Heroes

di _Wonderwall_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** AVVISO ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1

<< Buon compleanno >> una voce femminile dolce e bassa, arrivò alle orecchie di Shailene, distraendola per un attimo dai bei sogni che stava facendo.
L’enorme specchio d’acqua circondato da montagne e alberi verdi e rigogliosi scomparve lentamente dagli occhi assonnati e socchiusi della bambina e si accomodò in un piccolo angolo della sua memoria. La ragazzina sbadigliò portandosi una mano davanti alla bocca e sbattendo le palpebre ancora assonnata e leggermente irritata dall’interruzione di quel magnifico sogno. Ricordava quel posto, ci era stata l’estate precedente con tutta la sua famiglia, o perlomeno con la parte della famiglia che le piaceva.
<< Dai, piccolina apri gli occhi >> ripeté la stessa voce, carezzandole il braccio con dolcezza.
Shailene borbottò qualcosa di indistinto e coprì il viso con le coperte leggere, lasciando i capelli rossicci sparsi sul cuscino. La risata della donna arrivò leggermente ovattata dal tessuto delle coperte, ma riuscì comunque a far comparire un sorriso sincero sulle labbra piene della undicenne.
<< Ancora cinque minuti, zia >> Shailene cercò di fare la voce più supplichevole e dolce che potesse fare, ma sapeva bene che il suo sonno era già finito.
Infatti dopo neanche due secondi le coperte vennero tolte improvvisamente, permettendo alla leggera brezza di inizio settembre di procurarle qualche brivido. Un odore di caffè e di cioccolato raggiunse le sue narici facendo scomparire l’irritazione in pochi secondi. Per le due cose che preferiva al mondo poteva perdonare Laura per averla svegliata così presto. Diamine, erano solo le nove e mezza.
La castana allungò una mano verso la tazza di caffè, prendendosi il suo tempo prima di cominciare a parlare. La mattina era sempre scioccante alzarsi e aveva bisogno di una decina di minuti –e un buon caffè- prima di essere completamente sveglia. Il caffè le bruciò la lingua, ma il sapore dolce e al tempo stesso forte la svegliarono completamente. Strizzò gli occhi, mordendosi la lingua.
<< E’ così strano vedere una ragazzina di dieci anni bere caffè >> commentò Laura, alzandosi dal letto.
Poteva decisamente considerarsi la sua frase preferita, la ripeteva ogni volta che su nipote chiedeva del caffè. Sì, ok, era strano –e sicuramente non salutare- bere così tanto caffè, ma la bevanda nera rilassava i nervi di Shailene e la faceva sentire in pace con se stessa e con il mondo. La caffeina aveva uno strano effetto su di lei.
Shailene alzò gli occhi al cielo.
<< Undici >> la corresse, facendo nascere un enorme sorriso sul suo volto.
Finalmente aveva realizzato che giorno fosse. Alzò in piedi in meno di un paio di secondi e corse a scendere le scale più velocemente possibile.
<< Lene >> sentì la voce di Laura chiamarla da sopra le sale, ma la ignorò.
Una decina di lettere erano poggiate sul tavolo. Il suo sorriso si fece ancora più grande. Prese in mano tutte le lettere, leggendo velocemente il mittente e il destinatario.
Laura Lovegood.
Laura Lovegood.
Laura Lovegood… Laura Lovegood… Laura Lovegood… Laura Lovegood… l’undicenne sentì il cuore battere più veloce e un morsa soffocante le strinse il petto, impedendole quasi di respirare. Tra quelle missive ce ne era una sola indicata a lei ed era una stupida cartolina da parte di sua zia Luna Lovegood. Non fraintendete, adorava sua zia con tutto il cuore e amava le sue strampalate cartoline, ma non era quello che sperava trovare quella mattina. Prese un respiro profondo mentre si sforzava di impedire alle lacrime di uscire dai suoi occhi. Doveva esserci un errore, non era possibile.
<< Lene, cerchi questa? >> la ragazzina si accorse del sorriso sulle labbra di sua zia anche senza guardarla direttamente.
Sentì le braccia della zia circondarle i fianchi e una lettera con uno strano marchio per chiuderla le comparve davanti agli occhi appena la donna la poggiò sul tavolo. Shailene trattenne il respiro e aspettò un paio di secondi prima di afferrarla con velocità ed aprirla, avvertendo la morsa al petto allentarsi e il suore riempirsi di eccitazione, calore e felicità.

SCUOLA DI MAGIA E STREGONERIA DI HOGWARTS

Preside: Minerva McGrannit
(Ordine di Merlino, Prima Classe,
Grande Strega, Strega Capo, Supremo Pezzo Grosso,
Confed. Internaz. dei Maghi)

Cara signora Ricci,
Siamo lieti di informarla che Lei ha diritto a frequentare la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. Qui accluso troverà l'elenco di tutti i libri di testo e delle attrezzature necessarie.
L'anno scolastico avrà inizio il 7° settembre.

Distinti saluti,
Filius Vitius
Vicepreside

Shailene abbracciò di slancio sua zia, stringendola come mai prima d’ora. Era felice. Aveva ricevuto la sua lettera e presto sarebbe andata ad Hogwarts, sarebbe stata smistata in una casa e sarebbe diventata una vera maga.

<< Abbiamo delle cose da comprare >>


La bacchetta di sua zia si posò sulla combinazione dei mattoni sul muro per entrare  a Diagon Alley. Seguì la combinazione con gli occhi, conoscendola a memoria. Era stata così tante volte a Diagon Alley, a cena dagli zii o più semplicemente per fare un giro con i suoi cugini, ma mai era stata tanto eccitata come quella volta. Osservò il muro aprirsi, rivelando la città colma di maghi e streghe intenti a fare gli ultimi acquisti.
La magia riempiva l’aria, rendendola satura di quella felicità e stranezza che popolava il mondo magico. Il chiacchiericcio delle persone rendeva quel posto così pieno di vita. Non andava a Diagon Alley da almeno una settimana, ma le mancava già tantissimo. Adorava stare a casa con Laura. Vivevano non molto lontano, ma essere in quella casa sembrava quasi essere fuori dal mondo. E Shailene lo adorava. Aveva tutto a portata di mano. Con soli trenta minuti poteva arrivare alla città, ma viveva in un vero e proprio paradiso terrestre.
L’undicenne batté le mani, entrando nella città a passo di carica e correndo verso la vetrina che più le interessava: la bacchetta.
<< Lene, aspettami >> urlò Laura, cercando di farsi sentire sopra il chiacchiericcio della folla.
Shailene la ignorò, entrando nel negozio e facendo cadere una decina di scatole contenenti bacchette. Il rumore fece sbuffare un vecchio uomo che guardò la ragazza con disapprovazione.
<< Credo che la disattenzione sia parte integrante della famiglia Lovegood, ho ragione Lene? >>
Le guance della ragazzina si tinsero di un rosso acceso e incrociò le mani dietro la schiena, assumendo una posizione imbarazzata.
<< Credo di sì, Signor Olivander >> rispose comunque, mostrando sfrontatezza ma in modo cortese.
Sulle labbra del vecchio comparve un sorriso gentile mentre si avvicinava al bancone. Quella bambina l’aveva vista per la prima volta due giorni dopo la sua nascita, trasportata nella città magica da quella madre un po’ pazza. Ed adesso stava già comprando la sua prima bacchetta.
Shailene raccolse le scatole dal pavimento riponendole su una mensola. Si avvicinò al bancone di corsa.
Il campanello della porta suonò in quel momento, avvertendo dell’entrata di un nuovo cliente. Un rumore sordo, identico a quello precedente, riempì nuovamente la stanza, facendo ridere Shailene. Le bacchette erano cadute di nuovo a terra e piegata su di esse c’era una mossa chioma bionda che si apprestava a raccoglierle. Anche le guance di Laura si tinsero di rosso quando alzò il viso sui presenti della stanza.
Olivander sbuffò divertito.
<< Ed ecco anche la zia >> borbottò a bassa voce, mentre afferrava una bacchetta dalla mensola e la porgeva all’undicenne.
Lei la afferrò con decisione e la sventolo, facendo crollare un’intera mensola di bacchette. Sorrise malandrina e la ridiede al vecchio fabbrica bacchette che sistemò il suo disastro con un semplice gesto della mano.
<< Prova questa >>
Sventolò la seconda bacchetta e una luce la avvolse. Immediatamente sentì dentro di se crescere una sensazione di complicità e di attrazione.
<< E’ la bacchetta a scegliere il mago, ricordalo Lene >> l’undicenne sorrise verso Olivander.
Aveva sempre sognato di ascoltare quella frase, sin da quando sua zia le aveva detto che quella era la frase tipica del venditore di bacchette.
<< Dieci pollici e tre quarti, in legno di quercia, con un nucleo di unicorno, indeformabile >> osservò l’oggetto << è una bacchetta potente >>
L’undicenne sorrise.

 

<< Ricorda Lene, corri esattamente tra i due binari >> la avvertì nuovamente Laura, carezzandole la testa.
Shailene sbuffò.
<< Lo so zia, lo so >>
La ragazzina strinse con forza il manico del suo carrello e prese un grande respiro. Osservò la gabbia con il cucciolo di gatto nero che le restituì uno sguardo di incitamento. Adorava già la sua piccola Alaska. Era la seconda cosa che aveva comprato in Diagon Alley, dopo aver scoperto che la zia le aveva regalato una scopa per il suo compleanno. Non era dell’ultimo modello (una nimbus 3000), ma Shailene già l’amava con tutta se stessa.
Strinse maggiormente la presa, trattenne il respiro e prese la rincorsa. Aspettò l’impatto con il muro, pur sapendo bene che quello non sarebbe avvenuto. Tutto ciò che avvertì fu una consistenza acquea passarle attraverso come qualcosa di ultraterreno. Come un rito di passaggio.
Non era mai stata al binario nove e tre quarti e quello che si trovò davanti la stupì non poco.
Centinaia e centinaia di ragazzi si aggiravano per il binario, ridendo e parlando rumorosamente.
Raccomandazioni, consigli, frasi di incoraggiamento e di commozione. Tutto era così fantastico che Shailene rimase incantata da quel panorama. Si risvegliò quando la mano gentile di Laura si poggiò sulla sua spalla.
<< Non voglio essere una zia noiosa e mi fido del tuo buonsenso, quindi ti dico solo spacca i culi >> Shailene sorrise radiosa a sua zia, guardandola negli enormi occhi celesti che lei purtroppo non aveva ereditato dalla famiglia di sua madre.
Fisicamente somigliava molto più ad una mediterranea, un’italiana, che un inglese. E forse anche un po’ caratterialmente. Dalla famiglia Lovegood probabilmente aveva preso la sbadataggine e una buona dose di pazzia.
<< Ma attenta ai nargilli >>
Shailene rise, ma prese quella raccomandazione molto sul serio. Non c’era da scherzare con i nargilli.

 

Forse pensate che non son bello,
ma non giudicate da quel che vedete
io ve lo giuro che mi scappello
se uno più bello ne troverete.
Potete tenervi le vostre bombette
i vostri cilindri lucidi e alteri,
son io quello che al posto vi mette
e al mio confronto gli altri son zeri.
Non c'è pensiero che nascondiate
che il mio potere non sappia vedere,
quindi indossatemi ed ascoltate
qual è la casa in cui rimanere.
forse Grifondoro la vostra via,
culla dei coraggiosi di cuore:
audacia, fegato, cavalleria
fan di quel luogo uno splendore.
O forse è a Tassorosso la vostra vita,
dove chi alberga è giusto e leale:
qui la pazienza regna infinita
e il duro lavoro non è innaturale.
Oppure Corvonero, il vecchio e il saggio,
se siete svegli e pronti di mente,
ragione e sapienza qui trovan linguaggio
che si confà a simile gente.
O forse a Serpeverde, ragazzi miei,
voi troverete gli amici migliori
quei tipi astuti e affatto babbei
che qui raggiungono fini ed onori!
Venite dunque senza paure
E mettetemi in capo all'istante
Con me sarete in mani sicure
Perché io sono un Cappello Parlante!
Un applauso esplose in sala grande e qualche fischio, proveniente per lo più da Grifondoro, si diffuse nell’aria, creando un’atmosfera festosa. Le grida cessarono quando la preside, Minerva McGrannit, si avvicinò al leggio e cominciò a chiamare I primini.
Shailene era schiacciata tra due Hugo e Lily e tutti e tre stringevano le mani degli altri quasi per infondersi coraggio a vicenda. L’undicenne sapeva che se fossero capitati in case diverse la loro amicizia sarebbe rimasta comunque solida, ma aveva un po’ paura.
<< Tranquilla Lene, finiremo tutti e tre a grifondoro >> sussurrò Hugo, guadagnandosi un’occhiata di rimprovero da parte di sua cugina.
<< Non importa in che casa finiremo. Saremo sempre noi tre >> promise la rossa, stringendo la mano con più forza.
Shailene annuì. Era la verità, lo sentiva. Lo sapeva.

 


  Angolo Autrice
Buonasera a tutti, sperando che qualcuno abbai letto il primo capitolo e che abbia tempo e voglia di lggere anche questo angolo autrice!
Voglio solo darvi il benvenuto e chiedervi cosa ne pensato di questo capitolo e cosa vi aspettate dalla storia :) Sinceramente non ho un'idea precisa, non so come finirà ne tantomeno cosa succederà quindi lo scopriremo insieme! Per la pubblicazione dei primi capitoli non dovrebbe esserci problema visto che li ho già scritti, ma per gli altri non garantiso considerando che sono un'exhange student al momento e non ho tutto questo tempo! E' lo stesso motivo per cui ho sospeso l'altra storia (se vi va di dare un'occhiata ve ne sarei grata)!
Comunque come ho già detto i personaggi nella descrizione sono solo alcuni dei più interessanti, ma ovviamente ci saranno anche Lily, Rose, Albus, Scorpius e tanti altri :) Shailene ovviamente sarà uno di questi, devo ammettere che il personaggio è basato su di me, ma le cose che abbiamo in comune non sono poi molte, per ora direi la sbadataggine e l'aspetto fisico!
Detto questo, spero che la mia storia vi abbia interessato e che decidiate di seguirla! Per ora ringrazio chi ha letto e un grazie ancora più grande se ci sarà qualche anima pia che avrà voglia di recensire :)
Ci sentiamo presto
p.s mi scuso per l'impaginazione, ma non capisco perchè questo sito non funziona

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

 

 

Lysander Scamander poteva affermare con orgoglio di appartenere alla meravigliosa e gloriosa casata Grifondoro e, ancora meglio, di essere il cercatore di quest’ultima, nominato per tre anni di fila cercatore migliore della scuola.

Lysander Scamander, oramai arrivato al suo ottavo anno ad Hogwarts, poteva affermare che aveva tutto e che, molto probabilmente, era la persona più felice in quel dannatissimo castello. Era circondato da un gruppo di amici che lo adoravano quasi come fosse un Dio in terra, i suoi voti in tutte le materie erano più che rispettabili, la sua camera da prefetto era ciò che ogni ragazzo adolescente potesse desiderare, aveva file di ragazze che avrebbero fatto carte false per uscire con lui ed il suo futuro da giocatore di Quidditch era praticamente assicurato. Sarebbe stato ricco e famoso senza dover fare niente di particolarmente faticoso in cambio. Solamente il gioco che, contrariamente all’opinione di tutto il castello, odiava con tutto se stesso.

Perché sì, Lysander Scamander odiava il Quidditch con tutto se stesso, non che non fosse un ragazzo sportivo, anzi, ma proprio non riusciva a capire quello sport per cui aveva poi scoperto avere un talento naturale.

Poteva dire poi, con un sospiro di sollievo, di essere scampato alla vena di pazzia che apparteneva alla sua famiglia che, a quanto pareva, aveva saltato un’intera generazione, potendo considerare anche Lorcan normale.

Beh sì, forse Lorcan era l’unica pecca nella vita perfetta di Lysander Scamander. Suo fratello gemello e suo migliore amico prima del primo anno ad Hogwarts dopo il quale, essendo stati smistati in case diverse e soprattutto storicamente rivali, erano diventati quasi nemici per la pelle.

Ma Lysander voleva bene a Lorcan e nonostante tutto non lo avrebbe mai abbandonato, né tantomeno tradito.

Lysander conosceva il suo segreto, ma, lo giurava su Godric Grifondoro, era ben custodito.

 

 

Lorcan Scamander era tutto quello che non voleva essere. Tanto per cominciare era stato smistato a Serpeverde quasi senza aver poggiato il cappello sulla testa, se poi a questo ci si aggiunge una famiglia con tutte le rotelle fuori posto, un fratello gemello perfetto, l’incapacità di riuscita in tutte le materie scolastiche tranne che in pozioni e un talento innaturale per trovarsi in situazione scomode beh ecco che si otteneva la vita di Lorcan.

Un diciottenne con complessi di inferiorità e innamorato del suo migliore amico. Lorcan lo aveva scoperto quasi tre anni prima di essere gay e l’avrebbe anche accettato, sebbene non con poche difficoltà, ma l’essere innamorato perso di Albus Severus Potter era decisamente troppo.

E così si limitava ad ignorare. Ignorare tutto, i suoi sentimenti, la sua famiglia, suo fratello. La sua vita. Loran Scamander viveva per inerzia. Si lasciava trasportare dagli eventi senza nemmeno provare a cambiare il corso delle cose e prendere in mano la sua vita.

Sarebbe stato troppo difficile, troppo faticoso, troppo doloroso.

Non per niente era finito a Serpeverde. Era un vigliacco e ne era perfettamente consapevole, ma non faceva niente per cambiare le cose.

E a Lorcan andava bene così almeno fino a quando, quell’estate stessa, Lysander lo aveva scoperto. Solo a ripensarci le sue guance, e tutta la sua faccia, prendeva quel colorito rosso peperone che davvero molto raramente si manifestava sul suo viso.

Beh, era stato a dir poco imbarazzante. Lysander era entrato in camera da letto proprio mentre il gemello serpeverde dava sfogo ai suoi istinti e alle sue frustrazioni con un ragazzo appena conosciuto. Ubriaco fradicio e nudo come un verme non era stato in grado di fare altro se non mettersi a piangere davanti agli occhi sconvolti di suo fratello.

Lysander non l’aveva preso in giro o insultato. L’aveva guardato, abbracciato e gli aveva sussurrato all’orecchio di stare tranquillo.

Non l’aveva detto a nessuno e Lorcan sapeva che mai l’avrebbe fatto perché, nonostante tutto, nonostante le incomprensioni e i litigi, Lysander era suo fratello e gli voleva bene.

 

 

 

Ted Lupin era soddisfatto della sua vita. A soli ventidue anni era diventato un auror e quello stesso anno avrebbe iniziato ad insegnare ad Hogwarts Difesa Contro Le Arti Oscure invece di concludere il praticantato e lavorare poi al reparto auror del ministero.

Ma quello era proprio ciò che aveva voluto da quando aveva messo piede nella scuola di magia e stregoneria. Sarebbe voluto diventare insegnante per trasmettere ai ragazzi, che non erano poi tanto più giovani di lui, l’amore per la magia e anche per l’insegnamento.

Poi avrebbe finalmente avuto una camera ed un ufficio dignitoso. Infatti Ted, che aveva passato la sua infanzia nella casa dei Potter, una volta compiuti i diciassette anni e quindi diventato maggiorenne, aveva lasciato la confortabile villetta per trasferirsi in un puzzolente e minuscolo appartamento diviso con altri due ragazzi che, come lui, andavano alla ricerca della propria autonomia.   

Non fraintendete, Ted era immensamente grato ai Potter e considerava Ginny ed Harry come genitori ed allo stesso modo trattava James, Albus e Lily come fratelli minori, ma, Harry lo aveva sempre detto, lui era uno spirito libero ed indipendente. A quanto pare non erano solo i capelli l’eredità lasciatagli da sua madre. Perché, anche se ad una prima occhiata, Teddy poteva sembrare tutto suo padre, il carattere era molto più simile a quello di Ninfadora Tonks che a quello di Remus Lupin.

Non aveva mai avuto una ragazza fissa così come non aveva mai avuto un piano stabilito fino a quando quell’anno, mentre vagava per le strade di Diagon Alley dopo una serata con gli amici, si era imbattuto in una disperata, bagnata e solitaria Rose Weasley che, dopo aver rifiutato il suo aiuto per mezz’ora buona, si era finalmente arresa ed aveva accettato di andare a casa sua per cambiarsi i vestiti e magari godersi una buona camomilla.

E da allora Rose Weasley era diventata la sua variabile e la sua costante. Era fastidiosamente organizzata e ordinata, ma aveva il potere di ridurre in brandelli i piani che lei stessa aveva progettato con tanta minuziosità. Con Rose tutto era una sorpresa, tutto era nuovo e finalmente Ted si era reso conto di potersi legare sentimentalmente a qualcuno.

Rose era la sua eccezione.

 

 

Alice Paciock era diversa. Era totalmente diversa da suo padre sia per aspetto fisico che per carattere e sua madre le aveva conferito giusto qualche tratto del viso. Infatti, nata da due genitori grifondoro, uno dei quali era stato, nonostante tutto, uno degli eroi della seconda guerra magica, Alice era finita a Serpeverde.

Ma non se ne era stupita più di tanto così come non lo avevano fatto i suoi genitori, a differenza dell’intera popolazione del mondo magico e soprattutto di quella della scuola di magia e stregoneria di Hogwarts. La ragazza che tutti si aspettavano di trovare aveva due versioni: o una grifondoro coraggiosa o una tassorosso timida e poco loquace.

Neanche a dirlo, Alice non rispecchiava nessuna delle due. Non sapeva se il cappello parlante avesse mai sbagliato, ma era assolutamente sicura che con lei avesse preso la decisione giusta.

Era una strega brillante, ambiziosa che ambiva alla gloria e che raramente si fermava davanti a qualcosa o a qualcuno. Il suo motto era ‘se non ti fa comodo allora evitalo’.

Semplicemente passava sopra a tutto ciò che non le andava a genio. Ovviamente anche lei aveva le sue eccezioni.

Nonostante fosse come un pesce fuor d’acqua in quella famiglia non avrebbe mai voluto farli soffrire, non consapevolmente comunque. Così ogni volta che faceva qualcosa di sbagliato che deludeva i suoi genitori, ma soprattutto suo padre, Alice soffriva. Soffriva così tanto da doversi allontanare da tutto e da tutti purché gli altri non se ne accorgessero.

Non piangeva, non le piaceva piangere, aveva fatto una promessa a se stessa all’età di soli sei anni. Urlava. Alice preferiva sfogarsi alla maniera babbana.

Prendeva la sua scopa e volava a velocità inaudita verso quella che oramai era diventata la sua palestra personale. Palestra forse era un tantino esagerato, tutto quello che potevi trovare in quel buco di appartamento vicino al lago nero era una sacco da box e dei pesi con cui potesse allenarsi.

E così ogni volta che Alice soffriva trasformava il dolore in rabbia e prendeva a pugni quel sacco fino a farsi sanguinare le nocche. E tirava calci fino a quando non le si gonfiavano i polpacci.

Quella era l’unica costante della vita di Alice Paciock, l’unica cosa che riusciva a farla sentire meglio.

 

 

 

James Sirius Potter era stanco. Era stanco senza aver davvero fatto niente ed aveva cominciato a stancarsi alla tenera  età di quattordici anni.

Un giorno aveva aperto gli occhi e aveva deciso di cambiare, perché quello non era più lui, ma solo una copia sbiadita di suo padre.

Un ottimo cercatore, un talento naturale per la difesa contro le arti oscure e naturalmente per mettersi nei guai, due amici con cui affrontava la scuola e la vita e un’espressione da pesce lesso sempre stampata in viso come se in tutto quello che  accadesse lui fosse solo la vittima e che non avesse il potere di cambiare gli eventi.

Ma almeno suo padre, il grande Harry Potter, il bambino sopravvissuto, aveva avuto la possibilità di dimostrare il proprio valore.

E così James rimpiangeva la guerra. Perché lui voleva essere acclamato, voleva essere un eroe e voleva che tutti quanti lo sapessero. Ma ogni volta che quel pensiero passava nella sua mente si dava dell’idiota e si sentiva in colpa perché una guerra avrebbe potuto distruggere tutto. La sua famiglia, i suoi amici, la sua casa, la sua vita.

Non avrebbe sopportato di perdere Lily. Certo, perdere Albus o i suoi genitori sarebbe stato straziante, ma la sua piccola sorellina era tutto ciò che davvero gli interessava e a lei dedicava tutto l’amore che possedeva che, ormai si era convinto, non era poi molto.

Lily Luna Potter con la sua vivacità e la sua forza era l’unica persona che riusciva a farlo essere se stesso.

Quel giorno, a quattordici anni, era diventato una persona che nemmeno conosceva. Scontroso, scorbutico, menefreghista e totalmente incurante delle regole. Ma almeno con Lily riusciva ad essere il ragazzo solare, intraprendente, gioviale, audace, coraggioso, testardo ed ironico che veramente era.

Non la copia sbiadita di suo padre ne tantomeno quel ragazzo sconosciuto che si ostinava ad interpretare. Semplicemente James Sirius Potter. Semplicemente se stesso.

Lily era la sua costante. Beh, Lily e il suo adorato ‘Fight Club’.

James infatti, pur ignorando Alice Paciock e la sua esistenza e avendole parlato una volta o due durante gli incontri di suo padre con la famiglia Paciock, era più simile a lei di quanto si aspettasse. Entrambi si sfogavano con la violenza.

James aveva cominciato a combattere quando aveva sedici anni. Un piccolo gruppetto di ragazzi ad Hogwarts aveva avuto la brillante idea di riunirsi nella Foresta Proibita ogni domenica e prendersi a pugni fino a quando l’altro non si arrendeva.

James era bravo. Vinceva sempre e quello sembrava conferirgli la gloria di sui aveva bisogno. Anche se doveva sopportare qualche occhio nero.

 

 

Axel Lovegood era strano. Era tutto ciò che ci si potesse aspettare da qualcuno appartenente a quella famiglia. Pur non essendo sua madre la Lovegood più pazza si poteva dire che Axel fosse tutto sua zia.

Era la copia di Luna Lovegood al femminile, non tanto per l’aspetto fisico, avendo ripreso dalla parte materna solo gli enormi occhi celesti che lo rendevano ancora più strano, quanto per una questione caratteriale.

Axel non si arrabbiava mai, tutto ciò che diceva era quantomeno strano e la maggior parte delle volte difficile da credere, era decisamente scaramantico e di un’intelligenza quasi spaventosa. Non per niente era stato smistato a corvonero. E non per caso era diventato il migliore amico di sua cugina Shailene, entrando nel gruppetto più strano e stravagante di Hogwarts insieme a Lily Potter e Hugo Weasley.

I due grifondoro era decisamente pazzi almeno quanto Axel e Lene, ma in un modo più sregolato.

Non c’era un giorno in cui non finissero nei guai per una lezione saltata o per uno stupido scherzo. I degni discendenti di George e Fred Weasley, così ormai li definiva tutto il castello. E per proprietà transitiva anche Shailene e Axel erano così chiamati.

Al corvonero tutto questo andava bene. Quando era con i suoi amici poteva essere se stesso e dare sfogo alla sua natura stravagante senza essere giudicato.

Per quel che ne sapeva le uniche teste libere da gorgosprizzi in tutta Hogwarts erano quelle dei tre pazzi con cui passava le sue giornate.

 

 

 

Louis Weasley era normale. Era tutto ciò che si immagina quando si pensava ad un ragazzo ordinario e perfettamente nella media. E come tutte le persone ordinarie odiava la monotonia della sua vita che era tutto tranne che eccezionale.

Se poi si aggiungeva il fatto di essere membro della famiglia Weasley quel ragazzo deludeva tutte le aspettative che le persone potevano farsi su di lui. Poco importava che un ottavo del suo sangue fosse di veela e niente poteva la sua straordinaria bellezza contro la mediocrità del suo carattere.

O per lo meno era quello che pensava Louis quando guardava i suoi cugini. Tutti loro avevano qualcosa di speciale, anche James, nonostante provasse ad allontanare tutto e tutti da lui, suscitava più interesse di lui.

Louis non aveva l’intelligenza di sua sorella Victoire, oramai uscita da quel manicomio che tutti si ostinavano a chiamare scuola, e non possedeva nemmeno la caparbietà e l’astuzia di Dominique a cui, nonostante i colori argento verde della sua divisa, o probabilmente proprio grazie a quelli, bastava uno sguardo o un sorriso per far cadere tutti ai suoi piedi.

Louis era gentile, disponibile e leale, certo, come d’altronde ogni tassorosso che si rispetti. Ma quello era tutto. Era riuscito ad entrare nella squadra di quidditch probabilmente solo per mancanza di un cercatore più capace e, forse, aiutato dal suo cognome.

Ok, non era tanto male come cercatore, ma non era neanche un talento. Nella media.

Louis Weasley era fastidiosamente nella media.



Angolo Autrice
ecco qui il seondo capitolo che arriva prima del previsto, ma era pronto e non mi piace lasciare le storie con un solo capitolo :)
Qui incontriamo per la prima volta i personaggi della descrizione, come ho già detto non sono gi unici e gli altri verranno presentati con il proseguire dei capitoli! Non ho niente di importante da dire quindi mi limito a ringraziare chi ha letto , chi segue\ricorda\preferisce la storia e soprattutto le due ragazze che hanno recensito!
Voglio anche specificare che, come ho scritto nella desrizione a permanenza ad Hogwarts si è estesa di due anni, decisione presa dalla preside dopo la seconda guerra magica per preparare al meglio gli studenti in un'eventuale futura battaglia!
Spero che il capitolo piaccia, anche se è solo una mera presentazione! Vi prego di recensire anche se non è di vostro gradimento, così da poter migiorare! Grazie per aver letto :)

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

 

 

 

Dominique Weasley si sedette al tavolo dei serpeverde, sorridendo alle ragazze che prontamente la circondarono eccitate per seguire la nuova storia della giovane strega. Era ogni giorno la stessa storia, ogni volta che metteva piede in Sala Grande, o peggio ancora nella Sala Comune, veniva letteralmente assalita da tutte le ragazze presenti ed era costretta, si fa per dire, a raccontare qualcosa sulla sua meravigliosa vita. Che la storia riguardasse un ragazzo o un atteggiamento di superiorità nei confronti di un primino o ancora un duello con uno di quei stupidi grifondoro poco importava, l’importante era che lei raccontasse una storia o desse qualche giudizio.

Ciò che Dominique Weasley diceva era legge.

La realtà era che Dominique Wesley era una vera stronza e quella caratteristica accompagnata dal suo cognome, i colori della sua divisa e il sangue veela che scorreva nelle sue vene la rendevano la regina indiscussa di tutta Hogwarts.

Nessuno l’avrebbe voluta davvero come nemica, perché lei, era risaputo, sapeva essere pericolosa.

<< Dom, ti ho vista con Lysander sul treno >> disse Marie Smith attirando in quel modo maggiore attenzione sulla bionda che sorrise, limitandosi ad annuire in modo affermativo.

<< Siamo appena arrivati ad Hogwarts e già ti dai da fare >> osservò ghignando Sandra Jones.

<< Beh, lo sapete, con Lysander avevo un conto in sospeso >> rispose, sorridendo apertamente.

Era meglio essere chiare con quelle due se voleva vedere pubblicata sul giornalino la perfetta storia. La verità era che Marie e Sandra erano delle vere pettegole e, come da copione, avevano dato vita al giornalino di Hogwarts, per colpa del quale molte amicizie e relazioni erano state distrutte. Ma, Dominique lo sapeva, quelle due non si sarebbero mai permesse di pubblicare qualcosa contro il suo consenso, poteva benissimo considerarle i suoi cagnolini e proprio per questo poteva affermare di sapere cosa succedesse ad Hogwarts come se avesse occhi ed orecchie dappertutto.

E se una coppia non le piaceva non doveva metterci poi troppa fatica per farli lasciare, bastava un sorriso e un completino sexy per far cadere tutti ai suoi piedi. Ed era per quello che, quando Lysander aveva cominciato ad ottenere sempre più ammiratrici, aveva deciso che era arrivato il momento di marchiare il territorio. Non per impedirgli di avvicinarsi a qualcuna, a lei di quel biondino non importava un bel niente, ma per la semplice soddisfazione di dire che era riuscita a prendersi anche lui.

E ne era valsa la pena. Dominique ghignò, ascoltando le risatine e i sospiri delle ragazze intorno a lei mentre si apprestava a raccontare il tutto nel dettaglio. Quella era decisamente la parte migliore.

Dominique non era né pudica né tantomeno una santarella e di certo non aveva paura di farlo vedere.

<< Nel bagno del treno, ma che classe >> una voce ironica e tagliente si intromise nel racconto della Weasley che prendeva sempre di più l’aspetto di un porno.

La bionda ghignò nuovamente verso la nuova arrivata e fisso la ragazzina con occhi quasi dolci. Si sistemò i lunghi capelli biondi che ricadevano in boccoli sulle spalle e si inumidì le labbra prima di rispondere, solo per rendere il tutto il più teatrale possibile.

Alice Paciock alzò gli occhi al cielo, stizzita da quella scenetta calcolata. Solitamente restava in silenzio, ma una cosa che proprio non riusciva a tollerare erano i racconti dannatamente particolareggiati di quella mezza veela da strapazzo. Soprattutto non durante il primo cenone ad Hogwarts. Quello doveva essere un bel momento, non una tortura.

La diciottenne guardò la più piccola negli occhi, perfettamente circondati da un trucco nero pesante che, anche non addicendosi alla bellezza quasi delicata di Alice, le donava.

<< Dovresti cercare anche tu qualcuno, anzi di fare la verginella gelosa >> rispose Dominique, credendo di riuscire a fregarla e a farla soffrire.

Ma la verità era che, se Dominique Weasley era stronza, Alice Paciock lo era almeno il doppio. Per la seconda volta alzò gli occhi celesti al cielo, prima di ghignare a sua volta, scoprendo una fila perfetta di piccoli denti bianchi sotto delle labbra rosee non troppo sottili.

Guardò la serpeverde più grande negli occhi, ugualmente chiari, ma incredibilmente diversi.

<< Già, quest’anno quando sono partita per Hogwarts ho deciso come obiettivo quello di diventare una troia come te >> sorrise dolce e pronunciò la frase con ammirazione.

Dominique schioccò la lingua sul palato, guardandola con disapprovazione. La piccola Paciock non le era mai andata a genio, fino a quel momento però si erano per lo più ignorate, ma quell’anno sembrava più che intenzionata a starle tra i piedi.

<< Cos’è questa, gelosia? >> la guardò con pena << Ti sei presa una cotta per Scamander, Alice? >>

La sedicenne scoppiò a ridere e senza nemmeno degnarla di una risposta si girò verso la preside McGrannit che, dopo essersi avvicinata al leggio reclamava l’attenzione di tutti i presenti.

Anche Dominique e le sue fedeli compagne rivolsero l’attenzione alla preside. Lo smistamento dei primini si era appena concluso e quell’anno la casa prediletta sembrava quella dei Tassorosso. La ragazza sbuffò contrariata. Sempre più pappamolli riempivano quella scuola da strapazzo.

Se quella dannata preside non avesse cambiato il sistema educativo, allungandolo di due anni, a quell’ora sarebbe già fuori da quella gabbia di matti.

<< Prima di iniziare il cenone avrei tre annunci da fare >> nella Sala Grande calò il silenzio.

<< Prima di tutto, benvenuti ai ragazzi che stanno per affrontare il loro primo anno e bentornati a coloro che invece conoscono già la nostra scuola. Quest’anno avremmo una nuova studentessa, trasferitasi dal collegio francese Beauxbatons che entrerà a far parte della casata dei Serpeverde >>

Un applauso si levò dal tavolo di Alice, mentre la ragazza aveva individuato la nuova arrivata e la guardava con aria diffidente. Era senza dubbio un’altra stupida veela a giudicare dal suo aspetto, dal portamento, dallo sguardo e dall’effetto che aveva su tutti i presenti. La ragazza fece una smorfia disgustata mentre tale ‘Arielle Moreau’ si accomodava al loro tavolo. Come se non ce ne fossero abbastanza.

<< Ora vi prego di dare il benvenuto al nuovo professore di difesa contro le arti oscure: Ted Lupin >>

Un applauso, decisamente più forte del precedente si diffuse per la Sala Grande e, questa volta, anche Alice partecipò, sorpresa dalla bella novità. Non che avesse molta confidenza con Ted Lupin, ma le era sempre in qualche modo piaciuto e lo aveva sempre stimato. Un coro di sospiri dalla parte femminile di Hogwarts alla vista del ragazzo le fece alzare ancora una volta gli occhi al cielo. Non c’era dubbio, Ted era decisamente un bel ragazzo, giovane e molto avvenente, ma perché bisognava mettere in imbarazzo il genere femminile in quel modo?

<< Ora l’ultima e più importante notizia >> il silenzio si presentò nuovamente tra gli studenti, pronti ad ascoltare eccitati ciò che la preside aveva da dire.

<< Dopo anni, finalmente, Hogwarts è stato nuovamente scelto per ospitare il torneo tre maghi al quale, come negli anni precedenti potranno partecipare solo gli studenti dal settimo anno in poi >> un brontolio di disapprovazione si diffuse per la sala, ma la McGrannit lo zittì subito, rivolgendo un’occhiataccia ad ogni studente che si azzardava ad aprire la bocca.

<< Tuttavia ci saranno dei cambiamenti, i ragazzi scelti dal calice saranno due per ogni scuola, dopodiché si terra un duello per decidere il migliore tra i due. Da allora inizieranno le prove vere e proprie. Ricordate, questo non è un gioco >>

Un applauso eccitato e impaziente si levo da tutti e quattro i tavoli e mormorii di sorpresa e felicità si fecero sempre più evidenti.

C’era chi non vedeva l’ora di partecipare al torneo, chi lo considerava troppo pericoloso e chi ricordava le grandi gesta del grande Harry Potter durante l’ultimo Torneo Tremaghi che si era svolto ad Hogwarts. Poi ancora chi si dispiaceva per la morte di Cedric Diggory , chi si preoccupava per il ballo del ceppo e chi non vedeva l’ora di conoscere le altre scuole.

E proprio i desideri di questi ultimi vennero esauditi dalla preside che richiamò di nuovo l’attenzione annunciando con un sorriso:

<< Ed ora date un caloroso benvenuto alla scuola di magia e stregoneria di Beauxbatons >> le porte della Sala Grande si aprirono ed uno stormo di uccelli bianchi si librò in ria, avvolgendo tutte e quattro le casate di Hogwarts, che li guardarono ammirati.

Alice Paciock non si lasciò distrarre e restò con lo sguardo fisso sull’entrata. Presto si rivelarono una cinquantina di ragazze vestite di rosa che procedevano con passo elegante e aggraziato verso dei tavoli che erano appena apparsi davanti alla preside.

Alice le guardò schifata. Rosa. Non avrebbero potuto scegliere un colore peggiore, le faceva sembrare dei confetti che danzavano e cantavano. Ridicole.

Ma non ridicole quanto la scuola di Durmstrang, i cui ragazzi entrarono in sala a cavallo delle loro scope, mentre a terra altri si esibivano in acrobazie ed alcuni si avvicinarono alle ragazze di Hogwarts per regalare loro una rosa.

Un ragazzo alto e muscoloso, con folti capelli biondi e profondi occhi nocciola si avvicinò ad Alice, porgendole una rosa con un sorriso sensuale.

<< No, grazie >> rispose la ragazza, girandosi dalla parte opposta e cercando di trattenere una smorfia disgustata.

Tutto quello era fatto per attirare più attenzione possibile, per dimostrare alle altre scuole che loro erano migliori e che avrebbero potuto avere tutto ciò che desideravano. Era quello in cui consisteva il torneo e no, Alice non era minimamente interessata. 

Il russo poggiò comunque la rosa sul tavolo, davanti alla sedicenne, che lo guardò con altezzosità. Ma quello sorrise, facendole l’occhiolino e dirigendosi verso i suoi compagni.

<< Che il banchetto abbia inizio >>

E le tavole si riempirono di portate deliziose così come l’immensa sala si riempì di chiacchiere concitate.

Bentornata ad Hogwarts pensò Alice, rivolgendo un sorriso amichevole ad Albus Potter, che si era appena seduto davanti a lei e cominciando a mangiare.

 

 

 

Angolo Autrice

Buona sera a tutti! Devo ammettere che questo capitolo non mi piace per niente, ma ormai l’avevo scritto e non mi viene in mente nessuna idea per cambiarlo! Qui incontriamo Dominique e Alice, ma la cosa più importante è l’annuncio di un nuovo Torneo Tremaghi che, dopo aver presentato tutti i personaggi adeguatamente (o quasi tutti) sarà un argomento di fondamentale importanza!

Vorrei specificare che questa storia non riguarda solo drammi adolescenziali! Ovviamente sono presenti e, devo ammetterlo, ne sono abbastanza, ma c’è dell’altro! Ecco perché ho cercato di non rendere i personaggi scontati!

Detto questo mi dileguo e provo a lasciarvi le foto delle due ragazze come le immagino io!

Ci sentiamo presto!

Dominique

Alice

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4

 

 

Shailene prese con velocità la sua sacca e si chiuse la porta alle spalle, lasciando la sua camera da prefetto nel disordine più totale. Quella mattina si era svegliata vergognosamente tardi, dopo un sogno popolato da gorgosprizzi e nargilli che l’aveva distratta più del consentito.

Sbadigliò, senza nemmeno coprirsi la bocca, mentre evitava due primini e correva verso l’uscita della torre dei Corvonero. La porta si aprì davanti a lei e la ragazza corse velocemente, andando a sbattere contro più di una persona e rivolgendo loro un veloce ‘scusa’ urlato durante la sua folle corse.

Inciampò più volte nei suoi stessi piedi e si maledette per essere così fastidiosamente distratta e per non essere stata completamente immune ai geni della famiglia Lovegood. Perché Shailene Sara Ricci non poteva certo essere definita normale, ma non era una pazza completa come sua zia e suo cugino Axel, che tra l’altro adorava.

Cercò di correre più veloce, mentre addentava una mela che aveva afferrato prima di uscire e con l’altra mano si sistemava la tracolla sulla spalla. Quel movimento brusco le fece andare i capelli davanti agli occhi e le coprirono la visuale per dieci secondi, che bastarono per travolgere qualcuno davanti a lei e cadere sopra questa sconosciuta persona, sbattendo la testa sul petto solido e facendo cadere la mela sul pavimento.

<< Diamine, quella era la mia colazione >> si lamentò ad alta voce, osservando la mela rotolare sul corridoio e poi cadere verso il vuoto.

Se avesse preso qualcuno in testa, l’aver saltato la colazione non sarebbe stato il suo più grande problema.

Solo in quel momento si ricordò che saltare la colazione non era il suo più grande problema. Si mise a sedere velocemente, borbottando un ‘cazzo’ tra i denti e imprecando una seconda volta quando, nel tentativo mal riuscito di alzarsi, scivolò nuovamente e ricadde come un peso morto sul corpo sotto di lei che, questa volta, si lasciò sfuggire un gemito di dolore.

Shailene non era mica un peso piuma.

<< Oh, scusa, mi dispiace, ma sono davvero in ritardo a lezione per la terza volta in una settimana e questa mattina non ho preso il mio caffè, quindi sono particolarmente distratta. Mi disp… >>

<< Va bene, va bene, ho capito >> ribatté scocciata una voce profonda e leggermente familiare.

Solo allora Shailene alzò il viso ed incontrò gli occhi nocciola di James Sirius Potter che la fissavano scocciati e infastiditi, ma anche divertiti.

<< Potresti alzarti? Mi stai schiacciando le costole >> si lamentò, spingendola delicatamente per le spalle.

La ragazza annuì con forza facendo sbattere il mento sulla fronte del castano che si lamentò di nuovo del dolore e così Shailene gli rivolse un’altra ondata di scuse che lo travolsero completamente.

<< Scusami, scusami di nuovo Jamie. I nargilli devono essere parecchi oggi, non senti anche tu l’aria un po’ pesante? >>

Il ragazzo alzò un sopracciglio preso alla sprovvista, sì dalle stronzate che quella pazza stava blaterando, ma soprattutto dalla confidenza che si era presa.

<< Jamie? >> chiese con un’espressione scettica, facendo sorridere la castana.

Lui e Shailene si erano a malapena parlati quando erano piccoli e comunque la loro ultima conversazione risaliva almeno a cinque anni fa, prima che la sua trasformazione allontanasse tutti quanti. Non che avesse allontanato lei, considerando che non erano mai stati vicini.

<< Oh, sì, Lily ti chiama sempre così, credo di essermi abituata >> sorrise ancora << Io sono Shailene Sara Ricci >> gli tese un mano che il ragazzo afferrò leggermente confuso.

Perché doveva utilizzare nome e cognome? Perché quella ragazza doveva essere così strana?

Beh, non per niente è amica di Lily ed Hugo.

<< So chi sei >> rispose solamente, continuando a guardarla << Cosa ci fai ancora in questa ala del castello? >> chiese, dimenticandosi completamente la sua maschera di menefreghismo.

Nemmeno conosceva quella ragazza, non sapeva niente di lei, eppure non riusciva a fingere. Probabilmente le ricordava troppo sua sorella. Effettivamente però Shailene non aveva niente di simile a Lily. I suoi capelli erano castani lunghi e mossi e anche se avevano qualche riflesso ramato, non potevano essere paragonati a quelli rosso fuoco e lisci della piccola Potter, gli occhi erano color miele ed oscillavano tra un nocciola e un verde poco deciso in contrasto con quelli scuri di sua sorella e le labbra erano piene. Lily poi era decisamente più alta.

Ma il loro carattere per alcuni tratti si somigliava davvero e quello spingeva il grifondoro ad avere una confidenza ed una naturalezza mai conosciute prima di allora.

<< La sveglia non ha suonato >>

<< Sveglia? >>

<< Oh, sì, è un oggetto babbano che squilla quando è l’ora di alzarsi, figo no? >> un sorriso più grande le illuminò il viso e contagiò anche il ragazzo.

Solo in quel momento James Potter si era reso conto di essere ancora seduto a terra con quella strana ragazza a cavalcioni su di lui e sorrise ancora, quando lesse la stessa consapevolezza negli occhi della corvonero.

Aprì la bocca per fare una battuta, ma Shailene si alzò di scatto, facendo appello a tutto il suo equilibrio per non cadere nuovamente e con le guance rosse per la vergogna ricominciò a correre come una pazza per il corridoio, urlando un ‘ciao, Jamie’ al ragazzo che ancora la fissava sbalordito.

James Sirius Potter la osservò correre via mentre sentiva il peso della sua maschera gravare nuovamente sul suo viso, ma alleggerito da un sorriso divertito e rispose al saluto, pur essendo consapevole che lei non sarebbe mai riuscita a sentirlo.

<< Ciao, Shai >>

 

 

Lorcan gettò con noncuranza i libri sul banco dell’aula di pozioni, ignorando le lamentele del professore e sedendosi vicino ad un Albus che lo guardava contrariato, ma anche divertito.

<< Di nuovo in ritardo Lor? >> chiese ironico, restando con gli occhi fissi sul libro che una loro compagna di casa stava leggendo.

Il biondo aprì il proprio libro e finse di ascoltare la lezione mentre disegnava ghirigori al bordo del testo e con la testa vagava tra i mille pensieri che lo tormentavano e, tra tutto quanto, l’unico punto fisso era proprio lui, Albus Severus Potter, seduto al suo fianco, il suo migliore amico di fianco a Scorpius Malfoy che proprio in quel momento gli stava rivolgendo un’occhiata complice mentre un areoplanino di carta planava sul suo banco.

Lorcan lo guardò incuriosito e lo aprì, sentendo gli occhi del suo compagno di banco puntati sul foglietto.

Scorpius aveva disegnato Lorcan che seduto al suo banco era impegnato a fare una pozione che subito dopo esplodeva ricoprendo la sua faccia di una sostanza verde non identificata. Albus trattenne a stento una risata, mentre il gemello fece una smorfia disgustata per nascondere un sorriso.

Scorpius non avrebbe mai smesso di prenderlo in giro per quell’unica sola volta in cui una pozione non gli era riuscita, ma, Lorcan ne era sicuro, non era stata colpa sua. Quell’imbecille di Malfoy aveva aggiunto di nascosto dell’acqua raggia e quando Lorcan aveva scaldato la pozione il tutto era esploso, non solo ricoprendolo di schifosa roba verde, ma facendogli guadagnare un Troll nell’unica materia che mai gli fosse riuscita.

All’inizio si era arrabbiato, ma dopo una settimana passata ad ignorare Scorpius e le continue suppliche di Albus aveva ceduto e l’aveva perdonato. Dannatissimi occhi cerulei e dannatissimo Potter.

Ora, dopo quasi quattro mesi, riusciva quasi a riderci sopra. Quasi.

Lorcan, che solitamente riusciva ad affrontare l’ora di pozioni senza sforzi troppo grandi, quella mattina cominciava a sentirsi oppresso e infastidito dall’aria umida e scura di quella stanza. Cazzo, era praticamente senza nemmeno una finestra. Lui era una serpe, abituato a vivere sottoterra, ma non riusciva più a sopportare quell’ambiente chiuso. Chissà come facevano i grifoni o i corvi a restare per ore intere in quel covo senza tentare prima il suicidio. Per i tassi non doveva essere troppo difficile, accettavano il tutto senza troppa difficoltà.

L’unica persona che gli impediva di lasciare la stanza in quel momento era seduta proprio accanto a sé e prendeva il nome di Albus Severus Potter.

Albus Severus Potter che, in quel momento era impegnato ad osservare il profilo della nuova arrivata. Una francesina veela del cazzo, che oltre ad essere insopportabile non faceva altro che scuotere i capelli e giudicare tutti dall’alto in basso.

Albus Severus Potter che afferrò una penna e scrisse qualcosa su un foglietto che poi lanciò in direzione della ragazza che, dopo averlo letto, lo guardò maliziosa.

Rispose con un areoplanino che questa volta Loran riuscì a leggere.

‘Stasera alle otto, sala comune’. A Lorcan venne da vomitare.

Albus Severus Potter che si girò verso il suo migliore amico e gli fece l’occhiolino mimando un ‘stasera me la scopo’ con le labbra.

