Vereor Nox: Gwyndolin, il Sole Oscuro di WindSlayer (/viewuser.php?uid=267742)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Gwyndolin ***
Capitolo 2: *** L'Errore ***
Capitolo 3: *** Esilio ***
Capitolo 4: *** Solitudine ***
Capitolo 5: *** Morte ***
Capitolo 6: *** Paura ***
Capitolo 1 *** Gwyndolin ***
Questa
è la prima storia che scrivo sul mondo di Dark Souls,
perciò siate clementi, per favore! >.<
E'
la storia (come me la sono immaginata) di Gwyndolin, un personaggio che
ho amato fin da subito. Ovviamente, visto il poco che si sa di lui, la
maggior parte delle cose che scriverò saranno di origine
speculativa, ma cercherò di essere il più fedele
possibile alle poche cose canoniche della sua storia. :D
Cercherò di renderla comprensibile anche per chi non conosce
il mondo di Dark Souls con delle note in fondo al capitolo. Per il
resto... spero di non aver fatto errori grammaticali >.<
Buona
lettura! :D
1“Nell’Era
degli Antichi, il mondo era amorfo e avvolto dalla nebbia: un regno di
rupi grigie, alberi giganti e draghi eterni.
Poi
venne il Fuoco.
E
con il Fuoco venne la Diversità: caldo e freddo, vita e
morte, e infine... Luce e Tenebra.
Poi
dall’Oscurità giunsero loro e trovarono le Anime
dei Lord tra le fiamme: Nito il primo dei morti, la Strega di Izalith e
le Figlie del Caos, Gwyn il Lord del Sole, e i suoi fedeli cavalieri, e
il nano furtivo spesso dimenticato.
Con
la Forza dei Lord essi sfidarono i draghi: i potenti dardi di Gwyn
perforarono le loro scaglie di pietra, le streghe invocarono immense
tempeste di fuoco, Nito rilasciò un miasma di morte e
malattia, Seath il Senza Scaglie tradì i propri simili... E
i draghi si estinsero.
Così
ebbe inizio l’Era del Fuoco.
Ma
presto le fiamme svaniranno e resterà soltanto
l’Oscurità.
Anche
ora, restano soltanto le braci e l’uomo non vede la luce ma
solo notti eterne. E tra i viventi si distinguono i portatori del
maledetto Segno Oscuro.”
VEREOR NOX: GWYNDOLIN, IL
SOLE OSCURO
Capitolo Uno: Gwyndolin
Quando si parlava del
suo prossimo figlio in arrivo, gli occhi di Gwyn si illuminavano e il
suo sorriso si allargava.
Aveva grandi speranze
per lui: il suo Primogenito era diventato il Dio della Guerra, era un
guerriero eccezionale e Gwynevere, la sua secondogenita, aveva una
bellezza così folgorante da essersi guadagnata il titolo di
Principessa del Sole prima ancora di essere diventata adulta.
Tutti attendevano con
trepidazione l’arrivo del nuovo membro della famiglia.
Ma non appena il
bambino nacque, Gwyn e sua moglie notarono che non era avvolto da una
meravigliosa luce brillante come i suoi fratelli. Si accorsero della
sua debolezza fisica, era gracile come una bambina e il padre
provò un misto di imbarazzo e ribrezzo per quel figlio
mostruoso. Decise che nessuno avrebbe saputo del loro legame di
parentela e che lo avrebbero allevato come una donna. Fu per questo che
gli donò un nome femminile, nonostante fosse un maschio:
Gwyndolin.2
Nei primi anni di vita
del bambino, Gwyn rifiutava persino di guardarlo e non parlava con sua
moglie: le dava la colpa per la mostruosità del suo
ultimogenito.
Gwyndolin non aveva la
potenza muscolare del fratello più grande e neanche la
bellezza di sua sorella: non sembrava il figlio del Lord del Sole.
Aveva dei lineamenti femminili e delicati e un corpo esile incapace di
brandire un’arma. Inoltre era albino: la sua pelle era
innaturalmente pallida, i capelli argentei, le labbra avevano un
colorito più spento.
Nonostante le sue
debolezze fisiche, il bambino ammirava apertamente il Dio della Guerra
che era in grado di impugnare la sua lancia, infonderla del potere del
sole e colpire un manichino con precisione millimetrica. Desiderava
ardentemente avere la sua forza e le sue capacità e per
questo, in segreto, imitava i suoi gesti con rami molto più
corti ed esili di una lancia. Quando provava ad incanalare la sua
energia, l'oggetto che usava per imitare l'arma del Dio della Guerra
perdeva consistenza e veniva circondato da una luce violacea. Se lo
lanciava, l'oggetto acquisiva la capacità di passare
attraverso gli ostacoli più vicini e tornava consistente
dopo aver percorso una certa distanza.
Gwyndolin sapeva che
suo padre non avrebbe accettato questa sua capacità e decise
che sarebbe rimasta un segreto.
Gwyn, Gwynevere e il
Primogenito posavano di continuo per statue che sarebbero state
inserite tra le grandi colonne bianche di Anor Londo e Gwyndolin
ovviamente non era stato incluso nel progetto: nessuno desiderava
guardare la statua di una creatura esile e mostruosa, mentre gli altri
figli di Gwyn e il Lord del Sole stesso erano la personificazione della
forza e della magnificenza.
Il bambino spesso li
osservava, nascosto dietro una delle mastodontiche colonne bianche del
salone della città fortezza. La loro pelle brillava come se
nelle vene avessero avuto luce solare e non sangue, i capelli erano
scuri come le cortecce degli Arcialberi di cui aveva tanto letto. Tutti
avevano delle bellissime iridi dorate, e quello era l'unico tratto che
li accumunava con Gwyndolin.
Le statue avevano
ovviamente il compito di far sembrare gli Dèi ancora
più maestosi di quanto già non fossero e lo
scultore non faceva altro che riempire i suoi modelli di complimenti.
Di tutti i presenti
solo suo fratello si accorgeva di lui e lo salutava con un occhiolino
di sfuggita. Quando riusciva ad avere le attenzione del primogenito per
qualche secondo, il bambino sorrideva in modo spontaneo: quello era il
segnale che gli dava il permesso di partecipare agli allenamenti dei
Cavalieri di Gwyn.
“Non credere
che io abbia imparato a farlo in un solo giorno” diceva suo
fratello mentre eseguiva l’attacco che Gwyndolin aveva
chiamato Lancia del sole. Era sua abitudine consolarlo quando il
bambino diceva di non essere in grado di eseguire l’attacco
più affascinante e letale che suo padre e il Primogenito
eseguivano alla perfezione.
Era vero che non aveva
imparato subito ad usare i suoi poteri ma il grande legame che aveva
con le armi era stato palese fin da subito.
A insaputa del suo
ultimogenito e su consiglio del Dio della Guerra, il Lord del Sole
seguiva la crescita di quel piccolo sgorbio e più lo
osservava più si convinceva che fosse diverso da loro.
Contrariamente alla
freddezza del padre nei confronti del bambino, Gwynevere lo trattava
dolcemente, forse mossa a pietà dal fatto che quasi nessuno
si curava di lui. Lo metteva a letto e la sera gli rimboccava le
coperte; lo riempiva di parole di consolazione, convinta che prima o
poi avrebbe fatto cambiare idea a Lord Gwyn.
Agli occhi di
Gwyndolin, sua sorella era la madre che non aveva mai avuto
perché quella naturale si era rifiutata di prendersi cura di
lui fin dalla sua nascita a causa della sua diversità.
Adorava i capelli scuri della sorella sempre così profumati
e il suo seno prosperoso su cui poteva poggiare la testa. Lo facevano
sentire protetto e accettato.
Non essendo
considerato un figlio dal membro più importante di Anor
Londo ovviamente non aveva amici e giocava tutto il tempo da solo. Se
quelle ore passate nascosto nell’ombra ad osservare gli
allenamenti del Primogenito e gli incontri diplomatici di Gwyn possono
essere considerate un gioco.
Nessuno si accorgeva
di lui perché sua sorella catturava l'attenzione di tutti i
presenti con la sua bellezza.
Naturalmente,
Gwyndolin non venivano mai nominato: per quasi tutte le
Divinità di Anor Londo lui non esisteva.
Un giorno,
apparentemente senza motivo, Gwyn si presentò nella sua
stanza con in mano una delle sue enormi lance.
Per qualche secondo,
Gwyndolin temette che volesse ucciderlo.
Suo padre lo
afferrò bruscamente per il polso e lo trascinò
fuori su un terrazzo della città-fortezza mettendogli in
mano la sua pesantissima arma. “Dimostrami quello che sai
fare” gli disse, guardandolo severamente dall’alto
in basso.
Il Primogenito
l’aveva convinto a dare una possibilità a quello
scricciolo che tanto desiderava diventare un guerriero. Dentro di
sé era convinto che quel piccoletto non gli avrebbe
riservato nessuna sorpresa: era più gracile di loro, tremava
sempre al suo cospetto e lo guardava con gli occhi di una preda.
Avrebbe dovuto essere un cacciatore, un guerriero, e invece era
mucchietto d’ossa.
Gwyndolin
già lo guardava con occhi grandi e pieni di terrore.
“Padre?” squittì timidamente.
“Infondi la
lancia del potere del Sole” ribatté il Lord.
Gwyndolin
tremò, chiedendosi come avrebbe potuto reagire suo padre al
vedere i suoi strani poteri. Il bambino deglutì e
cominciò a concentrarsi sulla lancia sperando di riuscire ad
usare le abilità che avrebbe dovuto condividere con suoi
familiari.
Invece non accadde
nulla.
“Allora?”
lo incalzò Gwyn.
“I-Io…
Padre, non-”
Il Lord del Sole gli
tolse la lancia dalle mani con un movimento brusco: nei suoi occhi
c'era solo odio. “Sapevo che non eri come noi”
sibilò.
Quelle parole ferirono
profondamente Gwyndolin, che rimase lì a fissarsi i piedi
con gli occhi umidi mentre Gwyn tornava i suoi impegni a passo fiero.
Gli sguardi dei
soldati della città degli Dèi erano puntati su di
lui e bruciavano ardentemente sulla pelle del bambino.
Ad Anor Londo tutto
era meravigliosamente splendente: persino il materiale pallido delle
mura sembrava brillare come il Sole, soltanto Gwyndolin rimaneva
nell’oscurità.
“Ciao,
piccoletto” disse una voce femminile. Sembrava portargli una
sorta di rispetto e allo stesso tempo usava un tono di scherno.
Gwyndolin si
voltò di scatto e vide la Divinità che tutti gli
Dèi allontanavano con sospetto: Velka, Sovrana del Peccato.
Indossava la tunica nera tipica del suo culto, lunga dal collo fino
alle caviglie e non lasciava scoperto nemmeno un lembo di pelle.
Nascondeva il suo volto con una maschera bianca, ma si riuscivano ad
intravedere i vispi occhi verdi. Sulla schiena le ricadevano fluenti
capelli neri come le piume dei corvi, l’animale che la
rappresentava.
Il bambino fece un
passo indietro quando la Dea allungò una mano verso di lui.
“Non puoi
pensare di evitarmi per sempre, giusto?” domandò
Velka.
“Non
capisco…” mormorò Gwyndolin.
Il bambino aveva
sentito alcune voci riguardo alla Dea. Si diceva che in principio fosse
talmente bella quanto diabolica e per questo aveva sedotto molti di
quelli che avevano incrociato il suo cammino. Un giorno, Lord Gwyn
stufo del suo comportamento egoista le aveva sfigurato orribilmente il
viso e il corpo e l’aveva quindi costretta a portare quella
maschera e quelle strane vesti. Ormai incapace di persuadere coloro che
la incontravano, Velka aveva ricevuto la nomina di Dea del Peccato e le
era stato concesso il comando su tutto quello che Lord Gwyn, unica voce
di Anor Londo, considerava sacrilego.
“Prima o poi
tuo padre ti lascerà a me” gli spiegò,
raggiungendo l’altezza del bambino, dopo essersi piegata
sulle ginocchia.
“Non so da
cosa lo deduci, Velka” s’intromise il Primogenito
di Gwyn. Era alle spalle di Gwyndolin che non aveva avvertito la sua
presenza finché non aveva parlato. Mise la mani sulle spalle
gracili del fratellino in segno di protezione. “E ti conviene
andare ad occuparti di ciò che ti compete.”
“Ma io me ne
sto già occupando…”
ridacchiò la Dea.
“Velka, vuoi
che dica a mio padre che mi stai infastidendo?”
La Dea
continuò a ridere ma tornò velocissima ai suoi
impegni.
Gwyndolin non aveva
capito precisamente quello che era successo: Velka, di solito, non
rivolgeva parola a nessuno e rimaneva in disparte perché era
malvista da tutti. Aveva una personalità inquietante: rideva
sempre in faccia al suo interlocutore e sembrava possedere un altro
scopo rispetto a quello che diceva.
“Non devi
mai parlare con lei: di Velka non ci si può
fidare” gli disse suo fratello maggiore.
“Ma
è lei che mi ha rivolto la parola”
“Se succede
ancora, tu ignorala e corri da me” il Primogenito
guardò il Sole che splendeva alto su Anor Londo.
“E’ soltanto in cerca di malignità da
poter dire.”
Gwyndolin si
nascondeva dietro una delle grandi colonne che precedevano la Camera
della Principessa, dove riposava sua sorella, ad osservare
l’allenamento dei quattro Cavalieri di Gwyn quasi tutti i
giorni. Sognava di diventare come loro ed essere accettato da tutta la
città.
Suo fratello
supervisionava gli allenamenti dei quattro migliori soldati di Gwyn con
sguardo severo.
Artorias era il
più taciturno, non parlava mai con nessuno. Indossava una
grossa armatura, ornata da un pezzo di stoffa blu avvolto intorno al
collo. La sua arma era uno spadone che soltanto a guardarlo sembrava
pesare molto ma lui lo maneggiava con maestria.
