Masterpiece

di Mirajade_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ring of Fire ***
Capitolo 2: *** Sea of Lovers. ***
Capitolo 3: *** Roundtable Rival ***
Capitolo 4: *** Nightingale. ***



Capitolo 1
*** Ring of Fire ***


 
 
"I won’t stop
I’m gonna live forever
Burn it up
Like nothing never mattered
Wondering if it takes me higher
Dancing in a ring of fire.
Shut my eyes
I know it’s now or never
Ride or die,
I let my heart surrender
Rise up
I was born a fighter,
Dancing in a ring of fire."
Cos’è la vita?
Non ho mai conosciuto qualcuno che vivesse pienamente una vita felice, c’era sempre quel problema che ad ogni situazione ti faceva crollare. Non ho idea di cosa sia la vita .Finora ho vissuto in un mucchio di errori ,e così mi sono distrutta.
Mi piace scoprire il motivo della distruzione della gente e la compatisco, perché sono troppo buona. Detesto essere così ma è l’unica cosa che mi rende diversa dalla società giovanile composta da facebook, foto e il comportamento superiore.
Sono Hinata Hyuga e la mia distruzione è avvenuta subito dopo la morte di mia madre.
Mio padre è il capo di una delle più famose aziende di Konoha, motivo per cui mi credono una “ragazzina che nuota nell’oro”.La mia vita è divisa tra scuola e tempo libero… non è mai esistita una famiglia nella mia vita da quando mia madre è morta. La mia grande casa è sempre silenziosa , in compenso ,mio padre non fa che assillarmi con i suoi pensieri sulla perfezione, perfezione nello studio, nella vita, nel vestire… in tutto, niente è abbastanza per lui. Nonostante ciò ,non mi sono mai ribellata, non ho voglia di farlo, non ho qualcuno che mi spinga a farlo.
Mia sorella Hanabi, non è come me, è eversiva verso le regole di nostro padre, disobbedisce e ha iniziato da poco a fumare… la sua distruzione. Non posso fermarla: è il suo modo di ribellarsi a nostro padre , visto che è un ingenuo, un bastardo che poche volte si cura della salute delle proprie figlie e che è riuscito in pochi anni a sposare altre due donne, che adesso si ritrovano in un lurido appartamento a maledirsi per aver divorziato.
 ***
-Hinata esci subito!- sento urlare fuori dalla porta del bagno.
-Si… subito- mi appresto a lavarmi il viso e mi soffermo a guardarmi allo specchio. Pelle pallida e occhi perlacei, da sempre una caratteristica fondamentale della mia famiglia. In molti mi hanno chiesto se soffrivo di qualche strana forma di cecità, forse perché la mia pupilla, rispetto al normale, è molto più chiara ma deve essere semplicemente un fattore genetico.
-La prossima volta, fai più velocemente!- quasi sbraita Hanabi quando apro la porta. Era seduta,appoggiata al muro che fumava una sigaretta controllando di tanto in tanto il cellulare.
-Potresti smetterla di fumare in casa?- chiedo uscendo dal bagno e avviandomi verso la mia stanza aspettandomi la solita risposta.
-No- sussurra
Entro in camera e mi vesto velocemente con la tipica divisa scolastica giapponese, per poi iniziare a sistemare fuori dall’armadio qualche vestito , t-shirt e i portafotografie raffiguranti per la maggior parte mia madre. Nelle foto era così felice e viva, una bellissima donna dai capelli scuri e dal sorriso confortante.
Sento il telefono squillare e stancamente lo prendo.
-Pronto?- chiedo
-Hinata, tua sorella è uscita?!- strilla una voce dall’altra parte del telefono.
-No, Ino, che succede?- chiedo allarmandomi
-Sono a scuola… ho sentito un gruppo di ragazzi, forse di vent’anni non so, parlavano di droga… e aspettano alcune “ragazzine”, tra cui tua sorella!- termina il suo discorso poco dettagliato mentre il mio stomaco si contorce in una strana forma, getto il cellulare sul letto noncurante di aver lasciato Ino senza una risposta e mi precipito nel bagno, che, sfortunatamente trovo vuoto.
-Non aspettarmi per pranzo Hiashi- sento provenire dal piano di sotto. Sento la sua voce e il modo in cui chiama nostro padre. Mi precipito al pianoterra ma Hanabi è già fuori.
Chiudo gli occhi e vedo le disgustose immagini di un quindicenne che assume ogni sorta di droga. Perche? Perché?! Non volevo che arrivasse a questo punto.
Panico.
Respiro profondamente ed esco prendendo velocemente la tracolla scolastica. La figura di Hanabi era scomparsa ed io non sapevo minimamente come affrontare quella situazione.
***
-L’hai vista?- mi chiede Ino dopo la prima ora di lezione di giapponese antico, che non sono riuscita a seguire a causa dei miei martellanti pensieri.
-No- dico nervosa – Cosa dovrei fare? Non mi ascolterebbe ,e se continua di questo passo…- mi mordo il labbro inferiore mentre gli occhi iniziano a farsi lucidi, abbasso lo sguardo e mi soffermo sul corridoio della scuola. Non ho il coraggio di dirlo ma, si , ci ho pensato: potrebbe morire, ha solo quindici anni ,e non può resistere a tutto quel veleno.
-Calmati Hina. Risolveremo insieme il problema- mi rassicura Ino con uno dei suoi sorrisi. Ino è sempre stata un’amica fin da  quando avevamo pochi anni. È  bella, alta e intelligente, riesce quasi sempre a rendermi felice nei momenti bui, è la cura che evita di farmi pensare quanto faccia schifo la mia vita.
La sua distruzione? Un padre poco fedele.
-Dovrebbe essere dietro la scuola- mi dice incrociando le braccia.
-Perché ne sei così sicura?- le chiedo torturando la treccia laterale blu notte che scivola sulla mia spalla.
- E’ risaputo che i drogati si, appunto, drogano dietro la scuola, Hina-chan- mi risponde ovvia mentre un lungo ciuffo biondo le ricopre un occhio.
Annuisco mentre il peso sul mio stomaco si fa più pesante… “i drogati”.
Hanabi Hyuga, quindici anni. Distruzione? Fumo e droga.
***
-Ino non dovremmo stare qui.- sussurro –Questa gente è malata- continuo sapendo di non essere ascoltata dalla bionda, che con sguardo svelto e passi silenziosi cercava di scrutare qualche figura.
-Trovata- dice dopo qualche minuto, sorridendo vittoriosa. Il suo sguardo era puntato all’interno di un capannone, in parte crollato, pieno di macerie ,vecchie sedie e banchi. I muri erano scrostati e di tanto in tanto riuscivo a distinguere delle piccole figure parlare mentre si levavano nell’aria delle nuvole di fumo.
Quella che doveva essere una saracinesca era completamente abbattuta, alcune finestre erano rotte e anche da lontano si potevano notare delle siringhe sopra la saracinesca .
-Dobbiamo avvicinarci- sussurra la bionda facendomi perdere un battito. Non osavo immaginare cosa ci avrebbero fatto,se ci avessero scoperto. La bionda si voltò verso di me e vedendo la mia espressione impaurita alzò gli al cielo per poi ordinarmi di seguirla.
Facciamo il giro del capannone, io con il cuore in gola, Ino con l’adrenalina che la fa muovere sicura. Troviamo una finestra bassa e rotta. Le mani iniziano a sudare e quella fitta alla pancia si fa troppo forte, è la paura mischiata ad un senso di disgusto e tristezza.
Ci posizioniamo ai lati della finestra, per sentire qualcosa.
-Domani non veniamo, sia chiaro- dice una voce fredda,dura.
-Perchè?- chiede un’altra voce, questa volta rauca e dal timbro femminile e leggero. Hanabi.
-Siete solamente delle ragazzine, questo è l’ultimo giorno. Se volete altra roba non chiedetela a noi-
Allungo il collo per riuscire a vedere la scena, e in pochi attimi riesco a vedere l’amarezza di una vita non vissuta e buttata al vento. Una distruzione comune.
Il pavimento era riempito da mozziconi di sigarette e di qualche siringa dentro delle busta di plastica opache. Seduta per terra  con la giacca aperta, stava Hanabi, intenta a fumare quella che non sembrava una semplice sigaretta. I capelli le ricoprivano in parte il viso, puntato su un ragazzo dai corti capelli neri e dalla pelle pallida, quasi cadaverica.
-Possiamo pagarvi di più!- annuncia una ragazza seduta in un angolo che con occhi supplicanti chiedeva altro veleno. Era come vendere l’anima al diavolo e loro non riuscivano a capirlo.
Trattengo l’istinto d’entrare e portare via Hanabi con la forza, urlando.
-Ho detto di no!- risponde calmo il moro –Venite a cercarci ancora e vi causeremo dei pessimi guai- minaccia spostando lo sguardo su una figura. Era un ragazzo biondo, appoggiato alla parete, che di tanto in tanto aspirava della nicotina dalla sua sigaretta. –Sei d’accordo, Uzumaki?- chiede il moro.
Il ragazzo biondo non risponde, facendo aspettare pazientemente il finire della sua sigaretta –Non ho mai voluto avere a che fare con un branco di bambine che abbracciano la morte come se fosse loro amica- risponde spostando lo sguardo.
Persi un battito, stava guardando me? Vedo i suoi occhi nell’oscurità soffermarsi su di me e su Ino al mio fianco. Mi avrebbero preso e costretta a non farmi parlare, minacciandomi di uccidermi o uccidere Hanabi, o Ino. No, no, no… non può terminare così la mia vita. Cazzo.
-Andiamocene adesso- sussurro  alla bionda accanto a me. Senza aspettare una parola o un azione inizio ad allontanarmi dal capannone, con passo veloce. Non volevo più vedere quell’orrore.
***
 
Tic.Toc.Tic.Toc. Era quello lo straziante suono che riuscivo a sentire fissando la porta.
Mio padre sarebbe rimasto a lavoro fino a tardo pomeriggio e io avevo la responsabilità sulla casa e su mia sorella. 
Tic.Toc.Tic.Toc. Mi ero posizionata ai piedi delle scale, fissando la porta d’entrata. Dovevo parlare con Hanabi. Capire il perché di quella scelta.
Ma come avrei iniziato il discorso? “Hana smettila di drogarti, lo dico per il tuo bene”? Come in quelle soap-opere dove il drogato dopo la fatidica frase cambia atteggiamento e inizia un nuova vita? Sfortunatamente, non era così, era diverso, orribile e difficile.
Chiusi gl’occhi massaggiandomi le tempie e rivedendo di nuovo mia sorella nel suo stesso veleno aspirare una strana sostanza, in mezzo al gruppo di fumatori che in più punti del capannone decidevano quale droga scegliere per il giorno. Rividi quel paio d’occhi scuri, un blu scuro inquietante, per niente rassicurante che mi scrutavano curiosi.
Sentì la porta scattare e un lieve cigolio. Aprì gl’occhi e mi ritrovai davanti  Hanabi con uno sguardo misto tra lo stanco e il furioso.
-Perché mi seguivi?- chiede senza troppi indugi
-Perché lo fai?-replico, non calcolando la sua domanda
-Non sono affari che ti riguardano!- sbraita
-Si che mi riguardano!- mi alzo dallo scalino –Sei un bambina e mia sorella , a malapena conosci il pericolo che stai correndo, ti stai distruggendo, degeneri e non te ne accorgi!- urlai con gl’occhi velati da uno strato trasparente.
-Pensa per te! Io non mi diverto a tagliarmi!-
Le parole mi si bloccarono in gola, non sapevo cosa dire. Mi aveva presa e affondata, mi aveva rinfacciato quel problema che mi porto appresso da anni. La guardai sprezzante con le lacrime agli occhi; uscì di casa facendomi investire da un pungente gelo. Mi allontanai velocemente.
Non sapevo cosa fare, dove andare. Pian piano assistevo alla distruzione della famiglia Hyuga.
La droga è la speranza di chi speranza non ne ha più. La vita è un lungo malinteso.
Errori che si susseguono, sbagli impossibili da recuperare, delusione e tristezza.
Vita è il piacere di sentire il tepore caldo degli abbracci, dei baci, di sentire quella dolce felicità attraversarti,  sentire l’amarezza degli sbagli. Sentirsi così piccoli in uno spazio tra le stelle, sentirsi da soli e accompagnati, apprezzati e rifiutati, rischiare tutto e sentirsi giganti.
“E’ come una danza. Piroettare nel vuoto, sentire gli arti dolenti e il respiro affaticato. Poi arriva quella strana luce che congela le tue paure, ti fa sentire viva e ti distrugge” avrebbe risposto mia madre.
Non m’importava di lasciare Hanabi da sola, volevo prendere un attimo di respiro puro e avere quell’intervallo di pace.
-Tutta sola, angioletto?- sobbalzai a quella voce, il cuore che palpitava e il mio corpo in allerta.
La voce proveniva da dietro, era maschile, giovane e da un certo punto di vista, sensuale.
Mi voltai, le mani strette a pugno , le guance umide e gl’occhi vacui per il terrore.
Il proprietario della voce, era lo stesso che possedeva due occhi chiari, di un azzurro glaciale che si alternavano con delle sfumature bluastre, i capelli erano di un biondo dorato, quasi aranciato, la pelle abbronzata.
Mi si mozzarono, nuovamente, le parole: era il ragazzo del capannone.
-Puoi parlare sai? Mica ti mangio- continua, facendomi arrossire. Detesto non saper nascondere l’imbarazzo, e se avessi aperto bocca avrei fatto una pessima figura.
Prende dalla tasca una sigaretta e inizia a fumare, indirizzando il fumo lontano dal mio viso, ghignando beffardo. –Qual è il tuo nome?- mi chiese.
Inghiotto amaramente –Hi…hina…ta- balbettai in preda all’imbarazzo.
-Bel nome- disse – Naruto Uzumaki – mi porge una mano abbronzata ed io tremante la stringo. –Sei la sorella della ragazzina, suppongo. Questo spiega la tua presenza stamattina al capannone- perspicace, stranamente, un ragazzo perspicace –Dille di stare alla larga da me e dagl’altri, non vogliamo più averla intorno.
-Co…come fai a…a essere sicuro c…che sia mia sorella?- chiedo respirando lentamente cercando di far defluire il sangue dalle guance.
-Gli occhi. Avete gli stessi occhi- risponde lui buttando per terra la sigaretta non ancora finita –
-Forse è…è meglio che ritorni a casa. Vuoi solamente che l…le riferisca questo?-
-Si, grazie, non voglio essere il pericolo di una ragazzina-
Lo scanso e mi avvio verso casa con il cuore in gola e le mani tremanti.
-Ma potrei essere il tuo!- sentì urlare quell’ultima frase con un misto di malizia.
 Affretto il passo e dopo qualche minuto stavo correndo con il vento sul viso e gli occhi azzurri sognanti puntati su di me.


LITTLE WONDERLAND
BuonsaaaalveH!
Mi presento, sono Alatariel_Jade Elf e sono nuova in questo fandom :3
Questa è la mia prima storia su Naruto e per evitare di scrivere qualche "cretinata" è ambientata nei nostri giorni dove ormai la droga e il fumo sono gli elementi più importanti per essere apprezzati.
Spero che vi piaccia ^^
Ringrazio moltissimo la mia betareader e sociah Hellen Holmes per aver avuto la sacrosanta pazienza di correggere questo capitolo al posto di dedicarsi alla "bellezza" (-.-) del latino e saluto la mia brofist Sawako che in questo momento avrà una faccia shoccata per aver visto questo "coso" XD (Mi dispiace brofist u.u ma io sono una fanfictioner e da brava ragazza, creo cose del tutto diverse dalla storia originale XD, non morire, puoi farcela.... nonostante sarà una Naruhina ma.... dettagli u.u)
Ora vi lascio Cupcakes, ci vediamo ad un prossimo capitolo.

P.S Vi lascio qui dei link, se avete bisogno di grafiche o altro io me la cavo ^^.

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Alatariel_Jade Elf (cliccare)
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Ultima cosa: Nella maggior parte delle mie storie se cliccate i titoli vi faranno ascoltare delle canzoni, scelte appositamente per il capitolo.
In questa caso "Masterpiece" di Jessie.J e "Ring of Fire" dei Krewella.

 

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Capitolo 2
*** Sea of Lovers. ***


Silenzio prima di nascere, silenzio dopo la morte, silenzio mentre vivi. Silenzio. Le risate, la musica, le parole… è tutto vuoto. Niente di tutto questo ha senso, per me.
-Hiashi passa l’acqua.- dice mia sorella guardando mio padre, aspettandosi un azione immediata che non arriva.
-Come osi parlarmi così? Sono tuo padre e tu sei figlia mia: l’eleganza è la prima cosa che pretendo… cosa che, da quel che vedo, non mostri- ribatte acido mio padre , guardando l’abbigliamento scuro di mia sorella.
Ingoio amaramente l’acqua dentro il mio bicchiere ,aspettandomi un’altra risposta pungente da parte di Hanabi.
-Pensa per te, vecchio- risponde infatti ,alzandosi dal tavolo per poi andare in camera sua. Sbatte la porta violentemente. Era offesa, ferita, arrabbiata .Odiava nostro padre , lo odiava a morte.
-Che razza di comportamento! Vostra madre vi ha lasciato troppa libertà!- tuona mio padre facendomi rabbrividire. Le mie unghia affondano forzatamente nella mia mano ,come per non farmi accecare dalla rabbia che divaga dentro di me. Le sento scavare,ma è come un riflesso involontario.
-Smettila…- sussurro inghiottendo -…per favore- concludo mentre le mie dita iniziano a farsi umide.
Nei film credono che il sangue sia caldo, un qualcosa che trasmette vita… il mio è freddo, e forse non è neanche rosso.
***
 
-Mamma, perché esistiamo?- la voce risultava flebile
-Come mai questa domanda, Hina-chan?
La bambina alzò le spalle.
-Esistiamo per amare e odiare. Per vivere e morire, Hina-chan.- la donna sorrise rassicurante notando lo sguardo stranito della proprio figlia –Quando sarai più grande capirai- terminò.
-Da grande morirò?- chiese ancora la bambina dai capelli blu notte
- Prima o poi tutti moriamo ,ma quando saremo vecchi, vecchi, vecchi!- disse la donna in modo buffo facendo ridere la figlia. –Dai, adesso vai a letto o il terribile “Demone a Nove Code” ti prenderà e ti mangerà questa notte- prese la bambina in braccio e iniziò a correre per la casa in mezzo ad un coro di risate.
***
 
Il respiro affaticato, le mani sudate, i battiti accelerati, le parole. Il rumore.
Aprì le palpebre e rividi subito il tetto, nero al buio. Avevo le guance umide, avevo sicuramente pianto.
Di nuovo mia madre, di nuovo quel sogno. Se continuo di questo passo rischio d’impazzire,la mia vita va a pezzi e inconsciamente mi rifugio in vecchi ricordi.
 