Lorcan non si sforzò nemmeno di sorridere. Prese la sua sacca e si diresse verso la porta di uscita ignorando le grida di Lumacorno che blaterava di togliere i punti alla sua stessa casa e uscì sbattendosi la porta alle spalle.

 

Lorcan aprì con forza la porta del bagno maschile al terzo piano e si avvicinò allo specchio. Guardò il suo riflesso sentendo una crescente rabbia dentro di sé. Stava rovinando tutto.

Quel maledettissimo amore stava lentamente distruggendo tutto quello che Lorcan aveva costruito con fatica nella sua vita. Gli impediva di studiare, non gli permetteva di concentrarsi sul campo da quidditch e presto avrebbe rovinato anche la sua amicizia con Albus, allontanandolo definitivamente da lui. E Lorcan questo non voleva accettarlo, ma non sapeva come evitarlo. Non sapeva come avrebbe dovuto affrontare la cosa e l’unica soluzione possibile sembrava quella di lasciare che la vita proseguisse il suo corso senza nemmeno rendersi conto che lo stava ferendo. Perché sì, Lorcan stava soffrendo.

Un nuovo sentimento di rabbia si impossessò di lui quando le parole di Albus si fecero di nuovo chiare nella sua testa. Sentì il respiro farsi pesante e un peso premergli sul petto.

Allentò la cravatta, ma non era abbastanza. Sbottonò i primi bottoni della camicia, ma ancora una volta non era abbastanza.

Un rumore di vetri infranti si disperse per la stanza e Lorcan si accorse di aver tirato un pugno allo specchio solo quando guardò la sua mano sanguinante. E il dolore arrivò, ma non era abbastanza. Lorcan era arrabbiato.

Tirò un altro pugno ed un altro ancora e caricò il quarto quando una mano gli bloccò il braccio ed una voce profonda e sorpresa arrivò alle sue orecchie.

<< Sei forse impazzito? >> Louis Weasley guardava il biondo come se fosse appena uscito da un manicomio.

La sua giornata non faceva altro che peggiorare. Si era svegliato di umore nero e la situazione non era certo migliorata quando aveva preso un’enorme e decisamente poco gradita D in erbologia. Tutti quelli della sua casata erano dannatamente bravi in quella materia e lui si sentiva dannatamente stupido ogni volta che dovevano anche semplicemente piantare un seme. Ma almeno per quell’aspetto poteva considerarsi diverso dagli altri, non in modo positivo, certo, ma per lo meno non rientrava nella media.

E chi se lo sarebbe mai aspettato di trovare Lorcan Scamander intento a dare pugni ad uno specchio del bagno maschile.

<< Che vuoi? >> gli ringhiò contro il serpeverde, spingendolo indietro.

Louis fece due passi indietro a causa della forte spinta del biondo, ma non si lasciò intimorire dalla voce rabbiosa né tantomeno dall’espressione minacciosa.

<< Cosa è successo? >> non si avvicinò, credendo che almeno in quel modo avrebbe potuto calmare un po’ il ragazzo che si limitò a rivolgergli un’occhiata indifferente.

<< Non sono affari tuoi, vattene >>

Ma Louis lo sapeva Lorcan non lo stava cacciando, gli stava chiedendo aiuto. Lo osservò. La camicia sbottonata e la cravatta allentata,  l’espressione ferita e la mano sanguinante. E Louis in quel momento seppe cosa fare.

In quel momento ringraziò di essere un tassorosso nella media e di non essere scappato davanti alla richiesta muta di aiuto. Ringraziò di non essere diverso dai suoi leali compagni di casa. Ringraziò di essere gentile e premuroso, come tutti.

Si avvicinò a Lorcan e gli afferrò una mano, poi prese dei tovaglioli di carta, trasfigurandoli in una benda e la poggiò sul lavandino. Sciacquò la mano insanguinata e tolse con grazia i vetri che erano rimasti incastrati nella pelle e la fasciò sotto lo sguardo incantato e sorpreso di Lorcan.

Louis era poco più alto di lui e aveva i capelli più tendenti al dorato, con due grandi occhi grigi, il naso piccolo e la bocca piena, sembrava gridare al mondo che un ottavo del suo sangue non era umano. Poi ripensò al suo atteggiamento ad Hogwarts. Louis sembrava nascondersi, al contrario di Dominique e di Victoire prima di lei.

Louis girò gli occhi verso Lorcan e fissò l’azzurro cielo che infuriava ancora arrabbiato, ma decisamente più calmo. Non poteva sapere che in quel momento Lorcan tutto pensava di lui fuorché fosse nella media. Perché non tutti l’avrebbero aiutato e non tutti si sarebbero fermati ad osservarlo con il semplice scopo di assicurarsi che stesse bene.

Lorcan Scamander non pensava che Louis Weasley fosse mediocre.

<< Grazie >> sussurrò, continuando ad osservarlo negli occhi.

Louis sorrise e alzò le spalle.

<< Figurati. Ci si vede in giro >> e uscì dal bagno.  




Angolo Autrice

Ciao a tutte :) Ecco il quarto capitolo dove incontriamo Louis, Lorcan, Shailene e James!

Spero davvero che vi piacia! Non ho molto da dire se non ringraziare tutti e pregare per una reensione in modo da migliorare :)

Provo a lasciarvi le foto dei personaggi

James:

James

Shailene: 

Shailene

 

Lorcan:

Lorcan


Louis:

Louis

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5

 

 

Ted Lupin era calmo. Si trovava nella sua stanza da due ore, già pronto per la lezione e che guardava impassibile un punto davanti a lui.

D’altronde non c’era ragione per agitarsi, lui era un ottimo mago e i suoi allievi lo avrebbero apprezzato. Di quello ne era certo, ma sarebbe stato in grado di farsi rispettare? Dopotutto aveva solo tre anni in più rispetto ai ragazzi dell’ultimo anno ed era la prima volta dopo duecento anni che Hogwarts assumeva un professore così giovane.

Ma Ted se lo era meritato, era sempre stato un mago brillante e non aveva nessuna ragione di preoccuparsi.

Ma era nervoso, cazzo. Si passò una mano tra i capelli, che avevano cambiato colore prendendo una sfumatura più scura. Adorava avere il potere di cambiare il colore dei suoi capelli, ma odiava il fatto che quelli potessero farlo benissimo da soli, rivelando a tutti quanti le sue emozioni. E pensare che Ted Lupin era sempre stato bravo a nasconderle. Era sempre stato bravo a nascondere un sacco di cose, come da piccolo faceva con la cioccolata nella sua camera, con i trucchi di Ginny o ancora con i giocattoli di Lily.

Sospirò ancora, guardando l’orologio. Tra soli due minuti sarebbe iniziata la sua prima lezione e lui era ancora lì, a piangersi addosso e ad essere troppo preoccupato di arrivare in ritardo da farlo per davvero.

Quando aprì la porta della sua aula il silenzio si diffuse tra gli studenti dell’ottavo anno che lo guardarono con un misto di ammirazione e aspettativa. Beh, d’altronde non poteva certo aspettarsi altro da Tassorosso e Corvonero. I primi erano troppo gentili e i secondi avevano una curiosità troppo spiccata per permettere a dei pregiudizi di far parte del loro giudizio.

Avrebbe dovuto saperlo, dopo aver trascorso tutto quel tempo con Rose.

Rose. Da quando era arrivato ad Hogwarts non le aveva ancora parlato di persona, le aveva solo scritto qualche lettera alla quale la ragazza però non aveva risposto e questo lo aveva fatto preoccupare non poco. Era forse arrabbiata?

La cercò con lo sguardo mentre si dirigeva verso la cattedra e dava il benvenuto ai suoi studenti. Quando incrociò gli occhi celesti della ragazza però non vi lesse risentimento. Le labbra erano aperte in un sorriso di incoraggiamento e i capelli rossi e ricci erano intrecciati sulla testa per arrivare poi fino a metà schiena e rendere ancora più dolce la sua bellezza disarmante. Come aveva fatto a non accorgersi di lei prima proprio non riusciva a capirlo.

<< Bene, possiamo iniziare >> disse, ricambiando il sorriso della Weasley.

Ora era calmo.

 

La lezione era andata a gonfie vele e Ted Lupin non vedeva l’ora di iniziarne una nuova. I ragazzi si erano dimostrati ben disposti e contenti di apprendere da qualcuno che poteva capirli più di un malandato novantenne che li puniva per ogni singolo errore. Sbagliare era umano e, come diceva un vecchio detto babbano che ad Harry piaceva ripetere di continuo, ‘sbagliando si impara’.

Qualcuno busso alla porta del suo ufficio, sorprendendolo.

<< Avanti >> sulla soglia apparve una figura magra e slanciata che, dopo aver chiuso la porta alle sue spalle, si diresse verso la cattedra dove lui era seduto.

Anche il ventiduenne si alzò e posò le mani sui fianchi della ragazza, stringendola a sé ed aspirando a pieni polmoni il suo profumo. Quanto le era mancata.

<< Sei stato bravo professore >> disse Rose con voce soave, ricambiando l’abbraccio.

Ted si allontanò giusto quel tanto che bastava per poterla guardare negli occhi.

<< Perché non hai risposto alle mie lettere? >>

Non c’era segno di accusa nella sue voce, solo confusione e forse un po’ di preoccupazione. Ormai lo aveva capito, non sarebbe mai riuscito a decifrare completamente i comportamenti di Rose. Quando guardava il suo viso riusciva a capirla come se fosse stata una pergamena spiegata. Capiva le sue emozioni e i suoi turbamenti e sapeva come farla stare meglio, ma alcune volte, proprio quando credeva di averla finalmente decifrata, Rose faceva qualcosa che lo sconvolgeva e lo mandava in confusione.

La sua costante e la sua variabile.

<< Volevo che tu venissi a parlarmi >>

<< Non sei arrabbiata? >>

<< Dovrei esserlo? >>

Ted alzò le spalle prima di scuotere la testa con decisione. No, non c’era nessun motivo per il quale Rose sarebbe dovuta arrabbiarsi.

<< Ed infatti non lo sono >> sussurrò.

Le mani della ragazza si incastrarono con i capelli di lui, che stavano assumendo un colore rosso possibile solo in due casi –quando era arrabbiato o quando stava per diventare incredibilmente passionale- , e lo strinse a sé, facendo combaciare le loro labbra.

Quello che era un bacio appena accennato divenne tutt’altro, travolgendo i due ragazzi, che si lasciarono trasportare dall’istinto e dal desiderio.

Un rumore di passi che si dirigevano verso il suo ufficio li fece staccare con velocità e Rose si affrettò a riallacciare i bottoni della sua camicia incredibilmente rossa in volto, mentre Ted cercava di sistemare i suoi capelli.

La porta si aprì rivelando la chioma scura di Albus Severus Potter che sorrise felice ai due.

<< Ehi Teddy, ciao Rose >> disse entrando.

Lupin sospirò più tranquillo e sbuffò, passandosi una mano tra i capelli. Di certo avrebbe dovuto mostrare la sua abilità nel nascondere le cose, ma coprire la sua relazione con Rose sarebbe stato più impegnativo del previsto.

 

 

 

 

Lysander Scamander ne era certo. Quello sarebbe stato il suo anno. L’anno in cui avrebbe raggiunto l’apice della sua popolarità e la sua vita sarebbe diventata davvero perfetta.

Era cominciato bene, aveva pensato il ragazzo, mentre si scopava Dominique Weasley in uno dei bagni del treno per Hogwarts, ma mai si sarebbe aspettato un risvolto così positivo.

Il Torneo Tremaghi ad Hogwarts. Lysander sorrise. Avrebbe partecipato, avrebbe vinto e finalmente tutti avrebbero riconosciuto la sua superiorità rispetto agli altri studenti della scuola.

Beh sì, Lysander Scamander era bello, intelligente, sportivo, simpatico, gentile, con un’immensa autostima nei propri confronti, ma, purtroppo, era anche esibizionista e talvolta poteva sembrare un vero e proprio pallone gonfiato. Tutta Hogwarts lo giustifica però pensando che aveva tutti i diritti per essere un pallone gonfiato.

Si passò una mano tra i capelli, rivolgendo un sorrisetto malizioso ad una strega del suo anno appartenente a Tassorosso che non riusciva a staccargli gli occhi di dosso e fece una smorfia compiaciuta quando sentì i risolini delle sue amiche.

Era così facile suscitare quelle reazioni che il ragazzo talvolta si dimenticava che non tutta la popolazione femminile di Hogwarts era ai suoi piedi. Non mancavano di ricordarglielo quel gruppetto di ragazze di cui, però, almeno la metà era andata a letto con lui e si era arrabbiata così tanto quando l’aveva scaricata che gli portava ancora rancore.

Ma il grifondoro non se ne faceva certo un problema. Sapeva perfettamente che non si poteva piacere a tutti e l’importante non era quello, ma suscitare una qualunque emozione nella persona che ti sta di fronte.

Lysander lo sapeva. L’indifferenza era l’unica cosa che proprio non riusciva a sopportare.

La porta della sala grande comparve davanti a lui e il ragazzo entrò, guardandosi intorno. Non c’era nessuno lì, era l’unico e ne fu contento. Doveva mettere il suo biglietto nel calice e, nonostante le sue manie di protagonismo, per quella volta voleva essere solo. Nessuno doveva disturbarlo.

Prese un pezzetto di pergamena e velocemente scrisse con l’inchiostro nero ‘Lysander Scamander’, dopodiché sospirò fissando il suo nome.

E se non fosse stato scelto? E se fosse stato scelto?

A Lysander non piaceva ammetterlo, ma anche lui a volte aveva paura e l’ultima volta che quel torneo era stato ospitato ad Hogwarts un ragazzo ci aveva rimesso la vita ed un altro ci era andato più che vicino.

Quello era pericoloso.

Il gemello si diresse verso il calice, sorpassando la linea dell’età e lasciò cadere il bigliettino al suo interno appena prima di sentire delle voci e dei passi avvicinarsi.

<< Ho detto no >> una voce scocciata e parecchio infastidita raggiunse le orecchie di Lysander che, non riconoscendola, si esibì in una smorfia confusa.

<< Non era una domanda >> rispose una voce maschile, seguita da uno sbuffo.

In quel momento una ragazzina almeno due anni e venti centimetri più piccola di lui fece il suo ingresso in sala grande. Aveva i libri stretti al petto con fare irritato e gli occhi, circondati di un nero pesante stretti in due fessure, i capelli neri erano invece legati in due trecce che le ricadevano di fianco al viso fino a sopra il seno, conferendole un’aria adorabile che faceva a pugni con l’espressione che la ragazza aveva assunto in quel momento.

Lysander la riconobbe e la identificò come Alice Paciock. Un’Alice Paciock decisamente incazzata.

La sedicenne estrasse infatti la banchetta da sotto il mantello e la puntò contro una seconda figura che l’aveva appena raggiunta, probabilmente con l’intenzione di schiantarlo. Il ragazzo davanti a lei, alto quanto Lysander ma almeno con il doppio dei muscoli, e Lysander non ne aveva pochi, alzò le mani e spalancò gli occhi davanti a quelli fiammeggianti della serpeverde.

<< E cos’era allora? Un ordine? Non sono un cane. Ho detto che non voglio uscire con te e la tua faccia del cazzo e le battutine calcolate non mi faranno cambiare idea >>

Il mago schioccò la lingua facendo un passo indietro e guardando la strega con un pizzico di paura, ma come biasimarlo? Alice in quel momento sembrava una pazza arrabbiata pronta ad attaccare.

<< Tu sei completamente fuori di testa >> ribatté, sistemandosi i capelli.

Lysander lo guardò e si accorse di non conoscerlo, poi affinò lo sguardo e notò che non indossava la divisa di Hogwarts e che, quindi, non poteva appartenere alla loro scuola.

Alice sorrise sadica e fece un cenno con la testa verso l’uscita.

<< Vedo che hai capito. Perfetto, ora sparisci >> lo sconosciuto ubbidì all’ordine e scomparve dagli occhi di Lysander velocemente.

Il ragazzo sorrise e si avvicinò alla strega che proprio in quel momento stava rimettendo a posto la bacchetta e sbuffava, ripensando alla situazione appena vissuta. Possibile che quella sottospecie di uomo non accettasse un no come risposta?

<< Che caratteraccio >> il castano si avvicinò alla ragazza, sorridendole amichevole.

Alice lo fissò tra l’infastidito, lo scocciato e l’incuriosito.

Sbuffò nuovamente ed alzò gli occhi al cielo. Possibile che non poteva restare un po’ in pace e da sola? Cosa avevano tutti quel giorno, perché tutto d’un tratto cominciavano a parlarle? Aveva forse scritto in fronte ‘oggi vi sopporto’?

<< E tu chi saresti? >> chiese disinteressata.

Si avvicinò ad una panca e si sedette incrociando le gambe. Lysander la osservò quasi divertito, e dico quasi perché era inaudito, ripeto inaudito, che lei non lo conoscesse. Lui si ricordava il suo nome e comunque non era solo per la sua popolarità, ma loro erano amici di famiglia. Come faceva a scordarsi una bellezza del genere?

Il diciottenne ignorò il fastidio e si sedette accanto a lei che, però, leggendo una pergamena continuò ad ignorarlo.

<< Lysander Scamander >>

Alice alzò la testa di scatto, facendo affiorare sul viso del grifondoro un sorrisetto compiaciuto che però scomparve quando Paciock si alzo ed imprecò contro la pergamena.

<< Cazzo! >>

<< Tutto bene? >> la ragazza gli rivolse uno sguardo omicida.

<< Non sono affari tuoi >>

Lysander continuò ad ignorare il suo tono ostile.

<< Problemi con i compiti? Posso aiutarti se vuoi >>

L’offerta di Lysander non era del tutto disinteressata e Alice se ne accorse senza troppa difficoltà.

<< Ascoltami, Lysander Scamander, vedi di farti gli affari tuoi e di girarmi lontano. Mi stai innervosendo >> arricciò le labbra e gonfiò le guance in una smorfia che doveva essere infastidita, ma che procurò nel ragazzo una risata e fece sbuffare la mora.

Con passo veloce si diresse verso l’uscita della Sala Grande, ma venne presto affiancata dal castano che, essendo molto più alto di lei, aveva delle gambe molto più lunghe e di conseguenza un passo molto più veloce.

<< Ti sembra che voglia la tua compagnia? >>

<< Sai, più di una volta, guardare un film mi ha rilassato i nervi >> disse il ragazzo, ignorando il suo commento poco carino.

<< Buon per te >> sbuffò Alice.

<< Credo che dovresti tentare. Nel mio dormitorio c’è una tv a schermo piatto, roba babbana, ma davvero molto utile e la mia collezione di film è molto varia >> sbuffò di nuovo, ma questo non fermò di certo il grifondoro che, se era finito in quella casa un motivo doveva pure esserci, era cocciuto come un mulo.

Continuò così ad elencare i vari titoli dei suoi film preferiti, ignorando le risposte ironiche di Alice e continuando a camminarle di fianco, nonostante fosse visibilmente irritata dalla sua presenza e non facesse niente per nasconderlo. Anzi, sembrava desse il suo meglio per farglielo notare.

E Lysander lo aveva notato, ovvio che lo aveva fatto, non era mica stupido, ma si stava divertendo troppo per lasciarla andare in quel momento.

<< Mi stai ascoltando? Lasciami in pace >> disse per l’ennesima volta la serpeverde, portandosi le mani sul viso e sbuffando disperata.

<< Ho anche dei film babbani, sai non sono poi tanto male, anzi ce ne sono alcuni proprio niente male >> continuò imperterrito, ignorando ancora una volta le sue proteste.

Alice Paciock non era certo famosa per la sua infinita pazienza, anzi quella dote le mancava quasi completamente. Senza pensarci due volte o preoccuparsi che qualcuno potesse vederla, estrasse la bacchetta da sotto il mantello e la puntò contro il mago che, a differenza del precedente, fece solo un sorrisino divertito e, Alice doveva ammetterlo, sensuale.

<< Dai Alice, metti via la bacchetta, impiega le tue energie in qualcosa di più producente che minacciare i maghi che cercano di essere gentili con te >>

La ragazza sorrise ed inclinò la testa, osservando Lysander negli occhi. Lui ricambiò lo sguardo.

<< Stupeficium >>

L’incantesimo colpì il gemello in pieno petto e venne violentemente sbattuto contro la parete opposta. Qualche primino osservò la scena scandalizzato o decisamente spaventato, mentre quelli più grandi si limitavano ad essere stupiti.

Stupiti dal vedere Lysander Scamander parlare con Alice Potter e stupiti dal fatto che lei lo avesse appena schiantato. Non per il fatto in sé, intendiamoci non era poi così incredibile da credere che Alice litigasse con qualcuno e ricorresse poi alla magia, ma perché quel qualcuno era Lysander Scamander.

I ragazzi faticavano a credere che il grifondoro si fosse fatto battere senza nemmeno provare a contrattaccare e le ragazze credevano che, nonostante tutto, Alice fosse umana e soprattutto una ragazza. E una ragazza se Lysander Scamander, uno dei più ambiti della scuola, le parlava lei non lo schiantava.

La mora si sistemò il ciuffo di capelli che le ricadeva davanti agli occhi e sorrise soddisfatta.

<< Goditi la tua collezione di film, Lysander Scamander >> disse, sorridendo divertita e percorrendo il corridoio senza nemmeno guardarlo.

Il grifondoro si rialzò, si sistemò la camicia, si passò una mano tra i capelli e sorrise. Sorrise divertito mentre osservava la schiena della strega allontanarsi.

 

 

Angolo Autrice

Ciao a tutti :) ecco il nuovo capitolo dove incontriamo due dei personaggi delle descrizione e rivediamo Alice (che adoro)!

Vorrei specificare che il ragazzo che ci sta provando era lo stesso della rosa e che probabilmente lo incontreremo più in là, ma per ora ancora non ho scelto chi lo interpreterà!

Non ho molto da dire, quindi semplicemente vi ringrazio (tutte quante) e spero che qualcuno recensirà perché voglio davvero sapere che ne pensate! Le critiche sono buon accette!
Ho cambiato il nome della storia e la descrizione!

Ecco le foto :

TED

ROSE (non ho idea di chi questa ragazza sia quindi probabilmente non pubblicherò altre foto di Rose, o forse sì, ma di atre persone, non so )

LYSANDER

ALICE

ALBUS

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6

 

 

Essere un serpeverde ormai ad Hogwarts non veniva considerato sinonimo dell’essere cattivo. Dopo la seconda guerra magica tutte le case avevano deciso, in un tacito accordo, di non fare più distinzioni. Anche i cognomi avevano perso d’importanza ed essere un figlio di un mangiamorte non era grave come una volta. La nuova generazione non poteva lamentarsi di alcunché.

Il loro mondo era in pace ed avevano la possibilità di creare da soli la propria identità, senza influenze dei genitori eroi o di quelli che in passato erano stati i cattivi.

Scorpius Malfoy era sempre stato grato di questo radicale cambiamento e dell’apertura mentale dei suoi compagni ed andava fiero del suo nome. Non perché fosse un purosangue in grado di ricordare il suo intero albero genealogico, e credetemi lo era, ma perché sapeva di non avere niente di cui vergognarsi.

Suo padre e suo nonno prima di lui avevano fatto delle scelte sbagliate, era vero, ma adesso Draco era un mangiamorte redento che lavorava come auror al ministero e faceva coppia fissa con i due eroi della guerra Ronald Weasley e Harry Potter.

Il piccolo Malfoy inoltre non era certo suo padre.

Ok, era finito tra i serpeverde e i suoi tratti somatici lo ricordavano un tantino, ma, tanto per cominciare, sorrideva molto di più, era diventato il migliore amico di Albus Potter ed era ben accettato da tutta la gang Weasley-Potter, essendo anche lui un combina guai di prima categoria.

Infatti non mancavano certo i giorni in cui l’ufficio della McGrannit era pieno di teenager che cercavano invano di discolparsi per l’ultimo scherzo e poi finivano in punizione. Sì, si poteva dire che la preside McGrannit fosse una delle loro più care amiche.

Scorpius era anche particolarmente bello, dolce, divertente e con quel tocco di malizia che non gli impediva di avere tutte le ragazze ai suoi piedi. Peccato che, a differenza di quasi tutto il suo gruppo di amici, Malfoy quelle ragazze non le voleva.

No, non era gay, ma credeva nell’amore e non lo eccitava affatto il pensiero di fare sesso con qualcuna di cui il giorno dopo non avrebbe nemmeno ricordato il nome. Lui voleva una vera relazione, voleva ridere e scherzare con la sua ragazza, parlare, guardare un film e passeggiare mano nella mano.

Basti sapere che aveva perso la sua verginità solo l’anno precedente con una ragazza con cui aveva avuto un anno di relazione e che poi l’aveva lasciato per un amore estivo.

Sogni leggermente strani per un ragazzo di diciotto anni.

Ma Scorpius era profondamente convinto che l’amore esistesse e per lui aveva un nome ed un viso: Dominique Weasley.

Paradossalmente lei era l’unica appartenente al clan Weasley-Potter presente ad Hogwarts con la quale non avesse un rapporto stretto, probabilmente perché tra lei e i cugini non scorreva buon sangue.

La tipica storiella dei film babbani, solamente vissuta al contrario. Lui, dolce e sensibile. Lei, stronza, un tantino troia e piena di se stessa.

La coppia perfetta.

Fino a quell’anno aveva vissuto la sua cotta in silenzio, solo Albus e Lorcan ne erano a conoscenza, ma si era letteralmente stufato. Voleva il suo lieto fine.

Quell’anno avrebbe fatto innamorare Dominique Weasley.

 

Scorpius entrò nella propria sala comune, guardandosi intorno alla ricerca di Lorcan. Il ragazzo, dopo la sua uscita di scena durante la lezione di pozione, era scomparso per l’intera giornata e, nonostante lui ed Albus l’avessero cercato dappertutto, era sparito da ogni radar, tranne, ovviamente, quello della Mappa Del Malandrino.

Quando il secondogenito Potter l’aveva rintracciato, avevano constatato che si trovava al lago nero e quando Lorcan andava al Lago Nero solo una era la possibile spiegazione. Voleva stare da solo.

Avevano quindi abbandonato l’idea di andargli a parlare, ma Scorpius aveva sperato di poterlo incontrare nella Sala Comune dopo cena, considerando che non si era fatto vedere nemmeno lì. Ma di Lorcan Scamander si erano perse tutte le tracce.

Scorpius sbuffò scocciato, passandosi una mano tra i capelli biondi e continuando a guardarsi intorno. Potter era andato all’appuntamento con la nuova arrivata qualche ora prima e lui di certo non aveva l’intenzione di fare tutte le scale a ritroso per cercare un po’ di compagnia. Si sedette sul divano verde argento ed aprì il libro di pozioni che aveva in mano. Era una delle sue materie preferite e manteneva costantemente una media dignitosa non andando sotto l’O in ogni test, ma ripassare non aveva fatto mai male a nessuno.

Aveva letto le prime due righe della nuova lezione quando il quadro della sala comune dei Serpeverde si aprì e Scorpius alzò la testa, rivolgendola verso la nuova arrivata.

Dominique Weasley era sempre perfetta. Anche in quel momento, non aveva nemmeno una ciocca di capelli fuori posto, la divisa, accorciata più del consentito, le fasciava le forme perfette facendo fantasticare la mente del ragazzo, la cravatta leggermente allargata le dava un’aria da cattiva ragazza a cui Scorpius proprio non sapeva resistere.

Deglutì a vuoto, cercando di prendere coraggio. Quella era la sua occasione. Quello sarebbe stato il giorno in cui finalmente avrebbe ottenuto qualcosa.

La ragazza chiuse con velocità il quadro dietro di lei, appena prima che qualcuno sbattesse violentemente i pugni sopra di esso.

<< Dominique, apri immediatamente questo cavolo di dipinto >> tuonò una voce dall’altro lato della stanza che Scorpius riconobbe, ma non riuscì ad identificare.

La ragazza ignorò le lamentele della persona misteriosa e si sistemò i lunghi capelli biondi dietro la schiena, camminando verso i dormitori femminili.

Il giovane Malfoy si alzò di scatto e prima che se ne rendesse conto aveva fatto fermare e voltare la ragazza gridando il suo nome.

La serpeverde lo guardò interrogativa e Scorpius in quel momento non poté fare altro che arrossire leggermente davanti alla sua figura perfetta.

<< Ciao Scorpius >> la voce era dolce e calda, confusa e divertita al tempo stesso.

<< Ciao >>

Cercò di non balbettare, imponendosi di mantenere una certa calma. Era stato tanto coraggioso, o stupido, dipende di punti di vista, da fermarla prima che lei potesse ancora una volta sparire dalla sua vista senza una, seppure stupida e corta, conversazione.

Non poteva rovinare il tutto.

<< Come stai? >> chiese, schiarendosi la voce.

Dominique Weasley non era certo conosciuta per la sua dolcezza, la sua più rinomata qualità era senza dubbio la malizia.

E Scorpius mancava alla sua lista. Sorrise provocante e fece un paio di passi verso di lui. Lei lo sapeva. Sapeva perfettamente che Scorpius Malfoy era cotto di lei. Se ne era accorta.

<< In realtà sono un po’ nervosa. Ho bisogno di un bagno caldo >> sussurrò, avvicinandosi ancora fino ad essere a meno di dieci centimetri di distanza da lui. Anche Scorpius, mosso da chissà quale forza superiore, fece un passo avanti. Se avesse respirato più profondamente sarebbe arrivato a toccarle il seno con il petto. Dominique si protese verso di lui ben attenta a non sfiorarlo e si avvicinò al suo orecchio.

<< E di un massaggio. Mi fai compagnia? >> chiese retorica, lasciando poi un bacio languido dietro l’orecchio del biondo che fece appello a tutta la sua forza per non sospirare come un ragazzino alle prime armi.

Quello non era ciò che Scorpius faceva di solito. Non avrebbe mai acconsentito se a chiederglielo fosse stata un’altra ragazza, ma quella era Dominique Weasley, il suo sogno proibito, e gli stava chiedendo di fare sesso con lei. Non poteva dire di no.

Aprì la bocca per rispondere che, sì, ovviamente le avrebbe fatto volentieri compagnia, ma venne interrotto da un altro paio di colpi contro l’arazzo del quadro ed altre urla di cui Scorpius, confuso com’era, non riconobbe per la seconda volta il proprietario.

<< Domi, apri immediatamente questo cazzo di quadro o ti giuro che distruggo la parete >>

La ragazza schioccò la lingua, sorridendo cattiva verso l’entrata che in quel momento si aprì. L’espressione negli occhi di Dominique cambiò radicalmente e da superba si trasformò in incerta e anche un po’ spaventata. Non che non avesse ragione di esserlo.

Proprio in quel momento, infatti, dietro ad un ignaro e decisamente confuso serpeverde del primo anno, apparve la figura minuta di Lily Luna Potter che, con la bacchetta alla mano e passo decisamente infuriato, si diresse verso la cugina.

<< Tu – disse puntandogli contro la bacchetta- brutta stronza che non sei altro. Come ti sei permessa? Sai benissimo cosa sta passando, ma nemmeno questa volta ti sei risparmiata le tue stupide battutine da quattro soldi. Per Merlino, è tuo cugino >>

Scorpius non comprese il motivo della discussione, ma capì dall’espressione arrabbiata di Lily che doveva essere serio. Dominique si riappropriò della sua sicurezza e si allontanò di un passo dal serpeverde che, sorpreso dall’entrata in scena della rossa, era rimasto immobile, a pochi centimetri dalla serpeverde.

<< Tuo fratello è grande abbastanza da difendersi da solo e a me non importa niente dei suoi compressi di inferiorità >>

Ondeggiò i capelli e si diresse verso il dormitorio, senza guardare nessuno.

Lily imprecò nuovamente e cercò di lanciarle una maledizione, ma Scorpius glielo impedì, togliendole la bacchetta di mano e fermandola quando provò a risolvere la questione alla babbana. In quel momento odiava davvero quella ragazza, ma per lui era come una sorella e non le avrebbe permesso di fare una sciocchezza del genere ed essere espulsa.

La lasciò andare solo quando Dominique scomparve.

<< Brutto idiota! –urlò, lanciandosi contro Scorpius e colpendolo al petto- che diamine ti prende? Stavi per scoparti quella troia? >>

Il ragazzo dopo il terzo colpo al petto le bloccò le mani e la guardò con sguardo severo.

<< Lily, piano con le parole >>

<< Chi sei, mia madre? >> sbuffò la rossa, cercando di liberarsi dalla presa del biondino che, però, non la lasciò andare.

<< Che è successo?  >> chiese ignorandola.

<< E’ successo che non avevo mai realizzato quanto quella appartenesse a questa casa prima di oggi >>

Scorpius le lasciò le mani e un lampo di comprensione passò negli occhi di Lily. Il ragazzo si girò, diretto nel proprio dormitorio prima che la piccola Potter lo bloccasse.

<< Mi dispiace, Scorp. Non intendevo quello >> si era rivolta a lui con dolcezza, abbassando la voce ed il volto.

Non avrebbe mai voluto offenderlo in quel modo. Lei voleva davvero bene a Scorpius, probabilmente più del consentito.

Il ragazzo sospirò e si passò una mano tra i capelli in un gesto nervoso.

<< E’ tutto okay, Lils –si girò verso di lei e prese le sue mani tra le proprie- Cosa ha fatto Dominique a James? Non negarlo so che si tratta di lui >>

Lily abbassò il capo e si strinse nelle spalle, non rispondendo.

<< Vuoi parlarne? >>

La ragazza scosse la testa.

<< Ti va di andare a nuotare? >>

La grifondoro alzò nuovamente il capo e lo guardò negli occhi chiari, sorridendo divertita.

<< Scorp, sono le dieci di sera. Non possiamo uscire adesso >>

<< E’ per questo che esiste la stanza delle necessità >>

Lils scoppiò a ridere seguita dal serpeverde che cominciò a dirigersi verso l’uscita del dormitorio per poi andare al terzo piano.

I ragazzi camminarono tre volte davanti al muro del terzo piano e una porta enorme e con ghirigori a decorarla comparve davanti a loro.

Lily la spinse con una mano entrando nella stanza che, per loro, si era trasformata in un enorme piscina. Le luci erano soffuse e la vasca era grande, l’acqua limpida e nell’aria c’era profumo di umidità. Ai bordi della piscina c’erano dei trampolini e degli scivoli e a qualche metro di distanza dei materassi. Lily capì che, anche senza averlo programmato, lei e Scorpius quella sera avrebbero dormito lì.

<< Forza, Lils, che aspetti? >> la rossa si girò verso il biondo e lo osservò togliersi la cravatta e poi la camicia, cominciando a sbottonare la cintura.

Distolse lo sguardo solo per cominciare a fare lo stesso. Sciolse il nodo e sbottonò la camicia, lasciandola scivolare sulle braccia.

Sorrise a Scorpius che si era buttato in acqua ed ora la guardava con divertimento, mentre tirava giù la zip della gonna e si toglieva le converse, lasciando il tutto al bordo della piscina.

Si buttò anche lei nell’acqua, scatenando le risate del ragazzo.

Sì, pensò Lily, voglio decisamente troppo bene a Scorpius.

 

 

Angolo Autrice

Ciao a tutte :) Oggi spendo poche parole perché sono davvero molto stanca!

Non ho ricontrollato il capitolo e spero che non ci siano errori! Incontriamo due nuovi personaggi (non mi pare di aver parlato di Lily e Scorpius) e rincontriamo Dominique.

A volte credo davvero che i personaggi principali siano troppi (e ce ne saranno anche altri) perché fatico a stare dietro a tutti! Ovviamente c’è chi avrà più spazio, ma su tutti verrà detto qualcosina perché credo che ognuno abbia una storia da raccontare!
Ringrazio tutti e vi auguro buona notte!

p.s Oggi niente immagini, Lily e Scorpius li aggiungo al prossimo capitolo

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7

 

 

 

Axel Lovegood viveva la sua vita senza preoccupazioni o, perlomeno, era quello che tutti gli studenti di Hogwarts pensavano quando incontravano lo sguardo perso del ragazzo e il sorriso sincero che aleggiava costantemente sulle sue labbra. Ogni singolo studente, fatta eccezione per sua cugina, pensava che Axel si lasciasse trasportare dalla vita, senza preoccuparsi degli eventi o senza provare a cambiarli. Pensavano che semplicemente li accettasse.

Mai cosa fu più sbagliata. Non era la vita a trasportare Axel, ma Axel a trasportare la vita. Quel ragazzo era vita pura, era vita in sé.

Non c’era cosa che succedesse che a lui non piaceva e non perché fosse un manipolatore, semplicemente perché era nel suo sangue. Allo stesso modo in cui era un mago, il corvonero aveva la capacità di non lasciarsi mai trasportare dagli eventi.

Ma nessuno davvero lo capiva. Lui era sempre così tranquillo, così riflessivo, così stravagante, così inumanamente calmo e candido che pochi riuscivano a credere che lui fosse veramente umano.

Quando lo si sentiva parlare non c’era discorso in cui non fosse in grado di inserire nargilli, gorgosprizzi o creature magiche di vario genere e soprattutto ignote a tutto il mondo magico.

Ma Axel, così come Shailene, non era pazzo. Era semplicemente un passo avanti agli altri. E sì, era un passo avanti agli altri perché sapeva dell’esistenza dei nargilli. E dei gorgosprizzi. E di creature che nessuno credeva esistessero ma che erano lì, davanti ai loro occhi. E li confondevano. E si prendevano gioco di loro.

Ma non di Axel. Perché Axel sapeva. Aveva sempre creduto, e credeva ancora fermamente, che la chiave di tutto era lì, nel sapere. Nel conoscere. Nella consapevolezza.

Questo era ciò che ti rendeva libero. Libero dall’ignoranza, libero dai pregiudizi, libero dai malintesi, libero dalle catene, libero dal verme delle mostruosità umane.

Ed era per questo che era così difficile raggiungere Axel, perché lui era libero, lui viveva in un’altra dimensione, nella quale solo Shailene, e non sempre, poteva fargli compagnia. E non perché lui non permettesse ad altri di avvicinarsi, gli avrebbe fatto molto piacere riuscire a condividere quel posto con qualcun altro, ma per il semplice fatto che non ci riuscivano. Loro erano prigionieri. Incatenati alle passioni, all’incoscienza, all’ignoranza, all’impulsività. Legati alla natura umana, ciò che, volenti o nolenti, è dentro di noi e non ci abbandona fino all’ultimo respiro.

 

 

Quella mattina Axel si svegliò tardi. Ormai la colazione stava per giungere al termine, ma lui sapeva che sarebbe riuscito a mangiare. Il tempo era ingannatore. Scorreva così veloce quando tutto quello che avresti voluto era che rallentasse il suo correre ed invece si muoveva piano quando tutto ciò che desideravi era che quel momento passasse.

Ma Axel non se ne era mai preoccupato. Il tempo era intelligente, ma lui lo era ancora di più. Sistemò con accuratezza la cravatta e, dopo aver controllato di aver preso tutto l’occorrente, si diresse in Sala Grande. L’enorme spazio era oramai quasi completamente vuoto, ad eccezion fatta per qualche ritardataria anima che si apprestava a finire la propria colazione in fretta, tossendo a vote per la troppa velocità. Axel sorrise quando vide al tavolo corvonero la testa castana con riflessi rossi di sua cugina, che sorseggiava con calma il suo famoso caffè mattutino. Si avvicinò a lei con passo cadenzato, osservando il soffitto della Sala Grande. Quel giorno le nuvole erano bianche, non minacciose e, sinceramente, molto belle. Sembravano pure, innocenti. Axel sorrise di nuovo, quel sorriso stravagante e attraente che portava tutti a fissarlo con una punta di curiosità e, perché no?, un po’ di scetticismo.

<< Buongiorno >> disse il ragazzo, sedendosi di fronte alla cugina e servendosi un piatto di pancake.

Amava mangiare di mattina, amava la colazione più di ogni altro pasto e non l’avrebbe saltata per niente al mondo.

<< Buongiorno. Non è suonata la sveglia? >> chiese di rimando lei.

Axel scosse la testa e sorrise davanti all’interesse di Lene per gli oggetti babbani. Lui non aveva una sveglia. Gli piaceva svegliarsi con il sole la mattina.

<< Credo che questa mattina un gruppo di simpatici animaletti abbia deciso di farmi fare tardi, chiudendo le tende della finestra >>

No, non stava scherzando. La corvonero sbarrò gli occhi, interessata alla sua storia. Bevve un altro sorso della bevanda scura, chiudendo gli occhi per comprendere a pieno quel sapore.

Shailene Ricci lo sapeva, lo aveva sempre saputo, il caffè non era per tutti. Andava capito ed apprezzato, andava compreso e assaporato, andava accettato ed incoraggiato. Erano poche le persone che davvero sapevano gustare un caffè, un vero caffè. Quello corto, quello forte, qualche volta amaro. Per lei quello della mattina era un rituale di altissima importanza a pari merito solo con quello della sera, prima di andare a letto. Si ritrovava divisa in due ad amare ed odiare quel rituale. Amare perché era parte di lei, odiare perché sapeva essere lascito della parte italiana di lei, della parte babbana. Della parte che l’aveva abbandonata. Di suo padre.

Ma mai ci aveva rinunciato. Mai lo aveva sostituito. Quello era il suo rituale, quella era lei.

<< Non li definirei simpatici >> fece una smorfia con le labbra ed Axel sorrise di rimando.

<< Solo un po’ dispettosi, ma anche loro devono divertirsi >>

Anche Shailene sorrise e guardò il cielo, persa nei propri pensieri. Era nell’altra dimensione ora.

Chiuse gli occhi ed inspirò. Ecco Axel a farle compagnia.

<< Vorrei conoscerli –disse senza aprire gli occhi- devono essere creature interessanti. Hai mai provato a parargli? >>

Il ragazzo ridacchiò.

<< Qualche volta >> ammise << Ma non rispondono >>

<< Maleducati >> brontolò Shailene.

Axel fece per rispondere, ma la conversazione venne interrotta da urla di incitamento e fischi che precedettero l’entrata in scena di una decina di ragazzi non appartenenti ad Hogwarts.

Tra le risate che riempivano la stanza, uno dei ragazzi si pose davanti al calice sventolando le mani per zittire i suoi compagni che, quando lui iniziò a parlare, fecero silenzio limitandosi a scambiarsi occhiate divertite e risolini di complicità.

<< Oggi, quello che sarà il vostro campione, metterà il suo nome nel calice di fuoco >> annunciò, sorridendo.

I suoi amici lo acclamarono cominciando ad urlare incitazioni di cui sia Shailene sia Axel compresero poco, essendo in quello che il ragazzo presupponeva essere russo.

Uno sbuffo scocciato attirò l’attenzione dei due. Alice Paciock si era appena seduta al loro tavolo e si serviva con tranquillità una porzione di pancetta e uova strapazzate.

<< Sbruffone >> borbottò, versandosi del latte.

I due cugini sorrisero, scambiandosi un’occhiata divertita. Sempre più spesso, quando Shailene ed Axel erano soli, Alice si univa al gruppetto. Non parlava molto, si limitava ad ascoltare e scambiare qualche battuta di tanto in tanto, ma ai ragazzi non importava. Piaceva ad entrambi la sua compagnia silenziosa tanto quanto a lei piacevano le loro strampalate discussioni.

<< Buongiorno, Alice >> la salutò Axel, sorridendole tranquillo.

La ragazza ricambiò con un sorriso sghembo che rivolse anche a Shailene.

<< Sai credo che quel ragazzo abbia la pancia piena di pichirimini* >>

Entrambe le ragazze lo guardarono confuse e la corvonero si stupì di non conoscere, di non aver mai nemmeno sentito, il nome di quelle creature.

<< Cos’è un pichirimino? >>

Il corvonero sorrise, passandosi una mano tra i capelli biondo cenere, prima di rispondere.

<< E’ una creatura magica che zia Luna sta studiando proprio in questo momento. Mi ha inviato ieri una lettera dove spiegava le caratteristiche che aveva già riscontrato. È invisibile e si annida nella pancia delle perone, rendendole spavalde ed esibizioniste >>

Alice sbuffò di nuovo, lanciando un’occhiataccia al ragazzo che ancora rideva con i suoi compagni idioti. Quello i pichimirini, o come diavolo si chiamavano, non li aveva nemmeno incrociati per caso.

<< No, Ax, quello lì è così per natura. Se poi i suoi amici sapessero che è scappato quando ho tirato fuori la bacchetta non lo acclamerebbero più di tanto >>

<< Tirato fuori la bacchetta? >>

<< Mi aveva chiesto di uscire ed era diventato insistente >>  la serpeverde liquidò la situazione con un’alzata di spalle, facendo ridere i due ragazzi.

<< Non insistente quanto il nostro Scamander >> insinuò Axel, senza malizia o cattiveria.

Quelle caratteristiche non facevano proprio parte di lui. Era una semplice constatazione, pura e cristallina. Era vero. Con quel ragazzo di Durmstrang si era limitata a cacciar fuori la bacchetta, invece Lys non se l’era cavata con tanto poco.

Le due ragazze scoppiarono a ridere.

<< E chi è più insistente del nostro Lysander? >>

 

 

 

 

Louis Weasley quella mattina non aveva proprio voglia di alzarsi dal letto. Le sue coperte erano così calde e il materasso così comodo ed accogliente. Ma purtroppo, in quella mattina fredda di metà settembre, Louis era costretto ad alzarsi dal letto. Non poteva mancare alla lezione di pozione, non di nuovo e soprattutto non a quella, perché sarebbe stata l’ultima dedicata alla Bevanda Balbettante di cui, in tutta sincerità, Louis non riusciva proprio a capire l’utilizzo. Che scopo c’era nel far balbettare una persona?

Purtroppo per lui in quella materia era un disastro e non aveva nemmeno capito un tubo di come prepararla e la settimana successiva avrebbe avuto un test proprio su quell’intruglio. Avrebbe preso un altro Troll, se lo sentiva.

Così, quella mattina, tra le proteste del suo corpo, il ragazzo si alzò svogliato e cominciò a vestirsi altrettanto lentamente. Si chiese perché non avesse potuto avere il talento innato di Dominique per quella materia così difficile ed odiosa, mentre si infilava i pantaloni leggeri. Si domandò, sbuffando, perché, pur essendo solo metà settembre, dovesse fare così freddo, mentre si sfilava la t-shirt del pigiama e cominciava ad indossare la camicia. Fece il nodo alla cravatta e, dopo essersi passato una mano tra i capelli dorati, uscì dal suo dormitorio senza nemmeno guardarsi allo specchio.

 

 

Quando uscì dall’aula di pozioni, Louis Weasley, non era mai stato più giù di morale. I suoi capelli erano crespi e decisamente gonfi, la sua faccia ricoperta da una patina nera di polvere data dall’esplosione del suo calderone dovuta a chissà quale errore. Cosa ancora peggiore i Tassorosso quella mattina avevano avuto lezione con i Corvonero che, come tutti d’altronde si aspettavano, aveva eccelso anche in quella materia. Il ragazzo sbuffò essendo consapevole che il mercoledì successivo un’altra enorme e sconsolante T si sarebbe aggiunta al registro di pozioni.

Alla fine dell’anno sarebbe stato bocciato in quella materia, lo sapeva ed era anche consapevole di non poter farci un bel niente.  

Beh, tanto il L.U.F.O (Livello Unico e Finale Ordinario)**  in pozioni probabilmente non gli sarebbe servito. Aveva semplicemente bisogno di passare sette materie, anche le più stupide, per uscire da quella scuola e creare il suo futuro. Cosa avrebbe fatto non lo sapeva, ma non lo riteneva poi così importante.

Si passò una mano sul viso, già stanco di quella giornata, nonostante fosse appena iniziata, e quando si accorse del nero che la sporcava si ricordò del piccolo inconveniente a pozioni e decise di andar in bagno per lavarsi quella roba di dosso.

Si posizionò davanti allo specchio, cominciando a strofinare con le mani il nero che sporcava le sopracciglia, l’attaccatura dei capelli, le labbra, le guance e addirittura le orecchie. Sembrava appena uscito da un campo di battaglia, definizione non completamente sbagliata considerando la sua postazione dopo l’esercitazione.

Louis sbuffò di nuovo.

<< Sai, sei un mago >>

Louis quasi spaventato da quella voce alzò di scatto a testa, sbattendo con la fronte contro il vetro e scatenando una risatina da parte del nuovo arrivato. Il tassorosso si girò ad osservarlo ed incrociò lo sguardo divertito di Lorcan Scamander che lo fissava con quegli occhi di ghiaccio.

<< Sì, ne sono consapevole >> rispose il più grande, tornando a guardare il suo riflesso nello specchio, cercando di non arrossire.

Era ancora tutto, completamente nero.

Il biondo cenere prese la sua bacchetta e la puntò contro il viso del più grande sussurrando un ‘tergeo’ a bassa voce. La polvere nera scomparve dal viso del diciannovenne che si girò verso il serpeverde leggermente imbarazzato.

<< Grazie >>

Lorcan alzò le spalle in risposta.

<< Cosa è successo? >> chiese, avvicinandosi per buttare un po’ d’acqua sul viso.

D’altronde era per quello che si era recato nei bagni maschili, per prendersi una pausa e rinfrescarsi la mente. Stare con il migliore amico risultava sempre più difficile e ogni volta che lui di esibiva in un commento su una ragazza o nei racconti della serata passata con Arielle sentiva il cuore dividersi in tanti piccoli pezzettini. E più passava il tempo più gli sembrava difficile poterlo rimettere insieme.

<< Pozioni >> spiegò Louis, alzando le spalle << Non sono un granché, ho fatto esplodere il calderone >>

La risata di Lorcan si diffuse per il bagno, contagiando anche l’altro, che si ritrovò a sorridere per la prima volta in quella giornata.

<< Come va la mano? >> chiese, lanciando un’occhiata alla mano destra da cui erano sparite tutte le fasciature.

Il serpeverde gliela mostrò, sorridendo.

<< Come nuova >>

Weasley sorrise ed annuì. Nessuno dei due parlò per qualche minuto, immergendosi in un silenzio completamente privo di imbarazzo.

Louis lavò le mani, pensando alla sua giornata fino a quel momento. Era iniziata davvero male, ma, proprio per questo, non poteva che migliorare. Ed aveva già cominciato a farlo.

