Cleaning all that I’ve become

di Euridice100
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 01. Still standing ***
Capitolo 3: *** 02. Rosenrot ***
Capitolo 4: *** 03. Innervision ***
Capitolo 5: *** 04. La vedova bianca ***
Capitolo 6: *** 05 - She ***
Capitolo 7: *** VI - Everybody's changing ***
Capitolo 8: *** VII - Best of you ***
Capitolo 9: *** VIII - Enjoy the silence ***
Capitolo 10: *** IX - Controvento ***
Capitolo 11: *** X - La mia vita senza te ***
Capitolo 12: *** XI - The crow, the owl and the dove ***
Capitolo 13: *** XII - Verranno a chiederti del nostro amore ***
Capitolo 14: *** XIII - While your lips are still red ***
Capitolo 15: *** XIV - Wonderwall ***
Capitolo 16: *** XV - In my veins ***
Capitolo 17: *** XVI - Whispers in the dark ***
Capitolo 18: *** XVII - The truth beneath the rose ***
Capitolo 19: *** XVIII - Map of the problematique ***
Capitolo 20: *** XIX - Magic ***
Capitolo 21: *** XX - Castle of glass ***
Capitolo 22: *** XXI - Amore che vieni, amore che vai ***
Capitolo 23: *** XXII - Flame and ice ***



Capitolo 1
*** Prologo ***





Prologo
 
 
 
“When you try your best, but you don't succeed
When you get what you want, but not what you need
When you feel so tired, but you can't sleep
Stuck in reverse”

“Fix You” - Coldplay
 
 
 
Londra, 1889.
 
 
 
Mr. Gold ha tutto.
A Londra è nota la storia dell’uomo che, partito vent’anni fa dalla Scozia, è riuscito a vincere ritrosie e diffidenze e a costruire un impero fondato sulla lana.
La sua presenza è costante nei migliori circoli di gentlemen, il suo nome è pronunciato con rispetto e ammirazione da chiunque e, se in un primo momento era spesso oggetto di occhiate di compatimento e bisbigli malevoli, quando ora entra in una sala cala un silenzio pregno di riverenza. Assieme alla sua fama è mutato anche il suo aspetto: l’omino dimesso e impacciato di due decenni fa è solo un vago ricordo, cancellato ormai dalla figura elegante e severa che ora risponde al nome di Robert Gold.
Coi suoi completi scuri di Schweitzer&Davidson, i suoi sorrisi taglienti e i modi educati ma inevitabilmente gelidi, Mr. Gold riesce a incutere timore in chiunque – nei suoi interlocutori, nei suoi piazzisti, nei suoi tanti debitori.
È implacabile, astuto, calcolatore; se poggia gli occhi su qualcosa l’avrà, sia esso un raro pezzo di porcellana cinese per la sua collezione o un affare.
La sua scaltrezza e il suo sangue freddo gli hanno permesso di ottenere quel che più ha bramato nella sua vita: il potere.
Gold non ha solo decine di stabilimenti industriali, vaste proprietà in tutto l’Impero e un’apparentemente infinita disponibilità di denaro, no; Gold ha l’inebriante, eccitante consapevolezza di stringere tra le dita – le stesse dita che un tempo filavano rozza lana – il destino di centinaia di persone. Dai suoi procuratori all’ultimo operaio assunto, dai domestici ai debitori inadempienti: tutti sanno che con un solo composto cenno del capo Gold può porre fine a ogni speranza di carriera, di sostentamento, di vita. Ed è pronto a farlo senza batter ciglio: l’assenza di scrupoli dell’uomo non è certo un segreto, se gli è valsa il soprannome di “Bestia”.
Mr. Gold ha tutto.
 
No, non è vero.
 
Mr. Gold ha tutto fuorché lei.
 
 
 
 
 
 
 
 
N. d. A. : Salve! :D
Inizia così una nuova avventura: una long Alternative Universe ambientata nella Londra vittoriana! Sarà una RumBelle – sono monotona, lo so XD – e ho intenzione di mantenere i personaggi quanto più IC possibile.
Spero di aver acceso il vostro interesse con questo prologo che, purtroppo, è davvero molto breve; ma non temete, dal prossimo capitolo – che penso di pubblicare tra una decina di giorni – si entrerà nel vivo della vicenda e tornerò a essere logorroica.
Cercherò di documentarmi per essere quanto più fedele possibile al periodo storico di riferimento, ma non studiando Storia e basandomi fondamentalmente su materiali reperiti da Internet potrebbero esserci incongruenze o errori; in tal caso segnalatemeli pure!
“Schweitzer&Davidson” erano due sarti molto in voga in quegli anni. ( fonte: http://angolodiestel.blogspot.it/2011/02/moda-maschile-nell800.html )
Il titolo della fanfiction viene dalla canzone “Beauty of the Beast” dei Nightwish; per il nome del protagonista mi sono ispirata all’attore che lo interpreta.
Detto questo, ringrazio chiunque sia giunto fin qui e vi saluto, invitandovi a esprimere la vostra opinione – anche negativa: si può solo migliorare!
A presto! :) :*
Euridice100

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Capitolo 2
*** 01. Still standing ***


 
 
 
I – Still Standing
 
 
 
“Can't you stop the lies
falling from the skies 
Down on me,

I'm still standing
Can't you roll the dice,

I might be surprised 
Conscience clear,

I'm still standing here.”
“Still Standing” – The Rasmus
 
 

Se ripensa a come è iniziato tutto questo, Robert Gold reprime a stento un’amara risata.
 
È strano come le cose più belle entrino nella nostra vita completamente inattese; o forse, riflette, non è opportuno usare il verbo “entrare”, che lascia supporre un’azione pacata, serena. No, lei non è “entrata”, lei è irrotta nella sua vita, senza chiedere alcun permesso, senza scusarsi per la sua presenza; lei è comparsa all’improvviso e ha segnato un “prima” e un “dopo”.


Basta un attimo di distrazione e Gold torna sulla carrozza che lo ha condotto al suo destino.





Londra, 1888.
 
 
 
Apparentemente si trattava dell’ennesima storia già sentita: un prestito ingente, un debitore restio a pagare, la necessità di far valere il proprio diritto.
Maurice French si era presentato dai suoi intermediari un paio di anni prima: nulla più di un piccolo borghese le cui origini francesi erano ben visibili nel cognome. Millantava astruse e quanto mai improbabili parentele coi Capetingi, ma per vivere gestiva un paio di negozi di fiori che stavano attraversando un momento di crisi.
Un momento di crisi che, a quanto pareva, durava da tempo, visto che prima di rivolgersi a lui l’uomo era già passato da svariati strozzini.
Una situazione deprecabile, certo, ma Gold non aveva cacciato via il postulante: l’aveva ricevuto, si era mostrato comprensivo dinanzi alle sue flebili richieste e gli aveva concesso l’agognato prestito, mantenendo il sorriso mentre l’uomo leggeva il tasso d’interesse con la voce ormai ridotta a un soffio e, sospirando, apponeva il proprio nome sul foglio.
Da allora erano iniziati i guai per i protagonisti della vicenda: dopo i primi tempi, nonostante tutto il suo onore da – presunto – nobiluomo, i ritardi avevano iniziato a susseguirsi con una puntualità a dir poco sorprendente.
Dopo l’ennesimo sollecito di pagamento, dopo l’ultimatum, ancora Maurice non si faceva vedere.
Peggio: quando gli uomini di Gold si erano presentati alle porte della sua casetta in Marylebone Road l’avevano trovata vuota.
L’uomo aveva fatto perdere le proprie tracce.
L’industriale non si era certo rassegnato: aveva sguinzagliato i suoi per tutta Londra e, con le buone o le cattive, la tana di French era stata scovata.
Era giunto il momento di dargli una lezione memorabile – perché nessuno poteva prendere in giro Robert Gold, soprattutto quando si parlava di denaro.
Era solito mandare i suoi scagnozzi a fare il lavoro sporco – lui aveva un nome da difendere, e anche se comunque la giustizia sarebbe sicuramente stata dalla sua, preferiva pur sempre non essere associato ai coltellacci di cui i suoi bravi amavano far sfoggio per intimorire – e non solo - il prossimo. Ma quel giorno la situazione era ben diversa: quanto successo non poteva in alcun modo restare impunito. Si sarebbe preso la soddisfazione di sentire French implorarlo, smentire le patetiche scuse che avrebbe addotto e vedere il terrore dipingere il volto del fioraio mentre ogni sua proprietà veniva portata via e la lama incideva un segno sul suo flaccido corpo.
Erano questi i pensieri di Gold mentre scendeva dalla carrozza e bussava alla fatiscente abitazione che, secondo le poche ma interessanti informazioni ottenute, corrispondeva al rifugio del debitore. In attesa che qualcuno aprisse, l’uomo si guardò attorno disgustato: quanto doveva essere caduto in basso il francese per nascondersi a Canary Wharf, zona portuale tra le più degradate della città?
Tra i docks scorrevano ovunque rivoli di sporcizia, prostitute attiravano i clienti con sordidi sorrisi e nugoli di bambini cenciosi si avvicinavano per studiare il cocchio, nel tentativo di rubarne i raggi delle ruote e i finimenti dei cavalli.
Se i suoi tirapiedi non l’avessero seguito con un’altra carrozza e se non fosse stato personalmente scortato da Hulme, Reed e Blockehurst - i più massicci della compagnia - Gold non avrebbe mai messo piede in quel postaccio.
Dopo un tempo che parve eterno, qualcuno socchiuse la porticina di legno mezzo marcio.
­- Chi è? – pigolò una voce femminile.
Una voce femminile?
Cosa ci faceva una donna da French? Da quel che Gold sapeva, l’uomo non aveva famiglia. Che i suoi avessero commesso qualche sbaglio nel reperire le informazioni? In tal caso, avrebbero dovuto vedersela con lui.
Ad ogni modo, chiunque fosse quella donna non avrebbe goduto di una lunga vita se avesse continuato ad aprire agli sconosciuti in quel postaccio… Ma, in fin dei conti, la faccenda non lo riguardava.
- Buongiorno, Miss, - esordì Gold – Scusate il disturbo, sto cercando Mr. Fr...
- Isabelle, chiudi!
Il grido fece sobbalzare l’industriale e la sua interlocutrice, che cercò vanamente di obbedire all’ordine: Hulme e Blockehurst si scagliarono subito contro la porta, irrompendo nell’abitazione.
Nessun errore, pensò l’uomo con un ghigno, entrando in casa e arricciando il naso quando una zaffata d’aria consumata lo investì.
Si guardò attorno: all’interno la catapecchia era addirittura peggiore di quanto si potesse immaginare dall’esterno. L’unica stanzetta che la componeva era grigia di umidità e fuliggine, senza alcun punto luce se non una minuscola finestra dal vetro rotto. Il mobilio era costituito unicamente da un camino spento, un tavolo mezzo sbilenco, due seggiole, due lettini e una piccola credenza su cui giacevano piatti di legno, altre umili suppellettili e un paio di libri.
Non c’era alcuna via di fuga per French – mai, mai scegliere una trappola da cui non si può scappare, commentò tra sé e sé Gold –, che era stato subito immobilizzato da Reed e Blockehurst.
Una ragazzina che si era gettata sugli uomini urlando “Papà!” ora era trattenuta da Hulme, che rideva dei suoi miseri tentativi di divincolarsi dalla ferrea stretta del bruto.
- Bene, bene, bene, - cominciò Gold avvicinandosi al fioraio – Stavate forse cercando di fuggire, Mr. French?
- Io… N-non… Mr. Gold, posso spiegare… - balbettò l’uomo, mentre gocce di sudore gli imperlavano la fronte unticcia.
- No, Mr. French, non credo siano necessari ulteriori chiarimenti. Intuisco perfettamente la vostra situazione e, sapete, vi capisco.
- Voi… D-davvero?
- Certo, Mr. French, per chi prendete? Per una bestia senza cuore? Suvvia, ragazzi, – proseguì, facendo appena cenno ai due che ancora tenevano fermo il malcapitato – Non siate così violenti con questo brav’uomo, liberatelo.
Gli scagnozzi si guardarono stupiti per un istante prima di ubbidire.
- Sapete, Maurice, mi sta a cuore la sorte di chi mi chiede aiuto, li sostengo fin quando le difficoltà non sono che un lontano ricordo…
- Mr. Gold, io… Noi… Non sappiamo davvero come ringraziarvi… - lo interruppe l’uomo, massaggiandosi maldestramente la gola.
- …A meno che loro non tradiscano la mia fiducia. Ed è proprio questo ciò che voi, mio caro amico, avete fatto.
French sbiancò nuovamente udendo quelle parole; il colore sul suo volto svanì del tutto quando vide un manipolo di uomini dalle intenzioni minacciose fare irruzione nella sua dimora e iniziare a portarne via la scarsa mobilia.
- No! Vi prego, pagherò! Concedetemi solo un’altra settimana e vi restituirò tutto, tutto, lo giuro, abbiate pietà!
Gold sentì un’ondata di rabbia assalirlo. Si era dimostrato fin troppo clemente con quel pezzente e come era stato ripagato? Con un misero tentativo di fuga! Londra era una metropoli tentacolare, vero, ma nessuno poteva sperare di sfuggire alla sua furia. Ignorò le geremiadi dell’uomo e gli si avvicinò in silenzio.
- Sapete, Mr. French, - gli ringhiò contro fissandolo negli occhi – Certe posizioni non si raggiungono con la pietà. Con la pietà non si sale, si scende lungo la scala sociale.
Fece per andarsene quando una bestemmia soffocata e l’urlo lanciato da una voce cristallina lo fermarono.
- Aspettate!
Gold si voltò di tre quarti e un’occhiata gli fu sufficiente per comprendere la situazione; sollevò le sopracciglia vedendo il fido Hulme piegato in due a causa di un poderoso calcio tiratogli al basso ventre dalla ragazzina, che era riuscita a liberarsi. Era evidentemente stata lei ad avanzare quella disperata richiesta, e ora lo stava guardando, col volto congestionato dalla lotta e il respiro pesante dalla concitazione.
Gold la osservò per un istante e fu costretto a ricredersi: la corporatura minuta lo aveva tratto in inganno perché, sebbene giovane, ella non era certo una ragazzina.
- Desiderate qualcosa, Miss? – le domandò l’industriale, studiandone sommariamente i lunghi capelli scuri, gli occhi chiari e la pelle ancora non segnata dal tempo e attribuendole una ventina di anni.
- Sì, - replicò lei senza distogliere lo sguardo, anzi, muovendo qualche passo verso di lui.
Sfrontata, fu il pensiero che la mente di Gold elaborò in considerazione non solo del suo atteggiamento, ma anche del suo abbigliamento: un abituccio giallo che aveva conosciuto tempi migliori e che lasciava scoperta una vasta porzione degli avambracci e persino delle caviglie di colei che lo indossava.
Un abito che nessuna donna onesta avrebbe mai portato, un abito adatto solo a una poco di buono, a una prostituta delle più misere, come l’uomo catalogò istantaneamente la giovane.
- Ebbene, parlate, allora.
- Se… Se venissi con voi… Lascereste in pace mio padre?
- Belle, no! – s’intromise con un sussulto French.
Gold sgranò gli occhi. Pur avendo già inquadrato la ragazza, non avrebbe mai immaginato fosse talmente spudorata da proporsi così esplicitamente sotto gli occhi del padre. Alzò le spalle senza reprimere una smorfia di repulsione.
- Miss, la vostra proposta non mi interessa. Non sono in cerca di… Amore. Continuate, ragazzi.
Un intenso rossore imporporò le guance della giovane.
- Non vi sto offrendo “amore”! – sbottò – Mi sto proponendo come vostra dipendente!
Gold corrugò la fronte stupito. Cosa diavolo le passava per la mente?
Non l’avrebbe certo assunta come operaia in uno dei suoi stabilimenti: era impossibile che avesse una qualche esperienza coi tessuti, non avrebbe saputo da che parte iniziare.
Glielo disse, attendendosi una resa che non giunse.
- Ma posso servirvi come domestica.
Gold tacque.
- Lavorerei fino a ripagare il debito di mio padre, - proseguì lei, incoraggiata dal silenzio dell’uomo – So svolgere tutte le faccende domestiche, sono rapida e brava, più brava di quanto si possa credere. Sono pronta a seguirvi… Seguirvi anche ora.
- Belle, te lo vieto! – urlò incredulo il padre.
- No! – la fanciulla replicò duramente, voltandosi per guardare il genitore - Nessuno a parte me può decidere il mio destino! Devo andare!
Gold soppesò quanto dettogli. Era chiaro che la ragazza avesse mentito: in fin dei conti, fino a qualche anno prima i French avevano goduto di discrete possibilità economiche, avevano avuto certamente una governante e la figlia non avrebbe saputo dove metter mano in casa… Ma d’altro canto, la situazione della famiglia non era delle più rosee già da tempo, per cui era anche probabile che l’erede non fosse poi davvero cresciuta negli agi.
Del resto, cos’aveva lui da perdere? Avrebbe potuto concederle un’opportunità e poi, dinanzi al certo fallimento, rifarsi sul padre.
- Miss, il debito di cui stiamo parlando è ingente. Sommando tutti gli interessi, mi dovete una somma che sfiora le duecento sterline… Più di quanto una cameriera guadagna in un’intera vita di lavoro. Se veniste con me sarebbe per sempre, mia cara.
- Ma voi lascereste vivere mio padre?
- Avete la mia parola.
La ragazza inspirò profondamente.
- E voi avete la mia. Resterò con voi per sempre.
- Belle, Belle non puoi farlo! – la voce di Maurice era spezzata -  Per favore… Non puoi andare con questa… Bestia!
Ascoltando quell’epiteto ripetutogli già mille e mille volte Gold si vietò di fare quanto più desiderava: sbuffare e distorcere il volto in una smorfia grottesca, poggiandosi una mano al petto per simulare un’esagerata e quanto mai inesistente sofferenza.
- Padre, ho deciso…
- Sapete, ha ragione lei, - s’intromise l’industriale - Il dado è tratto. Non fate quella faccia, Mr. French: non mi dovete nulla, per ora!
Si rivolse poi alla giovane, posandole una mano sulla spalla.
- La giornata dei domestici inizia alle cinque del mattino e noi siamo in ritardo di ore. Andiamo, mia cara.
 
Gli scagnozzi aprirono la porta e Belle French e Robert Gold uscirono in strada sotto un cielo cupo che minacciava pioggia.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
N. d. A. : Dearies! :D
Come promesso, ecco il primo capitolo della storia: siamo entrati nel vivo della vicenda, che ve pare? Come avete notato, mi sono solo parzialmente attenuta alla 1x12 – da cui ho tratto i dialoghi finali –, apportandovi importanti modifiche. In questa storia, infatti, farò riferimento alle vicende dei RumBelle come viste nella serie tv fino a un certo punto, dopo il quale modificherò molte cose.
“Reed” e “Blockehurst” vengono da “Jane Eyre”, mentre “Hulme” mi è stato suggerito dal mio ragazzo.
Nell’Ottocento Marylebone Road era un luogo abbastanza rispettabile, mentre Canary Wharf oggi è il cuore della City finanziaria, ma si trova nell’East End che all’epoca era una zona misera.
Il titolo di ogni capitolo, eccezion fatta per il prologo, sarà quello della canzone i cui versi fungeranno da incipit della narrazione – ringrazio seasonsoflove per avermi permesso di sfruttare quest’idea che ha usato nella sua bella long “Highschool”!
Sono rimasta commossa dal calore con cui questa fanfiction è stata accolta: ragazzi miei, mi avete davvero fatta emozionare, siete una forza della natura! *-* Mi impegnerò al massimo per non deludere le vostre aspettative… Grazie a valeego, nari92, KikiWhiteFly, seasonsoflove, Rosaspina7 e Stria93 che hanno recensito il prologo e ad annachiara27, Beabizz, Boris88, Giu_99, Hey J, Jessica21, Stria93, valeego, always_rick_jane, ctdg, Ersilia, KikiWhiteFly, LadyViolet91, nari92, NevilleLuna, rumbelle2998 e seasonsoflove per aver aggiunto la long alle storie preferite/ricordate/seguite; e ovviamente grazie a tutti i lettori silenziosi – che invito a esprimersi!
Sono curiosa di conoscere il vostro parere, perciò recensite e, nel caso, criticate: mi aiuterete a migliorare, perciò non fatevi scrupoli!
Salvo imprevisti, ci leggiamo sabato 25 gennaio!
Baci! :) :*
Euridice100

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Capitolo 3
*** 02. Rosenrot ***


 
 
 
II – Rosenrot
 
 
 
“Sie will es und so ist es fein
So war es und so wird es immer sein
Sie will es und so ist es Brauch

Was sie will bekommt sie auch.” 1
“Rosenrot” – Rammstein
 
 
 
Nel corso dei suoi 23 anni di vita Isabelle French aveva imparato molte cose: conosceva a memoria tutte le province dell’Impero britannico, sapeva conversare amabilmente di arte e musica e la gavotta e il minuetto non avevano segreti per lei. Da quando era venuta al mondo tutte le attenzioni si erano concentrate su di lei, nella speranza che una buona educazione, unita all’innegabile bellezza della piccola, potessero un giorno aprirle le porte dell’alta società.
Era stato anche questo il motivo della rovina dei French, rovina di cui ella si sentiva tanto più responsabile quando pensava che le speranze di sfarzosi matrimoni erano andate miseramente sfumando negli anni. Tutti i pur numerosi pretendenti di Isabelle, detta Belle, erano svaniti quando avevano realizzato che le finanze dell’amata non erano poi tanto ingenti e, soprattutto, quando l’avevano conosciuta meglio.
Perché la bellissima, elegantissima Belle aveva un imperdonabile difetto: sapeva pensare.
Quando vedeva l’unica figlia smontare tesi e antitesi, ignorare le rigide convenzioni sociali e preferire un buon libro a un cuscino ricamato, Maurice scuoteva la testa e si rimproverava per non essersi risposato dopo la prematura dipartita dell’amata moglie Anne, morta vent’anni prima: con una presenza leggiadra come lei, forse Belle sarebbe cresciuta diversamente. E invece no: l’aveva affidata alle cure di una governante dal carattere peperino, una certa Laertia, che aveva sì amato la bambina, ma non aveva fatto alcunché per ingabbiarne l’indole vivace; anzi, l’aveva incoraggiata.
Le aveva trasmesso un innato ottimismo che portava la giovane ad avere fiducia nel prossimo: credeva fermamente che, nonostante tutte le sue brutture, il mondo non fosse poi il posto così cattivo che sembrava agli altri; anzi, era convinta che, sebbene il fango sembrasse dominare ogni cosa, alla fine potesse sempre germogliare un fiore, anche nei posti più impensati.
Cosa ci si poteva aspettare, allora, se non una giovane donna capace di tener testa a chiunque e la cui volontà sarebbe stato eufemistico definire ferrea? Belle era fuoco vivo che bruciava sotto le ceneri, forza pura in un corpo d’angelo; e andava fiera del suo temperamento, sebbene fino ad allora ciò non le avesse portato altro che guai.
Il tratto principale del carattere di Belle era la determinazione, determinazione che non l’aveva abbandonata nemmeno quando il mondo attorno a lei andava in rovina e i pagherò del padre si ammonticchiavano minacciosi.
Come ogni tragedia che si rispetti, anche questa era iniziata silente: solo qualche difficoltà momentanea, qualche piccolo sacrificio e i conti torneranno in regola, sta’ tranquilla, ripeteva Maurice; ma poi i creditori avevano cominciato a bussare imperiosi alla porta di casa, un via vai incessante di cui Belle non poteva non chiedere spiegazioni.
- Va bene, - aveva dichiarato una volta appresa la verità, ben decisa a non farsi sopraffare dalla situazione – Ci impegneremo e ne usciremo fuori.
Ma nonostante tutti gli sforzi la pila di cambiali sembrava crescere, sempre e solo crescere, fino a formare una valanga destinata a travolgere ogni cosa incontrasse sul suo cammino.
Belle aveva detto addio alla piccola vita serena condotta fino ad allora e aveva seguito il padre in quartieri sempre più miseri: Canary Wharf era stato solo l’ultimo di una lunga serie, ma non si era rassegnata neanche per un istante.
Aveva cercato lavoro in ogni dove, rigettando la mentalità del suo tempo secondo cui una vera signora non avrebbe dovuto dedicarsi a occupazioni di alcun tipo, e non si era lasciata demoralizzare dai rifiuti; aveva stretto i denti anche quando era dovuta andare a ripescare a notte fonda Maurice da una delle bettole che l’uomo aveva preso a frequentare negli ultimi tempi. Aveva ignorato gli inviti e gli epiteti poco educati rivoltile dagli altri avventori, aveva preso per mano il padre e l’aveva riportato a casa, nauseata dalla puzza di gin e dall’abiezione cui la vita aveva ridotto colui che per anni e anni le era sembrato invincibile.
Ma anche allora si era asciugata le lacrime che, silenziose, avevano rigato le sue guance e aveva proseguito imperterrita per la sua strada. Perché se c’era una cosa di cui fosse certa, era che avrebbe lottato sempre, fino all’ultimo, e mai nessuno le avrebbe potuto dire cosa fare della propria vita.
Nessuno a parte me può decidere il mio destino.
Erano questi i pensieri di Belle mentre usciva per strada accanto a Mr. Gold.
Il mio padrone, realizzò, e fu in quel momento che l’enormità della decisione presa la travolse. Si sentì mancare il respiro mentre si voltava verso la porta di casa, spalancando gli occhi, quasi a imprimere nella mente ogni particolare: la figura del padre che urlava il suo nome, i passanti che assistevano alla scena attoniti, il pallido sole che non splendeva mai in quei vicoli di dolore, la stretta di Gold; Belle guardò ogni cosa e andò avanti, certa della sua scelta e al tempo stesso col cuore che scoppiava.
Non ci furono addii, saluti, ultimi pensieri: si limitò a pochi gesti meccanici, salire sulla carrozza, voltare il capo quando l’industriale prese posto di fronte a lei e guardare fuori dal finestrino mentre i cavalli partivano e il piccolo, sporco mondo di Canary Wharf che aveva imparato a conoscere svaniva.
 
 
 
 
 
Gold studiò la ragazza seduta dinanzi a sé: quando quella mattina era uscito di casa non avrebbe mai immaginato di far ritorno con una nuova inserviente. Che me ne faccio?, si chiese. Di sguattere ne aveva sin troppe, non ci voleva un’altra ragazzetta.
Alzò le spalle: in un modo o l’altro avrebbe finto di trovarle un posto; del resto, non sarebbe stata a lungo un suo problema. Tempo tre giorni e l’avrebbe sbattuta fuori, con buona pace dell’eroismo di quella piccola impertinente. Era stato gentile persino a concederle quella possibilità, scendendo a patti con lei. Chi credeva di essere per opporsi a lui, al grande, potente Robert Gold?
L’avrebbe spezzata, poco ma sicuro.
Osservò più attentamente la giovane – si chiamava qualcosa come Bea, che nome ridicolo, ma poco gli importava – soffermandosi per un istante sulle sembianze del volto. Con quei lineamenti delicati e la carnagione chiara appena arrossata sulle gote gli ricordava una bambolina di porcellana; i lunghi capelli mossi erano di un castano intenso che tendeva al rosso, e gli occhi celesti, sebbene lucidi, non lasciavano trasparire paura. È graziosa, fu costretto ad ammettere Gold; eppure, nonostante quell’apparente fragilità, c’era qualcosa nel portamento della ragazza, una sorta di intrinseca fierezza, che lasciava trasparire un’indole volitiva.
- Dove stiamo andando? – domandò lei, rompendo il silenzio che pervadeva l’abitacolo.
- Chiariamo subito alcuni punti: primo, ora tu sei una serva e, per quanto dubiti che te l’abbiano insegnato, i servi non si rivolgono ai loro padroni per primi. Mai. Devi parlare solo se e quando ti interpellerò… Cosa che non accadrà frequentemente, stanne certa, - Ignorò l’occhiata di odio appena rivoltagli e proseguì. – Secondo, mia cara… Bea?
- Belle, - lo corresse a denti stretti.
- Bea, Belle, che differenza fa? Dicevo…
- Fa differenza, invece, – lo interruppe – Il nome è parte integrante della mia personalità, cui non ho alcuna intenzione di rinunciare, neanche in questo frangente. Io sono Belle French; se fossi Bea French sarei un’altra persona, poco ma sicuro.
- “Che cosa c'è in un nome? Ciò che noi chiamiamo con il nome di rosa, anche se lo chiamassimo con un altro nome, serberebbe pur sempre lo stesso dolce profumo.” 2
Il volto della giovane parve rischiararsi.
- Avete letto Shakespeare?
Gold batté il pugno destro sulla gamba.
- Dal tuo aspetto mi sembravi più carina che intelligente, ma non pensavo fossi davvero tanto stupida. Cosa ti ho detto prima? Non devi parlare se non sei interrogata! Non te lo ripeterò più… E non osare rispondermi – sibilò vedendo la ragazza fremere dalla rabbia – Tieni la lingua a freno o non mi farò scrupoli a cacciarti e a vendicarmi sulle misere proprietà di tuo padre. La scelta sta a te.
Guardò con malcelato disprezzo Belle avvampare e mordersi le labbra, quasi a trattenere qualche insulto pronto per essere urlato.
- Benissimo, allora, - l’uomo sorrise sollevando appena l’angolo destro della bocca – Sono lieto che siamo riusciti a chiarirci.
 
 
 
 
 
Dopo pochi minuti si sentirono i cavalli frenare e qualcuno bussare alla porta della carrozza.
- Mr. Gold? Siamo arrivati, - annunciò una voce maschile che Belle ricollegò a Reed.
Il magnate dell’industria tessile scese per primo dalla vettura, subito seguito dalla ragazza, che iniziò a trotterellargli accanto.
- Mia cara, - le si rivolse lui senza guardarla, con un tono di voce troppo affettato per essere davvero gentile - Nell’arco di qualche istante sei forse diventata mia pari? Perché, se non lo sapessi, i servi camminano sempre almeno tre passi dietro i loro padroni. Sono certo che con uno sforzo tu riesca almeno a contare e ad accorgerti che non stai camminando a tre passi da me. Dico bene?
Belle digrignò i denti prima di rispondere con un “” soffocato.
- Come hai detto? Non sono certo di aver udito.
- Sì! – gridò con quanto fiato avesse in corpo, guadagnandosi un’altra gelida occhiata.
Lui si limitò a farle cenno perché lo seguisse.
La ragazza si strinse le braccia al corpo: Gold non le aveva permesso di indossare un abito più consono alla situazione o di prendere un mantello, costringendola a uscire di casa con quel vestito che assai poco poteva contro il vento gelido di quel settembre.
Mai nella sua vita si era sentita così avvilita: in una sola ora quel… Quell’individuo le aveva stravolto l’esistenza e l’aveva mortificata più volte, facendole capire con poche, ma inequivocabili parole che l’attendevano momenti di sacrificio e sofferenza.
Non era certo il duro lavoro a spaventare Belle: non temeva la fatica e dall’istante in cui si era proposta come domestica sapeva bene che non avrebbe conosciuto momenti di divertimento. Quel che più l’angosciava era l’idea di un’intera esistenza succube di un padrone che non si faceva alcuno scrupolo a maltrattarla ed era pronto a rifarsi sul padre per ogni minima mancanza. Un mostro, ecco cosa le apparve Gold in quel momento; un essere che non conosceva pietà, ignorava la compassione e non aveva alcun rispetto del prossimo, un soggetto che aveva dimenticato di esser umano lui per primo, che forse non l’aveva mai saputo.
Una bestia, pensò Belle con un sussulto.
Si era consegnata nelle mani della bestia.
 
 
 
 
 
 
 
 
1 “Lei la vuole e va bene / così è stato e così sarà per sempre / Lei la vuole e così è usanza / Ciò che vuole lo ottiene.
2 “Romeo e Giulietta” – William Shakespeare (Giulietta, atto II, scena II)
 
 
 
 
 
 
 
 
N. d. A. : Mi preparo a un più che meritato lancio di ortaggi per aver pubblicato un capitolo tanto breve, lento e noioso. Sono io la prima a riconoscerlo, perciò non fatevi scrupoli ad ammetterlo!
A mia scusante posso dire solo che un approfondimento era necessario per dare un’immagine completa di Belle, del suo passato e della sua personalità. Vi prometto inoltre che i prossimi tre capitoli saranno intensissimi, compariranno nuove figure e le acque inizieranno finalmente a muoversi, perciò stay tuned! ;)
Laertia è un personaggio della mia mini-long “Books can be our best friends”; ho attribuito alla madre di Belle il nome Anne solo per una questione di gusto personale.
Grazie di cuore a valeego, Hey J, nari92, Stria93, S05lj, Rosaspina7, LadyViolet91, seasonsoflove, Rosaspina7 e Jessica21 per gli splendidi commenti lasciati al precedente capitolo; ad always_rick_jane, annachiara27, Beabizz, Boris88, Caribe, Giu_99, Hey J, Jessica21, Nimel17, Silverbreath, Stria93, valeego, a crazycotton, winner_, Anya85, Araba Stark, ctdg, Emily Gold, Ersilia, fatinaviola, gelb_augen, Jun M, KikiWhiteFly, kittyonce, La bambina fantasma, LadyViolet91, matt1, moarless, nari92, NevilleLuna, Rosaspina7, rumbelle2998, S05lj, seasonsoflove, Silver Loreley e _69withzayn per aver aggiunto la long alle storie preferite/ricordate/seguite; e ovviamente grazie a tutti i lettori silenziosi – che invito a esprimersi!
Non fatevi pregare, suvvia, una recensioncina anche critica è sempre benaccetta!
Ci si legge sabato 8 febbraio, Dearies! <3
Bacioni! :) :*
Euridice100

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Capitolo 4
*** 03. Innervision ***


 
 
III – Innervision
 
 
 
“Your sacred silence,
Losing all violence,
Stars in their place,
Mirror your face,
I need to find you,

I need to seek
my innervision.”
“Innervision” – System Of A Down
 
 
 
Belle si guardò attorno meravigliata.
Mai in vita sua aveva messo piede in un palazzo così bello: ovunque appuntasse lo sguardo incontrava stucchi pregiati, quadri dalle cornici intarsiate e arredi in pregiato legno scuro.
Un tappeto dai toni dello scarlatto e dell’oro ricopriva il pavimento di marmo e, davanti ai suoi occhi, si stagliava un'imponente scalinata dal corrimano finemente intagliato.
Tutto ciò che la circondava trasudava lusso e magnificenza e, per un istante, Belle si sentì minuscola nel suo vestitino liso e con le sue scarpe consumate. Non trovava alcunché che potesse offrirle sicurezza; nel suo cuore, tra lo stupore e la curiosità, iniziò a farsi strada una sensazione di panico che la ragazza scacciò via in fretta.
Ai piedi della scala un uomo e una donna in livrea attendevano il loro padrone.
- Bentornato, Mr. Gold, - lo salutarono all’unisono, apparentemente impassibili – ma a Belle non sfuggì il guizzo di sorpresa che accese i loro occhi quando la videro.
- Avete disposizioni per noi? – domandò il maggiordomo. Era alto e magro, quasi allampanato, aveva i capelli rossi e occhi scuri nascosti dietro occhialetti dalle lenti tonde. Pur nella sua compostezza, non riusciva a nascondere un lievissimo tremito della voce, una sorta di insicurezza che conferiva alla sua figura un che di buffo e, al tempo stesso, arcanamente saggio. Sembrava una persona buona, della quale potersi fidare e dalla quale ricevere consigli assennati.
La donna accanto a lui dimostrava una quarantina anni: i suoi capelli, che ancora avevano il colore delle ali di un corvo, facevano un bel contrasto con la pelle candida come neve. La guardava di soppiatto; Belle accennò un sorriso, che ella ricambiò timidamente, pur senza distogliere l’attenzione da Gold.
- Che ci fai tu qui?
La ragazza sobbalzò sentendosi apostrofare in quel modo.
- Vi ho seguito… - rispose confusa. Aveva forse sbagliato? Non era stato proprio lui a imporle ciò?
- Non ti ho detto di seguirmi in casa, stupida ragazzina! Non permetterei mai a una conciata come te di metter piede nella mia dimora!
A quel punto, nonostante gli avvertimenti di poco prima, Belle esplose.
- Conciata come, signore? Questo è uno dei pochi abiti che mi restano perché, a causa vostra, abbiamo venduto tutto. Siete stato voi a non permettermi neanche di cambiarmi, come potete rivolgermi queste parole, ora?
I camerieri la fissarono sbigottiti e solo allora la ragazza si rese conto di aver alzato la voce fino a urlare, ma poco le importava: quelle accuse le apparivano intollerabili, tanto più in quella situazione.
Non mi aspetto complimenti, ma questo non lo accetto, non lo posso accettare.
L’industriale le lanciò un’occhiata annoiata prima di rivolgersi alla governante.
- Mrs. Nolan?
- Sì, Mr. Gold?
- Quanto è grande la stanza che ho assegnato alla fantesca danese lo scorso mese?
- È molto piccola, Mr. Gold. Lo spazio è a malapena sufficiente per una persona.
- Da oggi sarà sufficiente anche per l’ultima arrivata, - ghignò lui – O hai qualcosa da obiettare, mia cara? – proseguì, voltandosi verso Belle – Preferiresti una cameretta tutta per te, con tanto spazio per metterci i tuoi giochi, e magari un bel lettino di piume, vero?
- Preferirei essere trattata con rispetto! – fu il commento che lei non seppe trattenersi dal ringhiare.
- Rispetto... Trovo ironico che la figlia di un uomo che non tiene fede alla parola data voglia dare a me una lezione sul rispetto. Mrs. Nolan, - ordinò poi – Portatela con voi.
- Sì, Mr. Gold, - squittì la governante, congedandosi con una riverenza e facendo cenno alla nuova arrivata.
Belle la seguì, uscendo dalla stanza senza salutare, e strinse i pugni sentendo il freddo sguardo di Gold puntato su di lei.


 
 
- Su, ragazza mia, - la consolò la donna, facendole strada per i meandri dell’edificio – So che il primo giorno è tremendo, ma tu fidati della vecchia Mary Margaret, tempo un mese e sorriderai pensando a oggi. Non c’è nulla di male nello stare a servizio, e Gold non è poi un padrone così cattivo, ha accolto me e mia figlia quando il mio povero David è morto…
- Non è questo! – esclamò la ragazza – Quel che non sopporto è il modo in cui mi tratta. Mi fa sentire così… Così… Impotente!
- Impotente?
- Sì! Ha quell’aria di saccenza, quel sorrisetto arrogante stampato sul volto… Sembra quasi che goda nell’umiliare il prossimo!
Ridendo a quelle parole, Mary Margaret prese per mano Belle e la spinse dentro una grande stanza.
Appena messo piede in quel locale, la prima cosa che colpì la ragazza fu il caos che vi regnava: se finora la casa le era sembrata deserta tanto era silenziosa, ora il frastuono e il vociare per poco non la sopraffacevano.
Si trovava in una cucina affollata di gente – servi come lei – il cui incessante daffare animava l’ambiente. Le loro chiacchiere si rincorrevano e si sovrastavano, tra lo scoppiettio del fuoco che ardeva nel camino e il borbottio del pentolone di rame che ivi giaceva e che spargeva nell’aria un delizioso profumo.
Belle inspirò a fondo quell’aroma, sentendosi subito meglio.
- Ragazzi, abbiamo una nuova collega! Vi presento Belle! – la voce argentina della governante riportò i presenti all’ordine e tutti si voltarono verso di lei.
La giovane arrossì sentendosi scrutata da almeno una dozzina di persone, ma tenne la testa alta sforzandosi addirittura di sorridere.
Non posso mostrarmi fragile proprio ora, non posso, si ripeté mentre il silenzio attorno a lei si faceva sempre più opprimente.
- Una nuova collega, eh? Mi dispiace per lei! – borbottò un’adolescente bionda dallo sguardo duro.
- Emma, non essere scortese come al solito! – la rimproverò Mary Margaret.
- Tua madre ha ragione, Em, - intervenne un’altra ragazza dai capelli chiari alzandosi dalla sedia – Ti piacerebbe essere in un luogo nuovo, senza nessun volto amico attorno a te? Belle, lasciala perdere! – proruppe in un’allegra risata – Io sono Ashley e questa musona, come avrai capito, si chiama Emma! Non è sempre antipatica, vedrai!
- Ma è meglio non avermi come nemica, - aggiunse la bionda restando immobile al suo posto.
- E allora starò attenta a non farti arrabbiare! – esclamò Belle con un sorriso che non ammorbidì l’interessata. Non ebbe il tempo per pensarci, perché un girotondo di facce nuove la circondò: Anton lavorava come cuoco, Aurora e Katheryne erano altre due domestiche, e chi aveva detto di essere Killian? Un valletto?
C’era talmente tanta gente che alla giovane, per un istante, girò la testa.
- Non sapevo che Gold avesse bisogno di una nuova dipendente… Perché ti ha assunta? – chiese Katheryne.
- È una storia piuttosto lunga, - ammise Belle – Prima di raccontarvela, però, permettetemi di sedermi vicino al camino… Sto gelando!
- Con quel vestito non potrebbe essere diversamente, - osservò Mary Margaret - Devo trovarti un’uniforme! Fatti dare un’occhiata… Forse potrei accomodartene una di Ariel…
- Chi mi ha nominato?
A parlare era stata l’ennesima inserviente, appena entrata in cucina da una porticina laterale.
- Ariel! – la salutarono Emma e Ashley – Ti sei bagnata?
- No, sono riuscita a tornare appena prima che iniziasse a piovere… Oggi verrà giù il diluvio!
- Vieni qui, cara, riscaldati - la governante la guidò amorevolmente verso il camino.
La ragazza obbedì e si sedette di fronte a Belle, cui sorrise allegra.
- E tu chi sei? – le domandò con accento straniero, togliendosi la cuffia e rivelando una crocchia di capelli di un magnifico rosso scarlatto
- Belle French, sono una nuova cameriera. E tu devi essere Ariel.
- E da cosa l’hai dedotto, dai capelli o dall’accento danese? – scherzò l’altra – Comunque, Ariel Andersen, per servirla, collega!
- E compagna di stanza, - sussurrò Mary Margaret.
La fronte della ragazza straniera si corrugò.
- Hvad?! Cosa?! Come possiamo dormire in due lì dentro? Non è per te, Belle, ma quella stanza è un buco, a malapena ci sto io…
- Lo so, tesoro, ma sono ordini del padrone, non possiamo disobbedire…
- Mi dispiace… - s’intromise Belle, sentendosi sinceramente responsabile – È colpa mia, se non avessi risposto a Gold mi avrebbe dato un’altra camera… Per punire me ha colpito anche te.
Nella sala calò nuovamente il silenzio. Emma guardò la ragazza incredula.
- Hai risposto a Gold?
- Sì… E inizio a pentirmene, visto il risultato.
Mentre fuori la pioggia iniziava a scrosciare, i presenti pendevano dalle labbra di Belle, che raccontava quanto vissuto. Era stupita dall’attenzione che tutti le rivolgevano: come al solito era stata impulsiva e aveva sbagliato, non vedeva nulla di lodevole in quanto fatto. Se l’imprenditore avesse punito solo lei non sarebbe mai tornata sui suoi passi; ma le conseguenze dei suoi gesti si erano riverberate su un’innocente…
- … E alla fine Mary Margaret mi ha condotta qui, ecco quanto, - concluse la giovane.
- Però, coraggiosa la ragazza! – fischiò qualcuno.
Ariel aveva gli occhi sgranati.
- In poche parole, condivido la stanza con l’unica persona al mondo che finora ha tenuto testa a Gold… Collega, sono onorata!
- Ma cosa dite, - mormorò Belle arrossendo – Non ho fatto niente di eroico, anzi, ho solo indispettito il padrone e ora lui mi perseguiterà in eterno…
- Dubito che Gold sia eterno, anzi, per quanto mi riguarda spero che schiatti presto, - dichiarò Emma, guadagnandosi un’occhiata scandalizzata da parte della madre.
- Emma! Non voglio sentirti ripetere più certe cose!
- Ma’, io ho solo espresso il mio parere, se Gold morisse…
- Finiremmo tutti in mezzo a una strada, - concluse saggiamente Katheryne.
Ashley e Mary Margaret annuirono.
- Ciò non toglie che sia un bastardo, - disse Ariel – e quel che ha fatto al padre di Belle lo dimostra.
- Non si tratta tanto delle sue pretese, - rifletté la nuova arrivata - quanto del modo in cui le formula. Lo conosco da poche ore e già si è rivelato pieno di difetti. Ha il potere dalla sua, ma questo non gli dà certo il diritto di maltrattare il prossimo. Mi chiedo come sia diventato così… Mi rifiuto di credere che una persona possa nascere tanto avida e fredda!
- Avida e fredda? Come sei delicata, Belle! Gold ha i soldi, perciò crede che il mondo sia suo. Tipico dei poveri arricchiti, fidati. Dimenticano chi sono stati e diventano… Come si dice? Crudeli, sì, crudeli.
- Le parole che mi dedichi sono toccanti, Ariel. Se avessi tempo resterei qui ad ascoltarti, ma purtroppo sono – come hai detto? - impegnato a credere che il mondo sia mio.
Quelle parole pronunciate in accento scozzese fecero gelare il sangue nelle vene delle due ragazze. Si voltarono appena: Mr. Gold era comparso sulla soglia e stava fissando i presenti con la solita imperscrutabile espressione di ghiaccio. Solo un lievissimo fremito del sopracciglio destro faceva intuire quanto fosse irato.
Il volto della cameriera dai capelli rossi era ridotto a una maschera d’orrore.
- La colpa è mia, Mr. Gold, - esordì Belle, fingendo una tranquillità che non possedeva – Ariel non c’entra. Sono stata io a provocare quelle frasi col mio racconto.
- Non metto in dubbio che la responsabile sia tu, - la voce del padrone era soave quanto il passo di un felino ed egualmente infida – Francamente, credo di non aver mai conosciuto una servetta tanto pettegola e malevola. Tuttavia, io non ho sentito parlare te, ma lei.
Ariel tremò.
- Mr. Gold… La prego…
- Oh, non temere, non ti punirò. Solo, vorrei che ti recassi a Covent Garden a comprare delle melagrane.
Belle strabuzzò gli occhi, certa che tutti i presenti stessero avendo la medesima reazione.
- Delle… Delle melagrane, signore?
- Sì, mia cara, delle melagrane. Sicuramente le avrai già sentite nominare qualche volta nella tua vita… E visto che le vorrei per cena, faresti bene a uscire subito.
- Sì, Mr. Gold.
- Chiaramente andrai a piedi. Non vorrai certo che le ruote del calesse s’impantanino nel fango… - affermò l’uomo, sorridendo alla sua interlocutrice.
- Ma… Sta diluviando! – esclamò Belle.
Ariel la fulminò con lo sguardo.
- Esco subito. Grazie, Mr. Gold.
La giovane si alzò, afferrò la mantella e la cuffietta e, dopo una rapida riverenza corse fuori dalla cucina senza voltarsi.
Belle era paralizzata. Che razza di punizione era quella? Come aveva potuto Gold ordinare ad Ariel di uscire con quel tempaccio solo per soddisfare uno sciocco capriccio? Sarebbe stato meglio decurtare la paga della ragazza, o al più lasciarla a pane e acqua per un giorno, ma non mandarla in giro con l’acquazzone, rischiando che si beccasse un malanno!
Quale padrone inumano avrebbe mai potuto concepire simile castigo? In che razza di mani era capitata?
Fu Mary Margaret a ridestarla da quei pensieri, facendola tornare in sé appena in tempo per ascoltare le parole dell'imprenditore.
- Tu, invece, vieni con me.
 
 
 
Belle seguì l’uomo, il cuore in gola per il panico. Per quanto cercasse di farsi forza pensando che - diversamente dalla povera Ariel - almeno era al riparo dal temporale, ogni sforzo era vano: la mente tornava agli istanti appena passati e faceva fosche previsioni su quelli che presto avrebbe vissuto.
Mi ammazza, poco ma sicuro.
- Credevo di essere stato chiaro quando ti ho detto di non voler più vedere quel vestito.
Non ci fu alcuna risposta.
- Ovviamente hai perso tempo a chiacchierare con la tua nuova amica. Ti avverto subito che in questa casa non tollero pigrizia e indolenza, ne hai appena avuto la prova.
- Ariel non aveva alcuna colpa!
- Non tollero nemmeno insubordinazione, ma ti ho detto anche questo e non ho intenzione di ripeterlo.
I due raggiunsero un’altra sala, più piccola del salone d’ingresso, ma anch’essa riccamente arredata.
- Metti a posto quel servizio da tè, - ordinò Gold abbandonandosi con negligenza su una poltrona - Se ti ho portata qui non è per infliggerti una punizione che pure meriteresti, ma per discutere serenamente i termini della tua assunzione.
Belle trattenne a stento un sospiro di sollievo e si sentì ancora più in colpa nei confronti della nuova amica. Si diresse rapida verso il tavolo e iniziò a riporre quanto indicatole in una scatola rivestita di velluto scuro poggiata anch’essa sulla superficie marmorea.
- Inutile ribadire che i tuoi guadagni andranno a saldare il debito di tuo padre. Non percepirai nulla da me se non vitto e alloggio.
- Sì.
- Sei una cameriera generica, priva di mansioni specifiche. Lavorerai dove ci sarà bisogno di aiuto e avrai compiti variegati: mi servirai i pasti, pulirai casa…
La ragazza annuì.
- Spolvererai le mie collezioni e laverai le mie vesti.
- Capito…
- Oh, e mi aiuterai a scuoiare i bambini che rapirò…
L’impatto della tazzina al suolo produsse solo un lieve tintinnio; eppure, nel silenzio, quel rumore si propagò mille e mille volte come il rombo di un tuono.
Belle alzò il volto di scatto verso il padrone, rimasto perfettamente immobile e composto.
- Scherzavo… Ti sembro uomo da far del male ai bambini?
La ragazza riprese a respirare sollevata e abbozzò un sorriso.
Ma certo, era ovvio fosse uno scherzo; come aveva potuto credere anche solo per un istante a quelle parole?
Devo calmarmi, o mi prenderà per stupida più di quanto già non faccia, si disse lisciandosi le pieghe del vestito con le mani.
Ma poi lo sguardo le scivolò sulla tazzina a terra e il mondo le crollò nuovamente addosso.
Si chinò per raccoglierla, nella speranza che la vista l’avesse ingannata; ma quando le sue dita sfiorarono il bordo ormai irregolare della porcellana candida, si stupì persino che il cuore le battesse ancora.
Strinse la tazza tra le mani, gli occhi fissi sulla crepa che la sfregiava, e mormorò atona: - Mi… Mi dispiace, mi dispiace tanto, ma… S-si è sbeccata… Si vede appena…
Sollevò l’oggettino, quasi a riprova delle affermazioni.
Possibile che oggi non ne combini una giusta?
Sul volto di Gold apparve un’espressione stupita.
- È solo una tazza.
La guardò come se fosse una bambina incapace di discernere le cose davvero importanti da quelle che non lo sono; continuò a fissarla con sconcerto mentre la ragazza restava in piedi davanti a lui, senza proferir verbo, in attesa di un rimprovero che non giunse mai.
Dopo qualche minuto Belle si arrischiò a rompere il silenzio che li avvolgeva.
- La porto via?
- No… Non ce n’è bisogno, - rispose l’uomo.
Dal suo tono Belle ebbe l’impressione che stesse pensando ad altro, che si fosse estraniato dalla realtà tangibile di quel salone e si trovasse lontano miglia e miglia.
- Torna in cucina, - le disse poi, sempre con quell’espressione assente – E cambiati d’abito!
 
Furono le ultime parole che lui le rivolse quella giornata.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
N. d. A.: Dearies! Ho mantenuto la promessa e  sono tornata con un capitolo intenso e lungo – anche troppo – in cui finalmente succede qualcosa… E che cosa! È la prima volta che oso riscrivere la sacra scena della chipped cup - *_* - perciò il vostro parere è ancora più gradito: come al solito, consigli, critiche e commenti sono benaccetti!
Il cognome e la nazionalità di Ariel sono un omaggio a Hans Christian Andersen, autore de “La Sirenetta” e “Hvad” significa “cosa” in danese secondo il traduttore Google.
Nella seconda metà dell’Ottocento Covent Garden era sede di un importante mercato; proprio in quegli anni fu aggiunto il famoso tetto in vetro – http://www.ldncity.com/covent-garden/storia.html.
Vi chiederete perché ho ammazzato David, invecchiato Mary Margaret e ringiovanito Emma quando avrei potuto usare Granny e Ruby: ebbene, vi anticipo che l'ho fatto perché questa storia sarà divisa in due parti e, nella seconda, nonna e nipote avranno un ruolo abbastanza importante. ;)
Ringrazio KikiWhiteFly, ctdg, Stria93, seasonsoflove, S05lj, Rosaspina7, LadyViolet91 Jessica21, Mania e nari92 per aver detto la loro su “Rosenrot”; always_rick_jane, annachiara27, Beabizz, Boris88, Caribe, Giu_99, Hey J, Jessica21, licet, Nimel17, Silverbreath, Stria93, valeego, a crazycotton, winner_, Anya85, Araba Stark, ctdg, Emily Gold, Ersilia, fatinaviola, Josephine_, Jun M, kagura, KikiWhiteFly, kittyonce, La bambina fantasma, LadyViolet91, Mania, matt1, mooarless, nari92, NevilleLuna, Rosaspina7, rumbelle2998, S05lj, seasonsoflove, Silver Loreley e _69withzayn per aver aggiunto la long alle storie preferite/ricordate/seguite; e ovviamente grazie ai lettori silenziosi – che invito a esprimersi!
Tra due settimane pubblicherò il mio capitolo preferito tra quelli scritti finora. XD
Bacioni, gocce di splendore! <3
Euridice100

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Capitolo 5
*** 04. La vedova bianca ***


 
 
 
IV – La vedova bianca
 
 
 
“C’è qualcosa dentro di me
che è sbagliato e non ha limiti,
e c’è qualcosa dentro di te
che è sbagliato e ci rende simili.”
“La vedova bianca” - Afterhours
 
 
 
Gold osservò la tazzina davanti a sé.
La ragazza aveva mentito: il danno non era certo invisibile, non sarebbe passato inosservato neanche a un’occhiata superficiale.
Il frammento di porcellana mancante era ormai inghiottito dall’Axminster che ricopriva il parquet di ciliegio. Cercarlo sarebbe stato vano, e poi, a cosa sarebbe servito?
La sbeccatura c’è, e nulla la manderà via.
Si passò la tazza da una mano all’altra. Ma cosa stava facendo? Non era certo da lui perdersi in pensieri così oziosi! Sarebbe dovuto tornare nel suo studio e occuparsi della corrispondenza, anziché perdere ancora tempo lì, a fissare una cianfrusaglia ormai inutilizzabile!
Eppure, quell’oggettino esercitava su di lui una magnetica attrazione. Alla luce del fuoco, la porcellana bianca e celeste mandava riflessi opalescenti che gli pareva impossibile aver ignorato fino ad allora.
Non apparteneva a una delle sue collezioni: faceva parte di un servizio comprato anni e anni prima in qualche occasione ormai dimenticata.
Fortunatamente quella ragazza non ha distrutto nulla di prezioso, pensò l’uomo.
Quella ragazza.
Si era dimostrata fiera e coraggiosa, a volte persino saccente, per l’intera giornata; ma poi aveva implorato il suo perdono sgranando gli occhi e mormorando le sue scuse con un fil di voce, tanto che il paragone con una condannata sul patibolo era stato immediato. Mio Dio, era solo una tazza d’infima qualità, pensava l’avrebbe divorata viva? In fondo, se le era scivolata dalle mani era stata anche colpa del suo stupido scherzo…
Mentre sollevava la tazza con quelle mani piccole e affusolate si era morsa il labbro inferiore, e la visione dei dentini bianchi che martoriavano la carne rosea gli era parsa stranamente tenera e affascinante a un tempo, un’immagine che gli aveva fatto perdere il filo dei pensieri per un istante.
Gold sbatté le palpebre e tornò alla realtà, rimproverandosi per essersi distratto.
Sto invecchiando, ammise a se stesso. Un tempo lo sguardo dolce di una sguattera maldestra non gli avrebbe sortito alcun effetto; anzi, le avrebbe riso in faccia prima di cacciarla, un tempo.
E un altro tempo ti saresti inginocchiato accanto a lei e l’avresti consolata.
Gold sospirò. Avrebbe dovuto buttar via la tazzina semi distrutta; ma l’azzurro del decoro gli piaceva, era un così bel colore…
Avrebbe potuto giurare di averlo appena visto da qualche altra parte, ma non ricordava dove.
 
 
 
 
 
 
Chiunque incontrasse la contessa Cora Mills non poteva non restare turbato dal suo sguardo.
Non era tanto la bellezza o la profondità di quegli occhi a colpire, quanto il gelo che vi si leggeva. Un gelo che, più pungente della neve di gennaio, penetrava nel cuore e vi lasciava un senso di inadeguatezza destinato a percepirsi per giorni e giorni, come risvegliato dal pensiero di quella donna tanto affascinante quanto algida.
Eppure, se ora ogni mese arrivavano pacchetti dai migliori stilisti di Parigi, se ora la sua parola dettava legge tra le dame londinesi, Cora ricordava un tempo in cui le cose non andavano così.
Cora non dimenticava le notti buie a Soho, il degrado in cui era cresciuta, gli abusi di coloro che avrebbero dovuta proteggerla. Memorie che, anche a distanza di anni, avrebbero spezzato chiunque; ma Cora non era – non era mai stata - chiunque.
Lei aveva tenuto gli occhi aperti durante quegli istanti, imprimendosi in mente quelle scene e ammantando il suo cuore con una corazza impenetrabile.
La bambina dallo sguardo cupo aveva capito e deciso: l’amore era una debolezza e lei non voleva essere debole. Si sarebbe lasciata quel mondo alle spalle e avrebbe scoperto come imprimere un segno indelebile negli altri, come colpirli fino a ottenere quel che più bramava: il denaro, il rango, il potere.
Per raggiungere i suoi fini sarebbe stata pronta a scendere a ogni compromesso; e così era stato: la Natura le aveva donato un corpo provocante e una mente astuta che aveva saputo sfruttare abilmente a proprio vantaggio e l’avevano portata, appena adolescente, a diventare l’amante del conte Xavier Mills.
Era stato allora che la donna aveva iniziato ad apprendere le dinamiche dell’alta società inglese, memorizzando ogni cosa nella certezza che un giorno le sarebbe tornata utile.
Poco dopo, Xavier era morto e lei ne aveva approfittato per avvicinarsi al figlio Henry, un giovane il cui temperamento schivo era quanto di più distante potesse esistere da Cora. A suo tempo era stato un autentico scandalo, ma i modi accattivanti e garbati della neocontessa Mills avevano avuto la meglio e messo a tacere ogni pettegolezzo.
La donna era presto diventata la signora dei salotti mondani e reggeva con mano ferma tanto il suo piccolo, esclusivo regno quanto la quiete domestica.
Aveva vinto.
Col tempo, nella sua quotidianità fatta ormai di lussi e capricci era apparso un nuovo personaggio: uno scozzese in cerca di fortuna di nome Robert Gold. La prima volta che l’aveva visto, Cora era quasi scoppiata a ridergli in faccia; la seconda ci era finita a letto. Nello sguardo di quell’uomo che si animava solo parlando di lana e telai, aveva letto la stessa bramosia, la stessa oscura smania di potere che le aveva permesso di uscire dai bassifondi pochi anni prima.
L’aveva preso sotto la sua egida e l’aveva trasformato nel temutissimo industriale; Robert non era solo il suo alleato, il suo amico, il suo amante, no: era una sua creatura e nutriva nei suoi confronti una strana passione, una sorta d’orgoglio e gelosia che le svuotava e le colmava l’anima
in un modo che neanche la sua unica figlia – Regina, così l’aveva voluta chiamare, perché un giorno avrebbe dominato il mondo – aveva l’onore e l’onere di conoscere.
Lui era suo, e questa consapevolezza riusciva a strapparle un sorriso ogni volta.
Alle soglie dei quarant’anni la donna poteva dirsi felice: aveva il titolo, un patrimonio tutto suo, una figlia, un amante e, da quando Henry era morto d’infarto, una libertà cui non avrebbe più rinunciato. Fortunatamente Gold non le avrebbe mai chiesto la mano: per qualche motivo che non le importava, l’uomo aveva sviluppato un’autentica idiosincrasia per i matrimoni, e a Cora andava bene così. Anche quando il conte era vivo, la loro relazione era fatta di incontri fugaci, notti rubate e trascorse nella dimora dell’uno o dell’altra e di servi che fingevano che tutto fosse perfettamente normale.
Potevano ormai affermare di aver raggiunto un equilibrio; e poco male se qualche volta Cora era costretta a trascinarsi dietro la figlia: Robert era affezionato a Regina, interpretava la parte dello zio indulgente che la viziava – fin troppo – e poi, la ragazzina era silenziosa e posata, la sua era una presenza che a malapena si notava.
Cora la stava crescendo bene, non aveva di che rimproverarsi: sebbene fosse mora, Regina era splendida, con la carnagione così chiara e con quello sguardo tanto intenso. Era alta per i suoi dieci anni, e la madre pregava perché crescendo non si rovinasse la linea snella cui la bambina attentava sistematicamente avvicinandosi a dolciumi altrimenti proibiti. Anche ora la piccola guardava con desiderio un vassoio colmo di pasticcini posto davanti a lei e lanciava occhiate timorose a maman, che la stava fissando con quell’aria solo apparentemente distratta che conosceva bene: sembrava stesse pensando ad altro, ma in realtà aveva tutto sotto controllo, come sempre.
Regina sospirò – per quanto glielo permettesse lo stretto bustino che era costretta a indossare da che aveva memoria.
- Solo le figlie dei mugnai sospirano in quel modo. Tuo padre era forse un mugnaio, Regina cara? – sibilò Cora, senza perdere quell’aria di serenità scolpita sul volto.
- No, maman. Scusatemi, - mormorò appena la ragazzina, chinando lo sguardo.
È debole. Ho una figlia debole come suo padre, si disse con disprezzo la donna; ma i suoi pensieri furono bloccati sul nascere dall’ingresso in sala di Robert Gold.
 
 
 
 
 
- Buon pomeriggio, lady Mills, - salutò l’industriale con un piccolo inchino – E buon pomeriggio, Contessina, - sorrise alla bambina che era balzata in piedi e aveva risposto con una graziosa riverenza – Spero vogliate scusare il mio ritardo, ma ho avuto un increscioso contrattempo.
- Oh, non temete, Mr. Gold, - gli rispose serafica la donna – abbiamo saputo far tesoro di questi momenti tra donne. Piuttosto, spero non sia successo nulla di grave.
- Non preoccupatevi, solo un’incomprensione su una fornitura. Tutto si è risolto per il meglio.
- Ne sono lieta.
Gold osservò la donna che gli sedeva di fronte: con quel sorriso discreto, le mani educatamente congiunte in grembo e lo sguardo pudico e attento, Cora era l’epitome dell’eleganza femminile. Quel che l’aveva sempre colpito di lei era la sua abilità nel fingere, nel nascondere le emozioni dietro una facciata di educazione che riusciva a ingannare chiunque, eccetto lui. Era per questo, rifletté l’uomo, che fino ad allora nessuno era riuscito a scoprire la vera natura del loro rapporto… Natura che, del resto, neanche lui avrebbe saputo spiegare.
L’amava? No; ma l’aveva amata. C’era stato un tempo in cui si era illuso di poter provare ancora questo sentimento e di poter essere ricambiato; ed era certo che per degli istanti anche lei l’avesse provato. Ma si somigliavano troppo per poter davvero amare.
Quando per tutta la vita si lotta per qualcosa – il potere, il denaro, l’ammirazione altrui – arriva il giorno in cui la si ottiene; ma anziché esserne felici, ci si sente inevitabilmente vuoti. Come prosciugati da ogni emozione, da ogni sentimento, da ogni passione.
Aridi.
Lo sapeva bene lui: ci era passato e poteva capire cos’aveva vissuto Cora; non doveva - non poteva – stupirsi dei gesti della donna, della sua strenua volontà di essere forte, di non lasciar emergere nulla di sé – a nessuno, nessuno, perché nessuno avrebbe compreso.
Regina tossì, attirando l’attenzione di Robert su di sé.
- Spero stiate bene, Contessina, - le disse benevolo.
La ragazzina sgranò gli occhi scuri e annuì appena e Gold, come ogni volta, sentì una fitta al petto.
Distolse lo sguardo prima che i ricordi tornassero a fargli compagnia.
- Il tè arriverà a momenti. Su, Regina, prendi uno scone, - la esortò atono, prima di fare un’insulsa osservazione sul tempo.
La bambina sorrise vittoriosa.
 
 
 
 
 
- Ordini del padrone, tè e cena per tre… Stasera ospitiamo lady Mills e sua figlia! Ho già portato i dolci!
Belle sobbalzò udendo la voce di Mary Margaret e alzò gli occhi dal libro che stava leggendo. Per cinque giorni Gold l’aveva fatta sgobbare da mattina a sera senza concederle un attimo di requie: quando la sera tornava in camera, la ragazza non faceva in tempo a poggiare la testa al cuscino e già si addormentava.
Quel giorno era riuscita a ritagliarsi un momento libero che stava trascorrendo in cucina, accanto al camino; non era abituata a quei ritmi estenuanti e la domenica pomeriggio di riposo le appariva un miraggio: dubitava che il padrone le avrebbe permesso di uscire, ma le sarebbe piaciuto andare a trovare suo padre… Subito dopo il trasferimento, Maurice le aveva mandato un piccolo baule coi suoi pochi averi; e la giovane aveva sorriso, vedendo che il genitore non aveva scordato l’amore della figlia per i libri e gliene aveva inviato l’unico che le restava, l’amatissimo “Cime Tempestose”.
- Chi è lady Mills? – chiese.
- L’amante del padrone, - rispose Anton, il cuoco.
- L’amante del padrone?
- Ma tu fa finta di non sapere e vedere nulla e non avrai problemi, - sogghignò Emma.
–  A ogni modo, chi se ne occupa? Io devo andare a parlare con le lavandaie…
- Mandiamo Belle, - propose l’adolescente – piacere alla vecchia Cora è il battesimo del fuoco in questa casa.
- Non saprei… Belle, che ne dici? Ti senti pronta? – domandò la governante.
La ragazza non ci pensò nemmeno un attimo. Era stanca, vero, ma non poteva non accogliere la sfida lanciatale! Avrebbe dimostrato a tutti di che pasta fosse fatta e avrebbe stupito sia il padrone sia questa fantomatica Mills, che alla fine le avrebbe persino fatto i complimenti…
Sì, se lo sentiva: tutto sarebbe andato per il meglio.
Balzò in piedi.
- Cosa devo fare? – sorrise.
 
 
 
Belle bussò piano alla porta della sala reggendo in precario equilibrio il vassoio con la teiera e le tazze. Adocchiò subito una bambina che sedeva composta, il sempre impassibile padrone e una donna dall’aria altera, lady Mills senza dubbio.
- Avvicinati, Isabelle, - le fece cenno Gold, prima di rivolgersi alle ospiti – Questo è il mio ultimo acquisto. È una brava ragazza, anche se a volte si perde in chiacchiere…
- Una brava cameriera non si perde mai in chiacchiere, dovreste saperlo, Mr. Gold. Siete troppo tenero con la servitù…
Belle la guardò pronta a rispondere, ma un’occhiata in tralice dell’uomo la fece desistere da ogni intento bellicoso. Servì la Contessa reggendo la pesante teiera in ghisa con entrambe le mani, poi si avvicinò alla ragazzina e infine al padrone, come le aveva indicato Mary Margaret; dopodichè si scostò, aspettando di essere congedata.
Gli adulti presenti la ignorarono e si immersero nuovamente in una fitta discussione: a quanto pareva, Gold avrebbe voluto regalare un pony alla bambina, ma la madre si opponeva affermando che la figlia non avrebbe avuto tempo per simili attività.
- Cavalcare all’aria aperta le farebbe bene, è così magra e pallida.
- Regina sa che una signora non è mai né abbastanza magra né abbastanza pallida.
Che assurdità!, pensò Belle spostando il peso del corpo da una gamba all’altra. Avevano cercato di inculcare certe idee anche in lei, ma non avevano avuto grande successo. Quella povera piccina non doveva avere la stessa fortuna: lady Mills doveva essere tanto severa quanto sembrava…
Nel frattempo la conversazione si era spostata sulle disgrazie di una Marchesina che si mormorava fosse ormai compromessa con un lacché.
Belle soffocò uno sbadiglio. Come faceva Gold a sopportare quelle chiacchiere futili? Seguiva la sua interlocutrice e la guardava attento, annuendo appena. Sono veramente amanti?, si interrogò la ragazza. A lei sembravano solo amici di vecchia data… Certo, per bella, lady Cora era bella:  nonostante sul volto iniziassero a comparire le prime rughe, i capelli erano ancora scuri e folti, e il corpo avvolto da lucida seta color verde cinabro appariva sensuale.
Ma sembrava anche godesse nel parlare delle disgrazie altrui…
- Stupida ragazzina!
Belle rimase interdetta dinanzi alla scena che le si presentò davanti. Nel prendere un dolcetto, la bambina aveva urtato e fatto scivolare per terra l’alzatina, guadagnandosi un durissimo rimprovero materno.
- Suvvia, non è successo niente… - protestò Gold.
- Possibile che tu non sappia fare attenzione?
In seguito la cameriera avrebbe rivissuto quegli istanti come al rallentatore: la mano della donna che colpiva la guancia della figlia, il sussulto che aveva provato, le sue gambe che si erano mosse come dotate di propria volontà.
- Su, va tutto bene, - mormorò a Regina abbracciandola – No, non piangere… - aggiunse poi, notandone gli occhi lucidi.
- Ma cosa… Come ti permetti? – le urlò contro Cora.
- No, come vi permettete voi! – replicò furibonda Belle – Vostra figlia non ha fatto niente di male e voi l’avete colpita con tanta violenza!
- Isabelle, - la riprese a denti stretti Gold.
- Come osi, screanzata? È mia figlia e la educo come dico io!
- Ah, bene, se per voi picchiarla equivale a educarla…!
- Basta.
Quell’unica parola, pronunciata a voce bassa, fece tremare le presenti più di mille urla.
Le tre vi voltarono verso il padrone di casa.
- Lady Mills, Regina, manderò subito qualcuno a pulire. Ora, vogliate scusarmi, - fece un piccolo inchino e afferrò Belle per un braccio – Tu. Vieni con me.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
N. d. A. : Salve salvino, cari lettori! :D
Allora, cosa pensate di questo capitolo? Come anticipato, è il mio preferito tra quelli scritti finora –vi consiglio di ascoltare di ascoltare la canzone scelta, merita davvero - ma questo non deve influenzare il vostro giudizio: esprimetevi liberamente, avanzate eventuali critiche e datemi consigli, che accetterò volentieri!
Con l’entrata in scena di Cora e Regina, il novero dei quattro protagonisti è finalmente al completo. Come detto, cercherò sempre di mantenerli IC; l’unica con cui sono andata OOC è Regina, anche se non so fino a che punto: finora non l’abbiamo mai vista da piccola, ma dalle puntate in cui è più giovane emerge una ragazza abbastanza insicura e succube della volontà materna… Anche in questo caso, la vostra opinione è benaccetta!
Una precisazione su quel “sebbene mora” pensato da Cora: in epoca vittoriana l’ideale di bellezza femminile era la classica donna-angelo, bionda, con gli occhi chiari e la pelle lattea; è questo il motivo per cui la contessa si lamenta del colore dei capelli della figlia, salvo “consolarsi” per il fatto che non abbia la carnagione scura!
Ai tempi Soho era un quartiere decisamente poco raccomandabile - http://www.camereaffittolondra.it/soho-tra-eccessi-e-vizi/; circa il modo in cui i personaggi si rivolgono tra loro, vi lascio questi due interessanti link: http://georgianagarden.blogspot.it/2010/02/come-si-parlava-due-secoli-fa-tu-lei-e.html e http://georgianagarden.blogspot.it/2010/04/come-si-parlava-due-secoli-fa.html.
Grazie a Nari92, Rosaspina7, DreamWriten, Stria93, mooarless, seasonsoflove, marty23, Mania, LadyViolet91, Jessica21, ctdg e S05lj per aver recensito “Innervision”; ad always_rick_jane, annachiara27, Beabizz, Boris88, Caribe, DramWriten, Giu_99, Heartofgold, Hey J, Jessica21, licet, marty23, Moonlight818, Nimel17, Silverbreath, Stria93, valeego, a crazycotton, winner_, Anya85, Araba Stark, ctdg, Elinor92, Emily Gold, Ersilia, fatinaviola, jei90, Josephine_, Jun M, kagura, KikiWhiteFly, kittyonce, La bambina fantasma, LadyViolet91, Mania, matt1, mooarless, nari92, NevilleLuna, padme83, Rosaspina7, rumbelle2998, S05lj, seasonsoflove, Silver Loreley e _69withzayn per aver aggiunto la long alle storie preferite/ricordate/seguite; e ovviamente grazie ai lettori silenziosi – che invito a esprimersi! ;)
Ci si legge tra due settimane, Dearies! <3
Euridice100

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Capitolo 6
*** 05 - She ***


 
 
 
V – She
 
 
 
“And like the back of her hand,
she already understands everything,
won't you stay? And she stays. 
And she already knows how it goes
and where she stands I'll stay, anyway. 
'Cuz she knows me so well. 
Oh, she knows me like I know myself.”

“She” – Ed Sheeran
 
 
 
- Tutto ciò è inammissibile!
Cora misurava a grandi passi la camera da letto di Gold stringendo spasmodicamente i pugni.
Quella servetta aveva risposto a lei, una donna di una classe sociale superiore – un’ospite, per di più! -, aveva osato impartirle ordini su come educare sua figlia, e lui, lui come l’aveva punita?
Semplicemente rinchiudendola da qualche parte per una notte!
Se avesse potuto decidere lei il castigo da infliggere a una cameriera tanto linguacciuta, l’avrebbe come minimo gettata in pasto ai cani della sua tenuta di campagna. E invece no, l’indomani quella… Quella Belle sarebbe tornata a servire, con la sua ridicola espressione tronfia stampata sul volto!
Dopo il fattaccio avevano consumato una cena silenziosa, l’atmosfera greve a malapena rotta dal tintinnio delle posate; e quando si erano ritirati in camera Cora aveva dato inizio alla sua nuova battaglia.
Me la pagherà, oh sì. Si pentirà di ciò che ha fatto.
E Robert? Robert se ne stava lì, seduto sul letto, impassibile sotto il diluvio di male parole, senza proferir verbo e, soprattutto, senza alcuna intenzione di rinnegare la scelta fatta!
- Voglio che tu la cacci.
- Spiacente, farla lavorare per me è l’unico modo per riscuotere il debito che suo padre ha nei miei confronti.
- Hai idea di quanto mi sia sentita umiliata?
Era tornata a dargli del tu, come faceva sempre lontano da occhi e orecchie indiscrete.
- Lo posso intuire, ma tu hai idea di quanto si senta umiliata Regina nell’essere schiaffeggiata per ogni inezia?
- La educo com’è più giusto per lei e come dico io, Regina è mia, e mia soltanto!
- Chissà cosa vorrebbe rispondere a queste affermazioni il padre di tua figlia…
Cora s’irrigidì.
- Henry sarebbe stato d’accordo con me.
- Ma io ho detto “il padre di tua figlia”, non “Henry”, mia cara.
Certo di aver colpito nel segno, Gold non distolse lo sguardo dalla figura avvolta in una vestaglia di damasco rosso che gli si avvicinava.
Ma quel sospetto non lo abbandonava – non lo poteva abbandonare – dalla prima volta che aveva posato gli occhi su quella neonata bruna e ne aveva scoperto lo sguardo antico, troppo diverso da quello del conte Mills.
- Cora, dimmi la verità, di chi è figlia Regina?
- Ma che domande, di sua madre e suo padre!
Repliche argute potevano aggirare le domande, ma i dubbi restavano, laceranti come l’artiglio di una belva e occultati sotto una maschera di fredda gentilezza.
- Non sono insinuazioni da fare sul conto di una signora… - mormorò lei chinandosi per baciarlo.
Nonostante tutto, dovette ammettere Robert mentre rispondeva al suo tocco e le domande si allontanavano, quella donna sapeva sempre cosa dirgli.
Perché era uguale a lui.
 
 
 
 
 
Belle odiava il mal di testa, ma non si stupiva di averlo, dopo l’ennesima notte in lacrime. Erano trascorsi tre giorni da quando Gold l’aveva portata in quel capanno sotto lo sguardo terrorizzato di Ashley e Ariel, mentre lei cercava di ignorare la morsa di panico che le attanagliava lo stomaco e ripeteva solo: - Dove mi state portando?
Non c’era stata alcuna risposta; non ce n’era stato bisogno perché, dopo essere usciti in giardino e aver percorso pochi metri, i due erano giunti in una rozza costruzione di legno, un’unica stanzetta buia e umida piena di attrezzi da giardinaggio. L’uomo ne aveva spinto la porticina  e vi aveva spinto dentro la ragazza, il tutto ignorando le domande incessanti di Belle che, alla fine, era stata costretta a rassegnarsi: si era rannicchiata su un pagliericcio e aveva dato sfogo alle sue paure scoppiando in un pianto tanto disperato quanto liberatorio.
Da allora, ogni mattina un servo sempre diverso l’andava a prendere per condurla in casa e farla lavorare, e ogni sera la riconduceva nella sua triste prigione; ed era proprio in quelle solitarie ore notturne che i ricordi tornavano a bussare alle porte della sua mente. Il volto del padre, i suoi amici e i suoi libri: frammenti di un tempo cui Belle aveva detto addio, ma il cui fantasma continuava ad accompagnarla. Aveva già vissuto l’esperienza dell’abbandono; ma se in passato si era affacciata al futuro con ottimismo, consolata dalla speranza, ora si vedeva sprofondata in un baratro buio senza fine.
Dopo quanto successo con lady Cora, la ragazza era certa che Gold volesse cacciarla; e, sebbene ne fosse terrorizzata – ora l’industriale si sarebbe vendicato sul padre –, desiderava fortemente riabbracciare il genitore. A nulla valevano i tentativi di mostrarsi forte dinanzi agli altri: quando restava sola, l’apparenza finiva per sciogliersi come neve al sole di primavera.
Anche in quel momento i singhiozzi della giovane erano tanto forti da coprire i passi della figura che si avvicinava; fu solo lo scatto della serratura a farle alzare il capo e scorgere l’uomo, che la fissava sprezzante.
È il momento della verità, Belle. Non fare passi falsi.
- Quando ti sei offerta di venire a lavorare per me non pensavo ti sarebbe mancato tanto tuo padre.
La voce di Gold la fece rabbrividire per un istante: per quanto tempo avrebbe resistito prima di protestare per una sua nuova prepotenza?
- Ho deciso di sacrificarmi, ma è ovvio che mi manchi… Siete una bestia!
Neanche un istante.
- Ovviamente, - l’uomo ruotò gli occhi al cielo e le si avvicinò - Va bene, abbiamo capito tutti che sono un mostro, ma devi smetterla di piangere. Non te ne sarai accorta, ma il mio studio è proprio qui vicino e mi è insopportabile sentirti disperare sempre. Di notte voglio lavorare, è il momento migliore per concentrarsi, ma compilare registri coi tuoi strilli come sottofondo mi è impossibile! Tieni, - proseguì in tono più accondiscendente – Forse con questo andrà meglio.
Le allungò un oggetto che teneva tra le mani e Belle non aveva ancora scorto: un cuscino ricamato, dall’aria elegante e, soprattutto, comoda.
La ragazza rimase immobile per un istante prima di prenderlo.
- È… Per me? – balbettò stupita da quella piccola, quanto inaspettata, gentilezza.
L’uomo alzò le spalle stizzito.
- Mi trovi davvero così bestiale? – sbuffò prima di voltarsi per andarsene.
Ora è sereno, ora furioso, commentò Belle senza riuscire a trattenersi dall’esclamare con fin troppa alterigia nella voce: - Vi ringrazio. Forse con un cuscino riuscirò a dormire meglio.
Il suo interlocutore si fermò e tornò indietro.
- No, no, no, non è per dormire: è per soffocare i singhiozzi affinché io possa lavorare in pace! Parola mia, non capisco perché non abbia ancora buttato fuori casa una persona tanto stupida e supponente come te.
- Allora fatelo, se…
Un brusco rumore proveniente da casa interruppe la discussione. Gold si voltò verso l’esterno e corse a vedere cosa stesse accadendo, subito seguito dalla cameriera.
Quando arrivò nella stanza, Belle si trovò davanti una singolare scena: il suo padrone osservava a braccia conserte una figura incappucciata che, non accortasi di nulla, aveva afferrato un prezioso orologio francese dorato.
- Sei sicuro di volerlo fare, mio caro?
L’intruso sobbalzò, intuendo di non essere solo; ma non perse la calma e si voltò verso la vittima del suo furto.
Senza dare alcun segno di panico, una voce maschile disse: - Sono sicurissimo.
- Rifletti bene:   rubando a me potresti farti molto male.
- Non ne dubito, - l’uomo sorrise alzando appena l’angolo destro della bocca – Ma, sapete, a volte non si ha niente da perdere e tutto da guadagnare.
Belle invidiò non poco il sangue freddo del reo che, pur colto in flagranza di reato, continuava a rispondere a tono.
- Benissimo, allora. Se non hai “nulla da perdere e tutto da guadagnare”, - l’imprenditore scimmiottò le parole del furfante, accompagnandole con ampi gesti teatrali - non protesterai quando penzolerai con un cappio stretto al collo.
-  Non protesterò perché non finirò come dite voi.
L’eco della frase era ancora nell’aria quando si udì un violento rumore: il ladro aveva cercato di saltare dalla finestra, ma aveva calcolato male la robustezza degli infissi ed era finito per terra, circondato da frammenti traslucidi di vetro che tingevano il suo volto di rosso.
- Non solo derubato, - commentò Gold a denti stretti, avvicinandosi pigramente alla figura distesa sul pavimento – Derubato da un totale idiota, per di più.
Quando l’uomo cercò invano di rialzarsi, gli tirò un calcio negli stinchi che pose momentaneamente fine alle sue speranze di fuggire.
- Fermo! – cercò di gridare la donna, ma la sua voce fu presto sovrastata dagli insulti di Gold e dai gemiti del ladro.
- Ti ucciderò, poco ma sicuro, ti ucciderò! – ripeté l’uomo senza smettere di pestare il delinquente - E tu non startene lì impalata! – urlò poi, rivolto a una Belle sconvolta – Va’ a chiamare gli altri!


 
Belle spazzava il pavimento con tanta furia da rischiare di spezzare la scopa.
Era inutile cercare di concentrarsi sul lavoro da svolgere: le urla dello sconosciuto si susseguivano in un crescendo che le faceva accapponare la pelle. Non aveva mai tollerato la violenza e l’idea che ora, a pochi passi da lei, un uomo ne fosse vittima – e che lei fosse in un certo senso complice, per essere andata a chiamare quei brutti ceffi – la nauseava a tal punto da costringerla a fermarsi, chiudere gli occhi e pregare di svegliarsi da quello che sperava fosse un incubo.
Gold rientrò nella stanza seguito da Hulme e Blockehurst e lei finse di essere immersa nella sua occupazione.
- … Non può scappare, non riesce nemmeno a rimettersi in piedi, - l’industriale si rivolse poi a Belle - Tieni sotto controllo quel delinquente, noi andiamo a cercare Reed.
Vedendoli allontanarsi, la ragazza non riuscì a trattenersi. Affondò le unghie nel manico della scopa e chiese a voce alta: - Tutto questo perché ha cercato di rubare uno stupido orologio?
- No, - spiegò Gold voltandosi appena – perché ha cercato di rubare a me, Robert Gold. Chi ci prova viene scuoiato vivo, lo sanno tutti.
- A dire il vero no, non lo sanno tutti!
- Vuole che interveniamo, Mr. Gold? – s’intromise Hulme, lanciando un’occhiataccia alla ragazza che una settimana prima non aveva esitato a prenderlo a calci.
- Ti ringrazio, amico mio, ma ne passerà di tempo prima che non riesca a tenere a bada una donnetta irriverente. E sai bene che i tuoi dissapori personali con Miss French non mi interessano. Quanto a te, - aggiunse fissando la cameriera – lo sapranno quando troveranno il corpo.
Non appena i tre chiusero la porta alle loro spalle, Belle lasciò cadere la scopa.
No, non lo permetterò, pensò con la determinazione che aveva segnato tutta la sua vita.
Se il ladro non fosse già morto, l’avrebbero ucciso da lì a poco se lei non l’avesse impedito. Rifletté rapidamente, calcolando i pro e i contro delle soluzioni che le affollavano la mente; stava ancora ragionando quando raggiunse il capanno con una brocca d’acqua tra le mani per soccorrere il prigioniero
Quando vide l’uomo giacere per terra, la giovane pensò al peggio; tirò un sospiro di sollievo quando si accorse che respirava e stava cercando di rialzarsi.
- Che c’è? Ha mandato te a finire il lavoro? – biascicò a fatica tra i colpi di tosse.
- No… Certo che no, - si riscosse la ragazza, sostenendo l’uomo per aiutarlo a rimettersi in piedi e offrendogli poi l’acqua – Bevi… Non potevo non intervenire, tutto questo è disumano!
- Sì… Ma ora scaglierà la sua ira contro di te.
- In tal caso, affronterò quella bestia. Nessuno, nessuno merita di essere torturato! Non mi importa, non ho paura di lui. Svelto, tornerà presto!
Belle lo trascinò in casa: aveva il cuore in gola e il terribile presentimento che qualcuno li avrebbe scoperti vanificando tutti i suoi sforzi, ma non poteva farlo uscire dalla porta principale e, soprattutto, non si sarebbe lasciata frenare dai suoi timori. Tutte le battaglie combattute fino ad allora erano poca cosa in confronto: stava lottando per la vita di un uomo e non si sarebbe lasciata sconfiggere da un cinico parvenu dal cuore votato solo al denaro, anche a costo… , anche a costo della propria vita.
Arrivati a una porta di servizio, la ragazza mormorò una sola parola: - Corri.
Sapeva bene che il ladro non aveva molte speranze: sebbene fossero le quattro del mattino, in un quartiere così elegante una persona in quelle condizioni avrebbe certamente attirato l’attenzione con conseguenze nefaste… Ma se fosse fuggito avrebbe avuto almeno una possibilità di salvarsi, possibilità che in casa Gold gli sarebbe stata negata.
- Aspetta, - la interruppe lui – Lui ti ucciderà, a meno che non scappi con me ora.
Belle ignorò la fitta provocata da quelle parole. Sì, sarebbe potuta fuggire con quel giovane uomo: non era certo uno sprovveduto – il fatto che avesse osato derubare il magnate della lana ne era prova - e avrebbe saputo aiutarla a tornare da Maurice. Padre e figlia avrebbero potuto andarsene da Londra, ricominciare una vita altrove, magari imbarcarsi per l’America…
Magari.
Sei una codarda.
- Non posso, - deglutì – C’è un patto, ho promesso di servire Gold e in cambio non farà del male a mio padre. Se fuggissi, lui non avrebbe scampo…
- Allora ti auguro buona fortuna… - la salutò l’uomo mentre un’ombra triste gli attraversava lo sguardo.
- Grazie. Ne avrò bisogno.
 
 
 
Non devo tremare.
Ogni stravaganza, ogni gesto inconsulto sarebbe stato notato e avrebbe causato domande cui non avrebbe saputo rispondere. Doveva fingersi indifferente: i libri mal impilati, le sedie spostate, la polvere sui ninnoli stipati ovunque, ecco su cosa appuntare l’attenzione.
La porta cigolò appena, ma Belle non si voltò, sapendo bene chi stesse entrando.
- Reed non si trova. Quell’idiota ha scelto proprio questa maledetta notte per andare a perdersi in qualche fumeria d’oppio, - commentò Gold a denti stretti, caricando una pistola e allontanandosi – Mi sentirà. Sono sempre io a dover fare il lavoro sporco…
La ragazza non replicò, limitandosi a riporre un altro volume su uno scaffale e a mordersi l’interno della guancia.
- Belle!
L’urlò che le gelò il sangue nelle vene arrivò troppo presto, paralizzandola. Si voltò verso il padrone che era accorso trafelato.
- Dov’è andato?
- È fuggito. L’ho lasciato andare, - fu la sua unica replica.
Gold non si sforzava più per mantenere un tono freddo e impassibile: dalle sue parole trapelava tutta la rabbia che stava provando.
- Cosa? Quell’uomo è un ladro!
- Ma questo non vi dà il diritto di ucciderlo!
- che mi dà il diritto di ucciderlo! Ah, fammi indovinare: tu credi che sia un eroe, che l’abbia fatto per qualche nobile causa… No, mia cara, tu pensi che non sappia quello che fai quando ti rintani in cucina, ma io so tutto, e tu, tu leggi troppi libri!con un unico fluido gesto gettò per terra i volumi che ricoprivano il tavolo, prima di continuare a dar voce alla sua ira - Ecco, forse smetterai di riempirti la testa con questo veleno!
- Non sono certo stati i miei libri a spingermi a liberare quell’uomo! – ribatté Belle furibonda. Le azioni dell’uomo non la toccavano: in un modo o nell’altro, l’avrebbe ricondotto a ragione, fosse stata anche l’ultima cosa che avrebbe fatto - Io vedo del buono in lui, in fin dei conti voleva solo portare a casa la pelle!
- Non mi dire, non mi dire! – la sbeffeggiò lui - È questo che pensi? Quell’uomo ha portato a casa molto più della pelle… - le indicò la cassapanca sulla quale avrebbe dovuto esserci l'orologio- Sei stata raggirata, sei una povera ingenua, una stolta!
La ragazza fissò attonita quell’assenza che – come diamine aveva fatto, com’era successo? – non aveva notato prima.
- Ma deve pur esserci una spiegazione, noi non sappiamo a cosa gli serve, e forse…
- L’ha preso perché vuole rivenderlo a qualche ricettatore, e fidati, chi ruba non ha mai buone intenzioni, qualunque cosa ti suggeriscano i tuoi sogni futili!
- No! Non potete giudicare così un estraneo, non si può sapere cosa c’è nel cuore di una persona finché non la si conosce davvero!
- Noi vedremo cosa c’è nel suo cuore quando lo ammazzerò! – ruggì Gold esasperato – E, dato che sono un esibizionista, lo farò proprio sotto i tuoi occhi! La responsabilità sarà solo tua, e tu verrai con me e osserverai il sangue che sgorga dal suo cadavere! – l’afferrò per un polso e la trascinò con sé, incurante delle sue proteste - Porta gli stracci, perché sarai tu a pulire!
 
 
 
 
 
- Come pretendete di trovare quell’uomo? Gli slums di Londra sono un labirinto e nessuno di noi ne è esperto, dovremmo tornare indietro... – fece Belle in tono pacato, come se stesse commentando un dato di fatto, e non suggerendo il da farsi al suo datore di lavoro.
- E lasciare che il ladro scappi? Cosa penserebbe la gente se risparmiassi chi ruba a casa mia?
- Penserebbe che dietro la bestia in realtà c’è un essere umano! Non mi avete punita quando ho liberato il prigioniero… - furono i pensieri che la giovane non seppe trattenersi dal pronunciare ad alta voce. In fondo era vero: se il tanto crudele Mr. Gold fosse stato davvero tale, non avrebbe esitato a farle subito del male dinanzi a una tale disubbidienza… E invece, c’erano state solo promesse di vendetta che – Belle se lo sentiva – non sarebbero state mantenute.
- Se ti punissi come potresti lavorare e ripagare il debito di tuo padre?
- Secondo me, - osò lei – Non siete davvero così cattivo come volete far credere agli altri.
- Di sicuro non sono pettegolo come te.
- Credo che nel vostro cuore ci sia spazio anche per l’am… Per altro, - si corresse maledicendosi – E non solo per il potere.
Gold la fissò intensamente, ma lei non distolse lo sguardo; non lo fece neanche quando le si avvicinò fino a giungere a un soffio da lei, sebbene il cuore avesse iniziato a pulsarle velocemente – più velocemente di quanto ricordava avesse mai fatto in vita sua. Per un istante una strana sensazione di vuoto dominò la mente di Belle; un silenzio che non sapeva di pace, ma che non era sgradevole.
Per un momento fu soggiogata da quegli occhi scuri e misteriosi in cui desiderò quasi annegare.
- Hai ragione… - la voce dell’uomo era carezzevole, miele velenoso che avrebbe dovuto rifuggire – Sì, amo anch’io… Le mie cose!
La risata in cui l’uomo proruppe e lo sguardo di compassione che le rivolse fecero scuotere violentemente Belle, che sbatté le palpebre confusa e, al tempo stesso, arrabbiata.
Cosa credevi che succedesse? E poi, ti ha dato di volta il cervello a sperare che succedesse qualcosa? Con lui, poi?
- Siete davvero oscuro come tutti dicono.
- Sono ancora più oscuro. Molto più oscuro.
Le sue parole vennero interrotte da una brusca frenata della carrozza. L’imprenditore si sporse dal finestrino, subito imitato da Belle: una pattuglia di bobbies stava parlando col cocchiere e colui che sembrava esserne lo sceriffo si stava avvicinando alla vettura.
- Che ci fa una così bella carrozza qui? – esordì l’uomo appena Gold aprì lo sportello. Era giovane e qualcuno avrebbe anche potuto ritenerlo piacente: i folti capelli scuri e i lineamenti regolari gli conferivano un’aria a suo modo affascinante, prontamente smentita però dall’andatura barcollante, indice evidente di una non insignificante presenza di alcool nel suo corpo
- Stamattina un ladro mi ha sottratto una cosa molto importante e ora sono sulle sue tracce.
Gold descrisse il delinquente a un poliziotto palesemente più interessato a Belle che alle parole dell’uomo. La ragazza si strinse di più nel mantello, infastidita da quelle occhiate che parevano volerla spogliare.
- E non sarebbe stato più saggio rivolgersi a noi sin dall’inizio?
- Preferirei occuparmi personalmente della questione… Sapete, ciò che mi è stato sottratto è una quisquilia rispetto alle questioni che voi tutori dell’ordine siete chiamati a fronteggiare negli ultimi tempi. Io e i miei collaboratori risolveremo il problema, certi della vostra discrezione.
- Capisco. So benissimo a chi state dando la caccia… Ma so anche chi siete voi, – schioccò la lingua e ghignò – Il mago dei tessuti, colui che trasforma in oro tutto ciò che tocca. Mr. Gold. Vi dirò dove trovare il vostro amico se potrò avere qualcosa in cambio.
- Sentiamo, cosa vorreste? – pur avendo prevenuto l’eventualità, Gold non si sforzò di mascherare il tono palesemente seccato della sua domanda.
- Una notte con la vostra sgualdrina.
Udendo quelle parole, un moto di rabbia pervase Belle. Come osava quel… Quel rozzo ubriacone apostrofarla in quel modo? Sin dal primo istante aveva intuito i reali fini dell’uomo, ma sperava di star sbagliando; avrebbe anche solo dovuto osare sfiorarla e si sarebbe trovato impossibilitato a toccare qualsiasi altra donna, e se Gold avesse acconsentito a quella richiesta gli avrebbe fatto subito compagnia.
Gold, dal canto suo, era altrettanto perplesso. Era certo che lo sceriffo volesse del denaro – l’onestà non doveva certo essere il punto forte dei servitori di Sua Maestà – e avrebbe pagato pur di toglierselo davanti; ma quella richiesta superava qualsiasi aspettativa. Si voltò verso la cameriera: era arretrata in un angolo della carrozza e guardava i presenti con un’espressione di… Si sarebbe aspettato di vederla tremare, ma l’angoscia non era che una minima parte delle emozioni che attraversavano le iridi cerulee della giovane; piuttosto, Belle pareva furibonda. Sembrava pronta a uccidere lo sceriffo e per un momento Gold sperò che lo facesse: l’avrebbe aiutata, poco ma sicuro.
- Lei non è in vendita.
- Andiamo, non potete separarvi da lei neanche per un’ora? Venti minuti? Il tempo di un…
- Lei non è in vendita, - sibilò le parole, ripetendole a una a una. Gold scostò di pochi centimetri  il bordo del cappotto e mostrò il calcio della pistola che portava per compiere la sua vendetta – Immaginate la situazione: uno scontro a fuoco, un industriale di passaggio, un uomo molto, molto potente, coinvolto… Si apre un’inchiesta e si scopre che il poliziotto colpevole, oltre ad aver sparato senza che vi fossero le basi per la legittima difesa, aveva bevuto e importunato una giovane onesta… Quali potrebbero esserne le conseguenze?
Gold poteva quasi leggere i pensieri che la mente poco lucida dell’uomo affastellava in quegli istanti: immischiarsi in una situazione del genere avrebbe significato vedere la propria vita distrutta per sempre. Dubitava che l’uomo avesse amici potenti pronti a proteggerlo: se così fosse stato, non sarebbe finito a far la ronda nell’East End…
Capirà, si ripeté Gold. O glielo farò capire io. Se non ha cura del proprio destino, avrà cura almeno dei soldi che perderà e del gin che non potrà più acquistare.
- Fate pure con comodo, Sceriffo, prego. La scelta sta solo a voi.
- Cerco anch’io quell’uomo… - mormorò alla fine il poliziotto, dopo quelli che parvero secoli - Lo cerco da anni. Si è preso la donna che stavo per sposare e mi ha reso lo zimbello di tutta la polizia. Si nasconde a Brick Lane, ma è troppo benvoluto perché qualcuno faccia la spia... Lo chiamano addirittura il nuovo Robin Hood…
- Ma come si chiama davvero?
- Maguire. Tom Maguire.
- Avete visto? – domandò Gold riaprendo la porta della carrozza – Non era poi una scelta così difficile.
 
 
 
- Ascoltate, non è ancora troppo tardi per ripensarci… Non crederete certo che starò ferma a guardarvi… Uccidere un uomo!
Gold ascoltò distrattamente le parole di Belle, impegnato com’era a non perdersi nel dedalo di vicoli in cui erano finiti. Dove si erano cacciati i suoi scagnozzi? Reed e gli altri avrebbero dovuto setacciare quella zona, ma non si vedevano da nessuna parte. Ormai stava scendendo sera e quelle strade, mai sicure, diventavano ancora più pericolose. Per quanto avesse cercato di dissimulare il proprio rango indossando vesti dimesse, anche un cieco si sarebbe accorto della sua ricchezza; e quella stupida di una cameriera, anziché tacere ed essergli grata per aver dato una lezione al poliziotto, continuava a ciarlare, facendogli la predica per ciò che, semplicemente, era suo diritto!
- Puoi farlo anche saltellando, se preferisci, ma osserverai tutto, è questo il motivo della nostra piccola spedizione. Non saremmo qui se non fosse stato per te.
Nel momento in cui pronunciò quelle parole, un’ombra zoppicante gli sfrecciò davanti e, nella corsa, il cappuccio del mantello gli scivolò sulle spalle.
Se Gold era diventato il re dell’industria tessile non era stato solo per la sua scaltrezza e il fiuto per gli affari, ma anche per la sua straordinaria memoria. Non dimenticava mai un nome, una cifra, un volto, anche se l’avesse visto solo una volta nella sua vita; e mai, mai avrebbe potuto scordare le fattezze di colui che, poche ore prima, gli aveva sottratto i suoi averi.
Non ci fu il tempo di formulare il pensiero: il suo corpo aveva già deciso per lui. Iniziò a seguirlo, sotto gli occhi di un’esterrefatta Belle.
Almeno ha la creanza di non porre domande.
 
 
 
Ignaro di avere la propria vittima e carnefice alle calcagna, Tom voltò a destra in una stradina deserta ed entrò di soppiatto in una fatiscente abitazione, la cui porta di assi sgangherate lasciava intravedere quel che accadeva all’interno.
L’uomo si avvicinò a una branda su cui giaceva una donna dai capelli scuri. Doveva essere stata molto bella; ma ora, il pallore del volto e i colpi di tosse che la sconquassavano non lasciavano dubbi sul triste destino che l’attendeva.
- Quella donna è in punto di morte… - commentò Belle a bassa voce.
- Grazie per aver constatato l’ovvio anche questa volta. Sarà la donna che il ladro ha portato via allo sceriffo… E comunque, anche lui è in punto di morte, - fu la cinica replica di Gold mentre mirava a quel Robin Hood da strapazzo.
- Fermo! – lo interruppe la giovane, costringendolo a osservare la scena. Tom, sedutosi sul letto, stava rispondendo alle domande della compagna, che annuiva preoccupata. All’improvviso l’uomo estrasse dal mantello una forma di pane e una boccetta scura che aveva tutta l’aria di contenere dell’oppio.
- Non mi sbagliavo su di lui e sul perché ha rubato, l’ha fatto solo per salvare la donna di cui è innamorato! Sarebbe morta se non l’avesse fatto! – esclamò Belle a voce fin troppo alta, instillando in Gold il dubbio che lo stesse facendo apposta per permettere alla coppia di fuggire.
- Ma hai visto le sue condizioni? Non saranno certo un po’di pane e laudano a salvarla, anzi! E ora lui morirà e i suoi compari potranno dire a tutta Londra di non farmi arrabbiare! – la spinse via, ormai esasperato dalle sue parole.
- Non dovete farlo per forza! - lo implorò – Non fate questa follia, non mi sbagliavo sul ladro e non mi sbaglio su voi!
Su me ti sbagli, e lo sappiamo entrambi.
Non mi conosci.
L’uomo era sotto tiro.
Sarebbero bastati pochi secondi…
La donna si sollevò appena e la coperta, scivolando, ne rivelò il ventre ricurvo.
L’arma si fece improvvisamente molto più pesante tra le sue mani.
- Guardate, è incinta! Voi non siete il tipo di uomo che renderebbe un bambino orfano!
Sarebbe stato così semplice. Una lieve pressione sulla superficie liscia e fredda del grilletto e tutto sarebbe finito. Non ci sarebbero state domande: nessuno sarebbe risalito a lui, e se anche fosse successo, avrebbe saputo come difendersi
Ho ragione io.
Pregustò il sapore della vendetta e si sorprese nello scoprirlo, per la prima volta nella sua vita, amaro.
Sì, avrebbe potuto sparare al ladro, forse anche dovuto, ma poi? Questo gli avrebbe ridato quel che gli era stato sottratto? Avrebbe lenito l’umiliazione di essere stato derubato da un pezzente?
No, no di certo; e, in fondo, non era neanche certo di desiderare ciò.
Voleva piuttosto dimostrare come nessuno potesse sfuggire a lui, far capire anche all’ultimo dei ladruncoli di Londra chi fosse: un uomo pericoloso, che aveva potere di vita e di morte su chiunque e non avrebbe esitato a esercitarlo.
Nessuno avrebbe mai più dovuto sfidarlo, si era giurato anni e anni prima; avrebbe solo dovuto tener fede ancora una volta a quella promessa.
“Voi non siete il tipo di uomo che renderebbe un bambino orfano!”
Ci sono peccati che si commettono una sola volta nella vita.
Tu come fai a saperlo?
Una nuvola di polvere da sparo si perse nell'aria, appena sopra lo stipite della porta.
Il ladro balzò in piedi e si guardò attorno preoccupato; senza perdere tempo, prese in braccio la donna e, sebbene rallentato dal suo peso e dalle ferite, fuggì da un’uscita sul retro.
- Cos’è successo?
Il mormorio stupito di Belle risuonò lontano, perso com’era nei suoi pensieri.
Alzò le spalle e fece segno di andarsene.
- L’ho mancato. Torniamo alla carrozza, non vale la pena seguirlo.
- Da qui l’avevate sotto tiro, non potevate mancarlo… Gli avete risparmiato la vita?
- Cosa stai dicendo? Non lo farei mai.
Quando in seguito Gold si ritrovò a pensare a quegli istanti, scoprì di non riuscire a ricostruire in alcun modo quanto successo, come se la sua mente avesse rimosso quel che gli pareva impossibile fosse accaduto: un istante Belle era davanti a lui, ma un attimo dopo lo stava abbracciando.
Sussultò sentendo le braccia della giovane stringerlo delicatamente e rimase immobile, senza riuscire a formulare alcun pensiero logico.
Che cosa aveva intenzione di fare? Era forse folle, a comportarsi così in mezzo a una strada, senza alcuna riserva, senza alcun rispetto delle più ovvie convenzioni morali? Se fosse stato in sé, avrebbe dovuto respingerla bruscamente, non dare adito a una mossa così invadente e irriguardosa.
Era disdicevole, così disdicevole… Eppure – era impazzito anche lui? – era anche così… Così piacevole.
Una sensazione strana lo pervase: per la prima volta da tempo immemore, per pochi, meravigliosi istanti si sentì in pace con se stesso e col mondo intero. Sfiorò appena le spalle della cameriera, un gesto tanto rigido e impacciato da apparire a lui stesso ridicolo; eppure – che strano pensiero – ebbe la certezza che lei avrebbe capito quale sforzo stava compiendo e non gli avrebbe posto domande.
La ragazza si staccò e si allontanò, mentre lui rimaneva ancora lì, come pietrificato da quel gesto inatteso, in balia della ridda di domande che si era impadronita della sua mente.
- Non torniamo alla carrozza?
Il tono stupito di Belle lo riscosse dalle sue riflessioni: la giovane aveva fatto pochi passi prima di accorgersi che il suo padrone non la stava seguendo e di voltarsi incuriosita.
Annuì appena, fingendo di non aver notato il sorriso comparso sul volto della domestica.
C’era stato più calore in quell’abbraccio che in mille baci di Cora.
 
 
 


Durante il viaggio di ritorno non si erano scambiati una parola, persi ciascuno nei propri pensieri, certi che qualsiasi frase avrebbe rievocato il fantasma della giornata trascorsa assieme e timorosi di incontrare l’uno lo sguardo dell’altra.
Mary Margaret li aveva accolti in silenzio, lanciando occhiate furtive tanto a Belle quanto a Gold, curiosa di scoprire quanto accaduto e al tempo stesso temendo le conseguenze delle proprie domande; si erano recati nello studio e ora i due erano una di fronte all’altro, e si studiavano in silenzio.
- Se non avete più bisogno di me, - esordì Belle a bassa voce – Scendo in cucina ad aiutare gli altri.
Fece per andarsene, ma il richiamo di Gold la bloccò.
- Aspetta, - mormorò l’uomo senza guardarla – Prima vieni a vedere una cosa.
La ragazza inarcò il sopracciglio destro, incuriosita dall’ordine, ma annuì e lo seguì. La guidò per le ampie sale della dimora, fino a giungere al primo piano, e salirono poi un’altra piccola rampa di scale lignea.
Quando entrarono in una saletta, Belle trattenne a stento un urlo di stupore.
- Modera il tuo entusiasmo, - ghignò l’uomo, ben conscio della reazione della giovane - Per te è solo una stanza in più da pulire.
Libri.
Ovunque Belle appuntasse lo sguardo, incontrava solo libri. Volumi freschi di stampa e volumi dall’aria antica e preziosa, pagine ingiallite dal tempo e dall’usura e fogli intonsi, copertine dai colori squillanti e dall’aspetto serio e severo: centinaia, migliaia, milioni di pagine la circondavano, ciascuna con la sua storia da raccontare, i suoi segreti da svelare, e l’incanto più bello – l’incanto delle parole, quell’arcano e inspiegabile potere che ogni amante della lettura sente scorrere sotto pelle – rapirla.
- È… È… È bellissima, - furono le uniche parole che la giovane riuscì a pronunciare, persa com’era nell’ammirare la meraviglia che la circondava e che mai, mai avrebbe immaginato di poter ammirare nella realtà – Ci sono più libri di quanti riuscirei a leggere in un’intera vita!
- Spero che tu pulisca più velocemente di quanto leggi, - meditò Gold ad alta voce, voltandosi per uscire dalla stanza.
Belle scorse le pagine di un libro poggiato sul tavolo, un trattato di geografia che il Fato le aveva fatto aprire alla pagina dedicata all’Australia; quasi non riusciva a decifrare le righe, tanto grande era l’emozione di essere in una biblioteca, tra tutti quei tomi ricchi di sapere, fantasia, conoscenze, avventure.
Ma perché? non poté trattenersi dal chiedersi. Perché Gold l’aveva condotta lì e le stava affidando quella stanza, pur conoscendo – e, se quel che le aveva detto solo quella mattina, disprezzando – la sua passione per la lettura?
Un’intuizione si fece strada tra i pensieri della donna.
- State facendo tutto questo per me?
- È meglio che io non veda un singolo granello di polvere in questa biblioteca.
Belle sorrise, il cuore che le batteva all’impazzata dall’emozione e dallo stupore provocato non solo dal dono.
- Perché ridi? Sono serio!
- Non siete quello che credevo che foste… E ne sono felice.
Gold finse di non aver udito quelle parole. Provò a ignorare lo strano calore che si stava propagando nel suo petto, come risvegliato dalla più strana e incredibile delle sue dipendenti.
Era appena uscito dalla stanza quando la sentì nuovamente parlare.
- Grazie.
 
