La sua spada e la sua vita

di metaldolphin
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** il deserto ***
Capitolo 2: *** nel sole ***



Capitolo 1
*** il deserto ***


Vi trascinate a fatica nell’intricato groviglio del sottobosco. Lui è pesante sulla tua spalla, anche se si sforza di non gravarti addosso, perché sa che sei tanto più minuta, ma non ci riesce per molto.

Fatica anche a respirare: dove il proiettile gli ha forato il polmone, sembra quasi di sentire un sibilo sinistro, quasi uno sfiato, e speri che sia soltanto una tua suggestione.
Sanguina ancora, anche se il flusso è diminuito, ma il sottile rivolo che va a morire nell’haramaki lo fa diventare sempre più scuro e umido e la paura ti assale.

Ma non potete fermarvi.
Sei sicura che, mentre fuggite, stanno radunando i rinforzi dal quartier generale e presto vi saranno alle costole, così devi trovare dove nascondervi.
Cominci ad ansimare anche tu, anche se non sei ferita, perché la stanchezza e la consapevolezza che forse stavolta non ne uscirete, si fanno sempre più strada in te.
Allora stringi i denti e metti un piede davanti l’altro, facendoti strada tra i rovi con la sua spada nera in pugno; le altre le tieni al fianco perché lo hai voluto alleggerire anche di quel peso.

Ad un tratto scorgi la luce aumentare davanti a voi e speri che una misericordiosa radura ti dia tregua , ma appena uscite dalla macchia intricata ti assale lo sconforto: un’ampia distesa piatta e semidesertica si apre davanti a voi.

Come riuscirai a portare entrambi al di là di quella pianura che ai tuoi occhi appare immensa?
Guardi a destra e a manca, sperando in un punto migliore verso cui possiate dirigervi, ma non sembra esserci e ti lasci sfuggire un sospiro. Lui legge la disperazione sul tuo viso, si raddrizza un poco e mormora: -Nami, lasciami qui, senza me andrai più veloce. Porta con te la Wado Ichimonji e lasciami le altre due, li terrò impegnati ed avrai più tempo per fuggire…
Si muove per toglierti la lama dalla mano ed una di quelle che tieni al fianco, lasciandoti quella a cui tiene di più, quella bianca, che indica con un cenno del capo ed aggiunge: -Ti proteggerà.
Sai che si riferisce al fatto che per un samurai l’anima è custodita nella propria spada e sai anche che quella particolare lama apparteneva all’amica e rivale Kuina.
Allora lo guardi con gli occhi sgranati, sia per l’assurda proposta  di farsi lasciare indietro, sia per l’impensabile pensiero di separarlo dalla cosa per lui più importante, perché vuol dire che non ha più speranza di sopravvivere.

Ti ritrovi a strattonarlo con violenza, furente.
-Ma cosa stai dicendo?- gli urli in viso –Tu vieni con me e vada come vada!
Senti gli occhi riempirsi di lacrime e, un poco più calma, affermi: -Non ti lascio, Zoro. Siamo compagni. E poi io… io…- scuoti forte la testa, perché non è il momento per dirgli davvero ciò che provi per lui, non puoi, non in questo frangente.

Ti guarda in silenzio, il viso spento, debole per la ferita, senza dire che vorrebbe davvero che tu ti salvassi, che portassi avanti il tuo sogno, perché sa che non lo ascolteresti.

Gli rivolgi un sorriso un po’ tirato, poi gli prendi la mano, stringendola forte, e lo forzi a passarti di nuovo il suo braccio sulle spalle, mentre col tuo gli cingi la vita.
Cerca di protestare, ma riesci a trascinartelo dietro, lungo il pendio non troppo dolce del costone, senza cadere.

Fa caldo e la gola è riarsa, ma dovete proseguire: il giorno è ancora lungo e dovete trovare un riparo dove nascondervi: camminare la notte sarebbe una prospettiva migliore per proseguire in un campo così aperto.
E poi, sotto al sole cocente, non reggereste per molto, senza acqua né cibo.

