Plan Z

di Stelplena_Cielo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** I. Plan Z ***
Capitolo 3: *** II. A New World - Survivor ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

 
 
 
  -Near è morto. -

  Era ormai qualche giorno che in Giappone, così come nel resto di tutto il mondo, Kira era solo un ricordo, una domanda, un’insicurezza. Come se parlarne fosse ormai Tabù, come se la gente volesse finalmente scordare; e si sentivano stupidi e sconfitti tutti quelli che avevano tifato per lui, incitando tramite media la popolazione di tutto il mondo a convertirsi al grande Messia, come se quella fosse una sorta di Guerra Santa verso una nuova religione. Eppure, nessuno aveva aizzato torce e forconi, nessuna folla si era accalcata sotto i balconi di chi aveva difeso e idolatrato Kira; forse perché, in fondo, tutti loro sentivano che l’operato di quell’essere pazzo e fanatico in qualche modo poteva essere giusto. Ma c’era giustizia in tutto quello, o era solo paura?
  Tutto il mondo era in silenzio, tratteneva il fiato, perché i telegiornali non parlano? Perché sono tutti zitti mentre noi tentiamo di capire? Kira ha vinto, vero? Ma no, a questo punto speriamo che lo abbiano arrestato.. non si può mica vivere così..
  Eppure nessuno ne parlava, nessuno si degnava di prendere il discorso ed esporre le proprie idee e magari battersi affinché gli altri capissero il proprio punto di vista e decidessero finalmente da che parte stare; ma evidentemente, la paura era troppa anche solo per immaginare una cosa simile.
  Dopo il rapimento di Takada, erano state davvero poche le notizie. Di lei non s’era più saputo niente se non dopo tre giorni, quando al telegiornale ne annunciarono la morte. Il rapitore e il complice erano entrambi morti, ma nessuno sapeva dare un senso alle notizie che si susseguivano;  la televisione era più criptata del solito, notizie su Kira pari a zero, dispiacere e dolore per Takada ovunque e poi i soliti reality show probabilmente destinati a celare la confusione generale che a quanto pareva aveva colpito anche i mass media.
  Se Takada era morta, forse allora anche Kira lo era. Forse Kira era Takada stessa, visto che i criminali avevano smesso di morire da quando lei, il ventisei  gennaio, era stata rapita. La gente si chiedeva se avesse effettivamente il diritto di parlarne, di farsi domande, di avere paura; se in televisione non ne parlano, allora è tutto finito. Sì, ma quando puoi fidarti della tv? Sai quante cose ti nascondono?
  Una sola persona poteva essere la risposta a tutto quello, ma poco dopo la fine di Takada – e forse anche quella di Kira-, colui che aveva riservato la speranza di tutto il mondo nascondendosi nel buio era sparito; come morto, puff, dissolto nel nulla. Ancora una volta, il mondo si era ritrovato davanti ad una grande persona, forse l’unica in grado di fermare il killer del millennio che da troppo ormai seminava morte senza pagarne le conseguenze.
  La gente era arrabbiata; qualcuno alla fine si fidava di Near. Ma ancora una volta, dopo L, forse avevano fatto affidamento sulla persona sbagliata, perché dopo quasi un mese dalla fine di tutto non aveva dato una risposta. Lui era Near, era N,  avrebbe dovuto rassicurare il mondo; avrebbe dovuto essere più vicino alla popolazione, quindi perché anche lui aveva tradito tutti quanti?
  C’era chi aveva anche iniziato a pensare che L fosse reale, ma che in qualche modo N non lo fosse, che fosse una copertura di Kira o un modo per intrattenere le persone, tenerle col fiato sospeso – o una pistola alla tempia.
  Ancora una volta, dopo L, il mondo si era ritrovato senza qualcuno in grado di salvarlo; senza speranza. E nella confusione generale, c’era anche chi iniziava a pensare che forse aveva fatto male a fidarsi di quei famosi detective, forse avrebbe dovuto prendere parte nella guerra, ma dalla parte di Kira.
  Che volessero fargli credere che tutto quello non fosse vero? Ma no. Era troppo mondiale, troppo grande, non sarebbero mai riusciti a celare qualcosa del genere e la gente aveva sempre più paura. Cosa sarebbe accaduto? Niente, nessuno rispondeva, ma nemmeno nessuno chiedeva.
  La gente non sapeva che in realtà, le risposte c’erano. Bastava cercare, bastava pensare. Il problema non persisteva solo in Giappone, in Inghilterra c’era qualcuno che avrebbe voluto urlarlo al mondo, ma non poteva. Il paese Nipponico non era il centro dell’universo, era solo la cellula madre, il posto in cui tutto era iniziato. Se Tokyo era in subbuglio, quell’istituto sull’altra faccia del pianeta lo era il doppio.
  In uno studio qualcuno tratteneva il fiato. L’odore di libri aleggiava nell’aria, così come lo scricchiolio di una sedia la riempiva  a ogni respiro di chi vi sedeva gracchiando come una rana; o almeno, un bambino una volta l’aveva definita così. All’epoca era molto piccolo. La carta da parati splendeva illuminata dalla luce del sole che passava dalle finestre, eppure l’aria era così fredda. Forse perché era gennaio.
  Le mani anziane erano pallide, raggrinzite dal tempo e ora agitate dal nervoso e anche dal dispiacere. Dalla paura di non aver fatto abbastanza, anche se chi le possedeva e le tamburellava nervosamente sul piano della scrivania scura, sapeva bene di non essere la causa di tutto quello che stava avvenendo nel mondo; sapeva che Wammy l’avrebbe presa in un altro modo, ma lui non era il vecchio preside ormai defunto. Era un surrogato, era solo un sostituto.
  Quando il ventotto gennaio il telefono vecchio stile nero e lucido aveva suonato, l’uomo aveva esitato. Aveva alzato un braccio, ma con troppa ansia di rispondere e avere finalmente un quadro chiaro della situazione, aveva sbattuto le dita contro la base, girando di qualche grado i numeri. Aveva poi recuperato il controllo di se stesso, magari anche della situazione,  e aveva portato la  cornetta fredda e lucida alla guancia, rispondendo un tirato e freddissimo “sì”.