- Non c’è di che, Belle, - mosse appena le labbra, temendo irrazionalmente che lei lo potesse udire - Non c’è di che.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
N. d. A. : Carissimi! :)
Allora, cosa ve ne pare del capitolo? Vi è piaciuto o meno? Come sempre, sono curiosa di conoscere il vostro parere: accetto volentieri commenti - anche critici! – e consigli.
Ho dei grossi “mah” sparsi qua e là, soprattutto nella prima metà della storia - ci sono scene scritte e riscritte forse dieci volte e ancora “mah” - perciò giudicate voi!
Sono rimasta fedelissima a quanto visto nell’episodio 2x19, da cui ho tratto i dialoghi - con qualche adattamento -; ma ho deciso che d’ora in poi darò una mia personale rilettura dei momenti salienti dei RumBelle… Perciò, stay tuned! ;)
Per il nome del nostro Robin Hood ho unito i nomi e i cognomi degli attori che l’hanno interpretato in OUAT – Tom Ellis e Sean Maguire; all’epoca Brick Lane era una zona molto degradata nell’East End della città - http://it.wikipedia.org/wiki/Brick_Lane.
Poiché mi è stato chiesto da più persone, lo dico qui e dissipo tutti i dubbi: nella fanfiction, per ora Gold non è zoppo. ;)
Qualcuna l’aveva più o meno intuito: che legame c’è tra Gold e Regina? Io non lo dirò mai, ma lascerò degli indizi sparsi… Traetene voi le conclusioni che volete, vi lascio liberi di pensarla come preferite. :D
Come avete notato se siete arrivati fin qui – cosa per cui meritereste obiettivamente una statua – si tratta di un capitolo lunghissimo, quasi 10 pagine di Word; a tal proposito chiedo se a voi va bene così o se, per eventuali lavori futuri altrettanto corposi, preferite una divisione. Fatemi sapere cosa ne pensate! ;)
Incredibile ma vero, la nostra attesa è terminata: domani – o meglio, dopodomani per noi – avremo la 3x12! *-* Sono su di giri al solo pensiero,si prospetta una seconda metà di stagione coi fiocchi!
Grazie a B. , che mi ha stoicamente sopportata durante la stesura di questo capitolo senza mandarmi a quel paese nemmeno una volta. <3
Grazie di cuore a marty23, Rosaspina7, kagura, a crazycotton, Stria93, fantasy93, nari92, PoisonRain, Jessica21, Mania, LadyViolet91, S05lj, seasonsoflove, mooarless e padme83 per aver recensito entusiasticamente “La vedova bianca; a fantasy93 e gionem per il mega recupero; ad alix katlice, always_rick_jane, annachiara27, Beabizz, Beauty, Boris88, Caribe, DramWriten, fantasy93, Giu_99, Heartofgold, Hey J, Jessica21, LadyViolet91, licet, marty23, Moonlight818, Nimel17, S05lj, Silverbreath, Stria93, valeego, a crazycotton, winner_, Anya85, Araba Stark, ctdg, Elinor92, Emily Gold, Ersilia, fatinaviola, gionem, jei90, Josephine_, Jun M, kagura, KikiWhiteFly, kittyonce, La bambina fantasma, Mania, matt1, mooarless, nari92, NevilleLuna, padme83, PoisonRain, Rosaspina7, rumbelle2998, seasonsoflove, Silver Loreley e _69withzayn per aver aggiunto la long alle storie preferite/ricordate/seguite; e ovviamente grazie ai lettori silenziosi- esprimetevi, non mordo! ;)
A questo punto non posso far altro che augurare a tutte le fanciulle una serena Festa della Donna – ricordando il significato originario di questo giorno! – e salutarvi: salvo imprevisti, aggiornerò sabato 22 marzo! :)
Bacioni, Dearies! <3 :*
Euridice100

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Capitolo 7
*** VI - Everybody's changing ***


 
 
 
VI – Everybody’s changing
 
 
 
 
“You're aching, you're breaking 
And I can see the pain in your eyes, 
Says everybody's changing 
And I don't know why .”

“Everybody’s changing” - Keane
 
 
 
- Belle!
La giovane sobbalzò, sentendosi chiamare. Impiegò qualche istante per capire dove si trovasse: la stanza che divideva con Ariel le appariva ancora estranea, e la rossa era accanto a lei e la guardava sollevata.
- Non ti ho vista per giorni, ero certa che Gold ti avesse cacciata… Sono così contenta di rivederti!
Belle puntellò i gomiti, si sollevò dal letto e ricambiò con calore l’abbraccio della ragazza.
- È stato un periodo un po'concitato, ma ora si è tutto risolto… O almeno credo. Hai saputo, vero?
- Certo! La tua lite con Cora ormai è diventata leggenda: sai tenere testa non solo a Gold, ma anche a quella strega!
- Avresti dovuto vedere come ha trattato sua figlia, – ricordò Belle mesta – La poveretta ha solo urtato un’alzatina e lei le si è scagliata contro! Non è normale!
- Ordinaria amministrazione, purtroppo, - convenne Ariel – Cora non transige: quando è in compagnia di Gold pretende che tutto sia perfetto. Paradossalmente, è lui a trattare meglio la bambina…
A Belle quella non sembrò un’osservazione tanto strana: se fino a ventiquattr’ore prima non avrebbe esitato a considerare l’uomo privo di cuore, ora le sembrava possibile immaginare un Robert Gold più… Gentile, ecco. Meno mostro e più persona, con tanti – tantissimi – difetti, ma anche qualche pregio.
Cercò le parole per esprimere questo pensiero, ma i colpi di tosse dell’amica la distrassero.
- Come stai?
- Bene. Ho solo un po’di mal di gola, ma dopo l’altra sera c’era da aspettarselo.
- Sicura? Non sarebbe il caso di chiamare un medico?
- E poi come lo pagherei? – Ariel rise appena – Lascia stare, non sarà un po’di pioggia inglese a fermare una cresciuta a piedi nudi tra le nevi di Copenaghen!
- Come ti sei trovata qui a Londra? – le chiese Belle, sinceramente interessata a conoscere meglio la compagna di stanza.
Un’ombra di tristezza offuscò il viso franco della giovane danese.
- Scusa se sono stata indiscreta…
- No, non preoccuparti, - il sorriso di Ariel fu il più triste che Belle avesse mai visto, una smorfia che si fermava sulle labbra, senza riuscire a illuminare gli occhi e scaldare l’animo – La mia famiglia era poverissima, dopo essere stata licenziata non sono più riuscita a trovare lavoro lì e ho deciso di cercare fortuna in Inghilterra. Ecco quanto. Una storia molto triste e molto banale, insomma…
Non è brava a mentire, commentò Belle tra sé e sé. Era chiaro che la donna non fosse del tutto sincera: quelle frasi biascicate a bassa voce, senza guardarla in faccia e cercando di dissimulare l’imbarazzo lasciavano intuire una verità che, evidentemente, non era ancora pronta a rivelare. Insistere sarebbe stato inutile e, soprattutto, scorretto.
- Piuttosto, dimmi: dove hai lavorato oggi? Non ti ho vista da nessuna parte.
Belle iniziò a raccontarle l’avventura vissuta, ma ben presto ebbe la certezza di star diventando di brace. Perché sto arrossendo?, si chiese. Non c’era nulla – o meglio, quasi nulla - di cui vergognarsi: in fin dei conti, aveva solo aiutato il suo datore di lavoro in una ricerca… Eppure, parlare di quelle ore le sembrava quasi aprire il suo cuore per rivelare un segreto che avrebbe voluto serbare ancora.
Sapeva di avere ormai le guance color porpora mentre balbettava di quell’abbraccio a un’Ariel a di poco sbigottita: era stato un istante, forse – sicuramente – una follia, ma in quel momento le era sembrata la cosa giusta da fare, a prescindere da qualsiasi convenzione sociale.
- Dopo tutto questo mi stupisco che Gold non ti abbia dato il benservito…Anzi, il fatto che ti abbia quasi premiata permettendoti di usare la biblioteca mi lascia… Come si dice? Di stacco?
- Di stucco, di stucco. La penso come te… Ma sai, - disse Belle, rompendo il silenzio che si era creato – So che ti sembrerà assurdo, tu sei qui da più tempo e certamente lo conosci meglio, e con la punizione che ti ha inflitto si è dimostrato a dir poco odioso… Ma oggi mi ha dato l’impressione di essere un uomo profondamente solo. Avrei potuto capire se mi avesse respinta per il mio comportamento, mi sarei aspettata almeno un rimprovero, e invece no: lui non ha protestato, non ha aperto bocca, mi ha solo guardata turbato e poi mi ha permesso di usare la sua biblioteca! O era sconvolto o… Non so. Credimi, non me lo so spiegare.
- O magari si è innamorato di te a prima vista, che ne sai?
Le due ragazze risero.
- E come ci si può innamorare di una persona senza prima conoscerla? Non credo ai colpi di fulmine!
Quel fantasma di tristezza comparve di nuovo sul volto di Ariel, e Belle si morse la lingua, certa di aver appena detto la cosa più sbagliata che avesse potuto anche solo immaginare.
C’entra l’amore, allora, pensò mentre l’amica distoglieva lo sguardo, soffocava un altro colpo di tosse e poi chiedeva in tono falsamente allegro: - Ma hai visto come ti guarda Killian? Secondo me gli piaci!


 
 
 
 
Siede al telaio giorno e notte
tessendo tele iridescenti,
le han raccontato la leggenda
di un maleficio che la coglie
se guarda verso Camelot.”  1
Mentre giocava per i lunghi corridoi della grande dimora di Gold, Regina ripeteva tra sé e sé i versi che una volta l’istitutrice le aveva insegnato. Lei e sua madre avevano trascorso lì la notte, e quella mattina la bambina si era svegliata presto: anziché attendere l’arrivo di una cameriera che l’aiutasse a prepararsi, aveva deciso di fare da sé. Era certa che lady Cora non avrebbe approvato; ma com’era stato bello vedere il sorriso di Ashley quando era entrata in camera e vi aveva trovato una contessina abbigliata di tutto punto e pronta a scendere in sala da pranzo! Certo, bisognava legare i lacci del bustino e spazzolare ancora un po’ i capelli; ma la giovane le aveva assicurato che era stata bravissima e Regina era arrossita sentendo quella parola che tanto raramente accompagnava il suo nome.
Aveva fatto colazione da sola - come sempre quando lei e maman restavano dallo zio - e dopo, anziché aspettare pazientemente in camera come avrebbe dovuto fare, aveva iniziato a vagare per casa. Se avesse prestato un po’di attenzione non l’avrebbero scoperta: sì, Archibald l’aveva vista, ma le aveva sorriso raccomandandole di non fare rumore, e quando aveva incontrato Emma, la cameriera aveva chiuso un occhio e ammiccato con l’altro, uno strano gesto che Regina non aveva mai visto prima, ma che le aveva immediatamente comunicato complicità.
In questa casa la servitù è proprio strana, aveva riflettuto dinanzi a quelle azioni: sebbene mantenessero sempre un comportamento impeccabile, i domestici dello zio non la trattavano con freddezza; era come se… Se le volessero bene, realizzò all’improvviso.
A Kensington si sentiva a suo agio, non come a Belgravia dove, in un modo o l’altro, Cora veniva sempre a conoscenza delle sue disubbidienze e trascorreva l’ora che ogni giorno le concedeva riprendendola per ogni cosa. Qui le era concessa un po’più di libertà, certa che chiunque avrebbe mantenuto il segreto, fosse stato anche Mr. Gold in persona.
Anche lo zio mi vuole bene, pensò la bambina ricordando tutti i regali che le faceva e, soprattutto, che lui e - quando era vivo - suo padre erano gli unici a difenderla sempre dai rimbrotti materni.
Regina salì la piccola rampa di scale che portava in biblioteca; anche a casa ne aveva una, ma preferiva quella dello zio, perché era più piccola e, a suo modo, accogliente, anche se lui non la usava mai. Sono molto impegnato, le aveva confidato una volta, non trovo mai il tempo per leggere; e quei libri restavano a prender polvere, perché nessuno entrava mai in quella sala…
La ragazzina si bloccò quando scorse una figura femminile seduta sul pavimento e con un libro in mano.
Maman, pensò terrorizzata, mi ha scoperta e ora mi sgriderà. Si voltò per scappare, ma nella foga inciampò nelle frange del tappeto e cadde.
La donna si voltò di scatto e si alzò per raggiungerla.
- Piccola! Ti sei fatta male?
Questa non è la voce di maman, si stupì Regina, che nel frattempo aveva serrato gli occhi per illudersi di non sentire lo schiaffo che, ne era certa, sarebbe subito sopraggiunto. Socchiuse le palpebre: una ragazza dai grandi occhi celesti la guardava preoccupata.
La ragazza del tè, sovvenne, lei mi ha difesa quando ho fatto cadere i dolci.
La giovane l’aiutò a rialzarsi e a sistemarsi il vestitino.
- Tutto bene? - le chiese dolcemente.
La bambina, imbarazzata, annuì appena.
- Ti sei spaventata?
Non ci fu alcuna risposta.
- Perché non parli? Ti vergogni di essere caduta? Guarda che non c’è nulla di cui preoccuparsi, anche a me succede spesso! - Regina si concesse un sorrisino immaginandola finire a gambe all’aria. – Pensa che ieri sono inciampata e ho buttato per terra un vassoio di biscotti appena sfornati. Hanno dovuto rifarli, in cucina avrebbero voluto picchiarmi! – la giovane rise – Erano i miei preferiti, quelli al cioccolato. Piacciono anche a te?
- Sì, Miss, - la bambina confessò a bassa voce.
- E allora guarda cos’ho qui, - cacciò dalla tasca del grembiule bianco un fazzoletto più volte ripiegato su se stesso e lo aprì per rivelarne il contenuto – Due bei biscotti al cioccolato tutti per te! Ma a una condizione…
C’è sempre una condizione, pensò amara la piccola, facendosi però più attenta.
- … Sono tuoi a patto che non mi chiami più “Miss”! Sono semplicemente Belle, per te e per tutti. E tu, invece, come ti chiami?
- Regina! – esclamò la bambina. Davvero quei dolcetti erano per lei? A casa maman non la faceva neanche avvicinare a simili delizie… Allungò il braccio ancora titubante, temendo che si trattasse di una prova, ma non giunse alcun rimprovero; anzi, Belle continuò a sorriderle.
- Cosa sei venuta a fare qui? Vuoi leggere un libro?
- No, Mi… Belle.
- Ma a te piace leggere?
Regina dovette fermarsi a riflettere: con la sua istitutrice studiava geografia, storia e religione da un grosso tomo dall’aria minacciosa, ma in tutta sincerità non si era mai avvicinata ai libri di sua spontanea volontà… Però le piaceva scoprire cose nuove, le apprendeva senza grandi difficoltà, e le piacevano tantissimo le poesie; e tutto ciò si trovava pur sempre nei libri, giusto? Se le piacevo quello, allora dovevano piacerle anche i libri…
- Credo di sì, - rispose nutrendo ancora qualche dubbio sul suo ragionamento.
- Splendido, anch’io amo leggere! Non immagini quanto sia contenta quando devo pulire questa stanza… Faccio tutto di fretta pur di potermi sedere con un libro in mano, come hai visto prima!
- Davvero? – Regina era sinceramente stupita. Quei libri appartenevano a Mr. Gold: possibile che lui non se ne accorgesse o non dicesse nulla? Se a casa qualcuno avesse osato far lo stesso, maman lo avrebbe mandato via subito – E Mr. Gold non ti rimprovera?
- No. Ti svelo un segreto, - Belle lanciò un’occhiata attorno a sé e le si avvicinò con fare circospetto – Vedi, è stato proprio Mr. Gold a darmi il permesso per prendere questi libri.
La bocca di Regina si spalancò in una piccola “o” di meraviglia; ma in fondo, perché se ne stava stupendo? La cameriera non le stava dicendo nulla che già non sapesse.
- Lui fa sempre regali anche a me e mi tratta bene. È buono, sai?
La sua nuova amica la guardò in modo strano e lei fu presa dallo sconforto: cos’aveva combinato? Che avesse fatto arrabbiare quella ragazza così simpatica e gentile?
Dopo qualche istante, cercò di rompere il silenzio con un bisbiglio soffocato: - Ho detto qualcosa di sbagliato?
- Non hai detto niente che non va, mia cara, hai fatto qualcosa che non va.
Maman.
Maman è qui.
La Contessa superò la soglia delle biblioteca e si avvicinò con lentezza alla bambina. Le pose le mani sulle spalle, quasi a ricordarle a chi appartenesse.
- Te lo ripeto ogni volta, ma evidentemente non sei abbastanza intelligente da comprendere le mie parole… Forse la compagnia della servitù è l’unica che ti si addice.
- O forse la bambina stava solo facendo quel che è più consono alla sua età: stava giocando.
Regina si stupì nel sentire Belle rispondere così duramente a Cora, che ricambiò il suo sguardo con sdegno.
- Ah, sei di nuovo tu. Ho suggerito a Robert di licenziarti, ma vedo che non ha ancora seguito il mio consiglio.
- Non credo che Mr. Gold abbia bisogno dei vostri consigli, Milady. Sono certa che sia perfettamente in grado di gestire da solo la sua dimora e la servitù.
La donna sollevò appena l’angolo destro della bocca, in un sorriso che di cordiale aveva ben poco.
- Che domestica fedele, - chiocciò prima di rivolgersi alla figlia – Un’autentica perla rara, la nostra Belle, sono certa che te ne sarai resa conto anche tu, Regina cara. Robert è davvero fortunato ad averla assunta… Talmente fortunato che se un giorno volesse comprare dei cani, dovremmo ricordargli che di bestie fedeli ha già la sua Belle. Cosa ne dici, mia cara, saresti in grado di andare a cuccia e non abbaiare, se a intimartelo fosse lui?
Belle sussultò dinanzi alla domanda. Quell’offesa inaspettata, con tutte le sue implicazioni, la colpì più di uno schiaffo; ma non rimase inerte.
- Come os
Il suo sibilo furibondo fu immediatamente sovrastato da una voce maschile.
- Finalmente vi ho trovata, Milady! – esordì Gold, entrando nella sala a grandi passi - Avrei voluto mostrarvi un nuovo arazzo, ma siete sparita. Non immaginavo vi piacesse la mia biblioteca, sapete?
- Sono venuta a riprendere Regina. La conoscete, ha la tendenza a perdersi in fantasticherie e andare in posti che non le competono, come questo, ad esempio.
- Non sono d’accordo, - fece appena cenno alla ragazzina, che assisteva alla scena trattenendo il respiro, prima di proseguire - Io trovo che vostra figlia abbia una notevole intelligenza che non dovreste lasciar sfiorire. Pertanto, non può che giovarle la compagnia di Isabelle, che sin dal primo istante si è distinta sotto questo punto di vista… Non è un caso che le abbia affidato i miei libri. E poi, sapete, Milady, - aggiunse con studiata noncuranza dopo una pausa certo non casuale – I miei domestici non sono dei cani.
Cora non arrossì dinanzi alla prova di essere stata colta in flagrante. Pur sapendo di aver perso la battaglia, si limitò a socchiudere le palpebre in un gesto altero e a curvare le labbra in un minuscolo ghigno.
 - Andiamo, Regina. Abbiamo una giornata ricca di impegni.
La bambina si lasciò docilmente condurre dalla madre, voltando appena il capo come per salutare silenziosamente Belle che, accanto all’industriale, sembrava ancora in procinto di prendere a male parole la Contessa.
Quando le due figure scomparvero lungo le scale, la giovane si rivolse al suo datore di lavoro.
- Mr. Gold, io…, - esordì a bassa voce la ragazza, intrecciando nervosamente le dita.
- No, no, no, - la interruppe l’uomo, senza guardarla in volto – Per oggi hai parlato a sufficienza.
- Ma io vorrei ringraziarla…
Le sue parole rimasero inascoltate.
Gold era già uscito dalla sala, lasciandola sola con le sue domande.
 
 
 


- Odio fare il bucato! – sbuffò Belle trascinando una pesante cesta in vimini in soffitta.
Non c’erano dubbi, il giovedì era il giorno in cui si lavorava di più: l’intera servitù era coinvolta in quell’incombenza che durava ore e ore e costava una fatica immane. Come se non fosse già stato sufficiente fare viavai dalla cucina coi paioli colmi d’acqua bollente, trascorrere tanto tempo con le braccia immerse fino ai gomiti nell’acqua saponata e battere i panni uno ad uno, si era anche rotto l’asciugatoio e avevano dovuto strizzare ogni cosa a mano.
Belle era, in una parola, distrutta.
- A chi lo dici! - replicò Emma accingendosi a disporre la biancheria sulle corde – Anche se non è nulla rispetto a dover stirare. Quello sì che è brutto!
- Purtroppo ne so qualcosa. Guarda che bel ricordo mi ha lasciato il ferro da stiro la scorsa settimana, - Belle arrotolò la manica destra dell’uniforme per mostrare un lungo segno rosso-brunastro che serpeggiava lungo l’avambraccio altrimenti candido. La sua compagna sbatté le palpebre rabbrividendo – Ringrazio una camicia del padrone per questo. Ma ormai sta guarendo, e poi, penso che ormai dovrei abituarmi a questi piccoli incidenti…
- Certo che sei strana, eh?
La domanda inaspettata lasciò Belle perplessa.
- In che senso, scusa?
- Nel senso che non sei come mi aspettavo. Voglio dire… - lo sguardo della bionda vagò per la stanza, come in cerca di un aiuto per esprimere il suo pensiero – Quando sei arrivata, pensavo che fossi una con la puzza sotto il naso, che non volessi stare con noi più del necessario perché non sei nata serva. E invece non sei così. Non sei una Miss svenevole e idiota, anzi: una del genere si sarebbe sognata di tirare su la manica per mostrarmi una cosa così poco elegante come una bruciatura… Non sono brava come te con le parole, ma hai capito, vero?
- Sì… Ma non sono mai stata un modello di fanciulla borghese. Certe regole mi sono sempre andate strette e, francamente, le trovavo stupide. In tutta sincerità, ora sono molto più libera… Ti sembrerà assurdo, ma è così! E comunque, - aggiunse la ragazza ridacchiando – neanche tu sei quella che credevo.
- Cioè?
- Ti ho vista prima: ti mostri tanto dura e poi tremi davanti a una scottatura!
- Beh, sì, - borbottò Emma arrossendo – Mi dà fastidio vedere il dolore degli altri. Non lo dirai a nessuno, vero?
- Manterrò il segreto, anche se non c’è nulla di male nell’avere una debolezza…
- Ma io preferisco non avere debolezza. Se lei hai, gli altri possono ferirti, e io voglio essere forte. Voglio essere come Gold: di ghiaccio.
Belle si morse le labbra fingendosi impegnata a distendere le pieghe di un lenzuolo.
“Voglio essere come Gold: di ghiaccio.”
Ma Gold è veramente di ghiaccio?
Non sapeva darsi una risposta. Non aveva elementi sufficienti per riuscirci; stringeva tra le dita solo pochi frammenti, tessere effimere e troppo diverse fra loro tanto da rendere difficile il semplice pensare che potessero appartenere allo stesso puzzle. Dopo quelle poche frasi scambiate in biblioteca non aveva più incontrato l’uomo, partito per un viaggio di lavoro; ma da allora le aveva dato l’impressione che volesse evitarla.
Una persona saggia ne avrebbe gioito; ma lei non era una persona saggia.
Immaginò un’altra ragazza al suo posto: mantenere la debita distanza dal padrone sarebbe stato per lei motivo di tranquillità. Sarebbe stato indice che tutto andava per il verso giusto, che si stava svolgendo correttamente il proprio lavoro, senza seminare inutili zizzanie o dimostrarsi pigre e sfaticate. Era quello il compito di una domestica: far sì che tutto andasse per il verso giusto e restare dietro le quinte, silenziosa figura la cui presenza non doveva essere notata.
Una domestica non se ne andava in giro per Londra col suo datore di lavoro, non gli faceva certo la paternale, di sicuro non lo abbracciava, e senza dubbio non perdeva tempo rimuginando sulla sua reale personalità!
Ma se non lo facessi sarei un’altra ragazza, appunto. Un’altra domestica.
Quel cambiamento repentino a Brick Lane, il dono inaspettato, il modo in cui l’aveva difesa da Cora - quando ripensava alle offese della donna, Belle non poteva fare a meno di fremere dalla rabbia - … A compiere quei gesti era stato lo stesso Robert Gold che l’aveva costretta a dire addio alla sua vecchia vita e non aveva mostrato pietà nel punire i suoi dipendenti?
A Belle sembrava quasi che l’uomo nascondesse in sé due personalità: una crudele, implacabile, sempre pronta a irretire e umiliare il prossimo, e un’altra calda, luminosa.
In una parola, diversa da ogni apparenza.
Dr. Jekyll e Mr. Hyde, si disse ricordando il titolo di un romanzo letto un paio d’anni prima. Gold è un po’Jekyll e un po’Hyde.
E lei aveva visto la parte migliore di Gold, e ora non poteva più dimenticarla.
Non voleva più dimenticarla.
Gold è di ghiaccio, si ripeté, o sa essere di ghiaccio?
 
 
 
Le ragazze stavano scendendo in cucina quando videro arrivare Mary Margaret.
- Mamma! Cos’hai comprato di buono oggi? - la salutò allegra Emma, prima di notare la smorfia di preoccupazione dipinta sul suo volto – È successo qualcosa?
La governante scosse la testa per poi rivolgersi a Belle.
- Vorrei dirti una cosa in privato.
La giovane annuì stupita: cosa poteva essere successo di tanto grave da coinvolgerla personalmente e far sì che Mary Margaret escludesse persino la figlia?
Un sospetto iniziò a farsi strada nella sua mente.
La donna stava rientrando a casa: che avesse appreso qualche notizia su… Su suo padre?
Ma cosa? E soprattutto, come?
Belle non vedeva Maurice da quando se n’era andata di casa: per timore di una fuga, Gold non le aveva permesso di uscire neanche nel suo pomeriggio libero, e lei era molto, molto preoccupata.
- Si tratta di mio padre, vero?
La governante annuì.
- C’è un uomo che si aggira in questa zona. L’ho visto quando sono uscita e l’ho notato perché non è in condizioni… Insomma, si vede che non vive certo in un quartiere di lusso. Ora mi ha avvicinata e, sinceramente, mi sono spaventata. Ho affrettato il passo, ma lui mi ha raggiunta e mi ha urlato: “Conosci ma princesse? Conosci Belle French?”. Sentendoti nominare, mi sono voltata involontariamente e mi ha detto di riferirti che ti aspetta fuori per parlarti, e io…
- Dammi le chiavi.
Mary Margaret fissò a bocca aperta la cameriera, stupita dalla brusca interruzione del suo racconto.
- Cosa?
- Per favore, dammi le chiavi.
- Aspetta, Belle, che vuoi fare? Non ho neanche descritto quell’uomo, non sai se è davvero tuo padre, potrebbe essere chiunque...
- Lui mi chiamava sempre “ma princesse”.
- Migliaia di uomini chiamano le figlie “principesse”, anche David lo faceva, non è una base su cui…
- Sì che lo è! – gridò Belle, ormai rossa in volto – È mio padre, lo so, me lo sento! Non lo vedo da quasi un mese e ci deve essere un motivo se è venuto fin qui, se non provassi nemmeno a incontrarlo e poi gli succedesse qualcosa non me lo perdonerei mai! Mary, dammi le chiavi, devo andare da lui!
Ma come faceva a non capire? Belle era certa di quel che affermava: l’uomo di cui Mary Margaret stava parlando era Maurice. Lo aveva intuito sin da primo istante, lo sentiva nel profondo del cuore; e quelle flebili rimostranze non le erano di alcun aiuto, né di certo l’avrebbero portata a cambiare idea. Stavano solo ritardando quel che comunque avrebbe fatto, con o senza l’aiuto della governante.
Belle sarebbe andata da lui.
- E se dovesse vederti il padrone? Sarà qui a momenti, lo sai! – la donna squittì appena, porgendole il mazzo argentato.
- Se dovesse vedermi Gold… Inventerò qualcosa. Dirò di averti rubato le chiavi e su di te non ricadrà alcuna colpa.
- Non mi preoccupo per me, ma per te. Quell’uomo aveva tutta l’aria di aver bevuto, e coi tempi che corrono come puoi avere questa sicurezza? Hai sentito di quelle sventurate massacrate a Whitechapel, vero?
- Dubito che Jack lo Squartatore ammazzi le sue vittime a mezzogiorno e, soprattutto, dubito stia cercando proprio me!


Quando urlò queste parole, era già lontana.
 
 
 
 
 
 
 
 
 1 “La dama di Shalott” - Alfred Tennyson
(Non è il massimo dell’allegria per una bambina, convengo!)
 
 
 
N. d. A. : Miei splendidi splendenti lettori, come state? :D
Questo è un capitolo di passaggio, che ha l’effetto di un barbiturico; tuttavia, dovevo approfondire alcune figure finora solo accennate, come Ariel, Regina ed Emma, perché potrebbero ricoprire un ruolo importante in futuro. So che, sempre se siete arrivati fin qui, ora state affilando le armi per la - quasi - completa assenza di Gold in questo capitolo; ma vi prometto che nel prossimo ci sarà, eccome se ci sarà! ;) Non siate timidi e fatemi conoscere il vostro parere, anche critico, su!
Belgravia e Kensington erano - e sono - due tra i quartieri più in di Londra e ho deciso di collocare lì le residenze londinesi di, rispettivamente, Cora e Gold; per le informazioni sul modo in cui si faceva il bucato nell’epoca vittoriana vi lascio questo interessante link: http://georgianagarden.blogspot.it/2009/12/il-giorno-del-bucato.html.
SPOILER 3x13: PUNTATONA. Il mio commento è questo. Ormai shippo sempre di più gli OutlawQueen, che sono perfetti assieme, e Regina continua a guadagnare punti: vogliamo parlare della scena in cui salva Roland? Della sua terribile scelta di maledirsi per non soffrire? Della sua collaborazione con Emma? E il momento in cui rivede Henry da Granny’s? Lì mi sono commossa!
Zelena mi piace, è una villain che promette benissimo – anche se, al di là delle sue affermazioni, non sono convinta che sia davvero parente di Regina. Altrimenti perché farsi portare il sangue? Perché sono “solo” sorellastre? Mah, i conti non tornano!
E il finale. “You feed the madness and it feeds on you.” Mio Dio, avrò rivisto quelle scene almeno dieci volte e non me ne sono ancora stancata. Rumpel è totalmente uscito di senno, secondo me è anche peggiorato rispetto a quando era l’Oscuro… Inquietantissimo, quindi perfetto! *.*
Grazie di cuore a fantasy93, Stria93, a crazycotton, marty23, LadyViolet91, Mania, PoisonRain, Haola, Rosaspina7, seasonsoflove, padme83, gionem, mooarless e S05lj per aver recensito il precedente capitolo; ad alix katlice, always_rick_jane, annachiara27, Beabizz, Beauty, Boris88, Caribe, DreamWriten, fantasy93, Giu_99, Heartofgold, Hey J, Jessica21, LadyViolet91, licet, marty23, Moonlight818, Nimel17, S05lj, Samirina, Silverbreath, Stria93, valeego, a crazycotton, winner_, Anya85, Araba Stark, Arain, ctdg, Elinor92, Emily Gold, Ersilia, fatinaviola, gionem, Haola, jei90, Josephine_, Jun M, kagura, KikiWhiteFly, kittyonce, La bambina fantasma, Mania, matt1, mooarless, Morgana le fay, nari92, NevilleLuna, padme83, PoisonRain, Rosaspina7, rumbelle2998, seasonsoflove, Silver Loreley, TheQ, _69withzayn e _alexi 4295_ per aver aggiunto la long alle storie preferite/ricordate/seguite; e ovviamente grazie ai lettori silenziosi – il vostro parere è sempre benvenuto! <3
Salvo imprevisti, aggiornerò la long sabato 5 aprile!
A presto; e grazie ancora, my Sweethearts! :) :*
Euridice100
 

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Capitolo 8
*** VII - Best of you ***


 
 
 
VII – Best of you
 
 
 
Were you born to resist
or be abused? 
I swear I'll never give in,
I refuse. 
Is someone getting the best,

the best,
the best,
the best of you?”
“Best of you” - Foo Fighters
 
 
 
Belle correva lungo la strada, incurante degli sguardi scandalizzati dei passanti. Trafelata, volgeva lo sguardo attorno a sé, sperando di incontrare quello paterno. Dove sei?, si domandava senza sosta, dove sei?
Doveva calmarsi, o la sua ricerca sarebbe stata vana. Si appoggiò a un muro e inspirò profondamente, cercando di dissipare i pensieri che, come una nebbia, le avvolgevano la mente impedendole di ragionare. Mary Margaret le aveva detto che l’uomo non era in buone condizioni: una persona così conciata sarebbe stata immediatamente notata e allontanata dal signorile quartiere di Kensington, non avrebbe potuto percorrerne le vie senza destare sospetti.
Doveva essersi nascosto da qualche parte.
Sì, ma dove?
Che strada percorreva la governante per tornare a casa dal mercato? Belle non poteva saperlo, non l’aveva mai accompagnata… Maledizione, ma perché non aveva chiesto maggiori informazioni?
Iniziò a dondolare nervosamente la gamba destra e si passò una mano sul volto, cercando di far mente locale e non farsi prendere dallo sconforto. Il panico non l’avrebbe certo aiutata, anzi: avrebbe solo peggiorato la già precaria situazione. Belle doveva fare qualcosa prima che fosse troppo tardi.
Che fine hai fatto, papà?
L’illuminazione arrivò repentina.
Il cantiere.
I dirimpettai di Gold stavano ristrutturando la propria abitazione: al posto di un’elegante villa sorgeva un cantiere caotico e polveroso. Forse Maurice era riuscito a confondersi tra gli operai e a passare più o meno inosservato? Belle doveva fare almeno un tentativo, non aveva dubbi in proposito.
Col cuore che batteva forte e la morsa d’ansia allo stomaco che si faceva sempre più intensa, la giovane quasi si gettò in mezzo alla strada, noncurante di una carrozza che sopraggiungeva rischiando d’investirla; si fermò solo una volta giunta alla meta e cercò di scorgere il padre tra le figure dei lavoratori che la fissavano incuriositi e bisbigliavano tra loro.
- Scusate se vi interrompo, - esordì la ragazza, rivolgendosi al primo uomo che vide – Conoscete forse Maurice…
- Belle!
Appena udì quella voce familiare, sul volto della cameriera nacque spontaneo un sorriso. Si voltò e si gettò tra le braccia di colui che l’aveva raggiunta.
- Papà!
Stretta al petto del genitore, si rese conto che calde lacrime di preoccupazione, e ora, sollievo stavano sgorgando dai suoi occhi.
- Papà, papà, come stai? Va tutto bene?
- Non ora, ma princesse, non ora. Seguimi, andiamo a parlare in un posto più tranquillo.
 
 
 
Maurice condusse la figlia in una stradina laterale
- Sei diventata ancora più bella, - esordì – Mi sei mancata.
La ragazza sorrise, ignorando la stretta al cuore che i biascichii e l’andatura incerta del padre le provocavano. Quell’uomo aveva tutta l’aria di aver bevuto, le aveva detto Mary Margaret: sì, era vero, e Belle si era accorta sin dal primo istante della verità contenuta nelle parole della governante.
- Come stai, papà? – gli chiese con sollecitudine – C’è qualcosa che posso fare per te?
- Il tugurio a Canary Wharf è bruciato, - la interruppe secco Maurice.
A Belle si mozzò il fiato in gola.
- Cosa? – mormorò guardando il padre, che non rispose – Papà, cos’è successo? Come ha fatto la casa a bruciare? Dimmi che è uno scherzo…
- Ti pare possibile scherzare su una cosa del genere? – urlò l’uomo – Mi hanno incendiato casa perché non ho dato quanto dovevo al vecchio Frey.
- Chi è Frey?
- Uno con cui ho contratto debiti di gioco.
Belle era incredula. No, suo padre non poteva essere finito anche nella spirale del gioco d’azzardo, doveva esserci un errore. Lui non si sarebbe mai avvicinato a…
Esatto, Belle. Lui “non si sarebbe mai avvicinato”, non “non si avvicinerebbe”.
Il Maurice French del passato si sarebbe mantenuto a distanza da quel mondo; ma avrebbe potuto dire lo stesso dell’uomo che ora le stava di fronte e la fissava vacuo?
Nel momento stesso in cui si pose la domanda, Belle ebbe la risposta.
- Papà, cos’hai fatto, - pigolò flebile – E ora come facciamo?
- Oh, mia cara, non preoccuparti per me, in un modo o l’altro me la sto cavando – la consolò lui –  Piuttosto, voglio darti una notizia migliore: ho trovato la soluzione a tutti i nostri problemi.
Il sorriso che il padre rivolse alla giovane avrebbe dovuto tranquillizzarla; ma in quel contesto finì solo per ottenere l’effetto contrario.
- Prima che casa bruciasse, ho sfidato a poker un pezzo grosso, – proseguì ignorando il sobbalzo della figlia e affondando le mani nelle tasche alla ricerca di qualcosa – E ho avuto fortuna.
 
 
 
 
 
Robert Gold stava tornando dalla Scozia, dove era stato in visita presso alcuni stabilimenti.
Il viaggio si era rivelato fruttuoso: aveva concluso un ricco affare, i controlli negli stabilimenti a Nord aveva dato esiti positivi e l'ultimo procuratore assunto si era rivelato capace e pronto. Chiunque al suo posto avrebbe potuto dirsi soddisfatto.
Chiunque, ma non lui.
Troppi ricordi gli affollavano la mente quando rimetteva piede sul suolo natio, memorie che avrebbe voluto cancellare, strappare a mani nude dalla propria anima – e l’avrebbe fatto, se solo avesse potuto. Era del tutto inutile cercare di andare oltre, di distrarsi: certe scene resistevano e sapevano sempre come insinuarsi tra i suoi pensieri, risvegliate da particolari che sarebbero passati inosservati agli occhi degli altri, ma che su di lui avevano l’atroce potere di far scorrere indietro le lancette del Tempo fino a tornare a venti anni prima.
Anche quella volta aveva ordinato al cocchiere di portarlo , per implorare un perdono che niente e nessuno avrebbe mai potuto concedergli. Tra i mille peccati che macchiavano la sua coscienza, quello risaltava più di ogni altro, impossibile da dissimulare – ma poi, aveva mai avuto intenzione di fingere che nulla fosse accaduto? Di andare avanti ignorando il passato?
Non c’era bisogno di fermarsi a riflettere. La risposta era negativa, e lo sarebbe stata sempre.
Se fosse stato lì presente non avrebbe certo potuto impedire che si verificasse quanto accaduto; era destino, il più crudele che si potesse riservare a un innocente, ma al destino non si sfugge.
Ma se fosse stato lì avrebbe almeno avuto la misera consolazione di aver adempiuto al proprio dovere – all’unico dovere davvero importante, l’unico che lui e solo lui era chiamato a compiere.
Ma in quei momenti lui era a miglia e miglia di distanza.
Mentre il mondo finiva, lui stava partecipando a una delle prime feste della sua vita, stava danzando al braccio di chi non mostrava pietà; e, quando si era reso conto della reale portata degli eventi, il suo sole personale aveva ormai smesso di splendere nel cielo.
Sospirò.
Era giunto il momento di salutare quella parte di sé che pure non lo abbandonava mai; ora era a Londra, doveva dire addio a Robert e dare il bentornato a Gold.
Gold l’imprenditore senza scrupoli, Gold lo spietato, Gold la bestia.
Speriamo almeno che la casa sia in ordine.
Fino a un mese prima non avrebbe neanche formulato un simile pensiero: la casa doveva essere in ordine, e lo sarebbe stata. Non erano contemplate altre possibilità.
Ma ora non si sarebbe stupito se avesse trovato la Rivoluzione Francese in atto, con quella lì in giro…
Belle.
Ogni volta che l'apostrofava in qualche strano modo, si verificava un bizzarro fenomeno: era come se la sua mente si ribellasse e imponesse con furia il nome della servetta pasticciona. Forse quel primo scontro in carrozza aveva lasciato un segno più profondo di quanto immaginabile…
Era una ragazza strana, su questo non c’erano dubbi: nonostante la situazione, aveva da subito imposto la sua presenza con un coraggio ammirevole per una persona così giovane, mandando in frantumi tutti i propositi di farne una cameriera ammodo.
E proprio per questo non era ancora stata licenziata.
Ciò che avrebbe spinto Gold a cacciare chiunque altro lo aveva convinto a far restare lei. Belle non aveva lesinato atti d’insubordinazione, anzi; ma anche per questo l’astio che l’uomo nutriva nei suoi confronti stava lentamente mutando in una tacita ammirazione di cui era diventato consapevole vedendo lei riuscire per l’ennesima volta in ciò in cui lui falliva da dieci anni: proteggere Regina da Cora.
La Contessa poteva risparmiare le sue scenate: Belle sarebbe rimasta, e nulla gli avrebbe fatto cambiare idea. C’era la faccenda del prestito, vero, ma – Gold non poteva far finta di nulla – non si trattava solo di quello.
C’era dell’altro, qualcosa di tanto fragile e al contempo così forte da non lasciare dubbi sulla sua esistenza, cui l’uomo non sapeva – o forse non voleva – dare un nome.
L’ultima volta che l’aveva vista se n’era andato dalla biblioteca senza voltarsi, certo che se l’avesse fatto, se avesse incontrato ancora una volta lo sguardo di Belle, allora si sarebbe ritrovato spogliato di ogni corazza, di ogni ipocrisia e maschera, con tutte le sue debolezze e fragilità esposte a quegli occhi che avevano la dolcezza dei cieli di primavera e l’affilatezza di mille cristalli di ghiaccio.
E lui non poteva permettere che accadesse ciò.
Doveva fermarsi prima che fosse troppo tardi, prima che oltrepassasse il punto di non ritorno; e l’avrebbe fatto, a qualunque costo.
Una brusca e improvvisa  frenata della carrozza lo fece tornare in sé. Si sporse dal finestrino: una donna si era appena gettata in mezzo alla strada, incurante del rischio di essere investita, e ora si stava allontanando correndo come se ne andasse della sua stessa vita.
Gold strizzò gli occhi per metterla meglio a fuoco: l’incosciente indossava un’uniforme di una sfumatura di blu che conosceva bene… Il colore delle divise delle sue dipendenti.
La figuretta minuta che volava via e la crocchia di capelli ramati erano inconfondibili.
Non c’erano dubbi: la fuggitiva era Belle French.
 
 
 
 
 
- Due biglietti per la Francia. Ci pensi, ma princesse? Potremo tornare a casa, lasciarci alle spalle questa vita…
Belle fissava il padre senza riuscire a pronunciare una parola. Quei pezzi di carta sembravano poca cosa rispetto al loro valore: custodivano sogni, speranze, ciò che ancora non era ma sarebbe potuto essere. Poteva capire l’uomo, il tremito di quelle mani che stringevano spasmodiche il futuro; e, per un istante, ne condivise la dolce, effimera illusione.
Scosse il capo prima di parlare.
- Papà… Ne siamo davvero sicuri?
- Certo che ne siamo sicuri, Belle, che domande fai? – balbettò Maurice, la voce impastata ed esitante, quasi stupita – Cosa ci resta da perdere?
- Nulla, ma… - la ragazza sospirò e chiuse gli occhi, quasi a cercare il modo per esprimere i dubbi che tanto le premevano - Papà, la situazione è pessima, abbiamo debiti con chiunque e dovremo faticare non poco per estinguerli, vero, ma se ci impegneremo ce la faremo. Non è possibile cercare sempre la soluzione più semplice, fuggire e ricominciare daccapo, non è così che si fa.
Il volto dell’uomo si distorse in una smorfia di incredulità.
- Cosa stai dicendo? Io ti offro l’opportunità di andartene da casa di quella bestia che ti ha portata via da me, di tornare a vivere come meriti, come una regina, e tu te ne esci con questi discorsi?
- Abbiamo già provato a scappare, e non è andata bene, – provò di nuovo la giovane, conscia di aver sbagliato approccio – Cosa accadrebbe se ci provassimo di nuovo? Dove ci nasconderemmo fino alla partenza, se casa è bruciata? E Gold…
- Gold?
- Gold saprà subito che sono scomparsa e manderà i suoi a cercarmi, e questa volta non saranno così clementi…
- È Gold il problema? Gold? – le sputò in faccia quel nome come fosse un insulto mentre la strattonava – Cos’è, ti fai già scopare da lui? È così, eh?
Belle trasalì udendo le parole che il genitore le rivolgeva e percependone la forza bruta sulle braccia. Lo guardò incredula: possibile che suo padre, la persona che l’aveva cresciuta amandola teneramente e viziandola come se fosse l’unico tesoro al mondo, si fosse tramutato in un essere tanto feroce?
- Papà, che stai dicendo? - tentò invano di divincolarsi per sfuggire alla sua presa – Per favore, ragiona: abbiamo gli strozzini di tutta Londra alle calcagna! E cosa potremmo fare, una volta giunti in Francia? Non abbiamo alcun contatto lì, solo qualche leggenda familiare che di sicuro non ci darà da mangiare!
Lo schiaffo arrivò repentino e inatteso, senza concedere alla donna neanche il tempo per rendersi conto di quanto stesse accadendo. Da un momento all’altro sentì un dolore sordo e si portò una mano al volto. La guancia sinistra bruciava come fuoco, là dove era stata colpita.
Si ritrasse appena in tempo per non essere di nuovo percossa.
Fu in quel momento che uno sparo sfiorò la testa dei presenti.
 
 
 
 
 
Belle e Maurice si voltarono spaventati.
All’entrata del vicolo si stagliava la ferma figura di Gold.
- È sempre un piacere rivedervi, mio caro Maurice. Avevo scordato la gentilezza che mi riservate ogni volta.
- Voi… Voi…
Maurice lasciò andare la figlia, le cui braccia ricaddero inerti lungo il corpo.
- Sì, voi. Voi avete bevuto e voi state minacciando una giovane inerme, sangue del vostro sangue tra l’altro, colpevole solo di essere ligia al dovere E io ho una pistola carica che, come avrete notato, non ho paura di usare, - Gold si rivolse a Belle, che lo fissava come inebetita dallo shock – Vattene.
Lei non si mosse.
- Vattene, - le ripeté sibilando.
Finalmente Belle parve ridestarsi.
- Non è in sé, non fategli… - gemette.
- Non è affare che ti riguarda.
- È mio padre, certo che mi riguarda!
L’industriale digrignò i denti trattenendo a stento una bestemmia. Cos’aveva in testa quella ragazza, era idiota o cos’altro? Si rendeva conto del guaio in cui si era cacciata, o era troppo scossa per non accorgersi dei lampi d’ira che gli oscuravano le iridi rendendole di pece?
- Una cameriera ferita non mi serve.
La vide allontanarsi dal genitore, ma non uscì dal vicolo.
- Se osate anche solo pensare ancora di portar via ciò che è mio…
- Mia figlia era una fanciulla onesta, prima che voi metteste le vostre sudice mani su di lei!
- Vi assicuro che lo è tuttora, poiché non l’ho mai sfiorata, né ho intenzione di farlo. Circa le origini delle sue virtù, tuttavia, non è certo da voi che le ha ereditate.
Furibondo, Maurice si scagliò contro l’uomo, che lo evitò scartando di lato.
Gold gli puntò contro la pistola alla testa.
- No! – urlò Belle angosciata.
- Maurice, mio buon Maurice, l’alcool vi ha chiaramente distrutto se ritenete saggio provocare un uomo armato. Pensate che abbia remore a premere il grilletto?
- Per favore, non fatelo! – Le parole le morivano in gola, lo sentiva bene, ma stava lottando con se stessa pur di pronunciarle.
Ragazzina stupida.
Ragazzina coraggiosa.
- Lei vi vuole bene, vi ama a tal punto da sacrificare il suo futuro, e voi come la ripagate? Accusandola ingiustamente e picchiandola? Non si fa, non si fa, - ghignò immaginando il terrore che avrebbe potuto leggere negli occhi dell’uomo.
Il disgusto che provava era balsamo per la bestia che covava in lui, che urlava per emergere e vendicarsi dell’affronto subito. La sua rabbia era come il mare in tempesta, ogni provocazione un’onda che rischiava di sommergere ogni cosa.
Non era come con Maguire, che avrebbe volentieri ucciso per vendicare i propri averi. No, qui c’era di mezzo dell’altro, quell’altro cui prima non aveva saputo dare nome.
Qui c’era di mezzo Belle.
Fu quando si rese conto del pensiero e dell’enormità delle sue conseguenze che lo lasciò andare.
Prima che fosse troppo tardi.
O è già troppo tardi?
- Ringraziatela se non ho già posto fine alla vostra miserabile esistenza. Le dovete la vita, ne siete conscio? – gli tirò il calcio della pistola sulla tempia e sbuffò mentre l’uomo stramazzava al suolo con un sordo ululato.
- Vi rimetterete presto, non fate scene. Andiamo, - disse poi alla giovane, che aveva assistito alla scena rimanendo pietrificata, le mani portate al volto e un unico singhiozzo a scuoterla.
Gold sospirò, le pose gentilmente una mano sulla spalla e la guidò fuori dal vicolo.
 
 
 
 
 
- Dimmi cos’avevi in mente di fare.
Gold aveva dovuto fare appello a tutta la sua determinazione per pronunciare quel comando col solito tono distaccato, quando invece avrebbe voluto urlarle.
- Mio padre…
- Ti rendi conto che, tuo padre o no, se non fossi intervenuto ti avrebbe picchiata?
La ragazza tremò allontanando quel pensiero, ma non rimase in silenzio.
- Lui… No, non era in sé, ma so come fronteggiarlo in questi casi, è già successo e…
Gold ascoltava sconvolto le parole della giovane. La situazione l’aveva turbata, poco ma sicuro, ma sembrava rifiutare di capire quanto successo: se ne stava lì, seduta di fronte a lui, a fissarlo con gli occhioni sgranati, cercando ancora di difendere il genitore snaturato che si ritrovava!
Un’espressione ostile comparve sulla bocca dalle labbra sottili.
- Non tentare di giustificarlo. Tutti hanno problemi, e se French pensa di risolverli contraendo debiti a destra e a manca, ubriacandosi e mettendo le mani addosso a sua figlia…
- Non è così! – Belle balzò in piedi – Non lo sto giustificando, ha fatto una cosa orribile e sono io la prima a riconoscerlo. Ma se solo vi sforzaste di comprendere quel che io ho vissuto, se cercaste di capire cosa significa vedere ogni certezza andare in frantumi, trovarsi privi di qualunque sostegno, allora forse potreste capire come mi sento adesso! Sono amareggiata e delusa da mio padre, l’unica persona di cui mi fidassi al mondo, l’unica – ne ero certa! – che non mi avrebbe mai tradita, e vorrei poter dire che ha fatto quel che ha fatto perché sta male, ma so anche che non è così!
Belle si rese conto di star sostenendosi al bordo del tavolo con una furia che le era sconosciuta, le unghie che quasi scavavano il legno scuro, ma non si trattenne. Le parole a lungo solo pensate volevano uscire da lei, scaraventarsi con tutta la loro forza su quell’uomo tanto algido da non fingere neppure di intuire quel che albergava nel suo animo, tutta la paura, l’incredulità, il dolore e l’incapacità di rassegnarsi. Belle voleva che le sue frasi lo colpissero anche per solo un misero istante, lo gettassero a terra e gli facessero comprendere quel che stava succedendo in lei.
In quel momento Gold non era più il suo datore di lavoro: era un uomo come tanti, e lei l’avrebbe affrontato.
- So che ormai devo dimenticare il genitore buono che conoscevo, ormai è questa la realtà e io sono sola a fronteggiarla, ma voi non potete, non dovete, starvene lì con la vostra ridicola smorfia di saccenza dipinta sul volto, sputando sentenze che non competono né a voi né a nessun altro e fingendo di sentir vostra una situazione che vi è del tutto sconosciuta!
Stava trattenendo a stento i singhiozzi, Belle se ne rendeva conto. Si passò una mano sul volto per impedire alle lacrime di scorrere.
Gold la fissava in un modo che, in quel momento, non aveva né la forza né la voglia di interpretare.
- Non c’è bisogno che lo diciate, so di essere stata appena licenziata, me ne vado.
Fece per allontanarsi prima che fosse troppo tardi.
Non l’avrebbe vista piangere, mai.
- Chi ti ha dato le chiavi?
Se solo ne fosse stata in grado, Belle avrebbe sbuffato per la cinica domanda dell’industriale che, nonostante il momento, si appellava a questioni tanto grette come la responsabilità di una fuga malriuscita.
Forse sono un’illusa, si disse. Questa volta sono gli altri ad avere ragione. Gold è una bestia, quel gesto a Brick Lane non significava nulla, e io sono solo una povera illusa che vuole giocare a fare l’eroina.
A salvare chi non vuole essere salvato.
- Le ho sottratte a Mary Margaret.
- Non ho alcuna intenzione di punirla, perciò sii sincera.
- Sono sincera. Mary Margaret non sa nulla.
- Al più non sapeva nulla. Probabilmente coi tuoi strilli hai messo a parte di questa storia l’intero quartiere.
- Probabilmente, - Belle annuì stanca – Ma comunque non ho intenzione di cercare lavoro qui.
La ragazza era quasi giunta alla porta quando un richiamo la fece fermare.
- Dove stai andando?
- A prendere le mie cose. Lascerò subito la casa, - ribatté senza voltarsi.
- Ti ho forse dato il permesso di andartene?
- Che cosa volete fare, ora? Tenermi prigioniera nel vostro castello, gettarmi nelle segrete, darmi in pasto a un drago? Perché mai dovrei restare qui dopo essere stata licenziata?
- Io non ricordo di averti licenziata.
Il sussulto di Belle non passò certo inosservato a Gold, che trattenne a stento un sorrisetto.
- Cosa significa?
- Hai capito benissimo. Non ti ho licenziata, né ho intenzione di farlo, - ghignò appena l’uomo.
La ragazza si voltò piano.
- Vi ho disubbidito, ho sottratto le chiavi alla governante, vi ho appena preso a male parole, e…
- E infatti per tutto questo ci sarà una punizione, stanne certa. Ma il debito di tuo… Padre, - Gold contrasse la mandibola pronunciando la parola – Non è ancora stato saldato e tu ti sei impegnata a lavorare per me fino alla sua estinzione. Sono certo che ricordi il nostro accordo, – l’imprenditore proseguì senza concedere alla cameriera il tempo per controbattere - Quanto alla punizione… Ti sei rivelata un pericolo per questa casa e per l’onestà dei servitori più anziani, pertanto non ti lascerò certo libera di mettere il naso ovunque e combinare altri danni. Da domani, ogni mattina ti riceverò personalmente e ti darò indicazioni sul da farsi. Lavorerai sotto il mio stretto controllo.
- Una sorta di cameriera personale?
- Chiamala come vuoi, il risultato non cambia, - l’uomo distolse lo sguardo per un istante - Ora vattene, prima che cambi idea.
Belle era quasi uscita dallo studio quando si voltò nuovamente verso la scrivania.
Gold fissava assorto un punto davanti a sé, la mano sinistra a sostenersi il mento.
- Comunque, - sussurrò la giovane, stringendo la maniglia della bussola – Grazie.


Non ci fu alcuna risposta.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
N. d. A. : Ben ritrovati, miei cari! ♥
Allora, che ne pensate di questo capitolo? Scriverlo è stato un parto, spero di non aver combinato un autentico pasticcio e di non essere andata OOC. In ogni caso, il vostro parere è benaccetto: critiche e consigli possono solo aiutarmi a migliorare, perciò fatevi sotto! :)
Perdonate la parolaccia, che però mi sembrava particolarmente incisiva; se vi dà fastidio la elimino subito! Due piccole note: il cognome “Frey” viene da “Il Trono di Spade”; l’iconografia tradizionale vuole le cameriere vittoriane rigorosamente di nero vestite, ma in realtà si portavano colori tanto scuri solo nelle occasioni ufficiali, nella quotidianità si indossavano uniformi celesti, marroni, grigie, … Come potete leggere su http://georgianagarden.blogspot.it/2011/07/le-divise-dei-domestici.html. E, tra i tanti toni, io non potevo che scegliere il blu. ;)
SPOILER 3x15: Non impazzivo per Bae, ma la sua morte mi ha rattristata molto, specie per le sue possibili implicazioni: era al centro di ogni gesto di Rumpel, che per lui è diventato l’Oscuro, ha ideato la maledizione che ha gettato tutti nell’infelicità… Come reagirà lo stregone quando tornerà in sé? Il suo lieto fine è certamente compromesso. Mi è piaciuto molto vedere come sia stato finalmente concesso un po’di spazio a Belle, sottolineando tanto il lato avventuroso quanto quello intellettuale del suo carattere; e Regina che vede il tatuaggio di Robin – che però ci ha provato un po’troppo per i miei gusti – mi ha fatta emozionare. Non commento la scena spoiler della 3x18, perché devo ancora riprendermi psicologicamente. Io spero che Belle si vendichi tirando a Zelena una sberla tale da farla volare dritta a Oz!
Ringrazio La Lady, LadyViolet91, marty23, a crazycotton, fantasy93, PoisonRain, Stria93, Rosaspina7, Jessica21, seasonsoflove, Mania, S05lj, mooarless e padme83 per aver lasciato recensioni così belle al precedente capitolo; alix katlice, always_rick_jane, annachiara27, Beabizz, Beauty, Boris88, Caribe, DreamWriten, fantasy93, Giu_99, Heartofgold, Hey J, Jessica21, La Lady, LadyViolet91, licet, marty23, Moonlight818, Nimel17, S05lj, Samirina, Silverbreath, Stria93, valeego, a crazycotton, winner_, Anya85, Araba Stark, Arain, ctdg, Elinor92, Emily Gold, Ersilia, fatinaviola, gionem, Haola, jei90, Josephine_, Jun M, kagura, KikiWhiteFly, kittyonce, La bambina fantasma, Mania, martaxx, matt1, mooarless, Morgana le fay, nari92, NevilleLuna, Onigiri, padme83, PoisonRain, Rosaspina7, rumbelle2998, seasonsoflove, Silver Loreley, TheQ, zipi89, _69withzayn e _alexi 4295_ per aver aggiunto la long alle storie preferite/ricordate/seguite; e ovviamente i lettori silenziosi, il cui parere è sempre benvenuto! ♥
A sabato 19 aprile, Dearies, con un capitolo che vi piacerà molto – o almeno lo spero! ;)
Bacioni! :*
Euridice100

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Capitolo 9
*** VIII - Enjoy the silence ***


Alla mia piccola Slytherin romanista,
perché sei una delle migliori persone
che io abbia mai avuto l’onore di incontrare.
M., questo capitolo è per te.
 
 
 
VIII – Enjoy the silence
 
 
 
“All I ever wanted,
all I ever needed
is here in my arms.
Words are very unnecessary,
they can only do harm”

“Enjoy the silence” – Depeche Mode
 
 
 
Calmati, sciocca.
È solo una ragazzina che gioca col fuoco e che si brucerà.
Cora se lo ripeteva ormai da giorni interi: non aveva di che preoccuparsi, quella Belle era nulla - e se anche fosse stata un pericolo, lei non avrebbe avuto di che temere. Una piccolo borghese caduta in rovina, che aveva pensato bene di giocare a fare l’eroina sacrificandosi al posto del padre e che credeva di ammaliare il mondo sbattendo le ciglia; ma in quarant’anni Cora ne aveva viste di ragazzette simili, e in un modo o l’altro le aveva tutte rimesse al loro posto. A Soho di piccole sognatrici ce n’erano a bizzeffe, e tutte erano rimaste tali: solo lei era riuscita nella sua scalata sociale.
Non era gelosia, la Contessa lo sapeva. Non avrebbe mai permesso a se stessa di provare sentimenti tanto bassi e futili – o meglio, non avrebbe mai permesso a se stessa di provare sentimenti; ma non poteva tollerare che l’ultima arrivata osasse anche solo pensare di prendere quel che era suo da anni e anni.
No, quel desiderio di rivalsa che l’aveva sempre animata e che ora ruggiva, risvegliato dai gesti di quella piccola impudente, non era gelosia; non poteva esserlo.
Robert non era un idiota: avrebbe presto intuito i fini della servetta e l’avrebbe umiliata per bene, Cora ne era certa; e lei gli avrebbe offerto tutto il suo appoggio e la sua collaborazione.
Tra un mese penseremo a questa storia e rideremo.
Non c’è nulla da temere.
E allora, perché non riesco a stare tranquilla?
Col tempo, Cora aveva imparato a fidarsi ciecamente del suo sesto senso: era un silenzioso avvertimento, un tacito campanello d’allarme che le risuonava in mente nelle situazioni di pericolo distogliendola da ogni altra attività finché non gli dava ascolto. Da ragazzina le aveva salvato la vita in più di un’occasione, e in seguito le aveva suggerito la strada da percorrere per raggiungere i suoi obiettivi: era stato lui a consigliarle di recarsi pur senza essere stata invitata a quella festa la sera in cui aveva incontrato il conte Xavier, era stato lui a indicarle le dame da avvicinare ed era stato lui a bisbigliarle che, nonostante tutto, forse da quello scozzese dai capelli troppo lunghi poteva ricavarsi qualcosa di buono.
Il suo sesto senso non aveva mai sbagliato, e se ora le stava urlando moniti doveva esserci un motivo.
E lei intuiva fin troppo bene quale fosse.
Ripensò ai momenti in cui aveva visto Regina chiacchierare con Belle: come le sorrideva, la piccola ingrata! Come se fosse la cameriera a darle di che mangiare e di che vestirsi, a pagarle fior fior di istitutrici e a permetterle, a partire dall’anno successivo, di frequentare un’esclusiva accademia privata. No, era lei a offrire a quella mocciosa la migliore vita che si potesse immaginare, e come veniva ripagata? Fraternizzando con la nemica!
Cora si massaggiò le tempie, sentendo sopraggiungere un violento mal di testa. Regina non aveva mai sorriso a lei in quel modo. Le aveva dedicato qualche istante da piccola, qualche gioiosa smorfietta sfiorita non appena si fosse resa conto che non era sufficiente a farla sciogliere. Regina aveva regalato i suoi rari sorrisi a Henry, ora a Robert, persino alle cameriere, ma non a lei!
Di lei, Regina aveva paura, e Cora lo sapeva bene.
Non ha ereditato la mia forza, si ripeté la donna. Ha le stesse fragilità di suo padre, o anche di più.
Ecco ciò da cui il suo sesto senso la stava mettendo in guardia.
Robert aveva un’anima di vetro che lei gli aveva insegnato a seppellire sotto una spessa corazza, ma che rischiava in ogni istante di tornare alla luce e sopraffarlo. Se Belle avesse scoperto un punto debole, l’avrebbe sfruttato a suo piacimento.
E io glielo impedirò, si disse dirigendosi nelle stanze di Regina.
A ogni costo.
 
 
 
 
 
- Cosa stai facendo?
Belle proseguì imperterrita il suo lavoro, fingendo di non aver udito il richiamo.
Come aveva più volte sperimentato, Gold aveva l’insano vizio di apparire all’improvviso alle spalle senza fare alcun rumore, sorprendendola nel momento esatto in cui stava facendo qualcosa che agli occhi di chiunque - eccetto ai suoi, naturalmente - sarebbe parso perfetto: spolverare la cristalleria di Baccarat, quando invece per qualche oscuro motivo Sua Maestà esigeva che le attenzioni fossero rivolte in primis alle porcellane di Sèvres, per esempio.
- Perché? Cosa cambia? – non aveva potuto fare a meno di domandargli perplessa quando aveva assistito per la prima volta all’esagerata reazione dell’uomo.
- Il tuo compito non è fare domande, ma pulire e ringraziarmi per averti tenuta qui! – era stata la replica isterica che aveva indispettito non poco la ragazza.
Belle non avrebbe mai compreso appieno le mille manie del suo datore di lavoro. Se avesse dovuto descriverlo con un solo aggettivo, non avrebbe avuto dubbi: la scelta sarebbe ricaduta su “strano”; dopo venti giorni a stretto contatto con lui, avrebbe potuto usare quella definizione con una certa cognizione di causa. Come parlare altrimenti di un uomo che, quando era in casa, trascorreva ore in silenzio a fare calcoli, scrivere lettere e – cosa che l’aveva lasciata a dir poco sbigottita – a filare?
Sì, perché nello studio, accanto a mobili pregiati, quadri, tappeti orientali e cineserie tanto in voga, c’era posto anche per un umile arcolaio. Era nulla più di un pedale, una base, un fuso e una ruota di legno rozzo e segnato dal tempo e dall’usura; un oggetto estremamente rudimentale che stonava non poco con la magnificenza degli altri arredi, ma a cui Gold sembrava tenere in modo particolare, quasi fosse una parte di lui.
 - Gli ricorda il passato, – Aurora aveva spiegato quando Belle aveva chiesto spiegazioni ai suoi colleghi – Chi è stato prima che diventasse ricco.
La ragazza non avrebbe mai sospettato un simile attaccamento per qualcosa di così semplice - a dir la verità, non avrebbe proprio sospettato certi sentimentalismi da parte dell’inflessibile imprenditore; ma lo annoverò tra i tanti aspetti di lui che ancora non aveva scoperto e che pure ne davano un ritratto complesso e quanto mai vario.
In breve tempo, il cigolio sommesso di quella ruota era divenuto il sottofondo delle attività da lei svolte in quella camera.
All’inizio Belle non si era neanche resa conto del quasi totale silenzio in cui erano immersi, turbata com’era dallo scontro avuto col padre. Si era limitata a lavorare quieta, persa nei suoi pensieri, nei ricordi e nel dolore, finché Gold l’aveva implicitamente costretta a reagire.
Non si era mostrato comprensivo nei suoi confronti: agli occhi di un estraneo sarebbe parso piuttosto non essere a conoscenza delle sventure della giovane. Le sue angherie si erano rivelate ancora più sottili, come le pretese e i rimproveri che si erano susseguiti senza sosta fino al momento in cui, pochissimi giorni dopo, una Belle a dir poco esausta aveva ritrovato l’ardire di rispondergli.
Gold non le aveva sbraitato contro, no: aveva risposto con un ghigno soddisfatto e si era nuovamente immerso nella corrispondenza, lasciando alla giovane appena il tempo capire appieno la portata di quanto successo.
Eppure, nonostante tutto, a Belle piaceva lavorare lì. Sì, certo, provava nostalgia per le faccende svolte con Ariel ed Emma, per gli scherzi di Killian e il tè che Mary Margaret portava loro di nascosto a ogni ora; ma stare a stretto contatto con Gold per tante ore al giorno non si era poi rivelato così sgradevole… A dir la verità, in un certo senso Belle lo trovava piuttosto rassicurante, una delle costanti della sua nuova vita, se non la costante.
Ogni mattina l’industriale le affidava dei compiti che invariabilmente si ripetevano, che lui fosse presente o meno: spazzare lo studio, spolverare tutto, tenere sempre in ordine la scrivania facendo però attenzione a non spostare niente… Ormai impiegava poco tempo a svolgerli tanto che spesso, dopo aver finito, l’uomo la mandava ad aiutare il resto della servitù.
A volte, nel silenzio che continuava ad avvolgerli per la maggior parte del tempo, Belle si era sorpresa più impegnata a osservarlo che a svolgere le sue incombenze. Il guizzo che gli animava lo sguardo quando veniva a sapere del buon esito di un affare, le rughe che gli segnavano gli occhi scuri, il modo in cui ghignava sollevando appena l’angolo destro della bocca dinanzi a una notizia che suscitava il suo sprezzo: mille piccoli particolari che stava imparando a conoscere e a interpretare - o che, almeno, si sforzava di interpretare.
Gold rimaneva un mistero per lei; e come ogni mistero, andava svelato piano, giorno per giorno, cosa che lei si era ripromessa di fare. I fallimenti che sistematicamente incontrava nei silenzi e nelle risposte ciniche dell’uomo la rendevano ancora più ostinata; così come la rendeva ancora più convinta della sua missione quello strano turbamento che di frequente l’assaliva mentre osservava l’uomo o intuiva che anche lui la stava fissando. Non era disagio - o comunque, non solo quello: era una sensazione diversa, che finora non aveva mai provato nella sua vita, non spiacevole, ma senza dubbio inusitata. Un batticuore che esplodeva all’improvviso e le pompava sangue nelle vene a un ritmo più impetuoso del solito, una morsa allo stomaco che non poteva associare all’ansia o alla preoccupazione e che la coglieva all’improvviso, in momenti inaspettati - come quando, per esempio, Gold le ordinava il da farsi, o la guardava, o faceva capolino tra i suoi pensieri.
Cioè sempre più spesso.
Belle aveva divorato troppi romanzi per illudersi di non sapere a cosa portassero tutti quei segnali.
Sicuramente mi sto sbagliando, si ripeteva cercando di convincersene. Non aveva mai provato simili emozioni, come poteva avere la presunzione di ricollegarli subito a sentimenti tanto importanti?
La mia sarà al più un’infatuazione sulla quale non vale neanche la pena rimuginare.
Passerà.
O, diversamente, avrebbe dovuto farsela passare a forza.
Belle amava sognare, ma non era una sciocca, e non ignorava che la situazione era resa ancora più difficile dal contesto. Di malelingue ce n’erano anche in casa Gold, e non tutta la servitù era come Mary Margaret o Ashley: una giovane nubile che trascorreva tante ore in compagnia del suo datore di lavoro non poteva che suscitare chiacchiere, per quanto le porte dello studio rimanessero sempre aperte. Non ignorava le malignità sussurrate a mezza bocca da Tamara e Greg, due servi che sin dal primo giorno non le avevano lesinato malcelate occhiate di - immotivato - disprezzo; ma ignorava volutamente le loro provocazioni e proseguiva per la sua strada a testa alta, certa di avere la coscienza più che pulita.
E con quest’atteggiamento affrontava ogni situazione, compresa la quotidiana convivenza con Gold.
- Sto lavorando, – replicò lei, continuando a spingere la scala di legno fino a posizionarla sotto la finestra e iniziando a salirne i pioli.
- Sono commosso. Una volta tanto ricordi persino di fare il tuo dovere.
Ordinaria amministrazione, sbuffò Belle tra sé e sé. Quando l’uomo era nervoso per un qualsiasi motivo – cosa che negli ultimi tempi accadeva spesso, notò – le sue sfrecciatine erano ancora più caustiche del solito. Entrava nella stanza, lanciava qualche parola velenosa a chiunque gli capitasse sottomano e sedeva meditabondo all’arcolaio; e anche quella volta il copione si ripeté senza variazione.
Solo che quella volta, dopo pochi minuti di silenzio trascorsi osservandolo dall’alto della scala, Belle osò chiedere incuriosita: – Perché filate tanto?
Gold si fermò di scatto e rimase immobile, facendola maledire per la sua impudenza. Perché diamine gli aveva posto una domanda, quando sapeva di dover parlare solo quando interrogata? Non le avrebbe risposto di certo...
- Scusate, – provò a rimediare – È solo che filate spesso e non ne capisco perché.
- Mi piace guardare la ruota. Mi aiuta a dimenticare.
La ragazza ascoltò incredula le parole dell’uomo. Aveva davvero risposto? Ed era stata ancora una volta solo una sua impressione, o nel suo tono c’era una vaga, ineffabile malinconia?
- Dimenticare cosa?
- …Pare che abbia funzionato!
Gold ridacchiò e Belle non poté fare a meno di imitarlo. Forse non era uno scherzo particolarmente originale, ma quell’esempio dello strano - e raro - umorismo dell’uomo la faceva sorridere e non vedeva ragione di reprimere quell’istinto.
Dio solo sa quanto queste stanze abbiano bisogno di un po’di allegria, pensò la giovane prima di rimettersi all’opera.
L’imprenditore si alzò dalla sua postazione e le si avvicinò incuriosito.
- Cosa stai facendo?
- Sto cercando di aprire le tende. Oggi c’è un così bel sole, non succede mai a Londra, tanto più in questa stagione… Dovremmo approfittarne per far entrare un po’di luce! – la ragazza continuò a strattonare con decisione il drappo di tessuto, che rimase immobile al suo posto – Ma cos’avete fatto? Le avete inchiodate?
- Sì, – ammise candidamente Gold alzando le spalle – La luce del sole mi dava fastidio, preferisco le lampade a gas.
Belle sbatté le palpebre perplessa e tirò ancora la tenda. All’improvviso il pesante velluto porpora si staccò di netto dalla mantovana e rovinò sulla giovane, facendola incespicare.
Lasciò involontariamente la presa per un istante e cadde.
Non ci fu il tempo per realizzare cosa stesse accadendo: Belle si era appena resa conto di non avere più i piedi sui pioli della scala quando si sentì afferrare da due braccia pronte e ferme che le impedirono di schiantarsi al suolo.
Attonita, sollevò il volto fino a incontrare lo sguardo del suo salvatore: Gold la stringeva a sé e la fissava in silenzio, gli occhi sgranati a pochissima distanza dai suoi.
In un istante, il tempo di un doloroso battito del cuore, Belle comprese tutto e le si mozzò il respiro.
Gold.
Gold mi ha presa in braccio.
Gold mi ha salvata.
Non riuscì a muoversi, ogni muscolo del suo corpo come paralizzato dallo spavento e da… Da una strana sensazione mai provata prima che non seppe identificare.
Avrebbe dovuto distogliere lo sguardo; non lo fece.
Gli occhi dell’uomo erano intensi e magnetici, di un castano caldo che la indagavano in un modo che la turbò e la incatenavano a sé impedendole di ragionare.
Che cosa mi sta succedendo?
In quel momento Gold voltò il capo e ogni magia svanì.
La rimise repentinamente a terra e si allontanò da lei, come se si fosse scottato e ogni altro contatto fosse un pericolo da rifuggire a ogni costo.
Belle si lisciò imbarazzata l’uniforme celeste, imponendo al proprio cuore di tornare a battere regolare.
- Grazie, - mormorò in un soffio, mentre continuava a passare le mani sulla stoffa chiara.
- Non c’è di che, - replicò appena lui prima di andarsene.
La ragazza si morse l’interno della guancia, senza sapere cosa dire.
- Io… Rimetto le tende al loro posto, – indicò maldestramente il cumulo indistinto formatosi per terra, provando a sorridere nervosa.
Gold si fermò. Scosse appena il capo e Belle ebbe come la sensazione – la certezza – che stesse vietandosi di tornare sui suoi passi.
- Non ce n’è bisogno, - dichiarò allontanandosi definitivamente – Mi abituerò.
Forse fu solo uno scherzo della luce, ma per un istante Belle fu convinta che, prima di andarsene, il volto dell’uomo fosse stato illuminato da un timido, prezioso sorriso.
 
 
 
 
 
Non può essere.
Robert Gold sedeva nel suo studio, dinanzi nel camino, le dita che tamburellavano senza sosta sui braccioli della poltrona di chintz.
In quella stanza regnava il profumo di Belle, un misto di tè e rose che penetrava nella sua mente riuscendo sempre a ottenebrarla.
Belle.
Quel nome era come un fosso: doveva sempre aggirarlo, se non voleva cader dentro e restarvi prigioniero.
Belle.
Aveva già compiuto troppi errori con quella ragazza: sin dalla prima volta che l’aveva incontrata, aveva sempre lasciato uno spiraglio aperto nella sua anima, che lei non aveva esitato a varcare per andare a colpirlo nei punti più deboli, facendolo apparire ancora più fragile di quanto già fosse.
Ma è stata la confusione di pochi istanti, uno sbaglio in cui non incapperò più.
Dall’indomani sarebbe cominciata una nuova era: nessuna esitazione, nessun dubbio, tutti sarebbero stati trattati allo stesso modo e, alla minima insubordinazione, mandati via.
Tutti, nessuno – o meglio, nessuna – escluso
Nemmeno lei.
Quella ragazza aveva degli occhi meravigliosi, questo poteva concederselo. Sapeva da sempre che erano azzurri – solo un cieco avrebbe potuto non accorgersene – ma aveva mai davvero notato, prima di quel giorno, le mille sfumature che li caratterizzavano rendendoli unici? No, non di certo, perché non si era mai soffermato a guardarli veramente; eppure, quando aveva osato farlo, la sua anima aveva tremato.
Erano occhi grandi e profondi, di un celeste talmente puro da sembrare quasi trasparente, che si scuriva appena attorno alla pupilla, ma conservava la freschezza di un sorso d’acqua nell’arsura.
Era rimasto soggiogato da quei cristalli iridescenti che quasi lo frugavano dentro, alla ricerca delle sue emozioni e dei suoi pensieri più segreti; staccarsene era stato difficile, se non impossibile.
È proprio questo ciò che non devo fare.
Pensarci ancora.
E allora, perché lo sto facendo?
L’aveva aiutata, bene; l’aveva aiutata più volte, perché Belle aveva la preoccupante abilità di cacciarsi nei guai persino nelle situazioni più impensabili, e non se pentiva certo. Però la situazione aveva superato ogni limite, e se n’era reso giorni dinanzi agli eventi del vicolo.
Al solo ripensarci, un violento furore s’impadroniva di lui: come poteva un padre infliggere tanta sofferenza alla propria creatura? Era certo che non avrebbe mi dimenticato lo sguardo sperduto che la ragazza aveva anche mentre gli urlava contro quelle parole: era un’espressione tradita, di dolore e rabbia dinanzi a una brutalità che si era trovata a scorgere e riconoscere tutto d’un tratto.
Avrebbe aiutato anche le altre sue dipendenti, ma non con la stessa foga, non con la stessa rabbia che aveva preso possesso dei suoi gesti in quei momenti, poco ma sicuro.
Aveva reagito così perché era Belle a rischiare la sua incolumità.
Ma perché?
Conosceva bene la ragione del caos che gli dilaniava l’anima da troppi giorni, ma non osava neppure formulare il pensiero: se l’avesse fatto, tutto sarebbe diventato reale, e lui non sarebbe più potuto fuggire dalla nuda verità. Avrebbe dovuto affrontarla; ma non aveva le armi, né il coraggio per combatterla.
Per venti giorni aveva finto una calma che non conosceva più, odiando se stesso per essersi imposto quella presenza, e odiando lei perché non gli dava ragione di cacciarla via una volta per tutte. La odiava per la sua gentilezza e determinazione, la odiava perché nessuna risposta bisbetica era riuscita a intimidirla o farla retrocedere.
La odiava per il ridicolo – meraviglioso – sorriso che le curvava così spesso le labbra, la odiava per la sua disponibilità e la sua fermezza, la odiava perché non era disposta a cedere di un passo sulle proprie idee, la odiava perché era così diversa da tutte le altre donne che avesse mai conosciuto.
La odiava, la odiava, la odiava talmente tanto da rendersi conto di non odiarla.
Di provare qualcosa peggiore dell’odio.
...L’amava?
Ci aveva provato, poteva affermare almeno questo. Si era ripetuto mille volte che non poteva provare sentimenti anche solo lontanamente simili per una ragazzina con la metà dei suoi anni e col cervello pieno di fate e sciocchezze simili; se l’era ripetuto quando lei gli lavorava accanto, quando digrignava i denti per illudersi di non tollerarla, quando la congedava sempre troppo presto.
Se l’era ripetuto stando con Cora.
Cora.
Aveva mai provato qualcosa di simile nei riguardi della Contessa? L’aveva mai pensata in quel modo assurdo e tenero, aveva mai temuto d’incontrarla e allo stesso tempo desiderato solo quello? Ora poteva darsi una risposta.
No.
Con Cora c’era sesso, c’era complicità di due anime mezze rotte, c’erano affari, ma non c’era, non c’era mai stato quel desiderio pressante, quell’ansia e quel dolore che lo pervadevano ora.
Tutto quel che si era illuso fosse esistito tra lui e Cora era stato solo un suo vaneggiamento.
Non me ne sono mai innamorato, o almeno non come lo sono di Belle.
Ecco.
L’aveva detto; e nell’istante stesso in cui formulò il pensiero se ne pentì.
Come volevasi dimostrare, quell’idea fino ad allora solo sfiorata, tentatrice silente, era diventata carne e sangue, impossibili da scacciare con l’ennesimo gesto codardo della sua mente.
In tanti anni di vita si stava ritrovando solo ora a conoscere quel batticuore più consono a un adolescente bohémien che a un affermato capitano d’industria; ma l’amore non ha regole, può colpire chiunque in qualunque istante, così avrebbe commentato Belle se l’avesse sentito.
Possibile che sappia sempre come insinuarti nei miei pensieri, Belle?
Ripercorse con orrore l’istante in cui l’aveva vista cadere, rivisse il brivido che gli aveva percorso la schiena, la rapidità con cui le sue braccia l’avevano afferrata, senza che ci fosse bisogno di comandar loro alcunché. Era stato un moto inconscio, istintivo, che era parso al suo corpo più immediato che respirare. L’aveva stretta a sé per un momento, ne aveva percepito il calore, le pulsazioni accelerate del cuore; e aveva visto il modo in cui l’aveva guardato.
Con stupore.
Con abbandono.
Con fiducia.
Nessun’altra donna l’aveva mai guardato in quel modo così dolce e diretto.
Non illuderti, s’insinuò una voce cinica, l’hai salvata e te n’era grata. Non leggere tra le righe quel che non può essere.
No, non si illudeva. Sapeva bene che i suoi erano solo vaneggiamenti, deliri di un uomo ormai passato che covava nel proprio animo troppi rimpianti e troppi rimorsi, che aveva ormai dimenticato quale fosse il reale significato della parola “felicità” e credeva di poter essere di nuovo ammesso al suo cospetto grazie ai gesti di una ragazza che, senza chiedere il permesso, faceva entrare un po’ di sole nella sua vita.
Ma tu saresti capace di distruggere il sole. L’hai già fatto, e lo farai di nuovo, se solo ti avvicinerai ancora a lei.
Il sole non può splendere ovunque, e non splenderà mai su di te.
Mai più.
Dei lievi colpi alla porta della stanza lo distolsero dalle sue elucubrazioni.
- Mr. Gold? – Archibald gli si avvicinò porgendogli un vassoio d’argento – Un messaggio da casa Mills per voi.
Gold aprì il cartoncino e lo lesse distrattamente.
Ti aspetto.
Non c’era alcuna firma, ovviamente.
Cora non avrebbe mai rischiato la sua reputazione per un incontro d’amore.
D’amore?
Trattenne una roca risata accartocciando il biglietto e gettandolo nel camino.


- Dì che ho degli impegni di lavoro, - fu la sua unica risposta, mentre le fiamme lambivano la carta e l’avvolgevano nel loro ardente, fatale bacio.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
N. d. A. : Eccomi!  ♥
Vi avevo promesso un po’ - ma solo un po’, eh, ché sono sempre l’Euridice amante dell’angst XD - di fluff… E così è stato! Allora, che ve ne pare? Vi è piaciuta questa riscrittura della scena della caduta? Come al solito, i vostri commenti sul nuovo capitolo, pareri, consigli, critiche, IC, OOC, ortaggi da lanciare e così via sono sempre benvenuti, quindi non fatevi scrupoli e scrivete. ;)
Il dialogo è preso dalla 1x12 e la ripetizione di “la odiava” è voluta. Come anticipato qualche capitolo fa, io non dirò mai esplicitamente qual è il legame tra Gold e Regina in questa storia, ma lascerò degli indizi sparsi a volte in un senso, a volte nell’altro… Lo ribadisco, sentitevi liberi di interpretarli come volete! :)
Spoiler 3x16/17: è stato interessante scoprire il passato di Zelena - Rumpel womanizer ormai non fa più testo XD - e il funerale di Neal è stato, come prevedibile, una mazzata… La scena RumBelle è stata bella e triste come sempre, e mi piace il fatto che Belle più inclusa nel gruppo, ma vorrei vederla un po’più attiva nel salvataggio di Rumpel… Voglio dire, un personaggio come lei dovrebbe muovere mari e monti per riavere l’amato! Rivedere Ariel è stato bellissimo - sebbene non fosse l’originale - la trovo sempre più adorabile. XD Barbanera è stato un altro personaggio tanto pubblicizzato e bruciato in due battute: peccato, aveva del potenziale! Sebbene personalmente non impazzisca per Hook, la sua vicenda mi ha toccata, e parlo soprattutto del finale molto triste… Attendo con ansia la prossima puntata, che si prospetta una bomba! *.*
Grazie ad a crazycotton, KikiWhiteFly, Jessica21, Mania, Stria93, marty23, La Lady, fantasy93, padme83, seasonsoflove, PoisonRain, Arain, S05lj e mooarless per aver commentato “Best of You”; a twikio per il recupero; ad alix katlice, always_rick_jane, annachiara27, Beabizz, Beauty, Boris88, Caribe, DreamWriten, fantasy93, Giu_99, Heartofgold, Hey J, Jessica21, La Lady, LadyViolet91, licet, marty23, Moonlight818, Nimel17, S05lj, Samirina, Silverbreath, Stria93, valeego, a crazycotton, winner_, Anya85, Araba Stark, Arain, ctdg, Elinor92, Emily Gold, Ersilia, fatinaviola, gionem, Haola, jei90, Josephine_, Jun M, kagura, KikiWhiteFly, kittyonce, La bambina fantasma, Mania, martaxx, matt1, mooarless, Morgana le fay, nari92, NevilleLuna, Onigiri, padme83, PoisonRain, Queen Elizabeth, Rosaspina7, rumbelle2998, Sakura89, seasonsoflove, Silver Loreley, Teacup, TheQ, zipi89, _69withzayn, _alexi 4295_ e __sakura___ per aver aggiunto la long alle storie preferite/ricordate/seguite; e ovviamente i lettori silenziosi, che invito sempre a esprimersi!
Nel salutarvi, auguro una felicissima Pasqua a voi e ai vostri cari! :* :)
Salvo imprevisti, ci si legge sabato 3 maggio… Besos! ♥
Euridice100
 

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Capitolo 10
*** IX - Controvento ***


 
 
 
IX – Controvento
 
 
 
“Tanto il tempo solo lui lo sa
quando e come finirà 
la tua sofferenza, il tuo lamento. 
C’è quel vuoto che non sai, 
che poi non dici mai, 
che brucia nelle vene come se 
il mondo è contro te

e tu non sai il perché, 
lo so, me lo ricordo bene.”
 
 
 
Belle si girava e si rigirava nel letto senza riuscire a prendere sonno.
Quanto successo nello studio di Gold le aveva lasciato addosso una strana sensazione di irrisolto, un vago disagio che non riusciva a spiegare facendo riferimento solo a quella imprevista quanto salvifica vicinanza.
Non era stato il primo contatto tra i due: la ragazza ricordava fin troppo bene l’abbraccio a Brick Lane... Eppure, se poteva giustificare in qualche modo quel gesto, attribuirlo alla gioia e alla riconoscenza di un istante, non riusciva a fare lo stesso per quanto accaduto poche ore prima.
Se Gold non l’avesse afferrata si sarebbe fatta male, e lei era certamente grata a quell’insospettabile prontezza di riflessi; ma avrebbe potuto limitarsi a sostenerla per poi rimetterla subito per terra e magari rimproverarla per la distrazione… E invece erano trascorsi interminabili istanti prima che i suoi piedi ritoccassero il suolo, lunghi momenti il cui ricordo si ripresentava ancora e ancora.
Belle fissò il soffitto della sua stanzetta spoglia. Doveva cercare di dormire almeno un paio d’ore, o l’indomani non sarebbe riuscita a tenere gli occhi aperti e Robert l’avrebbe rimproverata di continuo…
Robert?
Sbatté le palpebre sorpresa dall’audacia della propria mente: a che punto era arrivata, se si prendeva la libertà di chiamare senza motivo per nome l’uomo?
Lascia perdere queste idiozie e dormi, le suggerì una vocina all’orecchio.
No, non erano idiozie, e lo sapeva bene. Era stata una sua impressione, o anche lo sguardo di Gold aveva indugiato più del dovuto sul suo volto? Aveva solo immaginato di scorgere un vago sorriso?
Quelle sarebbero anche potute essere fantasticherie prodotte dalla sue mente stordita dallo spavento, ma Belle non avrebbe potuto dire lo stesso del proprio comportamento, le cui ragioni le apparivano tanto semplice e complesse a un tempo.
Gold non mi è indifferente.
Gemette dinanzi alla stupidità della constatazione.
In realtà non mi è mai stato indifferente: prima lo avrei volentieri ammazzato, e ora…
E ora?
Bella domanda, già; e non le sarebbe certo mancato il coraggio per rispondere, se solo avesse avuto - se non la certezza, almeno una maggiore sicurezza - di quel che le albergava nel cuore.
Perché qualcosa c’era, era ovvio.
Quel giorno aveva avuto la conferma dei dubbi che le avevano smosso l’animo per tante ore. Quando aveva guardato gli occhi di Gold - quegli occhi così scuri, così inaspettatamente belli, così tristi - non si era sentita persa, no: era come se, finalmente, fosse tornata a casa.
Tra la paura e la sorpresa si era insinuato un sollievo che sarebbe stato troppo semplicistico collegare a quanto appena successo. A Belle era parso di tornare a respirare dopo una lunga apnea; una sensazione che era esplosa senza preavviso, travolgendola tutto a un tratto.
E ora i pezzi stavano lentamente tornando al loro posto.
Quel che era sembrato solo un vaneggiamento acquistava dei contorni talmente netti che la giovane si rimproverava per essere stata così cieca, per non aver osato dare prima un nome alla ridda di pensieri che le si agitavano in testa.
Perché quei pensieri avevano solo un nome, solo una spiegazione.
Mi sono innamorata.
 
 
 
 
 
- È da più di una settimana che non ti fai sentire. Anche l’altra sera mi hai ignorata… Deve essere un periodo molto impegnativo, – commentò la donna con voce morbida come la seta.
- Lo è, mia cara. Varie incombenze mi hanno tenuto lontano dalla società.
- Ma non dal White’s, a quanto sembra.
- Ero lì proprio per affari. Sai, un gentiluomo deve pur mantenere i contatti se non vuole finire in fretta nel dimenticatoio.
Cora sorseggiò il suo tè fissando Robert da sopra la tazza: l’uomo manteneva la solita espressione imperscrutabile mentre sosteneva il suo sguardo.
Nessuno, in tale situazione, si sarebbe posto domande; nessuno, tranne lei.
Robert, Robert, ci sono lezioni in cui l’allievo non può superare la maestra, lo rimproverò tra sé e sé. Gli aveva insegnato a pronunciare ogni frase con mille sfumature tutte efficacissime, a giocare coi toni piegandoli a proprio piacimento; ma questa volta non era riuscito a dissimulare del tutto la verità.
Cora poteva quasi sentire il sapore delle bugie che le aveva appena detto: era acre e pungente, un sapore sorprendentemente amaro che percepiva sulla lingua assieme alla dolcezza del suo Vintage Darjeeling.
Ma la donna non si perse d’animo.
Sorrise alla menzogna che aleggiava su di loro e sperò che Regina stesse giocando bene le carte che le aveva fornito.
 
 
 
 
 
- Regina! – Belle sorrise vedendo la bambina comparire sulla porta dello studio di Gold – Come stai?
- Bene, grazie, – la ragazzina rispose a bassa voce – Cosa stai facendo? – aggiunse dopo qualche istante.
- Le solite cose. Finisco di spolverare qui e poi salirò in soffitta a prendere delle coperte. Tu, invece?
Regina esitò.
- Niente. Non stavo facendo niente. Posso restare un po’con te? – domandò titubante, studiando la punta delle lucide scarpette che calzava.
Belle notò che era arrossita nell’avanzare quella richiesta. Povera piccina, non si trattenne dal considerare, chissà in che razza di stato di terrore vive se porre una semplice domanda la imbarazza tanto. Fosse stato per lei, Regina avrebbe certamente potuto accompagnarla; ma la madre sarebbe stata d’accordo?
La cameriera nutriva forti dubbi in proposito, ma al tempo stesso non voleva deludere la sua piccola interlocutrice.
- Tesoro, – provò a convincerla – Sei sicura di voler stare con me? Dovrò trascorrere molto tempo in soffitta, e quello non è un bel posto… C’è talmente tanta polvere che ogni volta che ci metto piede inizio a starnutire senza sosta!
- Per favore, –  Regina aveva trovato il coraggio per sollevare il volto e ora la stava fissando implorante. Dinanzi ai quegli occhioni bruni attraversati da mute preghiere, Belle si interrogò stupita su dove avesse già incontrato la stessa espressione dolceamara – Fammi venire con te, per favore. Prometto che non ti disturberò, sarò buona e non parlerò mai…
- Sei sicura che tua madre non ti sgriderà scoprendoti di nuovo con me?
- No, no, questa volta staremo attente e maman non lo verrà a sapere!
Belle sospirò dubbiosa.
Se la Contessa lo scoprirà, questa volta non me la caverò facilmente.
Ma poi fu sufficiente sbattere le palpebre per dissipare ogni dubbio.
Ma in fondo cosa sto facendo di male? Sto aiutando una bambina sola!
- Benissimo, – annunciò – Allora preparati, perché andremo alla conquista della misteriosa soffitta di casa Gold!
 
 
 
 
 
Regina trotterellava accanto a Belle per le scale. Stringeva la mano della domestica e le raccontava di una colonia lontana lontana che aveva appena studiato, l’Australia; ma dentro, tremava al pensiero che la ragazza potesse guardarla negli occhi fino a leggerla dentro: se l'avesse fatto, avrebbe immediatamente capito tutto.
- Quest’isola deve essere proprio bella! – la cameriera esclamò sognante – Sai, mi piacerebbe tanto viaggiare… Se potessi, girerei il mondo, vivrei mille avventure e andrei anche lì!
La bambina annuì appena, distratta dai suoi pensieri.
Cosa devo fare?, si chiedeva senza sosta.
Doveva ubbidire a maman, questo era certo: lei era solo una bambina e sua madre un’adulta, perciò sapeva cosa fosse meglio per lei, come le ripeteva sempre. Però, quel che le aveva ordinato di fare le sembrava talmente assurdo…
 
 
 
Pochi giorni prima maman era andata a trovarla nelle sue stanze; quando aveva mandato via l’istitutrice, Regina aveva tremato, sicura che la donna volesse rimproverarla per qualche errore che l’aveva fatta vergognare di lei ancora una volta.
Quanto si era stupita vedendola sorridere e farle una carezza!
- Regina cara, – le aveva sussurrato – Di tutte le figlie che il Fato avrebbe mai potuto concedermi, tu sei la più adorabile bambina…
Cora era andata avanti per parecchio tempo, finendo per confondere la ragazzina e farle credere che maman si sentisse poco bene: da che aveva memoria, mai la donna le aveva parlato tanto a lungo senza rimbrottarla nemmeno una volta! Alla piccola batteva forte il cuore dall’emozione: forse ce l’aveva finalmente fatta, dopo tanti sforzi era riuscita a diventare una brava bambina! Non avrebbe più amareggiato maman, che d’ora in avanti le avrebbe sempre voluto bene. Nella sua ingenuità cucciola, Regina poteva quasi vedere quel sogno, toccare con mano il futuro che le si dispiegava davanti: sì, lei e sua madre ora sarebbero state sempre assieme, lei le avrebbe insegnato a comportarsi come una vera signora e, chissà, magari non l’avrebbe più lasciata per giorni e giorni da sola nelle grinfie della nuova, severissima istitutrice!
Era stato allora che la piccola Regina aveva sperimentato per la prima volta nella sua vita il terribile e sacro potere delle parole: poche frasi erano state sufficienti a spezzare quei minuti di incantesimo. Perché, sì, lei era brava e buona e sua madre le avrebbe sempre voluto bene, ma in cambio cos’avrebbe dovuto fare? Avrebbe dovuto seguire Belle - “starle alle calcagna”, era stata questa l’espressione cha maman aveva usato - e riferirle tutto quel che faceva e diceva.
A Regina quella richiesta era parsa quanto mai strana e priva di motivazione logica; e non aveva esitato a manifestare, sia pur timidamente, i suoi dubbi in merito al progetto materno.
- Non è affare che ti riguarda, – l’aveva freddata Cora – Ti basta sapere che quella lì vuole prendere quel che è nostro e noi non glielo permetteremo.
- Ma Belle è buona, non prenderebbe mai qualcosa che non è suo, – aveva obiettato la bambina – Mi ha sempre trattata bene… Maman, non voglio.
Era stato allora che la donna aveva sospirato teatralmente, si era portata una mano al petto e aveva pronunciato la frase che Regina temeva più di ogni altra cosa al mondo.
- Tu mi deludi.
Aveva sentito le lacrime pungerle gli occhi e non era riuscita a trattenerle, mentre ascoltava la sequela di lamentele. Cora le aveva dato tutto, a cominciare dalla vita, aveva sacrificato la sua bellezza e la sua salute per lei, e ora la figlia la ripagava col tradimento, preferendole una servetta disonesta, ecco! No, non meritava tutto questo, ma il Fato non era stato clemente con lei…
Cosa avrebbe potuto fare Regina, a quel punto? Non poteva sopportare l’idea di causare un dispiacere alla persona che amava più di chiunque altro al mondo; l’idea di far soffrire ancora maman le appariva intollerabile.
Ma Belle non ha fatto niente di male…
Ma se maman dice che è disonesta, allora deve essere vero e io sono troppo stupida per capirlo.
La bambina si era avvicinata alla donna e l’aveva abbracciata.
- Va bene, – aveva mormorato, ignorando quel groppo alla gola che le mozzava il respiro – Farò come mi avete detto.
 
 
 
Sto tradendo Belle, si ripeteva Regina mentre la cameriera frugava senza requie nei tanti bauli che affollavano la soffitta. Non capiva cosa volesse portar via da loro quella ragazza dallo sguardo gentile e, soprattutto, non sapeva cosa riferire alla madre. Non aveva notato nulla di strano nel comportamento della domestica, semplicemente perché non c’era nulla di strano da notare: era allegra, garbata e laboriosa come sempre, non l’aveva mandata via sebbene fosse impegnata e la stava trattando con affetto. Come un’amica, si disse la ragazzina.
Mi tratta come un’amica e io la sto tradendo.
E gli amici non si tradiscono.
 - Belle? – domandò esitante.
La giovane alzò lo sguardo dal cassettone in cui stava frugando.
- Dimmi pure.
- Ma noi… Noi siamo amiche?
In quel momento, Regina pregò perché la risposta fosse negativa.
 
 
 
 
 
Una bambina non dovrebbe mai soffrire in questo modo, rifletté Belle fissando gli occhi imploranti di colei che aveva davanti. L’espressione seria e guardinga che la faceva sembrare più grande dei suoi dieci anni, il modo in cui si stringeva nel vestitino e fingeva disinteresse non facevano altro che urlare una muta speranza.
- Sì, – sorrise – Certo che siamo amiche! – Regina trasalì e lei aggiunse pacata: – Sempre se lo vuoi.
- Io lo voglio. È solo che… Non ho mai avuto un’amica prima d’ora…
La ragazza aspettò un seguito che non giunse. Non le parve il caso di insistere.
- Vieni qui, – suggerì invece – Mi aiuti a cercare queste benedette coperte?
 
 
 
Regina aveva bisogno di ridere, Belle ne era certa. Era per questo che, appena aveva scorto quei vecchi abiti e lunghi mantelli, le era balenata un’idea: perché non mettere in scena qualche storia coinvolgendo la bambina? Un piccolo ritardo non avrebbe certo sconvolto l’esistenza di Gold e, se lui l’avesse richiamata per questo, si sarebbe appellata all’effettivo caos del sottotetto.
E poi, perché mai dovrei scusarmi per aver fatto divertire una bambina?
Era stato più difficile a dirsi che a farsi: le due avevano subito messo in piedi uno spettacolino sulle fiabe che le vedeva nei panni di tutti i personaggi contemporaneamente, con risultati ben comici.
La reticenza dei primi minuti aveva ben presto lasciato spazio all’entusiasmo: ora Regina correva divertita, interpretando gli eroi di quei racconti, da Cappuccetto Rosso alla Bella Addormentata nel bosco, passando per Biancaneve; e vederla ridere spensierata riempiva di soddisfazione l’animo di Belle.
- Abbiamo dimenticato la Bella e la Bestia! – esclamò la ragazzina – Però questa volta la protagonista sei tu, avete lo stesso nome!
- Ma tu sei decisamente troppo carina per fare la Bestia! Come facciamo?
La bambina sembrò soppesare le opzioni per un momento.
- Se non fosse impegnato con maman, potremmo chiamare mio zio.
Il riferimento inatteso arrivò al cuore come un proiettile.
- Come, scusa? – mormorò attonita.
- Dico che, se potesse, mio zio verrebbe qui. Si divertirebbe a giocare con noi, credo.
È una frase innocente, ragionò Belle, pronunciata da una bambina affezionata al suo apparentemente burbero zio.
Eppure, il modo in cui Regina aveva pronunciato quelle parole, con quella casualità così vaga - troppo vaga - le aveva causato un brivido lungo la schiena. Come se avesse calcolato il momento in cui dirle, dopo aver atteso a lungo…
O forse sono io ad avere la coda di paglia e leggere significati reconditi anche là dove non ce ne sono, provò a convincersi la domestica.
Regina la fissava in attesa di risposta e lei non riuscì a sostenerne lo sguardo.
- Oh, guarda! – tentò di distrarla afferrando la prima cosa che si trovò davanti – Qui c’è altro!
La sua attenzione fu catturata da quelli che a prima vista parevano vecchi stracci ma che, a una seconda occhiata, rivelarono la loro vera natura: erano vestiti da bambino. Nulla più di due casacche e un paio di pantaloni rovinati dal tempo e dall’usura: i rammendi erano numerosi e la stoffa era lisa dal logoramento. La ragazza scosse via la polvere, rivelando la rozza lana mai trattata in cui gli abiti erano stati tessuti. Era l’abbigliamento dei più poveri: tutto, dalla trama alla foggia, lasciava intuire che fosse stato pensato per riscaldare e resistere agli anni, senza badare ai capricci della moda.
Tuttavia, era stato cucito con amore: lo provavano la cura delle rifiniture e l’attenzione dedicata ai rattoppi, segni inequivocabili che, lungi dall’essere delle semplici pezze senza valore, quei vestiti raccontavano una storia di tenerezza e premure.
Belle osservò in silenzio una casacca. Che fossero ricordi dell’infanzia di Gold? Come tutti, anche lei sapeva che fino a due decenni prima l’uomo altri non era stato se non un umile tessitore…
- Regina, sai a chi appartengono questi? – chiese la domestica.
- No, – la bambina scosse il capo – È la prima volta che li vedo, non sono mai salita in soffitta prima di oggi.
Chissà a cosa sta pensando, s’interrogò la piccola. La ragazza continuava a fissare quegli stracci con espressione assorta: che fosse anche quella un’informazione da riferire a maman?
Allontanò il pensiero dalla mente, prima che i rimorsi tornassero a pungere.
- Ora però continuiamo a giocare? – domandò speranzosa.
 
 
 
 
 
- A me non sembra possibile che tu abbia impiegato un giorno intero per trovare delle coperte. Te le ho chiesta ieri dopo pranzo e le ottengo solo oggi, all’ora del tè. E se mi fossero servite urgentemente?
- Non vi servivano urgentemente, in questa casa non fa certo tanto freddo da morire congelati, – replicò Belle, poggiando sulla scrivania il vassoio sul quale portava la teiera e la tazza.
Tazza che, puntualmente, venne ignorata.
Gold prendeva il suo tè rigorosamente dalla tazzina bianca e celeste che la ragazza aveva lasciato cadere la prima sera a Kensington. Quella piccola stravaganza non era passata inosservata: quando gli aveva servito il tè per la prima volta, la cameriera gli aveva porto una tazza Rosenthal decorata con tenui motivi floreali, l’uomo aveva alzato il sopracciglio – segno inequivocabile che la cosa non era di suo gradimento – e chiesto espressamente “quel povero oggettino che ha avuto la sventura d’incontrarti”, come l’aveva definito.
Sulle prime, Belle aveva pensato che l’uomo fosse particolarmente legato a quella stoviglia; ma in precedenza non aveva mai manifestato alcuna preferenza sui servizi da tè, anzi, tendeva a scegliere quelli più pregiati, come le aveva confermato Ariel. Quando l’aveva scoperto, la giovane l’aveva considerata l’ennesima eccentricità del datore di lavoro; ma poi, all’idea era subentrata una sorta di tacito orgoglio che, in segreto, la lusingava: era come se la predilezione per quella tazza fosse un minuscolo – e probabilmente immotivato perché inesistente, si ripeteva – omaggio a lei.
Ogni volta che Gold prendeva in mano la tazza, Belle si sorprendeva a sorridere tra sé e sé.
Altra cosa su cui dovrei pormi qualche domanda.
- Se non ne avessi avuto bisogno non te le avrei chieste, – l’industriale stava portando la bevanda alle labbra quando all’improvviso si bloccò e fissò l’inserviente – Tu non prendi il tè?
- Lo berrò dopo, col resto della servitù.
- Prendilo ora con me.
Belle avvampò, udendo la richiesta. La stava invitando a bere il tè con lui, nel suo studio, in quel momento?
Non era certo sua consuetudine condividere il momento con i domestici… Cercò di formulare una risposta sensata, valutando i pro e i contro delle possibilità che le si dispiegavano davanti e cercando di ignorare il cuore che – senza motivo, non ce n’è alcun motivo, calmati! – aveva iniziato a batterle più veloce.
Mi ha sorpresa, ecco quanto.
Sì, certo.
- Dearie, so di averti dato un ordine complicato, ma ti sarei grato se rispondessi prima che il tè si freddi. Devo aspettarti, ma non ho alcuna intenzione di bere qualcosa di ghiacciato.
- A dir la verità, non mi aspettavo questa richiesta, – ammise la donna, poggiandosi al tavolo.
Gold la imitò sbuffando stizzito.
- Ma per chi mi prendete voi servi?
Tacquero, guardando ciascuno in direzione diversa, senza sapere cosa dire – o senza avere il coraggio di dire qualsiasi cosa.
Belle fissò la superficie della scrivania, seguendo le venature del legno scuro con un dito. I segni che lo screziavano le ricordavano una spirale – e per un istante li associò ai suoi pensieri, che si ripiegavano su se stessi fino a raggiungere sempre lo stesso punto, sempre la stessa persona.
- Perché mi avete voluta proprio qui? – domandò a bassa voce.
L’uomo non si lasciò cogliere di sorpresa.
- Non potevo permettere che continuassi a sobillare i tuoi colleghi contro di me, – ghignò.
Belle non si trattenne dal ridacchiare.
- Secondo me vi sentivate solo. Voglio dire, – resasi conto di quanto appena dichiarato, cercò di correggersi prima che ogni sforzo fosse vano – Qualsiasi uomo si sentirebbe solo se trascorresse tanto tempo in silenzio qui.
Gold chinò il capo e fissò la tazzina.
- Ma come tu e i tuoi colleghi mi fate gentilmente notare, io non sono un uomo.
A quell’amara dichiarazione non seguì alcunché.
- Sapete, – la fanciulla provò a rompere quel silenzio che pesava come mai aveva fatto prima – Lavoro qui da un po’, ormai. E ieri, mentre cercavo le coperte in soffitta, ho trovato dei vestiti - piccoli, come per un bambino. Erano… Vostri?
Per qualche istante non si udì nulla, eccetto il crepitio del fuoco nel camino.
Era una domanda intima, personale - troppo personale. Rompeva ogni schermo tra i due.
Ma gli schermi, se c’erano mai stati, avevano cessato di esistere già da tempo.
- Di mio figlio, – la voce di Gold risuonò atona nella stanza, un roco sussurro che sapeva di dolore, pentimento e di un tempo ormai passato – Avevo un figlio. L’ho perso… Come sua madre.
Non avrei dovuto dirtelo, pensò l’uomo percependo il sussulto che scosse la ragazza accanto a lui. Avrebbe dovuto scacciarla, prenderla a male parole per aver osato chiedere, ma non confessarle la verità, non farla penetrare nella parte più segreta del suo animo, quella stessa parte che aveva soffocato per non restarne vittima, fino a pensare di averla eliminata per sempre.
Ma così non era stato se ora, dopo vent’anni di illusoria indifferenza, riemergeva come risvegliata dalle parole della ragazza di porcellana e zaffiro.
Belle si morse l’interno della guancia cercando le parole giuste da pronunciare – se ce n’erano, di parole giuste per simile occasione. Non avrebbe mai immaginato una simile risposta, certa che gli abiti fossero un simulacro dell’infanzia misera; non sapeva che fosse stato sposato, che avesse avuto un figlio.
Cercò di immaginarlo con un bambino in braccio, e la scena non le parve poi così avulsa dalla realtà.
Dal modo in cui ne’aveva accennato, era chiaro che Gold – l’impassibile, gelido, senza cuore Gold – aveva amato quella creatura e ne aveva sofferto la perdita.
Si corresse: ne stava ancora soffrendo la perdita.
- Mi… Mi dispiace, – fu tutto quel che riuscì a balbettare.
Stupida. Proprio non riesci a dire qualcosa di meno prevedibile?
Per quanto ovvie, quelle parole erano però state sincere. Belle era rimasta mortificata dalla confessione dell’uomo, e non solo perché era stata lei a sollevare un argomento evidentemente delicatissimo, no; era stato il dolore che aveva letto sul volto dell’imprenditore a gelarle il cuore e a trasmetterle – come se stesse vivendo quelle sensazioni in prima persona! – una sensazione che pregò di non conoscere mai nella sua intera esistenza.
- Tuttavia, – provò a mormorare – Questo dimostra quel che pensavo. Anche voi siete capace di provare sentimenti. Non siete davvero solo il tanto temuto e potente capitano d’industria, ma un uomo. Se voleste, io… Io… – Belle deglutì e si mosse appena, in attesa di una reazione – Se devo trascorrere qui tutta la mia vita, senza poter conoscere molte persone, posso almeno conoscere voi?
Finalmente Gold si scosse. Si rialzò, ma non si allontanò dalla ragazza. Sul suo volto, dove fino a pochi istanti prima regnavano la sofferenza e il rimpianto, era tornata la solita maschera beffarda.
- Forse, – convenne – O forse vuoi scoprire le debolezze del mostro e spifferarle al primo concorrente, vero? Vero? – accompagnò le parole con una risatina, cui Belle rispose con un’occhiata di sottecchi e un ghignetto.
- Non siete un mostro, e l’avete appena dimostrato. Voi vi considerate più cattivo di quanto in realtà siete, sapete? Interpretate a tal punto la parte del cinico da credervi tale, ma in realtà non è così… Vero?
Non distolse lo sguardo dall’uomo, conscia di aver vinto la piccola battaglia. Il sorriso che Gold accennò fu la conferma – era poco più di una smorfia, ma a lei parve luminoso, come se un sole fosse appena nato in quella stanza ancora troppo cupa, in presenza di quell’uomo ancora troppo chiuso in se stesso, coi suoi demoni come unica compagnia.
Un sorriso che lei non ebbe paura di ricambiare.
- Domani partirò, – conscio della pericolosa piega assunta dalla conversazione, l’industriale cambiò argomento – Starò via una settimana… Per lavoro, – precisò, desiderando subito non averlo fatto – Inutile ribadire che questo non ti permetterà di trascurare i tuoi doveri. Al mio ritornò mi aspetto di trovare tutto perfettamente in ordine.
- Come sempre.
L’uomo annuì severo, prima di ordinarle il da farsi per una cena.
 