Ciaran era l'unica
donna del gruppo aveva il soprannome di Lama del Lord per le sue grandi
capacità combattive. A differenza degli altri lottava
restando nell’ombra con pugnali molto probabilmente
avvelenati. Indossava una tunica blu, un corpetto di cuoio che le
marcava i fianchi e manicotti dello stesso materiale. Portava una
maschera per nascondere il volto.
Gough, detto Occhio di
Falco, affilava le frecce del suo gigantesco arco. Le sue
abilità erano state incredibilmente utili durante la guerra
contro i draghi. Era una persona estremamente riflessiva e passava il
suo tempo a costruire e affilare le proprie frecce.
Ed infine, Ornstein,
soprannominato l’Ammazzadraghi, grazie al grande contributo
che aveva dato durante la guerra. Indossava sempre
un’armatura dorata dal suo elmo usciva un pennacchio
rossiccio. L’arma di Ornstein era una lancia avvolta
dall’elettricità.
“E tu? Che
ci fai qui?” disse una voce maschile alle sue spalle.
Il bambino si
voltò spaventato: di fronte a lui c’era Smough, il
Giustiziere. Armato di un enorme martello e di un’ingombrante
armatura, era il boia di Anor Londo che bruciava dal desiderio di
diventare uno dei Cavalieri di Gwyn. Il problema era la sua innata
crudeltà che il fratello maggiore di Gwyndolin disapprovava
e faceva in modo che il Lord del Sole rifiutasse sempre la richiesta
del Giustiziere.3
Gwyndolin
tremò.
“Piccola
pulce fastidiosa!” il boia agitò il suo martello e
lo schiantò a terra accertandosi di schiacciare
l’ultimogenito di Gwyn. Ma il bambino scomparve prima che il
martello si abbattesse su di lui e ricomparve alle spalle di Smough.
“Come diamine-”
Gwyndolin corse in
mezzo alla stanza passando tra le gambe di Artorias ed evitando la
lancia di Ornstain, per poi trovare riparo dietro al fratello maggiore.
“Smough?”
il Primogenito di Gwyn incrociò le braccia al petto e
allargò le gambe deciso a non far passare il boia.
“Da quando ti diverti ad inseguire i bambini?”
“Stava
disturbando gli allenamenti!” esclamò il
Giustiziere.
“A me pare
che lo stia facendo tu.”
Smough si
guardò intorno: Ciaran e Gough li stavano guardando
incuriositi, mentre Ornstein e Artorias continuavano imperterriti nei
suoi esercizi.
Nella sala antecedente
alla Camera della Principessa era caduto un improvviso silenzio.
“Le mie
scuse” Smough si mise il martello in spalla,
lanciò uno sguardo furente al bambino sotto la protezione
del Dio della Guerra e tornò a fare il suo giro di ronda. Si
era messo in testa che se non poteva diventare un Cavaliere allora
avrebbe impedito a chiunque di disturbarli.
Ciaran e Gough
tornarono alle loro occupazioni.
Il Dio della Guerra
prese il bambino per il braccio e lo trascinò fuori dalla
stanza. “Di tutti gli abitanti di Anor Londo… Ce
ne sono un numero incredibilmente alto…” si chiuse
la porta alle spalle e lanciò uno sguardo inceneritore al
bambino. “Tu decidi di farti nemico proprio Smough? Hai idea
di quanto sia crudele?”
“Scusa...”
fu l’unica cosa che riuscì a dire Gwyndolin: lo
sguardo di suo fratello era davvero furibondo.
“Stai
lontano da lui. Smetti di frequentare i posti in cui ci sono i
Cavalieri” gli raccomandò il dio della guerra.
“Non posso esserci sempre io a difenderti, prima o poi dovrai
imparare a cavartela da solo e farsi nemico Smough è solo un
modo per fare una brutta fine. Promettimelo!”
“Come vuoi
tu.”
Smettere di osservare
i grandi Cavalieri di Gwyn significava rinunciare alla
possibilità di farsi notare da uno di loro, magari proprio
da Artorias o Ornstein, e alla speranza che gli insegnassero qualche
segreto che l’avrebbe reso un vero guerriero.
“Sei un
bambino, Gwyndolin. Perché non ti fai degli amichetti? Non
è sano che un bambino frequenti i luoghi degli
adulti.”
L’ultimogenito
di Gwyn sbuffò: lui non aveva amici con cui giocare, ma era
anche vero che non aveva mai provato a stringere un legame con qualcuno
della sua età. Annuì, facendo sorridere suo
fratello maggiore, che tornò dentro alla stanza in cui
c’erano i quattro Cavalieri di Gwyn, facendo attenzione a
chiudere bene la porta.
Note(saltatele
se conoscete Dark Souls):
1Mi
sono limitata a trascrivere l'Intro del gioco: cercherò di
rendere più comprensibile quello che dice nel corso della
storia e vi invito ad ascoltarla.
2
Sappiamo che Lord Gwyn ha tre figli: il primo, il Dio della Guerra (di
cui non si conosce il nome ed è un argomento su cui si
specula talmente tanto che non me la sento nemmeno di invertarmene
uno), la secondogenita, Gwynevere, e Gwyndolin. L'ultimo nato viene
disprezzato dal padre, sin dalla sua nascita, per il suo aspetto... il
resto è pura speculazione.
3 Smough
è un boss del gioco (come quasi tutti i personaggi citati).
Desiderava effettivamente diventare un Cavaliere di Gwyn ma questa
possibilità gli fu sempre stata negata vista la sua
crudeltà. Il rapporto di astio tra Smough e il Dio della
Guerra e l'incontro con Gwyndolin sono frutto della mia fantasia.
Bene,
ora che le note sono finite... che ne pensate del mio primo capitolo?
:) Spero sia piaciuto a tutti e se avete delle critiche... per favore,
fate che siano costruttive >.<
Ps:
per i veterani di Dark Souls... spero non abbiate correzioni da fare
nelle note. :D
WindSlayer
|
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Capitolo 2 *** L'Errore ***
Scusate
l'enorme ritardo con l'aggiornamento ma sono terribilmente occupata con
due storie (oltre questa) e una delle due dovrebbe diventare un libro.
In più ci sono lo studio, l'amore, le amicizie... un casino!
XD Perciò questa storia, per quanto ci tenga,
procederà abbastanza lentamente. :3 Ringrazio enormemente
Himenoshirotsuki e artorias_abysswalker per la recensione: mi hanno
fatto davvero piacere! *-*
Vi
auguro una buona lettura! :D
VEREOR
NOX: GWYNDOLIN, IL SOLE OSCURO
Capitolo
Due: l'Errore
Gwyndolin
cominciò ad evitare i posti che frequentava Smough,
esattamente come gli aveva chiesto di fare suo fratello maggiore.
Si annoiava
incredibilmente, ma comprendeva anche che era l’unico modo
per restare vivo: Smough, il boia, prima o poi avrebbe trovato il modo
di schiacciarlo sotto il suo enorme martello. Per sua fortuna, il
Giustiziere era così stupido da non essersi accorto che il
bambino era letteralmente scomparso in un punto e ricomparso in un
altro: non era un’abilità che aveva il Lord del
Sole.
Gwyndolin aveva
provato varie volte a riprodurre quella magia che gli era venuta
istintiva, ma ne era diventato improvvisamente incapace.
Approfittando della
solitudine e del fatto che nessuno si curasse di lui, passava le sue
giornate nella biblioteca reale, alla ricerca di risposte. Nessuno
faceva caso al bambino, che aveva accesso ad ogni area della biblioteca
e si muoveva sicuro tra gli scaffali, conscio della posizione di ogni
volume.
Durante quei giorni,
passati lontano da tutto e tutti, lesse che i suoi poteri erano
collegati alla luna. La scoperta, per lui, fu scioccante: non era
naturale che dal Lord del Sole nascesse un figlio con
capacità del genere.
“Oh, non
essere così triste” sorrise Velka, comparsa da
chissà dove.
Gwyndolin si
guardò intorno, alla ricerca di suo fratello maggiore, ma
nella biblioteca, a quell’ora di notte, non c’era
nessuno. Nessuno, a parte lui e Velka. Il bambino cercò di
scappare e allontanarsi da quella donna, ma la dea lo
afferrò per il polso.
“Ora
comprendi perché prima o poi sarai mio, vero?” gli
chiese con voce vellutata.
“Lasciami. O
ne parlerò a mio fratello!” esclamò
Gwyndolin.
“E
come?” rise Velka. “Intendi gridare?”
Il bambino
raggelò, rimanendo al suo posto: anche se avesse gridato
nessuno sarebbe accorso in suo aiuto, avrebbe finito soltanto per
svegliare Anor Londo e inimicarsi i suoi abitanti ancora di
più. Sospirò.
“Bravo”
sorrise Velka. “Fai il bravo bambino.”
“Non ho
intenzione di gridare, ma neanche di ascoltarti” Gwyndolin
fece diventare il braccio bloccato da Velka immateriale e si
liberò dalla sua presa. “Ora me ne
vado.”
La Dea si mise a
ridacchiare “Sai, dovresti andare a Oolacile: lì
saresti molto apprezzato per le tue arti magiche.”
Il bambino la
ignorò, seguendo ancora una volta il consiglio del fratello
maggiore, afferrando il volume che stava leggendo prima
dell’arrivo di Velka. I suoi occhi dorati non provavano
incertezza: erano fermi come quelli di Gwyn e del Primogenito.
La Dea del Peccato era
consapevole che prima o poi quel bambino sarebbe corso da lei: lo
facevano tutti, prima o poi. Il mondo in cui vivevano era fatto di
gente che giudicava e maltrattava soltanto perché godeva di
una posizione migliore, e chi si sentiva escluso cercava
l’aiuto di Velka, che era sempre pronta a spendere qualche
parolina dolce per gli esclusi. I suoi motivi non li conosceva nessuno.
Velka sapeva, inoltre, che Gwyn non avrebbe mai accettato un figlio in
grado di usare la magia. Una magia oscura, collegata alla Luna, del
tutto opposta alle capacità che possedevano lui e il suo
primogenito. Gwyndolin sarebbe corso da lei, piangendo, in cerca del
suo conforto.
“Perché
hai quel muso lungo?” lo stuzzicò ancora la donna.
Il bambino si morse il
labbro per resistere alla tentazione di ribattere alle sue parole in
modo velenoso: voleva rimanere zitto.
“Oh, va
bene, continua a non rispondermi” sorrise Velka.
“Ma almeno ascoltami. E’ naturale che tu abbia
capacità opposte a tuo padre: si avvicinano tempi duri per
la nostra Era.”
Suo malgrado,
Gwyndolin cominciò a prestarle attenzione.
“Luce e
Oscurità, Sole e Luna…”
continuò la donna. “Sono opposti, apparentemente
con nulla in comune. Ciò che le ha accumunate è
stata l’accensione della Prima Fiamma: la luce e la
diversità hanno avuto origine in quel momento, prima
c’erano solo buio e nebbia.”
“E il mondo
era governato dai draghi, questo lo so” il bambino la
interruppe, spazientito: aveva sentito quella storia molto volte. Ad
Anor Londo le guardie non parlavano d’altro delle prodezze di
suo padre, che aveva guidato l’esercito che si
ribellò ai draghi immortali, forte dell’alleanza
con la Strega di Izalith e di Nito, Re Tombale.
“Precisamente”
Velka ghignò e nel suo sguardo si accese una luce di
interesse nei confronti di Gwyndolin. “Quello che non sai,
però, è che tuo padre, la Strega di Izalith e
Nito prima erano perfettamente comuni: niente li distingueva dalla
massa. Trovarono delle anime molto particolari, nella Prima Fiamma, che
li resero potenti come sono ora.”
“Non mi
interessa quello di cui parli.”
“Va bene. Ti
interesserebbe sapere che facciamo tutti parte di un ciclo? La Prima
Fiamma si spegnerà, prima o poi, e torneremo
nell’oscurità: ecco perché sei nato
tu.”
Nella biblioteca scese
un silenzio carico di aspettativa.
“Tu
prenderai il posto di tuo padre, purtroppo per te, come Lord Oscuro e
non della Luce” disse, infine, Velka, dopo qualche momento.
Gwyndolin rimase
spiazzato, per qualche secondo, poi scoppiò a ridere.
“Certo, certo! Non vedo l’ora di diventare il nuovo
Lord di Anor Londo!”
Il bambino
uscì dalla biblioteca, ridendo. Quando la porta si chiuse
alle sue spalle, tornò serio: gli sarebbe piaciuto prendere
il posto di suo padre, perché avrebbe significato essere
riconosciuto come membro della famiglia, ma questo non sarebbe mai
successo perché la sua semplice esistenza era un errore.
Grazie ai libri che
aveva letto nella biblioteca, stava imparando a prendere possesso delle
sue strane capacità. I livelli più inferiori di
Anor Londo, lontano dalla luce solare e dai suoi abitanti,
raggiungibili attraverso alcuni macchinari di cui il bambino era a
conoscenza grazie ai discorsi delle guardie giganti, erano il luogo
ideale in cui allenarsi.
Gwyndolin stava
cominciando a capire come rendersi immateriale: poteva evitare alcuni
pericoli, come i colpi del pericolosissimo martello di Smough, e
passare attraverso i muri, come uno spettro. Poteva rendersi invisibile
e andare in posti in cui la sua presenza non era desiderata.
Durante uno dei suoi
allenamenti gli sembrò di udire il pianto di qualcuno.
Camminò sul piano lentamente, lasciandosi guidare dai
singhiozzi, e fu sorpreso nel trovare una bambina pressappoco della sua
età in una cella di prigione.
“Tu chi
sei?” le domandò.
La bambina si
voltò verso di lui. Era pallida e mingherlina, i suoi
capelli erano bianchi e gli occhi grandi e azzurri. Vestiva con un
abito bianco e sembrava del tutto normale se non fosse stata per la
coda, anch’essa bianca, che spuntava da sotto
l’orlo del vestito. Una coda da drago.
“Mi chiamo
Priscilla” rispose la bambina. La sua voce era bassa e dal
suono dolce. “Sei un errore anche tu?”
“Un…
che cosa?”
“Un
errore” ripeté Priscilla. “Quando non
dovresti esistere, Velka ti porta qui per ordine di Lord
Gwyn.”
