La Bellezza Nasce Dai Limiti

di Quinnie_Criss1601
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: Ways of loving ***
Capitolo 2: *** Capitolo1: Random Meetings ***
Capitolo 3: *** Capitolo2: Break Down ***
Capitolo 4: *** Capitolo3: I've Learned To Live Half Alive ***
Capitolo 5: *** AVVISO ***



Capitolo 1
*** Prologo: Ways of loving ***


Prologo: Ways of loving
 
Kurt:
Amore, a-m-o-r-e. Un giorno avrei saputo anch’io cos’era. Già, un giorno. In quel periodo non avevo nessuno che me lo facesse scoprire. Ma l’avrei saputo, un giorno…
 
“Kurt Hummel conoscerà l’amore quasi come l’ultima collezione primavera-estate di Marc Jacobs!”mi dicevo. Avrei conosciuto degl’occhi, begl’occhi, castani, no, forse azzurri. Mi avrebbero guardato, osservato,  accettato, capito. Avrei conosciuto delle mani, grandi, che non avrebbero avuto paura di toccarmi, non si sarebbero vergognate ad accarezzarmi di fronte al mondo intero, percorrendo la mia schiena mi avrebbero chiuso spesso in lunghi abbracci. Avrei conosciuto un sorriso, un luminoso sorriso; una bocca, divertente, intelligente, l’ avrei baciata senza timore o imbarazzo. Quegl’occhi, quelle mani, quel sorriso, quella bocca sarebbero state di un uomo, di un ragazzo, del Mio ragazzo, dell’ AMORE.
 
 
 Gay, si sono gay. Ormai basta questa parola per descrivere l’amore che volevo conoscere, per esprimere la miriade, variopinta scala di sentimenti che prova un ragazzo come me nell’amare? No, no che non basta. Per me non basterà mai, non sarà mai abbastanza per descrivere quello che ho provato quando anch’io ho finalmente conosciuto l’amore. Perché basta per tutto il resto delle persone allora? Perché nessuno ha mai pensato che è impossibile classificare i sentimenti in base a chi o a cosa sono rivolti? Non c’è una parola per descrivere chi ama i cani, chi ama andare a pesca. Perché se si ama una persona del proprio sesso si deve essere etichettati? AMORE, questa dovrebbe essere l’unica etichetta, l’unica cosa importante. Amore, io l’avrei cercato, l’avrei trovato, l’avrei sentito, l’avrei vissuto, senza vergognarmi. Ne ero convinto.
 
 
 
 
 
 
 
Blaine:
Paura. Paura. Paura. Paura di amare, paura di amare nel modo sbagliato, la persona sbagliata, di essere sbagliato. Amore. Paura dell’amore. Come si fa ad aver paura dell’amore? Lo sapevo. Io lo sapevo molto bene. Ero abbastanza ferrato in questa materia. Come si fa a non aver più paura? Beh ho imparato che basta amare.
Ma come si fa a sconfiggere la paura di amare se l’unico modo effettivo per distruggerla è amare?
Io avrei voluto amare, avevo 16 anni, avrei voluto l’amore. Ma ero terrorizzato dall’idea che il modo in cui io amavo fosse diverso da quello in cui gli altri amavano, fosse sbagliato.
 
 Solo mia madre sapeva il vero motivo per cui avevo voluto trasferirmi alla Dalton, agli altri avevo spiegato che nella vecchia scuola non mi trovavo bene. Punto. Stop. Fine.
 
Si, ok, pensavo di essere gay. E lo sono! Finalmente avevo avuto il coraggio di dirlo almeno a me stesso! Avevo paura, una folle paura di poter essere schernito. Sapevo che alla Dalton avrebbero accettato la cosa con assoluta tranquillità. Ma al di fuori? Cooper? Alexandra? Come l’ avrebbero presa? E quante possibilità avrei potuto mai avere di trovare un ragazzo disposto ad amarmi alla luce del sole in Ohio?
Pensavo che non avrei potuto nemmeno baciarlo per strada, non avremmo potuto tenerci la mano, abbracciarci, non avremmo potuto amarci. Sapevo che dovevo trovare la forza di rivelarlo e poi di ribellarmi agli innumerevoli pregiudizi che mi sarebbero caduti addosso, ma non ero affatto sicuro di potercela fare.
Le spalle muscolose, la voce, il sorriso che mantenevo sempre riuscivano solo a nascondere la mia fragilità.
 
… L’amore, forse quello si, è riuscito a trasformarla in forza.
 
 

Quinnie's corner:

Ciao a tutti! Sono Quinnie e questa è la prima FanFiction che scrivo. Sono tipo emozionatissimi infatti, ma vabbe XD
Questo è naturalmente solo un prologo per cui è così breve, ma vi assicuro che già dal prossimo, i capitoli saranno parecchio, se non troppo lunghi.
Per ora non fisso un giorno in cui aggiornare perchè non posso rispettare alcun tipo di scadenza a causa della scuola e impegni vari, ma entro la fine della prossima settimana dovrei riuscire a pubblicare il primo capitolo. :)
Prima di salutarvi aggiungo solo che questa storia non sarebbe mai stata scritta nè tanto meno pubblicata senza l'incoraggiamento del mio migliore amico, per cui ringrazio tantissimo Simone che ha oltretutto sopportato i miei scleri da fangirl per un'estate intera (e continua a sopportarli). Questa è per te, ti voglio bene! <3
Ora vi lascio, spero tanto che vi piaccia e grazie se avete anche solo avuto la pazienza di leggere le note di una pazza che blatera! <3
Alla prossima.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo1: Random Meetings ***


 Random meetings
 

 
 
Kurt:
 
Faceva caldo, davvero caldo.
 
Delle poche auto che percorrevano le strade di Lima riuscivo a distinguere solo ombre colorate, tremolanti. L’aria era pesante, odorava di terra secca. Cadeva minacciosa sulla mia t-shirt sudata, gravava sul paesaggio provinciale della mia città, la rendeva piatta, morta ancora più di quanto non lo fosse già.
 
Ma, nonostante l’atmosfera torrida che pareva imprigionare l’intero abitato ed incupire l’umore di chiunque ne fosse circondato, ero talmente euforico!
Finalmente io e papà avremmo lasciato la nostra dolce ma assolutamente indecente catapecchia e ci saremmo trasferiti nel grazioso appartamento degli Hudson!
 
Da quando Carol era entrata nella vita di mio padre molte delle nostre abitudini erano cambiate, era strano all’inizio, ma mi ci sono abituato in fretta. Cominciavo a trovare abbastanza piacevoli tutte le varie novità che avevano scosso positivamente le nostre, altrimenti monotone, esistenze. Mi divertiva moltissimo parlare con Carol di moda e consigliarla per eventuali outfit o tagli di capelli.
 
…E poi, poi c’era Finn…forse la novità più importante dal mio punto di vista, quella che veramente mi rendeva felice.
 
Ahh, oddio! Kurt! Basta, smettila! Quante volte devi ancora ripeterti che è solo una tua fantasia prima di convincertene! Finn è etero, soffriresti come un cane, NON può essere lui l’Amore?! Lo sai…lui non ti darà mai quello che cerchi…non può.” Continuavo a dirmi ogni volta che mi incantavo a scrutare quel suo sorriso perfetto. Spesso serviva che qualcuno mi schioccasse le dita davanti agli occhi per distoglierli da quella celestiale visione.
 
Sapevo che lui non era l’Amore, ma non potevo fare a meno di immaginare come sarebbe stato bello essere protetto da quell’ alta e robusta figura, essere consolato dal suo sguardo ingenuo e spensierato, ridere dei suoi errori grammaticali e correggerlo con dolcezza, ricevendo come benaccetto grazie, la leggera pressione delle sue labbra sulle mie.
 
Non riuscivo proprio a considerarlo come un fratello; ero troppo preso a pensare a come sarebbe stato essere amato da lui per rendermi conto che io stesso non lo amavo.
 
 
Erano le otto del mattino quando partimmo già pieni di scatoloni e buste stracolme. L’auto di mio padre per quanto grande e spaziosa fosse, sembrava scoppiare da un momento all’altro tanto era piena.
Ci sistemammo alla meglio sui sedili e partimmo entrambi consapevoli del cambiamento che stavamo affrontando, che avrebbe sicuramente sconvolto le nostre vite, ma che in quel momento non ci spaventava affatto. Dieci minuti di chiacchierata furono più che sufficienti per assicurare a papà il mio assoluto consenso al trasferimento ed anzi a fargli capire quanto fossi contento delle nuove prospettive che si affacciavano nelle nostre vite.
 
Presi dal portabagagli una delle scatole più pesanti, per evitare al mio vecchio di fare troppi sforzi. Ricordo che andavo avanti barcollando lentamente poiché il carico che avevo sollevato era molto alto e copriva completamente la mia vista. Capì di essere arrivato al portone dopo esserci sbattuto violentemente contro, con un gomito.
CAZZO! Ahi! Porca miseria non c’è un anima in questo palazzo disposta ad aprire il portone!!” urlai agitato e dolorante mentre cercavo di mantenere lo scatolone e contemporaneamente premevo insistentemente tutti i tasti del citofono.
 
