L'estate nello Spazio Infinito

di Philly123
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Trasferimento ***
Capitolo 2: *** Flashback ***
Capitolo 3: *** Virus ***



Capitolo 1
*** Trasferimento ***


L’appartamento disabitato si era appena riempito di gente. Molti addetti ai lavori correvano per le scale con pacchi grandi e piccoli, l’aria cominciava a riscaldarsi nel giardino ma delle piccole gocce di pioggia guastavano la giornata.
Attraversai il cancello mentre un tipo sudato mi schizzava accanto, lo evitai ma un lembo del mio cardigan si scontrò con il suo ginocchio. Mia madre assisteva inerme alla ressa, urlando qualche volta contro uno degli uomini, che si limitavano ad assentire distrattamente.
-Che succede, mamma?- chiesi, aspettando la risposta per molto tempo, mentre lei osservava un uomo che lasciava fango a terra a ogni passo.
-Abbiamo affittato l’appartamento al piano di sopra, lo sapevi.-
Era vero. Avevo sentito quella storia, anche se non ci avevo fatto attenzione. Una volta, qualche mese prima, aveva detto a un'amica al telefono che un uomo di circa trent’anni avrebbe affittato l’appartamento al piano superiore della nostra villa al mare, in Sicilia, che da tanto tempo era vuoto e disabitato. L’uomo però aveva rimandato per molto tempo a causa di un lavoro che lo portava in giro per il mondo. Questo era tutto quello che conoscevo della vicenda.
    Era ormai estate, il momento in cui lasciavo la città e mi preparavo a vivere un noioso periodo lontano da tutti i miei amici e oberata dagli impegni universitari. Non mi piaceva andare al mare, anche se la mia pelle era naturalmente olivastra, per questo mi annoiavo in quella villa, che molti avrebbero invidiato.
Pensavo, per quell’anno, di avere la possibilità di trovare un amico, un ragazzo trentenne mi avrebbe di sicuro fatto compagnia, nonostante io ne avessi ventidue; questo però non successe, il coinquilino non comparve mai, non lo vide nessuno, nonostante pagasse tutte le rate. Io, invece, passai un mese intero a chiedermi perché, davvero perché, non avessi dato due esami alla sessione di Giugno, lasciandoli per Settembre.
    Possiamo dire, insomma, che non successe niente fino al momento in cui conobbi il misterioso coinquilino.
La vita sedentaria, passata dietro la scrivania, e la mia innata insonnia erano un cattivo miscuglio che provocava in me l'impossibilità di dormire. Le notti estive per me erano come eterne domeniche pomeriggio, quando non sai cosa fare e le ore si dilatano. Di solito prediligevo stare in giardino, su una sdraio, a leggere mentre ascoltavo i rumori della notte, che in città non si possono sentire. Il giardino era in parte unicamente mio, in parte condiviso con l’appartamento del piano di sopra, l’appartamento fantasma del coinquilino fantasma.
Quella sera leggevo Les fleurs du mal di Baudelaire in francese, e per mio piacere personale recitavo le poesie ad alta voce, essendo sicura che nessuno mi potesse sentire. Declamavo da un po’ quando vidi accendersi una luce del giardino con la coda dell’occhio. Mi zittii pensando che fosse mia madre, mi vergognavo quando capitava che mi sentisse leggere, ma molto probabilmente era venuta per dirmi di fare silenzio, poiché si sentiva dalla sua camera da letto con finestra sul giardino. Prima che potessi dire qualsiasi cosa, però, una voce interruppe i miei pensieri.
-Oh no, ti prego continua. Non volevo disturbarti, mi è piaciuto molto sentirti leggere-
Non era di certo la voce di mia madre! Era piuttosto quella di un uomo, cavernosa, sembrava arrivasse dal diaframma e nello stesso tempo era come se l’uomo parlasse senza sfruttare l’aria che passa dal naso. Avevo già sentito quella voce. Quel qualcuno aveva anche un’ottima conoscenza della lingua italiana ma comunque un fortissimo accento inglese. Mi girai.