“Perché
tu saresti un errore?”
Gwyndolin rimase
agghiacciato dalle parole della bambina: Velka era senza cuore e non si
sarebbe fatta problemi a rinchiudere Priscilla, di questo ne era certo,
ma Lord Gwyn non temeva niente, non avrebbe avuto motivo di dare un
ordine del genere.
La bambina, sua
coetanea, mosse timidamente la sua coda. “Io sono un mezzo
drago: la mia stessa nascita è stata un errore.”
“Come puoi
dire una cosa del genere?”
Gwyndolin la trovava
carina, anche se il suo sangue era mischiato con quello dei draghi. Non
poteva credere di udire davvero una cosa del genere da una sua
coetanea. I bambini alla loro età dovevano essere felici,
non era bello pensare di essere un errore ed essere rifiutati
perché non erano come gli altri.
“Beh, ti
sembro una creatura degna di esistere?” la bambina non smise
nemmeno per un attimo di piangere. “I draghi sono tutti morti
tranne il mio creatore, Seath, che mi rifiuta. Vengo ritenuta
così tanto sacrilega che sono rinchiusa in una cella. Sono
addirittura sotto la protezione della vostra Dea Velka.”
Gwyndolin scosse la
testa, rifiutando le parole della bambina, e, rendendosi inconsistente,
passò attraverso le sbarre della cella.
“Perché
Seath ti ha rifiutato?”
Priscilla
rifiutò di guardarlo negli occhi. “Seath cerca
l’immortalità, io sono stata solo un esperimento,
non credeva nemmeno che un ibrido potesse respirare autonomamente. Ma
io con la sua ricerca non c’entro niente, ecco
perché mi rifiuta.”
“Mio padre
ti accetterebbe!” esclamò prontamente Gwyndolin.
La bambina fece un
sorriso amaro senza smettere di piangere. “Più o
meno come ha accettato te?”
Gwyndolin
impallidì e serrò, in un movimento involontario,
la mascella.
“Velka mi ha
parlato di te” continuò la bambina.
“Dice che presto o tardi sarai suo, perché anche
tu sei un errore. Ed è particolarmente fiera di te,
perché sei il figlio di Lord Gwyn.”
“Io non
diventerò mai suo” ribatté fieramente
l’altro.
Priscilla lo
guardò scetticamente. “Davvero? Se sei qui nessuno
si cura di te. Sai perché mi hanno rinchiuso qui? Velka mi
ha detto che qui non scende mai nessuno, quindi… A nessuno
deve importare della tua esistenza” la bambina sorrise.
“Sei come me.”
Gwyndolin la
guardò con sufficienza. “Beh non direi:
è vero che non ho nessuno che si curi di me, ma mi rifiuto
di finire sotto l’ala protettiva di Velka. Mio fratello dice
che non mi devo fidare di lei: è sempre pronta a dire
cattiverie.”
Priscilla fece un
mezzo sorriso e strinse a sé la sua bambola. “A me
non interessa quello che si dice su Velka: vorrei soltanto
sparire.”
Gwyndolin si rese
conto solo in quel momento che la bambina aveva una bambola davvero
insolita e la stringeva al petto come se avesse un’importanza
affettiva per lei.
Il bambino fece un
verso stizzito, non gli piacevano le persone che si piangevano addosso
e magari godevano nell’essere compatite, così
tornò all’esterno della cella, passando di nuovo
per le sbarre deciso ad andarsene.
“Sai, anche
io so fare qualcosa del genere” disse, ad un certo punto,
Priscilla. “Io so rendermi invisibile.”
Gwyndolin
annuì con sufficienza senza dire niente:
d’improvviso provava tanta antipatia per lei
perché gli ricordava troppo la sua situazione come figlio
rifiutato dal proprio padre. Non gli interessava ciò che
sapeva fare, ai suoi occhi rimaneva una creatura infima a cui piaceva
essere compatita.
“Le nostre
capacità sono molto simili: anche tu sei in qualche modo
collegato alla Luna?” Priscilla continuava a parlare come se
volesse costringerlo a rimanere con lei.
Gwyndolin non la
ascoltò più e tornò ai piani superiori
di Anor Londo: non aveva senso continuare a parlare con quella bambina
che rinunciava immediatamente, se voleva toglierla dal dominio di
Velka, doveva sperare nell’intercessione di suo fratello
maggiore.
Avrebbe parlato
direttamente con suo padre, ma Lord Gwyn non lo voleva fra i piedi.
Il bambino percorse
velocemente l’intera città degli Dèi,
Anor Londo, ignorato dai cavalieri posti a guardia di ogni porta e
armati di immense alabarde. Era tardo pomeriggio e, conoscendo gli
impegni di suo fratello maggiore, sapeva che in quel momento non stava
supervisionando gli allenamenti dei cavalieri di Gwyn. Di sicuro era
nei bassifondi della città, lontano dalle orecchie di Gwyn:
il bambino aveva visto, lentamente, il rapporto tra suo padre e suo
fratello maggiore sfaldarsi. Qualche mese prima Lord Gwyn adorava il
suo primogenito, ora, se si incontrava nei corridoi, non poteva non
guardarsi in cagnesco.
“Il Duca sta
impazzendo e tuo padre non se ne cura” disse una voce
maschile.
“Sono certo
che ha i suoi buoni motivi” ribatté il primogenito
di Gwyn.
Gwyndolin smise di
correre e si nascose dietro l’angolo. Affacciandosi, vide suo
fratello parlare con un uomo con un dente di drago sulle spalle, e da
quello, il bambino, lo riconobbe come Havel, soprannominato la Roccia,
uno dei soldati più fedeli del Lord del Sole. Havel aveva
combattuto contro i possenti draghi, dopo l’accensione della
Prima Fiamma, e proprio da una delle vittime aveva strappato quel dente
facendone la propria arma: solo lui era dotata della forza necessaria
per brandirlo.
“E’
completamente affascinato dal potere!” esclamò il
guerriero che brandiva il dente di drago. “Ha fatto di quel
lucertolone troppo cresciuto un Duca, per premiarlo del suo tradimento,
concedendogli di sopravvivere. Gli ho donato una tana vicino a noi, per
di più, e di iniziare gli esperimenti…”
Il Primogenito di Gwyn
rimase in silenzio, mentre il bambino sentiva gli occhi inumidirsi.
“Ora, quel
lucertolone senza scaglie e ci porta dei suoi abomini e lui cosa fa? Lo
accoglie! Cos’è diventata Anor Londo, un
magazzino?”
“Mi rendo
conto che è una situazione ambigua, Havel.”
Gwyndolin
guardò con ammirazione la calma di suo fratello: Havel stava
attaccando suo padre, ma lui non dubitava, lui non provava mai
incertezza. Al bambino sarebbe piaciuto essere come suo fratello: forte
e in grado di prendere la decisione giusta in ogni situazione.
“Mi aspetto
che tu faccia qualcosa, in quanto suo Primogenito” disse la
Roccia, severamente.
“E cosa ti
aspetti che faccia? È testardo, nessuno può farlo
ragionare.”
“Allora mi
aspetto che tu prenda il suo posto quando sarà il
momento.”
Dopo un lungo attimo
di silenzio, il Primogenito del Lord del Sole annuì e
accettò.
“Questo
sì che è interessante” rise la voce di
Velka.
Gwyndolin
sobbalzò e gridò trovandosi la Dea del Peccato
dietro di sè: non avrebbe saputo dire da quanto era
lì.
Havel e il primo
figlio di Gwyn si voltarono verso di loro.
“Velka”
salutò la Roccia.
La donna fece un cenno
del capo in saluto.
Gwyndolin corse dietro
alle gambe del fratello, guardando in cagnesco la Dea.
“E questa
bambina?” domandò Havel.
Il Primogenito di Gwyn
scoppiò a ridere, mentre il bambino arrossiva.
“Sono un maschio!” esclamò.
Havel rimase
interdetto da Gwyndolin che aveva un aspetto decisamente femminile e
delicato, ma dal carattere brutale. “Oh”
spostò la sua attenzione sulla donna.
“Perché sei qui, Velka?”
“Seguivo il
piccoletto” ammise la Dea.
Il Primogenito si
rabbuiò. “Ti ho già detto che non devi
infastidirlo. Cosa non ti è chiaro, carissima?”
“Mi
è chiaro tutto” sorrise Velka. “Mi sto
solo assicurando che tutto proceda secondo i miei piani.”
Gwyndolin la
indicò con energia. “Ha rinchiuso una bambina
nella zona inferiore di Anor Londo! La tiene prigioniera. E Priscilla
dice che nostro padre ha dato l’ordine di
rinchiuderla… ma non è possibile, vero? Nostro
padre non è così crudele, giusto?”
Si creò un
silenzio imbarazzato.
“Giusto?”
incalzò ancora il bambino. “Giusto?”
“Lord Gwyn
non è più saggio come un tempo,
fratellino” gli rispose il Primogenito.
Gli occhi del bambino
si fecero grandi e impauriti. “Ma Priscilla non
può rimanere in una cella. Non è
giusto!”
“Non ci
rimarrà” sorrise Velka. “Tuo padre ha in
mente un bel piano.”
“Nessuno ti
ha concesso di parlare, serpe!” scattò il bambino.
Havel
guardò Gwyndolin, sorpreso: era piccolo, ma aveva un vero e
proprio caratteraccio.
Il Primogenito di Lord
Gwyn mise una mano sulla testa del fratellino, sospirando.
“Parlerò con nostro padre” disse a
Gwyndolin. Poi spostò la sua attenzione sulla dea del
peccato. “Puoi ritirarti, Velka.”
La donna fece una
riverenza e tornò da dove era venuta.
Gwyndolin
guardò il fratello maggiore che rispose alla sua espressione
perplessa con un sorriso triste. Non sapeva dire perché, ma
qualcosa, nel suo inconscio, gli diceva che non l’intervento
di Velka non era stato un fatto positivo.
Gwyndolin si era
nascosto dietro una grande colonna nel salone di Anor Londo, e
osservava quello che accadeva con perplessità.
Aveva saputo che Gwyn
aveva ingaggiato un pittore di nome Ariamis che avrebbe creato un
dipinto di grandi dimensioni. Al suo interno, Gwyn avrebbe rinchiuso
tutto ciò che ad Anor Londo era proibito, evitando di
mettere in pericolo la città degli Dèi.
Velka si mise dietro
di lui. “Lì dentro ci finirà tutto
ciò che è nel mio dominio.”
Gwyndolin
ascoltò quelle parole nascondendo un brivido: suo padre lo
odiava, avrebbe potuto rinchiuderlo per sempre in un mondo finto.
“Purtroppo
non ci sarai tu… per ora” aggiunse la donna.
“Non penso
che mio fratello permetterà che io venga rinchiuso dentro un
quadro” ribatté il bambino.
“Finché
lui rimarrà ad Anor Londo” sorrise malignamente
Velka. “Non sperare che lui resti qui per sempre.”
Gwyndolin
impallidì. “Che cosa hai in mente?”
“Oh
è una sorpresa” ridacchiò la donna.
“Che sorpresa sarebbe se te lo rivelassi?”
“Con chi
stai parlando?” Gwyn si rivolse alla donna: vedeva solo lei
di fianco a una colonna e si era incuriosito. Si avvicinò a
Velka, ma non trovò nessuno con lei. “Sei
impazzita?”
“Mi piace
riflettere parlando ad alta voce” mentì lei.
Continuava a fissare
il punto in cui Gwyndolin si era reso prontamente invisibile agli occhi
del padre. Tutto ciò che faceva la portava a pensare sempre
di più che quel bambino aveva un enorme potenziale.
Gwyndolin ora era
accanto al pittore che suo padre aveva chiamato: dipingeva con
maestria, mentre canticchiava una canzoncina sottovoce. Il bambino lo
osservò per qualche secondo per poi concludere che non era
interessante: era solo uno dei sudditi che veneravano suo padre come un
Dio. Corse nelle segrete di Anor Londo per parlare con Priscilla.
Lei era ancora
lì, rannicchiata in un angolo della cella, abbracciando la
sua bambola. Quando ascoltò le parole di Gwyndolin sul
dipinto di Ariamis e comprese che vi sarebbe stata rinchiusa, un
sorriso comparve sul suo volto.
Note:
In
questo capitolo non ho molto da puntualizzare per quanto riguarda la
differenza tra la mia storia e quella del gioco, ci tengo solo a dire
che è
una fanfiction quindi è normale non sia sempre
fedele, altrimenti non avrebbe avuto senso scriverla. XD E (mi sono
dimenticata di dirlo dopo il primo capitolo) è un prequel
rispetto alla storia nel gioco: il pg che si interpreta
nel videogame non è ancora nemmeno nato. Lord Gwyn
è ancora al vertice del potere e Anor Londo splende come il
Sole. La Fortezza di Sen non è ancora stata costruita. :3
Detto
questo spero che vi sia piaciuto il secondo capitolo e che la mia
lentezza nell'aggiornare non vi abbia fatto perdere interesse nella
storia! D:
Un'ultima
cosa... Se volete essere aggiornati sui miei lenti, lenti,
leeeeeeeeeenti aggiornamenti, mettete mi piace alla mia pagina di
facebook! ;)
Un
bacio!
WindSlayer
|
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Capitolo 3 *** Esilio ***
Ciao a tutti! :D
Sono qui con un nuovo
capitolo. :3 Scusate il ritardo (ormai lo dico ad ogni capitolo T.T) ma
ho molti impegni e vi assicuro che sto facendo del mio meglio per
aggiornare abbastanza velocemente entrambe le storie che sto
pubblicando. :3 Vi lascio al capitolo tre. ;) Un bacio. <3
VEREOR NOX: GWYNDOLIN,
SOLE OSCURO
Capitolo
Tre: Esilio
1Havel
aveva controllato Lord Gwyn per mesi, e con lui aveva tenuto
d’occhio anche Seath, il Senzascaglie. Quella specie di
lucertolone albino, ormai premiato con una città sua e la
libertà di condurre ricerche personali, aveva perso la
sanità mentale. Era ossessionato dalla ricerca del segreto
dell’immortalità, e, non contento del fatto che
usasse cavie umane per i suoi esperimenti, usava Anor Londo come
sgabuzzino per contenere i suoi mostri.