<< Vuoi una mano? >> chiese Lorcan all’improvviso, distraendo il ragazzo dai suoi pensieri. << Per pozioni intendo >> spiegò, guardandolo negli occhi.

Louis Weasley sorrise di nuovo. Dopotutto la sua giornata non era così male, anzi cominciava ad assumere una piega interessante.

<< Sarebbe fantastico >>

 

 

 

Hugo Weasley era quello che poteva essere considerato un degno discendente della famiglia Weasley, a partire dal suo aspetto. Capelli rossi, lentiggini sul naso, carnagione chiara, fisico non proprio palestrato –beh, se doveva essere sincero, aveva probabilmente qualche chilo di troppo, ma non ne aveva mai fatto un problema.

Se poi si guardava il suo carattere allora poteva essere considerato la copia esatta di un mix tra Fred e George Weasley e Ronald. Tonto –detto con affetto- e decisamente poco sveglio come suo padre, esuberante e senza dubbio malandrino come i suoi zii.

Non per niente era chiamato loro degno discendente insieme a sua cugina Lily e a quei due pazzi di Axel Scamander e Shailene Ricci.

Lily Luna Potter era degna figlia di Ginny Weasley e Harry Potter, con forse qualche aiuto dai famosi zii sopracitati. Okay, probabilmente loro avevano fatto il grande del lavoro.

Lily era intelligente come sua madre e con un innato talento a cacciarsi in situazioni scomode come suo padre –sembrava essere la prescelta anche lei, sì, per mettersi nei guai- ma indisciplinata e noncurante delle regole proprio come i due pazzi gemelli. Se la cavava in quasi tutte le materie, eccellendo in Difesa Contro Le Arti Oscure, eredità dei Potter, e quando si arrabbiava diventava quasi più pericolosa e spaventosa di Ginny Weasley nonostante arrivasse a malapena al metro e sessanta. Ma Lily era conosciuta più che altro per gli scherzi che insieme al cugino fidato e ai due amici inseparabili organizzava praticamente ogni settimana.

<< Allora –ricapitolò Hugo- abbiamo venti caccabombe e dodici fuochi magici >>

Lily sbuffò.

<< Venti caccabombe non bastano per riempire tutto il dormitorio serpeverde, cosa pensava zio George quando ce le ha inviate? >>

Il cugino scoccò la lingua consapevole che la ragazza avesse ragione.

<< Dovremo limitarci a quello di Albus, Scorpius e Lorcan, allora >> si intromise nella discussione Shailene che si era appena seduta al tavolo dei Grifondoro seguita da Axel che rivolse un sorriso trasognato a tutti i presenti.

Hugo annuì, memore dello scherzo che i tre avevano fatto pochi giorni prima. Quando i ragazzi erano entrati nel dormitorio lo avevano ritrovato allagato ed erano stati investiti da un mare di acqua incantata che dopo averli travolti aveva disegnato in aria il nome dei tre serpeverde. Loro non sarebbero stati certo da meno. Avrebbero riempito i loro bauli, i letti ed il bagno di caccabombe, liberando un fetore che non sarebbe stato affatto facile mandare via.

Era così il loro rapporto, irrimediabilmente e meravigliosamente fatto di scherzi a cui talvolta partecipava tutta la gang, dando vita ad un vero e proprio spettacolo.

<< Anche quello di Dominique >> disse Lily, incrociando le braccia sotto il petto << E, perché no, quello della sua amichetta veela. Non mi piace come guarda mio fratello >>

Dire che fosse ancora arrabbiata con la cugina era un eufemismo. Non si erano mai sopportate, ma aveva raggiunto il limite l’altra sera. Non aveva avuto la possibilità di schiantarla – e quella bionda doveva solo ringraziare Malfoy- e si sarebbe vendicata in un altro modo.

Ghignò immaginando la faccia spaventata della mezza veela e le urla stridule quando avrebbe scoperto cosa fosse successo ala sua camera.

<< Albus le da corda >> notò Hugo, guadagnandosi un’occhiataccia.

<< Parlavo di Jamie >> rispose la cugina, attirando l’attenzione di Shailene.

Non lo aveva più incontrato dopo il loro scontro e, se doveva essere sincera, non ci aveva pensato più di tanto.

<< Bene. Anche Dominique >>

Lily sorrise e continuarono a delineare i dettagli del loro piano. Avrebbero dovuto fare un video da inviare a zio George, dopotutto lui era quello che si divertiva di più.

 

 

 

 

 

 

Angolo Autrice

Buona sera a tutte :)

L’unica cosa che posso dire è mi dispiace, perché sinceramente questo capitolo fa un po’ schifo ora che lo rileggo, ma non sono riuscita a fare meglio di così!

Incontriamo di nuovo Lily e vediamo per la prima volta Hugo, spero che questi due vi piacciano!

Rivediamo anche Axel e sinceramente il suo pezzo è quello che mi è piaciuto di meno e avrebbe dovuto essere quello più bello!

 

*assolutamente una mia invenzione, molto stupida devo dire

**Ho pensato che visto che gli anni sono aumentati dovevano farlo anche gli esami! Il nome fa schifo, lo so, e non ha alcun senso!

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Capitolo 8

 

 

 

<< Come ti sei permessa? >> la voce alterata, isterica, ma soprattutto conosciuta, fece ghignare Lily Potter che, seduta al tavolo dei Grifondoro chiacchierava amabilmente con suo cugino Hugo.

A quel suono alzò la testa per incontrare quella decisamente poco tranquilla di Dominique Weasley. La sua figura era perfetta, come sempre, ma i tratti dei viso, solitamente controllati e superbi, erano distorti dalla rabbia più pura. Lily capì che aveva ricevuto il suo scherzo ed aveva fatto due più due. Dopotutto non era stupida come si pensava.

<< Di fare cosa? >> chiese innocentemente la rossa, tirandosi i capelli lisci dietro le spalle.

La cugina estrasse la banchetta dal mantello e la puntò contro la più piccola che non si scompose e la guardò con aria di sfida.

<< Sei davvero così ottusa da non riuscire a capire contro chi ti sei messa? >>

Anche Lily si alzò dalla panca, continuando a guardarla negli occhi. Nella Sala Grande calò il silenzio più assoluto, tutti le fissavano in attesa di uno svolgimento della situazione. Non era raro incontrare Dominique Weasley e Lily Potter bisticciare in corridoio, ma solitamente era solo quello. Poche battutine ironiche e acide, mai un vero e proprio duello.

Mai, ripeto mai, Dominique aveva perso il controllo come quel giorno.

<< Smettila di comportarti come se fossi in un film, Dominique. Non puoi davvero credere che le tue minacce mi facciano paura >>

La rossa puntò le mani sui fianchi, senza nemmeno preoccuparsi di estrarre la bacchetta. Conosceva sua cugina fin troppo bene e non si sarebbe mai permessa di utilizzare la magia per colpirla davanti a tutti i professori. Troppa paura. Paura di perdere il suo titolo di studentessa modello e paura di essere espulsa.

La ragazza sbuffò e la guardò truce, avanzando di un passo.

<< Ti pentirai di avermi fatto quello stupido scherzo, Lily. Ricordalo >> detto questo la serpeverde si girò e tornò al suo tavolo un momento prima che i professori intervenissero.

La rossa si sedette di nuovo e sbuffò scocciata dalla minaccia della cugina. Non aveva paura di lei. Erano tante le cose che la spaventavano –di cui alcune davvero stupide- ma tra queste non rientrava certo quella serpe di Dominique.

<< Quindi, cosa dicevamo? Ah, sì, il Torneo Tremaghi >> riprese il discorso la rossa, distraendo il cugino dai pensieri che in quel momento lo tormentavano.

<< Sì, giusto. Ti iscriverai? >>

Lily annuì.

<< Ovviamente. Non può mancare un Potter al Torneo. James non si iscriverà e Albus non è interessato quindi non ho altra scelta. Devo portare avanti il nome della famiglia >> disse con solennità << Mi imiterai cugino? >>

Anche Hugo annuì e si batterono il cinque, sorridendosi, sicuri che almeno uno di loro sarebbe stato scelto dal Calice di Fuoco.

 

 

<< Pronto cugino? >> chiese Lily, entrando nel cerchio di luce disegnato intorno al calice.

<< Pronto. Pronta cugina? >> ripeté Hugo, seguendola nella sfera magica.

La ragazza annuì e si presero la mano, stringendola per cercare di ritrovare il coraggio di allungare la mano e lasciare il biglietto in quel maledettissimo calice.

Quello che li aveva portati a partecipare dopotutto non era puro e semplice coraggio, ma la voglia di dimostrare a se stessi che erano degni di portare quei cognomi così importanti.

Suo padre ad undici anni aveva già sconfitto Voldemort per la prima volta e lei quando i professori la paragonavano a lui, in senso buono e cattivo, si sentiva quasi in dovere di dimostrare che lo meritava. Che non era solo fama. Che lei era forte e coraggiosa come suo padre.

Lily aveva bisogno di crederci perché altrimenti sarebbe crollata, crollata come James. Ed Hugo lo sapeva, la conosceva. Sentiva lo stesso.

Sua madre era una strega brillante e suo padre aveva sempre messo al primo posto l’amicizia e aveva dimostrato di avere un coraggio che nessuno si sarebbe mai aspettato da Ronald Weasley.

Perché, ammettiamolo, Harry Potter, senza l’aiuto dei suoi migliori amici, non sarebbe riuscito a compiere nemmeno metà delle sue meravigliose imprese.

E Hugo sentiva la pressione. E Lily sentiva la pressione.

Avvertivano che diventava ogni giorno più forte e pesante e che cominciava a schiacciarli. Ma loro lottavano, lottavano insieme. Aiutati da Shailene e Axel.

Perché, ammettiamolo, senza l’aiuto dei loro migliori amici e l’appoggio reciproco, sarebbero crollati.

Lily capiva perché Jamie si era chiuso in se stesso, capiva perché era cambiato e lei non voleva crollare, non voleva diventare un’altra persona.

Lily Potter doveva essere forte.

Hugo si sentiva surclassato in tutto. Sua sorella era la progenie perfetta dei suoi genitori, beh più che altro di sua madre. Bella, intelligente, diligente e con un futuro già assicurato. Non doveva dimostrare niente, bastava uno sguardo per capire che fosse loro degna figlia. Ma per quanto riguardava lui, beh, bisognava scavare in fondo per capire chi veramente fosse.

E lo stesso valeva per Lily. Loro erano quelli sempre felici, quelli esuberanti, quelli divertenti. Non ti annoiavi di certo quando eri in loro compagnia, ma nessuno li considerava come maghi brillanti.

Pochi conoscevano i veri Hugo e Lily. Axel, Shailene e, per quanto riguardava la ragazza, James.

Gli altri si fermavano all’apparenza perché è questo che fanno le persone. Non scavano, si accontentano di quello che vedono, facendo finta di credere che sia la verità quando tutti sono consapevoli che una persona non è solo la faccia che mostra agli altri.

Una persona è mille persone e allo stesso tempo nessuna. È diecimila diverse versioni della stessa storia, tutte vissute con una prospettiva diversa, tutte vere e reali, tutte ugualmente interessanti.

Lily ed Hugo erano quelli sempre felici, quelli esuberanti, quelli divertenti, ma non erano solo quello. Loro erano intelligenti a modo loro, leali, persone di cui ci si poteva fidare, coraggiosi. Avrebbero dato tutto per le persone a cui volevano bene. Ci sarebbero sempre stati. Loro erano persone meravigliose.

Degni figli dei loro genitori.

Ma erano anche insicuri e con uno spasmodico bisogno di dimostrarlo.

Lily strinse la mano del cugino, sotto gli sguardi comprensivi di Shailene e Axel e incoraggiati dalle grida e dai fischi dei compagni di casa che, in quel momento, li circondavano.

Alzarono le mani e le portarono verso il calice. E Lily Luna Potter lasciò cadere il bigliettino nello stesso momento in cui Hugo Weasley aprì la mano.

E le fiamme del calice diventarono azzurre.

 

 

 

 

Roxanne Weasley era un maschiaccio. L’unica cosa femminile che possedeva, causa di suo grande rammarico, era l’aspetto.

Roxanne Weasley aveva sempre pensato che sarebbe dovuta nascere maschio e questa era l’idea più popolare anche nella scuola. Non fraintendete, a lei piacevano i ragazzi, ma questo era tutto.

Orientamento sessuale, lunghi capelli castano scuro, viso delicato e corpo niente male era tutto ciò di femminile che poteva vantare.

Roxanne indossava vestiti troppo larghi per la sua taglia, si divertiva a fare gare di alcol (e, perché no?, di rutti) con i suoi compagni grifondoro, era interessata alle scommesse, non sopportava il colore rosa, il Quidditch era una parte fondamentale della sua vita e odiava, lo odiava davvero, sprecare il suo tempo a pettegolare e a parlare di ragazzi. Era per questo che Roxanne era stata accolta a braccia aperte da tutti gli studenti grifondoro del suo anno, ma anche dagli amici del fratello e da quelli dei cugini.

La consideravano una di loro, un amico con cui passare le giornate a chiacchierare, con cui poter essere volgari senza essere rimbeccati ogni volta e con cui poter anche scambiare qualche schiaffo perché Roxanne era incredibilmente forte. Non per niente era la migliore battitrice della scuola, un ruolo che, solitamente, le ragazze nemmeno prendevano in considerazione.

Ma, nonostante tutto, Roxanne era una ragazza. E per quanto le costasse ammetterlo e per quanto non lo sopportasse, a volte si sentiva fuori posto.

Non l’avrebbe mai detto ad alta voce, ma si sentiva offesa quando tutti scherzavano sul fatto che non avrebbe mai avuto un ragazzo o quando, ad ogni uscita ad Hogsmade, durante le quali tutti, o quasi, avevano un appuntamento, lei era l’unica a rimanere da sola.

Roxanne Weasley aveva sedici anni e, per quanto volesse negarlo, voleva qualcuno con cui condividerli. E non un amico, ma qualcuno con cui condividere un’intimità speciale. Voleva innamorarsi.

Ma non l’avrebbe mai ammesso.

 

 

Fred Weasley non era suo padre. E no, non era neanche suo zio, di cui, purtroppo, aveva solo il nome.

Non era casinista, non era simpatico, non aveva poi tutto questo successo con le ragazze e, ci teneva a sottolineare che no, non era bianco, ma non era neanche nero. Non che poi il colore della sua pelle fosse determinante per la sua personalità e per l’atteggiamento che gli altri avevano nei suoi confronti, ma era sicuro che il suo colore indefinito fosse lì solo per ricordargli che nella sua vita niente era deciso.

Fred Weasley non si sentiva né carne né pesce.

Non sapeva chi fosse e semplicemente non riusciva a spiegarsi perché quel maledetto cappello lo avesse smistato nella grande casata dei Grifondoro, considerando che lui non era orgoglioso, coraggioso né tantomeno esibizionista. Si sarebbe visto bene vicino a Louis nell’anonimo tavolo dei Tassorosso, circondato da gentilezza e fedeltà.

Mettiamola così, Fred Weasley II era fermamente convinto che quando il Cappello Parlante si era posato sulla sua testa e aveva urlato a gran voce ‘Grifondoro’, fosse stato decisamente confuso o sotto l’incantesimo Imperius di suo padre o, peggio ancora, maledettamente ubriaco.

Perché no, no e ancora no, Fred non aveva niente del grifondoro. Ed aveva ancora di meno della famiglia Weasley. A cominciare dal suo aspetto.

Ma forse, stava cominciando a pensare ultimamente, le famose caratteristiche Weasley erano state inventate di sana pianta, basandosi sui loro genitori, perché dando un’occhiata a questa nuova generazione non si potevano certo catalogare le persone secondo determinati parametri.

Un Louis decisamente normale.

Una Dominique altezzosa.

Una Roxanne poco, per non dire affatto, femminile.

Uno James chiuso in se stesso.

Una Rose poco loquace (era piuttosto evidente che la maggior parte dei suoi geni fosse firmato Granger).

Un Albus poco incline a dimostrazioni di coraggio in tutti i campi (sentimentale, scolastico e ci più ne ha più ne metta).

Una Lucy che, beh, era Lucy.

Gli unici che sembravano essere Weasley erano Lily e Hugo.

Una cosa però i Weasley ce l’avevano in comune. Chissà come si facevano trasportare ogni santissima volta negli scherzi organizzati dai due pazzi sopracitati e, dopotutto, a nessuno di loro dispiaceva più di tanto.

Li faceva sentire una famiglia, male assortita ma sempre una famiglia. Con alcune eccezioni ovvio, come per esempio Louis e James. Gli unici a restare sempre per conto loro e a non partecipare mai alle famose riunioni Weasley. Quelle riunioni erano sacre.

Per non parlare poi dei cugini fuori da Hogwarts (ma quanti ne erano?). Molly e Victoire erano quanto di meno Weasley esistesse sulla terra.

La prima magano e la seconda con un’intelligenza tanto grande quanto la sua inaspettata passione per la babbanologia. Di fatti poi aveva trovato lavoro nel mondo babbano.

Ma Fred una cosa simile al padre ce l’aveva.

Voleva partecipare a quel dannatissimo torneo.

 

 

 

<< Roxanne, hai sedici anni >> ribadì Rose alla cugina, continuando imperterrita a leggere un libro.

La ragazza annuì e sorrise.

<< Lo so Rosie, ma ho fatto una scommessa con papà >>

<< Scommessa che perderai >> si intromise Fred nel discorso.

La sorella gli fece una linguaccia e sorrise di nuovo.

<< Nient’affatto >>

<< Che scommessa? >> chiese ancora Rosie.

La rossa alzò finalmente lo sguardo dal suo libro, guardando insistentemente i cugini che stavano in piedi vicino al cerchio magico che circondava il calice.

Fred era già con un piede dentro di esso e si apprestava ad aggiungere il suo nome agli altri che già erano presenti. Roxanne era poco distante con e mani dietro la schiena, vestita alla babbana, mentre stringeva in una mano un pezzettino di pergamena e nell’altra una pozione non meglio identificata.

<< La pozione l’ha fatta Albus, il che vuol dire che funzionerà >>

Rose sbuffò ancora attirando l’attenzione del più grande che intanto aveva fatto cadere il suo nome nel calice.

<< Papà ci ha raccontato la storia di quando lui e lo zio hanno provato a partecipare al torneo nonostante non fossero abbastanza grandi e Roxanne ha scommesso, quando ha saputo che ci sarebbe stato quest’anno, che lei ci sarebbe riuscita >> poi sbuffò, sedendosi vicino alla cugina << Secondo me si ritroverà semplicemente con i viso coperto da barba e i capelli tendenti al bianco >>

Rose rise, annuendo e scatenando l’irritazione della mora che strinse le labbra.

<< Siete dei malfidati >> mostrò la pozione << Questa non è una semplice pozione invecchiante. Albus ha modificato la ricetta, non so in quale strana maniera, e funzionerà >>

Mandò giù l’intero contenuto.

Sorrise ancora ed entrò nel cerchio magico che non la respinse. Guardò con soddisfazione i due e lasciò cadere la pergamena nel calice. Questa però non cadde mai tra le fiamme.

Si alzò in volo, frantumandosi in mille pezzi colorati e rilasciando delle scintille.

Roxanne sbuffò.

<< Quanto meno il mio dolce viso da donzella non sarà ricoperto da folta e canuta barba >>

I due la guardarono accigliati ed anche il viso di Roxanne prese una sfumatura quasi impaurita.

<< Roxie, ma come parli? >> chiese Fred, mentre Rose scoppiò a ridere, consapevole dell’accaduto.

<< Hai detto che Albus ha modificato la pozione? >> chiese tra le risate.

La grifondoro annuì e la consapevolezza la colse all’improvviso. Non avrebbe più potuto parlare come una persona normale. Dannato cugino, aveva fatto in modo da farle pronunciare parole appartenute a chissà quanti secoli addietro.

<< Oh, Merlino, lo sfiderò a duello. Gli trafiggerò il petto con la mia bacchetta >>

Roxanne andò via tra le risate dei cugini, blaterando minacce in vecchio stile, su giostre, cavalli e giovani donzelle.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***




Capitolo 9

 

 

Laila Scerlì aveva diciotto anni e si sentiva pronta. Aveva passato una vita a cercare qualcosa che rendesse i suoi giorni meno noiosi e no, essere un mago non bastava. Non bastava perché questo per lei aveva sempre rappresentato la normalità.

Ad undici anni era entrata a far parte de collegio di Beuxbatons, voti nella media con qualche eccezione, amiche e qualche ragazzo sparso qua e là con cui aveva storie estive e poi manteneva la corrispondenza via lettera. Non che una sua storia fosse durata più di un mese dopo la separazione. Aveva sempre odiato il fatto che il college francese fosse interamente a femminile e, sinceramente, non l'aveva mai capito. Insomma, mischiare i sessi era una buona cosa, no? Favoriva l'inserimento e l'equilibrio e tutte quelle stronzate lì. La verità era che a quella scuola mancava decisamente un po' di testosterone. Erano diventate tutte troppo femmine. Compresa lei.

Quindi quando aveva scoperto che quell’anno sarebbero stati ospiti di Hogwarts aveva letteralmente fatto i salti di gioia. Non perché fosse sicura di poter avere una relazione più duratura, ma perché Laila aveva bisogno di amici e che fossero maschi. Aveva bisogno di sentirsi disgustata da alcuni loro comportamenti e lamentarsi della loro volgarità come le raccontava sua cugina durante le vacanze.

Aveva bisogno che qualcuno le imparasse a sputare e ruttare a comando, che le dicessero che dire qualche parolaccia non era poi la fine del mondo e che non la guardassero male quando, presa dalla fame, si dimenticava un pochino, ma giusto un pochino, delle buone maniere.

E poi aveva bisogno di partecipare a quel torneo. Aveva bisogno di un po’ di movimento nella sua vita, aveva bisogno di qualcosa di nuovo per scappare dalla monotonia.

Così quella mattina, a solo un giorno dall’estrazione, scrisse il suo nome su un pezzetto irregolare di pergamena e si diresse verso a sala grande. Non corse, ma camminò piano, prendendosi il tempo di guardarsi intorno ed ammirare la scuola.

Hogwarts era profondamente diversa da Beuxbatons, a partire dal colore. No, mettiamo le cose in chiaro, la loro scuola non era rosa confetto, nonostante le continue proposte di quella pazza di Roberta, e ancora no, non era ricoperta di merletti o incastonata di perle. Ma era un edificio moderno, quasi dall’aspetto tecnologico. Laila era arrivata a questa conclusione dopo aver visto, quell’estate stessa, il palazzo dedicato ad una delle riviste di moda più in voga di Parigi.

Quindi, aveva deciso, la loro scuola era quasi un palazzetto per le riviste di moda e a lei piaceva davvero, ma Hogwarts. Hogwarts era diversa.

Camminare per quei corridoi, circondata da muri di pietra, con finestre ampie che davano sull’immenso panorama verde e magico. Hogwarts le dava l’idea di essere tornata nel passato.

Lì la magia si respirava in ogni angolo. Hogwarts era magia in sé. Qualcosa di meraviglioso.

Avrebbe dovuto trasferirsi, seguire le impronte di Arielle, anche se, la sua sola presenza lì, rendeva il tutto un po’ meno bello.

Dire che non la sopportava era un eufemismo.

<< Laila >>

Parli del diavolo e spuntano le corna. Pensò la ragazza prima di essere raggiunta da una chioma scura e due occhi celesti che la guardavano divertiti.

<< Arielle >> rispose, tanto per essere educata.

Dire che la ragazza non fosse bella era decisamente una bugia e Laila non si era mai permessa nemmeno di pensarlo, a differenza delle altre ragazze nella loro scuola. Lei era sincera. E sinceramente ammetteva che Arielle era molto più bella di lei.

<< Metti il tuo nome nel calice? >> chiese la mora, continuando a tenere il passo, nonostante l’altra avesse aumentato il ritmo.

Non le andava di parlarle, non le andava di vederla. Non voleva nemmeno più pensarla.

<< Che vuoi? >>

<< Sei scortese, Laila. Non si parla così ad una vecchia amica >>

La rimbeccò quella, con una nota divertita nella voce. Laila bloccò il suo passo, girandosi verso di lei e fronteggiandola.

Incrociò i suoi occhi con quelli altrettanto celesti dell’altra. Così simili eppure così diversi. La veela aveva degli occhi impenetrabili, delle lastre di ghiaccio, quasi senza profondità. Mettevano a disagio e infondevano un po’ di timore, sicuramente dovuto ai geni veela.

Gli occhi dell’altra erano caldi, espressivi, strabordanti di energia e quasi come una colata di lava fredda. Di ghiacciato quegli occhi avevano solo il colore.

<< Non siamo mai state amiche >>

Nel momento in cui Arielle sorrise il cuore di Laila perse un battito per poi cominciare a battere più veloce, fino a riempire le sue orecchie di quel rumore che aveva scordato, ma che le era ancora familiare.

Quanto le mancavano quegli occhi. Quanto le mancavano quelle labbra. Quanto le mancavano quelle mani che ora, con un gesto quasi divertito, le spostavano una ciocca bionda dal viso.

<< No, siamo state di più >>

La bionda la ignorò e ricominciò a camminare, ma Arielle non era della stessa opinione. La serpeverde prese un braccio della ragazza e la sbatté contro il muro, facendole scappare un gemito di dolore.

Nel corridoio non c’era nessuno.

<< Stammi lontana >>

<< Oh, Laila, mi è sempre piaciuta questa parte di te >>

La voce sembrava dolce e accarezzava tutte le parole con grazia, ma la bionda lo sapeva, Arielle non la conosceva nemmeno la dolcezza.

<< Per te tutto è un gioco, ma per no. Lasciami in pace >>

La mora sorrise, schioccando la lingua. Non rispose, si limito ad avvicinarsi alla ragazza e sfiorare le sue labbra.

Laila si tirò indietro, ma l’altra premette maggiormente e la bionda non poté far altro che arrendersi.

Arrendersi ai suoi sentimenti, arrendersi alle sue labbra, arrendersi a quella lingua che cercava la sua e l’accarezzava senza dolcezza. Ma non si lamentò, lasciò che Arielle continuasse a baciarla, stringendola, nonostante sapesse che se ne sarebbe pentita, perché lei sarebbe andata via, lasciandola sola. Ancora una volta.

Laila non lo considerava un gioco a differenza dell’altra, ma non poteva fare altro che farsi male. Lasciare che lei le facesse male.

Arielle si staccò da lei e la guardò con divertimento.

<< In bocca a lupo >>

Laila si lasciò cadere sul pavimento e prese la testa tra le mani, finalmente sola. Sospirò e si strofinò gli occhi stanchi.

Avrebbe dovuto reagire, lo sapeva, ma non ci riusciva. Era debole. Non sapeva allontanarla da sé.

No, pensò non è certo la relazione con un ragazzo che cerco.

 

 

 

 

Era domenica.

James Sirius Potter si alzò quella mattina con la consapevolezza che finalmente era arrivata domenica anche quella settimana. Sorrise di sbieco e si alzò dal letto, scostando le coperte. Il freddo lo colpì con forza, facendolo rabbrividire. Ma niente, quella mattina, poteva intaccare il suo buon umore.

Erano le sette di mattina, il che voleva dire che tutti stavano dormendo, probabilmente l’intera scuola, ad eccezione di una ventina di ragazzi che, come lui, si stavano preparando. 

Lanciò uno sguardo al letto di suo cugino Fred che si rigirava tra le coperte e si diresse verso il bagno. Fece una doccia veloce ed indossò una semplice tuta.

Cercando di essere silenzioso, mise il suo cappotto e uscì dalla stanza per poi percorrere i corridoi di Hogwarts e trovarsi finalmente all’esterno. Un forte vento gli colpì il viso, facendolo sbuffare.

Era la fine di settembre e il clima non avrebbe dovuto essere così rigido, ma a James non importava.

Il giorno seguente sarebbe stato il grande giorno dell’estrazione. Ogni lezione era cancellata per permettere ai ragazzi di prepararsi psicologicamente. Che stronzata.

Quel torneo era un’immensa stronzata.

Sarebbe decisamente stato più felice se quegli idioti dei suoi cugini non avessero partecipato, ma si era limitato a dirlo a sua sorella. Conversazione che, ovviamente, non aveva avuto l’esito sperato.

Lily era stata irremovibile.

 

 

<< Lily, pensaci, è pericoloso >> l’aveva pregata, prendendole una mano e stringendola tra le sue.

La ragazza si era accoccolata meglio tra le sue braccia, posando la testa sul suo petto e circondandogli il busto con un braccio magro. Aveva sbuffato ed aveva scosso la testa, evitando di guardarlo.

Erano stesi in riva al lago nero, stretti l’uno all’altra. James avvolgeva la sorella come se quell’abbraccio potesse farle cambiare idea.

<< Sono preoccupato >>

Le lasciò un bacio tra i capelli rosso fuoco e la ragazza alzò il viso, incontrando gli occhi nocciola del fratello con i suoi più scuri.

<< So badare a me stessa >>

<< Ti farai uccidere >>

La rossa si alzò senza perdere il contatto visivo. Incrociò le gambe e sospirò, portandosi i capelli dietro le orecchie.

Era strano vedere Lily così seria e concentrata.

<< Devo farlo >>

<< Non devi dimostrare niente a nessuno >>

La ragazza sbuffò e si alzò, irritata dalle parole del fratello. Anche James si alzò, pulendosi i pantaloni con le mani e fissando la grifondoro con sguardo di rimprovero.

<< Devo >>

<< Smettila di dire stronzate >>

<< Smettila di cercare di decidere per me >> urlò a ragazza, girandosi di spalle.

Cominciò a camminare verso il castello, sentendo la voce scocciata di James dietro le spalle. Con due falcate il ragazzo, molto più alto di lei, la raggiunse. Sbuffò di nuovo, prima di cercare di calmarsi.

<< Non voglio decidere per te. Sono solo preoccupato >>
<< Lo hai già detto >>

<>

<> ribatté lei e nel momento in cui lo disse si accorse di quanto quelle parole fossero vere.

Tutti i suoi parenti, escluso Albus e i più piccoli, avevano messo il loro nome e sapeva per certo che solo poche persone non l’avevano fatto. Forse una decina in tutto il castello, compresi ovviamente Shailene e Axel.

<< Non posso, Lily, perché io ti conosco. Vincerai >>

<< Non dirlo o mi monto la testa >> scherzò, cercando di sdrammatizzare.

James sbuffò, comprendendo che non avrebbe mai vinto in quella conversazione. Bloccò sua sorella per un braccio, stringendola tra le sue braccia.

<< Promettimi che starai attenta >>

Lily rise.

<< Promesso >>

 

 

Beh, sapeva dall’inizio che non avrebbe mai potuto impedire a sua sorella di aggiungere il suo nome a quel dannatissimo torneo e avrebbe preferito che nessuno dei suoi cugini l’avesse fatto perché, diciamocelo, erano così tanti che uno di loro sarebbe stato pescato per forza di cose.

Ringraziò mentalmente suo fratello per avere un minimo di intelligenza. Un pensiero in meno.

Si passò una mano tra i capelli disordinati, dirigendosi verso la Foresta Proibita. Lui tutta quella voglia di mettersi in mostra proprio non la capiva, soprattutto se il prezzo poteva essere tanto alto.

Cosa ti spinge a rischiare la vita per uno stupido torneo? Lui l’avrebbe fatto solo per la sua famiglia, solo per Lily.

<< James >> una voce, che però non riconobbe, lo chiamò da lontano.

Il ragazzo non si girò, continuando per la sua strada senza nemmeno girarsi. Non era uno dei suoi parenti, non che se fossero stati loro gli avrebbe dato confidenza, quindi non c’era nessuna ragione di fermarsi.

<< Jamie. Jamie fermati >> ascoltando quel soprannome, che solo sua sorella utilizzava ancora, James capì il proprietario della voce.

E non si fermò. Anzi accelerò il ritmo.

Sentì dei passi sempre più veloci dietro di lui che si trasformarono presto in una corsa.

<< Certo che sei veloce >> disse la voce femminile che oramai era decisamente più vicina al ragazzo.

Potter girò lo sguardo velocemente, incrociando gli occhi curiosi di Shailene che lo guardavano divertiti. Distolse lo sguardo, puntandolo nuovamente davanti a sé.

<< Dove vai? >>

James sbuffò, non rispondendo nemmeno questa volta. Ma il sorriso sul volto di Shailene non scomparve anzi si allargò quando il ragazzo rallentò il passo, resosi conto che lei non si sarebbe fermata né tantomeno rigirata. Finalmente ritornò a respirare normalmente. Non era certo abituata a quell’andatura.

<< I nargilli ti hanno mangiato la lingua? >>

Il grifondoro alzò gli occhi al cielo, guardandola di traverso. Possibile che dovesse sempre parlare di nargilli?

<< E’ impossibile, perché i nargilli… >>

<< Non mangiano le lingue, lo so >> lo interruppe Shailene.

Ma non era quello che James intendeva, proprio no. I nargilli non esistono. Concluse nella sua testa, ma evitò di dirlo ad alta voce, considerando che lei non avrebbe di certo cambiato idea.

<< Io sto andando da Hagrid, sai gli avevo promesso di aiutarlo con un cucciolo di drago che ha appena comprato >>

Ancora una volta il ragazzo non rispose, continuando semplicemente a camminare, ma la corvonero non si sentì insultata o a disagio o ignorata. Sembrava semplicemente padrona della situazione.

Continuava a camminargli accanto quando l’unica cosa che il ragazzo desiderava era che lei sparisse e gli lasciasse vivere quella domenica in santa pace.

Tutta l’empatia che si era creata tra di loro nel primo incontro era sparita. James semplicemente provava l’avversione che sentiva verso tutti gli altri.

Quello era il suo giorno e una ragazzina qualsiasi non poteva rovinarlo.

<< Vuoi venire? >>

<< No >> rispose secco, fermandosi.

Erano arrivati al limite della Foresta Proibita.

<< Vengo con te allora. Hagrid ha detto di vederci verso le nove >> disse, osservando un orologio da polso.

James alzò gli occhi al cielo.

<< Non se ne parla >>

<< Non puoi impedirmelo >> gli fece la linguaccia.

Gli occhi divertiti si puntarono nei suoi e per un attimo, solo per un attimo, James sorrise dell’impertinenza di quella ragazza che tanto gli ricordava sua sorella.

<< Non provare a seguirmi >>

<< Perché? >>

<< Perché no >>

Shailene sbuffò in realtà per niente irritata dal comportamento del ragazzo. Era testarda, alcune volte a tal punto da essere fastidiosa, lo sapeva. Ma sapeva anche quando era il momento di fermarsi.

<< Ti aspetto qui, mentre tu vai a farti riempire di pugni >> disse tranquilla.

James spalancò gli occhi, girandosi verso di lei stranito, ma non incontrò la chioma castano cioccolato. Aggrottò e sopracciglia confuso, prima che la voce della ragazzina richiamò la sua attenzione.

<< Beh, che fai? Non vai? >>

Era seduta a terra, con e gambe incrociate e le mani che giocavano con qualche filo d’erba. Borbottò qualcosa come ‘i gorgosprizzi devono averlo confuso’ che James ignorò prontamente.

Il ragazzo la guardò con un sopracciglio alzato, ma non ribatté. Sena nemmeno una parola entrò nella Foresta Proibita, non guardandosi indietro.

 

 

<< Terzo incontro: James Potter e Alexander Nott >> la voce di Patrick Baston risvegliò James dai suoi pensieri.

Alexander Nott? Era la prima volta che il ragazzo si presentava a quegli incontri e James non si sarebbe mai aspettato di incontrarlo in una situazione del genere. Alexander era un serpeverde del nono anno che di serpeverde, a prima vista, non aveva proprio niente.

Sempre sorridente, con la battuta pronta, ironico e qualche volta arrogante. James lo avrebbe visto meglio tra i grifondoro, a volte si comportava proprio come loro. Pieno di energia ed esibizionista. Ma Potter aveva imparato ad osservare e si era accorto del lato da serpe del ragazzo. Era scaltro, intelligente, subdolo a volte. Ma mai si sarebbe aspettato di incontrarlo lì.

Guardò gli occhi celesti del serpeverde, pensando che sì, sembrava molto più grande della sua età.

I due ragazzi si portarono uno davanti all’altro e si fissarono negli occhi per qualche secondo prima di cominciare. Il primo pugno partì proprio da Alexander che, anche essendo più grande e muscoloso di James, aveva decisamente meno esperienza. Il grifondoro evitò il gancio destro abbassandosi e colpendolo allo stomaco, facendolo piegare in due.

Provo poi a colpire il viso on una ginocchiata, ma il biondo fermò il colpo con entrambe le mani e lo colpì al viso, spaccandogli il labbro.

James sputò a terra il sangue, ripagandolo con la stessa moneta. Un gancio destro sullo zigomo e uno sinistro sul mento.

Calcio allo stomaco. Alexander afferrò la sua gamba e lo fece cadere a terra. James evitò un pugno e si rialzò colpendolo allo sterno ripetutamente.

Il serpeverde fece un paio di passi indietro, alzando le mani e tossendo, in segno di resa.

James si passò una mano sotto l’occhio dove c’era un rivolo di sangue e sputò nuovamente a terra. Si girò e se ne andò.

 

 

<< Ehi amico >> una voce sconosciuta lo chiamò, facendolo fermare.

James si guardò alle spalle, vedendo Alexander Nott camminare lentamente verso di lui.

<< Mi hai spaccato le costole >>

Il grifondoro non aveva idea di cosa rispondere. Avrebbe forse dovuto scusarsi con lui? Dopotutto mica era colpa sua se si era presentato ai combattimenti, ma lui avrebbe potuto essere più delicato. Fece per aprire a bocca, senza sapere bene cosa dire, ma Alex liquidò l’affermazione con un gesto della mano e solo allora James si rese conto che il tono del ragazzo era scherzoso. Non risentito, ma divertito.

James lo guardò. Lo superava in altezza di pochi centimetri ma aveva le spalle decisamente più grandi delle sue.

<< Andrai in infermeria? >> chiese, ma il ragazzo scosse la testa, continuando a sorridere.

<< Sono in grado di curarmi da solo, ma dimmi, la faccia è tanto rovinata? >>

Si toccò il viso quasi alla ricerca di qualche stranezza. Quando l’altro scosse la testa lui sospirò sollevato.

<< Sai, è un peccato rovinare qualcosa di così bello >>

James lo guardò scioccato e poi, forse colpito dalle sue parole, forse dal tono, ferse dall’espressione o dalla situazione improbabile, scoppiò a ridere. Alex lo guardò oltraggiato, ma poi si aggiunse alla sua risata, tossendo per il dolore addominale.

<< Ci si vede, amico >> disse James, uscendo dalla Foresta Proibita e sorridendo mentre lo prendeva in giro per quella parola che per primo gli aveva rivolto.

 

 

 

 

Quando James vide di nuovo la luce del sole, quasi un’ora dopo, fissò sconvolto il corpo steso a terra. Shailene era ancora lì. Le gambe fasciate dai jeans e il busto coperto da una felpa ameno di due taglie più grande.

Si avvicinò, fermandosi accanto a lei e sedendosi sul prato.

Quel giorno, a quanto pare, era abbastanza loquace.

<< Hai aspettato >>

Shailene si tirò a sedere e osservò con una smorfia il suo viso. Il sopracciglio e il labbro inferiore erano spaccati, ma i suo viso non era molto rovinato. Per lo meno non era tumefatto. Shailene sorrise radiosa, annuendo.

<< Ora devo andare. Hagrid mi aspetta. Passa una buona giornata >>

Si alzò e rivolgendogli un ultimo sorriso e un saluto veloce con la mano si diresse verso la capanna del guardiacaccia.

Dopo qualche passo però si fermò e si girò, raggiungendolo di nuovo. Si abbassò all’altezza di James e sotto gli occhi sbalorditi del ragazzo gli lasciò un bacio sulla guancia, prima di correre via ridendo.

Questa ragazza è proprio strana.

 

 

 

Angolo Autrice

Buon pomeriggio mondo! Mi trovo a pubblicare prima del solito!

Finalmente si sono date le vacanze, o almeno qui in Svezia è così, quindi, trovandomi alla casa estiva e avendo tempo, spero di riuscire a scrivere un po’ di più!

Passiamo al capitolo. Come prima cosa vorrei dire anche il nome dei prestavolto di Lily, Hugo, Roxanne e Fred prima di commentare!

Come Lily ho scelto Karen Gillan

Hugo è Ed Sheeran

Roxanne è Katerina Graham

Con Fred sono indecisa, avevo pensato a Luke Pasqualino o Jacob Artist

Con questo capitolo invece presento Laila (Ashley Benson) , Arielle (Megan Fox) e Alexander (Chris Evans), che sinceramente adoro!

Vi ringrazio per tutto, chi ha messo la storia tra le preferite/ricordate/seguite e soprattutto chi la recensisce!

Vorrei chiedervi ora: chi è il vostro personaggio femminile preferito? E quello maschile? Quali credete saranno le coppie? Che ne pensate dei prestavolto? Di chi dovrei scrivere maggiormente?

Lo so che  presto per le domande perché mancano ancora molti personaggi, ma spero che rispondiate comunque :)

Ci sentiamo presto!

p.s Nel caso non pubblichi prima di Natale, passate delle buone feste e vi auguro un natale pieno di felicità e di neve

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Capitolo 10

 

 

Minerva McGrannit da quando era diventata preside non aveva dovuto affrontare nessuna occasione speciale, ma avrebbe avuto l’occasione di faro quell’anno.

Non che avesse paura di non riuscire a gestirla, dopo tutti quegli anni di vita, quanti sarebbe rimasto un mistero, c’erano ben poche cose che non avrebbe potuto gestire.

Una di loro era Lily Potter.

Un’altra prendeva i nome e il viso di Hugo Weasley.

E poi c’erano i suoi sentimenti, o meglio l’affetto incondizionato che provava per i suoi vecchi studenti e anche quelli nuovi.

Ma, beh, il Torneo Tremaghi non era poi così difficile da tenere sotto controllo.

Dopo essere sopravvissuta a tre generazioni di Potter e due guerre magiche non sarà uno stupido torneo a sconfiggermi.

Ma doveva ammettere che il ballo del ceppo era un’altra delle cose che, beh, potevano sfuggire al suo controllo. Non per colpa sua, ovvio, ma quella balbettante bambocciona banda di babbuini* avrebbe rovinato tutto, già lo sapeva.

Erano più indisciplinati dei loro genitori e più ingegnosi dei loro nonni, il che è tutto dire.

<< Minerva, cosa ti preoccupa? >> la donna si girò verso il ritratto di Silente, rivolgendogli un sorriso.

L’uomo la fissava da sopra i suoi occhiali a mezza luna con quello sguardo divertito che non era scomparso con il passare degli anni.

Anche il ritratto di Piton vicino a quello del vecchio preside si interessò alla conversazione. 

La preside mosse la mano per liquidare la situazione.

<< E’ tardi, devo andare prima che quei ragazzini distruggano la Sala Grande >>

Minerva si alzò e si diresse verso la porta, ma prima di uscire riuscì a cogliere lo sguardo divertito e d’intesa che si lanciarono i due presidi dietro di lei.

 

 

 

 

<< Silenzio >>

La voce della preside, amplificata dalla bacchetta, risuonò nella Sala Grande ed un improvviso silenzio si impossessò dell’ambiente, rendendolo saturo di eccitazione, ansia e preoccupazione.

Tutti gli sguardi degli studenti di Hogwarts, Beauxbatons e Dumstrang si puntarono sulla donna che li osservava con un sorriso compiaciuto.

Lysander Scamander deglutì, sentendosi quasi impaurito.

Hugo Weasley e Lily Potter si presero la mano sotto il tavolo.

Fred Weasley osservò i visi dei suoi compagni, cercando di non andare in panico.

Roxanne Weasley sbuffò scocciata, fissando di traverso Albus, ma sentendo comunque la tensione salire.

Scorpius Malfoy rimase impassibile.

Rose Weasley continuò a mangiare.

Shailene Ricci dal tavolo di Corvonero si lanciò uno sguardo d’intesa con Axel Lovegood per poi fissare i loro migliori amici.

Alexander Nott sorrise, continuando a parlare con la Zabini a bassa voce, elogiando il suo viso tornato alla normalità.

James Sirius Potter fissò sua sorella.

Lorcan Scamander si mise le mani al viso.

Louis Weasley guardò la McGrannit.

<< Bene, cominciamo >>

Nessuno si azzardò a pronunciare una parola o ad emettere un bisbiglio. Alexander Nott si lamentò dopo un calcio negli stinchi da parte di Naya Zabini e si zittì completamente quando la suddetta lo colpì allo stomaco ancora dolorante.

La McGrannit alzò una mano al cielo e con un colpo di bacchetta colpì il calice. Le fiamme diventarono azzurre e crebbero a dismisura. Tutti gli studenti lo osservano sbalorditi. Una pergamena arrivò in mano alla donna.

<< Il primo campione di Dumstrang è Filip Karante >>

Alice fece una smorfia di disgusto quando il ragazzo che l’aveva importunata si alzò tra le grida eccitate dei suoi compagni.

<< Il secondo campione di Dumstrang è Ivan Rontik >>

Ivan si alzò, raggiungendo il compagno di scuola e rivolgendogli una semplice occhiata e un cenno della testa, mentre la scuola scoppiava di nuovo in grida di acclamazione.

Minerva sorrise e fece segno a tutti di ritornare in silenzio.

<< La prima campionessa di Beauxbatons è Laila Scerlì >>

La bionda sorrise e si alzò, posizionandosi accanto ai due ragazzi e stringendo la mano ad entrambi. Filip le rivolse un occhiolino e la ragazza sorrise timida.

Arielle catturò il suo sguardo, alzando il bicchiere nella sua direzione e sorridendo divertita quando quella le rivolse una smorfia infastidita.

Anche la seconda campionessa di Beauxbatons, Roberta Paurol, raggiunse i chiamati e, stretta nel suo abitino rosa, li salutò con una stretta di mano e un sorriso. Abbracciò Laila che, scioccata, non l’allontanò.

<< Ed ora, la scuola ospitante >>

Con un altro colpo di bacchetta le fiamme del calice divennero nuovamente blu e si alzarono a dismisura, sputando fuori un pezzetto di pergamena bruciacchiata.

Tutti gli studenti di Hogwarts fissarono il pezzetto di carta con aspettativa e quasi reverenza.

Louis avvertì il suo cuore fermarsi, mentre aspettava che la McGrannit parlasse e rivelasse il loro primo campione.

<< Per Hogwarts il primo campione, o meglio campionessa –sui volti dei ragazzi si dipinse una smorfia delusa- è Lily Luna Potter >> 

Delle grida di incitamento si alzarono da tutti gli studenti di Hogwarts e più di un grifondoro si alzò in piedi, applaudendo e acclamando la loro campionessa.

Lily guardò suo cugino Hugo che l’abbracciò felice e sciolse la stretta delle loro mani per permetterle di alzarsi. La ragazza si guardò intorno spaesata finché Weasley non l’alzo con la forza.

Solo in quel momento la rossa capì veramente cosa era successo e sorrise. Un sorriso così radioso che per un attimo contagiò anche James. Il primogenito Potter aveva una smorfia di preoccupazione dipinta in viso che si allievò un poco quando la sorella mimò ‘te lo prometto’ con le labbra.

Lily si avvicinò agli altri e strinse a tutti la mano, mentre le riservavano qualche complimento e un paio di ‘prevedibile’ detti con aria divertita.

La preside cercò di ristabilire l’ordine nella Sala che dopo non poche lamentale ripiombò nel silenzio.

Un altro colpo di bacchetta.

Altre fiamme blu.

Un’altra pergamena spiegazzata.

<< Il secondo campione di Hogwarts e nostro ultimo campione è Lysander Scamander >>

Un altro boato si sollevò dalle panche di grifondoro e, in generale, da tutte le case.

Due compagni del gemello lo alzarono, acclamandolo, mentre quello rideva.

Incontrò lo sguardo celeste di Alice e le fece un occhiolino divertito. Lei alzò gli occhi al cielo.

Si diresse verso gli altri, venendo fermato più volte da compagni di scuola che lo abbracciavano augurandogli buona fortuna come se già dovesse affrontare la prima prova.

Passò un braccio intorno alle spalle di Lily che sbuffò divertita, ricambiando quell’abbraccio strano da parte dell’amico di infanzia.

<< Ecco a voi, i campioni del Torneo Tremaghi >>

E nella Sala Grande scoppiò il caos. 

 

 

 

 

 

 

Fred Weasley spinse con una mano la porta d’ingresso del bagno di Mirtilla Malcontenta al terzo piano. Erano le tre di notte e la casata dei Grifondoro stava ancora festeggiando i loro due campioni tra alcol, musica ed urla, ma lui aveva bisogno di tempo da passare da solo.

Era stato contento di vedere sua cugina Lily così felice, ma non poteva fare a meno di pensare di aver fallito.

Un’altra volta.

Non era riuscito a dimostrare il suo valore.

Un’altra volta.

Non l’avevano scelto. Come nessuno l’aveva mai scelto.

Si avvicinò al lavabo che una volta aveva nascosto la camera dei segreti e si lasciò cadere ai suoi piedi poggiando la testa sulle ginocchia strette al petto.

Aveva sempre amato quella storia, quella della camera dei segreti. Quando tutti erano più piccoli, e a nessuno importava delle differenze che c’erano tra loro e che poi si erano accentuate con il tempo, zio Harry e zio Ron raccontavano quell’avventura in tutte le possibili festività, quando l’intera famiglia si riuniva.

E nessuno era ancora a conoscenza della condizione di Molly. Lei sorrideva e giocava con gli altri, aspettando il suo undicesimo compleanno per ricevere una lettera che poi non sarebbe mai arrivata. E avrebbe aspettato ancora, invano. E sarebbe caduta in un vortice di depressione adolescenziale e sregolatezza.

E nessuno avrebbe potuto immaginare quello che poi sarebbe successo a Lucy all’età di soli tredici anni. E lei ascoltava quella storia come se non ci fosse nient’altro di meglio.

E nessuno di loro poteva predire il loro futuro, futuro nel quale la maggior parte sarebbe diventata qualcuno che non voleva essere.