  -Near è morto. – aveva gracchiato la voce metallica dall’altra parte del telefono, prima di tirare un sospiro quasi ferito e attaccare. Il suono ripetuto della linea del telefono nemmeno infastidiva Roger, che aveva staccato di qualche millimetro la cornetta rimanendo a fissare il vuoto davanti a sé. Gli sembrava ieri quando davanti alla sua scrivania c’erano due ragazzini, entrambi col dovere di crescere troppo in fretta e troppo presto, due poli della stessa calamita; quel giorno, aveva dato la stessa notizia ai due … ed ora a distanza di anni era cambiato solo il soggetto, ma aveva fatto male quanto la prima volta. E le loro reazioni avevano fatto male, uno così freddo e distaccato quando il suo mondo probabilmente crollava, uno così-non aveva mai saputo come definire il biondo. Aveva inveito contro di lui e Roger da educatore avrebbe dovuto rimetterlo sulla buona strada, ma come in una situazione come quella? Avrebbe voluto fermarlo e non l’aveva fatto. Aveva lasciato che un quindicenne se ne andasse; magari era un genio. Magari era uno tra le scelte di L, ma era un bambino. E lui non aveva fatto nulla per proteggerlo.
  Qualche giorno prima, in televisione la notizia della morte dei rapitori della signorina Takada, colei che faceva da portavoce a Kira. Il solo pensare di averli cresciuti lui quei ragazzini l’aveva ucciso più della notizia stessa. Ora la notizia che anche l’albino aveva perso la vita in quella guerra, tutto lo faceva sentire vuoto. Non era nemmeno triste, sentiva solo malinconia. Dispiacere. Non era stato fermo abbastanza da impedire al biondo di andarsene; doveva imporsi, costringerlo a lavorare con l’albino e forse sarebbero sopravvissuti. Forse non avrebbero del tutto seguito le orme di L.
  E invece tre geni erano andati; ma che dico, tre bambini che lui stesso aveva visto crescere, quattro con il bambino che se ne stava sempre in disparte e che anche in quel caso aveva seguito Mello, come aveva sempre fatto.
  Quando aveva attaccato il telefono, era rimasto a guardare il vuoto, il nulla. E quindi, Kira aveva vinto.
  Non vi sarebbe più stato modo di proteggere i cento e passa bambini che alloggiavano nell’istituto, quella che tutti chiamavano casa.
  Dieci anni prima, quando quello che per lungo ma pochissimo tempo era stato il Detective migliore al mondo, aveva suggerito un piano di protezione per gli altri alunni. Aveva spiegato che nel caso lui non ci fosse più stato o fosse successo qualcosa a livello mondiale, tutti quei bambini avrebbero dovuto essere protetti; in primo piano come bambini, in secondo come geni; non potevano permettersi di perdere menti come le loro, perché se un giorno lui fosse morto, qualcuno avrebbe dovuto prendere il suo posto.
  Wammy aveva accettato, reputandola una scelta saggia e attenta, previdente; nonostante il carattere abbastanza infantile del giovane detective, se c’era una cosa a cui teneva era probabilmente la protezione degli altri orfani;  la metteva sopra ogni cosa, era molto maturo sotto quel punto di vista, così come in altri.
  Per quanto il dolore di Roger fosse grande, per quanto non avrebbe mai saputo come giustificare tutto quel  cambiamento che sarebbe arrivato burrascoso nelle vite dei bambini da quel momento in poi, doveva farlo. In onore a L, a Wammy. Sorrise mentre apriva il cassetto della scrivania, gli era tornato in mente qualcosa. Alcuni dei bambini non ricordavano più L, sapevano della sua esistenza solo perché il ragazzo di tanto in tanto intratteneva gli altri parlando da dietro a uno schermo. Forse, si diceva Roger, quei bambini senza una famiglia lo vedevano un po’ come un fratello maggiore ed era sicuro che per la maggior parte di loro lo era stato. Gli unici che erano venuti a sapere della sua morte erano Mello e Near e di conseguenza anche Matt, terzo in classifica (che triste dover numerare dei bambini, aveva sempre pensato). Alcuni dei bambini, tutt’ora,  a distanza di anni lo cercavano.   Cercavano L e gli si spezzava il cuore  a dover sempre mentire, ma non poteva fare altro. Non potevano sapere.
  Sfogliò l’agenda impolverata, la carta talmente vecchia da scricchiolare ogni volta che cambiava pagina. Aveva il profumo di carta e di inchiostro asciutto, dolce all’olfatto. C’erano numeri di ogni tipo, c’era anche qualche piccolo appunto che Wammy aveva tenuto da parte per non scordare cose importanti una volta invecchiato, come quando L aveva perso il primo dentino lì nella Casa.
  Con un sospiro dolce e malinconico, sfogliò ancora e scritto di nero sull’ultima pagina trovò un numero per il piano Zeta. L’ironia della sorte aveva voluto che in un momento di fretta, Wammy scrivesse quel numero con i dettagli abbastanza frettolosi del piano proprio sull’ultima pagina dell’agenda; ah, quel vecchio baffuto mai avrebbe saputo quanto quella fosse in realtà l’ultima spiaggia nella vita di Roger e forse di tutti quanti lì dentro.
  Alzò la cornetta del telefono, nuovamente, con più decisione in corpo. Le dita fredde tremavano appena, ma stavolta non lasciarono sfuggire la presa e trattennero con decisione l’unica cosa che univa quei bambini alla salvezza, un po’ come il filo nero arricciato univa la cornetta al telefono. Si avvicinò la base dello stesso e iniziò a digitare il numero lentamente, sentendo la rotella scrocchiare  a ritmo ogni volta che tornava alla posizione di partenza; poi aspettò che il telefono entrasse in linea e quando sentì qualcuno dall’altra parte rispondere, trasalì. Aveva forse scordato come articolare una frase di senso compiuto?
  Un leggero fischio dall’altro lato del telefono, un respiro un po’ affannoso e rumoroso, come quello di chi fuma tanto da tanti, troppi anni.
  - Sono Roger – aveva decretato l’uomo non sapendo bene che voce aspettarsi, che tipo di risposta. – Sotto richiesta di L, è arrivato il momento di attuare il piano Zeta; puoi procedere.
  La cornetta emise un suono particolare, quasi buffo; era un leggero verso di scherno, come una piccola risatina, ma c’era della dolcezza velata in quel suono.
Roger attaccò poco dopo, capendo che non avrebbe potuto sentire la voce dell’uomo – o della donna – che si nascondeva dietro il nome di “Plan Z”, avrebbe solo potuto fidarsi ciecamente di lui, o di L.
Ti prego, ragazzo mio. Proteggi questi bambini.
 