 
 
 
 
Feci appena in tempo a rivolgere un altro amaro insulto al duro metallo del portone che avevo colpito per la seconda volta, quando finalmente qualcuno si decise ad aprirlo.
“ Ehi! Ecco, ecco. E’ aperto…Vuoi una mano?” disse ridacchiando una voce maschile che veniva al di là della scatola.
L’abbassai leggermente sussurrando un grazie e la poggiai contro il petto di un ragazzo, che pronto per reggere il peso pose le sue mani calde al di sotto delle mie delicatamente, permettendomi di sfilarle.
Mentre massaggiavo il braccio indolenzito per lo sforzo e le innumerevoli botte alzai gli occhi per dare una veloce occhiata di riconoscenza al mio salvatore. Mi era bastato raggiungere gli occhi del ragazzo e guardarli appena per capire che forse lo sguardo che avevo intenzione di rivolgergli non sarebbe stato poi così rapido.
 Pensai avesse all’incirca la mia età, notai che era bello, un po’ bassino, ma la cosa che mi colpì veramente fu il suo sguardo. Sembrava ingenuo, genuino quasi imbarazzato nonostante le profonde occhiaie, e contemporaneamente pareva che proprio quell’aria da imbranato gli donasse un accenno provocante nel modo in cui piegava la bocca in un sorrisetto innocente o in cui cercava di mantenere la scatola con una sola mano per poter rivolgere a me quella libera e presentarsi.
 
“Grazie mille! Davvero se non fossi arrivato tu mi ci sarei accampato sotto questo portone!”  lo ringraziai cercando di sembrare simpatico.
Figurati! Dovevo uscire ed ti ho sentito dalle scale imprecare contro noi poveri coinquilini del palazzo.” Disse posando la scatola ed alzando le mani in segno di incolpevolezza.
Penso che avrò tutto il tempo di scusarmi dal momento che mi sto trasferendo qui. Piacere Kurt Hummel!”
“ Blaine Anderson…piacere.” Disse stringendomi la mano in maniera sincera.
Beh, ora salgo o mi daranno per disperso! Ci vediamo, e grazie ancora!”
 
 
 
 
 
“ Certo, vado anche io! Ci vediamo”disse mentre il sorriso che aveva sulle labbra cresceva mettendo in mostra i denti che subito spiccavano bianchi a contrasto sul bruno di una rada e leggera barbetta.
 
 
 
 
Blaine:
 
Mi mancava il respiro disteso su quella moquette. Mi tolsi disperato la maglietta. Caldo, faceva caldo. L’affanno era sempre più profondo, come la paura d'altronde. Chiudevo gli occhi appoggiando la testa alla parete per cercare di tranquillizzarmi, ma ecco che rivedevo quel coltello, sentivo di nuovo la gelida lama sulla gola. Mi strinsi il collo, forte, forte, sempre più forte. Non cercavo di  uccidermi, volevo solo far sparire quelle sensazioni. Piangevo. A singhiozzi. Per fortuna mia madre non era in casa o si sarebbe veramente preoccupata. Mi capitava spesso di avere attacchi del genere, ma mai così potenti e reali. Risentivo tutti i calci nello stomaco, tutto il dolore, tutte le lacrime, i pugni sul naso, il sangue freddo che colava dagli angoli della bocca. La stessa paura l’avvertivo ancora, immutata. “Anf, anf…tranquillo, Blaine, lo sai…lo stai solo immaginando…” provavo a pensare mentre con le mani mi stringevo il viso sulle ginocchia cercando di asciugarmi le guancie. “Aah! No, ti prego non di nuovo. Ti scongiuro no! Aaah!” gridavo avvilito dalle visioni che ritornavano puntuali. Bastò richiudere gli occhi appena un attimo per vedere ancora quella lama che questa volta mi lambiva il fianco. Mi rivestii e corsi fuori casa senza nemmeno chiudere la porta.
 
 Mi accasciai accanto al muro per poi sedermi sul pianerottolo appena capii di sentirmi un po’ meglio. “ Forse dovrei scendere a prendere un po’ d’aria” pensai.
 
 
 
Capitava sempre più spesso negli ultimi giorni. In realtà erano passati sei mesi da quella sera, un tempo relativamente breve per superare una cosa del genere. Rivedevo così spesso quel coltellino che entrava nella coscia, superava lo strato di pelle e infilzava la carne; le due grandi mani serrate in pugni ardenti di odio che mi colpivano ovunque, senza pietà. Mi pareva ogni volta di riascoltare le mie grida, quei gemiti di  dolore acuti che venivano completamente ignorati dai passanti. Ripensavo ogni volta, come in quel momento, di meritarmi la crudeltà e l’indifferenza ma soprattutto il disgusto che le persone mostravano solo guardando quella scritta sul muro alle mie spalle, solo guardandomi negli occhi.
 
Per fortuna c’era Finn, quando ero con lui non mi succedeva nulla, ero stranamente sereno. Anche soltanto quando giocavamo a basket e mi guardava sorridendo soddisfatto dall’alto dei suoi 192 cm mentre saltava raggiungendo l’ultimo canestro per la vittoria, mi faceva sentire sicuro, protetto proprio da tutte le sensazioni che più mi avevano spaventato.
Mi pareva che solo una cosa potesse sfuggire alle braccia forti del mio migliore amico: io. Sentivo come se riuscisse a comprendere tutto ciò che avevo subito, ma non ciò che ero io realmente. Vedeva anche lui soltanto un povero ragazzo maltrattato, che ne aveva passate tante, che aveva bisogno di aiuto e sostegno. Stop. Si fermava anche lui solo alla superficialità. E questo, a dire la verità, mi bastava per considerarlo la mia prima cotta segreta.
 
 
Scesi i sette piani di scale lentamente mentre mi asciugavo bene gli occhi offuscati di lacrime. Già dall’ultima rampa iniziai a sentire degli strani urli venire da fuori.
 Qualcuno voleva gli fosse aperto il portone. Una voce alquanto bizzarra, con una punta acuta e quasi femminile imprecava in maniera  elegante, ma insofferente contro noi abitanti del palazzo.
 
Ridacchiai, quasi dimenticando il brutto attacco di poco prima.
 
Aprii il portone e mi ritrovai di fronte un ragazzo alquanto esile che trasportava un enorme scatolone, il quale lo copriva completamente. Trattenni a stento una risata e feci in modo che mi passasse la scatola. La poggiai a terra e riuscii a vederlo. Aveva circa la mia età, era magrolino e leggermente più alto di me. Si aprì in un sorriso presentandosi, come volesse rispondere al mio sguardo incuriosito. Prestavo attenzione alle parole che usava ma soprattutto al tono con cui me le rivolgeva. Amichevolmente certo, ma con giusto una punta di ironia e di malizia che riuscirono a farmi sorridere di gusto più di una volta durante quei brevi momenti.
 
Si stava trasferendo nel palazzo, ecco spiegato lo scatolone. “ Devo dirlo a Finn” pensai “ magari lui ne sa più di me” . Ci salutammo con un caloroso “ci vediamo”  forse anche un po’ troppo animato
per due sconosciuti che si incontrano per la prima volta.
 
Non ci feci caso più di tanto e, nonostante mi fossi calmato completamente, cominciai quella che sarebbe stata una lunga e piacevole passeggiata.
 

 
 
Quinnie’s corner:
 
Ehilà! Dopo una settimana esatta, ancora non ci credo che la sto pubblicando questa specie di cosa contorta. XD
 
Cooomunque, ecco il primo capitolo nel quale, naturalmente si aprono una serie di interrogativi che saranno poi risolti nel corso della storia. :)
Prima di salutarvi devo innanzitutto ringraziare tantissimo tutte le anime pie che hanno letto il prologo e che hanno seguito la storia, non sapete quanto sia stata felice di sapere che c’era qualcuno che mi cacava.Vi voglio sinceramente bene :')
 
Qui sotto vi lascio un piccolo spoiler :3
A venerdì prossimo! (Si, aggiorno ogni venerdì c:)
 
Spoiler: Fu a quel punto che sussurrò un “oh” di sorpresa, ma che contemporaneamente sembrava segno di delusione. Non avevo idea del perché quell’informazione l’avesse spiazzato…

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Capitolo 3
*** Capitolo2: Break Down ***


Blaine:
 
 
Non incontrai quel ragazzo fino a qualche giorno dopo, quando ero finalmente riuscito a parlare con Finn e ad organizzare uno dei nostri pomeriggi all’insegna dello sport.
 