Fred sospirò e cercò nella tasca il pacchetto di sigarette magiche alla menta. Ne prese una e se la infilò tra le labbra, accendendola con la fiamma della bacchetta.

<< Quella roba ti uccide >>

Il ragazzo si girò quasi spaventato dalle voce, sbattendo la testa contro il lavandino e imprecando a bassa voce. L’altro ridacchiò.

Louis Weasley era seduto a terra con la schiena poggiata contro una porta del bagno, la cravatta allentata e i primi bottoni della camicia sbottonati. I capelli erano un disastro come se non avesse fatto altro che passarci le mani in gesti quasi disperati.

Il castano sbuffò, rilasciando una nuvoletta di fumo e continuando a toccarsi la parte lesa. Alzò le spalle per liquidare la situazione.

Non voleva ignorare Louis, non per una volta che quello finalmente gli stava parlando, ma non sapeva davvero cosa rispondere perché il ragazzo aveva ragione. Ma Fred era altrettanto convinto che non sarebbero state delle stupide sigarette ad ammazzarlo. Insomma, sarebbe stata una morte abbastanza degradante e lui non lo avrebbe permesso. Per Morgana, piuttosto si sarebbe fatto uccidere in un duello.

Come se fosse possibile per lui imbastire un duello serio.

<< Finiti i festeggiamenti? >> chiese ancora il Tassorosso, desideroso di avere una conversazione.

Aveva sempre apprezzato il silenzio, ma non lo voleva in quel momento.

<< No, semplicemente non sono in vena >>

Louis annuì comprensivo e Fred prese un’altra boccata di fumo, aprendo poi la bocca per parlare ancora. Ma il rumore della porta che si apriva e richiudeva lo interruppe.

Entrambi i ragazzi si voltarono verso la nuova arrivata e Roxanne, una volta accortasi di loro, gli sorrise.

Raggiunse il fratello e si sedette accanto a lui.

<< Buonasera a tutti >> salutò con voce divertita.

<< Roxie, quella è la mia maglietta >>

La castana scosse le spalle e arricciò le labbra, guardando il suo vestiario, constatando che sì, quella era la maglietta del fratello. Quindi sorrise ancora, annuendo e ignorando l’espressione irritata del ragazzo.

Si rivolse poi al cugino, osservandolo.

<< Come te la passi, Lou? >>

<< Una meraviglia. È per questo che mi trovo alle tre di notte in un bagno >>

<< Uh, hai imparato a fare dell’ironia? Non è da te >>

Nelle parole della ragazza non c’era cattiveria, solo divertimento e Louis scoppiò a ridere, scuotendo la testa.

<< Riunione di famiglia improvvisata? >>

La voce di Hugo fece voltare i presenti che gli sorrisero. Nessuno di loro aveva dimenticato il peso allo stomaco che li attanagliava per aver perso, ma lo sentivano alleggerito, avendo la possibilità di dividerlo con gli altri.

Louis per un momento si chiese perché continuava ad evitare le famose e sacre riunioni di famiglia. Si chiese perché si ostinava ad essere normale fuori da quel nucleo di cugini, sapendo che avrebbe potuto essere normale con loro. Anche la testa di Rose Weasley comparve vicino a quella del fratello ed entrambi si sedettero vicino al cugino Tassorosso, sorridendogli quasi per rassicurarlo.

Per dirgli che lì era ben accento.

<< Una cosa del genere >> rispose Fred, accendendosi un’altra sigaretta.

<< Quella roba ti uccide >>

<< Non ripeterti, Lou, sei noioso >>

I ragazzi risero, bloccandosi quando la testa bionda di Dominique comparve davanti a loro.

La ragazza sbuffò, riappropriandosi della facciata di superiorità che aveva lasciato il posto per un attimo, solo per un attimo, ad una smorfia delusa e quasi triste.

<< Non si può stare tranquilli nemmeno in bagno >>

Si lamentò, andandosi però a sedere vicino al fratello e lanciandogli un’occhiata preoccupata. Louis le sorrise, stringendole la mano.

Dominique non era il mostro che tutti si aspettavano, Louis lo sapeva. Semplicemente aveva bisogno di quella facciata, ma non perché nascondesse una timidezza, una dolcezza e una insicurezza unica, no, Dominique era sicura di sé e disinibita a livelli quasi inumani. Ma nascondeva qualcosa di più grande e lo nascondeva a tutti.

I suoi cugini, i suoi genitori, i suoi fratelli. Era il suo peso da portare e sapeva che l’avrebbe portata ad un punto di non ritorno, quindi teneva tutti lontani da sé.

Se non si avvicinavano non avrebbero sofferto quando lei non ci sarebbe stata più, perché lo sapeva che quel momento sarebbe arrivato presto, troppo presto.

E poi, tanto per essere sinceri, giocare all’odiarsi la divertiva.

<< Roxanne, tu che ci fai qui? Lo sapevi che il calice non ti avrebbe scelto >>

L’interessata prese la sigaretta dalle labbra del fratello per portarla alle sue ed inspirare profondamente.

<< Ehi, Rox, non puoi fumare >>

In risposta la ragazza sbuffò una nuvola di fumo in faccia al fratello, che si riprese la sigaretta, mentre ognuno in quella stanza scoppiava a ridere.

<< Solo per colpa di Albus >> precisò.

<< Per lo meno adesso puoi parlare normalmente >>

<< E non sai quanto tempo ci ho messo per riuscirci >>

<< Siete insopportabili >>

Dominique sbuffò e chiuse gli occhi poggiando la testa alla porta dietro di lei. Finse di ignorare i suoi cugini che continuarono a parlare e battibeccare tra di loro.

<< Siamo dei cattivi cugini? >>

Chiese Rose, facendo zittire tutti. Roxanne, stirò le gambe, incrociandole poi nella posizione più maschile che Fred conoscesse. Lui abbassò il viso, Louis sospirò e Dominique aprì un occhio.

Ma Hugo sorrise e scosse la testa sicuro.

<< Saremo lì per lei, ogni giorno ed ogni prova. Abbiamo solo bisogno di una notte, Lily capirà >>

E Dominique sorrise, come i suoi consanguinei nella stanza.

Era per questo che una volta ogni due settimane partecipava a quelle riunioni, nonostante si limitasse a rimanere seduta ed ascoltare le loro voci e osservare i loro movimenti, i loro sorrisi. Le davano ancora una parvenza della normalità che sapeva non le apparteneva più.

Ma dopotutto non c’è niente di male nello scappare dalla realtà per alcune ore.

 

 

 

 

 

 

Lysander Scamander era preoccupato. E non perché il suo bicchiere fosse nuovamente vuoto o perché la testa avesse cominciato a girare vorticosamente o perché non avesse baciato ancora nessuno quella sera ed erano già le quattro e mezza.

Schioccò la lingua sul palato e si rese conto di non voler partecipare più a quella festa. Aveva bisogno di aria fresca.

La camicia era appiccicata al suo corpo, mezza aperta, per colpa del lieve strato di sudore che lo ricopriva, e i capelli erano decisamente un disastro.

Aveva bisogno di tempo per riflettere.

Evitando un paio di grifondoro su di giri si diresse verso il quadro ed uscì dalla propria sala comune, dopo aver lanciato uno sguardo a Lily Potter, che rideva con un’amica all’angolo della stanza.

La festa era per loro due, ma dopo le prime due ore tutti se ne erano dimenticati e, a parte qualche brindisi sporadico in loro onore, nessuno sembrava accorgersi della loro presenza.

Ed entrambi ne erano grati. Avevano bisogno di tempo per metabolizzare. Erano felici, ma anche abbastanza confusi.

Lysander si sarebbe aspettato altre sensazioni, non certo quella preoccupazione di non essere abbastanza, mista ad un briciolo di soddisfazione ed eccitazione che però venivano soppresse dalla paura.

Era dannatamente spaventato.

Sospirò finalmente libero da tutto quel rumore e da quella confusione, quando il ritratto della Signora Grassa si chiuse dietro di lui.

<< E’ tardi ragazzo, dovresti essere dentro >> si lamentò la donna che venne prontamente ignorata dal biondo.

Con un altro sospiro si diresse verso la guferia. Aveva bisogno di silenzio e solitudine e, in quel momento, persino i bisbigli dei quadri di Hogwarts sembravano rumorosi.

Finalmente l’aria fredda lo colpì, facendo irrigidire i suoi muscoli, ma permettendogli di svegliarsi e la testa si stabilizzò un po’ di più.

Si lasciò cadere a terra seduto, chiudendo gli occhi e non scomponendosi quando sentì una voce fin troppo conosciuta parlare vicino a lui.

<< Ti stavo aspettando, Lys >>

Lorcan Scamander era seduto accanto al fratello con l’espressione contratta e lo sguardo rivolto verso il cielo.

Le stelle, quella sera, erano coperte da nuvole che rendevano il cielo cupo, ma quell’aria fredda e quell’annuncio di tempesta rassicurarono Lorcan.

Lui adorava i temporali. Gli piaceva il rumore e l’odore della pioggia. Gli piaceva poter restare sotto la pioggia ad ascoltare solo quel ticchettio e finalmente potersi sfogare.

E piangere.

Perché, si, Lorcan piangeva e ancora sì, era un ragazzo. Ed il fatto che fosse gay non c’entrava. Anche i ragazzi piangono.

Forse l’amore per la pioggia era l’unica cosa che i due fratelli avevano in comune.

<< Perché siamo così diversi? Intendo, siamo gemelli cazzo, almeno fisicamente dovremmo essere identici >>

Lysander aveva aperto gli occhi ed ora guardava anche lui al cielo, ma colse il movimento delle spalle di Lorcan dopo che lui ebbe pronunciato quelle parole.

<< Sai, siamo gemelli eterozigoti, il che vuol dire che non ci assomigliamo più di due fratelli >>

Lysander sbuffò divertito.

<< Non fare il secchione >>

Lorcan scosse la testa sorridendo.

<< Sai che noia, se fossimo uguali. E poi non vorresti essere come me >>

No, ok, non era quello che Lorcan avrebbe voluto dire. Voleva essere spiritoso e dirgli scherzosamente che non avrebbe voluto essere come lui. E avrebbero riso insieme.

Ma la smorfia di dolore che era impressa sul suo viso diceva tutt’altro. E allora Lorcan capì, capì che aveva bisogno di parlarne, capì che aveva bisogno di parlarne con suo fratello.

Lysander non lo guardò, restò con lo sguardo fisso sulle stelle, ma gli diede un pugno sul braccio che di scherzoso aveva ben poco.

<< Non dirlo nemmeno, Lorc. Non hai niente di sbagliato. Essere gay non è qualcosa di cui vergognarti. Mamma lo accetterà, papà lo accetterà, i tuoi amici lo accetteranno ed io l’ho già accettato da tempo. Degli altri sinceramente chi se ne frega. Se sono idioti sono problemi loro. Tu vai bene così >>

La voce era quasi arrabbiata, ma con una nota di stanchezza e una comprensione che mai Lorcan aveva sentito nella voce del fratello. Ma si accorse che era così che lo conosceva che, nonostante tutto, lui sapeva come Lysander era fatto, conosceva tutto di lui.

<< Non posso dirlo a tutti. Non sono pronto >>

Lysander annuì.

<< Quando lo farai picchierò chiunque si permetterà di dire qualcosa >>

<< Stai attento Lys >>

<< Lo farò >>

Entrambi si girarono verso l’altro e si guardarono sorridendosi.

<< Mi sei mancato >> disse Lysander.

Lorcan ghignò.

<< Non fare la femminuccia >>

Lysander lo colpì ancora una volta alla spalla, intimandogli di non essere così gay quando lui si lamentò.

E restarono nella guferia tutta la notte a recuperare il tempo perduto. Sapevano che non sarebbero stati sempre insieme da quel momento, ma sapevano anche che avevano recuperato il loro rapporto.

E per adesso era abbastanza.

 

 

 

 

Angolo Autrice

AUGURIIIII

Lo so che oramai sono le dieci e mezza passate, ma sono ancora in tempo per darvi gli auguri di natale!

Ho aggiornato prestissimo! Forse addirittura troppo presto, ma è Natale quindi volevo farvi una sorpresa!

Passiamo al capitolo: finalmente vengono scoperti i campioni! Chi pensate vincerà?

Sinceramente mi è piaciuto scrivere l’incontro tra i cugini e quello tra i fratelli, spero di essere riuscita a renderlo bene!

Presto saprete il segreto di Dominique e quello che è successo a Lucy!

Ringrazio tutti e vi auguro buon natale ancora una volta!

Spero che mi farete sentire il vostro parere!

 

*Ovviamente preso dal quarto film

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Scrivo qui per chiedere scusa a chi ha già letto il capitolo! Non so come io abbia fatto, ma era pieno di errori grammaticali che spero siano dati dalla distrazione mentre lo scrivevo! Comunque spero di aver rimediato e che sia d vostro gradimento! Inoltre questo è il mio FACEBOOK  creato apposta per le mie storie e, anche se ancora non c’è niente, se qualcuno mi chiederà l’amicizia e sarà interessato ad anticipazioni e qualunque cosa mi venga in mente pubblicherò presto! Adesso vi auguro buona lettura!

 

Capitolo 11






<< Un Club dei Duellanti? >> chiese ancora Ted. 
La McGrannit distese le labbra in una linea stretta e gli lanciò un'occhiata tra il disperato e il frustato. Annuì con veemenza. 
<< Sì, Lupin. Cosa c'è che non capisci? >> 
Ted scosse la testa, cercando di pensare alle varie possibilità. Lo sapeva, l'ultima vota che un Club dei Duellanti era stato aperto si temeva per l'incolumità degli studenti a causa di un serpente di dimensioni non trascurabili che si aggirava nelle tubature della scuola, pietrificando mezzosangue. 
Rabbrividì, ripensando alla storia che a Ron piaceva tanto raccontare, che Ginny ed Harry non la pensavano allo stesso modo non lo riteneva poi così importante. A lui, personalmente, la storia era sempre piaciuta, ma i serpenti, al contrario, gli suscitavano un certo ribrezzo. 
Adesso, non fraintendetemi, quello di indire un Club dei Duellanti era uno dei sogni di Ted. Si sarebbe divertito non poco, ma quella situazione non lo convinceva. 
<< Perché? >> diede voce ai suoi dubbi, accarezzandosi il mento. 
La McGrannit si limitò a scrollare le spalle, tornando con i ricordi a ciò che era successo solo quella mattina quando la chiamata di Harry Potter l'aveva colta del tutto impreparata. 


La donna era seduta nella poltrona del suo ufficio dove era andata di fretta subito dopo l'avviso della chiamata dell'auror. Aspettava pazientemente, rivolgendo un'occhiata al camino ogni qual volta gli sembrava di udire un qualche strepitio più rumoroso o quando semplicemente intravedeva per sbaglio il viso dell'uomo uscire dalla cenere. 
Il piede destro continuava a battere ritmicamente sul pavimento di pietra, mentre stringeva con forza la vestaglia intorno al corpo, come se volesse proteggersi da qualcosa, anche se, la preside lo sapeva, non c'era niente di cui essere spaventati. 
Non era certo la prima volta che Harry Potter chiamava a qualunque ora per domande e comunicazioni che alla donna risultavano alquanto stupide. Chi se lo sarebbe mai aspettato che il bambino sopravvissuto si sarebbe poi rivelato un padre così apprensivo e, parliamoci chiaro, anche abbastanza inappropriato?
"Lily ha mangiato oggi?"
"Albus è andato a lezione?"
"Come le sembra James?"
"George si chiedeva se Roxie avesse ricevuto il suo pacco"
Ormai aveva smesso anche di preoccuparsi quando riceveva lettere e chiamate da lui, ma doveva per fora rispondere perché Harry Potter era il capo Auror e Minerva aveva imparato che nella vita i pericoli sono sempre dietro l'angolo. 
Che poi lui approfittava della sua posizione era tutta un'altra storia. 
Quindi alle cinque di mattina la McGrannit aspettava stretta nella sua vestaglia, con i capelli argentati sciolti ad incorniciarle il viso che, nonostante gli anni passati rimaneva lo stesso seppur con qualche ruga in più, e con un peso nel petto che non la faceva sentire al sicuro. 



<< Per precauzione >> disse, risvegliandosi dai propri pensieri. 
Ted la fissò per qualche secondo sospettoso, facendola sospirare. 
<< E per preparare i ragazzi per il Torneo Tremaghi>> aggiunse poi. 
Lupin alzò un sopracciglio. 
<< E la vera ragione? >> 


Le fiamme del camino diventarono verdi e la figura di Harry Potter comparve nel suo ufficio. La donna si alzò sorpresa dalla sedia, fissando quello che, anche se cresciuto, no riusciva a non vedere e considerare come un ragazzo. 
Harry Potter era cambiato nell'aspetto, ovviamente gi anni passati cominciavano a far comparire qualche ruga sulla pelle, ma l'espressione era sempre la stessa. Lui era sempre o stesso. 
La preside aveva sempre trovato meraviglioso il modo in cui tutto ciò che aveva dovuto sopportare non l'avesse distrutto, ma solamente reso più forte. Gli era stata negata l'infanzia, l'adolescenza e una famiglia, ma lui non si era mai arreso. 
<< Potter, cosa ci fai qui? >> 
La McGrannit strinse di più la vestaglia contro i corpo e guardò attentamente l'auror. Sembrava distrutto. 
La pelle era più pallida del solido, segnata da profonde occhiaie, i capelli erano sporchi e disordinati e gli occhi stanchi. 
<< So che aspettava una mia chiamata preside, ma la questione è importante >>
<< Siediti, Potter >>
L'uomo prese posto su una delle poltrone e si passo una mano sul viso, sospirando esausto. 
<< Abbiamo trovato un cadavere questa notte e la cosa non sarebbe tanto strana, se non si tenesse conto delle modalità dell'omicidio. E' il terzo in una settimana >>
Harry fece una pausa e sospirò ancora, mentre la donna trattenne il respiro e lo guardava come se fosse posseduto. 
<< I segnali non possono essere ignorati, professoressa>>  
All'auror sembrò di essere tornato nel passato, in quel periodo della sua vita che sarebbe dovuto essere il migliore e che invece si era rivelato il più oscuro. Ma non si era mai lamentato, perché aveva trovato l'amore. 
L'amore per Ginny, Ron, Hermione. L'amore per la famiglia Weasley che poi era diventata anche la sua. L'amore per Sirius. 
La pace però l'aveva trovata dopo. Quando Voldemort era scomparso. Quando aveva baciato Ginny stretta in un vestito bianco il giorno del suo matrimonio, quando aveva fatto da testimone a Ron ed Hermione, quando aveva stretto tra le braccia i suoi figli, quando James insisteva per mettere lui la stella sull'albero nonostante non arrivasse nemmeno alla sedia, quando Albus correva per casa dopo essersi rotolato nel fango, quando Lily rubava la cioccolata dalla dispensa e poi lo guardava con quello sguardo angelico e gli sorrideva innocente. 
Aveva trovato l'amore quando tutto era difficile. 
Aveva trovato la pace e la felicità quando tutto era finito. 
Avrebbe trovato il dolore e la disperazione quando tutto sarebbe ricominciato. 
<< Quali sono le modalità?>>  
<< Le vittime sono state scelte a caso, non mi sembra ci sia una logica precisa, ma a tutte è stato inferto con il fuoco il marchio nero per ben due volte >>
La McGrannit trattenne il respiro. 
<< Una sul viso, l'altra sul petto ed un punto interrogativo sulla pancia. La cosa più spaventosa è la scritta, professoressa, 'chi sarà il prossimo?' >>
La preside si alzò di scatto, intercettando o sguardo di Albus Silente e Severus Piton su di lei. Anche Harry incrociò gli occhi dei due uomini per chiedere aiuto. Per cercare una soluzione che sempre si era celata dietro gli occhiali a mezza luna di Silente. O per trovare un risvolto inaspettato come quello che Piton era stato in grado di dare. 
Era stata per quell'uomo, che da sempre Harry aveva odiato, che era riuscito a vincere la guerra. E gliene era grato e sempre lo sarebbe stato. Lo rispettava. 
Ed aveva bisogno del suo aiuto. 
<< I ragazzi devono essere pronti>>  
<< Sono d'accordo >>
<< Chi può prepararli? >>
<< Ted Lupin >> 



Alla fine de racconto, il ventiduenne si alzò dalla sedia e le riservò un cenno di saluto. 
<< Non si verrà a sapere >> specificò, ancora prima che lei la imponesse come condizione. 
Minerva annuì. 
<< I ragazzi non devono preoccuparsi>>  
<< Diremo che è per il Torneo. Per divertimento >> 
La donna annuì e Teddy uscì dallo studio. 
Siamo proprio nella merda. 






Alexander Nott non aveva pregiudizi. La guerra era finita da anni ormai e, detta con sincerità, a lui non importava niente se un pazzo con manie di protagonismo più di venti anni prima si era messo in testa di governare il mondo magico. 
Davvero, non sapeva da dove iniziare per giudicare Voldemort. Probabilmente dal fatto che fosse senza naso o senza capelli o, ancora, bianco cadaverico e beh, decisamente troppo magro. In sintesi, si poteva dire che non fosse affatto attraente, a differenza del sopracitato Alexander Nott. 
Per quanto riguarda l'ideologia leggermente filofascista, Alec era abbastanza sicuro che con lo sterminio dei mezzosangue avesse esagerato. Ma giusto un po' , eh. 
Tornando a noi, abbiamo stabilito che ad Alexander Nott di Lord Voldemort non importava un fico secco. 
Questo però non significa che la sua famiglia la pensasse allo stesso modo. E non parlo dei genitori che, bene o male, accettavano le nuove leggi e anche i babbani, ma dei suoi nonni e i parenti alla lontana che non vedevano decisamente la cosa di buon occhio. Sembrava quasi che aspettassero un ritorno di Voldemort per essere nuovamente suoi seguaci. 
Alec li ignorava per la maggior parte del tempo e, durante i pranzi di famiglia, quando il disgusto per il sangue del suo sangue diventava insostenibile si imitava ad alarsi ed andare via. 
Niente duelli, niente discussioni, niente fughe drammatiche di casa. Non che Alexander Nott non fosse drammatico, anzi lo era al limite del consentito. Una cosa però gli mancava. 
Aveva i soldi, aveva la bellezza, era capitano della squadra di Quidditch e caposcuola, aveva la popolarità, aveva degli amici, aveva una ragazza. 
Ma un cosa gli mancava. 
Non aveva coraggio. Se era finito tra le serpi, qualcosa doveva pure esserci. Era scaltro, astuto, intelligente, ma gli mancava il coraggio. 
Non aveva fegato. 
Non aveva mai rischiato nemmeno di saltare una lezione, figurarsi di disconoscere la sua famiglia, derivante da una lunga stirpe di purosangue (loro ci tenevano tanto che fosse specificato). 
Ma dopotutto non gli interessava più di tanto, aveva tutto quello che desiderava e il coraggio non gli serviva. 
Per ora.



Una cosa che Alec non aveva mai cercato era l'amore. Lui non credeva nelle fiabe. Non era mai stato attratto dal 'vissero per sempre felici e contenti' e non perché non fosse una bella prospettiva, semplicemente perché non esisteva. 
La vita era breve ed era solo una successione di fatti. Eventi felici e tristi si susseguivano senza che tu potessi mai accelerare il tempo o renderlo più lento per goderti un momento di gioia. 
Quindi se saresti morto felice o triste dipendeva solo dal caso. 
Dal caso sì, perché lui non ci credeva in Merlino, né tantomeno nel destino. L'idea che fosse esistito un mago che aveva dato origine a tutto era assurda e il fatto che avesse già in mente tutto ciò che sarebbe successo era ancora più ridicolo. 
Alec non credeva nel 'vissero per sempre felici e contenti' semplicemente perché non esisteva. Non c'era nessuna felicità, era solo un'assenza momentanea di tristezza, di dolore. 
E non c'era nessun 'per sempre'. La vita finisce. Non esiste il per sempre. 
E pensava a queste cose mentre abbracciava la sua ragazza, con il viso poggiato sulla sua spalla e la testa altrove. 
Marie Smith parlava senza nemmeno concedersi nemmeno un secondo per riprendere fiato o semplicemente accorgersi che il suo adorato fidanzato non stava ascoltando nemmeno una sillaba dell'importantissima cosa che gli stava raccontando. 
Ad Alec piaceva Marie, gli piaceva davvero, ma non la sopportava quando entrava nella modalità pettegola. La preferiva zitta. 
<< Ci credi, Alec? >>
Lui annuì, rendendosi conto che aveva pronunciato il suo nome. La ragazza sorrise soddisfatta e continuò il suo racconto, facendolo estraniare per una seconda volta. 
<< Mi dispiace, Marie, ma devo andare. Devo finire la pergamena di trasfigurazione >>
La diciottenne interruppe i discorso e lo guardò un po' irritata, ma gli rivolse un sorriso e un bacio a fior di labbra. 
<< Finirò il racconto questa sera, Caposcuola>> disse maliziosa. 
Alec sorrise e dopo un bacio decisamente meno casto del primo la salutò e si diresse verso la biblioteca. 
Non che si fosse allontanato per fare i compiti, il suo obiettivo era quello di allontanarsi il più possibile dai pettegolezzi di Marie, ma la pergamena di trasfigurazione esisteva davvero e, dato che ora aveva tempo, tanto valeva scrivere qualche riga. 
Che poi, a lui, il pettegolezzo piaceva, ma quando i loro discorsi si riducevano solo a quello non riusciva a sopportarlo per più di mezz'ora consecutiva. 
Aprì la porta della biblioteca, immergendosi nell'odore di libri e pergamene. Il chiacchiericcio degli studenti arrivò alle sue orecchie e lo rilassò immediatamente. 
Non che quel luogo gli fosse mai particolarmente piaciuto, ma nei pochi momenti in cui aveva bisogno di stare solo (non che fossero molti, in tutti quegli anni ad Hogwarts potevano essere contati sulle dita di una mano) era il luogo perfetto. 
C'era silenzio, ma non troppo. 
C'era rumore, ma non troppo. 
Era perfetto. 
Sorrise rilassato e si avviò alla sezione della biblioteca dedicata alla trasfigurazione. In realtà non aveva bisogno dei libri, considerando che quell'argomento lo padroneggiava con maestria. Ma per lo meno se ne avesse avuto bisogno non sarebbe stato troppo lontano. 
<< Tu. Io ti affatturo >> 
Una voce bassa, ma decisamente arrabbiata lo distolse dalla scrittura della pergamena. 
<< Andiamo, Rox, era solo uno scherzo>>  
Il ragazzo riconobbe la voce divertita di Albus Potter e decise di prestare attenzione alla conversazione. 
<< Uno scherzo? >> urlò la ragazza, ricevendo un'occhiataccia dalla bibliotecaria che ignorò prontamente, ma abbassò ugualmente la voce. 
<< Beh, non era divertente >> una risatina fece sorridere Nott<< Non ridere Al, o giuro che ti schianto seduta stante>>
<< Per lo meno non ti è cresciuta la barba>>  
<< Lo avrei preferito. Ho dovuto parlare come una cogliona deficiente per quattro giorni, Al. Quattro cazzo di giorni >>
Alec alzò un sopracciglio. Però, delicata la ragazza. 
<<  
Hai parlato come una ragazza, dovresti provarci più spesso>>
Roxanne Weasley aprì la bocca per rispondere a suo cugino, magari sputandogli addosso tutte le parolacce che conosceva e gli insulti più coloriti del suo repertorio per poi concludere il tutto con un calcio o un pugno ben assestato, ma fu interrotta da un 'non ha tutti i torti' borbottato dall'altra parte dello scaffale.
La Grifondoro aggrottò le sopracciglia e prendendo il cugino per la cravatta verde argento che portava al collo, oggetto che in quel momento le sembrava abbastanza utile per strozzarlo, lo trascinò dietro di sé. 
Con forza sbatté la mano sul tavolo ed Alec alzò lo sguardo, guardandola come se fosse pazza. Non che avesse torto. 
Osservò la pelle scura completamente priva di trucco, i capelli scuri raccolti in una coda disordinata, la t-shirt di Quidditch larga, probabilmente non sua, che nascondeva le sue forme, i jeans altrettanto grandi ed infine un paio di scarpe da ginnastica. 
Non era domenica, era a malapena giovedì mattina, e sarebbe stato obbligatorio indossare la divisa scolastica, ma evidentemente a Roxanne non importava più di tanto. Erano sempre i meno i giorni in cui la si vedeva girare per i corridoi senza la gonna o la camicetta e la cravatta Grifondoro, unico indumento della divisa che indossava con orgoglio, legato nei posti più strani. A volte utilizzato come bandana, altre come elastico, altre ancora semplicemente portato al collo slacciato. E comunque i giorni in cui indossava la divisa erano quelli in cui era così stanca da non rendersi nemmeno conto del cibo che mangiava. 
<< Che cazzo hai detto? >> chiese, fissandolo negli occhi, brandendo ancora con una mano la cravatta del giovane Potter che cercava invano di calmarla. 
Alec alzò un sopracciglio fino all'attaccatura dei capelli e sorrise innocentemente. 
<< Che Al non ha tutti i torti >> ripeté tranquillamente, ignorando l'espressione arrabbiata della ragazza e quella di avvertimento del suo compagno di casa. 
Quello per Roxanne non era un buon giorno. 
Primo, si era alzata con la luna storta e non era riuscita a svegliarsi neanche dopo il quinto caffè. 
Secondo, aveva avuto due ore di pozioni e trascorrere tanto tempo in quel covo la deprimeva non poco. 
Terzo, durante il pranzo era così stanca da essersi addormentata, perdendo così 'occasione di mangiare la meravigliosa pasta preparata con tanto amore dagli elfi. E se il cibo era sacro, e lo era davvero, per la Grifondoro quello italiano era come Merlino. 
Quarto, il momento del risveglio non era certo stato aiutato dalla lezione di storia della magia. Quel fantasma che avevano come professore concitava il sonno. E la ragazza non aveva neanche il lusso di perdersi in fantasie dove sarebbe morto in modo lento ed atroce perché questo era già successo e non gli aveva di certo impedito di annoiare i suoi studenti. Come fosse morto, non lo sapeva, ma sperava, senza cattiveria ovviamente, che fosse stato doloroso. 
Quinto, quel deficiente di Albus, dopo essere riuscito a scappare per più di una settimana, non aveva fatto altro che prendersi gioco di lei, facendo crescere la sua irritazione. 
Ed adesso poteva aggiungere alla lista una sesta motivazione. Quel cretino di Nott che si immischiava in affari che di certo non lo riguardavano. 
<< Ascoltami, idiota, oggi non sono dell'umore. Ma se vuoi aggiungerti alla fila di persone che devo schiantare puoi metterti dietro a quel rincoglionito di mio cugino >>
Mosse la mano con cui ancora tratteneva il ragazzo come per renderlo più palese. Albus sbuffò, strattonando ancora una volta il braccio della cugina, stavolta con più forza, riuscendo finalmente a liberarsi dalla sua presa ferrea. 
Alec sorrise ancora portandosi la piuma alla bocca.  Non distolse lo sguardo da quello di Roxanne, mantenendo il contatto visivo e alzando le sopracciglia, facendola irritare ancora di più. 
<< Sai, Weasley, essere un po' più femminile non ti farebbe male. Non che comportandoti da maschiaccio tu non sia eccitante, ma dai l'idea di una un po' violenta. Però, se ti piace il sadomaso sono aperto a nuove esperienze >>
Roxanne grugnì, facendo sospirare il ragazzo davanti a lei di finta delusione e divertimento. 
<< Sei disgustoso. Pensa alla tua ragazza >>
<< Non preoccuparti per lei, è ampiamente soddisfatta >>
Beh, okay, forse qualcosa su Alexander Nott c'era da aggiungerla. Era, come dire, decisamente poco serio. Che ci si intenda, non aveva mai tradito Marie e probabilmente si sarebbero lasciati prima di avere la possibilità fisica di farlo, ma non aveva mai rinunciato a battutine e provocazioni con le altre ragazze. E farlo con Roxanne Weasley si stava rivelando piuttosto divertente. 
Quindi, ricapitolando, era ricco, bello, capitano, caposcuola, popolare, intelligente, scaltro, astuto, divertente, con amici ed una ragazza, ma era anche vanitoso, poco serio, durante la maggior parte della sua vita, leggermente egocentrico ed anche quello che alcune ragazze definirebbero stronzo. 
Non nascondeva una lista delle ragazze con cui andava al letto, e ne erano tante, nella sua camera. Non faceva nessuna scommessa sui sentimenti delle persone. Metteva sempre in chiaro le sue intenzioni e più di una volta si era fermato prima del sesso con una ragazza innamorata della sua immagine ( della sua immagine, sì, perché non conoscevano il vero lui e non avrebbero potuto amarlo). A maggior ragione se era vergine. 
Ma lui le storie serie non sapeva nemmeno dove stessero di casa. Era fidanzato con Marie da solo due settimane e già pensava alla possibilità di lasciarla. 
Alle ragazze piaceva chiamarlo stronzo solo perché lui non credeva nell'amore. Solo perché non credeva nel 'vissero per sempre felici e contenti'. 
Okay, forse anche per le battutine decisamente fuori luogo. 
<< Vai a farti fottere Nott >> disse Roxanne, girandosi di spalle e dirigendosi verso l'uscita della biblioteca. 
Aveva bisogno di un po' di tempo tra amici. 
<< Con piacere. Ti aspetto nella mia camera stasera Weasley >>
Tutto ciò che ricevette in risposta fu un ringhio ed un dito medio alzato nella sua direzione che lo fecero ridere. 
Albus nel frattempo fissava i due ragazzi, spostando i suoi occhi verdi dall'uno all'altro e accarezzandosi il mento come se stesse riflettendo su qualcosa di fondamentale importanza. 
<< Tu sei malato, Nott >> concluse in fine, facendo ridere il castano. 
<< Beh, Albus, tua cugina è pazza>>  
Questo non c'entra niente , pensò stupito il giovane Potter. 




Angolo Autrice
Finalmente ho pubblicato! 
Inizio con il dirvi che il problema a Windows non è risolto, ma è davvero troppo tempo che non pubblico quindi ho deciso di riscrivere il capitolo. 
Rincontriamo Roxanne nella sua versione arrabbiata (non è così sboccata di solito, forse solo un po') e Nott, personaggio che semplicemente adoro! Abbiamo anche un po' del nostro Albus Potter che presto avrà la sua storia e un piccolo sguardo a quello che accadrà di qui a poco, ovvero la parte misteriosa della storia! 
Cosa ne pensate? Sono davvero molto curiosa di saperlo! 
Se volete sapere i presta volti basta chiedere e vi dirò il nome dei personaggi che ho scelto! 
Beh, non mi dilungo altro, ringrazio tutti e vi prego di lasciare una recensione :) Spero di sentirvi presto!

 

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Ricordo che questo è l’account di FACEBOOK creato per le storie! Spero che siate interessati J Vi auguro una buona lettura, ci vediamo sotto!

 

Capitolo 12

 

 

Albus fece il nodo alla cravatta, aggiustandosi il colletto della camicia e indossando un maglione al di sopra. L’aria era diventata gelida ancora prima che Novembre si affacciasse alle porte di Hogwarts. Era davvero stufo di tutto quel freddo, non sopportava il vento gelido e davvero non capiva perché la McGrannit non si decidesse a fare un incantesimo di riscaldamento per farli stare bene per lo meno all’interno del castello.

Prese la tracolla e passandosi una mano tra i capelli si diresse verso l’uscita. Sia Scorpius che Lorcan erano usciti presto quella mattina; non che la cosa l’avesse stupito più di tanto.

Scamander quando era nervoso, stato d’animo che lo accompagnava da quando aveva messo piede nella scuola quell’anno, si rifugiava negli angoletti più nascosti della scuola per stare per conto suo. Lui e Scorpius avevano provato a farlo parlare, ma ogni volta il ragazzo non faceva altro che rinchiudersi in se stesso, lasciandoli fuori da un muro di cemento che costruiva piano piano intorno a sé. Se le cose non fossero cambiate in breve tempo, Albus l’avrebbe preso a pugni fino a farlo confessare. Lorcan era cambiato durante quegli anni ad Hogwarts, un po’ come tutti loro, e lui proprio non riusciva a sopportare di restare a guardare impassibile mentre uno dei suoi migliori amici si distruggeva come aveva fatto suo fratello.

Non aveva potuto impedire che quello accadesse a James, non era mai stato il fratello presente che avrebbe voluto essere, non si era accorto del mutamento del suo comportamento, nonostante questo fosse avvenuto lentamente e palesemente.

I sensi di colpa lo divoravano, anche se forse più per una questione di egoismo che per vero amore verso il maggiore, ma non avrebbe permesso che a Lorcan fosse capitato lo stesso.

Malfoy dal canto suo era un ragazzo molto mattiniero ed era solito alzarsi all’alba e fare una passeggiata prima di colazione.

Con passo lento si diresse verso la Sala Grande, sentendo lo stomaco brontolare e sbuffò, accorgendosi che tutto ciò che si sarebbe potuto permettere sarebbe stata una colazione molto, molto, veloce. Mancava a mala pena un quarto d’ora all’inizio della sua prima lezione.

Aumentò a velocità del suo passo, cercando di guadagnare qualche minuto. Aveva davvero bisogno di mettere qualcosa tra i denti o sarebbe svenuto durante la lezione di Difesa Contro le Arti Oscure e Ted non ne sarebbe stato per niente contento.

La sua attenzione fu attirata da una figura che procedeva a passo di furia nel corridoio, andandogli incontro.

Albus riconobbe la figura snella ed alta di una ragazza e quando quella fu abbastanza vicina la identificò come Cassandra Nott.

Poi si accorse dei capelli bagnati, della divisa gocciolante e dell’espressione scocciata, ma non arrabbiata.

<< Quando ci si fa la doccia, solitamente si tolgono i vestiti >> le fece notare Albus una volta che si ritrovarono uno davanti all’altro.

Le sorrise senza derisione, solo decisamente divertito.

<< Fuori piove >> spiegò senza interesse.

Il ragazzo la guardò meglio, rendendosi conto solo in quel momento quanto Cassandra fosse diversa da suo fratello.

I capelli erano molto più scuri e le ricadevano fino alla vita stretta, fasciata dalla camicia bianca che, essendo bagnata, si era attaccata al suo corpo ed era diventata leggermente trasparente; la pelle era ambrata in netto contrasto con quella chiara del fratello e, infine, gli occhi erano castani, profondi, opposti a quelli del maggiore.

E le mancante somiglianze non si fermavano all’aspetto fisico. Chiunque li conoscesse faticava a credere che fossero fratelli. Alexander era esibizionista, lei era più timida e le piaceva starsene per i fatti suoi con un ristretto gruppo di amici. Era tranquilla, le piaceva studiare ed era estremamente facile imbarazzarla. Ed era Tassorosso.

Ora, Albus non si era mai fermato davvero ad osservarla, la conosceva di vista solo per le poche vote che l’aveva incontrata con il fratello e si erano fermati a fare due chiacchiere, ma si accorse, in quel momento, di quanto Cassandra fosse carina. Molto carina.

<< Dove vai? >>

<< A cambiarmi >> rispose, indicandosi come per fargli notare le sue palesi condizioni.

Albus fece un sorrisetto e passò lo sguardo sul suo corpo, analizzandolo senza imbarazzo.

La sedicenne arrossì violentemente e distolse lo sguardo dal Serpeverde davanti a lei, concentrandosi sulla parete dietro alle sue spalle.

Cassandra non era interessata a Potter, non lo era mai stata. Certo, ammetteva che lui fosse decisamente un bel ragazzo, uno dei più belli della scuola, desiderabile e aveva sentito dire in giro che fosse anche simpatico. Ma non era il suo tipo.

Aveva le idee chiare su chi fosse il ragazzo adatto a lei e Albus Potter non rientrava in nessuno dei punti di quella lista.

1.     Modesto

2.     Dolce

3.     Solare

4.     Coraggioso

5.     Romantico

6.     Divertente

7.     Hugo Weasley

Beh, forse avrebbe potuto soddisfare un paio di punti, ma per quanto riguardava il settimo, quello più importante e decisamente non interscambiabile, era senza speranza.

Sì, Cassandra Nott era innamorata da un anno e due mesi di Hugo Weasley. Non del bulletto della scuola, né tantomeno del ragazzo più sexy che avesse mai visto o del tipico bello e dannato. Ma di un ragazzo sempre felice, altruista, dolce, che si cacciava spesso nei guai e sì, con qualche chilo di troppo.

Ma quanto Albus l’aveva studiata con quello sguardo non aveva potuto fare a meno di sentirsi in imbarazzo e arrossire come una ragazzina alle prime armi. Soprattutto perché Cassandra era una ragazzina alle prime armi.

<< Beh, io- io vado >> balbettò.

Portò le mani davanti al petto nel tentativo di coprire il reggiseno nero che portava sotto, dopo essersi accorta dello sguardo insistente di Albus in quel punto specifico.

Il ragazzo sorrise, riprendendo a camminare e fermandosi a pochi centimetri da lei. Si piegò leggermente per arrivare al suo orecchio.

<< Ci si vede in giro, Cassandra >> sussurrò, lasciandola sola subito dopo.

Diede un’occhiata al suo orologio e alzò gli occhi al cielo.

Perfetto, aveva saltato la sua colazione.

 

 

 

 

 

Lucy Weasley quella mattina si alzò e guardò fuori dalla finestra, stupendosi dell’assenza di neve che, al contrario degli anni precedenti, non era ancora comparsa ad Hogwarts.

Sbuffò contrariata. Insomma, era già Dicembre e non si vedeva nemmeno un fiocco di neve. Nemmeno uno.

Lei amava la neve e, se il tempo avesse continuato quel corso, non avrebbe avuto il suo bianco natale. Qualcosa che aspettava tutto l’anno.

Si alzò, scostando le coperte dal suo corpo e rabbrividendo quando i piedi nudi toccarono terra. Si diresse in bagno quasi correndo. Odiava i brividi che le percorrevano la schiena al contatto con una superfice fredda.

Il freddo dentro le mura del castello era l’unica pecca durante l’inverno.

Aprì il getto d’acqua calda ed entrò nella doccia sentendo i muscoli rilassarsi. Insaponò i capelli e sciacquò il corpo. Si piegò per togliere i capelli dalla doccia e fu allora che la vide. La sua gamba destra era deturpata da una cicatrice lunga dal ginocchio fino al linguine, leggermente sopra elevata.

La fissò sconvolta per qualche secondo.

La ferita che aveva lasciato quel segno sarebbe dovuta essere davvero profonda, grave, eppure lei non ricordava affatto di essersela procurata.

Deglutì a vuoto. Portò la mano sul segno di un passato che per quanto si sforzasse non riusciva proprio a ricordare. Seguì la linea rosea e chiuse gli occhi, cercando nella sua memoria. Nei suoi ricordi.

Ma niente, non c’era niente.

L’ultimo suo ‘incidente’ era stato quasi sette mesi prima quando era caduta dalle scale per andare alla guferia e si era fatta due rampe rotolando. Certo, non era stato piacevole, assolutamente no, ma niente di troppo grave.

Aveva avuto il braccio fasciato per tre giorni ed era stata in infermeria per una notte, ritornando subito come nuova e saltando un compito di erbologia. Cosa che l’aveva un po’ irritata.

Aprì gli occhi posandoli sulla mano sinistra e ricordandosi di come si fosse bruciata alla Tana mentre a soli sette anni cercava di aiutare nonna Molly a preparare il pranzo. Osservò la cicatrice piccola e rosea che troneggiava invece sull’avambraccio, segno di quando Jamie aveva fatto cadere le forbici e per sbaglio erano finite su una Lucy di a mala pena sei anni. Lei aveva pianto per ore e James si era sorbito una strigliata come si deve da Ginny, che aveva accettato con la testa bassa e cercando di ricacciare le lacrime indietro. Poi quella notte si era intrufolato di nascosto nel letto di Lucy e si era scusato ancora, convincendo la cuginetta a perdonarlo.

Tutto corrispondeva, tutti i segni che il suo passato aveva lasciato su di lei, perché era una distratta cronica, c’erano ancora, ma si era aggiunto qualcosa che non avrebbe dovuto essere lì.

Si asciugò in fretta ed indossò la divisa, prendendo la borsa con foga e precipitandosi fuori dal dormitorio di Tassorosso.

Passò davanti alle cucine per la prima volta senza salutare gli elfi e corse fino al dormitorio dei Grifondoro.

Non capiva perché si stesse dirigendo lì, ma c’era qualcosa che la spingeva verso la torre rosso oro. Una sensazione che la convinceva che quella fosse la scelta più appropriata. La scelta giusta.

Non era mai stata brava a trattenere le lacrime, non l’aveva mai ritenuto necessario ed ora le premevano agli angoli degli occhi celesti, facendoli diventare lucidi.

Non era triste o arrabbiata. Semplicemente sconvolta.

Proprio quando lei arrivò davanti alla torre dei Grifondoro il ritratto della signora grassa si aprì e Fred Weasley comparve davanti a lei.

La osservò per alcuni secondi, guardò gli occhi lucidi, le gambe scoperte dalle solite calze e la mano posata sulla cicatrice e capì. Sospirò e le rivolse uno sguardo triste e quasi colpevole.

<< Vieni, Lucy, dobbiamo parlare >>

 

 

 

Erano sulla torre di astronomia, seduti uno accanto all’altro. Lucy piangeva e stringeva le gambe al petto mentre Fred la avvicinava a sé con un braccio e cercava di consolarla, lasciandole baci sulla testa e accarezzandole i capelli rossi.

<< Ho- ho perso la m-memoria? >> chiese ancora tra i singhiozzi.

Fred annuì e la ragazza fu scossa da un pianto più forte, un pianto consapevole. Consapevole di quello che le stava succedendo, consapevole di quello che le era successo e consapevole di quello che sarebbe successo nel suo futuro. Sarebbe stata la sua croce da portare, per sempre. La sua vita non sarebbe stata più la stessa, non lo era più da mesi ormai, ma la parte peggiore era che non avrebbe dovuto affrontare quella rivelazione una sola volta, ma infinite. Un giorno si sarebbe svegliata di nuovo, pensando che tutto fosse normale per poi scoprire che lei la normalità non l’avrebbe più incontrata. E avrebbe pianto tutte le sue lacrime, ogni volta, senza mai esaurire quella scorta a cui poi avrebbe attinto per quella successiva.

<< Non so bene come sia successo, nessuno lo sa. L’anno scorso, durante Dicembre sei caduta da questa torre, graffiandoti la gamba con quella croce lì – la indicò con una mano- e sbattendo la testa contro il tetto >>

Lucy trattenne il respiro, incitandolo a continuare con lo sguardo. Fred chiuse gli occhi. Era troppo doloroso guardarla e doverle dire quelle cose. Lo era sempre per lui, ma aveva scelto di essere colui che le sarebbe stato vicino e l’avrebbe aiutata a risollevarsi.

<< James ti ha visto, ha pronunciato un’arrestum momentum, salvandoti la vita. Ti ha portato in infermeria. La ferita alla gamba era profonda, hai perso molto sangue, ma quella peggiore l’avevi alla testa. Hanno dovuto tagliarti i capelli e fasciarti il capo. Quando ti sei svegliata, diciassette giorni dopo, non ricordavi niente di quel giorno, ma ricordavi tutto il resto >>

Si bloccò un’altra volta, ferito dal ricordo del pianto di Lucy al suo risveglio. Più violento e più forte di quello che stava vivendo e di tutti quelli che aveva vissuto da un anno a quella parte. Le reazioni in realtà erano ogni volta differenti, a volte ci scherzava su per evitare di diventare troppo triste, altre si chiudeva in se stessa, altre ancora passava le notti a parlare con il cugino, altre piangeva e basta.

La ragazza prese la tre dita una ciocca dei capelli mossi e la osservò.

Li avranno allungati con la magia. Pensò, percorrendone tutta la lunghezza. Le arrivavano fino alla vita. E improvvisamente le sembrò stupido. Che senso aveva dare una facciata di normalità quando quella non esisteva? Avrebbe voluto tagliarli, come per ricordarsi costantemente, anche quando non vedeva la cicatrice, tutto quello che era successo.

Non avevano il diritto di illuderla così. Li strinse forte tra le mani.

<< Dopo un mese tutto ciò che avevi vissuto fino a quel momento era sparito e tu eri ritornata a quel maledetto dieci dicembre. Ogni mese è sempre lo stesso, scopri cosa è successo per la cicatrice, vivi un mese e poi lo dimentichi ricominciando da capo >>

La ragazza annuì. Aveva smesso di piangere, i singhiozzi si erano acquietati ed ora rimaneva solo qualche linea salata lasciata dalle lacrime che oramai avevano smesso di scendere.

Si strinse al cugino e lui l’abbracciò con più forza, poggiando il mento sulla sua testa. 

<< Che giorno è oggi? >>
<< 27 Ottobre >>

<< Ho quindici anni allora >>

<< Compiuti da due mesi >> annuì Fred.

<< Tra quattro giorni ci sarà la festa >>

<< Ci vieni con me? >>

Lucy annuì.

<< Ah, ho dimenticato, quest’anno ci sarà il Torneo Tremaghi. Lily è stata scelta >>

Continuarono a parlare per ore. Fred le raccontò tutto quello che aveva perso in quell’anno, sentendo i commenti che oramai conosceva quasi a memoria.

Teddy e Victoire si sono lasciati? Ma come, erano perfetti!”

“Dominique è sempre la solita stronza? Quella ragazza irrita persino me”

“Lily e Hugo continuano a mettersi nei guai. Prevedibile”

“Louis ha bisogno di noi”

“Rose dovrebbe studiare di meno”
“Voglio che Jamie torni come era prima”
“Teddy lavora qui? Oh, questa mi è nuova”
“Anche quest’anno Molly si è rifiutata di venire a passare l’estate con noi? Mi manca mia sorella”

E Fred continuava ad ascoltarle come se fosse la prima volta, come se le battutine che ogni tanto diceva per alleggerire la tensione fossero ancora divertenti, come se per lui fosse facile.

