Vereor Nox: Gwyndolin, il Sole Oscuro

di WindSlayer
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Gwyndolin ***
Capitolo 2: *** L'Errore ***
Capitolo 3: *** Esilio ***
Capitolo 4: *** Solitudine ***
Capitolo 5: *** Morte ***
Capitolo 6: *** Paura ***



Capitolo 1
*** Gwyndolin ***


Questa è la prima storia che scrivo sul mondo di Dark Souls, perciò siate clementi, per favore! >.<
E' la storia (come me la sono immaginata) di Gwyndolin, un personaggio che ho amato fin da subito. Ovviamente, visto il poco che si sa di lui, la maggior parte delle cose che scriverò saranno di origine speculativa, ma cercherò di essere il più fedele possibile alle poche cose canoniche della sua storia. :D Cercherò di renderla comprensibile anche per chi non conosce il mondo di Dark Souls con delle note in fondo al capitolo. Per il resto... spero di non aver fatto errori grammaticali >.<  
Buona lettura! :D  

1“Nell’Era degli Antichi, il mondo era amorfo e avvolto dalla nebbia: un regno di rupi grigie, alberi giganti e draghi eterni.
Poi venne il Fuoco.
E con il Fuoco venne la Diversità: caldo e freddo, vita e morte, e infine... Luce e Tenebra.
Poi dall’Oscurità giunsero loro e trovarono le Anime dei Lord tra le fiamme: Nito il primo dei morti, la Strega di Izalith e le Figlie del Caos, Gwyn il Lord del Sole, e i suoi fedeli cavalieri, e il nano furtivo spesso dimenticato.
Con la Forza dei Lord essi sfidarono i draghi: i potenti dardi di Gwyn perforarono le loro scaglie di pietra, le streghe invocarono immense tempeste di fuoco, Nito rilasciò un miasma di morte e malattia, Seath il Senza Scaglie tradì i propri simili... E i draghi si estinsero.
Così ebbe inizio l’Era del Fuoco.
Ma presto le fiamme svaniranno e resterà soltanto l’Oscurità.
Anche ora, restano soltanto le braci e l’uomo non vede la luce ma solo notti eterne. E tra i viventi si distinguono i portatori del maledetto Segno Oscuro.”
VEREOR NOX: GWYNDOLIN, IL SOLE OSCURO
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Capitolo Uno: Gwyndolin

Quando si parlava del suo prossimo figlio in arrivo, gli occhi di Gwyn si illuminavano e il suo sorriso si allargava.
Aveva grandi speranze per lui: il suo Primogenito era diventato il Dio della Guerra, era un guerriero eccezionale e Gwynevere, la sua secondogenita, aveva una bellezza così folgorante da essersi guadagnata il titolo di Principessa del Sole prima ancora di essere diventata adulta.
Tutti attendevano con trepidazione l’arrivo del nuovo membro della famiglia.
Ma non appena il bambino nacque, Gwyn e sua moglie notarono che non era avvolto da una meravigliosa luce brillante come i suoi fratelli. Si accorsero della sua debolezza fisica, era gracile come una bambina e il padre provò un misto di imbarazzo e ribrezzo per quel figlio mostruoso. Decise che nessuno avrebbe saputo del loro legame di parentela e che lo avrebbero allevato come una donna. Fu per questo che gli donò un nome femminile, nonostante fosse un maschio: Gwyndolin.2

Nei primi anni di vita del bambino, Gwyn rifiutava persino di guardarlo e non parlava con sua moglie: le dava la colpa per la mostruosità del suo ultimogenito.
Gwyndolin non aveva la potenza muscolare del fratello più grande e neanche la bellezza di sua sorella: non sembrava il figlio del Lord del Sole. Aveva dei lineamenti femminili e delicati e un corpo esile incapace di brandire un’arma. Inoltre era albino: la sua pelle era innaturalmente pallida, i capelli argentei, le labbra avevano un colorito più spento.
Nonostante le sue debolezze fisiche, il bambino ammirava apertamente il Dio della Guerra che era in grado di impugnare la sua lancia, infonderla del potere del sole e colpire un manichino con precisione millimetrica. Desiderava ardentemente avere la sua forza e le sue capacità e per questo, in segreto, imitava i suoi gesti con rami molto più corti ed esili di una lancia. Quando provava ad incanalare la sua energia, l'oggetto che usava per imitare l'arma del Dio della Guerra perdeva consistenza e veniva circondato da una luce violacea. Se lo lanciava, l'oggetto acquisiva la capacità di passare attraverso gli ostacoli più vicini e tornava consistente dopo aver percorso una certa distanza.
Gwyndolin sapeva che suo padre non avrebbe accettato questa sua capacità e decise che sarebbe rimasta un segreto.

Gwyn, Gwynevere e il Primogenito posavano di continuo per statue che sarebbero state inserite tra le grandi colonne bianche di Anor Londo e Gwyndolin ovviamente non era stato incluso nel progetto: nessuno desiderava guardare la statua di una creatura esile e mostruosa, mentre gli altri figli di Gwyn e il Lord del Sole stesso erano la personificazione della forza e della magnificenza.
Il bambino spesso li osservava, nascosto dietro una delle mastodontiche colonne bianche del salone della città fortezza. La loro pelle brillava come se nelle vene avessero avuto luce solare e non sangue, i capelli erano scuri come le cortecce degli Arcialberi di cui aveva tanto letto. Tutti avevano delle bellissime iridi dorate, e quello era l'unico tratto che li accumunava con Gwyndolin.
Le statue avevano ovviamente il compito di far sembrare gli Dèi ancora più maestosi di quanto già non fossero e lo scultore non faceva altro che riempire i suoi modelli di complimenti.
Di tutti i presenti solo suo fratello si accorgeva di lui e lo salutava con un occhiolino di sfuggita. Quando riusciva ad avere le attenzione del primogenito per qualche secondo, il bambino sorrideva in modo spontaneo: quello era il segnale che gli dava il permesso di partecipare agli allenamenti dei Cavalieri di Gwyn.
“Non credere che io abbia imparato a farlo in un solo giorno” diceva suo fratello mentre eseguiva l’attacco che Gwyndolin aveva chiamato Lancia del sole. Era sua abitudine consolarlo quando il bambino diceva di non essere in grado di eseguire l’attacco più affascinante e letale che suo padre e il Primogenito eseguivano alla perfezione.
Era vero che non aveva imparato subito ad usare i suoi poteri ma il grande legame che aveva con le armi era stato palese fin da subito.
A insaputa del suo ultimogenito e su consiglio del Dio della Guerra, il Lord del Sole seguiva la crescita di quel piccolo sgorbio e più lo osservava più si convinceva che fosse diverso da loro.
Contrariamente alla freddezza del padre nei confronti del bambino, Gwynevere lo trattava dolcemente, forse mossa a pietà dal fatto che quasi nessuno si curava di lui. Lo metteva a letto e la sera gli rimboccava le coperte; lo riempiva di parole di consolazione, convinta che prima o poi avrebbe fatto cambiare idea a Lord Gwyn.
Agli occhi di Gwyndolin, sua sorella era la madre che non aveva mai avuto perché quella naturale si era rifiutata di prendersi cura di lui fin dalla sua nascita a causa della sua diversità. Adorava i capelli scuri della sorella sempre così profumati e il suo seno prosperoso su cui poteva poggiare la testa. Lo facevano sentire protetto e accettato.
Non essendo considerato un figlio dal membro più importante di Anor Londo ovviamente non aveva amici e giocava tutto il tempo da solo. Se quelle ore passate nascosto nell’ombra ad osservare gli allenamenti del Primogenito e gli incontri diplomatici di Gwyn possono essere considerate un gioco.
Nessuno si accorgeva di lui perché sua sorella catturava l'attenzione di tutti i presenti con la sua bellezza.
Naturalmente, Gwyndolin non venivano mai nominato: per quasi tutte le Divinità di Anor Londo lui non esisteva.

Un giorno, apparentemente senza motivo, Gwyn si presentò nella sua stanza con in mano una delle sue enormi lance.
Per qualche secondo, Gwyndolin temette che volesse ucciderlo.
Suo padre lo afferrò bruscamente per il polso e lo trascinò fuori su un terrazzo della città-fortezza mettendogli in mano la sua pesantissima arma. “Dimostrami quello che sai fare” gli disse, guardandolo severamente dall’alto in basso.
Il Primogenito l’aveva convinto a dare una possibilità a quello scricciolo che tanto desiderava diventare un guerriero. Dentro di sé era convinto che quel piccoletto non gli avrebbe riservato nessuna sorpresa: era più gracile di loro, tremava sempre al suo cospetto e lo guardava con gli occhi di una preda. Avrebbe dovuto essere un cacciatore, un guerriero, e invece era mucchietto d’ossa.
Gwyndolin già lo guardava con occhi grandi e pieni di terrore. “Padre?” squittì timidamente.
“Infondi la lancia del potere del Sole” ribatté il Lord.
Gwyndolin tremò, chiedendosi come avrebbe potuto reagire suo padre al vedere i suoi strani poteri. Il bambino deglutì e cominciò a concentrarsi sulla lancia sperando di riuscire ad usare le abilità che avrebbe dovuto condividere con suoi familiari.
Invece non accadde nulla.
“Allora?” lo incalzò Gwyn.
“I-Io… Padre, non-”
Il Lord del Sole gli tolse la lancia dalle mani con un movimento brusco: nei suoi occhi c'era solo odio. “Sapevo che non eri come noi” sibilò.
Quelle parole ferirono profondamente Gwyndolin, che rimase lì a fissarsi i piedi con gli occhi umidi mentre Gwyn tornava i suoi impegni a passo fiero.
Gli sguardi dei soldati della città degli Dèi erano puntati su di lui e bruciavano ardentemente sulla pelle del bambino.
Ad Anor Londo tutto era meravigliosamente splendente: persino il materiale pallido delle mura sembrava brillare come il Sole, soltanto Gwyndolin rimaneva nell’oscurità.
“Ciao, piccoletto” disse una voce femminile. Sembrava portargli una sorta di rispetto e allo stesso tempo usava un tono di scherno.
Gwyndolin si voltò di scatto e vide la Divinità che tutti gli Dèi allontanavano con sospetto: Velka, Sovrana del Peccato. Indossava la tunica nera tipica del suo culto, lunga dal collo fino alle caviglie e non lasciava scoperto nemmeno un lembo di pelle. Nascondeva il suo volto con una maschera bianca, ma si riuscivano ad intravedere i vispi occhi verdi. Sulla schiena le ricadevano fluenti capelli neri come le piume dei corvi, l’animale che la rappresentava.
Il bambino fece un passo indietro quando la Dea allungò una mano verso di lui.
“Non puoi pensare di evitarmi per sempre, giusto?” domandò Velka.
“Non capisco…” mormorò Gwyndolin.
Il bambino aveva sentito alcune voci riguardo alla Dea. Si diceva che in principio fosse talmente bella quanto diabolica e per questo aveva sedotto molti di quelli che avevano incrociato il suo cammino. Un giorno, Lord Gwyn stufo del suo comportamento egoista le aveva sfigurato orribilmente il viso e il corpo e l’aveva quindi costretta a portare quella maschera e quelle strane vesti. Ormai incapace di persuadere coloro che la incontravano, Velka aveva ricevuto la nomina di Dea del Peccato e le era stato concesso il comando su tutto quello che Lord Gwyn, unica voce di Anor Londo, considerava sacrilego.
“Prima o poi tuo padre ti lascerà a me” gli spiegò, raggiungendo l’altezza del bambino, dopo essersi piegata sulle ginocchia.
“Non so da cosa lo deduci, Velka” s’intromise il Primogenito di Gwyn. Era alle spalle di Gwyndolin che non aveva avvertito la sua presenza finché non aveva parlato. Mise la mani sulle spalle gracili del fratellino in segno di protezione. “E ti conviene andare ad occuparti di ciò che ti compete.”
“Ma io me ne sto già occupando…” ridacchiò la Dea.
“Velka, vuoi che dica a mio padre che mi stai infastidendo?”
La Dea continuò a ridere ma tornò velocissima ai suoi impegni.
Gwyndolin non aveva capito precisamente quello che era successo: Velka, di solito, non rivolgeva parola a nessuno e rimaneva in disparte perché era malvista da tutti. Aveva una personalità inquietante: rideva sempre in faccia al suo interlocutore e sembrava possedere un altro scopo rispetto a quello che diceva.
“Non devi mai parlare con lei: di Velka non ci si può fidare” gli disse suo fratello maggiore.
“Ma è lei che mi ha rivolto la parola”
“Se succede ancora, tu ignorala e corri da me” il Primogenito guardò il Sole che splendeva alto su Anor Londo. “E’ soltanto in cerca di malignità da poter dire.”