 

Gn~

Hola a tutti; è la prima volta che scrivo qualcosa in questo fandom e sono un po' titubante, non sono nememno sicura di volerla postare davvero. Ma va be', contando che mi sono anticipata gli altri capitoli, farò un piccolo sforzo. Mi dispiace per gli errori se ne troverete, forse sarà anche un po' OOC; spero non faccia schifo, non più di tanto almeno ;)

Magari se voi mi fate sapere che ne pensate tramite una piccola recensioncina mi fate un favore; mica dovete scrivere poemi, eh, solo dirmi che ne pensate! ^^ Mi farebbe molto piacere se non lo fate vi sparo

Probabilmente non ci avrete capito molto, ma giuro che dal primo capitolo (questo è solo il prologo) sarà tutto più chiaro - o forse tutto più confuso??-

Posso darvi una piccola spiegazione, comunque: come avrete capito, Kira ha vinto la guerra a differenza della storia originale. Near è morto e Roger si è ritrovato a dover mandare avanti un orfanotrofio ormai a rischio per via di Kira, se non fa qualcosa in fretta i bambini potrebbero trovarsi in pericolo.

Quindi che farà?

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Capitolo 2
*** I. Plan Z ***


I.
Plain Z


 
PLAIN Z: whenever you’ll need, if you’ll need, call Z: +44 654 783
He’ll take care of the orphans, the bunker isn’t near
Don’t talk about that!!, this must be a secret.
-W