Eravamo soliti incontrarci almeno una volta a settimana per discutere di basket e di football  mentre mi parlava di quanto fosse travagliata la sua storia con Quinn, una sua compagna di scuola. Mi piaceva ascoltarlo, sempre. Anche se faceva un po’ male, anche se ogni volta mi si spegneva qualcosa dentro, ogni volta sentivo un piccolo pezzo del mio cuore frantumarsi tra le sue mani grandi che continuavano a spezzarlo, strapparlo come fosse un vecchio volantino di quelli che lasciano incastrati fra i tergicristalli dell’auto, e che tutti  vogliono solo buttare.
 
 “Mamma, ci sei?” Quando fui sicuro che non sarebbe arrivata nessuna risposta, capii che era già andata a lavoro.
Entrai, lanciai la borsa sul sofà, chiusi la porta d’entrata non curandomi del fatto che avesse fatto parecchio fracasso sbattendo, mi lasciai andare su di uno di quei morbidi cuscini blu poggiati sulla struttura del divano e mi tolsi le scarpe socchiudendo gli occhi per la stanchezza.
 
Pochi minuti dopo controllai l’orologio.
14:20
“ Quel cavolo di pullman arriva sempre più tardi!” In quel momento mi spiegai la strana sensazione alla bocca dello stomaco e il fatto che mi sembrava di essere sul punto di svenire. Fame!
Feci un giro in cucina e mi accorsi che c’era un biglietto sistemato sul tavolo, tra i fiori rossi della tovaglia.
 
Sto iniziando ad odiare quest’autobus! Ti fa fare sempre tardi, non faccio mai in tempo a salutarti prima di andare in clinica. In frigo trovi moltissime cose buone, ho fatto la spesa stamattina!!
 Ancora una cosa, so che devi andare da Finn oggi, ma puoi per favore preparare e avviare la lavatrice?
 Oh, ultimo piacere! Mi verresti a prendere alle 20:00? Grazie amore.
 
Tesoro mio, ti amo tanto. Sei il figlio migliore che si possa desiderare!♥♥
 
Mentre lo leggevo sorridevo leggermente, sentivo che qualcosa, un calore particolare m’incendiava dentro. Solo lei poteva farmi sentire così amato. Era così forte. Era e sarebbe sempre stata la donna, ma che dico, l’essere umano migliore su tutta la faccia della terra. Anche quando sbagliava, sapeva sempre come rimediare. Anche se si arrabbiava con me, mi voleva sempre così tanto bene. Si vedeva. Le riempiva gli occhi. Mi faceva sentire così coraggioso, come se fossi io a trascinare il carro della nostra vita. Ma in realtà lo sapevamo bene entrambi era lei la roccia ed io il cristallo, tra l’altro ancora grezzo.
 
Aprii svogliato l’anta della credenza, poi quella del frigorifero. No, non mi andava proprio di cucinare quel giorno, nonostante fossi abbastanza bravo. Sarei uscito per prendere un panino alla tavola calda sotto casa.
Mi sfilai il blazer della Dalton, sbottonai il colletto e le maniche della camicia arrotolandole per renderle più corte. Ripresi la borsa, controllai il cellulare: nessuna chiamata, solo un messaggio.
 
 “Verso che ora vieni oggi? :D” F.
“Va bene alle 4? Devo ancora pranzare e poi fare il bucato per mamma -.-” risposi.
“ Ok, bella lavanderina XD” F.
“ Ma quanta simpatia signor Hudson! Ha ha ha! Ci vediamo più tardi!”
“A dopo ;)”
In strada faceva davvero caldo nonostante fosse ormai novembre. Mi avviai ciondolante verso il locale, pensavo a come sarebbe stato tutto molto più semplice se non fossimo stati solo io e mia madre, se tutto quello che era accaduto non fosse mai successo, se io fossi stato come gli altri o quanto meno se fossi riuscito a sembrarlo. Io ci avevo provato, non mi capacitavo, davvero non riuscivo a capire come avessero fatto a scoprirlo. Mi chiedevo come avessero potuto umiliarmi e farmi così tanto male. Stavo affrontando solo allora la possibilità che il dolore e la paura, pur restando, si stessero per trasformare in risentimento, rabbia, odio, voglia di vendetta, voglia di vedere le persone che mi avevano ridotto così nel mio stesso identico stato: inerti, in balia della disperazione e della mortificazione più totali.
 
Assorto nei pensieri mi accorsi di aver superato leggermente il locale, quindi attraversai la strada e tornai indietro di nemmeno dieci metri per raggiungerlo. Mi sedetti vicino al bancone e chiamai Thad, un ragazzo della Dalton che lavorava part-time come cameriere proprio lì.
 
Thad!”
“Ehi! Guarda chi si vede, Blaine! Stamattina sei stato assolutamente grandioso, la risposta che hai dato alla professoressa Davis meritava un Oscar!” mi disse entusiasta.
Hahahah, lo so, lo so. Modestamente!” gli battei il cinque.
Allora amico cosa ti porto?”
“Mmh, direi un panino con hamburger ed insalata, grazie!”
“Arriva!”
 
 Circa cinque minuti dopo addentavo il panino fumante.
 “Allora che mi racconti?” Cominciò Thad che voleva chiaramente attaccare conversazione non avendo altro da fare: solo tre tavoli del locale erano occupati ed in più erano tutti già stati gentilmente serviti dal ragazzo.
Niente di particolare in realtà. Tu piuttosto come stai, ho sentito che le cose tra te e Sebastian non vanno particolarmente bene.”
Ah, non sapevo se ne parlasse già!” Il tono sorpreso ma soprattutto amareggiato del ragazzo mi resero immediatamente un po’ titubante.
“Sarebbe stato meglio farmi i fattacci miei, lo so. Ti chiedo infinitamente scusa.” Sembrava dire il mio sguardo che a quanto pare doveva essere a metà tra il mortificato e il preoccupato.
“Oh, tranquillo! Non rammaricarti, dovevo aspettarmelo. La Dalton è famosa per  tutte le voci di corridoio e i pettegolezzi che circolano no?” Sulle labbra di Thad si disegnò un sorriso storto, amaro, quasi schifato e assolutamente dolente.
Già, purtroppo…”
“Comunque io non sto per niente bene. Beh se Sebastian mi ha tradito non mi sembra poi così strano che le cose tra noi non vadano. Ma…lo sapevo, è inutile prenderci in giro, chiunque sapeva che non sarebbe mai durata. Sicuramente starai dando dello stronzo a Sebastian, come tutti. La cosa più drammaticamente divertente invece  è che sono IO ad averlo spinto via, IO gli ho detto di non amarlo, IO gli ho esplicitamente detto di andarsene al diavolo, IO ho rinnegato i miei sentimenti! E per cosa?! Perchè vedevo che si stava finalmente aprendo, sentivo che non mi usava, che si stava innamorando e avevo paura, una terribile paura di illudermi…”
Non potei fare assolutamente niente per cercare di calmare le parole di Thad che scorrevano impetuosamente infrangendosi ormai sul mio petto che lui continuava a colpire imperterrito, stringendo i pugni talmente forte che le mani gli divennero incredibilmente rosse, le nocche incredibilmente bianche, i palmi mostravano i solchi profondi delle unghie infilzate nella pelle.
Si sciolse dall’abbraccio fraterno in cui avevo sentito di catturarlo. Era fragile, era un mio amico: l’unico modo che avevo per proteggerlo era fargli sentire che io c’ero, sempre. Come purtroppo pochi avevano fatto con me.
 
                                                                                                                        *

 “Grazie mille Blaine e.. scusami.” Sussurrò guardandomi implorante, come cercasse nei miei occhi la speranza di un appiglio, di una mano tesa a trascinarlo via dai suoi stessi sentimenti.
Ehi, non dirlo nemmeno! Se hai bisogno, io ci sono”  dissi aprendo la porta vitrea del locale per sgusciare in strada.
Cominciavo a sentirmi soffocare tra quelle mura giallo senape, tra le lacrime e i gemiti d’amore di Thad che io non avrei mai, mai potuto  mostrare.
 
                                                                                                                  *
 
Ricordo che girai per la casa solo in boxer quel pomeriggio. L’afa premeva su ogni centimetro della mia pelle sudata. Le mani mi profumavano di detersivo e ammorbidente, ma almeno erano fresche. Mi avviai uscendo dallo stanzino dopo aver avviato la lavatrice e andando verso il bagno. Non potei fare a meno di guardarmi allo specchio appena entrai nella stanza. I capelli erano disordinati e tragicamente riccissimi, goccioline di sudore mi percorrevano le tempie, la barba cominciava a crescere troppo ma osservai compiaciuto che gli allenamenti di box stavano dando i primi effetti. Mi passai una mano sulle spalle incurvate per la posizione che avevo assunto appoggiandomi al lavello: erano solcate da linee abbastanza profonde che delimitavano i muscoli. Scesi accarezzandomi le braccia e notai soddisfatto che anche queste stavano acquistavano vigore.
Beh, se almeno fosse capitato un’ altra volta mi sarei potuto difendere a dovere, sarei potuto sfuggire a quella presa talmente salda e forte da fermarmi il sangue all’altezza dei polsi.
 