L’uomo stava dritto in una posa impeccabile, era alto e il suo profilo si stagliava in contro luce davanti il faretto da giardino. Mi ricordava incredibilmente l’attore Benedict Cumberbatch ma non riuscivo a focalizzare il volto, e comunque ero certa che non fosse minimamente possibile.
-Chi sei?- chiesi all’uomo senza volto e senza nome.
Quello si avvicinò, si girò lievemente e io ne scorsi la faccia.
-Benedict Cumberbatch?!-
Sentii un balzo al cuore.
-Ehm..- cercai di parlare ma dalla bocca mi uscì solo il suono che facevo al liceo quando, da interrogata, non sapevo una risposta. Era comunque la cosa migliore che fossi riuscita a dire in quel momento.
Lui sorrise con quelle labbra stranissime e innaturalmente gonfie, mentre la luce giocava con le sfumature del colore dei suoi occhi. Mi sentivo strana, come se le farfalle che mi infestavano lo stomaco stessero cercando di fuggire, noncuranti che ci fosse la mia pancia tra loro e la libertà. Era una sensazione strana.
Prese un ceppo d’albero che stava a qualche metro da lui, lo posizionò di fronte a me e si sedette. Doveva essere incredibilmente forte poiché io riuscivo a mala pena a trascinarlo per qualche centimetro.
-Non ti preoccupare, sono una persona comune anche io, sai? Ci sono solo tante persone che mi inseguono-
-Cosa? Tu? Qua?- Ero confusa, non riuscivo ancora a capire se quello che stava succedendo fosse reale e comunque riuscivo solo a balbettare.
Lui si mise a ridere, come divertito dal mio stato di confusione mentale e fisica.
-Ho sempre amato l'Italia, vengo spesso di nascosto per..- si bloccò per un istante, guardò una zanzara che volava con uno sguardo grave, poi esclamò -..riposare! Rest!-
-Quindi è per questo che sai l'italiano?- Sembrava quasi una critica dopo ciò che aveva detto. Ero finalmente riuscita a parlare ed ero sicura di aver sbagliato. Lui, in ogni caso, non lo notò o forse ignorò la mia gaffe.
-Ho studiato. Parlo bene?- Chiese con un tono inglese.
-Perfetto! Molto bravo!- e completai la frase con un sorriso e una risata, tutto parecchio goffo.
-Sono scappato qui perché pensavo di non essere riconosciuto, ma tu mi conosci. Non mi torturi, vero?-
-Sul serio, giuro, sarò una brava vicina!- risposi con veemenza.
Lui sorrise di sbieco, aveva un viso dolce e delle rughette gli si diramavano dai lati degli occhi.
Ci scambiammo qualche altra parola ma, a un certo punto, se ne andò come era arrivato: scomparendo nell'oscurità del giardino. Io mi ritirai in casa e continuai a rimuginare sull'accaduto, che da subito mi sembrò altamente irreale.
La mattina dopo, l'appartamento sembrava deserto come sempre, finestre e porta sbarrate e nemmeno un rumore dall'interno. Passarono alcuni giorni, ma del famoso inquilino non se ne vide nemmeno l'ombra. La settimana successiva cominciai a pensare di aver immaginato tutto, cosa che mi pareva verosimile, vista l'improbabilità dell'evento.
Un pomeriggio, mentre facevo giardinaggio, notai una finestra aperta e la porta socchiusa al piano di sopra. Mi illuminai, ero davvero curiosa di scoprire se ciò che era successo quella notte fosse vero e, in caso, di rivedere Benedict. Non ero vestita in modo elegante ma salii ugualmente le scale che portavano al terrazzo da cui si entrava a casa sua.
-Ehi? C'è qualcuno? Posso?-gridai, ma nessuno rispose, così mi avvicinai alla porta e bussai. Ancora niente. Ero decisa ad andarmene quando, con un ultimo colpo forse troppo poderoso, la porta si scostò dall'infisso e si schiuse.
Prima che potessi girarmi notai l'aggeggio più impensabile che avrei creduto di trovare in casa di un attore che scappava dalla mondanità: una cabina telefonica inglese. Blu.

