prendendo tanto quella volta. Aveva già fatto altre richieste del genere, si erano concluse tutte con un semplice no. Non che il ragazzo fosse completamente senza indizi, aveva una vaga idea - più che altro una disperata speranza- del perché la latina fosse tanto tormentata. Che avesse torto o ragione, di fatto Santana non sembrava voler  chiudere il discorso con un  semplice “No". 

Il sollievo fu breve, un brivido di terrore percorse la spina dorsale del ragazzone. Un terribile dubbio si insinuò nella sua testolina.

«Santana..» cominciò incerto, non sapendo esattamente come formulare quella folle sensazione. «Lei è..» Non riuscì a terminare la frase, le parole gli si fermarono in gola. 

La mora scrutò il viso del ragazzo alla ricerca di qualche indizio che tradisse tutta quella sua preoccupazione, ma non riuscì a ricavare niente di utile dalla sua espressione. Sospirò ed alzò gli occhi al cielo, cominciava a stancarsi di tutta quella confusione.

«È ancora viva» Rispose allora, inarcando un sopracciglio. «Ma non lo sarà per molto, se non mi spieghi cosa sta succedendo.» 

La latina fece in fretta a tornare seria e con un po' di dispiacere, Puck apprese di dover fare altrettanto. 

«Sto aspettando una risposta.» Incalzò con poca pazienza la mora, irritata oltre misura dal silenzio che Noah aveva deciso di riservarle in risposta.

Puck esitò ancora, avrebbe potuto dirle la verità? Non avrebbe aiutato sicuramente la situazione precaria della bionda, la pura verità era fuori discussione. Così optò per una mezza verità.

«La conosco,» sussurrò con un filo di vergogna nella voce «Conosco quella ragazza.» Fece per riprendere fiato, ma la mora lo interruppe.

«Devi avermi confusa con qualcuno a cui interessa qualcosa della tua vita, Noah. Ti ho già detto che non posso salvare tutti i tuoi conoscenti.» La mora alzò gli occhi al cielo esasperata, era certa di aver già intrapreso discussioni del genere con Puckerman. 

Noah avrebbe voluto dirle che infatti, fino ad allora, non aveva mai accettato nessuna delle sue richieste di aiutare persone a lui care, ma sapeva che non avrebbe giovato la causa. Così provò con un diverso approccio. «Ma lei è diversa! Non sarà sveglia ma è estremamente intelligente, potrebbe tornarti utile per..»

Ancora una volta, Santana si intromise. «Stai insultando la mia intelligenza?» Domandò ad occhi socchiusi, prendendosi il ponte del naso tra le dita nel vano tentativo di calmarsi.

Il ragazzo non era idiota, aveva imparato a conoscere i vari toni di voce della latina e a distinguere i suoi stati d'animo (ossia i vari livelli di rabbia, perché quella sembrava essere l'unica emozione rimasta alla mangiamorte) e sapeva quando e come fermarsi o porre rimedio a situazioni scomode. «Non oserei mai.»

Santana si passò una mano sulla fronte e si allontanò in direzione di un baule posato  sotto alla scrivania. Lo aprì, estrasse una pozione dal liquido grigiastro e con una faccia schifata ne bevve il contenuto.

Quando fu certa di non dover vomitare quanto appena assunto, si sedette stancamente sulla sedia e provò a riprendere il discorso con un po' più di calma.

«Lei è speciale..» Borbottò ironica, riprendendo le parole pronunciate dal ragazzo poco prima. «Non dirmi che la ami.»

Noah sembrava sconvolto, le sue sopracciglia si alzarono all'inverosimile e la sua mascella sembrò sul punto di cadere a terra. «Cosa, no! Per Salazar, no!»

Santana sospirò scettica, nonostante il suo "amico" sembrasse sincero. «Illuminami, allora. Cosa la rende meritevole di questa vita? Il suo sangue parla chiaro, conosci le regole.»

"Anche il mio sangue parla chiaro," pensò Noah. «Per favore…» 

La latina alzò un sopracciglio in sua direzione, le suppliche non lo avrebbero portato da nessuna parte.

«Fai una sola eccezione, Santana, per una sola volta... È carina, è intelligente e onestamente, due mani in più potrebbero tornare utili per tenere in ordine la magione.»