Sperai, tremando, che non ci sarebbe stata un’altra volta.
 
 
                                                                                                                                *
 
Ero pronto per andare da Finn. Con una doccia fredda e dei vestiti puliti mi sentii decisamente meglio. Ogni volta che dovevamo vederci cercavo di prepararmi ed essere più carino, anche se ero perfettamente consapevole dell’inutilità dei miei sforzi.
Quella mattina optai per un modello aderente di jeans, una canotta bianca, parecchio slabbrata e la mia inseparabile felpa grigia. Era di Finn, mi piaceva talmente tanto che lo avevo praticamente costretto a regalarmela. Da quel giorno me ne separavo raramente.
 M’infilai un paio di scarpe da ginnastica grigie, di quelle che lasciano scoperte le caviglie; canticchiando afferrai cellulare, chiavi e occhiali da sole; aprii la porta di casa che strusciò sul pavimento con un cigolio. Di scatto mi girai verso l’ entrata di fronte attirato da un altro rumorino simile. Era Kurt, il ragazzo del portone. Era al di là del pianerottolo, sulla soglia della casa di Finn.
Alzò immediatamente lo sguardo e sorrise. Gli feci un gesto con  la mano di rimando, ma non nascosi affatto una smorfia perplessa che irrimediabilmente lui scorse.
 
Ehm.” Mi schiarii la voce. “Ciao…scusami ma sei della famiglia?” Feci per indicare l’ingresso alle sue spalle.
“Ciao, diciamo di si. Mio padre sta per sposarsi con Carol Hudson.”
“Dici sul serio? Quindi sei il fratellastro di Finn?! Wow! Effettivamente mi aveva parlato del nuovo compagno della mamma, ma non avevo collegato!”
“ Conosci bene gli Hudson?”
“Oh, beh…io e Finn ci conosciamo da quando eravamo piccolissimi! Siamo sempre stati molto amici. Così come le nostre rispettive mamme.”
Fu a quel punto che sussurrò un “oh” di sorpresa, ma che contemporaneamente sembrava segno di delusione.
Non avevo idea del perché quell’informazione l’avesse spiazzato tanto e soprattutto non avevo idea di cosa dire, di come continuare quella conversazione, di come superare la sua gracile figura, lo sguardo perso con cui fissava prima me, poi il pavimento.
 
.Poco dopo tirai fuori un sorriso da emerito ebete, mi sentivo quasi dispiaciuto, ma di che poi? Non gli avevo detto mica chissà cosa.
Kurt, sei ancora qui? Non dovevi uscir- Blaine! Amico entra, ti aspettavo!”
“Finn!” preparai il pugno per rispondere al nostro solito, simpatico saluto mentre mostravo un sorriso enorme e colmo di gioia.
Kurt continuò a fissarci stranito per un paio di secondi quando, all’improvviso, si riprese.
Finn io esco con Santana allora, ci vediamo dopo.” Disse al fratellastro.
Ciao Blaine, ci si vede!”biascicò scendendo a rotta di collo le scale rivolgendosi a me.
C-Ciao…” ricambiai  mentre mi chiedevo chi fosse Santana.
 
 
                                                                                                                   *
 
Il pomeriggio con Finn trascorse allegramente come di solito. Parlando riuscì a carpire anche alcune cose sul nuovo arrivato a casa Hudson, su suo padre, sulle opinioni del mio migliore amico riguardo loro e la situazione in generale. Kurt era un bravo ragazzo, simpatico, ma parecchio diverso da lui, a dire di Finn.
Mi accontentai di poche parole poiché già solo osservando il suo luminosissimo sguardo e il mezzo sorriso ingenuo che mi rivolse parlando, riuscii ad intendere che lui stava bene, che era sereno. D'altronde, Finn era Finn, la persona più buona e generosa che potesse esistere.
 
Alle 20:00 ero di fronte alla clinica veterinaria nella quale mia mamma lavorava e aspettavo di vedere la sua riccia chioma scura ondeggiare sotto gli ultimi raggi di sole.
“ Ecco il mio uomo!” esclamò fiera schioccandomi un bacio sulla guancia.
“ Allora, com’è andata con Finn?”
“Tutto bene. Sapevi che il compagno di Carol si è trasferito a casa loro?”
“Ah,si. Carol mi aveva accennato qualcosa. L’hai incontrato? Come ti sembra?”
“No, eravamo soli in casa. Ma ho conosciuto il figlio, Kurt. Penso abbia circa la mia età. Sembra simpatico, Finn gli vuole bene.”
“Mhh, e fisicamente com’è questo Kurt?”
“Sinceramente non ho fatto molto caso al suo aspetto fisico. Poi, dove vorresti arrivare con questi discorsi, scusa?”
“Hahahaha, hai la coda di paglia eh? Comunque, so che il tuo cuore appartiene IRRIMEDIABILMENTE  a Finn, ma credo che se ti guardassi un po’ intorno non faresti mica male.”
“ Mamma! Non ho intenzione di parlare di ragazzi con te, mi imbarazza!”
“Ti ci dovrai abituare invece, sono l’unica con la quale puoi parlare di tutto ora come ora.” Disse con tono duro aprendo la portiera della macchina e lanciandomi uno sguardo offeso ma contemporaneamente dispiaciuto.
“Cazzo, Blaine! Pensa prima di parlare! Cazzo, cazzo!” mi dicevo mentalmente mentre la rincorrevo. La fermai sotto il portone, l’abbracciai, piangeva.
Scusa, scusami mamma, ti prego. Sai che non intendevo dire quello.”
“ Lo so, tesoro. Lo so. Ma fa male sapere di non poterti dare la famiglia e l’aiuto di cui hai bisogno. Mi dispiace così tanto, così t-tanto...” riuscì a dire tra i singhiozzi.
“Io ho solo bisogno di te, mamma. Ho bisogno che tu, Alexandra e Cooper stiate bene. Solo di questo…” mentii, perché in realtà avevo bisogno di capire quando anch’io sarei stato bene.
 



Kurt:
 
Quella mattina a scuola mi sentivo particolarmente stanco. Le
 giornate al Mckinley High School consistevano solitamente in un monotono susseguirsi di monotone lezioni tenute da monotoni professori. Così per tutta la mattinata, fino alle prove del Glee che invece risultavano quasi sempre vivaci e piacevoli. Quel giorno, stranamente, anche quelle mi sembravano terribilmente noiose.
Cercai di non far notare il mio menefreghismo più totale verso l’ennesimo assolo che Rachel stava eseguendo al centro dell’aula saltellando e cercando di coinvolgere tutti nella sua fastidiosa allegria, stravaccandomi sulla sedia sistemata nell’angolo più remoto della sala. Nonostante i miei sforzi però Santana colse subito uno sguardo particolarmente scocciato che lanciai ai miei compagni e mi si avvicinò.
“Hummel, cos’è quella faccia? So che la Berry a prima mattina non è esattamente facile da digerire, ma sei particolarmente apatico e infastidito oggi. E’ successo qualcosa?”sussurrò guardandomi attentamente.
No, non è successo nulla. Sono solo un po’ stanco, tutto qui…”mentii.
“Ok porcellana, sputa il rospo! Lo sai che non m’inganni.”
“San, ti giuro che ti sto dicendo la ver- ok, lo ammetto, qualcosa è successo.”
“Beccato!” mi rivolse un sorriso soddisfatto e fiero mentre mi puntava contro un indice accusatorio.
“Beh…ieri…ieri Finn non ha fatto altro che parlare con mio padre di football e della sua bellissima Quinn! Io come mi dovrei sentire?! Appena provo ad accennare a mio padre la questione ragazzi cambia argomento e diventa tipo color magenta! E’ chiaramente imbarazzato!” dissi innervosito cercando di trattenermi e di non urlare.
Oh caspita…Facciamo così Kurt oggi pomeriggio ce ne andiamo in giro per negozi fino a tardi! Spettegoliamo sul mondo intero e ci guardiamo l’ultimo photoshoot di Taylor Lautner! Al diavolo Finn e i suoi capezzoli mosci!”
“Hahahahaha, ehi è pur sempre il ragazzo di cui sono innamorato! Comunque mi hai convinto!...”
“Allora fatte nuove conoscenze nella catapecchia degli Hudson?”
“Mi sembra di n- Oh, un momento, si! Un tale Blaine, di circa la nostra età…”
“Ehh, com’è questo Blaine?” chiese con un ghigno malizioso quando trillò la campanella.
“ Hahahaha ne parliamo oggi! Alle quattro da me!”
“Oh, Hummel! Ti ha salvato la campana!”
Effettivamente non avevo mai pensato a lui in quel senso fatta eccezione per quando lo incrociai la prima volta, quando notai subito lo strano sorriso imbranato, ingenuo e soprattutto curioso che mi rivolgeva.
 