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Capitolo 2
*** Flashback ***


La stanza sembrava bollire a causa del caldo afoso e umido della Sicilia; il letto, su cui ero distesa, pareva emanare calore dall’interno, così mi spostavo nei punti più freschi per cercare un po’ di ristoro.
Negli ultimi tempi mi erano accaduti eventi del tutto inusuali: l’incontro con Benedict Cumberbatch prima e qualche tempo dopo la vista, nel suo appartamento, del TARDIS. Questo pensiero mi tormentava, e mi faceva restare sveglia a scrutare il soffitto, indagando nei miei pensieri.
Conoscevo benissimo il TARDIS, come tutti quelli che hanno visto il Doctor Who. Benedict poteva sicuramente avere accesso ai materiali del set ma la domanda che mi tormentava maggiormente era: cosa ci faceva un TARDIS in casa sua?

Quel pomeriggio di qualche giorno prima, dopo avere sbirciato involontariamente nel suo appartamento e aver notato lo strano aggeggio, mi ero leggermente sporta con la testa, per guardare dentro. La casa era immacolata, come all’esterno non c’era alcun segno di usura di qualunque oggetto, eppure sui mobili erano poggiate suppellettili di vario genere, come se qualcuno le avesse messe lì di proposito per dare colore a quell’ambiente asettico.
-Benedict? Benedict Cumberbatch?- provai a chiedere di nuovo. Non arrivò alcuna risposta. Bussai sulla porta ma nessuno mi sentì. Guardandomi attorno in modo circospetto mi avvicinai al TARDIS, era come lo avevo sempre immaginato: imponente e di quel blu che avrei potuto riconoscere su qualsiasi oggetto. L’unica cosa per cui si distaccava dal mio immaginario erano i molteplici segni di usura su tutta la sua superficie: graffi, buchi e ammaccature, per citarne alcuni. A dire il vero, sembrava l’unica cosa utilizzata dentro quella casa.
Intenta a scrutarlo, mi dimenticai per un istante di essermi introdotta senza permesso in casa di un estraneo, e che quell’estraneo era, tra l’altro, un attore famoso.
Fui scossa da un rumore, inizialmente mi guardai attorno, pensando di vedere qualcuno entrare dalla porta e rimproverarmi, ma dopo qualche istante capii che il rumore usciva dal TARDIS. Rimasi in preda allo stupore, poi accostai l’orecchio alla porta. Il rumore era costante, come di un macchinario in funzione, ma c’erano anche delle voci, voci maschili. Cercai di spingere la porta per aprirla ma quella opponeva resistenza, essendo forse chiusa a chiave.
Passò un istante, mi ricordo che diedi un colpo alla porta con la mano, poi più niente. Mi ritrovai nel mio terrazzo, distesa su una poltrona reclinabile, avevo appena aperto gli occhi quando riconobbi mia madre.
-Bene, ti sei svegliata allora. Pensavo che avresti dormito per tutto il pomeriggio-
Com’ero arrivata lì?

Tutto ciò mi teneva sveglia e mi tormentava. Giorno dopo giorno la mia sicurezza e determinatezza riguardo quegli eventi si affievoliva, ma di una cosa non avrei potuto essere meno certa: io avevo visto e toccato quel TARDIS, avevo sentito dei rumori provenire da esso e sicuramente non avevo sognato tutto.

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Capitolo 3
*** Virus ***


Benedict si trovava in una stanza buia. Le finestre erano sbarrate e qualche raggio di luce entrava dalle tapparelle scure. Sentiva la testa che girava, un dolore sordo gli annebbiava le percezioni.
Inizialmente non capì dove fosse. Non era il suo appartamento di Londra, e nemmeno il locale illuminato da luci colorate che si trovava dentro il TARDIS. Aveva una fitta alla spalla sinistra e quando portò la mano sul punto che gli doleva sentì del liquido tra le dita, probabilmente il suo stesso sangue.
Non ricordava esattamente cosa fosse successo nelle ultime ore. Sapeva di essere stato su quel pianeta vicino la stella Mirach, nella galassia di Andromeda. Improvvisamente pensò al Dottore e a Clara, che non aveva più rivisto da quando si erano lanciati dentro il TARDIS. Provò a guardarsi intorno per cercarli ma l’oscurità era troppo fitta e, in ogni caso, era sicuro che non ci fosse nessuno in quel luogo.
Cominciò a collegare qualcosa nella sua testa. L’Italia. Doveva trovarsi in Italia, in quell’appartamento in Sicilia. Aveva lasciato la casa molto tempo prima ma secondo quella linea temporale poteva essere passato poco tempo, forse soltanto delle ore. Come avrebbe fatto a ritrovare i due? Potevano essere in qualunque parte del tempo e dello spazio, lui non aveva un mezzo per viaggiare e, per quanto si ricordasse, sapeva che quando si erano separati qualcosa li braccava.
I suoi pensieri furono scossi dal rumore di alcuni passi, attutiti dalla porta chiusa.
-Benedict?- chiese una timida voce femminile.
 