Ma non lo era, non lo era per niente. Perché quella non era solo la croce di Lucy, ma era anche la croce di Fred, ma la portava senza lamentarsi perché lui le voleva bene. L’aveva promesso a se stesso e l’aveva promesso a lei mentre era in coma, ci sarebbe stato, senza riserve, sempre. Si sarebbe preoccupato più dei suoi sentimenti che dei propri. Avrebbe dato tutto per vederla sorridere, ogni giorno, per fare in modo che quel giorno non fosse sprecato. L’avrebbe sempre protetta, da tutto e da tutti, anche da se stessa.

E Fred non sapeva niente nella sua vita. Non sapeva chi era stato, chi fosse e chi sarebbe diventato, ma era certo che Lucy sarebbe stata sempre al suo fianco. A costo della vita.

 

 

 

 

<< No, aspetta, in che senso hai gi… >>

Prima che Lorcan potesse concludere la frase, un’esplosione rimbombò nei sotterranei. I due ragazzi vennero avvolti da una strana nuvola di fumo rosa fosforescente, che liberò nell’aria un odore talmente dolce da far contorcere lo stomaco del Serpeverde e comparire sul viso dell’altro una smorfia di disgusto.

Il fumo dal colore eccentrico si dissolse pian piano, permettendo ai due di vedersi di nuovo.

Louis osservò il viso di Lorcan piegato in una smorfia disgustata e coperto da una patina rosa che non lasciava scampo neanche ai capelli che, oramai, non erano più biondi. Scoppiò a ridere.

Il Serpeverde lo osservò stranito per qualche secondo (e che cavolo, quella era la seconda volta che una pozione gli esplodeva in faccia e, per la seconda volta, non era affatto colpa sua), ma dopo aver constatato le condizioni del Tassorosso, una copia perfetta delle sue, non poté fare altro che seguire il ragazzo in una risata.

Si passò una mano sul viso, cercando di rimuovere quella polvere disgustosa quanto meno dagli occhi, con la sola conseguenza di impiastrare di più la sua faccia.

<< Sai che sei un mago, vero? >> chiese Louis, sghignazzando in quella che doveva essere l’imitazione di Lorcan.

Ben riuscita, tra l’altro.

Il diciottenne sbuffò sorridendo, mentre l’altro prendeva la bacchetta e con un veloce ‘gratta e netta’ faceva scomparire quel colore osceno dal viso e dai capelli di entrambi.

<< Sei un disastro. Come ha fatto a diventare rosa? >>

Louis non si offese per la constatazione, assolutamente veritiera, di Lorcan. Alzò le spalle in un gesto di non curanza e accennò al fatto che forse, ma solo forse, aveva aggiunto un paio di radici di valeriana perché le aveva scambiate per lumache.

L’altro scoppiò in un’atra risata e Louis sorrise imbarazzato rendendosi conto, solo in quel momento, che scambiare la valeriana per delle lumache non era cosa da tutti.

Il fatto era che non aveva prestato attenzione. Non aveva ascoltato nemmeno una parola di quello che Lorcan aveva detto né tantomeno aveva letto la ricetta del libro, trovandosi a mescolare radici di valeriana, zolfo e conchiglie tritate nella direzione sbagliata. Ingredienti che, tra l’altro, non era presenti nella preparazione della pozione.

<< Perché sei così distratto? >> chiese allora Lorcan, sedendosi su una delle sedie dietro il bancone.

Fece evanescere il calderone e ripulì il ripiano di lavoro, capendo che per quel giorno la lezione, decisamente fallimentare, era finita.

Il ragazzo alzò un’altra volta le spalle, sedendosi a sua volta. Era di quell’umore tutte le volte che i suoi cugini indicevano una riunione del clan Weasley e che, oramai sicuri del rifiuto, si limitavano a non invitarlo.

La verità era che gli sarebbe piaciuto se avessero continuato a tentare e, Louis ne era convinto, non sarebbe dispiaciuto nemmeno a James.

<< C’è una riunione >>

Lorcan, nonostante la frase un po’ ambigua, capì il senso. Albus glielo aveva detto che quella settimana si sarebbero riuniti nel bagno di Mirtilla Malcontenta, come facevano ogni due settimane.

<< Vacci >>

<< Non sono stato invitato >>

<< Perché non ci vai mai? >> all’occhiata interrogativa del più grande Lorcan alzò le spalle e si limitò a spiegare << Me lo ha detto Al >>

<< Ti piace, eh? >>

Lorcan sbarrò gli occhi e il suo corpo si irrigidì, diventando una lastra di ghiaccio. Le mani stese lungo i fianchi, i pugni chiusi con tale forza da far sbiancare le nocche, le spalle rigide e la schiena dritta in modo quasi innaturale.

Non era bravo a nascondere le cose, Lorcan. Chiunque, in quel momento, si sarebbe accorto di quanto la frase di Louis l’avesse colpito e tutti sarebbero giunti alla stessa conclusione.

Weasley aveva ragione.

Era chiaro come il sole, eppure Scamander decise di seguire quello che oramai, da quando aveva scoperto di essere gay, era diventato il suo motto.

Negare, negare anche davanti all’evidenza.

<< Non so di cosa tu stia parlando >>

La voce era fredda, con l’obiettivo di allontanare da sé tutti quanti. Alzò il muro che, piano piano, negli anni aveva costruito. Un muro di bugie, falsità, maschere per nascondere un’infinita tristezza, per nascondere la sua fragilità e soprattutto per celare la verità.

Una verità che lo straziava da dentro, dilaniandogli il petto e portandolo all’esasperazione.

Portandolo a dimenticare chi fosse.

Ogni giorno Lorcan perdeva una parte di sé e diventava sempre di più quello che si ostinava a fingere di essere.

Il suo muro sembrava diventare sempre più inespugnabile ogni minuto che passava, isolandolo dal mondo. Non rendendolo partecipe della vita. Facendolo vivere per inerzia.

Respirava solo perché il suo corpo richiedeva aria e perché quell’azione non gli procurava nessuna fatica, camminava tra i corridoi solo perché oramai le sue gambe avevano imparato a farlo da sole, senza che il cervello desse indicazioni, il suo cuore batteva solo perché non dipendeva da una sua decisione.

Il suo volto sembrava essersi dimenticato come si sorridesse, come se costasse troppa fatica. Parlava sempre meno come se ogni parola fosse un’arma da poter utilizzare contro di lui per scoprire la verità.

Lorcan sopravviveva, ma aveva smesso di vivere.

Louis sospirò.

<< Non nasconderti. Non dico di dichiararti a tutti, ma non nasconderti da me e nemmeno da Albus >>

Il Serpeverde emise una risata sprezzante.

<< Ma che ne sai tu di quello che si prova? Che ne sai della mia vita? Chi ti credi di essere? >>

Il biondo prese la sua sacca con veemenza e uscì fuori dall’aula a passo di marcia. Louis lo osservò andare via e si lasciò andare sulla sedia su cui era seduto. Aveva ragione, lui non era nessuno per dargli dei consigli, si conoscevano a malapena. Ma Louis lo aveva osservato tutti i giorni da quando si erano incontrati per la prima volta in bagno, dopo la crisi di Lorcan. Aveva notato come guardava Albus e vedeva come ogni giorno si avvicinasse a quella che, per lui, avrebbe rappresentato la fine.

Lorcan sarebbe morto dentro, perché non si può nascondere se stessi senza conseguenze. Alla fine il nostro essere viene del tutto annullato in maniera irreversibile. Se non si trova il coraggio di combattere si muore.

È una legge fisica.

E Louis era sicuro che la morte dell’essere fosse peggiore della semplice morte fisica. Perché quando un’Avada Kedavra ti colpiva, tutto finiva in un attimo. Un lampo di luce verde e smetti di respirare, di vedere, di sentire. Un lampo di luce verde e il tuo cuore smette di battere, il cervello di lavorare, i muscoli di muoversi.

Un lampo di luce verde e tutto finisce. Senza dolore, senza preoccupazioni.

Ma quando la morte è psicologica allora è lenta, dolorosa, inesorabile. E diventi un corpo respirante senz’anima. Il bacio dei dissennatori non era l’unico modo per perdere l’anima, la propria essenza. 

Louis l’aveva visto con James e lo stava vedendo con se stesso. E si sentì un ipocrita. Come poteva dire a Lorcan di lottare quando lui stesso si era arreso?

<< Ti capisco più di quanto tu possa immaginare, Lorcan >>

 

 

 

 

 

 

Lorcan uscì dall’aula di pozioni per poi andare a passo svelto verso la Sala Comune dei Serpeverde. Aveva bisogno di stare da solo, di pensare, di ricostruire quello che Louis sembrava aver distrutto.

Il suo muro cadeva a pezzi, le sue maschere si stavano dissolvendo.

Lorcan non aveva mai avuto paura di diventare chi pretendeva di essere, lui aveva paura di non riuscire a farlo. Oramai si era convinto di essere sulla strada giusta. Rinnegare se stesso per arrivare ad essere qualcuno migliore. Qualcuno senza quei problemi. Qualcuno normale.

Aveva constato quanto le barriere fossero pericolose e forti, ma solo in quel momento si rese conto di quanto invece fosse facile distruggerle. Una parola, una frase, un gesto e il suo muro crollava. E le sue maschere si dissolvevano.

Non era giusto. Louis non aveva il diritto di farlo. Lui non sapeva niente, non si rendeva conto di quello che doveva passare.

Lorcan voleva annullarsi. Lui voleva morire dentro. Perché era più facile. Perché era così semplice limitarsi a sopravvivere. A respirare e basta. Senza scelte, semplicemente seguendo la vita, senza preoccupazioni.

Era così semplice lasciarsi morire, ma altrettanto lungo. E mentre in un primo momento Lorcan aveva tentato di trovare la forza, adesso si limitava ad aspettare e sperare che il tempo scorresse più veloce e che lo portasse con lui.

Che lo lasciasse morire.

Per non soffrire. E Louis non aveva il diritto di fargli affrontare se stesso.

Lui non sapeva, non conosceva.

<< Ehi, Lorcan >>

La barriera del ragazzo perse un altro mattone mentre continuava a sgretolarsi sempre più velocemente, mentre sentiva il dolore crescere e tutti i suoi problemi tornare a galla di nuovo.

Perché quelle barriere erano così deboli? Perché doveva soffrire così tanto?

Non si fermo e allungò il passo, sentendo gli occhi bruciargli e le lacrime premere contro il bordo, cercando di uscire. Ma Lorcan tentò di trattenerle. Tentò di mantenere quelle poche maschere che erano ancora presenti. Se proprio non poteva ricostruire il muro, doveva salvare il salvabile.

Si aggrappò a quei mattoni fatti di finte sicurezze e false verità. Fatti di anni di bugie e di sorrisi ostentati, di risate che nascondevano invece le lacrime. Cercò di proteggere tutte le menzogne che aveva detto fino a quel momento nel disperato tentativo di imbavagliate quella poca verità che era rimasta da nascondere. Di non permettere a tutto il dolore di venire fuori.

Di poter soffrire un po’ di meno.

<< Lorcan, ti vuoi fermare? >>

Una mano si aggrappò al suo braccio e lo costrinse a voltarsi, strattonandolo con forza. Scamander si girò per il contraccolpo ed incrociò un paio di occhi verdi. Occhi che diedero un ultimo scossone alle fondamenta e fecero crollare tutto.

I mattoni si sgretolarono e Lorcan perse la presa, cadendo nel vuoto, venendo inghiottito dal nero che lo circondava.

Venne sopraffatto dalla verità. Venne soffocato dal dolore.

<< Qual è il problema? >> chiese Al in un’espressione preoccupata.

Tutto finì. Tutto crollò. E rimase solo Lorcan con le sue verità, con le sue lacrime, con le sue sofferenze in un corridoio. Con Albus.

E non ce la fece più, perché era stanco. Era stanco e sconfitto, dilaniato in ogni parte del suo essere.

Sapeva che il suo migliore amico era etero, lo sapeva fin troppo bene, ma in quel momento non gli importava. Non gli importava di niente.

Solo nel futuro prossimo si sarebbe reso conto di quanto avesse sbagliato, del dolore che ne sarebbe derivato. E solo in un futuro più remoto sarebbe stato grato del suo gesto.

<< Il problema è che ti amo, Al >>

Non lasciò al moro la possibilità di comprendere a pieno le sue parole, non gli lasciò il tempo necessario per metabolizzare, né gli fu possibile accorgersi o impedire quello che sarebbe successo pochi secondi dopo.

Lorcan avvicinò con una mano il viso di Albus al suo e premette le labbra sulle sue con forza.

Fu solo un bacio a stampo che però sapeva di lacrime, di sofferenza, di errori, di amore e di amicizia, di rabbia e di sollievo.

<< Mi dispiace >> sussurrò Lorcan, staccandosi dal suo migliore amico e correndo verso il dormitorio senza voltarsi indietro.

Albus restò fermo, scioccato, senza la possibilità di muoversi.

Mentre qualcuno, dietro una statua, aveva avuto il tempo di scattare una foto. Sorrise, fissando Potter fermo, come se fosse fatto di pietra, e Scamander correre via, dopo averle regalato lo scoop dell’anno.

 

 

 

 

Angolo Autrice

Ciao a tutti!

Finalmente ho aggiornato! Word funziona di nuovo ed è decisamente più facile e veloce per me, correggere i capitoli anzi che riscriverli da capo!

Passiamo al capitolo: Incontriamo uno due degli ultimi personaggi che saranno presenti nella storia, Lucy e Cassandra! Dico subito che non avranno un ruolo molto importante, ma le rincontreremo, soprattutto Lucy!

Si scopre ciò che non si sapeva sulla povera Weasley e spero che sia stato inaspettato ed infine, lasciatemi dire finalmente, Albus scopre quale sia il problema di Lorcan. Purtroppo però non è l’unico!

Ringrazio chi segue/ricorda/preferisce e chi recensisce la storia! Ci sentiamo presto!

 

AVVISO! Allora ho due cose da dire:

1.     Pensavo di dividere la storia in due parti e quindi farla diventare la serie, perché c’è ancora tanto che deve accadere e non voglio che sia infinita! Voi cosa ne pensate?

2.     Volevo chiedere se qualcuna di voi, che sia critica sia sul contenuto che sul modo di scrivere, potesse farmi da ‘seconda’, ovvero correggere i capitoli e dirmi cosa poter migliorare prima della pubblicazione!

Non siete obbligate ovviamente, pensavo semplicemente che un capitolo revisionato da due persone sia sempre meglio di quello revisionato da una.

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


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Capitolo 13
 
 
 
<< Questo club è stato istituito per essere il palco dei duelli tra i campioni estratti. Tra una settimana ci sarà la sfida tra i due campioni di Durmstrang, dopo cinque giorni quella tra le ragazze di Beauxbatons per finire poi con Hogwarts il quindici novembre, una settimana prima del ballo del ceppo >>
L’aula di Difesa Contro le Arti Oscure, accuratamente ingrandita e sgomberata, era piena di studenti di tutte le scuole che andavano dai quindici ai diciannove anni. Al centro della sala era stato fatto comparire un palco in legno, rialzato di un metro e mezzo dal pavimento, coperto ai lati da tendoni che recavano i simboli delle tre scuole uno accanto all’altro.
Tutti fissavano Ted incuriositi. Lui da sopra i palco parlava guardando tutti i suoi studenti. Le ragazze si lanciavano occhiati intenditrici e si lasciavano andare in risolini stupidi, mentre le più sfacciate lo fissavano languide e talvolta si lasciavano sfuggire un commento a voce troppo alta perché lui non le sentisse.
Teddy era abituato. Aveva passato i suoi nove anni di scuola ad essere ammirato e a ricambiare le espressioni maliziose delle sue ammiratrici. A dire la verità la sua vita era stata cosi anche fuori dall’ambiente scolastico, nei primi anni, prima che incappasse in quella rossa che, nonostante si stesse sforzando, proprio non riusciva a distinguere tra la folla.
<< Domande? >> chiese, facendo vagare gli occhi tra le teste degli studenti.
Si fermò su una chioma rossa ma sbuffò, dopo essersi reso conto che quei capelli erano troppo scuri e troppo lisci per essere quelli di Rose.
<< Ci dai una dimostrazione? >>
Proprio la chioma rossa che aveva individuato, che poi aveva scoperto appartenere a Lily, aveva attirato l’attenzione di tutti su di sé. La voce era calma e confidenziale. Non gli aveva dato del lei né tantomeno gli aveva rivolto occhiate languide.
Al solo pensiero di quello sguardo negli occhi nocciola di Lily rivolto a lui gli si contorse lo stomaco. Al solo pensiero di quello sguardo negli occhi nocciola di Lily, ma rivoto a qualcun altro sentì la rabbia e il fastidio crescere.
Ormai la ragazza aveva raggiunto i diciassette anni ed era diventata adulta, o per lo meno il suo corpo lo era, ma per lui rimaneva la piccola Lily. Quella che si intrufolava nel suo letto dopo un brutto sogno, quella che smetteva di parlargli, costringendo James ed Albus a farle da corrieri, quando gli rubava gli orsacchiotti di peluche, quella che lo ricopriva di neve e che si tuffava dalle sue spalle quando erano al mare.
Rimaneva sua sorella Lily. La sua Lily. E, anche se nessuno se lo sarebbe mai aspettato, Teddy era estremamente protettivo e geloso nei suoi confronti.
Si ritrovò a biasimare colui che poi sarebbe diventato il suo ragazzo perché tra se stesso, Harry, James ed Albus non avrebbe avuto vita facile.
<< Certo >> rispose sicuro << Qualche volontario? >> sorrise ai suoi studenti.
Chi fece qualche passo indietro, chi fissò il pavimento, chi il soffitto, chi bisbigliò qualcosa a chi lo circondava pur di non guardare Ted negli occhi e aumentare le possibilità di essere scelti.
Neanche i Grifondoro ebbero l’audacia di farsi avanti.
Una mano si alzò nei pressi della porta e lo sguardo di Ted si puntò sull’unica parte del corpo che riusciva a vedere.
<< Bene. Chi sei? >> chiese.
<< Rose Weasley >> rispose la ragazza mentre si faceva spazio tra i suoi compagni.
Riuscì ad arrivare al palco e salì sopra, lisciandosi poi le pieghe della camicia che aderiva al suo corpo.
Teddy la fissò, cercando di distogliere lo sguardo da quel corpo sfinato ed elegante, dai quei ricci rossi che le cadevano fino a sotto il seno piccolo, da quelle lentiggini che le ricoprivano il volto chiaro e da quegli occhi celesti che lo facevano impazzire ogni volta che li incontrava.
Gli occhi di Rose per lui erano casa. Erano caldi, nonostante il colore, e profondi, avvolgenti. Completamente diversi da quelli di Victoire.
Ricordava i suoi occhi, ricordava l’energia che emanavano, l’ottimismo, la tempesta di emozioni.
Gli occhi di Victoire erano esattamente come lei, un tornado. Bella da far impallidire qualunque donna le camminasse vicino, ma non per questo fanatica o insopportabile. Completamente diversa dai suoi fratelli.
Eppure tra di loro non aveva funzionato. Ci avevano provato, ci avevano provato davvero, ma non ci erano riusciti. Troppo simili per stare insieme. Quando si cerca di combinare due spiriti liberi il risultato non può essere altro che, beh, un disastro.
Rose invece era quello di più perfetto che potesse esistere per lui. Non era neanche lontanamente bella quanto Victoire, ma per Ted era bellissima e soprattutto era unica.
Sembrava così fragile mentre nascondeva una forza invidiabile.
Victoire era stata una parentesi divertente, Rose sarebbe stata il suo futuro.
<< Niente maledizioni senza perdono >> qualche risatina si diffuse per la stanza e Rose alzò gli occhi al cielo << Ma non ci andremo tanto leggeri. Questa è una simulazione di un duello vero, esattamente come sarà quello tra i partecipanti al Torneo >>
La rossa davanti a lui annuì ed impugno la bacchetta. Si avvicinò al suo insegnante e dopo averlo fissato negli occhi chiari, sorrise in segno di sfida.
Si inchinarono e fecero tre passi in direzioni opposte.
<< Uno. Due. Tre >>
<< Impedimenta >> Rose urlò l’incantesimo che si infranse contro il protego di Ted.
Lui rispose con un incantesimo non verbale, ma la ragazza lo evitò prontamente spostandosi verso destra.
Una scintilla rossa lasciò la bacchetta di Rose, ma al suo avversario bastò muovere un passo all’indietro per evitarla.
 Lo stesso incantesimo partì dal lato opposto e la Corvonero evocò a sua volta un protego bene assestato.
<< Conjunctivitus >>
Ted riuscì ad abbassarsi giusto in tempo per evitare l’incantesimo che Rose gli aveva lanciato e, proprio mentre si preparava a rispondere, un levicorpus lo colpì.
Si ritrovò a mezz’aria con la testa all’ingiù e appeso per un piede. Non si diede pena per provare a colpire la ragazza perché, nello stesso momento in cui l’aveva guardata, aveva capito che avrebbe sbagliato.
Infatti Rose lasciò andare l’incantesimo, per sostituirlo con uno schiantesimo che però manco il bersaglio.
Lupin cadde a terra e senza nemmeno rialzarsi la disarmò.
<< Bel duello >> disse con il fiatone.
Si tirò su a sedere e si aggiusto la camicia che portava per poi fissare la ragazza di sottecchi. Rose aveva le labbra serrate e contrasse per un secondo la mascella come se fosse irritata dall’esito del combattimento. Raccolse la bacchetta e gli rivolse un sorriso.
<< Mi hai battuto >>
<< Avresti vinto se avessi trovato un modo per lasciarmi sospeso in aria >>
Gli occhi chiari di Rose si illuminarono come se avesse appena capito la soluzione, ma nello stesso momento si alzarono al cielo come se quella stessa soluzione fosse così ovvia da non poter credere di non esserci arrivata da sola.
<< Bene >> Ted si girò nuovamente verso gli studenti e li guardò uno ad uno << Chi sono i prossimi due? >>
 
 
 
 
 
La preside batté un paio di volte le mani ed intimò silenzio ai ragazzi che parlottavano tra di loro. Il palco per il club dei duellanti era scomparso lasciando spazio al vuoto. La sala era ancora più spaziosa del solito e tutto ciò che era presente erano delle panche attaccate alle pareti, dove tutti erano seduti, e uno stereo antiquato anche per il mondo della magia.
La donna batté le mani ancora una volta e finalmente l’attenzione degli studenti si puntò su di lei. Tutti gli studenti a partire dal quinto anno erano lì. Avrebbe dato poi delle lezioni anche a quelli più piccoli, ma era impossibile radunarli tutti in una stanza, quindi aveva preferito dividerli.
<< In poco meno di un mese, dopo che i tre campioni verranno scelti ci sarà il ballo del Ceppo >>
Le ragazze sorrisero contente e i ragazzi le osservarono, cercando di decidere con chi si sarebbero fatti avanti.
James Potter si limitava a fissare fuori dalla finestra. Non essere presente a quelle stupide lezioni di danza significava essere espulsi e, considerando che quello era il suo ultimo anno e che doveva resistere ancora solo sette mesi e mezzo, non ne valeva la pena. Ma lui a quel ballo non ci avrebbe messo piede, così come non sarebbe andato alla festa di Halloween.
<< Non azzardatevi a rendere ridicola la mia scuola quella sera o vi ritroverete sul treno di ritorno a casa e con una lettera di raccomandazione da parte mia per fare in modo che non verrete accettati da nessuna scuola >>
La McGrannit aveva sempre avuto una certa predisposizione naturale per le minacce e Albus rabbrividì, guardando quella donna come se fosse posseduta.
Era pazza, completamente pazza. Era solo un ballo, per la miseria.
<< Nessuno scherzo >>
Un’occhiata di fuoco nella direzione di Lily ed Hugo che sghignazzarono e si diedero il cinque.
<< Niente alcol >>
Questa volta si rivolse a Roxanne che diede di gomito ad Albus e Scorpius, seduti accanto a lei, e lanciò un’occhiata d’intesa a Lysander dalla parte opposta.
Per un attimo gli occhi del Potter mediano si fermarono sulla figura di Lorcan, seduta accanto al gemello, ma distolse gli occhi prima che il ragazzo potesse incrociarli.
<< Niente sbruffonate >>
Alexander Nott sorrise angelico.
<< Il ballo del ceppo è una tradizione importante ed una danza che merita rispetto, è per questo che siete qui adesso. Per imparare i passi >>
Scrutò tutti i suoi studenti, dopo di ché alzò gli occhi al cielo.
<< Una Weasley qualunque, grazie >>
Le ragazze chiamate in causa si lanciarono uno sguardo da un lato ad un altro della stanza. Lily scosse la testa inorridita, Lucy abbassò lo sguardo, era una pessima ballerina, Dominique si spostò i capelli dalla spalla in un gesto di superiorità, Rose si irrigidì e Roxanne si limitò a fissare le sue cugine.
La mora si alzò dal suo posto e sorrise incoraggiante alla preside che in quel momento aveva assunto uno sguardo decisamente disperato, come a chiedere se non ce ne fosse proprio un’altra.
<< Andiamo prof, sono una ballerina provetta >>
La ragazza le diede una pacca sulla spalla abbastanza forte da farla sbilanciare in avanti. Sussurrò un ‘ops’ mentre le risate dei suoi amici invadevano la stanza.
<< Sa cosa è richiesto alle ragazze durante il ballo del Ceppo, signorina Weasley? >>
Lei alzò le spalle non curante.
<< Un cavaliere? >> chiese.
L’altra fisso il suo abbigliamento con sguardo critico.
<< Un vestito >>
Anche la mora portò gli occhi scuri su ciò che indossava. Si stirò la t-shirt grande e consunta con le mani ed si spolverò i jeans sbiaditi in qualche punto, ma abbastanza stretti da essere considerati femminili.
<< E dei tacchi >>
Osservò le sue converse rovinate e scoppiò a ridere.
<< Ma vuole vedermi a terra? >>
<< La salverà il suo cavaliere >>
Roxanne schioccò la lingua divertita ed imitò un’espressione delusa. Alzò le mani quasi a mostrarle che non aveva niente.
<< Niente accompagnatore >>
<< Gliene troverò uno >>
<< Ma guardi che non si deve scomodare >>
Quelle erano le esatte parole che avrebbe voluto dire la Weasley, ma non fu lei a pronunciarle. Entrambe si voltarono alla destra di Roxanne ed incontrarono lo sguardo maledettamente divertito di Alexander Nott.
Nemmeno lui indossava la divisa scolastica, come la maggior parte degli studenti. I suoi pantaloni erano nuovi di zecca o, per lo meno, affatto rovinati e la camicia che indossava, leggermente tirata su sulle braccia, scopriva i muscoli degli avambracci, ma non era abbastanza stretta da fasciare i muscoli del petto.
Aveva i gomiti poggiati sulle ginocchia e la fissava con quegli occhi celesti, ignorando completamente la McGrannit che gli stava chiedendo di spiegarsi.
<< Rox è un po’ distratta, ma abbiamo deciso di andarci insieme >>
La ragazza sbatté le palpebre non capendo.
Rox? Da quando la chiamava Rox? E da quando sarebbero andati al ballo insieme?
E lei non era distratta. Okay, forse un po’.
Sbuffò scocciata.
<< Ma per piacere, è il ragazzo della Smith. E comunque sarebbe troppo ubriaco per reggermi mentre barcollo sui tacchi >>
Marie, sentendosi chiamata in causa, si alzò e si diresse verso l’uscita, ignorando i richiami della preside, imitando una perfetta uscita drammatica in grande stile.
Ancora le bruciava parecchio la rottura non richiesta.
<< Signor Nott, venga qui >> il ragazzo obbedì. << Ora, signorina Weasley, ha un accompagnatore >>
Accese l’obsoleto stereo ed una musica altrettanto vecchia, ma quasi piacevole si diffuse per la sala. La donna si avvicinò ai ragazzi, spingendoli sempre più vicini e costringendo Roxanne a posare una mano sulla spalla di Alec e afferrare quella del ragazzo con l’altra.
Lui sorrise vittorioso e lei sbuffò.
Ma perché si era fatta volontaria? Maledisse tutte le sue cugine nella sua testa e lanciò uno sguardo di fuoco a Lily che la fissava sghignazzando.
La Grifondoro le fece un occhiolino.
<< Niente drammi adolescenziali al mio ballo. Rimandate al giorno dopo >> minacciò la preside, avvicinandosi a loro.
Gli puntò un dito contro e assottigliò gli occhi.
<< E niente alcol >>
 
 
 
 
<< La festa di Halloween, non è stata effettivamente un granché non trovi? Insomma non è successo niente di eclatante come negli altri anni. Niente scenate, niente risse >>
Lily si bloccò e si girò verso il ragazzo biondo accanto a lei, guardandolo preoccupata e incuriosita dal suo silenzio. Scorpius non era certo uno che stava zitto e soprattutto non con lei.
Quando passavano del tempo insieme, cosa che succedeva sempre più spesso ultimamente, non stavano un minuto zitti, a meno che non si accorgessero che il silenzio era proprio quello di cui avevano bisogno. Tra di oro c’era sempre stato un equilibrio perfetto.
Il silenzio era solo un patto fatto senza parlarsi, istaurato per perdersi nei propri pensieri mentre ci si beava della compagnia dell’altro. Ma quel silenzio non era uno di quelli.
Lily cominciava a sentirsi a disagio e lo sguardo di Scorpius era lontano.
La ragazza sospirò scocciata.
<< Che succede? >>
Il ragazzo non le rispose e continuò a camminare, guardando davanti a sé come se non l’avesse nemmeno sentita. La rossa, infastidita, gli prese un braccio e lo costrinse a fermarsi. Lui sobbalzò e la scossa, finalmente, lo svegliò dai suoi pensieri. La guardò sorpreso.
<< Che? >> chiese, rendendosi conto di non aver ascoltato la domanda.
Lily gonfiò le guance che la fecero somigliare ad una bambina e Scorpius ridacchiò divertito.
<< A cosa pensavi? >>
<< Al ballo >>
La rossa si sedette e subito dopo il ragazzo prese posto accanto a lei. Entrambi fissarono l’orizzonte oltre il lago e lei lanciò un’occhiata alla Foresta Proibita. Si chiedeva spesso perché vigesse ancora il divieto di andare a fare una passeggiata lì, considerando che comunque tutti lo facevano, fregandosene delle regole.
Lei stessa ci era stata più volte di quante fosse entrata in biblioteca e sinceramente non aveva trovato niente di così pericoloso o spaventoso. E, ad ogni modo, loro erano dei maghi, avrebbero potuto difendersi perfettamente da soli.
<< Hai già in mente chi invitare? >> chiese, evitando di guardarlo.
Non voleva sapere la risposta perché sapeva che non le sarebbe piaciuta. La malsana, e alquanto incomprensibile, cotta che Scorpius aveva proprio verso la cugina che lei non sopportava era assurda e decisamente dolorosa.
Era arrivata a fare pace con i suoi sentimenti, aveva dovuto farlo dopo la nottata che avevano passato in piscina. Dopo quel bagno durante il quale avevano scherzato tra di loro e dopo che avevano dormito abbracciati tutta la notte. Dopo che si erano baciati.
O meglio, dopo che lei lo aveva baciato.
Solo al pensiero arrossiva e si sentiva di nuovo una maniaca. Solo che lui stava dormendo così tranquillamente ed era così bello. Le sue labbra così morbide, le sue ciglia così lunghe.
Ricordò la loro consistenza quando le aveva posate delicatamente sulle sue e l’imbarazzo quando l’aveva sentito muoversi leggermente. Si era ritirata, si era stesa e con le guance in fiamme aveva finto di dormire.
Ma lui non si era svegliato.
Arrossì anche in quel momento e spostò i capelli lunghi a coprirle il viso per non farglielo scoprire.
<< Dominique >> sussurrò Scorpius.
Fece un sospiro e Lily chiuse gli occhi come se così il dolore fosse più sopportabile. Lui prese un sasso da terra e lo lanciò nel lago, facendolo rimbalzare un paio di volte.
<< Ma non avrò il coraggio di chiederglielo >>
La voce del ragazzo era così abbattuta da costringere Lily ad aprire gli occhi e prendere in mano la situazione.
Aveva fatto pace con i suoi sentimenti ed aveva anche capito che dovevano restare nascosti per il bene della loro amicizia. Ci teneva troppo per rovinarla perché aveva una cotta per lui, dopotutto era normale. Scorpius era bello, simpatico e le voleva bene.
Ma non sarebbe durata per sempre.
E non riusciva a vederlo così per colpa di Dominique.
<< Senti Scorpius, mia cugina non ti merita. È solo una stronza che crede di poter avere tutto >>
Lui alzò lo sguardo su di lei e provò a parlare, ma Lily non glielo permise. Si alzò in piedi, scrollandosi l’erba dalla gonna della divisa della scuola e gli rivolse un sorrisino.
<< Ma se sei fermamente convinto che è quello che vuoi allora caccia fuori le palle, non rompere –lo avvisò quando fece per ribattere alla sua parolaccia-, e vai a chiederglielo. È troia, ma non ti mangia >>
<< Non è… >>
L’occhiata ammonitrice di Lily bloccò la sua protesta.
<< Ok, forse un po’ >> ammise, ridacchiando.
Lei alzò gli occhi al cielo e cominciò ad allontanarsi verso il castello.
<< Dove vai? >>
<< A cercare il mio appuntamento per il ballo >> urlò in modo che potesse sentirla.
 
 
 
 
 
<< Axel >> la voce di Lily interruppe la conversazione che Axel e Shailene stavano avendo, ma nessuno dei due parve infastidito dalla cosa.
Gli sorrisero entrambi e lei diede loro due veloci baci sulla guancia.
<< Ciao Lene >> salutò anche la ragazza.
Lei la prese sotto braccio.
<< Ho visto che eri con Scorpius >> disse, sorridendole.
Shailene non era il tipo di ragazza da sorridere con furbizia, non aveva mai avuto problemi ad ammettere quanto alcuni ragazzi fossero carini, ma solo se qualcun altro chiedeva la sua opinione, mai di sua spontanea volontà. Non perché fosse timida, anzi, ma semplicemente non le interessava.
Quindi, quando lesse un velo di malizia nel suo sguardo, il sopracciglio di Lily scattò in alto, confondendosi quasi con l’attaccatura dei capelli.
<< Facevamo una passeggiata >> spiegò, guardandola attentamente.
Shai annuì e lanciò uno sguardo a suo cugino che sghignazzò. Dire che quei due non fossero bravi a mantenere un segreto era a dir poco un eufemismo. Erano sempre troppo sinceri e poi, semplicemente, nemmeno ci provavano.
La rossa sbuffò.
<< Cosa succede? >>
Lene alzò le spalle e Axel sghignazzò ancora. La Potter sbuffò di nuovo e punto un dito contro il petto del ragazzo che la fissava con occhi sognanti e divertiti. Era lì con loro ma allo stesso tempo lontano. Lily lo invidiava così tanto per la sua capacità di estraniarsi dal mondo, di crearsene uno proprio.
<< Mia cugina si è messa in testa di fare da cupido >>
<< Non è vero >> si difese la ragazza, incrociando le braccia a petto, oltraggiata.
Lily la guardò scioccata.
<< Cupido? >>
Shailene sbuffò.
<< No, non sono cupido. Ho semplicemente notato che ti piace Scorpius e non vedo l’ora che vi mettiate insieme. Ma starò al mio posto >> si affrettò ad aggiungere quando Lily la guardò male.
<< Non mi piace Scorpius >>
<< Ah-a >>
Sia Shailene che Axel annuirono per assecondarla con la tipica espressione di chi non crede a niente di ciò che hai detto. Con la tipica espressione che innervosiva Lily oltre ogni dire.
<< Sono seria >>
<< Certo >>
<< Davvero >>
<< Assolutamente >>
<< Ok, mi piace >> ammise.
Entrambi sorrisero e annuirono, concitati.
<< Andrete al ballo insieme? >> chiese, Shailene.
Lily sospirò e scosse la testa e l’amica si imbronciò leggermente. Aprirono la porta della Sala Grande e si sedettero al tavolo dei Corvonero, nell’ultima parte. Lanciarono uno sguardo al Serpeverde che, forse per la prima volta in quell’anno, era seduto al tavolo della sua casa.
Davanti a Dominique.
Lui disse qualcosa che fece ridere la ragazza e arrossire lui stesso. Lily si sentì divisa in due. Da una parte sperava che la cugina rifiutasse Scorpius, dall’altra si sentiva un’egoista anche solo per averlo pensato e pregava che non stesse ridendo in faccia alla sua proposta. O l’avrebbe uccisa.
<< Vuole andarci con lei >>
Indicò disgustata la mezza veela. Dominique si spostò i capelli di lato con un movimento sinuoso, facendo girare tutto il tavolo di Serpeverde a guardarla.
Shailene sbuffò, servendosi un paio di cosce di pollo e le patate arrosto. Addentò una di loro e rimase in silenzio, cosa insolita per la ragazza.
Entrambi capirono che era persa nei suoi pensieri quando seguirono la traiettoria del suo sguardo vedendolo piantato esattamente alla parete opposta.
<< E tu con chi ci vai? >> chiese Axel, continuando a sorridere.
Lily si sentì tutto d’un tratto imbarazzata. Quando aveva lasciato Scorpius sulla riva del Lago Nero era davvero determinata a trovare Axel e chiedergli di andare al ballo con lei. Ovviamente da amici.
Ma adesso che ce l’aveva trovato, tranquillo e sorridente come sempre, il coraggio era scomparso, lasciando spazio ad un’insolita sensazione di disagio.
Balbettò qualcosa mentre si serviva anche lei una porzione di patate arrosto e un paio di cosce di pollo. Ne agguantò un’altra, seguendo l’esempio dell’amica che si era riempita di nuovo il piatto.
<< Stavo pensando, ci andiamo insieme? Da amici >>
Dopotutto non aveva niente da temere, conosceva Axel da una vita, da prima di arrivare ad Hogwarts, anche se il loro rapporto si era stretto durante il primo anno.
Prima che il ragazzo potesse rispondere Hugo Weasley prese posso accanto a loro e, ancora prima di riempirsi il piatto, afferrò una coscia di pollo e l’addentò.
<< Certo >>
<< Certo cosa? >> chiese il rosso, ancora masticando.
<< Hugo chiudi la bocca >>
Il ragazzo fece la linguaccia alla cugina e continuò a mangiare, ignorando persino la sua domanda.
<< Tu con chi ci vai, Shai? >> chiese Lily.
La ragazza si riscosse dalla sua trance e sorrise radiosa.
<< Con tuo fratello >> dichiarò sicura.
<< Albus? >>
Lily la guardò stupita. Shailene ed Albus si conoscevano da quando erano minuscoli, ma suo fratello non aveva mai dato segni di interesse verso di lei, così come il sentimento di disinteresse era ricambiato dall’amica.
Trovava altamente improbabile che lui avesse cambiato idea così repentinamente, soprattutto considerando che era da quando Arielle era arrivata che non le toglieva gli occhi di dosso.
<< No >> commentò tranquilla Shailene << James >>
Lily lasciò cadere la forchetta nel piatto nello stesso momento in cui Hugo lasciò andare la coscia di pollo, rimanendo a bocca aperta e offrendo loro una visione tutt’altro che desiderata.
Solo Axel sorrise felice e commentò un ‘sembra un bravo ragazzo’, tornando poi a blaterare di strani esserini osservando la reazione degli amici.
<< Te lo ha chiesto? >>
La prima a riscuotersi e porgere la domanda fu Lily, mentre suo cugino continuava a guardare Shailene come se fosse completamente pazza e potesse alzarsi in quel momento e lanciare maledizioni senza perdono al tavolo degli insegnanti.
Shailene scosse la testa, per niente abbattuta da quel piccolo particolare e, continuando a sorridere come era solita fare, spiegò.
<< Non è venuto nemmeno alla festa di Halloween ed è sempre solo. Glielo chiederò domani. Naturalmente è da amici >>
<< Tu e mio cugino non siete amici >>
Hugo era ancora sconvolto.
<< Dovresti avere un piano B. Non credo che verrà >> disse Lily, girando la testa verso il tavolo dei Grifondoro.
Era esattamente nel punto che prima Shailene fissava e la ragazza si rese conto che probabilmente aveva appena elaborato quella pazza teoria. James, sentendosi osservato, alzò la testa dal piatto e fissò il gruppetto, spostando poi lo sguardo in quello di Lily, interrogativo.
<< Oh, nel caso dice di no, ci vado con Hugo >>
<< Ehi >> protestò il diretto interessato << Dovresti prima chiedermelo >>
Shailene sventolò la mano in aria come se fosse cosa di poca importanza ed Hugo sbuffò.
 
 
 
 
 
Al tavolo dei Serpeverde, Scorpius cercava di farsi coraggio per invitare Dominique al ballo del Ceppo con lui.
Ma, a quanto pareva, l’aveva già raccolto ed esaurito tutto per sedersi davanti a lei ed iniziare una conversazione, dire qualche battutina stupida e farla ridere.
Dominique dopo che la loro chiacchierata era finita bruscamente, senza cercare di salvarla, aveva parlato senza entusiasmo con le sue compagne di dormitorio, lanciando qualche occhiata al biondo.
<< Domi >> la chiamò lui, spinto da uno strano spirito autolesionista.
La ragazza si bloccò e gli rivolse uno sguardo curioso, sorridendogli per spingerlo a continuare. Scorpius sperò di non aver aperto bocca e deglutì arrossendo. Ma ormai aveva parlato e non poteva fare la figura dello stupido più di quanto non stesse già facendo.
<< Vieni al ballo con me? >>
Non aveva balbettato ed era riuscito a guardarla negli occhi. Era un inizio.
Lei lo fissò e sorrise.
<< Certo >>
 
 
 
 
 
 
Angolo Autrice
Eccomi finalmente con il terzo capitolo!
Allora, vediamo cosa succedere. Prima lezione del club dei duellanti e un pochino di spazio dedicato a Rose e Ted. Alla fine dell’ultimo libro la Rowling ha reso ufficiale la relazione tra Ted e Vic quindi anche io l’ho aggiunta alla storia. Ma è finita, sepolta.
Poooi, vediamo un po’, Alec e Roxie. Che ne pensate?
E di Lily e Scorpius? Lo so che non è proprio bello che adesso quello stupido biondo vada al ballo con Dominique, ma trovo carino che Lily ci vada insieme a Axel, voi no?
Ovviamente nessuno da credito all’idea strampalata di Shailene. Avranno ragione?
 
AVVISO: allora, lo scorso capitolo avevo chiesto cosa ne pensavate di una serie. Se sarà così credo che la prima parte si concluderà con il sedicesimo o il diciassettesimo capitolo e poi verrà la seconda, prevalentemente di azione.
Oppure tutto insieme. Non saprei, cosa ne pensate?

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Capitolo 14
 
 
Lorcan era esausto. Di notte non dormiva e di giorno i professori non facevano altro che svegliarlo e disturbare il suo tanto ricercato riposo. La conclusione era che non riusciva a far passare due ore consecutive senza provare a chiudere occhio e allo stesso modo non poteva riposare per nemmeno trenta stupidi minuti.
Di notte proprio non se ne parlava. La mente, che fino a quel momento non aveva fatto altro che pregare per un attimo di riposo, sembrava improvvisamente sveglia e pronta a fargli passare una nottataccia.
Lui ed Albus non si parlavano.
Non che cercasse di cambiare la cosa, ma il migliore amico non l’aveva cercato e lui aveva lasciato stare.
Sapeva di dovergli dare tempo. Ed era questo quello che si ripeteva tutti i giorni convincendosi che fosse il motivo per cui non gli si avvicinava.
La verità era che aveva una paura fottuta di quello che avrebbe potuto dirgli. Aveva paura della possibilità in cui Albus gli urlava in faccia di non volerlo più vedere, di stargli lontano.
Aveva paura che lui provasse repulsione nei suoi confronti.
Scorpius cercava di capire cosa fosse successo tra i due e di fare il mediatore pacifico. Non che quel ruolo gli riuscisse bene, ma non dava segni di voler arrendersi. Continuava semplicemente a girare come una trottola tra i due. Lorcan non aveva la forza, e nemmeno la voglia, di respingerlo, ma non aveva niente da dire. Quindi passavano le giornate in silenzio e Scorpius non si azzardava a lamentarsi.
Louis aveva provato ad avvicinarsi più volte, per parlarsi, per chiarirsi. Ma di certo quello non era nelle intenzioni di Lorcan. Non era giusto prendersela con Louis, lo sapeva, ma non riusciva a fare altro che fingere di essere arrabbiato con lui per non ammettere di esserlo con se stesso.
Per avergli urlato addosso, per aver baciato Albus, per non muovere un dito per far sì che le cose cambiassero.
Quella mattina Lorcan si alzò dal letto, come sempre, prima che gli altri due potessero anche solo pensare di aprire gli occhi. Negli ultimi giorni era sempre così, rientrava tardi, passava una notte insonne ed usciva prima dell’alba.
Si fece una doccia veloce senza guardarsi allo specchio. Non voleva vedere il suo viso sciupato, le occhiaie profonde, la carnagione pallida.
Era diventato uno schifo. L’ultima volta che si era guardato allo specchio risaliva ad almeno una settimana prima e il suo riflesso lo aveva spaventato. Non era più lui. Finalmente era riuscito nel suo intento di trasformarsi in un qualcun altro, perché il viso che vedeva riflesso, l’espressione che vedeva riflessa non aveva niente del ragazzo che era prima di quell’estate. Non aveva la spensieratezza, non aveva la speranza, non aveva niente.
Prese la sua sacca e uscì dal dormitorio facendo attenzione a non svegliare i suoi compagni.
Chiuse il quadro che copriva l’entrata del dormitorio dietro di sé e si diresse verso la torre di astronomia. Era il posto perfetto per restare da soli, tranquillo e solitario. Nessuno che vedeva, nessuno che ascoltava.
Spesso però Lorcan si chiedeva se fosse davvero necessario rintanarsi negli angoli bui per impedire di essere sentiti, perché nessuno l’aveva mai ascoltato. Nessuno si era accorto delle sue grida, delle sue richieste di aiuto.
Lorcan, anche se non lo avrebbe mai ammesso, non voleva stare solo, ma lo era sempre, anche quando era circondato da persone.
 
 
 
Entrò in Sala Grande quando ormai era già piena e si diresse al tavolo dei Serpeverde, sedendosi all’estremità, lontano di una decina di posti da Albus e Scorpius che chiacchieravano tranquillamente con Alexander Nott.
Non lo notarono e Lorcan non fece niente per farsi notare. Si servì un paio di pancake e un tazza di caffè, sentendo la familiare sensazione di sonno farsi strada dentro di lui.
Se avesse continuato a non dormire prima o poi sarebbe crollato, doveva trovare un modo per uscire da quello stato catatonico in cui era caduto.
<< Ma che cazzo >>
Una serie di imprecazione si diffuse per tutti e quattro i tavoli di Hogwarts, risvegliando Lorcan dalla trance in cui era caduto.
Alzò gli occhi e rimase stupito da quello che trovò davanti a sé. Centinaia e centinaia di cartoline cadevano dal soffitto incantato di Hogwarts, finendo nella colazione e tra i capelli degli studenti che si lamentavano.
Quando i primi si accorsero di ciò che quelle cartoline erano davvero un silenzio inquietante e sorpreso calò nel castello, rotto subito dopo dai commenti sussurrati a bassa voce fatti al vicino, le risate e le occhiate lanciate al tavolo dei Serpeverde.
Una delle cartoline era finita esattamente al centro del piatto di Lorcan, girata, con la parte bianca rivolta verso di lui.
Ancora prima di poter capire di cosa si trattasse, Lorcan sentì la pesantezza degli sguardi degli studenti su di sé.
Spalancò gli occhi e osservò ciò che gli si presentava davanti con orrore e paura. Ciò che vedeva era una foto sua e di Albus.
Mentre si baciavano.
Lui ed Albus.
Che si baciavano.
La prima cosa che avvertì fu lo stomaco contorcersi al pensiero che ciò che vedeva non sarebbe mai successo ancora. La seconda cosa fu il cuore rompersi nel petto nel rendersi conto che erano carini insieme, ma che quello non avrebbe cambiato niente.
La terza e la più devastante fu il peso degli sguardi su di lui, delle chiacchiere, delle risate, degli insulti. E si sentì cadere.
Alzò lo sguardo incontrando quello assolutamente incredulo di Scorpius. E poi li vide. Quegli occhi verdi che lo fissavano intraducibili.
Non capì se Albus fosse arrabbiato, dispiaciuto, sorpreso. Se lo odiava o se gli voleva ancora bene.
Si sentì distrutto. Si sentì improvvisamente devastato, stanco. Morto.
Quegli occhi che tanto amava lo avevano ucciso.
Si alzò e si diresse verso l’uscita. Camminò lentamente, evitando gli sguardi, comportandosi come se nulla fosse successo.
Non avrebbe concesso a nessuno la soddisfazione di vederlo a pezzi, perché era chiaramente quello il motivo per cui avevano fatto quello scherzo. Non poteva essere altrimenti, perché era chiaro che quelle foto avrebbero rovinato un’amicizia e soprattutto devastato una persona.
Come si poteva giocare con i sentimenti altrui in questo modo? Come si poteva essere tanto insensibili? Come poteva guardarcisi ancora allo specchio dopo aver appena ucciso qualcuno?
Perché Lorcan si sentiva morto.
Quando oltrepassò il portone corse. Corse come non aveva mai fatto. Corse lontano da suo fratello che si era alzato e lo aveva seguito. Corse lontano dalle grida di Scorpius. Corse lontano dallo sguardo dispiaciuto di Louis. E corse via da Albus.
Corse via anche da se stesso perché non si voleva più.
 