Havel non poteva
credere che colui che aveva guidato tutti loro contro i potenti draghi
immortali, la stessa persona che aveva costruito dal nulla la
splendente città-fortezza di Anor Londo e aveva dato il via
all’Era del Fuoco, era diventato complice di un essere folle
come Seath.
Il guerriero aveva
parlato con il Primogenito di Gwyn, ma questi aveva tergiversato. Si
era reso conto che criticare apertamente il Lord del Sole non era stata
una mossa intelligente, ma aveva sentito il dovere di avvertirlo delle
sue intenzioni.
Il piano di Havel era
semplice: essendo un vescovo della Via Bianca, conosceva
l’unica cosa che poteva uccidere il proprietario di
un’anima così potente, ovvero le Armi Occulte. Lui
e i suoi seguaci le stavano raccogliendo e chiudendo in una stanza
segreta del grande palazzo-fortezza.
Gwyndolin osservava il
dipinto nel grande salone del castello.
Il quadro si chiamava
‘Il Mondo Dipinto’2.
Sembrava un comune dipinto, ma in realtà era un portale per
un mondo diverso dal loro: era lì dentro che suo padre aveva
chiuso le creazioni di Seath e che lui riteneva mostri.
Lì dentro
c’era anche Priscilla.
Gwyndolin aveva ancora
in mano la bambola che la bambina abbracciava stretta al petto mentre
si trovava nelle segrete di Anor Londo: era tutto quello che Priscilla
le aveva lasciato, mentre entrava nel dipinto.
“Non ne
avrò bisogno dove sto andando” aveva sorriso.
Il bambino aveva
odiato parlare con Priscilla, ascoltare i suoi piagnistei e le sue
lamentele, ma da quando era entrata del dipinto avvertiva
incredibilmente la sua mancanza. Era l’unica altra persona
della sua età in tutta Anor Londo, e si era inevitabilmente
legato a lei.
Sperava soltanto che
in quel quadro Priscilla si trovasse bene. E che soprattutto non
sentisse la mancanza della sua amata bambola.
“Non pensi
che Ariamis abbia fatto un ottimo lavoro?” chiese la voce
soave di Velka.
La donna era comparsa
vicino al bambino, ma Gwyndolin non l’aveva sentita arrivare.
“Sì, non sarebbe male… se fosse un
normale quadro.”
La Dea continuava ad
osservare l’opera di Ariamis, lo ammirava letteralmente, come
se la presenza dell’ultimogenito di Gwyn di fianco a lei
fosse stata casuale.
“Cosa ci fai
qui?” domandò il bambino dopo qualche secondo di
silenzio.
“Cosa pensi
che ci faccia qui?” sorrise furbescamente Velka.
“Mi segui,
sicuramente.”
La donna sorrise
dell’ingenuità del bambino. “No, sono
qui per avvertirti.”
Gli occhi di Gwyndolin
si accesero, allarmati, e le sue labbra si serrarono per tentare di
controllarsi. “Di cosa?”
Velka fece vagare lo
sguardo sul grande quadro che occupava l’intero muro del
salone principale della città-palazzo. “Ti
consiglio di passare più tempo con tuo fratello: non
rimarrà con te ancora per molto.”
Per il bambino fu come
ricevere una secchiata di acqua gelida addosso. Pallido come un
cadavere, si mise di fronte a Velka guardandola dritta negli occhi
verdi. “Cosa intendi dire?” sentiva un groppo in
gola che non riusciva ad ignorare.
“Ovviamente
che presto lascerà Anor Londo.”
La donna guardava il
bambino dritto negli occhi con crudeltà. La sua risposta
metteva ancora di più in evidenza le macchinazioni della Dea
dietro quell’evento futuro.
“Perché
dovrebbe?” la incalzò ancora Gwyndolin.
“Non lo so,
ma ti consiglio di passare più tempo che puoi con
lui.”
Il 3Primogenito
di Lord Gwyn si stava allenando con la spada, tagliando a
metà il vento su una delle terrazze di Anor Londo.
Gwyndolin osservava i
suoi movimenti precisi con ammirazione: gli sarebbe piaciuto avere un
corpo adatto al combattimento fisico, non come quello mingherlino che
si ritrovava, e in più avere l’animo gentile e
comprensivo come quello di suo fratello. Ma non aveva né
l’uno né l’altro. Il principe
assomigliava incredibilmente a Gwyn: aveva i suoi capelli scuri, i suoi
lineamenti marcati, e un corpo abbastanza robusto da poter reggere i
duri allenamenti dei soldati ad Anor Londo. L’unica cosa che
Gwyn, il suo Primogenito e l’ultimogenito avevano in comune
erano il colore degli occhi: dorati come il sole.
“Gwyndolin…”
lo chiamò il principe.
“Fratello”
il bambino uscì dal suo nascondiglio, dietro
l’angolo buio del terrazzo. Teneva lo sguardo basso come se
avesse commesso uno sbaglio enorme.
“Cosa ci fai
qui?” suo fratello maggiore smise di allenarsi e rimise la
sua spada nel fodero.
“Volevo
passare del tempo con te…”
Il principe
sbuffò. “Ti ho già detto che non devi
frequentare i posti degli adulti.”
“Lo
so!” esclamò il bambino. “Ma
Velka-”
Il Primogenito gli
lanciò uno sguardo intimidatorio e Gwyndolin si
bloccò. All’improvviso suo fratello era diventato
furioso. “Ti ronza ancora intorno?”
In tutta la sua
innocenza, il bambino annuì.
“Costantemente” disse. Se c’era qualcuno
che poteva liberarlo dalla Dea del Peccato e dalle sue cattiverie,
quello era suo fratello e Gwyndolin si fidava ciecamente.
“Tranquillo,
ci penso io” mormorò il principe. “Tu
va’ a giocare da qualche parte.”
Gwyndolin rimase sulla
terrazza da solo. Sorrise pensando a quello che suo fratello avrebbe
detto a Velka: probabilmente avrebbe anche trovato il modo di farla
allontanare da Anor Londo per sempre, e la vita del bambino sarebbe
diventata quasi fin troppo semplice. L’unico che continuava a
stargli con il fiato sul collo era Smough, ma con il primogenito al suo
fianco non sarebbe stato un vero problema.
Havel vide il
Primogenito entrare in una delle stanze meno ampie di Anor Londo,
quelle meno frequentate: il vescovo cercò di nascondere
rapidamente il dente di drago occulto in uno scrigno.
“Lascia
stare” mormorò il principe. “So
tutto.”
Havel tirò
un sospiro di sollievo. “Cosa ci fai qui allora?”
Il Primogenito
sospirò: si sentiva profondamente in colpa per quello che
stava per dire. “Sono dei vostri.”
“Cosa? Sei
sicuro di quello che dici?”
Il principe
inchiodò gli occhi scuri di Havel ai suoi, identici a quelli
di Lord Gwyn nei suoi tempi d’oro. “Se mio padre
fosse effettivamente ancora lucido non permetterebbe a Velka di
infastidire così uno dei suoi figli.”
Havel
sospirò. “Sai che Gwyn non apprezza tuo
fratello… è così da sempre. Cosa ti
importa?”
Gli occhi del principe
fiammeggiavano determinati. “E’ uno dei figli di
Gwyn: va trattato come un principe. E se continua così, con
il lavaggio del cervello di Velka, potrebbe venire rinchiuso in quel
quadro… E io non lo permetterò.”
“Cosa hai in
mente?”
“Se io
prendo il posto di mio padre, potrò gestire liberamente
Velka.”
“E
Seath?”
“Gestirò
anche lui: Anor Londo tornerà ad essere splendida come un
tempo.”
Per Havel fu un enorme
sollievo udire quelle parole. “Tu salvi tutti noi,
principe.”
Gli occhi del
Primogenito di Gwyn brillavano determinati.
Con il supporto del
Primogenito, la speranza cominciò a intrufolarsi tra le fila
di Havel.
I seguaci del vescovo
indossavano un’armatura incredibilmente pesante e un anello
intriso di magia bianca per non rimanere bloccati da tutto quel carico
eccessivo. Erano poco più di una decina di guerrieri
perché, chiaramente, non tutte le persone era adatte a
seguire un percorso del genere.
Il Primogenito aveva
un talento in guerra che era paragonabile soltanto a quello dei
cavalieri di Gwyn e del Lord della Luce stesso. Non per nulla era il
Dio della Guerra, l’orgoglio del padre, ed era profondamente
stimato per le sue capacità e la sua magnanimità
d’animo. Con il principe al fianco dei seguaci di Gwyn,
avevano qualche possibilità di prendere il controllo di Anor
Londo.
Il Primogenito, dal
canto suo, non sembrava così felice della sua scelta, anzi,
si sentiva quasi sottotono. Non era convinto che le
possibilità di riuscita fossero così numerose, ma
qualcuno doveva pur provarci.
Mentre i seguaci di
Havel e il vescovo stesso radunavano le armi occulte, che avevano la
capacità di ferire mortalmente gli Dèi, il
principe cercava di non dare nell’occhio.
Il Primogenito di Gwyn
osservava Anor Londo che dormiva e si svegliava, ignara del cambiamento
che stava per sconvolgerla.
Nessuno sospettava
nulla: i Cavalieri di Gwyn continuavano gli allenamenti sotto la
supervisione del principe; Gwynevere flirtava continuamente con il dio
del fuoco, Flan, e non disdegnava neanche le attenzioni delle altre
Divinità; Gwyndolin evitava il padre e stava diventando
sempre più bravo nell’infiltrarsi nelle stanze del
governo senza essere notato. Il principe era molto fiero del
fratellino: stava evitando Velka come meglio poteva, Gwyn quasi si era
dimenticato della sua esistenza per quante poche volte riusciva ad
incontrarlo, e Smough lo cercava disperatamente per la
città-fortezza senza mai trovarlo.
Il Primogenito
respirava l’aria di Anor Londo, la sua città
natale, cercando di imprimere nella sua memoria il ricordo nella sua
mente, perché aveva la pessima sensazione che non vi sarebbe
rimasto a lungo.
Una sera, infatti,
Havel entrò nelle stanze del principe dicendo soltanto due
parole: “Domani sera.”
Havel si
portò sulle spalle il randello occulto e guardò i
suoi seguaci uno per uno. “Stanotte cambieremo il destino di
Anor Londo.”
I guerrieri della Via
Bianca esultarono cercando di contenere il volume delle loro voci:
tutta la città dormiva, in particolare Gwyn, sua moglie, e i
loro protettori.
Il principe
annuì, incrociando le braccia al petto: era pronto per
qualunque cosa stesse per succedergli.
I ribelli si divisero
per i corridoi oscuri di Anor Londo: l’intera
città, escluse le sentinelle giganti, dormiva.
Il piano preveda che
Havel e il principe si occupassero di Gwyn, attaccandolo direttamente
nelle sue stanze mentre dormiva con la moglie, mentre gli altri
avrebbero reso innocue le sentinelle della città.
Ognuno dei ribelli si
avviò al suo posto dopo aver fatto un profondo respiro per
calmarsi.
Havel e il principe
furono bloccati poco prima dell’entrata delle stanze di Gwyn
da Ornstein e la sua lancia.
“Non
dovreste essere nei vostri letti, voi due?”
domandò l’Ammazzadraghi con voce ostile,
costringendoli ad indietreggiare.
“Potremmo
dire lo stesso a te” ribatté Havel.
Il Primogenito di
Gwyn, con un movimento fulmineo, spostò la lancia di
Ornstein e riuscì a sorpassare il guerriero, ma venne spinto
prepotentemente fuori dalla stanza da Artorias, che si era nascosto nel
buio.
“Velka aveva
ragione” disse il guerriero che combatteva con lo spadone.
“Il principe
ci ha tradito” ghignò Smough.
Il Primogenito
assottigliò gli occhi: non aveva mai avuto molta simpatia
per Smough, e il fatto che fosse lì, come se fosse stato un
Cavaliere di Gwyn, era una chiara mancanza di rispetto alla sua
autorità di figlio del Lord del Sole.
“Cosa vi
è preso, principe?” gli chiese Ciaran.
“State
difendendo l’uomo sbagliato” si intromise Havel con
determinazione.
Gwyn uscì
dalla sua camera da letto. “Proprio tu…”
“Hai perso
il senno… amico.”
Il Lord del Sole e la
Roccia si guardarono negli occhi rimanendo in silenzio, per un lungo
attimo.
“Sei
diventato pericoloso, Havel” disse Gwyn, portando una mano
all’elsa della spada che non toglieva mai, neanche quando
andava a dormire. “Credo che tu sia stato colpito da una
strana forma di follia. Mi dispiace, devo allontanarti da Anor
Londo.”
Bastò uno
sguardo di Gwyn perché Smough colpisse il pavimento con il
suo martello e facesse traballare tutti i presenti. Quel momento gli fu
utile per togliere il randello occulto ad Havel: senza la sua arma, la
Roccia diventava un semplice guerriero in armatura pesante.
Il Primogenito
conosceva profondamente il Lord del Sole: era un uomo dotato di una
determinazione incrollabile ma anche la sua ira era temibile. In fondo,
era riuscito a sterminare la stirpe dei draghi immortali
perché controllavano la superficie e costringevano gli
uomini a vivere nelle tenebre eterne.
Lo sguardo che Gwyn
rivolse al suo primogenito era carico d’odio. “Alle
segrete” mormorò il Lord del Sole, spostando la
sua attenzione su Smough per qualche secondo.
Il Giustiziere fece un
cenno del capo al suo signore e accompagnò quasi dolcemente
Havel verso le prigioni.
I Cavalieri di Gwyn e
il Lord stesso spostarono il loro sguardo e l’attenzione del
principe.
“Affronterò
la mia punizione a testa alta, padre” annunciò
fieramente il Primogenito.
Artorias prese la
spada del principe e lo accompagnò dolcemente nel grande
salone della città-fortezza. Si vedeva che il guerriero
più solitario di Anor Londo non provava nessun rancore nei
confronti del principe.