La giovane Lopez scosse il capo, per nulla colpita dalle ragioni del mago. Forse era un briciolo carina, aveva dei lindamente delicati, ma era anche vero che Santana avesse visto nella sua vita donne molto più belle. 

«Per quello esistono gli elfi domestici.» Gli ricordò poi, facendo schioccare le labbra. Se avesse desiderato avere della servitù, avrebbe tenuto quella in dotazione della Villa quando suo padre gliela regalò.

Il ragazzo emise una piccola risata. «Sappiamo entrambi che non riesci neanche a guardare quelle creature, Santana.»

Ed era vero, il motivo per cui Santana si era liberata degli elfi domestici era perché avere attorno quei disgustosi, orribili esseri viventi le metteva addosso un senso di nausea persistente, che poco si sposava con il suo dannato mal di testa perenne.

«Lei è la candidata perfetta, San. Inoltre, un po' di compagnia non può farti male, da quant'è che non te la sp-»

«Basta così!» Lo zittì la mora, intuendo troppo tardi dove l'altro volesse indirizzare il discorso. Non voleva parlare di certe cose con lui, oltre ad essere inappropriato era anche disgustoso.

Lasciò che lo schienale della poltroncina sostenesse completamente il suo peso e silenziosamente cominciò a pensare a quanto appena appreso. Valeva la pena tenere la bionda con sé? 

Di certo, non le serviva una bocca in più da sfamare, né tantomeno una bestia da educare. Sarebbe stata solo un peso. Santana capì in poco tempo che non avrebbe mai dovuto risparmiare quella ragazza, nonostante la rara bellezza di quegli occhi blu topazio. Eppure c'era qualcosa in lei che l'incuriosiva, spingendola a pensare di darle realmente una seconda possibilità.

«Per favore Santana..significa davvero molto per me.»

«Ancora una volta, Noah, smettila di supplicare. Solo i bambini maleducati lo fanno, credevo avessi imparato ad essere un uomo. Chiaramente, le macchie di un sangue malato non possono essere totalmente ripulite.» Borbottò la mora, rimettendosi in piedi.

Puck lasciò passare quel commento, non che avesse possibilità di ribattere, comunque. «Non puoi lasciarla morire!» Quando parlò, non riuscì a trattenere il proprio tono di voce e si espresse in quello che era suonato più come un'imposizione piuttosto che una richieda. Era una posizione che sapeva di non poter prendere, ma allo stesso tempo era consapevole di non poter permettere che tutte le sue speranze morissero per colpa della stessa donna che un tempo si era dimostrata tanto caritatevole con lui. 

Santana si accorse del suo tono di voce e prima di raggiungere la porta si voltò, convinta di trovare il ragazzo ancora seduto sul letto. Così non fu, Noah si era precipitato nel frattempo davanti a lei per sbarrarle la via. Alle volte dimenticava l'abilità del ragazzo di materializzarsi.

«Levati di mezzo.» Sibilò soltanto, concentrando tutto l'autocontrollo che aveva per impedirsi di schiantare il ragazzo il più lontano possibile da lei.

«Dalle una settimana di prova prima di decidere. Lo hai già fatto con me, puoi farlo anche con lei. Significa davvero tanto per me...»

«Non lo ripeterò un'altra volta.» 

Il ragazzo non si fece scoraggiare troppo dalla voce minacciosa della latina, ma anzi approfittò della vicinanza per rivolgerle l'ennesimo sguardo supplichevole. Poi, preso da un fulmine di buon senso, fece un passo a lato per farsi da parte e, dopo averle aperto la porta, aspettò che la mora fosse fuori dalla stanza per prendersi il viso tra le mani e sedersi con la schiena contro al muro freddo della camera.

Non sarebbe fallito tutto per colpa sua.

 

 

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Il silenzio regnava sovrano. L'unica cosa udibile distintamente era la preoccupazione della strega bionda, per la quale la sera sembrava non dovesse arrivare mai, quel giorno. Aveva già vissuto momenti carichi di tensione come quello, poteva anche affermare di aver passato di peggio. La presa di Hogwarts fu un brutto colpo, l'esecuzione di Harry Potter poteva classificarsi senza problemi nella sua top 5, ma quello… quello che temeva fosse successo batteva di gran lunga qualsiasi evento.