 
 
 
 
<< Il ballo del ceppo segna l’unione tra le scuole. Andarci con qualcuno proveniente da una scuola diversa sarebbe l’obbiettivo >>
<< No >>
<< Sarebbe una bella serata >>
<< No >>
<< Per non parlare poi del dopo serata >>
<< No >>
<< Saprei come farti divertire >>
<< No >>
<< Immagina le mie mani… >>
<< No, no e ancora no >>
Alice lo interruppe prima che potesse continuare a dire stronzate, alzando una mano davanti al suo viso e facendogli segno di stare zitto.
<< Non andrò al ballo e non ci andrei mai con te >>
<< Credo che tu abbia troppi pregiudizi >>
La ragazza sbuffò, evidentemente scocciata, ma quello non fece cambiare l’espressione di malizia e superbia che Filip aveva dipinta in volto.
Quel ragazzo non si arrendeva mai. Più volte durante la settimana l’aveva avvicinata cercando di convincerla ad andare al ballo con lui. Non si era fermato neanche davanti ad una fattura orcovolante e ad uno schiantesimo ben assestato. Doveva ammettere che fosse molto più coraggioso di quanto lo avesse giudicato all’inizio.
E anche molto più ostinato, purtroppo.
<< Non mi interessa una relazione >> disse con voce ferma.
Gli rivolse un’occhiata veloce e, anche se a malincuore, dovette ammettere che Filip era decisamente un bel ragazzo. A tutti gli effetti desiderabile.
Capelli biondi come il grano e leggermente ricci, occhi celesti, spalle possenti, petto ampio e addominali scolpiti.
Come faceva a sapere quanto fossero ben fatti i suoi addominali? Beh, non era poi tanto strano trovare uno dei campioni di Durmstrang correre a torso nudo in riva al lago nero o semplicemente liberarsi della maglia nei momenti più impensabili con la più banale scusa del ‘qui fa proprio caldo’.
Ma che diamine, erano a Novembre, non faceva caldo proprio per niente.
<< Nessuna relazione >>
Non che Alice fosse interessata alla forma fisica di Filip. Non si era mai ritrovata a spiare il ragazzo durante i suoi esercizi, come molte altre, ma sì, aveva degli occhi. Sì, era una ragazza. E ancora sì, i suoi ormoni funzionavano perfettamente, nonostante le vivide proteste della padrona.
<< Non sono interessata a legami carnali >> mentì Alice, cercando di convincere anche se stessa.
Poteva benissimo vivere senza. Lo aveva fatto fino a quel momento.
<< Non sono interessata ai legami e basta >> aggiustò il tiro, sperando che quella volta le parole uscite dalla sua bocca corrispondessero a verità.
E ancora una volta dovette mordersi la lingua e rimproverarsi per quella stupida bugia.
Il problema era che Alice cominciava a soffrire la solitudine. Era sempre stata bene da sola, ma ultimamente cominciava a sentire il bisogno di rintanarsi in posti dove qualcuno poteva circondarla. Anche senza parlare, anche senza guardarla.
Sentiva sempre la mancanza di Axel e Shailene quando non passava del tempo con loro.
Alice dopo sedici anni passati in solitudine cominciava a sentirsi veramente sola.
Adesso, vuoi che siano gli ormoni o dei stupidi sogni di ogni ragazzina, ma aveva bisogno di persone intorno a sé, perché la solitudine aveva cominciato a spaventarla.
E se fosse morta? Chi ci sarebbe stato a piangere per lei? Sua madre e suo padre, forse. E poi? E poi niente.
La Paciock era sempre stata abbastanza drammatica e non faceva altro che immaginare il suo funerale a cui erano presenti solo due persone che non sembravano nemmeno soffrire poi molto.
Era stata così brava ad allontanare tutti e a diventare quella che era da spaventare addirittura se stessa.
Perché l’aveva fatto? Alice non sapeva rispondersi.
Era così. Era sempre stata così.
Forte, decisa, solitaria, silenziosa, anticonformista. Forse un po’ cattiva.
La mattina si alzava, contornava gli occhi di nero, legava i capelli la maggior parte delle volte, ed usciva senza nemmeno stupirsi. Era normale, perché lei era sempre stata così.
Nessuna maschera, nessun travestimento.
Alice era esattamente la stronza che mostrava e sapeva di non meritare che qualcuno tenesse veramente a lei.
Ma ci sperava lo stesso.
<< Saprei farti divertire >> sussurrò ancora Filip, avvicinandosi di un passo, ma restando a distanza di sicurezza.
Alice lo incuriosiva. Gli piaceva. Era bella, ironica, spavalda, incurante. Un personaggio molto interessante, ma Filip non era scemo, si era già beccato più di un incantesimo e, anche se non avrebbe rinunciato, gli sarebbe piaciuto evitarne altri.
<< Mi dispiace, ma la nostra Alice ha già un appuntamento per il ballo >>
Ovviamente la voce che aveva parlato non era della ragazza.
Lysander Scamander fece la sua gloriosa comparsa in scena. Circondò le spalle esili della Serpeverde con un braccio e la strinse leggermente quando provò a liberarsi.
Alice si girò stupefatta verso di lui, guardandolo con un misto di sorpresa e irritazione. Si agitò sotto quello strano abbraccio con la sola conseguenza di far aumentare la stretta del ragazzo.
Ma che diavolo avevano tutti e due?
<< Ma vuoi lasciarmi? >> sbraitò la mora, scocciata.
Cercò di mantenere una smorfia vicina all’indifferenza per non dare a nessuno di loro la possibilità di avere la soddisfazione di farla arrabbiare. Ma due erano davvero troppi e l’irritazione era chiaramente visibile sul viso di Alice, soprattutto in quegli occhi così chiari.
<< Oh >> disse Scamander rivolgendosi all’altro << Sai com’è, non sopporta le manifestazioni di affetto in pubblico >> spiegò alzando le spalle e sorridendo.
<< Comunque per adesso è prenotata, ma magari puoi provarci la prossima volta >>
Filip li osservò per qualche secondo prima di alzare le spalle.
<< Ci vediamo al ballo Alice >>
Disse e se ne andò con un cenno di saluto ai due.
Alice lo guardò sbigottita e rivolse lo stesso sguardo a Lysander che aveva ancora il braccio intorno alle sue spalle. Con una smorfia stizzita si liberò dalla presa del ragazzo e cominciò a camminare a passo veloce verso l’entrata della scuola.
Lysander la osservò. Indossava la divisa della scuola, ma riusciva a darle un tocco decisamente personale. Le calze pesanti strappate in alcuni punti, gli anfibi neri e pesanti ai piedi, la giacca di pelle sopra la camicia bianca, la cravatta allentata.
Osservò i pugni chiusi lungo i fianchi e i capelli legati in due trecce e sorrise.
Le corse dietro e la raggiunse, adattando il suo passo alla camminata furiosa di lei.
<< Allora, hai già deciso cosa indossare? >> le chiese con un sorriso innocente sul viso.
<< Io non ci vengo al ballo con te >>
Lysander schioccò la lingua sul palato.
<< Dovresti ringraziarmi per averti liberato di quello lì >> disse divertito.
Ovviamente non lo pensava davvero. Alice avrebbe benissimo potuto farcela da sola.
<< Io non ci vengo al ballo con te >> ripeté ancora una volta, ancora più convinta di prima.
Il Grifondoro agitò una mano davanti al viso, come se stesse dicendo una cosa di poco conto.
<< Oh, dai, non fare la difficile. È solo una serata >>
<< Io non… >> cominciò lei, con tutta l’intenzione di ripetere quello che oramai sembrava essere diventato un mantra, ma l’altro la interruppe.
<< Ti tratterò come una principessa >>
Alice si esibì in una smorfia disgustata e quella frase bastò a farle interrompere la marcia. Lysander fece altri due passi prima di accorgersene e tornare indietro ridendo.
<< Non sono una principessa >> disse con tanto ribrezzo da aumentare le risate del castano.
<< Oh, non ti preoccupare. Non ti costringerò a mettere un vestito rosa sbrilluccicante e non verrò a prenderti con una carrozza. Né ti salverò come se fossi una donzella in pericolo >>
Alice lo fissò per alcuni istanti.
Lysander non era bello quanto Filip e quello lo aveva constatato fin da subito. I capelli erano più tendenti al castano e gli occhi al nocciola, ma erano verdi in quel momento, il naso era forse troppo grande e non aveva un fisico robusto e altrettanto scolpito come l’altro. Ma era senza dubbio attraente e Alice capì che quello che faceva cadere tutte le ragazze ai suoi piedi era l’atteggiamento.
Ma a lei era indifferente.
Bugia.
Probabilmente era quello il motivo per cui Lysander si era avvicinato, perché pensava che lei non conoscesse la sua esistenza. Ma si era sbagliato.
Alice ammetteva che fosse un bel ragazzo, magari anche piacevole. Ammetteva di essere attratta da lui. Ma la cosa che la rendeva diversa da tutte le altre era che non le importava. Perché Lysander poteva essere affascinante quanto gli pareva, e di certo non gli era indifferente, ma Alice non smaniava dalla voglia di passare una serata con lui, non lo sognava, né lo definiva il ragazzo perfetto perché non lo era.
<< Perché dovrei uscire con te? >> gli concesse, esasperata.
Lysander sorrise.
<< Perché per una sera, mi concederei di essere io la donzella in pericolo e ti farò credere di potermi salvare >> scherzò lui.
Alice lo fissò e sbatté un paio di volte le palpebre prima di scoppiare a ridere.
Non aveva mai avuto quello spirito da crocerossina che invece era appartenuto a sua madre e Lysander non gli era mai interessato, ma era riuscito a catturare la sua attenzione.
Lysander non era mai stato al centro dei suoi pensieri, ma l’aveva fatta sorridere.
Lysander non era l’uomo dei suoi sogni perché quello non esisteva, ma l’aveva fatta ridere.
Lysander, in quell’attimo, aveva sbloccato qualcosa in lei e non perché fosse bello o affascinante, ma perché era stato spontaneo e divertente, aggettivi che Alice aveva addirittura dimenticato.
Forse si meritava una possibilità.
 
 
 
 
Lorcan non aveva pianto. Ci aveva provato, ma le lacrime proprio non volevano saperne di uscire anche se lui ne aveva un bisogno malato.
Si era aspettato di sentirsi vuoto, di sentirsi morto come durante i primi minuti dopo aver visto quella dannatissima foto. Si era aspettato di sentirsi privo di emozioni e lo aveva sperato. Lo aveva sperato perché per un momento non aveva provato niente, nemmeno il dolore o la repulsione. Niente ed era quasi in pace.
Ma poi tutto era arrivato. La sofferenza, le ferite, l’odio, l’amore, il disgusto, la negazione, il ribrezzo. Tutto. E l’aveva sopraffatto.
Ma non era riuscito a piangere nemmeno una lacrima.
Era andato sotto il Platano Picchiatore, ormai così vecchio da non provare nemmeno a fargli del male, e si era seduto. Aveva chiuso gli occhi ed aveva aspettato quasi con impazienza che quei rami tornassero in vita e lo schiacciassero.
Perché quello era troppo. Era troppo pieno di tutte le emozioni e non riusciva a liberarsi.
Ma non poteva fare niente.
Quindi aveva chiuso gli occhi, poggiato la schiena al legno e si era lasciato dilaniare dal dolore. Si era lasciato spaccare, spezzare, lacerare dalle emozioni.
Lo aveva sentito quando si era seduto, ma non aveva aperto gli occhi, non gli importava di chi fosse, non gli importava che qualcuno lo vedesse.
Il nuovo arrivato aveva borbottato un ‘ciao’ e lui lo aveva riconosciuto, dopo di che non aveva più parlato, ma lui sapeva che fosse ancora lì, seduto al suo fianco.
Louis era stato silenzioso, aveva rispettato la sua volontà di restare in silenzio.
Era stato in silenzio con lui e Lorcan si sentì in colpa per come lo aveva trattato. Louis non c’entrava niente.
Erano restati in silenzio ed il Tassorosso non si era lamentano, non aveva sbuffato, aveva semplicemente aspettato che lui parlasse.
E Lorcan lo aveva fatto, dopo un po’.
<< Mi dispiace >> aveva detto, restando con gli occhi chiusi.
<< Non è importante >> aveva risposto Louis, tranquillo.
Allora l’altro aveva aperto gli occhi e lo aveva guardato di traverso perché lui doveva essere arrabbiato. Perché lo aveva trattato male, da zerbino, e non se lo meritava.
<< Lo è >>
Il ragazzo aprì gli occhi a sua volta e si sedette incrociando le gambe, mettendosi davanti a Lorcan.
<< So cosa significa, Lor. So cosa significa essere secondi, anzi non essere scelti affatto >> fece un sorrisino triste << So cosa significa essere messi da parte >>
<< Tu ti sei messo da parte da solo, Lou. I tuoi cugini ti vogliono bene >>
<< Non sono abbastanza >>
Lorcan si arrabbiò, perché non era vero.
<< Chi lo dice? >>
<< Lo riconosco. I miei cugini sono tutti… particolari >> storse le labbra a quell’aggettivo perché non era giusto, ma non ne trovò uno migliore << Io non ho niente di speciale >>
<< Smettila di autocommiserarti. Non risolverai niente comportandoti così >>
<< Nemmeno tu >>
Restarono in silenzio per qualche secondo. La natura, intorno a loro, riempì il silenzio con il fruscio delle foglie e il vento che scompigliava i capelli ad entrambi. Louis alla fine prese quel poco coraggio che aveva, lo raccolse tutto e lo utilizzò, anche se quello che stava per fare poteva essere considerato sbagliato.
Puntò le mani a terra e si sporse verso Lorcan, sfiorando la bocca con la sua e, vedendo che non si allontanava, premendo con più decisione. Fu un bacio dato di sfuggita, appena accennato. Improvvisato.
Lorcan lo fissò ad occhi sbarrati e seguì il ragazzo in tutti i suoi movimenti. Louis si alzò, si pulì i pantaloni e gli lanciò un’occhiata.
<< So essere la seconda scelta, Lorcan. Anche se fa male >>
Se ne andò e sapeva di aver fatto la cosa sbagliata. Forse non per Lorcan, perché lui aveva un disperato bisogno di qualcuno che condividesse le sue pene, ma per se stesso.
Perché era vero, Louis era abituato ad essere la seconda scelta, l’opzione di riserva, ma non era vero che faceva male. Era straziante.
E la cosa peggiore era che Lorcan aveva ragione. Era lui che decideva di essere secondo.
 
 
Lorcan si alzò dalla sua postazione e si diresse verso il castello. Era sera ormai e aveva bisogno di dormire e di mangiare. Aveva saltato tutte le lezioni, ma non gli importava.
Voleva solo andare al letto e rilassarsi.
<< Ehi, checca >>
Lorcan non si fermò, pur sapendo che era destinato a lui quel saluto. Continuò a camminare.
<< Ehi, parlo con te >>
Una mano gli afferrò il braccio e il Serpeverde si ritrovò sbattuto contro il muro. Soffocò un gemito di dolore, quando avvertì una parte di pietra sporgente colpirgli lo spazio in mezzo alle scapole, ma non si azzardò a replicare.
Non li guardò negli occhi, non voleva farlo, ma seppe che non li conosceva nemmeno. Non sapeva chi fossero, non ricordava le loro voci né tantomeno i loro visi.
E allora cosa volevano da lui? Perché non lo lasciavano in pace?
<< Lasciatemi stare >>
Gli altri risero. Erano tre. Uno lo reggeva al muro, tenendolo per le spalle, gli altri due gli stavano vicino, con le braccia incrociate al petto e un ghigno dipinto sulle labbra.
<< Stai calmo finocchio, vogliamo solo sapere se d’ora in poi dovremmo girare con dei tappi in culo >>
Era sempre quello che lo teneva fermo a parlare.
Lorcan non seppe perché, ma si ritrovò a rispondere. Si ritrovò a fare qualcosa una volta tanto e non lasciare che tutto gli passasse davanti come se non fosse la sua vita. Perché quella era la sua vita, per la miseria.
<< Ero gay anche prima di oggi, imbecilli, e mi pare che non abbia mai provato a molestarvi. Non rientrate nei miei desideri >>
Quello che lo reggeva lo spinse di più verso il muro e fece un segno con la testa verso uno degli altri. Il pugno che lo colpì allo stomaco gli fece mancare il respiro. Rimase a bocca aperta e la chiuse solo quando un altro pugno, proveniente dalla parte opposta, lo colpì un po’ più sopra, alle costole.
Cercò di non lamentarsi. E cercò davvero di stare in silenzio, ma non ci riuscì perché si era stufato.
Si era davvero stufato di lasciarsi trasportare.
Questa è la mia vita e devo reagire. È la mia vita.
Il Serpeverde si esibì in una risata sprezzante.
<< Cos’è, siete dei gay repressi? Vi dispiace così tanto non rientrare nelle mie grazie? >>
Un pugno lo colpì sul viso proprio mentre un calcio lo colpiva alla pancia, costringendolo a piegarsi dal dolore. Non poté fare niente per evitare una ginocchiata in pieno viso che gli fece sanguinare il naso.
Si preparò per un altro colpo, ma una voce interruppe il massacro.
<< Allontanatevi subito >>
Ordinò qualcuno che Lorcan non riconobbe. La voce era familiare, sapeva di averla ascoltata e di averci parlato anche più di una volta, ma allo stesso modo aveva capito che era da troppo tempo che non l’ascoltava per riconoscere davvero di chi fosse.
<< Tre contro uno. Che schifo >>
Il Serpeverde alzò il viso, incontrando i lineamenti conosciuti di James Sirius Potter che li fissava con disgusto. Ma non fissava con disgusto lui, non lo disprezzava.
Il ragazzo era apparentemente rilassato. Le mani nelle tasche dei pantaloni della divisa, le gambe rilassate, la bacchetta lasciata nella tasca interna del mantello senza nemmeno provare a prenderla.
Il capo dei tre rise.
<< Ma quindi hai una storia con entrambi i Potter? Mh, interessante. In questa scuola ci sono più malati di quanti mi aspettassi >>
Quella parola colpì Lorcan. Malati. Era questo che era? Malato?
Scosse la testa con convinzione. Essere gay non era una malattia. Non era sbagliato. Lo sapeva, lo sapeva, lo sapeva. Ma allora perché era così facile credergli? Perché era così facile convincersi di essere lui quello sbagliato? Perché quelle parole risultavano così vere?
James fece per ribattere, ma non ci riuscì perché un lampo di luce colpì il ragazzo che teneva Lorcan al muro in pieno petto e fu scaraventato sul muro poco distante da loro.
Tutti si girarono osservando stupefatti una ragazzina con la bacchetta sguainata. Tutti riconobbero le treccine e gli occhi circondati di nero. Alice si avvicinò con lentezza a colui che aveva appena schiantato e si piegò sulle ginocchia per poterlo guardare negli occhi.
Era furiosa, ma sorrise, quasi angelica.
<< Sì, hai ragione, ci sono più malati di quanti mi aspettassi in questa scuola e tu sei quello messo peggio >>
Nello stesso momento un rumore sordo di qualcuno che venina sbattuto al muro attirò l’attenzione di tutti i presenti, compresa quella di Alice.
Lysander Scamander aveva appena inchiodato uno degli aggressori alla parete e con un braccio gli spingeva il collo. Il viso era trasfigurato in una smorfia d’ira e non c’era traccia del sorriso che aleggiava sempre sulle labbra.
Quello era suo fratello.
<< Non. Azzardatevi. A. Toccare. Mio. Fratello. Mai. Più >> scandì ogni parola, rafforzando la presa ad ogni lettera.
Gli sferrò un cazzotto in pieno viso e poi lo lasciò cadere, resistendo alla tentazione di prenderlo a calci.
<< Se vi vedo ancora intorno a Lorcan vi farò pentire di aver anche solo pensato di avvicinarvi >> minacciò con voce cupa. 
<< Siete gay entrambi. Ma che è, una cosa di famiglia? >> disse l’unico dei tre che era rimasto in piedi.
James fece un passo in avanti nello stesso momento in cui Lysander si avvicinò ed Alice impugnò di nuovo la bacchetta, ma tutti vennero interrotti da una voce. Che non era quella dei ragazzi a terra né quella di Lorcan.
<< Che succede qui? >>
Albus Potter si avvicinò al gruppetto, osservandoli tutti. Guardò suo fratello e lanciò un occhiata perplessa a Lysander ed Alice prima di soffermarsi su Lorcan. E capì.
Lo guardò sofferente e capì cosa fosse successo.
<< Stai bene? >> chiese, avvicinandosi a lui e cercando di aiutarlo a mettersi in piedi.
Lorcan lo fissò incredulo e guardò tutti gli altri con la stessa espressione. Ma che cos’era, una congiura?
Avevano deciso di farsi tutti una passeggiata quando lo stavano picchiando? Doveva davvero sorbirsi anche quell’umiliazione?
Per la prima volta desiderò di non aver incontrato Albus.
Che ironia di merda che ha la vita.
<< Sto bene >> si alzò e si staccò dall’amico, guardandolo con dolore.
Solo vederlo gli faceva male.
Si avvicinò al fratello e gli posò una mano sulla spalla e guardò gli altri due con gratitudine.
<< Ce la faccio da solo >> disse sicuro.
Perché si era stancato di essere salvato. Non ne aveva bisogno, sapeva farlo per conto suo. Poteva benissimo salvarsi da solo.
Si avvicinò all’ultimo ragazzo e per un attimo fu sul punto di colpirlo, ma poi si trattenne. Lui non era come loro.
<< Non mi importa quello che pensi. Non devo piacerti, non voglio piacerti. E se non lo sapessi, siamo nel ventunesimo secolo e l’unico che dovrebbe vergognarsi di se stesso sei proprio tu. E i tuoi amici –li indicò-. Perché è assurdo che troviate malato essere gay. Io non me ne vergogno >>
Sorrise ad Alice, scompigliò i capelli a Lysander, tirò un pugno scherzoso sulla spalla di James, che, per un attimo, si concesse un sorriso, abbracciò Albus che, dopo un momento di esitazione, ricambio la stretta amichevole e se ne andò.
Questa è la mia vita. E la rivoglio.
 
 
 
 
 
Angolo Autrice
Ecco qui il quattordicesimo capitolo! So di essere un po’ in ritardo, ma sono stata leggermente impegnata ultimamente. Però in questo momento mi trovo al letto malata e ho pensato che fosse davvero ora di aggiornare.
Credo che prima della fine della prima parte della storia, la situazione di Lorcan non si risolverà. Nel senso che verrà lasciata in sospeso così, sia con Albus che con Louis, perché ci sono molti altri personaggi che avranno uno spazio.
Dopo di che, volevo ricordarvi FACEBOOK e semplicemente chiedere una piccola recensione per sapere cosa ne pensate.
Ringrazio che legge, segue/preferisce/ricorda la storia e soprattutto chi recensisce!
Ci sentiamo presto!

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


FACEBOOK
 
Capitolo 15

 
 
 
Ronald Weasley credeva veramente che tutto fosse finito quella dannata notte.
Aveva perso suo fratello, conquistando un buco dentro di sé che mai sarebbe guarito, ma aveva cercato di consolarsi dicendo che quella era finalmente la fine. Che avrebbero avuto tutta la vita per onorare a dovere la morte di Fred, tutti insieme. Senza problemi.
Ma quando mai Ronald Weasley aveva avuto ragione? Quando mai le cose andavano come ci si aspettava che andassero?
Facile: mai.
Dopotutto avrebbe dovuto aspettarselo. Mica aveva chiesto lui di essere su un cavallo decapitato al primo anno e di certo si sarebbe risparmiato di seguire i ragni al secondo –andiamo, a quale stupido verrebbe mai in mente di seguire i ragni (a quanto pare al suo migliore amico)- , avrebbe fatto volentieri a meno di farsi quasi staccare una gamba al terzo anno o irrompere nel ministero al quinto, per non parlare della ricerca degli Horcrux.
Ma l’aveva accettato perché poi era tutto finito. Nella sofferenza sì, ma era riuscito a rialzarsi e non poteva davvero credere che quella non fosse stata la vera fine.
<< Lumus >> sussurrò, portando la bacchetta davanti agli occhi.
Di colpo la casa si illuminò, lasciandolo di sasso.
Tutto era perfettamente al suo posto. Niente era stato toccato, la casa era in perfetto ordine, niente ad indicare che probabilmente era stato commesso un omicidio lì. Ma c’era qualcosa che non quadrava e Ron se ne accorse subito.
Era troppo scuro, troppo silenzioso. E quell’odore. Lui lo conosceva bene, sapeva di morte.
Sentì i passi leggeri dei suoi colleghi alle sue spalle e deglutì, pensando ad Hermione. Aveva una brutta sensazione e, anche se raramente aveva ragione, quando sentiva che qualcosa di non troppo buono sarebbe successo quello, beh, accadeva.
Poi vatti a spiegare perché.
Che ironia che ha la vita.
Distolse i pensieri da casa sua dove probabilmente sua moglie lo stava aspettando in piedi, nonostante fosse l’una passata, davanti a una tazza di thè, preoccupata come ogni volta.
Lei non si era mai abituata a quelle ronde notturne. Hermione era pronta sempre a rischiare la vita, ma quando era Ron a farlo non poteva far a meno di preoccuparsi con tutta se stessa.
Ronald fece qualche passo avanti seguito dalla sua squadra. Dean Thomas lo seguiva a un passo di distanza e quello lo confortava.
Dean era un ottimo auror e, in caso di battaglia, avrebbero avuto buone possibilità. Erano nove, tutti preparati, tutti pronti a rischiare la vita.
Il salotto si presentò davanti ai loro occhi come il più normale dei salotti. Un divano grigio, un tappeto antico, una televisione a plasma e un tavolino in legno dove erano posati degli occhiali e un libro ancora aperto.
Un pianoforte era poco distante e la lampada appesa al soffitto spenta.
Normale. Se non fosse stato per la donna che tranquilla era in piedi in mezzo al salone, con la bacchetta, illuminata da un incantesimo, puntata contro il proprio viso.
Ron la riconobbe. Non avevano mai parlato tanto ed erano passati anni, ma Ron la riconobbe.
<< Cho >> disse, rilassandosi.
Cho Chang sorrise e l’ex Grifondoro ricambiò senza accorgersi di quello che sarebbe successo di lì a poco. Abbassò la bacchetta nello stesso momento in cui Cho puntò la sua verso di loro.
Ron non l’aveva notato, ma Dean sì. Aveva visto gli occhi di Cho e li aveva trovati vitrei, come se dentro di lei non ci fosse niente.
Prima che la donna pronunciò l’incantesimo Dean spinse l’amico di lato, facendolo cadere sul pavimento con un tonfo.
Un lampo di luce verde fuoriuscì dalla bacchetta di Cho e colpì Dean Thomas in pieno petto.
L’uomo guardò Ron per un ultima volta e poi cadde a terra. Gli occhi spalancati, la bocca aperta come per dire qualcosa che non sarebbe mai più riuscito a pronunciare.
Dean Thomas cadde a terra, morto.
Cho puntò la bacchetta verso di sé, sulla fronte. Non pronunciò alcun incantesimo e con un sorriso fece apparire un Marchio Nero. La maglia che indossava venne ridotta a brandelli da un altro incantesimo, lasciandola in reggiseno ed un altro Marchio Nero comparve sul petto.
Uno degli auror si avvicinò a lei con la bacchetta sguainata, ma fu sbattuto all’indietro da uno schiantesimo tanto forte da farlo svenire.
Tutti la guardavano ipnotizzati. Provarono ad avvicinarsi e a lanciare qualche incantesimo per fermarla, ma ogni cosa veniva fermata da un protego così potente da nemmeno scalfire la donna di mezz’età.
Ron non poté far altro che guardarla, come tutti, sapendo già quello che sarebbe successo tra poco. Osservò il viso calmo e rilassato e quegli occhi che finalmente aveva notato essere vuoti e si accorse che Cho era sotto imperio. Osservò le poche rughe che erano apparse sul viso ancora giovanile, guardò le onde dei capelli scure arrivare fino alla vita, il corpo magro.
Cho era così simile a tanti anni fa che gli risultò difficile riuscire a credere a quello che stava accadendo.
Sentì la paura farsi strada dentro di sé, insieme alla consapevolezza di non poter fermare quello che sarebbe successo e ai sensi di colpa per Dean. Dean, uno dei suoi più cari amici era morto, e Cho lo avrebbe seguito in breve tempo.
Tutti osservarono il punto interrogativo, seguito dalla fatidica frase ‘chi sarà il prossimo?’, comparire sulla pancia piatta della donna.
Lei sorrise, come in pace con se stessa, ignorando il sangue che colava dalla testa, dal petto e dallo stomaco, dove già esistevano delle cicatrici.
Puntò la bacchetta alla testa.
<< Avada Kedavra >>
Il corpo di Cho cadde a terra.
 
 
 
È giusto spendere due parole in memoria di chi ci ha lasciati.
Dean Thomas aveva combattuto coraggiosamente al fianco di Harry Potter durante l’ultima battaglia contro Voldemort. Aveva finito gli studi e poi era entrato all’accademia degli auror dove aveva incontrato una brillante strega, sposandola dopo cinque anni di fidanzamento.
A trent’anni aveva avuto una bambina, Madison Thomas, e solo due anni dopo si era aggiunto alla famiglia Mark Thomas.
Dean Thomas era un uomo coraggioso, un marito dolce, un padre amorevole, un amico fidato.
Dean Thomas non sarebbe mai stato dimenticato.
 
Cho Chang era stata una studentessa intelligente, una ragazza caritatevole e una combattente coraggiosa. Non si era sposata, ma aveva dato alla luce una bambina, Sonja Chang, a soli venti anni. Lavorava al ministero all’ufficio misteri e passava i week end con i suoi bellissimi nipotini.
Cho Chang era stata una brava persona e non sarebbe stata giudicata per quella fine.
 
 
 
 
 
 
 
Hermione Granger aprì la porta di casa sua, trovando davanti a sé suo marito. Ron era sconvolto.
Entrò in casa senza dire una parola, si lasciò abbracciare e circondare dall’amore e dal sollievo di Hermione, sapendo che, se non fosse stato per Dean, lui non sarebbe stato lì. Non l’avrebbe mai rivista. Non avrebbe mai rivisto i suoi bambini.
Dean. Dean era morto. Dean era morto per colpa sua. Dean era morto per salvarlo.
Ron restò in silenzio per ore, fissando senza muoversi la tazza di thè sul tavolo ed Hermione gli fece compagnia senza chiedere niente, senza forzarlo a parlare. E Ron gliene fu grato.
Passarono le tre e poi le quattro, le cinque e le sei. E Ron non aveva ancora parlato, non si era ancora mosso, non aveva spostato lo sguardo.
Hermione guardò l’orologio e capì di dover fare qualcosa.
<< Ron >> lo chiamò, sussurrando.
E le sembrò di essere tornata a più di venti anni prima, quando erano alla ricerca di quei dannati Horcrux e Ron non faceva altro che ascoltare la radio e fissarla senza parlare, senza guardarla davvero.
E le sembrò di essere tornata alla fine di quella battaglia, quando Ron si era buttato piangendo sul corpo di Fred, senza lasciarlo andare. Senza riuscire a credere alla sua morte, urlandogli di alzarsi, di aprire gli occhi, di dire qualcosa.
E le sembrò di essere tornata a quando avevano visto il corpo di Harry e tutti avevano creduto che fosse morto e Ron lo aveva fissato colpevole di non essere riuscito a fermarlo.
E le sembrò di essere tornata al funerale di Fred e ai mesi successivi, quando Ron non parlava e non mangiava.
Le sembrò di essere una ragazzina senza il potere di cambiare le cose, inutile. Si sentì piccola e indifesa.
Strinse le braccia intorno al busto come a consolarsi e si avvicinò a suo marito, poggiandogli una mano sulla spalla.
<< Ron >> ripeté con più decisione << Cosa è successo? >> gli chiese.
Ma lei non era più una ragazzina e si ricordò che avevano superato tutti quei momenti. Si ricordò di essere una donna forte e che molte volte era stata lei a far risollevare Ron. Si ricordò che inutile non lo era mai stata, non si era permessa di esserlo. E non lo sarebbe stata nemmeno quel momento.
Non era lei ad aver bisogno di consolazione, non ne aveva mai avuto bisogno.
Circondò le spalle di Ron in un abbraccio e lui si lasciò andare, posando la testa sulla sua spalla, stremato.
Non lo sentì singhiozzare, ma si accorse che stava piangendo.
<< Dean è morto e Cho Chang si è uccisa >>
Hermione non commentò e lo strinse di più, chiudendo gli occhi a sua volta e sentendo che si inumidivano ad ogni sussurrò di Ron.
<< Dean è morto per colpa mia >> disse Ron. << E’ morto per colpa mia >> ripeté.
Ron continuò a piangere sulla spalla di Hermione, ripetendo quella frase come se non riuscisse a crederci.
 
 
 
 
 
 
<< Le regole le conoscete. Niente maledizioni senza perdono, ma è un duello a tutti gli effetti e quindi dovete provare a vincere e non essere troppo gentili con l’altro >>
Ted ripeté comunque le ‘famose regole’, guardando i due contendenti sul palco nella stanza di Difesa Contro Le Arti Oscure.
Filip Karante e Ivan Rontik si fronteggiavano, uno davanti all’altro, bacchette alla mano e sorrisi spavaldi.
Tutta la sala era riempita da studenti di ogni scuola, dal primo all’ultimo anno, che fissavano la scena cercando di non perdersi nemmeno un particolare di quello scontro. Finalmente il giorno della prima sfida tra i due campioni scelti dal calice era arrivata e tutti non aspettavano altro che l’inizio di quell’incontro.
I professori e i tre presidi erano nelle prime file, seduti su una panchina fatta apposta per loro. Il preside di Dumstrang guardava con orgoglio i suoi studenti, mentre la gigantessa, preside di Beauxbatons, li fissava con sguardo divertito e incuriosito. La McGrannit invece sorrideva tranquilla, con le mani giunte sul grembo e le gambe accavallate in una posizione elegante.
Teddy fissò i due e scese dal ‘campo di battaglia’, sedendosi sulla panca alla destra di Lumacorno, che fissava i ragazzi con le mani sulla pancia e le labbra piegate in un sorriso.
La preside di Hogwarts si alzò e lanciò delle scintille verso il soffitto incantato.
<< Che il primo duello abbia inizio >>
Filip si avvicinò al suo avversario. Fecero entrambi un inchino e si allontanarono di tre passi l’uno dall’altro.
Uno.
Due.
Tre.
Dei lampi rossi uscirono dalla punta delle bacchette nello stesso identico momento e si infransero l’una contro l’altra rendendo i colpi innocui.
Filip fu il primo ad attaccare di nuovo, mancando però il bersaglio che si spostò leggermente di lato. L’altro rispose con un incantesimo di disarmo che venne bloccato da un protego ben eseguito.
I duelli erano la specialità di Filip. Quando aveva saputo che il campione si sarebbe deciso con un duello era stato molto più che contento e quando era venuto a conoscenza che il suo avversario sarebbe stato Ivan aveva quasi fatto i salti di gioia.
Si potevano dire tante cose su Ivan Rontik, che fosse coraggioso, intelligente, bravo in quasi tutte le materie, discreto giocatore di quidditch, bel ragazzo, buon partito. Ma di certo non ci sapeva fare con la bacchetta. Almeno non quanto Filip.
Si era davvero impegnato durante quelle settimane. Ci aveva davvero provato, si era allenato e aveva duellato tutti i giorni, cercando di raggiungere un livello accettabile. Cercando di avere almeno una possibilità di vincere.
Ma il duello finì dopo nemmeno dieci minuti.
Ivan fu scaraventato violentemente contro la parete. Svenne per il colpo e la bacchetta cadde accanto al corpo senza sensi.
Un boato di esclamazioni e incitazioni si sollevò nella sala, facendo sorridere il campione di Dumstrang.
 
 
 
 
Dire che Laila fosse preoccupata era decisamente un eufemismo. Non che fosse male con la bacchetta, ma i duelli la innervosivano. Era sempre stato così e sempre lo sarebbe stato.
Senza contare che l’unico posto dove aveva avuto la possibilità di duellare era tra le mura rassicuranti della sua scuola, sotto lo sguardo attento dei professori e con ragazze che si preoccupavano anche delle minima unghia rotta. Roberta era una di quelle e questo consolava un po’ la bionda.
Diede una veloce occhiata alle sue unghie. Erano corte, prive di smalto e decisamente poco curate. Non ci aveva mai pensato più di tanto, succedeva ogni tanto che passasse dello smalto dai colori pastello quando era in compagnia delle sue amiche, ma per lei non erano mai state niente di importante.
Ci aveva anche provato a portarle lunghe per un certo periodo di tempo, periodo che era durato a malapena una settimana, dopo la quale aveva cominciato di nuovo a morderle.
Il corridoio che portava alla Sala Grande si riempì di mormorii eccitati e subito dopo decine e decine di studenti si riversarono nello spazio. A Laila piacevano i posti affollati perché non le davano la possibilità di rimanere sola. Odiava stare sola.
Anche solo essere circondata da persone che ridevano e parlavano, anche se non con lei, le dava un senso di benessere, la faceva sentire parte del mondo.
Se puoi sentire le loro parole, se puoi sentire le loro risate, se avverti il loro profumo, se li vedi allora significa che sei viva.
Se sei da sola cosa ti impedisce di pensare che in realtà tu non esisti? Che in realtà non sei morta?
Quella era la sua più grande paura. Non la morte, perché dopo essere morta per lo meno non avresti sentito niente, non te ne saresti accorta. Ma la solitudine.
La spaventava a morte restare da sola.
Quel giorno le lezioni era state cancellate e Laila non poteva esserne più contenta, il tempo libero le avrebbe dato la possibilità di esplorare un po’ il castello, fare una passeggiata in riva a quel lago che le era sembrato un paradiso e magari farsi un giro per il prato immenso di Hogwarts. Sarebbe andata volentieri anche nella Foresta Proibita, aveva sempre amato passeggiare nei boschi, ma sarebbe sicuramente stata sola se fosse andata lì e, come diceva il nome, era proibita. Il che voleva dire che non avrebbe potuto avventurarsi.
Aveva un grande rispetto per le regole, Laila. Non aveva mai passato quella fase di ribellione che, come secondo una legge non scritta, doveva appartenere a tutti gli adolescenti e soprattutto a tutti quelli della sua famiglia. Sua cugina era stata davvero un problema per i suoi genitori: feste, fughe di casa con i vari ragazzi, fumo, alcol, droga.
Ma a diciannove anni aveva messo la testa a posto ed adesso, al contrario di tutte le aspettative, era entrata all’università di medimagia ed era anche piuttosto brava.
Ma la peggiore era stata, ed era ancora, sua sorella maggiore. Ventuno anni e ancora con lo spirito ribelle di una ragazzina.
Lei no. Non era mai stata così e mai lo sarebbe stata. D’altronde qualcuno di responsabile in famiglia doveva anche esserci.
Lei era sempre stata l’orgoglio dei suoi genitori, non perché fosse la figlia perfetta, era molto lontana dall’esserlo, ma perché non avevano nient’altro a cui aspirare.
Quando avevano scoperto la sua omosessualità erano stati costretti a chiudere un occhio in confronto all’overdose che aveva rischiato di uccidere Eve, sua sorella maggiore.
Si arrotolò la sciarpa intorno al collo e uscì all’esterno del castello.
Quasi ogni studente di ogni scuola era lì. Chi da solo, chi in gruppetti, tutti si godevano la giornata libera e l’aria decisamente rigida, essendo ormai novembre, non impediva loro di divertirsi. O leggere un semplice libro. O cantare una qualche canzone.
Laila sorrise e si strinse maggiormente nel cappotto. Nel chiacchiericcio concitato degli studenti si avvicinò al Lago Nero, dove un paio di coppiette erano abbracciate o qualche amico scherzava, cercando di buttare l’altro in acqua.
Inciampò su qualcosa e cadde a terra, fermando la caduta con le mani appena in tempo per impedirsi di battere la testa, ma si ritrovò ugualmente qualche filo d’erba in bocca.
<< Oh, ti sei fatta male? >> disse un voce femminile.
Laila alzò la testa e si girò incontrando uno sguardo chiaro su di lei. Si mise a sedere, ripulendosi ancora la bocca dalla terra e scrollandosi i vestiti.
Non era inciampata su qualcosa, ma su qualcuno. Guardò la ragazza davanti a sé e le sorrise come a rassicurarla.
<< No. Scusa se ti sono venuta addosso, non ti avevo visto >> rispose.
Lei alzò le spalle con noncuranza.
<< Figurati >>
Laila la guardò. I capelli rossi erano lunghi e lisci e le arrivavano fino sotto la vita, il viso era un ovale, le guance leggermente paffute, la pelle candida, il naso piccolo, la bocca rosea e dei grandi e limpidi occhi celesti, circondati da folte ciglia.
Il corpo esile e una generosa spruzzata di lentiggini sul naso, sulle guance e sparse per il viso.
Sorrise di nuovo e si accorse che i denti davanti avevano un piccolo difetto, essendo leggermente separati, ma era un bel sorriso. Esprimeva gioia.
<< Io sono Lucy Weasley >> si presentò, tendendole una mano.
Lei la strinse a sorrise a sua volta.
<< Laila Scerlì >>
 
 
 
<< Di solito vado in biblioteca nei giorni di pausa >>
Laila rise, girandosi a guardare la ragazza stesa al suo fianco.
<< Studi sempre? >> chiese.
Lucy scosse la testa.
<< La biblioteca mi rilassa, è l’unico posto dove sai troverai solo Rose >>
<< Chi è Rose? >>
<< Mia cugina >>
Erano sdraiate sull’erba oramai da mezz’ora, chiacchieravano, ridevano e scherzavano come due amiche di vecchia data. Laila aveva scoperto che Lucy era più piccola di lei di tre anni. Frequentava il quinto anno di Hogwarts. Aveva però problemi a memorizzare ogni incantesimo ed era sicura che l’unico motivo per cui i professori la mandavano avanti era che la sua famiglia era famosa.
<< Sai anche mia cugina parteciperà al Torneo? >> disse la rossa, tornando a guardare le nuvole.
Il cielo cominciava a farsi scuro e osservandolo attentamente potevano distinguersi un paio di stelle e la luna che aspettava di brillare.
Forse erano le sei. Tra un’ora ci sarebbe stata finalmente la cena. Era così affamata.
<< Rose? >>
<< No, Lily >>
<< Ma quanto cugine hai? >>
Lucy rise, dandole uno schiaffetto leggero sul braccio e contagiando anche l’altra.
Continuarono a parlare per una decina di minuti, di tutto o di niente. Laila le disse che era nervosa per il duello e Lucy le aveva raccomandato di stare tranquilla e limitarsi a dare il meglio.
<< Lucy, andiamo dentro? >>
Una voce maschile interruppe le ragazze ed entrambe si voltarono per guardare il nuovo arrivato.
Laila si trovò di fronte un ragazzo alto, con la pelle mulatta, i capelli scuri così come gli occhi. Le fissava stranito, ma ricambiò il sorriso che la bionda gli rivolse.
Lucy si alzò, sorridendo al ragazzo e scrollandosi la gonna della divisa che aveva indossato anche quel giorno.
<< Certo Fred >> poi si rivolse alla sua nuova conoscenza ed agitò la mano << Ci vediamo, Laila. È stato un piacere conoscerti >>
Lei annuì e le sorrise, salutandola a sua volta.
 
 
 
Il piatto che aveva di fronte scomparve appena Laila pensò di essere arrivata al suo limite.
Quel giorno era decisamente affamata. O meglio, era nervosa. E quando era nervosa mangiava.
Forse però non era stata una grande idea. Tra solo un’ora avrebbe avuto il suo duello e forse andarci così pesante l’avrebbe svantaggiata.
Se devo perdere è meglio farlo a pancia piena. Pensò, alzandosi dalla tavolata.
Quei cinque giorni erano stati decisamente divertenti. Aveva incontrato un’altra volta Lucy, questa volta in biblioteca (ok, forse l’aveva cercata lì) e avevano studiato insieme quel giorno. L’aveva aiutata con la trasfigurazione e si era accorta che la ragazzina aveva uno sviluppato talento in erbologia dove lei, invece, non eccelleva.
Dopo si erano viste ogni giorno e avevano studiato insieme o semplicemente chiacchierato di qualcosa di stupido.
Aveva incontrato un paio di volte anche il ragazzo con la carnagione mulatta, ma si erano a malapena salutati e sapeva il suo nome solo perché aveva sentito Lucy chiamarlo. Fred. O Freddy, dipendeva dall’umore della ragazza. 
Era probabilmente il suo ragazzo, aveva ipotizzato Laila. E questo un po’ la disturbava. A lei Lucy piaceva. Cioè, non provava emozioni forti per lei, a malapena la conosceva, ma c’era alchimia tra loro e Laila sapeva che sarebbero potuto essere buone amiche.
E poi era attratta da lei. Lucy era molto carina. Non sexy, non provocante, ma attraente. I lineamenti erano dolci, esattamente come lei, e a volte la facevano sembrare più piccola di quella che in realtà era. E a Laila piaceva.
Si diresse verso l’esterno, cercando un posto dove avrebbe potuto provare a calmarsi. Si sedette sugli scalini e poggiò il viso sulle mani, sbuffando aria condensata per quanto fosse freddo.
Anche quel giorno avevano avuto la possibilità di indossare vestiti normali, essendo state sospese le lezioni per il secondo duello. Il suo.
Laila aveva scelto qualcosa di semplice, dei leggins pesanti, un maglione largo e delle scarpette da ginnastica. Non molto elegante, ma decisamente comodo e confortevole.
Avvertì qualcuno sedersi accanto a lei e si girò incontrando gli occhi scuri di Fred che la osservavano.
<< Ciao >> sorrise lei.
<< Ciao >>
Entrambi rimasero in silenzio e la ragazza spostò lo sguardo verso il panorama. Non sapeva cosa dire. Non era poi così brava nella conversazione, a volte troppo timida per iniziare a parlare.
Fortunatamente ci pensò lui perché a Laila non piaceva il silenzio.
<< Senti, tu sembri una brava ragazza, ma questa cosa non può funzionare >>
Lei aggrottò le sopracciglia.
<< Quale cosa? >>
<< Tu e Lucy >>
Laila aprì la bocca e lo guardò negli occhi senza sapere bene cosa rispondere. Abbassò lo sguardo sulle sue scarpe e strusciò tra di loro le punte dei piedi, tanto per tenersi occupata.
<< Non sto cercando di rubarti la ragazza >> borbottò, continuando a guardare il terreno.
Okay, forse, e solo forse, ci aveva pensato un paio di volte. Ma questo non significava che ci avrebbe davvero provato. Una cosa che avrebbe sempre rispettato erano i legami tra le persone e lei non avrebbe mai diviso qualcuno di sua spontanea volontà, non si sarebbe mai permessa. Non le piaceva giocare con i sentimenti.
Quel pensiero le fece tornare in mente un paio di occhi celesti e una folta chioma nera, accompagnata da un viso e da un corpo perfetto.
Scosse la testa, cercando di liberarsi dell’immagine di Arielle. Non si erano più parlate.
Lei non le si era più avvicinata e Laila si era guardata bene dal farlo. Standole lontano avrebbe avuto più possibilità di dimenticarla.
Ma Laila lo sapeva che non era facile. Credeva di averlo fatto, di essersela finalmente tolta dalla testa, ma poi l’aveva rivista e le sue certezze erano crollate.
Perché Arielle era bellissima.
La risata di Fred interruppe i suoi pensieri, cogliendola di sorpresa. Laila alzò il viso e cercò gli occhi dell’altro che però non riuscì ad incontrare. Il ragazzo era piegano, con gli occhi chiusi ed una mano sulla pancia, cercando di fermare la risata.
Ha una bella risata, pensò Laila, è divertente.
Il Grifondoro si asciugò gli occhi con la t-shirt che aveva indossato sotto il cappotto e guardò nuovamente la bionda ancora con un sorriso divertito stampato in viso.
<< Lucy non è la mia ragazza, è mia cugina >>
Laila spalancò gli occhi e lo fissò stupita.
<< Ma non è questo il punto >> riprese lui, tornando serio << Lucy ha problemi di memoria >>
La bionda sorrise e scosse le spalle, rilassata.
<< Oh, lo so, mi ha detto di avere problemi a ricordare gli incantesimi >>
Fred sospirò e si passò una mano sul viso.
<< I suoi problemi sono leggermente più gravi di così >> spiegò, evitando il suo sguardo << Lucy non si ricorderà di te, fra meno di un mese >>
Laila fece per parlare, ma lui la interruppe.
<< Ha avuto un incidente più o meno un anno fa ed è ferma a quel giorno. Vive un mese e poi torna indietro dimenticando tutto l’accaduto >>
<< E’-è impossibile. Insomma lei sa di essere al quinto anno e sa ciò che succede >>
Fred la guardò di nuovo e Laila sperò di leggere nei suoi occhi una bugia che, però, non riuscì a trovare.
Il colore scuro degli occhi della ragazzo era caldo e dentro quel calore si nascondeva solo la verità. Gli occhi di Fred sembravano incapaci di mentire. Lui sembrava incapace di mentire.
<< Questo perché le racconto tutto. Ogni volta. Ogni ventisettesimo del mese dimentica tutto. E dimenticherà anche te. Non è facile, Laila. Non sei pronta >>
Fred si alzò e si spolverò i jeans. La salutò con un mano e se ne andò, lasciandola sola.
 
 
 
 
L’intero corpo studenti esultò e Laila si guardò intorno, sorridendo felice. O almeno, cercando di apparire felice.
Aveva vinto. Finalmente aveva vinto.
Era la campionessa di Beauxbatons.
Osservò la folla, incontrando lo sguardo di Arielle che le sorrise maliziosa. Continuò la sua ricerca e finalmente trovò lo sguardo scuro di Fred, vicino a lui Lucy sorrideva e batteva le mani.
Osservò il ragazzo. Aveva ragione, quello non era affatto facile e mai lo sarebbe stato.
Era pronta?
Laila non lo sapeva.
 
 
 
Angolo Autrice
Eccomi dopo una settimana a pubblicare il quindicesimo capitolo di questa storia!
Allora comincio con il dire che il primo ‘libro’ avrà 18 capitoli quindi ne mancano solo tre. Devo ancora finire di scrivere il diciassettesimo, a cui manca una piccola parte e tutto il diciottesimo che non credo sarà lungo come gli altri perché è una specie di epilogo!
Ora chiedo: come si fa a creare una serie? Perché io non lo so ahah
Comunque passiamo al capitolo: allora riguardo alla pria parte non ho molto da dire solo che mi trovo sempre in imbarazzo a scrivere della vecchia generazione. Nemmeno per le altre parti ho molto da dire e lascio commentare voi!
Grazie a tutte, ci sentiamo presto!