Barcolli e rischi di fartelo cadere addosso; riprendi l’equilibrio appena in tempo, ma il movimento ti da’ modo di intravedere qualcosa sul terreno che ti dona un barlume di speranza: c’è un anfratto quasi invisibile dall’alto, non troppo distante, che promette ombra, riposo e riparo da occhi indiscreti.
Riuscite ad arrivarci e riesci a fare abbastanza spazio per entrambi, cercando di non pensare troppo a quanti altri esseri viventi, striscianti e ripugnanti, possano avervi trovato riparo, come voi, dal sole impietoso.

Più tardi, quando il sole tramonta, ci si vede a malapena, ma almeno è più fresco. Solo allora, mentre lo chiami per farlo rialzare, ti accorgi che non risponde, rimanendo immobile.
Presa dal panico lo trascini con fatica fuori dal vostro riparo, dove al minimo chiarore del crepuscolo riesci a vedere un po’ di più.

Ne cerchi i segni vitali e ti accorgi che respira, il suo cuore batte: puoi tornare a respirare anche tu, il tuo battito tornare a rimbombare nel petto…non è regolare, perché percepisci chiaramente il tuo muscolo cardiaco nella gola, così cerchi di respirare profondamente per calmarti dallo spavento che ti sei presa.

Un brivido, poi un altro. L’escursione termica tipica delle zone desertiche si fa sentire e al calore del giorno si sostituisce il gelo notturno.
Hai freddo, lui è incosciente e sai che potreste morire entrambi; scopri nuove lacrime sulle guance già bagnate.

Anche se tu avessi i mezzi per accendere un fuoco, sarebbe come dire ai vostri inseguitori dove trovarvi, dopo tutta la fatica fatta per cancellare le vostre tracce nella polvere e nella sabbia…

È ora di riprendere il cammino, ma non puoi trascinarlo, tantomeno prenderlo in spalla, così lo lasci sotto un arbusto e prendi con te la katana bianca: se le cose stanno come afferma il suo custode, ti proteggerà.
Sarà anche autosuggestione, ma in effetti dà una certa sicurezza stringerla tra le mani, come se non fossi sola.

Trovi un albero dagli altri e nodosi rami.
Al termine del lavoro, hai intenzione di ricavarne una sorta di barella di un paio di metri: messe dentro le maniche della sua camicia sfilatagli a fatica, vi passi al loro interno i due lunghi bastoni...aggiungi il suo haramaki ed il pianale è fatto; adesso non devi far altro che posarvelo sopra ed assicurarvelo con la tua cintura e la tracolla della tua borsa legate insieme. Potrai trascinartelo dietro anche se non riesce a camminare e il movimento ti darà calore.
Sei compiaciuta della tua idea e sorridi nel buio in cui si vede appena.

Quando lo raggiungi, ha ripreso coscienza, ha gli occhi aperti ed una spada per mano; sembra sorpreso di rivederti e cerca di dire qualcosa, ma lo interrompi: -Dopo, Zoro. Adesso dobbiamo proseguire, approfittando della notte. Risparmia il fiato!

Lo aiuti a distendersi, riuscendo nel tuo intento solo perché è troppo debole per opporsi e ti avvii, trascinandoti dietro il pesante fardello ai cui piedi hai legato la tua camicia, facendola diventare una specie di straccio che cancelli le vostre orme. Cercherai di coprire quanta più strada possibile, nel tragitto che vi separa dal mare e dalla Merry.

L’alba è già sorta, quando trovi un riparo dal sole caldo, che si fa sentire già anche se è ancora primissimo mattino.
È più ampio di quello che vi siete lasciati dietro e tiri un sospiro di sollievo: non siete ancora salvi, ma almeno per il momento, al sicuro.
Mimetizzi l’ingresso con sterpaglie e cespugli secchi, poi lo sistemi meglio e gli parli con un tono che ti forzi di rendere allegro, ma non reagisce.
Pensi che abbia perso nuovamente i sensi, ma appena ti avvicini, solleva stancamente una mano e te la poggia sul braccio.
-Ho freddo- mormora nella calura in aumento e, presa dal panico non sai cosa fare, perché sei conscia che è un brutto segno. Anche se hai caldo, ti accosti a lui, cercando di scaldarlo, ma è l’infezione che si fa strada a dargli quella sensazione e puoi fare poco.