Gwyndolin si nascondeva dietro una delle grandi colonne che precedevano la Camera della Principessa, dove riposava sua sorella, ad osservare l’allenamento dei quattro Cavalieri di Gwyn quasi tutti i giorni. Sognava di diventare come loro ed essere accettato da tutta la città.
Suo fratello supervisionava gli allenamenti dei quattro migliori soldati di Gwyn con sguardo severo.
Artorias era il più taciturno, non parlava mai con nessuno. Indossava una grossa armatura, ornata da un pezzo di stoffa blu avvolto intorno al collo. La sua arma era uno spadone che soltanto a guardarlo sembrava pesare molto ma lui lo maneggiava con maestria.
Ciaran era l'unica donna del gruppo aveva il soprannome di Lama del Lord per le sue grandi capacità combattive. A differenza degli altri lottava restando nell’ombra con pugnali molto probabilmente avvelenati. Indossava una tunica blu, un corpetto di cuoio che le marcava i fianchi e manicotti dello stesso materiale. Portava una maschera per nascondere il volto.
Gough, detto Occhio di Falco, affilava le frecce del suo gigantesco arco. Le sue abilità erano state incredibilmente utili durante la guerra contro i draghi. Era una persona estremamente riflessiva e passava il suo tempo a costruire e affilare le proprie frecce.
Ed infine, Ornstein, soprannominato l’Ammazzadraghi, grazie al grande contributo che aveva dato durante la guerra. Indossava sempre un’armatura dorata dal suo elmo usciva un pennacchio rossiccio. L’arma di Ornstein era una lancia avvolta dall’elettricità.
“E tu? Che ci fai qui?” disse una voce maschile alle sue spalle.
Il bambino si voltò spaventato: di fronte a lui c’era Smough, il Giustiziere. Armato di un enorme martello e di un’ingombrante armatura, era il boia di Anor Londo che bruciava dal desiderio di diventare uno dei Cavalieri di Gwyn. Il problema era la sua innata crudeltà che il fratello maggiore di Gwyndolin disapprovava e faceva in modo che il Lord del Sole rifiutasse sempre la richiesta del Giustiziere.3
Gwyndolin tremò.
“Piccola pulce fastidiosa!” il boia agitò il suo martello e lo schiantò a terra accertandosi di schiacciare l’ultimogenito di Gwyn. Ma il bambino scomparve prima che il martello si abbattesse su di lui e ricomparve alle spalle di Smough. “Come diamine-”
Gwyndolin corse in mezzo alla stanza passando tra le gambe di Artorias ed evitando la lancia di Ornstain, per poi trovare riparo dietro al fratello maggiore.
“Smough?” il Primogenito di Gwyn incrociò le braccia al petto e allargò le gambe deciso a non far passare il boia. “Da quando ti diverti ad inseguire i bambini?”
“Stava disturbando gli allenamenti!” esclamò il Giustiziere.
“A me pare che lo stia facendo tu.”
Smough si guardò intorno: Ciaran e Gough li stavano guardando incuriositi, mentre Ornstein e Artorias continuavano imperterriti nei suoi esercizi.
Nella sala antecedente alla Camera della Principessa era caduto un improvviso silenzio.
“Le mie scuse” Smough si mise il martello in spalla, lanciò uno sguardo furente al bambino sotto la protezione del Dio della Guerra e tornò a fare il suo giro di ronda. Si era messo in testa che se non poteva diventare un Cavaliere allora avrebbe impedito a chiunque di disturbarli.
Ciaran e Gough tornarono alle loro occupazioni.
Il Dio della Guerra prese il bambino per il braccio e lo trascinò fuori dalla stanza. “Di tutti gli abitanti di Anor Londo… Ce ne sono un numero incredibilmente alto…” si chiuse la porta alle spalle e lanciò uno sguardo inceneritore al bambino. “Tu decidi di farti nemico proprio Smough? Hai idea di quanto sia crudele?”
“Scusa...” fu l’unica cosa che riuscì a dire Gwyndolin: lo sguardo di suo fratello era davvero furibondo.
“Stai lontano da lui. Smetti di frequentare i posti in cui ci sono i Cavalieri” gli raccomandò il dio della guerra. “Non posso esserci sempre io a difenderti, prima o poi dovrai imparare a cavartela da solo e farsi nemico Smough è solo un modo per fare una brutta fine. Promettimelo!”
“Come vuoi tu.”
Smettere di osservare i grandi Cavalieri di Gwyn significava rinunciare alla possibilità di farsi notare da uno di loro, magari proprio da Artorias o Ornstein, e alla speranza che gli insegnassero qualche segreto che l’avrebbe reso un vero guerriero.
“Sei un bambino, Gwyndolin. Perché non ti fai degli amichetti? Non è sano che un bambino frequenti i luoghi degli adulti.”
L’ultimogenito di Gwyn sbuffò: lui non aveva amici con cui giocare, ma era anche vero che non aveva mai provato a stringere un legame con qualcuno della sua età. Annuì, facendo sorridere suo fratello maggiore, che tornò dentro alla stanza in cui c’erano i quattro Cavalieri di Gwyn, facendo attenzione a chiudere bene la porta.

Note(saltatele se conoscete Dark Souls):
1Mi sono limitata a trascrivere l'Intro del gioco: cercherò di rendere più comprensibile quello che dice nel corso della storia e vi invito ad ascoltarla.
2 Sappiamo che Lord Gwyn ha tre figli: il primo, il Dio della Guerra (di cui non si conosce il nome ed è un argomento su cui si specula talmente tanto che non me la sento nemmeno di invertarmene uno), la secondogenita, Gwynevere, e Gwyndolin. L'ultimo nato viene disprezzato dal padre, sin dalla sua nascita, per il suo aspetto... il resto è pura speculazione.
3 Smough è un boss del gioco (come quasi tutti i personaggi citati). Desiderava effettivamente diventare un Cavaliere di Gwyn ma questa possibilità gli fu sempre stata negata vista la sua crudeltà. Il rapporto di astio tra Smough e il Dio della Guerra e l'incontro con Gwyndolin sono frutto della mia fantasia.
Bene, ora che le note sono finite... che ne pensate del mio primo capitolo? :) Spero sia piaciuto a tutti e se avete delle critiche... per favore, fate che siano costruttive >.<
Ps: per i veterani di Dark Souls... spero non abbiate correzioni da fare nelle note. :D
WindSlayer

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Capitolo 2
*** L'Errore ***


Scusate l'enorme ritardo con l'aggiornamento ma sono terribilmente occupata con due storie (oltre questa) e una delle due dovrebbe diventare un libro. In più ci sono lo studio, l'amore, le amicizie... un casino! XD Perciò questa storia, per quanto ci tenga, procederà abbastanza lentamente. :3 Ringrazio enormemente Himenoshirotsuki e artorias_abysswalker per la recensione: mi hanno fatto davvero piacere! *-*
Vi auguro una buona lettura! :D
VEREOR NOX: GWYNDOLIN, IL SOLE OSCURO
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Capitolo Due: l'Errore


Gwyndolin cominciò ad evitare i posti che frequentava Smough, esattamente come gli aveva chiesto di fare suo fratello maggiore.
Si annoiava incredibilmente, ma comprendeva anche che era l’unico modo per restare vivo: Smough, il boia, prima o poi avrebbe trovato il modo di schiacciarlo sotto il suo enorme martello. Per sua fortuna, il Giustiziere era così stupido da non essersi accorto che il bambino era letteralmente scomparso in un punto e ricomparso in un altro: non era un’abilità che aveva il Lord del Sole.
Gwyndolin aveva provato varie volte a riprodurre quella magia che gli era venuta istintiva, ma ne era diventato improvvisamente incapace.
Approfittando della solitudine e del fatto che nessuno si curasse di lui, passava le sue giornate nella biblioteca reale, alla ricerca di risposte. Nessuno faceva caso al bambino, che aveva accesso ad ogni area della biblioteca e si muoveva sicuro tra gli scaffali, conscio della posizione di ogni volume.
Durante quei giorni, passati lontano da tutto e tutti, lesse che i suoi poteri erano collegati alla luna. La scoperta, per lui, fu scioccante: non era naturale che dal Lord del Sole nascesse un figlio con capacità del genere.
“Oh, non essere così triste” sorrise Velka, comparsa da chissà dove.
Gwyndolin si guardò intorno, alla ricerca di suo fratello maggiore, ma nella biblioteca, a quell’ora di notte, non c’era nessuno. Nessuno, a parte lui e Velka. Il bambino cercò di scappare e allontanarsi da quella donna, ma la dea lo afferrò per il polso.
“Ora comprendi perché prima o poi sarai mio, vero?” gli chiese con voce vellutata.
“Lasciami. O ne parlerò a mio fratello!” esclamò Gwyndolin.
“E come?” rise Velka. “Intendi gridare?”
Il bambino raggelò, rimanendo al suo posto: anche se avesse gridato nessuno sarebbe accorso in suo aiuto, avrebbe finito soltanto per svegliare Anor Londo e inimicarsi i suoi abitanti ancora di più. Sospirò.
“Bravo” sorrise Velka. “Fai il bravo bambino.”
“Non ho intenzione di gridare, ma neanche di ascoltarti” Gwyndolin fece diventare il braccio bloccato da Velka immateriale e si liberò dalla sua presa. “Ora me ne vado.”
La Dea si mise a ridacchiare “Sai, dovresti andare a Oolacile: lì saresti molto apprezzato per le tue arti magiche.”
Il bambino la ignorò, seguendo ancora una volta il consiglio del fratello maggiore, afferrando il volume che stava leggendo prima dell’arrivo di Velka. I suoi occhi dorati non provavano incertezza: erano fermi come quelli di Gwyn e del Primogenito.
La Dea del Peccato era consapevole che prima o poi quel bambino sarebbe corso da lei: lo facevano tutti, prima o poi. Il mondo in cui vivevano era fatto di gente che giudicava e maltrattava soltanto perché godeva di una posizione migliore, e chi si sentiva escluso cercava l’aiuto di Velka, che era sempre pronta a spendere qualche parolina dolce per gli esclusi. I suoi motivi non li conosceva nessuno. Velka sapeva, inoltre, che Gwyn non avrebbe mai accettato un figlio in grado di usare la magia. Una magia oscura, collegata alla Luna, del tutto opposta alle capacità che possedevano lui e il suo primogenito. Gwyndolin sarebbe corso da lei, piangendo, in cerca del suo conforto.
“Perché hai quel muso lungo?” lo stuzzicò ancora la donna.
Il bambino si morse il labbro per resistere alla tentazione di ribattere alle sue parole in modo velenoso: voleva rimanere zitto.
“Oh, va bene, continua a non rispondermi” sorrise Velka. “Ma almeno ascoltami. E’ naturale che tu abbia capacità opposte a tuo padre: si avvicinano tempi duri per la nostra Era.”
Suo malgrado, Gwyndolin cominciò a prestarle attenzione.
“Luce e Oscurità, Sole e Luna…” continuò la donna. “Sono opposti, apparentemente con nulla in comune. Ciò che le ha accumunate è stata l’accensione della Prima Fiamma: la luce e la diversità hanno avuto origine in quel momento, prima c’erano solo buio e nebbia.”
“E il mondo era governato dai draghi, questo lo so” il bambino la interruppe, spazientito: aveva sentito quella storia molto volte. Ad Anor Londo le guardie non parlavano d’altro delle prodezze di suo padre, che aveva guidato l’esercito che si ribellò ai draghi immortali, forte dell’alleanza con la Strega di Izalith e di Nito, Re Tombale.
“Precisamente” Velka ghignò e nel suo sguardo si accese una luce di interesse nei confronti di Gwyndolin. “Quello che non sai, però, è che tuo padre, la Strega di Izalith e Nito prima erano perfettamente comuni: niente li distingueva dalla massa. Trovarono delle anime molto particolari, nella Prima Fiamma, che li resero potenti come sono ora.”
“Non mi interessa quello di cui parli.”
“Va bene. Ti interesserebbe sapere che facciamo tutti parte di un ciclo? La Prima Fiamma si spegnerà, prima o poi, e torneremo nell’oscurità: ecco perché sei nato tu.”
Nella biblioteca scese un silenzio carico di aspettativa.
“Tu prenderai il posto di tuo padre, purtroppo per te, come Lord Oscuro e non della Luce” disse, infine, Velka, dopo qualche momento.
Gwyndolin rimase spiazzato, per qualche secondo, poi scoppiò a ridere. “Certo, certo! Non vedo l’ora di diventare il nuovo Lord di Anor Londo!”
Il bambino uscì dalla biblioteca, ridendo. Quando la porta si chiuse alle sue spalle, tornò serio: gli sarebbe piaciuto prendere il posto di suo padre, perché avrebbe significato essere riconosciuto come membro della famiglia, ma questo non sarebbe mai successo perché la sua semplice esistenza era un errore.