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Capitolo 16
 
 
 
<< Jamie >>
James sbuffò e in risposta alla voce che l’aveva chiamato aumentò il passo. Non era possibile.
Quella ragazzina era una maledizione. Lo salutava ogni volta che si incrociavano per i corridoi o semplicemente quando si trovava sotto un albero a leggere o studiare o farsi i benedetti fatti suoi, lo raggiungeva e si stendeva vicino a lui.
Non si smuoveva nemmeno dopo le sue più che esplicite richieste, fatte ovviamente dopo una serie di sbuffi così pesanti che solo quelli avrebbero dovuto far volarla via.
Ma lei no, non si arrendeva. Continuava a sorridergli nonostante lui non lo facesse, continuava a salutarlo nonostante lui la ignorasse, continuava ad importunarlo nonostante fosse più che palese quanto quello gli desse fastidio.
<< James >> chiamò ancora la ragazza, allungando il passo a sua volta.
Ma le sue gambe erano decisamente più corte di quelle del ragazzo e dovette mettersi a correre per raggiungerlo.
Shailene odiava correre, lo odiava davvero. Ma continuava a corrergli dietro, ogni volta. E nonostante cominciava ad ammettere quanto quella situazione fosse ripetitiva, ed anche un poco ridicola a dir la verità, non le importava. Anzi, lo considerava anche divertente a volte.
Lei che lo chiamava, lui cercava di ignorarla per poi farsi raggiungere, sbuffare fino a non finire ed accettare la sua presenza.
<< Jamie, ti devo parlare >>
Con l’ennesimo sbuffo il ragazzo si fermò e si appoggiò ad una parete con la schiena, rilasciando le braccia lungo i fianchi.
Anche Shailene si fermò. Poggiò le mani sulle ginocchia e prese un paio di respiri profondi, abbassando la testa e lasciando che i capelli le coprissero il viso.
Aveva già detto che odiava correre?
<< Certo che sei veloce >> commentò, senza guardarlo << Quasi quanto lo eri sulla scopa >>
Un altro sbuffo.
<< Che vuoi? >> chiese sbrigativo.
Prima quella ragazza se ne andava prima avrebbe ritrovato la sua tanto amata solitudine.
Il problema però era che, nonostante la voce mostrasse tutto il contrario, James non era poi così scocciato. Non gli dispiaceva poi così tanto la sua compagnia. Se fosse stato così, si sarebbe allontanato lui stesso quando lei si avvicinava e non si sarebbe fermato in quel momento.
Non gli piaceva, diciamo solo che la odiava meno del resto del mondo.
E quello Shailene lo sapeva. Non era stupida e sapeva anche fin troppo bene che le gambe di James erano due volte le sue e, se si fosse messo a correre, non l’avrebbe mai raggiunto. Era per questo che continuava a cercarlo.
Perché sapeva di non essere invadente. O per lo meno non troppo.
<< Vieni al ballo con me >> disse sorridendo.
Lo guardò negli occhi e lui non vi lesse nessun cenno di incertezza o di paura. Sapeva benissimo che la risposta ‘no’ era tra le più papabili, ma quello non sembrava certo fermarla.
Ma James riconobbe un pizzico di timidezza in quello sguardo e nelle guance imporporate di rosso.
Non riuscì a reprimere un sorriso davanti al viso della ragazza, ma si ricompose subito dopo, riprendendo la maschera di indifferenza e menefreghismo.
<< No >> disse solamente.
Si staccò dal muro e ricominciò a camminare, ma con andatura più lenta di quella precedente.
Shailene lo raggiunse. Incrociò le mani dietro la schiena ed alzò lo sguardo curioso verso di lui, come se non si fosse aspettata quella risposta, ma comunque non si fosse offesa.
<< Perché no? >>
James non la guardò.
<< Perché non mi piacciono i balli, perché non avevo intenzione di venirci e perché non so ballare >>
Ok, forse avrebbe potuto risparmiare l’ultima affermazione, anche perché non era completamente vero.
Riprovò.
<< E perché non voglio andarci con te. Sei irritante >> concluse.
Shailene perse il sorriso solo per un attimo. Un attimo in cui aveva creduto davvero a quelle parole. Un attimo in cui aveva pensato che non la sopportasse.
Poi l’aveva guardato negli occhi e aveva capito che sì, la considerava decisamente irritante, ma riusciva a sopportare la sua presenza.
<< Cosa credi ci sia tra di noi, Shai? >>
La ragazza ingrandì il sorriso ad ascoltare quel soprannome e James si chiese se fosse possibile vederla triste o seria o arrabbiata, o semplicemente non vederla sorridere.
E si rispose che probabilmente se Shailene avesse smesso di sorridere, qualcosa sarebbe stato sbagliato, perché quel sorriso sembrava così giusto.
<< Siamo amici, no? >>
Poi accadde quello che James non si sarebbe mai aspettato.
Shailene arrossì, ma non fu un timido rossore sparso sulle guance. Divenne decisamente rossa, un rosso forte, deciso.
James non poté fare a meno di sorridere perché in quel momento aveva un’aria così dolce.
<< Senti, noi non siamo amici >>
<< Mi odi davvero? >> chiese allora la ragazza.
James distolse lo sguardo, incapace di mentirle mentre la guardava negli occhi.
<< Non ti odio. Mi sei indifferente come tutti gli altri >>
Shailene annuì con convinzione. Cercò il suo sguardo per l’ultima volta e James si sentì in colpa perché quando la guardò in viso si accorse che non stava sorridendo.
<< Capito >>
 
 
 
 
 
 
 
Rose si guardò intorno con aria circospetta e, dopo aver constatato che non c’era nessuno, aprì la porta della biblioteca, chiudendola subito dopo di sé.
Sapeva di non dover essere lì, non in quella parte della biblioteca al terzo piano, ma non aveva saputo resistere. Quella era la parte di sé che i genitori probabilmente avrebbero evitato volentieri di trasmetterle. Una curiosità così acuta da sconfinare nel pericolo.
Prese dal mantello la sua bacchetta e illuminò la stanza, sussurrando l’incantesimo. Quella parte del castello, in cui doveva ammettere di essere stata più di una volta, era sempre immersa nel buio più totale, nonostante fuori fosse a malapena mezzogiorno.
Si mosse tra gli scaffali alti, cercando i libri sulla prima e sulla seconda guerra magica.
Aveva programmato una visita al reparto proibito subito dopo il primo duello al club dei duellanti, ma, a causa di un certo insegnate, non era riuscita ad andarci prima di quel pomeriggio.
Rose non era stupida, aveva ereditato la capacità intuitiva dalla madre, e di certo non si sarebbe fatta convincere da una scusa che stava a malapena in piedi. Sbuffò ripensandoci. Un club di duellanti per il Torneo Tremaghi.
Aveva visto le espressioni preoccupate sui visi degli insegnanti, anche su quello di Teddy, e aveva letto la preoccupazione anche nelle poche righe che sua madre le aveva scritto.
Si sedette su una sedia impolverata e sfilò la lettera dal mantello, aprendola nuovamente. Le parole di Hermione erano state strane, confuse e preoccupate. Ad una prima occhiata, e soprattutto a chi non conosceva la strega, potevano sembrare semplici raccomandazioni da madre. Ma Rose sapeva come era la donna e sapeva che le stava dicendo qualcosa. O che semplicemente aveva scritto senza davvero tenere in conto l’intelligenza della ragazza. Ma Hermione era troppo intelligente per lasciarsi scappare parole preziose e soprattutto l’importante non era quello, ma il fatto che qualcosa di strano c’era. E Rose l’avrebbe scoperto.
 
Cara Rose,
non ci sentiamo da almeno una settimana e mi manca leggere quello che hai da dirmi. So che tua cugina è stata scelta al Torneo Tremaghi e che presto avrà il duello contro Lysander. Non sarà facile.
Rose stai attenta a tua cugina, il Torneo è sempre stato pericoloso e gli avvenimenti sempre inaspettati.
So anche che Teddy ha intrapreso un club dei duellanti (portagli i saluti miei e di Ron). Ricorda, Rose, in tutto ciò che fai presta attenzione e non lasciarti trasportare.
 
Ti voglio bene,
mamma
 
 
Avvenimenti inaspettati. Ricorda, Rose. Presta attenzione in tutto ciò che fai. Non farti trasportare dagli avvenimenti.
Rose, dopo aver passato almeno un paio di notti insonni, era arrivata a delle conclusione. Insolite, ma comunque probabili.
Erano tutti riferiti alla guerra che avevano dovuto affrontare, quello che non si erano aspettati, l’attenzione ad ogni comportamento per sapere di chi potevano fidarsi, chi si era lasciato trasportare e si era adattato a decisioni non sue. E quel ‘ricorda Rose’.
Era evidentemente riferito al club e al torneo passati. Il primo era stato instaurato in risposta ad un pericolo e il secondo non era stato proprio un successo.
Rose aveva provato a parlarne con Ted. Sbuffò al solo ricordo.
 
 
 
<< Cosa sta succedendo? >> chiese la ragazza diretta, irrompendo nell’ufficio di Ted subito dopo il loro “duello”.
Il ragazzo alzò lo sguardo dalle pergamene e fissò la diciottenne. Sul viso era dipinto un sorriso di circostanza che a Rose non piacque per niente. Era solo qualche mese che erano fidanzati, ma la ragazza aveva imparato a riconoscere le sue espressioni e quel sorriso non significa niente di buono.
Stava per mentirle.
<< Cosa intendi? >> rispose.
Si passò una mano tra i capelli azzurri, che cominciavano a prendere una sfumatura più pallida, segno di agitazione. Abbassò gli occhi sulle pergamene per evitare di incontrare il suo sguardo.
Era quello il segreto. Non guardare gli occhi di Rose o avrebbe spifferato tutto in men che non si dica e non poteva farlo.
<< Sai cosa intendo >>
<< No, Rose >>
La rossa sbuffò e si portò i capelli ricci dietro l’orecchio per poi guardare di nuovo il fidanzato che fingeva di lavorare.
Odiava quando le persone le nascondevano la verità.
<< Va bene. Vuoi fare il finto tonto? >> chiese retorica, riprendendo a parlare subito dopo << Intendo, perché avete instituito un club dei duellanti? >>
Teddy alzò le spalle e si sforzò di non far cambiare il colore dei suoi capelli. Se avesse perso l’azzurro per lasciare posto a un bianco poco rassicurante di certo Rose avrebbe avuto la prova di quanto le sue parole fossero vere.
<< Per il Torneo >>
<< Credi che sia stupida? >>

Rose strinse i pugni, cominciando ad innervosirsi.
<< No, affatto >>
<< E allora non mentirmi >>
Teddy si alzò dalla cattedra e si avvicinò a lei. Le prese una mano e intrecciò le dita alle sue.
<< Rilassati, Rose >> disse, cambiando discorso.
Le prese il mento e alzò il viso all’altezza del sue, guardandola finalmente negli occhi. Le lasciò un bacio a fior di labbra, ma, prima che potesse baciarla davvero, la ragazza si liberò della sua mano e si allontanò, guardandolo con fastidio.
<< Ted, se vuoi tenere i tuoi segreti fai pure, ma non trattarmi come se fossi stupida. So che sta succedendo qualcosa e qualunque cosa sia lo scoprirò, anche se non mi aiuterai >>
Se ne andò e sbatté la porta dietro le sue spalle. Teddy sospirò, passandosi una mano tra i capelli.
 
 
 
Ted aveva cercato di tenerla occupata il più possibile, ma la sua posizione di insegnante significava anche avere delle responsabilità che non poteva rimandare così, mentre lui aveva una lezione, Rose ne aveva approfittato.
Dopo quella discussione e la lettera di sua madre era ancora più certa che ci fosse qualcosa da scoprire. Che qualcosa stava succedendo. E lei poteva scoprirlo. Doveva scoprirlo.
Prese un libro e lo aprì, cominciando a leggere.
Cosa sperava di scoprire, sinceramente, non lo sapeva. Ma da qualche parte doveva pur iniziare.
 
 
 
 
 
Dominique uscì dal dormitorio di Serpeverde, stringendo una lettera tra le mani e cercando di mantenere la sua solita espressione indifferente.
Strinse entrambi i pugni lungo i fianchi, quando Marie Smith e Sandra Jones le si avvicinarono sorridendo. Non si preoccupò di ricambiare il sorriso, ma si fermò prima di imboccare l’uscita per il giardino e si lasciò raggiungere dalle ragazze.
Tutto ciò che doveva fare era comportarsi normalmente, senza lasciar trapelare il suo turbamento.
<< Ehi, Domi, hai saputo? >> chiese Sandra.
Sul viso di Marie si dipinse un’espressione compiaciuta e la Serpeverde capì che la ragazza si riferiva alla foto che solo un paio di giorni prima era caduta dal cielo, inondando la Sala Grande.
Il corpo di Dominique si irrigidì all’istante e riservò alle due un’occhiata di puro odio. Lorcan e Lysander Scamander erano stati amici di famiglia sin da quando erano nati e tutti loro erano cresciuti insieme. Non che avesse stretto chissà quale grande rapporto con i due, come per tutti gli altri, ma questo non significava che godeva della loro umiliazione.
Strinse maggiormente i pugni, stropicciando la lettera e facendo diventare le nocche bianche.
<< Che Nott ti ha lasciata per correre dietro a mia cugina Roxanne? >> si rivolse alla Smith, che si irrigidì, ma non rispose alla provocazione.
<< Ora se volete scusarmi >>
Riprese a camminare, ignorando gli sguardi delle due puntati sulla sua schiena.
Uscì nel giardino di Hogwarts e si diresse sotto il Platano Picchiatore, poggiando la schiena davanti l’entrata della Stamberga Strillante.
Portò le ginocchia al petto e posò sopra di esse la lettera e sospirò, guardandola truce. Sinceramente avrebbe preferito se fosse arrivata qualche settimana, o meglio mese, dopo.
Il retro recitava il suo nome ed il nome del mittente: Gabrielle Delacoure.
Girò la lettera e l’aprì, chiudendo gli occhi e prendendo un grande respiro. Trattenne l’aria per pochi secondi per poi lasciarla andare.
Non era pronta e mai lo sarebbe stata, ma doveva trovare il coraggio per farlo.
 
Cara Dominique,
come ti senti? Come va la scuola? Spero tutto bene.
Vorrei ritardare il più possibile quello che sto per dirti in questa lettera perché non è affatto piacevole, ma so di doverlo fare quindi mi sto costringendo a scrivere queste parole.
Ho ricevuto i risultati dal San Mungo e sono ore che fisso questo foglio bianco, cercando il coraggio di mettere tutto nero su bianco. Ma non è facile. Sono ore che piango.
Mi dispiace tanto, Domi, ma il tuo tumore non è curabile. Puoi sottoporti alla chemioterapia e guadagnare un paio di mesi, ma non andrà via.
È ormai al quarto stadio e le metastasi hanno raggiunto anche il fegato e i polmoni, non limitandosi solo al cervello.
Ti restano cinque mesi di vita, sette con le cure.
Presto arriverà la lettera dall’ospedale, ma so che volevi fossi io a dirtelo. Mi dispiace se non l’ho fatto nel modo appropriato, ma non so fare meglio di così.
Non volermene.
 
Con amore,
tua zia Gabrielle.
 
 
 
 
Dominique rilesse la lettera di nuovo ed una volta ancora fino a quando quelle parole non si impressero nella sua memoria con il fuoco, oramai irremovibili.
Lesse ancora una volta per assicurarsi di aver capito bene e lo fece di nuovo, cercando di non concentrarsi sulle gocce bagnate che impregnavano la carta e infastidivano l’inchiostro.
Sua zia aveva pianto anche mentre scriveva.
Dominique appallottolò la carta e la gettò lontano, poggiando la testa sulle ginocchia. Sapeva di stare male, ma mai si sarebbe aspettata di stare così male.
Cervello, fegato e polmoni.
Era fregata.
Cinque mesi di vita.
Come si poteva dire ad una ragazza di diciotto anni che le rimanevano cinque mesi di vita?
Come avrebbe detto a sua madre che sarebbe morta, quando lei non sapeva nemmeno del suo malessere? E a suo padre? Victoire? Louis?
Louis sarebbe crollato, Dominique lo sapeva. Perché lui le voleva bene davvero, lui sapeva chi era davvero. A lui sarebbe mancata.
Forse gli altri cugini sarebbero addirittura stati contenti se si fosse tolta dai piedi.
Con quel pensiero fisso in testa, Dominique avvertì le guance cominciare a bagnarsi, ma solo quando l’acqua salata raggiunse le labbra disegnate si accorse che quelle erano lacrime.
Chiuse gli occhi, strizzandoli, come a voler togliere dalla sua mente quelle parole, ormai scolpite. Parole che l’avrebbero accompagnata fino alla morte.
Non poi per così tanto. Pensò Dominique con ironia, continuando a piangere. Strinse le braccia intorno al busto e si dondolò, cercando di calmare i singhiozzi che, imperterriti, continuavano a scuoterle il petto e interromperle il respiro.
Aveva scoperto il suo tumore un anno prima mentre trascorreva le vacanze in Francia da sua zia ed era svenuta costringendola a portarla al San Mungo. Era questo l’unico motivo per il quale Gabrielle ne era a conoscenza, perché era stata con lei.
Dominique l’aveva pregata di non dire niente a nessuno, nemmeno a suo marito e sua zia, dopo pianti e preghiere, le aveva dato ascolto dando al medimago il suo nome come riferimento e non quello della sorella.
Ma adesso il tempo stringeva e Dominique doveva rivelarlo a tutti. Dire che dopo cinque mesi sarebbe morta, perché lei non avrebbe fatto la terapia.
Che senso aveva vivere due mesi in preda al dolore? Senza sentire il tuo corpo? Perdere i capelli, le sopracciglia, il colore roseo delle sue guance. Perdere la sua bellezza e la sua forza, trovando solo debolezza, dolore e sofferenza.
Che senso aveva continuare a sopravvivere quando si era già morti?
Dominique non voleva morire, lei non l’aveva mai voluto, nonostante la sua vita non fosse quella che lei aveva sempre desiderato.
Non aveva lasciato che nessuno si avvicinasse a lei, essendo già di per sé solitaria ed arrogante, poi quando aveva scoperto la malattia aveva fatto di tutto per respingere tutti colore che tentavano di stabilire un rapporto. Ed adesso, seduta sull’erba fredda con la schiena a contatto con il legno umido, le ginocchia strette al petto, il respiro spezzato e la lettera stretta in una mano, i pugni così serrati da farle male e le lacrime che non volevano scomparire, si chiese, per la prima volta, se avesse agito nel modo più appropriato.
Era sola. Non aveva nessuno da cui andare, abbracciare e piangere tutta la notte. Sentire false parole di conforto che, per lo meno, davano l’illusione che tutto sarebbe potuto risolversi.
Sapeva che non era così, lo sapeva, ma ne aveva maledettamente bisogno. Aveva bisogno di qualcuno che la stringesse e le sussurrasse che l’avrebbero superata insieme, che era forte abbastanza per farcela, che non poteva immaginare la sua vita senza di lei.
Cinque mesi. Ancora cinque mesi di solitudine. I suoi ultimi mesi.
Come era morire? Cosa si provava? Sarebbe stato lento per lei, doloroso, interminabile. Forse lo meritava, dopotutto non era mai stata la figlia perfetta, la studentessa perfetta, l’amica perfetta, la ragazza perfetta, la cugina perfetta.
Dominique Weasley non era perfetta. E questa consapevolezza la colpì come un forte pugno allo stomaco. Capì che lei perfetta non lo era mai stata.
Era solo un involucro bellissimo che nascondeva morte e desolazione. Cosa aveva dentro Dominique?
Qualcosa di brutto, orribile, disgustoso.
Chi era Dominique?
Lei non lo sapeva. O meglio, non voleva accettarlo. Non poteva accettare di essere solo una ragazzina spocchiosa, arrogante, egocentrica, superba, cattiva. Dove erano i suoi pregi? Perché non riusciva più a vederli?
Un urlo strozzato le uscì dalle labbra carnose e lei non si preoccupò di nasconderlo, non voleva nasconderlo.
Urlò ancora ed accartocciò la lettera, lanciandola lontana e lasciandosi andare con un altro urlo.
Non voleva più vedere quel foglio, non voleva più guardare la realtà, perché il suo mondo di finzione le piaceva di più. Un mondo dove lei non era malata e poteva permettersi di allontanare tutti, perché sapeva che avrebbe poi avuto tempo per poterli riavvicinare.
Ecco cosa voleva Dominique, ecco cosa aveva nel suo mondo. Tempo.
Aprì gli occhi e ritrovò nel suo campo visivo non solo l’erba, ma la punta di un paio di scarpe da ginnastica. Si lasciò sfuggire un urletto, quasi spaventata, e fece un salto all’indietro, sbattendo con la schiena sul legno duro del vecchio albero ed esibendosi in un’espressione di dolore.
<< Non lo sai che piangere non risolve le situazioni? >>
La ragazza alzò gli occhi verso la voce maschile che aveva parlato e riservò un’occhiataccia al ragazzo. Riconobbe i lineamenti di Frank Paciock e sbuffò, cercando di rendersi presentabile e asciugarsi le lacrime che, però, non riusciva a fermare.
<< Non lo sai che parlare così agli sconosciuti è maleducazione? >> rispose saccente la bionda.
Si passò una mano sul viso e tirò su con il naso, distogliendo lo sguardo da quello scuro del ragazzo.
Frank alzò le spalle con disinteresse e si lasciò cadere sul prato davanti a Dominique che storse le labbra in una smorfia schifata.
<< Tu non sei una sconosciuta Domi >> disse lui, guardandola negli occhi.
La mezza veela deglutì e distolse lo sguardo dai profondi occhi castani di lui. Le tornavano in mente troppi ricordi che non voleva rivangare. Non di nuovo. Non adesso.
Ricordi che tornavano ogni sera e che aveva accettato nel caldo e nella solitudine del suo letto, come protezione dall’umidità dei sotterranei. Ricordi che non poteva affrontare alla luce del sole.
<< Sì, lo sono, adesso. Tu non mi conosci >>
Frank sorrise e afferrò la sua mano destra con la propria, mentre dava un colpetto sulla sinistra e le incitava a dargli il cinque.
Dominique sbuffò ancora, ma lo accontentò. Invertirono poi le mani e si diedero il cinque con la sinistra, unendole poi ancora e sbattendo i pugni subito dopo.
<< Sbagli sempre. Deve esplodere alla fine, Domi >>
La ragazza scoppiò a ridere, chiudendo gli occhi per il mal di testa che la colpì subito dopo. Odiava piangere.
Lo guardò negli occhi e abbatté le barriere nella sua testa, lasciando che i ricordi si insinuassero tra i suoi pensieri e la portassero indietro. A quando era felice. A quando aveva qualcuno. A quel periodo della sua vita che era durato troppo poco.
 
 
Una bambina di sette anni stringeva la mano di sua madre mentre si dirigevano verso una casa pericolante e per niente rassicurante. Ma Dominique adorava quella casa, adorava l’odore delle frittelle appena fatte di nonna Molly, adorava fare gli scherzi a Vic insieme a Roxanne, adorava vedere James e Fred fare qualche stupidaggine e venire poi rimproverati dai genitori, adorava parlare di magia con Rose, o ridere con Lily e Hugo, adorava aiutare Albus a trovare un modo per rubare i dolci senza che gli adulti se ne accorgessero. Adorava quando Lysander e Lorcan venivano.
Adorava la Tana.
Finalmente l’estate era arrivata ed i bambini avrebbero trascorso i tre mesi in quella casa che ognuno di loro amava con tutto se stesso per ciò che rappresentava per loro.
La porta di legno si aprì e la figura di una donna ormai anziana comparì sulla soglia. Dominique lasciò la mano di sua madre e corse tra le braccia della nonna, stringendola a sé e stampandole un bacio sulla guancia paffuta.
<< Benvenuta, cara >> la salutò, lasciandole un bacio sui lunghi capelli biondi << Stavo giusto preparando la cena >>
Dominique sorrise, mostrando un paio di denti che erano caduti e la nonna sorrise, riposandola a terra.
Entrarono insieme a Fleur e le più grandi si diressero in cucina, mentre lei corse nel soggiorno dove sapeva fossero i suoi cugini.
<< Sono arrivata >> urlò, entrando nella stanza.
In un battito di ciglia si trovò con il sedere a terra. Si lamentò, aprendo i grandi occhi celesti e fissandoli in quelli scuri che si trovavano alla sua stessa altezza.
<< Chi sei? >> chiese scocciata.
Il bambino davanti a lei alzò le spalle.
<< Frank Paciock >>
<< Dovresti chiedere scusa >>
<< E per cosa? >>
Dominique sbuffò e gli riservò un’occhiata truce.
<< Per avermi fatta cadere >>
<< Sei tu quella che correva >>
La bambina sbuffò di nuovo e, senza degnarlo di una risposta, si alzò, si spolverò il vestitino e andò dai suoi cugini.
 
 
 
Caro Frank,
non me la sto facendo sotto come una femminuccia. E comunque vorrei ricordarti che io sono una femmina, quindi ho il diritto di comportarmi da femmina.
Non dirmi che non sei impaurito per lo smistamento perché non ti credo. Perché di solito sei tu la femminuccia tra di noi.
Ho paura di capitare in una casa diversa dalla tua e di non vederti più tanto spesso.
Ma ne parliamo sul treno, tra una settimana.
Ti voglio bene
Dominique
 
 
 
<< Frank, sei qui? >> Dominique si guardò intorno, illuminando lo spazio circostante con la bacchetta e cercando di parlare a voce bassa.
Se Gazza l’avesse vista in giro per il castello a quell’ora di notte, sarebbe stata espulsa e concludere la sua carriera scolastica a tredici anni non era tra i suoi piani.
Nessuna risposta.
Una mano le afferrò il braccio e Dominique saltò in aria, con l’intenzione di urlare, ma un’altra mano le coprì la bocca, impedendoglielo. Venne trascinata in un corridoio buio che scoprì essere poi quello per Mielandia. Il passaggio segreto si chiuse ed una risata si disperse nell’abitacolo.
<< Sei sempre una femminuccia, Domi >>
La ragazza colpì Frank sul braccio ed incrociò le braccia al petto, alzando il naso in su ed esibendo un’aria offesa.
Le mani di Frank si posarono sulle sue spalle e posò la testa sul capo. Dominique arrossì.
<< Su, vieni, ho messo da parte una scorta di cioccorane solo per te. E questa volta ti costringerò a provare le gelatine tutti i gusti più uno. Non fare la schizzinosa >>
 
 
 
Dominique salì le scale verso la guferia, ripetendo nella sua testa il discorso che si era preparata.
Sperava che Frank non fosse in ritardo o avrebbe perso tutto il coraggio per affrontarlo. Ormai avevano entrambi quattordici anni e Dominique non poteva più mentire su quello che sentiva per lui. Frank era il suo migliore amico e la attraeva. La attraeva pericolosamente.
Era l’unica persona che le stava vicina nonostante ormai fosse diventata la reginetta insopportabile della scuola. I suoi cugini e lei si erano allontanati, tutti loro erano cambiati e avevano preso le proprie strade, ma Frank no. Lui era ancora lì e non era cambiato. Aveva ancora l’innocenza di un bambino e la spensieratezza di quando non erano ancora ad Hogwarts. Era quello che le piaceva di più.
Oltre ai capelli scuri e gli occhi cioccolato così profondi, le mani grande, le spalle large e anche quel filo di pancetta che aveva ancora. Le piaceva quell’aria da eterno bambino e anche leggermente tonta a volte, la stessa espressione del padre.
<< Ciao Domi >>
Lui la salutò, quando la  bacchetta della strega illuminò il luogo avvolto nella completa oscurità. Era gennaio, il cielo era coperto e un vento rigido fece rabbrividire la ragazza.
<< Ciao Frank >>
La Weasley pronunciò ‘Nox’ e intascò nuovamente la bacchetta. Preferiva l’oscurità, l’aiutava con il suo discorso.
Dichiararsi non era così facile per lei che non l’aveva mai fatto. Dominique aveva cominciato a scoprire il suo corpo ed aveva capito che, in futuro, avrebbe voluto che solo Frank la toccasse come vedeva fare ai ragazzi più grandi di loro. Voleva solo lui.
<< Cosa volevi dirmi? >> chiese il ragazzo, avvicinandosi a lei.
Deglutì e chiuse gli occhi nonostante non vedesse niente ugualmente. Tutte le parole sparirono, lasciandola brancolare nel buio più assoluto. Lei provava a cercarle, ma tutto ciò che avrebbe voluto dire si era volatizzato nel nulla, lasciandola sola.
Il cuore batteva veloce, così tanto da impedirle di sentire altro.
Dominique respirò pesantemente e poi si mosse. Alzò le punte e poggiò le mani sulle spalle di Frank, riconoscendo la loro consistenza. Sfiorò la sua bocca con la propria.
Frank fece un passo indietro ed illuminò la stanza con la sua bacchetta.
<< Cosa fai? >> chiese, sconcertato, guardandola negli occhi.
Dominique arrossì. Sentì l’imbarazzo farsi spazio in lei e poi essere mandato via dalla delusione e dalla rabbia.
Strinse i pugni e trattenne il respiro.
<< Pensavo di piacerti. Per quale altro motivo mi staresti affianco? >>
Frank la guardò stupito, non riuscendo a ribattere. Dominique sbatté un piede a terra e si girò di spalle. Sentì gli occhi pungerle e le lacrime arrivare.
<< Sei solo un ragazzino immaturo ed io non voglio avere niente a che fare con te >>
E corse via.
 
 
<< Dominique, sono ancora io e sono ancora qui. E tu sei ancora tu. Non sei cambiata >>
La strega distolse lo sguardo, puntandolo sul punto dove aveva lanciato la lettera. Ma quella non c’era.
<< Vuoi dire che sono sempre stata una stronza insensibile? >> chiese, girandosi di nuovo verso di lui.
Ed eccolo lì, il foglio rovinato, ancora stropicciato, poggiato sulle gambe di Frank.
Il ragazzo annuì con un sorriso.
<< Esattamente >>
Dominique scoppiò a ridere.
 
 
 
Angolo Autrice
Eccomi di nuovo qui con un capitolo più che lungo che tocca diversi punti.
Shailene che chiede a James di accompagnarla al ballo e la sua risposta negativa (ma non è finita qui, non disperate), Rose e il mistero con un piccolo momento Teddy/Rose ed infine, signori e signore, il grande segreto di Dominique Weasley e una piccola partecipazione del nostro nuovo personaggio Frank!
Allora ho appena finito di scrivere i diciottesimo capitolo e con quello si concluderà la prima storia della serie! Non vedo l’ora che lo leggiate!
Da adesso comincerò a stendere a trama per la seconda parte e spero di fare abbastanza in fretta!
Detto questo, non vedo l’ora di conoscere le vostre opinioni e sapere che ne pensate! Vi ricordo ancora FACEBOOK e ringrazio chi legge, chi ricorda/segue/preferisce e soprattutto chi recensisce!
Ci sentiamo presto!


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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


FACEBOOK
 
Capitolo 17
 
 
Shailene si lasciò cadere sul letto della sua camera, lasciando la testa al di fuori del bordo. I capelli lunghi toccavano terra, mentre gli occhi della ragazza erano fissi sul soffitto, pensierosi. Aveva le mani congiunte in grembo, le gambe piegate coperte da una tuta sgualcita e le labbra piegate in una smorfia confusa.
Axel era invece seduto a terra, una gamba piegata e l’altra distesa, le braccia rilassate e gli occhi chiusi, con un sorriso che aleggiava sulle labbra fine.
Alice era in piedi, appoggiata alla porta e lo sguardo annoiato puntato fuori dalla finestra. Indossava ancora la divisa scolastica perché non aveva avuto ne tempo ne voglia di tornare nei sotterranei per cambiarsi dopo le lezioni e poi andare sulla torre Corvonero per incontrarsi con i due.
La stanza era immersa in un silenzio tutt’altro che imbarazzante, ognuno di loro aveva questioni a cui pensare, domande da porsi, dubbi da risolvere.
Alice si lasciò cadere a terra, incrociò le gambe e portò le mani sulle ginocchia. Stava bene, in quel momento si sentiva parte di qualcosa. Chiuse gli occhi, ma la consapevolezza di non essere da sola rimase con lei e la fece sospirare di sollievo. Quella camera era disordinata ai limiti dell’immaginabile, Shailene sembrava essere impegnata in una riflessione da premio Nobel ed Axel era apparentemente addormentato, ma ad Alice andava bene perché loro erano lì.
Erano lì e lei non era sola. Erano lì e non l’avrebbero lasciata.
Alice se ne rendeva conto ogni giorno di più, aveva bisogno di persone di cui fidarsi, perché lei non bastava più. Aveva bisogno di sentire drammi adolescenziali perché si era stancata dell’indifferenza che provava. Aveva bisogno di sapere come fosse ridere così tanto da non riuscire a trattenere le lacrime, perché lei lo aveva dimenticato. Aveva bisogno di infastidirsi per un comportamento inappropriato perché sarebbe significato che le importava. Aveva bisogno di qualcuno che l’abbracciasse e si accorgesse delle sue ferite perché lei continuava a sanguinare.
Il suo pensiero corse a suo padre, quell’uomo che l’aveva sempre amata, ma che lei aveva puntualmente respinto, confinandolo al di là della sua freddezza. E pensò a sua madre. A quando era tornata a casa con un vestito nuovo e lei lo aveva lasciato nella busta in salotto senza nemmeno preoccuparsi di fingere di averlo visto. A quando non aveva risposto alla sua lettera. A quando aveva mandato al diavolo Neville dopo il discorso sui suoi voti.
Alice aveva qualcosa di sbagliato, lo sapeva. Lo sapeva perché non riusciva a fidarsi di nessuno. Lo sapeva perché non riusciva a sfogarsi in alcun modo. Niente era più abbastanza. Né le urla né il sacco da box. Perché quella rabbia che provava, quella inadeguatezza, restava lì, dentro di lei.
Ogni giorno, ogni ora, ogni minuto, ogni secondo.
Una rabbia cieca. Verso nessuno. Verso tutti. Verso se stessa. Verso la sua famiglia. Verso le ingiustizie. Verso le gentilezze.
Verso la vita.
Alice era profondamente arrabbiata con la vita. Il perché non lo sapeva. Ma sapeva che la mattina, quando si svegliava, era arrabbiata. Che la sera, quando si addormentava, era arrabbiata.
Ma in quel momento, in quella stanza, non lo era. Era serena.
<< Non capisco >> irruppe Shailene, rimanendo comunque immobile nella sua posizione.
Alice aprì gli occhi e la guardò interrogativa, ma la ragazza cadde nuovamente nel silenzio, grattandosi una guancia con una mano e continuando a fissare il soffitto come se tra le crepe dell’intonaco potesse leggere le risposte che cercava.
<< Shai, non è colpa tua >> le rispose invece Axel, senza scomporsi minimamente.
Gli occhi ancora chiusi, l’espressione ancora felice.
La Corvonero scattò sul letto, attirando di nuovo l’attenzione dell’altra. Si mise seduta a gambe incrociate, gomiti sulle ginocchia e posò la testa sulle mani, aggrottando le sopracciglia.
<< Ma non capisco >> ripeté ancora.
Alice alzò un sopracciglio, continuando a fissarla in silenzio. Shailene era strana. Seguire il suo filo di pensieri risultava più di qualche volta davvero complicato ed Alice aveva imparato che, se davvero voleva una risposta esauriente, doveva allora chiedere il motivo del problema, altrimenti la ragazza avrebbe continuato a blaterare frasi senza alcuna connessione logica.
<< Cosa non capisci? >> chiese allora, chiudendo nuovamente gli occhi.
<< Perché mi ha detto di no >>
<< James? >> chiese conferma la ragazza.
<< James >> rispose l’altra, sospirando.
Shailene davvero non riusciva a capire. Le parole di James erano rimaste scolpite nella sua testa e non volevano saperne di scomparire.
Mi sei indifferente come tutti gli altri”
Non capiva. Avevano passato del tempo insieme ed il ragazzo non sembrava indifferente. Non che le avesse dato chissà quale segnale, ma non si comportava come faceva come tutti gli altri. Le parlava, non la scacciava. Qualche volta le sorrideva.
<< Shai non preoccuparti, andrà meglio la prossima volta >> la rassicurò il cugino.
Shailene sbuffò e si stese sul letto con un tonfo sordo, chiudendo nuovamente gli occhi.
Perché le persone si complicavano la vita da sole? Non bastavano i problemi che si ponevano ogni giorno?
La vita andava presa con leggerezza, con serenità. Bisognava afferrare ogni occasione come se fosse l’ultima e bisognava vivere al massimo, senza paure. Ma chi non ha paura?
La paura fa parte dell’essere umano. È il primo sentimento nato, la prima emozione che tutti proviamo. È la paura che governa la vita.
La paura del passato. La paura del presente. La paura del futuro.
C’è chi ha paura dei ragni, chi dei serpenti. C’è chi teme di essere dimenticato, chi di non essere amato. Chi ha paura di non valere abbastanza, dei sentimenti, delle parole, dei gesti, delle azioni, delle novità, delle perdite e delle conquiste. E chi ha paura del concetto della paura stessa.
E Shailene lo sapeva che James aveva paura. James era pieno di paure che mai avrebbe potuto superare da solo. Quelle paure l’avevano schiacciato. Quelle paure avevano schiacciato tutti gli studenti della scuola.
Non avevano bisogno di un mostro per avere paura. Le persone sono brave a distruggersi da sole. Non c’era bisogno dei dissennatori per portare via la felicità, perché il genere umano ha la capacità di rendere tutto triste, scuro, buio. Anche quando c’è la luce.
Anche quando non ce ne è bisogno.
Shailene era umana. Shailene aveva paura come tutti gli altri. Sapeva che Alice aveva paura di restare sola, sapeva che Lily e Hugo avevano paura di deludere il mondo, sapeva che Scorpius aveva paura di un rifiuto e che Dominique aveva paura della vicinanza di qualcuno, sapeva che Lorcan aveva paura di essere se stesso, che Lysander temeva l’indifferenza, Lucy aveva paura di dimenticare, Freddie di essere visto. E ancora, aveva osservato Laila ed aveva capito che aveva paura della solitudine e del silenzio, Filip di fallire, Ted delle costrizioni, Rose dei pregiudizi. Cassandra della notorietà, Alec delle opposizioni, Albus delle prove, Louis dei confronti, Roxanne di esporsi troppo, Arielle di essere ignorata, Frank delle perdite.
Quel castello era pieno di paure e Shailene non riusciva a credere che Axel non ne avesse nemmeno una.
Lo osservava. Lo guardava. Lo studiava. Ma non riusciva a vedere niente. Non capiva. Axel sembrava immune. Sembrava libero, ma lei lo sapeva che essere liberi era impossibile. Il terrore, quello non se ne va mai. Resta con te.
Ma, lui, di cosa aveva paura?
<< Axel >>
<< Mhmh >>
<< Hai paura? >> chiese semplicemente lei, restando con gli occhi chiusi.
Alice puntò lo sguardo sul ragazzo giusto in tempo per vederlo sorridere. Axel sospirò.
<< Sì >> rispose, sicuro.
<< Di cosa? >>
Il silenzio cadde nella stanza e i tre ragazzi aspettarono. Shailene aspettava di sapere, Alice aspettava di capire ed Axel aspettava di scoprire. Scoprire la sua paura.
Perché lui non ci aveva mai pensato. Non ci aveva mai riflettuto, ma sapeva di averne una.
<< Di avere paura >> rispose infine.
Aveva paura di svegliarsi un giorno e scoprire di aver paura di qualcosa. Di un compito, di un discorso, dei sentimenti, della morte. Di qualunque cosa. Aveva paura di avere paura. Era terrorizzato dall’essere bloccato.
Shailene non rispose.
Alice ragionò in silenzio.
Axel nascose la sua paura in un cassetto. Ed era così che andava avanti. Non, non avendo paure, ma ignorandole, nascondendole, cercando di non curarsene.
<< Tagliati i capelli >> disse improvvisamente Axel.
Shailene sbarrò gli occhi.
<< Come scusa? >>
<< A volte un cambiamento porta cambiamenti >> si intromise Alice, alzandosi dalla sua posizione.
Si avvicinò al letto della Corvonero e si sedette sul materasso.
Axel sorrise ed aprì gli occhi, alzandosi a sua volta.
<< I capelli sono un punto di raccolta per i Gorgosprizzi che confondono chi ti guarda. Magari è ciò che è successo a James* >> spiegò Axel.
Shai deglutì e guardò i due amici.
Oh, beh, quella era una delle sue paure. Le piacevano i capelli lunghi.
Sospirò.
<< Tagliamoli >> decise, alzando le spalle.
 
 
 
<< Buongiorno a te >>
James alzò lo sguardo dal piatto della sua colazione oramai mezzo vuoto, mentre stringeva nella mano destra una tazza di caffè macchiato.  I suoi capelli quella mattina non ne avevano proprio voluto sapere di mettersi apposto e, dopo svariati tentativi, aveva lasciato perdere, uscendo sbuffano dalla porta del suo dormitorio.
Si spostò con la mano libera un paio di ciuffi caduti davanti agli occhi ed osservò la ragazza seduta davanti a lui.
Shailene gli sorrise, portandosi una ciocca di capelli cioccolato dietro l’orecchio e dando un morso al cornetto appena afferrato.
James sbatté le palpebre un paio di volte, cercando di capire se quello che avesse davanti fosse un sogno o più semplicemente se la stanchezza cominciasse a giocargli brutti scherzi, dandogli le allucinazioni. La fissò ancora per qualche secondo, bevve un sorso di caffè dalla sua tazza, poi si decise a parlare.
<< Ti sei tagliata i capelli >>
Il tono era un misto tra una domanda e un’affermazione.
<< Che perspicacia >> rispose la ragazza, rivolgendogli un altro sorriso.
Il Grifondoro la fissò ancora. I capelli cioccolato, prima lunghi fino alla vita, arrivavano adesso poco sopra le spalle in onde leggere ed appena accennate. I riflessi rossi sembravano più evidenti, messi in risalto dalla luce che li colpiva, insolita per quel periodo dell’anno. Il viso sembrava quasi più pieno con quel taglio di capelli e le conferivano un’aria più matura, ma allo stesso tempo più sbarazzina accentuata dal sorriso radioso e gli occhi espressivi, tendenti al verde.
La linea del taglio non era precisa, dando spazio a qualche ciuffo più lungo e qualcuno più corto di tanto in tanto.
Le stavano bene. le stavano bene davvero.
<< Li hai tinti? >> chiese ancora incredulo.
Shailene scosse la testa e si passò una mano tra l’oggetto dell’attenzione di James, sbuffando quando si rese conto che erano già finiti. Erano davvero corti per lei.
<< Ti piacciono? >> domandò, afferrando un altro cornetto e riempendo nuovamente la tazza di caffè.
Si sentiva energica, pronta a tutto. Alle lezioni, alla riunione Weasley/Potter alla quale partecipava come invitata speciale, a chiedere nuovamente a James di accompagnarla al ballo. Non le importava della risposta.
<< Ti stanno davvero bene >> si lasciò sfuggire il ragazzo a bassa voce.
Un sussurrò abbastanza rumoroso da arrivare alle orecchie della Corvonero e farla sorridere contenta.
<< Ma perché li hai tagliati? >> chiese ancora lui.
James non aveva la forza quella mattina di continuare a recitare, di continuare a comportarsi come aveva fatto in quel momento. Era così stanco da non riuscire nemmeno a controllare le parole che diceva.
Quella notte non aveva dormito. Era rimasto nel letto, girandosi tra le coperte e pensando incessantemente all’incontro del club che avrebbe avuto quella mattina. Era stato rimandato quella domenica. Lo avrebbero fatto nel pomeriggio, ma James non era sicuro di riuscir a vincere l’incontro di quella giornata.
Shailene alzò le spalle non curante.
<< A volte un cambiamento porta cambiamenti >> disse con voce solenne, annuendo con la testa.
<< Chi lo ha detto? >> chiese divertito James.
Shai sorrise ancora.
<< Alice >>
James bevve ancora dalla sua tazza e morse un cornetto per nascondere un sorrisino che era appena spuntato sul suo viso.
Quella ragazza era uno spasso. Era gioia e divertimento puro.
<< E che cambiamento vorresti nella tua vita? >>
<< Vieni al ballo con me >> disse ancora Shailene, sicura.
James smise di sorridere e si accigliò. Poggiò la tazza sul tavolo e guardò la ragazza sospirando.
<< Non fa per me >>
<< E’ solo un ballo >>
<< Non fa per me >>
La Corvonero sospirò e alzò gli occhi al cielo, ma dopo cinque secondi riprese a sorridere. Si alzò dalla panca e la scavalcò, poi si sistemò i jeans e il maglione sgualcito.
<< Vieni con me >>
 
 
<< Non lo farò >> affermò James, seduto sull’erba.
Shailene fece un paio di giri intorno a lui, volando sulla sua scopa nuova di zecca. Sua zia Laura ne aveva inviata una a lei e una ad Axel la settimana scorsa, dicendo che erano il regalo di Natale arrivato in anticipo.
Shailene non avrebbe trascorso il natale con loro quell’anno, nonostante le sue continue proteste. Laura l’aveva quasi costretta ad andare in Italia dalla sua ‘famiglia’ babbana. Aveva cercato di opporsi, ma la zia si era imposta ed aveva già comprato il biglietto aereo, sostenendo che non sarebbe potuta presentarsi nel camino di una casa di babbani. Sarebbero morti tutti d’infarto istantaneo.
L’aveva accettato per adesso, ma non si sarebbe arresa tanto facilmente. Il natale per lei era un periodo da passare a casa di Luna insieme ai gemelli Scamander ed Axel per poi recarsi qualche giorno alla Tana e festeggiare con i Weasley e i Potter, ospitata da Lily.
<< Non pensavo fosse così codardo >> disse Shailene, stuzzicando James.
Il ragazzo strinse le labbra e cercò di convincersi a resistere e non cedere alle sue provocazioni. Purtroppo quella non era mai stata una sua caratteristica.
<< Non ho paura. Semplicemente non fa per me >>
Shai sbuffò e si alzò di qualche metro da terra, lanciandogli un’occhiata di sfida.
<< Sembra la tua frase preferita >> disse, volteggiando in aria e saggiando la libertà che provava in sella alla scopa << Ammettilo che in realtà hai paura. Paura di ballare e paura di volare. O meglio paura di perdere una gara di volo contro di me >>
Per enfatizzare le sue parole, la ragazza aumentò la velocità fino ad arrivare ad un albero vicino ed afferrare una seconda scopa, poggiata lì appena qualche minuto prima.
Si trovavano nel giardino di Hogwarts, poco distanti sia dalla Foresta Proibita sia dal Lago Nero.
La Corvonero tornò indietro e lanciò la scopa a James che l’afferrò immediatamente.
<< Hai ancora i riflessi da cercatore >> commentò lei, sorrise ancora << Ma capisco che senza allenamento tu non possa battermi. Non preoccuparti, capita a tutti di essere impreparati >>
James sbuffò e sorrise, oramai sicuro che la ragazza avrebbe vinto quella battaglia. Si alzò e montò in sella alla scopa rovinata di proprietà della scuola, si diede una piccola spinta con i piedi e si liberò in aria, raggiungendo Shailene, che sorrideva vittoriosa, in pochi secondi.
<< Questa sfida non è equa >> esordì lui << La mia scopa appartiene al secolo scorso >> si lamentò.
<< E il migliore cercatore di Hogwarts si fa fermare da queste piccolezze? >> chiese retorica, guardandolo co sfida << Mi deludi >>
James sbuffò e si posizionò meglio sulla scopa.
<< Tre >>
<< Due >>
<< Uno >>
<< Via >>
I due ragazzi partirono. Shailene si piegò sul manico di scopa e spinse di più con le gambe, cercando di aumentare la velocità, imitata da James nei movimenti. Il ragazzo afferrò la scopa all’estremità e si spinse più in là, superando la ragazza di qualche centimetro.
<< Guarda lì >>
James indicò un punto in cielo e la Corvonero si voltò a guardarlo, lasciando che lui la superasse.
Il manico di scopa del Grifondoro fu il primo ad attraversare la linea del ‘traguardo’, ovvero la riva opposta del Lago Nero. La mora diminuì la velocità, ma non si fermò quando incontrò James sulla strada, sbattendo contro di lui e facendolo cadere a terra con il corpo sotto il suo.
Rotolarono per un paio di metri mentre i manici di scopa cadevano sull’erba. Shailene si trovò seduta sul suo bacino e fu colta da un déjà-vu del loro primo incontro.
<< Cerchi di uccidermi? >>
<< Hai barato >> rispose la ragazza, cercando di imitare una voce infastidita, ma continuando a sorridere.
James rise e si tirò su con il busto, avvicinandosi notevolmente e facendola arrossire. Si sentiva strano. Si sentiva leggero.
Una sensazione che dopo tutti quegli anni aveva quasi dimenticato.
I loro visi erano a meno di venti centimetri di distanza ed entrambi sentivano la vicinanza dell’altro. Shailene si sentì imbarazzata. Si sentì nuda sotto lo sguardo di James, sotto i suoi occhi nocciola così vicini, sotto il profumo così mascolino, sotto le labbra aperte in un ghigno ironico.
Riconobbe quel James che osservava quando aveva undici anni, riconobbe quel James di cui Lily le parlava.
Il ragazzo si avvicinò di più e la castana arrossì maggiormente.
<< Ti rendo nervosa, Shailene? >> sussurrò.
La ragazza schioccò la lingua sul palato e cercò di reprimere l’imbarazzo e la timidezza per una situazione così nuova.
<< Sì >> rispose con sincerità alzando le spalle << Ed io? Ti rendo nervoso James? >> sussurrò si rimando, avvicinandosi ancora di più.
I loro nasi si sfioravano e se solo avessero mosso le labbra avrebbero toccato quelle dell’altro.
James posò le mani sui suoi fianchi e chiuse gli occhi ispirando.
<< Mi fai sentire leggero >>
Un sussurro che fece sfiorare le loro labbra. Un sussurro che fece sorridere Shailene. Un sussurro che cambiò qualcosa nel loro rapporto.
<< Vieni al ballo con me >>
James sospirò.
<< No. Non fa per me >>
Shailene sbuffò, ma sorrise. Si avvicinò ancora al ragazzo e sfiorò leggermente le sue labbra prima di lasciargli un veloce bacio sulla guancia.
 