                                                                                                                   

                                                                                                                        *
 
 
 “E’ tardi cazzo, Santana mi ammazza!” mi dicevo sotto voce mentre correvo lungo le scale, rischiando più volte di cadere rovinosamente. In realtà, in quel momento, gli ingranaggi del mio cervello riuscivano ad arrovellarsi soltanto su un'unica questione: Chi era veramente questo Blaine? Perché aveva un rapporto così stretto con Finn? Cos’ era per Finn? E Finn per lui?
Mentre questa serie di domande fluivano naturalmente insieme ai miei pensieri, raggiunsi il portone.
“Alleluia Hummel! Se ci partorivi per le scale facevi prima!”
“Scusami San…ha-hai ragione.” Una minuscola lacrima sfuggì ad uno dei miei occhi cerulei intanto che biascicavo queste parole ed entravo in macchina.
Ok, cambio radicale di programma! Ora andiamo in un bel posticino tranquillo e mi racconti veramente cos’hai. Non voglio sentire obbiezioni, chiaro?!” disse con un tono stranamente dolce. Santana era una persona estremamente forte, sapeva come ascoltare gli altri, ma ascoltava solo coloro a cui voleva veramente bene. Nessuno meglio di lei poteva capirmi: avevamo affrontato i medesimi scontri con il mondo, i pregiudizi e le convenzioni, ne eravamo usciti entrambi vincitori si, ma pieni di graffi e piaghe non ancora del tutto guariti. Era una delle mie migliori amiche proprio per questo: ci sostenevamo a vicenda, l'uno era l’ancora di salvezza dell’altro, l’uno il punto fermo dell’altro.
“O-ok.”
 
 
                                                                                                         *


Con “un posticino tranquillo” Santana intendeva i giardini pubblici di Lima, che erano effettivamente quasi sempre vuoti. La gente gretta della mia città non sapeva apprezzare nemmeno le piccole e rare cose belle che questa possedeva: il parco era meraviglioso, pieno di graziose fontanelle, statuine, cespugli fioriti e rocce dalle forme curiose, immerso in una  magica tranquillità meditativa. Ci sedemmo su un muretto di pietra e cominciai a sfogarmi.
Ho paura San, sto morendo di paura. Questa è la verità! Ho paura che non riuscirò mai ad essere amato, ho paura che quel Blaine mi rubi Finn, ho paura che Finn scopra che mi piace, ho paura di andare a scuola ogni mattina, ho paura che mio padre non mi capisca, ho paura di essere geloso di un ragazzo che non mi appartiene e per cui non dovrei provare altro che affetto fraterno, ho paura perché non so cosa veramente provo per questo ragazzo, ho paura che questo Blaine possa entrare nella mia vita e ho paura che non ci entri, non so perché, ma ho paura che sia etero, e ho paura che sia gay, ho paura, una dannata paura.” Sbandierai così alla mia migliore amica i miei più profondi sentimenti, piangendo disperatamente.
Mi abbracciò. Era raro che Santana abbracciasse qualcuno che non fosse Brittany, ma lo fece. Mi stringevo sul suo petto singhiozzando mentre mi accarezzava i capelli protettiva.
“Tutti hanno paura Kurt. Non esiste essere umano al mondo che non provi questa paura costante verso i cambiamenti, verso il futuro, verso i propri sentimenti quando sono poco chiari e spesso anche quando lo sono fin troppo. Abbiamo paura delle persone, di come potrebbero influenzarci, stravolgere completamente il corso delle nostre vite. E’ normale. Non ci fidiamo di ciò che non conosciamo ma nemmeno di noi stessi. Succede a tutti. L’unica cosa che ti permetterà di affrontare questi timori sarà capirli, attraversarli, vivere.” Disse con voce ferma fissando un punto imprecisato del muretto e portando solo alla fine lo sguardo nei miei occhi bagnati. Il vento sembrava trasportare quelle parole con la stessa forza con cui erano state pronunciate, taglienti e  sincere. Gli alberi di camelie oscillarono impercettibilmente quando mi alzai in una frazione di secondo e presi a correre veloce, sempre più veloce. Le lacrime ancora scorrevano sulle guance, i capelli si arruffavano, le braccia si aprivano inconsapevolmente e la paura si offuscava, il coraggio si componeva come un puzzle, s’intravedeva l’ombra di quella forza che non avevo mai avuto. E’ incredibile come sentire l’aria che ti entra di prepotenza nei polmoni, correre come pazzi, lasciarsi completamente andare in preda alle emozioni, porti le persone a guarire dalla sofferenza, a sentirsi potenti, valide, anche solo per poco.
Kurt!” Santana mi aveva raggiunto e si era fermata pochi passi dietro di me, piegata sulle ginocchia e con il fiatone.
Scusa...andiamocene.” dissi piano voltandomi e superandola.


Grazie” aggiunsi mentre l’abbracciavo sulla soglia del portone del palazzo.


Quinnie's corner:

 
Ok, so che non pubblico da mesi e so che mi odiate ma vi chiedo davvero, davvero scusa. Ho avuto moltissimo da studiare (greco al rogo!) e vari problemi per cui mi è stato impossibile trovare tempo. Plese, forgive me! 
Anyway, ecco il capitolo! Poco angst mi hanno detto XD
La storia inizia a muovere qualche passo ma verrà sbloccata totalmente dal prossimo capitolo. Intanto vi anticipo che il rapporto di Blaine con la madre si protrarrà per tutta la ff perchè lo adoro! Pooi, non potevo non includere un po' di Thadastian (anche questa sarà rispresa nei capitoli successivi) perchè quei due sono troppo pucciosi e tenerini :3
....Devo dire che è stato bello anche descrivere i muscoli di Blaine *sbava*
Per quanto riguarda Kurt, lui è un piccino geloso e spaventato...
Santana in questo capitolo è un po' OOC, ma ci voleva :)

Ooora, avete visto il promo della 6x01?? *--*
ho solo una cosa da dire...
I CAN'T WAIT! 

Spoilerino carino qui affianco e alla prossima! -->
Beh.. ti volevo chiedere di uscire 


 
p.s. Fatemi sapere cosa pensate della storia! :)

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Capitolo 4
*** Capitolo3: I've Learned To Live Half Alive ***


Vi consiglio di ascoltare la versione di Lea di Jar of Hearts mentre leggete <3 Ci vediamo di sotto!

I've Learned To Live Half Alive 


Kurt:
 
Le due settimane seguenti passarono velocemente. Sentivo ogni giorno, ogni ora, ogni minuto ed ogni secondo scalfirmi la pelle e soprattutto i pensieri che, se pur non più burrascosi, restavano irrisolti, senza soluzione, sospesi nel tempo che non accennava a rallentare e non avrebbe sicuramente mai smesso di scorrere per darmi la possibilità di riflettere e cercare un rimedio e non solo un riparo per tutta la confusione che avevo in testa. Così, inerte, lasciavo che i momenti si susseguissero in una disperata corsa guardando la mia vita da fuori, indifferente, come se non fosse mia.
Le cose a casa erano tranquille: mio padre era sereno con Carole, Carole era felice con mio padre, Finn era contento di averci a casa sua, viveva la sua vita come al solito, come se non fosse cambiato niente perché , in effetti, per lui quasi nulla era cambiato.
 
                                                 
 
                                                                                                                *
 
 
 
In un venerdì pomeriggio che trascorreva informe come tutte le mie giornate, mi stavo preparando per uscire con Santana e Mercedes, che grazie ad un duetto per il Glee stavano andando piuttosto d’accordo. Mi guardavo allo specchio insoddisfatto, stremato.
 
 
 
Intravidi il riflesso di un viso stanco e annoiato, occhiaie violacee che incorniciavano due vuoti occhi cerulei, della pelle tanto pallida da sembrare verdognola scomparire sotto una camicia bianca, poi sotto un attillato jeans nero. Corsi in bagno: facevo davvero impressione, la gente per strada si sarebbe spaventata vedendomi. Lavai la faccia, strofinai bene gli occhi per cercare di accenderli, graffiai le guance fino a farmi male per cercare di ridargli un colorito sano. Asciugai, mi guardai nuovamente. Le occhiaie c’erano ancora, gli occhi erano ancora vuoti, le guance ridicolmente rosse.
Pazienza.” Mi rassegnai.
Uscii dalla mia camera e raggiunsi la cucina. Sentii le risate di Finn e Quinn impastate in un unico suono scomposto provenire dal seminterrato, mi affacciai dalle scale e li salutai. Crack. Gli occhi ancora più vuoti, la pelle ancora più verde, il cuore ancora più rotto, la testa ancora più persa.
Papà io esco, ci vediamo più tardi!”
“Giovanotto ricorda il coprifuoco”
“Ok, perfetto! A dopo.”
Una porta che si chiude, un mondo che si apre. Mi strinsi nel cardigan guardando con circospezione il pianerottolo. Una melodia leggera proveniva dall’appartamento di Blaine Anderson.
“ E se provassi a bussare? Potrei chiedergli di uscire con noi, se non ha nulla da fare. Così,  tanto per essere gentile.”
Nemmeno due secondi dopo premevo già sul campanello con delicatezza. Passi strascicati si muovevano al di là della porta con estrema lentezza.
 