Grazie ai libri che aveva letto nella biblioteca, stava imparando a prendere possesso delle sue strane capacità. I livelli più inferiori di Anor Londo, lontano dalla luce solare e dai suoi abitanti, raggiungibili attraverso alcuni macchinari di cui il bambino era a conoscenza grazie ai discorsi delle guardie giganti, erano il luogo ideale in cui allenarsi.
Gwyndolin stava cominciando a capire come rendersi immateriale: poteva evitare alcuni pericoli, come i colpi del pericolosissimo martello di Smough, e passare attraverso i muri, come uno spettro. Poteva rendersi invisibile e andare in posti in cui la sua presenza non era desiderata.
Durante uno dei suoi allenamenti gli sembrò di udire il pianto di qualcuno. Camminò sul piano lentamente, lasciandosi guidare dai singhiozzi, e fu sorpreso nel trovare una bambina pressappoco della sua età in una cella di prigione.
“Tu chi sei?” le domandò.
La bambina si voltò verso di lui. Era pallida e mingherlina, i suoi capelli erano bianchi e gli occhi grandi e azzurri. Vestiva con un abito bianco e sembrava del tutto normale se non fosse stata per la coda, anch’essa bianca, che spuntava da sotto l’orlo del vestito. Una coda da drago.
“Mi chiamo Priscilla” rispose la bambina. La sua voce era bassa e dal suono dolce. “Sei un errore anche tu?”
“Un… che cosa?”
“Un errore” ripeté Priscilla. “Quando non dovresti esistere, Velka ti porta qui per ordine di Lord Gwyn.”
“Perché tu saresti un errore?”
Gwyndolin rimase agghiacciato dalle parole della bambina: Velka era senza cuore e non si sarebbe fatta problemi a rinchiudere Priscilla, di questo ne era certo, ma Lord Gwyn non temeva niente, non avrebbe avuto motivo di dare un ordine del genere.
La bambina, sua coetanea, mosse timidamente la sua coda. “Io sono un mezzo drago: la mia stessa nascita è stata un errore.”
“Come puoi dire una cosa del genere?”
Gwyndolin la trovava carina, anche se il suo sangue era mischiato con quello dei draghi. Non poteva credere di udire davvero una cosa del genere da una sua coetanea. I bambini alla loro età dovevano essere felici, non era bello pensare di essere un errore ed essere rifiutati perché non erano come gli altri.
“Beh, ti sembro una creatura degna di esistere?” la bambina non smise nemmeno per un attimo di piangere. “I draghi sono tutti morti tranne il mio creatore, Seath, che mi rifiuta. Vengo ritenuta così tanto sacrilega che sono rinchiusa in una cella. Sono addirittura sotto la protezione della vostra Dea Velka.”
Gwyndolin scosse la testa, rifiutando le parole della bambina, e, rendendosi inconsistente, passò attraverso le sbarre della cella.
“Perché Seath ti ha rifiutato?”
Priscilla rifiutò di guardarlo negli occhi. “Seath cerca l’immortalità, io sono stata solo un esperimento, non credeva nemmeno che un ibrido potesse respirare autonomamente. Ma io con la sua ricerca non c’entro niente, ecco perché mi rifiuta.”
“Mio padre ti accetterebbe!” esclamò prontamente Gwyndolin.
La bambina fece un sorriso amaro senza smettere di piangere. “Più o meno come ha accettato te?”
Gwyndolin impallidì e serrò, in un movimento involontario, la mascella.
“Velka mi ha parlato di te” continuò la bambina. “Dice che presto o tardi sarai suo, perché anche tu sei un errore. Ed è particolarmente fiera di te, perché sei il figlio di Lord Gwyn.”
“Io non diventerò mai suo” ribatté fieramente l’altro.
Priscilla lo guardò scetticamente. “Davvero? Se sei qui nessuno si cura di te. Sai perché mi hanno rinchiuso qui? Velka mi ha detto che qui non scende mai nessuno, quindi… A nessuno deve importare della tua esistenza” la bambina sorrise. “Sei come me.”
Gwyndolin la guardò con sufficienza. “Beh non direi: è vero che non ho nessuno che si curi di me, ma mi rifiuto di finire sotto l’ala protettiva di Velka. Mio fratello dice che non mi devo fidare di lei: è sempre pronta a dire cattiverie.”
Priscilla fece un mezzo sorriso e strinse a sé la sua bambola. “A me non interessa quello che si dice su Velka: vorrei soltanto sparire.”
Gwyndolin si rese conto solo in quel momento che la bambina aveva una bambola davvero insolita e la stringeva al petto come se avesse un’importanza affettiva per lei.
Il bambino fece un verso stizzito, non gli piacevano le persone che si piangevano addosso e magari godevano nell’essere compatite, così tornò all’esterno della cella, passando di nuovo per le sbarre deciso ad andarsene.
“Sai, anche io so fare qualcosa del genere” disse, ad un certo punto, Priscilla. “Io so rendermi invisibile.”
Gwyndolin annuì con sufficienza senza dire niente: d’improvviso provava tanta antipatia per lei perché gli ricordava troppo la sua situazione come figlio rifiutato dal proprio padre. Non gli interessava ciò che sapeva fare, ai suoi occhi rimaneva una creatura infima a cui piaceva essere compatita.
“Le nostre capacità sono molto simili: anche tu sei in qualche modo collegato alla Luna?” Priscilla continuava a parlare come se volesse costringerlo a rimanere con lei.
Gwyndolin non la ascoltò più e tornò ai piani superiori di Anor Londo: non aveva senso continuare a parlare con quella bambina che rinunciava immediatamente, se voleva toglierla dal dominio di Velka, doveva sperare nell’intercessione di suo fratello maggiore.
Avrebbe parlato direttamente con suo padre, ma Lord Gwyn non lo voleva fra i piedi.

Il bambino percorse velocemente l’intera città degli Dèi, Anor Londo, ignorato dai cavalieri posti a guardia di ogni porta e armati di immense alabarde. Era tardo pomeriggio e, conoscendo gli impegni di suo fratello maggiore, sapeva che in quel momento non stava supervisionando gli allenamenti dei cavalieri di Gwyn. Di sicuro era nei bassifondi della città, lontano dalle orecchie di Gwyn: il bambino aveva visto, lentamente, il rapporto tra suo padre e suo fratello maggiore sfaldarsi. Qualche mese prima Lord Gwyn adorava il suo primogenito, ora, se si incontrava nei corridoi, non poteva non guardarsi in cagnesco.
“Il Duca sta impazzendo e tuo padre non se ne cura” disse una voce maschile.
“Sono certo che ha i suoi buoni motivi” ribatté il primogenito di Gwyn.
Gwyndolin smise di correre e si nascose dietro l’angolo. Affacciandosi, vide suo fratello parlare con un uomo con un dente di drago sulle spalle, e da quello, il bambino, lo riconobbe come Havel, soprannominato la Roccia, uno dei soldati più fedeli del Lord del Sole. Havel aveva combattuto contro i possenti draghi, dopo l’accensione della Prima Fiamma, e proprio da una delle vittime aveva strappato quel dente facendone la propria arma: solo lui era dotata della forza necessaria per brandirlo.
“E’ completamente affascinato dal potere!” esclamò il guerriero che brandiva il dente di drago. “Ha fatto di quel lucertolone troppo cresciuto un Duca, per premiarlo del suo tradimento, concedendogli di sopravvivere. Gli ho donato una tana vicino a noi, per di più, e di iniziare gli esperimenti…”
Il Primogenito di Gwyn rimase in silenzio, mentre il bambino sentiva gli occhi inumidirsi.
“Ora, quel lucertolone senza scaglie e ci porta dei suoi abomini e lui cosa fa? Lo accoglie! Cos’è diventata Anor Londo, un magazzino?”
“Mi rendo conto che è una situazione ambigua, Havel.”
Gwyndolin guardò con ammirazione la calma di suo fratello: Havel stava attaccando suo padre, ma lui non dubitava, lui non provava mai incertezza. Al bambino sarebbe piaciuto essere come suo fratello: forte e in grado di prendere la decisione giusta in ogni situazione.
“Mi aspetto che tu faccia qualcosa, in quanto suo Primogenito” disse la Roccia, severamente.
“E cosa ti aspetti che faccia? È testardo, nessuno può farlo ragionare.”
“Allora mi aspetto che tu prenda il suo posto quando sarà il momento.”
Dopo un lungo attimo di silenzio, il Primogenito del Lord del Sole annuì e accettò.
“Questo sì che è interessante” rise la voce di Velka.
Gwyndolin sobbalzò e gridò trovandosi la Dea del Peccato dietro di sè: non avrebbe saputo dire da quanto era lì.
Havel e il primo figlio di Gwyn si voltarono verso di loro.
“Velka” salutò la Roccia.
La donna fece un cenno del capo in saluto.
Gwyndolin corse dietro alle gambe del fratello, guardando in cagnesco la Dea.
“E questa bambina?” domandò Havel.
Il Primogenito di Gwyn scoppiò a ridere, mentre il bambino arrossiva. “Sono un maschio!” esclamò.
Havel rimase interdetto da Gwyndolin che aveva un aspetto decisamente femminile e delicato, ma dal carattere brutale. “Oh” spostò la sua attenzione sulla donna. “Perché sei qui, Velka?”
“Seguivo il piccoletto” ammise la Dea.
Il Primogenito si rabbuiò. “Ti ho già detto che non devi infastidirlo. Cosa non ti è chiaro, carissima?”
“Mi è chiaro tutto” sorrise Velka. “Mi sto solo assicurando che tutto proceda secondo i miei piani.”
Gwyndolin la indicò con energia. “Ha rinchiuso una bambina nella zona inferiore di Anor Londo! La tiene prigioniera. E Priscilla dice che nostro padre ha dato l’ordine di rinchiuderla… ma non è possibile, vero? Nostro padre non è così crudele, giusto?”
Si creò un silenzio imbarazzato.
“Giusto?” incalzò ancora il bambino. “Giusto?”
“Lord Gwyn non è più saggio come un tempo, fratellino” gli rispose il Primogenito.
Gli occhi del bambino si fecero grandi e impauriti. “Ma Priscilla non può rimanere in una cella. Non è giusto!”
“Non ci rimarrà” sorrise Velka. “Tuo padre ha in mente un bel piano.”
“Nessuno ti ha concesso di parlare, serpe!” scattò il bambino.
Havel guardò Gwyndolin, sorpreso: era piccolo, ma aveva un vero e proprio caratteraccio.
Il Primogenito di Lord Gwyn mise una mano sulla testa del fratellino, sospirando. “Parlerò con nostro padre” disse a Gwyndolin. Poi spostò la sua attenzione sulla dea del peccato. “Puoi ritirarti, Velka.”
La donna fece una riverenza e tornò da dove era venuta.
Gwyndolin guardò il fratello maggiore che rispose alla sua espressione perplessa con un sorriso triste. Non sapeva dire perché, ma qualcosa, nel suo inconscio, gli diceva che non l’intervento di Velka non era stato un fatto positivo.

Gwyndolin si era nascosto dietro una grande colonna nel salone di Anor Londo, e osservava quello che accadeva con perplessità.
Aveva saputo che Gwyn aveva ingaggiato un pittore di nome Ariamis che avrebbe creato un dipinto di grandi dimensioni. Al suo interno, Gwyn avrebbe rinchiuso tutto ciò che ad Anor Londo era proibito, evitando di mettere in pericolo la città degli Dèi.
Velka si mise dietro di lui. “Lì dentro ci finirà tutto ciò che è nel mio dominio.”
Gwyndolin ascoltò quelle parole nascondendo un brivido: suo padre lo odiava, avrebbe potuto rinchiuderlo per sempre in un mondo finto.
“Purtroppo non ci sarai tu… per ora” aggiunse la donna.
“Non penso che mio fratello permetterà che io venga rinchiuso dentro un quadro” ribatté il bambino.
“Finché lui rimarrà ad Anor Londo” sorrise malignamente Velka. “Non sperare che lui resti qui per sempre.”
Gwyndolin impallidì. “Che cosa hai in mente?”
“Oh è una sorpresa” ridacchiò la donna. “Che sorpresa sarebbe se te lo rivelassi?”
“Con chi stai parlando?” Gwyn si rivolse alla donna: vedeva solo lei di fianco a una colonna e si era incuriosito. Si avvicinò a Velka, ma non trovò nessuno con lei. “Sei impazzita?”
“Mi piace riflettere parlando ad alta voce” mentì lei.
Continuava a fissare il punto in cui Gwyndolin si era reso prontamente invisibile agli occhi del padre. Tutto ciò che faceva la portava a pensare sempre di più che quel bambino aveva un enorme potenziale.
Gwyndolin ora era accanto al pittore che suo padre aveva chiamato: dipingeva con maestria, mentre canticchiava una canzoncina sottovoce. Il bambino lo osservò per qualche secondo per poi concludere che non era interessante: era solo uno dei sudditi che veneravano suo padre come un Dio. Corse nelle segrete di Anor Londo per parlare con Priscilla.
Lei era ancora lì, rannicchiata in un angolo della cella, abbracciando la sua bambola. Quando ascoltò le parole di Gwyndolin sul dipinto di Ariamis e comprese che vi sarebbe stata rinchiusa, un sorriso comparve sul suo volto.

Note:
In questo capitolo non ho molto da puntualizzare per quanto riguarda la differenza tra la mia storia e quella del gioco, ci tengo solo a dire che è una fanfiction quindi è normale non sia sempre fedele, altrimenti non avrebbe avuto senso scriverla. XD E (mi sono dimenticata di dirlo dopo il primo capitolo) è un prequel rispetto alla storia nel gioco: il pg che si interpreta nel videogame non è ancora nemmeno nato. Lord Gwyn è ancora al vertice del potere e Anor Londo splende come il Sole. La Fortezza di Sen non è ancora stata costruita. :3
Detto questo spero che vi sia piaciuto il secondo capitolo e che la mia lentezza nell'aggiornare non vi abbia fatto perdere interesse nella storia! D:
Un'ultima cosa... Se volete essere aggiornati sui miei lenti, lenti, leeeeeeeeeenti aggiornamenti, mettete mi piace alla mia pagina di facebook! ;)
Un bacio!
WindSlayer

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Capitolo 3
*** Esilio ***


Ciao a tutti! :D
Sono qui con un nuovo capitolo. :3 Scusate il ritardo (ormai lo dico ad ogni capitolo T.T) ma ho molti impegni e vi assicuro che sto facendo del mio meglio per aggiornare abbastanza velocemente entrambe le storie che sto pubblicando. :3 Vi lascio al capitolo tre. ;) Un bacio. <3
VEREOR NOX: GWYNDOLIN, SOLE OSCURO
http://i284.photobucket.com/albums/ll4/lullaby22/2gwynmod_zpsgtwjs5vd.jpg
Capitolo Tre: Esilio

1Havel aveva controllato Lord Gwyn per mesi, e con lui aveva tenuto d’occhio anche Seath, il Senzascaglie. Quella specie di lucertolone albino, ormai premiato con una città sua e la libertà di condurre ricerche personali, aveva perso la sanità mentale. Era ossessionato dalla ricerca del segreto dell’immortalità, e, non contento del fatto che usasse cavie umane per i suoi esperimenti, usava Anor Londo come sgabuzzino per contenere i suoi mostri.
Havel non poteva credere che colui che aveva guidato tutti loro contro i potenti draghi immortali, la stessa persona che aveva costruito dal nulla la splendente città-fortezza di Anor Londo e aveva dato il via all’Era del Fuoco, era diventato complice di un essere folle come Seath.
Il guerriero aveva parlato con il Primogenito di Gwyn, ma questi aveva tergiversato. Si era reso conto che criticare apertamente il Lord del Sole non era stata una mossa intelligente, ma aveva sentito il dovere di avvertirlo delle sue intenzioni.
Il piano di Havel era semplice: essendo un vescovo della Via Bianca, conosceva l’unica cosa che poteva uccidere il proprietario di un’anima così potente, ovvero le Armi Occulte. Lui e i suoi seguaci le stavano raccogliendo e chiudendo in una stanza segreta del grande palazzo-fortezza.