-Dannazione mamma, perché te ne sei andata?- sussurro digrignando i denti in preda allo stress, alla paura e alla sopportazione.
Sposto lo sguardo verso la finestra. Il leggero colore aranciato si fa vivo nel cielo e riesco a notare una leggera corona di luce farsi sempre più intensa. Dà l’impressione di un sole caldo e luminoso, eppure non mi rassicura.
Di pomeriggio avrei avuto lezione di violino. Detesto quelle lezioni e amo suonare quello strumento: mi piace creare delle melodie veloci e frettolose, qualcosa che riesce a far muovere le mie dita in una maniera quasi anormale. Detesto la musica classica , è troppo lenta e morta ,e c’è già abbastanza morte nella mia vita. Io cerco vitalità.
Mia madre era una professionista, riusciva a comporre intere melodie in pochi minuti alternando i movimenti veloci e dinamici con quelli lenti e calmi in composizioni bellissime.
Più passa il tempo, più voglio essere come lei, una sua fotocopia… non voglio essere Hinata, ho paura di esserlo e di sbagliare, essere qualcun altro significa già cosa fare, sapere cosa accadrà e evitare gli errori. E io non posso permettermi nessun errore.
Espiro e ispiro lentamente preparandomi ad un'altra giornata orribile , accompagnata da paura e stomaco contorto.
***
 
La colazione è forse il momento più silenzioso del giorno. Neanche Hanabi chiede qualcosa, preferisce stare zitta, forse per non far sentire la puzza di tabacco bruciato , non saprei,  o forse era per evitare il dolore che le causano le labbra completamente spaccate dal freddo e dal fumo.
L’unico suono che qualche volta si sente è quello dei passi di Tamiyo, la badante della casa che, ogni mattina, si occupa di spolverare le ceramiche giapponesi.
Termino il mio caffè e dopo un saluto sussurrato esco di casa con la tracolla sulla spalla mentre nella mano sinistra tengo la custodia del violino, nera con un nome inciso sopra.
Squilla il telefono e stancamente lo prendo.
-Hinata Hyuga, chi parla?- chiedo
-Hinata per favore passa da casa mia… andiamo a scuola insieme-  dice la voce di Ino. Era singhiozzante, come se avesse appena terminato di piangere ,e forse era così.
Affretto il passo prendendo le strette vie di Konoha, deserte e piene di schegge di vetro. Mi hanno sempre avvertita di non prendere i vicoli stretti, possono esserci persone malintenzionate, ma ormai non ha più importanza per me.
Fortunatamente arrivo a casa di Ino senza contrattempi.
La trovo seduta nel vialetto davanti alla porta di casa ,con le ginocchia al petto e la testa bassa con i capelli annodati in piccoli grovigli sul viso e sulle spalle.
Anche la sua vita non era delle migliori.
Una combinazione tra depressione, ebbrezza, feste, scuola e sesso. La vita di una prostituta, avrebbe detto qualcuno, o la vita di qualcuno che vuole dimenticare anche per pochi istanti i suoi problemi.
-Ino?- mi paro davanti a lei, inginocchiandomi e accarezzandole una spalla coperta da piccoli fili biondi –Che è successo questa volta?- chiedo
-Non ne posso più! E’ un pazzo! Lo ha fatto di nuovo… ci ha picchiate, di nuovo e ha portato un’altra puttana in casa… di nuovo- la sento inspirare per poi sfogarsi in un pianto silenzioso alternato da sensi di soffocamento –Voglio andarmene Hinata! Voglio andarmene da questa casa… da questa vita, cazzo-
-Se vuoi puoi rimanere a casa mia oggi, non c’è bisogno che tu vada a scuola, anche perchè la casa sarà completamente deserta tranne per Tamiyo, che non si accorgerà neanche di te. Potrai rilassarti, anche se la vedo dura- le dico.
-Veramente?- mi chiede ancora con lo sguardo basso –Perché onestamente il solo pensiero di aprire il libro di educazione tecnica mi fa salire il vomito- dice . Accenno un lieve sorriso divertito.
-Ti accompagno, se vuoi-
Lei alza lo sguardo e noto i tratti formati dal mascara colato e il viso sciupato.
-No, non c’è bisogno. Faresti tardi e poi non mi dispiace fare il tragitto da sola – mi sorride forzatamente –Come è andata a finire con Hanabi?- mi chiede cambiando discorso.
Le parole mi muoiono in gola al solo pensiero di quel ragazzo tanto minaccioso quanto bello.
-Penso che sia stressata perché non le danno più…- “droga” non voglio dirlo… non lo dico.
-Capito- dice Ino non lasciandomi finire. Si alza e asciugandosi il viso umido con il dorso della mano accenna un falso sorriso radioso. -Credo che sia meglio che tu vada, ti sto facendo perdere tempo-
Sorrido amaramente e le porgo le chiavi di casa mia avvertendola di fare attenzione.
La guardo allontanarsi, vedendo l’alta e slanciata figura divenire man mano una piccolo punto grigio e biondo. Stringo le mani a pugno e mi allontano. Sarebbe finita questa tortura? Per me? Per lei? Per Hanabi? La tortura di vivere una vita il cui sinonimo era cenere?
***
 
-Signorina Hyuga potrebbe rispiegare alla classe quello che ci sarà nel test, per favore?- chiede il professore con uno sguardo tagliente, nonostante il “per favore” si riusciva a vedere la rabbia di un professore che viene ignorato.
Dannata me che non riesco a stare attenta!
-Beh… ci…ci… si dovranno disegnare tre ta…tavole – dico cercando di ricordare qualche numero precedentemente citato. Il signor Kobayashi mi guarda incitandomi a continuare.
Sfrego le mani lentamente tra di loro mentre una pessima sensazione prende il sopravvento: sento gli sguardi dei miei compagni puntati su di me, la maggior parte, annoiati.
-E ognuna dovrà rappresentare un…un edificio- termino sperando di aver risposto quantomeno bene.
-Signorina Hyuga mi sembra usuale che nel test si dovranno disegnare degli edifici. La mia materia si occupa di disegno architettonico, voglio ricordarle. La prego di stare attenta se vuole ottenere un buon voto constatando il suo ultimo risultato- abbasso lo sguardo verso il banco, risentendo di nuovo il signor Kobayashi spiegare. In questo ultimo periodo i miei voti lasciano molto a desiderare, ho tentato di darmi delle spiegazioni, lezioni di violino, stanchezza, “famiglia” ma niente era una vera spiegazione.
-Hinata- mi chiamò sussurrando una voce bassa. Mi voltai lentamente riconoscendo il volto inglese di una mia compagna, Maryclaire. Una ragazza solare e simpatica, nata in Inghilterra e trasferitasi in Giappone all’età di sei anni. In molti l’avevano presa in giro all’inizio per gli occhi più rotondi e il viso più europeo in confronto a quello di noi asiatici.
Portava quasi sempre i capelli mori raccolti in uno chignon che erano in forte contrasto con gl’occhi dorati.
-Si?- chiedo sussurrando
-Sai perché non è venuta Ino? Dovevo restituirle un libro- dice facendomi vedere la copertina del libro “Due sembianze diverse”. Lo aveva prestato anche a me ma non avevo mai avuto il tempo e la voglia di leggerlo, sapevo soltanto che era la storia di un ragazzo che di giorno si mostrava qualcuno e di sera qualcun altro, qualcosa del genere.
-Non si sente molto bene – le dico –Ma posso darle io il libro, devo vederla oggi-
-Grazie, Hina-chan- dice porgendomi il libro per poi assumere un’espressione interrogatoria –Ti senti bene? Sei più pallida del solito-
-Si… si sto bene – la rassicuro nascondendo a stento il vomito di parole che voglio buttare fuori.
“No, non va bene niente, cazzo, niente!”
Suona la campanella e con mia gioia esco dall’aula dirigendomi, con affianco Maryclaire, fuori dalla scuola.
Non sapevo minimamente perché mi stava seguendo, e avevo intenzione di chiederglielo.
-Come mai vieni con me?- le chiedo non sapendo come iniziare il discorso.
-Andiamo allo stesso corso di violino- mi dice guardandomi stranita –E’ da tre anni che faccio violoncello- mi spiega.
-Strano ,non ti avevo mai notata- in effetti non l’avevo mai vista ai corsi.
-Perché il mio corso si teneva dopo quello tuo- mi sorride –Ma questo mese, e credo anche nei prossimi, per dei problemi di orari frequenteremo il corso insieme-
Non so se essere felice o dispiaciuta: ho la possibilità di conoscere meglio Maryclaire e quindi di trovare qualcuno per i momenti difficili ma è anche vero che non voglio qualcuno che vedo ogni singolo giorno, anche nei miei momenti di tranquillità. Non vorrei che diventasse troppo invadente.
-Quindi saremo più di cinque- dico sorridendo falsamente.
-Esattamente. Volevano eliminare i corsi di violoncello, dicevano che era tempo sprecato per sette persone, ma infine hanno deciso di fare un corso integro-
Tempo sprecato? Non credo, era pur sempre tempo da dedicare ai quei momenti di libertà che poche volte ti puoi  permettere.
Non mi è mai piaciuto il violoncello, credo che sia la versione più “bruta” del violino. Quando mio padre voleva iscrivermi ai corsi più costosi di musica, all’inizio era convinto di farmi suonare il violoncello, per poi farmi finire in una di quelle grandi orchestre classiche, orribile.
Adesso non sa nemmeno che sto continuando le lezioni e se ne ricorda soltanto quando organizza delle riunioni con i suoi colleghi: mi costringe a vestirmi con abiti orribili e costosi per poi farmi suonare per gente che bevono champagne con vanità e si controllano continuamente i propri abiti, ma quantomeno sono soliti ad applaudirmi per le noiose melodie che sono costretta a suonare.
-Che strumento è quello?- aveva detto, mio padre, guardando schifato il violino in legno scuro, appartenuto a mia madre.
Non avevo risposto a quella domanda ma il giorno dopo ,sul mio letto si trovava un nuovissimo violino color crema con rifiniture nerastre.
Eleganza! Stupida, eleganza. Persino quello che suono doveva superare il costo di un auto o venivo presa per una ragazza di poco conto, il cui padre era un vecchio tirchio o senza soldi.
Non ho mai suonato quella barretta di cioccolato bianco, e preferisco non farlo, meglio tenerlo appeso alla parete, come se fosse impiccato.
***
 
Detesto quando la gente mi guarda mentre suono, è una sensazione terribilmente angosciante sentire quegli sguardi critici ,pronti a segnalarti ogni minimo errore.
Ero inchiodata allo sgabello mentre stringevo forte il violino sulla mia spalla, era leggero e adoravo vedere l’archetto passare sulle corde velocemente. Dava l’impressione della tanta eleganza agognata da mio padre; era elegante vedere quella danza continua tra archetto e violino che si susseguiva in note diverse e veloci.
In molti mi avevano detto che il mio modo di suonare era unico e diverso: più frettoloso, un qualcosa che non era paragonabile alla gentilezza di un violinista, la mia era rabbia e ribellione.
-Perfetto Hyuga, sei stata bravissima, ma la prossima volta cerca di mantenere il volto alto e verso coloro che ti guardano- mi raccomanda la Signorina Tsunade, inforcando gli occhiali e prendendo appunti su una piccolo libriccino in pelle.
“Verso coloro che ti guardano”, impossibile .Non sono adatta per sostenere gli sguardi. Non voglio dimostrare sicurezza ,ma solamente innocenza e relazione tra suonatore e strumento.
 
-Wow ,sei bravissima!- sussurra Maryclaire su uno sgabello dietro il mio.
I corsi si sono sempre tenuti in stanze che ricordano le postazioni di un’orchestra: una serie di scalini su cui stanno cinque/quattro sgabelli. Io sono sempre stata alla penultima fila con altre tre ragazze la cui caratteristica era l’essere stravaganti e disobbedienti. Come Tenten, una ragazza dal violino coperto di scritte di pennarello e bombolette spray. Porta sempre i capelli mori in due chignon bassi per far vedere meglio i piercing, uno sul sopracciglio e l’altro sul labbra mentre sulla mano destra ha tatuato una fantasia simile a quella del merletto.
Ragazza di buona famiglia e severa, ma a lei non è mai importato ha sempre fatto quello che le passava per la testa e frequenta ancora il corso solo per i buoni voti che prende spesso.
-Hyuga, quand’è che ti strapperai gl’occhi e me li regalerai? Sarà sempre troppo tardi, vero?- mi aveva detto una volta scherzando, dimostrando il suo “amore” per i miei occhi lilla.
Guardo di sfuggita il braccialetto in argento con un piccolo orologio come pendolo. Le 15:32.
Sbuffo al pensiero di ritornare in casa dove mia sorella sicuramente ha lasciato le sue tracce di cenere .
Una veloce e stridente nota fa voltare tutti i ragazzi verso la Signorina Tsunade che, con il suo violino in mano, richiama l’attenzione in quel modo.
Il suo volto era sempre tirato in smorfie severe  e le gentili forme di donna risaltavano sotto la gonna a tubino nera e sulla camicetta bianca. E’ sempre stata una seconda tutrice per me, sapeva del comportamento menefreghista di mio padre e delle cattive abitudini di mia sorella.
-Potete andare, la lezione è terminata- dice
Ci esibiamo in un inchino  e con in mano i propri strumenti ci dirigiamo fuori dal piccolo edificio.
Affretto il passo, sperando di non essere seguita da Maryclaire: odio la compagnia della gente che si mostra così superficiale e inutile, come tutte le ragazze di oggi giorno.
Inutili e senza personalità. Seguono tutte la stessa onda senza saperlo e sono convinte di essere diverse, ma non lo sono; portano tutte un trucco eccessivo, un modo di vestire volgare, hanno tutte un ragazzo che rientra nella categoria “popolare”, ascoltano tutte le stupide band di componenti senza talento e sono totalmente dipendenti dai social network, passando ore a creare stati o a pubblicare foto con qualche frase filosofica presa sicuramente da Internet, data la poca intelligenza.
Poi ci sono quelle persone false, che si mostrano qualcuno con gli altri, gentili, disponibili e simpatiche, e che poi ti linciano alle spalle e ti usano in maniere orribili.
Un esempio di persona falsa? Ino. “È la ragazza più socievole che abbia mai conosciuto”, dicono in molti.
Non è socievole, è incazzata con tutto e tutti: perché gli altri non soffrono e lei si.
In ogni modo credo che le mie preghiere sul ritornare a casa da sola, nonostante il cielo fosse già oscurato, non siano state ascoltate.
Percepisco già la presenza della mora.
Sbuffo lentamente stringendo di più la presa sulla custodia del violino.
Una figura alta si affianca alla mia, ma non è quella della ragazza solare che conosco da molti anni.
-Non dovresti camminare a quest’ora tutta sola, potrebbero esserci persone mal intenzionate- mi irrigidisco e lo vedo ghignare mentre aspira dalla sua sigaretta. Dovrei andarmene o scappare ma mi raggiungerebbe in meno di pochi secondi. Non mi volto a guardarlo, ma nella mia mente prende forma il viso abbronzato contornato da lunghi capelli ambra e accompagnato da perfetti occhi grigio-bluastri.
-Sai Hinata, mi piace molto questa tua tendenza al silenzio e alla timidezza- dice per poi scrutarmi, sicuramente si sarà accorto che tremavo. –Suoni il violino?- mi chiede soffermandosi sulla custodia che tengo in mano.
-S…si- rispondo espirando mentre la sensazione di disagio si alleggerisce.
-Dove abiti?-
-Pe…perché vuoi saperlo?- chiedo mentre la spalla inizia a dolermi per la tracolla pesante.
Alza le spalle e giriamo un angolo.
-Sei brava a suonare?- sta cercando di iniziare un discorso, cosa che vedo molto difficile.
-Cr…credo di si. In molti mi dicono che sono brava, ma non ne sono sicura. Sono tutti sorrisi di circostanza quelli che ricevo- sorrido amaramente pensando alle riunioni organizzate da mio padre.
-Un sorriso non costa nulla, ma vale molto. E’ tutta una questione di galateo.- dice gettando la sigaretta nel bel mezzo della strada con un gesto veloce, quasi impercettibile.
-Preferisco la gente schietta alla gente educata-
Mi osserva e sento di nuovo la sensazione di disagio farsi spazio tra mie membra. Dovrei chiamare la polizia e svelare tutto, evitando così di entrare in pessimi giri e di togliermi Naruto Uzumaki dalle spalle, ma la parte di me, quella più irresponsabile, quella parte che ognuno di noi sa di possedere e che si fa riconoscere dal “Dai è carino, non puoi rovinare tutto”, voleva continuare quello strano gioco appena iniziato.
Sento la mia spalla alleggerirsi e mi volto verso di lui con sguardo interrogatorio.
-Cazzo, certo che voi studiate molto- dice portandosi la tracolla alla spalla con movimenti fluidi e imprecando.
Vorrei sorridere ma sono troppo tesa.
L’unico che si era sempre offerto a portarmi la borsa o la custodia del violino è sempre stato il mio migliore amico, Kiba Inuzuka, un ragazzo dai capelli strani e dai modi aperti, insomma, il mio opposto.
Sono già passati due anni dalla sua partenza: si è trasferito in America perché i suoi genitori avevano trovato lavoro lì e lui, ancora minorenne, è stato costretto a seguirli intraprendendo una nuova vita americana.
-Ayako- lo sento dire in un sussurro. Rabbrividisco e la sensazione di disagio si trasforma in nostalgia, tristezza e rabbia. –Chi sarebbe?- chiede guardando più attentamente il nome inciso sulla custodia.
-Non vo…voglio parlarne, per favore- sussurro mentre nella mia mente i ricordi della donna solare e dalle mani danzanti si riproducono nella mia mente.
Questa situazione è totalmente insana,è come cercare di spegnere il fuoco con la benzina e io ci vado di mezzo dilaniata. Forse ho capito uno dei tanti motivi del perché non mi piace conversare.
Dovrei camminare con un cartello che recita “Non parlatemi, non chiedete cose su di me e andremo d’accordo”? Perché la gente non capisce che le storie di ragazzi dalla vita difficile non esistono soltanto nei film? E poi quando scoprono che hai perso un genitore ti guardano straniti, a volte impietositi e iniziano a farti domande su domande finché, contenti del materiale ottenuto, non vanno a sperperarlo in giro e tu diventi il cagnolino bastonato depresso e triste che chiede aiuto e amore.
Non chiedo aiuto, ne tantomeno amore, voglio completa indifferenza anche ripudio se è necessario! Non voglio la loro compassione.
-E’ una delle tante persone che mi ha lasciato- dico abbassando lo sguardo sul marciapiede in parte crepato – Però lei era quella più importante-
Cala altro silenzio dove gli unici suoni sono i nostri passi e qualche auto che passa di lì.
Prende il suo cellulare e lo sento parlare, mi soffermo sul tono di voce duro,maschile e, come direbbe Ino, orribilmente sexy. Arrossisco. Dannazione Yamanaka.
-Vai al punto, teme, quando devo venire?- lo sento dire annoiato dalla discussione che sta avendo –Sono da te, tra poco- chiude la telefonata, prende la mia tracolla e me la porge.
-Essere importante per qualcuno è la cosa più orribile che ci possa accadere- sussurra per poi sorridere –Ci si vede, angioletto- fa dietro front e si allontana sotto la luce dei lampioni. I capelli biondi in netto contrasto con la felpa nera.
***
 