Lei non gli disse che le sarebbe mancato.
Lui non la ringraziò mai per quelle parole.
 
 
 
“Risolverò
magari poco o niente,
ma ci sarò, 
e questo è l’importante, 
acqua sarò 
che spegnerà un momento 
accanto a te 
viaggiando controvento.”

“Controvento” - Arisa
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
N. d. A.: È raro che io sia soddisfatta da un mio lavoro, ipercritica fino all’eccesso come sono; anzi, è un’evenienza più unica che rara.
Ma, signore e signori, il giorno è arrivato.
La fine è vicina. Prepariamoci all’Apocalisse. Winter is coming.
Idiozie e mio autocompiacimento a parte, quanto appena scritto non deve rendervi ciechi: vi prego di essere sinceri e obiettivi nel farmi conoscere il vostro parere. Se per voi ho scritto una schifezza, ditelo pure senza timore alcuno. :)
Il “White’s” era un club per gentiluomini - maggiori informazioni qui http://georgianagarden.blogspot.it/2009/11/whites.html; il Vintage Darjeeling è un tipo di tè. Penso che - anche per una questione cronologica - le fiabe tradizionali fossero diffuse nell’Inghilterra vittoriana, ma non ho trovato conferme in merito: diversamente, prendetelo come una mia licenza.
SPOILER: per me la 3x18 è stata una delle puntate più belle di tre stagioni di OUAT. Ho adorato rivedere la giovane Cora, anche in versione “sedotta e abbandonata”, e a me la tanto chiacchierata scena GoldenGreen è piaciuta… Sapevo che non era come sembrava! Per non parlare del finale OutlawQueen, coppia per cui ormai stravedo! *.* La 3x19, invece, non mi ha fatta impazzire. Sarà che gli Snowing non mi piacciono, ma sono rimasta indifferente alla questione del cuore diviso. Finora Glinda si è dimostrata senza infamia e senza lode; vedremo nella 3x20. Piuttosto, quando vogliono riunire i RumBelle? A me questa separazione eterna sta proprio scocciando, per non parlare di Belle versione bella statuina OOC. Mah!
Grazie a Twikio, KikiWhiteFly, Arain, gionem, La Lady, Mooarless, Kushina92, Mania, padme83, Stria93, seasonsoflove, claraoswald, LadyViolet91, nari92, S05lj, Rosaspina7 e PoisonRain per le recensioni lasciate a “Enjoy the silence”; ad alix katlice, annachiara27, Beabizz, Beauty, blackholexX, Boris88, Caribe, claraoswald, DreamWriten, fantasy93, Giu_99, Hati91, Heartofgold, Hey J, Jessica21, La Lady, LadyViolet91, licet, Moonlight818, Nimel17, Pleaseance Carroll, RumpelSil, S05lj, Samirina, Silverbreath, Stria93, twikio, valeego, a crazycotton, winner_, Anya85, Araba Shirel Stark, Arain, ctdg, Elinor92, Emily Gold, EmmaAst, Ersilia, fatinaviola, gionem, Haola, jei90, Josephine_, Jun M, kagura, KikiWhiteFly, kittyonce, La bambina fantasma, Mania, martaxx, matt1, mooarless, Morgana le fay, nari92, NevilleLuna, Onigiri, padme83, PoisonRain, Queen Elizabeth, Rosaspina7, rumbelle2998, Sakura 89, seasonsoflove, Silver Loreley, Teacup, TheQ, zipi89, _69withzayn, _alexi 4295_ e __sakura___ per aver aggiunto la long alle storie preferite/ricordate/seguite; e ovviamente i lettori silenziosi – dite la vostra, su! ;)
Molto probabilmente a metà della prossima settimana pubblicherò una nuova cosina… Prima però devo sistemarla, perciò vedremo, stay tuned! ;) Quanto a questa long, salvo imprevisti ci si legge sabato 17 maggio!
Baci! ♥
Euridice100
 

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Capitolo 11
*** X - La mia vita senza te ***


 A tutte le meravigliose persone
che mi hanno accompagnata
durante questo primo anno su EFP.
Grazie. ♥
 
 
 
X – La mia vita senza te
 
 
 
“C'è un momento per tutto,
vai bene come vai, 
qualche cosa si spegne,

altre ne riaccenderai, 
al dolore rispondi col sorriso che hai, 
le ragazze non piangono mai.”

”La mia vita senza te” – Tre Allegri Ragazzi Morti
 
 
 
- Gold è via. Il coccodrillo è via per sette giorni e tra sei io compio gli anni. Poteva capitarmi compleanno migliore?
Killian ripeté la frase per l’ennesima volta, incurante di aver ormai stufato tutti. Se sulle prime Belle aveva sorriso sentendo definire così il padrone – chissà perché lo chiama in questo modo, poi –, ora iniziava a stancarsene. Non era l’unica: Kathryn sbuffava e Ariel stava levando gli occhi al cielo. La giovane ghignò e imitò il valletto, e la rossa non riuscì a trattenere una risata, che ben presto si trasformò in un accesso di tosse
- Che brutta tosse, Ari! Ce l’hai da parecchio. Ti stai curando? – le domandò l’uomo
- Al solito modo, Killian. Ora che abbiamo meno lavoro ne approfitterò per riposare un po’.
- E fai bene, perché vi voglio tutte belle in forma per la mia festa!
- Festa? – Mary Margaret alzò gli occhi dal cucito – Festa? Cos’hai intenzione di combinare, disgraziato di un Jones?
- Mary, stavo giusto per dirvelo! Non compio venticinque anni tutti i giorni, e questa volta…
- … Non c’è neanche Gold! – concluse Aurora.
- Aye, milady! – Killian le fece l’occhiolino e si rivolse nuovamente alla governante – Ho solo intenzione di divertirmi un po’, ne abbiamo diritto!
- Tu non hai capito niente! La responsabile sono io e non ti permetterò di scolarti le riserve del padrone e distruggere casa, puoi starne certo!
- Mary, fidatevi di me! Non ho intenzione di assaltare l’intera Kensington, voglio solo condividere una bottiglia coi miei cari colleghi! Fate la brava… Suvvia, come potete dire di no a un faccino così tenero? – il ragazzo giunse le mani in preghiera e tirò fuori il labbro inferiore, in una scena che rischiò di far soffocare buona parte dei presenti – Emma, aiutami tu: come ti sentiresti se potessi festeggiare il tuo compleanno, ma qualcuno non si fidasse di te?
L’interpellata fece per rispondere, ma il cipiglio severo della madre fulminò sul nascere qualsiasi intenzione di sostenere la causa del bel valletto; si ritrovò a bofonchiare qualcosa di inintelligibile prima di seppellire il volto nella lattuga che stava sfogliando.
Belle - che aveva intuito da tempo la cotta dell’adolescente per Jones, ma aveva sperato fino all’ultimo che recuperasse il consueto caratterino per elaborare una risposta tagliente – ebbe pietà del povero servo e decise di intervenire in suo aiuto.
- Mary, sappiamo che Killian è un testone, e ora che si è impuntato troverà comunque modo di festeggiare. Non sarebbe meglio accontentarlo e limitare i danni?
La governante scosse il capo con decisione.
- Dovrà passare sul mio cadavere!
Tutti scoppiarono a ridere vedendo il giovane far segno di voler strozzare Mary Margaret.
 
 
 
In realtà, dopo giorni e giorni di perorazioni, suppliche, dinieghi e promesse, la donna cedette.
Killian avrebbe avuto la sua tanto agognata festa.
Certo, in cambio avrebbe dovuto sobbarcarsi a tempo indeterminato le incombenze di metà servitù maschile, non avrebbe potuto aprire più di una bottiglia di alcool e sarebbe stato il responsabile della serata, che non avrebbe comunque potuto protrarsi oltre le 22; ma a Jones l’offerta parve tanto vantaggiosa da spingerlo a siglare immediatamente il piccolo accordo con la donna.
- Ho i miei metodi per aggirare queste regole… – aveva confessato a due divertite Ariel e Belle, che non avevano potuto far altro che sperare per il meglio.
- In fine dei conti non c’è niente di male nel divertirsi, una volta tanto, – aveva osservato la giovane danese, e Belle non aveva potuto che darle ragione. Da quanto tempo non prendeva una serata per sé?
Da troppo, non c’erano dubbi; e anche se il lavoro nello studio di Gold non si era rivelato poi così faticoso, sentiva la necessità di una pausa dai pensieri.
Non era una sciocca: sapeva bene che poche ore non avrebbero certo dissipato la nebbia nella sua mente.
Nebbia in cui quel nome si ripeteva fin troppe volte.
E così, Gold aveva avuto una moglie e un figlio. Belle avrebbe voluto saperne di più, ma la sua indole curiosa era stata immediatamente frenata dal tormento intuito in quelle parole smozzicate che tanto somigliavano a una confessione sofferta, fatta dopo anni e anni di rabbioso isolamento.
Si chiese se qualcun altro in casa conoscesse il passato dell’imprenditore, se lady Mills ne fosse al corrente.
Chissà come aveva reagito la donna, in tal caso…
Al pensiero della Contessa, lo stomaco di Belle si contrasse.
Se all’inizio quella relazione non l’aveva stupita più di tanto, ora il semplice pensiero aveva il potere di scatenare in lei una stranissima reazione. La portava a chiedersi cosa mai trovasse Gold in quella donna, che non sembrava certo una persona pronta ad ascoltare il prossimo; e quando si rimproverava, rammentando a se stessa di non dover dar conto solo alle apparenze, le tornava in mente il crudele trattamento che la Mills riservava alla figlia, e si pentiva di essersi dimostrata – anche se solo per un attimo – comprensiva.
Sei gelosa?
Ma figurati!
…Sì.
Non aveva alcun diritto di essere gelosa di Gold, semplicemente perché non aveva diritto di nutrire dei sentimenti per lui.
Non era possibile.
Non era giusto.
Sì, ormai era innamorata; le sensazioni che provava erano le stesse descritte nei tanti libri che leggeva; ma appunto, quelli erano racconti, questa era la realtà, poliedrica, varia e tristemente vera. Una realtà nella quale avrebbe combattuto, certo, ma nella quale non tutto poteva essere sconfitto, soprattutto se - come nel suo caso - la lotta era univoca.
Belle sospirò, osservando l’amica ridere a una battuta di Killian.
Ma perché non ho perso la testa per un altro? Sarebbe stato tutto più semplice.
Sì, sarebbe stato tutto più semplice; ma un altro avrebbe mai aperto il suo cuore così all’improvviso, rivelando segreti che potevano spiegar tutto?
Un altro avrebbe mai avuto il potere di scatenarle le farfalle nello stomaco con un sorriso appena abbozzato?
Un altro si sarebbe rivelato così complesso, così ricco di sfumature che neanche una vita intera avrebbe permesso di cogliere appieno?
Nel momento in cui se lo chiese, Belle ebbe già la risposta.
 
 
 
La festa - quella ufficiale, almeno - era ormai agli sgoccioli. Killian aveva tagliato la torta che gli sforzi congiunti di Emma, Ariel e Belle avevano prodotto - Mary Margaret aveva supervisionato l’opera, controllando le mosse delle ragazze nel timore che nascondessero intenti ribelli - e scartato il dono fattogli: una piccola bussola d’ottone, omaggio al grande sogno del giovane di imbarcarsi e viaggiare per i sette mari.
Mrs Nolan esortava ormai tutti a ritirarsi nelle proprie stanze e così, mentre gli uomini bevevano il bicchiere della staffa e le donne rigovernavano, i presenti più giovani si scambiavano la buonanotte, ben consci che il loro divertimento non sarebbe terminato lì.
Belle sentì il festeggiato sibilare a Emma: – Cerca di venire dopo, ci tengo!, e la bionda rispondere piccata mentre fingeva di rinnovargli gli auguri.
- Secondo te come andrà a finire? – chiese la ragazza ad Ariel mentre, nella loro stanzetta, aspettavano la mezzanotte.
- Non so, – fu la sincera replica della rossa – Non mi sono mai trovata in una situazione simile e, a dirla tutta, ho un po’paura.
La cameriera indovinava i timori dell’amica: se Gold – Gold l’industriale, Gold l’inflessibile datore di lavoro, non certo Gold l’uomo – avesse scoperto che i domestici approfittavano della sua assenza per far baldoria, non li avrebbe certo premiati…
- Sai che ti dico? – concluse Belle, sistemandosi dietro le orecchie qualche ciocca sfuggita dallo chignon – Secondo me andrà tutto bene. Mary Margaret non è cattiva, se ci scoprirà ci farà la paternale, ma ascolterà le nostre ragioni e manterrà il segreto. Domani avrà già dimenticato tutto…
- Il rum ti ha resa ancora più coraggiosa, –  rise Ariel.
- Ma se non ne ho bevuto nemmeno un goccio!
- In tal caso, – dichiarò la ragazza – Avrai tutta la notte per rimediare.
 
 
 
I timori di Ariel sulla notte di follia si rivelarono alquanto esatti.
Come d’accordo, a mezzanotte in punto gli invitati iniziarono a ritrovarsi in cucina e quando, dopo mezz’ora, anche gli ultimi ritardatari - Aurora, che si era addormentata come al solito - si fecero vivi, Killian diede il via all’esclusivo festino. Forte dei suoi contatti sparsi per l’intera Londra, era riuscito a procurarsi un numero non meglio specificato di bottiglie di alcolici, che già si preparava a stappare per scaldare l’atmosfera, già carica per l’emozione della trasgressione.
Nonostante la tanto vantata resistenza ai liquori, il festeggiato fu anche il primo - e l’unico - a ritrovarsi ben presto già ubriaco: iniziò a intonare canzoni marinaresche in tono esageratamente alto e allegro, ignorando le preghiere dei presenti di tacere prima che si riversassero in cucina tutti gli abitanti della villa - compreso Gold, ovunque fosse.
- Che vengano, offrirò loro da bere! – fu il commento del ragazzo che, dopo aver equamente diviso le sue attenzioni tra Belle e Ariel – o meglio, “la mia eroina” e “la mia splendida sirena”, come le aveva ribattezzate –, aveva eletto Emma a sua dama. La bionda, nonostante l’abituale broncio, non nascondeva certo di esserne lusingata, mentre accompagnava Killian sulle note della più stonata versione di “A drop of Nelson’s blood” che si fosse mai sentita.
- Killian sarà anche bello, simpatico e tutto, ma ammettiamolo, come aspirante marinaio fa proprio pena, – osservò serissima Ariel, attirandosi le occhiate divertite delle sue colleghe.
- Io lo sapevo!
L’urlo inaspettato zittì i presenti solo per un attimo, trascorso il quale si voltarono verso l’ultima arrivata e iniziarono a ridere.
- Li conosco i miei polli! Sapevo che avreste fatto baldoria e distrutto mezza cucina, lo sapevo io! – Mary Margaret si catapultò nella stanza e squadrò tutti con furia. Alla vista della figlia pericolosamente vicina al colpevole di tutto, quasi fremette di rabbia.
- Mi stupisco di alcune di voi! – ululò prima di rivolgersi a Emma – Tu, invece, sei un caso perso!
- Ma mamma! – protestò la ragazza, le lacrime agli occhi dalle risate – Non stiamo facendo niente di male!
- Niente di male? Niente di male? Fare a pezzi la cucina, scolarvi la cantina del padrone e ballare con questo delinquente è niente di male, secondo te, sciagurata?
- Era solo un paio di bottiglie in tante persone, Milady, e le ho comprate io! – Killian puntualizzò abbastanza impropriamente.
- E allora come mai sei sbronzo, disgraziato?
Il ragazzo non seppe rispondere e fu costretto a subire un’altra sequela di improperi senza fiatare.
- Voi tre che mi sembrate un tantino ragionevoli, – la governante ordinò infine ad Ariel, Ashley e Belle – Ripulite questo disastro. Alle sei ricominceremo a lavorare e per allora non voglio vedere una stoviglia fuori posto. Ci siamo intese? E con te, – afferrò Emma per un braccio e la trascinò fuori dalla cucina – Facciamo subito i conti!
- Però, – esclamò Belle quando le due scomparvero dalla vista – Devo ammettere che quando vuole Mary tira fuori un bel caratterino!
- È determinata, – convenne Ariel, alzandosi dalla sedia – Povera Emma, l’aspetta una ramanzina memorabile. Ora però mettiamoci all’opera, o conosceremo anche noi l’ira di Mary Margaret…
- Ragazze, – s’intromise Ashley arrossendo – Ci sarebbe un problemino… Avevo promesso a Sean di passare a salutarlo… Sapete, lui non ha partecipato alla festa, e allora…
- E allora cosa stai aspettando? Va’da lui! – rise Belle
- Sicure? Se vi dà fastidio resto ad aiutarvi, non ci sono problemi…
- Ti fai problemi che non esistono, lo sai? Va’, e buona serata!
- Allora vado, – Ashley sorrise riconoscente – A domani, ragazze, e grazie!
Quando la giovane sparì dalla loro vista, la danese si rivolse all’amica.
- Non avremo sbagliato a farla andare, vero?
- Non si metterà nei guai, ha la testa sulle spalle. E Sean è un bravo ragazzo, si vede lontano un miglio che le vuole bene…
Le due iniziarono e a lavorare, e in poco più di un’ora la stanza tornò a splendere. Sebbene fosse stanca e non desiderasse altro che andare a riposare, Belle accettò la proposta di Ariel di bere un’ultima tazza di tè: forse era solo una sua impressione, ma le parve di leggere una velata preghiera nell’invito apparentemente innocente della donna.
Ariel era fatta così: si presentava sempre allegra e spumeggiante, ed erano rari i casi in cui chiedeva aiuto direttamente; e non per superbia o timore di apparire debole, quanto per timidezza e per un’immotivata - quanto radicata - convinzione di disturbare sempre qualcuno dando voce ai propri bisogni. Ormai Belle la conosceva a sufficienza da capire che forzarla non avrebbe certo condotto ad alcunché, anzi; sarebbe stata Ariel a parlare, quando e se se ne avesse sentito il bisogno. Nel frattempo, lei le avrebbe mostrato la sua vicinanza in modo discreto, ma fermo; e se questo avesse comportato rinunciare a qualche ora di sonno… Nella sua vita aveva stretto patti peggiori, su questo non c’erano dubbi.
Aspettarono in silenzio che l’acqua bollisse, quasi cullate dal crepitio delle fiamme nel camino.
Ariel, con una tazza tra le mani, si sedette accanto all’amica e si leccò le labbra nervosa; prese un profondo sospiro prima di esordire con un timido: – Ti sei mai innamorata?
Belle, a dir poco colta di sorpresa dalla domanda, arrossì e chinò il capo imbarazzata.
- In un certo senso…
- Scusa, – Ariel la guardò mortificata – È una domanda così personale, forse non avrei dovuto…
- È una domanda più che lecita tra amiche, non preoccuparti! – Belle le rivolse un sorriso per tranquillizzarla, interrogandosi sul perché dell’approccio tanto diretto.
- Io sono innamorata, – la rossa ammise senza guardarla in volto – E non passa. Non passa in alcun modo.
- Ma l’amore non è una malattia, – rifletté l’altra bevendo un sorso di tè – Non può passare.
Ariel scrollò il capo e fissò un punto indefinito oltre la spalla dell’amica.
- Si chiama Eric, sai? Dovresti veder quanto è bello. Moro, con gli occhi chiari, e un sorriso… Min Gud, il suo sorriso! Una volta mi hai detto di non credere nei colpi di fulmine, ma io me ne sono innamorata a prima vista. Da un momento all’altro mi sono sentita un fuoco dentro, avevo voglia di mettermi a correre, di saltare, di ridere… Ogni cosa aveva trovato il suo posto al mondo, e io con lui. Ti sei mai sentita così, Belle?
Sì.
Mi sento così.
Come se il suo pensiero riuscisse finalmente a completarmi.
- Viaggiava a bordo di una nave della Marina danese che ha preso fuoco al largo del mio villaggio. Nella confusione in tanti si sono gettati in acqua per salvare i naufraghi, e sulla riva io ho soccorso proprio lui. L’abbiamo ospitato in casa per la notte e il giorno dopo ci hanno bruscamente allontanati: era figlio di un Duca, non poteva stare a casa di umili pescatori… Ma ormai era troppo tardi. Ho scoperto chi era e che viveva nella capitale, e ho deciso di fare una follia: lasciare mio padre e le mie sorelle per trasferirmi a Copenaghen e ritrovarlo. Che cosa stupida, non trovi? – commentò la ragazza con una risatina che somigliava a un singhiozzo – Ma ero innamorata. Non lo ero mai stata prima e non sapevo nulla. Per lui avrei rinunciato a tutto… E così è stato.
- Forte della mia esperienza a casa di un nobile locale, sono riuscita a farmi assumere a casa di una ricca borghese e di sua figlia, dame Ursula e miss Vanessa, e usavo quel poco tempo libero che avevo per girare attorno alle residenze cittadine dei nobili, nella speranza di incontrarlo. Puoi immaginare la mia emozione quando l’ho trovato seduto a prendere il tè con le mie padrone! Ti dico solo che la faccia mi è diventata dello stesso colore dei capelli!
- Pensavo non mi avesse riconosciuta, ma mi sbagliavo. Quella sera è venuto a cercarmi, – Ariel strinse la tazza, quasi a cercare conforto nel calore del tè, gli occhi fissi sul liquido ambrato – È stata la settimana più bella della mia vita. Trascorrevamo insieme tutto il tempo che potevamo, danzavamo sotto la luna, giocavamo, ci baciavamo nei ripostigli…
- Lo so, avrei dovuto fare più attenzione. Non illudermi, sapere che non c’era futuro per noi. Non avrei dovuto gettarmi così in una storia che non poteva durare. Eravamo troppo diversi… E io, io non avrei mai potuto essere parte del suo mondo. E dame Ursula me l’ha fatto capire nel modo peggiore.
- Eric era promesso a Vanessa. L’ho scoperto dopo sette giorni. Una sera si è tenuta la loro festa di fidanzamento e la mia padrona mi ha messa alla porta. E lui…Lui non ha mosso un dito. Mi ha vista andar via, umiliata e offesa, e ha continuato a sorridere e a ricevere i complimenti degli ospiti.
- Cos’avrei dovuto fare io, Belle? Cos’avrei dovuto fare? Mi si è spezzato il cuore. L’ho sentito sbriciolarsi nel petto, e io ero lì, immobile, il mio corpo respirava, viveva, andava avanti, ma dentro io ero morta. Quel giorno sono morta. Cos’avrei dovuto fare? Sarei potuta tornare al mio villaggio. Mio padre mi avrebbe riaccolta e perdonata. Era così buono... Avrebbe mandato al diavolo le malelingue, e le mie sorelle mi avrebbero difesa. Ma non potevo, capisci? Avrei rovinato le loro vite. Mio padre avrebbe perso il lavoro e loro non si sarebbero più sposate. E poi… Non avrei potuto vivere lì. Eric era ancora arruolato, le navi della Marina approdavano spesso al nostro porto, avrei corso il rischio di rincontrarlo. Non potevo permettermelo. Pensare di star fissando lo stesso mare, respirando al stessa aria, rischiare di rincontrare il suo sguardo… Sarei impazzita.
- E così ho fatto l’unica cosa che so fare. Sono fuggita. Non avevo abbastanza soldi per New York, e mi sono imbarcata per l’Inghilterra. E così eccomi qui, con una lettera di referenze falsa che Gold non ha finto di bersi neanche per un istante e che tuttavia non ha commentato…
Belle chinò il capo. Cosa poteva dirle? Prima d’ora non si era mai trovata a consolare un’amica in una simile situazione. La storia di Ariel era triste e terribilmente vera: non era la prima ad avere alle spalle un simile passato, e non sarebbe certo stata l’ultima.
E forse, era seduta proprio accanto a una persona che avrebbe condiviso il suo stesso destino.
Mormorò un flebile “Mi dispiace”, ben poco utile per consolare una ragazza che si era fidata tanto di lei da rivelarle dei segreti tanto dolorosi; ma almeno, rifletté Belle, si trattava della cosa più sincera che potesse dirle. Perché le dispiaceva davvero per la sorte di Ariel, per il modo in cui era stata ingannata e usata per poi essere gettata via, come un rifiuto, come se fosse priva d’anima, dinanzi alla promessa di un ricco matrimonio; le dispiaceva vedere le lacrime dell’amica, percepire il dolore del suo cuore spezzato, sapere che fino ad allora era stata costretta a sopportare il peso delle disillusioni da sola, fingendo un brio che non le apparteneva.
Le dispiaceva; e la capiva meglio di quanto avrebbe voluto.
Quale differenza c’è tra me e lei?
Glielo disse, e lasciò che si sfogasse, certa che solo così avrebbe potuto sentirsi meglio. L’abbracciò mentre piangeva, e le rimase accanto quando, dopo interi minuti, la ragazza si passò una mano sulle guance e respirò a fondo, quasi imponendosi la calma.
- Grazie, – accennò appena, come a scusarsi di essere crollata, di non aver mascherato il dolore dietro a un sorriso  – Perdonami se ti ho rovinato la serata e ti ho rattristata, ma dovevo parlarne con qualcuno, o sarei impazzita… – prima che la collega potesse protestare, Ariel proseguì – E tu, invece? Quale torbido segreto nascondi?
- Sono innamorata di Gold.
Pronunciò quelle parole di getto, ma non si pentì di averlo fatto, anzi: ebbe l’impressione di essersi tolta un peso dalla coscienza, condividendo con qualcuno il pensiero che le martellava in testa.
Ariel strabuzzò gli occhi arrossati e la fissò ammutolita, quasi avesse ingoiato la lingua.
- Scusa?
- Ti prego, non fare così, o mi sento ancora più in colpa!
- No, scusami tu, non intendevo… Però converrai con me che non è una rivelazione da poco. Tu sei innamorata di Gold? Quel Gold? – abbassò la voce mentre indicava il piano superiore, come se temesse di risvegliare un drago addormentato.
- Quanti altri Gold conosci? Non ne sono innamorata, peggio… Potrei amarlo, – ammise Belle – Ma è tutto così difficile. Gli è morto un figlio, sapevi? Me l’ha confidato prima di partire. È per questo che si è chiuso in se stesso, ne sono sicura. Io provo a fargli capire che non sono sua nemica, ma non mi dà retta. È sempre sulla difensiva, crede di non meritare nulla e ciò gli impedisce di godersi qualsiasi momento.
- Non sapevo niente… Però questo prova una cosa. Tra tutta la gente che lavora qui anche da anni, io ho scelto di parlare con te. E lui? Anche lui ha scelto di parlare con te. Come mai? Tu hai un dono, Belle. Sai entrare in sintonia con le persone, le fai aprire e ne sveli la vera indole. Trovi il loro lato buono, e quando non c’è, lo crei. Secondo me è questa la strada da seguire con Gold.
Belle si morse le labbra, cercando le parole per esprimere il concetto che più le stava a cuore e che più appariva difficile da far capire.
- Lui non è come lascia credere. Ti ho raccontato del ladro, ricordi? È stato allora che me ne sono resa davvero conto, e più passa il tempo più me ne convinco. È come se avesse dimenticato chi è, come se avesse voluto dimenticarsene, nascondendo il suo cuore per non soffrire più… È una persona che ha solo finto di dimenticare di essere tale. Non è il mostro che sembra, questo te lo posso assicurare.
- E tu devi portarlo a ricordare la parte migliore di sé, fargli capire che non si affronta così la realtà! – esclamò l’amica infervorandosi – Te l’ho detto, hai un talento, e devi usarlo. E non lasciarti abbattere dalle difficoltà, va’avanti per la tua strada, se è quello che senti!
- Non mi lascio abbattere, sai come sono fatta. È solo che… A volte mi domando che senso abbia tutto questo. Voglio dire, non ha più senso illudersi che sia solo una cotta passeggera, io sono innamorata, ma lui, lui cosa pensa di me? A volte si confida come se fossi la sua unica amica, ma se provo a illudermi poi ricordo che c’è la Mills, e che se anche non ci fosse, la situazione non sarebbe semplice. È il mio datore di lavoro, Ari, sai meglio di me cosa significa… È assurdo.
Strinse una mano ad Ariel, che abbassò lo sguardo e rimase in silenzio per qualche istante.
- Ma Gold non è Eric.
- Come? – Belle era perplessa.
- Gold non è Eric. Lungi da me dire che è un santo, sarei matta a definirlo tale, specie dopo che mi ha fatta fare quella passeggiatina sotto la bufera, ma se tu dici che non è come sembra, che c’è una ragione dietro al suo comportamento, io ci credo. Mi fido del tuo giudizio e delle tue sensazioni. E comunque, gli amori che sembrano assurdi certe volte sono i migliori.Pensaci.
 
 
 
 
 
Dei sette giorni trascorsi con Cora, i preferiti di Robert Gold erano stati il primo e l’ultimo.
Quelli che non aveva trascorso con lei.
L’abituale soggiorno a Dover non era andata per il verso sperato: la donna avrebbe desiderato vivere dei momenti di quiete col suo amante, ma ogni suo piano aveva dovuto fare i conti con la realtà di un Gold che, sfuggente più che mai, si era portato dietro incartamenti e incartamenti con cui aveva passato tutte le notti. Cora era furibonda; Robert lo intuiva chiaramente dai suoi gesti, dalle parole che gli aveva rivolto e dal modo in cui, sdegnosa, non era scesa a salutarlo prima della partenza; ma non per questo lui aveva intenzione di cedere e fingere che tutto andasse come sempre.
Perché nulla, ora, va come sempre.
Se l’era ripetuto talmente tante volte da riuscire a convincersi: una settimana lontano da lei l’avrebbe aiutato a togliersela dalla testa. Era solo un’infatuazione senza senso, che non sarebbe mai dovuta esistere, e un po’di distrazione lo avrebbe aiutato a smettere di pensare a certe sciocchezze. Aveva un’amante tanto bella quanto adatta a lui, un patrimonio ingentissimo e un potere capace di aprirgli ogni porta; perché mai stava perdendo tempo dietro alle gonnelle di una serva?
Avrebbe tratto giovamento dalla lontananza, ne era certo.
Vane speranze.
L’immagine di Belle non gli aveva dato requie neanche per un momento.
Era stata un fantasma: una figura eterea, evanescente, ma talmente forte da non poter essere esorcizzata in alcun modo. Più volte si era sorpreso nel chiedersi cosa stessa facendo lei, se fosse triste o allegra, a cosa stesse pensando.
A chi stesse pensando non se lo chiedeva mai.
Qualunque fosse stata la risposta, gli avrebbe fatto male.
Se non avesse mai pensato lo avrebbe ferito; se avesse pensato a lui non se lo sarebbe mai perdonato.
Non vado bene per lei, si ripeteva fino all’ossessione, non posso avere questa presunzione, devo essere più forte e non cedere.
Eppure, più cercava di allontanare Belle da sé, più lei si insinuava tra i suoi pensieri, silenziosa e trasparente come l’azzurro delle sue iridi. Compariva all’improvviso, quando Gold meno se l’aspettava, e per questo colpendolo ancora di più.
C’era Belle nella minuscola crepa di un piatto, c’era Belle nella biblioteca della villa dei Mills, c’era  Belle nel fruscio dell’uniforme di una cameriera senza volto; c’era Belle l’unica volta che la solitudine l’aveva spinto nel letto di Cora.
Quanto si era pentito per quegli istanti, quanto. Per Cora che, nonostante tutto, non meritava simile trattamento; per Belle, che non doveva finire vittima della sua debolezza.
Conosceva Lord che non si sarebbero fatti tanti scrupoli per simili desideri: in fin dei conti, una domestica doveva servire il suo datore di lavoro sotto ogni aspetto, e quell’espressione poteva significare tutto. Se altri signori avessero avuto la possibilità di trascorrere tante ore al giorno con l’oggetto delle loro brame non si sarebbero lasciati sfuggire l’occasione; e se lei avesse anche solo osato protestare, l’avrebbero gettata fuori a calci.
A Gold quei pensieri davano il voltastomaco.
Non avrebbe mai corrotto Belle, non l’avrebbe trascinata nel baratro della sua anima; già l’aveva fatta addentrare troppo in sé, accennandole di Neal, e la cosa non si sarebbe più dovuta ripetere.
Neal.
Per la prima volta in tanti anni, Gold si rese conto che mai, neanche per caso, Cora gli aveva chiesto come si sentisse in proposito. Eppure sapeva; come poteva fingere di ignorarlo, se quella maledetta sera era con lui? Era stata Belle, invece, a porre una timida domanda che aveva toccato le corde più profonde del suo cuore, quelle che aveva persino dimenticato di possedere.
Quanto avrebbe voluto parlare con qualcuno… Già, ma con chi? Chi sarebbe stato disposto ad ascoltarlo, se tutti lo temevano ed erano pronti a ogni cosa pur di compiacerlo?
Anche quella volta la risposta venne da sé.
Belle.
Lei era l’unica a non dimostrare la benché minima soggezione nei suoi confronti, a rispondergli per le rime e a voler saperne di più.
A voler andare oltre la facciata.
A voler capire.
E anche se non gliel’avrebbe permesso, gliene sarebbe stato sempre grato.
Per raggiungere casa, occorreva attraversare i bassifondi. Gold era solito chiudere le tendine della carrozza, per non farsi riconoscere – come se una vettura tanto lussuosa possa passare inosservata in simili ambienti, meditò amaro – e per illudersi di non vedere la povertà abissale cui lui stesso era appartenuto, una o mille vite prima; ma quella volta, soprappensiero, se ne scordò.
Osservava distrattamente il triste panorama che gli si presentava davanti, senza soffermare lo sguardo su alcunché, quando all’improvviso qualcosa catturò la sua attenzione.
Una donna dai lunghi capelli neri spingeva un carretto mezzo traballante su cui faceva bella mostra di sé, tra mazzetti di fiori di campo già appassiti, una rosa.
Era stato il colore di quel fiore a colpire i suoi sensi: un cremisi intenso, con delle punte di scarlatto che ricordavano il sangue vivo; un colore talmente perfetto, mai ammirato nemmeno nei fiori che tanti facevano giungere dall’Italia per le loro feste, e che stonava ancora di più nel grigio contesto cui era immerso.
Quando vide la rosa, Gold pensò a Belle.
Costrinse il cocchiere a fermarsi e scese, incurante degli sguardi attoniti che tanto il servitore  quanto la multiforme umanità della strada gli lanciavano, e procedette nel suo percorso verso il barroccino.
- La rosa, – accennò appena, porgendo alla proprietaria una ghinea. Alla vista della moneta, la giovane spalancò gli occhi verdi, ma non si lasciò intimidire.
- Signore, con questo potete comprare tutto il carro e vi dovrei ancora il resto.
Nel suo modo franco di rispondere c’era qualcosa che ricordava Belle; era educata, ma non servile.
- Ma io voglio solo la rosa.
La sua interlocutrice alzò le spalle.
- Contento voi… – lasciò scivolare il denaro sotto lo scialle rosso che portava – In fondo, chi è ricco può permettersi ogni capriccio, anche un fiore per così tanti soldi. La vostra signora sarà contenta, – riprese più allegra, – Le state regalando un simbolo d’amore. E poi, è proprio un bel fiore. Sono stata fortunata a coglierla stamattina…
O a rubarlo, avrebbe ghignato Gold fino a due mesi prima.
No, si corresse: fino a due mesi prima non si sarebbe mai fermato in mezzo a una strada dei quartieri bassi a intavolare discorsi con fioraie intraprendenti.
Fino a due mesi prima.
 
Prima di Belle.
 
Prima dell’amore.
 
 
 
 
 
 
 
1 “Venuto al mondo” – Margaret Mazzantini
 
 
 
 
N. d. A. : Hello, Dearies! ♥
Ecco a voi un nuovo capitolo: che ne pensate? Personalmente non mi fa impazzire, anzi…. Come sempre, sono pronta ad ascoltare il vostro parere, e se volete muovermi critiche di qualsiasi sorta, non siate timidi e fatelo: ve ne sarei davvero grata! :)
Ursula e Vanessa vengono dal film Disney “La Sirenetta”; “A drop of Neal’s blood” è una canzone tipica dei marinai inglesi e, per il valore delle sterline all’epoca vi lascio questo link: http://georgianagarden.blogspot.it/2010/01/il-denaro-monete-e-banconote.html
Questa volta non saltate la canzone del titolo, che è una meraviglia! ;)
SPOILER 3x20/21/22: nonostante io sia ancora arrabbiatissima per l’inganno del pugnale, tra proposta e nozze i RumBelle mi hanno fatto versare tante lacrime – e per una volta, di gioia. *.* Ho ancora gli occhi a cuoricino, anche se mi è dispiaciuto immensamente per Regina… Secondo me però ci sono speranze per lei e Robin, non tutto è perduto. E questa volta i CaptainSwan mi sono stra-piaciuti, soprattutto Killian! Quanto alla nuova cattiva, io amo Elsa, perciò spero si riveli tanto temibile quanto Zelena - che, però, mi è mancata. Spero che riappaio nella quarta stagione! ♥
Grazie di cuore a Kushina92, Mania, padme83, PoisonRain, Arain, Stria93, La Lady, Rosaspina7, twikio, Hati91, seasonsoflove, a crazycotton, S05lj e gionem per aver detto la loro sul precedente capitolo; a Pleasence Carroll per il recupero; ad annachiara27, Beabizz, Beauty, blackholexX, Boris88, Caribe, claraoswald, DreamWriten, fantasy93, Giu_99, Hati91, Heartofgold, Hey J, Jessica21, La Lady, LadyViolet91, licet, mooarless, Moonlight818, Nimel17, Pleaseance Carroll, PoisonRain, RumpelSil, S05lj, Samirina, Silverbreath, Stria93, twikio, valeego, a crazycotton, winner_, alix katlice, Anya85, Araba Shirel Stark, Arain, ctdg, Elaine Jean, Elinor92, Emily Gold, EmmaAst, Ersilia, fatinaviola, gionem, H o r o, Haola, jei90, Josephine_, Jun M, kagura, KikiWhiteFly, kittyonce, La bambina fantasma, Mania, martaxx, matt1, Morgana le fay, nari92, NevilleLuna, Onigiri, padme83, Queen Elizabeth, Rosaspina7, rumbelle2998, Sakura 89, seasonsoflove, Silver Loreley, Solenia21, Teacup, TheQ, x_LucyW, zipi89, _69withzayn, _alexi 4295_ e __sakura___ per aver aggiunto la long alle storie preferite/ricordate/seguite; e ovviamente i lettori silenziosi, che invito sempre a farsi sentire. :)
Ne approfitto per ringraziare quanti hanno letto-recensito-aggiunto alle varie categorie “And I’ve held your hand through all of these years” e per comunicare loro che, grazie a Stria93, ho scoperto l’autrice della fanart di cui parlavo: è AngelQueen13 e trovate l’immagine su DeviantArt! ;)
Ci leggiamo sabato 31 maggio, raggi di sole! ♥
Euridice100

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Capitolo 12
*** XI - The crow, the owl and the dove ***


 
 
 
XI - The crow, the owl and the dove
 
 
Don't give me love,
don't give me faith, 
wisdom nor pride,
give me innocence instead.
Don't give me love,
I've had my share, 
beauty nor rest,
give me truth instead.

“The crow, the owl and the dove” – Nightwish
 


Entrò in casa dalla porta di servizio. Non voleva essere accolto dai domestici, ricevere il loro bentornato tanto cortese quanto inespressivo, scoprire chi l’avesse cercato in quei giorni; non voleva incontrare nessuno, nessuno tranne lei.
Stringeva la rosa tra le dita, incurante dei baci delle spine, mentre percorreva i corridoi che mai prima d’allora gli erano parsi tanto lunghi.
Che cosa sto facendo?, si ripeteva senza riuscire a darsi una risposta. Donare una rosa a una serva, che stupida romanticheria priva di senso!
Non era da lui, non era assolutamente da lui indulgere in simili smancerie.
E poi, le rose non gli piacevano; se neanche lei le avesse gradite?
Ma suo padre faceva il fioraio, è cresciuta tra i fiori, sicuramente li amerà.
Che ragionamento idiota
, si maledisse. A questo punto, per forza di cose la figlia di un marinaio dovrebbe saper nuotare!
E, soprattutto, perché continuava a porsi tante domande sui gusti di una cameriera cui ben poco era dovuto?
Avrebbe fatto meglio ad andarsene e fingere che nulla fosse accaduto, prima di ricoprirsi di ridicolo. Sì, bando alle ciance: era quasi arrivato allo studio, ma nessuno l’aveva ancora visto; faceva in tempo a lasciare la rosa da qualche parte, tornare indietro e improvvisare un ingresso trionfale dall’entrata principale fingendo la solita compostezza, come se fosse davvero tornato da un riuscito viaggio di affari.
Al diavolo la sua assurda ossessione per quella ragazza: avrebbe fatto così.
Nel preciso istante in cui si voltò per andarsene, nel corridoio apparve Belle.
Appena si videro, i due sussultarono e rimasero immobili.
Gold benedisse l’inedita prontezza di riflessi che lo indusse a nascondere immediatamente il fiore dietro la schiena; Belle intrecciò le dita davanti a sé in un gesto che comunicava attesa e un sottile turbamento.
A dispetto dell’etichetta, fu lei a rompere il silenzio.
- Bentornato, Mr. Gold. Spero abbiate fatto un buon viaggio.
- Ti ringrazio, – dalla sua voce nessuno avrebbe potuto indovinare la segreta emozione che gli smuoveva l’anima – Perché non sei già a lavoro?
La ragazza guardò per terra imbarazzata, come se – per la prima volta nella sua vita!, pensò divertito – non sapesse cosa rispondere.
Le ombre scure sotto gli occhi la facevano apparire più delicata, più fragile di quanto ricordasse.
E, se possibile, ancora più bella.
- Fa niente, – aggiunse rapido, pentendosi di aver posto la domanda in tono tanto scontroso e perentorio – Ho… Ho una cosa per te.
La mano fu più rapida di ogni pensiero: prima che potesse impedirselo, le porse la rosa
Era uno scherzo della vista, o Belle era arrossita? No, no, i suoi occhi non lo stavano ingannando: l’emozione stava imporporando la cameriera, mentre le sue labbra si aprivano in un sorriso emozionato.
- In tal caso…, – mormorò lusingata, tornando a guardarlo in volto – Grazie.
Accennò una riverenza, cui lui rispose con un mezzo inchino, e allungò il braccio per ricevere il dono; nel farlo, la sua mano sfiorò quella dell’uomo.
Gold sentì il cuore accelerare mentre fissava rapito quella pelle di seta, le unghie tanto piccole e delicate da ricordargli conchiglie e quelle dita eleganti, degne di essere ricoperte dalle gemme più preziose, così vicine alle sue, che anni di agi non avevano rese meno rozze e che mai come in quel momento gli apparivano indegne di essere avvicinate da una creatura leggiadra come colei che aveva davanti.
Il tempo parve avvilupparsi su se stesso, senza che Belle avesse la forza - il desiderio - di spezzare l’incantesimo del contatto. C’era fuoco - fuoco sulle sue dita, fuoco nel suo cuore, fuoco nel colore di quel dono tanto inatteso quanto gradito, capace di ribaltare ogni equilibrio e ogni certezza.
Un dono che pareva una promessa, uno di quei gesti di cui tanto aveva letto e che non credeva esistessero nella realtà.
Un pegno d’amore.
Una porta sbattuta in lontananza li fece sobbalzare.
Le loro mani si allontanarono bruscamente e i due distolsero lo sguardo imbarazzati.
- Cerco un vaso, – sussurrò la ragazza entrando nello studio – E accendo subito il fuoco. Oggi fa così freddo…
Lui non rispose. Guardò la cameriera che si affaccendava per la stanza. Dalle tende ormai sempre aperte non entrava la luce del sole: era una lugubre mattina di fine novembre e l’inverno alle porte aveva reso il calore un ricordo ormai lontano; eppure, a Gold parve che nel suo studio brillasse un astro più luminoso di cento soli, una stella capace di sconfiggere ogni tenebra, di superare ogni ostacolo e riscaldare nel profondo.
Riscaldare l’anima.
- Belle, – chiamò quel nome tanto agognato, e il suono gli riempì la bocca, facendolo stupire per come - nonostante fosse lui a pronunciarle - le cinque lettere non perdessero la loro musicalità.
Lei rallentò per un momento le sue azioni, sorpresa da quel cenno inatteso.
- Belle, – ripeté Gold, imponendosi autocontrollo prima di porre la domanda che tanto gli premeva – Tu avevi una vita prima di… Questo. Una famiglia, degli amici, – trattenne a stento l’impulso di digrignare i denti, vietandosi di pensare a French e alle possibili implicazioni della parola “amici”, e rammentò a se stesso di non averne alcun diritto – Cosa ti ha fatto scegliere di venire qui con me?
La giovane continuò ad armeggiare coi carboni, ma si voltò a guardarlo, un’espressione assorta sul volto.
- Eroismo, – esordì – Spirito di sacrificio. Sapete, non ci sono molte opportunità da queste parti per le donne, per mostrare cosa possono fare. Per vedere il mondo. Per diventare eroine.
- Ma a Buckingham Palace siede una donna, – puntualizzò l’industriale.
- Certo… In assenza di eredi maschi, ovviamente, – precisò amara – Perciò, quando voi siete arrivato, era quella la mia opportunità. Ho sempre desiderato essere coraggiosa… Ho pensato, “fa’ la cosa coraggiosa e il coraggio verrà da sé.”
- E ha funzionato?
Belle rifletté prima di rispondere.
- Volevo vedere il mondo. Direi che questa parte non è andata molto bene… Volevo aiutare mio padre, e ci ho provato con tutte le mie forze, – un’ombra di mestizia le incupì lo sguardo mentre ammetteva il fallimento – Ma non posso salvare chi non vuole esserlo.
Per qualche istante il silenzio regnò sovrano nella stanza, mentre entrambi erano persi nei propri pensieri e ricordi.
- Ma sicuramente avevi degli amici... Un fidanzato, magari, – anni e anni di finzione gli permisero di non farsi sfuggire la scintilla di gelosia che gli aveva acceso il cuore all’idea.
La risata franca della ragazza gli parve un sorso d’acqua dopo aver attraversato il deserto.
- “Fidanzato”… Per un motivo o l’altro non ho mai avuto molto tempo per queste cose. Mi sono rassegnata a diventare una vispa zitella, e conoscendo la sorte di mie coetanee mi va bene anche così, – quando il fuoco ormai già scoppiettava, mosse qualche passo verso la scrivania e riprese a parlare – Quando avevo sedici anni e le cose andavano ancora bene, mio… Mio padre decise che era giunta l’ora di trovarmi un promesso. Iniziò a organizzare tè cui invitava esponenti del nostro ceto, piccoli avvocati, figli di altri commercianti… Ce n’era uno, Gaston Beaumont. Era d’origine francese e la cosa, ovviamente, faceva impazzire mio padre. Era bello, poco più grande di me, galante, e anche abbiente… nonostante il susseguirsi di aggettivi positivi, non c’era traccia di nostalgia né nella voce né nello sguardo della ragazza. Anzi, sembrava piuttosto… Divertita? Insomma, il marito ideale, se non fosse che era un completo ottuso!
- Mi faceva una corte serrata che ogni altra ragazza al mio posto avrebbe accettato. Ma era così stupido e arrogante! Badava solo alla caccia e ad altre simili sciocchezze, criticava ogni mia idea e pretendeva di decidere per me. Addirittura non voleva che leggessi, sosteneva che i libri mi avrebbero fatto venire in testa strane idee e che avrei fatto meglio a badare alla casa! Alla fine, ho rifiutato la sua proposta. In tutta onestà, non mi è mai importato molto di Gaston. Sapete, per me l’amore ha tante facce. L’amore è… Un mistero da svelare. No, no, – scrollò il capo pensierosa – Non avrei mai potuto dare il mio cuore a qualcuno tanto superficiale come lui.
Aveva voglia di ridere. Dopo tanti anni, improvvisamente gli era tornata la voglia di ridere. E di alzarsi e stringerla a sé, mettersi a ballare. Vedere il suo viso accendersi di gioia per lui e baciarla.
Non avrebbe fatto nulla di tutto ciò, era ovvio; ma non poté impedirsi di fantasticare per un istante, mentre un sorriso gli nasceva sul volto.
Controllati, stupido.
Sembrerai un idiota.
Eppure, per quanto si sforzasse, non riusciva a distogliere lo sguardo da colei che era diventata il centro di ogni cosa, colei che aveva il potere magnifico e terribile di farlo sentire vivo.
Non c’era di che festeggiare: quel discorso aveva confermato i suoi peggiori timori. Fino ad allora si era illuso che le sue fossero fantasticherie di un vecchio folle che vedeva amore dove c’era solo gentilezza; ma ora ribadire quell’idea sarebbe stato vano.
Belle sapeva andare oltre le apparenze, e questo poteva rivelarsi un difetto. Cosa sarebbe successo se avesse continuato ad andare oltre, se si fosse avvicinata ancora di più, se…?
Non voleva saperlo; pregava solo che non fosse già troppo tardi.
- Sono stata scortese, – all’improvviso Belle si ridestò dalla sua meditazione – Non vi ho chiesto com’è andato il viaggio…
- Bene, – mentì lui, osando finalmente guardarla in volto – È andato benissimo.
 
 
 
 
 
Dicembre era arrivato, col suo carico di vento e nembi pasciuti che ricoprivano il cielo di Londra, carichi di acqua che le temperature non ancora gelide non riuscivano a trasformare in neve.
Le pioggia battente si mescolava al fumo e ricopriva ogni cosa di una patina sporca che pareva insinuarsi nel profondo delle cose e delle persone, fino a soffocarne l’anima.
Belle continuava a lavorare a stretto contatto con Gold. Dopo il dono fattole, lui si era nuovamente barricato nel suo silenzio e aveva cercato di rialzare quella spessa barriera che lo isolava dal resto del mondo: un ninnolo mal spolverato o un ritardo di pochi minuti potevano scatenare una guerra in cui nessuna delle parti lesinava colpi. Le critiche alla cameriera erano all’ordine del giorno, critiche alle quali ella non sottostava certo quieta.
Agli occhi di un terzo, la situazione sarebbe parsa essere tornata quella di un tempo: il rapporto burrascoso tra una serva poi non così servizievole e un datore di lavoro severo che cercava di riportarla all’ordine.
Agli occhi di un terzo, sì; ma non ai loro.
Erano minuscoli segnali, baluginii nel buio; figure indistinte nelle quali un estraneo avrebbe colto ben poco ma che, lo sapevano, contenevano il mondo.
Due maschere di Ceylon erano improvvisamente sparite dallo studio dell’industriale dopo che, in uno dei rari momenti di tregua, Belle gli aveva confessato che i loro ghigni malevoli la mettevano a disagio; il tè bevuto assieme stava diventando un’abitudine quotidiana, e Gold si era ben presto reso conto di aver iniziato a chiamare la sua dipendente per nome, anziché rivolgersi a lei con quell’impersonale e sarcastico Dearie che dedicava al resto del mondo.
Combattevano sentimenti che volevano nascere, cercavano di soffocarli con le loro stesse mani, ma poi, al primo rantolo, si sentivano bruciare il cuore e desistevano da ogni intento, lasciandosi sopraffare da una verità più grande: quelle emozioni avevano già gettato radici troppo profonde nei loro animi, impossibili ormai da estirpare senza annullare se stessi.
Belle era testarda, lo era sempre stata, ma mai come allora ringraziava quel tratto della sua personalità che le impediva di arrendersi. L’armatura che proteggeva l’animo di Gold era dura e coriacea, ma lei sapeva – ne era certa – che non era troppo tardi per mandarla in frantumi e far emergere la vera essenza dell’uomo.
Se fosse davvero stato crudele e cinico come tutti lo descrivevano, non le avrebbe mai permesso di avvicinarsi fino a quel punto, non le avrebbe mai rivelato un proprio segreto; ma  lui l’aveva fatto, e per quanto ora si sforzasse di allontanarla nuovamente, non avrebbe mai potuto eliminare la connessione che si era creata, quel filo forte come la lana e prezioso come l’oro che era stato intessuto tra i due.
Un filo di cui anche l’uomo si era accorto, Belle se lo sentiva; altrimenti, come spiegare quel regalo? La rosa era presto appassita, ma non il significato di cui era foriera, il ringraziamento che le parole non erano riuscite a formulare. Mentre rifletteva su quel che, tumultuoso, le affollava l’anima e che non negava, la giovane si era spesso sorpresa a osservare il fiore; ne aveva conservato i petali tra le pagine di un libro, per non perdere neanche il ricordo tangibile di un gesto in cui gioia e dolore si confondevano, come nella sua mente.
Come nella mente di Gold.
Si era accorto sin troppo presto che il muro stava cedendo, che i mattoni andavano sgretolandosi rapidamente, troppo rapidamente; ed era intervenuto, nonostante ogni azione che lo allontanava da lei facesse male. Era un dolore fisico, prima ancora che mentale: un sordo ruggito che si propagava nel petto e gli rendeva impossibile compilare il libro mastro, badare agli affari, persino filare.
Il vorticare della ruota non allontanava più i pensieri da quando ne era lei l’unica protagonista.
Non c’è futuro per voi, si ripeteva all’ossessione quando incontrava la figuretta gentile e allegra divenuta ormai la sua compagnia costante; e non sarebbe giusto per lei. L’avrebbe solo illusa e compromessa, mandandola in frantumi; e non aveva intenzione di distruggere la persona più forte e integra mai incontrata nella sua vita.
Con la rosa si era esposto troppo; non avrebbe più ripetuto l’errore. Ma come avevano brillato i suoi occhi chiari mentre le porgeva il fiore! Turchesi incastonati sul volto di una fata, ecco cos’erano. Una fata che sto facendo lavorare troppo, si rimproverava le volte che, osservandola, la scopriva più pallida, più stanca del solito.
Cora non poteva che essere una pallida imitazione di Belle, somigliante a lei quanto una pozzanghera all’oceano. E lui era stanco del fango dei pantani, dei segreti e dei sotterfugi ammantati di fasto: per una volta nella vita, sentiva lo strano, impellente bisogno di tornare a essere se stesso, mostrare la sua vera identità.
La ragione gli ordinava di tornare da Cora, di provare a ricostruire il rapporto con lei, magari partendo da basi diverse, scrivendo un capitolo completamente nuovo; e aveva provato a riavvicinarsi, si era impegnato con tutto se stesso. Le aveva fatto realizzare un bracciale esclusivo, che dopo l’ennesimo rifiuto, l’ennesima battuta caustica la donna aveva accettato, sia pure ancora sdegnosa; ma poi, dinanzi allo scintillio del gioiello sul polso della Contessa, si era sorpreso a chiedersi quale effetto quelle pietre avrebbero avuto sulla pelle diafana di Belle.
Aveva inanellato complimenti alternati a giustificazioni per i fatti di Dover, reprimendo il feroce desiderio di prendersi a sberle per la propria debolezza; ma alla fine, nella solitudine delle proprie stanze, si era trovato costretto a riconoscere la vanità di ogni sforzo.
Per quanto lui potesse lottare, Belle resisteva.
Ed era per questo che lui l’amava.
 
 
 
 
 
Si sarebbe potuto definire la contessa Mills in mille diversi modi, non tutti esattamente encomiastici o cortesi, ma non la si sarebbe potuta definire un’idiota.
Ed è proprio quel che Gold sta facendo.
Poteva regalarle preziosi monili, raffazzonare patetiche scuse per quella maledetta settimana, ma non poteva – non doveva! – osare prendere in giro colei senza la quale sarebbe rimasto sempre e solo un pezzente.
L’ultima volta che erano stati insieme era palese che avesse la mente altrove; e Cora indovinava con fin troppa sicurezza cosa, o meglio, chi fosse al centro dei suoi pensieri.
Quella dannatissima cameriera.
Belle era più giovane di lei, vero, e aveva un’aura di fragilità, di grazia delicata che spingeva gli uomini a prendersene cura; i suoi occhioni celesti facevano certamente strage, e la donna non dubitava che tra le sue vittime annoverasse anche Gold.
Gli uomini, meditò amara, che branco di smidollati. Due moine e sono pronti a darti anche l’anima.
Fino ad allora Regina le era stata di ben poco supporto: con notevole ritrosia che le era costata un ulteriore sforzo di persuasione, le aveva sì riferito le attività di Belle; ma erano state parole vane, priva di utilità alcuna. Da chi diamine aveva preso per essere talmente stupida da pensare che potesse importarle qualcosa del tè preferito dalla ragazza, di una tazza sbeccata che lavava sempre personalmente o dei petali di rosa che conservava in un libro?
Non da lei, poco ma sicuro. Voleva prove, dati evidenti che zittissero ogni possibile obiezione, non quattro fandonie di cui avrebbe potuto farsene ben poco!
Solo una cosa le aveva dato di che pensare: incalzata dalle domande, una titubante Regina aveva confessato che una volta, durante un gioco in soffitta, al nome di Gold Belle era arrossita e le erano tremate le mani, salvo poi cambiare bruscamente argomento.
Udendo la confessione, Cora aveva a stento trattenuto un sorriso.
Ecco la strada da seguire, allora: portare la serva a confessare indirettamente i suoi fini, umiliarla senza sporcarsi le mani, fingendo di aiutarla. Chissà se avrebbe mantenuto la solita faccia tosta, una volta morsa la polvere…
Una cosa era certa: Robert e la French non gliel’avrebbero fatta sotto il naso. Il tempo stringeva: non sarebbe certo rimasta immobile, spettatrice tacita del disastro incombente.
Ogni ora la domestica era sempre più vicina all’imprenditore; ma lei non avrebbe permesso che ciò accadesse.
Me ne occuperò personalmente.
Alla prima occasione disponibile avrebbe dato una lezione indimenticabile a quella sgualdrinella.
Molto presto.
 
 
 
- La perdonerai per essersi allontanata, vero? In fondo, una bambina non può che annoiarsi ascoltando i nostri piccoli affari…
- Non c’è problema, sai come la penso in proposito. Qui Regina deve sentirsi a suo agio, come se fosse a casa sua… Anzi, mi stupisco che tu glielo abbia concesso. Piuttosto, dimmi di cosa si tratta.
La donna esordì con un sospiro teatrale.
- I preparativi per il ballo mi stanno distruggendo. C’è ancora così tanto da fare, i dervisci rotanti non hanno confermato la loro disponibilità, e il cuoco francese mi sta dando mille grattacapi…
- Ripeti queste parole ogni anno e puntualmente la festa si rivela un successo. Se dovessi davvero definire ancora tanti aspetti, non staresti certo qui a chiacchierare in tutta calma.
- Non puoi capire, Robert caro. Gli altri anni non ho incontrato i problemi che ho ora con la servitù… – mentì fino a un certo punto – Sai, ho scoperto che la mia cameriera personale mi ha sottratto dell’argenteria. Licenziarla era il minimo che potessi fare. Ma del resto, al giorno d’oggi non si sa mai chi si mette in casa. All’inizio sembrano tutti degli angioletti premurosi, ma poi rivelano sempre la loro autentica natura …
Spiò l’uomo alla ricerca di una reazione che non trovò. Gold era intento a mescolare il suo tè, un’espressione serafica sul volto affilato.
- Fortunatamente non ho mai avuto problemi di questa sorta coi miei dipendenti. Penso dipenda dal modo in cui ci si approccia.
Giochi a fare il vago, ora, mio caro?
- Questo è vero, ma ahimé, le nuove generazioni sono immuni a qualsiasi monito. I giovani non hanno alcun garbo, sono oziosi, pensano solo al divertimento... Ma le ragazze! Mio Dio, Robert, le ragazze sono le peggiori. Sono tutte delle frivolette dalla lingua lunga, farebbero di tutto pur di accattivarsi le grazie dei loro datori di lavoro, se capisci quel che intendo…
L’allusione sortì l’effetto sperato.
Per un solo istante - che però non passò inosservato - Gold alzò gli occhi dalla tazza.
Ah, Robert, Robert. Puoi fingerti impassibile quanto vuoi, ma so quando colpisco nel segno.
- Tra noi non ci sono mai state mezze parole. Cosa vuoi, Cora?
- Ah, mio caro, nulla di particolare – la Contessa rise querula – Anzi, mi scuso per aver divagato. Visto quel che ti ho raccontato, mi chiedevo se potessi prestarmi una tua cameriera per aiutarmi la sera della festa.
- Posso mandarti Mary Margaret, – l’uomo inarcò le sopracciglia lasciando trapelare appena la sua perplessità – Nessuna delle mie domestiche è specializzata nell’aiutare una signora, ma…
- Oh, no, Robert caro, – lo interruppe la donna, gli occhi scuri che lampeggiavano maliziosi – Ti ringrazio per l’offerta, ma ho già messo gli occhi addosso a un’altra delle tue inservienti. L’ultima assunta, per l’esattezza.
- Belle.
Aveva pronunciato cauto il nome, dissimulando l’improvvisa, atroce realizzazione di quanto stava accadendo. La sua voce non aveva tremato, il suo cuore sì.
- Esatto. Che nome carino… Un po’sempliciotto, vero, ma in fin dei conti parliamo di una domestica.
- Perché vuoi proprio lei?
Il sibilo di un serpente, l’ultimo soffio prima di scattare e colpire.
- Ma che domande! Perché fino a qualche tempo fa non lavorava, quindi di sicuro capirà qualcosa in più di moda rispetto alla tua governante!
- Ma se è vero che ormai le domestiche sono tutte delle scioccherelle, basterebbe nominare un’acconciatura e anche l’ultima delle sguattere saprebbe realizzarla.
- Hai ragione, – Cora concordò placidamente – Ma preferirei essere assistita da lei, anziché da una contadinotta qualunque, proprio perché non è nata serva. Anche se, da quanto mi hai raccontato, il padre era sul lastrico, avrà certamente cresciuto bene la sua unica figlia, l’avrà viziata e concesso ogni capricci… Magari avrà perso i suoi soldi proprio per lei, chi lo sa. A ogni modo, capirà di moda più di Mary Margaret, e i suoi consigli potrebbero tornarmi utili.
Aveva calcolato la reazione dell’uomo, e non perdeva la calma nel confutarne le repliche; tuttavia percepiva la rabbia montare furiosa in sé, udendone le rimostranze, le ennesime, implicite conferme ai suoi sospetti.
La realtà del tradimento che emergeva da una maschera di patetiche menzogne, bestemmie ai suoi occhi.
- Tu, che desideri la sua assistenza, quando non sei mai stata in buoni rapporti con lei? Mi prendi per un idiota?
- Abbiamo solo iniziato male, ma ti assicuro che non nutro il benché minimo risentimento nei suoi confronti.
- L’hai paragonata a un cane e pretendevi che la cacciassi.
- Quel giorno stavo poco bene, ho avuto una reazione impulsiva anche nei confronti di Regina, ricordi?
- Due volte, Cora? In due diverse occasioni? Cos’hai intenzione di fare?
- Buon Dio, Robert! – la risata in cui la donna proruppe suonò stridula alle sue stesse orecchie, ma non riuscì a trattenersi in alcun modo – Se qualcuno ascoltasse le tue parole, penserebbe che ti abbia chiesto di prestarmi la tua amante, e non una tua dipendente! Faresti tante storie se parlassimo di, non saprei, Aurora?
- Farei tante storie per chiunque, se sapessi che vuoi vendicarti. Questi tuoi piani non mi stanno bene, e non permetterò che tu li persegua.
- Va bene, va bene, non c’è bisogno di scaldarsi tanto. Mi accontenterò di Mary Margaret, se proprio insisti, – Cora concesse nel tono condiscendente che quarant’anni di polvere e trionfi le avevano assicurato – Solo che ora dovremo trovare rimedio a una situazione alquanto – come dire? – incresciosa
- Sarebbe?
- Non potevo immaginare che ti saresti opposto con tanta veemenza alla mia richiesta e mi sono sentita libera di accennarla a lady Frances Greyjoy, la moglie dell’ammiraglio, hai presente? So che non mi crederai, ma ho cantato le doti di Belle tanto che la mia amica non vede l’ora di conoscerla. Resterà senz’altro delusa…
- Dille che è ammalata e non può servire, – tagliò corto l’uomo.
- Ovviamente, non temere. Mi chiedo però se potremo giustificare con una malattia le voci che si diffonderanno…
Gold la scrutò dubbioso.
- Quali voci potrebbero mai nascere dal raffreddore di una cameriera?
- Mi sono scordata di dirti che, mentre parlavo con Frances, la giovane Wendy era nel salottino. Quella ragazzina ha ancora tanto da imparare sulla discrezione, in pochi minuti l’intera servitù era al corrente della notizia. Già si prepara ad accogliere Belle… Ma sai come sono fatti i domestici: si berranno la storia di un malanno improvviso? Sapendo che proprio tu me l’hai consigliata, penseranno subito a qualcosa di losco. Queste dicerie girano in fretta, in breve tutta Londra inizierà a mormorare nefandezze... Nulla di vero, certo, ma la reputazione di quella sventurata ne uscirebbe distrutta. Ma se a te va bene così…
- Devono solo provarci, – Gold si ritrovò a tuonare senza rendersene conto. S’impose una calma impossibile da provare prima di proseguire – Non ci sono mai state chiacchiere sul conto dei miei dipendenti. Non permetterò che inizino a diffondersene ora, tanto più su una persona integerrima. Se dovesse accadere, interverrò personalmente per porre fine a questa storia.
- Però converrai con me che sarebbe ben strano, – osservò la Contessa in studiato tono casuale – Robert Gold che muove mari e monti per salvaguardare la nomea della sua domestica personale, anziché cacciarla di casa al primo pettegolezzo. Che lo spregiudicato, cinico industriale abbia un punto debole? Che si sia… Innamorato? Di una camerierina, poi…
- Non dire assurdità. Non me ne sono innamorato, – l’uomo digrignò i denti e fissò la sua interlocutrice.
I suoi occhi foschi, penetranti, risoluti sapevano.
- Naturale. Tu sei mio.
Si era fatto mettere all’angolo. Nella foga del confronto, non era stato sufficientemente attento, non aveva saputo giocare le carte a sua disposizione; e Cora l’aveva trascinato dove aveva voluto.
La conosceva fin troppo bene per illudersi che “i servi” di cui aveva parlato fossero davvero i suoi dipendenti; se le avesse negato Belle, sarebbe stata lei la prima a diffondere discredito sulla ragazza; ma se gliel’avesse concessa… Non sapeva neanche lui cosa sarebbe accaduto.
Non sarebbe finita bene né in un modo né nell’altro.
Ecco perché avrei dovuto starle alla larga.
L’ho trascinata nel baratro con me.
Non poteva fare altro, ormai, se voleva evitare la rovina definitiva.
- Va bene, – cedette infine; e nel momento stesso in cui pronunciò la resa, se ne vergognò.
Se ci fosse stata Belle al mio posto, sarebbe andata avanti.
Avrebbe lottato.
Ma lui non era Belle.
Lui non conosceva quell’ardore intrepido e folle, neanche per le cose che amava.
Lui non era Belle.
- Perfetto, allora, mio caro, – Cora chiocciò senza distogliere lo sguardo dal volto ormai terreo del suo amante – Scommetto che io e Belle diventeremo ottime amiche.


Ora il tè aveva il sapore della vittoria.


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
N. d. A: Torno a voi dopo una settimana di esami finalmente conclusasi nel migliore dei modi! XD
Come avete capito, ci stiamo ormai avvicinando al cuore della storia: i prossimi tre capitoli segneranno una svolta definitiva… Spero vi piaceranno! *.* Ora, però, concentriamoci su quanto pubblicato oggi: cosa ne pensate? Critiche, consigli, IC, OOC? Aspetto la vostra opinione - anche negativa, è inutile che lo ripeta, giudicate liberamente perché il vostro parere non può che essermi di supporto! :)
Il cognome che ho attribuito a Gaston è quello dell’autrice de “La Bella e la Bestia”; “Greyjoy” è il nome di una casata de “Le cronache del ghiaccio e del fuoco” di George Martin e, chiaramente, alcuni dialoghi sono ripresi da OUAT.
Grazie a twikio, Arain, Padme83, seasonsoflove, Elaine Jean, Mania, La Lady, Pleasance Carroll, ParideScalbisso, gionem, PoisonRain, Stria93, S05lj, LadyViolet91, Nari92 e claraoswald per aver commentato il precedente capitolo; ad annachiara27, Beabizz, Beauty, BlackHolexX, Boris88, Caribe, claraoswald, DreamWriten, fantasy93, Jo_Kayers, Giu99, Hati91,Heartofgold, Hey J, Jessica21, LadyViolet91, La Lady, licet, mooarless, Moonlight818,  Nimel17, padme83, Pleasence Carroll, Poison Rain, RumpelSil, S05lj, Samirina, Silverbreath, Stria93, Sylphs, twikio, valeego, a crazycotton, winner_, alix katlice, Anya85, Araba Shirel Stark, Arain, Bubuettina, ctdg, Elaine Jean, Elinor92, Emily Gold, EmmaAst, Ersilia, fatinaviola, gionem, H o r o, Haola, jei90, Josephine_, Jun M, kagura, KikiWhiteFly, kittyonce, La bambina fantasma, Mania, martaxx, matt1, Morgana le fay, nari92, NevilleLuna, Onigiri, Queen Elizabeth, Rosaspina7, rumbelle2998, Sakura 89, seasonsoflove, Silver Loreley, Solenia21, Teacup, TheQ, x_LucyW, zipi89, _69withzayn, _alexi 4295_ e __sakura___ per aver aggiunto la long alle storie preferite/ricordate/seguite; e ovviamente i lettori silenziosi, la cui opinione attendo sempre. :)
Bacioni, tesori miei – salvo imprevisti, appuntamento a sabato 14 giugno! ;) ♥
Euridice100
 

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Capitolo 13
*** XII - Verranno a chiederti del nostro amore ***


 
 
 
XII - Verranno a chiederti del nostro amore
 
 
 
Quando in anticipo
sul tuo stupore 
verranno a chiederti del nostro amore, 
a quella gente consumata

nel farsi dar retta 
un amore così lungo 
tu non darglielo in fretta.”
 
 
 
Avanti, non essere codarda. Hai affrontato di peggio.
In fondo si tratta solo di poche ore…
Le ultime della mia vita, probabilmente.
Da quando, pochi giorni prima, Gold le aveva annunciato che avrebbe lavorato al ballo di lady Mills, Belle aveva dimenticato il significato della parola “pace”. Nel momento stesso in cui aveva ricevuto l’inattesa convocazione, la giovane aveva intuito di dover affrontare un padrone che sarebbe stato eufemistico definire irato, e si era chiesta cos’avesse combinato per scatenare simile reazione; ma, scoperta la verità, Belle stessa era rimasta a dir poco sbigottita.
Come dimenticare l’espressione dipinta sul volto dell’uomo, il modo in cui torturava con le unghie il pannello di cuoio che rivestiva lo scrittoio, i lampi che gli attraversavano lo sguardo?
Non erano state tanto le richieste a sconvolgere Belle: in fin dei conti, si sarebbe limitata a fare le veci di una cameriera personale, assistendo la Contessa nella preparazione alla festa che era solita tenere ogni dicembre… Occupazioni normali per una domestica, se non fosse che era stata lady Mills in persona a pretendere i suoi servigi.
- Ma perché vuole proprio me? – aveva chiesto la giovane, senza ottenere spiegazioni. Gold si era limitato a congedarla; e da allora non l’aveva più visto.
Aveva disertato lo studio e, quando l’aveva cercato, si era negato affermando di essere molto impegnato.
- Ti sta evitando, – aveva suggerito Ariel – Forse si sente in colpa per averti ceduta così e ora non ha neanche il coraggio di guardarti in faccia.
La danese condivideva le preoccupazioni della collega: se Cora aveva chiesto Belle con tanta insistenza doveva esserci un motivo e, conoscendo la donna, non c’era di che stare tranquilli.
- Magari ha scoperto qualcosa ed è gelosa…
- Ma come avrebbe fatto? – l’aveva interrotta l’altra, senza smettere di percorrere su e giù a grandi passi la stanzetta che condividevano – Non ho contatti diretti con lei da tantissimo tempo! E poi, cosa avrebbe scoperto, se non c’è nulla da scoprire?
La rossa non era rimasta soddisfatta da quelle osservazioni, e aveva continuato a rivolgere raccomandazioni all’amica; l’ultima risaliva a pochi minuti prima, mentre Belle si accingeva a uscire di casa: nonostante la pioggia, un’Ariel ancora più esangue del solito l’aveva accompagnata sino alla carrozza d’ordinanza, augurandole buona fortuna e stringendole la mani agitatissima tra moniti e incoraggiamenti.
Ma grande era stata la sorpresa delle due nello scoprire che nell’abitacolo sedeva già un occupante che mai si sarebbero aspettate di trovare.
- Buonasera, – Belle salutò, mentre Ariel retrocedeva timida senza aprir bocca.
- Ho deciso di accompagnarti personalmente da lady Mills. Non oso immaginare cosa faresti se ti lasciassi andare senza ripeterti quel che già dovresti sapere.
La ragazza represse una smorfia.
- Non credevo di aver detto qualcosa di divertente. Se capissi la situazione in cui ti trovi non saresti così serena, stanne certa.
- Io capisco la situazione in cui mi trovo, sapete? – replicò Belle risentita – Ma preferisco affrontarla combattendo, anziché rimuginandoci sopra, come fate voi.
Piccola, coraggiosa Belle.
Quando imparerai a non resistere più?
Questa situazione è solo colpa mia, ma sarai tu l’unica a pagarne le conseguenze.
- E, dimmi, da quando sei diventata così sagace, così vicina a Cora, da sapere come comportarti con lei? Se qualcosa andrà storto, pregherai di non essere nata.
- Vi hanno mai detto che amate esagerare?
- Questo non è un gioco! – Gold si accorse troppo tardi di aver alzato la voce e se ne pentì. Cercò si riacquistare una parvenza di serenità prima di continuare – Lady Mills vuole la tua presenza e io non posso negargliela. Ma so bene che i vostri rapporti non sono dei migliori e lei non si lascerà sfuggire occasione di sottolineare le tue innumerevoli mancanze… Perciò, visto che c’è di mezzo anche il mio buon nome, per una volta nella vita esigo che tu ti comporti ammodo, o non sarò clemente come al solito.
Sentiva gli occhi di Belle puntati addosso, pietre azzurre che gli martoriavano la carne fino a scavargli il cuore; non trovò il coraggio di affrontarli.
Scappi.
Ancora una volta nella tua vita, scappi.
- Non temete, – il suo sorriso caldo era divenuto improvvisamente ghiaccio lontano – Non getterò onta sul vostro buon nome, se è quel che vi interessa.
No.
Non è la mia reputazione a interessarmi, Belle.
Sei tu, e non so come, ma Cora l’ha scoperto, e stasera farà di tutto pur di distruggerti.
- Benissimo. Mi aspetto solo il meglio da te.
La osservò in silenzio con l’animo gonfio di verità da confessarle; ma tacque fino all’arrivo a Belgravia. Belle strinse la mantella che portava sulle spalle e si apprestò a scendere dalla carrozza.
 - Voi non venite? – chiese, notando che l’uomo non si muoveva.
Gold scosse il capo, ringraziando il Cielo per quella serva che non era proprio in grado di tacere se non interrogata.
Lui non sarebbe mai riuscito a rompere il silenzio.
- È ancora presto per gli invitati, – accennò, pur non dovendole alcuna spiegazione – Tornerò dopo.
- Ma allora perché mi avete accompagnata?
Perché dovevo vederti.
Perché avrei dovuto metterti in guardia da Cora, ma in questi giorni sono sempre fuggito da te e ho finito per ferirti ancora.
- Mi pareva di avertelo detto, Dearie, per tenerti d’occhio. Ah, sempre la solita distratta…
La ragazza abbozzò il fantasma di una risata prima d’incamminarsi.
Avanti, chiamala.
È la tua ultima possibilità.
Fallo!
- Belle.
Pronunciò il nome d’istinto, capendo troppo tardi quanto fatto.
Lei si voltò appena.
- Sì?
A Gold parve che in quelle lettere vi fosse un abbraccio di note che avrebbe potuto ascoltare senza stancarsene mai. Non avrebbe voluto mandarla così sola e indifesa tra le fauci della leonessa, ma non sapeva cosa fare; e se anche l’avesse saputo, non era certo che sarebbe riuscito a farlo.
Ma lei sa difendersi da sola, si ricordò. Se credi che abbia bisogno del tuo aiuto, non la conosci davvero.
Misere consolazioni dinanzi a una verità troppo difficile da accettare e affrontare.
A Belle parve che l’uomo volesse dirle qualcosa; ma si limitò a un cenno del capo e distolse lo sguardo, confermando ogni suo dubbio.
La stava evitando; e quella certezza la ferì più quanto avrebbe dovuto.
- Niente. Va’, ora.
Gold rimase immobile mentre lei si allontanava in silenzio sotto la pioggia.
Codardo.
Codardo.
Quel che succederà oggi sarà solo colpa tua.
La vide oltrepassare di corsa il cancello dalle acuminate punte di ferro di casa Mills, avvicinarsi sempre più all’ingresso di servizio.
Scappa, Belle. Ti prego, approfitta di quest’occasione e scappa. Lasciati tutto alle spalle e mettiti in salvo.
Da questo mondo, da Cora, da me.
Era ferma davanti al portone; poteva quasi sentire i profondi respiri che stava prendendo, come per infondersi sicurezza.
Fingerò di non vederti, non verrò a cercarti.
Ma ti prego, scappa.
Belle afferrò il batacchio d’ottone e bussò.
No, Belle, no!
L’uscio si aprì quasi all’istante e la ragazza fu inghiottita da quella casa di gelido calore.
- Riparto, Mr. Gold? – domandò il cocchiere.
Dal modo in cui pronunciò il suo nome, capì che doveva averlo chiamato già molte volte.
 
 
 
“Non sei riuscita a cambiarmi, 
non ti ho cambiata, lo sai.”


  
Belle spostò il peso del corpo da una gamba all’altra, in attesa che qualcuno aprisse.
Dopo qualche secondo, il pesante ingresso di radica scura si scostò e due occhi scuri la fissarono incuriositi.
- Ehm… Scusate, – esordì – Sono Belle French. Mr. Gold mi ha mandata per aiutare lady Mills…
Lo sguardo scintillante la scrutò circospetto.
- Aspettiamo il tuo arrivo da quindici minuti. Sei in ritardo, non ti invidio proprio, – dichiarò spalancando la porta – Sbrigati, lady Cora non è paziente e il ricevimento la rende ancora più nervosa, quanto è vero che io mi chiamo Wendy.
Belle sorrise a quella ragazzina dai capelli ricci che, sbrigativa, le fece cenno di seguirla.
- Felice di conoscerti, Wendy. Ma la tua padrona non può sgridarmi, mi ha mandato a dire di trovarmi qui per le …
- No, no, no, – la interruppe l’altra – Mettiamo in chiaro una cosa: lei può sgridarti per qualsiasi motivo, anche per una cosa che lei stessa ti ha detto di fare, e rispondere è fuori discussione, fidati, – scosse il capo, come rassegnata all’ingenuità dei nuovi arrivati – Ma non perdiamo altro tempo, devi cambiarti: se la Contessa ti vede senza divisa, come minimo le viene un colpo.
- Lungi da me avere questa responsabilità… – rispose Belle, prendendo l’uniforme nera che le veniva passata. Abituata com’era al blu fiordaliso di casa Gold, la foggia severa e il colore lugubre della nuova tenuta le opprimevano il cuore. L’ansia che già provava era acuita da quanto la circondava: il mobilio d’ebano dei corridoi, gli scuri tappeti orientali, la stanzetta asfittica in cui la collega l’aveva condotta per farla cambiare…Ogni cosa sembrava ricordarle la situazione che stava vivendo.
Avanti, si consolò. Non sarà una passeggiata, ma mai dire mai, magari la Mills si stancherà subito di te e ti manderà da Regina. E in ogni caso, tu sei coraggiosa, te lo dicono tutti, e devi crederci anche tu. Ora devi dimostrarlo, hai tutte le carte in regola per tenerle testa e ce la farai.
Sii te stessa, non avere paura.
Fa’ la cosa coraggiosa e il coraggio verrà da sé.
Respirò a fondo e si leccò le labbra nervosa prima di parlare.
- Wendy… Sii sincera, devo temere la Contessa?
La giovane esitò appena prima di rispondere.
- Più di ogni altra cosa al mondo.
 
 
 
 
 
Il rimbombo dei colpi alla porta si propagò nell’aria immota.
Cora si annodò la vestaglia più opulenta che aveva nell’armadio e sorrise.
A Belle parve che quel suono andasse a ritmo col battito del cuore, un fragore che pregava perché tacesse.
A Cora parve che quel suono fosse dolce e lusinghiero, i complimenti di un ammiratore non più respinto, ma accolto, legato a sé, vinto.
A entrambe quel suono parve il ruggito dei tamburi di guerra.
 
 
 
 
 
- Avvicinati, avvicinati, mia cara… Marla, dico bene? – la Contessa sorrise, una smorfia tanto seducente quanto fredda,
La smorfia del cobra che incanta la preda.
- Belle, – la cameriera la corresse con naturalezza, tenendo ben alto il mento. Nel momento stesso in cui aveva messo piede nella camera, aveva allontanato da sé ogni timore, avvinto la paura in una morsa talmente stretta da soffocarla.
C’era spazio solo per il confronto, ora.
Si misurarono in silenzio per qualche istante, prima che l’altra parlasse.
- Oh, certo, Belle. Che sbadata. Saresti dovuta essere qui già da un po’.
Memore del consiglio di Wendy, la giovane si limitò a un cenno che avrebbe potuto tradursi in qualsiasi modo.
Non cercava la lotta; ma se fosse stata provocata, avrebbe reagito.
- Non essere impertinente e rispondimi, ragazza. Saresti dovuta essere qui già da un po’, – ripeté la donna, senza perdere la gelida smorfia.
Quella bambina cercava di fingere impassibilità, rifletté, ma non riusciva a nascondere le scintille che le accendevano gli occhi chiari.
Era un incendio che bisognava far divampare, un rogo che l’avrebbe avvolta e divorata.
L’unica vittima sarebbe stata Belle stessa.
- La vettura di Mr. Gold era disponibile solo ora, – si sforzò di non far suonare alcuna inflessione nella voce, ma realizzò subito con orrore di aver già compiuto un passo falso.
Era solo una sua impressione, o le labbra della Contessa si erano fatte ancora più sottili, il suo sguardo ancora più sfuggente, al sentir nominare l’industriale?
La teoria di Ariel le riecheggiò nella mente.
- Capisco. Non sei forse in grado di recarti sin qui a piedi?
Quanto ti preoccupi per la tua servetta, ah, Robert?, la donna pronunciò queste parole solo nella sua mente, ma non per questo esse suonarono meno dure. Ma me la pagherai. Me la pagherai anche tu, stanne certo.
- Sono perfettamente in grado di arrivare qui da sola, – Belle replicò – Se Mr. Gold mi ha permesso di usare la carrozza, è stato solo per non farmi arrivare in ritardo.
- Fallendo, tra l’altro. Ma quanta premura, quanta encomiabile premura…
“- Magari ha scoperto qualcosa ed è gelosa…
- Ma come avrebbe fatto? Non ho contatti diretti con lei da tantissimo tempo… E poi, cosa avrebbe scoperto, se non c’è nulla da scoprire?”
No. Non poteva essere.
Ma le frasi smozzicate, l’astio nella voce non lasciavano adito a dubbi: la Contessa aveva intuito i suoi sentimenti per Gold. Era quello il motivo per cui aveva preteso la sua assistenza.
Voleva incontrarla. Voleva parlarle.
Voleva distruggerla, realizzò Belle, incontrando gli occhi della nobildonna.
In quei laghi di pece trovò la conferma di tutti i timori appena paventati, che solo allora aveva ammesso a se stessa.
Cora non avrebbe lasciato vittime attorno a sé: avrebbe fatto un lavoro pulito, nessuno le si sarebbe potuto rimproverare nulla.
Avrebbe semplicemente schiacciato la rivale prima che potesse anche solo muovere un passo.
Era tutto uno stratagemma, un piano ben congegnato in cui si era trovata coinvolta a sua insaputa e contro la sua volontà, mentre il resto del mondo poteva immaginare tutto.
Gold, pensò amareggiata, ricomponendo all’istante i tasselli del mosaico. Lui conosceva le reali intenzioni della sua amante, poco ma sicuro; ora l’atteggiamento che aveva tenuto negli ultimi giorni assumeva finalmente un senso.
Perché non me l’ha detto subito? Perché non è stato chiaro sin dall’inizio?
Se le avesse parlato sarebbe stato tutto più semplice.
Ma non l’ha fatto. Mi ha lasciata sola contro Cora, mi ha abbandonata alla sua mercè, senza…
Senza cosa? Non sapeva neanche lei cos’avrebbe voluto. Un consiglio, un suggerimento?
Semplicemente non essere trattata come una pedina.
Ora spettava a lei affrontare la situazione.
Spettava a lei difendersi.
E lo avrebbe fatto.
 
 
 
 
 
Il tempo passava e il cumulo di calze e vesti sparse per il boudoir aumentava.
Ogni parere di Belle - dato, a dir la verità, con ben poco entusiasmo - cadeva nel vuoto: la scollatura di un abito era eccessiva, un altro era di velluto troppo pesante e quell’altro lì? Mio Dio, non c’era persona al mondo che non sapesse che il color pesca era fuori moda da ben due mesi, dov’era vissuta fino ad allora per ignorarlo?
Cora le lanciava contro un torrente di parole, beandosi del rossore che imporporava sempre più le guance della domestica e delle risposte che ella aveva ancora l’audacia di formulare.
Ogni sillaba era una mortificazione, uno schiaffo che Belle non avrebbe continuato ad accettare passivamente a lungo, ne era certa. Lo sentiva nel tono di voce, lo leggeva nello sguardo – lo stesso che mi sta portando via Robert, pensò con quella rabbia possessiva che ormai faticava a trattenere – privo della benché minima remissività: lo scopo di Cora si stava realizzando. Portare Belle al limite della sopportazione, farla esplodere e rovinare con le sue stesse mani. Con la rabbia o col dolore, non le importava: avrebbe fatto tutto da sola. E se per accelerare i tempi fosse risultato necessario qualche piccolo aiuto, non si sarebbe certo fatta scrupoli a ricorrervi.
In fondo, non è forse vero che il fine giustifica i mezzi?
Dopo più di un’ora, la Contessa optò per un lungo abito di raso porpora bordato di pizzo.
 - Presumo che possa andare… Sei d’accordo?
- Sì, – Belle si limitò a convenire.
- Il rosso è sempre stato il mio colore. Così ricco, opulento, prezioso… Riassume ogni cosa che amo. E non è adatto a tutti, sai? – accompagnò le parole con un sorriso sghembo che non si estese agli occhi, mentre si volgeva verso la giovane. Appena i loro sguardi si incrociarono, entrambe percepirono un brivido lungo la schiena, una scarica di energia percorrere i loro corpi.
- Sai perché non è adatto a tutti?
- No.
- “No, milady”, – la nobildonna la corresse senza perdere la parvenza pacata, pur conscia del significato implicito del titolo non pronunciato.
- Milady.
Non vuoi chiamarmi come devi? Te lo concedo, puttanella, chiamami come preferisci, ma tranquilla, non mi porterai via quel che mi appartiene.
- Perché è il colore della vittoria, – riprese serafica – È il colore di chi è riuscito ad andare avanti, a non farsi schiacciare e a sbaragliare gli altri. Non a caso, – aggiunse vaga – È anche il colore preferito da Robert.
Bum.
Aspettò la reazione della giovane e non rimase delusa. Belle non sapeva fingere: era trasparente, uno specchio sul quale ogni emozione, ogni pensiero si rifletteva impossibile da occultare. Il modo in cui era trasalita al nome inatteso, le braccia che aveva incrociato davanti a sé: segnali inequivocabili, dinanzi ai quali Cora digrignò i denti mentre la gelosia prendeva possesso del suo animo.
Non devo provare questi sentimenti, ricordò a se stessa. Mai, e soprattutto, non ora.
Aveva appena ottenuto la prova regina, la conferma suprema di tutti i suoi sospetti; era arrivato il momento di infliggere il colpo di grazia, ed essere signora e padrona di sé era d’obbligo.
- Stringi un po’di più questo corsetto, cara! – la esortò con brio, mentre la giovane si arrabattava coi nastri di seta dell’indumento – Al contrario di qualcun’altra, posso ancora permettermi di portarlo così stretto, io.
- A volte è meglio riempirsi la bocca di dolci che di cattiverie… O che di entrambi. Mi dispiace, – l’altra concluse allegra, – Ma i nastri non si stringono oltre.
Belle non aveva un’indole violenta, anzi, non tollerava l’uso della forza bruta; ma, mentre inspirava lentamente attraverso gli incisivi vietandosi di prendere a sberle la donna, per la prima volta in vita sua si ritrovò a riconsiderare le proprie opinioni.
Abbi almeno la decenza di affrontarmi da donna a donna.
Neanche tua figlia farebbe simili allusioni, e ha dieci anni.
Tener testa alla Mills si stava rivelando difficile oltre ogni previsione. Sapeva che la donna non le avrebbe certo rivolto complimenti, ma la giovane stava trovando ormai impossibile mantenere la calma di fronte a tutto quel livore.
È proprio quel che vuole lei. In questo momento peggioreresti solo la tua situazione, l’ammonì una voce saggia che suonò incredibilmente somigliante a quella di Gold. Si era già tradita prima, sentendo nominare l’uomo: non avrebbe voluto dar seguito alle trame della Contessa, ma prima che avesse potuto impedirselo il suo corpo aveva risposto con quell’inequivocabile gesto di difesa, di cui si era pentita.
Ma sto andando bene cosi.
Cora voleva che le spazzolasse i capelli cento volte? Per cento volte Belle passava la spazzola d’argento sul manto bruno della Contessa.
Dopo aver chiesto un’acconciatura la donna cambiava radicalmente idea e bisognava ricominciare tutto daccapo? Detto fatto, e poco importava che Sua Maestà non fosse soddisfatta della tempistica: quando aveva richiesto la sua assistenza sapeva bene che lei non aveva mai servito una signora, pertanto certi rischi erano da tenere in conto, “non trovate, Milady?”.
Volete la guerra, Milady? E guerra sia.
- Passami il portagioie di madreperla, – la donna le ingiunse a un certo punto, seguendo con lo sguardo i gesti della giovane – E fa’attenzione, mia cara: il contenuto vale più di te!
La nobile fece scorrere a lungo le dita sugli intarsi del cofanetto prima di aprirlo.
- Ti piacerebbe dare un’occhiata ai miei gioielli?
Belle alzò le spalle, certa di dover prepararsi a una nuova rappresaglia.
- Suvvia, so che alle ragazze piace ciò che luccica. Diamanti, rubini… Oro. Soprattutto l’oro, vero?
La cameriera si morse a sangue l’interno della guancia, imponendosi di lasciar cadere nel vuoto la frecciata.
- Siediti qui, – le indicò la poltroncina accanto alla sua, e Belle poté solo obbedire.
Si stava torturando le pellicine attorno alle unghie, osservò Cora. La paragonò un coniglietto incappato in una tagliola, che si dimenava per liberarsi finendo solo per peggiorare la situazione. Si leccò le labbra trattenendo a stento un ghigno, mentre sfiorava le sue gemme pregustando l’imminente vittoria.
- Ti piace? – domandò sollevando una collana di perle chiusa da un fermaglio di brillanti – Me l’ha regalata Robert quando è nata Regina. Un pensiero carino, non trovi? – Non attese risposta prima di proseguire – E che ne dici di questo bracciale? È l’ultimo arrivato, disegnato da Garrard, il gioielliere della Regina… Ametiste e diamanti, non una bazzecola, certo. Ma Robert è così. È generoso nei confronti di chi ama. Lo riempie di regali, e non riesce nemmeno a concepire un regalo che non sia prezioso. E non tutti possono permettersi di portare qualcosa di prezioso… Non certo le serve.
Le provocazioni che si erano susseguite stavano raggiungendo il culmine, realizzò Belle; ma se la Contessa credeva di avere a che fare con una bambolina muta e pavida, doveva essersi distratta per l’intera serata e non aver capito chi si trovava davanti, non c’era altra spiegazione. La considerasse maleducata, anzi, la cacciasse pure; ma nessuno poteva permettersi di trattare in simile modo Belle French, tanto meno uno donna viziata e arrogante come la Mills.
- Ci sono donne che non si comprano con l’oro.
- Non ho terminato. In tanti anni lui ha concesso i suoi doni solo a me… Non certo alle sue scommesse.
Belle sbatté le palpebre perplessa. Era improvvisamente uscita di senno, o forse era stata lei a perdersi qualche passaggio? Di cosa diamine andava parlando ora? Scommessa? Quale scommessa?
La sua confusione non passò inosservata.
- Povera cara, – la Contessa le rivolse un’occhiata carica di commiserazione– Ti ha detto che sei la gioia della sua vita, la luce dei suoi occhi? Credevi forse di importargli qualcosa? Non so cosa si sia inventato, ma ti assicuro che la verità è decisamente diversa. Sei ancora una bambina, non puoi neanche immaginare certe cose, ma mi sento in dovere di avvertirti che i gentiluomini si divertono con poco: scelgono una preda, la inseguono, le danno la caccia… E una volta catturata, via, avanti un’altra! A quanto pare, gli amici del White’s sono finalmente riusciti a coinvolgere Robert in simili giochetti… E lui ha puntato su di te. Tra quanto cederai? Una settimana o un mese? Ma questo non conta, – chiosò – Non conta perché tu sarai solo il diletto di una notte.
Belle ebbe l’impressione che tutto il sangue fosse defluito dal suo corpo. Avvertì una morsa gelida allo stomaco, un’ondata di nausea che l’assalì lasciandole un sapore amaro in bocca. Accusò la stoccata; e non sarebbe potuto essere altrimenti.
No, non può essere.
Gold non avrebbe mai potuto farle questo, tutto, ma non questo, non avrebbe mai potuto ingannarla in tal modo, per degli scopi tanto bassi, lui che era così…
Così come?
Si rese conto di non sapere completare la frase. Si aggrappò alla poltroncina come se ne andasse della sua vita, mentre le parole della donna le risuonavano ancora nelle orecchie e il dubbio le lacerava cuore e mente.
E se Cora non avesse mentito? Se avesse realmente voluto metterla in guardia dai sorrisi, dalle confidenze, da quella rosa aprendole gli occhi? Se il loro unico fine fosse stata davvero la mera seduzione? Questo avrebbe potuto spiegare molte cose: la ritrosia di Gold a lasciarla andare dalla Mills, per esempio. O l’atteggiamento della Contessa, umiliata per essere stata messa in disparte a favore di un’altra.
Ma potrebbe anche essere lei a mentire.
In quel momento, quasi non riusciva a pensare.
- Io… – balbettò, ma la lingua sembrava essersi incollata al palato, l’aria quasi non voleva attraversare le corde vocali. Dovette respirare a fondo per tornare in sé – Milady, io non so cosa vi ho fatto, ma… Tra me e Mr. Gold non è successo niente, e quel che io provo…
Basta così, cara. Era quel che volevo.
- Buon per te, allora! – Cora batté le mani deliziata, impedendole di proseguire – Vuol dire che sono arrivata in tempo. So bene che quando si è giovani si può essere così ingenue, si possono fraintendere certe parole, magari certi gesti… Soprattutto se provengono da persone con un certo fascino. Appena ho scoperto tutto, ho deciso di avvertirti. Oh, cara, non immagini quanto sia arrabbiata con Robert! Spezzare il cuore di una fanciulla per uno stupido gioco, potrebbe esistere crudeltà peggiore? Ma purtroppo gli uomini sono tutti così incostanti, si perdono in chiacchiere e spetta a noi ricondurli sulla retta via. E i magnati della lana non fanno eccezione a questa regola… Sai, – piegò appena il capo e la osservò pensierosa e contrita per qualche istante – Ammetto di essere stata un po’ brusca durante queste ore, e me ne pento. Forse ti sarò sembrata un mostro pronto ad attaccarti per un nonnulla, ma credimi, Belle cara, l’ho fatto con le migliori intenzioni, per il tuo bene. Non sono tua nemica, ma alleata. In fondo, tutto ciò che una donna possiede è la propria reputazione, e non dobbiamo permettere che venga infangata, dico bene? Tanto più se si è delle cameriere… Quale famiglia accoglierebbe una donna dalla fama poco onesta?
- Non è…
- Lo so, lo so, “non è successo niente tra me e Mr. Gold” – la liquidò con un cenno comprensivo – Ma non importa quel che è successo, quanto quel che si crede sia successo. E noi non vogliamo che inizino a circolare strane voci…
Belle non alzò gli occhi dal parquet. Continuò a passarsi meccanicamente le mani sull’uniforme scura, non un muscolo del volto contratto. Avrebbe voluto rispondere in qualche maniera arguta – una parte di lei le urlava che avrebbe dovuto farlo, che dopo aver condotto la battaglia tanto bene non poteva lasciarsi abbattere così da una manciata di parole di cui non poteva aver certezza, lei che le parole aveva sempre saputo gestirle senza timore; eppure, per la prima volta in vita sua, in quell’istante si sentì davvero sola.
Abbandonata da chiunque, persino da quelle che erano state le sue più fedeli compagne.
- Mi allacci la collana? – la gentildonna chiese innocentemente, dopo aver scelto un collier di diamanti – Ho sempre incontrato qualche difficoltà con questo gioiello, ma ogni tanto devo pur sfoggiarlo… O Robert potrebbe crucciarsene, non trovi?
La ragazza si alzò e obbedì.
Nel notarne il tremito delle mani, Cora sorrise.
- Lui non potrebbe mai amare una serva quanto ama me. La scelta sta solo a te, Belle cara, – concluse incontrando le iridi cilestrine nel riflesso dell’enorme specchiera – La scelta sta solo a te.
 
 
 

“Sono riusciti a cambiarci, 
ci son riusciti, lo sai.”




Che fine hai fatto, Belle?
Gold se lo chiedeva senza sosta ormai da ore. Raramente incontrava una domestica, ma ogni volta si verificava uno strano fenomeno: era come se il cuore gli balzasse all’indietro, per poi tornare bruscamente a posto resosi conto che non si trattava di Belle; e allora il suo sguardo riprendeva a vagare in quel bailamme di gente, alla ricerca di colei che avrebbe riconosciuto tra mille.
Quello che gli pervadeva la bocca era il gusto molesto della delusione, che credeva di aver scordato dopo due decenni di trionfi? Il suo corpo era lì, in quei corridoi di marmi e stucchi pregiati, la sua voce partecipava alla fiera di pettegolezzi, le sue labbra si stiravano nel sorriso che sapeva gelare il sangue nelle vene; ma lui non era lì.
Dubitava che l’avrebbe vista – e se pure ciò fosse accaduto, non avrebbe dovuto lasciar trasparire alcunché; ma capire dove fosse Belle, in che condizioni l’avesse ridotta Cora era quanto gli premeva maggiormente. Il pensiero delle due donne non gli dava requie; o meglio, il pensiero di una delle due donne, lasciata in balia dell’altra.
I tuoi timori sono inutili e inopportuni, si ripeté ancora una volta. Belle non ha bisogno di un cavaliere che la porti in salvo. Non si fa certo remore a tirar fuori gli artigli, quando aggredita.
Quanto in basso era caduto, se anche la sua coscienza si divertiva a sbeffeggiarlo in tal modo? Sì, Belle sapeva tenere testa a chiunque, Cora compresa, ma la Contessa aveva dalla sua armi che avrebbero saputo distruggere anche la più strenua delle combattenti.
Belle non sapeva mentire; Cora sì.
Belle non concepiva la vita come un palcoscenico, in cui domina la finzione e vige una serenità di facciata; Cora era maestra nello splendido talento della menzogna.
Cora, che aveva partecipato al suo passato e l’aveva cancellato; Belle, che ne aveva colto solo pochi stralci e li aveva condivisi.
Perché? Che avesse anche lei un piano?
Nonostante i dubbi forieri di dolore, Gold non poteva ignorare la risposta.
Cora, la sua malizia, la sua rabbia, il suo rancore; Belle, la sua freschezza, la sua ingenuità, il suo cuore scevro da ogni ricatto.
Belle non avrebbe fatto qualcosa per interesse personale; non ne sarebbe stata capace.
Un tocco delicato, ma inequivocabile al tempo stesso lo fece ripiombare nella realtà: era con Cora, stava ballando con lei un valzer che forse le aveva chiesto o forse lei aveva ottenuto, con l’ambigua prepotenza che irradiava attorno a sé.
– È maleducato ignorare la dama che si accompagna, nonché padrona di casa, non trovate? – Cora lo rimproverò bonariamente,
Era splendida nel suo vestito all’ultima moda; la pettinatura le donava molto, e il girocollo scintillante che proprio lui le aveva regalato per il precedente compleanno le illuminava il volto fermo e sorridente.
Un velo di buone maniere calato a forza su un’anima vittima e carnefice.
Una maschera che non le si confaceva; ma la maschera della donna perfetta per lui.
Se l’avesse sposata, tutti avrebbero salutato con soddisfazione l’ufficializzazione della loro unione: il potente industriale e la regina della vita mondana, poteva forse esistere matrimonio migliore? E Robert avrebbe mentito, se avesse negato di aver mai carezzato l’idea tra sé e sé: le nozze con Cora non sarebbero state come le precedenti, poco ma sicuro. Ci aveva pensato per l’ultima volta solo un anno prima… E allora, come mai non se n’era più fatto niente? E perché ora l’idea lo faceva rabbrividire?
Fu lì, tra il profumo dolce delle orchidee e la musica suonata dall’orchestra, tra coppie che danzavano e speranze che sbocciavano, che Gold guardò Cora e capì di non provare più nulla per lei. Se l’amore – se ce n’era mai stato – si era spento da tempo, ora anche l’ultimo barlume di tenerezza era stato inghiottito dal baratro della vita.
- Perdonatemi, Milady. Riflettevo.
- Suvvia, non sapete mentire! È dal vostro arrivo che siete pensieroso. Qualcosa turba forse il mago dei tessuti?
- Vi assicuro che si tratta di una vostra impressione. Nulla potrebbe turbarmi in una serata tanto bella, – si sentì rispondere con frasi che non avrebbe voluto pronunciare – Inutile che mi complimenti ancora per l’ottima riuscita della festa. Avete risolto persino il problema coi dervisci.
- Sono riuscita a far capire chi comanda. Del resto, è tutta questione di approccio, vero? – disse, riecheggiando la frase pronunciata da lui stesso appena qualche giorno prima.
Gold immaginava cosa si aspettava Cora a quel punto: un suo passo falso. Poteva quasi vedere il cuore della donna fremere d’impazienza nell’attesa che le ponesse una domanda – una qualsiasi domanda! – su Belle.
Sì, avrebbe voluto farlo; no, non avrebbe dovuto farlo.
Sbagliare a quel punto avrebbe significato la fine.
- Esattamente, – si limitò ad assentire, conscio di non aver soddisfatto le pretese della Contessa.
- Vi piace l’acconciatura? Trovo che valorizzi il vostro dono. La cameriera ci ha impiegato più di mezz’ora per realizzarla, ma presumo sia accettabile, per una simile incapace…
Era quello il ruolo da interpretare, allora?
E lui avrebbe saputo farlo, mettendo a tacere ogni residuo senso di colpa, ogni pudore?
Avrebbe voluto trovare in sé il coraggio di affrontare Cora; lui aveva denaro, potere, astuzia, scaltrezza, ma non coraggio.
Aveva osato solo una volta nella sua vita, per una persona il cui nome non dimenticava mai; ma quando si era ritrovato solo, si era limitato a proseguire per la strada già imboccata, lasciandosi trascinare dagli eventi.
Senza lottare.
Aveva ottenuto tutto, ma non il valore.
Era questo il motivo per cui si era innamorato, ora, della donna più diversa e più complementare a lui, una donna che aveva lasciato in pasto alla sua rivale, che aveva tradito prima ancora di avere. Una donna che non meritava, che per lui avrebbe lottato, ma per cui lui non aveva alzato un dito.
Fino ad allora.
- Perché? – si ritrovo a sibilare, stringendo Cora più forte.
- A cosa vi riferite, mio caro? – la donna rispose, prestando più attenzione ai passi di danza che a lui.
- Sai benissimo a chi mi riferisco. Smettila di fingere e dimmi cosa lei hai fatto.
- Non le ho torto un capello, – finalmente Cora, annoiata, rialzò il capo – Le ho semplicemente ricordato che una serva non deve nutrire certe ambizioni. È inutile che te ne preoccupi tanto, la tua adorata camerierina non è fragile quanto credi…
- Non sei capace di affrontare la situazione come una persona matura? Era necessario tutto questo?
- , – la donna lo sfidò. Nessuno, osservandoli, avrebbe potuto intuire quel che stava accadendo tra loro: agli occhi degli ospiti, i due sembravano semplicemente chiacchierare affiatati, come i vecchi amici che erano – Sì, era necessario. Ed è necessario che lo ricordi anche tu, ora che hai perso la testa e non vuoi guardare in faccia la realtà. A cosa credi che stia mirando lei? A te o ai tuoi soldi? Pensaci, la prossima volta che s’infilerà nel tuo letto.
Gold contrasse la mascella.
- Non osare ripetere una cosa simile, – ringhiò – Tu sei l’ultima a poter avanzare certe insinuazioni. Fallo ancora, e…
- E? E cosa? Avanti, dillo. Cosa farai? Dirai a tutti chi ero prima? Che sei arrivato fin qui grazie a una puttana? O che ora te le tiri in casa, le tue puttane, travestendole da cameriere?
In quel momento la musica tacque.
Gold si staccò dalla sua dama, ma non distolse lo sguardo dal suo volto.
Si limitò semplicemente ad andarsene.