Gwyndolin osservava il dipinto nel grande salone del castello.
Il quadro si chiamava ‘Il Mondo Dipinto’2. Sembrava un comune dipinto, ma in realtà era un portale per un mondo diverso dal loro: era lì dentro che suo padre aveva chiuso le creazioni di Seath e che lui riteneva mostri.
Lì dentro c’era anche Priscilla.
Gwyndolin aveva ancora in mano la bambola che la bambina abbracciava stretta al petto mentre si trovava nelle segrete di Anor Londo: era tutto quello che Priscilla le aveva lasciato, mentre entrava nel dipinto.
“Non ne avrò bisogno dove sto andando” aveva sorriso.
Il bambino aveva odiato parlare con Priscilla, ascoltare i suoi piagnistei e le sue lamentele, ma da quando era entrata del dipinto avvertiva incredibilmente la sua mancanza. Era l’unica altra persona della sua età in tutta Anor Londo, e si era inevitabilmente legato a lei.
Sperava soltanto che in quel quadro Priscilla si trovasse bene. E che soprattutto non sentisse la mancanza della sua amata bambola.
“Non pensi che Ariamis abbia fatto un ottimo lavoro?” chiese la voce soave di Velka.
La donna era comparsa vicino al bambino, ma Gwyndolin non l’aveva sentita arrivare. “Sì, non sarebbe male… se fosse un normale quadro.”
La Dea continuava ad osservare l’opera di Ariamis, lo ammirava letteralmente, come se la presenza dell’ultimogenito di Gwyn di fianco a lei fosse stata casuale.
“Cosa ci fai qui?” domandò il bambino dopo qualche secondo di silenzio.
“Cosa pensi che ci faccia qui?” sorrise furbescamente Velka.
“Mi segui, sicuramente.”
La donna sorrise dell’ingenuità del bambino. “No, sono qui per avvertirti.”
Gli occhi di Gwyndolin si accesero, allarmati, e le sue labbra si serrarono per tentare di controllarsi. “Di cosa?”
Velka fece vagare lo sguardo sul grande quadro che occupava l’intero muro del salone principale della città-palazzo. “Ti consiglio di passare più tempo con tuo fratello: non rimarrà con te ancora per molto.”
Per il bambino fu come ricevere una secchiata di acqua gelida addosso. Pallido come un cadavere, si mise di fronte a Velka guardandola dritta negli occhi verdi. “Cosa intendi dire?” sentiva un groppo in gola che non riusciva ad ignorare.
“Ovviamente che presto lascerà Anor Londo.”
La donna guardava il bambino dritto negli occhi con crudeltà. La sua risposta metteva ancora di più in evidenza le macchinazioni della Dea dietro quell’evento futuro.
“Perché dovrebbe?” la incalzò ancora Gwyndolin.
“Non lo so, ma ti consiglio di passare più tempo che puoi con lui.”

Il 3Primogenito di Lord Gwyn si stava allenando con la spada, tagliando a metà il vento su una delle terrazze di Anor Londo.
Gwyndolin osservava i suoi movimenti precisi con ammirazione: gli sarebbe piaciuto avere un corpo adatto al combattimento fisico, non come quello mingherlino che si ritrovava, e in più avere l’animo gentile e comprensivo come quello di suo fratello. Ma non aveva né l’uno né l’altro. Il principe assomigliava incredibilmente a Gwyn: aveva i suoi capelli scuri, i suoi lineamenti marcati, e un corpo abbastanza robusto da poter reggere i duri allenamenti dei soldati ad Anor Londo. L’unica cosa che Gwyn, il suo Primogenito e l’ultimogenito avevano in comune erano il colore degli occhi: dorati come il sole.
“Gwyndolin…” lo chiamò il principe.
“Fratello” il bambino uscì dal suo nascondiglio, dietro l’angolo buio del terrazzo. Teneva lo sguardo basso come se avesse commesso uno sbaglio enorme.
“Cosa ci fai qui?” suo fratello maggiore smise di allenarsi e rimise la sua spada nel fodero.
“Volevo passare del tempo con te…”
Il principe sbuffò. “Ti ho già detto che non devi frequentare i posti degli adulti.”
“Lo so!” esclamò il bambino. “Ma Velka-”
Il Primogenito gli lanciò uno sguardo intimidatorio e Gwyndolin si bloccò. All’improvviso suo fratello era diventato furioso. “Ti ronza ancora intorno?”
In tutta la sua innocenza, il bambino annuì. “Costantemente” disse. Se c’era qualcuno che poteva liberarlo dalla Dea del Peccato e dalle sue cattiverie, quello era suo fratello e Gwyndolin si fidava ciecamente.
“Tranquillo, ci penso io” mormorò il principe. “Tu va’ a giocare da qualche parte.”
Gwyndolin rimase sulla terrazza da solo. Sorrise pensando a quello che suo fratello avrebbe detto a Velka: probabilmente avrebbe anche trovato il modo di farla allontanare da Anor Londo per sempre, e la vita del bambino sarebbe diventata quasi fin troppo semplice. L’unico che continuava a stargli con il fiato sul collo era Smough, ma con il primogenito al suo fianco non sarebbe stato un vero problema.

Havel vide il Primogenito entrare in una delle stanze meno ampie di Anor Londo, quelle meno frequentate: il vescovo cercò di nascondere rapidamente il dente di drago occulto in uno scrigno.
“Lascia stare” mormorò il principe. “So tutto.”
Havel tirò un sospiro di sollievo. “Cosa ci fai qui allora?”
Il Primogenito sospirò: si sentiva profondamente in colpa per quello che stava per dire. “Sono dei vostri.”
“Cosa? Sei sicuro di quello che dici?”
Il principe inchiodò gli occhi scuri di Havel ai suoi, identici a quelli di Lord Gwyn nei suoi tempi d’oro. “Se mio padre fosse effettivamente ancora lucido non permetterebbe a Velka di infastidire così uno dei suoi figli.”
Havel sospirò. “Sai che Gwyn non apprezza tuo fratello… è così da sempre. Cosa ti importa?”
Gli occhi del principe fiammeggiavano determinati. “E’ uno dei figli di Gwyn: va trattato come un principe. E se continua così, con il lavaggio del cervello di Velka, potrebbe venire rinchiuso in quel quadro… E io non lo permetterò.”
“Cosa hai in mente?”
“Se io prendo il posto di mio padre, potrò gestire liberamente Velka.”
“E Seath?”
“Gestirò anche lui: Anor Londo tornerà ad essere splendida come un tempo.”
Per Havel fu un enorme sollievo udire quelle parole. “Tu salvi tutti noi, principe.”
Gli occhi del Primogenito di Gwyn brillavano determinati.

Con il supporto del Primogenito, la speranza cominciò a intrufolarsi tra le fila di Havel.
I seguaci del vescovo indossavano un’armatura incredibilmente pesante e un anello intriso di magia bianca per non rimanere bloccati da tutto quel carico eccessivo. Erano poco più di una decina di guerrieri perché, chiaramente, non tutte le persone era adatte a seguire un percorso del genere.
Il Primogenito aveva un talento in guerra che era paragonabile soltanto a quello dei cavalieri di Gwyn e del Lord della Luce stesso. Non per nulla era il Dio della Guerra, l’orgoglio del padre, ed era profondamente stimato per le sue capacità e la sua magnanimità d’animo. Con il principe al fianco dei seguaci di Gwyn, avevano qualche possibilità di prendere il controllo di Anor Londo.
Il Primogenito, dal canto suo, non sembrava così felice della sua scelta, anzi, si sentiva quasi sottotono. Non era convinto che le possibilità di riuscita fossero così numerose, ma qualcuno doveva pur provarci.
Mentre i seguaci di Havel e il vescovo stesso radunavano le armi occulte, che avevano la capacità di ferire mortalmente gli Dèi, il principe cercava di non dare nell’occhio.
Il Primogenito di Gwyn osservava Anor Londo che dormiva e si svegliava, ignara del cambiamento che stava per sconvolgerla.
Nessuno sospettava nulla: i Cavalieri di Gwyn continuavano gli allenamenti sotto la supervisione del principe; Gwynevere flirtava continuamente con il dio del fuoco, Flan, e non disdegnava neanche le attenzioni delle altre Divinità; Gwyndolin evitava il padre e stava diventando sempre più bravo nell’infiltrarsi nelle stanze del governo senza essere notato. Il principe era molto fiero del fratellino: stava evitando Velka come meglio poteva, Gwyn quasi si era dimenticato della sua esistenza per quante poche volte riusciva ad incontrarlo, e Smough lo cercava disperatamente per la città-fortezza senza mai trovarlo.
Il Primogenito respirava l’aria di Anor Londo, la sua città natale, cercando di imprimere nella sua memoria il ricordo nella sua mente, perché aveva la pessima sensazione che non vi sarebbe rimasto a lungo.
Una sera, infatti, Havel entrò nelle stanze del principe dicendo soltanto due parole: “Domani sera.”

Havel si portò sulle spalle il randello occulto e guardò i suoi seguaci uno per uno. “Stanotte cambieremo il destino di Anor Londo.”
I guerrieri della Via Bianca esultarono cercando di contenere il volume delle loro voci: tutta la città dormiva, in particolare Gwyn, sua moglie, e i loro protettori.
Il principe annuì, incrociando le braccia al petto: era pronto per qualunque cosa stesse per succedergli.
I ribelli si divisero per i corridoi oscuri di Anor Londo: l’intera città, escluse le sentinelle giganti, dormiva.
Il piano preveda che Havel e il principe si occupassero di Gwyn, attaccandolo direttamente nelle sue stanze mentre dormiva con la moglie, mentre gli altri avrebbero reso innocue le sentinelle della città.
Ognuno dei ribelli si avviò al suo posto dopo aver fatto un profondo respiro per calmarsi.
Havel e il principe furono bloccati poco prima dell’entrata delle stanze di Gwyn da Ornstein e la sua lancia.
“Non dovreste essere nei vostri letti, voi due?” domandò l’Ammazzadraghi con voce ostile, costringendoli ad indietreggiare.
“Potremmo dire lo stesso a te” ribatté Havel.
Il Primogenito di Gwyn, con un movimento fulmineo, spostò la lancia di Ornstein e riuscì a sorpassare il guerriero, ma venne spinto prepotentemente fuori dalla stanza da Artorias, che si era nascosto nel buio.
“Velka aveva ragione” disse il guerriero che combatteva con lo spadone.
“Il principe ci ha tradito” ghignò Smough.
Il Primogenito assottigliò gli occhi: non aveva mai avuto molta simpatia per Smough, e il fatto che fosse lì, come se fosse stato un Cavaliere di Gwyn, era una chiara mancanza di rispetto alla sua autorità di figlio del Lord del Sole.
“Cosa vi è preso, principe?” gli chiese Ciaran.
“State difendendo l’uomo sbagliato” si intromise Havel con determinazione.
Gwyn uscì dalla sua camera da letto. “Proprio tu…”
“Hai perso il senno… amico.”
Il Lord del Sole e la Roccia si guardarono negli occhi rimanendo in silenzio, per un lungo attimo.
“Sei diventato pericoloso, Havel” disse Gwyn, portando una mano all’elsa della spada che non toglieva mai, neanche quando andava a dormire. “Credo che tu sia stato colpito da una strana forma di follia. Mi dispiace, devo allontanarti da Anor Londo.”
Bastò uno sguardo di Gwyn perché Smough colpisse il pavimento con il suo martello e facesse traballare tutti i presenti. Quel momento gli fu utile per togliere il randello occulto ad Havel: senza la sua arma, la Roccia diventava un semplice guerriero in armatura pesante.
Il Primogenito conosceva profondamente il Lord del Sole: era un uomo dotato di una determinazione incrollabile ma anche la sua ira era temibile. In fondo, era riuscito a sterminare la stirpe dei draghi immortali perché controllavano la superficie e costringevano gli uomini a vivere nelle tenebre eterne.
Lo sguardo che Gwyn rivolse al suo primogenito era carico d’odio. “Alle segrete” mormorò il Lord del Sole, spostando la sua attenzione su Smough per qualche secondo.
Il Giustiziere fece un cenno del capo al suo signore e accompagnò quasi dolcemente Havel verso le prigioni.
I Cavalieri di Gwyn e il Lord stesso spostarono il loro sguardo e l’attenzione del principe.
“Affronterò la mia punizione a testa alta, padre” annunciò fieramente il Primogenito.

