Red Moon

di Giorgia_Farah
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Una giornata come le altre ***
Capitolo 3: *** Per il mio compleanno...una sorpresa inaspettata ***
Capitolo 4: *** Mi sei sempre sembrato un sogno ***
Capitolo 5: *** In un certo senso, mi sento...apposto ***
Capitolo 6: *** Cambiamenti ***
Capitolo 7: *** Un ruolo importante per vivere e lasciar vivere ***
Capitolo 8: *** Nuove conoscenze ***
Capitolo 9: *** L'invito ***
Capitolo 10: *** Compleanno da sovrano ***
Capitolo 11: *** Il risveglio e la storia di Drakon ***
Capitolo 12: *** La scoperta di un amore incancellabile ***
Capitolo 13: *** Ritorno a casa! ***
Capitolo 14: *** "una grande famiglia felice"?...si fa per dire ***
Capitolo 15: *** Ballo di fine anno scolastico ***
Capitolo 16: *** la crude verità ***
Capitolo 17: *** lo sento già così lontano ***
Capitolo 18: *** ad un tradimento irreparabile fino ad un nuovo amore ***
Capitolo 19: *** Casa dolce casa! ***
Capitolo 20: *** La presenza di una nuova vita! ***
Capitolo 21: *** Una decisione difficile ***
Capitolo 22: *** Complicazioni ***
Capitolo 23: *** Tempo scaduto ***
Capitolo 24: *** La vita eterna ***
Capitolo 25: *** Ultima notte....di sempre a Redmonn ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


                                                 

Se pensate che vi stia raccontando questa storia per annoiarvi sappiate che non ne ho alcuna intenzione. La mia vita è piena di intrighi, avventure spericolate, e soprattutto amore. Certo, avrei potuto possedere tanti tipi di amori, dato il mio fascino (come scoprirete più avanti), ma non ero quel tipo di ragazza che si prendeva ogni uomo che gli capitava ai suoi piedi.

Dunque, a parte il mio fascino, preferirei raccontarvi da dove tutto ebbe inizio, la mia storia comincia molto prima della mia nascita: sicuramente negli anni in cui viveva mia madre. A quell’epoca in cui tutto comincio mia madre era giovane, una fanciulla si può dire, molto amante della natura, timida, e dolce. Si chiamava Kate.

Sappiate che non vi sto descrivendo un paese che si trova nelle vostre carte geografiche, né trovereste il luogo se decideste di intraprendere un’avventura per ritrovarvi lì dopo vari giorni. È un luogo magico quello in cui abito, i quali ereditari sono creature magiche: orchi, fate, animali parlanti, draghi…c’è tutto e di più; qualunque creatura ora voi stiate pensando statene pur certi che in quel mondo esiste sicuramente. La situazione più interessante è che abbiamo uno stile di vita moderno come il vostro, tipo: c’è il calcio ma solo che i calciatori sono uomini alati con la loro palla volante e gareggiano dal cielo non da terra; le case sono come le vostre…negozi, alberghi…tutto simile al vostro mondo, a parte l’aeroporto che al posto di un aereo c’è un dragone; ma questo solo nelle città grandi e importanti, il mio luogo di nascita è piccolo.

Ognuno abita nel proprio regno, e in ogni regno ci abitano sempre sia creature di luce che creature di ombra tipo: fate e draghi, orchi e gnomi, maghi e streghe, ecc.… e chissà per quale ragione non si scatena mai una guerra: basta che ognuno rispetti le proprie regole per non essere ridotto a brandelli.

Il posto in cui crebbe mia madre, e successivamente io, si chiama Solemville ed era un paesino disperso nella campagna del Regno di Armonia. Già dal nome capireste che ogni giorno c’è più sole che nuvole, nelle stagioni invernale le nuvole coprono il cielo quasi un quarto d’ogni mese e quello fu stato sempre il periodo in cui combatto per la mia vita cercando di sfiorare il rischio di rimanere fritta.

Il paesino è diviso da una stradicciola sassosa che poi attraversa varie dune di prato fino ad essere allineata da una fila di alberi quasi spogli la cui fine rivela i resti di un antico castello, chiamato per l’appunto Redmoon: un castello antico di un milione di anni e passa, era posto su una pianura, si elevava su di questa con le sue imponenti mura che lo circondavano. Sotto i tetto merlati si riusciva a distinguere: l’alta torre circolare con la biblioteca, le finestre delle cucine erano posizionate sul lato a strapiombo e i balconi d’alabastro delle camere degli ospiti e- del governatore- sul lato del cortile. Da quei balconi si riusciva a vedere ogni cosa di Solemville e della campagna. Di fronte c’erano i bassi e tozzi padiglioni degli ospiti e quelli d’orto che erano affacciati sul lato più ripido. Il ballo si svolgeva nell’enorme cortile circolare.

Come negli altri regni- o villeggi e città, che siano- anche lì abitava sia creature benigne che maligne. Il vero peccato- non per me ma per le creature che adesso vi presenterò- era che di essere maligni ce n’erano soltanto due. Ma con un solo gesto potevano rendere a loro piacimento, o volere, tutti degli esseri mostruosi. Ad esempio io; per dirla tutta, ero tra l’essere benigno e maligno; tuttavia il destino volle che tutti gli abitanti del paese mi accogliessero come una di loro. La cosa era più piacevole ( molto piacevole).

Ebbene, e nomi di questi due individui erano Drakon ( padre) e Alucard ( figlio): due vampiri belli e tenebrosi, ed unici vampiri in tutta Solemville- grazie al cielo. Ora vi stareste chiedendo il perché io sia come loro, bè…il motivo miei cari amici è che io sono una specie di ibrido tra l’essere umano-magico e l’essere vampiresco: nacqui da mia madre e Drakon, e teoricamente sono una mezza-vampira. Eh già, un difficile destino il mio, ma non mi lamentai tanto.

Tutte le ragazze, nell’epoca di mia madre, si innamorarono si Drakon e di Alucard – ma soprattutto di Drakon- e giocavano a chi sarebbe diventata sua per prima, ma Drakon si innamorò della dolcezza e sensibilità di mia madre. E lei più tardi si innamorò di Drakon.

Quando mia madre scoprì che era in cinta di me – ed aveva diciott’anni- si spaventò e chiese al suo amato quale specie di essere sarebbe venuto fuori dal suo grembo. All’inizio i due vampiri rimasero scioccati…entrambi non sapevano che era possibile che dall’unione di un vampiro e un essere umano-magico si possa concepire un’altra vita. Una notizia bomba. E tutto era chiaro: sarebbe nato un mezzo-vampiro da mia madre. Ma la dolcezza e l’amore di mia madre non riuscii a far crescere la paura che mi accettò senza indugio. Perfino i suoi genitori accettarono le circostanze e tutto andò bene. Fino a quando…..

Nel momento del parto nessuno ci sarebbe aspettato che una creatura come me poteva uccidere mia madre: il mezzo-vampiro quando esce fuori dal grembo materno usa come arma i denti ( in questo casi i canini) e uccide nel maggiore dei casi la madre. Fortunatamente in quella famiglia non accadde tutto ciò: non fu Alucard né Drakon né i familiari di mia madre a salvarla: fui io; pensate che ancora oggi non riesco a farmene una ragione.

Poco prima di morire mamma volle tenermi in braccio per guardare per l’ultima volta “il suo angioletto” e in quel preciso istante le accarezzai la guancia, dalla mia manina uscì uno spiraglio di luce bianca che a poco a poco andò a posarsi sul corpo di mia madre guarendole poi la voragine sanguinata che le avevo creato nella pancia. Inaspettatamente, fu lo stesso Alucard ad aiutarmi ad uscire dal grembo mentre Drakon era pronto a trasformarla senza aspettarsi quello che sarebbe avvenuto dopo. La mattina seguente Drakon e mia madre decisero di ritornare come una volta: buoni amici. E fu stato.

A mamma dispiacque molto averlo lasciato, ma quando Hendrik entrò nel suo cuore la mancanza del suo primo amore non la sentii più. Hendrik diventò suo marito e il padre più comprensivo che ebbi mai avuto. Drakon, invece, ci rimase più male di mamma, tormentandosi giorno e notte, ma gli dispiaceva ancor di più che per colpa sua avesse generato una creaturina destinata ad un destino così orribile.

Per quanto ad Alucard non sentì la mancanza di nessuno perché di notte veniva intorno a casa mia. Si affezionò molto a me, come una sua sorellina tanto aspettata, tantoché veniva ad osservarmi mentre dormivo. Ho ancora qualche ricordo di quelle sere: una mano che mi accarezzava le guance e la testa, o delle frasi sussurrate come “ che bimba bellissima sei diventata” oppure “sembri un angioletto” ed una canzoncina che pareva una ninna nanna. Tuttavia, tutto questo lo fece quando ero ancora profondamente addormentata, quando pensavo in continuo che fosse sempre Hendrik che ogni volta veniva nella mia stanza per restarmi accanto. Quando ebbi la capacità di comprendere e capire tutto, i miei genitori mi dissero ogni cosa.

Forse, secondo voi, avrei dovuto essere soddisfatta di sapere che cosa ero veramente senza che mi facessi tante preoccupazioni o domande del mio essere, invece cominciai ad odiare Drakon ed Alucard con tutta me stessa. Il motivo? Aveva lasciato me e mia madre quando ero ancora piccola, durante il parto la costrinsi quasi ad una morte certa, e Drakon mi aveva fatto diventare quella che ero. Dopo due giorni dalla verità, la notte del secondo giorno, nel letto della camera mia mi svegliai sentendomi osservata. Rimasi spaventata alla vista di una figura oscura che si trovava accanto a me e accesi la luce, ma quando mi rigirai verso l’intruso mi accorsi che ero sola. La mattina seguente ne parlai con mio padre e mia madre ed entrambi non credettero alle mie parole dicendomi che forse stavo ancora sognando; ma io non mi sentivo pazza…avevo visto veramente quell’intruso. Dopo quella sera Alucard non venne più a farmi visita. Non mi dispiacque di averlo allontanato, ansi mi sentivo fiera di me per aver scacciato un vampiro- un parente- che perfino odiavo a morte. Non consideravo Alucard un vero fratellastro, e Drakon un vero padre. Loro non fecero mai parte della mia vita, erano come polvere nell’aria. 

In quel tempo imparai a padroneggiare di bene in meglio il mio potere: il potere della vita: era il principio di tutti gli altri elementi che avevano il resto della gente del villaggio: aria, acqua, fuoco terra, roccia, metallo, fulmine, ecc.… In un certo senso mi sentivo la più importate di Solemville ignorando il fatto che proprio Alucard sembrava esserne il capo: aveva il potere della morte.

Oltre a padroneggiare il mio potere cominciai soprattutto a scoprire molto di più della vampirella astuta che ero. Seppi che i vampiri non devono esporsi alla luce del sole altrimenti ne rimarrebbero inceneriti, hanno un udito e una vista più sviluppata degli esseri umani, non dovrebbero avvicinarsi all’aglio, alla chiesa, alla croce ed a altre simboli sacri che possono infastidire il mostro, possiedono lunghi canini per uccidere le loro prede e succhiarne il sangue e sono molto veloci e forti. Sono creature notturne che vagano nella notte come fantasmi per cacciare e attrarre la loro vittima con la loro bellezza sovrumana e l’ipnosi. Il sangue per i vampiri è come una fonte di vita.

I mezzi-vampiri, invece, sono un tantino contrari ai vampiri comuni: sono esseri pallidi e diafani con le stesse fattezze del loro genitore, ma con una aspetto malsano, possiedono i poteri di un vampiro minore (eccetto le abilità metamorfiche), non subiscono danni all’aglio o ai simboli sacri (ma provano ribrezzo per entrambi), né all’acqua corrente o al solo che li infastidisce ma può ustionarli (ma non veramente danneggiarli), ma in cambio possono essere feriti da armi normali e non possono entrare in luoghi sacri; possono cibarsi di sangue o anche di cibo umano (al loro piacimento) e sono più longevi della media della loro razza, diventando poi vampiri a tutti gli effetti dopo la morte. Hanno sia la vista che l’udito molto sviluppato, ma mai troppo rispetto ad un vampiro normale. Dentro di loro scorre sangue umano e il cuore batte più rapido rispetto a dei battiti cardiaci normali, hanno la possibilità di cresce come qualsiasi essere mortale. In alcuni casi smettono di crescere a diciannove anni per poi diventare totalmente vampiri comuni. In altri piccoli casi- se posseggono un partner umano- muoiono come qualsiasi essere umano.

Scoprendo me stessa, imparai a non cacciarmi nei guai e a cibarmi solo di sangue animale, donde evitare di cacciare sangue umano e sentirmi un’assassina. Le mie prede le cacciavo in un fitto bosco trovatosi nel lato est, lontano dieci chilometri di distanza tra Redmoon e Solemville, chiamato Boscosenzafine per il semplice motivo che una volta entrati questo sembra non finire mai impedendoti di uscirne. Boscosenzafine è ancora oggi un bosco magico: alberi che parlano, e si muovono a loro piacimento (maledetti a loro quando saltavo da un ramo ad un altro e quest’ultimi si muovevano facendomi cadere a terra sorpresa), animali aventi il dono della parola, fatine così piccole e luminose da sembrare lucciole, e altre minuscole creature da non saperle elencare.  Una cosa era certa: quel bosco ormai era come una seconda casa; dentro di esso mi sentivo più…me. La mamma mi permise anche di andarci nei giorni più afosi, lontano dal sole. In quei momenti aspettavo, oltre alle mia prede, qualcuno; contando i  secondi, minuti , ore, giorni, contai perfino i mesi trasformatisi poi in anni…Forse, sotto sotto, aspettavo il momento in cui Alucard venisse a cercarmi.





Salve a tutti, è la mia prima fanfiction e spero vi piaccia. 
A presto con il primo capitolo, mi raccomando ditemi se vi è piaciuto!!! Kiss....

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Capitolo 2
*** Una giornata come le altre ***


Capitolo 1

Era il 2 gennaio 1972. TIC TOC, contava i secondi il mio orologio circolare inchiodato sopra la porta. Centonovantanovemila secondi di intero studio. Fuori la stanza, oltre il giardino, nella strada sentivo lo zampettare di un gatto che la attraversava, il suo frun-frun era perfettamente udibile da qui che sembrava starmi accanto, sentivo dei passi di donne e uomini, il saltellare e ridere di un bambino, il graffiare delle lunghe unghie di un cane sopra il marciapiede mentre camminava…un uomo stava dando appuntamento ad una donna e lei rifiutò per vari impegni. Sicuramente era timida e non voleva dimostrarlo al conoscente. Ma il quel balbettare non le diede la sua riuscita vittoriosa su l’uomo che ammise una risata e poi passarono ad un altro argomento. Sentii il respiro della donna rilassarsi. Quanti cuori battevano fuori casa, quanti tipi di respiri….ah! che delizia. Udivo il vento muovere le foglie degli alberi, quello strofinarsi tra foglia a foglia mi fece pensare a Boscosenzafine; “chissà se mamma mi darà il permesso di ritornarci”, mi chiesi mentalmente, mentre rileggevo le stesse lettere di una parola tre volte. Ormai era inutile: i rumori, gli odori, i suoni, mi avevano completamente staccato dallo studio. Era impossibile che ritornassi a studiare quelle pagine. Ogni tanto sfogliavo il librò, ma solo per dare l’idea che ero interessata a quegli argomenti: studiavo storia. Una materia molto interessante per me, e che mi affascinava, ma quando l’avevo già ripassata per tre volte di seguito non mi garbava più. Fuori c’era più sole che nuvole. Massimo quattro o tre, si fa per dire.

Quattrocentocinquantatré secondi, sentivo i passi di mamma avanzare nella cucina, aprii un cassetto, udivo il fastidioso rumore del metallo che si spostava, prese una pentola….non sentì il rubinetto aprirsi: probabilmente aveva usato una magia. Fui colpita subito dal rumore dell’acqua che cadde di getto dentro la pentola, mamma posò la pentola sopra i fornelli con un rumore sordo che mi fece male alle orecchie. TIC TIC TIC faceva il pulsante quando mamma lo schiacciò per accendere i fornelli, e in seguito in rumore corrente, ma caldo: il fuoco. Il TI TIC TIC  non c’era più da quando il fuco del fornello mi aveva inondato l’udito. Mamma si schiarì la gola e fece un respiro profondo, camminò e i suoi passi si fermarono in un altro cassetto e ne estrasse una scatola di legno con dentro la pasta. Dentro la scatola gli spaghetti si muovevano tra loro. La scatola si aprii e gli spaghetti scivolarono nell’acqua della pentola che ormai cominciava a bollire.

“Bè, per ora lasciamo perdere il cibo umano”, pensai sbuffando, per cui mi concentrai e spostai il mio udito dalla cucina al salotto. Sentivo il battere frenetico del cuore di papà, e il sudore caldo che gli scivolava dalla fronte: era agitato. Per forza! Stava assistendo ad una partita di calcio tra due squadre: Occhiodifalco e Tamburbattente. Già sentivo che potevano vincere comodamente i ragazzi fatati di Occhiodifalco. Dalla gola di papà uscivano degli urli mai pronunciati dal vivo per non spaventare mamma. Sentivo le sue mani stringere la stoffa liscia dei pantaloni per il nervosismo. Il suo cuore si fermò: un giocatore alato della squadra Tamburbattente stava per fare un goal spettacolare ma l’intervento di un altro giocatore della squadra avversaria non gli concesse la gloria. Il cuore di papà tornò a battere, si abbandonò deluso sulla poltrona, coprendosi il viso con le mani. “Evvai! Continuate così Occhiodifalco!”, li incoraggiai mentalmente, soddisfatta. Ma ora c’era la pubblicità, quindi papà emise uno sbuffo e borbottò qualcosa “maledetta pubblicità”. Sbuffai anche io, ma divertita; era incredibile mio padre: quando vede che la sua squadra comincia a dare scarsa energia nella partita non vede l’ora che inizi la pubblicità per distrarsi, quando invece inizia la pubblicità non vede l’ora che ricomincia la partita. Mi lasciai scappare comodamente una risata fragorosa.

Indietreggiai l’udito e lo spostai da un’altra stanza. In quest’ultima tutto era calmo, a parte il “là, là, là!’’, di una vocina dolce e acuta appartenente ad una bambina, qualcosa di plastica cadde rumorosamente su un altro oggetto di plastica. Consuelo stava giocando con le bambola. Che bambina unica era Consy, la mia sorellina. Aveva sette anni ed era una bambina simpatica e dolce, solare soprattutto, faceva amicizia con tutti. Aveva i capelli lunghi e castani, con i boccoli, grandi occhi azzurri ed una corporatura gracile, viso paffutello con le guance rosee, era bassa- mi arrivava fino al braccio- e labbra esili e morbide, nasino all’insù. La sua corporatura era gracile. Praticamente era tutta papà, a parte la corporatura di lui che era muscolosa e con i capelli corti e spettinati. D’altro canto, era un bellissimo uomo.

Un’ora e centocinque secondi, sbuffai. “Accidenti! Adesso ne ho abbastanza!”, mi lamentai piano. Okay, adesso era il momento di finirla lì. Dopotutto avevo studiato fin troppo quel giorno, volevo andare dalla mia Consuelo. La volevo. Diedi uno sguardo antipatico verso l’orologio che continuava a contare i secondi con tranquillità; se a quest’ora gli orologi avrebbero preso vita avrei scommesso che alla mia vista avrebbero ingranato la quinta per partire via a zampe levate. Era una lotta contro il tempo la mia, odiavo i secondi, minuti, e ore…odiavo quegli aggeggi che sembrassero dirmi “goditi la vita fin che puoi perché non ti rimane troppo tempo”. Al diavolo gli orologi e il tempo! Io di tempo ne avrò avuto anche dopo morta; ma la cosa che mi raggelava era l’idea di quanti anni gli rimanevano ai miei familiari. Cosa avrei fatto se passati cento anni loro se ne sarebbero andati dalla mia vita. La testa mi consigliava qualcosa di malefico, che mi rabbrividiva fare, ma il cuore mi diceva che sarebbe andato tutto bene. A chi dovevo dare ascolto? Alla testa, o al cuore? Testa o cuore, testa o cuore, testa o cuore…..Ah! accidenti! Quanti pensieri orrendi quel giorno. Ero sempre stata così fantasiosa ma fino ad un certo punto, dovevo smetterla di farmi tante preoccupazioni; “Coraggio Alexia, questa questione la risolveremo più avanti”, mi incoraggiai, ottimista. Di seguito, feci un respiro profondo, e chiusi il libro. Contai fino a tre e poi ritornai ad ascoltare i rumori della mia stanza: silenzio, a parte il ticchettio di quel maledetto orologio; mi guardai attorno, giusto per salutare la mia stanza e passare a quella di mia sorella. Puntai, per preferenza, lo sguardo sulle tende, lo allungai: riuscivo a vedere, come se guardassi attraverso la lente di ingrandimento, i fili di seta perfettamente cuciti per creare la stoffa, i piccoli granelli di polvere che si alzavano dal vetro e oltrepassavano le tende per appoggiarsi delicatamente sul pavimento, sembravano microscopici pianeti che vorticavano l’uno distanziato a sei, se non dieci, centimetri dall’altro in una danza infinita, tipo la danza della neve. Riuscivo a vedere quello che l’occhio umano non sarebbe mai stato in grado di vedere: vedevo i colori dell’arcobaleno del bianco della luce della lampada, e a distinguere le varie scie luminose al suo interno. Dietro la luce riuscivo a contare le venature legnose del soffitto, e se allungavo la mia vista avrei potuto dire che assomigliavano a delle enormi crepe. Sul pavimento riuscivo a vedere i milioni ed infiniti granelli di polvere che formavano un velo sopra le piatte mattonelle di legno. Anche se guardavo una pagina di un libro distante da me dieci metri riuscivo a leggere facilmente le mille frasi nel rispettivo foglio. Lo ammetto, era una cosa celestiale quello di vedere tutto quello che gli umani non potevano mai vedere in un modo più ravvicinato; vi avrei perfino giurato che sapevo ogni cosa della mia camera, anche quella più microscopica.

La mia stanza era a forma rettangolare, posta nella zona est della casa, l’enorme finestra che faceva anche da porta si trovava nel lato parallelo della sta stanza in cui si trovava la porta d’entrata. Dopo l’enorme finestra, il terrazzo: di lì riuscivo a vedere il castello di Redmoon. Quel giorno avevo coperto il vetro della finestra per impedire alla luce del sole di entrare nella stanza. Quel posto della casa era il mio regno: la parte che adoro di più. Appena si entra, la cosa che colpisce di più sono le pareti color porpora, decorata successivamente con dei sottili ricami floreali dorati. Tutti gli altri mobili sono di legno: accanto alla scrivania, posta di fianco alla porta, c’è la libreria. Sulla scrivania c’erano tre libri, messi però in modo disordinato dato l’impegnativo studio del giorno, accanto ai libri c’era una lampada di vetro con il coperchio fatto di stoffa bianca, un porta penne blu, ed una cornice di legno rossa con la foto della mia famiglia; il pezzo forte della mia stanza è il mio letto, con le tende: era morbido e grande, coperto da un piumone color ambra, la testata blu e i laterali neri, le tende color azzurro chiaro erano agganciate da due cambi di legno ( posti ambedue sopra i fianchi del letto) e agganciati poi dai quattro lunghi bracci di legno del letto, che dopo scendendo facevano anche da piedi. Il comodino anch’esso di legno con tre cassetti, e sopra giaceva una piccola cornice di Consuelo quando aveva tre anni, le tende della finestra-porta erano di colore rosa, il pavimento era fatto di legno, come il soffitto, dove si poteva comodamente camminare scalzi. Sotto i piedi del letto, stava disteso un morbido tappeto di pelliccia.

L’ultimo sguardo lo inviai alla foto della mia sorellina, e aspirai l’aria allargando le narici: gli unici sapori che riuscivo a percepire erano: miele, lilla, mela, che apparteneva a mamma; sole, giacinto, acqua che appartenevano a papà e cioccolato, fragola che appartenevano a Consuelo. Poi c’era quel dolciastro odore di cibo umano, che più delle volte sembrava come assaggiare la spazzatura. Meno male che la mamma sapeva cucinare alla grande…rendeva quei cibi indigeribili in nuove fragranze che potevo gustare senza arricciare il naso. Alle volte ci aggiungeva un po’ di sangue animale nel mio piatto, rendendo il composto più delizioso, ma quel giorno non mi andava di mangiare dato che avevo fatto una caccia abbondante quella mattina. Ora i canini mi sia allungarono desiderosi di affondarsi su qualcosa di morbido, mentre ricordai la calda pelliccia di quel cervo tra le mie braccia, e quella morbida carne che per me assomigliava come al burro quando andai a morderla. Adesso Consuelo aveva smesso di cantare da circa tredici secondi esatti e cominciava ad imitare le voci delle bambole. Sentii prendere una bambola. “Ehi, papà, ti va di fare qualcosa?’’, imitava la voce di una piccola bambina per la bambola. Poi con rapidità prese un’altra bambola di plastica. “Va bene, scogliattolina!”, disse con una voce più profonda e gonfia, per imitare la voce di un omone: quella della bambola-papà. Al mio udito, sembrava che la piccola imitasse la voce dell’orso Yoghi. Risi divertita. Per due precisi la sentii respirare profondamente e profondamente e poi: “Ti va di andare a giocare al parco?!’’, imitò la voce della piccola figlia. Udii muoversi l’aria mentre voltava la testa verso l’altra bambola.

“Okay, andiamo tutti a giocare al parco!”, urlo con la voce maschile della bambola-papà .e la sentii nuovamente cantare quel “là, là, là!” dolce e cristallino che apparteneva alla sua vera voce. Uno…due…tre secondi e scattai dalla sedia. Data la rapida velocità con cui mi alzai, si sollevò con i cambi anteriori e si trovò in bilico con quelle posteriori; la presi appena in tempo senza provare un minimo senso di paura, i miei riflessi da vampira erano prontissimi, e la rimisi a terra senza fare alcun rumore. Mamma odiava sentire il rumore di qualcosa che cadeva, e a me toccava sempre scappare dalla finestra per quanto urlava forte; su questo però, non diamogli tanta importanza. Ora l’importante era la mia Consy. “Okay, Alexia, abbiamo finito col dovere ed ora si passa al piacere”, pensai, ed involontariamente un sorriso eccitato mi curvò le labbra. A quel punto concessi all’attenzione di rubarmi, perciò con un gesto automatico uscii dalla mia stanza: era passato un intero secondo da quando ero passata dalla mia camera da latto a quella di mia sorella. Non mi preoccupai dei movimenti rapidi del mio corpo, dato che c’ero abituata. Non appena decisi di andare in contro al mio odore, eccomi là: tra le mie braccia il corpicino della mia sorellina. Non passò nemmeno un piccolo frammento di tempo tra il pensiero e l’azione: il cambiamento che ebbe il mio corpo per spostarsi fu istantaneo, quasi in assenza di movimento.

La bambina fra le mie braccia lasciò cadere le bambole dallo spavento e contemporaneamente lanciò un piccolo urlo di paura; al tempo stesso il suo cuoricino si fermò ma non passò due secondi che ritornai ad udire i suoi battiti cardiaci più veloci di prima; si lasciò abbandonare e al fine appoggiò stremata la schiena contro il mio petto, mi strinse le braccia senza fare una piega al contatto freddo della mia pelle. D’altronde, i veri vampiri avevano la pelle più fredda della mia, ma che al mio contatto sarebbe risultata calda. Avevo una temperatura tiepida, fresca ma non raggelata. Puntai la punta del naso alla sua gola e aspirai l’odore squisito proveniente dalla sua pelle. Mi venne l’acquolina. Le mie orecchie sentirono perfino il sangue scorrere sotto i tessuti della pelle, sembrava l’acqua corrente, ma un liquido più caldo dell’acqua, più dolce della cioccolata, più appetitoso che delizioso, più irresistibile che ottimo, e sempre ed urgentemente essenziale.

“Oh, accidenti, Alexia! Se lo fai un’altra volta ti giuro che lo dico a mamma”, si lamentò, mentre nelle sue labbra sfoderò uno di quei sorrisi scherzosi. Alzai gli occhi al cielo e ricambiai il sorriso.

“Tu provaci e io ti fermerò senza sforzo”, la sfidai. In seguito liberai il suo corpicino dalla mia stretta lasciandola libera di muoversi. Riprese le bambole e ritornò a giocarci.

“Che fai?”, le chiesi facendo finta di non sapere niente. Lei si rigirò verso di me, sempre con le due bambole in mano, aveva sulle labbra un sorriso così bello da far sorridere anche alla gente che le stava accanto. Di seguito lanciò le tre bambole in aria allungando al tempo stesso le braccia. Le mani fecero segno di STOP e le bambole si fermarono a dieci centimetri sopra le nostre teste. Rimasero in aria immobili. “È ridicolo!”, pensereste voi, eppure non c’era nessun filo trasparente che le sostenesse, né erano possedute dai fantasmi: era il potere della mia Consuelo: il potere dell’aria; successivamente, con l’indice della mano iniziò a creare un cerchio trasparente nell’aria e le bambole seguirono il suo esempio. Sentivo sopra di me il rumore dell’aria simile a quello di un uragano.

“Guarda’’, mi ordinò con voce pacata. Una volta alzato lo sguardo, ritornò a spiegarmi:

“Questa è la Signora Televisione, questo è il Signor Radio, e questa è la Figlia Radiolina”, disse indicandomi le bambole con l’altro indice che non si impegnava a creare un cerchio nell’aria, mentre le bambole facevano il giro-tondo al ritmo giusto per farmi capire quale fosse  il Signor Radio o la Figlia Radiolina. Rimasi accigliata, grattandomi la fronte. In fine la bambina lasciò cadere le  bambole in modo leggiadro e delizioso: iniziò ad abbassare tutte e due le mani lentamente fino ad appoggiarle sul piumone del letto, le bambole scesero da terra aggraziate come i fiocchi di neve dopo una breve danza sopra i nostri occhi.

“Che cosa: la Figlia Radiolina e la Signora Televisione?’’, chiesi, più sorpresa che confusa. Che nomi buffi dava a delle bambole, ma graziosi. Stetti per ridere ma riuscii a trattenermi.

“E il Signor Radio ’’, aggiunse.

“Ma con chi stai giocando: la Famiglia Elettrodomestici?’’, chiesi.

“Si!”, squittì lei infine, tutta eccitata, applaudendo e saltellando sul letto; alzai di nuovo gli occhi al cielo e sbuffai.

Il rumore della tovaglia alzata in aria catturò la mia attenzione, sentii in seguito lo strisciare della stoffa contro il tavolo di legno, sembrava un fruscio sentito da qui, il martellare di uno…tre…quattro bicchieri mentre si lasciavano posare sopra la tovaglia, l’appoggiare di due bottiglie di vetro che da me fu come un enorme schianto. Udii anche il ferrò tagliente delle forchette strisciarsi rumorosamente accanto all'altra quando mamma le prese, il cassetto delle posate si chiuse, un enorme botto, le forchette si posarono sulla tovaglia con leggiadri colpetti sopra la stoffa, il fruscio dei tovaglioli uno sopra l’altro e poi posati accanto alle forchette; nessuno avrebbe mai sentito quell’ondeggiare della carta dei tovaglioli mentre erano lasciati cadere in aria. Ed in fine quattro piati di vetro, udii il martellamento contro il legno. Che fastidio! Ecco uno dei vari motivi che avvolte odiavo la cucina.

Fra tre secondi la mamma avrebbe detto “è pronto il pranzo!”, il mio intuito non sbagliava mai. Infatti ambedue riuscimmo a sentire la sua voce: io la percepii più vicina la piccola Consy un po’ lontana. Uno…due…tre…

“È pronto il pranzo!”, urlò mamma. Mi lasciai sfuggire una risata e poi presi in braccio la sorellina. Era leggera come una piuma, nonostante avesse sette anni ed ero tutta pelle e ossa. Dopotutto i vampiri o mezzi-vampiri avevano una forza inumana quindi anche per me era difficile che sentissi il suo peso. La mia mano scatto dalle bambole e le ritrovai entrambe nella mi mano. le posai dolcemente sul cuscino.

“È ora di mettere le bambole a dormire”, aggiunsi con voce mielata, accarezzando poi la guancia della bimba. Sentii il suo sangue pompare veloce sotto la sua pelle, divennero un po’ rosse: era imbarazzata.

“Sì, però dopo devono andare al parco”, incalzò, cercando di scacciare l’imbarazzo. Aveva agganciato le sue braccia al mio collo per reggersi forte a me, più che aver paura di cadere era una dimostrazione di affetto.

“Non li noterà nessuno la famiglia elettrodomestici, ci sono già Cip e Ciop”, scherzai. lei alzò gli occhi al cielo come per dire: la solita saputella. Entrambe ci lasciammo scappare una fragorosa risata e poi uscimmo. Consuelo si acquattò ancor di più a me durante quella corsa a razzo, e in un secondo eravamo in salotto. Dietro di me sentivo la scia dell’odore di Consuelo. Mi leccai di nascosto i canini. Consuelo scoprii il suo viso dalla mia gola e si fermò a guardare papa che era super concentrato allo schermo. In una mano teneva stretto il telecomando per non iniziare a mordicchiarsi le unghie per il nervosismo, allungai la vista notando le gocce di sudore calde che gli uscivano dalla fronte, il suo sangue scorreva velocissimo sotto la sua pelle: era canale d’acqua delizioso. Non batteva nemmeno le palpebre. Ci sporgemmo entrambe un pochino con la testa ma non si accorse di noi, attento com’era; ridemmo sotto i baffi.

Dalla cucina sentii qualcosa di liquido e morbido che scivolava su un recipiente di plastica, le mille gocce d’acqua che cadevano sullo scolapasta e ricadevano sulla pentola bollente, sembravano gocce di pioggia. Addirittura mi misi a guardare fuori dalla finestra e iniziava un temporale. Udii il cigolio amaro di un cassetto che si apriva, mamma prese un altro recipiente, grosso, di vetro, un altro cigolio fastidioso e poi un enorme schianto contro il legno. La pasta scivolò sul recipiente. Sentii un tanfo che mi fece arricciare il naso. “Che schifo!”, pensai, disgustata. Poi un altro odore, più dolce e…sapeva d’olio, fresco…acqua? O acqua marina? Anche qui granelli amari e acidi: sale? Mi sembrava che c’erano entrambi. Capii al volo: tonno e pomodoro. Bene, io non l’avrei di certo mangiato quella roba.

La testa di Consuelo si sporse a me e avvicinò le labbra al mio orecchio, coprendo entrambi con la manina libera. Il suo alito arrivò al mio orecchio come un soffio di vento caldo che me lo riscaldò, la sua vocina era così ravvicinata che pareva provenisse dalla mia mente.

“Cosa ha preparato mamma?’’, mi chiese.

“Pasta con tonno e pomodoro”, risposi con una smorfia di disgusto, lei al contrario: allungò la testa per odorare quell’essenza per lei deliziosa che si era sparsa per tutto il salotto. Che schifo! Chinai di nascosto la testa dall’altra parte perché- sarei stata pronta a giurarlo- mi venne da rimettere. A quel punto avevo deciso: chiusi il respiro almeno così non avrei rischiato di vomitare addosso a Consuelo. Per me era un gesto naturale, era facile rimanere senza respiro per tutto il giorno, di sicuro non per un essere umano. Sarei rimasta senza respirare, se lo avrei voluto, anche per uno o tre anni, oppure volendo anche per sempre; era una sensazione…comoda. Non avevo bisogno d’aria, i miei polmoni non se l’aspettavano e rimasero indifferenti.

Bene, ora andava piuttosto meglio, ma già gli odori della stanza mi mancavano. Scrollai di dosso quella mancanza e ritornai al presente. Consuelo mi chiese gentilmente di farla scendere ed obbedii. Corse veloce verso la cucina intenta a divorarsi il suo essenziale cibo umano, mentre io rimasi, ridicola, senza neanche sapere il perché, immobile sul posto, fra il corridoio e il salotto. Mi chiedevo se era giusto incamminarsi verso quell’odore orrendo che proveniva dalla cucina oppure distrarmi guardando la televisione con l’uomo buffo che stava immobile sulla poltrona. Ad essere sincera non mi andava di guardare quella partita, tanto sapevo che gli Occhiodifalco avrebbero vinto comunque, ma non mi garbava nemmeno l’idea di assaporare quell’odore che mi faceva…rizzare i peli delle braccia.

Strinsi i denti e mi incamminai…si fa per dire. Nemmeno un secondo ed eccomi nella stanza più puzzolente della casa; ma non volevo di certo offendere mamma, infondo capiva quanto me che per il mio naso era disgustoso entrare nella cucina; non si lamentava mai. Solo quando nel mio piatto ci aggiungeva il sangue liquido di un’animale la mia forza di volontà mi governava il corpo trasportandomi fino al tavolo. Arricciai ancora il naso, anche se non respiravo l’aria puzzolente mi entrava nelle narici, mentre mamma rise sotto i baffi. Mi guardò di sottecchi curiosa facendomi poi la linguaccia. Ricambiai.

Che mamma speciale era la mia, si comportava sempre come un’amica. Quando camminava era così aggraziata come una ballerina, Consuelo aveva preso da lei, era simpatica e svampita, solare ed una curiosona. Praticamente come me, solo che io alle volte ero più seria che simpatica: praticamente come… Bé, sapete chi, no? Se avrei pronunciato il suo nome mi sarei messa…non so cosa avrei fatto per cancellarmi quella D dalla mente. Anche se non mi importava niente di lui, il suo nome e quello di suo figlio mi galleggiava sempre nella mente come se avessi una sfrenata voglia di vedere se quel nome esiste veramente, se erano frutto della mia fantasia oppure la realtà, insomma…volevo vederli. E ogni volta che li pensavo, un forte brivido glaciale mi percorreva tutta la spina dorsale, facendomi tremare. Come ad esempio in quel momento.

Mamma in tanto aveva messo la pasta su tutti e quattro i bicchieri e pose il recipiente di cristallo nel lavandino ancora sporco di quella sostanza rossa del pomodoro. Rosso, rosso, che colore delizioso. Qualunque oggetto che era di un colore rosso mi faceva bollire la gola.

Ahi! Che caldo! Sembrava che avessi ingoiato un barattolo intero di peperoncini piccanti, ketchup…o quant’altro vi passa nella mente che bruciasse. Ma per di più c’era il fioco dentro la mia gola, era una fiamma che cresceva. La gola si fece secca, come una pianta posta al sole per un mese intero. Avevo sete. La mia mano a forma di coppa, si agguantò alla pelle liscia della gola cercando di far passare le lingue di fuoco dentro di essa. Me la schiarii ma questo non fece che peggiorare. Accidenti a quel pomodoro!. Consuelo rimase a guardarmi per qualche secondo ma quando gli sorrisi, facendole credere che tutto andava alla grande, si rimise a mordicchiare gli spaghetti.

Mamma, invece, non esitò a prendere dalla credenza un bicchiere di vetro e afferrare dal frigorifero una bustina grande quanto tre mani. Tagliò la bustina argentata con le forbici e da dentro emerse una sostanza liquida di un colore rosso scuro. Quasi nero. Eccolo il mio colore preferito. Che squisito calore invase la stanza, ora liberai il respiro e annusai l’aria. Caldo, un caldo sublime invase la stanza devastando l’odore puzzolente e scacciarlo via. Sembrava una guerra: l’odore del sangue contro quello del cibo umano; vinse il sangue, mandandomi in estasi. Mamma buttò via la bustina argentata, ai lati sporca di sangue che gocciolava ai bordi, con un’espressione disgustata e afferrò una delle cinquanta cannuccia su un bicchiere al fianco del lavandino. La mese sul liquido caldo e piegò il beccuccio bianco. Dopo due secondi il bicchiere era fra le mie mani. Lo strinsi più forte per riscaldarmi i palmi delle mani, come se premessi un picchiere pieno di cioccolata calda, e avventai le labbra alla cannuccia. Sentii la sottile plastica del beccuccio bucarsi dato che miei denti se fecero più affilati. E ricordai la carne morbida di quel cervo ormai all’apice delle forze. Il sangue inondò la mia gola e spense il fuoco. Il sangue era come un mio pompiere che mi salvava dalle fiamme ardenti, una cascata fresca per rinfrescarmi la gola, ma allo stesso tempo calda per riscaldarmi ogni parte del mio corpo fino alla punta delle unghie. Passato un minuto preciso, svuotai il bicchiere e lo misi accanto nel lavandino, ignorando il recipiente che mi stava proprio davanti allo sguardo.

Quando mi girai rivolsi a mamma un sorriso per perdonarmi e lei ricambiò senza esitare. C’era sempre quando avevo bisogno di qualcosa, a parte che con altre cose me la sono cavata da per me. La amavo con tutta me stessa, e non saprei cosa avrei fatto se nella mia vita non ci fosse stata lei; date le circostanze, entrambe ci dovevamo fare mille favori. Una era la salvatrice dell’altra: mamma mi ha tenuta in grembo nonostante sapesse quale specie di creatura avrebbe allevato, ed io la salvai per continuare a vivere insieme a lei e per ringraziarla dell’enorme gesto che aveva fatto per me.

Al solo ricordo, mi venne un groppo in gola, strinsi i denti per trattenere le lacrime. Respirai a fondo, mi sentii bene. Guardai mamma affondare la forchetta sui spaghetti, arrotolarli intorno ai denti di ferro e poi portarseli a tre centimetri dalle labbra…e si fermò.

“Dov’è papà?’’, chiese, si accigliò. Oh, accidenti! Quella maledetta partita, era una droga per i maschi. Entrambe alzammo gli occhi al cielo.

“La partita”, ci uscii dalla bocca all’unisono. Con la percezione che mamma lo disse a mo’ di risposta, io come lamento, e Consuelo come divertimento. E di seguito scoppiammo a ridere. Fuori dalla cucina sentii il cuore di papà battere all’impazzata, più forte di prima; avrei dovuto provare sete ma grazie a quell’assaggio di qualche minuto fa mi aveva saziata, bè…per quel che bastava per rimanere controllata.

“Dai, vai a chiamare il nostro calciatore’’, mi ordinò mamma divertita, sbuffando. Le feci l’occhiolino e uscì dalla cucina. Un secondo ed ero accanto all’omone imbambolato. Non gli feci nemmeno paura quando mi trovai improvvisamente accanto a lui. E che cavolo! Pensavo che con quel metodo si sarebbe distratto dallo schermo. “Maledetta scatola nera!”, pensai, digrignando i denti.

Diedi un colpetto alla spalla di papà. Lui matte tre volte la palpebre, mimando un “eccomi” con le labbra. Alzai gli occhi al cielo.

“Dai, papà, è pronto il pranzo. Vieni”, lo invitai. Non parlò.

“Sì”, riuscì a dire dopo due minuti. Ma era più oltre le nuvole che presente. Doveva essere una risposta mai pronunciata la sua.

D’un tratto lo vidi strizzare gli occhi ( leggeva qualcosa di piccolo), per interesse mi rivolsi anche io verso lo schermo, e tre secondi dopo si spalancarono sorpresi, bè più che sorpresa per lui era una disgrazia vedere ciò che aveva visto; infatti: nella schermata si intravvedeva il tabellone con i nomi delle dieci squadre che avevano gareggiato quel giorno. Occhiodifalco era arrivata prima(grande!) mentre Tamburbattente si era maritata il posto in seconda file…diciamo che dopo aver ricevuto una coppa d’argento c’era da far festa, era andata bene anche a loro. Al contrario di papà che:

“No, no, no, come hanno fatto? C’è stato un trucco…qualcosa deve essere andato storto! Ma…come…? Accidenti! Stavano andando alla grande!”, si lamentò papà, mentre io attaccai con una risata che si senti per tutta la casa. Risi così forte che sentii provenire dalla cucina:

“Che succede laggiù?!’’, chiese la voce curiosa di mamma.

“Niente di brutto, sto solo godendo della perdita di papà”, risi. Lui invece mi infuocò con lo sguardo.

“Che fai tu? Ritorna a mangiare, su’!”, mi sgridò. In parte però sapevo che non aveva intenzione di sgridarmi, odiava essere preso in giro.

“E dai, papà, guarda la cosa positiva: siete arrivati secondi. Avete vinto una coppa d’argento!”, lo incoraggiai. Veramente, doveva essere fiero di essere arrivato secondo e non quarto! Se avessi anche io fatto il tifo di quella squadra, mi sarei sentita fiera, e al diavolo i miei amici che mi avrebbero preso in giro per la loro perdita. Però avevo detto SE avrei tifato quella squadra. Per fortuna, non l’avevo fatto. Sorrisi compiaciuta.

“Si, certo, certo. E voi una coppa d’oro”, borbottò. L’ultima parola la pronunciò con un sussurro, come se gli facesse disgusto che tipo di colore di coppa avesse vinto la mia squadra. Alzai gli occhi al cielo.

“Su’, andrà bene la prossima volta”, stavo per dire “ve la siete cercata” ma non ci tenevo vedere la sua faccia ribollire dalla rabbia.

“Mmm”, mimò.

“E poi…scommetto che il prossimo mese noi saremo secondi mentre voi primi”, tentai.

“Che c’è, adesso prevedi il futuro?’’, mi chiese in tono dolce, facendomi l’occhiolino. Io gli sorrisi e arrossii contemporaneamente. Adoravo quando cercava di stuzzicarmi in quel modo, sfoderava il solito ragazzino gentile che era una volta.

“Magari papà”, risi.

Lo vidi riflettere per un minuto mentre ritornava a guardare al TV, ormai il tabellone era scomparso, e poi ritornò a guardarmi:

“Sì, forse hai ragione Alì, meglio non lamentarsi più di tanto”, concluse.

“Questo è lo spirito giusto”, dissi e ci demmo il batti-cinque. Entrambi ci scambiammo un sorriso, e poi lui si diresse verso la cucina.

Ora dallo schermo della tele era trasmessi la pubblicità, mostrai i denti per l’antipatia. D’un tratto fece capolino nella mia mente riguardo alcune parole che papà disse riguardo all’argomento: maledetta pubblicità. Infatti “maledetta pubblicità!”, pensai facendo eco alle parole di papà. Per me quei spezzoni duraturi per venti secondi non contavano niente, e poi a cosa servivano…alla fine di un film non poteva precedersi un altro? Le nuove novità le potevo osservare comodamente al super-mercato. “roba da quattro soldi”, pensai di nuovo. Spensi disgustata la televisione e mi sedetti sul divano. La stanchezza fece effetto su di me che m buttò violentemente sulla stoffa del divano. Non appena la mia schiena premette sui cuscino morbidi, ogni muscolo del mio corpo si rilassò.

Curiosa, diedi uno sbircio alla cucina, allungai la vista, e come un lente ravvicinata di un ottavo osservai i movimenti della mia famiglia: mamma, papà e Consuelo si abbuffavano dei piatti deliziosi che aveva preparato la padrona di casa.

Tuttavia, se mi stavo divertendo vedere mio padre e Consuelo vederli gareggiare per chi avrebbe finito prima, rimasi perplessa. Per sicurezza, contai i piatti: uno, due, tre, quattro piatti? Aspetta! Se io non mangiavo, allora l’ultimo piatto era…Di lui. era chiaro! Che stupida sono stata. Doveva venire qui questo pomeriggio, a mangiare con noi! Che cocciuta, che idiota sono stata ad essermi scordata di lui. Colpa dello studio che mi aveva distratta. Sfoderai uno di quei sorrisi gioiosi, immaginandomi il suo sguardo.

Nello stesso istante in cui mi chiedevo quando sarebbe arrivato, successero tre cose:

DRIN DRIN! Suonarono alla porta, la solita fiamma incandescente ritornò a seccarmi la gola, e sentii un profumo di…mela, lilla, cielo. Era il suo odore, che buono. Proprio nello stesso tempo in cui mia madre si alzò dal tavolo per aprire alla persona aspettata, mi fiondai alla porta girandomi contemporaneamente verso di lei.

“Apro io”, mimai con le labbra facendogli l’occhiolino. Lei sorrise eccitata e ritornò a sedere, sembrava volesse dirmi: vi concedo questa volta un tenero minuto da soli. Anche papà e Consuelo avevano smesso di mangiare. Non volevano apparire maleducati alla visita il un loro conoscente.

Tre secondi prima di aprire la porta, annusai bene l’aria che proveniva da fuori. Ora l’odore era più dolce a quella vicinanza. Al solo pensare che lo avrei sentito più da vicino, la fiamma dentro la gola divampò.

Aprii la porta, ignorando l’urgenza di schiarirmi la gola.

Eccolo, lui era davanti a me, più celestiale di qualsiasi ragazzo che conoscessi a Solemville; bellissimo, adorabile, comprensibile, protettivo, dolce, era serio quando ce n’era bisogno, ma divertente, ed…unico. Sì, era unico. Ed era l’unico che poteva appartenermi, ed io a lui.

Louis era il suo nome, e anche ora. Per esteso si chiamava: Louis Anderson. Era un ragazzo alto 1, 85, con la pelle abbronzata, occhi a mandorla, capelli color del grano lunghi fino alle spalle ( quel giorno se li aveva raccolti con un elastico), viso ovale e con pelle naturale : né tanto grassa, né tanto magra, naso normale, labbra carnose e con un sorriso che ti riscaldava il cuore.

Fu un lampo ad entrare prima che i raggi del sole mi colpissero in faccia. Non è che mi uccidessero, il motivo è che mi dava fastidio. Potevo uscire comodamente fuori casa con una bella giornata di sole, ma doveva coprirmi gli occhi con degli occhiali da soli dato che quest’ultimi erano molto deboli alla vista dei raggi solari.

Quel giorno Louis indossava una maglietta color ambra con le maniche corte e con dei pantaloncini lunghi fino ai polpastrelli dei piedi, scarpe da ginnastica con calzini corti bianchi. Impeccabile.

Non feci in tempo a salutarlo che già avevo le sue labbra contro le sue. All’inizio cercai di allontanarmelo, dato che avevo molte possibilità di saltargli addosso, ma dopo pensai “Oh, lascialo stare Alexia, è solo un bacio!”, e lo lasciai fare. Gli attorcigliai le braccia al collo e assaporai più a fondo l’odore della sua bocca. Il suo profumo era più intenso da quella vicinanza, più squisito, irresistibile.

Proprio quando stavo per avvicinare il suo volto al mio, si ritirò di scatto ricordando in cosa era capace di fare se mi stuzzicava troppo.

“Ops!”, disse, abbozzando un sorriso benevolo. Risi rincuorata, ma un po’ dispiaciuta dato che mi aveva scansata in quel modo rapido.

“Ciao amore, tutto bene?!”, mi chiese poi.

“Caratterialmente sì, fisicamente un tantino”, precisai.

“Ah”, fu la sua risposta quando capì che intendeva con “ un tantino”. Intuivo di aver esagerato con le parole, mi feci torva. Tuttavia a lui non gli importava più di tanto. Mi amava per quella che ero e non per quello che avevo. Ed era questo, oltretutto, che lo rendeva speciale ai miei occhi.

Un secondo dopo agitò la testa come se volesse scrollare quelle frasi dalla mente, e ritornò a sorridermi.

“Hai studiato bene? Bada che se…”

“Sì, tutto e perfettamente bene. Al parco ti ripeterò tutto”, promisi.

Mi cinse le spalle con un braccio e mi baciò la fronte, la punta del naso, le labbra ed infine la guancia. Quei baci dolci e aggraziati mi facevano sempre sorridere. Quei gesti erano come un saluto per me perché li usava sempre da quando ci eravamo messi insieme.

“È una promessa, ricordatelo”, mi avvisò con voce seria, ma con un sorriso stampato sulle labbra. Gli feci l’occhiolino.

“Ti amo”, sussurrò infine.

“Ti amo anch’io”, riuscì a dire prima che premette le sue labbra contro le mie. Questa volta il bacio durò tre secondi, ed era più dolce. Ci avviammo, mano nella mano, verso la cucina e Louis poté salutare in fine la mia famiglia; ora che avevo il suo odore accanto a me, la puzza della pasta sembrava essere svanita. Papà e il mio ragazzo si strinsero la mano.

“Ben tornato figliuolo, come va?’’, gli chiese papà educato, e si misero seduti accanto. Intuii che fra qualche minuto avrei dovuto sentire la parola “calcio” o “Tamburbattente” oppure “Occhiodifalco” uscire dalle loro bocche. Ecco il semplice motivo per cui si mettevano sempre accanto durante il pranzo. Io e mamma ci guardammo, come se avessimo pensato della stessa cosa, e alzammo gli occhi al cielo. Mi sedetti anche io.

“Alla grande, domani io e Alexia avremmo la verifica di scuola e siamo tutti agitati. Nessuno se lo aspettava, la professoressa Dorothy ci sorprende sempre con il suo regolamento ’’, rispose Louis.

“E quando dice “siamo tutti agitati” intende dire “io e miei compagni siamo agitati”, io me lo sarei aspettato che succedeva qualcosa”, lo corressi io, ma lui proseguii come se non avessi parlato. Non mi diede fastidio, adoravo sentirlo parlare.

“Ad ogni modo, per vedere se tua figlia si è preparata desidero interrogarla al parco”, sembrava un permesso rivolto più a me che a mio padre.

“Hai tutto il dovere di farlo, te lo permetto io”, disse papà.

“Evvai, il parco! Posso portare le bambole?”, chiese la voce squillante di Consuelo quando ingoiò un vortice di spaghetti. Guardò prima Louis poi me.

“Appena la Famiglia Elettrodomestici avrà finito di scaricarsi nel letto, potrai portarli con te”, la raccomandai. A mo’ di accordo mi sorrise con la boccuccia sporca di pomodoro e qualche filetto di tonno. 

“Che? La Famiglia Elettrodomestici?’’, chiese confuso Louis alzando un sopracciglio.

“Una storia lunga”, farfugliai io.

E poi iniziarono a mangiare, mentre io rimasi a guardare uno per uno addentare quei fili di pasta macchiati di un…Cavolo! Scattai dalla sedia, coprendomi la bocca, e aprii il frigorifero prendendo in modo fulmineo un’altra busta argentata, un bicchiere, e una cannuccia. Ormai i canini mi si erano allungati troppo e abbastanza sporgenti per vederli ad occhio nudo: si sarebbero notate le punte affilate. Ci misi tre secondi per prepararmi la bevanda, e finalmente riuscii a rilassarmi dopo un secondo che il sangue mi avrebbe rinfrescato la gola. Dimenticavo! Quello è sangue di animale non umano: dolce. Sapeva di erba, muschio, terra, comunque anche buono, ma quello degli umani era più appetitoso di quello animale. Dopo due minuti di intero silenzio…

“Hai visto la partita di calcio?”, chiese Louis a papà. Sbattei il picchiere sul tavolo, assumendo un’espressione piena d’ira che avrebbero fatto anche spaventare le immagini dei quadri se avrebbero presi vita, e diressi a Louis uno sguardo fulmineo. Lui mi sorrise a mo’ di scusante e poi ritornò a papà. “Basta, calcio!’’, avrei voluto dire. Meno male che lo avevo solo pensato. Io e Consuelo tirammo uno sbuffo di noia, e con le braccia conserte restammo ad ascoltare.

“Sì, purtroppo”, cominciò papà. Nel vero senso della parole.

“Che è successo?’’, chiese a sua volta Louis tutto concentrato su papà meno che sul piatto. Sentii mamma alzare un sospiro: odiava quando si ignorava i suoi cibi. Non feci a meno di sollevare un lato delle labbra a mo’ di sorriso.

“Hanno vinto Occhiodifalco!”, rispose papà in modo possente, sbattendo un pugno sul tavolo, da far rimbalzare dalla spavento Consuelo e mamma. Mia sorella per poco non gli cadde il bicchiere d’acqua addosso. Louis alzò gli occhi al cielo come per dire “me lo sarei immaginato”. Mi diede una rapida occhiata, prese due forchettate di pasta, e poi ritornò a papà.

“Be’…è un vero peccato”, disse lui dando una pacca sulla spalla all’uomo che le stava accanto. Più di comprensione, sembrava una smorfia di sarcasmo.

“Mmm”, disse papà girando si e no gli spaghetti intorno alla forchetta. Sentii lo stridulo dei denti di ferro sfregare contro il vetro del piatto. Cavolo! Certe volte papà si dimenticava la mia dote. Fortunatamente mamma si accorse della fine smorfia addolorata che mi si era formata in viso, e diede un colpetto alla spalla di papà. Quest0ultimo si rianimò, come se quei spaghetti lo avesse incantato.

“Perché non finite di mangiare, adesso? Dopo potete parlare della partita quando sarete soli”, li consolò mamma, guardando però il babbo. E finalmente un silenzio tanto atteso si espanse nella cucina. Insomma, nella frase “ un silenzio tanto atteso si espanse nella cucina” era una parolona! Forse ero l’unica che sentivo il rumore più impossibile che si sarebbe potuto sentire all’orecchio umano, ma già era molto meglio della continua discussione sul calcio. Louis si mise subito a mangiare senza esitare, papà invece borbottò qualcosa. Io e mamma ci scambiammo uno sguardo repentino. Quanto bisognava consolare a papà? Era solo una coppa d’argento! Io sarei stata fiera d’averla vinta, senza rimanere a rimuginarci sopra come una bambina di tre anni; se in futuro mi sarei comportata come lui, tanto valeva spararsi prima che ciò accadesse…Se, invece, questa influenza l’avrebbe trasmessa a Louis, allora avrei dovuto costringerlo a seguire un altro sport.

Mentre ritornai a succhiare il sangue dalla cannuccia, pensai “gli uomini certe volte sono incredibili”. Ogni tanto tiravo uno sguardo alla mia famiglia e a Louis. Non sapevo il perché, ma era come se in un certo modo mi stessero osservando, e mi dava fastidio.

Finito il pranzo, svolgemmo ognuno i nostri compiti: io e mamma ci mettemmo a riordinare la cucina, Consuelo corse nella sua stanza per studiare la matematica: le divisioni, per quanto agli uomini della casa: si misero a guardare lo sport. Fortunatamente le trasmissioni del calcio erano finite. Alle 14. 20 era iniziato il baseball.

Per non spiare troppo le conversazioni di mio padre e Louis, mi misi ad ascoltare i rumori della cucina.

“Mi chiedo come faccia il tuo ragazzo a sopportare tutte le lamentele di tuo padre”, disse con un sorriso divertito. Stava lavando i piatti. Con dei movimenti, simili alle onde del mare, delle mani e dei bracci riusciva ad far uscire quanta acqua gli serviva dal rubinetto e avvolgere come una bolla tutte le posate e piatti sporchi del pranzo. Oltre la sacca d’acqua sentivo un rumore corrente, come il fiume, e i resti, di pomodoro e tonno che erano rimasti su quest’ultimi, iniziarono a staccarsi e a volteggiare veloci sullo spazio acquoso della bolla. Fra tre minuti mamma avrebbe staccato la bolla dalle posate che sarebbero risultate scintillanti e immacolate.

“Anche lui in passato era un Tamburbattente, poi si è innamorato della mia squadra”, risposi piano. Stavo piegando la tovaglia.

“Perché si era innamorato di te”, precisò mamma, con espressione eccitata, ma allo stesso tempo amorevole, dolce, e consapevole di quello che diceva. Ora si era messa seduta su una sedia. Mentre, mettevo la stoffa piegata nel cassetto, insieme ad altre tre tovaglie, mi sentii le guance ardere dall’imbarazzo. Abbassai lo sguardo mentre scattai in una sedia accanto a lei, feci un respiro profondo.

“Si è innamorato di me perché mi trovava speciale”, precisai, arricciandomi le dita, senza incontrare il suo sguardo.

“Speciale in cosa?’’, chiese mamma con una voce che trasmetteva serietà. E riecco che sbuca l’argomento “ma Louis è il ragazzo giusto per te?’’. Feci un respiro profondo per tranquillizzarmi.

“Che cosa vuoi da Louis, mamma? Lo amo, che c’è di strano?’’, arrivai al punto. Abbassai la voce perché iniziava presentarsi un pochino alta. Sgonfiai il ribollimento di un ruggito che stava nascendo nel mio petto.

“Non c’è niente di strano, tesoro. Io voglio solo sapere che tu sei felice con Louis”

“Ma io sono felice, più felice di quanto non lo sia mai stata. Sono felice come tu sei felice insieme a…papà’’, rabbrividii, consapevole di quello che stavo per dire al posto di “papà”. Nello stesso tempo in cui mi si stava formando nella mente quel nome, sembrava volesse uscire dalla mie labbra. Inaspettatamente, mamma se ne accorse. Strinsi la mascella.

“Ero felice anche con lui, tesoro. Lo amavo tanto, e lo amo ancora dentro anche se non posso più”, aggiunse, con la voce piena di rammarico. Per una frazione di secondo, provai compassione per lei.

“Ma per colpa sua ormai vivi con questo dolore addosso ’’, precisai, d’un tratto mi accorsi che la mia voce suonava più fredda di quella di un iceberg. Per di più sembrava tenebrosa.

“Non è stata colpa sua”

“E allora di chi è la colpa? Mia, dato che sono una mezza vampira?’’

“NO! Come puoi pensare questo, angioletto mio? Noi ti amiamo!’’, disse con la voce più dolce del mele, stringendomi le mani in una morsa di fuoco. Adoravo quel fuoco, non era simile alla singola fiamma che qualche minuto fa si era spenta dentro di me. Rimasi impassibile.

“Noi chi? Tu e papà spero. Drakon non mi ama’’

“Scommetto che ti ama anche lui, ed Alucard’’, mi incoraggiò, un tentativo falso. “non perdere la pazienza, non perdere la pazienza..”, mi ripetevo mentalmente.

“Se mi amano così tanto perché allora non vengono a farci visita!”, urlai piano. Menomale, altrimenti il mio urlo petava essere scambiato per un ruggito. Mi infuriava violentemente parlare con queste cose con mamma. Specialmente se era lei a prenderne il via. Dall’altra parte della stanza sentii che papà e il mio ragazzo avevano smesso di parlare. Aspettai un minuto intero di silenzio prima di ritornare a mia madre. nelle sue braccia notai i brividi di terrore ,il suo cuore batteva a velocità incredibile, ma mai più del mio, come le ali di un uccellino, e il suo sangue assumeva un rumore di una cascata in corso. Fu questione di tre secondi e poi ritornò calma.

“Non me lo so spiegare nemmeno io, tesoro’’, rispose sincera mamma, ma sempre con la dolcezza sia nella voce che nel viso. scrollai la testa incredula. Incredibile, dopo tutto quello che gli ha fatto passare Drakon lei gli voleva ancora bene! “Accidenti! Non essere così sensibile mamma, guarda in faccia la realtà. Lui ti ha mentita! Ti ha usata come uno strumento per buttarti via quando sarebbe stato necessario!”, pensai furiosa. Fui attenta a non far trapassare quelle parole nella bocca, altrimenti avrei ferito ancor di più mamma. Mi sarei vergognata a morte al solo immaginare di attaccare mamma con quelle parole proprio agli occhi di Louis; in conseguenza lei non mi avrà fatto uscire di casa per un mese. Capivo i sentimenti di mamma, e non desideravo stroncarglieli proprio quel giorno. Non ci tenevo nemmeno a ferirla…come se gli avessi infilzato una lama al petto. dopotutto, preferivo rispettarla più che rovesciarglieli contro.

“Mmm’’, feci. In quel momento mi sentivo come papà. Ringraziai il cielo che mamma avesse sposato un uomo che mi assomigliasse un po’.

“Però sono certa che ti amano ancora. Dopotutto Drakon è stato accanto a me quando stavo partorendo…’’

“Un’assassina”, dissi al secondo giusto, alzando appena il labbro. Avrei voluto piangere, avrei voluto correre e scoppiare in lacrime nel mio amato bosco. Mamma mi strinse ancora di più le mani. C’era un non so che nell’aria che mi metteva inquietudine.

“NO MAI! Tu sei il mio angelo”, mi consolò baciandomi poi sulla guancia, nella fronte, nelle mani.

“Un angelo un po’ strano”, farfugliai. Mamma mi sorrise e mi fece l’occhiolino. Mi cinse le spalle con un braccio e mi accarezzò la guancia con la sua mano calda.

“Ti prego mamma, non ne parliamo più di queste cose. Ti farebbe star male, di sicuro ’’, la implorai con una voce materna che usavo spesso con Consuelo. Le lessi un filo di tristezza negli occhi, e poi un pensiero.

“Ok”, acconsentì. Mi accorsi di buon punto che stava trattenendo un singhiozzo, dato la sua voce così bassa. Forse aveva frugato nella mente un ricordo lontano che la fece star male. Oppure fui io quella che la fece star male. Mi si espanse sul viso un velo di incertezza. Dopo un minuto d’intero silenzio…

“Arriviamo al punto dell’argomento, mamma”, ordinai io, con voce mielata.

“Bè…il succo della cosa era che volevo sapere se sei veramente felice con Louis’’, disse. Mi si staccò e si mise nella stessa posa in cui mi trovavo io: braccia sopra il tavolo e mani unite.

“Sì, mamma, ne sono più che sicura’’, risposi sincera.

“Bene”, fece mamma. E poi di nuovo silenzio. Un silenzio più imbarazzante, che tombale. Stetti per andare via, ma mamma ritornò a parlarmi. Per tutto quell’arco di silenzio si era incantata a guardare il legno bianco ed elaborato a mano della tavola. Precisamente, più che imbambolata sembrava pensierosa. Pensava ad un progetto? Un altro ricordo sul passato? Oppure al mio compleanno? Ero emozionata a quell’avvenire: avrei compiuto diciott’anni, sarei diventata maggiorenne. E questo significava che avrei fatto tutto di testa mia, ormai ero un’adulta, ma dovevo essere anche ben consapevole di quello che avrei fatto in futuro.

“Tesoro…’’,

“Sì?’’, risposi a mamma ritornando a sedere sulla sedia. Nel suo viso c’era un’espressione incerta, come se non sapeva se parlare oppure no.

“Che c’è?’’, le chiesi, con una voce più dolce che riuscivo a trasmetterle. Le sorrisi.

“Spero che anche Louis partecipasse alla festa ’’

“L’ho già invitato. Ci sarà senz’altro”, la rassicurai, con un’espressione gioiosa.

“Ma le tue amiche non vengono?’’

“Lilly starà con il suo ragazzo quel giorno e Jessica dai nonni. Mi hanno detto che le dispiaceranno molto non venire, e che il regalo me lo daranno il giorno dopo ’’

“Sei fortunata ad avere delle amiche così splendide’’

“Anche tu mamma ’’, considerando il fatto che le sue amiche erano appunto le madri delle mie amiche. Che strana coincidenza mi aveva riservato il destino quando le conobbi. Eravamo piccolissime: 6 anni, facevamo entrambe la stessa scuola. Risi sotto i baffi.

“Ti andrebbe di vedere anche qualcun altro?’’, chiese dopo. Lo disse in un modo…buttar via, come se si volesse liberare una volta per tutte di quella domanda, che mi incuriosì. D’altro canto, la mia mente non poteva essere così intelligente: ero ancora un umana, sotto certi aspetti.

“Certo, mi piacerebbe’’, risposi sorpresa. Mamma sorrise compiaciuta, rilassandosi.

“Sei felice?’’, le chiesi amareggiata. Il suo sorriso si allargò.

“Sì, tesoro’’

“Ma chi è? È un parente? Forse lo conosco’’, in quel momento la curiosità aveva avuto la meglio su di me, sembravo una bambina.

“Non te lo posso dire, è una sorpresa…consideralo pure un regalo che ti fa la mamma ’’, rispose, strizzando l’occhio.

“Ma chi è?’’, insistetti. Avete presente quelle persone che non possono resistere alla tentazione di sapere tutti i costi un segreto? Bene, io ero una di quelle. Finché non mi si spiegava ogni cosa, non smettevo di insistere. Però quel giorno feci un’eccezione: basta tormentare mamma fino a quando non sarà arrivato il mio compleanno. La grande battaglia per me, fu quella di resistere all’impulso della curiosità.

“Un parente, si può dire’’, rispose, con un velo di incertezza

“Ah’’, dissi, frenando le mie labbra. Mi cominciarono a pizzicare le mani. Per un minuto buono riuscii a non rompere il ghiaccio, nello stesso minuto in cui io e la mamma finimmo di conversare. Forse non c’era più niente da dire.

“Dai, adesso vai ad aiutare tua sorella con la matematica. Spero che, uscita dalla camera, sappia bene le divisioni, altrimenti può scordarsi una bella giornata al parco ’’, mi ordinò in tono severo. D’altro canto, nei suoi occhi c’era amarezza, quindi sapevo che la giornata al parco in un modo o nell’altro si faceva comunque.

“Ok, vado subito”, per non spronarti nel dirmi quello che voglio sapere. In un secondo mi fiondai nella camera di mia sorella. La trovai nella scrivania intenta a risolvere una divisione. Stava per sbirciare nel libro, ma con uno scatto fulmineo glie lo presi. Mi guardò accigliata.

“Ah-ah-ah! Non si sbircia!’’, le feci presente. Lei sbuffò come per dire: sei ingiusta, e poi ritornò a fare l’esercizio.  Questa volte la vidi in difficoltà. La penna a malapena toccava il foglio, non appena la vidi decisa a scrivere si fermò di colpo, ebbe molti ripensamenti. Dopo due minuti d’un silenzio incerto e assordante, decisi di mettermi all’opera. Gli feci esempi che si faceva ai bambini piccoli: i tipici esempi matematici con la mela o pera…o altre cose. Con quelli le sembrò più facili capire. Dopo un’ora di intero studio ed esercizi, la vidi svolgere più meglio il suo compito. Uscimmo dalla stanza per andare da mamma e la piccola gli mostrò alcuni esempi. Non appena mamma fu compiaciuta mi rivolse uno sguardo accusatore, e io gli risposi con un sorrisetto soddisfatto. La mia mente andava oltre di quella umana…certo! Avevo una mente tipica di una vampira, ma non del tutto simile ad una vampira vera e propria.

Erano le 18.00 spaccate quando uscimmo da casa, il sole c’era ancora. Fortunatamente avevo sempre come me la mia scorta di occhiali da sole. Me li misi non appena Louis aprii la porta, il resto del corpo poteva ben uscire allo scoperto. Indossavo una maglietta verde acqua a maniche corte con dei jeans che arrivavano fino alle ginocchia, calzini corti color lavanda e scarpe da ginnastica bianche. Più coperte di così non si può. Dopotutto il caldo lo sentivo anche io: non era una creatura che sentiva l’opposto di quello che sentivano gli esseri mortali.

“Mi raccomando, stai attenta a non esporti troppo al sole. Appena arrivi al parco vai subito sotto gli alberi’’, mi raccomandò mamma prima di varcare l’uscita di casa.

“Si’’, promisi e gli tirai un bacio a mo’ di saluto.

Louis stette sempre accanto a me, mentre Consuelo stava davanti a noi immaginando di essere la guida. Ogni volta era sempre così elettrizzata di andare al parco che in alcuni pomeriggi correva sempre veloce per essere la prima ad attraversare quel prato verde ed immacolato. Sentire Louis che mi cingeva la vita con un braccio, e Consuelo accanto a noi, mi faceva sentire come una piccola famiglia; forse l’immagine era un po’ azzardata, ma mi faceva sorridere di speranza.

Il parco si trovava a un chilometro da casa mia, era una distesa di prato verde, circondato di vari tipi d’alberi: pino, ciliegio, pesco, melograni, abete, anche altri alberi che produceva frutti di ogni tipo e altri con fiori bianchi che se esprimevi un desiderio loro te lo avveravano senza indugiare. Lo scivolo era un enorme bruco piatto e scivoloso che incurvava la schiena quando i bambini decidevano di andarci sopra. Il bruco era dolce innocuo, aveva il dono della parola. La sua voce era gonfia e possente, simile ad uno di quegli uomini panciuti e gentili che incontri per la strada. Se volevi vedere Solemville dall’alto c’erano apposta delle nuvole passeggere che, montandoci sopra, ti alzava in aria per farti vedere quello che volevi tu; al posto delle giostre c’erano enormi coccinelle e farfalle, graziose, in fila con dei cavalli alati, e librandosi in aria a distanza due metri da terra, creano una specie di cerchio trasparente. Il salta-salta era stato creato con la tela del ragno, anche le corde appese da qualche ramo dell’albero più vicino; in un lato del parco, c’erano enormi fiori con petali color, rosa, azzurro, e giallo, alti sedici metri, e radunati in un cerchio. Una volta entrati nello spazio circondato dai fiori, questi si aprivano e spruzzavano acqua come una fontana, tre scivoli normali con dea cascata di brillanti al posto dell’acqua; nel momento in cui ti fermavi da terra i brillanti ti facevano librare in aria: come Peter Pan. E molte altre cose.

Arrivati al parco, Consuelo andò in contro a sue due amichette ed io mi sedetti su una panchina di pietra, lavorata a mano, sotto un abete. Al riparo dal sole, fui dolcemente accarezzata da un’arietta liscia e fresca che mi permise di assaporare tutti gli odori presenti nel parco: la freschezza della terra e il suo odore dolce, il profumo naturale dell’erba, del muschio, l’odore quasi percepibile dell’acqua, quello dolce, aromatico e delizioso dei fiori, quello dolciastro del tronco, ecc.…

Sentii l’abbraccio caldo di Louis riscaldarmi il corpo, appoggiai la testa sopra la sua spalla, mentre lui me la accarezzava e mi baciava la fronte come se d’improvviso avesse assunto il ruolo del padre. Di sottecchi riuscii a vedere Consuelo e le sue amichette giocare con le bambole, accanto all’enorme bruco Jonny. L’occhio nero e grosso quanto un palmo del lombrico gli fecero l’occhiolino e le piccole risero imbarazzate. Abbozzai un sorriso compiaciuto vedendole così felici.

“Allora mi vuoi ripetere la guerra di Ketha?’’, mi sussurrò dolcemente Louis nell’orecchio. Sulle prime borbottai qualcosa, non avevo voglia di parlare, ma non volevo neanche fargli presumere che ero una fifona. Dopo un minuto di silenzio pieno di ripensamenti, staccai la testa dalla sua spalla voltandomi verso di lui, notai il suo sorriso di sfida. Credeva che non sarei riuscita a dirgli tutto a memoria, ma in cinque minuti precisi gli feci vedere i sorci verdi. Al termine di quest’ultimi lo vidi imbronciato, mentre io ricambiai quel sorriso vittorioso che mi aveva rivolto prima; d’altro canto sapevo che era fiero di me. Se fosse stato lui la professoressa Dorothy mi avrebbe dato sicuramente 10, e 10 lo avrei preso comunque senza si facesse quello scambio di persona.

“Te l’ho detto che avevo imparato tutto a memoria!”, gli ripetei per la terza volta.

Lui si scrollò qualcosa dalla mente, come se avesse ragionato come uno stupido, e mi sorrise soddisfatto.

“Me lo immaginavo, sei unica, amore”, mi congratulò stropicciandomi i capelli con una mano, mentre io scoppiai a riedere rincuorata. Mi abbracciò forte e mi baciò la fronte. Come se quel complimento non bastasse per lui, era forse imbarazzato? Non m’importava più di tanto. Lo amavo così tanto, adoravo stargli accanto. Mi faceva sentire importante fra le sue braccia. Ora come ora era un bisogno urgente, dato che l’aria iniziava a farsi gelida.

Preoccupata, mi misi a guardare la mia sorellina al sole: non batteva in denti, né vedevo traccia di brividi sulla sua pelle; dopo un secondo risi sorpresa e capii subito il perché: intorno alle tre bambine si notava a malapena un velo trasparente che le circondava e al tempo stesso le proteggeva dal freddo respingendo l’aria nemica d’altri parti della zona. Era ovvio che dentro quella sfera trasparente Consuelo aveva fatto sì che entrambe sentissero l’aria calda di qualche minuto fa, era intelligente proprio come sua sorella.

Un brivido gelido mi sorprese facendomi scuotere le spalle, e all’appunto Louis cominciò a stringermi ancora più forte per tenermi al riparo.

Uno…due…quattro...sei secondi dopo e la sua temperatura corporea assomigliava a quella di un forno, mi sembrò di stare intorno al fuoco, e notai che la sua pelle si era fatta ancora più scura, il suo cuore batteva più forte di prima ma il suo respiro era regolare, anche il sangue era di due volte più veloce del normale. Ma la sua salute era di ferro, era tranquillo e normale. Appoggiai la testa sul suo petto per sentire il suo cuore: il mio batteva otto volte più rapido del suo, ma allo stesso modo del mio sembrava che volesse uscire dalla gabbia toracica per quanto le pompate erano possenti. Ogni volta mi preoccupavo anche se non dovevo. Mi rilassai tra quel fuoco che mi circondava. Era un calore speciale per me, oltre che alle mani calde di mamma. Louis aveva il potere del fuoco, lui era il mio fuoco personale. Nessuno poteva privarmi di esso.

“Stai bene?’’, mi chiese con una voce più calda del solito, come una fiamma.

“Sto sempre bene, quando accanto a me ci sei tu’’, risposi con voce mielata. La mia voce dolce, non avrebbe di certo superato la sua in quello stato di trasformazione, ma lui non avrebbe di certo superato la mia con toni melodici. I vampiri, o mezzi-vampiri, hanno una voce così armoniosa e affascinante che sembrano cantare.

“Allora, sei pronta per il gran giorno?’’, mi chiese la voce entusiasmante di Louis. Mi accorsi subito che quella postura era perfetta, non avevo voglia di incontrare il suo sguardo, stavo bene così: rilassata, stretta al suo abbraccio caldo, ascoltando il suo cuore. Premetti ancor di più l’orecchio sul petto: oltre quello scorrere liquido del suo sangue, c’era il pompare quasi frenetico del suo cuore, uniti insieme questi rumori davano al mio orecchio un ritmo appetitoso.

“Manca una settimana per il gran giorno e tu mi dici se sono pronta? Altroché!”, cinguettai come una bambina. Ero eccitatissima all’idea di festeggiare il mio compleanno insieme al ragazzo che amavo, ed ero felice che avrei raggiunto la maggiore età. La cosa che mi lasciava a desiderare era sapere come mi sarei comportata quando avrei raggiunto quella soglia. Rabbrividii al solo pensiero del mio comportamento riguardante il mio lato immortale. Per me era più facile comportarsi da vampira piuttosto che da umana. Non era facile essere così maldestri come gli umani, oppure cocciuti, o lenti nella corsa, o lievemente sordi, o meno intelligenti e logici…non riuscivo a fare ognuna di queste cose…era come se mi avrebbero costretto a mangiare spazzatura. Non riuscivo a considerarmi metà umana perché non mi riconoscevo in tal modo nelle azioni, nella logica, o nel comportamento. Solo nell’aspetto fisico potevo essere considerata umana, data la mia capacità di arrossire, di versare lacrime, di sbiancare quando avevo paura, e il mio cuore batteva come qualsiasi altro umano ma alla velocità delle ali di un uccellino come il mio sangue ancora vivo dentro di me. Tutti gli altri sensi erano inferiori a quelli dei vampiri comuni. Essi riescono a prolungare ancor di più la vista ( io riuscivo a prolungarla a solo verso gli oggetti o persone che mi circondavano), a sentire suoni o rumori da più chilometri ( io solo nel raggio di cinque chilometri), sono più forti, non dormono mai mentre io riuscivo a farlo, sono bianchi come il marmo mentre il mio bianco tendeva al rosa, sono più belli, di sicuro più di me…per quanto riguarda alla corsa e tatto credo che eravamo alla pari.

Ritornai alla realtà solo venti minuti dopo, quando mi accorsi di essermi semplicemente addormentata a causa del suo calore. Scoprii dopo un secondo il perché non sentivo più alcun rumore, e gli odori nel prato. Louis smise di cullarmi e mi accarezzò teneramente la fronte.

Con lo sguardo cercai di captare le risate di Consuelo dato che non la vidi più accanto al bruco, iniziai a spaventarmi, ma riuscii a trovarla sopra la schiena di una coccinella che stava volando. Rideva divertita, con le bambole in mano e con l’altra si teneva stretta all’antenna dell’insetto. Tirai un profondo respiro di sollievo.

“Vedo che il mio potere è una goduria per te ’’, disse quando si accorse che mi ero svegliata. Avevo ancora gli occhi socchiusi dato il fastidio della luce del sole. Li strinsi ancor più forte per adattarmi e un secondo dopo ero perfettamente libera di vedere. Ero un po’ frustrata di essermi svegliata, volevo riposarmi ancora, ma felice di sentire ancora la sua voce, che non fosse un sogno.

“Non sai quanto”, farfugliai, la mia voce era ancora stanca, ma aveva una melodia dolce e leggera. Lo sentii ridere di cuore.

“Avresti dovuto rimanere a casa se eri così stanca”, mi avvisò.

“Ma io volevo rimanere con te ’’

“Avevi paura che andavo in contro ad un’altra ragazza?’’, mi stuzzicò. Fui inondata improvvisamente dall’ira che gli sferrai un pugno nello stomaco, nel suo caso il contatto con pugno sul suo stomaco fu leggero. Lo sentii sobbalzare e trattenere un urlo. Subito dopo rise divertito. Scoprii i denti e glie li mostrai, i miei occhi divennero rossi come il sangue. Ma restavo sempre stretta a lui.

“Provaci e le vedrai!”, ruggii. Lui non fece una piega, sorrideva eccitato.

“Uh, che paura!”, disse con sarcasmo. Alzai gli occhi cielo.

“Tu che ne sai che non ti farò niente?’’

“Perché mi ami, e se mi uccidi chi ti farà sentire speciale come ti faccio sentire io?’’, giusta osservazione. Per un minuto arrestai il ruggito dentro il mio petto, ma dopo lo feci ricrescere cercando di impaurirlo in qualche modo. Poi lui fece una cosa da lasciarmi venire i brividi, pressoché impietrita: mi baciò nonostante avessi i canini appunti e in bella mostra tentando di ferirsi le labbra. Mi staccai subito da lui e sciolsi l’abbraccio, stetti per sgridarlo, ma non lo feci per fortuna: non volevo fare una figuraccia davanti a tutti. Respirai profondamente per sciogliere il ruggito che cercava di uscire nella mia bocca. Lo digerii.

Louis restò impassibile, ora non sorrideva più perché capii di avere esagerato. Nella sua faccia c’era una smorfia di rimorso. I suoi occhi mi supplicarono perdono. Gli riandai lentamente in contro, sentendo la mancanza del suo calore, riprendendo quell’abbraccio rilassante di prima.

“Devi stare attento, hai una ragazza diversa dalle altre’’, lo avvisai.

“Credevo che avessi capito che non ho paura di te ’’

“Lo so, ma non essere così coraggioso, ti amo così come sei’’

“Ti amo anch’io, vampirella mia’’

E risi divertita. Era così bello sentirmi essere chiamata “vampirella” da lui, nessuna macchia di paura in quella parola solo pura verità.

Ci fu qualche secondo di silenzio e poi…

“Di cosa avete parlato tu e tua madre quando io ero in salotto con Hendrik?’’, mi chiese. Lo guardai di nuovo: nel suo viso c’era curiosità, quasi quanto nella sua voce. Nel mio invece, c’era mistero, preoccupazione, e soprattutto un sentimento che mi incupiva il pensiero, che mi metteva una specie di tremarella in tutto il corpo, che mi faceva temere il peggio, non gradivo quel sentimento eppure era venuto tutto ad un tratto dentro di me, con il presentimento che era proprio lui a cui pensavo che venisse a manifestarsi dentro di me: la paura.; sì, avevo paura di qualcosa ma non sapevo di cosa; pregai in cuor mio che la giornata sarebbe andata per il verso giusto. Ma nulla nella vita deve essere sempre così perfetto. La bocca del mio stomaco si chiuse dandomi una morsa di dolore. Ed eccolo di nuovo quel nome che ogni volta sbucava dal nulla e mi tormentava l’anima: Drakon. Stavo così bene quel giorno che mi dimenticai totalmente che quel nome esistesse, era forse una prova per mostrare se ero veramente capace di vivere solo con la conoscenza del suo nome? O era proprio lui stesso ad ordinare col pensiero di ricordarmi di lui? Aveva un qualcosa di oscuro? Nel momento stesso in cui stavo per scacciarmelo dalla testa, fra i miei pensieri si fece largo un altro nome che si avvicinò al primo: Alucard. Il secondo era più digeribile dell’altro, era come se lo conoscessi da una vita, e mi rendeva diciamo…tranquilla, ma la paura rimaneva. La mia mente si fermò inconsciamente su Alucard, facendomi dopodiché tante domande che non mi sarei mai aspettata: dov’era? conosceva tutto di me? sapeva dove abitavo? Nelle notti vagava a Somenville e attirava mia madre per parlare di me? che aspetto aveva? Erano tutte domande difficili, impossibile trovarne una risposta. L’ultima domanda la cercai nel mio cuore, non nella mia testa, partii dal mio cuore fino ad arrivare al mio cervello. Lo sconvolse…mi sconvolse. Subito mi venne un groppo in gola, non sapevo se era di tristezza o di rabbia, o del desiderio di vederlo, sapevo solo che la domanda era lì, lì nella mia mente; difficile non scacciarla, che mi sconvolse del tutto, che mi fece venir la voglia d’un incontrollabile bisogno d’affetto: Mi amava?.

“Allora?’’, mi chiese d’un tratto Louis. ero rimasta in silenzio per un intero minuto non accorgendomi che il tempo era volato. Mi spaventai di colpo ricordando che mi ero scordata della sua presenza. Mi vergognai, da sempre non mi dimenticavo mai di Louis.

“Ehm…del compleanno’’, risposi con un sussurro. Aspettai che mi rispondesse ma non lo fece. Non aveva sentito. Ripetei perfettamente quello che avevo detto.

“Ah, e…’’

“Perché?’’

“Sai come sono, no? Un curiosone’’

“Ah, giusto. Vuoi sapere nei migliori dettagli al chiacchierata’’, giustificai.

“Esatto”, e mi accarezzò la guancia. Grazie alla sua tenerezza, un granello di paura se ne andò via. Gli sorrisi.

“All’inizio stavamo parlando di te. Mamma voleva sapere se ci vieni alla festa…’’

“E tu cosa gli hai detto?’’

“Le ho detto che non ti saresti perso per niente al mondo il mio compleanno, e che le mie due amiche saranno occupate quel giorno. Poi gli ho detto che sono felice con te come nessun altro. Aggiunsi anche che mi sento felice con te come lei insieme a papà. E…da “papà” capii..’’

“Che ti stavi riferendo a lui ’’, concluse Louis, nella parola “lui” la pronunciò piena d’odio, quasi la sputò fra i denti. Non ero l’unica ad odiare quel vampiro e compagnia bella, anche Louis odiava loro per quello che mi avevano fatto. Quando seppi che anche lui stava dalla mia parte mi rafforzò la convinzione che un giorno mi sarei vendicata per quello che mi avevano fatto.

“Che cos’hai?”, mi chiese in seguito vedendomi pensierosa. Stavo pensando ad una cosa che mamma mi aveva detto prima di andare in contro a mia sorella, qualcosa che mi incuriosiva tanto, e qualcosa che riguardava la festa…ma me lo scacciai dalla testa…era…improbabile quello che stavo pensando…non poteva mai accadere. O si?

“Niente…’’

“Pensavi a Drakon?’’, insistesse. Al solo sentire il suo nome mi venne il voltastomaco. Per un minuto mi accorsi che la paura era svanita ma poi ritornò.

“No, ad Alucard’’, confessai tutto d'un fiato, sorpresa d’aver detto il suo nome in suo presenza. Certe volte lo chiamavo “A” oppure “il figlio di lui” o “il figlio”, non mi affermavo sui nomi…non mi piaceva nemmeno nominarli.

“Alucard?’’, ripete sorpreso tanto quanto me.

“Sì’’

“Perché?’’

“Non lo so…Boh! Non ne ho la più pallida idea’’, e risi fra me, mi sentivo sciocca solo ad averlo pensato.

“Ah, forse sei agitata perché sta per avvicinarsi il gran giorno’’

“Già, forse è per quello’’, e infondo credevo che abbia avuto ragione lui.

“Non ti preoccupare, amore, ti starò accanto il più possibile. Vedrai che quel giorno sarà indimenticabile’’, mi consolò. Mi accarezzò dolcemente la guancia e mi baciò. Le sue labbra andarono al ritmo con le mie trasformando quel bacio in un momento misto di dolcezza e conforto che scacciò via la paura dandole uno schiaffo. Credeteci o meno, aveva detto la verità.


Ecco il mio primo capitolo, spero vi piaccia. Mentre scrivo, sembra che la vita della protagonista si fa sempre più reale, riesco a sentire il suo respiro. Un racconto unico. Domani pubblicherò il secondo capitolo! Kiss....

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Capitolo 3
*** Per il mio compleanno...una sorpresa inaspettata ***


Capitolo 2 

Prima che vi racconti questa giornata, lasciate che vi faccia un resoconto dell’aspetto della mia casa, per ambientarvi meglio. La mia casa è una di quelle semplici e graziose col vicinato al fianco. È circondata da un giardino immacolato con alberi sparsi un tutto il terreno (abeti, pini, alberi da frutto, ciliegi, meli, e due salici piangenti). Appena entrati c’è il salotto con pareti color arancio scuro, con tre lampade a sotto-forma di fiori-campanella ai lati delle mura in verso orizzontale, e due per i lati superiori della porta d’entrata. Alla sinistra c’è un attaccapanni lavorato in legno, a destra due librerie composta da cassette e giornali di ogni tipo: vecchi, nuovi, di sport, popolarità, pubblicitari, ecc... al centro di questi due mobili giganti c’è la televisione, appoggiata su un mobiletto di legno. Davanti alla “Scatola nera” c’è un enorme sofà distante tre passi ricoperto da una stoffa color panna con ricami floreali, dietro il lungo schienale del sofà, erano radunate in cerchio altre piccole poltroncine  con in mezzo un tavolino  di vetro alto tre bracci. Le mura erano abbellite con quadri artistici e alcuni della nostra famiglia.

Al lato destro c’è invece la cucina, con un color verde acqua sulle pareti. Attaccate al lato destro della cucina, nell’angolo cottura, erano attaccati al muro cassetti di legno -dello stesso colore delle mura della stanza, ma con una tonalità più chiara- che racchiudevano biscotti, farina, zucchero, caffè, sale, barattoli di nutella, ecc.…con la credenza che faceva da ultimo cassetto e il frigorifero che faceva da primo, sotto c’erano i fornelli. Nella parte sinistra della stanza era circondata da una lunga vetrata permettendo di vedere il giardino intorno alla casa.

Usciti poi dalla cucina si entrava si un corridoio, si trovava tra il muro che racchiudeva la cucina e alla fine del lato del salotto parallelo alla porta d’entrata, illuminato da quattro lampade ovali attaccate al soffitto, e alla sua fine c’era solo il muro. Qui in ogni lato della stradina del corridoio c’erano tre camere: a destra c’era la mia camera, il bagno e l’ufficio di papà, nel lato sinistro c’era la camera di Consuelo (identica alla mia se on fosse per le tonalità che va dal blu all’azzurro dei colori della stanza), quella dei miei genitori e infine il magazzino. Una casa più semplice di così non esisteva, non ci mancava niente, dentro quelle stanze mi sentivo me stessa. Avevo tutto quello che si poteva desiderare: un papà divertente ed unico, una mamma che per è come un’amica, una sorellina strepitosa e dolce, un ragazzo che mi faceva sentire importante, amata e speciale, ed molti amici. Era tutto così perfetto, cosa poteva andare storto?

14 gennaio 1972, data del mio compleanno. Quel giorno mi svegliai più viva di quanto non lo sia mai stata, la voglia di divertirmi mi scorreva nelle vene già nel primo momento in cui avevo riaperto gli occhi dal sonno., mi vestii velocemente e corsi da Consuelo. Lei era già andata a fare colazione. Erano le 8.13 del mattino. Mi sedetti accanto alla piccola in silenzio e acciuffai due panini morbidi che mamma aveva lasciato sulla tavola insieme all’affettato e un bicchiere di latte. Aprii la carta arrotolata dove c’era dentro il prosciutto cotto e ne presi due fette. Scattai dal frigoriferi, presi un cucchiaio e dalla credenza afferrai un cucchiaio. Ritornai a posto e aprii la bustina. Consuelo intanto era impegnata a bersi anche il mio bicchiere di latte ( lo sapeva che non lo avrei mai bevuto). Le tirai un sorriso a mo’ di saluto mentre infilavo il cucchiaio dentro la bustina per farlo riemergere con il sangue dentro. Lo schizzai bene sopra la prima fetta di pane, nell’affettato e sotto l’ultima fetta di pane, lo distesi bene e rimisi la seconda fetta sopra il prosciutto. Addentai il primo morso per esaminare se il sapore era come me lo aspettavo. Bene, la puzza del pane e del prosciutto erano spariti., il resto del sangue contenuto della busta lo misi nel mio bicchiere dove Consuelo si era risucchiata tutto il latte. In silenzio, si preparò un altro panino. Mi sorrise per salutarmi e poi ritornò a guardare il panorama che si estendeva davanti alla vetrata. L’erbetta fresca era bagnata dalla rugiada del mattino, allungando la vista riuscivo a vedere ogni singola goccia sulla punta dell’erba, un uccello cinguettava su ramo di qualche albero del giardino e al suo cantare se ne univano altri. Sentivo il loro battiti cardiaci palpitare all’unisono con il mio cuore, i loro respiri frenetici, e il battere delle loro alette che tagliavano l’aria. sentivo l’ululato del vento de Consuelo non avrebbe mai sentito, le zampe feline che venivano da fuori (probabilmente un gatto), il tintinnare acuto del campanello di una bicicletta, le sue ruote che strisciavano sull’asfalto e spostava qualche piccolo granello di pietra ad un’altra direzione, le foglie che si muovevano. Le risate melodiche delle donne e degli uomini, le loro conversazioni e battibecchi, ecc.… Dall’interno della casa invece, sentivo mio padre russare, si muoveva da un lato all’altro sopra il letto, percepivo l’odore della sua pelle umida e quello pulito e fresco del lenzuolo. E mamma si stava facendo la doccia. Il rumore dell’acqua sembrava come una cascata che alla sua fine si scontrava contro le pietre. Ma quella cascata si scontrava contro pelle morbida e profumata; la sentivo cantare, che voce bellissima proveniva dalla sua bocca. Distesi il mio olfatto verso il bagno…non si sentiva molto: l’odore dello shampoo alla vaniglia per i capelli ( che per me era puzzolente), quello a cocco per il corpo ed infine ispirai profondamente il suo odore: miele, lilla, e mela. Lo avrei riconosciuto anche ad un chilometro di distanza.

Consuelo mi diede tre colpetti sulla spalla.

“Che fai oggi?’’, mi chiese quando ingoiò l’ultimo pezzo di pane. Mi aspettavo un “Buon compleanno!”, ma mi andava bene anche così. Gli auguri mi andava anche oltretutto riceverli nel momento esatto. Con un movimento fulminei delle braccia, in un secondo era sopra le mie gambe. All’inizio rimase accigliata ma poi ritornò a rilassarsi. Si abbandonò sopra il mio petto come facevo io con Louis quando mi sentivo al sicuro. Per lei ero la sua protettrice.

“Non lo so, decidi tu’’, risposi. Subito il suo visino torvo si girò verso di me.

“Ma è il tuo compleanno’’, incalzò.

“Appunto’’, dissi infine. Se ero maggiorenne ormai potevo fare tutto quello che volevo o lasciar fare a chi volevo. Consuelo lesse nei miei occhi la consapevolezza che quello che stavo dicendo fosse vero, e…che quel sorriso eccitato formatosi nelle mie labbra significava solo qualcosa…

“Shopping!”, ripetemmo all’unisono dopo esserci capite. Consuelo rise felice, batte le mani e mi gettò le mani al collo. All’inizio fu un’ondata di calore che mi sconvolse la gola, controllai tutta me stessa per non infilzare i canini nella sua carne, avrei voluto tanto scansarmela ma infondo seppi controllarmi. Accettai di buon gusto l’abbraccio.

In un minuto d’intero abbraccio, assaporai il suo odore di cioccolata e fragola che mi sciolse i muscoli. Mi abbandonai rilassata sullo schienale della sedia stringendo di più a Consuelo. Le mie labbra trattenevano l’impulso di baciare quella carne morbida, di aprirsi scoprendo i denti.

Tirai uno sguardo controllore alla vetrata e corsi il mio viso: non stetti molto a studiare i lineamenti del mio corpo, anche se sapevo che erano bellissimi, mi fermai sugli occhi: erano di un rosso acceso, colore del sangue. Questo succede ai vampiri quando sentono il bisogno di nutrirsi o di fare a pezzi qualche loro nemico.

Prima che cominciassi a perdere ogni controllo, Consuelo si staccò da me; tirai un sospiro di sollievo. Non mi ero ancora adattata al sangue umano nonostante ormai c’avessi diciott’anni. Per me ogni odore del loro sangue era come una battaglia nuova, ogni giorno, fino a bruciare. Ma grazie ad alcuni miei istinti umani sapevo controllarmi alla grande.

“Quando ci andiamo?’’, mi chiese elettrizzata. Il suo sorriso era così ampio che si vedeva le fossette.

“Ora, se ti vesti subito’’, risposi. Quel giorno fino a sera volevo concedere tutto il suo tempo a lei. desideravo che fosse una giornata indimenticabile per entrambe, mi sentivo così fiera ogni volta che la vedevo schizzare felicità da tutti i pori. Non feci in tempo a finire la risosta che già era corsa fuori della cucina. Sentii il martellare veloce dei suoi passi che raggiunsero la sua camera. Risi divertita, ed eccitata. Non vedevo l’ora di iniziare la giornata. Bevvi a sorsi grandi il sangue nel bicchiere e mi sciacquai la bocca nel lavandino, nonostante l’odore dell’acqua mi facesse arricciare il naso. Mi fiondai nel corridoio dove stava uscendo mamma dal bagno con addosso l’asciugamano arrotolato intorno al suo corpo ancora bagnato. Il tessuto bianco dell’asciugamano mettevano in risalto i lineamenti perfetto del suo corpo snello, nonostante avesse 36 anni, si rivolse a me con uno sguardo accusatore.

“Dovete fare piano, c’è vostro padre che dorme’’, mi avvisò severa. Alzai le braccia per chiederle scusa con un sorrisino innocente. I suoi capelli castani le arrivavano fin sotto le scapoli, erano ancora bagnati ma gli stavano bene, camminava scalza. Probabilmente non sentiva il freddo del pavimento sotto i piedi dato che aveva fatto una doccia abbastanza calda; lo intuivo data l’aria tiepida che usciva dalla stanza come una nuvola di fumo; per un momento caldo proveniente dal bagno mi appannò la vista come un velo. Strizzai gli occhi per il fastidio. Quella mattina faceva freddo, le nuvole coprivano il cielo, e ingiustizia o meno dovevo per forza mettermi qualcosa di caldo.

“Posso portare Consuelo a comprare qualcosa? Oggi voglio farla divertire’’, tagliai corto io.

Mamma all’inizio mi guardò con severità, poi sembrò sovrappensiero e in fine mi guardò rassegnata. Si fidava di me, sapeva che nulla sarebbe andato storto. Mi sorrise per accordare la mia volontà, ma i suoi occhi trasmettevano ancora serietà.

“Va bene, però state attente. Prendi i tuoi soldi se vuoi comprare un vestito o qualsiasi altra cosa, copritevi bene e portatevi l’ombrella’’, ordinò.

“D’accordo ’’, stetti per andare verso la mia stanza ma poi ritornai indietro e mi fermai davanti a mamma “Ma tu cosa farai nel frattempo?’’, chiesi pensierosa. Mamma storse il labbro.

“Preparerò alcune delizie per il compleanno, e…altre cose. Tu vai tranquilla con tua sorella, divertitevi”, e mi tirò un bacio con la mano, mi fece l’occhiolino e chiuse la porta del bagno. Rimasi lì impalata per un momento, incerta su qualcosa- forse il comportamento di mamma sull’ultima frase-, ma poi mi incamminai silenziosa verso la  mia stanza.

Mi chiusi la porta alle spalle e sospirai affondo. All’inizio non credevo che quel giorno tanto atteso fosse arrivato, e mi salii il panico nelle vene. L’agitazione mi fece tremare come una foglia. Sembrava una giornata come le altre ma invece sentivo che sarà stata diversa. Scattai nell’armadio, cercando di scrollarmi il panico di dosso, lo aprii velocemente e ne estrassi dei jeans neri, una giacca bianca con una felpa color viola. Sfrecciai nello specchio che stava nel lato destro del letto ( nel lato sinistro c’era il comodino) e mi osservai. Uno…due…tre respiri profondi e sciolsi i muscoli. Controllai la mia espressione nella superfice riflettente del vetro: il viso perfetto di quella ragazza era rilassato, ma nel suo sguardo c’era un velo di agitazione.

Dopo di tutto non mi importava i miei stati d’animo, non potevo pensare sempre al peggio…specialmente in una giornata importante come quella. Avevo solo uno scopo in quel momento: rendere l’inizio della giornata uno spasso.

Per cui ignorai il viso stupendo del mio sosia riflettente nello specchio, mi levai la canottiera e pantaloncini che mi ero messa per dormire e afferrai gli indumenti che avevo appoggiato sul letto; lasciai sfuggire un ringhio soffocato: odiavo l’odore della seta, non si sentiva quasi niente se non un velo di caldo incomprensibile e puzza di chiuso…sembrava che ci fosse anche appena un odore percepibile di legno. Pensavo che almeno i vestiti avrebbero avuto un odore più commestibile del cibo. A quanto pare entrambi non facevano la differenza se non l’uguaglianza.

Solo se non si mettevano ad appendere dentro l’armadio per settimane, il profumo pera più delizioso, perché apparteneva alle persone che li avevano toccati.

Lanciai uno sguardo furtivo al mio nemico orologio: erano le 8. 49. Dalla fretta ignorai tutto: la preoccupazione o agitazione, il silenzio della mia stanza e i rumori dell’altre, gli antipatici odori dei vestiti, e in tre secondi ero pronta. Mi lisciai con le dita i capelli e me li portai dolcemente dietro le spalle. Presi l’ombrella e uscii chiudendo la porta dietro le mie spalle.

Consuelo faceva fatica a starmi dietro, dato che ero così veloce con il passo, mi teneva per mano. c’eravamo allontanate da quasi dieci minuti da casa; svoltammo verso destra per inoltrarci in un vialetto con pietre incastrate per formare una strada, ai suoi lati erano unite case e negozi. C’era poca gente in quel percorso. Una bambina cicciottella e riccia mi sorrise a mo’ di saluto: era una delle compagne di scuola di Consuelo. Ricambiai il saluto per rispetto. Consuelo intanto saltellava, dato che aveva compreso che tenere il passo con la camminata era impossibile. Il cielo era ancora coperto da nuvole grigie, ma avevo come il brutto presentimento che si sarebbero ritirate.

“Che ne dici di Melandly?’’, propose Consuelo quando gettò uno sguardo su una vetrina di libri. Gettai pure io lo sguardo dove Consuelo aveva posato il suo. In silenzio, ci avvicinammo ancor di più nella vetrina per osservare più da vicino; sembrava interessante come iniziativa.

Sorrisi a Consuelo per accordare il permesso di entrare in quel negozio, e ci avvicinammo, sempre unite con le mani, verso l’entrata che stava alla nostra sinistra. La porta era di vetro, la maniglia di ferro colorata d’un oro scintillante. Una volta entrati il campanello sopra le nostre teste suonò. Quel posto odorava di pagine mai aperte, fresche, e dolci, l’odore dolciastro del muro fatto di cartongesso, e molte altre cose che non riuscivo a riconoscere. La stanza era quadrata, larga sette metri di larghezza e  sette di lunghezza. Le sue mura era colorate di un bianco candido e addobbiate con quadri d’ogni tipo d’arte. Il pavimento era di legno in parquet.

A dieci passi da noi c’era una enorme cattedra, lunga dieci bracci, a forma di mezza luna, ricavata dal legno di quercia e abilmente decorata su cui vi sedeva un omone pelato, aveva più ciccia che muscoli, grosso quant’un orso, occhi piccoli e marroni-cioccolato, mani grosse e cicciottelle, bocca grande con labbra carnose, e naso a patata. Dalla sua posizione rilassata, sembrava che si volesse fare una bella dormita.

“Ciao, Antonio!”, la salutò la voce squillante di Consuelo. Appena Antonio udii la voce della bambina, staccò lo sguardo da qualcosa sotto di lui che scoprii essere un libricino con la copertina color indaco. L’appoggiò delicatamente sul legno della scrivania e tese le braccia a Consuelo che stava correndo verso di lui; anche se sembrava un uomo pericoloso, aveva una dolcezza indescrivibile per i clienti, soprattutto per i bambini.

“Ehi, ecco la mia ospite speciale!”, urlò sorpreso con una voce possente che sembrava appartenesse ad un orso. Al tempo stesso prese per la vita a Consuelo e la pose sopra la sua gamba destra.

“Come stai?’’, chiese poi Consy.

“Eh…si tira avanti! Ormai sto diventando vecchietto”, disse agitando un pochino le gambe grassocce per far agitare scherzosamente la mia sorellina, e pigandosi leggermente con le spalle. La piccola sorrise divertita, ma poi gli accarezzò dolcemente la guancia rosea.

“Ma no, tu vecchio per me non lo sarai mai”, lo consolò lei. Antonio sorrise e l’abbracciò facendo attenzione a non usare troppa forza. Era incredibile quanta consolazione riusciva a trasmettere ad una persona che conosceva appena ma che per lei era da una vita. Non a caso il suo nome le se addiceva molto.

“Scommetto che sei qui per un libro, vero?’’, scommette colpendole piano la punta del nasino, una volta sciolto l’abbraccio.

“Sì, ne volevo uno di romanticismo…’’

“Allora sei capitata nel posto giusto. Sono appena arrivati dei libri nuovi che posso interessarti’’, disse. Lei batte le mani felice e subito dopo corsa da me per abbracciarmi.

“Grazie, Alexia, per avermi portato qui’’, disse, il suo volto era pieno di gioia. Non riusciva nemmeno a trattenere la gratitudine che provava per me per quanto l’avevo resa felice.

“Di niente, tesoro, scegli quello che vuoi”, le risposi, in quel momento assomigliavo a mamma.

“E naturalmente ci sono dei libri anche per te”, aggiunse Antonio voltandomi contro un sorriso benevolo.

“Grazie, Antonio, darò una sbirciatina”, lo ringraziai pacata.

Salimmo nelle scale a chiocciola che si trovava dietro la scrivania, dentro uno spazio si quattro metri di larghezza e sette di lunghezza del muro. Anche il piano superiore era fatto con il pavimento in parquet, solo con una tonalità più chiara tendente al castano. Le mura erano dipinte di un giallo chiarissimo quasi bianco. Le enormi librerie erano in file da tre, in verso orizzontale. I lampadari a pendolo erano di color rosa confetto, erano appese al centro della stanza in fila di quattro: nel lato destro della stanza c’era un’enorme vetrata aperta con all’esterno un balcone di legno. Si poteva vedere le case parallele al negozio, nel viale. Era grande tre volte la stanza di Antonio. Consuelo si diede alla carica e andò alla seconda libreria, partendo da destra. io la raggiunsi un secondo dopo. Sopra la libreria, attaccato al muro c’era scritto in bella calligrafia LIBRI DI ROMANTICISMO.

Gli occhietti di Consy scintillavano di felicità, si mordeva il labbro indecisa, passando con le dita i dorsi dei libri. Ne afferrai qualcuno anche io, ma non erano i semplici libri che mi interessavano.

“Ne hai scelto uno?’’, le chiesi quando fu passato un quarto d’ora. Ma era tanto presa dal concentramento che mi disse soltanto:

“Aspetta”, e rimise un libro che aveva preso al suo posto. Mi fiondai sul settore LIBRI HORROR e cominciai a cercare. Sapevo di quale tipi di racconti ero interessata; gli unici che mi affascinavano. Accarezzai ogni dorso dei libri che incontrava la mia mano, sentendo con le dita il contatto appiccicoso delle copertine fatte di plastica. Ce n’erano così tanti che potevo prendere e mi sarebbero piaciuti, ma avevo l’imbarazzo della scelta. D’un tratto il mio naso contattò l’odore di un profumo antico, vecchio, cerume, ma soprattutto dolce, squisito…sembrava sole, cocco, cannella, pane, ghiaccio, vaniglia e lavanda. Con il naso ispirai attentamente l’odore e seguii la scia. Il libro era grande, con la copertina fatta di pelle color blu notte e impolverato, le pagine ingiallite nel tempo, ma le lettere d’inchiostro si leggevano comunque bene, al centro della copertina era inciso un simbolo di ferro: un ovale con due serpenti intrecciati a metà circonferenza, e al centro un pipistrello dalle ali spalancate in modo da coprire lo spazio dell’ovale. Accarezzai il simbolo e istintivamente lo annusai. Ecco da dove veniva tutti quegli aromi deliziosi. Lo studiai più attentamente, avevo come l’impressione di conoscere quel profumo.

Fui scossa dalla sorpresa quando mi venne un flash: per circa tre secondi mi apparve l’immagine di quel simbolo sul libro, agganciato questa volta ad una cordicella che a sua volta formava una collana. Il ciondolo risposava sul collo bianco di una persona. Talmente bianca era la sua pelle da rendere impossibile paragonarla a quella umana. Quando il ricordo svanii fui inondata da un senso di paura che mi fece tremare.

Strinsi il libro al mio petto e raggiunsi Consuelo che ormai aveva scelto il suo. La trovai sempre nello stesso punto, che accarezzava una copertina di color mandarino, ritraeva una donna ed un uomo che si baciavano. Sorrise affascinata ammirando la coppia.

Il titolo era: QUANDO DUE CUORI SONO UNA COSA SOLA… 

“Ma come fai a leggere queste cose da grandi?’’, borbottai, stropicciandogli i capelli. Mi scansò la mano con uno schiaffo sul palmo e si strinse il suo libro al petto.

“Ma io sono grande”, bofonchiò.

“Sì, certo”, sbuffai.

Ma mi diede ascolto perché aveva già puntato lo sguardo sul mio libro. Ebbi un senso di fastidio quando notai la sua curiosità. Ora strinsi ancor di più il mio libro, come mi appartenesse di diritto, come se quell’odore mi avesse attratto apposta per infatuarmi del suo mistero, come se fosse destinato a me. Era mio, non potevano toccarmelo. “Mio”, ripetei nel pensiero.

Nel petto mi cominciò a nascere un ribollimento che pian piano cresceva. Lo sentivo invadermi la bocca e fermarsi fra i denti. Consuelo alzò le mani in alto in segno di arresa e fece un passo indietro.

“Scusami, non lo guarderò più’’, promise.

“Sarebbe meglio, altrimenti una passeggiata con me non la farai mai più’’, ringhiai.  

“Scusami’’, ripete con una smorfia d’innocenza. Il ruggito cessò. Mi ricomposi.

“Bene’’, dissi con l’ultima nota minacciosa della voce. Ci qualche secondo di silenzio e poi…

“Di cosa parla?’’

Mi misi a fissare il libro, puntai casualmente gli occhi sul simbolo della copertina: era misterioso ma bellissimo, ebbi come la netta sensazione di aver trovato quello che stavo cercando. Il simbolo ne era la prova.

“Presumo che parli di vampiri’’, risposi.

“Sempre vampiri!”, si lamentò.

“Che ci posso fare? Mi piace leggere la storia delle persone che mi accumunano’’

“Il titolo qual è?’’

Puntai di nuovo lo sguardo sulla copertina, ma non trovai traccia del titolo, lo aprii ma nemmeno nella prima pagina giallastra che incontrai c’era traccia di una lettera.

“Non lo so’’, risposi dubbiosa. Anche Consuelo venne a controlla, ma non trovammo lettere…Era incredibile! Nessuno di quei vogli erano scritti, le pagine erano vuote. Eppure avrei giurato che un attimo fa le pagine erano strapiene di parole.

Rimasi pietrificata, sorpresa e confusa. Non era possibile che avessi immaginato tutto, che sia diventata pazza? Era improbabile.

Consuelo si piegò in due dalle risate.

“Hai preso un libro vuoto!”, rise.

“Non è vero! Prima era scritto!”, sbottai.

“Andiamo, non verrai a dirmi che adesso i libri eliminano i loro racconti a loro piacimento!”

“Questo è un posto magico, vedi un po’ tu!”, dissi in fine. Consuelo fece spallucce e poi avanzo saltellando verso le scale a chiocciola. Per qualche secondo rimasi impalata, come se avessi la stessa sensazione incerta che si manifestò quando salutai mamma quella mattina. Era strano, molto strano. Quale altra cosa stramba mi sarebbe accaduta? Già mi bastava avere fra le mani un libro che faceva bibbidi bobbidi bù per conto suo, cos’altro dovevo aspettarmi nell’arco dell’intera giornata? Forse era nuovamente l’agitazione che mi faceva avvolta come un salame.

Guardai di nuovo il libro, intorno a me c’era un silenzio inquietante, e annusai nuovamente il contenuto. Era come se mi aspettasse, mi aspettava da tanto. Come se volesse mantenere il segreto fra me e lui di quelle pagine. Nessun’altro sarebbe andato ad origliare. Allora anche lui accettava il fatto di essere letto solo da me? D’altra parte, di una cosa ero malferma: da quanto stava lì? L’odore di quella persona doveva essersi fermata qui dalla sera precedente dato che ancora si percepiva perfettamente. Era come dire che le impronte di un cane era ancora fresche nel terreno. Forse quell’individuo aveva deciso di vendere quel libro perché pensava che sia stregato? Eppure quella pietanza deliziosa l’avevo già sentita prima, ma non ricordavo a chi appartenesse.

Quando ritornai da Consuelo e Antonio, mi accorsi che ero stata assente da tre minuti, di solito non rimanevo ferma così a lungo. Mi guardarono sorpresi.

“Che hai avuto?’’, mi chiese Consuelo preoccupata, stringendomi per sapere se stavo bene. La sollevai da terra e la strinsi al petto.

“Niente”, le risposi. Le sorrisi, ma non la convinsi. Che espressione aveva letto sul mi viso?

“Bene, fatemi vedere i libri’’, ordinò gentilmente Antonio allungando la mano verso di me, con il braccio destro strinsi la schiena di Consuelo e con l’altra appoggiai il mio libro sul legno della scrivania con quello della mia sorella. La bambina intanto aveva attorcigliato le gambe intorno la mia vita e le braccia al mio collo per tenersi stretta a  me. Rimasi un tantino contraria nel dover lasciare per qualche momento il libro nelle mani dell’uomo panciuto.

Appena vide il simbolo sulla copertina rimase scandalizzato, non si azzardò nemmeno a vedere il costo. Mi inchiodò poi con uno sguardo accusatore. In un attimo mi si contrasse lo stomaco per una fitta scossa di paura, come se fossi la sua preda o nemica.

“Hai preso questo?’’, mi chiese poi sbigottito, indicando con l’indice cicciotto l’oggetto.

“Sì”, risposi con la voce tremante.

“Non ha costo, non è nemmeno scritto…penso che sia un quaderno mai usato’’, commentò.

“È strano, avrei giurato che appena lo aprii era completamente pieno di frasi che riempivano tutti i fogli’’, e mi guardò sbigottito, come se pensasse che ero una pazza. In quel momento mi lo sentii davvero.

“Ma….forse avrò visto male ’’, farfugliai dopo, meglio tralasciare una bella figuraccia. Antonio sospirò e poi afferrò il libro e ci soffiò sopra. Migliaia di granelli di polvere si alzarono come una nuvola cominciando a danzare aggraziati. Sembravano gli stessi che volteggiavano sopra l’aria della mia camera da letto, ma questi erano più leggeri e grigi.  In seguito studiò attentamente la facciata in avanti del libro, il dorso, e la facciata dietro. Lo girò e rigirò su se stesso, aprii le pagine e le sfoglio una per una in modo rapido, per cercare qualcosa. Alla fine lo appoggiò nel tavolo e lo fece scivolare verso la mia direzione. Lo presi al volo con la mano libera, prima che arrivasse alla fine del tavolo.

“Non c’è il costo, quindi è gratis, lo puoi usare come diario segreto oppure come libro per gli appunti di scuola’’, mi consigliò, sorridendomi.

“È tanto tempo che stava in quello scaffale?’’, chiese curiosa Consuelo, sempre attaccata a me.

“Mmm…mi sembra di ricordare che è da due giorni che è lassù’’, rispose storcendo le labbra, pensieroso.

“Due giorni? Quindi significa che era di qualcuno’’, mi dissi.

“Mi sembra evidente’’, rispose ironico.

“E chi?’’. Non ero mai stata interessata di chi avesse venduto i libri che io compravo, ma quel giorno ne era un bisogno urgente.

“Per me poteva anche tenerselo, insomma…un libro vecchio e vuoto poteva anche essere utile per scrivere qualcosa’’, disse fra se. Ragionava.

“Chi?!’’, insistetti. Quel qualcuno sapeva che il libro era scritto, me lo sentivo, sapeva che era magico. Quel libro non l’aveva abbandonato, di sicuro. Lo stava usando…era uno strumento. Non era venuto qui giusto per disfarsene. Non intendeva liberarsene per timore che fosse stregato. Era un potere oscuro quello che era stato tirato sul libro, un potere che appena lo percepivo mi faceva sentire tutti i sentimenti più angoscianti che esistessero nella mia testa, e mi faceva sentire debole. Quindi era stata quella magia a farmi sentire terrorizzata dell’avvenire del mio compleanno, preoccupata di qualcosa, impaurita, arrabbiata del perché mia sorella non mi aveva dato ascolto al piano di sopra…? E io che pensavo di essere io di sentire tutto quello che mi stava succedendo. Allora non ero pazza!

Che specie di potere aveva quella persona? Sicuramente, cerava di attirare chi voleva che fosse attirato: io, ma che centravo io in quello sconosciuto? Mi conosceva? Lo conoscevo? Eppure tutto in quel libro mi sembrava familiare: l’odore, il simbolo. Ma in quale parte della mia vita c’erano stati questi due ricordi?

“Un ragazzo…non lo conosco’’, rispose Antonio con menefreghismo, come se la cosa non gli importasse.

“Un ragazzo?’’, ripete Consuelo più curiosa di prima.

“Si, avrà avuto…diciannove anni o di più’’, aggiunse mentre prendeva il libro di mia sorella e vedeva il costo. “Sono 12 £’’, ci riferì. Afferrai il portafoglio di pelle bianca che mi aveva regalato Jessica per il mio sedicesimo compleanno ed estrassi 20 £ di carta. Lui aprii il cassetto di legno sotto il tavolo della scrivania e mi prese il foglio di carta. Mi diede il resto e presi anche il libro di Consuelo. Diedi il libro alla proprietaria.

“Grazie’’, lo ringraziai dopo l’acquisto. Rispose con un sorriso.

“Sai per caso chi era quel ragazzo?’’, avevo ancora in viso una maschera di curiosità.  Intanto la bambina fra le mie braccia sfogliava qualche pagina, nei suoi occhi c’era un incontrollato desiderio di leggere.

“No, e non lo voglio sapere, mi fa venire i brividi solo a pensarlo’’, disse, lessi nei suoi piccoli occhi un allarme. Teneva le braccia conserte. Ormai nella stanza governava il silenzio, quei ticchettii dell’orologio non c’erano e nell’aria c’era qualcosa di molto spettrale. In quel posto, cominciavo a sentirmi a disagio. Come se fosse quel sortilegio sul libro a creare il panico che cominciò a crescermi nello stomaco. Mi fece male.

“Mi dispiace che ti abbia fatto paura’’, dissi.

“Non ti preoccupare. Di una cosa dovresti essere felice: non mi è preso un infarto’’, rise imbarazzato.

“Com’era? Sai descrivermi il suo aspetto?’’

“Lo sai quanto me che non ho una buona memoria…’’. Maledizione! “Comunque ti posso dire che era un bel giovanotto…non come gli altri…bè, come gli altri ma più bello, ed era…strano ’’

“Strano?’’

“Sì, non mi sembra un ragazzo…come gli altri’’

“Ah’’, risposi confusa. Non era un genio a descrivere le persone, “come se si li ricordasse dopo una settimana’’, pensai alzando appena gli occhi, ma qualcosa nel suo indizio mi faceva venire un dubbio….Più che un dubbio, una certezza. Tuttavia non sapevo nemmeno se ero certa a chi stavo pensando, ero così confusa e…stanca di stare in quel posto.

“Ora dobbiamo andare, ti ringrazio di tutto Antonio’’, dissi veloce.

“Dovere mio Alexia. Venite a farmi visita quanto volete. Io sarò sempre qui’’, mi salutò, e così facendo puntò l’indice sinistro verso la maniglia da cui ne uscii un fulmine dorato e colpii violentemente la maniglia dopo qualche istante. La porta si aprii. Io e Consuelo sobbalzammo dallo spavento. Antonio invece tirò fuori una risata fragorosa che riecheggiò per tutta la stanza anche mia sorella si aggiunse un attimo dopo, mentre io accennai un sorriso divertito. Di seguito ci diede una busta di blastica per mettere dentro i libri, lo ringraziammo di nuovo e uscimmo svelte.

Per tutto il resto della giornata andammo di qua e di là, a destra e a sinistra, non ci fermavamo mai, mai, mai. Era stato bellissimo; ogni tanto ci fermavamo per sederci su alcune panchine e riposarci per un po’ e poi riprendevamo il via. Entrammo in un negozio di scarpe, in una gioielleria, e infine un negozio di vestiti.

“Che ne dici di questo?’’, mi chiese Consy non appena aprii al tenda dello spogliatoio e si presentò ai miei occhi con un abito color fucsia scuro, stretto al petto, senza spallucce, con la gonna che le ricadeva fino alle ginocchia. Arricciai il naso, non le donava per niente.

“No”, dissi disgustata. Lei sbuffò, era il quarto vestito che si provava quel giorno. La volta dopo uscii con un vestitino bianco, a maniche corte, largo al petto con la stoffa che le ricadeva appena sopra la cinta marrone  intorno alla vita, il resto della gonna era stretto e corto fin sotto le ginocchia. No, non mi piaceva nemmeno quello, troppo femminista. A lei gli ci voleva un vestitino grazioso, che rappresentasse i suoi stati d’animo. E l’ultimo fu al caso suo: era un vestitino color azzurro acqua: stoffa soffice e calda, le spalline erano piccole, stretto al petto, e la gonna le arrivava sempre fino alle ginocchia, con dei ricami floreali. Tirai su i pollici, e lei scoppiò a ridere. Rispecchiava perfettamente la bimba cristallina, dolce, e solare che era.

Ora era il mio turno. Scattai dalla sedia emozionata e mi diressi verso gli appendi abiti di vestiti per adulti. Erano tutti belli, affascinanti, mi sarebbero andati bene dato che avevo la corporatura giusta. Ne provai uno bianco: bianco stretto dal petto fino alle gambe e poi la gonna veniva rilasciata leggera fino a terra, senza spallucce…No, per niente. Non mi andava a genio. Ne provai un altro: color lavanda stretto fin sotto i seni e dopo lasciata libera di volteggiare fino alle caviglie, le spallucce piccole e strette. Mi piaceva tanto, ma a Consuelo tirò fuori la lingue. In fondo aveva ragione, quel vestito mi faceva sentire una…bambina. Toccai la stoffa: tirai un ringhio. No, non era adatto per una festa del genere! Soprattutto se quella festa era la mia. Stavo per afferrare un vestito bianco pallido, ma ritrassi subito la mano quando me lo immaginai addosso. Lo scansai con una mano, in un modo menefreghista, e puntai subito dopo lo sguardo all’abito che se ne stava solo soletto dietro l’ultimo che avevo studiato. Era di un colore blu-notte, stretto al petto come le maniche ed alla fine queste andavano a ricadere come una fontana fino ai gomiti. Lo stretto-vita era a punta, decorato con qualche piccolo diamante incastonato nella stoffa, la gonna era lunga fino ai polpacci e ricamata con dei ricami floreali neri appena visibile nella stoffa. Era bellissimo, assolutamente perfetto. Consuelo mi rivolse un sorriso di comprensione. Non lo provai nemmeno per sapere come mi stava. Pagammo e tornammo a casa.

Attraversata la soglia di casa, nostra madre uscii dalla cucina con le mani sporche di farina, il grembiule da cucina e con un’aria sollevata.

“Finalmente tesori, non ce la faccio proprio a preparare tutto da sola’’, borbottò. Posai l’ombrello accanto all’appendiabiti. Non era servito a niente, fuori c’era il sole; si intravvedevano soltanto delle nuvole grigie che stavano avanzando verso est. Misi il cappotto di pelle mio e di cosi ad appendere sopra un braccio dell’appendiabiti. Gli sorrisi a mo’ di saluto.

“Ti aiutiamo noi’’, proposi. Non ero una buon gustaia in cucina, ma ero molto brava a preparare i panini, dolci o quant’altro. Avevo imparato da mia madre mentre la guardavo cucinare fin da bambina.

“Sì!”, squittì Consuelo, applaudendo quando aveva posato le sue buste sul pavimento.