 
 
<<  Ehi, amico, cosa ti è successo? >>
Una voce ormai conosciuta raggiunse le orecchie di James appena fuori dalla foresta proibita. Il ragazzo si fermò, aspettando che Alec lo raggiungesse.
Tutto ciò che il Serpeverde mostrava era un livido appena accennato sulla guancia, messo in evidenza dallo strato di sudore che risplendeva sulla pelle. D’altro canto il Grifondoro portava dei segni ben più profondi. La parte inferiore del viso era completamente coperta da sangue, gli zigomi riportavano grandi e scuri lividi e il sopracciglio destro rilasciava una strisciolina di sangue che arrivava fino all’occhio.
James tirò su on il naso e passò il braccio sulla bocca, pulendola e lasciando una scia insanguinata sull’avambraccio.
<< Sono solo un po’ distratto >> rispose, riprendendo a camminare.
Alec asciugò il sudore dalla fronte e annuì come se avesse capito il problema dell’altro.
<< Queste ragazze ci portano via tutte le energie >>
Il Grifondoro alzò un sopracciglio divertito e ghignò, osservando l’espressione corrucciata e seria del compagno di scuola. Detta da Alexander Nott quella frase assumeva una sfumatura ironica.
<< Oh, beh, scommetto che mia cugina non ti lascia nemmeno respirare >>
Alec sospirò affranto.
<< Esatto. Roxie è sempre intorno a me, ma come biasimarla? È difficile resistermi >>
<< Roxie? >>
Il Serpeverde annuì convinto.
<< Le piace quando la chiamo così >> 
James scoppiò a ridere e si piegò su se stesso, poggiando le mani sulle ginocchia. Una fitta particolarmente forte dallo stomaco maltrattato nel combattimento lo colpì all’improvviso, costringendolo a tossire un paio di volte. Guardò in alto verso l’altro e si passò una mano sulla fronte.
<< Mi hai ucciso >> disse.
Alec alzò le spalle noncurante e ricominciò a camminare.
<< Beh, l’ultima volta le parti erano invertite >>
James lo raggiunse e si sedette sulla riva del Lago Nero, lanciando un’occhiata alla spiaggia opposta dove solo poco tempo prima era con Shailene.
<< E’ carina. Strana ma carina >> commentò Alec.
Si lasciò cadere sull’erba e sospirò, lamentandosi per la botta che il suo povero e bellissimo sedere aveva preso, facendo ridere James.
Si sentiva diverso ultimamente. Sentiva delle emozioni anche quando non si trovava con Lily, cominciava a provare delle cose, a sorridere senza accorgersene a sentire nuovamente il bisogno di parlare.
Come quando era bambino.
Cominciava a sentirsi vivo. James era arrivato ad un punto dove nemmeno la rabbia poteva risvegliarlo, poteva essere considerato un morto che cammina, un guscio vuoto, senza sentimenti.
Senza niente.
Ed adesso cominciava a ricredersi, cominciava a ricordare come era vivere. E gli piaceva. Sorridere appariva naturale, ridere come qualcosa che gli appartenesse, parlare come se non avesse mai smesso.
Alec e Shailene gli davano la voglia di provare delle emozioni. Era però Lily l’unica a dover essere ringraziata per aver mantenuto viva la speranza. Per non averlo fatto morire.
<< E’ irritante >> rispose, alzando le spalle.
Alec alzò le sopracciglia un paio di volte e gli rivolse un’occhiata scettica.
<< Non ci credi nemmeno tu >>
<< Stai attento >> lo avvertì James, cambiando discorso.
<< A cosa? >>
<< A Roxanne. Quella ragazza è forte, davvero forte >>
Alec rise, ma gli rivolse poi uno sguardo quasi intimorito.
<< In effetti un po’ mi fa paura >>
<< Ne fa a tutti >>
 
 
 
 
 
<< Puoi farcela >> ripeté la ragazza per l’ennesima volta.
Lily Potter era davanti allo specchio del bagno, le mani poggiate sul lavandino e gli occhi fissi sul suo riflesso. Prese un grande respiro e trattenne l’aria per qualche secondo, provando a calmarsi, ma la sua testa ed il suo corpo non volevano proprio saperne. Il suo cervello continuava a proiettare immagini di lei sconfitta durante il duello o peggio, andando più in la nel tempo, di lei morta durante una delle prove del torneo, mentre il suo corpo non smetteva di tremare.
Chiuse gli occhi, cercando di bloccare. Bloccare la sua mente, bloccare le gambe che sembravano così instabili.
Lily non era suo padre, non dava il meglio di sé sotto stress, non riusciva a mantenere la calma quando era sotto pressione. Una semplice ragazza. Lily era una semplice ragazza.
Ma non era quello che tutti si aspettavano da lei. La semplicità, la normalità non era ciò che le persone si aspettavano dalla figlia del grande Harry Potter.
<< Puoi farcela >> disse ancora, fissando gli occhi nocciola.
Strinse la presa sul lavandino e raddrizzò le spalle, cercando di darsi coraggio.
Era il grande giorno, quello del suo duello. Quello che avrebbe deciso se si sarebbe presentata al ballo come la campionessa o come colei che aveva perso.
Il giorno che avrebbe deciso se fosse davvero degna del cognome che portava o se non avesse niente del padre.
Dopo la caduta psicologica di James e le chiare dimostrazione delle differenze di Albus, il mondo magico aveva riposto tutte le sue speranze per qualcosa di fantastico nella piccola Potter. Lily aveva sempre sentito la pressione, il peso che le gravava sulle spalle. L’obbligo di essere speciale.
Questa era la sua occasione per dimostrare di esserlo davvero. Per rendere fiero suo padre, nonostante lo fosse sempre.
Harry non aveva bisogno di grandi dimostrazioni per essere fiero della sua bambina. Amava Lily, l’amava con tutto se stesso. E l’ammirava, perché la sua piccola Lily era speciale, lo era sempre stata.
<< Puoi farcela >>
Lily chiuse gli occhi ed aspettò cinque secondi nel buio, poi li aprì e si staccò dal lavandino. Lanciò un’ultima occhiata al suo riflesso e abbandonò lo specchio. Prese un respiro ed uscì dal bagno.
Poteva farcela.
 
 
 
<< Ecco a voi l’ultimo duello che precederà il Torneo Tremaghi. Scopriremo tra poco l’ultimo campione >> disse Teddy.
Spostò lo sguardo dal grande pubblico e lo posò su Lily alla sua destra, rivolgendole un sorriso e uno sguardo di incoraggiamento, lanciò un’occhiata anche a Lysander che sorrideva apparentemente rilassato. Lily trattenne il fiato e si sforzò di muovere gli angoli della bocca e di sorridere.
<< Che il duello abbia inizio >>
Lupin scese dal palco e si unì ai professori che osservavano i due ragazzi. Il silenzio cadde tra le scuole e tutti gli occhi si posarono sui due.
Lily e Lys si fronteggiarono alzando la bacchetta e rivolgendosi sorrisi di sfida, che nascondevano da entrambe le parti paura, eccitazione e ansia. Si separarono di tre passi l’uno dall’altra e aspettarono il tre dell’insegnante di difesa contro le arti oscure.
Uno.
Due.
Tre.
Il primo incantesimo partì dalla bacchetta di Lysander, ma mancò il bersagli, scagliandosi contro il muro dietro la ragazza che, come contrattacco, utilizzò uno schiantesimo che riuscì a sfiorare lo sfidante.
Si guardarono negli occhi e nello stesso momento i due studenti  lanciarono un incantesimo di disarmo che si infranse contro quello dell’altro, scatenando delle scintille. Lysander fu il primo a riprendersi dallo scontro e a lanciare un altro incantesimo che questa volta colpì il bersaglio, scaraventando la ragazza indietro e facendola cadere a terra.
L’intera stanza trattenne il fiato e guardò ad occhi sgranati la Grifondoro che, stringendo con forza la bacchetta, lanciò un confundus all’avversario prima che potesse disarmarla. Lysander si riprese appena in tempo per ripararsi dallo schiantesimo della rossa.
I due ragazzi si guardarono negli occhi per una manciata di secondi, cercando di anticipare la mossa dell’altro o, per lo meno, di cercare una buona difesa. Lily prese un lungo respiro e cercò di non perdere il contatto visivo, mentre con la coda dell’occhio destro vedeva la bacchetta dell’alto muoversi verso l’alto. In un battito di ciglia delle fiamme si librarono in aria, procedendo velocemente verso la ragazza che, all’ultimo momento, riuscì a ripararsi con uno scudo d’acqua. Il fuoco però non venne completamente domato e Lysander lo rafforzò con un’altra ondata di fiamme che si unirono alle vecchie, formando una spirale rossa.
La diciassettenne guardò ipnotizzata il fuoco ad occhi sbarrati e fece un paio di passi indietro quando avanzò verso di lei. Il pavimento di legno bruciò e le fiamme si propagarono per tutta la piattaforma, circondando i due ragazzi e liberando una dose massiccia di fumo.
Teddy lanciò un’occhiata preoccupata alla McGrannit che annuì ed il professore liberò un incantesimo di protezione che limitò l’ardemonio al campo di battaglia.
Lysander evocò facilmente uno scudo acqueo che domò il fuoco ed il calore intorno a lui. Lily, d’altro canto, osservò spaventata il fumo e le fiamme che la circondavano.
Era in trappola.
Una delle punte infuocate di trasformò nella testa di un drago che ruggì contro di lei, facendola indietreggiare ancora.
Sussurrò un protego che le allontanò di poco, ma dopo cinque secondi tornarono all’attacco, colpendola di striscio al viso e facendola gemere di dolore lasciando una piccola bruciatura accanto al sopracciglio e un alone nero a circondarla. Lily cadde a terra ed impugno la bacchetta, cercando di domare le fiamme.
<< Expelliarmus >> urlò Lysander, colpendo in pieno la ragazza.
La bacchetta di Lily volò in aria e cadde a terra vicino al palo. La rossa osservò l’ardemonio venir domato dal vincitore e in pochi secondi il fuoco ed il calore sparirono, lasciando solamente una nuvola di fumo.
Lily osservò il campione di Hogwarts.
Aveva fallito.
Aveva perso.
 
 
 
Cara Rose,
come stai? Come sta Hugo? Ho saputo che oggi si terrà il combattimento di tua cugina, spero che nessuno si farà male.
Ho ricevuto la tua risposta ed i documenti che hai trovato nella biblioteca scolastica ( anche se non approvo la tua decisione di andare nel reparto proibito).
Mi dispiace dire che, purtroppo, hai ragione. Qualcosa succederà presto. Qualcosa sta già succedendo.
Non so che cosa sia, nessuno lo sa, ma credo sarà più grande e più pericoloso di ciò che è accaduto a noi. Presto, molto presto, Hogwarts lo saprà perché dopo gli ultimi eventi sarà impossibile nasconderlo.
Rose, qualcosa si muove nell’ombra e voi dovete essere pronti ad affrontarla, dovete essere in grado di difendervi.
Mi dispiace dirti di non poterti aiutare. Brancoliamo nel buio, ma stiamo cercando di scoprire qualcosa.
Fai attenzione Rose, non avventurarti in posti in cui sarai lontana dal castello e soprattutto non andare da sola. Stai lontana dalla Foresta Proibita e cerca di restare lontana dai guai e tenere lontano anche tuo fratello.
Harry, io e to padre stiamo indagando. Ti darò presto notizie.
Ti voglio bene,
Mamma
 
Rose sospirò, ripiegando la lettera e poggiandola sulle ginocchia piegate. La gonna della divisa scolastica si alzò leggermente sulle gambe magre della ragazza che strinse le braccia intorno al busto. Poggiò il viso sulla finestra ed osservò il temporale che infuriava fuori dal castello.
La biblioteca era silenziosa e completamente vuota. I Grifondoro festeggiavano nella torre rosso oro, mentre Hugo, Shailene e Axel avevano trascinato Lily a Mielandia tramite il passaggio segreto per tirarle su il morale dopo la sconfitta.
Le altre case erano state ospitate dal vincitore e tutti sembravano divertirsi senza sapere ciò che sarebbe successo di lì a poco.
Rose non alzò gli occhi quando sentì qualcuno sedersi dal lato opposto della finestra perché sapeva chi era. Riusciva a riconoscere la pesantezza dei passi ed il profumo che l’avvolgeva. Non aveva bisogno di vedere per sapere.
<< Non voglio mentirti >> sussurrò Ted.
Il ragazzo puntò lo sguardo fuori dalla finestra verso la Foresta Proibita e il Lago Nero, osservò la pioggia che si posava sul vetro e seguì il percorso delle gocce, cerando un modo per parlare a Rose. Per farle capire ciò che non era così semplice da spiegare.
La ragazza gli risparmiò la fatica, allungandogli la lettera che aveva poggiato sulle ginocchia. Ted la afferrò e la lesse velocemente.
<< Siamo nei guai, Teddy. Quelli veri >>
 
 
 
16 Novembre 2024
Il 13 Novembre un gruppo di Auror esperti ed allenati sono entrati nella casa di Cho Chang , 44 anni impiegata all’ufficio misteri presso il Ministero della magia, dopo una soffiata anonima. La squadra, composta da nove membri e guidata da uno degli eroi della Seconda Guerra Magica Ronald Weasley affiancato da Dean Thomas, si è trovata davanti ad una casa normale, senza segni di effrazione o di tentato furto.
<< La signora Chang era sotto effetto imperio >> testimonia un auror parte della squadra, Mortimer Donsey.
<< Erano giorni che mia madre era strana >> testimonia sua figlia, appena uscita dall’asilo dopo aver ripreso i suoi bambini << La settimana scorsa è venuta a cena da noi e non era mia madre >>
Il capo della missione, Ronald Weasley, non ha rilasciato commenti.
<< Quando tutto ci sarà più chiaro avrete una testimonianza >>
Queste sono state le uniche parole che i tre eroi della Seconda Guerra Magica, Hermione Granger, Ronald Weasley e Harry Potter, hanno riservato alla stampa. Ma una fuga di notizie da una voce anonima ci fa sapere ciò che davvero è successo quella notte e soprattutto che questa non è a prima volta che gli auror si trovano davanti ad un caso del genere.
Sotto l’articolo viene riportata la foto di Cho Chang morta e segnata da profonde cicatrici significative in più parti del corpo.
Purtroppo quella notte si è verificata più di una perdita per il mondo magico, infatti anche Dean Thomas è stato ucciso dalla stessa compagna di scuola che si è poi suicidata imprimendosi quelle cicatrici. Il corpo di Cho Chang è poi sparito questa notte alle 3.
Gli auror brancola nel buio. Chi si dovrà affrontare questa volta?
 
Il silenzio cadde tra le mura di Hogwarts.  
 
 
 
 
 
 
 
 
*Ovviamente inventato, spero che non dia fastidio che io abbia  usato degli ‘animali già esistenti’. 
 
Angolo Autrice
Ed eccoci arrivati al penultimo capitolo della storia!
Allora scrivo velocemente qualcosa e poi vi lascio perché vado un po’ di fretta!
Vediamo un po’…. In questo capitolo rivediamo insieme Axel, Shailene ed Alice ed un piccolo cambiamento da parte di Shailene (che cambierà ancora nel prossimo capitolo)! Poi abbiamo di nuovo un po’ del nostro James (che io adoro) e Alec (che amo profondamente)! James e Shailene non andranno al ballo insieme, ma il quasi bacio compensa, no?
Piccolissima parte su Ted e Rose con allegata lettera e articolo di giornale!
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e vi ricordo l’accaunt facebook con le foto dei personaggi e piccole anticipazioni sulla storia!
Ringrazio chi legge, chi segue/ricorda/preferisce e soprattutto chi recensisce!
Ci sentiamo presto!

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


Capitolo 18
 
 
Arriva un momento nella vita di un ragazza in un cui riesce a ritrovarsi nell’animo di tutte le altre. Non importa quanto diversa tu sia, poco femminile, strana, timida, studiosa, cattiva, indifferente, solare.
Quando sei davanti allo specchio, stretta in un vestito meraviglioso che mai indosserai nuovamente nella vita, i pensieri di tutte si allineano e per un secondo, solo per un secondo, ognuna di noi apprezza ciò che vede. Poi si ritorna esattamente come si era prima.
Ed è questo il momento che sta assaporando Alice. Si guarda riflessa e non si riconosce.
Ed è questo il momento che sta attraversando Dominique. Vede la sua immagine e riesce a non pensare a nient’altro.
Ed è questo il momento che vive Shailene. Fa un paio di giravolte e osserva sorridendo il vestito che le ha regalato zia Laura.
Ed è questo il momento che ama Lily. Si vede e per la prima volta non pensa di andare al ballo con la persona sbagliata.
Ed è questo il momento che da soddisfazione a Rose. Si è trasformata, per una sera, in una ragazza bella oltre che intelligente.
Ed è questo il momento che aspettava Lucy. Le sembra quasi di non avere problemi.
Ed è questo il momento che fa storcere la bocca a Roxanne per nascondere un sorriso. Anche lei sa essere una ragazza.
Ed è questo il momento che fa arrossire Cassandra. Questa sera non si sente timida.
Ed è questo il momento che fa sorridere Laila. Tra tutti i balli in cui è andata sente che questo sarà il migliore.
Ed è questo il momento che fa ghignare Arielle. È sempre stata perfetta.
Rettifico, c’è una persona che non sta attraversando questo momento. Torniamo indietro di un paio d’ore.
 
 
 
<< Naya cosa significa che non vieni al ballo? >>
La ragazza fu fermata dalla mano forte di Alec che la guardava ad occhi sbarrati. Alexander Nott e Naya Zabini erano migliori amici da quando avevano imparato per la prima volta a camminare. Le madri dei due erano cresciute insieme e così avevano fatto i due ragazzi, condividendo tutto ciò che avevano. E ovviamente litigando ogni qual volta che ne avevano l’occasione.
E Alec poteva affermare con fierezza di essere riuscito a vincere tre volte in tutta la sua vita. Era qualcosa di cui andare fiero, davvero.
Naya era la tipica ragazza che nelle discussione aveva sempre la meglio. Intelligente, determinata ed abbastanza subdola da colpire il punto debole dell’avversario. E poi aveva quell’aria da spocchiosa purosangue mancata di un soffio che intimoriva non poco.
<< Significa che non vengo >> rispose semplicemente, continuando a camminare.
Alec la affiancò e la guardò oltraggiato.
<< Ma perché? >>
La ragazza sbuffò, stringendo i libri al petto. Non aveva tempo per discutere di qualcosa di così stupido e non aveva tempo per andare al ballo. Era in ritardo on una pergamena di pozioni e aveva tutte le intenzioni di finirla quella sera.
<< Perché il ballo del Ceppo è solo una stupida istituzione >> rispose, continuando a guardare dritta davanti a sé.
Alec la osservò per un momento quasi allibito.
<< Ma se fino a ieri non vedevi l’ora di andare >>
<< Questo è errato. Ti avevo semplicemente mostrato il vestito >>
<< E sorridevi >>
<< Io sorrido sempre >> sbuffò Naya, aumentando la velocità del passo.
Ovviamente il ragazzo impiegò poco meno di due secondi a raggiungerla di nuovo.
<< Smettila di dire stronzate e dimmi cosa è successo >>
Alec l’afferrò per un braccio e la trascinò fuori dal castello, fermandosi sotto un arco che li avrebbe coperti dalla pioggia.
Naya si sedette su uno scalino e chiuse gli occhi, aspirando l’odore a pieni polmoni. Aveva sempre amato la pioggia. Amava i temporali, i tuoni, i fulmini e la sensazione che il rumore delle gocce le dava mentre lei era semplicemente seduta dentro la sua stanza con una coperta a tenerle caldo, una cioccolata calda e un buon libro.
Amava la pioggia d’estate, quando poteva uscire, sedersi sulle rive del lago vicino casa sua e godersi semplicemente le gocce fredde che le bagnavano il viso e i capelli. Per ciò che poteva ricordare lei la pioggia l’aveva sempre amata.
L’aveva amata da quando sua madre la portava a fare lunghe passeggiate, mentre le parlava di come fosse importante avere una propria opinione.
L’aveva amata da quando suo padre le leggeva le storie di Beda il Bardo quando c’erano i temporali.
L’aveva amata da quando fingeva di averne paura per dormire con i suoi genitori e sopprimere incubi ben peggiori.
L’aveva amata quando sua nonna l’aveva finalmente accettata, nonostante le sue idee anticonformiste per quella famiglia. Andando contro l’opinione di suo nonno.
L’aveva amata da quando aveva piovuto al suo compleanno e lei ed Alec avevano passato la giornata a mollo nel lago.
L’aveva amata da sempre.
Il Serpeverde si sedette accanto a lei ed estrasse dalla tasca una sigaretta, accendendola poi con la bacchetta. Prese una grande boccata e poi rilasciò il fumo che colpì il viso della ragazza. Naya fece una smorfia disgustata.
Il fumo lo aveva sempre odiato.
<< Puoi evitare? >> chiese scocciata, arricciando il naso.
<< No >> rispose Alec, divertito.
Quella era sempre stata una delle loro discussioni ricorrenti. Alec aveva cominciato a fumare da quando aveva tredici anni e Naya aveva intrapreso da allora una campagna contro il fumo. Quando ne avevano sedici era arrivata a nascondergli le sigarette o rubargli la bacchetta per evitare che potesse accenderle. Avevano litigato davvero quella volta ed alla fine la ragazza si era arresa per preservare la loro amicizia.
Quella era stata una delle vittorie di Alec.
Ma non avrebbe vinto anche quel giorno.
Naya afferrò la sigaretta e la buttò a terra, calpestandola con un piede per poi farla evanescere con la bacchetta.
<< Ehi, ma perché devi essere così prepotente? >> borbottò il ragazzo, ricevendo in risposta solo un sbuffo.
Capì allora che la faccenda era seria. Se Naya non imbastiva una vera discussione per una sciocchezza allora non stava bene, nascondeva qualcosa. E Alec non era mai stato un tipo troppo paziente.
La loro amicizia funzionava così. Lui la assillava per sapere i suoi problemi e lei, dopo ventimila proteste, finalmente cedeva.
Ma questa volta Naya non aveva voglia di giocare.
<< Stamattina mi ha scritto mio nonno >> esordì.
Il silenzio cadde tra i due ed Alec assunse un’espressione seria.
<< Cosa riguardava la lettera? >>
<< Il ballo del ceppo. Credo che mamma gli abbia detto che sarei andata tra amici e ovviamente lui non pensa sia questo il modo giusto per presentarmi a tutte le scuole quindi ha pagato un ragazzo di Dumstrang per chiedermi di andare >> accennò una risatina nervosa << Il bello è che io ci avevo creduto davvero all’invito di quel ragazzo prima di ricevere la lettera. Ha pagato un purosangue con antenati mangiamorte e idee che seguono quel filone di pensiero perché per lui è ciò che si adatta di più a me >>
I ragazzi rimasero in silenzio per qualche secondo. Naya doveva metabolizzare davvero ciò che era successo, dirlo ad alta voce lo rendeva reale.
Alec sapeva che l’amica non aveva finito ed aspettava che aggiungesse qualcos’altro.
<< Gli ho risposto che poteva andarsene al diavolo e che non sarei andata al ballo ed è esattamente ciò che farò >>
Alec schioccò la lingua sul palato e le diede due pacche sulle spalle.
<< E allora andiamo a Hogsmade a divertirci un po’ >>
Naya scosse la testa.
<< Tu vai al ballo. Devi rompere le scatole alla Weasley, ricordi? >>
Prima che il ragazzo potesse controbattere e lamentarsi, Naya si alzò e ritornò dentro il castello.
Lei sarebbe andata ad Hogsmade.
 
 
 
Alice si guardò allo specchio e storse la bocca. Ora che la magia era finita, riusciva a vedere come fosse sbagliata stretta in quel vestito. Come fosse sbagliata inserita in quel contesto. Come sarebbe stata sbagliata al fianco di Lysander.
Come fosse sbagliata lei in generale.
Alice non apparteneva a quel mondo, fatto di brillantini e lustrini, fidanzati e vestiti. Non ci era mai appartenuta e non sapeva come gestirlo e per lei, che non lasciava mai a nessuno l’onore di scompigliarle la vita, era un gran problema.
Non sapeva come gestire Lysander e questo era una catastrofe.
Ma, ancora peggio, non sapeva come gestire se stessa ad un ballo, in sua presenza. Quella sera sarebbe stata un gran punto interrogativo e Alice non era pronta per i punti interrogativi. Lei voleva i punti o, male che andasse, quelli esclamativi. Ma quelli interrogativi no.
Le situazioni incerte no.
Come si gestiva l’attrazione? Come si gestivano le risate ed i sorrisi?
Alice non lo sapeva. Non si ricordava nemmeno l’ultima volta che aveva passato una serata con qualcuno che l’attraeva e forse non se lo ricordava perché non era mai successo.
E soprattutto, ora che Lysander aveva vinto la sfida, come si gestiva essere l’appuntamento di un campione?
Come si ballava?
Alice sbuffò contrariata e si lasciò cadere sul letto della camera di Shailene.
<< Io non vado >> annunciò ad alta voce, portandosi le mani davanti agli occhi.
Shailene le aveva chiesto di vedersi per prepararsi insieme e quando era arrivata nella stanza aveva trovato anche la presenza di Lily. Le aveva dato fastidio all’inizio, ma la rossa non l’aveva attaccata o ignorata, ma si era comportata come se fossero amiche da sempre.
Era così facile andare d’accordo con Lily che Alice si stupì di non esserci riuscita da piccola. Quella ragazza era solare, simpatica, estroversa e amichevole, ma mai invadente. Proprio la rossa si sedette sul letto accanto a lei, tirandosi indietro i capelli lunghi, mentre dal bagno provenivano dei borbottii indistinti da parte di Shailene che si era chiusa lì dentro almeno un quarto d’ora prima.
<< Sarà divertente. Lysander è un ragazzo alla mano e se ti stuferai di stare con lui potrai sempre venire con noi >> la rassicurò, guardandola.
Alice spostò le mani dagli occhi e si tirò leggermente su poggiandosi sui gomiti e ricambiando l’occhiata.
<< Non è il mio tipo di serata >>
Lily alzò le spalle e le sorrise.
<< Non è nemmeno il mio. La McGrannit mi ha ritirato tutti i tiri vispi Weasley che avevo. Ha controllato anche nella mia camera >>
Le due scoppiarono a ridere e le risate aumentarono quando dalla porta del bagno uscì una Shailene con dei capelli biondi gonfi, crespi e un’espressione tutt’altro che felice.
<< Ho cercato di lisciare i capelli con un coso babbano, ma mi sono bruciata e non ha funzionato >>
<< Perché sei bionda? >>
Shailene alzò le spalle.
<< Volevo provare >>
Lily si stese sul letto, continuando a ridere con le mani sulla pancia e le lacrime agli occhi mentre Alice sistemò con la bacchetta il disastro sulla testa della Corvonero.
<< Mi piace il tuo vestito, Alice >> disse Shailene, mentre si avvicinava alla sedia per prendere il suo.
La Serpeverde si diede un’occhiata e storse la bocca. Il vestito era decisamente carino, ma allo stesso modo la faceva sentire a disagio. Era lilla, lungo fino alla coscia e a palloncino.
<< A me no >> rispose, ributtandosi nuovamente sul letto.
Lily si alzò e la squadrò dall’alto, dopo di che aprì la porta della stanza ed appellò qualcosa dalla sua. Dopo pochi secondi lanciò un altro vestito ad Alice che la guardò stralunata.
<< Provalo >> disse solo, tornando davanti allo specchio per sistemarsi il trucco.
La Serpeverde infilò il vestito e si diede un’occhiata, rimanendo impressionata. Era corto fino a metà coscia, nero, con le maniche lunghe e una linea morbida. Al suo fianco comparve Shailene e dopo poco anche Lily. La Corvonero indossava un vestito lungo bianco con uno scollo sulla schiena, mentre la Grifondoro ne indossava uno perla corto a metà coscia e che le lasciava la schiena scoperta.
<< Sarà una bella serata >>
 
 
 
<< Hugo, sono qui >>
Shailene allungò la mano scuotendola in alto per attirare l’attenzione su di sé e cercare di chiamare l’amico che parlava allegramente con suo cugino.
James non era venuto, ma a lei non dispiaceva più di tanto, non avrebbe potuto costringerlo a fare qualcosa che lui non voleva.
<< Lene, smettila di agitarti tanto >> la rimproverò Lily, tirandosi i capelli indietro.
Si incamminò verso i due ragazzi seguita dalla Corvonero che, nel frattempo, si guardava intorno, soffermandosi su ogni ragazzo e ragazza presente nella sala. Ognuno aveva indossato qualcosa di diverso dal solito vestiario, ognuno sembrava unico.
Shailene incontrò lo sguardo di Alice che le sorrise imbarazzata mentre Lysander le parlava, vide Cassandra Nott che rideva insieme alle amiche e Lucy Weasley sotto braccio con il cugino mentre Laila Scerlì li guardava da lontano. Osservò Dominique che camminava regalmente verso l’uscita e Arielle che si avvicinava ad Albus guardandolo maliziosa, e lui che la ricambiava. Vide Roxanne ed Alec discutere mentre la ragazza copriva con le braccia la scollatura del vestito. Si accorse di Scorpius e dello sguardo adorante verso la Weasley veela e di Frank e del suo sguardo strano. Vide Lorcan appoggiato ad una colonna e Louis poco distante che gli lanciava occhiate di sottecchi. Osservò Rose avvicinarsi al fratello per salutarlo mentre Marie era accompagnata da Filip e seguita a poca distanza dall’inseparabile Sandra.
<< Wow >> esordì Hugo, quando vide finalmente le due amiche avvicinarsi.
Sistemò la cravatta e si avvicinò a Shailene, lasciando che Axel si accostasse a Lily, prendendola sottobraccio.
<< Signorina >> scherzò il rosso, porgendole la mano.
Shailene rise e accettò l’invito, dirigendosi verso la Sala Grande, addobbata per l’occasione.
 
 
 
Naya spostò la statua per avere accesso al passaggio segreto per Hogsmade e si intrufolò nel corridoio stretto, non preoccupandosi nemmeno di non fare troppo rumore. Tutti erano al ballo e nessuno l’avrebbe vista.
Rimise la statua al suo posto e illuminò la strada con la luce della bacchetta, rivelando le scalette che si presentavano davanti a lei. Con una mano strinse il maglione su di sé, cercando di tenersi più caldo possibile e  maledicendosi per non aver indossato il cappotto.
Strinse la bacchetta e cominciò a scendere le scale, sbuffando per togliere dal viso un ciuffo di capelli che era scappato alla cosa di cavallo che aveva arrangiato prima di uscire.
Arrivò alla fine della galleria e spinse in alto la botola, aprendola e causando un rumore sordo. Poggiò la bacchetta sulla superfice di legno della parte posteriore dei ‘Tre Manici di Scopa’ e poi si tirò su con le mani mettendosi a sedere sul pavimento e lasciando le gambe penzolare nel vuoto.
Sospirò e pulì le mani tra di loro, alzandosi e chiudendo poi la botola. Si abbassò per prendere la bacchetta ma una mano più grande e più veloce della sua la afferrò prima che potesse arrivarci.
Naya alzò di scatto lo sguardo con un espressione arrabbiata dipinta sul viso e il dito puntato contro il ladro.
<< Ridammela subito >> intimò.
Chi aveva preso la bacchetta si rivelò essere un ragazzo che adesso sorrideva osservandola e rigirandosi tra le mani il prezioso stecchetto di legno. Naya lo osservò e si ritrovò a pensare che avesse qualcosa di familiare, qualcosa nei capelli biondi e mossi, o negli occhi scuri o ancora nelle fossette ai lati delle guance.
<< Ridammela >> disse ancora, facendo un passo verso di lui.
Il ragazzo alzò lo sguardo, incrociando gli occhi di lei e facendola rabbrividire. Perché quello sguardo lei lo conosceva. Lo conosceva bene.
Solo non riusciva a collegare il nome al viso, perché era un viso che non vedeva da anni ed un nome che non sentiva pronunciato da altrettanti.
<< Naya, sei sempre stata così prepotente >> borbottò lui, guardandola divertito.
La Serpeverde aggrottò le sopracciglia e serrò la mascella quando pronunciò il suo nome e indietreggiò di un passo. Si era appena resa conto di essere disarmata e quel ragazzo aveva un qualcosa di misterioso e pericoloso dentro il suo sguardo.
Si girò, sempre tenendo la bacchetta tra le mani, prese uno scatolone che aveva poggiato a terra e si incamminò verso il bar.
<< Ehi, aspetta. La mia bacchetta >> si lamentò la ragazza con voce arrabbiata.
Tutto ciò che ricevette fu una risata e una risposta che la fece sbuffare.
<< Vieni dentro Zabini, ti offro una burrobirra >>  
Naya corse per raggiungerlo e lo seguì dentro la porta per il personale, entrando nel bar semivuoto e sedendosi su uno sgabello mentre il ragazzo allacciava un grembiule dietro la schiena e cominciava a mettere apposto la merce, posando la bacchetta sul bancone. La diciannovenne la afferrò velocemente e la infilò dentro i pantaloni, sentendosi immediatamente più sicura.
<< E’ il tuo modo per affermare la tua superiorità o le notizie degli ultimi giorni ti hanno resa paranoica? >> chiese retorico, lanciandole un’occhiata di sbieco.
La ragazza sbuffò e spostò nuovamente un ciuffo di capelli da davanti agli occhi.
<< Si può sapere chi sei? >>
<< Così ferisci i miei sentimenti, Naya >>
Sospirò affranto e si portò una mano sul cuore per fingersi davvero ferito. Fu allora che Naya lo riconobbe. Lo riconobbe dietro il sorriso divertito e dietro le sopracciglia corrucciate.
<< Rosier >> sussurrò, lanciandogli un’occhiata quasi dispiaciuta << Sei finito a fare il cameriere? >> aggiunse, riprendendo la sua solita aria.
Lui rise. Afferrò due boccali e preparò due burrobirre, sedendosi poi dall’altro lato del bancone e cominciando a sorseggiare la sua.
Evan Rosier, nipote di uno dei più grandi mangiamorte mai esistiti e figlio di un padre cresciuto con gli stessi principi. Migliore amico di Naya e Alec, almeno fino a quando non avevano compiuto undici anni.
Evan era stato dichiarato magono e rinnegato dalla sua famiglia, costretto a vivere da solo. Dopo i primi tempi di scambi di lettere con i due ragazzi il loro rapporto si era affievolito ed allentato sempre di più fino ad arrivare ad un punto di rottura.
Fino ad arrivare ad un punto di non ritorno.
<< Cosa ci fai ad Hogsmade? >> chiese.
Naya afferrò il suo boccale di burrobirra e prese un lungo sorso prima di rispondere.
<< Non avevo voglia di andare al ballo >>
<< Nessuno a chiedere la tua mano? Te l’ho sempre detto Zabini, tu spaventi i ragazzi >>
<< Chissà per quale scherzo della natura l’unico a non sembrare spaventato sia tu >>
Evan si sporse di più sul bancone e si avvicinò repentinamente alla ragazza, trattenendola delicatamente per il collo facendo in modo che non si allontanasse.
<< Perché io ti conosco >> le sussurrò all’orecchio.
La Serpeverde si liberò della sua stretta con una mano e si tirò indietro, imitando un’espressione disgustata.
<< Giù le mani >>
Evan rise, lavando il suo boccale e offrendone un altro alla ragazza che lo accettò senza protestare.
<< Come sta l’idiota? >> chiese, ridendo ancora.
Parlare con Evan era naturale. Le sembrava che non avessero mai smesso.
 
 
 
 
<< Non dovresti essere con Lily? >> chiese Shailene.
Aveva parlato senza nemmeno voltarsi per assicurarsi chi fosse, perché lei lo sapeva chi l’aveva raggiunta appena fuori dal castello. Solo un’ora dopo essere arrivata al ballo infatti Lene aveva deciso di allontanarsi un po’ e si era rifugiata sotto l’arco che portava al giardino di Hogwarts. Voleva vedere le stelle. Il cielo, soprattutto di notte, le sembrava così grande e immenso che li si sentiva piccola e di conseguenza anche i suoi problemi lo erano. Perché, strano ma vero, anche Shailene Ricci aveva dei problemi ed erano più vicini di quanto si sarebbe mai spettata.
Axel si sedette accanto a lei, poggiandole sulle spalle nude la sua giacca. Sorrise, guardando le stelle insieme alla cugina.
<< Lily ed Hugo cercano di aiutare Roxanne e Alec a correggere il punch sotto lo sguardo attento della McGrannit >> le disse.
Shailene rise e poi il silenzio cadde tra i due. Aveva sempre apprezzato la capacità di Axel di rimanere in silenzio, di aspettare che lei fosse pronta a parlare, di non spingerla a raccontare ciò che non voleva. Aveva sempre apprezzato la sua capacità di capirla ed accettarla.
Anche quella volta Axel non disse una parola, non fece un movimento, non sospirò nemmeno una volta. Semplicemente attese che sua cugina fosse pronta a dirgli tutto. Perché sapeva lo sarebbe stata.
E la confessione di Shailene non tardò ad arrivare.
<< Mio padre vuole che passi le vacanze di Natale da lui >> rise ironica << Non ricordavo nemmeno di avercelo un padre >>
La Corvonero poggiò i gomiti sulle ginocchia e sospirò, facendo volare un ciuffo che era caduto davanti agli occhi.
<< Tutti meritano una seconda possibilità >>
<< Di possibilità ne ha avute anche troppe >>
Shailene non aveva mai perdonato suo padre e dubitava che sarebbe riuscita a farlo in un immediato futuro. Dopo aver scoperto che Danielle Lovegood era una maga le aveva abbandonate entrambe, rintanandosi in Italia e non dando mai sue notizie o aiuto economico.
Poi era successo. Danielle era morta quando lei aveva solo cinque anni e Shailene era stata costretta a passare due mesi da suo padre in Italia prima che Laura Lovegood riuscisse a prenderla sotto la sua custodia. Così da allora aveva vissuto con Laura e suo figlio Axel.
Una settimana all’anno non bastava per aggiustare tutto ciò che era andato storto nella sua vita per colpa di quell’uomo. Una settimana all’anno durante la quale lui era gentile non bastava per farle perdonare ciò che aveva fatto a sua madre. Una settimana all’anno era niente in confronto ai diciassette anni della sua vita che aveva perso.
Simone Ricci non sapeva niente di sua figlia e mai avrebbe saputo qualcosa perché Shailene non era pronta a farsi conoscere.
Simone Ricci l’avrebbe costretta a passare il Natale in una famiglia che non era sua e a cui non voleva appartenere.
Simone Ricci aveva indirettamente ucciso sua madre e tutto ciò che c’era di brutto nella sua vita dipendeva da lui.
<< Passerò le vacanze in Italia, ma non pensasse che questo basti a sistemare tutto >> disse, alzandosi dai gradini  spolverandosi il vestito bianco.
Sbuffò, vedendo che una macchia non andava via e poi alzò le spalle, decidendo che in realtà non le importava.
Non si sentiva mai così pesante, non sentiva mai questo masso sullo stomaco o il groppo in gola che non la faceva respirare. Aveva bisogno di ritrovare la sua leggerezza e spensieratezza e l’unico con cui poteva farlo era Axel.
<< Facciamo un giro nella Foresta Proibita? >> chiese, sorridendo malandrina.
Axel sorrise ed annuì, incamminandosi al fianco della cugina.
Cominciarono a parlare come se lei non avesse detto niente, tralasciando la sua situazione familiare e soffermandosi sulle cose più assurde. Essendo semplicemente loro. Passando quel tempo da soli di cui avevano bisogno per ritrovarsi. Concentrandosi solamente sul loro rapporto.
Shailene considerava Axel suo fratello, tanto quanto Axel considerava Shailene sua sorella. Non di sangue, ma avevano sempre passato tutto insieme, erano cresciuti insieme, avevano vissuto insieme, avevano scoperto la magia insieme e imparato a guidare un manico di scopa.
Erano sempre stati inseparabili e sempre lo sarebbero stati.
Si fecero strada tra i rami folti della Foresta Proibita e la ragazza si complimentò con se stessa per aver cambiato le scarpe appena le era stato possibile. Si addentrarono nell’oscurità della selva, stando attenti a non inciampare troppe volte nei rami che uscivano dal terreno.
Un alito di vento più forte degli altri e il rumore di un ramo che si spezza mise in guardia Shailene che si fermò sul posto ed afferrò la manica della giacca di Axel.
<< Hai sentito? >>
Il ragazzo annuì e cercò la bacchetta tra le tasche prima di ricordarsi di averla lasciata in dormitorio.
<< Hai la bacchetta? >> chiese, sperando in una risposta affermativa.
La Corvonero scosse la testa ed un altro alito di vento a fece girare dalla parte opposta. Niente. Non c’era niente.
Solo rami e foglie, terra e fango. Eppure Shailene lo sentiva. Sentiva la sensazione di freddo farsi strada dentro di lei e procurarle dei brividi. Sentiva l’odore della paura che aleggiava intorno a loro come una nube. Sentiva la presa di Axel sul braccio che però non riusciva a rassicurarla.
Un atro alito di vento, un altro ramo spezzato.
<< Torniamo indietro >> sussurrò la ragazza facendo un passo indietro e calpestando una pozza di fango che sporcò il bianco candido del vestito.
Axel annuì.
Un altro alito di vento, un altro ramo spezzato.
Axel lo sentiva. Sentiva una presenza che si aggirava intorno a loro, giocando come se fossero dei topi in trappola. Sentiva i bisbigli che non potevano appartenere ad animali. Sentiva l’odore del sangue che presto sarebbe scorso.
Per la prima volta in vita sua Axel sentiva la paura e la preoccupazione. Sentiva il germe del terrore farsi strada dentro di lui e scalare il corpo fino ad arrivare al cervello. Lo sentiva sotto pelle, nel sangue, nelle cellule. Lo sentiva aggirarsi nello stomaco e giocare a pizzicare diverse parti solo per divertimento. Lo sentiva dentro di sé e sentiva che non se ne sarebbe andato.
Un altro alito di vento, un altro ramo spezzato.
Una risata. Una risata sinistra si propagò per la foresta, sbattendo sugli alberi e tornando indietro. La risata era ovunque.
Ed allora Axel capì. Erano circondati.
Riuscì a comprendere ciò che sarebbe successo un secondo prima che successe davvero. Afferrò le spalle di Shailene e la trascinò verso il basso, facendola cadere a terra un attimo prima che degli incantesimi si scontrarono al centro del cerchio che gli aggressori avevano creato.
Axel alzò lo sguardo e cercò di individuare delle figure umane tra i rami e le foglie, ma nemmeno un’ombra era distinguibile nel buio della foresta. Afferrò la mano di Shailene e cominciò a correre verso l’interno del bosco.
Erano soli, circondati e non avevano bacchette. L’unica speranza di sopravvivenza che avevano era quella di nascondersi nella Foresta e di pregare che qualcuno si accorgesse della loro assenza.
La ragazza inciampò in una radice e cadde a terra, sbattendo le mani e il naso. Si graffiò i palmi e un rivolo di sangue le sporcò a bocca mentre al centro del vestito si estendeva una macchia marrone. Axel fu colpito da uno schiantesimo e andò a sbattere contro l’albero che avevano di fronte, cadendo a terra con un mugolio di dolore. Shailene si avvicinò a lui e lo aiutò a farlo rialzare. Ricominciarono a correre fino ad arrivare ad una radura.
Un altro alito di vento, un altro ramo spezzato, un’altra risata.
Dall’ombra venne fuori una figura umana. Vestita normalmente, viso scoperto e bacchetta alla mano.
Shailene ed Axel conoscevano quel viso.
<< Teddy? >> chiese Shailene, indietreggiando di un altro passo.
L’uomo sorrise sinistro e scosse la testa, avvicinandosi a loro.
Il silenzio era di nuovo calato nella foresta ed Axel si accorse che loro tre erano gli unici ad essere rimasti. L’esercito che prima li aveva accerchiati non c’era più, probabilmente avevano valutato la situazione rendendosi conto che una persona bastava per uccidere due ragazzini diciassettenni senza bacchette.
<< No, ma mi piaceva l’idea che fosse la sua l’ultima faccia che vedrete prima di morire >> rispose, avvicinandosi di un passo ancora.
I due si allontanarono fino a quando non furono costretti a fermarsi, impediti da un albero.
Una goccia cadde sulla guancia di Axel. Il ragazzo l’asciugò con la mano e si accorse che era sangue. Alzò il viso verso il cielo e lo vide. Un corpo lievitava sopra di loro, con uno taglio sulla schiena.
Il finto Ted sorrise e con un gesto veloce della bacchetta inferì un taglio ben più lungo e profondo sulla schiena di quello che Axel pensava essere un corpo già morto. Lo girò dall’altro lato ed inferì lo stesso taglio.
Una cascata di sangue cadde sui due ragazzi che si ritrovarono coperti di quel liquido rosso e appiccicoso. Un odore pesante si liberò nell’aria insieme al grido che Shailene aveva emesso quando il corpo dissanguato era caduto sopra di lei, facendola cadere.
Si agitò sotto al peso del morto e riuscì a liberarsi solo quando Teddy spostò il corpo con un cenno di bacchetta.
E fu allora che Shailene la riconobbe. Il corpo di Cho Chang era steso davanti a lei, inerme. Privo di vita.
Si allontanò strisciando sul terreno ed emettendo un gemito di paura mista a dispiacere.
Un lampo rosso lasciò la bacchetta del finto insegnate e colpì Axel allo stomaco. Il ragazzo si guardò e toccò una macchia più scura che si faceva largo sulla camicia già completamente sporca di sangue.
Altro sangue. Il suo sangue.
Si sentì improvvisamente debole e avvertì le gambe cedere, facendolo cadere sulle ginocchia. Mugugnò di dolore e guardò Shailene con gli occhi appannati di lacrime.
Ted rise.
<< Cerca di salvarlo, ragazzina >>
E sparì.
Shailene si avvicinò al corpo di Axel, cercando di alzarlo e peggiorando così la situazione.
<< Axel, non addormentarti ok? Andrà tutto bene, promesso, però devi aiutarmi >> disse con voce spezzata, cercando di risultare il più convincente possibile.
Axel annuì e portò un braccio sulle spalle di Shailene, cercando di alzarsi. La ragazza fece forza sulle ginocchia e riuscì a mettersi in piedi, reggendo a malapena il peso del cugino.
Lanciò un’occhiata al corpo di Cho e lo guardò dispiaciuta prima di dirigersi verso l’uscita della Foresta Proibita.
Caddero diverse volte e altrettante volte si rialzarono, cercando con tutte le loro forze di uscire da quell’inferno e di cercare aiuto.
Finalmente rividero il chiarore della luna e si incamminarono verso il castello, mentre il corpo di Axel perdeva quasi tutte le energie.
Il portone della sala grande era davanti a loro. Shailene richiamò a sé tutte le sue forze e avanzò di ancora qualche passo, trovandosi finalmente davanti ai ragazzi che ballavano a ritmo di musica.
<< Aiuto >> sussurrò, sentendo il peso di Axel crescere.
Diede un’occhiata a suo cugino e si accorse che aveva chiuso gli occhi.
<< Aiuto >> gridò allora, attirando l’attenzione di tutti su di sé.
Nello stesso momento Axel svenne e cadde a terra portando Shailene dietro di sé.
La musica si fermò e il silenzio cadde tra le scuole.
 
 
 
 
 
Angolo Autrice
Sono in ritardo, lo so, ma questo è l’ultimo capitolo della prima storia e mi dispiace tantissimo pubblicarlo!
Ho scritto una parte del primo capitolo della seconda storia della serie, ma aspetterò un po’ prima di pubblicarla, perché voglio avvantaggiarmi un po’!
Passiamo al capitolo. Andiamo per ordine:
1-    Naya e Evan: cosa dire? Devo ammettere che la persona indirizzata a lei all’inizio era un’altra (magari provate a indovinarla ahah), ma ho voluto introdurre nella storia un altro personaggio che esce un po’ dagli schemi! Un Rosier magono che, talaltro, ha anche ripreso il nome del nonno.
2-    Shailene : si scopre un po’ di più sulla famiglia di Shai. La relazione familiare attuale sarà più chiara quando la nostra Corvonero festeggerà il Natale in Italia, con la sua famiglia babbana? Cosa credete che succederà?
3-    E infine, Shai e Axel: quello che è successo nella foresta e ciò che ne conseguirà. Non ho molto da dire in proposito, ma vorrei specificare che il volto di Ted è stato scelto a caso tra tanti e che l’uso della pozione polisucco per questo scopo sarà abbastanza ricorrente!
 
Ci ho messo parecchio a pubblicare anche perché non sono molto sicura di questo capitolo che, essendo l’ultimo e soprattutto quello di svolta, deve essere scritto bene. Non sono sicura di esserci riuscita, ma lascio a voi i commenti.
Per finire, vi ricordo l’account di FACEBOOK e ringrazio tutti quelli che hanno letto la mia storia!
Grazie a chi l’ha inserita tra le seguite.
Grazie a chi l’ha ritenuta degna di essere tra le proprie ricordate.
Grazie a coloro che l’hanno considerata tra le preferite.
E soprattutto grazie a voi che avete speso un po’ di tempo per dirmi le vostre opinioni!
Spero di riuscire ad aggiungere la prossima storia abbastanza presto!
Ci sentiamo!

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Capitolo 19
*** AVVISO ***


AVVISO

Buona sera a tutti! So che mi credevate morta ed invee non lo sono! So anche che avevo promesso che mi sarei fatta sentire presto e invece non l'ho fatto! Ho aggiunto questo avviso solo con lo scopo di dirvi che ho pubblicato il seguito di questa storia, sperando che a qualunque ancora interessi leggerlo!
Se c'è ancora qualcuno, beh, non vedo l'ora di sapere se vi intriga e di leggere i vostri commenti!
La storia si chiama Time is up- Heroes e, dato che sono idiota e non so fare i collegamenti ipertestuali potete trovarla sulla mia pagina!
Spero davvero di sentirvi presto!


 

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