Artorias prese la spada del principe e lo accompagnò dolcemente nel grande salone della città-fortezza. Si vedeva che il guerriero più solitario di Anor Londo non provava nessun rancore nei confronti del principe.
Gwyn radunò tutti gli abitanti della città per partecipare al giudizio del suo Primogenito. Il fatto che qualcuno, in particolare il figlio di cui era più orgoglioso, avesse tentato di ucciderlo nel sonno lo aveva fatto infuriare, e quel processo doveva servire da monito per eventuali imitatori futuri.
La stanza non tardò a riempirsi di Divinità curiose, si aggiunsero anche la moglie di Gwyn e la sua unica figlia femmina, Gwynevere. Le due donne si abbracciarono e si misero dietro il loro capofamiglia, entrambe con gli occhi lucidi, cercando di farsi coraggio l’un con l’altro.
“Mio figlio ci ha traditi” esordì Gwyn, spezzando il brusio del suo pubblico.
La folla sobbalzò e il principe, inginocchiato di fronte al padre e disarmato, comprese che quella vicenda non avrebbe avuto un lieto fine per lui.
“Ha tentato di porre fine alla nostra amata Era del Fuoco” aggiunse il Lord del Sole.
“Padre, non è quello il mio obiettivo!” esclamò il principe. “Non sei più lo stesso di un tempo. Lascia il comando di Anor Londo… per il bene di tutti!”
Gli occhi di Gwyn si accesero: fu abile nel cogliere al volo l’occasione che il figlio gli aveva sofferto. “Vuole far spegnere la Prima Fiamma!” lo accusò con tono allarmato.
Il pubblico di divinità che ascoltavano, cominciarono a sussurrare tra di loro, terrorizzati. Tutto il loro mondo si reggeva sull’accensione della Prima Fiamma: al suo interno Gwyn, Izalith e Nito trovarono le anime che li avevano resi potenti come Dèi. Ed erano i proprietari delle anime più potenti che difendevano il loro mondo, perciò tutte le altre divinità temevano di tornare nel buio.
Gwyndolin era stato svegliato dal trambusto del padre e di tutti gli abitanti della città che si muovevano verso il salone. Il bambino era nascosto dietro una delle grandi colonne, nessuno l’aveva visto, ma lui, da quell’angolazione poteva vedere bene suo padre e suo fratello, e dietro di loro la moglie di Gwyn che teneva stretta a sé la sua unica figlia.
“Ecco perché dobbiamo allontanarlo!” disse il Lord del Sole.
Il suo pubblico lanciò grida di assenso: quando si trattava di difendere la vita della Prima Fiamma, non importavano i motivi di un gesto né l’identità di colui che lo commetteva.
“Padre!” esclamò Gwynevere. “E’ tuo figlio!”
Il Lord del Sole la ignorò quasi completamente.
Gwyndolin sobbalzò dietro la colonna e si morse il labbro per non scoppiare a piangere. Suo padre aveva un debole per la sua unica figlia femmina e se la ignorava voleva dire che era davvero infuriato. E significava anche suo fratello era finito in un guaio pazzesco. Forse avrebbe potuto salvare suo fratello maggiore se avesse usato qualcuna delle sue strane capacità, ma temeva troppo l’ira del Lord del Sole.
“Silenzio!” la riprese Gwyn.
“Padre…” mormorò la fanciulla.
“Ho detto silenzio!” il Lord del Sole si rivolse al suo Primogenito. “Verrai allontanato da Anor Londo per sempre. Perderai il tuo status di Dio della Guerra e il tuo nome verrà dimenticato. Gwynevere resterà la mia unica erede: non sarai più mio figlio.”
“No!” l’urlo della figlia riecheggiò per il grande salone. Gwynevere scattò in avanti verso il fratello maggiore ma venne bloccata dal forte braccio del padre. “Permettimi di salutarlo, ti prego!” lo implorò piangendo.
Ma il Lord del Sole non si lasciò impietosire e si rivolse al figlio. “Lascerai Anor Londo immediatamente. Non saluterai nessuno perché tu non appartieni più a questo posto.”
Gwyndolin fece un passo fuori dal suo nascondiglio e il primogenito si schiarì la gola, attirando tutta l’attenzione dei presenti su di sé: non voleva che il bambino si facesse vedere. Il principe sorrise cordialmente. “Potrei avere le mie cose prima di andarmene?”
Gwyn annuì. “Certamente.”
Con un gesto invitò Ciaran a radunare le cose del Primogenito e consegnargliele.
“Sarai in grado di difenderti al di fuori di questa città e nessun altro luogo ti sarà proibito, ma se tornerai ad Anor Londo mi occuperò io stesso di ucciderti” aggiunse il padre.
“Dove manderai Havel?” chiese il Primogenito.
“Molto lontano da qui: non lo troverai mai per quanto tu possa cercare.”
“Questo è da verificare” ribatté il principe, ringraziando Ciaran che gli consegnava la sua spada e un sacco con qualche suo abito e qualche provvista. “Bene. Addio, padre. Madre. Sorella.”  
Quando incrociò lo sguardo della moglie di Gwyn, sua madre, e Gwynevere, così addolorato e disperato, il cuore del principe si spezzò. Si era reso conto di avere dato ad entrambe un grande dolore, ma era stato un gesto necessario secondo il suo modo di pensare. Voltò le spalle alla donna che lo aveva cresciuto e alla sua amata sorella senza soffermarsi troppo su di loro: sapeva che Gwyndolin sarebbe contravvenuto all’ordine del padre e, grazie a quel piccolo atto di ribellione, avrebbe potuto salutare almeno il fratellino.
Gwyndolin, infatti, lo seguì per tutto il tragitto che portava fuori da Anor Londo rimanendo invisibile. Si lasciò vedere solo dal fratello maggiore quando fu poco lontano dai confini della città-fortezza.
“Mi dispiace, fratellino” esordì il principe. “Qualcosa è andato storto.”
“Volevi davvero uccidere nostro padre?”
Il Primogenito rimase qualche secondo incantato nell’osservare l’alba che stava sorgendo. “Nostro padre è stato spesso paragonato al Sole perché brilla di luce propria. E’ stato un condottiero perfetto, un ottimo sovrano di Anor Londo e un genitore… non proprio esemplare” sorrise tristemente il principe. “Ma è stato un privilegio essere suo figlio.” “Non posso venire con te? Sono invisibile per gli altri qui” mormorò il bambino.
Suo fratello continuava a sorridere tristemente. “No, mi dispiace. Dovrai essere più accorto e stringere i denti, fratellino.” il principe schioccò un bel bacio sulla fronte di Gwyndolin e si incamminò verso l’orizzonte. “Addio. Guardati le spalle da Velka.”
Il bambino guardò suo fratello maggiore incamminarsi verso l’orizzonte.

Havel, chiuso nella sua cella, vide l’alba sorgere: il destino di Anor Londo era segnato.
Da qualche parte nel corridoio fuori la porta della cella si udì la risata agghiacciante di Velka.
Havel sentì lo sconforto invaderlo.

Erano mesi che mi immaginavo il momento in cui Gwyndolin avrebbe salutato il suo fratellone... e piango tantissimo T.T
Dunque qualche piccola precisazione:
1All'interno del gioco troviamo un personaggio che indossa l'armatura di Havel e il gioco ci fa capire che il guerriero è stato allontanato per il suo stesso bene. Anche lui evidentemente ha commesso un gesto eclatante.
2 il dipinto di Ariamis è un'intera area che è possibile visitare nel gioco in cui si trovano una serie di oggetti che sono considerati tabù all'interno del mondo di Dark Souls.
3(Non ricordo se l'ho detto nei capitoli precedenti, abbiate pazienza ho un'età) XD Il primogenito di Gwyn era il Dio della Guerra. Nel gioco fanno capire che perde il suo status di dio e il suo nome viene dimenticato a causa di un gesto che commette. Ci sono varie interpretazioni sulla sua identità (e io ho la mia idea) ma preferisco non pronunciarmi. :D
Così ho pensato di unire le storie di Havel e il primogenito di Gwyn :3
Mi metterò subito a lavorare sul quarto capitolo... fatemi sapere che ne pensate, per favore! >.<
Un bacio,
WindSlayer

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Capitolo 4
*** Solitudine ***


Ciao a tutti! :D Ecco il nuovo capitolo :D
VEREOR NOX: GWYNDOLIN IL SOLE OSCURO
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Capitolo Quattro: Solitudine
Havel venne rinchiuso in un borgo che si trovava a sud rispetto ad Anor Londo. La sua prigione sarebbe stata una grossa torre che collegava il piccolo paesino con Oolacile. Sarebbero state proprio le guardie ad impedire ogni contatto con il mondo esterno.
Havel era costretto a rimanere solo nella zona inferiore del torrione e al suo interno c’era solo lo stretto necessario per permettergli di sopravvivere. I giorni passavano l’uno uguale all’altro e lentamente la Roccia cominciò a dimenticare: non sapeva più perché si trovava lì, e non sapeva neanche dove si trovasse di preciso quella torre, o chi fosse lui. La sua unica certezza era che era un guerriero, a giudicare dall’armatura che indossava, e che era intimamente legato al suo dente di drago.
A poco a poco le guardie si dimenticarono di portargli da mangiare, e lui, lentamente, perse se stesso.

Gwyndolin osservò da lontano suo fratello allontanarsi da Anor Londo per non fare più ritorno.
Gwynevere e sua madre piangevano disperate e sembravano implorare il Primogenito a non andare, il Lord del Sole, invece, lo guardava senza emozioni allontanarsi. Gwyn impugnava persino la sua spada come per confermare le sue intenzioni: da quel momento in poi, avrebbe riconosciuto solo la secondogenita come sangue del suo sangue.
Ad osservare l’ormai ex Dio della Guerra c’erano Velka, il marito di Gwynevere, Flan, e una piccola folla di curiosi.
Il bambino non riusciva a distogliere lo sguardo da suo fratello, dalla sua armatura scintillante, e la sua spada in cui riusciva a infondere il potere del Sole. Era il guerriero più forte di Anor Londo, persino più temibile dei Cavalieri di Gwyn, e il Lord del Sole aveva preferito privarsene piuttosto che concedere il suo perdono.
Velka si voltò incrociando lo sguardo di Gwyndolin, nascosto dietro una grande colonna bianca. Gli occhi della Dea del Peccato sorridevano soddisfatti.
La moglie di Gwyn cadde in ginocchio piangendo: sembrava incapace di accettare la realtà dei fatti.
Suo marito non la degnò di uno sguardo, neanche una semplice occhiata di pietà, e quando il suo Primogenito scomparve all’orizzonte, si voltò e tornò all’interno dalla sua città-fortezza.

Quasi tre settimane dopo, Anor Londo viveva nel terrore: le Divinità avevano compreso che il Lord del Sole non era più il sovrano di un tempo, ma avevano paura che la Prima Fiamma si sarebbe spenta se avessero osato ribellarsi. Inoltre, le statue che ritraevano l’ex Dio della Guerra erano state distrutte e pronunciare il suo nome significava essere condannati a morte.
La moglie di Gwyn era quella che ne soffriva di più: dal giorno in cui il Primogenito aveva lasciato la città-fortezza, la donna non dormiva più con il marito e si era chiusa in una stanza dentro cui piangeva tutto il giorno. Non erano serviti a niente i tentativi di Gwynevere di farla uscire. Neanche Gwyn, che non aveva mai avuto problemi a controllarla, riusciva a convincerla.
Gwyndolin passava quasi quotidianamente di fronte alla stanza in cui si era chiusa la madre, e la sentiva piangere giorno e notte. Probabilmente neanche mangiava. Al sentirla in quelle condizioni, gli si stringeva il cuore: non la considerava sua madre, visto come l’aveva rifiutato dal momento della nascita, ma avvertiva lo stesso un certo legame con lei.
Anche Gwynevere era stata profondamente colpita dalla decisione di Gwyn, ma era così profondamente legata al padre che lo aveva perdonato qualche giorno dopo. Si rendeva conto che Gwyn aveva esagerato nel punire in quel modo il suo primogenito, ma lo amava così profondamente che non riusciva a tenergli il broncio. E in ogni caso, Gwyn non avrebbe mai ammesso di aver torto perciò suo fratello sarebbe comunque rimasto un esiliato.
Una sera, Gwynevere entrò nella camera del fratellino, che era intento a leggere un libro grazie a cui avrebbe ampliato la sua conoscenza sulla magia.
“Gwyndolin…” lo chiamò in un sussurro incerto.
“Sorella?” domandò il bambino, incredulo.
Gwynevere aveva le guance rosse per l’imbarazzo: era la prima volta da quando Gwyndolin era nato, che chiedeva il suo aiuto.
“Nostra madre ha bisogno di te” mormorò la fanciulla.
“La moglie di Gwyn, sì, ho capito di chi parli” concordò il bambino, freddamente.
Gwynevere alzò gli occhi e l’ultimogenito vi lesse dentro una profonda disperazione. “Devi fare qualcosa!” esclamò veementemente.
“Io?”
“Il dolore di nostra madre è così forte perché ha perso un figlio, se ne ritrovasse un altro sono convinta che tornerebbe quella di prima” disse la fanciulla.
Gwyndolin la guardava negli occhi, poco convinto delle sue parole. Rimase in silenzio: non sapeva se dire quello che pensava, oppure essere cortese e accontentarla. In fondo era sua sorella, e c’era stata quando sua madre l’aveva rifiutato. Allo stesso tempo, però, non capiva perché doveva avvicinarsi a una donna per cui non era mai contato nulla. “Non ne sono convinto” mormorò, alla fine.
La sorella maggiore lo fulminò con lo sguardo. “Me lo devi” ribatté lei, a denti stretti.
Il bambino le lanciò uno sguardo perplesso, non riuscendo a comprendere fino in fondo le sue parole. Negli occhi della sorella c’erano rabbia e disperazione: forse aveva paura di qualcosa.
“Mi sono presa cura di te come se ti avessi generato. Tu mi sei debitore.”
Gwyndolin la fissò, incredulo per le parole che le sue orecchie avevano appena sentito. “Nessuno ti ha puntato una spada alla gola, sorella” mormorò freddamente. Anche se si sentiva tradito dalle sue parole, riuscì a rimanere calmo di fronte a lei.
Gwynevere esplose. Era talmente preoccupata per sua madre e per suo padre, che diventava un governante sempre più rigido e autoritario, che perse tutta la sua eleganza e dolcezza in un solo momento. “L’ho fatto perché mio fratello me l’ha chiesto!” gridò. “Sei sempre contato qualcosa per lui, e ha pensato che avessi bisogno di qualcuno che ti volesse bene. Se non fosse stato per lui… pensi davvero che ti avrei messo a letto la sera e coccolato quando ti sentivi solo?” lo guardò con disprezzo. “Tu non sei come noi.”
Il bambino provò una stretta al cuore: neanche lui si sentiva uno dei figli di Gwyn, e dopo quello che era successo al dio della guerra non provava più neanche il desiderio di essere considerato tale. Non aveva capito le motivazioni che l’avevano spinto a commettere il tradimento, ma di sicuro non era limitato al semplice possesso del trono di Anor Londo. Ci avrebbe messo la mano sul fuoco.
“Farò come vuoi” mormorò, dopo un lungo momento di silenzio.
Non provava rabbia verso sua sorella: sapeva che si stava facendo carico delle responsabilità che un tempo erano appartenute a sua madre, e al tempo stesso desiderava aiutare la moglie di Gwyn a riprendersi dallo choc. Aveva un cuore d’oro esattamente come il primogenito, ma lo stress era troppo anche per lei.
Gwynevere si illuminò tornando ad essere bella come il Sole. “Sapevo di poter contare su di te, fratello!” esclamò uscendo dalla stanza del bambino.