“Sì’’, le fece eco la mamma “Su’, sbrigatevi a mettere apposto quello che avete comprato e poi venite da me’’, ci ordinò alla svelta. Noi prendemmo ognuno le nostre cose ed entrammo nelle rispettive camere. Misi il vestito sul letto, il libro vuoto sopra il comodino e una piccola scatolina ( grande quanto un mio palmo) sopra la scrivania. Uscii dalla stanza e percossi il corridoio buio, seguita due secondi dopo da Consy, e mi addentrai nella cucina. Dal mio punto di vista, appena entrammo noi due in cucina, sembrava che era appunto la stanza ad aver gettato su mia madre tutta la farina e invece che l’inverso. Risi sotto i baffi.

Mamma aveva preparato intanto qualche salatino, e insieme a noi due ci mettemmo due re, anziché cinque se fosse stata sola, a preparare tutto l’occorrente per una festa. Ci divertimmo tanto tirandoci un po’ d’acqua che mamma metteva in un bicchiere per preparare un dolce oppure la farina per la pasta. Due ore dopo la nostra tavola era apparecchiata e imbandita di: panini, tramezzini, patatine fritte, bibite, popcorn, pizzette, quadrati di pasta sfoglia con dentro il prosciutto cotto, biscotti salati, dolcetti, ecc.…

Era strano dover preparare così tanta roba se gli invitati era solo Louis e quell’ospite misterioso, però se nel caso avremmo avuto una fame da lupi la tavola era già pronta. Finimmo alle 17.03 del pomeriggio, abbandonandoci sopra le poltroncine del salotto. Sospirai rilassata. Cominciavano a cadermi le palpebre.

“Accidenti, che lavoro! Non pensavo che si doveva fare così tante cose per un compleanno’’, disse Consuelo.

“Solo perché tu non l’hai mai fatto’’, sbottai. Mi fece la linguaccia e mamma tirò fuori una risata sospirata.

“Meno male che adesso possiamo riposarci’’, aggiunse nostra madre.

“Ho cavolo, non mi sento più le dita’’, si lamento Consuelo, anche se aveva lavorato fin poco.

“Se è per questo, io non mi sento più le braccia e gambe’’, farfugliai, e tutti attaccarono a ridere. Restammo in silenzio per qualche minuto, per dare libero sfogo alla stanchezza di inondarci ogni cellula, ogni muscolo, ogni globulo rosso del nostro corpo, e aspettammo con pazienza l’eliminazione di quel peso addosso. Dopo un minuto Consuelo chiuse gli occhi, mamma fece ginnastica con la testa e il collo per sciogliersi i muscoli e io iniziai a contare i secondi. Noioso passatempo.

“Sapete cosa penso?’’, chiese mamma dopo il trecentomillesimo secondo. Quel momento c’era qualcosa di amichevole in lei, perché si stava comportando non più da una mamma ma da amica. Era raro ce le capitasse queste cose, rendendola più unica e speciale di quanto lo sia.

“Cosa?’’, le chiesi, girando la testa lentamente verso di lei, mi facevano male i muscoli del collo. Consy aprì gli occhi e si girò verso la mamma.

“Che sarebbe necessario andare a controllare come sono venuti i nostri piatti’’, aggiunse, e così facendo si alzò dalla poltroncina a fatica. io e mia sorella la prendemmo per i bracci prima che facesse qualche passo, e con forza la tirammo verso la sua poltrona.

“Che c’è?’’, ciese sorpresa.

“Non ti azzardare a toccare un solo cibo ’’, le ordinai con il dito alzato. Sapevamo come era fatta mamma. Se si azzardava a toccare cibo non se la finiva più di inghiottire il resto.

“Perché?’’, chiese confusa.

“Perché se vai in quella stanza verso sera ci toccherà digiunare’’, rispose mia sorella. Risi sotto i baffi.

“Andiamo ragazze, voglio solo controllare, non c’è niente di male ’’, tentò a convincerci mamma guardando prima la figlia più grande poi quella più piccola. Io e Consuelo ci guardammo sospette.

“È qui che ti sbagli, c’è di male nel sapere che faresti il primo assaggio, poi il secondo, e il terso. E dopo il terzo gli assaggi continuano…e tu sai bene quanto me che, appena vedo qualcosa del mio compleanno che sta andando per il verso sbagliato, entro in escandescenza’’

“Andiamo ragazze, non penserete che…’’

“RESTA QUI!”, gli ordinammo all’unisono noi due con severità. Mamma fece per dire qualcosa, ma poi cedette gettandosi di schiena contro lo schienale della poltroncina.

“E va’ bene, oggi resisterò alla tentazione’’, sbuffò.

“Bada che ti controllo ogni singolo minuto di questa giornata’’, l’allarmai. Lei fece Sì con la testa e tirò fuori un sospiro d’arresa. Io e mia sorella la guardammo per qualche secondo: c’era anche la possibilità che si alzasse di scatto e corse verso la cucina, o ci avrebbe distratto per poi darsela a gambe levate verso la tavola. E alla fine ci abbandonammo anche noi sulle schienale delle proprie poltroncine.

Passarono altri tre minuti, il silenzio era snervante, e poi mamma ci diede il permesso di fare quello che volevamo. Io mi piombai in camera mia e mi distesi sul letto, Consuelo fece lo stesso, e mamma accese la tv giusto per distrarsi dalle pietanze che c’erano in cucina.

Chiusi gli occhi e mi rilassai. Sognai cose incomprensibili: c’era un guizzo di colori mi inondò il sonno come una sciame di farfalle. Non aveva un senso, non si capiva quello che stavo sognando. Erano soltanto colori, forme curve o strane, e i visi della mia famiglia; rimasi così, ad ammirare quell’arcobaleno fantastico per un’ora intera, e quando mi svegliai erano le 18.17, mi ritrovai distesa sul letto con ancora i vestiti addosso (dalla stanchezza non ero riuscita a svestirmi), e sentii rumori provenienti dal corridoio: tacchi? Sembravano il rumore dei tacchi neri di mamma, papà si schiarii la gola, una porta si aprii…era quella della stanza di mia sorella, mi sembra. Accidenti! Alle 19.00 Louis doveva venire a casa mia ed io non ero ancora pronta. Maledizione!

In un secondo ero già svestita, misi i vestiti del mattino sul letto in modo disordinato e afferrai l’abito. Non me l’ero ancora messo che mamma entrò dalla mia stanza. Era vestita d’un abito nero, stretto al petto, la vita era contornata di diamanti incastonati nella stoffa, così come le spallucce sottili, e la gonna toccava terra. Indossava dei tacchi dello stesso colore del vestito. I capelli color castano chiaro erano lasciati ricadere fin dietro le spalle con dei boccoli che le accarezzavano la pelle, al lato destro della testa, la sua frangia era fermata con una fermacapelli a forma di fiore a strass di diamanti color oro bianco.

Era così bella che mi veniva voglia di piangere. Avanzò con passo elegante verso di me e si permise di aiutarmi. Mi levò il reggiseno e mi aiutò ad infilarmi il vestito, sentii il contatto caldissimo della sua mano contro la mia gamba mentre mi lisciava la stoffa della gonna. Respirai affondo, il momento tanto aspettato stava arrivando, ma le gambe mi tremavano così forte da crearmi difficoltà nell’equilibrio. Le piegai appena. Mamma se ne accorse.

“Respira affondo, tesoro, resta calma. E fai rallentare il tuo cuore. O vuoi che chiamo Consuelo?’’, certo, lei riusciva a consolarmi, ma non in quel momento. Le rivolsi un espressione sarcastica.

“Ci proverò’’, la rassicurai con la bocca che mi tremava. Non avevo nemmeno il coraggio di guardarmi allo specchio, ma con rammarico mamma mi ci portò davanti. Vidi una bella ragazza, l’abito color blu-notte metteva in risalto i suoi lineamenti perfetti, la sua pelle era di un color rosa pallido, i suoi occhi grandi erano di color marroni scuro, ma in lontananza sembravano neri, e a mandorla; i capelli erano lisci e lunghi fino alla vita, color rosso castano chiaro. Anche se la fanciulla portava i capelli spettinati era comunque un incanto. Il suo viso a cuore, naso all’insù e piccolo, labbra carnose, il suo corpo era così snello e perfetto che sembrava appartenesse a quello di una statua, ed era alta 1,74 m; tutti quei difetti appartenevano a mia madre, a parte che lei negli ultimi tempi si era dimagrita, ma aveva le stesse fattezze di una donna giovane e di vent’anni, soltanto i miei occhi e capelli non le appartenevano: i capelli li avevo presi dal nonno di mia madre e sia la forma che il colore degli occhi non erano di mia madre e di mio padre, ne degli latri miei parenti umani. I miei occhi erano l’unica cosa che mia madre le facesse ricordare Alucard. Certe volte concordavo con lei quando mi ripeteva “Gli occhi di quel ragazzo ti stanno d’incanto”, ma infondo la cosa mi disgustava violentemente, soprattutto sentire che avevo qualcosa di me appartenente ad un mostro.

Alzai le mani e anche le mani della ragazza allo specchio fecero il mio stesso movimento, e le passai sulla stoffa accarezzando i lineamenti del mio corpo, li studiai per vedere se mi trovavo al mio agio con quell’abito addosso. Un lato della mia bocca si alzò: mi trovavo bene, quell’indumento mi rispecchiava, mi faceva sentire…me; diedi una rapida occhiata allo specchio e mi accorsi che anche la ragazza aveva lo stessa sorriso compiaciuto. Mi morsi il labbro per il nervosismo. Feci un respiro profondo e poi ritornai a mamma. Anche lei sospirò.

“Ora vado a prendere la scatola dei trucchi. Riesci a tener duro per due secondi?’’

“Se l’agitazione non mi invaderà del tutto, sì’’

Alzò gli occhi al cielo e uscii dalla stanza. Nel momento dell’assenza di mamma- un minuto intero- mi concentrai sul respiro, contando ogni secondo che passava. Avevo paura di guardare verso la porta; mi distrassi del silenzio intorno alla mia camera da letto, per quel momento fu utile. Avevo paura che se sentissi i rumori provenienti dalle altre stanze il cuore mi avrebbe mandato in un attacco di panico in grande stile. Mamma ritornò dopo un minuto che avessi fatto il mio diciannovesimo respiro, con in mano una scatola di plastica rosa trasparente, da dentro si vedevano i trucchi ed altre cianfrusaglie. Mi fece sedere sulla sedia che aveva posato dietro di me e la scatola dei trucchi sopra il piumone. Mi esaminò dallo specchio prima, di cominciare a truccarmi. La sua espressione soddisfatta mi rilassò un tantino. Almeno non le sembravo un mostro con le occhiaie violacee.

“Che bel viso riposato che hai, amore’’, mi congratulò mentre passava dolcemente le dita in una ciocca dei miei capelli.

“Ci ho messo tutta me stessa’’, farfugliai, agitata.

“Adesso però devi metterci tutta te stessa per non sciogliere il trucco che ti metterò”, incalzò dandomi in un colpetto dolce sul naso.

“Quella mi sembra una vera sfida’’

“Sssh’’, disse infine, e aprii la scotola di plastica per prendere il fondotinta, ne bastò solo una passata di quella polvere appiccicosa sulla mia pelle giacché i lineamenti del mio fiso erano perfetti per conto suo. Mi mise qualche spennellata con il fard marroncino chiaro appena visibile sulla mia pelle bianca, il mascara sulle ciglia lunghe rendendole più risaltanti, il lucidalabbra color rosa corallo, e in fine arrivò il momento degli occhi; li chiusi involontariamente, per me sarebbe andato anche molto meglio presentarmi senza ombretto negli occhi, passati tre secondi sentii mille fili rigidi spennellare su qualcosa di polveroso e morbido. Sentii i mille capelli del pennello sfregare contro la polvere, era come una gomma che frena sulla terra secca, ma questo rumore era più dolce e fine. Dopo due secondi sentii il soffio di mia madre spazzare va alcuni granelli d’ombretto e fece due passi dietro di me.

Oltre la pelle rosea della palpebra, vedevo la luce della stanza scurirsi a causa dello scontro con il corpo di mamma. Era nel mio lato destro, girava le spalle alla finestra. Iniziò a dare colpetti fastidiosi contro la pelle sottile della palpebra, facendomela ritirare nel momento in cui quei fili duri si scontravano contro la pelle. Che fastidio sentire quelle pennellate contro un organo che preferivo di più di qualsiasi altri del resto del mio corpo. fui sul punto di ritirarmi, ma mamma a quel punto aveva finito, saranno stati una trentina di pennellate. Strizzai l’occhio, stando attenta a non toccarmi con le dita dato che il fastidio di quella polverina cominciava a darmi la nausea. Sapeva di chiuso e caldo, Puah!

Mamma mi sollevò il mento con le dita per costringermi a voltarmi verso di lei e osservò la sua opera per poi passare all’altro occhio. Ed un’altra tortura, sospirai cercando di mantenere la calma. Questa volta mi lamentai, non riuscii a resistere con quel fastidio che mi colpiva l’occhio. Dopotutto mamma fu gentile a mantenere la pazienza e non disse una A, non desideravo sentire le sue lamentele proprio in quel giorno. Un minuto dopo aveva finito tutto. Abbassai il mento che mamma aveva sollevato ed aprii gli occhi: l’inizio della palpebra superiore era decorata con un colore blu marino che avanzando di millimetro andava a chiarirsi fino a raggiungere un blu fiordaliso, quest’ultimo finiva a forma di punta verso l’alto in modo da allungare il mio occhio, mi passò una scia di blu scuro anche sotto intorno alla palpebra inferiore che circondava la parte bianca del bulbo oculare. Ora non mi riconoscevo più, sembravo un’altra. Era una ragazza nuova con un aspetto maledettamente tenebroso e affascinante. Louis non mi avrebbe mai staccato gli occhi di dosso. Risi eccitata immaginandomi il mio ragazzo con gli occhi sgranati e la bocca aperta dalla sorpresa.

Mamma era fantastica quando si trattava di truccare o creare una pettinatura diversa dalle altre.

“Adesso ti do un ritoccata ai capelli e poi abbiamo fatto’’, mi avvertì, vendendomi ancora agitata.

“Okay’’, concordai facendo un profondo respiro.

“Okay’’, mi fece eco lei.

Afferrò una ciocca ai lato destro della mia testa per poi dividerla in tre ed iniziò ad armeggiarle  con le mani, che sollevava ed annodava mentre mi spiegava l’acconciatura che mi avrebbe fatto. Fece lo stesso anche nel lato sinistro. Quando terminò la spiegazione, mi unii le due trecce dietro la testa e me le congiunse con un mollettone argentato, sul suo dorso erano incastonati cinque diamanti splendenti che lo percorrevano. Dopo averla complimentata della sua opera, mi fece alzare ed ammirare un’ultima volta.

Nel salotto sentivo i rumori lontani di scarpe che camminavano avanti e indietro, papà si schiarii la gola. Mancava dieci minuti alle 19.00, ed il cuore iniziò a battermi così forte che mi assicurava di essere la prima ad avere un attacco di panico. Stavo varcando quella soglia. Quando mamma si accorse dell’ansia mi abbracciò piano per non rovinare il vestito.

“Non è il giorno del tuo esame, è il tuo compleanno, amore. Dovresti essere felice, allora perché quella faccia?’’

“Non lo so’’, risposi io con voce strozzata. Stavo per scoppiare a piangere.

“Stai calma, io ti starò accanto. Non vorrai di certo sciogliere la mia opera con il tuo sudore?’’

“Certo che no, è soltanto la gioia di essere arrivata fino a questo punto ’’

“Vedrai, questo giorno per te sarà indimenticabile’’, cinguettò lei. Quanto avrei voluto che ci fosse stata mia madre al suo posto, almeno lei sapeva come comportarsi senza dimostrarsi una bambina piagnucolona. Sollevai il viso guardando il soffitto per non far cadere le lacrime sul mio viso sbattei gli occhi tre volte e poi ritornai a guardare mia madre.

Lei era già pronta con dei tacchi in mano le scarpe che avevo comprato quel giorno: la scarpa era una ballerina, non a caso avevo scelto proprio lo stesso colore del vestito, con il tacco alto due centimetri. La sola era comoda e morbida, così come il resto della scarpa. Quando me le misi, mi trovai mamma alta due centimetri in meno di me.

All’inizio camminavo goffa, ma poi cominciai ad adattarmi a quell’altezza. Feci attenzione a stare dritta con la schiena, a non tenere le gambe piegate mentre camminavo, a mettere sul terreno prima il tacco e poi la punta. Dopo un minuto ero pronta.

Mamma mi prese per mano e mi condusse in cucina, camminava aggraziata, più bene di me; in quel momento provai invidia per lei. Quando entrammo in salotto mi coprii gli occhi con le mani. Fui assalita da un’ondata di profumo di aromi di tutti i tipi. Cosa cavolo aveva combinato mia madre al salotto?

“Spero che ti piacciano’’, disse preoccupata. Inspirai l’odore più affondo cercando di azzeccare qualche odore.

“Mamma, sei meravigliosa!’’, la rassicurai. “Lilla, rose, fiori di ciliegio….e qualcos’altro, mi sembra, giusto?’’

“Bravissima, Alì. Ti sono soltanto sfuggiti i fiori d’arancio e un bastoncino di vaniglia’’, aggiunse. “Alì” era il mio diminutivo, mi chiamavano sempre in quel modo quando volevano creare un’atmosfera più dolce. Infatti. Detto questo, mi scoprii gli occhi e potei osservare in quale stato aveva ridotto la stanza. Con mia gran fortuna, non l’aveva resa una baracca da circo. In alcuni punti del salotto, specialmente ogni angolo, erano sparsi petali di fiori i cui profumi erano quelli che avevo percepito un attimo fa, c’erano piccole candele all’odore di vaniglia sopra il mobiletto della televisione, le librerie, e anche sul tavolino di vetro dove era anche stato posato un piccolo bastoncino alla vaniglia. Anche ai lati del corridoio erano sparsi petali di tutti i colori, con qualche candelina lontana un metro dall’altra; esageratamente parlando, la stessa cosa valeva anche per la cucina dato che mi accorsi che c’era qualche petalo sul pavimento della stanza. Ci sarebbero state anche lì delle piccole fiamme. Quel giorno dovevo lasciar perdere la mia corsa sovrumana. Più che una festa di compleanno, sembrava un appuntamento romantico. Come cavolo voleva trasformare il mio diciottesimo compleanno? Dovevo avvertirla quella mattina di non fare niente di esagerato, ma l’idea non mi era passata per la mente, quando inizia a fantasticare ci si mette d’impegno. Quella volta mi aveva colto di sorpresa, in senso positivo.

“Oh, mamma, ma è…’’

“Splendido, mozzafiato, stupendo, spettacolare?’’, chiese lei interrompendomi.

“Romantico’’, era l’unica parola che potevo definire quell’atmosfera. Per quel giorno, mamma, aveva colto nel segno. Volevo quella specie di atmosfera quando sarebbe arrivato Louis, me lo sentivo: sarebbe andato tutto perfetto.

Mamma mi condusse vicino all’enorme poltrona e mi girò verso il corridoio. Sentivo i soliti passi rumorosi di papà e quelli leggeri di Consuelo andare avanti e indietro per il bagno. Tirai uno sguardo sospetto a mamma. Perché diavolo aveva mandato Consuelo e babbo al bagno?

Lei contraccambiò facendomi l’occhiolino.

“La festeggiata è pronta! Venite in salotto!”, urlò verso il bagno. Subito sentii i passi di loro fermarsi e in seguito avanzare veloci verso la cucina. Consuelo non aveva ancora attraversato la soglia che si mise le mani fra le guance, e sospirò di sorpresa. Saltellò fino a me mi abbracciò. A papà iniziarono a venire i lucciconi agli occhi.

“Oh mio Dio! Sei un incanto!’’, squittì entusiasta.

“Sei bellissima, tesoro. Kate, sei straordinaria, dovresti metterti in affari per divenire un’organizzatrice di feste”, aggiunse papà congratulando entrambe. Io e mamma lanciammo un sorriso imbarazzato all’uomo davanti a noi. Papà era vestito in modo elegante, ed impeccabile, praticamente uno schianto. Mamma lanciò un fischio come per stuzzicare mio padre, e lui si schiarii la gola irritato. Consuelo rise sotto i baffi.

“Sembri uscita da un romanzo ’’, disse mamma, spezzando quel silenzio imbarazzante che si stava creando intorno alla stanza. Mi accarezzò la schiena e mi sorrise dolcemente.

“Grazie alla tua mania dei trucchi e acconciature, mi hai reso quella che sono. Sei fantastica mamma, grazie’’, la corressi.  Mamma si asciugò una lacrime che l’era spuntata dall’occhio prima che rovinasse il suo trucco, e spalancò le braccia per abbracciarmi. Strinsi con delicatezza quel suo corpo smilzo, non volevo rovinare il suo bell’abito.

“Bè? Che te ne pare del capolavoro?’’, mi chiese dopo

“Dico che siete stati bravissimi tutti quanti. Ma come ci siete riusciti in così poco tempo?’’

“Per me un’ora basta e avanza per creare tutte queste smancerie che c’ha proposto mamma ’’

“È perfetto, proprio quello che volevo. Louis ed io passeremmo una giornata indimenticabile’’

“E l’ospite’’, mi ricordò mamma. La guardai confusa.

“Eh?’’

“L’ospite! Ricordi?’’

“Ah, sì, giusto. L’ospite’’, ripetei. Mi ero completamente dimenticata che c’era anche un’altra persona. Forse era stata la stanchezza di quel giorno. Ma non m’importava più. Ero al settimo cielo grazie a mamma. Mi sembrava impossibile essere arrivata al mio diciottesimo compleanno in bello stile. Senza aver trovato guai o qualche altra disgrazia. Avevo trovato tutto quello che si desiderava. Ora che Louis era entrato nella mia vita, faceva parte del mio cuore più di qualsiasi altro, nessuno avrebbe spezzato il nostro amore specialmente quel giorno.

Respirai affondo, le gambe avevano iniziato a tremare, contando i secondi. Guardai l’orologio a pendolo accanto alla porta del corridoio: erano le 19.00 in punto. Contai i battiti regolari dei miei familiari. Dopo il quindicesimo battito di mamma comincia a sentire dei rumori provenienti dall’esterno casa.

Quel momento d’imbarazzo cessò e calò il silenzio. il rumore di una macchina guidata dalla madre di Louis si fece sempre più vicina. Dopo due minuti e sei secondi la macchina si fermò e restò in moto finché non sentii due passi sbattere contro il marciapiede. Louis salutò sua madre. quattro secondi dopo la macchina riprese vita, le gomme girarono sull’asfalto della strada, sentii una frenata e la macchina si allontanò. Mi chiesi se anche il mio ragazzo era nervoso tanto quanto me. Due passi sul marciapiede poi quindici sulle pietre che facevano da via fino alla porta. Altri tre sul portico. Silenzio. Louis fece due respiri profondi, si schiarii la gola. Feci un respiro profondo per sciogliere i muscoli. Un altro respiro di lui e…

TOC, TOC, TOC.

Questo era il momento buono per lasciare il mio comportamento da vampira e lasciare il posto al mio lato umano. Mamma mi strinse il braccio, come se fosse lei quella in tensione e non io. Bene, questo era confortante. Hendrik andò ad aprire con una giusta dose di ben venuto stampato in faccia.

“Ciao Louis’’, lo salutò papà.

Dalla porta vidi il mio angelo. Era vestito in modo elegante, come se fosse invitato ad un ballo reale, e teneva in mano una bustina di carta bianca. Quel giorno i suoi capelli erano sciolti. Era bellissimo, sorrisi piena di emozioni. Lui si fermò ad ammirare il salotto sbigottito e poi il suo sguardo cadde su di me. La sua espressione mi fece capire che ero quasi irriconoscibile. Mi mise a fuoco e sgranò gli occhi.

Lessi nel suo viso le emozioni che provava, una per una.

Incredulità. Stupore. Sorpresa. Amore. calore. Di nuovo amore. Mi sorrise, ma ancora stentava a credere che quella dea ero io.

Mi morsi il labbro. Il lucidalabbra profumava di cocco.

“Alì, sei tu?’’, sussurrò.

“Sì”, risposi con un sussurro. “Ciao, amore’’, e in quel momento lo vidi sorridere. Era il solito usare sempre la parola “amore” quando c’ero io, ma quella volta pronunciai io cercando di notare se avevo azzeccato l’unica maniera con la quale mi avrebbe riconosciuto. Sorrise dolcemente: mi aveva riconosciuta.

“Ehi, Alexia, sei uno schianto ’’, disse quasi sbalordito. “Sulle prime non ti avevo riconosciuta’’

“L’ho notato da come mi guardavi’’

Papà chiuse la porta e si avvicinò a Louis che gli dava di spalle. Gli altri mi stavano intorno. Silenzio. Non avrei saputo come reagire, forse non c’era niente da dire. Era tutto così perfetto, con lui accanto.

Lui rimase incantato a guardare la bellissima ragazza che ero io, dalla testa ai piedi, quasi incredulo di quello che stava vedendo. Alzò quindi la bustina che teneva fra le mani e me mise in mostra all’altezza del mio mento. Con quei tacchi ero alta quasi quanto lui.

“Buon compleanno, amore’’

“Ehm…grazie’’, balbettai imbarazzata, afferrai la bustina e la strinsi al petto. Avevo le mani tremolanti. Avrei voluto dirgli qualche altra cosa ma non avevo il coraggio, per lo più non avevo voglia. Mi trovavo di più al mio agio restandomene zitta. Era ovvio che dovevo ancora affrontare un momento di crisi. Louis sorrise e si avvicinò con il viso per baciarmi. Premette le sue labbra contro le mie e mi baciò dolcemente, fu come se avesse capito il mio disagio. Il cuore cominciò a battermi forte, e le guance ad arrossirsi conscia che mi stavo baciando con il mio ragazzo davanti ai miei genitori e a mia sorella. Di solito ci baciavamo senza nessuno che ci guardasse, oppure un bacio rapido sulla guancia e sulle labbra e via, ma mai così. Forse mi stava risparmiando qualche altro momento dolce per dopo. Già c’era i petali e le candeline che rendevano tutto così romantico. Ci fu un momento in cui smisi di pensare a tutte le emozioni cattive che mi passarono per la mente: all’agitazione, l’ansia, paura, nervosismo, ecc.… e gli gettai le braccia al collo. Non mi preoccuparmi più del mucchio di persone che mi circondava. Perché dovevo preoccuparmi se questa era la mia festa? “pensa positivo, stai calma, è tutto così perfetto’’, pensai fra me. E credeteci o meno riuscii a calmarmi. Quando le sue labbra si staccarono lentamente dalle mie, si scontrò contro il mio corpo un’ondata di panico. Ma quest’ultima la rimorsi facilmente. Ora ero calma, stavo bene.

“Ti amo ’’, gli sussurrai nell’orecchio.

“Ti amo ’’, ricambiò lui, e mi baciò la fronte.

Qualcuno si schiarì la gola, goffo. Ci girammo verso papà.

“Bene, ehm….Vedo che ci siamo tutti’’, era un modo per attirare l’attenzione e spezzare quel momento per lui un po’ imbarazzante. Certo, era la mia prima volta che mi baciavo così intensamente davanti a tutti. Al contrario di papà, Consuelo era affascinata e mamma calma, ma con un velo di tensione sul viso, e un pizzico di agitazione, preoccupazione? Si stava stringendo le mani, le dita, si accarezzava i palmi. Mi morsi il labbro. Che cosa aveva?

“Già, quindi è giunto il momento di una musica sottofondo!”, urlò gioiosa Consuelo. Saltellò fino alla libreria che si trovava sinistra e afferrò tra i piatti copri-dischi di plastica uno con il CD dentro rosa. Lei adorava alla follia la musica romantica. Aprii il coperchio trasparente del copri-dischi e mise in CD dentro la piccola radio che stava accanto al mobiletto su cui appoggiava la televisione. Schiacciò PLAY e dopo un secondo si sentii una musica lieve, dolce, che mano a mano che cresceva si faceva più armoniosa, ma teneva sempre un lato di tenerezza nella sinfonia. Adatta per quell’atmosfera. Subito dopo la bambina saltellò dalla radiolina fino a Louis, gli porse la mano.

“Permettete, signore”, disse in tono pacato, dolce, e scherzoso. Louis abbozzò un sorriso di quelli lusinghieri, e poi le porse la busta con dentro il regalo. All’inizio mi spaventai quando intuii che stava per concedergli un ballo. Non era da una bambina come lei dato che erano i maschi a chiedere il permesso. E di nuovo trottolò gioiosa verso la poltrona dove ve lo posò. Distratta com’ero dall’agitazione, non mi accorsi che c’erano un mucchio di regali sopra i cuscini della poltrona.

Quel giorno era l’anima della festa. Indossava lo stesso vestitino grazioso che la vidi indossare quel pomeriggio, in più delle ballerine color verde acqua con alle punte incisi due fiorellini di stoffa rosa. I suoi capelli erano bellissimi anche se li teneva sciolti. Sembrava un angioletto.

Quando ci fu accanto afferrò con delicatezza la mano mia e quella del ragazzo davanti a me e ce le unii. Il mio stomaco ebbe un sussulto quando vidi Louis che mi sorrideva benevolo. Mi strinse ancor di più la mano e mi attirò a se. Mamma e babbo si misero accanto alla poltrona, Consuelo in mezzo ai nostri genitori che ci osservava meravigliata, come se avesse osservato la luce del sole dopo essere stata dentro cella buia dopo una settimana intera.

Imbarazzata, abbassai per qualche secondo lo sguardo, e lasciai che lui mi prese una mano e la appoggiò sopra la sua spalla, e l’altra la alzasse all’altezza del mio naso tenendosela sempre stretta. L’altra mano l’appoggio dietro la mia vita e mi costrinse con una spinta ad avvicinarmi a lui a dieci centimetri dal suo petto, questo mi costrinse ad assaporare il suo odore: quel giorno sapeva anche di tulipano. Sicuramente si era messo un profumo a caso quel giorno.

Mi lasciai abbandonare dalla musica e cominciammo a ballare. La mia famiglia mi guardava sognante, con ammirazione, felice, però c’era sempre un pizzico di nervosismo, e già sapevo a chi apparteneva. Infondo, perché essere così nervosi? Non mancava niente in quel momento, se non altro…..Ah, giusto. Quindi mancava una persona.

Sentii un senso di vuoto dentro di me, il viso perso i quei rumori che ora si facevano sempre più vicini, e mi fermai prima che la musica finisse. Divenni una statua, concentrata com’ero. Erano rumori strani….

Una ventata gelida, veloce, rapida, disumana. Due…quattro…otto respiri deboli, e poi niente, il vuoto, si tramutarono in respiri morti. Possibile per un umano? Un passo sul marciapiede. Un’altra ventata. Quattro nella stradicciola e poi altri due sul portico di legno. Un altro respiro e poi niente. Quell’estraneo non riuscivo più a sentirlo. Né i suoi passi, né il suo respiro, né il suo….cuore. I suoi battiti cardiaci non riuscii ad urli fin da quando avevo percepito il suo respiro. Dov’era? come faceva a vivere senza quello. Che sia arrivato fin qua per chiedere aiuto prima che si accasciò a terra morto? Era morto? Ma le mie orecchie non sentirono il rumore di un corpo che cadeva. Un morto non può rimanere in piedi.

TOC, TOC…

E il mio corpo si mosse. Non era morto? Era vivo? Come, perché? Era un mago? Un uomo strano che metteva paura la gente? Quell’essere mi faceva tremare più di quanto facevo tremare io gli animali nel bosco. Ma non era il momento di reagire come una bambina.

Mi lasciai sgrullare da Louis che per qualche momento sembrò spaventato nel vedermi immobile. Poi si calmò quando lo guardai.

Ci fu un intervallo di silenzio: un silenzio glaciale per me, un silenzio tombale per i miei familiari, ma per mamma un silenzio tanto atteso. Scattò su dal braccio della poltrona su cui era seduta e si avvicinò con passò galante verso la porta, aggiungendo:

“Finalmente”, con voce cristallina. Poi si voltò verso di me, mi sorrise dolce, e mi tese il braccio.

All’inizio non volevo avvicinarmi, anche se c’era quella tavola di legno a separarmi da quella cosa, mi sembrò un pericolo mortale fare dieci passi per avvicinarmi a mamma. Strinsi il braccio del mio ragazzo, ma lui rivolse uno sguardo di incoraggiamento. Voleva che io mi avvicinavo a quella porta? Sapeva? Voleva che conoscessi quella cosa morta? Strinsi le labbra, stavo per dirgli qualcosa ma ci ripensai, e mi avviai con passo veloce a mamma. Le mani mi tremavano, il cuore era più veloce del solito. La stessa cosa valeva per il respiro. Chi era quella cosa? una specie di creatura oscura che veniva da una terra lontana per farci visita? Ma mamma la conosceva quella creatura, era felice il suo sguardo. Quindi dovevo stare calma, non c’era niente di cui preoccuparsi.

Mamma mi accarezzò la spalla, il braccio, la testa e la schiena, e sorrideva. Come faceva a stare calma? Sapeva che quella creatura era una specie…morto? Forse uno zombie? O una mummia? O…Era inconcepibile sapere chi era. Lo avrei scoperto solo aprendo la porta.

Aspettai un attimo momento per afferrare la maniglia, avvicinandomi alla porta e aspirare l’odore di quella creatura attraverso quel muro di legno. Immediatamente fui colpita da un’ondata di aromi sfiziosi, mi faceva venire l’acquolina: ghiaccio, pane caldo, lavanda, vaniglia, cocco, sole e cannella. Fui sconvolta da una fitta di dolore alla pancia quando ricorda che quegli odori li avevo già sentiti prima: appartenevano al libro. Forse era il ragazzo che aveva cercato di trascrivermi Antonio? Aveva detto che era bello, diverso dagl’altri ragazzi del paese, e c’era qualcosa in lui che a quel povero uomo gli aveva messo paura. Di sicuro voleva riprendersi il libro? Bene, glie lo avrei ridato con tutto il cuore, che me ne facevo con un libro la cui scrittura se ne andava e ritornare per conto proprio.

Però mamma lo conosceva, quindi…era lui l’ospite? Un mio parente? Ricordai quel collo bianco su cui era appesa una scatola con quel simbolo agganciato sulla copertina. Quel ragazzo che doveva riprendersi il libro era un mio parente? Quel ragazzo oscuro? Lo stesso ragazzo che ora era dietro la porta? Riuscivo a stento a crederci. Forse, non era poi così spaventoso? Forse la mia famiglia era apparentata con delle creature oscure. Mi avrebbe fatto del male quel ragazzo? Avvertì un senso di angoscia, un nodo alla gola. Paura o dolore?

“Tranquilla tesoro’’, mi consolò mamma accarezzandomi la schiena.

“Sono tranquilla’’, la rassicurai, anche se non c’era nessun pizzico di sincerità nelle mie parole.

“Ricordati quello che mi avevi promesso: sii educata e tutto andrà bene’’, aggiunse, più dolce di prima. nella sua voce c’era gioia. Forse un nipote che non vedeva da anni, che mi aveva fatto visita quand’ero piccola e non riuscivo a ricordare?

“Sii educata e tutto andrà bene’’, le feci eco. E quello fu il mio ultimo respiro per qualche tragico momento.

Afferrai la maniglia, dietro di noi c’era gli sguardi delle persone che amavo addosso a me, soprattutto ora li sentivo contro la mia mano. sentirmi osservata non mi piaceva, ma che altro potevano fare? Essere menefreghisti non apparteneva in tanti di quei gesti di cordialità che i miei genitori mi avevano insegnato. Aprii la porta e guardai davanti a me, sorpresa.

Difficile descriverlo il ragazzo davanti a me: bellissimo, affascinante, maledettamente tenebroso? No, si meritava altri aggettivi. Sembrava la statua di un dio, o una statua greca, i suoi lineamenti erano così perfetti, precisi, che la persona sembrava essere stata scolpita da una pietra. Nessun segno vitale in lui, il cuore il respiro non riuscivo a percepirli, eppure i suoi occhi si muovevano. Mi fissavano cordiali, gentili, benevoli; il suo sorriso da galantuomo mi faceva rimanere senza parole. Sì, ero senza parole. Era alto 1, 85 m, un fisico non altrettanto muscoloso, robusto. Il suo viso era triangolare con la pelle appena tirata sulle guance, ed era pallido. Più pallido di me; aveva il naso eretto, labbra sottili e  morbide, il suo volto era incorniciato da capelli ribelli color marrone scurissimo che tendeva al nero.

Rimasi incantata così a lungo che quasi non mi accorsi che tenevo la bocca aperta. Lo osservai ancora più attentamente, non sembrava avere diciott’anni, se non diciannove. Ma il suo fascino sembrava dargli un anno di più. Probabilmente era un vent’enne.

Quel giorno indossava un abbigliamento nero, che sinceramente metteva in risalto la sua personalità. Ma quel che mi colpii di più fu un oggetto che portava al collo: una cordicella nera con un ciondolo uguale al simbolo che era incastonato nella copertina del mio libro. Sorrisi compiaciuta e sorpresa. Quindi non mi ero sbagliata, quel ragazzo era il proprietario del libro che avevo comprato. Stavo per dirgli qualcosa ma lui mi precedette.

“Si trova qui la festeggiata?’’, chiese scherzoso. E la sua melodia nella voce mi tolse il fiato, per la seconda volta: era identica alla mia soltanto più bella, melodiosa, leggera, dolce. Era più bella di un’arpa, o di una sirena.

“Ehm…sì”, balbettai io, sentendomi una vera cretina. Non l’avevo ancora fatto entrare e fuori era un freddo che si moriva. Aprii ancora la porta e lo feci entrare.

“Perdonatemi se vi ho fatto aspettare così a lungo davanti alla porta’’, mi scusai rossa di vergogna. Lui in cambio mi sorrise.

Mamma mi fu subito di fianco e prese per un braccio il ragazzo come se fosse un suo figlio. I suoi occhi scintillavano dalla felicità, il suo sorriso trasmetteva una gioia inspiegabile, sembrava una madre sventurata che non aveva visto suo figlio dopo dieci anni di guerra.

“Vieni, entra pure Alucard’’, invitò mamma.

E in quel momento mi sentì cadere. Dentro di me non c’era più niente. Non sentivo più niente…il cuore, il respiro…era cessato, ed era come se potevo anche farne a meno di sentire tutto questo…di essere viva. Volevo morire. Mi sentivo confusa, terrorizzata, arrabbiata. Mi sentivo….vuota; il mio cervello smise di captare segnali, i nervi si rilassarono fino a morire, i muscoli sciolti, il sangue fermo, il cuore mise un altro battito sordo e poi morì. Nessun rumore, il vuoto. Come se il mio corpo fosse una bottiglia senza il proprio vino. Anche la mia vista iniziò ad essere confusa, od ero io perché non riconoscevo più quello che vedevo: Consuelo, Hendrik, Louis, Kate….Alucard, e non volevo vedere ciò che gli occhi stavano vedendo. Lui, Alucard, era lì. A casa mia. Il mio fratellastro era dentro il salotto, stava sorridendo a mia madre e stringeva la mano di mio padre. Consuelo gli sorrideva, la mia sorellina sorrideva a quel mostro. Quel….succhiasangue maledetto! L’aveva infatuata quel dannato! I rumori della stanza, gli odori, iniziarono a farsi così lontani fino a non sentire più niente. Ora ci fu uno scambio dentro di me: il respiro aveva iniziato a mettersi in funzione, i cuore pompava un battito dopo tre secondi. Guardavo il pavimento, non sapevo perché lo guardavo. Tanto meglio guardare qualcosa di piatto e freddo che un mostro in casa. Il mio udito l’avevo perso, come una pila scarica, e per un momento ne fui grata. Un silenzio così insensato e involontario fu così prezioso. Per un istante mi lasciai abbandonare in tutta tranquillità da quel silenzio incomprensibile pensando che avanzavo sempre di più alla morte. Fu questione di attimi prima che ogni nervo, ogni globulo rosso, l’udito, la vista, e il cuore lento iniziarono a mettersi in moto. Ed allora sentii tutto. Alucard e mia madre parlavano.

“Sono contento che tu sia venuto Alucard, io e mia figlia non vedevamo l’ora di incontrarti’’, disse. Io! Io che c’entravo ora? Falsa, bugiarda! Avevi rovinato i miei sentimenti, aveva rovinato la mia festa, mi aveva tradita. Mi aveva distrutto la vita! Strinsi le mani in pugno. Non riuscii a ragionare per quanto ero arrabbiata. La furia iniziò a salirmi tra le unghie dei piedi, mi invadeva ogni cellula, vena, muscolo, organo, mani, collo, bocca, testa fino a riempire ogni capello. Quell’onda di rabbia riempì i miei polmoni, li riscaldò. Sempre più caldi, un caldo tipo i forno a microonde, poi sempre di più fino a diventare fuoco. Mi ustionò i polmoni. L’aria calda cominciò a ribollire dentro i due muscoli e cresceva, cresceva, finché quel ribollimento non accelerò la corsa fino a sembrare una sola cosa: un ruggito. Era fuoco, pesante, che mi dava un terribile fastidio che volli liberarlo addosso a quella carne morta. Istintivamente lo guardai. Ed ecco l’unica cosa che mi rendeva possibile di riconoscerlo e che io non avevo notato: i suoi occhi grandi, marroni scuro, e a forma a mandorla…erano identici ai miei. Mamma aveva ragione. Ma non volli farmi incantare dai lui per due stupidi e banali occhi. Sarei stata molto soddisfatta se glie li avrei cavati. D’altronde non ci messo molto. Lui mi dava di spalle, distratto com’era ad ammirare la casa, e quindi era la mia occasione. Un bel regalo infondo per il mio compleanno, avrei soddisfatto la mia vendetta.

Non mi accorsi che ero ancora davanti alla porta aperta per quanto ero stata in uno stato di shock, la chiusi così violentemente che tutti sobbalzarono e si girarono verso di me. E poi la sorpresa nei loro occhi. Sì, facevo paura, ed era giusto così. Dallo sguardo impietrito di mamma riuscii a capire quello che vedeva in me: un predatore. Nei suoi occhi vedevo i miei rossi come il sangue, i canini allungati e ben visibili oltre le labbra aperte, un ruggito che ancor non riuscivo a tirare fuori, i muscoli rigidi, un passo indietro: ero a caccia.

Mentre stavo ipotizzando molte scelte su come saltargli addosso e staccargli la testa, mamma mi si mise davanti e mi prese il viso con le mani davanti al suo. Ora l’unica cosa che vedevo era il suo viso. Alucard non c’era più all’orizzonte.

“Tesoro, ascoltami, non si intrufolerà nella nostra vita. Gli ho solo dato il permesso di entrare in questa casa…’’

“TU COSA?!”, ruggì io. Aveva dato il permesso a quel sanguisuga di entrare a casa mia?!

“Resta calma, tesoro, per favore. Mi avevi promesso che saresti restata educata con il tuo p…’’

“Non dire la parola “parente”, per lasciare che il mio autocontrollo si impadronisca di me non dire che lui è un mio parente!’’, ora la voce era meno forte.

“Tesoro…’’

“Come hai potuto?! Mi hai rovinato! Hai rovinato il mio compleanno che pensavo fosse il più splendido della mia vita…era tutto così perfetto…tu…tu hai rovinato tutto! Perché? Sai bene quanto me che…’’, ma era inutile, perché tentare di farla ragionare se avvolte era così cocciuta? Non riuscivo a comprendere, ero nel panico. Non tolleravo nemmeno l’idea che mia madre, la persona che io amo di più al mondo, mi abbia disubbidito. Aveva invitato Alucard senza il mio consenso! Lo aveva invitato al mio compleanno! Era impossibile da digerire questa realtà, ma era vero. Si stava presentando davanti ai miei occhi.

Smisi di parlare perché sapevo che tra lì a qualche secondo sarei scoppiata a piangere. Respirai debolmente, la rabbia che stava scorrendo in me era ancora intollerabile. Restai immobile, impietrita, arrabbiata, a guardare quel vampiro bellissimo e crudele che si stava avvicinando a me. Se gli avessi ordinato di andarsene, lo avrei fatto senza esitare, ma fu come se la delusione mi aveva gelata, sconvolta, non riuscivo più a muovere le dita. Era la prima volta che il mio corpo faceva qualcosa di involontario.

Il viso di Alucard era benevolo, come se non si fosse spaventato della trasformazione che avevo subito, e i suoi occhi erano caldi. Non so come fece, ma riuscii di colpo a rilassarmi. Non mi sentii più di ghiaccio, e tremavo. Tremavo di paura; non so perché, non so come ma tremavo davanti a lui.

Mamma si scansò davanti a me per far avvicinare Alucard. Qualcosa alla gola mi soffocò per un istante: un nodo. Stavo per piangere? Ma come era possibile? Fu come se i miei sentimenti verso di lui si fossero ribaltati per qualche minuto. Era il suo potere? Aveva qualcosa di oscuro? non riuscii più a farmi domande, mi aveva scombussolato il cervello. Non riuscivo più a pensare. E mi sentivo debole come se avessi tenuto in groppa mille sacchi pieni di grano per tre settimane. Ma riuscivo comunque tenermi in equilibrio, gli occhi erano stanchi ma riuscivo a tenerli aperti. Il respiro si rilassò. Certo, aveva un potere oscuro come io avevo il mio.

Mi guardava sempre benevolo, ma il sorriso non c’era più. Le sue labbra erano immobile e seria. Non sapevo come comportarmi, cosa dirgli.

Mamma mi teneva stretta in un braccio e mi guardava sconcertata. Vedeva in me la debolezza. Gli altri occhi della mia famiglia mi osservavano curiosi dietro le spalle del vampiro. Dopo un minuto intero che per me parve un eternità, cominciò a parlare.

“Tua madre non si merita un rimprovero da te, mi merito io tutto questo. Tua madre era stata così gentile ad invitarmi. Per me è solo la prima ed ultima volta che potrò vederti. Quindi se vuoi prendertela con qualcuno, fallo con me’’, la sua voce era seria, ma allo stesso tempo dolce.

“Perché sei venuto?’’, riuscii a dire confusa. Ancora non aveva concepito il momento in cui lui aveva incominciato a parlare.

“Per vederti’’

“E…Solo per questo?’’, la mia voce era debole. Come se nella mia testa non ci fosse più rabbia. Me l’aveva prosciugata Alucard.

“Si, Alexia, solo per questo’’, rispose lui pacato.

Bene, se era solo per quello allora poteva restare. Ma questo me lo permise la mia testa vuota, senza darmi la capacità di ragionare. Per la prima volta mi sentivo un umana in tutti gli effetti. I suoi occhi- i miei- mi studiarono attentamente.

“Ma se vuoi che me ne vado adesso, ho tutta la forza di volontà per farlo’’, aggiunse.

“Per favore…non…no’’, dissi. E sentii il respirò di mamma interrompersi per una frazione di secondo. Di colpo sentii il suo sorriso orgoglioso addosso a me. Almeno una delle due era felice, per me era come se fossi all’apice dello svenimento. Mi girava la testa e non mi sentivo più le gambe. Volevo qualcosa su cui tenermi.

Alucard finalmente mi sorrise. Si avvicinò d’un altro passo e mi accarezzò dolcemente la guancia. Ebbi una scossa lungo la schiena…fu una sorpresa che mi fece luccicare gli occhi; conoscevo quella carezza. In un qualche ricordo sentivo che qualcuno me l’aveva accarezzata. Alucard? Lui mi aveva accarezzata la guancia? Com’era possibile se mi aveva abbandonata?

Allontani di scatto il viso dalla sua mano e lo guardai scioccata. Lui sorrise ancora una volta come se avesse capito la mia espressione. Ed eccolo di nuovo quel silenzio di tomba, lui staccò lo sguardo da me che un attimo fa non mi dava pace e ci fu un ribaltamento. Da debole come mi trovavo prima ora ero piena di energia, l’adrenalina mi percosse la schiena. Il risveglio del mio corpo partì dalle gambe fino al cervello Quest’ultimo ritornò in moto, come il cuore , il respiro, e nervi…tutto. Ma ormai ero conscia di tutto quindi la rabbia fu solo un ricordo, le parole che avevo detto un attimo fa erano vere, solo sepolte nel mio cuore.

Respirai affondo non appena mi svegliai da quella debolezza, e mi guardai attorno riconoscendo tutti. Un minuto fa non riuscivo nemmeno a dare un nome ai petali sparsi per la casa, e guardai Alucard. E mamma.

“Mamma, lasciami’’, ordinai dolce. Lei mi guardò sbigottita, ma ancora spaventata, ebbe qualche ripensamento ma infine mi lasciò il braccio, però standomi sempre accanto. Ritornai a guardare il vampiro davanti a me.

“Alucard, tu sai bene quanto odio provo per te e per…Drakon’’, parlavo calma, ero ben controllata.

“Sì, lo so’’, rispose lui benevolo.

“Però quest’oggi faccio quello che dico io’’

“Naturalmente’’

“Rimarrai in questa casa…. e se ti azzardi nuovamente a varcare questa soglia senza il mio consenso non vedrai più la luce della notte’’, vampirescamente parlando. Ed indicai la porta di casa.

“Sono d’accordo’’, concluse.

“Bene…ehm…dopo questo spericolato momento possiamo continuare la festa?!”, disse Consuelo impaziente. Tutti attaccarono in una risata fragorosa, tutti eccetto Louis che guardava Alucard con ira. Per qualche secondo sorrisi sapendo che anche lui non aveva dimenticato l’odio che provavo per quei due vampiri, ma allo stesso tempo provavo un senso di ingiustizia.

“Non ci posso credere che sei cresciuta così tanto’’, osservò Alucard distraendomi dal mio ragazzo.

“Bè…è il cerchio della vita, non lo sai? Si nasce, si scresce, si riproduce e…’’, l’ultima parola fu come una pugnalata dritta allo stomaco.

“Sì, lo so. Si muore’’, terminò la mia frase con un velo di comprensione negli occhi, ma che nella voce suonava più come tristezza.

“Già’’, aggiunsi io mordendomi il labbro. Fu come se lo conoscessi da tempo, in quei momenti fu così facile parlare con lui…come se ancora il suo incantesimo non fosse svanito. Forse stava ancora circolano dentro di me.

“Alucard…io…scusami se prima ho reagito in quel modo’’

“Ti comprendo pienamente, e me lo merito infondo’’

Ora tutti gli altri si erano riuniti nelle poltroncine a parlare, anche Louis si unì a loro con meno violenza ed era più concentrato a guardare più noi due che il resto della mia famiglia.

“Mamma dice che…Io ho notato i tuoi occhi e…’’

“Si?’’

“Sono come i miei’’, dissi tutto d'un fiato.

“Hai ragione. Pensavo che te ne saresti accorta immediatamente ma invece ci sei rimasta male, diciamo’’, rise divertito come se la mia rabbia di qualche minuto fa per lui fu uno spasso. Potrebbe esservi strano, ma era bello vederlo ridere. Come se avessi visto ridere un angelo. E anche il suo sorriso era identico al mio. Poi puntai lo sguardo sulla sua collana.

“Lo hai venduto tu quel libro ad Antonio, vero?’’, chiesi questa volta seria. Meritavo spiegazioni.

“Sì’’

“E speravi che io lo trovassi’’, non suonava una domanda. Più un’affermazione, ma lui rispose comunque.

“Sì’’

“Perché? Persavi che in questo modo si sia risolto tutto, che io Drakon e te ci fossimo riappacificati?’’

“Non mi aspettavo questo, anche se lo desidero con tutto il mio essere, mi aspettavo soltanto che tu riuscissi a ricordarti di me’’

“Mi sono ricordata di te, infatti: il simbolo e il tuo…odore. Ricordo che li avevo visti da qualche parte nel mio passato ma non ricordo quando e come. So solo che sono lì, tra i miei ricordi’’

“Io forse so quale episodio della tua infanzia ti riferisci’’, disse con un filo di rammarico, i suoi occhi persi nei ricordi. Rimasi sbalordita.

“Davvero?’’

“Dopo il parto’’, rivelò tutt’in un fiato, notai che fu difficile per lui pronunciare quelle parole. Sicuramente fu per fu un ricordo orribile, e impossibile da rimuovere. Era un rimorso. La bocca del mio stomaco si chiuse, fece male, una scossa di gelo mi percosse la colonna vertebrale. E poi un’emozione forte.

“Ma…tu mi stavi accanto?’’

“Ti tenevo fra le braccia, nel momento in cui ti ho tirato fuori dal grembo di tua madre’’

“Tu mi hai tirato fuori da mia madre?’’

“In parte hai fatto da sola, quando vedevo che tua madre stava esaurendo tutte le forze…io ho accelerato il parto. Ti ho aiutato ad uscire e ti ho tenuto in braccio. Mio padre era accanto a tua madre per trasformarla e…’’

“Mio p…Drakon era accanto a mia madre pronto per trasformarla?’’, e un senso di colpa mi sconvolse. Drakon era accanto a mia madre…lui mi aveva vista quando ero nata, aveva visto sua figlia. Non era assente come pensavo io: lontano da mia madre per tentare di salvarla.

“Sì, la amava. E la ama tutt’ora, anche se ormai accetta il fatto che sia sua amica’’

“Se la ama perché non è venuta a trovarla…a trovarci. A farci una visita’’

“Si odiava con tutto se stesso per averti dato una vita pericolosa’’

“Si odiava…per me?’’, ero super sconvolta.

“Sì’’

“Lui mi amava’’, dissi fra me, mi amava. E mi ama ancora?

“Perché non è venuto al mio compleanno?’’, gli domandai in seguito.

“Non è qui’’

“Come non è qui?’’, mi spaventai. Che significava? Era morto, ferito? Gli era successo qualcosa di brutto? Qualcuno lo aveva rapito? Stava male? Tutte quelle domande sembravano….stupide. insomma, come può un vampiro star male? Che idiota. E come potevo preoccuparmi di lui se un attimo fa lo odiavo con tutta me stessa? Ma qualcosa mi diceva che un odio nascosto era rimasto. Se mi amava avrebbe potuto lasciare la sua disperazione per mezza giornata e venire da me. Invece…

“È andato via’’, rispose con un filo di voce. Subito fui invasa dalla sorpresa.

“COME?”, urlai. E le voci dei miei parenti cessarono, subito il silenzio.

Mamma attraversò il salotto con Louis alle spalle e mi si misero ai miei fianchi. Louis mi tenne la mano, mamma mi accarezzò la testa. Louis guardava con disprezzo il mio fratellastro, mamma con preoccupazione e tenerezza.

“Che succede?’’, chiese mamma guardando prima me e poi Alucard. Fui io a rispondere.

“Drakon è andato via da Solemville’’, le risposi. Il suono della mia voce era malinconico.

“Ma ritornerà, lui ritorna sempre’’, mi consolò mamma accarezzandomi la testa.

“Certo che ritorna, è un sentimentale quell’osso duro ’’, scherzò Alucard e subito attaccò a ridere. Che buffo, aveva chiamato mio padre “un osso duro”. Risi anche io, ma era così? Veramente sarebbe tornato? Qualcosa in quelle domande mi fece sorridere. Forse era un’incontrollata felicità. Ed era veramente sentimentale, come lo ero io in certe circostanze? Quanto mi assomigliava e com’era?

“Da quant’è che è via?’’, e quella domanda mi bastò per quella notte.

“Da un mese’’, rispose, e mi sorrise. Gli sorrisi. Se avessi ricevuto la notizia che era stavo via per un anno, mi sarei sconvolta. Guardai di sottecchi mamma, sospirava. Di sicuro si era preoccupata avendo saputo che Drakon era lontano da qui. Lo stesso accadeva anche a me, ma perché? Proprio quel giorno quei sentimenti nascosti dovevano uscir fuori. Non mi capivo più, ero…strana. Ed di sicuro Louis l’aveva intuito perché mi guardava esterrefatto.

“Perché mi stai facendo questo?’’, chiesi ad Alucard pensierosa, incapace di cercare dentro di me quella rabbia che era mia amica.

“Cosa ti sto facendo?’’

“Mi fai sentire…bene’’, l’ultima parola mi uscii come un sussurro.

“Ah’’, rispose lui.

“Quale potere hai?’’, arriviamo al punto.

“È il tuo potere rivoltò all’incontrario’’

E subito fui colta da una fitta di malore alla pancia, la testa mi rimbombo dal dolore. Non avevo dubbi, non poteva essere altrimenti.

“La morte. Tu hai…il potere della….morte?’’, balbettai. 

“Sì’’, rispose rassicurante. Fu come se mi volesse consolare di un semplice malinteso di quello che era accaduto un qualche attimo prima.

“Ecco perché…’’, ecco il motivo per cui mi ero sentita così debole, e avevo la sensazione di svenire.  Aveva posato allungo lo sguardo su di me per dar effetto al suo potere, e quando tolse il mio sguardo fu come se lo levasse un velo nero con le stesse mani.

“Bene, ora siamo giunti finalmente ad una spiegazione, e credo che la conversazione possa finire qui’’, aggiunse Louis acido spezzando il silenzio, lo guardai meravigliata. Avevo una strana sensazione d’odio verso il suo comportamento. Non poteva trattarlo così.

Avrei voluto dirgliene quattro, ma in quel momento lui mi aveva già tirata via dal punto in cui mi trovavo e mi tirò con forza verso le poltroncine dove erano seduti papà e Consuelo. Prima che mi sedetti guardai dietro di me e puntai lo sguardo su Alucard, gli sorrisi dispiaciuta per la reazione di Louis, invece a lui sembrò non dispiacere perché teneva sempre il solito sorriso che mi trasmetteva sicurezza.

Infine ognuno si accomodò ai propri posti, fortunatamente le poltroncine bastarono per ognuno: papà si mise accanto a Consuelo, Consuelo accanto a me, io accanto a Louis, Louis accanto ad Alucard, Alucard accanto a mia madre e mia madre accanto a papà. Mi preoccupai nel modo in cui si erano posti Louis e Alucard, per tutta la conversazione rimasi a dare certe occhiate di controllo al mio ragazzo.

“Alucard, tu sei un mezzo vampiro come Alexia?’’, chiese affascinata Consuelo. Il suo sorrisetto era così largo che si vedevano le fossette.

“No, tesoro, sono un vampiro puro ’’, rispose lui con voce mielata. La parola “tesoro” la usavo sempre io. rimasi sorpresa e affascinata tanto quanto mia sorella. La sua melodia era più dolce del miele, era più bravo di me. Era chiaro sia dalla voce che dall’espressione in viso che aveva assunto un carattere paterno. Mi era rincrescente dirlo: era più bravo di papà.

“Allora tu sei più forte di Alexia’’, aggiunse la bambina, non sembrava una domanda.

“Diciamo che la sua forza è meno potente della nostra. Noi possiamo spaccare un masso gigante a metà, lei solo un terzo. Posso sollevare un albero da terra e dividerlo a metà con mani nude, lei può solo sollevarlo con un po’ di fatica…’’, specificò. E fu uno di quei momenti che mi sentivo un’incapace, imbarazzata. Consuelo invece mi sorrise come per dire “Te lo avevo detto che c’era qualcuno più forte di te ’’; le feci la linguaccia. Non sapeva nemmeno che ero forte più di lui quindi perché mostrarsi una che ne sapeva più di me?

“Tu quanti anni hai?’’, chiesi poi io, senza accorgermi che Consy stava per aprire bocca. Sicuramente era più grande di me, avrà avuto cento anni se era tale uguale nel momento in cui mi prese in braccio.

“Trecentoquindici’’, rispose benevolo. Mi ci volle tutta la forza per non urlare.

“Ah’’, risposi sbigottita. Per un certo periodo di tempo mi chiesi che cosa aveva fatto in tutta la sua vita per trecento anni e passa. Era stato sempre dentro quella torre d’avorio? Non si era mai allontanato da Solemville? Stava sempre accanto a Drakon? Mi venne da lacrimare pensando che per tutta la tua vita non mutavi mai e disgraziatamente non potevi uscire di giorno, solo di notte nel bosco con chissà quanti pericoli incontri. Strinsi e denti per non far scendere le lacrime. Se fossi rinata come immortale tanto vale suicidarsi.

Avrei voluto chiedergli un’altra cosa ma molti pensieri cattivi mi indugiavano a tenere la bocca serrata. Lo guardavo soltanto. Nei suoi occhi c’erano riflessi molti anni di completa solitudine. Era stato veramente solo, senza aver trovato l’amore? Fu allora che provai una specie di vergogna nel vedermi insieme ad un ragazzo - che per me valeva più della mia stessa vita- e lui solo. Guardai di sottecchi Louis che era rivolto verso il vampiro. Fui grata non sapere che espressione si celava nel suo volto.

“Mi sembra solo ieri che eri piccola come Consuelo’’, disse mamma interrompendo i miei pensieri. Grazie al cielo non aveva detto “mi sembra solo ieri che eri appena nata’’. Non volevo andare di nuovo nel panico ricordando quel giorno in cui mia madre mi rivelò tutto. Ero ancora una bambina, ma la mia mente era ben sviluppata come quella di un adolescente.

Sorrisi imbarazzata, mentre Alucard e rise comprensivo e poi mi guardò. Prima di ritornare  parlare si voltò prima verso Hendrik, Consuelo e mamma.

“Come eri da bambina?’’, mi chiese. Non mi sarei mai aspettata una domanda del genere, speravo che non arrivasse a tanto ma lo aveva fatto. Adesso pensavo veramente che mi amava come una sorella. Non c’era nessun dubbio nella sua voce, né nel suo sorriso o nel suo comportamento. Era perfetto. Mi sentii rinascere. Ormai l’odio sembrava come un ricordo. Infondo sentivo che mi sarei imbattuta fra uno scontro con Louis, ero spontaneamente cambiata. Se Louis in quel momento provava ribrezzo per il vampiro accanto alla sua poltroncina, io provavo per quest’ultimo un affetto inspiegabile, quella sera potei considerarlo parte di me, della mia famiglia.

“Bè….ero piccola, mamma diceva che sembravo un angelo’’, risposi.

“Era stupenda, ed era precoce nello sviluppo, molto intelligente. A undici mesi sapeva già camminare da sola, qualche mese dopo aveva detto la sua prima parola…’’, spiegò mamma al posto mio.

“Abbiamo fatto qualche ricerca, abbiamo scoperto che i mezzi vampiri sono più intelligenti di qualsiasi altro bambino mortale’’, aggiunse papà pacato, calmo.

“Non ne dubito ’’, incalzò Alucard che poi si rivolse a me facendomi l’occhiolino. Ebbi la netta sensazione come se mi volesse stuzzicare. Abbassai per quattro secondi lo sguardo lasciando che le guance mi si arrossirono. Subito sentii una pressione calda sul palmo della mano: era la mano di Louis, si era accaldato per la rabbia. A mia volta gli sorrisi dolcemente e gli strinsi la mano per mostrargli che andava tutto Ok, e che ero tranquilla.

“Ed era una bambina di una bellezza straordinaria, tutti gli abitanti si incantavano non appena la vedevano”, disse infine mamma.

“Mi sembra che esistano anche bambini immortali’’, aggiunsi io quando calcolai che Louis non spruzzava ira dagli occhi.

“I bambini immortali…’’, ripete con la voce morente, triste. Forse odiava parlare di questo, parlare…di quello che era. “I bambini immortali si cercano di farli smettere di esistere’’, concluse con la voce più fredda e morta che abbia mai sentito. Mi si congelò la pelle.

“È inaudito’’, sbottò mamma mettendosi la mano al cuore e sospirando spaventata.

“No mamma, è giusto’’, la corressi io, malgrado il rammarico “Perché di vampiri come questi sono più pericolosi di quella che ero io’’

“I bambini immortali sono il risultato della trasformazione del bambino in vampiro. Questo vampiri diventano squisitamente belli, tanto che al loro aspetto non si può resistere, ma come il loro corpo non cambia neanche la loro mente evolve. Essendo anche forti come vampiri adulti, possono sterminare villaggi e non è possibile insegnar loro la segretezza della loro natura. Per questo motivo la pratica di creare bambini immortali è stata abortita. E chi disubbidisce alle regole verrà punito’’, spiegò.

“Con la morte’’, dissi tra me, ed eccolo il mio primo tono di voce tombale. Per me era un argomento ributtante su cui parlare, mi metteva tristezza sapere la sorte di quei poveri bambini: costretti a non crescere mai per poi essere massacrati.

“È un abominio’’, commentò Louis con la voce calma. Lo guardai torva, quei bambini erano un abominio? Come poteva? Erano esseri innocenti costretti a diventare poi quello che erano, non erano scelta loro se in seguito si comportavano come faceva un vampiro. Era la prima volta che ero in disaccordo con Louis, ma la cosa non mi dispiaceva affatto, ne mi spaventava. Sapevo poi che avremmo fatto subito pace. Se un litigio non c’è in una coppia non è una vera coppia.

“Ma sono comunque esseri innocenti’’, ribattei io,

“Dopo essersi trasformati non sono più innocui come pensi tu, Alexia. Meritano di essere sterminati’’, incalzò Alucard. Aveva i gomiti appoggiati sulle gambe e le dita incrociate. Senza indugio, i miei pensieri, le mie domande soprattutto si prosciugarono fino a lasciarne una sola nella mia mente vuota. Guardavo contemporaneamente Alucard, e la sua natura. Era una vampiro trasformato o era già nato vampiro? Quello che nei miei simili si chiamano un Purosangue, il contrario di un Sanguemisto- o mezzo-vampiro- che ero io.

“Alucard, ma tu sei stato trasformato?’’, chiesi senza pensarci. Non volevo neanche chiederlo per il timore che la mia curiosità andasse troppo oltre delle mie aspettative, ma in quel momento la bocca aveva già fatto da sola.

“No, sono un Purosangue’’, rispose, sorridendomi malizioso.

“Cos’è un Purosangue?’’, chiese poi Consuelo. E silenzio fino a quando non parlai io…

“Un Purosangue è un vampiro nato da due vampiri’’, risposi io. Ringraziai la mia furbizia per aver più approfondito le ricerche sui miei simili. Nel viso di Consuelo si lesse la sorpresa, la sua bocca si spalancò formando un’enorme O con le labbra.

“Possibile?’’, si chiese babbo.

“Tutto è possibile papà. Ne hai la prova’’, incalzai io. indicai con gli occhi Alucard.

“Non credevo che esistessero vampiri nati da altri vampiri’’, rispose Louis sorpreso tanto quanto papà.

“Esistono. Ci sono i Purosangue come Alucard - e come avevo detto prima- nato da due genitori vampiri; i Sanguemisti: io per esempio. Nata da un’umana e un vampiro. E poi ci sono i Mezzosangue chiamati anche come “vampiri classici”. I Mezzosangue sono i vampiri più comuni a tutti, i singoli vampiri trasformati con un morso’’, gli spiegai, accarezzandogli la spalla. Ammise un sorrisetto tranquillo per ringraziarmi.

“Non pensavo che fossi ben organizzata su queste cose’’, disse esterrefatto Alucard.

“Amo la mia gente, sia mortale che immortale. Rispetto gli immortali perché mi rispecchia in quasi tutte le forme, amo gli mortali perché faccio parte di loro. Ma odio questi Sanguemisti o Mezzi-vampiri perché si trovano addosso una vita complicata. Io non ne sono da meno ’’

“È molto appetitoso il tuo rispetto che provi per noi Alexia, ti ringrazio ’’

“Come sono i Purosangue, come sei tu?’’, chiesi di nuovo spontaneamente, non mi bastava leggerlo su carta, volevo sentirlo dal vivo.

“I Purosangue sono – come hai detto tu prima- nati dall’unione di due vampiri, in questo caso Drakon e mia madre Celesia. Come comunità vampiresca, il Purosangue è un vampiro dal sangue più potente fra le loro specie. Sono più veloce di te ’’, e mi guardò strizzando l’occhio “alcuni dicono che abbia la capacità di volare ma è solo una sciocca superstizione di chi ha inventato questa cosa; diplomatici nati ed altrettanto nati ammaliatori, alcuni di loro vedono la maledizione vampiresca come un vantaggio piuttosto che una maledizione vera e propria. Sono i più pericolosi fra le altre razze di vampiri. Sin dal momento della nascita, tuttavia, il loro corpo crescerà normalmente, non manifestando alcunché di anormale. Raggiunta però la soglia dei diciotto anni il vampiro comincerà a richiedere i primi….assaggi di sangue al corpo, sino a che non vada chiedendo unicamente sangue. La crescita del corpo dei Nati vampiri, infatti, s’arresta all’età di ventiquattro anni, diciannove- nel mio caso- in cui si tratta di un vampiro più forte, trenta nei casi di un vampiro meno predominante. Una volta che la brama…la sete, la necessità di sangue avrà completamente sostituito le altre cibarie, il Purosangue smetterà di subire le angherie del tempo, arrestando la crescita. Questo processo, come le mie razze simili, lo chiamo “Il Risveglio” . Ahimè! L’unico punto debole che i Nati Vampiri hanno rispetto ai loro “fratelli” è l’assoluta debolezza alla luce del sole: avendo nelle vene il sangue di un vampiro, questa sua debolezza lo porta sino agli eccessi, lasciando addirittura la morte del vampiro in caso di intensa espansione alla luce del sole lasciandogli più di venti secondi di vita”

La sue parole morirono in un silenzio assordante. Tutti fummo attenti alla sua spiegazione, come se stessimo in cerchio ad ascoltare una leggenda. Nella mia mente? Il vuoto, se non le stesse parole di lui appena smorzate in quella stanza al lume di candela. Tutto aveva l’aria di un rito vudù: riuniti in cerchio, con mille candeline intorno alla stanza, concentrati e in ascolto. Attenta a non distrarre l’attenzione di tutti, cercai di informargli qualcosa.

“Non pensavo che i vampiri maschi fossero in grado di fecondare, è come un morto vivente, tutto è morto dentro di loro’’, sussurrai io, illusa.

“Anche io la pensavo così. Tuttavia nemmeno le femmine vampire possono fecondare ma sembra che mi madre abbia fatto altrettanto’’, e rise imbarazzato, ma poi ritornò serio “Inoltre c’è una scarsa percentuale delle possibilità che le vampire possano rimanere incinte da un vampiro. Soltanto i Purosangue o Mezzosangue sono in grado di produrre altri vampiri tramite morso o un…accoppiamento, cosa che ad un Sanguemisto in alcune circostanze non riesce. Il Sanguemisto sono la razza più sensibile, in particolare negli anni d’infanzia e dell’adolescenza, quando debbono decidere con quale natura fare i conti’’, mi aveva descritto proprio bene. Mi venne un sussulto allo stomaco, ebbi come la sensazione di essere osservata. Meccanicamente, ricominciai la sua spiegazione dall’inizio e trovai finalmente quell’intruso che mi scandalizzò del tutto “Soltanto i Purosangue o Mezzosangue sono in grado di produrre altri vampiri tramite un morso o un…accoppiamento, cosa che ad un Sanguemisto in alcune circostanza non riesce”. Quindi, era vero? Anche se mi sarei accoppiata con Louis non sarei riuscita ad avere figli, sarei rimasta…fertile per il resto della mia vita. Non avrei mai avuto la possibilità di abbracciare un corpicino piccolo e caldo, di guardare due occhi sognatrici da bambino, di vederlo ridere, scandire frasi inconcepibili, brontolare, piangere…Avrei avuto solo la possibilità di vederlo nei miei sogni. Nient’altro. Di quel sogno tanto atteso sarebbe andato in frantumi come una vetrata rotta. Istintivamente misi una mano contro il mio ventre, per proteggere qualcosa che non ci sarà mai e che non avrà mai crescita. Ci sarà solo il vuoto, nemmeno una creatura innocente sentirà il calore del mio corpo, il mio sangue correre e il cuore battere. Avrei voluto abbassare lo sguardo ma le lacrime mi avrebbero rovinato il trucco, e alzai il viso verso l’alto. Passarono due secondi e già gli occhi erano secchi. Con rapida fortuna, mi accorsi che nessuno, oltre ad Alucard, si era accorto che stavo per piangere. Il vampiro mi lesse le emozioni e sfoderò una di quei sorrisi dolci più del miele che mi fermavano il cuore. Certo, solo lui era in grado di farlo. Sorrisi anche io ma quel che mi riuscì fu solo alzare un lato della bocca.

“Infondo c’è una piccola percentuale di possibilità che anche un Sanguemisto possa concepire un bambino’’, aggiunse, rivoltò verso di me, sicuramente per consolarmi. “Ma in entrambe le razze la vampira rischia la vita, maggiormente si arriva alla morte’’

Tutti fummo accolti da una sfreddata che ci congelò le ossa. D’altronde chi ha avuto tutto il corpo congelato ero io dato che c’ero fino al collo.

“Perché? Pensavo che solo mia figlia potesse…’’, ma non finì la frase per timore che i ricordi riaffiorarono. Mamma mi osservò dispiaciuta.

“No, vale per ogni…bambino-vampiro, esclusi i Mezzosangue. Sia un Purosangue che un Sanguemisto escono dal grembo usando i denti…’’

“Escono dal grembo della madre tramite i canini e ne causa la morte della donna…e in questo caso la vampira’’, conclusi io, con una voce proveniente dall’oltre tomba. Mi feci paura da sola.  

“Già’’, concordò Alucard. Forse anche lui stava pensando a quello che mi passava per la mente: un ricordo e inquietante che solo noi due potevamo pensare, per quel momento almeno. Provai una certa invidia per chi non aveva assistito alla mia nascita quel giorno. Guardai mamma che aveva appoggiato la mano nel suo grembo. Nel mio viso si lesse il dispiacere che provai per quella donna.

D’un tratto capii che quel silenzio faceva proprio a caso nostro. Se non ero l’unica a pensarla così, era come se ci serviva a rimuginare su qualcosa…a pensare un altro argomento per sviare l’altro. Più non si scendeva nei particolari meglio era per me. tra l’altro sentivo che la situazione stava peggiorando anche per Alucard che  cominciava a provare ribrezzo per questo argomento.

Ancora stringevo la mano di Louis, che cosa pensava? Voleva sfruttare Alucard? Voleva…comportarsi male? A quel punto mi chiesi se ero più scema io a pensare queste cose o lui per quella reazione di prima. Se avessi avuto una gemella gli avrei implorato di prendermi a schiaffi. Fui sul punto di darmene uno da sola, ma preferì trascurare per buon ragione a tutti di essere una malata di mente.

Proprio in cui il silenzio cominciavo a sentirlo assordante, mamma si alzò dalla poltroncina e si diresse verso quella più grande. Tutti alzammo lo guardo verso mamma in un modo di risveglio, come se fossimo stati ipnotizzati da quel…niente.

Un secondo dopo e la raggiunse anche papà e Consuelo. Ed eccolo, il trio della rivalità. Come nome ci poteva stare, ma questo era paragonabile solo ai due ragazzi l’uno accanto all’altro. L’unica cosa di cui non mi dovevo preoccupare era che Louis non si mettesse a parlare con Alucard in modo arrogante, già a peggiorare la situazione era il suo sguardo nascosto verso il vampiro. Ebbi come la netta sensazione che la causa di tutto quel trambusto era la sottoscritta. La sola cosa che poteva formare quel triangolo era la linea dei nostri sguardi: Louis guardava Alucard, Alucard guardava me, e io guardavo Louis. D’un tratto mi sentivo mamma che tiene a bada i suoi bambini per non rischiare che si facciano a pezzi.

Mamma, papà e Consuelo tornarono con in mano 5 piccoli regali. Bè, uno di loro era abbastanza grande. E dalla consistenza sembrava morbido. Senza dire parola, misero i regali sopra il tavolino di vetro davanti a me, mentre io e Louis li seguimmo con lo sguardo. Bene, era il momento di aprire i regali; se da voi si procede prima con la torta state pur certi che da me è l’incontrario. Ma se ad ogni modo mi sto contraddicendo da sola allora vuol dire che in comune qualcosa ce l’ho nei vostri atti quotidiani.

Per non apparire troppo infantile nel chiedendomi quale scegliere per primo, se era meglio quello grosso o quelli piccoli, o indicare col dito…insomma scelsi appunto quello che mi capitò fra le mani. Era il regalo grande che aveva fra le mani papà poco fa. Il contenuto era morbido, la carta si abbandonava facilmente alle mie mani, ed era di un colore giallo pulcino, con dei palloncini rosa. Annusai l’odore per sapere chi aveva scelto il contenuto, chi l’aveva avvolto con la carta da regalo, e chi appartenesse. La carta odorava di sole, giacinto e acqua. Annusai più a fondo captando l’odore della stoffa dentro la carta. Era lo stesso. Guardai istintivamente papà e lui girò imbarazzato la testa da un’altra parte. Si chiarii la gola.

Scartai il regalo il più veloce possibile, in un secondo le mie mani iniziarono a muoversi a velocità disumana, quasi erano trasparenti dati i movimenti accelerati, e aprire la carta. Quello era proprio il momento da rimanerci di stucco: il regalo era una maglietta a maniche corte con le righe rosse e bianche e nel mezzo un cerchio giallo. Anche i pantaloni erano fatti con le stesse righe a parte che il cerchio giallo ‘sta volta era si trovava nel lato destro del pantalone. Non era una tuta qualsiasi, era la tuta che indossavano i calciatori alati della squadra Occhiodifalco.

Guardai papà sorpresa e lui si grattò la fronte borbottando qualcosa.

“Sì, lo so. Mi c’è voluta tutta la forza di volontà per comprare quella divisa’’, ed indicò i vestiti con una smorfia disgustata, come se tenessi fra le mani spazzatura. Liberai una risata.

“Grazie papà. Sei un vero guerriero. La indosserò nelle lezioni di ginnastica”, e al diavolo chi mi avrebbe preso in giro per via della squadra. Lui mi sorrise e si avvicinò per darmi un bacio sulla guancia, stando attento a non stropicciarmi i capelli con la mano come faceva di solito.

“Sono felice che ti piaccia Alì”, e mi accarezzò la spalla per poi ritornare accanto a mamma. Piegai i vestiti e li misi in un angolo vuoto sopra il tavolino finendo per puntare lo sguardo su un piccolo regalo dalla carta violacea. Risi quando mi accorsi in quale stato era rinchiusa la carta con lo scotch, e non mi ci volle molto a raffigurare chi avesse creato tutto quell’ambaradan. Lo aprii con la stessa velocità del primo regalo e ne estrassi un braccialetto fatto di una catena color argento. Lo osservai con attenzione. Nella parte opposta dell’aggancio, penzolava un cristallo azzurro a forma di cuore. Brillava in una maniera impressionante vicino alla luce della lampadina, sopra le nostre teste, irradiando piccoli arcobaleni che si depositarono in ogni punto del cerchio. Qualcosa di potente mi nacque dal petto fino a salire fermandosi in gola per merito della mia volontà, sembrava un singhiozzo, ma per di più fu la sorpresa nel vedere lo stesso braccialetto che aveva comprato Consuelo quel pomeriggio. Insieme a questo ne aveva scelto un altro. Sorrisi sapendo che la sua astuzia aveva messo entrambe alla pari.

La bambina era già seduta sopra le mie gambe prima che io potessi alzare lo guardo verso di lei, appoggiò il braccino introno alle mie spalle e mi sorrise. Afferrò il mio polso sinistro, agganciò con delicatezza il braccialetto, e mi restituì il braccio sfiorando appena la mia pelle gelata.

“Ho pensato che ti donava….bè, data la somiglianza…’’, farfuglio.

“Consy…’’, cercai di dire ma lei alzò un dito.

“Credo che un po’ rispecchia il tuo lato vampiresco. È duro, freddo…’’

“Amore…’’

“Se esposto alla luce emana tanti arcobaleni, come di solito fa la tua pelle’’, nella maggior parte delle volte- specialmente quando il sole era meno visibile nel cielo- la mia pelle cominciava a brillare come se al posto di ogni cellula ci fossero un milione di diamanti microscopici che mi facevano brillare. Ma questo capitava di rado. Sospetta, voltai lo sguardo verso Alucard. Mi guardava anche lui, e finalmente capii per quale motivo mi sentivo come se qualcuno mi stesse mangiando con gli occhi facendomi apparire osservata. Ci badai a malapena del risultato, chiedendo a mia volta se anche a lui succedeva questa cosa.

Alucard di colpo arricciò il naso e pronunciò a malapena un “no” con le labbra. Aveva capito il motivo e ne fui grata. Ritornai a guardare Consuelo che si passava fra le dita il cuore di cristallo, sorrisi immaginando un episodio della mia vita in cui io ed Alucard potevamo fare a meno di parlare con la bocca se potevamo capirci con gli occhi.

“E hai dimenticato un’ultima similitudine: è bellissimo”, sussurrai. Girai il polso per far brillare il cuore.

A modo suo, mi sorrise mettendo in bella mostra i dentini splendenti.

“Ti ringrazio, tesoro. Non me ne separerò mai’’, promisi. E le concordai il permesso di essere cullata fra le mie braccia.

Passato un minuto di sciolse l’abbraccio e mi diede un bacio sulla guancia, sentivo Alucard e Louis sorriderci, e poi ritornò alla sua sedia.

Misi la carta sul tavolino trasparente e puntai al prossimo regalo. Era una scatolina di pelle morbida e bianca. La annusai, sentivo i peli morbidi dell’oggetto sfiorarmi la punta del naso: era di mamma.

Le sorrisi e lei mi venne in contro con passo aggraziato, si sedette sul braccio sinistro della poltroncina, aprii il coperchio della scatolina e me lo offrii.

“Ti serviva qualcosa che spezzava questi colori oscuri. Tipo verde. Se ci metteremo a regalarti tutti qualcosa di blu andrà a finire che sarà stata una festa in stile notturno’’, disse mamma. Scoppiai a ridere per la battuta in un certo senso reale.

“E di prezioso, oltre a tua madre. Apparteneva alla mamma di tua madre’’, aggiunse papà. Mamma lo guardò e gli sorrise. Nonna Lucie Cooper era morta già da due anni, ripensando a lei mi venne una gelata fredda al cuore. In certi momenti mi mancava.

La scatola conteneva due fermacapelli di oro massiccio, sopra i pettini degli zaffiri verde erano incastonati in mezzo ad intricanti disegni floreali. Accarezzai gli oggetti con delicatezza, col timore di romperli li sfiorai con la punta delle dita. Li annusai veloce, si sentiva ancora l’odore antico di mia nonna. Voleva che ancora mi ricordassi di lei.

Sentii un groppo in gola “Mamma, papà…non dovevate’’, sussurrai, essendo difficile parlare chiaro in quel momento.

“Oh, non dire sciocchezze. E poi tua nonna ci teneva molto a donarteli un giorno: tradizione di famiglia’’, commentò papà.

“Sai com’è la tradizione: un dono che darai a tua figlia…e poi a alla figlia di tua figlia’’, balbettò mamma quando ormai si cominciò a notare i lucciconi nei suoi occhi. mi baciò e mi abbracciò alla svelta.

“Grazie, ti amo tanto. Grazie mamma ’’, ripetei io con un nodo in gola. Sentivo che ero la prossima al pianto per cui mi staccai presto da mamma e cercai di regolarizzare il mio respiro cominciando a respirare calma. Mamma si diresse veloce da papà, si coprì il viso dietro la schiena del marito cercando di non far notare a tutti il rossore e le lacrime gli sgorgavano dagli occhi.

Per non farmi condizionare da quelle lacrime, puntai lo sguardo nella vetrata del tavolino dove ora vi posavano due regali: la bustina di carta bianca che aveva portato con se Louis e un’altra scatolina: piatta, larga e nera, anche essa rivestita di pelle; quest’ultima non era fra in miei regali poco fa. In quelle colorazioni vivaci non vidi niente di nero. Solo qualcuno così veloce poteva nasconderlo lì senza farsi accorgere da nessuno. E già entrambi sappiamo chi. Louis mi guardava eccitato, Alucard tranquillo e nelle sue labbra marmoree era inciso un sorriso celestiale per farmi intendere che se sceglievo il regalo di Louis per lui era la stessa cosa.

Essendo libera dalla suo permesso, ma da una parte dispiaciuta per non aver allungato la mano dove in un certo senso volevo che andasse, mi avventai con lo sguardo alla bustina di Louis, prima che potessi toccarla con le dita sentii la sua mano ferrea stringermi la mia. Lo guardi accigliata. Lui non mi guardò. Guardava la bustina nervoso.

“Forse è meglio lasciare la grande sorpresa per ultima’’, esitò.

“Dovrei preoccuparmi?’’

“Be’…per lo meno ti dovresti spaventare’’, rispose impacciato, per poi ridere alla sua battuta.

Alzai un sopracciglio. “Okay!”, concordai sconcertata. Era strano: prima mangiava Alucard con lo sguardo poi mi permette di aprire il so regalo. Fu questione di qualche secondo prima che mi liberai dal disorientamento. Al fin fine risi fra me come se fossi stata io quella a disagio e non Louis.

Spostai mentalmente il regalo di Louis e lasciai cadere lo sguardo sopra la scatolina nera. Mi sporsi dalla poltrona per afferrarlo, ma prima che ciò accadesse una ventata d’aria fredda mi alzò i capelli e la scatolina sparì dai miei occhi. Alzai lo sguardo confusa e per poco non scandii un urlo quando mi trovai Alucard accanto a me, teneva stretta la scatolina nella mano destra. Come mamma fece qualche minuto prima, anche lui si posò nel braccio della sedia di fianco a lui e mise davanti a me la scatola nera senza però restituirmela.

“Pensavo che Louis avesse posticipato la sorpresa per ora, ma dato che…non è ancora preparato’’, e sentii lo sguardo glaciale di Louis addosso a Alucard “Voglio rispettare il suo volere’’, disse infine e aprii il coperchio.

La scatola nera conteneva una bellissima collana lunga con filigrane vintage, pasta polimerica, Swarovski austriaci e mezzi cristalli. L’elemento centrale era un bottone di vetro in stile liberty dove spiccava l’immagine di una libellula sullo sfondo blu notte. La collana, lo intuivo, era interamente eseguita a mano. Il colore del metallo era oro antico.

Fu difficile non rimanerci sbalordita. Non osai toccarla perché avevo timore di romperla, nei momenti come questi avevo paura della mia stessa forza. Rimanendo sempre allo stesso posto, inspirai l’aria che proveniva dal bottone e mi accorsi che l’oggetto era invaso dall’odore di Alucard.

Lo guardai stupefatta. Nel suo sorriso c’era un velo di imbarazzo.

“Non ho fatto la collana’’, ammise. “Soltanto il ciondolo ’’

Afferrai il bottone blu che riposava sul cuscinetto nero della scatola, ormai scura che la mia forze non avrebbe danneggiato quell’opera d’arte, e lo feci passare fra le mie dita. Il vetro blu si illuminava ancor di più alla luce della lampada.

“Oh, Alucard…ma è…bellissimo’’, sussurrai stupita. “Come hai fatto con il bottone? I ricami sono bellissimi!’’, chiesi poi.

“In realtà, mi ha insegnato mio padre, il resto l’ho fatto io’’, rivelò stringendo le spalle. “Era di mia madre”, aggiunse, con un groppo in gola.

Lo guardai sorpresa. “Siete molto….creativi, entrambi. È quasi difficile crederti, sai?’’, mormorai io.

“Ti piace?”

“Se mi piace? Lo adoro! È incredibile, Alucard. Grazie’’

Sorrise felice. “Sono felice che ti piaccia. Avrebbe voluto regalartelo p…Drakon, ma dato che è via mi ha chiesto se lo potevo regalartelo’’

Mi misi a guardarlo meravigliata, gli occhi quasi accecati dalle lacrime. Come se al suo posto ci fosse la luce insopportabile.

“Voleva regalarmelo anche Drakon?’’, qualcosa dentro di me avrebbe voluto che lo chiamassi “papà”. Trattenni un singhiozzo. Sentii i passi di mamma avvicinarsi a me, e mi strinse le spalle per calmarmi.

“Sì, ma diciamo che si…vergognava’’, rise imbarazzato. Risi anche io. Wow! Papà vampiro si vergognava di sua figlia. D’altronde ci rimasi anche male. Non doveva avere paura di me, poteva anche essere l’incontrario.

“Non gli mordo mica’’, risi. E tutti scoppiammo in una bella risata; sembrerà assurdo, ma cominciava a piacermi l’argomento “parliamo di papà”.

“Un giorno dovrebbe fare un passo avanti’’, commentò poi, sempre sorridendo divertito.

“Già”

“Vuoi che glie lo chieda?’’

“Fai come vuoi, ma avrebbe voluto veramente venire…qui?’’, per non dire “da me”.

Fece spallucce. “Da come lo conosco, sì. Ma con quel maledetto carattere che si ritrova finisce coll’essere masochista’’, mi ricordava qualcuno: io.

“Digli con deve esserlo, digli che mi piacerebbe ricevere un regalo da lui, digli che…’’, ma mi fermai di colpo trattenendo un altro singhiozzo. “digli che gli voglio bene’’, ecco cos’era quello che avrei voluto dire alla fine.

“Glie lo dirò’’, mi promise sospettando di quello che stavo per dire.

“Grazie’’, sussurrai. E gli sorrisi grata. Mamma a quel punto era ritornata da papà assicurandosi che ero calma.

“Su dai, voglio vedere come mi sta’’, e afferrai delicatamente la collana. Lui fu più svelto di me a sollevarla con le dita, appoggiò svelto la scatolina sul tavolino e scalzò dolcemente la mano che teneva stretta il filo abbellito da gioielli preziosi. Con un sorriso lusinghiero mi si mise dietro e sollevò la collana sopra la mia testa, la abbassò fin sotto il mio mento, e la avvicinò al mio collo. Sentii l’impatto freddo dei gioielli e del bottone contro la pelle, rabbrividii. Sentivo il filo muoversi, le due dita fredde che scansava alcune ciocche dei miei capelli per annodare le due estremità del filo. E infine la collana si abbandonò intorno al mio collo senza cadere.

Di seguito sentii le sue dita fredde passarmi sotto la nuca, afferrando i capelli che incontrava fra le mani e sollevandoli dolcemente per far passare sotto di loro la collana. Lo fece due volte di seguito, in modo delicato e tranquillo, costringendomi ad una scarica di brividi lungo la schiena. Curiosa, assaporai la sua fragranza ormai vicina a me, e mi venne l’acquolina.

“Hai un odore che conquista’’, sussurrò svelto e in un modo lieve che solo io potevo sentirlo. Gli altri non sentirono niente. Mi girai verso di lui per dirgliene quattro, ero rossa di vergogna e di rabbia, ma all’impatto con il suo sguardo mi dimenticai di tutto. Fu come un fulmine che spaccò in due il cervello sterminando ogni contatto che aveva in me: sentimenti, pensieri, emozioni, si librarono nell’aria come fumo e scomparvero dalla stanza. Nello stesso momento qualcosa nel mio stomaco cominciò a darmi un leggero fastidio. All’inizio era qualcosa di leggero, che mi rinfrescò tutto l’apparato digerente, e poi quella leggerezza fu mischiata da un battito d’ali leggere che si scontrarono intorno alla sacca e mi fece solletico. Le farfalle? Possibile? Non ero affatto innamorata di Alucard. No, può darsi che era un qualcosa che mi rilassò. O forse la mia illusione, o immaginazione. Fatto ‘sta che quella cosa non se ne andò dallo stomaco e cominciò a farsi più prestante quando mi accorsi che le sue labbra era a dieci centimetri dalle mie. Così vicine che se mi sarei esposta ancora un po’ con la testa le avrei scontrate contro le sue. Nessuno dei due si mosse, eravamo immobili come due statue greche. Potevo stare in quella posizione anche per una settimana. Vicina a lui, così vicina che potevo anche sentire il suo respiro, il suo odore che ora era più possente, era estasiante.

Qualcuno tossì e mi allontanai dal suo volto. L’imbarazzo mi infiammò le guance. Meglio così, se non c’era l’imbarazzo ci sarebbero state le lacrime. La frustrazione si scatenò in odio quando si allontanò da me fiondando verso la propria poltrona, comportandosi come se niente fosse successo. Strinsi i pugni. Rivolevo il suo odore, i suoi occhi…Non potevo credere che già mi mancava anche se eravamo in una distanza non tanto distante. Lo guardai di sottecchi, lui guardava il vuoto e con un rapido scatto si volse a guardare me. forse si sentì osservato. Mi studiò e alla fine scandì un sorriso, mi sembrò compiaciuto.

“Da questa visuale vedo che la collana ti sta d’incanto. Tua sorella ha ragione riguardo al colore: ti dona il blu’’

“Grazie ancora, è bellissima’’, dissi in fine con voce un po’ fioca. E la discussione finì lì. Pian piano quello sbattere leggere d’ali finì per diventare più live, più costante fino a sparire. Fu come una liberazione, risi di me stessa per essermi fatta condizionare dal suo sguardo e da quelle farfalle. Era….ridicolo che provassi qualcosa per lui perché non avevo altri che Louis.

Per preferenza, un modo per distrarmi dal mio fratellastro, puntai lo sguardo sul tavolino e mi accorsi che la vetrata era vuota, a parte una candela in un lato, alcuni petali, e il bastoncino di vaniglia in un altro. Lo cercai con gl’occhi, spaventata. Non avrei accettato che qualcuno l’avesse rubato.

Successivamente Louis si mise davanti a me, schiarendosi di nuovo la gola, e mi mostrò un oggettino che teneva stretta nella mano: era rosso, a forma ovale, più piccola del suo palmo, e solo quando allargò la mano mi accorsi che si trattava di un’altra - e ultimo- scatolina. Sentivo il cuore battergli all’impazzata, le mani gli tremavano; ora potevo lasciar cadere liberamente le lacrime, mamma mi avrebbe capito. Tutto sommato ormai il trucco si era raffreddato al contatto della mia pelle per cui era improbabile che se piangevo come una fontana dopo qualche minuto apparivo come un fenomeno da baraccone.

Dentro quello “scrigno” sapevo cosa conteneva. Lo era la prova del suo cuore, del suo tremore, del suo sorriso, non poteva essere altrimenti. Louis aveva ragione, dovevo spaventarmi. Ma dopo sarei risultata sciocca. Dovevo solo essere grata di quel giorno, grata che il cielo mi abbia mandato lui, e grata per essere entrata nel suo mondo.

Ormai non mi importava ritrovarmi nel salotto, seduta su una poltrona, e intorno a me guardi interessati che scrutare la scatolina in mano a Louis, ormai c’ero solo io e lui in quella stanza vuota. Studiavo concentrata l’oggettino che teneva Louis, tutto si trasformò in qualcosa di magico. Era il mortale davanti a me che mi rendeva la mia vita così…affascinante, fatata.

Ammise una risata imbarazzata e poi ritornò a guardarmi.

“Io…avrei voluto dartelo per primo…’’, mormorò, notai subito che i suoi occhi luccicavano. “…ma….ora non ha importanza’’, disse infine scuotendo la testa come per levarsi qualcosa dalla mente.

Senza indugio, aprii la scatolina rossa e ne mostrò un anello posato dolcemente su un cuscinetto di spugna bianco. L’interno della scatolina era di un color bianco perla.

L’anello era realizzato in oro bianco con acquamarina a taglio ovale con due diamanti posti lateralmente. Il gioiello si presentava fondamentale, si dava maggior importanza alla pietra centrale: l’acquamarina che era la principale di quell’oggetto che era accompagnata poi da due diamanti taglio brillante. L’acquamarina era un birillo ed il suo colore andava da un azzurro cielo ad un azzurro sempre più chiaro sino a raggiungere un verde come l’acqua del mare. Il gambo era molto corpulento, l’acquamarina era incastonata a griffe in modo da permettere alla luce di attraversare la gemma e di farla risplendere al massimo. Una corda trasparente mi si avvinghiò alla gola e mi soffocò.

“Se non ti piace, lo andrò a cambiare…’’, farfugliò lui, trattenendo le lacrime.

“No…no, è perfetto così. È unico’’, riuscì a dire. Ormai ero prossima al pianto.

Mi prese per mano e mi fece alzare dalla poltrona. Stava in piedi di fronte a me, l’emozione nei suoi occhi sparì quando sospirò e divenne serio. Afferrò con delicatezza l’anello e appoggiò la scatolina di legno rossa sul vetro piatto del tavolino. Sentii il tintinnio del legno contro il vetro.

“Oh, Louis, no”, esclamai emozionatissima, e lo vidi inginocchiarsi davanti a me, prendendomi allo stesso tempo la mano sinistra.

“Ti prego, ricordati che mi hai amato fino a questo punto. Ora mi devi accettare veramente….e come si deve, perciò non rovinare tutto’’, mormorò. Respirai a fondo per non far trapelare l’agitazione e l’imbarazzo.

“Alexia, Lilly, Marie Kennedy’’, pronunciò il mio nome per esteso e mi guardò con i suoi occhi dolci e al tempo stesso ardenti d’una risposta sincera. Le possibilità che avrei detto le due lettere comuni erano...scarse. “Sei l’unica persona a cui posso dare tutto me stesso, l’unica fanciulla che mi fa sentire speciale in questo mondo. Sei parte di me, e io di te. Prometto di amarti per l’eternità, vuoi diventare la mia fidanzata?’’.

Avrei potuto dire un sacco di cose: “quanto ti è costato?’’ oppure “amore mio, non dovevi, l’importante è il pensiero’’. Avrei potuto inventare una scusa, farfugliare cose che non mi sarei mai sognata di dire davanti a lui, imbarazzanti, troppo acide, alcune sdolcinate e romantiche. Ma in quel momento mi accorsi che cominciavo ad apparire ridicola. Strinsi le labbra, chiusi gli occhi, sospirai.

“Si’’, sussurrai sincera. Ero sincera, gli avrei detto Sì anche all’altare. Per la prima volta mi accorsi che non ero mai stata così franca fino a quella giornata. Quel Sì provenne dal mio cuore.

Louis, senza esitare, mise l’anello sul mio annullare sinistro e mi alzò la mano per far prillare la gemma centrale. Se prima avevo resistito all’impulso di piangere, ora potevo sciogliere quel nodo che tenevo stretto alla gola. Gli occhi si riempirono di lacrime annebbiandomi la vista, mi catapultai addosso a lui e lo strinsi forte a me, premetti le mie labbra contro le sue e liberai ogni singhiozzo che mi uscisse dalla bocca. Fu un bacio dolce, tenero….sincero. Pieno di commozione. Mi baciò anche le guance per asciugarmi le lacrime, e me accarezzò con la punta delle dita. Intorno a noi scoppiò una serie di applausi e fischi ( i fischi erano di mio padre) che riempirono il silenzio in tutto il salotto. Per un minuto dimenticai la gente intorno a me, il luogo, gli odori. Ricordavo soltanto che mi amava, e che ero sua. Per sempre.

“Ti amo Louis”, gli sussurrai con la voce tremolante.

“Ti amo che io, ti amo ora e ti amerò per sempre’’, rispose. E per me furono parole uscite dal cuore: vere.

Mi baciò nuovamente, veloce ma tenero quest’ultima volta; fu lui a staccare per primo lo sguardo da me e voltarsi verso i miei genitori. Io, invece, restai impalata a guardarlo. Non riuscivo a staccargli gli occhi di dosso, troppe emozioni indescrivibilmente belle.

Subito dopo fui inondata da mille abbracci: riconobbi il primo, quello caldo al contatto della mia pelle ma freddo per gli altri, di Alucard. Mi strinse le spalle in modo benevolo.

“Sono fiero di te, anche nostro padre lo sarebbe’’, sospirò.

“Ti ringrazio, Alucard. Per tutto’’, sussurrai piano per non far sentire tutto ciò a Louis, e fui soffocata da un nodo in gola quando ricordai che per lui fu la prima e ultima volta che sarebbe venuto a farci visita. Conscia dal fatto che cominciavo a volergli bene, ora mi pentii di avergli detto quelle sprezzanti parole poco fa.

Alucard mi lasciò le spalle e fui annodata dalle braccia calde di mamma, aveva le lacrime in viso per la felicità, e quelle di Consy, che rideva felice. Le abbracciai forte a me per rimuovere un’altra ondata di pianto, al tempo stesso però mi appariva nella mente il volto di Alucard.

“Posso vederlo?’’, mi chiese Consy con voce squillante. Mamma mi guardava come se la richiesta di Consuelo avesse fatto eco nella sua bocca.

Alzai la mano destra e la gemma d’acquamarina brillò alla luce della lampada. Entrambe si misero a guardarlo con devozione, mamma mi afferrò l’anulare e con il pollice della mano accarezzò i gioielli incastonati sopra il cerchio d’oro bianco, Consuelo allargò di più gli occhi quando vide splendere il diamante centrale.

“È bellissimo’’, ansimò mamma, colma di gioia. E mi liberò la mano, subito dopo la afferrò Consuelo e mise più a fioco il gioiello centrale.

“Grazie, mamma. È tutto così perfetto’’, risposi sincera. “Sei la mamma più straordinaria e meravigliosa che io conosca’’

“Contenta che ti sia piaciuto’’, rispose con un grande sorriso.

“Anche io vorrei averne uno’’, disse Consuelo, sognante.

“Aspetta il tuo turno ’’, disse infine mamma, accarezzandole la testa.

Subito ci girammo verso gli uomini. Hendrik, Louis ed Alucard stavano ridendo, accorciai la potenza del mio udito per concedere loro una meritata privacy. Papà diede una pacca sulla spalla (ora orgogliosa di ammetterlo) al mio fidanzato, e risero entrambi. Probabilmente avevano detto una battuta. Poi si misero a parlare tutti e tre di qualcosa. Volarono sulla poltrona e accesero la tv. Papà abbassò il volume per impedire che le trasmissioni interrompessero la loro conversazione.

“Ti sei pentita vero?’’, mi chiese d’un tratto mamma, comprensiva. Aveva capito che stavo osservando Alucard.

“Di che?’’, gli chiesi, facendo finta di nulla.

“Dell’atteggiamento con Alucard’’

“Credo…penso…non lo so’’, balbettai io, c’era più dispiacere che bugia nel mio volto. D’altronde odiavo mentire. Per cui un secondo dopo dissi:

“Sì’’

Consuelo stava passando il cuore di diamante tra le sue dita, dondolandolo, scuotendolo, in modo da creare piccoli raggi d’arcobaleno. Mi misi ad osservarla, ma dopo ritornai a mamma.

“Come hai fatto ad invitarlo?’’, le chiesi dopo.

“Nel momento in cui tu eri andata a fare le compere con tua sorella, ho preso la bici e sono corsa da lui ’’, rivelò con un sorriso compiaciuto.

“Avresti dovuto dirmelo’’

“Avresti detto di no’’

“Lo avresti saputo”

“Volevo rischiare’’

“Ahó! Quanta voglia di fare! Perché non andiamo a mangiare!’’ , ammiccò Consuelo. Mamma non esitò d’un solo secondo. Consuelo al tempo stesso mi afferrò la mano per guardarla. Mi fece l’occhiolino.

“Ah! Sì, mi ero dimenticata del cibo ’’, aggiunse mamma dandosi un colpetto sulla fronte con la mano. “Hendrik mia aiuti a portare qualcosa per mangiare?’’, chiese poi al marito.

Sbuffò. “Stavo parlando!”, brontolò.

“Hendrik!’’, lo richiamò mamma questa volta con uno sguardo repentino e minaccioso mentre si dirigeva a grandi passi verso la cucina.

“Corri, mamma, corri’’, farfugliai , e Consuelo scoppiò a ridere. Dalla poltrona sentì una risatina appena pronunciata. Mi girai verso Alucard e mi accorsi che ci stava osservando. Aveva sentito.

Papà ormai si era alzato dalla poltrona con malavoglia e raggiunse mamma, brontolando qualche parola. Consuelo mi afferrò la mano e mi condusse alla poltrona, sempre stringendomi la mano dove aveva agganciato il braccialetto, e infine mostrò il gioiello a Alucard.

“Guarda, ti piace?’’, gli chiese, serena. Alucard sorrise e mi afferrò la mano per avvicinare ancor di più il braccialetto al suo sguardo.

“È molto bello. Sei stata bravissima’’, si congratulò con la bambina. Lei ammise un sorriso timido e poi saltò fino a Louis, dove l’accolse a braccia aperte e facendola sedere poi sopra le sue gambe.

“Grazie, Alucard’’, lo ringraziò sorridendogli timida. Il ragazzo ricambiò allo stesso modo.

“Ma davvero sei il fratello di Ali?’’, chiese poi, indiscreta. Non si preoccupò del vezzeggiativo del mio nome, ne si mise a ridere il che mi avrebbe costretto di scappare dalla stanza per arrossire in qualche altro luogo della casa.

“Il verità sono il suo fratellastro’’, precisò.

“Ah’’, disse lei, fingendo di capire, ma poi cedette, alzò un sopracciglio. “Cos’è un fratellastro?’’

Io e i due ragazzi ridemmo sotto i baffi, non era buffa ma graziosamente simpatica.

“È il frutto nato dal mio stesso padre. Drakon prima di mamma ha avuto un’altra compagna, ma questo accadde trecento anni fa, e da loro due nacque Alucard. Poi diciotto anni fa nacqui io da Drakon e mamma. Alucard è come un mio fratello, ma dato che non è figlio di mamma ma di un’altra donna che aveva amato Drakon è il mio fratellastro. Hai capito?’’

“Sì’’, disse grattandosi le sopracciglia. Risi appena, era piccola per capire certe cose.

“Quindi è anche il mio fratellastro?’’, chiese poi, gli si illuminarono gli occhi per la felicità.

Storsi le labbra. “No, tesoro. Tu non sei nata da Drakon come me’’, precisai, con un filo di dispiacere, non perché sia nata da Drakon ma per vedere il suo sorrisino spegnersi in un attimo.

“Oh’’, disse piano. Abbassando lo sguardo.

“Ma se vuoi, posso anche essere tuo fratello’’, disse Alucard per sdrammatizzarla. Funzionò: alzò di scatto lo sguardo, spruzzava gioia da tutti i pori, con un salto scese da Louis per correre verso Alucard. La vidi subito allontanarsi sorpresa dal tocco gelato che ebbe con il vampiro, ma dopo ritornò ad abbracciarlo come se non fosse successo niente.

“Grazie, grazie, grazie!’’, squittì lei mentre lo abbracciava forte, lui la cullò come se fosse sua figlia, accarezzandogli la schiena. Fu uno dei quei momenti che mi chiesi se all’impatto con il corpicino della bambina non si sarebbe scatenata una sete brutale dentro la sua gola. Esaminai per qualche minuto i lineamenti del suo viso perfetto notando nemmeno un segno di sofferenza. Sospirai tranquilla, sedendomi accanto al mio fidanzato che mi cinse le spalle con un braccio.

“Prego Consuelo, sono felice di far parte della tua famiglia’’, rispose Alucard quando la bambina allontanò la testa dalla sua spalla, ma la teneva sempre avvinghiata a se con un solo braccio. lei non si preoccupò, sembrava che gli piacesse. Poco dopo ritornò a me.

“Può far parte della famiglia?’’, mi chiese in tono supplichevole. Fu esattamente quella la domanda che mi fece provare un dolore estremo alla pancia. Appoggiai una mano sul ventre. Perché proprio in quell’argomento doveva fiondarsi? Come se mio dispiacere non fosse altrettanto per il mio cuore. E intanto tutti aspettavano la mia domanda.

Fui invasa da un attacco di panico, per me sarebbe stato più difficile ragionare che rispondere. Stavo per inventare qualche scusante quando sentii i rumorosi tacchi di mia madre avanzare verso il salotto. Svuotai tutto l’aria dei polmoni che avevo inspirato per il suo intervento. Papà la precedette per levare cartona e qualcos’altro che era rimasto sulla scatolina. Sembrava essere salvati dal suono della campanella.

Al posto di quello che aveva tolto papà dal tavolino, mamma ci mise alcuni cibi sfiziosi che avevamo preparato quel giorno. Oserei dire che sembrava essersi portata dietro mezzo tavolino. Ci alzammo dalla poltrona all’unisono e corremmo incontro al cibo. Tutti si abbuffarono e mangiammo di tutti e di più. Bè, tutti a parte io che dovetti spostare lo sguardo da un’altra parte per il tanfo che mi inondò il naso. Fu allora che mi accorsi che mancava qualcuno alla cerchiata. Casualmente il mio sguardo cadde sulla chioma nera dei capelli di Alucard visibile davanti alla poltrona. Era ancora seduto e guardava i personaggi schietti, economici e bizzarri della tv. Frecciai da lui e in un secondo mi ritrovai seduta accanto al suo corpo di pietra.

Guardava fisso lo schermo della scatola nera, ma i suoi occhi non si muovevano ne provavano interesse sull’argomento pubblicitario che rappresentava a quell’ora. Non respirava, era immobile. Proprio una vera statua. Gli diedi uno strettone al braccio e finalmente di mosse girandosi verso di me.

“Tu non vieni? Mamma ha preparato tante cose buone’’, lo invitai.

“Non penso che per un vampiro tutto ciò che ha preparato tua madre sia definito “buono” “

“Oh”, ecco perché. Stessa natura stessi gusti.

“Non ti preoccupare per me, pensa a te ’’, mi rassicurò.

Sbuffai, come se non ci stessi pensando abbastanza alla mia vita. “Non hai fame? Vuoi qualcosa?’’, esitai.

“No’’, esitò. E mi sorrise.

“Sei sicuro?’’, chiesi ancora. Non rispose e ritornò a recitare la statua antica di prima. Sospirai, non mi arrendevo. Lo guardavo sperando di trovare qualcosa che mi facesse dubitare che in parte mi aveva mentita. Tre secondi dopo lo vidi deglutire. Contrassi la mascella per tre secondi, trattenendo un sorriso, sfrecciai dalla poltrona dalla cucina, mi diedi da fare, e in un secondo mi ritrovai accanto a lui; misi davanti al suo volto uno dei due bicchieri pieni che tenevo fra le mani in modo da distrarlo. Gli occhi da statua si mossero e con la punta del naso seguii l’odore del liquido dentro il bicchiere di vetro. Per un momento mi guardò scandalizzato, poi sorpreso, poi grato. Mi morsi il labbro. Avevo sete anche io.

“Non ti sfugge proprio niente, eh?’’, ammiccò, strizzando l’occhio.

“Tieni”, e avvicinai ancora qualche centimetro il bicchiere al suo volto. Lo afferrò e annusò il liquido rosso. Feci lo stesso anche io, lasciando liberamente che i canini si fecero più visibili. Sangue di cervo.

Mi portai la cannuccia alle labbra, strizzai gli occhi e sfeci il primo assaggio. Il sangue di cervo era dolce e buono, sapeva d’erba e di corteccia, caldo e gradevole, vegetale oltretutto. Ma il più appetitoso era quello del puma che assomigliava al 50% a quello umano. Il sangue di cervo ti tirava su di forza, quello del puma ti trasformava da Superman a Hulk.

Quando terminai tre sorsi mi accorsi che il bicchiere era già mezzo pieno. Quello di Alucard invece era ancora pieno, guardava curioso il piccolo tubicino di blastica, e poi si volse a guardare me. Alzai gli occhi al cielo.

“Si chiama “cannuccia” e serve per succhiare la bevanda che c’è nel bicchiere’’, spiegai. Lui alzò un sopracciglio, e io sbuffai un’altra volta. Era troppo all’antica.

“Guarda me’’, gli suggerì. E riportai di nuovo le labbra alla cannuccia per succhiare un’altra volta il sangue dentro il bicchiere. Questa volta lo prosciugai di qualche centimetro per dare una piccola dimostrazione. Alucard intanto studiava i miei movimenti, attento. Sentivo il rossore nelle guance. Ingoiai il liquido e mi girai verso di lui.

Ispirò l’odore del sangue e poi si mise le labbra alla cannuccia, strizzò chi occhi e dopo un secondo vidi il liquido salire verso le sue labbra da dentro la cannuccia. Da fuori la plastica modellata dell’oggetto riuscii a sentire l’odore dolce del sangue dell’animale. Allo stesso tempo provai invidia per lui dato che avevo il sangue meno appetitoso. Lo sentii mugugnare come se l’odore del sangue in bocca gli desse disturbo, ma in realtà era il languore nel sentire la fragranza dolce. Fece due sorsate e poi allontanò le labbra dalla cannuccia, sospirò e si leccò le labbra macchiate di rosso. Si girò a guardarmi compiaciuto.

“Bravo”, lo congratulai, incantata dai suoi movimenti perfetti.

“È puma, giusto?’’

“Sì. Ehm…’’, che potevo dirgli?. “Ti piace?’’

“Devo dire che l’odore è ottimo. Grazie’’

“Di niente”, dissi infine e gli passai uno dei tre fazzoletti che avevo preso dalla cucina, lo prese e si asciugò le labbra. Ripresi a bere il sangue controvoglia, per distrarmi dalla sua bellezza, immaginando che fosse ritornato a recitare la bella statuina di un attimo fa; in tal modo non elaboravo l’intuizione che mi stesse guardando.

Mandai giù con fervore altre tre sorsate e smisi quando cominciai a sentire che l’unica cosa che stavo succhiando dalla cannuccia era aria e il rumore di un risucchio. Non ritornai in cucina, rimasi con il bicchiere in mano a distrarmi dai mille colori e personaggi nella televisione, cercando con tutte le mie forze di non girare lo sguardo verso l’obbiettivo. E due secondi dopo mi accorsi che questa volta fui io a recitare la bella statuina. Quell’interpretazione mi servii più di quanto mi aspettassi perché d’un tratto mi sentii vuota come una vera statua greca, e non pensavo a niente se non la trasmissione nella tv. Ero pronta a giurare che mi dimenticai perfino di Alucard e dentro ero come una botte vuota, senza vino. Era una sensazione piacevole, sentirsi leggeri, niente peso o qualcosa che ti desse fastidio dentro. Ma purtroppo mi risvegliai dall’immobilità quando sentii un risucchio. Mi girai verso Alucard accorgendomi che di quello che restava del sangue era soltanto aria.

“Fatto’’, disse compiaciuto. Gli presi furtiva il bicchiere e sfrecciai verso la cucina, appoggiai i due bicchieri nel lavandino, mi sciacquai la bocca e mi risedetti accanto a lui. Le punte leggere dei due tovaglioli rimasti si alzarono quando comparii di nuovo seduta sulla poltrona.

Strinsi i denti per dire qualcosa ma a quel punto ci chiamò Kate. Mi ero troppo distratta, Louis mi aspettava con un sorrisetto accoglitore, anche se mi sembrava essere passato tanto poco. Forse avrei sentito a Louis dopo la festa dato che per mezza serata mi ero dedicata ad ALucard. Una cosa che non mi sarei mai sognata di fare, del resto il seguito del festeggiamento procedete bene. Mi divertii molto, stando sempre accanto a lui, parlando di tutto, ridendo e scherzando. Mi sentivo soddisfatta di tutto. Della mia vita. Fu una serata magica grazie al dono ricevuto dal mio fidanzato, ora potevo appartenergli veramente, sorrisi spensierata immaginando la faccia delle mie amiche quando avrebbero visto l’anello. In quanto alla torta…bè, mi costrinsero a esprimere il classico desiderio e spegnere le candele. E finalmente poterono avventarsi contro il dolce, esclusi io ed Alucard che già avevamo assaggiato qualcosa di dolce, e ne lasciarono solo quattro fette. Focalizzai una di queste immaginandola nel mio piatto domani pomeriggio ammesso che mamma non si sarebbe intrufolata prima di me nel frigo.

“Ti aspetto lunedì all’entrata della scuola’’, disse Louis, intrecciando le mie dita alle sue. Mi trovavo nel piccolo viale del giardino che portava al marciapiede, gli altri erano vicino alla porta per salutare Alucard.

“Conterò i secondi’’, gli accennai facendogli l’occhiolino. Mi sorrise benevolo.

“Ti amo. Grazie, mi hai reso la giornata indimenticabile’’, e avvicinai il viso per baciarlo. Un bacio clamo, e delizioso. il semplice bacio che mi dava quando doveva salutarmi. Infatti dopo un minuto sentii in lontananza le gomme di una macchina che sfrecciavano nell’asfalto della strada. Uno….quattro…sei secondi dopo la macchina frenò bruscamente vicino al marciapiede ci trovammo noi, mi staccai da Louis e fiondai lo sguardo verso il finestrino. Una donna con un volto magrolino mi sorrideva e mi salutò con un gesto alla mano. i suoi occhi da cerbiatta erano stati sempre allegri fin da quando mi aveva conosciuta, una classica assomiglianza di mamma. La salutai con un sorriso.

“Che puntuale!”, disse Louis improvvisamente sorpreso. Anna adorava andare alla velocità di un fulmine quando si trattava di appuntamento o feste per essere puntuale all’orario d’uscita. Infatti…erano le 23.30, l’orario di fine festa.

“Grazie ancora’’, ripetei.

“Non perdere l’anello’’, scherzò.

“Non lo farò mai’’, promisi, e ci baciammo per l’ultima volta quella notte, le sue mani si staccò dalle mie e si allontanò con passo lento verso la macchina. Io lo accompagnai con lo sguardo, finché non salì sulla macchina sbattendo la porta. Anna mi salutò un’altra volta, Louis mi tirò un bacio, io tirai loro il solito sorriso spensierato e grato di sempre. Ultimo sguardo a Louis, ultimo sorriso, guardai l’anello e accarezzai la gemma, la sua luce mi colpì gli occhi in un modo magico, e quando rialzai lo sguardo erano già partiti.

La presenza di Louis si staccò da me come un velo e già riuscivo a notare la sua mancanza. Respirai a fondo, era stata una giornata diversa dalle altre, indimenticabile, bellissima e unica. Anche se aveva partecipato inaspettatamente alla festa pure Alucard, compresi che era appunto la serata che desideravo: una piccola riunione di famiglia, si può dire. Sospirai, ero stanca, ma orgogliosa.

Una ventata d’aria mi scompigliò i capelli e mi trovai accanto Alucard. Mi sorrise bonario. Ed eccola di nuovo quella sensazione di sicurezza.

“Ciao’’, mormorò. Mi strinsi nelle spalle, rabbrividii. Ciao? Solo quello sapeva dire? Dopo una serata come quella sapeva solo salutarmi con un ciao. Il mio istinto iniziale fu quello di tirargli uno schiaffo in faccia, ma strinsi le mani in un pungo.

“Grazie’’, sussurrai io. Oh. Oh! E di nuovo il senso di colpa. Maledizione! Chi me lo aveva fatto fare ad odiare alla follia Drakon e compagnia bella? Ah, sì, certo, la sottoscritta imbecille.

“Di nulla’’, ricambiò con un sorriso. “Dì qualcosa, dì qualcosa, dì qualcosa…’’, lo supplicavo mentalmente. La mia mano sinistra si avvinghiò addosso al bottone di vetro nella collana. Strinsi le labbra. Non dovevo piangere, dovevo resistere.

“Vedo che ti piace’’, notò.

Inghiottii un singhiozzo. “Si, mi piace moltissimo”, aggiunsi poi con una voce più fina della sabbia.

Sorrise di nuovo. “È stato bello vederti….per l’ultima volta’’, l’ultima parola le scandì come un sussurro. Una voce spezzata, finalmente potei notare la tristezza nel suo volto. Nei suoi occhi calò l’ombra. In un certo senso sembrava la mia stessa reazione.

Nella porta sentivo i cuori frenetici e i respiri della mia famiglia, per la prima volta fui grata nel sentirmi osservata. Era n momento impegnativo, nessuno dei due sapeva cosa dire o cosa fare, se cominciare io a parlare o lui, se andarsene prima l’uno e poi l’altra oppure rimanere impalate come statue sul marciapiede.

E di colpo si fece sereno, felice, si schiarì la gola per non far notare il nervosismo. Se prima adoravo che mi dicesse addio ora non tolleravo l’idea. Se fossi stata forte tanto quanto lui lo avrei subito preso per la manica della maglietta e lo avrei costretto a rimanere da noi forse una settimana o magari fin quando non ritornava Drakon; Louis avrebbe comunque digerito la mia idea, che le sarebbe piaciuto o meno. Ma nessuno di queste idee era plausibile. E rimasi lì, intenta a non fare niente mentre lui parlava…per l’ultima volta.

“Bene. Addio Alexia’’, disse con voce lieve. I suoi occhi bruciavano di sofferenza. Mi accarezzò la guancia dove riaffiorò il mio ricordo da bambina, e mi baciò dolcemente la fronte. Immune di muovere qualunque arto del mio corpo, lasciai che il suo odore mi invase il volto. Lo assaporai, lo studiai, immagazzinando quelle fragranze che mi sarebbero rimaste impresse nella memoria per sempre.

Chiusi gli occhi, non accettando l’idea che si sarebbe allontanato dalla mia vista. Abbassai la testa per non so quale motivo di disperazione. Lasciai che le lacrime mi rigarono le guance e ritornai una statua.

Sentii una ventata d’aria, aprii gli occhi ed era sparito. Le foglie degli alberi si scossero appena dall’aria che aveva elevato il suo passaggio e poi rimasero immobili. Del resto, era stata una giornata calda e il vento si sentiva appena.

Restai immobile, capacitandomi del fatto che quella fu l’ultima volta che vidi il suo volto, sentire il calore della sua pelle, e scrutare quegli occhi simili ai miei, ma più sfacciatamente belli e profondi. Nonostante la mia forza di volontà fosse assente, nonostante non sentissi più le gambe, presi la rincorsa e sfrecciai lungo la strada, ignorando il richiamo di mia madre e di mio padre. Ignorando la mia casa illuminata, ignorando quei ricordi da bambina che aspettavo imperterrita l’arrivo di quei due vampiri tanto odiati, ignorando…tutto.

L’aria che mi arrivò in faccia era così violenta da farmi volare i capelli, ma non mi fu d’impiccio. Sfrecciai per le strade, svoltai angoli fra le case senza sbattere contro i muri. Presi la rincorsa e saltai sopra un tetto di una casa. L’ultima casa dopo la stradicciola sassosa che portava a Redmoon. Mamma mi raccontava da bambina storie spaventose su quel castello: un castello stregato dove bi abitava un uomo malvagio che rapiva tutti i bambini che attraversassero quelle mura. Era un modo per non farmi avvicinare a quel mostro che era mio padre. Fin da piccola mi chiedevo se anche lei provava qualche pizzico di furia nei confronti di Drakon. Ma in quel momento non ero concentrata sulle domande, ne sui miei ricordi da bambina, ne le vecchie e ormai andate storie che raccontava mia madre; ormai non credevo più a niente. Avevo diciott’anni ed ero forte abbastanza e abbastanza coraggiosa. E oltretutto ero in grado di ragionare e agire di testa mia.

Chiusi gli occhi, concentratissima, liberai l’udito, la vista, l’olfatto….il mio naso percepii nuovi odori…odori da altre case e nuove fragranze. Ma l’unico odore che cercavo di percepire era oltre quelle case e quella città. Contrassi i muscoli e saltai agile atterrando con i piedi. Il suolo sembrò ondeggiare quando atterrai in punta dei piedi. Guardai in basso e – per quanto fossi stata teoricamente e letteralmente stupida!- mi ero dimenticata che portavo i tacchi. Ribollii di rabbia per la mia “mezza-intelligenza”, levai i tacchi stringendomeli alla mano destra e sfrecciai di nuovo lungo la via sassosa che conduceva al castello.

Dopo un secondo ( per gli umani un minuto) la via cominciò a fiancarsi da alberi sia giovani che vecchi. I sassi che teoricamente mi dovevano piccarmi le piante dei piedi, non facevano altro che sfregarsi contro altri granelli rocciosi oppure saltare da terra fino a catapultarsi da un altro lato della via per quanto sbattevo furiosamente i piedi nel terreno. Ero così veloce nei movimenti del mio corpo che sembrava che stavo volando a dieci centimetri da terra. Allungai la vista per esaminare chi o cosa -se per puro caso- mi sarei trovata di fronte ma non vidi altro che la strada e alberi ingranditi di qualche grado. Intorno a me solo il silenzio e lo sfrusciare di foglie dietro di me a causa della ventata gelida che emanavo. Ebbi un senso di libertà, era una settimana che non correvo in quel modo, i polmoni erano regolari, il mio respiro non faticava nella corsa. Il cuore pompava normalmente con il suo battito accelerato di sempre; tutto era facile, non provavo fatica, ne era difficile correre in quella velocità disumana. Non sbattevo contro un albero o scivolavo per sbaglio sui sassi, anche se chiudevo gli occhi, sapevo dove andavo e come trovarmi nel luogo desiderato, anche se era la prima volta che mi dirigevo verso quelle mura.

Intorno a me era calmo, solo vento, e nient’altro, e il mio cuore veloce insieme al mio respiro. Guardavo verso ogni direzione, ma non vedevo altro che gli alberi con la campagna dietro di loro. A qualche chilometro più il là, allungano la vista, vedevo una piccola macchia nera. Allungai ancora di qualche grado la vista e mi accorsi che era il fitto bosco dove andavo a caccia.

“Eccola’’, disse una voce profonda. Mi fermai di colpo, confusa. Mi guardai attorno, allungai la vista ma non vidi nessuno. Solo alberi, prato…e il nulla. Anche l’udito era infallibile, eppure non sentivo passi inumani sfrecciare verso di me, ne quelli goffi dei comuni mortali. Annusai l’aria: sapeva di corteccia, muschio…terra, acqua e nient’altro.