A volte un gesto vale più di mille parole.
 
 
 

“Continuerai a farti scegliere 
o finalmente sceglierai.”

“Verranno a chiederti del nostro amore” - Fabrizio De Andrè

 
 
 
 
 
 
 
 
N. d. A. : “Well, well…” - cit. XD
Allora, che ve ne pare? Io sono carichissima dopo questo capitolo – mi sono divertita troppo a scriverlo, lo confesso – e aspetto i vostri commenti, positivi o negativi che siano: dite la vostra, IC/OOC, pareri e ipotesi, sono ancora più curiosa del solito di conoscere la vostra opinione sullo scontro e sul modo in cui l’ho condotto, perciò bando agli scrupoli!
Questo capitolo è lunghetto, sono io la prima a riconoscerlo, ma spezzarlo l’avrebbe reso incomprensibile: già il prossimo sarà strettamente collegato a quanto avvenuto ora!
“Garrard&Co” è stato il gioielliere della Corona Inglese fino al 2007 - http://en.wikipedia.org/wiki/Garrard_%26_Co.
Vi annuncio che sto lentamente diventando tecnologica e ho iniziato a usare Tumblr; se vi va di passare vi lascio il link, che ho inserito anche nella bio: http://euridice100.tumblr.com/ - noterete che sono abbastanza monotematica, ma ormai dovreste averci fatto l’abitudine. XD
Grazie di cuore a Pleaseance Carroll, Mania, claraoswald, La Lady, Stria93, Lady Clopette, Arain, PoisonRain, Rumpel_bumple, seasonsoflove, gionem, EmmaAst, LadyViolet91, S05lj e padme83 per le fantastiche recensioni lasciate al precedente capitolo; ad La Lady, x_LucyW, zipi89, _69withzayn, _alexi 95_ e __sakura___ per aver aggiunto la long alle storie preferite/ricordate/seguite; e ovviamente i lettori silenziosi, che chiamo sempre all’appello. :)
Una menzione speciale va a B., che mi ha supportata - e sopportata - durante la stesura del capitolo. ♥
Ne approfitto per augurare l’in bocca al lupo a quanti affrontano la sessione estiva o gli esami di maturità. :)
Salvo imprevisti, ci si legge tra due settimane come sempre! ♥
Bacioni, Dearies! :*
Euridice100

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Capitolo 14
*** XIII - While your lips are still red ***


 
 
 
XIII – While your lips are still red
 
 
 
Drown into eyes
while they`re still blind,
love while the night
still hides the withering dawn.

First day of love never comes back,
a passionate hour’s never a wasted one.
The violin, the poet`s hand,
every thawing heart plays
your theme with care.

“While your lips are still red” - Nightwish
 
 
 
Quando Gold uscì dalla sala da ballo sotto lo sguardo attonito degli altri invitati, sapeva già dove recarsi.
C’era un solo posto in cui Belle avrebbe potuto rifugiarsi: il posto in cui era immersa nel suo elemento, in cui si sentiva libera e poteva estraniarsi da tutto e tutti, volare con la fantasia e sfuggire da una realtà troppo opprimente; e non dubitava che, anche lì, l’avesse trovato.
La biblioteca.
Fu lì che Gold si diresse, nella speranza estrema che non fosse troppo tardi.
 
 
 
 
 
Gli sguardi severi di generazioni di conti Mills era puntati impietosi sulla ragazza che, rintanata nel cantuccio tra due librerie, stringeva le ginocchia al petto, un libro a caso come conforto tra le mani e gli occhi fissi davanti a sé.
Si mordeva le labbra mentre nella sua mente scorrevano le scene vissute poche ore prima. Belle non poteva impedirselo: le parole di fiele che le erano state rivolte le risuonavano di continuo nelle orecchie, facendola soffrire ogni volta di più.
Sì, poteva ammetterlo: per qualche settimana di un passato così recente, eppure ora così lontano, si era illusa. Non avrebbe saputo dare un nome ai suoi desideri: forse erano talmente reconditi, talmente timidi da non possedere nemmeno un nome; o forse era stata lei a non volerli definire. Aveva già osato confessare i sentimenti che custodiva nel profondo del suo animo: non voleva sfidare la sorte una seconda volta, conscia di come, prima o poi, avrebbe dovuto scontrarsi con la realtà dei fatti.
Erano stati sogni troppo coraggiosi, e proprio questo li aveva uccisi. Li aveva sentiti accartocciarsi dinanzi alla malizia di chi pensava di sapere, spezzarsi come si era spezzato il suo cuore, come si era spezzata lei.
Era come se le lacrime che avrebbe voluto versare si fossero condensate nei suoi occhi, formando un groppo impossibile da scacciare, mentre una frotta di battute pungenti con cui zittire la Mills le si affollava in mente.
Ma è troppo tardi.
Si pentiva per l’atteggiamento dimostrato dopo la rivelazione: avrebbe dovuto giovarsi della situazione per imporsi, per smentire le insinuazioni avanzate, ma non era stata in grado di rinnegare la verità.
Stupida, si rimproverò, credevi davvero che la rosa avesse un significato?
Le parole della Lady erano state chiare: per Gold, Belle era un giocattolino o poco più, qualcosa da usare e gettar via dopo aver ottenuto ciò che voleva.
Solo una scommessa.
Era l’unico modo in cui leggere i gesti che le aveva dedicato: solo una strada per arrivare prima a lei, per vincere in fretta la sfida.
E lei ci era cascata.
Eppure era stata messa in guardia: se circolavano tante voci su Gold doveva pur esserci un fondo di verità. Tutti lo descrivevano come una bestia, e lei aveva avuto la presunzione di interpretare il suo comportamento, di attribuirgli un’umanità che evidentemente non gli era propria, di capirlo.
Perché voleva umiliarla in simile modo, cosa gli aveva fatto? Perché la disprezzava a tal punto da considerarla un oggetto senza personalità, una marionetta da manovrare a suo piacimento, in sprezzo a tutto il sostegno che gli aveva offerto, a tutto quel che avevano condiviso?
Che ha condiviso solo per portarti a letto.
Raramente prima di allora era rimasta tanto delusa da una persona: era una tristezza che la feriva nel profondo, che la colpiva oltre l’orgoglio, oltre la determinazione, colmandola di un’amarezza indicibile.
Dio, possibile che fosse stata tanto stupida? Che avesse creduto in un reale interesse di Robert Gold per una cameriera con la testa piena di sciocchezze? Come poteva nutrire qualcosa per lei, lui che poteva avere tutto con lo schiocco delle dita, lui che poteva avere – che aveva – una donna come Cora Mills?
La donna perfetta per lui, commentò con rabbia. Altrettanto perfidi, altrettanto subdoli, altrettanto malvagi.
E però…
Però c’era qualcosa che non tornava. Qualcosa in quel discorso che non la convinceva in alcun modo.
L’inquietante dolcezza con cui Cora l’aveva consolata e congedata dopo ore di perfidia era stata una nota stonata che, se in quegli istanti di turbamento non era riuscita a notare appieno, ora le si ripresentava in tutta la sua ambiguità.
Che senso aveva? L’aveva trattata bruscamente per farla riscuotere, o almeno così aveva sostenuto la Contessa, ma Belle si chiedeva perché mai desiderasse una sua ribellione. Per farla allontanare da casa Gold, certo; ma obiettivamente, perché metterla a parte delle intenzioni dell’uomo? La vittoria della scommessa avrebbe implicato il suo tradimento, motivo più che sufficiente per reagire; eppure, conoscendo la donna, non avrebbe forse ottenuto maggiore soddisfazione nel vedere la rivale uscire completamente umiliata da quella storia? Avrebbe senz’altro gioito dinanzi alla sua caduta definitiva… Magari ne sarebbe proprio stata l’artefice.
Magari ne sarebbe proprio stata l’artefice.
La frase si ripeté a ritmo ossessivo tra i pensieri della ragazza. Si portò una mano alla fronte e deglutì, mentre un’immagine emergeva lentamente dalle ombre della sua mente, facendosi sempre meno opaca, sempre meno imprecisa.
Come aveva fatto a non pensarci prima? Non poteva averne certezza, e probabilmente non l’avrebbe mai avuta perché tutte le parti della vicenda avrebbero sostenuto la propria versione a oltranza; e forse stava sbagliando tutto, comportandosi ancora una volta da stupida e non accettando i consigli di una persona più matura di lei; ma quella possibilità non era da sottovalutare.
Certamente Gold non era stato sincero, e avrebbe dovuto fornirle spiegazioni in proposito; ma se i suoi gesti non fossero stati mera esecuzione di un piano fine solo a se stesso? Sarebbe anche potuto esserci un fondo di verità, ma come trascurare il fatto che a riferirle della scommessa fosse stata una donna piena di rancore e smaniosa di vendetta, pronta a tutto pur di raggiungere i suoi scopi?
E se fosse stata Cora Mills a mentire?
Non poté dar seguito all’ipotesi: le sue riflessioni furono bruscamente interrotte dal lieve cigolio della porta.
 
 
 
 
 
Il pomolo della bussola sembrava bruciare.
Come l’anima sotto i tuoi peccati, pensò Gold stringendolo ancora di più.
Non era troppo tardi per tornare indietro. Poteva sempre, per l’ennesima volta, attribuire la follia alla stanchezza, ammettere le proprie colpe e implorare pietà a colei che neanche conosceva il significato di tale termine.
Probabilmente Cora non lo avrebbe perdonato, sicuramente si sarebbe vendicata; ma un tentativo sarebbe stato possibile, eccome, possibilissimo.
Del resto, lui che diritto aveva di entrare in quella stanza e rivolgere a Belle qualcosa di diverso da un ordine?
Che diritto aveva anche solo di parlarle, dopo quel che aveva fatto?
La risposta era fin troppo semplice. Sarebbe stato meglio se avesse continuato a evitarla per il resto dei suoi giorni. In fondo, non le doveva alcuna spiegazione: era una dipendente che aveva semplicemente prestato a un’amica; cosa fosse successo tra loro due non era affar di sua competenza, visto che – in fin dei conti – la Contessa non si era lamentata di Belle.
Belle che, tra l’altro, sarebbe potuta non essere lì… Cora avrebbe anche potuto impegnarla in altre incombenze, una volta ultimata la sua preparazione.
Sì, ne era certo: Belle doveva essere altrove e la stanza era, senza ombra di dubbio, deserta.
Lasciò andare la maniglia e si allontanò.
 
 
 
Non aveva compiuto che pochi passi quando si voltò, fissò la porta ed entrò in biblioteca.
 
 
 
Belle si accoccolò ancora di più nella speranza di passare inosservata.
Nonostante le possibilità venutele in mente la stessero offrendo briciole di consolazione, non aveva voglia di incontrare nessuno: l’unico suo desiderio era restare lì fino alla fine della festa e poi tornare a casa senza rivedere Gold.
L’avrebbe affrontato, poco ma sicuro, ma non quella sera: sebbene una parte di lei non desiderasse altro che piombare nel suo studio e prenderlo a sberle prima ancora che potesse accorgersi della sua presenza, sapeva bene che in simili circostanze affrontarlo senza una strategia sarebbe equivalso a un suicidio. La notte le avrebbe portato consiglio e l’avrebbe - per quanto possibile, se possibile - resa più lucida, permettendole di confrontarsi con l’uomo con la necessaria padronanza di sé.
- C’è nessuno?
No. No. No
Non può essere.
Quelle poche parole ebbero il potere di sconvolgerla.
L’accento, l’intonazione della domanda… Tutto, tutto riconduceva a lui.
Trattenne il respiro, pregando tutte le divinità esistenti che l’ultimo arrivato girasse i tacchi e se ne andasse, o che improvvisamente si aprisse una voragine e la terra la inghiottisse, o…
Tutto, qualsiasi cosa purché non mi veda ora.
Questa non sono io, non poté tuttavia fare a meno di redarguirsi. Io non sono mai scappata dalle difficoltà, anzi, le ho sempre affrontate. Sempre. E non ho paura né di lui né di me stessa.
Il Fato le stava offrendo prima del previsto l’occasione di porre fine a quella storia: avrebbe dovuto approfittarne senza pensarci oltre, anziché perdere tempo in intollerabili infantilismi che non l’avrebbero condotta a nulla.
Niente scuse, doveva farsi forza e comportarsi da persona matura quale credeva di essere.
Si comandò di uscire dal nascondiglio di carta e legno; ma il corpo non le obbedì. Ebbe l’impressione che tutte le sue membra avessero all’improvviso assunto la consistenza del marmo: erano altrettanto fredde, pesanti, immobili, come mai erano state prima d’allora. Ogni movimento le costava uno sforzo immane; persino aprire la bocca, in quel frangente, le sembrava una fatica degna d’Ercole.
Cosa mi sta succedendo? si chiede nel panico. Perché sto reagendo così?
Inspirò a fondo e, non paga, decise di riprovarci: si puntellò ancora sulle braccia e cercò di rialzarsi. In quel momento Gold comparve davanti a lei; e ogni sforzo fu vano.
- Buonasera, – la salutò piano.
Era solo uno scherzo dell’udito, o la voce dell’uomo suonava diversa, come se avesse perduto la studiata tracotanza che la caratterizzava? Era un timbro nuovo, che un semplice “buonasera” aveva colorato di una cauta sfumatura d’ansia fino ad allora sconosciuta.
Belle replicò con un altrettanto cortese, ma freddo, saluto.
Non c’era superbia negli occhi di Gold. Era piuttosto… Timore?
Possibile?
Sembrava sul punto di dire qualcosa, senza però riuscire a trovare le parole adatte.
Le tese una mano, che Belle ignorò.
Se l’avesse afferrata, sarebbe stata perduta.
- Per rialzarti, – fece lui, come per spiegare il gesto, fissando un punto indefinito sulla carta da parati.
Se l’avesse guardata, sarebbe stato perduto.
- Ce la faccio, – mentì lei, tentando caparbiamente di rialzarsi.
Fu inutile: le gambe le cedettero ancora, come le zampe di un vitellino appena nato.
Si maledisse tra sé e sé, lottando contro la morsa pungente dell’umiliazione che le ruggiva in petto, e cedette, accettando la mano che Gold, per tutto il tempo, non aveva ritirato.
Spezzò il contatto con una rapidità che a lui non sfuggì.
- Come stai? – lo sentì domandare, mentre spazzava via la polvere dalla veste e poggiava il libro su uno scaffale poco distante.
Belle si bloccò.
Male.
Sto male perché non capisco più quel che succede. Non so a chi credere e non scoprirò mai la verità, perché tu ovviamente negherai fino all’evidenza. Parlo con la Mills e i suoi discorsi mi uccidono, ti vedo, voglio affrontarti e… Ecco. Ed ecco come sto.
Sto male perché se fosse vero io sarei lo sfizio di una notte, e tutto quello in cui ho creduto finora solo una bugia, e io questo non posso tollerarlo. Non posso, con quel che provo per te.
Ah, e la tua cara amante si è divertita a umiliarmi per bene, e anche se avesse inventato tutto resterebbe comunque il fatto che tu sapevi a cosa stavo andando incontro e non me l’hai detto.
Tu sapevi e non mi hai rivolto parola per giorni, e come se non bastasse, ora ti presenti qui a chiedermi “Come stai?” come se tutto andasse per il verso giusto, ma no, nulla va per il verso giusto e nulla potrà cancellare stasera
Sono arrabbiata, confusa e innamorata.
E sai cos’è peggio? Che vorrei dirti tutto questo, il coraggio non mi manca, e se ora mi voltassi e ti guardassi potrei farcela, certo. Ma potrei anche scoppiare a piangere e confessarti tutto, e io questo, ora, non me lo posso permettere.
- Bene, – mormorò, prima che lacrime traditrici le scivolassero lungo le guance – Sto bene.
 
 
 
 
 
Aveva la voce incrinata dal pianto, lo sentiva. Non poteva vederla in volto, ma non poteva fingere di non udire quel sussurro rotto, quelle parole pronunciate in fretta, gettate lontano da sé, quasi fossero armi, quasi ferissero come solo certe bugie sanno fare.
Possibile che parole tanto semplici costassero un’immane fatica? Sarebbero dovute risultare spontanee e immediate, e invece si stavano rivelando dolorose come mai aveva immaginato prima.
Era normale abbandonare senza esitazione la donna con cui aveva condiviso vent’anni di vita e poi non riuscire più ad aprir bocca? Era stato un errore entrare in biblioteca, uno sbaglio a dir poco imperdonabile; non avrebbe ottenuto altro se non acuire la sofferenza di Belle – e questo non poteva accettarlo, allora più che mai.
Non avrebbe mai voluto farla star male, rendere opaco di pena il suo cuore tanto radioso, costringerla a nascondere i turbamenti a causa sua e a stare al gioco di Cora, facendole indossare le stesse maschere, veli diversi ma simili.
Malgrado i rimorsi, gli venne da sorridere: anche in quel frangente la giovane aveva dimostrato il suo spirito guerriero, lottando senza piegarsi alla Contessa.
Lottando fino a esserne spezzata.
Non come lui.
Belle si voltò appena: nella scarsa illuminazione della stanza, il suo sguardo era splendente e fiero, nonostante le lacrime, nonostante il dolore, nonostante tutto.
Fu allora che Gold fece quel che non aveva avuto in conto di fare: le si avvicinò a grandi passi e l’abbracciò.
 
 
 
 
 
Avrebbe dovuto respingerlo, lo sapeva bene.
Avrebbe dovuto allontanarlo, magari tirargli anche uno schiaffo vista la situazione, perché se credeva di ammansirla a suon di moine, di farla capitolare con qualche parolina dolce, si sbagliava di grosso. Che avesse intenzione di usarla o meno, lei non si sarebbe illusa: non avrebbe lasciato correre l’omissione che c’era stata e che l’aveva colpita tanto a fondo, facendole sanguinare l’anima.
Non fece nulla di tutto questo.
Ci provò, almeno ci provò: rovesciò una gragnola di colpi contro il suo petto, le piccole mani chiuse a pugno troppo deboli per ferire, mentre lui la teneva stretta a sé, accettando, tollerando, ricevendo, conscio dei propri errori. Rimase ben presto immobile, il pianto che le annebbiava la vista, scoprendosi capace solo di seppellire il volto nel suo petto e stringergli le spalle aggrappandosi a lui con una furia che non conosceva.
- Io sono una scommessa?
Quando le sfuggì un singulto, si ricordò della volta che aveva giurato a se stessa di non piangere mai in sua presenza.
Propositi ripetuti, ripromessi e gettati al vento, come quello di non amarlo.
Lo amo, e non posso fare altrimenti.
Nonostante sappia essere spietato, nonostante sia inclemente, nonostante paia interessato solo al denaro e ai suoi affari, io lo amo. Lo amo perché non è solo questo, lo amo perché nasconde un’anima gentile che aspetta solo di riemergere, che vuole riemergere.
Amo tutto di lui, anche quel che appartiene all’oscurità.
- Cosa ti ha fatto?
Tempesta nei suoi occhi turchini.
- Sono una scommessa? Sono solo un gioco?
Era questo che le aveva detto Cora? Era scesa tanto in basso pur di spezzarla?
- No. Non con lei. Non con altri.
Solo con me stesso.
E l’ho persa.
- Perdonami, – mormorò in un soffio, la guancia contro la sua fronte.
Tu sei la persona più coraggiosa che io abbia mai incontrato.
Belle sollevò appena il viso e incontrò il suo sguardo.
Le loro labbra erano a un soffio, sospese, indecise dinanzi a quella distanza tanto facile da colmare.
Sentiva il respiro dell’uomo sulla pelle, mentre il ronzio del sangue nelle orecchie allontanava da sé ogni altra cosa.
Sarebbe bastato così poco, e nulla sarebbe più stato come prima.
Lo sapevano entrambi.
Un gesto avrebbe segnato un prima e un dopo, un confine tanto netto da essere invalicabile
Un solo, semplice gesto.
Avrai il coraggio di compierlo?
Erano ancora più vicini…
 
 
 
Un tonfo terribile li fece sobbalzare.
Il libro che Belle aveva precariamente poggiato sul mobile era caduto a terra, le coste e il dorso istoriati taciti e accusatori testimoni della scena che si presentava loro.
Fissarono il volume in silenzio per istanti infiniti prima di ridestarsi.
Fu Gold ad allontanarsi per primo, sciogliendo celere l’abbraccio che lo legava alla giovane, quasi ne fosse scottato.
Un’ombra di turbamento gli attraversò lo sguardo.
- Perdonami, io… – tentò di tornare padrone di sé, di trovare frasi adatte alla situazione che era venuta a crearsi, prima di arrendersi all’evidenza della sua incapacità – Dobbiamo tornare, – concluse in tono roco.
Belle annuì appena. Aveva la gola secca. Parlare le risultava stranamente complicato.
- Sì, – bisbigliò.
Si avvicinò alla porta, che l’uomo manteneva aperta. Quando passarono uno accanto all’altra, dovettero fare appello a se stessi per proseguire senza fermarsi.
 
 
 
 
 
Piovigginava quando Belle uscì dalla villa di Belgravia.
Avrebbe dovuto attendere di essere licenziata da Cora, ma dopo la festa la Contessa aveva accusato un atroce mal di testa e non aveva voluto vedere nessuno; e lei non aveva intenzione di attendere il suo grazioso beneplacito.
Percorse a passi svelti il selciato, gli occhi che saettavano alla vana ricerca della carrozza di ordinanza che l’avrebbe riportata a casa. Sospirò, sperando di non dover percorrere la strada a piedi. Era così stanca… E non per il lavoro che l’aveva impegnata.
Lo scontro con la nobildonna le aveva prosciugato tutte le energie, lasciandola spossata e disgustata; e quanto successo in biblioteca…
Belle percepì un brivido lungo la schiena. La sensazione delle braccia di Gold che l’avvolgevano non l’abbandonava, sebbene fossero già trascorso del tempo dall’accaduto.
In quei momenti, nonostante la rabbia, la delusione e la confusione, Belle si era sentita al sicuro, come se la vicinanza dell’uomo potesse metterla al riparo dal mondo e dalla sua cattiveria.
Si era sentita protetta.
Si era sentita bene.
Sistemò meglio lo scialle sulle spalle, convincendosi a incamminarsi verso Kensington.
Ci siamo quasi baciati.
Il pensiero le martellava in testa. Se il caso non li avesse interrotti, se non ci fosse stato quel libro, sarebbe successo, ne era convinta. Avrebbe dovuto benedire l’imprevisto che li aveva fermati prima di commettere un errore fatale; lei, invece, lo malediva.
Perché avrebbe voluto essere baciata da Gold. Perché – sebbene le dovesse delle spiegazioni, sebbene si rimproverasse ferocemente per avergli quasi ceduto nonostante tutto – se avesse dovuto scegliere tra lui e la Mills non avrebbe avuto dubbi: avrebbe creduto a lui. Forse aveva preso l’ennesimo abbaglio, ma aveva sentito nella voce dell’uomo: era sincero. In quel momento le parole della Contessa le erano suonate come misere menzogne, il canto del cigno di una donna che non tollerava il confronto.
Belle non era stupida: sapeva bene che Gold avrebbe potuto mentirle. Sarebbe stata la cosa più sensata da fare: con la sua astuzia, sarebbe risultato facile ingannare un’ingenua come lei…
Tuttavia, qualcosa l’aveva indotta a credere all’uomo. Nella frase appena bisbigliata, nel modo in cui l’aveva guardata e stretta a sé – come se fossi la cosa più preziosa al mondo, rifletté arrossendo – aveva letto solo sincerità: era stato più lampante di una confessione e, come ogni confessione, dolorosa.
Mentire sarebbe stato semplice, forse liberatorio; ma Gold non lo aveva fatto.
Era stato allora che Belle aveva capito: anche lui stava combattendo una battaglia col suo cuore.
Contro di lei. Con lei. Per lei.
E lei non lo avrebbe lasciato solo.
Ne aveva avuto conferma: i suoi sentimenti erano ricambiati. Realizzarlo era stato un colpo al cuore, un’emozione impossibile da descrivere: poteva solo riviverla e custodire quell’istante, riassaporarlo e rivivere il batticuore furioso che l’aveva colta.
Il batticuore più bello della mia vita.
Dove li avrebbe portati tutto questo? Non poteva dare risposta alla domanda. Non che se ne lasciasse scoraggiare, ma se solo non ci fossero state quelle dannatissime differenze sociali tra loro, allora…
Sovrappensiero, tirò un calcio a un sasso incontrato sul suo cammino. La pietra fermò quasi subito la sua corsa contro una carrozza di un nero lucente, il cui occupante si sporse dal cono d’ombra al suo interno.
- Cosa ti ha fatto di male la mia carrozza migliore?
Belle si fermò e, malgrado la stanchezza e le mille preoccupazioni, non poté impedire al sangue di scorrerle più veloce nelle vene.
-  Niente, se non il fatto che sia vostra.
- Sono curioso di scoprire entro il Natale di quale anno riusciresti a tornare a casa, se ti lasciassi a piedi. Avanti, sali.
 
 
 
 
 
Gold scrollò il capo, studiando la ragazza di fronte a sé.
Se già di suo Belle dimostrava meno della sua età, quando dormiva sembrava ancora più piccola. La quiete del sonno lasciava riemergere i tratti delicati, quasi fanciulleschi che - sebbene caratterizzanti il suo volto - durante la veglia erano come offuscati dalle incombenze quotidiane.
Le guance rosate, le palpebre sottili che appena tremavano, attraversate da inquietudini che avrebbe voluto cancellare, il petto che si sollevava lieve: Belle somigliava alla bambolina di un carillon, altrettanto graziosa e minuta.
Ma le apparenze ingannano: sotto il sembiante angelico, la donna nascondeva l’animo strenuo di una tigre, come aveva sperimentato più volte - l’ultima proprio quella sera. Lo sguardo gli scivolò sulle labbra socchiuse del colore delle fragole, e si chiese se avessero lo stesso sapore…
Tornò ancora con la mente agli istanti in cui l’aveva tenuta tra le braccia, al calore del suo giovane corpo contro il suo e all’espressione che gli aveva rivolto.
Un’espressione di amore.
Prima, da Cora, l’avrebbe baciata; non ci sarebbero state esitazioni. Niente e nessuno l’avrebbe fermato: non i preconcetti che avrebbero dovuto farlo pensare, non le convenzioni, non i tabù. Quelli sarebbero venuti dopo, con i sensi di colpa; sarebbero venuti allora.
Non potevano andare avanti così: stavano giocando col fuoco e si sarebbero fatti male, molto male; e per quanto l’amasse – che strano effetto ripeterlo – ne valeva davvero la pena?
Doveva parlarle e mettere in chiaro le cose, smetterla con quell’assurdo gioco e impegnarsi da parte a parte per ricostruire la barriera che avrebbe dovuto ergersi naturale e che tra loro, invece, aveva ceduto troppo presto.
Gliel’avrebbe detto con calma, assicurandole di non serbare alcun rancore, ma gliel’avrebbe detto; e da quel momento non avrebbe avuto più pesi sulla propria coscienza, tanto nei confronti di Belle quanto in quelli di Cora. E anche se per motivi diversi avrebbe continuato a incontrare entrambe le donne, ormai tutto sarebbe cambiato.
Ogni suo proposito di riconoscere la verità era fallito miseramente nell’istante in cui Belle French era salita in carrozza – con l’ombra di un sorriso negli occhi tristi, e Dio solo sapeva quanto ciò gli avesse fatto male all’idea di quel che stava per dirle.
Si era impegnato a trovare un modo per tradurre quei concetti fumosi in parole che risultassero semplici e nette, che non dessero più adito a equivoci – o che li causassero anche, almeno si sarebbe allontanata da lui, perché era quella l’unica strada da seguire, e se fosse stato più accorto non si sarebbe trovato in una situazione simile –, ma ogni tentativo era stato vano; e quando aveva esordito con un banale: – Credo che… – si era reso conto che, cullata dal moto della carrozza e dal silenzio, la sua interlocutrice si era appisolata, come una bambina esausta dal troppo gioco.
Ma quello non era un gioco. Non lo era mai stato.
Avrebbe dovuto svegliarla, ma non l’aveva fatto: era rimasto lì, ad ammirarla come si ammira una farfalla: da lontano, senza osare nemmeno sfiorarla, perché un qualsiasi gesto, anche il più accorto, avrebbe rotto l’incanto e l’avrebbe fatto ripiombare in una realtà grigia e brulla, lasciandolo con un pugno di cenere in mano e il sapore fosco delle delusioni in bocca. Ecco cos’era Belle per lui: una farfalla d’inverno, l’illusione di una primavera troppo precoce, tanto attesa e a un tempo così prematura, destinata a non sopravvivere ai rigori di un’esistenza in cui il gelo ancora dominava. Una gioia destinata a spezzarsi prima ancora di poter illuminare il mondo.
La frenata della vettura la fece ridestare: riaprì gli occhi di scatto e gettò un’occhiata spaesata attorno a sé, mentre Gold riassumeva la solita espressione imperscrutabile.
- Sono lieto di constatare che la mia vettura sia di tuo gradimento.
- Uh? – Belle ascoltò la frase ancora intontita prima di realizzare repentinamente quanto accaduto.
Belle French, tu sei un’idiota.
Con tutti i posti del mondo dovevi metterti a russare proprio qui, davanti a lui?
Sei una completa, perfetta, totale idiota.
- Ero stanca, – ammise in tutta sincerità.
- Lo so, – commentò laconico – Ti aspetto nel mio studio tra mezz’ora. Devo parlarti.
 
 
 
 
 
Mezz’ora. Aveva mezz’ora di tempo per ricostruire una dignità perduta. Sarebbe andata a tranquillizzare Mary Margaret, dimostrando di non essere stata squartata – almeno non fisicamente – dalla Mills, e poi sarebbe corsa da Ariel per darsi una sistemata ed elaborare una parvenza di discorso sensato.
Mezz’ora. Che Dio mi aiuti.
I suoi passi rimbombavano per i corridoi che conducevano in cucina, come in uno di quei castelli abbandonati teatro di mille orrori dei romanzetti d’appendice; era certa che chiunque, guardandola, avrebbe scoperto il suo segreto.
Non sapeva cos’aspettarsi dall’incontro con Gold: innanzitutto chiarire perché non l’avesse messa al corrente della situazione, certo, ma poi? La sua immaginazione bloccava sul nascere ogni possibile ipotesi. Di una sola cosa era certa: non si sarebbe fatta ingannare. L’uomo avrebbe dovuto spiegarle il suo comportamento, su questo non aveva intenzione di transigere.
L’ansia che le serrava lo stomaco era sgradevole, una sensazione impossibile da ignorare nonostante gli sforzi. Ma insomma!, si rimproverò. Non devi affrontare un drago, semplicemente parlerai con Gold. Una cosa che fai tutti i giorni da mesi…
E per la prima volta da quando ci siamo quasi baciati.
Mascherò l’angoscia con un sorriso e spinse la porta socchiusa della cucina.
Lo spettacolo che le si parò davanti la fece rimanere interdetta: si sarebbe aspettata di trovare ad attenderla solo la governante, magari intenta a rammendare per tenersi sveglia; e invece, raccolto vicino al focolare, c’era un capannello di gente che bisbigliava attorno a un bambino magro dai malinconici occhi scuri che si animarono alla vista dell’ultima arrivata.
- Belle! – urlò, schizzando ad abbracciarla con le mani appiccicose della glassa dei biscotti che stava divorando.
- Henry? – la giovane, stupita, ricambiò la stretta – Che ci fai qui?
- Sono venuto a dirti che…
- Aspetta, ragazzino, – lo interruppe Emma – È meglio farla sedere prima.
- E a che serve? Tanto, o in piedi o seduta, mica è una cosa felice, – replicò senza vergogna.
La cosa non passò inosservata all’adolescente, che non perse occasione di rimbeccarlo.
- Ma senti! Portami rispetto, ragazzino, potrei essere tua madre!
- Vi pare il momento di litigare? – Mary Margaret li riprese scandalizzata, prima di addolcirsi nel rivolgersi a Belle che, guidata verso una sedia, iniziava ad agitarsi. Quelle frasi non potevano che preoccuparla, specie se unite alle facce lunghe attorno a sé e a quella presenza inaspettata.
Henry era un ragazzino di sette anni che viveva a Canary Wharf: uno dei tanti monelli di strada che crescevano nei bassifondi, senza nessuno a occuparsi di loro, e che andavano avanti a furtarelli, mendicità e altri espedienti che a malapena garantivano loro il necessario per sopravvivere. Le esperienze li facevano crescere prima del previsto, rendendoli duri: nello sguardo del piccolo che aveva davanti brillavano una malizia e, al contempo, una rassegnazione che nessun bambino dovrebbe conoscere; la rassegnazione di chi ha ormai saggiato ogni bruttura della vita, ogni afflizione e disinganno rimanendone, irrimediabilmente, segnato.
- Tesoro, è successa una cosa terribile, ed Henry è venuto ad avvisarti…
- Hanno accoltellato tuo padre che sta morendo, – bofonchiò il piccolo in marcato accento cockney, mandando giù un altro dolcetto.
A Belle quelle parole giunsero in ritardo, come attutite. Le sentì rimbalzare sulle pareti del cranio, senza riuscire ad afferrarne pienamente il senso, senza capirle. Era come se si trovasse sott’acqua e qualcuno le stesse parlando; dovette sforzarsi non poco per star dietro alla semplice spiegazione di Henry: ancora una volta quel Frey, ancora una volta debiti di gioco, un’aggressione… E ora suo padre era in fin di vita. Era in fin di vita e chiedeva di lei.
- Vuole rivederti, – riferì il bambino – Dice che deve chiederti scusa. E io sono venuto qui a prenderti, e…
- Basta così, – lo fermò qualcuno, prima di chiamarla.
Le sue parole caddero nel vuoto: la ragazza non rispose. Sentiva gli sguardi dei presenti puntati su di lei, sapeva che aspettavano parlasse, ma al tempo stesso tutto le appariva così irreale. Cosa le aveva detto il ragazzino? No, non poteva essere, doveva esserci un errore! La mente le tornò agli eventi del vicolo, per poi arretrare ancora e ancora, in un’epoca in cui la serenità aveva imperato nella sua esistenza.
- Henry, – mormorò a fatica – Stai dicendo la verità?
- Mica dico bugie su ‘ste cose, io! – rispose lui scandalizzato.
Non fece in tempo a terminare l’esclamazione: Belle era già scattata in piedi e si era precipitata fuori dalla stanza, con Killian alle calcagna.
 
 
 
Gli occhi le si gonfiarono di lacrime mentre correva per casa. Se fosse stato tutto vero non avrebbe potuto permettersi di piangere, ma se non lo fosse stato… Non voleva neanche pensare a quella possibilità, che pure le era passata per la mente.
Cos’è peggio?
Quando ormai era quasi arrivata alle porte dello studio di Gold, finì per sbattere contro qualcuno.
- Belle? Quando sei tornata? – Ariel sgranò gli occhi cerchiati di scuro – Che è successo? – aggiunse, notando subito lo stato dell’amica.
- Aspetta! – gridò Killian, raggiungendo le due. Strattonò Belle per un braccio – Ti prego, ragiona un attimo!
- Lasciami, devo andare da mio padre! – gli sbraitò contro con ben poca grazia – Devo tornare da lui, non puoi fermarmi! – l’uomo la trattenne con tutte le forze, incurante dei tentativi di divincolarsi – Sta morendo, Ariel, sono venuti a prendermi perché vuole chiedermi scusa!
La rossa impallidì ancora di più e si portò le mani al volto senza proferir parola.
- E se non fosse la verità? Se fosse una finta per attirarti in trappola? Ci hai pensato, Belle? – fece il giovane, senza smorzare la presa.
- Non sono un’idiota, lasciami andare, ti ho detto, lasciami andare, Killian!
- Belle?
Udendo il richiamo, i tre si voltarono.
Gold, attirato dal rumore, aveva aperto la porta e fissava il valletto con un’occhiata che avrebbe potuto incenerirlo.
- Che sta succedendo? – l’odio che trapelava dalla sua voce era palpabile, forte quanto un contatto che la fece rabbrividire. Per un istante, la donna ne ebbe paura.
- Mr. Gold, – l’uomo lo salutò cercando di ricomporsi. Belle approfittò del momento per liberarsi dalla sua stretta – È sorto un imprevisto e…
- Mio padre sta morendo, – lo interruppe secca lei, guardando il datore di lavoro – E sto andando da lui.
- Stiamo cercando di ricondurla a ragione…
Gli occhi dell’industriale si ridussero a due fessure.
- Ariel, Jones, – li congedò sferzante, continuando a fissare l’altra giovane – Devo parlare da solo con la vostra collega. Restate nei paraggi.
Fece cenno a Belle, che entrò nello studio senza sindacare.
- Cosa ti ha fatto Jones? – domandò perentorio prima ancora di sbattere l’uscio.
- Nulla, – gli chiarì – Abbiamo detto la verità. Un bambino dei bassifondi è venuto ad avvisarmi che mio padre è stato aggredito a morte e che ha chiesto di me, e ora sto andando da lui, – La bocca di Gold si torse in una smorfia di incredulità e rabbia. La cosa non passò inosservata e la indusse a proseguire – Sono venuta ad informarvi, non a chiedervi il permesso. Tornerò da lui quale che sia la vostra risposta.
Le dita dell’uomo picchiarono ritmicamente sulla scrivania.
- Non merita di essere chiamato “padre” dopo quel che ti ha fatto. Te ne sei dimenticata?
- No. Non l’ho dimenticato, e non intendo certo farlo. Ma è mio padre, è sul letto di morte e sta chiedendo il mio perdono. Non posso, né voglio negarglielo.
- Dovresti, – l’uomo sussurrò appena, ma nella stanza deserta la parola fendette l’aria come uno sparo – Dovresti.
Nonostante la situazione, Belle non poté tollerare l’imposizione suggeritale. Come poteva avere la presunzione di dirle come sentirsi, se perdonare o meno Maurice? Il sangue le salì alle guance mentre ruggiva decisa: – Non siete voi a decidere cosa devo fare o come mi devo sentire, sono io!
L’uomo non diede segno di aver udito la sua replica.
- Chi ti assicura che il ragazzo non abbia mentito?
- Mi fido di lui.
Gold si avvicinò al camino. Trascorsero lunghi istanti prima che riprendesse a parlare.
- Ti fidi delle persone, – mormorò come tra sé e sé – Ti fidi delle persone, e questo non è saggio. Non sempre ci sarà qualcuno disposto a salvarti.
Ora basta.
Comunque la considerasse l’uomo, non era una bambina arrendevole e idiota, e di sicuro non aveva perennemente bisogno del suo intervento. In una simile situazione, le sue prediche le facevano solo perdere tempo: se l’industriale aveva intenzione di star lì a filosofeggiare, bene, facesse pure; ma non avrebbe trovato pane per i suoi denti, non quella sera almeno.
- Mi salvo da sola! – sbottò Belle, ormai esasperata – Pensavo lo aveste capito bene, tanto da mandarmi in battaglia senza avvertirmi.
Gold rialzò il capo, e nei suoi occhi bruni la giovane lesse solo un sentimento. La colpa cocente, la consapevolezza di aver commesso un errore e la volontà e, al tempo stesso, l’incapacità di porvi rimedio. Aveva sbagliato, e non lo ignorava; ma sentirsi rinfacciare quanto fatto lo feriva.
La verità ferisce sempre.
- Va’.
Belle accolse trepidante l’assenso insperato, ed eppure ottenuto con molte meno battaglie di quante si sarebbe aspettata.
- Grazie, – annuì nervosa, ma grata – Tornerò appena sarà possibile…
- No.
All’improvviso non fu certa di aver sentito bene.
- Come… Come sarebbe? – farfugliò d’impulso, senza capire.
Le fiamme gettavano ombre sul volto scarno di Gold, improvvisamente privo di qualsiasi emozione.
- Non sei costretta a tornare. Ti lascio andare. Sei libera, – si voltò.
Belle non fu in grado di sostenerne lo sguardo. Tra l’incredulità e la preoccupazione per il padre, iniziò a farsi strada in lei un’altra, amara sensazione che non seppe decifrare.
- Ma il debito… – ignorò il battito accelerato del cuore mentre gli si avvicinava; si bloccò appena si accorse che l’uomo, vedendola, si era come impercettibilmente ritratto.
- L’ho rimesso. Non mi devi più niente. Sei libera di scegliere cosa fare.
- Ma se mi lasciate andare potrei non tornare più…
L’uomo rialzò il capo ed eruppe in una risata roca, priva di qualsiasi accenno di allegria.
- È proprio quel che mi aspetto, – fu il suo unico, amaro commento. Senza dir altro, si diresse verso la porta – Jones! – il valletto apparve all’istante, seguito da Ariel – Voglio che accompagni Belle da suo padre. Userete la mia carrozza, i cavalli non saranno ancora stati dissellati, e fatevi accompagnare da Reed e Blockehurst. E soprattutto, – ordinò guardando il dipendente negli occhi – Tu non tornare se non sei certo che la situazione sia sotto controllo. Se sospetti anche solo lontanamente qualcosa che non va, non farti scrupoli e agisci. Penserò io alle conseguenze. Andate, ora.
Killian annuì e fece cenno a Belle, che lo seguì senza indugio, scambiandosi solo un ultimo sguardo triste e allarmato con Ariel.
Solo alla fine del corridoio si voltò verso Gold.
La stava ancora fissando senza lasciar trapelare alcuna emozione.
Allora riuscì a dare un nome a quel che le stava artigliando il petto.
 
Il dolore di un addio.
 
 
 
 
 
 

 
 
N. d. A.: Dearies, i protagonisti sono i RumBelle e io sono Euridice100: pensavate forse che le cose filassero lisce? “Mainaggioia” state of mind! XD
Cooomunque, bentrovati, raggi di sole: qual è il vostro parere sul capitolo? Dubbi ne ho come ogni volta, perciò opinioni, ipotesi, commenti, IC/OOC e critiche sono sempre benaccetti, scatenatevi pure! :) Un appunto su Belle: ho voluto mostrarne un lato più fragile, più vulnerabile rispetto a quello che siamo soliti conoscere e che finora ho cercato di descrivere in questa storia. Spero tuttavia di non aver esagerato, sbagliando in pieno la caratterizzazione!
Non poteva non comparire Henry, e infatti eccolo qui: ho preferito attribuirgli un’età inferiore a quella della serie tv perché non escludo di farlo ricomparire nella seconda parte della storia. Parla in modo semplice e impreciso perché, chiaramente, un bambino dei bassifondi vittoriani non può certo sfoggiare un linguaggio forbito… XD
Come avrete notato già nello scorso capitolo, per qualche motivo l’editor HTML impazzisce nel momento in cui vado a riportare i ringraziamenti e fa scomparire i nomi: per questo motivo non riesco a citarvi individualmente, ma tengo a sottolineare la mia gratitudine nei confronti di chi ha recensito “Verranno a chiederti del nostro amore”, aggiunto la long alle preferite, ricordate o seguite, dei lettori e di chi mi dimostra vicinanza tramite i vari social; un ringraziamento particolare va a Sylphs, che ha segnalato la storia per le scelte del sito. Il vostro sostegno è la mia forza! ♥ ♥ ♥
Ci leggiamo sabato 12 luglio, salvo imprevisti! ;)
A presto, tesori miei! :*
Euridice100

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Capitolo 15
*** XIV - Wonderwall ***


 
 
 
XIV - Wonderwall
 
 
 
“Today is gonna be the day
that they’re gonna throw it back to you.

By now you should’ve somehow
realized what you gotta do.”
 


Robert Gold non avrebbe mai immaginato che due lettere potessero costargli tanta fatica. Che pronunciarle prosciugasse la gola, bloccasse lo scorrere del sangue nelle vene, gelasse il cuore che pure – meschino! – continuava a battere e a tenere in vita un corpo che andava avanti per mera inerzia.
Era meccanicamente che, da ormai due settimane, ogni mattina si svegliava, si occupava dei suoi affari, incontrava concorrenti e soci, ed era meccanicamente che ogni sera si stendeva su quel letto troppo grande per una persona sola e fissava il soffitto in attesa che l’oblio gli concedesse qualche ora di fuga dai pensieri.
Dal suo pensiero.
Era sempre lì, non occorreva sforzarsi per rievocarla: l’immagine di Belle era stampata sulla sua retina e l’accompagnava in ogni istante, in ogni azione. Era come se il lampo azzurrino di magnesio l’avesse fissata in lui, disegnandogli nella mente la fotografia di Belle.
Anzi, no: qualcosa di più. Perché se quegli scatti erano statici, catturavano un istante di una vita intera, troppo poco per comprenderla a fondo, nei suoi pensieri Belle era in perenne movimento, proprio come quando era ancora con lui. Saltava da un’idea all’altra, si dondolava tra i ricordi più recenti e sorrideva, funambola divertita dall’essere divenuta l’ossessione di un uomo; di esserne divenuta il più grande amore.
Belle che beveva il tè con lui, che gli chiedeva di Neal, il vestito azzurro che ondeggiava allegro attorno a lei, i suoi discorsi sognanti e pratici a un tempo: scene che si ripetevano all’infinito senza che lui potesse impedirlo. E ora non gli restava più nulla, se non la costanza nell’usare una tazza mezza sbeccata, unica prova tangibile del suo passaggio.
Trascorreva il minor tempo possibile nello studio che ormai associava solo a lei; perché da quando se n’era andata quella stanza era tornata a essere troppo vuota, troppo buia, troppo cupa.
Era tornato tutto come prima; tutto, tranne lui.
Non si pentiva di aver pronunciato quel “no”. L’aveva fatto per lei, e le azioni compiute in suo nome non conoscevano vergogna. Se l’avesse costretta a tornare, se si fosse imposto ancora la sua presenza, tutto sarebbe andato perduto. Non ci sarebbe stato più nulla a fermarlo – o a fermarli, ne aveva avuto conferma – e lui non poteva permettere che accadesse. Cos’avrebbe potuto offrirle, se non illusioni destinate a sfociare nel dolore? Non voleva ferirla; ma sarebbe inevitabilmente successo se si fossero rivisti.
Ma, nel caso, sarebbe stato possibile avvicinarsi ancora di più? Erano state le loro anime a toccarsi; ed esisteva forse qualcosa di più intimo? C’era stata una vicinanza di cuori, più che di corpi, ed era proprio questo ciò che lui non era disposto a tollerare.
L’aveva fatto per lei: più tempo trascorrevano assieme, più Belle rischiava di finire vittima di ritorsioni. Ne avevano già avuto una dimostrazione: Cora non aveva certo lesinato offese, arrivando a inventarsi una storia che dava prova della sua meschinità e, soprattutto, della sua paura. Se per una volta Belle era riuscita in qualche modo a resistere, chi poteva assicurare che avrebbe avuto la meglio in un ipotetico secondo scontro? Considerando anche quel che era successo tra lui e la Contessa…
L’aveva vista solo una volta da allora, quando - il giorno prima - era andato ad annunciare a Regina il suo regalo di Natale e a salutarla prima dell’abituale partenza per il Leicestershire. Aveva preso il tè con madre e figlia, cercando di far conversazione con la bambina, i cui occhi scintillavano felici, ma le cui parole erano timorose, come trattenute dalla presenza ingombrante della nobildonna.
Cora l’aveva accolto con un sorriso smagliante che avrebbe ingannato chiunque, ma che non riusciva a non far intuire a lui il ghiaccio che vi si nascondeva dietro; aveva pronunciato pochissime frasi nel corso di quell’interminabile ora e in tutte vi aveva colto un riferimento a lei.
Se non ci fosse stata Regina, avrebbe smesso di fingere cordiale accondiscendenza per dirle di non permettersi di infangarla coi suoi bisbiglii acrimoniosi; ma se non ci fosse stata Regina, lui non avrebbe più messo piede a Belgravia. La bambina era un’innocente che non meritava di essere abbandonata in balia della madre, di scontarne gli odiosi peccati vivendo senza l’unica ancora di salvezza che le restava dopo la morte di Henry Mills.
L’incontro con l’ex amante l’aveva lasciato disgustato: tornato a casa, non aveva voluto vedere nessuno; si era chiuso nello studio e si era messo a filare rabbioso, sperando di non essere più perseguitato dalle due donne.
- Perché filate tanto?
- Mi piace guardare la ruota. Mi aiuta a dimenticare.
- Dimenticare cosa?
- …Pare che abbia funzionato!
Si era alzato di scatto e aveva mandato al diavolo l’arcolaio, la sua pazzia, Cora, Belle, se stesso per aver mandato al diavolo Belle, e poi ancora Belle.
Se già prima conosceva la reale portata di ciò che nutriva nei suoi confronti, ora che lei non c’era ne aveva la conferma suprema: l’amava. Non era come a Dover, dove aveva ancora lottato contro se stesso: ormai doveva affrontare la realtà di un sentimento condannato a morire prima ancora di vivere.
Ma poi, sarebbe mai morto?
Un giorno Belle si sarebbe allontanata dalla sua mente, certo; avrebbe perso i contorni nitidi con cui allora imperava nella sua mente, sarebbe diventata nebbia e bruma, ma non sarebbe mai davvero svanita. Sarebbe bastato guardarsi attorno, incontrare le tende ormai sempre aperte, e lei sarebbe tornata, impetuosa e crudele come se il tempo non fosse mai passato.
Sarebbe divenuta la consapevolezza di aver compiuto un gesto saggio, la certezza macchiata di rimpianto respinto con rabbia.
L’ho fatto per lei.
L’ho salvata da me stesso.
Chissà come l’avrebbe ricordato, lei. Chissà quale sarebbe stato il suo giudizio. Pensando a lui le sarebbe tornato in mente il datore di lavoro inflessibile e tiranno, l’industriale avido e senza scrupoli, o qualche volta - nel corso della vita felice che doveva avere, che avrebbe avuto lontana da lui - avrebbe fatto capolino anche la rosa donata in un mattino che sembrava appartenere a una fiaba?
Non avrebbe mai avuto risposta ai suoi interrogativi, lo sapeva; ma nulla gli avrebbe impedito di ripercorrere quel che il Fato gli aveva concesso nonostante i suoi mille demeriti. Nulla gli avrebbe impedito di soffermarsi ancora sugli istanti in cui l’aveva tenuta tra le braccia, sul volto di Belle baciato dal sole, sulla sua risata e sulla sua furia, su lei, lei, sempre e solo lei, prima di gettarsi sulla poltrona e affondare il volto tra i palmi delle mani in quella gelida notte di Natale 1888, a due settimane dalla festa a casa Mills.
Due settimane da quando l’aveva lasciata andare.
 
 
 
“I don't believe that anybody 
feels the way I do

about you now.” 
 
 
 
Lo scalpiccio degli stivaletti sul selciato si perdeva, inghiottito dal brusio della folla. Nessuno aveva di che festeggiare; eppure tutti cantavano, continuando a bere e urlandosi auguri inframmezzati di bestemmie. Non era ancora mezzanotte, ma già i vicoli pullulavano di ubriachi chiassosi che l’eccitazione per il Natale rischiava di far divenire ancora più violenti.
Belle si calcò bene in testa il cappuccio del mantello, pregando di passare inosservata. Vista la situazione, dubitava che qualcuno avrebbe fatto caso a una figuretta che, intabarrata di scuro, scivolava per i crocicchi dei quartieri bassi; ma in simili occasioni la prudenza non era mai troppa.
Nessuno avrebbe dovuto frapporsi tra lei e la sua meta.
La temperatura era talmente rigida che il semplice respirare diveniva a tratti doloroso: il fiato le si condensava in nuvolette di fumo e le dita, là dove i guanti erano tagliati, quasi si intirizzivano; ma non aveva tempo per curarsene.
Il movimento l’avrebbe riscaldata, e lei ne avrebbe percorsi molti, di passi, quella notte.
Indugiò nei ricordi per un istante: da ragazzina, un’amante dell’avventura come lei sarebbe impazzita all’idea di vagare di notte per la pericolosa e misteriosa Londra al fioco bagliore dei lampioni a gas, con lo stomaco contratto dall’ansia alla sola idea di essere fermata; ora, invece, avrebbe dato ogni cosa per tornare indietro nel tempo, ai giorni sereni in cui la preoccupazione maggiore era scegliere quale nuovo libro leggere per primo.
Allontanò il pensiero dalla mente, ma era già troppo tardi.
Papà.
Killian aveva eseguito gli ordini di Gold alla lettera: quella terribile notte aveva scortato Belle fino all’ultimo, senza lasciarla sola neanche per un istante e dimostrandosi pronto a difenderla fino all’ultimo. L’aveva salutata solo quando era ormai chiaro che nessuno aveva intenzione di torcerle un capello; ma lei, ormai, era distante, persa in una dimensione da cui sarebbe riemersa solo molto dopo.
Aveva seguito Henry in un minuscolo cortile, varcato la porta di un fatiscente edificio di mattoni usato come ricovero, e quel che le si era presentato davanti l’aveva lasciata senza parole; lei stessa ignorava dove avesse trovato la forza per accostarsi al capezzale paterno senza svenire.
Suo padre era in condizioni disperate, lo poteva ben vedere; e le parole che una donna dai ricci chiari le aveva sussurrato erano state solo una triste conferma. Le aveva ascoltate senza aprir bocca, chiusa in una bolla personale e impenetrabile; continuava a fissare il genitore moribondo, incredula e fin troppo conscia del dolore che provava, mentre nella sua mente si susseguiva un carosello d’immagini di cui era lontana spettatrice.
Maurice aveva ripreso conoscenza per pochi istanti solo all’alba. Quando aveva riaperto gli occhi, Belle era stata sommersa da una speranza senza confini: gli aveva stretto le mani e aveva ripetuto il suo nome fino a farlo diventare un urlo strozzato, mentre le lacrime piovevano senza che potesse trattenerle.
- Ma princesse, – la voce dell’uomo era rotta dalla sofferenza dell’agonia. Non era riuscito ad alzare un braccio per carezzare il volto della figlia – Perdonami…
- Shhh, papà, non sforzarti, andrà tutto bene, non temere, – Belle aveva vanamente cercato di fermarlo: il genitore aveva continuato a vaneggiare, il suo tono sempre più lontano mentre invocazioni, richieste di perdono alla figlia e preghiere perché almeno lei si mettesse in salvo dai Frey si confondevano, fino a spegnersi del tutto all’alba.
Da allora, Belle aveva trascorso ore nel silenzio più lacerante che avesse mai vissuto, il silenzio del dolore. Mentre attorno a lei il ricovero si risvegliava, si animava di voci e risate infantili, di vita così vicina alla morte, lei guardava il vuoto dinanzi a sé, continuando a fissare il letto anche dopo che avevano portato via il corpo del padre, imponendosi di reagire, ma incapace di muovere un muscolo.
Henry era passato a salutarla: le si era avvicinato piano e le aveva carezzato una spalla impacciato, intimidito, per poi scappar via senza aprir bocca. Per qualche giorno l’aveva evitata, quasi vergognoso, ma non gliene faceva una colpa: nonostante la vita che conduceva, la solitudine e gli orrori cui aveva assistito, era solo un bambino. Il suo compito era vivere - per quanto possibile - gli anni più belli della vita, non consolarla.
Era stato allora che, all’improvviso, la giovane dai capelli ricci era ricomparsa. Belle se n’era accorta quando ormai le era a fianco: si era seduta per terra come lei, le aveva passato una scodella bollente e le aveva intimato: – Mangia! – nel tono che, lo avrebbe imparato presto, non ammetteva nemmeno l’ipotesi di una replica.
Rose “Tink” Barrie era destinata a un’esistenza di lusso e agi e a un matrimonio con qualche suo pari; ma chi la circondava non aveva fatto i conti col temperamento della ragazza, che aveva deciso di non voltarsi dall’altra parte dinanzi alle sofferenze dei suoi simili fingendo di vivere nel migliore dei mondi possibili. Delusa dalle iniziative delle associazioni benefiche cui molte Lady aderivano con gran clamore - più per far sfoggio di un perbenista spirito filantropico che per sincera solidarietà - aveva deciso di fondare un proprio comitato conferendovi il denaro che avrebbe dovuto spendere per rinnovare il guardaroba. Non aveva esperienza, e l’idealismo l’aveva condotta spesso nella direzione sbagliata; ma aveva quella voglia di fare, di rivoluzionare il mondo che si ha solo a una certa età e che, ne era certa, le avrebbe permesso di realizzare i suoi piani.
Quando, di ritorno dall’India, i genitori di Tink avevano scoperto la reale destinazione dei finanziamenti, per poco non era venuta loro una sincope; ma, certi che si trattasse di un capriccio di gioventù, le avevano concesso un certo margine di libertà, che ben presto si erano trovati costretti a ritrattare. La figlia, infatti, non si accontentava di aiutare gli infelici da lontano, con graziose concessioni dal sapore ipocrita, no: lei si sporcava le mani, immergendosi in quel mondo crudele e orrorifico, percorrendone le strade incurante delle macchie che attentavano alla sua reputazione. Dinanzi all’aut aut impostole, Tink non aveva avuto dubbi: a una vita di fiori e tovaglie inamidate aveva preferito i suoi “bimbi sperduti”, come li chiamava, e si era trasferita nell’orfanotrofio improvvisato a Canary Wharf; e mai si era pentita della scelta fatta: aiutare i più piccoli era la sua vocazione, e vederli per una volta con la pancia piena e un letto caldo la riempiva di gioia più di mille ricevimenti in suo onore. Il denaro di cui lei e le sue poche collaboratrici disponevano era sparuto e sudato, ma lottavano strenuamente pur di ottenerlo e farlo fruttare nel modo più saggio.
Sebbene le sue attenzioni fossero rivolte soprattutto ai più giovani, Tink si era trovata più volte ad aiutare gli adulti; e così, quando qualcuno aveva abbandonato un uomo accoltellato davanti alla sua porta, l’aveva immediatamente soccorso. Il medico del dispensario, mandato subito a chiamare, aveva scosso il capo affranto: si poteva solo assistere lo sconosciuto durante il trapasso; e così, quando il moribondo - che i bambini avevano identificato in un ubriacone della zona - aveva iniziato a delirare su una figlia perduta, si era fatto avanti Henry, un asso nel ritrovare chiunque e qualunque cosa per Londra.
Tink aveva assicurato a Belle che, se avesse voluto, avrebbe potuto trattenersi da loro, proponendole persino di entrare a far parte della conduzione della struttura: c’era tanto da fare e un aiuto era sempre benvenuto, specie se proveniente da una persona che si era rivelata dotata di una notevole tempra e capacità di trattare con i bambini.
Belle aveva accettato.
Si era gettata a capofitto nel lavoro, sforzandosi nel dare il suo contributo, e non aveva lesinato energie, grata di avere così tanti impegni da non potersi concedere il lusso di vagare tra i pensieri. Se l’avesse fatto, sarebbe andata in pezzi; e questo non se lo sarebbe mai perdonato.
Non poteva trascorrere il tempo a piangere la sorte che sembrava essersi accanita con furia su di lei, che l’aveva fatta illudere di riabbracciare il padre per poi strapparglielo via un istante dopo; non poteva e non voleva trasformarsi in un essere ignavo e fragile, succube e non protagonista della propria esistenza, destinato a vivere per sempre rievocando la sera più bella e al contempo più brutta della sua vita.
Le rare volte in cui la mente le tornava a quegli attimi, le pareva che il mondo si fermasse: avrebbe saputo descrivere ogni sensazione, ogni emozione, eppure era come se quelle scene appartenessero alla vita di un’altra persona, di un’altra Belle French che non conosceva più.
Il momento più pericoloso era la notte, prima di addormentarsi: stesa sulla branda che era il suo nuovo letto, le incombenze quotidiane si allontanavano e tornavano a farle visita i fantasmi del passato.
E, tra tutti, lui.
Era stato netto nel concederle libertà: sarebbe stata lei a decidere il da farsi. Sarebbe potuta tornare dopo un’ora, o andarsene per sempre, perché non gli doveva più niente. Era libera: libera di trovarsi un nuovo lavoro o di partire, priva com’era ormai di legami, realizzando il suo grande sogno di vedere il mondo; e, a dir la verità, l’idea affascinava Belle, la stuzzicava non poco. Avrebbe potuto mettere da parte i soldi e imbarcarsi, magari diventare un’esploratrice – ogni volta che ci pensava era impossibile non sorridere – e costruire la propria vita.
Non doveva più stare alle dipendenze di un padrone tanto cinico quanto umorale, che per mesi l’aveva sfruttata senza farle vedere il becco di un quattrino; avrebbe potuto far divenire realtà le parole che tanto amava ripetersi, perché le era stata offerta la possibilità di decidere il proprio destino per la seconda volta, quando a molti non ne veniva concessa nemmeno una, e sprecarla non era un’opzione contemplata.
E tutto quel che Belle desiderava era stare con lui.
Sarebbe voluta tornare a percorrere gli ampi saloni di casa Gold, a spolverare le infinite collezioni mentre lui lavorava, sentire ancora una volta le sue punzecchiature col cigolio dell’arcolaio come sottofondo, e rispondergli senza timore. Avrebbe voluto rivedere quella tazza sbeccata cui lei si sentiva tanto somigliante, ora che era lontana da lui: apparentemente invariata, perfetta come sempre, pronta a compiere il suo dovere, ma con una crepa che, per quanto invisibile, c’era e ci sarebbe sempre stata, senza possibilità di rimedio.
Perché non le aveva imposto di tornare? Aveva deciso di rimettere il debito paterno conosciutane la situazione, o la sua era stata una scelta meditata, presa forse già nella biblioteca della Mills?
Non poteva saperlo e, conoscendolo, dubitava che - se per qualche fortuito, insperato, benedetto caso le strade delle loro vite fossero tornate a incrociarsi - lui gliel’avrebbe mai confessato.
Doveva accettare quanto successo e non tornare indietro sulla decisione di iniziare a scrivere un nuovo capitolo della propria esistenza, sebbene gli interrogativi si facessero sempre più pressanti. Se all’inizio si affacciavano sulla sua mente per pochi istanti, ora Belle si ritrovava a scacciarli via sempre più di frequente, e ogni volta le lasciavano in bocca il sapore molesto della tristezza.
Perché l’aveva lasciata andare? Perché era davvero una scommessa, ma vederla in quello stato aveva toccato le corde più profonde del cuore spinoso dell’imprenditore?
E in ogni caso, perché non le aveva imposto di tornare?
Se l’avesse fatto, avrebbe obbedito. Era il suo lavoro e il suo dovere, e non aveva mai dato prova di trascurarlo. Cos’era successo di tanto grave da indurlo a una decisione così drastica? Non si era trattato di un licenziamento…
Per quanto potesse arrovellarsi, la realtà era una sola: le aveva dato la facoltà di scegliere.
La libertà di farlo.
Qualcosa che nessuno, prima di allora, le aveva mai concesso: una possibilità che conteneva più sottintesi di quanti fossero immaginabili a una prima lettura, si era resa conto durante quel periodo. Una possibilità che sapeva di rispetto; che profumava d’amore.
Quando ci pensava, Belle tratteneva il respiro dall’emozione.
Era stato quello a spingerla a compiere un gesto talmente assurdo e, al contempo, così giusto: c’erano verità che non tolleravano più di essere occultate, che smaniavano per emergere alla luce del sole e che in un modo o nell’altro avrebbero avuto la meglio; perché contro la verità dell’amore si può fare ben poco, e Belle questo lo stava imparando a sue stesse spese.
Cos’aveva da perdere, in fondo? Se lui l’avesse derisa, se ne sarebbe andata con la certezza di dover porre un punto all’intera storia e la consapevolezza della necessità di andare oltre – se fosse mai stato possibile andare oltre a ciò che nutriva nei suoi confronti.
E in ogni caso, cos’avrebbe preferito? Vivere coi rimorsi di aver agito e non essere riuscita, o col rimpianto di non aver neanche tentato l’impresa, di non aver preso in mano le redini della propria vita? La risposta veniva da sé.
Era stato così che, alla fine, Belle aveva deciso: sarebbe tornata da Gold. Gli avrebbe detto tutto, confessando quel che nutriva nei suoi confronti anche a costo di rendersi ridicola, e l’avrebbe affrontato. Avrebbe descritto la situazione così come si presentava al suo cuore, chiara e immediata: non ci sarebbero stati segreti, mezze bugie o frasi fraintendibili, né li avrebbe accettati da parte dell’uomo.
Aveva accennato la situazione a Tink, per una questione di correttezza e perché era convinta che confidarsi con qualcuno le avrebbe giovato; e così era stato. La donna aveva ascoltato comprensiva le ragioni di Belle, e alla fine le aveva dato un unico consiglio.
- Dall’alto della mia inesperienza, posso dirti solo che non è una situazione facile, ma secondo me hai tutte le armi per affrontarla e vincere, se non dimentichi la cosa più importante, – era rimasta in silenzio per qualche istante, mordicchiandosi le unghie pensierosa – La dignità, Belle. Lui ha già dimostrato di non giocare sempre pulito, e questo non va bene: non tollerare menzogne, non farti schiacciare per alcun motivo, pretendi la verità. Se sceglierai di raccontargli tutto, anche lui dovrà mettere da parte il suo atteggiamento, che sia orgoglio o qualche malcelato senso di colpa, ed esser franco con te, dirti come stanno le cose dall’inizio alla fine. Solo questo.
Belle aveva riflettuto su quelle parole e, alla fine, aveva preso la sua decisione. Se fino a poche ore prima ancora non sapeva quando l’avrebbe posta in essere, all’improvviso, durante la festicciola organizzata per i bambini, un lampo le aveva attraversato la mente e ogni cosa era tornata al suo posto. Aveva chiamato Tink senza farsi notare dagli altri e le aveva comunicato le sue intenzioni, mentre le bionda cercava di dissuaderla dall’avventurarsi per l’East End la notte di Natale col rischio di farsi ammazzare; o almeno, se proprio voleva realizzare questa pazzia, si facesse accompagnare da Peter, o da Felix, o comunque da uno dei ragazzini più grandi e più svegli…
Ma Belle aveva già afferrato il mantello e abbracciato l’amica, ed era corsa via.
Da quel momento non aveva più pensato a nulla: non al nevischio che le pungeva le guance, non ai mille pericoli che avrebbe potuto incontrare, non al fatto che Gold sarebbe anche potuto essere fuori casa la notte della Vigilia… Nella sua mente c’era spazio solo per un pensiero, un nome che ripeteva correndo per le strade, incurante dei fiocchi di neve che penetravano la lana del cappuccio bagnandole i capelli, incurante della paura, incurante della vocina secondo cui doveva averle dato di volta il cervello, perché coi tempi che correvano non sarebbe mai arrivata a Kensington incolume, e se pure per qualche insperato miracolo fosse successo, l’avrebbero scambiata per un pulcino bagnato, altro che la Belle French che ricordavano…
Il lastricato umido della strada la fece scivolare. Ingoiò un’imprecazione e si morse le labbra per il dolore alle ginocchia e ai palmi delle mani che l’attraversò con un colpo sordo; ma si rialzò, pronta a rimettersi in cammino, decisa a non lasciarsi ostacolare da alcunché.
E se non gli fosse mai piaciuta e fosse stata lei a fraintendere tutto? E se durante la lontananza la Mills fosse riuscita a riportare l’uomo dalla sua, cancellando ogni suo sforzo? Al pensiero della Contessa, lo sguardo di Belle si rannuvolò. Le offese che le aveva rivolto, il modo in cui le aveva mentito pur di annientarla le agitavano l’anima con un moto di rabbia cui non poteva soprassedere; e anche questo la rendeva tanto determinata, tanto decisa a tornare a tornare a casa. Sapeva che prima o poi avrebbe rivisto la nobildonna e avrebbe dovuto nuovamente affrontarla, ma l’idea non l’atterriva, anzi: le avrebbe dimostrato di cos’era capace, lottando lealmente, al suo contrario. No, un’eventuale, immediata contromossa di Cora non era ragione sufficiente per desistere, ma un motivo in più per parlare con Gold.
E in ogni caso, se le cose non fossero andate per il verso giusto – ma qual è il verso giusto? – avrebbe perlomeno rivisto i colleghi. Ricordava con nostalgia le incombenze divise con Ashley ed Emma, i rimbrotti materni di Mary Margaret e la gentilezza con cui Killian l’aveva difesa e sostenuta nel bisogno; ma più di tutti, le mancava Ariel. Aveva pensato molto alla sua migliore amica, chiedendosi come stesse, e si era ripromesse di farle visita appena avesse avuto un momento libero all’orfanotrofio; e ora, invece, stava tornando per restare. Non le aveva inviato una lettera perché la rossa non sapeva leggere in inglese, e Belle avrebbe voluto che solo lei venisse a sapere quanto intendeva scriverle per ringraziarla per quei mesi meravigliosi, per il sostegno incondizionato che l’aveva indotta a non arrendersi quando aveva realizzato la portata dei sentimenti per Gold.
Sì, ne era certa: da quella serata, alla fine, sarebbe risultato qualcosa di buono.
 
 
 
“And all the roads that lead to you
were winding, 
and all the lights that lead us there

are blinding.” 
 
 
 
Man mano che si avvicinava ai quartieri alti - le strade più linde, gli edifici sempre meno diroccati e il silenzio quasi perfetto ne erano prova - le venivano in mente gli aspetti tecnici della questione. A quell’ora gli ingressi della casa erano già chiusi da tempo, come avrebbe fatto a entrare? Dubitava di riuscire a scavalcare l’alto cancello in ferro, né conosceva punti in cui esso era più basso e superabile. Avrebbe potuto mettersi a urlare o a lanciare sassi alle finestre finché non fosse giunto qualcuno ad aprirle… O i bobbies ad arrestarla. In effetti, convenne tra sé e sé, trascorrere Natale in carcere sarebbe stato il perfetto coronamento delle sue recenti disavventure.
Quando la dimora di Gold comparve all’orizzonte, a Belle salì un groppo alla gola. Fino ad allora non si era resa conto di quanto fosse stanca; ma ora la milza le doleva terribilmente e le gambe minacciavano di non reggerla più per la caduta e la fatica del percorso. Si sostenne al muretto nel tentativo di calmarsi e far tornare il cuore a battere a un ritmo decente, pur sapendo che sotto quel frangente la partita era persa in partenza: se il sangue le pulsava tanto velocemente nelle vene, non era dovuto solo allo sforzo compiuto.
Era quella casa, la consapevolezza di chi vi viveva a causarle tutto questo.
Seguì con le dita i ghirigori dell’inferriata di ferro battuto, e un sorriso - il primo sincero dopo tanti giorni - le curvò le labbra.
L’avrebbe rivisto.
Nell’arco di pochi minuti avrebbe rivisto colui che l’aveva fatta innamorare.
 
 
 

“There are many things
that I would like to say to you,
I don't know how.”

 
 
 
Il cancello di servizio era appena spinto e il chiavistello della porta non era stato serrato; una stranezza, rifletté Belle. Mary Margaret e Archie, cui erano affidati gli usci, erano scrupolosissimi a riguardo, e mai fino ad allora si era verificata una simile dimenticanza.
Ma è la notte di Natale, concluse la ragazza, in cucina staranno festeggiando, o qualcuno sarà uscito per un’incombenza dell’ultimo minuto.
Si precipitò in casa, lungo i corridoi rischiarati dalle lampade rimaste accese, rischiando di cadere ancora una volta e fermandosi solo una volta giunta allo studio.
La bussola accostata la fece esitare per un ultimo istante, il battito del cuore che scandiva le sue emozioni.
Prese un profondo respiro, chiuse la mano a pugno, e bussò.
 
 
 
Non attese risposta per entrare.
Il camino era l’unica fonte di illuminazione della stanza, ma Belle scorse subito la figura che, seduta sulla poltrona, fissava le fiamme con sguardo perso nel vuoto, una mano a sorreggersi il capo.
Eccoti.
Gold non si voltò quando udì i passi di qualcuno che si avvicinava. Belle ne studiò il profilo: ora che lo rivedeva, capiva davvero quanto le fosse mancato.
Fu lui a voltarsi distrattamente, soffermandosi su di lei appena per un istante prima di tornare sui suoi passi e comprendere appieno la situazione.
Nel suo sguardo c’era tutta l’incredulità del mondo.
Sorrise appena, prima di parlare.
- Buon Natale, Mr. Gold.
 
 
 
“Because maybe 
you're gonna be the one

who saves me?”


 
 
Stava sognando, non c’era altra spiegazione.
Doveva essersi addormentato, e lei era tornata a presentarsi a lui.
Ma questa volta non si sarebbe lasciato ingannare: non si sarebbe avvicinato per scoprire di avere dinanzi a sé il passato, non si sarebbe svegliato sapendo di dover affrontare il futuro con una nuova ferita nel petto.
Non era vero, semplicemente non era vero: Belle non era nello studio, e non ci avrebbe più rimesso piede, per quanto quella sera potesse apparirgli tanto reale, vicina com’era, con quel sorriso di vita e calore che l’aveva fatto innamorare.
Il suo mantello era scurito dalla neve, e aveva il volto arrossato; ma gli occhi erano screziati di una felicità incommensurabile, che irradiava attorno a sé, illuminando ogni cosa.
- Buon Natale, Mr. Gold.
All’uomo si mozzò il respiro in gola: la sua voce era qualcosa che non immaginava avrebbe più ascoltato. Nelle notti precedenti non gli aveva mai parlato.
Non era sogno, non poteva essere realtà: doveva essere impazzito, sì, aver perso il senno; come giustificare altrimenti quel: – Sei tornata…– che gli era sfuggito dalle labbra prima che potesse impedirselo, o il fatto stesso di dialogare con una visione?
- Sì, – annuì lei, muovendo un altro passo verso di lui.
Non ce la fece più: si alzò, incerto che le gambe potessero sostenerlo, e le andò incontro, senza distogliere lo sguardo dal suo volto, nel timore assurdo che una distrazione potesse farla svanire.
Gli occhi di fiordaliso, i lineamenti eterei, le fossette sulle guance che tanto amava: tutto, tutto era di nuovo lì, accanto a lui, proprio quando si era rassegnato a rinchiuderlo nel cassetto più segreto della sua anima, quello della verità e del dolore.
Non poté fare a meno di sfiorarle un braccio perché doveva vedere, doveva capire, avere la certezza materiale e tangibile di essere al cospetto della sua Belle; e quando le dita incontrarono la barriera della lana e della carne, senza perdersi nella vanità delle illusioni, gli si mozzò il respiro.
Smettila di comportarti così, sei ridicolo, urlò istericamente qualcosa in lui; ma non diede più ascolto nulla, se non al furioso battito del suo cuore.
- Siete felice che io sia tornata? – domandò la giovane, facendolo ridestare dal suo incanto.
- Non mi dispiace, lo ammetto, – cercò di imporsi calma e rispondere, sapendo di non essere riuscito a tornare del tutto padrone di sé; ma la sua risata argentina cancellò ogni altro pensiero dalla mente, facendogli tremare l’anima nel profondo – Come… Come sta tuo padre? – s’informò incerto, mordendosi a sangue l’interno della guancia dinanzi al brusco mutamento di espressione della giovane.
- Lui… Non ce l’ha fatta, – mormorò laconica, stringendosi nelle spalle – Le coltellate erano profonde, aveva perso troppo sangue. Non abbiamo potuto far nulla per salvarlo.
- Mi dispiace.
Non per French, ovviamente. Di simile feccia avrebbe volentieri fatto a meno; era lo sguardo di Belle, la mestizia che lo aveva colorato a toccare le corde più profonde del suo cuore. Rifletté su come, nonostante tutto, la giovane fosse accorsa al capezzale dell’uomo, dimenticandone gli errori, gli sbagli che le avevano rovinato la vita.
I figli finiscono col perdonare sempre le colpe dei padri, si disse amaro.
O almeno, i figli cui veniva data tale possibilità.
- Da quanto tempo sei qui? – cambiò argomento, prima che Belle indagasse oltre il motivo della partecipazione al suo lutto.
- Sono appena arrivata, – dichiarò, sistemandosi dietro l’orecchio una ciocca sfuggita dallo chignon – Ho deciso oggi stesso di tornare, appena poche ore fa. Mi sono subito messa in cammino, ho percorso mezza Londra a piedi da Canary…
- Hai percorso mezza Londra a piedi da Canary Wharf? – ripeté l’industriale incredulo, sperando di aver capito male. La sua voce avrebbe potuto tagliare il ghiaccio, ogni parola affilata come uno scalpello.
Belle annuì e fece per continuare, ma venne preceduta.
- Ti rendi conto dei pericoli che hai corso? Avresti potuto incontrare qualsiasi malintenzionato, avrebbero potuto farti… Di tutto, del male, Belle!
- Lo so, – sibilò la donna, gli occhi brillanti e risoluti ancora puntati intensamente in quelli dell’uomo – Ma dovevo tornare stasera.
- E perché non domani?
- Perché stasera ho il coraggio di dirvi quanto vi devo dire.
Gold deglutì in silenzio, colpito dall’intensità impressa in quelle parole.
- Sono tornata per restare, – Belle respirò a fondo, quasi a infondersi il coraggio per proseguire – Voi mi avete concesso la libertà di andarmene, di rifarmi una vita, e io ve ne sono grata. Ci ho provato, sapete? Ho iniziato a collaborare con un orfanotrofio, e le cose si stavano lentamente sistemando, ma per quanto mi sforzassi il mio pensiero tornava sempre qui, – accennò a quanto la circondava, un sorriso sulle labbra rosse – A questa casa, ai suoi abitanti, ai giorni che vi ho trascorso… A voi.
- E alla fine ho capito: non potevo andarmene, scordare questi mesi, fingere di non averli mai vissuti. Dovevo tornare. A questa casa, alle persone che vi ho conosciuto, e a voi. Dovevo tornare da voi, Mr. Gold, e l’ho fatto, e se lo vorrete io resterò.
Non fu certo di aver compreso appieno il discorso. Parole tanto semplici, dal significato così luminoso, faticavano a imprimersi nella sua mente; sfuggivano rapide come uccellini che volavano via da una gabbia troppo a lungo tenuta chiusa, senza che potesse far qualcosa per fermarle.
Sapeva di dover parlare, di dover dire qualcosa, anche limitarsi a un semplice “Sì, voglio che resti”; non fece nulla di tutto questo. Si aggrappò alla poltrona per non farle notare il tremito delle mani, gli occhi fissi sulla figura più meravigliosa che avesse mai incontrato in tanti anni di vita, su colei che gli aveva rivolto la promessa di fedeltà più bella che avesse mai sentito, che lo stava guardando come mai nessuna donna lo aveva guardato prima di allora.
- Io… Ho una cosa per te, – mormorò infine, spostandosi per prendere un pacchetto riposto sulla scrivania. Ignorò la fitta che allontanarsi da lei gli stava causando: ora che l’aveva ritrovata, non avrebbe voluto staccarsene mai più. Aveva recuperato la parte mancante di sé; separarsene ancora sarebbe equivalso a una nuova, insopportabile violenza.
- Grazie, – la giovane strinse al petto il dono, prima che un’espressione colpevole le oscurasse il viso – Ma io non ho nulla per voi…
Non le disse che tornando gli aveva fatto il regalo più bello.
- Aprilo, – la incoraggiò.
Dalla confezione emerse presto un parallelepipedo di cuoio sulla cui coperta erano incise lettere dorate che componevano il titolo di una delle storie d’amore più belle di sempre.
- Romeo e Giulietta,– sussurrò Belle, gli occhi lucidi dall’emozione.
- Ricordi?
- “Che cosa c'è in un nome? Ciò che noi chiamiamo con il nome di rosa, anche se lo chiamassimo con un altro nome, serberebbe pur sempre lo stesso dolce profumo.”, – citarono assieme, rivivendo i loro primi istanti, la loro prima lite nella carrozza.
- È un’edizione del Settecento, – le spiegò – Non appena l’ho vista ho pensato a te.
Era vero: pochi giorni prima, al ritorno da un incontro d’affari, era passato da un antiquario ed era rimasto conquistato da quel volume che prometteva altre storie oltre a quella stampata sulle sue pagine ingiallite, storie di un passato che si proiettava nel presente e si trasfigurava nel futuro.
Il regalo perfetto per Belle, aveva pensato, prima di ricordare quanto accaduto; ma lo aveva comunque acquistato, un ultimo gesto, forse – sicuramente – inutile, ma in suo onore.
E per questo perfetto.
- È meraviglioso, – Belle carezzò piano il dorso del libro prima di riprendere a parlare – Mr. Gold, io…
- No, – la interruppe con un cenno – Io ho un nome. Per te io sono Robert.
- Robert, – ripeté lei annuendo. Gli parve che quelle lettere, pronunciate da lei, assumessero un altro suono, un altro significato, trascendessero fino a diventare poesia che lo inebriò.
Poesia che voglio ascoltare da oggi fino all’ultimo dei miei giorni.
- Robert, – proseguì poi, seria – C’è solo una cosa che vorrei sapere. Cos’è successo veramente con lady Mills?
Gold chinò lo sguardo. Sapeva che quell’argomento sarebbe prima o poi riemerso, con tutto ciò che avrebbe portato con sé; e sapeva anche che non avrebbe potuto tergiversare più.
Stranamente, non ne aveva neanche l’intenzione.
Era giunto il momento di essere sincero, per una volta nella vita.
- Avrei dovuto avvisarti, – esordì – Avrei dovuto metterti davvero in guardia da Cora, spiegarti i suoi reali fini, dove sarebbe andata a colpire… Non sgridarti ancora una volta in carrozza, di sicuro non quello, e mi pento di averlo fatto, te ne chiedo scusa. Ma ti posso assicurare una cosa: non sei mai stata una scommessa. Mai, neanche per un istante. Se è questo ciò che ti ha detto, ti ha mentito. Ecco… Le cose stanno così, Belle. Forse non mi crederai, ma è questa la verità. Solo questa.
La ragazza si strinse il libro al petto. Si morse le labbra, trattenendo a stento la felicità dinanzi alla conferma delle sue teorie.
Lo sapevo. Lo sapevo.
- Invece vi credo.
- Ti credo, – la corresse lui.
- Ti credo. Mi ha ferita non essere stata avvertita, dover affrontare una situazione che mi era sconosciuta senza poter far affidamento ad alcunché, ma accetto le tue scuse. So che non stai mentendo. Ti chiedo solo che questa situazione non si ripeta più.
Gold annuì piano.
- Farò in modo che non accada. Belle, – domandò infine – Perché sei tornata?
Temette e desiderò la risposta e le sue conseguenze, qualunque fossero.
- All’inizio non ne avevo intenzione, – alzò il capo fino a incontrare gli occhi castani dell’uomo – Ma poi qualcosa mi ha fatto cambiare idea…
Si guardarono, il silenzio rotto solo dal crepitio delle fiamme nel camino. Erano già stati tanto vicini da annullare ogni rispettabile distanza; ma solo allora si resero conto di aver percorso fianco a fianco dall’inizio una strada che li avrebbe condotti a quel punto.
Gold si specchiava nelle iridi cristalline di Belle, incapace di formulare alcun pensiero che non avesse lei al centro – lei che era il suo sole, la sua luce nelle tenebre in cui era stato immerso per anni, lei che gli donava vita, con la sua presenza costante e ferma che mille nubi mai avrebbero potuto vincere.
Non voleva – non sapeva, non poteva – vivere ancora lontano da lei.
Belle e le sue risate e le sue lacrime, Belle che gli teneva testa e sapeva ascoltarlo, Belle così sognatrice e pratica a un tempo, che non fuggiva dalle sue battaglie, ma le affrontava a testa alta, Belle che era tornata e che ora era lì, di fronte a lui, tanto vicina da poterla toccare col respiro.
Belle. Belle. Belle.
Dove aveva trovato quel coraggio? Belle non sapeva darsi una risposta. In quel momento, ogni domanda sarebbe suonata estranea alle sue orecchie, coperte dal rimbombo del battito del cuore. Stava tremando, ne era certa: eppure, se una parte di lei stava impazzendo, l’altra era finalmente in pace. Se ogni azione l’avvicinava sempre di più a Robert – sempre di più, sempre di più, fino a toccarlo – le pareva una conquista indicibile, al tempo stesso era un gesto naturale, che scopriva aver atteso per mesi. Era l’istinto a guidarla, era l’istinto a suggerirle ogni passo; era spontaneo e naturale, come riprendere fiato dopo una corsa, come giocare con un bambino.
La distanza che restava tra loro era un errore, sorrise Belle, un errore cui porre rimedio socchiudendo le palpebre e posando le labbra su quelle dell’uomo, incerta, tremante, eppure così sicura di sé.
Lo sentì rimanere immobile, trattenere il respiro come paralizzato dal contatto con la sua pelle, ma non si allontanò, non si ritrasse, nel cuore una muta, urlante preghiera.
Sii coraggioso.                                                                                                                    
E all’improvviso, Robert dischiuse le labbra e ricambiò il bacio.
 
 
 
“And after all 
you're my wonderwall.” 
 
 
 
Com’era possibile che restasse ancorata a terra? Le sembrava di volare. Non si era mai sentita leggera come allora: energia pura le scorreva nelle vene, e mantenere la calma e non mettersi a ballare per le scale le costava non poca fatica; così come allontanarsi dallo studio si stava rivelando un’impresa alquanto ardua. Desiderava solo tornare da lui, gettargli le braccia al collo e riprendere a baciarlo fino a sentire le labbra dolerle e i polmoni urlare, baciarlo fino all’indomani mattina e oltre, per sempre, mentre le mani dell’uomo le carezzavano il volto e affondava le dita nei suoi capelli.
La tentazione di tornare nello studio era dura da vincere…
Doveva dirlo ad Ariel, si ripeté. Sarebbe stata la prima cosa che le avrebbe raccontato dopo tanto tempo: meritava di saperlo subito perché era una vittoria, la più bella e inaspettata, una vittoria in cui anche lei aveva avuto la sua parte. Sarebbero scese in cucina a bersi una tazza di tè per festeggiare, o bando al tè, ma qualcosa dovevano pur farla!
Persa nel suo mondo, Belle non fece caso ai passi concitati provenienti dal piano in cui alloggiavano, passi che si facevano ogni istante sempre più vicini e rumorosi; e rimase a bocca aperta quando, saltando l’ultimo gradino, si ritrovò dinanzi a un piano affollato di gente che parlava sottovoce. Sembrava quasi che l’intera casa si fosse riversata nel corridoio; nessuno fece caso alla donna, che si avvicinò incuriosita alla porta della sua stanza.
La sua attenzione fu catturata da Aurora: era seduta per terra e, bianca come un cencio, abbracciava un’Ashley in lacrime.
 - Ragazze! – le salutò, perplessa dall’espressione dipinta sui loro volti – Cosa succede? Sono tornata solo ora, e…
Lo sguardo sconvolto che le rivolse la bionda la indusse al silenzio, mentre un’ondata di angoscia le sommergeva la mente.
 
- Ariel… Ariel è morta!
 
 
 
 
 
 
 
 
 
N. d. A. : Prima del linciaggio di cui sarò giustamente vittima, visto l’attacco di GeorgeMartinite da cui sono stata colta durante la stesura del capitolo, mi siano concesse due paroline-ine-ine, please. ♥
So di aver scritto pagine lente e fortemente introspettive, ma la mia intenzione era preparare il terreno per il finale col botto. E insomma, i nostri sfigati preferiti si sono finalmente baciati – sento i cori da stadio in sottofondo – e finora ho seguito “SkinDeep” in modo più o meno fedele; adesso, però, mi allontanerò un po’dalla serie. Ho serbo parecchie cose, che spero vi piaceranno – sempre se continuerete a seguirmi dopo la strage fatta oggi, s’intende. Di Maurice poco m’importa, non l’ho mai sopportato e si è visto, ma Ariel… Nella mia mente, per questa storia, lei è nata per morire. Sarà l’influenza della versione originale della fiaba, ma quando ho deciso di introdurre questo personaggio, ho immaginato Ariel come una fida alleata di Belle, una sua amica dalla vita difficile, destinata purtroppo a concludersi in modo infelice. So che in molti speravano in un lieto fine anche per lei, e mi scuso, ma la mia idea è stata sin dall’inizio questa! :*
Per il nome completo di Tink mi sono ispirata in parte all’attrice che la interpreta in OUAT e in parte all’autore di “Peter Pan”; mi sono dilungata su di lei perché non escludo di farla apparire nella seconda parte della fanfiction! La canzone del capitolo è “Wonderwall” degli Oasis.
Grazie a tutti coloro che hanno recensito il precedente capitolo, a chi ha aggiunto il mio racconto ai preferiti, ricordati o seguiti e a ai lettori; un ringraziamento speciale a Hey J che ha segnalato la storia per le scelte. Love u, babies! ♥ ♥ ♥
Salvo imprevisti, aggiornerò sabato 26 luglio! :)
Bacioni! :) :***
Euridice100

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Capitolo 16
*** XV - In my veins ***


 

 

XV - In my veins

 

Nothing goes as planned,
everything will break
people say goodbye
in their own special way”

 

 

Regina seguì con un dito le gocce di pioggia che si rincorrevano sulla vetrata. Sembrava stessero giocando: chissà cos’avrebbe vinto chi fosse arrivata prima al traguardo… Immaginò la famiglia della vincitrice attenderla al traguardo: l’avrebbero festeggiata, magari le avrebbero preparato i suoi piatti preferiti… Ma quali potevano essere i cibi preferiti da una gocciolina d’acqua?
Regina scosse la testa, volgendo la propria attenzione al libro aperto sulla scrivania. La matematica non era certo il suo forte: le operazioni da svolgere erano ancora tante, e le sembravano tutte così difficili… Per fortuna si era ridestata prima del ritorno dell’istitutrice: se l’arcigna miss Mordane l’avesse sorpresa persa nelle sue fantasticherie sarebbe corsa a dirlo a maman; e Regina non aveva alcuna intenzione di subire le ennesime recriminazioni.
Purtroppo o per fortuna – non sapeva cosa pensare – negli ultimi tempi maman non si faceva vedere spesso: da quando, come ogni anno dopo Natale, si erano trasferite con la servitù nella tenuta a Leicester, la Lady trascorreva ore e ore nelle sue stanze private, apparendo solo in occasione delle visite delle altre dame, alle quali si presentava impeccabile come sempre; ma cosa facesse per il resto del tempo, era un mistero. Raramente si accompagnava alla figlia; ma, quando accadeva, era una furia. La strattonava per un nonnulla, prendeva a male parole l’entusiasmo infantile che non sempre la piccola riusciva a contenere e ne sottolineava crudelmente ogni disattenzione. Maman era sempre stata severissima, ma dalla sera del ballo lo era diventata ancora di più; doveva essere successo qualcosa, e Regina sospettava c’entrasse lo zio: quando era andato a Belgravia per salutarle, i rapporti tra i due le erano parsi molto freddi, e aveva ben presto intuito la rabbia che la madre celava dietro un velo di buone maniere.
Speriamo facciano pace, pensò la bambina: non rivedere lo zio le sarebbe dispiaciuto molto. Anche l’ultima volta, nonostante tutto, era stato gentilissimo nei suoi confronti, si era informato sui suoi progressi negli studi e si era complimentato per la sua bravura.
In più, non andare da lui avrebbe comportato perdere Belle.
Ripensando alla domestica, istintivamente Regina chinò il capo: provava vergogna per aver riferito alla madre le conversazioni avute con la giovane, e proprio non riusciva a capire cosa volesse fare loro di cattivo Aveva cercato di difendersi dalle domande della Contessa provando a sviarne l’attenzione, ma alla fine era stata costretta a raccontarle ogni cosa, compreso il gioco in soffitta; e paradossalmente, era stato proprio quello a placare la madre - almeno per pochi giorni, visto ciò che era seguito alla festa.
Regina sospirò: se non fosse piovuto tanto, dopo lo studio sarebbe almeno potuta andare da Ronzinante… Ancora non le pareva vero: lo zio le aveva fatto il regalo che più desiderava, un cavallo! Sebbene gliel’avesse annunciato a Londra, la bambina aveva faticato a crederci; aveva sorriso incredula e colma di gratitudine solo quando aveva ammirato l’elegante corpo slanciato, il lucido manto marrone e la folta criniera dell’animale. Già quello stesso pomeriggio Locke, lo stalliere neoassunto, le aveva dato la sua prima lezione di equitazione; e da una settimana a quella parte, la ragazzina non mancava mai all’appuntamento. Aveva scoperto che la sua passione per i cavalli non era un capriccio: lei amava cavalcare.
Aveva imparato solo come montare, la postura da tenere e pochi comandi essenziali, ma già sapeva di non riuscire più a vivere senza il vento che le accarezzava il volto, senza quell'idea di libertà che il semplice salire a cavallo che concedeva e che tanto la faceva sentire viva.
Felice, estranea alle mille imposizioni che governavano il suo piccolo mondo e che la soffocavano ogni giorno di più.
Certo, sarebbe comunque potuta passare a salutarlo; ma era davvero il caso di rischiare? Con ogni probabilità l’indomani il tempo sarebbe migliorato avrebbe visto Ronzinante...
Tuttavia, non paga, gettò un’occhiata alla porta.
E se si fosse allontanata per pochissimo? Per appena cinque minuti l’istitutrice non l’avrebbe scoperta, provò a sperare…
Quando Regina si avvicinò di soppiatto all’uscita, non riuscì a non sorridere.

 

Ora che tornerò a casa scopriranno tutto subito, la ragazzina rimuginò alla vista degli stivaletti lordi e dell’abito inzaccherato di fango. Non aveva considerato l’acqua che trasformava sempre il percorso in una palude: mentire sulla fuga sarebbe stato vano, nulla le avrebbe risparmiato una notevole sgridata, poco ma sicuro. Tanto valeva restare un altro po’in compagnia dell’unico essere vivente che pareva capirla: almeno Ronzinante l’aveva salutata con un bel nitrito e aveva divorato gli zuccherini che gli aveva porto, senza sottrarsi alle sue carezze.
Gli allungò un’altra manciata di caramelle.
- Vuoi farlo star male?
La bambina, colta di sorpresa, lanciò un urletto terrorizzato. Chi aveva parlato? Era certa di essere sola nella stalla!
- Shhh! Zitta, o li farai imbizzarrire! Buoni, buoni, – un ragazzino un paio di anni più grande di lei comparve all’improvviso da dietro delle balle di fieno e sfilò rapido lungo le postazioni – Buona, Millie, è tutto a posto, Argo, non è successo niente, – si fermò solo una volta raggiunta Regina, che lo fissava sbigottita – E dire che mio padre ti insegna da una settimana! Non ti ha detto che così facendo spaventi i cavalli? . E smettila di fissarmi a bocca aperta, sono mica un fantasma!
- Chi… Chi sei? – la piccola osò timida.
- Mi chiamo Daniel, Daniel Locke. Sono il figlio del nuovo stalliere… E tu devi essere la Contessina, – la studiò con occhio critico e alzò appena le spalle – Ti facevo più grande. E anche più carina, devo dire.
Toccata nell’orgoglio, la ragazzina fremette di rabbia. Come osava offenderla, quel piccolo bifolco? Lei era la grande Regina Mills, discendente di Conti dalla storia antichissima; nessuno poteva dirle una cosa del genere e sperare di restare impunito! Lo avrebbe fatto pentire di aver pronunciato una simile frase, avrebbe dovuto chiederle scusa in ginocchio!
- Almeno io non sembro un elefante, con quelle orecchie a sventola che ti ritrovi tu!
Il ragazzino spalancò gli occhi stupito.
- Un efe che?
- Un elefante, citrullo!
- E che è?
- L’elefante, – esordì compiaciuta, certa di aver messo nel sacco il moccioso – È un grosso mammifero che vive in Africa e in Asia. Ha una lunga proboscide, zanne d’avorio e orecchie grandi quanto le tue! – recitò tutto d’un fiato, concludendo la sua filippica con un ghigno soddisfatto.
Il suo interlocutore la fissò stranito prima di ridacchiare.
- Certo che hai la lingua lunga, Contessina! – le rivolse un sorriso amichevole che Regina si ritrovò a ricambiare, sebbene fosse ancora piccata dall’offesa ricevuta – Ti ho vista prima con Ronzinante: non devi dargli tanti zuccherini, gli faranno male.
La ragazzina arrossì.
- Non lo sapevo… Mi dispiace.
- Tranquilla, per una volta non succederà nulla, l’importante è averti avvisata. Piuttosto, come mai sei venuta qui sotto la pioggia? Da sola, poi… Tua madre non ti dice nulla?
- Maman non lo sa, – ammise lei – Ma quando lo scoprirà non ne sarà felice…
- Immagino, – annuì comprensivo – Anche mia mamma era molto protettiva.
- Era? Perché, non lo è più?
Il ragazzino la guardò di sottecchi e la bambina, improvvisamente conscia, si portò una mano alla bocca. Ma come aveva potuto non capire? Mrs Locke doveva essere morta, ovvio, ecco il perché quella frase! Avevano ragione a dire che era una sciocca, una persona saggia non avrebbe mai posto una simile domanda!
Notando il suo rammarico, Daniel intervenne.
- Su, non volevo rattristarti, – la scosse gentile – È stato tanti anni fa, e poi non potevi sapere! Piuttosto, – cercò di cambiare argomento – Ancora non ho capito cosa sono questi benedetti elefanti.
Regina sorrise appena, ma quando fece per parlare fu sorpresa da un inatteso richiamo: dovevano essersi accorti della sua sparizione e aver iniziato le ricerche.
- Mi stanno cercando, – gemette lei al pensiero della ramanzina che l’attendeva.
È inutile restare qui. Mi troveranno comunque, tanto vale uscire e chiedere scusa…
Si alzò, pronta ad affrontare il proprio destino; ma Daniel la trattenne per una manica.
- Esci dal retro, – le suggerì con quel gesto che aveva visto fare una volta dalla giovane Emma Nolan.
Regina, dubbiosa, sembrò soppesare le opzioni per un attimo. Senza dubbio anche in quel modo avrebbero saputo della sua fuga, ma almeno avrebbe potuto guadagnare qualche minuto e cercare di sistemarsi prima di essere trovata… Era una possibilità remota, ma pur sempre una possibilità da non lasciarsi sfuggire.
S’incamminò nella direzione indicatale, ma - appena prima di uscire - si voltò ancora.
- Tornerò domani, – promise al ragazzino, ricambiando l’occhiolino – Devo ancora dirti cosa sono gli elefanti!

 

All that you rely on,
and all that you could fake
will leave you in the morning,
come find you in the day.”


 

La servitù doveva essere tornata dalla funzione: la casa, fino ad allora silenziosa, si stava ripopolando di piccoli passi, di rumori soffusi che la rendevano - per quanto fosse possibile in quei giorni - nuovamente viva.
Da quando Ariel Andersen era morta, sulle stanze era sceso un silenzio ben diverso dalla quiete composta che le avevano sempre caratterizzate: un silenzio greve, foriero di un’angoscia e una tristezza capaci di penetrare nell’anima, incupendola come il cielo d’ottobre.
Era così giovane, si disse Gold ripensando alla domestica che, appena un anno prima, si era presentata da lui per vie traverse: la ricordava mentre, intimidita all’idea di essere al cospetto del celebre industriale, stringeva una lettera di referenze la cui falsità era confermata dal fiume di parole in marcato accento straniero che aveva pronunciato
Eppure, non l’aveva mandata via. Voleva capire quali mire avesse, e le aveva accordato una possibilità, pregustando cinicamente quanto sarebbe stato divertente umiliarla. L’aveva assunta ripromettendosi di tenerla d’occhio e punirla duramente al primo sgarro, e...
Punirla duramente. Che eufemismo, nella mente di colui che l’aveva indirettamente uccisa.
Ariel era morta per una polmonite mai curata, che col tempo era andata peggiorando; e quando qualcuno si era reso conto della gravità della situazione, era ormai troppo tardi.
Archibald l’aveva avvertito sul finire della notte di Natale più incredibile della sua vita, e lui era corso all’ultimo piano. Aveva visto i suoi dipendenti consolarsi reciprocamente in una solidarietà che le intemperie della vita creano e rafforzano contro ogni tempesta; e, accanto al corpo pallido della sventurata, aveva visto lei.
Aveva le labbra ancora gonfie di baci e gli occhi spalancati, attoniti, mentre mormorava frasi indecifrabili; e Gold si era stupito ancora una volta della vanità della vita, perché non gli pareva vero che la ragazza che era tornata da lui poco prima ora fosse lì, a scostare dolcemente i capelli dalla fronte dell’amica morta.
Quando era entrato in stanza, Belle aveva appena alzato il volto: il suo sguardo era colmo di una disperazione indicibile, che lui non aveva retto. “Cosa dobbiamo fare?”, aveva mormorato appena, e la voce non aveva tremato, nonostante la sofferenza, nonostante tutto. “Dobbiamo portarla via,” aveva replicato breve, lottando contro il desiderio di andarsene, perché lui era un estraneo in quel dolore, e quella sera gli faceva tornare in mente un passato che non poteva scordare, un passato di cui lui era, ancora una volta, responsabile.
Era tornato nello studio e solo lì, lontano da tutto e tutti, lontano da lei, si era morso le nocche e aveva permesso ai ricordi di spezzare ogni argine e tornare a vincerlo.
Erano trascorsi due giorni da allora.
Da due giorni non parlava con Belle.
Aveva fatto sì che non lavorasse da lui, ma non aveva potuto evitare di incrociarla e ogni volta gli era sembrata così forte, ma allo stesso tempo talmente triste che aveva dovuto sforzarsi per non correre da lei e stringerla, perché il suo dolore gli bruciava l’anima e lui non tollerava che soffrisse tanto, pur non potendo far nulla per impedirlo.
Non l’aveva fatto perché non sarebbe stato giusto: c’erano talmente tanti nodi irrisolti, e quanto successo tra loro la notte di Natale non aveva che peggiorato la situazione. Nonostante il tempo passasse, percepiva ancora il sapore dei baci che si erano scambiati; non c’erano state promesse, né parole d’alcun sorta, ma avevano sentito i pensieri reciproci come se fossero stati insieme da sempre. Scoprire i suoi occhi illuminarsi di gioia, le sue labbra sfiorarlo e i loro baci approfondirsi aveva avuto l’incredibile capacità di sciogliere il ghiaccio dietro al quale aveva nascosto il cuore, di riscaldargli il corpo e lo spirito fino all’essenza più profonda di sé, oltre ogni barriera, sotto pelle.
E poi si era scatenata la tragedia.
L’Andersen era grave da giorni, il suo stesso medico personale gliel’aveva confermato, ma – senza neanche formulare il pensiero – si era convinto che in un modo o nell’altro si sarebbe ristabilita: avrebbe recuperato le forze, magari lentamente, magari non avrebbe lavorato per lungo tempo, ma comunque sarebbe tornata in piedi. Belle non avrebbe mai perdonato a lei di andarsene così, e non avrebbe mai perdonato a lui di averglielo permesso…
Fino a quella benedetta, maledetta notte aveva lasciato uno spiraglio per esili refoli di speranza, spazzati via dal buio di una chiamata foriera di lutto.
Per un’ora aveva osato sperare anche per Belle; ma ora anche lei era stata spazzata via.
Come avrebbe voluto avere ancora a che fare con la causa della morte della sua migliore amica? Era inutile che cercasse scuse, scappatoie, stratagemmi d’ogni sorta: la responsabilità lo inchiodava, lo costringeva ad affrontare la verità. Per quanto potessero considerarlo una bestia, lui non aveva intenzione; ma questo, lo sapeva bene, non avrebbe certo lenito la portata delle accuse dinanzi al tribunale della sua coscienza.
Non l’avrebbe escluso dal giudizio di Belle.
Belle ormai andava dimenticata. L’avrebbe considerata l’esperienza più assurda, più esaltante, più inaspettata della sua vita, ma un’esperienza ormai passata. Da archiviare – per quanto fosse possibile archiviare il proprio cuore. Per tanti anni ci era riuscito, anzi, fino a pochi mesi prima ci era riuscito senza difficoltà; non sarebbe dovuto risultare difficile ricominciare, la ragione parlava chiaro...
Ma Gold dubitava sarebbe più tornato lo stesso dopo la notte di Natale.
Avrebbe dovuto affrontarla, prima o poi. Più prima che poi, lo sapeva: procrastinare raramente portava a buoni risultati, e di sicuro non in quella situazione. Non faceva bene a lui, non faceva bene a lei, tradita due volte, che ora doveva sentirsi usata e già gettata via…
Sarebbe bastato poco: dirle solo che non rimpiangeva quel bacio, ma che la vita e la morte lo avevano trascinati via subito dopo, impedendogli di dar seguito a qualunque azione, qualunque pensiero.
L’avrebbe ricevuta volentieri; sempre se lei avesse voluto vederlo. Dubitava sinceramente di questo, e per lo stesso motivo preferiva il limbo in cui viveva: a volte ignorare, chiudere gli occhi dinanzi al mondo attorno, appare un’opzione preferibile ai colpi che solo la realtà sa infliggere.
Un’opzione preferibile da un codardo, da me.
Non da Belle.
Fu per questo che la mandò a chiamare.
Non per un suo desiderio, non per un’autentica quanto improbabile urgenza di capire la situazione, ma perché lei aveva il diritto di sapere, prima di chiudere tutto.
E quell’ultimo sprazzo di verità Belle se lo meritava quanto tutto l’amore del mondo.

 

Everything will change,
nothing stays the same,
nobody is perfect
oh, but everyone is to blame.”