Entro in casa, facendomi investire da un dolce tepore dato dalle stufe e non di certo dall’atmosfera per niente famigliare. Tamiyo è in cucina a preparare un insolita cena, composta da più portate e mio padre sicuramente è nel suo studio.
-Buona fortuna per stasera, sorellina- Hanabi scende dalle scale e mi rivolge un sorriso divertito.
Stasera? –Di cosa stai parlando?- chiedo posando la tracolla dietro il portaombrelli vecchio.
- Altri “appuntamenti” organizzati dal vecchio. Insomma le solite cose tra i figli dei capi delle aziende più importanti. Mi ha detto di riferirtelo e di fatti trovare il più “elegante” possibile- mi dice sfilando velocemente una sigaretta da un pacchetto. La mia attenzione si rivolge a quell’involucro di carta e tabacco.
-Qual è questa?- le chiedo togliendogliela dalle labbra –Quante ne hai fumate oggi?- continuo.
-Non sono cazzi tuoi, sorellina, ma solo per non farti stare in pensiero, credo sia la sesta da questa mattina- entra fulminea in cucina iniziando una discussione con Tamiyo indaffarata.
Fisso la sigaretta tra le mie dita, è incredibile come la gente ci si perde e ne prova piacere ad ogni respiro. Che sensazione si prova sapere di dipendere da un essere inanimato? Una sensazione dolce, forse, sapere di affidarsi a questo veleno che mai ti abbandonerà e senza limiti.
Salgo al piano di sopra e busso alla porta della mia stanza, ricordandomi della presenza della bionda Yamanaka che sicuramente starà divorando un pacco di biscotti davanti alla tv.
-Malfoy apri la porta- dico chiamandola con quel nomignolo che le attribuisco sempre per il colore dei suoi capelli. Sento un rumore di spostamenti e di un letto malamente spostato.
Che starà combinando? Per tutti i Kami.
La serratura scatta ed entro ritrovandomi davanti la bionda con un biscotto al cioccolato tra le labbra su uno sfondo di abiti e gonne ammassati sul letto e sul pavimento.
-Che stai combinando?!- sbotto chiudendomi la porta dietro le spalle.
-Sveglia Hina-chan! Hai un appuntamento stasera e il tuo guardaroba fa schifo- mi dice togliendosi il biscotto tra le labbra. –Però, ringraziami per questo, sono passata di casa mia e sono riuscita a prendere qualche vestito decente e soprattutto tacchi a spillo, decolté con plateau e zeppe borchiate. Se non ci fossi io- dice elogiandosi.
-Io non starò con nessuno stasera, ne tantomeno accetterò le scelte di mio padre- prendo un vestito nero posato sul mio letto e inizio a guardarlo.
-Si che lo farai invece! Sicuramente è carino e prega che sia bravo a letto-  mi dice gettandomi un vestito rosso acceso sopra la testa –Prova questo, verginella, è il momento di divertirsi- tolgo l’indumento dal mio capo guardandolo schifata.
Dannazione com’è assillante, certe volte!
-E mentre tu ti diverti, io, stasera, vado ad una festa!- dice esaltata togliendosi velocemente la divisa scolastica e mettendosi un vestito da cocktail color pesca che lasciava intravedere perfettamente le gambe lunghe e lisce e il seno non troppo esagerato.
-Tra qualche minuto sarò fuori di qui a divertirmi, quindi non chiamarmi e non cercarmi, a meno che non sei in punto di morte, chiaro?- dice puntandomi un decolté bianco glitterato contro.
-E adesso pensiamo a te- mi dice togliendomi di mano la custodia del violino e iniziando a cercare gli abiti più corti e volgari che mettessero in mostra tutto il mio “repertorio”.
-Ino per l’amor del cielo, sono tornata adesso, vorrei potermi rilassare- guardo l’abito che tiene in mano, uno simile al suo, verde acqua e pieno di ogni sorta di decorazione. Orribile.
-Hinata, hai diciotto anni ,e in diciotto anni di vita non ti sei mai messa in gioco: non hai mai partecipato ad una vera festa e l’unico ragazzo con cui hai avuto un rapporto amichevole è stato Kiba. Quando ti deciderai a capire che devi lasciarti il passato alle spalle e mandare, una volta per tutte, tuo padre a fare in culo?-mi chiede gettando via una mini gonna.
Sbuffo però capisco che in parte ha ragione. Non ho mai rischiato e questo mi dispiace un po’.
La guardo. E’ una ragazza bellissima che con addosso ogni tipo di vestito è divina;riesce sempre mettere a freno gli istinti di ogni ragazzo. E’ dura e manipolatrice, comanda sempre lei il gioco e se ti offre il suo aiuto significa che ci tiene veramente a te.
-Va bene- dico sconfitta – però decido io cosa indossare- mi guarda con gli occhi chiusi in due fessure come per avvertirmi di non scegliere abiti lunghi o jeans e maglietta.
-Perfetto ma io penserò alle scarpe e alla faccia- prende una scatola da sotto il mio letto , che non sapevo esistesse, e inizia ad armeggiare con trucchi e smalti. –Trucco nero, e unghia blu è deciso- dice strofinandosi le mani tra di loro.
***
 
-E’ troppo stretto- mi lamentò.
-Lo hai scelto tu, quindi no-comment-
-Era l’unico che avevi che non hai scartato- cerco di reggermi sulle alte zeppe chiuse, rigorosamente blu notte e borchiate.
-Shhh, stai benissimo, e mette in risalto quelle gambe divinamente pallide- mi prende la mano destra ed inizia a smaltarla mentre mi guardo allo specchio appeso alla parete, non riconoscendo più la figura timida della ragazza che sono.
Mi sento bella con i capelli corvini sciolti e piastrati e riesco ad apprezzare il mio corpo per la prima volta con addosso quel vestito corto a maniche lunghe. Forse fin troppo corto per i miei gusti, ma a mio padre non avrebbe dato fastidio.
Abbasso lo sguardo –Pensi che le sarebbe piaciuto vedermi così?- chiedo alla bionda che finiva di smaltare l’ultimo dito. Mi guarda e accenna un sorriso confortante.
-Si. Ti vedo raggiante, misteriosa e bellissima. E tua madre rimarrebbe incantata nel vederti- mi prende l’altra mano e in pochi secondi e perfettamente uguale all’altra –E poi il blu ti dona- dice scherzando per il forte contrasto tra la mia pelle e il vestito. –Quindi si, sei bellissima ma non più di me, sia chiaro-
-Hinata-chan gli ospiti sono arrivati- la leggera voce di Tamiyo si fa sentire dietro la porta.
-Arrivo subito Tamiyo-san- dico per poi guardare gli occhi vuoti di Ino.
-Ci risentiamo domani, io adesso esco dalla finestra- mi dice convinta.
-Siamo al primo piano!- ribatto sapendo che non esistono appoggi o altro che possa aiutarla a scendere.
-C’è il Nara- fa l’occhiolino e invia un veloce messaggio dal suo cellulare.
-Chi?- chiedo stranita
-Un “amico”- risponde sottolineando la parola amico –Tu vai non preoccuparti- si avvicina alla finestra e inizia ad osservare i passanti.
Mi dirigo verso la porta sapendo di potermi fidare di quella mente anormale.
-A domani Malfoy- esco dalla mia stanza e al solo pensiero di scendere le scale con le scarpe che mi ritrovo mi salgono i brividi. So di non essere alta per la mia età, ma le scarpe che mi ha costretto a mettere Ino sono troppo alte.
-…se non vi dispiace possiamo accomodarci in sala da pranzo- la voce di mio padre si fa sentire.
Non è la prima volta che vengo costretta a vedermi con qualche ragazzo per ordini di mio padre. E le serate, come sempre, passano noiosamente con i genitori del “suddetto” ragazzo, con me profondamente annoiata e mio padre che subito dopo aver evidenziato le doti che ho ( e che mi meraviglio sappia) inizia una discussione di politica aziendale.
Scendo lentamente le scale e prego i Kami di riuscire arrivare al piano terra senza una caviglia slogata o rotta e, per fortuna, ci riesco.
-…mia figlia sarà qui tra pochi minuti- continua mio padre.
-Lasciale tutte il tempo che vuole, Hiashi- dice una voce severa e rigida. Si danno già del tu, grandi amici da quel che sento.
Iniziano una strana discussione sul comportamento femminile e sono tentata di scappare, tanto la porta e dinanzi a me che mi chiama.
-Hinata-chan la stanno aspettando- sobbalzo e stringo un mano al petto.
-Per i Kami, Tamiyo, mi hai fatto prendere un colpo- sussurro quasi furente –Li hai visti? Come sono?- chiedo dopo.
-La madre del ragazzo, da quel che ho capito, è morta anni fa quindi solamente il padre si è presentato con lui. Sembra un ragazzo freddo e chiuso, un po’ come lei, signorina- mi sorride e ritorna in cucina.
Entro con il cuore in gola mentre ripasso nella mia testa come presentarsi e tutto il manuale del galateo installato a forza nella mia testa.
La stanza è come sempre perfettamente illuminata e, come punto focale, un tavola perfettamente apparecchiata.
Alzati ci sono mio padre, un signore che mostra la sua stessa età ed un ragazzo dagl’occhi perfettamente onice come i capelli e la pelle pallidissima.
Cazzo! E’ lui, lo riconosco. Stessa fisionomia,modo di muoversi e stesso sguardo freddo. Quello che aveva espressamente detto di non volere più avere a che fare con delle bambine a Hanabi. Ma in parte non avrebbe senso che il figlio di un famoso capo d’azienda, spacciasse droga… o forse no.
Mio padre mi si affianca ed è solamente pochi centimetri più alto di me, con le scarpe che indosso.
-Hinata, sei arrivata giusto in tempo- sorride. Bastardo! Non hai mai conservato un sorriso alle tue figlie e li conservi per i perfetti sconosciuti –Fugaku ti presento mia figlia Hinata- sorrido e stringo la mano dell’uomo dinanzi a me. Capelli mori, occhi scuri e statura alta. Mi inquieta.
-E’ un piacere Fugaku-sama- non è per niente un piacere, in realtà!
-Piacere tutto mio Hinata. Lui è mio figlio Sasuke Uchiha- guarda suo figlio che subito dopo mi porge la mano.
Non tremare, Hinata, non tremare! Afferro la mano e non riesco a far uscire le parole di bocca, rimaniamo in silenzio a fissarci. Mi avrà riconosciuto? Se non sbaglio Ino mi aveva avvertito che forse anche “l’altro ragazzo figo” ci aveva viste.
La sua mano e completamente fredda, e adesso capisco cosa intende la gente per “sei completamente fredda! Sei umana Hinata-chan?”
***
 