“Sì, sì, è lei”, rispose una voce cristallina. Mi girai su me stessa in cerca della prossima voce ma non visi nessun’ombra.

“Drakon non c’è…Cosa possiamo fare?’’, chiese un’altra, roca. Impallidii più di quanto non lo fossi già quando sentii il nome del mio padre biologico. Che cosa volevano da Drakon? Lo conoscevano? Da dove provenivano quelle voci.

“Andate a chiamare qualcuno…’’

“NO!”, urlai io fermando la voce e contemporaneamente girando su me stessa.

“Chi siete?’’, chiesi a mia volta, confusa e spaventata.

“Non avere paura…’’, mi consolò la prima voce che udii durante la mia fermata.

“Ma dove siete? Non vi vedo!’’

“Siamo gli alberi antichi di questo viale. Sappiamo tutto su Solemville e su Redmoon. Siamo alberi centenari, non avere paura, non ti faremo del male. Siamo solo sorpresi di vederti, Alexia’’, giustificò la voce profonda proveniente nel troco davanti a me. Infatti la statura del tronco sembrava avesse più di cinquant’anni.

“Sì, siamo sorpresi’’, disse tre voci lontane.

“Non farci del male…”, aggiunse una voce intimorita. Forse un albero giovane.

“Conoscete Drakon?”, chiesi alla quercia davanti a me, ignorando i bisbigli degl’altri alberi.

“Drakon è il nostro padrone. Noi gli riferiamo tutto ciò che vediamo’’, rispose, educato.

“Sapete dunque che io…’’

“Non temere, Alexia, di un albero vecchiotto’’

“No’’, risposi timida, come se davanti a me ci fosse mio nonno e non un albero alto tre piani che sembrava essere il capo di tutti gl’altri.

“So che tu sei la figlia di Drakon e Kate, mezza-vampira. Oggi compi diciott’anni, sei una ragazza che fin da bambina disprezzava l’uomo che l’aveva concepita e…’’

Non tolleravo altre informazione sulla mia vita. “Mi sto pentendo di aver…odiato mio…padre’’, ed era la prima volta che lo chiamavo “padre”.

“Ma che cosa se venuta a fare qui?’’, chiese poi.

“Non poi restare qui…’’, chiese una.

“Drakon non accetterà mai che…’’

“Ma Drakon non c’è e questa e sua figlia!’’, tuonò l’albero centenario per far tacere la seconda voce.

“Dobbiamo dirgli tutto!’’, ribatte una come per difendere la voce zittita.

“Dire tutto a chi?’’, chiesi a mia volta io.

“Alucard non accetterà che qualcuno si sia intrufolato in questa via’’

“Ma fammi il piacere, vocetta spiona dei miei stivali!”, tuonai io.

“Non avere paura, Alexia. So come affrontarlo. Gli parlerò io’’, mi consolò la voce bonaria dell’albero gigante.

“Non ho paura, sono venuta apposta qui per cercare appunto Alucard’’, confermai infine.

La voce dell’albero non lo sentii. Ebbi al strana sensazione che lo sorpresi.

“E perché mai?’’

“Oggi era venuto al mio compleanno e…’’

“Per cent’anni consumati, hai ragione! Che brutta cosa la vecchiaia!”, tuonò lui, facendo tremare la terra e costringendo le altre voci ad interrompersi. Risi, divertita. “Mi sembra di ricordare che doveva andare da qualche parte…’’

“Non ti preoccupare, siete comunque essenziali come metodo di portavoce”, lo rassicurai io, accarezzando il tronco secco. “Sai per caso dove è andato? Lo stavo cercando ma ho perso il suo odore, o forse mi sono sbagliata io…’’

“Non ti sbagli, Alexia. Alucard è perfettamente passato di qui, ha cancellato la sua scia con il suo potere’’

“Potere?’’, e subito ricordai. “Ah! Giusto, il potere della morte. Che disgrazia per me’’, non riuscire a contattare il suo odore per merito suo.

“Ma una pacchia per lui ’’, rise possente l’albero. Alcune voci si unirono alla sua risata, altre sbuffarono.

“Dov’è ora?’’, chiesi.

“È al castello…’’, rispose una.

“Si trova a Redmoon…’’, rispose un’atra.

“Ma io pensavo che era andato a caccia…’’

“No, ti sbagli è andato al castello ’’

“Ma allora perché prima l’ho visto ritornare e poi svoltare fuori dalla strada?’’

“Perché ha fatto il giro del castello, idiota!”

“Alexia, forse è maglio che torni a casa. Gli diremo noi che sei venuta qui’’, mi consigliò una vocina. Strinsi i pugni.

“No! Ci devo parlare in privato. Voglio parlare con Alucard’’, ordinai, fredda.

“Ma…’’

“Niente ripensamenti! Voglio parlare con lui”, poi mi rivolsi all’albero più affidabile. “Tu puoi chiamarlo, vero? Ti prego, è una questione importante’’, lo supplicai. Non avevo tempo da perdere. A quest’ora mamma si sarà infuriata. Appena sarei ritornata a casa mi avrebbe costretta a bere interamente cibo umano per un mese. Storsi il labbro immaginando quell’orrendo fetore e la disgustata sorte che mi sarebbe toccata.

La quercia si zittii qualche secondo e poi squarciò l’aria con la sua voce possente.

“SILENZIOOOO!!!”, tuonò, e di colpo il silenzio.

“Raccontate c’ho che avete visto ed udito ad Alucard. Fate passaparola fino al castello, attenti a non mescolare le parole. Deve capire, deve sapere che la sua sorellastra è qui che l’aspetta’’, ordinò in seguito il capo.

Senza indugio, cominciai a sentire le voci tramutarsi in bisbigli sottili e cristallini, fecero tutto il resoconto di quella piccola chiacchierata, scandirono parola per parola la discussione, si fecero a loro volta passaparola fino a scomparire infondo alla stradicciola che ancor non era terminata. Ora non sentivo più niente. Ebbi come la sensazione che anche quella voce da nonno mi avesse abbandonata, ma quando mi sedetti accanto all’albero centenario, appoggiando i tacchi accanto a me, sentii le sue foglie muoversi. Sospirai, stanca.

“A cosa pensi, Alexia?”

“A quello che provò Alucard quando mi disse addio”

“Addio?’’

“Sì, bé…’’, e abbassai lo sguardo imbarazzata, in preda al dispiacere. “La prima volta che lo vidi per poco non gli staccavo la testa’’, risi alla battuta, ma la mia risata svanii prima che i mie occhi si illuminarono. Scrollai le spalle come per scacciare quel ricordo.

“Be’…insomma, non è stato affatto piacevole”, affermò.

“Già”, mormorai. E di nuovo silenzio, un silenzio imbarazzante, ma che mi aiutò un pochino. Dovevo riflettere su cosa dirgli quando lo avrei rivisto. Come cominciare? Con un Ciao? Sgridandogli in faccia? Ma come potevo. Gli volevo bene.

“Ti vuole bene anche lui ’’, rispose ambiguo l’anima dell’albero. Rimase impietrita.

“Come…che cosa hai detto?’’, balbettai, incapace di girare lo sguardo verso la corteccia secca dell’albero.

“Ops!”, mormorò lui, con un filo di imbarazzo nella melodia profonda della sua voce. Scattai subito in piedi spaventata.

“TU!”, e lo indicai con il dito. “TU SAI QUELLO CHE PENSOOO!”, urlai.

“Solo noi alberi abbiamo questo potere. Ce lo ha dato il dono Drakon come “Guardie del corpo”, in parole povere’’

Wow! Chissà che genere di potere aveva mio padre…forse più potente di Alucard…mi grattai la testa.

“Sì, più potente di Alucard ma il medesimo potere’’, rispose lui al mio pensiero.

“Oh!”

“Ma lo usa scarsamente…è un uomo bonario’’

Alzai un sopracciglio. Drakon un uomo bonario? Non mi sembra affatto dopo che mi aveva lasciato, anche se non era venuto alla mia festa per via della timidezza.

“Scusa, riformulo la frase: è un vampiro bonario’’, corresse lui, un po’ impacciato.

Ecco, ora la similitudine era esemplare. Non riuscivo immaginare Drakon da umano, a parte che non sapevo nemmeno com’era di fisico. E quanto mi assomigliava….

“Ti assomiglia nel carattere, e un poco nel fisico”, rispose al mio pensiero, di nuovo con un carattere da nonno.

Alzai lo sguardo verso l’albero, improvvisata. Mi si arrestò il respiro.

“Davvero? E in cosa?’’, chiesi a mia volta.

“Ssh! Senti?’’, tuonò lui piano.

Ricominciai a respirare, allungai la vista oltre la strada davanti a me. qualcosa nell’aria si muoveva. Misi a fuoco l’immagine che si muoveva a zig-zag in modo accelerato verso la strada. Vidi un’ombra, ma era offuscata per via della corsa. Se non avrei riconosciuto i lineamenti del corpo a quest’ora mi sarei preparata ad attaccarlo; ritrassi il mio potere visivo e lo aspettai. Inconsapevolmente il mio cuore iniziò ad accelerare, e sudavo freddo. L’albero accanto a me non disse niente, probabilmente ascoltava i miei pensieri. Mi posizionai al centro della strada, e guardai avanti a me.

All’inizio sentii un fruscio, poi quest’ultimo cominciò a crescere fino a mescolare i suoi rumori delicati in passi frenetici e rabbiosi. Di colpo l’aria si alzò come un’onda furiosa, il suo odore mi invase il corpo e comparve a un metro di distanza davanti a me.

Aveva cambiato un qualcosa nel suo modo di vestire, dopo tre secondi che misi a fuoco la sua immagine mi accorsi che alle sue spalle aveva un mantello nero che ricadeva a terra. Di certo era un nuovo Alucard: più attraente e angelico. Stava con la schiena retta, i muscoli rigidi e mi guardava. Uno sguardo così duro che raggelava, era la prima volta che avevo paura di un vampiro. Non mi sarei mai aspettata che usasse quel tono di espressione con me, era come se si fosse dimenticato il resto della giornata, come se tutto quello he aveva passato lo avesse strappato dalla sua mente e buttato nel dimenticatoio. Forse il suo potere consisteva anche il questo.

Il suo sguardo raggelato mi studiò ancor di più l’intensità dei miei occhi, ma la sua espressione restava impassibile. Con un solo sguardo, ormai mi aveva congelato le vene, il cuore…tutto. Dentro sentivo freddo, lo stomaco inarcò un’enorme fitta di dolore, il cuore si era fermato. Ora potevo dire veramente che assomigliavo ad un cadavere intrappolato in un globo di ghiaccio.

Cercai di reagire d’istinto, salutandolo con la mano, ma quando pensai che stavo eseguendo quel movimento, mi accorsi solo che me lo stavo immaginando nella mia mente poiché le mie dita erano diventate improvvisamente di pietra. Provai ad alzare una gamba ma neanche quella si mosse. E la testa? Neanche quella. L’unica cosa che riuscivo a dare un senso di vita all’immobilità erano i miei occhi.

Di colpo cominciai a sentire il mio corpo stringersi…oppure era l’aria che mi stringeva. E dopo capii: una morsa di ferro. Non riuscivo a capire. Era come se ci fosse un velo gelato che incominciava a premere furiosamente contro la mia pelle, mi immobilizzò del tutto come un salame. E la stretta cominciava a divenire sempre più calda, e atroce. Imponente di fare qualcosa, cercai una parte del mio corpo che funzionava e cercai di urlare. L’unica cosa che usci oltre i miei denti stretti di pietra fu un piccolo sussurro fino a spegnersi.

Ora Alucard mi guardava più freddo, e nel suo volto notai c’era l’ira di un demonio. Fuoco e freddo uniti in un modo cruciale.

“Basta!”, mugugnai fra i denti, cercando di muovere le labbra. Per fortuna non furono le ultime a rimanere rigide. Ma Alucard non smetteva di guardarmi in un modo che mi faceva sembrare un angelo vendicativo. Anche se era arrabbiato, era straordinariamente bello. ma quella rabbia era incomprensibile. Che motivo aveva d’essere tanto arrabbiato? E come mai quella metamorfosi nel mio corpo?

Di colpo capii. Perché non capivo la situazione prima di subirla?

“Alucard, fa male! Basta!”, tuonai in un sussurro, per un momento avrei voluto sentire una lacrima irrigarmi il viso; ne sentii una necessaria mancanza. Alucard strinse la morsa ardente sul mio corpo, strizzando gli occhi. Non voleva che me ne andavo? Questo un po’ mi rilassava.

Per un momento mi lasciai abbandonare, conscia che quel dolore me lo avesse creato solo per stargli accanto, ma mi sentii cadere quando Alucard staccò rapido lo sguardo da me. l’ondata fredda e infuocata si ritirò, le corde strette mi sciolse il corpo, i miei organi vitali ripresero a funzionare e mi persi la condizione del tempo. Tutt’ad un tratto mi sentii stremata, stanca, avevo sonno. L’unica cosa che ricordo prima che Alucard fu pronto a prendermi era il tronco del mio amico albero che si muoveva in modo confuso. Senza capire come ci fossi arrivata su una panchina di ferro umida, riaprii gli occhi mentre Alucard mi accarezzava la testa che aveva appoggiato sulle sue gambe. Fu un momento imbarazzante, ma decisamente unico. Senza dire parola, lasciai che continuasse quelle carezze calde sulla fronte e la testa, aspettando che si accorga del mio risveglio. Intorno a noi, questa volta, la stradicciola non era affiancata dagli alberi centenari di prima ma da una sfilza di case di Solemville. Dopo due secondi lo vidi allontanare lo sguardo davanti ad una casa di legno graziosa che riconobbi subito.

“Alexia’’, mi chiamò con una voce mielata.

“Mmm’’, mormorai. Non avevo voglia di parlare, ma sembrava che anche lui preferisse starsene zitto. “Mi hai fatto male”, lo provai, stanca. Più che una provocazione mi uscii un lamento. Mi guardo torvo.

“Dove?’’, chiese.

“Prima…nella strada’’, precisai, strizzando gli occhi e mettendo più a fuoco il suo volto. Anche se fuori era buio pesto, la mia vista era adattata al colore scuro delle tenebre. Vedevo con chiarezza come se fosse giorno.

Sospirò, sollevato. “Ero incredulo…sbalordito che mi stessi cercando, più che altro. E così provai a fermarti…ma pensavo che mi avresti subito bloccato….non pensavo che eri così debole’’, rise, beffardo.

“Primo: sono una mezza vampira quindi ho il corpo simile ad un umano e le forze oscure non anno un buon effetto su di me. Secondo: tu non mi dici mai quando sei pronto a sferrare l’attacco…’’

“Dovrei?’’

“Terzo:….’’, continuai, ignorando la sua domanda. “Terzo: è lo stesso procedimento del secondo punto. Quindi non sono tanto intelligente quando usi il tuo potere o no. il mio potere potrebbe bloccare il tuo in batter di ciglia però prima non ne ho avuto l’occasione’’

E di nuovo silenzio, finché non arrestò la mano e mi guardò sofferente, notai un senso di pentimento del lume dei suoi occhi.

“Perché sei venuta da me?’’, mi chiese.

“Non volevo che...te ne andavi’’, risposi con fatica. il rossore mi infiammò il viso.

“Ma se prima avevi detto…’’

“Dimentica quello che ho detto, ti prego”, lo supplicai. Sorrise amorevole. Ritornò ad accarezzarmi la testa e io mi rilassai. Ora sentivo la stanchezza scivolare via lentamente sopra il corpo. La sua morfina mi stava svegliando.

“Non voglio che mi dici addio’’, dissi controvoglia, ma tanto era inutile. Il mio cuore parlava da solo. Ancora non concepivo l’idea di quanto affetto riuscivo a provare per lui in quel momento.

“Non ti dirò addio’’, promise a passò la mano che mi accarezzava la testa sulla guancia. I suoi occhi si fecero più ardenti e finalmente capii il motivo di quella paura provata poco prima. l’iride dei suoi occhi era sfumata di un rosso sangue. Uguale al mio quando andavo in bestia. Dietro di noi le luci di casa mia erano ancora accese. Di sicuro se mamma si sarebbe accorta di me, avrebbe corso come un proiettile verso la mia direzione, mi avrebbe bloccata con qualche suo incantesimo d’acqua e me ne avrebbe dette di tutti i colori.

Anche se fuori faceva buio pesto, riuscivo a vedere chiaramente i lineamenti delle case, i piccoli granelli rocciosi dei sassi della strada, le mani di Alucard, e i suoi lineamenti perfetti. La mia vista er perfettamente adatta alle tenebre della notte. Vedevo l’oscurità così nitida come se fosse stato giorno. Mentre mi lasciai cullare dalle sue carezze, e sguardi dolci, mi preoccupai di capire che ore erano, e per quanto ero restata priva di coscienza.

“Non te ne andare, per favore’’, lo supplicai, on una voce dolce e cristallina che sembrava quella di Consuelo.

“Non posso restare qui per molto’’, rispose, dispiaciuto mentre il calore dei suoi occhi mi incantava. “Devo andare a caccia’’

“Oh”, dissi poi. “Ma da quanto tempo non….bevi? Pensavo che quel bicchiere…’’

“Bel bicchiere che mi hai dato prima non è niente al confronto di quello che caccio io. Sì, bè, mi ha dato qualche energia ma quel che caccio me ne da più tanta del tuo sangue’’, mi interruppe, imbarazzato.  

“Ah”, risposi poi. Ma dopo: “Ah!”, urlai, sorpresa e allo stesso tempo spaventata. Più sorpresa che spaventata.

“Già”, accordò lui, e poi strinse le labbra. Forse non era l’argomento giusto in quel momento.

“Da quanto sono….rimasta priva di coscienza?’’, chiesi.

“Qualche minuto ’’

“Quanto?’’

“Un quarto d’ora’’, e si schiarii la gola. Nel suo viso leggevo una sofferenza che desiderava respingere.

“Oh! Maledizione. Alucard, mi dispiace tanto’’, rantolai.

Rise. “Perché ti devi scusare? Sono io che ti ho fatta svenire’’, rise, beffardo.

“Ma sono io che ho un comportamento goffo…’’

“Umano, si può dire’’

“Scusami’’

“Non ti devi scusare di niente, Alexia’’, ripete. E poi ritornò a guardare la casa di legno. “So badare a me stesso’’

Sbuffai, e il mio scetticismo catturò la sua attenzione.

“Che c’è? Ti ho fatto ridere?’’, non sembrava arrabbiato.

“No, è che… Vorrei fare qualcosa per ringraziarti’’, risposi, anche se non c’era un filo di sincerità sulla mia spiegazione.

“Stai delirando?’’, mi chiese, ridendo sotto i baffi.

“Pare proprio di sì’’, farfugliai, sorridendo appena.

“È l’effetto del mio potere. Prima faccio soffrire le persone’’, lo disse con voce strozzata. “Poi svengono e quando si risvegliano si ritrovano confuse e incapaci di ragionare’’

“Però io sono capace di ragionare!’’, obbiettai.

Rise ancora. “Sì certo, ne sono sicuro ’’

“Smettila!”, ruggii.

“Cosa?’’

“Di ridermi in faccia!”, borbottai io, sembravo una bambina. Veramente, cominciai a pensare che infondo avesse ragione.

“Scusa’’, e rise per l’ultima volta. restai in silenzio finche non si fosse calmato e poi ricominciai a parlare.

“Mi dispiace soprattutto per quello che ti ho detto ’’, confessai, questa era la verità. “Non riuscivo a dirti addio, ma l’ho fatto’’

Ritornò serio. “Pensavo dicessi la verità’’

“Accidenti! Ma allora non sono l’unica ad essere testarda’’, l’amore fraterno che provavo per lui prese il sopravvento. D’un tratto mi ritrovai a parlargli come se lo conoscevo da tanto. Era facile stargli accanto. “Non avrei mai voluto, non avrei mai potuto. Ma forse hai già capito quanto assomiglio a mia madre…non era la verità. Non volevo nemmeno lasciare che te ne andassi. Cocciuta, sono una cocciuta!’’

“Non sei cocciuta, sei maledettamente dolce ’’

“Non volevo deluderti…Io…ti voglio qui…nella famiglia. non te ne andare più, ti prego, non diciamoci più addio’’

“Non pensavo che cambiassi idea così presto ’’

“Sono più sorpresa io di me stessa che tu di me, non pensavo di arrivare fino a questo punto. Ora tutto è chiaro ’’

“Cos’è chiaro?’’

“Che ti voglio bene. E non ti voglio lasciare. Ti voglio bene’’’, ripetei con un nodo in gola. Lasciai che il miei movimenti fulminei agissero prima del pensiero lo ritrovai tra le mie braccia ferree. Restò due secondi impietrito, stretto a me, e dopo mi strinse anche lui a se. Le sue braccia erano più forti che quasi mi soffocò il respiro. Lo sentii appoggiare le sue labbra al mio collo, e mi lasciai abbandonare alla sua stretta. Annusai l’odore della sua pelle e ne feci un ricordo, mi ero mancato tanto.

“Ti voglio bene anche io, Alexia. Ti ho sempre voluto bene e sempre te ne vorrò’’, confessò senza fatica. Forse per lui era più dire la verità.

“Anche se ti ho odiato in questi anni, sappi che…’’, ma mi arrestai dato che mi accorsi che singhiozzavo.

“Sssh, Alexia, ssh. È passato tutto’’, mi accarezzò la schiena.

“Ma ti ho odiato. Sono stata un’idiota, una bestia!’’

“Infondo hai fatto bene. Potevamo farci vivi entrambi e non l’abbiamo fatto. Fai bene ad odiarci’’

“NO!”, urlai spezzando uno singhiozzo. Ormai la voce era stridula, le labbra mi tremavano. Alucard mi staccò dolcemente a se e mi afferrò il viso con le mani. Con la punta dei pollici, mi asciugava lacrime. Oltre il velo bagnato dei miei occhi mi accorsi che il suo viso era vicino al mio a dieci centimetri, ma in un modo senza esagerazione per farci passare da due innamorati. Tipico atteggiamento di un familiare.

“Alexia, non odiarti per quello che hai fatto perché infondo la rabbia era l’unico sentimento plausibile’’

“Io…non…non volevo odiarvi!’’, singhiozzai. Mi si avvicinò ancora con il viso. ancora tre centimetri. Ora vedevo solo lui all’orizzonte. Solo il suo bel viso da angelo caduto e nient’altro.

“Il passato è passato. E tu non puoi farci niente. Ora le cose si sistemeranno…andrà tutto per il verso giusto. Drakon tornerà e tu puoi dirgli veramente che gli vuoi bene come lo voi a me, se lo vorrai. Ora hai Louis che ti ama, non farti tanti scrupoli, e una vita perfetta davanti. Pensa solo a quella, pensa come sarà bello il tuo futuro se sarai tanto ingamba a rimediare tutto. Pensa anche come sarà felice nostro padre quando saprà che hai fatto pace con me e…e pensa a Kate quanto sarà fiera di te quando gli dirai tutto. Il passato certe volte ha dei ricordi atroci, lo so, e lo so che fanno male, ci sono capitato anche io e so cosa provai, ma non per questo devi essere così masochista. Smettila di farti del mare. Sono qui, io sono qui e ci sarò sempre’’

Sì, lui era lì, accanto a me. Da bambina me lo sarei immaginato bellissimo ma non così bello come me lo trovai accanto. Lo odiavo da bambina e lo amavo ora. Come mai ero stata così cocciuta? Perché? Che mi aspettavo che mi facessero. Erano così innocui. E Drakon com’era? anche lui era innocuo tanto quanto Alucard. Esattamente come lo avevano descritto lui e gli alberi poco fa? Credevo così spudoratamente alle sue parole che non mi chiesi nemmeno che era la verità o bugia. Non m’importava più dei miei pensieri o quello che avevo architettato per distruggerli.

Ritornai ad abbracciarlo, ora ero più calma, sentivo i singhiozzi cessare mano a mano che i secondi passavano. Alucard iniziò a cullarmi.

“Alucard?’’, lo chiamai. Volevo sentire la sua voce perfetta. Ne avevo un estremo bisogno.

“Sì?’’

“Mamma diceva che mi desideravi da piccola’’

“Ti amavo come una sorellina, non riuscivo a staccarmi dal bel viso da neonata che avevi’’

“E mi ami anche adesso come una sorella?’’

“Non ho mai cambiato idea su questo. Aspettavo il momento giusto per rivederti. È incredibile quanto sei cresciuta, sembra soltanto ieri che eri tra le mie braccia. Perfetta, innocua, innocente, un angioletto. E ti sentivo parte di me, della mia famiglia….’’

“Alucard, non riesco a trovare le parole per dirti quanto mi dispiace’’, ingoiai un nodo in gola. Basta piangere, ormai si era concluso tutto.

“Non dirlo neanche per scherzo. Non devi più rimpiangerti addosso ’’

“Grazie, Alucard. Per tutto, ora è come se una parte di me si fosse unita al mio corpo’’, sentivo che infondo una parte di me mi mancava, ma sapevo infondo che c’erano altri pezzi da aggiustare. Come un vaso in frantumi. Dovevo ricomporre quel caso da come lo avevo visto prima che cadesse, senza imprecisione. Dovevo aggiustare ciò che avevo sbagliato.

“Sono felice che sia entrato nella tua famiglia’’

“Oh, Alucard!”, ma quando mi focalizzai che quella voce era talmente uguale alla mia mi accorsi che non avevo mosso le labbra. Guardai, davanti a me, e mi accorsi che mamma era a un metro di distanza dalla panchina. Mi guardava accigliata e…sorpresa. Mi scrollai Alucard di dosso, troppo violentemente da farlo rimanere male. Mi scusai con uno sguardo, mentre affondavo nell’imbarazzo. “Alucard, ti ringrazio d’aver portato mia figlia di nuovo qui”, lo ringraziò dolcemente, poi si rivolse verso di me e mi fulminò con lo sguardo. Ecco, che la battaglia abbia inizio. “ Alexia, ti dovresti vergognare! Come hai potuto sfrecciare per la strada senza dirmi niente?!’’

Io ero tranquilla, giacché avevo una risposta ovvia per placare la sua ira. “Guarda la cosa positiva: sapevi dove stavo andando, e comunque non lo avrei mai lasciato andare tanto facilmente….Io….’’, diedi uno sguardo repentino al mio fratellastro e poi ritornai a mamma “Io gli foglio bene, mamma. E ho deciso di ospitarlo a casa quando, e quanto, vorrà. Ho fatto pace con lui, e non intendo odiarlo mai più. Io…gli voglio bene’’, ripetei, ancora imbarazzata, ma felice. Il volto di mamma si illuminò di felicità nello stesso modo in cui un bambino riceveva il suo regalo di Natale. Mi corse in un abbraccio e mi strinse a se.

“Oh, amore, tesoro mio, come sono felice di sentirti dire queste cose! Non sai quanto questo rende felice la tua mamma”, e poi si volse a guardarmi, e la sua espressione si fece sconcertata. “Alucard mi ha detto che eri svenuta…’’

“CHE?”, tuonai io, che modo c’era da sgridarmi se già sapeva tutto? Alzò un dito per farmi tacere.

“Non sai quanto ero preoccupata…mi hai fatto prendere un mezzo infarto. Anche papà si era preoccupato ma poi Alucard lo ha rassicurato per  bene. Meno male. Fortunatamente c’era lui per farti da guardia. Io sarei rimasta volentieri con te ma Alucard ha insistito che ti lasciassi sola con lui; oh, tesoro, non sai quanto sono stata in pensiero per questo quarto d’ora, i minuti sembrava che non passassero mai’’, accidenti, nemmeno fosse un anno intero. “Che occhiaie che hai! Che ti è successo? E quanto sei pallida! Sembri un cadavere”

E il quel momento me lo sentivo. Poi mamma si rivolse verso Alucard, insospettita.

“Fa parte del tuo potere?’’

“Si, Kate, perdonami. Forse sono stato un po’ troppo duro con lei. volevo concedergli il privilegio di lascarmi spiegare per primo, ma quando ho lasciato la morsa era già svenuto”, rise. E si rivolse verso di me. “Lei è così…umana’’, e strizzò l’occhio. Arrossii.

“In parte, sì. Alucard, non so come ringraziarti per essere restato con Alexia per tutto il tempo’’, riprese mamma, grata. Poi si ricordò di una cosa e nel suo volto si lesse l’orrore. “Immagino che a quest’ora non resisterai dalla sete’’, intuì lei.

E io e Alucard ci scambiammo uno sguardo comprensivo. Capivo cosa pensava in quel momento, perché lo vidi inghiottire qualcosa. Si alzò dalla panchina di ferro, con movimenti cortesi. Un sorriso che era salutare per i mei occhi.

“Mi sembra proprio di Sì. Bè, adesso devo andare”, mi guardò e poi ritornò a Kate. “Grazie ancora di tutto’’

“Aspetta!”, lo fermai prima che potesse scattare dalla mia vista. Mi liberai dalla stretta di mamma e corsi dal mio fratellastro. Lui mi accolse a braccia aperte e io lo strinsi a me; non volevo che se ne andasse. La sua gentilezza e dolcezza mi era preziosa tanto, in quel momento, mi lasciai nuovamente cullare dalle sue braccia, ignorando lo sguardo interessato di mamma.

“Ti prego, dimmi che mi farai vivo. Domani, dopodomani, o forse lunedì’’, lo supplicai appoggiando la testa sul suo collo marmoreo.

“Mi farò vivo”, promise calmo, e con forza mi afferrò i polsi e li rimise ai miei fianchi.

“Quando?’’, chiesi.

Mamma ritornò da me con passo svelto e grazioso, cingendomi nuovamente la vita con il suo braccio.

Lui rise. Come se la mia curiosità e disperazione lo divertiva.

“Presto’’, e scomparve nelle tenebre. 

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Capitolo 4
*** Mi sei sempre sembrato un sogno ***


Capitolo 3 

Mi sembrò di aver dormito un eternità, stanca com’ero non mi accorgevo nemmeno che quello che vedevo era solo il frutto del mio inconscio. I sogni sembravano veri, vividissimi, mi ingannavano. Mi giravo e rigiravo sul letto, nella mia testa si muovevano imperterriti, un mescolamento di immagini –incubi- che, a causa della mia frustrazione dell’impossibile localizzazione perfetta di quei volti, scorrevano veloci. Nel mio incubo c’erano mostri, pallidi, con occhi color rosso vivo e se pur erano educati, composti e benevoli questo li rendeva ancor più spaventosi e pericolosi. Distino mostrai i denti e mi acquattai in posa di caccia. Sentivo due presenze dietro di me, che valeva la pena essere uccise. Una più piccola e innocua, l’altra più importante della mia stessa vita, come la seconda, e non potevo fare a meno di essa. Un ruggito possente nacque dal mio petto urtandolo contro quei mostri dagli occhi rossi.

Qualcosa di spaventosamente caldo mi sfiorò la fronte e la guancia con delicatezza. Aprii gli occhi, spaventata e confusa.

“NO!”, urlai, mentre quei mostri attaccavano la creaturina innocente dietro di me, mi raddrizzai con la schiena e strinsi quella cos calda che si era posata sulla mia guancia. Respiravo affannata.

Mi guardai attorno, intimorita. Riconobbi i mobili e le pareti della mia stanza, il libro che avevo comprato riposava sulla scrivania, la finestra era aperta e l’aria che vi entrava era fresca e accogliente. Misi a fuoco l’orologio sopra la porta, ancora confusa, erano le 2.04 del mattino.

Respirai sollevata da una parte ( perché ero al sicuro nella mia stanza) e spaventata dall’altra per quell’incubo e l’atroce sorte ce subì quella piccola creatura dietro di me.

La cosa che stringevo nelle mie mani si mosse appena. E cercai con l’immaginazione di scrutare la verità su quella forma vitale e calda. Era una mano, pallida e grande. Davanti al mio viso c’era a un metro di distanza quello di un ragazzo perfetto. I suoi lineamenti precisi, occhi scuri e familiari. La luce fioca della luna illuminava il suo viso pallido. Prima che potessi sussurrare il suo nome, lo studiai ancora un attimo. Strinsi ancor di più la sua mano e lui non fece una piega. In quel momento apparivo ridicola, ma volevo sapere se fossi ancora addormentata sul letto oppure sveglia e consapevole che lui fosse veramente seduto sopra il mio letto.

“Alucard’’, lo chiamai con una voce lieve. Ero ancora stremata.

Lui non disse niente, e sfilò la sua mano tra le mie ritornando a levarmi le gocce di sudore che mi rigavano la fronte. Era lui, non c’era dubbio.

“Dormi, Alexia’’, mi ordinò, non c’era severità nella sua voce. “Al tuo risveglio io sarò tornato a casa ’’

“Che è successo?’’, risposi. Ero ancora in balia delle immagini orribili del mio incubo.

Mi guardò torvo. “Non lo so, dimmelo tu’’, sorrise.

Scossi la testa, ad un tratto sorpresa delle lacrime che mi uscirono dagli occhi senza che io impedissi al pianto di manifestarsi.

“Alexia?’’, mi chiamò. E subito mi strinse a se. “Alexia, che cos’hai?’’, mi chiese allarmato.

Era solo un incubo, soltanto un incubo, niente di reale. Ero al sicuro tra le braccia di Alucard. Il mio dolce fratellastro. Mi strinsi forte a lui bagnandogli la camicia delle mie lacrime. I singhiozzi furono così tanti che sembravano uno solo.

“Oh, Alucard!’’, singhiozzai. 

“Che ti succede? Era solo un sogno, tranquilla. Ti sei spaventata? Non è successo niente. Sei in camera tua, tranquilla’’, mi rassicurò, ma non servì un granché. Nei miei occhi bagnati affiorò ancora le immagini di mille occhi famelici che progettavano di uccidere l’essere piccolo e quello importante dietro le mie spalle.

“Il bambino!”, tentai di dire tra i singhiozzi. “Il bambino lo hanno ucciso. E io non ho fatto niente!”

Mi accarezzò la schiena e lasciò che mi calmassi. Mi chiesi come faceva a sopportare il mio odore se gli stavo così vicino., chissà poi se si era nutrito bene. Di colpo mi accorsi che la sua pelle era sfumata di un rosa pallido, ma più chiaro del mio. Non ebbi paura, nonostante fosse più forte di me in quell’istante, anche se era un vampiro più pericoloso di me, gli volevo bene. Ora più che mai. Come se d’ora in poi il mondo in cui appartenessi fosse morto se non c’era lui, era una specie di certezza per farmi capire che il mondo oscuro in cui appartenevo era magico, e lui ne era la prova. Se non c’era lui, sentivo che la mia vita sarebbe stata più buia, senza stelle, ora che un pezzo del mio futuro si era aggiustato. Sentivo che non potevo lasciarlo. Il mio dolce Alucard. E infondo, quando chiesi a mamma se potevo avere un fratello non intendevo un fratello piccolo ma uno più grande di me, che avrebbe saputo prendersi cura della più piccola.

“Ti sei calmata?’’, mi chiese, la melodia della sua voce era candida, e dolce, come quella di un angelo.

“Sì”, risposi, sincera. Lasciai la stretta ferrea addosso a lui e ritornai seduta sul piumone. Anche se fuori tirava un vento leggero, la mia pelle aveva la temperatura corporea simile al Polo Nord; ecco il motivo per cui mamma mi metteva sempre il piumone nelle giornate invernali, anche se c’era maggiormente il sole.

Mi asciugai le lacrime imbarazzata, mentre Alucard mi guardava. Mi coprii fino al petto e ritornai a guardarlo. Ora ero più lucida, oltretutto la tristezza rimaneva. Povero bambino.

“Non ho fatto in tempo a salvarlo’’, dissi fra me.

“È solo un brutto sogno, non c’è niente di vero. Niente’’, mi consolò, sorridendomi.

E di colpo sparii dalla mia vista per ritrovarmelo al mio fianco, disteso sul letto, con la gambe sinistra piegata e le braccia conserte sul petto; la schiena appoggiata comodamente sugli enormi cuscini.

“Dormi’’, mi ordinò nuovamente.

Storsi le labbra pensierosa, mentre lo guardavo. Era bellissimo, ma non potevo farmi incantare dalla sua bellezza tutta la notte. Domani dovevo svegliarmi presto. Sì, forse era meglio dormire. Ma la consapevolezza che il giorno dopo non lo avrei ritrovato più nella mia stanza, mi spaventava troppo.

Lo sentii accomodarsi su un fianco, mentre io ero rivolta con la testa dal lato opposto del suo corpo, e la sua mano passò tra i miei capelli. Facendo attenzione a non farmi male, afferrò una lunga ciocca dei miei capelli e iniziò a passarsela fra le dita. Ma io non riuscivo a dormire, ero troppo sveglia, e se avessi schiuso nuovamente gli occhi avrei rivisto quei mostri dagli occhi rossi. Dato di fatto, lui se ne accorse.

“Alexia’’, mi chiamò piano. Mi girai verso di lui, rimasi sorpresa quando notai dalla sua faccia una nota di tristezza. “L’unica ragione per cui ho deciso di lasciarti quando eri ancora in fasce è perché desideravo donarti una vita normale, felice, come ogni essere umano. Pensavo che abbandonarti al mondo umano ti avrebbe fatto imparare ad essere una di loro. Ma dopo qualche hanno sono giunto alla conclusione che esprimevi maggiormente il tuo lato vampiresco che umano e mi sono reso conto del mio errore. Sentivo dalle descrizioni di tua madre, le tue avventure, il tuo viso….Tutto! Grazie ai suoi racconti mi sentivo parte della tua vita. Ti sentivo accanto ogni giorno che Kate mi raccontava i tuoi capricci da bambina, oppure quando mordevi tuo padre ma non gli facevi male ’’, non ero una vampira velenosa. “Ma allo stesso tempo i racconti di Kate non mi servivano abbastanza. Volevo vedere la mia sorellina, volevo vedere quanto bella eri diventata. Dopo due anni decisi di tentare la sorte: intrufolarmi a casa tua di notte per vederti…’’

“Tu ti intrufolavi nella mia stanza, di notte, quando ero bambina?’’, la mia voce anche se sorpresa, era leggera come la stoffa di un velo. Lui non mi diede ascolto e proseguì.

“E ogni volta sembravi più graziosa…’’, e la sua voce si interruppe. Forse per lui era fin troppo doloroso parlare dei ricordi.

“Sono sicura che per te e Drakon fu stato semplice lasciarci andare’’, ipotizzai.

Lo sentii trasalire e i suoi occhi rossi si incendiarono dalla rabbia. Avevo esagerato?.

“Credi veramente che sia stato tutto così facile? Lasciarti andare fra le mie braccia, non rivederti più, non toccare un solo giorno le tue piccole mani….’’, si arrestò per controllare la rabbia. Troppo doloroso, avevo toccato il segno. Poi ritornò a parlarmi. “Fu come se un bastone ardente mi passasse per il petto e mi incendiasse il cuore morto. Avrei voluto morire. Mi immaginavo una lunga vita e felice insieme a te, per addestrarti…o altre cose, ma quando Drakon decise di lasciare Kate…Era troppo spaventato per la tua vita, voleva solo farti del bene, ma non lo fece a me….Quel giorno stavo per riempirlo a morsi’’, scosse la testa, ridendo irritato.

“Mi dispiace’’, soffocai. Non pensavo che una sola decisione potesse creare così tanta disgrazia.

“Ma ora…ora sono qui. E posso venire a trovarti quanto vuoi’’

“Sì”, annuii, e poi sbadigliai. Lo sentii ridere dietro di me.

Avvicinò le sue labbra al mio orecchio, sentivo il suo alito freddo e profumato congelarmi la pelle.

“Dormi’’, sussurrò.

Sulle prime mi convinse, poi mi spaventai e riaprii gli occhi, mi scossi un attimo per il terrore e mi voltai verso di lui. Mi rivolse uno sguardo confuso.

“Che hai? Stai male?’’

“Se mi addormento, li rivedo di nuovo’’, la voce mi tremava.

“Non ti preoccupare, farò in modo che non li vedrai mai più”, mi promise e il rosso dei suoi occhi si fece più intenso. Non sapevo cosa le passava per la mente, ma la sua reazione non mi piaceva. Deglutii.

“Che vuoi farmi?’’

“Ho pensato di rilassarti con il mio potere’’, rispose sorridendo.

Subito trasalii dal terrore immaginando di nuovo  quella morsa ferrea e bruciante che mi stritolava.

“Eh, no! Non ci provare!”, ruggii, mostrando i denti.

“Ecco, brava’’, sussurrò alzando gli occhi al cielo.

“Cosa?’’

“Sta vendendo qui Hendrik’’

Infatti sentii i passi di mio padre avanzare dalla camera sua verso di me. Maledizione! Aveva il sonno leggero, anche se avrebbe sentito i miei passi veloci che viaggiavano per il corridoio si sarebbe svegliato. E poi veniva sempre verso da me benché sapeva esattamente che ero la causa. Sentivo che barcollava dal sonno, poverino, sicuramente fu il mio ruggito a svegliarlo.

“Meglio che me ne vada’’, disse Alucard, ormai rassegnato.

E di colpo sentii freddo al cuore perché si era fermato, Alucard si voltò verso di me prima di oltrepassare la finestra sbuffò, divertito.

“Mi troverai pazzo, se mi nascondo sotto il letto, oppure nell’armadio?’’, sorrise.

“Resta, per favore’’, lo supplicai impaziente.

Lui scomparve, sempre con un sorriso angelico, nel buio nella stanza. Per sapere se fosse ancora lì, controllai le tende per verificare se avessero fatto un movimento strano. No, lui era ancora nella mia stanza, da qualche parte ma non sapevo dove, anche se ci vedevo bene. Avvertivo il suo odore.

Due secondi dopo, sentii spalancare la porta, mi girai verso l’obbiettivo. La figura nera di papà restò immobile dietro la porta della camera.

“Ehi”, mi chiamò con voce fioca. “Alì, tutto bene?’’

Sapevo a cosa mi riferivo. Di colpo mi scesero le lacrime, lacrime vere ma allo stesso tempo anche un po’ false. Avevo ancora paura per le immagini orribili di poco fa, ma ormai Alucard mi aveva rassicurata per benino. “No’’, risposi con voce strozzata.

Chiuse delicatamente la porta, e a passi svelti si sedette nel mio letto accanto a me, mi accarezzò la testa fino alla gola, come quando ero piccola.

“Pensavo che quell’incubo ti avrebbe lasciato stare’’, disse dolcemente.

“Si fa sempre più vivo, papà. Fa paura’’, mormorai, mi asciugai le lacrime dalla faccia.

Sospirò. “Lo so, piccola. Anche a me faceva così paura i miei incubi. Ma più quelli si ripetevano, più capii che potevano avere un significato’’

“Un significato, papà?’’

“C’è chi sogna un periodo che ancora si deve compiere, chi sogna immagini e volti che saranno un significato per la loro vita, oppure c’è chi fa sogni e basta’’, rise infine.

“Tu credi, papà?’’, domandai ora più calma.

“Dipende poi dalle condizioni della persona’’, incalzò.

“Tu ne hai mai avuto uno?’’

“Sì, uno si. che mi veniva a tormentare tutte le notti’’, ma il nel suo viso non c’era alcuna ombra d’orrore. Sorrideva. mi alzai lentamente di schiena, sorpresa dal suo atteggiamento contrariato.

“Che hai sognato?’’

Il suo sguardo era prudente. “Sognai una piccola culla, la bambina che era dentro le coperte era bellissima, pelle rosa, occhi maroni e profondi…e poi diventarono rossi. Ma non mi fecero mai paura perché già quella creaturina sorrideva. Era un angioletto, una bambina perfetta senza alcun errore. Ogni volta che mi risvegliavo dal sonno la desideravo sempre di più. Sapevo che quell’angelo esisteva ma non riuscivo a capire da dove venisse…poi, sei mesi dopo, una ragazza mi invitò a casa sua e finalmente la vidi. Eri tu. Alì, eri di una bellezza fuori dal comune. Grazie all’enorme desiderio di vederti tutti i giorni…ho cominciato anche ad amare tua madre, mi sento fortunato ad avere entrambe’’

“Oh, papà…è un sogno bellissimo’’, dissi con un groppo in gola.

Mi prese il viso con entrambi le mani e mi baciò teneramente la fronte. Ora i suoi occhi luccicavano, il mento gli tremava.

Respirò affondo per non scoppiare a piangere. “Pensi che adesso riusciresti a dormire?’’, disse piano.

Non resistetti all’impulso di abbracciarlo. “Sì, adesso riuscirò a dormire, grazie a te ’’

“Vuoi che ti chiudo la finestra?’’, chiese poi. Rabbrividii.

“No, no. Va bene così. Ti ringrazio ’’, e sciolsi l’abbraccio, mi diede un ultimo bacio sulla fronte e poi se ne andò. Schiuse piano la porta per poi dirigersi a passo leggero verso la camera da letto, mamma e Consuelo non si erano accorte che si era svegliato.

Una ventata gelida ed Alucard era di nuovo nella posizione di prima come se non si fosse mai tolto da lì.

“È uomo molto affezionato. Specialmente ai bambini’’, disse guardando la porta.

“Già, non potrei desiderare padre migliore’’, concordai. E lui si girò allarmato.

“Ops’’, dissi. “Solo perché non ho avuto l’occasione di conoscere Drakon, per me Hendrik è il padre più spassoso e dolce che avessi mai avuto’’, mi corressi, sorridendogli innocente.

Storse le labbra. “Così va meglio’’, e sorrise.

Sbadigliai di nuovo, ormai la stanchezza mi aveva posseduto il corpo, mi sentivo debole. Alucard mise con prudenza il braccio sotto il mia testa per lasciarmi comoda. Sentivo la sua pelle morbida e calda, come non l’avrebbe mai sentita nessun umano, era piacevole. Meglio di un cuscino.

“Grazie’’, farfugliai. Rise di nuovo, ormai la mia voce la sentivo stanza e buffa.

“Quando vuoi’’

Chiusi finalmente le palpebre, abbandonandomi accanto a quell’angelo di mio fratellastro. Mi concentrai sul suo respiro lento e calmo. Mi vergognai di me stessa per non averlo cercato negli anni precedenti, in tal modo potevo ogni notte dormire bene accanto al lui.

Ci fu un momento in cui avrei voluto appoggiare l’orecchio al suo petto….forse per sentire com’era il cuore, oppure il suo respiro. In ogni caso resistetti all’impulso di fare quella mossa. Lo avrei di sicuro spaventato.

Nei primi secondi non vidi niente nel mio sogno, solo buio, poi d’un tratto nei miei occhi vidi una sfumatura di viola scuro, poi divenne blu del mare e poi….stavo sognando. Ma quando sentii il suo braccio muoversi appena, i colori scomparvero. Mi lamentai appena e il suo respiro si fermò, stavo così bene. Ma quanto tempo era passato da quando mi ero addormentata? Minuti, secondi? Forse era stato solo un attimo.

“Perdonami’’, mi chiese Alucard, pentito.

Aprii appena le palpebre e vidi i suoi occhi rossi che mi scrutavano oltre il buglio.

“Mmm’’, mormorai. “Non fa niente’’

“Ora puoi tornare a dormire’’, mi ordinò gentile.

“Che ore sono?’’

“Le 3. 40, hai dormito pochi minuti’’, giustificò. E sentii il rumore di un foglio. Forse aveva preso il suo libro? Cercai di mettere a fuoco di più quel rettangolino piatto tra l’indice e il medio della sua mano gigantesca, ma ero troppo stanca per approfondire i particolari.

“Che fai?’’, chiesi.

Sospiro. “Vedo l’unica immagine che ho di te ’’

Una scossa gelata mi percosse la spina dorsale e aprii al controvoglia gli occhi. Allungai appena la mano. Lui, intanto ritornò a guardare quella cosa piccola impressa nella foto.

“Posso vederla?’’, supplicai. Forse in quella foto c’era anche Drakon. Ma lui allontanò la mano quando ormai avevo raggiunta con le dita la foto ingiallita. Lo guardai male, lui invece era sempre dolce.

“Un giorno te la farà vedere. Ora dormi ’’, ordinò di nuovo.

“Ma…Io, non sono stanca!”, borbottai.

“Sì, ci credo, allora come mai non riesci a tenere le palpebre aperte?’’

Accidenti. “Dai, fammela vedere’’, ribadii.

“No, un’altra volta, ma adesso devi dormire’’

“Ma tu…?’’

“Io resterò qui, non ti preoccupare. Fino all’alba’’

E a quel punto fu così sincero che le sue parole mi convinsero. Chiusi gli occhi, mi rilassai e appoggiai la testa sopra la sua spalla, desiderando sempre di più il suo odore, e non desiderai fratello migliore di lui.

Sogghignò. “In questo modo non penserai che io fossi un sogno ’’, mormorò.

“Mi sei sempre sembrato un sogno ’’, sussurrai.

E il suo respiro si arrestò, a aprii gli occhi. lui mi guardava torvo.

“Perché sei bellissimo, e poi…negli anni passati, a stento riuscivo a credere che avevo un fratellastro. Ne volevo immaginare la verità’’

Sorrise appena. “La mia bellezza non è niente al confronto della tua’’, disse accarezzandomi la guancia.

“Mmm’’, mormorai, abbassando lo sguardo per il rossore. Ma lui se ne accorse e allargò il sorriso vittorioso. Avrei tanto voluto fargli la linguaccia, però mi risparmiai quella figuraccia anche se dentro mi sentivo ancora bambina. Di sicuro per Alucard lo sarei sempre stata.

Sospirai, e ritornai a chiudere gli occhi. Presto i rumori se ne andarono, la luce della luna anche, e ricominciai a vedere buio; dopo tre minuto quell’arcobaleno insensato si rifece notare, e l’unica cosa del mondo reale che mi accompagnò per tutta la notte fu il suo odore.


Ecco il terzo capitolo, come sempre spero che vi sia piaciuto.
Nel 2° capitolo c'è stato l'incontro di Alexia con Alucard,
ora la loro storia si può dire che inizia da qui....
Se vi è piacito ricensitemi, fatemi sapere, ditemi le vostre opinioni. 
A presto con il prossimo capitolo!!! Kiss...

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Capitolo 5
*** In un certo senso, mi sento...apposto ***



Capitolo 4

“Stai attenta!”, ordinai a Consuelo prima che oltrepassasse il cancello della scuola materna. Lo spazio era affollato, i bambini stavano salutando i genitori.

Mi abbracciò, con lo zaino ingombrante sulle spalle. “Sì, te lo prometto”, e mi baciò per poi avviarsi all’entrata dove l’aspettavano le sue due amiche. Restai lì finché non la vidi scomparire insieme a tutti i suoi alunni oltre il corridoio e poi sfrecciai verso la mia scuola. si trovava a cinque chilometri dalla sua. Erano le 7.16, e la campanella della mia scuola sarebbe suonata alle 8.00, precise. Non è che rischiavo di fare tardi, dato che in due minuti ero già lì. Il giardino davanti alla scuola era semi-affollato. Alcuni ragazzi stavano sulle panchine a chiacchierare, o fare i compiti oppure a mangiare per chi non aveva fatto colazione. Quella mattina mi ero svegliata alle 5.00 per andare ad addentare il primo animale che vedevo per il bosco. Ed ero ben controllata per quando ritornai a casa.

Quel giorno ci sarebbero state le nuvole, meno male, e c’era un piccola possibilità che verso sera avrebbe iniziato anche a piovere. Indossavo una maglia di lana viola ( sapevo sopportare il freddo, ma erano gli altri che non sopportavano la mia temperatura), jeans neri, scarpe da tennis bianche e calze blu scure che mi arrivarono fino alle ginocchia.

La scola superiore di Solemville accoglie più di 2000 alunni, ripartiti in 10 classi: due sezioni di classe prime, seconde terze quarte e quinte. L’orario scolastico era antimeridiano e si articolava su 5 giorni settimanali, la struttura dell’edificio è di due piani ditata di: 12 aule, 3 piccole aule per l’attività di sostegno, 1 scala per salire al primo piano, 2 palestre da ginnastica, 1 biblioteca, 1 sala per addestramento ai poteri, 1 sala insegnanti e un 1 ufficio per il Dirigente scolastico. La scuola è circondata da un’enorme spazio terreno dove i docenti ci passavano un’ora di intervallo.

Ero quasi arrivata all’entrata che una voce mi chiamò:

“Ehi, Alì”

Mi girai, tra un mucchio di gente seduta sulle tavole e panche di legno, e altri ragazzi in piedi a conversare, intravidi lo sguardo di Jessica. Accanto a lei c’era Lilly, Hora e Mattew. Jessica aveva un corpo smilzo, naso alla francese, occhi piccoli a mandorla, e labbra sottili, capelli color castano chiaro corti fino alle spalle, era una ragazza aggraziata e piccola: Lilly era un po’ più piena di Jessica, naso a patata, occhi all’ingiù e marroni, capelli lunghi e rossi, aveva il naso coperto da lentiggini, pelle pallida ma non quanto la mia. Mattew era il ragazzo di Lilly, un ragazzo muscoloso, la pelle color oliva, capelli corti e neri, occhi a mandorla e nerissimi, labbra carnose, era il ragazzo più simpatico del gruppo. Hora  invece, aveva un viso da bambino, magro, pelle color corteccia, e due occhi azzurri a vispi, capelli corti e color biondo cenere.

Li raggiunsi in fretta. Ormai non dovevo faticare al farmi riconoscere, tutti sapevano chi sono e chi ero. La cosa bella è che mi conoscevano tutti, ancor più bello è che non avevano paura della mia natura.

“Ehi, come va?’’, chiesi loro. Mattew era seduto sul tavolo nero e rosicchiava una mela, Lilly e Jessica stavano facendo i compiti, Hora fu il primo a venirmi in contro e abbracciarmi.

“Ciao, Ali”, mi salutò Hora, e gli altri gli fecero coro. Mi prese lo zaino e lo appoggiò sul tavolo legnoso. Gesto cortese.

“Vieni”, mi invitò subito dopo. Sembrava entusiasta. E quando mi sedetti le ragazze smisero di osservare il libro di grammatica che si tenevano in mezzo e Mattew buttò alle palle il resto della mela.

“Allora…’’, cominciò Hora. “Dicci come è andata la festa ’’, ordinò entusiasta. I suoi occhi azzurri mi supplicavano.

Ahia, la faccenda si andava complicando. Che potevo dire? Potevo recitare la parte della ragazza dispiaciuta dicendo che la festa è stata un vero schifo? Ma non potevo mentire, erano la cosa più preziosa della mia vita animalesca, gli unici che mi facessero sentire come qualsiasi essere umano.

All’inizio farfugliai qualcosa, senza sapere neanche io cosa dicevo, e loro mi guardavano accigliati e impazienti. Deglutii e scoprii la mano sinistra che coprivo fra le gambe. La misi in bella mostra sul tavolo, e gli occhi dei miei amici si illuminarono di rara sorpresa e felicità come se avessero visto un angelo. Jessica e Lilly mi afferrarono subito la mano e i due ragazzi si avvicinarono a me per osservare tutti l’anello.

“Bé…è stato…indimenticabile’’, mormorai, felice. Jessica mi venne subito in contro, piena di lacrime, e mi abbracciò. Mi ricordò mamma. Lilly era più resistente della sua amica riguardo alle emozioni forti, e mi abbracciò dandomi un bacio sulla guancia.

“Oddio, è incredibile! Quindi significa che state insieme? Cioè, “insieme, insieme”?!’’, le sue parole sembravano più esclamativi che interrogativi, alcuni giovani si voltarono verso di noi per sbirciare ma non appena videro il mio sguardo ritornarono a guardare altrove.

“Sì”, dissi tutto d’un fiato alle richieste di Jessica.

“Sono così orgogliosa di te ’’, mi sussurrò nell’orecchio Lilly, guardandomi affettuosamente. Era la prima del gruppo ad avere un carattere materno. Ecco perché Mattew si era invaghito di lei.

“Grazie’’, farfugliai. E poi una sfilza di domande: cosa avevi provato quando ti ha mostrato l’anello? E lui cosa ti ha detto? Cosa gli hai detto? Come era l’atmosfera? Ecc...Anche i ragazzi ne erano partecipi, erano felicissimi del mio fidanzamento. Per cui quando stetti per raccontare il punto dolente, suonò la campanella. Ci affrettammo tutti ad entrare, tra gli spintoni e gli scontri dei corpi degli alunni, ad entrare ognuno nelle nostre classi. Proprio nel momento in cui stavo per entrare nella mia mi accorsi di una mancata presenza: Louis.

L’ora di scienze passò veloce, e Louis non si era ancora fatto vedere. Durante la prima ora ero più concentrata sulla sedia vuota dove avrebbe dovuto esserci il mio fidanzato che il professore che spiegava. Lilly era accanto a me, e se ne accorse.

“Arriverà, tranquilla’’, mi consolò piano. Mi accarezzò la spalla e ritornò ad ascoltare. Per quel che ci capii della prima lezione fu poco e niente. Per fortuna la mia migliore amica aveva preso con se abbastanza appunti da farmici comprendere l’intera ora passata assenza della ragione.

Suonata la campanella non mi mossi dalla sedia, il contrario degli altri che uscirono per qualche minuto dalla classe finché non sarebbe arrivato il professore di musica.

Senza comprendere il motivo della mia posizione, mi ritrovai di nuovo una statua vuota, senza neanche sapere il perché appoggiavo i gomiti a quel banco verdastro e freddo. Ascoltavo solo, aspettando i passi del professore, o forse di Lilly. Mi serviva ancora la sua tenerezza.

Dopo qualche secondo ne avvertii due familiari, correvano veloci, ma non quanto il professore di musica, e la persona era affiatata, quasi stanca. Quando sentii uno schioppo ritornai normale. Alzai lo sguardo e trovai Louis di fianco al mio tavolo. Respirava stanco. Sulle prime ebbi l’intenzione di sgridargli perché non mi avesse salutata, ma forse era meglio non esagerare la situazione. Gli andai vicino e le asciugai le gocce di sudore sulla fronte. Lui respirava affannato.

“Ehi’’, dissi, sorridendogli.

“Ehi’’, sospirò di rimando. Cercò di sorridere ma non ci riuscii.

“La sveglia a suonato tardi, stamattina?’’

Finalmente rise. “Non chiedere. Ho dovuto fare una bella corsa a piedi fino a scuola’’

“Dai, adesso puoi riposarti. Vuoi che giustifico io per te. Non mi sembri in vena di rialzarti’’

“No, amore, faccio io’’, e mi avvicinò il viso con le mani. Le sua labbra tremavano, forse erano ancora stanche, ma il suo bacio era comunque dolce. Presto le mie labbra andarono al ritmo con le sue. Non mi staccai da lui finché non sentii il primo compagno varcare la soglia della classe. Mi staccai da lui, lo accarezzai e ritornai al mio posto, senza mollargli lo sguardo di dosso.

“Ehilà! Come è andata la festa?’’, chiese subito Lilly, appena entrata. Mike, un mio compagno, gli diede una pacca sulla spalla, e si mise seduto accanto a lui.

“Bene, è stato indimenticabile’’, rispose Louis. “indimenticabile” era l’aggettivo adatto, solo in quel momento me ne resi conto.

“Ho visto l’anello, sono orgogliosa per voi due. Anche Mattew ci sta pensando, ma è timido ‘’, disse storcendo le labbra.

“Non ti preoccupare. Prima o poi affronterà la timidezza’’, la rassicurò.

Lei sorrise di ricambio e poi tornò accanto a me, e ora potei procedere con tranquillità la giornata. Louis giustificò la sua assenza nella prima ora e fece firmare dal professore la giustificazione che aveva scritto sul diario, beccandosi poi una bella sgridata.

La verifica di storia fu facile, a parte per il povero Mike che non aveva studiato. Louis fu veramente paziente a suggerirgli qualcosa e poi finire il suo foglio. Fui la prima a finire e ad uscire, come nel regolamento, dall’aula, lanciando un’ultima occhiata a Louis e a Lilly. Mentre aspettavo che qualcuno uscisse dopo di me, scrutavo i rumori delle aule accanto. Il corridoio era deserto, chiunque umano ne avrebbe avvertito il silenzio, e con qualche leggero rumorino nei dintorni. Un vampiro no.

Mentre assaporavo quel nulla, diedi libero sfogo ai miei pensieri. immaginai un futuro bellissimo, mi toccai l’anello di fidanzamento, e ne avvertii il calore di Louis, immaginai il matrimonio, la famiglia che saremmo riuscita a vivere. Eppure c’era in quei desideri qualcosa che mi creava d’impiccio. Aprii gli occhi, ancora nessuno era uscito dalla mia classe, e voltai casualmente lo sguardo verso la porta d’entrata che era a trenta metri lontano dalla mia. Oltre il finestrino intravvidi un’ombra offuscata. Ecco cos’era quella cosa che mi era d’impiccio. La misi a fuoco e ne riconobbi i lineamenti. La persona mi sorrideva: era un saluto, mentre io lo guardavo imbambolata, con la bocca aperta. Mi aveva seguita fin qui? La disperazione mi invase completamente quando ricordai che non poteva uscire di giorno. Se il sole sarebbe uscito da un momento all’altro….

Feci per fare il primo scatto con la gamba, ma lo squillare potente della campanella mi precedette, tutti gli alunni uscirono dalle loro aule e si avviarono verso il cortile. Quando volsi lo sguardo verso la porta l’intruso non c’era più.

“Che cosa?!”, urlò Jessica. Incredula come qualsiasi altro intorno alla cerchiata. Era l’ora di ricreazione. Louis era da un altro tavolo di legno insieme ai miei amici. Accanto a lei c’era Jennifer: la sua migliore amica. Per quel che ne sapevo lei era come una sorella per il mio fidanzato, si conoscevano ai tempi dell’asilo, ma con me era come se gli stessi troppo ingombrante. Mi dava certe occhiate come se volesse mangiarmi viva. Anche Louis non sapeva spiegarsi il motivo. Era la figlia di Antonio: il libraio. Assomigliava a lui, solo che lei era snella e aveva i capelli neri e lisci come il grano.

“Sì’’, risposi per la terza volta. Forse anche Louis stava parlando della stessa cosa perché i suoi amici si voltarono tutti verso di me, pietrificati. L’ignorai, imbarazzata.

“Pensavo che quella sanguisuga non si sarebbe più fatta viva’’, rise Mattew. Li lanciai un’occhiata gelata.

“Come non detto ’’, disse arreso.

“Ma come mai?’’, si chiese Lilly.

Sospirai. “Voleva partecipare alla festa”, mormorai.

“Pensavo che ti odiavano….che ti avevano abbandonato perché non gli importava di te ‘’, mi ricordò Hora, con gli occhi innocenti da bambino.

“Lo pensavo anche io, ma….a quanto pare mi sono sbagliata’’

“Questo però non me lo sarei mai aspettato’’, disse Lilly, ancora pietrificata dalla notizia.

Lo stesso valeva per me. Ci fu qualche momento di silenzio e poi…

“E com’era?’’, disse Jessica avvicinandosi a me.

La guardai disorientata, grattandomi il sopracciglio. “Ehm…E come dovrebbe essere un vampiro? Bellissimo”, riuscii a dire.

Subito l’orrore e la sorpresa si scatenò in curiosità.

“Ha i miei stessi occhi’’, aggiunsi sorridendo speranzosa. “Dimostra diciannove anni….ma ne ha di più. È più pallido di me e…fa più paura….’’, e poi cominciai a raccontare tutto l’accaduto, delle cose che lui mi aveva raccontato e di quelle di Drakon, tralasciando la sua visita notturna nella mia camera. E quando raccontai del regalo afferrai delicatamente con le dita la collana, mostrandola ai miei amici. La guardarono con lo stesso sentimento dell’anello. Gli raccontai che l’aveva fatta lui, e degli alberi parlanti. L’ingannai però con una bugia dicendo che lo ricorsi per dirgli che mia madre lo accettava nella famiglia, tralasciando lo svenimento, tralasciando la chiacchierata in panchina. Queste ultime cose avrei preferito tenermele dentro il mio cuore. Se uno di loro avesse sputato tutto a Louis sarei finita sul rogo.

Mancava un quarto alla fine della ricreazione quando mi sentii scompigliare i capelli. Mi girai e verso l’intruso: Mike, il ragazzo che era accanto a Louis nel banco, era anche nel gruppo di Jennifer.

“Come va, Vampirizzata?’’, scherzò. Anche il resto del gruppo avanzava verso di noi; Mattew sbuffò ( non li sopportava), Hora alzò gli occhi al cielo; Jessica e Lilly si diede un’occhiata sbrigativa e poi fecero spazio ai ragazzi che si misero seduti intorno al tavolo. Louis si sedette accanto a me e mi avvicinò a se con un braccio.

“Ciao, Mike’’, lo salutai. Lui si mise accanto Paul (un ragazzo muscoloso) e Hora. Sentivo lo sguardo felino di Jennifer addosso, si trovava dietro di me, e non osava sedersi anche se c’era un posto libero. Da come mi guardavano, compresi che non erano venuti solo per una bella chiacchierata.

“Louis ci ha detto che alla tua festa è venuta anche quel sanguisuga del tuo fratellastro, non è vero?’’, chiese Paul, ributtante. Strinsi la mascella.

“E allora?’’

“Mi stavo chiedendo perché’’

“Non sono affari tuoi!”, sbottai. Louis mi diede uno strettone che per me non fu quasi niente, ma cercai di calmarmi ugualmente. Anche loro erano dalla mia parte, quando ancora odiavo Drakon e bella compagnia. Ed ora fu come se li avessi traditi.

“Date le tue doti mostruose, potevi farlo velocemente a pezzi, no?’’, chiese Jake, un ragazzo che sembrava avesse ventidue anni che diciassette.

“Ho anche delle doti umane se è per questo. E poi non riuscirei mai ad ucciderlo….Lui…è più forte di me’’

“Cavolo, e io credevo di fidarmi di te ’’, disse Marie. Sì, li avevo delusi, eccome.

“Marie…. Io, non sono niente al confronto di Alucard. Tu credi che io sia più potente di Alucard perché mi vedi vampira. Ma ho anche un lato umano, non sono un mostro senza sentimenti e compassione. Io un cuore ce l’ho e batte ancora. Se vedessi lui cederesti alle mie parole’’, e riuscii a chiudergli la bocca.

“Potevi anche scacciarlo via’’, obbiettò Jenny.

“Ci ho provato, ma lui mi ha fermato’’

Paul rise. “Oh, andiamo!”

“Infatti, sei molto convincente’’, mi complimento, pungente, Jennifer. Quanto avrei desiderato afferrarla per la gola e spezzarle la mascella, invece mi alzai frustrata.

“Sentite, fate quello che volete, credetemi oppure no, fatto ‘sta che non posso essere più forte di lui, sono metà umana. Sono più debole. Mi dispiace d’avervi deluso…Non avevo intenzione di farlo…Avrei voluto volentieri scacciare via Alucard ma il suo potere mi ha preceduta non appena avevo l’intensione di farlo fuori. Se non mi credete andate a chiederlo a lui, non sarò di certo io a fermarvi’’

“Un potere hai detto?’’, chiese subito Mike.

“Si, il potere della morte. È questo che mi ha fermato. È stato lui a comandare le mie intensioni ’’

“Ah, quindi dobbiamo solo cercare di acciuffarlo e…’’

“Non puoi. È velocissimo, non sai quant’è veloce’’

“E perché, tu sei veloce meno di lui?’’

“Forse. Oltretutto sono metà umana’’

“Sì, si. Questa l’abbiamo già sentita’’, farfugliò Jennifer.

Persi le staffe. Mi proiettai verso di lei e le mostrai i denti, feci nascere il ruggito e gli occhi diventarono rossi. Con mio disgusto Louis mi scansò da lei prima che mi pietrificasse dall’orrore. Mi coprii il viso con il petto e mi guardò furioso.

“Scusami’’, mormorai. Ma non potei che fare a meno di sorridere vittoriosa.

“La prossima volta che lo rivedi, spaccagli la mascella da parte mia’’, mi raccomandò Paul.

Con orrore e con un filo d’aria dissi: “Contaci”, ma non avrei mai potuto farlo. Paul sorrise eccitato e diede il pugno a Mike.

Mi si gelò il cuore per quella promessa, ma una promessa poteva anche infranta giusto? C’era anche la possibilità che non gli avrei mai fatto niente di niente. Questa scelta mi sollevò per quel che bastava. Dal cielo sentii un rombo e la campanella suonò.

Per tutte le altre ore restai accanto a Louis, ripensando sempre alla conversazione di qualche ora prima. Mi lamentavo sempre con Louis per averli delusi, parlavo tra me e me, ma lui mi consolava dicendo di ignorarli perché erano soliti ad andarci pesanti su quell’argomento.

Finita le lezioni ci trovammo sempre sul giardino della scuola. avevamo deciso di fermarci fino al pomeriggio. Per non creare altri problemi telefonai a mamma per andare a prendere Consuelo giacché sarei tornata a casa un po’ tardi. Eravamo tutti ( il gruppo di Louis e il mio) a chiacchierare del più e del meno. In parte mi sono divertita e in parte no. Divertita perché tralasciavano l’argomento di “Alucard il mostro da evitare” e non mi sono divertita perché accanto a me avevo lo sguardo bruciane di Jennifer. Ci fu un momento in cui il ruolo della vampira lo avrei ceduto di buon grado a lei, ma Louis era sempre lì a tirarmi su di morale facendomi ingannare avvolte della sua presenza. Jake era il massino del gruppo sulle barzellette e inoltre era un ragazzo divertente. Con lui era tutto più meraviglioso stare in compagnia. Alcune persone del paese, oltre che avere poteri di elementi naturali, avevano il potere dei sentimenti. Uno di questi era Jake che aveva il controllo dell’umore degli altri (poteva mutare la tristezza in allegria), Jennifer ( poteva far innamorare le persone o altre cose riguardanti l’amore) e Paul ( aveva il potere del dolore). Paul lo consideravo il capo gruppo di Louis, e cere volte mi faceva paura.

“Be’….insomma, ridendo e scherzando ci siamo accorti che sono le 13. 18”, disse guardando contemporaneamente l’orologio. Infatti il tempo sembrava volato. Louis mi strinse ancor di più a se sapendo che questa era l’ora di lasciarlo. Ci scambiammo un’occhiata dolce.

“Bene, signori, è venuto il momento di andare ognuno verso la sua strada’’, concluse Paul afferrando lo zaino e alzandosi dalla panca. Alcuni del gruppo se ne andarono prima. Hora, Marie e Mike.

Attraversammo il cortile insieme e poi ci sparpagliammo. Paul, prima di andarsene mi lanciò un’occhiata di sfida, Jennifer una gelida. Louis, invece, non li salutò nemmeno. E per tutto la camminata stava in silenzio, mi stringeva a se, tenendomi lo zaino sulla mano. Cattivo segno. Dopo tutto anche io restai zitta, temendo che se avessi parlato avrei scatenato la sua rabbia.

Solo quando ci trovammo sul balcone di casa mia, e mi appoggiò lo zaino davanti alla porta, mi voltai verso di lui.

“Dimmi che cos’hai’’, ordinai impaziente. Con mia sorpresa, mi accorsi che anche il suo sguardo era abbastanza serio. Una vampata di calore dal suo corpo riscaldò il mio.

“Niente, mi fa solo imbestialire Paul’’, rispose fra i denti.

“Non penso proprio che sia anche Paul’’, incalzai. “Che cos’altro ti turba?’’, ribadii.

“Il fatto del tuo ripensamento, Alì’’, farfugliò. E qui cominciano le noti dolenti.

Sospirai, cercando di apparire il più calma possibile. “Mi sembra chiaro. Mi ha dato ogni notizia che testimoniasse la verità’’

“Questo non implica che sei costretta a non odiarlo’’

“Sono i miei sentimenti, Louis, e che ti piaccia o no devi accettarli’’, sbottai.

“Non mi piace per niente il tuo cambiamento, è come se quel succhiasangue ti avesse fatto un sortilegio’’

“Non. Chiamarlo. Mai. Più. Succhiasangue!”

Mi afferrò il braccio il una morsa di ferro. Bruciava.

“Stai lontano da lui!”, sputò. Con lui era facile fargli perdere la pazienza.

“Sai bene che non posso farlo’’

“Non dirmi che adesso ti sei infatuata di lui?”

Gli avvicinai con l’altra mano il suo volto al mio. “Non mi sognerei mai di innamorarmi di lui, mai. Perché io amo te. Per sempre, ricordi? Ho intenzione di rispettare il nostro giuramento. Non ho intenzioni di lasciarti perché morirei. Sei l’unica persona al mondo che potrò amare per l’eternità, se non ci sarai più nella mia vita comincerei a morire ogni secondo”

Sospirò. “Non voglio che quel san….Alucard si intrometta nella nostra vita’’

“Che ti piaccia o no, ora potrà venire quando vorrà a casa mia’’, mi pentii di averlo fatto.

Mi strinse a se, questa volta più forte, con un calore che per un momento fece mancare il respiro. Quella forza era pari alla mia, forse ancora più forre dato che non riuscivo a liberarmi. Mi chiesi quanto potesse essere forte Alucard.

“Che cosa hai fatto?!”, urlò.

“Ho diciott’anni, faccio quello che voglio adesso. Se non rispetti la mia volontà, significa che non mi ami’’, gli diedi uno strettone e lui si staccò da me gemendo, afferrai lo zaino e mi chiusi la porta alle spalle. Aspettai che se ne andasse e poi lasciai cadere lo zaino nella poltrona. Sapevo che prima o poi avrei dovuto affrontarlo. Se non sarei stata in grado di mantenere la calma, se non avrei previsto il suo atteggiamento, se non lo conoscevo abbastanza bene, a quest’ora lo avrei azzannato. Non ero mai stata così violenta con il mio fidanzato, ma quel giorno stavo per andare oltre. Non mi era affatto piaciuto il suo atteggiamento, ne il modo in cui aveva chiamato il mio fratellastro che ad ogni certezza poteva essere paragonato anche a me. Il silenzio del salotto mi aiuto a sciogliere la tensione nei muscoli, mi morsi il labbro pensando alla solitudine in cui mi trovavo. Sapevo esattamente che se mi trovavo sola, in fondo però sapevo che non ero l’unica persona in quella casa.

Mamma e babbo aveva accompagnato Consuelo a ginnastica dopo la scuola, quindi saranno venuti fra qualche minuto, eppure non ero sola. I miei sensi da vampira lo captavano. Ne avevo la più pallida certezza. Ma mi presi tutta la calma del mondo. Poteva aspettarmi ancora qualche ora. Se restavo immobile sul divano ancora cinque minuti di certo non cascava il mondo.

Mi rialzai dal divano e appoggiai il cappotto sull’attaccapanni di legno, fiondai in cucina e aprii il frigo. Dovevo concedere al mio corpo di rilassarsi.  Louis stava veramente sorpassando il limite, ci mancava poco che non gli spezzassi un braccio.

Non era di certo colpa mia se le cose si erano appena ribaltate in quella famiglia, avevo compreso il mio errore e Louis avrebbe dovuto farne tesoro. Non poteva controllare la mia vita, se mi amava. Se ci teneva a me, doveva rispettarmi. E rispettare soprattutto anche Alucard se non si voleva far spaccare la testa. In ogni modo, i sentimenti che provavo tra le due persone erano diversi, non c’era niente di cui pensare il peggio. Con Alucard mi sentivo….apposto, con Louis invece mi sentivo come nessuno mi aveva mai fatta sentire in tutta la mia vita. Era una sensazione magica stare con lui, mi sentivo me e parte di lui. Fra i due la persona più importante per me era di certo il mio fidanzato. Alucard era un’eccezione. Per cui Louis non doveva preoccuparsi di niente. Appena finito di succhiare il sangue dalla cannuccia, scattai dalla sedia alla camera da letto.

Come intuivo, lui era lì. E guardava la foto di Consuelo. Mi sorrise non appena varcai la soglia della camera. Chiusi la porta e restai immobile in quel punto, aspettando che iniziasse a parlare. Sollevò la cornice e osservò meglio la bambina nella foto.

“Ha ragione lui, forse è meglio che mi intrometta nella vostra relazione’’, disse, rammaricato.

Mi strinsi nelle spalle. “Non lo farai. E poi…ho deciso di darti il permesso di far parte di questa famiglia, lui deve prendere in considerazione questa cosa nel verso giusto’’

“Ma a quale prezzo?’’, sorrise triste.

Feci due passi e poi mi fermai. “Non è colpa tua’’.

Sogghignò. “Penso che ti sbagli, Alexia. Non dovevo venire al tuo compleanno, sapevo che qualcosa sarebbe andato storto’’

“Non è colpa tua’’, ripetei.

Si fermò a guardarmi. “Ti ho vista a scuola e ho visto la tua vita quotidiana. Perfetta, hai amici, un fidanzato, vai bene in tutte le materie. Quindi perché devo intrufolarmi nella tua gente?’’

“Perché fai parte della mia famiglia’’

Scacciò via la mia risposta sorridendo appena. “Qualche anno fa non la pensavi così’’

“Che cosa vuoi? Scappare di nuovo come tuo padre? Costringermi ad odiarti più di prima?’’

“Non ho mai smesso di tentare tutto questo. Penso, che infondo sia il modo giusto’’

Mi proiettai verso di lui. “Non voglio, non ti azzardare a scappare da questa stanza. Ricordi cosa mi hai detto questa mattina? Mi hai detto che non te ne saresti più andato. Che non mi avresti più lasciato sola. È tutto finito per te?’’, gli afferrai delicatamente le piccole ciocche davanti alla sua fronte e le alzai appena verso l’alto.

“Mi pento della mia decisione’’, mi osservò dietro le sue ciglia lunghissime. Mi afferrò la mano destra e osservò l’anello di fidanzamento, lo girò intorno al mio dito e fece brillare la gemma alla luce fioca della stanza.

“Se me andassi la tua vita ritornerà come prima e…’’

“Non ci provare’’, lo fermai. Lui strinse le labbra. “Ora ho capito che nella mia vita di prima stavo bene solo con qualche cosa assente. Mi mancava qualcosa ed eri tu. Ora sembra che tutto vada bene. E se farò di nuovo pace con Drakon….forse potrei dire “saremo per sempre felici e contenti’’, e tutto andrà bene’’

“E con Louis come farai?’’

Alzai la mano destra che lui mi aveva lasciato poco dopo. “Ha fatto un giuramento e lo deve rispettare. Deve capire che è per il nostro bene se adesso sono diversa’’

“Non farà di certo bene ai tuoi amici’’

“Se ne devono fare una ragione’’

“Non puoi indurre tutti a darti retta, Alexia. Non possono stare tutti ai tuoi piedi’’

Lo guardai torva, accorgendomi che aveva ragione. “Allora non li costringerò ad accettare la verità, saranno liberi di pensare come vogliono, ma…. Tu resterai qui’’

Si arrese. “Se è proprio necessario’’

“Per me è una cosa necessaria. Sei il mio fratellastro e ti voglio bene’’, lo abbracciai forte a me. Annusai l’odore che mi era mancato per tutta la mattina, per qualche secondo rimase immobile con i pugni stretti. Forse si pentiva della sua decisione, forse pensava che io stessi esagerando, ma poi sciolse i muscoli e mi abbracciò anche lui, poi lo sentii ridere dietro di me.

“Paul mi sembra un tipo tosto’’

“Sì….’’, poi mi pietrificai. “Hai sentito tutta la conversazione?!’’, ruggii.

“Ops’’, mi sorrise innocente.

“Alucard!’’

“Non potevo farne a meno. Sei così masochista’’

“E umana’’

“E forte’’

“Ad essere sincera ho paura di Paul. Non so mai quando ha intenzione di attaccare oppure stuzzicarmi’’

Mi accarezzò la guancia. “Tranquilla, oggi non aveva intenzione di attaccarti’’

“Mmm’’, dissi. “Però stagli lontano, per favore. Non voglio che ti faccia del male ’’

“Non ho intenzione di ascoltarti’’

Sbuffai. “Ti odio ’’, ma non avrei mai voluto dirlo.

“Devi’’, rispose sorridendo.

Deglutii. “No, no, scusami’’, e lo strinsi di nuovo a me. Questa volta non mi abbracciò.

“Non sei obbligata a volermi bene’’

“Per me non è un obbligo, è la mia volontà’’

Lo lasciai studiando che espressione si celava nel suo volto. Si sedette sopra il mio letto e sospirò rassegnato. Mi avvicinai a lui sperando di vedere che cos’aveva, ma non aggiunse niente.

“Alucard, devi fartene una ragione’’

“Una ragione che ti farà soffrire, Alì’’, precisò guardandomi freddo.

Non capivo proprio il motivo delle sue parole. Non mi avrebbe fatto mai soffrire se anche lui mi amava come una sorella. Se il nostro tipo di amore fraterno rimaneva tale che cosa poteva andare storto? Ora avevo aggiustato quel pezzetto che mancava alla mia vita, ne mancava sola un altro e tutto sarebbe andato per il verso giusto. Avrei prestato molta più attenzione a Louis d’ora in poi per non rischiare di lasciarlo solo. Se i miei amici accettavano il mio cambiamento ne sarei stata grata per tutta la vita. Se invece alcune cose sarebbero andate storte avrei cercato di aggiustarle. Ci avrei pensato io al mio futuro, Alucard doveva stare tranquillo.

Mi sedetti accanto a lui e gli accarezzai dolcemente la spalla.

“Ci penserò io a far funzionare tutto. È la mia vita e io ci tengo alle persone che amo. Non ti preoccupare, sarò forte’’, promisi, e gli strofinai i capelli. Lui rise e mi scansò la mano dolcemente.

“Alì, vorrei solo non essere d’impiccio per i tuoi prossimi giorni’’

“Non lo sarai mai’’, e appoggiai la fronte sulla sua, come una promessa. Mi sorrise speranzoso e mi baciò la fronte e di colpo mi trovi sola. Per poco non caddi in avanti quando non trovai più la sua fronte. La porta si aprii giusto in tempo che ritrovai l’equilibrio.

“Amore’’, mi chiamò mamma. “Sei arrivata’’

“Sì’’, risposi un po’ disorientata, un po’ sorpresa. Non avevo sentito i passi di mamma avanzare verso la stanza, o aprire la porta d’entrata. O mi ero concentrata di più su Alucard oppure era stato appunto lui a controllare il mio udito, e io non me n’ero accorta. Capivo di essere così impacciata ma non pensavo di arrivare fino a questo punto. Se non mi accorgevo mai che Alucard mi stesse dominando, d’ora in poi dovevo usare il mio potere ogni volta che stavo in sua compagnia. Però, che razza di imbroglione.

“Quando sei arrivata?’’, chiesi.

 Mi guardò, incomprensibile. “Proprio adesso’’

“Ah’’

Venne da me e mi toccò la fronte. “Va tutto bene?’’

“Mai stata meglio di così’’, e in effetti le malattie non mi avrebbero mai toccata. Gli afferrai la mano e la accarezzai dolcemente.

“Louis? Pensavo fosse con te ’’

“No’’, dissi smorzata. “Abbiamo litigato’’, risposi più piano di prima. il viso di mamma si fece subito impietrito, i suoi occhi sbarrati.

Mi abbracciò. “Oh, amore, ma che è successo?’’

“Gli ho detto che Alucard poteva restare nella famiglia….lui si è arrabbiato perché ha notato il mio cambiamento. È spaventato’’

“Ma non è così’’

“È quello che ho cercato di dirgli’’

“Che tristezza, proprio il giorno dopo del vostro fidanzamento’’, borbottò.

“Si sistemerà tutto, vedrai’’, le promisi con la stessa dolcezza che usai su Alucard. Lei sorrise appena.

“Va bene’’, si alzò. “Vieni a mangiare?’’

“No, grazie. Ho bevuto un po’ di sangue prima’’

“Ok, dopo mi accompagni a prendere Consuelo?’’, mi invitò. Non mi voleva lasciare sola, dopo quello che ha saputo.

“Sì, mamma ’’, e mi distesi nel letto, lei rimase lì qualche secondo, guardando se dentro i miei occhi c’era un filo di tristezza. In verità c’era ma non lo davo da vedere. Appena uscita mi alzai dal letto e perlustrai tutta la stanza in cerca di quel pazzo del mio fratellastro. Non era nell’armadio, ne sotto il letto, oppure sopra il soffitto, ne sotto la scrivania o dietro lo specchio. Quando la disperazione e la consapevolezza che se ne fosse andato presero il sopravvento, mi fiondai dalla porta-finestra che rivelava il balcone, e lo trovai lì. Seduto sopra la ringhiera di legno, ad un’altezza di dieci venti metri da terra.

“Mi hai fatto un altro incantesimo!”, ruggii. Le sue braccia mi strinsero di colpo.

“Sssh!”, sussurrò nel mio orecchio. Vero, forse i miei genitori mi avrebbero sentita. Controllai se qualcuno si era accorto e poi ritornai a lui.

“Perché l’hai fatto? Per poco non ci facevo una figuraccia difronte a mia madre’’

“Scusa, non posso farne a meno ’’, rise.

Strinsi il pugno per non far partire uno schiaffo. Serrai le labbra per non mostrare i denti. A quel punto mi sentivo Louis quando perse la pazienza con me.

“Non è divertente’’, brontolai.

“È giunto il momento che anche tu mi mostrerai il tuo potere’’

“Un giorno lo farò’’, e quel giorno sarei stata lì per proteggerlo.



Il quarto capitolo, sfornato proprio adesso! Come vedete ci sono nuovi personaggi ma in tutta la storia sono solo pochi i più importanti e che si ripeteranno.
Spero vi sia piaciuta, se vi sembra un pò troppo lunghi i capitoli, li accorcerò, basta chiedere ;D
Mi raccomando, fatemi sapere se vi è piaciuta.
 Alla prossima con il quinto capitolo!!! Kiss...

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Capitolo 6
*** Cambiamenti ***


Capitolo 5
Nelle due settimane seguenti Louis non si era fatto vedere ne a scuola ne a casa mia. Non mi aveva nemmeno telefonata. Non rispondeva nemmeno alle mie chiamate. Capii che lo avevo ferito a morte, e per due giorni di seguito non feci che piangere. Rifiutai alle volte il sangue che mamma mi portava in camera. I miei amici cercavano di consolarmi, da una parte ero felice che accettarono i miei cambiamenti (erano elettrizzati di conoscere il mio fratellastro, se si sarebbe fatto vivo) ma per quanto agli amici di Louis mi davano la colpa su tutto, soprattutto Jennifer e Paul. Anche mamma e papà cercarono di consolarmi ma senza riuscirci, Consuelo non poteva dato che non sapeva com’erano queste cose.

Alucard non era più venuto a farmi visita e questo non mi fece che farmi avanzare verso la disperazione. Tutto, senza Alucard, sembrò essere tornato normale ma in un modo più inquietante. Mi convinsi del fatto che ero sembrata abbastanza sciocca e inutile pensare che sarei stata capace di sistemare tutto da sola. Mi vergognavo abbastanza da non guardare nemmeno ogni oggetto o persona che incontravo davanti. E il mio corpo sembrò rifiutare tutto. Mi accorsi che era esattamente il tipo di vuoto che avevo detto a Louis l’ultima volta che l’avevo visto: “se non ci sarai più nella mia vita comincerei a morire ogni secondo ’’.

Era come essersi svegliati da un sogno perfetto e affrontare il cattivo e perfido mondo di sempre, perfino il tempo mi sembrò più lento, un’ora un eternità. Passavo quei secondi fra le lacrime e gli incubi. La mia mente sembrò torturarmi, i miei incubi ammazzarmi la felicità. A casa sembravo quasi non esistere, parlavo poco, e sorridevo di rado. E i miei genitori si preoccupavano. Consuelo entrava nella mia stanza per giocare con me, ma io con una scusa la mandavo nella sua stanza.

La mattina del terzo giorno sentii da sotto le coperte mamma telefonare alla scuola farfugliando la mia assenza con una bugia: per un tragico errore mi ero ustionata il braccio farfugliando che mi ero esposta troppo alla luce del sole, e che per tre giorni non potevo ritornare a scuola.

La mia mente, quasi morta, elaborò la sensazione che quella donna lo fece per il mio bene.

Chiuse il telefono e avanzò verso la mia stanza, aprii rumorosamente la porta e mi scoprii il corpo, mentre io guardavo inconsapevolmente la stoffa del cuscino. Si sedette accanto a me.

“Alexia’’, mi chiamò. Non risposi, non avevo voglia di rispondere. Mi sentivo senza voce, mi sentivo stanca anche se non avevo fatto altro che restare sempre sul letto, immobile, morta. Forse ero stanca di vivere.

“Alexia’’, mi chiamò un’altra volta più dolce, e mi accarezzò la testa. Il mio sguardo vuoto catturò il suo.

“È ora di far la finita’’, mi avvisò. “Devi ritornare a vivere tesoro’’

“Io non sono mai stata viva’’, incalzai con una voce che veniva dall’oltre tomba.

“Bene, se la metti così’’, con un gesto alla mano formò uno schiaffo e al suo movimento si scontrò dalla mia faccia qualcosa di freddo e liquido che mi fece disgusto: acqua. Scacciai via quella sostanza liquida con tanto di ruggiti.

“Mamma!”, urlai infine. Lei non mi ascoltò e mi costrinse a scendere dal letto, mi afferrò la mano e mi portò via da quella stanza. Non indossavo il pigiama quindi non si mise a sfilarmi anche quei vestiti. Indossavo l’abbigliamento del giorno prima.

Nonostante potessi ritornare a razzo in quella stanza vuota, nonostante potessi anche spaventarla o dargli uno strattone per scansarla, obbedii ai suoi comandi. Ormai non aveva più importanza dove mi stava portando, niente non aveva più sensoi. Niente, se non Louis.

A passo svelto, uscimmo dalla casa e imboccammo la stradicciola che portava alla campagna. Mamma non fece parola, sembrava intenzionata a raggiungere il suo obbiettivo. Il cielo era coperto dalle nuvole, verso la mattina aveva piovuto, ma il sole si stava mostrando pezzo per pezzo tra le molecole bianche e soffici delle nuvole.

Mi lasciai guidare dal passo di mamma senza emettere parola, a parte che non sapevo cosa pensare. Ero una statua vuota che si muoveva. E guardavo, l’erba sotto di me, inconscia del fatto perché la trovai così bella e nuova se la conoscevo a memoria.

“È il momento di frenare questa follia”, disse mamma, dura. La vegetazione fitta del bosco davanti a me, sembrava chiamarmi.

“La cosa folle alla quale devo esercitarmi di frenare sei tu!”, sbottai. “Perché mi hai portata qui?”

“Perché è il tuo posto questo. Io e tuo babbo siamo stanchi di sentirti urlare e piangere, Alì. E quando dormi sembri morta. Papà ha pensato che sia la cosa giusta da fare, e non gli do torto. Ti diamo la possibilità di restare qui quanto vuoi. Vogliamo che ritorni come prima, ci spaventa i tuoi atteggiamenti. Preoccupano perfino i tuoi amici’’

“Non ho intenzione di restare qua un minuto di più. Ritorno a casa ’’, la avvisai camminando verso Solemville.

Sentii il rumore liquido dell’acqua venirmi in contro, i miei piedi furono bloccati da due bolle giganti d’acqua che poi si ghiacciarono al movimento di mamma. Ecco, ora ero perfettamente nella condizione “ubbidisci alla mamma”.

“Liberami!”, ordinai fra i denti.

Mamma invece mi precedette con passo veloce e non si fermò più. Non si volse nemmeno a guardarmi, camminava aggraziata verso il paese.

“Mamma!”, urlai, ma lei non fece altro che fare un gesto con la mano per salutarmi e poi ignorarmi completamente. Restai immobile sul posto, in mezzo a quella landa desolata, finché non vidi mamma scomparire dietro un angolo di una casa.

Concentrai la forza sui miei pugni e cominciai a dare cazzotti al ghiaccio congelato che mi intrappolava i piedi. Mamma l’aveva congelato per benino dato che mi ci volle tre minuti precisi per liberarmi dal gelo. Giurai a me stessa che se avrei incrociato mamma per la strada del ritorno l’avrei appesa ad un albero. I muscoli mi si irrigidirono e cominciai a correre scatenando tutta la mia ira sull’immagine di mamma.

Quando stetti per svoltare l’angolo mi accorsi che non avevo mai visto così chiara il paese in quei tre giorni. Tutto era più luminoso e accecante. Alzai lo sguardo al cielo e quasi mi bruciarono gli occhi quando scontrai la vista contro la bolla di fuoco. Ruggii dal fastidio sfrecciando di nuovo da un’altra parte. Non passò un minuto che sentii una fiamma di fuoco tra lo strato leggero duro della pelle, fra qualche minuto mamma avrebbe reso veritiera la giustificazione della mia assenza al scuola, e mi sarei concessa un mese di solitudine a casa; tre giorni non sarebbero bastati. O forse sarei morta sul colpo.

Prima che la mia pelle divenne un missile infuocato, saltai verso la vegetazione del bosco. Aprii gli occhi dopo un quarto d’ora passata, mi trovavo sdraiata tra l’erba fredda, la terra umida e le foglie secche del bosco. L’aria sapeva di ogni sorta di vegetazione in quella natura infinita. Dietro di me la luce del sole aveva completamente invaso la campagna. Gli alberi mi facevano da scudo contro il sole, ora l’ombra era di nuovo la mia protettrice. Mi alzai, non appena la fiamma se ne andò lasciandomi la pelle freschissima. Mi alzai più energica di prima.

L’albero smilzo davanti a me cominciò a spostarsi verso destra, portandosi dietro uno strato di terreno, sentivo il suolo ondeggiare sotto i miei piedi e per poco non persi l’equilibrio. L’albero si fermò a dieci centimetri da un altro albero gemello e mi lasciò osservare il panorama davanti a me; respirai a fondo. All’improvviso mi sentii ansiosa. Finalmente ero a casa, fu come se ogni foglia, ogni filo d’erba, ogni rumore, ogni albero fossero stati risucchiati dalla mia testa ridandomi quel senso di pienezza nell’anima. Ora mi sentivo di nuovo in grado di pensare, reagire, parlare, muovermi. Non mi sentivo più uno zombie di due giorni fa. Ora ogni pensiero si concentrava sulla flora e la fauna del Boscosenzafine.

Liberai il respiro, irrigidii i muscoli e allungai l’udito. Sfrecciai poco dopo fra la vegetazione di quel labirinto naturale. La foresta non mi era mai sembrata più viva dall’ultima volta che l’avevo attraversata. Forse ne avevo sentito la mancanza, e mi mancava quel senso di libertà mentre sfioravo gli alberi a pochi centimetri da me. Sentivo le foglie muoversi appena a causa dei rumori impercettibili dello zampettare delle formiche, un gufo si stava lasciando  il pelo con il becco, uno scoiattolo stava sgranocchiando la ghianda. Sentivo le zampe esplose di un ragno elaborare la propria tela, qualcosa di leggero e piccolo rompersi e in seguito il cinguettare acuto e innocente di un pulcino. Un battito frenetico d’ali che tagliava l’aria, e altre piccole creature della forma minuta che non saprei descrivere.

Sentivo i loro cuoricini battere al ritmo frenetico al mio passaggio, catturai gli occhi sbarrati e agghiaccianti di un gufo scrutarmi quando mi voltai verso di lui, mi aspettavo che si desse alla fuga come tutti gli altri animali che sentivano la mia corsa quando passavo si lì, invece restarono indifferenti, abituati ormai dai miei movimenti fulminei del mio corpo.

Mi aspettavo che dopo un minuto i miei polmoni iniziassero ad ustionarsi a causa del mio respiro veloce, ma rimasero impassibili alla mia corsa, mi aspettavo anche che le gambe iniziarono a stancarsi invece mi sentivo più viva e più energetica ad ogni passo e ad ogni secondo che avanzava. Non feci a meno di ridere per l’eccitazione. Mamma aveva avuto ragione, questo mi avrebbe aiutata a risvegliarmi da quell’incubo.

Oltre tre chilometri mi dovetti trovare davanti una spaccatura terrena lunga una trentina di metri se non di più. Prima che la mia vista naturale potesse captare l’enorme voragine, accelerai il passo e con una scarica di potenza mi lanciai verso la crepa profonda. Sotto i miei piedi notai la spaccatura terrena rimpicciolirsi di sessanta centimetri, mi trovavo a diciannove metri d’altezza da terra. Guardare la voragine sotto i miei piedi fu uno spettacolo mozzafiato, non ebbi paura di cadere, per voi sarebbe stato come guardarla al sicuro su una mongolfiera. Tracciai una arco da sotto terra e atterrai nel fitto della vegetazione oltre la crepa alle mie spalle. Fu facile atterrare, appoggiare il piede su una pietra, regolare la forza che mi servii per saltare di nuovo in aria, afferrare un ramo resistente durante la mia caduta e appoggiare aggraziante il piede sul terreno umido.

Sfrecciai di nuovo nel labirinto di alberi, senza sapere dove stavo andando, eppure lo sapevo tutto a memoria. Con l’occhio calcolavo velocemente a quanti centimetri di distanza sfioravo il tronco secco degli alberi, la mia logica era così rapida come i miei piedi. Il piede si muoveva  così rapido nella corsa che dopo un minuto mi sembrava più di volare che di correre. Era una sensazione elettrizzante riassaporare di nuovo quella libertà. Un odore debole, ma dolce, potente….devastate, più che altro, mi soffocò la gola e sfrecciai ripida verso la scia. Svolta una albero appena incrociato e volsi verso ovest. Seguii gli scalpiccii di alcuni zoccoli…erano tre. Dopo dieci secondi mi accorsi che la vegetazione stava calando lasciandomi davanti ad una lunga distesa erbosa dove cinque cervi stavano brucando, e altri due erano nascosti nell’erba. Prima che uno si accorse della mia presenza automaticamente mi lanciai tra i cespugli accanto ad un abete verdastro, e restai immobile. Calcolai le possibilità di poterli dissanguare tutti, tanta era la mia sete, ma era il bosco era infinito e le possibilità che sarebbero corsi a riparo a qualche isolati da me, mentre io ero distratta, erano abbastanza sufficienti.  Quindi sfrecciai dall’altro lato della prateria e mi lanciai fra gli alberi. Le mie unghie scavavano la corteccia solida dell’albero per aggrapparmi al tronco mentre lo scalavo. I miei movimenti erano felini, quasi impercettibili, tanto che i due cervi non si accorsero che mi trovavo proprio sopra le loro fragili teste.

Con un balzo leggero, quasi esistente, volai in aria e atterrai su un ramo resistente di abete rossiccio. Vidi uno di loro raddrizzare le orecchie e alzare il collo, eseguendo poi dei movimenti a scatti con la testa. Sentivo il cuore frenetico sotto i muscoli del corpo, e il flusso di sangue che scorreva veloce. Ormai ero accecata dalla sete, quindi reagii d’istinto, saltai addosso al cervo che mi stava sotto e lo bloccai con le braccia. La sua forza non era niente per me, i violenti colpi di zoccolo che mi dava nelle gambe erano come colpi leggeri sulla pelle praticamente sopportabili. Con il braccio destro gli strinsi il petto, e con l’altra gli afferrai la gola. Non riuscii a tenere a bada la mia forza che sentii uno scricchiolio di ossa proveniente dal suo petto, il suo respiro farsi più pesante e affaticato, e il suo cuore pompava dal dolore; quel calore fu come una lama rovente dentro alla gola. Lo appoggiai a terra, ancora in grado di muoversi, e miei denti trovarono la sua gola. Squarciarono la pelliccia, i muscoli fino al flusso di sangue che desideravo tanto gustare. Mordere il corpo di un animale è così semplice come mordere una brioche, la sua pelle era morbida e facilmente penetrabile. Con la punta della lingua leccai l’enorme macchia rossa sulla sua pelle e succhiai con brama ardente. Ben presto ai versi stremati dell’animale si aggiunsero dei versi straziati, poi poco udibili e poi niente. Il corpo si accasciò inerme sull’erba e non mi ero mai sentita più forte di così. Capii che era il digiuno dei due giorni passati.

Il calore del cervo percorse tutto il mio corpo riscaldandomelo ad una temperatura graduale fino alla punta delle dita. Dopo averlo prosciugato, gettai via la carcassa con menefreghismo, e mi accorsi che non era ancora finita lì. La mia sete non si era ancora placata, avevo ancora sete. La gola era ardente, ma non così tanto di un minuto fa.

Quella “dieta” mi aveva rovinato le forze, e ora era una necessità estrema per acquistarle di nuovo. Rimasi frustrata quando mi accorsi che nella prateria era stato l’unico cervo, sotto i miei piedi, a morire, ma di colpo ne captai i rumori. Mi irrigidii con il corpo e sfrecciai verso le mie prossime prede, girando le spalle al corpo morto della mia prima preda.

Verso la strada di casa, che riuscii a trovare facilmente ( mi bastò un occhiata), ne incrociai altri tre e dissanguai anche quelli. Ne avevo cacciati nove in quel giorno, il record massimo di quell’anno. Non ero la solita a cacciare così tanto, calcolavo le possibilità che fosse il senso di colpa a portarmi alla strage di sangue. Forse ero furiosa della ultima visita con Louis e Alucard prendendomela poi con il cervo. In parte era certo che fosse stato anche il senso di colpa.

Camminavo per il bosco, calma e paziente, senza alcuna fretta di ritornare a casa, infondo mamma era stata così coraggiosa a darmi tutto il tempo del mondo per decidere quando ritornare a casa ( cosa che lei di solito non faceva), il che proprio ora cominciavo a meravigliarmi della sua scelta. La voragine l’avevo passata dieci minuti fa e avevo rallentato la corsa. Fu in quel momento, in cui pensavo a quanto sarebbe stato veloce Alucard, che sentii qualcuno chiamarmi. Mi girai e vidi gli occhi aguzzi di un felino che mi stava osservando. Garret era il suo nome.

“La nostra predatrice è tornata’’, sogghignò il puma. Sbuffai, il mio rapporto con lui era come tra Paul e la sottoscritta.

“Che vuoi?’’, chiesi io.

Rise appena. “Volevo solo darti il bentornata, e ringraziarti che non fossi stato io la tua preda quest’oggi’’

“Ci stavo arrivando, ma si vede che la buona sorte ti abbia risparmiato un morso dolente’’

“E potresti spiegare il motivo di questa bramosa visita?’’

“Ho sete, mi sembra piuttosto chiara la spiegazione’’

“Ah, lascialo perdere, quello ha più pelliccia da vendere che il suo talento ’’, mi consigliò una voce squillante che proveniva da albero vicino. Allungai la vista di dieci gradi e notai un uccellino blu dal petto bianco che mi guardava.

“Grazie Larry, vola via prima che ti divori’’, gli consigliai a mia volta, ma lui volò da un ramo più alto fino a scomparire da una fogliolina agli occhi di Garret. Io però lo vedevo comunque e ne percepivo la presenza.

“Già, dai retta al cadavere vivente, scappa via piccolo pennuto’’, ruggii.

Gli lancia un’occhiata raggelante e mi acquattai mostrandogli i denti. Presto un ribollimento di impadronii del mio petto e fuoriuscì un urlo straziante che copriva il suo. Garret soffocò il ruggito in un mugugno di paura, ma restò comunque in posa d’attacco. Sorrisi vittoriosa, ripensando a quella strofa: “Ti fa il piombo”.  

“Perché sei venuto ad infastidirmi?’’, domandai sprezzante all’animale.

“Speravo soltanto di vendicarmi delle mie prede che tu hai dissanguato per prima’’, ruggì. E fece un grosso balzo per atterrare verso di me, io fui più veloce di lui e schivai gli artigli che cercarono di squarciarmi la carne. Il combattimento non fu duraturo quanto mi aspettavo. Mi riparai da un ramo alto nel bosco, lui cercò di fare altrettanto ma non ci riuscii ( anche se era bello grosso), si limitò solo a ruggirmi e a sbattermi contro mille prese in giro che mi mandò in bestia.

Ormai, decisa delle mia azioni, mi lancia dall’albero e atterrai sopra di lui, stringendogli l’enorme collo muscoloso son i bracci; Garret iniziò a dimenarsi, a distendersi nel terreno con la schiena sperando di schiacciarmi ma sentire addosso tutta la sua pelle non fece che eccitare la mia sete. I suoi graffi era come carezze per me, la sua forza non contava nulla. Gli afferrai la zampa destra anteriore e concentrai la pressione sulle mani. Non passò un secondo che sentii lo scricchiolio delle sue ossa, e un urlo straziante proveniente dalla sua gola. Lo lasciai cadere mentre si contorceva per il dolore.

“È andata male ’’, dissi prima di riprendere la corsa da dogli le spalle. Dopo due secondi mi trovavo a cinque chilometri dall’uscita del bosco. Oltre le foglie vidi i raggi del sole filtrare nel bosco fitto. Non mi fece male, ero abbastanza riparata dall’ombra.

Ritornai a camminare calma sapendo che Garret non sarebbe più venuto a darmi fastidio con quella zampa rotta fino a che non si sarebbe guarita. Comunque se si sarebbe fatto vivo, cercando di rischiare la pelle, c’avrei provato gusto a spezzargli un altro arto.

E di colpo silenzio, ero abbastanza lontana per non sentire le urla strazianti di Garret. Tutti gli animali erano scappati via per la paura durante lo scontro, compresi anche Larry. Mi dispiacque enormemente averli spaventati ma Garret avrebbe dovuto essere più bonario.

Mentre camminavo i miei pensieri volarono su un altro mondo costringendomi a fluttuare su ricordi o momenti futuri che ora non ho la vaga idea di cosa stessi immaginando, fui talmente assorta nei miei sogni che quasi non mi accorsi che qualcosa mi vibrava dalla tasca del pantaloni. Afferrai il cellulare a pensai ad un'unica parola “Mamma”, di sicuro me lo aveva messo lei quando ero tanto vuota da non poter pensare.

“Pronto’’, risposi.

“Alexia’’, rispose una voce che conoscevo. Per un secondo rimasi pietrificata, tanto che il respiro del ragazzo accanto si fermò.

“Louis!”, urlai sorpresa, piena di lacrime. Mi lasciai cadere sull’erba, di colpo non mi sentii più le gambe.

“Ciao’’, mi salutò con voce lieve. Forse stava per piangere anche lui.

“Ciao’’, singhiozzai.

“Come stai?’’

“Come vuoi che stia se non ti ho sentito e visto per due giorni?’’

“Mi dispiace’’

“non perdere la calma, non perdere la calma’’, mi ripetevo. “Perché non ti sei fatto sentire? Temevo che non mi volessi più… sono rimasta a digiuno per due giorni interi, e non ti dico altro’’

Restò zitto per un minuto buono, facendomi intuire che fra qualche secondo avesse riagganciato. Non volevo lasciarlo nemmeno al cellulare.

“Alexia…dovevo restare per un po’ a casa, sai…per ritrovare la calma’’

“E non mi potevi avvisare?’’, sputai. Ora le lacrime avevano lasciato posto al colore rosso delle pupille.

“Avevo la febbre. Mamma si è spaventata e per tutti e due i giorni mi ha fatto rimanere al letto’’

Concepii l’idea che infondo la madre aveva fatto bene a tenerlo buono. Sospirai controllando se nella sua spiegazione ci fosse una qualche bugia. Non la trovai, per sua fortuna era salvo.

“Ritorna, ti prego ’’, lo supplicai dopo con dolcezza.

“Tornerò, mi dispiace per averti fatto del male ’’

“Già’’

“Già’’, mi fece eco con un suono di voce imbarazzata.

“Ti amo ’’, riuscii a dire poi.

“Anche io, Alì, non sai quanto. Ce l’hai ancora l’anello?’’, mi chiese.

Sorrisi divertita, alzai la mano come se fosse davanti a me e mostrai l’anello. “Sì, ce l’ho ancora nel dito’’

“Verrò a trovarti domani, mamma anche oggi mi fa restare immobile al letto; non vuole che tocchi anche il cellulare ma io ti ho chiamato di nascosto’’

“È arrabbiata con me’’, affermai controvoglia, sentii come un senso di colpa nella voce.

Lui sbuffò. “Ma no, è arrabbiata con me piuttosto. Ti ama così tanto”, e in effetti aveva ragione.

“Sì ,lo so’’, risposi sorridendo.

“Si è preoccupata per te ’’

“Non poteva telefonarmi?’’

“Non voleva disturbare. Temeva di scontrarsi contro i tuoi genitori’’

“Salutamela di cuore’’

“Certo, lo farò ‘’, promise e dall’altra parte sentii qualcuno che avanzava e apriva la porta, una voce femminile lo chiamò, e lui riappese subito. Non mi arrabbiai se non mi aveva salutata, ero così felice di averlo sentito che feci salti di gioia e mi aggrappavo da un ramo ad un altro, feci capriole in aria e corsi verso casa. Però c’era sempre un dubbio che mi formicolava la mente: la voce della femmina non sembrava quella della madre, ma era anche probabile che da quell’aggeggio tecnologico le voci si sentissero diverse da come sono nella realtà, d’altronde dovevo anche buttarlo via perché era malandato.

“Mamma, papà, sono tornata!”, urlai mentre avanzavo verso il salotto e mi abbandonavo alla poltrona. Subito papà spuntò dal corridoio con i capelli spettinati e una faccia di chi aveva dormito poco. Quando mi vide così attiva gli s’illuminò gli occhi.

“Piccola mia, dove sei stata? Sei così rosea sulle guance? Che ti è successo?’’, chiese mentre mi stringeva e mi accarezzava il viso.

“Ho scoperto di essere una stupida, tutti qui’’, risposi sorridendogli piena di gioia. Lui alzò le sopracciglia, confuso.

“Louis mi ha chiamata e abbiamo fatto pace. Si è risolto tutto’’

Sospirò di sollievo. “Bene, bene”

“Mi dispiace del mio atteggiamento poco fa’’, mi scusai accarezzandogli il viso e la testa, era un atto di affetto che gli mostravo fin da bambina quando gli volevo tanto bene. Mi prese il viso e mi baciò la fronte, sentivo le lacrime sulla mia pelle.

“Ti amo tantissimo’’

“Anche io ti amo papà’’, e mi lasciai cullare dalle sue braccia, il calore del suo corpo era tale da lasciarmi cadere nel sonno, non mi accorsi nemmeno di aver dormito così bene e tanto che quando mi risvegliai dalla poltrona mi accorsi erano le tre del pomeriggio, e papà non era più accanto a me ma ai miei piedi, e guardava la televisione. Restai immobile nel posto sperando che il sonno mi avvolgesse all’improvviso ma non accadde niente. Avevo dormito abbastanza quel giorno. Dall’altra parte della stana sentivo mamma che sparecchiava, Consuelo giocava di nuovo con le sue bambole. Nessuno mi aveva svegliato per mangiare, infatti il mio stomaco ne richiamò l’appetito.

Decisa, mi alzai e spostai la coperta che qualcuno mi aveva messo e mi stiracchiai per bene. Papà sorrise e mi diede nei colpetti sulla gamba dandomi la ben svegliata. Sorrisi e sfrecciai dalla cucina.

“Ciao mamma!”, lai salutai.

Lei sorrise e mi venne in contro. “Tesoro, hai dormito bene?’’, mi chiese sciogliendo l’abbraccio. Dal suono della sua voce mi accorsi che era più allegra di me, per un secondo mi fece pensare il peggio.

“Sì, ho dormito come un ghiro’’, risi.

“Ben svegliata, Alexia”, disse una voce calda, mi voltai verso la melodia e mi accorsi che non eravamo in due. Ovviamente. Ecco cos’era quella strana sensazione di silenzio nella cucina e la gioia infinita di mamma. Alucard era seduto comodamente su una sedia, e teneva con una mano un bicchiere di sangue posato sulla tavola, e mi sorrideva.

Non ricordai quanto odio mi scorse nelle vene in quel momento, ricordai solo che avevo uno sfrenato desiderio di azzannarlo, togliergli dalla faccia quel sorrisetto da saputello.

“Che ci fai tu qui?’’, gli chiesi fredda, a braccia conserte davanti a lui.

“Volevo venire a vederti, tua madre mi ha raccontato che hai avuto dei momenti critici…. E mi ero preoccupato’’

Digrignai i denti. “Non mi pare che in questi ultimi due giorni ti eri preoccupato per me”

Mamma mi venne subito in contro e mi afferrò per un braccio nel tentativo di calmarmi, ma il suo tocco non lo sentii più per quanto ero concentrata sull’obbiettivo.

“In questi ultimi due giorni non ero stato a Solemville”, precisò spegnendo il sorriso. “Mio padre voleva avere notizie dei miei giorni e ha mandato a chiamare. Se lo avessi saputo il giorno prima te lo avrei detto ma la lettera è arrivata tardi e ho dovuto partire subito’’

“Mi sembra che anche Drakon avesse le gambe per venire da noi’’

“Tu non lo conosci, non sai le sue decisioni come variano. Ma presto, molto presto, ritornerà. Gli ho parlato di te ’’

E qui casca l’asino. Odiavo quando vinceva lui, me la dava sempre per vinta. Restai immobile per qualche minuto, decisa di scacciare via quella vergogna riempiendolo di morsi, ma ormai mi conoscevo abbastanza bene per non essere il tipo di assassina come gli altri miei simili.

Sciolsi i muscoli e lasciai che i canini mi si ritirarono, il rosso degli occhi però sarebbe rimasto per qualche minuto.  Quando mamma si accorse che ero totalmente calma mi staccò le mani dal braccio e ritornò a prendere il mio bicchiere che aveva riempito di sangue. Con calma, mi fece sedere e appoggiò il bicchiere davanti al mio sguardo. Ma, stranamente, non avevo più fame, nella mia testa facevano capolino mille sentimenti tra cui: rabbia, confusione, affetto e vergogna. Mi fiondai accanto a papà, sperando che il rossore e il rimorso scomparvero del tutto dalla faccia.

Cercai di distrarmi dalla televisione ma non servii un granché, papà si fiondò sull’argomento dello sport e mi toccò partecipare se volevo dimenticare la figuraccia di poco fa. Dopo mezz’ora il duo in cucina si unì a noi, e cominciammo a parlare. Consuelo venne da noi poco dopo che ebbe finito di studiare, mi si sedette sopra le gambe e ascoltò la conversazione in silenzio; ora che avevo lei vicino non mi vergognai più di niente. Mi serviva la sua presenza, volevo anche riprendere quella vicinanza che due giorni fa non gli avevo concesso.

“Che cosa hai detto a Drakon?”, chiesi ad Alucard quando ci trovammo solo io, lui e Consuelo nel salotto. Mamma e papà erano andati a fare una passeggiata e probabilmente poco dopo si saranno fermati in un negozio per fare le compere. Se non fosse stato per il mio intervento a quest’ora ci saremmo trovati indecisi ambedue su cosa dire, e il silenzio tombale sarebbe durato in eterno. Consuelo sonicchiava beata fra le mie braccia, ora che avevo cacciato il calore del mio corpo era diventato gradevole.

Riprendiamo l’argomento del “papà timido”.

“Tutto, gli ho parlato tutto del giorno del tuo compleanno’’

“E lui che a detto?’’

“Naturalmente non se lo sarebbe mai aspettato…. Nel senso positivo, ovviamente’’

“E dove si trova adesso?’’

“Verso nord, ai confini nella terra dei licantropi’’

Mi venne un forte brivido sentendo la parola “licantropi”, quelle creature notturne erano state nostre nemiche dai tempi antichi. Si cercava sempre di evitarli, e al solo pensare che Drakon era andato proprio nella loro terra…

“Deve stare attento ’’

Lui rise beffardo. “Su questo non ti devi preoccupare, Alexia. Papà ha un legame….d’amicizia con quei cani’’

“Co-come?’’, non riuscivo nemmeno a capire le sue parole, figuriamoci il significato. Quando mai un vampiro è amico di un licantropo? Nessun vampiro si sarebbe mai sognato di andare da un lupo e chiedere “ehi! Ti va di diventare amici?’’, di sicuro ti avrebbe scannato vivo. Strinsi forte la mia sorellina, come se una di quelle bestie si trovasse proprio davanti a noi.

“Non è oltretutto profondo la loro amicizia. Ancora i licantropi lo temono, ma ne stanno alla larga. Il patto è chiaro: loro non danno fastidio a Drakon e Drakon non da fastidio a loro’’

“Ma da quanto questo patto?’’

“Da tre anni prima della tua nascita’’, sorrise dolce.

“Ma come ha fatto?’’

Sbuffò. “Non lo so, e non lo voglio sapere. Non mi importa un cavolo di quei cani puzzolenti, fanno bene a restare dove stanno e con le orecchie basse’’, disse disgustato. Risi divertita.

“Ce l’hai a morte con loro, o sbaglio?’’

Mi guardò freddo. “Sì’’, mormorò infine.

Alzai un sopracciglio. “Ti hanno fatto qualcosa di male?’’

“Un anno prima della tua nascita, e tre mesi prima che nostro padre conoscesse tua madre…’’, le ultime parole lo disse con un sussurro. “…lui mi invitò a conoscere la terra dei licantropi, forse per instaurare un buon rapporto più amichevole….o qualche altra scemenza inventata da mio padre. Fatto ‘sta che non appena un lupo mi vede non ci pensò un secondo ad attaccarmi. Mi aveva scambiato per un invasore’’, sputò fra i denti. Allo stesso tempo alzò una manica della sua giacca e ne mostro un enorme morso largo quanto il suo palmo, delle piccole fossette che mostravano sue mezze lune distati fra loro di tre centimetri. Le fossette sarebbero state le impronte dei denti di quel ragazzo-lupo. Spaventata, ma anche sorpresa, mi avvicinai a lui, prima appoggiando delicatamente Consuelo sopra la poltrona. 

Gli accarezzai la pelle diafana del braccio, la mano mi tremava perché ero timorosa di fargli del male.

“È enorme’’, mormorai. “Deve averti fatto molto male ’’

Sogghignò. “Il morso del licantropo è doloroso, quasi mortale, a differenza del vampiro che è estasiante’’

“Con un morso del genere il vampiro muore’’

“Nel mio caso, sono un vampiro fortunato’’, rise.

Io invece rimasi pietrificata, consapevole che se qualcuno in quella terra non l’avesse salvato a quest’ora non sarebbe accanto a me, a fornirmi spiegazioni su Drakon oppure su altri mondi e la sua natura. Sentii il cuore stringersi in una morsa di dolore.

“Non devi star male per me Alexia’’, disse, accarezzandomi la guancia.

“Ma come hai fatto a guarire?’’. Solo quello contava per me: che fosse guarito e che stia bene.

“Dopo che mi aveva morso, svenni per il dolore, in tal modo non mi accorsi come mi avessero guarito. Quando mi svegliai sul letto mi ritrovai il braccio infuocato dall’effetto cruciale che ebbe il morso su di me, era quasi mortale. Il dolore durò una settimana intera, e per una settimana intera non cacciai, ne potei uscire. Non mi piaceva rimanere disteso sul letto ma non potevo nemmeno muovermi, la medicina del licantropo doveva circolarmi il tutto il corpo se volevo vivere ancora. Mi ricordo perfino che chiesi di imputarmi il braccio malato per quanto ero…straziato dal dolore, ma in quel momento ero in agonia e non sapevo quello che dicevo’’, rise imbarazzato.

“E Drakon come ha reagito?’’

“Si era arrabbiato con se stesso, non poteva prendersela con quei cani altrimenti per lui e per me sarebbe stata la fine. Con i licantropi è facile far perdere la pazienza’’, e la stessa cosa valeva per Louis.

Concordai con un sorriso, e poi ritornai ad accarezzargli l’impronta dell’enorme morso, mostrando una smorfia di dolore; per una frazione di secondo pensai che avrei voluto esserci io al posto suo.

“Ti fa male?’’, chiesi dopo.

Sorrise appena. “Un po’ comincia a bruciare quando mi ricordo l’accaduto’’

“E desso ti brucia’’, affermazione plausibile.

“Sì’’, rispose. E di nuovo calò il silenzio, non sapevo se dirgli quanto mi dispiace oppure cambiare argomento. Rimasi ad accarezzargli il braccio, incerta, mordendomi il labbro, e immaginando l’incidente di diciannove anni fa. Intorno a me non c’era nessun rumore se non il respiro di Consuelo e il battito del suo cuore. Probabilmente anche Alucard lo sentiva, ma rimase a guardare me.

Mi sembrò essere passato così tanto tempo quando lo sentii ridere. Lo guardai torva.

“Mi chiedo avvolte perché sei così gentile con me’’, disse.

Arrossii leggermente. “Certe volte me lo chiedo anche io’’.

“Non dovresti’’

“Ormai è troppo tardi per cambiare idea’’, e fu proprio in quel momento che mi chiesi se la mia vita sarebbe stata così perfetta. Troppi, troppi cambiamenti, una parte di me diceva che era la cosa giusta da fare e che la vita era un’avventura alla quale si doveva affrontare ogni pericolo, un’altra parte mi diceva che era molto pericoloso e che dovevo lasciar perdere tutto e ritornare ad essere la Alexia Kennedy di una volta.

Se avrei ceduto a quel cambiamento, il piccolo pezzo che si era unito al mio vaso di cristallo si sarebbe staccato, e Alucard sarebbe andato via. Drakon sarebbe scomparso di nuovo dalla mia vita, anche se non lo conoscevo, e sarei caduta di nuovo in depressione. Non mi andava di lasciare Alucard, sentivo che era la chiave del mio futuro, sentivo che grazie a lui avrei restaurato un buon rapporto con il mio padre biologico.

Staccai lo sguardo dal morso solo quando sentii Consuelo muoversi appena e mugugnare.

“Forse è meglio che la porti al letto’’, suggerì Alucard parlando un tono così lieve che Consuelo non poté sentirlo, ma io sì. La presi in braccio, facendo attenzione a non svegliarla, e la portai nella sua camera, levandogli piano le scarpette che indossava. Si mosse un pochino non appena la coprii col piumone e poi nient’altro. Probabilmente aveva dormito poco a causa delle mie urla dei giorni precedenti, lo stesso valeva per i miei genitori. Avrei voluto restarle accanto, ma ero talmente curiosa dell’argomento sui licantropi e altre cose.

Chiusi appena la porta della cameretta e poi sfrecciai verso Alucard. Lo trovai immobile come una statua che soltanto quando mi ritrovai seduta nella poltrona si mosse. Questa volta mantenni le distanze, mi sedetti con le gambe piegate addosso al petto e le braccia che le circondavano. Alucard invece era sempre composto in posizione educata e impeccabile. Un po’ gli provavo invidia.

“Com’è nostro padre?’’, chiesi dopo qualche secondo di silenzio.

“Preferirei che lo conoscessi dal vivo’’

“Non so se ne avrò il caso’’

“Lo avrai. Ne sono sicuro ’’

“E tu che ne sai?’’

Mi fece l’occhiolino. “Tu fidati di me’’

“Mi fido ciecamente di te ’’, non sapevo di chi fidarmi in quel momento, con quei cambiamenti la ragione cominciava a diventare più confusa….mi faceva apparire più umana.

“È di me stessa che non mi posso fidare’’, precisai.

In un attimo mi fu accanto. “Non devi avere paura della tua natura, Alexia’’

A quanto pare ci becca sempre. “Ma tu non hai mai avuto paura di te stesso?’’

“Sempre, perfino quando ti sto accanto’’, sorrise rammaricato. Mi cinse le spalle con un braccio.

“E allora non dire che non devo avere paura di me stessa, dato che siamo uguali’’

“Ti sto facendo capire che la mia natura al confronto della tua non è niente. Tu ti puoi ben controllare perché sei per metà umana’’, e mi accarezzò dolcemente il calore umano sulle mia guance. “Io invece sono un mostro al 100%. Quindi non devi temere di niente, tu’’

Sulle prime mi convinse, ma poi non ero certa del tutto. Non ero mai stata così vicina ad azzannare Louis qualche giorno fa. Dubitavo della sua descrizione. Ma alle sue parole non si poteva mai dare per scontato.

“Io non ho paura di te ’’, mormorai.

Si irrigidii nelle spalle. “Se non fossimo fratellastri, e se non saresti mezza vampira, scommetto che ti farei molto ma molto paura’’

“Ma per fortuna non è così, giusto?’’

“Posso capire il motivo della tua perplessità, Alexia?’’

“Ti dirò mio caro Alucard, che un morso in piena gola mi lascerebbe molto ma molto perplessa’’

Rise così forte che il rumore riecheggiò fra i le pareti del salotto. Consuelo arrestò il respiro leggero e temei che si fosse svegliata, ma poi ritornò a respirare lievemente e si rilassò sul materasso. 

“Non devi temere la tua natura Alexia perché è ben controllata’’

“Vorrei tanto che fosse lo stesso per te ’’

Mi accarezzò la testa e di nuovo la guancia, puntando lo sguardo sulla vena della gola. Avevo ragione io, non avevo paura di lui, non ne avrei mai voluta. Restò un attimo di sasso poi rise.

“Che c’è?’’, chiesi, guardandolo confusa.

“Il tuo cuore’’, rispose.

“Che ha il mio cuore?’’, ascoltai il battito, era normale. Per un momento c’ero rimasta pietrificata.

“Ha lo stesso rumore di quando eri appena nata’’, disse dolce.

“Ah’’, risposi. E poi di nuovo il silenzio, finché non parlò di nuovo.

“Posso fare una cosa?’’, mi chiese. La sua voce era incerta, come la sua espressione. Strinse le labbra.