 
-Benedict Cumberbatch?- ripetei. Avevo il vizio di chiamare la prima volta con il solo nome di battesimo e la seconda sottolineando il cognome.
Qualche minuto prima, mentre ero distesa in soggiorno, avevo sentito un fortissimo tonfo provenire dal piano superiore, e successivamente un urlo attutito dalle pareti. Queste non erano molto spesse e non era strano riuscire a sentire rumori provenienti da giardino o dall’altro appartamento. Più volte piccoli passi di topi o animali simili, gatti in calore e insetti di vario genere mi avevano distratta dalle mie letture.
Bussai potentemente alla porta in legno, rigonfia d’umidità. Dall’interno riuscivo soltanto a sentire un sordo silenzio.
-Valentina?- chiese infine la voce di Benedict, leggermente più roca del solito.
-Tutto bene? Abbiamo sentito un rumore e ci siamo preoccupate, tutto qui. Visto che hai risposto me ne vado. Arrivederci.- dissi tutto in fretta, cercando di non importunarlo.
-Valentina, non andare. Entra, per favore-. Il suo accento era fortissimo, come se non volesse sforzarsi di controllarlo. Cercai di aprire la porta ma era bloccata. Diedi alcune spallate, sperando non tanto di riuscire a spalancarla con la forza del mio corpo, quanto che fosse stata solamente socchiusa.
-Mi dispiace, Benedict, non riesco ad aprire. Stai bene?- chiesi a quel punto, preoccupata.
Non ricevetti alcuna risposta ma dopo alcuni tonfi la porta si dischiuse.
La casa era completamente immersa nell’oscurità, l’uomo era a terra, il braccio destro ancora allungato verso la maniglia, l’altro disteso lungo il fianco. Inizialmente mi chiesi perché fosse buttato in quella maniera, ma poi notai il liquido scuro che scendeva dal braccio, leggermente sotto la spalla. I lembi della camicia chiara erano strappati, all’interno vi era molto sangue. Non riuscivo a distinguere bene, ma sembrava un taglio profondo.
-Oh cavolo, tu sei ferito!- la mia voce si alzò di qualche ottava e mi resi conto di aver appena detto la cosa più inutile e stupida che si potesse pensare. Benedict mi guardò e sorrise, come per sminuire l’entità dell’infortunio.
-Te la senti di salire in macchina? Devo portarti in ospedale, non so cosa fare-
-Posso camminare- rispose solamente. Si alzò in piedi, appoggiandosi alla mia spalla e appena lo vidi sotto la luce del sole notai quanto il suo volto fosse pallido.
 