 La serata continua in mezzo al vociferare dei due capi d’azienda e tra qualche monosillabo appena pronunciato da parte mia. Mi sento così fuori luogo vestita in questo modo in mezzo a degli sconosciuti, una sensazione orribile che si propaga dallo stomaco agli arti.
Il vino bianco dentro ai bicchieri di vetro mi crea una pessima percezione di disgusto e non riesco neanche a mangiare nonostante la sensazione di corrosione che avviene al mio interno. Sento la testa sempre più leggera e stranamente le mie gambe pallide diventano un oggetto di assoluto interesse.
Fin’ora le cicatrici non si sono mai presentate oltre l’area del polso destro e questa forse una fortuna. La mia parte insana apprezza quella parte del mio corpo e non vuole rovinarla con orrende cicatrici. Forse infondo mi piaccio, ma allora perché quando mi guardo allo specchio mi sento così orribile e incompleta?
Sono troppo magra. Troppo pallida. Ho delle forme troppo audaci, che detesto. Quante volte avrò messo in confronto la bellissima altezza di Ino con quella mia? Quante volte ho provato gelosia verso le ragazze dalla pelle olivastra? Quante volte non vorrei essere presa per un cieca.
Tutto di me è talmente orribile che solo in questo attimo riesco a vedere uno spiraglio di bellezza. Un qualcosa di sinistro e impercettibile. Eppure sono stata oggetto di invidia per molti e oggetto di pratiche poco caste per altri. Che orrore. Mi ripudio di più al solo pensiero di cosa può scatenare il mio corpo.
-…potresti portare anche Hinata- sento dire. La voce di Fugaku sembra lontana. Alzo lo sguardo e incontro quello freddo di Sasuke che mi scruta dall’alto in basso. –Sempre se per te va bene, Hinata- Fugaku si rivolge a me con un sorriso falso pieno di bugia.
-Mi scusi, credo di non aver seguito la discussione- sorrido. Ne ho abbastanza di curvare le labbra verso l’alto.
-Sasuke vorrebbe partecipare ad una festa organizzata da un suo amico. Potresti partecipare anche tu-
Non andrò a nessuna festa con il rischio di finire vittima di un alcolizzato; soprattutto vestita in questo modo. Non sono mai andata ad una festa, so solamente che Ino trova sempre qualcuno con cui “spassarsela” e che in molti rimangono vittime della sbronza precedente, andando per le strade a camminare come puttane o puttanieri.
-Certo. Sono sicuro che a Hinata serva un po’ stare in mezzo ad altra gente- mio padre risponde per me e se solo non fossi stata di indole pacifica lo avrei preso a pugni davanti a tutti.
Sa a malapena quello che ho passato in questi anni ed ora pretende di governare la mia vita e le mie scelte come un dittatore che cerca di far accrescere i propri interessi.
-Perfetto- la voce dell’Uchiha si fa sentire per la prima volta e sono tentata di scappare al piano di sopra per rifugiarmi da quell’essere freddo –Muoviamoci- dice alzandosi dalla sedia e aspettandomi davanti alla porta.
-E’stato un piacere Signor.Uchiha- con movimenti veloci esco dalla stanza e espiro come se fossi stata per tutto il tempo sott’acqua.
Davanti alla porta due occhi demoniaci mi scrutano. Demoniaci è l’unico aggettivo che si addice a quei pozzi onice, che danno l’impressione di assalirti e divorarti con una sorta di eleganza. Li detesto già.
-Prova solamente a farne parola con qualcuno e giuro che arriverò pure ad ucciderti- inizia lui quando siamo dentro la sua auto. Una di quelle lussuose e nere. Questo bastardo mi conosce a malapena e vorrebbe minacciarmi? Che essere inutile.
-Non pre..preoccuparti- dico chiudendo gl’occhi cercando di aggiungere una nota decisa alla mia voce.
-Non m’importa se sei il nuovo giocattolino del dobe- continua anche se non riesco a capire la sua ultima frase che mi ritrae come un oggetto di divertimento per qualcuno. L’auto parte e mi perdo nello spettacolo delle case, dei passanti, degl’edifici e della gente.
Vedo il gruppetto di bambini nei giardini che giocano serenamente sotto la vista dei genitori che sorseggiano un caffè. Vedo le giovani coppie d’innamorati che si tengono per mano e accennano qualche sorriso tra di loro e vedo una piccola famigliola ritornare a casa dopo un passeggiata.
Tutti i frammenti di vita quotidiana che passano sempre inosservati e che nei momenti più bui si rivelano i più importanti.
Che cosa starà facendo adesso Hanabi? Mio padre? Ino?
Sasuke intraprende una piccola via silenziosa illuminata da qualche vecchio lampione.
Le case qui sono spente e vecchie come se la gente fosse stata gettata via con forza da quella via, come nei ghetti di Roma durante la seconda Guerra Mondiale.
Da lontano inizio a sentire una leggera musica che si rivela essere poi assordante e insopportabile. Luci al neon partono da una villetta infestata da ragazzi e ragazze che adesso si ritrovavano senza la capacità di intendere e di volere.
Ragazzi che ballano intorno e dentro una piscina immersi nell’alcool e in altre sostanze mentre provano esperienze più audaci su un muretto o nel bel mezzo del prato inglese ricolmo di rifiuti.
La casa dalle porte-finestre in vetro e ricolma di altri ragazzi che stanchi guardano qualche film o continuano le esperienze interrotte all’esterno.
Respingo un conato di vomito. La generazione persa nel sesso, nell’alcool, nella droga e nel fumo. Senza speranza. Disperata.
Sasuke posteggia e riesco a vedere una figura uscire, dal cancello aperto, indignata. I capelli mori erano sciolti e imprecava rudemente sulle scarpe che teneva in una mano completamente tatuata.
Tenten Mitsashi, stretta nei suoi jeans super aderenti che disegnavano perfettamente le gambe, imprecava nel bel mezzo della strada con accanto un ragazzo. Sicuramente ubriaco.
-Muoviti Lee, cazzo!- sbraita quando esco dall’auto.
Sasuke si allontana e viene subito accolto da civettuole ragazze e ragazzi dall’aria poco raccomandabile.
Perfetto, resterò qui finché questo sottospecie di bordello non sarà completamente terminato.
-Hyuga. Hinata Hyuga?! Cosa ci fai qui?- Tenten mi osserva a dir poco sbalordita e con passo lento e dolorante si avvicina alla mia figura:- Cazzo! Se fossi un uomo ti stuprerei- dice sorridendo, forse contenta di vedere qualche conoscente.
Sento le mie guance imporporarsi e mi mordo violentemente la lingua.
-Se cerchi Ino Yamanaka, la troverai dentro- mi dice poi –Ti accompagnerei volentieri ma ho un amico ubriaco e dei piedi che reclamano pietà. Ci si vede ai corsi- detto questo si allontana con appresso un ragazzo dai capelli tagliati malamente.
Ma questo non è l’importante. L’importante è che Ino è la dentro e devo trovarla. Prego che non sia in pessime condizioni per farmi riportare a casa, ma il solo pensiero di mettere piede in quella villa mi inquieta parecchio.
Quando sono dentro cerco di guardare bene il luogo per trovare i capelli pallidi di Ino, ma trovo solamente teste scure o tinte di un pessimo colore.
Grazie ai Kami la gente è troppo ubriaca per accorgersi della mia figura titubante che con disgusto scosta ragazzi e ragazze.
Sono tutti divisi in tanti gruppi, come a scuola. Quello dei malati di sesso, degli ubriaconi, dei “ballerini” e dei drogati. Sembrava fortemente una guerra tra clan persi che una festa tra ragazzi che ridevano e scherzavano con in bocca sigarette lunghe quanto due dita.
Sento una presa dura, quasi possessiva, intorno ai fianchi; mi volto e noto un ragazzo dai capelli rossi attirarmi a se.
-Per tutti i Kami, che bella creatura abbiamo qui- sussurra accarezzandomi le gambe.
Lo spingo ma sfortunatamente riesce ad intrappolarmi tra il muro e il suo corpo, premendo una mano contro il mio ventre.
-Non preoccuparti sarà una cosa veloce- preme più forte e sento una fitta propagarsi fino alla gola mentre le luride le mani del rosso temporeggiano sulle mie cosce.
Cazzo! Lo sapevo che è sempre stata una pessima idea. Tutta colpa di quel bastardo.
Ho paura, Paura di cosa potrebbe succedere.
-Sasori, allontanati!- sento dire con fermezza dietro il rosso che con sguardo dapprima perverso poi furente si volta. La presa si fa meno forte sul ventre e riprendo a respirare senza dolore al diaframma.
-Che cazzo vuoi, adesso? Sono occupato- la furia che riesco a scorgere non è quella di una persona sana e lucida.
Il suo corpo si sovrappone al mio e non riesco ancora a vedere il suo interlocutore.
-Ho detto allontanati!- Sasori viene preso per la camicia bianca, lurida e spinto via. –Sai che potrei ridurti in pessime condizioni. Quindi sparisci- ora riesco a vederlo, attraverso la vista leggermente sfocata per il dolore, la paura e le lacrime. Rimane sempre quell’angelo cupo dagl’occhi grigio-bluastri attraenti.
Si volta e lo sguardo furioso viene sostituito da uno interrogatorio –Stai bene?- chiede avvicinandosi. Avvicinandosi pericolosamente.
Le sue mani finiscono ai lati dei i miei fianchi e il suo viso si fa sempre più vicino e serio. Sembra completamente lucido, eppure quello che sta accadendo e totalmente surreale che solo l’alcool può spiegarlo.
-Stai al gioco- sussurra a pochi centimetri dal mio viso, sicuramente non più pallido. –Ti spiegherò tutto, ma tu sta al gioco-
Annuisco anche se non so di quale gioco si tratti.
Sposta le sue labbra dietro il mio orecchio e sento il suo respiro caldo infrangere ogni mio durezza. Come può un perfetto sconosciuto farmi soccombere a lui e a un suo semplice respiro? Sento lentamente e con forte titubanza le sue labbra posarsi sul mio collo, lasciando una scia infuocata che stranamente non voglio fermare… e non per “stare al gioco”. Deve essere quella parte perversa di me, che si accende al solo piacere attrattivo. La stessa parte che fa eseguire pessime azioni. Quella parte che si accende alla sola vicinanza di un corpo attraente, di un respiro ustionante e di un odore inconfondibile.
Zucchero bruciato. Naruto Uzumaki sapeva di zucchero bruciato.
Continua il suo gioco diventando sempre più sicuro, avvicinandomi con poca forza. Mi aggrappo a lui, sapendo di stare per svenire, sentendo la vena del suo collo pulsare sui palmi delle mie mani tremanti e calde.
Quando sarebbe finita questa dolce e oscura tortura?
La gente ci guarda, anche se sotto effetti di terribili sostanze, ci guarda e parla,fotografa e ride. Ride per l’alcool, ride per il modo di vestire di alcuni, ride per i pessimi ballerini, ride per la figura poco casta che stiamo facendo io e il biondo che non intende fermarsi.
Continuare quell’orripilante e godurioso gioco.
Chiudo gli occhi lasciando che la musica e suoi respiri siano solamente il mio punto fisso.
Bacia la mia clavicola leggermente scoperta per poi passare sotto il mento dove i baci si fanno più possessivi, non più casti e puri. E quello che ormai sembra solo un appoggio diventa qualcos’altro.
-Prendetevi una stanza- due ragazze passano vicino a noi, ridendo civettuole e le loro parole iniziano a ferire quel che era rimasto della mia dignità.
Come per effetto di quelle tre parole Naruto termina la sua tortura aprendo gli occhi, rimasti chiusi precedentemente. Mi guarda; le labbra dischiuse e il respiro irregolare. Sembra così disumano e divino contemporaneamente.
Mi prende una mano e, ringraziando i Kami riprendo a respirare, fuori dal cancello riesco a riprendere fiato sotto le più belle stelle della notte.
Ci allontaniamo e lui mi lascia andare, come se fosse rinato da un incantesimo non benevolo.
-Ti accompagno a casa- non fiato, la mia voce risulterebbe bassa, rauca e stanca; debole –Domani ti spiegherò il perché- ansima. Ansima lasciando nuvole opache vagare nell’aria.
Si racconta che ad ogni anima libera nasca una stella.



LITTLE WONDERLAND
Oh ma ciao! *sorseggia the*
Alluraa che ve ne pare?
Troppo affrettati i momenti hotty? Non saprei, anche perchè non mi sono spinta troppo oltre u.u
Ringrazio come sempre la mia betareader Hurricane e ringrazio tutti voi ^^
I cinque recensori, i watchers, i follower... tutti ^^ Glashie!
Adesso mi dileguo, alla prossima cupcakes. :3
*nuvola di fumo*


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Capitolo 3
*** Roundtable Rival ***


               
Sento freddo. Freddo nella pelle. Freddo nelle gambe. Freddo nelle ossa. Dita intorpidite. Eppure quando poche ore fa camminavo silenziosa con affianco lui sentivo caldo, un calore che ti soffoca e che ti da l’impressione di essere in un corpo estraneo alla tua anima.
Non so come sia potuto succedere, ho sempre pensato che la dignità fosse l’unica cosa che mi fosse rimasta… e adesso ho perso anche quella. Ero avvinghiata a lui, volenterosa di trovare un appoggio mai avuto, di toccare quel collo liscio e abbronzato, di sentire i suoi capelli solleticarmi le dita in una sensazione strana, immaginare di essere da soli in luogo gelato dove solo il suo corpo era l’unica fonte di calore, sentire le sue mani stringermi a se in un tocco troppo delicato , ma soffocante.
Era bello pensare di essere importante per qualcuno, era bello pensare che milioni di ragazze sarebbero volute essere al mio posto, era bello pensare di poter spaccare quegl’occhi di ghiaccio. Ma, dannazione, io sono la figlia di un importante uomo… una figlia pedinata da fotografi che si nascondono nell’ombra e che aspettano la scintilla, quella che riesce a distruggere la figura di un intera famiglia. Come fa Hanabi? A fuggire, a non farsi vedere… a far credere al mondo che stia bene, che la sua vita sia perfetta nell’oro e nei lussi?
E poi c’è lui, dal passato infranto, dalla vita macchiata e dal volto peccatore. Il frutto del peccato è sempre stato divino in tutte le storie, perché era forte e affascinante, peccava e faceva peccare; seduceva e tastava con mano gentile ogni esperienza. Si, se lui fosse qualcosa, sarebbe il frutto del peccato.
Ansimo e apro gli occhi, la camera è completamente scura ed è bello pensare di poterlo trovare accanto, che mi guarda interrogativo, che tiene l’istinto di accarezzarmi a freno.
Sorrido amaramente: troppe differenze, vite diverse e caratteri diversi; è inutile pensarlo.
Tock.
Un rumore sordo, fastidioso, un qualcosa che rovina la magia delle mie fantasie, che mi fa tremare e sussultare… qualcosa di reale. Stupida realtà.
Tock.
Ancora una volta. Sarà la pioggia, ma non è delicato come gocce che si infrangono su un vetro. Mi volto verso la finestra, una che dal sul balcone esterno. Nessuna luna illumina i vasi di fiori appassiti all’esterno e neanche la luce dei lampioni di Konoha riesce ad illuminare la casa. Una casa isolata per via dal lavoro di mio padre, una casa grande con giardino inglese e fontanelle per le feste estive, un luogo di lusso degno di Hiashi Hyuga.
Ho imparato a conoscere questa casa, a conoscere le stanze deserte e impolverate e le stradine che in meno di cinque minuti ti portano in città ,eppure mi sono sempre sentita estranea in questo luogo troppo grande per me.
Tock.
Questa volta vedo un qualcosa di informe scontrarsi con il vetro della finestra, facendolo vibrare. Un sasso.
Non so perché ma ho paura, paura di uscire fuori dal letto, paura di vedere chi è che sta lanciando quei sassi ,ma potrebbe essere qualcosa di importante. Prendo un grosso respiro e scosto le coperte facendomi rabbrividire violentemente. E se fosse lui? Se volesse spiegarmi il perché? Non credo mi avrebbe avvertita davanti casa al posto di salutarmi con freddezza e perdersi nell’oscuro oblio della notte.
Fuori c’è freddo e cerco di riscaldarmi sfregando le mani sulle braccia. E’ tutto scuro, non vedo nulla, neanche gli alberi del giardino, ma mi affaccio comunque. Niente, vedo grigi e neri mischiati in tanti piccoli puntini che formano grandi fili d’erba, ma nessuno forma una figura umana.
Sarà stata una mia impressione.
-Cazzo la schiena- scattò indietro e inizio a tremare. Il mio cuore palpita e palpita, sembra quasi farmi male alla gabbia toracica. La voce delicata e secca e mischiata ad una nota di dolore. Una di quelle voci che conosco, una di quelle solari ma decise e aggressive.
Una luce mi investe e metto a fuoco uno smartphone che illumina il mio viso e quello di Tenten Mitsashi  che non è più truccato oscuramente, ma illuminato da una pelle nivea e da piccole ciocche di capelli sfuggite agli chignon.
-Ti ho spaventata… stai tremando- osserva
-Cosa ci fai qui Ten-chan?- chiedo con una voce che risulta roca e affaticata dal sonno.
-Sono scappata di casa- dice con tranquillità entrando in camera mia e iniziando ad illuminare il grande letto matrimoniale e il mobilio tradizionale –Sai ,le solite lamentele dei miei genitori- sbuffa –Anche nel bel mezzo della notte si degnano di fare discorsi sulla mia vita.  In sintesi, sono venuta qui perché non so dove andare- termina
-Perché? Non possiamo definirci strette amiche- sono stanca e non capisco questo comportamento della mora.
-Non dire così Hyuga…. Hinata- si corregge – Solo perché non abbiamo mai parlato seriamente non significa che io non ti abbia mai visto come un’amica- illumina di nuovo i nostri volti e riesco a scorgere leggeri segni rossi che partono dagl’occhi fino alla guancia. Ha pianto – Per favore Hinata, non so dove andare. Temari starà via per due mesi e Rock Lee è… maschio!-
La guardò e noto che è scossa , le è difficile parlare dopo una forte discussione.
-Va bene- dico –Penso di conoscere qualche stanza per gli ospiti- le faccio segno di seguirmi e subito dopo mi sento avvolta in un abbraccio freddo.
-Grazie Hinata. Sono molto… stressata in questi ultimi giorni- spalanco gli occhi. Non sono brava a rispondere agl’abbracci, di solito risulto sempre poco espansiva .Mi limito ad accarezzarle la schiena, coperta da una pesante maglione bordeaux, bucato in qualche punto per essersi arrampicata fino al primo piano.
Guardateci… siamo le vittime di una vita pesante. Non esistono genitori perfetti: chi si preoccupa troppo e chi non si preoccupa affatto, forse i genitori si aggrappano ai figli per tramandare una reputazione pulita e candida.
 
 

La stanza che mi ha dato Hinata è grande. Le pareti sono pallide e il mobilio antico perfettamente pulito, come se fosse la proprietà di qualcuno, ma la corvina mi ha assicurato che quella stanza non viene usata da anni.
Il letto a baldacchino già lo detesto, troppo classico e elegante, un qualcosa che sa troppo di lusso che sono già costretta a vedere in casa mia.
“Non andrai da nessuna parte se continui con questi voti e con il violino!” dice sempre mio padre, guardandomi sempre dall’alto in basso per i miei comportamenti, per i miei pessimi voti… per tutto.
Lo odio quando fa così, quando dice che la gente dell’arte di strada è nulla, “gente mal intenzionata”, e che se devo proprio suonare devo farlo per diventare un qualcuno d’importante, e non una ragazza che si esibisce nelle piazze pubbliche e dentro le fontane (sempre per un moto di ribellione) con il rischio di ricevere qualche multa.
Per non parlare di mia madre… lei pensa che tutto le sia dovuto e che il galateo sia la cosa più importante per essere una vera donna. Alzare il mignolo quando si beve il the,  ripiegare perfettamente i tovaglioli sul tavolo, usare un trucco chiaro e naturale, inchinarsi davanti a gente importante, augurare  “Buona cena” prima di iniziare a mangiare, persino nei rapporti devi essere galante secondo lei! Come se ci fosse qualcosa di galante nel regalarsi a qualcuno…
Già sta lavorando per farmi uscire con qualche “gentil ragazzo” e sta scegliendo già il tessuto del mio abito da sposa, come se io avessi intenzione di sposarmi. Una volta ha voluto persino fare un “gioco” con una catenella per vedere se il mio primogenito sarà maschio o femmina.
Si aspettano troppo, solo perché sono la loro unica figlia.
Io voglio divertirmi, scrivere sui muri per strada, fumare qualche sigaretta, non coprire le mani con dei guanti per i miei tatuaggi, far vedere che porto piercing, suonare per strada, provare a bere più bicchieri d’alcool possibili, portare un uomo all’apice del suo piacere e poi distruggerlo non dandogli nulla, essere una stronza.
Mi getto sul letto respirando le lenzuola fredde e morbide, sanno di salvia. Mi piace, è un odore freddo e pungente che ti libera le narici e ti fa chiudere lentamente gli occhi trasportandoti in luoghi freddi e glaciali, solitari e aperti. Luoghi diversi dalla solita Konoha piena di gente e turisti che passeggiano tra le vie, gli edifici e i musei.
Quanto vorrei essere libera… di fare, di pensare, avere il pieno controllo della mia vita.
Ogni scena di litigio la scrivo e calco in mente per ricordarmi cosa hanno sempre pensato i miei genitori, per ricordarmi che non verrò mai accettata per quello che sono neanche dalla mia famiglia.
Sono sola. Sola con la mia musica, sola nel mio mondo parallelo fatto di inchiostro e note.
***
 
La scuola è così…noiosa. Non capisco perché sprechiamo le ore della nostra vita ad imparare le equazioni o le formule geometriche, come se un giorno mi potessero servire nella vita e, come se non bastasse, tra qualche settimana inizierò un corso di greco e latino perché “è sempre utile per entrare in un università”.
Forse i due “vecchi” non erano soddisfatti dei pessimi voti che prendevo nelle altre materie, volevano vederne altri, magari per rinfacciarmi quanto sono lenta a capire un qualche concetto.
Questa sera penso che ritornerò a villa Hyuga, non ho intenzione di dare mie notizie ne tantomeno di entrare in quella casa dopo aver sentito “sei l’errore della nostra famiglia, non riesco a credere come tu possa essere il frutto mio e di tuo padre”, come se la parola “frutto” rendesse il tutto più teatrale e drammatico.
Annoiata mi osservo la mano destra tatuata. Ricordo la prima volta che mia madre la vide.
I suoi occhi erano fuori dalle orbite, le pupille dilatate e il viso tirato in smorfie disgustate e irate mentre io sorridevo, sorridevo soddisfatta. Adoravo questo tatuaggio, il primo tatuaggio che sembrava formare un guanto di inchiostro… mi faceva sentire più elegante. Quei disegni astratti si alternavano e intrecciavano come gli steli di tanti fiori che continuano sul polso, restringendosi fino a formare lo stormo di piccole colombe.
Non è il mio unico tatuaggio, ne ho un altro sulla nuca e sul fianco ma più piccoli e classici, niente di che, i segni della vittoria di qualche scommessa con il mio tatuatore di fiducia.
Poi ho iniziato con i piercing, ma preferisco i tatuaggi, infatti mi sono limitata a qualcosa di piccolo e carino sul sopracciglio e sul labbro. Si, insomma, è il mio modo di essere ribelle e di far rivoltare i miei antenati nella tomba, non voglio essere l’orgoglio di un intera generazione di marionette e uomini senza il senso della vita… voglio essere diversa, voglio essere Tenten.
Alzo lo sguardo e ritornando al mondo reale sento i miei compagni alzarsi, parlare. Preoccupati, alcuni si avvicinano alle finestre spalancando gli occhi, mentre il professore raccomanda di fare silenzio , mentre lui usciva di corsa.
 