 

Belle si raggomitolò su una sedia accanto al camino. Due ore prima avevano seppellito Ariel nel cimitero di una chiesetta in periferia e avevano fatto ritorno a casa in silenzio. Nessuno aveva voglia di chiacchierare: di tanto in tanto qualcuno lanciava dei singhiozzi, ma la maggior parte dei dipendenti restava in silenzio, chiusa nel proprio dolore e nei ricordi di quella donna così solare che aveva attraversato le loro vite come un lampo.
Belle non faceva eccezione: mentre fissava le pareti annerite del camino ancora spento, la mente le tornava alle confidenze notturne con la compagna di stanza, alle risate e ai segreti condivisi, al modo in cui si erano sostenute durante i momenti bui dei mesi trascorsi assieme.
Sebbene le fosse stata assegnata una nuova cameretta, le notti precedenti Kathryn l’aveva ospitata e messa al corrente di quanto accaduto durante la sua assenza. Ariel era peggiorata rapidamente, e alla tosse che non le dava tregua si era aggiunto un malessere che aveva cercato di nascondere fino all’ultimo; solo pochissimi giorni prima, arsa dalla febbre, era svenuta mentre lavorava e da allora non aveva più ripreso conoscenza. Gold aveva fatto venire addirittura il suo medico che aveva personale – “tutti ne siamo rimasti sorpresi”, aveva commentato la cameriera, ma a Belle era sembrato più strano lo stupore della collega –, ma ormai c’era ben poco da fare. Ariel era morta dopo ore d’agonia – era spirata mentre a due piani di distanza Belle baciava Gold, e il pensiero di quella tragica contemporaneità la riempiva di angoscia, le faceva desiderare di tornare indietro nel tempo, non compiere gli stessi gesti e cambiare - per quanto possibile - ogni cosa.
Se solo avessi saputo.
Se solo me ne fossi accorta prima.
Quando la bionda si era addormentata, Belle aveva lasciato vincere le lacrime. Aveva soffocato i singhiozzi contro il cuscino, dato voce al dolore per essersi vista strappare da sé in così poco tempo il padre e l’amica, e solo allora era riuscita a riprendere fiato, col cuore che ancora le doleva e gli occhi che le bruciavano.
In quegli istanti avrebbe voluto avere solo una persona accanto a sé.
Ma lui non era venuto.
Peggio: sembrava quasi che la stesse nuovamente evitando. L’uomo aveva mandato a dirle di non presentarsi da lui, di occuparsi piuttosto delle esequie della Andersen senza badare ad altro. Lo aveva incontrato un paio di volte per i corridoi, e lui si era sempre, sempre, sempre voltato dall’altra parte, fingendo di non vederla.
Era delusa. Arrabbiata e delusa da quel comportamento così infantile, così pavido e insicuro. Cosa aveva fatto per meritare di essere ignorata in simile modo?
Non riusciva a trovar risposta. 
Tra una cosa e l’altra Belle non aveva certo avuto né il tempo né la disposizione d’animo necessaria per riflettere su quanto accaduto tra loro; ma quando l’immagine le attraversava la mente, l’assaliva un feroce batticuore seguito ben presto dalla vergogna per perdere tempo in simili sciocchezze in un contesto simile.
Eppure, anche allora, desiderava che lui fosse con lei.
Sarebbe bastata una parola, un gesto, un qualsiasi cenno che la rassicurasse, che le facesse confidare nella sua presenza.
Ma lui non era venuto.
Il ruggito di Emma la ridestò dai suoi pensieri.
- È colpa di Gold. È tutta colpa di Gold!
- Cosa vorresti dire? – chiese Ashley, seduta poco distante.
- Ariel è morta di polmonite, – l’adolescente torse le mani davanti a sé – Aveva quella maledetta tosse da tanto, sì, ma quando ha iniziato a star male? Quando Gold l’ha mandata a Covent Garden sotto il diluvio, il giorno che è arrivata Belle! – indicò la giovane, che si era già voltata verso la collega sentendo nominare l’industriale – Se non l’avesse punita in quel modo, se non l’avesse costretta a uscire, Ari non si sarebbe ammalata e noi ora non staremmo qui a piangerla! L’ha uccisa lui, è tutta colpa sua!
- Emma, no, – Belle, pacata, prese la parola – Quella volta Ariel ha preso freddo, si è indebolita, vero, ma non possiamo accusare Gold. Sono stata io la prima a fargli presente la crudeltà del trattamento, e non ho cambiato idea, ma non possiamo dire che l’abbia uccisa lui. Cosa ne avrebbe guadagnato? Se avesse saputo cosa sarebbe successo non l’avrebbe certo punita in quel modo.
- Ma l’ha fatto! – urlò Emma – L’ha fatto, Belle, e non si può tornare indietro. Gold non avrà sgozzato Ariel di persona, non l’avrà soffocata, ma è come se l’avesse fatto, capisci? Ha le mani sporche del suo sangue!
- No, Emma, no! – Belle scattò in piedi senza quasi rendersene conto – Quella sera tutti stavamo parlando male di Gold, noi due per prime, ricordi? Lui è entrato in cucina nell’istante esatto in cui Ariel stava dicendo la sua, l’ha sentita e si è vendicato su di lei, ma se fosse arrivato mezzo minuto prima avrebbe sentito me e avrebbe punito me. È stato il caso, Emma, è stato il caso… – continuò triste, abbassando la voce – Dico sempre che ciascuno deve decidere e costruire il proprio destino, ma contro una malattia si può fare ben poco. Non è stata colpa di Gold. A questo punto, siamo tutti colpevoli per non esserci accorti prima delle sue condizioni.
- Ma noi non abbiamo il potere di decidere, – osservò Tamara, scrutandola freddamente – Gold .
Incontrando gli occhi neri della donna, Belle rabbrividì, investita da una sensazione di disagio. Era come se riuscissero a frugare nei suoi pensieri più reconditi, mettendo a nudo ogni segreto per svenderlo e usarlo contro di lei. Sebbene nella sua mente risuonasse un campanello d’allarme, scacciò la sensazione e non distolse lo sguardo, mentre la donna proseguiva – Lui sì. E non si fa scrupoli a usarlo a proprio piacimento.
La giovane fece per replicare, ma fu interrotta dall’ingresso di Mary Margaret.
- Scusate, per caso è qui… – alla vista di Belle, le rivolse un sorriso mesto – Belle, tesoro, cercavo proprio te. Mr. Gold ha chiesto di te, devi recarti nel suo studio ora. Vuole che ricominci a lavorare…
L’interpellata sbatté le palpebre, stupita dall’improvvisa convocazione; annuì, scacciando il groppo che le era salito in gola, e s’incamminò verso la porta, dissimulando il tremore delle gambe.
Mentre usciva dalla cucina, gli sguardi di tutti i presenti erano fissi su di lei.

 

Oh, you’re in my veins,
and I cannot get you out,
oh, you’re all I taste,
at night inside of my mouth,
oh, you run away
cause I am not what you found
oh, you’re in my veins
and I cannot get you out. ”


 

- Accomodati, – Gold indicò la poltroncina davanti alla scrivania.
Belle obbedì senza aprir bocca.
Lo stava fissando, l’uomo poteva intuirlo; eppure, per quanto potesse desiderarlo, non riusciva ad alzare il capo e ricambiare il gesto.
Non sopportava i suoi occhi tristi, vero, ma quella era solo una parte della cruda, ben più amara realtà: era vigliacco, troppo vigliacco per affrontare lei e le conseguenze del loro incontro.
Sai che sarà un addio.
- Stai bene? – s’informò, pur conscio della futilità della domanda e dell’ovvietà della risposta che ne sarebbe scaturita.
La ragazza gli scoccò un’occhiata in tralice.
- Ho seppellito due delle persone a me più care nell’arco di quindici giorni. Quindi no, non sto bene, e non ho intenzione di mentire, sorridere e fingere impassibilità, Mr. Gold.
Vacillò udendo il titolo, come se il colpo avesse avuto un impatto fisico su di lui; ma non perse la compostezza quando riprese a parlare.
Solo un pensiero gli offuscò la testa.
Vedi? Non avresti dovuto illuderti.
- Credevo di averti detto il mio nome.
- Credevo di essere degna della vostra presenza, e non della vostra ipocrisia. Ho appena avuto la conferma di non esserlo.
Gold scosse il capo, portandosi una mano alla fronte. Avrebbe dovuto dirle la verità, spiegarle di aver trascorso gli ultimi giorni nell’incertezza, incapace di muovere un passo nel timore di sbagliare; avrebbe dovuto rivelarle quel che provava da mesi, farle capire che tra loro non c’era stata la debolezza di un istante; e invece la stava lasciando sola per l’ennesima volta in sì breve tempo, senza neanche guardarla, senza parlarle, senza sostenerla nelle sfide che si trovava ad affrontare ogni giorno.
Così spregiudicato negli affari e così inetto nei sentimenti.
Complimenti, Robert, complimenti.
- Io… Non sapevo cosa fare, – ammise a fatica, sforzandosi per sollevare il volto dai documenti che affollavano la scrivania e puntarlo su quello diafano dell’interlocutrice – Avevo bisogno di riflettere, – si morse la lingua, rendendosi conto troppo tardi dell’ambiguità del verbo utilizzato – No, non è vero. Io non sapevo cosa fare. Come reagire.
A Belle non passò inosservato il tremito nella voce, il bisogno disperato che dominava quegli occhi profondi. Confessare la propria debolezza gli costava non poca fatica, lo sentiva; ma non per questo cedette.
Dovevano chiarirsi, per quanto potesse risultare difficile; valutare quanto accaduto, i comportamenti che avevano preceduto e seguito il bacio, le rispettive responsabilità, e capire cosa fare dei sentimenti che pure – negarlo sarebbe stato ridicolo – reciprocamente nutrivano.
Belle non s’illudeva: cercare di trattare la questione con razionalità sarebbe stato arduo, forse vano; ma dovevano affrontare la realtà per non restarne vinti.
E quanto accaduto nel frattempo non aveva che complicato ulteriormente la già problematica situazione.
- Perciò, quando non sapete cosa fare, voi scappate?
- Sì, – Gold sussurrò roco, dopo un silenzio che parve durare un secolo – Sì. Io scappo, Belle. Scappo dalle situazione complicate, scappo dai sentimenti, scappo dalle persone cui tengo. Sono un egoista, se qualcosa rischia di mettermi in pericolo, io scappo pur di mettermi in salvo, costi quel che costi… Costi anche me stesso.
- L’ho sperimentato sulla mia pelle in questi giorni, e prima ancora dalla Mills, – pronunciò il nome quasi sputandolo, come fosse veleno. E io sono stanca del vostro veleno, delle vostre apparenze. – Ho lottato contro una persona che mi odia anche se non le ho fatto niente, che mi ha riempita di insulti e bugie, e ho vissuto due lutti che mi segneranno a vita. Ero certa di aver trovato un sostegno in voi, un alleato, ma evidentemente mi sbagliavo. Io mi sono messa in gioco, sapete? Ho rischiato, anche a costo di perdere tutto, sono corsa fin qui sotto la neve per dirvelo, vi ho confessato i miei sentimenti con un gesto che vale più di mille parole… E poi? – gli occhi le bruciavano, la sensazione pungente delle lacrime trattenute era impossibile da ignorare, ma non avrebbe ceduto, non quella volta – E poi niente. Dopo quella sera ho trovato un muro. Un muro, capite? Vi ho cercato, e voi vi siete sempre negato, sempre voltato dall’altra parte. Sapete come mi sono sentita? Lo immaginate? No, non potete immaginarlo, perché se riuscite a stare comodamente seduto, a guardarmi e chiedermi se sto bene, allora la paura, il senso di vuoto, la delusione che ho provato – che sto provando – sono stati solo affar mio.
Fu udendo quelle ultime parole che Gold alzò repentinamente il capo, ritrovandosi a fissarla. Era bellissima, bellissima e fiera: lo zaffiro del suo sguardo lampeggiava di rabbia e amarezza soggiogandolo, sbattendolo di fronte ai suoi errori senza lasciargli la forza di sottrarsi al giudizio. Con le gote arrossate e le mani tremanti, sarebbe stata lei l’unico giudice alla cui sentenza si sarebbe sottomesso, lei l’unico arbitro, lei l’unico faro: una guida non distante, non aliena dal mondo e dal suo caso, ma presente, coinvolta nelle ossa e nell’anima.
Coinvolta nel profondo di sé.
- No, – trovò la forza di rispondere – Non è vero. Io lotto da mesi per respingerti, per non essere attratto da te e soprattutto per allontanarti da me, perché mi conosco e sapevo saremmo arrivati a questo punto. So di non riuscire a stare accanto a nessuno senza fargli del male e volevo impedirlo a ogni costo, ma tu hai resistito, sei andata sempre avanti!
- Benissimo! – Belle si alzò di scatto, facendo quasi cadere la poltroncina – Con questo volete dire che è colpa mia? Che tutto questo non sarebbe successo se non mi fossi comportata da ragazzina sciocca e sentimentale, da eroina romantica, se non fossi tornata? Se è così, allora scusate tanto se sono stata sincera, anche se so che questo concetto vi è del tutto sconosciuto e non capirete quanto vi ho detto, e soprattutto scusatemi per essermi innamorata di voi, del grande e potente industriale che gioca tutto il tempo a fare l’oscuro!
- No, quel che è peggio è che io mi sono innamorato di te! – sbatté il pugno sul tavolo ed entrambi sussultarono a quell’ammissione che piovve su di loro, lasciandoli nudi di ogni residua maschera. Si fissarono in silenzio prima che Gold continuasse – Convivo col senso di colpa perché non sono riuscito a impedirmelo in alcun modo. Avrei dovuto capire le condizioni dell’Andersen, sapere che Cora avrebbe scoperto tutto e ti avrebbe attaccata, ma non l’ho fatto. Pensavo sarei a tenerti al riparo dal mio mondo, pensavo sarebbe passata – che tu saresti passata – ma così non è stato, e tu mi sei entrata dentro in un modo che non credevo fosse possibile! – Non ricordava di essersi alzato e averla raggiunta, eppure era lì, in piedi davanti a Belle, a specchiarsi nelle sue iridi, senza capacitarsi di quanto appena detto, e insieme così consapevole – Non mi sono pentito di quanto successo. Un gentiluomo dovrebbe, ma io non ce la faccio. Mi pento di averti mandata da Cora e già te l’ho detto; mi pento per la tua amica, ma a questo non c’è rimedio… È colpa mia. Questa è l’ennesima prova che chi mi sta attorno finisce col farsi male. Non posso permetter che ti capiti lo stesso.
- Non l’hai uccisa tu, – la cameriera ribadì serrando i pugni – Non l’hai uccisa tu.
- No? – Gold ebbe la certezza di star per scoppiare nella risata più amara della sua vita – Sì che è colpa mia. L’ho costretta a uscire sotto al pioggia per un capriccio, perché volevo dimostrare che nessuno può osare parlar male di me, perché volevo dimostrare ancora una volta il mio potere… Ed ecco come siamo finiti. Ecco.
Belle non l’aveva mai visto così prostrato, così fragile. Pensò che se gli altri l’avessero sentito in quel momento, si sarebbero pentiti per averlo attaccato tanto ferocemente.
- Siamo diversi, – commentò a bassa voce, mordendosi il labbro inferiore.
- Certo che lo siamo. Tu combatti, io scappo.
- Potreste non scappare. Potreste smetterla di indossare una maschera che non vi appartiene. Potreste smetterla di farvi credere crudele e senza cuore, perché voi non siete così, e me lo state dimostrando proprio ora per l’ennesima volta! Potreste far ammenda delle vostre azioni, potreste – no, dovreste - trovare la forza per farlo. Io voglio aiutarvi, voglio starvi accanto, e lo farò con tutta me stessa, se solo non me lo impediste, – scosse la testa prima di concludere – A voi non serve il potere, non serve il denaro, non serve il nome. Serve solo il coraggio di farmi avvicinare.
I suoi occhi tradivano una speranza, una determinazione che Gold quasi non riusciva a reggere. Nelle parole della donna c'era spazio solo per la verità: una verità non gridata, non strepitata, ma sussurrata appena, e forse per questo ancora più intensa e dolorosa. Gli si era mozzato il respiro quando aveva sentito quella dichiarazione di fedeltà più inattesa della neve in estate; ma doveva aver frainteso, era ovvio.
Sicuramente Belle non aveva intenzione di dire quanto aveva detto...
Chi mai resterebbe accanto a me?
Scosse il capo, vietandosi di credere, annegando il sogno.
- Non cambierò mai, Belle. Sarò sempre così, avrò sempre bisogno di qualcosa che mi protegga. Non sarò mai in grado di mostrarmi al mondo senza uno schermo che mi ripari... Provarci sarebbe inutile, e coinvolgerti è l'ultima cosa che voglio
Un'ombra di tristezza e, insieme, di rabbia attraversò il suo volto.
- Per questo è già troppo tardi, – gli ricordò – È troppo tardi da tempo, ormai.
Gold distolse lo sguardo per non vedere la sua reazione a quanto stava per dirle.
– Per questo ti ho lasciata andare. E per questo è meglio che tu te ne vada di nuovo.
Belle trasalì di colpo. Spalancò le palpebre incredula prima di tornare in sé e ribattè risoluta: – No. Ve… Te l'ho detto, voglio restare qui, con te. Se tu non hai – credi di non avere – si corresse – il coraggio per affrontare questa situazione, ci sono io. Sarò forte per entrambi. Ti dimostrerò che non mi sono sbagliata.
Vorrei poterti credere, Belle.
Vorrei che avessi ragione.
Non immagini quanto lo vorrei, non immagini quanto vorrei darti ascolto, ma non capisci la situazione in cui ti stai cacciando, cosa ne deriverà.
- Se... Se dovessimo fare come dici tu, dovremmo nasconderci. Il mondo non capirebbe. Saresti considerata una donnaccia, interessata solo alla scalata sociale... E non posso condannarti a questo.
- So cosa mi aspetterebbe. Ma so anche difendermi.
- Ma ne vale la pena? Sei libera, te l'ho detto, – ripeterlo gli faceva male, ma era necessario. Erano frasi vane, perché quando Belle si metteva in testa qualcosa era impossibile farla desistere, caparbia com'era, ma doveva fare un ultimo tentativo. Se l'avesse convinta ad andarsene ne avrebbe solo tratto giovamento, anche se ora le sembrava impossibile; stare con lui, invece, l'avrebbe distrutta. Il suo stesso coraggio la rendeva cieca – Puoi andartene anche ora, costruire una vita via da qui, essere felice... Perché vuoi restare con me? Perché vuoi aiutarmi, quando sai che sono un mostro?
La giovane non rifletté neanche un istante prima di replicare.
- Perché quando si trova qualcosa per cui valga la pena lottare, non bisogna arrendersi mai. E io non smetterò mai di combattere per te.
Ti amo.
Non lo disse, non lo disse mai, ma la dichiarazione aleggiò nell’aria, perdendosi in un silenzio che assorbiva e riecheggiava ogni cosa.
Le carezzò piano una guancia, come fosse di cristallo, fragile e preziosa. La strinse a sé e Belle inspirò a fondo il profumo che le era tanto mancato, chiedendosi ancora una volta perché l’amore fosse tanto complicato, molto più di quanto dicessero i libri; perché fosse pieno di contraddizioni, interrogativi e perché, nonostante tutto, avere accanto lui la facesse sentire finalmente bene.
Forse non esiste destino diverso, le avrebbe risposto se gliel’avesse chiesto. Non esisteva destino diverso per quella tazza, non esisterà mai destino diverso per noi.
Scheggiarci. Romperci.
Ricomporci.
Gold sciolse appena l’abbraccio per prenderle il viso tra le mani e baciarla piano.
Lei non si ritrasse.
Non si accorsero mai che qualcuno aveva visto tutto.

 

Everything is dark,
it’s more than you could take,
but you catch a glimpse of sunlight
shining
shining down on your face.”


 

Ancora non poteva crederci.
Ogni volta che ci pensava, le pareva di essere vittima di uno scherzo del destino. Doveva essere una di quelle fantasticherie totalmente prive di senso che a volte popolavano i suoi sonni; come poteva essere altrimenti? Come spiegare che a lei, Cora Mills, la Contessa che teneva in mano le redini dell’alta società londinese, era stata preferita una cosuccia senz’arte né parte?
Eppure, per quanto cercasse di negare la realtà, era ben consapevole della vanità dei suoi sforzi: Robert se n’era andato – l’aveva lasciata, l’infame, abbandonata dopo un valzer alla sua festa, messa al centro di chiacchiere e malelingue, e tutto per una sciacquetta che sin dal primo istante aveva portato avanti un piano diabolico di cui ora stava godendo i frutti, mentre lei veniva esclusa e tutti i suoi sforzi dimenticati.
Non si curava di Gold: l’uomo era un povero vile senza spina dorsale, il cui astro sarebbe durato ben poco se lei non gli avesse insegnato nulla; con lei aveva imparato a vivere e non a sopravvivere, ma anziché esserle riconoscente in eterno, alla prima scaramuccia lui aveva pensato bene di prendere le parti di una domestica troppo sagace!
Ma il problema non era Gold. Non era Gold. Se avesse voluto continuare a vedere Regina, benissimo, si accomodasse pure, lei di certo non l’avrebbe cacciato, superiore com’era a simili ripicche. Si presentasse a Belgravia, intrattenesse i suoi discorsetti affabulatori con la bambina, prego, facesse pure! Da parte sua non avrebbe ottenuto altro se non la solita espressione suadente, le espressioni affettate e la cordialità di ghiaccio che lui aveva barattato per le lusinghe di un giovane corpo.
Quella di Robert non sarebbe stata una grande perdita, se non per il fatto che era suo; e chi toccava le proprietà della Contessa Mills finiva sempre, irrimediabilmente, per pentirsene.
Belle French non avrebbe certo fatto eccezione.
Chi l’avrebbe mai detto? Quella ragazza aveva la pellaccia più dura di quanto si potesse immaginare. Aveva tratto in inganno persino lei: un errore che si sarebbe curata di non ripetere.
Ma se ora la signorina si illudeva di aver avuto la meglio, di averla lasciata a leccarsi le ferite senza doversene più preoccupare, si sbagliava di grosso.
La French aveva vinto una battaglia, ma la guerra era ancora in atto e lo scontro finale non l’avrebbe vista vincitrice. Sarebbe stata lei, lady Mills, a rinascere dalle ceneri come la fenice che era sempre stata, a ridiscendere in campo pronta a sferrare nuovi colpi micidiali – e questa volta non avrebbe avuto pietà.
Che la troietta si godesse gli ultimi istanti di felicità, che se li godesse appieno: la caduta le avrebbe fatto ancora più male.
E sarebbe stata definitiva.
- Wendy! – chiamò, attendendo impaziente la comparsa della giovane domestica – Prepara i bagagli. Dobbiamo andare in città.

Preparati, Londra.

Cora Mills sta tornando.

 

Oh no, I cannot get you...”
“In my veins” - Andrew Belle

 

 

 

N. d. A. : Non mi avete ammazzata per l’apocalisse della scorsa volta, e se siete arrivati fin qui vuole dire che avete letto anche questo capitolo: potrei forse esservi più grata? ♥
Bentrovati, miei tesorini: come procede l’estate? Spero vi stiate divertendo e riposando tanto, andando al mare, uscendo, facendo quel che più vi piace o anche semplicemente oziando - mai sottovalutare il potere del dolce far niente! :D
Cosa ne pensate di questo capitolo? (Non) vi piace, IC, OOC – che questa volta temo ancora più del solito –, pareri vari? Sono come sempre impaziente di conoscere la vostra opinione anche critica, perciò fatevi sentire! :)
Per il nome dell’istitutrice di Regina mi sono ispirata ancora una volta a Game of Thrones - septa Mordane è la tutrice delle giovani Stark; quanto al cognome di Daniel, la scelta è stata meramente casuale: “Daniel Locke” mi suonava bene. Come avrete notato, inoltre, alcune frasi sono tratte dalla serie tv! :)
Grazie a tutti coloro che hanno recensito i precedenti capitoli, che hanno aggiunto il racconto ai preferiti, ricordati o seguiti e ai lettori; un ringrazia mento speciale va a Julie_Julia e Lady Clopette che hanno segnalato la storia per le scelte. Dearies, il vostro sostegno significa tutto per me, non vi ringrazierò mai abbastanza! ♥ ♥ ♥
Salvo imprevisti, aggiornerò sabato 9 agosto! :)
Besos! :) :***
Euridice100

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Capitolo 17
*** XVI - Whispers in the dark ***


 
 
 
XVI - Whispers in the dark
 
 
 
“Despite the lies that you're making
your love is mine for the taking,
my love is
just waiting
to turn your tears to roses.”
 
 
 
La chiamava Sweetheart.
La prima volta era successo per caso: stava scrivendo una lettera mentre Belle lucidava l’argenteria raccontandogli di quando, a dieci anni, era andata in Provenza e se n’era innamorata. Parlava con tale passione di quei posti, ne descriveva tanto bene paesaggi e persone, particolari e sensazioni, che Gold aveva quasi l’impressione di esserci stato di persona, sebbene della Francia avesse visto solo Parigi - e di Parigi solo atelier in cui Cora lo aveva trascinato volente o nolente; ma con Belle i campi di lavanda si spandevano sotto i suoi occhi, con quel lilla che colpisce la retina e quel profumo dolce e fresco che inebria le narici, permanendovi anche dopo anni e anni.
- Magari un giorno ci tornerai, Sweetheart, – aveva detto sovrappensiero, rendendosi conto del vezzeggiativo nel momento stesso in cui aveva lasciato le labbra, quando ormai era troppo tardi per tornare indietro. Era rimasto lì, immobile dinanzi alla verità cui aveva dato voce, guardando Belle e incapace di vederla realmente, temendo la sua reazione come e più della morte stessa.
Lei stessa era rimasta stupita dal nomignolo: il modo in cui per un momento si era bloccata e aveva alzato il capo, le mani ancora strette attorno al candelabro di cui si stava occupando, non lasciava adito a dubbi, e Gold si era ritrovato a pregare perché il tempo invertisse improvvisamente il suo corso, per tornare solo a pochi istanti prima e non ripetere più quella parola.
Ma poi Belle aveva sorriso e ricominciato a parlare, e in quel gesto lui aveva letto tutto quel che c’è di bello al mondo: tutta la comprensione, l’accettazione, la gioia che solo le piccole cose possono regalare.
Tutto l’amore cui poteva accedere.
Ed era stato grato per quel sorriso, grato più di quanto frasi e azioni potessero esprimere.
Da allora aveva iniziato a chiamarla così, e si stupiva sempre per come il volto di Belle s’illuminava quando le si rivolgeva in quel modo: come se non fosse lui, ma un principe a pronunciare quel nomignolo, o un mago che le offriva il mondo in una mano, ogni suo sogno, ogni suo desiderio recondito fatto realtà.
Ma erano molte, le cose di cui si stupiva
Il sorriso che Belle gli donava, per esempio.
Il modo in cui curvava le labbra, non in una semplice smorfia, non sollevando appena un angolo della bocca com’era abituato a vedere da troppi anni, ma donandoglielo serena, con la stessa lucente forza con cui si presentava al mondo e lo affrontava con coraggio, senza i timori che affollavano la sua, di vita.
Gli rivolgeva quel sorriso unico e specialissimo la mattina quando compariva nello studio, quando scherzava, appena prima di baciarlo; ma per quanto lui amasse tutti quei sorrisi, ce n’era uno che prediligeva più di ogni altro.
C’erano giorni in cui Belle era triste, e non era difficile capirne il perché. Quelle volte le andava vicino, senza dire una parola, e la stringeva a sé, ascoltando il suo respiro, il battito del cuore e i singhiozzi che a volte lasciava vincere, sentendola aggrapparsi a lui come se non volesse più lasciarlo andare, come se temesse di ritrovarsi, ancora una volta, sola. Assaggiava il sale nei suoi baci cullandola senza sosta e solo allora, dopo un tempo che era assieme infinito e brevissimo – come ogni istante vissuto con Belle, infinito, brevissimo e perfetto – lei tornava a sorridere. Gli sorrideva come se fosse qualcosa cui valeva la pena sorridere, come se fosse importante anziché potente, e raramente prima d’allora lui aveva conosciuto simile sensazione.
Essere benvoluto, accettato, capito.
Essere amato.
Ecco cosa pensava quando i dubbi lo affliggevano: all’espressione di Belle quando erano insieme. Al suo sguardo che urlava una felicità di cui lui – e non gli pareva vero – era, per una volta, fautore e non distruttore. Belle non fingeva, nessuno – neanche lui, neanche Cora, nessuno – avrebbe potuto fingere simili emozioni e risultare tanto credibile, tanto vero.
Ma quelle voci erano una spina nel cuore: una scheggia piccola, invisibile, ma presente e conficcata in profondità, dove faceva più male. Non riusciva a combatterle e vincerle definitivamente: era una battaglia da condurre in solitudine, quella, senza neanche l’ausilio di Belle.
Soffocava i pensieri che insinuavano altri fini, li rinchiudeva in un angolo buio di sé e rialzava la testa, incontrando l’azzurro sconfinato di quegli occhi in cui amava perdersi. Zittiva la paura con baci di cui non si pentiva, assaggiando la sua bocca di frutto maturo, disegnando i lineamenti scolpiti col cesello, percorrendo la curva delle spalle e non osando scendere oltre, desiderando e temendo il corpo tiepido e morbido che sentiva premuto contro il suo. Respirava a pieni polmoni la sua pelle e conservava in sé quell’aroma prezioso, la sola cosa che durante i giorni di lontananza gli avrebbe fatto capire di non averla sognata.
Aveva maledetto non poche volte la compagnia che stava acquisendo: se fino ad allora non gli aveva causato problemi, ora pretendeva di trattare personalmente con lui, anziché con gli avvocati; la qual cosa significa dover allontanarsi da Londra.
Sarebbero stati solo quattro giorni, nulla di terribile… Ma quattro giorni lontano da Belle sarebbero sembrati un’eternità.
Ne aveva avuto conferma quando, comunicandole la notizia, aveva visto il rammarico sul volto che tanto amava e aveva pensato di non partire più. Per un momento aveva pensato che, in fondo, non valeva la pena: aveva più soldi di quanti ne avrebbe mai potuti spendere, e fin troppe volte aveva rinunciato agli affetti per gli affari; non avrebbe sbagliato ancora, non quella volta.
Paradossalmente era stata proprio Belle a convincerlo, alla fine: lavorava da mesi su quell’investimento, e lei non voleva che rinunciasse a tutto a causa sua; pochi giorni non li avrebbero certo separati, e comunque la loro sarebbe stata una distanza solo fisica, non mentale, giusto?
Giusto.
Avrebbe mentito affermando di non aver esultato a quel discorso. Perché una parte di lui – una parte minuscola, ma non per questo meno temibile, che non avrebbe mai saputo estirpare da sé – continuava a ripetergli di star sprecando tempo che avrebbe potuto impiegare molto più intelligente – tornando alla sua vecchia vita, per esempio; tornando da Cora, che avrebbe ancora potuto offrirgli il mondo in una mano. Cos’avrebbe ottenuto invece da questa camerierina tanto dolce?
Niente.
Solo amore.
Qualcosa che sarebbe potuto essere tutto.
 
 
 
 
 
Quattro giorni passeranno in fretta, si ripeté Belle impastando la sfoglia per un pasticcio. Uno era già trascorso e, a essere sincera, non era stato terribile come aveva immaginato quando Robert le aveva dato la notizia. Sì, l’uomo le mancava tantissimo, e avrebbe pianto di gioia se, voltandosi, l’avesse improvvisamente visto comparire in stanza; ma il fatto che ora stessero insieme – ancora le pareva un sogno poter pensare quella frase – non equivaleva a dover rinunciare alle proprie rispettive esistenze per come le avevano condotte fino ad allora. Lei avrebbe regolarmente svolto il suo lavoro, e lui avrebbe continuato a sbrigare trattative e affari – certo, se si fosse dimostrato più equo sarebbe stato un bene per tutti, per lui in primis; ma quello era un aspetto su cui occorreva ancora lavorare.
In ogni caso, se tutto ciò li avesse portati a star lontani per qualche tempo… Lo avrebbe accettato. A malincuore, certo, ma lo avrebbe accettato. Non dubitava di ciò che li univa, e sapeva che meno di cento ore separati non avrebbe intaccato il loro amore – neanche una vita di distanza avrebbe intaccato il loro amore, pensava in quella che era un’ordinaria giornata di lavoro in cui l’unica preoccupazione pareva tener Killian alla larga dalla pietanza in preparazione.
All’improvviso la porta si spalancò ed Emma entrò di corsa in cucina, le braccia che oscillavano nervose lungo i fianchi.
Ashley le stava dietro a fatica, cercando di raggiungerla e fermarla mormorando un flebilissimo: – Aspetta, non fare così, magari chiariamo tutto…
Le sue preghiere risultarono vane: l’adolescente raggiunse Belle, l’afferrò per una manica e la voltò bruscamente.
La giovane, colta di sorpresa, sobbalzò.
- Emma, cos…
Le sue parole furono interrotte da un violento schiaffo che la colpì in pieno, mozzandole il respiro. Stupefatta, si portò una mano al volto: la guancia era calda e arrossata, ma non c’era traccia di sangue.
- Ecco perché lo difendi, ecco perché stai sempre dalla sua! – urlò la bionda, senza lasciar andare la collega – Sapevo che avresti portato solo rogne, me lo sentivo, e io non sbaglio mai! Ma non ti vergogni? Ariel era tua amica, come puoi andare con chi l’ha uccisa?
Belle fu certa che le avessero gettato addosso un secchio d’acqua gelida e sporca. Un brivido le corse lungo la schiena, irrigidendole le membra e annebbiandole la vista per un istante.
Non può essere.
Ma era inutile illudersi: le frasi appena rivoltele erano chiarissime. Non potevano riferirsi ad altro.
Emma sapeva.
Non c’era il tempo per riflettere: la donna deglutì e spinse via la ragazza, che tuttavia non mollò la presa.
- Cosa stai dicendo? – le urlò con malgarbo.
Fu Killian a separarle, allontanando la bionda e tenendola ben ferma mentre il suo sguardo vagava disorientato dall’una all’altra senza riuscire a capire la situazione.
- Emma, per favore, calmati! – implorò Ashley, provando a far ragionare l’amica – Ci deve essere un equivoco, ora Belle ci spiegherà tutto, ma per favore, cerca di calmarti!
- Calmarmi? Come puoi chiedermi di calmarmi? – abbaiò la bionda, puntando il dito contro Belle – Noi l’abbiamo accolta, l’abbiamo considerata una di noi sin dal primo giorno, e lei come ci ha ripagate? Tradendoci! Tradendo Ariel! È sempre stata con Gold, è la sua cagna!
All’improvviso due salde braccia l'afferrarono, sostituendosi al giovane. La cameriera si voltò e spalancò gli occhi, incontrando un volto inatteso.
- …Mamma?
Belle non aveva mai visto Mary Margaret in simile stato prima d’allora. Era scossa da tremiti, ma lo sguardo determinato lasciava trapelare una rabbia a stento repressa, una forza inimmaginabile in una creatura energica sì, ma solitamente mite.
Belle ne ebbe quasi timore, e fu certa di non essere l'unica.
- Non ti ho mai sfiorata prima d’ora. Mai. Ho sempre cercato di farti capire i tuoi sbagli con le parole, spiegandoti come non ripeterli e come migliorare, e credevo di avercela fatta in diciassette anni. Ma a quanto vedo non è così.
Il labbro inferiore di Emma tremò appena prima che l’adolescente reagisse.
- Non capisci, mamma, quella lì è l’amante del padrone!
- Le cose non stanno così, Emma, lasc… – intervenne Belle, cercando di avvicinarsi.
- Non pronunciare il mio nome, non ne sei degna!
- Di sicuro ne è più degna di te! – la governante sibilò strattonandola – Non le hai concesso il tempo di aprire bocca, l’hai presa a sberle accusandola subito, impicciandoti di fatti che non ti riguardano!
- Certo che mi riguardano, mamma, ci riguardano! – la giovane si liberò dalla stretta e fissò la madre, il petto che s’alzava e si abbassava rapido per la concitazione – Lei ha sempre avuto più di tutti noi! È stata libera di andare e tornare a suo piacimento, e questo perché ha sempre fatto gli occhi dolci a Gold! Non ha avuto il pudore di smettere neanche dopo la morte di Ariel... Non l’ha uccisa solo lui, è stata anche lei, e tu che la difendi la stai uccidendo di nuovo!
Killian provò a fermarla, ma Emma scappò via, inseguita dal valletto e da Mary.
- Belle, – Ashley si passò una mano sul volto quasi a non vedere quel che la circondava – Belle, cosa sta succedendo? Perché non hai detto come stanno le cose, che sono tutte bugie?
- Ashley… – per quanto potesse far suonare dolce la propria voce, la verità sapeva di fiele – Ashley, ti prego... Capiscimi…
La ragazza scosse il capo, incredula e disgustata.
- No, no, no. Non è vero, Belle, dimmi che non è vero, – singhiozzò – Come hai potuto?
- Che colpa ne ho io, Ashley, che colpa ne ho? – urlò l’altra, mentre la collega scappava via lasciandola sola nella stanza.
Afferrò una sedia e la sbatté con rabbia di fronte al camino; vi si sedette con ben poca grazia e respirò profondamente per cercare invano di calmarsi.
Come avevano fatto a scoprire di lei e Robert? Erano stati così attenti, nessuno li aveva scorti in atteggiamenti compromettenti, ed era assai improbabile che Ariel si fosse confidata con qualcuno prima di morire…
Gold non era stato di sicuro: cosa ne avrebbe guadagnato? Era così esigente nei confronti della servitù, non tollerava chiacchiere d’alcun sorta, e una relazione tra domestica e padrone non avrebbe intaccato personalmente lui, ma certo avrebbe gettato un’ombra sulla rispettabilità dei dipendenti…
Non le pareva vero. Quanto era durata la pace, una manciata di giorni? Stavano appena gettando le basi della loro relazione, aiutandosi a vicenda a superare il passato, quando erano stati attaccati nuovamente, questa volta dalle chiacchiere che la descrivevano come un’arrampicatrice sociale e una poco di buono.
Sapeva dal primissimo istante che non sarebbe stato semplice, che le malelingue prima o poi avrebbero dato il la a un coro di voci e sussurri e che lei ne sarebbe stata colpita, ma diamine, era innamorata di Gold, davvero innamorata, era così difficile – se non crederle! – concederle almeno il diritto di parola? Di spiegare quel che era successo, di dire che nulla era stato frutto di un calcolo, che era stato il caso ad avvicinarla sempre di più all’uomo fino a esserne conquistata in un modo che non riteneva neanche possibile, che l’avvinceva nel profondo dell’anima facendole venir voglia di ridere e di piangere a un tempo?
No, chiunque si fosse permesso a parlare, in qualunque modo avesse scoperto tutto, l’aveva fatto deliberatamente e conscio delle conseguenze, certo che la casa - ancora addolorata per la scomparsa della collega - l’avrebbe ostracizzata e accusata di collaborare col nemico. Di essere complice della morte della sua migliore amica, una persona che se solo avesse saputo quanto stava accadendo si sarebbe scagliata contro gli accusatori con la grinta che l’aveva accompagnata fino all’ultimo.
Nessuno entrò in cucina per molto tempo, ma a quanto pareva tutti erano a conoscenza dell’accaduto: alcune sguattere capeggiate da Tamara erano affacciate sull’uscio, ma erano retrocesse rapide alla vista della nuova paria della situazione. La bruna le aveva rivolto un ghigno tra il sardonico e il nauseato, cui Belle aveva replicato con una battuta tagliente che si era persa nel vuoto; e così era rimasta nuovamente sola con la sua amarezza.
Dei passi che si avvicinavano la ridestarono dalle sue riflessioni, e ben presto avvertì sulle spalle due mani calde e confortanti.
- Belle, – la chiamò Mary Margaret – Piccola…
La giovane si passò una mano sulle guance per asciugare due solitarie lacrime di rabbia che erano sgorgate nel frattempo.
- Mary, – disse sforzandosi di dare alla voce un tono controllato e sicuro di sé.
La donna sospirò e le si sedette accanto. Le prese le mani in un gesto di affetto che, per quanto semplice, toccò Belle.
- Innanzitutto voglio chiederti scusa a nome di Emma. Non temere, sarà lei stessa a dover implorare il tuo perdono, questa è solo un’anticipazione, – aggiunse rapida – Non giustifico assolutamente il suo comportamento. Ha superato ogni limite, e proprio perché sono sua madre devo essere io la prima ad ammetterlo. Non si possono accettare tutti i gesti dei figli, e oggi ho avuto la dimostrazione di aver fallito nel mio compito.
- Non dire questo, – la confortò Belle – Ciascuno ha il suo carattere, ed Emma è… Irruenta. Ma ha un gran cuore, e questo è senz’altro merito tuo. Quanto a ciò che ha fatto, – proseguì amara – La colpa non è tanto sua, quanto di chi ha diffuso il pettegolezzo e ha fatto leva sulla fragilità di una ragazzina che ha appena perso un’amica.
La governante le carezzò un braccio e rimase a guardarla in silenzio.
Un silenzio le cui segrete domande Belle non tardò a cogliere.
- Avanti, chiedimelo, Mary. Non ha senso stare qui a fingere nulla.
- Ma io… – le guance della donna divennero improvvisamente di brace, confermando i sospetti dell’interlocutrice.
- Sono l’amante del padrone? Lui mi ha per questo avvantaggiata in qualche modo? – la ragazza serrò i pugni con rabbia, aggrottando la fronte – No, non mi ha mai favorita, o se lo ha fatto è stato in un modo talmente subdolo da non far accorgere neanche me, e no, non sono l’amante del padrone, ne sono innamorata, il che è diverso! – Belle si accorse di aver urlato, ma non abbassò la voce – E non mi farò fermare dalle voci che circolano, Mary, perché lo amo e non ho intenzione di smettere di lottare per lui, ora che ho iniziato a farlo!
Gli occhi le bruciavano, ma non per le lacrime trattenute. Era furibonda: se avesse lasciato tracimare per un istante la collera che provava avrebbe distrutto ogni cosa attorno a sé, ne era convinta.
Non seppe decifrare l’espressione dipinta sul volto della governante.
Pensala come vuoi, Mary, dì pure che sono perduta, e scusa se ho rotto il tuo piccolo mondo di convenzioni e perbenismo, ma ti svelo un segreto, non tutto è come sembra.
Lui non è come sembra, io non sono come sembro.
Non appartengo al vostro mondo perfetto.
Era certa che la donna intendesse buttarla fuori dalla cucina, forse dalla casa; rimase a bocca aperta quando, invece, l’attirò a sé e l’abbracciò con forza.
- Oh, piccola, – le mormorò – Sono l’ultima al mondo a poterti rimproverare, – la più giovane rialzò il capo, pensando di non aver udito bene – Conosco bene ciò di cui parli.
A quel punto Belle fu definitivamente sicura di non aver udito bene.
O almeno, pregò di aver frainteso, perché l’immagine che le si presentò in mente fu tutt’altro che rassicurante; e la sua faccia dovette tradire il pensiero, se una sconvoltissima Mary Margaret si ritrovò a ululare scandalizzata: – Non con Gold, per l’amor del Cielo! Ma che ti salta in mente, figlia mia! – nonostante il contesto, la più giovane non si trattenne dal sorridere divertita e, francamente, sollevata.
- Sto parlando del mio David. Nessuno sa quello che sto per raccontarti, nemmeno Emma… Ma David non era un semplice manovale, no. Lui era figlio del Sir presso cui lavoravo quando avevo diciott'anni. L'ho incontrato dopo un anno di permanenza nella tenuta – lui aveva viaggiato per tutta Europa dopo la laurea a Oxford –, ma dal primo momento in cui l'ho visto non sono più riuscita a togliermelo dalla testa. E per lui è stato lo stesso, – la donna sospirò, gli occhi lucidi e sognanti che lasciavano trapelare una profonda nostalgia – Tanti gentiluomini, specie se giovani, considerano le domestiche un passatempo prima di mettere la testa a posto. Ma lui no. Mai. Lui mi ha amata di un amore purissimo, di quelli che sembrano appartenere più alle fiabe che alla realtà; se esiste il vero amore, il nostro lo era senza dubbio. Le nostre vite ruotavano attorno a noi due; a volte mi sembrava di condividere con lui un cuore diviso a metà, tanto riuscivamo a comunicare anche senza parlare, a percepire uno le sensazioni dell'altra. Non lo si può descrivere: solo chi l’ha vissuto può capire, provare sempre quell’emozione che ti scalda il petto anche a distanza di anni e anni, sapere – sentire – cosa significa davvero.
- Purtroppo, le voci hanno iniziato a circolare e sono arrivate a sir Albert. Se fossi stata solo un divertimento, non se ne sarebbe curato; ma suo figlio aveva intenzioni serie con me, e questo lui non poteva tollerarlo, tanto più ora che gli stava organizzando il matrimonio con un’ereditiera americana, una certa Abigail Midas. Ha trovato subito un pretesto per licenziarmi, costringendomi a tornare dalla mia matrigna con cui ero in pessimi rapporti, e ha spedito David a occuparsi di una tenuta nel Nord, certo che la distanza avrebbe guarito questa nostra “ridicola ossessione per l'amore” 1, come la chiamava lui... Ma ha fallito. Non conosceva la forza di quel che ci legava.
- Con lettere, telegrammi, dispacci, David mi trovava, mi trovava sempre. Due volte siamo addirittura riusciti a incontrarci, e quei momenti ripagavano tutto: la lontananza, i pettegolezzi, la solitudine che affrontavamo ogni giorno... Ma la mia matrigna ci ha scoperti, e tramite alcuni suoi contatti che lavoravano in case nobili lo ha fatto sapere a sir Albert. David doveva scegliere: o il titolo e l'eredità o me. Credo tu possa immaginare cosa ha scelto.
- Ci siamo sposati poche settimane dopo: in chiesa eravamo solo noi due, il vicario e due testimoni scelti per strada, e la nostra luna di miele è stata cercare alloggio. Abbiamo dovuto ricominciare tutto daccapo, contando solo sulle nostre forze: David ha iniziato a lavorare al porto, coi primi soldi abbiamo affittato una casetta e dopo un anno è nata Emma. David stravedeva per la nostra principessina, come la chiamava sempre: trascorreva ore a cullarla e vezzeggiarla, e ogni suo desiderio era ordine per lui. Si somigliavano come due gocce d'acqua; se potesse vedere com'è bella ora impazzirebbe dalla gioia, – malgrado la rabbia nei confronti della figlia, sul volto della servitrice comparve una smorfia di orgoglio materno – Noi tre assieme eravamo felici: la nostra quiete era perfetta, avevamo tutto quel che sognavamo, una famiglia serena, la salute, una casina umile, ma accogliente, e non ci importava che i soldi fossero pochi; che importanza ha il denaro quando c’è il resto? Sono stati anni perfetti, e sono finiti troppo presto.
- David non beveva, non frequentava pub. Ma aveva ottenuto una promozione, e i colleghi lo hanno trascinato in un'osteria... Mentre festeggiavano, è scoppiata una rissa tra due avventori. David è intervenuto per sedare gli animi e ha ricevuto una coltellata mortale.
- Quel giorno avevo un brutto presentimento. Pensavo fosse una stupidaggine, forse quella notte avevo fatto un incubo che non ricordavo, e ho dato a quello la colpa dei miei pensieri... Ma quando è scesa la notte e David ancora non si vedeva, quell'impressione è tornata a torturarmi, e poco dopo ho ricevuto la peggior notizia della mia vita. Se mi avessero strappato il cuore e l’avessero polverizzato avrei sofferto meno, te lo giuro: non riuscivo a crederci, dovevano essersi sbagliati, mio marito non poteva essere morto. Ma quando ho visto il corpo, non c'è stato più spazio per le illusioni: ho dovuto affrontare la realtà. David ci aveva lasciate nel peggiore dei modi possibili, quello contro il quale non si può nulla se non accettarlo. Mi sembrava impossibile, non sapevo come vivere senza una parte di me stessa; ma dovevo farlo, e in fretta anche, perché con una bambina e nessun mezzo di sostentamento non potevo permettermi di strapparmi i capelli e disperarmi. Ho dovuto presto cercare lavoro e soffocare il dolore senza mai dimenticarlo; e così sono finita qui. Gold è stato fin troppo gentile ad assumermi, sapendo di doversi sobbarcare anche una bambina, addirittura senza pretendere che lavorasse fino ai dodici anni.
- Sai, – rifletté per un istante prima di continuare – Credo che Emma sia venuta su così ribelle anche per questo – per la morte del padre, intendo. Aveva cinque anni quando lui se n'è andato, era abbastanza grande per ricordarlo, e non ne ha mai superato la perdita. Gli era legatissima, era l'unico a riuscire a placarla quando era nervosa e a rallegrarla nei momenti cupi. Perderlo l'ha segnata in una maniera terribile, per lei è stato come un tradimento. All’inizio chiedeva sempre di lui, poi tutto d’un tratto è diventata – come dire? – cupa. Una bambina ombrosa. Non ha pianto per anni, fino alla morte di Ariel, e dubito che la rivedrò presto versare una lacrima. Ma la sua non è forza, no: è solo paura di mostrare le sue fragilità ed essere ferita nuovamente. Credimi, vorrei sapesse piangere, anziché tener dentro le sue emozioni e farle esplodere in questo modo, distruggendo tutto e tutti, anche se stessa. Ma questa è un’altra storia, non è ciò di cui voglio parlarti.
- Il punto, credimi, è un altro: ti rendi conto della situazione in cui ti trovi? Della sua precarietà?
La donna la guardò ansiosa, mordendosi le labbra in attesa di una risposta che non tardò ad arrivare.
- Sì, – Belle socchiuse le palpebre e sospirò appena – So che potrebbe mandarmi via anche domani… Ma so anche che non lo farà. È sincero, – sospirò appena prima di ribadire il concetto in cui in pochi parevano credere –Io so che mi ama, che non mi tratterebbe mai male. Lo so, Mary.
- Io spero che sia vero, – la donna confessò – Lo spero soprattutto per te. Nella tua posizione basterebbe un nonnulla per uscirne distrutta. Non compiere passi falsi, non essere avventata anche se sei innamorata, te ne prego… Non voglio neanche pensare alle conseguenze cui andresti incontro, quando invece meriteresti solo felicità. So di non averne alcun diritto, ma prendilo come il consiglio di una mamma. Hai già visto le reazioni della casa a quello che è ancora un pettegolezzo…
- A proposito… – Belle la interruppe agitata – Secondo te dovrei parlargli di quel che si dice? O mi suggerisci di aspettare? Da una parte penso che dovrei essere sincera, ma magari la situazione rientrerà da sola, e in tal caso avrei sollevato un polverone per nulla. Anzi, rischio di attirare ancora di più l'attenzione: sai com'è fatto, non reagirà certo con calma a quanto successo...
- Proprio perché so com'è fatto dovresti dirgli tutto. Pensi che non lo scoprirà comunque da solo? Non gli sfugge nulla, si accorge di ogni particolare fuori posto e riflette finché non capisce cosa non va. Secondo me non devono esistere segreti tra chi si ama: io e David ci confidavamo tutto, ogni accadimento, ogni idea, ... Lottavamo sempre fianco a fianco, ed era proprio questo a renderci forti. Se temi la reazione di Gold, ricorda pur sempre il potere che hai dalla tua.
- Il potere che ho dalla mia? – ripeté la giovane senza capire a cosa si stesse riferendo la mora.
- Sì, – sorrise – Un potere di cui forse non ti rendi nemmeno conto, ma che hai: tu riesci a trattare con lui. A farti ascoltare, a farlo riflettere e far emergere il suo lato migliore, quello più comprensivo, più umano. Fidati di me: lavoro in questa casa da dodici anni, e mai, mai prima d’ora ho visto il padrone così. A prima vista tutto potrebbe sembrare inalterato, ma le cose stanno molto, molto diversamente. Prima di conoscerti, lui era inflessibile nel senso più autentico della parola: è vero, ha assunto gente cui altri non avrebbero concesso neanche un colloquio, ma in questa casa regnava il terrore, rimproveri e punizioni erano all’ordine del giorno. E ora?
- E ora sei qui da quattro mesi e hai rivoluzionato la casa. Hai rivoluzionato lui, e ne è consapevole, stanne certa. Ero convinta fosse causa tua, e non solo per i tempi, ma per il modo in cui tu stessa sei cambiata, e oggi ne ho avuto conferma. Ti sei innamorata, anzi: vi siete innamorati. Per questo te lo dico, – concluse guardandola dritta in volto – Sei tu l'unica a potergli spiegare la situazione e calmarlo. Non sottovalutare le tue potenzialità.
Mary Margaret aveva ragione, su questo Belle non nutriva dubbi. Condivideva le sue idee sulla coppia e sulla necessità di dialogare, e le parole della donna circa il comportamento dell'industriale negli ultimi mesi – tanto simili a quelle di Ariel, ricordò con dolore – non lasciavano spazio a ripensamenti. Non poteva affidare il compito di comunicargli la verità a un terzo, o - peggio ancora - occultargli tutto col rischio che lo scoprisse da solo: quelle sarebbero state conseguenze che davvero non avrebbe saputo affrontare.
La verità, in fin dei conti, riguarda solo noi due.
Mancavano ancora due giorno al ritorno dell'uomo: più che sufficienti per schiarirsi le idee e trovare il modo per mediare la sua inevitabile furia.
L'attendeva una missione non certo facile, ma se quanto dettole da Mary fosse stato vero anche solo per la metà, lei e lei soltanto poteva portarla a compimento con esiti positivi.
Mentre ringraziava la governante, Belle aveva un unico pensiero in testa: avrebbe ricondotto Gold a più miti consigli.
A qualunque costo.
 
 

“I will be the one that's gonna find you,
I will be the one that's gonna guide you,
my love is
a burning, consuming fire.”

 
 
La sorprese mentre spolverava le porcellane di Dresda. Impegnata com'era, non aveva udito la porta dello studio accostarsi, né fatto caso ai passi che si avvicinavano: la osservò incuriosito borbottare tra sé e sé frasi inintelligibili con una strana espressione che non seppe spiegarsi – preoccupazione? – e si schiarì la gola per dar segno della sua presenza.
Belle sobbalzò per un istante, ma - conscia dell'identità del nuovo arrivato - il volto le si aprì in un sorriso luminoso.
- Sir, non vi hanno insegnato che i gentiluomini non spaventano le signorine?
- Milady, se la memoria non mi inganna non ho mai affermato di essere un gentiluomo.
Ridacchiò dinanzi alla smorfia compita di Belle e alla mano che aveva portato a un fianco in un moto di bonaria stizza, e le sfiorò la fronte con le labbra, mentre la ragazza si alzava in punta di piedi per raggiungere la sua bocca.
Dio, quanto mi è mancata.
Non pensava che una manciata di giorni potesse scatenargli una simile ondata di nostalgia: quando era partito credeva che avrebbe fatto ritorno prima ancora di realizzare il distacco. Per l’ennesima volta, si era trovato a fare i conti con la realtà dei sentimenti che sfuggiva a ogni logica.
E tu hai perso il buon senso quando ti sei innamorato.
Come avrebbe fatto se un giorno fosse dovuto partire per un periodo più lungo?
La domanda è un’altra: come farete ad andare avanti in questo modo?
Ci avrebbe pensato dopo: ora non aveva intenzione di rovinare il momento crucciandosi con quei pensieri maledetti.
- Com'è andata? – s'informò tenendola stretta a sé.
Belle chinò istintivamente il capo, pur sapendo che il gesto avrebbe destato sospetti. Ma quando lui la guardava con quegli occhi scuri – che sentiva puntati addosso, quasi a studiarle l'anima – superava ogni barriera, intuiva ogni pensiero prima ancora che venisse formulato, come se le leggesse la mente.
Si morse l'interno della guancia e rialzò il mento, ripromettendosi di non cedere più alla sua innata timidezza.
Gold continuava a studiarla in attesa di risposta.
- È andata, – si limitò a dire, certa che non si sarebbe accontentato di una frase così misera.
- Questo mi pare ovvio, – convenne lui – Ma io ti ho chiesto come è andata, non se è andata.
La ragazza si concesse un sorrisino.
- Se le cose fossero andate per bene non mi avresti concesso quest'osservazione e mi avresti ormai fatto venire il mal di testa a furia di raccontarmi ogni particolare, da quante volte Mrs Nolan e figlia hanno litigato a quanti oggetti di valore sei stata sul punto di rompere, – gettò un'occhiata fintamente preoccupata attorno a sé prima di proseguire – Almeno qui non hai fatto danno. Ma non mi hai detto niente, Sweetheart, e questo mi fa capire che qualcosa non va.
Le sistemò una ciocca di capelli dietro un orecchio e attese una replica che tardava ad arrivare.
Si è resa conto dell'idiozia che sta facendo, insinuò una vocetta dentro la sua testa. Si è resa conto che il gioco non vale la candela e vuole mettere fine a questa ridicola situazione, giacché tu non ne sei più capace.
È più saggia di te, la ragazza... Di sicuro più coraggiosa.

Gelò, ma non lasciò trapelare il pensiero che gli martellava il cranio. Se Belle avesse deciso di lasciarlo, non avrebbe potuto far altro che accettare la sua decisione – sarebbe morto dentro, vero, ma cosa mai avrebbe causato una ferita in più in un cuore già spezzato per sempre? E a ogni modo, la felicità della giovane gli importava più della propria.
Va bene così, Sweetheart. Sono solo poche parole, non servono grandi discorsi, farebbero comunque male. Dillo. Non preoccuparti, non ti serberò rancore – come potrei mai serbare rancore nei tuoi confronti?
Ma tu, per favore, dillo.
- Ci hanno scoperti.
Le parole gli si insinuarono sottopelle e colpirono direttamente il cuore, dandogli l'impressione che avesse smesso di battere.
Li avevano scoperti.
Qualcuno doveva averli visti nei giorni precedenti, in cui erano vissuti in un sogno, e aveva parlato. Non era difficile immaginare quanto successo, ciò che la sua Belle aveva dovuto affrontare: come in un sogno gli sfilarono davanti agli occhi le stoccate e magari gli insulti che le erano stati rivolti approfittando della sua assenza – lo temevano troppo per aprir bocca dinanzi a lui, quei luridi vigliacchi.
La patina di ghiaccio che lo aveva avvolto si frantumò, sostituita dal calore della rabbia che gli oscurò la vista e lo fece tremare.
Belle assistette con angoscia alla reazione, maledicendosi ogni istante che passava. Cosa diamine le era passato per la testa, era forse ammattita? Aveva riflettuto tanto per annunciargli la situazione nel modo più diplomatico possibile, come aveva potuto essere così irruenta, così frettolosa, così stupida, quando invece avrebbe dovuto prendere esempio da lui e dalla sua fredda razionalità? Aveva rovinato tutto! Possibile che riuscisse proprio a trattenere la sua impulsività, a contare fino a dieci prima di aprir bocca?
Si maledisse ancora una volta e gli posò le mani sulle spalle, cercando di rimediare.
- Robert, comunque si tratta di una...
- Chi è stato?
- …Situazione che possiamo fronteggiare con calma, noi...
- Chi è stato?
- ...Non dobbiamo farci accecare dall’ira, perché...
- Chi è stato? – la ignorò, lo sguardo ancora fisso sul suo volto come a incatenarlo per non permetterle di allontanarsi prima di aver ricevuto risposta.
- Non lo so! – sibilò lei infine – Né mi interessa saperlo!
- Non interesserà te, mia cara, ma interessa me, capisci? – le urlò contro. Se ne pentì immediatamente: non era lei l'oggetto della sua furia, e non avrebbe permesso a se stesso di farla divenire tale. Lei era una vittima, vittima di chi aveva messo in giro le voci, vittima di quella casa incapace di mantenere un segreto, vittima di lui stesso, che non aveva saputo resistere! E come poteva lei starsene ancora lì, a fissarlo con gli occhi sgranati e feriti, come se non capisse cosa fosse successo, la fine di ogni cosa? S'impose un'inesistente freddezza, prima di proseguire.
– Ti hanno offesa? – la sua voce vibrò pericolosamente bassa, l’accento sempre più marcato.
Belle negò decisa. Non avrebbe coinvolto Emma: se Robert avesse scoperto dello schiaffo, avrebbe cacciato lei e Mary Margaret, e le due non lo meritavano per alcun motivo al mondo.
- Si sono limitati a farmi capire che sanno.
- Chi?
- Non risponderò a questa domanda.
- Benissimo, – dichiarò Gold, sentendo la rabbia montare nuovamente dentro di sé – Benissimo, allora. Licenzierò tutti e vedremo cosa succederà. Colpevoli o innocenti, poco m'importa: pagheranno tutti. Visto che tu non vuoi parlare, sarò io ad agire. Troverò chi l'ha fatto e lo farò pentire di essere nato.
- Splendido! – ribatté Belle sarcastica – Così sarai tu stesso a confermare la nostra storia!
Non era così che doveva andare. Lei avrebbe dovuto placare l'uomo, farlo riflettere e trovare insieme la via da seguire, non farlo arrabbiare ancora di più. Aveva sbagliato tutto, e stava continuando a farlo: a cos'avrebbe portato l’ironia in quel contesto? A ben poco, sebbene fosse il linguaggio abituale dell'industriale!
- Belle, non mi lasciano altra scelta: non posso lasciar correre quanto successo, non accetto che tu venga maltrattata a causa mia! Cosa dovrei fare? Complimentarmi per il loro acume?
- Di certo non resterò qui ferma mentre tu rovini venti persone!
Dinanzi alla sua cecità, si stava arrabbiando anche lei: il sangue le saliva alle guance e le mani le tremavano, gli occhi chiari spalancati e lucidi, decisi a non uscir sconfitti dallo scontro.
- Non litighiamo, Belle, – mormorò piano dinanzi alla sua reazione. Non voleva farla star maleper colpa di quella feccia o di se stesso; non se lo sarebbe perdonato – Non permettiamo agli altri di farci questo.
- No, – concordò lei – Neanch’io voglio litigare. Ma vorrei tu capissi che i problemi non si risolvono intimidendo il prossimo. Ci si siede, si discute, si riconoscono i propri errori e si giunge a un compromesso. A un accordo, per usare una parola che ami tanto. È difficile, – riconobbe – Ma non impossibile, e tu ce la puoi fare benissimo. Devi solo crederci e non lasciarti accecare dall’odio. Devi credere, credere in noi, come faccio io. Se – e dico se – fossi stata offesa, mi sarei comunque difesa. Ti ho raccontato questo successo perché tra noi non devono esistere segreti, perché è una questione che riguarda entrambi, ma non puoi intervenire per proteggermi da ogni cosa. Lasciami combattere le mie battaglie, l’ho fatto finora e ce l’ho sempre fatta. Affronteremo insieme questa situazione, ora ne parleremo con calma e capiremo come comportarci. Promettimi solo una cosa  – la voce si fece all’improvviso più bassa, più sottile,come se stesse per rivelargli un segreto – Promettimi che non ti vendicherai. Promettimelo, – rialzò il capo decisa – Promettimelo, e staremo insieme.
A volte Gold si chiedeva se Belle fosse reale. Se non fosse piuttosto una fantasia, un pentimento tardivo che la coscienza gli inviava per farlo ravvedere dei suoi errori.
Quello era uno di quei momenti. Perché era impossibile che una ragazza fatta di luce, di calore, di primavera avesse scelto di stargli – o meglio, di restargli – accanto nonostante stesse iniziando a conoscerne l’oscurità.
Non fuggiva, ma gli chiedeva di combattere, offrendogli appoggio senza pretendere nulla in cambio.
No, Belle non doveva essere reale.
L’abbracciò d’impeto, mormorando più volte il suo nome, come se fosse una preghiera.
- Ci proverò, – le sussurrò sentendola farsi più morbida e presente sotto la sua stretta.
La giovane levò il capo, un sorriso grato disegnato sulle labbra.
Una benedizione divina.
Baciò quel sorriso, mentre i demoni preparavano il loro assalto.



La guardò allontanarsi, il corpo minuto e ritto che si muoveva veloce sparendo dalla sua vista.
Quella ragazza non finiva mai di stupirlo: ancora una volta, era rimasto disarmato dalla fierezza con cui aveva difeso i colleghi, malgrado quanto fattole. Belle aveva mentito, era palese: le era estranea la pratica della bugia – lezione di cui dovresti far tesoro, si rammentò severo – e per lui non era stato difficile capire la realtà. Si era difesa, certo; ma le offese non l'avevano risparmiata.
Era prevedibile, si disse: per quanta attenzione si potesse prestare, alcuni segni venivano sempre individuati dalle menti più accorte, letti e sfruttati a proprio vantaggio. Questo accadeva ovunque, anche – o soprattutto? – nelle case in cui vigeva maggior rigore.
Belle non aveva certamente parlato: solo un'oca si sarebbe vantata di una relazione col proprio datore di lavoro, e la donna era tutto fuorché stupida. Qualcuno li aveva visti e aveva avuto la brillante idea di non tenere la notizia per sé.
Tanto peggio per lui.
Dalle sue parole maligne era scaturita sofferenza per la luce della sua vita; e lui non aveva intenzione di tollerare ciò. Nessuno, nessuno poteva anche solo pensare di farle del male senza scontarne le conseguenze; e se pensavano che l'amore avesse fatto abbassare la guardia a Robert Gold, avrebbero scoperto sulla loro pelle che la realtà era ben diversa.
Lui era lì, deciso e pronto più che mai a vendicare i torti subiti dalla sua Belle, e nulla l'avrebbe fermato.
Neanche la promessa che le aveva appena fatto.
Sospirò: la giovane non avrebbe certo reagito bene quando avrebbe scoperto ciò che aveva in mente; tuttavia il pensiero non lo fece desistere. Belle aveva un'anima candida: era estranea all'idea del rancore e delle recriminazioni, ma se gli fosse rimasta a fianco, a infliggerle i colpi più duri sarebbe stata proprio quella bontà che lui tanto amava.
Doveva capirlo: non poteva aspettarsi che le loro vite andassero avanti come se quel giorno non fosse mai esistito.
Quando chiamò i suoi bravi, sapeva già cosa fare.
 
 

“You feel so lonely and ragged,
you lay here broken and naked,
my love is
just waiting
to clothe you in crimson roses.”

 
 
Quando, quella sera, Gold aveva convocato i dipendenti, Belle era stata la prima a rimanerne sorpresa. Aveva trascorso un pomeriggio in bilico tra ansia e serenità, incapace di festeggiare il ritorno dell’amato: per quanto il loro confronto si fosse concluso positivamente, per quanto avesse fiducia nel suo autocontrollo, il pensiero che il loro primo incontro dopo giorni fosse sfociato in una lite l’angustiava non poco; e il suo umore non poteva certo migliorare, stante l’atmosfera che si respirava in casa.
Stavano consumando una cena silenziosa quando era giunto l’avviso: Gold voleva vederli immediatamente e non avrebbe accettato defezioni d’alcun sorta. Dal tavolo si era levato un brusio stupito, ben presto smorzato dal ricordo che tra loro sedeva certamente una spia; e Belle si era dovuta imporre di non chinare il mento o mettersi a urlare nel momento in cui aveva varcato la porta, accompagnata dagli sguardi penetranti dei presenti.
Come puoi pretendere che lui non faccia follie se tu per prima perdi la pazienza?
La giovane non aveva mai visto un Gold così composto. Era convinta di dover incontrare una bestia in gabbia; e invece l’industriale sedeva composto in poltrona, gli occhi ben presenti e le dita appena intrecciate. Non aveva mosso un muscolo nel vedere i domestici sfilargli dinanzi: si era limitato a squadrarli annoiato prima di dar inizio a un rimprovero che sarebbe entrato nella storia di quella casa.
Lo aveva pronunciato con una pacatezza consumata non per questo meno efficace di mille strilli; e, probabilmente, era questo il motivo per cui anche Belle aveva sentito il sangue gelarsi nelle vene come da tempo non le accadeva in presenza dell’uomo.
Colui che stava rimettendo in ordine una servitù indiscreta non era l’uomo timido e impacciato che le aveva donato un fiore, l’innamorato che le baciava la fronte e trovava sempre il modo per farla sorridere, no; era Robert Gold l’industriale, l’affarista scaltro e spietato, il datore di lavoro intransigente che aveva dovuto affrontare i primi tempi.
Con poche, semplici, ma incisivissime frasi aveva liquidato i pettegolezzi e minacciato sanzioni severe; aveva ricordato che simili chiacchiere avevano ripercussioni su tutti – compresi coloro i quali le avevano diffusi – e che se non si fossero fermate non avrebbe esitato a licenziare tutti – tutti, nessuno escluso. Stava ai responsabili decidere il da farsi: di sicuro non desideravano avere sulla coscienza l’avvenire dei loro colleghi, vero?
Emma sembrava sul punto di esplodere e inondare di parolacce l’imprenditore, ma svariati pizzicotti della vicinissima Mary Margaret l’avevano trattenuta dagli intenti burrascosi.
Forse Belle avrebbe preferito maggiore dolcezza, più dialogo; ma non si trovava certo nella posizione per chiedere qualcosa. Lo sforzo che l’amato stava compiendo era già immenso. Era stata l’ultima a uscire dal salone, e ne aveva approfittato per rischiare e azzardare un mezzo sorriso riconoscente all’uomo, che aveva ricambiato con un invisibile cenno del capo.
Un gesto apparentemente insignificante; il mondo per lei.
Stava cambiando.
Non le pareva vero: Robert Gold stava cambiando, stava dimostrando di essere severo sì, ma non crudele, e tutto per lei.
Per il suo amore.
E lei, pensò prima di addormentarsi, lei gliene sarebbe stata grata in eterno.
 
 
 


- Bene, bene.
Entrò rapido nella stanza in cui Blockehurst e Reed già lo attendevano.
- Comodi, ragazzi, – li bloccò con un lieve movimento della mano per non farli alzare in segno di riverenza – Risparmiate energie.
Si voltò e ghignò incontrando un paio d’occhi che lo fissavano terrorizzati.
 
- Questa notte avrete un lavoro da svolgere.

 
“No,
you'll never be alone,
when darkness comes
I'll light the night with stars,
hear my whispers in the dark.”

“Whispers in the dark” - Skillet
 
 
 
1: “Moulin Rouge!”, ovviamente. ;)
 
 
 
 
N. d. A. : Salve, Dearies! ♥ ♥ ♥
Allora, cosa mi dite sul nuovo capitolo? Io alterno paragrafi d’amore e d’odio, non posso farci niente. Il mio giudizio cambia da lettura a lettura, perciò mi affido a voi, che saprete essere più obiettiv*: recensite, giudicate e non fatevi remore, perché le critiche possono solo farmi del bene e le accetto. :)
Io non sono una grandissima fan degli Snowing, ma una piccola digressione mi pareva necessaria per spiegare le sorti di David e, soprattutto, per incoraggiare Belle nel difficile momento che sta attraversando tramite una vicenda diversa, ma per certi versi affine alla sua, dimostrandole che l’amore supera tutte le barriere, quelle sociali in primis, e può avere un lieto fine.
Il titolo di Sir non è ereditario se con esso ci si riferisce al cavalierato; diversamente nel caso dei baronetti, che io ho preferito seguire – http://it.wikipedia.org/wiki/Cavalierato#Regno_Unito. :)
Ho fondato una pagina Facebook: Euridice's World. Lì pubblico piccole anticipazioni, citazioni e rubrichette – “Giovedì Gnocchi” ha riscosso notevole successo, devo dire! XD Se vi va di passare siete i benvenuti! Lascio il link nella bio. ;)
Ringrazio di cuore quanti hanno recensito il precedente capitolo, hanno aggiunto la storia a una delle liste e l’hanno letta; ne approfitto per ringraziare anche chi ha letto e hanno detto la sua su “Meet me halfway”. Non vi sarò mai grata abbastanza per tutto il supporto che mi offrite e che mi sorprende e mi emoziona sempre di più! *-*
In via eccezionale aggiornerò venerdì 22 agosto! Vi anticipo che sarà un capitolo lunghetto, ma spero lo gradirete… ;)
A presto, raggi di sole; e buon San Lorenzo! ♥
Euridice100

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Capitolo 18
*** XVII - The truth beneath the rose ***



 

XVII - The truth beneath the rose

 

Give me strength to face the truth,
the doubt within my soul
No longer I can justify
the bloodshed in his name

 

Ce l’avevano fatta.
Dopo mille peripezie, innumerevoli separazioni e ancor più incomprensioni, si erano finalmente ritrovati, ed erano pronti a ricominciare, ponendo le basi per un futuro assieme. Non sarebbe stato semplice, ma stavolta sarebbe andata bene: niente e nessuno avrebbe più attentato al loro amore, nemmeno quei colpi fastidiosi che si facevano ogni istante più violenti…
Colpi fastidiosi?
Belle sollevò una palpebra, incapace di distinguere la realtà dal sogno in cui era ancora immersa. Si raggomitolò sotto le coperte, convinta di dover attribuire i rumori alla fantasia; ma quasi subito si sollevò turbata.
Non era un’allucinazione dovuta al sonno: qualcuno stava realmente bussando con forza alla porta della sua stanza.
Si passò una mano sul volto, accingendosi ad alzarsi e scoprire l’identità di chi la cercasse con tanta urgenza; di sicuro non si trattava di Mary Margaret, che pure un paio di volte aveva buttato giù dal letto lei e – anche pensare al suo nome faceva male – Ariel, ree di non essere scattate in piedi al canto del gallo: lo spicchio di cielo che s’intravedeva dalla finestrella era ancora pesto…
Belle non poté che rimanere interdetta trovandosi davanti Tamara. La donna non aveva mai avuto grande confidenza con lei - se non per offenderla, ovviamente - e solo un serio motivo avrebbe potuto spingerla ad avventurarsi in soffitta a notte fonda. La rabbia che le inferociva gli occhi neri, il petto che si sollevava e abbassava concitato e la smorfia che le storceva le labbra sottili non ne erano che un’ulteriore conferma.
- … Tamara?
- Zitta! – le intimò, facendola sussultare – Zitta! Sai che cos’ha fatto oggi il tuo amichetto? I suoi scagnozzi hanno ammazzato di botte Greg perché abbiamo detto la verità su voi due! E ora è di sotto, mezzo morto! E sai come ci ritroviamo adesso? Lo sai? – latrò, ignorando lo sguardo attonito della sua interlocutrice, la mano che ella aveva portato alla bocca – Ah, no, no, non fare la santerellina, sai che è tutto vero. Hai fatto di tutto per metterti in mostra e alla fine ci sei riuscita, e noi che abbiamo solo detto la verità ci ritroviamo con le ossa rotte e sbattuti fuori senza lettera di referenze! Sai che significa, questo? Lo sai? – rise amaramente prima di continuare – Certo che no. Presumo che tu abbia certi vantaggi!
- No, no, – Belle smentì caparbiamente le parole della collega. Quanto riferitole l’aveva fatta piombare a capofitto in una realtà che le pareva inverosimile: Robert si era limitato a una plateale ramanzina collettiva, non avrebbe mai tradito così la fiducia riposta in lui! – Forse gli altri avevano qualche conto in sospeso con Greg, ma Gold non c’entra nulla…
- È stato Gold a dare l’ordine! Assisteva alla scena e rideva! E alla fine mi ha fatta chiamare e ci ha dato il benservito, tutto per te!
- Fammi andare a parlargli, deve esserci stato un malinteso, o comunque gli farò cambiare idea!
- Cambiare idea… Immagino come gli farai cambiare idea tu. Non ho bisogno dei favori di una troia e di una bestia! – l’apostrofò con veemenza.
- Non ti permetto di chiamarmi così, tu non sai niente!
- Né mi interessa! Carissima Belle, – concluse girando i tacchi – Buona fortuna con la tua scalata sociale. Ma entro quanto tempo si accorgerà che tu non sei diversa da noi?
La giovane fece per inseguire quell’Erinni degli Inferi, che però si rivelò più rapida e la lasciò indietro sulle scale.
Vacillò, arretrando alla ricerca di qualcosa cui sostenersi almeno fisicamente mentre il mondo attorno a lei vorticava; ma per lunghi istanti trovò il nulla, prima di incontrare lo stipite della porta.
No, non era vero: Greg e Tamara magari erano stati licenziati, sì, ma per qualche altro motivo, e avevano pensato bene di sfruttare le chiacchiere che infestavano la casa per coprire le loro mancanze; o forse era successo qualcos’altro, ma no, Robert non le aveva mentito in quel modo, non era andata così!
Un conato di nausea le sconquassò lo stomaco.
Erano stati quei due, alla fine. Erano stati loro due a spiarli e mettere in giro voci che, per quanto veritiere, andavano trattate con attenzione per non suscitare facili equivoci.
Ed era inutile mentire a se stessa: aveva visto la reazione dell’industriale alla scoperta degli insulti rivoltile, il rancore che ne aveva scurito le iridi e fatto tremare mentre la stringeva. Si sarebbe volentieri vendicato, non ne aveva fatto mistero; ma aveva giurato di resistere alla tentazione! Possibile che l’avesse detto solo per placarla, dissimulando i reali fini? Che avesse promesso misericordia per accontentarla, pur sapendo di ingannarla?
Dalle parole di Tamara la situazione pareva chiara… Ma il solo pensiero le accendeva in petto un fuoco gelido, capace di propagarsi e sommergerla.
Se questo è l’effetto di un dubbio, quale potrebbe essere quello della verità?
Si vergognava a dubitare così di lui. Avrebbe voluto imporsi una fede salda, non lasciarsi toccare dalle insinuazioni altrui, costringere la ragione a difenderlo a spada tratta come faceva il cuore; ma far tacere la logica era un’impresa ardua, in un quadro d’indizi tanto schiaccianti.
Lei lo avrebbe ascoltato senza pregiudizi, disponibile e attenta come ogni volta; ma lui avrebbe dovuto spiegarle tutto senza ricorrere alle mezze verità cui tanto era affezionato.
Era insensato restare lì ad arrovellarsi la testa con lo sguardo perso nel vuoto: afferrò i primi abiti che trovò, finendo di vestirsi mentre scendeva le scale fortunatamente deserte, incurante dei capelli scarmigliati che sfuggivano alle forcine e del rischio di apparire folle. Quanto saputo l’aveva turbata e non aveva intenzione di nascondere il proprio stato d’animo dietro una maschera compassata per non agitarlo: era lui a dover dar conto del suo atteggiamento, non il contrario!
Ma dove l’avrebbe trovato? Se Tamara non avesse mentito, probabilmente l’uomo non si sarebbe ancora ritirato nelle sue stanze… Pregò di non dover andare a cercarlo lì; e non solo per le convenzioni che avrebbe violato, o per l’incancellabile macchia che avrebbe gettato sul proprio onore…
Allontanò dalla mente simili idee, ripromettendosi lucidità e, soprattutto, determinazione.
Per una volta la fortuna le sorrise: Gold stava uscendo proprio allora dallo studio. Quando la vide, gli occhi bruni scintillarono come succedeva solo quando incontravano lei, e come ogni volta Belle avvertì qualcosa nel profondo del petto sciogliersi e accelerare la sua corsa.
Calmati, si rimproverò, quel che è successo è gravissimo, dovete chiarirvi. Per l’amor del Cielo, non lasciarti abbindolare.
- Sweetheart, – la chiamò andandole incontro, prima di accorgersi della sua espressione e fermarsi – È successo qualcosa?
Una domanda retorica, ovviamente; e non gli fu difficile immaginare le ragioni dell’ira della cameriera. Le labbra gli si assottigliarono appena, ma non distolse lo sguardo.
- È vero? – domandò lei senza esitazione. Mantenere la pacatezza desiderata si stava già rivelando un’impresa ardua; ma se la sua ex collega non avesse inventato nulla, allora Gold avrebbe sbagliato mestiere: perché sprecare nell’imprenditoria capacità istrioniche tali da permettergli di salutarla impassibile, pur sapendo di essere uno spergiuro?
- Cosa è vero? – replicò l’uomo con un’innocenza che fece sentire Belle a disagio e, contemporaneamente, le fece venir voglia di prenderlo a schiaffi.
Respirò a fondo prima di parlare.
- È vero che i tuoi tirapiedi hanno picchiato Greg sotto tuo ordine? È vero che hai licenziato lui e Tamara per aver diffuso le chiacchiere sul nostro conto?
Nel silenzio immobile, rotto solo dal ticchettio di una pendola in lontananza, il caos nei loro animi avrebbe fatto tremare la casa dalle fondamenta.
Continuarono a scrutarsi torvi, cielo contro terra, nessuno disposto a cedere, nessuno intenzionato a muovere un passo dalle proprie posizioni.
Ma ogni secondo che passava era un’ammissione di colpa.
- , – confessò infine Gold, senza perdere la quiete che l’aveva contraddistinto fino ad allora – L’ho fatto. Ma evidentemente la lezione non è bastata, se quella piccola intrigante è corsa a raccontarti tutto.
Il cuore di Belle perse un battito, mentre l’ultima parte di lei che aveva resistito crollava dinanzi a un’ammissione che le piovve addosso come pioggia gelata, addensandole il sangue, lasciandola sporca e vuota.
- Tuttavia posso spiegarti ogni cosa, – aggiunse l’uomo, scorgendo il pallore sul volto incredulo della domestica, – Sweetheart, non potevo permettere che…
- Tu mi hai mentito… – la sua voce era poco più di un soffio – Tu mi hai mentito…
- Ho promesso che avrei provato a non vendicarmi, – le ricordò paziente, come un maestro che ripete una lezione difficile a un alunno distratto – E mi sono impegnato, Belle, mi sono impegnato, ma non ce l’ho fatta.
- Tu ti sei impegnato? – ripeté lei, consapevole che la voce le fosse salita di almeno un’ottava e stesse assumendo tratti sempre più isterici. Non poteva impedirselo: restare tranquilla in quel frangente suonava come una bestemmia. Non era una persona vendicativa; ma in quel momento avrebbe volentieri colpito Gold, l’avrebbe inondato di parole tali da farlo sentire come si sentiva lei: ingannata.
Disgustata.
Umiliata dalle menzogne che le aveva propinato, come se fosse un’idiota da tenere buona e zitta in un angolo, mentre lui sistemava il mondo a suo piacimento.
Tradita.
- Hai resistito dodici ore, per te questo significa impegnarsi sul serio? Dimmelo, Robert, dimmelo!
- L’ho fatto per te! – ruggì l’uomo afferrandole i polsi. Fu il modo in cui lei lo allontanò, bruscamente, ferita, quasi spaventata, a sconvolgerlo più di una coltellata – Scusami. Ti ho mentito, è vero, ma l’ho fatto per proteggerti. Non sopportavo di vederti giudicata a causa mia, e fidati, una strigliata li avrebbe anche potuti zittire, ma quanto fatto sarebbe rimasto, e non potevo lasciarlo impunito!
- E ammazzare di botte i responsabili ti è sembrata una giusta soluzione? Licenziarli senza possibilità di essere assunti altrove è stato ragionevole, secondo te? Non hanno inventato niente, sono stati indiscreti, ma non meritavano questo!
- Certo che lo meritavano, meritavano di peggio! – come poteva non capire che lui l’aveva difesa? Gli piantava addosso quegli occhi lucidi – lucidi, sempre più lucidi, ma che ancora resistevano –, lo accusava di averle mentito, e poi difendeva l’indifendibile? Era impazzita? – Capisci quello che hanno detto sul tuo conto, come ti hanno descritta, chi sei diventata per questa casa? Come potevo tollerare certe voci su di te?
- Potevi parlarmene, potevi non promettere sapendo di non voler mantenere! – che la sentissero tutti, ormai. Se la sua reputazione era compromessa fino a quel punto, l’autocontrollo non aveva più senso. Ciò che non accettava – che non avrebbe mai accettato – era la cecità dell’uomo dinanzi a quel che aveva fatto. Mentire sapendo di farlo era un gesto che non poteva tollerare in alcun modo – Ti sarei comunque rimasta vicina, ci saremmo fatti forza a vicenda per non cedere, anziché… Questo!
- Questo? – l’imprenditore ripeté sarcastico, senza trattenere una smorfia amara – In fin dei conti non ho ammazzato nessuno, Belle. Domani mattina quel farabutto sarà di nuovo in piedi, e insieme sapranno cavarsela perfettamente, te lo assicuro. E, – ribadì – ho detto solo che avrei provato a risparmiarli. Non che li avrei risparmiati.
Non capiva, non capiva fosse quello il problema. Ingannava il prossimo con sofismi dal significato palese, inseguiva concetti modellandoli tra le dita, sfruttando la buona fede dei suoi interlocutori. Chiunque gliel’avesse insegnato aveva svolto un lavoro di cui andar fieri: con ogni probabilità l’allievo aveva superato il maestro.
- Non lo vedi? – non piangere, non piangere davanti a lui, ti scongiuro – È questo il punto. Tu giochi con le parole, giochi con la vita delle persone, e fai sempre le scelte sbagliate, – l’uomo chinò istintivamente il capo, come se quelle parole fosse state un colpo sparato in pieno petto – Mi hai mentito. Su cosa si regge la nostra storia? Su una bugia? Guardami negli occhi e dimmi come potrei fidarmi ancora di te.
- Due settimane e hai già cambiato idea su di me? E hai visto il mostro?
Il suo sguardo sconvolto lo fece pentire all'istante di quanto detto.
- Sei tu a creare il mostro. Solo tu, – parole flebili, ma tanto comprensibili da arrivare dritte all’anima e lacerare ogni residua volontà – Credevo che stessi cambiando…
Non ci fu il tempo per rispondere, per muovere un passo, per farla restare: Belle si voltò e se ne andò, lasciandolo solo coi propri fantasmi.
 

I believed it would justify the means,
it had a hold over me,

blinded to see the cruelty of the beast.
It is the darker side of me,
the veil of my dreams
deceived all I have seen.
 

Era finita così.
Con una fuga, con delle lacrime tenacemente trattenute, al cui ricordo Gold si mordeva l’interno delle guance fino a sentire il sapore minerale del sangue; lo stesso sangue che era scorso sulle sue nocche quando, resosi conto di quanto accaduto, aveva tirato un pugno al muro.
La loro storia era terminata.
Appena quattordici giorni di baci, di risate e dolcezza; appena quattordici giorni di cristallo, tra le cui schegge ora s’aggirava.
S’aggirava tra le macerie di se stesso.
Non era pentito, no: se si fosse ritrovato davanti quei traditori, avrebbe replicato ogni gesto, confermato ogni decisione. Si era dimostrato fin troppo clemente, concedendo loro il tempo di fare i bagagli, ed ecco il risultato: quella viperetta era corsa a spiattellare tutto a Belle.
Belle.
Il modo in cui si era precipitata da lui, non con la passione che le era propria, ma con l’urgenza della rabbia, avrebbe dovuto metterlo in guardia. Aveva messo in conto la possibilità che la giovane scoprisse tutto, certo: sapeva che il momento prima o poi sarebbe giunto, ma era convinto che sarebbe stato lui stesso a rivelarle ogni cosa e che le parole preparate avrebbero sortito l’effetto sperato; insomma, che Belle avrebbe, in qualche modo, capito.
Non aveva fatto i conti – eppure la conosceva, diamine, la conosceva! – con l’integrità morale della ragazza: l’aveva ascoltato, sì, gli aveva permesso di esporre i suoi argomenti, ma era stata netta nel rifiutarli, smontandoli frase per frase. Razionalmente erano perfetti; umanamente, no.
Come aveva potuto pensare che un banale “scusa” avrebbe sistemato ogni cosa?
Belle non era Cora: con lei le colpe non si espiavano al modico prezzo di una parola e di un dono, lei non accettava vuoti manierismi dietro ai quali nascondere oscure intenzioni, no; lei era diretta.
Sincera.
Pura – di un’innocenza talmente opposta, eppure così complementare alla sua da non poter non stridere, come il gelo di novembre e il tepore di aprile.
Aveva sperato, in quelle due settimane, che la vicinanza della donna lo aiutasse a migliorare, che lei lo prendesse per mano e lo accompagnasse lungo una strada irta di ostacoli; e l’aveva fatto, Belle, si era impegnata con tutta se stessa, stringendo i denti dinanzi alle difficoltà e offrendogli tutto ciò che aveva, tutto il suo cuore.
Cuore che lui avrebbe dovuto custodire come il più prezioso dei tesori, cuore al cui cospetto lui avrebbe dovuto inchinarsi, peccatore e supplice, come dinanzi alla divinità sovrana dell’universo intero; cuore che, invece, lui aveva gettato via, stracciato in mille pezzi e frantumato.
Polvere tra le sue dita, che gli raschiava i palmi e gli irritava gli occhi, al pensiero di averla tradita nell’animo, dove ogni colpo vibrava più forte, più violento, più duro.
Non l’avrebbe più voluto al suo fianco; ma lui, senza lei accanto, non sapeva più stare.
Avrebbe dovuto imparare a vivere di nuovo lontano da lei: non poteva, né voleva, imporle la sua presenza, costringerla a un contatto che avrebbe gettato sale sulle ferite di entrambi – sulle ferite di Belle.
Di se stesso non si curava: lui meritava tutto.
Meritava il gusto amaro del rimorso in bocca, la fitta allo stomaco quando la scorgeva in compagnia di Mary Margaret - mai in compagnia di qualcun altro, e anche questo era colpa sua - e non trovava sul suo volto di avorio il sorriso che tanto adorava: era svanito, ormai, sostituito da una smorfia triste, che bruciava come pece le poche volte che le curvava le labbra senza estendersi agli occhi.

Avrebbe voluto andarsene, trascorrere del tempo lontano da Londra; ma lasciarla gli appariva una crudeltà indicibile. Una parte di lui urlava di mettere in salvo la propria sanità mentale, un’altra gli imponeva di non abbandonarla; e così trascorreva i giorni, dibattendosi in un’ansia che raramente aveva conosciuto prima, rifuggendo da chi lo circondava e scivolando nel suo personale inferno.
La mattina successiva alla lite, Belle si era presentata in studio con una puntualità che non le apparteneva e aveva iniziato a spolverare i ninnoli con una furia a stento repressa, il suo candore di giglio violato da ombre scure sotto gli occhi; e il misero tentativo di riappacificarsi si era risolto in nuove, amare incomprensioni. Da allora, le aveva affidato incombenze che la tenessero lontana da lui e dai colleghi: l’aveva mandata in soffitta, al mercato – l’aveva attesa tutto il tempo alla finestra, temendo che non tornasse, e quando l’aveva vista risalire il vialetto d’ingresso aveva rischiato un infarto dal sollievo –, ovunque purché le fosse garantito uno spazio al riparo da chi le voleva male.
O da chi l’amava tanto da farle male.
Al riparo da lui.
Sì, col passare dei giorni si trovava a riconoscerlo: c’era una cosa di cui si pentiva, quando lei ancora posava su di lui quegli occhi così vivi, così chiaroveggenti.
Si pentiva di averle mentito.
Avrebbe dovuto negare la possibilità di perdono nel momento stesso in cui gli aveva riferito quanto successo; avrebbe dovuto dirle che no, non avrebbe finto indifferenza e accettato i servigi dei traditori della peggior schiatta come se nulla fosse stato, che mai l’avrebbe fatto, perché la sua umiliazione era un peccato che non poteva graziare.
Belle avrebbe reagito anche in tal caso, ma almeno sarebbe giunta preparata alla vendetta, anziché restarne tanto sorpresa e delusa. I pensieri, le azioni avevano smentito la promessa nel momento stesso in cui era stata pronunciata; non esistevano schermi dietro ai quali proteggersi, assoluzioni da strappare dinanzi al tribunale severo della coscienza.
Esisteva solo la verità di una menzogna.
Menzogna che lei, invece, non gli aveva mai detto.
Ancora prima che succedesse qualcosa tra di loro, Belle si era sempre dimostrata sincera nei suoi confronti, netta nel discernere il bene dal male, anche a costo di apparire irriverente. Gli aveva offerto un sostegno sincero, e lui l’aveva ripagata nel peggiore dei modi; gli aveva raccontato tutta la sua vita attraverso episodi e aneddoti che in pochi dovevano conoscere, mentre lui non era mai riuscito ad aprirsi, ad andare oltre quelle striminzite frasi scambiate durante il primo tè insieme.
A ben pensarci, non era mai stato veramente sincero con lei; mai.
Se un tempo ciò non lo avrebbe toccato, ora permetterle di conoscere la realtà, di vedere l'uomo dietro la maschera, gli pareva un'idea segreta, ma concreta; una possibilità di vulnerabilità, certo, ma anche di verità.
L'unica cosa che desidera.
Le avrebbe fatto un dono, prima di dirle addio per sempre.
 

Is paradise denied to me
cause I can’t take no more?”
 

Belle doveva essere in camera, ormai. Gold dubitava che fosse dell’umore per restare a chiacchierare in cucina; e in ogni caso, sicuramente quegli ingrati di dipendenti che si ritrovava erano rimasti sordi alle offerte di pace.
Percorse in silenzio le ripide scale che lo portavano ai piani alti, maledicendo il giorno in cui le aveva assegnato quella nuova stanza così distante: ogni passo gli pareva una tortura, desideroso com’era di rivederla e, al contempo, di tornare nello studio dimenticando quell’estremo e – probabilmente – vano tentativo.
Si fermò e si passò una mano sul volto, imponendosi di non cedere alla codardia: la tentazione era luminosa e consolatrice, e cedendole avrebbe potuto tornare a essere quello di un tempo, tornare a condurre una vita tranquilla, al riparo dalle mille domande che, inevitabilmente, l’esistenza di Belle lo induceva a porsi.
Una vita al riparo dalla vita.
Resistette: per una volta, sarebbe stato uomo.
Dei passi lo misero in guardia: si voltò di scatto, e il viso placido di Ashley Boyd si distorse in una maschera di puro terrore.
La squadrò severo, conscio di non star dimostrando a quella sempliciotta ciò che gli si agitava in petto. Poteva intuire il motivo della sua uscita notturna: più di una volta l’aveva intravista chiacchierare complice, troppo complice, con uno degli addetti ai cavalli, e aveva meditato eventuali contromisure da prendere; e finalmente gliene si presentava l’occasione.
- Buonasera, Ashley, – la salutò con un ghigno in cui infuse tutta la freddezza di cui era capace.
- B-buonasera, Mr. Gold…
- Presumo che oggi tu non abbia lavorato molto. Altrimenti, non avresti certo energia sufficiente per vagabondare a quest’ora.
- M-Mr. Gold, io… – la voce della ragazza parve il belato di un agnello condotto al macello.
Così fragile, così remissiva.
Lei non reagirebbe mai così.
- Silenzio, – tagliò corto. Quella ragazza gli stava facendo perdere fin troppo tempo; ma, rifletté forse poteva rivoltare la situazione a proprio vantaggio. Sì, era una possibilità da non sottovalutare – Dimenticherò la tua avventura… – la mise nuovamente a tacere con un cenno stizzito della mano – … Se tu dimenticherai di aver visto me. E se ti impegnerai a ricondurre sulla retta via i tuoi colleghi.
La ragazza lo studiò perplessa, gli occhi grandi come piattini.
È più stupida di quanto pensassi, Dio mi aiuti.
Cos’avevo in mente quando l’ho assunta?
- Sai a cosa mi riferisco, Dearie. Certi atteggiamenti iniziano a stancarmi… E sai bene che non è il caso di farmi arrabbiare.
Lasciò la sguattera ancora immobile dinanzi alla camera e si affrettò per la sua strada.
Aveva un persona da raggiungere, e altri imprevisti l’avrebbero fatto, senza dubbio, arrabbiare.

 

How can blood be our salvation
and justify the pain
that we have caused throughout the times?”

 

Era immersa nella vita di David Copperfield quando bussarono alla porta. Alzò appena il capo e sospirò: dopo una giornata di lavoro, isolamento e tristezza, sperava almeno di poter leggere in pace… Altro diritto che le veniva, evidentemente, negato.
Si avvicinò alla porta, ma - memore di quanto accaduto con Tamara nel medesimo contesto - prima d’aprire domandò chi fosse.
- Sono io.
Com’era possibile che una semplice frase facesse tanto male? Nella sua mente scorsero le immagini di un passato recente che mai, durante quei quattro giorni, l’avevano abbandonata. L’aveva pensato in ogni momento, malgrado il dolore delle sue bugie; vederlo ogni giorno riacuiva il ricordo dei baci, dei sussurri, delle promesse che un solo gesto aveva spazzato via. Da quella lite aveva l’impressione che le si fosse aperta una voragine nel cuore, un abisso tanto profondo da penetrare l’anima stessa, che aveva preso il posto occupato da Robert. Avrebbe voluto dire “un tempo occupato da Robert”, ma sarebbe stata una menzogna: perché lui c’era ancora, c’era sempre, e quel buco era andato a sovrapporsi, non a sostituirsi al suo nome.
Un tempo, quando conosceva l’amore solo attraverso i romanzi, era certa che se nella vita qualcuno l’avesse fatta soffrire tanto, lei non l’avrebbe tollerato: avrebbe voltato le spalle al responsabile senza se e senza ma. Ma ora che viveva l’amore, aveva scoperto quanto fosse difficile – impossibile – compiere una tale impresa. Non era sufficiente imporsi di dimenticare per riuscire a dimenticare; e nuove ferite finivano per sommarsi alle vecchie, in un reticolo in cui era facile perdere se stessi.
- Belle, per favore, apri. Devo parlarti.
Si sostenne alla bussola, sbattendo le palpebre per scacciare la sensazione molesta delle lacrime che già si facevano sentire. Qualcosa le suggerì di ignorarlo, di fingere di non essere lì nonostante avesse risposto: in fin dei conti l’uomo non aveva alcun diritto di presentarsi in camera sua, a notte fonda, per dirle qualcosa che senza ombra di dubbio avrebbe potuto anche aspettare la luce del sole. Era in camicia da notte, il che equivaleva universalmente all’essere seminuda, aveva i capelli sciolti, e con lui alla porta non avrebbe fatto in tempo a rendersi presentabile in pochi minuti. Certamente l’uomo avrebbe voluto ribadire le sue ragioni, ma gli aveva spiegato che non poteva giustificare un simile tradimento – non era stato il corpo a essere tradito, ma l’animo, la fiducia – con la volontà, pur legittima, di proteggerla.
Non poteva fingere che nulla fosse accaduto, non ci riusciva: non era questione d’orgoglio, ma di amor proprio, si ripeté poggiando la fronte al legno, aggrappandosi a esso come a un sostegno, l’unico in cui potesse confidare, i battiti del cuore sempre più forti contro le costole.
Ma fu l’istinto, non la mente, a vincere: le mani corsero alla maniglia, l’abbassarono, e Belle si ritrovò a fissare Robert.

 

I’m hoping, I’m praying,
I won’t get lost between two world.
For all I have seen
the truth lies in between.”


Quando la porta si spalancò e Gold vide Belle, credette di aver sognato tutto e di essere, in realtà, in punto di morte.
Non esisteva spiegazione diversa al fatto che, contrariamente a ogni aspettativa, la donna avesse acconsentito a incontrarlo, a levare quelle iridi di nontiscordardimé sul suo volto, fissandolo triste – un dolore che entrava dentro, che faceva male –, ma determinata.
Come sempre, come solo lei sa fare.
Trattenne il fiato accorgendosi della camicia da notte che ne lasciava intuire il corpo; la guardò in viso – quel viso di statua classica, quelle labbra rosse la cui morbidezza non dimenticava, e quella chioma, quella lussureggiante chioma di mogano che ne incorniciava i tratti e che, non più costretta, le scivolava lungo le spalle, delicata come una carezza. Pensò che, se fosse nata qualche anno prima, sarebbe stata la musa di un Preraffaellita, che l’avrebbe ammantata di velluto e perle e consacrata all’eternità; per un folle istante si chiese cos’avrebbe provato sentendo quei capelli solleticargli il petto.
Si riscosse in fretta, allontanando a fatica pensieri inopportuni sempre, e ancor di più in una situazione così delicata.
- Buonasera, – premise guardando altrove per non imbarazzarla ulteriormente – E perdonami. Non sarei dovuto venire, avrei dovuto immaginare di trovarti… Stanca.
Mezza nuda, tradusse mentalmente Belle sentendo le guance imporporarsi e incrociando le braccia al seno, mentre Gold pensava che, nella sua ingenuità, la giovane aveva solo peggiorato la situazione.
- Ormai sei qui, – deglutì lei, non senza stupirsi per riuscire ad articolare in modo chiaro e comprensibile parole che nella mente risuonavano nebulose – Sei qui, e non ha senso fingere che tu non mi abbia… Vista. Perciò dimmi cos’è successo.
- Non è successo nulla. Avrei voluto solo parlarti, ma non mi pare il caso, in questo contesto. Ti aspetto giù tra… Tra quanto?
Una giovane ammodo avrebbe approfittato per scacciarlo. Una giovane ammodo non si sarebbe mai fatta veder in quello stato, o se per caso fosse comunque capitato sarebbe almeno svenuta dalla vergogna.
Lei era imbarazzata, ma ben lungi dallo svenire, anzi: nell'istante stesso in cui lo aveva visto, era tornato caparbio il desiderio di comprendere cos'avesse intenzione di fare quella volta; di capire perché un uomo come lui avesse improvvisamente deciso di sfidare ogni regola sociale e avesse bussato alle porte della sua camera.
Quello che stava per dire l'avrebbe con ogni certezza perseguitata a vita, si fece presente; se ne sarebbe pentita non poco, tuttavia dubitava che Gold sarebbe poi andato a vantarsi in giro dell'incontro.
- Entra, – si sforzò di non sbuffare quando l’industriale arretrò, invece di avanzare – La porta è davanti ai tuoi occhi, non dietro.
- Non posso entrare, Belle! – gemette tra i denti. Era impossibile capire se fosse più turbato, tentato o preoccupato – Hai idea dello scandalo?
- Hai idea di star sprecando una possibilità di parlarmi blaterando prediche degne di un sacerdote?
Era un’argomentazione a suo modo ineccepibile e Gold non poté far altro che chinare il capo e seguire una, malgrado tutto, soddisfattissima Belle.
- Dove mi siedo? – domandò guardandosi attorno perplesso.
A quella domanda la ragazza trasalì, quasi pentendosi dell’audacia dimostrata.
- … Sul letto, – pigolò appena.
Di male in peggio, fu l’unico commento che l'industriale si concesse. Ringraziò il fatto che, dalla sua posizione, la flebile fiamma della candela non permettesse a Belle di notare il suo imbarazzo; il caso non era stato altrettanto clemente con lei, il cui rossore era ben evidente.
- No, – il suo mormorio era roco, ma deciso – Ci vediamo domani, va bene?
- Non va bene, – rispose lei, calcando la decisione nella sua voce – Non credo che tu sia venuto fin qui per salutarmi, e sono perfettamente conscia delle implicazioni di quest'incontro. Implicazioni che non toccheranno te, ma solo me, ci terrei a sottolineare, e che pure non ho paura di affrontare, avendo la coscienza pulita sotto ogni punto di vista, – non smorzò il tono, ogni parola sempre più netta, sempre più diretta e destinata a colpire nel segno – Ti ho fatto entrare nella mia camera perché volevi parlarmi, e ho risposto alla tua domanda; puoi restar in piedi o sederti, non mi importa, ma se sei qui ora parli.
Gold la guardò dritta in quegli occhi che sostennero il suo sguardo senza esitare. Aveva sempre il potere di dire la frase esatta per smuoverlo, per fargli mettere da parte i dubbi costringendolo a prendere una decisione, la decisione giusta...
- Capisco, – annuì avvicinandosi e sedendosi con lei. Da dove avrebbe cominciato? Si pentì di non aver preparato un discorso prima di recarsi da lei, di non aver almeno fissato qualche punto da cui partire. Ma ormai era troppo tardi per i pentimenti – Ci sono cose che non ti ho mai detto… Che non ho mai detto a nessuno. Sei la prima persona al mondo a conoscere tutta la verità, la prima cui la sto raccontando. Per favore… – continuava a squadrarlo distante, ma la scintilla nei suoi occhi gli indicava come fosse presente a se stessa e a chi le stava accanto – So che sei arrabbiata, so che è un’invasione dei tuoi spazi e che non avrei mai dovuto, ma ti prego, per un’ultima volta, ascoltami. Non ti porterò via molto tempo, credimi.
Avrebbe voluto trovare ancora la forza di negarsi. Di dirgli che aveva pronunciato fin troppe parole, più di quante potesse sopportarne ancora; che l’indomani lei sarebbe dovuta levarsi all’alba e che il tempo per le chiacchiere era finito, spazzato via ormai da gesti troppo crudeli, troppo vicini per essere ignorati.
Se poi quella fosse reale forza, e non invece quella stessa vigliaccheria che gli rimproverava, era una domanda la cui risposta conosceva.
Una risposta cui qualcosa, nel profondo di lei, si ribellava ferocemente, costringendola a opporsi a ogni consiglio sensato e a restare ancora seduta accanto a lui, che la guardava triste, senza neanche consentire alla speranza di contaminare il suo volto. La guardava come un viandante nel deserto avrebbe guardato l’ennesimo miraggio: senza illudersi, certo che da un momento all’altro anche quel minuscolo incanto sarebbe svanito.
La guardava senza combattere.
Ed era questo ciò che lei non poteva tollerare.
- Va bene. Parlami. Dimmi quello che hai da dirmi.
Robert continuava a credere di non aver udito bene, era palese; ma prese un lungo respiro e, dopo un’ultima esitazione, iniziò a raccontare.


“Will I learn what’s truly sacred?
Will I redeem my soul,
will truth set me free?”