 
“Arrivo subito!” gridò una voce poco familiare.
“Ehi, Kurt, giusto?”mi salutò con una punta di freddezza nel tono che non mi aveva mai rivoltò nelle poche parole che ci eravamo detti.
“Si, ciao Blaine. Scusa se ti disturbo.”
“Oh, ma figurati! Entra pure.”
“Grazie mille. So che forse sembrerà da maleducati, ma ti assicuro che mi è venuto spontaneo e lo faccio con gran piacere. Beh.. ti volevo chiedere di uscire con me e due mie amiche, se non hai nient’altro da fare. Così, giusto per conoscerci un po’ meglio, sei pur sempre il migliore amico del mio fratellastro!” dissi mentre il
mio viso si colorava di mille espressioni diverse, dall’imbarazzo alla contentezza. Blaine rise alla mia ultima affermazione. I capelli gli si scompigliarono leggermente ed un ciuffo gli ricadde sulla fronte leggero.
Hahaha, ok certo! E’ stato davvero gentile da parte tua Kurt, grazie.” Affermò convinto, guardandomi negli occhi. Mi sembrò per un solo secondo che si stesse aggrappando con il suo sguardo profondo al mio, che mi supplicasse di essere tratto in salvo.
Figurati.” Risposi distogliendo lo sguardo.
Ho sentito della musica da fuori, eri tu al piano?” chiesi indicando lo strumento in un angolo del soggiorno.
“Ah, si…ti faccio sentire qualcosa se vuoi?”
“O-ok. Tanto è ancora presto, l’appuntamento è alle 9 e mezzo”
Annuì e mi rivolse un occhiolino vispo per avvisarmi di seguirlo accanto al piano.
La musica cominciò lenta, la voce di Blaine sicura, salda riscaldò le pareti della stanza, rimbombò tra i miei occhi vuoti e piano li riaccese. Le dita scivolavano esperte sulla tastiera seguendo le note di Jar of Hearts.
 
I’ve learned to live half alive…
Una frase, la mia vita in quel momento. Sopravvivevo, avevo imparato a vivere mezzo morto dentro. Ero spento, non capivo ciò che provavo ed ero spento. M’irrigidii tutt’un tratto e Blaine, nonostante fosse molto coinvolto e concentrato sulla canzone, lo percepì e mi guardò. Fissò quei suoi occhi d’ambra dentro i miei e sorrise piano continuando a cantare. Sostenni il suo sguardo mentre una lacrima oltrepassava le ciglia e cadeva velocemente lungo i lineamenti del mio viso. L’ultimo ritornello, quando la musica cresceva, le vocali si allungavano, l’acuto finale perfetto rimasto intrappolato nell’aria. Lui non aveva smesso nemmeno per un momento di guardarmi, né io di guardare lui. Il sorriso si fece lentamente più ampio, le labbra carnose di Blaine si distesero del tutto. Gli sorrisi anch’io, calmo, disperato ma calmo.
 
Ancora aggrappati uno allo sguardo dell’altro uscimmo in silenzio dall’appartamento quando fu l’ora giusta.
 
                                                                                                           *
 
“Kurt allora non ci presenti il tuo amico?” insisteva Mercedes rivolgendomi un sorriso complice. Ero talmente imbarazzato: forse avevo fatto una stronzata bussando a Blaine, in fondo non lo conoscevo, ci eravamo parlati qualche volta per le scale del palazzo, niente di più. Ero sicuro che fosse un bravo ragazzo, però, uno di cui ci si può fidare, per due motivi. Uno) era amico di Finn. Due) si sentiva, quando sorrideva, negli occhi, nella voce, si capiva.
“Oh,certo! Ehm, Blaine lei è Mercedes. Lei invece è Santana.” Strinse la mano alla prima con un gran sorriso sincero, mentre rivolse alla seconda un timido ciao e una smorfia di allegria forse intimorito dallo sguardo che quella continuava a puntargli addosso: tra il sospettoso e lo schifato.
Le ragazze ci precedettero di qualche passo nel tragitto per arrivare alla macchina di Santana
“Scusa per San, è fatta così. Ma è una ragazza fantastica! E’ la mia migliore amica!” dissi a bassa voce.
“Oh, tranquillo. Sembra una tipa in gamba!” Dichiarò convinto ridendo un poco.
Prendemmo posto in auto: Santana alla giuda, io sul sedile passeggero, Blaine e Mercedes sui sedili posteriori che già avevano intrapreso una piacevole chiacchierata.
“Ehi, Hummel. E’ lui il tipo del palazzo?”
“Si, San. Mi è sembrato carino invitarlo, è pur sempre un amico di Finn. Come ti sembra?”
“Lo sai che sono stronza con tutti e il tuo amico non fa eccezione, però sinceramente non  me la conta giusta…”
“Che vuoi dire?”
“Mhh, non lo so…è troppo perfetto per essere veramente così. Nasconde qualcosa. Tipo doppia personalità.”
“ San, devi sempre sospettare di tutto e tutti vero? Dai, l’ho portato giusto per essere un po’ di più, divertiamoci!”
 
 
                                                        
Circa dieci minuti dopo Santana parcheggiava di fronte “Ginny’s”. Era il locale dove eravamo soliti andare noi tre, per stare un po’ in pace,  vedere volti nuovi ed essere un po’ più trasgressivi del solito.
Entrammo e ci sedemmo attorno ad un tavolo sui comodi divanetti rossi, Blaine accanto a me.
“Ragazzi dopo non ho intenzione di guidare io! Ho troppa voglia di sbronzarmi!” esclamò la mia migliore amica appena la cameriera appoggiò i menù sul piano.
Tranquilli mi sacrifico io, tanto non ho bisogno di bere per ridere come una pazza. Sono sbronza già di mio!” ci salvò Mercedes.
Perfetto, allora un Blue Angel per me, grazie!”ordinai.
Mojito nero!”
“Shirley temple con vodka.”
Come ogni venerdì alla fine del mese, niente cibo, solo il momentaneo, confortevole calore dell’alcool.
“Ehm, Blaine non desideri qualcosa da mangiare? Sai, noi abbiamo una sorta di ‘tradizione’ per cui un venerdì al mese beviamo solo, ma se hai fame prendi assolutamente qualcosa!” lo informai.
Oh, no non preoccuparti. In realtà ho mangiato prima che venissi a casa. Ho avuto gli allenamenti di box oggi pomeriggio e avevo troppa fame!” Spiegò lui provocando una breve risata generale.
Avete notato come i cocktail che abbiamo ordinato ci rispecchiano? Cioè, so che può sembrare una pazzia, ma tendo sempre a fare molta attenzione a queste cose. So con certezza che il mio rispecchia perfettamente la mia personalità, e da quel che so di voi anche i vostri ordini vi assomigliano.”
“Hummel già ci basti tu, non vogliamo un altro da manicomio nella combriccola!”sbottò Santana sgarbatamente.
Scusala Blaine, è fatta così!” dissi mentre le tiravo un calcio sullo stinco sotto il tavolo.
“Nono, ha ragione. So di essere un po’ tonto!” sorrise imbarazzato portandosi una mano dietro la nuca per scompigliare i ricci, proprio come fece prima di presentarsi in fondo alle scale, la prima volta che lo incontrai.
Arrivarono i cocktail e appena li osservai capii cosa intendeva Blaine. Lo Shirley temple di San era rosso fuoco, emanava un odore talmente forte ed acre a causa dell’aggiunta di vodka. Il mio Blue Angel era terribilmente azzurro, apparentemente fluido e dolce ma in realtà così amaro. Il Mojito di Blaine era nero, senza sfumature. Sembrava l’oscurità intrappolata nel freddo vetro del bicchiere. Emanava però un fortissimo odore dolce. Mi chiesi subito in che modo quel cocktail rispecchiasse i suoi sentimenti. Cosa nascondeva quel ragazzo apparentemente  sempre così sorridente e sereno? Il nero cosa rappresentava? Il colore della sua anima? Era una persona cattiva e stava cercando di avvisarci? Mentre la mia mente si perdeva senza controllo in pensieri di questo tipo, interrotti da risate insensate e convulse, finii tre Blue Angel.
 