-Professore! Ci sono dei ragazzi, si stanno pestando!- queste sono le uniche parole che sono riuscita a capire durante la lezione.
Un ragazzo del quarto anno è entrato urlando con sguardo trafelato: le sopracciglia curvate in un espressione di pura paura, coperta da un ciuffo di capelli mori mentre si affrettava a bussare nelle altre classi. Doveva essere qualcosa di grave se si era preoccupato di disturbare un intero corridoio di classi.
Il professore Tanaka smette di scrivere alla lavagna, posa il gessetto e senza dire una parola alla classe si catapulta nei corridoi rumorosi ,pieni di studenti e insegnanti, mentre la maggior parte dei miei compagni si alza seguendo il professore o affacciandosi dalle finestre.
Non so cosa fare, non sono interessata ad una rissa che sfocerà in denti volati via, occhi neri e sangue sputato.
-Sono loro…- sentì gridare da parte di una mia compagna che faceva cenno ad altri ragazzi di avvicinarsi alle finestre –Sasuke Uchiha e Naruto Uzumaki- continuò…
E così si frantumò, quel muro protettivo che avevo sempre innalzato e che non esisteva solamente con quello sconosciuto. Perché? Perché?! Sono così disperata? Voglio cercare a tutti i costi una figura che mi aiuti? Un qualcuno che forse ha avuto un minimo di apprezzamento nei miei confronti, anche falso?
Gli sguardi sono truci e violenti mentre attraverso i corridoi… se voglio far crollare quel muro voglio vedere con i miei occhi il perché.
L’entrata è completamente piena di alunni spinti dentro l’edifico da dei professori, se anche loro non potevano intervenire la situazione era grave… troppo.
Quel muro di ghiaccio sta crollando e solo io posso ripararlo, ma non voglio; è inutile, mi piace piangere e pensare che la mia vita faccia schifo, mi piace torturarmi con parole, foto, lamenti, ricordi… si adoro farmi del male. E qual è il modo migliorare di ferirsi un’altra volta? Legarsi a un anima persa a ferita a sua volta.
-Hinata! Dove pensi di andare?- la figura bionda mi scuote, è Ino. La bionda mai trovata. –Non fare cazzate!- continua – Un solo momento di piacere non può farti cadere nelle mani di un…-
-Stai zitta- le dico sussurrando non sapendo usare un tono migliore – Ti ho cercata, non c’eri e adesso sono di nuovo… fottuta- occhi inespressivi era questo il mio lato inquietante. Parlare furiosa e seria con occhi vitrei e vuoti –Sai come sono… io non lo so! Io non mi conosco, lascio fare tutto a un cazzo di istinto suicida!-
-Ma ti senti? Sei disperata!- mi schiaffeggia un braccio per poi prenderlo e strattonarlo –Non puoi odiare così tanto la tua vita, cazzo!- urla.
Mi libero dalla sua presa mentre inizio a tremare, forse per il freddo, forse per la rabbia contenuta.
-Sì, sono disperata. Lasciami disperarmi, allora, come si deve- mi infiltro tra la gente, spingendola, lanciando gomitate, graffiando. Come una lotta animale, tutto è lecito, sangue, sudore, lacrime, artigli, zanne, vita,     morte...
In tutta questa situazione non manca chi registra con il proprio cellulare o chi fotografa. Vorrei gridare fino a lacerarmi le corde vocali, vorrei che la gente non fosse così, vorrei che tutti morissero e rinascessero migliori, compresa me. Vorrei morire.
Quando l’unica cosa a separarmi dalla distruzione è soltanto un piccolo mucchio di gente sento una presa stretta all’altezza del gomito, una mano grande, violenta. Chiudo gl’occhi e lascio che il sudore sulla mia pelle e le grida siano l’unica cosa che mi danno la certezza di essere viva.
Sento dolore quando finisco con la schiena su un muro, un dolore che si propaga fino alla testa. Poi una pedata al polpaccio, una gomitata alla pancia e un pugno dritto sulla tempia. Sì, è questo il vero dolore fisico, quello che non ho mai provato.
Sputo un liquido amaro e apro gl’occhi, figure sfocate, semplici figure senza dettagli.
-Dovrà pur smetterla- una voce maschile,preoccupata, che mi fa male ai timpani risuona nella testa facendola sanguinare internamente, una sensazione così disgustosa che vorrei perdere i sensi. Altro spintone mentre le gambe mi sembrano aver perso vitalità, sento una spinta, e uno sfondo di colori neutri si trasforma in uno quasi aranciato. Le mie guance sentono il freddo delle mattonelle e le mie orecchie le urla dei professori che sembrano lontane. Cercò di sforzarmi per vedere quel panorama sbagliato: all’entrata della scuola davanti al cancello due ragazzi puntano dei coltelli a degl’uomini, dei professori. Uno lo riconoscerei tra mille, Sasuke Uchiha nella sua cornice di capelli nera stonata dalla pelle pallida. Dietro di lui un ragazzo viene picchiato, picchiato a sangue ma reagisce. I due combattenti si sfidano, si colpiscono e nonostante la poca vista noto le macchie rosse sui loro volti, disposti a lasciare segni indelebili uno sul viso dell’altro.
Socchiudo gl’occhi prima di vedere i ragazzi scontrarsi di nuovo, uno scontro tra i capelli rosso cremisi del primo e biondo ambra del secondo. Le voci sono coperte da uno strato di dolore e l’unica cosa che riesco fare e affogare nello stesso vetro del mio muro compatto.
 
-Mamma perché piangi?-la bambina dai corti capelli corvini guarda interrogativa la madre, aggrappandosi ad un braccio della donna con le mani fredde.
-Niente Hina-chan. Non è nulla- si asciuga le lente lacrime con il dorso della mano e si affretta ad accennare un sorriso alla propria figlia. Lo sguardo è disperato, gli occhi arrossati, le labbra lesionate e gli zigomi pronunciati. Quella donna non stava bene, soffriva, cercava aiuto… ma era giusto cercare aiuto? Aiuto significava mostrarsi deboli… eppure Hinata lo cercava sempre.
 
-Hinata- sento quella voce flebile, quasi morta. Mi sveglia, cancella quel ricordo inesistente che man mano svanisce come fumo. Fumo che si libera nell’aria e che non può essere ripreso. Scivola via e si cancella finché non ne rimane soltanto una figura indistinta, quella della bambina dai capelli corti e dalle guance rosee –Hinata- risento questa volta con più insistenza, mentre sento il mio corpo scosso, un corpo che mi sembra solamente un involucro di aria e carne, come se non fosse mio, come se non esistesse, sensibile soltanto al tocco di qualcuno.
-Hina-chan?- apro lentamente gl’occhi e due volti sfocati iniziano a farsi più vividi. Il colore delle labbra rosse inizia ad essere più vivo e due paia di occhi luminosi prendono una sfumatura più rassicurata.
Mi soffermo su un paio d’occhi azzurri come per chiedere qualcosa che non so neanche io. Sfrego leggermente le dite e sento parlare di nuovo.
-Sei nella tua stanza.- dice come per darmi una chiarimento- Non sai che faticaccia ho dovuto fare per portart…-
-Ehi! Guarda che anche io ho contribuito, biondina!- mi volto verso una seconda figura e riconosco gli occhi color mogano e i cerchietti argento sul viso.
-Stai zitta tu! Non so neanche chi tu sia!- sbraita Ino fulminando Tenten che sembra volenterosa di iniziare un’ accesa discussione. Mi metto da seduta, facendo terminare sul nascere il dibattito. Mi sento indolenzita e ho l’impressione che un grosso macigno prema sulla mia testa schiacciandola.
-Come ti senti?- chiede la mora appoggiandomi una mano sulla schiena per sostenermi. Inspiro lentamente come per ricordare qualche pezzo, un piccolo ricordo di quello che era successo prima, del perché mi sono ritrovata nella mia stanza, sul mio letto, con il corpo dolente e la mente tartassante.
-Non molto bene- rispondo – Non riesco a capire cosa sia successo- mi massaggio le tempie.
-Beh…- inizia Ino - Sasori è finito in ospedale con un naso rotto. Sasuke è scappato all’arrivo della polizia e Naruto penso che l’abbia seguito-
-Hanno smosso un intero istituto per una fottuta rissa- Tenten accenna uno sguardo sullo schifato e il rassegnato mentre si tortura con una mano il piercing al sopracciglio.
-Non era una semplice rissa, carina, erano armati, ti avrebbero sgolato in un colpo e Sasori è uno studente, non potevano di certo lasciarlo morire!- ribatte con acidità la bionda.
-Non giustifica il fatto di chiamare a raccolta tutti gli alunni!-
-Basta voi due- dico in una smorfia di dolore mentre mi lecco il labbro inferiore sanguinante. Ricordo qualcosa, il dolore fisico, quello vero… quello che ti fa perdere la concezione di tutto –Perché mi avete riportata a casa?- chiedo
-Eri svenuta. Crollata. Quando ti ho visto ho cercato di farti svegliare, ma niente, sembravi morta: eri pallida e sanguinavi da un labbro, inoltre mostravi i primi segni di un ematoma alla tempia, mi è sembrata la cosa migliore riportarti a casa- racconta Ino velocemente per poi guardare di sfuggita Tenten –Mi ha aiutato anche lei- dice con poco entusiasmo indicandola altezzosa.
-Tenten Mitsashi, bionda- smette di toccarsi il piercing e fulmina con lo sguardo Ino. Fa per alzarsi dal letto e la vedo osservare le foto con me, mia madre e Hanabi per poi rivolgere l’attenzione al violino, avorio, appeso alla parete.
-Hina-chan ascoltami bene- rivolgo di nuovo l’attenzione a Ino, seria –La gente sta cominciando a parlare di te, ha paura, ti detesta. Naruto Uzumaki è una pessima compagnia, è conosciuto non perché spaccia la sua roba… ma perché è violento. Quando si arrabbia tende a fare molto male, ha ucciso in passato…- spiega cercando di essere rassicurante, come se stesse spiegando ad un bambina di non parlare con gli sconosciuti. Raggelo e la guardo. Raggelo perchè non m’importa, anche se sento la paura divorarmi.
Mi è troppo difficile pensare che quegl’occhi angelici quanto inquietanti, quei capelli ambrati, quel viso perfetto nelle sue loci ombre, nei tratti più morbidi e spigolosi possa essere un assassino. Un folle che al minimo cedimento potrebbe fare del male.
Inizia, quella che riesco a definire, una melodia veloce e ritmata. Rivolgo lo sguardo a Tenten che con aria tra l’incantato e il determinato suona il violino avorio, muovendosi di tanto in tanto a ritmo, piroettando e muovendosi selvaggiamente ma abilmente, come una danzatrice, mentre con fare svelto strofina l’archetto sulle corde del violino.
Sono note acute e gravi che si mescolavano tra di loro come se il violino stesse parlando. Cantando in una maniera acuta per poi finire su note più basse dove il ritmo si fa più veloce e incalzante. Gli occhi nocciola si illuminano ad ogni nota.
Ascolto quella melodia memorizzando ogni movimento dell’archetto, scrivendo le note, marchiandole, nella mia mente. Seguo i passi di Tenten, osservo il suo viso libero e rilassato e confronto la sua musica con la mia.
La sua è ribelle. Melodie che risulterebbero volgari alle orecchie di qualche ricco, ma che, in realtà,sono fantastiche: l’anima selvaggia che traspira è fantastica, la velocità nel suonare, far cantare quello strumento attraverso note volgari… magnifico.
Io invece… la mia musica, è più una condanna che un inno alla ribellione: condanno la gente nelle mie note dinamiche, condanno lo stile di vita di alcuni, condanno il loro modo di comportarsi, condanno mio padre, condanno tutti. Li lascio stupiti, li lascio senza fiato come se stessero spirando il loro ultimo respiro.
Se la mia musica fosse un qualcosa sarebbe acqua e vento: libera, trasparente, inafferrabile, veloce, violenta, lenta e soffocante. Mentre quella di Tenten sarebbe fuoco e ghiaccio: bruciante,ipnotica, misteriosa, lacerante, pura, brillante, pressante e leggera.
-Ehi, faccia di metallo, non sanno che c’è qualcuno qui!- dice Ino acida alzandosi anche lei dal letto e sostandosi con le braccia conserte davanti alla mora.
-Perdonami ciclope, ma avrei fatto qualunque cosa pur di non sentirti parlare- ringhiò Tenten terminando la sua melodia e riposando il violino sul suo posto.
Si avvertiva già il cattivo sangue che scorreva tra le due; una di quelle amicizie che nascono male e finiscono male; amicizie cattive dove “insultare” è l’azione da eseguire ogni volta ma che, stranamente, si definiscono amicizie.
-Posso andarmi a fare un giro?- chiesi semplicemente per cambiare quell’aria di parole sarcastiche, note volgari e respiri preoccupati.
-Forse sei ancora sotto una stato dormiente…- la bionda si voltò verso di me scrutandomi come se fossi impazzita – Quindi te lo ripeto. Tu essere svenuta, quasi morta. Tu stare male, non potere andare da nessuna parte- dice gesticolando lentamente con le mani.
-Non è una malata mentale ,o sbaglio, ciclope?!-
-Oh per tutti i Kami- Ino si copre lentamente la fronte con la mano chiudendo gli occhi esasperata –Perché sei ancora qui?! E soprattutto… perché pensi di avere così tanta importanza per informarti di come agisco con lei?- chiese facendo una cenno con la testa verso di me.
-Primo: sono qui, innanzitutto perché ti ho aiutato a trasportare il corpo quasi morto della Hyu…. Volevo dire Hinata – si corregge velocemente Tenten – E secondo: dopo aver attentamente avuto conferma della tua pazzia, ho una certa paura ha lasciarla da sola con te- sogghigna acidamente.
-Io vado a farmi un giro- esco dalla stanza esasperata ignorando il dolore alle tempie e le grida di Ino che si fanno spazio nella stanza intimandomi di fermarmi.
Sorrido divertita, mentre ripenso agl’attimi di dolore. Gente bastarda. Perché mai lo avranno fatto? Volevano forse usarmi per far terminare la rissa? Che cosa inutile…
Come se a Naruto Uzumaki importasse qualcosa della mia incolumità, sono una misera sconosciuta che lui aspetta soltanto di fare sua ,e io non so se glielo lascerei fare o lo caccerei via ripudiandolo.
Il dolore inizia ad affievolirsi ,come se pensare alla causa di come si sia presentato, lo facesse scomparire. Il dolore è un fatto mentale, forse è veramente così… ecco perché non sento quel dolore fastidioso, perché non vale la pena sentirlo.
Esco di casa cercando di non farmi vedere da Tamiyo, che sicuramente si aggira al piano inferiore, e mi lascio investire da un’aria pungente, non fredda, ma pungente. Come se microscopici chicchi di grandine mi travolgessero ad ogni soffio.
Sorpasso il cancello semi-aperto e il dolore scivola completamente via lasciandomi sopra una senso di freschezza fastidiosa. I capelli mi coprono le spalle sopra la camicia della divisa scolastica e lascio pensare che siano carezze che si alternano ai soffi di vento.
-Senti…. Non è come hai visto- mi volto di scatto alla mia sinistra e lo vedo, lì appoggiato ad un muro ,con il cappuccio della felpa alzato, che illumina di più gl’occhi sotto un miscuglio di sfumature, come il fossile di un cristallo azzurro.
-Che…che ci fai qui?- chiedo semplicemente
-Quel bastardo se l’è cercata!- continua lui e inizio a capire di cosa stia parlando. Scruto meglio il suo viso e noto un evidente labbro spaccato e una piccola macchia violacea all’angolo dell’occhio destro.
-Perché mi stai dicendo questo?- mi volto verso il nulla, verso le strade lontane di Konoha e gli edifici che sembrano piccole forme in lontananza. Senza dettagli.
Lo sento mentre soffoca un respiro, segno che neanche lui sa cosa rispondere alla domanda che gli ho appena fatto. Non mi aspetto una risposta, non ne ho mai avute da quando è morta mia madre.
-Non lo so neanche io- dice e fa per andarsene. Osservo di nuovo la schiena coperta dalla larga felpa e mi fermo a pensare alle parole di Ino. Violento. Forse non sanno cos’è la violenza.
Qualcosa che viene usata per manifestare il proprio potere, perché se sei violento con qualcuno allora sei più potente di lui, perché lo umili, lo distruggi, lo vedi cadere sotto di te in una morsa di disperazione che ti fa capire quanto si è deboli. La violenza non è altro che la manifestazione del potere e avere potere significa essere superiori.
Lui, non vuole potere, vuole una pace che ogni giorno gli sfugge via come sabbia al vento, quella pace tanto agognata che cerco anche io e che, forse, solo la morte può dare.
Mi muovo, lentamente, anche se non voglio farlo, anche se voglio vederlo allontanarsi, voglio che se ne vada e non torni più ma voglio averlo vicino e sentire il perché mi faccia sentire quello strano calore ustionante che ti dilania e ti fortifica.
-Perché mi segui?- mi chiede semplicemente quando sono a due spanne da lui. Le mie mani si fanno più fredde, sento come la punta delle dita si congelino e richiamino calore. Che devo fare?
Sono qui, dietro di lui a fissarlo cupa, con le labbra dischiuse e una strana voglia maniaca che combatte con una più razionale.
-Devi ancora spiegarmi perché hai fatto quello che hai fatto ieri notte- dico senza balbettare. Mentre le immagini si infrangono su di me come pioggia di schegge di vetro e lo vedo fermarsi bruscamente, fermando il suo cammino lento. Sfila le mani dalla tasca dei jeans.
-Tu non hai capito come funzionano le cose, angioletto- inizia –Qui chi trova tiene. E se sei perspicace avrei capito cosa intendo- si volta, il suo sguardo sembra più incupito ,ma allo stesso tempo stufo – Non ne vale la pena che ti chieda scusa-
-Per cosa?- chiedo mentre i capelli mi infastidiscono la visuale.
Lui rimane un attimo in silenzio a fissarmi e io, sotto un peso invisibile, sono costretta a volgere lo sguardo sul marciapiede mentre il sangue affluisce sulle mie gote, riscaldandomi.
Lo vedo titubante avvinarsi. Trattengo il respiro quando mi ritrovo un sua mano che prende la mia.
-Sei fredda. Dovresti tornartene a casa- accarezza il dorso della mano e la lascia ricadere vicino al mio fianco.
Non so cosa pensare, non so cosa dire, non so nulla… e adesso voglio sapere qualcosa, adesso mi pentirò di quello che sto dicendo.
-Smettila di fare così!- sbotto –Ti comporti con menefreghismo, pensando di allontanare le gente. Fai quello che non dovresti fare e non ne dai una spiegazione valida. Ti danneggi la vita con questi giri schifosi e onestamente non so neanche sto qui a parlarti di questo, come se tu potessi ascoltarmi minimamente. Voglio sapere adesso perché. Perché, che io lo voglia o no, sono entrata anche io in questo disgustoso giro da quando ho cercato di fermare mia sorella ad autodistruggersi peggiorando le mie fottute condizioni- condizioni? Era la parola giusta da usare? Come se fossi  malata?
Ansimo. Le mani sembrano più fredde e al solo pensiero di fissarlo lo stomaco mi si rivolta. Paura?
-E’ proprio questo il problema- sento la sua mano sul mio mento, io che vengo costretta a guardarlo nella sua furia e disperazione –Non saresti mai dovuta ficcarti negli affari di tua sorella ,principalmente. Non saresti mai dovuta farti vedere da me. Perché tu non sai, Hinata Hyuga, cosa significa essere disprezzato agl’occhi degl’altri, essere visto come un pazzo, un maniaco, un drogato solamente perché cerco solamente di non fare la fine di un orfano che non se la sa cavare con una cazzo di famiglia adottiva. Tu non puoi capirmi, perché tu hai sempre avuto tutto a tua disposizione, non hai mai sudato per guadagnare qualcosa e ti rimpiangi ogni singolo giorno, ti lasci possedere così facilmente.
Adesso, che tu lo voglia o no, sei mia. Mia e solo mia! Nessuno può toccarti, nessuno può guardarti, nessuno, perché tutti avranno paura di cosa io possa fare. Perché loro sanno che mi appartieni e questo è l’unico modo per evitare che tu venga sopraffatta dallo schifo di questo giro!- pronuncia e scandisce quelle parole come se fossero puro veleno. Acido che si infiltra dentro di te e ti corrode. Sembra tutto così assurdo che , in pochi giorni, mi sia ritrovata ad essere proprietà di qualcuno, per gli altri. Così difficile che al solo pensiero mi si imperlano gli occhi ma non riesco a piangere e urlare, straziarmi.
Lo guardo mentre sembra dispiaciuto e furioso, mescolando quei due stati d’animo con facilità. La sua mano, calda, scivola via, mi lancia un ultimo sguardo e riprende il suo cammino con più velocità.
E io mi ritrovo sola a pensare quanto stia lentamente sprofondano nell’abisso dell’inferno legata ad un filo che mi collega a lui. Legata sempre e per sempre.
***
 