Gwyndolin passò davanti alle stanze della madre per i successivi tre giorni. Per i primi due giorni la sentì piangere disperatamente, poi lentamente quel lamento si trasformò in versi gutturali, che erano più simili a versi di animali che a lamenti. Di tanto in tanto la donna, chiusa nella stanza, lanciava delle grida disumane.
Fu sentendola gridare in quel modo così sofferente che decise di prendere coscienza del suo reale stato.
Usando un incantesimo che aveva appreso da un libro di magia, si rese invisibile e si infiltrò nelle cucine. Le cuoche borbottavano tra di loro discutendo della moglie di Gwyn, il principale argomento di pettegolezzi ad Anor Londo dall’esilio del Primogenito.
“Ha perso un figlio, va bene, siamo dispiaciuti tutti… però mi sembra esagerato” stava dicendo una donna grassoccia e formosa.
“Neanche oggi ha toccato cibo…” concordò tristemente una seconda più magra.
“Pensa che con questo sciopero della fame il marito cambierà idea? Tutti conosciamo Lord Gwyn e sappiamo quanto può essere testardo” ribatté una terza.
“Che peccato per il Primigeni-”
“La primogenita!” esclamò la prima cuoca parlando sopra alla sua collega. “Sai che non ha mai avuto un figlio maschio. La Principessa Gwynevere è la sua unica figlia.”
Gwyndolin sentì una guardia del padre passargli affianco in quel momento. L’armatura argentea del cavaliere sfiorò la pelle del bambino, che per un secondo trattenne il respiro. Il soldato si affacciò nelle cucine.
“Tutto bene, signore?”
La cuoca più in carne annuì energicamente sfoggiando un sorriso a trentadue denti. Stava mentendo, e non serviva essere un genio per capirlo.
Il soldato ricominciò, sospettoso, il suo giro di ronda. Il suo compito era di scoprire altri eventuali traditori visto che Gwyn ormai viveva nel sospetto.
Da quando il suo Primogenito era stato esiliato, il Lord del Sole non dormiva più nemmeno con la moglie perché non si fidava più neanche di lei. Gli unici che credeva non l’avrebbero mai tradito erano coloro che vivevano all’ombra del suo potere come Seath, i quattro re di Petite Londo, Nito e la Strega di Izalith: era interesse di tutti i possessori delle anime più potenti che Gwyn rimanesse a controllare Anor Londo.
“Comunque dopo tre settimane e più di digiuno, dovrebbe cominciare a sentire i morsi della fame” borbottò la cuoca smilza.
“E invece?”
“Invece non tocca cibo con un’ostinazione che ha del disumano!”
Gwyndolin ascoltò quelle parole sempre più perplesso: si domandò cosa stava succedendo a sua madre. Era d’accordo che la perdita del Primogenito era stato un brutto colpo per tutti, ma addirittura da lasciarsi morire di fame? Forse sarebbe stato meglio far intervenire Gwyn, a quel punto.
Decise di correre, sempre rimanendo invisibile, nella stanza di consiglio, il luogo dove suo padre prendeva le decisioni più importanti per Anor Londo.
Quando entrò nella stanza, Lord Gwyn stava parlando con Artorias. Il Lord del Sole appariva più magro e più scontroso di prima: Gwyndolin provò un brivido di adrenalina quando incontrò gli occhi dorati del padre.
“Nani… nani antropomorfi?” domandò il Lord del Sole con tono disgustato.
Artorias annuì, inginocchiato di fronte a Gwyn. “Sono uomini più piccoli e minuti di noi. Non sembrano particolarmente resistenti, ma sono numerosi.”
“Potresti vincere contro di loro?”
“Senza dubbio” confermò il Cavaliere di Gwyn. “Ma non ci sono ostili.”
Il Lord del Sole non sembrava convinto: dopo l’esilio del Primogenito, accettava ogni novità con sospetto. Il fatto che esistessero questi nani, che avevano sembianze antropomorfe, e che fossero così numerosi lo infastidiva. “Quanti sono esattamente?”
“Hanno fondato delle città” rispose Artorias.
“Se accetteranno il mio dominio non li sterminerò. Ma voglio conoscere la loro origine” decise alla fine il Lord del Sole. Si sentiva ancora in colpa per come aveva reagito con il suo Primogenito, non lo aveva neanche ascoltato, e pensava che in questo modo avrebbe potuto fare ammenda.
Artorias fece un cenno del capo e si ritirò.
Gwyndolin rimase da solo con il padre: lo vide sospirare tristemente e guardarsi i piedi come un bambino colto sul fatto dal genitore. Il figlio provò pena per Gwyn: in quel momento non sembrava per nulla il grande sovrano di Anor Londo. Doveva essere molto triste. Gwyndolin fece qualche passo verso il padre e si fermò proprio di fronte a lui: per un momento si guardarono negli occhi.
Gwyn avvertiva la strana sensazione di essere osservato, ma era da solo nella stanza.
Gwyndolin sorrise della sua espressione perplessa e uscì dalla sala correndo: non voleva approfittare della sua fortuna, in quei giorni.

Gwyndolin, Gwynevere e Ornstein entrarono nella stanza della moglie di Gwyn, forzando la serratura.
La donna era sempre stata incredibilmente bella ed affascinante. Era alta e slanciata, ma aveva le forme al punto giusto. I suoi capelli erano biondi e ricci, lunghi fino ai lombi, gli occhi blu come il cielo serale, circondati da ciglia scure. Le sue labbra erano carnose e rosee, sempre perfettamente curate.
Gwynevere aveva ereditato dalla madre sensualità ed eleganza.
Quella che però Gwyndolin aveva davanti non era la moglie di Gwyn: il suo viso era diventato scheletrico, alcune ciocche di capelli erano cadute, il vestito era stato strappato in più punti, si era tirata via la pelle delle labbra e quel poco trucco che indossava quotidianamente era colato. Si trovava in una posizione accucciata e si guardava intorno, come se non capisse più dove si trovava.
“Madre?” domandò in un sussurro Gwynevere.
La moglie di Gwyn si voltò verso la ragazza che l’aveva chiamata e inclinò la testa verso destra, esibendo un’espressione perplessa.
Gwyndolin era rimasto raggelato dall’aspetto della madre: stentava a riconoscerla. Davvero l’esilio di suo figlio le aveva fatto così male?
Gwynevere era spaventata dall’aspetto della madre e dal suo strano modo di comportarsi.
Ornstein si mise davanti alla Principessa, facendole da scudo con il proprio corpo. La moglie di Gwyn non sembrava ostile, più che altro confusa, ma certamente era diversa. Il Cavaliere non riusciva a sentirsi a suo agio con quella donna. Gwyndolin era davanti a lui, completamente scoperto, ma non sembrava spaventato.
Il bambino fece lentamente un passo avanti nella direzione della donna.
La moglie di Gwyn lo osservò avvicinarsi, sempre più confusa.
“Madre…” mormorò Gwyndolin tendendo una mano verso di lei. In qualche modo si riconosceva nello sguardo triste della donna.
La moglie di Gwyn scattò veloce come una vipera verso il bambino. Cercò di arrivare con una mano alla sua gola per soffocarlo, ma gli strani poteri di Gwyndolin la respinsero con un’onda di energia e la mandarono a sbattere contro il muro dietro di lei.
“Madre!” esclamò Gwynevere.
Ornstein la trattenne, ma bastò solo la voce della Principessa del Sole a far rinsavire la donna che sembrò ritrovare la lucidità e tornare mansueta.
Gwyndolin rimase impassibile di fronte all’attacco della donna che l’aveva messo al mondo: era già stato rifiutato una volta, una seconda non gli avrebbe cambiato la vita.
Ornstein e la Principessa del Sole uscirono dalla stanza della moglie di Gwyn e la fanciulla trascinò con sé anche il fratello minore.

Ornstein stava facendo rapporto a Gwyn sull’incontro di Gwynevere con la propria madre. “E quando ha attaccato il bambino siamo letteralmente scappati fuori” concluse il Cavaliere.
Il Lord del Sole ascoltò le sue parole in silenzio. Era grato a Ornstein per aver protetto la sua adorata Gwynevere, ma provava una strana sensazione anche per Gwyndolin. Non considerava quel bambino suo figlio perché non vedeva i tratti del Sole in lui, ma in un certo senso lo stimava per la personalità forte che aveva dimostrato di possedere: non temeva la solitudine e non aveva certo paura di guerrieri come Smough. “Indagherò personalmente” mormorò infine.

Gwyndolin si buttò sul suo letto, pensieroso.
L’esilio di suo fratello era stato un brutto colpo per tutti, e sicuramente di più per la madre, ma non pensava che avrebbe digiunato così caparbiamente per tre settimane. Avrebbe dovuto patire i morsi della fame o la solitudine almeno, ma sembrava ignorare tranquillamente entrambi. Inoltre non sembrava riconoscere i volti dei suoi familiari: c’era qualcosa di strano in lei.
“Posso?”
Gwyndolin riconobbe la voce di Velka: sapeva che prima o poi gli avrebbe rivolto parola, ora che era rimasto senza la protezione del fratello maggiore.
La Dea del Peccato entrò nella stanza senza aspettare il consenso del bambino e si avvicinò a lui, sedendosi sul letto. “Come ti senti?” domandò cordialmente.
Gwyndolin rimase in un silenzio ostile.
“Sto cercando di essere carina con te” ribatté la Dea, piccata.
“Nessuno te lo ha chiesto” ribatté il bambino. “Anzi, quello che penso è che stai cercando di conquistare la mia fiducia per farmi entrare nei tuoi domini. Come hai fatto con Priscilla. Perché ora non sono più protetto da mio fratello.”
Velka rise malignamente. “Va bene, va bene: ci ho provato, non è il caso di essere così duro con me. In fondo sono stata anche gentile, ti ho avvertito che tuo fratello avrebbe lasciato Anor Londo.” 
Per Gwyndolin fu come un fulmine a ciel sereno. “Già… tu come facevi a saperlo?”
La dea fece spallucce. “Una semplice intuizione.”
Il bambino le lanciò uno sguardo così penetrante, che per un secondo ricordò quello di Lord Gwyn. “Non credo alle tue intuizioni. Devi sapere qualcosa che non so.”
“Se non lo sai…”
“Lo scoprirò” ribatté Gwyndolin.
“Sono venuta qui solo per dirti che comunque tuo padre non ti degnerà di uno sguardo anche se tuo fratello ha lasciato Anor Londo” gli occhi di Velka, da dietro la maschera, sorrisero. “Resterai comunque un abominio e prima o poi pregherai per entrare nei miei domini.”
Il bambino la guardò sprezzante. “Tu continua a sperarci.”
“Ah… e ti consiglio di sfruttare la presenza di tua madre: anche lei sta per lasciare Anor Londo.”