“Sì’’

“Però non ti muovere’’

“No’’, risposi perplessa.

Anche lui per un momento rimase perplesso ma avvicinò lo stesso il viso al mio petto fino a scontrare l’orecchio al punto in cui si trovava il mio cuore. Sentivo il contatto caldo della sua testa oltre la mia maglia di lana. Addirittura non so cosa avrei desiderato sentire la pelle fredda di un vampiro, ma ormai sarei stata circondata in eterno da persone calde; non ebbi rimorso per questo, c’ero abituata e la cosa non mi dava fastidio.

Rimase immobile ad ascoltare il mio cuore per….non ricordo per quanto tempo, mi sembrò soltanto un’eternità, finché non sentii una risata.

“È lo stesso battito che avevo quando ti avevo preso fra le braccia’’, ripete.

“Davvero?’’, chiesi commossa.

“Sì, identico. Pensavo che sarebbe cambiato….e che si sarebbe trasformato in battito umano con l’andare del tempo e invece me lo ritrovo sempre uguale’’, disse sempre immobile contro il mio petto.

“Ricorda che sono per metà un morto vivente, quindi il cuore deve lavorare per mantenermi in vita’’

“Questo è vero. È bellissimo sapere che ancora è lo stesso. Ma è più bello sapere che sei ancora viva’’

Farfugliai una scusa per non entrare nella soglia del pianto. “È l’unico cuore che batte a velocità inumana quindi sarà facile per te coglierlo anche a mille chilometri di distanza’’

“Nessun battito umano mi confonderà per trovarti nel caso ti venissi a cercare’’, mormorò staccandosi da me e guardandomi dolcemente.

“Ehm…credo che sia… plausibile questo’’, balbettai.

Rise divertito quando sentii il sangue pomparmi nelle vene, quanto avrei desiderato non arrossire. Abbassare lo sguardo sarebbe stato un comportamento infantile, appoggiai la testa sopra la sua spalla attentamente, mostrandogli un gesto normale. Lui mi lasciò fare con comodo, stringendomi fra le braccia in un modo paterno. Cercai di sentire, oltre il suo odore, il respiro debole e lento. Era come un tornado leggero dentro una pietra dura e vuota. Era una sensazione orribile non sentire il suo cuore battere, forse era lì ma ormai ridotto in mille pezzi…forse del suo cuore ne rimaneva soltanto polvere. Chissà se gli mancava sentirlo, o se c’era ormai abituato al silenzio sordo dell’unico muscolo vitale.

Rimasi così per molti minuti….forse feci passare un’ora intera, ma lui non se ne preoccupò. Ognuno ascoltava il rumore vitale dell’altro.

Era una sensazione normale per me, forse la più familiare, era comodo stargli accanto finché non sentii i passi di mia madre e di mio padre che avanzavano verso casa. Frustrata, mi levai da Alucard prima che sentii mamma aprire la porta, e mi misi accucciata accanto al braccio destro della poltrona. Alucard, invece, rimase in posizione educata e con le gambe accavallate.

Vidi papà essere preso contro piede quando ci vide sulla poltrona, mamma sfoderò un sorrisetto di quelli da bambina e si incamminarono insieme nella cucina per appoggiare le buste sopra il tavolo. Io e il mio fratellastro rimanemmo immobili ad ascoltare il rumore delle buste e gli oggetti che tiravano fuori per appoggiarli in ogni parte della cucina.

Papà fu il primo a sedersi sulla poltrona, in mezzo a noi, per creare una barriera tra il mio fratellastro. Dietro le spalle di papà, lo vidi scoccare un sorrisetto.

“Non pensavo che eri ancora nel salotto’’, disse piano, in modo che solo io potevo sentirlo. Magari fosse stato vero.

“Ehm…mi sono messa a parlare con Alucard. Perché?’’

“Niente, immaginavo soltanto che eri con Consuelo e che lui era tornato a casa ’’

Risi sotto i baffi, dandogli tre colpetti sulla spalla. “Non dirmi che adesso sei geloso?’’

“No”, rispose con un’espressione disgustata e imbarazzata allo stesso tempo. Sentii una risata lieve di Alucard dietro la schiena di papà. Quel che vedevo di lui era solo la sua fronte pallida e i suoi capelli ribelli che gli contornavano la testa. D’un tratto mi trovai a disagio con papà, sapevo che voleva incoraggiare una certa separazione d’affetto fra me e il mio fratellastro, anche se lo trovava simpatico e cordiale. Troppi cambiamenti. Temeva solo per la relazione che avevo con Louis, arrossii inconsapevolmente quando capii che Hendrik stava pensando che mi trovavo sulla soglia dell’infatuazione da parte di Alucard. Mi ritrovai a guardare torva papà e rossa davanti ai suoi occhi.

Avrei farfugliato una scusa per cambiare argomento, oppure me ne sarei andata dal salotto per andare a leggere qualche libro per distrarmi se non fosse arrivata mia madre, ma per fortuna era già nel salotto quando papà stava per aggiungere un’altra parola.

“Bene, che cosa hai fatto mentre io e tuo babbo siamo andati a fare la spesa?’’, mi chiese sedendosi accanto a suo marito, quindi vicino ad Alucard. Ora mi sentivo troppo distante da lui.

“Ho parlato con Alucard per ammazzare un po’ il tempo, e ho messo Consuelo a dormire’’

“Ah”

D’un tratto mi resi conto che, per la prima volta, era difficile parlare con i miei genitori, soprattutto se accanto a noi ci fosse Alucard. Che mi avesse lanciato un altro dei suoi incantesimi, non ero sicura. Accanto quel disagio che mi procurava papà, lo sguardo guardingo di mamma e il silenzio morente di Alucard non faceva che innervosirmi sempre di più. E il silenzio non incoraggiava di certo la situazione, per qualche secondo avrei voluto essere al posto di Consuelo.

Forse passò, per quel che mi parve, mezz’ora di silenzio prima che Alucard non distrasse i miei genitori. Chissà, forse si stava divertendo nel vedermi in difficoltà. Parlò in modo chiaro, cordiale, educato, scandì con precisione sillaba per sillaba, la sua voce rassicurava sia mia madre che mio padre. Lo invidiavo, era un professionista, e per questo lo invidiavo, per me ci saranno voluti dei mesi prima di apparire impeccabile sia nelle parole che nel comportamento.

Riassunse la nostra conversazione: parlò dei licantropi, del suo incidente (mamma ne era già al corrente), tralasciando però il momento in cui si avvicinò al mio petto per sentire il battito del mio cuore, risparmiandosi un bel morso in piena gola.

Non mi sentii più a disagio, ma non intuii nemmeno che stava usando il potere su di me, forse questa volta fu il suono della sua voce a rilassarci. Era meraviglioso starlo ad ascoltare mentre raccontava, e mentre raccontava non mi resi conto che il tempo era volato ed erano le sei della sera. Fuori era buio pesto, le strade illuminate da lanterne….e Consuelo ancora dormiva.

Alucard si mise a guardare dalla finestra e si alzò di scatto. Papà lo salutò, mamma lo accompagnò dalla porta accanto a me, mentre io uscii insieme a lui e gli feci compagnia fino a che non mi avvicinai alla panchina in cui qualche giorno fa mi svegliai accanto a lui.

“Grazie per oggi’’, lo ringraziai, c’eravamo fermati.

“Devo ringraziare te per avermi fatto restare per altre ore’’

Risi. “Il tempo sembra volare quando ci sei tu’’, confessai.

“E quando c’è Louis?’’

“È tutto l’incontrario’’

Sogghignò, e poi mi abbracciò. Mi gettai ben volentieri tra le sue braccia, ero elettrizzata all’idea di annusare di nuovo il suo odore, e lui era ben felice di riabbracciare la sua sorella preferita. L’unica differenza sgradevole che notai al primo impatto fu la sua temperatura corporea: era tiepido, il che mi fece capire che doveva andare a caccia.

“Ritornerai?’’, gli chiesi dopo due minuti di silenzio. appoggiai le labbra sulla sua maglia nera, e ne annusai la consistenza. Anche lì era presente il suo odore.

“Sì, te lo prometto. Ammesso che Louis non mi voglia….’’

“Lui….rispetterà i miei desideri’’

Sciolse appena l’abbraccio per guardarmi bene in volto. “Mi odia con tutto se stesso’’.

“È geloso, ma presto finirà. Tu non lo sei mai stato geloso?’’

Sorrise imbarazzato. “Bè, sì’’.

“Ah’’, dissi. Stranamente mi accorsi che il mio corpo divenne un blocco di pietra. Era mai capitato che una sorella – o sorellastra- si preoccupasse del proprio fratello –o fratellastro- riguardo a certi sentimenti? E se lei non fosse stata quella giusta? Però amava una ragazza.

“E lei…è bellissima?’’, soffocai quella domanda controvoglia.

“Forse per questa sera sarebbe meglio tralasciare questo argomento ’’, concluse. Non sembrò ferito dalla mia domanda, né triste o preoccupato, era sempre dolce e sereno.

“Certo’’, risposi un poco frustrata. Probabilmente lei lo aveva ferito andando da un altro…oppure lui non le aveva mai detto la verità. Però che voglia di riempire a schiaffi quella “lei”.

Mi strinse di nuovo e ci rimase un altro minuto che per me sembrò volare. Infine mi si avvicinò teneramente alla guancia destra e mi scoccò un tenero bacio – il primo bacio che mi avesse dato- e poi sciolse l’abbraccio, non c’erano dubbi che rimasi pietrificata quando mi baciò la guancia.

“Domani non ci vediamo, devo nutrirmi sempre bene quando decido di venire a casa tua, magari il giorno dopo ’’, mi avvisò prima di andarsene.

“Fai quello che ti senti di fare, ma stai attento. Non voglio che ti capiti niente’’

Si piegò in due dalle risate. “Come se fosse la natura ad essere la mia cacciatrice e non l’incontrario. Andiamo, Alexia, sono il predatore più pericoloso del mondo, che vuoi che mi capiti?’’, sbuffò.

“Non si può mai capire cosa si preserverà il futuro. E poi ti chiedo solo di stare attento e di ritornare vivo’’

“E io ti chiedo di stare attenta per un giorno al tuo avvenire, e di non perdere questa’’, e afferrò con le dita lunghe e pallide il bottone ci ghiaccio che riposava contro la mia pelle calda, lo annusò rapidamente, e poi ritornò a guardarmi più intensamente di prima.

“Tranquillo, non me la perderò, è l’unico oggetto che mi permette di conservare il tuo odore, quindi lo troverai appeso al mio collo per sempre’’, gli promisi sincera. Quella collana era come un tesoro.

“Per sempre’’, mi fece eco. Per un momento non capii perché sembrò parlare fra se piuttosto che essere rivolto a me, e decifrò le due parole come un bisogno estremo, come una certezza.

Alla fine mi sorrise, mi diede un altro bacio sulla guancia il quale mi bloccò il respiro come la prima volta, e poi scomparve davanti a me.

Stetti ad annusare la usa scia finché non scomparve, a quel punto mi sedetti sulla panchina lasciando che i miei pensieri mi percossero la testa. Pensavo al mio destino, ai molti cambiamenti, a cosa sarebbe stato il mio futuro. Sarei cambiata nel corso dei mesi, e sarebbe cambiato anche il mio stile di vita. Questo era solo l’inizio della mia nuova vita, una sfida per riconoscere i cambiamenti che mi avrebbero portata al bene e quelli che mi avrebbe portata al male, sarei stata pronta ad affrontarli tutti pur di ricomporre quel vaso di cristallo che da anni aspettava che si cominciasse a ricomporre. Anche se questo mi avrebbe portata ad un pericolo molto rischioso. Dopo tutto nella vita si doveva affrontare tutto, e non si poteva ritornare indietro per cambiare tutto. Però sapevo che infondo il finale sarebbe stato il migliore di tutti.

Ero così concentrata sui miei pensieri che non mi accorsi che papà si era avvicinato a me, e per questo sobbalzai quando appoggiò la mano sulla mia spalla.

Mi si sedette accanto. “Alì, che hai?’’

“Niente, ero soprappensiero’’

“Già, lo immaginavo. Ma…che ti ha detto Alucard?’’

Lo guardai torva. “Da quando in qua ti preoccupi di quello che mi dice Alucard?’’

Borbottò qualcosa, ma non preferii ignorare anche le parole meno percettibili ma che io capivo ugualmente. Sospirai in attesa di una risposta che non arrivò.

“Papà, io amo Louis e lo amerò per sempre se è questo che vuoi sapere. Quello che c’è tra me ed Alucard è solo…un affetto fraterno, punto ’’, risposi ferma.

“Questo lo so…ma non desidero che ti staccassi dal tuo fidanzato. Ci tengo molto a lui’’

“Come se io non ci tenessi abbastanza’’

E nessuno parlò, aspettammo in silenzio che ognuno parlasse per primo trasformando quello spazio tenebroso un po’ goffo.

“Senti…ma a te piace Alucard?”, esitai. Ero sicura che papà avrebbe apprezzato chi volevo bene a condizione che io fossi felice.

“Sì, certo che mi piace, è molto cordiale, educato, un bravo ragazzo insomma. Perché?’’

“Niente…così’’

“Però non vorrei che rovinasse la relazione….’’

“Ehi, non succederà niente, da quando in qua ti preoccupi di Alucard? E poi negli anni passati non mi sembrava che lo odiavi come lo odiavo io. Alucard è….diciamo che è diverso….è il mio fratellino e non voglio perderlo’’

“E all’antica’’, aggiunse.

Probabilmente. “Già, ma che importa? Insomma, dovremmo essere fortunati che è…ben controllato’’, risi.

Ammiccò una risata, e ritornò serio. “Spero che non succeda’’.

Allo stesso tempo immaginai quel momento e mi venne un forte brivido lungo la schiena. Mi strinsi nelle spalle.

“Non succederà. Ora ti devi solo preoccupare del mio comportamento verso Louis, sai bene quanto me che in certi momenti so essere molto più feroce del lecito’’, e mi misi in posa d’attacco con i canini in bella mostra, gli occhi rossi, un sorriso eccitato.

Mio padre non fece un passo indietro, sapeva che scherzavo, e mi venne in contro per abbracciarmi. Scoppiò a ridere, ero la sua figlia preferita, si notava. Anche se avrei cacciato un umano non avrebbe mai avuto paura della mia natura.

Con la mano dietro la schiena mi condusse verso l’entrata. Io gli stavo attaccata e appoggiavo la testa alla sua spalla, entrammo dentro casa appena in tempo che mamma aveva apparecchiato e stava preparando la cena. Mi offrii per aiutarla mentre papà si sedette come tutte le sere nel salotto e accese la TV, e mentre tagliavo i pomodori dovevo trattenere l’impulso di prendere una molletta dei panni e metterla sul naso. 

Ritornai nella stanza e feci i compiti che i professori mi avevano assegnato quella giornata, le mie dita scorrevano veloci nel foglio del quaderno tanche he sembravano invisibili e allo stesso tempo coglievo la risposta giusta, precisavo le formule, spiegavo in un ragionamento veloce come un proiettile. Quindici minuti dopo mamma mi chiamò, ma io avevo già finito da cinque minuti, e scattai verso la camera di Consuelo per svegliarla. Era ancora con gli occhi socchiusi quando farfugliò il mio nome.

“Ehi, ben svegliata’’, le dissi dolcemente, accarezzandogli la fronte. Lei alzò appena i lati delle labbra per mostrare un sorriso, ma poi ritornò a chiudere gli occhi. Paziente, la feci dormire ancora tre minuti per poi prenderla attentamente in braccio, senza svegliarla. Uscii dalla stanza in passo umano e la distesi sulla poltrona, appoggiando la testolina sulle mie gambe, mentre papà era già andato a tavola a mangiare. Avvisai a mamma che ero già sazia da quella mattina e lasciai che la sorellina si svegliasse lentamente con i rumori provenienti dalla cucina. la ascoltavo respirare, mormorare qualche frase, mugugnare, e sentivo il suo respiro lieve e lento, il suo cuore meno potente del mio e piccolo. Sarebbe stato un peccato spezzarlo. E finalmente capii come Alucard mi sopportò tutta la notte restandomi accanto.

Si svegliò lentamente, sussurrando di nuovo il mio nome e mi avvinghiò le braccia al collo, sapevo che non aveva voglia di camminare perciò la presi fra le braccia e la portai in cucina dove mamma e papà stavano terminando di mangiare.

Dopo cena mi invitò nella sua stanza dove parlammo dei suoi compagni, di Louis fino a cadere sull’argomento di Alucard.

“Come lo trovi Alucard?’’, mi chiese. Era accovacciata a me, sopra le coperte, io ero sdraiata da un lato e la stringevo a me. il suo respiro caldo si scontrò contro la mia pelle e mi riscaldò tutto il corpo. Aveva avvicinato l’orecchio al mio petto per sentire lo scorrere veloce del sangue e il pompare del cuore. Questo atteggiamento lo aveva preso da me, dato che facevo la stessa cosa con Alucare. Io di già ero rimasta impietrita nella domanda.

Corrugai la fronte. “Ehm….Io lo trovo molto intelligente ed educato. Tu?’’

Ci pensò su per qualche secondo e poi ritornò a parlarmi. “Anche io lo trovo intelligente ed educato, ma non pensi che sia bellissimo?’’, le si accese gli occhi con dei lucciconi di speranza. Mi venne una fitta allo stomaco.

“Arriva al punto ’’

Si irrigidì, e strinse le labbra, ma dopo un minuto di indugio sciolse il ghiaccio. Vedevo nel buio il suo nervosismo. “Non pensi che sia anche molto bello?’’, aggiunse.

Mi considerai fortunata che non riuscisse a notare la mia espressione. “Ehm…sì, certo, è molto bello. Perché me lo chiedi?’’

Vidi i suoi occhi illuminarsi di speranza. “Tu pensi che io gli piaccio?’’

Risi sotto i baffi, in effetti era una domanda stupida. “Come si può non resistere ad una bambina come te?’’, mormorai accarezzandogli la testa.

Alzò la testa per guardarmi, il suoi occhietti diventarono subito guardinghi.

“Ma non pensi che Louis…. sia geloso?’’

“Perché?’’

“Non gli piace Alucard, e a me non piace come si comporta Louis’’

“Non ti do torto, tesoro. Anche a me non piace la reazione di Louis, ma mi ha giurato che farà del suo meglio’’

“Io non credo proprio. Credo che le cose andranno a peggiorarsi….me lo dice l’aria, in vento mi parla….’’

E a quelle parole fu come uno schiaffo, come se fosse lei ora la classica padre che mi avvisava di stare attenta con l’uomo che amavo. D’altronde lei aveva il potere della natura, sentiva grazie al vento i rumori in lontananza –quando lo desiderava- e poteva anche comunicare con l’aria tessa. Mi appoggiai sul gomito sinistro e la guardai dritta il faccia.

Era sottinteso che mi disse la verità, era come la mia guida, anche se troppo piccola ed indifesa per questo ruolo. Però era incredibilmente astuta.

“E che ti ha detto il vento?’’, le chiesi impaziente.

Sospirò. “Mi ha detto che devi stare attenta, devi calcolare con attenzione i movimenti di Louis, e soprattutto devi equilibrarti anche con Alucard se vuoi che l’anello di fidanzamento resti nel tuo dito per i prossimi cent’anni; devi anche cercare di modellare il tuo futuro, anche se dovrai affrontare molti pericoli’’, infornò.

Sembrava ridicolo, ma la sua spiegazione mi mise inquietudine, fortuna che Consy non riuscii a notarlo. La accarezzai sulla testa, risi appena tanto da non mostrarle che ero spaventata, e trasformai la voce in una melodia simile al miele.

“Non è probabile che il vento questa volta ti abbia fatto uno scherzetto?’’

Storse le labbra e curvò la fronte. “Non siamo in 1° di aprile’’

Risi. “Quello che c’è fra me e Louis non cambierà mai, ne sono certa. Forse la voce del vento si è sbagliato, o forse hai sentito male tu’’

“Io non sbaglio mai, e poi il vento mi ha detto sempre la verità!”, borbottò.

Mi irrigidii. “Ok, starò attenta. Adesso dormi ’’, le ordinai paziente, accarezzandogli la testa. Lei mi guardò per un minuto intero, con un’espressione di difesa. Non era facile mentire a Consuelo e per farle credere che era tutta una falsa, questo è cero: il vento non sbagliava mai. Però non volevo pensarci, non volevo immaginare un futuro senza Louis, per me non ci sarebbe stato più alcun motivo per vivere.

Dentro di me nacque un’idea terribile, ma anche giusta: se avessi deluso Louis, se lo avessi tradito con un altro, se avessi distrutto la nostra relazione standomene spesso con Alucard….

Era da pazzi, ma ormai avevo deciso: avrei attraversato la terra dei licantropi per farmi uccidere. Alucard aveva detto che il morso del mannaro era mortale, quindi per me non c’era cosa più mortale di quella. Dopo tutto, era un buon modo per morire, giustiziandomi per l’errore che avrei commesso. Non avrei avuto alcun modo per averlo accanto, se non quello.

Lasciai Consuelo immersa nei sogni, quando chiusi la porta alle spalle mi accorsi che tutti stavano dormendo. Tutti eccetto che io, se non ci fossero stati i rumori umani in quel silenzio e buio avrei immaginato che fosse una casa stregata.

Sfrecciaci nella mia stanza e accesi la luce, non mi svestii come facevo quotidianamente, ma avanzai verso la porta-finestra, la aprii e uscii dalla stanza. Fuori volteggiava un’aria frizzante e fresca, le stelle erano chiarissime nel mantello nero della notte, e là, oltre la oltre la compagna, e una sfilza di alberi, decorata dal blu e nero delle tenebre illuminata ai suoi lati dalla luna, i miei occhi misero a fuoco la piccola figura di Redmoon. Ingrandii i gradi degli occhi e notando del castello nuove luci del castello: le finestre filtravano la luce verso le tenebre, illuminate dalle lampade regali del castello e da candele delle stanze. La forma circolare della luna, deposta al fianco destro del castello, rendeva l’abitazione degna di un vero alloggio per il Conte Dracula.

Purtroppo la mia vista non fece granché e mi arrangiai di vedere Redmoon da qualche miglia di distanza dalle mura, senza notare una qualche figura che si muoveva furtiva tra una stanza all’altra. Era appunto per questo che l’aspetto di Drakon per me era ancora un segreto. Cercai di intravvedere Alucard, ma a quella distanza era impossibile.

Quasi ogni mese mi affacciavo dal balcone e mi arrestavo a guardare quella che avrebbe dovuto essere la mia casa se le cose non sarebbero andate in quel modo, era nei giorni in cui mi sentivo combattere contro la natura, oppure quando qualcosa nella mia vita era cambiato, che mi trovavo in quel posticino studiando le forme del castello; si poteva dire che ormai riconoscevo ogni particolare.

Restai lì, immobile a guardare Redmoon, sognando ad occhi aperti, immaginando che anche mio padre mi stesse guardando, e che forse un giorno lo avrei visto davvero. Ero molto certa dalle parole di Alucard.

Quando rientrai mi accorsi che erano passate due ore da quando ero uscita dalla porta-finestra e sinceramente non mi accorsi che era passato così tanto tempo, i giorni cominciarono a scorrere così velocemente senza che io non me ne accorsi per accelerare il momento in cui avrei cominciato a quello che sarebbe diventato “il mio terribile futuro”.

Non appena mi abbandonai sul letto, la pesantezza e la fatica di quel giorno ebbero la meglio su di me, mi addormentai sul momento. 


Ed ecco il quinto capitolo, scusate se tendo a fare sempre dei capitoli infiniti...
sapete no, quando qualcuno a molta fantasia....fa dei capitoli simili a dei poemi XD
Bé...comuque, a parte gli scherzi, vi auguro una buona lettura.
Pultroppo non pubblicherò il prossimo capitolo per un mese a causa di alcuni impegni ma se il tempo me lo richiederà proverò a pubblicare il prossimo racconto.
Mi raccomando, divorate la mia storia con entusiasmo e curiosità, bacioni!!

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Capitolo 7
*** Un ruolo importante per vivere e lasciar vivere ***


Capitolo 6
Il simbolo del libro di Alucard mi guardava minaccioso. Erano le quattro del pomeriggio, mamma e papà erano andati a ronfare nel loro letto, Consuelo era venuta in camera mia e consultava il suo “amico vento” dal balcone. Io ero dentro la stanza, e nelle mani tenevo stretto quello che sarebbe il libro vuoto di Alucard. Solo ora mi resi conto che era la prima volta che prestavo attenzioni a all’oggetto in quella giornata nuvolosa.

Per tanto vi invito a chiarire molte situazioni dei giorni precedenti. Louis era tornato nella mia vita e veniva quasi tutti i pomeriggi, andavamo di nuovo al parco con mia sorella e mi stava accanto più del lecito, così come facevo io, papà era stato così benevolo ad accettare il permesso al mio fidanzato di fare i compiti insieme a me a casa sua in modo da rivedere di nuovo Carey e David ( i genitori di Louis) e di instaurare un buon rapporto con la famiglia.

A scuola le cose erano sempre le stesse: i miei amici rispettavano la mia scelta, Lilly e Jessica mi chiedevano sempre com’era, mentre il gruppo di Louis mi avvinghiava sempre le mani al collo costringendo di più a Louis di farmi da scudo, specialmente con Paul che ogni volta che mi incrociava mi guardava come se mi volesse mangiare. Mi sembravo un’ingrata vendendo Louis innocente e con i suoi amici che lo criticavano solo perché stava con una mezza vampira, era snervante e orribile vederlo indifeso difronte al suo amico più fidato ( in questo caso Paul); continuavo sempre a ripetergli di lasciar perdere ma lui mi ignorava, era chiaro sapere che desiderava nient’altro che la mia felicità. E poi c’era Jennifer che mi guardava sempre con uno sguardo fulminante e minaccioso, un giorno fui sul punto di dargli un bel cazzotto in faccia ma con mio malgrado Hora e Mattew mi fermarono, Louis litigò con lei ma lo costrinsi a fare pace con la sua amica dato che per tanto doveva cavarsela con me e lui non centrava in questa faccenda.

Consuelo continuava sempre a rammentarmi le stesse cose, e cominciai a sospettare che il vento dicesse veramente la verità, che dovevo stare allerta sul mio futuro, e così cominciai a stabilire un certo equilibrio, prestando però sempre di più attenzione al mio fidanzato.

Per quanto ad Alucard: anche lui cominciò a farsi presente in alcuni giorni. E mi raccontò sempre di Drakon, delle sue avventure e del suo passato. Raccontò anche la morte della madre Celesia che è stata provocata da Alucard stesso: uscì dal grembo di sua madre uccidendola dall’interno, il padre le stette lontano per tre giorni, fino a che non lo amò e tollerò come un figlio.

La cosa estenuante era la rivalità tra Louis e Alucard che cominciava a diventare più soffocante, tanto che nelle giornate in cui c’era il mio fratellastro Louis anticipava il momento dell’andata oppure mi tratteneva a lungo nella mia stanza per parlare oppure fare i compiti scolastici delle giornate precedenti. Se però ci ragionavo arrivavo alla conclusione che infondo era meglio così, rendevo comunque felici entrambi: parlavo con Louis tutto il pomeriggio, e con Alucard dopo cena. Ma anche se sentivo che facevo del bene a tutti, non rendeva felice me: non mi piaceva nascondere a Louis le notti in cui mi veniva a trovare il mio fratellastro, però se avessi detto la verità lo avrei ferito a morte e mi avrebbe lasciata. Era dura tener nascosto quel segreto, ma sapevo che stavo facendo la cosa giusta.

Per ora stava procedendo tutto liscio, però sentivo che la prima impresa della mia vita si stava avvicinando e questo mi rendeva ogni giorno più nervosa. Intanto, mi godevo i primi risultati positivi che creavo nella mia famiglia, per due mesi le cose procedettero allo stesso modo.

Era un sabato pomeriggio quello che vi racconterò ora, e avevo deciso di curiosare quel libro vuoto. Accarezzai il simbolo per me tanto importante e sfogliai le pagine. Pensai stupida che questa volta la scrittura si presento nelle pagine ingiallite ma non vidi altro che il nulla.

Decisa, afferrai una penna e scrissi.

16 marzo 1972

Caro diario…

Trovavo originale trasformarlo in un diario segreto, in tal modo avrei riletto tanti momenti della mia vita che mi sarebbero mancati di rivivere, e se avrei sbagliato qualcosa le pagine me lo avrebbero dimostrato. Pensai su cosa scrivere, storsi le labbra, e rimisi penna sul foglio, ma mi bloccai subito non appena vidi le lettere muoversi. E non ero pazza, le lettere si stavano muovendo, poi sbiadirono, diventarono incomprensibili fino a sparire. Restai immobile a fissare il primo foglio voto, e per tre secondi non notai nessuna lettera…..fino a che non ricomparvero nel modo inverso da come erano scomparse.

2 aprile 1677

La data era di duecento novantacinque anni fa, sicuramente non era l’era in cui ero nata. Se prima il libro apparteneva ad Alucard dovevo ben immaginare che era di lui quella scrittura.

Mi misi a leggere attenta ma intimorita allo stesso tempo. Le parole cominciarono a scorrere nel tempo in cui i miei occhi scorrevano tra le righe.

2 aprile 1677

Ormai ho compiuto diciannove anni, il mio corpo non necessita più di cibo umano, ora come ora la mia necessità comincia ad essere il sangue. Mio padre caccia per me la qualità più dolce e prelibata e io ogni ora mi sento pizzicare la gola. Lo ammetto, è un tormento anche se ben presto comincerò ad adattarmici. Raggiunti poi i tre mesi di questo bisogno di sangue il mio corpo comincerà a mutarsi….a cambiare, ed io insieme a lui; e papà continua ad insegnarmi le doti di un vampiro, dato che negli anni precedenti non ne avevo bisogno, mi insegna d’altronde il comportamento durante la caccia : se si dice “la ragione domina sull’istinto”, io la compirò nel modo inverso.

Oggi mi sono svegliato con un leggero cambiamento, oltre al fabbisogno di sangue, la mia pelle ha cominciato ad essere un po’ più chiara rispetto a quella naturale.

Devo essere sincero su quello che scrivo, non penso che la mia natura sia dannata ed altrettanto non la trovo orribile. Purtroppo non posso dire lo stesso per un Mezzosangue che a loro la vita vera è stata spezzata per sempre in una condanna eterna. In fondo sono nato così e per me subire cambiamenti di giorni in giorno è normale, tantomeno diventare un vampiro entro tre mesi.

Per lo più sono curioso, chissà come diventerò poi.

Quando avrei incontrato Alucard, quella sera, glie ne avrei dette di tutti i colori, naturalmente in senso positivo. Ero affascinata del suo avanzamento all’essere vampiro. Oltretutto non si sentiva imprigionato in una vita immortale come si sarebbe sentito un vero vampiro. Lessi di nuovo tre volte e poi girai pagina.

4 giugno 1677

Questa notte mi sono risvegliato come un vero vampiro. La mattina precedente mi sono trovato con una febbre che sembrava divampare, papà aveva chiuso tutte le finestre, nella camera non tirava un filo d’aria, e poi la febbre salì fino a diventare fuoco. Non saprei descrivere quel momento, era stato cruciale, dolente, ma soprattutto mortale. Durò così a lungo che mi convinsi che furono passati decenni nel momento del mio risveglio, eppure la stanza era come prima, mio padre era lì accanto a me, ma tutto era diverso… in me era tutto diverso. I miei occhi da umano non notarono mai i particolari più fini delle stanze, le mie orecchie non sentirono mai quello che sento ora, il mio olfatto è più fine e chiaro, riesco a capire perfino le essenze dell’erba. Ma soprattutto mi muovo con una velocità pari a quella di un fulmine, e non mi stanco mai, sono più attivo di prima, e mi sento più forte; senza contare che ora proccurarmi il sangue da solo è più facile. Fu per me la situazione più appetitosa che mi sia mai trovato: sentivo i cuori della gente, e il loro sangue che scorreva nelle vene. E immediatamente, senza che io lo ordinassi, mi sentii la gola arsa, e troppo calda. Papà fu costretto a nascondermi in un angolo buio di una casa e mi convinse a ragionare, ad essere prudente nella mia prima caccia, a non dare nell’occhio e lasciare che il mio fascino sia la mia esca per la preda.

Di fatti ero cambiato, e sembravo più bello, gli occhi però sono sempre gli stessi eccetto qualche cambiamento: quando sento un odore estasiante oppure quando mi sento arrabbiato i miei occhi diventano di color sangue. Inoltre la mia pelle è pallida come il marmo, le labbra morbide, il corpo più robusto e i muscoli più evidenti ma non esagero, i lineamenti fini e perfetti, e nonostante il mio sguardo sia rimasto sempre lo stesso sembrava più tenebroso e attraente, ma allo stesso tempo minaccioso.

Papà per prima cosa mi ordinò di controllare la mia sete per qualche istante e mi condusse vicino ad un mucchio di persone. Non potei biasimare che non lo conoscevano non appena lo videro, certo, lui era il “vampiro buono”, ed era più controllato di me; lo invidiavo.

Mi presentò a loro e rimanemmo per un qualche minuto a parlare, il che mi causò un intenso fuoco dentro la gola. Avrei potuto massacrarli tutti, infondo erano inconsci su cosa si sarebbero aspettati; erano praticamente ipnotizzati dalla cortesia ed educazione di papà, e soprattutto erano soli…deboli, e sinceramente buffi.

Dopo due minuti il mio sguardo cadde su una giovinetta di quindici anni che mi stava guardando di sottecchi. Se prima mi trovavo a disagio con le donne ora sembrava piacevole sapere di essere guardato. Si era unita al gruppo qualche secondo fa, ma io non l’avevo notata, tanta era la mia sete; e a quanto capii, dal sussurro di mio padre, seppi che era una piccola ragazza orfana, che lavorava come lavandaia e abitava in un orfanotrofio. Dall’aria che mostrava, sembrava una ragazza pronta a tutto, laboriosa, e dolce con tutti anche se l’altra gente la ignorava.

Aspettai ancora qualche secondo immobile ad ascoltare il chiacchiericcio della gente, e poi mi avvicinai cauto alla ragazzina. Quando mi vide avanzare il suo sguardo divenne un allarme. Era davvero una ragazza dolce, come dolce era il suo odore, mi ci volle tutta la forza per non attaccarla in quel momento.

“Buona sera”, dissi cordiale.

“Buona sera, signore’’, aggiunse lei, timida. Il buio della notte ora lo vedevo così chiaro come se fosse giorno, notavo ogni particolare, e la nuova vista mi aiutava granché.

“Lei…non è di qui? Non l’ho mai vista in giro ’’, disse dopo un minuto.

“No, in effetti non vengo da questo villaggio’’

“Il Signor Drakon vi ha presentato ha noi…ha detto che siete suo figlio, vero?’’

“Sì, sono sua figlio. Il mio nome è Alucard’’

“Ho notato una somiglianza fra voi due, piacere di conoscervi Alucard. Mi chiamo Cecilia’’, e mi porse la mano per stringerla. Fu un ferro rovente nella gola quando sentii il calore della sua pelle al contatto della mia mano fredda. Lei si irrigidì sentendo la temperatura glaciale del mio tocco, ma poi mi sorrise. Era crudele distruggere una vita così bella, una ragazza così gentile e dolce, ma la mia sete mi dominava la mente. Ormai era il mio istinto vampiresco a padroneggiare il cervello.

“Ho proprio voglia di fare una passeggiata, vuoi venire con me?’’, la invitai porgendogli il braccio.

“Certo, per me sarebbe un piacere’’, e mi cinse il braccio.

Da lì cominciammo a parlare del più e del meno, la distrassi così perfettamente che non si accorse che eravamo troppo lontani per sentire le urla, troppo lontani se mi avrebbero visto, troppo isolati per cogliere una casa nelle vicinanze. Il buio della campagna metteva più inquietudine a lei che a me; oltretutto, il pericolo ero io.

“Cosa le piacerebbe fare in futuro?’’, le chiesi ancora prima di…

“Bé....è una bella domanda. Per ora non lo so, ma credo di continuare a lavorare…così, se in futuro decidessi di costruire una famiglia loro non resteranno a bocca asciutta’’

“È un futuro davvero….interessante’’

“E lei? come pensa di costruire il suo futuro?’’

“Ancora non ho pensato al mio futuro. Ho tutta l’eternità davanti’’

Mi guardò sospettosa. “Ma…Alucard, la nostra vita non è eterna…non siamo….immortali’’

“Io lo sono ’’, confessai con un sorriso malizioso.

La strinsi forte a me, i muscoli si irrigidirono, la sete divampò, ormai non riuscivo più a controllare. Lei cercò di liberarsi, ma era in una morsa di ferro.

“Alucard ma che fa? Vi prego, mi lasci!”, mi supplicò con voce smorzata.

Non avevo voglia di ascoltarla, pensavo solo ad una cosa, e delicatamente le accarezzai con una mano libera la sua pelle calda in modo da riscaldare la mia.

“Cecilia, mi prometti di fare una cosa?’’, gli chiesi tra i denti.

Lei si fermò e mi guardò spaventata, tra i lacrimoni e la tremarella riuscì a soffocare un: “Sì”

“Io ti prometto che ti libererò, ma tu promettimi di non urlare”

“Lo farò…però…ho paura’’, singhiozzò. La abbracciai e la cullai per conservarle per l’ultima volta un ricordo dolce.

“Sssh, Cecilia, Sssh! Non devi temere niente. Non ti accorgerai nemmeno, sarò veloce’’

“Sì’’, soffocò lei.

Poverina, era così spaventata che non si accorse nemmeno di cosa potevo essere e di cosa potevo farle. Avvicinai le labbra al suo orecchio, e le parlai per l’ultima volta quella notte.

“Ecco cosa devi fare per me: chiudi gli occhi’’

E lei li chiuse senza esitare, tra le lacrime che le rigavano il viso, tra le labbra che le tremavano, le accarezzai la guancia e la lasciai piano. Aspettai qualche minuto per controllare se eravamo soli nella campagna. E la attaccai.

                                                        

Lasciai il libro cadere nella scrivania, sentivo la paura di Cecilia e il suo respiro, era come se fossi entrata nel corpo di quella ragazza, e per la prima volta ebbi più paura di Alucard di come non ne avessi mai avuta. Chiusi di scatto il diario e mi alzai dalla sedia intimorita, spaventata perché ero entrata dentro il racconto. Corsi dal balcone in cerca di Consuelo ma non la trovai. Allora mi spaventai ancor di più, sfrecciai dalla stanza alla sua, ma non la trovai, come una pazza alzai le coperte, controllai dentro gli armadi o dietro le tende, nel bagno, nella camera dei miei genitori, nello sgabuzzino ma niente, finché non sentii una risata cristallina provenire dal salotto. Mi fiondai lì e vidi mamma ridere accanto a papà, Consuelo era seduta sopra le gambe di Alucard.

D’istinto mi irrigidii con i muscoli, sfrecciai da Consuelo e la strinsi a me, ringhiando verso Alucard.

“Stai lontano da lei!”, ruggii.

Lui rimase di sasso, più sorpreso che spaventato, il contrario era per i miei genitori che si alzarono e mi vennero in contro non appena mi videro acquattarmi davanti al mio fratellastro.

“Alexia, ma che hai?’’, mi chiese Consuelo stringendomi la vita.

E di colpo mi svegliai accorgendomi che quel che avevo fatto non era altri che una mossa di difesa ma del tutto esagerata. Mi vergognai come una bambina che prende un’insufficienza a scuola e viene sgridata dalla maestra. Divampai dal rossore e lo guardai disorientata. La lettura mi aveva presa un po’ troppo.

“Niente’’, farfugliai. “Ho fatto un incubo ’’, mentii poi.

Dietro di me, mamma e papà si rilassarono così come Alucard, e mia sorella ritornò a sedere sulle gambe del vampiro e io mi abbandonai ancora frastornata su una delle poltroncine.

“Per noi sarebbe un onore entrare un giorno nel tuo castello ’’, disse papà.

“Come?’’, chiesi io con voce lieve, come se la risposta fosse rivolta a me, papà si stupii vedendomi tremare le mani.

“Sei sicura di star bene?’’, chiese papà, vendendomi in contro e toccandomi la fronte. Naturalmente non scottavo.

“Sì, sto bene’’, dissi. “Di che cosa stavate parlando mentre io…sognavo?’’, chiesi poi, guardando le persone attorno a me.

“Alucard ci ha domandato se un giorno possiamo visitare Redmoon’’, rispose mamma dolce.

Mi strinsi nelle spalle. “Ah, e perché?’’, mormorai poi.

“Drakon arriverà fra tre giorni’’, mi avvisò Alucard, con il classico sorriso che adoravo.

Ma quel momento non mi fu di granché. Sentivo l’adrenalina scorrermi in tutto il corpo, e di colpo scattai dalla sedia come se fossi stata colpita da una scossa elettrica. Papà ora mi stringeva da dietro, mentre io guardavo spaventata Alucard. Lo sentivo, non ero ancora pronta di vedere mio padre.

“E perché? Quando? Dove?’’, chiesi.

Me lo trovai davanti e mi afferrò il volto con le mani. Mi studiò e ordinò a mio padre di lasciarmi. Lui esitò qualche secondo ma alla voce cordiale di Alucard non si poteva resistere. Ritornò a sedersi sulla sua poltroncina mentre Alucard mi guidava verso alla sua. Consuelo si era accomodata sulla poltrona accanto.

“Che hai Alexia?’’, mi chiese, mentre si metteva in ginocchio a me e mi prese le mani pe riscaldarle.

“Niente’’, sospirai.

“Alexia, stai delirando, e non sto usando il mio potere quindi immagino che sia una cosa seria’’

“N-no’’

Sorrise, e passò la sua mano sinistra sulla mia fronte, e alla fine sogghignò. Io ero ancora agitata quando staccò la mano da me, mamma si avvicinò rapida ad Alucard e si fermò alle sue spalle per studiarmi. La vedevo indugiare sul tentativo di venire da me e abbracciarmi oppure restare lì immobile e assistermi con lo sguardo, ma sarebbe stato meglio per lei rimanere dov’era.

“Alexia, dimmi tutto’’, insistette Alucard, gli occhi gli si fecero più intesi e il viso più dolce. Non resistetti all’impulso di dirgli una bugia.

“Cecilia’’, mormorai.

“Ah’’, disse Alucard pacato, mentre mamma e papà dissero: “Cosa?’’.

Accanto a me, Consuelo rise divertita. Per un secondo la sua risata dolce e cristallina mi tirò su il morale.

“Hai letto il mio diario’’, affermò.

“Sì’’, confessai.

Mi strinse a se, costringendomi a rialzarmi, e mi cullò come aveva fatto tanti anni fa a Cecilia. Avrei voluto scansarmelo di dosso, ma sapevo che non stava cacciando ne aveva intenzione di azzannarmi. Era ben controllato, i suoi occhi avevano lo stesso colore dei miei.

“Stai tranquilla, non è successo niente. Ero un vampiro neonato, era la mia prima volta’’, a quel punto parlava così piano che gli altri non sentirono quello che diceva.

“Tu…lei…’’

“Era la mia prima volta’’, ripete.

“Sì”, risposi timida, sentendomi esattamente nella situazione della povera ragazza.

“E poi….in un lato avrei voluto risparmiarla con tutto me stesso….in un altro lato avevo…’’

“Ho capito, perdonami’’

“E non avevo alcuna intenzione di azzannare tua sorella, se è questo che pensavi’’, era furbo.

“Perdonami’’, ripetei, e allontanai le sue braccia da me, per un minuto lui ci rimase male, ma poi comprese che ero dispiaciuta per la reazione di prima, rassicurai i miei genitori e ritornarono a parlare. Restava il fatto che non ero ancora pronta per vedere Drakon giacché mi ero adattata ai cambiamenti precedenti. Ma era il futuro che comandava l’uomo, non l’uomo il futuro. Lui avanzava, e io dovevo al tempo stesso seguire la mia strada.

Ecco il punto della conversazione: Drakon aveva deciso di vedermi ammesso che avrei programmato un giorno libero per andare a Redmoon, dopotutto dovevo anche trovare una scusante per Louis cercando di non creargli sospetto. L’idea di incontrare Drakon mi piaceva, ma allo stesso tempo mi metteva in suggestione.

Ero certa però che Alucard sarebbe rimasto lì per consolarmi, e come procedere, su questo potevo stare tranquilla. Oppure mi avrebbe accompagnata mamma e mi avrebbe aiutata, anche lei infondo conosce Drakon.

Stavo riflettendo a molte probabilità che la visita sarebbe andata per il verso giusto, e forse molte possibilità che accadesse qualcosa di storto. “Infondo, ho molte persone che mi amavano e mi starebbero accanto, non devo avere nulla di cui preoccuparmi”, pensai.

Riuscii a calmarmi per quel poco che bastava, pensando in positivo, e riuscii ad unirmi alla chiacchierata parlando di molte altre cose oltre del mondo vampiresco di Alucard e questo influì sul tempo. Mi dimenticai perfino del diario.

Come sempre, le ore passarono così velocemente che non me ne accorsi, mi incantavo sempre dalle sue mosse pacate e cortesi, dalla sua voce perfetta e melodica…..Ma quando sentii nuovi rumori cominciai a staccare lo sguardo da quel ragazzo perfetto, anche lui se ne accorsi di quei rumori sospettosi e ci concentrammo verso la porta, e gli altri si concentrarono su di noi.

All’inizio erano indistinti ma poi si fecero più chiari fino a presentarsi come passi veloci e pesanti sul marciapiede, e venivano verso di te. Mi fiondai dalla porta d’entrata seguita poco dopo da Alucard, e aprii lesta la porta prima che la persona bussasse.

Vidi Jessica e Hora con il fiatone pesante, un’espressione spaventata e disperata, la fronti bagnate dal sudore. Mi fecero così orrore che ci rimasi di stucco. Non era da loro comportarsi in quel modo, e poi non notarono nemmeno l’ospite dietro di me.

“Alì’’, sussurrò Jessica con voce strozzata quando entrò dentro casa, e si gettò addosso a me. Di già sentivo che l’atmosfera si fece disperata, come lo erano quelle sue persone di fronte a me. Hora era stato fatto sedere dai miei genitori con il fiatone che si trovava, e mamma era andata a procuragli un bicchiere d’acqua.

“Jess, ma che hai?’’, le chiesi cercando di apparire paziente.

Sciolse l’abbraccio e mi guardò terrorizzata negli occhi. “Louis’’, mormorò.

E mi sentii cadere. “Cosa?’’

“Si trova a casa della cugina…e…’’

La strinsi forte alle spalle. “DIMMI CHE COS’HA?”, la sforzai. Non riuscivo nemmeno ad immaginare che Louis era…

“Lui non ha niente’’, singhiozzò, ma non riuscii a calmarmi. “La cuginetta Elisa sta morendo’’

“Come? Elisetta?’’, chiesi confusa. Elisa (Elisetta era chiamata affettuosamente in famiglia) era una bambina affettuosa, solare, e molto dolce, anche laboriosa e divertente; aveva sei anni e mi chiamava sempre “Cugina Alì’’, facendomi sempre sentire parte della sua famiglia.

Jessica, intanto non la smetteva di spargere lacrime nel viso, e la costrinsi a sedere accanto a Hora che anche lui, in un certo modo, ancora non si era calmato, notai i suoi occhi lucidi.

“Dimmi tutto dall’inizio, Jess’’, ordinai dolcemente, anche se non lo diedi da vedere. Deglutii qualcosa e poi si sforzò di parlare.

“Louis ci ha telefonato per dirgli della brutta notizia. Da quel che ho capito la bambina si è infettata di una malattia che ancora non riesco a trovare il nome oppure non si conosce l’esistenza…non lo so….Io ho capito solo che non vogliono lasciarla morire e che ho chiamato a Hora per accompagnarmi da te. Purtroppo non potevamo venire con la macchina perché nel momento ha avuto un guasto e così siamo venuti da te di corsa…’’

“Avete fatto tutto a piedi questa strada? Ma siete matti?!”, gli sgridai disperata.

Lei alla fine cedette e si inginocchiò davanti a me afferrandomi le mani e stringendole alle sue. Non si poteva non resistere al suo viso in quel momento. Dopotutto, amavo tanto Elisa e non accettavo la sua morte….non se la meritava.

“Ti prego Alexia, tu sei l’unica che può aiutarla. Salvala, fallo per Louis, fallo per lei’’

“Siamo tutti disperati’’, mormorò Horan trattenendo un singhiozzo. “Ti prego, tu sei l’unica’’.

Certo, ero l’unica, ma per la prima volta mi sentivo sola. Era la prima volta che facevo una cosa del genere, e salvare una vita richiedeva molto impegno e concentrazione. Al momento stesso in cui la bambina si sarebbe sentita debole e soffocare così sarebbe accaduto a me…se sarebbe morta il mio potere mi avrebbe lasciata per un giorno ricordando la morte di Elisa, e mi sarei sentita uno straccio.

Infondo, se si trattava di una vita alla quale ci tenevo tanto…

Allontanai la stretta di Jessica dalle mani e scattai dalla poltrona. Guardai allo stesso tempo i miei genitori e loro compresero, guardai Alucard e lui scattò accanto a me.

“Tu rimani qui, i miei amici devono avere qualcuno che facesse da porta voce’’, gli ordinai dolcemente.

Mi appoggiò le mani sulle spalle. “Io vengo con te, ti sarei utile più là che qua. Ti potrei avvisare quando morirà’’, precisò.

Certo, lui aveva il potere della morte. Quindi se per me era una goduria vedere persone sane di salute per lui era un piacere vedere altre persone morire, o almeno era quello che credevo io.

“Ok’’, mormorai.

Guardai un’ultima volta i miei amici e poi uscii seguita da Alucard, e voltammo le spalle alla casa; in cuor mio augurai che non fosse tardi.

Fuori era buio pesto, le strade deserte, il silenzio si spezzava solo al rumore del nostro rapido passaggio, per la prima volta mi accorsi di quanto fosse veloce Alucard: aveva ragione: era più veloce di me, un suo passo era dodici dei mei e avevo fatica a starle dietro. Dopo un minuto di corsa cominciò a parlare.

“Chi è Elisa?’’, mi chiese piano. Svoltammo verso una casa e girammo a destra.

“Si tratta della cuginetta di Louis, mi sorprende sapere che sta per morire…Era stata così forte di salute’’, risposi con voce strozzata. Corremmo dritti verso una strada stretta, ma perfetta per noi in modo da imboccarla senza stringerci l’uno accanto all’altra.

“Quanti anni ha?’’

“Ne deve compiere otto il prossimo mese’’

“A questa età ci si ammala facilmente, non si tratta di un uomo adulto che resiste alla malattia’’

“Ancora dobbiamo scoprire se questa malattia esiste o se è nuova, Jess non mi ha detto il nome’’. Girammo verso sinistra, ora la strada iniziava a farsi sassosa. La casa di Elisetta si trovava a cinque chilometri dal paese, oltre le case, immersa nella campagna ma non tanto distante.

“Alucard ho paura, e se fosse troppo tardi? Se fosse già morta?’’, chiesi con un nodo alla gola. Le lacrime si asciugarono a causa dell’aria violenta che mi schiaffeggiava il viso.

“No, ancora no. Senti? È il suo cuore, e batte ancora’’, disse, ma ancora io non riuscivo a sentire niente.

La campagna era buia e tetra, ma all’occhio vampiresco non faceva alcun effetto di inquietudine, eravamo creature della notte. La strada era così stretta che permisi solo ad Alucard di sfrecciarsi sopra mentre a me toccò l’erba.

Dopo un minuto raggiungemmo una casa buia. Dentro c’erano persone che piangevano, le loro voci erano soffocate dal dolore, lamenti, rimpianti, dolore. Diedi una rapida occhiata ad Alucard.

E finalmente, in mezzo a tutti quegli affanni e pianti riuscii a sentirlo: un cuore debole, un respiro lieve, uno scorrere lento di sangue dentro le vene di un corpicino quasi consumato. Non mi mancava molto tempo, Elisa sarebbe morta da lì a qualche minuto.

Bussai impaziente alla porta, Alucard mi era accanto, e subito venne ad aprire Tom: il padre di Elisa. Quando mi vide mi gettò le braccia al collo e scoppiò a piangere, mi amava come una figlia.

“Alexia, ti prego, aiutaci’’

Non riuscivo a parlare perché sapevo che anche io sarei scoppiata a piangere. Dietro di me Alucard assisteva silenzioso, e quasi mi dimenticai che ce l’avevo di fianco. Accarezzai a Tom nella schiena e lo baciai più di due volte nella guancia e nella fronte. Alla fine mollai la presa e lo sguardo si fece interrogativo.

“Tom, dov’è lei?’’, chiesi impaziente. Sentivo ancora il suo battito, ma si faceva meno sentire.

Lui chiuse la porta e ci invitò a proseguire dentro al casa. All’interno sembrava davvero un mortorio, un momento inquietante  ma allo stesso tempo straziante. Salimmo al primo piano a passo umano, o per quel che riuscivo a chiamare “veloce”, e raggiungemmo una stanzetta. Traboccava di gente e distesa nel letto c’era il corpicino morente di Elisetta. Mi venne orrore quando la vidi: pallida come un cadavere…come Alucard, il rossore nelle guance non c’era più, i suoi occhi non erano più lucidi e aspettavano la morte, le sue labbra secche, i suoi capelli erano di un color nero morto e spettinati. Eppure era lo stesso bellissima. La mamma le accarezzava il viso, la fronte, le labbra, e le bagnava il viso delle sue stesse lacrime, baciandola poi da ogni parte del viso.

Ignorai gli sguardi della gente, e mi avvicinai al lettuccio, con Alucard che si mise dietro di me e rimase in piedi. Silenziosa, accarezzai la mano delicata e pallida della bambina e lei si girò verso di me.

Anche la mamma si girò verso di me, e i suoi occhi gonfi di lacrime si illuminarono, così valeva anche per la bambina sdraiata.

“Cu- cugina Alexia. Sei…sei arrivata’’,  sussurrò con un sorrisetto ammaliante. Sperava che venissi.

“Sì, Elisetta’’, risposi accarezzandole la fronte umida. Mi accorsi che era calda come il fuoco.

Lei diede un’occhiata veloce dietro di me e poi tornò a me. “Chi è lui?’’, soffocò.

“È il mio fratellastro, Alucard’’, le risposi.

Lei sorrise ad Alucard mimando un “ciao”, per quanto a lui non seppi cosa fece perché non mi degni di guardarlo. Allo stesso tempo sentii qualcuno avanzare rapido verso di me, una pressione alla spalla mi costrinse a girarmi e visi Louis che mi guardava speranzoso, e mi alzai per abbracciarlo –prima non l’avevo notato- ma ritornai subito alla bambina, dimenticando della paura che ebbi per Louis quando Jessica pronunciò il suo nome.

“Che ti è successo Elisetta?’’, chiesi dolcemente.

“Mi son…sono malata e…e adesso sono stanca’’, disse.

Mi si fermò il cuore, e mi gettai a lei per abbracciarla, le strinsi le manine calde e le baciai dolcemente le dita. Non poteva, non poteva morire.

“Non devi dormire, qualunque cosa accada, promettimelo, tu non devi dormire’’

“Ma…ma mamma ha detto che do…dopo guarirò e non sentirò più dolore’’, spiegò a stento. Ora il suo respiro cominciava a farsi meno.

Lanciai uno sguardo accusatore alla madre e la vidi abbassare lo sguardo ed arrossire. Ritornai a lei.

“Tesoro, promettimi che non dormirai’’, esitai.

“Ma…’’

“Alexia’’, mi chiamò Alucard. Mi girai a malavoglia verso di lui, con gli occhi gonfi di lacrime. “Non ti rimane poco, al massimo un minuto ’’, mi avvisò guardandomi straziato.

Mi girai svelta verso Elisa. “Tesoro….devi lottare con tutta te stessa….fai un piccolo sforzo per restare sveglia’’

“Però se dormo dopo andrò a vedere nonno e nonna, vedrò anche il mio cagnolino che non c’è più…e molta altra gente’’, insistette, e le se illuminò il viso, l’incontrario del mio. Come poteva capire? Era una bambina e…. non sapeva che se ne sarebbe andata.

Accadde tre cose contemporaneamente, troppo straziante perché io potessi comprenderle al primo impatto: lessi nel viso della bambina molti sentimenti che caddero dopo sui miei occhi: confusione, dispiacere, affetto, gioia e di nuovo dispiacere. Sentii il mio nome pronunciato dalla voce allarmante di Alucard, guardava la bambina con un’espressione spaventata e poi guardava me; la bambina cominciò a fare tre profondi respiri, il cuore comincio a battere lievemente, vidi un’ultima volta alzarsi la pancia di Elisetta sotto le coperte per poi appiattirsi. Aspettai  impaziente e disperata un altro gonfiore alla pancia che non venne più.

La bambina era rivolta verso di me, la bocca spalancata e priva d’aria, gli occhi aperti e spenti, i muscoli si erano irrigiditi, non l sentivo più respirare. E fu come se ogni speranza morì insieme a lei.

Un urlo straziante coprii la camera e la madre gli si gettò subito in braccio, sollevandola con la schiena, premendola sul petto come per proteggerla, accarezzandole la testa e allo stesso tempo bagnarla con le sue lacrime. Il corpo consumato della bambina si lasciò cullare dalla madre, mentre Tom si gettò fra il copro della moglie e cerco di accarezzare quello della figlia.

Io…non c’erano parole di come mi sentivo io, oltre ad un ingrata ed ad un incapace, non avrei mai immaginato che un mezzo vampiro provasse rimpianto per un umano, ma io ero diversa. Non riuscivo a calcolare più il tempo, ne chi mi stava accanto, oppure la stanza, vedevo solo quella bambina e la sua morte. E mi sentivo debole, piano piano ogni forza vitale del mio potere stava lasciando la mia pelle, e non desideravo altro che morire, invece ero debole, solo e soltanto debole. Sarei stata a casa per un giorno, sdraiata sul letto, tutt’altro che trovarmi dentro in una bara accanto alla sua. Avevo deluso Tom, Jessica, Hora, Louis, mamma, papà…..Alucard, mi sarei meritata qualcosa di cruciale, molto meglio se mi avrebbero bandito, molto meglio se un altro vampiro mi avrebbe fatto a pezzi, molto meglio che andare a bruciare all’Inferno. Per la prima volta mi sentivo come un demone del Diavolo, una sua serva, una creatura oscura. Non ero fatta per salvare la vita ad una persona, ero fatta per spezzarla. Non ero degna di vivere, solo di morire, e dopo la morte vedere il nulla, il niente.

Avrei dovuto trovarmi al posto di Elisa in quel momento, infondo chi avrebbe pianto la mia morte? Mamma e papà avrebbero avuto Consuelo, Alucard sarebbe stato accanto a lei come doveva fare con me, Louis avrebbe trovato una ragazza migliore di me e meno pericolosa, i miei amici avrebbero seguito per me il gruppo di Louis, Jennifer non mi avrebbe più lanciato occhiate maligne e per lei sarei stata una liberazione….Sì, per tutti gli abitanti del paese sarei stata una liberazione, Solemville non avrebbe più temuto niente per causa mia. E Garret si sarebbe risparmiato per sempre un altro arto rotto e per quanto alle prede….sarebbero state massacrante solo dalle sue fauci. Tutto sarebbe stato….come giusto che vada. Forse era questo che sarebbe stato il mio futuro? Bene, la morte era un pericolo che riuscivo a superare senza peso. E avrei lasciato a Consuelo sistemare quel vaso che avevo deciso io di ricomporne i pezzi. E chissà, forse un giorno, quando sarebbe cresciuta, si sarebbe messa insieme ad Alucard dato che non gli era parente, e….io li avrei protetti, in qualunque posto mi sarei trovata, e li avrei guidati.

E di colpo avvertii quel rumore, oltre ai pianti smorzati, i singhiozzi, le urla della gente. Un rumore che avevo desiderato sentire: un battito ancora in funzione, un cuore che non stava ancora cedendo alla morte.

Fu come un risucchio: il potere mi ritornò dentro il copro, giustificai le uniche possibilità che ce l’avesse fatta, ignorando quello che mi avrebbero detto Tom e sua moglie. Louis era sempre accanto a me, mi accarezzava la schiena come se stessi piangendo, mentre era lui quello che spargeva lacrime di coccodrillo; di sicuro non avevo una bella espressione sul viso.

La mamma sdraio nuovamente il corpo abbandonato di Elisa sul lettuccio e si gettò al petto del marito. Era la mia occasione, bene o male che vada avrei fatto il possibile per restituirle la vita, anche se ci sarei rimasta per una settimana accanto quel corpicino torturato.

Mi sedetti accanto a lei, e la sollevai, la strinsi al mio petto e ne sentii il suo cuore debole. Non era completamente morta, lo sentivo, ma sarebbe stato questione di qualche secondo prima che anche il suo cuore morisse. Dovevo essere lesta.

Avevo studiato ogni mossa, ogni movimento del mio potere, sapevo metterlo in pratica, ed ero pronta. Non mettevo in dubbio niente se ero molto pratica di quello che stavo per fare. Infondo, era il cuore che me lo diceva.

Appoggiai la sua fronte pallida alla mia e dalla mente cominciò a fiorire ricordi veduti dall’occhio di Elisa: erano ricordi offuscati: vedevo sua madre che le raccontava una favola prima di addormentarsi, le passeggiate pomeridiane accanto a sua madre, gli amici di scuola, la sua forza per aiutare la madre nelle faccende domestiche, le sue risate, le frasi divertente che faceva ridere alla gente che le stava attorno, la luna piena visibile dalla sua finestra circondata da mille stelle, il giorno in cui si sentii male, la pesantezza della malattia, le persone attorno al suo letto che piangevano, il mio viso poco prima di chiudere gli occhi….

Alzai il suo mento all’altezza del mio e gli aprii la boccuccia più facilmente di un umano, e aprii appena la mia. Mi concentrai ancora sul suo battito del cuore che stava cedendo, e estesi il mio potere su di lei, mi ci volle tutta la forza per passarlo a lei e scansarlo dal mio corpo: uscii dalla mia bocca come una lingua di fuoco bianco fresco che entrò dalla boccuccia della bambina e di lì scese fino agli organi interni, inondandoli della mia stessa medicina: il cuore, i polmoni, il cervello, la milza, fegato…tutto. E più avanzava, più sentivo qualcosa dentro di lei che mi creava disgusto, una cosa appiccicaticcia che mi dava un certo disgusto, puzzava come un cadavere: era la malattia che l’aveva colpita. Si trovava dentro l’apparato digerente. Ancora non aveva ceduto al suo corpo, quindi cercai di respingerla io stessa, ma non fu facile. Immaginate di dover scansare una roccia dal terreno, di sicuro sarebbe impossibile allontanarla con un solo dito, ci vorrebbe un miracolo.

Mi concentrai sulla malattia, mentre il velo vitale del mio potere cercava di riprendere la bambina, e cercai un punto debole della malattia per colpirla, cercai di scavare in qualche parte della sacca per staccarla di dosso. Mi sforzai con la mente, spronai il cervello, calcolavo mentre entravo con la vista del mio potere all’interno di Elisa. Era un groviglio di vene, organi grossi e corpulenti, colorati di un misto di colore rosa o rosso e molti altri colori che richiamarono la carne, perlustrai ogni angolo del corpo, entrando perfino nella parte più microscopica del muscolo, ritornando indietro e valutare i battiti del cuore mentre quest’ultimo, come gli altri organi, era coperto dal velo bianco perla del potere della vita; si aggrappava alle vene, alle ossa, ai muscoli, a ogni insignificante piccola parte delle interiora.

E alla fine trovai l’intruso: era gonfio, tozzo, di dimensione circolare un colore verde della palude o forse un verde morto, infiammava lo strato di pelle sulla quale era attaccato, era di aspetto disgustoso, appiccicoso, ma anche molto minaccioso. Con attenzione cercai di avvicinarmi a lui al di sotto per poi entrare dentro il muscolo dove aveva attaccato. Fu una fortuna che non mi avesse scoperto, e fui libera di viaggiare dentro il muscolo della sacca, allontanandomi però dal punto infiammato. Alla fine mi trovai davanti al male, solo che lui non riusciva a vedermi, ero coperta da mille strati del muscolo ma riuscivo a vederlo, e riuscivo anche a cogliere la parte infiammata, ma distante da me, data la sua sfumatura di un color crimine che faceva male. Con la mente catturai uno strato del mio potere per pararmelo davanti, e cominciai a gonfiarlo con tutte le mie forze, gonfiando allo stesso tempo anche il muscolo che mi circondava. Gli strati della parte sana e infiammata del muscolo presero la forma della bolla del mio potere e riuscii a staccare la malattia che si era ammassata ad essa. A quel punto uscii dal muscolo ora completamente sano, trovandomi accanto il nemico. Prima che potesse reagire lo avevo già eliminato: era come quella sensazione ferrea cruciale che mi inondò il potere di Alucard: con quel pezzo di potere che avevo a disposizione lo ammassai al corpo del male e cominciai stringerlo con tutta la forza della mente, la mente cominciò a gonfiarsi appena intorno al velo bianco ma non trovò nessuna via d’uscita; lo strinsi, lo strinsi più forte fino a rendergli dolore e lo sentii folgorarsi. Il mio potere lo lasciò e mi mostrò solo piccoli granellini di polvere che sparirono un secondo dopo.

Ritornai al cuore, ormai sicura che non sarebbe più tornato a darle fastidio, e lo ascoltai. Il potere stava per fare del suo meglio, setacciando da ogni parte dell’organo. Alla fine sentii un battito sordo, due, tre battiti secchi e poi si spense. Anche se il mio potere rimaneva attaccato al cuore non riuscivo a trovare più niente di vitale, e le mie forze si spensero insieme a lui.

Stetti a controllare quel cuore morto per un minuto buono sperando che ritrovasse i battiti ma c’era il nulla. Non c’erano più speranze, a quel punto sembravo ridicola, come tentare di sperare se non c’era più nulla da fare? Iniziai a indietreggiare con la vista, mentre il mio potere rimaneva ancora intorno agli organi.

Uno…due…sei…sette secondi dopo sentii un nuovo rumore, e ritornai a controllare. Esaminai il velo ma lui rispingeva la mia vista dato che stava continuando il suo lavoro. Allora mi concentrai sui polmoni ma che qui il mio potere mi respinse, e vidi le costole della gabbia toracica riprendere il proprio colore, i muscoli si sciolsero come i nervi e il corpo di Elisa si abbandonò beato a me, il velo finalmente si staccò dagli organi per entrare dentro di loro e finalmente scoprirono il cuore e polmoni.

Elisa mosse gli occhi lucidi e finalmente respirò, riprendendo il colore della pelle, e i capelli ritornarono più vivi e forti che mai. Il suo cuore batteva più veloce di prima e vidi finalmente la sua pancia gonfiarsi e sgonfiarsi due secondi dopo.

Elisa sfoderò il suo sorrisetto gioioso e appoggiò le sue dita sule mie guance per asciugarne le lacrime. Era viva, viva e stava bene. Ce l’avevo fatta anche se era difficile ammetterlo.

“Alexia’’, mormorò il mio nome, piena di stanchezza.

La abbracciai più forte di prima, bagnandogli i capelli marroni e forti, baciandole le sue guance rosee, ammirando i suoi occhi verdi e vispi da bambina. Riuscivo a stento a decifrare quale emozioni mi scorrevano fra la testa, mentre dietro di me partii una sfilza di applausi e urli di gioia, e un eco del suo nome.

Altre braccia la presero e io a quel punto mi lasciai invadere dalla gioia, felice pensavo: è viva. Per quanto l’orgoglio mi aveva invaso la mente, non mi accorsi nemmeno che Louis mi aveva portata fuori dalla stanza, e mi abbracciava, mi baciava e mi accarezzava il viso; la stanza ormai era così piena di gente che era difficile starne dentro. Sicuramente Alucard si sarà sentito soffocare quando si trovo ammassato da mille corpi.

“Alexia, non riesco a trovare le parole per dirti quanto ti ringrazio ’’, disse Louis accarezzandomi le guance.

Sorrisi imbarazzata. “Mi basta un grazie’’.

“Grazie’’, mormorò, e ritornò baciarmi più dolce di prima.

Mi lasciai trasportare da tanta dolcezza, ritornando la sua mancanza nonostante ero ancora concentrata su Elisa, anche se ora potevo restare tranquilla perché il suo cuore batteva alla velocità di un cuore adulto, e il suo respiro era regolare. Ormai non avevo niente per cui temere.

E le nostre labbra cominciarono a muoversi all’unisono, senza andare oltre, esprimendo l’affetto che provavo per lui; fu un bacio lento ma allo stesso tempo intenso, e durò fino a che non mi sentii osservata.

“Che ci fai tu qui?!’’, lo schermì Louis.

Alucard gli sorrise educato, con la schiena appoggiata al muro, dietro di noi. “Volevo solo congratularmi con la mia sorellina’’, gli rispose pacato mentre mi veniva incontro e aprendo le braccia, mi staccai lentamente da Louis e andai fra le braccia di Alucard in un modo amichevole per non far sospettare niente al mio fidanzato.

“Sono orgoglioso di te ’’, sussurrò.

“Ho rispettato la promessa: un giorno all’altro ti avrei fatto vedere il mio potere’’

“Guardare quel corpo illuminarsi era stato come un pugno al ventre per me’’, disse. In effetti quando ridavo la vita a qualche essere vivente non solo il potere illuminava il corpo all’interno ma anche all’esterno per far provare alla persona morente una freschezza e un piacere mai provati prima; sospettai che per Alucard non fu un piacere.

Alzai lo sguardo per guardarlo. “Ti ha fatto male?’’, chiesi con uno sguardo interrogativo.

Storse le labbra. “Più che altro mi hai fatto venire lo stomaco sotto sopra’’

“Ops’’

Rise. “Non ti preoccupare, anche con te farà lo stesso quando faccio del male a qualcuno e se uccido una persona…’’

“Meglio non andare nei dettagli’’, non volevo rivivere la stessa sorte di Cecilia su un alto umano.

“Comunque anche a te ti sembrerà di rimettere. Sono due poteri differenti’’

“Già: differenti, e degni di essere allontanati’’, sputò Louis, tirandomi con forza verso di se. Ecco, ci risiamo.

Alucard ci rimase male, me lo sarei aspettato. “Se è quello che vuole lei, le starò lontano, non mi sarà di peso ’’, promise guardando, per la prima volta, minaccioso al mio fidanzato. Non sapevo perché, ma il suo sguardo rivolto verso il ragazzo accanto a me mi piaceva.

“Bene, prova a starle lontano, partendo da ora’’, lo minaccio Louis.

“Non voglio che te ne vai’’, mi rivolsi ad Alucard, e lo vidi sorridere comprensivo.

Si rivolse a sua volta verso Louis. “Lo vedi? A quanto pare le resterò accanto finché vorrà lei’’, lo sfidò.

La mano di Louis si fece immediatamente calda come il fuoco, così come il suo corpo, lo sentii stringere la mascella e guardare Alucard con un’ira che non riuscii a capire quanto fosse grande, però sarebbe stata abbastanza per lanciare palle di fuoco verso il mio fratellastro.

Lo fermai prima che potesse ribattere. “Senti, Louis, lascialo perdere perché è di me con cui ti devi arrabbiare, l’ho portato io qui perché sapevo che poteva essere d’aiuto e quindi devi ringraziare anche lui. Devi essere grato che ci fosse stato anche lui per farmi capire se Elisa sarebbe andata più là che di qua. Scarica tutta la colpa a me, ma non con lui ’’

“Su questo puoi contarci’’, disse fra i denti, e mi portò lontano da Alucard: fuori da casa. era inutile scappare alla sua stretta benché sapevo che se avrei osato reagire avrebbe aumentato il fuoco nella mano.

A passo veloce ci trovammo nello spazio breccioso che circondava la casa, ma non si fermò, continuò finché non ci trovammo davanti ad una motocicletta color rosso pompelmo.

“Sali’’, mi ordinò.

Restai ferma, e riflettevo le possibilità di raggiungere Alucard e di ritornare a casa con lui, dopotutto avevo le gambe apposta per correre.

“Tanto ti riprendo’’, disse con un sorrisetto compiaciuto, quando intuii quello che stavo pensando.

Avrei voluto tanto mandare a calci quella stupida motocicletta, era lenta come una lumaca, ma se era per fargli una picare…

Mi sedetti sopra quel ridicola bicicletta elettrica, tra sbuffi e borbottii, e dopo un secondo salì anche lui, lo afferrai piano per la vita – il corpo gli scottava ancora- e lui fece rianimare il marchingegno. All’inizio il motore tossì fumo, alzando nell’aria un odore strozzante, ma riprese subito vita e sfrecciammo tra la campagna.

Però che prepotente, non mi aveva nemmeno dato il tempo di salutare Alucard e Elisa, e nemmeno dato tempo per parlargli in modo chiaro. La visita di Alucard aveva avuto una cattiva influenza su di lui, che cattiva cosa la gelosia.

A ritornare a casa ci mettemmo più tempo di quanto avevo sfrecciato con Alucard, al massimo un quarto d’ora o forse di più, ma per sembrava che quei pochi minuti non passassero mai. Louis non parlò per tutto il tragitto, come quella volta che avevamo litigato e non l’avevo più rivisto per due giorni facendomi credere che mi avesse lasciato. Però appena salita sul marciapiede di casa mi voltai verso di lui per parlargli, lui stava sempre sopra la sua motocicletta.

“Louis, non litighiamo di nuovo come quella volta’’, lo supplicai. Lui stava fermo a guardarmi, e rifletteva.

“Non voglio litigare con te un’altra volta è solo che….non so come reagire quando c’è lui. Mi fa andare fuori di testa’’, disse picchiettandosi la fronte con l’indice.

“È il mio fratellastro, non devi essere geloso. Se fosse stato amico mio allora potevi avere anche avere delle ragioni per esserlo’’, risi divertita. Sembrava proprio un bambino.

Lui scese e si fermò a un metro da me. “Sembra però che presti più attenzione a lui che a me’’

“A me non sembra, dato che ogni volta che vieni a farmi visita sto sempre accanto a te ’’

Respirò profondamente, alzando la testa al cielo, con gli occhi chiusi. “Voglio che gli stai lontano ’’

“Sai bene che non posso farlo’’

“Provaci. Non so come troverai un modo ma provaci’’, era incavolato nero. Non osai toccarlo benché sapevo che mi sarei procurata un’ustione da maestro.

“Louis, non posso….non voglio farlo. Lui è tutta la mia famiglia, come Drakon, ora che ho scoperto di volergli bene, come reagirò se lui se ne andrà? Louis, ascolta, prima la mia vita era perfetta insieme a te, come lo è tutt’ora, e sai bene quanto me che non ho alcuna intenzione di lasciarti, ma ora….ora sento che la mia vita si trasforma di nuovo, ora che è arrivato Alucard…’’

“Preferisci corrergli dietro come un cagnolino, vero?’’, sputò fra i denti. Mi guardò maligno.

“No, non è affatto come pensi! Io gli voglio bene, ma non come voglio bene a te ‘’

Restò zitto per qualche secondo, troppo a lungo, facendomi pensare che sia finita lì e che lo avevo ferito a morte, ma poi rialzò il viso da terra fermando lo sguardo verso di me.

“Non mi piace Alexia, come ti guarda, il suo sorriso e il suo carattere. Ti guarda come se ti volesse fare sua’’

“Non succederà mai, e non lo permetterò, il motivo del suo comportamento è stata la mia mancanza’’

“Poteva venirti a trovare il precedenza invece di farlo adesso’’

“Ora lo ha fatto, mi pare che non ci fosse niente di illegale’’

Saltò giù dalla motocicletta, e a tre passi lunghi fu da me: faccia a faccia. “C’è di illegale: tu gli sei mancata ma è restato comunque nell’ombra per anni insieme al suo paparino, e proprio ora si fa vivo! Proprio quando avevo raggiunto l’apice della sofferenza e della rabbia. Rifletti, aspettava che tu ti arrabbiarsi così tanto con loro per farsi vivi, e quando tu li avrai perdonati entrambi sta pur certa che se ne andranno di nuovo. Ti faranno soffrire, dammi retta, quel mostro non è adatto per far parte della tua famiglia’’

All’inizio le sua affermazione mi sconvolse, c’era qualcosa di certo? Poteva veramente essere una trappola’ ma io mi fidavo di Alucard, non poteva essere così cattivo, e poi mi amava, e aveva aspettato per anni prima che mi rendessi conto che mi voleva ancora bene solo perché si vergognava della sua lontana scelta. Era plausibile che Louis dicesse la verità?.

“Louis, sarà quel che sarà e me ne prenderò la colpa. Ho diciotto anni e faccio quello che mi pare, mi dispiace che per te sia una scelta disprezzata ma per la mia famiglia non è così. Renditi solo conto che mi sto dividendo in due per far felici entrambi, e chiedo che anche tu possa collaborare insieme a me; sto sacrificando intere giornate per stare conte te e pochi minuti per Alucard quindi dovresti essere felice’’, presumi che dire a verità facesse sempre bene, ma in quel momento sembrò non aiutarmi.

“Alexia….’’

“Rifletti quello che ti ho detto, per favore. E sappi una cosa…’’, attorciglia le braccia al suo collo “io non ti lascerò mai, e intendo rispettare la nostra relazione. Non smetterò mai di dirti che ti amo perché è la verità. Alucard non riuscirà mai a separarci, mai, perché io voglio solo te ’’, e mi allungai per baciarlo. Sentii le sue labbra muoversi appena, non so se era per perplessità o per rabbia, e dopo si fermò per allontanarsi. Capivo che era abbastanza sconcertato per un bacio, a me ne diede comunque uno sulla fronte e sopra la punta del naso.

“Louis, ti amo, e gradirei che ci pensassi su ‘’

“Lo sto facendo’’, mi avvertii sempre con una voce seria.

Mi teneva ancora stretta, e il viso vicino al mio a cinque centimetri, avrei desiderato che mi baciasse un’altra volta. Dopo un minuto il suo sguardo vuoto si mosse e incrociò i miei occhi: non gli era del tutto chiaro, non riusciva a capire.

“Ci vuole tempo’’, gli avvisai con un sorrisetto.

“Lo so, ed è questo che mi preoccupa. Riuscirò mai a capirti, Alexia?’’

“Io credo che il nostro amore può fare qualsiasi cosa ’’

“E tu credi che il nostro amore durerà per sempre anche se dovremmo affrontare mille intrighi?’’

“Credo nell’amore eterno, perché saremo noi a farlo durare in tal modo’’

“Quanto mi ami?’’, soffocò.

“Più di quanto tu creda’’, risposi veritiera.

Sospirò. “Tu sei tutta la mia vita, non voglio perderti’’

“E non mi perderai, lo giuro Louis’’, mormorai afferrandogli il viso delicatamente. “Non posso lasciarti, non ci riesco’’

“E io non ho alcuna intenzione di mollarti anche se ci sarà il tuo fratellastro appiccicoso fra le calcagna’’

“Trattalo bene, per favore’’

“Farò del mio peggio’’, rise beffardo e ammiccò.

“Provaci, per favore’’, insistetti seria.

“Io ti prometto che farò del mio meglio, ma non ti giuro che sarà un impresa soddisfacente. Certo, sarò ancora irritato della sua presenza, ma sappi che ti amerò per sempre’’

“Metterò presente la tua forza per tentare di fare il bravo fidanzato”

Sorrise, “Grazie’’, e mi baciò per l’ultima volta quella sera.

Sapevo che non si sarebbe allontanato da me, come l’ultima volta, sarebbe tornato domani e saremmo stati di nuovo insieme. Doveva ritornare da Elisa e occuparsi di lei per la notte, prima di andarsene gli chiesi di mandarle un bacio da parte mia, i suoi genitori mi avranno ringraziato tramite Louis, oppure saranno venuti a farmi visita. Dentro di me scorreva l’adrenalina per la felicità, volevo saltare correre, ero all’estremo della gioia e soddisfazione, fu come se la sua vita stessa mi avrebbe dato tanta forza.

Louis salì sulla motocicletta e mi lanciò un bacio tenero, accese l’aggeggio e sfrecciò lungo la strada buia. Aspettai come al solito, che la sua presenza si staccasse da me e poi svoltai verso casa.

Appena arrivata all’entrata…eccolo, spuntò dal nulla e mi fu accanto. Mi sorrise dolce, ma colsi il segno del dispiacere e del rancore.

“Stavi ascoltando tutto?’’, molto probabile.

“Stavo aspettando che ti avvicinassi all’entrata’’

“Però ci hai seguiti?’’

Rise piano. “Lo sai bene come sono fatto, no? Adoro inseguire le ragazze come te ’’, sorrise malizioso.

Gli diedi un pugno sul petto sperando di fargli male, ma non fece una piega. “Vuoi che chiami Louis?’’, odiavo quando qualcuno cercava di stuzzicarmi.

“Perché mi segui sempre?’’, domandai seria. Infondo perché chiederlo? Mi seguiva dappertutto, perfino a scuola, quasi quasi sentivo che mi seguiva nei sogni.  Se origliasse anche i miei pensieri mi sarei sentita in una gabbia.

Si strinse nelle spalle. “Te l’ho detto: mi piace seguire le…’’, e gli tirai un altro pugno nel petto.

“Mi da fastidio quando qualcuno ci origlia’’

“In tal modo, devi cercare nei prossimi giorni di tenere gli occhi aperti’’

Accidenti che maleducato! Se c’era qualcosa che disprezzavo era sapere che un mio fratellastro mi spiasse mentre parlo con il mio fidanzato. Non misi in dubbio che i miei occhi in quel momento spruzzavano dall’ira. Avrei voluto cavargli gli occhi in quel momento.

Le mani cominciarono a pizzicarmi, non ero mai stata un tipo violento verso una persona della mia famiglia, per non creare la situazione peggio di quanto lo fosse mi distrassi girando lo sguardo verso la porta e avvicinai il pugno verso il legno spesso. Ironia della sorte, lui mi fermò.

“Aspetta’’, ordinò dispiaciuto, e io lo ascoltai. “Credo che tu conosca già la risposta ma se ti piacerebbe sentirla te la riassumo: mi sei mancata tanto in questi anni e l’unica cosa che voglio fare ora è starti accanto il più possibile. Finché non sarai tu a costringermi di andarmene’’

Che tristezza, era sempre una sofferenza sentire che un giorno se ne sarebbe andato.

“Questo non succederà mai’’, riuscì a dire.

“Sarai tu ad ordinarmelo’’

“Questo non succederà mai’’, e mai lo avrei permesso.

Rimanemmo in silenzio un lungo minuto, fino a che non parlò lui.

“Alexia, questa sera mi hai reso il fratellastro più felice di tutta Solemville’’

“Davvero?’’. Se in quel momento sarei stata un personaggio dei cartoni, i miei occhi si sarebbero trasformati in due stelle.

“Sì, sono davvero orgoglioso di te ’’

“Sono felice…ehm, grazie’’

“Anche Drakon ne sarebbe stato fiero’’

Mi venne un groppo in gola. “Lo immagino, appena glie lo dirai tu’’, dissi ironica.

Sorrise. “Ci scommetterei tutto il mio essere, si sentirebbe un padre felice’’

“Già’’, ma non riuscivo ad immaginarmelo.

E di nuovo silenzio, così assordante che mi fece intuire l’atmosfera tesa e nervosa che si era creata dentro casa, passarono solo pochi secondi che per me sembrò un minuto.

“Scommetto che tu hai scelto il giorno in cui verrai a casa mia’’, disse con un sorriso ironico.

“Ehm, ancora devo controllare sulla mia agenda’’

“Non ti preoccupare, Alì, c’ho pensato tutto io’’

Lo guardai perplessa. “Non ti azzardare di fare qualcosa di pericoloso, non provare ad offendere Louis o…’’, mi interruppe mettendomi due dita sulle labbra e mi sentii le guance ardere dal rossore.

“Sssh, non ti preoccupare, ho già programmato la cosa, e scommetto che ti piacerà’’

“E che cosa hai programmato?’’, chiesi quando scansai le sue dita dalle mie labbra.

Storse le labbra. “Per ora resterà un segreto fra me e Drakon’’, rispose.

“Dovrei avere paura?’’, la cosa non prometteva niente di buono.

“Per me sarà indimenticabile, non so se sarà lo stesso per te ’’, sorrise eccitato.

“E hai miei genitori hai parlato di questo…segreto?’’

“Sì, e per la sorte di tua madre, voglio che non la sproni. Voglio che sia una sorpresa’’

La cosa cominciava a farsi desiderare. “Ok, ti prometto che non costringerò mamma a dire la verità. Ma per quanto dovrei attendere?’’

“Ci vuole un altro mese’’

Spalancai la bocca. “E tu hai già organizzato “quel che sai tu” anche se devo aspettare un mese?!’’

“Sì’’, sembrava divertirlo la mia agitazione.

“Secondo me sei fuori di testa’’

“Sempre il meglio per la mia sorellina’’, e mi diede una pacca sulla spalla che per poco non mi fece cadere.

“Sorellastra’’, chiarì.

E si fece serio. “Non mi importa se sei il frutto di un’altra donna, per me sarai sempre la mia sorellina’’, e qui si concluse la chiacchierata.

Alucard mi diede un bacio sulla fronte e poi scomparve nelle tenebre della notte, ma sapevo che non sarebbe andato lontano. Entrai dentro casa elettrizzata, e spezzai l’atmosfera di mortorio dicendo solo due parole “è viva”, davanti a me partì una sfilza di applausi e Jessica e Hora mi vennero in contro per abbracciarmi. Contavano sempre su di me, ed era un onore renderli felici. Mamma e papà telefonarono ai genitori fortunati, Hora fece altrettanto con Louis mentre Jessica e Consuelo mi condussero sulla poltrona per parlare.

“Accidenti, ma era Alucard quel ragazzo che prima ti stava dietro?’’, chiese elettrizzata.

Arrossii. “Ehm, sì era proprio lui ’’, risposi.

“Lui viene da noi quasi ogni sera’’, disse Consuelo facendo spalancare gli occhi a Jessica.

“Non-ci-credo! Alucard! Era bellissimo, e lo sguardo era magnifico!’’

“Alt!”, la fermai, “Ricorda che tu hai Hora’’. Negli ultimi giorni notai che Hora provava un certo interesse per la sua migliore amica, e lei non era da meno. Comunque li vedevo bene insieme: Jessica Hora, Hora Jessica. Anche i nomi non suonavano male se li accoppiavi. Sorrisi eccitata.

Si spense il sorriso e mi guardò sconcertata. “Ah, giusto. Quel che cercavo di dirti era solo che vorrei che si unisse al gruppo’’.

“Non lo so, passerebbe troppo inosservato’’, per non parlare del gruppo famelico del mio fidanzato.

Storse le labbra insieme a me. “Bè, un giorno invitalo, per me sarebbe un piacere’’

Infondo non sarebbe stato tanto brutto come invito, bastava tenerlo lontano dal Paul oppure da quella romanticona di Jennifer, prima però dovevo parlare con Louis se si sarebbe deciso di farsi vivo nelle vicinanze, e poi lo avrei presentato ai miei amici. Era giusto che anche scoprisse un lato del piccolo e malvagio mondo moderno.

“Anche per me sarebbe un piacere. Un giorno glie lo chiederò’’, e lo avrei fatto molto presto.

“Fantastico!’’, urlò felice mentre Consuelo l’accompagnava con lo sguardo.

Hora ci raggiunse presto e anche lui mi chiese di Alucard e così la conversazione andò a finire a tarda notte, mamma e papà si unirono a noi riuscendo con l’astuzia a far cambiare argomento ai miei amici, mangiarono con noi e poi di nuovo nel salotto: papà e Hora guardavano lo sport, io e le altre femmine della casa ritornammo a parlare, più che altro di altre cose: sulla scuola, la differenza tra uomini a donne, il rapporto che c’è tra me e Louis e tutto quell’ambaradan che mia madre e Jessica riuscirono a trovare. Se mamma avrebbe avuto i miei stessi anni scommetto che sarebbe diventata amica per la pelle della mia migliore amica, non che ora facesse una piega. Era bello vedere mamma comportarsi da ragazza e creare nuove amicizie ( i miei amici la adoravano).

Quando Jessica e Hora se ne andarono trovai una scusante per andare a letto e mi fiondai nella camera. Chiusi la porta e uscii verso il balcone dove c’era lui, era seduto sulla ringhiera senza preoccuparsi dell’altezza sotto di lui ( infondo era un vampiro), e guardava dritto Redmoon. Feci il primo passo e lo sentii ridere sotto i baffi.

“Che c’è?’’, chiesi quando le fui accanto.

“La tua amica è un tipo frizzante’’, rispose con un sorriso allegro sulle labbra.

L’aggettivo “frizzate” era giusto per Jessica, così come Consuelo alle volte. Aveva ascoltato tutto, ma non mi mandò in bestia questa volta.

“Ah’’, risposi.

“Vuoi veramente mostrarmi ai tuoi amici?’’, chiese poi dopo cinque secondi di silenzio.

“Sì, perché no? Desidero che facessi nuove conoscenze, oltre a me e alla mia famiglia’’

“Devo ammettere che è un pensiero molto gentile, grazie’’

“È un sì?’’

“Ti dirò: posso provarci, basta che non sia particolarmente assetato’’, mi fece l’occhiolino.

Rabbrividii. “Alucard!”, ringhiai piano.

Scoppiò ridere. “Oh, andiamo! Un po’ di fiducia al tuo fratellino centenario’’

“Sì, come no’’, borbottai.

Rise un’altra volta ma poi ritornò serio. “Sono davvero felice di questo invito ’’

“Allora accetti? Davvero li vuoi conoscere?’’

“Certo che sì, ammesso che tu mi rassicuri quella sera’’

Non feci a meno di gettarmi alle sue braccia, ero così felice che avesse accettato senza fare una piega. Era un fratellastro stupendo, anche se troppo pericoloso di me ma non m’ importava. Non so cosa avrei fatto se un giorno se ne fosse andato dalla mia vita.

Infine sciolse l’abbraccio e si volse di nuovo verso Redmoon come se fosse una necessità, fece un gesto al nulla e poi sorrise facendomi rimanere perplessa. Lo guardai incuriosita.

“Dovrei trovare qualcuno che sapesse tradurre i tuoi gesti?’’

Rise sotto i baffi. “Sto parlando con Drakon’’, rispose divertito.

Mi salì il cuore in gola. “Riesci a vederlo?’’, chiesi sorpresa sporgendomi appena alla ringhiera e allungando la vista; però non riuscivo a vedere niente: di un corpo che si muoveva nemmeno l’ombra, la mia vista era troppo distante per riuscire a coglierlo.

“Sì, è affacciato ad una finestra, lo vedi?’’, e indicò una finestra sulla posizione alta del castello.

“Dovrei programmare una visita oculistica’’, dissi fra me e lo feci di nuovo ridere. Era così bello sentirlo ridere, forse ero l’unica al mondo che lo rendesse allegro.

“Dimentico sempre che sei una mezza vampira. Ha detto che andrà a caccia e io gli ho avvisato che prima che arrivasse l’alba mi troverà dentro il castello ’’

“È già andato via?’’, il suono della mia voce si fece triste, anche se non avrei mai desiderato sentirlo.

“No, è ancora affacciato alla finestra’’

Diedi una rapida occhiata a Redmoon e poi ritornai al mio fratellastro. “E che dice? Mi vede? Riesce a capire quello che dico?’’

“Vede e capisce tutto, sembra vecchio ma ha una salute di ferro ’’

Risi appena. “E che dice adesso?’’, non potevo credere che fosse lì a sentire la mia voce e a vedere il mio viso; era ingiusto sapere che ero l’unica che non lo potesse vedere, chissà se anche le altre notti che mi affacciavo per vedere il castello lui era lì a guardarmi.

“Ti sta salutando’’, rispose benevolo, con gl’occhi che brillavano d’amore e speranza.

Mi venne un groppo in gola, ma la ignorai e mi girai verso il castello. “Ciao Drakon’’, non ero ancora pronta per chiamarlo papà.

“Ti sta salutando un’altra volta’’, affermò.

Avrei voluto salutarlo un’altra volta ma a quel punto parevo ridicola, e poi cos’altro gli potevo dire? Non c’era niente da chiedergli perché non riuscivo a trovare le parole, era fantastico quel momento: un padre e una figlia si conoscono, anche se a distanza. Avrei dato me stessa per sentire la sua voce.

“Quand’è che sei tornato?’’, gli chiesi, la mia voce diventò un sussurro.

Ci fu un secondo di silenzio e poi…

“Proprio quattro giorni fa’’, rispose Alucard al posto suo.

“E i licantropi? Li hai visti?’’

Alucard rise, o forse era la risata di Drakon. “Sì, li ha visti, e non gli ha fatto niente’’

Sospirai di sollievo. “Bene’’

E di nuovo silenzio, in quegli attimi cercai di formulare un’altra domanda ma quando stetti per farla Alucard mi precedette:

“Chiede se ti è piaciuto il regalo ’’

“Certo lo adoro, lo tengo sempre al collo. Guarda?”, e scoprii la collana dalla maglietta. “Alucard mi ha detto che avresti tanto voluto darmelo tu ma l’idea di farlo ti intimoriva, dice che ti vergognavi oppure avevi paura che mi arrabbiavo con te. Ti dirò, sono ancora irritata da quello che ci hai fatto, ma credo che l’odio sta svanendo. Ora che Alucard mi ha detto la verità mi sento proprio un idiota’’

“Dice che non devi sentirti un idiota’’

“Ehm…grazie. Alucard mi ha detto che hai stretto un patto con quei cani puzzolenti, è vero?’’

“Sì’’

“Ma come hai fatto, perché l’hai fatto? Non potevi lasciarli in pace?’’

“Dice che un giorno te lo dirà’’

“Me lo devi promettere’’

“Te lo promette’’

“Come mai non sei venuto questa sera? Non ti avrei riempito a morsi’’

Alucard recitò la risata di suo padre. “Doveva andare a caccia’’

“E ieri?’’

“Vuole tralasciare questo argomento ’’, mi avvisò Alucard.

“Oh, scusa’’

Passò dieci secondi di silenzio e Alucard ritornò a parlare tramite Drakon.

“Dice che non devi scusarti. Gli piace sapere che sei curiosa, e dice che sei diventata una bella ragazza. Dice se puoi dargli il permesso di farti lui alcune domande’’

“Certo, dimmi Drakon’’

“La prima domanda è sapere se stai bene’’

“Vedi, stanno succedendo tante cose e nuovi cambiamenti, alcuni positivi e negativi. Mia sorella che ha il potere dell’aria parla sempre con il vento, e questo gli dice che devo stare attenta a come mi muovo, a creare un certo….equilibrio fra Alucard e il mio fidanzato. Io ce la sto mettendo tutta e sembra che per ora vada bene, diciamo. Però sono anche preoccupata: dove mi porterà tutto questo?’’

“Sta dicendo: “Di sicuro, a qualcosa di positivo’’,  e dice anche che non ti devi preoccupare’’

“Cercherò di non preoccuparmi. E tu come stai?’’

“Dice che si sente come un papà incapace’’

“Non dico che lo sei stato, a mamma gli ha dispiaciuto lasciarti, e credo che ti ama ancora anche se ha Hendrik, però col tempo le ferite spariscono’’

“Si tormenta per quello che ha fatto a te e a tua madre’’

“Ma tu mi volevi?’’

“Ha detto: “Con tutto me stesso, ma allo stesso tempo non volevo costringerti ad una vita pericolosa, speravo che lasciarti e affidarti al mondo umano ti avrebbe cambiata. Non pensavo che mi avresti pensato’’

“Ti ho pensato ogni secondo, ogni minuto, ogni anno della mia vita, e continuo a pensarti. Un giorno ti potrò vedere?’’

“Dice che sarà felice di mostrarsi a te. Ti vuole tanto bene’’

“Sì, lo so. Ma tu ami ancora la mamma?’’

Sorrise compiaciuto, sapendo che stavo facendo un passo avanti con nostro padre. “Anche quello preferirebbe tralasciare. Per ora le domande vuole fartele lui, ricordi?’’

“Ah, giusto’’

“Chiede com’ è la tua vita’’

“Fantastica, magica, e ora come ora complicata’’

“Vuole sapere se ti trovi bene con il tuo fidanzato’’

“Stare con Louis….non so come descrivere i momento che sto accanto a lui: è troppo bello, mi sento una mezza vampira fortunata’’, sorrisi felice.

“Lui vuole essere sicuro che tu sia felice’’

“Sono felice’’

“Vuole anche chiederti se ti piace il tuo nome’’

Guardai Alucard accigliata. “Perché me lo chiede?’’

“Perché è il nome che ha scelto lui per te ’’

Nello stesso istante, cercai di lottare contro i singhiozzo alla gola. “Oh, io….io non lo sapevo. Grazie’’, balbettai, rassegnata ormai da quel pizzico d’odio rimasto che provavo per lui.

“Dice: “Il nome Alexia significa “colei che difende e protegge”, e perciò ha pensato che ti rispecchiava. È anche il suo nome preferito, avrebbe voluto metterlo a me se fossi stato una femmina’’, rise imbarazzato. Per quanto al nome, devo proprio dire che aveva azzeccato con mia personalità.

“Nessuno me lo ha detto. Ti ringrazio infinitamente Drakon, mi piace moltissimo’’

“È felice di sapere che è sei felice del tuo nome’’

“E perché non hai messo il nome Alexio ad Alucard? Almeno è uguale, no?’’

Alucard rise. “Grazie, ma il mio è un nome al quale ci tengo molto, e non preferirei cambiarlo. Nostro padre sta ridendo’’

Immaginai la stessa risata e lo stesso sorriso di Alucard. Ma poi vidi il mio fratellastro farsi serio e mi intimorii. Era successo qualcosa?

“D’accordo ’’, disse Alucard a suo padre.

“Qual-qualcosa non va?’’, balbettai spaventata.

“Tranquilla, deve solo andare a caccia, si è trattenuto fin troppo’’, mi rassicurò accarezzandomi la schiena.

Mi voltai speranzosa verso Redmoon, sapevo che mio padre era lì che attendeva una mia risposta. “Ciao Drakon, stai attento. Domani ti posso parlare di nuovo?’’

“Preferirebbe che gli parlassi di persona’’

“E quando?’’

“L’invito ’’

All’inizio lo guardai perplessa ma poi una lampadina del mio passato si accese. “Ah, giusto, l’invito. Ma dovrò aspettare un mese prima di risentirlo di nuovo?’’, quasi urlavo. Era…ingiusto.

“Non gli piace parlare con te a distanza’’

“Non dovrebbe piacere a me dato che io non lo vedo e lui mi vede’’

“Vuole che anche tu lo vedi alla mia sorpresa’’

“Ma non la puoi accelerare i tempi? Magari fra due settimane. Ti prego ’’

Rise fragoroso. “Sei proprio ostinata’’

“Drakon, diglielo tu a questo prepotente di tuo figlio!’’, ordinai al nulla. In parte, era anche colpa sua. Tale padre, tale figlio. Sospettai fin dal primo istate che ridesse insieme ad Alucard e che avrebbe rispinto il mio volere.

“Dopo la caccia mi farà una ramanzina’’

Lo fulminai con lo sguardo. “Vorrei che non passasse un mese’’

“Passerà così veloce che neanche te ne accorgerai’’, mi consolò accarezzandomi la spalla.

Lo guardai insicura. “Tu credi?’’

“Fidati di me’’

Sì, mi fidavo di lui, e di sicuro in questo mese avrei ammazzato il tempo per fare tante cose entusiasmanti per farlo scorrere velocemente. E Alucard avrebbe partecipato, sarei stata sempre accanto a Louis; ma soprattutto dovevo fare quattro chiacchiere con mia madre riguardo al mio nome.

“Drakon, stai attento, per favore’’, supplicai guardando di nuovo il castello speranzosa. Avrei desiderato vederlo intero alla visita, non avrei gradito vederlo per metà.

“Non lo fermerà nessuno, ti pare che un umano lo può distruggere?’’, rise Alucard, come mi avesse letto nel pensiero.

“In parole povere?’’

“Dice che starà attento, e che ti augura la Buonanotte’’

“Buonanotte Drakon, e grazie’’

Si fu un lungo silenzio: inatteso, insopportabile, forse per via della partenza di Drakon, Alucard guardava sempre il castello e sapevo che ascoltava il padre e lo accompagnava con lo sguardo mentre se ne andava. Non staccai mai lo sguardo dal vampiro accanto a me, anche alla luce della luna era bellissimo, rendeva i suoi lineamenti più precisi. Sembrava un sogno, una angelo delle tenebre. Era difficile non staccargli gli occhi di dosso, sarei stata pronta a scommettere che perfino Jennifer avrebbe lasciato Louis un po’ libero per corrergli dietro. Quest’ultimo pensiero mi creò una gelosia inaspettata. Era un orrore vedere Jennifer e Alucard insieme, era…disgustoso, e poi chi la voleva quella vipera?.

“A che pensi?’’, mi chiese d’improvviso.

Ero così immersa nei sogni che non mi ero accorta che l’avevo guardato così a lungo e intensamente, e lui se n’era accorto. Aveva alzato un sopracciglio. Rimasi impalata dalla sorpresa, sorprendentemente non arrossii.

“Ehm…a cosa penserebbero i miei amici quando ti vedranno’’, infondo era la verità.

“Di sicuro, si parerebbero dentro la scuola, inchiaveranno la porta e chiuderanno le finestre’’, rispose.

Mi piegai in due dalle risate insieme a lui, come intuito era prevedibile. Infondo era perfettamente spaventoso, tenebroso e bello; anche se avrebbe attirato una persona con la sua bellezza, con il suo sguardo l’avrebbe allontanata.

“È probabile’’, mormorai.

“Quando potrò conoscere i tuoi amici?’’

“Bè, ho pensato ad un venerdì sera. Ti farò sapere al più presto. Ammesso che tu non sia libero o cosa ’’

Sogghignò. “Andrò a caccia il giorno prima’’

“Però, promettimi una cosa ’’

“Cosa?’’

“Se vedi per caso uno dei miei amici lungo la strada della caccia, non ti azzardare a morderlo’’

Rise. “Puoi contarci, mi sforzerò a riconoscere uno di loro’’

Sorrisi compiaciuta, sicura delle sue parole. Per un momento mi fece sorridere eccitata pensando all’immagine di Paul con un bello squarcio sulla gola. Lo scacciai immediatamente dato che mi resi conto che facevo veramente la figura della crudele.

In silenzio, mi condusse dentro la camera, un attimo prima che lo avrei fatto io, e mi sedetti sul letto mentre lui studiava con cura le foto, i vestiti, i colori della stanza. Perfino i mobili. Forse voleva tenersi tutto in buon memoria se un giorno sarebbe andato. Infondo quando mi sarei sposata con Louis avrei prestato più attenzione a mio marito piuttosto che a lui, e questo mi fece male allo stomaco. Era orribile certe volte il futuro. Ma era veramente quello il mio destino? Un giorno mi sarei veramente allontanata da lui?.

Lui si accorse della mia espressione e mi fu subito accanto.

“Ehi, che cos’hai?’’

Era difficile mentirgli. “Sto solo pensando al mio futuro’’

“Ed è una cosa brutta?’’

“Questo è il punto: non so come sarà, ed è questo che lo rende brutto ’’

“Sei una ragazza ingamba, la protettrice di questo paese piccolo e non hai niente da aver paura’’

Mi rabbuiai. “E tu?’’

Anche lui si rabbuiò. “Io? Io vivrò come un dannato per tutta la vita’’

Mi strinsi nelle spalle. “No, non può essere questo il tuo destino. È…terribile’’

“Sono un mostro, Alexia’’

“Anche io sono un mostro, se me lo concedi’’

Fece finta di non aver sentito. “E merito questa vita’’

Restai zitta, stringendo i denti per non urlargli in faccia. Era lui che si creava una vita orribile senza sapere di cosa c’è più bello in questo mondo. Vedendo sempre le cose nel verso negativo si sarebbe fatto male da solo. Che masochista.

“Sei arrabbiata?’’, mi chiese dopo un minuto di silenzio.

“Sì, eccome. Sei veramente un…..prepotente’’

“Vuoi che me ne vada?’’

Mi si fermò il cuore. “No, resta qui’’, supplicai poi.

Sorrise vittorioso. “E scommetto che non hai ancora sonno, vero?’’

Perché dovrei averne? Avevo tante domande da rivolgergli. “No’’

“Lo sapevo. Allora cosa vuoi fare?’’

“Voglio trasformare questa camera in un interrogatorio’’

Rise, e si distese nella parte destra del letto che era sempre il mio posto, e annusò il cuscino che, probabilmente conteneva il mio odore. Chissà di cosa profumavo. La sua mano passò leggera contro la stoffa del cuscino, ne sentii il leggero fruscio della sua pelle; era bellissimo anche nei movimenti. Rimasi a guardarlo incantata di nuovo, finché non mi rivolse lo guardo.

“Dimmi’’, mi incoraggiò. La melodia della sua voce era simile a quella dell’arpa, sembrava che cantasse, era bellissima.

“Ehm…Diciamo che sono domande stupide’’

“Dimmi”, ripete.

“Dormi in una bara di giorno?’’, mi sentivo ridicola.

“Non ho una bara, ma un letto come il tuo. Alle volte dormo ma altre volte preferirei passare le giornate insonne’’, rispose sorridendomi.

“Ti bruci alla luce del sole?’’

“Sì, ma anche il fuoco può farmi incenerire. Dopotutto il mio potere può proteggermi anche dalla morte’’

“Ti danno fastidio i crocifissi?’’

“Ti dirò: adoro guardare i crocifissi, anche se sono un demone’’

“Ah, quindi sono solo sciocche superstizioni’’

“In parte, ma ricorda che ho sempre il potere come scorta’’

“E le cipolle?’’

“Sì, quelle mi danno fastidio ’’

“E i paletti conficcati nel cuore?’’

“Cerco di schivarli, anche se nessuno riuscirà mai ad uccidermi’’

“Già, a meno che….’’, mi fermai di colpo, era troppo orribile quello che ho pensato.

Lo vidi scrutarmi dal buio, alzò un sopracciglio. “Cosa?’’, chiese curioso.

Scrollai il pensiero di dosso. “Niente. Pensavo’’

Si rizzò con la schiena e si mise seduto accanto a me che ora ero distesa, annusavo il suo odore, si appoggiò con un gomito e mise a fuoco il mio volto. Per un momento mi guardava come se volesse leggere il mio pensiero.

“A me puoi dire tutto, lo sai’’, mormorò.

Impossibile parlare in quel momento: stava a pochi centimetri da me col volto, sentivo il suo alito fresco e profumato rinfrescarmi le labbra, era posato in un fianco e il suo petto marmoreo quasi vicino al mio, la sua mano libera accarezzava dolcemente la mia dove c’era il braccialetto di Consuelo. Pensai come fosse bello baciare un vampiro. E di ritorno furono le farfalle, il mio stomaco fu inondato da quel fastidioso sfarfallare.

“Che hai?’’, mi chiese poi quando si accorse che non rispondevo.

“Ehm…niente’’, balbettai abbassando lo sguardo.

“Vuoi chiedermi un’altra cosa?’’

“Sì, mi chiedevo se potevi farmi vedere quella piccola foto dove hai detto che c’ero io’’

Oltre il buio, vidi il suo volto: era pensieroso, e insicuro. Forse non voleva, o forse non la portava con se, ma dopo lo vidi allontanarsi da me e sedersi, mi diede le spalle per non permettere la mia vita che cosa faceva il suo braccio quando frugò dentro la camicia nera. E dopo si rimise nella stessa posizione di prima, ma con questa volta lo stesso foglio di qualche giorno fa sulla sua mano.

La sera che lo vidi per la prima volta ero sul sonni-veglia per cui non riuscivo a vedere bene la figura stampata nella foto, ma quando me lo porse vedi tutto più chiaro: era una bambina neonata, avvolta nelle fasce, ma con la formazione più precisa e più bella di un vampiro. La bambina sorrideva facendo mostrare le fossette sulla pelle candida e morbida, e notai i piccoli canini più affilati e lunghi di quelle di un bambino. Solo quando notai gli occhi marroni scuro uguale a me mi riconobbi, e anche il viso della bambina era uguale al mio.

“Alucard, ma ero bellissima’’, sussurrai incantata dalla bellezza di quella bambina.

“E se noti bene c’è la mia mano: era il terzo giorno in cui eri nata e Kate- tua madre- voleva scattarti una foto’’, disse.

E in effetti notai delle dita quasi invisibili perché erano dello stesso colore della stoffa, ed erano la mani di Alucard. Mi commossi, tanto che mi gettai ad abbracciarlo per nascondere le lacrime.

“Grazie che mi sei stato accanto in tutti quei giorni’’, dissi con voce strozzata.

“Non sarei mai riuscito ad allontanarmi da te ’’

“Posso crederti sulla parola. Avevo una bellezza che nessun’altro neonato poteva superarmi’’, risi nella verità, ma sicuramente Alucard avrebbe superato me. Ammise un sorrisino, ma nel suo volto trapelava la tristezza. Ora era lui che teneva la foto.

“Che cos’hai?’’, chiesi. Ora non piangevo più.

“Non riesco…Non riesco ad avere la forza per starti lontano, Alexia’’, rispose fra i denti, quasi a malavoglia. E il suo sguardo mi devastò la mente, era così glaciale che mi immobilizzò a allo stesso tempo maledettamente bello che mi conquistava. Capii con il suo sguardo che aveva detto la verità. Per me era una verità sconvolgente ma desiderata. Per lui uno sforzo rimpianto.

“E allora non ti allontanare’’, mormorai controvoglia.

“E se ti facessi del male?’’

“No, non lo farai. Mi vuoi bene’’

Sorrise beffardo. “Già, hai ragione’’

Lasciò che il silenzio ci invase la camera, fu facile per me incantarmi dal suo sguardo profondo e lo studiai sperando di sognarmelo quella notte. Ascoltai il suo respiro, il mio cuore, e assaporai il suo profumo. Gli unici rumori che mi facevano capire che non stavo sognando, e che lui era vero. Ci sarebbe stato anche domani e dopodomani, e sarebbe esistito nella mia vita fin quando lo avrei voluto. Neanche Louis sarebbe riuscito a liberarmi dal mio fratellastro.

Per quanto ero imbambolata a studiare il suo sguardo, non mi accorsi che passava teneramente la sua enorme mano sulla mia guancia. Ormai sapevo che arrossivo facilmente con lui per cui lasciai che il rossore mi colorasse la pelle comodamente.

“È così piacevole il calore’’, mormorò. Di nuovo il suo viso era a pochi centimetri dal mio. “Bambola. Bambola ti chiamavo, perché assomigliavi ad una bella bambina di porcellana. Avevo due occhi vispi, un viso perfetto e indescrivibilmente meraviglioso. Un sorriso smagliante che trasmetteva allegria di chi lo osservava’’

Non riconobbi più me stessa quando sentii quel discorso uscire chiaro e preciso dalle sue labbra, mi fece pure dimenticare che mi chiamavo Alexia, mi levò la condizione del tempo, i miei anni, e perfino che ero nella mia camera. Sapevo che volevo solo lui in quel momento, e nessun’altro. Che fosse di nuovo il suo incantesimo? Probabile, dato che mi guardava come se mi volesse mangiare.

“Alucard, sai potrei anche svenire se vuoi rimanere così fino all’alba’’, farfugliai quando sciolsi la lingua. C’era qualcosa dentro la mia testa che mi diceva che non esercitava contro di me nessun incantesimo. Nel suo sguardo si celava la verità.

Lui si staccò finalmente, e fu come una liberazione, soffocando le risate sul mio cuscino. Ma poi ritornò serio.

“Davvero mi chiamavi “bambola”?”, chiesi.

Si sedette, strinse le gambe al petto. “Sì, ma le maggiore delle volte ti chiamavo “angelo”, come faceva tua madre’’, rispose.

“Sapere che mi volevi così bene è un piacere per me’’

“L’unica gioia che provo per te è quando so che sei felice, e avrai una vita stupenda insieme a Louis’’

“Però anche tu devi trovarti una compagna. Sono sicura che in questo mondo ci sarà una ragazza che accetterà di volerti, al massimo se fosse una vampira’’

Sfoderò un sorriso angelico, ma poi ritornò serio. “Per ora non sono interessato ad una vita sentimentale, prima voglio pensare a te e trascorrere quei momenti che mi sono perso in tutti questi anni’’

“Stai attento, che ti terrò incatenato per l’eternità’’, scherzai fingendo di minacciarlo.

“Per te non ci sarà un eternità, e tu questo lo sai’’, la sua voce era tenebrosa, ma sincera.

Questa volta fui ad avvicinarmi a lui e girandomi su un fianco per osservarlo bene. Era ridicolo quello che diceva, sentivo che non sarei morta.

“Ma che dici? Certo che sì’’

Fece un gesto con la testa. “Sei mezza immortale, Alexia. Sei per metà umana, stai subendo la crescita di qualsiasi umano anche se dentro hai lo spirito di un vampiro’’

“Significa un’altra cosa vero? Che….invecchierò e morirò’’, rabbrividii.

“Alcuni dei mezzi vampiri fanno questa fine. Ma sto parlando di vampiri sposati come un giorno….lo sarai anche tu. Il vampiro sarà così attaccato all’anima umana dell’altro compagno che quando morirà, le forze della creatura oscura andranno a mancare, il cuore…si spegnerà e morirà’’

“Ma…io credevo che una volta che i mezzi vampiri raggiungono la maggiore età….si trasformano in vampiri’’

“Anche questo è vero, ma – ripeto- ci sono altri Sanguemisti che muoiono non appena muore il compagno ’’

“Ma io non voglio morire, no. Dopo che farai tu se non ci sarò io?’’

“Mi prenderò cura di Consuelo come ho fatto con te, e poi dei suoi figli e viceversa. Mi prenderò cura della tua famiglia per sempre, tutto per non dimenticarti’’

“Ma la tua vita sociale?’’

“Questa è la mia vita e la adoro così com’è’’

“Ma non vuoi crearti una famiglia come ha fatto Drakon?’’

“Perderei la mia compagna e questo mi farebbe sentire male ’’, aveva sempre a risposta pronta. Mi sconvolgeva.

“No, non la perderai se fosse così, perché io sarò accanto a lei a ridargli la vita come ho fatto con mia madre e…Elisa’’

“Il tuo coraggio è ammirevole, ma un potere di luce non può vincere contro un potere oscuro ’’

“Ma io…non voglio sapere che tu sei infelice’’

Mi sollevò il mento con la mano e mi costrinse a guardarlo dritto negli occhi: ardevano, ma non capii se era d’affetto oppure di tristezza.

“Non sarò infelice se ci sarai tu. Finché ti starò accanto la mia vita sarà…bella e…unica, mia dolce sorellina, finché il tuo cuore batterà ancora’’

“Ma…’’

“Sssh! Non devi preoccuparti per me, io sto bene. Devi essere orgogliosa di aver reso un vampiro felice’’

Sorrisi, in parte ero felice di sapere che sta bene grazie al nostro rappacificamento, ma dopo tutto ciò il mio sorrido si mostrò malinconico perché sapevo che un giorno me ne sarei andata e lui sarebbe rimasto solo.

“Adesso è meglio che dormi ’’, mi sussurrò all’orecchio quando mi lasciò il volto e si allontanò lentamente da me, si alzò dal letto e mi permise di sdraiarmi nel mio solito posto, lui dopo spuntò dall’altro lato sempre su un fianco. Era mezzanotte inoltrata.

“Grazie per avermi fatto parlare con Drakon’’

“No, sono io che devo ringraziarti per aver avuto la forza di aver conversato con lui, non me lo sarei mai aspettato che fossi così curiosa. Sono davvero sbalordito’’, rise fra se.

“Posso farti un’ultima domanda prima che sprofondo nel sonno?’’

“Preferirei che sprofondi subito dal sonno ma questa volta farò un’eccezione. Dimmi’’

Ma restai zitta, indecisa se parlare o no, pensai che era troppo esagerata, forse lo avrei rattristato, e perciò tacqui così a lungo che Alucard si fece subito sospettoso.

“Ti sei addormentata?’’

“No, non ancora’’

“E allora cosa mi volevi chiedere?’’

“Niente, c’ho ripensato. Forse è meglio mettersi a dormire’’

“Dai, ti prego, prometto che non mi metterò a ridere’’

“Credo proprio che ti farà arrabbiare’’

“Non mi arrabbierò’’

Sospirai. “Volevo chiederti com’era tua madre’’

Non si rabbuiò come sospettavo, ma sorrise. “In senso caratteriale?’’

“Tutto quello che riesci a dirmi’’

“Quel che so dai racconti di mio padre è che la mia somiglianza era tale uguale alla sua, eccetto per gli occhi. E poi il suo carattere era identico al mio, era una Purosangue e amava molto mio padre. Per me avrebbe dato la vita pur di venirmi crescere e così ha fatto. L ‘ha conosciuta quando alloggiava qui a Solemville. Rimasero amici per dieci anni fino a che lui non si innamorò di mia madre. Si amarono tantissimo, mia madre era unica e….era disposto a fare tutto pur di rendere mio padre felice; dal loro amore poi nacqui io e….il resto lo sai’’

“Wow! Deve essere stata una donna speciale’’

“Per mio padre era tutto il mondo ’’

“Mi dispiace’’, dissi in fine.

“Non ti dispiacere, ho sempre lei nella memoria. Non sparirà mai’’

“Mmm’’, ma sapevo dentro di me che gli mancava.

“Ho risposto alla tua domanda, adesso vuoi farmi la cortesia di dormire?’’

Sorrisi. “Sì’’, e chiusi gli occhi lasciando che la stanchezza avesse il sopravvento su di me.

Le giornate insieme a lui sembrano apparire sempre più avventuriere, mi piaccievano. Con Louis è sempre tutto così magico ed apprezzo anche quelle. Ma Alucard fu come se mi fosse stato mandato per rendere la mia vita più migliore.

La giornata era finita, avevo dato il meglio di me ed ancora mi sentivo carica di felicità per aver salvato Elisetta da una morte certa, aver chiarito le cose con Louis, aver conversato con la prima volta con mio padre anche se c’era la distanza a separarci, però la cosa più felice era sapere che Alucard sarebbe stato accanto a me e, ormai ne ero certa, per sempre.

Ho trovato l'occasione di pubblicare finalmente il mio sensto capitolo,
qui Alexia vi darà un'affascinante dimostrazione del suo potere (ho cercato di scrivere l'eppisodio più entusiasmante possibile) e ha l'occasione di conoscere il suo padre biologico, si può dire, a distanza.
Buona Lettura!
A presto con il settimo capitolo.
Baciii!

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Capitolo 8
*** Nuove conoscenze ***


Capitolo 7          
Tenevo stretto il foglio bianco che una attimo prima era stato piegato su una busta della posta, e rilessi quelle sette righe per la quarta volta.

Cara Alexia

Ti siamo debitori per aver salvato nostra figlia, non sappiamo come ringraziarti, mia moglie è rimasta insonne una notte intera per trovare un modo di dimostrare la nostra gratitudine, Elisetta chiede di te e vorrebbe vederti al più presto. Naturalmente anche noi siamo molto felice di accoglierti, sei parte della nostra famiglia ormai e sappi che la nostra porta sarà sempre aperta per te.

Tom

Mi asciugai una lacrima, orgogliosa ancora di me stessa, e sapere che Elisetta stava bene. Perfino mamma e papà mi aveva tormentato con complimenti, baci e abbracci, e per rendere le cose più imbarazzanti possibili avevano anche diffuso la notizia ai loro amici e conoscenti così ora il paese intero era al corrente del fatto. Molta gente venne a trovarmi a casa mia e i miei genitori parlarono così allungo di quel tragico momento e del mio racconto quando ritornai a casa, così in una sola settimana continuai a ricevere visite su visite. Per questo spiacevole accaduto, Alucard venne solo una notte a farmi visita a causa di quegli odori mischiati e squisiti che circondavano la casa. In quei momenti avrei voluto cucire la bocca a mia madre e a mio padre. Oltretutto era così imbarazzante sentirsi osservata.

Era venerdì ed erano già passate due settimane da quando quelle persone appiccicose avevano smesso di profumarmi la casa, lasciando che conducessi una vita normale, ma la cosa più bella era che Louis cercò di mostrarsi gentile nei confronti di Alucard. Lui cercava di mettercela tutta, credetemi. C’erano alcuni momenti che ci metteva tutta la sua volontà, ma alle volte in cui non riusciva proprio a sopportare la sua presenza e si sfogava con se stesso per l’odio verso il mio fratellastro, però non si era mai arrabbiato con me.

Erano le sei e ancora il sole doveva sorgere, io quella sera non avrei cenato con loro, dovevo uscire con i miei amici. Sentii dei passi avanzare verso la cucina, mamma canticchiava mentre passava lesta verso di me e si mise a lavare i piatti. Io ero seduta a tavola e tenevo ancora il foglio in mano.  Guardai mia madre di sottecchi, quel giorno era praticamente una ragazzina.

Era giunto il momento di entrare nella conversazione “nome proprio di persona’’. E sapete di cosa sto parlando.

“Mamma, posso parlarti?’’, mi permisi.

Lei mi rivolse uno sguardo veloce e poi ritornò a guardare le posate. “Sì, dimmi, tesoro’’

“Però preferirei che smettessi per un attimo il tuo lavoro ’’

E lei con un gesto alla mano creò la solita bolla che usava per lavare i piatti più velocemente, si asciugò le mani e venne da me con in mano un bicchiere d’acqua. Sbuffò appena sapendo che doveva lasciare le posate, usava di rado il suo potere, preferiva lavorare a mano.

“Che c’è?’’

Sospirai. “Mi stavo chiedendo….Alucard ti ha parlato di quella visita a sorpresa, giusto?’’

“Mi sembra che eri presente anche tu’’, precisò storcendo le labbra.

“Certo, hai ragione’’, più impicciata di così non potevo essere? “E…devo dirti una cosa, però tu promettimi che sarà un nostro piccolo segreto ’’, con lei era facile rispettare un segreto, al contrario di mia sorella che lo urla quattro venti. Infondo, un po’ di verità non faceva male a nessuno.

“Sono la persona giusta’’, squittì. E si portò il bicchiere alle labbra per bere qualche sorso.

Sospirai un’altra volta. “Ok. Alucard viene a farmi visita la notte’’, dissi.

Non riuscii a contare nemmeno ad uno che una spruzzata d’acqua di venne dritta alla faccia. Mamma rimase a bocca aperta e con le labbra bagnate. Controllai l’adrenalina che mi salì in corpo per non saltarle addosso, senz’altro mi aveva fatto una bella doccia, la prima in tutta la mia vita a base d’acqua. Puah, che schifo! Mi pulii con un tovagliolo che prese subito.

“Che…che cosa?’’, balbettò meravigliata.

“Tranquilla, mamma, non è come pensi tu. Non c’è niente fra noi, solo….affetto fraterno’’, la consolai imbarazzata.

Ma lei mi guardava pietrificata. “Tesoro….ma….?’’

“Non è successo mai niente, giuro ’’

“E perché allora ti viene a trovare?’’

Sospirai, ringraziando il cielo che ancora non avevo visto spuntare lingue di fuoco dalla sua bocca. “Gli manco, ecco il perché’’

“Oh’’, disse mamma.

Impaziente, aspettai che iniziasse ad arrossire per la rabbia ma questa non arrivò mai, lasciai che il silenzio invadesse la camera per qualche minuto e poi ritornai a parlare.

“Se sei infuriata con me, ti capisco….ma non ti arrabbiare con Alucard, lui non centra niente’’

Ma lei non disse niente, e rimase a guardarmi.

“Ha detto che non riesce stare accanto a me….vuole recuperare tutti quegli anni passati senza la mia presenza’’

“Alucard è stato male a causa della tua assenza in questi ultimi anni, non lo biasimo ’’, rispose finalmente mamma, rasserenando il viso.

“E….mi ha….’’, pensavo che fosse la cosa giusta da fare ma nel momento mi fermai. Questo era un segreto che dovevo tenermi da per me.

“Che cosa tesoro?’’, mi chiese mamma, impaziente, il suo sguardo però era differente: calmo.

“Mi ha detto che il mio nome lo ha scelto Drakon’’, risposi veloce, nella melodia della mia voce mi accorsi di una nota dura.

“Sì, lo aveva scelto lui ’’, rispose dolce. Nella sua voce scorsi una melodia di malinconia, rimorso, ma era comunque dolce. Sapevo che ci teneva ancora a Drakon.

“E perché non me lo hai detto prima?’’

“Non lo so, forse speravo di dimenticarlo, ma non ci riesco’’

La capivo, anche io per tutta la giornata avevo pensato a Alucard e contemporaneamente a Louis, cercando di capire con quale viso avrei desiderato incontrare per primo quel pomeriggio. Fu in quel momento che capii la mia somiglianza con mamma. Quella mattina rimasi sul letto a guardare il soffitto, facendomi un riassunto su chi ero diventata e cosa mi aveva fatto diventare quella che ero: ero diventata…non capivo nemmeno in che modo ero cambiata, capivo soltanto che mi stavo dividendo in due per il mio fidanzato e il fratellastro, mandando il mio cervello ad un disordine di pensieri e sentimenti, un caos che era difficile rimettere in quiete.