 

- Mia madre è morta quando ero piccolo, non ho alcun ricordo di lei. Mio padre… Mio padre aveva un figlio, ma non era padre. Mi considerava un peso e non ne faceva mistero: a causa mia non era libero di girare per il mondo, di andare a donne e di trascorrere le notti nei pub a bere fino a perdere i sensi. Un giorno mi ha affidato a due lontane parenti promettendo di tornare a prendermi l’indomani. Non l’ho più rivisto. Avevo nove anni, e quando ho capito la verità ho pianto per giorni. Le zie hanno fatto di tutto per consolarmi: mi hanno detto che forse era meglio così, visti i precedenti di mio padre, che loro mi avrebbero ospitato volentieri e che non sarei più stato solo, ma avrei dovuto farmi forza e andare avanti, superare il momento… E alla fine mi sono rassegnato. O almeno, così è parso a tutti.
- Dentro ho continuato a credere per anni che se ne fosse andato per colpa mia, che dovevo aver combinato qualcosa di tanto orribile da deluderlo terribilmente. Mi ero sempre impegnato per essere un bravo bambino, ma non era stato sufficiente. Ora so che non è così, che se mai ho commesso uno sbaglio con lui è stato nascere; ma a nove anni cosa potevo saperne? Era solo colpa mia, e nessuno mi avrebbe convinto del contrario.
- Le zie sono state di parola. Mi hanno cresciuto con amore. L’ho capito solo da adulto: l’affetto non si dimostra tanto con le parole, quanto con i gesti. Mio padre mi ripeteva che ero tutto per lui, ma poi lo smentiva coi fatti; le zie, invece, mi hanno tirato su offrendomi il cuore e quel poco che possedevano: mi hanno insegnato un mestiere, mi hanno persino mandato a scuola per un paio d’anni... L’unico errore l’hanno compiuto in buona fede. Sono state loro a presentarmi mia moglie.
- Si chiamava Milah. Vivace e sbarazzina com’era, non ha faticato molto per conquistare il ragazzo timido che ero. Ti… Ti dà fastidio che te ne parli? – fissò preoccupato Belle, che scosse il capo.
- È la tua storia, – affermò pacata – Il tuo passato. Come può darmi fastidio sapere chi è stato l’uomo che…– s’interruppe prima di dire qualcosa che, per quanto vero, in quell’istante non poteva permettersi di esprimere, ancora arrabbiata com’era.
Anche se avrebbe tanto voluto dirlo.
Anche se lui aveva capito.
L’uomo annuì grato e riprese il suo discorso.
- Non so dirti se l’amassi, Belle. All’epoca credevo di sì, e certamente ci siamo voluti bene, soprattutto all’inizio: non eravamo poi una coppia tanto mal assortita… Ma al contempo qualcosa mi faceva esitare. Quando cercavo di esporre i miei dubbi, Milah metteva il broncio e rispondeva che erano tutte mie ubbie, che sarei dovuto maturare e chiederle la mano prima che diventassimo due vecchi gobbi e sdentati. E così, alla fine, ho ceduto.
- Sai, conosci una persona solo quando inizi a viverci insieme. Scopri più pregi e difetti in un giorno di convivenza che in anni di fidanzamento… E non ho impiegato molto per capire che, per quanto ci sforzassimo, tra me e Milah le cose non andavano bene. Non c’era un motivo particolare: semplicemente eravamo come l’acqua e l’olio, non potevamo legare. Capita, capita più spesso di quanto si immagini, e c’è ben poco da fare. Eppure, nonostante le incomprensioni, i contrasti, gli sgarbi che col tempo si sono moltiplicati, quegli anni mi hanno dato il regalo più bello che abbia mai ricevuto.
- Tuo figlio... – gli venne incontro la giovane con un sussurro timido, consapevole della delicatezza dell’argomento.
- Esatto. Neal, – per un istante un sorriso amorevole si fece strada tra i lineamenti dell’uomo – Avresti dovuto conoscerlo, ti avrebbe subito conquistata. Con le sue fossette faceva innamorare chiunque… Chiunque tranne sua madre, evidentemente. Avevo sperato che con un bambino le cose migliorassero, che Milah diventasse più responsabile, almeno nei suoi confronti, ma così non è stato. Mi sono illuso: la frattura tra noi era ormai irreparabile e, per quanto cercassi di impedirlo, Neal rimaneva sempre coinvolto nelle nostre liti. Gridavamo e ci fissava con gli occhioni sgranati e stupefatti, e alla fine era lui a consolare noi, non il contrario. Potrebbe esistere qualcosa di più triste per un bambino? Non credo, non credo proprio.
- Milah ha iniziato a trascorrere sempre più tempo in una taverna frequentata dalla peggior feccia. Rientrava a casa all’alba, completamente ubriaca, urlando recriminazioni verso il mondo intero, nostro figlio compreso, dicendo che ero un buono a nulla e che l’avevo sempre e solo illusa promettendole una vita felice, quando lei invece si sentiva soffocare nel nostro ambiente… Sognava un’avventura, diceva, voleva viaggiare; e questo non è certo un male, anzi, ma a volte la vita non ci permette di realizzare i nostri sogni, e c’è ben poco da fare, se non rimboccarsi le maniche e cercare di godere di quel che ci viene concesso, migliorandolo per quanto possibile. Lei, però, questo non l’ha mai accettato... E una volta non ha più fatto ritorno. Ho affidato il bambino ai vicini e sono andato a cercarla, ma non l’ho trovata.
- Il giorno dopo ho scoperto che aveva da settimane una relazione una relazione con un vagabondo soprannominato Hook. Quando è ripartito, ha deciso di seguirlo.
- Se n’è andata di casa senza voltarsi indietro, senza pensare a un bambino di quattro anni che aveva bisogno di lei e che mi chiedeva dove fosse andata la mamma. Se avesse lasciato solo me l’avrei accettato; ma non anche Neal, non lui. Adesso so che è morta, ma non l’ho mai perdonata per averlo abbandonato, né mai lo farò.
La rabbia dell’uomo traspariva dal suo discorso, una furia talmente intensa che anni e anni nulla avevano potuto per placarla.
- E poi, – chinò il capo prima di proseguire – Come potevo spiegargli quanto successo, se io per primo non riuscivo – non riesco – a capire come abbia potuto abbandonare il suo stesso figlio? Alla fine gliel’ho dovuto dire, Belle. Gli ho detto che sua madre era morta, all’epoca una bugia, certo, ma meglio quello che rivelargli la verità. So come ci si sente quando un genitore antepone se stesso al sangue del proprio sangue: conosco quel senso di colpa, e volevo impedire che soffrisse; ma non ho potuto far nulla, oltre a stargli accanto e sperare che il tempo lenisse le ferite.
- All’epoca lavoravo in una fabbrica tessile. Il caporeparto era severissimo, non tollerava ritardi o inadempienze, qualunque fosse la situazione degli operai; e, lo puoi capire, con un bambino piccolo e nessuno ad aiutarmi la mia situazione era tutt’altro che facile… Dovevo badare alla casa e stare il più vicino possibile a Neal. E quando una mattina sono arrivato in ritardo, mi hanno dato il benservito. Senza alcuna pietà, – mentre scavava in quella parte del proprio passato lo sguardo già fosco gli si incupì ancora di più – Sono rimasti sordi alle mie preghiere, mi hanno sbattuto la porta in faccia senza neanche consegnarmi l’ultima paga. Mi sono subito messo alla ricerca di un nuovo lavoro, certo, ma le industrie si stavano modernizzando e c’erano più licenziamenti che assunzioni. Non sapevo come tirare avanti e avevo quasi finito i risparmi, quando ho deciso di andare via. Alcuni conterranei emigrati a Londra parlavano di grandi opportunità per chi lavorava duro, di occasioni da cogliere al volo, e così ho iniziato a rifletterci.
- Ma c’era un problema: non potevo portare Neal. Aveva cinque anni, troppo pochi per seguirmi in una metropoli così grande e pericolosa, in cui non avrei avuto un punto di riferimento, la certezza di farcela, o perlomeno quella di avere un piatto caldo la sera. Andare in Inghilterra significava lasciarlo, non c’era alternativa; e solo Dio sa quanto mi piangesse il cuore al sol pensiero, quanto l’idea mi abbia fatto esitare. Ma lo facevo per lui. Non lo stavo abbandonando per divertirmi, ma per offrirgli una vita migliore e non fargli più mancare nulla, per farlo crescere come il principe che era.
- Alla fine, sono stato costretto a decidere: i vicini erano brave persone, avevano una bambina poco più grande di Neal e gli erano affezionati; l’ho affidato a loro, promettendo a mio figlio che sarei tornato a riprenderlo presto, prestissimo. Una frase che hai già sentito in questa storia, non trovi? – la risata amara e triste che gli proruppe dalla gola fece sobbalzare Belle, che chiuse gli occhi, i capelli a nasconderle l’espressione addolorata che aveva preso possesso del volto. Intuiva bene quanto successo, i cupi segreti che l’uomo aveva tenuti sigillati nel cuore per tutti quegli anni.
- Gliel’ho giurato: mi sono inginocchiato alla sua altezza e gli ho detto che l’avrei portato a Londra, gli avrei comprato tutti i giocattoli che avesse desiderato e avremmo girato per la città su una carrozza dieci volte più bella di quella della Regina, mangiando cioccolata fino a star male. Gli ho promesso il mondo, e gli ho dato solo cenere.
Quella storia non avrebbe avuto un lieto fine, Belle lo sapeva; eppure, per un istante, si era illusa che le cose potessero in qualche modo cambiare, che quel padre e quel figlio potessero conoscere la felicità che mancava dalle loro vite. Si mosse appena, compiendo un gesto che non avrebbe creduto di compiere: lo prese per mano.
Lo sentì sussultare, sorpreso e meravigliato da quel contatto inaspettato; ma si tranquillizzò quando lei lo guardò, in una muta esortazione perché continuasse.
- A Londra le cose mi sono andate bene, si sa: ho trovato subito lavoro. All’inizio mi dividevo tra mille impieghi, ma ho capito presto che la via da seguire era quella che conoscevo meglio, la via della lana. Mi sono impegnato con tutte le mie forze, e in un modo o nell’altro ho iniziato la mia ascesa. Ogni cosa aveva Neal come causa e scopo; per lui avrei fatto tutto, tutto. Dover lasciare la propria creatura, saperla lontana, non conoscere i suoi traguardi, le sue conquiste, è terribile, Belle. Ti si spezza il cuore e non puoi far niente per ripararlo; sai che quello che stai perdendo non lo rivivrai mai più, perché i bambini crescono in fretta e lasciano presto il nido, e al contempo non puoi tirarti indietro, perché se lo facessi tuo figlio non avrebbe di che mangiare, e le prospettive, le speranze che nutri per lui finirebbe in un vicolo cieco. Sei bloccato, ma pur di renderlo felice ti privi della tua, di felicità; e ti va bene così, perché lui è tutto per te.
- Rinunciavo a ogni cosa pur di mandargli soldi, gli inviavo lunghissime lettere che i vicini gli leggevano e in cui gli scrivevo che era la mia ragione di vita, che mi mancava in un modo che non poteva essere espresso e che avrebbe dovuto resistere un poco, solo un altro poco, e poi saremmo stati insieme. Non potevo allontanarmi da Londra, ora che gli affari iniziavano a farsi più consistenti: pian piano entravo in contatto con persone sempre più altolocate, che se all’inizio mi deridevano poi mi cercavano; dovevo controllare tutto personalmente, non potevo fidarmi di nessuno. E intanto, il tempo passava e mio figlio cresceva: l’ho iscritto in collegio, e quando ha imparato a scrivere rispondeva alle mie lettere ponendomi sempre la stessa domanda, “Quando torni?”, e io rispondevo sempre “Presto, figliolo, presto”. Ma quel presto è arrivato troppo tardi.
- In quel periodo ho conosciuto Cora, – Belle scattò udendo il nome, e Gold le strinse la mano più forte, come per tranquillizzarla dai pensieri che la stavano assalendo. Non si ritrasse dalla presa, affidandosi piuttosto a essa; e le fu grato di questo – Mi ha colpito subito, non lo nego. Io muovevo i primissimi passi in società e non sapevo cosa fare, come comportarmi, quando all’improvviso mi è comparsa davanti questa ragazza appena ventenne, dai natali ancora più oscuri dei miei, che mi ha preso sotto la sua ala protettrice e mi ha aiutato. Non sono mai riuscito a capirne il motivo; presumo perché in fin dei conti eravamo simili: entrambi avevamo alle spalle un passato difficile, entrambi nutrivamo una fame di rivalsa, di riscatto che attendeva la prima occasione per balzare e imporsi; ma non lo so. Non mi sono posto davvero domande, mi sono lasciato trascinare dagli eventi e da lei: bevevo ogni sua parola, pendevo dalle sue labbra, la seguivo in ogni suo passo e imitavo ogni sua mossa, imparando i trucchi per avvicinarmi sempre di più al potere… Ma lei lo faceva – lo fa – per se stessa, io per Neal. Neal… – la voce dell’uomo si spezzò nel pronunciare il nome tanto amato. Non fu difficile scorgere l’angoscia nei suoi occhi: era uno sguardo nudo, ormai privo delle barriere che per anni l’avevano protetto; e Belle pregò perché una simile sofferenza, un tormento così grande da straziare l’anima le restasse sconosciuto per sempre. Fece scivolare le dita fino a intrecciarle con quelle dell’uomo, carezzandogliele piano per fargli capire di non essere solo, per comunicargli la sua presenza, la sua partecipazione.
Il suo amore.
- Ero da lei, quella maledetta sera. Per il compleanno di Henry aveva invitato anche personaggi che avrebbero potuto procurarmi degli affari importanti; un ordinario evento in società, quando all’improvviso sono stato raggiunto da Archie. Aveva ricevuto un dispaccio urgente dal collegio, si chiedeva la mia presenza: Neal stava male.
La giovane trattenne il fiato, sapendo di star avvicinandosi al punto cruciale di una storia che non sarebbe mai dovuta esistere.
- Perché non sono andato, Belle? – la voce dell’uomo era appena udibile, un lamento in cui rimorsi e rimpianti si mescolavano fino a trascendere nel dolore – Perché non ho lasciato tutto e tutti, perché non sono corso da lui, come ogni padre degno di questo nome avrebbe fatto? Eppure, credimi, è stata quella la mia prima intenzione: sono andato ad avvertire Cora, e lei non ha fatto storie. Solo, mi ha chiesto se ne fossi sicuro… E questo, questo mi ha fatto crollare. Forse aveva ragione quando mi diceva di essere troppo sentimentale, ho pensato: sicuramente la malattia di Neal era solo una febbre di crescita, non avrei fatto in tempo ad arrivare e lui sarebbe già tornato in forma; avrei fatto meglio restare in città quella notte, concludere l’affare e partire l’indomani.
- Lei, – mormorò Belle, incerta di voler davvero udire la risposta e quel che ne sarebbe derivato – Lei ti ha convinto a non andare?
- Oh, Sweet… Belle, no. Lei non ha colpe. Mi ha solo posto una domanda che avrei potuto ignorare. C’è un’unica persona da biasimare, e quella sono io. Cora non mi ha persuaso in alcun modo, non ha provato a convincermi, niente. Cora non poteva sapere. La decisione finale è stata mia, mia e mia soltanto. Sarei dovuto scappare, e invece sono rimasto lì, a conversare e trattare mentre il mio bambino moriva.
Quando la mattina seguente ho ricevuto un’altra lettera, era troppo tardi.
- Sono tornato in Scozia, sì. Sono tornato quando ormai non c’era più niente da fare, quando mio figlio era ormai spirato. Non volevo crederci, non ci ho creduto neanche quando l’ho visto. Ho abbracciato il suo corpicino, incurante di tutto e tutti, e ho pianto per quella che credo sia stata l’ultima volta in vita mia. Me l’hanno dovuto strappare con la forza… Un caso di scarlattina, ecco quanto successo. Neal ha chiesto di me fino all’ultimo, invocava il suo papà… Ma lui non c’era. Io non c’ero. Io l’ho abbandonato, come aveva fatto sua madre prima di me, come aveva fatto mio padre con me. Ho preferito il denaro, il potere al mio stesso figlio, l’ho lasciato morire solo, come se non avesse nessuno al mondo, come se nessuno gli volesse bene, quando io, io avrei fatto il mondo a pezzi a mani nude per lui… Ho fatto di mio figlio un orfano, pur essendo ancora vivo. In quei momenti, stringendolo, sentendolo rigido e freddo tra le mie braccia, ho implorato Dio di restituire Neal al mondo, di permettergli di vivere e conoscere le meraviglie del creato; in cambio avrebbe potuto prender me, lì, in quel momento stesso, sul pavimento gelido di quel maniero. Sarei morto felice, sapendo lui sano e salvo… Non ho ricevuto risposta.
Di Neal mi è rimasta solo una ciocca di capelli che custodisco come il più prezioso dei tesori. Perché è quello che è: è l’unica cosa che mi resta di lui, è un tesoro.
- Quando sono tornato a Londra, mi sono chiuso in me stesso. Non volevo uscire, non volevo vedere nessuno: me ne stavo chiuso in una stanza, a filare come un forsennato, senza quasi più dormire, mangiando a malapena per sopravvivere e cercando il coraggio per suicidarmi. Se ci fosse stata una strada, una qualsiasi strada per riavere Neal, l’avrei percorsa, qualunque ne fosse stato il prezzo; ma non c’è nulla contro la morte, e dovevo rassegnarmi a una realtà senza lui. Una realtà che non aveva senso.
- È stata Cora a salvarmi, in un certo senso. Un giorno si è presentata come una furia da me, scansando chiunque cercasse di fermarla, mi ha preso per il collo e non mi ha lasciato andare fino a quando, per sfinimento o per altro, non le ho promesso che non avrei commesso una follia. Si è praticamente trasferita da me per tenermi sotto controllo, mi ha costretto a reagire senza mostrare pietà. Di questo le sono ancora riconoscente, nonostante non ci sia più nulla tra noi. Né fisicamente, né sentimentalmente... Se mai c'è stato qualcosa sotto questo aspetto.
- Fatto sta che da allora sono cambiato. Se prima era per Neal che andavo avanti, dopo la sua morte ogni cosa è diventata vana. Ho continuato a lavorare, ma l’ho fatto solo per me, per ottenere ricchezza, potere, fama…Quasi una vendetta nei confronti di chi mi aveva schiacciato. E sono andato avanti così per molti, moltissimi anni, fino a dimenticare di avere un cuore. Non avrei più sofferto, se non avessi provato emozioni, sentimenti e simili contrattempi, per chiamarli come ero solito fare. E poi sei arrivata tu. E hai sconvolto ogni cosa. Ogni equilibrio faticosamente raggiunto, ogni finzione, ogni muro… Tu l’hai buttato giù. Perché tu sei un’eroina, Belle. Sei una donna bellissima, che ha amato un uomo orribile. E mi hai amato veramente, trovando del buono in me e creandolo. Mi fai desiderare di cambiare e tornare alla versione migliore di me, e questo non era mai successo prima. Tu mi hai reso più forte.
Belle si asciugò piano le lacrime silenziose che rotolavano lungo le sue guance. C’era stato così tanto dolore nella sua vita… Sin dall’infanzia aveva conosciuto un turbinio di illusioni e separazioni, di momenti di quiete che si erano dissolti prima ancora di spiegare la propria forza e che ne avevano piegato l’anima fino a spezzarlo, fino a costringerlo a non fidarsi più della vita.
Solo ora che sapeva ogni cosa, capiva i riferimenti che sovente l’uomo aveva fatto nel corso dei mesi e che le erano parsi incomprensibili. Respirò a fondo alla ricerca di una parola da dirgli, una consolazione che sarebbe stata vana; perché quella storia, quella vita non poteva trovar conforto in una frase, per quanto profonda essa fosse.
- M-mi dispiace, – mormorò appena, torturandosi le unghie – È la cosa più banale, più stupida da dire, e non ti farà certo sentir meglio, ma so cosa significa perdere una persona cara e un lutto simile non si supera mai davvero. Dovessi vivere trecento anni, ricorderai e amerai sempre Neal, come se fosse il primo giorno. Non avete trascorso molto tempo insieme, vero, ma gli hai voluto talmente tanto bene, e sono convinta che lui l’abbia sempre saputo. Che lo sappia ancora, – si corresse – E che te ne voglia altrettanto. E proprio per questo non accetterebbe mai il modo in cui ti colpevolizzi. Se potesse parlarti, ti direbbe che non è stata colpa tua. Anche se fossi partito quella sera stessa, le cose non sarebbero andate diversamente… Non l’hai abbandonato, Robert, – si leccò le labbra nervosa, prima di continuare – Tu non l’hai abbandonato. Non è vero che i figli ripetono gli errori dei padri, perché – l’hai detto tu stesso – tu non te ne sei andato via per egoismo. L’hai fatto per lui, e l’avresti portato qui, se avessi potuto. Sareste stati felici, se solo… – la voce si perse nel vuoto, ma non gli staccò gli occhi di dosso – Robert, perché me l’hai raccontato?
- Meritavi di conoscere la verità. Almeno questo… È il motivo per cui sono venuto qui: tu mi hai detto tutto di te, mi sei rimasta a fianco, e io ti ho ripagata nel peggiore dei modi. Parlarti di me era il minimo, e ti ringrazio per avermelo concesso. Per avermi accolto nonostante… Tutto, – il riferimento andava molto ad di là della situazione imbarazzante in cui si trovavano; Belle lo colse subito e si strinse nelle spalle, senza rispondere.
- Ho pensato che potresti trasferirti. Ho una tenuta nella contea di Gwynedd, lontana dalle chiacchiere e da me. Io non ci vado spesso, nel caso te lo farei sapere e ti darei il tempo di allontanarti. Non ci incontreremo più, te lo prometto, e stavolta ho intenzione di mantenere. O, se preferisci, potrai andartene via, dove vorrai… – con la coda dell’occhio vide Belle ancora concentrata sulle loro mani unite. Non un guizzo aveva acceso il suo sguardo, non un’emozione oltre alla mestizia. Non seppe se gioirne o dolersene – … L’importante è che tu sia felice; e difficilmente lo sarai, restando qui. Perciò a te la scelta. Io non ti costringerò più a restare qui, con tutto ciò che comporta…
- Non mi hai mai costretta.
L’interruzione lo lasciò stupito. Non si aspettava che Belle prendesse la parola, e soprattutto non si aspettava dicesse quanto aveva appena udito.
- Ma lo farei se ti dicessi di restare.
Finalmente la domestica lo guardò in volto.
- Tu non mi stai dicendo di restare. Io sto decidendo di farlo, – puntualizzò.
Gold scosse il capo più volte, come per allontanare la chimera che gli era passata accanto quando aveva colto il senso della dichiarazione.
- Non dopo quello che ti ho fatto, Belle. No. Non è qualcosa che si può ignorare, lo sostengo io per primo.
- E non ho intenzione di farlo, stanne certo. Mi rispetto abbastanza da non chiudere gli occhi dinanzi alla tua bugia, ma questo non implica che io abbia intenzione di fuggire.
Lascerò questa casa se mi dirai che non provi niente per me, che è solo un immenso inganno. Se è così, me ne andrò.
Le hai mentito talmente tante volte che un’ultima non cambierebbe nulla.
Anzi, la salverebbe.
Perché condannarla a restarti accanto quando sai che le vecchie abitudini sono dure a morire?
Quanto potrebbe durare, un mese? Due?
Alla fine anche lei ti lascerà, stanne certo.
La voce nella sua testa era seducente, veleno dolce che lo avrebbe messo al riparo da ogni implicazione. Rinnegarla un’ultima volta, la più dolorosa, ma l’unica rimasta per proteggersi da ciò cui quella storia avrebbe potuto dargli.
Sofferenza. Dolore. Altre illusioni, altre ferite, altri perché che si sarebbero persi nell’oscurità.
Amore.
Un lungo respiro prima di strapparsi il cuore dal petto.
Aprì bocca, ma le parole non gli vennero in soccorso.
Il motivo fu una scossa al petto.
- Non posso dirti questo. Non posso, – fu costretto a confessare in un bisbiglio strozzato, le orecchie coperte dal rimbombo del battito del cuore.
- E allora io resto.
Era un perdono, l’ennesimo in una storia così breve? Belle non avrebbe saputo dirlo. Quando gli stava accanto, perdeva spesso la capacità di giustificare le proprie azioni, come se non fosse più la razionalità a condurla, ma qualcosa di più profondo e segreto, un arcano al cui richiamo avrebbe sempre risposto – malgrado le menzogne, il disincanto, la furia che l’accendeva al sol pensiero.
Avrebbero dovuto discuterne, parlarne, litigare ancora se si fosse rivelato necessario; ma, pensò, per tutto quello ci sarebbe stato l’indomani.
Adesso c’era solo il modo in cui Gold le si gettò al collo, con una disperazione e uno smarrimento che Belle non gli aveva mai visto; c’era solo il bacio che Belle posò all’angolo della sua bocca. Fu un contatto lieve, appena accennato, labbra che si sfiorarono tanto rapidamente da far immaginare fosse solo un sogno; ma ci fu, e non poterono ignorarlo. Rimasero vicini, immobili, ciascuno aggrappato e perso nell’altro, perso in quel gesto così istintivo, così repentino, eppure così vero.
Un gesto di cui Belle non si pentiva.
Gold la stringeva incerto, come temendo che da un momento all’altro la ragazza si staccasse; ma lei non lo fece. Ricambiò l’abbraccio con tutta la forza che aveva, per ribadirgli che c’era, e ci sarebbe stata ancora, allora e sempre nonostante tutto, e che non avrebbe mai smesso di lottare per lui, con lui. Lo sentì respirare piano contro il suo petto mentre lo cullava, baciandogli la fronte; e mai come allora si sentì tanto sicura di quel sentimento che l’aveva sconvolta e continuava a farlo, che la faceva soffrire e a cui, eppure, non avrebbe mai rinunciato, per il quale sarebbe sempre andata avanti senza arrendersi.
- Ti amo, – gli sussurrò; e lui rimase immobile, udendo quelle parole che mai avrebbe immaginato sentir pronunciare. Sollevò il volto quando lei le ripeté ancora, e poi ancora, quando le carezzò una guancia invocando il suo nome come una preghiera che non era degno di recitare. Avrebbe voluto dirle che anche lui l’amava, che l’aveva attesa una vita intera credendo fosse solo fantasia, e che odiava aver rovinato tutto ora che l’aveva accanto; ma le parole erano ancora incastrate tra la gola e il petto, non riuscivano a fluire libere.
Non poté far altro che baciarla, un’altra volta, e un’altra ancora, con una passione a Belle sconosciuta e che pure si ritrovò a ricambiare, seguendo solo ciò che il corpo e l’istinto le dicevano di fare. Non si scostò quando le mani dell’uomo le sfiorarono lievi le gambe attraverso la stoffa, quando il pensiero di ciò che sarebbe successo l’attraversò rapidissimo facendole tremare le ginocchia, quando i moniti della morale le rimbombarono in testa, imponendole di ritrarsi prima dell’irreparabile. Rimase lì, a baciare e farsi baciare, scoprire e lasciarsi scoprire, col cuore che batteva forte e mille emozioni, mille sensazioni provate prima ignote condensate tra il cuore e il ventre.
Non sarebbe finita bene, non sarebbe affatto finita bene, lo sapeva. Come poteva farle anche questo? Avrebbe dovuto fermarsi subito, prima che la sua lussuria, il suo desiderio, lui la sporcassero. La ragione urlava, ma per una volta nella vita lui era troppo distante per prestarle ascolto. Era troppo distante da se stesso, dal mondo per come lo aveva conosciuto fino ad allora: il suo universo ruotava attorno a quelle dita affusolate che gli sfioravano il petto, giocavano appena coi bottoni del panciotto toccandoli con la stessa apprensione e curiosità con cui avrebbe carezzato un leoncino.
Non era pronta, era troppo presto, si redarguì indugiando sul suo collo; non doveva andare così, non poteva comprometterla, si rimproverò mentre le mani s’insinuavano sotto la veste, impazienti di sentire Belle. Doveva smetterla, urlò indefinita qualcosa dentro di lui quando si alzò e le tese una mano che lei fissò confusa per un breve istante prima di afferrare.
E allora, tutto fu perduto.
La spogliò piano, inspirando l’aroma di miele e tè dei suoi capelli e scoprendo ogni istante un nuovo particolare del suo corpo. I nei sulla schiena, l’intrico azzurrino delle vene, le forme minute e decise: venerò ogni lembo di pelle e la strinse a sé, con la delicatezza con cui avrebbe sfiorato le ali iridescenti di una farfalla. Baciò la fossetta tra le clavicole, percorse il profilo dei seni, scese lungo la curva dei fianchi e si sentì colmo di una tenerezza e una passione indicibili per quella donna così fragile e così forte, l’unica ad aver avuto il coraggio di fermarsi, di condividere, di capire.
La amo, realizzò ancora una volta; e ancora una volta la potenza e la verità di quelle parole lo paralizzarono, mentre intrecciava le dita a quelle affusolate della ragazza, mentre ne sfiorava le labbra.
Il cuore di Belle batteva all’impazzata, un uccellino in gabbia che frullava le ali alla ricerca della libertà perduta.
- Hai paura? – le sussurrò piano.
- … Sì.
- Vuoi che me ne vada?
Belle alzò lo sguardo fino a incontrare il suo volto.
Fiducia nei suoi occhi di mare e cristallo.
- Resta, – gli rispose baciandolo.

Quella notte, Belle e Robert scoprirono l’amore.

 

Forgive me for what I have been,
forgive me my sins.”
“The truth beneath the rose” - Within Temptation


 

N. d. A. : Mi vergogno immensamente di questo capitolo, ma al contempo lo amo – “Contraddizione ambulante” sarebbe il nick perfetto per me.
Scherzi a parte, bentrovate gioie mie: come avrete intuito, descrivere certi momenti mi imbarazza parecchio. Questa è la prima scena un pochino più spinta in cui mi sia mai cimentata, sebbene non abbia poi descritto granché, e sono titubante, pur essendo nel complesso soddisfatta di questo – lunghissimo, avete ragione, ma spezzarlo l’avrebbe reso incomprensibile – capitolo; ma sono qui per esercitarmi e migliorare, perciò devo essere pronta a tutto: ci ho provato, mi sono impegnata, e ora aspetto il vostro verdetto - ovviamente non abbiate pietà, le critiche non possono che farmi bene, specialmente stavolta! :) Anche stavolta, alcune frasi sono tratte dalla serie tv! ;)
Il motivo della preoccupazione di Belle circa i capelli sciolti è dovuto al fatto che i Vittoriani nutrivano un’autentica ossessione per le chiome femminili, che consideravano un autentico simbolo sessuale; inoltre, quando moriva qualcuno si era soliti tagliare un ciocca e conservarla in ricordo, cosa che facevano anche i fidanzati in segno d’affetto: http://www.goticomania.it/eta-vittoriana/moda-vittoriana-capelli-feticcio-vittoriano.html, link che servirà anche in futuro. ;)
La canzone, non saltate assolutamente la canzone: urla RumBelle a ogni verso! *-* La posto anche sulla mia pagina Facebook – Euridice’s World, siete sempre benvenut*!
Come sempre, ringrazio chi ha recensito il precedente capitolo, ha letto la storia e l'ha aggiunta a una delle liste - questa volta tarderò un po’ a rispondere agli eventuali commenti perché trascorrerò alcuni giorni fuori casa. :)
A sabato 6 settembre – mamma mia, l’estate è quasi finita! :O
Bacioni! ♥ ♥ ♥
Euridice100

 

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Capitolo 19
*** XVIII - Map of the problematique ***



XVIII - Map of the problematique
 
”And I feel like everything I saw
is being swept away,
well, I refuse to let you go.”


 
Fu lui il primo a svegliarsi. Riemerse rapido dal sonno leggero in cui era scivolato, il sonno più tranquillo che ricordasse da molti anni a quella parte; ma non si mosse, temendo di svegliarla. Per l’ennesima volta affondò il naso nel suo collo, restando inebriato da quel profumo specialissimo, il profumo della sua Belle.
Sua, sua sotto ogni punto di vista, ormai; e se da un lato il pensiero lo riempiva di un orgoglio tanto intenso da far male, dall’altro gli faceva scomparire le labbra in una linea sottilissima, sintomo di un’angoscia malcelata.
Quanto successo quella notte era stata un’azione che non aveva preso in considerazione prima che accadesse: recandosi da Belle, aveva avuto in mente solo di confessarle i suoi fantasmi e il suo amore per poi far ritorno nelle sue stanze, lasciandola libera da lui. Non avrebbe nemmeno voluto sedersi sul letto, così vicino da sentirla respirare; il pensiero di far l’amore con lei non l’aveva sfiorato – non quella sera, almeno.
Ma baciarla si era rivelato un imperativo dell’anima, un bisogno urgente e feroce; si era riscoperto a desiderare come mai prima d’allora quella donna dal volto da cammeo che in ogni istante l’aveva guardato negli occhi, senza estraniarsi, restando sempre con lui, morbida e decisa, accettandolo e cercando le sue mani in un gesto che valeva più i mille giuramenti.
L’amava, l’amava terribilmente; e proprio per questo quella notte non sarebbe mai dovuta esistere.
Distruggeva ciò cui più teneva, era un dato di fatto: si era impegnato a far diventare il viso di Belle uno tra i tanti, quando il suo nome gli risuonava nelle orecchie e un desiderio era già troppo.
Aveva fallito, perché non sapeva stare senza di lei; aveva fallito, e il risultato era loro due su quel letto, le gambe allacciate e l’aria che ancora profumava di sospiri.
Non avrebbero criticato lui, ovviamente: un gentleman a letto con una cameriera non avrebbe suscitato scalpore nella Londra bene avvezza a simili inconvenienti – e i suoi sentimenti sarebbero rimasti una questione volgare su cui sorvolare. Lei sarebbe stata bersagliata di nuovi insulti, lei divenuta la puttana della Bestia, lei macchiata nell’onore, lei sprofondata nell’abisso perché lui non aveva saputo frenarsi.
Cos’avrebbe potuto offrire se non nuovo dolore, nuova oscurità, a lei che meritava ogni bene, il più puro, splendente amore?
Avrebbe dovuto sposarla. Se fosse stato un uomo degno di questo nome avrebbe dovuto sposarla immediatamente, dopo averla inferto una simile onta; e il solo pensiero gli scatenò un’ondata micidiale di panico: come avrebbe fatto a contenere lo scandalo? Non era tanto l’idea del matrimonio – o meglio, l’idea del matrimonio con Belle – a inquietarlo: in un altro mondo, in un altro contesto, nulla l’avrebbe trattenuto dall’urlare al mondo i suoi sentimenti; ma lì, in quel momento, come avrebbe fatto? Pur avendo tanto in pugno, la paura di ripetere gli stessi errori del passato lo assillava, impedendogli quasi di ragionare.
S’impose la calma necessaria per districarsi dalla situazione in cui si era cacciato; ma prima che potesse impedirselo, gli tornò in mente la notte appena trascorsa.
La sensazione della pelle di Belle sotto le sue dita.
Il modo in cui l’aveva seguito nei suoi gesti, incuriosita e goffa, timida e fiera di sé.
Il momento in cui nel cielo dei suoi occhi erano sembrati rifulgere tutti gli astri del firmamento.
Non andava bene; non andava assolutamente bene. Rivivere certi momenti gli faceva desiderare replicarli, e questo non sarebbe più dovuto…
Che senso ha mentire?
Era inutile cercare di convincersi che sarebbe rimasto un episodio isolato, lo sbaglio di una notte priva di conseguenze: lui avrebbe voluto compiere quello sbaglio ancora e ancora, per tutte le notti che gli restavano da vivere. E conseguenze, quella notte, ne avrebbe avute nel corpo e nell’anima: come avrebbe fatto a dimenticare di averla amata, come avrebbe potuto attribuire il desiderio alla scelleratezza, credere che sarebbero rimasti gli stessi, che avrebbe – che avrebbero – saputo rinchiudere le carezze in un cassetto remoto della memoria andando avanti sena curarsene?
Ciò che era successo sarebbe rimasto, scarlatto come il sangue di Belle che accendeva pentimenti ed emozioni; una macchia dai contorni sempre netti, sempre definiti, che li avrebbe perseguitati – o benedetti? Non riusciva a deciderlo – per sempre.
Una macchia che, pure, non avrebbe voluto cancellare.
 
 
“I can't get it right,
get it right,
since I met you.”
 
 
Belle non aveva alcuna intenzione di svegliarsi. Non voleva riaprire gli occhi e ritrovarsi sola nel letto; aveva paura di voltarsi e scoprire di aver sognato, di non aver vissuto quella notte.
Ma anche così, la presenza alle sue spalle, il braccio che la cingeva timido e possessivo a un tempo, erano inequivocabili.
Si strinse ancora di più a lui, le palpebre serrate e un sorriso sul volto: non era stata fantasia, ma realtà, una realtà splendida che non avrebbe – avrebbero – più potuto dimenticare.
Era quello ciò da cui il mondo l’aveva messa in guardia, presentandolo come un pericolo da rifuggire, un mostro da temere? Le rare volte in cui aveva colto cenni all’amore fisico, le era stato presentato come qualcosa che rovinava le persone, segnandole con un marchio d’infamia che nessuna opera, nessun ravvedimento avrebbe potuto cancellare; un segno indelebile che ora era tatuato anche su di lei, in lei, che le scorreva sotto pelle avvelenandole il sangue e annerendole il cuore.
Ma lei non sentiva niente di tutto ciò.
Lei si sentiva bene.
Sì, era un po’indolenzita, e c’era stato l’istante in cui era sobbalzata e lui le aveva mormorato scuse inframmezzate di baci;ma era stato un momento, appunto, volato via più in fretta di quanto fosse giunto, un momento che non comprometteva il giudizio su una notte e che era andato confondendosi tra le tante sensazioni che l’avvolgevano.
Era una donna perduta, ora? Le si prospettava una vita d’infamia per aver ceduto alla tentazione, per non aver preservato la virtù per il suo sposo? Per aver ascoltato il cuore, anziché la testa?
Il pensiero di negarsi, a dire il vero, non l’aveva sfiorata neanche per un attimo. Sapeva sarebbe bastato uno sguardo per fermare Robert, ma non aveva voluto: si era persa, concentrandosi solo su quanto stava provando, ascoltando solo il suo corpo – i loro corpi – e quel che urlavano; si era persa, e non desiderava fare ritorno.
Sarebbe stato bello chiudere il mondo fuori dalla stanza, restare solo loro due uniti in quell’abbraccio antico quanto il mondo; sarebbe stato bello fare un’altra volta l’amore.
Fare l’amore: l’espressione la colpì mozzandole il fiato. Cosa poteva esserci di sbagliato, nello scegliere di vivere anziché sopravvivere? Nel non soffocare la passione che scorreva palpitante e fiera nelle sue vene, nell’accettare un sentimento in ogni suo aspetto, facendolo carne e sangue, dolore e piacere come la realtà?
Belle non aveva più intenzione di uccidere il suo essere, ingabbiarlo in un corsetto troppo stretto, dal quale sarebbe inevitabilmente fuggito. Facendo l’amore, si era sentita viva, e non avrebbe permesso a nessuno di dirle che aveva sbagliato.
Se avevano peccato, avevano peccato di vita.
Si voltò piano, stiracchiandosi come un gatto e sorridendo all’amante.
- Buongiorno,– lo salutò ancora assonnata, ma allegra, avvicinandosi ancora di più alla ricerca del calore del suo corpo.
Le baciò la fronte, attirandola a sé.
- Buongiorno, – rispose a bassa voce, senza quasi staccare le labbra dalla pelle. La sua bocca pareva bruciare – Come stai?
Nonostante la dolcezza del gesto e il tono gentile con cui aveva posto la domanda, a Belle fu subito chiaro che qualcosa non andasse. Era scuro in volto, come la sua presenza riuscisse appena a esorcizzare oscuri pensieri che gli affollavano la testa.
- Bene, – confessò scostandogli una ciocca dal volto – Sto bene, – il silenzio che seguì l’affermazione pesò come un macigno sulle sue spalle. Per una chiacchierona come lei era buffo, rifletté, trovarsi improvvisamente priva di parole; buffo e inquietante – Tu? – chiese per smorzare l’atmosfera pesante.
Pronunciò qualcosa di incomprensibile, che avrebbe potuto interpretarsi come un “bene” o come un “male”, e che nelle sue intenzioni sarebbe dovuto essere uno “scusa”. Belle lo fissò perplessa, sforzandosi di capire, mentre un orribile sospetto, ricacciato con violenza, iniziava a farsi strada tra i suoi pensieri. Quante volte aveva sentito bisbigliare di donne che si erano concesse a uomini che si erano dichiarati tanto innamorati, ma che una volta soddisfatte le proprie brame le avevano abbandonate senza remore?
Ma non Robert!
Lui non le avrebbe mai fatto questo, lui l’amava! Gliel’aveva dimostrato quella notte raccontandole la verità, non forzandola in alcun modo: non l’avrebbe cacciata, no… No!
- … Ho fatto qualcosa di sbagliato?
Il tono con cui sussurrò la frase lo colpì dritto al cuore, riscuotendolo dai suoi pensieri. Belle lo fissava senza nascondere il timore nei suoi occhi; non era tanto paura, quanto piuttosto esitazione, come se qualcosa le sfuggisse e al tempo stesso le fosse fin troppo presente.
Dovresti essere tu a porre questa domanda, non lei!
Si maledisse: la stava spaventando, e quella era l’ultima cosa che desiderasse; non era difficile intuirne le preoccupazioni, che il suo atteggiamento nulla faceva per dissipare, anzi, stava causando.
- No, no! – le carezzò i capelli rassicurandola, e la sentì rilassarsi impercettibilmente – Sei stata perfetta, davvero.
- E allora cosa…
La domanda si perse nell’aria; ma non il suo significato. Aveva il suo sguardo ancora puntato addosso, fermo e cristallino: uno sguardo che penetrava la carne giungendo sino al cuore, un uncino alla cui presa era impossibile sottrarsi senza restare feriti.
Senza ferirla ancora.
- Potrai mai perdonarmi?
La frase gli sfuggì dalle lebbra prima ancora che potesse realizzarlo.
Sbatté le palpebre allibita, senza capire a cosa si stesse riferendo.
- Per Greg e Tamara? Non ho certo cambiato idea su quanto successo, tu non avresti…
- No, – qualcosa, nel modo in cui la interruppe, le impedì di proseguire il suo discorso. Qualcosa somigliante – molto, troppo somigliante – all’angoscia – Potrai mai perdonarmi per questo?
Capì, capì più in fretta di quanto avrebbe voluto, e chinò il capo d’istinto, l’imbarazzo che già le arrossava le gote; s’impose di rialzare il mento, di non abbandonare quegli occhi nocciola che la guardavano spauriti e disillusi, come se temessero di aver sognato – come se sapessero di dover svegliarsi.
- Non c’è nulla da dover perdonare, – gli baciò una guancia velata di barba, prima di ripetere – Nulla.
Quanto avrebbe voluto fosse vero. Quanto avrebbe voluto che avesse ragione, che la coscienza riuscisse ad accettare quegli istanti e riviverli senza la spada di Damocle della morale sul collo.
Quanto avrebbe voluto che fosse rimasta solo un patto, solo un nome, Dearie e mai Belle, una serva e mai Sweetheart.
- Ti ho rovinata, Belle. Ti ho rovinata, lo sai.
- Lo rifaresti?
La domanda inaspettata bloccò sul nascere ogni possibile replica. Strabuzzò gli occhi e la studiò incerto, come se non avesse realmente capito cosa intendesse.
-  Non è difficile, – continuò lei, incurante della sua espressione –Rifaresti ciò che abbiamo fatto stanotte? Basta rispondere di sì o di no. Basta essere sinceri.
Respirò a fondo.
Le domande più semplici hanno sempre le risposte più ardite.
Se nella sua vita ragione e sentimento avevano duellato fino a spezzarlo, consegnando una facile vittoria alla mente, da quando c’era Belle la situazione si era capovolta. Erano scaturiti nuovi interrogativi, nuove questioni la cui risposta appariva tanto semplice, tanto immediata e spontanea nella sua forza – la forza di Belle, della carica di cavalleria che aveva messo a ferro e fuoco ogni cosa –, eppure impossibile da formulare ad alta voce.
Da rendere reale.
Ma le aveva promesso sincerità. Non l’aveva ancora giurato, ma non voleva mentirle ancora.
Non voleva mentirle più.
- Lo rifarei, – ammise – Lo rifarei, ma avrei ancora la certezza di averti distrutta.
- Ma non mi hai distrutta. Mi hai amata, – lo corresse con un sorriso – Non colpevolizzarti per qualcosa che entrambi volevamo. Non ha senso fingere che sia stato un errore… – sobbalzò sentendola pronunciare i suoi pensieri, come se gli avesse letto nella mente –… Qualcosa che è sfuggito dal nostro controllo. Desideravamo far l’amore, è successo e non possiamo – né, personalmente, voglio – tornare indietro. Dobbiamo solo gioire per aver conosciuto qualcosa che non tutti hanno la fortuna d’incontrare. So, – alzò appena le spalle nel dirlo – Che in molti troverebbero estremamente indecorosa questa opinione, ma ti dirò, non ho intenzione di condurre una vita triste e castigata per accontentare gli altri. Sono io a decidere per me e giudicare le mie azioni, e non ho dubbi su quanto successo stanotte. Lo rifarei.
- Sei ancora emozionata, Belle, non sai quel che stai dicendo. Quando ragionerai a mente lucida, capirai che questo non è stato un bene, ma uno sbaglio madornale dal quale io avrei dovuto proteggerti.
- Credo di essere perfettamente in grado di giudicare quando sono emozionata e quando no, grazie tante, – lo rimbeccò indispettita, costringendolo a distogliere colpevole lo sguardo – Ti diverti a descriverti come il cattivo della situazione, ma ti assicuro che stavolta non lo sei. Quello che proviamo può essere solo espresso, non represso, e ne abbiamo avuto prova. Ti chiedo solo una cosa: abbia fiducia. In noi, nel nostro amore, in tutto ciò che abbiamo dimostrato di poter essere. Credi in noi e parlami, non tenerti dentro ciò che pensi fino a distruggerti. Non possiamo cambiare il passato, ma possiamo impegnarci per non ripeterlo, possiamo costruire il futuro; e dobbiamo farlo, se vogliamo essere felici. Sai che è così, sai che sto dicendo la verità, guarda in te stesso e lo capirai…
Lui guardava in se stesso, sì. Lo faceva, e incontrava la parte di lui che lo esortava a starle lontana.
Era la parte migliore, quella che lei aveva fatto riemergere a fatica, destreggiandosi tra mille ostacoli; era la parte cui lui avrebbe dovuto dare ascolto, la parte che gli rammentava la conclusione di ogni sua gioia, che gli imponeva di scappare prima che anche lei finisse vittima delle spire di un destino che pareva perseguitarlo sempre, qualunque cosa facesse, qualunque decisone prendesse.
Ma rinunciare a lei equivaleva a scegliere il coraggio; e lui non era mai stato coraggioso. L’aveva fatta andare ed era sempre tornata; e ora si era scoperto così profondamente indissolubilmente, definitivamente legato a lei. Dopo aver aperto il cuore, aveva capito di aver bisogno di lei, di volerla accanto per sempre come unico sostegno per il resto della vita; l’idea di ritrovarsi monco dopo averla avuta tanto vicina gli faceva tremare l’anima.
Aveva già affidato il proprio cuore a qualcuna, vedendoselo restituire distrutto; perché stava ripetendo – aveva ripetuto – lo stesso errore?
Stavolta non succederà di nuovo.
Stavolta è lei a essere in pericolo.
Non poteva tenerla con sé, ma non sapeva rinunciarle, anche se sapeva che l’avrebbe ferita ancora.
Era un dilemma privo di soluzioni, perché se le avesse esposto i suoi dubbi lei avrebbe risposto di essere in grado di badare a se stessa, lui avrebbe provato a crederci e nel cuore avrebbe comunque saputi di star mentendo.
Sarebbe stata sempre così la loro storia? Un continuo carosello di promesse e peccati, di consolazioni e pentimenti destinato a non conoscere mai quiete, o a vedersela ogni volta sfuggire tra le dita?
Si limitò a baciarla con tutto l’amore che un simile gesto poteva esprimere.
- Hai sofferto tanto nella tua vita. Ora meriti solo di essere felice, – la sentì mormorare quando si staccarono.
Ma quelli come me non hanno un lieto fine, meditò triste. Sei tu a meritarne uno. Solo tu.
E te lo darò, costi quel che costi.
 
“Loneliness be over,
when will this loneliness be over?”
 
 
Sarebbe stato divertente, pensò. Non vedeva l’ora di assistere coi suoi occhi alla scenetta, di constatare che tutto era come aveva immaginato sin dal primo momento e che il suo sesto senso non aveva sbagliato neanche quella volta
Quando, due notti prima, erano venuti a implorarle pietà due soggetti che aveva identificato come dipendenti di Gold, non aveva avuti dubbi sul da farsi: li aveva accolti personalmente, aveva pagato le cure a quello conciato male e aveva ascoltato sussiegosa le loro lamentele. Al termine del racconto, nulla aveva potuto cancellarle un sorrisetto dal volto – di sicuro non le occhiate sbigottite che quegli idioti si erano scambiati, convinti di non essere notati.
Ma a Cora Mills non sfuggiva mai nulla; e di certo non sfuggivano le possibilità che si stavano dispiegando ai suoi piedi come un tappeto del miglior velluto: soffice, caldo, e altrettanto confortante. Già pregustava quella serenità di zucchero che solo abbattere una rivale in amore può offrire.
Non è una rivale in amore, si correggeva: quella parola che si insinuava tra i pensieri andava sempre ricacciata indietro, respinta, se voleva vincere.
E lei lo voleva. Sì che lo voleva.
La French era solo una ragazzetta di belle speranze che pensava di averle sottratto qualcosa – o qualcuno: con Gold la differenza non era poi tanto notevole –; ma lei di furbizia ne aveva molta di più e l’avrebbe dimostrata tutta: era questo il movente del suo agire, solo questo. E poi, figurarsi se una come lei avesse mai potuto davvero perdere la testa per uno scozzese che si divertiva a fare la voce grossa e poi si lasciava accalappiare dalla prima che fingeva di mostrare pietà per i suoi occhioni da cucciolo bastonato dalla vita – come se lui sapesse davvero cosa significa essere bastonati dalla vita, come se lui avesse mai toccato con mano gli orrori in cui lei aveva trascorso i primi anni della sua esistenza.
Dio, la gente era davvero così idiota da lasciarsi soggiogare da un sentimento tanto stupido? Per fortuna, almeno a lei pareva rimasto sufficiente sale in zucca per sottrarsi a quelle lusinghe ingannevoli che incantavano il cuore e ottenebravano la mente, lasciando solo polvere e macerie sul loro cammino.
Il suo era semplicemente un piano per recuperare quanto sottrattole, e Greg Mendell e Tamara Martin le avevano offerto un insperato, forse non necessario, ma comunque non trascurabile aiuto per accelerare i tempi. E in fin dei conti, un galoppino e una sguattera in più potevano sempre tornare utili, anche se ciò significava licenziare qualche anziano servitore fedele alla dinastia Mills da tempo…
Non a caso, aveva inviato l’uomo alla ricerca di Gold, incurante della smorfia che gli storceva il volto quando camminava – non era certo moribondo, anzi, e poi lei gli aveva pagato il medico, cos’erano tutti quei vizi? Che si mettesse in marcia e dimostrasse un po’di riconoscenza, non si dà niente per niente!
Era così che aveva saputo che Gold era in città: era stato a pranzo al club con un nuovo socio, e dopo la firma del contratto si era ritirato in casa – o tra le gambe di quella troia, come aveva interpretato lei; la visita inaspettata di una vecchia amica non avrebbe potuto che fargli piacere, poco, ma sicuro…
Quella bifolca di governante aveva strabuzzato gli occhi alla sua vista; ma che s’appuntasse bene in mente la scintilla d’autorità nel suo sguardo, che chinasse il capo e che tremasse, che tremasse pure: Cora Mills non avrebbe tremato.
Mai.
 
 
 
Il bussare angosciato alla porta gli fece sollevare lo sguardo dai documenti che fino ad allora avevano assorbito la sua attenzione. Rimase sbigottito nel vedere una a dir poco sconvolta Mary Margaret precipitarsi nello studio, il volto paonazzo e le mani in grembo che torturavano senza requie il grembiule candido, quasi fosse esso il responsabile di ogni disgrazia occorsa.
- Cosa succede? – domandò seccato, ma colpito dalla reazione inusitata della dipendente.
- Mr. Gold, avete una visita da… – la donna arrossì, come turbata per non riuscire a esprimere un concetto apparentemente semplice e timorosa della probabile reazione – Non so come dirvelo, non viene qui da molto, e pensavo che… Voglio dire, non pensavo nulla, ma ogni anno in questo periodo lei…
- Chi?
- … Si trasferisce al Nord, ma invece è qui e…
- Chi? – Gold scattò in piedi, fin troppo conscio dell’identità dell’ospite e tuttavia ancora incredulo.
La conferma giunse repentina.
- L-lady Mills, signore. Lady Mills è nel salottino evi attende.
Gold trattenne a stento una maledizione. Cosa ci faceva in casa sua quella dannatissima donna? Non gli concedeva più neanche qualche mese di tregua, si ripresentava da lui pretendendo di essere accolta con tutti gli onori dopo ciò che aveva fatto? Come le passava per la mente che volesse rivederla, accoglierla e chiacchierare del più e del meno come fossero ancora amanti?
La governante lo studiava seria. Doveva mantenere compostezza, fingere che lui e l’ospite fossero ancora assidui frequentatori delle rispettive dimore se non voleva che Belle finisse trascinata nell’occhio del ciclone. Belle, pensò con rabbia: prima o poi Cora sarebbe tornata per lei, era ovvio, ma immaginare una situazione e ritrovarsi a viverla erano piani di una realtà diametralmente opposta.
Non posso permetterlo.
Non deve neanche avvicinarsi a Belle.
- È venuta con la Contessina? – s’informò rapido.
- No, Mr. Gold. C’è solo la Contessa.
Coinvolgere Regina nella questione sarebbe stato un gesto ben poco nobile, vero; ma se ci fosse stata, avrebbe potuto mandarla da Belle, così da tenere la giovane lontana dal campo di battaglia. Non avrebbe lasciato sola la bambina pur di fronteggiare la rivale…
Cora, Cora. Come fai a calcolare tutto in ogni suo dettaglio?
- Capisco. Lady Mills mi aveva preannunciato la sua visita, mi sono scordato di avvisarti, – mentì incamminandosi verso l’uscio – Prepara il tè per due, ma non la cena. La Contessa non si fermerà.
Solo prima di lasciare la stanza, l’uomo si voltò appena.
- Mrs Nolan?
- Sì, Mr. Gold?
Svelerò tutto, ma meglio a lei che a Cora.
Stavolta le cose non possono andare male.
Non devono andare male.
- Non far servire Belle. Qualsiasi cosa accada, non far servire Belle.
- Va bene, Mr. Gold.
Quando l’uomo era ormai lontano, la donna si concesse un minuscolo sorriso.
In fondo il suo David aveva ragione: l’amore è la magia più potente di tutte.
 
 
“Life will flash before my eyes,
so scattered almost,

I want to touch the other side.”
 
 
Secondo il modesto parere di Belle, grattare le pentole era una delle incombenze più noiose che l’umanità avesse escogitato; e farlo in silenzio rendeva il compito ancora più fastidioso.
Purtroppo, scambiare quattro chiacchiere con le compagne di sventura appariva un’ipotesi alquanto remota in presenza di chi la considerava la causa di ogni male nel mondo; doveva perciò rassegnarsi e accontentarsi di accennare tra sé e sé un motivetto, mettendosi di buona lena per ultimare quanto prima quella faccenda e passare ad un’altra, possibilmente più piacevole – per quanto fosse definibile più piacevole dover mondare le verdure.
- Per favore, potresti smetterla di cantare? Mi fa male la testa, – la pregò a un tratto Ashley, un’espressione tirata sul volto pallido.
Belle tacque, mortificata per aver disturbato l’unica persona che, dal giorno precedente, aveva inaspettatamente deciso di ricominciare a parlarle.
Dopo la notte trascorsa con Robert, Belle era entrata in cucina ancora con la testa tra le nuvole e aveva salutato i presenti col solito “buongiorno” che ormai riceveva solo le risposte di Mary Margaret, Archie e, alle volte, di Killian; nell’istante in cui aveva sentito levarsi la voce chiara e argentina di Ashley aveva creduto di star sognando – e non era stata certo l’unica a rimanerne di stucco. Gli altri avevano guardato esterrefatti la biondina ed Emma, che le sedeva accanto, doveva averle pestato un piede, perché la giovane aveva soffocato un verso di dolore prima di tornare a cincischiare col porridge della colazione.
- Pensa a mangiare, piuttosto, – l’aveva rimproverata l’adolescente in tono perfettamente udibile.
- Ho mal di stomaco. E comunque, ti ricordo che ancora non ci ha potuto raccontare nulla. E io di Tamara non mi fido.
Aveva sollevato lo sguardo dalla ciotola e sorriso a Belle con una complicità – e anche una certa dose di incomprensibile riverenza –che l’avevano lasciata interdetta e le avevano gonfiato il cuore di gioia al contempo. Quando l’aveva ringraziata, la giovane aveva ribadito lo stesso concetto senza aggiungere altro, sfuggendo anzi a ulteriori domande;ma doveva aver proseguito la campagna in suo favore, perché quella mattina il suo saluto era stato seguito da un minuscolo – ma pur presente – coro di “Salve” che l’avevano condotta sull’orlo delle lacrime.
Le dispiaceva aver, seppure inconsapevolmente, infastidito colei che la stava lentamente facendo riaccogliere tra la servitù.
- Perdonami, ero sovrappensiero. Vuoi stenderti un po’?
Ashley scosse il capo mentre, poco distante, un’imbronciatissima Emma mugugnava:– Sovrappensiero… So io a chi pensavi, so io.
- Emma, per favore, – la richiamò Belle – Ci siamo fraintese, e può capitare, ma ora basta. Dobbiamo affrontare la cosa. Sono stanca di queste scenette insensate, parliamone da persone adulte.
- Come vedi, al momento sono impegnata. Sai, se non lavoro io verrò licenziata.
- Anch’io verrò licenziata se non lavoro. Non tollero simili insinuazioni, e lo sai bene.
- Smettetela, per l’amore del Cielo! – guaì Ashley – Non sto bene, potreste non scuoiarvi quando ci sono io? Sapete resistere dieci minuti senza litigare?
Le due non proseguirono oltre. Emma lanciò un’ultima occhiata in cagnesco alla contendente, che la ignorò stoicamente.
- Hai ragione, scusaci. Ti preparo qualcosa?
La risposta fu bloccata sul nascere dall’ingresso di Mary Margaret, che si diresse a scaldare l’acqua.
- Ragazze, tè per due subito. Ashley, lo porti su tu?
- Ashley sta male, mamma, – intervenne Emma – Me ne occupo io.
- Tu più stai lontana da Gold meglio è, non voglio essere licenziata. Va’ a cercare Aurora, sarà lei a servire.
- Veramente ci sarei io,– s’intromise Belle, colpita dall’essere stata tanto ostinatamente ignorata –Qui ho quasi finito, per cui…
- Tu no! – la donna latrò quasi istericamente, salvo poi addolcirsi subito – Non preoccuparti, continua con calma, troverò qualcun’altra. Ashley, tesoro, tu non ce la fai proprio?
La ragazza si alzò, sostenendosi al tavolo con entrambe le braccia; ma appena si mise in piedi crollò come senza forze. Sarebbe caduta se le amiche non l’avessero prontamente afferrata, mentre alla governante sfuggiva un urlo terrorizzato.
- Dio, Ashley, che ti succede? – sibilò la più giovane, mentre l’altra già riprendeva i sensi.
- Un mancamento, solo un mancamento, – biascicò appena, dando piuttosto l’impressione di star ancora peggio e di dover scoppiare in lacrime da un momento all’altro. La Nolan, corsa da lei, alternava mormorii preoccupati a sommessi: – Mi ammazza. Sicuro come la morte, oggi Gold mi ammazza.
In un simile contesto, a Belle poche osservazioni sarebbero parse meno consone di quelle che la donna continuava a ripetere.
- Basta, Mary,– sbottò a un tratto – Reggi Ashley, servirò io il tè. Tutto ciò non ha senso, non capisco perché cercare Aurora quando ci sono io che…
- Belle, no, non vuole che tu serva…
Quella dichiarazione appena bisbigliata la bloccò.
Proprio come lei non sapeva mentire, Mary Margaret non era brava a mantenere segreti. Non lo faceva per malizia o dabbenaggine, no: semplicemente, per il suo cuore sincero era inconcepibile occultare informazioni, essere evasivi o nascondere il cuore dei fatti, specie quando erano coinvolte le emozioni di altre persone. Se fino ad allora ciò aveva alle volte indotto Belle a esitare prima di confidarle qualcosa, all’improvviso si scoprì grata a quel tratto della personalità della donna; perché le poche parole squarciarono il velo della sua mente, più rapide e dolorose di una stilettata.
- Mary, chi è l’ospite? – domandò, il petto improvvisamente in tumulto.
- Un conoscente del padrone, nessuno di cui preoccuparsi…
- Mary, non dirmi bugie, non ne sei capace. Chi è l’ospite?
L’occhiata che le fu rivolta mutò il dubbio in abbagliante, gelida certezza.
Il nome che seguì non aggiunse nulla a quanto già sapesse.
Sorda agli scongiuri della donna, si alzò, afferrò il vassoio e uscì dalla stanza.
 
 
“And no one thinks
they are to blame.”


L’aveva accolta con un distacco di cui non si credeva più capace. Fingere cordialità non avrebbe avuto senso: Cora Mills non gli offriva più nulla di utile – né lui a lei – e aveva tutta l’intenzione di farla sentire come lei aveva fatto sentire Belle: a disagio, sperduta, indifesa. La Contessa non si lasciava intimidire facilmente, certo; e lui sperava solo che, qualunque fossero i suoi fini, non avesse deciso di usare l’unica carta capace di smuoverlo. La donna aveva la sgradevole abitudine di ricordare di avere una figlia solo quando le tornava utile: Gold pregò perché anche quella volta ignorasse la bambina e quanto male avrebbe potuto infliggere a entrambi impedendo loro di vedersi.
- Milady, – esordì vietandosi di sbattere la bussola alle sue spalle e avvicinandosi a grandi passi alla donna, che rispose con un grazioso cenno del capo.
- Non ci vediamo da molto, Robert.
- Una vostra impressione. Sono trascorse appena poche settimane dal nostro ultimo incontro… Splendide settimane che ho trascorso al riparo da influenze negative.
- Se ben ricordo, una volta trovavi il concetto di negatività estremamente relativo.
- E proprio perché è relativo bisogna distinguere casi e casi. La situazione cui mi riferisco era deprecabile sotto ogni punto di vista. Lo sospettavo da tempo, ma solo recentemente ne ho ricevuto conferma.
- Suvvia, Robert! – la donna sbatté le palpebre stupita – Non c’è bisogno di chiamarmi per titolo! Pensavo fossimo ottimi amici.
Non lo siamo mai stati, l’uomo commentò tra sé e sé. Siamo stati di più, ma mai amici.
E non lo diventeremo certo ora.
- A volte occorre saper riservare certe confidenze al passato. In ogni caso, Milady, qual è il motivo della vostra visita?
-Ah, Robert, – continuò quasi addolorata. Gold digrignò i denti sentendole pronunciare il nome come se non avesse udito le ultime frasi rivoltele – Non ho più il diritto di venirti a trovare e scambiare qualche chiacchiera con te? Non ho più il diritto di mettere piede in questa bella casa in cui regna l’amore?
Si concentrò sul proprio respiro per non esplodere. Uno scatto, una reazione sarebbe equivalsa a una confessione; l’ultima cosa che avrebbe fatto dinanzi a quel cerbero in raso di seta.
- Amore? – sollevò critico un sopracciglio – Temo di dover smentire, Milady. Al contrario di chi può permettersi di complottare giorno e notte, gli affari e gli accordi assorbono tutte le mie energie; non ho il tempo, né la disposizione d’animo per dedicarmi a simili sciocchezze. Avete senza dubbio frainteso dei pettegolezzi ingannevoli... E poi, – s’arrischiò – A chi dovrei donare il mio amore? Alla governante?
- Se rispecchia i tuoi canoni… Sebbene fossi certa prediligessi le brunette dagli occhi chiari, tanto forte è stato l’impeto con cui ne hai difesa una qualche tempo fa.
Ecco.
Lo sapeva che sarebbe finita così. Erano trascorsi pochissimi minuti e già il convitato di pietra era apparso, materializzato dalle parole tanto perbeniste quanto taglienti di Cora; e con lui, l’obiettivo ultimo della visita.
Controllare la situazione, osservarla e perseverare nel proprio odio; ancora una volta umiliarla, farla strisciare nella polvere fino ad annullarla.
Ma non avrebbe ottenuto nulla. Né quella volta, né mai più.
Non si sarebbe lasciato ingannare, per quanto la rabbia già iniziasse ad annebbiargli la vista; si sarebbe mantenuto pacato, dedicandosi solo a commenti spassionati e avrebbe avuto la situazione sotto controllo sino alla fine.
E quando si ha il controllo di qualcosa, non bisogna più averne paura.
- Milady, – la sfidò – Vi capita mai di riflettere sull’eventualità che si possano provare dei sentimenti? E non mi riferisco al vostro tanto spesso citato amore – Dio mio, se non vi conoscessi penserei foste una vera romantica, tanto spesso lo nominate! – quanto a una più generica riconoscenza nei confronti del lavoro di qualcuno, di un servitore che ha sempre svolto egregiamente il proprio dovere e che potrebbe ritrovarsi ferito da continue e immotivate offese. Vi capita mai di riflettere sull’eventualità che si possa difendere il prossimo senza aspettarsi nulla in cambio?
No, rispose da solo. Cora non faceva mai niente per niente. Non ricordava averla mai vista muovere un passo senza aver minuziosamente valutato i pro e i contro; persino nei suoi sorrisi le labbra si stiravano per tornaconto o scherno, mai per sincera gioia.
Esattamente come aveva fatto lui fino ad allora.
- Lo so, – replicò lei con dolcezza velenosa – Conosco un paio di persone che corrispondono alla descrizione. E ne compatisco la cecità.
In quel momento qualcuno bussò ed entrò senza attendere risposta.
Gold si voltò appena, certo di incontrare gli occhi pavidi di qualche sguattera; rimase fulminato dalla visione che ebbe dinanzi a sé
No, no, no.
Tra stuoli di cameriere, non lei.
Tutte, ma non lei.
Non ricevette risposta: la figuretta che avanzava decisa era, senza ombra di dubbio, la sua Belle.
Ritta come un fuso, sfilò lungo il salottino, reggendo saldamente tra le mani il pesante vassoio; a ogni passo, la luce batteva sui suoi capelli ramati, illuminandoli di riflessi di fiamma che piovevano sul volto e parevano incorniciarlo con un’aureola di fuoco.
In quell’istante gli parve più bella che mai, una creatura celestiale; ma non nel senso trascendentale del termine, quanto più un angelo guerriero entrato nella sua esistenza per scacciare le tenebre con l’incrollabile determinazione che scintillava nelle sue iridi d’acqua.
- Belle! – appena la vide, Cora batté le mani deliziata – Che bella coincidenza aver incontrato anche te! Ma dimmi, come stai? Mi sembri un po’pallida…
Avanzando verso i presenti, la giovane scoccò una rapidissima occhiata a Gold: comodamente seduto in poltrona, l’uomo ricambiò senza scomporsi, degnandola della medesima considerazione che avrebbe riservato a una delle sedie.
È normale, si disse. Non può certo saltare in piedi e salutarmi, la Mills non aspetta altro.
Deve fingere che io non sia nessuno.
Dobbiamo fingere.
Eppure, quel trattamento non riuscì a non colpirla nel profondo, mentre i convenevoli della nobildonna la raggiungevano col loro carico di buone maniere e ipocrisia.
- Buon pomeriggio, Milady, – si chinò per poggiare il vassoio sul tavolino – Vi ringrazio per la vostra sollecitudine, ma sto benissimo.
- Lady Mills stava andando via. Puoi riportare il tè in cucina, non lo prenderà, – la voce dell’uomo parve risalire dagli Inferi, tanto suonò cupa e funerea.
- Oh, no, mio caro, – il fatto che stesse usando il vezzeggiativo solo in presenza di Belle non passò inosservato all’uomo, sebbene paresse impassibile. Dal canto suo, la domestica strinse il manico della teiera con tanta forza da temere per un istante di essersi ferita – Non fare la vittima solo perché non vuoi ascoltar i consigli di chi è più saggio! Sono qui da così poco, non sono ancora arrivata al dunque. E poi, la tua Belle è qui con tutto questo bendi Dio: vorresti render vana tutta la sua fatica? No di certo! – annuì alle sue stesse parole prima di rivolgersi alla giovane – Sicura di non lavorare troppo? Conosco questo mascalzone, so bene che è molto esigente… Sotto tutti i punti di vista.
A nessuno dei presenti sfuggì il lampo beffardo che illuminò quegli occhi di granito. Le labbra di Gold si contrassero in una linea invisibile; Belle versò il tè nella tazza della Contessa descrivendo un arco perfetto – in un altro contesto si sarebbe stupita della sua inconsueta precisione – prima di appuntarle lo sguardo addosso.
- Mr. Gold ci fa lavorare quanto opportuno. E ciò vale per tutti i suoi dipendenti.
- Ben detto, piccina. L’equità prima di tutto… Purché non induca a ritenersi pari ai padroni. Ciascuno deve essere memore della propria posizione, senza arrogarsi diritti che non gli competono.
- Ma spesso tra chi si ritiene superiore e inferiore la sola differenza è la stoffa in cui è cucito il vestito che indossano.
Una smorfia compiaciuta comparve sul volto di Gold, tanto fugace che Belle credette di averla immaginata.
- Però, – riconobbe Cora, un sorriso da sfinge a curvarle la bocca – Vedo che hai ritrovato coraggio. L’ultima volta che ti ho vista eri molto più tremante… Sono sicura tu sia stata consolata a dovere.
- Ho saputo consolarmi.
- Un’autentica ragazza moderna.
- Una ragazza con un po’ di dignità. Un concetto cui non tutti possono accedere.
Stava conducendo bene il duello, ragionò Gold. Pronunciava le battute con naturalezza, perché vere; ma ciò non era sufficiente perché raggiungessero Cora. Sì, Belle si era rialzata da sola, e questo l’aveva resa forte a tal punto da riuscire ad affrontare la situazione in cui si era ritrovata senza preavviso; ma questo non occultava la realtà che scorreva sottopelle, che Cora aveva intuito prima ancora che si concretizzasse e da cui nulla l’avrebbe più smossa.
La menzogna era un’arte che richiedeva tempo per essere fatta propria, talento per incantare con sguardi enigmatici e sensuali, che lasciano intendere senza dire, che convincono senza sforzo; lui allo sguardo di Belle restava incatenato, ma per motivi del tutto diversi da quelli che l’avevano legato a Cora per tanti anni.
Belle non sapeva mentire; né lui avrebbe mai voluto che imparasse a farlo a causa sua. Non intendeva farla diventare un guscio di carne e cortesia, una maschera tanto ornamentale quanto vuota; non voleva che il suo sorriso diventasse affilato quanto la lama di un rasoio, che il suo calore e la sua spontaneità svanissero, lasciando il posto alla distanza e alla freddezza di una statua di ghiaccio, no.
Lui amava Belle, voleva che restasse se stessa: l’amava col miscuglio di bosco e fuoco dei suoi capelli, con la sua risata incontaminata e le sue smorfie buffe, con la purezza del suo animo e col modo in cui teneva gli occhi chiusi anche dopo averlo baciato – come restando sospesa, come se volesse trattenere ancora quel bacio, l’amore che era entrato nelle loro esistenze rivoluzionandole, lui.
Certe battaglie si combattono in due.
Ed era il momento di riprender il gioco da dove lo aveva lasciato.
Si schiarì deciso la voce, attirando su di sé l’attenzione di entrambe.
- In tutto ciò, Milady, – prese con delicatezza la tazza sbeccata che aveva davanti e mescolò distrattamente il suo tè – Non mi è ancora ben chiaro il motivo della vostra visita. Se aveste voluto conversare coi miei domestici, vi avrei certo indirizzata alle cucine.
- Sono qui per chiederti un favore, Robert. Trascorrerò una settimana nella tenuta di campagna di lady Spencer, ma l’invito non è stato esteso a Regina – Almina crede si annoierebbe con noi, anche se a quasi undici anni dovrebbe ormai iniziare a occuparsi di attività muliebri… Sfortunatamente il periodo coincide con dei giorni di permesso che ho da tempo accordato all’istitutrice, perciò mia figlia si ritroverebbe sola a Belgravia. Potrebbe venire qui? Mi sarebbe di gran conforto sapere la ragazzina in una casa fidata, anziché in balia di servi i cui fini sono sempre dubbi…
- Ed era necessario mettere in piedi una simile pantomima per una richiesta tanto semplice? – tuonò Gold, pur stupito dal modo in cui si stava risolvendo l’incontro. Doveva esserci dell’altro, ne era certo; il punto stava nell’individuarlo, tra la frotta di possibilità e pensieri – tutti diversi, tutti discordanti, tutti ugualmente temibili – che lottavano per imporsi – Sai bene che Regina sarà sempre la benvenuta qui.
- Non credo di aver fatto un gran chiasso, – ribatté lei appena inacidita –Mi sono semplicemente premurata di avvisarti e ho colto l’occasione per una visita di cortesia. È così che si comportano le persone civili, quelle che non scappano dalle feste per salvare presunte donzelle in difficoltà dalle quali dovrebbero piuttosto essere salvati…– ammiccò a Belle, che gelò, pur avendo una replica pronta a essere pronunciata – Non temere: toglierò subito il disturbo, se qui non sono gradita. E inoltre, – suggerì lanciando un’ultima occhiata di pietra al tavolino – Le tue solerti domestiche non se ne saranno forse accorte, ma la tazza è sbeccata. Compratene una nuova, mio caro, – concluse sprezzante prima di uscire dalla stanza, seguita dalla cameriera.
 
 
 
Belle accompagnò l’ospite alla porta. Sebbene la gentildonna le camminasse davanti, la sensazione di avere puntati addosso i suoi gelidi occhi oscuri non l’abbandonava, causandole disagio e, al tempo stesso, quel desiderio di rivalsa che ormai associava puntualmente a lei.
Il breve percorso dal salottino all’ingresso le parve uno dei più lunghi mai affrontati; aprì l’uscio e deglutì appena, preparandosi alla schermaglia finale.
Le sue previsioni furono sorprendentemente smentite: prima di andarsene, Cora le rivolse un sorriso smagliante che la lasciò non poco attonita e la salutò con un garbo privo di malizia – o almeno, in cui lei non seppe individuare alcun secondo fine. Aiutata da un lacchè, la nobildonna montò con eleganza sulla carrozza e scomparve nella densa nebbia opaca che già scendeva sulle strade, ammantandole di un fosco velo cinereo.
Belle rientrò in casa scrollando il capo. Per quanto si impegnasse, non riusciva a capire Cora: sì, il suo obiettivo era chiaramente quello di farla passare per un’arrampicatrice sociale e riprendersi l’amante sottrattole, ma perché non riusciva a rassegnarsi alla perdita? Robert non era una spilla o un fermaglio da contendersi, ma un uomo, e in quanto tale possedeva una volontà e una capacità di raziocinio che gli permettevano di compiere delle scelte, che lo avevano indotto a preferire l’una all’altra.
Accanirsi non avrebbe dato risultati, anzi: avrebbe dimostrato – stava dimostrando – un sorprendente infantilismo, in spregio a tutti i complotti orditi.
Tornò nel salottino meditabonda: Robert era ancora seduto in poltrona, il volto fisso davanti a sé, lo sguardo perso nel vuoto. Sospirò stanco, come se quell’incontro gli fosse pesato quanto anni e anni d’esilio; e Belle non poté nulla dinanzi alla fragilità che la vista le trasmise e che le spezzò il cuore.
- Siediti, – la invitò appena si accorse della sua presenza. Belle fece per obbedire, ma quando gli passò accanto l’uomo l’afferrò per un polso, costringendola a fermarsi.
- Robert?
- Scusa.
Aveva chinato il capo, e i capelli gli nascondevano il viso; ma dal tono della voce, dal modo in cui la sua mano si era aggrappata alle gonne torcendole con disperazione, la giovane poteva indovinare la sua espressione, quell’insieme di rabbia, pentimento e amarezza che già conosceva e che ogni volta le toccavano l’anima.
- Non doveva succedere, – mormorò roco, gli occhi stanchi, ma guardinghi – Non volevo incontrassi ancora quella strega, aveva dato ordini perché fosse un’altra a servire. Non tu. Mai più.
- Prima o poi sarebbe successo, –Belle replicò dolcemente, poggiandosi sul bracciolo della poltrona senza interrompere il contatto – Non sapevamo quando, non sapevamo come, ma sapevamo sarebbe successo.
- Ma non ora – ringhiò – Non ora che sei più fragile, dopo quel che è successo tra noi.
Gli scostò piano i capelli dal volto, scoprendone i lineamenti scavati e malinconici e costringendolo a guardarla negli occhi.
- L’altra notte eravamo in due. E, lo ripeto, entrambi volevamo quel che è accaduto. Non sono debole come potrebbe sembrare, – gli ricordò carezzandolo – Sto bene. Credimi quando te lo dico.
- Sto bene, – ripeté amaro – O ti sembra di star bene. Lei,– non c’era bisogno di nominarla:era come se la Contessa fosse ancora presente, come se la sua figura ancora aleggiasse nell’aria col suo profumo esotico e pregiato – Non ti ha dato tregua, anche prima che arrivassi ogni battuta era riferita a te. Ti odia, Belle, ti odia.
- Lo immaginavo, – replicò con una smorfia – È innamorata di te.
L’uomo spalancò gli occhi di riflesso e proruppe in una risata non priva di una certa, amara allegria.
- Cora non è innamorata di altri se non di se stessa.
- Edi Robert Gold – confermò seria – Solo che ancora non lo sa.
- Dopo vent’anni una donna intelligente come lei non l’avrebbe ancora capito?
- L’ha capito. L’ha capito subito. Ma non lo ammette neanche a se stessa.
L’affermazione fu seguita da un lungo silenzio. Gold giocherellava con le dita di Belle, che non distoglieva lo sguardo da lui.
Dopo quelle che parvero ore, l’industriale riprese la parola.
- Ma io non sono innamorato di lei. Io amo te. Non lei.
Il cuore le impazzì in petto. Riaprì bocca, ma non riuscì a emettere alcun suono, la gola secca come quando l’aveva baciato per la prima volta e la vista che già iniziava a confondersi.
Controllati, stupida che non sei altra, si rimproverò cercando di respirare. Non c’era motivo di reagire in quel modo, non era la prima volta che Robert rivelava i suoi sentimenti; ma quella volta era tutto diverso. Quelle tre parole l’avevano raggiunta e colpita con un’intensità tale da farla vacillare; mentre inseguiva i palpiti quasi dolorosi del cuore, le tornò alla mente la loro storia, il modo in cui era nata e in cui si era evoluta, l’istante in cui aveva capito di provare qualcosa per quell’uomo dai mille segreti e dagli occhi affamati di un lupo, la timidezza con cui l’aveva baciata a Natale e la dolcezza con cui le aveva sfiorato a lungo la curva della guancia col pollice dopo aver fatto l’amore, e si chiese se mai, mai avesse davvero immaginato, anche solo sognato tutto quel che sarebbe successo.
No, non lo aveva mai fatto; ma ora non era fantasia – non lo era mi stata: era la sua, la loro realtà, tanto bella da apparire irreale persino a che si trovava a viverla giorno dopo giorno.
Ma questo non è incanto, non svanirà all’alba, si giurò gettandogli le braccia al collo, ricevendo una stretta altrettanto forte in risposta. Si amavano; e questo li avrebbe resi più forti delle intemperie si sarebbero presentate al loro orizzonte.
- Ti amo, – Gold ripeté asciugandole le lacrime che facevano capolino.
La sua bocca sapeva di mare e benedizione, e lui l’avrebbe baciata fino a spaccarsi le labbra.
Lei era maree benedizione, tormento e pace custoditi in due occhi dalla limpidezza inaudita.
Gli occhi che custodivano il suo passato, che affrontavano il suo presente, che l’avrebbero accompagnato nel suo futuro.
 
Si amavano, e questo li avrebbe salvati
 
 
 
Why can't we see
that when we bleed

we bleed the same?
“Map of the problematique” - Muse
 
 
 
 
 
 
N. d. A. : Salve! :)
Come recentemente segnalato sulla mia pagina Facebook – Euridice’s World, siete benvenut* – pubblico di venerdì perché trascorrerò l’intera giornata di domani fuori casa; e sinceramente preferisco anticipare, piuttosto che ritardare, l’aggiornamento… :D
Cooomunque, come procede quest’inizio di settembre, Dearies? Per chi ha esami, test d’ammissione o ricomincerà presto la scuola, non va bene, lo so; ma ci tocca, perciò mettiamoci sotto! Che ve ne pare del nuovo capitolo? Opinioni, pareri, IC/OOC, critiche? Come sempre, esprimetevi senza timore, sapete che non sono cannibale! ^_^
Gli Spencer sono davvero una nobile famiglia britannica, mentre “Almina” è semplicemente un nome d’epoca – ignoro se sia mai esistita una lady Almina Spencer! Per il cognome di Tamara mi sono ispirata a quello dell’attrice che l’ha interpretata – Sonequa Martin-Green.
Ringrazio quant* hanno recensito “The truth beneath the rose”: i vostri commenti mi hanno emozionata e rincuorata tantissimo, vi adoro! Grazie a chi ha aggiunto la long alle varie categorie, a chi l’ha letta e a chi ha fatto lo stesso con “A few words - to describe a life”: siete stati in tantissim* a raccogliere la sfida, non immaginavo un simile successo! :D
Tutt* voi siete la mia forza e non smetterò mai di ripetervelo. ♥
A sabato 20 settembre salvo imprevisti, con un capitolo che – preparatevi – non sarà breve – “sai che novità!” commenterete giustamente. XD.
Bacioni! ♥ ♥ ♥
Euridice100

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Capitolo 20
*** XIX - Magic ***


 
 
 

XIX - Magic
 
 
 
Call it magic, call it true,
I call it magic, when I’m with you,
and I just got broken, broken into two,
still I call it magic, when I’m next to you
.
 
 
 
Se gli fosse apparso il genio della lampada, Robert Gold non avrebbe avuto granché da chiedergli.
Ciò che subito gli tornava in mente era destinato a non trovare realizzazione; perché nessuno, neanche il dio in cui non credeva più, avrebbe potuto riportare quel figlio strappatogli troppo precocemente.
C’era però un secondo desiderio che fino a poco prima non avrebbe nemmeno avuto l’ardire di pensare, un desiderio tanto profondo quanto intenso: trascorrere il resto della vita accanto a Belle.
Ciò che sarebbe dovuta rimanere la debolezza di una notte si stava rivelando un peccato dolce e accogliente come il corpo della ragazza che aveva accanto.
Il giorno in cui Cora gli aveva fatto visita, frantumando la quiete che a fatica stavano cercando di costruire, Gold avrebbe trovato più semplice strapparsi il cuore dal petto che separarsi da Belle, certo che nell’istante stesso in cui l’avesse lasciata lei sarebbe svanita per sempre e tornata al suo incanto di sogno. Aveva saltato la cena ed era salito nella sua stanzetta, attendendola trepidante; e quando aveva incontrato i suoi occhi chiari – stupiti, emozionati, innamorati – aveva detto addio a ogni residua resistenza.
L’aveva baciata con una furia a stento trattenuta, lasciando correre le dita sul suo corpo, assaggiandone la pelle di luna e miele e cogliendone i sospiri mentre l’amava col corpo e con l’anima; si erano guardati senza dir una parola, consapevoli che ogni frase sarebbe suonata inadatta, sbagliata o, più semplicemente, inutile, e che avrebbe sporcato quel silenzio più denso di mille discorsi. Erano rimasti stretti ad ascoltare la pioggia che batteva senza requie sul tetto e sulla finestrella; e quando Belle si era addormentata, Gold aveva ripensato a quanto successo poche ore prima, alla verità lasciata finalmente scorrere, lasciata illuminare ogni cosa con la sua forza.
In una parola, lasciata vivere.
Vita, com’era stato vivo lo sguardo di Belle dinanzi a quella frase così semplice eppure così importante. Gliel’avrebbe ripetuta ogni istante, sussurrata all’orecchio fino a inebriarla: l’amava, e questo era tutto ciò che sapeva. Non l’aveva sempre amata, non sapeva quanto sarebbe durata tra loro – ma lui si sarebbe impegnato per essere degno di lei, in quel momento e sempre, questo era certo; esisteva solo il presente, quel presente magico in cui affondava le dita nei fianchi di Belle e annegava in lei, quel presente in cui il resto sfumava e si trasfigurava in gesti che nulla avrebbe potuto eguagliare; quel presente in cui era lei centro e ragione di tutto.
Quante volte, durante la giornata, si scopriva distratto dalle sue abituali occupazioni, intento a ripensare alle carni di rosa e di alabastro di Belle, all’oasi nel deserto che era il suo sorriso, al modo in cui si accoccolava al suo fianco, lenendo ogni dolore con la sua piccola, immensa presenza? A volte era proprio lei a sorprenderlo in quello stato e a ricondurlo coi piedi per terra, con la sua voce al cui richiamo a cui non sapeva resistere. Lo prendeva in giro e lui replicava con una battuta sarcastica, intraprendendo una battaglia che era destinato a perdere.
Una notte, in quel letto troppo piccolo che li costringeva a una benedetta vicinanza forzata, si era lamentato per il freddo; lei lo aveva guardato altezzosa e aveva commentato: – Ah, est-ce que vous avez froid? Vous êtes très gâté, Mr Gold, vraiment très gâté.1
Aveva pronunciato il suo cognome calcando esageratamente la pronuncia francese fino a elidere la “d” finale, ma a lui mai prima d’allora un’assenza era sembrata tanto presenza, tanto densa di significato. Ogni replica era stata frenata da un bacio, cui era seguito un altro, e un altro ancora, fino quando anche l’eco dell’ultima risata aveva lasciato il posto a corpi che si cercavano, che volevano essere uno e non più due.
La sua piccola, adorata Sweetheart, che dopo l’insicurezza della prima notte aveva scoperto il suo potere e non ne aveva paura: sfrontata e tenera a un tempo, giocava con maliziosa innocenza, conscia di come il suo sangue rispondesse a quello sguardo quando inarcava la schiena e gli sorrideva piano, guidandolo e facendosi guidare alla scoperta di misteri che aveva appena imparato a conoscere; gli puntava addosso le sue iridi di fiordaliso e lui vi si perdeva dentro, leggendovi le mille promesse che erano la sua nuova realtà e desiderando solo di non tornare indietro più.
Mai più.
E poi c’erano i capelli di Belle.
Esercitavano su di lui una strana fascinazione, un’attrazione tanto sottile quanto intensa: rimaneva incantato mentre lei disfaceva la crocchia in cui li costringeva durante il giorno, ed erano infinite le volte in cui giocava col rame e l’oro della sua chioma, dispiegandoli piano come se stesse filando.
Ma mai nella vita aveva filato qualcosa di più tanto prezioso, di tanto straordinario.
Lei si era accorta della piccola mania e una mattina, dopo che se n’era andato, aveva realizzato una minuscola trecciolina che aveva tagliato appena prima di presentarsi in studio. Gli aveva porto il dono rispondendo alla sua occhiata interrogativa con un sorriso sulle labbra; sorriso che era svanito appena aveva scorto il brusco cambiamento della sua espressione. Gold era come impietrito: aveva aperto bocca per parlare senza però dire una parola, lo sguardo fisso sul palmo destro di Belle, e solo in quel momento la giovane aveva compreso l’ondata di ricordi che il suo gesto aveva scatenato e che lo stava trascinando giù in un abisso senza fine proprio davanti a lei. Si era maledetta per aver agito d’impulso e aveva ritratto la mano, nascondendola dietro la schiena mentre mormorava esili scuse; e proprio allora l’uomo aveva rialzato il capo.
- Perché dici questo? – il sorriso che gli aveva arricciato le labbra era il più mesto che Belle avesse mai visto – È un pegno da innamorati. Lo accetto, e voglio ricambiarlo.2
Le aveva chiesto di far lo stesso con una sua ciocca, e mentre lei era all’opera aveva commentato che non adeguarsi alla moda si era rivelato utile: coi capelli corti non avrebbe certo potuto ricavare un granché…
- Dovrei farmi vedere in giro con quest’acconciatura. Magari detterei una nuova moda, sei d’accordo, Sweetheart?
Una magra battuta, pronunciata solo per farle tornare l’allegria: Belle lo aveva capito subito, e per questo aveva premiato i suoi sforzi rispondendo a tono, solo per sentire quell’accenno di risata dolce e aspro che aveva imparato ad amare.
Una risata dolce e aspra come la sua vita.
L’aveva mandata via poco dopo, con la scusa di andare ad aiutare in cucina; non era stato difficile intuire che non corrispondesse a verità, ma la cameriera non aveva protestato, consapevole di come certi dolori non potessero essere condivisi, ma solo vissuti.
Aveva trascorso lunghi minuti in silenzio, a ripensare a Neal, a Belle e alla piega che aveva preso la sua vita. A un certo punto aveva aperto un cassetto e preso in mano la scatoletta scura, soppesandola meditabondo; quando l’aveva aperta, non aveva nascosto un sorriso.
Quello che aveva intenzione di compiere era un gesto che fino a qualche tempo prima non avrebbe creduto di poter compiere, e che lui per primo definiva, nella migliore delle ipotesi, avventato. Era presto, decisamente troppo presto, non poteva negarlo; ma per quanto la parte più razionale della mente lo redarguisse, non sarebbe tornato sui suoi passi. Aveva paura, era ovvio, l’aveva avuta sin dal momento in cui aveva la passione aveva lasciato il posto alla ragione; ciononostante, quel passo gli pareva l’unica via percorribile – l’unica che avrebbe voluto percorrere, in una delle rare occasioni in cui dovere e volere combaciavano. Tutta Londra avrebbe pensato che Robert Gold fosse ammattito: come spiegare diversamente la sua decisione improvvisa di impalmare di tutta fretta una donna spuntata dal nulla? E certamente Belle sarebbe stata bersagliata di commenti assai poco benigni, commenti cui Cora avrebbe dato manforte diffondendo sussurri ostili in lungo e in largo per mezzo Impero.
Ma – più ci pensava, più ne era convinto – la censura della società si sarebbe fermata alle parole. Avevano accettato lui, prima ancora avevano accettato persino la Mills, non avrebbero potuto escludere una donna che aveva ricevuto un’educazione da principessa e che per un triste fato si era ritrovata povera in canna! E in ogni caso, tra accordi e prestiti lui teneva in pugno mezza aristocrazia, ancora fossilizzata sull’opinione secondo cui lavorare fosse un’attività riprovevole per chiunque avesse sangue blu nelle vene; e tra i borghesi più in vista, era lui a primeggiare. Che provassero a passare dalle voci ai fatti, e avrebbero dovuto vedersela con lui in persona…
(Questo, tuttavia, sarebbe stato meglio non dirlo a Belle, per non ritrovarsi divorziati prima ancora di sposarsi. Sempre se avesse accettato, ovvio.)
Avrebbe voluto che quella proposta si svolgesse in modo diverso. Che ne fossero testimoni l’immensità di cieli stellati, cascate dei fiori e tutte quelle romanticherie che segretamente le piacevano, e che lui avrebbe pure voluto accontentare; ma organizzare un viaggio avrebbe richiesto ulteriore tempo. Intendeva regolarizzare la situazione quanto prima: non voleva che Belle fosse la sua concubina, nascondere il loro amore dietro l’intimità di una porta chiusa o mantenerlo tacito, come fosse una vergogna; era intenzionato a uscire allo scoperto, a far conoscere al mondo intero la stella polare della sua esistenza. Non l’avrebbe esibita come un trofeo, non l’avrebbe lasciata in pasto agli avvoltoi i cui unici linguaggi erano il denaro e la boria di un’ascendenza, no: le sarebbe rimasto accanto, silenzioso, ma presente, e l’avrebbe vista avventurarsi in quel mondo tanto seducente quanto infido e dare il meglio di sé – ancora una volta, come sempre. Le avrebbe fatto conoscere romanzieri e artisti, l’avrebbe sentita confrontarsi con statisti e filosofi; avrebbe dovuto trascinarla via per impedire che prendesse a male parole qualche contestatore del suffragio femminile, e avrebbe sospirato vedendola tornare indietro per riprendere la lite col colpevole di cotanta arretratezza.
E l’avrebbe amata, amata in ogni istante; avrebbe venerato lei e i bambini che magari avrebbero avuto, magari con gli occhi e le fossette della madre, bambini che tanto avrebbe desiderato e al cui fianco sarebbe rimasto fino all’ultimo respiro, senza ripetere gli errori del passato, senza sbagliare, dando loro la parte migliore di sé, sempre.
Era quello ciò che avrebbe voluto dirle la notte che aveva preso per mano una stupitissima Belle e l’aveva guidata là dove tutto era iniziato. Nello studio si gelava, ma l’aveva fermata quando aveva proposto di accendere il camino: una probabile promessa sposa non doveva dedicarsi a certe mansioni, non allora, non lì.
L’aveva studiato perplessa, domandandogli cosa stesse succedendo; gliel’aveva chiesto senza esitazioni, con quello sguardo che lo inebriava come vino e che lasciava in piedi solo l’idea di baciarla fino all’indomani mattina; ma aveva una cosa più importante cui pensare, in quel momento – anche se dubitava esistesse qualcosa di più importante dei baci di Belle.
Aveva aperto la bocca per poi richiuderla subito più volte, sentendosi sempre più idiota. I suoi concorrenti sarebbero rimasti deliziati dalla vista di un Robert Gold in palese, terribile imbarazzo, desideroso che la terra si aprisse e lo inghiottisse, o che qualcuno entrasse e li interrompesse salvandolo dal mare di vergogna in cui si stava dibattendo.
Il contenuto del taschino pareva palpitare di vita propria.
Ancora una volta, era stata un’ancora di salvezza dallo sguardo azzurro a salvarlo.
- È successo qualcosa? – aveva chiesto pacata.
È successo che ti amo, e fino a cinque minuti fa avrei voluto chiederti la mano, e ora all’improvviso non sono più sicuro di nulla.
- A me puoi dire tutto, lo sai, – aveva continuato Belle, non un cenno d’esitazione nelle sue parole – Non hai nulla da temere. Qualunque cosa sia successa – perché è successo qualcosa, non negarlo – parliamone. I problemi si risolvono solo affrontandoli.
Lo so. Me lo stai insegnando tu.
- Non capirò mai perché continui a rimanere al mio fianco, – commentò semplicemente l’uomo, consapevole della verità contenuta nella sua ammissione.
- Ti amo. È questa la spiegazione.
- Quello che mi dai è più di quanto io potrò mai dare a te, ma ci proverò. Questa è fiducia, vuol dire che tu hai fiducia in me con tutto il cuore…
- Ed è così, – aveva assentito, senza rompere il contatto visivo.
- … Ed è per questo che io ti affido il mio, di cuore. Da oggi e per l’eternità, io sarò tuo…
Belle aveva spalancato gli occhi di colpo, trattenendo il fiato per un istante, come se un’idea si fosse insinuata nella sua mente e lei fosse troppo realista per crederci davvero.
- Aspetta… Cosa vuoi dire? – l’aveva sentita mormorare piano, appena un tremito nella voce.
- Mi vuoi sposare?
Glielo aveva chiesto così. Netto. Depurato da preghiere e invocazioni, privato da ogni orpello che potesse sviare l’attenzione dalle sue parole. Una domanda semplice, diretta, che non lasciava adito a dubbi, accompagnata solo da una promessa di fedeltà e fiducia.
Una fede che riponeva solo in lei, l’unica persona che fosse scesa nell’abisso e gli avesse porto la mano, l’unica che si fosse fermata e avesse provato a salvarlo.
Aveva aperto la scatoletta con dita tremanti e le aveva mostrato il contenuto, che lei aveva fissato senza vedere. Le sue iridi erano pozze d’acqua limpida in cui dominava un’emozione indicibile: era rimasta con la bocca socchiusa e le mani lungo i fianchi, lo sguardo sempre più liquido – e spaventato? – mentre lui era in attesa di una risposta che tardava a giungere.
Forse non voleva sposarlo. Oddio, doveva essere così: era presto, si conoscevano da troppo poco tempo per compiere un passo tanto importante e definitivo, nonostante ciò che pure succedeva tra loro… E poi, come aveva potuto pensare che una ragazza così giovane e bella volesse trascorrere il resto della sua vita con un uomo brutto, noioso e problematico come lui, un vecchio che passava metà della sua giornata ad autocompatirsi e l’altra metà a lavorare?
Quando aveva commissionato l’anello, e prima ancora, quando l’idea gli era balzata in mente, doveva essere completamente ammattito.
Aveva commesso un errore madornale presentandosi lì, con una vera in mano e quelle parole sulle labbra; aveva rovinato tutto, perché da allora in poi Belle avrebbe provato un imbarazzo indicibile nello stargli accanto senza pensare alla proposta più pietosa della storia, e proprio in quegli istanti doveva star cercando disperatamente una frase per negarsi senza ferirlo, povera piccina…
- Puoi considerare l’anello come un regalo di compleanno in ritardo… – era corso miseramente ai ripari – Il 27 dicembre 3 non abbiamo certo festeggiato…
- Tu… Mi vuoi sposare? – la voce di Belle era tremito fioco e incredulo, gli occhi fissi sul piccolo astuccio aperto dinanzi a lei – Tu… Vuoi sposare… Me?
- Sì, – confermò Robert, incerto su cosa dire e, soprattutto, turbato dalla reazione della cameriera. Cosa diamine stava succedendo? Quando si era finalmente proposto a Milah le cose si erano svolte molto più semplicemente, perché ora Belle si stava mettendo a piangere? E cosa ci si aspettava che facesse lui? Di certo non poteva restare così, immobile con una anello in mano mentre lei sembrava disperata…
- Devo dirti una cosa, – aveva mormorato lei, dopo un tempo infinito in cui Gold si era ormai preparato a un rifiuto – Non ho più dote.  Quando abbiamo dovuto vendere tutto, abbiamo dato via anche le mie cose… Perciò… – si era passata una mano sul volto, come ad asciugarsi le lacrime che minacciavano di rotolare lungo le gote, e aveva rialzato lo sguardo – perciò la mia risposta vorrebbe essere “sì”, ma se… Se non...
I ruoli si erano invertiti, perché era stata Belle a fissarlo,mordendosi le labbra a sangue e torturandosi le unghie in un’attesa trepidante e rassegnata a un tempo di una qualsiasi frase, di un cenno, un gesto che rompesse l’atmosfera pesante.
Gold si era poggiato alla scrivania e la guardava con un sopracciglio alzato, le dita che tamburellavano sul legno pregiato del mobile.
- E io che pensavo di voler per moglie una donna moderna che non bada più a certe cose.
Le parole giunsero come attutite alle orecchie di Belle.
- Come, scusa?
- Hai sentito benissimo, – le si era nuovamente avvicinato e aveva ridacchiato appena – Ti crei problemi che non esistono, Sweetheart. Alla luce di quello che ti ho detto prima, – le aveva sorriso – Cosa vuoi che me ne importi della dote?
Aveva ringraziato la scrivania per non essere caduto perché Belle gli si era gettata addosso in un  abbraccio che gli aveva mozzato il fiato. Era scoppiata a piangere contro il suo petto, e lui si era ritrovato a baciarle il capo carezzandole lieve la schiena per tranquillizzarla. Solo dopo qualche minuto, Belle si era allontanata appena, gli occhi gonfi e rossi e un sorriso meraviglioso sul volto, che Gold si era ritrovato a ricambiare volente o nolente.
- Riproviamo? – aveva ricominciato – Belle French… Vuoi sposarmi?
- Sì! Sì! Sì! – aveva esclamato lei prima di baciarlo appassionatamente.
- Quanta irruenza! Dovrei chiederti la mano più spesso, – aveva ironizzato, fermando la mano sinistra che si era levata giocosa per colpirlo e approfittandone per mettere l’anello d’oro all’anulare – Ti piace? – aveva domandato infine, dinanzi allo sguardo ammirato della sua promessa sposa.
- La pietra è dello stesso colore dei miei occhi…
-  Che bizzarra coincidenza, – aveva sorriso con lei, prima di tornare serio – È una pietra di luna azzurra, la varietà più ricercata. Spero non ti dispiaccia sela fascia dell’anello non è unita.Chiederti la misura avrebbe destato sospetti e ho preferito non sbagliare, anche se è una caduta di stile…
- Una caduta di stile… Robert Gold, credo che entrambi ci creiamo problemi che non esistono.
Alla luce del suo fuoco, la sua pelle emanava come un pallore d’ambra. I suoi occhi scintillavano felici, e osservandoli Gold ebbe una certezza: era giunto a casa.
- Allora, – aveva esordito – Quando ci sposiamo?
 
 
 
Call it magic, cut me into two,
I’m fold your magic,
I disappear from view.
 
 
 
Regina arrivò a casa di suo zio una gelida mattina di fine gennaio. Era sola e portava con sé un baule che non sarebbe riuscita a trasportare neanche spingendolo con tutte le forze.
Ad accompagnarla era stato Greg, un servitore assunto da poco nelle vesti di tuttofare, che alla bambina non piaceva affatto: era una sensazione strana, una diffidenza viscerale che non trovava giustificazione logica, giacché l’uomo non la degnava di uno sguardo. Era solo istinto, ma una volta mamanle aveva detto di seguire quel sesto senso, se mai si fosse manifestato nel corso della sua vita. “Non perdo le speranze che tu abbia ereditato qualcosa anche da me, oltre che da quell’incapace di tuo padre”, aveva commentato; e in questo aveva intenzione di ubbidire alla Contessa.
Non solo in questo, le ricordò una vocina all’orecchio; e Regina dovette lottare non poco per scacciare il groppo alla gola che le rendeva fastidioso persino deglutire.
Aveva altro cui pensare, ora: come avrebbe trasportato il bagaglio? Greg si era limitato ad accompagnarla ed era fuggito più veloce del vento, nel timore che il vecchio padrone lo vedesse – e poi, lady Mills non aveva specificato di aiutare la mocciosa, dicendogli solo di ritornare subito a Belgravia; e lui non aveva intenzione di trasgredire ai suoi ordini, rischiando di perdere quanto promesso…
La ragazzina corrugò la fronte, incerta sul da farsi: avrebbe certo potuto lasciare la valigia incustodita appena il tempo per avvertire lo zio della sua presenza; ma se nel frattempo gliel’avessero rubata? Miss Mordane la metteva sempre in guardia dai pericoli delle strade londinesi…
Pericoli che però ora mi hanno lasciato affrontare da sola, osservò con un’amarezza sino ad allora sconosciuta. Per quanto cercasse di negare, la realtà era quella: sua madre l’aveva ancora una volta strappata a quel che le stava divenendo caro per coinvolgerla in una situazione che stentava a capire.
Era nel Leicestershire da poco, e già gli scherzi di Daniel stavano diventando sprazzi di colore in una realtà sempre più monotona, sempre più grigia, quando la nobildonna era piombata nelle sue stanze comunicandole che avrebbe trascorso dei giorni a casa Gold e che non c’era bisogno di ripeterle quanto ci si aspettava da lei, aggiungendo solo una frase: “Stavolta mi servono prove, prove concrete”.
Di cosa, non era dato sapere.
Ancora una volta le sue proteste erano state ignorate e le obiezioni scandagliate e confutate con suppliche e minacce; ed eccola lì, la piccola Regina, nuovamente nei anni di una giuda in gonnella troppo giovane per comprendere la guerra in cui era stata arruolata. Una pedina nelle mani di chi aveva ben chiari i propri obiettivi; ma lei questo non poteva saperlo: restava lì, stretta nel suo cappottino color panna, in bilico tra due fuochi, immobile nel suo risentimento da bimba, pregando perché lo stomaco messo in subbuglio dall’ansia si placasse e perché le persone che avrebbe dovuto tener d’occhio comparissero il più tardi possibile – o non comparissero affatto.
All’improvviso, un’ombra torreggiò su di lei. Sussultò mentre i frenetici moniti dell’istitutrice le ronzavano nelle orecchie; ma quando osò alzare il capo, incontrò solo gli esterrefatti occhi azzurri di Killian Jones.
- Contessina? – le chiese incerto, come se non credesse a quel che aveva davanti.
- Killian, – confermò contegnosa, cercando di non far trapelare il sollievo. Ormai era al sicuro: il valletto l’avrebbe portata in casa, si sarebbe occupato della valigia e tutto si sarebbe risolto per il meglio. Quel ragazzo le piaceva: la trattava sempre con gentilezza e due anni prima, in occasione di una festicciola che i servi avevano organizzato in gran segreto e a cui Kathryn l’aveva portata a patto che mantenesse il segreto, le aveva insegnato una danza irlandese; e anche se poi era andato a ballare con Emma, aveva ribadito che restava lei la sua dama preferita. 4
Balbettò le scuse che la madre le aveva imposto, sentendo qualcosa dentro sé annodarsi al pensiero delle possibili conseguenze; tornò a respirare solo quando il giovane, ancora dubbioso, le offrì una mano e caricò il baule con l’altra.
Varcata la soglia, la prima figura che Regina scorse fu esattamente l’ultima che avrebbe voluto vedere.
Dinanzi all’espressione gentile di Belle French, la ragazzina non resse più.
Vomitò sull’Aubusson che si dispiegava ai suoi piedi.
Sarebbe stata una lunga, lunghissima settimana.
 
 
 
Il medico mandato a chiamare era stato chiaro: la bambina era in perfetta salute. Ella stessa lo assicurava, attribuendo la colpa del malessere alla colazione – Maman mi aveva detto di non mangiare tutto quel bacon. Avrei dovuto darle ascolto – e ora era a letto, circondata dalla servitù che pareva aver cambiato in massa datore di lavoro senza che il precedente osasse muovere una singola protesta.
Belle era stata tra i primi a soccorrere la malatina, e per questo si trovava a salutarla per ultima: si era avvicinata piena d’entusiasmo, ma subito si era bloccata, scorgendo un’espressione di puro terrore – perché? – sul volto infantile. Aveva pensato si sentisse nuovamente male, ma non aveva fatto in tempo a chiederle nulla che la bambina aveva abbozzato una smorfia vagamente somigliante a un sorriso e le aveva chiesto di rifarle la treccia.
Belle l’aveva aiutata e aveva iniziato un’innocente conversazione con lei; ma la strana espressione con cui era stata accolta continuava a ripresentarsi nella mente senza darle tregua. Stava per domandarle spiegazioni, quando era comparso Robert.
La giovane aveva preferito lasciarli soli, ma non aveva ancora raggiunto la biblioteca quando un richiamo familiarel’aveva fermata.
- Pensavo volessi fermarti di più con Regina, – osservò senza nascondere perplessità.
- Preferisco non stancarla ulteriormente. Ha detto di sentirsi bene, ma prima stava per svenire… Sarà meglio lasciarla riposare. Comunque, – Gold aggiunse aprendo la porta – Ti stavo cercando. Vorrei parlarti.
Belle annuì, chiedendosi non senza un pizzico d’ansia cosa fosse nuovamente successo. Dall’atteggiamento dell’uomo non trapelava inquietudine; era vero che anni e anni di vita mondana gli avevano fatto acquisire un’invidiabile padronanza di sé, ma quando era con lei non era solito trattenere le reazioni che gli smuovevano l’animo…
Le afferrò una mano e se la portò alle labbra, sfiorandola lieve prima di chiedere perentorio: – Come ti è sembrata Regina?
La ragazza lottò per non sospirare di sollievo; ma subito tornò in sé, lieta di non essere stata la sola ad aver notato lo strano atteggiamento dell’ospite.
- Un po’ spaventata, – ammise cauta– Probabilmente temeva di essere rimproverata per l’incidente…
- Non mi permetterei mai! – l’uomo la guardò incredulo – Non sono come sua madre, lo sai.
- Ma lei no, – gli illustrò paziente la conclusione cui era giunta – Ciò cui è avvezza la spinge a credere che tutti gli adulti siano suoi nemici. Tu l’hai sempre trattata bene, ma sei un adulto, e questo pare essere sufficiente.
- Mmm, – sembrò soppesare poco convinto – Regina teme gli adulti che non conosce, non chi la teneva in braccio quando era piccola, – tacque per un istante mentre vecchi e nuovi dubbi gli affollavano la mente – Ho un sospetto, un sospetto che non mi dà tregua, – giocherellò pensieroso con le dita di Belle prima che un’occhiata interrogativa lo inducesse a proseguire – Cora è partita altre volte, ma non mi ha mai lasciato la figlia. L’ha sempre affidata a balie e cameriere, a volte persino assunte appositamente… E ora? E invece, ora che è tutto finito, ora che c’è persino dell’astio tra noi, la manda da me senza quasi curarsene, come se nulla fosse successo. Perché? Quella dell’istitutrice in viaggio è una frottola, ne sono certo. È una coincidenza, e quando si tratta di Cora le coincidenze non esistono.
Belle sussultò, improvvisamente conscia di quel che intendesse Robert.
- Quindi tu pensi che abbia mandato la bambina qui di proposito? Con qualche scopo preciso?
- Sweetheart, io non penso niente, – l’industriale decise di non dar voce ai propri timori, certo che l’amata li avesse compresi – Niente se non che dovremmo prestare molta, molta più attenzione. Potrebbe essere solo uno sciocco sospetto, ma a volte a pensar male…
Belle ascoltò sconvolta le parole dell’uomo: stava forse dicendo che Regina era loro nemica? Dovevano considerare quella bambina dalle ossa di scricciolo come una spia della Mills ed evitarla tanto quanto la madre, nel timore che riferisse qualcosa alla nobildonna?
Quanto insinuato da Gold la fece rabbrividire.
- Ma Regina è una bambina, – sottolineò a bassa voce – Per quanto risentimento possa nutrire Cora nei miei confronti, non credo l’abbia coinvolta. Voglio dire, – strinse i pugni, guardandolo turbata – È la sua stessa figlia! Quale donna obbligherebbe la propria creatura a mentire pur di riavere un uomo, per quanto possa esserne innamorata? No, no, non può essere come pensi. Mi rifiuto di crederci.
- Belle, Belle, ascoltami, – si spostò davanti a lei e le sollevò il mento per guardarla dritta negli occhi – So che ti sembra un’assurdità, che trovi difficile anche solo immaginare una cosa simile; ma ciò che per noi è pazzia, per Cora non lo è, te lo assicuro. Noi non costringeremmo mai una ragazzina a fare qualcosa del genere, ma se da questo Cora potesse ricavare un vantaggio, allora lei lo farebbe. Il fatto che si tratti della sua stessa figlia non la fa esitare, anzi: averle dato la vita la legittima a pretendere. Fidati, conosco Cora da vent’anni, so come ragiona.
- Ma Regina non ha nemmeno undici anni! Come le si può addossare un compito del genere? E come si può sospettare di una bambina per colpa della madre, che colpa ne ha?
I sottintesi di quell’ultima frase gli ridussero gli occhi a due fessure. Si allontanò di scatto dalla donna, fissandola gelido, l’angolo della bocca appena sollevato a esprimere disgusto.
- Pensi che mi diverta? – sbottò – Pensi che mi piaccia insinuare che la bambina sia pericolosa quanto la madre? Se lo pensi, mi spiace smentirti, mia cara, ma non è così. Non sono tanto disumano quanto mi descrivono, e pensavo che tu, che tanto ami vantarmi, l’avessi capito.
- Non sto dicendo nulla di simile! – Belle aggrottò le sopracciglia irata – Semplicemente trovo inopportuno saltare a conclusioni senza averne prove, specie se c’è di mezzo una bambina. Forse abbiamo mal interpretato la sua reazione, magari parlandole potremmo avere una spiegazione per il suo comportamento e scoprire che le cose non stanno come immagini tu. E in ogni caso, – ribadì severa – Non mi pare il caso di scattare in questo modo. Non ho mosso alcuna accusa nei tuoi confronti, mi sono semplicemente limitata a esprimere un’opinione.
Gold la guardò in silenzio. Era in momenti come quello che non riusciva a capire Belle: come poteva essere tanto cieca da non vedere lo scenario che le si dispiegava dinanzi agli occhi? Come poteva riporre tanta fiducia nella figlia di chi l’avrebbe uccisa a sangue freddo e avrebbe sputato sul suo cadavere? Una persona simile aveva per forza in mente qualcosa: o era incredibilmente astuta o immensamente stupida… O era Belle.
Malgrado le esperienze del suo recente passato, Belle conservava un cuore incontaminato, ancora scevro da sospetti e dubbi. Era diventata più forte, più determinata quanto agli obiettivi da perseguire, ma aveva anche rafforzato la già naturale attitudine a fraternizzare coi più deboli. Avrebbe voluto fosse diventata più diffidente. Più dura nei confronti del prossimo, più restia a concedere ascolto a chiunque bussasse alla sua porta.
 Ma se fosse successo, non sarebbe più stata la sua Belle…
- Darling, – respirò a fondo prima di proseguire – Ti sto sembrando crudele, è vero, ma cerca di capire. Non ti sto chiedendo di ignorare Regina – non lo farei mai, lo sai –, ma di stare attenta. Tu sei l’unica persona al mio mondo per cui vale la pena impegnarsi, lottare, migliorare. Non voglio perderti, non posso perderti. Le cose tra noi stanno andando così bene, non permettiamo a nessuno di rovinarle... Non litighiamo per colpa di altri, per favore.
Alla giovane parve così insicuro, così perso. Deglutì carezzando il volto di quell’uomo le cui paure erano tante, e talmente radicate da renderlo quasi aggressivo agli occhi di chi non lo conosceva a fondo.
-  Non mi perderai, – mormorò più dolce – Non accadrà, stanne certo. Mai. E non sarà certo una Contessa qualsiasi a separarci, né tanto meno sua figlia. Stavolta andrà tutto bene, me lo sento. Abbi fiducia.
Gold sospirò. Insistere non avrebbe portato a nulla, lo sapeva. Se Belle pensava di essere al sicuro in casa, se credeva che la piccola ospite non costituisseun pericolo, nulla l’avrebbe smossa dalla sua convinzione. Poteva solo sperare che tutto andasse per il meglio e confidare nell’intuito femminile dell’amata.
- Dovremo farci vedere insieme ancora di meno, al di là dell’ambito lavorativo, – dichiarò quando rialzò il capo, guardandola dritta negli occhi – Sarebbe una stranezza troppo evidente se improvvisamente smettessi di lavorare qui, perciò continuerai, se sei d’accordo. Ma per il resto… Dovremo starcene un po’ più lontani. Fingere distacco.
La donna sembrò soppesare le sue parole, l’espressione seria smentita a un tratto da un guizzo giocoso nelle sue pupille.
- Ma, come dicevo, Regina è una bambina.
Robert la guardò confuso.
- E con ciò?
- Semplice, – gli cinse il collo con una risatina maliziosa– Le bambine vanno a dormire presto. Noi grandi no.
L’allieva aveva superato il maestro.
 