Non ho molto da dire di questo capitolo, solo che Havel e la madre di Gwyndolin ovviamente cominciano a diventare vuoti... e ovviamente questo cambierà il mondo roseo in cui Gwyn vive. xD Dal prossimo capitolo si entra nel vivo della storia! ;)
Grazie a chi leggerà e a chi recensirà questo capitolo!
WindSlayer


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Capitolo 5
*** Morte ***


E’ passato un po’ di tempo dal mio ultimo aggiornamento, ma capitemi: sono estremamente disorganizzata e dovevo dare un esame. xD E’ un po’ più corto rispetto ai precedenti, ma siamo arrivati al punto. Buona lettura! :3
VEREOR NOX: GWYNDOLIN, SOLE OSCURO
http://i284.photobucket.com/albums/ll4/lullaby22/2gwynmod_zpsgtwjs5vd.jpg
Capitolo Cinque: Morte
Gwyndolin rimase impressionato dall’esistenza di quella nuova razza: sembravano del tutto simili a loro a parte le dimensioni ridotte.
“Nani”, così li aveva battezzati Gwyn, visto quanto erano piccoli rispetto agli abitanti di Anor Londo. Non sembravano fisicamente resistenti ma la loro origine era sconosciuta.
Il bambino rimase affascinato da quelle piccole ma ostinate creature. Si dimostravano docili con gli abitanti di Anor Londo; forse erano spaventati dalle loro dimensioni maggiori. Avevano costruito le loro città, però, non avevano avuto bisogno di un Lord che li benedicesse e li proteggesse dal buio. I nani, al contrario, sembravano abbracciare l’oscurità.
“Nostra madre…”
La voce di sua sorella lo riportò alla realtà: si era di nuovo perso nelle sue congetture sui nani. Il bambino la guardò interrogativamente senza domandarle quando effettivamente fosse entrata nella biblioteca di Gwyn.
“Mi riconosce a malapena. Che cosa le prende?” la Principessa del Sole si sedette di fronte al bambino con le mani fra i capelli rosso fuoco.
Gwyndolin scompariva dietro il cumulo di libri che stava leggendo. Erano tutti impilati sul tavolo per ordine di argomento. Rimase in silenzio, incapace di confortarla: non condivideva la tristezza della sorella e non era in grado di consolarla.
La Principessa del Sole sospirò e alzò gli occhi. “Cosa stai studiando?” gli domandò con sospetto.
Gwyndolin riconobbe lo sguardo della sorella: era lo stesso di Gwyn, così carico di freddezza. “Niente” borbottò il bambino.
Non se la sentiva di condividere con la sorella le sue conoscenze. Da quel poco che aveva compreso, Gwyn temeva la magia così come gli abitanti di Anor Londo. Il PArimogenito e Velka erano le uniche eccezioni nella città-fortezza, ma ovviamente la dea del peccato non riscuoteva la sua simpatia.
“A nostro padre non piace che tu passi tanto tempo qui, a leggere questi libri.”
“A nostro padre non piaccio io.”
Gwynevere e Gwyndolin si scambiarono un’occhiataccia.
“Comunque…” la Principessa del Sole tornò a sospirare cupamente. “Cosa possiamo fare per nostra madre?”
Il bambino fece spallucce, guadagnandosi l’ennesima occhiataccia da Gwynevere.
“Tu leggi sempre questi libri, sai sicuramente cosa le succede!” esclamò la sorella.
“Non sono un medico” ribatté il bambino.
“I medici sono stati completamente incapaci di aiutarla” Gwynevere aveva uno sguardo fermo e allo stesso tempo disperato. “Mi serve qualcuno con le tue conoscenze.”
Il bambino incrociò le braccia al petto esibendo un’espressione seria. “Le mie conoscenze non servono per curare la mente di una persona…”
La Principessa del Sole fu irremovibile. “Tu. Devi. Provare.”

Anche quella volta Gwynevere, Gwyndolin e Ornstein entrarono nella camera della moglie di Gwyn e la donna li ignorò.
Il bambino rimase in disparte ad osservarla: i suoi capelli erano sempre meno e la sua pelle stava assumendo un colorito poco salutare. Era sempre più magra. Gli occhi era sempre più incavati e le guance scheletriche così come il resto del suo corpo. La sua bellezza era svanita.
“Madre…” Gwynevere si portò le mani alla bocca.
Ornstein si mise davanti alla Principessa del Sole facendole da scudo: ricordava che la moglie di Gwyn si era dimostrata ostile l’ultima volta e si aspettava una reazione simile.
La donna si voltò verso di loro lentamente mugolando qualcosa. Forse non voleva dire niente di sensato, ma tutti e tre i visitatori istintivamente cercarono di capire il significato dei suoi versi.
Gwyndolin si perse nello sguardo di sua madre: era vuoto. Li guardava ma non li vedeva.
“Gwyn…” borbottò la donna.
“Madre?”
Gwynevere fece un passo avanti senza riuscire a trattenersi. Si stava riprendendo forse? La Principessa del Sole sorrideva, quasi piangeva di commozione.
Poi sua madre incrociò i suoi occhi e la sua espressione confusa assunse tratti animaleschi.
La Principessa del Sole non fece in tempo a sottrarsi alle mani della moglie di Gwyn, ma in un lampo di lucidità si rese conto di essere in trappola.
Ornstein fece uno scatto in avanti ma non ebbe la possibilità di usare la sua lancia perché temeva di colpire Gwynevere nel tentativo. Fu Gwyndolin a salvare la sorella con un incantesimo, come la prima volta. “Non è in lei, non vedi?” esclamò. “Non posso fare niente: non ha un braccio che le fa male, è la sua mente il problema. Non ti riconosce neanche.”
“E’ per l’assenza di mio fratello, ne sono certa!” ribatté la Principessa del Sole.
Tutta l’attenzione di Ornstein era occupata dalla moglie di Gwyn che giaceva a terra, stordita dall’incantesimo del suo ultimogenito, perciò non stava dando ascolto alle parole dei due fratelli.
Gwyndolin aveva notato che sua sorella aveva detto ‘mio fratello’ non ‘nostro’ e che l’aveva involontariamente escluso dal ramo familiare.
Era un’abitudine che la moglie di Gwyn le aveva inculcato fin dalla nascita dall’ultimogenito. “Non mi interessa il motivo del suo malessere: ti sto dicendo che per la sua mente non posso fare niente. E, fatalità, è proprio la sua mente il problema.”
“Allora perché leggi quei libri di magia?! Dovrai usarla in qualche modo!”
Gwyndolin fronteggiò lo sguardo accusatorio della sorella senza difficoltà: era convinto di essere nella ragione e dopotutto non poteva forzare i limiti della magia. “Ovviamente. Ma ogni incantesimo ha il suo scopo e il suo limite.”
Gwynevere assunse un’espressione addolorata. “E come facciamo con lei? Non puoi lasciarla in questo stato!”
La moglie di Gwyn si alzò in piedi e si lanciò su Gwynevere, ma questa volta Ornstein fu veloce ed implacabile e la trafisse con la sua arma1.
Gwyndolin e la Principessa del Sole raggelarono.
“Che cosa hai fatto?” esclamò la fanciulla, mettendosi le mani fra i capelli. “Che cosa hai fatto?!”

Lord Gwyn ascoltò il racconto di Ornstein, che continuava a chiedere perdono per ciò che aveva fatto. Non gli importava nulla di quella che era stata la sua compagna per anni fin da quando aveva dato alla luce quello sgorbietto. Dopo anni ancora si ostinava a ripetere che non aveva mai tradito il Lord del Sole e che quel mostriciattolo era realmente suo figlio.
“Mi hai fatto un favore” disse infine.
“Mio Signore?” Ornstein non riusciva a credere alle sue orecchie.
“Sì, mi hai fatto un favore” ripeté il Lord del Sole. “Quella donna, in quelle condizioni pietose, non mi era utile. Anzi, era un peso. L’avrei uccisa personalmente ma Gwynevere non me l’avrebbe mai perdonato.”
L’Ammazzadraghi ascoltò quelle parole e sentì il petto fargli male: Gwynevere non avrebbe perdonato neanche lui per il suo gesto.
Dall’esilio di Havel e del Primogenito di Gwyn, la Principessa del Sole aveva disperatamente cercato qualcuno in grado di aiutare la madre.
Lord Gwyn gli concesse un sorriso. “Sapevo che prima o poi qualcuno l’avrebbe uccisa visto che mia figlia continuava a farle visita.”
Ornstein si rese conto di aver fatto inconsapevolmente il gioco del Lord del Sole. Era un piacere compiacerlo ma non si sentiva felice nel sapere di avere danneggiato il suo rapporto con la Principessa a causa di un trucchetto di Gwyn.

2Artorias tornò dopo qualche settimana ad Anor Londo. Disse che quei piccoli esseri erano docili e indifesi rispetto a loro e che non si sarebbero opposti al dominio di Gwyn.
Aveva trovato solo una cosa particolarmente sospetta: dentro una grotta oscura aveva trovato un omino che teneva tra le mani un’anima potente. Era un piccolo essere che i suoi simili chiamavano “il Padre”. Quella creatura sembrava aver compreso l’immenso potenziale delle anime e perciò si rifiutava di disfarsi di quella che possedeva.
Gwyn annuì e sorrise. “Sono in possesso di anime potenti…”
“Solo quella creatura, mio Signore” precisò il guerriero.
“Sì, certamente.”
Artorias vide il sorriso di Gwyn trasformarsi in un ghigno avido.
“Sono esseri così piccoli e infimi… perché possiedono anime potenti?” domandò il Lord del Sole.
“Mio Signore, è una sola anima potente” Artorias continuava a puntualizzare ma Gwyn sembrava non ascoltarlo.
“Sì, certo” Gwyn piantò i suoi occhi dorati in quelli scuri del Cavaliere. “Voglio quelle anime.”

Artorias accettò suo malgrado l’incarico del Lord del Sole e tornò indietro, nei villaggi abitati da quelle che lui chiamava “le piccole creature” a prendere quell’anima così potente. Il suo orgoglio di Cavaliere su ribellava ostinatamente, ma la sua fedeltà per il sovrano di Anor Londo era più forte di tutto.
Sif, il suo compagno di battaglia, stava uggiolando al suo fianco per fargli comprendere che non era assolutamente d’accordo.
Artorias però era taciturno quanto testardo e quando si parlava di onore, niente riusciva a fargli cambiare idea. Il Cavaliere era tornato ad Anor Londo ed era subito ripartito per i villaggi delle piccole creature senza dire nulla a nessuno. Arrivò alla meta in una settimana di viaggio, in compagnia di Sif, e le piccole creature lo riconobbero immediatamente. Il Cavaliere non disse nulla e si incamminò verso la grotta abitata dal Padre.
“Dammi quell’anima” gli intimò Artorias.
La piccola creatura strinse l’anima tra le sue dita. “E’ mia! L'ho trovata io!”
“Non ho intenzione di ucciderti.”
Artorias non era interessare a macchiare ulteriormente il suo onore uccidendo una creatura indifesa che neanche volendo avrebbe potuto dargli del filo da torcere.
3Il piccolo uomo era rannicchiato se stesso ad osservare maniacalmente il suo tesoro. Era denutrito: gli occhi erano incavati ma illuminati da una luce folle. Sul suo viso c’era un sorriso animalesco. Durante la sua prima visita, Artorias l’aveva sentito sussurrare a quell’anima, che emanava una luce oscura, e vezzeggiarla come se fosse stato un cucciolo.
La creatura si alzò su quelle misere gambette e lo guardò dritto negli occhi.
“Gwyn non la avrà mai.”
“Come-”
Il piccoletto strinse così forte l’anima tra le dita che la dissolse nell’aria.
“Cosa hai fatto?!” esclamò Artorias, incredulo. Quello era un vero affronto nei confronti dell’intera Anor Londo.
“E non avrà neanche me!”
La creatura si lanciò contro Artorias e il Cavaliere istintivamente lo trafisse a morte con il suo spadone.
Quello che le piccole creature chiamavano “Padre” spirò ridacchiando. “Di’ a Gwyn che tornerete nel buio e lui non potrà fare niente per impedirlo.”

Un po’ di note, prima di tutto:
1Vi ho già detto che della moglie di Gwyn non si sa nulla. Né un nome né altro. Quindi ho ipotizzato che potesse aver fatto una brutta fine.
2Da quel che ho capito dalla lore, Artorias incontra il nano fortivo. Non si sa come il nano furtivo muoia, si sa che muore, ma non riesce ad ottenere l'Anima Oscura. xD
3Il nano furtivo è basato, proprio secondo gli sviluppatori, sul personaggio di Gollum de Il Signore degli Anelli (nonché uno dei miei preferiti *-*) perciò ho pensato di descriverlo rendendo il tutto abbastanza simile al tesssssoro xD Me lo immagino ossessionato e magari plagiato dalla particolarità dell’Anima Oscura ma comunque abbastanza sveglio. :3 Ho immaginato che potesse avere il rispetto delle sue creature che lo chiamano Padre… anche basandomi su ciò che gli succede dopo. Senza fare spoiler a chi non conosce Dark Souls ;)
Mmm mi pare di aver finito. Come dicevo, è un po’ più corto dei precedenti ma ne vado particolarmente fiera. ^^ Spero vi piaccia.
Un bacio,
WindSlayer

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Capitolo 6
*** Paura ***


Dopo anni e anni... un nuovo capitolo! \*-*/ Non dico nulla riguardo al capitolo... ci vediamo in fondo alla pagina per le note! ;)

VEREOR NOX: GWYNDOLIN, SOLE OSCURO
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Capitolo Sei: Paura

Gwyn non prese bene l’essere stato privato di quell’anima così potente. Aveva deciso, non appena Artorias gliene aveva parlato, che sarebbe stata sua. Non poteva sopportare che un esserino così microscopico, in confronto alla loro statura, gli avesse rubato un tesoro del genere.
Artorias era tornato ad Anor Londo incredulo: mai avrebbe pensato che quel nano si sarebbe suicidato gettandosi sul suo spadone piuttosto che consegnare l’anima che Gwyn desiderava. Non avrebbe mai creduto di tornare con la notizia di un fallimento.
Gwyn divenne ancora più intrattabile e allontanò da sé persino sua figlia, la sua adorata Gwynevere. Con il passare del tempo sembrava sempre più ossessionato dal guadagnare potere.
La Principessa invece cercava disperatamente di avvicinarsi a suo padre: era la sola famiglia che le rimaneva dopo l’allontanamento del primogenito e la morte della madre. Evitava accuratamente Ornstain: non sospettava l’esistenza il tranello di Gwyn. Ovviamente il terzogenito non era contemplato nel suo ramo familiare. Era come diceva Gwyn: lui era diverso. I discendenti del Lord del Sole sembravano avere luce liquida al posto del sangue perché brillavano dall’interno. Il piccolo Gwyndolin, invece, era molto più simile a quei nani che avevano privato Gwyn dell’anima che desiderava: non aveva una luce interna ed era più basso e mingherlino dei suoi consanguinei. In più, agli occhi di Gwynevere, il bambino non era riuscito ad aiutare la madre causandone la morte.
Tutte le altre divinità di Anor Londo non si accorsero del cambiamento di Gwyn: era sempre stato un sovrano dedito alla sua patria, ma aveva svelato il vero se stesso solo ai suoi consanguinei. Agli occhi di tutti era sempre stato saggio, potente e incrollabile. Non si resero conto che ormai per lui contava solo il suo trono.
E passarono degli anni.