Gwyn radunò
tutti gli abitanti della città per partecipare al giudizio
del suo Primogenito. Il fatto che qualcuno, in particolare il figlio di
cui era più orgoglioso, avesse tentato di ucciderlo nel
sonno lo aveva fatto infuriare, e quel processo doveva servire da
monito per eventuali imitatori futuri.
La stanza non
tardò a riempirsi di Divinità curiose, si
aggiunsero anche la moglie di Gwyn e la sua unica figlia femmina,
Gwynevere. Le due donne si abbracciarono e si misero dietro il loro
capofamiglia, entrambe con gli occhi lucidi, cercando di farsi coraggio
l’un con l’altro.
“Mio figlio
ci ha traditi” esordì Gwyn, spezzando il brusio
del suo pubblico.
La folla
sobbalzò e il principe, inginocchiato di fronte al padre e
disarmato, comprese che quella vicenda non avrebbe avuto un lieto fine
per lui.
“Ha tentato
di porre fine alla nostra amata Era del Fuoco” aggiunse il
Lord del Sole.
“Padre, non
è quello il mio obiettivo!” esclamò il
principe. “Non sei più lo stesso di un tempo.
Lascia il comando di Anor Londo… per il bene di
tutti!”
Gli occhi di Gwyn si
accesero: fu abile nel cogliere al volo l’occasione che il
figlio gli aveva sofferto. “Vuole far spegnere la Prima
Fiamma!” lo accusò con tono allarmato.
Il pubblico di
divinità che ascoltavano, cominciarono a sussurrare tra di
loro, terrorizzati. Tutto il loro mondo si reggeva
sull’accensione della Prima Fiamma: al suo interno Gwyn,
Izalith e Nito trovarono le anime che li avevano resi potenti come
Dèi. Ed erano i proprietari delle anime più
potenti che difendevano il loro mondo, perciò tutte le altre
divinità temevano di tornare nel buio.
Gwyndolin era stato
svegliato dal trambusto del padre e di tutti gli abitanti della
città che si muovevano verso il salone. Il bambino era
nascosto dietro una delle grandi colonne, nessuno l’aveva
visto, ma lui, da quell’angolazione poteva vedere bene suo
padre e suo fratello, e dietro di loro la moglie di Gwyn che teneva
stretta a sé la sua unica figlia.
“Ecco
perché dobbiamo allontanarlo!” disse il Lord del
Sole.
Il suo pubblico
lanciò grida di assenso: quando si trattava di difendere la
vita della Prima Fiamma, non importavano i motivi di un gesto
né l’identità di colui che lo
commetteva.
“Padre!”
esclamò Gwynevere. “E’ tuo
figlio!”
Il Lord del Sole la
ignorò quasi completamente.
Gwyndolin
sobbalzò dietro la colonna e si morse il labbro per non
scoppiare a piangere. Suo padre aveva un debole per la sua unica figlia
femmina e se la ignorava voleva dire che era davvero infuriato. E
significava anche suo fratello era finito in un guaio pazzesco. Forse
avrebbe potuto salvare suo fratello maggiore se avesse usato qualcuna
delle sue strane capacità, ma temeva troppo l’ira
del Lord del Sole.
“Silenzio!”
la riprese Gwyn.
“Padre…”
mormorò la fanciulla.
“Ho detto
silenzio!” il Lord del Sole si rivolse al suo Primogenito.
“Verrai allontanato da Anor Londo per sempre. Perderai il tuo
status di Dio della Guerra e il tuo nome verrà dimenticato.
Gwynevere resterà la mia unica erede: non sarai
più mio figlio.”
“No!”
l’urlo della figlia riecheggiò per il grande
salone. Gwynevere scattò in avanti verso il fratello
maggiore ma venne bloccata dal forte braccio del padre.
“Permettimi di salutarlo, ti prego!” lo
implorò piangendo.
Ma il Lord del Sole
non si lasciò impietosire e si rivolse al figlio.
“Lascerai Anor Londo immediatamente. Non saluterai nessuno
perché tu non appartieni più a questo
posto.”
Gwyndolin fece un
passo fuori dal suo nascondiglio e il primogenito si schiarì
la gola, attirando tutta l’attenzione dei presenti su di
sé: non voleva che il bambino si facesse vedere. Il principe
sorrise cordialmente. “Potrei avere le mie cose prima di
andarmene?”
Gwyn annuì.
“Certamente.”
Con un gesto
invitò Ciaran a radunare le cose del Primogenito e
consegnargliele.
“Sarai in
grado di difenderti al di fuori di questa città e nessun
altro luogo ti sarà proibito, ma se tornerai ad Anor Londo
mi occuperò io stesso di ucciderti” aggiunse il
padre.
“Dove
manderai Havel?” chiese il Primogenito.
“Molto
lontano da qui: non lo troverai mai per quanto tu possa
cercare.”
“Questo
è da verificare” ribatté il principe,
ringraziando Ciaran che gli consegnava la sua spada e un sacco con
qualche suo abito e qualche provvista. “Bene. Addio, padre.
Madre. Sorella.”
Quando
incrociò lo sguardo della moglie di Gwyn, sua madre, e
Gwynevere, così addolorato e disperato, il cuore del
principe si spezzò. Si era reso conto di avere dato ad
entrambe un grande dolore, ma era stato un gesto necessario secondo il
suo modo di pensare. Voltò le spalle alla donna che lo aveva
cresciuto e alla sua amata sorella senza soffermarsi troppo su di loro:
sapeva che Gwyndolin sarebbe contravvenuto all’ordine del
padre e, grazie a quel piccolo atto di ribellione, avrebbe potuto
salutare almeno il fratellino.
Gwyndolin, infatti, lo
seguì per tutto il tragitto che portava fuori da Anor Londo
rimanendo invisibile. Si lasciò vedere solo dal fratello
maggiore quando fu poco lontano dai confini della
città-fortezza.
“Mi
dispiace, fratellino” esordì il principe.
“Qualcosa è andato storto.”
“Volevi
davvero uccidere nostro padre?”
Il Primogenito rimase
qualche secondo incantato nell’osservare l’alba che
stava sorgendo. “Nostro padre è stato spesso
paragonato al Sole perché brilla di luce propria.
E’ stato un condottiero perfetto, un ottimo sovrano di Anor
Londo e un genitore… non proprio esemplare”
sorrise tristemente il principe. “Ma è stato un
privilegio essere suo figlio.” “Non posso venire
con te? Sono invisibile per gli altri qui” mormorò
il bambino.
Suo fratello
continuava a sorridere tristemente. “No, mi dispiace. Dovrai
essere più accorto e stringere i denti,
fratellino.” il principe schioccò un bel bacio
sulla fronte di Gwyndolin e si incamminò verso
l’orizzonte. “Addio. Guardati le spalle da
Velka.”
Il bambino
guardò suo fratello maggiore incamminarsi verso
l’orizzonte.
Havel, chiuso nella
sua cella, vide l’alba sorgere: il destino di Anor Londo era
segnato.
Da qualche parte nel
corridoio fuori la porta della cella si udì la risata
agghiacciante di Velka.
Havel sentì
lo sconforto invaderlo.
Erano
mesi che mi immaginavo il momento in cui Gwyndolin avrebbe salutato il
suo fratellone... e piango tantissimo T.T
Dunque
qualche piccola
precisazione:
1All'interno
del gioco troviamo un personaggio che indossa l'armatura di Havel e il
gioco ci fa capire che il guerriero è stato allontanato per
il suo stesso bene. Anche lui evidentemente ha commesso un gesto
eclatante.
2
il dipinto di Ariamis è un'intera area che è
possibile visitare nel gioco in cui si trovano una serie di oggetti che
sono considerati tabù all'interno del mondo di Dark Souls.
3(Non
ricordo se l'ho detto nei capitoli precedenti, abbiate pazienza ho
un'età) XD Il primogenito di Gwyn era il Dio della Guerra.
Nel gioco fanno capire che perde il suo status di dio e il suo nome
viene dimenticato a causa di un gesto che commette. Ci sono varie
interpretazioni sulla sua identità (e io ho la mia idea) ma
preferisco non pronunciarmi. :D
Così
ho pensato di unire le storie di Havel e il primogenito di Gwyn :3
Mi
metterò subito a lavorare sul quarto capitolo... fatemi
sapere che ne pensate, per favore! >.<
Un
bacio,
WindSlayer
|
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Capitolo 4 *** Solitudine ***
Ciao a tutti! :D Ecco il
nuovo capitolo :D
VEREOR
NOX: GWYNDOLIN IL SOLE OSCURO
Capitolo Quattro: Solitudine
Havel venne rinchiuso
in un borgo che si trovava a sud rispetto ad Anor Londo. La sua
prigione sarebbe stata una grossa torre che collegava il piccolo
paesino con Oolacile. Sarebbero state proprio le guardie ad impedire
ogni contatto con il mondo esterno.
Havel era costretto a rimanere solo nella zona inferiore del torrione e
al suo interno c’era solo lo stretto necessario per
permettergli di sopravvivere. I giorni passavano l’uno uguale
all’altro e lentamente la Roccia cominciò a
dimenticare: non sapeva più perché si trovava
lì, e non sapeva neanche dove si trovasse di preciso quella
torre, o chi fosse lui. La sua unica certezza era che era un guerriero,
a giudicare dall’armatura che indossava, e che era
intimamente legato al suo dente di drago.
A poco a poco le guardie si dimenticarono di portargli da mangiare, e
lui, lentamente, perse se stesso.
Gwyndolin osservò da lontano suo fratello allontanarsi da
Anor Londo per non fare più ritorno.
Gwynevere e sua madre piangevano disperate e sembravano implorare il
Primogenito a non andare, il Lord del Sole, invece, lo guardava senza
emozioni allontanarsi. Gwyn impugnava persino la sua spada come per
confermare le sue intenzioni: da quel momento in poi, avrebbe
riconosciuto solo la secondogenita come sangue del suo sangue.
Ad osservare l’ormai ex Dio della Guerra c’erano
Velka, il marito di Gwynevere, Flan, e una piccola folla di curiosi.
Il bambino non riusciva a distogliere lo sguardo da suo fratello, dalla
sua armatura scintillante, e la sua spada in cui riusciva a infondere
il potere del Sole. Era il guerriero più forte di Anor
Londo, persino più temibile dei Cavalieri di Gwyn, e il Lord
del Sole aveva preferito privarsene piuttosto che concedere il suo
perdono.
Velka si voltò incrociando lo sguardo di Gwyndolin, nascosto
dietro una grande colonna bianca. Gli occhi della Dea del Peccato
sorridevano soddisfatti.
La moglie di Gwyn cadde in ginocchio piangendo: sembrava incapace di
accettare la realtà dei fatti.
Suo marito non la degnò di uno sguardo, neanche una semplice
occhiata di pietà, e quando il suo Primogenito scomparve
all’orizzonte, si voltò e tornò
all’interno dalla sua città-fortezza.
Quasi tre settimane dopo, Anor Londo viveva nel terrore: le
Divinità avevano compreso che il Lord del Sole non era
più il sovrano di un tempo, ma avevano paura che la Prima
Fiamma si sarebbe spenta se avessero osato ribellarsi. Inoltre, le
statue che ritraevano l’ex Dio della Guerra erano state
distrutte e pronunciare il suo nome significava essere condannati a
morte.
La moglie di Gwyn era quella che ne soffriva di più: dal
giorno in cui il Primogenito aveva lasciato la
città-fortezza, la donna non dormiva più con il
marito e si era chiusa in una stanza dentro cui piangeva tutto il
giorno. Non erano serviti a niente i tentativi di Gwynevere di farla
uscire. Neanche Gwyn, che non aveva mai avuto problemi a controllarla,
riusciva a convincerla.
Gwyndolin passava quasi quotidianamente di fronte alla stanza in cui si
era chiusa la madre, e la sentiva piangere giorno e notte.
Probabilmente neanche mangiava. Al sentirla in quelle condizioni, gli
si stringeva il cuore: non la considerava sua madre, visto come
l’aveva rifiutato dal momento della nascita, ma avvertiva lo
stesso un certo legame con lei.
Anche Gwynevere era stata profondamente colpita dalla decisione di
Gwyn, ma era così profondamente legata al padre che lo aveva
perdonato qualche giorno dopo. Si rendeva conto che Gwyn aveva
esagerato nel punire in quel modo il suo primogenito, ma lo amava
così profondamente che non riusciva a tenergli il broncio. E
in ogni caso, Gwyn non avrebbe mai ammesso di aver torto
perciò suo fratello sarebbe comunque rimasto un esiliato.
Una sera, Gwynevere entrò nella camera del fratellino, che
era intento a leggere un libro grazie a cui avrebbe ampliato la sua
conoscenza sulla magia.
“Gwyndolin…” lo chiamò in un
sussurro incerto.
“Sorella?” domandò il bambino, incredulo.
Gwynevere aveva le guance rosse per l’imbarazzo: era la prima
volta da quando Gwyndolin era nato, che chiedeva il suo aiuto.
“Nostra madre ha bisogno di te” mormorò
la fanciulla.
“La moglie di Gwyn, sì, ho capito di chi
parli” concordò il bambino, freddamente.
Gwynevere alzò gli occhi e l’ultimogenito vi lesse
dentro una profonda disperazione. “Devi fare
qualcosa!” esclamò veementemente.
“Io?”
“Il dolore di nostra madre è così forte
perché ha perso un figlio, se ne ritrovasse un altro sono
convinta che tornerebbe quella di prima” disse la fanciulla.
Gwyndolin la guardava negli occhi, poco convinto delle sue parole.
Rimase in silenzio: non sapeva se dire quello che pensava, oppure
essere cortese e accontentarla. In fondo era sua sorella, e
c’era stata quando sua madre l’aveva rifiutato.
Allo stesso tempo, però, non capiva perché doveva
avvicinarsi a una donna per cui non era mai contato nulla.
“Non ne sono convinto” mormorò, alla
fine.
La sorella maggiore lo fulminò con lo sguardo. “Me
lo devi” ribatté lei, a denti stretti.