 Ci metto un po’ a riprendere confidenza con il violino, quando solamente per sentire il suono, lo appoggio sulla spalla e lascio che la mia mano cada sotto il suo potere invisibile.
Sono giorni ormai che lui non si fa vedere, come se fosse scomparso, eppure lo sento ogni volta che metto un piede fuori casa, sento il suo sguardo pesante sopraffarmi e la sua morsa di mistero abbracciarmi nella sua inquietudine.
Tenten, ormai, è come se si fosse trasferita qui. Ogni sera riesco a sentirla mentre suona tranquilla, e sto imparando a conoscerla meglio. Mi ha raccontato dei suoi genitori che la costringono giorno dopo giorno a regole ferree e orrende, rivelando come non si fosse fatta vedere dalla sera in cui si è presentata qui e che si era limitata solamente a informare la badante di casa per evitare che venisse ricercata da chissà quanta gente.
Parlava sempre con facilità, un leggerezza assoluta che faceva pensare a una vita svuotata da ogni problema, o a qualcuno che non vuole sentire parlare di problemi.
L’altra sera, entrando nella “sua” stanza, l’ho beccata mentre con mia sorella si fumavano una sigaretta, sedute sul davanzale della finestra a sparlare e ridere insieme come se si conoscessero da tempo, come se Hanabi avesse ritrovato i motivi per ridere o sfogarsi.
Forse lei ha bisogno di questo: qualcuno che l’ascoltasse e che non passi ogni minuto a rinfacciarle le sue pessime abitudini o a dirle quanto si stia rovinando la vita. Forse col tempo potrebbe capirlo da sola.
Mi sento sporca, una sorella che non c’è mai stata, un mostro di persona. Pensavo sempre che il problema fossero le sigarette invece sono sempre stata io. Io che non mi faccio sentire, io che non mi faccio vedere, io che ignoro.
-Hinata-chan è pronta la colazione- dice Tamiyo dall’altro lato della porta.
-Grazie, scendo subito- ripongo il violino dentro la custodia e sento già Tenten imprecare mentre scende lentamente dalla finestra. Non può di certo farsi vedere da Tamiyo o mio padre.
Al piano di sotto, accanto alla porta d’entrata, noto due grandi valigie in stoffa rigida nera, di quelle costose che non ne varrebbe la pena comprarle solamente per trasportare vestiti e altro da un posto all’altro.
Mi chiedo chi debba partire? Mio padre? Può darsi, non è la prima volta.
- O-tō-san, dovete partire?- chiedo entrata in cucina dopo un buongiorno e un inchino. Uno di quei comportamenti che quantomeno apprezza mio padre.
-No Hinata. Finalmente tuo cugino si è preso una pausa dall’università, tornerà stasera- risponde alla mia domanda con sguardo così rigido che lascio pensare che non sia umano. Le sue mani stringono una tazza contente caffè e di tanto in tanto ne beve qualche sorso mentre con la mano libera legge un giornale su uno smartphone.
-Neji-nii-san?- chiede Hanabi
-Esattamente- cala di nuovo il silenzio lugubre di ogni mattina.
Mio cugino Neji non è mai stato un ragazzo espansivo… e umano. L’ho sempre visto come la versione più giovane di mio padre, nei suoi modi di fare rigidi e nelle sue fissazioni con lo studio, solamente perché vuole ottenere l’azienda di famiglia, convinto che per averla debba superarmi in tutto e per tutto. Come se io la volessi.
Non si è fatto vedere per un anno intero, a causa dell’università, e non si è fatto sentire per tutta la sua mancanza. E questa potrei definirla fortuna, un peso in meno, ma adesso ritorneranno le limitazioni, gli insulti su quanto sono inutile per la famiglia, e le minacce per non rivelare le sue relazioni a dir poco rivoltanti ,che potrebbero farlo vedere come un buono a nulla agl’occhi di mio padre, e per lui il giudizio di mio padre conta, anche se lo odia.
Finisco la mia solita tazza di caffè ed esco di casa con il violino e la tracolla. Pronta a sentirmi ancora una volta oppressa dagli sguardi invisibili o non esistenti del biondo. Forse è una mia paranoia un qualcosa che crea la mia testa per credere che lui sia ancora qui, che mi osserva, per credere che non mi ha lasciata sola. Sola contro tutti e contro me stessa. Sarà sicuramente così, perché riuscivo a vedere quell’amarezza nelle sue parole e la vita straziante di chi non si è mai sentito a casa.
“Tu non puoi capirmi, perché tu hai sempre avuto tutto a tua disposizione” forse è veramente così. Non mi è mai mancato nulla, anzi rifiutavo regali costosi che non volevo e molto spesso, anche in questi giorni, penso quanto faccia schifo vivere come me e adesso vedo tutto in un altro modo. Io penso questo. Io che posso avere tutto. E lui? Lui che non ha mai avuto nulla, lui che sfida la morte e la vita solamente per vivere.
Ognuno ha le proprie prospettive sulla vita degl’altri e nessuno capisce la verità.
In me vedono una ragazza ricca, con il padre importante, con i vestiti più costosi e i gioielli più preziosi, una ragazza felice che non sa cosa siano i problemi… invece sono così contesa tra i miei pensieri che nemmeno riesco considerare lontanamente di indossare un abito firmato o avere l’ultimo smartphone sul mercato.
E Hanabi cosa pensa?
“Mia sorella e mio padre sono troppo stupidi per capire esattamente come mi sento sola e sbattuta in mezzo a verità che ti marchiano a vita” come la morte di nostra madre. Lei era il nostro idolo, il nostro esempio di vita perfetta e raggiante, un esempio che è svanito come fumo al vento quando è morta.
Noi due da sole contro il mondo, senza l’aiuto di nessuno, neanche quello di nostro padre.
Ognuna ha trovato la propria strada per non pensare. Lei il fumo e il veleno, io le mie ferite psicologiche e fisiche.
La vita perfetta non esiste, ci hanno illuso troppe volte.
***
 
 -Quindi pensavo che stasera potevamo riunirci, dato che non ho nulla da fare- Ino continuava a parlare al mio fianco scoccando occhiatacce agl’altri studenti o salutandoli col sorriso sulle labbra. I capelli, legati nella solita coda alta, gli ricadevano morbidi sulle spalle e il ciuffo lungo le copriva un occhio ceruleo evidenziato dal poco trucco.
-Allora?- mi chiede aspettandosi una risposta alla richiesta che mi ha appena proposto.
-Non lo so Ino. Proprio stasera penso di non sentirmela, e inoltre oggi torna mio cugino…-
-Neji? Quel coglione che crede di essere al centro dell’universo solamente perché ha una bella faccia e un’ intelligenza sconfinata?- faccio cenno di sì con la testa.
-Allora evitiamo, sai quanto lo odio…-
-Non preoccuparti non saresti venuta neanche se lui non ci fosse stato- le dico quasi con una nota divertita nella voce. Lei mi guarda interrogativa alzando le sopracciglia sottili – Tenten-  alza gli occhi al cielo.
-Devo ancora sapere dove hai trovato quella tipa… è insopportabile!-
-Te l’ho detto che è nel mio stesso corso di violino, e poi sono sicura che riuscirete a sopportarvi. Avete lo stesso carattere infondo- non riesco a vederla ribattere o sbraitare per la frase appena pronunciata che Maryclaire mi si avvicina spaesata mentre una cascata di morbidi ricci le incornicia il viso.
-Mary-chan che succede?- chiedo semplicemente
-Non lo so neanche io Hina-chan. Un ragazzo, non so chi, mi ha detto di darti questo- mi porge un biglietto cartonato ripiegato in due. Quello che posso definire un cuore perde uno dei suoi battiti mentre lo stomaco mi si aggroviglia lentamente per l’ansia e l’agitazione.
-Potresti descrivermi il ragazzo?- chiedo mentre afferro il biglietto tra le dita ed esito ad aprirlo. Ino allunga il collo cercando di vedere qualche parola che si intravede all’interno.
-Non lo so, veramente. Era un tipo incappucciato di nero e forse, se non erro, aveva i capelli biondi ma non ne sono sicura era difficile intravedere il colore dei capelli- apro il biglietto lentamente e noto la calligrafia non troppo ordinata ma comprensibile.

TI ASPETTO ALLE 23:00 FUORI DAL TUO CANCELLO.
NIENTE DI ELEGANTE, JEANS E FELPA SCURA ANDRANNO PERFETTI.
A STASERA, ANGIOLETTO.

Richiudo il biglietto e inizio a respirare velocemente, Ino aveva il suo sguardo, il solito infuriato e preoccupato.
-Grazie Mary-chan- dico in un sorriso falso e un agitazione evidente.
-Di niente- la mora si allontana velocemente unendosi ad un gruppo di ragazze.
-Tu non ci andrai!- Ino mi strappa il biglietto dalle mani. Le sue mani stringono convulsamente la carta dura stopicciandolo.
-Ino smettila.- cerco di farla calmare, trasmettergli un minimo di fiducia ma sembra non funzionare.
-No, non mi calmo. Sbaglio o ti ho avvertita sulla reputazione di quel tipo?! Pensavo che in questi giorni avessi smesso di vederlo- sbotta
-Noi, non ci vediamo-
-Allora come lo chiami darsi appuntamento?-
-Smettila di fare così! Non è un appuntamento- la prendo per un braccio cercando di discutere in un luogo più appartato ma a lei non sembra importare. Avrebbe fatto una scenata ovunque, l’importante era riuscire a farla. Il biglietto le viene strappato di mano finendo in un mano perfettamente marchiata di nero.
-Chi sarebbe il fortunato?- mi chiede Tenten come se sapesse già che il biglietto è rivolto a me .
-Faccia di metallo, non è il momento- sbotta la bionda.
-Cerchi problemi, ciclope?- ed ecco che ricominciano il loro discorso con i loro soprannomi offensivi. Sarebbe finita a capelli tirati? Forse… c’è una grande possibilità di sì.
-No, almeno non in questo momento, faccia di metallo!- sbotta Ino per poi abbassare il tono di voce –Conosci un certo Naruto Uzumuki?- le chiede.
Tenten assume uno di quelli sguardi pensatori poi si volta verso di me –Vedo che ti sei data da fare- dice con una nota di malizia.
-Quindi lo conosci?-
-Si, ciclope, lo conosco. Non eravamo stretti amici, ma da quello che so… lui e Sasuke Uchiha sono un duo di fighi, nel senso fighi… non so se mi spiego. Ragazzi il cui unico tuo pensiero, quando li vedi, e portarteli sotto le lenzuola- Ino sembra indignata ma sembra anche dare ragione alla mora.
-Potevamo arrivarci da sole a questo! Non sai altro? O quantomeno fare cambiare idea alla signorina qui presente, costatando la pessima reputazione dell’Uzumaki?- Tenten sembrava turbata alla domanda della bionda poi, come se le fosse apparso qualcosa davanti, parlò:- Per quel fatto della violenza? Dicono che sia una cazzata… Hinata, se vuoi un consiglio, vacci pure a l’appuntamento- sventola il biglietto – ma cerca di non fargli domande troppo personali, è un tipo abbastanza, anzi troppo, chiuso-
Arrossisco e lentamente volgo lo sguardo alle mie scarpe mentre le due “consigliere” iniziano una discussione sui loro modi di pensare.
Non lo vedo da giorni… ho bisogno di sapere che c’è sempre stato.


 
LITTLE WONDERLAND
Ma ciao :3
Allora, prima di tutto, ... scusatemi per il mese di ritardo ma ho avuto problematiche da sbrigare quindi ho potuto pubblicare solo adesso ^^'' 
Anyway... piaciuto il capitolo? Spero di si ^^
Qui ho presentato per bene Tenten facendola apparire come il perfetto opposto di Hinata, inoltre avrà un rapporto con Ino come quello che Ino ha con Sakura nell'anime.
Sakura? Allora la ragazzuola in questione sarà presente nel prossimo capitolo e continuerà a esserci e a diventare importante nella vita della fragile Hinata, che sa di essersi ritrovata in luogo che non le appartiene, e proprio Sakura l'aiuterà a farla abituare a quel mondo e a dirle come comportarsi in certe situazioni..... E POI SI VEDRA' PIU' AVANTI.
Bene, mi dileguo ^^ alla prossima, vi ringrazio molto per le recensioni.
*nuvola di fumo*
A_J.E


P.S La canzone scelta (che potete ascoltare cliccando il sottotitolo) è la stessa che ho voluto far suonare "teoricamente" a Tenten

FBpageOfficial: Alatariel_Jade Elf (cliccare)
 FBpageGrafiche:
 Alatariel's creations  
(cliccare)
 Deviantart: 
Aliss-Anne (cliccare)
 

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Capitolo 4
*** Nightingale. ***


Nightingale


Somebody speak to me, cause im feeling like hell 
Need you to answer me, I'm overwhelmed 
I need a voice to echo, I need a light to take me home 
I need a star to follow, I dont know.

 