-Non  posso aiutarti in altro modo, per il momento…- gli confessi piano e restate così, lui a cercare in te un po’ di calore, tu a riposare le membra stanche e le ore sembrano non passare mai, nelle ore che scandiscono la giornata.
La fame e la sete sono un tormento a cui non riesci a non pensare, in un’agonia che allunga i minuti e li stira, fino a tenderli come la corda di uno strumento musicale.

Nel tardo pomeriggio raccogli le forze nei muscoli dolenti per alzarti e controllare la sua ferita. L’emorragia si è fermata, ma la pallottola è ancora dentro e bisognerà tirarla fuori al più presto.

Improvvisamente ti parla: -Ieri… ieri sera… perché sei tornata indietro?- chiede con voce flebile e lo guardi stranita. Ha pensato davvero che tu avessi dato seguito alla sua richiesta e lo avessi abbandonato, mezzo nudo e portandoti dietro la sua spada prediletta? Ti crede davvero così meschina?
Dai voce ai tuoi pensieri e ti guarda senza dire nulla; ha la gola asciutta come la tua e pensi che, in tutta quella disperazione, la sua idiozia è la cosa di cui hai meno bisogno.
Le vesciche sulle mani, figlie del prolungato contatto con il legno ruvido della barella che hai trascinato per tutta la notte, scoppiano, in un tripudio di dolore, quando nervosamente stringi i pugni. Allora ti volti, per non farti vedere mentre scoppi in lacrime e ti chiedi da dove venga tutto quel liquido amaro e salato, visto il tuo stato di disidratazione ed è strano che non riesca a fermare quella perdita così copiosa e dannosa.

Aveva ragione: senza di lui avresti sofferto meno e coperta una maggiore distanza, ma sai bene che non avresti mai e poi mai potuto andare avanti da sola.

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Capitolo 2
*** nel sole ***


Ti distanzi giusto un poco e all’improvviso percepisci la sensazione nuova e rivitalizzante di un alito fresco ed inaspettatamente umido provenire da una fenditura nella roccia e provi a varcare quell’apertura.
Dopo vari tentativi a vuoto, riesci nel tuo intento e scopri una più ampia caverna, fiocamente illuminata da organismi bioluminescenti alle pareti irregolari, forse muffe o funghi, che donano un aspetto irreale a quello scenario fantastico, fatto di concrezioni calcaree drappeggiate come bianchi merletti, risultato della millenaria opera della natura.

Ti sembra di udire uno scroscio lontano e cerchi di individuarne la provenienza, come sotto ipnosi, meccanicamente, perché non vuoi sperare, timorosa di restare delusa.
Se non fosse per le mani ferite su cui devi fare leva per trovare punti di appoggio stabili, avresti proseguito molto più in fretta; invece arranchi dolorosamente verso la meta che senti farsi più vicina. In quell’angolo di paradiso sotterraneo, una sorgente sopravvive  al riparo dei  cocenti raggi solari, alimentata da chissà quale falda acquifera.
Il flusso non è molto copioso, ma è meravigliosamente costante. Scorre, rimbalza, scivola sulle rocce lisciate da millenni di erosione, fino a formare uno specchio di pochi metri quadri, limpido come il cristallo e non molto profondo.
In un primo momento, l’acqua fresca brucia sulle ferite e sulle palme escoriate, poi dà sollievo alla pelle martoriata e continui a bere come se fosse l’ultima volta.

Dopo qualche minuto, un pensiero ti coglie all’improvviso: Zoro è là fuori e si sta spegnendo lentamente, divorato dalla disidratazione, dall’infezione e dalla febbre… corri fuori più veloce che puoi, afferri le spade e le sfoderi una alla volta, poi torni nella caverna, portando con te le lunghe guaine.
Mentre li riempi di fresco liquido, fugaci immagini in cui lo Spadaccino vi ripone le lame mal ripulite dal sangue dei nemici ti attraversano la mente, ma sei così frastornata che nemmeno ti chiedi se poi si sia preoccupato di pulirli; il tuo unico obiettivo è fare attenzione a non versarne nemmeno una goccia di liquido prezioso, mentre vai verso Zoro.