Il bambino le lanciò uno sguardo perplesso, non riuscendo a
comprendere fino in fondo le sue parole. Negli occhi della sorella
c’erano rabbia e disperazione: forse aveva paura di qualcosa.
“Mi sono presa cura di te come se ti avessi generato. Tu mi
sei debitore.”
Gwyndolin la fissò, incredulo per le parole che le sue
orecchie avevano appena sentito. “Nessuno ti ha puntato una
spada alla gola, sorella” mormorò freddamente.
Anche se si sentiva tradito dalle sue parole, riuscì a
rimanere calmo di fronte a lei.
Gwynevere esplose. Era talmente preoccupata per sua madre e per suo
padre, che diventava un governante sempre più rigido e
autoritario, che perse tutta la sua eleganza e dolcezza in un solo
momento. “L’ho fatto perché mio fratello
me l’ha chiesto!” gridò. “Sei
sempre contato qualcosa per lui, e ha pensato che avessi bisogno di
qualcuno che ti volesse bene. Se non fosse stato per lui…
pensi davvero che ti avrei messo a letto la sera e coccolato quando ti
sentivi solo?” lo guardò con disprezzo.
“Tu non sei come noi.”
Il bambino provò una stretta al cuore: neanche lui si
sentiva uno dei figli di Gwyn, e dopo quello che era successo al dio
della guerra non provava più neanche il desiderio di essere
considerato tale. Non aveva capito le motivazioni che
l’avevano spinto a commettere il tradimento, ma di sicuro non
era limitato al semplice possesso del trono di Anor Londo. Ci avrebbe
messo la mano sul fuoco.
“Farò come vuoi” mormorò,
dopo un lungo momento di silenzio.
Non provava rabbia verso sua sorella: sapeva che si stava facendo
carico delle responsabilità che un tempo erano appartenute a
sua madre, e al tempo stesso desiderava aiutare la moglie di Gwyn a
riprendersi dallo choc. Aveva un cuore d’oro esattamente come
il primogenito, ma lo stress era troppo anche per lei.
Gwynevere si illuminò tornando ad essere bella come il Sole.
“Sapevo di poter contare su di te, fratello!”
esclamò uscendo dalla stanza del bambino.
Gwyndolin passò davanti alle stanze della madre per i
successivi tre giorni. Per i primi due giorni la sentì
piangere disperatamente, poi lentamente quel lamento si
trasformò in versi gutturali, che erano più
simili a versi di animali che a lamenti. Di tanto in tanto la donna,
chiusa nella stanza, lanciava delle grida disumane.
Fu sentendola gridare in quel modo così sofferente che
decise di prendere coscienza del suo reale stato.
Usando un incantesimo che aveva appreso da un libro di magia, si rese
invisibile e si infiltrò nelle cucine. Le cuoche
borbottavano tra di loro discutendo della moglie di Gwyn, il principale
argomento di pettegolezzi ad Anor Londo dall’esilio del
Primogenito.
“Ha perso un figlio, va bene, siamo dispiaciuti
tutti… però mi sembra esagerato” stava
dicendo una donna grassoccia e formosa.
“Neanche oggi ha toccato cibo…”
concordò tristemente una seconda più magra.
“Pensa che con questo sciopero della fame il marito
cambierà idea? Tutti conosciamo Lord Gwyn e sappiamo quanto
può essere testardo” ribatté una terza.
“Che peccato per il Primigeni-”
“La primogenita!” esclamò la prima cuoca
parlando sopra alla sua collega. “Sai che non ha mai avuto un
figlio maschio. La Principessa Gwynevere è la sua unica
figlia.”
Gwyndolin sentì una guardia del padre passargli affianco in
quel momento. L’armatura argentea del cavaliere
sfiorò la pelle del bambino, che per un secondo trattenne il
respiro. Il soldato si affacciò nelle cucine.
“Tutto bene, signore?”
La cuoca più in carne annuì energicamente
sfoggiando un sorriso a trentadue denti. Stava mentendo, e non serviva
essere un genio per capirlo.
Il soldato ricominciò, sospettoso, il suo giro di ronda. Il
suo compito era di scoprire altri eventuali traditori visto che Gwyn
ormai viveva nel sospetto.
Da quando il suo Primogenito era stato esiliato, il Lord del Sole non
dormiva più nemmeno con la moglie perché non si
fidava più neanche di lei. Gli unici che credeva non
l’avrebbero mai tradito erano coloro che vivevano
all’ombra del suo potere come Seath, i quattro re di Petite
Londo, Nito e la Strega di Izalith: era interesse di tutti i possessori
delle anime più potenti che Gwyn rimanesse a controllare
Anor Londo.
“Comunque dopo tre settimane e più di digiuno,
dovrebbe cominciare a sentire i morsi della fame”
borbottò la cuoca smilza.
“E invece?”
“Invece non tocca cibo con un’ostinazione che ha
del disumano!”
Gwyndolin ascoltò quelle parole sempre più
perplesso: si domandò cosa stava succedendo a sua madre. Era
d’accordo che la perdita del Primogenito era stato un brutto
colpo per tutti, ma addirittura da lasciarsi morire di fame? Forse
sarebbe stato meglio far intervenire Gwyn, a quel punto.
Decise di correre, sempre rimanendo invisibile, nella stanza di
consiglio, il luogo dove suo padre prendeva le decisioni più
importanti per Anor Londo.
Quando entrò nella stanza, Lord Gwyn stava parlando con
Artorias. Il Lord del Sole appariva più magro e
più scontroso di prima: Gwyndolin provò un
brivido di adrenalina quando incontrò gli occhi dorati del
padre.
“Nani… nani antropomorfi?”
domandò il Lord del Sole con tono disgustato.
Artorias annuì, inginocchiato di fronte a Gwyn.
“Sono uomini più piccoli e minuti di noi. Non
sembrano particolarmente resistenti, ma sono numerosi.”
“Potresti vincere contro di loro?”
“Senza dubbio” confermò il Cavaliere di
Gwyn. “Ma non ci sono ostili.”
Il Lord del Sole non sembrava convinto: dopo l’esilio del
Primogenito, accettava ogni novità con sospetto. Il fatto
che esistessero questi nani, che avevano sembianze antropomorfe, e che
fossero così numerosi lo infastidiva. “Quanti sono
esattamente?”
“Hanno fondato delle città” rispose
Artorias.
“Se accetteranno il mio dominio non li sterminerò.
Ma voglio conoscere la loro origine” decise alla fine il Lord
del Sole. Si sentiva ancora in colpa per come aveva reagito con il suo
Primogenito, non lo aveva neanche ascoltato, e pensava che in questo
modo avrebbe potuto fare ammenda.
Artorias fece un cenno del capo e si ritirò.
Gwyndolin rimase da solo con il padre: lo vide sospirare tristemente e
guardarsi i piedi come un bambino colto sul fatto dal genitore. Il
figlio provò pena per Gwyn: in quel momento non sembrava per
nulla il grande sovrano di Anor Londo. Doveva essere molto triste.
Gwyndolin fece qualche passo verso il padre e si fermò
proprio di fronte a lui: per un momento si guardarono negli occhi.
Gwyn avvertiva la strana sensazione di essere osservato, ma era da solo
nella stanza.
Gwyndolin sorrise della sua espressione perplessa e uscì
dalla sala correndo: non voleva approfittare della sua fortuna, in quei
giorni.
Gwyndolin, Gwynevere e Ornstein entrarono nella stanza della moglie di
Gwyn, forzando la serratura.
La donna era sempre stata incredibilmente bella ed affascinante. Era
alta e slanciata, ma aveva le forme al punto giusto. I suoi capelli
erano biondi e ricci, lunghi fino ai lombi, gli occhi blu come il cielo
serale, circondati da ciglia scure. Le sue labbra erano carnose e
rosee, sempre perfettamente curate.
Gwynevere aveva ereditato dalla madre sensualità ed eleganza.
Quella che però Gwyndolin aveva davanti non era la moglie di
Gwyn: il suo viso era diventato scheletrico, alcune ciocche di capelli
erano cadute, il vestito era stato strappato in più punti,
si era tirata via la pelle delle labbra e quel poco trucco che
indossava quotidianamente era colato. Si trovava in una posizione
accucciata e si guardava intorno, come se non capisse più
dove si trovava.
“Madre?” domandò in un sussurro
Gwynevere.
La moglie di Gwyn si voltò verso la ragazza che
l’aveva chiamata e inclinò la testa verso destra,
esibendo un’espressione perplessa.
Gwyndolin era rimasto raggelato dall’aspetto della madre:
stentava a riconoscerla. Davvero l’esilio di suo figlio le
aveva fatto così male?
Gwynevere era spaventata dall’aspetto della madre e dal suo
strano modo di comportarsi.
Ornstein si mise davanti alla Principessa, facendole da scudo con il
proprio corpo. La moglie di Gwyn non sembrava ostile, più
che altro confusa, ma certamente era diversa. Il Cavaliere non riusciva
a sentirsi a suo agio con quella donna. Gwyndolin era davanti a lui,
completamente scoperto, ma non sembrava spaventato.
Il bambino fece lentamente un passo avanti nella direzione della donna.
La moglie di Gwyn lo osservò avvicinarsi, sempre
più confusa.
“Madre…” mormorò Gwyndolin
tendendo una mano verso di lei. In qualche modo si riconosceva nello
sguardo triste della donna.
La moglie di Gwyn scattò veloce come una vipera verso il
bambino. Cercò di arrivare con una mano alla sua gola per
soffocarlo, ma gli strani poteri di Gwyndolin la respinsero con
un’onda di energia e la mandarono a sbattere contro il muro
dietro di lei.
“Madre!” esclamò Gwynevere.
Ornstein la trattenne, ma bastò solo la voce della
Principessa del Sole a far rinsavire la donna che sembrò
ritrovare la lucidità e tornare mansueta.
Gwyndolin rimase impassibile di fronte all’attacco della
donna che l’aveva messo al mondo: era già stato
rifiutato una volta, una seconda non gli avrebbe cambiato la vita.
Ornstein e la Principessa del Sole uscirono dalla stanza della moglie
di Gwyn e la fanciulla trascinò con sé anche il
fratello minore.
Ornstein stava facendo rapporto a Gwyn sull’incontro di
Gwynevere con la propria madre. “E quando ha attaccato il
bambino siamo letteralmente scappati fuori” concluse il
Cavaliere.
Il Lord del Sole ascoltò le sue parole in silenzio. Era
grato a Ornstein per aver protetto la sua adorata Gwynevere, ma provava
una strana sensazione anche per Gwyndolin. Non considerava quel bambino
suo figlio perché non vedeva i tratti del Sole in lui, ma in
un certo senso lo stimava per la personalità forte che aveva
dimostrato di possedere: non temeva la solitudine e non aveva certo
paura di guerrieri come Smough. “Indagherò
personalmente” mormorò infine.
Gwyndolin si buttò sul suo letto, pensieroso.
L’esilio di suo fratello era stato un brutto colpo per tutti,
e sicuramente di più per la madre, ma non pensava che
avrebbe digiunato così caparbiamente per tre settimane.
Avrebbe dovuto patire i morsi della fame o la solitudine almeno, ma
sembrava ignorare tranquillamente entrambi. Inoltre non sembrava
riconoscere i volti dei suoi familiari: c’era qualcosa di
strano in lei.
“Posso?”
Gwyndolin riconobbe la voce di Velka: sapeva che prima o poi gli
avrebbe rivolto parola, ora che era rimasto senza la protezione del
fratello maggiore.
La Dea del Peccato entrò nella stanza senza aspettare il
consenso del bambino e si avvicinò a lui, sedendosi sul
letto. “Come ti senti?” domandò
cordialmente.
Gwyndolin rimase in un silenzio ostile.
“Sto cercando di essere carina con te”
ribatté la Dea, piccata.
“Nessuno te lo ha chiesto” ribatté il
bambino. “Anzi, quello che penso è che stai
cercando di conquistare la mia fiducia per farmi entrare nei tuoi
domini. Come hai fatto con Priscilla. Perché ora non sono
più protetto da mio fratello.”
Velka rise malignamente. “Va bene, va bene: ci ho provato,
non è il caso di essere così duro con me. In
fondo sono stata anche gentile, ti ho avvertito che tuo fratello
avrebbe lasciato Anor Londo.”
Per Gwyndolin fu come un fulmine a ciel sereno.
“Già… tu come facevi a
saperlo?”
La dea fece spallucce. “Una semplice intuizione.”
Il bambino le lanciò uno sguardo così penetrante,
che per un secondo ricordò quello di Lord Gwyn.
“Non credo alle tue intuizioni. Devi sapere qualcosa che non
so.”
“Se non lo sai…”
“Lo scoprirò” ribatté
Gwyndolin.
“Sono venuta qui solo per dirti che comunque tuo padre non ti
degnerà di uno sguardo anche se tuo fratello ha lasciato
Anor Londo” gli occhi di Velka, da dietro la maschera,
sorrisero. “Resterai comunque un abominio e prima o poi
pregherai per entrare nei miei domini.”
Il bambino la guardò sprezzante. “Tu continua a
sperarci.”
“Ah… e ti consiglio di sfruttare la presenza di
tua madre: anche lei sta per lasciare Anor Londo.”
Non ho molto da
dire di questo capitolo, solo che Havel e la madre di Gwyndolin
ovviamente cominciano a diventare vuoti... e ovviamente questo
cambierà il mondo roseo in cui Gwyn vive. xD Dal prossimo
capitolo si entra nel vivo della storia! ;)
Grazie a chi
leggerà e a chi recensirà questo capitolo!
WindSlayer
|
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Capitolo 5 *** Morte ***
E’
passato un po’ di tempo dal mio ultimo aggiornamento, ma
capitemi: sono estremamente disorganizzata e dovevo dare un esame. xD
E’ un po’ più corto rispetto ai
precedenti, ma siamo arrivati al punto. Buona lettura! :3
VEREOR NOX: GWYNDOLIN,
SOLE OSCURO
Capitolo
Cinque: Morte
Gwyndolin rimase impressionato
dall’esistenza di quella nuova razza: sembravano del tutto
simili a loro a parte le dimensioni ridotte.