 
                                                                                                                *

Quando uscimmo dal locale ero completamente sbronzo. Camminavo leggero barcollando ed poggiandomi ora su Santana, ora su Mercedes. Ridevamo, ardevamo tutti di quel bollore, di quella calura provocata dall’alcool. Oltre al sangue che bruciava scorrendo nelle vene, non sentivo assolutamente nulla, il vuoto totale. E’ questo il bello dell’alcool, ti accendi di un’energia nuova, t’infiamma una voglia di libertà sconosciuta fino a quando sei così confuso da non capire nulla, ti estranei per un solo istante dal mondo, poi ci rientri mezzo morto: con il plasma che brucia dentro, il caos che ti esplode sulla faccia a mo’ di risata.
Ragazzi, non mi sono mai divertito tanto! Vi prego portatemi sempre con voi!” biascicò Blaine sorridendo e supplicando.
Hahahahaha, Blaine Anderson, sei appena entrato a far parte ufficialmente della troup!”
“Devon Anderson, per una cosa così importante ci vuole anche il secondo nome!”
“Hahah, giusto! Allora, Blaine Devon Anderson, ti nomino ufficialmente parte integrante della banda! Compagne, approvate?”
“Sicuro!”
“Anderson, solo se ti togli quel papillon di merda!Hahahahh” sancì
Santana.
“Ah, mai insultare un bow tie di Blaine Anderson! Hahahhahah”
“Toglitelooo! Fa più schifo dei pannoloni di mio nonno!”gridò Santana facendo aprire il riccio  in una fragorosa risata-
“Hahhahaahah, va bene, va bene. Addio bow tie!”
“Ora sei parte della troup! Questo lo incendio appena arrivo a casa! Hahahaha” fece Santana riferendosi al grazioso papillon rosso.
 
 
 

Blaine:
 
I sogni per me non erano sogni, il sonno per me non era sonno. Io non dormivo, vegliavo. Da quella sera non avevo più dormito, mai. Chiudevo gli occhi e vegliavo su me stesso in uno stato di perenne allerta. Avevo iniziato a nutrire un vero e proprio odio per la notte, tutto quel morbido silenzio, quella morte apparente che investe le persone mi terrorizzava. Di notte qualsiasi cosa assumeva un valore astratto, idealizzato. Si ha il tempo per riflettere e pensare, dicono alcuni. Ed era proprio questo che mi spaventava di più, perché in quello stato permanente di veglia non riuscivo a mentirmi, a nascondermi.
Anche quella notte era stata un totale tormento. La sveglia strillò le 7:30 e mi costrinse a vivere un'altra inutile, insignificante, terrificante giornata. Corsi in bagno e mi buttai sotto il getto ghiacciato della doccia e, poiché avevo appena finito la colazione, sperai in una congestione. La cosa divertente è che spesso desideravo di morire, ma non avrei mai avuto il coraggio di compiere uno di quei gesti estremi, di prendere un coltello e piantarmelo nel polso. Non l’avrei mai fatto. Parliamoci chiaro, la mia vita era una merda, la merda più totale. Sarei stato ben felice di farla finita, ma avevo paura: mi facevo schifo tanto ero vile e codardo. Mia mamma cercava di convincermi del fatto che al contrario ero un ragazzo estremamente forte, che pochi avrebbero affrontato la vita come facevo io dopo quello che avevo subito. Si sbagliava, e non di poco. Io non affrontavo la vita, me la facevo scivolare addosso sperando costantemente che un autobus m’investisse: era tutto un aspettare inerme il prossimo evento che già sapevo non avrebbe cambiato nemmeno mezzo millimetro di me, di quello che pensavo, di quello che ero. Vivere, per me, era un’abitudine di cui mi stavo stancando.
 
 “Allora oggi aritmetica, francese, letteratura e prove con gli Usignoli…” mi ripetevo mentalmente.
Una volta in camera, infilai attentamente il pantalone della divisa, poi la camicia. Chiusi lento i piccoli bottoncini di madreperla bianca fino al colletto, annodai la cravatta rossa e blu attorno al collo,  per ultimo mi strinsi nella giacca pesante e mi sentii bene.
 Quei colori, quel tessuto conferivano una protezione, una rispettabilità non indifferente.
Corsi in cucina per recuperare la cartella di cuoio finita su chissà quale mensola. La trovai poggiata proprio sul davanzale della finestra e mi affacciai.
 
“Chi è? Come si conoscono? Perché è venuta a prenderlo? Perché la bacia sulla guancia? Le sta sorridendo…”
 
Kurt, il fratellastro di Finn, saliva in macchina accanto ad una bellissima ragazza alta e bruna. Le baciava la guancia, le sorrideva amichevole.
“Ma che me ne frega?! Oddio, ma che problemi ho! Non lo conosco nemmeno! Sarà un’amica o la fidanzata, forse quella Santana, fatti suoi. Perché mi sto interessando? …Però avrei giurato che anche lui fosse…”
L’odore dolce di mia madre mi riscosse, così senza pensarci due volte, affondai la testa nei morbidi capelli, poggiando il mento sulla sua spalla e lasciandomi abbracciare. La leggera pelliccia della sua giacca da camera mi solleticava la barba di qualche giorno, il profumo fresco, ricordava qualcosa di selvatico, il muschio, la tranquillità di un bosco in estate.
Fatti sistemare questa cravatta.” Sussurrò con la voce impastata dal sonno mentre smanettava attorno al nodo. Mi strinse il viso tra le mani e mi guardò a lungo. Entrai in lei, attraverso i limpidi occhi verdi, poi socchiusi i miei per godermi l’intimità e la dolcezza di quell’istante.
“Come sei bello, figlio mio…Non puoi nemmeno immaginare quanto io ti ami, Blaine, nemmeno immaginare.” Mi baciò sulla fronte.
 
L’autobus mi lasciò proprio davanti al portone della Dalton. Quel massiccio portone di legno lavorato e antico. Il colore scuro del noce lo rendeva imponente e maestoso, grandioso. Attraversai il corridoio facendomi spazio tra la folla di ragazzi. Le scarpe di ognuno facevano rumore calpestando il marmo ghiacciato del pavimento. Raggiunsi l’aula di aritmetica e sedetti in uno delle piccole scrivanie in fondo: ero uno studente modello, ma odiavo profondamente mettermi in mostra. Io ascoltavo relegato nell’angolo in fondo, attentissimo, concentratissimo.
Le lezioni si rincorrevano in fretta per la maggior parte delle volte. Quel giorno, invece,una strana lentezza s’impadronì quasi interamente della giornata: il professore spiegava biascicando parole dal significato complesso, ribadiva che la matematica è solo questione di intuito, che è come la vita. Grande, immensa, infinita, complicata, terribilmente intrecciata, aggrovigliata attorno ai pensieri di ognuno inutilmente, perché la soluzione sarà sempre una, la stessa per tutti, bisogna solo applicarsi per decidere quale via prendere per raggiungerla. A me sembrava da sempre di aver scelto quella più tortuosa, precipizi ad ogni curva, salite ripide, terreno sdrucciolevole.
 
 
 
Sebastian!”
“Ehi, ciao anche a te  nanetto sexy!”
“Seb, non ti mando a quel paese solo perché so quello che stai passando.” Spalancò gli occhi verdissimi. Mi guardò arrabbiato, distrutto e supplichevole nella stessa frazione di secondo.
“Comunque…” ripresi “ mi sono arrivate voci di corridoio e ho chiesto a Thad. Ne abbiamo parlato. Sta male Seb, e lo so che stai male anche tu. E’ inutile che continui a negarlo. L’ha capito che ha sbagliato, che avete sbagliato entrambi. Torna da lui…”
“E’ semplice vista così, vero?.. T-tu non sai nemmeno quanto c’ho messo ad aprirmi in quel modo. I-io sono innamorato di Thad. Lo amo più di me stesso e pensavo di averglielo fatto capire. Non solo con quel ‘ti amo’. Pensavo che lui si fidasse, che fosse sicuro che non l’avrei lasciato o illuso.” Era la prima volta che vedevo Sebastian piangere, era la prima volta che lo vedevo fragile, in balia delle emozioni. Non potei fare a meno che abbracciarlo stretto mentre, proprio come il suo ragazzo aveva fatto qualche settimana prima, singhiozzava forte sulla mia spalla e disperato si aggrappava alla stoffa del blazer che mi ricadeva sulla schiena, tremante.
 
 
Scusa Blaine, grazie. Sei un amico.”
“Oh figurati. Ehi, ricordati che quando hai bisogno, ci sono.”
Annuì.
“Ah Blaine, naturalmente tutto questo rimane tra noi…”
“Non c’era nemmeno bisogno di dirlo, certo.” Gli sorrisi.
Uscii preceduto da un Sebastian che avanzava con passo leggero e un grande sorriso, dalla biblioteca ora rimasta vuota.
 