Fu assorta nei miei pensieri così a lungo che non mi accorsi che era passato già un quarto d’ora, e mamma era lì con il bicchiere d’acqua in mano, guardava incantata il legno elaborato del tavolo, e sicuramente anche lui pensava ai suoi due amori.

“Mamma…’’, la chiamai, e lei si svegliò da quell’incanto. “Voglio solo dirti grazie per aver dato l’onore a Drakon di affidarmi questo nome, e ti ringrazio ancora per il segreto che stai sforzando di mantenere tale’’, capii che non avevo alcun motivo per arrabbiarmi. Non avrei mai potuto in quel momento. stranamente, desiderai tutta me stessa che questo mese finisse per incontrare Drakon di persona, non ci sarei andata senza la mia dolce mamma.

“È un piacere tesoro’’, rispose e poi si alzò, in silenzio rimise i piatti bagnati e puliti dentro i cassetti, dimenticandosi di bere l’acqua.

Nei momenti in cui si dimenticava qualcosa, significava che certamente stava pensando al suo primo amore, capivo quanto era doloroso anche se non avevo mai provato una simile avventura. In quei momenti malinconici per lei, era meglio uscire dalla cucina e scattare in una altra stanza. E così feci.

Ritornai nella mia stanza, attenta a non disturbare i suoi ricordi, e mi levai i vecchi vestiti di dosso per mettermene altri puliti. Non mi serviva lavarmi, o fare la doccia, i Purosangue o Sanguemisti hanno un aspetto pulito fin dalla nascita. Questo è un buon vantaggio per non usare il bagno e bagnarmi con quell’acqua strana.

Mi misi una maglietta a maniche corte con il colletto coperto, dei jeans blu chiari e delle ballerine color lavanda con attaccato un piccolo fiore di stoffa viola alla punta della scarpetta. Mi sistemai anche i capelli: li raccolsi in una treccia e lasciai che le ciocche più piccole mi ricadesse intorno alla testa in un modo sbarazzino. Guizzai con lo sguardo dalla finestra e controllai il colorito del cielo: era l’ora del crepuscolo: l’intervallo di tempo dopo il tramonto caratterizzato dalla permanenza di una luminosità diffusa.

Anche se ero pronta, Alucard non sarebbe ancora tornato da me, era solo questioni di minuti; in ogni caso dovetti controllare un’ultima cosa prima di uscire dalla camera: mi concentrai con il potere, lo estesi lungo il mio corpo nel caso mi fosse – e ci fosse- successo qualcosa sarei stata pronta a  espandere lo scudo. Nell’attimo del concentramento, sentii un’ondata di freschezza gradevole invadermi il corpo, un piacere mai provato in tutta la mia vita; rimasi in quella posizione ferma per ben tre minuti, costringendo al mio velo di luce a rimanere ben saldo dentro di me, con la forza della mente lo avvinghiai addosso a me per impedirgli di slacciare il nodo che lo teneva stretto. Per l’ultimo secondo di immobilità, mi preoccupai per come si sarebbe sentito Alucard, ma d’impulso ricordai che anche lui aveva il suo potere e poteva ben certo farsi scudo. Ogni preoccupazione era svanita.

Ora il cielo non era come prima velato da un fascio di luce, ora la luminosità iniziava a farsi più debole, calando ad un puntino lontano delle montagne. Il resto del cielo andava a tendere di un colore azzurro chiaro, fino a un nero notte dove si poteva scorgere le prime stelle. Ora mancava poco, troppo poco prima che Alucard potessi trovarlo davanti all’entrata. Perciò dovevo essere lesta- come se non lo fossi già abbastanza.

Afferrai in quegli ultimi secondi che mi rimanevano il cellulare sopra la scrivania e digitai il numero. Allo stesso tempo guardavo fuori dalla finestra, impaziente.

“Pronto’’, disse la voce dall’altro capo del cellulare.

“Louis, sono io, Alexia’’

Lo sentii frenare il respiro e poi ributtare fuori con tutta felicità. “Amore, che bello sentirti. Sembra una vita che non ci sentiamo’’, disse sarcastico.

“Già, infatti non ti ho visto da ieri sera’’, stetti al gioco, ma la voce suonava priva di interessamento. E lo feci ridere.

“A cosa devo questa accogliente telefonata?’’

“Volevo sapere se stavi bene’’

“Sto magnificamente, ora che ti sento. E tu? Mi sembri….agitata’’, c’aveva azzeccato.

Sospirai. “Già, sono agitata’’, risposi battendo il tacco per contare i secondi.

“Potrei sapere il motivo?’’

“In realtà, ti ho telefonato proprio per questo’’

Ci fu una pausa. “Dimmi’’, azzardò infine.

Feci tre sospiri, esercitai di essere più razionale possibile, controllai la voce. “Se io ti dicessi che sto per uscire con i miei amici, che mi divertirò un sacco, e che….resterò con loro fino a tardi tu che diresti?’’

“Immagino che sarei orgoglioso di te, devi divertirti, è giusto ’’

“Anche se ci sarà qualcun altro a farmi compagnia?’’

E sentii il suo respiro fermarsi. Contai tre secondi buoni di completo silenzio che sembrarono tramutarsi in un minuto, forse era l’agitazione a farmi perdere la condizione del tempo.

“Dovrei esserne felice?’’, mi chiese, ora c’era un pizzico di irritazione a sporcare la sua benevolenza.

“Be’….penso di sì, dato che…mi divertirò con i miei amici’’, farfugliai, cercando di apparire il più ottimista che potevo.

“Mmmm’’

“E poi ti racconterò tutto l’accaduto, non ti terrò all’oscuro di niente. Voglio che tu sappia quanto ti rispetto ’’, però c’era qualcosa che non andava: sentii un pizzico di malinconia mentre pronunciavo quelle parole. Mi accorsi che era la mia voce. Mi mancava, e avevo paura di quello che stesse pensando, avrei desiderato che ci fosse stato anche lui quella sera.

“Mmm’’, ripeté pensieroso. “Se succede qualcosa di grave, o se ti aggredisce….’’

“Non pensi che stai esagerando?’’, lo interruppi.

“…..chiamami subito’’, continuò ignorando la mia domanda.

Sbuffai, ma poi mi convinsi. “Anche se non succedesse queste cose ti chiamerei lo stesso’’

“Non hai risposto alla mia domanda’’

“Te lo prometto. Sai bene quanto ti amo ’’

Lo sentii sorridere e scoccare una risata vittoriosa. “Lo so, ti amo anche io. Divertiti’’

“Lo farò. Ciao’’

“Ti amo ’’, ripete. E riappese.

Fui in parte felice del mio intento: lo avevo convinto. E in un’altra parte ero triste perché sapevo che sotto sotto lo avevo ferito. Mal grado questo, non poteva obbligarmi a rispettare ogni singolo minuto la sua volontà, non ero una donna del Medioevo: l’ombra dell’uomo, avevo anche io i miei diritti. Però nemmeno io dovevo essere così idiota da farmi condizionare dalla sua angoscia.

Girai i tacchi, con un’espressione menefreghista, come se stessi girando le spalle a qualcosa che mi aveva fatto credere a delle falsità, ragionando da stupida, misi il cellulare dentro la tasca destra del pantalone e uscii decisa dalla stanza.

In quei due minuti silenziosi, d’ignaro silenzio, cercai di controllare il battito del mio cuore che si era fatto spontaneamente più frenetico del solito, e concepii la prevenzione che sarebbe andato tutto per il meglio.

Mamma non era più nella cucina, ora era nella camera di Consuelo a parlare con lei: sicuramente era andata ad aiutarla con lo studio e dopo avrà giocato con lei, papà era a ronfare sul letto: quel giorno aveva lavorato parecchio.

Contai fino al duecentosessantaduesimo respiro di mia madre, e finalmente sentii dei rumori provenire dall’esterno della casa: passi veloci, che era difficile non distinguerli con quelli goffi e lenti degli umani, e una forte ventata si scontrò contro la porta facendola tremare appena.

Sospirai, mi alzai e scattai alla porta.

La aprii ed eccolo, il mio angelo della notte. Il mio dolce fratellino. Lo accolsi con un sorriso, mentre lui con il classico sorriso angelico che mi faceva venire le vertigini. Quel giorno era vestito in modo….civile, umano, erano le uniche parole giuste per descrivere il suo abbigliamento: maglietta a maniche corte e color blu indaco, indossava dei jeans anche lui e scarpe da ginnastica nere. Non mi stetti a chiedere dove avesse preso quei vestiti, pensai che era una domanda stupida, ne m’importava. Rimasi a fissarlo incanta, ammaliata come il primo giorno.

“Buonasera Alexia’’, disse lui cortese.

“Buonasera” ricambiai. E rimasi zitta a fissarlo. In realtà ero delusa: dove era finito quel suo aspetto tenebroso? Il nero dopotutto gli donava e lo rispecchiava. D’altro canto anche con indumenti di quel genere non faceva la differenza: era bello lo stesso.

Alucard notò la mia espressione e notai la sua espressione quieta mutarsi in curiosità.

“Che c’è?’’, mi chiese poi.

Storsi le labbra. “Niente mantello o abbigliamento da creatura delle tenebre?’’, chiese ironica.

Scoppiò a ridere. “No, oggi vorrei apparire….più umano possibile’’

“Bè, con questo abbigliamento farai un bel passo avanti’’. Di sicuro Jessica si sarebbe rimasta imbronciata, aspettava che di fianco a me ci fosse un ragazzo dallo sguardo ipnotizzante, e un vestito da “angelo oscuro”.

“Non ti piace?’’

“No, no. Stai molto bene anche così’’. Era bello, bello come un dio. Non c’erano parole.

Fece il bellissimo sorriso di prima e alzò un sopracciglio. “Non credo però che la mia bellezza sia paragonabile alla tua’’, osservò mentre mi studiava dalla testai ai piedi.

“Adesso però non esagerare’’, balbettai arrossendo violentemente. “Andiamo, è ora di fare nuove conoscenze’’, lo incoraggiai cercando di deviare quel momento di intensa dolcezza e imbarazzo.

“Giusto, nuove conoscenze’’, disse fra sé.

Sbattei la porta con forza per avvisare a mamma che me n’ero andata, sapeva dell’uscita con Alucard e si sicuro era talmente occupata con mia sorella da non tollerare disturbi e distrazioni. La lasciai fare, e mi allontanai da casa.

Non avevo scelto il giardino della scuola come incontro, ma l’unico parco giochi esistente in quel minuscolo paese. Durante la nostra camminata ero così eccitata che alle volte mi trovai a trotterellare come una bambina anziché camminare come Alucard, per quanto a lui non gli diede fastidio la mia reazione. Era felice che apparissi ancora una bambina, forse dentro lo ero ancora.

Camminammo per una manciata di minuti in silenzio, guardandoci e sorridendoci allo stesso tempo. Ma poi fu lui ad iniziare.

“Dammi un aiuto ’’, mi implorò sempre con un sorriso angelico sul volto.

“Che?’’

“Dimmi come mi devo comportare con loro. Anche se indosso questo abbigliamento moderno non vuol dire che non posso essere me stesso’’

“Per prima cosa voglio essere sicura che ti sei fatto una bella dose di sangue’’, tralasciai la curiosità di sapere se fosse sangue umano o animale quello che aveva cacciato. Non si sa mai.

“Sono completamente controllato’’, le sue parole sincere non tralasciarono alcuna macchia di falsità. Approvai con un sorriso.

“Se il loro odore ti….estasia molto, trattieni il respiro ’’

“Okay, poi?’’

“Cercai di non usare il tuo potere’’

Strizzò l’occhio. “Non credo che tu stia facendo la stessa cosa ’’

Ops. “Ah’’

“Si sente quella sostanza vitale fino alle mura antiche di Redmoon, Alexia’’, precisò. Fui colta dalla sorpresa quando non disse la parola “casa”, ma tralasciai anche quello. Non volevo distrarmi.

“È solo per sicurezza’’, affermai.

“Mi chiede che non posso usare il mio potere, e lei fa l’inverso’’, mormorò fra sé, scuotendo il capo.

L’unica cosa che feci per non ribattere è alzare gli occhi al cielo. Restai in silenzio finché non notai la sua serietà nel suo volto.

“C’è altro?’’

“Sì, non metter loro paura con gli argomenti: battuta di caccia o qualcos’altro a meno che non sia loro a chiedertelo. Io faccio sempre così, infondo per non metter loro suggestione’’

“Lo farò. E…?’’

Ci pensai su. “Bé…mi pare che abbiamo finito. E ricorda che anche tu sei libero di chiedere tutto ciò che vuoi, sono sicura che ti capiranno. Se vuoi sviare un argomento puoi chiederlo senza difficoltà’’

Il suo sguardo si fece curioso, la sua espressione indecifrabile. “Ma mi chiedi perché fai tutto questo per me?’’

“Voglio che esci allo scoperto da quel mondo crudele e cupo. Devi scoprire la felicità di questo piccolo angolo di terra, le mille occasioni. Non voglio che tu ti senti in trappola, sempre rinchiuso a Redmoon’’

“Perché?’’, esitò.

“Voglio vederti felice’’, lo dissi senza pensarci.

“Ma io sono felice, sempre ora che ti ho finalmente ritrovata’’

Lo guardai seria. “Sento che sei felice, ma dentro ti manca qualcosa. Qualcosa che cerchi di farmi capire ma hai paura della mia reazione. Non sei completamente felice, c’è qualcosa che ti blocca. Io ho intenzione di sapere che cos’è’’

E il suo viso si fece subito cupo, si strinse nelle spalle. “Meglio che non ci provi’’, mi avvertii freddo.

Sulle prime rimasi terrorizzata dalla sua espressione, fu la sincerità delle sue parole a mettermi in allarme, ma poi la paura si trasformò in perplessità e in seguito decisi di non pensarci più.

A quel punto eravamo arrivati. Il parco di notte era esattamente della stessa bellezza alla luce del sole, era illuminato dalla luna, le stelle coprivano il cielo come un velo di brillanti. Di sicuro i miei amici si sarebbero sforzati di vedere con chiarezza ogni particolare, anche se sicuramente la luce notturna non gli avrebbero creato alcun problema: era abbastanza illuminata per l’occhio umano.

Trovammo Hora e Mattew seduta su una panchina a conversare, Jessica e Lilly a cinque metri di distanza da loro e sedute sopra l’erba fresca del prato. Sentivo le loro voci come se fossero accanto a noi.

Lanciai un’occhiata di incoraggiamento al vampiro accanto a me, e lui mi sorrise speranzoso e mi fece l’occhiolino. In seguito ci avvicinammo all’altro lato del cerchio dove di trovava i nostri amici. I nostri passi felini erano tali da far accorgere a malapena il passaggio.

Fu Lilly ad alzare lo sguardo verso di noi, alzarsi, e camminare a passo svelto e aggraziato nel punto in cui c’eravamo fermati.

“Ehi, Alì’’, esclamò lei piena di entusiasmo. Anche gli altri si alzarono e vennero in contro a lei non appena la sentirono urlare e alzarsi.

Schivò i suoi amici che la seguivano con passo veloce e la trovammo davanti a noi prima di loro. Nel suo sorriso trapelava la felicità.

“Ciao, Alucard’’, lo salutò poi e un attimo dopo la vidi abbracciarlo.

Nello stesso istante mi irrigidii, non perché non fosse ben controllato ma perché aveva fatto un passo di troppo. Dopo tutto non era tale uguale a me; non rimasi sorpresa sentendo anche i miei amici pietrificarsi dal gesto di Lilly. Alucard invece la strinse appena con un braccio e gli sorrise in segno di approvazione.

“Ciao’’, mormorò e poi si volse verso di me.

“Lei è Lilly, è la più dolce del gruppo e la più comprensibile. Lilly, lui è Alucard’’, li presentai uno all’altro con un gesto alla mano.

Contemporaneamente li vidi stringersi la mano. Sorrisi, rincuorata, avevo fatto un grande passo avanti.

Subito si fece avanti Hora: il suo viso era ammaliato, sentivo la sua curiosità verso la creatura che le si presentava davanti, però allo stesso tempo coglievo il terrore anche se agli altri era difficile notarlo. Guardai Alucard di sottecchi: era calmo.

“Alucard lui è Hora: il più simpatico del gruppo. Hora ti presento Alucard’’

“Sono felice di conoscerti Hora’’, ammise lui pacato.

“Anche per me, Benvenuto’’, rispose, stringendo a sua volta la mano fredda del nuovo arrivato.

Quando si allontanò fu il turno di Jessica. E per un momento avrei gradito che non fosse il suo turno. Lo guardava con incanto, meraviglia, e le sorrideva eccitata, imbarazzata; sentivo che cercava un suo punto debole per conquistarlo: aveva sempre avuto un debole per i ragazzi belli da morire. Fu questo in lei che mi fece scaturire un flusso di irritazione.

“Io mi chiamo Jessica, ma puoi anche chiamarmi Jess come tutti gli altri del gruppo. Alì ci ha raccontato molto di te e dai suoi racconti deduco che sei un fratellastro davvero fantastico e coraggioso. Qui potrai parlare con noi quanto vuoi, ormai fai parte del gruppo’’, disse tutto così veloce che i suoi compagni faticò a starle dietro con l’udito. Io e Alucard ci scambiammo una sguardo e poi si strinsero la mano.

“Grazie per la tua….ehm, accoglienza Jess. Sono felice di conoscerti’’. Chiamatela un po’ accoglienza questa.

“E io sono felice di conoscere te ’’, ricambiò facendo l’occhiolino.

D’accordo, ora era opportuno che trovassi la forza necessaria per calmarmi e non rivolgerle uno sguardo assassino. Capivo che aveva un debole per quel genere di ragazzi, ma dovevo dedurre che aveva superato ogni mia aspettativa. “non perdere le staffe, non perdere le staffe…’’, mi ripetevo mentalmente.

Poi, grazie al cielo, si fece avanti Mattew, con comportamento cordiale e disinvolto.

Sospirai. “Alucard lui è Mattew, il nostro amico più fidato. Lo considero il vice del gruppo anche se non ci sono capi nel nostro “clan”, è il più intelligente. Inoltre è il ragazzo di Lilly’’, e lanciai un’occhiata mielata alla ragazza amorevole dietro Jess.

Alucard guardò sorpreso prima me e poi Mattew. “Sono felice di conoscerti, e soprattutto sono felice per la felicità che provi insieme a Lilly’’

“Ti ringrazio Alucard, fai come se fossi…a casa tua, diciamo’’, rispose con un sorriso di benvenuto.

“Grazie’’, e poi si mise a guardare tutti. “Sono davvero felice di conoscervi….e’’, diede una rapida occhiata al parco isolato “questo posto è bellissimo’’, disse infine.

“Già, pensavamo che sia un posto accogliente per fare la tua prima apparizione’’, scherzò Lilly, e Alucard lo accompagnò con una risata.

“Dai, sediamoci. Suppongo che tu ci coglia fare tante domande’’, intuii Jessica dirigendosi, con gli altri ce gli facevano coda, verso la panchina dove prima erano seduti Mattew e Hora.

“In realtà, non so cosa dire’’, rispose, insicuro lui, grattandosi la testa.

Gli strinsi teneramente un braccio. “Non ti preoccupare, ci sono io qui. Se hai un problema dimmelo subito’’, lo rassicurai, e mi sedetti accanto a Mattew, accanto a lui c’era Lilly, Hora era seduto nel terreno, appoggiato con la schiena contro le gambe dell’amico; Alucard si sedette accanto a me, e - ironia delle folle- Jess restò in piedi, davanti lo schienale pietroso della panchina, proprio dietro di Alucard. Di nuovo irritazione, se cercava di attaccar briga con me ci riusciva, anche se mi chiedevo il perché provassi questo nei suoi confronti, infondo gli volevo bene.

“Che cosa ci vuoi chiedere? Oppure vuoi che ti domandiamo noi qualcosa?’’, lo incoraggiò Mattew, Hora gli rivolse uno sguardo interessato.

“Be’, mi piacerebbe sapere come trovate Alexia’’, rispose dandomi una rapida occhiata.

“È una ragazza intrepida, coraggiosa, avvolte troppo stressata’’, rispose Mattew con un risolino.

“Certe volte sembra una tosta, ma si scopre poi che lo fa per apparire coraggiosa’’, scherzò Hora, mentre io lo fulminai con lo sguardo.

“Adora l’avventura, il pericolo. Certe volte si imbatte in un piccolo sbaglio che poi ne fa di un granellino di sabbia una montagna’’, aggiunse subito dopo Jessica.

“Diciamo che è una ragazza divertente, fa di tutto per rendere felici le persone che le stanno a cuore, è romantica ed ha un cuore d’oro’’, disse infine Lilly. Fui esterrefatta da quanta semplicità riuscirono a descrivermi bene.

Mi sforzai con tutta la coscienza per non spalancare la bocca come una bambina, allo stesso tempo provavo un pizzico di imbarazzo sapere che stavano rivelando il mio carattere ad Alucard. Però infondo credevo che sia un bene che sia al corrente di me. volevo che mi conoscesse più di qualunque altro, anche se avrei avuto tutta la vita per parlare con lui.

“E con la scuola?’’, chiese poi, il suo sguardo era pieno di interessamento, non staccava gli occhi dai miei amici. Si vedeva che si divertiva.

“È la secchiona della classe, prima del sottoscritto’’, rispose Mattew. Ovviamente.

“È la preferita dei professori, e i nostri compagni la invidiano….’’, disse Lilly.

“Ma a parte noi, è impossibile essere invidiosi se sei amica sua perché cerca sempre di farti stare al suo pari. Di divide in quattro quando tutti noi non capiamo un’ argomento ’’, la anticipò Jessica.

“Non ci sono parole per descrivere la sua bravura. È straordinaria’’, mormorò infine Hora.

“Adesso basta ragazzi, mi fate diventare un peperone’’, mi lamentai, e tutti scoppiarono in una risata fragorosa, compreso Alucard, che si sentì anche oltre gli alberi che circondavano il parco.

“Ok, smettiamo di manipolare la vampirella’’, scherzò Hora. “E di cos’altro vuoi parlare?’’

“Vorrei chiederti come sono le cose con Louis, so che non andate molto d’accordo’’, anticipò Lilly.

Alucard si strinse nelle spalle. “Louis è un ragazzo molto protettivo verso Alexia, secondo me è il tipo giusto per lei….Diciamo che un po’ è colpa della sua iperprotettività a creare uno ostacolo tra me e la mia sorellastra. Non dico che la cosa mi crea problemi, voglio solo dire….’’

“Che farebbe meglio ad abbassare le orecchie’’, lo anticipò Mattew.

“Esatto, ma non potrei mai cercare di….ferirlo, ho giurato a me stesso che non lo farei mai, non ci tengo a distruggere la vita di Alexia’’

“Un gesto…davvero nobile e saggio ’’, ammiccò Jessica ad Alucard.

Nell’attimo in cui mi accorsi che gli fece l’occhiolino, provai un certo fastidio, si irrigidirono i muscoli e sicuramente gli occhi iniziarono a presentare la prima sfumatura che richiamava il sangue. Abbassai di scatto lo sguardo, controllando l’adrenalina che stava crescendo.

“Alexia ci ha detto che…. Sei stato morso da un licantropo’’, aggiunse Hora distraendo Jessica dall’angelo bellissimo davanti a lei; a quanto pare non ero l’unica a provare irritazione nello sguardo intimo che le stava rivolgendo.

“Sì, tre anni prima che nascesse Alexia, mio padre aveva avuto la “sfacciataggine” di presentarmi i suoi nuovi amici cani….’’, parlava con disprezzo. “ e uno di loro mi morse pensando che ero un intruso’’.

“Ti ha fatto male?’’, chiese poi Jessica spaventata.

“Non ci sono parole, e non lo auguro a nessuno’’, e di lì cadde il silenzio.

Vedevo i suoi occhi: soffrivano, erano tristi, c’era una morsa di dolore. Lo capivo, era strano e bello come riuscivo a intendere i suoi sentimenti. Come se lo capissi da sempre, era sicuramente un dono che nessun fratellastri avrebbero mai avuto. Era una fortuna averlo incontrato, mi aveva salvato da qualcosa che pensavo andasse storto nonostante pensavo che il futuro di prima potesse essere perfetto.

“E a voi com’è andata la giornata?’’, chiesi spezzando il silenzio.

“Bé….per me normale, è venuto a farmi compagnia Mattew altrimenti senza di lui la giornata sarebbe stata noiosa’’, disse Lilly rivolgendo al suo amato uno sguardo dolce. Lui ricambiò prendendogli una mano e accarezzarla dolcemente.

“Per me tanto studio, e noia. Aspettavo con ansia la sera’’, aggiunse Jessica sorridendomi.

Per quanto Hora non disse nulla per cui sospettavo che per lui la giornata non era stata tra le migliori. Dopotutto era l’unico tra il gruppo ad essere il più riservato e solitario, certe cose non le rivelava a nessuno se non a me; ero il suo Diario Segreto.

“Lo immaginavo che non vedevano l’ora che arrivasse la sera’’, sussurrò Alucard in modo che loro non se ne accorgessero. Ammisi un sorriso.

“E tu, Alucard, che hai fatto oggi?’’, chiese finalmente Hora.

Storse le labbra, mi immaginai all’istante quello che doveva rispondere. “Diciamo che….mi sono preso la libertà di essere….quello che sono ’’, le parole erano giuste per non creare orrore, anche se tutti capirono di cosa si riferiva.

“Ah’’, disse Lilly, non sembrò spaventata.

Dietro le mie spalle, sentii con piacere Jessica fare due passi indietro, lontano da Alucard. Non feci a meno di sfoderare un ampio sorriso, con sorpresa notai che anche lui aveva il mio stesso sorriso.

“Allora, tu ci vieni alla festa, Alexia?’’, mi chiese elettrizzata Jessica poco dopo, sfoderò un sorriso eccitato.

La guadai accigliata, non ricordavo che qualche giorno fa avessero parlato di una festa. “Che? Quale festa?’’, domandai.

“C’è una festa fra qualche settimana. Ne ho sentita voce….ma non penso sia vera. Però quasi tutti nel paese hanno iniziato a parlarne’’

“Che festa?’’

“Non lo so. So solo che ci sarà una festa ’’, disse infine.

L’argomento cominciò a farsi desiderare, oltretutto tutti erano al corrente di questa festa tranne me. Se Louis lo sapeva probabilmente me lo aveva tenuto nascosto per non creare altri guai tra la nostra relazione. In quei giorni cercava d’essere il più distaccato possibile per lasciarmi respirare, finché non gli si alzava la febbre. Mi girai verso Alucard, da come si era immobilizzato notavo che già ne era a conoscenza della cosa.

“Tu lo sapevi?’’, non suonava una domanda.

“Sì’’, aggiunse un sorriso innocente, come la sua espressione.

“E che aspettavi a dirmelo?’’

“Pensavo che lo sapevi’’, aveva sempre la risposta pronta. Perché tentare la vittoria se era sempre lui quello che vinceva. Sbuffai e poi ritornai ai miei amici.

“Anche voi potevate dirmelo’’, li rimproverai.

“Ci dispiace, pensavamo che eri al corrente’’, balbettò Hora.

“Non fate gli innocenti come lui, per favore. Non voglio essere presa in giro ’’, era ufficiale: stavo per esplodere.

“Ma noi non ti stiamo affatto prendendo in giro ’’, rispose Lilly più amorevole del solito. “Pensavamo soltanto che ti era giunta voce, altrimenti Jessica non te lo avrebbe chiesto e non si sarebbe fatta un sospetto ’’

Saggia com’era, anche se umana, poteva essere in grado di distruggere ogni dubbio; non a caso il suo potere era questo: la saggezza, l’amore lo trasmetteva allo stesso tempo. L’intelletto era quello di Mattew che lo usava soprattutto a scuola, l’innocenza e il mistero era quello di Hora e la gioia, la felicità e la passione era quello di Jessica. Era buffo sapere che tra il gruppo ero l’unica che avesse un potere che rappresentasse un elemento. Quasi tutti a scuola avevano come poteri le emozioni, solo in pochi in quel villaggio avevano come dono un elemento.

Al contrario di Jennifer, Lilly aveva il potere dell’amore in positivo: tranquillizzava una coppia in delirio, riportava amore con una famiglia, con le sue gesta e le sue parole sapeva trasmettere amore e serenità al suo obbiettivo. Jennifer aveva lo stesso potere ma con altri obbiettivi: poteva essere sia negativo che positivo ( ma era popolare per lei usarlo nel senso maligno), con esso poteva fare qualsiasi cosa, ed era per questo che io e i miei amici ne stavamo alla larga dato che poteva attaccare in qualsiasi momento; poteva, oltre le capacità di Lilly, separare una coppia, far ingelosire un compagno di una ragazza indugiandola ad interessarsi ad un altro, farsi desiderare da chi voleva, poteva perfino rovinare l’amore di una famiglia. Non potevo desiderare mostro peggiore di lei riguardo al potere dell’amore, mille volte l’avevo vista far rompere una coppia a loro insaputa, oppure crearne un’altra con persone sbagliate….Era orribile.

Ma grazie al cielo avevo conosciuto Louis e quindi non poteva toccare ne a me ne ami miei amico e ne alla mia famiglia, ammesso che volesse rompere l’amicizia con il mio fidanzato.

“Abbiamo domani per chiarire questa cosa della festa, e anche dopodomani, chiederemo informazioni precise’’, disse Mattew risvegliandomi dai miei pensieri.

“Sì, hai ragione’’, mormorai.

“Permetti che tempesto il tuo fratellastro con mille domande?’’, mi domandò scherzosa Jessica sfregandosi le mani.

“Certo, fate pure. Tanto è lui che subisce, io resto a guardare’’, risposi dando una pacca sulla spalla ad Alucard.

E subito gli rivolsero infinite domande, presto si dimenticarono di me, si concentrarono solo su di lui, il che mi diede sollievo dato che avevo la possibilità di pensare per conto mio e di ascoltare quando volevo. Quel giorno il tempo sembrò passare lento, tanto che ogni volta mi alzavo per fare il giro del prato ( gli animali se n’erano andati tutti, sarebbero tornati alle sei di quella mattina) e ogni tanto concedevo ai miei amici la possibilità di non essere spiati dalle mie orecchie. La serata proseguii in quel modo, presto il silenzio della notte fu spezzato dai loro bisbigli, chiacchierate e risate, senza accorgersi che iniziava a farsi tardi. Fui l’unica a non accorgermi delle ore passate in lentezza, dato che mi concentravo sempre su Alucard, controllavo se la mia congrega non lo avesse stuzzicato un po’ troppo, vedevo ogni espressione che scorreva perfetta nel suo viso.

In fine, il primo segno di stanchezza lo diede Lilly che sbadigliò e si appoggiò sulla spalla del ragazzo. Dopo mezz’ora toccò a Hora che si fece una stiracchiata, e un minuto dopo Jessica che per poco non cade in avanti quando chiuse gli occhi per un attimo. Ma non si mosse nessuno da posto, finché Mattew decise di salutarli e dare la Buona notte ad Alucard. Lilly o rincorse un minuto dopo abbracciandolo un’ultima volta e lo salutò. Hora fece lo stesso e si avviò a passi svelti verso l’esterno del parco. Jess fu l’unica a restare per qualche minuto, fino a quando non gli consigliai di andare a dormire dato che cominciavo a notare la stanchezza nei suoi occhi. Lei si lasciò sfuggire qualcosa ma poi cedette e se ne andò abbracciandoci tutti e due e dandomi un bacio sulla guancia. Prima di sparire oltre gli alberi che circondavano il parco diede diverse occhiate ad Alucard sempre con l’aggiunta di un sorriso.

Quando la notte riprese il suo silenzio ci avviammo anche noi verso casa, in silenzio, a passo da umano; potevo anche restare tranquilla e sveglia quanto volevo dato che domani era un giorno di riposo. Camminare con lui era come camminare con un angelo. Non avevo alcuna fretta di ritornare a casa, potevo anche restare sveglia fino all’amba.

“Allora, come ti è sembrata questa serata?’’, chiesi dopo un intervallo di silenzio.

Mi tirò un sorriso gioioso. “È stato unico, finalmente so che non sarò solo in questa eternità, grazie a te ovviamente. Mi hai fatto scoprire l’amicizia dopo trecento anni…Non trovo le parole come ringraziarti. Ti devo un favore’’, disse queste parole nel momento in cui mi sollevò da terra e mi fece roteare tre volte su se stesso. Quando mi fece scendere rimasi impietrita sul posto, confusa di quel gesto. Forse era stato esagerato, ma non capivo il perché mi fosse piaciuto così tanto. Louis non me lo aveva fatto mai. Inconsapevolmente, ne desiderai ancora. Volevo solo sentire le sue braccia che mi sollevavano, e il calore gradevole riscaldarmi la pelle.

“Sono…sono felice che ti sia piaciuto. Anzi ci speravo’’, balbettai.

“Questa notte mio padre sarebbe orgoglioso di sapere che mi sono staccato in quella torre d’avorio’’

“Come lo sono orgogliosa anche io’’, dissi fra me, e lui se ne accorse. Mi rivolse quel sorriso che amavo tanto e ritornò a guardare davanti a se.

“E come sta Drakon?’’, ripresi.

“Bene, ora starà divinamente sapendo che mi sono divertito con te ’’

“Ci scommetto’’

“Quella ragazza, Jessica si chiama? Credo che le piaccio’’, disse sorridendo eccitato.

Sbuffai. “Jess gli piace ogni ragazzo affascinante che gli si pari davanti, compreso te ’’

“Ah, bene’’

“Ma arrenditi perché credo che abbia già messo gli occhi su Hora’’

“Sei forse gelosa?’’, il suo sorriso si allargò.

Lo fulminai mentre arrossivo. “No! Ti sto solo dicendo che ormai gli interessa Hora’’

“Da come mi guardava questa sera credo che avesse avuto occhi solo per me’’

“Mmm’’, non avevo voglia di lamentarmi con lui, tanto sapevo che era sempre lui quello che vinceva.

“Gelosa’’

“Spaccone’’

Rise, ma poi ritornò serio. “E tu come mi trovi?’’, domandò. Nei suoi occhi scoprii che non c’era niente da scherzare, specialmente in quel momento. Il colore marrone scuro dei suoi occhi era intenso, nella sua espressione non poteva esserci più serietà di quel momento.

Iniziarono a tremarmi le mani, me le misi dentro le tasche, ma allo stesso tempo mi accorsi che iniziarono a tremare anche le gambe.

“Ehm…come dovresti essere? Vorresti forse che ti diva che assomigli ad un clown?’’

“Sono serio, Alexia. Come sono per te?’’. Fece un passo avanti, ritrovandoci petto contro petto. Mi accorsi solo in quel momento che c’eravamo fermati. L’aria era fresca e piacevole, muoveva le piccole ciocche marroni che contornavano la testa di Alucard. Era…

“Affascinante’’, dissi senza pensarci.

Lui sorrise appena. “E non sono bello?’’, insistette avvicinandosi un po’ con la testa.

“Perché? Sapere che sei affascinante non ti basta?’’, insistere era l’unica maniera per levarmi il rossore di dosso.

“No, non mi basta’’

Sbuffai. “Vuoi sentirti il ragazzo più popolare di Solemville?’’

“In un certo senso…’’

“Ok, allora ti dico tutto e non lo ripeto: sei bellissimo, eccezionale, il fratello più coraggioso che avessi mai avuto, specialmente il più tonto, sentimentale, ottimista, sempre gentile e benevolo con tutti, sei perfetto….Mi rendi la vita un’avventura, se non ci sei nelle ore della giornata mi annoio, perfino quando c’è Louis – anche se non tengo conto alla tua presenza o alla tua assenza- sento che mi manca qualcosa. Mi trovo bene con te, anche quando stai a casa mia sento che non mi manca niente. Mi stai rendendo il futuro….credo, più felice. Se tu non fossi arrivato, avrei sentito che…c’era qualcosa di storto. Ma non m’importa più, ormai sei arrivato e prendo la situazione così com’è, per te. E ti voglio tanto bene’’, giurai a me stessa che non mi capitasse più una serata come quella. Parlai così veloce che nemmeno un umano riuscirebbe a capire quello che avevo detto. Allo stesso tempo, mi stupii di me stessa, ero sicura che avrei aggiunto qualche bugia invece andò diversamente.

Alucard rimase una statua, non sapevo se lo avo reso il fratello più felice del mondo oppure se lo avevo spaventato, tanto che cominciai a spaventarmi anche io. Rimase di sasso per due minuto buoni fino a sciogliere i muscoli e rilassarsi, ma la sua espressione scettica rimaneva ancora. Tirai un sospiro di sollievo quando lo vidi muoversi.

“Davvero pensi questo di me?’’

“Sì’’, risposi piano. Non avrei mai dovuto dirlo.

“Mi trovi bello, allora’’

“Sì’’

“E….anche tonto’’

Risi di cuore. “Certo, con quello non ti manca niente’’

“Perché?’’

“Perché sei tonto, anzi pazzo, se pensi che non avrai un futuro bellissimo, pieno di passione amore con…la ragazza che un giorno amerai. Sei pazzo al solo pensare che sarai solo per tutta l’eternità, come un carcerato a Redmoon, sei un pazzo al solo pensare che non avrai nessuna amicizia se proprio oggi te l’ho fatta scoprire, sei un pazzo se…’’, non riuscii a continuare, la mia voce era diventata stridula.

Ora la sua mano mi accarezzava dolcemente la guancia, un gesto paterno, mi lasciai trasportare dal suo amore. Quel genere di fratello non capitava tutti i giorni, per lo meno non nel mio mondo.

“Se…?’’, mi incoraggiò.

Sospirai. “So che sei pazzo se pensi a tutte queste cose impossibili perché stanne certo che si avvereranno’’

“Come secondo te? Io sono un vampiro, un pericolo mortale per ogni essere vivente qui’’

“Non per me’’

“Ti sbagli, se la pensassi come me, scapperesti a gambe levate, ti chiuderesti dentro la camera e…’’

“No! Basta, non voglio più sentirti dire che sei pericoloso. Non tollero questo. Io non ho paura di te, punto, sei stato la mia zattera di salvataggio ma non so ancora perché. Fattene una ragione, io non ho paura di te ’’

“Nemmeno ora? Siamo soli, adesso, le strade deserte, la notte scura. Potrei facilmente chiuderti la bocca per non farti urlare, e strapparti la vita, qui, adesso, proprio come è successo a Cecilia’’

Rabbrividii. “Ma tu avevi detto che sei ben controllato’’

“Sì, è vero, ma mi basta solo pensare al sangue che già mi sento la gola arsa’’

“Bene, allora fallo. Sono pronta, vuoi mettermi alla prova? Sono qui, non mi muovo. Almeno ti dimostrerò che ho ragione’’

Rimase sbigottito. “Stai superando il limite, lo sai?’’, sputò fra i denti.

“Non aspettavo altro’’.

Era una scelta rischiosa, ma dovevo ficcarglielo bene in testa. Rimasi immobile, guardando il mio fratellastro trasformarsi in un secondo dopo cacciatore. Riconobbi la posizione: quella di caccia, e un attimo dopo mi ritrovai in aria senza poter schivare la spinta. Fu davvero preciso quando mi lanciò verso l’alto: dato che schivai dalla distanza di tre bracci il tetto di una casa e caddi violentemente contro un abete, dietro l’abitazione. Sentii il forte schianto del tronco contro la testa, subito dopo le mie gambe cedettero quando toccarono terra perché non erano ancora pronte per sentire il terreno, e dopo mi ritrovai scontrata di nuovo contro l’abete ma questa volta c’erano due braccia che mi tenevano stretta all’enorme pianta. Avrei dovuto divincolarmi ma non lo feci, sapevo che da lì a poco avrebbe smesso.

“Non ho ancora provato paura’’, dissi.

Sentii la sua presa farsi più ferrea, e si avvicinò alla mia testa. Mi trovai a cinque centimetri dal suo volto. Trovai un cambiamento in lui: i suoi occhi, prima di tutti, si erano fatti di color rosso sangue, il suo viso era più pallido del solito, i canini più allungati dei miei: sembravano due zanne di tigre.

Mi mostrò i denti, ruggii piano, e si avvicinò alla mia gola. Rimasi impassibile, mentre mi sentivo annusare, l’unica cosa che vedevo era la sua chioma di capelli arruffati. La punta del suo naso mi sfiorò la pelle da sotto l’orecchio fino alla vena appena visibile della gola, poi sotto il mento e poi passò all’altro lato, rimanendo in quella posizione per qualche minuto.

Ritornò subito dopo a guardarmi. “Hai paura?’’, chiese, la sua voce mi fece venire la pelle d’oca: sembrava provenire dall’otre tomba.

“No’’, risposi, ma nonostante questo la bocca mi tremava.

Si avvicinò di più a me. “Dimmi la verità’’

“Ti sto dicendo la verità, possibile che non te ne sei fatto ancora una ragione?’’

Sorrise. “No, tu hai paura, lo sento ’’, strizzò l’occhio.

“Che differenza fa? Ti voglio bene, è solo questo che conta’’

“Già, solo questo, e infatti mi chiedo come puoi amare un mostro come me’’

“Perché sei un mostro….davvero speciale’’, mormorai con voce fioca. Speravo di aspettarmi una sua risata che non arrivò.

E subito ritornò il silenzio, in tal momento mi dimenticai di quella stretta che a malapena riusciva a farmi respirare e ripetei a me stessa che ero fra le sue braccia, ed era la prima volta che mi stringeva così a lungo, poi mi accorsi che la nostra vicinanza era tale da poterlo anche toccargli la pelle con le labbra, i suoi occhi si fecero più ardenti, non sapevo perché; e istintivamente chiusi gli occhi gustando quell’attimo fatale, che mi cambiò totalmente la vita.

                                                               

 

Percepii il contatto morbido e caldo di qualcosa toccarmi le labbra, riconobbi il suo odore ora più intenso in quel modo, il suo respiro scontrava contro le mie guance rosse; avrei dovuto staccarmelo di dosso ma con quella morsa mi sembrò impossibile. E poi mi sentii mancare le forze, non riuscivo più a muovere un solo muscolo anche se avrei potuto, di colpo tutto fu chiaro: il suo potere. Ma non mi opposi come anche questo avrei dovuto fare, e lo lasciai fare cercando solo di concentrarmi sul suo profumo. Pensavo “di sicuro è un bacio tra fratelli’’, ma due fratelli potevano baciarsi in quel modo? No, certo che no.

Non era un piccolo bacio come facevo io con Consuelo: mi dava un bacetto sulle labbra quando voleva. Questo era più duraturo, non trasmetteva fraternità, il semplice bacio che si ad un’ innamorata. Ma io non provavo per lui lo stesso amore che provavo per Louis.

Non poteva essere vero, non poteva essere un bacio, forse stavo sognando, forse era la mia immaginazione; infondo avevo chiuso gli occhi e poteva anche essere il vento che si scontrava violento contro di me, ma ogni certezza svanì del tutto quando sentii le sue labbra muoversi contro le mie; le sentivo fresche, profumate, mi inducevano a desiderarle sempre di più, ed erano così forte che mi impedivano di chiudere la bocca.

Capii che dovevo accettare quel bacio, bene o male che vada. Eppure dentro di me riuscivo a percepire una possibilità inspiegabile, non sapevo perché c’era ed esisteva, era spuntata fuori involontariamente. Di sicuro era la possibilità che un giorno lo avrei perdonato, oppure amato come una volta, che non avrebbe più ripetuto quel bacio, che si sarebbe pentito. La voce della mia testa diceva che era probabile, ma quella del mio cuore diceva che mi sarebbe rimasto impresso nei ricordi tutta la vita.

Fu proprio quella serata, alle una di sera, scontrata contro un albero, fra le sue braccia, che mi ritrovai dubbiosa se ascoltare il cuore o la testa, se lasciarmi trasportare da quel bacio e cambiare la mia vita, oppure fare finta che niente fosse accaduto, mentire a Louis, nascondergli per tutta la vita quello che era successo in quel momento. Non sapevo quale delle due facesse più male, ero stata fin troppo bugiarda in quei giorni, mentirgli un’altra volta sarebbe stato un colpo al cuore.

I secondi sembravano rallentare, i minuti eterni, tanto che non mi accorsi di quando si era staccato da me; tenevo ancora gli occhi chiusi, le labbra ancora rugiadose del suo bacio.

Il suo profumo ancora era così vicino da darmi l’impressione che non si fosse allontanato e invece quando riaprii le palpebre era abbastanza distante da me da vedere anche la casa illuminata alle sue spalle. Anche le forze ritornarono a farsi presente, ripresi la sensibilità dei piedi che prima non sentivo incollati a terra, e mi levai le sue braccia.

Non osai guardarlo, ero troppo disorientata e confusa, non volli nemmeno sapere che espressione aveva. Quello che mi sorprese era che ancora non gli avevo tirato uno schiaffo oppure azzannato. La rabbia non mi cercò per tutta la sera.

Entrambi non ci parlammo per un bel po’, avrei preferito restare zitta e immobile per delle ore piuttosto che iniziare a parlargli, più che altro non riuscivo a trovare le parole, non riuscivo nemmeno a muovere le labbra – le avevo perse- sembravo una statua. L’unica cosa che sapevo fare era respirare veloce a causa del battito accelerato del cuore, le gambe iniziarono a tremarmi più forte di prima, mi dovetti aggrappare al tronco per non svenire.

Finalmente si avvicinò, mi accarezzò con le dita le guance e avvicinò le labbra al mio orecchio.

“Mi dispiace”, sussurrò.

Lo sentii appena, non volevo sentirlo, avrei voluto non essere lì in quel momento; avrei desiderato che sarebbe ricominciato tutto per rimediare a  quello che avevo fatto. Sentivo di essere stata una stupida ad aver pensato che tutto questo avrebbe migliorato la mia vita, e la sua, e invece non ha fatto altro che peggiorarla: per colpa di quel bacio, mi aveva rovinata.

Per qualche secondo rimase immobile vicino a me, poi quando alzai lo sguardo lui non c’era più, l’unica cosa che si muoveva era l’erba sotto i miei piedi e quella che aveva mosso nella sua corsa. Dunque era questo il primo cambiamento della mia vita: un bacio? Consuelo mi aveva ripetuto di stare attenta, e io stupida com’ero non l’ero stata a sentire. Mi accorsi solo ora che più crescevo nel mondo umano più cominciavo ad assomigliare ad una di loro. Non avevo più l’intelligenza di una volta.

Allo stesso tempo, quando ritrovai la sensibilità delle gambe, il mio cellulare cominciò a vibrare. Sulle prime lo ignorai del tutto, mi dava fastidio sentire qualcos’altro addosso a me, ma poi lo presi. Le mani mi tremavano.

“Pronto’’, risposi. La mia voce non era una delle migliori perché la persona che la sentii rimase senza fiato.

“Alì, ciao!’’. Louis.

Mi ci volle cinque secondi per ricordare la sua voce. “Ah, ciao”

“Che hai? Mi sembri….strana, è successo qualcosa?’’

Deglutii un singhiozzo. “Ehm….no, per niente’’

“Sei sicura? Vuoi che venga a trovarti?’’

“No’’

“Allora, come è andata? La sanguisuga si è divertita?’’

Sospirai. “Sì, si è divertito molto, ai miei amici piace, e non ha mai smesso di ringraziarmi’’

“Bene, sono felice che sei riuscita nel tuo lavoro ’’

“Grazie’’

Ed di colpo ci fu silenzio, l’unica cosa che sembravo udire dal cellulare era il suo respiro, il rumore delle suo labbra che muoveva appena, e le persone che chiacchieravano dentro la casa. Per un minuto non parlò nessuno dei due, e poi…

“Sicura che vada tutto bene?’’, riprese.

“Sì, tutto bene. Sono solo un po’ stanca’’


Ecco il settimo capitolo...
ho scelto di aggiungere una immagine per ogni capitolo per rendere il racconto più grazioso....e colorato.
A presto con il prossimo capitolo! Kiss...

 

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Capitolo 9
*** L'invito ***


Capitolo 8
E così trascorsero altre tre settimane nel più completo segreto riguardante all’accaduto delle settimane precedenti. Era una giornata nuvolosa, il sole si vedeva appena, l’aria era fredda a casa dell’acquazzone interminabile del giorno prima. Era il 24 Aprile, e quel giorno avrei avuto solo tre ore di scuola a causa di uno sciopero degli insegnanti. Arrivai a scuola sembravo uno straccio: per tutta la notte riuscii solo ad entrare nel dormi-veglia a causa del rumore violento del temporale, avevo gli occhi stanchi, due occhiaie che mettevano paura; a causa della poca alimentazione di sangue la mia pelle era secca. E pensavo sempre a quel bacio, mi sentivo ancora le sue labbra addosso, ogni volta era come una morsa nello stomaco. Mi sentivo ancor più in colpa quando stavo con Louis, e mi vergognavo perfino di stargli vicino.

Per quanto ad Alucard non gli dissi più una parola se non per salutarlo oppure sorridergli. Durante le prime due settimane aprii la porta-finestra solo di giorno e la tenevo chiusa di notte, avrebbe capito, non m’importava il suo rimorso oppure il dispiacere, volevo solo levarmelo dalla testa. Ma sfortunatamente veniva sempre di sera a farci visita, mi guardava di sottecchi supplicandomi perdono, attendendo con ansia che parlassi con lui, ma dalla mia bocca non uscì parola.

Solo nell’ultima settimana gli concedetti le visite notturne: aprendo la porta del balcone dopo cena e lasciandolo entrare. Però in quelle visite accennavo solo un “Ciao” e poi mi distraevo per qualche tempo con il suo diario oppure recitavo la “Bella addormentata” sperando di annoiarlo, ma lui non se ne andava – neanche durante in quei silenzi insopportabili- e rimaneva a guardarmi, a mostrarmi certe fotografie che alle volte studiavo o le ignoravo, e quando ero sul punto del sonno, lo sentivo spostarmi le ciocche di cappelli dietro la schiena, darmi un bacio sulla fronte, e stringermi la mano accanto al mio ventre per farmi compagnia durante la notte.

Infondo sentivo che era la punizione giusta, nonostante non lo avessi mai sgridato oppure staccato un arto, però avevo la necessità di parlargli. Come lui, anche io odiavo stare zitta, volevo risentire la melodia della sua voce; considerai queste settimane le più tormentose della mia vita.

“Ieri notte ci siamo svegliate dalla parte sbagliata del letto, eh? Che ti è successo, Alì?’’, mi domandò Paul, sprezzante. Stavo raggiungendo la tavola dei miei amici. Paul e bella compagnia erano tutti riuniti per criticarmi o ridere sotto i baffi.

“Quello che hai detto tu: mi sono svegliata dalla parte sbagliata del letto’’, risposi acida e camminai a passo da gigante verso i miei amici.

Stranamente, Mattew disse la stessa battuta, Hora spalancò gli occhi e mi chiese cosa fosse successo.

“Lasciamo perdere, Hora, oggi non ho voglia di parlarne’’, tirai corto, misi lo zaino sul tavolo di legno e appoggiai la testa sopra Lilly, Jessica arrivò due minuti prima; a due tavoli dietro di noi sentivo gli amici di Louis parlare e ridere di me, quanto avrei voluto fare dietrofront e azzannarli tutti. Almeno mi liberavo di alcune persone sulla mia lista nera.

“Come sempre, è da un paio di settimane che sei così….assente, uno straccio ’’

“Sarà qualcosa di travolgente che l’avrà intontita. Dagli tempo’’, gli consigliò Mattew.

“Ehi, ragazzi, avete sentito della festa. Pare che sia vera’’, disse Jessica appena chiuse il libro di scienze.

“Con te si deve parlare sempre di feste? È mai possibile che non te le allontani per qualche anno? Speri di far colpo su qualcuno, scommetto’’, si lamentò Lilly, alzando gli occhi al cielo.

Gli tirò una linguaccia. “Pare che sia vera. Tu ci verrai Ali? Ali? Ehi!”, urlò.

Mi raddrizzai come se mi avesse dato la scossa e riaprii gli occhi, da quando mi ero appoggiata sulla spalla di Lilly non mi ero accorta che stavo per addormentarmi. Accidenti, adesso ci mancava che mi appisolavo nell’ora di matematica.

“Eh?’’, chiese strizzando gli occhi.

Sbuffò. “Tu ci vieni alla festa?’’

“Quale festa?’’

“La festa che parlano sempre tutti, sveglia!’’

“Ma non si sa nemmeno dove si svolge e chi se l’è messa in testa questa cosa ’’

“Boh! Comunque io voglio andarci, scoprirò a che ora è e dove si svolge. Vi farò vedere che ho ragione. Ride bene chi ride ultimo ’’

“Vuoi metterti a fare l’investigatrice?’’, chiesi. Sentii Mattew ridere sotto i baffi.

Fece una smorfia sprezzante. “Ma no! Però da come ne parlano tutti, pare che sia una festa pazzesca, svolta all’aperto, con migliaia di luci e…’’

“Sogna, sogna’’, si intromise Hora.

“Ma è vero! O per lo meno, è quello che mi hanno raccontato tutti’’

“E dai retta a quel “tutti” ?”

Strinse i pugni. “Insomma ci vieni si o no?’’, ritornò a me.

“Quando la luna diventerà rossa, te lo dico ’’. Cioè: troppo tardi. E ritornai ad appoggiarmi sulla spalla di Lilly.

La sentii sbuffare. “Sei davvero crudele, sai?’’

“Sì, lo so. Anche io ti voglio bene’’, infondo sapevo che scherzava.

Sbuffò un’altra volta, e poi eliminò l’argomento per tutte le lezioni. Parlarono della verifica di geografia, delle troppe assenze dei compagni di Jessica e Hora, le note della nostra classe, ecc…

Una di questi argomenti me li persi perché mi ero completamente addormentata, e sogni si fecero realtà per quei sei minuti: sognai sempre lo stesso incubo che mi tormentava quasi ogni notte, e poi gli occhi rossi diventarono fumo, si dissolsero nell’aria, il fumo si mischiò con altri colori fino ad elaborare un immagine: il viso di Alucard. Sognai il momento del bacio e quella stretta d’acciaio che mi sembrò reale.

Quando riaprii gli occhi avevo dormito pesantemente da non sentire il suono della campana, tanto che toccò alle mie amiche a svegliarmi. Per quanto ero stanca, Lilly fu costretta a trasportarmi sotto braccio fino alla porta della classe altrimenti avrei barcollato come un’ubriaca.

Seduta al banco, appoggiai la testa sul tavolo freddo in modo da potermi svegliare, invece mi rilassò ed entrai nel dormi-veglia.

“Dorme?’’, chiese una voce candida.

Di scatto, mi raddrizzai, sollevai lo sguardo scontrandolo con quello di Alucard. Quando riconobbi i suoi occhi tirai un sospiro di sollievo. Altrimenti che credevo chi fosse?

“Amore, come stai?’’

Mi strizzai di nascosto le gambe e le braccia; gli altri compagni erano seduti sui propri posti, chiacchieravano e ridevano. Lilly era accanto a me e mi accarezzava la schiena. Il professore ancora non si era fatto vivo. Se era lui quello che doveva scioperavo, tanto bene, almeno dormivo per un’altra ora.

“Sono assonnata’’, farfugliai.

Mi studiò il viso. “Forse era meglio se restavi a casa, non hai una bella cera’’, osservò.

“Lo so’’

Si rivolse a Lilly. “Mi concedi il tuo posto? Vorrei stare accanto a Alì, oggi penso io a lei’’

“Certo, fai pure ’’, si alzò, mise i libri che aveva appena tirato fuori dentro lo zaino, il cappotto e corse veloce al posto di Louis. Il mio fidanzato, intanto, aveva già preso lo zaino e si era messo accanto a me, mi stinse la vita con un braccio e lasciò che appoggiai la testa sopra la sua spalla.

“Perché non sei rimasta a casa?’’

“Sono in grado di rimanere lucida a lungo, se non lo sai’’

“Infatti vedo’’

“Ora però sono sveglia, e poi volevo rivederti’’

“Sempre la solita sentimentale’’

“Sì’’

Mi accarezzò la guancia, fece scivolare la mano sulla mia mano destra fino ad incontrare con le dita il mio anello, udii il rumore delle sue labbra che formavano un sorriso, e cominciò a girarlo intorno al mio dito. 

A quel punto la lezione poteva cominciare, il professore di geografia arrivò con un quarto d’ora di ritardo, ma recuperò in fretta. Per quella lezione si parlò- per mia disgrazia- della Terra dei Licantropi: creature solitarie, gli unici essere benigni o maligni ad avere una terra propria, le loro prede erano quelle che vi ci entravano. Vivevano in branchi separati, avvolte c’era uno scontro, quando si trovavano in contrasto gli ci volevano molto tempo per riappacificarsi – avvolte un anno- perché erano creature cocciute e sporche. Il loro nemico comune era, dai tempi antichi, il vampiro. Non mi sorprese sentire il nome di mio padre sulle parole pronunciate dal professore: Drakon è stato il primo e ultimo vampiro a stipulare un patto con queste bestie in modo da evitare la morte. E contemporaneamente si rivolse a me.

“Forse, Signorina Kennedy, può darci qualche informazioni di suo padre’’, chiese educato.

Sospirai, cercando di evitare gli sguardi dei miei compagni addosso, e quello di Louis, non poteva capitarmi qualcosa di più peggiore che parlare di mio padre e Alucard. Come se quell’odio antico fosse ritornato, per colpa di quel maledetto bacio.

“Per quel che mi raccontò il mio fratellastro seppi che Drakon è un gran viaggiatore, per tutta la sua vita faceva molti viaggi e in certe circostanze si portava con se il figlio. Uno di questi posti era appunto la Terra dei Licantropi. Alucard, il mio fratellastro, mi disse che la prima volta che Drakon entrò in queste terre era stato tre anni prima che nascessi, e cercò fin dall’inizio per non creare contrasto con quei cani fino a formare un patto ’’

“E che genere di patto?’’

“Facile: lui non creava scrupoli ai licantropi e i licantropi facevano altrettanto’’

“E questo patto è ancora sostenibile fino ad oggi?’’

“Da quel che mi ha detto Alucard, sì’’

“Bene. La ringraziamo per aver detto alla classe quello che desiderava’’. Più che altro, ho fatto contento solo lui.

“È stato un piacere’’

E poi riprese a parlare dell’argomento. Tutti ne sembravano interessati, perfino io che odiavo quei rozzi cani rabbiosi. Era difficile non starlo a sentire, aveva la capacità di attrarre le persone con chiunque storia gli capitasse per la mente, era come se recitasse.

Mentre parlava vedevo le immagini sul mio libro: immagini di un viso di una ragazzo vicino a quello del volto di un lupo, immagini della luna, di un licantropo che fa a pezzi la sua preda, il processo di trasformazione di un licantropo, il morso, e altre cose che appena riuscivano ad affascinarmi.

                                                               

Solo una: la scoperta della possibilità che anche un uomo-lupo si poteva unire ad un mano, senza morderlo, perché c’era l’Imprint di mezzo, ossia “impronta”: che vuole simboleggiare appunto l’impronta indissolubile che questo genere di legame ha nella vita del mannaro. Ma tutta via non è detto che tutti i licantropi abbiano questo Imprint nella loro vita. l’Imprint è una questione puramente ormonale ed è per questo caso che il mannaro poteva riconoscere facilmente la sua controparte anche se sconosciuta. È molto raro che ciò accadesse, ma può comunque succedere, in quanto l’Imprint stesso non è altro che il riconoscimento della controparte scelta come la più adatta alla riproduzione. Un mannaro che ha trovato il suo compagno o la sua compagna lo amerà per il resto della sua vita, riconoscendolo/a come sue unico/a compagno/a. l’Imprint è talmente forte da non sentirne le distanze, sciogliendosi una volta che la controparte sia deceduta. Solo nel caso in cui la compagna/o scelto saranno morti il mannaro avrà la possibilità di riuscire ad avere un altro Inprint.

Di questo argomento, fui talmente attratta che lo inchiavai nel cassetto della mia mente per svuotarlo solo quando ne sarebbe stato necessario. Durante la penultima delle tre lezioni pensai sempre alla parola Imprint e quello che mi aveva insegnato quel giorno il professore. La sua mania di attrarre le persone con un semplice racconto aveva avuto la meglio su di me.

Purtroppo nell’ora di scienze dovetti liberarmene dato che ci aspettava un’interrogazione per tutta la classe. Mattew fu l’unico a beccarsi un 10, mentre io 8/9, Louis un 7 scarso, Lilly un 8, anche altri fecero delle ottime risposte, solo in tre ebbero preso 5. Forse era la fine della scuola che ci rendeva più attivi, si avvicinavano le vacanze e dovevamo mettercela tutta. Io, invece, mi facevo in quattro per aiutare i miei amici e Louis.

Alla fine delle lezioni, ci radunammo tutti nel solito tavolo nel giardino della scuola, quel giorno, tra gli amici di Louis, solo Paul e Jennifer si erano uniti a noi, il resto del gruppo se n’era andato o per un impegno o per andare a casa e farsi qualche sonnellino.

“Allora, Licantropi, eh? Vorrei proprio vedere la tua faccia se ti si para davanti uno di loro’’, rise Paul strizzando l’occhio.

Strinsi i pugni, mi trovavo seduta sopra le gambe di Louis, Jennifer era accanto a Paul, il resto dei miei amici era accanto o a me o al mio ragazzo. La “strega dei miei stivali” quel giorno mi concedette la possibilità di non farmi sentire incendiata dal suo sguardo.

“Parla per te ’’, sibilai. Nel momento stesso sentii il braccio di Louis stringermi ancora di più la vita.

“Io dico sempre quello che penso ’’

“Anche io e lo metto pure in pratica’’

“Ma fammi il piacere, se a malapena riesci a stare in piedi’’

“Perché non pensi alla tua salute, Gorilla, invece di farti gli affari degli altri?’’, si intromise Lilly.

Paul la incendiò. “Non ti immischiare, bambina’’, la provocò. Lei, per non creare la situazione peggiore di quanto lo sia – Jennifer aveva alzato lo sguardo verso di lei- ubbidii, con il broncio, e ritornò a parlare con il suo ragazzo. Un secondo dopo ritornò a parlarmi.

“E se lo lancio addosso al tuo fratellastro pietroso?’’, mi sfidò.

“Hai davvero il coraggio di andare a far visita a quei cagnacci?’’, gli domandò Louis.

Non lo calcolò. “Che faresti tu, piccola ingenua vampirella?’’, insistette.

“Non credo che dovreste sottovalutare i licantropi e Alucard. Se unsi il tuo dolore su uno stanne certo che gl’altri del clan ti accerchierebbero e in un attimo saresti trippa per gatti. Non è così facile convincere un mannaro come ha fatto mio padre’’

“Scommetto che se l’è fatta addosso ’’, rise insieme a Jennifer.

Adesso mi ritrovai dietro le sue spalle, troppo presto perché pensassi di muovermi, Louis si trovò smarrito e confuso quando non mi vide più fra le sue braccia, Paul ebbe la stessa espressione ma un attimo dopo mi guardava con sfida, Jennifer aveva ritirato fuori lo stesso sguardo di sempre: con quella mossa sapevamo tutti che era pronta ad attaccare, ma sapevo che non l’avrebbe fatto mai per il bene suo e quello dell’amico.

“Drakon è un vampiro coraggioso, per merito del suo patto è ancora vivo. Azzardati ad offendere un’altra volta mio padre e ti azzanno davanti agl’occhi dei miei amici, senza alcuna pietà’’

“Sono d’accordo, io invece ti farò soffrire come non mai fatto con nessuno prima d’ora’’, mi sfidò, faccia a faccia.

“Se ti azzardi a toccarla, prima te la vedrai con me’’, disse freddo Louis parandomisi davanti.

Paul scoppiò a ridere come se avesse detto un battuta. “Andiamo amico, al massimo la farò svenire per il dolore, niente di più’’

“Ti ho detto di non toccarla’’, sputò fra i denti

Paul alzò le mani in segno di arresa. “Va bene, fai come vuoi, tanto lei un giorno se la vedrà con me’’, disse lanciandomi uno sguardo raggelante.

“Prima dovrai uccidermi’’

“Adesso basta! Non è giusto risolvere tutto questo con la violenza’’, urlò Jessica mettendosi fra Paul e il mio fidanzato. Non era di certo per fare bella figura, non tollerava i litigi e le sfide all’ultimo sangue.

“Fatti da parte, pignola’’, sputò Paul.

Jessica lo fulminò. “Gli ordini li dai a uno più piccolo di te, e con meno cervello. Se non vuoi creare una disgrazia adesso, ti conviene abbassare le orecchie’’, lo avvisò la ragazza stando sulla difensiva.

“Se intendi più piccolo e con meno cervello, potrei paragonare queste similitudini a te ’’, incalzò lui.

In un certo senso c’era rimasta contropiede. “Guardati bene attorno, ti conviene. Non sei l’essere più pericoloso che esiste a Solemville, non ti conviene sottovalutare le capacità di Alì e di Alucard’’

“Senti chi parla, Miss Popolarità, e tu che ne puoi sapere di Alucard se non lo conosci?’’, e gli spettinò i capelli con la sua enorme mano.

“Sbagliato un’altra volta, Gorilla. Pensa prima di parlare”

Adesso ci mancava solo che aggiungesse “Per merito di Alexia ho avuto l’onore di conoscerlo”, ed ero fritta. Paul non avrebbe gradito che un vampiro si unisse al gruppo, in un certo senso sembrava lui il campo del nostro club anziché io, mi creava irritazione quando si metteva a comandare i miei amici.

“Sembri proprio un bambino Paul’’, lo rimproverò Louis e mi afferrò il braccio per riportarmi sulla panchina dove mi ero seduta. Anche Jess ci raggiunse, mentre Paul ci accompagnava con lo sguardo. Anche se rimase deluso dal suo amico, se lo meritava. Jennifer, invece, rimase impassibile - l’unica cosa che sapeva fare, a quanto riuscivo a notare- e ritornò al suo posto insieme a Paul.

“Possibile che ti sei trovato una ragazza così problematica?’’, chiese dopo a Louis.

“Possibile che non sta bene quello che amo?’’, ribatte lui. Mi fece intuire che da lì a poco si sarebbe scatenata una lite che avrebbe portato a urla e fuoco. Stetti per fermarli ma Mattew arrivò prima.

“Ehm….ragazzi, non vorrei interrompere la vostra discussione, ma c’è un problema più grande di questo’’

Contemporaneamente guardammo tutti Mattew, che era girato verso la strada, seguimmo con l’occhio l’indicazione che rivolgeva verso il marciapiede, e oltre la nebbia colsi una figura che si muoveva: la figura era dalla forma umana, che si avvicinava svelta verso di noi, di sicuro Mattew lo aveva riconosciuto a prima vista dato che anche per me, appena vidi i suoi lineamenti perfetti, lo riconobbi immediatamente. Indossava una maglia di lana con le maniche lunghe di color corteccia, pantaloni lunghi e grigi, due scarpe nere e lucenti ( abbigliamento apparentemente umano), nella mano destra teneva un foglio giallastro, ma non riuscii a capire quello che stava scritto.

“Bene…’’, disse Paul mentre si alzava e mi si parava davanti “è da tanto che aspetto questo momento’’

“Che cosa ci fa quel parassita da noi?’’, chiese acida Jennifer. Avrei voluto dargli un pungo in faccia.

Contemporaneamente, accanto a Paul si mise Louis, io ero in piede davanti a loro, e mi coprirono la visuale. Mi si fermò il cuore al solo pensare che tra qualche secondo avrebbero lanciato fuoco e dolore.

Non riuscivo più a vedere Alucard, ed andai nel panico, l’unica cosa che riuscivo a cogliere in lui era i suoi passi veloci e lunghi, sentivo il suo respiro lieve. Anche Lilly e Jess mi alzarono e si misero accanto per portami poi allo scoperto dai sue ragazzi. Hora, Mattew e Jennifer rimasero al loro posto, seduti. Tanto meglio così, non preferivo che mi facessero pure loro da protezione, avrebbero fatto sembrare un tradimento ad  Aluard dopo averlo conosciuto, esclusa Jennifer.

Undici secondi dopo era già fermo davanti a noi, ad un metro di distanza, scrutava i volti nuovi e quelli familiari fino a fermarsi al mio e rivolgermi un sorriso a mo’ di saluto.

All’improvviso sentii silenzio che trasmetteva una certa ansia e terrore, forse era per via di quella nebbia di colore grigio cenere che si stava elevando attorno a Paul (la nebbia rappresentava il dolore mortale che affliggeva poi alle sue vittime), quell’intervallo di silenzio mi rendeva angoscia. Dal cielo rombò un tuoni che per tre secondi squarciò il silenzio attorno a noi. Era preoccupante vedere Alucard indifeso e solo.

“Vedo che non sono il Benvenuto qui’’, parlò Alucard. La sua voce fece scalpore a me- altrettanto alle mie amiche- perché la sentii profonda e tenebrosa, piena di freddezza e rabbia; assomigliava per la prima volta a quella di un…. vampiro.

“Hai detto bene parassita’’, rispose aspro Paul “adesso ti consiglio di andartene prima che….’’

“Prima che cosa?’’, lo interruppi io  fulminandolo con lo sguardo. “Che cosa farai tu, piccolo e debole umano contro un vampiro più forte di te? Di sicuro peggio di te. Continua a mostrarti il più duro della scuola, dentro però si nasconde un bambino che ha ancora bisogno di crescere. Guardati intorno: i miei amici, Louis, ed io abbiamo imparato a conoscerlo prima di giudicarlo, fa parte della mia famiglia, invece tu….tu sei bravo solo a criticare le persone ed è questo che ti rende debole. Quindi ti avviso di farti da parte, perché, al confronto di lui, tu non sei altro che una piccola pulce che merita di essere schiacciata. Ci parlo io con Aucard, e tu resta immobile’’, e, credeteci o no, non ribatté più, perché mi resi conto troppo tardi che fu apposta il mio ruggito ad abbassargli le orecchie.

Mi staccai dalle mie amiche e corsi ad abbracciare Alucard. Lui mi accolse a braccia aperte, mentre intorno a noi regnava il silenzio, sentivo gli sguardi di tutti addosso ma non m’importava; sentivo che dovevo proteggerlo da Paul, Louis e Jennifer.

“Ma perché sei venuto da me? Vuoi farti suicidare?’’

Rise sotto i baffi. “No, in realtà ero venuto qui per emergenza’’

“È successo qualcosa di grave?”. Sciolsi l’abbraccio e lo accompagnai vicino ai miei amici: gli unici che potessero invitarlo con un sorriso.

Per fortuna Paul si fece da parte quando si sedette accanto a Louis – che arrivò per primo alla panchina- e Lilly. Io gli stavo dietro. Era ora di usare il mio scudo, sentivo l’enorme desiderio d’espanderlo anche se non volevo creare vertigini a Alucard.

“Ti dispiace se espando il mio potere?’’, domandai piano in modo che solo lui potesse sentirmi.

“Fai pure. Sentirai anche il mio, Paul si sta innervosendo’’, rise beffardo. La cosa sembrò divertirlo.

E infatti, quando espansi lo scudo su di lui e i miei amici, mi avvolse un forte senso di nausea – mi dovetti aggrappare alle spalle di Alucard per non svenire- e intanto il suo corpo era avvolto da un lieve fumo nero che prima non ero riuscita a vedere: era il suo scudo. Una specie di nebbia oscura che ruppe ogni mio contatto da vampiro: non riuscivo più ad allungare la vista, l’udito era simile a quello dell’uomo ( i rumori erano lievi e impercepibili, tipo il rumore delle foglie che si muovevano dal vento, dei capelli che Jessica spostava dietro la testa, ecc.…), solo l’intelligenza e la forza di resistere a quella nausea rimasero. C’era un certo non so che in quella nebbia che metteva paura, non era adatta al mio scudo che inizialmente dovetti concentrarmi per irrigidirlo, e da me dato che avrei voluto allontanarmi da lui anche se non potevo.

“Ciao Alucard, qual buon vento ti porta qui?’’, lo salutò la voce cristallina di Jess che sentii appena.

“Sono venuto per far visita a voi e alla mia sorellastra, se non vi dispiace, e ho un avviso da darvi’’

“Dicci pure ’’, gli ordinò Louis pacato.

Oltre la nebbiolina nera lo vidi sorridere a mo’ di ringraziamento al mio fidanzato, e poi si rivolse a tutti noi. Solo ora mi accorsi di una nebbia grigia che si scontrò contro il mio scudo, ne cercò una via d’entrata ma non trovò niente, passò sotto il tavolo in cui l’elastico dello scudo non aveva coperto ma fallì anche ‘sta volta. Coprii la colorazione trasparente del mio scudo fino a alle mie spalle. Anche i miei amici la videro ma Paul e Jennifer si notavano ancora oltre la coltre di nubi. Mi spaventai: se scioglievo lo scudo eravamo tutti incendiati dal dolore- tutti eccetto Alucard- non avremo avuto via di scampo.

“Sì, la vedo anche io’’, accennò Alucard.

“Fa paura, Alucard non so se potrò resistere a lungo: sono imprigionata dal suo potere, e debole dal tuo scudo. Il mio non resiste così a lungo ”. Era la prima volta che mi sentivo imprigionata da due poteri oscuri.

“Ci penso io”, mi consolò, e poi si rivolse al Paul. “Prima che iniziassi a parlare, gradirei che ritirassi il tuo potere. Anche perché non ci faresti niente con questo trucchetto’’, disse cortese a Paul. Jessica si fece scappare una risatina.

Vidi a malapena i muscoli di Paul irrigidirsi, ma lui rimase impassibile con lo sguardo d’assassino finché dopo un secondo non vidi il fumo indietreggiare veloce sopra le nostre teste, si avvinghiò ai bracci muscolosi di Paul fino a scomparire dalle sue mani.

Ora tirai un sospiro di sollievo, ma c’era sempre lo scudo di Alucard a crearmi malore, ma decisi di resistere – presto sarebbe finito- qualora il maschione decidesse di sferrare un altro attacco-sorpresa.

“Grazie’’, rispose. Paul sopirò secco e si sedette tenendo il broncio, non ebbi il coraggio di trattenere un sorriso.

“Perdonalo, certe volte fa così per rendersi utile’’, disse imbarazzato Louis grattandosi la testa.

“Non ti preoccupare, lo capisco, anche io avrei fatto allo stesso modo’’, lo consolò, dandogli una carezza sulla spalla. E poi si rivolse a me.

“Volevo solo annunciare l’evento di una grande festa che si terrà a Redmoon’’

“A Redmoon! Si tratta di quella festa che parlano tutti?’’, chiese sorpresa Jess, alzandosi dal posto.

“Sì, esatto’’

“Visto, ve l’avevo detto che è vera. Adesso chi fa la figura dell’idiota?’’, disse guardando tutti i ragazzi intorno al tavolo.

“Tu, se non ti rimetti seduta al tuo posto ’’, risposi io, ovviamente scherzavo, e lei sorrise facendomi l’occhiolino mentre gli altri si piegavano in due dalle risate. Alucard aggiunse un sorriso e poi ritornò a parlare:

“Mi chiedevo se volevi venire anche tu, ovviamente non sarà la semplice “festa di fine anno scolastico’’. Per me è la più importante’’, e detto questo mi passò il foglio giallastro che prima teneva segretamente stretto alla mano sinistra, il suo braccio passò oltre la nebbiolina nera, che dopo un secondo creò un varco intorno all’avambraccio per il passaggio, e il foglio arrivò a me.

                                                   

Lo afferrai, concentrarmi sempre dallo scudo che ancora proteggeva i copri dei miei amici, e misi a fuoco quella scrittura minuscola e perfetta di Alucard. Era un invito.

“ Cara Signorina Alexia, Lilly, Marie Kennedy.

La informiamo di cuore che è stata invitata alla festa di compleanno del Signor Alucard Matías Nelson Paterson. Il grande evento si celebrerà la sera del 27 Aprile 1972, al rispettivo orario: 19.02 della sera, nel cortile del castello millenario: Redmoon. La preghiamo di non rifiutare la nostra richiesta, ci sta molto a cuore la sua visita. Lo scrivente Alucard e il mio genitore Drakon Noah Karl Paterson la informiamo che faremo il possibile di rendere la vostra visita accogliente. La preghiamo nuovamente di non rifiutare.

                                                                                                                                          Alucard Matías Nelson Paterson”

Nonostante leggessi un banale invito di compleanno, mi commossi sapere che scritto in quelle parole c’era anche i nomi e il cognome di mio padre. Ora si poteva dire che apparentemente lo conoscevo. Sospirai ansiosa. Piegai l’invito e lo misi nella tasca dei jeans in modo da non farlo leggere a nessuno: era il mio tesoro.

“Ti prego di non rifiutare, Alexia’’, aggiunse un secondo dopo.

“Ehm…vedrò. Dipende da cosa dirà mia madre’’, pessima scusa. Kate non rimandava mai un invito del genere.

Lui sorrise. “Credo che non sia un problema: ho già spedito altre tre lettere per Kate, Hedrik e Consuelo. Saranno invitati anche loro’’, precisò.

“Ah, bene’’, adesso sì che potevo considerarmi fritta, sia teoricamente che letteralmente, toccava andarci per forza. Quando mamma decideva di fare una cosa non la ferma nessuno, Consuelo non era da meno.

“Che cos’è?’’, chiese Louis che aveva inchiodato lo sguardo sulla mia tasca gonfia.

“Un invito al compleanno di Alucard’’, risposi.

“Wow! Buon comple….’’

“No, Lilly! Se lo dici in anticipo porta sfortuna!’’, la interruppe Jessica chiudendole velocemente la bocca. Sentii a malapena Hora ridere sotto i baffi. Ora la nebbia nera iniziava a farsi trasparente, fino a scomparire intorno al corpo di Alucard, così facendo ogni sensibilità da vampira ritornarono a manifestarsi: la vista era più precisa, vedevo oltre il normale, la stessa cosa valeva anche per l’udito – che cominciai a sentire ogni sorta di rumore intorno alla natura, anche il più inudibile- e la forza ritornò nei muscoli.

Significava: via libera. Allora capii che Paul si era calmato e guardava me, ma Jennifer aveva sempre lo sguardo vendicatore, quindi decisi a malavoglia di ritirare lo scudo fino a me in modo da inondarmi ogni cellula del corpo; se avesse attaccato ognuno di loro, lo avrei fiondato verso la rispettiva vittima.

“Maledette superstizioni’’, borbottò Lilly.

“Ovviamente, ho intenzione di invitare anche voi’’, aggiunse quel centenario del mio fratellastro.

Non fece meraviglia vedere i volti di Jessica, Mattew, Lilly, Hora e Louis illuminarsi come se avessero visto un regalo di Natale.

“Non ci credo! Andrò al tenebroso Redmoon!’’, squittì Lilly con gl’occhi sognatrici.

“Sei davvero generoso e dolce, accetto volentieri. Mi vedrai alla festa!’’, urlò gioiosa Jessica.

“Anche io ci vengo, infondo essere invitati ad un compleanno d’un vampiro capita solo una volta nella vita’’, aggiunse Mattew.

“Non mi perdo questa occasione’’, disse elettrizzato Hora.

“Ci vengo anche io’’, aggiunse pacato Louis, si vedeva che lo faceva per amore. “Infondo starò lì solo per far compagnia alla mia fidanzata, un po’ anche per divertirmi, e poi sono curioso di conoscere come abbellirai il tuo castello ’’, disse infine dandogli una pacca sulla spalla.

Per la prima volta, mi sentii orgogliosa di lui, affascinata da quell’atto di amicizia, sollevata che non avesse preso la n0tizia come una disgrazia.

“Ti ringrazio Louis’’, lo ringraziò Alucard.

“E noi, non ci hai invitati?’’, domandò acida Jennifer. Frenai l’impulso di correre da lei e picchiarla a pugni.

“Al contrario, ho invitato metà del paese. Io e mio padre sappiamo chi avrà la grazia di venire o no e così abbiamo spedito tutte le lettere a chi si meritava d’essere spedite’’

“E quando avete fatto questa spedizione?’’, chiesi stupita. A Solemville ci saranno stato un milione di persone anche se era un paesino.

“Ieri notte, ovviamente’’, rispose sorridendo compiaciuto.

“Ma tu ieri notte eri nella mia stanza’’, ribattei piano. Non ci sentii nessuno.

“Quando ti sei addormentata me ne sono andato. Papà mi aspettava a un chilometro da casa tua, ci siamo divisi e ognuno ha messo le lettere sulle rispettive caselle delle poste’’. Le sue labbra si muovevano veloci tanto che sembravano invisibile, anche le sue parole furono veloci ma riuscii a capire la risposta. Piano intelligente, naturalmente, per mettere gli inviti su ogni casella della posta c’avranno messo pochi minuti.

“Astuto”, dissi. Che altro potevo dire: Drakon ha perfino visto la mia casa, è venuto a vedere mia madre e me? Ormai mancavano tre giorni e lo avrei rivisto, quindi dovevo smettere di torturarlo con simili domande.

“Quindi la lettera l’hai spedita anche a noi?!”, chiese eccitata Jessica.

“Sì, la troverai nel rispettivo posto ’’, rispose lui.

“Ah! Ti ringrazio, altrimenti avrei fatto una figuraccia se sarei arrivata alla festa quando sarebbe finita’’

Alucard rise. “Non ti preoccupare, per fortuna abbiamo pensato a tutto’’

“Già, per fortuna’’, ammiccò Jess.

“Ma c’è un altro problema: cosa vedremo alla tua festa?’’, chiese Lilly torva.

“Per prima cosa il cortile, ovviamente, ci sarà qualcosa da mangiare per voi umani e per noi e…’’

“Da quando in qua i vampiri si mettono a cucinare?’’, si domandò Hora.

Alucard ammiccò un sorriso. “Io e Drakon abbiamo imparato qualche mese fa, per prepararci all’evento. Tanta pazienza’’

“Anche il paparino si è messo a fare l’umano, bene, non poteva esserci cosa peggiore’’, farfugliò Paul, schifato.

“Spero proprio che c’abbia messo del veleno per te così la smetterai di dire certe cavolate’’, borbottai io. Qualcuno rise, e Paul si chiuse nuovamente la bocca.

“Nessun veleno o pozione, solo semplice cibo umano ’’, rassicurò il vampiro.

“E poi?’’, riprese Lilly.

“E poi ci sarà un ballo, e….’’

“Oh, no!’’, urlai io mettendomi la mano sulla fronte, mentre arrossivo. Tutti si misero a guardarmi spaventati.

“Che c’è?’’, chiese Louis girandosi verso di me.

“Il ballo! No, e adesso che faccio?’’, dissi fra me, spaventata.

“Tesoro, ma tu nel ballo sei impeccabile’’, mi consolò stringendomi a se.

“Non è ballare che mi preoccupa, ma il vestito. Cosa mi metto?”. Dall’altro lato del tavolo vidi Paul piegarsi in due dalle risate.

“Puoi metterti il vestito che hai messo al tuo compleanno’’, rispose. E infatti spense ogni mia preoccupazione, non avevo pensato a quel vestito blu che da un mese era appeso dentro l’armadio. Louis sembrò salvarmi da una preoccupazione grande finché non intervenne Jessica e “la sua mania della moda”.

“In realtà si parla di una festa a Redmoon: un castello, quindi credo che i vestiti moderni non siano adatti a quel genere d’habitat. Servono vestiti regali per le donne, e per gl’uomini credo che non c’è differenza dal completo di oggi’’

E ritornai nel panico. “E dove cavolo lo trovo un vestito come quello?’’, ruggii.

“Secondo te a che servono le amiche? Io a casa ho un sacco di vestiti che possono andarti alla grande. Verrai da me con Lilly, ve ne voglio regalare alcuni perché a me non mi stanno più bene’’, incalzò lei. Lilly gli si illuminò gl’occhi per la felicità- Jess a casa aveva un guardaroba di vestiti d’ogni genere e bellezza, non parliamo poi del make-up- mentre io tirai un sospiro di sollievo e le sorrisi grata. Avvolte mi sentii fortunata ad avere un’amica come lei.

“Grazie’’, dissi insieme a Lilly che mi fece eco.

“E di che?’’

“E noi maschi?’’, la stuzzicò Hora.

“Voi potete mettervi il genere di abbigliamento che usa lo sposo, tanto vi andrà bene anche quello’’, rispose lei passando la mano sulla sua testa e spettinandogli i capelli.

“Bene, e qui non ci corre nessuno. Ma c’è un altro problema: che regalo desidera il festeggiato?’’, disse Mattew girandosi verso Alucard.

“Potete farmi quello che volete: vestititi, piante, collane, bracciali….perfino canini o un mantello lungo un chilometro ’’, rise. “io accetto qualsiasi cosa mi farete’’.

“Bene, problema risolto’’

Ma non per me. cosa poteva piacere ad un vampiro? Un mantello non ci tenevo a regalarglielo, una pianta a cosa gli serviva? E i canini? Andiamo, ma stiamo scherzando? Era…una cosa da idioti. Avevo solo tre giorni e l’unica mia salvezza sarebbe stata Kate.

Appena tornata a casa trafugai la casella della posta ed infatti trovai tre foglie identici a quello che avevo nella tasca, non osai leggerle per conservare ai destinatari la sorpresa. Appena varcata la soglia di casa trovai i miei genitori seduti sulla poltrona intenti a guardare una telenovella.

“C’è posta per voi’’, avvisai quando mi sedetti accanto a loro. L’invito di Consuelo lo misi dentro la tasca vuota in modo da consegnarlo quando lei sarebbe arrivata. Presero ognuno i loro fogli e cominciò a leggere prima mamma.

“Cara Signora Kate, Angel, Carlie Brown

La informiamo di cuore che è stata invitata alla festa del Signor Alucard Matías Nelson Paterson. Il grande evento si celebrerà il 27 Aprile 1972, al rispettivo orario: 19.02 di sera, nel cortile del castello: Redmoon. La preghiamo di non rifiutare la nostra richiesta, ci sta molto a cuore la vostra visita. Lo scrivente Alucard e il mio genitore Drakon Noah Karl Paterson la informiamo che faremo il possibile di rendere la vostra visita accogliente. La preghiamo nuovamente di non rifiutare.

                                                                                                        Alucard Matías Nelson Paterson”

Durante la lettura vidi il foglio di mamma iniziare a tremare, mi accorsi un minuto dopo che era le sue mani. Pensava a quello che stavo pensando io: avrebbe incontrato Drakon. Di colpo fu come se le mie emozioni fossero uguali a quello che stava provando lei, di sottecchi, mi notai che aveva i lucciconi agl’occhi. Fu il turno di papà.

“Caro Signor Hendrik, James, Edward Kennedy.

La informiamo di cuore che è stato invitato alla festa del Signor Alucard Matias Nelson Paterson. Il grande evento si celebrerà il 27 Aprile 1972, al rispettivo orario: 19.02 di sera, nel cortile del castello: Redmoon. La preghiamo di non rifiutare la nostra richiesta, ci sta molto a cuore la vostra visita. Lo scrivente Alucard e il mio genitore Drakon Noah Karl Paterson la informiamo che faremo il possibile di rendere la vostra visita accogliente. La preghiamo nuovamente di non rifiutare.

                                                                                                                                Alucard Matias Nelson Paterson”

“Bè…ehm. È un invito molto cordiale, poco riassuntivo, e generoso. Ha azzeccato perfino i miei nomi’’, disse papà sorpreso. Io e mamma ridemmo.

“Tu hai già ricevuto il tuo?’’, chiese dopo mamma.

“Sì, l’ho appena letto. Per cui mi chiedevo se…’’

“Certo che c’andiamo! Non voglio perdermi una festa come questa’’, mi anticipò con voce pimpante.

“Grandioso’’, cioè: è un guaio. “E…prima della festa andrò a casa di Jessica per scegliere il mio vestito, ma non so se….’’

Ma lei alzò la mano per stopparmi. “A questo penserò io. Nell’armadio ho un vestito che non uso da tempo, perfetto per il tuo fisico, a me purtroppo non sta più bene dato che col passare del tempo sono diventata magra’’

“Ma che dici? Sei perfetta!’’, la corresse papà.

Sorrise. “E comunque starà molto bene più a nostra figlia che a me’’, incalzò lei.

“Ma cosa dovrei dire a Jessica?’’

Mi mise una mano sulla spalla. “Stai tranquilla, tesoro, anche a  questo penserò tutto io, tu fidati di me’’

Quando ritornò Consuelo era già pronto il pranzo. Ci mettemmo a tavola, mangiando in silenzio, nessuno emise parola, nessuno farfugliò o borbottò; forse era la curiosità di come fosse stata la reazione di Consuelo appena avesse letto l’invito.

Ebbene, finito il pranzo la invitai nella sua stanza, sedute sul lettuccio, le consegnai il foglio.

“È un invito di Alucard’’, risposi alla sua espressione accigliata che dopo si trasformò in gioia. Lo lesse in silenzio, un minuto dopo era rivolta a me più felice di prima.

“Ma sa i miei nomi! Guarda: Cara Signorina Consuelo, Karol, Alyssa Kennedy …..Ma come ha fatto?’’

“Glie lo avrà detto nostra madre in qualche modo, oppure lo sapeva da tempo’’

“Mmm…’’

“I vampiri sono delle creature astute ed intelligenti, non dimenticartelo’’

“Anche io sono intelligente, ed infatti so cosa è successo tre settimane fa’’

Rimasi di pietra. “Come hai…?’’

“Ricorda che il vento mi parla’’

La fulminai. “Se ti azzardi a dirlo a mamma….’’

“Tranquilla’’, mi interruppe. “Con me il tuo segreto è al sicuro. Ma presto le cose cambieranno, ricordatelo’’

“Sì, sì, certo. Devo stare attenta e aprire bene gl’occhi’’, ripetei le sue stesse parole imitando la sua voce.

“Non prenderla alla leggera. Ora sai che è tutto vero con quel bacio ’’

“Oh, grazie per avermelo ricordato’’, dissi ironica.

“Dovere mio’’, e poi si mise sotto le coperte.

“Dormi, ti avviserò io quando sarà l’ora della merenda’’

“Ciao’’, disse e chiuse gli occhi.

Le diedi un dolce bacio sulla fronte  e chiusi piano la porta, mi diressi silenziosa verso la mia stanza, e lui ovviamente era lì: seduto sul letto, osservando la porta da dove ero sbucata.

“Mi chiedo come ti vestirai alla festa ’’, disse fra se un sorriso di benvenuto.

“Ed è per questo che chiedo aiuto a te ’’, dissi fulminandogli accanto.

Mi guardò torvo. “Ma di quale aiuto?’’

“Di certo saprai bene quanto me ci che vestito sta parlando mia madre’’

“Non vorrei sottovalutare la tua intelligenza, ma non so proprio di quale vestito parli tua madre. È da un sacco di anni che non vengo in questa casa, non posso sapere tutto’’

Restai zitta per qualche secondo e poi ritornai a parlare. “Da quanto stavi ascoltando?’’

“Sono arrivato due minuti fa’’, rispose

“Bene, quindi hai sentito la discussione fra me e Consuelo’’

Si rabbuiò. “Sì, l’ho sentita’’

E calò il silenzio, avrei tanto voluto fargli una sfilata di domande riguardo a quel fatto, ma solo potei chiedergli:

“Mi devi una spiegazione’’, parlai con molta meno decisione di quanto mi aspettassi. Era da tre settimane che aspettavo la resa dei conti.

“Ti ho baciato, punto e basta. Credo che l’argomento possa finire qui’’

A quel punto considerai d’aver perso la ragione, e gli lanciai un’occhiata arrogante. “No, non è affatto finita qui’’.

Lui sembrò restituirmi l’occhiata, l’atmosfera accogliente di qualche secondo prima era finita. “Che cosa vuoi?’’.

“Voglio che mi dici la verità, che mi tiri addosso la spiegazione più ovvia di quel bacio ’’

Rise appena, come se la situazione lo divertiva, ma presto ritornò serio. “Se te lo dico dovrai uccidermi. E comunque, non ci crederà nessuno’’, in quel momenti sembrava volesse beffarmi.

Cercai di controllare la rabbia, scandii con calma parola per parola. “Terrò la bocca chiusa su questo, ma tu dimmi la verità’’

“Cosa t’importa sapere la verità? Era solo un bacio, niente di più’’, disse serio.

“Importa a me, non mi piace tenere un segreto se prima non so la ragione quindi ci deve essere un buon motivo, se lo faccio’’, insistetti.

“Invece di restare a rimuginare sopra su un banale fatto, non puoi ringraziarmi dell’invito e dimenticare il resto?’’, tagliò corto lui.

“Grazie per l’invito ’’, ma non mi sarei mai arresa. Aspettavo una sua risposta, infuriata e impaziente.

“Ma immagino che tu non voglia lasciar perdere’’

“No, infatti’’

“Ad ogni modo….spero vivamente che restare all’oscuro di tutto non ti faccia impazzire’’, disse a mezza voce.

E muti, guardandoci in cagnesco, poi lui mi girò le spalle e uscì dalla stanza. Io rimasi ferma al mio posto, troppo arrabbiata per fermarlo oppure ribattere qualcosa che lui avrebbe sentito. Quando ripresi a muovermi, mi lasciai abbandonare nel letto; immersa nei miei pensieri, rielaborai la discussione di prima: era totalmente sicura che la reazione di Alucard, così sulla difensiva, fosse una ragione per nascondermi una cosa che per lui valeva la pena urlare a quattro venti. Ma nonostante elaborassi per coglierla, non lo trovai.

Così quel giorno decisi di lasciare perdere ogni momento sconveniente, la giornata proseguii calma, e quando fu l’ora di rimboccarsi sotto le coperte decisi di chiudere a chiave la porta-finestra. Non avevo voglia di rivederlo, la sua presenza mi avrebbe irritata. Mamma mi diede un bicchiere di sangue, qualora decidessi di berlo, pensando che fosse la giusta medicina per allievare la pesantezza di quella giornata nebulosa.

Mi aiutò, in effetti, e mano a mano che il sangue di puma andava a scorrere nelle mie vene mi rilassai e piombai nel sonno.

Quella notte mi svegliai scossa: fu la prima volta che sognai Alucard.

Settimo capitolo.....
E più la storia di Alexia prosegue più ci saranno nuove scoperte
Kiss! 

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Capitolo 10
*** Compleanno da sovrano ***


Capitolo 9
27 Aprile 1972: mi ricordo quel giorno come se fosse ieri. Ovviamente in quegli attimi avrei voluto che non fossi arrivata fino a quel giorno. Cercavo di scappare dall’ansia e dal terrore, come ero la solita fare, ma sembrava che più sfuggivo più loro mi si avvinghiavano contro per soffocarmi. Negli ultimi due giorni precedenti cercavo di non pensarci più di tanto, ma fu del tutto in utile per colpa della continua ripetizione di Jessica al telefono.

“Non vedo l’ora che arrivi quel giorno’’, mi disse il giorno prima: era la terza telefonata. Lilly, invece, mi telefonò solo una volta per rassicurarmi.

“Sì, anche io’’, dissi sarcastica.

La sentii sbuffare. “Peccato però che non vieni, ti avrei scelto un vestito bellissimo’’

“Sarà per la prossima volta. Magari per la festa di fine anno scolastico”, ammesso che sarei riuscita a trovare un modo per non farmi inseguire da quel diciannovenne eterno del mio fratellastro.

“Però ci devi venire, altrimenti che razza di festa sarà se non ci sei tu?’’

“Te lo prometto’’. E riappesi.

In modo riassuntivo: passai la giornata prima immersa nella preoccupazione, considerando il fatto che Kate non mi fece vedere ancora il vestito prescelto stuzzicando ancor di più la mia curiosità. Quella notte non riuscii a dormire molto bene, neanche dopo essermi girata e rigirata sul letto per trovare una posizione comoda. A causa del forte ululato del vento e della pioggia sul tetto non tacque nemmeno per un istante. Provai a coprire la testa con il cuscino ma non fu molto utile. Solo verso le una di notte presi sonno, quando ormai si sentiva solo un leggero vento freddo che smuoveva le foglie e i ramoscelli degli alberi.

La mattina seguente mi risvegliai più fiacca di quanto non lo sia mai stata i giorni precedenti, mi alzai prima degli altri e corsi veloce verso il bagno facendo attenzione a non creare rumore per chi ancora stava dormendo. Mi guardai allo specchio: a causa della mia notte quasi-insonne avevo le occhiaie violacee e ben visibili ( se mi avrebbe visto Louis sarebbe corso via senza toccare terra), la pelle moscia, occhi stanchi e ancora desiderosi di schiacciare un altro sonnellino, ma ormai ero del tutto sveglia. Il resto andava bene, anche se la situazione non mi garbava tanto: barcollavo ancora, dovevo tastare il muro per non sbatterci contro. Fu così che decisi di darmi una bella….rinfrescata.

Credeteci o no, era la settima doccia che facevo in tutta la mia vita: i vampiri sono già puliti e profumati da per se, i mezzi vampiri invece ogni tanto gli fanno bene (letteralmente parlando) una bella pulita.

Preparai le armi: accappatoio, asciugamano grande, ciabatte, e tappeto. Ritornai al bagno, aprii l’acqua e mi svestii. Grugnii disgustata guardando le microscopiche goccioline d’acqua fiondarsi verso di me. L’odore invisibile e strano dell’acqua mi invase il corpo, resistetti contro l’impulso di rimettere, strinsi i denti, ed entrarmi aprendo la tenda di plastica umida e circondarmela attorno. Fu solo questione di pochi minuti e uscii dalla doccia, afferrando l’accappatoio e stringendo attorno al corpo per rimuovere le goccioline d’acqua.

Quando uscii dal bagno potevo considerarmi sveglia di primo mattino, fresca, e pulita. Grazie alla doccia mi sentii un po’ sollevata.

Ritornai in camera mia e aspettai i risveglio della mia famiglia, per ammazzare il tempo afferrai il Diario di Alucard e lessi la prima pagina che mi capitò fra le mani. Dovetti aspettare qualche secondo prima che iniziassi a vedere la prima lettera. Rimasi basita.

“Alexia…’’

Ebbene sì, era il mio nome e non ero pazza. Stetti per chiudere il libro e sbatterlo verso l’armadio, ma non so come resistetti. Feci tre respiri profondi, per non farmi sopraffare dalla paura, e ritornai a leggere giacché erano apparse altre lettere.

“Alexia….ascoltami! Devo parlarti’’

Afferrai la penna ed iniziai sotto la scrittura familiare di Alucard, senza chiedermi come fosse possibile quella comunicazione in un libro.

“Che vuoi?’’

Aspetta tre secondi e sotto la mia domanda apparve la risposta.

“Mi dispiace…’’

Sbuffai. “Ok, se è solo questo che volevi scrivermi chiudo immediatamente il libro ’’, scrissi veloce per interromperlo.

“No, no! Aspetta!”, scrisse lui.

“Che cosa c’è? Per la tua arroganza non voglio nemmeno vederti in faccia fino a questa sera’’

E ci fu un minuto che non vedi più niente, nemmeno un punto o un esclamativo, tanto che pensai che se ne fosse andato, ma poi ritornarono le lettere.

“E va bene, guarda verso la finestra’’, ordinò.

“Quale finestra?’’

Ma nel momento stesso sentii qualcuno bussare alla porta-finestra. Mi girai e per poco non attaccai un urlo quando vidi tra la pioggerella e il vento la figura di Alucard. Lui bussò di nuovo, mentre con l’altra mano si riparava dalla pioggia, io invece rimasi pietrificata sul posto. Mi ci volle qualche minuto buono per alzarmi dalla sedia e aprire la porta, entrò veloce spettinandosi con fervore i capelli bagnati d’acqua bagnando perfino me.

“Ciao’’, disse con un sospiro.

“Ciao’’, risposi ancora scossa.

Di seguito si levò il cappotto di pelle bagnato e lo posò sullo schienale della sedia. Si sedette sul letto, nel solito posto, e iniziò a girarsi i pollici, mentre io ero davanti a lui aspettando impaziente una risposta. Nell’intervallo di silenzio vidi le sue labbra mimare parole silenziose che non riuscii a capire.

“Allora, che vuoi?’’, chiesi infine, petulante.

“Scusami se sono stato così….arrogante due giorni fa’’, disse veloce. “in un certo senso lo sono sempre stato”, disse fra se. “ma è stato maleducato esserlo, ecco’’.

“Non ti preoccupare, tanto non ne capisco una’’

Trattenne un sorriso. “Vorrei che mi perdonassi per…’’

“Cosa? Per avermi fatto sentire un’idiota?’’, sibilai. “Perché non mi dici la verità così la facciamo finita’’.

“È una cosa troppo difficile da capire. E non volevo farti sentire un idiota’’

“Non è la verità che è difficile da capire ma tu!’’

Rise sotto i baffi. “Sei incredibile: prima mi fai entrare con gentilezza, adesso mi guardi come se mi volessi mangiare’’

“Se ti ho fatto entrare in questa stanza così ti ci posso ritogliere’’, sbottai.

Alzò le mani in segno d’arresa. “Ok. Mi arrendo’’, bofonchiò, ironico.

“A cosa?’’, chiesi, confusa.

“A fare il bravo fratellastro che tu pensi che io sia. D’ora in poi farò quello che voglio e mi dovrai accettare così come sono ’’, rispose con un filo di durezza oltre il sorriso.

“In parole povere….?’’

Rise. “La traduzione di tutto questo è che se veramente vuoi che faccia parte della tua famiglia….devi accettare le conseguenze: sono molto bravo a cambiare umore in certe circostanze o evitare le persone….’’

“Ne so qualcosa’’. Forse, durante la nascita, avevo preso qualcosa da lui.

“E ti chiedo di lasciar perdere quello sbaglio, anche se per te è difficile dimenticare’’, continuò.

“Infatti è proprio questo il punto: mi è difficile dimenticate, per cui non mi do per vinta’’

Sorrise, guardando il pavimento. “Lo immaginavo’’

Sospirai. “Ormai mi dovresti conoscere. Sono molto brava ad ottenere quello che desidero quando ne ho intenzione’’

Mi guardava oltre le sue ciglia folte e nere. “Per cui…?’’

“Tu considera solo il fatto che non mi arrenderò mai’’

Tornò subito serio. “Meglio che ci provi, tanto non ne risolverai niente’’

“E tu che ne sai?’’, mi accorsi che digrignavo i denti.

“Lo immagino ’’, rispose piano.

Aspettai impaziente, imbambolata come un’idiota, che aggiungesse qualcosa ma non parlò più. I secondi passavano. Ci guardavamo senza neanche sapere perché. Non era facile tenere lo stesso tono di freddezza con lui, era come vincere lo sguardo di un angelo. Abbassai lo sguardo per non dargliela vinta. Mi sarei sentita un’incapace se solo avessi ceduto.

“Quindi….il succo della cosa è che ti devo perdonare?’’, chiesi infine, gelida. Era più facile parlare con lui senza rivolgergli lo sguardo.

“Bè….’’, ammise.

Alzai lo sguardo. “Oppure no’’, borbottai.

“Se tu mi concedi questo onore sarei pienamente felice, però c'è il fatto che devi accettare anche ogni mio cambiamento d’umore’’

Restai in silenzio per un minuto intero, pensando quale sia la cosa giusta da fare. “Va bene, ti perdono. E accetterò ogni tuo cambiamento d’umore’’, dissi infine, copiando la sua voce.

Lo feci ridere. “Grazie’’

Si alzò e mi strinse fra le braccia. Nei giorni precedenti non avevo tanto prestato a quell’affetto che avevo usato con lui in passato, ma non appena mi strinse in un abbraccio duraturo la mancanza del suo odore si fece sentire, tanto che mi allungai con il naso e annusai l’odore della sua gola.

“In questo momento, sei così gentile da farmi un favore?’’, chiesi, dopo qualche secondo d’esitazione.

“Dipende dal tipo di favore’’. Alzai lo sguardo e mi accorsi che mi fissava sospettoso, ma incuriosito.

“Tranquillo, è una cosa da niente’’, lo rassicurai.

Lui rimase a fissarmi, paziente.

“Mi chiedevo se mi fai il favore di avvisarmi la prossima volta che decidi di cambiare umore, qualora decidessi di vietarmi oppure starmi accanto. In tal modo posso restare tranquilla e preparata’’

Eccolo di nuovo il sorriso angelico. “Mi sembra giusto’’, disse infine.

E appoggiai la testa sopra la sua camicia bianca, ascoltando il suo respiro, contando involontariamente le righe nere parallele che vedevo stampate nella sua camicia. Lui, intanto, mi accarezzava la testa e appoggiava le labbra sopra i miei capelli. Mi sentivo di nuovo a dodici anni quando papà mi accarezzava la testa e mi baciava la fronte, però infondo sapevo che c’era più affetto in quelle carezze in stile paterno.

il tempo sembrò essere volato quando sentii i rumori felini di mia sorella varcare il corridoio e correre verso di me. Anche se era a tempo umano, non feci in tempo a far uscire Alucard dalla stanza che lei era già entrata. Aveva la trecciolina spettinata, la camicetta da notte con mille pieghe, e una spalluccia cadente. Nei primi secondi si strizzava gli occhi come se niente fosse, ma quando mise a fuoco la figura di Alucard ispirò tutta l’aria dei polmoni per buttare fuori un urlo. Per fortuna fui abbastanza veloce da chiudergli la bocca e immobilizzargli le braccia, se avesse opposto resistenza.

Anche lui scattò verso di noi e gli si mise in ginocchio. “Tranquilla Consuelo, sono venuto per far visita a tua sorella’’

E lei subito si paralizzo, gli occhi erano sbarrati dalla sorpresa e dallo spavento. Restai immobile anche io, indecisa se lasciarla libera oppure stretta tra le mie braccia.

“Adesso non urlare se ti Alucard ti lascia libera, d’accordo?’’, continuò Alucard, gentile, accarezzandogli una manina.

La bimba restò intimorita, mi pentii aver usato tanta freddezza su di lei, ma dopo un minuto fece un cenno con il capo e contemporaneamente guardai disorientata il mio fratellastro. Mi diede l’accordo di lasciarla con un cenno e rialzò.

Ebbi qualche secondo d’esitazione dato che il suo cuore batteva come le ali d’un uccellino, ma il suo respiro era calmo. Mollai con cautela la presa, arretrando d’un passo. In quel silenzio irreale, l’agitazione mi invase del tutto che a malapena mi accorsi che stavo bene anche senza respirare, ma quando vidi Consuelo abbracciare Alucard liberai finalmente un respiro di sollievo.

“Perché sei qui?’’, gli sussurrò, mentre lui la sollevava da terra e la appoggiava un secondo dopo.

“Sono venuto a dare il buongiorno ad Alexia, e a te dato che sei arrivata’’, rispose dandogli un colpetto con l’indice sul nasino.

“Buongiorno anche a te ’’, aggiunse lei, e poi corse verso di me.

“Può restare con noi per pranzo? Ti prego, ti prego, ti prego!’’, mi supplicò, saltellando.

“Non posso, devo ritornare a Redmoon’’, ripose lui.

Consuelo ci rimase male tanto quanto me, chiaramente lo volevo ancora vicino, se sarebbe andato via l’agitazione di quella sera avrebbe preso di nuovo il sopravvento. Erano in quelle circostanze che avrei voluto essere al posto di Consuelo.

Cercai di inventarmi la scusa più spontanea che mi venisse in mente. “Ma fuori piove’’. Scusa più banale non potevo inventarmela? Adesso potevo anche deridermi da sola.

Strinse le labbra per trattenere una risata. “Mi piace l’acqua, almeno mi faccio una bella doccia”. Meglio non parlare di docce. “E comunque sta arrivando tua madre”

E infatti sentii i passi lenti di mamma che si allontanava dal letto, mi voltai e mi accorsi che lui era già alla porta che teneva aperta. Una ventata d’aria fredda entrò dalla stanza raggelandola, costringendo alla bambina di ripararsi dietro di me.

Fece un passo ma poi si girò verso di noi. “Ci vediamo alla festa ’’, disse con un sorriso eccitato.

“Io sarò quella con la tremarella’’, ammisi.

“Questa era molto credibile’’, rise. Entrò dentro la pioggia incessabile, e un attimo dopo sparì.

Nello stesso istante, quasi farlo apposta, mamma entrò dalla stanza.

“Alì, Consy, siete già sveglie? Non me l’aspettavo....Ma chi ha aperto la finestra?’’, corse sbigottita verso la finestra e la chiuse.

“Scusa, mamma, volevo solo far entrare un po’ d’aria’’, dissi io, recitando la parte della colpevole.

Mamma mi guardò gelida e io abbassai lo sguardo, anche se sapeva che Alucard entrava a casa mia tutte le notti, di sicuro gli avrà preso un infarto se avrebbe saputo che era entrato per una visita mattiniera. Specie se ero in camicia da notte.

Alla fine ci invitò in cucina per preparare la colazione e la giornata poteva continuare normale. Come Alucard se ne andò l’agitazione ritornò a scorrermi nelle vene. Consuelo e mamma furono costrette a consolarmi più di tre volte. Papà pensava di rassicurarmi standosene sulla poltrona, un po’ aveva ragione, almeno non avevo le carezze e i baci di tutti addosso altrimenti il mio battito cardiaco sarebbe cresciuto di sei ottave. Pur di recitare lo stesso atteggiamento di mio padre non riuscii a fare di meglio che scrutare l’orologio – e per la prima volta con ammirazione. Ogni tanto mi alzavo, passeggiavo per la casa, oppure leggevo qualche libro ma neanche questo fu granché. Mi comportavo come una ragazza al suo matrimonio. Mi chiesi se mi sarei comportata anche in quel modo durante il matrimonio con Louis. recitare la parte della sposa timida ero impeccabile. Un’agitazione familiare e antica mi fece ricordare quella del mio compleanno, ma c’era qualcosa di diverso: questa ero più grande, più il tempo scorreva lento più desideravo le braccia di Alucard che mi stringevano. Mi accorsi che solo pensando al suo viso mi tirava fuori dalla preoccupazione.

Per il resto si poteva dire che il pomeriggio andò bene…e male.

Andò bene perché mamma ci portò in giro per Solemville, entrammo in vari negozi per cercare un regalo per Alucard, per rendere le cose più divertenti comprammo qualcosa anche per noi. Kate comprò due pantaloni, una maglietta di lana, una giacchetta azzurra da uomo; Consuelo volle fargli un orologio da polso argentato in modo da renderlo più…moderno. Io, invece, non presi niente.

“È scortese presentarsi con le mani vuote, sai?’’, ribadì Consuelo.

“Tranquilla’’, la rassicurai. “Non mi presenterò a mani vuote’’. Avevo già deciso.

Consuelo mi guardò torva per qualche secondo, ma la vista di una collana la distrasse del tutto. In quel momento tirai un sospiro, misi la mano sul cuore e sperai con tutta me stessa che ogni cosa sarebbe andata per il verso giusto.

Appena tornammo a casa, mamma preparò il pranzo, mentre io mi distrassi studiando qualche materia per poi aiutare Consuelo a ripassare geografia. Nel momento di silenzio, ascoltavo i ticchettii incessabili dell’orologio, guardando affascinata il cielo che assumeva coll’andare delle ore una sfumatura scura.

Il cielo era pulito, la tramontana aveva spazzato via le nuvole. Verso le quattro dal color celeste il cielo iniziava a farsi di color fiordaliso, poi di blu scuro, ed infine fu velato dal colore blu-nero della notte. A quel punto distaccai lo sguardo incantato dal cielo e misi a fuoco le lancette dell’orologio nel buio della stanza.  Erano le 16. 45. Anche se presto- troppo presto per chiamare mamma e svestirsi- la tremarella e l’agitazione che mi aveva sorprendentemente abbandonato un paio d’ore prima mi si scontrò al petto, saltai dal letto ed andai in contro a mamma che, mi accorsi dal primo momento in cui sentii la carta, impacchettando i regali.

“Mamma, devo prepararmi’’, chiesi con la voce che mi tremava. Il cuore, lo sentivo, correva più di quanto non abbia corso in tutta la sua vita; infondo stiamo parlando d’un compleanno al castello Redmoon non in una casa qualsiasi con un festeggiamento da bambini.

Lei non badò alla mia preoccupazione, e attaccava lo scotch per congiungere l’altra metà della carta. “Abbiamo un’altra ora’’, disse calma.

“Lo so, lo so, ma lo sai come sono fatta no? Anticipo sempre il nervosismo’’

Mamma strappò un altro pezzetto di scotch fra i denti e chiuse finalmente la metà del pacco dove dentro conteneva i vestiti. Quel maledetto rumore di staccare e attaccare mi dava sui nervi.

“Dai, aiutami ad impacchettare l’ultimo regalo. Poi preparo il bagno a tutte e due’’, disse pimpante.

“Mi sono già pulita questa mattina e ne ho abbastanza di quella cosa…liquida’’, borbottai.

“Il tuo coraggio è ammirevole, ma il vostro sarà un bagno speciale. Dai… aiutami’’, mi incoraggiò mentre prendeva due scatoline che conteneva una collana e un orologio, sbuffai e mi misi ad aiutarla. Ma involontariamente il mio cervello non mi lasciò lavorare che dopo tre secondo il regalo era perfettamente presentabile. Sia mamma che io rimanemmo sbigottite; eh già, ero oltre l’agitazione, nemmeno il mio cervello mi dava ascolto ormai. Mamma sospirò e mi condusse verso il corridoio. Davanti alla porta del bagno mi costrinse a fermarmi.

“Rimani lì dove sei’’, ordinò con un sorrisetto eccitato.

La guardai torva. “Cosa…?’’, ma lei era già entrata nel bagno. Nell’attimo in cui aprii la porta ebbi il privilegio di sentire odore di rose e viole. Iniziai ad intuire una terribile verità. Di seguito sentii il rumore di cassetti che si aprivano, buste di plastica che si rompevano….una scatoletta di fiammiferi? Ma che diamine….!

“Mamma!’’, la chiamai bussando alla porta.

“Ancora un minuto, per favore Alexia, la tua pazienza sarà ricompensata’’, disse la voce cristallina di mia madre.

E un minuto fu, uscì dal bagno tutta pimpante chiudendosi la porta alle spalle. Mamma era ritornata la solita ed elettrizzante ragazza di diciott’anni. A quel punto mi chiesi a chi assomigliavo di più.

“Su, su, adesso vai a levarti i vestiti e ritorna qui subito!’’, ordinò.

“Ho dubbi seri che sia un trattamento di bellezza’’, dissi fra me mentre mi avviavi furtiva verso la stanza.

Quando ritornai, mamma mi fece osservare la “magnifica” atmosfera dentro il bagno, umanamente parlando. Per me era…raggelante, sotto certi aspetti vampireschi, ma il resto devo dire che era accogliente. Nell’aria era sparsa- come avevo sentito prima-  un aroma di rose e viole, il bordo della vasca era contornato da candele accese e profumate distanziate l’uno dall’altra di trenta centimetri, così come ogni scaffale o mobile del bagno, ce n’erano due perfino nel lavandino, l’acqua della vasca era calda- di sicuro- coperta dalla schiuma soffice del sapone, e a sua volta tempestata da petali di rosa che coprivano perfino il pavimento. Se si trattava di trattamenti di bellezza, mamma era una professionista.

“Allora? Che ne dici?’’, mi chiese insistente, un sorriso vittorioso le marcava le labbra.

Ero ancora allibita. “Ehm… vuoi la verità?’’

“Ma certo ’’

“Hai esagerato’’, sputai voltandomi a guardare mamma. Il suo sorriso si allargò. “Ovviamente nel senso positivo, ma come....?’’, ma lei mi fermò.

“Adesso mettiti dentro e rilassati. Fra mezz’ora vengo a vedere come stai’’

“Fra mezz’ora mi vedrai immersa nel sonno’’

“Tanto meglio’’, squittì lei. “questo significa che il trattamento è riuscito”

“Quando mai un tuo trattamento non è mai riuscito alla perfezione?’’, chiesi ironica.

Lei mi fece l’occhiolino e uscii a passi aggraziati e veloci dalla stanza. Ora capisco perché non ero rimasta schifata dall’acqua nel senso olfattivo ma visivo: mamma aveva riempito la stanza di odori per far in modo che non mi disgustassi dall’odore dell’acqua. Risi fra me, deridendomi per quante volte avevo dubitato che un suo trattamento non avesse successo. Era una fortuna avere una mamma del genere se si parlava dell’estetica femminile. Ma poi mi chiesi come Drakon l’avesse amata avendo un tipo come lei: di sicuro ne era fiero, si vedeva dal senso di colpa che lo tormentava da anni che non avrebbe mai voluto lasciarla. Forse….Ma lasciai perdere i pensieri e mi tuffai nella vasca profumata. L’acqua, come avevo previsto, era calda e accogliente grazie ai petali di rose e alle candele che illuminavano la stanza dando un effetto relax. E cominciai ad avvertire i postumi della notte insonne. Mentre mi rilassavo, memorizzai le eventuali lezioni che mi avrebbe dato sicuramente mia madre riguardo a questo genere di trattamenti, iniziavo a convincermi che infondo mi sarebbe stato utile come anti-stress, qualora decidessi di ridurre a brandelli Paul, o qualunque cosa di sconcertante mi sia capitata fra i piedi.

Caddi nel sonni-veglia, solo in quegli attimi potevo accorgermi di quanta stanchezza era ammassata addosso a me, e ne riemersi di tanto in tanto quando mamma, mezz’ora dopo, usò varie creme e maschere per far risplendere e levigare la pelle del corpo.

Quando uscii dal bagno, con intorno un asciugamano per il corpo, ed entrai nella camera di mamma, persi la condizione del tempo. Non ricordavo nemmeno che era sera. In quel momento entrò Consuelo con gli occhi illuminati dalla meraviglia da bagno trasformato in una cabina- relax. Mamma entrò con lei per soli pochi secondi, la fece spogliare e mettere dentro l’acqua, uscii dal bagno, mise i vestiti sul suo letto e chiuse la porta. Era ovvio che la mia trasformazione doveva essere un segreto.

“Ok. Adesso mettiti nella seggiola’’, ordinò sussurrando.

Accanto al letto c’era una sedia di legno, con lo schienale alto, rettangolare, e in pelle morbida, davanti era appoggiato un piccolo tavolino circolare in legno con lo specchio attaccato al muro. Oltre la vetrata che rifletteva il mio volto vedevo, oltre il letto, mamma che frugava nei cassetti del suo armadio, sotto l’enorme spazio che occupavano i vestiti appesi. Ne frugò fuori la classica boutique dei trucchi e la mise sul tavolino dove mi trovavo io. Potei dare inizio al trattamento praticato sul mio viso ( il più fastidioso) con tanto di mascara, ombretti, matite, fondotinta e lucidalabbra. Alla fine i fece specchiare e valutare la sua opera.

Le palpebre erano sfumate di un color beige che marcava appena l’occhio, il mascara rendeva più voluminose le ciglia, il fondotinta era del mio stesso colore: rosa-pallido, il lucidalabbra era di un colore rosa corallo chiaro.

“Ti piace?’’, chiese.

“Sei straordinaria, mia piace molto. Grazie’’

“Dovere mio’’, disse con un sorrisetto vittorioso. Prese la boutique e la rimise al suo posto. La accompagnai con lo sguardo mentre apriva l’armadio più grande della camera da letto- occupava tutto il lato con qualche centimetro di distanza. Mi si chiuse la bocca dello stomaco quando vidi sostenere con le braccia la norme scatola bianca praticamente familiare. La appoggiò con delicatezza, come se fosse una cosa preziosa, e la aprii.

“Oh! No, mamma ti prego, non il tuo abito da sposa!’’, urlai io terrorizzata.

Mi guardò accigliata. “Perché? Che cos’ha che non va?’’, chiese disorientata. Intanto mi ero alzata dalla sedia e mi trovai accanto a lei.

“Non ha niente che non va, è bellissimo, solo che….è tuo, non voglio…sfilartelo tutto o…rovinartelo….’’, balbettai. Mi accorsi che stavo tremando.

“Tranquilla sarà solo per questa volta e per…il tuo matrimonio’’, aggiunse sorridendomi.

Mi spaventai. “No, mamma, dammi retta: vado da Jess. Sono ancora in tempo’’. Senza contare che ore sono.

“No, assolutamente no. Questo vestito è da tanto che è rinchiuso in questa scatola polverosa, ed è giusto metterlo di nuovo in mostra. Certo avrà sempre significato tanti ricordi bellissimi per me’’, disse accarezzando la stoffa bianca dell’abito. “ma voglio che ora lo indossi tu’’, terminò con un sorriso elettrizzato. Stetti per ribattere ma lei fu più lesta di me.

“Fai questo piacere alla tua mamma ’’, mi supplicò. Certo, sarebbe stato facile come un bicchier d’acqua riuscire a sfuggire al suo sguardo, ma sarebbe stato un enorme senso di colpa averla delusa.

Così fra i denti, svuotai un debole: “Sì”

Mi sorrise di nuovo, grata, e mi abbracciò. Sfilò fuori il vestito da sposa e me lo mise in mostra. Mi venne un capogiro non appena vidi cadergli per sbaglio dalle mani il velo.

“Niente velo!’’, urlai spaventata.

Scoppiò a ridere. “Tranquilla, non è un matrimonio, è solo una festa di compleanno’’. E rimise il velo sul letti

“Questa l’avevo già sentita’’, dissi fra me.

Mi si avvicinò emozionatissima e mi avvicinò l’abito al corpo per vedere se era della mia stessa misura. Avrei gradito che non fosse così.

“Dai, fammi vedere come ti sta’’, supplicò impaziente, felice.

Sbuffai e afferrai il vestito, lo esaminai sia con l’olfatto che con la vista ( non sapeva di niente) e aprii la cerniera per infilarmici dentro. Mamma mi fu d’aiuto per chiudermi la cerniera, si chinò per aggiustarmi la gonna e poi si rialzò per osservarmi.

“Sei presentabile, tesoro’’, disse ma dopo mi guardò incerta. “Ehm…Dovrei dire “quasi”. Ti mancano i capelli”, corresse.

Nel momento in cui tornai a sedermi, chiusi gli occhi per non vedere il corpetto del vestito. La rilassatezza che prima scorreva dolcemente nel corpo ora mi aveva abbandonata lasciando di nuovo che l’agitazione uscisse da dietro le quinte e tornasse sul palco.

Mamma mi levò il mollettone che sosteneva i capelli e li lasciò liberi di cadere da dietro la mia schiena. Si allontanò da me per un minuto e ne ritornò con una scatola in legno con un pettine.

“Mamma, forse devi lasciarmi sola per un po’ e preoccuparti di Consuelo. Sicura che non sia caduta dalla vasca?’’, dissi tono di supplica.

Lei sbuffò. “Tua sorella sta più che bene, fidati. Ora pensiamo a te ’’, insistette lei e ritornò ad armeggiare con i miei capelli.

Nei tre minuti che trascorsero interminabili, mi concentrai più di dieci volte di non abbassare lo sguardo e osservare ogni minimo particolare del vestito, e mi concentrami tutta me stessa per fare dei respiri lunghi e profondi.

Al termine del lavoro le sue dita lasciò i miei capelli in modo delicato come se fossero delle piume, e ancora una volta elaborò la sua opera. Per quante volte avevo chiuso gli occhi, non mi resi conto del bellissimo risultato: avevo le due ciocche ai lati del viso arrotolate leggermente fin dietro la testa che a loro volta erano fermate, con mia sorpresa, dai due fermacapelli ricevuti in regalo al mio diciottesimo compleanno che si notavano appena a causa dell’acconciatura voluminosa dei capelli, il ciuffo di capelli congiunto con i due pettini ricadeva come un boccolo delicato sulla chioma rossa castano; mamma aveva pensato anche al resto dei miei capelli rendendoli mossi e brillanti in modo da mettere in risalto il mio viso. Potevo dedurre che sembravo una principessa uscita dal libro di fiabe, ma non appena avrei visto il vestito sarei sembrata qualcosa di più. Mamma fece per ritornare alla scatola bianca ma ritornò subito indietro.

“Ah! Dimenticavo una cosa!”, si ricordò mamma schioccando le dita. A quel punto aprii la scatola di legno e ne tirò fuori vari gioielli, tra il tamburellare assordante e acuto del vetro e oro ne estrasse fuori un diadema che lo lasciò ricadere sulla mia fronte. Afferrò, tra le mille sfaccettature, anche due orecchini. Deglutii.

Con passo repentino ritornò alla scatola e un secondo dopo rieccola accanto a me, mi porse due guanti, me li misi senza dare alcun segno di incertezza; fra me pensavo che stesse esagerando. I guanti erano di pizzo ricamati in bianco, comodi ed eleganti, lunghi fino ai gomiti.

In silenzio, mi condusse davanti allo specchio inciso nel muro, perfetto per vedersi per intero, accanto al tavolino. Contemporaneamente, chiusi gli occhi.

Mamma mi diede uno strattone al braccio. “Guardati, tesoro. Guardati quanto sei bella’’, mi incoraggiò.

Mi toccò ubbidire, e osservai la Alexia Kennedy duplicata nello specchio. Il mio clone sgranò gli occhi dall’entusiasmo non appena vide il spettacolare cambiamento del suo corpo.