 
 
And I can’t get over,
can’t get over you.
Still, I call it magic,
it’s such a passion doom
.
 
 
 
Belle si rese ben presto conto che prendere le distanze da Regina era quanto di più difforme dalla sua indole potesse esistere. Il discorso di Robert poteva avere senso, solo uno stupido l’avrebbe negato: Cora aveva in qualche modo scoperto con settimane d’anticipo quel che stava accadendo, e l’unico collegamento tra Kensington e Belgravia era stata proprio la piccola, che forse aveva – innocentemente, sul punto non transigeva – riferito qualcosa alla madre, permettendole di ricamare la sua tela d’illazioni. Lo sguardo che Regina le aveva rivolto quella volta in soffitta era stato intenso e indagatore, e aveva avuto il potere – inimmaginabile per una bambina – di metterla a disagio proprio al semplice nominare Gold.
Ma c’era differenza tra l’essere accorti e – Robert non l’aveva detto esplicitamente, ma nei fatti era ciò che aveva suggerito – il nascondersi dietro una facciata gelida che avrebbe distrutto la già fragile Regina.
Belle si era ripromessa di fare almeno un tentativo, di cercare di non lasciarsi trascinare dal legame instauratosi e di dimostrarsi gentile, ma distante dalla bambina, cercando di ricostruire quell’innegabile barriera sociale tra loro; ma aveva fallito. Non ce l’aveva fatta; non ci era riuscita né ci riusciva perché, per quanto la ragione potesse elencarle moniti e avvertimenti, le bastava scorgere il modo in cui quegli occhi bruni si accendevano alla sua vista per mandare in frantumi ogni proposito.
Regina la considerava la sua unica amica; come poteva tradire così le aspettative di una bambina che pareva rinascere lontana dalla madre?
No, non poteva.
Era per questo che, una volta terminate le lezioni col precettore che Gold aveva appositamente assunto, Belle se la trascinava dietro in ogni incombenza; cosa non tanto diversa da quanto facevano le altre dipendenti, se non fosse stato per la palese predilezione che la Contessina manifestava nei suoi confronti. Voleva che fosse Belle a svegliarla ogni mattina, ad aiutarla a prepararsi, ad accompagnarla nelle attività quotidiane; ed era a Belle, prima ancora che allo zio, che faceva riferimento in casa. La seguiva ovunque, bersagliandola di domande di cui – su questo non c’erano dubbi – Cora non era la mandante, a meno che la nobildonna non avesse scoperto una tardiva passione per le fiabe e le torte di mele; e la giovane rispondeva, col cuore gonfio d’emozione al pensiero di riportare ogni volta un sorriso meravigliato su quel visetto corrucciato – di essere riuscita a compiere la sua piccola magia.
-Sweetheart, non posso impedirtelo, – aveva infine accettato Gold nei momenti che riuscivano a ritagliarsi, nella mente le notti infinite in cui “preoccupazione” era stata una parola tra le tante e loro stessi il centro del mondo – Se pensi che Regina non sia coinvolta, va bene così. Mi fido di te.
Aveva giocherellato con l’anello negli unici momenti in cui Belle poteva permettersi di portarlo.Quando lo sguardo della ragazza scivolava sul gioiello, non riusciva a trattenere la sorpresa, quasi come se le fosse capitato per caso all’anulare sinistro. Forse era un miraggio, non una realtà d’oro e pietra, e un minimo contatto sarebbe bastato a farlo dissolvere: un pensiero del tutto irrazionale, lo sapeva bene, ma indice di come non si fosse ancora abituata a quella presenza. A differenza di sue conoscenti, Belle non trepidava per monili e preziosi; ma quello era un’eccezione, e non solo perché era un regalo di Robert, ma anche e soprattutto perché era un simbolo. Il simbolo del suo amore, della sua adorazione, del momento in cui aveva promesso di consacrarle il corpo e l’anima; del momento in cui l’aveva chiesta in sposa.
Avevano deciso di sposarsi a maggio; e quando Belle pensava a quel mese ancora così lontano, alle campane che sarebbero suonate per loro, non poteva impedirsi di sorridere, qualsiasi cosa stesse facendo:  le veniva naturale, come vivere, come respirare, come baciarlo. Nonostante la questione della dote, non aveva esitato neanche un istante udendo la proposta: avrebbe ripetuto il suo “sì” due, tre, infinite volte. Anche se si fossero sposati, la loro storia non sarebbe finita così, anzi: avevano ancora tanta strada da percorrere, forse altre difficoltà da vincere, ma quel che provavano l’un per l’altra li avrebbe sostenuti in ogni momento, impedendo loro di arrendersi.
Non s’illudeva: le malelingue non avrebbero risparmiato la sua scalata sociale, ma anche allora le avrebbero affrontate dimostrando al mondo che nulla valeva più del loro amore. Con lei, Robert stava riacquistando la serenità a lungo sospirata, e non avrebbe permesso alla durezza di tornare a regnare sul volto che le regalava il sorriso di chi ha avuto e perso tutto e ora è incredulo della nuova opportunità offertagli dal destino.
Ma per quel sorriso, per lui, Belle avrebbe lottato, in quel momento e sempre.
Lui che la guardava da lontano e alzava le spalle, come rassegnato. La sua Belle era così: determinata e orgogliosa, non permetteva a nessuno di decidere per lei, e anche per questo lui l’amava; ascoltava i consigli, ma era lei a scegliere se seguirli o meno, e quella volta era stata netta nel rifiutarli.
Regina pareva essere una bambina come tante: piuttosto taciturna, non certo pronta al sorriso, ma inoffensiva. Gold avrebbe tanto voluto sbagliarsi; avrebbe voluto che le sue fossero paranoie di un uomo ormai stanco, il cui unico desiderio era fuggire col suo amore incontrato troppo tardi da quel mondo confuso in cui tutto, anche lo sguardo di una ragazzina, pareva  remare contro loro.
Osservava la sua camerierina ridere con la piccola Mills quasi fossero sorelle, giocare con tale partecipazione da indurlo a chiedersi chi fosse la vera bambina tra la contegnosa Regina e l’esuberante Belle; e accettava di buon grado gli scherzi, vendicandosi sul momento con un broncio che resisteva pochi minuti e punendone la reale stratega qualche ora dopo con sessioni di solletico che la obbligavano a implorare pietà.
Eppure, nonostante le incertezze su coloro i quali lo circondavano – tutti, nessuno escluso – Gold si sentiva bene. Non avrebbe ammesso di essere felice, più per scaramanzia che per altro, ma la verità era quella: con Belle e Regina per casa si sentiva meglio e per un istante, mentre il fuoco inondava di luce dorata quei due volti e la voce chiara e pulita della sua Sweetheart leggeva di Alice e il Brucaliffo, mentre un’idea di cui Belle sarebbe stata entusiasta si faceva strada nella sua mente, aveva sperato che almeno quello potesse durare. Che la vita non sporcasse mai quella quiete perfetta, che loro tre potessero restare per sempre così, come una famiglia; una famiglia forse poco convenzionale, forse zoppicante, in cui ognuno portava ferite e disillusioni e  aveva conosciuto il sapore amaro della perdita, ma forse anche e proprio per questo una famiglia vera.
Sì, sarebbero stati felici insieme; ma in un altro universo, in cui Cora non c’era, in cui i suoi peccati potevano essere condonati.
Aveva sospirato tornando in sé: sì, sarebbe stato un sogno.
E per questo, irrealizzabile.
 
 
 
- Questa settimana è andata bene, ammettilo.
Era il penultimo giorno di Regina a Kensington, e mentre la bambina seguiva la quotidiana lezione col precettore
- Visto il suo esordio, difficilmente sarebbe potuta peggiorare, – commentò l’imprenditore, levando lo sguardo dalla scrivania ingombra di carte.
- Mai dire mai, sai? – lo rimbeccò lei – E hai avuto prova che Regina non nasconde nulla. Che era solo spaventata, e che tu sei… – si bloccò, come se non trovasse la parola adatta a descrivere il concetto che aveva in mentre.
Gold la guardò di sottecchi.
- Sono…?
- Come dire, – Belle storse la bocca continuando a spazzare – Sei un po’ troppo…
- Sì, Dearie? – la incalzò ghignando, conscio di quanto la innervosisse l’appellativo.
- Sei sempre sul chi va là! E sei troppo, troppo attento! – confessò tutto d’un fiato, erompendo in una risata allegra.
- Eppure in certi contesti la mia eccessiva attenzione non ti dà affatto fastidio, anzi. Oserei dire che…
- Robert!
- … Ti fa piacere. Molto piacere. O sbaglio? – concluse imperterrito, gongolando dinanzi alla reazione della donna. Se le gote infuocate di Belle lo facevano quasi pentire della sua pessima battuta, il guizzo nelle iridi cerulee e il piccolo ghigno lo inorgoglivano troppo perché si trattenesse. Solo dopo averla fissata con insistenza, complimentandosi con se stesso per averla zittita, ebbe pietà del suo imbarazzo: si alzò e le offrì una mano, che la giovane ignorò sdegnosa.
- Mademoiselle, non c’è musica e questo non è un salone, ma concedereste ugualmente un ballo a questo vecchio sciocco? È un’offerta di pace cui la vostra indole diplomatica non può negarsi.
- Io ballo solo coi gentiluomini, e qui non ne vedo nessuno, – ribatté altezzosa Belle, sbuffando dinanzi alla smorfia esageratamente dispiaciuta dell’uomo.
- Voi mi spezzate il cuore, sapete?
- Come se ne aveste uno…!
- Dite bene. L’unico che avevo l’ho donato a voi, – conscio di come le parole da lei pronunciate ne smentissero le reali intenzioni, l’afferrò, costringendola ad abbandonare la scopa, e le pose la mano destra dietro la schiena per dirigerla.
- Questa è la cosa più sdolcinata e meno da te che abbia mai sentito, lo sai, vero? – commentò accettando la mano che le veniva offerta.
- È un bene che mi abbia sentito solo tu, allora. E poi, a te piace tutto questo zucchero.
- Non sono una ragazzetta romantica, – gli schiaffeggiò una spalla, per poi riafferrare la sua mano e ricominciare a seguire i passi.
- Un autentico guaio, mia cara. Voi danzate solo coi gentiluomini, io solo con le ragazzette romantiche, e a quanto pare in questa stanza non ci sono rappresentanti delle categorie. Dovremo forse rinunciare al ballo, Miss French?
Alzò un sopracciglio nel porle la domanda, guidandola tra le note di una melodia immaginaria.
-  Per una volta potremo forse scendere a un compromesso. Per il bene dell’Impero, s’intende.
- Per il bene dell’Impero, certo, – ripeté mimando un’espressione di estrema gravità, come se da quel valzer dipendessero realmente le sorti del mondo; un’espressione di gravità che però no scomparve dal suo volto –Ti piacerebbe sposarti in Scozia?
- Dove, a Gretna5 ? – rise Belle – Ho più di ventun anni, sta’ tranquillo.
- Intendevo più a Nord, – mormorò chinando il capo – A Glasgow, per la precisione. Vorrei mostrarti dove sono nato, dov’è iniziato tutto… Vorrei farti conoscere Neal.
- Oh, – gli strinse più forte la mano. Gliene carezzò il palmo, disegnando piccoli cerchi concentrici mentre lo guardava in volto, il cuore stretto al pensiero alla vista di quelle rughe che la malinconia faceva ancora più marcate, della scintilla di dolore che avrebbe sempre animato quegli occhi bruni, che neanche lei avrebbe mai potuto strappare. Qualunque cosa avesse potuto fare, qualsiasi gioia riservasse loro il destino, quella tristezza sarebbe sempre rimasta tra loro, una presenza silenziosa che si sarebbe sempre frapposta tra Robert e il mondo.
Una presenza che lei avrebbe imparato ad amare, una presenza che lei aveva imparato ad amare.
– Sì, – disse infine – Mi piacerebbe andare in Scozia. E sarei onorata di conoscere Neal.
Il volto dell’uomo si illuminò, come incredulo alle parole appena udite. Annullò ogni distanza, in spregio alle regole della danza, il corpo della giovane premuto contro il suo, il valzer divenuto ormai un lento dondolio guancia a guancia.
- Grazie, Belle. Per aver accettato di sposarmi, di farlo lì, per…
- Shhh, – gli pose un dito sulle labbra – Non c’è bisogno di dir nulla.
Rimasero in silenzio a cullarsi, ciascuno perso nei propri pensieri, ciascuno perso nelle braccia dell’altra e nel loro amore.
La porta si spalancò all’improvviso. Gold fu il primo a reagire: allontanò bruscamente Belle da sé, facendole scudo col corpo; ma ormai era troppo tardi. Non poterono far altro che affrontare lo sguardo perplesso, ma vigile – decisamente troppo vigile – di colei che non avrebbe dovuto vedere.
- Ciao, piccola, – nonostante il gelo sceso nello studio, Belle si riebbe subito – Hai già finito la lezione?
- Cosa state facendo? – la bambina ignorò la domanda e li fissò incuriosita e sgomenta a un tempo. La giovane deglutì, la testa improvvisamente vuota e incapace di elaborare una giustificazione sensata per quella vicinanza.
- Stavo mostrando a Belle che questa camicia non è stata lavata bene, – spiegò lesto l’uomo – Negli ultimi tempi lei e le sue colleghe sono un po’ distratte, non trovi? Ma sono sicuro riusciremo a mantenere il segreto… – il capolavoro di lieve perfidia della sua voce avrebbe ingannato chiunque non lo conoscesse a fondo; Belle pregò fosse sufficiente a ingannare la bambina, a impedire che ponesse ulteriori domande dalla risposta impossibile.
- Provvederò a parlare con le lavandaie, – dichiarò la cameriera, riafferrando la scopa fortunatamente lasciata poco distante. Ricominciò a spazzare il pavimento, piccoli colpi sfranti dai quali traspariva una tensione impossibile da occultare.
Lo sguardo di regina errava ancora da lei allo zio, che lo sosteneva con tranquillità, quasi noia.
- Che bell’anello, Belle, – l’interpellata sobbalzò; e non fu l’unica. Lo sguardo di tutti i presenti si appuntò sull’anulare sinistro della giovane, sul quale il gioiello splendeva allegro, inondando le dita di riflessi luminosi. Gold la fulminò con lo sguardo, e Belle si maledisse, implorando la sua mente di collaborare.
- È un ricordo. Di mia madre, – fu tutto ciò che riuscì a dire, sfiorando la pietra azzurra – L-l’ho perduta quand’ero piccola, e questo è l’unico ricordo che ho di lei. Ci sono molto affezionata…
- Maman non permette ai dipendenti di portare cose simili, – Regina si rivolse allo zio guardandolo di sottecchi – Dice che è sconveniente.
- Neanch’io lo permetto – la corresse Gold – È stato un dimenticanza di Belle. Un errore cui porrà subito rimedio.
- Certo, – annuì la donna – Vado a conservarlo subito, – fece per allontanarsi e porse una mano alla Contessina – Vieni con me? Ti riaccompagno dal precettore?
La bambina fissò a lungo la mano prima di accettarla; e Gold non poté nulla, se non osservarle allontanarsi.
 
 
 
- Ci… Ci ha visti? – soffiò appena Belle una volta tornata nello studio, la morsa che le aggrovigliava lo stomaco ancora lungi dal distendersi.
Robert continuava a guardare fisso davanti a sé, un’espressione imperscrutabile sul volto.
- Che stupidi, – ringhiò all’improvviso – Che stupidi. Non avremmo neanche dovuto vederci di notte con lei qui, figurarsi metterci a ballare come due ragazzini in pieno giorno. Dio mio, se se lo lascia sfuggire è la fine. E tu, – si rivolse secco alla fidanzata, digrignando i denti – Come ti è venuto in mente di girare con l’anello? Ti rendi conto del vespaio che starai suscitando per casa?
- Non sto scatenando niente, – ribatté corrugando la fronte – Stamattina ho fatto tardi e sono scesa direttamente qui, senza passare dalla cucina. Non ho incontrato nessuno, solo tu mi hai vista con l’anello. Solo tu… E Regina, ora.
- Ma sai cosa sarebbe successo? Cosa potrebbe succedere? Stiamo già fornendo abbastanza materiale per uno scandalo, quando invece dovremmo essere quanto più cauti possibile!
- Non l’ho fatto apposta! – fu impossibile non alzare la voce – Andavo di fretta, ero assonnata e mi sono dimenticata di toglierlo. Hai ragione, la nostra situazione è delicata e non possiamo permetterci certe cose, ma è stata una distrazione, l’hai detto tu stesso, e poi neanche tu ti sei accorto dell’anello mentre ballavamo, mi pare! Ora tutto è rientrato, fortunatamente, non mi sembra il caso di farne un dramma!
Non voglio farne un dramma.
Vorrei solo fosse già maggio, vorrei poter vivere senza doverti obbligare a nasconderti come una ladra.
 Le carezzò una guancia attirandola a sé.
Vorrei saper essere sincero. Vorrei riuscire a parlarti delle mie emozioni, dirti che non mi fido neanche di me stesso e che quello che stiamo vivendo mi è sconosciuto e mi fa paura.
Una paura che non so spiegare.

- Questa storia mi ha reso nervoso, e quanto appena successo ha peggiorato le cose. Scusa.
È come una magia, e ho paura che finisca. Che l'incanto si perda, rivelando una realtà da cui vorrai fuggire.
È come una magia - e anche questa magia, si sa, ha sempre un prezzo.
E stavolta ho paura di pagarlo.

- Lo so, – rispose – Ed è normale. Ma noi siamo noi... Voglio dire, nessuno può fermarci. Nessuno. Noi ci amiamo.

Perché stavolta il prezzo siamo noi.
 
 
 
And if you were to ask me
after all that we’ve been through
still believe in magic,
Why yes, I do.

“Magic” - Coldplay
 
 
 
 
 
 
 
1: “Ah, avete freddo, Mr. Gold? Siete viziato, veramente molto viziato.”;
2: come anticipato, i Vittoriani erano ossessionati dai capelli. I fidanzati erano soliti scambiarsi una treccina in segno d’amore, e quando una persona cara moriva se ne tagliava una ciocca e la si conservava in memoria – http://artetcheveux.over-blog.com/article-dizionario-amoroso-dei-capelli-o-opere-con-i-capelli-117368223.html;
3: il 27 dicembre è la data di nascita di Emilie de Ravin, l’attrice che interpreta Belle;
4: Euridice venera “Titanic”, e si nota;
5: Gretna è la prima cittadina dopo il confine tra Inghilterra e Scozia; a causa di differenti norme sulla maggiore età, in Scozia ci si può sposare anche giovanissimi senza il consenso dei tutori – e il matrimonio è comunque valido nel resto del Regno Unito in virtù dell’Atto d’Unione. I ventun anni, invece, erano la maggiore età dell’epoca.Maggiori informazioni qui: http://it.wikipedia.org/wiki/Gretna_Green;
http://georgianagarden.blogspot.it/2009/11/il-matrimonio-tra-simbolo-sociale-e.html- in quest’ultimo articolo si parla anche della dote, all’epoca ritenuta condizione necessaria per qualunque matrimonio. Vi rimando qui per le paure della protagonista.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
N. d. A. : Bentrovat* o benvenut*, Dearies! ♥
Spero che tutto proceda alla grande in quest’inizio di autunno in cui io cantoa squarciagola “It’s the final countdown!” – meno 8 giorni alla nuova stagione, Euridice è molto felice!
Passando a noi: capitoletto lungo, lo so, ma non vi abbia annoiato. Tra proposte e ritorni, succedono parecchie cose… Senza dimenticare il ballo. Avevo in mente di inserirlo da parecchio tempo: grazie al film Disney, ormai non è “La Bella e la Bestia” se non c’è questa scena – l’hanno capito anche ai piani alti –, perciò ecco a voi la mia versione, che mi lascia però parecchio perplessa.
Versione con caos finale, ovviamente. XD
L’idea che viene in mente a Gold mentre osserva Belle e Regina sarà chiara nel prossimo capitolo; l’anello è quello che Gold porta nella serie tv, ma ne ho immaginato la fascia non intera, non unita per dei motivi che saranno più chiari in futuro. ;)
Non siate troppo crudeli con Belle: lei è forte, determinata e tutto, ma in questo momento è anche ingenua, o meglio, confida troppo nel prossimo – come nella 1x12, in cui si fida subito di Regina pur non conoscendola; in più, qui vuole bene alla bimba, e questo offusca il suo giudizio. Stavolta ho voluto far emergere per qualche istante anche un lato un po’ più malizioso della protagonista, come avete letto, e al tempo stesso ne ho sottolineato qualche timore: perché sì, lei può essere moderna quanto volete, ma all’epoca istituti come la dote erano radicatissimi nella mentalità comune, per cui se avessi trascurato questo particolare sarei incappata in una di quelle contraddizioni storiche che sto cercando di evitare quanto più possibile. Spero di non aver combinato un macello…
Attendo le vostre opinioni: sentitevi liber* di esprimervi e, nel caso, di criticare. Se scrivo questa frase non è per allungare le già ridondanti note, ma perché sono convinta che segnalare un OOC, un errore o qualsiasi altra cosa fuori posto possa solo essermi d’aiuto. Non sono un’esperta né tantomeno non sono una scrittrice: sono solo una fanwriter che sicuramente ha sbagliato, sbaglia e sbaglierà ancora, perché è nella natura delle cose che ciò accada; perciò, parlate e NON FATEVI SCRUPOLI. :) :*
Grazie a chiunque abbia recensito il precedente capitolo, abbia aggiunto la storia a una lista e l’abbia letta; e ringrazio quant* passano da “Euridice’s World”, la mia pagina Facebook. ♥
A sabato 4 ottobre, gioie mie, e buon inizio di autunno! :) :***
Euridice100

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Capitolo 21
*** XX - Castle of glass ***


 
 
 
XX – Castle of glass
 
 
 
 “Take me down to the river bend,
take me down to the fighting end.
 
 
 
- Non hai fame, Regina?
La voce dello zio la riscosse dai suoi pensieri. Fissò il piatto pieno dinanzi a sé e represse un sospirò cincischiando col porridge.
- No, zio, – ammise infine – Non mi va di mangiare.
- Sicura di sentirti bene?
Il tono solerte la costrinse ad alzare il capo.
Come ogni volta, Gold esitò per un istante, ma non distolse lo sguardo dalla bambina, che annuì sforzandosi d’ingoiare la cucchiaiata che aveva portato alle labbra. Sbocconcellò una fetta di pane tostato per sviare l’attenzione, impegnandosi per apparire serena come una Lady doveva sempre essere, secondo gli insegnamenti di Maman.
Il contenuto della tasca destra pesava come piombo: era una zavorra che la ancorava a terra, che dominava la sua mente impedendole quasi di respirare.
Con un simile peso sulla coscienza, fingere tranquillità era impossibile.
- Tu, – proseguì lo zio – Tu ti sei trovata bene in questi giorni?
- Sì, – rispose sincera. Come ogni volta, a Kensington era stata benissimo: anzi, avrebbe potuto affermare di aver trascorso una delle settimane più belle della sua vita, nonostante le mancassero Ronzinante e Daniel.
La ragione della sua ansia era ben diversa, e non avrebbe potuto confessarla tanto facilmente.
- E… Ti piacerebbe trascorrere più tempo qui?
Gold vide Regina spalancare le palpebre, come turbata dalle parole che – già se ne pentiva – aveva appena pronunciato.
Ci aveva pensato a lungo: negli ultimi tempi, quell’idea inizialmente vaga e indefinita era riuscita a soggiogarlo. Solo allora si stava rendendo conto di quanto potesse offrire alla bambina, di quanto affetto, quanto sostegno a lei sconosciuti potesse donarle più concretamente, senza chiedere nulla in cambio. Le aveva sempre voluto bene – come non volerle, considerati anche i suoi sospetti? –, certo; ma per quanto potesse accoglierla in casa e cercare di farla sentire a suo agio, Regina restava sempre un’ospite, e lui questo non l’avrebbe voluto.
Avrebbe voluto che la bambina considerasse Kensington un rifugio – un luogo in cui entrare senza dover chiedere il permesso, senza temere critiche e giudizi; un luogo in cui poter essere se stessi, cui desiderare tornare se lontana.
Una casa.
Aveva già accarezzato l’idea in passato, senza tuttavia tradurla in richieste e atti; e forse, anche sotto quel punto di vista si era rivelato decisivo l’intervento di Belle, l’ardore da lei dimostrato nel difendere la piccola sin dal loro primissimo incontro.
Inutile descrivere la gioia con cui la giovane aveva accolto la proposta: l’aveva condivisa appieno, sottolineandone l’opportunità e ricordando cheentro pochi mesi la loro situazione sarebbe variata, e che sarebbe pertanto stato opportuno che la piccola si abituasse gradualmente alle novità, anziché ritrovarvisi immersa all’improvviso.
Ma poi Regina li aveva scoperti insieme nello studio, e nell’arco di pochi minuti ogni cosa era variata.
Gold conosceva la ragazzina e sapeva quanto facilmente potesse essere persuasa – crescere con Cora non era certo l’ideale per sviluppare un carattere d’acciaio –, ed era ciò che aveva implicitamente provato a fare suggerendole di mantenere il segreto sulla disattenzione della servitù tutta, Belle compresa; ma sapeva anche che, ovviamente, tra lui e l’ex amante era quest’ultima a vincere quando era coinvolta Regina. Lei avrebbe seguito i dettami materni, non i suoi; e se i suoi tristi sospetti circa il ruolo interpretato dalla bambina si fossero rivelati esatti, allora tutto sarebbe stato perduto.
Nell’arco di poche ore Cora avrebbe saputo ogni cosa.
In simile mutato scenario, invitare nuovamente Regina a Kensington sarebbe stata pura follia; o almeno, così pareva a lui, dal momento che qualcuna non si professava d’accordo. Belle aveva sostenuto tenacemente la tesi dell’innocenza della ragazzina, ribadendo che – nonostante l’errore obiettivamente compiuto – incolparla per le azioni altrui sarebbe stato un atteggiamento non diverso da quello della Mills. Gold poteva anche comprendere il suo ragionamento, ma l’ingenuità di cui peccava era un aspetto su cui non poteva soprassedere; alla fine aveva deciso: avrebbe concesso una, una sola possibilità alla bambina. Nel corso delle sue future visite l’avrebbe tenuta sott’occhio e fatto presente alla sua promessa ogni atteggiamento sospetto; e se i suoi dubbi avessero trovato conferma, niente e nessuno avrebbe potuto salvare Cora dalla sua furia.
Neanche Belle.
- Ovviamente non devi sentirti obbligata a rispondere di sì, o a rispondere ora, – si affrettò l’uomo, concentrando la sua attenzione su un’alzatina come se non ne avesse mai vista una– Il mio era un semplice pensiero, sta solo a te decidere.
Lo zio chiedeva sempre la sua opinione, si disse Regina. Non prendeva decisioni in sua vece, non la costringeva a fare qualcosa che l’avrebbe poi fatta star male, come tradire gli amici. Lo zio le voleva bene, la considerava una figlia, come aveva sentito dire una volta dalle domestiche di casa; sarebbe stato bello vivere con lui, con Belle e gli altri: settimane come quella sarebbero divenute realtà, e non un’eccezione a una vita triste.
Ma come avrebbe reagito Maman alla notizia? Le si sarebbe spezzato il cuore, come diceva sempre, e Regina non voleva deludere né lei, né lo zio: per quanto facesse il vago, l’uomo sperava in una risposta affermativa, lo capiva persino lei…
Ancora una volta si ritrovava a carezzare l’oggettino riposto in tasca, aspettando un aiuto che non sarebbe giunto.
Non avrebbe voluto farlo. Qualcosa l’aveva fatta esitare fino all’ultimo, impedendole di riposare durante quella notte che era parsa infinita: si era dibattuta tra i dubbi, tra il giusto e l’ingiusto che mai prima di allora le era parsi tanto netti e tanto difficili da scegliere.
Scegliere, come se avesse avuto una simile facoltà: pur senza riuscire a esprimere il concetto, Regina sapeva – sentiva – che il suo margine di decisione, da sempre esiguo, era stato definitivamente annullato dagli eventi di poche ore prima.
No, lo zio e Belle non stavano parlando di camicie e lavandaie: era piccola, ma non certo stupida, e se pure fino ad allora non aveva avuto sentore di nulla, quella scena le aveva bruscamente aperto gli occhi. Stavano ballando, ma non erano a una festa, né c’era qualcun altro: erano soli, soli, e un’unica ragione poteva spiegare quel comportamento.
Regina aveva sentito parlare poche volte dell’amore. Maman criticava ferocemente chiunque si lasciasse distogliere dai propri intenti in nome di “sciocchezze degne di contadinelle con la testa tra le nuvole”, ma qualche volta aveva sentito le cameriere sospirare trasognate mentre si confidavano circa un loro pari; e, sullo sfondo, c’erano le fiabe che narravano di belle principesse prigioniere e audaci cavalieri pronti a tutto per salvarle e portarle all’altare.
Chi era nel giusto? Regina non se l’era mai chiesto e, pur sforzandosi, non riusciva a attribuire a Belle e allo zio alcun ruolo proprio delle contraddittorie rappresentazioni dell’amore che le tornavano in mente – quasi fossero un caso nuovo, degno di studio tanto appariva complesso; eppure l‘idea che fossero proprio innamorati l’aveva attraversata come un lampo nel momento in cui li aveva scorti insieme, e non l’aveva più abbandonata.
Non poteva averne certezza, ovvio; ma come spiegare altrimenti quegli sguardi, quei gesti tanto lievi quanto intensi, la delicatezza di quel gioco? Come giustificare il senso d’irrisolto, di detto e non detto che pure – come aveva fatto a non accorgersene prima? – dominava ciò che li circondava e che non veniva fugato dal distacco e dalla formalità che pure fingevano dinanzi agli altri, dinanzi a lei?
No, non c’era altra spiegazione.
E in un attimo quei mesi le erano diventati chiari, e con loro il piano materno, la sua rabbia, la missione che le aveva affidato.
Ciò che Belle voleva portar loro via non era una cosa, ma una persona.Maman doveva temere quel che lei per prima si stava ritrovando a temere: che a causa di Belle lo zio si allontanasse da loro, finisse per dimenticare che gli aveva sempre voluto bene e uscisse dalle loro vite.
Maman doveva essere gelosa, eper la prima voltaanche Regina si scopriva esserlo. Cosa sarebbe successo col tempo? Magari quei due se ne sarebbero andati, si sarebbero trasferiti lontano, o forse no, ma comunque avrebbero iniziato a non volerla più con loro, a trascurarla fino a dimenticarla.
In quel momento, mentre stringeva la mano di Belle che la riaccompagnava dal precettore, Regina ebbe la sua prima cognizione dell’odio. Sì: odiava lo zio che aveva tradito lei e sua madre, odiava la casa così diversa da quella di un tempo, odiava il mondo che si accaniva sempre contro di lei, portandole via quanto aveva di più caro.
Odiava ogni cosa, ogni persona; ma più di tutto odiava Belle, quella falsa intrigante – solo ora capiva il senso delle parole udite! – che andava eliminata. Maman aveva chiesto prove? Le avrebbe ottenute: quell’anello così bello tutto pareva meno che il ricordo di un genitore, su quello anche Regina ci avrebbe giurato: se la famiglia di Belle avesse potuto permettersi qualcosa di simile, certo lei non avrebbe mai dovuto lavorare, tanto più come cameriera – e l’esitazione mostrata non era stata che un’indiretta, ulteriore conferma.
E se anche si fosse sbagliata e il prezioso fosse realmente stato un’eredità, la Contessa non avrebbe comunque più potuto avere dubbi sulla lealtà della figlia: quel tentativo magari maldestro le avrebbe dimostrato chi lottava al suo fianco e con chi avrebbe riavuto ciò che spettava alle Mills.
Ma poi, al calore della rabbia, alla ragione ottenebrata dalla gelosia, si erano sostituitigli interrogativi della meditazione. Perché quanto univa gli oggetti del suo rancore non doveva essere un sentimento neonato, dal momento che sua madre la usava come spia da ottobre; e in quel periodo l’atteggiamento degli imputati era rimasto immutato: la ospitavano volentieri, si mostravano entrambi comprensivi e indulgenti, e nulla lasciava presagire un possibile, repentino mutamento.
Erano aspetti su cui non si poteva soprassedere: magari sì, lo zio e Belle erano innamorati e si sarebbero anche sposati –era possibile sposarsi tra serva e padrone?  E in tal caso, cosa sarebbe diventata Belle per lei, zia? –, ma i suoi timori si sarebbero rivelati infondati, e anche Maman l’avrebbe capito… E a proposito di Maman: come riferirle quelle ottimisticheprevisioni? Non ribadiva che di prestar attenzione a ogni segnale, di tenere gli occhi ben aperti e di non lasciarsi ingannare, di non tradirla…
Scegliere di sperare, di concedereuna possibilità alla nuova coppia non equivaleva forse a un tradimento?
Lo zio e Belle da una parte, sua madre dall’altra; e lei al centro per l’ennesima volta, tirata e sbatacchiata, lasciata senza tregua quando avrebbe desiderato solo la pace.
Nel suo cuore c’era spazio per tutti e tre, ma nella sua vita il posto doveva essere esclusivo; e la scelta spettava a lei.
Una scelta dalla quale – lo sapeva – non sarebbe mai più tornata indietro.
Era per questo che l’aveva fatto. Aveva inghiottito il senso di colpa, finto di non avvertire quella pressione tra il petto e lo stomaco e si era avventurata per i corridoi della villa quella stessa mattina. La giornata dei domestici iniziava alle cinque, e le primissime ore erano le più frenetiche: con un po’ di attenzione, nessuno l’avrebbe vista sgattaiolare all’ultimo piano e scivolare nella stanza di Belle, le cui pareti erano parse restringersi ulteriormente attorno a lei, mute accusatricidel gesto che stava per compiere.
Non sapeva dove fosse l’anello: la domestica l’aveva riaccompagnata a lezione prima di riporlo, e alcune rapide occhiate attorno a sé avevano dimostrato che la ragazza doveva averlo custodito in un cassetto, anziché lasciarlo in vista. Questo complicava le cose: il tempo stringeva e farsi cogliere con le mani nel sacco avrebbe scatenato il finimondo. Doveva iniziare a frugare con più accuratezza, e quel che era peggio, non doveva lasciar nulla in disordine per non essere scoperta.
Le veniva da piangere.
Aveva aperto il primo cassetto del comodino di fianco al letto e, per una volta, la fortuna si eramostrata dalla sua: l’attenzione le era caduta subito su un piccolo cofanetto di velluto molto somigliante ai tanti di proprietà di sua madre. Regina lo aveva aperto piano, pregando di trovare nulla e al tempo stesso tutto; ma era stata la seconda invocazione a trovar seguito: stringeva tra le mani lo scrigno di quanto cercava.
Aveva fissato l’anello per un lungo istante, incantata dai riflessi opalescenti della pietra incastonata; ma un rumore improvviso l’aveva ridestata, riportandola alla realtà. Aveva afferrato il monile con dita rapaci, riposto la scatolina ed era corsa verso la sua camera, affidando a se stessa il compito più difficile: non pensare.
Lo hai fatto per Maman. Le vuoi bene, anche lei te ne vuole, chi si ama si aiuta.
Lei saprà spiegarti.
Ma quanto le era appena stato proposto cambiava tutto. La parte di lei che, nonostante le esili rassicurazioni, era certa che quella sarebbe stata la sua ultima visita a Kensington fu costretta a ricredersi: lo zio non solo non si era pentito di averla ospitata per tanti giorni, ma addirittura la voleva ancora con sé, a prescindere da qualunque legame ci fosse tra lui e la sua dipendente!
Non poté fare a meno di chiedersi se lei e la Contessa non avessero sbagliato l’intero ragionamento e stessero perpetrando del male a due innocenti. In tal caso, lei non se lo sarebbe mai potuta perdonare.
In tal caso, il peso dell’anello sarebbe stato nulla rispetto a quello sulla coscienza…
Ma lo zio esigeva una risposta alla sua domanda quanto prima; rimanere in silenzio avrebbe solo destato preoccupazione.
- Io…, – esordì, ma venne interrotta dall’ingresso di Archie: la carrozza della contessa Mills la stava aspettando.
La posata che le scivolò di mano colpì le porcellane, producendo un rumore che attirò gli sguardi dei presenti facendole temere d’aver rotto qualcosa.
- Scusate, – pigolò, incapace di ricambiare le occhiate che le venivano rivolte.
- Di già? – l’attenzione dello zio era stata catturata dal maggiordomo – Pensavo le concedesse almeno il tempo di mangiare, dopo essersene scordata per una settimana.
L’altro alzò impercettibilmente le spalle in segno d’assenso.
- Riferisco di tornare più tardi?
- No, – Regina non seppe mai spiegarsi dove avesse trovato il coraggio per alzare la voce e, soprattutto, cosa in lei avesse scelto quell’alternativa – Ho mangiato a sufficienza, zio, non c’è bisogno di far attendere Maman. La seguirò subito. Solo… – aggiunse timida e speranzosa, sentendo il pugnale del rimorso penetrare ancor di più nel cuore – Mi piacerebbe salutare Belle.
Gold trasalì udendo la richiesta, ma non di sospetto o di rabbia, quanto di pentimento.
- Belle è uscita, – fu costretto a confessare – È a Covent Garden, ma dovrebbe essere di ritorno a breve. Vorresti aspettarla?
Regina scosse il capo celando la delusione. E così, anche l’ultima possibilità di restituirle il maltolto e metterla in guardia si perdeva come neve al sole, lasciando dietro di sé solo un’irriconoscibile pozza d’acqua sporca e grigiastra.
Una pozza d’acqua sporca in cui annegava, trascinata sul fondo da interrogativi troppo grandi per i suoi dieci anni, troppo oscuri per la sua innocenza.
Una pozza che ormai era la sua vita.
Quando montò in carrozza, gelidi occhi di pece la inchiodarono al suo destino.
- Buongiorno, Maman.
 
 
 
Wash the poison
from off my skin,
show me
how to be whole again.”
 
 
 
- Che fine hai fatto? – l’apostrofò brusco Robert non appena Belle mise piede nello studio – Sei stata fuori un’intera mattinata!
- Hai ragione, –la ragazza sfilò rapida per la stanza e gli si avvicinò – Ma al mercato le file erano interminabili, e poi ho deciso di approfittarne per passare dall’amica che mi ha ospitato prima di Natale, Tink. Te ne ho parlato, ricordi?
- La pecora nera dei Barrie, – commentò lui socchiudendo le palpebre.
- Io la definirei piuttosto una persona in gamba, – replicò storcendo la bocca in segno di disaccordo – Quante persone di buona famiglia sarebbero disposte a lasciare tutto per mettersi a servizio degli ultimi? Sta svolgendo un ottimo lavoro, dovresti proprio vederla.
- Mi fido del tuo parere. Ma, – continuò senza rilassarsi – Se l’hai vista significa che sei stata a CanaryWharf...
Belle arrossì appena.
- A dire il vero, non vive più lì. La sua associazione ha avuto delle difficoltà col proprietario del caseggiato che ospitava l’orfanotrofio ed è statacacciata, come mi ha recentemente scritto. Ora opera a Whitechapel.
- E tu sei andata a Whitechapel.
- Sì.
- Da sola.
Il tono pungente dell’affermazione la indispettì non poco.
- Esattamente. Ci sono andata da sola, ci sono tornata da sola, e come puoi vedere sono ancora in piedi e in salute.
- La tua fortuna non smette di stupirmi, Sweetheart.
- Non è fortuna, è intelligenza, – replicò a denti stretti per non perdere la calma – Ho vissuto in posti simili quando dovevo contare solo su me stessa, e ce l’ho fatta. Non ho bisogno di uno chaperon che mi segua passo passo, lo sai.
- Questo non mi impedisce di non temere per te. E se ti avessero aggredita?
- Il rischio sarebbe maggiore se mi recassi nella civilissima Belgravia, ma questo non mi sembra un buon motivo per negarmi la libertà, – replicò fiera, la fronte corrucciata in una smorfia di – Gold non poté fare a meno di notare – adorabile rabbia.
Sospirò. Quella ragazza sapeva sempre come averla vinta, in un modo o nell’altro. O forse era lui che le avrebbe consegnato il mondo nel palmo di una mano se solo gliel’avesse chiesto. L’avrebbe incoronata regina dell’universo, adornata dei diamanti più splendenti, di perle dai riflessi di luna e da rubini di fuoco; l’avrebbe vestita d’oro e le avrebbe cinto il capo di acquemarine – anche se nulla, nulla avrebbe mai potuto eguagliare la purezza dei suoi occhi.
Doveva aver fiducia in lei e nel loro amore, come gli ripeteva sempre; lasciarla libera di condurre la sua vita, di prendere le sue decisioni giorno dopo giorno, com’era abituata a fare. Belle non era un fiore delicato da proteggere, una camelia che rischiava la morte al primo gelo, no; l’avrebbe paragonata piuttosto all’erica che cresceva forte e rigogliosa e sapeva resistere alle intemperie nonostante l’aspetto minuto e fragile,manifestando sempre la sua presenza e mutando l’aspetto dei prati su cui attecchiva, rendendoli vivi nonostante tutto.
- Belle, – esordì piano, poggiando le mani sulle sue – Non voglio tenerti in gabbia, te lo ripeterò sempre. Io ho semplicemente paura che ti accada qualcosa. Se ti facessero del male, io non potrei sopportarlo.
- Ma non sono un’incosciente, lo sai. Ho sempre fatto attenzione, e ne farò ancora di più se la cosa può in qualche modo tranquillizzarti; ma sai anche che per essere felice devo pur far qualcosa, tenermi occupata. Sapere di avere uno scopo al mondo, insomma. E andare qualche volta da Tink e aiutarla me lo dà, – si levò sulle punte per posargli un bacio sulle labbra, un contatto che lui avrebbe voluto durasse di più, si rivelasse più intenso.
Non sei un’incosciente.
Non era nella posizione di pretendere, in quel momento.
Ma allora, perché ti fidi di me?
- Vado da Regina, – riprese raddolcita – È il suo ultimo giorno qui, e non l’ho nemmeno aiutata io stamani.
- Se n’è andata, – si crucciò l’uomo – Cora è venuta a prenderla prima di quanto immaginassimo, senza neanche permetterle di finire la colazione. La bambina ti ha cercata per salutarti.
Sul volto della giovane comparve una smorfia triste.
- Mi dispiace non esserci stata. Dopo tanti giorni assieme, sarà rimasta male…
- Ci saranno altre occasioni, Sweetheart, – le rivelò senza nascondere soddisfazione – Alla fine le ho chiesto se vuole fermarsi un po’ da noi.
- E cos’ha risposto?
- Tecnicamente non ha fatto in tempo a rispondere, ma la sua espressione è stata chiara.
- Sì! – Belle esultò gettandogli le braccia al collo – Oh, Robert, non immagini quanto sia felice! – gli rise all’orecchio.
- Frena l’entusiasmo, Darling, devo parlare con Cora e sta’ pure certa che non la lascerà venire tanto facilmente. E poi, – le carezzò la schiena, incerto della reazione – Se accettasse, ciò implicherebbe avere maggiori contatti con lei…
- Non m’interessa, – scosse il capo decisa – Potrei incontrarla anche ogni giorno, non mi fa paura. Non può farci niente. Niente. Voglio dire, – continuò ridendo – Cosa deve temere chi ha un amore come il nostro? Sconfiggeremmo i demoni dell’Inferno, se solo osassero attaccarci.
L’abbracciò tanto forte da strapparle un lieve ansito di sorpresa, ma non esitò nel ricambiare la stretta.
- Belle French, sei una pazza scatenata, – le mormorò baciandola piano.
- È anche per questo che mi ami, – rispose– Perché sono una pazza scatenata e cocciuta. Ora però vado, prima che anche gli altri mi prendano per dispersa!
 
 
 
“Fly me up on a silver wing,
past the black

where the sirens sing.”
 
 
 
Belle salì rapida in camera per riporre il mantello prima d’iniziare a lavorare. Le dispiaceva aver perso l’occasione per salutare Regina, ma non dubitava che l’avrebbe rivista presto: Gold avrebbe persuaso la Contessa, ne era certa. La bambina meritava di vivere in un ambiente in cui poter esprimersi e crescere protetta da influenze negative che le avrebbero impedito di sviluppare appieno le sue capacità.
Meritava di vivere in un ambiente in cui c’era amore.
Sebbene l’ansia di Robert la facesse innervosire, non poteva non dichiararsi, sotto un certo punto di vista, lusingata: da quando la situazione economica del padre era peggiorata inesorabilmente, Belle aveva dovuto dire addio ai capricci dell’infanzia e imparare a cavarsela da sola. Ciò era stato senza dubbio un bene, era la prima a sostenerlo, ma sapere che qualcuno si preoccupava per lei l’agitava e inorgogliva a un tempo, senza capire quale emozione prendesse il sopravvento. Sotto un certo punto di vista, si disse, era normale: malgrado tutto, la strada che avevano percorso assieme era nulla rispetto a quella che ancora li attendeva, e solo il tempo avrebbe smussato le spigolosità dei rispettivi caratteri migliorandoli.
Ripensò a Tink: vederla le aveva fatto bene. Sotto un certo punto di vista, lei era l’unica – eccetto Mary Margaret – cui confidare quando stessevivendo. Mentre l’aiutava a riorganizzare l’orfanotrofio, ridendo con una coetanea come non le capitava da molto, le aveva raccontato ciò che per lettera aveva potuto solo accennarle: la bionda le aveva fatto le sue congratulazioni, ma non aveva lesinato moniti, perché – quelle parole iniziavano a nausearla, tanto spesso le erano state ripetute – la sua era una situazione precaria e non aveva mezzi per difendersi.
- Almeno non è successo nulla di irreparabile, – aveva dichiarato, salvo poi bloccarsi dinanzi al rossore di Belle – No. Non dirmi anche questo, per favore. Pazza sconsiderata, non dirmi che avete anche… – La frase era stata interrotta dal provvidenziale arrivo del piccolo Henry, ma per tutto il restante tempo la volontaria aveva lanciato occhiate preoccupate alla giovane e, prima che andasse, l’aveva salutata con l’ennesima raccomandazione: – Non ti ha mandata via, anzi, ha promesso di sposarti, ma per l’amor di Dio non abbassare la guardia. Ovviamente spero che tutto vada per il meglio, – aveva concluso – Ma non farti accecare dalla passione, davvero. Lo dico per te. E se ti fa soffrire, dimmelo e gli sguinzaglio contro Peter.
Belle sapeva che Tink era nel giusto, e che se fosse stata al suo posto probabilmente avrebbe dato i medesimi consigli; ma lei non era al suo posto.
Era dall’altro lato della barricata per l’ennesima volta, e per l’ennesima volta era depositaria di segreti inimmaginabili.
Se, appena giunta a Kensington, qualcuno le avesse predetto una storia d’amore con Gold, avrebbe pensato di star parlando con un folle: lei, con quel cinico misantropo che le aveva stravolto la vita?
Mai!
Era stato il tempo a dimostrarle di aver sbagliato, a insegnarle come la prima impressione non fosse sempre corretta e come sotto il velo sporco della realtà potessero nascondersi verità incommensurabili.
Potesse nascondersi l’amore.
Era come la pepita d’oro in una terra brulla: invisibile, quasi inaccessibile, si mostra solo ai cercatori pazienti, che con tenacia setacciano senza farsi arrestare dalle prime difficoltà, finendo per essere ricompensati col cuore prezioso della terra.
Ma niente era paragonabile a ciò che lei aveva trovato, al tesoro che aveva scoperto andando oltre la sottile armatura della pelle, giungendo al cuore.
Quasi sovrappensiero, le mani le corsero al cassetto del comodino, per ammirare ancora una volta quella banda preziosa che le aveva consegnato con gli occhi lucidi.
Aprì il cofanetto e il sorriso le morì sulle labbra.
L’anello non c’era.
 
 
 
“Warm me up
in the novice glow,
and drop me down

to the dream below.
 
 
 
Aveva voglia di piangere. L’unico suo desiderio in quel momento era prendere a calci qualunque cosa incontrasse sul suo cammino, prendersi a schiaffi per la propria idiozia e lasciar correre lacrime tanto furiose quanto liberatorie – se mai un semplice pianto potesse affrancarla da un simile peso.
L’istante in cui lo stupore e il panico le avevano annebbiato la vista e respirare era diventato difficile le si ripresentava all’infinito: era rimasta lì, a fissare la scatoletta vuota per lunghi istanti prima di ridestarsi dall’incubo a occhi aperti e cercare di diradare il caos che si era impadronito della sua testa.
L’anello non era dove l’aveva riposto quella mattina: era sicura di averlo conservato a dovere? Sebbene lo fosse, aveva messo a soqquadro il mobiletto nella vana speranza che l’astuccio mal chiuso avesse lasciato scivolare fuori il contenuto. Il modo in cui la mente sa illudersi quando non vuole accettare la realtà è sorprendente, e Belle ne stava avendo un primo, sgradito assaggio.
Era rimasta lì, seduta sul letto e con la testa tra le mani: non poteva aver perso il suo anello di fidanzamento, no! Non poteva essere stata talmente distratta, era qualcosa di inaccettabile persino per lei! Come avrebbe detto a Robert? “Scusa, ricordi l’anello che mi hai regalato? Sai, non lo trovo più, spero non ti dispiaccia!
Proprio quando le cose stavano andando bene!
Aveva cercato di respirare a fondo per calmarsi e dedicarsi alla ricerca senza apprensioni che non l’avrebbero certo aiutata; ma niente da fare: l’anello sembrava essersi volatilizzato, essere stato inghiottito da quella stanza così piccola, eppure tanto vorace.
Che fosse uscita col gioiello al dito e l’avesse perso al mercato o, più probabilmente, che gliel’avessero rubato lì? I quartieri che aveva visitato erano tutto fuorché sicuri, e non era difficile distrarre una persona per sottrarle qualcosa; ma lei ricordava benissimo di averlo tolto prima di uscire! Eppure, nessuno pareva essere entrato in camera… Dubitare della sua nuova famiglia le dava il voltastomaco, ma a un certo punto non doveva escludere alcuna eventualità.
Tuttavia, a pensarci bene, nessuno sapeva dell’anello: come gliel’avrebbero mai potuto sottrarre? Erano in pochissimi a esserne al corrente: lei, Robert e…
Le si era mozzato il fiato in gola, mentre l’ansia della realizzazione le premeva sul petto.
Un’altra persona sapeva dell’anello, una persona che non avrebbe mai dovuto scoprirlo in quel modo e che pure da meno di ventiquattro ore ne era a conoscenza. Una persona insospettabile e, anche per questo, pericolosissima.
Regina.
L’idea che fosse stata lei a prendere l’anello l’aveva colpita come un pugno allo stomaco, mentre il sapore amaro del disgusto le si riversava in bocca. No, non poteva essere: quando era entrata in camera? Non conosceva la collocazione esatta del gioiello, e per quanto potesse star attenta, era pur sempre una bambina, doveva aver seminato almeno un errore… E poi, perché mai avrebbe dovuto fare una cosa del genere?
Quest’ultima domanda, purtroppo, aveva una risposta che Belle poteva solo fingere di ignorare.
I moniti di Robert le erano cadutiaddosso con la violenza di una grandinata estiva: e se l’uomo avesse avuto ragione sin dall’inizio? Cora non aveva dimostrato scrupoli nell’ingannarla durante i preparativi per la festa a dicembre, forse non aveva esitato a usare la propria stessa figlia… Se Regina avesse agito come spia, se avesse studiato ogni sua mossa per riferirla alla rivale?
Dubitare di una bambina era un gesto assai poco nobile, ne era ben conscia; tuttavia, quel pensiero non le dava tregua.
Se ci fosse stata anche solo una minima parte di verità, allora lei e Gold si sarebbero presto trovati a fronteggiare a viso apertola Mills: nel momento stesso in cui l’anello fosse giunto nelle sue mani, la nobildonna avrebbe capito ogni cosa e non avrebbe esitato a vendicarsi.
Regina, aveva ripensato Belle, sentendosi gli occhi pungerle. Non poteva essere: si era fidata di lei, le aveva voluto bene dall’istante stesso in cui l’aveva vista, fatto di tutto pertutelarla dalle angherie materne, e ora non poteva escludere di essere stata pugnalata alle spalle proprio da lei. Alla giovane pareva ancora impossibile: se solo avesse potuto, si sarebbe volentieri strappata quel sospetto dalla mente, allontanandolo da sé nei modi più bruschi. Aveva confidato, ancora confidava nella lealtà del cuore scevro di disincanti della ragazzina; eppure, quell’eventualità non le concedeva tregua alcuna…
Cresci, Belle. Questo non è il mondo delle fiabe, non esistono buoni o cattivi.
Le cose non sono mai nette e non tutti sono forti, non tutti sanno resistere.
Non chi è fragile come lei.
Doveva parlarne a Robert quanto prima; ma magari, aveva cercato di rincuorarsi ancora, i suoi erano sciocchi sospetti frutto di suggestione e l’anello si trovava lì. In tal caso sarebbe rispuntato, a costo di mettere sottosopra la camera – cosa che, a dirla tutta, era tentata di fare all’istante; ma altri ritardi avrebbero ingenerato nuovi sospetti…
Uscì dalla stanza a malincuore, gettando un’ultima occhiata nella vana speranza di cogliere un luccichio turchese o dorato; rassegnata, si rimise in cammino meditabonda, finendo per sbattere contro qualcuno.
-E sta’ un po’ attenta! – il tono seccato che udì la sorprese relativamente; sperò solo che Emma non avesse intenzione di sfruttare il pretesto per l’ennesimo litigio, perché al momento discutere era l’ultimo dei suoi desideri.
- Non ti ho vista, – cercò di far suonare la propria voce incolore, limitandosi ad alzare appena le spalle; rimase di stucco nel constatare che la bionda la stava fissando con un cipiglio sì severo, ma non disgustato come quello che le riservava ormai da tempo.
- Cos’hai?
Strabuzzò gli occhi alla domanda: come aveva fatto ad intuire? Che fosse davvero un libro aperto, come Robert la prendeva in giro, che tutti potessero leggere senza difficoltà ciò che le passava per la testa?
- Niente, – mentì – Va tutto bene.
- Sicura? Guarda che io capisco quando la gente dice bugie. Ho una sorta di potere, come dice mia madre.
Un potere a tempo determinato, commentò amara, visto che a Greg e a Tamara hai creduto subito e a me no.
Ma non era certo il caso di esprimere ad alta voce il pensiero e rovinare la loro prima conversazione a suo modo civile dopo tanto tempo.
- Certo che sappiamo essere crudeli con noi stesse, eh? Scegliamo sempre i peggiori… Avanti, che ha combinato il Coccodrillo?
- Lui non c’entra, non c’entra assolutamente,– sorrise stancamente sentendo ripetere il vecchio soprannome affibbiato a Gold – E comunque, Emma, l’amore non si sceglie. Se così fosse, avremmo tutti un’anima gemella ritagliata a nostro piacimento. Sarebbe più semplice, sì, ma anche un po’ noioso, non trovi?
L’interlocutrice alzò un angolo della bocca in una smorfia perplessa.
- Sarà, ma a me sembra solo una gran fregatura. Non ho intenzione di rimbambirmi dietro nessuno.
- Ma a volte vale la pena perdere la testa, sai? Non si può avere il controllo di ogni cosa, e rinunciare a qualcosa che può essere bellissimo per paura non è poi tanto intelligente, – osservò, memore del discorso di Mary Margaret sulla figlia.
Emma parve riflettere prima di rispondere.
- Non ne ho idea, – ammise con un mezzo sospiro – Kill… Qualcuno, – si corresse in fretta, ma già troppo tardi perché il riferimento rimanesse un mistero – Me l’ha detto, ma io non lo so.
Belle annuì.
- Sono cose che si capiscono lentamente, – fu l’unico commento che le parve opportuno.
Piombarono in un silenzio rotto solo da passettini e rumori attutiti in lontananza.
- Emma… – riprese infine, dando voce al dubbio sottile causato dalla strana piega assunta dalla conversazione – Perché hai ricominciato a parlarmi?
- Non credevo che ti infastidisse, – non diede alla collega il tempo di riaprir bocca, limitandosi a uno sguardo ironico – Se fosse stato solo per… Peraltro, non saresti più qui. E Ariel non avrebbe mai voluto vederci così.
- Già, – Belle concordò triste – Ariel non avrebbe mai voluto molte cose.
Entrambe si persero nel ricordo dell’amica perduta e del breve, meraviglioso periodo condiviso.
Conta più la qualità che la quantità del tempo trascorso con un caro, vero, ma certi distacchi, certe separazioni nettissime e irreversibili bruciano per sempre; e con loro, brucia il semplice pensiero del come sarebbero andate le cose se quella persona non se ne fosse andata, o avesse almeno dato un’avvisaglia del suo addio, per permettere al mondo di prepararsi a un distacco che comunque nulla avrebbe mai potuto far accettare.
Chissà cosa avresti detto tu di questa situazione.
Avresti intuito tutto ancora una volta, o anche tu saresti stata ingannata?
Tutte domande senza risposta.
Fu la bionda a riaversi per prima. Sospirò rialzando il capo e dedicò un’ultima, assorta occhiata alla collega più grande prima di mormorare un: – Andiamo? – che a Belle suonò più sincero di ogni altra richiesta di perdono.
 
 
 
Bring me home
in a blinding dream
through the secrets
that I have seen.
 
 
 
Si maledisse ancora una volta, pur sapendo che ciò non avrebbe cambiato le cose.
Aveva cercato ovunque, ma senza alcun risultato: l’anello era perduto,nella peggiore delle ipotesi – che, inutile negarlo, appariva la più probabile – rubato, quell’ idea non le dava tregua e doveva dirlo a Robert.
Non sapeva come fare; né sapeva come avrebbe reagito l’uomo, se avesse sospirato e chiuso la questione con un laconico “Te l’avevo detto” o se si fosse arrabbiato per non essere stato creduto in una situazione in cui tutto depositava a favore delle sue supposizioni.
Di sicuro non avrebbe fatto i salti di gioia.
Dio, per quale motivo era stata tanto stupida da non dargli retta? Le aveva ripetuto fino allo spasimo di non fidarsi di Cora, di non lasciarsi intenerire da Regina e di mostrarsi più distante! Tutti avvertimenti che fino a poche ore prima le erano sembrati privi di fondamento,e che ora rifulgevano beffardi nella sua mente. Il danno era fatto, tornare indietro impossibile: si poteva solo guardare oltre e prepararsi a una nuova battaglia. Riflettendo, forse neanche Regina aveva colpe: le probabilità che fosse stata plagiata dalla madre, costretta a gesti inspiegabili per la sua mente di bimba, erano elevatissime. Era una vittima anche lei, di questo Belle non dubitava.
Eppure, quel tradimento, quegli inganni bruciavano come fuoco.
Sempre se fosse stata Regina la colpevole, ovviamente.
Dopo cena, in attesa che Robert tornasse a casa, si era rifugiata in biblioteca: il tempo in compagnia dei libri era balsamo per la sua anima, e non dubitava che trascorrere qualche minuto tra le pagine di un romanzo le avrebbe giovato, permettendole di schiarirsi le idee. Ma le righe le si confondevano dinanzi agli occhi, e la mente ottenebrata da foschi pensieri rendeva impossibile distrarsi con vicende di fantasia…
- Ecco perché le luci qui sono ancora accese! Avrei dovuto immaginare ci fosse il tuo zampino…La solita Belle!
Sobbalzò sentendosi chiamare. Si voltò di scattò, le mani ancora strette attorno al volume; ma si rilassò appena vide l’ultimo arrivato. Rispose al saluto di Killian con un sorriso ben poco allegro, nella speranza che l’uomo non lo notasse; speranza vana, perché il giovane corrugò la fronte, afferrò una sedia e le si sedette vicino.
- Che faccia, love! È successo qualcosa?
- No… Non ancora, almeno… – non poteva certo confessare il motivo della sua tristezza, ma fingere serenità in quel frangente era un’impresa destinata a fallire; tanto valeva non mentire più del dovuto.
- Devo andare a picchiarlo? – chiese con una tale, inedita serietà che Belle non poté trattenere il fantasma di una risata – Non sto scherzando, – continuò imperterrito – Se ti ha torto un capello, lo rispedisco in Scozia a calci in…
- Oh, Killian, – sospirò – Nessuno ha fatto male a nessuno, e anche se fosse saprei difendermi da sola. E soprattutto, – puntualizzò severa – Non c’è bisogno di rispedire nessuno in Scozia. Nessuno.
Fu lui a sghignazzare quella volta.
- Mio Dio, Belle, – riprese dopo essersi calmato – Sei una pessima bugiarda! Dovrebbe darti ripetizioni in merito, ne hai davvero bisogno!
- Nessuno deve darmi ripetizioni di niente, – la cameriera stava iniziando a innervosirsi. A volte, nella sua baldanza Killian si rivelava incredibilmente irritante, e – quel che era peggio – non sembrava rendersene conto – Perché non c’è niente. Niente.
- Va bene, va bene, va bene! – il valletto alzò le mani in segno di resa, ma l’espressione sul viso la diceva lunga circa le sue reali convinzioni – Se dici che non c’è niente ti credo, non c’è niente. Però, anche se – e dico se, eh! – ci fosse qualcosa, ricorda che io sono stato tra i pochi a non voltarti le spalle dopo quelle voci. Non ti avrò difesa a spada tratta, vero, ma capiscimi, ero tra due fuochi e se mi fossi schierato apertamente ora non sarei qui a raccontartelo, ma sai perché ho continuato a rivolgerti parola? – s’interruppe e la guardò dritta negli occhi prima di proseguire – Perché mi fido di te. Non so cosa stia – o non stia, – si corresse in fretta – Succedendo tra te e Gold, ma conosco te, e so che hai rispetto per te stessa. Non sei una che si svende perciò, se c’è del vero in quei pettegolezzi, non è per la ragione che si può immaginare.
Belle si torturò il labbro inferiore tra pollice e indice. Il discorso di Killian l’aveva colpita: in effetti, l’uomo non le aveva mai esplicitamente né criticata, né difesa, mantenendo un atteggiamento ambiguo sul quale non si era interrogata a fondo. Aveva concentrato la sua attenzioni su quanti manifestavano apertamente il loro disprezzo o il loro favore, lasciando nella zona d’ombra le situazioni incerte; ma la riflessione appena rivoltale non poteva che farla tornare sulle proprie posizioni. Il legame col valletto era fatto di scherzi e risate, più che di confidenze e segreti: le serate un tempo trascorse in cucina erano state dominate da una festosa allegria, che però non gli aveva impedito di comprenderla più a fondo di quanto avessero fatto altri dipendenti con cui aveva condiviso confronti magari più impegnati.
Quelle semplici parole la rincuorarono, impresa quasi sovrumana stante il contesto.
- Dimmi solo una cosa, – le domandò all’improvviso, grattando il pannello di cuoio che rivestiva la scrivania – In questi giorni Emma è venuta da te?
- Emma? – gli fece eco stupita – Oggi abbiamo parlato per qualche minuto… Perché?
Sul volto dell’uomo apparve una smorfia soddisfatta.
- Finalmente, – commentò con un ghigno – Per una buona volta ha seguito un consiglio.
- Sei stato tu a costringerla?
- Love, – sbuffò divertito – Se Emma si lasciasse costringere a fare o non fare qualcosa, non sarebbe Emma, e io mi preoccuperei parecchio. Perciò, no – non l’ho costretta. Le ho solo spiegato che non sei una sprovveduta, né scendi a compromessi, e che pertanto certi suoi atteggiamenti sono insensati.
- L’hai aiutata a ragionare, – commentò Belle facendo scorrere le dita sul dorso del tomo.
- Se vogliamo metterla in questi termini…
Aveva immaginato che la scelta della piccola di casa non fosse stata del tutto autonoma: come qualsiasi persona che ancora si affaccia alla vita, che la vuole affrontare mordendola, appropriandosi di ogni istante fino a consumarlo, Emma era troppo cocciuta, troppo convinta delle proprie posizioni per ritrattarle o almeno ripensarle senza che qualcun altro l’accompagnasse nel processo; tuttavia, Belle non dubitava della bontà del suo pentimento. Le poche parole che avevano scambiato le erano parse sincere, frutto di una riflessione sofferta di cui Killian poteva essere stato solo ispiratore, non di certo fautore; era stata Emma a decidere, e non il giovane che le aveva appena spiegato la situazione, di questo non aveva dubbi.
- Piuttosto, – riprese il bruno, guardandola grave – Dimmi la verità: cosa stai combinando?
La ragazza rimase sorpresa dall’inaspettato cambiamento di tono del collega.
- In che senso, scusa?
- Nel senso che un conto è non giudicarti, un altro non preoccuparmi per te, – prese un profondo respiro prima di andare avanti – Sono tuo amico e ti voglio bene, e per questo la situazione sta iniziando a impensierirmi: capirei se fossero solo schermaglie, ma le cose stanno diversamente, si vede… E tu devi stare attenta.
Belle sospirò sentendo gli occhi azzurri del servitore piantati addosso, ma non distolse lo sguardo, anzi: lo ricambiò con fermezza.
- Lo so, – esordì dolcemente – Ma non è come sembra. Potrebbe sembrare un cliché da feuilleton, l’uomo adulto e potente che insidia la giovane ingenua, ma non è così. Lui… – come tutti gli altri, l’amico innegabilmente sapeva. Negare a oltranza sarebbe stato solo controproducente, e a maggio la verità sarebbe comunque emersa; continuare a fingere un rapporto esclusivamente lavorativo, oramai, non avrebbe neanche più salvato le apparenze. L’unica cosa da fare era lasciar intendere senza dire e riporre fede nella discrezione dell’uomo: Killian poteva sembrare vanesio ed egocentrico, ma in più occasioni – anche proprio nei suoi confronti, come a dicembre – aveva dimostrato una lealtà e una correttezza encomiabili. Sentiva so poter fidarsi di lui, nella speranza di non star compiendo l’ennesimo tragico sbaglio – Lui non è come sembra. Ero la prima a considerarlo una bestia insensibile, ma quando l’ho conosciuto meglio ho scoperto che interpreta un ruolo. Nasconde una personalità complessa, contraddittoria, a tratti anche insopportabile, te lo concedo, ma non cattiva. Lo capisci da te, – tagliò corto – Me ne sono innamorata. E non ho saputo, né voluto resistere a questo. E per lui vale lo stesso, sai? Anzi, è lui ad avere più paura. Anche se non sempre lo dice, io so che non ha idea di come comportarsi, teme che possa andarmene da un momento all’altro… Ma non accadrà. Non c’è stato un colpo di fulmine: ci siamo innamorati lentamente, conoscendoci col tempo, e quando ciò che ci lega si è manifestato non è stato possibile lottare. Farlo ci avrebbe uccisi dentro.
L’uomo l’ascoltava attento.
- Certo che ci sai fare con le parole, eh? – ridacchiò per un istante – Seriamente, Belle: sono felice di vederti così – su di lui non mi esprimo, far arrabbiare una donna cotta a puntino in una biblioteca piena di libroni pesanti non è certo nei miei piani –, ma cerca di ragionare: ti sei mai chiesta cosa possa offrirti lui? Dove ti porterà questa storia?
- Dove ci porterà questa storia, – precisò senza esitazioni – Non lo sappiamo. Non sappiamo cosa succederà domani o dopodomani, se saremo in grado di vincere le sfide che ci attendono, se avremo un lieto fine – il pensiero dell’anello e delle sue implicazioni le offuscò lo sguardo per un istante – Ma possiamo offrirci comprensione. Possiamo offrirci sostegno, possiamo sostenerci a vicenda e lottare dallo stesso lato della barricata senza arrenderci. In una parola, possiamo offrirci amore.
Killian alzò le spalle poco convinto.
- Sarà, – borbottò – Ma resto del parere che sia una mezza follia. Non sarebbe meglio un irlandese giovane e forte, che sarebbe lietissimo di invecchiare al tuo fianco?
- La provenienza è chiaramente casuale…
- Devo pur far propaganda ai miei conterranei!– si unì alla risata dell’amica – Scherzi a parte, mio fratello Liam sbarca tra un mese. È un bel ragazzo, gran lavoratore, molto più serio e posato di me, un uomo da sposare, garantisco. Nel caso fossi interessata… Sarei lieto di averti come cognata, Milady.
- Ti ringrazio per l’offerta, ma sto bene così, davvero.
Lo sguardo del valletto s’illuminò di colpo,come se avesse colto il tassello mancante.
- È l’accento! – ammiccò – Ecco il problema, Liam non ha l’accento scozzese! Ma non temere, Dearie, – proseguì in un’imitazione decisamente riuscita di Gold – Lo spedisco due mesi al Nord e vedrai come cambierai subito idea!
- Ma non è l’accento! – a Belle doleva la mascella dal gran ridere – O almeno, non è solo quello!
- Lo convincerò a crescersi i capelli. Certo, il mio povero fratellone è ricciolino, ma in qualche modo provvederemo… Farò sparire le forbici dalla sua vita, sì, sì.
- Killian, sei senza pudore! – gli tirò una pacca su un braccio – Ti ho detto che non è solo questo, ma tutto questo, anche questo. È qualcosa di molto, molto più complesso.
- Ma almeno tu hai a che fare solo con lui. A me sembra di dover conquistare due donne opposte, tanto sono diverse tra loro madre e figlia.
Il riferimento era troppo palese perché si dovessero far nomi.
- E l’interessata che dice?
- Con l’interessata mi sembra di essere su un’altalena. Un giorno è tutta sorridente, appena ne ha occasione mi cerca e chiacchiera serena; il giorno dopo mi evita come se fossi un appestato. La solita storia da due anni a questa parte, insomma; e da quando Mary Margaret si è convinta che voglia ingannare la sua bambina, è anche peggio. Ma seriamente, – ribadì sconvolto, un sopracciglio alzato in segno di palese sconcerto – Potrei mai ingannare Emma? Ammetto di essere stato esuberante in gioventù, ma non sono più un ragazzino spericolato, sono cambiato. Tengo davvero alla mia biondina. La difenderei a mani nude da un assalto di pirati, se me ne capitasse l’occasione… O forse dovrei difendere loro da lei, – si corresse dopo qualche secondo.
- È questo ciò che dovresti far capire a Mary. Per te sua figlia non è un giocattolo, hai intenzioni serie con lei, e non aspetti che occasione per dimostrarlo. Parti dalle piccole cose, dalla quotidianità – in tutta sincerità, dubito ti ritroverai mai a dover fronteggiare orde di bucanieri in casa Gold…
- Conoscendone il proprietario, non escludo se ne sia inimicato un paio...
Belle finse di non aver udito.
- …E quanto a Emma… Quanto a Emma non si può far molto. Continua a essere presente, non lasciarti vincere dal suo carattere lunatico, e piano piano capirà quanto le vuoi bene… E quanto te ne vuole lei. Sai, – decise di incoraggiarlo – Stamattina ti ha nominato, – sorrise dinanzi all’occhiata speranzosa del valletto – Mi ha detto che hai cercato di farle capire che al cuor non si comanda.
Sembrava che Killian stesse assistendo a un’apparizione celeste.
- Lo ha detto davvero?
- Più o meno…È per questo che non devi demordere. Sono sicura che col tempo riuscirai ad abbattere il muro che la divide dal resto del mondo e sarete felici. Me lo sento.
- Vorrei tanto avessi ragione. Anche Ariel mi diceva sempre di andare avanti.
In meno di un giorno, la danese tornava a presentarsi nei suoi pensieri.
- Mi manca tanto,– ammise triste la donna – In pochi mesi si è ritagliata un posto speciale nel mio cuore.
- Era il suo potere, – il bruno evitò il suo sguardo, come a nascondere il dolore che gli aveva attraversato il volto – Sapeva farsi amare. Strappava a tutti una risata, coi suoi modi allegri, con la sua curiosità. Era una persona così luminosa…
Belle gli carezzò una spalla senza parlare. Ogni parola sarebbe stata vana per descrivere il vuoto che Ariel aveva lasciato dentro di loro.
- Un giorno di questi andiamo a trovarla? – propose dolcemente – È da un po’ che non passiamo…
- Sì, – concordò piano – Sarebbe bello farlo.
- Belle?
Il sangue defluì dal viso di Killian, che allontanò bruscamente la mano dell’amica e si voltò con una lentezza impressionante. Belle fu molto più rapida: appena udì la voce familiare si girò e dedicò al nuovo arrivato un sorriso caldo che non trovò seguito.
- Mr. Gold, – il valletto si alzò in segno d’ossequio – Miss French e io stavamo…
- Oh, – lo interruppe con un pacato cenno della mano, continuando a fissarli – Non c’è bisogno di spiegazioni, Jones. Immagino cosa stavate facendo tu e… Miss French.
Il mood in cui la chiamò non le piacque.
Le implicazioni della frase le piacquero ancor di meno.
Era ormai abituata alla gentilezza, alla smorfia dolce che gli distendeva i tratti quando pronunciava il suo cognome, ormai solo per gioco; ma quello non era uno scherzo tra fidanzati, una burla che si sarebbe risolta con un ennesimo bacio.
Quella volta, nella voce dell’uomo Belle percepì solo ghiaccio.
Un gelo che le penetrò pelle e muscoli, giungendo alle ossa e rendendo impossibile ogni movimento.
Non era difficile capire il perché di quella reazione: con ogni probabilità, l’uomo era salito dalla domestica e, non trovandola, aveva immaginato si fosse nuovamente soffermata nell’amata biblioteca fino a perdere la cognizione del tempo; ma quella volta non era stata un’avventura di carta e inchiostro a tenerla lontana da lui, ma un altro uomo con cui l’aveva sorpresa chiacchierare complice e sola.
Robert doveva essere arrivato alla conclusione più immediata, ma allo stesso tempo più errata che ci fosse.
- Ci stavamo organizzando per far visita alla tomba di Ariel, – chiarì forte della verità che la guidava, affrontando quel mezzo sorriso affilato come il filo di un rasoio.
- Un progetto che certo non poteva attendere la luce del sole. Capisco.
- Un progetto cui abbiamo pensato ora.
Non replicò direttamente, limitandosi a guardarla impassibile.
- Jones, – si rivolse al dipendente senza distogliere l’attenzione dalla donna – Torna nella tua stanza. Subito, – precisò dinanzi alla lieve esitazione del ragazzo.
Il valletto non se lo fece ripetere un’altra volta: rivolse un’occhiata sgomenta alla collega, biascicò un saluto e si allontanò in fretta e furia, chiudendo la porta dietro di sé e lasciando soli Gold e Belle.
I due continuarono a studiarsi in un silenzio quasi perfetto, spezzato solo dal ritmico tamburellare delle dita dell’industriale sul tavolo, mentre la cameriera s’imponeva calma dinanzi a quel rumore che tanto la infastidiva e che pure l’altro non pareva aver intenzione di interrompere.
- Trovi normale irrompere in una stanza e spaventare a morte i presenti? – chiese sarcastica quando anche l’ultima vestigia di finta serenità l’ebbe definitivamente abbandonata.
- Lo trovo normale tanto quanto sparire per la seconda volta in una giornata. Anche se presumo di dovermi scusare per aver interrotto il vostro amichevole convegno,– l’accento calcato sull’aggettivo la indispettì non poco; e sebbene fosse proprio il fine di Gold, ancora una volta l’impulsività ebbe la meglio.
- Amichevole, sì. E te lo dico subito, questa tua gelosia non mi va bene. Stavo parlando con un amico, una delle poche persone che non mi è andato contro quando è scoppiato il putiferio, e tu non avevi alcun diritto di…
- Se non ti è andato contro ci sarà un motivo, proprio non lo riesci a capire? Nessuno fa niente per niente!– Robert non urlava mai. Non ne aveva bisogno: erano sufficienti un’inflessione nella voce, una smorfia sghemba o un’occhiata per ricondurre l’interlocutore a ragione e abbatterne ogni resistenza. Il tono acuto indicava solo una cosa: era arrabbiato come mai lo era stato prima – Una ragazza di cui si vocifera tanto, non più irraggiungibile come un tempo… Qual è lo scopo di Jones, secondo te? Se sei tanto cieca da non vederlo, o da fingere di non vederlo, evidentemente l’idea non dispiace neanche a te!
- Cosa stai dicendo? – ringhiò in risposta, sconvolta dall’offesa implicitamente rivoltale – Se non vedo alcun secondo fine, è semplicemente perché non esiste alcun secondo fine nel comportamento di Killian!
- Siamo passati a chiamarlo per nome, ora, Dearie?
- Sì! Lo chiamo per nome come ho sempre fatto, come sempre farò, perché è mio amico! –fremette inspirando attraverso gli incisivi – E se a te questo non va, se vuoi nascondermi sotto una campana di vetro per timore che gli altri mi portino via, se mi sottovaluti a tal punto da prendere anche solo in considerazione quest’eventualità, allora non hai capito niente di me, niente! Non hai capito che io non sono uno dei tuoi soprammobili, che sono io a decidere della mia vita, e se io ho deciso di stare con te, con te e con nessun altro, allora dovrà pur esserci un motivo!
Dovette fermarsi per riprendere fiato. Le faceva male la gola, tanto aveva gridato, e i polmoni parevano urlare, desiderosi di aria; non seppe mai come riuscì a reprimere l’impulso di girare i tacchi e andarsene senza mostrar pietà. Il petto le si alzava e sollevava per la furia che la mordeva, i palmi delle mani le dolevano per la forza con cui li serrava, incurante di piantarsi le unghie nella carne.
Nell’aria immobile, l’energia che crepitava tra loro era fuoco vivo: la sentivano scorrere sotto pelle, ondate di calore che acceleravano il battito, il rombo del cuore nelle orecchie e quel nodo alla gola, quella rabbia che ancora attendeva di essere espressa.
Odio e amore sono due facce della stessa medaglia, aveva letto una volta.
Ma mai aveva sperimentato sulla sua pelle l’impeto di emozioni così violente avvinte in una morsa da cui liberarsi era follia.
Successe tutto nell’istante in cui Belle fece per voltarsi: l’uomo le si avvicinò a grandi falcate e l’afferrò per la vita.
Le sue braccia le passarono attorno ai fianchi, intrecciandosi sul ventre.
- Non tradirmi, Belle – le sussurrò all'orecchio – Non tradirmi per alcun motivo al mondo. Se lo fai, io... Oh, non temere, – continuò incurante dello scatto che lei ebbe per liberarsi – A te non farei mai male. Ma lui... Lui lo ammazzerei con le mie mani. E ne sarei felice.
Provò a rispondere, a replicare che questo non bastava certo a rassicurarla e che erano il suo sospetto, la sua nuova brama di vendetta a farla infuriare; e gliel'avrebbe detto, se solo un brivido ben noto non le avesse percorso la schiena sentendo le mani dell'uomo vagare sul corpo, soffermarsi sui seni, sui fianchi, sollevarle le gonne, farle perdere il filo dei pensieri.
- Sai che non ti tradirei, – ribadì –Mai. Ma non voglio tu ripeta certe cose.
- Quali cose?– Le sue labbra erano così vicine che le sentì aprirsi in un sorriso, la voce un sussurro roco, l'accento sempre più stretto, quasi incomprensibile – Che sei mia?
- Non sono un oggetto, – ripeté a denti stretti. Non era possibile, non era umanamente possibile condurre una discussione col ronzio del sangue padrone delle orecchie, il suo respiro sul collo che non smetteva di baciare, e le sue dita, oddio, le sue dita... – E n-non è solo questo...
- E cos'altro è? – domandò quasi indolente.
- La vendetta. Sai che ti amo, e…
La voltò bruscamente, facendola trasalire, e s'impadronì della sua bocca in un bacio che aveva ben poco di romantico. Un bacio di rabbia e di possesso, di foga e furore, un bacio cui seguì un altro, e un altro ancora, mentre le mani si cercavano in gesti dominati dal desideri, mentre Belle si riscopriva a ricambiare senza paura quel temporale di baci, a imprimervi un desiderio di cui ebbe percezione solo in quell’istante e che pure la divorava – era una fiamma, una fiamma che non voleva spegnere. Baci che erano risposte, risposte che forse non erano una vendetta, o ne erano una da poco, ma in cui urlava la sua ribellione, la sua volontà di resistere e cedere a un tempo.
- Lo so, – Gold si staccò appena dalle sue labbra, strappandole un gemito di protesta – Io lo so. Ma gli altri non lo sanno.
Fu il suo ultimo ghigno tronfio prima di spingerla sul tavolo.
 
 
Wash the sorrow
from off my skin,
and show me
how to be whole again."
 
 
 
Doveva tornare in camera.
Doveva assolutamente tornare in camera prima che qualcuno particolarmente mattiniero la sorprendesse in giro per le stanze del padrone, i capelli scarmigliati e i segni di quella notte ancora sulla pelle.
Rifuggire il caldo abbraccio delle coperte e tornare nella sua cameretta le pareva una bestemmia; ma più di ogni altra cosa, le doleva il cuore al pensiero di dover lasciare la stretta di Robert.
Sospirò: per una volta, le parole e i pensieri non l’avrebbero aiutata. Nonostante tutto, amarlo si rivelava più semplice che riuscire a farglielo capire; l’unica cosa da fare era seguire lo stesso consiglio dato a Killian, attendere paziente e dimostrare tutta la vicinanza, tutto l’amore di cui era capace, a quest’uomo che, dopo le urla e le recriminazioni, dopo aver lasciato vincere la passione, le dormiva accanto, il volto nell’incavo della spalla e un braccio poggiato sul suo ventre, come se si aggrappasse a lei, come se la considerasse un’ancora e temesse che potesse sparire per sempre.
E poi c’era il pensiero che non le dava tregua. Avrebbe desiderato parlargliene subito, perché mantenere quel segreto andava al di là delle sue capacità e, soprattutto, contraddiceva la fiducia che voleva alla base della sua relazione; ma poi c’era stata la lite, e quel che era seguito, e poi i baci e le scuse, il far la pace e l’addormentarsi insieme… Non poteva svegliarlo ora e dirgli tutto in quel barbaro modo: un conto era la sincerità, anche la schiettezza, un altro essere inopportuni.
L’indomani mattina avrebbe confessato ogni cosa. Lo avrebbe messo a parte di quanto successo e dei suoi sospetti, ne avrebbero discusso e stabilito una strategia comune trovando un modo per risolvere quel guaio.
Ma ora doveva assolutamente andarsene.
Lo scostò con delicatezza e si sedette sul bordo del letto, dando agli occhi il tempo per abituarsi al buio della stanza. Il tocco improvviso di una mano sulla schiena non la stupì: non avrebbe voluto svegliarlo, ma l’abitudine li aveva resi sensibili ai reciproci movimenti.
- Che succede? – lo sentì chiedere.                                                             
La voce impastata di sonno la intenerì; sorrise alla vista di quei capelli spettinati tra i quali tanto amava passare le dita. Nonostante il volto semiaffondato nel cuscino, la fissava con un’intensità antica.
- Torno su. È già tardi rispetto al solito… – fece per alzarsi, ma la mano scivolò verso il braccio, cingendole il polso in una stretta dolce e decisa a un tempo.
- Resta.
Quell’unica parola la paralizzò nell’istante stesso in cui raggiunse le sue orecchie. Lo guardò col cuore in tumulto, conscia dei sottintesi di un’affermazione solo apparentemente insignificante e incredula di quanto stesse realmente accadendo.
- Resta, per favore.
Non fu difficile obbedire. Non fu difficile lasciarsi ricadere sul letto, stringersi d’istinto al suo petto e inspirarne il profumo, perdendosi nella delizia dei loro corpi intrecciate, di quella piccola, grande follia. Al riparo da ogni nemico, da ogni pensiero negativo e da ogni preoccupazione: solo loro due in quella stanza, lontani da tutto e tutti.
- Non aspettiamo maggio, – mormorò baciandole la testa, carezzandole la nuca.
Rialzò il capo e sgranò gli occhi, incerta di aver capito.
- In che senso?
- Sposiamoci prima. Partiamo domani, non aspettiamo maggio. Solo noi, un prete e due testimoni a caso. Ti va?
Una domanda improvvisa, una proposta ancora più inaspettata della prima. Poche parole per esprimere un amore che non aveva più intenzione di negare la propria esistenza. Frasi dirette, coincise come sempre; frasi non per questo prive della capacità di toglierle coscienza del proprio corpo per un istante, prive del potere di scatenarle un terremoto nel cuore.
Lo guardò in silenzio per un interminabile momento.
 
- Sì, – rispose infine – Mi va.
 
 
 
Because I’m only a crack
in this castle of glass,
hardly anything left
for you to see,
for you to see.
“Castle of glass” - Linkin Park
 
 
 
 
N. d. A. : Hello! :)
Chiamatela follia d’inizio autunno o come volete voi, la situazione non cambia: alla fine ho ceduto e ho aggiunto una scena a rating un pochino più alto.
L’ho scritta alcune settimane fa, ma l’ho ripresa e mi sono convinta a non eliminarla solo negli ultimi giorni – è inutile ribadire il mio imbarazzo nel trattare certi temi!Ringrazio V. per aver letto in anteprima le righe incriminate, non aver battuto ciglio dinanzi alle mie remore e avermi invitata a inserirle senza far troppe storie. ♥
L’amicizia tra Belle e Killian è un tema cui tenevo e che ho voluto sviluppare, sebbene nella serie sia inesistente per motivi abbastanza ovvi – anche se, se facessero scusare per bene il pirata, sarebbe un tema interessante!
Stavolta consigli e critiche sono ancora più ben accetti del solito: temo eventuali OOC e che alcuni passaggi sianoaffrettati. Rimettoa voi il giudizio: siate inclementi come sempre e fatemi sapere cosa ne pensate! :)
SPOILER 4x01: Ho trovato Elsa e Anna divine, simili alle originali, e non vedo l’ora di scoprirne di più, mentre Emma è insopportabile come sempre – povero Killian! – e Regina una cucciolina – qualcuno parli a Robin del divorzio! Ma i RumBelle… Non avendo voluto vedere lo sneak peek, mi sono commossa per il ballo istante per istante, nonostante i vestiti egli schiocchi di dita trashissimi. E la musica… Awww! ♥_♥ Bellissimo il discorso di Rumpel sulla tomba del figlio, ma quel cappello non lascia presagire nulla di buono... Le cattive abitudini sono fin troppo dure a morire quando si tratta dell’Oscuro!
Grazie di vero cuore a chi ha recensito il precedente capitolo, ha aggiunto la storia alla lista delle preferite/ricordate/seguite e a chiunque la legga; ricordo infine la mia pagina Facebook “Euridice’s World” per anticipazioni, spoiler e simili. :)
Salvo imprevisti, a sabato 18 ottobre col penultimo capitolo, Dearies! ♥
Euridice100

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Capitolo 22
*** XXI - Amore che vieni, amore che vai ***


 
 
 
XXI - Amore che vieni, amore che vai
 
 
 
Quei giorni perduti a rincorrere il vento, 
a chiederci un bacio e volerne altri cento, 
un giorno qualunque li ricorderai, 
amore che fuggi da me tornerai.
 
 
 
La stanza risuonò della risata più gaia che quelle mura avessero udito da molti anni a quella parte.
Gli occhi della responsabile luccicavano quando si posavano sull’anello che teneva stretto tra le dita e che studiava col misto di fascinazione e disprezzo che il semplice pensiero di quell’oggettino le causava.
Sei diventato un miserabile, Robert, pensò la contessa Mills. A furia di stare con quella pezzente i tuoi gusti sono davvero peggiorati.
Il gioiello non aveva nulla della magnificenza di Garrard, dell’eleganza ariosa di Tiffany o perlomeno dello splendore di Chopard: era una semplice banda dorata – regolabile, per giunta, che caduta di stile! – in cui era incastonata una pietra di qualità infima – una pietra di luna o un opale? Non ne era sicura; né, a essere sinceri, nutriva alcun interesse. Sarebbe stata più consona un’acquamarina, o uno zaffiro, al più un lapislazzulo, ma non un opale, per quanto fosse un portafortuna alla moda. 1
Magari stava risparmiando per tutti i doni che avrebbe dovuto farle per riconquistarla…
Ghignò, stringendo più forte il monile. Non le era passato inosservato il colore della pietra – qualunque essa fosse – né il fatto che, quando la luce la colpiva, essa pareva accendersi di mille riflessi cristallini; nell’istante stesso in cui aveva notato quei particolari, un retrogusto amaro si era impadronito della sua bocca, e nulla aveva potuto scacciarlo.
Un anello la cui corona reggeva una pietra dello stesso colore degli occhi della donna che l’avrebbe portato significava solo una cosa; e Cora aveva ricevuto così la conferma suprema: Robert Gold era impazzito. Non poteva aver improvvisamente rinnegato le sue idee sul matrimonio e deciso di compiere il grande passo con una sciacquetta di vent’anni, no: il Robert Gold che conosceva, l’uomo col quale aveva condiviso due decenni di vittorie, non si sarebbe lasciato convincere da nessuno, nemmeno da lei, se mai le fosse balzata in mente un’idea tanto insensata.
Non riusciva a capire cos’avesse fatto la French per irretirlo a tal punto; perché a nulla era valso l’atteggiamento vago che i due avevano mantenuto in sua presenza, anzi: l’uomo sarebbe anche riuscito a instillarle un dubbio, forse, ma il teatrino della ragazza era stato, per essere misericordiosi, pessimo.
E in ogni caso, le testimonianze di Mendell, della Green e, da ultima, di Regina valevano più di ogni recita.
Alla fine, proprio la bambina si era rivelata il cavallo vincente su cui puntare. Cora si complimentò con se stessa: aveva svolto un ottimo lavoro con lei, tirandola su senza quell’indulgenza sinonimo di lassismo che rovinava la gente. Nessuno avrebbe mai fatto regali al prossimo, chiunque avrebbe dovuto lottare per ritagliarsi un posto al mondo – chiunque, anche chi fosse nato nella bambagia; anzi, questi ultimi avrebbero dovuto raddoppiare i propri sforzi, per dimostrare di essere degni della posizione occupata. Regina l’aveva finalmente capito, e la settimana dallo zio era stata il suo banco di prova: era tornata a casa con notizie succulente e riscontri inaspettati; e poco importavano la ritrosia nel riferire le informazioni o le dita tremanti con cui le aveva consegnato l’anello: contava che l’avesse fatto.
È una bambina adorabile, era solita dire Cora Mills alle amiche quando parlava della figlia; ebbene, quelle parole corrispondevano a realtà. Il sorriso accennato che Regina si era concessa apprendendo del trasferimento a Londra del suo adorato cavallino e dell’insegnante di equitazione – un premio che le aveva volentieri elargito dopo la fedeltà dimostratale – ne era stata la suprema conferma: Regina non solo sapeva stare al mondo, ma sapeva starci da autentica Lady britannica.
Era orgogliosa di sua figlia e del modo in cui l’aveva sostenuta; ma ciò che restava da compiere sarebbe stato solo affar suo.
Da un momento all’altro il calesse sarebbe stato pronto; si calcò bene in testa il mantello scuro e sorrise tra sé e sé, facendo scivolare con attenzione l’anello in una tasca interna. Perderlo a quel punto sarebbe stata un’autentica disgrazia; e lei non era come certe servette che si lasciavano sottrarre i propri averi persino dalle ragazzine – Dio, quanto avrebbe pagato per assistere alla reazione di quella nanerottola dinanzi all’assenza del suo nuovo giocattolo! Chissà se aveva pianto, da bambinetta qual era…
Ma chi la fa l’aspetti: la French le aveva portato via Gold, e lei le avrebbe portato via molto più di un semplice regalo. Si sarebbe pentita di essere venuta al mondo perché presto, volente o nolente, ne avrebbe saggiato aspetti di cui forse non aveva letto neanche nei suoi amati romanzetti, aspetti di cui forse non immaginava nemmeno l’esistenza, ma che entro breve sarebbero divenuti la sua nuova realtà; e la colpa sarebbe stata interamente sua.
Sua, di Robert Gold che aveva deciso fare il sentimentale in tarda età, e del suo defunto paparino che si era inimicato la gente sbagliata.
Tale padre, tale figlia, commentò incamminandosi verso la porta: quando, in tempi non sospetti, l’ex amante le aveva raccontato le disavventure finanziarie del suo ultimo acquisto, non avrebbe mai immaginato che le sarebbero tornate utili per simili scopi.
Prima della rovina viene sempre l’orgoglio.
Che la French se ne godesse gli ultimi sprazzi.
Perché ti rovino, Belle French. Te lo giuro.
 
 
 
Un giorno qualunque li ricorderai, 
amore che fuggi da me tornerai.
 ”
 
 
 
Bussò appena prima di far capolino nello studio.
- Posso? – domandò sforzandosi di sorridere all’uomo, che pareva perso nella contemplazione di qualcosa fuori dalla finestra.
- Chiederlo dopo essere entrati non è certo di grande utilità, – ironizzò voltandosi verso di lei.
- In genere è la sposa a essere più nervosa, – commentò senza pensarci. Se ne pentì subito: era lì per dargli una notizia tutt’altro che piacevole, per metterlo a parte di sospetti che avrebbero potuto far scoppiare il finimondo. In tal caso, avrebbe battuto ogni precedente: avrebbero litigato per due volte nell’arco di neppure dodici ore, con l’unica variante che la prima discussione era stata frutto di gelosia immotivata, mentre stavolta ci sarebbe stato un valido, validissimo motivo per arrabbiarsi.
Ma aveva aspettato fin troppo per confessargli quanto accaduto, e non aveva alcuna intenzione di procrastinare ancora. Per ripetere le parole di Mary Margaret, non dovevano esserci segreti tra innamorati; se lei per prima non aveva tollerato il comportamento tenuto dall’uomo quando si erano diffusi pettegolezzi sul loro conto, come poteva ora predicare bene e razzolare male, svilendo a tal punto i propri principi?
Gold le si avvicinò a grandi passi; le prese il volto tra le mani e la baciò a lungo, giocando con le sue labbra, mordicchiandole piano, infondendo nel gesto una passione che lei non esitò a ricambiare.
Quando si separarono, Belle aveva le gote in fiamme, e l’uomo non seppe trattenersi dal ridacchiare carezzandogliele. Il lato timido della sua Sweetheart gli piaceva tanto quanto quello più passionale: coesistevano, fondendosi e rendendola lei. Unica e inimitabile, con la sua bellezza mai tenue, mai ornamentale, e l’eleganza greggia di quel sorriso sveglio che rendeva il suo mondo un posto migliore.
La sua reazione, come prevedibile, sortì lo stesso effetto di un drappo rosso sventolato dinanzi a un toro: la donna aggrottò la fronte fingendosi offesa e borbottando, conscia di essere udita.
- Dovresti presentarti così all’altare. Quando arrossisci sei davvero carina… Persino più di quando sei arrabbiata, – la punzecchiò pregustandone la reazione.
- Ieri non sembravi dello stesso parere.
- Ma solo gli sciocchi non cambiano mai idea, e io, mia cara, sono tutto fuorché uno sciocco, – aggiunse lui con un gesto vago e un ghigno sulle labbra – Piuttosto, – tornò serio – Sei… Sei ancora disposta ad anticipare il matrimonio?
Assentì cercando di ignorare il ben noto groppo che da un giorno le stringeva la gola.
- In tal caso dovremo partire quanto prima. Già domani, magari… Domani mattina molto presto, prima delle cinque. Dobbiamo percorrere molte miglia, se vogliamo raggiungere il Nord in pochi giorni. Chiaramente di sera ci fermeremo in qualche locanda, dovremo tenere un basso profilo, e una volta arrivati in Scozia dovremo stare lì almeno ventuno giorni prima di sposarci 2 – sta’ tranquilla, mi occupo io dei documenti e del resto. Però per l’abito dovremo scegliere in fretta: ti fisso per oggi stesso un appuntamento da Worth 3 e il vestito sarà lì per la data prestabilita.
Per l’intera durata del monologo una frastornatissima Belle non gli aveva staccato gli occhi di dosso. Dinanzi al suo insolito silenzio, si trovò a chiedersi se non avesse dimenticato, o peggio, sbagliato, qualcosa.
- Belle? – la scosse preoccupato – Se non sei d’accordo su qualcosa basta parlare, – la cameriera continuava a fissarlo senza aprir bocca – Darling, per piacere…
- Tu hai organizzato il nostro matrimonio senza dirmi niente?
Il disappunto sul volto della giovane lo lasciò perplesso.
- Credevo ti facesse piacere… – bisbigliò sbattendo le palpebre perplesso.
- No che non mi fa piacere, siamo in due a sposarci!
- Preferisci la Paquin? 4 È un’emergente, ma pare piaccia molto… O vuoi che siano le sarte a venire qui, anziché andare tu da loro?
- Non è Worth, Paquin o altri, ma il concetto alla base, – Belle respirò a fondo prima di riprendere a parlare – È il nostro matrimonio. Abbiamo deciso di anticiparlo, e sono più che d’accordo, ma è una cosa che si affronta in due. Mi sono presentata qui e mi sono ritrovata sommersa da una marea di informazioni senza quasi aver voce in capitolo… Voglio dire, – aggiunse descrivendo un ampio gesto con le mani – Per poco non scegli anche il mio abito!
Gold distolse lo sguardo. Avrebbe dovuto immaginarlo. Era con Belle che stava parlando, non con una persona abituata a essere servita e riverita dalla nascita: la sua promessa non permetteva a nessuno – tanto più al futuro sposo – di ingerirsi in faccende che riguardavano lei e lei soltanto. E in una questione come il matrimonio ciascuno avrebbe dovuto fare la sua parte, senza provare a imporsi sull’altro… Diamine, aveva ragione! E dire che si era persino trattenuto: per un istante aveva pensato addirittura di contattare direttamente gli stilisti…
Nessuno a parte me può decidere il mio destino”: una delle prime frasi che aveva sentito pronunciare da Belle, parole che avrebbero dovuto fargli comprendere subito la persona che aveva davanti. Eppure, a distanza di mesi, c’erano ancora momenti in cui pareva scordarsene.
- Non era mia intenzione offenderti, – mormorò visibilmente dispiaciuto – Pensavo preferissi non dover preoccuparti degli aspetti più pratici.
- Non mi hai offesa. È solo che mi conosci, sai come sono fatta… – si pentì dello scatto avuto poco prima – Mi spiace averti rattristato. Volevi aiutarmi, e te ne ringrazio, ma sai che non mi va che gli altri organizzino nel dettaglio la mia vita.
- Lo so, e ti amo anche per questo. Parleremo del matrimonio con calma, va bene?
Annullarono la distanza tra loro, le fronti che si sfioravano e le mani strette, le dita che s’intrecciavano e si carezzavano lievi. Belle aveva scoperto di amare quegli istanti più di ogni altra cosa: restare vicini in un silenzio che non conosceva timore o indifferenza, ma pace – quella pace che avvolge l’anima e il corpo, che si sperimenta solo a fianco di una persona di cui ci si fida con tutti se stessi – era un gesto che profumava della quotidianità tanto sospirata.
La fine di ogni complicazione, una vita serena accanto al suo compagno di vita, le piccole abitudini di tutti i giorni che uniscono più dei tumulti della passione: è questa danza discreta che più le mancava 5, di cui più, ormai, sentiva il bisogno.
- Secondo te quanto chiacchiereranno gli altri quando spariremo per giorni e giorni? – domandò scherzosa per smorzare la residua tensione, senza dissimulare il sorriso che il pensiero le causava.
- Con ogni probabilità saremo lo scandalo dei prossimi dieci anni – e non sto esagerando. Ma il personale non fa domande…
- Io te ne ho sempre fatte.
- Infatti tu sei sempre stata una pessima cameriera.
- Ma come osi…!
Provò a tirargli un pugno sul petto che l’uomo parò senza grandi sforzi, approfittandone per rubarle un altro bacio.
- Però è della cameriera peggiore che mi sono innamorato.
Belle chinò il mento. Era arrivato il momento di parlargli. Ancora una volta, si era attardata fin troppo: neanche in questo caso era stato per sua volontà, ma ora la situazione andava chiarita. Non poteva permettersi ulteriori rinvii a poco più di venti giorni dal matrimonio: ciò che era successo andava affrontato subito, e subito.
Se i tuoi sospetti dovessero rivelarsi veri… Perdonami, Robert, per non averti creduto.
Si redarguì per la paura che provava, e si morse le labbra.
- C’è una cosa di cui la sposa vorrebbe parlarti. Una cosa importante.
Lo smorfia giocosa sul volto dell’uomo lasciò immediatamente posto a un’espressione attenta.
- Dimmi tutto.
Deglutì appena prima di parlare.
Avanti, smettila di essere così codarda.
Fa’ la cosa giusta e il coraggio verrà da sé, giusto?
- Io…
Ogni tentativo fu stroncato sul nascere dal precipitoso arrivo di Archie, che si scagliò nella stanza senza quasi bussare.
- Scu-scusate, – soffiò agitato, sistemandosi gli occhialetti scivolati sul naso – Mr. Gold, non era mia intenzione disturbarvi, ma è appena giunta notizia… – il maggiordomo era visibilmente affannato, come reduce da una lunga corsa che gli aveva tolto il fiato – Colchester, signore. Lo stabilimento di Colchester è in fiamme da stanotte. È appena giunto un dispaccio, la vostra presenza è richiesta con massima urgenza…
Belle non dimenticò mai il silenzio che s’impadronì dello studio a quell’annuncio: un silenzio freddo e viscido, che s’insinuò sotto la pelle dei presenti, bloccandoli all’istante.
Si voltò d’istinto verso Robert: il suo volto era una maschera indecifrabile. Solo lei conosceva il significato di quegli occhi socchiusi, di quel muscolo della guancia appena irrigidito, del modo – lento, graduale, inarrestabile – in cui la pacatezza sparì dal suo sguardo.
Nonostante la presenza di un terzo, la domestica non seppe impedirsi di posargli una mano sulla schiena, quasi a comunicargli la sua vicinanza.
Una mano che parve non notare.
- Capisco – quando parlò, la voce dell’industriale sembrò provenire da molto lontano – Partirò immediatamente – fece per allontanarsi, ma quando raggiunse la porta si fermò brusco e tornò indietro – Belle, – mormorò senza quasi guardarla in volto – Sweetheart, ne riparliamo al ritorno, va bene?
- Ma… Sì.
- Al ritorno, – le sfiorò le labbra in un bacio timido e rapido, quasi timoroso, così diverso da quelli che l’avevano preceduto – Perdonami.
Rimase a guardarlo mentre usciva dalla stanza.
In futuro, Belle French si sarebbe spesso chiesta cosa sarebbe accaduto se quel giorno Robert Gold fosse rimasto ad ascoltarla solo altri cinque minuti.
 
 
 

E tu, che con gli occhi di un altro colore, 
mi dici le stesse parole d'amore, 
fra un mese, fra un anno

scordate le avrai, 
amore che vieni

da me fuggirai.