 
 
Un’altra giornata mi scivolava addosso, e stavo di nuovo male. Pensavo. Pensavo che ero solo, che stavo solo, che mi sentivo solo. Pensavo che sarebbe stato meglio non pensare perché pensare fa male. Pensavo che avevo paura. Pensavo di avere questa costante esigenza di aprirmi il petto e far sfogare la marea. Quella cosa che mi pesava, che mi comprimeva, tra la gola e i polmoni, e non respiravo e piangevo. Piangevo ma mi dicevo che non dovevo piangere perché non serviva. Pensavo che avrei voluto dire tutto, urlare tutto, tutto lo schifo che sentivo. Pensavo che non avrei mai potuto dire la verità sulle persone, quelle che DOVEVO salutare anche se non le sopportavo, quelle a cui DOVEVO sorridere anche se avrei voluto sputargli addosso, quelle che nel cervello hanno la merda d’uccello e che non parlano, starnazzano. Pensavo che avrei voluto fare di più per le persone di cui m’importava, per quelle che amavo, quelle che stimavo. E poi pensavo che di lì a poco sarei scoppiato, che non ce la facevo. Che quella cosa nel petto sarebbe venuta fuori incontrollata perché non ce la facevo. Mi comprimeva i polmoni, me li anneriva peggio del fumo, mi consumava il cervello peggio delle canne, della droga, e io non respiravo. Non ci riuscivo, cercavo aria, ma non la trovavo. Facevo di tutto per continuare a vivere, a respirare, ma non ci riuscivo. Così mi veniva di nuovo quella dannata voglia di cancellare tutto, di andarmene, di dormire per il resto della  vita, di sognare per il resto della vita. Non c’è niente da fare, mi dicevo, sognare è molto più facile che vivere. Pensavo per l’ultima volta, perché mi ero già distrutto abbastanza e il mio ultimo pensiero era una corda al collo, una scatola di sonniferi, un coltello nelle vene.
 
                                                           
                                                                                                                      *
 
“Allora, com’è andata la giornata?”
“Mh, tutto bene. Solito”
“Bene. Oggi è venerdì giusto? Che fai stasera? Esci?”
“Oh, no. Non penso. Finn è impegnato. Per Sebastian non è un bel periodo. Anzi forse dopo lo chiamo. “
“Certo. E’ qualcosa di grave?”
“Non particolarmente, ma lo ha scosso davvero tanto. Voglio stargli vicino.”
“Ok, è giusto. Sei il suo migliore amico.”
“Già” presi il bicchiere colmo d’acqua e cominciai a rigirarlo tra i palmi
“Blaine?”
“Si, mamma?”
“Niente, ricordati solo che non puoi proteggere tutti.”
Sussurò con voce ferma mentre  si alzava da tavola e mi scompigliava i ricci.
 
                                                           
 
Avevo appena attaccato con Sebastian. Era distrutto, devastato, dilaniato, lacerato, smembrato, straziato dal dolore. Aveva urlato e pianto e sospirato. Avrei voluto abbracciarlo, proteggerlo da quei sentimenti che lo avevano reso fragile come non lo avevo mai visto. Ma, ancora una volta inutilmente, volevo salvare tutti.
Mentre soffocavo tra i miei stessi pensieri, suonavo. Suonare mi dava serenità. Suonando mi sentivo etereo, intoccabile, forte, incredibilmente libero. I tasti lisci del piano luccicavano sotto il mio tocco, i martelletti colpivano le corde, il pedale si muoveva ritmicamente, i polpastrelli accarezzavano ora la vernice bianca, ora quella nera, i gomiti restavano rilassati lungo il busto, i polsi bassi e morbidi: la musica cominciava ad esistere.
Mentre “Sogno d’amore” di Liszt echeggiava tra le pareti, bussarono alla porta. Avanzai con passi strascicati, mi aggrappai alla maniglia e aprii: era Kurt. Rimasi dapprima molto sorpreso di vederlo lì, sulla soglia, palesemente imbarazzato, mentre arrossendo biascicava un ‘ciao,scusa il disturbo’ . Mi accorsi solo allora che ero stato proprio io a renderlo nervoso a tal punto: per un solo, piccolo, minuscolo, impercettibile attimo mi ero rivolto a quel ragazzo con una freddezza immotivata, o meglio, apparentemente immotivata. Appena girai la maniglia fredda d’ottone, aprii l’uscio di legno e vidi quella gracile figura luminosa, una sola immagine si impose prepotentemente nella mia mente: lui, quella bella ragazza, un bacio, il sorriso etereo di Kurt.
Sapevo che non aveva alcun senso, ma in quel momento, desiderai profondamente mantenermi freddo con lui per fargli capire in un modo o nell’altro che per quegli attimi ero infastidito, che non avrebbe dovuto più sorridere a quella ragazza così, che non l’avrebbe dovuta baciare come aveva fatto.
Era assurdo, era stupido, era inutile.
Ma era. Esisteva. Lo sentivo, inspiegabilmente.
Lo invitai ad entrare, mi chiese di uscire, accettai. Mi maledissi mentalmente un’infinità di volte per aver proposto di suonare qualcosa dopo che aveva notato il piano a coda nell’angolo del soggiorno. Lo avevo fatto senza pensare e senza mostrare l’imbarazzo e l’insicurezza che in realtà mi opprimevano mentre mi accingevo a pigiare i tasti per far scaturire le prime note. Scelsi Jar of Hearts istintivamente, perché in quel momento sentivo di doverla necessariamente cantare, sentivo di poter palesare i miei sentimenti, il mio malessere con Kurt, e niente meglio di quella canzone riusciva ad esprimerli, ad esprimerMI.
 
I suoni fluivano rapidi, le scale si susseguivano celermente, prima la voce rimaneva morbida, vellutata, poi saliva, serviva più potenza. Un vento, un’impercettibile brezza gelida mi distrasse dalla canzone: Kurt era fermo, con lo sguardo fisso, le mani che tremavano, gli occhi coperti da un velo di lacrime. Cercai il suo sguardo muovendo il collo con decisione, lo trovai, mi ci aggrappai. Tremava forte e io lo guardavo, piangeva impalpabili gocce salate e io lo fissavo. Mi mancava il respiro, ma gli sorrisi e continuai a guardarlo per il resto della canzone. Sentivo che aveva bisogno di rimanere avvinghiato a qualcosa, a qualcuno, a chiunque.
 
                                                           
 
 
                                                                                                        *
 
 
 
Quando tornai a casa dopo aver trascorso quella che si rivelò una splendida, euforica serata, ebbi solo la forza di stramazzare sul materasso comodo del mio letto e pensare per un ultimo, piccolo, intimo e impercettibile istante. Pensai a Kurt. 



Quinnie's corner:
Ehi, buonasera a tutti! Eccomi, dopo settimane, con il terzo capitolo. Beh penso che ormai avete capito che io e le scadenze non andiamo d'accrdo XD
Allora riguardo al capitolo, lo so, è triste, drammatico e molto angst. Ma non posso farne a meno! 
Come vi avevo anticipato Blaine e la mamma continueranno ad avere spazi di questo tipo, idem per la Thadastian. (tra l'altro quanto è dolce Seb in questo capitolo?!)
Poooiiii.... Dato che *cof cof* domani *cof cof* è il mio compleanno... volete lasciare anche solo una piccola, piccolissima recensioncina? <3<3<3 
Mi fareste il regalo più bello!
Anyway, grazie mille a tutti quelli che leggono, seguono e hanno la storia tra le preferite. Anche solo questo mi rende davvero tanto felice!
Va bien, ora vado a finire di mettere lo smalto u.u 
Alla prossima!!

P.s. Auguroni al nostro Grant che ha compiuto ieri 25 anni! <3 E' un attore fantastico e in The Flash sta facendo un lavoro meraviglioso! Qualcuno di voi lo segue? Io ne sono innamorata!

P.p.s Ma quanto è iniziata col botto questa 6 stagione?!! 

P.p.p.s (concedetemelo) Congratulazioni al dolcissimo Matt Bomer ( il nostro Cooper <3) che ha vito ai Golden Globe per la sua straordinaria interpretazione in The Normal Heart ( se ancora non lo avete visto, guardatelo! E' semplicemente unico e straziante <3)!



 

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Capitolo 5
*** AVVISO ***


So di essere imperdonabile, considerando anche che è la prima volta che pubblico, ma ho avuto un problema in famiglia per cui non sono riuscita a trovare neanche un minuto per caricare i capitoli nè tanto meno per scrivere e portarmi avanti con il lavoro. Mi scuso davvero moltissimo con tutti per non aver dato notizie della storia per così tanto tempo. Vi assicuro che, però, saprò come farmi perdonare non appena sarà cominciata questa tanto agognata estate e potrò mandare a quel paese prof e tutto per dedicarmi in tutto e per tutto a voi, alla fanfiction e ai miei Klaine, che tra l'altro mi mancano moltissimo :'( E niente volevo solo scusarmi, farvi sapere che sono ancora viva (anche se probabilmente mi vorreste morta XD), e ringraziarvi davvero davvero tanto perché sono molto fiera di questa storia, ma soprattutto sono fiera di aver iniziato a pubblicarla e di avere un seguito :) A tutti quelli che leggono in silenzio, che seguono e che mettono tra le preferite la storia un IMMENSO GRAZIE perchè mi fate sempre IMMENSAMENTE FELICE! <3 (Abituatevi ai discorsi sentimentali XD) Gay bye a tutti, ci rivediamo tra qualche settimana! Quinnie <3

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