 
***



  Erano passati venti  anni e tutto era andato alla perfezione, almeno per quanto riguardava lo spostamento degli orfani. A Roger pareva il giorno prima che lo strano personaggio chiamato Z aveva prima respirato fischiando dall’altra parte del telefono e poi aveva emesso quel suono di scherno, quasi provasse pena o celasse dispiacere, ma al contempo gli sembrava un’eternità.
  Venti anni dalla morte di Nate River, Mihael Keehl e Mail Jeevas. Venticinque anni circa dalla morte del detective migliore di ogni tempo, quel bambino che aveva visto crescere e che ormai avrebbe dovuto avere una cinquantina d’anni, magari una moglie e dei figli. Mentre lui era lì, ormai settantenne, a guidare l’orfanotrofio di Wammy con tanta nostalgia. Quel vecchio baffuto gli mancava; chissà se era consapevole dell’attuazione del Piano Zeta, chissà se proteggeva gli orfani e vegliava su di lui indicandogli la strada giusta da lassù.
  Era tutto così incerto; Roger per primo.
Ormai era vecchio; la stanchezza iniziava a farsi strada in lui. Continuava a vivere con l’intento di trovare il ragazzo giusto, quello che finalmente avrebbe posto fine al regno di Kira, o alla sua dittatura, come preferite chiamarla.
  Il Piano Zeta consisteva nel trasferire tutti i bambini in un bunker sotterraneo costruito in precedenza, la quale postazione fu rivelata soltanto al momento dell’arrivo; era una missione assolutamente top secret, si doveva evitare in ogni modo che voci sulla nuova sede della Wammy’s House arrivassero a Kira.
  Poco dopo il buio, quello che a Tokyo venne chiamato silenzio mentre tale nome si espandeva a macchia d’olio fino a conquistare tutto il mondo (ironia della sorte, un po’ come Kira), il killer era finalmente comparso, mostrandosi alla popolazione di tutto il mondo. Questi non avevano opposto resistenza; niente ribellioni, niente paura. L’avevano accettato.
  Il ragazzo giovane, per la sorpresa di tutti, era proprio un giapponese. E’ il figlio del sovrintendente, lo ricordi? Yagami!, si era sentito tra le strade. Nessuno che gli avesse sparato a distanza, nessuno che avesse mai alzato una bandiera contro di lui.
  La gente lo acclamava, lui si affacciava e il popolo si radunava sotto il suo balcone ad applaudire e ad amarlo e adorarlo come un Dio sceso in terra; forse per questo era invincibile. Alla memoria ricordava immagini in bianco e nero di tempi passati, di dittatori passati che però avevano sparso odio e dolore tanto quanto Kira.  Ormai Kira era il giusto, chi la pensava come lui – erano davvero in pochi, ad ogni modo – era il male. Ogni equilibrio era stato capovolto.
  Perché il mondo non era caduto nel baratro, uh? Perché funzionava tutto così dannatamente bene che a Roger veniva da piangere ogni volta che guardava un notiziario? Alla fine aveva spento la televisione e non l’aveva più accesa. Permetteva ai bambini di parlare di Kira, anzi, loro dovevano sapere. Dovevano conoscere come andavano le cose lì sopra, avevano bisogno di sapere perché il loro amato orfanotrofio era stato abbandonato e perché adesso vivevano in quello che avrebbe dovuto sostituirlo, ma era solo una costruzione sotterranea. Avevano il diritto di sapere, sebbene questo spezzasse il cuore di Roger in due ad ogni domanda che i piccoli facevano.
  “Roger, ho scordato la mia palla lì..”  gli aveva detto una volta un bambino. Ne aveva fatta portare una nuova, ma ovviamente non era la stessa cosa; si sa, durante l’ infanzia l’attaccamento affettivo è molto più forte di quando si è cresciuti, anche se sei un bambino geniale con un quoziente intellettivo di un astrofisico.
  Era bello vedere quei bambini crescere e crescere con loro e studiare come anche le loro idee riguardo Kira e la sua dittatura stessero cambiando; quei bambini evolvevano, capivano che tra loro c’era qualcuno che avrebbe posto fine a quello scempio totale. Capivano quanto il mondo fosse in rovina dietro un velo di perfezione e gente apparentemente buona, ma in realtà falsa e priva di morale.
  Non c’era posto per persone buone in un mondo del genere e loro lo capivano; ma non serviva essere dei geni per rendersi conto che se il primo a dettare legge è chi le ha infrante e  continua a infrangerle, allora non è giustizia. I bambini erano delle creature particolari, pensava Roger. E gli faceva sempre più male doverli crescere riconoscendoli con i  numeri della classifica  o con delle lettere.
  Linda era cresciuta. La bambinetta coi ciucci che tanto zampettava attorno agli altri, era ormai una bella donna adulta, seria, col sorriso un po’ triste ogni volta che scendeva nel bunker-istituto. Aveva iniziato a dargli una mano quando l’aveva visto particolarmente stanco e adesso aveva preso il ruolo di vicepreside. I bambini la adoravano, i più piccolini le chiedevano sempre di farle il gioco dell’alfabeto: lei ripercorreva dalla A alla Z ogni lettera, dando ad ognuna una personalità e spiegando loro di aver conosciuto di persona le lettere più intelligenti al mondo; di tanto in tanto i suoi occhi si inumidivano e cambiavano espressione, specialmente nella sequenza di quelle tre dannate lettere che ogni volta facevano breccia anche in Roger, che dal canto suo sembrava sempre così fermo e gli orfani vedevano come un nonno; più o meno.
  La voce della donna si interrompeva sempre prima di raccontare come quelle lettere erano state buttate via e poi sostituite. Aveva spiegato con dolcezza che purtroppo ci vuole meno di un secondo per leggerne una e subito dopo si deve andare avanti e finito l’alfabeto, si ricomincia il ciclo. Aveva quindi aggiunto che presto sarebbero state decretate altre lettere; ci sarebbe stato un altro L, che fino ad ora per ragion di logica era stata lei; ci sarebbe stato un nuovo M, un nuovo N e qualcuno sperava di non dover essere A o B o K. Da come l’aveva raccontato Linda, dalle facce che faceva, sembravano storie così cupe.
  I bambini avevano anche iniziato a fare le gare; io sono L, no, sono io!, e così via. Linda e Roger ne avevano parlato spesso, chiedendosi se riempirli di ambizioni già così piccoli avrebbe giovato al loro sviluppo psicologico, ma erano arrivati alla conclusione che se dei bambini piccoli giocavano, non sarebbe morto nessuno.
  E ne parlavano anche ora, seduti nello studio del preside l’una di fronte all’altro, le mani composte e le schiene dritte, quella dell’uomo un po’ incurvata giusto dal tempo. L’ambiente era del tutto diverso da quello in cui aveva passato tanti anni della sua vita e le finestre erano finte. Fotografie della stessa forma dell’incavo nel muro che ritraevano paesaggi e delle luci elettriche molto potenti alle spalle delle stesse per simulare la luce naturale del giorno.
  Tristezza.
  - Hai idea di chi possa essere, tra loro? – chiese la ragazza, seduta su una morbida sedia nera davanti alla scrivania in mogano dello stesso colore. Indossava un tailleur nero, molto elegante. I capelli sciolti ricadevano accanto al viso ora maturo e fiero; gli zigomi erano alti e l’espressione ferma, ma i suoi occhi erano rimasti quelli di una bambina dolce e vivace.
  Roger con un sospiro scosse la testa, senza alzare lo sguardo sulla donna; era palese avesse qualche dubbio. – No, ma.. sento che ci siamo vicini. Non è una delle menti più brillanti qui dentro, ma è l’unico che mi colpisce; fa discorsi molto particolari.. – spiegò l’uomo, la voce profonda un po’ affievolita dal tempo e dalla stanchezza, nonché dai ricordi che tornavano a farsi sentire.
  - Non abbiamo molto tempo, Roger. Ormai sono vent’anni che Kira regna, non... non è giusto. – lo sguardo le si illuminò di una luce particolare; era arrabbiata e si vedeva e l’uomo anziano raggiunse con fare paterno la sua mano tenuta a pugno sul piano della scrivania. La accarezzò piano, le dita fredde contro il dorso magro e caldo, ricco di vita.
  - So che sei arrabbiata, mia cara..
  Lei emise un verso strano, a metà tra un gemito e un sussurro. – Erano miei amici, ma a prescindere da questo. Non è vendetta quella che cerco, io voglio che Kira soccomba. Voglio che uno di questi bambini sia la chiave affinché … affinché loro non siano morti in vano. – sussultò. Il ricordo faceva ancora male, anche adesso che lei era sposata ed era madre; avrebbe tanto voluto essere lei quella chiave, ma sapeva che sebbene la sua intelligenza le avrebbe permesso di fare strada e di aiutare le indagini che sperava iniziassero presto, non sarebbe mai stata al livello di L o Near. Poteva solo ammirarli sui loro troni e inginocchiarsi al loro ricordo, pregandoli di aiutarla a trovare quel bambino.
  -Linda, ce la sto mettendo tutta; gli insegnanti hanno aumentato gli esami, i bambini sono tutti così svegli e attenti … ci siamo vicini, Linda, te lo prometto. Stavolta Kira non avrà scampo, sappiamo chi è e sappiamo come muoverci con lui.
  Linda scosse la testa, agitando i capelli luminosi e morbidi; era buffo vedere quel viso cresciuto non circondato dai ciucci che l’avevano sempre caratterizzata. Roger sorrise con tenerezza, mentre gli occhi tristi e stanchi si illuminavano appena. – Io non ho paura di Kira, ma della gente. Sono così presi da lui, così succubi. Non sarà facile convincerli che tutto questo è sbagliato.
  -Questo è vero – aveva risposto subito la voce anziana e un po’ roca, col tono di chi ammette una sconfitta; ma Roger aveva promesso a Wammy di trovare quel bambino e fermare Kira, una volta per tutte. Solo dopo sarebbe finalmente invecchiato e magari anche morto, non vedeva l’ora. Era così stanco. - … però devi capire che anche loro hanno paura. Per questo non sarà facile convincerli, ma capiranno, Linda, lo capiranno che Kira è sbagliato. Alla fine ce lo consegneranno loro stessi, vedrai.
  La ragazza annuì alzando lo sguardo sull’uomo che poteva quasi considerare un padre. Lo sguardo triste dello stesso aveva una luce arrabbiata quanto la sua negli occhi, solo più spenta; ma lei sapeva, lo sentiva nel profondo, che se Roger era fiero dell’intento di voler fermare quel mostro che credeva di essere un Dio, allora lei ne era convinta il doppio.
  Si erano nascosti per troppo tempo per paura di una persona protetta  solo dalla propria megalomania.
  Kira non aveva scampo.