Di tanto in tanto un sospiro sconsolato disturbava il silenzio assordante della tenda, costringendo Holly Holiday ad alzare lo sguardo alla ricerca della fonte del suono. Spesso, ad incontrare il suo sguardo, erano gli occhi sconsolati di Finn Hudson,  più raramente quelli dei coniugi Chang. 

Per ammazzare l'attesa, la strega si era lasciata prendere dai ricordi. Le tornarono in mente i primissimi giorni di reclutamento che avevano seguito la caduta di Hogwarts. Ricordò con amarezza come molti dei suoi ex studenti, disgustosamente, immediatamente dopo l'accaduto, strisciarono impauriti nei ranghi dei mangiamorte per aver salva la vita; di conseguenza, in chiaro contrasto, le tornò alla mente la felicità che provò invece quando si presentò a casa di Will Schuester dopo aver ricevuto il suo gufo.
Lì per lì pensò non fosse reale. Credette fosse uno scherzo o una festa di cui si era dimenticata. 
Nel piccolo salotto dell'ex collega aveva trovato una quarantina di maghetti sorridenti, perlopiù giovani ragazzi e ragazze, ex studenti. I loro volti erano provati dalla guerra, i loro fisici deboli. Ad accomunarli, vi era quella luce negli occhi, quella speranza, quell'unico credo: la voglia di resistere, di combattere. Non avrebbero permesso ai mangiamorte di rubargli la vita.

Quello stesso giorno fu fondato l'ordine dei Cavalieri di Minerva, che si espanse in gran segretezza fino a contare centinaia di sostenitori. 
Cominciarono ad allenarsi in segretezza, si diedero degli obiettivi. Ripresero i metodi di Potter e dell'ordine della fenice per comunicare senza il rischio di essere scoperti. Fecero grandi progressi in poco tempo.

La gente cominciò a vederli come beniamini, venditori di sogni capaci di restituire un minimo di dignità alle vite dei maghi, sebbene gli atti di resistenza dell'epoca si limitarono a piccoli sabotaggi. Gli piaceva pensare, comunque, che sebbene nel piccolo, stessero salvando delle vite.

Ognuno dei ragazzini dell'ordine era per lei come un figlio, li aveva visti crescere nei corridoi di Hogwarts, innamorarsi, sposarsi nei tempi più bui, diventare uomini. Perdere uno solo di loro era come perdere un pezzo di se stessa, era così per l'intero gruppo.
Per quanto si dicessero di restare uniti, era chiaro a tutti che le forze del nemico stessero diventando sempre più potenti ed incontrastabili ed ogni lutto era un colpo all'anima dell'odine. Ogni Cavaliere ucciso in battaglia significava essere un passo più vicini alla fine. I fondatori si erano ormai decimati, nonostante i sostenitori dell'ordine segreto continuassero a crescere in tutto il paese. Il morale non era dei migliori.

Nell'ultima settimana gli attentati dei mantelli neri erano costati due perdite certe per i Cavalieri ed una dubbia. Era per l'ultima che, in quel momento, i ragazzi si stavano torturando.

Holly era sull'orlo di una crisi di nervi  quando, finalmente, la tenda si aprì per far entrare una streghetta minuta.

La frangia castana perfettamente in ordine nonostante il cappello che portava, la sciarpa con i colori dell'ordine le arrivava fin sopra al naso ed il maglioncino di lana grigiastro un po' slargato erano diventati i suoi marchi di fabbrica. Finn le corse incontro e dopo aver salutato la fidanzata con un sonoro bacio sulle labbra, le diede un po' di respiro. 

Holly non osò parlare. Voleva l'informazione che Berry aveva ottenuto, poteva leggerlo nei suoi occhi che aveva qualcosa da dire, ma non aveva il coraggio di chiedere. 

Rachel sembrò intuire perché, dopo essersi allontanata di qualche passo dal ragazzo, si tolse il cappello e si mordicchiò le labbra prima di dichiarare in un sussurro: «L'hanno presa.»

 

 

 


Mi scuso per il ritardo, non ho abbandonato la storia. Mi dispiace, il capitolo è venuto più corto di quanto sperassi, ma in fin dei conti credo sia meglio così. Conto di aggiornare più velocemente prossimamente, magari appunto con capitoli più corti (mediamente, questa lunghezza).
Mi scuso per gli errori, tutti miei, spero ci sia ancora qualcuno che segue la storia. Ci siete, vero? Fatevi sentire!

Alla prossima (si spera!)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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