La ragazza era di una bellezza mozzafiato, la classica bellezza che non si vede sui volantini o robe varie, appariva come una sposa pronta per andare all’altare, le mancava solo il velo che non si sarebbe mai messa. L’abito era in duchesse di seta, con taglio semplice e scivolato con una gonna che si abbandonava aggraziata a terra dandone la forma di una calla capovolta. La stoffa era ricamata fa ornamenti floreali sottilissimi di color panna con qualche diamante microscopico attaccato alla seta. Il bustino aderente con ampie maniche appese alle spalle che quasi si confondevano e richiamavano l’idea del mantello; sulla testa il diadema che ricadeva sulla fronte liscia e mascherata della ragazza nello specchio dava un tocco di luce che rispecchiava la gerarchia del castello, ai piedi, invece, scarpine col tacco che richiamavano il colore dell’abito. Sulle orecchie pendevano perfetti orecchini in filigrana.

                                                             

 

La sua posa maestosa e impeccabile sembrava un miraggio; eppure ero io quell’angelo, sembrava impossibile ma ero proprio io.

Affascinata rimasi a guardarmi allungo nello specchio senza accorgermi che mamma aveva messo in ordine ogni cosa, strinsi i denti per non piangere. Mi girai verso di lei, ancora basita alla vista di quella principessa allo specchio.

“Mamma…ma è…’’

“Non dire niente, te lo meriti’’, mi interruppe lei. Mi venne in contro per abbracciarmi e ad osservare così rara bellezza.

“Sei un incanto. Anzi forse è un po’ eccessivo dire questo perché sei più d’un incanto ’’, si asciugò una lacrima. “Saresti stata la più bella delle spose”

“Sempre grazie a te, ricordatelo’’, le ricordai.

Lei mi fece l’occhiolino e ritornò ad abbracciarmi. Ogni qual volta che elaborava la sua “materia prima”- come diceva sempre lei- mi impressionava come la prima volta; come avrei potuto privarmi di una madre del genere?

“Oh!”, sibilò, sciogliendo subito l’abbraccio. “Quasi dimenticavo di tua sorella! Credo che abbia terminato il suo pisolino’’, disse ridendo come per deridere la sua distrazione.

“Allora vai’’, la incoraggiai, sforzandomi di apparire più dolce che potevo. “Io vi aspetto qui’’

E lei usci, facendomi l’occhiolino prima di chiudere la porta, e rimasi sola. Mi sedetti sulla sedia cercando di trovare un modo per placare tanta agitazione, di certo guardarmi di nuovo allo specchio poteva soltanto ingrandirla di quanto non lo era quell’istante. Mi concentrai sul respiro, contando i secondi, sentendo la mia toracica gonfiarsi e sgonfiarsi, apparentemente riuscii a deconcentrarmi grazie anche ai rumori della casa.

Un quarto d’ora dopo vidi spuntare dalla camera Consuelo con lo stesso completino che indossò al mio compleanno, capelli sciolti e raccolti con un cerchietto verde con un fiorellino di stoffa bianca al lato destro. Mamma, questa volta, indossava un vestito color rosa confetto, di morbida seta, i capelli ondulati, la ciocca era fermata da un lato con il solito mollettone a formai di fiore a stras che usava per le occasioni speciali; le scarpe col tacco erano di color panna.

“Alì, sembri una sposa!’’, urlò ammaliata Consuelo.

Non feci a meno di lanciare uno sguardo accusatore a mamma, che lei ricambiò con un sorrisetto innocente. “Grazie’’, dissi infine.

La bimba mi prese per il braccio, trotterellando fino fuori dalla camera, costringendomi a seguirla. Nel salotto papà stava facendo avanti e indietro impaziente. Non gli davo torto: erano le 19. 03! Diedi la colpa a me stessa per essermi addormentata durante il bagno.

“Allora? Ti piacciono i nostri angeli?’’, chiese mamma al marito.

Papà ci lanciò uno sguardo sbigottito, un secondo dopo capii perché, e lanciò uno sguardo accusatore a mamma.

“Sarà solo per questa volta’’, lo rassicurò lei accarezzandogli la spalla.

“Oh’’, sospirò Consuelo affascinata dalla bellezza di papà. Indossava uno smoking nero.

“Oh…”, feci eco alla mia sorellina. “papà, lo sai che sei proprio…’’

“Un clown?’’, mi interruppe lui.

“In realtà stavo per dire uno schianto ’’, finii. E lo vidi arrossire, mentre Kate lo stringeva per la vita.

Consuelo rise per la battuta e poi calò il silenzio. Mi misi a guardare l’orologio, chiedendomi se anche Alucard era impaziente. Erano le 19.06. i secondi sembravano passare veloci.

“Bene, andiamo. Babbo ha messo tutti i regali dentro la macchina’’, ci ordinò mamma che intanto aveva aperto la porta.

Consuelo lasciò la mia mano e corse fino alla macchia di Hendrik: una splendida Fiat 500 L del 1970: glie lo aveva regalata il fratello per il suo compleanno.

Dopo di Consy uscii papà con passo veloce e rumoroso, mamma invece mi accompagnò fino alla macchina in modo da sollevarmi lo strascico di gonna lunga per non farlo strascinare nell’erba bagnata a causa della pioggia.

Con sollievo, mi accorsi che la strada era deserta: nessuna macchina o passante. Bene, almeno mi risparmiavo un attacco di cuore.

Papà chiuse lo sportello a Consuelo, mamma mi aiutò a lisciare la stoffa della gonna non appena salii, controllando anche se fosse pulito, si sedette accanto al marito alla guida, e il motore prese vita. Feci un lungo sospiro e partimmo verso Redmoon.

In macchina era tutto più lento per una vampira, l’unica cosa che potevo fare era guardare fuori dal finestrino, sospirare, sbuffare, pensare a qualcosa di positivo giusto per distrarmi, e osservare la mia sorella che espandeva da tutti i pori la gioia e impazienza. Avrei tanto desiderato essere come lei, in quei secondi.

Sentii una fitta allo stomaco quando cominciai a vedere i primi alberi centenari. Cinque secondi dopo imboccammo la strada alberata, in quei cinque chilometri che attraversammo solo io, tra i quattro della famiglia mi accorsi, che ai fianchi degl’alberi c’erano ramoscelli lunghi, seguivano tutta l’arcata che formava gli alberi tra i mille ramoscelli e foglie che coprivano il cielo; di come riuscivano a restare fermi nel terreno non riuscii mai a spiegarmelo. Presumevi soltanto il fatto che Dracula Uno e Dracula Due si fossero dati la grande invenzione di farsi aiutare da qualcuno. E devo dire che l’idea mi aveva impressionata appena vidi le ghirlande che penzolavano tra i mille ramoscelli arcati d’ogni coppia di albero.

“Hanno fatto la festa in grande’’, disse papà. Sia io che Consuelo ci damo uno sguardo d’approvazione.

Mi sarei dovuta aspettare ragni che formavano uno scudo appena avessimo imboccato il sentiero, eppure che filavano la tela dagli alberi, lapidi, un urlo straziante proveniente da un punto buio e tetro della via….cose così, insomma. Per un vampiro, almeno. Invece…sembrava fosse una specie di regalo fatto per me dato che ero l’amante della vita.

Sorrisi, piena d’ammirazione e fascino dal suo gesto. Nascoste dalle ghirlande fluttuavano silenziose minuscole lucciole, in gruppi da tre sotto ogni fiore, che illuminavano il sentiero. Era uno spettacolo mozzafiato, sembrava veramente l’atmosfera per un matrimonio. Mi strinsi nelle spalle quando ricordai d’avere il vestito da sposa.

“Bene, adesso dobbiamo solo trovare il posto per la macchina’’, borbottò papà.

All’inizio non capii le sue parole, incantata com’ero ad osservare quel rivestimento della stradicciola alberata, ma abbassando lo sguardo capii cosa volesse dire. Le macchine erano parcheggiate col muso verso gli alberi, lo spazio era perfetto ad una macchina per viaggiare, e per parcheggiare sarebbe stato più prudente non battere contro la vernice preziosa di un’altra sua simile.

Consuelo indicò più di tre posti vuoti ma a papà andava a genio parcheggiare più da vicino alle mura del castello, alla fine ne trovò uno isolato e molto spazioso a qualche metro di distanza dal precipizio. Ora capivo perché era così isolato.

Nello stesso momento arrivò un uomo sulla trentina in smoking color vinaccia, i capelli lisci e bruni, la barba volta e più scura dei capelli, abbronzato, occhi neri e profondi. Lo riconobbi subito: era Ryan, l’amico fidato di papà.

Papà abbasso il finestrino allo stesso tempo in cui gli si era avvicinato. “Ehi, ti tocca arrivare per primo, devi darci un assaggio della tua medicina’’, disse con voce affannata Ryan.

Papà lo guardò sospettoso. “È successo qualcosa di grave?’’, chiese.

“No, niente di cui allarmarsi. Drakon a bisogno di te ’’

Allo stesso tempo in cui udii il suo nome diedi uno sguardo repentino prima a Consuelo e poi a mamma, anche loro lo avevano sentito. Il mio stomaco rimbombò dal dolore; e ritornai a guardare babbo perplessa.

Sospirò. “Va bene, lasciami almeno finire di sistemare la macchina e arrivo subito’’.

E così fece, senza dire niente, spense il motore, ci guardò per un intervallo di secondi e scese dalla macchina. Non gli staccai gli occhi di dosso finché non lo vidi scomparire da davanti all’amico che gli si era messo dietro. Nel silenzio umano della macchina, guardai mamma e Consy con perplessità, ma allo stesso tempo c’era anche impazienza. Ero impaziente di varcare quelle mura e lasciare l’ansia scivolarmi addosso alle spalle.

Mamma fece un respiro profondo e poi scese dalla macchina. Chiuse la portiera e aprii la nostra.

“Coraggio, andiamo a conoscere una nuova persona’’, disse, il miele fra le parole.

“Sì’’, disposi a mezza voce, mentre Consuelo disse: “E se a Drakon non gli piacerò?’’.

“No, sarai il suo angioletto stanotte’’, la rassicurò mamma.

“Sicuramente rimarrà affascinato dalla tua spontaneità e dolcezza’’, aggiunsi io accarezzandogli la testa.

Questo bastò a farla sorridere di speranza, e scese dalla macchina mentre io controllavo ad ogni movimento che in vestito non subisse alcuna imperfezione. Mamma mi sollevò appena la gonna quando chiusi la portiera.

Consuelo trotterellava, era la prima della fila, mamma mi cingeva la vita con un braccio- forse anche lei era in agitazione come lo ero io- e io alzavo appena lo strascico lungo della gonna bianchissima per non sporcarlo.

I miei passi andavano al ritmo con il respiro, il cuore era più veloce delle eliche d’un elicottero. Andai nel panico quando vidi le luci del cortile filtrare oltre il buio della notte.

Il ponte di legno contavano il tamburellare dei nostri piedi, era lungo trenta metri, come trenta metri era distante la fine della stradicciola al dirupo che sosteneva l’enorme castello. Le luci della strada alberata ci lasciarono dandomi una sensazione d’angoscia: vedere le nere ed enormi mura imponenti di Redmoon elevarsi sopra i nostri occhi mentre avanzavamo all’entrata, la luna piena, sfiorata da qualche piccola nuvola, rendeva quel pezzo di buio, l’unico punto più spettrale di Redmoon.

Pensai che di tetro fosse stato anche l’interno, ma non appena superammo l’arcata mi vergognai della mia illusione. Era più incantevole della stradicciola illuminata. Quando cinque minuti fa mi chiedevo a cosa servisse l’aiuto di papà ora potevo rispondermi da sola: all’interno del castello, ai fianchi del cortile, era circondato da due minuscole gallerie che iniziavano dall’arcata e finivano alla scalinata che conduceva all’entrata, sostenute da colonne distanti un metro l’uno dall’altra. Nascoste dal buio di quei piccoli e lunghi tetti, erano posati tavoli imbanditi di cibo: salatini, dolci, bibite e robe varie. Tre tavoli per ogni lati del cortile. E aggrovigliate tra loro a quelle colonne partivano radici verdi e rigogliose, salivano fra i tetti rettangolari, e sfilavano l’aria come se fosse il nulla, ricongiungendosi alle rispettivi radici che nacquero –come quest’ultime- misteriosamente alle altre colonne del lato destro del cortile, si intrecciavano, si sfioravano, finché non formarono un arco naturale che coprivano il cortile a mo’ di tetto. Oltre le grossi e minuscole radici di quella magia si intravvedeva il cielo notturno, la luna era candida come la seta del mio vestito. Un ultimo addobbo particolarmente familiare era lo stesso risultato degli archetti fioriti nella stradicciola, infatti nelle radici erano appesi mille ghirlande che coprivano perfino il verde della natura di quella copertura arcata. Il cortile era illuminato, con nostra sorpresa, da piccole fiammelle che vorticavano nell’aria poco distante dai fiori per non bruciarli ma anche non molto ravvicinato dalle nostre teste. Era uno spettacolo da togliere il fiato, e non mi trovavo dentro un film televisivo, ma tutto questo mi faceva sentire come la protagonista di quella serata anziché il festeggiato. Quelle piccole fiammelle sopra le nostre teste mi ricordavano il grande amore della mia vita, senza dare per scontato che la magia di papà era di una bellezza rara.

“Ma è…bellissimo’’, disse Consuelo, incantata dalle ghirlande pendenti sopra di noi.

Non gli davo torto, ero meravigliata, assuefatta da quella bellezza nel cortile, senza scordare il fatto che si trattava l’alloggio di due vampiri.

Nessuno di noi due si avrebbe svegliato da quell’incantesimo se solo mamma non ci avrebbe prese per mano constringendoci ad incamminarci insieme a lei tra il cortile affollato di gente. Tra le mille persone riconobbi i visi dei miei amici, mi vennero subito incontro e mi abbracciarono, come si staccarono addosso a me rimasero ammaliati da quella che ora ero io. La prima a parlare fu Jessica: quel giorno era vestita da un abito color rosa antico, scollato davanti, la sua chioma era raccolta da un elegante chignon con il quale era incastonato una rosa di carta.

“Oh-mio-Dio! Ma sei bellissima!’’, scandì le parole sillaba per sillaba.

Sorrisi imbarazzata. “Ehm…grazie’’, farfugliai.

“Ma dove hai preso il vestito?’’, mi chiese subito dopo Lilly. “Con questo vestito mi fai sentire una sfigata, sembri la regina del ballo ’’, aggiunse scherzando. Lilly indossava un abito argenteo, stretto al petto, e la gonna leggera e liscia era lunga fino alle caviglie. Indossava dei tacchi a spillo bianchi. Mattew indossava uno smoking color grigio pallido, Hora uno marrone scuro che tendeva al nero.

Risi alla battuta. “Scusa se ti faccio sentire inferiore a me, non lo desidererei mai’’, risposi.

“Ma che bella!’’, ammise Jess sfiorando il diadema. “È vero?’’

“Suppongo di sì, ma non è mio. Appartiene a mamma, lo ha comparato per….un occasione speciale’’, dissi infine. Stavo per dire “per il suo abito da sposa”, ma non volevo correre il rischio di dar loro qualche indizio che richiamasse la verità.

“Anche il vestito è il suo?’’, chiese Mattew che prima non aveva parlato.

Solo in quel momento mi accorsi che ero accerchiata dal mio gruppo e che Consuelo e Kate erano sparite tra la folla. Iniziai a guardarmi in giro disorientata.

“No, ehm….volevo dire sì, è sempre di mia madre’’, balbettai io, più concentrata altrove che alla domanda di Mattew.

“Ah’’, disse lui.

“Accidenti, questo vestito sembra….una abito da sposa’’, farfugliò Hora mentre studiava il vestito.

Mi raggelai. “Ma che cosa vai a pensare? Un abito da sposa? Figuriamoci!’’, risi per smascherare l’espressione spaventata che ebbi sul volto. Hora e gli altri mi fece eco subito dopo.

“Hai ragione, oggi non ci sto proprio con la testa, si vede che ho solo voglia di divertirmi’’, rispose con imbarazzo.

“Vuoi unirti a noi?’’, chiese gentile Mattew subito dopo.

“Magari dopo, adesso devo andare a cercare quelle due pesti di mia madre e mia sorella’’, dissi voltandomi verso un mucchio di gente.

“Ah, ok. Allora ci vediamo dopo ’’, concluse.

“Certo, a dopo ’’

E un minuto dopo scomparvero tra la folla. Nei primi secondi rimasi sul posto, allungando il collo per riconoscere gli unici due volti familiari che desideravo incontrare, ma prima che la solitudine mi inondasse il corpo mi incamminai verso la folla anche se dopo un secondo me ne pentii amaramente: tutti si allontanarono al mio passaggio, meravigliati, affascinati, mentre vedevano una ragazza in veste di “sposa” incamminarsi verso il cortile. Mi accorsi sul punto che non tenevo la gonna sollevata, però capii che ne potevo farne a meno, i petali delle ghirlande cadevano come pioggia leggera sul pavimento freddo e cementato, coprendo la seta dalla polvere, rendendo ancor più elegante il mio passaggio. Di sottecchi, vidi la gente sussurrare fra di loro quando videro il vestito, riconobbi tra la folla un’amica di mamma ed ebbi l’enorme sospetto che avesse intuito la somiglianza di quel vestito a quello che indossò lei all’altare. In quel momento vorrei che tutto fosse vero: indossare un velo, tenere tra le mani il bouquet di rose bianche e fiori d’arancio, e attraversare l’entrata per unirmi al mio sposo: tutto questo avrei desiderato, pur di non avere un modo d’essere imbarazzata da quegli sguardi curiosi.

Tutto sommato, la mia irritazione fu risparmiata quando cominciai ad udire una voce familiare, e lì, sotto il piccolo tetto triangolare c’era un ragazzo che mi voltava le spalle. L’altro uomo non riuscii a riconoscerlo, ma indossava lo stesso smoking nero del giovane. E con mia sorpresa vidi la figura di mamma che parlava con i due uomini, con accanto Consuelo, ma non vidi papà; probabilmente era a conversare con qualche amici.. Mi lasciai sfuggire un sospiro di sollievo, ed accelerai il passo.

A mamma gli si illuminò il viso quando mi vide avanzare verso di loro, Consuelo mi venne in contro trotterellando, e contemporaneamente Alucard si girò verso di me con la stessa espressione che ebbero tutte le persone che mi videro in quella passeggiata, e mi venne in contro con passo veloce. Mi afferrò con decisione la mano destra, anche oltre i guanti di pizzo la sua pelle era liscia e fredda, e con un gesto antico ma familiare mi baciò il dorso. Rimasi allibita e meravigliata dai suoi movimenti perfetti. Consuelo si chiuse la bocca con una mano trattenendo una risatina.

“Sono felice di rivedervi, Signorina Kennedy”, mi salutò Alucard, mentre mi guardava oltre le ciglia folte e nere, il suo mento a pochi centimetri dalla mia mano. Il suo cambiamento di parole mi lasciò perplessa, ma era ovvio che era un gesto per essere cortese ed educato.

Liberai il respiro, mi resi conto che non stavo respirando. “Anche io sono felice di incontrarla, Signor Paterson’’, aggiunsi con piccolo inchino.

Lui sorrise al mio sforzo di recitazione e sansa lasciarmi la mano mi condusse sotto tetto, dove ci stavano aspettando mamma e quell’uomo irriconoscibile. Consuelo fu la prima a raggiungerli, avvicinandosi all’uomo e prendendolo per mano con un gesto familiare. Rimasi perplessa.

L’uomo era molto pallido, e indescrivibilmente bello, muscoloso- era visibile anche il braccio massiccio e muscoloso oltre la manica nera- di corporatura robusta, capelli marrone e corti fino alla nuca, occhi a mandorla e di color marrone scuro intenso, il suo viso era ovale e i tratti di un ventenne ( forse era vicino ai ventotto anni), mostrava la corporatura di un uomo adulto ed era alto 1, 96 m.

Dalla sua età sospettai subito che fosse un caro amico di Alucard, o forse di mamma, ma lei lo conosceva, io no. Consuelo lo aveva appena conosciuto e gli stava accanto come se fosse uno zio, io no. Vidi Alucard stargli accanto come se fosse una persona stretta, un parente, o forse u genitore. Ma poi vidi i suoi occhi, la strana ed impressionante della sua forma e del suo colore come i miei, come quelli di Alucard. E quello sguardo curioso, illuminato, e appena imbarazzato come il mio.

Alucard mi guardò per un secondo, poi cominciò a parlare. Ma io non lo stetti a sentire, forse non lo sentivo proprio, ero ipnotizzata dalla verità. Quell’uomo…quell’uomo che adesso mi guardava con attenzione, che mi studiava dalla testa ai piedi, per trovare qualcosa di familiare in me….E finalmente trovò i miei occhi- i suoi occhi- e si soffermò su quelli per un lungo tempo. L’uomo che adesso mi scrutava con i suoi occhi profondi, era…

“Drakon, ti presento Alexia. Alexia, lui è Drakon’’, ci presentò Alucard con un gesto alla mano, mi accorsi un pizzico di imbarazzo nella sua voce. Forse si aspettava che dicessi qualcosa ma dalla mia bocca non scappò una A perché stavo trattenendo un singhiozzo.

Subito mi si fece vicino mamma. Mi spinse di schiena per avvicinarmi a Drakon, ormai ero alla distanza di tre mani dal suo petto.

“È nostra figlia’’, disse mamma con un sorriso fiero, e finalmente Drakon staccò lo sguardo da me per proiettarlo verso mamma. Dalle sue labbra sottili vidi sbocciare un sorriso pieno d’ammirazione. Mamma ritornò a parlare.

“Da quando aveva scoperto che eri il suo padre biologico…ha sempre fatto domande su di te. Mi diceva sempre come ci eravamo conosciuti, come ero io da ragazza, e mi chiedeva anche se avevi qualcosa in lei che gli assomigliassi. Con il tempo si è fatta più agile e coraggiosa, va a caccia da sola, avvolte gli faccio mangiare cibo umano però mischiato con il sangue d’animale….Non ha mai cacciato sangue umano, non glie l’ho mai permesso. Come ti ho detto prima, fin dagli ultimi mesi ha iniziato a camminare da sola, ha detto la sua prima parola prima che compiesse un anno, è stata più precoce nello sviluppo mentale che fisico. La sua crescita è alla pari di quella di un umano….’’, e continuò a spiegare tutto di me finché non fu lui a parlare.

“Alexia…’’, pronunciò il mio nome con devozione. “Alexia, sei…bellissima. Sei cresciuta splendidamente’’, complimentò con la sua voce profonda e dolce. Il tipo di voce che mi sarei aspettata dal mio vero padre.

No seppi cosa provare in quel momento, non sentivo niente, ogni mio pensiero si stava mescolando fra gli altri, ogni cosa era confusa. Non mi sembrava vero che quel ventenne, bellissimo – più bello di Alucard- fosse mio padre. Eppure era vero. Mi sorpresi quando ebbi l’stinto di abbracciarlo. Ma, non so come, mi trattenni.

“Scommetto che avrai tanto di cui raccontarmi e farmi raccontare, che ne dici di iniziare da questa sera?’’, mi chiese sorridendomi.

Dalle mie labbra uscì un debole e sospirato: “Sì’’

Il sorriso di Drakon si fece più ampio, sorrisi anche io: felice di averlo sollevato. D’altronde mi sentivo sollevata anche io quando mi resi conto che non sembravo una morta vivente ed iniziai a parlare. Sentivo gli sguardi attorno a me che ci scrutavano curiosi.

“Innanzitutto ti do la benvenuta a Redmoon, ma credo che non è l’unica volta che sei venuta qui. Dopotutto, tua madre ti ha partorito in questo castello ’’, l’ultima frase la scandì a mezza voce.

Il mio stomaco sussultò. “Sì, mamma me lo ha detto ’’, risposi, sorpresa ancora una volta che la mia voce fosse tornata normale.

“Lasciamoli soli, avranno molto da parlare’’, consigliò gentile Alucard. E tutti lo seguirono fra la folla, lasciandomi sola con mio padre. Fu come una liberazione non sentire più i loro sguardi che ti mangiavano.

“Drakon…’’, dissi, ma allo stesso tempo mi pentii d’averlo chiamato per nome. “Papà’’, corressi, una fitta allo stomaco fermò le parole.

“Sì?’’, chiese lui, semplicemente sorpreso d’avermi sentito pronunciare la parola “papà”.

Cosa mi era successo? Ora tutto aveva un senso, guardarlo era come un miracolo: l’odio antico che mi aveva assalita da anni non c’era più, il dolore che provavo per quell’abbandono era sparito, come fumo, e lo amavo. Lo amavo con tutta me stessa anche se non sapevo perché. Era mio padre, e lo amavo come un padre. Ora tutto era chiaro: bastava solo superare quei cambiamenti per averlo incontrato. E finalmente era vicino a me, tante volte da piccola me lo ero immaginato bellissimo, ma non pensavo che fosse oltre di quella bellezza. Ora capivo perché mamma si fosse innamorata di lui.

“Papà….io…Volevo solo dirti…che….mi dispiace’’, balbettai.

Drakon si avvicinò di qualche passo verso di me, allungò il braccio, e sentii il contatto freddo e familiare sulla mia guancia. Mi asciugò una lacrima che non avevo sentito cadere.

“Non devi essere tu a piangere, Alexia, e non devi chiedermi nemmeno scusa’’

“Sì, invece’’, mormorai io. “Ti ho fatto del male a causa del mio odio e…’’, non riuscii a finire che posò due dita sopra le mie labbra.

“Sssh, è passato tutto. Ormai è passato tutto’’, ora capivo da chi Alucard avesse preso quei gesti d’affetto e amore quando cercava di consolarmi.

Ormai cedetti, mi catapultai alle sue braccia e lo strinsi più forte che potevo. Allo stesso tempo, un peso che da anni mi pesava alle spalle si liberò finalmente dal mio corpo abbandonandomi per sempre.

Il respiro di Drakon si fermò quando gli gettai le braccia al collo, ma dopo due secondi mi stringeva anche lui. Da lì capii che anche lui aveva sempre desiderato stringere sua figlia, lo avevo capito dal suo abbraccio: era stretto, quasi soffocante, ma era pieno di affetto e dispiacere.

“Ti amo tanto, papà’’, dissi con gli occhi lucidi. “Per sempre”.

“Anche io ti amo, Alexia. Te ne ho sempre voluto e sempre te ne vorrò, non dimenticarlo’’, mi sussurrò all’orecchio.

“No, non lo dimenticherò’’, dissi asciugandomi le lacrime. Per fortuna il trucco era resistente all’acqua. “Ma tu non lasciarmi più’’

“Me ne sono andato chissà quante volte per dimenticare…te e tua madre. Ma non ci sono riuscito, e ho capito che questo è il mio mondo. No. Tu sei il mio mondo, come Alucard. Siete gli unici figli che ho e…non posso dimenticarvi. Non ti lascerò più, promesso’’

“No, non prometterlo, ma giuralo. Giurami che non te ne andrai mai più, che sarai presenti nella mia vita, che qualche giorno verrai a farmi visita….magari di notte. E possiamo cacciare insieme, per le feste puoi venire a casa mia con Alucard oppure possiamo venire noi a Redmoon…’’, tutte queste parole descrissero un futuro felicissimo, privo di dolore e odio. Non finì di parlare finché non vidi mio padre sorridere fra le mie braccia, era bellissimo sapere che gli avrei reso un futuro indimenticabile. E i pezzi di cristallo che stavo congiungendo per formare il vaso si stavano riunendo. Sentivo che presto gli ultimi due si sarebbero riuniti per far brillare come un tempo quel vaso rovinato.

“Sì, mi piacerebbe fare tutte queste cose’’, aggiunse quando ebbi finito di parlare.

“E farai parte della mia vita, come ora ne sta facendo parte Alucard’’, sospirai infine.

“Però non dimenticarti di Hendrik, anche lui è tuo padre’’

Per qualche secondo mi voltai cercando lo sguardo dell’altro mio padre assente ma non lo trovai, iniziai a sentire un senso di lontananza verso di lui. Dov’era finito? Mi mancava tanto.

“Lo hai conosciuto? Come ti sembra?’’, chiesi.

“Mi sembra un ottimo padre per te. Io non ho la stoffa’’, rise imbarazzato.

“Non è vero, non dire più certe cose’’, dissi dispiaciuta quando lo ristrinsi di nuovo fra me; era doloroso sapere che non sarebbe mai stato all’altezza di fare il padre quando aveva allevato Alucard come un figlio.

“Mi dispiace’’, disse, e calò subito il silenzio.

Restai fra le sue braccia un minuto intero, ripensando a quei momenti di solitudine in cui fantasticavo il suo volto e desideravo che mi stringeva a se. Ora lo vedevo e potevo avere il privilegio di averlo fra le mie braccia. Valeva la pena aver rischiato tanti pericoli, ora era tutto perfetto.

Quando sciolsi l’abbraccio lui ritornò a parlare, più attivo di prima.

“Be’, mi sembra che per oggi i regali non siano solo per il festeggiato’’, disse, la sua voce trapelava l’allegria.

Parlava come se mi conoscesse da tanti anni. In realtà, anche io cominciavo a pensare che lo conoscessi da tempo. Sicuramente era dai racconti di mia madre a darmi l’idea.

“Che?’’, chiesi confusa.

In silenzio, mi cinse le spalle con un braccio, sorpassammo dieci colonne e un tavolo, arrivammo al muro che chiudeva la galleria e lì ci fermammo. Davanti ai nostri occhi, giaceva un piccolo tavolino vuoto, sopra di lui c’era solo un piccolo e lungo astuccio ovale di pelle nera.

Papà mi lasciò le spalle per avvicinarsi al tavolino, non trascorse un secondo che me lo ritrovai davanti con l’astuccio nero in mano. Nelle sue grandi mani era piccolo, nelle mie avrebbe coperto metà dei palmi.

Senza porgermelo aprii il coperchio e ne mostrò una catenella dorata, il medaglione era un cuore, al dorso si intravvedevano delle leggere incisioni che formavano una rosa. Aprii quel meccanismo minuscolo e vi guardai dentro. A destra c’era la foto del volto di Drakon, a sinistra quella di Alucard. Mi venne un groppo in gola.

                                                                    

 

“Così non ti dimenticherai di noi’’, mi sussurrò all’orecchio.

“Certo che non i dimenticherò mai di voi, siete la mia famiglia. Grazie’’, dissi mentre lo abbracciavo.

“Ehm…avrei voluto dartelo per il tuo compleanno, ma dopo…. Mio figlio mi ha detto che voleva celebrare una festa qui e…ho pensato di dartelo in questa occasione’’

“Mi piace molto, papà, grazie ancora’’

Mi sorrise. “Sono felice che ti piaccia’’

“Mi aiuti?’’, chiesi aprendo l’aggancio e girandomi di spalle, gli passai la collana e spostai leggermente i capelli ad una spalla. Con destrezza fece passare la collana al mio collo e la agganciò; sentii le sue dita calde attraverso la mia pelle che mi lasciò un piccolo brivido.

Aprii ancora una volta il ciondolo e vidi i due visi perfetti e bellissimi che mi sarei tenuta per sempre stretta al cuore. Lo richiusi, stringendolo a me, sognando con tutta me stessa un futuro migliore.

“Sei fidanzata?’’, mi chiese d’un tratto papà. Probabilmente aveva visto l’anello.

Arrossii violentemente. “Sì, non lo sapevi?’’

“No’’

“Ah’’, dissi. Ebbi come il sospetto che si trattò di un “papà geloso’’. “Si chiama Louis, è straordinario ed unico, lo amo con tutta me stessa, e ci troviamo bene insieme’’, dissi, in modo da rassicurarlo. Per qualche secondo sfoderò un sorriso che mi parve talmente familiare, raro in Alucard, e poi ritornò a parlarmi serio.

“E questo….Luigi, è alla festa?’’, chiese.

Risi. “Louis, papà. Si chiama Louis, comunque penso di sì. Volevo giusto andare a cercarlo, ma dopo i miei amici mi hanno colto di sorpresa’’

“Sì, capisco’’, disse.

Ci fu qualche secondo di esitazione. “Non ti va a genio che sia felice con un ragazzo?’’, chiesi dopo.

Sorrise di nuovo, era bellissimo. “A me basta solo sapere che sei felice’’

Sospirai. “Ok. Sono felice’’

“Bene’’

“Bene’’, gli feci eco. E di nuovo silenzio. Pensai che l’argomento “fidanzato” non gli andava giù. Infondo lo capivo: era la prima volta che aveva imparato a conoscermi e sapere che già mi ero fatta una vita tutta mia ci rimase disorientato.

“E Luigi…’’

“Louis!’’, lo interruppi io ridendo.

“Lo ami davvero?’’, chiese senza darmi ascolto.

D’un tratto compresi che era facilissimo parlare con lui. “Sì, lo amo tantissimo. Come….tu ami mamma ’’, dissi infine.

Il suo viso si rabbuiò. “Sì, la amo ancora, ma non posso più provare per lei quell’affetto di un tempo’’

Stupida, stupida, stupida. “Io credo che puoi, l’amore non ha limiti’’

L’unica cosa che mi sollevò da quel tono di imbarazzo è sapere che lo avevo fatto sorridere ancora. In parte, si vide, avevo ragione.

“Sono felice che ti sei ben sistemata con….’’,e lasciò a me pronunciare il nome.

“Louis’’, dissi infine. Rise appena e sfiorò con le dita il ciondolo di cuore sul mio petto.

“Sei bellissima, oggi. Sembri una….’’

“Grazie, papà’’, lo interruppi io, ero abbastanza stanca di sentire la parola “sposa” sfociare da ogni bocca che incontravo.

Nascosi l’imbarazzo abbracciandolo, come la prima volta era una sensazione unica. Mi sentivo protetta su quelle braccia possenti, contro quel petto largo e muscoloso come se fosse uno scudo.

“Qualcuno stava parlando di me?’’, chiese una voce dietro le nostre spalle.

Mi voltai di scatto, papà sollevò lo sguardo verso la voce, e vidi lontano dalla folla, a un chilometro da noi, Louis che ci stava osservando. Le mani congiunte dietro la schiena, era vestito con uno smoking grigio scuro, lo stesso che aveva indossato al mio compleanno, i capelli raccolti con una coda, alcuni ciuffi ribelli gli marcavano la fronte, il suo sguardo non tradiva emozioni: era sorpreso.

Sciolsi l’abbraccio imbarazzata e corsi verso di lui per abbracciarlo. Non fece una piega quando mi strinse a se, mi aspettai un insulto.

“Sei bellissima, Alì’’, disse quando sciolse l’abbraccio. “No, sei più che bellissima. Oggi sei un incanto, di una bellezza mozzafiato’’, corresse, studiandomi dalla testa ai piedi.

Gli afferrai il volto con le mani. “Potrei dire lo stesso di te, ma credo che questo già lo sapevi’’, dissi.

E premette le labbra sulle mie, fu un bacio lento, deciso, che cresceva pian piano. Ritrovai la mia unica ragione di vita, ora tutti quelli che volevo bene erano lì, e mi sentivo a casa con lui accanto. Con quel bacio, ero più che sicura, sentivo che tutto si sarebbe trasformato in qualcosa di buono. I cambiamenti erano finiti, nessun pericolo ormai, ora il vento non avrebbe più parlato con Consuelo di odio e tristezza. Non m’avrebbe più infastidita. Il ricordo di quel bacio si affievolì fino a svanire. Capii che era stato tutto un madornale errore. Questa era la mia vita e ne andavo fiera

Papà si schiarii la gola facendo scivolare via la mia fantasia, mi staccai da Louis e mi volsi a guardare papà. Strinsi la mascella per trattenere un sorriso imbarazzato, e accompagnai Louis da mio padre, mano nella mano.

“Papà…’’, vidi Louis lanciarmi un’occhiata sorpresa. Non ci feci caso. “Papà, ti presento Louis: l’uomo della mia vita’’

Papà lo osservò con attenzione. “Sei il ben venuto fra la mia famiglia Louis, sono felice che mia figlia si trovi…accomodata con un ragazzo del tuo stile ’’, le sue parole cortesi e galanti non fecero una piega. Ringraziai inoltre il cielo che avesse azzeccato il nome.

“La ringrazio, Drakon, sono estremamente felice d’aver scelto una ragazza come sua figlia’’, acconsentì generoso Louis, e subito gli porse la mano. Poteva significare solo due cose: la prima: sono felice di fare la vostra conoscenza, la seconda: sei fortunato che non ti ammazzo perché ho stretto pace con te. L’ultima opzione mi fece raggelare.

Si strinsero la mano e si sorrisero: quest’ultimo cenno non riuscii a capirlo.

“Bene, divertitevi’’, disse, e poi si rivolse a me. “Vado dai tuoi genitori’’, riferì.

“Certo, dopo mi aggiungo anch’io al gruppo’’, dissi.

Mi diede un rapido bacio sulla fronte, diede uno sguardo repentino a Louis, e si allontanò a grandi passi da noi; lo accompagnammo con lo sguardo fin quando non lo vidi scomparire tra la folla. Alla sua assenza già mi mancava.

Louis non spiccicò parola fin quando non mi cinse le spalle e non mi accompagnò in mezzo alla folla. Anche questa volta le persone si allontanarono per lasciarci passare, ma ormai non ero più imbarazzata perché avevo il mio cavaliere accanto.

Appoggiò la mano sinistra alla mia schiena, dandomi una piccola spinta per avvicinarmi al suo petto, sollevò l’altra mano con la mia all’altezza del suo mento, l’altra mano non mi lasciò la schiena, seguii il suo passo ed insieme ci ritrovammo a roteare in mezzo alla pista da ballo.

I petali candidi delle ghirlande cadevano sopra le nostre teste come neve, ogni tanto Louis me ne levava qualcuno sopra i miei capelli con estrema delicatezza per non rovinarmi i boccoli, e le piccole fiammelle volteggiavano intorno a noi come alle altre coppie; andavamo al passo con la musica lenta, dolce ed accogliente del cortile. Non mi chiesi mai da dove provenisse, tanto non mi importava nient’altro che stare tra le braccia del mio fidanzato. La musica la finimmo con gli sguardi, con i sorrisi, e con un certo imbarazzo dopo che mi accorsi che eravamo solo gli unici, tra quella cerchiata di gente, a danzare. Come se fossimo solo noi la coppia di ballerini perfetta di tutto il castello, per un raro momento cominciai a crederci. Solo all’inizio di una musica più armoniosa- valzer- si unirono a noi alcune coppie che riconobbi subito: Mattew e Lilly, Hora e Jessica (con mia sorpresa) e Paul e Jennifer. Quest’ultima mi diede una certa irritazione che per un momento avrei preferito smettere di danzare. Per fortuna quella sera Jennifer- forse era lei la causa ti tanta irritazione- non mi degnò di uno sguardo. Ma a Louis non sfuggì niente.

“Tranquilla, possiamo anche smettere di ballare’’

“No, ti prego, mi piace ballare. Soprattutto quando ci sei tu’’, ed i effetti era vero. Ballare era sempre stata la mia passione fin da piccola. Se non avessi mai avuto tanta intelligenza, a quest’ora di piedi ne avrei pestati di tutte le forme; dopotutto grazie al mio precoce sviluppo mentale non mi servii neanche le lezioni da mamma che già ai primi mesi del mio primo anno di vita sapevo ballare alla perfezione il valzer.

Jessica per quante volte ci girò intorno, insieme a Hora, mi rivolse sorrisi di incoraggiamento, che io ricambiai. Era bello sapere che c’era qualcuno che godeva della mia felicità, oltre al mio ragazzo. Pensavo che durante il mio cambiamento del mio stato di parentela con Alucard avrebbero iniziato ad ignorarmi, invece andò tutto liscio. Questo accese in me una scintilla di speranza.

“Alexia, sei felice?’’, mi chiese di sorpresa Louis.

Lo guardai torva. “Certo, insieme a te sono sempre felice’’, risposi.

Mi guardò serio per qualche secondo, mentre io lo guardavo perplessa. “Hai appena chiamato Drakon….papà’’, l’ultima parola la pronunciò con determinata irritazione.

Oh, oh, oh. “E allora?’’, chiesi fredda. Si cala il sipario.

“E allora?! Alexia, non ti rendi conto che ti ha abbandonato? Che non si è mai deciso di…?’’

“Puoi pensare quello che vuoi. Io lo amo, ora tutto è perfetto’’, lo interruppi decisa. E la faccenda si poteva anche concludere lì.

Mi guardò freddo, digrignando i denti. “Stai superando il limite. Basta solo che Paul sa di questa cosa e…’’

“E tu ti lasci comandare da Paul? Non ti facevo così….bambino, sinceramente. Dovrebbe comprenderti come un amico, invece non fa altro che dare ordini, ordini e solo ordini. Non è lui il capo del nostro gruppo, e tu devi stargli lontano ed ignorarlo quando ti ordina qualcosa è chiaro? Devi pensare anche alla tua vita, non lasciarti comandare come uno…schiavo. Tu non sei lo schiavo di nessuno’’

Rimase zitto, stringendo la mascella mentre mi non smetteva di ballare.

“Senti, fino ad ora ho vissuto il momento più felice di tutta la mia vita, ed ora…ecco, più o meno stai uccidendo la mia allegria, Louis, solo perché pensi a quello che farà King Kong! Lascialo perdere, lui può comandare le nostre forze ma non può mai comandare il nostro amore, perché il nostro amore è profondo e vero. Ed è appunto questo che Paul irrita, che una coppia sia felice’’

“Non voglio che ti faccia del male ’’, disse a voce smorzata.

Gli accarezzai la guancia con la mani libera. “Sei divertente. Tu credi che uno come lui po’ distruggere una come me? Prima che questo accadesse, ci dobbiamo trasformare tutti i cenere’’. Lo feci ridere. “E se farà del male a te io sarò pronta a combattere per te, perché sei la mia unica ragione di vita’’

“Ti amo ’’, mormorò, gli occhi pieni dal rimorso e di un dolore che non riuscii a comprendere.

“Tu sei tutta la mia vita, ora più che mai’’, dissi.

Si sporse per baciarmi, mentre intorno a noi si elevavano sguardi sorpresi, curiosi ed emozionanti, fummo accolti dal ripetersi di flash delle macchine fotografiche. Ma io le ignorai, ignorai tutto quello che ci circondava: il tempo, la sera, gli invitati, il castello….Ricordavo solo che baciavo il mio principe azzurro mentre mi dondolava appena sul posto, che fui colta dalla verità delle mie parole: niente e nessuno c’avrebbe mai potuto separare. E che non esisteva oltre di più importante di lui nella mia vita. Quando smise di baciarmi fummo colti da un applauso interminabile, fischi di ogni genere, e lui mi teneva stretta a se come se fossi il suo tesoro.

“Sembra il mio matrimonio piuttosto che un compleanno d’un vampiro’’, risi, quasi imbarazzata.

Anche lui rise. “Quando ti porterò all’altare desidero che tutto sia proprio così: ghirlande, lucciole e robe varie….fiammelle. E tu’’

Mi baciò un’altra volta, questa volta il baciò fu veloce ma comunque affettuoso, e ritornammo a seguire il passo in silenzio, guardandoci più intensamente di prima; in quel silenzio, ognuno riusciva a capire le emozioni dell’altro. Non immaginai un momento più bello di quello che stavo vivendo adesso. Alla fine della musica, partì un altro applauso, questa volta più grande. Tra la folla, vedevo mamma che si asciugava le lacrime, Hendrik aveva gli occhi lucidi, Drakon tirò un fischiò alla pecorara facendo tappare le orecchie di chi gli stava vicino. Mi piegai in due dalle risate.

Poi quando un’altra musica rimbombò tra le mura del cortile, Alucard si fece avanti.

“Potrei ballare con la mia sorellina? Dopotutto è il mio compleanno, mi deve concedere almeno un ballo ’’

“Certo’’, disse Louis. “Puoi concederne quanti ne vuoi, basta che dopo me la riporti viva’’, una nota di freddezza macchiò la sua educazione.

Per un attimo ci rimasi di sasso, l’unica cosa che mi veniva in mente era “geloso”, ma quando mi fece l’occhiolino sospirai rilassata, anche se in realtà non lo ero affatto. Raggiunse rapido Mattew e Jessica che ci stavano guardando.

“Mi concedi l’onore di questo ballo?’’, chiese Alucard, strizzando l’occhio e tendendo la mano verso di me.

Arrossii. “Sì, quante ne vuoi’’, accordai, porgendogli la mano.

E incominciammo a ballare lentamente, come lenta ed armoniosa era la musica. Anche con lui ballare era facile più di quanto pensassi, chiedendomi altrettanto quali dei due fosse più perfetto come ballerino- tra Louis e Alucard- ma ovviamente pensai subito a quell’imprevedibile del mio fidanzato, ignorando appunto il fatto che Alucard, non so come, era il più preciso.

“La mia presenza ti da fastidio?’’, chiese ad un certo punto. Infatti ero sempre concentrata a trovare Louis con lo sguardo più che seguire il passo, rischiando più di tre volte di inciampare addosso a lui.

“No, certo che no, è solo che sono confusa. È possibile che un vampiro entri in stato di shock?’’

Rise di cuore. “E perché mai?’’

“Sono successe tante cose belle questa sera: prima di tutto aver superato un arresto cardiaco…’’, lo feci ridere un’altra volta. “Poi l’incontro con nostro padre, e la consapevolezza che il mio futuro sarà più bello che mai. Ma a tutto questo credo che devo rendere solo grazie a te. Grazie, Alucard, se non fossi arrivato tu….Tutto questo non sarebbe successo’’

Mi baciò dolcemente la fronte. “Sono felice che tutto si sia risolto. Ma stai allerta, mai dire mai’’

“E per quel bacio…’’

Si rabbuiò. “È stato un errore madornale’’, disse, scuotendo la testa per scacciare via quel ricordo.

“Sono in grado di perdonarti, e dispiace anche a me…per aver litigato’’. Avrei tanto voluto che quel litigio non fosse mai successo.

Sorrise per accordarmi, ma poi il suo sorriso si spense: non per il ricordo ma per il dolore.

“Che cos’hai?’’, chiesi preoccupata.

Mi guardò con decisione. “È tutto finito per te? Ora ti bastava solo questo per essere felice? Vuoi che me ne vado…che non vengo più a trovarti di notte? Cambiamenti superati uguale vittoria?’’, e continuò a parlare finché non vide il mio viso trapelare dall’orrore. Non avevo considerato a tutto lo sforzo che fece con me per farmi arrivare fino a quel punto, prendendo più in considerazione un futuro insieme con Louis e metà con Alucard. Ora mi resi conto che non potevo cancellare alcune cose, non potevo lascarlo anche se la mia vita andava bene così, anche se il mio padre biologico avrebbe cominciato a far parte della famiglia; dopotutto, anche i momenti notturni passati insieme a lui mi rendevano felice, e se mi li sarei lasciata alle spalle….lo avrei dimenticato. Questo non mi creò altro che una fitta al cuore.

“No, certo che non finirà mai quelle sere passate insieme a te. Io le voglio ancora’’, dissi con un sussurro.

“E se dopo dimenticherai Louis?’’, insistette.

“No, lui è tutta la mia vita, non lo dimenticherò mai’’

“E io cosa sono per te?’’, mi zittì.

Anche se la risposta era semplice non riuscii a pronunciare le parole. Era ovvio che lo consideravo come un fratello, più che un fratellastro, ed era il mio migliore amico. Avrei potuto dirglielo a parole chiare, ma sapevo che infondo…infondo non erano vere. Dubitai della mia consapevolezza di amarlo come un fratello, dubitai fino in fondo fino a non crederci più. Pensai a Louis: il ragazzo della mia vita che ora mi vedeva danzare con quel ragazzo perfetto e impeccabile. Pensai a mamma: alla sua grande scelta di abbandonare Drakon per un grande patto: restargli amica, ed unirsi un anno dopo con Hendrik. Fu in quell’istante che mi chiesi: quanto amava Hendrik? Ripensai alle sue parole prima del mio diciottesimo compleanno: “Lo amavo anche io, tesoro. E lo amo tutt’ora’’. Però ama anche Hendrik, insieme a lui hanno avuto Consuelo ( la mia lupacchiotta: come certe volte la chiamavo io).

La scelta di mamma….l’amore che provava per Drakon e quello di papà…erano uguali? E quello che provavo io per Louis e Alucard? La risposta venne da sola. No. Certo che no. Amavo alla follia Luois, mi faceva sentir parte di un mondo magico, e parte di se, ma dopo che era arrivato Alucard iniziava a scontrarsi contro di lui, innocente e buono, costretto a tenere la sua tristezza dentro una cella del suo cuore per non farla scoprire da nessuno. Da me sì, solo da me. Louis odiava Alucard, anche se si sforzava di apparire gentile, in lui leggevo l’odio più crociale. Insomma, cosa c’era di minaccioso in un vampiro innocente? Niente, assolutamente niente.

Poi feci la piccola lavorazione, unendo tutte quelle settimane che mi avevano tenuta insieme a lui, tutti le parole intense che avevo dimenticato, tutti le nostre risate, la sua dolce ninna nanna, l’affetto che mi trasmetteva anche se lo ostacolavo in quei giorni di delirio. Scoprendo che gli feci male, molto male. A quel punto cominciai a pensare, senza inciampare o sbagliare un passo, perché tenevo il controllo sia sul passo sia sulla ragione. E Alucard aspettava, leggeva la mia espressione.

“Mamma….Hendrik e Drakon….Mamma gli ha fatto sicuramente molto male quando lasciò Drakon, e poi si unì con papà. E lo amava intensamente ora come ora. Ma Drakon…Il suo amore rimane lo stesso anche se c’è la lontananza a far male. Gli fa male, molto male. Ad entrambi fanno male. E a me farebbe male se mi staccassi da Alucard per unirmi a Louis, o Louis per unirmi ad… Alucard ha avuto una vita solitaria fino a questo punto, quando abbiamo iniziato a frequentarci ha capito che l’amore non è impossibile. La sera del mio compleanno, Alucard mi guardava…cosa guardava in me? E poi il suo contatto sulla mia pelle mentre mi agganciava la collana’’, mi toccai allo stesso tempo la collana che mi aveva regalato mio padre, desiderando che ci fosse quella di Alucard al posto suo. “ Il suo sorriso sghembo è bellissimo. E la sua vicinanza dopo che aveva sfiorato la collana…e le farfalle al ventre. Le farfalle! Le farfalle non era di certo una finzione. La sua ninna nanna, i suoi abbracci…E quel bacio….Il suo bacio era così tenero, dolce, sapeva di vaniglia...buono. Se dimenticassi tutto, sarebbe la cosa migliore, ma se io non volessi dimenticare? Se quel bacio fosse stato una necessità e non uno sbaglio? Io lo avevo lasciato fare quel giorno, senza arrabbiarmi oppure piangere e rimproverarlo. Lo avevo lasciato fare’’

Ero tanto immersa nei miei pensieri che non mi accorsi che ora si era riunita una folla di ballerini in quella cerchiata vuota, e non mi trovavo più a tenere il ritmo della musica su quella pista, ero vicino alla scalinata con lui, al buio: il tetto arcato di radici e ghirlande era distante da noi quattro metri, facendo si che il buio ci assorbisse nella notte. Lui mi aveva trascinata, ballando, verso quel posto oscuro.

“Alexia’’, mi chiamò dandomi uno strettone, ma io non ci badai. Anzi, non lo sentii proprio perché non avevo più la sensibilità degli arti, e guardavo il terreno, terrorizzata.

“Ma non può essere, no. Io, amo Louis, punto. Non c’è nessun’altro che lui nel mio mondo. Quello che mi ha fatto Alucard lo apprezzo molto e gli devo tanto per questo. Forse troppo. Forse la mia stessa vita…la mia vita. Il mio cuore, il mio amore. Ma io amo Louis, anche se avvolte è imprevedibile, lui e io ci troviamo bene. Tutto si può aggiustare col tempo, tutto ritornerà normale. E il nostro amore durerà per sempre, in terno….Troverò un modo per farlo durare in eterno. Forse lo trasformerò….Ma no! Non voglio, non posso. E lasciarlo morire? Io…io non posso vederlo con lui. Avere una vita eterna insieme a lui è sempre stato tutto quello che avevo desiderato. Ma…io morirò? E Alucard? Alucard dopo come vivrà? Troverà mai una ragazza come me: imprevedibile, dolce, sorprendente, un po’ sbruffona ma simpatica, amante della natura, che ci tiene a lui? Infondo, aveva tutta l’eternità davanti, ma l’eternità è orribile se passi tutta questa eternità da lupo solitario. Se dovrei lasciarlo un giorno…Io non voglio lasciarlo, non voglio vederlo triste….Lui è importante per me. Ma è tanto importante più di quanto lo è Louis?’’

Sentii un altro strettone, ma non sentii neanche questo.

“Alucard…quel bacio….e le farfalle alla pancia. Mamma che ama Hendrik, ma ama anche Drakon. Io che amo Louis, ma….” Oh. Oh!

Un’altra pressione e questa volta la sentii. Soffocai un urlo e finalmente lo guardai. Era bello, più bello alla luce della luna.

“Non mi hai risposto ’’, disse calmo, oltre il buio vedevo trapelare la preoccupazione. Di sicuro non avevo una bella espressione.

“Ehm…cosa?’’, chiesi confusa.

“Cosa sono per te?’’, ripeté, scandii ogni parola con lentezza, come se stesse parlando con una ritardata.

“Ehm… Tu sei…’’, ma mi fermai lì, sentii dei passi avvicinarsi a noi.

Accidenti! Hora e Jessica.

“Ehi! Vi divertite?’’, squittì Jess mettendosi fra il nostro spazio che ci separava.

“Certo’’, farfugliai, fingendo di essere divertita.

Jess si rivolse a me. “Ehm…ti dispiace se ballo un po’ con il tuo fratellastro’’

“Non avevi deciso di perdere il piano: “Facciamo innamorare il fratellastro di Alexia alla sottoscritta?’’, pensai. Ma dopo, di malavoglia:

“Sì’’

“Grande! Tranquilla, te lo riporto indietro’’, ammiccò.

Intanto Hora mi si era fatto accanto. “Ci conto!’’, recitai una risata. “E Louis dov’è?’’, chiesi dopo cercando di riconoscere il suo viso oltre le coppie di ballerini.

“Ehm…Vuoi sentire la buona notizia o la cattiva notizia’’

Stranamente, intuii una terribile risposta. “Vai con la buona, tanto vale esplodere di rabbia prima che ora’’

Esitò per qualche secondo. “Va bene, la buona notizia è che…vuole concedere un solo ballo a….’’

La fulminai con lo sguardo. “A chi?”

Deglutì. “A Jennifer’’

“CHE COSA?!”, ruggii.

“Lo sapevo che non era una buona notizia’’ disse fra se, scuotendo la testa.

Strinsi i denti, mentre i miei muscoli cominciarono ad irrigidirsi. Brutto segno. “E la pessima notizia qual è?’’

“Be’, mi pare di avertela già detta: sta ballando con Jennifer’’

Guardai furiosa le coppie che ballavano nel cortile, e finalmente li vidi: sorridevano e…si divertivano. Ringhiai dal disgusto.

“Stai calma Alì’’, disse Hora accarezzandomi la spalla. Poi si rivolse al mio fratellastro. “Pensi che ce la farà a non dissanguinarli tutti? Non ha una bella espressione’’

“Gli conviene, altrimenti mi guasterà la festa ’’, disse guardandomi da vicino. “Tranquilla, è soltanto un ballo ’’, mi consolò, accarezzandomi le guance. Infondo, aveva ragione, era solo un ballo. Ma c’era un non so che….mi dava disgusto vederli insieme. E come Louis sorrideva a lei. Certo, per lui era come une sorella, ma quel sorriso non mi piaceva per niente.

Afferrai con velocità la mano di Hora e lo trascinai fino alle persone che ballavano.

“Adesso gli faccio vedere io a quel…’’

“È solo un ballo, accidenti, Alexia! Che ci trovo tanto brutto d’un ballo?’’, mi chiese lui scuotendo la testa. Ormai c’eravamo uniti al gruppo, e danzavamo al ritmo di musica.

“Non mi piace che gli sta attaccata come un francobollo ’’, sputai dopo un secondo di silenzio.

Per la via, incrociammo Jessica e Alucard che ci lanciarono un sorriso, ricambiai. Ma a Louis e Jennifer non riuscimmo ad avvicinarci se non di sei metri o di più. Non si accorsero mai di noi.

“Voi femmine! Siete impossibili’’, rise dopo Hora scuotendo la testa.

Alla mia occhiataccia, alzò le spalle. “Va bene, mi arrendo’’, disse infine.

E ritornammo a ballare in silenzio, era divertente ballare con Hora: mi faceva fare giravolte, casquè, e tutti ridevano e applaudivano. Era un ottimo ballerino.

“Senti, ma secondo te a Jessica io piaccio?’’, mi chiese dopo un lungo intervallo di silenzio.

Scuoti la testa, divertita. “Ma certo che sì’’

“Sì…ehm, sul serio? È che da quando è arrivato il tuo fratellastro…si è invaghita di lui; devo ammettere che un po’ ha ragione: è bellissimo’’, disse con tristezza.

“E tu non sei bellissimo?’’, chiesi.

Lo feci arrossire. “Grazie’’, disse imbarazzato.

“Tranquillo, ormai ha te fra i piedi. Dovrà stare attenta se vorrà mettersi con un vampiro’’, lo dissi con disprezzo. “E comunque credo che Alucard non ha intenzione di farsi una ragazza. Per il momento, almeno’’

Sospirò di sollievo. “Che fortuna!’’

Ridemmo entrambi divertiti. E poi di nuovo silenzio, meglio così: non volevo entrare nella così detta: “Conversione amorosa’’, già la mia aveva subito una inclinazione che solo ora potevo accorgermi. Per tutta la danza con Hora lanciai degli sguardi furtivi a Alucard, immaginandomi allo stesso tempo fra le sue braccia e guardare ammirata il suo sorriso angelico che ora rivolgeva a Jessica. Provai un pizzico d’invidia.

Alla fine del ballo Jessica ritornò dal suo Hora e Alucard ed io ci unimmo alla nostra famiglia.

“Vedo che vi divertite’’, disse mamma.

“Sì, adoro ballare’’, risposi lanciando ad Alucard un sorriso trionfante. Poi ritornai a mamma. “Tu non hai ballato?’’, le chiesi.

“Certo, con mio marito, e con Drakon. Ma soprattutto con tuo padre’’, disse rivolgendo un sorriso ammiccante ad Hendrik. Lui gli restituì lo sguardo e gli schioccò un bacio sulla fronte.

“Papà, posso ballare con te?’’, chiesi ad Hendrik.

Mi prese subito per mano. “Qualunque cosa, per la mia principessa’’, disse accompagnandomi tra la folla. Anche con papà era facile ballare, ma non era tanto preciso con il ritmo- certe volte si impennava- ma non m’importava. L’importante per me era divertirmi.

Mi appoggiai al suo enorme petto, sapevo cosa stava provando: mi avrebbe voluto bene per sempre.

“Ti amo tanto papà’’, dissi, avevo gli occhi chiusi, comoda contro la sua maglia.

“Anche io ti amo, piccola, per sempre’’, rispose lui.

“Sarai sempre il mio papà prediletto, lo sei sempre stato’’, ripetei con voce smorzata. Avevo i nodo in gola.

“Dai, via quelle lacrime da coccodrillo, so bene che mi cambierai con nessuno’’, disse asciugandomi le lacrime.

Fortunatamente mi capiva, non riuscivo a considerarlo come un padre a “tempo determinato”, infondo era stato lui a crescermi come una figlia. Mi piaceva di più Alexia Kennedy, e Alexia Paterson mi avrebbe fatta sentire…. Non dico che non mi piace come cognome. Ma….ormai il mio vero cognome era quello dell’uomo che stava ballando insieme a me.

Al fine del ballo insieme a lui, cedetti subito il posto alla mia sorellina. Per fortuna gli avevo insegnato io a ballare (mamma non era mai stata a capace fin quando non gli aveva insegnato papà), ballava splendidamente, come una ballerina.

“Mi parli del regalo ’’, disse eccitata.

“No, è una sorpresa’’, dissi io, facendole l’occhiolino.

“Ti prego, ti prego, ti prego!’’, supplicò, saltellando. A quel punto c’eravamo fermate.

“Dopo lo vedi. Se te lo dico lo vai a spifferare ad Alucard. Con te non è facile tenere un segreto ’’

Strizzò gli occhi. “Guarda che sono stata capace di tenere quella storia del bacio fino ad oggi’’, incalzò. Lo ammetto, era astuta.

Mi strinsi alle spalle. “Dopo te lo dico ’’, promisi. E mantenni la promessa.

Finito di ballare con la mia lupacchiotta, fui fermata da Louis.; accettai  controvoglia, dando uno sguardo repentino a Jennifer che stava all’altro capo del cortile.

Cominciammo a ballare, accanto ad altre tre coppiette. Per qualche minuto non lo fissai.

“Ok, adesso devi dirmi che ti succede’’, cedette lui.

“Vedo che ti stai divertendo tanto’’, sputai. Lui all’inizio mi guardò perplesso, poi sorpreso, poi rise.

“Sei incredibile! Gelosa’’

“Non mi avevi detto che avresti ballato con lei’’

“Quella “lei” si chiama Jennifer ed è la mia migliore amica’’

Digrignai i denti. “La tua migliore amica deve imparare a guardarmi di meno se non vuole farsi spaccare l’osso del collo’’, ruggii piano.

“Sei così bella quando ti arrabbi’’, disse, punzecchiandomi.

Avrei voluto dirgliene quattro, giusto per scacciare il rossore dal viso, ma fui fermata dalle sue labbra che mi baciarono con foga. Me lo scansai con forza, mostrando i canini.

“Lo devi sapere ormai. Ti amo, e non ti cambierei per nessun’altra al mondo ’’

“Ma le sorridevi come se l’amassi’’, ribattei.

Lui sbuffò. “Lascia perdere, okay? Era solo un sorriso’’

“Mi ami?’’, chiesi seria.

Mi guardò torvo. “Certo che ti amo ’’

“Quanto?’’

Ma lui non mi rispose, ritornò a baciarmi più dolce di prima; capivo che mi amava, ma a quel punto avrei voluto sapere quanto era grande il nostro amore, il sorriso che aveva rivolto alla sua amica non mi piaceva. Soffocai un singhiozzo.

“Ti amo ’’, gli sussurrai, dandogli un altro bacio.

“Tu sei tutta la mia vita’’, disse.

Ritornò a baciarmi, con la stessa intensità del bacio precedente. Solo tardi me ne accorsi: che quel bacio c’era nascosto qualcosa di triste.

“Forse il rimorso di aver ucciso per un momento la mia felicità’’, pensai quando ritornai alla mia famiglia, ma minuto dopo lasciai perdere e il mio pensiero se ne andò via come fumo nell’aria. E mi divertii.

Per tutta la sera non avevo mai concesso ai miei piedi una pausa, ballai con tutti i miei amici, la mia famiglia, perfino con i miei compagni di classe che conoscevo appena. Non mi fermai mai, mai, mai. Era così bello e divertente ballare. Quella sarai avrei dovuto superare il record di migliore ballerina se solo ci fosse stata una gara. Ma l’unica cosa di cui poteva farne il mio trofeo era i mille applausi e flash che mi scattavano. Mi faceva sentire Miss Solemvill. I flash aumentarono quando Drakon mi invitò a ballare. Accettai di cuore, e lo seguii in mezzo all’enorme spazio ovale.

“Ho saputo che hai imparato a ballare da sola, per cui ero curioso di vedere come te la cavi’’, disse mentre mi faceva fare un piccolo giro su me stessa, ritrovandomi infine contro il suo petto; la mia mano destra teneva la sua e l’altra era appoggiata sopra la sua spalla larga.

Ballare con lui era come ballare con un ragazzo…come Alucard. Su per giù aveva la stessa età del figlio, era difficile credere che fosse mio padre, era così giovane, imprigionato in eterno da quel corpo da ventenne. Presto il flash diventarono ripetitivi da farmi credere che ce ne fosse soltanto uno. Mi distrassi dal viso bellissimo di mio padre. La reazione tale ed uguale quel giorno di tanto tempo fa, quando si presentò alla mia porta un ragazzo pallido, affascinante come un angelo. Lui era così: il mio secondo angelo delle tenebre.

“Sei bravo a ballare’’, lo complimentai, quando la mia lingua si era decisa a muoversi.

Rise sotto i baffi. “Ho avuto parecchi anni di tempo’’

“Già. Sei fortunato, in tal modo mi sentirei io la fuori classe per il ballo dato che ne conosco solo pochi. Invece tu ne conoscerai più di me’’

“Ne dubito ’’

Mi concessi un piccolo intervallo di silenzio, era così bello restare a guardarlo, i suoi occhi erano intensi come i miei. Mi ipnotizzavano.

“Posso farti una domanda?’’, chiesi dopo.

“Sì’’

Sospirai. “Come hai conosciuto mamma?’’

Sorrise. “Mi pare che tu sai la storia meglio di me’’, mi stuzzicò.

“Me lo ha raccontato mamma, ma io voglio sentirla da te ’’

Rimase in silenzio per quindici secondi, pensieroso, e poi ritornò a parlare. “Tua madre aveva diciotto anni, io ne avevo novecentosessantatre. Adesso ne ho novecento ottantuno. Mi trovavo a passeggiare per Solemville….a quei tempi avevo molte amicizie e mi ritrovavo ad uscire sempre di notte. Alucard invece era intenzionato ad uscire solo quando cacciava o….voleva passeggiare per conto proprio’’, diede uno sguardo ad Alucard che sicuramente ci stava ascoltando. “Era l’estate del 1954, me lo ricordo come se fosse ieri’’, vedevo i suoi occhi fissare il vuoto: ritornava a quel tempo. “Era notte, ovviamente, il cielo pulito, era una sera di festa ma non ricordo perché; forse per un compleanno, chi lo sa. Mentre vagavo tra le strade affollate mi imbattei in un pozzo dove erano sedute alcune ragazze; tra loro c’era tua madre. Le sue amiche mi invitarono a parlare con loro, ma tua madre restò alla larga da me. Subito mi colpirono i suoi occhi, profondi e dolci, il suo viso timido e bellissimo. Era simile a te. Lei non si unì al gruppo delle sua amiche, come se capisse cos’ero. Infondo lo sapevano tutti. Si passava i capelli fra le spalle, annuiva, e poi mi dava degli scatti veloci che mi lasciavano sempre di sasso’’, rise. “Quella notte riempii il secchio d’acqua- capivo che era un modo per sfuggirmi- e se ne andò, a testa bassa, dal pozzo. La mattina seguente non feci altro che pensare a lei. Lo raccontai anche a mio figlio ma naturalmente non poté crederci, pensava che fosse una sciocchezza, e cominciai a dubitarne anche io. Come poteva un vampiro….un mostro come me innamorarsi di una creatura così innocente e fragile? Era impossibile. Per sette giorni non uscii dal castello, ma la lontananza era un’euforia, mi soffocava, fino a che non cedetti e uscii dalle mura per ritornare in quel pozzo. Non la trovai, ma c’erano le sue amiche che chiacchieravano. Vedessi come c’erano rimaste di stucco quando chiesi di tua madre’’, rise divertito. Mi unii allegramente a lui. “Mi dissero che stava a casa, si occupava della sua sorellina. Ehm…Rebecca, si chiama, giusto?’’, mi chiese, incerto.

“Sì, zia Rebecca’’, risposi. Era l’unica sorella che mia madre avesse avuto. Era come una figlia per lei, come Consuelo per me, ora era felicemente sposata con  tre figli: un maschio e due femmine. Abitava ad un paesino distante da Solemvillle.

“Trovare la sua casa non fu difficile, bastava seguire la scia del suo odore. E la vidi, seduta su una veranda, addormentava la bambina di due anni fra le sue braccia; rimasi a guardarla affascinato, il suo odore era più intenso e squisito con quella vicinanza. Tre minuti dopo attraversai la staccionata che mi separava da lei, attraversai il giardino e salii le scale del portico. Per fortuna era sola….con al sorella, quindi non avevo alcun motivo di essere respinto con crudele maleducazione. Ammesso che non lo avrebbe fatto lei. Invece restò seduta, più che altro impietrita.

Avrei voluto sentire la sua voce, ma dopo decisi di iniziare io. Feci un inchino e lei fece altrettanto con il capo, mentre teneva fra le braccia la sorella addormentata.

“Buonasera’’, dissi io.

“Che cosa le porta qui, Drakon?’’, chiese decisa tua madre. Non mi aspettavo che pronunciasse il mio nome, quindi rimasi sorpreso.

Per non crearle imbarazzo, mi sedetti nella veranda, il più lontano possibile da lei.

Io mentii. “Assolutamente niente. Sono venuto a fare solo una passeggiata…e lei?’’

“Non c’è motivo che le risponda, può notare lei stesso’’, sollevò appena il corpicino addormentato di Rebecca.

“Certo’’, risposi io. Devo ammettere che tua madre mi aveva impressionato quel giorno: mi aspettavo che si sarebbe lasciata distrarre dalla mia bellezza invece….restò così attenta, rigida, e decisa. Chissà perché, mi ricorda qualcuno’’, e si rivolse a me, strizzando l’occhio.

“Credo che ti sbagli’’, ammisi, arrossendo.

“Gli assomigli così tanto, sei proprio lei da giovane…Be’, devo dire che sei tutta lei a parte i capelli e gli occhi che hai preso da me’’, precisò, fiorandomi appena la guancia.

“Continua. Dopo come hai fatto ad entrare in amicizia con mamma?’’ chiesi, curiosa.

“Diciamo che non è stato facile, era una tosta, ma anche timida quando si trovava fra le strade di Solemville. Io la incontravo quasi ogni notte, lei si dava da fare per creare una scusa per sfuggirmi ma io la seguivo sempre, quindi per lei era impossibile creare una certa distanza’’, sorrise vittorioso. Sorrisi anche io, immaginando mamma che farfuglia una scusa per tornare a casa e che viene inseguita da Drakon un secondo dopo.

“Quindi era difficile socializzare con lei’’, affermai io.

“Nei primi mesi sì, poi quando ha capito che non l’avrei mollata per niente al mondo cominciò ad avvicinarsi a me. E così riuscii a diventare l’unico vampiro amico di un umana’’, disse comico.

Risi appena. “E il vostro primo bacio? Naturalmente non si sarebbe mai aspettata di essere baciata da un vampiro’’

“Credo che sia l’incontrario: lei ha baciato me’’

Sbarrai gli occhi. “Cosa?’’. Oltre la gente sentii la risata di Alucard. Lo ignorai.

Anche papà rise. “Sì, mi ricordo che eravamo usciti da una salone. L’avevo invitata a ballare più di tre volte. Poi passeggiammo per le strade, da soli, a braccetto. Parlammo di tante cose, così tante che ora non mi ricordo, scoprendo che era una maniaca della moda’’

Alzai gli occhi al cielo. Povero Drakon, chissà quanto lo aveva tormentato con quelle cose. “E poi?’’

“Poi…non so perché, abbiamo smesso di parlare. Ci sedemmo su una panchina a guardare le stelle, ma come sai sono un romanticone: quindi non riuscii a staccare gli occhi da tua madre’’, ammiccò lo stesso sorriso angelico di Alucard da farmi credere che avessi proprio lui come compagno di ballo.

“Era così bella?’’, chiesi affascinata.

“Non sai quanto’’, diede uno sguardo al suo amore e poi ritorno da me. “Non ha mai smesso di essere bella’’

“Già, lo immagino ’’, dissi guardando mamma. La vidi accennarmi un sorriso di incoraggiamento, anche se non sapevo perché.

“È bella come te ’’, aggiunse, facendomi arrossire di nuovo.

“Grazie, papà”, dissi. “Continua. Non riuscivi a staccare gli occhi da mamma….’’

“Ah, già! Dopo si accorse di sentirsi osservata si girò verso di me. Mi chiese perché la stavo guardando, mi pare che la risposta la conosci anche tu. Poi di nuovo silenzio, la guardavo e lei guardava me. Forse passò molto tempo da quando decide di avvicinarsi a me, e mi baciò’’

Nonostante fui affascinata dal suo racconto, lo immaginai talmente bene che mi uscii un sorriso imbarazzato. “Wow! Deve essere stato…un momento magico per te ’’, mormorai.

“Forse per entrambi’’, corresse, facendomi l’occhiolino.

“Hai ragione’’, dissi. Poi la curiosità si fece nuovamente sentire. “E dopo quel bacio?’’

“Dopo quel bacio….mi sentivo il vampiro più fortunato della Terra ’’

Risi, mentre un flash mi accecò. “Ti capisco, anche io mi sento la vampira più felice della Terra, insieme a Louis’’

“Imparai a conoscere la sua famiglia, mi aspettavo una rissa invece mi accolsero come il loro figliuol prodigo, poi Kate conobbe Alucard, per lui fu come una madre. Lo trattava come un figlio, lo amava, sembrava che non gli mancasse niente ormai. Alucard si sentiva apposto ’’. Oltre le spalle di mio padre, vidi Alucard sorridere di approvazione.

“Finché?”. Mi pentii subito d’averlo detto.

“Finché una notte…’’

Sbiancai. “Ah’’

“E rimase incinta di te ’’

Proseguii una lunga pausa, pensai di averlo ferito, il suo sguardo era pieno di tristezza e rabbia. Poi ritornò a parlare.

“Non avrei immaginato di….Non avrei mai pensato che….non fossi stato così….attento, non me lo sarei mai aspettato. Infondo, sapevamo il rischio che avesse corso, però lei ti voleva. Voleva quel bambino che ancora non si sapeva se era un….’’

“Mostro’’, dissi io. Si mise a guardarmi dispiaciuto.

“Non volevo lasciarla, non volevo che se ne andasse dalla mia vita. Era tutto per me….E quella creatura che nasceva dentro la sua pancia…eri tu. E ti voleva. Era inconcepibile crederci, ma ti voleva. Ti amava con tutta se stessa c0me un vero figlio. Ti aspettava da tanto tempo come se fosse stato un’eternità. Le supplicai più di dieci volte di abortire ma non ci fu verso. Avrebbe preferito morire piuttosto che ucciderti. E io avrei preferito morire quando seppi che mentre crescevi nel mondo umano, mi volevi conoscere, sapere com’ero…. E poi ti ho vista, fra le braccia di Alucard: il giorni del parto. Eri bellissima, un corpicino piccolo e perfetto, roseo pallido, si nascondeva oltre quella pelle macchiata di sangue. E avevi i miei occhi. Ricordo che mi sorrisi, mentre tua madre stava per perdere le forze. Ricordo che ti desideravo, tanto che chiesi ad Alucard di prenderti in braccio. Volevo vedere la mia bambina. Nel momento della consegna tua madre soffocò:

“Fammi…Dammi il….mio angioletto”, supplicò. E Alucard la consegnò a lei. Ti ammirò un ultimo istante, fino a che non diede un ultimo respiro e non chiuse gli occhi. Ed io, immobile come…un’incapace, guardavo te, anche se ero stato fin dall’inizio pronto a trasformare tua madre. Ma tu mi avevi ammaliato dalla tua bellezza. Ti presi in braccio, mentre tu rantolavi sul corpo morente di tua madre per volermi accanto. E intanto Alucard cercava di salvare tua madre. Mi sorridevi, mi accarezzavi il viso, ma poi ti girasti verso tua madre, ti dimenavi fra le mie braccia. All’inizio non capivo cosa volevi dirmi così ti avvicinai a Kate e tu le toccasti la guancia. Dalla tua manina uscii un bagliore che si sparse per tutto il corpo di tua mamma, poi quando la luce svanì lei respirava. Era quella piccola creatura fra le mie braccia ad averla salvata. Tu…Alexia, avevi salvato la mia unica ragione di vita. E non sai quante notti pensavo a te ’’

Lo ascoltavo, mentre le lacrime mi rigavano il viso; mi vergognavo, mi sentivo un mostro, per il male che avevo pensato di lui. Ora ne ero certa, ora mi amava come non avevo mai immaginato.

Mi accarezzò le guance. “Perfino ora mi sembra incredibile che sei diventata così bella’’

“Oh, papà, non credo proprio. Tu sei più bello di me’’

Rise, mi fece fare un’ultima giravolta, e ritornai contro di lui. “Fidati, quando ti dico che sei oltre la bellezza’’, disse questo quando mi fece fare un leggero casquè. E la musica finì.

“Grazie papà’’, disse prima che mi lasciasse la mano, si unì alla mia famiglia in silenzio per lasciarmi sola.

Immediatamente si fece avanti Alucard, avevo da prima un terribile sospetto che avesse preso lui il posto dopo del padre, ci scambiammo un leggero inchino e gli restituii la mano con gioia. La musica partii lenta, fino ad essere più ritmica e gioiosa: era una musica medioevale. Un bel effetto, senz’altro adatto a quel posto.

“Ti diverti?’’, mi chiese, mentre ballavamo a passo veloce.

“Sì, tanto’’, risposi sincera. Mi staccai da lui, girando su me stessa, alzando le braccia come una ballerina. Un secondo dopo sentii le sue braccia avvolgermi mentre lui restava dentro di me. Gli afferrai le braccia per tenerle strette al mio petto.

“E tu, principe?’’, chiesi.

“Certo’’, mi sussurrò e mi afferrò una mano. La tenne stretta mentre disegnavamo un cerchio con i nostri passi veloci, e le nostre mani unite era il centro del cerchio. Cambiammo mano e per fare la stessa cosa. Lo ripetemmo per quattro volte, mentre la musica si faceva lenta. A quel punto ritornammo petto contro petto, e a ballare come prima.

Subito mi accorsi che ci guardavamo con intensità. Certo, non potevo dire che quel momento era bello, però….c’era qualcosa che non mi metteva a mio agio.

“Non mi ha ancora detto che cosa sono per te ’’, riprese. Ah, ecco cos’era.

“Non voglio più pensarci. Ti prego, ti prego, non rendere le cose più difficili. Questa è la tua festa e ti devi divertire’’, tagliai corto, un dolore alla pancia. Lui mi guardava perplesso.

Poi sospirò. “Se solo capissi cosa provi…’’

“Ti voglio bene, solo questo importa’’, lo interruppi. Non volevo rovinare il mio rapporto con Louis.

Strinse la mascella. “Già, forse è giusto così per te? Tenermi nascosto tutto? Farti continuamente del male? Mi sembra che tra fratelli si deve dire tutto, o sbaglio? Secondo te ora è tutto perfetto, ora si risolverà tutto e la tua vita ritornerà normale come prima?’’, lo feci parlare con calma, poi respirai cercando di controllare la rabbia.

“Primo: siamo fratellastri; secondo: ho diciotto anni e faccio quello che voglio; terzo: non ho la minima intenzione di liberarmi di te e papà. Siete entrati nel mio cuore come frecce destinate a colpirmi nell’anima. Mi avete trasformata, mi avete ricostruito un futuro più migliore’’, ed aprii il medaglione a forma di cuore per mostrargli le due immagini. Lui le guardò meravigliato, ma poi ritornò a me serio.

“E per te qual è la freccia più importante tra le due? Chi ti ha colpito dritto all’anima più profondamente tra noi?’’

Deglutii. Mi ci volle molti secondi prima di ritrovare la labbra e muovere la lingua. E lo stomaco ritornò pieno di….farfalle. “Sei tu’’, dissi infine.

Appena in tempo che la musica finisse. Ci scambiammo un ultimo inchino, e mi avvicinai a lui e gli scoccai un bacio tenero sulla guancia, non troppo distante dalle labbra.

“Ti voglio bene’’, gli sussurrai infine, avevo un filo di voce.

Svelta, gli sorrisi e corsi vicino ad Hendrik che mi colse a braccia aperte. Non mi voltai per guardarlo, mi vergognavo molto, non mi accorsi nemmeno che mi aveva seguito.

“Siete stati….straordinari! E i passi perfetti, al ritmo con la musica’’, cinguettò Lilly che mi era corsa in contro e ora mi abbracciava. “Se ci fosse una gara di ballo, vincereste voi due’’. Presto vennero anche Jess e Hora, Louis- che mi venne accanto- con Jennifer e Paul; più tardi Lilly mi fece osservare le foto che aveva scattato mentre ballavo con Alucard. Il cuore mi andò in gola quando vidi la ragazza perfetta tra le braccia del ragazzo perfetto, si sorridevano, anche nell’immagine il sorriso angelico di Alucard era mozzafiato. Sembravano due….

“Neanche farlo apposta sembrate due sposi’’, interruppe i miei pensieri Jessica, ingrandendo l’immagine.

“Già’’, risposi controvoglia, troppo piano perché qualcuno lo sentisse.

Quando passò ad un’altra foto, quest’ultima mi fece mancare il respiro: era la foto scattata mentre lo baciavo alla guancia. E solo ora mi ero

accorta che ero vicino alla sua bocca. Neanche farlo apposta, mancavano solo cinque centimetri per incontrare le sue labbra. Come me, i respiri delle mie due amiche si fermarono per una frazione di momento.

Non osai alzare lo sguardo, perché sapevo che anche Louis, dietro di me, stava osservando la foto. Sentivo il suo sguardo assassino scontrarsi contro la mia schiena. Non lo diedi per vinta, ma mi sentii invadere dall’orrore.

Per fortuna intervenne Consuelo, che spezzò quel momento inquietante.

“Ehi, ragazzi, andiamo a dare i regali a Alucard?’’, cinguettò la bambina, mentre saltellava. Prese per mano le mie due amiche, mentre io mi feci accompagnare da Louis.

“Che cosa gli hai regalato?’’, mi chiese, la voce era calma, però non mi sfuggì rabbia e freddezza.

Feci finta di recitare l’indifferente. “Non è un granché: un piccola collana’’, risposi con un sorrisetto.

Restò zitto.

“E tu?’’, chiesi.

“Delle biglie’’

Lo guardai torva. “Delle….biglie?’’

Si avvicinò con il viso. “Sono delle biglie speciali. Come te ’’, disse strizzando l’occhio, mi prese il mento con le dita e premette le labbra contro le mie. Anche questa volta fu un bacio veloce, mi lasciò l’amore e l’intensità quando mi lasciò, però fu troppo veloce da rimanerci di sasso.

Mi accompagnò alla folla che ora si era riunita intorno alla piattaforma fredda del cortile. Per quanto mi allungai con la punta dei piedi, non riuscii a trovare il volto del festeggiato. Ma in compenso riuscii a trovare mamma e papà, con Consuelo e il nostro sgruppo. Ci unimmo a loro, aspettando che la folla si sparpagliasse tra i tavolini e i lunghi tetti del cortile. Ironia della sorte, fummo gli ultimi. Be’, almeno per me c’era una cosa positiva: potevo fare a meno di quegli sguardi appiccicaticci contro di me.

L’ultima famiglia, riuscii a riconoscerla quando si staccarono dalla fila, era quella di Elisa. La bambina si accorse di me e mi venne in contro. La esaminai la pancia e notai la parte che qualche mese fa era malata, sana quanto quella di un vampiro. La presi in braccio, la tenni stretta per un momento e poi la restituii ai suoi genitori. Il padre mi salutò da lontano, la madre mi lanciò uno sguardo amorevole, lo restituii.

Dopo qualche minuto rieccomi vicino al ragazzo tenebroso d’un quarto d’ora fa. Il padre gli stava dietro, accanto ai suoi piedi giaceva un baule aperto; mi lasciai scappare una risatina. “Povero Alucard, è fortunato con tutti quei regali, ma sfortunato per quanti ne ha in abbondanza. Chissà dove li metterà?”, pensai.

Consuelo fu la prima a darle la scatolina dove racchiudeva l’orologio. Alucard lo aprii e rimase ad osservare l’oggetto macchinario con meraviglia.  Consuelo glie lo mise al polso.

“Così saprai quanto dura il giorno al cambio delle stagioni, oppure quando puoi venire a trovarci’’, rise lei.

Alucard si unì alla sua risata e la prese in braccio.

“Grazie, Consy’’, gli sussurrò, le diede tre baci sulla guancia e la lasciò a terra, mentre lei arrossiva. Mamma rise dietri di me, ovviamente aveva visto l’espressione di mia sorella.

Alucard lanciò la scatolina in pelle bianca che il padre prese con semplicità e la mise dentro il baule. E poi si volsero a guardare me: era il mio turno. In parte mi sentivo emozionatissima anche se non sapevo perché, in parte sollevata perché avevo Louis accanto. Mi avvicinai ad Alucard seguita con lo sguardo dal mio fidanzato.  

Nelle mani, che prima tenevo congiunte dietro la schiena, ora teneva una collana: dalla catenella in oro bianco; al centro penzolava un ciondolo: la circonferenza era di oro massiccio, dentro il cerchio erano impressi due serpenti: uno nero e uno bianco. I due rettili si intrecciarono mordendosi uno la coda dell’altra, formando infine il segno dell’infinito.

Gli porsi io ciondolo e lui se lo mise al collo. Studiò i due serpenti e poi mi rivolse uno sguardo di gratitudine.

“Il significato?’’, mi chiese.

Ero talmente incantata del suo sorriso che quasi non mi accorsi che stesse parlando. “Come?’’, chiesi confusa.

“Che significato ha questa collana?’’

Ci pensai su. “Ehm…Penso che il serpente bianco rappresenti le Creature della Luce, il serpente nero le Creature delle Tenebre. E unendosi formano il segno dell’infinito che significa: unione, pace eterna, che non verrà l’odio e la guerra a distruggere l’unione con noi creature’’

Sorrise. “Io pensavo che si riferisse ad un’altra cosa ’’, disse, strizzando l’occhio.

Avrei voluto ribattere, ma a quel punto mi accorsi che aveva ragione. Poteva essere un altro significato.

Strinsi i denti per trattenere il rossore. “Buon compleanno’’, dissi con un sorriso appena pronunciato.

“Grazie’’

E camminai veloce verso la mia famiglia, stringendo i pugni. Lasciai il posto a Louis che intanto aveva in mano un sacchetto color porpora. Avrei tanto desiderato stargli accanto ma avevo paura di peggiorare la situazione; non volevo lo sguardo magnetico di Alucard addosso.

“Spero che ti piaccia, è un pensierino. Un piccolo ricordo che avrai di me’’, l’ultima frase la disse con un tono che mi mise angoscia.

Se l’avevo sentita lui lo aveva sentita anche il vampiro, ma fece finta di niente. Sciolse la cordicella argentata che teneva unita la sacca e vi guardò dentro. Stando attento a non rovesciare le biglie con una mano ne prese una per guardarla da vicino: la perla era in oro ed esposta alla luce del sole diveniva rossa. I suoi occhi si accesero di meraviglia.

“È stupendo. Grazie, Louis’’, lo ringrazio gioioso il vampiro.

Louis gli sorrise. “Potrei aggiungere un’altra cosa su questo regalo?’’, chiese gentile.

“Sì, fai pure ’’, disse la voce roca di Drakon. La sua compostezza era rigida, come se avesse capito l’odio che sentiva verso il foglio.

“Queste biglie non sono fatte, ad ogni modo, per guardarle. Ma hanno anche un ruolo essenziale per riscaldare il posto in cui vi si trova’’

Ci guardammo con interrogativo. Calò il silenzio. Fui l’unica a capire il motivo: “un piccolo ricordo che avrai di me” aveva detto. Quindi….

Sbiancai.

“In parole povere?’’, chiese Lilly.

Lancia a Louis un’occhiata di fuoco, ma nonostante se ne accorse mi ignorò del tutto. Se stava cercando vendetta per quel bacio innocuo che rivolsi ad Alucard l’aveva trovata.

Louis si girò verso Alucard e si avvicinò per afferrare una biglia. “Posso?’’, chiese al vampiro con gentilezza. Gentilezza sporca.

Alucard gli sorrise, mentre lo guardava incuriosito. “Certo’’

Louis fece tre passi indietro, si trovava in uno spazio abbastanza grande per….buttare la biglia nel terreno e non far del male ai suoi amici ma solo ad uno. Non so come feci, paralizzata dall’orrore, ma nel momento che il mio fidanzato lanciò con forza la biglia a terra io ero già davanti a Alucard per fargli da scudo. Nel secondo in cui la biglia si spezzò in frantumi nel terreno facendo nascere una vampata incandescente di fiamme, ero con le braccia tese in avanti. Il fuoco della biglia esplose e si scontrò violento contro il mio scudo, facendo scaturire un tuono da far tremare la terra sotto di noi.

Di come reagì Alucard non m’importava, avevo solo rabbia e adrenalina nel mio corpo. La bomba di fuoco iniziò ad affievolirsi fino ad apparire un innocente focolare intorno alla gente impietrita dallo spavento.

Il mio scudo ritornò a me come vento risucchiato dai miei palmi, e Louis che prima era compiaciuto del suo scherzetto da Halloween ora era impaurito dalla mia stessa espressione. Di certo mettevo paura: prima ero la sposa, e adesso….? Indovinate.

Sentii uno strattone e rantolai, subito ne conseguii due pressioni attorno ai miei polsi. Tanto forti da non lasciarmi il tempo di prendere la rincorsa e…..Mi girai verso le enormi mani di Drakon che mi incatenava, e mi sfuggi un ruggito di rabbia.

E tutti mi guardavano spaventati. Louis, invece ritornò a Alucard, questa volta più di tre volte ritornò a guardare me.

“E questo era la dimostrazione’’, disse con un sorriso compiaciuto.

“Molto utile Louis, ti ringrazio. Ma un po’ troppo potente per noi’’, aggiunse Alucard gentile, con l’aggiunta di un pizzico di acidità a sporcare il suo comportamento gentile.

“Potete usarlo per gli attacchi oppure…per difensiva’’, disse infine dandomi uno sguardo veloce. Io lo incendiai.

Intorno a noi regnava un silenzio tombale che prima non riuscivo ad accorgermi.

Senza che nessuno parlasse, senza Louis o io aggiungessimo parola, ognuno andò verso i tavoli. I miei amici lanciarono uno sguardo minaccioso prima a Louis poi uno sguardo di incoraggiamento a me, anche se non sapevo cosa serviva, e poi vennero da me. Jennifer e Paul diedero il batti-cinque a Louis e si avviarono a mangiare. La mia famiglia mi vennero subito incontro. Io…Io cosa potevo fare? Ero arrabbiata, confusa, dispiaciuta. Non sapevo cosa dire di Louis, non volevo nemmeno guardarlo. L’unica cosa che per me contava in quello spazio del cortile era aver salvato una vita importante.

La festa non era ancora finita, ma non si ballava più anche se la musica continuava da sola. Papà rimediò al danno che aveva fatto Louis alle sue ghirlande e radici. Il mio povero Hendrik si causò un forte giramento di testa finché non scacciò via la bruciatura alla natura. Questa volta il tetto divenne più bello: papà decise di scoprire un grande spazio di cielo per mostrare la luna e le stelle, mamma con un soffio alla mano fece scivolare dal suo palmo migliaia di bollicine che si librarono nell’aria accanto alle fiammelle di Louis. Consuelo, con l’aiuto di una mia compagna (che aveva il potere dei fiori), sparpagliò per tutto il cortile petali di rose rosse, e bianche.

In questo modo il posto lo rendeva più romantico di quello che era prima, tanto che il castello cominciò ad odorare di fiori e rose. Tutta la mia famiglia si riunii a mangiare, anche io dato che un po’ di dieta a cibo umano mi faceva bene- almeno era quello che diceva mamma- e ogni tanto mi avvicinavo a Alucard e Drakon che stavano in disparte a parlare. Più tardi feci una sfida contro Alucard: mangiare un barattolo pieno di popcorn, e chi avrebbe ceduto per quella sera avrebbe prestato ordini al vincitore. Ingiustizia del destino: persi io, mentre guardavo meravigliata Alucard abbuffarsi dei popcorn con coraggio; scelse una penitenza non tanto grave: concedergli tanti balli quanti ne avrebbe desiderato quella sera. Infondo aveva ragione: era il suo compleanno. Però, che compleanno! La cosa più strana era che non c’era la torta.

Per quanto a Louis…non gli diedi tanta importanza fino alla fine della festa che terminò a tarda notte. Ogni tanto veniva da me, mi concedeva delle scuse, ma io avevo lo sguardo rivolto altrove: Alucard si lasciava conquistare dai suoi occhi. Louis, per canto suo, non se ne accorse e continuava a parlare interrotto avvolte con i miei “ah”, o “ok” indefinito oppure “Mmm”. Mi abbracciò tante volte, ma le mie strette erano leggere pressoché impercepibili, i baci che mi dava erano dolci ma i miei di pietra. Alla fine si arrese e si decise solo di restarmi accanto e cingermi le spalle con il braccio.

E ballai, ballai con Alucard tutto il tempo. Mi divertii come non mi ero mai divertita con lui, mi lasciai trasportare dai suoi passi come onde al vento. Lo seguii al ritmo della musica, scoprendo per la prima volta che non mi ero mai sentita così sicura e al mio fra le sue braccia, lo seguii con le risate, i sorrisi, le occhiate intense, e ne seguirono a loro volta le farfalle.

Non ricordai quanti balli gli concedetti, restammo sul quella spianata di cemento freddo per un’ora intera senza mai stancarci, dimenticando perfino che ballai più di quindici musiche con lui.

“Mi dispiace per quello che è successo prima’’, dissi, mentre seguivo con lui una musica leggera.

Scuote la testa come per scacciare via un cattivo pensiero. “Non devi chiedere scusa. Sono io lo stupido che non intervenuto al tempo giusto’’.

“Avrei pensato che fosse solo biglie semplici, invece…’’

Si accorse che stavo per esplodere, non per la rabbia, ma di tristezza. “Ehi, tu mi hai salvato. Solo questo conta’’, mi consolò.

“Me ne rendo conto, ma tu devi….Devi capire che se non ero intervenuta io….’’, scrollai le spalle per levarmi via l’immagine di dosso.

“Sarei morto’’, finì lui. “Be’, almeno così Louis si levò un peso enorme’’, rise.

Rimasi impietrita. “O no?’’, chiese con un sorrisetto innocente.

Gli diedi uno strettone. “Se ne avrà fatto un altro di peso ’’

“E chi sarebbe?’’

“La sottoscritta’’, sputai.

Rise di cuore. “Il gesto che hai fatto….un’ora fa è abbastanza grande. Ti ringrazio ”

“Non mi merito ringraziamenti’’

Mi strinse di più al suo petto, senza lasciarmi il tempo di respirare. “Per un eroina come te, ti meriteresti anche un castello come questo’’, ed indicò le torri imponenti ed oscure di Redmoon. Lasciai un brivido varcarmi la schiena.

“Adesso esageri’’, risposi.

Storse le labbra. “E cos’altro ti meriteresti?’’, c’era qualcosa nel suo tono di voce che mi lusingò.

“Mi basta già quello che ho ora’’. Con tanto di problemi.

“Sicura?’’

Deglutii in rossore sulle guance. “Be’….una cosa ci sarebbe’’

“Cosa?’’

“Un altro ballo ’’

Rise. “Oggi è il mio compleanno. Quindi altri dieci balli non ti farebbero male ’’

“Senti chi parla! Stai parlando con una vampira’’

“Metà umana’’

“In parte. E comunque, data la situazione, mi pare che oggi compi trecentosedici anni’’. Ero sicura della mia ipotesi.

“Sì, sono il più vecchio vampiro di Solemville. Dopo di nostro padre’’

“Già’’

E ritorniamo a ballare in silenzio, soltanto i nostri sguardi parlavano, e forse anche il mio cuore parò al suo orecchio. Non prestai attenzione a quello che la gente sussurrava mentre ci guardava, era già perfetto così, mi concentravo solo sul mio fratellastro.

“Mi sento veramente uno stupido’’, disse in seguito. E il suo viso si fece triste.

“Perché?’’

“Ti ho indotta a rischiare un rischio così grande’’

Lo guardavo perplessa. “Quale rischio?’’

“Questo. Di starmi accanto. Se solo riuscissi a starti lontano puoi vivere di nuovo tranquilla’’

“No, se te ne vai….se ne va un pezzo del mio cuore. Prima la mia vita era…sì, tranquilla, ma c’era sempre il nome di nostro padre che mi fastidio. Mi irritava quell’odio, e lo volevo levarmelo di dosso. Poi sei arrivato tu, e sei stato tu che pian piano mi hai levato quel fastidio che mi opprimeva. Tu mi hai salvato, grazie a te ho conosciuto la speranza, la gioia, la pace, e…l’amore’’

Sentivo la sua stretta farsi più forte, compresi che ci eravamo fermati sul posto, con uno scatto fulmineo sentii la sua mano accarezzarmi la guancia- quella che prima era nella mia schiena- poi scese dal mio collo fino alla gola e si fermò dietro la nuca. L’altra che mi teneva stretta la mia mano destr ora mi sollevava il mento.

Capii. Davanti a tutta quella gente? Era matto? Sulle prime pensai che volesse farmi uno scherzo, ma il suo sguardo era troppo intenso, nessun filo di divertimento, e le sue labbra indugiavano avanzando alle mie.

Con le mani libere cercai di darle uno strattone ma lui non si mosse, allora provai a scansargli via la testa ma questa non si spostò, ma era come dare ordine ad una pietra di spostarsi.

Ecco fatto. Ora vinceva, aveva vinto sempre quindi perché non poteva vincere anche adesso? Restai immobile, stringendo le labbra per impedire quel tocco, ma poi…sentii il suo alito profumato e desiderai ardentemente trovarlo. Mi dimenticai di tutti, eppure mi sentivo imbarazzata, mi dimenticai di Louis –che grazie al cielo in quel momento non mi stava rivolgendo lo sguardo, eccetto uno : Paul- e mi dimenticai del tempo.

Sentivo le mani pizzicarmi e allentai la presa alla testa, volevo avvicinarlo a me anche se non avevo la forza, volevo…..Lo volevo. Ecco, lo volevo punto e basta. Senza nessun “ma”, “se” e “perché”, non riuscivo a spiegarmelo neanche io, lo volevo. E se dopo mi avrebbe baciato la guancia? Non m’importava. L’importante era ricevere quel bacio.

I pensieri cominciarono a mescolarsi, pian piano che mi avvicinavo a lui, mi confondevano. Eppure riuscivo a capire che dentro di me cresceva un amore indefinibile. Non consideravo come l’avrebbe presa Drakon, oppure mamma o Hendrik. Non m’importava  più di niente.

Volevo solo stringermi a lui, sentirmi protetta, fargli sentire tutto quell’amore non aveva mai sentito prima d’ora. Chiusi gli occhi, immaginando un altro mondo insieme a lui, solo noi due soli, aspettando che le sue labbra si scontrassero alle mie. Il tempo sembrò rallentare, mi sembrò che stesse usando il suo potere, ma poi capii che era solo incertezza. Aveva paura, ma allo stesso tempo desiderava quel bacio; anche io avevo timore di sbagliare tutto, però mi accorsi che ogni preoccupazione volò via quando…..

Fui raggelata da un urlo straziante che si elevò tra il cortile. Accidenti! Qualcuno si era accorti che…

“La luna! La luna cambia colore!’’, urlò un uomo.

Aspetta un attimo. Nessuno si era accorto che stavo per baciare Alucard? E la luna non cambia colore. A parte che alcune volte la vedevo gialla invece che diafana.

“La luna è rossa!’’, urlò una donna.

Ok, adesso questa storia non mi andava giù. La luna rossa? E quando mai una luna diventava rossa? Forse era uno scherzo, qualcuno voleva prenderci in giro. Eppure sentivo il respiro di Alucard farsi lontano, oltre le urla disperate della gente. Finalmente aprii gli occhi e vidi quello che prima le mie orecchie non avevano creduto.

Alucard si era allontanato con il viso, ma mi teneva sempre stretta; se prima mi stringeva per avvicinarmi ora le sue braccia erano protettive. Guardava con gli occhi la gente che urlava, parlava, e si urlavano a vicenda, voltando lo sguardo verso l’alto. Tutti avevano lo sguardo rivolto verso il cielo.

Ma c’era un altro cambiamenti inquietante oltre la distrazione di Alucard. Il colore della sua pelle non era più la stessa, i suoi capelli, il suo abito, tutto in lui aveva cambiato colore; e come mi accorsi dopo, anche al resto di Remoon non faceva la differenza. Cioè, non aveva colori invertiti o sfuocati come un opera d’arte, ma vedevo rosso. Il corpo di Alucard era tutto rosso, le ghirlande, i petali nel terreno, le colonne, le radici, perfino l’abito di mamma color rosa confetto era diventato rosso. Tutti gli abitanti erano diventati di un color rosso chiaro.

Era il momento giusto per considerare la mia pazzia aveva preso la meglio su di me perché mi guardai le mani, il vestito, i capelli, le scarpe e mi accorsi che anche io ero coperta dal colore identico dell’altra gente. Mi sentii la pelle ma era normale, non uno striscia di pomodoro e vernice sul mio corpo e il vestito. Nemmeno sui capelli. Guardai perplessa Alucard, ma lui era rigido a guardare la gente terrorizzata del cortile.

Cercai con lo sguardo Louis, ma lo vidi parare dietro di se Jennifer e Paul con tutti i miei amici; nelle mani sfiorava fiamme incandescenti che avrebbero dovuto appartenere al colore del fuoco, ma erano rosse. Pensai che era un gesto carino fare da scudo ai miei amici, ma quel momento di disperazione aveva avvolto anche me che avrei voluto corrergli accanto se solo non fosse stata per la stretta pietrosa di Alucard.

Solo pochi vennero a soccorrerci, quest’ultimi erano i tratti familiari della mia famiglia. Consuelo mi strinse la vita gettando lacrime di coccodrillo, Drakon era accanto a suo figlio, Hendrik mi accarezzava le spalle anche se c’era Alucard a rassicurarmi. Però non funzionava, se avrei avuto la forza di piangere come Consuelo avrei potuto, invece non facevo altro che guardare confusamente i volti della mia famiglia, non riuscivo più a trovarne un senso a tutto questo. Mi trovavo in un incubo che pochi istanti prima era un bel sogno.

“Dobbiamo portare via Alexia’’, ordinò Alucard quando staccò lo sguardo rosso dalla gente.

Mi sentii le gambe tremare. “Dove…che…?’’, ma non riuscivo a parlare.

“Non può resistere qui. Non è una creatura oscura come noi, per metà è di luce. E questo….’’, ma un ululato spezzò la spiegazione di mamma.

Che cosa significava un ululato a Redmoon? Subito mi risposi da sola. Licantropi.

Rimasi raggelata come mamma, come Consuelo ed alcune persone, ma poi li risentii parlare.

“Dobbiamo portarla dentro il castello. Solo lì è al sicuro dalla luce della luna’’, gli consigliò calmo a mamma.

“No, forse è meglio che la porto a casa mia, qui potrebbe attaccare molta gente’’, ribatté lei.

Sapeva quello che avrei fatto, sapeva ma io no; restavo confusa, disorientata, come se fossi una ritardata o giù di lì. Non volevo far altro che chiudere gli occhi e chiudermi le orecchie se solo avrei trovato la sensibilità delle mani.

E poi la vidi anche io: la luna.

                                

E compresi tanto spavento, ma non era niente a quello che provavo io in quel momento. La luna, che pochi istanti fa era diafana come la pelle di Drakon, ora era colorata di rosso, le stelle erano puntini rossi chiarissimi che riuscii a notare appena, il cielo era del color del sangue. La luna rossa era così…squisita. Era rossa, come il sangue. E capì l’altro motivo che i miei genitori dovevano condurmi al riparo: perché stavo per diventare ciò che non ero mai diventata in tutta la mia vita.

Quanto desiderai quella luna quel momento, quanto desiderai assaggiarla e sapere se aveva veramente il gusto del sangue. Mi sentii la gola avvampare. Gli altri se ne accorsero immediatamente.

“Alexia, non guardarla!’’, mi avvertii Alucard. Ma era troppo tardi, ormai avevo volto lo sguardo a quella luna di sangue, sfacciatamente bella e buona. Mi leccai i canini.

“Stringetela’’, ordinò Drakon.

Alucard mi strinse ancor di più. Accidenti alla sua stretta! Avevo una sete pazzesca, guardavo le persone correre e le desideravo; che sete, che odore squisito. Un odore così buono e appetitoso non lo avevo mai sentito prima d’ora. Forse, chissà, un assaggio di qualche donna o uomo non faceva di certo male. Forse era come il sangue del puma, o di più, mi avrebbe rinforzata e sarei stata più forte, più…vampira. Già, sarebbe stato facile se solo Alucard mi avrebbe lasciata andare.

“Accidenti, Alucard!’’, ruggii. Gli diedi uno strattone, ma non funzionò. “Lasciami!’’, gli ordinai tra ringhi e urla.

Un altro ululato, e un urlo possente e profondo che sembrava quello di un gigante, oppure un pezzo di montagna che cadeva: orchi. Ma che stava succedendo? Non avevo alcun tempo per domandarmi chi e che cosa stava accadendo oltre le torri di Redmoon, la brama era incontrollabile, la sete in quel momento era una necessità.

Consuelo, mamma e papà mi stavano distanti tre metri, la mia lupacchiotta si nascondeva vedendo quello che si dimenava fra le braccia di un vampiro: una vampira inferocita, che non aveva mai provato la sete ardente del sangue umano.

“Portala dentro il castello ’’, ordinò calmo Drakon.

“No!’’, ringhiai fra i denti. Subito diedi un morso al braccio del mio fratellastro. Lo sentii rantolare per il dolore, ma non mi lasciò. Gli lasciai l’impronta di due mezze-lune impresse nella carne.

“Li voglio!’’, ruggii. “Li voglio tutti!”, e guardai i due bellissimi vampiri rossi accanto a me. Erano calmi, come era possibile? Non avevano sete? Non sentivano quell’odore squisito che mi stuzzicava la gola?.

“Come fate a resistere?’’, sputai fra i denti. “Li voglio, ho sete! Voglio bere!’’

“Non puoi’’, disse Drakon prendendomi per il viso, mi scrollai le sua mani di dosso.

Come potevano privarmi di una cosa così deliziosa. Mi amavano, dovevano soddisfarmi. “Dammene uno, uno solo ’’, ordinai.

La mia famiglia raggelava dall’orrore. Ora il colore degl’occhi dei due vampiri erano confondibile con quello rosso dell’aria. Se lo erano i loro lo erano anche i miei. Vidi i loro canini allungarsi dietro le labbra che li coprivano. Anche loro avevano sete, ma resistevano. Ancora non riuscivo a capire come facevano. Mi rivolsi al mio fratellastro.

“Ho sete! Alucard, ho sete! Ne voglio uno. Perché tu non hai sete? Come fai a restare calmo? Mi fa male la gola! Mi brucia, brucia’’, e più parlavo più il fuoco si faceva più intenso da ustionarmi le corde vocali. Dalla mia bocca uscii un urlo stridulo di dolore che avrebbe dovuto essere un ruggito. Quanto bruciava, sembrava l’Inferno.

“Io ho anni di pratica Alexia, tu no. Devi resistere se non vuoi essere un mostro ’’, disse calmo. Ma poi mi guardò freddo. “Tu vuoi essere un mostro?’’, mi ruggii contro.

Tra ansimare e urli smorzati, annui un: “No’’

Mi guardò freddo. Più tardi capii che era un modo per spaventarmi ed ubbidirgli per non far del male a quelle persone. Cercai di liberarmi le sue braccia ma trovai le mie bloccate dalle mani di Drakon.

“Allora devi seguirci al castello ’’, ordinò fra i denti.

“No!”, esclamai. Non potevo, non volevo. Dovevo placare quell’incendio insopportabile. “Volete farmi morire dal fuoco? Io brucio, lasciatemi, vi prego, ho bisogno di un assaggio ’’, supplicai, il grido smorzato da un suono acuto.

Alucard mi prese il viso in una morsa. A quel punto era difficile muoversi.

“Se vuoi salvarti la felicità e un futuro migliore devi fare quello che ti consigliamo. Se ti lasciamo attaccherai Louis e lo ucciderai. Sai che significa? Che non lo potrai vedere mai più, che quell’anello che hai in dito non sarebbe servito a niente, che non avrai un futuro felice insieme a lui. Capito?’’

Mi raggelai, tra la mente un immagine inquietante di Louis disteso pallido su una bara, immobile, morto. “Sì’’, risposi, a mezza voce.

Poi mi volsi a guardare il mio fidanzato: era nell’oscurità rossa del lungo tetto del cortile, insieme all’altra gente, a guardare la luna rossa. Inconsciamente mi domandai se anche a lui fece lo stesso effetto che fece a me, ma ne dubito che stavo solo fantasticando. Mi voltai dopo verso Alucard.

“Sono stanca’’, riferii fra i denti. Ed infatti allo stesso tempo la stanchezza mi sciolse i muscoli delle gambe da farmi perdere la sensibilità. Vidi il terreno ondeggiare, la testa mi girava, ma quella voglia frenetica di bere rimaneva ancora. Stavo per svenire.

“Portiamola subito al castello”, sentii dire Alucard. Tenevo gli occhi chiusi, in modo da distrarmi del terreno e gli altri oggetti che subiva forme diverse e insensate. E soprattutto speravo di placare la sete.

Un altro ululato, un altro urlo possente di un orco. Poi un ruggito. Non riuscivo a capire da chi provenisse. Forse un drago.

“Kate, Consuelo, venite con me a portare Alexia dentro il castello. Padre, restate con Hendrik a rassicurare queste persone, spiegategli il motivo e lasciatele andare a casa tranquille. Adesso andiamo’’, disse infine Alucard, le sue mani mi sollevarono il mento, si staccarono facendolo ricadere e poi mi sentii sollevare.

Le mani di Drakon non c’erano più, qualcosa che mi stringeva ad una roccia si stava muovendo. L’aria fresca e deliziosa mi pizzicò in gola.

“Alexia’’, mi chiamava la voce affannata di Consuelo. Sentivo che ancora stava piangendo.

Quanto avrei desiderato rassicurarla, ma non trovavo più le labbra, per lo meno ero piena di forze, ed impossibile aprire gli occhi. volavo dormire, anche se allo stesso tempo avevo un bisogno di saziarmi. Per la via non dissero niente, rimasero zitti, solo qualcuno –Consuelo- mi accarezzava la testa per tranquillizzarmi.

Sentii un cigolio, forse il portone del castello si era aperto, e poi dei passi rumoroso e veloci che facevano eco per tutta l’enorme stanza. Li sentivo provenire dalle pareti, in lontananza, da tutte le direzioni tanto che non riuscii a capire se ci fosse qualcun altro oltre a noi nel castello.

L’ultima cosa che pensai era il viso di Louis, capivo che era al sicuro ma allo stesso tempo mi preoccupavo per lui, poi le urla iniziarono a farsi lontane, si affievolirono prima a sparire, e mi lasciai trasportare dal mare nero.

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Capitolo 11
*** Il risveglio e la storia di Drakon ***


All’inizio non ricordai niente, mi sentivo vuota e stanca, ma lottavo contro il sonno per riaprire gli occhi; le palpebre divennero pesanti come un chilo di ferro. Il mio corpo combatteva contro il sonno, le onde della marea nera mi portarono lentamente nel mondo della realtà, e cominciai a ricordare quel rosso inspiegabile si me stesse che fu causato dalla luna; rossa anche lei. Ricordavo il bruciore alla gola, la sete insopportabile, e i visi terrorizzati della mia famiglia. E infine quel viso d’angelo vendicativo di Alucard mi lasciò un brivido alla schiena.

Dopo il mio sessantesimo respiro ebbi la consapevolezza di trovarmi sdraiata su qualcosa, il posto era caldo e accogliente, ma c’era una luce che andava e veniva a causa delle ombre che si muovevano veloci oltre le mie palpebre chiuse.

La cosa che mi lasciò inorridita era le urla scomparse della gente, forse se n’erano andate e mi avevano lasciato sola. Forse quella luce era della luna rossa, oltre gli occhi chiusi il colorito della luce era arancio…quasi rosso. Probabilmente era la luna. Mi avevano lasciato fuori lasciando che il dolore mi tramortisse, ed impedire che qualcuno mi accorresse. E sicuramente mi volevano dare in pasto ai mannari dato che prima che svenissi mi ero comportata come un mostro. E se li avessi uccisi un attimo prima che chiusi gli occhi? Non ricordai niente.

Un vento freddo mi accarezzò il viso. “Si è svegliata?’’, chiese una voce profonda e bellissima.

Un sospiro. Quindici passi. “No, nemmeno una parola’’, disse una voce femminile, perennemente triste.

Un altro sospiro. “Abbiamo mandato tutti a casa ’’, rispose una meno profonda della prima.

“Bene’’, disse in seguito un’altra. Quest0ultima apparteneva ad un fanciullo.

Qualcosa si parò davanti alla luce. Sentii il cuore di qualcuno battere. No, anzi….ce n’erano due di cuori che battevano veloci. Non sentii più niente, forse se n’erano andati.

“Come mai la luna rossa?’’, chiese una voce squillante. Una bambina? Può darsi.

“Appare una volta ogni cent’anni, noi creature oscure la chiamiamo la Luna di Sangue. È il momento in cui le Creature delle Tenebre diventano più incontrollabili, bestiali, brutali. Se un vampiro è a caccia alla Luna di Sangue può dissanguare anche un intero villaggio, se un Licantropo è arrabbiato può anche uccidere il suo migliore amico o peggio: anche il suo clan. È per questo che ogni volta che c’è la Luna di Sangue le Creature della Luce cercano un nascondiglio per ripararsi dal mostro infetto dalla luna’’

“I licantropi’’, rantolai.

I cuori e respiri delle persone che stavano parlando non li sentii più. Accidenti, li avevo spaventati! Provai a cercarli con lo sguardo ma avevo ancora le palpebre pesanti come roccia. Mi mossi appena. Mi aspettai che il dolore mi piegasse il due invece non accadde niente. Ero fresca come la rugiada al mattino.

Sentii una pressione sulla mano, seguita da un’aria fredda. “Alexia’’, mi chiamò la voce del fanciullo, ora più vicino a me.

“Gli ululati, i ruggiti….la luna rossa’’, mormorai, non sentii nemmeno la mia voce per quanto ero debole.

“Sì, erano le creature come noi divenute bestie a causa di quel maleficio che c’ha causato la luna’’, rispose il fanciullo.

Cercai l’ombra del fanciullo. “Alucard’’, chiamai.

“Sì, sono qui’’, rispose, mi fece il segnale: stringendomi ancora la mano.

Mossi appena la testa. “Ah’’. Che giramento!

“Non ti muovere’’, ordinò la voce profonda di un uomo.

Non mi mossi. Rimasi immobile per trovare un significato alla figura che mi oscurava le palpebre, ma forse era meglio lasciar perdere all’immaginazione. Precisamente dopo un minuto di silenzio, riuscii finalmente ad aprire gli occhi.

E lo vidi, distante dal mio viso, ma non esageratamente vicino. “Alucard’’, lo chiamai, accennai un sorriso.

Sospirò di sollievo. “Oh, mio Dio! Mi hai fatto prendere un colpo ’’, disse, accarezzandomi leggermente la testa bagnata. Mi avevano messo uno straccio pieno d’acqua.

Tutti gli altri erano intorno a me. “Amore, finalmente’’, mamma mi strinse l’altra mano. Consuelo era dietro di lei, giusto: meglio tenere le distanze finché si era sicuri.

Mi guardai attorno, ma non riuscii a vedere altro che il soffitto di cemento bianco. “Dove sono?’’, chiesi debole.

“A Redmoon’’, rispose Drakon che si trovava dietro il figlio. Mi lanciò un sorriso di benvenuto, glie lo restituii inconsciamente.

“Non mi avete lasciata al cortile?’’, chiesi. Ma poi lanciai uno sguardo oltre mamma cercando una finestra oppure una porta che mi facesse vedere la luce della notte. Ma c’era soltanto quella luce arancio o rosso dietro le spalle dei due vampiri che illuminava metà della stanza a disorientarmi. Quanto tempo era passato dal mio risveglio? Ore, giorni, settimane?.

Ritornai ad Alucard. “Da quanto tempo ho….dormito?’’.

“Solo sei ore’’

“Che ore sono?’’

“Era mezzanotte quando la luna era diventata rossa. Sono quasi le sei del mattino ’’

Lo guardai perplessa. “E la luna?’’

“Non c’è più, è calata alle prime luci dell’alba. Vedrai che questa sera non vedrai più niente di inquietante’’

Abbandonai serena il capo sul cuscino, ricordando per l’ultima volta la visione della luna rossa. Come un flashback, ritornai a guardare Alucard. Feci scivolare il mio sguardo lungo il suo avambraccio dove scoprii le due mezze lune incise sulla pelle; i due archi avevano la forma della mia bocca.

Ero terrorizzata della mia stessa natura. “Oh, Alucard. Mi dispiace!’’

Mi accarezzò la guancia. “Ma che dici sciocca, non mi fa male ’’

“Ma ti ho morso!’’, urlai. Per me era come se gli avessi staccato un braccio. Ora ricordai tutto.

“Non gli hai fatto così tanto male ’’, mi rassicurò mamma, accarezzandomi la mano.

“Io l’ho sentito urlare dal dolore, gli ho fatto male ’’, esclamai. “Sono un mostro ’’.

“No, non lo sei’’, intervenne Drakon.

“Papà, ma mi hai visto qualche ora fa? Io…io….’’, singhiozzai. Non riuscii a terminare la frase che mi sentii le lacrime irrigarmi la faccia.

Drakon sostituì il posto del figlio e mi sollevò la schiena. Appoggiai la testa al suo petto bagnandogli la camicia di lacrime.

“Capivamo il rischio che correvi, avrei dovuto aspettarmelo’’

“Perché….perché la Luna di Sangue?’’, ansimai. Presi la domanda come ruggiti soffocati, come se me la prendessi con la luna che con me stessa.

“Non pensavo che ne eri al corrente di questa storia. Avrei immaginato che tua madre te lo avesse raccontato’’, lo immaginai rivolgere uno sguardo accusatore a mamma.

“Avrei dovuto essere pronta….dovevo liberare il mio potere. Sono una stupida’’

“No, non è vero. Adesso basta piangere, devi riposare’’. Mi rimise sdraiata con cautela. Fu allora che mi resi conto che mi trovavo su un letto.

Ma in quale stanza? Drakon si spostò lasciando che la luce strana della stanza mi accecasse gli occhi; qualcosa scoppiò oltre quella luce che stava danzando: era il fuoco. Era la luce del fuoco proveniente dal camino. Alucard mi fu accanto poco dopo parandomi dalla luce del fuoco.

“Ma dove mi trovo?’’, guardai ognuno delle persone intorno a me. mi sentivo disorientata, anche se avevo la consapevolezza d’essere dentro Redmoon.

“Nella stanza di Alucard’’, rispose Consuelo.

Deglutii. ”Che…? Non potevate scegliermi la camera degli ospiti?’’

La stanza fu riempita da forti risate.

“Tranquilla, non disturbi a nessuno. Adesso risposati, non hai una bella cera. Sei pallida come un cadavere, anzi sei pallida come me!’’, scherzò Alucard.

“E questo dovrebbe confortarmi?’’, chiesi sprezzante. Le lacrime ancora mi scendevano, ma non piangevo più.

Aveva ragione lui, come mi replicò di dormire la stanchezza ritornò di nuovo, dovevo riposarmi. Mi accomodai con la testa cercando di non far venire giramenti o dolori pulsanti. Presto mamma mi lasciò la mano.

“Tesoro, noi torniamo stasera’’, mi avvisò. Il suo viso era dispiaciuto: non voleva lasciarmi. La stessa cosa valeva per me.

“Vi prego, rimanete qui’’, supplicai.

“Alì, non abbiamo dormito tutta la notte, ho mandato perfino tuo padre a dormire in macchina’’. Mi accorsi che mancava proprio Hendrik.

Fui percossa da una fitta allo stomaco. “E Louis?’’. Chissà se sapeva tutto questo e come avrebbe gradito la notizia. Chissà se gli mancavo come lui mancava a me. Chissà se era preoccupato.

“Voleva restare a farti compagnia, ma noi abbiamo insistito che tornasse a casa. Credo che questa sera verrà con noi a riprenderti’’, rispose sorridendomi.

Ma io non riuscii a seguirla più di tanto, ero felice che sarebbe venuto a riprendermi e che lo avrei rivisto, allo stesso tempo però c’era il dispiacere che mi avesse visto in quello stato orrendo.

Consuelo si gettò fra le mie braccia e mi diede un lungo bacio sulla guancia. Mi si spezzò il cuore quando la lasciai, era difficile separarsi da una bambina così dolce e…allegra.

“Ci vediamo stasera ’’, più che un saluto ne uscì una supplica.

“Non avrai mica paura di dormire con due vampiri che ti fanno la guardia?’’, disse mamma ammiccando un sorrisetto.

“Non ho paura dei vampiri’’. Come se potessi avere paura di loro. “È questo castello che mi mette inquietudine’’

Mamm si fece scappare una risatina, Drakon rise sotto i baffi, e poi uscii dalla stanza tirandomi un bacio. Papà gli stette dietro chiudendo la porta alle spalle di Alucard lasciandomi sola con lui; lo scoppiettio della legna bruciata nel camino rompeva il silenzio che calò nella stanza.

Si fiondò vicino a me e si sedette ai miei piedi.

“Adesso riposa. Quando ti risvegli parleremo con calma’’

“Mi dispiace d’averti rovinato il compleanno’’

Mi accarezzò le guance. “Non me l’hai rovinato, me l’hai resa indimenticabile’’

Storsi le labbra. “Però, che compleanno da sovrano’’

Rise. “Volevo trasformarlo di più che un compleanno’’

Non compresi le sue parole, perciò mi limitai ad aggiungere un: “Mmm”

Sospirò. “Adesso ti lasciò riposare’’. Si alzò per uscire.

“Alucard’’, lo chiamai.

Lui si volto, la porta era già aperta. “Si?’’

Gli sorrisi. “Grazie per questa sera. Mi sono divertita…..be’, in parte. E di nuovo buon compleanno, anche se in ritardo ’’

Lo vidi stringere con la mano il medaglione con i serpenti intrecciati. “Ti ringrazio ’’, ed uscii dalla stanza.

Rimasi a guardare il punto in cui era uscito a lungo finché non mi addormentai beata nel cuscino. Dormi profondamente, nelle notti seguenti mi svegliavo sempre per vari incubi e disturbi al corpo. Non avevano una causa, ma credevo che era sempre lo stesso incubo...quel bambino che dovevo difendere ad ogni costo. Era orribile veder ripetere la sua morte, insieme a quella della persona che amavo nel sogno.

Ma quel giorno feci sogni belli, pieni di colori, ma quando mi svegliai non ne ricordai nemmeno un tratto. Era stato così vivido e intenso che mi aveva commossa. Al mio risveglio vidi Alucard seduto accanto al camino, guardava le lingue di fuoco. Mi chiesi se non pensava al suo passato oppure quella maledetta biglia.

“Che ore sono?’’, chiesi quando decisi di muovere la lingua.

Fulminò subito da me. “Ehi, ben svegliata’’, mi salutò con un sorrisetto.

“Grazie’’.

Mi lasciò un momento per stiracchiarmi per bene ed infine mi levai il piumone di dosso per mettermi seduta sul materasso. Ora avevo il privilegio di osservare meglio la sua stanza. Il letto su cui eravamo seduti era grande di fianco alla porta, le sponde di legno lucido, con le tende rosse e morbide legate ai lunghi pali. La porta si trovava alla fine del lato della camera, di legno scuro, la maniglia sembrava d’oro. Il muro era dipinto di un rosso acceso con dei dipinti geometrici e floreali, misi a fuoco i ricami dorati sulla vernice rossa scoprendo di vedere i tratti di un drago. Davanti a noi c’era il camino, alla nostra destra, scontrato al muro, c’era un enorme armadio con le porte di specchio, le piccole maniglie dorate, di legno liscio e splendente, era largo la metà del lato. La camera era rettangolare e abbastanza grande. Dietro di noi riposava una scrivania con una sedia a schienale quadrato e alto, di pelle morbida e di color porpora. In quel tavolo posavano alcune foto e libri. Di fianco al mobile c’era una porta che conduceva probabilmente al bacone. La cosa buffa in quella stanza è che non vidi finestre.

“Non hai nessuna finestra?’’, chiesi.

Storse le labbra. “Odio le finestre’’, rispose con un’espressione schifata. Subito compresi, evitando altre domande simili.

Mi alzai e vagai per la stanza studiando ogni mobile, ogni ritratto, perfino i disegni fini e inimmaginabili sui muri. Cercai di nuovo il dragone ma non riuscii a trovarlo, la mia mente pensava ad altro. Mi avvicinai all’enorme armadio accarezzane il legno liscio, ammirando la mia immagine: avevo sempre il vestito di mamma, ma il medaglione e i fermagli non c’erano, in più mi sentii più bassa di quello che ero sei ore fa perché camminavo scalza. Anche con i capelli sciolti la ragazza allo specchio era bellissima.

Immediatamente ne notai una strana differenza: cercai di trovare con lo sguardo il ragazzo che era seduto al letto, dietro le mie spalle, ma nonostante il mio occhio si sforzasse non lo trovai. Allora mi voltai verso Alucard e vidi che mi stava sorridendo. Rigirai lo sguardo verso lo specchio ma il ragazzo era sparito. Ripetei il gesto tre volte fino a che non lo sentii ridere.