Una volta tornata fuori, il calore ti brucia il viso, ma ti accosti a lui, che giace ancora immobile e versi un po’ d’acqua che ricopre il suo viso, ma non si muove neanche dopo quella misericordiosa frescura. Allora ti fiondi a cercargli l’arteria radiale sul polso robusto, senza trovare il battito.
Mentre il panico prende possesso di te, ti fiondi sul suo collo, alla spasmodica ricerca della vena giugulare, fino a che trovi una pulsazione.
Debole, ma c’è.
Sei furiosa con te stessa: non avevi motivo di perdere tutto quel tempo in acqua, mentre lui restava ad aggravarsi al caldo.
-Tipregotipregotiprego…- invochi non si sa bene chi, cercando di richiamarlo alla coscienza.
-Zoro! Maledizione!- sbotti, quando lui non reagisce.

Soltanto allora socchiude gli occhi e ti fissa apatico. Gli parli, ma non sembra dimostrare molto interesse e capisci che è confuso, forse nemmeno si rende conto di dove sia e in che situazione.
-Zoro, ho trovato dell’acqua… ti aiuto a sollevarti un po’, così provi a bere, d’accordo?
Ha capito: riesce a farti un cenno col capo, ma le forze non gli bastano a darti un aiuto. Riesci a sollevarlo quel minimo che basta a versargli l’acqua tra le labbra spaccate e sanguinanti; non riesce subito ad ingoiarla, versandosene buona parte addosso, disegnando lunghe scie scure e lucide sulla polvere che gli ricopre la pelle scoperta del petto.

Rimane ancora quella che basta ad inzuppare la bandana nera per rinfrescargli la fronte che brucia di febbre, poi torni alla sorgente per farne una nuova scorta.
Zoro non è fuori pericolo, speri che non si aggravi ulteriormente a causa dei sali minerali persi con quel caldo: con tutta l’acqua che avete bevuto, ci vorrebbe del sale per scongiurare uno scompenso elettrolitico…non ne hai, così aggiungi una nuova preghiera a tutte le altre che hai già spedito a chiunque sia in ascolto.

Quasi non ti rendi conto di quanto sta succedendo fuori, sotto al sole che sta per tramontare… senti i rumori di una lotta e di spari farsi sempre più forti e vicini e ti assale un altro tipo di paura.
Ti avvicini alla linea tra il sole e l’ombra dell’anfratto e, nella polvere che si solleva nella battaglia, scorgi forme familiari. Però sei così stordita da non riconoscerli subito: nonostante tu abbia navigato con loro per mesi, strizzi gli occhi e continui ad osservare come imbambolata, mentre lottano col plotone che vi inseguiva.

Ti coglie una vertigine, tutto si fa chiaro e gridi il nome del tuo Capitano, poi crolli al suolo, ormai esausta, sperando che ti abbiano sentito.

Non è passato troppo tempo, quando riapri gli occhi: il sole è appena tramontato e c’è ancora abbastanza luce per vederci.
Ti sostiene Sanji, che ti porta tra le braccia con espressione seria. Il familiare odore di nicotina e il mozzicone spento tra le labbra sono familiari e ti rassicurano. Non si è accorto del tuo risveglio e appoggi il viso sulla giacca nera: il peggio è passato.

Ma un’istante dopo stringi quella stoffa scura, sbarrando gli occhi: -Zoro!- invochi ad alta voce, sentendoti in colpa per non averlo pensato prima: era grave e non sai nulla di lui.

Sanji si ferma e ti guarda. Scorgi un lampo nei suoi occhi chiari, come di dolore, quando mostri la tua apprensione verso lo Spadaccino e non capisci se sia perché è accaduto il peggio o perché lo ferisce il pensiero della tua preoccupazione per lui.