 
 
 
Otto giorni possono essere, a seconda dei casi, un tempo molto lungo o incredibilmente breve. Per un condannato a morte l’ultima settimana prima dell’esecuzione sembrerà balzar via rapida come un ghepardo; per uno scolaro, le ultime lezioni prima delle vacanze saranno – quasi – sempre lente e noiose, un periodo privo di motivazione e impegno.
A un amante sincero che nasconde un segreto quei giorni parranno, semplicemente, una tortura.
Il peso che Belle si portava dietro era troppo grande per una persona che nel corso della propria vita aveva dovuto celare ben poco: ripensava con nostalgia alle volte in cui aveva comprato di nascosto titoli altrimenti proibiti e li aveva letti al buio della sua stanza, la luce di una candela come unica compagnia. Eppure, anche allora un’occhiata sospetta del padre o della governante dinanzi ai suoi sbadigli mattutini era sufficiente a farla sentire a disagio; era facile, pertanto, immaginare quale effetto potesse avere occultare qualcosa di più grande di lei, che avrebbe potuto mettere a repentaglio il suo amore.
Di notte, gli incubi si susseguivano e le permettevano di prendere sonno appena prima dell’alba, facendola scendere in cucina in ritardo; e per l’assenza di riposo e i pensieri incessanti, trascorreva il resto della giornata in uno stato quasi catatonico che la portava a essere più maldestra del solito e a guadagnarsi occhiatacce dai colleghi.
- La nostalgia è una brutta bestia… Specie quella per i coccodrilli… – la canzonava bonariamente Killian, ottenendo in tutta risposta una pedata da Mary Margaret.
- Tutto bene, tesoro? – le chiedeva sollecita la donna dopo averle dovuto ripetere per l’ennesima volta la lista della spesa o le incombenze cui dedicarsi – Se vuoi parlare di qualunque cosa io ci sono, non dimenticarlo.
Belle si sarebbe volentieri confidata con lei, ma quale suggerimento avrebbe potuto ricevere, se non quello di parlare quanto prima col diretto interessato? Suggerimento che già aveva intenzione di concretizzare, che già aveva provato a concretizzare…
Una mattina aveva provato ad andare da Tink, senza trovarla: l’amica era uscita per sbrigare delle commissioni, e le altre volontarie non sapevano quando sarebbe tornata. Era rimasta a giocare coi bambini, e quando era tornata a casa aveva trovato una sorpresa che l’aveva rallegrata non poco.
- Cos’avevo detto? – aveva commentato Killian quando Mary le aveva allungato una missiva – Si chiama mal d’amore!
Era superfluo controllare il mittente, comunque non scritto: la domestica era corsa in stanza e aveva aperto la busta col petto in fiamme, le righe del testo che quasi danzavano, confondendosi dinanzi agli occhi. Erano poche parole, un biglietto più che una lettera; ma anche una semplice frase sa emozionare quando è scritta col cuore, e quelle lo erano, lo erano senza dubbio.
Belle non era riuscita a non sorridere leggendo le parole di Robert, mentre una vocina la tranquillizzava, ripetendole che tutto sarebbe andato per il meglio; ma poi, un altro sguardo alla scatolina vuota le aveva fatto tremare l’anima e le lacrime avevano iniziato a scorrere.
La situazione la inquietava, vero, ma sentiva che non era solo l’ansia di dover comunicare al promesso sposo la notizia a causare quelle emozioni: era una sensazione molto più sottile e molto più intensa, che veniva dal profondo dell’animo e pareva gettare ombre sull’intero loro avvenire, come se – anche in caso del chiarimento che, ne era certa, ci sarebbe stato – l’incidente fosse comunque indice di una sventura innominabile che alla prima occasione si sarebbe abbattuta su loro. Belle non era particolarmente superstiziosa, non lo era mai stata; tuttavia i moniti e le rassicurazioni della ragione a poco erano utili in simili momenti.
Più di una volta si era chiesta se la sua ansia non fosse dovuta, molto più semplicemente, alle nozze imminenti: tutte le future spose erano spaventate, e forse ciò che stava vivendo era normale, solo acuito dal particolare contesto… Però, doveva riconoscere, affidarsi a quell’ipotesi avrebbe significato mentire a se stessa: perché era vero che non aveva esperienza in matrimoni, ma era anche vero che lei avrebbe sposato Robert seduta stante, nella stessa casa in cui era cominciato tutto, con Archie a officiare e gli altri ad assistere.
No, doveva ammetterlo: c’era dell’altro, dell’altro che sarebbe svanito solo dopo essersi lasciati alle spalle quel periodo e averne iniziato uno nuovo, uno in cui non avrebbero più dovuto temere attacchi da parte di chi non conosceva che invidia e rancore.
Ancora un altro po’.
Dovete solo resistere.
Era ciò cui Belle stava pensando quella mattina prima di scendere a lavorare. Stava per aprire la porta quando sentì bussare e il volto sottile di Ashley fece capolino in camera.
- Buongiorno, – augurò timidamente – Posso entrare?
- Fa’ pure, – l’accolse allegra – Allora, pronta per il bucato di oggi?
Belle non avrebbe saputo descrivere cos’era successo: un istante la ragazza la fissava con gli occhioni sgranati, e quello seguente le era saltata al collo singhiozzando forte. Rimase interdetta nel sentire le lacrime dell’amica bagnarle il petto: le carezzò la testa per lunghi momenti, nella speranza di tranquillizzarla, prima di chiederle gentile: – Ashley… Cosa c’è?
Le sue parole si persero nel vuoto: la collega continuava a stringerla forte blaterando frasi sconnesse e tremando. I peggiori scenari scorsero nella mente di Belle, che continuò a cullare l’amica nell’attesa che tornasse in sé.
- Mi stai facendo preoccupare… Cos’è successo? Sai che se posso ti aiuto…
Le parole sembrarono sortire l’effetto sperato: sebbene le lacrime rotolassero ancora copiose sulle guance della ragazza, ella smorzò l’abbraccio e il suo respirò si fece lentamente più regolare.
- Grazie, – mormorò passandosi una mano sul volto – Grazie per essere così gentile con me, anche se ti ho maltrattata…
- Su, su, – la zittì – È passato. È stato un periodaccio, e tutti abbiamo reagito male, ma ora è finito e ricordare non può comunque cambiare quanto successo. Piuttosto, dimmi perché stai così…
Ashley chinò il capo e mugugnò qualcosa di inintellegibile che causò l’ennesima occhiata perplessa.
- Sono incinta.
- Cosa? – Belle trattenne il fiato dinanzi a quella confessione. Impallidì e fissò a bocca aperta l’amica, che già stava ricominciando a singhiozzare, prima di rendersi conto dell’inadeguatezza della reazione – No, no, no, così non risolviamo niente, – le strinse le mani e le sollevò il mento per guardarla dritta in volto – Ashley… Ne sei certa?
- Sì… T-tre mesi… Circa… – continuò a piangere sulla spalla di una Belle che non sapeva né cosa dire, né tantomeno cosa fare: non si era mai trovata in una simile situazione e la notizia l’aveva lasciata attonita, anche se certamente maggiore era il turbamento della diretta interessata. Ashley era da lei in cerca di conforto, e il suo silenzio no l’avrebbe certo aiutata. S’impose determinazione e respirò a fondo prima di chiedere: – Il padre… Sean lo sa?
- Gliel’ho detto un paio di giorni fa… Per poco non gli veniva un colpo, ma ha detto che mi sposa… Anche subito…
L’altra sospirò impercettibilmente, molto più sollevata.
- Ashley, se le cose stanno così, c’è molto meno di cui preoccuparsi: sposatevi appena possibile e la situazione rientrerà senza che nessuno possa criticarvi. Anche se il bambino nascerà prima del solito, non potranno dirvi nulla di spiacevole…
La biondina scosse il capo, come se l’amara verità fosse sotto ai loro occhi e l’altra non riuscisse a scorgerla.
- E Gold? Che faccio con Gold?
- Che c’entra Gold? – Belle sollevò un sopracciglio senza capire il senso della domanda e dei timori dell’amica
- Vorrà conoscere il motivo del mio licenziamento improvviso, e quando capirà ciò che è successo sotto il suo tetto ci caccerà entrambi! Ci ritroveremo in mezzo a una strada, da soli e con un bambino in arrivo! Non so che fare, Belle, non so che fare!
Durante i mesi trascorsi a Kensington, Belle aveva scoperto molti aspetti della personalità dei Ashley: sapeva che era volenterosa e instancabile, che al contrario delle altre non temeva i topolini che inevitabilmente di tanto in tanto scorazzavano in soffitta, e che era una gran sognatrice; ma quel lato così catastrofico e melodrammatico le era sconosciuto. Era ovvio che fosse spaventata, forse non esisteva reazione più naturale, ma disperarsi non avrebbe migliorato le cose; e, fu costretta ad ammettere, il modo in cui la collega aveva descritto Gold l’aveva infastidita non poco: dalle sue parole era emerso il ritratto del bastardo senza cuore dei primi tempi, che infliggeva punizioni severe per ogni minima infrazione.
E Robert non era, non era assolutamente così.
Ma, ragionò ancora, era pur vero che l’uomo aveva osato mostrare il suo reale essere a lei e lei soltanto; al resto del mondo, servitù in primis, si mostrava ancora cinico e distante. Ashley non poteva conoscere l’uomo dolce e tormentato, l’innamorato timido e passionale che le aveva chiesto la mano: ai suoi occhi, Gold era ancora sinonimo di Bestia.
- Ashley, – provò a confortarla – Ti assicuro che non accadrà. Il padrone sembra severo, e sotto molti punti di vista lo è, ma sono certa che capirà le vostre ragioni. Certo non lo lascerà intendere, probabilmente aspettatevi un rimprovero memorabile, ma non caccerà anche Sean. Avrà ancora il suo lavoro, potrete sposarvi, e quando nascerà il bambino avrete il lieto fine che tanto sognate. Angosciarti fa male, e non solo a te.
- E se lo licenzia? Come facciamo? Non abbiamo nessuno che possa aiutarci… Belle, io ho troppa paura di Gold, no…
Parlare al muro avrebbe sortito maggiori risultati. Ashley pareva sorda alle rassicurazioni che Belle ripeteva instancabile: qualsiasi tentativo veniva respinto con un susseguirsi di balbettii incoerenti in cui “Gold, “strada” e “paura” si susseguivano senza sosta.
- Senti, – propose infine Belle, dando voce all’idea che le si era affacciata in mente – Se vuoi, andiamo insieme dal padrone. Gli spiegheremo insieme come stanno le cose, e tutto andrà bene. So che per lui la servitù deve essere lo specchio della rispettabilità, ma sarà più comprensivo di quanto immagini, stanne certa.
Negli occhi della Boyle si accese una timidissima speranza.
- Lo faresti davvero?
- Certo che lo farei! Se non ci aiutiamo tra noi…! E poi, – ricordò – Tu sei stata tra le prime ad accogliermi qui, e la prima a ricominciare a parlarmi quando quasi tutti mi evitavano. Sono cose che non si dimenticano.
Ashley annuì pensosa, ma distolse rapida lo sguardo.
- Però non ti ho permesso di spiegare le tue ragioni quando è successo tutto… Non mi sono certo comportata bene con te…
- Tutti sbagliamo, ma se non sapessimo perdonare nutriremmo solo rancore. E io non voglio passare la vita rimuginando sul passato.
La collega l’abbracciò  forte, dedicandole un sorriso grato nonostante gli occhi lucidi.
- Grazie, Belle. Eri l’unica cui potessi parlare: Emma è ancora una ragazzina, e temevo il giudizio di Mary o delle altre…
- Sono convinta che anche loro ti avrebbero aiutata. Sai, non tutti sono come sembrano, anzi… La prima impressione è spesso sbagliata. Vedrai che tutto andrà per il meglio, – le strinse le mani quasi a trasmetterle un po’ di forza per affrontare il momento.
Dopo l’ennesimo “grazie” soffocato, la ragazza se ne andò, lasciando nuovamente sola Belle.
La giovane si poggiò alla porta chiusa e sospirò: Ashley era in guai seri. Era rimasta stupita nell’apprendere la notizia sebbene, a ripensarci, ce ne fossero stati alcuni indizi; non sarebbe stato facile quando il pancione avrebbe iniziato a vedersi: sperò che riuscisse a sposarsi in tempo… Insomma, la situazione dell’amica era tutto fuorché semplice, e dopo esserne venuta a conoscenza le pareva di avere un doppio peso sulle spalle: non si pentiva di essersi offerta come ambasciatrice, ma la questione dell’anello – comunque si fosse svolta – era già un fardello pesantissimo di cui avrebbe voluto liberarsi quanto prima e che, invece, pareva aver trovato un degno compare.
Doveva comunicare due novità decisamente poco piacevoli a Robert, e qualunque ne fosse stata la reazione, avrebbe dovuto affrontarla senza lasciarsi intimidire. Dubitava che avrebbe cacciato Sean in nome della moralità o qualcosa di simile: se ci avesse anche solo pensato, avrebbe provveduto a ricordargli personalmente due o tre cosette, chiedendogli perché mai non cacciasse di casa anche se stesso. Ashley e il suo innamorato non erano diversi da loro, e il rischio di ritrovarsi nella medesima situazione esisteva: fingere il contrario non l’avrebbe certo esorcizzato.
Però, si disse, le sarebbe piaciuto avere un figlio, un giorno. Magari un bambino coi capelli lisci e gli occhioni scuri, cui regalare coccole e storie, un piccolo la cui risata avrebbe riempito la casa e la vita dei genitori. Robert sarebbe stato un padre meraviglioso, ne aveva già dato prova: gli avrebbe offerto tutto il suo cuore, tutta la tenerezza di cui fosse stato capace, l’avrebbe difeso a spada tratta dal mondo e messo al di sopra di tutto; e quanto a lei… Lei già sapeva che non ci sarebbero stati paragoni per descrivere la portata del suo amore.
S’impose di tornare coi piedi per terra: per quanto bello, era meglio che per il momento quello restasse un sogno. Avevano già una miriade di questioni da risolvere: un problema serissimo che andava affrontato quanto prima, un matrimonio da organizzare, forse un ingresso in società, di sicuro il giudizio collettivo da sostenere.
Sì, doveva decisamente riscuotersi dai sogni.
Ma la curva leggera di un sorriso non scomparve tanto presto dal suo volto.
 
 
 
 
 
Robert Gold levò lo sguardo al cielo, beandosi dei raggi di sole che, timidi guerrieri, oltrepassavano la grigia coltre di nubi e intiepidivano appena l’aria. Quell’accenno di primavera a metà febbraio era inaspettato, e forse anche per questo tanto piacevole: fino a poche ore prima nessuno l’avrebbe immaginato, e ora eccolo lì, a rinvigorire il mondo con grazia benigna.
Pregò di trovare anche in Scozia un cielo mite: nonostante il periodo non fosse dei più indicati, avrebbe voluto sposare una Belle baciata dal sole, vedere la luce danzare nei suoi occhi mentre pronunciava le parole che li avrebbero legati per sempre dinanzi a Dio e agli uomini.
La situazione a Colchester era grave quanto aveva temuto: lo stabilimento era ridotto a uno scheletro e ingenti partite di materiale erano bruciate, ma quel che era peggio due capireparto avevano perso la vita – e paradossalmente avrebbe dovuto gioire che i morti non fossero stati molti di più.
Dopo la ricostruzione, avrebbe fatto offrire agli eventuali figli delle vittime un posto in fabbrica, un posto che – volenti o nolenti – sapeva avrebbero accettato. Non s’illudeva: quell’assunzione, quei soldi non avrebbero certo lenito il dolore di una perdita tanto tragica, ma almeno avrebbero garantito alle famiglie di non finire in mezzo a una strada. Occorreva occuparsi dei vivi: un ragionamento forse cinico, che probabilmente Belle non avrebbe condiviso del tutto, ma che gli era stato insegnato nel modo più duro, più brusco potesse esserci.
Continuare a rimuginare su simili pensieri non avrebbe modificato quanto successo: l’ultima settimana – la sua vita fino a pochi mesi prima – era stata un inferno, e ora la sola cosa che desiderava era riabbracciare Belle, stringerla al petto sussurrandole quanto gli era mancata – sebbene le parole fossero nulla rispetto all’immensità di quel concetto. Nonostante il caos, nei giorni precedenti aveva ritagliato qualche minuto per scriverle un biglietto: aveva provato una strana sensazione nell’impugnare il pennino per ragioni diverse dal commercio; una sensazione non spiacevole, non gravosa, ma… Strana. Far fluire poche, coincise frasi dedicate all’amata si era rivelata un’esperienza tra il liberatorio e l’esaltante; ma, aveva scoperto, preferiva pronunciare quelle parole. Guardare negli occhi colei alla quale erano dedicate, vederla sorridere nel rispondere, prenderla per mano e portarla via, lontana dal mondo, fino a farla perdere in quell’amore che solo loro due conoscevano, in cui potevano mostrarsi per com’erano realmente senza giudizi, senza paure.
Baciarle il cuore e ripeterle di amarla, giocare con le sue dita e dirle che era tutto.
Percorse il vialetto d’ingresso a grandi falcate, un unico pensiero in mente.
Un pensiero che in quell’istante era la verità.
 
 
 

Fra un mese, fra un anno
scordate le avrai,
amore che vieni

da me fuggirai. ”

 
 
 
Quell’incendio era stato una manna dal Cielo: era scoppiato al momento giusto, assicurandole ancora qualche giorno di riflessione per perfezionare ogni dettaglio – come inviare Mendell a fare il palo a Kensington. Quella si era rivelata un’idea saggia, quasi quanto sospendere momentaneamente le visite con la scusa di un raffreddore: nemmeno l’ombra di uno scocciatore, e la possibilità di attendere serena la riuscita del proprio piano.
Lady Mills aveva atteso con la calma paziente di un ragno che osserva da lontano la mosca impigliata nella ragnatela: la vittima si dibatteva, si dibatteva sempre più nel disperato tentativo di liberarsi, senza accorgersi di star peggiorando la situazione, di essere sempre più avvinta a quei fili iridescenti e sottili; che piacere assistere a simile spettacolo, che piacere avere a che fare con vittime ignare del proprio destino!
Gold e la French amoreggiavano sul filo di un rasoio che li avrebbe feriti a morte: il taglio che avrebbe inferto loro sarebbe stato netto e doloroso, dolorosissimo. Quella soddisfazione avrebbe ripagato i giorni trascorsi lontani dal bel mondo, ad annoiarsi in attesa di un amante – un alleato – lontano.
Non era un’umiliazione, ma un mezzo che l’avrebbe condotta al trionfo; e, in quanto tale, non avrebbe dovuto vergognarsene. Avrebbe soltanto dovuto impegnarsi per battere chiunque altro – per battere lei – sul tempo; e trascinarla nella polvere valeva bene qualche ora di tedio.
Del resto, la vendetta è un piatto che va servito freddo.
 
 
 
 
 
Mary Margaret e Archibald accolsero il loro datore di lavoro con deferenza, informandosi discretamente sul viaggio e su quanto accaduto. Le risposte evasive frenarono ogni ulteriore, indesiderata curiosità, inducendo i due a congedarsi prima di scatenare l’ira del padrone.
La governante si era ormai allontanata quando un richiamo la fece tornare.
- Dov’è Belle? – Gold chiese imperioso, senza indulgere in eufemismi.
- È uscita, – esordì gentile la donna, - È a far visita alla tomba di Ariel Andersen coi ragazzi.
- I ragazzi? – il fremito delle sopracciglia dell’uomo non sarebbe passato inosservato neanche a un cieco.
Mary Margaret annuì pacata. Non c’era nulla di indecoroso in ciò che Belle aveva fatto, e il padrone non avrebbe potuto criticarla in alcun modo – anche se sinceramente dubitava che la cameriera gli permettesse di imporle o vietarle qualcosa.
La giovane sapeva difendersi decisamente bene, ne aveva dato prova più volte.
- I ragazzi, – ripeté – Belle, mia figlia e Ashley Boyle hanno insistito per andarci dopo pranzo e io ho insistito perché almeno Sean Herman e Killian Jones le accompagnassero. Non sono tempi perché delle giovani si allontanino dai quartieri più sicuri, nemmeno in pieno giorno. Dovrebbero essere di ritorno a breve…
Gold annuì distratto prima di mandare via la dipendente. Belle difficilmente avrebbe accettato un accompagnatore, ma la sua promessa non era stata l’unica a uscire, ed era probabile che la governante fosse riuscita a persuadere la pavida Ashley. Sarebbe stato peggio se fossero usciti a coppie e Belle si fosse ritrovata sola con Killian Jones: l’immagine dei due che ridevano complici in biblioteca gli tornava in mente rendendogli la gola ruvida come sabbia, appiccando in lui un rogo capace di incenerire il mondo intero.
Sperava che i suoi timori fossero infondati: la sua Sweetheart non faceva che ripetere di amarlo, e non era certo una persona che pronunciava simili parole senza pensarle davvero, senza viverle nel cuore e nella mente. Nonostante la sua perenne paura, nonostante i perché e i come che non l’avevano lasciato in pace neanche dopo la proposta, che l’avevano torturato silenti e anche più forti durante la breve separazione – perché cosa stava facendo Belle? Come stava trascorrendo quei giorni lontana da lui? –, di lei doveva fidarsi; ma quanto a Jones…
No, di lui non si fidava.
Il valletto era giovane e affascinante, e coi suoi modi accattivanti sapeva senza dubbio conquistarsi le simpatie di una folta schiera di donne; lui, invece, aveva il doppio degli anni della sua fidanzata, era scorbutico e certamente non poteva definirsi attraente, mentre Belle… Belle era primavera fatta carne e anima. Era il vibrare che precedeva la risata, la scossa che veniva dal profondo e accompagnava i sorrisi più autentici. Belle apriva gli occhi – quegli occhi orlati da lunghe e folte ciglia scure che lui tanto amava sfiorare con la punta delle dita, quelle ciglia che le conferivano un’aria così vulnerabile, così innocente – e l’inverno della sua vita pareva oblio, passato appartenente a un’altra era, un’altra persona. Belle era nuova linfa che aveva preso a scorrere nelle sue vene, Belle era presente, era futuro: incerto, dai contorni non sempre netti, non sempre definiti, ma certo nel suo presentarsi, com’erano certe le dolcezze di aprile dopo i rigori di marzo.
Belle era il suo aprile; ma anche aprile, anche maggio passano, sostituiti dall’entusiasmo dell’estate e dalle piogge d’autunno.
Per quanto in quel momento potesse essere sincera, cosa sarebbe successo quando avrebbe aperto gli occhi e capito di aver gettato anni irripetibili della sua vita con una persona come lui? Pensieri inadatti a un futuro sposo, era il primo a convenire; pensieri che non avrebbe mai voluto, né dovuto formulare, perché facendolo gli pareva di sporcare Belle, di accusarla di nefandezze che lei non avrebbe mai compiuto.
Sospirò maledicendo gli effetti della lontananza: tutto il malumore sarebbe svanito nell’istante stesso in cui la porta si sarebbe spalancata e colei che da lì a breve avrebbe potuto chiamare moglie dinanzi al mondo intero gli sarebbe corsa incontro con la grazia guerriera che le era propria.
E il sole sarebbe tornato nella sua vita.
 
 
 
 
 
Smontò dalla carrozza con eleganza impeccabile. Sorrise sistemandosi il collo di pelliccia del cappotto e si ammirò il volto riflesso nel vetro del finestrino.
Il volto della vittoria.
Durante il viaggio di nozze a Parigi aveva visto la Nike di Samotracia; dinanzi al marmo acefalo, si era interrogata per un istante sull’aspetto che quella statua avrebbe potuto avere ai tempi del suo splendore.
Ora aveva la risposta.
 
 
 
 
 
Visitare la tomba di Ariel era stato un tuffo al cuore. Non erano trascorsi neanche due mesi dalla sua morte, e tanto, tutto era cambiato; ma una cosa era rimasta invariata: il dolore per il suo addio. Era lì, forse non immediatamente visibile, ma sempre presente e impossibile da strappar via, conficcato nel profondo di quanti l’avevano conosciuta e amata.
Belle e i suoi compagni avevano provato a distrarsi chiacchierando mentre si recavano al cimitero; ma nel momento in cui ne avevano oltrepassato i cancelli ogni traccia di allegria sembrava essere stata risucchiata dai loro volti, su cui era tornata a regnare sovrana la malinconia delle persone perdute. Erano rimasti in silenzio a fissare la croce già imbrunita dalle intemperie, le labbra che accennavano preghiere e la mente impegnata a far rivivere Ariel, i suoi grandi occhi antichi e quella vita troppo presto ridotta al silenzio.
Belle aveva poggiato l’umile mazzetto di margherite comprato e le era parso impossibile che la sua migliore amica giacesse lì, sotto quello spesso strato di terra umida e grassa; no: Ariel era ovunque, fuorché lì. Era tornata libera, nell’aria e nell’acqua che le erano propri: era in Danimarca a giocare con la neve e tuffarsi nel mare gelido che tanto le mancava, era nella cucina di Kensington a bere tè dopo tè coi colleghi, era nella stanzetta ormai chiusa che aveva visto nascere un’amicizia più forte della morte. Era l’ombra che le stava accanto, cui raccontava quel che succedeva sperando di udire ancora i consigli che non le aveva mai negato quando potevano stringersi le mani.
Ariel era con lei, con Killian ed Emma, con Ashley e Sean; e con Aurora, con Kathryn, con Mary Margaret e con Archie.
Ed era anche con Robert sì, con quell’uomo che si era addossato la colpa della sua morte affiancandola ai mille pesi che gli curvavano le spalle quando osava dar voce ai fantasmi del passato.
Ariel era con loro, sempre.
Nei suoi sogni Ariel non era mai morta.
Non appena rientrò in casa, Archie e Mary Margaret la presero da parte.
- È tornato il padrone, – le comunicò la governante, un sorrisetto eccitato sul volto tondo; un sorrisetto che una discreta gomitata del domestico fece svanire ben presto – Però… – continuò più impacciata – Belle, c’è la Mills. Gold non ha fatto in tempo a entrare in casa che lei è comparsa.
Non poté ignorare la scheggia di acrimonia che la ferì al nome dell’ospite. L’idea che fosse stata la nobildonna a salutarlo prima di lei, che non fosse stato il suo il primo volto ad accoglierlo non le piaceva affatto, anzi: senza che potesse impedirlo, il pensiero le provocò un malessere tra il petto e lo stomaco, come una morsa dalle dita di ghiaccio alla cui presa non seppe sottrarsi.
Sei gelosa, si rimproverò, conscia delle sensazioni che la stavano assalendo. Ti ritrovi con lo stesso difetto che rimproveri a lui, e sai che non ce n’è motivo. Sai benissimo perché è qui…
Non che questo riuscisse a calmarla, anzi. Poteva esserci una spiegazione immediata alla presenza di Cora in casa – una ragione cui lei stessa aveva acconsentito –, ma poteva essercene anche un’altra, che aveva come punto focale sempre Regina, ma in panni completamente diversi.
Non più oggetto di contesa, ma – possibile, Belle non si stancava di aggiungerlo alle sue elucubrazioni – compartecipe di una vicenda di cui Robert non era ancora stato messo a parte.
Una vicenda che però lo coinvolgeva molto, troppo da vicino.
Ma affidarsi alla speranza nulla poté contro l’amarezza che la scoperta e le sue eventualità le avevano riversato in bocca.
- Immaginavo, – dichiarò cercando di mandar via il sapore della bile e sentendosi addosso lo sguardo dei colleghi – Credo che in futuro la vedremo spesso. Gold vuole che Regina trascorra più tempo qui, ma la Mills la tirerà per le lunghe prima di cedere.
- Mi sembra un’ottima proposta – osservò il maggiordomo, accompagnando al cenno del capo il sorriso placido che lo contraddistingueva – Sono sicuro che la piccola trarrebbe giovamento da un ambiente più sereno. La mia sarà un’opinione di minoranza, ma non sono d’accordo con la tendenza a trattare i bambini come adulti in miniatura. Regina dovrebbe godersi gli anni più belli, ridere e giocare, anziché camminare impettita come una dama di corte e temere persino di sporcarsi. Non va bene, ogni cosa a suo tempo…
- Già… Speriamo che sua madre ceda in fretta, – concluse la giovane – Nel frattempo io vado a dare una mano in cucina. Se mi cercano, io sono lì.
- No, no e no! – la mano ferma di Mary Margaret la bloccò immediatamente, trascinandola di peso verso le scale – Tu ora vai di sopra, ti cambi, fai qualcosa per questi capelli che sfuggono da tutte le parti, – le afferrò una ciocca scuotendo la testa rassegnata – E ti precipiti nello studio. Non vi vedete da sette giorni, la cucina attenderà.
Belle ridacchiò alle parole della donna, che l’accompagnò complice.
- Ai vostri ordini, generale! – rispose scattando sull’attenti prima d’incamminarsi. Avrebbe seguito tutti i consigli di Mary, eccetto uno: il luogo in cui lo avrebbe aspettato. Era certa che, non trovandola altrove, Robert sarebbe salito all’ultimo piano, e l’idea non le dispiaceva, anzi; ma avrebbero dovuto parlare, e parecchio anche, toccare argomenti delicati al riparo da orecchie indiscrete.
Da lì a poche, pochissime ore ogni cosa sarebbe stata decisa nel bene o nel male.
Il momento della verità era alle porte.
 
 
 
Venuto dal sole
o da spiagge gelate, 
perduto in novembre

o col vento d'estate,
io t'ho amato sempre,

non t'ho amato mai 
amore che vieni, amore che vai.
 
 
 
Quando a Robert Gold era stata annunciata la contessa Mills, aveva alzato gli occhi al cielo col desiderio di mandare al diavolo tanto l’ospite quanto l’innocente latore della notizia: evidentemente, a qualche persona erano del tutto avulsi i concetti di “settimana difficile” “stanchezza” e “desiderio di solitudine” – punto, quest’ultimo, cui occorreva apportare delle precisazioni, perché lui voleva sì stare solo, ma solo con Belle.
Ma poi aveva ricordato anche l’altra lettera scritta nei giorni precedenti, e ogni idea di negarsi si era eclissata nel tempo di un pensiero.
Per quanto non intendesse vedere Cora, doveva farlo: doveva abbandonare ogni residua riluttanza, far appello a tutta la sua astuzia e scendere nuovamente in campo per una questione che non riguardava più un banale triangolo amoroso.
La felicità di Regina non sarebbe stata merce di scambio, né in quel momento, né mai.
- Milady, – la salutò impassibile, entrando nel salottino.
Il sorriso che gli rivolse lo sbigottì non poco: mai, in vent’anni di complicità, l’ex amante si era presentata così gioiosa e affabile. Il pensiero che ci fosse sotto l’ennesima macchinazione gli balenò in mente per un istante, facendogli ripromettere massima cautela.
Stava per addentrarsi nelle sabbie mobili: ogni passo sarebbe potuto essergli fatale.
- Come stai? – la gentildonna mimò l’entusiasmo di una bambina vedendolo – Ho appreso la notizia… Non puoi immaginare quanti mi dispiaccia, Robert caro. È andato perduto molto materiale?
È tutto nella norma, si consolò tra sé e sé l’industriale, udendo la domanda. Se Cora avesse rivolto anche solo un pensiero alla vittima, ci sarebbe stato di che preoccuparsi; ma, come sempre, la sua mente era tutta volta al denaro e ai beni materiali, in un atteggiamento che, se prima gli sarebbe scivolato addosso nella sua consuetudinarietà, ora gli faceva celare a fatica una smorfia di disgusto.
- Converrete con me che, per quanto fondamentali, lana e macchinari sono piuttosto irrisori dinanzi alla morte di due padri di famiglia.
- Ma certo! – Cora si portò alla bocca una mano guantata, come se l’insinuazione l’avesse scioccata – Per chi mi prendi, caro? Non sono certo un mostro senza cuore. Francamente, ero del parere che tra noi due fossi tu quello più spregiudicato…
- O forse mi piace farlo credere. Quale che poi sia la verità, Milady, – la guardò distrattamente, come se non fosse degna del bene prezioso che era la sua attenzione – Non a tutti è dato sapere.
Stava iniziando a odiare quelle conversazioni che parevano duelli, parole di fuoco come lame e volti di pietra come scudi; doveva già affrontarne a decine per affari e voleva che almeno nella vita privata simili espedienti appartenessero a un passato recente. Voleva poter condurre le conversazioni che aveva con Belle: semplici, lineari, prive del timore perpetuo dell’altro, prive di sottintesi e ammiccamenti che nascondevano mostri.
Voleva essere libero.
Lei mi ha cambiato, pensò. Ero nell’abisso, e lei è l’unica che vi è scesa, l’unica che mi ha offerto la mano.
Mi ha fatto tornare alla parte migliore di me, ha mandato in mille pezzi il muro di bugie.
Ha ripulito quel che ero diventato.
- Una certa aura di mistero non può che giovare al fascino, certo, – concordò la dama, accingendosi a togliere i guanti – Non ti reca disturbo, vero? Sono nuovi, e purtroppo stavolta il tendiguanti non ha svolto il suo compito a dovere, – aggiunse a mo’ di scusa, accennando a quanto stava facendo – In fin dei conti, con ciò che abbiamo condiviso non sarà certo questo a scandalizzarti. Resterà un altro piccolo segreto tra noi.
- Come preferite, Milady.
A che gioco stava giocando? A che pro fingersi docile come un gattino, se in passato non aveva perso occasione per mostrare i volti peggiori di sé? Che si fosse messa in testa di riconquistarlo facendo leva su quest’altro – ipocrita – lato della sua personalità?
Un tentativo fallito già in partenza.
Il pensiero del lungo incontro che l’attendeva gli fece venir voglia di mettersi le mani tra i capelli e urlare.
Fu Aurora a servire quella volta; e a Gold non sfuggì il rapidissimo lampo di frustrazione che attraversò il volto della nobildonna alla vista della cameriera.
Aspettavate qualcun’altra, Milady?, fu tentato di ghignare per umiliarla, ben sapendo quale dipendente avrebbe voluto incontrare. Forse quell’uscita di Belle si era rivelata provvidenziale…
Un lievissimo colpo di tosse lo riportò alla realtà: l’occhiata che Cora gli rivolgeva, accennando discretamente alla domestica, era eloquente. Pas devant les domestiques: certi affari andavano trattati in privato, lontani dalla servitù linguacciuta – “La Contessa era persino a mani nude, sai che scandalo!”.
L’uomo congedò la serva e si rivolse nuovamente all’ospite.
- Ora è tutto di vostro gradimento, Milady? – calcò l’impronta beffarda della sua voce, senza temere d’indispettirla – Possiamo parlare serenamente, o desiderate dell’altro?
- Penso possa andare bene così, ma ti ringrazio, Robert caro. La tua cortesia non smette di stupirmi, – zufolò serafica allungando la mano verso la delicata porcellana Rosenthal che le era stata offerta. Il folle non aveva ancora visto la verità che lei gli stava facendo sfilare sotto il naso: continuava a blaterare idiozie nella vana speranza d’intimorirla, dimentico che bisogna temere chi tace. Ma gli avrebbe presto rinfrescato la memoria… – Ho letto la tua ultima e ho deciso di venire a parlarne direttamente, senza perdere tempo in chiacchiere.
- Saggia decisione. Avete già una risposta?
- Oh, no di certo, mio caro! La fretta è cattiva consigliera, e non ho alcuna intenzione di correre quando è mia figlia a essere coinvolta. Dovrò valutare attentamente una serie d’aspetti fondamentali, – iniziò a elencare una serie di questioni che definire pretestuose sarebbe stato eufemistico: sicuro che la bambina avrebbe potuto soggiornare nella stanza degli ospiti? Regina cresceva in fretta, presto avrebbe avuto nuove esigenze e quel locale forse non era adatto a soddisfarle: non sarebbe stato più opportuno prepararle un’altra camera, più grande, più spaziosa, o magari dedicarle degli spazi appositi? E ancora, quando eventualmente fosse stata da lui come avrebbe fatto a seguire le lezioni tanto importanti in vista della scuola preparatoria? Lei non aveva nessuna intenzione di far fare avanti e indietro all’istitutrice… Per non parlare delle chiacchiere della gente nel vedere una ragazzina sballottolata da una parte all’altra come un pacco…
Robert si morse la lingua. Regina era abituata ad andare e tornare da Kensington al seguito della madre, che per anni aveva condotto simile routine senza temere chiacchiera alcuna, certa di poter mettere a tacere ogni pettegolezzo. I rischi le erano tornati in mente solo in quel momento?
Erano tutte scuse, pretesti per impedire alla bambina di stare da lui. Avrebbe quasi preferito se avesse negato il suo consenso esplicitamente, se avesse tirato fuori gli artigli che sempre aveva avuto e lo avesse deriso per la sua richiesta, senza mostrare pietà alcuna.
Seguì distrattamente le dita della donna, ballerine eleganti e aggraziate nell’illustrare l’ennesima farsa sul palcoscenico di un teatro quotidiano: danzavano lievi, seguendo le fila del discorso e accompagnandolo con vezzosi cenni là dove voleva attirare l’attenzione.
L’anello d’oro e pietra che portava a un dito catturava la luce, facendola esplodere in mille riflessi iridescenti sulla pelle chiara.
In lontananza, una pendola batté sei colpi.
Un anello d’oro e pietra.
L’attenzione di Gold fu catturata dal gioiello: quella banda preziosa non gli era sconosciuta. L’aveva già vista in altre occasioni; ma dove? Che gliel’avesse regalata lui?
Aguzzò la vista e il cuore gli sprofondò in un recesso da cui non l’avrebbe più recuperato.
Non riuscì a distogliere lo sguardo dalla mano che l’ospite muoveva elencando ancora i pro e i contro della proposta, quasi dimentica dell’interlocutore.
Quasi.
Perché alla Contessa non era sfuggito il tremito dell’incavo della guancia di Gold, il modo in cui il suo sguardo si era posato sulla mano senza più staccarsene, l’angoscia che all’improvviso aveva esteso le proprie grinfie su quel salone così ricco.
- Dove hai preso quell’anello? – Gold si sentì mormorare, abbandonando all’improvviso ogni deferenza. La sua voce gli suonò estranea, come se non fosse la sua.
- Questo? – la Mills guardò noncurante l’oggettino – Bello, vero? Sai che ogni tanto faccio visitare i bassifondi dai miei aiutanti, alla ricerca di qualche rarità, e ieri hanno trovato questo piccolo tesoro. Pare l’avesse venduto qualche giorno prima una giovane con urgente bisogno di denaro per fuggire dalla città. Non deve essere stato difficile darle molto meno del valore dell’anello… E lei ha accettato una cifra ridicola per quello che pare proprio essere un pezzo unico, che sciocca! Ma il bisogno di denaro porta a tutto…
Si sfilò l’anello e lo passò all’industriale, fingendo di non notarne il tremito delle dita.
Quanto può essere dolce la vittoria?
Latte e miele, zucchero che si scioglie lentamente sulla lingua.
Guarda bene, Robert, e capisci a cosa porta mettersi contro di me.
Non c’erano dubbi. L’ultimo acquisto di Cora era l’anello che aveva regalato qualche tempo prima a Belle. Per quanto lo scrutasse nella speranza di trovare un’imperfezione, un particolare che smentisse l’identità restituendogli il respiro, non era possibile sbagliarsi: ogni sospetto stava trovando conferma.
Non era un anello simile o somigliante: era l’anello.
Ieri hanno trovato questo piccolo tesoro. Pare l’avesse lasciato qualche giorno  prima una giovane con urgente bisogno di denaro per fuggire dalla città.
Non poteva essere. Se anche fosse successo, Belle se ne sarebbe andata via immediatamente, e Mary Margaret aveva detto che sarebbe tornata a breve. Ma poi, perché avrebbe dovuto fare qualcosa di simile? Era felice con lui. Lui era tornato, non le avrebbe più mentito, si sarebbero sposati entro pochissimo, lui l’amava…
Lui l’amava.
Belle.
Belle, cos’hai fatto?
- Vendimelo.
La stessa Cora rimase allibita dalla richiesta.
- Perché mai vorresti un anello da donna?
- Il perché non ti riguarda. Sono disposto a darti qualunque cifra.
- Non vorrei separarmene. Mi piace, e ce l’ho da così poco. E poi, quest’anno gli opali si usano molto…
- Una pietra di luna. Non un opale, – disse, parlando quasi se stesso – Una pietra di luna azzurra.
Ancora peggio, commentò Cora a denti stretti.
- È comunque un gioiello interessante…
- Che io sono pronto a pagare il doppio del valore originale.
Obiettare che simile decisione nei confronti di un oggetto tanto futile e sconosciuto era bizzarra a tal punto da lasciar presupporre che conoscesse l’anello avrebbe potuto destar sospetti; e mai come in quel momento, la Contessa voleva che Gold restasse cieco. Cieco com’era stato per mesi e come sarebbe dovuto restare ancora, il tempo necessario perché il piano volgesse ormai al termine; cieco, come stava dimostrando di essere in quel colloquio, come mai lei avrebbe immaginato che lui potesse rivelarsi: perché un gesto era stato sufficiente a illuderlo, quando mai l’industriale che aveva conosciuto vent’anni prima si sarebbe fatto ingannare da un’apparenza così effimera.
La situazione andava a suo vantaggio e doveva bearsene, vero; ma la situazione, si trovò a pensare, suffragava ancora una volta ciò di cui era da sempre consapevole.
Robert Gold, tu sei l’essere più debole e meschino che io abbia mai incontrato.
- Se vuoi fartene uno su questo modello, te lo presto. Non sia mai che scontenti un caro amico… – disse la nobildonna facendo appello a tutto il suo autocontrollo – Tuttavia, tornando a noi...
- Hai ragione su Regina. Disporrò delle stanze per lei, – le labbra dell’uomo si muovevano, ma i suoi occhi restavano lì, fissi su quella pietra innocente pomo di discordia – Ora, se vuoi scusarmi, mi… Mi attendono. Ho una questione da risolvere.
Uscì dal salone incurante dello sguardo indecifrabile dell’ospite.
 
Dimmi solo perché.
 
 
 

Io t'ho amato sempre,
non t'ho amato mai,
amore che vieni, amore che vai.

"Amore che vieni, amore che vai" - Fabrizio De Andrè

 
 
 
 
 
 
1: durante l’epoca vittoriana nascono le leggende sugli opali - http://www.magliagioielli.com/cenni-storici/storia-del-gioiello/52.html;
2 : vi rimando al link su Gretna - http://it.wikipedia.org/wiki/Gretna_Green;
3 : Worth fu uno tra i più importanti stilisti dell’Ottocento – http://it.wikipedia.org/wiki/Charles_Frederick_Worth;
4 : Jeanne Paquin fu un’altra celebre stilista. Ho precisato emergente perché, sebbene già nota, nel 1889 non aveva ancora aperto il suo atelier –  http://en.wikipedia.org/wiki/Jeanne_Paquin;
5 : adattamento – e scempio – della frase “Le piccole abitudini di tutti i giorni ci uniscono più dei tumulti della passione; quando siamo separati è questa danza discreta ciò che più ci manca.”, tratta da “La somma dei giorni” della divina Isabel Allende;
 
 
 
 
 
N. d. A. : Salve, Dearies!
Allora, cosa mi raccontate di bello? Vi è piaciuto il capitolo? Pareri, perplessità, supposizioni… Io, come sempre, ho le mie insicurezze sull’IC/OOC e simili, ma non conoscendo neanche il significato della parola “obiettività”, mi affido a voi. Ogni commento è benvenuto, lo sapete, e io aspetto i vostri con ansia! Due paroline, due due, mi renderebbero estremamente felice. :)
Chiarita la situazione di Ashely – che comunque avevate intuito XD –, le cose sembrano proprio mettersi male per i nostri, con una Cora che ha deciso di sferrare l’attacco finale e un Robert che pare esservi cascato in pieno. La prossima volta ne capiremo di più e scopriremo come andrà a finire – per ora! Come ho già annunciato sulla mia pagina Facebook “Euridice’s World”, cui vi rimando per i commenti alle puntate di OUAT, questa storia non termina tra due settimane: ci saranno ancora tante – spero! – cose da leggere, se vorrete continuare a seguirmi – spero bis! ♥
Grazie a quant* hanno recensito il precedente capitolo, hanno aggiunto la fanfiction a una delle categorie e la leggono: come farei senza di voi, miei tesori adorati? Le vostre parole sono un’iniezione di fiducia e io vi amo.*-*
A sabato 1° novembre con l’epilogo! :***
Euridice100

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Capitolo 23
*** XXII - Flame and ice ***


A tutt* voi,
un immenso grazie.
 
 
 
XXI - Flame and ice
 
 
 
Every word you say is a lie,
run away, my dear,
but every sign will say
your heart is deaf.”


 
 
Robert stava tardando. Le sei erano suonate da un pezzo e di lui ancora non si vedeva ombra; e la cosa non poteva non inquietare Belle. Cosa stava succedendo al piano inferiore? Perché Cora non si era ancora congedata? Qualunque fosse la ragione del loro incontro, la Contessa si stava trattenendo decisamente troppo.
Avrebbe voluto controllare la situazione, ma s’impose di rimanere di restare in camera. Con ogni probabilità, provò a rassicurarsi, i due stavano discutendo di Regina: una questione in cui era senz’altro coinvolta, ma che solo il suo promesso e la Mills avrebbero potuto affrontare consapevoli di cosa fosse meglio per la bambina. Immischiarsi avrebbe prodotto come unico risultato far indispettire ulteriormente la gentildonna, come la volta precedente; e Robert le aveva sconsigliato di ripetere il gesto. E se il punto della visita fosse stato l’anello, senza dubbio l’avrebbero già mandata a chiamare…
Doveva sforzarsi per mantenere la calma ed essere razionale; doveva ignorare le tentazioni dell’istinto e, soprattutto, non prestar ascolto alle insinuazioni di quella vocina acuta che le ricordava il passato comune di Robert e Cora.
Ma io non sono innamorato di lei. Io amo te. Non lei.
Lo sai. Te l’ha ripetuto mille volte, a breve vi sposerete, e lo conosci, non è persona da venir meno alla parola data.
Non hai nulla da temere.
A essere sinceri, quando aveva scoperto del ritorno dell’amato, Belle non aveva più provato realmente paura.
Nel momento in cui Mary le aveva comunicato la notizia, un’onda di coraggio le si era come riversata nelle vene, riscaldandole il sangue e il cuore e rafforzando l’estrema convinzione che la realtà avrebbe smentito le fosche previsioni in cui ultimamente la sua mente pareva amare indulgere.
Per ingannare il tempo decise di riprendere in mano “Romeo e Giulietta”. Pur conoscendolo quasi a memoria, quell’opera non perdeva attrattiva: aveva il potere di farla allontanare dalla realtà che la circondava e di sostituire i pensieri negativi con immagini più piacevoli – proprio ciò di cui aveva bisogno quel giorno. Carezzò il dorso del libro rivivendo l’istante in cui Gold glielo aveva porto, le parole con cui lo aveva accompagnato, il primo bacio che si erano scambiati e sorrise. La notte di Natale, mentre correva per Londra animata dalla forza propria delle imprese folli, non avrebbe mai creduto che le cose si sarebbero evolute in simile modo. Stava tornando per mettere in chiaro la situazione, senza sapere cosa aspettarsi, temendo un rifiuto che i pensieri neanche riuscivano a formulare; chi l’avrebbe mai detto che sarebbero arrivati sin lì, con un matrimonio alle porte e una nuova pagina della vita da iniziare a scrivere?
È il bello della vita. La sua imprevedibilità, il suo variare continuo che non si placa mai.
Come la ruota di un arcolaio quando la si aziona.
Stesa sul letto, aprì il volume e s’immerse nell’afa della Verona cinquecentesca; ma dopo pochi minuti un rumore le fece rialzare gli occhi dalle pagine. Le orecchi la ingannavano, o quelli erano davvero passi che si avvicinavano concitati? Era raro che qualcuno salisse in camera a quell’ora, soprattutto col padrone e un’ospite per casa; che fosse…?
Si mise a sedere e prestò più attenzione: sì, senza dubbio qualcuno si stava dirigendo verso la sua stanza; e quel qualcuno non poteva che essere lui. Si sistemò un’ultima volta i capelli e respirò a fondo per cercare di tranquillizzarsi, ma fu tutto vano: il batticuore che l’aveva colta non si placò; e in fondo, dovette confessare, lei non avrebbe voluto che si placasse.
L’avrebbe rivisto. Dopo giorni d’inferno avrebbe rivisto il suo grande amore: star calmi non era umanamente possibile. Robert già lo sapeva, ma lei voleva che sentisse quanto le era mancato, che percepisse quella trepidazione e comprendesse di esserne causa; e anche se da lì a poco avrebbero dovuto trattare questioni poco piacevoli, l’idea che lui le si sarebbe seduto ancora una volta accanto, che le loro mani si sarebbero rincontrate e strette, che le sue dita le avrebbero carezzato il volto, lievi ed emozionate come sempre, fu balsamo per la sua mente.
Andrà tutto bene.
La porta si spalancò di colpo, facendola sussultare. Pur perplessa, cercò il volto amato con un sorriso che le morì sulle labbra.
- … Robert? – sussurrò appena, gli occhi sgranati dallo stupore.
Davanti a lei non c’era Robert. Non c’era colui che aveva imparato a conoscere, colui che le aveva confidato e affidato la propria vita, colui al quale aveva dato il suo cuore senza mai pentirsi della scelta fatta.
Quell’uomo sembrava perso, mai esistito.
Colui che la scrutava con occhi di fiamma era Gold.
Era lo squalo senza scrupoli, lo strozzino che pasceva anime disperate, l’affarista che un pomeriggio di settembre l’aveva strappata dalla vita come l’aveva conosciuta sino ad allora e gettata in un mondo in cui era ultima tra gli ultimi.
La Bestia, non l’Uomo.
Sul suo volto non c’era più traccia dell’amore che l’aveva mitigato; ogni scintilla di dolcezza pareva essere stata spazzata via, lasciando il posto a un furore indicibile che avrebbe potuto incenerire il mondo intero.
Belle lo guardò e, per la prima volta, ne ebbe paura
- Cos…
- È così? – non le concesse il tempo d’aprir bocca – È sempre stata questa la verità? È questa dall’inizio?
- Cos’è successo? – l’aveva visto arrabbiato in tante occasioni, e proprio nel corso dell’ultima aveva dismesso quella maschera di gelo capace di mietere più vittime di mille scenate; ma mai, mai, nemmeno quella volta aveva reagito in simile modo. Doveva essere successo qualcosa di talmente grave, di tanto terribile da sconvolgere ogni singolo, minuscolo equilibrio assestatosi durante i precedenti mesi.
È successo che ti sei fatta amare, ed era tutto un piano.
Solo uno sporco, ridicolo piano.
- Me lo chiedi davvero? – proruppe in una risata breve e aspra, in cui non v’era traccia alcuna di reale gioia – Cos’è, Dearie, lo shock di essere stata scoperta ti ha cancellato la memoria? Vuoi che te la rinfreschi io? – schiuse il pugno destro che teneva serrato e le mostrò il contenuto – Questo ti ricorda qualcosa?
Belle fissò l’anello senza riuscire a emettere alcun suono. Dove l’aveva trovato?
A meno che…
Belle, c’è la Mills. Gold non ha fatto in tempo a entrare in casa che lei è comparsa.
Cora.
Regina.
Cos’avete fatto.
- Dove… Dov’era? – Belle provò ad alzarsi dal letto, ma le gambe non la ressero, come se le ginocchia non funzionassero più a dovere e mettersi in piedi avrebbe inevitabilmente comportato una caduta.
Stavolta nessuna mano si porse ad aiutarla.
- Fammi indovinare: l’hai perso e l’hai cercato ovunque senza trovarlo, vero? E sai perché, mia cara? Perché tu stessa l’hai venduto per andartene via di qui! Oh, no, no, no, – continuò scorgendo l’espressione sconvolta della ragazza – Sei una splendida attrice, convengo, ma la messinscena non serve più. Ormai so cosa sei e vuoi.
- Cosa stai dicendo? – reagì la donna senza nascondere i sentimenti che stavano prendendo il sopravvento. Vendere l’anello? Andarsene? Cosa avevano inventato le Mills per screditarla?  E soprattutto, Robert aveva battuto la testa per credere a simili idiozie senza capo né coda piuttosto che a lei? – Non trovo l’anello da prima che partissi. Era questo ciò di cui avrei dovuto parlarti l’altra mattina, ma poi ti hanno chiamato a Colchester e ho dovuto attendere fino a oggi. Era la prima cosa che avrei voluto dirti!
Continuava a mentirgli. Pur essendo stata scoperta, non demordeva dalla sua missione: gli piantava addosso quelle iridi nude – le iridi nella cui luce aveva sperato di rinascere, illuso! –, tanto avvezze alle menzogne da apparire sincere, gli raffazzonava spiegazioni dal sapore di patetiche scuse e pretendeva che lui le credesse ancora, che si perdesse nel mare di bugie in cui aveva annaspato per cinque, lunghissimi mesi! Era stata talmente brava da ingannare anche se stessa, a giudicare dalla fermezza con cui sosteneva il suo sguardo e dalla voce che non tremava neanche per un istante.
La consideravi un angelo sceso nel tuo Inferno, un essere d’aria e magia, ed è solo un’attricetta del Drury Lane. 1
Perché mi hai fatto questo, Belle, perché?
- Smettila! – ringhiò afferrandole i polsi, incurante dei tentativi di divincolarsi – Avrei dovuto dare retta a chi conosce quelle come te, a chi ha capito sin dal primo istante cosa sei! E risparmiati l’improvvisazione, quel maledetto anello l’hai venduto tu, per avere i soldi per scappare!
- Non è vero! – urlò lei con quanto fiato aveva in gola. Il cuore le batteva con tanta forza che pareva sfondarle il petto, e la presa d’acciaio attorno ai polsi le faceva male; ma era nulla rispetto alle pugnalate che le parole le stavano inferendo – Ho davvero perso l’anello, e avrei davvero voluto parlartene l’ultima volta che abbiamo dormito insieme, ma poi… – la voce le si spezzò appena, rievocando un istante lontano più di una vita – Non l’ho venduto, te lo giuro. Non avrei mai potuto, io ti amo! E ho pensato che forse avevi ragione a sospettare, che forse Regina…
- Non osare! – contrasse la mascella udendo quel nome – Pur di salvarti la pelle non esiti a coinvolgere una bambina… Sei disgustosa, e io finora ti ho dato retta, io ho sospettato di lei per te! – la sentì tremare sotto la sue mani, ma non allentò la presa. Perché era stato così cieco? Avrebbe dovuto immaginare che sarebbe successo, intuire il suo inganno – Sapevo che era un trucco. Sapevo che non te ne importava niente di me, niente. Per chi lavori? Quanto ti hanno offerto per questo lavoro? Oppure l’idea è stata tua? – diede voce al sospetto che aveva iniziato a divorarlo – Volevi trasformarti in un’eroina, volevi vendicarti per quanto combinato da tuo padre abbattendo la bestia?
- Io non ho mai…
- Sta’ zitta!
- Ma io ti amo, sono sempre…
- Ti ho detto di stare zitta!– la scosse come una bambola, incontrando una resistenza che non fu difficile vincere.
- Perché non mi credi? – pianse lei, un ultimo sussulto prima di udire le parole che lui non seppe trattenersi dall’urlare.
- Perché nessuno – nessuno mai! – potrebbe amare me!
Perché quel silenzio, all’improvviso?
Perché quell’espressione tanto ferita? L’aveva tradito, aveva messo in ginocchio la Bestia; aveva ottenuto tutto, o quasi.
Ma lei gli piantava addosso quegli occhi azzurri e lucidi, come incapace di parlare, come colpita e affondata definitivamente.
Tremava, ma non distoglieva lo sguardo.
Quello sguardo che lui non poteva più sopportare.
La spinse sul letto, incurante di farle male, desideroso solo di scappare; e fu questo ciò che fece, lasciandola sola e andandosene prima che il suo cuore s’imponesse.
 
 
 
Bury all the memories,
cover them with dirt,
where’s the love we once had?
Our destiny’s unsure,
why can’t you see what we had,
let the fire burn the ice?
Where’s the love we once had,
is it all a lie?
 
 
 
Non c’erano parole. Non c’era una spiegazione, razionale o meno, che potesse alleviare la tempesta che aveva colpito il suo animo. Non esisteva consolazione, non esisteva conforto – ogni traccia, ogni residua speranza era svanita, dissolta nell’epifania di un istante. Aveva guardato da vicino la pietra, pregando di star sbagliando, aveva passato le dita sulle scanalature familiari della fascia, e il velo del sogno che fino ad allora l’aveva separato dalla realtà si era disperso come nebbia al primo sole.
Quante volte, nella vita, si era giurato di non cadere più vittima dei tranelli della speranza? Di far propria la prima, fondamentale lezione di Cora, vivere senza curarsi del prossimo, salvaguardare se stessi in primis, anche a costo di chiudere il cuore in un ripostiglio?2 E quante volte ci era riuscito senza rimpianti, nascondendo la propria anima dietro un muro distaccato di cerimonioso riserbo? Erano stati vent’anni perfetti, vent’anni di ricchezza e quiete rase al suolo da lei.
Lei, lei che con un gesto aveva rovinato tutto, lei che aveva rivelato la sua indole di demone truccato da fata, sorrisi di diamante e occhi che nascondevano coltelli. Era stata brava, di una bravura incommensurabile: sin dall’inizio era stata in grado di attirarlo a sé, facendogli percorrere una strada forse già battuta fino a catturarlo e soggiogarlo, privandolo di ogni possibilità di fuga.
Era stata più brava di Cora: meno teatrale, più astuta, più dimessa.
Belle French era stata abilissima nell’interpretare i suoi silenzi, nel leggere il suo bisogno d’amore e suffragare le sue estreme illusioni.
Era stata bravissima nel regalargli una bugia.
E lui le aveva raccontato tutto! Ogni ferita, ogni dolore, ogni segreto; le aveva svelato il passato e consegnato il futuro, consegnato se stesso: parlare con lei era stato semplice e immediato come parlare a se stessi. Non si era accorto di aver rivelato tanto fino al momento in cui aveva dovuto affrontare l’incomprensibile.
Entro quanti giorni sarebbe stato alla mercé di tutti? O forse lo era già, e già s’apprestava a divenire lo zimbello dei circoli londinesi, l’industriale spietato in pubblico e più docile di un agnellino in privato…
Cora non l’avrebbe mai fatto.
Cora non aveva mai fatto mistero dei suoi fini, dei reciproci vantaggi che la loro alleanza avrebbe apportato; e anche quando lui aveva convinto di essersene innamorato, lei gli aveva riaperto gli occhi, sottolineando l’inopportunità di simili passioncelle per gente della loro risma. Cora aveva intuito subito i fini di Belle perché in quegli occhi turchini – quegli occhi cui si era affidato, che aveva guardato innamorato ignaro di ciò che giaceva sotto la superficie, pronunciando quel “Da oggi e per l’eternità io sarò tuo” che non sapeva rinnegare – aveva riconosciuto la scintilla appena dissimulata di cupidigia che da sempre, evidentemente, animava le sue mosse. Aveva cercato di metterlo in guardia, sì, lo aveva fatto sin da subito, ma lui era già lontano: troppo cieco, troppo sordo, troppo perso nelle sue fantasticherie per prestarle ascolto.
Era rinsavito nel modo più brutale potesse esserci, e la verità gli aveva attraversato il cuore come un fulmine, folgorandoglielo, lasciando dietro sé tessuti anneriti e un vuoto capace di togliergli il fiato.
Belle continuava a non ammettere la sua natura, a portare avanti il piano nell’intento di farlo capitolare e vincerlo; ma non sarebbe successo.
Non sarebbe successo mai più.
Come era riuscita a fingere per tanto tempo, a indovinare i momenti in cui più aveva avuto bisogno del suo sorriso e donarglielo – offrirglielo, come aveva finto di offrirgli il cuore?
Eppure ti ha dato quel che aveva di più prezioso.
O forse anche quello è stato un inganno.
Anche Belle aveva tante sfaccettature, tanti modi diversi di essere se stessa? E se sì, quali gli aveva mostrato, i migliori o i peggiori? I più falsi o i più sinceri? Chi era la donna con cui aveva passato mesi a battibeccare, con cui aveva condiviso avventure e risate, sul cui petto aveva pianto e con cui aveva fatto – non sesso, sai che per te non è stato solo sesso, lo sai – qualcosa che non sapeva più definire?
Inghiottì un fiotto di rancore amaro rievocando con lucidità infallibile gli eventi così vicini e così inafferrabili alla ricerca di una prova, di gesti cui appellarsi per rimproverare la propria stoltezza e al tempo stesso giustificare la propria fiducia.
Ne trovò mille, o forse nessuno.
Si prese la testa tra le mani, incapace di ignorare il pulsare doloroso che gli martellava il cranio facendolo impazzire.
Sapevi che sarebbe finita.
Lo sapeva, vero, ma bruciava ugualmente, anche se era preparato.
Sapeva che l’avrebbe lasciato, prima o poi, che un giorno si sarebbe svegliato e non avrebbe più trovato le sue cose, che al culmine di una lite lei gli avrebbe urlato di essere stanca della tenebra di cui era malato, che se ne sarebbe andata per sempre, che…
No, non sapeva come.
Ma sapeva che non sarebbe dovuto succedere così.
Che non sarebbero dovute essere una manciata di secondi e una mano che gesticolava a decretare le sorti del suo cuore.
Non era l’essere stato tradito a ferirlo, ma l’essere stato tradito da lei, dal centro e vertice del suo universo; da colei attorno al quale ruotava la sua esistenza, colei alla quale si sentiva indegno di paragonarsi, angelica com’era, con la sua grazia di incanto e nostalgia che pareva rischiarare le brutture del mondo in cui un destino beffardo l’aveva fatta incarnare.
Non era l’esserne stato innamorato a umiliarlo, ma l’esserlo ancora.
La scoperta fatta avrebbe dovuto strappargli dal petto ogni traccia di sentimento nei suoi confronti, strappargli il cuore, se necessario; ma quegli istanti nulla avevano potuto contro la realtà intangibile e potente che sentiva così fiera e autentica in sé, come mai toccata dalla vita.
Mi hai mai amato, Belle?
C’è mai stata verità nelle tue parole, nei tuoi baci?
O è stato tutto un’altra, immensa recita?
Lei gli aveva mentito, ma lui no: aveva amato – amava – quella bugia che gli aveva insegnato ad amare e l’aveva illuso di poter farsi amare.
Dimmi, Belle: è stato divertente giocare?
Forse meritava anche questo. Sì, lo meritava. Da quando era morto Neal – Neal, le aveva detto persino di Neal, del suo tesoro più prezioso! – era poche le cose che meritava, che sapeva di meritare.
Dolore.
Inganno.
Oscurità.
Belle gliele aveva offerte fingendo di trasfigurarle in amore.
Meritavo anche questo, Belle?
Non l’aveva lasciata parlare. Cos’avrebbe dovuto dirgli? Aveva già provato a spiegargli di aver perso l’anello, di avergliene voluto parlare… Era una bugia. E per lei aveva anche sospettato di Regina, aveva odiato Cora, considerato trucchi da donna tradita quelli che erano stati gesti da amica sincera!
Lei, lei aveva venduto l’anello per andarsene, quando sapeva – lo sapeva, era così, lo sapeva! – che sarebbe bastata una sola parola, un solo gesto per ottenere la libertà. L’aveva lasciata andare, ed era stata lei a tornare da lui quella notte gelida, rischiando tutto nelle ombre – o forse protetta proprio dalle ombre –; ma lui l’avrebbe rifatto, una, due, cento volte se fosse stato necessario.
L’amava a tal punto da mettere la sua felicità al di sopra di ogni altra cosa, l’avrebbe sposata, l’avrebbe voluta signora e padrona di tutto, avrebbe anche rinunciato a lei, ma lei, lei aveva rovinato tutto!
Quello che stava succedendo era solo colpa sua colpa era solo sua, doveva odiarla, doveva solo odiarla!
Si avventò sulla scrivania, scagliando per terra tutto ciò che era sul suo cammino. Gettò via i libri, strappò dalle credenze le suppellettili pregiate, le maschere di Ceylon che in un primo momento lei aveva temuto senza ammetterlo, scaraventando lontano tutto, perché tutto aveva conosciuto la potenza antica di quello sguardo traditore, e tutto andava distrutto.
Purificato.
Fatto tornare al tempo lontano in cui lei non c’era.
Si accaniva contro le cose per sfogare il dolore, senza sapere di essere stato lui stesso a scegliere di infliggerselo; si beava del tintinnio delle porcellane che s’infrangevano al suolo e dei cristalli che sprigionavano arcobaleni tristi ai suoi piedi, della devastazione che si apriva dinnanzi a sé perché solo quel caos poteva occultare lo stato della sua anima, solo quei cocci visibili potevano distrarlo dai frammenti in cui lui si era rotto restando integro.
Una tazza, un’altra e poi un’altra ancora, una cacofonia in cui smarrirsi per non ritrovarsi, per non pensare.
È questo il rumore che ha fatto il tuo cuore?
Si ritrovò tra le dita quella tazza, la prima cosa che lei aveva toccato in casa – la tazza che le era scivolata dalle mani dopo uno dei suoi stupidi scherzi, la tazza così simile e così diversa dalle sue gemelle, con quella sbeccatura piccola e profonda che la segnava in eterno e la rendeva unica –
- Mi… Mi dispiace, mi dispiace tanto, ma… S-si è sbeccata… Si vede appena…”
“- È solo una tazza.”
Doveva gettarla, infrangerla con ancora più violenza di quanta ne avesse riservata fino ad allora al resto della stanza. Doveva distruggere quella traccia, rendere polvere tutto ciò che era entrato in contato con lei, purificarsi.
Strinse le dita attorno all’oggettino lucido.
Fallo.
Un gesto così semplice, eppure tanto difficile da compiere.
Fallo.
No, non riusciva a farlo. Non riusciva a gettare via quel pezzo di lei, quel pezzo di sé – quel pezzo di loro.
La posò sul tavolo e si allontanò, quasi incapace di sostenerne la vista, il significato, il perché della guerra attorno e dentro sé.
Per la prima volta in vita sua era innamorato, ed era stata tutta una bugia.
 
 
 
And I still wonder
why our heaven has died,
the skies are all falling,
I’m breathing, but why?
In silence I hold on
to you and I.
 
 
 
Maman era felice. Era tornata da casa dello zio col sorriso sulle labbra – un sorriso vero, non il ghigno cui era abituata e che pure negli ultimi tempi era diventato così raro. A Regina piacevano quei sorrisi, sebbene ne ricordasse talmente pochi – e quasi nessuno dedicato a lei; ma la sera precedente gliene aveva regalati così tanti che la bambina si era chiesta se Maman stesse bene, o se fosse davvero lei e non invece una sconosciuta che le somigliava come una goccia d’acqua.
La Contessa era andata a trovarla nella nursery e l’aveva stretta a sé con una forza inimmaginabile; Regina quasi non conosceva il significato della parola, ma la sensazione delle braccia di sua madre attorno al suo corpo, il calore che un gesto tanto semplice aveva saputo trasmetterle le avevano quasi fatto venire le lacrime agli occhi. Le aveva ricacciate indietro, perché non voleva deluderla proprio allora mostrandole quelle debolezze che tanto deprecava; ma quando la nobildonna le aveva posato un bacio sulla fronte, trattenersi ancora si era rivelato impossibile.
- Ce l’abbiamo fatta,– aveva mormorato – Abbiamo vinto.
Regina avrebbe preferito che sua madre non avesse parlato. Che se ne fosse andata via subito, senza aprir bocca, senza sbatterle in faccia la realtà di cui era complice.
Perché non c’era stato bisogno di precisazioni per capire a cosa – a chi – si stesse riferendo.
E così, tutto rientrava nella normalità. Colui che Belle aveva sottratto loro era tornato – anche se una parte di Regina dubitava se ne fosse mai allontanato. Lo zio poteva anche essersi innamorato di quella ragazza, ma non per questo le voleva meno bene: la settimana a Kensington fugava ogni sospetto a riguardo, e anzi – nonostante la missione che l’aveva perseguitata – si era rivelata un’oasi di pace nella tempesta che la sua vita era ormai diventata.
Anche se poi ogni vestigia di serenità era svanita.
Anche se poi non era stata in grado di ribellarsi, pur sapendo di sbagliare.
Quando si era trovata dinanzi all’ennesimo fallimento e aveva dovuto consegnare l’anello, Regina aveva preso una decisione.
Avrebbe dimenticato.
Avrebbe finto che non fosse successo niente, avrebbe lasciato sommergere dal presente quanto successo da settembre in poi e riscritto gli ultimi mesi rimuovendo ogni traccia della presenza di Belle French. Quel nome sarebbe diventato sempre più vago, fino a diventare l’immagine sfocata di una cameriera dal sorriso gentile che per qualche tempo aveva servito a Kensington: non un’amica, non un sostegno, non la ragazza che la faceva divertire coi suoi racconti e la sua goffaggine  e che lei aveva tradito.
Lei non aveva tradito nessuno.
Ognuno ha il proprio modo per salvarsi; e Regina Mills era convinta che l’oblio potesse mondare le colpe di gesti non voluti, cancellare i suoi peccati. Perché, se aveva ferito qualcuno, non era stata per sua volontà: lei non avrebbe voluto soffrire e non avrebbe voluto far soffrire,– se era successo, era stato solo perché cercava il modo di essere degna di qualcosa. Di comprensione, di cura, di sostegno – di amore.
Ma comunque non era successo.
Lei non aveva tradito nessuno.
Non c’era stata alcuna biblioteca in cui sorprendere una cameriera a leggere, non c’erano state soffitte in cui giocare, non c’erano stati balli capaci di distruggere un mondo.
Non c’era stato nulla.
Regina Mills era convinta di essere riuscita nel suo intento.
Anche se la notte faticava a prendere sonno, anche se l’appetito che Maman le rimproverava sembrava svanito.
Era convinta di esserci riuscita fino a quando parole di vittoria l’aveva nuovamente abbattuta.
Non aveva dormito, quella sera. Si era girata e rigirata tra le coperte fino a scostarle rabbiosa, perché il loro tepore ricordava l’abbraccio di Maman: altrettanto caldo, altrettanto accogliente, altrettanto infido. Aveva vagato per la camera misurandone a grandi passi la lunghezza, mille pensieri in testa, mille “se” e mille “forse” che non poteva riportare a unità.
Se l’avesse fatto, avrebbe dovuto affrontare la realtà – quella realtà da cui faceva di tutto per sfuggire, quella realtà che l’avrebbe perseguitata ancora e ancora. Avrebbe voluto godere del sonno e del suo dono, l’oblio e la finzione perfetta che – ne era certa – appariva all’esterno, che sua madre faceva apparire all’esterno: una facciata perfetta e infrangibile, cristallo tanto spesso da non lasciare nemmeno indovinare il marcio nascosto da sete e sorrisi.
Quel marcio che neanche lei poteva più fingere di ignorare.
Quel marcio esiste, e ha toccato anche me.
L’aveva toccata, e forse gli era piaciuta, tanto da decidere di insediarsi nel suo animo e non lasciarla più, a costo di condurla a conseguenze estreme. L’anello non poteva che essere la prima di una lunga serie di azioni; e anche se Maman era stata a lungo immersa in quell’oscurità, forse non era troppo tardi neanche per lei: forse non tutto era perduto, forse si poteva ancora fare qualcosa per salvare entrambe.
Si trattava di provare, di prendere in mano le redini della propria vita per una – una sola! – volta; di non lasciare che fossero i terzi a decidere, ma di decidere in prima persona, ribellandosi alle correnti che la sballottavano ovunque da ormai troppo tempo.
Solo io posso decidere.
Solo io posso essere coraggiosa.
Sapeva che se ne sarebbe pentita. Recandosi nelle stalle, una voce in lei continuò ad ammonirla: la notte non sempre portava consiglio, e nel suo caso non l’aveva portato di sicuro, anzi; avrebbe fatto meglio a tornare in camera e attendere pazientemente l’inizio delle lezioni, smettendola d’impicciarsi nelle faccende dei grandi, anziché infilarsi un cappottino troppo leggero per la stagione e sgattaiolare alla ricerca di colui che sarebbe potuto essere alleato di un salvataggio o complice di un delitto.
Daniel era solo nelle scuderie. Maman aveva fatto trasferire a Belgravia lui, suo padre e Ronzinante – si era limitata a dire che forse per quell’inverno non sarebbero tornate in campagna e che tanto valeva continuare a casa le lezioni, ma a Regina era stato immediatamente chiaro che quella era la ricompensa per aver portato a termine il compito affidatole.
Era felice di riavere il suo cavallo e l’amico, sì. A essere sincera, negli ultimi giorni non le erano mancati più di tanto: aveva avuto altro cui pensare per potersi dedicare al ricordo dei pochi momenti condivisi; pochi momenti che, però, erano stati sufficienti a farle capire di potersi fidare del coetaneo.
Aveva solo lui, e avrebbe dovuto almeno tentare: era la coscienza a imporglielo.
Perché lei aveva tradito.
Daniel era impegnato a strigliare un cavallo, ma appena la vide ripose le spazzole.
- Guarda un po’ chi si rivede! – la salutò levando un sopracciglio – Pensavo che ti eri già stancata di Ronzinante.
- Sono stata impegnata e non ho avuto tempo per l’equitazione, –il che è vero, si consolò – Ricomincio presto. Però adesso mi serve il tuo aiuto, è successa una cosa e…
- E tu ti sei ricordata di me perché hai bisogno. Tipico di voi nobili… Per il resto mica esistiamo, – il ragazzino dovette notare l’espressione confusa dell’interlocutrice, perché sospirò prima di riprendere a parlare – Lascia perdere, non puoi capire.
- Cosa non posso capire? – si ritrovò a sbottare secca. Ignorava la ragione dell’ira che l’aveva improvvisamente assalita, ma quelle frasi l’avevano colpita nel profondo. Non si sarebbe mai abituata all’idea di essere considerata una nullità, una creatura incapace di comprendere ciò che la circondava; e il fatto che l’offesa provenisse da una persona che reputava amica non faceva che peggiorare la situazione. Sperava che almeno Daniel potesse unirsi allo sparutissimo gruppo di persone che non l’avevano mai giudicata in simile modo – sparutissimo gruppo in cui figuravano proprio coloro ai quali aveva voltato le spalle –, ma la realtà smentiva anche l’estrema illusione.
Era sola.
Ancora una volta, non aveva alleati; e chi avrebbe dovuto, o almeno potuto, aiutarla la stava lasciando in balia di un destino più grande di lei, un destino cui non sarebbe potuta sfuggire contando esclusivamente sulle proprie forze.
La giusta ricompensa per ciò che hai fatto.
Chi tradisce non può che essere tradito a sua volta.
Le veniva da piangere, ma non l’avrebbe fatto. Se fosse caduta, l’avrebbe fatto da autentica discendente di Conti che avevano fatto la storia dell’Impero; sarebbe caduta come Regina Mills e non come una bambinetta qualsiasi.
Nessuno, nessuno l’avrebbe vista spezzarsi; di sicuro non un bifolco come Locke.
- Se è così, io non ho bisogno di te. Io non ho bisogno di nessuno! – urlò all’attonito Daniel prima di fuggire dalla scuderia e dirigersi verso il cancello di servizio. Si ritrovò ben presto in strada, a guardarsi attorno alla ricerca della via da percorrere per raggiungere Kensington.
Il suo vestito era troppo leggero per febbraio: se non si fosse coperta si sarebbe buscata una polmonite, ed era ben conscia dei pericoli che avrebbe potuto incontrare lungo il percorso, ma non per questo demorse. Sarebbe andata dallo zio, avrebbe confessato tutto e la situazione si sarebbe risolta. Non c’era possibilità di fallimento: avrebbe posto rimedio agli errori delle precedenti settimane e avrebbe sistemato ogni cosa, a qualunque costo.
Ce l’avrebbe fatta.
S’incamminò decisa, ferma sul suo obiettivo; ma aveva percorso solo pochi passi quando si sentì strattonare. Il cuore le balzò in gola e non seppe trattenere un urletto terrorizzato, nonostante il coraggio di cui fino ad allora si era fregiata: possibile che nella sua vita nulla andasse mai per il verso sperato?
- Ma come, – si sentì sbeffeggiare da una voce ben nota – Non hai bisogno di nessuno e poi ti lasci spaventare da me?
Regina guardò in cagnesco il sorriso sghembo disegnato sul volto di Daniel.
- Che ci fai tu qui? – sbuffò maledicendosi per la reazione appena avuta – Non ho tempo da perdere, devo andare da mio zio.
- E io ti accompagno, – concluse con semplicità il giovane stalliere – Oh, andiamo, lady Mills: dici che lascio andare in giro da sola la mia migliore amica?
 
 
 

Closer to insanity,
buries me alive,
where’s the live we once had?
It cannot be denied!
Why can’t you see what we had,
let the fire burn the ice?
Where’s the love we once had,
is it all a lie?

 
 
 
Aveva pianto. Aveva trascorso ore in lacrime, non un pensiero a consolarla: non l’idea che non l’avrebbe lasciata chiusa lì,che la notte gli avrebbe schiarito le idee e fatto tornare sui suoi passi, che l’indomani sarebbe tornato e che stavolta non si sarebbe fatta zittire, gli avrebbe parlato fino a farsi sentire; nulla.
In quella stanza teatro di tanti momenti felici ora c’era posto solo per un vuoto, lo stesso vuoto che in cui era sprofondata, figlio dello stesso dolore che le si era annidato in seno togliendole il respiro.
Un dolore che solo una persona avrebbe saputo redimere, la stessa persona che glielo stava infliggendo.
Robert non voleva ascoltarla.
Non voleva conoscere la sua versione dei fatti, non voleva scoprire il suo punto di vista e far luce sul sospetto che poche, semplici indagini avrebbero potuto confermare.
Robert non le credeva.
Il semplice soffermarsi su questa frase era un colpo allo stomaco, un dardo che le trapassava il cuore mentre il mondo si faceva buio. No, non poteva essere: qualunque cosa avesse detto Cora – perché era lei la responsabile, su questo ormai non c’erano dubbi –, come aveva fatto Robert a scordare la forza del loro amore, le battaglie che aveva vinto per imporsi, il sogno che si stava realizzando, la notte in cui gli aveva donato se stessa? Quale bugia aveva soppiantato tutto ciò questo?
Quando provava a calmarsi e a chiudere gli occhi, la violenza degli ultimi istanti bussava imperiosa alle porte della sua mente, abbattendo ogni resistenza, facendola soffrire anche nel sonno.
Perché nessuno – nessuno mai! – potrebbe amare me!
Ma io ti amo. Perché non riesci ancora a credermi?
Quella frase era stata la peggiore. L’aveva colpita più delle offese, dei gesti e dei sottintesi; la sua brevità furiosa, la sua chiarezza di fuoco e ghiaccio avevano rivelato il potere atroce di colpirla nel profondo, negando e riducendo a nulla la magia di quei mesi vissuti nel calore reciproco.
Riducendo a nulla lei stessa.
Possibile che si fosse illusa tanto? Che non avesse mai davvero infranto il cristallo che separava Gold dal mondo, dai sentimenti, dalla vita?
Erano parole in cui neanche lui stesso credeva, grumi di rancore riversati nell’ira, che provavano a rinnegare la realtà recente senza riuscirvi.
Lui l’amava, lo sapevano entrambi: l’amava a tal punto da esserne terrorizzato, ma perché non poteva permettersi di accettarlo, come pareva aver ormai fatto?
Perché, Robert?, si era domandata mille volte durante quella notte infinita, in cui i minuti s’incagliavano tra loro e il cielo era parso rispecchiare la sua anima stanca.
Perché ci stai facendo questo?
Non si era mai resa conto della profondità delle sue ferite, della sua anima tanto danneggiata da impedirgli persino di credere di poter essere amato. Non c’è cosa peggiore di non riuscire a consolare, ad aiutare chi si ama, di vederlo annegare nelle paure e non poter allungare una mano per salvarlo; e questo Belle lo stava vivendo sulla propria pelle istante dopo istante. Peggio: non era stata in grado di accorgersene,e questo era ciò che mai si sarebbe perdonata. Perché se solo una volta ne avesse avuto sentore, se avesse intuito i dubbi di Robert, allora avrebbe osato ogni cosa per smentirlo, avrebbe mosso mari e monti per dimostrargli la sincerità delle proprie intenzioni.
Ma Robert non aveva parlato.
Robert non parlava mai della voragine che aveva dentro e che ancora una volta l’aveva inghiottito.
Ma come poteva anche solo pensare di dar retta a Cora, proprio lui che era stato il primo a metterla in guardia da lei e dalla figlia e a sospettare della bambina? L’aveva guardata di sottecchi quando l’aveva scoperta troppo in confidenza con Regina, e ora l’accusava di voler scaricare sulla bambina le sue inesistenti colpe. Per quale motivo, poi, scappare quando stava coronando il suo sogno? Se davvero avesse venduto l’anello, se ne sarebbe andata subito, non avrebbe certo perso tempo ad aspettarlo rischiando così di essere scoperta!
Troppe domande, troppi perché la cui risposta solo l’uomo avrebbe potuto fornirle.
Avrebbe dovuto fornirle.
Sette rintocchi di una pendola lontana si erano persi da poco nell’aria silenziosa, quando Robert Gold fece nuovamente ingresso nella cameretta, trovando Belle French seduta immobile sul letto
Nonostante la luce ancora scarsa, il pallore spettrale dell’uomo era evidente: non incontrava lo sguardo della giovane, ma le palpebre arrossate e le profonde ombre sotto gli occhi parlavano per lui, suggerendo una notte altrettanto tormentata.
Aveva versato le lacrime di chi avrebbe rimpianto ciò che stava eliminando dalla sua vita.
- Allora? – Belle non si trattenne dal chiedere, deglutendo per scacciare quel groppo amaro in gola – Quale destino devo aspettarmi?
L’uomo allungò un braccio verso la porta socchiusa – un gesto tanto lento quanto inesorabile nella sua crudezza, un gesto compiuto pronunciando piano un’unica, spaventosa parola.
- Vattene.
Il comando le arrivò in ritardo, come attutito dal rombo del sangue nelle orecchie. Non lo comprese subito: le parve piuttosto un’accozzaglia di lettere senza significato, che l’aveva raggiunta e ferita – perché il cuore capisce, capisce sempre prima della testa –, ma che non aveva senso.
Ma nulla ha più senso, Belle, svegliati.
- Vattene? – ripeté confusa, incapace di far altro.
- Non ti voglio più in casa mia.
Lo vide sfilare un fascio di banconote dalla tasca, porgerglielo attendendo un suo gesto, lasciarla cadere accanto a lei sul letto.
Non proferì alcuna parola facendolo; non proferì alcuna parola uccidendola dentro.
Sullo stesso letto su cui ti ho dato me stessa, sullo stesso letto su cui hai giurato di amarmi.
Su questo letto, ora,hai fatto finire ogni cosa.
Afferrò i soldi prima di alzarsi di scatto e tirarglieli contro.
Lui non si scostò.
- È questo ciò che pensi?– un ringhio ferino, una furia che non sapeva di possedere.
Non ci fu risposta.
Si lisciò il vestito, quasi a tenere le mani occupate per non tirare un pugno a quell’uomo che aveva rifiutato qualsiasi tentativo di essere aiutato, quell’uomo che lei tanto amava e che la stava trattando come mai avrebbe immaginato, e fece per uscire dalla stanza senza voltarsi.
Aveva quasi raggiunto la porta quando sentì il veleno risalirle in gola: un’onda di fiamma che le incendiava il cuore e il petto, le pervadeva la bocca e le impediva di pensare ad altro che non fosse quell’urlo che voleva lanciare, quello sfogo che l’ultima di una lunga serie di azioni aveva causato e
che non poteva più essere ricacciato indietro.
Tornò indietro, respirando a fatica tra i denti.
- Sai, – sbottò – Eri ormai vicino alla libertà. Avresti potuto essere davvero felice, se solo avessi pensato che una persona può amarvi. Non hai fatto neanche un tentativo.
- Questo non è vero – mormorò lui impassibile, immobile e distante come una statua di cera.
No, Robert. Io sto dicendo la verità, e lo sai.
Belle si avvicinò ancora. Un altro passo e avrebbe potuto  toccarlo, se avesse voluto.
- Tu sei un codardo, Robert Gold, ricorda le mie parole. Puoi anche proteggerti con un’armatura, ma non farà alcuna differenza.
Fu solo allora che l’uomo chinò lo sguardo fino a incontrare i suoi occhi, in una morsa cui la giovane non si sottrasse.
- Non sono un codardo. La verità è molto semplice: il mio potere, la mia ricchezza… Quel che ho mi interessa molto più di te, Dearie.
Fu Dearie, il suo reale significato,a ferirla. Perché lui l’aveva sempre usata per canzonare, per sottolineare il suo disprezzo, la sua superiorità, per rimarcare ancora una volta il potere – fisico, materiale, morale – che aveva sul prossimo. Perché quella parola a lei dava fastidio, aveva sempre dato fastidio – la faceva sentire un oggetto, una nullità, proprio ciò che lui desiderava e che lei non poteva essere, con nessuno, e soprattutto non con lui, che l’aveva fatta sentire così viva, così vera.
Perché Robert aveva smesso di usarla nei suoi confronti da tanto, tantissimo tempo, da prima di quel bacio a Natale.
Perché ancora più di ogni altra cosa, quella parola, ora, indicava la fine.
- Mi hai chiesta in sposa. Hai persino voluto anticipare il matrimonio, – fu tutto ciò che riuscì a mormorare, forse sbagliando, forse umiliandosi, ma riuscendo solo a dire questo – Hai promesso di amarmi.
- Pensavi fosse vero? – la maschera di compostezza non svanì mentre metteva a tacere due cuori per non rischiare più – Ho sempre dubitato di te, e te ne avrei parlato anche se non ne avessi avuto conferma. Ho solo aperto gli occhi prima, ma comunque non ti avrei sposata. Tu non ne vali la pena. Tutto tra noi è stato una bugia.
È strano come la mente si concentri sulle piccole cose, anche mentre il mondo attorno crolla. Forse è un modo per mantenersi indenne, per non finire vittima della follia che appropriarsi della realtà.
Guardare il modo in cui due  labbra sottili spariscono in una linea invisibile, fissare uno sguardo che sa  contenere il mondo mentre studia un punto indefinito, inespressivo e gelido come mai prima.
Belle, in quel momento, ebbe la conferma suprema delle menzogne che Robert le stava dicendo.
Non hai la forza di guardarmi negli occhi mentre mi spezzi il cuore.
- No. Ti illudi, – il fiume di parole che premeva contro gli argini del suo autocontrollo ebbe la meglio: lo lasciò vincere, fluire libero fino ad avvincere colui che aveva di fronte – La verità è che non credi che io possa amarti. Hai preso la tua decisione, e lo credi o no, la rimpiangerai… Per sempre – non devi piangere. Non devi piangere, si ripeté un’altra volta, sentendo la voce rompersi sempre di più – T-ti resteranno soltanto un cuore vuoto e una tazza sbeccata.
Uscì dalla stanza senza guardarsi indietro, fragile e altera col cuore a pezzi.
Fermami. Ti prego, fermami.
Non sarebbe tornata indietro, ma non poté impedire al pensiero di prendere il sopravvento.
Fermami. Ti prego, ti scongiuro, fermami.
Lui non la fermò.
 
 
 
You ran away, you hide away
to the other side of the universe,
where you’re safe
from all that hunts you down.”
 
 
 
- Ci siamo mica persi, eh? – domandò Daniel grattandosi la nuca. Fino ad allora non aveva espresso ad alta voce i dubbi, affidandosi al senso d’orientamento di Regina; ma erano in cammino da mezza mattinata e la sua compagna di avventura pareva quanto mai confusa.
La bimba gli aveva spiegato a grandi linee il suo piano: voleva recarsi a casa di un fantomatico zio che viveva a Kensington – un quartiere che non aveva mai sentito nominare, ma che doveva essere un posto da ricconi se ci vivevano i parenti dei Mills – per confessare a lui e alla sua domestica di aver sbagliato tutto.
Tutto cosa, non era dato sapere.
Si era fidato di quella ragazzina stramba che pure gli suscitava tanta simpatia, senza far cenno ai punti deboli dell’idea; ma dinanzi alla sua espressione corrucciata non poté trattenersi dal chiedere in quale guaio si fossero cacciati. Regina sarebbe stata senza dubbio perdonata, ma lui e suo padre no, e non potevano permettersi di perdere il lavoro…
- Stiamo andando bene, – l’esitazione nella voce della Contessina era palpabile, nonostante le parole decise – Arriveremo a breve.
- Sarà. A me mi sembra che ci siamo persi.
Non ci fu alcun commento. Regina si era resa conto di aver svoltato prima del dovuto, ma ormai doveva aver recuperato… Girò a destra e poi a sinistra, come ricordava, e la fortuna fu dalla sua: la grande dimora di Gold comparve all’orizzonte.
- Eccoci! – esultò attirando l’ennesimo sguardo di riprovazione dei passanti, già esterrefatti nel vedere due ragazzini di estrazione sociale palesemente diversa scorrazzare in libertà per un quartiere tanto signorile. A Maman sarebbe venuto un colpo vedendola urlare come una monella di strada, ma in quel momento i moniti così spesso uditi risuonarono lontanissimi nella sua mente, tutta volta a sistemare il pasticcio combinato.
Avrebbe accettato i rimproveri dello zio e di Belle sapendo di meritarli; sua madre avrebbe scoperto tutto e l’avrebbe disconosciuta, facendola finire in mezzo a una strada, ma almeno sarebbe morta di fame e di freddo dopo aver riscattato il suo peccato, almeno se ne sarebbe andata in pace.
- Ti avevo detto di fidarti di me! – rise bussando alla porta di servizio, nella speranza che fosse proprio una cameriera dagli occhi chiari ad aprire. Ma quando l’uscio si spalancò, a salutarla fu lo sguardo di una Mary Margaret stranamente speranzosa e basita a un tempo.
- Contessina? – domandò sbattendo le palpebre, quasi non credesse ai propri occhi – Cosa ci fate qui? Siete… – cercò eventuali accompagnatori, soffermandosi sul ragazzetto dalla zazzera scompigliata che l’affiancava – … Siete sola?
- Cerco lo zio, – Regina entrò svelta in casa, senza attendere di essere accolta – Devo parlargli subito.
- Tesoro, – la governante le parlò dolcemente, ponendole le mani in spalla, ma occhieggiando ancora verso Daniel – Vostra madre sa che siete qui?
- Siamo usciti di nascosto, ma torniamo subito, devo solo…
- Oh, Contessina, – la donna la interruppe affranta – È un miracolo che siate giunta qui sana e salva. Lady Mills starà impazzendo dall’ansia… Vi accompagno dalle altre e corro da Mr. Gold. Avviserà vostra madre immediatamente.
- No! Devo parlare con mio zio di persona, Mary, è urgente!
- Vostro zio oggi è ancora più impegnato del solito, non bisogna disturbarlo…
- Allora con Belle! Devo parlare con Belle, Mary, ti scongiuro!
- Belle… – la governante tacque per un istante prima di lasciarsi sfuggire un sospiro che somigliava a un singhiozzo – Tesoro, Belle non lavora più qui. Se n’è andata… Se n’è andata poco fa.
No.
Non poteva essere. Tutti gli sforzi, tutti i tentativi fatti fino ad allora, la lotta interiore che aveva combattuto con e contro se stessa erano stati vani? Era arrivata troppo tardi?
No, Regina Mills non poteva arrendersi così, non poteva essere stata sconfitta per una manciata di minuti.
Non ebbe dubbi sul da farsi: si lasciò alle spalle gli sconvolti Daniel e Mary e corse per i corridoi fino a raggiungere lo studio dello zio e aprirne con violenza la porta.
Lo spettacolo che le si parò davanti le fece morire ogni parola in gola.
Aveva letto di cicloni che, con furia inimmaginabile, alle volte colpivano un Paese oltre l’Oceano – l’America – radendo al suolo ogni cosa incontrassero sul loro cammino. La furia degli elementi si riversava impietoso cambiando il volto del mondo per come era conosciuto fino ad allora; e forse quell’Apocalisse di grandine e vento si era riversata sulla stanza, cancellando l’ordine che vi aveva imperato per anni e anni.
E la tempesta aveva colpito anche lo zio. L’aveva colpito e distrutto, completamente: guardava fisso davanti a sé, ma non sembrava rendersi conto di ciò che lo circondava, perso in un mondo che appariva irraggiungibile a chiunque, eccetto lui; non pareva nemmeno essersi reso conto della ragazzina irrotta nella stanza: le aveva dedicato un’occhiata vaga, così diversa da quella penetrante che lo caratterizzava, senza porre domande sul volto arrossato e sui capelli fuggiti dai nastri e dalle forcine.
Ma, nonostante tutto Regina non poteva permettersi di perdere ulteriore tempo: Belle se n’era andata, ma forse c’era un ultimo modo per fermarla, forse lo zio ne sapeva di più e avrebbe potuto riportarla a casa, sì, le avrebbe ordinato di tornare e lei non avrebbe potuto disubbidire…
- Zio, zio, Belle…
L’uomo alzò il capo udendo il nome.
- Non nominarla, – bofonchiò – Non nominarla mai più.
La bambina continuò incurante del monito ricevuto.
- … Mary mi ha detto che non è più qui, e io…
- Non è giornata, Regina, oggi non sono in vena…
- …Non so se è per altro, ma lei non c’entra…
- Smettila, Regina, smettila!
- …Perché l’anello l’ho preso io!
Ecco. L’aveva detto. Aveva pronunciato ad alta voce la frase incriminata, aveva osato farlo, rapida e spaventata, ma al tempo stesso certa di che fosse quella l’unica cosa da fare. Implorò il Cielo di essersi liberata dalla sua colpa lanciando le parole lontano da sé, scagliandole vie; e per un istante, s’illuse fosse successo.
Ma la voce sorda dello zio la fece ripiombare nella cupa realtà.
- Cosa stai dicendo? – lo sentì domandare.
- L’ho preso io prima di tornare a Belgravia. Io ero… Gelosa, sì, gelosa di Belle, e l’ho preso e l’ho dato a Maman. Non so altro, ma non ce la facevo più a mantenere il segreto, perciò sono venuta a dirvelo, ma Mary ha detto che Belle se n’è andata, e…
Lo zio la guardava sconvolto. La scrutava con un’espressione che mai aveva visto sul suo volto, quando parlava con lei: pareva disgustato, come se non avesse più dinanzi una ragazzina, ma un insetto mostruoso.
Un atroce sospetto si fece largo tra i pensieri confusi di Regina.
- Zio… Tu non hai cacciato Belle, vero? – soffiò appena, senza esser certa di volerlo sapere davvero.
Robert Gold non rispose. Si alzò lentamente – come se ogni passo gli costasse una fatica immane, come se le ultime parole udite gli avessero spezzato tutte le ossa e di lui fosse rimasto solo un guscio vuoto, un’immagine senza sostanza incapace di tener testa al suo interlocutore – e rivolse un’infinita occhiata a una tazzina scampata alla sua furia.
Belle French aveva ragione – aveva sempre avuto ragione – e lui l’aveva cacciata.
Ti resteranno soltanto un cuore vuoto e una tazza sbeccata.
 
 
 
“But the world has gone
where you belong,
and it feels too late

so you’ re moving on,
but you can find your way
back home?”
 
 
 
Faceva freddo, quel giorno. Il vento che soffiava non era impetuoso, non era tagliente, ma ciò non lo rendeva meno gelido; i molti che, per un motivo o l’altro, erano costretti a uscire camminavano accostati senza quasi rendersene conto, come se i corpi suggerissero la vicinanza per proteggersi da quelli sputi di neve che penetravano i cappotti più pesanti e contro cui un vestito di lana celeste nulla poteva
Non era il cielo plumbeo, non erano le gocce di pioggia che le picchiettavano il volto, Belle lo sapeva: la ragione del suo malessere era molto più profonda, molto più radicata in lei. Se anche fosse stata avvolta da mille scialli, se anche fosse stata sepolta sotto una coltre di morbide coperte, quei brividi non le avrebbero comunque dato tregua; perché il freddo che sentiva non era dovuto a quell’uggiosa giornata di metà febbraio, non era scatenato da qualcosa di tanto semplice come il clima, no: veniva da dentro, dal cuore, e nulla avrebbe saputo placarlo. L’unica persona che avrebbe potuto riscaldarla era la stessa che aveva scatenato ogni cosa.
Ogni cosa, ripeté. Possibile fosse quello l’epilogo della loro storia? Che una bugia avesse oscurato tutti i baci, le carezze, l’amore che si erano giurati, che avesse cancellato i mesi che le avevano fatto vivere un carosello di emozioni, che le avevano fatto toccare il cielo con un dito e per poi gettarla nell’Inferno più cupo con una manciata di parole?
Cosa avrebbe dovuto fare, ora? Andare avanti, girare pagina come quando era alle prese con un romanzo? Un’amante della lettura come lei sapeva bene che, una volta terminato un capitolo, ne iniziava un altro; quel che Belle non sapeva, però, era se si applicasse la medesima regola anche alla vita, anche all’amore.
No.
La risposta arrivò cupa e rabbiosa dal profondo del suo essere, un ringhio di ribellione e dolore.
Una differenza c’era, e non poteva ignorarla.
In un libro, c’è uno stacco tra un capitolo e l’altro: un momento per riflettere, per metabolizzare le pagine appena lette prima di reimmergervisi totalmente; nella vita no.
Nella vita gli istanti corrono senza concedere tregue e compromessi, senza permettere di riprendere fiato prima di ricominciare a correre; fermarsi non è contemplato: nella vita, o si vive o si è perduti
E poi – quella era la domanda fondamentale, Belle se ne era già resa conto – se anche ne avesse avuto possibilità, lei avrebbe rallentato?
Ancora una volta la risposta fu immediata.
Certe ferite non guariscono, non rimarginano nemmeno con cent’anni si silenzio e quiete; certe ferite restano. Continuano a suppurare per anni e anni, a far male, a fingere di chiudersi per poi riaprirsi al tocco, anche a quello più delicato, più leggero; e non può essere diversamente, perché certe ferite sono fatte per rimanere in eterno, monito vano di errori che, pure, si sarebbe pronti a compiere ancora.
E guarita la ferita, rimane la cicatrice.
Non lo pensava solo perché erano trascorse appena due ore da quando aveva lasciato casa, la sua famiglia e colui che l’aveva mandata in pezzi: lo pensava perché sapeva che era vero.
Lo pensava perché sapeva che sarebbe andata così, sapeva che avrebbe amato Robert Gold per il resto della sua vita. Non era solo il suo primo amore, quello da custodire con affetto e nostalgia nel labirinto intricato di ricordi; era il suo unico, vero amore.
Un amore vero perché non l’aveva lasciata illesa, l’aveva cambiata fino a renderla quasi sconosciuta a se stessa, ancora simile alla Belle di un tempo fuori, ma così diversa dentro; un amore unico perché di così forti non ne avrebbe più provati.
Mai più.
Un amore che l’avrebbe segnata per sempre.
- Salve, Belle.
Si fermò di scatto sentendosi apostrofare da una voce maschile che non le suonava estranea. Chi conosceva a Whitechapel? Nessuno, eccetto Tink e gli altri dell’orfanotrofio, e di sicuro non un uomo. Si voltò nella direzione da cui veniva la voce e gelò.
Greg Mendell era lì, a pochi passi di distanza da lei: poggiato a un muretto che dava su un vicolo, le braccia incrociate al petto e una sigaretta penzoloni dalle labbra, la fissava con aria beffarda e provocatoria.
Si passò svelta una mano sulle guance per asciugare la scia umida delle lacrime, e raddrizzò le spalle senza allontanare lo sguardo dall’ex collega.
- Greg, – mormorò cercando di far sembrare la propria voce quanto più serena possibile. Il caso aveva uno strano senso dell’umorismo: proprio quando non aveva voglia di incontrare nessuno, si trovava davanti una persona che nutriva rancore nei suoi confronti e la considerava causa del suo licenziamento – Come stai?
- Tiro avanti, –si staccò dal muro e mosse qualche passo verso di lei. La giovane arretrò d’istinto: l’espressione dell’uomo non le piaceva. Qualcosa le intimò di non perder tempo, di non stare ad ascoltarlo e di allontanarsi il più possibile da lui e da quella strada,subito – Non è stato facile ricominciare dopo quel che è successo, ma ora va meglio. Ho trovato un nuovo lavoro… Decisamente più interessante del precedente.
- Ne sono davvero contenta, – tagliò corto – Ora però devo andare.
- Tu, invece, non sembri in gran forma, – l’uomo ignorò le sue parole e le si avvicinò ancora di più – Cos’è successo, bambolina? Quel cattivone si è già stancato di te? – il tono irridente le fece venir voglia di prenderlo a calci – E ora che fai? Corri a frignare da mammina?
Fu allora che Belle li vide. Come comparsi dal nulla, due uomini alti e nerboruti stavano avanzando verso di lei; e nel cono d’ombra del vicolo una lucente carrozza scura portava scolpito sulla portiera il simbolo araldico dei conti Mills.
No.
- Toccato un nervo scoperto, mia cara?
Il cuore le batteva sempre più impetuoso, ma la mente era più lucida di quanto lo fosse mai stata.
Scappa.
Fece per correre via, ma Greg fu più rapido: con uno scatto inatteso, l’agguantò per una spalla e la costrinse a voltarsi.
- Che maleducata. Te ne vai proprio ora che sono arrivati i vecchi amici del tuo paparino?
Le due facce da tagliagole incalliti erano sempre più vicine. Le tornarono in mente gli ultimi rantoli di suo padre, gli ultimi sussurri chele erano sembrati tanto criptici.
“I Frey non sono contenti. Va’ via.”
E ora erano venuti a chiudere i conti.
Loro e la Mills.
Belle reagì d’istinto. Prima ancora che il cervello potesse formulare l’ordine, le gambe si mossero e sferrarono un poderoso calcio a Mendell. Sorpreso e dolorante, l’uomo allentò la presa per un istante, il tempo necessario perché lei fuggisse.
Mi sono già ritrovata in una situazione simile, non poté fare a meno di pensare, mentre cercava di farsi largo tra la folla e seminare gli assalitori. Non permise al ricordo di Canary Wharf, di Hume e della persona che aveva conosciuto quel giorno di sfiorarla: perdersi in simili pensieri sarebbe equivalso a un suicidio, e lei voleva vivere.
Nessuno dei pur numerosi presenti l’avrebbe aiutata, avvezzi com’erano a simili scene e memori della lezione secondo cui in certe faccende era meglio non immischiarsi se non si voleva conoscere la tomba troppo presto: poteva contare solo sulle proprie forze, sul proprio fiato e sulle proprie gambe, sperando di resistere il tempo necessario per mettersi in salvo.
Ma in salvo dove?
Nonostante la stazza, i suoi inseguitori erano ben allenati: le stavano alle costole e non parevano aver intenzione di demordere; e per quanto corresse e si guardasse attorno, lei non sapeva come muoversi in quel quartiere, e non riusciva a individuare alcun luogo sicuro, alcun anfratto in cui nascondersi.
Svoltò per una strada, pregando di non star finendo in gabbia mentre imboccava l’unico vicolo che si apriva dinanzi a lei; imboccò un viottolo a destra, poi a sinistra, poi ancora a destra, superò piazze ed edifici fatiscenti, costeggiò bugigattoli dai muri scrostati le cui porte sbatterono con violenza al suo passaggio;rischiò di scivolare sul lastricato umido, e fu solo un carretto di fiori trainato da una ragazza dalla mantella rossa a impedirle la caduta.
- E che diamine oggi! – la sentì imprecarle dietro.
Sono d’accordo con te, avrebbe voluto urlarle, ma rallentare era fuori discussione: un solo passo falso l’avrebbe condotto nelle mani della Mills.
Doveva correre, correre ancora, ignorando la milza che urlava, il cuore che quasi esplodeva e il respiro sempre più corto. Senza che se ne rendesse conto, le lacrime ricominciarono a bagnarle le guance: com’era finita in quel guaio? Qual era stato il primo tassello che, cadendo, aveva trascinato con sé l’intero domino, attirandola in una spirale di vendette incrociate? Non aveva fatto nulla di male, si era innamorata di un uomo, forse quello sbagliato, ma chi decretava quale persona fosse giusta e quale no? Chi comandava, chi poteva comandare i sentimenti?
Una cosa era certa: quei delinquenti non l’avrebbero avuta vinta facilmente. Se anche fossero riusciti a prenderla, non avrebbero avuto a che fare con un topolino tremante, ma con una belva che avrebbe distrutto la gabbia alla prima occasione.
C’erano persone, valori, cose non negoziabili, per i quali nessuna lotta sarebbe mai stata vana.
La sua vita.
Robert.
La libertà.
Era giunta l’ora di dimostrarlo.
L’ennesimo crocicchio le fece raggiungere una piazzetta deserta. Digrignò i denti mentre prendeva fiato: se ci fosse stata gente, avrebbe potuto confondersi nella calca; scoperta com’era, invece, l’avrebbero subito individuata. Doveva rimettersi in fuga.
Si guardò attorno nell’ennesima, vana ricerca di un punto sicuro. Dall’altro lato della piazza si aprivano due vie: in un posto tanto estraneo, un percorso valeva l’altro, purché l’allontanasse dagli aguzzini…
Una piazza, un vicolo alle spalle e due di fronte.
Quel posto non le era nuovo
No.
Ci era già stata.
Non può essere!
Ci era già stata pochi minuti prima, coi Frey alle calcagna.
Sto girando in tondo.
Arretrò fino al muro, il panico che iniziava a bloccarle le membra e offuscarle sempre di più la testa.
Quei rumori pesanti che sembravano provenire da ovunque intorno a lei erano inconfondibili.
Passi.
Una, o forse due persone erano sempre più vicine, e lei non aveva scampo.
Ancora poggiata ai mattoni del caseggiato, chiuse gli occhi.
Non avrebbe ceduto. Avrebbe mostrato a quelle bestie con chi avevano a che fare.
Non avrebbe tremato. Se l’avessero catturata, avrebbe lottato fino all’ultimo respiro, a qualunque costo. Non s’illudeva di batterli, ma avrebbe almeno potuto sfiancarli ancora; o forse avrebbe dovuto mostrarsi accondiscendente, fingere di cedere e collaborare per trarli in inganno non appena avessero abbassato la guardia... Se solo il panico le avesse permesso di ragionare per un istante, un istante solo, di capire da che direzione provenissero i passi – quei passi che parevano rimbombare nella sua testa, sempre più forti, sempre più vicini!
Robert.
Questa è la fine. Mi prenderanno, e non mi lasceranno andare.
Mi dispiace, amore mio, mi dispiace tanto, ma non so più cosa fare.
Ho paura, e vorrei solo averti accanto.
E tu non ci sei…
I passi erano sempre più vicini…
 
Uno strattone.
 
L’ultima resistenza.
 
E il buio del vicolo l’avvolse nuovamente.
 
 
 
CONTINUA…
 
 
 
 
 
 
1: Ora Drury Lane è una via di Londra nota per i suoi teatri, ma tre Settecento e Ottocento era sinonimo di prostituzione – http://it.wikipedia.org/wiki/Drury_Lane ;
2: rivisitazione del nome della celebre pagina Facebook “Meglio soffrire che chiudere in un ripostiglio il cuore”;
Gli errori grammaticali commessi da Daniel sono voluti: sarebbe stato improbabile rendere acculturato un giovanissimo stalliere dell’epoca.
La canzone che ho usato e che dà il titolo al capitolo è “Fire and ice” dei Within Temptation, che linkerò in pagina - “Euridice’s World”, passate se vi va!
Come sempre, commenti e critiche di ogni sorta sono benvenuti! :)
 
 
 
 
 
N. d. A. : …E così si conclude la prima parte della storia.
C’è malinconia, certo. C’è tanta malinconia, come per ogni bel viaggio che termina; ma c’è anche tanta, tanta soddisfazione.
Da oneshot a quota ventitré aggiornamenti il passo è breve; e con – a volte troppe, lo so! – migliaia di parole ho cercato di rendere al meglio l’idea vaga di un noioso pomeriggio di settembre, ripresentatasi poi per caso a Natale. È stata un po’ il mio regalo inaspettato, regalo che ho deciso di condividere: lascio a voi il giudizio su quanto svolto finora – so che, dopo questo epilogo, vorrete solo scuoiarmi; in tal caso, però, non scoprireste come andranno a finire le cose...:D
Dal canto mio, voglio RINGRAZIARE voi che mi avete accompagnata in questi mesi, rassicurandomi quando avevo infiniti dubbi, facendomi tornare in carreggiata quando rischiavo di sbandare e sopportandomi e supportandomi sempre, nonostante tutto.
Se sono arrivata fin qui è per merito vostro: ribadisco, non avrei mai immaginato simile accoglienza. Le +329 recensioni – cui risponderò presto, promesso –, le 56 persone che hanno aggiunto la storia alle preferite, le 7 che la vogliono ricordare, le 89che l’hanno seguita, le 4 che l’hanno segnalata per le scelte e i lettori/le lettrici tutt* mi emozionano in un modo che non so descrivere.
GRAZIE DI CUORE, vi ripeto solo questo. ♥
Una menzione speciale va a colui senza il quale nulla sarebbe iniziato, quel B. che da sei anni mi sostiene incondizionatamente, ascolta i miei deliri e nei momenti “no” di questo percorso mi ha convinta a non cancellare tutto, anche per mezzo della sua imprescindibile ironia – plot twist: in realtà Gold è Enzo Miccio, Cora una gangsta in incognito e le mie amate alzatine le vere protagoniste; a una delle persone più belle che ci siano, la mia splendida M. sorella nell’anima e nel trash, collega di università, di deliri vittoriani e non solo, di casa Hogwartsiana – Serpeverde domina! – e di sogni bollywoodiani; a V., che prima o poi mi spedirà una cassa di Brunello di Montalcino per farmi ubriacare e avere la lemon Lacey/Begbie che le ho promesso in un istante di pura demenza; e all’inimitabile G., mia spacciatrice ufficiale di canzoni di Davide Van de Sfroos, perché senza EFP non avrei mai conosciuto il tesoro che è.
Come anticipato, le (dis)avventure di Gold e Belle nell’epoca vittoriana non terminano qui:
- sabato 15 novembre pubblicherò una oneshot di collegamento decisamente importante ai fini della storia;
- sabato 29 novembre inizierò a pubblicare la seconda parte della long, una storia in più capitoli anch’essa.
(Non chiedetemi i titoli: io ve li direi volentieri, ma come al solito li sceglierò appena prima di pubblicare. XD)
Spero di ritrovarvi, Dearies! :)
VI ADORO! :***
Euridice100

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