L’ospedale più vicino distava una trentina di minuti dalla mia abitazione. Non era molto, ma Benedict sembrava soffrire. Chiudeva gli occhi, appoggiato al finestrino della mia auto e respirava sonoramente.
Arrivati al pronto soccorso cercai di spiegare la sua situazione prima di farlo scendere dalla macchina; che era una persona famosa e probabilmente lo avrebbero importunato se fosse rimasto con gli altri pazienti. Ci chiusero in una stanza vuota ma aspettammo come tutti. Benedict non parlava, si teneva soltanto le bende che ci avevano fornito e che continuavano a sporcarsi del suo sangue. Qualche ora dopo un’infermiera grassoccia lo venne a prendere.
-Sei una parente?- mi chiese. Volevo risponderle in modo poco carino, data l’ansia e la rabbia per la lunga attesa, ma mi limitai a dissentire.
-Bene, resta qua allora.- concluse, sfacciata.
-Signora, non se ne parla. È tutto il pomeriggio che aspetto e non ho intenzione di rimanere qui. Inoltre, non c’è nessuno che possa stare con lui né che possa venire in Sicilia senza aspettare almeno un giorno. Quindi, signora, mi lasci passare.- misi molta enfasi sulla parola signora, per sembrare più arrabbiata. Discutemmo a lungo ma alla fine la ebbi vinta.
Mi fermai in un lungo corridoio, subito fuori dalla sala in cui stavano medicando Benedict. Gli misero dei punti sul braccio e gli prelevarono del sangue, poi lo lasciarono riposare su un brutto lettino di plastica.
Quando notai che gli infermieri erano usciti mi addentrai, avevo il naso pieno del puzzo d’ospedale.
Benedict era steso, gli occhi socchiusi e i capelli un po’ schiacciati sulla fronte imperlata di sudore.
Presi una sedia e la posizionai accanto al suo lettino, mentre apriva leggermente gli occhi allo stridere delle gambe metalliche.
-Come va?- chiesi con tono lieve, credendo di disturbarlo.
-Sono stato meglio, alcune volte.- mentre rispondeva, mi guardò dolcemente tanto che quasi credetti di sciogliermi. Senza sapere bene cosa stessi facendo, vidi una delle mie mani che gli spostava i capelli dalla fronte, quasi in una carezza. Sentii il mio volto avvampare.
In quel preciso momento, un’infermiera si avvicinò a noi e diede un colpo di tosse per richiamare l’attenzione.
-Sì?- chiesi. Era la stessa donna robusta di prima. Notai le ciglia con troppo mascara e i capelli di un biondo innaturale.
-Abbiamo i risultati delle analisi del sangue, siamo stati fortunati perché siamo riusciti a inserirle in un turno precedente. Volete sapere i risultati?- poi si girò verso Ben e lo squadrò –Vuoi saperli, Sherlock?- chiese ancora, con un tono molto rude.
-Li dica a me, non credo che abbia una conoscenza così approfondita dell’italiano- mi intromisi.
-Bene, allora: sta benissimo, a parte qualcosa di strano. Abbiamo trovato un agente patogeno ma non ne conosciamo l’identità. In pratica, si è ammalato di qualcosa che non sappiamo spiegare. Ha qualcosa. Non sappiamo dire altro. Procederemo con degli accertamenti nei prossimi giorni, quindi dovrà rimanere qui.-
-No!- si intromise Benedict, il suo volto era forse più cinereo di prima. Gli occhi dichiaravano paura.
-Cosa succede?- chiesi, stordita a causa di entrambe le informazioni.
-Dobbiamo andare via. Subito. Mi devi riportare al TAR… a casa-. A quella parola sobbalzai.
Andarcene non fu facile ma dopo molti tentativi riuscii a portare Benedict fuori da quel posto.
 
-Il TARDIS?! Allora non mi ero sognata tutto! Voglio dire, l’ho visto davvero quel coso in casa tua, giusto? Cosa c’entra il TARDIS ora? Non dirmi che non è semplicemente una decorazione presa da un set della BBC. Non mi rispondi?!- mentre guidavo, facevo così tante domande che se anche Benedict avesse voluto rispondere, non avrebbe potuto. Smisi di parlare per prendere fiato. Sentivo la testa confusa e non riuscivo a capire che cosa stesse succedendo.
Per qualche minuto non sentii niente tranne il rumore del vento sui finestrini, mentre correvo in autostrada.
-Il TARDIS è quello che pensi.- rispose soltanto Benedict. Dopo una lunga pausa, continuò –Siamo stati attaccati. Ero con Clara e il Dottore. Non ricordo come fossero quelli che ci hanno attaccato, né perché eravamo lì e non so dove siano finiti i miei amici, ma ora sono cosciente di una cosa: se non tornerò indietro morirò. Sono stato attaccato da un virus alieno e in tutti questi anni non ho mai visto qualcuno sopravvivere dopo una cosa del genere senza un aiuto. L’unico che può aiutarmi è il Dottore-.



N.D.A.: Ciao ragazzi,
ebbene sì, ho deciso di riprendere questa storia! Ho tantissime nuove idee e voglia di scrivere. Spero che vi piaccia come vi sono spiaciuti i capitoli precedenti. In caso contrario, comunicatemelo!
Un bacio a tutti i miei lettori (e non!).

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