Riprendendo a camminare, il Cuoco volge lo sguardo avanti a sé e mormora: -Quell’idiota è grave e Chopper è corso alla nave, per prestargli le prime cure.

Due cose ti preoccupano, principalmente, ora: le condizioni di Zoro e la serietà con cui Sanji ti ha parlato… in altri tempi sarebbe esploso in una tempesta d’amore (e d’epistassi) per il solo fatto di averti tra le braccia. Presto, però, rinunci a qualsiasi soluzione, perché  sei troppo stanca per pensare, così ti abbandoni tra le braccia dell’amico e rimandi il tutto a quando tornerai alla Merry.

La battaglia è stata vinta dalla Ciurma, giunta appena in tempo, ma Zoro lotta ancora.
Come spesso accade, lotta da solo e, ancora un volta, lotta per la vita.
Sanji ti ha medicato le escoriazioni sulle mani, in silenzio, fasciando con delicatezza le palme e le dita. Lo stesso silenzio aleggia sull’intera nave e nemmeno Rufy combina guai in giro.

La verità è che si sente in colpa per aver mancato all’appuntamento con voi, sul lato opposto dell’isola, per colpa della sua ingordigia, che lo ha bloccato con il resto dell’equipaggio alle prese con un Re del Mare…dopo averlo trascinato sott’acqua, mentre tentava di catturarlo per cena, gli altri si erano mobilitati per ripescarlo e ci erano riusciti soltanto quando aveva già perso i sensi. Così tu e Zoro vi eravate trovati ad affrontare un intero plotone e lui si era preso un proiettile nel torace.

È notte e la porta è ancora chiusa.
Il Cuoco sta mettendo a posto la cucina dopo la cena veloce e continua a fumare nervosamente. Lo guardi mentre con uno strofinaccio asciuga il penultimo piatto.
Non puoi saperlo, ma è rimasto colpito soprattutto dalla strana coincidenza che aveva portato te e Zoro chiamarvi a vicenda, appena ripresa conoscenza.
Da ore si scervella su voi due, perché sa che vi siete presi cura l’una dell’altro con una forza di cui nemmeno avrebbe mai sospettato l’esistenza e darebbe chissà che per sapere se è accaduta qualcosa tra voi.
Termina di rassettare, esce fuori e va ad appoggiarsi sul parapetto di tribordo, verso prora, perdendosi con lo sguardo verso una pallida mezza luna bassa all’orizzonte, appena sorta.
Siete un mistero che ha paura di svelare e se ne rende conto, ma fa fatica ad accettarlo.

Lo fissi da lontano senza comprendere quel suo strano comportamento e ti distrae il movimento di Usopp che ti siede vicino. Sorride e ti porge del tea freddo, sollievo in quel clima estivo.
Ti parla, dandoti il suo punto di vista. Non avresti mai detto che possedesse quello spirito d’osservazione, pur essendo un cecchino…
-Credo che Sanji sia confuso, oltre che preoccupato per Zoro.- dice.
-Da cosa? Cosa è che lo confonde?- proprio non ci arrivi. Dopotutto non sai, quindi non puoi capire e ci pensa lui a chiarirti le idee: -Quando vi abbiamo raggiunto, eravate entrambi svenuti, ma la prima cosa che avete fatto tornati coscienti, è stato chiedere dell’altro…strana coincidenza, no?
Sorride, porgendoti quella domanda e sai che è un interrogativo che non pretende necessariamente una risposta da parte tua. È soltanto un modo che il tuo amico nasuto usa per farti capire e sai che non ha sbagliato.

Guardi dentro al bicchiere e rivedi Zoro che si affida a te in quegli ultimi due giorni e chiederti qualcosa di assurdo, cercando di garantirti la salvezza; certo, avevi disatteso il suo desiderio, rendendoti conto che avresti preferito morire con lui, piuttosto che abbandonarlo.

In un modo tutto vostro avevate dichiarato, senza le parole giuste, senza i consueti termini, di essere così legati che persino la vostra vita veniva messa in secondo piano. E quel cercare l’altro, anche di fronte al resto della Ciurma, aveva insinuato un dubbio, un tarlo più famelico di Rufy, nella testa del Cuoco.
Per il Cecchino era stato facile mettere insieme le cose, quindi anche Sanji ci era arrivato.