 
***


 
T
 
 
*THOMAS LYNCH – SCHEDULE*
 
Name: Thomas
Surname: Lynch
Date of Birth: 28 Jan 2015
Place of Birth: Whitechurch, Irland
Age of rescue: 3 years old
Blood Type: 0
Parents or other relatives: deceased
State: orphan, ranked first*
Room: M
Likes: music, movies, sleeping, drawing.
Dislikes: noises, annoying people, loosing.
Favorite food:  anything sweet, chewing gum.
* primo in classifica.


  La vecchia macchina da scrivere, la quale Roger aveva sempre preferito al computer, aveva sbafato solo alcune delle lettere che riempivano quel foglio ingiallito e riposto nello scaffale una decina d’anni prima. Se non si guardava le scritte attentamente, si aveva quasi la sensazione che le poche lettere piene di inchiostro sbafato, se unite avrebbero tracciato un disegno, logico o meno che fosse.
  Ricordava il giorno in cui gli era stato riferito che in un orfanotrofio irlandese poteva esservi un bambino con del potenziale. Era stato un po’ scettico, ma alla fine era andato a controllare di persona; l’esperienza gli aveva insegnato che prima di fare delle supposizioni si farebbe meglio a studiare chi si ha davanti, così da essere certi delle conseguenze delle proprie scelte; certo, più che chiamarla esperienza avrebbe dovuto chiamarlo amico, quale Wammy era.
  Ma per non perdersi in ricordi dolorosi, rimase a fissare la scheda del bambino. Era stato salvato da un incendio quando aveva tre anni. Si era salvato perché il suo lettino era quello più vicino alla finestra della piccola villa di un solo piano, così il vigile del fuoco spaccandola era riuscito a prelevarlo per primo. Non aveva subito danni, né ustioni, né problemi alle vie respiratorie; era rimasto solo con una gran paura del fuoco e il fastidio di essere esposto al caldo, ma a parte quello era sano come un pesce, solo annerito sulle guance paffute e sul nasino piccolo.
  Stessa fortuna era stata purtroppo negata ai suoi genitori, entrambi morti per asfissia (infatti le fiamme non avevano raggiunto la camera da letto dove giaceva anche il lettino a sbarre del piccolo, ma il fumo li aveva soffocati nel sonno). Dopo un breve soggiorno in ospedale per fare controlli e con l’aiuto della polizia e giudici cercare qualcuno che potesse momentaneamente prendersi cura del piccolo Tom, alla fine il bambino era stato infilato nel primo orfanotrofio irlandese che era stato trovato e abbandonato alla vita di ogni orfano.
  A differenza degli altri, però, questo era sempre stato un po’ particolare; il suo linguaggio, sebbene fosse un bimbo spaventato e triste che cercava la sua mamma e il suo papà, era quello di un bambino molto più grande della sua età e alla fine la direttrice dell’orfanotrofio aveva deciso che forse era ora di far incontrare Thomas Lynch ad un uomo che aveva conosciuto tramite un suo vecchio e caro amico.
  Roger era subito rimasto colpito dal piccolo. Non era brillante, si vedeva che si lasciava molto trasportare. Non era un bambino diverso dagli altri, anzi giocava allo stesso modo. Certo, nel sentirlo parlare quasi gli si staccò la mascella, anche la sua conoscenza su cose che di solito a cinque anni non sono interessanti era ammirevole. E per quanto fosse indeciso e titubante, alla fine aveva appurato che  portarlo via da lì sarebbe stato l’unico modo per valutare effettivamente se quel ragazzo fosse adatto alla Wammy’s House oppure no.
  A distanza di una decina d’anni, sorrideva rileggendo la  breve scheda del ragazzo che presto Linda avrebbe dovuto aggiornare.
  Dall’altra parte della scrivania, un quindicenne se ne stava seduto con un ginocchio al petto, l’altra gamba allungata fino a finire col piede sotto il mobile; il piede della gamba stesa tamburellava quasi impaziente a ritmo di musica, l’altra gamba stava stretta al petto del ragazzo, ferma. Con entrambe le braccia, il giovane teneva una sorta di peluche, quello che sembrava un orsacchiotto non proprio bellissimo, leggermente annerito dal tempo.
  I capelli biondi e corti incorniciavano il viso abbastanza pallido del ragazzo e gli occhi azzurri spuntavano sereni da sotto la frangia leggermente mossa. Il naso era appuntito e piccolo, coperto di leggere lentiggini, le labbra carnose ma non esageratamente; avevano l’aria di essere ben idratate e interrompevano la pelle diafana con un colore ben più scuro, un rosa caldo e più forte verso il centro. Di tanto in tanto, queste si piegavano e si aprivano un poco, emettendo il rumore tipico di chi sta masticando- una gomma da masticare, ovviamente. Non viveva senza.
  A fare contrasto con la sua pelle diafana, vi era la maglia nera senza stampe o scritte. I pantaloni erano quelli di una tuta, neri con due righe  bianche ai lati di ogni gamba; una semplice tuta da ginnastica, quindi. Non indossava scarpe, bensì calzini bianchi – Roger aveva anche provato a spiegargli che prima o poi se li sarebbe anneriti tutti, ma provate voi a farvi ascoltare da uno che ha perennemente le cuffie nelle orecchie.
  Quando il foglio ingiallito andò a posarsi sulla scrivania, la luce elettrica colpì le lenti degli occhiali di Roger, impedendo a Thomas di vederne gli occhi. – Oggi è il tuo compleanno, lo ricordi, vero?  - aveva chiesto l’uomo con tono dolce ma fermo, scandendo bene le parole per permettere al ragazzo di comprendere cosa stesse dicendo tramite il movimento delle proprie labbra (per via della musica alta non poteva sentirlo).
  Thomas annuì e gonfiò una bolla rosa tra le labbra, facendola esplodere con un morso, poi sorridendo sfilò le cuffie bianche dalle orecchie e spense la musica martellante che fino ad ora gli aveva – probabilmente - trapanato il cervello. 
  – Non scordo il mio compleanno, Roger – aveva risposto con tono sereno, la voce molto più calda di quella che era solo un anno prima. Stava crescendo e anche lui e per Roger era come vedere crescere un figlio. – Ci sono novità? – aggiunse poi; era raro che l’anziano convocasse qualcuno con urgenza senza che questi avesse combinato qualcosa o fosse in pericolo di morte (e anche in quest’ultimo caso, la motivazione doveva essere nettamente collegata al primo esempio).
  L’anziano annuì, portando le mani a chiudersi davanti al viso e abbassando di poco la testa, evitò che la luce colpisse le lenti; allora Thomas poté vedere oltre. – Oggi sono anche vent’anni che Near … sai la storia. – tagliò corto, prendendo un respiro per andare avanti. Thomas rispose con un cenno d’assenso, così che Roger poté continuare.
  Le ciglia lunghe e chiare del giovane si abbassarono una sola volta mentre lo stesso cambiava posizione. Continuò a stringere il peluche tra le braccia, notando solo ora che gli penzolava un occhio di plastica nera. Lo rendeva così carino!, poi invertì le posizioni delle gambe: quella che prima era stesa ora era piegata e viceversa; così era più comodo, sì.
  Roger prese un sospiro, leccandosi le labbra al gusto dolciastro di tè prima di continuare. – Ebbene, con l’aiuto di Linda sono arrivato ad una conclusione. Tu sai bene qual è ormai la situazione; sei quasi adulto e conosci bene i tuoi doveri. Francamente, non so quanto sia giusto aver scelto te per un compito del genere, però sei l’unico abbastanza maturo. E sei sveglio, molto.
  Non voleva suonare rude, ma Thomas era primo in classifica solo perché era molto, molto furbo. Aveva un intuito da far paura, ma era distratto e non studiava; non voleva certo dire che la sua fosse fortuna e che andasse bene e superasse i test solo perché cerchiava a caso le risposte, però il suo quoziente intellettivo non era troppo oltre la media lì tra gli orfani (anche se ovviamente era più alto di quello di un quindicenne normale). – Tutto questo vuol dire, Thomas, che dovrai lasciare l’istituto; non sei costretto, ma spero valuterai con attenzione la mia proposta. Una volta accettato ti cadranno addosso responsabilità a livello mondiale, se pensi di essere in grado di farti carico di una cosa del genere ti prego di accettare, altrimenti non sentirti in colpa- l’uomo riprese fiato con un leggero fischio, lentamente, poi riprese. – Credo sia arrivato per te il momento di seguire le orme di L, riprendere le indagini e fermare Kira. Te la senti?
  Le palpebre ragazzo si allargarono in un momento di sorpresa; aveva sempre saputo che presto sarebbe arrivato quel tipo di proposta; era sveglio e aveva intuito, no? E proprio per questo sapeva le cose prima che accadessero. Ma sentirselo dire davvero lo aveva lasciato un attimo spiazzato, quel tipo di sorpresa che si prova quando si indovina un numero al lotto.
  Rimase però composto, abbracciato al suo morbido peluche che sapeva di gomma da masticare, cose dolci e detersivo.
  Se se la sentiva? Con un ghigno di simpatia, una smorfia quasi dolce, si raddrizzò sulla sedia e sciolse l’abbraccio col peluche, lo sguardo basso a fissare le proprie gambe ora composte.  -Roger.   – aveva risposto freddo, abbassando lo sguardo mentre si alzava in piedi, le braccia lungo i fianchi e il peluche tenuto per un orecchio a ciondolare vicino alla sua gamba, l’occhio pendente dondolava. – Credo sia arrivato per te il momento di capire che io amo le sfide; e di certo non volterò le spalle a questa.