“Nani”,
così li aveva battezzati Gwyn, visto quanto erano piccoli
rispetto agli abitanti di Anor Londo. Non sembravano fisicamente
resistenti ma la loro origine era sconosciuta.
Il bambino rimase
affascinato da quelle piccole ma ostinate creature. Si dimostravano
docili con gli abitanti di Anor Londo; forse erano spaventati dalle
loro dimensioni maggiori. Avevano costruito le loro città,
però, non avevano avuto bisogno di un Lord che li
benedicesse e li proteggesse dal buio. I nani, al contrario, sembravano
abbracciare l’oscurità.
“Nostra
madre…”
La voce di sua sorella
lo riportò alla realtà: si era di nuovo perso
nelle sue congetture sui nani. Il bambino la guardò
interrogativamente senza domandarle quando effettivamente fosse entrata
nella biblioteca di Gwyn.
“Mi
riconosce a malapena. Che cosa le prende?” la Principessa del
Sole si sedette di fronte al bambino con le mani fra i capelli rosso
fuoco.
Gwyndolin scompariva
dietro il cumulo di libri che stava leggendo. Erano tutti impilati sul
tavolo per ordine di argomento. Rimase in silenzio, incapace di
confortarla: non condivideva la tristezza della sorella e non era in
grado di consolarla.
La Principessa del
Sole sospirò e alzò gli occhi. “Cosa
stai studiando?” gli domandò con sospetto.
Gwyndolin riconobbe lo
sguardo della sorella: era lo stesso di Gwyn, così carico di
freddezza. “Niente” borbottò il bambino.
Non se la sentiva di
condividere con la sorella le sue conoscenze. Da quel poco che aveva
compreso, Gwyn temeva la magia così come gli abitanti di
Anor Londo. Il PArimogenito e Velka erano le uniche eccezioni nella
città-fortezza, ma ovviamente la dea del peccato non
riscuoteva la sua simpatia.
“A nostro
padre non piace che tu passi tanto tempo qui, a leggere questi
libri.”
“A nostro
padre non piaccio io.”
Gwynevere e Gwyndolin
si scambiarono un’occhiataccia.
“Comunque…”
la Principessa del Sole tornò a sospirare cupamente.
“Cosa possiamo fare per nostra madre?”
Il bambino fece
spallucce, guadagnandosi l’ennesima occhiataccia da
Gwynevere.
“Tu leggi
sempre questi libri, sai sicuramente cosa le succede!”
esclamò la sorella.
“Non sono un
medico” ribatté il bambino.
“I medici
sono stati completamente incapaci di aiutarla” Gwynevere
aveva uno sguardo fermo e allo stesso tempo disperato. “Mi
serve qualcuno con le tue conoscenze.”
Il bambino
incrociò le braccia al petto esibendo
un’espressione seria. “Le mie conoscenze non
servono per curare la mente di una persona…”
La Principessa del
Sole fu irremovibile. “Tu. Devi. Provare.”
Anche quella volta
Gwynevere, Gwyndolin e Ornstein entrarono nella camera della moglie di
Gwyn e la donna li ignorò.
Il bambino rimase in
disparte ad osservarla: i suoi capelli erano sempre meno e la sua pelle
stava assumendo un colorito poco salutare. Era sempre più
magra. Gli occhi era sempre più incavati e le guance
scheletriche così come il resto del suo corpo. La sua
bellezza era svanita.
“Madre…”
Gwynevere si portò le mani alla bocca.
Ornstein si mise
davanti alla Principessa del Sole facendole da scudo: ricordava che la
moglie di Gwyn si era dimostrata ostile l’ultima volta e si
aspettava una reazione simile.
La donna si
voltò verso di loro lentamente mugolando qualcosa. Forse non
voleva dire niente di sensato, ma tutti e tre i visitatori
istintivamente cercarono di capire il significato dei suoi versi.
Gwyndolin si perse
nello sguardo di sua madre: era vuoto. Li guardava ma non li vedeva.
“Gwyn…”
borbottò la donna.
“Madre?”
Gwynevere fece un
passo avanti senza riuscire a trattenersi. Si stava riprendendo forse?
La Principessa del Sole sorrideva, quasi piangeva di commozione.
Poi sua madre
incrociò i suoi occhi e la sua espressione confusa assunse
tratti animaleschi.
La Principessa del
Sole non fece in tempo a sottrarsi alle mani della moglie di Gwyn, ma
in un lampo di lucidità si rese conto di essere in trappola.
Ornstein fece uno
scatto in avanti ma non ebbe la possibilità di usare la sua
lancia perché temeva di colpire Gwynevere nel tentativo. Fu Gwyndolin a salvare la
sorella con un incantesimo, come la prima volta. “Non
è in lei, non vedi?” esclamò.
“Non posso fare niente: non ha un braccio che le fa male,
è la sua mente il problema. Non ti riconosce
neanche.”
“E’
per l’assenza di mio fratello, ne sono certa!”
ribatté la Principessa del Sole.
Tutta
l’attenzione di Ornstein era occupata dalla moglie di Gwyn
che giaceva a terra, stordita dall’incantesimo del suo
ultimogenito, perciò non stava dando ascolto alle parole dei
due fratelli.
Gwyndolin aveva notato
che sua sorella aveva detto ‘mio fratello’ non
‘nostro’ e che l’aveva involontariamente
escluso dal ramo familiare.
Era
un’abitudine che la moglie di Gwyn le aveva inculcato fin
dalla nascita dall’ultimogenito. “Non mi interessa
il motivo del suo malessere: ti sto dicendo che per la sua mente non
posso fare niente. E, fatalità, è proprio la sua
mente il problema.”
“Allora
perché leggi quei libri di magia?! Dovrai usarla in qualche
modo!”
Gwyndolin
fronteggiò lo sguardo accusatorio della sorella senza
difficoltà: era convinto di essere nella ragione e dopotutto
non poteva forzare i limiti della magia. “Ovviamente. Ma ogni
incantesimo ha il suo scopo e il suo limite.”
Gwynevere assunse
un’espressione addolorata. “E come facciamo con
lei? Non puoi lasciarla in questo stato!”
La moglie di Gwyn si
alzò in piedi e si lanciò su Gwynevere, ma questa
volta Ornstein fu veloce ed implacabile e la trafisse con la sua arma1.
Gwyndolin e la
Principessa del Sole raggelarono.
“Che cosa
hai fatto?” esclamò la fanciulla, mettendosi le
mani fra i capelli. “Che cosa hai fatto?!”
Lord Gwyn
ascoltò il racconto di Ornstein, che continuava a chiedere
perdono per ciò che aveva fatto. Non gli importava nulla di
quella che era stata la sua compagna per anni fin da quando aveva dato
alla luce quello sgorbietto. Dopo anni ancora si ostinava a ripetere
che non aveva mai tradito il Lord del Sole e che quel mostriciattolo
era realmente suo figlio.
“Mi hai
fatto un favore” disse infine.
“Mio
Signore?” Ornstein non riusciva a credere alle sue orecchie.
“Sì,
mi hai fatto un favore” ripeté il Lord del Sole.
“Quella donna, in quelle condizioni pietose, non mi era
utile. Anzi, era un peso. L’avrei uccisa personalmente ma
Gwynevere non me l’avrebbe mai perdonato.”
L’Ammazzadraghi
ascoltò quelle parole e sentì il petto fargli
male: Gwynevere non avrebbe perdonato neanche lui per il suo gesto.
Dall’esilio
di Havel e del Primogenito di Gwyn, la Principessa del Sole aveva
disperatamente cercato qualcuno in grado di aiutare la madre.
Lord Gwyn gli concesse
un sorriso. “Sapevo che prima o poi qualcuno
l’avrebbe uccisa visto che mia figlia continuava a farle
visita.”
Ornstein si rese conto
di aver fatto inconsapevolmente il gioco del Lord del Sole. Era un
piacere compiacerlo ma non si sentiva felice nel sapere di avere
danneggiato il suo rapporto con la Principessa a causa di un trucchetto
di Gwyn.
2Artorias
tornò dopo qualche settimana ad Anor Londo. Disse che quei
piccoli esseri erano docili e indifesi rispetto a loro e che non si
sarebbero opposti al dominio di Gwyn.
Aveva trovato solo una
cosa particolarmente sospetta: dentro una grotta oscura aveva trovato
un omino che teneva tra le mani un’anima potente. Era un
piccolo essere che i suoi simili chiamavano “il
Padre”. Quella creatura sembrava aver compreso
l’immenso potenziale delle anime e
perciò si rifiutava di disfarsi di quella che possedeva.
Gwyn annuì
e sorrise. “Sono in possesso di anime
potenti…”
“Solo quella
creatura, mio Signore” precisò il guerriero.
“Sì,
certamente.”
Artorias vide il
sorriso di Gwyn trasformarsi in un ghigno avido.
“Sono esseri
così piccoli e infimi… perché
possiedono anime potenti?” domandò il Lord del
Sole.
“Mio
Signore, è una sola anima potente” Artorias
continuava a puntualizzare ma Gwyn sembrava non ascoltarlo.
“Sì,
certo” Gwyn piantò i suoi occhi dorati in quelli
scuri del Cavaliere. “Voglio quelle anime.”
Artorias
accettò suo malgrado l’incarico del Lord del Sole
e tornò indietro, nei villaggi abitati da quelle che lui
chiamava “le piccole creature” a prendere
quell’anima così potente. Il suo orgoglio di
Cavaliere su ribellava ostinatamente, ma la sua fedeltà per
il sovrano di Anor Londo era più forte di tutto.
Sif, il suo compagno
di battaglia, stava uggiolando al suo fianco per fargli comprendere che
non era assolutamente d’accordo.
Artorias
però era taciturno quanto testardo e quando si parlava di
onore, niente riusciva a fargli cambiare idea. Il Cavaliere era tornato
ad Anor Londo ed era subito ripartito per i villaggi delle piccole
creature senza dire nulla a nessuno. Arrivò alla meta in una
settimana di viaggio, in compagnia di Sif, e le piccole creature lo
riconobbero immediatamente. Il Cavaliere non disse nulla e si
incamminò verso la grotta abitata dal Padre.
“Dammi
quell’anima” gli intimò Artorias.
La piccola creatura
strinse l’anima tra le sue dita. “E’ mia!
L'ho trovata io!”
“Non ho
intenzione di ucciderti.”
Artorias non era
interessare a macchiare ulteriormente il suo onore uccidendo una
creatura indifesa che neanche volendo avrebbe potuto dargli del filo da
torcere.
3Il
piccolo uomo era rannicchiato se stesso ad osservare maniacalmente il
suo tesoro. Era denutrito: gli occhi erano incavati ma illuminati da
una luce folle. Sul suo viso c’era un sorriso animalesco.
Durante la sua prima visita, Artorias l’aveva sentito
sussurrare a quell’anima, che emanava una luce oscura, e
vezzeggiarla come se fosse stato un cucciolo.
La creatura si
alzò su quelle misere gambette e lo guardò dritto
negli occhi.
“Gwyn non la
avrà mai.”
“Come-”
Il piccoletto strinse
così forte l’anima tra le dita che la dissolse
nell’aria.
“Cosa hai
fatto?!” esclamò Artorias, incredulo. Quello era
un vero affronto nei confronti dell’intera Anor Londo.
“E non
avrà neanche me!”
La creatura si
lanciò contro Artorias e il Cavaliere istintivamente lo
trafisse a morte con il suo spadone.
Quello che le piccole
creature chiamavano “Padre” spirò
ridacchiando. “Di’ a Gwyn che tornerete nel buio e
lui non potrà fare niente per impedirlo.”
Un
po’ di note, prima di tutto:
1Vi
ho già detto che della moglie di Gwyn non si sa nulla.
Né un nome né altro. Quindi ho ipotizzato che
potesse aver fatto una brutta fine.
2Da
quel che ho capito dalla lore, Artorias incontra il nano fortivo. Non
si sa come il nano furtivo muoia, si sa che muore, ma non riesce ad
ottenere l'Anima Oscura. xD
3Il
nano furtivo è basato, proprio secondo gli sviluppatori, sul
personaggio di Gollum de Il Signore degli Anelli (nonché uno
dei miei preferiti *-*) perciò ho pensato di descriverlo
rendendo il tutto abbastanza simile al tesssssoro xD Me lo immagino
ossessionato e magari plagiato dalla particolarità
dell’Anima Oscura ma comunque abbastanza sveglio. :3 Ho
immaginato che potesse avere il rispetto delle sue creature che lo
chiamano Padre… anche basandomi su ciò che gli
succede dopo. Senza fare spoiler a chi non conosce Dark Souls ;)
Mmm
mi pare di aver finito. Come dicevo, è un po’
più corto dei precedenti ma ne vado particolarmente fiera.
^^ Spero vi piaccia.
Un
bacio,
WindSlayer
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Capitolo 6 *** Paura ***
Dopo
anni e anni... un nuovo capitolo! \*-*/ Non dico nulla riguardo al
capitolo... ci vediamo in fondo alla pagina per le note! ;)
VEREOR NOX: GWYNDOLIN, SOLE
OSCURO
Capitolo Sei: Paura
Gwyn non prese bene l’essere stato privato di
quell’anima così potente. Aveva deciso, non appena
Artorias gliene aveva parlato, che sarebbe stata sua. Non poteva
sopportare che un esserino così microscopico, in confronto
alla loro statura, gli avesse rubato un tesoro del genere.
Artorias era tornato ad Anor Londo incredulo: mai avrebbe pensato che
quel nano si sarebbe suicidato gettandosi sul suo spadone piuttosto che
consegnare l’anima che Gwyn desiderava. Non avrebbe mai
creduto di tornare con la notizia di un fallimento.
Gwyn divenne ancora più intrattabile e allontanò
da sé persino sua figlia, la sua adorata Gwynevere. Con il
passare del tempo sembrava sempre più ossessionato dal
guadagnare potere.
La Principessa invece cercava disperatamente di avvicinarsi a suo
padre: era la sola famiglia che le rimaneva dopo
l’allontanamento del primogenito e la morte della madre.