“Sono un vampiro, Alexia, ricordi? Non posso riflettermi nello specchio ’’, disse questo mentre si avvicinava accanto a me, al fianco ad una porta dell’armadio. Appoggio la sua mano pallida sulla vetrata riflettente e la accarezzò. Dove avrebbe dovuto apparire il clone della sua mano non c’era niente. Solo vuoto, come se lui non esistesse.

La mia espressione era di sicuro perplessa e spaventata. “E allora….come mai io riesco a vedermi?’’, rivolsi lo sguardo al mio sosia allo specchio.

“Per metà sei umana’’, mi ricordò.

Ah, giusto. Ora tutto era chiaro. “Se potessi vederti, almeno potrai credermi…’’

“Su cosa?’’

“Che oggi sei straordinariamente bello ’’, arrossii io al posto suo.

Sorrise. “Grazie’’.

Ritornai in silenzio alla mia osservazione, pian piano arrivai alla scrivania. Osservai le foto conservate nel tempo.

“Chi sono?’’, chiesi indicando un quadretto dove erano impresse quindici persone bellissime, nove femmine e sei maschi. Vampiri.

“I nostri amici del nord’’

Alzai un sopracciglio. “Amici? Da quando in qua i vampiri di Solemville hanno amici?’’

Un sorriso malizioso. “Fu prima che nascessi io, prima che mio padre incontrasse mia madre’’. Quindi molti….molti anni fa. “E poi noi vampiri non abbiamo una terra nostra. Possiamo viaggiare da molte parti del mondo, abitare dove vogliamo e così creiamo nuovi nostri simili. Siamo le uniche creature al mondo che possiamo muoverci da terre a terre’’

Però, questa mi era nuova. “Buon per voi. Anche nella terra dei Licantropi?’’

“Quella solo io e mio padre ci possiamo entrare’’

Ritornai a guardare i volti eternamente bellissimi dei vampiri. “E dove abitano?’’

“Nella Terra degli orchi e gnomi’’

“Poveri gnomi, avranno un nemico in più con cui scontrarsi’’

Si piegò in due dalle risate. “Agli gnomi non danno fastidio, piuttosto agli orchi creano irritazioni. Sai, no, come sono fatti gli orchi?’’

“Sì, certo: sporchi, rozzi, selvaggi, e….bambini’’, mi lasciai scappare una risatina.

La nostra era la “ Terra dei vampiri e dominatori”. Più che “dominatori” eravamo persone normali: mortali, innocenti, con poteri psichici, sentimentali, e materiali. Era la Nazione più strana di tutte le altre: due vampiri contro- tre vampiri e mezzo se vogliamo precisare- contro una centinai e più di persone con poteri soprannaturali; ed era la più piccola. La nostra Terra era onestamente chiamata “Terra della Magia”  comprendeva Solemville (la terra del sole, dove vi abito io. Tre decenni fa vi abitavano tutti i vampiri in unnica famiglia e Solemville era una grande città finché quest’ultimi non ebbero la strana idea di avventurarsi fra le altre terre e Solemville divenne un paesino piccolo di solo due persone oscure), Skyland ( una piccola città sul cielo grazie ai carichi di terre che si elevano in alto come se ci fosse la forza di gravità; le persone della luce erano simile a noi- anzi uguale a noi- dato che quella città era sorella della stessa Solemville; in comune avevano i nostri poteri, ma la maggior parte erano quelli dell’aria. I loro rivali erano Mutaforma: decidevano loro come combaire forma: da animale a uomo o uomo ad animale), Oceania ( una terra sottomarina il loro paese è protetto da una bolla gigantesca, Creature marine della Luce come: sirene, e Creature delle Tenebre come il mostro della palude), Landeland (era la terra del deserto, le Creature della Luce che vi abitano sono fate, le Creature delle Tenebre sono draghi), Boscosempreverde (dove gli ereditari abitavano o sulla terra o sugli alberi; era la Terra degli gnomi e orchi. Certi gnomi abitavano sugli alberi, certi sul suolo, agli orchi era più comodo il terreno), Magusland (terra dei maghi e streghe malefiche), e poi c’era Lupus ( il nome di sicuro vi sembrerà familiare ad un animale: era la Terra dei Licantropi: creature solitarie, le uniche ereditarie in quella nazione. Noi di Solemville la chiamavamo “La terra di Nessuno’’. A parte di qualcuno. E la storia di come mio padre creò un patto con quelle creature divenne leggenda. Ancora oggi se ne parla). Il nostro sostegno era dato dal re e la regina del nostro mondo, si parlava poco di loro ma erano molto amati. Purtroppo Solemville era un paese molto distante dal loro palazzo e le notizie arrivavano tardi. Era stato grazie a loro che si creò la quiete tra Creature della Luce e delle Tenebre.

“E loro abitano a Magusland’’, disse Alucard indicando un altro ritratto di sei persone: tre maschi e due femmine, accanto al ritratto della famiglia di vampiri che abitavano a Boscosempreverde). Riuscii a distrarmi dai miei pensieri.

Passò ad un’altra foto. Era ritratto un bambino, un neonato più che altro, bellissimo. La foto era ingiallita col tempo, ma si vedeva alla perfezione il sorrisetto straordinariamente familiare del bambino.

“È nostro padre?’’, chiesi affascinata.

“Ehm…no, sono io’’, rispose imbarazzato.

Prima non avevo fatto caso, ma il bambino aveva gli stessi tratti di Alucard, il suo stesso sorriso. L’Alucard nella foto si trovava in una culla, immerso nelle coperte, solo i bracci erano fuori, alzati verso il punto in cui era scattata la foto.

Presi la cornice ed accarezzai la foto impolverata. I suoi occhi umani erano i miei.

“Eri….bellissimo’’. Era oltre la bellezza, anche se in forma umana.

Sentii il rumore delle sue labbra che formavano il sorriso angelico che tanto amavo. Riposai la cornice al suo posto.

“Eri ancora umano ’’, ricordai votandomi verso di lui.

“Sì, ero ancora una piccola creatura innocente’’

“Che età avevi?’’

“Due mesi’’, rispose ammirando il suo antico ritratto da bambino. “Abitavo qui con mio padre’’, disse infine.

“Oh’’. Volsi a dare uno sguardo alla stanza. “E questo castello a chi apparteneva prima? Era sempre di nostro padre?’’

Storse le labbra. “No, per quel che ne so, apparteneva agli antenati del Re di questa Terra ’’

Sbarrai gli occhi. “E…e come mai dopo se lo è preso papà?’’. Avevo la faccia di uno che aveva appena visto un miracolo.

Si gratto la testa, come se fosse imbarazzato. “Nostro padre ha ormai novecento ottantuno anni. Drakon è nato nel 6 Ottobre del 991, e…’’

“COSA?!’’, dalla mia voce ne scappò un urlo.

“E già, è abbastanza vecchio’’, rise.

“Abbastanza…?!’’

“Insomma’’, storse le labbra.

“Quindi, se adesso tu hai trecentosedici anni sei nato il 27 aprile del 1656’’

“Sì’’

Rimasi in silenzio. non sapevo se fare domande esclamative oppure pensare fra me e me. Accidenti! Ho un padre millenario! Aveva vissuto tutta la sua vita nella storia. Aveva vissuto tutto il secolo millesimo fino ad oggi.

“Vuoi che ti racconti la storia di nostro padre?’’, chiese entusiasta.

“Certo’’. Non stavo più nella pelle. Dopotutto, la mia più grande passione era la storia.

Mi fece sedere sulla sedia mentre lui rimase in piedi.

“Nostro padre è nato nel 6 Ottobre del 991, durante l’Alto Medioevo”. Alcuni cenni di storia era simile alla vostra, solo con personaggi altrettanto magici e con creature mistiche, battaglie durate più delle crociate, ecc. “Era figlio di due contadini. Molto poveri. Era il terzogenito di due figli. Aveva un fratello e una sorella più giovani. Nel 1009 ci fu una battaglia contro Creature delle Tenebre, era l’epoca in cui ancora nessun essere magico andava d’accordo con chi si trovava per strada. Si combatteva anche fra creature della Luce. Quell’anno nostro padre dovette combattere contro i vampiri. Nella sua prima vita era come sono queste persone a Solemville: mortali e magiche. Aveva il mio stesso potere, ma non lo mise in pratica quando si trovava in compagnia. Partii per combattere lasciando la sua famiglia, per lui fu un colpo grosso, e la guerra durò per ben cinque anni; fu il combattente più valoroso, grazie al suo potere. In quella missione fu d’aiuto a tutti, era molto amato sia dai suoi compagni che dal capo che governava l’esercito. Ma non si sarebbe aspettato che non appena tornato a casa, nel 1014 trovò la sua casa distrutta, la sua famiglia sepolta dalle macerie, e il suo villaggio devastato dalla dominazione dei vampiri. Quella notte restò tra le macerie della sua casa, piangendo la sua famiglia deceduta. Non si sarebbe mai aspettato tutto questo, i vampiri ormai avevano devastato metà della loro terra. Un potere anche se era così grande e potente come il suo appariva piccolo a delle creature immortali come noi; eppure era strano: i suoi familiari gli avevano inviato sempre delle notizie sulle lettere riguardo al loro passatempo e alle loro giornate, invece la casa era crollata ben sei mesi fa. I corpi non furono mai ritrovati, e le lettere vi erano sempre spedite al mittente, senza che nessuno si accorgesse. Era una cosa strana, come era possibile tutto questo che i suoi genitori e fratelli erano morti da molti mesi? Papà era così sconvolto da quella perdita che non si fece domande ne sul mistero ne sull’accaduto dell’incidente. E quella notte ne pagò il prezzo. Fu trasformato da un vampiro che da molti anni, a causa della guerra, si era cibato solo di sangue ghiacciato avvizzito della gente morta e malata e ne aveva bisogno di uno pure e squisito. In quella casa trovò Drakon solo ed inerme. Era stato lui a fargli credere che i suoi genitori fossero ancora vivi. Lo colse di sorpresa e lo dissanguò. Lottò contro se stesso per liberarsi dalla morsa ma cedette quando le forze iniziarono a farsi meno. Il vampiro lo lasciò morente sul terreno ghiacciato, senza però accorgersi che oltre a dissanguarlo gli aveva iniettato una dose di veleno nel sangue’’

Sbuffai. “Che vampiro stupido’’

“Se ci nutriamo di sangue vecchio e sporco a lungo la mentalità e la forza iniziano ad essere pari a quella di un umano ’’

“E poi? Quanto dura la trasformazione di un vampiro?’’

“Dipende quanta dose di veleno si inietti nel sangue. Nel suo caso ne era circolato media dose di veleno, e con questo gli bastò solo una giornata per risvegliarsi come vampiro. A chi invece glie se ne inietta di più può durare due giorni o tre, invece mezza giornata a chi se ne trova con tre gocce’’

“Anche con cinque gocce di veleno si può trasformare un umano in vampiro?’’

“Sì, ma anche con simile gocce si può ottenere una trasformazione mostruosa’’

“Il morso di un vampiro è estasiante, vero?’’

“Sì, al contrario del lupo mannaro che….’’, scrollò le spalle come per scacciare un ricordo orribile. Capii immediatamente.

“E la trasformazione di un vampiro? Come avviene?’’. Avevo la necessità di saperlo, anche se io non potevo trasformare ne creare nessuno perché ero un Sanguemisto.

“Il sangue inizia a pompare veloce, come il tuo, per un umano è il punto più bruciale del momento perché il veleno scorre nelle vene ed arriva al cuore. A sua volta il cuore pompa il veleno e quest’ultimo può compire il suo lavoro: brucia ogni tessuto, distrugge ogni funzione di ogni organi vitali e la preda non desidera altro che morire’’

Rabbrividii. “Oh’’.

“Nel tuo caso, le persone potrebbero considerarsi fortunate se decidi di trasformarle’’, soffocò una risata.

Ricambiai, ma per un momento sembrava volesse deridermi. Anche se non potevo ne trasformare ne creare, mi sentivo una nullità. Poi una lampadina del mio passato si accese. Dovevo chiederlo.

“Alucard, si può trasformare un Sanguemisto?’’

Mi guardò torvo. “Che vuoi dire?’’

“Un Sanguemisto si può trasformare in un Purosangue’’

“È una bella domanda. La più difficile di tutta la mia vita. Sinceramente, non lo so’’

“Oh’’

“Perché?’’

“Ehm…niente. Era solo curiosità’’. Lasciai che mi scrutò con lo sguardo. “Dai, ricomincia. Papà si è trasformato come vampiro e poi?’’

“E in quel momento la sua vita ricominciò da capo, ma sotto un altro aspetto. È nato la notte 12 Novembre 1014. Anche se poteva considerarsi un sopravvissuto- a quell’epoca molti morirono durante la trasformazione perché malati o vicini alla morte- si odiava della sua stessa natura. Per notte si rifiutò di magiare, cercò vari modi per suicidarsi ma non arrivò mai a quel punto, ne aveva il coraggio di farlo. Così iniziò a viaggiare, si nutrì dopo tre mesi, ma soltanto di persone con poche speranze di vita e animali. Scoprendo che poteva fare nuove scoperte, fortunato per vivere in quell’epoca storica, approfondire la sapienza, la ragione, l’intelligenza. Il suo potere divenne più forte grazie alla sua nuova natura, e in tal modo si sentii pronto per vendicarsi’’

“Vendicarsi?’’

“Cercò per ben dieci anni il vampiro che lo aveva trasformato, ma non lo trovò. Dopo vent’anni ebbe la fortuna ad unirsi ad una famiglia di quattro vampiri. Visse con lui altri tre anni, ma cominciò a sentire una mancanza. Anche se gli si era aperta la porta d’una famiglia simile a lui, non si sentiva comunque in compagnia. Gli serviva una compagna per scacciare la sua solitudine. Passarono gli anni, ma non trovò niente. Passarono cento anni ed era ancora solo, si unì a battaglie, crociate, e in quei secoli conobbe la nostra prima famiglia parente’’. Ed indicò la prima cornice sulla quale avevo posato gli occhi: dove erano impressi in quindici vampiri. “Era il 1144 quando la famiglia del Boscosempreverde ospitò nostro padre, in quell’epoca avevano trovato alloggio sul tetto ’’. Rise. “Con loro ci abitò più del dovuto: duecento anni, e si sentii finalmente a casa; in compagnia di quei vampiri fece altri viaggi, posti che ancora non fu stato, ma dopotutto ancora non si era liberato di quella nostalgia che in parte lo aveva accompagnato per anni. Era il 1349 quando nell’oscurità della caccia si imbatte di una figura familiare: il suo creatore. Grazie al nutrimento che ricevette al sangue umano di mio padre, lo rese più forte e si mantenne così nel corso del tempo dato che iniziò a cibarsi di sangue puro delle persone in ottima salute. La fine della guerra avvenuta negli inizi dell’anno 1000 era stata una bella fortuna per lui. Ma per l’eroe della nostra storia’’, lo disse con tono teatrale. “fu un privilegio essere quello che era, solo ora se ne rese conto. Forse il suo creatore gli aveva fatto un favore, chi lo sa, fatto sta che grazie alla sua trasformazione gli aveva rafforzato il potere, e questo fu abbastanza a permettere a Drakon di distruggerlo. Quando mise a raccolta la sua famiglia-amica lo aiutarono a fare a pezzi e a dargli fuoco’’

“I vampiri si possono distruggere con il fuoco?’’

“Il fuoco ha la stessa intensità della luce del sole, è l’unico modo veloce per non uscire di giorno e non suicidarsi’’

“Ah, già’’

“Diciamo che si era tolto un peso di mezzo: aveva ucciso il vampiro che tanto odiava’’

“E dopo rimase a Boscosempreverde?’’, chiesi dando un’occhiata alla cornice dei vampiri che teneva Alucard in mano.

“Rimase con loro per altri dodici anni sperando di trovare quello che cercava. Lasciò il Boscosempreverde e nell’inverno 1361 ritornò a quella che un tempo era Solemville: un grande paese; quando però i vampiri decisero di farsi una perenne vacanza divenne la Solemville che tu conosci’’

“Nostro padre è nato a Solemville?’’

“Diciamo di sì, ma nell’Alto Medioevo Solemville era soltanto quattro o sei case’’, rise.

Lo accompagnai con la risata. “E qui ci rimase per sempre. A quell’epoca i vampiri c’erano tutti?’’

“Sì, ancora non avevano avuto la pazza idea di andarsene. C’erano perfino la famiglia di questi vampiri’’, e mi indicò la seconda cornice dei quattro vampiri impressi.

“Fammi indovinare: Drakon si sistemò insieme a loro’’, tentai di imitare la sua voce, ma quando mi si parla di recitare alle volte non ero adatta.

“Sì, Drakon si sistemò insieme a loro. A quell’epoca nel castello vi abitavano il bis-bis-nonni del nostro re. Ma come poteva un re governare un posto così piccolo? Diede l’ordine di costruire alcune abitazioni per chi avrebbe voluto sistemarsi in quel piccolo pacifico paesino’’

“Pacifico non direi, era quasi pieno di vampiri. E riuscii ad attrarre nuove persone?’’

“Sì, la sua astuzia attirò molte persone povere che avevano bisogno d’un tetto. Prima che questo avvenne, il re conobbe mio padre e con loro si istaurò una buona amicizia. Papà faceva il turno di notte nella costruzione di una casa ’’

“Però, che fortuna ha avuto il nostro babbo’’, mi sentivo orgogliosa di lui; anche se aveva passato tanto anni come un lupo solitario, aveva avuto abbastanza pazienza per vederne col tempo il risultato. “E sapeva che era un vampiro?’’

“Certo che lo sapeva’’

“E non aveva paura?’’

“Per niente, Drakon era il vampiro più fedele in quel tempo’’

Alzai un sopracciglio. “Sai, è una sensazione un po’ strana sapere che sono dentro il castello del bis-bis-nonno del re’’, mi guardai attorno.

“Sei la prima arrivata dopo diciotto anni in questo castello. Dopo di tua madre, ovviamente’’

“Ovviamente”, gli feci eco. “E poi che successe?’’. La curiosità mi aveva lasciato la mano.

“Successe che il re non solo aveva come amico un vampiro, ma aveva anche come cameriera una vampira’’, rise.

Soffocai un urlo. “Acci…E questa vampira uccise il re?’’

“No, quella vampira era mia madre’’

Una scarica di vergogna mi inondò il corpo. Avrei voluto sprofondare il viso nei cuscini. “Ah, ehm…..che bello, finalmente aveva trovato la sua anima gemella’’, gioii. “Aspetta. Tua madre era….una cameriera alla corte del re?’’

“Sì, e che cameriera! Tutte la invidiavano’’

“Ci credo, sarà stata di una bellezza straordinaria’’

“A parte questo, intendo che era molto brava a cucinare e preparare piatti per feste….cose così’’

Mi tappai la bocca. Meglio stare zitta piuttosto che continuare a sparare altre frasi che avevano alcun senso su quello che cercava di riferirmi.

“E come ha fatto nostro padre a conoscere tua madre? Da quanto lavorava come cameriera dal re?’’

Sorrise alla mia curiosità. “Mia madre si chiamava Celesia, mio padre aveva 601 anni quando la conobbe e lei ne aveva 462. Era il 1371’’. Indicò con la mano il volto di una donna dietro la cornice di lui quand’era bambino, rassomigliante molto ad Alucard, nei tratti, nel sorriso, nel viso ma i suoi occhi era all’ingiù e scuri. Era molto bella, la prima vampira più bella che avessi mai visto. Per la prima volta mi sentivo inferiore….una nullità davanti al ritratto di quella dea.

“Le altre cameriere di quella corte l’avrebbero inviata sotto ogni aspetto. Ti assomiglia molto’’, guardai Celesia e guardai Alucard.

Ammiccò un sorriso dolce, macchiato dalla tristezza. “È l’unico ricordo che ho di lei’’, disse accarezzando il volto della donna.

“Scommetto che sarebbe orgogliosa di te in questo momento’’, dissi afferrandogli il polso.

Di nuovo mi sorrise.

“Dai, come l’ha incontrata Celesia nostro padre?’’, chiesi subito dopo entusiasta. Riuscii a spezzare la sua tristezza.

“Papà fu invitato ad un banchetto imperiale, accanto al re’’

“Mmmm, la cosa non poteva capitare meglio’’

Rise. “Già, ma la cosa peggiore è che gli toccò mangiare tutta la minestra che fu il primo pasto di quella serata’’.

“Mi rimangio quello che ho detto ’’, dissi fra me ironica.

“Ma in parte hai avuto ragione perché quando fu il turno del secondo pasto- il pollo arrosto- vide per la prima volta mia madre’’

“Il pollo lo servì lei, vero?’’

“Naturalmente’’

Ci piegammo in sue dalle risate. Immaginai l’espressione di papà non appena mise gli occhi sulla cameriera bellissima del 1371. Sicuramente, sarebbe stato difficile staccargli gli occhi di dosso.

“E dopo che successe?’’

“Mia madre aveva il mio stesso carattere, le uniche persone che gli stessero accanto era suo padre e il re. Quest’ultimo per lei era come uno zio’’

“Tua madre era un Purosangue?’’

“Sì, e papà un Mezzosangue. Coppia perfetta’’

“Direi. Continua’’

“Dopo cercò ogni modo di accettare i banchetti che gli inviava il re’’

“Solo per lei? Mangiò tutta quel cibo umano e puzzolente solo per lei?’’

“Sì, era ovvio che l’amava. Ad una festa da ballo per la nascita del primo nipote del governatore, riuscì finalmente a parlarle dopo mesi e mesi di continui sguardi. E così ogni giorno cominciò ad essere insopportabile per lui perché aspettava con ansia la sera per rivederla. Pian piano anche mia madre cominciò a nutrire amore verso mio padre più che una semplice amicizia. Però passarono degli anni prima che riuscirono a dirsi il loro amore, e questo non fece che deprimere papà’’

“Non ho voglia di chiedere quanto tempo’’

“Rispondo io: dieci anni’’

Sospirai. Ringraziai il cielo per aver tenuto la bocca chiusa per non controbattere. Ritornò a parlare.

“Furono dieci anni duri e intensi, più cresceva il loro legame più papà si sentiva rinascere. Finalmente la sua attesa gli era stata ripagata dopo secoli e secoli di continua solitudine. Presto iniziarono a cacciare insieme, a trascorrere la notte con passeggiate e risate…anche se continuamente ripetibili per papà ogni notte era come se fosse la prima; col tempo Solemville iniziò ad arricchirsi di abitanti, il re ne fu talmente grato che ormai vecchio decise di affidare il castello al suo amico devoto’’

“Lo regalò a nostro padre?’’

“Sì, questo castello è suo dal 1384. Il re morì nell’inverno del 1384 e a Drakon e a Celesia fu affidato il castello ’’

“Quindi fu come se Drakon fosse il nuovo re di Solemville’’

“Diciamo il suo successore, ma non volle mai svolgere il compito del re dato che ormai come tale era il figlio del defunto, anche se questo era stato la richiesta del buon sovrano prima che ispirò’’

“E Drakon rifiutò’’

“Essere re è un compito molto grande. Drakon può anche non essere un re ma qui a Solemville gli danno importanza come se fosse tale’’

“Insomma….non ha il comportamento di un vampiro qualunque’’, ora che ci pensavo.

“Comunque, papà e mamma si fidanzarono nel 1381….’’

“Sono felice che abbia avuto un buon inizio ’’, cinguettai. A quel punto mi sentivo Consuelo.

“Lo credevo anche io. Alla fine del 1387 si sposarono e fecero un lungo viaggio di nozze, Drakon ritornò dai vampiri che l’avevano accolti facendo conoscere la sua nuova sposa, e mostrò a mia madre nuove regni, terre che non aveva mai conosciuto e mai visto ’’

“E che fine fece il padre di tua madre?’’

“Morì in una guerra che partecipò anche mio padre. Non si diede pace per anni, pensava che fosse stato il colpevole’’

“Perché durò così tanto il fidanzamento?’’

“Lo stesso motivo di prima: fu assente per due anni per via di una guerra, e altri tre anni per un’altra. A quell’epoca non c’era mai pace. Ogni piccolo disaccordo finiva con una strage di sangue. Fu fortunato se sopravvisse’’. Fece una pausa, poi ritornò a parlare. “Ritornarono a Solemville….molti anni dopo. Diciamo nel 14012’’

“Si vede che è durato molto il viaggio di nozze. E il castello andò in mille pezzi?’’

“No, rimase intatto ma abbandonato. Cameriere, domestici, maggiordomi.… tutti se n’erano andati’’

“E Drakon si arrabbiò?’’

“Un tantino’’. Non volli sapere quanto in realtà fosse quel “un tantino”. Ritornò a parlare. “Ripulirono il castello, e all’alba ognuno a dormire nella propria bara ’’, rise.

“Scusa se mi permetto, ma erano sposati’’

“La bara per loro era come una cosa comunemente normale’’

“Per me sarebbe stata scomoda’’

“Vengono da un’epoca diversa, da allora le comodità erano differenti dalle nostre. Perfino ora papà dorme in una bara. Che ci vuoi fare? Ognuno a i suoi gusti’’

“Papà e tua madre trascorsero una vita felice per tutti quegli anni?’’

“Sì, per loro sembrava lenta, ed era meglio in quel modo. Fecero continui viaggi, nuove conoscenze, e nuove amicizie. Tutto andò bene finché….non arrivò il 1656. Erano trascorsi trecento anni dal matrimonio di mio padre e mia madre, ed impressionarono tutti quando mamma rimase incinta di me. Il frutto di due vampiri è estremamente raro. Naturalmente papà allo stesso tempo capiva che tra un paio di mesi a poco doveva essere pronto a dirgli addio per sempre. Durante il parto mia madre supplicò in continuazione di prendersi cura di me fino allo sfinimento, fino a che non uscì dalla voragine che le procurai dal ventre, fino a che non la dissanguai e la uccisi’’. Ed eccolo quell’espressione pentita e triste, piena di rimorso, dell’Alucard che conoscevo. “E da qui inizia la mia storia. Dopo la morte di mia madre i vampiri iniziarono a vagabondare per il mondo, e Drakon mi crebbe come un figlio: l’ultimo desiderio di mia madre’’. Appoggiò la cornice di sua madre sul tavolo.

Capii che il racconto di nostro padre poteva terminare lì. Mi alzai dalla sedia, allo stesso tempo triste come lui, gli sollevai il viso con le mani.

“Ascoltami bene: tua madre non vorrà sapere che sei triste, ti ha amato fino alla fine delle sue forze. Ti ha desiderato come mia madre ha desiderato me’’.  E per la prima volta notai il medesimo sacrificio tale uguale a quello di Celesia. “Non cercare di buttarle via l’orgoglio di aver cresciuto dentro il grembo una creatura così speciale. Non essere più triste, per favore. Guarda tua madre, di sicuro vuole che sei così?’’

Diede uno sguardo repentino al ritratto di sua madre. “No’’, rispose a mezza voce.

“Non privargli della sua felicità. Rendila orgogliosa con il tuo coraggio, non essere triste’’

Mi afferrò i polsi per liberarsi dalla mia stretta e abbassò lo sguardo.

“Fallo per tua madre’’, supplicai.

Scrollò la testa, abbozzando un sorriso malinconico.

“Per me’’, sussurrai. E finalmente alzò lo sguardo.

Questa volta fu lui a prendermi il viso con le mani. “Non posso prometterti niente, tengo addosso questa tristezza per anni. Cercherò di liberarmene in qualche modo, ma non ti giuro e prometto niente’’

Mi lasciò il viso e fiondò accanto al camino dove era appoggiata la legna. Afferrò tre enormi bastoni per buttarli nel fuoco. Ormai le fiamme stavano perdendo vita. Alucard non sembrò preoccuparsi della vicinanza del calore del fuoco quando mise la legna sopra quelle ridotte in cenere. Io, intanto, stavo impalata ad osservarlo, mi affascinava la sicurezza che c’era in lui, al contrario di me che quando vedevo il fuoco sembro una cerbiatta impaurita, come gli umani hanno paura delle tenebre nella notte.

Con calma ritornai ad osservare la altre foto che non avevo notato: Drakon e Celesia al loro matrimonio, molte altre famiglie-amiche di Drakon e Alucard, il vecchio re che abitava in quel castello fino al 1384, una foto di mia madre da giovane: ora capivo quando dicevano che era la mia goccia d’acqua. Poi un’altra del matrimonio dei miei genitori, chiedendomi allo stesso tempo come l’avesse avuta, un’altra di Drakon e Alucard, e l’ultima di me tra le braccia di mia madre: il paesaggio impresso nella foto era il cortile, io ero seminascosta tra una coperta in bianco, probabilmente fecero la foto molti giorni dopo la mia nascita. Quella era l’ultima immagine sulla scrivania di Alucard.

Diedi uno sguardo veloce al mio fratellastro, ma non lo trovai più accanto al camino. La porta era aperta, sicuramente era andato a farsi una bella passeggiata tra i corridoi del castello.

Pensai che avevo detto qualcosa di troppo, mi sentii male e stupida. Avrei tanto desiderato non parlare per una settimana intera. Borbottando fra me, ritornai ad osservare la stanza. Mi trovai davanti alla porta che portava al balcone ma me ne allontanai presto, immaginando Alucard che rientrava nella stanza con la porta aperta. Mi scrollai l’orribile immagine di dosso, ignorando la porta, concentrandomi sulle pareti: forse la parte ce adoravo di più di quella stanza: adoravo le decorazioni fini e dorate, floreali e avvolte con immagini simboliche che non riuscivo a comprendere. Cercai l’enorme dragone invisibile tra i ricami sottili della parete, e dopo un grande sforzo riuscii a trovarne l’enorme muso.

Bussarono alla porta.

“Mi chiedevo se ti piacerebbe vedere il castello ’’, disse Alucard con un sorrisetto.

Sospirai, volevo ancora visualizzare la forma del drago, infondo se ci pensavo bene avevo tutta la giornata per farlo. Ignorai il dipinto della parete rossa della stanza e mi avvicinai al vampiro. “Sì, sono curiosa’’.

Mi afferrò per la mano e mi accompagnò fuori dalla stanza. Si chiuse la porta alle spalle.

“Oh. Devo però avvisarti di una cosa ’’

“Cosa?’’

“Cerca di fare passi felini’’

Lo guardai accigliata. “Sono rumorosa?’’

“Nostro padre dorme’’

Mi raggelai. “Ah’’

Mi afferrò di nuovo per la mano, ci incamminammo tra il corridoio del primo piano del castello.


Ecco il capitolo successivo, scusate per tanta attesa. Gli impegni scolastici pultroppo non mi avevano dato possibilità di proseguire la storia
alla prossima con l'undicesimo capitolo
Baci!

 

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Capitolo 12
*** La scoperta di un amore incancellabile ***


Alucard mi guidò fra le stanze di Redmoon: mi mostrò le stalle dei cavalli che si trovava ai due fianchi dell’enorme entrata del castelli, la cucina: si trovava al primo piano, era una ampio salone con un tavolo al centro, circondato da sedie dall’alto schienale, le pareti erano decorate con motivi floreali per richiamare la stagione solare, si intonavano bene con il pavimento in cui erano incastonate gemme d’ambra a forma di rose, la stanza degli specchi: una stanza rettangolare, piena di specchi di ogni genere e forma; per tre volle dovetti stare attenta a non sbattere contro uno di quelli. Era un bel labirinto d’illusionismo.

Poi entrammo nella stanza delle collezioni di armi che si trova al piano terra: animali impagliati facevano da guardi a spade, scudi, asce e altri armeggi che probabilmente usò mio padre durante gli anni freddi delle continue guerre, c’era perfino un elmo. In cima alle scale si trovava uno agli accessi alla torre circolare della biblioteca. Era uno spazio ampio e circolare, restai letteralmente affascinata da quel pozzo verticale tappezzato dai libri vecchi e nuovi. C’era profumo di pagine ingiallite, delle pergamene, di copertine di pelle, ecc.….tutta la storia di quel regno la potevi trovare in quelle pagine; Alucard mi spiegò che c’erano più di 200.000 libri in quella biblioteca.

Ogni tanto mi rispondeva prontamente alle domande che gli facevo su certi oggetti, o ritratti, o su alcune sculture dei piani bassi del castello, riconoscevo in lui molta intelligenza e prontezza, anche molta simpatia, e presto cominciai ad orientarmi fra i corridoi alti e infiniti del castello.

Alla fine ci imbattemmo, calmi e tranquilli,  davanti ad un porta di rame al termine d’un corridoio ai piani superiori.

“Questa è la parte che adoro del castello ’’, rispose prima di aprire la porta.

Entrai in una stanza circolare, le pareti fatte di ghiaccio eterno al suo eterno erano congelati piante con mille fiori, le sue radici percorrevano tutto il muro ghiacciato della stanza, i vasi erano gli unici a restare fuori dalle pareti ghiacciate. In alcune tratti delle mura glaciali erano incastonate pietre di ogni colore, il soffitto era aperto, ai bordi cadevano radici con ghirlande. Non capii in quale punto del castello ci trovammo. L’apertura del soffitto era abbastanza grande da far illuminare il centro della stanza dove la luce del sole ricadeva solo su due enormi sculture, l’altezza sarebbe stata di dieci uomini. Erano due troni di pietra, a destra era seduto un uomo possente, giovane, dall’aspetto bellissimo e misterioso anche se di pietra, vestito in modo regale sul capo una corona d’oro, ad essa erano incastonati piccoli diamanti grandi quanto un mio palmo; alla sua sinistra una donna bellissima dai capelli mossi e lunghi fino alla vita, ricadevano sulle spalle, indossava un abito lungo che gli copriva i piedi, sulla testa indossava un diadema come corona.

La pietra intorno ai due troni terminava come un cerchio, dove c’era un piccola sporgenza riempita d’acqua trasparente e pulita. Sull’acqua galleggiava ninfee e foglie di ninfea.

Rimasi letteralmente affascinata da quel posto, batteva di sicuro la bellezza della biblioteca, in tratti anche imbronciata per non potermi avvicinare a quelle due sculture. Dietro di me sentii la porta chiudersi, contemporaneamente Alucard apparve accanto a me, sicuro di quella oscurità: la luce del sole non lo avrebbe mai colpito: mano a mano che si sarebbe mossa anche noi ci saremmo allontanati.

“Chi sono?’’, chiesi. La mia voce riecheggiò fra le pareti della stanza fresca.

Alucard si avvicinò appena alla sporgenza d’acqua. Era orribile vederlo solo, avvicinarsi alla luce del sole. lo seguii, impaurita dal suo cammino calmo e lento.

“Audax e Iesha. I due sovrani leggendari di questa Terra’’, guardò le sculture con ammirazione, poi si girò verso di me. “Non sai di loro?’’

“Ehm…Ancora il nostro insegnante di storia non c’ha accennato della loro…leggenda. Sono esistiti davvero?’’

Alzò le spalle. “Altri dicono di sì, altri dicono che è solo frutto di un pazzo storico’’

“Ma tu credi che sia vero’’. Ritornammo ad ammirare le due possenti sculture.

“Sì, e dato che queste sculture sono qui dagli inizi della costruzione di Redmoon credo proprio che ci credesse anche il sovrano di questo posto ’’

“Ti occupi tu di questo luogo?’’

“Sì, è la stanza con cui apro il mio cuore’’

Lo guardai. “Raccontami della storia’’

Lo vidi rivolgermi un’occhiata svelta e poi iniziò a parlare. “Si dice che siano esistiti prima dell’Alto Medioevo. Appartenevano a due regni sempre in contrasto fra di loro. Erano entrambi principi, destinati ad essere nemici in eterno ’’

“Perché erano sempre in contrasto?’’

“Ognuno voleva dominare il regno dell’altro. Continuava ad esserci guerra, sempre più vittime, più trappole, fino a quando il principe Audax non arrivò di nascosto nel castello della principessa Iesha. Era il tempo di guerra e il castello era spesso minacciato da attacchi e da bombardamenti. I genitori della principessa da allora cercarono sempre di tenerla nascosta nelle segrete, senza prevederle di ogni necessità, mandando avanti di nascosto la sua educazione da futura regina. Il principe però riuscii a scoprire il suo nascondiglio, e durante un attacco della sua armata riuscii a scovare la principessa. Certo, sarebbe stato molto veloce chiudergli la bocca per non permetterle di gridare aiuto, ed infine ucciderla, se solo non fosse rimasto ammaliato dalla sua dolcezza e il suo fascino.

Anche la principessa Iesha, da parte sua, rimase invaghita dal bel principe, e riuscii a indicargli la strada per un uscita segreta attraverso le segrete, prima che i soldati del regno potessero trovarlo ed ucciderlo. Da quel giorno il principe Audax e la principessa Iesha si incontrarono ogni sera nello stesso passaggio segreto che gli aveva indicato al fanciulla.

Tutto sarebbe continuato con calma, ma i genitori dei due principi cominciarono a sospettare d’un cambiamento verso le maniere regali.

Una sera i genitori di Audax si presentato di proposito alla corte del re e la regina della fanciulla. Si consultarono, nei loro sguardi però c’era sempre cenni di ira verso i propri rivali, spiegarono il comportamento strano del proprio figlio facendo congiungere lo stesso al carattere della principessa Iesha. Facendo così, andarono nelle segrete dove la figlia alloggiava scoprendola con il proprio nemico. Non dico quale sorpresa si trovarono davanti, te lo puoi immaginare da sola. Cosa non puoi riservare a due fanciulli che si amano così follemente? Il loro amore era così forte, incessabile, che nessuno poteva spezzarlo. Il re di Iesha, disonorato dalla propria figlia, attaccò Audax e lo uccise. La principessa, sconvolta dalla morta del proprio amato, afferrò la spada del padre di Audax e si suicidò. In tal modo potevano insieme amarsi anche in un altro modo. La loro storia divenne leggenda, il loro amore e il sacrificio della ragazza si manifestò in ogni angolo della Terra, divenne un simbolo importante per tutti. Però nella terra non durò la pace dei due regni, che continuarono a spargere sangue in eterno ’’

“È…è una storia molto bella’’, balbettai. Finalmente mi voltai per guardalo, lui aveva già posato gli occhi su di me. “La storia è simile a Romeo e Giulietta’’.

“Per me forse è qualcosa di più bello ed intenso’’

Guardai la scultura di Iesha. “Deve essere stata molto coraggiosa per raggiungere Audax uccidendosi’’

“Sì, molto coraggiosa. E in più stimo molto Audax per non aver ucciso la ragazza, innamorandosi di lei, e tenere a lungo un segreto molto importante’’

Lo stomaco sussultò. “Come mai erano regni nemici?’’

“Un regno voleva diffondere il bene nella terra, l’altro regno voleva inondare il mondo di tristezza e dolore’’

“E come avrebbero fatto?’’

“Con i futuri eredi al trono. Iesha aveva il potere della vita e Audax quello della morte’’, mi guardò sorridendomi vittorioso.

Un tuffo al cuore, mi si chiuse la bocca dello stomaco e dimenticai per qualche secondo di respirai.

“Sorpresa, eh?’’, dal suo tono di voce sembrava volesse stuzzicarmi.

“Non ci sono parole. Ma…ma come…?’’. Veramente non riuscivo a trovare le parole.

“Come facciamo ad avere il loro potere?’’, mi anticipò lui. “Be’, ancora è un mistero. Ma io credo che sia una rincarnazione’’

Lo guardai accigliata, ancora immobile come una pietra dalla tale somiglianza dei nostri poteri con le due persone leggendarie.

“Vuoi dire che dopo tutti questi secoli…aspettavano solo noi due per donare il loro potere a noi?’’, la mia voce riuscivo a sentirla appena.

“Sì, tutto è possibile’’

“E noi che compito abbiamo? Mi sento…ridicola. Ormai ogni creatura del bene e del male vanno d’accordo, riescono a trovare un modo per riappacificarsi. Se penso solo che lei…Iesha mi ha donato il suo dono ancor prima di nascere, e sapere con esso posso fare solo piccole cose….Non so, ma non credo che sia una reincarnazione o cosa del genere. Kate mi ha detto che il potere rappresenta il carattere della persona, non è….una specie di reincarnazione’’. Per tutto il commento feci attenzione per non ridere. Insomma…era ridicolo.

Ora il viso di Alucard era serio. “Ognuno la pensi come vuole’’, e di nuovo silenzio.

“E tu credi alla reincarnazione’’

“Sì’’, la voce fredda, il suo viso non tradiva emozioni.

“In parte posso crederti perché sono uguali, ma in un’altra parte posso anche biasimare che tu ti stia sbagliando. Comunque, hai ragione tu: ognuno la pensi come vuole’’

E calò il silenzio. Rimasi a guardare Alucard, mentre lui guardava con devozione le due statue ferme illuminate dalla luce del sole. Passò così tanto tempo prima che iniziai ad orientarmi per tutta la stanza rettangolare, che la luce solare iniziò a spostarsi verso il portone. Ma Alucard non si muoveva, ormai incantato dalla bellezza dei due principi.

Andai alla perlustrazione del luogo. Mi avvicinai alla luce del sole, guardai il mio riflesso sull’acqua cristallina intorno all’enorme cerchio pietroso su cui erano incastonate le due statue. Mi avvicinai alle pareti di ghiaccio, toccai la consistenza simile a quella di un vetro, e ne osservai le piante al loro interno; allungando la vista, osservai oltre il ghiaccio liscio, oltre i cristalli microscopici, e vidi un fiore di rosa corallo sbocciare. Allora capii che orni radice e fiore immerso nelle mura fredde nasceva pian piano, assetandosi dell’acqua che li circondava. Dentro il ghiaccio eterno ogni cosa era viva, la natura eseguiva il suo circolo senza mai insecchendosi dal freddo. Era impressionante, innaturale, ma magico. Come se la magia dei due principi non si fosse mai spezzata, come se esistesse ancora lì: dentro quella stanza.

“Da quanto tempo tutto questo ghiaccio?’’, chiesi ad Alucard, quando me lo percepii accanto. Scontrai la mano con le dita pallide: non era così freddo come mi sarei aspettata da una lastra di ghiaccio.

“Da sempre. Anche le piante che vedi dentro le mura sono sempre state lì. Eppure non hanno mai smesso di crescere’’

“Ma se spezzassi un pezzo di questo ghiaccio…?’’

“La voragine che hai creato nelle mura in un attimo non la ritroverai più: è ghiaccio eterno. Come eterno è il loro amore’’, disse indicando le statue immobili, ci davano le spalle seduti sui loro troni.

La mia mano iniziò ad accarezzare il muro, mentre la mia vista era concentrata sullo sguardo del mio fratellastro, sentendone un leggero fastidio sulla piccola polvere di ghiaccio.

“Ma che cosa…?’’, non terminai la domanda che scavai leggermente per levare i piccoli cristalli che coprivano il muro liscio e fresco.

Nella consistenza liscia, i miei occhi notarono una incisione. Sembrava una parola, ma non riuscii a capirla, era quasi invisibile.

“Che cos’è?’’, chiesi guardando Alucard. Indicai il punto. Alucard si avvicinò per esaminare ma non restò sorpreso come me, era calmo. Sapeva.

“È soltanto impolverato. Soffiaci sopra’’

Lo guardi accigliata, pensavo che fosse impossibile levare quel velo di cristalli con un semplice soffio. Avrei desiderato essere il lupo nella fiaba “I tre porcellini”, oppure richiedere aiuto alla magia. Dopotutto, il consiglio di Alucard mi sembrava sincero. Ancora incerta soffiai contro la parete di ghiaccio. Anche un semplice soffio leggero tutta quella polvere ghiacciata cominciò a staccarsi nel punto in cui l’aria si scontrò contro di essa, e iniziò via via a liberare anche il resto delle pareti della stanza, cadendo leggermente come neve sul pavimento di pietra, trasformandosi poi in piccole goccioline d’acqua; congiungersi poco dopo con altre gocce, congelandosi formando cristalli grandi e piccoli, appoggiati al muro.

“Alucard, ma…’’, riuscivo solo a pronunciare il suo nome. Era di un incantesimo mozzafiato quel posto.

“È magia: l’unica risposta plausibile’’, mi sussurrò nell’orecchio.

Lo guardai affascinata, come se fosse stato anche lui uno di quei cristalli splendenti. Poi, liberata ormai dal suo sguardo ipnotico, ritornai alle incisioni introvabili nel ghiaccio.

“Ci sono lettere…sembrano frasi, ma non riesco a leggerle’’

“Allora illuminale’’, consigliò, un’altra volta calmo. Cominciava un po’ a darmi sui nervi la sua semplice calma. Come se fossi una ritardata o una nullità, in parte cominciavo a sentirmi così.

Soffiai dal palmo della mano, quando l’aria si scontrò nella pelle ne fuoriuscì mille lucine che si scontrarono sulla scrittura. Un attimo dopo tra le mura fecero capolino frasi, parole, rime illuminate da una luce argentava che allo stesso tempo illuminava l’oscurità della stanza; una luce abbastanza gradevole all’occhio d’un vampiro. Questa volta fu Alucard a rimanerci affascinato dal mio potere. Ma niente era al confronto della magia di quella stanza.

Mi avvicinai ancora una volta alle lettere. “Sono parole, frasi. Sembrano versi di poesie’’

Alucard fece un passo avanti. “Sono celebri poesie d‘amore di alcuni scrittori. Li ho incisi io’’

“L’hai incisi tu? Come?’’

“Ho dato una bella rastrellata a questo posto ’’, parlò con le labbra rigide per trattenere una risata.

Toccai le lettere dorate sul muro. “Perché?’’

“Volevo dare alla stanza un aspetto….diciamo: romantico’’, azzardò. “Leggile, se vuoi’’

Rimasi a guardarlo per un bel pezzo, avevo la strana sensazione che volesse incominciare da dove c’eravamo fermati la sera prima, ma poi mi abbandonai alla scrittura. Sentivo il suo sguardo addosso al mio viso.

 

“L’amore non da nulla fuorché se stesso                         

e non colle nulla se non da se stesso.

L’amore non possiede,

né vorrebbe essere posseduto poiché l’amore basta all’amore”

 

“Anima mia, respiro nel tuo respiro,

gioia e dolore nella tenebra del nostro destino.

Cuore con cuore,

leniamo l’arsura della passione con baci intensi, rubati, segreti

che dissetano le aride distese delle nostre vite.

Ti cerco, ti desidero come il bambino cerca la vita,

abbandono tra le tue braccia il mio corpo

e la mia anima nudi nell’intensità dell’amore”

 

“Desiderare un tuo bacio,

morire tra le tue labbra

e lì rinascere

in un’estasi di passione.

E lasciare il tuo cuore,

nel posto,

dal quale non andresti più via’’

 

“T’Amo dolce Amore mio.

T’Amo come il cielo bacia il mare,

t’amo come la terra ama il Sole,

t’amo come il vento accarezza la primavera,

t’amo inseguendoti in una corsa senza fine”

 

“Occhi di cielo,

occhi profondi in cui perdersi,

occhi che amano,

labbra morbide,

desiderose d’amore,

la passione di un bacio.

Essere perso senza averti accanto.

Amore sovrano,

ragione di vita”

 

E poi molte altre, più le leggevo più ne vivevo lo immagini le parole pronunciate dal vivo, era come un sogno, ed Alucard mi seguiva in quella camminata silenziosa. Le mie labbra pronunciavano le poesie che mano a mano leggevo in silenzio, lui sembrò sentirmi perché fiondò un secondo dopo lo sguardo sulla stessa poesia dove avevo posato gli occhi per prima.

“Devo dire che sono bellissime’’, dissi dopo aver finito di leggere. “E’ come se queste poesie le avessi scritte incise apposta per Iesha e Audax’’

“In parte lo sono ’’. Si mise accanto a me ed accarezzò una poesia accanto a quella che stavo leggendo io.

Sorrise spensierato. “Questa è la poesia che adoro di più”, la indicò.

“Leggi’’, ordinai curiosa.

“Luce e ombra, è questo amore mio.

Dolore e gioia,

sorriso e pianto.

È urlo, è bisbigli.

È lamento, è canto.

È brezza leggera di vento.

È sferzate violente.

È acqua chiara e fresca di ruscello.

È acqua putrida di stagno.

È un lieve bacio sulle labbra.

È un pugno violento allo stomaco.

È chiaro e scuro quest’amore mio,

mai lo cambierei per amore”

Ritornai a respirare. “Stai dicendo che l’amore può essere fatto sia di brutte situazioni che di bellissimi emozioni?’’

Sorrise compiaciuto. “Esatto’’, e poi rise. “Hai fatto la rima’’

Risi insieme a lui. “Si vede che la poesia mi ha preso la mano’’.

Lessi la poesia per altre tre volte, celando un sentimento che avrei desiderato liberare dal cuore. “Sai, forse diventerà anche la mia preferita’’.

Mi si avvicinò per accarezzarmi la guancia. “Tu sei la mia poesia preferita, Alexia, e ancora non te ne sei resa conto ’’

Sentii un pungo allo stomaco. “Co…come?’’, chiesi, a mezza voce.

I suoi occhi si accesero dopo un lungo momento di silenzio pesante, come se si fosse svegliato da un incantesimo. “Niente’’. E si allontanò da me.

Rimasi delusa dalla sua mossa, anche se non avrei mai dovuto, desiderando ancora la sua carezza. Come faceva? Era come se quella stanza riuscisse a liberare ogni nostra emozione più segreta.

“Guarda’’, dissi indicando un’altra poesia d’amore all’altezza della mia fronte. Pensavo di distrarre entrambi. “Questa sembra carina’’

“Sei la mia luce, sei la mia stella,

sei il mio cuore,

sei il mio respiro,

sei la mia vita.

Sei tutto per me perché io senza te

non posso vivere!”

“Già’’, rispose Alucard. Quando ritornai a guardarlo mi accorsi che non aveva mai smesso di guardarmi.

Dalle labbra mi spuntò un sorriso innocente. Volevo abbassare lo sguardo, anche se allo stesso tempo non volevo staccare gli occhi dal suo viso.

“Leggi questa’’, ordinò benevolo. Anche se indicò quella che mi sembrò la poesia giusta, non staccò gli occhi da me.

Ritornai a leggere, tutto per sfuggire dal suo sguardo.

“Acqua bollente scorre sul mio corpo freddo…

Che prende calore…fino a risvegliare tutti i sensi

….labbra turgide e rosee che si riscoprono vogliose

In un corpo che freme…alla ricerca della tua bocca’’

Mi allontanai dal muro nel momento stesso in cui una scossa elettrica mi percosse il corpo, ignorai la fitta dolora allo stomaco, ma ignorai a malapena la sacca piena delle farfalle. Lui intanto mi guardava sorpreso.

Non mi ero accorta che ormai la luce del soffitto iniziava a colorarsi l’oro. Il sole stava per tramontare e io reto avrei dovuto salutarlo. In parte la consapevolezza di lasciarlo mi stringeva il cuore, in un’altra parte non vedevo l’ora di uscire dalla stanza e riabbracciare i miei genitori.

“È…una poesia…molto bella’’, balbettai, cercando di apparire sincera.

Sorrise. “So a cosa stai pensando, non avere paura’’

“Ma io non ho paura’’, poi lo guardai con espressione interrogativo. “Che cosa ne sai tu dei miei pensieri?’’

“Ti conosco bene, sei parte di me’’

“No, non è vero’’

“Siamo fratellastri’’

“Ma non siamo i frutti degli stessi genitori. A parte uno’’

Sospirò. “Alexia, ti voglio bene. Cosa c’è di male?’’

“Niente. Anche io ti voglio bene’’. E tanto.

Si avvicinò di nuovo a me, accarezzandomi in seguito la guancia come un minuto fa. “So che stai pensando a ieri sera, prima che la luna diventasse rossa’’, incalzò.

Accidenti! Se qualcuno di voi ha un fratellastro abbastanza intelligente, il mio consiglio è di stargli lontano più preferibilmente possibile. Bastò solo sentire “luna rossa” che mi fece scaturire in me quella paura di molte ore fa.

Furbo. “Non sarebbe stato uno dei tuoi errori, vero?’’

Era sincero. ”No’’, anche la sua voce era sincera. Il suo sguardo non tradiva emozioni.

“E anche quello di un mese fa non era stato un errore’’

“No, non era stato un passo azzardato, ma…’’

“Sincero’’, lo interruppi io, la voce lieve. Solo lui poteva sentirla alla perfezione.

Si strinse nelle spalle. “Sì’’

Nello stesso istante mi accorsi che mi teneva stretta. Eravamo vicino alla vasca d’acqua, la luce del sole ormai aveva coperto la parte superiore del portone.

Esitai per qualche secondo. “Alucard….non si può’’, farfugliai, io stessa non riuscivo a capirmi.

Alzò un sopracciglio, un’espressione incomprensibile. “In che senso?’’

“Insomma….Io ho Louis’’

“E Louis sa capirti?’’

Che cosa voleva insinuare?. “Certo che mi capisce’’, allo stesso tempo non ero certa della mia risposta.

Mi guardò freddo. “Vedevo quando lo hai guardato nel momento prima che gettasse la biglia a terra. Gli ordinavi non cercare di attaccarmi e lui non ti aveva dato ascolto. Secondo te questo è capirsi in una coppia?’’

Lo guardai basita. “Tu….tu sapevi che avrebbe gettato la biglia davanti a te e non ti sei mosso? Tu capivi che saresti morto e non hai fatto niente?! Volevi che venissi io a salvarti!”, ruggii.

Era calmo, come poteva? Sorrise appena. “Sì, volevo vedere se eri abbastanza….coraggiosa da salvarmi’’

Gli sferrai uno schiaffo che riecheggiò per tutta la stanza.

“Come hai potuto!’’

Rimase con la testa girata verso sinistra, la potenza del mio schiaffo era stata abbastanza forte tanto quanto la rabbia. Allora gli diedi un pungo in pieno petto liberandomi dalla sua stretta facendolo cadere a terra. Strascinò nel pavimento freddo fino a sbattere la testa contro le pareti ghiacciate. Con mio malgrado non usai tanta violenza.

Mi avvicinai a lui con passi lenti e minacciosi. “STUPIDO IDIOTA! Ma come hai potuto?! Hai cercato di farti ammazzare?!’’, sputai fra i denti.

Lui era seduto e si massaggiava la testa. “In un certo senso…’’

Lo afferrai per un braccio e lo strinsi forte. “Imbecille, ma non ti è arrivata neanche una mezza idea di quello che ti sarebbe potuto succedere?’’

Sentii un rumore acuto provenire da una parte della stanza, ma non ci badai.

“Assolutamente’’, rispose calmo.

Odiavo il suo comportamento tranquillo. Che fastidio. Sembrava volesse deridermi.

“Volevi morire? Volevi che io perdessi un fratellastro che amo? Sei fuori di testa, che cavolo ti era venuto in mente?’’

“Un’idea praticamente ingegnosa, ma….’’

“E pericolosa’’, esclamai. Lo tirai su con la forza che usai nel suo braccio.

“Almeno non mi sarei più intromesso nella tua vita: è una cosa positiva. E quando tu saresti morta ti avrei di nuovo abbracciata’’

Un altro schiaffo. Alzò un sopracciglio. “ O forse no’’.

“A questo punto non ti voglio nemmeno all’Inferno se per caso c’andrò per quanti ne avrò ammazzati’’, digrignai i denti.

Rise divertito. “Ma tu hai ammazzato animali’’

Gli diedi una spinta che lo batté al pavimento. “Per me è come se avessi ammazzato umani!’’

Lui non rispose.

“Tu sei pazzo, pazzo se….Non trovo le parole, forse c’è qualcosa oltre la tua pazzia’’

“Non trovo pazzia migliore’’, rispose lui. “Senti…’’

Maledetto sempliciotto. “Già, forse hai ragione. Forse è Redmoon a farti rendere pazzo. Stai sempre intrappolato qui, un uccello in gabbia. Una volta tanto esci, ora ti sei fatto degli amici grazie a me, e allora perché non vai a fargli visita?Anzi, è meglio che ti trovi una ragazza prima che la solitudine ti faccia impazzire’’, dissi fra i denti, allontanai il suo viso che si era avvicinato troppo al mio e nell’indietreggiare inciampai sul mio stesso piede, cascai all’indietro con il sedere nella vasca. Schizzai le gocce anche allo smoking di Alucard, che assunse un espressione disgustata quando tra noi calò il silenzio.

Sollevò gli occhi disgustato e mi afferrò per un braccio per riportarmi con i piedi a terra. Ero zuppa dalla testa ai piedi.

“Puoi almeno guardare dove cammini?’’, mi rimproverò questa volta disgustato.

Gli lanciai un’occhiata in cagnesco. Ma lui non ci badò e a passi veloci mi allontanò dalle sculture giganti della stanza.

Mi liberai dalla stretta. “Lasciami’’

“Corri in camera mia’’, mi ordinò sprezzante.

Lo squadrai. “Non darmi ordini!’’.

“Buoi cambiarti oppure vuoi tornare a casa col raffreddore?’’, insistette lui.

Non osai controbattere, pensando a malavoglia che avesse ragione, mi incamminai veloce all’uscita. Ormai la luce del sole non illuminava la stanza di Iesha e Audax. Le sculture mi scrutavano nelle tenebre.

Prima di chiudermi la porta alle spalle, e Alucard era ancora là dentro, borbottai qualcosa come:

“Vai al Diavolo’’

“Un giorno c’andrò. E quel giorno sarà difficile per me raggiungerti’’, disse Alucard in lontananza. Naturalmente lo ignorai, chiudendo la porta violentemente.


Capitolo 11°, buona lettura, in questo capitolo Alucard dimostra pezzo per pezzo i sentimenti che prova per Alexia...buona lettura!

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Capitolo 13
*** Ritorno a casa! ***


Capitolo 12

Erano le 18.00 di sera. Ma ancora il sole non era tramontato nella valle. Stavo seduta nel letto, con addosso una coperta di lana per coprire addosso a me quello che non c’era da qualche minuti. Alucard sfilò tra i vestiti quello più adatto per me, il vestito che un attimo fa mi ero levata in sua assenza era sopra lo schienale della sedia accanto al camino.

Era una situazione imbarazzante sapere che ero in sua compagnia mentre io ero svestita con solo una coperta addosso per coprire la nudità.

Alla fine ne sfilò uno abito color violetto, leggermente scollato davanti, maniche trasparenti e larghe, la vita alta, evidenziata da una cintura di stoffa color oro.  Le scarpe erano dello stesso colore della cintura. Il vestito era bello, ma allo stesso tempo mi creava spavento sapere che sarei uscita di notte con quello addosso; soprattutto agli occhi di Louis e mia madre.

Non mi ci volle molto per capire che apparteneva a sua madre, l’unico vestito femminile che esistesse in quel castello millenario. Lo appoggiò con delicatezza sul letto, insieme alle scarpette.

“Credo che questo ti stia bene’’, commentò, con un po’ d’impazienza. Si sentiva che ancora l’aria sapeva di rabbia ed odio. Non gli avevo parlato da quando era tornato dentro la stanza, e non avevo alcuna intenzione di parlargli fino a quanto non si sarebbe reso conto del gesto del suo errore.

Senza controbattere, uscì dalla stanza, mi liberai finalmente di quella coperta e scesi dal letto per vestirmi. Senza il vecchio vestito addosso, sentivo l’aria fredda delle pareti castellane. Come se tutto il gelo della stanza di Iesha e Audax mi avrebbe privato del freddo e lo avesse scaturito in quel momento. Soltanto il vestito di seta comoda ebbe il privilegio di riscaldarmi come se stessi accanto al fuoco.

Alucard ritornò nel momento in cui infilai le scarpette, col fare repentino levò il vestito dallo schienale alto della sedia e lo piegò su una coperta di stoffa ricamata. Si voltò dunque verso di me studiandomi dalla testa ai piedi, alzò un sopracciglio. “Bellissima’’, disse con un sorrisetto compiaciuto.

“Grazie’’, dissi, senza ricambiare il sorriso.

“Forse è meglio che scendiamo….’’

“Sono arrivati?!’’, chiesi allarmata.

Soffocò una risata. “Mi hai bloccato. Stavo dicendo: forse è meglio che scendiamo, nostro padre ha preparato la cena per te ’’

Sbarrai gli occhi. “Da quando in qua nostro padre cucina cibo umano?’’

Fece spallucce. “Per quel che ne so da quando gli ha insegnato mia madre’’

Si avvicinò a me, e mi avvicinò all’armadio per specchiarmi, mentre iniziò a pettinarmi i lunghi capelli intrecciati; mi accorsi di sorpresa che nella mano destra stringeva un pettine di legno. Più di tre volte fui scossa da un brivido lungo la schiena quando sentivo le sue dita passare tra le ciocche lisce dei capelli.

Senza alzare lo sguardo da terra, lasciai che mi sfiorasse i capelli fra le sue dita lunghe e bianchissime, che mi intrecciasse le ciocche, e che mi creò una lunga treccia a spiga di pesce. Insieme a qualche capelli aveva intrecciato dei nastri viola e lunghi esattamente come i miei capelli che decorava l’acconciatura. Non riuscivo a vedere il risultato dietro la mia schiena ma supponevo che era riuscito perfettamente. Quando mai un vampiro era in grado di sbagliare? Alzai lo sguardo da lui solo quando lo sentii aprire la porta.

“Grazie”, mormorai infine uscendo dalla stanza.

Lui mi sorrise silenzioso, e mi accompagno fuori dal corridoio, con passo svelto e felino, mi teneva stretta nelle spalle. In quel silenzio tombale aspettavo le sue scusa, ma quel giorno non arrivò mai.

Arrivammo alla sala da pranzo tre minuti dopo, la tavola era imbandita di dolci, spuntini, frutta, tè o acqua, la maggior parte delle bevande era composta da sangue. Davanti al mio piatto ne trovai un bicchiere pieno. Papà intanto ci aspettava a capotavola, sorseggiando la sua bevanda.

Quando si voltò verso la nostra direzione, ci acclamò con un sorriso.

“Ah! Ben venuti, spero che avrete una fame da lupi!”, disse spalancando appena le braccia. 

Mi staccai in fretta dal mio fratellastro e mi trovai accanto alla sua sedia, pronta per abbracciarlo.

“Ben svegliato papà’’, gli baciai una guancia. “Hai dormito bene?’’, chiesi quando mi sedetti accanto a lui. Alucard era seduto alla sua sinistra, il bicchiere di sangue stretto in mano.

“Divinamente, grazie’’, rispose accarezzandomi la mano.

Diede uno sguardo fulmineo al figlio e poi al mio vestito. “Il viola ti dona ’’, osservò.

Sorrisi, lusingata. “Non trovi anche tu? E poi questo abito è molto comodo, mi ci trovo bene’’, dissi, trattenendo un rossore imprevisto.

Sorrise d’approvazione, si abbandonò poi sullo schienale della sedia e ne osservò la tavola imbandita.

“Be’….spero che il cibo ti piaccia. Buon appetito’’

Ne osservai il petto di pollo con insalata condita sul piatto di cristallo. “Grazie, sembra essere tutto così appetitoso’’, e infatti, come mi accorsi dopo, era la prima volta che il sangue sul cibo umano non mi sarebbe mai servito a Redmoon. Quale strana magia si nascondeva in quelle mura? Mangiai per la prima volta come da umana. Divorai un piatto di insalata e carne, qualche frutto succoso e dopo mezz’ora ero già sazia. Non avevo mai avuto così tanta fame in vita mia. Nei piccoli minuti in cui rimanevo zitta, Alucard e mio padre si misero a parlare una lingua che non riuscii a tradurre: parole antiche, millenarie, intraducibili. Quella lingua non esisteva nel vocabolario, nemmeno se avessi fatto una lunga ricerca in biblioteca. Più di tre volte desiderai chiedere di cosa stessero parlando, però rimandavo sempre a qualche minuto dopo. Tra le parole, il suono della loro voce che sembravano formulare delle domande e delle incertezze, colsi rare volte il mio nome e quello di mia madre, solo due volte colsi il nome della madre di Alucard. “forse stanno parlando del loro passato, forse Alucard gli sta raccontando di cosa abbiamo parlato io e lui qualche ora fa’’, pensai tra me e me, mentre ingoiavo un pezzo di carne. Poi pregai che non aggiungesse del nostro litigio che ancora mi faceva ritornare rossa dalla rabbia. Osservavo i loro movimenti facciali, da essi capii la loro preoccupazione dal tono della voce e dall’espressione, la loro serietà e poi si volsero un solo momento per guardarmi. Non badai molto alla loro conversazione quel giorno, anche se non feci a meno di notare che mentre mi guardavano c’era nei loro occhi un senso di ansia, angoscia e curiosità. Poi ritornarono a parlarsi.

Non tormentai ad Alucard riguardo alla loro conversazione, un’ora dopo, quando ci trovammo in biblioteca. Anzi, gli stetti il più lontano possibile; avrebbe capito. All’inizio sembrò anche lui acconsentire alle mie emozioni, anche se presto mi accorsi di sentirmi osservata mentre leggevo con attenzione apparente un romanzo antichissimo. Per tutto il resto della giornata seguii a ruota mio padre, cercando di liberarmi di lui in qualche modo; nonostante tutto me lo sentivo comunque addosso, anche nei momenti in cui era assente, era come se fra noi ci fosse un filo trasparente, difficile da tagliare anche se si avesse usato una motosega, che ci teneva strettamente uniti. Mi resi conto che, oltre ad essere utile, cominciava ad essermi d’impiccio.

Redmoon iniziava ad essermi un logo che mi appesantiva ad ogni passo che facevo; voleva opprimermi, sentirmi schiacciare dalle sue mura antiche e possenti, da quei quadri e statue che sembravano osservarmi e da quei corridoi e stanze di profumo di ricordi antichi, vite trapassate e spezzate, spiriti trasparenti di quelle mura. Redmoon, avrebbe dovuto essere una seconda casa per me, invece–oltre che meraviglioso e spettacolare- era un castello desolato, dove era presente l’angoscia e la tristezza.

In quel piccolo mondo che percorrevo insieme a mio padre i secondi passavano lenti, a Redmoon la vita procede per secondi interminabili; il castello voleva che il suo proprietario non si perdesse niente della vita, che la gustasse come meglio dovrebbe. Ma, infondo, non era per me.

Forse aveva ragione Alucard, forse non ero fatta per essere immortale perché, solo in quel momento me ne rendevo conto, l’eternità prima o poi mi avrebbe stancata, e allora avrei desiderato una vita normale. Per me la mia vita era giusto viverla esattamente come quella degli umani, prima che sia troppo tardi e ti renda conto che guardando indietro ti sei persa alcuni momenti felici e che non avrai più l’occasione di riviverli. Mettendo al confronto la vita di Alucard e la mia, colsi una punta di gelosia e di imbarazzo, anche se dentro mi sentii fortunata.

Ma poi ritornai a guardarlo, e coglievo la sua sofferenza e la sofferenza che in futuro avrebbe dovuto patire se me ne sarei andata per sempre, e l’altro lato del mio cuore mi faceva ritornare la mancanza del desiderio di un avita immortale, con molte aspettative davanti, un futuro migliore, privo di pericoli, pieno di avventure….

E ritornai confusa. Oh, come era difficile ragionare da adulti. Data la mia mezza natura vampiresca mi sentivo piccola di fronte a qualcuno più intelligente di me; se ci fosse stato Alucard al mio posto come avrebbe reagito? Che avrebbe deciso?

Finalmente il sole calò da dietro le montagne e si fece sera. Mamma e Consuelo tornarono come avevano promesso, e con loro portarono anche Louis; non volli valutare le loro espressioni non appena mi videro con addosso un vestito medioevale, mi limitai solo a correre dietro alla mia sorellina che fu la prima a venirmi in contro. E poi vennero altre braccia.

“Sei stata bene?’’, mi chiese Louis non appena ci fummo incontrati. In una piccola parte ero ancora arrabbiata con lui, ma nell’altra ero felicissima di rivederlo.

“Bene’’, risposi. Naturalmente, non sapevo nemmeno io se stavo bene o male, ero in uno stato confusionale: capivo ogni singola mossa che facevo e ogni parola che dicevo, ma era la presenza del mio fratellastro a rendermi confusa. Poi capii il perché: il filo trasparente ora mi stringeva sempre di più fino a desiderare di rivolgergli lo sguardo, e poi c’era l’anello prezioso al mio anulare sinistro che d’improvviso si fece così pesante da abbassare la mano.

“Tu come stai? Tutto bene?’’, chiesi poi. Mi teneva ancora stretta dal primo abbraccio.

“Come vuoi che stia? Ho passato la notte insonne per quanto ero in pensiero per te ’’

“Non avresti dovuto, io ho dormito come un ghiro’’

Sbuffò. “Questo non mi consola’’

“Già, hai ragione. Pessima battuta’’, mormorai infine.

Dietro di noi, la mia famiglia si stava parlando. Noi eravamo a cinque metri da loro, al centro del cortile, abbastanza lontani da non volgere lo sguardo a chi stavo pensando.

“Lo sai che non mi è piaciuto quello che hai fatto?’’, chiesi dopo, improvvisamente fredda.

Sospirò rassegnato. Lo conoscevo bene, sperava che avessi dimenticato quell’incidente. “Odio quel parassita’’, sputò fra i denti.

“Quel parassita ha un nome: Alucard. È c’è di più: è il mio fratellastro. E vuoi sapere la novità? D’ora in poi insieme a lui verrà a farci visita anche Drakon, quindi se mi ami sul serio dai loro una possibilità’’, in un certo senso avevo il diritto di difendere Alucard, almeno un pochino. Per quanto a mio padre….gli serviva due guardie del corpo; forse di più.

Louis rimase basito dal mio avvertimento perché rimase per un lungo periodo di secondi in silenzio, tanto che iniziai ad intuire di averlo mandato su tutte le furie. Alla fine riuscii a dire:

“Non so se dovrei provare qualcosa di positivo o negativo riguardo alle tue scelte’’

Mi resi conto che avevo sciolto l’abbraccio. “Non parlarmi di scelte, in parte sento che sto facendo la cosa giusta per tutti’’

“O forse per te ’’

“Non voglio litigare un’altra volta’’, supplicai. Non ero in vena di parlare tanto. Già c’era lo sguardo di Alucard che mi metteva disagio, iniziai a desiderare di andarmene al più presto da lì.

Sospirò. “Nemmeno io, ma sappi che non riuscirò a resistere ancora per molto. Prima o poi, uno di questi giorni esploderò’’

“Louis, all’improvviso tutto è cambiato così radicalmente, da farmi intuire che presto anch’io esploderò, sta diventando tutto così difficile’’

“E insensato’’

“Che vuoi dire?’’

Mi guardava fisso negl’occhi, era serio. “Perché stare così vicino a delle persone che ti stanno rapidamente cambiando? Sinceramente, non ti riconosco più, sembri…trasformata’’. Mi stupii di me stessa; ero così cocciutamente distratta da ignorarlo? Non  mi sarei immaginata che in tutti quei mesi - trascorsi a dividermi in due per lui e per Alucard- lo avessi scansato. Eppure ci avevo messo tutta la forza per non far mancare niente ad ognuno. Che mi fossi sbagliata? Forse non avevo trovato un giusto equilibrio, o forse era veramente Redmoon che mi faceva andare totalmente fuori di testa.

Mi riaffiorarono alla mente alcuni ricordi: quel lontano giorno in cui mia sorella mi parlò del vento, dell’avvertimento, quelle notti passate in compagnia di Alucard, le sue decisioni di un futuro prossimo, e le mie, quel pomeriggio in cui presi fra le mani il suo diario segreto, quel simbolo, la collana, il suo profumo. Era lui che mi stava cambiando, la sua presenza mi trasformava in un'altra Alexia. E sembrava fosse destino. Nei giorni passati speravo che non avrei più assistito a complicazioni del genere per un lungo periodo di tempo, invece erano sempre lì – nascosti, invisibili-  che piano piano iniziavano a farsi scorgere. Ecco un altro cambiamento della mia vita: il mio.

In quel momento mi accorsi che mia madre mi stava chiamando per salutare Drakon e Alucard, solo che non potei sentirli perché ero stata troppo soprappensiero, allora Louis fu costretto a darmi uno strattone che io sentii e mi mossi. Salutai mio padre ed Alucard, quest’ultimo però non riuscii a rivolgergli lo sguardo.

Appena salita in macchina, tra le gambe avevo il lenzuolo con dentro piegato l’abito da sposa di mamma, mi sentii a mio agio e la pesantezza di Redmoon che mi opprimeva svanii del tutto.

Quella notte, fu la prima in tutto un anno che non concedetti a Louis di un bacio; quella notte mi chiusi nella stanza dopo mangiato, inchiavai la finestra e mi distesi nel letto. Inconsciamente mi misi a guardare le mani. Erano sempre le mani di Alexia Kennedy, ma allo stesso tempo sembrava che non mi appartenessero più. 

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Capitolo 14
*** "una grande famiglia felice"?...si fa per dire ***



capitolo 13

Se ora pensiate che dopo quell’avvenimento avessi trascurato totalmente Alucard, non fu così. Premetto che cercai di equilibrare una certa distanza fra lui e me, ma non gli diedi esagerazione. Era sempre presente nella mia vita, come anche Drakon. Mio padre iniziò a stabilire un buon rapporto con la nostra famiglia, specialmente con Hendrik, e pian piano si avvicinava a noi, se qualche settimane dopo la festa restava solo intorno il giardino della casa per conversare con me o con gli altri ora vi ci entrava ogni sera che voleva insieme al figlio. E ogni volta era una festa; era come se ricevessimo il re in persona. Io, per tanto, iniziavo a concentrarmi di più su Louis e la mia sorellina. Da quel giorno in cui decisi di dare una piccola svolta alla mia vita, mi accorsi che il mio fidanzato iniziava a richiamare di meno la frustrazione per Alucard, tanto che un mese dopo iniziava a parlare due o tre volte alla settimana di lui; così facendo ritrovai il sapore di quella vicinanza che non ero riuscita più a percepire da molto molto tempo. Sembrava essere passato un anno da quando non eravamo più riusciti a stare così vicini invece era passato solo qualche mese. Per quanto al povero Alucard, accettava senza alcun lamento ogni mia deviazione. Iniziò a parlare più con la mia famiglia che con me, una di quelle volte in cui avevo l’occasione di parlargli era il momento in cui Louis se n’era andato ed era quasi venuta l’ora di salutarci. Solo più tardi mi accorsi che mi stava facendo un favore. Come me, voleva che stavo più accanto all’uomo che amavo, e anche ai miei amici. Insomma, la maggior parte del tempo la passavo con lo studio a casa e insieme al mio fidanzato, con i mei amici e solo di sera passavo la fine della giornata in famiglia.

Di sicuro per voi, credereste che in questo modo le cose stavano andando come dovevano. Anche se era giusto che la mia vita proseguisse in quelle giornate ripetitive, non poteva rimanere tale per molto. Nello stomaco mi si creò un tale vuoto da farmi sentire…forse non è molto facile descriverlo a parola. Sapevo solo che non era così che doveva andare, non era la vita che desideravo procedesse in quel verso. Non mi ci trovavo. Avrei immaginato che dopo il rappacificamento con Drakon le cose sarebbero andate nel verso giusto, invece non fecero che peggiorare. Solo le consolazioni di Louis e dei miei amici- e soprattutto quelli di mamma- riuscivano a farmi muovere giorno dopo giorno. Dentro sentivo un’antica nostalgia.

Così trascorsero tre mesi, i primi mesi più duri in tutta la mia vita; non mi sarei mai aspettata una situazione così, né pensavo che andasse a peggiorare. Alucard iniziò a venire raramente a casa mia, tanto che nel mese di Agosto – un mese prima alla fine delle superiori- restò così assente nelle due ultime settimane da costringermi a fare una visita a Redmoon.

Indossavo vestiti corti: pantaloncini leggeri di color fucsia che mi arrivavano fino ai ginocchi, maglietta beige a maniche sottili con il copri spalle bianco. Teoricamente avrei dovuto portarmi l’ombrello dato che il sole picchiettava furiosamente contro di me, ma mi ero creata una barriera in modo da proteggere la pelle; l’unica cosa che desideravo in quella giornata era trovare subito l’ombra perché dentro quella bolla trasparente si respirava il deserto del Sahara.

All’entrata, non feci in tempo a bussare la porta che immediatamente mio padre la aprì. Giusto, avevo l’udito più forte del mio. Quando lo incontrai con lo sguardo gli rivolsi un sorriso pieno di gioia, e mi gettai fra le sue braccia: erano tre giorni che non ci vedevamo. Dopotutto era strano, se Alucard era assente da settimane come mai non era venuto ad avvisarmi?

“Ciao, papà, come stai?’’, chiesi non appena chiuse il portone alle nostre spalle. Il silenzio tombale del corridoio fu spezzato dal rumore rimbombante della porta.

“Bene, mi meraviglia che tu sia venuta qui, oggi, in una giornata cocente’’

“Ho generato uno scudo che mi proteggeva dai raggi solari’’, che in quel momento non avevo più. la bolla trasparente scoppiò deliberando il calore insopportabile che avevo respirato dentro di essa. Avrei immaginato che fuori era più fresco di dentro quello scudo incandescente.

Ora però, potevo godere pienamente della freschezza delle mura antiche di Redmoon.

In silenzio, ci dirigemmo verso la cucina. papà mi cingeva le spalle con un braccio; mi sentivo protetta con addosso il suo braccio muscoloso e forte. a metà strada ricominciai a parlare.

“Presto finirò la scuola’’

Gli occhi di mio padre si spalancarono dallo stupore. “Di già?’’

Mi sarei aspettata un: “Davvero? E sarai promossa?’’, oppure “Come ti senti ora che ti avvicini alla fine delle lezioni?’’. Infondo, avevo un padre all’antica e presumibilmente di scuole non ne sapeva molto.

“Sì, tu di scuola quanta ne facevi?’’

“Massimo quattro anni, ma in quel tempo si studiava molto di più. Mi considerai fortunato di non essere cresciuto analfabeta’’. Fu come un ringraziamento ai suoi genitori per avergli concesso di frequentare una scuola.

“Ed era difficile?’’

“Molti miei compagni lasciarono la classe prima che finisse l’anno scolastico’’

Lanciai un fischio. “E Alucard ha studiato molto?’’

“Ha frequentato molte scuole, insieme a me, ovviamente, dato che nei vecchi secoli ci potevamo scambiare facilmente per fratelli’’

“All’inizio avrei pensato anche io che era tuo fratello’’. Risi do me stessa.

Ora mi aveva fatto accomodare su una sedia del tavolo. Lui si mise accanto a me, teneva le mie mano calde fra le sue, calde anche esse.

E di nuovo silenzio, finché non decisi di deviare l’argomento “scuola”.

Lo guardai con la cosa dell’occhio per vedere se riusciva a non notare la mia preoccupazione. Sospirai, cercando le parola.

“Papà, è da qualche settimana che non vedo Alucard’’, cominciai. Già sentivo che non era nel castello. “Dov’è?’’, chiesi infine, più determinata.

Lo vidi irrigidirsi. “Lui…per il momento non è qui’’.

“Volevo solo parlargli, sai, è tanto tempo che non passo in sua compagnia e mi manca tanto’’

Mi rivolse un sorriso consolatorio. “Anche tu gli manchi, non appena lo vedo glie lo dirò’’

“È a caccia?’’

Si strinse nelle spalle. “No’’

D’improvviso sentii il mio stomaco ribaltarsi. Cattivo segno. “E dov’è?’’

Ci un lungo minuto di silenzio, il tempo sembrò essersi fermato, e poi…

“È andato a Boscosempreverde nella “ Terra degli gnomi e degli orchi” a fare visita ai nostri parenti’’

Fui talmente scandalizzata da quella notizia che non mi accorsi nemmeno che mi ero alzata di scatto dalla sedia e guardavo spaventata mio padre. Anche lui presto si mise a guardarmi spaventato, con una buona ragione però. Di sicuro ero più bianca di quanto non lo sono già.

“Alexia’’, mi chiamò.

Ma io in quel momento non sentivo altro che un leggiero fischio alle orecchie, e qualche ondeggiamento. Sentivo che stavo per svenire. Papà mi diede uno strattone e mi volsi a guardarlo poiché prima osservavo il vuoto.

“Papà…perché?’’

“Di sicuro voleva un po’ di privacy, oppure un riparo per questa stazione’’

“O forse voleva allontanarsi da me’’, conclusi. Le lacrime mi rigavano il viso, mi misi d’istinto le mani in faccia per coprirmi gli occhi.

“Oh, no tesoro, non pensare mai che si a causa tua’’

“Invece sì, lo faccio soffrire’’, singhiozzai.

La mani di Drakon afferrarono le mie per scoprirmi il viso; ma per la vergogna di farmi vedere in lacrime scontrai il volto contro il suo petto marmoreo, bagnandogli la camicia.

“Non mi ha mai dimostrato niente di tutto ciò’’

“E allora perché è andato via’’

“Aveva una buona ragione che non mi ha detto ’’

Soffocai un nodo in gola. “Non è giusto!’’

Drakon prese ad accarezzarmi a testa. “Non puoi cambiare una decisione che ha preso. Quando ritornerà potrai parlarci’’

Lo guardai dritto negl’occhi. sapevo cosa vedeva: rabbia, tristezza, rimorso. “E quando ritorna?’’

“Fra qualche settimana’’

Fra qualche settimana? No, per me era troppo, era già impossibile sentirlo distante da due settimane, figuriamo da tre o quattro come potrebbe essere atroce. Mi sentii in colpa per quello che gli avevo fatto, sapevo che la causa ero io.

“Perché non me lo hai detto prima?’’

“Mi aveva avvisato di non dirtelo’’

“Che testardo’’

“Ora capisco da chi ha preso’’, e strizzò l’occhio.

Di rimando gli diedi uno strattone sperando di farlo sobbalzare, invece si scansò un po’ da me.

“Non preoccuparti, tornerà molto presto ’’

“Mi dispiace’’

“Non devi dispiacerti, è solo una piccola vacanza, che vuoi che sia due settimane?’’, forse consolava se stesso ma non me.

“Per me due settimane sono un’eternità’’

Mi accarezzò la guancia. “Non ci pensare’’

“Ok’’, però mentivo.

 Lo salutai, lo ringraziai e ritornai rapidamente a casa con la stessa maniera in cui ero arrivata. Quel giorno rimasi rinchiusa nella mia camera, restando col volto rivolto continuamente verso la finestra. Era da quel saluto a Redmoon che aveva smesso di farmi visita di notte. E da quel giorno avvertivo sempre di più la sua assenza, anche se ignoravo la maggior parte delle volte la sua mancanza. Speravo che da un momento all’altro avrei riconosciuto la sua figura ma per quanto la desiderassi non arrivò mai. Nemmeno domani e dopodomani. Nemmeno il giorno dopo, del giorno dopo, del giorno dopo, e i giorni si tramutarono in una settimana, poi un’altra e un’altra ancora. Fino ad arrivare a pochi giorni al termine della scuola.

Da quando avevo detto ai miei amici erano andati via, capirono in me il dispiacere- iniziai a sorridere poco e nelle riunioni tra amici parlavo scarsamente- soltanto Paul e Jennifer, da come riuscii a intuire molto presto, sembravano aver vinto contro ogni mia felicità e Alucard. Sicuramente avrebbero desiderato che non tornasse mai più.

Finita la scuola mi incamminai immediatamente verso casa mia a passo da umano, Louis era rimasto a casa per colpa dell’influenza –quel pomeriggio sarei andata a trovarlo- quindi quel giorno non mi avrebbe accompagnata verso casa come faceva quasi tutte le mattine. Quella mattina il cielo era coperto da un mantello di nuvole nere che promettevano un temporale, per cui dovevo sbrigarmi per entrare dentro casa. Anche se, infondo, farmi una bella doccia pomeridiana non mi dispiaceva.

Non tracciai nemmeno un quarto di strada che mi sentii afferrare violentemente alla spalla, e per poco non lanciai un urlo.

“Ehilà! Come sta Morticia?’’, mi salutò Paul.

Grandioso, mancava solo King Kong per farmi la predica! L’ultima cosa in quella giornata che avrei voluto aspettarmi era quello di incontrarlo. Come si suol dire: “Si parla del diavolo e spunta le corna”. Avvolte mi chiedevo se il diavolo in questione era oltretutto Jennifer.

“Mi dispiace, non conosco nessuna Morticia’’, tagliai corto io, scrollandomi la sua mano di dosso ed incamminandomi sempre più veloce verso casa, ma dopo pochi secondi mi sbarrò di nuovo la strada.

“Non sembri intenzionata a rivolgermi la parola’’, osservò lui.

“Vedo che ci sei arrivato. Questo mi fa capire che a scuola non sei così somaro come pensavo’’

Mi saettò con lo sguardo. “Senti chi parla’’, disse fra se.

Continuammo a camminare. “Che cosa vuoi?’’, chiesi dopo.

“Mi sembra evidente: ti accompagno a casa ’’

Mi immobilizzai. “E perché?’’

“Perché voglio accompagnarti a casa ’’

“Louis ti a chiesto di farlo?’’

“No, l’ho scelto io’’

Sospirai. “Allora, mi dispiace, ma potevi scegliere tutt’altro che questa cosa, non mi serve la tua compagnia, so camminare anche da sola’’, e ritornai a camminare.

Cadde d’improvviso uno strano silenzio, la via su cui mi stavo incamminando era isolata: una parte del villaggio che veniva poco passeggiata dagli abitanti. Quindi, cominciai a pensare che avevo scelto il luogo adatto per cacciarmi nei guai, specialmente se nei paraggi c’era lui.

Ero a mezzo metro lontano da Paul quando mi sentii mancare, e un attimo dopo ero distesa a terra, sopraffatta da un dolore cruciale che non sapevo descriverlo a parola. Non riuscivo ad urlare perché una nebbia oscura mi aveva inondata il corpo immobilizzandomelo, oltre che a martoriarlo. Arrestava ogni mio movimento e si concentrava dentro di me, mi mandava in tilt il cervello, non capivo più niente, mi girava la testa, e l’unica cosa che sapevo fare era guardare le nuvole in cielo.

Un attimo dopo Paul era sopra di me, mi bloccava le braccia anche se non gli sarebbe servito.

“A quanto pare non credo che tu abbia molte possibilità di salvarti. Non pensavo che saresti stata così sciocca da non usare il tuo scudo’’

E in effetti mi sentii veramente una sciocca. La noia di quel giorno, e tanta fretta, mi aveva fatto dimenticare quanto era perfettamente maligno; e in quei casi c’era bisogno di uno scudo, ormai però non sarei stata in grado da concentrarmi per generarlo.

Qualcosa di pesante mi si scontrò contro il corpo bloccandomi perfino ogni cellule macroscopiche del corpo, credetti che c’era qualcosa di molto pesante che in realtà non esisteva: più tardi capii che aveva usato più concentrazione da immobilizzarmi del tutto. Un illusione.

“Sarebbe stato più eccitante sapere che ti avrebbe accorso il tuo fratellino per liberarti, ma come sappiamo lui non verrà più’’, continuò con un sorriso che non tradiva emozioni. Si era trasformato radicalmente nel “Paul cattivo” che conoscevo.

Era orribile assistere a quella sorte, vederla in faccia senza muoversi o parlare, sapendo che prima o poi sarebbe terminato tutto.

“Sapevamo entrambi che sarebbe finita così: che il tuo fratellastro ti avrebbe lasciata abbandonandoti a questo terribile destino. Avresti dovuto darmi retta Alexia: un vampiro crudele si riconosce subito, ma tu sei stata così incantata dal suo sguardo che non hai voluto sentire ragioni. Sei incredibilmente stupida da far soffrire perfino il mio migliore amico ’’

Presto, molto presto, sentivo che le forze mi avrebbero lasciata, non sarei riuscita a controllare per molto quel dolore: era più cocente di quando la mia gola sentiva il richiamo della sete.

“Non sopporto la gente che non mi da mai ascolto, e non sopporto la gente che fa soffrire le persone che sono affezionato”, si vedeva che si vendicava per quello che avevo fatto a Louis nei mesi scorsi, ma si stava vendicando nel modo sbagliato. “Quindi ci sarà una buona ragione per cui lo faccio. Spero che sarai di nuovo viva dopo che ti avrò staccato un arto o un dito; tanto sei immortale, no? Con un piccolo taglio puoi vivere altri decenni’’. Mentre diceva questo estrasse dallo zaino un coltello grande quanto il mio avambraccio.

Mi venne un forte brivido lungo la schiena addolorata alla vista della lama argentea. Il vetro rispecchiava il mio viso intrappolato in una smorfia di dolore, tanto da spaventarmi.

Lentamente appoggiò la punta aguzza sotto il mio collo. “Magari due dita sono sufficienti, almeno non mi potranno accusare di omicidio colposo, sempre che tu possa tenere quella velenosa boccaccia chiusa’’, mi minacciò.

Non lo aveva mai visto così arrabbiato, e – dovevo dire la verità- mi faceva paura. Riuscivo chiaramente ad immaginarmi che cosa mi sarei aspettata dopo che se ne sarebbe andato; questo mi fece causare un altro brivido.

La punta della lama brillò alla luce fioca del sole oltre le nuvole, e capii che non sarebbe mai venuto nessuno a soccorrermi per liberarmi di dosso il tiranno. E Alucard non sarebbe mai venuto a sapere la verità. E nemmeno Louis.

Ricordate quando vi avevo annotato che i mezzi-vampiri possono essere feriti con qualsiasi arma perché mortali? Ecco, una di queste era quella arma, ma anche la più mortale. D’improvviso ricordai un momento di molti anni fa in cui leggevo sul mio letto un romanzo sulle persone della mia razza (avevo undici anni). Ricordai che la vampira fu uccisa da un cacciatore per mezzo di un coltello argentato. L’argento: ecco un’altra arma storica che può uccidere immediatamente un vampiro. E la lama del coltello di Paul era d’argento.

Forse mi sarei dissolta immediatamente nell’aria come polvere, oppure i miei familiari mi avrebbero trovato con qualcosa rimasto di me che ancora non era stato decomposto. Forse un po’ troppo. E Paul che avrebbe fatto? Sicuramente mi avrebbe buttato in un lago o seppellita sotto terra nella campagna. E che cosa avrebbe detto ai miei genitori?

Mentre il mio cervello era ancora in grado di formularmi queste domande ecco che Paul alzo il coltello e puntando in alto la lama nel punto del mio cuore frenetico. E aspettai, non c’era altra alternativa che vedere la propria morte in faccia. Ma era troppo, troppo presto per morire.

La lama era troppo alzata verso il cielo, così tanto da scaturirne una linea di luce che mi lasciò gli occhi infastiditi, e non mi permise di vedere quello che per me fu troppo veloce per capirne; e lo contraddistinsi a rumori.

Sentii una forte ventata gelida, e sicuramente la sentì anche Paul, il peso del suo corpo sparii e colsi il rumore di uno schianto. Un grido. Nel momento stesso in cui le mani di Paul lasciarono involontariamente la lama cadde tra lo spazio che divideva la mia guancia parallela al mio braccio, sfiorandomi fortunatamente l’orecchio.

Come una corda che si snoda nel collo d’un condannato, la morsa di dolore che mi teneva avvinghiata al suolo ora mi aveva abbandonata, ritrovando subito dopo la sensibilità delle dita, poi degli arti, del collo, e in seguito di tutto il corpo.

Mi alzai di schiena tenendomi in equilibrio con i gomiti, fu in quel momento che il mio sguardo si scontrò con quello di una ragazza.

“Stai bene?’’, mi chiese la voce squillante della ragazza. Il suo viso diafano era preoccupato.

Stavo bene? Non lo sapevo, non sapevo cosa stava succedendo e l’unica cosa che volevo fare era scappare. E Paul dov’era?

“Sono confusa’’, mormorai piano, cercando di non pensare al giramento di testa che avevo causato quando mi alzai. Mi sentivo di nuovo sensibile di ogni movimento, ma allo stesso tempo priva di qualsiasi forza.

La ragazza mi afferrò per un braccio, un attimo dopo ero in piedi. “Vieni con me, dobbiamo allontanarci da qui’’, avvisò impaziente.

“Chi sei?’’

“Non è il momento delle spiegazioni, corri!’’

Affianco a me, scontrato contro un albero, nell’altro lato della strada, Paul stava riacquistando conoscenza. Mi volsi per guardare al ragazza, spaventata. Cosa era successo? Come aveva fatto la femmina a catapultarlo così forte contro una pianta? E come aveva fatto a sentirmi?

Solo quando mi incoraggio a correre, e non si spaventava della mia velocità, e mi accorsi che era più rapida di me nei movimenti capii il perché. Lasciammo di fretta Solemville, nel più completo silenzio, abbandonammo Paul nella sua più completa sconfitta, consapevole che se non fosse stato per quella strana vampira a quest’ora mi sarei mischiata con la cenere nel camino.

Nemmeno un minuto dopo, fui io ad indurla verso Boscosenzafine e ci ritrovammo fra i fitti alberi della vegetazione. Mi sedetti stanca su una pietra e sospirai come un umano che aveva corso per miglia e miglia senza mai fare una pausa. E la ragazza stava in piedi guardando  prima me poi la vegetazione oscura.

Solo in quel momento mi accorsi di quant’era piccola. Avrà avuto quattordici o quindici anni ed era più bassa di me. Era un vampira molto graziosa, pelle diafana, capelli biondi e mossi che gli arrivavano fino alle spalle, anche se erano spettinati glia stavano bene. I viso a forma di cuore e il nasino piccolo, le labbra sottili, gli zigomi prominenti, era di statura minuta ma abbastanza agile. Indossava una gonna di stoffa color verde muschio che gli arrivava fino alle ginocchia, lo stesso valeva anche per le calze nere con le scarpette da ballerina dello stesso colore, una maglietta a maniche corte color corallo e delle copri-spalle beige. Si poteva dire che si adattava facilmente alla vegetazione del bosco se non era per il copri-spalle.

“Ti ringrazio di avermi salvata’’, ansimai nello stesso istante in cui lei disse: “Chi era quello?’’

Poi si inceppò. “Oh, di nulla”, rispose infine. Poi mi rifece la stessa domanda.

Sospirai pesantemente. “Paul, uno che ho scritto nella classifica della lista nera degli amici’’

“Oh”

Mi concesse ancora qualche minuto per riprendere fiato e poi mi alzai dalla pietra. La sua altezza mi arrivava fin sotto la mia spalla.

“Chi sei tu?’’, chiesi finalmente.

Sorrise, come se aspettasse da tempo questa domanda. “Mi chiamo Eclissea, ma tu puoi chiamarmi naturalmente Eclissi’’

“Wow, Eclissi, bel nome!’’

Si mise le mani dietro la schiena e cominciò a ciondolare. “Oh, grazie! Anche Alexia è un bel nome’’

Non mi sembrava di averle svelato il mio nome. “Come fai a sapere come mi chiamo?’’, chiesi, impietrita.

“Con calma, lasciati almeno vedere’’

La guardai disorientata. “Che?’’

“Intendo: girati, voglio vedere come sei bella!’’

Feci controvoglia come mi aveva detto, quando incontrai di nuovo il suo sguardo mi accorsi che mi guardava ammaliata.

“Accidenti, sapevo che eri così bella come mi aveva detto!’’, squittì. “Il che vuol dire che ho una nuova cavia come modella!’’.

“Chi ti ha detto che sono bella? Un momento….Cavia come modella? Ma sei matta! Senti, Eclissi, penso che sei una bambina dolce e altrettanto coraggiosa ma questo tuo cambiamento di umore mi sta letteralmente facendo impazzire’’, tagliai corto io, sospendendo il silenzio intorno a noi. In un certo senso sembrava di stare di nuovo faccia a faccia con mia madre: attratta per l’argomento “Bellezza”. Poi Eclissea mi rivolse un sorriso innocente.

“Ops, scusami, mi sono lasciata trasportare dalla fantasia”

“Perché mi hai salvata?’’

“Per due motivi: uno perché ne avevi il disperato bisogno, e perché dovevo venire per l’appunto da te ’’

“Oh’’, in entrambi i due motivi avrebbe avuto ragione. “E perché dovevi cercarmi?’’

“Vengo dalla Terra degli gnomi e dei giganti’’

Il nome di quella terra mi parve di colpo familiare che le gettai subito le braccia al collo, significava soltanto una cosa: Alucard.

“Oh, Eclissi, non sai quanto sono felice sentirti questo! Quindi sai di Alucard! È venuto a trovarvi? Come sta? Da quanto è da voi?’’

“Ehi, ehi! Quante domande!’’, rise.

Ora avevo sciolto l’abbraccio. “Ti prego Eclissi, è una cosa importante. Voglio sapere se mio fratello sta bene’’

Mi guardò torva. “Non era il tuo fratellastro?’’

“Sì…però….è sempre parte di me’’

Mi rivolse un sorriso talmente dolce che riuscì a spazzarmi via ogni preoccupazione. “Tranquilla, lui sta bene. È con la mia famiglia, mi ha fatto mandare da te per dirti della sua partenza e voleva anche sapere come stavi. Bè…..credo che dopo averci salutate dovrò dirgli di quell’infortunio con Paolo’’

“Paul’’, precisai.

“Quello che è. Odio anche il secondo nome’’

Trattenni una risata, poi ritornai seria. “Non dire a Alucard quello che è successo con Paul, ti prego. Se andasse su tutte le furie…’’, scrollai spaventata l’immagine che mi era apparsa.

Sospirò sconfitta. “E va bene, però gli dirò solo che hai avuto un infortunio. E il resto dovrai raccontarglielo tu, d’accordo?’’

“Va bene’’

Restammo un’altra volta in silenzio, a guardarci, pensavo che Eclissa sarebbe tornata di nuovo sull’argomento “Moda’’, invece fui io a parlare per prima. Forse per uno scopo evidente.

“Ma che cos’hanno i tuoi occhi?’’, chiesi spaventata ed incuriosita allo stesso tempo.

Occhi belli come i suoi non li avevo mai visti. Di sicuro non apparteneva al genere umano. Ero così abituata a riconoscere il colore sangue negli occhi dei miei familiari immortali che rimasi pressoché basita di accorgermi solo in quel momento che il colore dei suoi occhi era di un castano dorato.

Rise imbarazzata. “Anche i tuoi non sono tanto brutti sai. Però fanno piuttosto paura’’

Di sicuro il rosso sarebbe apparso nel momento in cui avevo perso la pazienza e l’avevo indotta a chiarire il suo comportamento di qualche minuto fa. Mi sentii in colpa d’averla spaventata.

“Oh, scusami’’

Fece una smorfia. “Non ti preoccupare, anzi sono proprio i classici occhi di un vero vampiro. Mi piacciono molto!’’, e si avvicinò a me, alzandosi con la punta dei piedi, per osservarli meglio.

“Anche i tuoi sono molto belli, sai?’’

“Davvero! Tu trovi?’’

“Certo’’. Ed era vero, occhi così belli non li aveva mai visti.

“Grazie! Noi vampiri ci consideriamo sia diversi in razze sia diversi in luoghi di origine. Io e la mia famiglia che veniamo di Boscosempreverde abbiamo questi occhi d’orati perché richiamano la foresta; avvolte tendono al verde chiaro, soprattutto quando siamo assetati. Poi ci sono i vampiri che hanno gli occhi di colore del cielo e che abitano in Skyland, e poi ci sono vampiri che abitano a Landeland e hanno gli occhi di colore ramato con qualche sfumatura in oro. Ecco un buon motivo per riconoscerci. I tuoi occhi rossi forse sono dovuti, come a tuo padre a al tuo fratellastro, allo stretto rapporto con il mondo umano e quello vampiresco. Insomma il nostro colore degli occhi ha uno scopo preciso ’’

“Quindi tu hai gli occhi oro e verde perché abiti nella foresta’’

Alzò un pollice. “Esatto!’’

“Non pensavo che ci fosse anche una teoria sui nostri occhi’’

“È una cosa che abbiamo ipotizzato noi e non hanno niente di storico ne sono scritti sui libri’’

“Wow!”, non trovavo le parole specifiche per quanto fossi stata impressionata dalla nuova scoperta.

“Alucard mi ha detto che sei un Sanguemisto’’

“Ti ha raccontato proprio tutto di me, eh?’’

“Bè, non proprio tutto. Ho solo ben capito che tu sei nata da un umana e da suo padre’’

“Forse non ti aveva detto che io ho salvato mi a madre mentre stava per morire tramite il mio potere, e che sono passati molti anni prima che io abbia incontrato Drakon e Alucard’’

Dalla sua meraviglia negli occhi ipotizzai che Alucard gli avesse nascosto molte cose. “Davvero? E perché erano passati così tanti anni?’’

“Perché ce l’aveva a morte con loro’’

Mi guardò torva.

“È una storia molto lunga’’, precisai. “Ma sarei molto felice se rimani con me, ti potrei presentare alla mia famiglia e possiamo conoscerci meglio’’, all’improvviso mi accorsi che mi trovavo a mio agio anche se in compagnia con una vampira più piccola di me e con la quale sapevo soltanto pochissime cose.

Mentre dicevo questo nel suo viso si formò un’espressione di spavento. Allora mi fermai.

“Vorrei tanto conoscere la tua famiglia…’’, cominciò lei insistente. “…ma io non caccio animali’’, aggiunse un sorriso d’imbarazzo.

Mi pietrificai. “Oh”

“E comunque dovevo solo fare da messaggero, nient’altro. Non avrei dovuto intrattenermi così a lungo ’’

“Sei da sola?’’

“Sì, me ne sono andata da Boscosempreverde con una scusante facendo ingannare i miei genitori dicendo loro che dovevo andare a caccia”

“E Alucard lo sa?’’

“Mi ha inviato lui fino a te. Credo che in questo momento stia cercando di placare l’ira dei miei genitori’’

La curiosità mi avvolse di nuovo. “Sei un Purosangue?’’

“No, sono una Mezzosangue. I miei genitori adottivi sono Purosangue, io sono stata salvata da loro centotre anni fa mentre un uomo aveva cercato di usarmi violenza. Stavo per morire’’, nel suo viso si lesse una smorfia di dolore.

“Mi dispiace tanto’’, la abbracciai dolcemente sollevandola appena.

“Non ti preoccupare, ora non mi ricordo più niente dei miei veri genitori. A differenza dei Sanguemisti e i Purosangue, dopo la nostra trasformazione non ci ricordiamo quasi più niente della vita precedente. Col tempo i ricordi si dissolvono come fumo nell’aria’’

“Capisco’’

Si guardò rapidamente attorno. “Pensi che quel Paul ti darà di nuovo fastidio?’’

“Dopo che ha visto una vampira più piccola di lui scontrarlo contro un albero credo proprio di no, penserà che ci sarai sempre tu nei paraggi una volta che mi vedrà’’

Scoppiammo tutte e due a ridere.

“Che bello, è da tanto che faccio fuori un omone grosso come quello lì’’, gioii.

“Hai mai combattuto?’’

“No, mai, ma vorrei tanto assistere ad una battaglia’’

“Ti piace l’avventura’’, osservai.

“Eccome!’’

“Allora in questo possiamo considerarci sulla stessa barca’’

Per la prima volta mi gettò le braccia al collo, e sentii la forza potente di un vampiro perché quasi non persi l’equilibrio.

“Se per caso quel gorilla ti da nuovo fastidio, manda Alucard da me così ci penso io’’, mi fece l’occhiolino.

“Al massimo ti chiamerò per lasciare che tu lo stordisca o cose del genere ma mai per ucciderlo’’

“Per me è uguale’’

“Però devi stare attenta: ha il potere del dolore. con rapidità affligge un dolore cruciale che neanche immagini quanto sia mortale’’

Fece di nuovo quella smorfia menefreghista. “Per Eclissia nessun problema. Io ho il potere di respingere i poteri e rimandarli all’emittente, se stai accanto a me la sicurezza è assicurata’’

Granai gli occhi. “Ma come fai?’’

“Come fai tu a dare la vita? Come fa Alucard e Drakon a dare la morte? Abbiamo un dono ’’

“Nel tuo caso è un dono davvero speciale’’

Mi fece l’occhiolino. “Anche il tuo. Di gran lunga il più speciale di tutti gli elementi, come quello della morte’’

“Già’’. Nella mia mente si raffigurò la collana che avevo regalato a Alucard per il compleanno. Mi chiesi se la stava indossando anche in quel momento di distanza.

“Sai quando tornerà Alucard?’’

“Fra due giorni verrà, quindi via quell’impazienza di rivederlo. Capisco quanto sei affezionata a lui ’’

Le sorrisi grata. “ Grazie di tutto Eclissia, spero di rivederci un giorno’’

Ci abbracciammo di nuovo. “ Anche io sono stata molto felice di vederti. Un giorno vieni a farci visita, saremo molto felice di ospitarti’’

“Appena iniziano le vacanze estive cercherò di convincere mio padre’’

“Porgi i saluti a Drakon da parte mia. Ci rivedremo un giorno, non so quando ma ci rivedremo. Forse non è poi così lontano ’’, diceva questo mentre indietreggiava davanti a me.

Sentivo dentro che in quelle parole si nascondeva la verità. “Attenderò quel giorno’’, sorrisi.

Mentre si allontanava, mi accorsi con quanta rapidità ero riuscita a farmi amica una vampira così pimpante e gioiosa; in un certo senso rispecchiava il carattere di mia sorella, solo che a differenza di Consuelo lei era intrappolata in quel corpo da bambina per tutta l’eternità.

Fui in tempo a dirle un ultima cosa prima di vederla scomparire: “Dì a Alucard che si aspetterà una bella ramanzina quando ritornerà’’, e Eclisse se ne andò fuori da Boscosenzafine lasciando dietro di se una risata fragorosa.

Dopo quel rapido e speciale incontro, decisi di restare dentro il bosco ancora per un po’ donde evitare un’altra volta la stessa morte di qualche ora fa. Avvisai i miei genitori, tralasciando la parte in cui Paul aveva estratto il coltello dallo zaino e…tutto il resto.

“Se prova un’altra volta a minacciarti, giuro che…’’

“Non è successo niente, mamma ’’, la interruppi io con voce mielata. E per l’appunto una cosa del genere non sarebbe mai più successa, me lo sentivo, perché Paul non si sarebbe più permesso di toccarmi dopo aver avuto quella brutta esperienza; Il massimo che poteva fare era minacciarmi a distanza, cosa che potevo tranquillamente digerire. Dunque il problema era risolto.

Mamma oltre il telefono sospirò. “Ripetimi cosa è successo’’, ordinò per la terza volta. non riusciva a capacitarsi dell’idea che Paul mi aveva fermata in mezzo ad una via isolata. Se questo per lei era il peggio, forse era meglio non raccontarle mai il resto.

“Stavo ritornando da casa, poi mi sono sentita afferrare per la spalla e mi vedo dietro Paul. All’inizio voleva essere gentile con me insistendo che voleva accompagnarmi a casa, ma gli dicevo sempre di no, poi ha iniziato a urlarmi contro che facevo del male a Louis dato che stavo sempre appiccicata ad Alucard e che così facendo tradivo le emozioni del mio fidanzato. Io gli ripetevo sempre che non era vero e che quel che diceva se lo era inventato, o forse era una scusante per mettermi in ridicolo, alla fine gli tirai uno schiaffo per zittirlo e corsi fino a qui per placare la mia rabbia. Punto e basta. È finita lì e non c’è niente di cui preoccuparsi. Io sto bene’’, chiarii, stanca di ripetergli sempre le stesse parole. Passeggiavo per il bosco, intorno a me ogni animale si era allontanato al mio passaggio.

In parte era vero quello che mi aveva detto, in parte avrei voluto veramente lanciargli uno schiaffo anche se non ne ebbi mai la possibilità.

“Vuoi che lo denuncio?’’

“No! Per favore, mamma, non è niente. Abbiamo solo litigato. Io dovrei essere denunciata per via di quello schiaffo ’’

“Hai fatto bene’’

“Grazie’’

“Avete solo litigato? Nient’atro?’’

“No, nient’altro’’. Odiavo mentire, ma sentivo il dovere di farlo per non farle rischiare un infarto.

“Aspetta! Spero che non ti ha toccata o assalita!’’

Mi pietrificai, assumendo nel viso un colorito rosso che tendeva al pomodoro. “Non pensi di esagerare adesso?”

“Devo saperlo’’

“No, niente attacchi ne violenze. Niente. Adesso vado da Drakon, e tu resta tranquilla. Riposati e pensa che è stato solo un malinteso e tutto si è risolto bene’’

Sospirò, e poi restò zitta per tra secondi. Quando ritornò a parlare, la sua voce si era addolcita. “Capirai quanto sono preoccupata, non voglio rischiare di perderti, amore’’

Mi venne un groppo in gola, ripensando che un’ora fa era quasi sull’orlo di perdermi. “Questo non succederà mai, mai, mai’’, le tirai un bacio e chiusi il cellulare. Mi sfogai con le lacrime per qualche minuto, in parte era la paura che prima non mi aveva assalita in quel fatidico momento.

Poi quelle lacrime si tramutarono in adrenalina, in rabbia, e alla fine in sete. E divenni di nuovo cacciatore.

Acchiappai tra cervi e due volpi: praticamente il pranzo di quella giornata. Inoltre la causa del mio abbondante bisogno di sangue era dovuto al fatto che se ripensavo a Paul, dalla rabbia sentivo il bisogno frenetico di assalirlo; per non rischiare di fare dietrofront e strappargli la testa dal collo me la prendevo con l’animale.

Arrivai al castello che erano le 15.27 del pomeriggio, trovai Drakon passeggiare nel cortile. Appena mi vide spalancò le braccia per ricevere l’abbraccio, e solo a lui raccontai la verità quel giorno. Restò ad ascoltarmi senza interrompermi. Non appena pronunciai il nome della vampirella che mi aveva salvata e che lei gli porgeva i suoi saluti, il viso di mio padre ne affiorò una gioia immensa. Mi consigliò di mantenere il segreto fra me e lui per il momento e di non dirlo a mia madre, cosa che non feci mai, rassicurandomi che se volessi mi sarebbe stato d’aiuto in ogni momento del bisogno. Aggiunsi infine che Alucard sarebbe ritornato fra due giorni, e quindi abbastanza presto per assistere alla mia promozione.

Non vedevo l’ora che arrivasse quel giorno. Riabbracciare Alucard ( sarei stata troppo felice per prendermela con lui dato che mi aveva avvisato in ritardo della sua partenza) sarebbe stato come essermi liberata di ogni preoccupazione. Inoltre se c’era lui nell’ultima settimana di scuola potevo star certa di superare gli esami. La sua presenza mi trasmetteva sicurezza e serenità.

Negli ultimi due giorni in compagnia di Louis e dei miei amici ci mettemmo sotto con lo studio, pensando solo alla vacanza e in tal modo riuscendo a passare gli esami. Paul non si azzardò più ad avvicinarsi a me, ne al mio gruppo, quando non era in compagnia di Louis

Buona vigilia di Natale a tutti!
Bacioni!

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Capitolo 15
*** Ballo di fine anno scolastico ***


Si svolgeva nel parco-giochi di Solemville il ballo di fine anno scolastico. Era il 10 Settembre 1972. Già gli organizzatori avevano posto le attrazioni dei bambini all’esterno del perimetro alberato del luogo, in modo che anche i più piccoli si divertissero, lasciando l’interno dell’ovale più spazioso per ballare e mangiare alcuni stuzzichini preparati dalle famiglie degli studenti.

Il giorno degli esami fu tranquillo e movimentato, forse perché Alucard era arrivato di sera, tra il mal di pancia per il nervosismo e la voglia di mettermi subito all’opera fui la prima a cominciare e la prima a terminare. Passai con dieci, lo stesso valeva per Mattew e Lilly, Jessica e Hora passarono con nove, Louis con otto come altri della classe. Solo in quattro non passarono l’esame. Ma ormai era fatta, avevamo le vacanze tutte per noi.

Presto ci avrebbero fatto delle domande come, per esempio: Che farai ora che è finita la superiore? Dove lavorerai? Eccetera.…

Nel mio caso avrei tanto desiderato fare la maestra ai bambini, come Lilly aveva intenzione di fare. Oppure avrei aiutato a mamma ( in quanto lei fosse abile nei trattamenti estetici e nelle acconciature sui capelli) ad aprire un centro per bellezza. Dovevo solo imparare da lei o seguire dei corsi approfonditi. Infondo avevo intelligenza anormale, avrei appreso tutto con più facilità e rapidità. Jessica avrebbe seguito dei corsi di abbigliamento, forse avrebbe anche viaggiato. Hora avrebbe aiutato i suoi fratelli con le costruzioni di macchine o riparazioni. Mattew desiderava diventare psicologo o avvocato, cosa che riuscivo a trovarcelo in quell’ambito lavorativo. Louis, invece, gli sarebbe piaciuto diventare insegnante di storia, ma sapevo già che non si sarebbe allontanato da Solemville.

Ognuno con sogni diversi e nuove aspettative, era triste pensare che un giorno ci saremo separati per inseguire i nostri desideri, ma non potevo obbligarli a stare per sempre qui. Li avrei avuti per sempre con me, nel caso ci saremmo trovati uno in posto diverso dall’altro ci saremmo dati appuntamento per organizzare una riunione di amicizia. Anche se ci saremo divisi, non ci saremo mai dimenticati. Lo so, è la fase più dura della vita, ma anche la più giusta.

Il giorno del ballo di fine anno scolastico stavo sfornando dei biscotti alla cioccolata ( i preferiti di Consuelo), mancava poche ore dall’inizio della festa, e la casa era deserta. Letteralmente “deserta” perché teoricamente c’era la mia sorellina che stava schiacciando un pisolino. Quindi era mio dovere non fare rumore in cucina, cosa che mi era facile riuscirci in quanto possedetti dei sensi acutissimi. Ed in più era la prima volta che cucinavo biscotti alla cioccolata quindi ero elettrizzata di sapere come sarebbero venuti una volta assaggiato uno e…Ehm, no, forse era meglio non assaggiare un biscotto. Ne avrei dato uno a Consuelo. Sicuramente, era la cosa migliore, per non rischiare di star male a causa di un attacco di indigestione proprio il giorno del ballo; inoltre non volevo sentire le lamentele di mamma.

Aprii di qualche centimetro il forno per far uscire il fumo ed espandere l’odore nella stanza. Mi sedetti accanto al tavolo, di nuovo concentrata sul giornale. Leggevo degli articoli su case in vendita: se mamma desiderava aprire un centro, e io sarei stata la sua aiutante, era giusto costruirne uno. Poi, chissà, si sarebbe unita anche Jessica nel gruppo in quanto si poteva occupare di abbigliamento.

Tra quelle che leggevo non andavano bene: o erano troppo costosi, oppure l’appartamento troppo piccolo, e di sicuro non piaceva a mamma. Poi svoltando pagina, il terzo indirizzo mi conquisto la sua attenzione. Nella foto c’era impressa una casa abbastanza spaziosa, con cinque o sei stanze, il lato che percorreva l’entrata era costituito da vetrate in modo da far curiosare cosa contenesse al suo interno. Al primo piano c’erano altre stanze, forse più piccole, con un largo balcone. E si trovava a due isolati da casa mia.

Via ForesteIncantate 14 . Solemville.

098-67334287

Mi sembrava ottima come scelta. Strappai la pagina e la cerchiai. Scrissi il numero fisso scritto sotto la via e lo memorizzai sul calendario appeso al muro che di sicuro avrebbe controllato mamma. Mi sentivo pompare il cuore dalla felicità: presto avrei esaudito il desiderio di mamma ( in parte era anche il mio). Fui sul punto di chiedermi perfino cosa avrebbe fatto Consuelo da grande, ma lasciai in sospeso questa domanda per un’altra situazione.

Rimisi a posto le pagine e controllai i biscotti. Erano ancora caldi, con un sapore dolce, anche troppo per il mio naso. Sbuffai, ritornando a leggere il documentario di quella giornata. Non c’era alcunché di interessante: i soliti incidenti stradali, persone innocenti che si sono trovate nel posto sbagliato al momento sbagliato, ladri scoperti a rubare qualche merce, un uomo gravemente morso da un animale, una coppia…Un momento! Un uomo gravemente morso da un animale? Mi accorsi di essermi completamente pietrificata perché non mi sentii più respirare.

Scivolai immediatamente sul titolo recente e iniziai a leggere.

Clark New oggi in ospedale, condizioni gravi, impronte di morsi sul braccio destro e la spalla sinistra.

Si trovava nel piccolo bosco di Landesland, aveva avvisato la famiglia che sarebbe ritornato presto dalla passeggiata dove molte ore dopo non fece più ritorno. Alcuni ragazzi si accorsero del suo corpo mentre ritornavano da scuola e chiamarono subito il pronto soccorso. Il fatto è accaduto ieri, 6 Settembre 1972, alle 8.13 di sera; ed è tutt’ora in coma. Sua moglie e i suoi figli, parenti inclusi, sono disperati. Molti stanno indagando su quel morso, non c’è da mettere in dubbio che si una Creatura Oscura. Vogliono dichiarare guerra? Si sentono frustrate? Quale dei tanti mostri esistenti può essere la causa di quel morso? Molti sospettano di vampiri, altri licantropi, gnomi, e molte altre creature.

Dalle cure che continuamente vengono apprestate alla vittima, si deduce che il morso è abbastanza doloroso, è capitato alcune volte – come ci raccontano i parenti- che l’uomo dal coma ha iniziato a lamentarsi e ad ansimare per il dolore.

Alcuni medici pensano che sia impossibile svolgere un’operazione, in quanto dopo il risveglio dall’anestesia il corpo di Clark non sopporterebbe un dolore più atroce di questo; altri dicono che c’è il rischio di morte, o di peggio. Molti abitanti di Landeland sono spaventati e preoccupati. Molti genitori hanno vietato ai loro figlio di uscire di casa, soprattutto di notte, e di avventurarsi nel bosco; in seguito quest’ultimo ne è stato vietato l’accesso a passeggiate o escursioni. Conoscevano Clark, era un uomo facile da conoscere, molto simpatico e disponibile con tutti. Questo suo incidente fu uno shock per quasi tutti i cittadini della piccola Landesland. Ora si

spera miracolosamente del suo risveglio.

Sotto c’era tre foto della parte del braccio destro e della spalla di Clark. In entrambe le zone erano squarciate così tanto che se mettevo più a fuoco del secondo morso alla spalla riuscivo a notare l’osso. Era grosso, troppo grosso per un morso di un vampiro. E anche troppo profondo per far sì che un vampiro riuscisse a mordere con così tanta potenza. Inoltre, non era una sorpresa se trovavo familiare quelle mezzelune. Se per caso anche Alucard avrebbe letto il giornale, lo avrebbe riconosciuto.

La parola mi trafisse la mente come una lama: Licantropo. Ne ero certa, solo un morso di un licantropo poteva ridurre un uomo in quello stato: dolore atroce, stato di coma da cinque giorni, impossibile le operazioni, rischio di morte, e di sicuro al suo risveglio non avrebbero visto il Clark New di un tempo.

Un lungo brivido mi percosse la schiena al momento stesso in cui bussarono alla porta.

Mi ci volle un minuto buono per alzarmi ed andare ad aprire.

Mi aspettavo che fossero i miei genitori, usciti da un ora per andare a fare la spesa, quando potevo comodamente andarci io, invece comparve Drakon, vestito di tutti punto, elegantissimo, con uno smoking grigio, i suoi muscoli erano evidenti sotto le maniche, cravatta nera come le scarpe lucide e a punta. Dietro di se si era portato il figlio dal tetro castello Redmoon. Anche lui era perfetto per la sera avvenire, come poteva non esserlo? Indossava lo stesso smoking del suo compleanno, ma era come se non lo avesse mai indossato perché ne rimasi ammaliata.

Ora vi starate chiedendo perché venissero anche loro alla festa? Per una buona ragione: dovevo concedere un po’ di divertimento anche a loro, e poi volevo stare con Alucard, riguadagnare quel tempo perso ( cosa che avrei fatto normalmente anche durante le vacanze estive), e forse- se ne avrei avuto il coraggio- parlargli dell’attacco di Paul.

Li feci entrare con calma nel salotto, mi assentai un minuto per mettere i biscotti sfornati in un piatto sul tavolo, corsi in camera e mi cambiai: stranamente mi misi il vestito che avevo comprato il giorno del mio compleanno e tutti i gioielli che avevo ricevuto quel lontano giorno. Perfino la collana che mi regalò Alucard, ghiacciata sulla pelle, che non indossavo da due mesi e mi ero dimenticata che esistesse. Accorgendomi di aver buttato nel dimenticatoio quella collana importante, mi venne un groppo in gola.

“Stupida. Stupida. Stupida.’’, mi ripetevo a me stessa.

Questa volta il trucco me lo feci da sola, più leggero, e la pettinatura tale e quale il giorno della festa di compleanno di Alucard. Fu solo fortuna se riuscii a non spettinarmi l’acconciatura da non far sembrare la mia testa un cespuglio ( cosa che spesso succedeva), ecco perché in caso contrario mi sarebbe servito l’aiuto di mamma. Incisi le due trecce dietro la testa con le due spille che mi vennero regalate sempre al mio diciottesimo compleanno dai miei genitori, il bracciale di Consuelo, mentre l’anello di fidanzamento era sempre stato lì al suo posto. Mi misi a guardarlo per un lungo istante, e poi sospirai spensierata. Incrociai le dita ed uscii dalla stanza.

Quando rientrai nel salotto, mamma e papà erano appena arrivati e Drakon e Alucard si erano offerti volontari per aiutarli per mettere tutto in ordine in cucina.

Fu Alucard ad uscire per primo in tutto quei rumori di piatti, buste, metallo, e quant’altro. Poi uscirono gli altri e rimasero a guardarmi, imbambolati. Mamma con orgoglio, ci mancò poco che scoppiò in lacrime ( in parte era per la felicità che sia riuscita a essere promossa), papà Hendrik e papà Drakon si diedero un’occhiata di intesa e poi rimasero a guardarmi orgogliosi di me.

Alucard intanto era rimasto a guardarmi con tale ammirazione che mi fece provare un brivido di potenza femminile. Mi sentivo finalmente donna. Ora basta fare l’adolescente, era ora di diventare adulta.  

Il mio fratellastro si avvicinò a me per accarezzarmi la spalla. Guardò prima la collana poi me.

“Sei bellissima, sono orgoglioso di te ’’

Sorrisi in segno di approvazione. Non bastava un semplice “grazie”, c’erano tante cose di cui avrei voluto parlare con lui quella sera, e che, lo sentivo, non avrei avuto tutto il tempo di farlo.

Poi mamma, come se all’improvviso mi avesse letto nel pensiero, si avvicinò a me e mi abbracciò.

“Forse è meglio che ti siedi, mentre io vado a svegliare tua sorella’’, si volse poi a guardare i due uomini. “Hendrik, forse credo che dovresti mettere i dolci dentro la macchina. Io ti raggiungo appena posso’’

Il marito gli fece l’occhiolino e si avviò in cucina per prendere le prime cose che gli capitò nelle mani. Sentii un rumore fastidioso di due buste che si muovevano. Poco dopo anche Drakon si era unito a mio padre.

Ubbidii a mamma e mi sedetti in una delle poltroncine del cerchio e fui seguita da Alucard. Ora eravamo soli, potevo iniziare a parlare. C’era nell’aria un qualcosa di imbarazzante. Da quando Alucard era tornato si stava comportando in modo diversamente: come un fratello, il tipico comportamento di chi dice “mi faccio gli affari miei’’. Certo, un vampiro poteva cambiare atteggiamento in un momento qualsiasi, bastava uno schiocco delle dita, ma non riusciva a capire che mi faceva male. Molto male.

“Ho sentito che sei stato a Boscosempreverde’’, era una scusa banale per iniziare.

Mi osservò indifferente oltre le lunghe ciglia degli occhi. “Sì, ti avevo mandato Eclissia per avvertiti’’

“Sì’’

Sospirò. “Ti conosco abbastanza bene, quindi capisco che sei arrabbiata con me’’

Sbarrai gli occhi. “Arrabbiata? Perché dovrei esserlo?’’

Sorrise beffardo. “Sei arrabbiata perché ti ho lasciato senza avvisarti’’

Storsi le labbra. “Bhè…quello non posso biasimare che sia vero. Non mi è piaciuto sapere da Drakon che te n’eri andato chissà dove. Soprattutto non mi è piaciuto che non avessi avvisato prima qualcuno, e per quel “qualcuno” intendo “io”. Se non fosse arrivata Eclissia per trarmi su di morale…’’, rabbrividii.

“Le piaci molto’’

“Lo so’’

Poi ritornò serio, ed eccolo accanto a me che mi copriva le spalle con suo braccio di pietra. Quel contatto caldo contro si lui, mi causò un altro brivido, ma non era di paura.

“Mi sei mancato’’, tirai tutto d’un fiato.

“Dovevo concedermi un po’ di libertà, no?’’

“Non lo so, forse hai fatto il giusto. Ma sei stato via così tanto tempo e…’’

Sentii dei passi provenire dalla porta e poco non ci mancò che Hendrik ci vide così vicini, abbassai appena lo sguardo per non far notare il rossore e lo rialzai quando ritornò fuori con altre due buste in mano; ritornai a parlare.

“Avevo paura che stessi scappando da me’’

Mi guardò improvvisamente confuso, come se stesse guardando una pazza. In seguito fui soffocata dal suo abbraccio, non feci a meno di respirare il suo squisito odore fino all’anima perché mi era mancato tanto. Forse mi lesse un velo di tristezza quando ritornò a guardarmi dato che fece passare le sue dita calde sulla mia guancia.