 



Hola uvu innanzi tutto vorrei ringraziare chi ha recensito e messo tra le seguite/ricordate/preferite. Grazie davvero <3 ma invece di nascondervi, preferirei che mi diceste cosa ne pensate via recensione.
Spero che questo capitolo sia meno confusionario del prologo e sia più piacevole da leggere, per ogni richiesta potete contattarmi via MP; per il resto ci stanno le recensioni, grazie<3
A presto~

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Capitolo 3
*** II. A New World - Survivor ***


II
A New World - Survivor


 



  Ogni spostamento riguardasse uno dei bambini dell’Istituto, doveva essere assolutamente segreto e protetto; ma questa riservatezza non era mai stata sinonimo di scomodità o negazioni, anzi.
  Le istruzioni erano state ben chiare; quello che più sembrava ansioso era solo Roger, a dire il vero. Ogni guardia sapeva bene come avrebbe dovuto agire, sia in una situazione normale che in una di pericolo.
  Così dopo mezz’ora di raccomandazioni da parte del preside dell’istituto, Thomas era ancora seduto sulla poltrona nera a subirsi ramanzine su ramanzine, col vecchio che sembrava quasi di volerlo dissuadere da quella pericolosissima scelta che aveva fatto.
  - Roger, dieci minuti fa stavi tentando di convincermi a farlo; si vedeva lontano un miglio quanto tu avessi bisogno del mio sì – aveva spiegato il ragazzo battendo con calma le ciglia lunghe e chiare, gli occhi azzurri di un colore caldo, come il cielo di primavera – Non cambio idea facilmente e lo sai. In più voglio farlo.
  Le sue vere intenzioni comunque, per quanto avesse a cuore il caso Kira,  non erano solo quelle di battere il criminale e con lui anche il primato ottenuto dai suoi predecessori, che pur essendo tre non erano riusciti a fare abbastanza.
  Lui voleva studiare il mondo. Era curioso di sapere come andavano le cose lì sopra, ricordava davvero poco dei suoi ultimi istanti in superficie e vedere il cielo in televisione non era lo stesso; specialmente perché più passavano gli anni, più la tv sembrava voler plagiare le menti. Era tutto un “Kira è il bene”, come se la gente non fosse già abbastanza persuasa. Questo aveva sempre infastidito Thomas, sì. Perché tutti si lasciavano abbindolare, lo si capiva bene; un mondo intero che andava dietro ad un unico uomo, che senso aveva?
  Gli era stato spiegato pochi minuti prima che Light Yagami, ovvero Kira, aveva smesso di comparire in televisione e in pubblico circa cinque anni dopo dall’inizio della sua dittatura, più comunemente chiamata “campagna per il mondo perfetto” o qualcosa del genere. C’era chi sosteneva che fosse morto, ma a prescindere da questo, qualcuno ancora regnava al suo posto. Che fosse Kira o chi per lui era ben nascosto da qualcuno, se non qualcosa e le indagini di Thomas sarebbero state principalmente impegnate dal capire chi avesse preso le sue veci, nel caso il primo Kira (Yagami) fosse davvero morto in passato.
  - Domattina ti recherai di sopra, ci sarà una macchina nera ad aspettarti. Non parlare e non guardare nessuno, tutti quelli che troverai attorno a te sanno già chi sei, quindi non avranno motivo di fare domande. Piuttosto, prendi questo – spiegò mentre gli porgeva una spilla a forma di nota musicale; a Roger era sembrato che lo rispecchiasse in qualche modo, quindi l’aveva fatto realizzare con quell’aspetto. Il ragazzo la attaccò al petto del peluche e guardò il risultato con fare abbastanza soddisfatto, poi portò i pozzi azzurri a scrutare i piccoli occhi stanchi dietro le lenti, in attesa di spiegazioni.   – E’ un dispositivo GPS e funge come allarme oltre che come localizzatore; se dovessi sentirti in pericolo o dovessi avvertire che una delle guardie non è affidabile, premilo e attendi. Ricordati che sarebbe opportuno che tu ti rivolga prima a Linda, che comunque sarà lì accanto a te. Collaborerà, lei sa molte cose sul precedente caso Kira.
  L’anziano non poteva credere di stare davvero per lasciare andare nuovamente un ragazzino di quindici anni, aspettandosi da lui la salvezza del mondo intero. Lynch- quel ragazzo era davvero l’ultima speranza oppure stavano di nuovo tentando di scavare un buco nell’acqua? Ma no. Roger lo doveva ad L, a Near, a Mello; a Wammy. A tutti quelli che avevano perso la vita ingiustamente, a tutti quei bambini che gli era parso di mandare al patibolo lui stesso.
   No, non si sarebbe arreso. Si sarebbe fidato di Thomas. Il ragazzo stavolta avrebbe saputo cosa fare, o adesso o mai più. Non sarebbe finita così, Kira non poteva vincere e loro non potevano permettersi di perdere, non di nuovo.
  Il silenzio fu interrotto dallo schiocco della gomma di Thomas che intanto continuava a masticare, forse per allentare la tensione, forse per pura abitudine. Roger non si rendeva conto di starlo guardando con ammirazione e con lo sguardo di chi in Chiesa rivolge lo sguardo al Cristo, o al prete, implorando perdono per i propri peccati e pregando affinché le cose vadano meglio; e come una vecchia signora che prega in Chiesa la domenica mattina, Roger sentiva di pregare più per se stesso che per il mondo intero.
  Era stanco.
  - Ora devi andare, Thomas. Questo è quanto. – aveva poi aggiunto, lasciando che il quindicenne andasse a festeggiare il proprio compleanno come meglio preferiva, che questo significasse ascoltare tanta musica da farsi sanguinare i timpani oppure cercare ulteriori informazioni su Kira; e il vecchio preside sentiva di stare sperando che almeno per quel giorno, Lynch si godesse i suoi ultimi istanti da quindicenne. Perché lì fuori era la guerra.


 