Solo allora annuisci, con un sorriso mesto a tirarti le labbra ancora screpolate dal deserto, poi ti alzi, stiri gli arti indolenziti e vai a prendere un plaid, quindi ti siedi dietro la porta ancora chiusa. Tanto ormai che hanno capito, non hai timore di mostrare la tua preoccupazione per Zoro.
Ti assopisci nella solitudine della nave che ti culla piano.

Quando si fa giorno, apri piano la porta, vinta dal timore.
Chopper dorme sulla sedia, esausto, vicino al letto in cui Zoro riposa. Sembra tranquillo, immobile e bendato all’altezza in cui il proiettile l’ha colpito. Sta recuperando le forze e lo lasci dormire.

Rabbrividisci, scorgendo l’attrezzatura che il piccolo medico ha utilizzato per operarlo: tra i ferri insanguinati giace un proiettile, anch’esso ricoperto dal sangue di Zoro e ti chiedi come possa un oggetto così piccolo riuscire, quasi, a portare via un tipo come lui, già sopravvissuto a ferite impensabili da sopportare per un comune essere umano.
Eppure, quel pezzetto di metallo, l’unico tra tanti che non è riuscito a schivare, stava per ucciderlo.
Noi sai (e forse non saprai mai) chi è stato a spararlo…forse è rimasto a terra, forse è ancora vivo ed ignora di essere quasi riuscito ad abbattere il Demone ex Cacciatore di Pirati Roronoa Zoro.
Chissà se ne avrebbe un vanto o se fosse intimorito da una sua possibile vendetta.
Allunghi il braccio ed apri le dita bendate su quell’oggettino, più piccolo di uno dei pendenti che lui porta all’orecchio, lo afferri. Esamini il freddo riflesso argenteo, velato dal sangue secco e ti dirigi verso la porta con un movimento deciso. Ne varchi la soglia e presto ti ritrovi fuori, nell’aria ancora fredda che attende il prossimo sorgere del sole.

A prora c’è una sagoma familiare: credevi che dormisse, ma Rufy guarda l’orizzonte dalla polena, il suo posto preferito.
Quell’ariete pare attendere paziente l’astro che gli sta sorgendo di fronte, in un tripudio di caldi colori che irrompono nel cielo ancora scuro.

Lo avvicini e gli chiedi di fare per te qualcosa che avevi in mente di attuare tu stessa. Gli porgi il proiettile.
-Rufy, puoi lanciarlo il più lontano possibile?

Ti guarda, poi abbassa gli occhi sull’oggetto che tieni tra le dita e lo prende. Ha capito quale sia l’origine di ciò che stringe e si appresta a sbarazzarsene; getta indietro il braccio, allungandolo più che può, lo fa ruotare vorticosamente,poi lo scaglia lontano.
Il proiettile si staglia controluce sul disco solare, ormai quasi del tutto fuori dal mare, e presto sembra perdersi in esso.
Ormai è lontano, non rappresenta più un pericolo per il vostro compagno, per il vostro amico.
Restate vicini, nel giorno che nasce, consapevoli che non ci saranno grosse liti per un infantile ritardo, che ci sarà ancora (per questa volta vi è stato concesso) il tempo di chiarire i sentimenti, che Zoro presto sarà in piedi strappando via le bende e, facendo impazzire Chopper, sarà di nuovo tra voi.

Sorridi, nella testa il pensiero di un Sanji inaspettatamente comprensivo con te, ancor più intollerante nei confronti dell’amico Spadaccino…sai che molto  presto dovrai sedare nuove liti, placare un animo ferito, appagare un amante inquieto.
Perché ormai sei certa che il tuo sia un sentimento corrisposto. E non per ciò che ti hanno riferito gli altri, per il fatto che ti abbia cercata, appena sveglio.

Lo sai perché avrebbe dato le cose per lui più importanti al mondo, pur di darti una speranza di salvezza.
La sua spada e la sua vita.

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