La pesante stoffa della felpa nera aderisce alla mia pelle, facendomi sudare freddo. La gola accenna la sensazione fastidiosa di una tosse imminente, facendomi così coprire fin sotto il naso con il collo della felpa. Il vento è freddo ma quasi in uno stato di calma che si abbina perfettamente allo sfondo di grattacieli illuminati e stelle poco visibili a causa del cielo pece.
Non so perché ho deciso di fidarmi, solamente fidarmi, come una sorella si fiderebbe di un fratello.In fondo mi sono lasciata trasportare.
Sono sempre stata dell’idea che noi non viviamo, trascorriamo solo dei momenti e quelli più piacevoli li marchiamo nella nostra mente.Un po’ come le nostre azioni… quelle più semplici sono sempre quelle più sbagliate e ci viene quasi naturale fare una stupidata, mentre quelle più difficili sono sempre quelle dove la maggior parte delle volte devi pensare a ogni dettaglio, alle conseguenze, all’azione successiva e alle azioni che faranno chi ti sta accanto ,fino ad arrivare alla conclusione che man mano ti porterà al nulla, al punto di partenza… sempre.
Le azioni strane invece… sono appunto strane, non pensi e non parli ma non ti viene neanche spontaneo. Lasci che il tuo corpo semplicemente si abitui e capti ogni aura maligna o benigna cercando di capire in poco tempo se la scelta è giusta… e poi neanche te ne accorgi: raccogli tutto e ti insinui in nuove esperienze.
-Sei venuta…- sento, quasi un sibilo,come una voce che non parla da mesi e che deve riprendere confidenza con l’aria che fa vibrare le corde vocali.
Quando abbasso lo sguardo dal cielo opprimente scorgo la sua figura lontana di poco ,sempre nel solito vestiario scuro. Questa volta però i capelli sono lasciati liberi e messi in risalto dalla luce lattiginosa dei lampioni lontani, si accendono di una tenue sfumatura giallo-biancastra. Una perfetta mescolanza tra le ombre troppo scure e le luci troppo opache.
Non so effetivamente cosa rispondere a quell’affermazione, non sono la tipa da “Non avevo niente da fare”, sono più quella che non sa cosa dire in ogni situazione.
-Cosa vuoi fare? Intendo… perché vuoi la mia presenza?- una delle poche volte dove non balbetto, ma quel termine, “presenza”, sembra una cosa strana in questo contesto…
Mi mordo la lingua.
Lo vedo sorridere divertito, abbassare lo sguardo verso il marciapiede e rialzarlo:- Perché no?- chiede semplicemente.
Adesso sono indecisa se ridere o urlare stranita, ma non so urlare .Mi esce quasi sempre o un tono da funerale o una voce acuta imbarazzante.
-Potresti essere uno stalker, un assassino, un pedofilo, un manico, un pazzo, un serial killer… di tutto- dico assumendo un’espressione ovvia. Intanto vedo aleggiare sul suo volto un sorriso divertito, come in risposta alla mia reazione ,così anche io, stranamente, sorrido. Un sorriso vero.
La mia voce, mi accorgo solo adesso, è risultata leggermente stridula.
-Beh, non hai fatto resistenza  quando ci “siamo conosciuti” non vedo perché dovresti farla adesso, dopo che ho salvato la tua verginità da Sasori- lo vedo mentre cerca di trattenersi dal ridere, incrociando le braccia e tossendo.
Arrossisco, lo percepisco dal calore delle mie guance, troppo caldo, scottante sotto gli occhi.
-Che ne puoi sapere tu se sono vergine o meno?!- sbraito e mi faccio seria incrociando anche io le braccia indignata. Di giorno sarà pure il solito ragazzo affascinante e misterioso ma solo ora riesco a vedere questa nuova sfumatura da schiaffi.
-Vuoi negarlo?-
Sarei già rientrata dentro, in casa, forse urlando qualche imprecazione insignificante se non fosse stato per il taxi nero accostatosi sotto il lampione da cui stava uscendo una figura alta e senza il minimo dettaglio, a parte dei lunghi capelli e due valigie pesanti alle mani. D’istinto prendo il biondo per la manica della felpa ,iniziando a correre verso la strada che porta al centro città, lontano da quel taxi e da quella figura.
Quando ci fermiamo ho il fiatone, le gambe mi dolgono e le mani sembrano attraversate da mille aghi a causa del freddo. Respiro velocemente appoggiandomi sulle ginocchia e coprendomi la vista con i lunghi capelli che non mi sono preoccupata di legare.
-Chi era?- ora il suo tono è serio .Non sembra affaticato come me e immagino lui e le sue giornate passate a correre e scappare dagl’occhi della gente comune.
-Dovrebbe essere mio cugino- ansimo rimettendomi in posizione eretta. Le guance subiscono il forte impatto del vento freddo dandomi una sensazione di sollievo.
-Ma certo ,Hinata Hyuga non può essere vista dalla famiglia di ricchi spocchiosi in compagnia di un ragazzo di strada- ride incrociando le braccia dietro la nuca e cominciando a camminare verso le luci cittadine, sicuro che l’avrei seguito.
Sembrava divertito, presuntuoso e incupito,nonostante quella posizione del corpo che sapeva tanto di relax.
-Non conoscevo questo tuo lato solare, Naruto-kun- è la prima volta che lo chiamo per nome e mi fa uno strano effetto. Come solletico sul ventre, e graffi nello stomaco; non so se definirla una sensazione piacevole, voglio soltanto alzare il volume della voce e ridere magari, per motivi che sconosco.
-Primo…- inizia socchiudendo gli occhi e fissando un punto impreciso davanti a lui – È  la magia del giovedì sera, la magia del “puoi fare quel cazzo che vuoi”- sorride mostrano lievemente una dentatura dritta e bianca, di chi è ha passato gli anni delle medie con l’apparecchio dentale –Secondo… solo Naruto- il sorriso scompare ritornando serio.
-Va bene- dico in un sussurro- E dove stiamo andando, Naruto-kun?- mi corpo le labbra con la mano, come quando i bambini dicono una parola volgare –Scusami, è l’abitudine- rimedio ,ma lui sembra non farci caso, sorride solamente infilando le mani nelle tasche dei jeans.
-Ci divertiremo. Non preoccuparti ,non ti porterò in vicoli stretti per drogati se è quello che pensi, non faccio spesso affari la sera- soffia tra le labbra con tono normale, parlando di quello che fa con una naturalezza spaventosa.
Mi limito a stare in silenzio, fissando la pietra del marciapiede alternarsi e riscaldando le mani nelle maniche della felpa.
Quando tornerò rivedrò mio cugino, tutto diventerà più difficile, persino la vita di Hanabi che, essendo adesso quindicenne, verrà presa di mira anche da lui, forse venendo insultata più pesantemente di come sono sempre stata insultata io. In fondo stiamo parlando di Hanabi, colei che fa sfoggio delle sue dipendenze, rinfacciando al mondo quella poca e invisibile libertà che possiede, essendo una Hyuga.
Forse sarò anche incolpata da lui di queste dipendenze, e non gli darò torto, perché in fondo è vero. È come se con il mio silenzio le avessi concesso ogni cosa, abbandonandola  a se stessa con le mie parole mai dette.
“Adesso si prosegue da soli” forse . “Io per la mia strada, tu per la tua”.
L’unico aiuto adesso è Tenten, che va avanti con un dolore simile al mio, sfogandosi di tanto in tanto.
 Una nuova sorella… infondo soddisfa tutti i requisiti per essere una Hyuga, se non fosse solamente per i suoi occhi color terra.
Adesso sono tra le strade di Konoha, nel vento fresco degl’ultimi giorni d’inverno con accanto un ragazzo che giorni fa mi ha confessato quello che sono diventata ormai per i ragazzi della mia età. Dovrebbe essere solo una copertura quella del “mi appartieni” , ma più le ore scorrono più io prendo seriamente questa cosa.
La risposta di tutto questo è ovvia. Io so perché voglio che questo strano rapporto diventi sempre più forte…
Prima della morte di mia madre non ho mai avuto amici, semplicemente per il fatto che non uscivo mai dalla villa e che frequentavo lezioni private. Vivevo nel più completo oblio, oppressa dal silenzio ,aggrappandomi alla figura di mia madre. Lei c’era sempre, in ogni minuto della giornata lei era lì a spazzolarmi i capelli o a insegnarmi a leggere, anche quando aspettava Hanabi e faceva fatica a muoversi con l’enorme pancione lei era accanto a me con un sorriso stampato sul volto e gli occhi di una ragazzina.
Mio padre invece, mai esistito, a malapena ricordavo il suo volto, non era mai in casa e certe volte per ricordarmi le sue fattezze frugavo tra gli album di fotografie di famiglia. Adesso la sue presenza si è fatta sentire maggiormente, a causa della mancanza di una figura autorevole e femminile in famiglia, ma non è cambiato nulla. La sua vita è legata a quelle scartoffie e a quella dannata azienda.
Quando arrivò quel giorno, quello stramaledetto giorno, mi accorsi di quando fosse stato violento l’impatto con la realtà: ritrovarsi tra la gente comune, senza una figura sempre ad osservarti e sostenerti, da sola in un mondo dove il minimo sbaglio ti segna a vita, come se s’incidesse sulla tua stessa pelle sotto lo sguardo di tutti.
E adesso dopo gli anni, i mesi, i giorni a piangere, a tremare, ad avere paura di ogni conseguenza delle mie azioni l’ho finalmente ritrovata, quella figura. Dura, rigida, inquietante ,opprimente e possessiva ,ma rassicurante, perché è come se fossi protetta da tutto e tutti.
Racchiusa in una sfera di vetro fatta di sicurezze e certezze, ma una sfera fragile che può rompersi al minimo sbaglio della vita, alla minima frase. Un qualcosa di così debole che devi imparare a non racchiuderci dentro tutta te stessa. Ma se ormai fosse troppo tardi? Io.… non ci riesco.
 
-Scuotila e dai il via all’immaginazione- Sakura mi porge una bomboletta di vernice. I suoi occhi sono illuminati perfettamente in due smeraldi e i capelli pastello sono tenuti sistemati da una fascia per capelli.
Sarà passata una mezz’ora da quando io e Naruto siamo arrivati alla nostra meta, una di quelle piccole piazzette completamente dimenticate dove il massimo che puoi trovare è una di quelle panchine in legno marcio, rotte. La prima cosa che avevo notato, arrivando, era lo sguardo truce di Sasuke Uchiha che sembrava volesse urlarmi contro di starmene alla larga.
Solo un lampione lontano riusciva a illuminare la piazzetta desolata e quel solo lampione rischiarava il viso pallido del ragazzo, che parlava in tono basso attraverso una sciarpa scura e strappata in alcuni punti.  Accanto a lui c’era una ragazza dal viso radioso ma nel contempo  annoiato dalle discussioni che avevano preso luogo tra i sette ragazzi di quel gruppo vestiti in un nero lugubre.
Lontano da noi sedute a terra tre ragazze, vestite anch’esse di nero, invece, erano impegnate a fumare e muovere frettolosamente le dita sullo schermo illuminato del cellulare.
Mi sentivo fuori luogo, lo ammetto, ma non quella sensazione data dalla curiosità della gente, forse era proprio l’ indifferenza a farmi cadere in un oblio.Come se non fossi una persona, ma semplicemente qualcosa passato di lì, fermo e apatico, inutile, senza un’importanza precisa.
-Piacere- avevo alzato lo sguardo dalle strane mattonelle di quelle piazza, piccola ma con una certa eleganza, sfregiata dal tempo e dai disegni su qualche edificio nei paraggi, notando subito gli occhi verdastri di quella ragazza, con una felpa un po’ troppo grande per lei e i capelli corti rosa –Sakura Haruno- aveva allungato un braccio verso di me mostrando solo le dita della sua mano, che uscivano a malapena dalla manica della felpa –Sei la nuova amica del baka. Ho sentito parlare in giro di te, Hinata- avevo stretto lentamente quella manica mentre il mio stomaco sembrava restringersi.
-Pi…piacere mio Sakura-san-
-Chiamami solo Sakura o Sakura-chan, se ti fa piacere- aveva socchiuso un occhio e io non feci altro che annuire.
-E’ la prima volta che lo fai, vero?- aveva chiesto ed io avevo annuito mentre il mio sguardo si soffermava sul suo viso dolce e spensierato che stonava con quell’aria di nicotina, sangue, crimini e malessere –Allora stai vicino al gruppo. Io sono un amica di Sasuke- aveva alzato gli occhi al cielo alla parola “amica” e aveva ripreso il suo sorriso –Se hai bisogno di qualcosa chiedi pure, sai non ci sono molte ragazze qui e le uniche sono ormai un tutt’uno con il loro cellulare- osservò le tre ragazze ma riportò velocemente il suo sguardo sul mio e dopo aver sentito il suo nome, chiamato da Sasuke, si girò giusto il tempo per prendere al volo una bomboletta di vernice spray e porgermela  con quel sorriso.
-Che… che dobbiamo fare?- chiedo con una punta di timore fissando la bomboletta fredda nelle mie mani. Su di essa a caratteri cubitali compare la scritta “Bloody” e come sfondo una chiazza rossastra.
Mi guardo intorno soffermandomi su i tanti graffiti che arricchiscono i muri spogli e le tante scritte in pennarello indelebile, alcune ormai illeggibili. Come una delle tante cicatrici sbiadite che qualche volta mi ritrovo sul corpo, sono sbiadite ma ci sono, segno di tutti gli anni passati e di tutte le volte che sono riuscita a trattenermi, che non mi sono lasciata completamente andare, perché so di non doverlo fare.
-Vandalismo- ghigna divertita la rosata scuotendo energicamente la bomboletta.
Spalanco gli occhi. Gli atti di vandalismo non li ho mai capiti, soprattutto quello dell’imbrattamento della città, e adesso mi sto ritrovando a eseguire uno di quelli.
-Perché?- chiedo ricevendo uno sguardo stranito da Sakura; sicuramente non sapeva che rispondere.
-Perché è divertente- dice alzando le spalle –Ti rilassa e poi puoi fare quel cazzo vuoi. Tipo rubare un’auto… ma l’ultima volta che l’ho fatto ho dovuto cambiare casa a causa degli sbirri- spiega incrociando le braccia dietro la testa e mostrando un perfetto sorriso a trentadue denti. Sorrido, forse per la semplicità con cui si esprime con me, forse perché mi diverte il suo modo di essere.
Scendo con lo sguardo sul lato del suo collo dove un tatuaggio disegna radici sottili scure, attorcigliate tra di loro fino a diventare così sottili da mischiarsi alle pieghe della pelle. Su ognuno di essi ci saranno si e no una decina di piccoli fiori rosati; i bellissimi fiori di un ciliegio giapponese.
Lei deve aver notato il mio sguardo interessato e meravigliato rivolto al suo tatuaggio e sorride – È il mio albero preferito- spiega scostando la felpa scura in modo da far vedere il prolungamento delle radici sulla schiena – Forse è colpa del nome- ride – Ti piacciono i tatuaggi?- mi chiede poi risistemandosi la felpa.
-Si, mi sono sempre piaciuti ma non ne ho mai fatto uno- rispondo
-Come mai?-
Inghiotto amaramente – Mio padre mi ucciderebbe-
Lei sembra sbuffare –Scusami se te lo dico… ma è un coglione. Quanto li odio quei genitori del tipo niente tatuaggi,niente piercing, niente uscite tardi, niente cose non di marca… ma dovevo immaginarlo, tuo padre è quello spocchioso di Hyuga- subito dopo queste parole si copre la bocca con una mano –Oddio scusami! Non intendevo dire che tu fossi spocchiosa… -
Alzo le spalle indifferente –Non preoccuparti, non mi sento di esserlo, anche se non sei la prima che me lo dice-
-Scusami ma ho dimenticato che fosse tuo padre e sai com’è… i figli vengono come marchiati a vita dalla reputazione dei loro genitori, ecco perché sono contenta di non averli!- sembra tranquilla e rilassata mentre pronuncia quelle parole. Il viso stirato in un’espressione libera e felice – Per tutti però non è cosi, conosco gente appartenente a famiglie di “alto calibro” che sono le prime a sputare per strada o fumare canne come se dipendessero da quello- stranamente sento una strana stretta all’altezza dello stomaco che via via si propaga fino al cuore, quella descrizione rispecchia così tanto Hanabi che devo mordermi aggressivamente l’interno della guancia per evitare di piangere.
-Ed io?- chiedo curiosa e interessata a la risposta che potrebbe dare – A quale categoria appartengo?-
Sogghigna benevola –Lo scopriremo- mi prende per un polso e corre fuori da quella piazzetta urlando un “A dopo stupidi idioti”, mi volto quanto possibile per vedere l’espressione di Naruto divertita e quella di Sasuke, al suo fianco, che sembra volersi dare uno schiaffo nel bel mezzo del viso.
 
-Solamente un tiro- quasi implora Sakura porgendomi una sigaretta appena accesa. Sento già il pessimo odore del tabacco bruciato e la sola idea di infilarmi una sigaretta in mezzo alle labbra mi fa rabbrividire –Questa sera si tenta cara Hinata- si sporge dalla terrazza di quel vecchio appartamento abbandonato, abitato solamente da qualche senzatetto o alcolizzato ( la rosata si era precedentemente infiltrata nell’appartamento come se fosse la cosa più naturale mentre apriva la porta principale con una portentosa pedata).
 Il suo sguardo è rivolto alla strada che si scorge di sotto dove compare il suo “capolavoro” di vernice: tanti piccoli disegni ammucchiati ,la maggior parte raffiguranti le pupille multicolore di un occhio.
-È  tabacco?- chiedo facendo accendere una luce di speranza nel suo sguardo.
-Tabacco. Puro tabacco … non ti farò provare altro, sappilo- mi sventola la sigaretta davanti al viso per poi avvicinarsela alla bocca e aspirare.
Questa rientra nelle notti più strane che abbia mai vissuto, sicuramente, sono stata tirata in ogni luogo angusto della città a disegnare malamente o scrivere citazioni deprimenti sui muri con la paura di venire vista… e adesso l’ultima tappa è farsi un tiro… ma perché no? Infondo devo concludere la serata in bellezza, no? Se lo possono fare Hanabi e Tenten, suppongo che possa farlo anche io.
Prendo la sigaretta lentamente tra le dita.
-Se muoio- inizio con un sorriso divertito –sappi che i miei fiori preferiti sono le margherite- e avvicino l’involucro di carta e tabacco alle labbra. Aspiro lentamente mentre la sensazione della gola scorticata inizia a farsi sentire, ha un retrogusto orrendo, di tabacco e fumo e brucia, brucia dannatamente, fino ai polmoni ,lasciando nel suo percorso dalla trachea  fino agl’alveoli una sensazione disgustosa, come se stessi marcendo per pochi e veloci secondi.
Porgo di nuovo la sigaretta a Sakura mentre un lieve giramento di testa inizia a farsi sentire e tossisco.
-Allora?- mi chiede mentre cerco di controllare i colpi di tosse – Com’è stato?-
-Vuoi saperlo veramente?- lei annuisce
-Un completo schifo… dio mio, come fai?- i colpi di tosse si placano completamente potendo così respirare quella poca aria pulita della città.
-Abitudine- alza le spalle –Guarda sono arrivati i ragazzi- lancia un’occhiata di sotto e noto quattro figure immerse nelle loro lugubre felpe scure. Si mimetizzano perfettamente con l’oscurità e la luce dei lampioni, fievole e sporca. Ognuno di loro alza lo sguardo verso di noi, anzi verso Sakura, facendo segnale di scendere.
La ragazza accanto a me sbuffa –Abbiamo finito per sta sera. Ci sarai la prossima settimana?-
-Non so… non so che dirti- ma lei sembra ormai non sentirmi più, scatta in avanti, tendendo le orecchie e dilatando le pupille fino a coprire gran parte delle iridi verdastre. Punto lo sguardo verso un paio di luci colorate che si scorgono in lontananza da una strada buia e solo quando sento il rumore assordante mi allarmo. Il cuore sembra fermarsi e lo stomaco chiudersi completamente in una morsa impaurita.
Naruto e gli altri ragazzi iniziano a correre, li vedo allontanarsi e dividersi tra di loro e poi l’auto della polizia proprio sotto i miei occhi.
-Presto dobbiamo andarcene!- quasi urla Sakura
Cerco di avvertirla che se usciamo dalla porta principale ci faremmo sicuramente prendere ma lei mi zittisce con un gesto della mano –Useremo le scale antincendio. Spero che tu sappia correre veloce- mi prende per un polso e inizia la sua folle corsa, saltando i vari scalini dell’interno della palazzina e trascinandomi anche a costo di farmi cadere per terra. La porta dell’uscita d’emergenza è completamente distrutta e gettata in un punto impreciso della scala. Imbocchiamo le scale antincendio entrando nella completa oscurità di una strada, non riesco a vedere nulla se non luci lontane e questo non rende di certo più facile la mia corsa.
Sakura corre velocemente, trascinandomi nel buio e costringendomi a sforzare le gambe in una maniera assurda ,fino a non sentirle più. Sento i poliziotti dietro di noi che ci intimano di fermarci e le loro scarpe a contatto con delle piccole pozzanghere invisibili.
Quando la strada sembra finire e le luci farsi più accese scorgo di nuovo la figura dei ragazzi incappucciati.
-Adesso ti lascio! Mi raccomando corri fino alla fine! Io vado con Sasuke- lascia la presa dal mio polso imboccandosi in un vicolo cieco e scavalcando agilmente una ringhiera di ferro dove l’ombra o meglio la figura di Sasuke si staglia inquietante.
Il cuore adesso mi sale in gola sono da sola, inseguita da due poliziotti a giudicare dal rumore e con la testa ancora confusa a causa della sigaretta. So che mi prenderanno, lo so!
Cosa dovrei fare alla fine della strada? Urlare? No…. No… non posso essermi veramente rovinata solamente per un ragazzo! Kami miei…
Chiudo gli occhi, le gambe adesso mi fanno un dolore cane e le lacrime sembrano premere attraverso le palpebre. Sento una forte presa e le gambe fermarsi di colpo. Mi lascio invadere completamente il dolore e la fatica pressante e lacerante della corsa. Uno strano calore emerge davanti a me e riapro lentamente gli occhi, un po’ lucidi. Non distinguo nulla se non i cappelli di Naruto e il suo viso che cerca di tranquillizzarmi e farmi stare zitta mentre il suo corpo e pericolosamente vicino al mio. Solo ora mi accorgo di essere appoggiata ad una parete, in una di quelle stradine strette dove albergano solo bottiglie di vetro completamente frantumate e piccole siringhe incastrate negl’angoli.
Dopo un paio di minuti in cui le orecchie mi fischiano Naruto si allontana da me. Il suo cappuccio ricade sulla schiena liberando quei capelli biondo ambra chiaro. Lo sento ridere e la mia rabbia sale per la sua risata.
-Vuoi spiegarmi perché stai ridendo?!- sbottò incrociando le braccia
-Dai… è stato divertente-
-Cosa?! Non c’era nulla di divertente!- affermo – Se venivo presa erano cazzi miei, tanto per parlare volgare, non tuoi! Mio padre mi avrebbe rinchiusa in casa per anni o mi avrebbe spedita in qualche campo militare o peggio non mi avrebbe mai mandata all’università!- la rabbia si placa subito sentendo quel sentimento non appartenere alla mia natura, un sentimento che mi sta troppo stretto.
-Ma non è successo- dice lui alzando le spalle e spingendomi fuori da quel vicolo per poi imboccare una serie di piccole stradine maleodoranti. Lui tiene le mani dentro le tasche della felpa giocando con quella che sembra un pacchetto di sigarette girandosi di tanto in tanto per vedere se sono viva.
Il mal di testa si affievolisce leggermente anche se sento ancora il fumo premere contro le mie membra e bruciarle con insistenza. Non posso ancora crederci di averlo fatto, io che sono sempre stata dell’idea “niente droga, niente sigarette, niente alcool”,  ma so che non lo rifarò mai più, non ne sento il costante bisogno come accade ad Hanabi. Sospiro silenziosamente affiancandomi al biondo che adesso si appresta ad accendere una sigaretta tra le dita.
-Ti riaccompagno a casa?- mi chiede iniziando ad aspirare e tenendo l’oggetto della sua dipendenza tra il pollice e l’indice.
-No- dico. Non voglio ritornare a casa ,dove un cugino prepotente mi aspetta forse attende che mio padre torni dal lavoro prolungato fino al giorno dopo semplicemente per avvertirlo della mia mancanza. Quantomeno se resto fuori per tutta la notte posso dire di aver dormito a casa di Ino.
Immagino già i rimproveri, gli insulti, le urla e spero fermamente che non si aggiunga altro a tutto questo, non lo sopporterei.
Naruto mi guarda interrogatorio – E dove vorresti andare?-
-Da qualunque parte, ma ti prego, non a casa mia- tra le luci dei lampioni e i suoni assordanti dei clacson che si trovano in quella strada, noto il sogghigno che si dipinge sul suo volto.
 