***
 
 
 
  -With a thousand lies and a good disguise, hit ‘em right between the  eyes, hit ‘em right between the…*
  - Thomas? – una voce interruppe il silenzio fin’ora riempito solo dalla flebile voce del quindicenne, che canticchiava mentre sfogliava un libro, e i suoni metallici che a ritmo riempivano l’aria attorno alle sue cuffie. Non si era accorto di qualcuno che era venuto a chiamarlo e dopo la chiacchierata con Roger aveva passato il pomeriggio – e il compleanno – ad ascoltare da capo circa tre volte l’intera playlist. Le sapeva tutte a memoria, passaggio dopo passaggio, probabilmente sarebbe anche riuscito a suonarle. La cosa triste della sua fissazione con il dover ascoltare musica almeno dieci ore al giorno, era che le sue canzoni preferite erano tutte vecchio stile, di una trentina d’anni; in giro non si trovavano, così come su internet era raro trovare ancora qualcosa al riguardo che si sentisse davvero bene con le tecnologie ormai avanzate rispetto agli anni dieci del secondo millennio.
  Ma lui si accontentava, altroché.
  A furia di ascoltare musica aveva del tutto scordato il discorso di Roger e il fatto che soltanto il giorno dopo sarebbe partito per chissà dove a cercare di scovare un nemico – o più – definitivamente invisibile; era emozionato, pur non pensando alla situazione imminente.
Il biondo non si era comunque accorto della voce leggermente più acuta della sua, quasi più infantile, che aveva tentato di attirare la sua attenzione fallendo. Però si accorse della mano che gli si posò sulla spalla e risalendo verso il braccio scopri un paio di grandi occhioni color verde scuro nascosti dietro una frangia bionda simile alla sua.
  Era Nikola, quindici anni solo undici mesi dopo, a dicembre. Russo, abbastanza chiaro di carnagione, guance un po’ tonde e sempre arrossate come fosse stato esposto al freddo per molto tempo; aveva un accento buffo, un po’ rotolante sulle erre e sembrava quasi cantilenasse mentre parlava; il suo posto in classifica era un po’ precario, capitava che fosse secondo come altre volte finiva quinto, ma solo perché si spaventava facilmente e aveva paura di dover essere lui quello a destinato a scovare Kira. Ancora non sapeva che ormai il “prescelto” era stato appunto scelto, ma sapeva che Thomas era stato convocato da Roger.
   –Allora?- chiese quindi sedendosi sul letto accanto all’irlandese e prendendo il peluche di Thomas se lo strinse tra le braccia. – Che ti ha detto? Fa paura, non è vero? – aveva poi chiesto, battendo impazientemente le mani sulle proprie cosce.
  E se gli avesse ordinato di riferirgli che era appunto Nikola a dover partire per fermare Kira? Il sovietico impallidì, non sapendo che risposta aspettarsi.
  - Domani parto. – rispose la voce leggermente più profonda di Thomas, una luce divertita negli occhi. Forse come notizia era anche peggiore per Nikola.
  - Parti..? – aveva chiesto infatti il più piccolo, guardandosi attorno nella stanza. Ma lì.. lì dentro nessuno aveva la musica che ascoltava di solito Thomas e non aveva abbastanza memoria da ricordare tutti quei titoli; e non aveva il tempo di trascriverli. In risposta l’irlandese annuì e mise su un gran sorriso divertito.
  - Parto! E catturerò Kira e sarò il nuovo L e tutti i bambini dell’orfanotrofio potranno finalmente tornare a vivere in superficie. E io passerò l’eternità ad ascoltare bella musica, non ti pare perfetto?
  Nikola aveva esitato un poco. – Se lo dici tu..
  La verità era che al più piccolo sarebbe mancato Thomas in quei mesi, se non anni in cui avrebbe dovuto dare la caccia ad un pluriomicida psicolabile con le manie di grandezza; ed era anche un po’ preoccupato per lui, per il suo amico – erano anche compagni di stanza, risedevano entrambi nella camera contrassegnata come  M. Aveva paura che potesse succedergli qualcosa come era accaduto a N, i due  M e L, quelli delle storie di Linda.
  Si fidava di Thomas, ma aveva paura del mondo lì sopra poiché non lo ricordava molto; aveva quasi cinque  anni quando era finito in orfanotrofio, i genitori erano due soldati. Quando a sette anni fu trasferito al Wammy’s sotterraneo, aveva viaggiato via aereo, quindi non aveva avuto molti contatti col mondo esterno. L’Inghilterra non l’aveva praticamente mai vista.
  L’irlandese però non sembrava molto attento alle occhiate che il russo di tanto in tanto gli mandava sottecchi, battendo le ciglia chiare non appena temeva che Thomas si girasse a guardarlo.
  Al più piccolo era sempre sembrato che a Thomas non importassero davvero le conseguenze; non era troppo impulsivo, Nikola sapeva bene che l’istinto dell’irlandese fosse micidiale e nessuno lo avrebbe mai eguagliato. Però il più grande aveva il vizio di sottovalutare le cose, di darle sempre per scontate. E Nikola sapeva che presto questo gli si sarebbe rigirato contro, causandogli dei problemi più o meno gravi.
  Ma non poteva farci nulla; nessuno avrebbe mai potuto cambiare quella parte troppo sicura di sé che caratterizzava Thomas, che comunque il giorno dopo sarebbe partito e non aveva ancora messo nulla nella valigia.
  -Su, devi preparare le tue cose, Tom. Se vuoi, ti aiuto.