Gwyndolin era affacciato al grande balcone di Anor Londo ad osservare il sole che si alzava e diventava sempre più forte.
“Ah, è strano incontrarti fuori dalla biblioteca” disse Velka, affiancandosi a lui.
Gwyndolin ormai non era più un bambino ma un giovane adolescente. Il tempo non l’aveva reso più simile al padre, anzi, aveva aumentato le loro differenze. I lineamenti del bambino erano diventati molto delicati e femminili, simili a quelli di Gwynevere, e la sua pelle così pallida da dover rifuggire il sole nelle ore più calde.
“Velka… non hai nessun altro da perseguitare?”
La dea del peccato ridacchiò. Il tempo aveva reso il corpo di Gwyndolin ancora più esile e debole, se lo si voleva paragonare a quello di Gwyn, ma il suo carattere si era rafforzato e ormai non temeva quasi più nessuno: la sua magia era diventata più potente di qualsiasi guerriero. “Sai che la risposta sarebbe negativa” rispose la donna. Gwyndolin era l’unico odiato dal Lord del Sole ad avere il permesso di abitare ad Anor Londo. Gwyn non aveva mai costretto suo figlio a rinchiudersi dentro il dipinto di Ariamis: forse non aveva il coraggio, alla fine, di fare, ancora una volta, qualcosa contro la sua famiglia.
Cadde il silenzio.
“Tuo padre si comporta in modo strano.”
“Sono anni che si comporta in modo strano.”
Velka non riuscì a reprimere un sorriso sotto la maschera che portava. “E tu non intendi fare nulla a riguardo?”
Il giovane la incenerì con i suoi occhi dorati. “Mi confondi con uno dei Cavalieri di mio padre, per caso?”
“No, come potrei?” rise la dea, guadagnandosi l’ennesima occhiataccia. “Mi sembra solo strano che tua sorella non ti abbia interpellato e non abbia chiesto aiuto alle tue capacità. Non l’ha fatto?”
“Perché ti interessa?”
Velka rivide, per un secondo, il primogenito e la sua costante diffidenza. Forse era per la strana somiglianza che accumunava Gwyndolin e il primogenito di Gwyn, che il Lord del Sole non riusciva ad allontanare il suo scomodo figlio più piccolo. “Non mi interessa, mi chiedevo solo se tua sorella avesse cambiato le sue abitudini.”
“Non ti riguarda.”
Con il passare degli anni Gwyndolin si era reso conto che Velka non rappresentava affatto un pericolo ma più una figura che compariva nei momenti meno opportuni. Il fatto che avesse studiato e potenziato le sue capacità, superando anche quelle della dea del peccato, aumentava ancora di più la sua sicurezza e la sua sfacciataggine.
Dal balcone dove era affacciato, Gwyndolin notò la processione di alcune persone che indossavano una lunga tunica nera che copriva i loro volti con dei cappucci.
“Ma quelle non sono le Streghe di Izalith?” domandò Velka improvvisamente interessata.
“Sì, sono loro” Gwyndolin si sporse un po’ di più.
“Cosa ci fanno qui?”
Le Streghe erano dirette verso la grande entrata di Anor Londo con il loro incedere calmo ma regale.
Il giovane lanciò uno sguardo inceneritore a Velka. “Smettila di seguirmi” le intimò rientrando nella città-fortezza e scomparendo magicamente alla sua vista.
La dea del peccato continuò a sorridere dietro la maschera. Sì, gli anni avevano cambiato Gwyn e i suoi figli. In particolare il piccolo Gwyndolin.

“Te ne sarai reso conto anche tu” disse Izalith.
Lo sguardo che Gwyn le rivolse fu totalmente folle. “Come può accadere una cosa del genere?”
“Non ne ho idea, ma si sta spegnendo.”
Gwyndolin si era reso invisibile e stava ascoltando la conversazione tra Izalith e suo padre. Da quando il primogenito aveva lasciato Anor Londo, il ragazzino aveva potuto ascoltare tutte le conversazioni che desiderava perché nessun altro aveva la capacità di percepirlo come faceva il dio della guerra. Gwyn e la Strega stavano parlando della Prima Fiamma, il simbolo del loro potere, che bruciava con sempre meno intensità.
“Che intendi, di preciso?”
Izalith fece un gesto di stizza. “Cosa intendo? Intendo che la Prima Fiamma sta perdendo potere. Come vuoi che te lo dica? Sta per spegnersi.”
Gwyn assunse un’aria spaventata. “Tra quanto potrebbe spegnersi?”
Gwyndolin si sedette per terra godendosi una conversazione che sarebbe stata lunga e molto probabilmente interessante.
“Abbiamo tempo, se è questo che ti preoccupa. Molto. Ma si spegnerà.”
Il Lord del Sole sbatté un pugno sul bracciolo del suo trono. “Impedisciglielo!”
Le figlie di Izalith, che si facevano chiamare ‘Figlie del Caos’, borbottarono tra loro, incredule per il modo in cui il Lord del Sole si rivolgeva alla Strega. Non gli era mai piaciuto il modo in cui Gwyn trattava gli eroi con cui aveva sconfitto i draghi.
Per il mondo era solo merito del Lord del Sole se avevano potuto dar vita all’Era del Fuoco, ma in realtà aveva avuto molti compagni al suo fianco. I più importanti gli restavano fedeli, ma molti stavano perdendo fiducia nei suoi confronti e questo lo rendeva persino più scontroso.
“Posso provare, ma…”
“Tu devi riuscire!”
Izalith e Gwyn si guardarono intensamente negli occhi per un lungo momento.
Gwyndolin sapeva che la Strega era dotata di una personalità molto forte. Si era legata al Lord del Sole per sconfiggere i draghi immortali, desiderosi di raggiungere la superficie, ma dopo quell’evento raramente erano andati d’accordo e così lei si era ritirata ad Izalith per poter praticare liberamente la sua magia.
Gwyn era sempre stato accecato dal comando: sul campo di battaglia era stato fenomenale e provvidenziale, ma da quando era diventato il sovrano dell’Era del Fuoco e di Anor Londo era diventato pigro e ancora più pieno di sé. Ormai credeva che tutto gli fosse dovuto e nessuno avrebbe potuto privarlo del suo trono.
“Ci proverò, Gwyn. Neanche io voglio tornare al Buio” disse la Strega di Izalith trattenendo un tremito.
Gwyndolin restò immobile e guardò Izalith lasciare il grande salone di Anor Londo accompagnata dalle sue Figlie, come in processione.
Il Lord del Sole lanciò un grido furente facendo accorrere il fedele Ornstein.
“Mio Signore?” domandò il cavaliere.
Gwyn prese la sua corona, che portava sempre tra i capelli, e gliela lanciò contro con un altro grido di rabbia.
Gwyndolin, ancora invisibile, scosse la testa: il Lord del Sole era sempre eccessivo nelle sue esternazioni.

Velka sorrise guardando Gwyndolin dormire profondamente nel suo letto.
La vita non era stata generosa con lui: i suoi genitori l’avevano rifiutato, sua sorella l’aveva rifiutato e l’unico che l’aveva mai amato era stato esiliato. Nonostante tutto non era diventato un essere debole, certo non era forte fisicamente come Gwyn, ma a modo suo era diventato un valido guerriero.
Da bambino era poco più che autosufficiente, sempre nascosto dietro le vesti ampie del Primogenito, ora preferiva comunque rimanere nell’ombra, ma non temeva più così tanto il prossimo: aveva imparato tanti validi incantesimi con cui potersi difendere.
La Dea del Peccato quasi sorrideva di orgoglio guardando quel ragazzo adolescente, prima così debole, che ora si avviava a diventare una figura importante di Anor Londo. Ovviamente solo lei aveva interesse nella sua esistenza.
Ancora attendeva, con impazienza, il momento in cui Gwyn lo avrebbe rinchiuso nel Dipinto di Ariamis e lei avrebbe avuto il controllo totale su quel ragazzino. Perché, sì, veniva rifiutato da tutta Anor Londo, ma era diventato molto altezzoso, a tratti anche odioso, forse inebriato dalla sua potenza.

Gwyndolin stava leggendo in biblioteca, in perfetta solitudine, e stava facendo pratica con degli incantesimi molto semplici.
“Tu sei Gwyndolin, immagino” gli disse una voce che non aveva mai sentito.
Il ragazzo alzò gli occhi e vide di fronte a sé uno dei tanti soldati di Anor Londo. Aveva voce una profonda, molto simile a quella di suo padre, ma in qualche modo era anche dolce. Attraverso l’elmo si intravedevano un bel paio di occhi scuri.
“Sì, sono io.”
Gwyndolin non si stupì del fatto che quel soldato non lo conosceva: da quando aveva imparato a rendersi invisibile passava la maggior parte del tempo in quello stato e ormai era diventato solo una voce di corridoio. Solo i più vicini a Gwyn sapevano com’era fatto e che esisteva davvero.
“Lord Gwyn desidera vederti.”
Questo sorprese Gwyndolin: suo padre lo stava convocando? Chiuse subito il libro che stava leggendo e quasi corse nel salone dove si trovava il trono di suo padre. Aprì la porta con la magia, talmente era emozionato. “Padre! Volevi vedermi?”
Il Lord del Sole lo fulminò con lo sguardo. “Lord Gwyn, per te, sgorbietto.” 
Gwynevere, come sempre seduta sul bracciolo del trono di Gwyn, ridacchiò malignamente.
Gwyndolin rimase raggelato al suo posto: aveva creduto che il Lord del Sole volesse riappacificarsi con lui, accettarlo, finalmente. Provò il desiderio di rendersi invisibile ma resistette alla tentazione fronteggiando lo sguardo duro di suo padre. “Volevi vedermi?” ripeté.
Gwyn rimase in silenzio qualche secondo credendo che il ragazzo avrebbe continuato la frase chiamandolo che l’appellativo che meritava, ma non lo fece. Era incredibilmente testardo. “Sì. Ci sono delle persone che volevano vederti.”
Il grande portone dorato della stanza si aprì, spinto dalle guardie giganti, lasciando entrare gli incantatori di Seath.
Gwyndolin sentì il sangue defluirgli dalla testa alle gambe. Osservò in silenzio gli incantatori avvicinarsi a suo padre e sua sorella e inchinarsi al loro cospetto, ascoltando il tintinnio dei loro pendenti dorati, senza sapere cosa dire. Uno di loro lo guardò fisso negli occhi, sorridendo arcigno.
“Li riconosci?” sorrise Gwyn.
“Sì” riuscì a rispondere Gwyndolin combattendo il groppo alla gola.
Gwynevere continuava a sorridere malignamente: desiderava ardentemente liberarsi di quel mostriciattolo. Gli aveva chiesto soltanto di liberare sua madre dal suo malessere, ma non c’era riuscito e la sua incompetenza aveva portato al suo brutale assassinio. Da quando sua madre era stata uccisa non vedeva di buon occhio neanche Ornstein ma l’oggetto principale del suo odio era sempre Gwyndolin.
“Bene, allora sai già che Seath ti desidera” continuò il Lord del Sole.
“In realtà non lo immaginavo.”
Gli occhi di Gwyn brillarono folli. “Voglio sapere perché sei così.”
Gwyndolin rimase al suo posto: sarebbe stato usato come cavia da Seath il Senzascaglie con il consenso di suo padre.
Uno degli incantatori, dopo il cenno di consenso del Lord del Sole, si avvicinò a Gwyndolin e lo prese per il polso.
Il ragazzino non si oppose: si sentiva dispiaciuto e impaurito per l’ennesimo abbandono del padre, ma riuscì a nascondere la sua delusione. In un certo senso voleva scoprire com’erano gli Archivi del Duca di Seath che avevano spinto Havel e il Primogenito a tradire Gwyn e il creatore di Priscilla.
Gwynevere lo salutò con la mano mentre l’incantatore lo trascinava fuori dal salone.
Mentre usciva dalla città-fortezza incontrò i Quattro Cavalieri di suo padre, che rimasero tristemente a guardarlo, e Smough che fu l’unico che scoppiò a ridere malignamente.
Di tutti, però, solo Gwyn quasi non lo degnò di uno sguardo.

Eccoci qua. :D
Lo ammetto: il capitolo potrebbe essere considerato corto... ma ehi! Avete capito che succede? Gwyn vende Gwyndolin a Seath che ha perso completamente la brocca xD Aaaaah l'amore paterno. Non mi sono inventata nulla: nella lore del gioco ci sono delle supposizioni su "un incontro" tra Gwyndolin e Seath perchè il Drago crea la Farfalla della Luna che sembra avere dei poteri in comune con i poteri del terzogenito. Ecco come secondo me è andata xD
E ora come farà Velka senza il "suo" piccolo Gwyndolin?
Ps: spero che questo ritorno in carreggiata vi faccia piacere! :D
Un bacio,
WindSlayer

 

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