-Kami miei, devo smetterla di darti ascolto- sospiro tenendo le fastidiose scarpe in una mano con il solo intento di gettarle in mezzo alla strada e vedere un macchina passare loro addosso.
“Perché le indossi?” mi chiedono sempre e io rispondo che sennò mi sento una tappa. Una ragazza bassa. Rientrerò nella media ma è una questione mia, non qualcosa che faccio per farmi notare dagl’altri.
Davanti a me barcolla leggermente Rock Lee che ,lamentandosi del doloroso mal di testa rischia più volte di cadere sul marciapiede e lasciandosi abbandonare al sonno e alla stanchezza.
-Quella non era una festa!- mi lamento – mentre tante piccole pietruzze mi scorticano viva la pianta dei piedi –Era un bordello! Una casa con dentro un bordello, mancavano solamente i pali e le puttane nude in giro, e sfortunatamente quelle non mancavano del tutto!- ma il mio amico d’infanzia sembra non ascoltarmi concentrandosi interamente al suo disagio. Vorrei sferrargli un pugno solamente per essere stata ignorata, ma non ci riesco… fosse stato un altro lo avrei atterrito.
-Comunque io sono arrivata- dico fermandomi davanti l’inizio di una strada con pochi lampioni – Più avanti c’è villa Hyuga. Cerca di proseguire senza svenire o altro- lo avverto e lui mi fa cenno con la mano che va tutto ok, ma non è tutto ok, almeno lui non lo è.
Gli do una leggera pacca sulla spalla procedendo poi verso la mia strada, guardando con attenzione il marciapiede per evitare d’incontrare pezzi di vetro o altro con cui potrei dilaniarmi il piede.
I miei genitori sembrano essere svaniti, forse basta loro un misero messaggio per sapere qualcosa sull’incolumità della loro figlia o semplicemente non hanno la faccia e le palle per presentarsi davanti a  me chiedermi scusa, e non accadrà mai il contrario. Non sento la loro mancanza, non mi mancano i loro commenti e la loro presenza ,anzi da quando sono andata via posso finalmente affermare di essere tranquilla, rilassata e raggiante senza i soliti “Non puoi fare questo!” o “Smettila di frequentare certa gente!” o peggio ancora “Volevamo farti conoscere un ragazzo”.
Arrivata davanti alla villa scavalco con facilità il cancello dirigendomi sul retro completamente al buio e acutizzando la vista per riuscire a scorgere l’edera, finta o vera che sia, su una facciata del muro. Afferro una radice iniziando a sollevarmi ,agganciando i piedi dove è più adatto, fino a raggiungere il primo piano. Alla mia destra noto il balconcino di Hinata e lontano alla mia sinistra la finestra aperta di quella che ormai potrei definire la mia stanza. Strano, ricordo di averla lasciata socchiusa e non penso sia stato il vento ,visto che è completamente assente,ad aprirla.
Mi muovo sempre sull’edera fino ad arrivare alla finestra desiderata ,appoggiandomi al davanzale per poi sollevarmi ed entrare in camera. Durante la scalata ho scordato quelle odiose scarpe di sotto, ma non ne faccio un problema.
La camera è totalmente scura e con stanchezza mi sfilo la canotta che avevo indossato gettandola in qualche angolino con l’intenzione di ripescarla il giorno dopo. Faccio per gettarmi contro il letto ma qualcosa attira la mia attenzione, uno spiraglio di luce provenire dal bagno in camera e  i lievi rumori di un movimento.
Che sia Hanabi? Dubito, non ne avrebbe motivo.
Hinata? No, è uscita con Naruto Uzumaki.
Hiashi Hyuga? Perché mai quell’essere inesistente dovrebbe presentarsi in camera?
Chiunque sia non posso rischiare e inizio a cercare nel buio la mia canotta con l’aiuto dei piedi. Fantastico, sei un genio Tenten!
Nella stanza si accende un bagliore proveniente dal lampadario di pessimo gusto e nel mio accecamento rischio di sbattere contro un mobile.
-Chi sei tu?- mi irrigidisco. Voce mai sentita, maschile, cattiva, fredda… non mi piace. Mi volto verso il bagno notando la figura seminuda di un ragazzo, sicuramente appena uscito dalla doccia, con i capelli lunghi umidi e uno sguardo che sembra volerti congelare e bruciarti vivo. Gli occhi sono uguali a quelli di Hinata e Hanabi con un tono più azzurro ma che rimane sempre sulla cadenza lilla. Senza volerlo il mio sguardo scende sul petto scoperto arrossendo, se il mio si può definire arrossire.
-Chi sono io?!- ripeto riprendendo controllo delle mie azioni o meglio della mia visuale –Chi sei tu?!-  chiedo con sfacciataggine incrociando le braccia, cercando di coprire la mia parte superiore coperta solamente dal reggiseno.
-Colui che potrebbe sbatterti in prigione- sibila, incrociando anche lui le braccia arricciando le labbra in un espressione di superiorità mista all’egoismo.
Se solo potrei gli sferrerei un pugno su quella faccia da stronzo che si ritrova.
-Ti consiglio di parlare se non vuoi che ti denunci-
-Ti consiglio di ammutolirti se non vuoi che ti bastoni- ribatto. Non m’importa se davanti a me c’è un possibile Hyuga che potrebbe farmela pagare troppo amara, l’unica cosa che riesco a vedere io al momento è la figura di uno stronzo che cerca di darsi delle arie.
-Veramente?- chiede lui divertito –E sentiamo… con quale coraggio ci proveresti?-
Faccio per ribattere ma un ripetuto bussare alla porta ha il potere di fare svanire ogni singola parola. L’infisso si apre lasciando entrare Hanabi, un pigiama scuro indosso e gli occhi arrossati da chissà che cosa.
-Chi ti ha detto di entrare?-
-Non iniziare Neji- alza gli occhi al cielo la quindicenne, spostando poi l’attenzione su di me –Esci Ten- mi ordina poi indicando con la testa fuori dalla stanza.
-Allora è amica tua, questa qui- dice con sdegno quello che ho capito essere Neji. Nel frattempo che parla lo vedo infilarsi velocemente una maglia.
-Questa qui ha un nome, coso- ribatto uscendo dalla stanza e incenerendo con lo sguardo la sua figura.
-Tenten  ha sbagliato stanza. È un’ ospite di mia sorella, non fare domande- ci interrompe Hanabi sbattendo poi la porta e iniziando ad avviarsi nella sua stanza.
Cammina lentamente con i piedi sul pavimento, massaggiandosi le tempie e facendo grandi respiri. Attraverso il pigiama noto la magrezza dei polsi e delle gambe. So che non è una magrezza data dal suo metabolismo: è sciupata e debole, non sopporto vederla così, ha solamente quindici anni!
-Hanabi?- si volta versa di me, mentre entra nella sua stanza.
Porta pesanti occhiaie, zigomi scavati e labbra secche, persino i capelli sembrano aver perso il colore scuro e luminoso.
-Stai bene?- chiedo
Lei sospira e con la testa accenna un “No”.
-Vorrei parlare con Hinata- dice solamente gettandosi sul suo letto. Entro e chiudo la porta alle mie spalle. La sua stanza è spoglia, spartana, soltanto con l’essenziale. C’è una leggera puzza di sigarette bruciate e su una parete sono appese alcune foto di lei e la sua famiglia.
Sua padre non compare sempre nelle foto, sono più frequenti sua madre e sua sorella, ma questo succedeva mesi, forse anni, fa.
-Fallo- rispondo io alzando le spalle e accorgendomi di non aver ripreso la maglietta.
Fantastico sono un genio.
-No. La disturberei e poi inizierebbe a dire cose del tipo “Hana sei diversa” o “Ti stai rovinando con quella roba”. Insomma, non sono scema, so che mi sto rovinando e che questo schifo fa male psicologicamente e fisicamente ma… kami miei, chiedo solamente di essere capita. Questo veleno…- dice abbassando il tono di voce –Mi aiuta a dimenticare. Rimando il dolore aspettando il momento per scaricarlo, ecco tutto- nasconde il viso nel cuscino, forse sta piangendo, ma non sento singhiozzi e non la vedo scossa.
-Non la disturberesti- sospiro –Di le stesse cose che mi hai detto ora a lei. Hinata non è una cattiva persona ne tantomeno menefreghista, semplicemente ha bisogno di aiuto per capire come ti senti- alza il viso dal cuscino, non è umido, ma la sua espressione è quella di qualcuno che ha pianto –Sono sicura che rimedierete. Vi serve qualche ora, niente di più- sorrido –Adesso che ne dici se mangiamo qualcosa? Non ho mangiato nulla a quella festa pallosa e neanche tu sembri messa bene- alzo un sopracciglio e lascio che la sua risata si espanda per la stanza. Rivedo una ragazza quindicenne; può essere ancora salvata.

Fuori dalla porta di casa di Naruto i fiori sono secchi. Privi di vita, incolori e malati. Riempiono con l’inquietudine il giardino esterno fungendo come un allarme, come se volessero spiegare a chi passa da quella casa la persona apatica che vive in quella casa.
La felpa che indosso è sporca e puzza di fumo ma mi stringo di più a lei quando comprendo  pienamente che Naruto mi ha portato a casa sua. Dovrei preoccuparmi? Sono timida, non stupida .So qual è uno dei pensieri fissi degli uomini.
La figura del biondo infila la chiave nella serratura di casa per poi aprire la porta in legno duro e scuro ed entrare in casa facendomi segno di seguirlo.
Quando metto piede in casa la prima cosa che noto è una strana sensazione di casa che mi avvolge nonostante le pareti e l’arredamento spoglio, con l’essenziale:  l’ingresso presenta solamente un porta ombrelli e sulle pareti adocchio quattro foto dove i protagonisti della foto sono Naruto da piccolo, una donna e un uomo che cambiano in base alla foto. Da qui intravedo alla mia sinistra una cucina e alla mia destra un piccolo salottino, entrambi con le pareti di un bianco vecchio e dai mobili semplici.
Mi piace.
Amo questa semplicità, mi rispecchia, direi. Villa Hyuga è sempre così sofisticata: vasi, quadri astratti, lucernari costosi, tappeti giganteschi e mobilio intagliato elegantemente, cose di cui se ne potrebbe fare a meno. Anche mia madre lo pensava, lei cercava di soddisfare sempre le richieste di mio padre, infondo non le costava nulla .Sapeva di quel lato raffinato che possedeva mio padre che voleva sempre mettere in mostra, e lei non ne ha mai fatto un problema.
-Chiudi la porta!- sento urlare dalla cucina.
Obbedisco e poi con titubanza eseguo dei passi verso il luogo da cui è provenuto l’urlo ma quando arrivo di fronte allo stipite della porta qualcosa mi ferma. Un muro? No… magari lo fosse; lì davanti a me con una mela in mano il giovane Uzumaki è intento a togliersi la felpa, mostrando fin troppo ai miei occhi.
Arrossisco e d’istinto copro il mio viso con le mani. Caldo, troppo caldo…
-Santo cielo! Non puoi presentarti così!- cerco di dire tra le mani e stringendo gli occhi. Le orecchie sembrano aver perso la capacità dell’udito, quasi tutto sembra ovattato dall’incessante rumore del cuore che tenta di perforare lo sterno.
Lo sento ridere – Dire che sei strana è poco, angioletto – dice –Conosco gente che mi salterebbe addosso se mi vedesse in questo stato-
-Da… dannato egocentr…- tolgo le mani dal viso, così rossa da far invidia ad un semaforo.
-Di sopra c’è il bagno- mi aggira dirigendosi verso il salottino – E la mia camera. Se vuoi cambiarti la felpa, fai con comodo- si getta sul divano, accendendo la piccola tv. Gli rivolgo uno sguardo interrogatorio mentre l’imbarazzo sembra scemare, nonostante la visione dal biondo di fronte a me.
Il corpo tonico e teso, il viso tranquillo e divertito…
Imbocco velocemente le scale per raggiungere il primo piano per sfuggire da quella visione.
 
Neanche il getto d’acqua gelata pare voler far scendere il l mio calore corporeo. Mi sembra di bruciare viva sotto quelle sensazioni così contrastanti e la figura di Naruto sembra essersi marchiata a fuoco nella mia mente.
La forma dei suoi capelli aurei, la pelle abbronzata, i muscoli del torace ben definiti, tutte cose che non intendono cancellarsi dai meandri della mia mente. Insinuandosi con fastidio.
Con uno scatto fulmineo, quasi di frustrazione, tolgo la felpa ormai impregnata dello sporco che aleggiava nell’aria dei vicoli stretti e seguendo il consiglio di Naruto mi intrufolo nella sua stanza, che sembra essere l’ultima porta del corridoio.
Una stanza piccola, con l’essenziale: un letto singolo, un comodino con un lume e un armadio. Le pareti sono spoglie, di uno strano giallo sbiadito, macchiate d’umidità in alcuni punti ,crepate in altri, inoltre lì la temperatura sembra essere scesa di un bel po’.
Mi sembra strano entrare ed aprire con noncuranza l’armadio di qualcuno che potrei definire forse un conoscente, neanche con mia sorella l’ho mai fatto. Apro velocemente l’armadio individuando l’angolo delle t-shirt ammucchiate, l’idea di restare in intimo un altro secondo in più di certo non mi alletta tanto, ne afferro una e la infilo constatando che se non fosse per il mio prosperoso seno sicuramente mi arriverebbe fin sotto il sedere.
Scendo di sotto con in mano un’altra t-shirt; Naruto è ancora lì, su quel divano con l’espressione di qualcuno che man mano sta scivolando nel dormiveglia. Gli tiro l’indumento e lui sembra riscuotersi lanciandomi un’occhiata stranita –Beh…- inizio arrossendo – Di certo il tuo non è il modo di presentarsi a una signorina- alzo il viso e lo vedo accennare una risata infilandosi la maglia.
-Allora…- mi dice –Dove vuoi dormire?-



LITTLE WONDERLAND
Si ehm... ciao... ^^''
Finalmente si ritorna! Anche se lo so che stavate preparando i forconi e le torcie... perdonatmei veramente!
Ho la vita indaffarata XD Tra libri, manga, anime (essendo anche che avevo iniziato Fairy Tail), studio, grafiche, fanficiton e mare... l'unico tempo che mi rimaneva era la sera e, sfortunatamente, la sera sono troppo esausta per scrivere più di un paragrafo.

Sumimasen ^^'
Vi ringrazio per i seguiti, i preferiti e le recensioni. Grazie veramente :3


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