 
*”con mille bugie e un buon travestimento, colpiscili in mezzo agli occhi” Gonna Go Far Kid – The Offspring.
 
***





 
2010, Giappone.
La vita a Tokyo ha ripreso a scorrere in maniera normale; la città è frenetica e caotica, impegnata; le strade sono sempre affollate. Passato circa un mese da quando il
silenzio era iniziato, Kira ha finalmente deciso di mostrarsi al mondo. Una fredda mattina di fine Febbraio, ogni lampione, ogni semaforo, ogni insegna di Tokyo si è tinta di un rosso sangue molto forte; dava quasi fastidio alla vista, macchiava il bianco candido della neve posata a terra come gli schizzi di sangue che cadono dalla lama di  una katana dopo un combattimento tra antichi Samurai – ma in maniera meno poetica; meno onorevole.
Anche il Tokyo Skytree, la torre più alta della città, si tinse di rosso e grandi drappi bianchi avevano iniziato ad adornare i balconi di ogni caserma, di ogni monumento. Ogni drappo candido riportava la scritta “KIRA” in caratteri gotici.
Faceva paura.
Verso mezzogiorno, quando ormai il processo di conversione era finito, degli altoparlanti iniziarono ad intimare alle persone di convogliarsi alla base dello Skytree. Nelle vie erano stati impiantati megaschermi per permettere a tutti di assistere all’evento; poi delle telecamere piazzate chissà dove avevano fatto un primo piano su un balcone di uno degli edifici accanto alla torre completamente rossa e dalla finestra trasparente era uscito un giovane.
Il suono tagliente di respiri trattenuti fu l’inizio di un ulteriore silenzio, un silenzio di quelli umani,di gente che nemmeno pensa.
Il giovane, capelli ordinati e castani, pelle diafana e perfetta, allargò le braccia alla città tenendo un quaderno nero in mano. Non era possibile capire di cosa si trattasse, magari era un’agenda. Probabilmente tutti avevano iniziato a chiedersi se la trasmissione, che ora occupava come un parassita ogni canale della televisione locale, non fosse in realtà trasmessa e tradotta in diretta in
tutto il mondo.
Il ragazzo sorrise e il volto angelico rivelò la sua identità a non poche persone; la gente lo riconosceva, era il figlio del sovrintendete Yagami. Poteva davvero essere lui, Kira? Era un ostaggio, magari.
La voce calda del ragazzo riempì le strade di Tokyo poco dopo. Parlava del Nuovo Mondo, del
suo nuovo mondo. Prometteva un posto sicuro in cui vivere; ogni criminale sarebbe stato sicuramente giustiziato. Non vi  sarebbe stato più alcun male a cui assistere e la gente alla fine applaudì.
Di certo, le sue doti di oratore non erano cambiate.
Sono passati dieci mesi da quando il Nuovo Mondo di Kira ha avuto inizio. La gente sembra felice,ma è spaventata. Il crimine esiste ancora, ma in men che non si dica i criminali vengono giustiziati. Kira è onorato come un Dio e nonostante le sue poche apparizioni in pubblico, la gente sembra davvero confidare in lui, vedere in lui il futuro dell’umanità.
C’è chi non la pensa così.
Ci sono dei ribelli, non siamo molti, ma possiamo fare qualcosa. Non possiamo lasciare che il mondo finisca così, non ancora.
Mi chiamo Tota Matsuda e sono sopravvissuto a Kira.
Molta gente ha perso la vita e io non posso più permettere che Yagami vinca.
Ho conosciuto eroi, nel mio piccolo.
Non saranno morti in vano, lo prometto.


 
 


Eccomi che aggiorno c: probabilmente da adesso in poi il periodo tra un capitolo e l'altro si allungherà un po', ma solo perché sto iniziando altri progetti che spero di portare a termine quanto questo. 
Continuo col ringraziare come sempre chi recensisce e chi ha inserito tra seguite e preferite e ricordate, mi fa davvero piacere che qualcuno segua la mia storia <3
Forse questo capitolo può risultare un po' statico, magari anche un po' noioso (un po'?), ma essendo un capitolo di passaggio da un evento all'altro della storia (capirete col terzo cosa intendo), non poteva risultare altrimenti c: 
Fatemi sapere che ne pensate, come sempre e possa la buona sorte essere sempre a vostro favo- ah, no, sbagliato fandom.
Scusate~

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