Evitava accuratamente Ornstain: non sospettava l’esistenza il
tranello di Gwyn. Ovviamente il terzogenito non era contemplato nel suo
ramo familiare. Era come diceva Gwyn: lui era diverso. I discendenti
del Lord del Sole sembravano avere luce liquida al posto del sangue
perché brillavano dall’interno. Il piccolo
Gwyndolin, invece, era molto più simile a quei nani che
avevano privato Gwyn dell’anima che desiderava: non aveva una
luce interna ed era più basso e mingherlino dei suoi
consanguinei. In più, agli occhi di Gwynevere, il bambino
non era riuscito ad aiutare la madre causandone la morte.
Tutte le altre divinità di Anor Londo non si accorsero del
cambiamento di Gwyn: era sempre stato un sovrano dedito alla sua
patria, ma aveva svelato il vero se stesso solo ai suoi consanguinei.
Agli occhi di tutti era sempre stato saggio, potente e incrollabile.
Non si resero conto che ormai per lui contava solo il suo trono.
E passarono degli anni.
Gwyndolin era affacciato al grande balcone di Anor Londo ad osservare
il sole che si alzava e diventava sempre più forte.
“Ah, è strano incontrarti fuori dalla
biblioteca” disse Velka, affiancandosi a lui.
Gwyndolin ormai non era più un bambino ma un giovane
adolescente. Il tempo non l’aveva reso più simile
al padre, anzi, aveva aumentato le loro differenze. I lineamenti del
bambino erano diventati molto delicati e femminili, simili a quelli di
Gwynevere, e la sua pelle così pallida da dover rifuggire il
sole nelle ore più calde.
“Velka… non hai nessun altro da
perseguitare?”
La dea del peccato ridacchiò. Il tempo aveva reso il corpo
di Gwyndolin ancora più esile e debole, se lo si voleva
paragonare a quello di Gwyn, ma il suo carattere si era rafforzato e
ormai non temeva quasi più nessuno: la sua magia era
diventata più potente di qualsiasi guerriero. “Sai
che la risposta sarebbe negativa” rispose la donna. Gwyndolin
era l’unico odiato dal Lord del Sole ad avere il permesso di
abitare ad Anor Londo. Gwyn non aveva mai costretto suo figlio a
rinchiudersi dentro il dipinto di Ariamis: forse non aveva il coraggio,
alla fine, di fare, ancora una volta, qualcosa contro la sua famiglia.
Cadde il silenzio.
“Tuo padre si comporta in modo strano.”
“Sono anni che si comporta in modo strano.”
Velka non riuscì a reprimere un sorriso sotto la maschera
che portava. “E tu non intendi fare nulla a
riguardo?”
Il giovane la incenerì con i suoi occhi dorati.
“Mi confondi con uno dei Cavalieri di mio padre, per
caso?”
“No, come potrei?” rise la dea, guadagnandosi
l’ennesima occhiataccia. “Mi sembra solo strano che
tua sorella non ti abbia interpellato e non abbia chiesto aiuto alle
tue capacità. Non l’ha fatto?”
“Perché ti interessa?”
Velka rivide, per un secondo, il primogenito e la sua costante
diffidenza. Forse era per la strana somiglianza che accumunava
Gwyndolin e il primogenito di Gwyn, che il Lord del Sole non riusciva
ad allontanare il suo scomodo figlio più piccolo.
“Non mi interessa, mi chiedevo solo se tua sorella avesse
cambiato le sue abitudini.”
“Non ti riguarda.”
Con il passare degli anni Gwyndolin si era reso conto che Velka non
rappresentava affatto un pericolo ma più una figura che
compariva nei momenti meno opportuni. Il fatto che avesse studiato e
potenziato le sue capacità, superando anche quelle della dea
del peccato, aumentava ancora di più la sua sicurezza e la
sua sfacciataggine.
Dal balcone dove era affacciato, Gwyndolin notò la
processione di alcune persone che indossavano una lunga tunica nera che
copriva i loro volti con dei cappucci.
“Ma quelle non sono le Streghe di Izalith?”
domandò Velka improvvisamente interessata.
“Sì, sono loro” Gwyndolin si sporse un
po’ di più.
“Cosa ci fanno qui?”
Le Streghe erano dirette verso la grande entrata di Anor Londo con il
loro incedere calmo ma regale.
Il giovane lanciò uno sguardo inceneritore a Velka.
“Smettila di seguirmi” le intimò
rientrando nella città-fortezza e scomparendo magicamente
alla sua vista.
La dea del peccato continuò a sorridere dietro la maschera.
Sì, gli anni avevano cambiato Gwyn e i suoi figli. In
particolare il piccolo Gwyndolin.
“Te ne sarai reso conto anche tu” disse Izalith.
Lo sguardo che Gwyn le rivolse fu totalmente folle. “Come
può accadere una cosa del genere?”
“Non ne ho idea, ma si sta spegnendo.”
Gwyndolin si era reso invisibile e stava ascoltando la conversazione
tra Izalith e suo padre. Da quando il primogenito aveva lasciato Anor
Londo, il ragazzino aveva potuto ascoltare tutte le conversazioni che
desiderava perché nessun altro aveva la capacità
di percepirlo come faceva il dio della guerra. Gwyn e la Strega stavano
parlando della Prima Fiamma, il simbolo del loro potere, che bruciava
con sempre meno intensità.
“Che intendi, di preciso?”
Izalith fece un gesto di stizza. “Cosa intendo? Intendo che
la Prima Fiamma sta perdendo potere. Come vuoi che te lo dica? Sta per
spegnersi.”
Gwyn assunse un’aria spaventata. “Tra quanto
potrebbe spegnersi?”
Gwyndolin si sedette per terra godendosi una conversazione che sarebbe
stata lunga e molto probabilmente interessante.
“Abbiamo tempo, se è questo che ti preoccupa.
Molto. Ma si spegnerà.”
Il Lord del Sole sbatté un pugno sul bracciolo del suo
trono. “Impedisciglielo!”
Le figlie di Izalith, che si facevano chiamare ‘Figlie del
Caos’, borbottarono tra loro, incredule per il modo in cui il
Lord del Sole si rivolgeva alla Strega. Non gli era mai piaciuto il
modo in cui Gwyn trattava gli eroi con cui aveva sconfitto i draghi.
Per il mondo era solo merito del Lord del Sole se avevano potuto dar
vita all’Era del Fuoco, ma in realtà aveva avuto
molti compagni al suo fianco. I più importanti gli restavano
fedeli, ma molti stavano perdendo fiducia nei suoi confronti e questo
lo rendeva persino più scontroso.
“Posso provare, ma…”
“Tu devi riuscire!”
Izalith e Gwyn si guardarono intensamente negli occhi per un lungo
momento.
Gwyndolin sapeva che la Strega era dotata di una personalità
molto forte. Si era legata al Lord del Sole per sconfiggere i draghi
immortali, desiderosi di raggiungere la superficie, ma dopo
quell’evento raramente erano andati d’accordo e
così lei si era ritirata ad Izalith per poter praticare
liberamente la sua magia.
Gwyn era sempre stato accecato dal comando: sul campo di battaglia era
stato fenomenale e provvidenziale, ma da quando era diventato il
sovrano dell’Era del Fuoco e di Anor Londo era diventato
pigro e ancora più pieno di sé. Ormai credeva che
tutto gli fosse dovuto e nessuno avrebbe potuto privarlo del suo trono.
“Ci proverò, Gwyn. Neanche io voglio tornare al
Buio” disse la Strega di Izalith trattenendo un tremito.
Gwyndolin restò immobile e guardò Izalith
lasciare il grande salone di Anor Londo accompagnata dalle sue Figlie,
come in processione.
Il Lord del Sole lanciò un grido furente facendo accorrere
il fedele Ornstein.
“Mio Signore?” domandò il cavaliere.
Gwyn prese la sua corona, che portava sempre tra i capelli, e gliela
lanciò contro con un altro grido di rabbia.
Gwyndolin, ancora invisibile, scosse la testa: il Lord del Sole era
sempre eccessivo nelle sue esternazioni.
Velka sorrise guardando Gwyndolin dormire profondamente nel suo letto.
La vita non era stata generosa con lui: i suoi genitori
l’avevano rifiutato, sua sorella l’aveva rifiutato
e l’unico che l’aveva mai amato era stato esiliato.
Nonostante tutto non era diventato un essere debole, certo non era
forte fisicamente come Gwyn, ma a modo suo era diventato un valido
guerriero.
Da bambino era poco più che autosufficiente, sempre nascosto
dietro le vesti ampie del Primogenito, ora preferiva comunque rimanere
nell’ombra, ma non temeva più così
tanto il prossimo: aveva imparato tanti validi incantesimi con cui
potersi difendere.
La Dea del Peccato quasi sorrideva di orgoglio guardando quel ragazzo
adolescente, prima così debole, che ora si avviava a
diventare una figura importante di Anor Londo. Ovviamente solo lei
aveva interesse nella sua esistenza.
Ancora attendeva, con impazienza, il momento in cui Gwyn lo avrebbe
rinchiuso nel Dipinto di Ariamis e lei avrebbe avuto il controllo
totale su quel ragazzino. Perché, sì, veniva
rifiutato da tutta Anor Londo, ma era diventato molto altezzoso, a
tratti anche odioso, forse inebriato dalla sua potenza.
Gwyndolin stava leggendo in biblioteca, in perfetta solitudine, e stava
facendo pratica con degli incantesimi molto semplici.
“Tu sei Gwyndolin, immagino” gli disse una voce che
non aveva mai sentito.
Il ragazzo alzò gli occhi e vide di fronte a sé
uno dei tanti soldati di Anor Londo. Aveva voce una profonda, molto
simile a quella di suo padre, ma in qualche modo era anche dolce.
Attraverso l’elmo si intravedevano un bel paio di occhi
scuri.
“Sì, sono io.”
Gwyndolin non si stupì del fatto che quel soldato non lo
conosceva: da quando aveva imparato a rendersi invisibile passava la
maggior parte del tempo in quello stato e ormai era diventato solo una
voce di corridoio. Solo i più vicini a Gwyn sapevano
com’era fatto e che esisteva davvero.
“Lord Gwyn desidera vederti.”
Questo sorprese Gwyndolin: suo padre lo stava convocando? Chiuse subito
il libro che stava leggendo e quasi corse nel salone dove si trovava il
trono di suo padre. Aprì la porta con la magia, talmente era
emozionato. “Padre! Volevi vedermi?”
Il Lord del Sole lo fulminò con lo sguardo. “Lord
Gwyn, per te, sgorbietto.”
Gwynevere, come sempre seduta sul bracciolo del trono di Gwyn,
ridacchiò malignamente.
Gwyndolin rimase raggelato al suo posto: aveva creduto che il Lord del
Sole volesse riappacificarsi con lui, accettarlo, finalmente.
Provò il desiderio di rendersi invisibile ma resistette alla
tentazione fronteggiando lo sguardo duro di suo padre.
“Volevi vedermi?” ripeté.
Gwyn rimase in silenzio qualche secondo credendo che il ragazzo avrebbe
continuato la frase chiamandolo che l’appellativo che
meritava, ma non lo fece. Era incredibilmente testardo.
“Sì. Ci sono delle persone che volevano
vederti.”
Il grande portone dorato della stanza si aprì, spinto dalle
guardie giganti, lasciando entrare gli incantatori di Seath.
Gwyndolin sentì il sangue defluirgli dalla testa alle gambe.
Osservò in silenzio gli incantatori avvicinarsi a suo padre
e sua sorella e inchinarsi al loro cospetto, ascoltando il tintinnio
dei loro pendenti dorati, senza sapere cosa dire. Uno di loro lo
guardò fisso negli occhi, sorridendo arcigno.
“Li riconosci?” sorrise Gwyn.
“Sì” riuscì a rispondere
Gwyndolin combattendo il groppo alla gola.
Gwynevere continuava a sorridere malignamente: desiderava ardentemente
liberarsi di quel mostriciattolo. Gli aveva chiesto soltanto di
liberare sua madre dal suo malessere, ma non c’era riuscito e
la sua incompetenza aveva portato al suo brutale assassinio. Da quando
sua madre era stata uccisa non vedeva di buon occhio neanche Ornstein
ma l’oggetto principale del suo odio era sempre Gwyndolin.
“Bene, allora sai già che Seath ti
desidera” continuò il Lord del Sole.
“In realtà non lo immaginavo.”
Gli occhi di Gwyn brillarono folli. “Voglio sapere
perché sei così.”
Gwyndolin rimase al suo posto: sarebbe stato usato come cavia da Seath
il Senzascaglie con il consenso di suo padre.
Uno degli incantatori, dopo il cenno di consenso del Lord del Sole, si
avvicinò a Gwyndolin e lo prese per il polso.
Il ragazzino non si oppose: si sentiva dispiaciuto e impaurito per
l’ennesimo abbandono del padre, ma riuscì a
nascondere la sua delusione. In un certo senso voleva scoprire
com’erano gli Archivi del Duca di Seath che avevano spinto
Havel e il Primogenito a tradire Gwyn e il creatore di Priscilla.
Gwynevere lo salutò con la mano mentre
l’incantatore lo trascinava fuori dal salone.
Mentre usciva dalla città-fortezza incontrò i
Quattro Cavalieri di suo padre, che rimasero tristemente a guardarlo, e
Smough che fu l’unico che scoppiò a ridere
malignamente.
Di tutti, però, solo Gwyn quasi non lo degnò di
uno sguardo.
Eccoci qua. :D
Lo ammetto: il
capitolo potrebbe essere considerato corto... ma ehi! Avete capito che
succede? Gwyn vende Gwyndolin a Seath che ha perso completamente la
brocca xD Aaaaah
l'amore paterno. Non mi sono inventata nulla: nella lore
del gioco ci sono delle supposizioni su "un incontro" tra Gwyndolin e
Seath perchè il Drago crea la Farfalla della Luna che sembra
avere dei poteri in comune con i poteri del terzogenito. Ecco come secondo
me è andata xD
E ora come
farà Velka senza il "suo" piccolo Gwyndolin?
Ps: spero che
questo ritorno in carreggiata vi faccia piacere! :D
Un bacio,
WindSlayer
|
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