“Non capisci? Per me è impossibile starti lontano, prima o poi sarei ritornato. È così difficile non sentire la tua presenza anche se alloggiavo a Boscosempreverde’’

Gli afferrai la mano e la passai all’altra guancia, fu un gesto intimo ma allo stesso tempo così spontaneo da sorprendere anche me, ma forse era per una buona ragione: quella notte volevo sentirlo dentro il mio cuore. Solo in quel momento mi resi conto quanto fossi stata male nelle settimane in cui era assente. Fu come se un paletto mi avesse trafitto il cuore. Oppure il sole mi avesse ustionato la pelle fino ad incenerirmi. Ma potevo provare la stessa cosa con Louis? Lo stomaco mi sussultò quando riconobbi la risposta. Allo stesso tempo mi venne da guardare l’anello di fidanzamento. Non potevo nascondere ogni sentimento: avevo paura.

“Però, se vuoi che ti stia lontano farò come tu desideri’’, disse lui.

Esitai. “Non ci provare. Già tutte queste settimane sono state sufficienti per starti lontano. Sarei in grado di darti un ceffone se riprovi ad andartene senza avvisarmi’’

Rise sotto i baffi. “No, non mi azzarderò più ad andarmene’’

Ora mi sentivo qualcosa nella gola che mi bruciava, voleva uscire. “Non lo fare più, mai più, mi sei mancato tanto’’, soffocai le parole a denti stretti per trattenere le lacrime.

Mi prese il viso tra le mani e mi avvicinò a lui. ebbi paura più di prima: paura che qualcuno ci scoprisse, paura di lanciargli uno schiaffo anche se non lo meritava, paura di ricevere quello che era il suo desiderio negl’occhi; eppure non c’era nessuno che ci ascoltasse, non sentivo passi che avanzavano nella cucina, e anche Alucard non sentiva niente perché era calmo.

“Ti giuro, non me ne andrò da Solemville finché non sarai tu a costringermelo’’

E capivo, fino al profondo del mio cuore, che diceva la verità. Sapevo che non mi avrebbe mai tradito, che mi avrebbe ascoltata. Come un cagnolino ubbidisce al suo padrone. Come un figlio ascolta al suo genitore. Mi dette una forte potenzialità verso di lui, ma odiavo sapere che si faceva guidare da me come una marionetta: specialmente ora che mi ero arrabbiata con lui, ed era obbligato ad ascoltarmi. Ma io non ero sua madre, ne il suo padrone. Ero la sua sorellastra e entrambi dovevamo occuparci della nostra vita personale. Ma che cosa ci potevo fare se ogni passo, errore, allegria, male, mi conduceva a lui?.

“Non ti obbligo in niente’’, riuscii a dire in fine .“Questa è la tua vita, e la tua strada la decidi tu’’

A quel punto uscirono dal corridoio mamma e Consuelo: la mia sorellina indossava l’abito che, insieme al mio, avevamo comprato la sera prima che compissi gli anni (forse era l’abito che gli piaceva di più in quell’armadio), con uno chignon formato da tre tracce e fissate con u fermacapelli tempestato da pietre preziose. Anche mamma portava uno chignon, ma un semplice chignon basso con dietro un fermacapelli per fermare l’acconciatura a forma di fiore a stras. Il vestito di mamma era uno fra i più belli: era di raso color tramonto, senza spalline e si adattava perfettamente al suo corpo, era svasato, arrivava fino a terra, e si allargava fino a metà coscia per darle la possibilità di ballare qualora avesse voluto. Le scarpe col tacco era di color rosso vivo.

Provai un pizzico di gelosia nel vederla con quel meraviglioso abito, mentre io ne indossavo uno che avevo già portato tanto tempo fa; come Consuelo.

“Muoviamoci, manca pochi minuti all’inizio’’, ci disse Consuelo che mi prese per mano.

Io stavo ancora avvicinata a Alucard, il suo braccio sempre sulle mie spalle, ma non davamo più quella sensazione di intimità. Inoltre, quando erano entrate in scena mamma e Consy, Alucard si era staccato da me per quanto fosse troppo vicino.

“Il tempo non aspetta agli umani’’, disse Hendrik che si era affacciato sulla soglia dell’entrata, dando tre colpetti alla porta: un gesto per invitarci a muoverci. Già la cucina era svuotata di ogni dolce e bibite.

“Ma ai vampiri aspetta comodamente’’, anticipò Alucard mentre uscivamo dalla casa.

Mi accompagnò a braccetto fino alla macchina, dove lui si fermò. Drakon si era già allontanato e andava in direzione del cuore del villaggio. Capii subito che non avrebbero usato la macchina insieme a noi.

“Ci vediamo fra pochi minuti’’, mi salutò, abbracciandomi.

“Ma non puoi venire dentro?’’

Mi lanciò una faccia disgustata. “Odio stare dentro ad una macchina polverosa e più lenta di me’’

Alzai un sopracciglio. “Prima o poi ti ci devi adattare, ben venuto nel mondo degli umani’’

“Una volta avevo provato a guidarne una, ma….In poche parole non finì bene’’

Trattenni una risata. “Gli hai dato una bella rastrellata?’’

“Peggio ancora’’

Mamma mi chiamò e fui costretta ad entrare. Avrei voluto dirgli un’altra cosa, oppure invitarlo ad entrare con una scusante ma a quel punto era completamente sparito dal marciapiede.

Anche quella festa fu unica, come l’addobbamento del parco. Ogni albero era illuminato da piccole lucine volteggianti che scoprii subito dopo essere delle lucciole, e illuminava la sera come il giorno. A ogni ramo era appesa delle ghirlande rosa o azzurre, nel prato posavano petali di rose o di altri tipi. I banchi dove vi era posato da mangiare, era decorati con migliaia di fiori ma bianchi e rossi. In un certo senso qualcuno aveva avuto la strana idea di rispecchiare lo stesso tipo di addobbamento di Redmoon nel 27 Aprile, ma di sicuro fu molto più bello gli addobbamenti di quella volta.

Appena avemmo parcheggiato la macchina, qualcuno aprii la porta al posto mio.

“Ben tornata’’, mi salutò Alucard con un leggero inchino.

Alzai le labbra in un sorriso. “Sono in ritardo?’’

“Non più di cinque minuti’’, anticipò lui, prendendomi la mano. poco dopo lo trovai che mi stava studiando.

“Sei bellissima’’

Risi. “È la seconda volta che me lo dici’’

Le sue labbra mostrarono appena un sorriso imbarazzato. “Che ci posso fare se ogni volta sei più bella di prima?’’

Mi condusse di nuovo a braccetto verso il parco, con Consuelo dietro e mamma e Hendrik che ci seguivano più in là. Ad aspettarci all’entrata, sotto un arco pieno di fiori bianchi, c’era Drakon che con un gesto antico e familiare la mia mano, che stringeva il braccio del mio fratellastro, passò alla sua e fino al centro del prato- dove si svolgeva la danza- fui accompagnata da lui. Ed iniziammo a ballare, senza aver tempo di salutare i miei amici, e magari anche Louis, però mi piaceva così.

Abbandonarmi subito allo sguardo seducente di mio padre, fu molto meglio che iniziare a parlare con Louis in presenza di Drakon e Alucard  che sinceramente avrebbe mandato tutto a monte la festa.

Ancora una volta, fu strano ballare con mio padre; sapevo che era mio padre, ma per un viandante ci avrebbero scambiato per fidanzati. Infatti, dovevo ammetterlo, era più bello di Alucard.

“Accidenti, ci guardano tutti!’’, esclamai imbarazzata. Sentivo l’istinto di nascondere il viso sul suo petto.

Perfino Jennifer e Paul si erano fermati a guardarci. Louis non lo vedevo, probabilmente non era ancora arrivato. Nell’istante in cui i miei occhi incontrarono quelli di Paul sentivo il desiderio di volere Eclissia di nuovo accanto a me.

“Ti invidiano per quanto sei bella questa sera’’, strizzò gli occhi per stuzzicarmi. In quel gesto, non riuscii a credere che fosse il mio vero padre. Era troppo giovane. Sicuramente sarebbe stato difficile per tutti accettare che ero veramente la figlia di quel giovane terribilmente affascinante. E anche la sorellastra di Alucard: l’angelo perfetto delle tenebre.

“Forse perché sto’ ballando con una celebrità’’, dissi.

Rise. “Non mi pare di essere un tipo famoso in questo posto ’’

“Scherzi? Perfino i libri parlano di te, papà. Dicono tutti che sei stato così valoroso per aver affrontato quelle belve nella Terra di Nessuno. I vampiri di oggi non lo avrebbero mai fatto’’

Papà divenne d’improvviso rigido. “Non sono belve, sono miei amici. E non ho affrontato nessuno, ne combattuto, ho solo trovato un accordo ’’, disse serio.

Il suo cambiamento improvviso mi irrigidii. “Scusami, papà’’

Di sicuro non avrebbe accettato sapere che ci sarebbe trovato un disaccordo, erano suoi amici ormai. Non potevo criticarli perché infondo avevano risparmiato lui e Drakon quando potevano ucciderli: dovevo ringraziarli non criticarli.

Inoltre, nel suo cambiamento era dovuto ad una mia esagerazione. Che cosa avrebbero pensato i licantropi di noi vampiri? Sarebbero stati gelosi? Non riuscivo a trovare risposta migliore. perché eravamo così nemici? Che cosa ci teneva lontani?

Papà si fece scuro in volto, lessi nei suoi occhi un rimorso. Improvvisamente capii.

“Hai letto il giornale, vero?’’, chiesi d’impulso.

Mi guardò come un uomo tormentato dalle fiamme. Era come se fosse stata lui la colpa di tutto ciò. Ammise un: “Sì”

“Perché lo hanno fatto? Pensavo che i licantropi restassero fermi nella loro terra e non si spostassero come i vampiri’’

“E su questo ai ragione. I licantropi- da come li conosco- non si oserebbero neanche lontanamente di sgattaiolare su un altro territorio. Tuttavia, non posso biasimare che nelle loro terre ci siano continuamene ribellioni, uccisioni. Se la situazione diventerebbe troppo ingovernabile mi manderanno a chiamare’’

Tutto il mio corpo si trasformò in una pietra. “Solemville è un piccolo villaggio, non abbiamo nessun’arma per fermarli’’

“Non permetterò che vengano fino a Solemville. Io e Alucard andremo a Lupus da loro se sarà necessario’’

“Tu che li conosci tanto bene, che sei stato con loro abbastanza da capire ogni loro problema, sai il perché hanno fatto questo?’’

“Ci sono due opzioni. Primo: c’è il problema della mal nutrizione oppure la mancanza di cibo. I licantropi sono creature sono molto possessive. Se un clan ha molto più cibo degli altri non ci vuole molto tempo affinché un altro clan si interessasse al cibo dell’altro gruppo, e così nasce una ribellione. Forse questo licantropo aveva deciso di avventurarsi molto lontano sperando che con un po’ di fortuna avesse trovato la nutrizione che cercava, invece era solo, così dopo giorni e giorni di stenti per la fame alla prima occasione ha avventato le zanne sul povero Clark’’

Rabbrividii. “Secondo te l’ha trasformato?’’

“Se la preda è abbastanza robusta di corporatura, allora nascerà un nuovo licantropo’’

“Non mi pare che Clark abbia una corporatura abbastanza forte’’

“Allora i suoi familiari dovrebbero iniziare i preparativi per il funerale’’

Anche se era crudele come affermazione, era anche la più giusta. Non c’era niente da fare sul destino di Clark: o sopravviveva- e sopravvivendo sarebbe diventato un mostro incontrollabile- oppure moriva.

“E la seconda opzione?’’, chiesi cercando di distrarmi dall’argomento sulla vittima.

“Hai mai sentito parlare dell’imprint?’’

Ricordai immediatamente quella lezione di storia. “Sì, me ne aveva accennato il professore. Ha detto che è il legame che unisce un mannaro alla sua controparte. Imprint significa impronta, e cioè l’impronta-o il legame- indissolubile in quella coppia. Ci ha accennato che è una questione ormonale ed è per questo caso che il mannaro può riconoscere come suo partner anche una persona sconosciuta. Il legame poi si spezza quando la sua controparte muore’’

“L’ultima opzione è la solitudine di un mannaro. Più ci sono continue lotte ed uccisioni più loro non sono in grado di trovare un compagno o una compagna adatta. L’imprint sta diventando scarso’’

“Mi stai dicendo che per loro l’imprint è fondamentale, vitale, come per i vampiri il sangue’’

Sorrise per lo sforzo che avevo fatto. “Esatto. Infondo i licantropi non sono poi così crudeli come si racconta nelle favole, sono soltanto molto possessivi e gelosi. Quindi, se hanno la possibilità di avere questo legame con qualcuno, chiunque esso sia, smetterebbe di tormentare ed uccidere. Sarebbero un po’ più…romantici, insomma’’

“Ma non si possono innamorare facilmente di uno della loro razza?’’

“Avvolte succede, ma l’imprint è più ricercato dato che è il legame più importante. Una coppia che non ha ricevuto l’imprint è facile che si spezza con una semplice contraddizione’’

“Hai mai assistito ad un imprint?’’

“Non si riesce a capire quando il mannaro subisce l’imprint, si riesce a capire poco dopo perché non se ne va mai dalla sua controparte’’

“Oh’’, arrossii un poco. “Ma hai mai conosciuto licantropi con l’imprint’’

“Molti’’

Mi fece fare un leggero casquè e mi riportò tra la folla dove mi stava già aspettando Louis.

Gli gettai subito le braccia al collo per quanto ero contento di rivederlo. Ci scambiammo un bacio dolce, a mo’ di saluto, mentre Drakon era dietro di noi.

“E io che pensavo di trovarti sola, soletta’’, ammiccò Louis.

Alzai gli occhi al cielo. “Avrei potuto anche non venire se è per questo’’

Mi baciò per la seconda volta, questa volta però c’era più amore ora che Drakon ci aveva lasciati soli. Lo conoscevo bene: per lui era il momento giusto per dare sfogo a tutti i suoi sentimenti. Un’improvvisa fitta allo stomaco mi lasciò sorpresa. Ci sedemmo in un a panchina abbellita con qualche fiore bianco, appoggiai la testa sopra la sua spalla larga e respirai il suo odore; lui mi teneva stretta a se.

“Ti amo ’’, mi sussurrò accarezzandomi la guancia.

Sentivo il bisogno di baciarlo un’altra volta. “Anch’io, per sempre’’

La stretta del suo braccio divenne più ferrea, tanto da iniziare a trovare difficoltà di respirare, poi il suo corpo divenne caldo, più caldo ancora finché non ebbe la giusta temperatura di un termosifone acceso. Mi accorsi che premevo la testa sul suo petto e non era più appoggiata sopra la spalla. C’era il suo braccio muscoloso a pararmi la vista, forse si era accorto che ero rossa, in tal modo potevo guardare senza vergogna il suo volto perché in pubblico non ero brava a fargli capire con gl’occhi i miei sentimenti.

“Lo sai che può diventare realtà il nostro “per sempre” ?”, mi chiese vicino all’orecchio.

Annuii e lo strinsi fra le braccia, avrei tanto voluto che fosse così, ma sapevamo entrambi che era impossibile. Anche lui ricambiò di nuovo la stretta, ora mi trovavo in bali tra le lingue di fuoco, così forte da farmi credere che anche lui mi avrebbe desiderata per l’eternità.

“Alexia’’, mi chiamò un attimo dopo.

Sobbalzai. Accidenti! Mi ero appisolata. Pian piano i rumori della festa iniziarono a risuonarmi nelle orecchie, fastidiosi, troppo d’impiccio. Volevo che ritornasse la pace del silenzio, il buio che mi trasportava negli abissi del sonno, fra le sue braccia.

“Mmm?’’

Alzai lo sguardo e incrociai i suoi occhi: mi guardava come un padre osserva il suo figlio, iniziò ad accarezzarmi la testa. Sentivo il suo amore farsi eco fra di me, eppure c’era un non so che da lasciarmi dubbiosa.

“Voglio che sia per sempre’’

Alzai un sopracciglio. “Che? Cosa per sempre?’’

“Il nostro amore’’

“Ma sarà per sempre’’, mentii. Odiavo mentire, soprattutto ad una persona speciale come lui.

Rise scettico. “Proprio non capisci che ti voglio per sempre?’’, e mi afferrò una mano per appoggiarla contro il suo petto e sentii il pulsare squisito del suo core. “Per sempre’’, disse infine prima di ritornare a baciarmi.

Poco prima che staccasse le labbra dalle mia, poco prima che la paura ebbe la meglio su di me, e lui mi stringesse ancora di più a se per permettere che il suo odore mi solleticasse la gola, mi scansai velocemente dal suo petto.

“Come…?Non…Non si può’’, balbettai, le labbra mi tremava.

“Scommetto che non farà male. Sentirò solo due punture’’, aveva intenzione di rappoggiare le labbra alle mie, ma lo allontani di nuovo.

“Non posso riuscirci, non si riuscirò mai. Per me è quasi impossibile…’’

“Ma che dici? Sei un vampiro’’

“Sì, però…però sono un Sanguemisto e…’’

“Non importa, se hai del tempo ti capisco’’

Non capiva, non riusciva a capire che per me era impossibile sia trasformare che concepire: ero un Sanguemisto, e il che significava che c’era un pezzetto di umanità dentro di me che mi impediva di creare esseri della mia stessa razza. Ritornai a stringerlo fra le mie braccia, desiderandolo più di quanto non lo abbia desiderato in quei mesi trascorsi insieme. Non volevo lasciarlo, lui era tutta la mia vita.

Però non poteva capire che anche io lo avrei raggiunto un giorno perché la mia crescita procede contemporaneamente con quello di un umano normale, pensando a questa certezza la paura scivolò completamente dalle mie spalle. Ora non avevo più paura di perderlo, ne ero certa, saremo rimasti insieme per l’eternità anche sotto una forma diversa.

Feci scivolare il mio sguardo fin sopra il braccio di Louis che prima me lo parava, ora che mi ero svegliata da quella specie di estasi temporanea, e osservai la gente ballare, ridere, chiacchierare, e Consuelo con i suoi amichetti che facevano il girotondo, i miei genitori che parlavano con Drakon e con le amiche di mia madre, e Alucard che parlava con….JENNIFER!!!!

Mi pietrificai totalmente, come se il mio corpo all’improvviso fosse diventato un cubo di ghiaccio, e Louis se ne accorse. Mi guardò preoccupato.

“Che cos’hai?’’

Parlai a denti stretti: “Che cosa ci fa Jennifer con Alucard?’’

Si mise anche lui a guardare verso la mia direzione ma senza preoccuparsene. “Parla con lui, perché? Di che ti preoccupi?’’

“Di Alucard’’

Lo vidi irrigidirsi. “Che cosa centra adesso Alucard?’’

“Se per caso cerca di fare colpo su di lui, non ce la voglio come nuora’’, mi alzai di scatto e un secondo dopo mi trovai faccia a faccia col nemico.

Mi trovavo tra lo spazio che divideva Alucard con Jennifer, abbastanza vicina a lei per nasconderle il viso agli occhi di tutti, abbastanza vicina da ficcargli bene nella testa quello che volevo riferirle, e anche abbastanza vicina per avventargli i denti nella carne. Inoltre era abbastanza fortunata perché ci trovammo in una parte isolata del parlo, sotto un grande abete.

Però, ahimè, se solo il parco non fosse così affollato di gente….

Le diedi una spinta che per poco non la feci cadere all’indietro, allo stesso tempo mi resi conto che fu un passo esagerato, non ci vedevo più dalla rabbia. Però resistetti all’istinto omicida.

“Stai lontano da lui!”, ruggii.

Nelle sue labbra si formò un sorriso: non era uno di quelli gentili. “Che cosa vuoi, hai qualche problema? Stavo solo parlando con il tuo fratellastro’’

“Non devi più azzardarti a…’’

Sentii due mani enormi afferrarmi per le spalle e trascinarmi indietro. Mentre barcollavo all’indietro colsi il viso di Alucard, fui presto immobilizzata dalle sue braccia.

“Sei matta?! Che ha fatto di male?’’, mi rimproverò. Mi prendeva in giro?.

“Non sai che cosa è in grado di fare….Ti può lanciare il suo incantesimo in qualsiasi momento’’, gli sussurrai trattenendo il ringhio, ma lei sicuramente aveva sentito.

“Le solite fantasie di una ragazzina’’, disse lei stringendo le labbra per trattenere una risata.

La guardai in cagnesco. “Sarei io quella stupida?! Se ti azzardi di nuovo…’’

“Adesso basta, Alexia!’’, mi fermò lui dandomi uno strattone.

Drakon mi apparve davanti: aveva sentito tutto. Si rivolse al figlio. “Parla con lei, è molto arrabbiata, la devi calmare’’

“È lei che si deve dare una calmata’’, farfugliò sprezzante prima di portandomi fuori dal parco.

Mentre mi incamminavo fuori notai che accanto al punto in cui mi trovavo io c’era Louis: aveva assistito a tutto, mi aveva vista ruggire e maltrattare la sua migliore amica, mi aveva vista con i canini che uscivano fuori dalle labbra e gli occhi accesi di rosso per la rabbia. Mi aveva vista trasformarmi in un mostro. Si volse per un minuto a guardarmi confuso, ma anche spaventato. Non poteva essere altro: era spaventato da me. Che cosa mi stava succedendo? Che cosa stavo diventando?

“Che cosa ti è saltato per la testa? Volevi mandare tutto a monte la festa?’’, ruggii lui. Lo avevo mai visto così arrabbiato? No, credo proprio di no, faceva paura perfino agli alberi.

Ci trovavamo in uno spazio desolato, lontano dal parco e dal parcheggio, abbastanza lontano perché nessuno sentisse i ringhi di Alucard.

“Io a quella gli stacco la testa! Come hai potuto avvicinarti a lei, se ti ho avvertito mille volte che non è quel tipo con cui fare confidenza?’’

“Non sei tu a darmi questi ordini. E per la cronaca penso che anche lei abbia il diritto di parola e non di mutismo. Solo perché è così cattiva non vuol dire che…’’

“La stai difendendo?!’’

“Non la sto difendendo, ti sto facendo solo ragionare. Parlavamo, che c’è di male?’’

“Tutto c’è di male. Lei ti odiava, ti odiava a morte, insieme a Paul, e ti odia ancora! Ma poi si è avvicinata a te e….No, non è normale: sicuramente prima o poi ti avrebbe lanciato il suo incantesimo, per cui mi devi solo ringraziare per averti salvato’’

“Non ti devo ringraziare di niente perché potevi fare a meno di quella scenata se mi volevi salvare’’

“Mi ha fatto arrabbiare vederla vicino a te ’’

Rise. Ora mi faceva sentire veramente una pazza. “Andiamo! Tu che sei gelosa di noi due’’

“Non sono gelosa, sono solo arrabbiata e…se davvero vuoi starle vicino non fallo in mia presenza oppure non farlo nemmeno, in tal caso mi farebbe molto piacere’’

Sorrise sarcastico. “Quello che dici prova che sei solo gelosa’’

Esplosi: “Ti ho detto di no!’’. Non riuscivo a vedere Jennifer e Alucard insieme. Proprio no.

Ma lui non mi credeva, restava immobile a braccia conserte e in una posizione rigida, di qualcuno che si aspettava delle risposte abbastanza logiche per giustificare l’infortunio di poco fa.

“Io…io la odio, anche se ci dovrò fare affidamento dato che è la migliore amica del mio fidanzato, non la sopporto. Quello che da alle coppie felici poi è…è orribile. Pensa a cosa potrà fare a me e a Louis un giorno, e a te?’’

“In tal caso, dovresti più preoccuparti di te e Louis che di me. So benissimo cavarmela da solo, io’’, parlava a denti stretti. Nel suo viso era raffigurato quell’angelo vendicativo di un tempo. Dalle sue parole sentivo che cercava in tutti i modi per controllarsi.

“Io mi preoccupo per tutti e due. Ti prego, ti prego, stalle lontano ’’

Restò in silenzio un lungo minuto e poi ritornò a parlare. “Tu non mi comandi’’

“Alucard, ma…’’

“E non decidi la mia vita’’, concluse, e sparii davanti a me senza lasciarmi il tempo di parlargli.

Al ritorno non lo trovai tra gli amici, ne di nuovo accanto a Jennifer, non lo vidi per tutta la festa. Cercai di mostrarmi il più normale possibile al ballo, insieme a Louis e con gli altri. Parlammo tanto, ma io non riuscii a ridere quando loro tirarono fuori una battuta da piegare in due. Nemmeno al ritorno da casa mia era con Drakon. Nemmeno quando salutai mio padre spuntò dal nulla. Quando entrai in camera mia aprii la finestra e mi distesi sul letto, restai sveglia quasi tutta la notte, poi poche ore prime dell’alba sprofondai nel sonno.

 

 

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Capitolo 16
*** la crude verità ***


Capitolo 15

“Credevo che ti fossi dissolta nell’aria come cenere’’, mi schermì Garrett.

Con sorpresa me lo trovai davanti senza alcun indugio di attaccarmi come faceva spesso. Mi girava solo intorno all’albero in cui ero appoggiata. Ci scommettevo la pelle che aveva voglia di fare una sfida. Erano passati molti mesi da quando lo avevo rivisto l’ultima volta: in quel lontano pomeriggio gli avevo rotto una zampa, ed ora camminava normalmente: segno che la rottura era guarita.

“Non è ora, Garrett. Sparisci’’, lo minacciai io, mostrandogli i denti. Anche se cercavo di assumere un’espressione irritata e furiosa, non ero in vena di fare altrettanto. Non avevo voglia nemmeno di parlare a quell’animale.

Me ne stavo seduta su un abete rossiccio, la schiena appoggiata al tronco, le gambe piegate e strette al petto e il mento era appoggiato alle ginocchia. Dopo qualche secondo l’animale si sedette davanti a me e mi studiò il viso.

“La nostra succhiasangue ha avuto un inclinazione?’’

“Ci sono state così tante inclinazioni in questi mesi che non saprei elencartene’’

“Si tratta di relazioni d’amore?’’

Alzai lo sguardo sorpresa. “Che cosa te ne dovrebbe fregare a te? Sei un cacciatore assassino ’’

“Non mi pare che anche tu sia così diversa da questa similitudine’’

Sbuffai. “Certo, certo ’’

“E comunque stai parlando con uno che ha avuto esperienza più di una volta con…’’

“Non ti ci vedo’’

“Vuoi vedere la mia cucciolata?’’

Non c’era bisogno di dirvi cosa leggesse Garret nel mio viso, la mia espressione parlava per entrambi.

Se fosse stato umano, a quest’ora lo avrei visto rosso in viso. “Ehm…lasciamo perdere la cucciolata’’, mormorò poi.

“Già, forse è meglio’’

Vidi la sua enorme gabbia toracica gonfiarsi e poi sgonfiarsi per far uscire un sospiro profondo. “Hai un problema con in tuo Luca?’’, mi chiese poi, più calmo di prima.

È mai possibile che nessuno riuscisse ad indovinare il suo nome? “Louis, accidenti! Si chiama Louis, non Luigi ne Luca!’’

Colsi la sua espressione torva nel viso enorme e peloso. “Chi è che l’ha chiamato Luigi?’’

“Non è una cosa che ti dovrebbe riguardare’’

Rimase zitto. Era impossibile crederlo, ma era la prima volta che riuscivamo a parlare in quel modo, da non crederci. Se lo avessi detto a mamma….mi avrebbe certamente proibito di ritornare a Boscosenzafine.

“Hai detto che hai avuto…molte esperienze?’’

“Sì, quindi farò in modo di aiutarti. Capisco quell’umore lì. È una situazione difficile la tua?’’

Ammisi un sorriso triste. “Abbastanza complicata’’

“Dimmi’’

E allora gli raccontai tutto, ogni giorno di ogni singolo mese, gli incontri con Alucard, quei baci appena pronunciati o quelle dolci parole da innamorati, le litigate con Louis, l’assenza di Alucard, il suo compleanno, la luna rossa, la sua famiglia, i licantropi…tutto. E lui rimase ad ascoltarmi senza interrompermi, affascinato. Quando terminai di raccontare fu come se gli avessi detto tutta la mia vita intera. Mi sentii completamente più leggera. Non mi sarei mai aspettata di raccontare tutto ad un segugio come lui.

“Penso che devi ragionare su tutto, fermarti un attimo ed iniziare a riflettere’’

“C’ho provato tante volte Garrett, ma….Tutto è successo così velocemente. Tentavo in un modo e andava a finire male, tentavo in un altro e finiva più peggio di prima’’

“La domanda è: a chi sei più affezionata di più?’’

La risposta era facile. “Io amo Louis’’

Garret trattenne una risatina. “Ne sei davvero sicura? Ti senti protetta fra le braccia di Louis che quelle di Alucard, ti senti sicura alla vicinanza di lui anzi che del tuo fratellastro, riesci a parlare più facilmente con il tuo fidanzato o con in tuo vampiro? Le emozioni sono più profonde e vere quando stai con Louis o con Alucard?’’

Non sapevo cosa rispondere: avrei potuto dire: “I maschi sono tutti uguali’’ oppure “Con Louis mi sento più me stessa’’. È vero, erano vere tutte queste opzioni, ma nessuno infondo sembrava la più vera e ragionevole. Garrett mi aveva fatto domande apparentemente facili ma sotto c’era il trabocchetto.

“Non è la stessa cosa ’’, dissi infine.

“Perché non riesci a provare con Louis le stesse cose che provi per Alucard’’

“Ma io non posso, lui è il mio fratellastro, non un ragazzo qualunque. E poi Louis mi fa sentire speciale nel mondo umano e non un’assassina’’

“Anche l’altro può farti sentire queste cose: hai una famiglia di umani mortali e quindi fai sempre parte del mondo umano, e poi hai una famiglia di vampiri. Credimi, tu non vuoi ammettere che ti piace Alucard solo perché non vuoi accettare la ragione di essere una vampira. Hai paura che stando con Alucard le cose saranno più diverse ed orribili, che ti costringerà ad avvicinarti di più al mondo vampiresco che quello umano; tu hai paura di te stessa, Alexia’’

L’ultima frase mi raggelò. “Non è affatto vero! Io sono fiera di essere così come sono ’’

“E allora perché trascuri Alucard’’

Iniziai a tremare. “Non lo so, non lo so!’’, singhiozzai. Delle lacrime involontari mi rigarono la faccia, e me la coprii con le mani.

“Credimi, devi accettare le cose come stanno, se non accetti questo la tua vita finirà male.. Non sarai più in grado di ragionare e presto ti allontanerai da tutti. E perfino dalla tua famiglia’’

Piansi ancor più forte, i passi felini di Garrett si fecero più vicini, poi sentii il suo pelo ruvido accarezzarmi la pelle e il peso del suo corpo che si scontrò contro il mio. Mi si distese accanto.

“È tutto così difficile…complicato, non ce la faccio ad affrontare tutto!’’

“Devi accettare la verità, accettala Alexia, nessuno ti abbandonerà in questo cammino tortuoso. Ogni essere vivente, prima o poi, è costretto ad affrontarlo. Soprattutto quando si tratta di un uomo’’, le ultime parole le disse con ironia.

Mi venne voglia di ridere, ma mi trattenni. “Avvolte mi chiedo come mai non ho voluto conoscerti abbastanza bene’’

“Siamo stati testardi entrambi’’. Su questo aveva ragione, in parte.

“Tu non mi aiuterai?’’

“Non ho mai visto un felino gigante che aiuta un mostro succhiasangue come te, per cui non ci tengo di fare la figura del deficiente di fronte ad altre creature del bosco. Te la devi cavare da sola’’, la sua espressione si fece subito menefreghista. Come se la conversazione sentimentale fosse finita lì.

Ma io ero ancora dolce e triste, gli accennai un sorriso. “Ti devo un favore per riuscire a perdonarmi di tutto quello che ti ho fatto’’

“Bè…tu fammi cacciare i cervi che voglio per un mese e poi ne riparliamo’’, disse questo mentre si allontanava da me, superava un tronco caduto con un salto e sparii a dieci chilometri davanti a me dietro a degli alberi.

Avrei voluto di nuovo la sua compagnia, ma forse era meglio così. Capii: voleva che iniziassi a riflettere sugli avvenimenti dei mesi scorsi.

Come il destino fosse ingiusto certe volte, molto presto, quando il silenzio aveva apparentemente inondato il bosco, mi trovai in una nuova compagnia.

“Che ci fai tu qui?’’, mi chiese una voce profonda.

Mi alzai di scatto e volsi lo sguardo verso l’intruso, infastidita. Se non mi fossi accorta abbastanza presto che si trattava di quel diciannovenne del mio fratellastro a quest’ora lo avrei attaccato per difendermi.

“Potrei dirti la stessa cosa ’’, aggiunsi io, stando sempre sulla difensiva.

Avrei potuto correre verso di lui ed abbracciarlo, salutarlo, però così non mi sarei comportata da ragazza adulta. Ero ancora frastornata da quella litigata avvenuta quattro giorni fa. Di nuovo, da quella notte, mantenne le distanze. Non si fece più vedere a casa mia, e mamma notò i miei stati d’animo, per questo mi mandò a cacciare a Boscosenzafine: era la mia seconda casa, e sapeva perfettamente che il bosco era fatto per me nei momenti di svago.

“Senti, siamo partiti col piede sbagliato…’’, cominciò facendo quattro passi avanti e poi si fermò.

“Già, lo credo anche io’’

Annuii, nel suo volto un velo di tristezza. “Non voglio perdere la mia sorellina’’

“E io non voglio perdere te ’’

Sorrise appena, ma non disse più niente: si imbarazzava tanto quanto me.

“Da quanto frequenti Boscosenzafine?’’, chiesi a mia volta, incrociate le braccia.

“Da qualche settimana’’

“Ci venivi poco?’’

“Sì, il bosco…non mi piace. E poi non saprei come orientarmi’’, arricciò il naso, guardandosi intorno. “E poi c’è l’odore di animale che non mi attira molto’’

“Ignoralo’’

I suoi occhi rossi si illuminarono di curiosità. “Come?’’

“Cerca di pensare che sia un umano quello che cacci, forse funziona’’

Alzò un sopracciglio. “Tu c’hai mai provato?’’

“No, non caccio umani’’

Mantenevo ancora le distanze, fu sempre lui ad avvicinarsi a me.

“Devo sapere perché sei venuto qui’’, dissi

Vidi le sue labbra stringersi per un emozione appena trovata: non era rabbia, era dispiacere. “Ti volevo parlare’’

“E di cosa?’’

Abbassò lo sguardo, nei suoi occhi vedevo un uomo che soffriva tanto: era un uomo gettato nelle fiamme ardenti dell’Inferno. Soffriva, me lo sentivo. Mentre me ne stavo immobile sul terreno, pensavo che avrebbe iniziato a rivolgermi contro cento scuse per farsi perdonare. Invece…

“Ti devo raccontare di una storia, una storia vera, successa molti anni orsono, quando ancora non esistevi tu, ne Kate’’, la melodia delle sue parole sembrava tombale, e apparentemente udibile. Notai la difficoltà di sforzarsi a parlare.

Allora assunsi nel viso un’espressione più dolce, e rimasi zitta. Un momento come quello non era adatto per le storie, ma se mi riguardava allora valeva la pena scappare ignorandolo per altri due giorni.

Fece due respiri profondi, eco dei miei, strinse le labbra e incominciò a raccontare. “Circa trecento anni fa…esistevano due vampiri, dei quali non ti faccio il nome, che ebbero un figlio. Un figlio tanto aspettato che per loro fu un miracolo. Lo tennero con loro finché non scoppiò una guerra, una guerra brutale, e affidarono il loro bambino ad una cugina lontana della madre; purtroppo i genitori morirono in quella guerra: forse uccisi da creature oscure, o forse perfino morti di fame. La cugina fece da madre al figlio della sua parente, e con un po’ di fortuna riuscii a scappare e a stabilirsi in una regione in cui avrebbe trovato sia una casa che un lavoro per mantenere sia lei che il neonato. Trovò lavoro nel castello del villaggio, e proprio lì un paio di mesi dopo conobbe un vampiro che sarebbe stato il suo futuro marito. Un anno dopo i due si sposarono, e il vampiro prese con se la donna e il bambino. Non passò molto tempo che il piccolo vampiro iniziò a desiderare più sangue del lecito e i due genitori adottivi tentarono di trovare un certo equilibrio sul suo digiuno, senza però riuscirci. All’ignaro di tutto i genitori non si accorsero che il figlio adottivo andava continuamente di caccia anche senza il permesso, perché egli viaggiava senza farsi scoprire. Un giorno, quando il marito era in un consiglio con il re e la madre nella casa a dormire, il bambino fu rinchiuso dentro la stanza a chiave per un dispetto commesso, però si ribellò. Riuscì a sfondare la porta dopo vari tentativi, si avvicinò nella bara della madre che era in coma dal sonno, e si nutrì del suo sangue per placare la sete. Fu uno spiacevole malinteso il suo perché non si sarebbe mai sognato di essere in grado di uccidere la madre adottiva. Il padre tornato da casa a tarda notte, si accorse del cadavere della moglie dentro la bara e chiamò il figlio. Il bimbo pianse raccontandogli la verità, che non sapeva, che non si aspettava di aver causato la morte della madre; il padre avrebbe dovuto cacciarlo, no, ucciderlo o forse anche abbandonarlo in un altro posto? Anche se doveva andare in questo modo per giustizia, fece diversamente. Seppellirono il corpo della madre sotto terra, dietro casa, e rimasero insieme per sempre. Gli anni passavano, il re quando morì affidò il castello al padre adottivo, e il bambino ormai era diventato un vampiro giovane e forte. Approfondirono i viaggi, gli studi, e allargarono la famiglia con nuove conoscenze. Nella metà del 1900 il padre adottivo conobbe un umana, si innamorò di lei ed ebbe una figlia. Ma il padre non poteva sopportare il destino crudele della bambina, non gli poteva concedere quel futuro, allora si separò da lei e dalla creaturina. Il figlio adottivo però la incontrò diciotto anni dopo e….’’

“NO! Non può essere andata così!”

Ascoltai quella storia attentamente, sillaba dopo sillaba, mentre lui pronunciava le parole con lentezza, come se parlasse ad un bambino. E un attimo dopo una lama mi trafisse lo stomaco, mi tagliò il cuore, e sentii una fitta dolorosissima nel petto. Ricordai che smisi di respirare, e la testa iniziò a girarmi così forte da farmi vedere il terreno davanti a me che ondeggiava. Ci fu un momento in cui mi chiesi a cosa ci stava a fare il bosco in quel posto, perché esistesse gli alberi e perché era tutto così ingiusto. Perché il destino era così ingiusto? Mi trovai con le mani fra i capelli, inginocchiata al terreno, le lacrime al viso mi scottavano, sudavo freddo, e il mio corpo era tutto un tremore. Odiavo quel silenzio. Capii tutto, e tutto aveva un riferimento logico, una similitudine giusta: la madre adottiva, il padre adottivo, il re morto per via dalla vecchiaia, il castello, il lavoro della vampira all’abitazione del re, e… quel bambino.

“Sì, Alexia, il figlio adottivo sono io. Drakon e Celesia erano i miei genitori adottivi’’, rivelò mentre si avvicinava a me, si fermò ai miei piedi. Non riuscivo a vedere il suo viso, ma sarei stata pronta a scommettere che anche nel suo viso era impressa quell’espressione di sofferenza che avevo io; non seppi descrivere chi dei due potesse stare così male in quel luogo.

Scrollai la testa mentre premevo con forza le mani contro le orecchie. “No, no, no! Tu non…tu….!’’, singhiozzai. Non volevo sentirlo, non potevo credere che fosse stato solo un inganno, tutto quello che mi aveva raccontato fino ad esso. Fui a tal punto da chiedermi se ero veramente la figlia biologica di Drakon e che mia madre non mi avesse di nuovo mentito.

“Non seppi il nome dei miei genitori veri, ma erano stati uccisi da un clan di vampiri. Drakon mi risparmiò da quell’errore commesso, mi vergogno ancora oggi di quel gesto, e ho sempre vissuto insieme a lui come il suo figliol prodigo. Ma non riesco mai a considerarmi suo figlio, non dopo tutto quello che gli ho fatto”

“Voi avete…gli occhi uguali…I tuoi occhi sono i miei!”, urlai, improvvisamente arrabbiata.

Infilzai le unghie lunghe sul terreno per trattenere la rabbia improvvisa. Non sarei stata tanto felice di vedere il mio viso inondato dall’ira, anche se  riuscivo ad immaginarlo, ma Alucard era calmo.

Lo vidi storcere le labbra. “Drakon suppone che è pura coincidenza, oppure che anche un suo parente lontano si sia accoppiato con uno dei parenti dei miei genitori’’

“E io?! Io ti assomiglio?’’

“Hai gli occhi di Drakon, e misteriosamente anche i miei, su questo in parte è un mistero’’

Non volli sentire ragioni. Gli saltai addosso e lo contrai contro un albero. Io gli stavo così vicina da fargli notare solo la mia faccia plasmata dalla rabbia. Gli uccelli nascosti tra i rami degli alberi vicini, volarono sopra le nostre teste per raggiungere l’altura del cielo. Ogni animale sia grande che piccolo iniziava a correre veloce, le orecchie percepivano il rumore delle zampette frenetiche.

“Io ti uccido, giuro che ti uccido!’’, ruggii.

Sorrise triste. “Tanto meglio, almeno sarò ricompensato all’Inferno per aver ucciso Celesia’’, nei suoi occhi nessun’ombra di paura ma sono puro dolore.

Lo strinsi al collo. “Chi sei tu?!’’, sputai fra i denti.

Lo disse chiaramente, pronunciò sillaba per sillaba. “Nessuno, solo un vampiro che è stato affidato a tuo padre molti anni fa’’

“Chi sono io?’’

“Non mi sei parente, se tu lo vorrai, solo la figlia di un vampiro e di un’umana’’

Premetti ancor di più con le mani il suo collo duro fino a sentirgli un lamento. “Perché? Perché diavolo non me lo hai detto prima?! Volevi farmi passare per deficiente? Aspettavi che lo capissi io per venirtelo a dire?!’’. Strinsi ancora.

Il suo corpo si irrigidii. “Lo hai saputo ora’’, soffocò.

“Già, per colpa tua!’’, e lo scaraventai verso un albero con tutta la forza che avevo nel braccio. Sbatté violentemente la testa sul tronco ma con mio malgrado cadde su due piedi con perfetti movimenti.

“Era giusto dirtelo’’

“Hai fatto male!”, mi proiettai vicino a lui e lo spinsi ancora una volta verso un altro albero. Ma lui si rialzò con la stessa grazia di prima.

“Ti prego, lascia che ti faccia capire…’’

“No! Ormai ho capito tutto e abbastanza da farmi indurre che sei uno stupido vampiro, idiota, mentitore, bugiardo. Sei stato bugiardo con me fin dall’inizio, e per questo non riuscirò mai, MAI A PERDONARTI!’’

“Alexia…’’

“MAI!”

Restò zitto, le parole che avevo pronunciato con tanta forza gli avevano sicuramente perforato l’anima. Lo avevo ferito ed era quello che desideravo che facessi. Non mi dispiaceva più se lo deludevo, ferivo o odiavo, per me fu un piacere fare altrettanto. La mia testa mi diceva che era giusto dimenticarselo per sempre, il mio cuore mi consigliava di dargli un’altra possibilità? Ma quale possibilità avrei potuto dargli se mi aveva mentito per tutto questo tempo, se mi aveva trattata come una stupida da quando ci siamo conosciuti?. C’era un silenzio tombale, imbarazzante nell’area in cui ci trovavamo, percepivo il respirare veloce e il battere del cuore accelerato delle creaturine nascoste da qualche parte, il più lontano possibile da noi; da me.

“Stai lontano dalla mia famiglia’’, lo minacciai, sforzai di pronunciare con calma le parole, altrimenti sentivo che sarei esplosa di nuovo.

“Sai bene che non posso farlo, Kate mi considera uno della famiglia’’, insistette lui, supplichevole.

Gli diedi un colpo secco alla costola da mandarlo di nuovo all’aria.

“Prova a star lontano da loro a partire da ora. Sei stato furbo con me in tutto questo tempo, prova a farlo anche ora. Per quanto alla verità ci penso a raccontarla io a mia madre’’, incalzai con un sorrisetto malvagio.

Si pietrificò. “Ci rimarrebbe male ’’

“Lo hai voluto tu, dovevi dirlo prima’’

Di nuovo quella smorfia di dolore, gli lacerava il viso. “Alexia, possiamo ricominciare tutto da capo. Posso spiegarti tutto, tutto, e saremo di nuovo felici insieme’’

Strinsi i pungi. “Sei stato tu a rovinare tutto, e non si riparerà più quello che hai fatto e detto oggi. Non saremo mai più felici, insieme, mai più. Mi hai distrutto tutto, Alucard, non te ne rendi conto? Ogni gioia, ogni speranza, vissuta con te…ora sono dissolti nell’aria; mi hai rovinato la vita; non riesco a trovare un modo che possa riparare a tutto, e tu? Che senso ha avuto tutto questo, me lo dici? L’affetto che ho provato per te, l’amore tuo per me e la mia famiglia, le nostre amicizie…che senso ha avuto tutto quello che abbiamo passato? Me lo devi dire tu perché io non lo capisco, non riesco a trovare una ragione’’

Restò zitto, le labbra rigide, i muscoli tesi, stringeva la mascella, non voleva parlare. Non ne aveva la forza.

Sospirai, nonostante cercassi di rimanere calma per ragionare i miei muscoli erano continuamente rigidi, non manifestavo alcuna voglia di tornare calma, se lo avessi fatto mi sarei sentita un’idiota che non era capace di ragionare.

“Mi hai ferito, Alucard, mi hai profondamente ferito, nel mio profondo. Sapere che non ero la tua sorellastra era fra le ultime cose che mi sarei sognata di sentirti dire. E ora…non riesco più a fidarmi di te, ne ad ascoltarti, perché non è più una ragione’’

Restò zitto. Continuai.

“Ogni momento passato insieme non ha più un motivo di esistere, non ne ha più, perché mi hai mentito. Mi hai umiliato perfino difronte ai miei amici. Ora ho paura di raccontare questo a tutti e a Louis, e mi vergognerò. Io…’’

“Se tu vuoi che me ne vada…’’

“Sì, voglio che te ne vai. Sì, te ne devi proprio andare” . Lo dissi chiaramente e con tutta la sincerità che riuscivo a trasmettere.

Rimase immobile per qualche minuto per studiare il mio viso, per focalizzare un segno di bugia nei miei occhi che non trovò. Annuii e si incamminò all’uscita del bosco.

“Non intendo di andartene dal bosco’’, precisai, e lui si fermò voltandosi verso di me. “Vattene da Redmoon, dalla mia famiglia, da Drakon, da Solemville, da questo posto; vattene dalla mia vita, per sempre. Non farti più vedere, mai più. Così il mio futuro procederà normale con Louis senza che tu ti ci intrometta, aveva ragione lui: dovevo dargli ascolto. Lascia in pace Drakon e vieni a visitarlo quando non ci sarò io, mamma ha sopportato diciotto lunghi anni senza che avesse l’opportunità di vedere mio padre almeno una volta, io farò altrettanto con te, e molto di più. Sparisci, ritorna a Boscosempreverde, da Eclissia e dalla sua famiglia, o se vuoi stattene con i licantropi, basta che non sia qui. Vai in qualsiasi posto tranne che qui. Non ritornare più a Solemville, non ti azzardare mai più ad entrare nella mia stanza, sono sicura che ce la farai a sopportare la mia assenza, tanto hai tutta l’eternità per trovarti una famiglia mentre io ho una vita intera. Ti d’ho almeno una settimana per fare le tue maledette valigie e sgombrare da questo villaggio’’

Restò impassibile.

Deglutii qualcosa in gola. “E prenditi questa’’, mi levai il gioiello al collo, glie lo lanciai ma anziché prenderlo lo lasciò cadere ai suoi piedi. “Non mi serve più, e non mi serve più la compagnia di un fratellastro che è stato solo in grado di prendermi in giro ’’

Silenzio, aspettai ma non parlava, ero distante a lui da dieci metri, un enorme muro trasparente era la nostra barriera. Ad un tratto vidi la sua mano muoversi ed afferrare la collana. Accarezzò l’ovale di vetro blu e lo strinse fra le mani, si volse a guardarmi.

“Addio’’, disse.

“Addio’’, ricambiai io cercando di apparire calma e impaziente, ma quelle parole non furono altro che un saluto soffocato.

Abbassai lo sguardo, immobile sul posto, ascoltando il silenzio apparente della vegetazione. Poi vidi le foglie secche muoversi da una ventata gelida, rialzai lo sguardo, ed ero di nuovo sola. Mi gettai a terra e buttai fuori quello che avevo trattenuto in gola.

 

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Capitolo 17
*** lo sento già così lontano ***


Capitolo 16
“Non riesco a credere che fosse vero’’, mormorai, rotta dal pianto. Mi asciugai il viso bagnato di lacrime.

Fuori pioveva a dirotto, le gocce sbattevano furiose contro la finestra della mia camera, le nuvole cavalcavano il cielo minacciose e lente, il vento mandava ululati ghiaccianti per tutte le pareti della casa e piegava gli alberi lontani con una potenza violenta; perfino l’erba del nostro giardino si appiattiva al suolo come ogni altro fiore. Dentro la stanza regnava il silenzio edera soltanto illuminata dalla luce opaca della lampada sul comodino, mi trovavo accanto a mia madre sul letto.

“Forse lo ha fatto per il tuo bene’’

Lanciai un’occhiataccia a mamma. “Oh, andiamo!’’, esclamai. Non riuscivo proprio a credere che tutto quello che mi aveva rivelato il pomeriggio scorso era stato per il mio bene.

“Ti ha amato tanto, Alexia, sicuramente è stato molto difficile dirtelo in quel momento’’

“Non dirmi che lo stai difendendo?’’

Annuì. “Dico soltanto che devi solo cercare di comprenderlo, avrà attraversato un momento difficile, e dirti la verità….’’

“Se è stato così difficile per lui dirmi tutto, doveva tenerselo per se’’

“Se ti avrebbe nascosto la sua identità per sempre, non avrebbe fatto di certo bene ne a lui ne a te ’’

“E cosa credi che mi abbia fatto adesso? Bene? Mi ha tenuta nascosta la nostra finta parentela per anni e anni, perfino a te, fino ad oggi, ed è qui il grande errore: non poteva mantenere il segreto così a lungo. Questo mi ha causato un qualcosa di indissolubile che fa male, proprio qui’’, ed indicai il ventre. Un tuono rimbombò potente nel cielo, fece tremare la terra. Al rumore mi fece fermare il cuore.

Mamma allungò la mano destra e mi accarezzò la guancia. “Ognuno nella vita commettiamo sempre un errore che ci pesa tanto’’

“Pensavo che i vampiri non commettessero errori, sono intelligenti’’

Sorrise al mio forte intuito. “ Alucard è un caso a parte: ha avuto così tanta sfortuna in passato che si è chiuso; ma con te pian piano aveva iniziato ad esplorare il mondo. Lo stavi facendo rivivere, tesoro, fino a ieri: quando gli hai detto che se ne doveva andare per sempre’’

Strinsi le mani in pugni, premendo le mie gambe di più nel busto. “Se lo merita, ora sa cosa significa soffrire’’

“Non pensi che abbia già sofferto abbastanza?’’

Rimasi zitta. Nella mia mente iniziò a sfociare mille ricordi che avevo su di lui, tutti belli, indimenticabili, segreti per sempre, divertenti. Controvoglia, mi passai la lingua fra i denti e fu come se all’improvviso assaggiassi il suo odore nella mia bocca. In un certo senso il mio cuore aveva ragione: era stato abbastanza furbo da non riuscirsi a farsi dimenticare. Non riuscivo a dimenticarlo, mai.

Istintivamente, mi misi una mano sul cuore. “Lo sento già così lontano, mamma ’’

La abbracciai con lacrime che avevano preso di nuovo a bagnarmi il viso, la strinsi forte a me per avvertire il suo odore e il calore del corpo; forse facendo così mi sarei liberata temporaneamente dei ricordi. Non fu così.

“Lo so, Alì, lo so. Credimi, ci sono passata anche io’’, mi accarezzò la testa.

Aveva ragione, anche se era impossibile ammetterlo. “Fa male tanto. Come si fa a liberarsene di questo dolore?’’, singhiozzai.

Sentii la sua stretta farsi più forte. “Pazienza, Alì. La pazienza e l’amore’’, mi sussurrò. Nelle parole notai il dolore, stava per piangere anche lei.

“È…è difficile’’

“Bisogna affrontare nelle vita momenti difficili. Ma non dimenticarti anche del passato perché è una medicina per il futuro migliore: ti aiuta a riparare agli errori commessi, ti giustifica. Non liberarti mia delle giornate trascorse insieme a lui, ora che se ne andrà’’

La strinsi ancor di più e non smisi di piangere, presto anche lei iniziò a lacrimare. Eravamo entrambi dispiaciute, tristi, angosciate. Sentivo che dovevo fare qualcosa, anche se ora come ora avevo paura che un grande passo fosse stato il più pericoloso.

Quella notte non dormì, anche se l’acquazzone era all’improvviso cessata lasciando al suo posto una pioggerella leggera, mi rigirai sul letto più volte e viaggiai in continuo nella casa cercando di riprendere sonno; non avevo pensieri se non per Alucard. Alla fine, dopo mezzanotte, rientrai nella camera da letto e spalancai la finestra, un’aria fresca mi inondò il corpo, mi misi a guardare la luna.

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Capitolo 18
*** ad un tradimento irreparabile fino ad un nuovo amore ***


Capitolo 17
Mancavano tre giorni a venerdì: sentivo nel mio profondo che Alucard se ne sarebbe andato quel giorno. Non volevo accettare la sua partenza, ma dovevo essere forte se non volevo vederlo mai più. Nei giorni passati, nemmeno Drakon venne a farci visita di sera, nonostante desiderassi informazioni. Rimasi nel mistero per molto, dentro la stanza, a leggere libri che ormai non mi servivano più, il diario di Alucard lo avevo messo solitario dentro l’ultimo cassetto che non aprivo mai. Passò lunedì: niente, silenzio, martedì: niente, mercoledì: niente, giovedì: ancora nessuna notizia. Cominciavo ad perdere perfino l’orario del tempo, mamma credette che fossi in un o stato di depressione: dovevo ammettere che infondo era la verità. Non parlavo, mangiavo poco e bevevo scarsamente, non dormivo più….sembravo uno zombie. Ero morta dentro ma fuori continuavo a vivere; mi sentivo vuota, impotente, incapace di fare perfino un passo. Le ore della giornata le passavo alla maggior parte nella mia stanza, non assistevo nemmeno più alle partite di calcio che erano il mio svago per stare più accanto a mio padre, non cucinavo insieme a mamma, parlavo pochissimo con mia sorella. Una parte di me voleva che aspettassi il momento in cui Alucard non ci sarebbe stato più, per incominciare ad affrontare una tortura che mi avrebbe portata lentamente alla morte. Lo sentivo, questa non era la mia strada.

Di giorno e di notte non feci che pensare al lui, tralasciando tutto: perfino anche i miei amici e l’amore della mia vita. Soltanto quando vidi i mille messaggi e telefonate ricevuti nel cellulare, mi accorsi per quanto tempo fossi stata male, fuori dal presente. Il mio primo istinto fu quello di telefonare e chiedere scusa, aggiungendo una scusa banale o la verità, invece li cancellai tutti e mi alzai dal letto.

Un secondo dopo mi ritrovai in salotto. Presi il giubbotto, avvolta tra gli sguardi curiosi e sorpresi della mia famiglia, e mamma uscii dalla cucina. Il camicie era sporco dalle macchie di pomodoro.

“Dove vai, tesoro?’’, chiese lei, quasi sul tentativo di fermarmi.

“Vado da Louis, ho voglia di rivederlo’’

Mi guardò torva. “Sì, certo, ma fai attenzione’’

La guardai accennando un sorrisetto che faceva trapelare la tristezza. “Certo, certo ’’. Chiusi la porta e iniziai a correre a velocità disumana tra le strade di Solemville.

La casa di Louis era un po’ simile alla mia: un giardino che la circondava, con alberi e piante, il largo balcone all’entrata, a due piani. Le stanze però erano più spaziose delle mie. L’abitazione erano in stile Liberty, richiamava la natura. Si trovava a dieci chilometri lontano dal parco, affiancata da altre case più piccole di quest’ultima.

Il cielo era pulito, riuscivo a vedere le costellazioni, la luna era bianchissima come il latte, e tirava un venticello freschetto nonostante fossimo alla fine dell’estate.

Ritrovarmi nella casa di Louis mi diede un senso di angoscia, forse anche di vergogna, più avanzavo a grandi passi verso la porta più sentivo le mani tremarmi. Ricordo he mi facevo domande del tipo: cosa diranno i suoi genitori della mia lunga assenza in casa loro? Mi cacceranno? E Louis come sta? Elisa sarà sana come un pesce? Al ricordo della guarigione di Elisa, mi riaffiorò subito alla mente il volto del vampiro, ma lo scacciai immediatamente.

Trovandomi davanti alla porta, feci un respiro profondissimo, e diedi tre colpi secchi.

Dieci secondi dopo venne ad aprire la mamma di Louis, praticamente identica al figlio. “Alexia!’’, mi chiamò lei, gli occhi spalancati dalla sorpresa. Supposi che sarebbe venuta ad abbracciarmi e invece rimase immobile, come se dietro la sorpresa si nascondesse anche la paura; di sicuro era per il mio aspetto orribile.

“Ciao, ehm, come stai?’’, chiesi a mia volta, cercando il più possibile di apparire felice ed accennare un sorriso.

“Bene, e tu? Non hai una bella cera. Louis ti ha salutato molte volte ma non gli hai risposto ’’

“Sì, lo so…è complicato’’

Non mi aveva ancora fatta entrare. Annuì. “Capisco. È successo qualcosa?’’

“Sì, e mi sentirei più a mio agio se potessi parlare con Louis su questa cosa ’’, allo stesso tempo accarezzai l’anello di fidanzamento, come una necessità per tranquillizzarmi.

La donna si strinse nelle spalle. “Oh, mi dispiace, ma lui non è qui ora’’

La guardai perplessa. “E dov’è?’’

“Da Paul. Gli dirò che sei passata e chiesto di lui, appena ritorna’’

“Ehm, certo, grazie’’, balbettai, confusa. Non poteva essersene andato, sentivo il suo odore intorno alla casa.

Il sorriso della donna si allargò. “Prego. Vieni a farci visita, ogni tanto. Buonanotte’’

“Buona….’’, ma a quel punto lei aveva chiuso la porta.

Rimasi lì, impalata sul posto, indecisa se ritornarmene a casa o pure distraendomi facendo una passeggiata. Forse avrei dovuto andare a casa di Paul per rivedere Louis, ma non ci tenevo a vedere quel gorilla omicida del suo amico.

Tenni un po’ il broncio e mi incamminai delusa verso l’uscita. Non fui a metà strada che una voce familiare mi catturò.

“Sì, ciao Jennifer. Sì, sto meglio, e tu?’’, era Louis che sussurrava al cellulare, nella sua stanza, e riuscivo a sentire il rumore confuso di una penna sul foglio. Scriveva.

Un momento: perché parlava con Jennifer? Non poteva telefonare me? infondo avevo il cellulare a portata di mano ed era acceso. Sulle prime optai sulla preoccupazione di quei giorni che non mi ero fatta sentire, ma poi…

“Non si è fatta ancora sentire….no, non m’importa’’

Cosa non gli importa?

A quel punto mi trovavo con la testa sollevata verso la sua stanza che si trovava al primo piano, la luce era accesa. Feci un salto ed atterrai sul piccolo bacone della sua stanza, mi avvicinai alla finestra-porta fortunatamente spalancata e lo vidi: era seduto sulla scrivania, la luce della lampadina illuminava il suo viso e il foglio con cui scriveva. La mano che lavorava con la penna gli tremava, era agitato?

Sogghignò. “È una stupida illusa, ecco cos’è’’

Alzai un sopracciglio.

“Pensavo che i vampiri fossero più intelligenti’’, disse una voce femminile dall’altra parte del cellulare.

“Lei è una dei pochi’’

Mi si fermò il cuore quando capii che la “lei” di cui stavano parlando ero io; non c’erano dubbi, altrimenti chi tra i vampiri esistenti a Solemvillle era il più stupido? Infondo ero un ibrido. Era una di quelle cose di cui mi vergognavo.

“Si vede che è molto occupata a pavoneggiare con il suo fratellino. Povero Louis, chi si occupa di te, ora?’’, rispose sarcastica Jennifer.

Rise appena, ma poi ritornò serio. “Non mi va di raccontarle tutto, infondo è piena di talento e mi piace’’

“Chi?’’

“Sai bene di chi parlo ’’

“Mi pare che avevi le idee chiare su di lei, o hai cambiato idea?’’

Si strinse nelle spalle. “No, no, certo che no’’

“Allora deve capirlo. Per te forse sarà stato bello ma ricorda che è durato poco. Tu non volevi darle quell’anello, non avesti mai dovuto darglielo in verità perché non l’amavi più’’

E il mondo mi crollò addosso, sentivo il dovere di aggrapparmi da qualche parte perché prima o poi sarei svenuta. Non capii come mi ritrovai senza respirare, non sentivo più niente, se non le parole che si scambiavano, il resto era inesistente.

“Non voglio ferirla’’

La voce di Jennifer si fece più dura. “O ferisci lei o ferisci me, ricorda che sei stato tu a recitare il ruolo del bel fidanzatino quando io ti avrei avvertito che sarebbe stato peggio’’

All’improvviso sorrise rincuorato. “Però mi hai dato ascolto, perché sai che non ti lascerei per nulla al mondo ’’

Si sentii una risatina. “Sì, lo so, me lo hai detto un sacco di volte’’

“Ti amo ’’. Fu chiaro, chiaro come l’acqua, come la luce del sole, parole che mi uccisero come i raggi solari, come il fuoco, come il freddo glaciale, come…come una lama infilzata nel cuore, come….non so come. Sapevo che andava oltre il dolore, oltre qualsiasi aspettativa. E che niente aveva più senso per me, ormai. Tutto, tutto era cancellato, buttato del dimenticatoio. Ogni ricordo conservato per niente, per una presa in giro, per cercare di migliorare un futuro che non sarebbe mai più esistito con lui; mai più.

“Anche io ti amo, Louis’’

Louis sospirò. “Devo ritornare a scrivere, ci sentiamo domani’’

“Sì, amore, scrivi quella maledetta lettera di addio e poi dimmi come è andata. Forse domani verrò da te ’’

“Pensi che Alexia abboccherà all’amo?’’

“Se ti inventi tante scuse riguardo ad Alucard, allora sì. Scommetto che prenderà sul serio l’addio’’

“E dopo? Che cosa gli succederà?’’

“Per ora non preoccuparti di questo, si vedrà, ora dobbiamo solo preoccuparci di togliercela di torno ’’

Le labbra di Louis si strinsero per non controbattere. “Buonanotte, Jenny. Ti amo ’’

“Buonanotte’’

Riappese e mise il cellulare sul tavolino. Silenzioso, spense la lampadina e tirò un altro sospiro si stanchezza, alla fine si alzò dalla sedia e avanzò dal balcone a passi lenti. Io, con movimento felino mi nascosi in un angolo buio, tramortita ancora da quella discussione, confusa, impietrita, ma cosciente. Abbastanza presente con la testa per provare ogni sentimento alla volta, uno per uno: confusione, smarrimento, tristezza, rabbia, furia, collera. Sentii qualcosa dentro di me che stava salendo, i muscoli iniziarono a cambiare comodità, con la lingua mi toccai i canini già allungati e appuntiti.

Focalizzai la posizione, la distanza in cui ci trovavamo, e il tempo che mi rimaneva prima che lui si girasse e si accorgesse di me; nel ricordai tutti i passaggi per una battuta di caccia: indietreggia, corri, salta, afferra, lotta, mordi. Lui era incantato a pensare, ad osservare il manto di stelle nel cielo e la luna, allora iniziai i primi passi. Silenziosa come un gatto. Ma quando all’improvviso si girò ogni speranza fu vana.

Beccata.

Mi guardò come si guarda un cane arrabbiato. Di certo, data la mia espressione, ero io quel cane arrabbiato. “Alexia, amore mio, che ci fai qui?’’, mi chiese tremando, sfoderando invano un sorriso, respirava velocemente.

“Sono venuta a trovarti’’, sputai tra i denti, la voce proveniva dall’oltretomba.

Sorrise appena, pietrificato dalla sorpresa. “Oh, che bella sorpresa!’’, esclamò. Era un pessimo attore, ora che sapevo tutto, chi cercava di prendere in giro cercando di apparire felice?

Strinsi i pugni, feci un passo avanti. “Prima avevo chiesto a tua madre, ma lei aveva detto che non c’eri per cui stavo per andare via, poi ho sentito la tua voce e sono venuta a sentire. Parlavi, vero?’’

Deglutii, mi accorsi che stava tremando. “Ehm, può darsi’’

Smascherato. “Davvero? Mi sembrava che parlavi’’

D’un tratto lo vidi avvicinarsi a me, col fare coraggioso, e mi abbracciò. “Amore, non sai quanto ero preoccupato per te. Non rispondevi più alle mie telefonate e messaggi. Che ti è successo?’’

“Non potevi venire a farmi visita?’’

“Ma che cosa ti è successo?’’

Che senso valeva dire una bugia, se non ormai per me era tutto ingiusto. Che senso valeva essere bugiarda con lui se anche io lo sono stata fin dall’inizio su certe cose.

“Ho avuto un calo di depressione’’, risposi.

Mi guardò torvo. “E perché mai?’’

Deglutii un nodo. “Alucard non è quello che pensiamo tutti’’

“Che?’’

“Non è il mio fratellastro, non lo è mai stato. È come un figlio adottivo per Drakon e la sua moglie morta, i suoi genitori sono stati uccisi quando lui era ancora in fasce ed erano i parenti lontani di Celesia, la madre adottiva di Alucard. Però è nato da due vampiri quindi per quanto riguarda la natura…’’

“Maledetto! Io quello lo ammazzo, bugiardo, idiota! Come ha potuto…perché ti ha mentito? Con quale diritto ha fatto questo?’’, sbatteva furiosamente i piedi contro i mattoni di pietra, i suoi occhi pieni di odio.

Sorrisi a mia volta. “Voleva tenerlo nascosto per il mio bene, pensava che se lo teneva segreto fosse stata la cosa più giusta da fare’’

Louis strinse i denti.

“Ma dopo, non so perché, mi ha confessato tutto’’

“Ha fatto male, molto male! Perché io adesso lo vado ad ammazzare’’, si avviò a grandi passi verso l’entrata, ma non sarebbe mai riuscito ad andare al castello.

Lo afferrai nel cappuccio della tuta da ginnastica. “Aspetta’’

Mi guardò sorpreso mentre si fermò.

“Non devi più preoccuparti di ucciderlo, l’ho cacciato via, se n’è andato per sempre’’, in parte era la verità.

Nei suoi occhi trapelò subito la gioia. “Davvero se n’è andato? Non ci darà più fastidio?’’, mi strinse forte a se, baciandomi la fronte. “Mi sono innamorato di un genio’’

Cercai in ogni modo per non scansarlo, mi ritrovai, come prima, rigida come una statua. “ Un genio o una stupida illusa?’’

Nel suo corpo ci fu una scarica elettrica che lo allontanò velocemente da me, mostrandomi il viso sorpreso, ma allo stesso tempo spaventato. Capiva e faceva finta di non capire.

“Che cosa vuoi dire, Alì?’’

“Pensavo che i vampiri fossero più intelligenti. Si vede che è molto occupata a pavoneggiare con il suo fratellino. Per te forse sarà stato bello ma ricorda che è durato poco. Tu non volevi darglielo quell’anello, non avresti mai dovuto darglielo in verità perché non l’amavi più. O ferisci lei o ferisci me, ricorda che sei stato tu a recitare il ruolo del bel fidanzatino quando io ti avrei avvertito che sarebbe stato peggio. Anche io ti amo, Louis. sì, amore, scrivi quella maledetta lettera di addio e poi dimmi com’è andata. Forse domani verrò da te. Non ti suonano familiari queste parole?’’

Il suo corpo divenne di statua, sentii perfino il suo cuore fermarsi per molti secondi, la sua pelle si mutò nel colore del marmo. Era pallido come un vampiro, quel momento. “Che…come…?’’

“Come. Hai. Potuto?’’, cercavo di trattenere l’adrenalina, sapevo però che non sarei rimasta ferma allungo, sputavo via le parole fra i denti come si sputava il sangue dalla bocca. Forse stavo veramente buttando furori anche il sangue perché ad un tratto ne sentii il gusto ferreo e dolciastro. Mi accorsi poco dopo che mi ero morsa il labbro per trattenere qualcosa peggio delle urla.

Louis iniziò ad indietreggiare, vedeva a cosa stavo per diventare, capiva, le sue mani tremanti sollevati verso di me per mettermi in guardia mi crearono così irritazione da volergliele staccare con tanto di morsi. Strinsi di più i pugni da causarmi una ferita nella carne per le unghie troppo lunghe, in parte volevo risparmiargli almeno un arto se non due.

“Aspetta…posso spiegarti?’’

“Come?! Come, cosa mi spieghi: bugie, menzogne, frottole? Tutte queste cose che ti sei inventato da tanto tempo?!’’, ruggii, ritrovandomi faccia a faccia con lui. Era come rivivere quel momento con Jennifer alla festa, fu così familiare, simile.

Un altro passo indietro. “Io…Alexia, non è come pensi’’

Mi costrinsi a fare un altro respiro profondo. “E allora com’è? Spiegamelo, adesso faccio la parte della deficiente’’. Non sapevo se ridere o mettermi a piangere. Era ridicolo e crudele allo stesso tempo. Perché tentare di continuare ad inventarsi frottole se avevo capito ogni cosa? Bastava essere chiari e io me ne sarei andata dalla sua vita per sempre.

“Non avremmo mai dovuto continuare la nostra relazione perché mi ero già innamorato di Jennifer, prima che ti chiedessi di diventare la mia fidanzata, però odiavo vederti sola, insomma non volevo lasciarti. Mi piacevi Alì, e mi piaci tutt’ora, ma non sono in grado di provare più quell’amore di un tempo con te, non ci riesco, sei troppo….troppo per me. troppo bella, troppo intelligente- in parte- e troppo potente. Tutte queste cose che io non ho e che, lo ammetto, ne sono geloso’’

“Ed è per questo che alla festa mi chiedesti di poterti trasformare’’

“Sì, perché non avevo mai smesso di sperare al nostro futuro. E quando arrivò Alucard…Oh, divenni ancor più geloso. Lui è più bello di me, più furbo, e sicuramente ti piace. Tutte cose che io non ho’’

“E nel frattempo ti vedevi con Jennifer, e allo stesso tempo mi prendevi per una imbecille!’’, gridai.

Un altro piccolo passo tremolante verso la porta. “Alexia, però non dubitare che in questi mesi tu non mi sia piaciuta, anzi….’’

“Io mi fidavo di te!’’

Non mi accorsi quanto veloce fossi stata a raggiungerlo, in parte non ero ancora pronta a scagliarlo addosso ad un albero, lo sollevai da terra per la gola e un secondo dopo era a terra contro il muro, la testa gli sanguinava e riusciva ancora a muoversi.

Mentre la mia ombra si avvicinava minacciosa verso di lui, intanto stava cercando invano una via d’uscita.

“Sei un mostro, e io mi sono fidata di te!’’, gridai di nuovo, mostrando di più i denti lunghissimi.

“Alexia, aspetta…’’

“Non farti più vedere da me! Mai più’’

Gli afferrai istintivamente il braccio destro così forte che un attimo dopo sentii un rumore strano provenirgli da sotto la pelle muscolosa, e si aggiunsero perfino le urla. Furono così forti da spaccarmi i timpani, proprio ora me lo immagino sanguinante come lo lasciai quella volta. colsi la ferocità della mia vendetta, e di cosa ero capace. Assaggiai per la prima volta il sangue umano, quando gli morsi ferocemente la gamba sana creandogli un flusso di sangue che si rivolse poi per tutto le mattonelle di pietra creando una gigantesca pozzanghera rossa.

Nonostante fossi arrabbiata, riuscii a trattenere la brama di desiderarne ancora. Nonostante il nuovo sangue fosse così appetitoso e irresistibile, gli voltai le spalle e saltai fin sopra la ringhiera del balcone.

Rimasi ad osservarlo per l’ultima volta, conservando l’immagine del mio traditore per tutta la vita, risi perfino di me stessa per quanto fossi stata stupida di esserle stata accanto qualora non se lo sarebbe mai più meritato, quanto fossi idiota da non capire il tradimento quanto fossi stata illusa di progettare un futuro insieme a lui.

Allora feci l’unico gesto d’addio: mi sfilai l’anello e lo gettai verso di Louis, finii sulla pozzanghera di sangue. Il diamante di acqua marina ora era mezzo sporco del liquido rosso che lo copriva a metà, da non permettere all’oggetto di irradiare piccole sfaccettature colorate. Levandomi l’unico oggetto di unione fra lui e me, fu un’altra lama tagliente al cuore, più una allo stomaco.

Non colsi l’espressione di Louis, perché sporca anch’essa dal sangue, ne ci tenevo rimanere a guardarlo. Agile, saltai giù dal balcone e iniziai a correre. Non sapevo dove andavo, volevo andarmene da lì, andarmene da Solemville, scappare dal mio futuro, scappare da tutto e da tutti.

Chiudevo gli occhi mentre viaggiavo, mi sapevo orientare anche senza la vista, per non vedere dove mi avrebbe portato tutta la disperazione. Consumavo l’adrenalina attraverso le mie gambe, per non farla placare attraverso un’altra cosa; il suo sangue mi aveva letteralmente invaso la gola, mi bruciava più del sangue animale, e ne disideravo ancora. Svoltai tante strade, tante case, colsi tanti movimenti di persone, i loro cuori, i loro respiri, ed in tutto questo seppi resistere. Era impossibile, ma resistetti, perché c’era la mia rabbia a fermarmi, perché c’era il dolore ad avvertirmi che se avrei fatto qualcosa di molto più peggio di quello che feci a Louis, non ne sarei più uscita.

E poi i rumori umani cessarono, arrivò il silenzio della natura, l’aria calda, i grilli che cantavano nella notte, l’erba secca che si sfregava sotto altra erba. E in seguito la vegetazione, il sapore del muschio, quello tiepido e dolciastro del pino, ero a Boscosenzafine. Ma non mi convinsi ad aprire gli occhi: volevo ancora fuggire, volevo sparire, vivere per sempre in un luogo tutto mio, dove non mi avrebbe più cercata nessuno.

Speravo che entrare nella mia seconda casa mi facesse sollievo, mi sbagliavo. Tutto sembrava completamente deserto mentre mi avvicinavo a destinazione, né un cervo né un gufo; non c’era nemmeno un cinguettio di un uccello, il silenzio che avvolgeva il labirinto di alberi era inquietante. Non avvertivo parole in lontananza uscire dalla bocca di qualche animale, né alberi spostarsi. Sembrava un bosco normale, e quando arrivai finalmente nel luogo, sembrava che di tempo ne avessi avuto poco. Non era infinito come certe volte. Forse la causa ero io, affamata, selvaggia, desiderosa di sangue, capii che mi aveva rafforzato le energie rispetto a quello animale, mi sentivo più…vampira.

Immobile sull’erba umida, ascoltavo il rumore sottostante delle onde. Più infuriate delle scorse volte in estate. Quando aprii gli occhi vidi lo spettacolo inquietante: l’acqua era così violenta da spostare la spiaggia, schiaffeggiava con potenza la terra da sentirsi lo schianto e poi si trasformava in grandi manti di schiuma bianca.  Il posto era buio e tetro, rabbrividii. Mi trovavo su un piccolo precipizio, sotto di me le onde accattivanti il mare - da piccola lo chiamavo “Maremaibuono”- che con le sue infinite onde mosse trasmetteva inquietudine anche in una notte pulita come quella. Andava in controsenso.

Da piccola, avevo sempre desiderato tuffarmi da quell’altura, ma più ci provavo più la vista delle onde furiose mi facevano ritornare indietro. Sarebbe stato bello gettarsi nel vuoto, provare un senso di libertà mai avuto, e magari anche scacciare via quel dolore incontrollabile che tenevo sulle spalle.

Perché no? Perché non scacciare via quel dolore, ora? Un giorno o l’altro mi sarei tuffata, no? infondo che male c’era se io stessa facevo del male a tutti? A Alucard, a Louis, ero una vampira ridicola, io stessa mi sentivo ridicola, niente furbizia, ne intelligenza, solo una piccola dose ma scarsa. E non smettevo mai di disperarmi in quel mondo. Forse, se me ne sarei andata, non avrei creato più problemi, Louis avrebbe sposato Jennifer senza che ogni giorno abbia la preoccupazione di essere assalito, mamma e papà smetteranno di preoccuparsi per me, e Drakon….il mio papà di sicuro era perfino addolorato per conto suo, per colpa mia, sempre per colpa mia; e Alucard vivrà in pace senza sentire più le mie continue urla, le occhiatacce minacciose che gli avevo dato quella sera…che idiota ero stata: non lo avevo ascoltato, non gli avevo dato una seconda possibilità quando in realtà se la guadagnava, se accanto a me ci sarebbe stato lui mi avrebbe consolata, sarebbe stato in grado di calmarmi; invece non ci sarebbe stato più, mai più per sempre, non sarebbe più venuto in camera mia, non mi avrebbe più cantata la ninna nanna che aveva dedicato a me, non avrei più sentito il suo dolce odore, né visto il suo sorriso d’angelo, né i suoi occhi che erano i miei, e nemmeno avrei assaggiato il sapore delle sue labbra, la loro morbidezza, il loro sapore. Niente, niente. Qualcosa di ardente si fermò nel petto.

Oltretutto era troppo tardi per fermarlo, troppo tardi per implorargli perdono, perché il giorno dopo se ne sarebbe andato. Ed erano quasi le 12.00 di sera, quindi….

Per un lungo istante, quasi interminabile, mi misi a guardare le onde violente che si infrangevano sotto il precipizio, e sorrisi: non un sorriso di tristezza, ma di speranza e felicità. Sopirai profondamente, tastai cautamente i piedi nell’erba fino a fiorarne con la punta l’angolo del precipizio. Un briciolo di terra si staccò da sotto i miei piedi e cadde nel vuoto fino a schiantarsi contro l’onda del fiume che indietreggiava.

Un altro sospiro, e mi piegai in avanti, feci un salto e mi trovai anch’io a cadere nel vuoto.

Era una sensazione unica, finalmente mi sentivo libera, più cadevo più sentivo che il dolore si stava staccando da me, il vento sotto i miei piedi cercava di lottare contro la caduta per impedire di sostenermi da quella forza di gravità invisibile. La follata d’aria che mi alzava i capelli mi faceva sorridere di eccitazione, era come stare sulle montagne russe, e mi costringeva e ispirare tutta l’aria nei polmoni.

La mai eccitazione si fece più grande quando sentii la consistenza liquida e glaciale dell’acqua, il freddo che mi immobilizzava non fece che trapparmi una grassa risata perché la paragonai alla pelle di Alucard. Non avevo paura, pensavo peggio ma era andato tutto bene, ero felice. felice di aver vinto la paura, era stata adrenalina paura, felice di morire ed essere schiantata a mia volta da onde, e poi da altre onde, verso ogni direzione. Mi abbandonai senza opporre resistenza, a ogni secondo affiorava un ricordo, non muovevo nemmeno le braccia o gambe, non davo ascolto nemmeno alla mia voce che mi ordinava furiosa di combattere contro l’acqua. Era meglio così: lasciarsi andare e morire, che senso aveva combattere se avevo combattuto fino adesso, e avevo perso il mio grande amore? Valeva la pena cedere?

Presto, quasi non me ne resi conto, mi trovai immersa dalla marea nera e glaciale, che mi raggrinziva la pelle e mi trasportava giù fino alle tenebre del fondale. Aprii gli occhi e non vidi altro che nero, sopra di me c’era il blu della notte, e non riuscivo a vedere le stelle.

Era questo dunque la mia ultima visione prima di morire? Non poteva essere che bella. L’acqua mi aveva sempre dato un certo fastidio, ma ora non riuscivo a non amarla perché mi stava dando l’unico desiderio che volevo. Non volevo combattere, mi piaceva che andava così, avevo superato torture peggiori nella mia vita e questa era il bel compensamento. Ero oltre la felicità, sapevo che presto sarebbe tutto finito, dentro quell’oblio sentivo una strana pace. Perfino quando i polmoni mi bruciavano a corto d’aria, e ogni muscolo del mio corpo era immobilizzato dal freddo, e l’acqua gelida mi entrò nella gola soffocante, fui più contenta, tanto da formare con le labbra fredde un ultimo sorriso. Pensai per l’ultima volta ad Alucard e mi lasciai trasportare verso le profondità dell’oceano.

In quel momento sentii una forte pressione al braccio, e qualcosa mi scaraventò verso qualcosa di duro e ancor più freddo, forse uno scoglio, ma un secondo dopo mi accorsi che non stavo più annegando. C’era qualcosa che mi faceva risalire.

Pochi secondi dopo il mio corpo affiorò dall’acqua. Maledizione, ero certa che sarebbe andato tutto alla leggera. Non riuscii ad acquattarmi alla forte follata di vento gelido quando le onde furiose mi abbandonarono completamente.

“Alexia, per favore, amore respira!’’, supplicò una voce piena d’angoscia, profonda. La riconobbi, e nello stesso istante sentii un forte dolore al petto.

“Sì” volevo dire, ma sapevo che non ci sarei riuscita. L’acqua che avevo egurgitato sgorgava dalla bocca sembrava una cascata, mi sentivo la bocca piena di sale, i polmoni bruciavano, se avrei ingoiato un tantino d’acqua la gola mi avrebbe mandato colpi di dolore.

Sentii un’altra pressione dolorosa nel petto, sulle scapole, e svuotai un’altra fontana d’acqua ghiacciata.

“Respira, Alì!’’, implorò Drakon. La pressione premette altre tre volte nel petto, più forte, così da farmi tossire l’ultima sorsata dai polmoni.

Era più fredda delle onde, più del vento, mi faceva vibrare il corpo. Cercai di aprire gli occhi, all’inizio erano macchie scure sul campo visivo poi iniziarono a prendere colore e forma. Mi resi conto che la pressione glaciale erano le mani di papà che cercavano di liberarmi dai polmoni di acqua, e ero adagiata sulla piccola scia di spiaggia lontana dalle onde impetuose del mare. Il precipizio era molto lontano, quasi una decina di chilometri sul lato destro in cui mi trovavo, era una minuscola punta nera il lontananza.

A occhi socchiusi, cercai di ricordare il volto di papà tanto familiare, c’era una confusione assordante dentro di me, e mi girava tanto la testa.

“Alì, tesoro, mi senti?’’, chiese papà nervoso, ma più tranquillo di prima. Forse aveva visto che mi ero mossa.

Presto, molto presto, l’aria iniziò a frequentare i polmoni che iniziarono a bruciare ad ogni mio respiro, la gola era arsa e pungeva dal dolore.

C’era un tale bruciore dentro di me, eppure riuscivo a respirare.

Mi ci volle un bel po’ per aprire completamente gli occhi e guardare in alto. “Babbo?’’, gracchiai.

Il volto perfetto e ventenne di mio padre si immobilizzò dalla sorpresa. “Ah, Alì!’’, sospirò, ora il viso più rilassato. “Oh, tesoro, come stai? Ti fa male qualcosa?’’, chiese impaziente.

“La…la gola’’, soffocai io, colta da un attacco di dolore, i denti mi tremavano per il freddo.

Mi sollevò la schiena senza sforzo e mi premette contro il suo petto ancor più freddo per proteggermi dal vento improvvisamente violento della notte. Lo guardai, lui guardava me con gli occhi rossi pieni di angoscia e confusione. Poi ritornai ad osservare le onde nere, il precipizio su cui mi ero buttata. La notte si era fatta sempre più buia, o era la vista che mi giocava brutti scherzi? Stavo ancora male, molto male. Non mi andava più di morire, non ne avevo più voglia.

Ritornai a guardare papà, ora mi studiava attentamente, e mi resi conto della stranezza che lo aveva fatto capitare fino a qui.

“Come hai fatto a trovarmi?’’, mi lamentai, stando a tenda a non ingoiare per sentire il dolore della gola.

“Volevo venire a farti visita, poi Kate mi ha detto che eri andato da Louis, quando allora seguii la scia del tuo odore fino a casa sua mi accorsi l’improvviso che avevi cambiato direzione. Allora la scia mi ha portato fino a qui e ho visto che ti stavi gettando dal precipizio ’’

Fui colta da un improvviso attacco di vergogna. “Oh’’, rantolai.

Le dita fredde della sua mano mi sollevarono di più la testa, lui mi baciò teneramente la fronte, e la appoggiai sulla sua spalla larga. Un secondo dopo mi sollevò dalla spiaggia.

Mentre camminava lento, vidi dietro la sua schiena le onde oscure del mare, violente, fredde, come se fossero frustrate della mia partenza, e volevano di nuovo partecipare alla mia morte. Io no, non più, ormai.

All’improvviso si fermò e mi guardò fisso negl’occhi. Era arrabbiato. “Perché ti sei tuffata, Alì? Non ti sei resa conto che potevi morire? Che diavolo ti è saltato in mente? Se volevi fare una gara di tuffi acquatici, potevi avvisare!’’. Era la prima volta che gli disubbidivo, e vederlo così protettivo verso di me in una parte mi fece sorridere, dall’altra parte mi fece deglutire.

“Mi dispiace tanto’’, mormorai, ignorando il dolore alla gola quando feci lo stupido errore di schiarirmela. Avevo la voce di una vecchietta. “Volevo solo…volevo solo riuscire a capire una certa cosa ’’, farfugliai dopo.

Curvò le sopracciglia. “E ora l’hai capita?’’

“Ehm…credo di sì’’

“Bene, perché spero di non vederti mai più tuffarti da uno scoglio’’

“Non c’è problema’’

Mi strinse di più a se. “Ti porto a Redmoon, devi rimetterti in sesto ’’

Lo guardai spaventata. Redmoon significava passato. Redmoon significava ricordi lontani. Redmoon significava Alucard. Controvoglia, ammisi un “sì’’ con la testa e mi abbandonai alle braccia di papà.

Al ritorno a Redmoon, mi accorsi di quanto fosse silenzioso il castello, più silenzioso in precedenza. Capii che era per l’assenza di Alucard, dunque se n’era andato. La triste consapevolezza mi creò un nodo alla gola.

Papà non mi lasciò nemmeno quando entrammo nell’enorme sala del castello, c’erano più poltrone del mio salotto, quadri di re e regine e qualcuno di Drakon con il figlio adottivo. Mi lasciò distesa su una poltrona lunga, parallela al camino acceso, ora potevo scaldarmi per bene.

Mi acquattai sul caldo tessuto porpora del mobile e affondai la testa su un piccolo cuscino morbido rivestito di una stoffa rosa con ricami dorati, il mal di testa non si era ancora calmato da quando avevamo lasciato alla velocità disumana il bosco. Fu la prima volta che corsi fra le braccia di un vampiro, capii quanto fosse più veloce di me, ed era stato elettrizzante e curioso.

Qualche secondo dopo papà entrò dal salone con un’enorme coperta fra le mani anche se ormai ero completamente al caldo. Mi strinsi contro il tessuto e lì consumai gli ultimi pochi brividi di gelo. Fu in quel silenzioso minuto, in cui lui mi sfiorò la fronte, che mi chiesi a cosa fosse dovuto il suo cambiamento di temperatura.

“Hai la febbre’’, giustificò quando allontanò la mano dalla mia fronte.

“Papà, ma tu hai la mano fredda’’, mormorai.

“Quando i vampiri non cacciano da giorni diventiamo più gelidi di prima, per gli umani non sarà la prima volta che mi sentono freddo ’’

Misi la mano libera sotto la nuca per guardarlo meglio. “Ma come ha fatto mamma ad adattarsi alla sua pelle quando ti accarezzava?’’

Annunciò un sorriso d’imbarazzo. “Ignorava il mostro che ero, perché mi amava’’

Mi accorsi che mi accarezzava i piedi per riscaldarmeli più velocemente. Provai gelosia riguardo al rapporto che aveva avuto con mamma al confronto del mio: Louis mi aveva tradita, loro si sono amati fino alla fine, fino alla mia nascita che causò la separazione.

Se non fossi nata, a quest’ora non ci sarebbe questa complicazione, loro si sarebbero amati per sempre e Alucard avrebbe avuto una nuova mamma. E anche se fossi nata? Ammettiamo che papà non avesse abbandonato mamma e me: teoricamente avrei vissuto come una vampira, mamma presto si sarebbe unita alla razza, avrei fatto di Alucard il mio fratellone e saremmo stati una famiglia unita. Teoricamente.

Invece no, doveva andare diversamente: mamma si era sposata con Hendrik, hanno avuto Consuelo, ma nonostante tutto mamma prova ancora forti sentimenti per papà, poi mi sono incontrata con Louis, una grande errore, e si innamorò di me, mi chiese di appartenergli  nel disonore, e scoprii tutto. Non sarebbe servita la lettera per capire, nemmeno delle scuse banali che non facevano altro che offendere Alucard. Che differenza faceva, dopotutto, perché torturarmi ancora? Lui se n’era andato e niente o nessuno lo avrebbe riportato da me.

“Dov’è l’anello? Lo hai perso nell’acqua?’’, mi chiese d’improvviso papà. Si era seduto accanto a me, osservava la mia espressione pensierosa.

Non ebbi il coraggio di guardare l’anulare sinistro. “Ci siamo lasciati’’, soffocai.

“Pensavo che avrebbe funzionato tra voi due’’

Un minuto di silenzio. “Non era destino ’’, risposi dura.

Da quel tono di voce, dovette capire che quell’argomento era meglio tralasciarlo. Rimanemmo in silenzio, papà sembrò ascoltare tutti i miei pensieri perché fu così attento, mentre io guardavo soprappensiero il fuoco nel camino.

“Non era tuo figlio, non lo è mai stato’’, dissi infine, e lo inchiodai con lo sguardo.

Abbassò lo sguardo, colpevole. “Io l’ho sempre trattato e amato come un figlio ’’

“Anche se ha ucciso la donna che amavi?’’

Sospirò. “Non è stata colpa sua’’

Strinsi le labbra. “Perché non mi avete mai detto la verità? Perché non mi hai detto che non era il mio fratellastro?’’

Restò zitto per qualche interminabile secondo, poi incominciò a parlare. “Ho tentato ad indurlo a dirti il vero, ma lui voleva pazientare, fino a farmi capire che non te lo avrebbe detto mai. Quella sera, alla festa di fine anno, quando al ritorno era talmente arrabbiato da non mettere piede dentro casa gli ordinai un’ultima volta, e questa volta fu chiaro. Poi mi raccontò che lo avevi scacciato…’’

“Ero arrabbiata, troppo arrabbiata, nascondermi la verità non ha fatto altro che peggiorare le cose’’

“È quello che pensavo anche io, ma era comunque affezionato a te e ti voleva bene. Non ti voleva farti star male ’’

Annuii. “E ora è lui a star male ’’

Mi lanciò uno sguardo di approvazione. “Mi dispiace’’

Mi passai le dita sotto gli occhi per asciugarmi le lacrime. “No, no, dispiace a me, ho commesso un grande errore, sono stata una stupida’’. Lo rivolevo, ora più che mai.

Papà si mise inginocchiò davanti a me e mi accarezzò la testa. “Non piangere per un errore che hai fatto, si più rimediare tutto’’

“Come posso, papà? Se n’è andato, non c’è più, e non so come raggiungerlo né come chiedergli scusa, mi vergogno a morte, non so se avrò il coraggio di rivederlo’’, singhiozzai.

Intanto la sua espressione si era fatta torva. “Perché avrebbe dovuto andarsene?’’

Fui inondata dalla confusione. Mi pare di averglielo detto. “L’ho cacciato io, papà, te l’ho detto appena…’’, esitai un momento, poi capii. Per un lungo istante mi sentii ondeggiare, stavo per svenire? “È ancora qui? Non se n’è andato?’’, rantolai.

“Voleva progettare di andarsene proprio oggi ma ha cambiato idea’’, rispose. “Credevi che se ne fosse andato presto? A lui gli ci vuole di tempo prima di mettere atto un’azione’’

Rimasi a bocca aperta, ed iniziai a guardarmi attorno. “E allora dov’è? È fuori?’’

“Sì, voleva stare un po’ di tempo solo ’’

La compresi come una scappatella, forse aveva ingannato il padre per andarsene veramente, senza vestiti, senza bagagli o cibo, nemmeno una lettera. Si fidava del figlio, e se proprio la sua fiducia fosse stata una trappola? Proprio quando pensai ad opzioni più orribili sentii un rumore sordo oltre i corridoi del castello: la porta d’entrata. Il cuore mi si fermò all’istante, e dalla porta sbucò la sagoma di Alucard.

Io, insieme a Drakon, lo guardavamo sorpresi, ansiosi, come se lo aspettavamo da tempo. Il padre adottivo gli rivolse un sorriso di ben venuto, mentre io lo guardavo ancora disorientata, un’espressione indecifrabile in volto.

In quello di Alucard invece si lesse un’espressioni pari a quella della sorpresa, la delusione e la rabbia. Non sapevo come descriverla, ma mi fece abbassare lo sguardo.

“Sono ritornato dalla città’’, disse la voce tetra di Alucard. Sì, era arrabbiato. “Sembra che qualcuno si sia divertito a giocare con Louis’’

A sentire il suo nome, un pugno nel ventre mi colpì lo stomaco. Sapeva, e per questo catturò la mia attenzione.

“Sei stato da Louis?’’, chiesi controvoglia, la voce debole, soffocata.

“Era arrivata l’ambulanza per portarlo all’ospedale, mi avvicinai a lui per chiedergli cos’era successo e mi disse che gli avevi rotto un braccio e morso una gamba non appena scoprì che avevi origliato una sua telefonata’’. Probabilmente non gli aveva detto che la telefonata fu la causa di tutto ciò. “Ora lo sanno perfino i tuoi genitori che erano nel luogo, non sanno dove sei andata e sono preoccupati, stavo giusto venendo da Drakon per dirgli che ti andavo a cercare’’

“Le soprese non smettono mai di venire a galla’’, mormorò Drakon.

“Che cosa vuoi dire?’’, chiese prontamente il figlio.

“Che l’ho portata qui per rimetterla in sesto dopo un tentato suicidio’’

“Un suicidio!’’, ruggì Alucard, gli occhi rossi erano pieni di fiamme dalla rabbia, guardò prima il padre e poi me, più arrabbiato di prima. non mi fece altro che abbassare un’altra volta lo guardo. Mi trovavo come una bambina in punizione, e i genitori che continuavano a sgridarla e si interrogavano su cosa avevano sbagliato nell’educare la loro figlia.

“Non…non era un suicidio…’’, balbettai io, senza degnarli di uno sguardo. “Ehm, fin da bambina avevo desiderato tuffarmi da lì, e pensavo che facendolo mi sarei sentita….insomma, è stato…divertente’’

“Ma ci sono delle onde pazzesche in quel mare, ti è venuta per la testa o no?!’’, tuonò Alucard, avvicinandosi minacciosamente verso la poltrona su dove ero seduta. Il padre lo fermò con un gesto alla mano, il figlio ubbidì frustrato.

“Mi ha appena avvertito che si è lasciata con Louis, penso che sia questo la causa di quell’incidente’’

“I genitori di quel ragazzo sono incavolati, se sanno che è qua la metteranno sul rogo!’’

Immaginai la scena che mi procurò un brivido violento. “E i miei genitori?’’, azzardai.

Mi fulminò con i suoi occhi rossi. “I tuoi genitori sono sconvolti, Consuelo spaventata, non si immaginavano una cosa del genere, e nemmeno io! Ora ti stanno cercando una pattuglia per tutta Solemville, c’è chi è entrato nel bosco e non si addentra più di tanto per perdersi’’

Il mio corpo divenne una pietra. Non mi sarei mai aspettata che la mia furia facesse così tanto baccano, e in più c’era una pattuglia della polizia che mi stava cercando in ogni dove a Solemville, presto avrebbero messo anche dei volantini per tutto il mondo: con il mio viso e una scritta sopra con su scritto “Ricercata Alexia Kennedy’’, e poi la somma destinata a chi mi avrà trovata. E poi cosa mi avranno fatto? Uccisa o imprigionata con mille torture.

“Oh’’, fu l’unica risposta che mi uscii dalle labbra.

“Che diavolo ti è venuto in mente, me lo spieghi? Mi sarei aspettato tutto da te, tutto, ma non questo, e in più l’esibizione equilibrista che ti sei fatta nel maledetto mare!’’

Dovevo restare calma per non farlo esplodere più del lecito. “Stavo andando la Louis per incontrarlo, la madre si inventò una scusa per non farmi entrare dicendo che Louis era andato da Paul, ma quando stavo per ritornare a casa sentii la sua voce dentro la stanza, allora decisi di capire cosa stesse dicendo spiandolo fuori dalla finestra. Ed è così che capii che lui e Jennifer si erano progettati un piano per far in modo di rompere il mio fidanzamento e…poi sentii Louis dire a Jennifer che l’amava’’, ripensai a quel fatto e mi causò una forte ondata di adrenalina.  “Ecco perché mi sono così tanto arrabbiata e ho causato a Louis tante ferite, ma non pensavo di aver causato tanto caos in mezza Solemville’’

Alucard e Drakon rimasero a guardarmi, nei loro visi seri riuscì a leggere un misto di rabbia e sorpresa, finché papà non ammise:

“Bè, ora sappiamo il motivo ’’

“Sì, questo è vero’’, disse sprezzante Alucard che non mi staccava i suoi occhi rabbiosi di dosso. “Ma non resterò qui per molto ad assistere alla fine di questo caos. Non rimango qui a guardare. Me ne vado ’’, e uscì a grandi passi dalla stanza.

Dentro di me, si creò un vuoto glaciale, e allo stesso tempo era vuota la mia testa, non riuscivo a pensare ne a cosa dire. Era questo il momento, dunque? E io sarei rimasta a guardare la sua partenza. Non riuscivo a fare un solo passo, rimasi congelata dalla sua uscita, nemmeno a guardare il vampiro accanto a me, fino a quando non fu papà stesso ad incoraggiarmi.

“Va da lui, di sicuro deve concentrarsi per placare la sua rabbia, e tu sei l’unica a riuscirci’’

“Ti sbagli, sono stata io ad ordinargli di andarsene, sono stata io che l’ho respinto in questi mesi, e sono stata io a ferirlo ogni volta che stavamo lontano, quindi come posso fare, dimmi, a placare la sua rabbia quando non so nemmeno capire me stessa?’’

Sorrise, come se le mie parole fossero state un nulla, e mi accarezzò la guancia. “Sono certo che ce la farai. Io vado dai tuoi genitori per dir loro che sei qui. Dirò loro il motivo, capiranno, e capiranno tutti’’

A quel punto non mi rimaneva altro che ubbidire, se rimanevo nel salone immobile sarei apparsa più ridicola di quanto non sembravo ora. A stento riuscivo a camminare fra l’immenso corridoio del primo piano, a causa ancora dei forti giramenti di testa, quando mi trovai vicino alla sua stanza vidi la porta aperta. Vi entrai con cautela, non riuscivo a sentire nemmeno i miei passi e le mani mi tremavano, però lui non prestò attenzione alla mia entrata. Certo che no, perché stava sistemando le valigie e l’enorme armadio era aperto. Silenziosa, lo osservai mentre saettava tra la stanza e prendeva vestiti, scarpe, foto, magliette, eccetera.

“Proprio ora dovevi…?’’, ma non finì la domanda che prese un cuscino e lo sbatté contro la parete ricamata della stanza, creando una pioggia di neve bianca e morbida

Ignorò le mille piume che si sparsero nel pavimento e perfino quelle che caddero dietro la sua schiena, e mi guardò in cagnesco. Io ero sempre una statua accanto al letto.

“Non ti basta che me ne vado? Dovevi per forza creare anche quello che c’è la fuori?’’

“Non è stata colpa mia’’, parlavo con calma. “Ero arrabbiata e sconvolta. Ho….reagito d’istinto’’

Rise alla mia scusa, farfugliò qualcosa mentre rideva che colsi come: “d’istinto’’. Rideva per deridermi, e faceva bene. Mi sarei derisa anche da sola. Alucard prese due scarpe e le mise accanto a una montagna di vestiti, nell’unico spazio vuoto dentro la valigia.

“Sai, forse mi hai fatto un grande favore cacciandomi via’’

Cacciai via un singhiozzò. “Ci sto ripensando’’, mormorai.

Le mie parole lo fermarono. Si mise a guardarmi non più arrabbiato. “Cosa?’’

“Non voglio che te ne vai’’, potevo anche supplicarlo in ginocchio. “Sono stata una stupida, lo so. No, sono stata più che stupida. Sono stata un’idiota. Anche se non sei il mio fratello ti voglio ugualmente bene, e… per quello che ti ho detto, e tutto quello che ti ho fatto….mi nomino tua schiava a vita, pur rimediare a quell’errore. L’unica cosa che voglio è che non te ne vai da Solemville, lascio a te la scelta di perdonarmi o no’’

Dalla sua bocca non uscì A, restava sempre immobile e con un magione fra le mani che aspettava di essere posato insieme ai suoi simili. Poi, dopo un minuto incessabile, appoggiò l’indumento sopra la coperta e mi sfiorò con la spalla. Credetti che volesse uscire e invece chiuse la porta…a chiave.

Si voltò verso di me. “Francamente, il tuo cambiamento di decisione improvvisa, mi stupisce’’

“Francamente’’, gli feci eco, anche se non volevo parlare. Era meglio restare zitta.

“E dimmi il motivo per cui vuoi che resti. Dato che sei qui e mi hai detto la verità, posso anche perdonarti e posso anche andarmene, non sono costretto a rimanere qui. Posso anche andarmene per qualche anno e poi ritornare, ma allora perché vuoi che resti qui da te?’’

Non me lo ero mai chiesta, ed aveva ragione: poteva facilmente perdonarmi e poi andarsene, e forse lo avrei anche rivisto. Sarebbe stato via solo qualche mese e poi sarebbe ritornato, e poi sarebbe ripartito, e così via. Insomma, lo avrei rivisto di continuo, non potevo costringerlo a rimanere per forza come gli avevo ordinato di andarsene per sempre.

Infondo però, volevo che non se ne andava nemmeno per qualche mese. Sarebbe stato tutto così complicato e difficile accettare la sua partenza.

“Perché sono affezionata a te ’’, balbettai, incerta, con gli occhi gonfi. Sentivo che non era una buona risposta.

Sospirò, si staccò dalla porta dove era posato prima e si avvicinò al letto chiudendo le valigie e posandole per terra. Mi si chiuse la bocca dello stomaco quando lo vidi afferrare la valigia: aveva messo già tutto dentro.

Si sedette sul letto, i gomiti appoggiati sulle gambe. “Non mi sembra una risposta convincente’’

Mi asciugai gli occhi umidi. “Ho bisogno di te, ora più che mai. Se te ne vai mi sentirei….vuota, senza più nessuna ragione per vivere, non sarei in grado di ricominciare la mia vita’’

“E…?’’

“Non ti voglio perdere, Alucard, accidenti, e cosa ti dovrei dire se non questo?’’, avevo la voce stridula.

Sogghignò. “Tu vuoi dire quello che vuoi dire, ma non vuoi perché hai paura’’

Restai in silenzio, cercando la risposta nel mio profondo, anche se era lì non riuscivo a tirarla fuori. Eppure c’era, aveva ragione Alucard: avevo paura. Ripensai ai tanti miei errori: alla prima volta che lo vidi e mi arrabbiai con mia madre, alla litigata per quel bacio, al suo compleanno mentre ballavamo insieme, e lì avevo biasimato che lo desideravo veramente, poi alla stanza delle due statue leggendarie, e molte altre ancora che in quell’istante non riuscivo a ricordare. Errori riparabili, sono sempre riuscita perdonarlo ed era andato tutto bene. Ora, sarebbe andato diversamente? Avevo paura di scoprire la verità. Oltretutto, papà aveva ragione: di errori se ne commettevano nella vita, e tanti, ma prima o poi riuscivano a trovare rimedio, bastava far passare del tempo. E poi quello che mi disse mamma: ci voleva amore a pazienza per far passare un dolore travolgente. Ma io non avevo bisogno di tempo, ne di pazienza. Era tutto scritto lì, nella testa, visibile ormai, piena di sincerità. E ne ero assolutamente certa: era l’unica ragione per averlo accanto, per sempre.

“Ma non capisci, Alucard? Ogni momento che ho passato con te è stato sempre il più importante della mia vita, prima avevo timore di dirlo a qualcuno ma ormai che ti perderò non ha più importanza di tenermi tutto nascosto. Alucard, io ti amo. Non come un fratello, né come un fratellastro, ma qualcosa di più, sono stata una tonta a non capirlo prima, anche se frequentavo Louis, eppure lo sentivo. Sentivo di amarti, ma non volevo ammetterlo’’

Restò zitto a guardarmi, non sembrava sorpreso perché se lo aspettava. Mi conosceva abbastanza da sorprendermi, ed io mi sentivo un illusa quando credetti che lo conoscevo bene.

Cercai di fare un passo avanti, ma le gambe mi tremavano, sentivo che avrebbero ceduto se solo mi sarei mossa, mi limitai solo a strisciare goffamente il piede a qualche centimetro più avanti.

“Alucard voglio che resti con me, ti amo. Non te ne andare, non più’’, ormai ero scoppiata a piangere prima ancora che decidessi di farlo. Ecco, lo avevo detto, avevo buttato quanto di più profondo avevo nel cuore, e ora cosa sarebbe successo? Ero felice, ma allo stesso tempo terrorizzata.

Rimasi sul posto, tremante, a guardare Alucard immobile anche lui. I secondi passavano, il silenzio non fece che peggiorare le lacrime e il tremore. Mi chiesi se Drakon non fosse andato via, volevo farmi accompagnare da lui per riaccompagnarmi. Volevo stendermi sotto le coperte per sentirne il calore e dimenticare quella giornata. Ma finché non avrei visto Alucard uscire dal villaggio, sarei rimasta con lui. Se fosse andato via senza che io lo guardassi, sento che non sarei riuscita a dormire, dovevo guardarlo in faccia quando mi diceva addio, dovevo essere sicura che mi diceva addio.

Poi lo vidi alzarsi dal letto, venire a grandi passi verso di me e stringermi a lui. Chiusi gli occhi per la sorpresa, un po’ per il terrore, e riaprendoli vidi quanto vicino fosse la sua bocca alla mia. Alla fine non perse tempo a rubarmi un bacio.

Fu un bacio diverso: non uguale al nostro primo bacio, nemmeno i mille baci che mi scambiavo con Louis, questo era pieno d’amore vero, puro, in cui la passione si accendeva pian piano. Non si staccò da me nemmeno quando lo costringevo ad allontanarmi da lui, e mi strinse di più a se fino a lasciarmi senza respiro. La stanchezza di quel giorno mi lasciò, l’adrenalina che avevo usato nel tuffo dal precipizio mi abbandonò, scacciai via la paura e mi abbandonai a lui; nulla mi creò piacere quel momento di sapere che mia amava, che mi desiderava come desideravo lui, ed ero sua. Sua, per sempre. Non era il mio fratellastro, ma un nipote lontano di Celesia; e non mi era parente. Era soltanto un vampiro, un vampiro perfetto: il mio angelo delle tenebre. Ed era mio.

“Alexia’’, sussurrò mentre si era staccato da me.

Rivolli le sue labbra, volevo sentire di nuovo il suo sapore, però ritornai ad aprire gli occhi,  mi accorsi che il mio desiderio mi aveva spinta oltre, forse un po’ troppo: gli avevo sbottonato la camicia ed era petto nudo, ed eravamo vicini al letto.

“Alexia’’, mi chiamò un’altra volta. Poi sorrise divertito. “Finalmente ti sei decisa ad ammettere che mi ami’’, era come per dire: Alleluia!.

Risi anche io. “Eh si! Sono stata cocciuta’’

Mi accarezzò la guancia. “Avvolte mi chiedevo se veramente provavi quello che provo io’’

“Da quanto mi ami?’’

Sorrise. “Da quando ti ho presa fra le braccia, mi sono innamorato di te dal primo momento in cui ti ho visto nascere, e se non fosse stato per la separazione a quest’ora ti avrei corteggiata in ogni modo pur di averti’’

Appoggiai la testa contro il suo petto marmoreo. “Ora sono tua, e ti apparterrò sempre’’

“Non può andare diversamente’’, mi sussurrò nell’orecchio.

Sciolse la stretta e mi spinse contro il vuoto. Caddi sul materasso, troppo sorpresa per reagire, fu troppo in fretta per riuscire a capire. Ma non m’importava più niente, ormai mi trovavo oltre la beatitudine, e l’ultima cosa che volevo era sdraiarmi su quel letto.

Accettai tutto: le sue carezze, i suoi baci dolci, pieni di amore, le sue parole squisite, finché non si accese di nuovo la passione e i suoi baci non divennero famelici, e non mi sentii strappare le vesti ancora umidi di dosso. Quella sera lo amai veramente, eravamo due corpi destinati ad unirci, due gocce d’acqua che lentamente si erano avvicinate plasmandosi e formando una sola goccia. Quella sera dimenticai il mondo di fuori: dei miei genitori preoccupati, di mille persone che mi stanno cercando, dell’ambulanza che trasportava Louis all’ospedale, di Jennifer, e di quell’anello sepolto nel sangue del mio ex-fidanzato.

Quel momento pieno di baci, amore, parole appena pronunciate capii quanto lo amavo, che se non avessi detto la verità lo avrei perso per sempre, che non avrai assaggiato tutto quell’amore, che del pezzo rotto a terra di quel vaso di cristallo ormai si era unito ai suoi gemelli e l’oggetto brillava più che mai oltre la luce del sole.

Quella fu la mia meta, ringraziai la mia Consuelo e “il suo vento”, mamma, papà, i miei amici e Garrett per avermi fatto capire il valore della vita e forse anche a Louis per avermi portata ogni giorno al mio Alucard. Ora mi chiedevo: se non ci fosse stato Alucard, come sarebbe stata la mia vita?.

 

 

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Capitolo 19
*** Casa dolce casa! ***


Capitolo 18

Ero ancora immersa nel buio, non ricordai niente di cosa avevo sognato, ero in un completo stato di beatitudine. Sentivo il respiro di Alucard farsi eco con il mio, il mio cuore era per lui, ognuno ascoltava il pensiero dell’altro. Restai immobile finché il mio corpo non si svegliò dall’estasi del sogno, e compresi che mi trovavo sul petto si Alucard, il suo odore era così dolcemente buono da soffocarmi, con le dita calde mi sfiorava la colonna vertebrale, era piacevole, e poi quel silenzio che rendeva tutto così perfetto. Volevo restare in quella postura per tutta l’arco della giornata: accanto ad Alucard, sentire il suo respiro e il suo amore che continuava a trasmettermi anche se tante ore prima c’eravamo fermati. Ma poi colsi il cinguettio degli uccelli in lontananza, lontano da Redmoon, il campanello di una bicicletta, qualcuno parlava durante una passeggiata, aprii gli occhi e vidi che da sopra il camino spento entrava la luce del giorno. Alzai il viso, allarmata, e mi sedetti sul letto, il movimento veloce mi creò un forte capogiro che mi rimise sul materasso. Alucard non fece in tempo a prendermi.

“Oh, amore!’’, esclamò. Non mi sembrò un saluto, ma come per dire: Stai attenta!.

Sbuffai. “Accidenti’’, rantolai. Ma poi gli sorrisi e mi allungai per baciarlo.

“Buongiorno’’, disse poco prima di ritornare a baciarmi.

Non ritornai a parlare fin quando il suo viso non si allontanò dal mio. “Anche a te. Quanto ho dormito?’’

“Sono le dieci del mattino ’’

Accidenti! Non mi ero accorta di aver dormito così tanto. “ Dovevo essere molto stanca’’

Esitò qualche minuto di silenzio. “Non volevo svegliarti, sei troppo bella quando dormi ’’

Arrossii, poi mi guardai. Se per lui ero bella quando dormivo in quelle condizioni…non sapevo come essere imbarazzata più di tanto. Se non ci fosse stato il piumone a coprirmi….

Solo alzando lo sguardo mi resi conto in che maniera erano ridotti i miei vestiti. Arrotolati, strappati, lasciati con menefreghismo nel pavimento ghiacciato, e con sorpresa notai qualche strappo anche nella sua camicia. Non ricordai di avergli strappato la camicia, non biasimo però di averlo fatto, ricordavo solo che lo desideravo.

“Mi chiedo adesso come uscirò da qui’’, mormorai studiando i vestiti.

Sogghignò. “Per me, puoi anche restare’’, e mi accarezzò dolcemente la guancia.

“E dopo chi li sente i miei genitori?’’

“Drakon gli ha detto tutto’’

“Ma non crederanno abbastanza’’

Si fece pensieroso. “Sicura che vuoi andare? Non puoi restare ancora per un po’?’’

“Se resto ancora, credo che non uscirò più da qui’’

Lo sguardo divenne seducente. “Appunto’’

“Scusami tanto se non cedo alla tentazione, ma devo andare’’

“Vuoi che ti accompagno?’’

Alzai un sopracciglio. “Vuoi veramente accompagnarmi?’’

“Sì’’

“E dopo chi giustifica la tua morte improvvisa’’, ed indicai la luce che proveniva dal camino.

Capì. “Oh’’

“Sai, se muori adesso sarebbe una presa in giro dopo che mi hai detto di amarmi, e…’’, mi fermai.

In lui si accese quel sorriso angelico che tanto amavo. “Tradizionalmente dovevamo aspettare, ma credo che ce la siamo dati alla svelta’’

Scoppiai a ridere. “Bè…anche mia madre non ha saputo aspettare’’, ma poi il mio sorriso si spense. Entrambi capimmo immediatamente i nostri pensieri, si accese un silenzio inquietante.

“La prossima volta staremo attenti’’, promise e mi baciò la fronte. Se ci sarebbe stata una prossima volta. Capii che quei momenti pieni d’amore finirono in quel preciso istante.

Si alzò dal letto e aprii la valigia, prima si mise un pantalone marrone, poi prese una maglia color cielo e me la porse. Fortunatamente la sera prima mi aveva strappato solo la camicia e la canottiera, il resto era come lo avevo lasciato.

Mi vestì alla svelta, un po’ imbarazzata nel mostrarmi nuda e un po’ a disagio se mi avesse visto svestita, anche se non fosse stata la prima volta; lui però non si preoccupò di restare a petto nudo. Chissà, forse era un messaggio subliminale; mi trattenni una risata.

La sua maglietta era troppo larga, io sarò stata la metà del suo busto, ma mi stava comunque bene. Lo abbracciai, accarezzandogli il petto perfetto, più bianco del suo viso.

“Hai fame?’’, mi sussurrò all’orecchio.

“Un po’’, allo stesso tempo ripensai al sangue squisito di Louis e la gola divampò.

“Vai in cucina, io ti raggiungo dopo ’’, diede uno sguardo irritato alle valigie. “Devo mettere apposto i vestiti’’. La sua ultima frase suonò come un: ho deciso di restare per sempre.

“Ok’’. Gli diedi un rapido bacio e uscii dalla stanza.

Come mi sarei aspettata, la tavola era pronta, dei candelabri sul tavolo erano accesi per illuminare l’enorme stanza, le finestre erano coperte. Mi sedetti a capotavola, i miei passi facevano eco tra la stanza, c’era un silenzio irreale. Mi misi a bere un bicchiere di sangue, mangiai qualche dolciume accanato al piatto, ogni cosa era squisita, e non potevo fare a meno di assaggiarla.

Poi sentii dei passi, mentre stavo bevendo, pensai che fosse Alucard ma quando mi girai vidi che dietro lo schienale della sedia c’era Drakon. Con movimenti goffi, levai il bicchiere di cristallo dalle labbra e mi alzai per salutarlo; dimenticai però di pulirmi la bocca.

Con tutta la più completa sincerità, non c’era segno di un sorriso accogliente o un’espressione dolce per darmi il ben venuto. Era come se mi trovassi accanto a Dracula in persona.

“Ieri sono andato ad avvisare i tuoi genitori’’, disse mentre si sedeva accanto a me, feci i suoi stessi movimenti regali, per non apparire sempre più goffa. Presi il tovagliolo e mi pulii la bocca.

“Sì, me lo avevi detto ieri’’

“Già’’, mi saettò con lo sguardo.

Beccata. “E…quando sei tornato?’’

“Dopo che si sono tranquillizzati, sono ritornato qui’’

Allora aveva capito, sentito tutto, ascoltato, origliato. Ogni cosa che ci siamo detti, lui l’aveva sentita. In parte provai irritazione, fastidio, per essersi azzardato ad ascoltare, in parte mi vergognavo talmente tanto da abbassare lo sguardo. Per lui, Alucard era come un figlio, così come lo ero io, ma per me no.

“E dopo…’’

“Dopo sappiamo entrambi cosa è successo’’, mi interruppe lui, freddo.

“Stai dicendo che tutto quello che provo per lui è un errore, che il nostro amore è un errore?’’, chiesi, ormai oltre l’impazienza. Non potevo credere che sbagliavo ad amarlo.

“È mio figlio ’’

“Precisiamo: figlio adottivo. E non mi è nemmeno parente’’

“È-mio-figlio’’, disse fra i denti.

“Ed è anche il mio Alucard. Non ci posso fare niente se lo amo, okay?’’

“Questo è giusto, ma ti voglio far capire che sto cercando di persuaderti a staccare leggermente la tua relazione tra di lui ’’

Posai il bicchiere sul tavolo. “Senti, papà, non mi devi persuadere in niente. Alucard è nella mia vita, ormai. Non posso amarlo più di così. Immagina come mi sarei comportata se lui se ne fosse andata. E che ti piaccia o no, trascorreremo più tempo insieme di quanto non lo sarebbe stato, perché per me va bene così. E se io sono felice lo devi essere anche tu’’

“Già, lo avevo notato’’, disse roteando leggermente il bicchiere con i palmi delle dita, guardò l’oggetto pensieroso.

“Papà, io amo Alucard’’

Ritornò a guardarmi. “Spero soltanto che ti capiti nulla di male ’’

Attorcigliai le sopracciglia. “Che vuoi dire?’’

“Sai…’’, deglutii. “Sai…ehm, devi sapere certe cose se…insomma, tu….vuoi avere dei rapporti…intimi’’

Cercai di non mandare per traverso il sangue che stavo bevendo. “Papà!”

Alzò le braccia in segno di arresa. “So bene che è imbarazzante parlare di queste cose, ma è una questione….seria’’

“Bè…ehm, sì. Cioè, no. Insomma, lo penso anche io, ma….’’, balbettai.

“Capita a tutti, ogni tanto, sai che…’’

Mi alzai contemporaneamente dalla sedia. “Okay, non esageriamo, non lo reggo questo argomento ’’, dissi piena di rossore. Intanto si era alzato anche lui.

“Capita’’, ripeté.

“Sì, lo so, e so bene come…ehm, funziona. Però….cercherò di stare attenta’’, le mani iniziarono a tremarmi.

“Attenta’’, ripeté. Non sembrò un avviso ma per essere sicuro che ero sincera. “Be’, ehm, ne sono certo ’’

“E comunque a me non capiterà mai, anche se lo…vorrei. I Sanguemisti non possono avere…bambini’’, respinsi un’ondata di tristezza per apparire rigida, sincera, cosa che in quel momento non ero affatto.

Mi studiò dalla testa ai piedi, il suo viso imbarazzato da ventenne eterno. “Tu, insomma, tu non…non…’’, balbettò. Era strano vedere un vampiro balbettare, ma era presso poco divertente.

“Oh, papà, basta!’’

Sospirò. “Devo saperlo’’, gli costò molto scandire le parole.

Respirai profondamente. “No, non sono più….’’

“Bene, ho capito. Ehm…Abbiamo chiarito tutto e….ora mettiamoci a mangiare’’

Però non sarei più riuscita a mangiare nemmeno una caramella. “Già, forse è meglio’’, ma mi limitai solo a bere una sorsata di sangue. In quel momento arrivò dalla sala Alucard, con passo tranquillo ed educato. Ci salutò, mi baciò la guancia e si mise a bere con il padre; per il resto non riuscii più a parlare con papà quel giorno, se non mandargli qualche sguardo mentre lui li mandava a me. All’inizio pensavo che Alucard avesse ignorato tutto, che non si aspettava l’arrivo di Drakon, ma quando certe volte lo guardavo di sottecchi mi accorgevo che stringeva le labbra per trattenere una risata.

Alucard mi accompagnò fino all’uscita, dopo colazione, ci scambiammo un bacio ed uscii dal castello con il cuore in festa. La mia gioia sfiorava il mio sorriso che pian piano si allargava mano a mano che mi allontanavo dal castello, dietro le spalle portai gioia, amore, speranza…tutte emozioni bellissime. Chissà se anche si era sentita dopo quella notte con Drakon, tanto anni fa.

Nella via dove vi abitavo io ero tutta isolata, ogni persone erano dentro casa oppure il più lontano da quella strada. Sembrava il far west. Mi ci volle un po’ per capire che forse ero io al riguardo di quello che feci la sera prima, probabilmente la notizia arrivò fino a lì. Ebbi perfino di pensare se lo avessero scoperto i miei amici.

Mentre mi avvicinavo all’entrata, davo occhiate rapide intorno a me, sperando che qualcuno non mi acciuffasse e mi portasse alla polizia, oppure che non spuntasse veramente la polizia. Dentro casa c’era la solitudine completa, era scura, eppure sentivo i rumori vitali della mia famiglia.

A quel punto dovetti trattenere il respiro per non tirare fuori un urlo: mia madre mi aveva sorpresa dietro le spalle, mentre chiudevo la porta.

Il suo viso era spaventato, come se anche lei avesse paura che fossi scoperta. “Alì’’, mi piombò tra le braccia. dietro di lei c’era papà e Consuelo che mi aspettavano per un abbraccio, ma al momento non potevo andare da loro.

L’odore di mamma mi arrivò fino alle narici e la scansai subito da me: aveva fatto un passo troppo azzardato. Ora che avevo assaggiato il sangue di Louis, il sangue umano mi attirava al primo istante come una calamita. E ogni volta avevo paura di fare del male a qualcuno.

“Stai attenta, mamma ’’, l’avvertii allontanandomi di un passo.

“Mi spieghi perché lo hai fatto?’’, chiese disperata. Papà e Consuelo si avvicinarono a me.

“Come?’’

“Drakon ci hai detto che ti eri buttata dal mare di Boscosenzafine, e che hai morso Louis’’, disse papà, nel suo viso trapelava la rabbia. Non lo biasimavo.

“Perché lo hai fatto? Ti volevi suicidare? Non pensavi a noi, a Alucard, non pensavi alla tua famiglia, e come avremmo reagito?!’’, mi riprese mamma, rossa dalla rabbia.

Mi ci volle tutta me stessa per nascondere l’espressione di sorpresa, rimasi calma. “Io…non volevo uccidermi, ehm….Ho detto a Drakon che da piccola desideravo tuffarmi da lì, e…gli ho detto che era stato divertente, era per…insomma, consumare la rabbia e l’istinto assassino, altrimenti rischiavo di fare dietrofront e attaccare di nuovo Louis’’

Ci fu un gran silenzio, finché non fui costretta a romperlo. “Che vi ha detto Drakon, ieri?’’

“Ti spiego tutto in camera, vieni’’, mi ordinò prontamente mamma. Senza darmi tempo di stringere fra le braccia la mia sorellina, fui costretta a seguirla. Entrammo nella camera silenziosa dei miei genitori. Ci sedemmo sul letto, mamma esitò per qualche secondo.

“Io e tuo padre abbiamo sentito l’ambulanza e siamo andati a vedere cosa era successo, lasciando Consuelo con i vicini, ci fermammo proprio nella casa di Louis e lo vedemmo su una barella, con una gamba fasciata, e quando ci avvicinammo a lui c’era anche Alucard, lui chiese a Louis cosa gli era accaduto e lui rispose che tu lo hai attaccato perché hai origliato la sua telefonata. Poi i suoi genitori ci diedero contro ogni insulto su di te, ho cercato di ribattere, ma solo perché non ci credevo. Al ritorno a casa, Alucard ci promise che sarà andato a cercarti e noi siamo ritornati a casa con Consuelo. Poche ore dopo arriva Drakon e ci raccontò che hai torturato Louis perché lui ti ha tradito e che ti aveva trovata su quel precipizio…’’, inghiottì un singhiozzo. “Ci disse che ti eri buttata quel precipizio mentre il mare era furioso. A quel punto scoppiai a piangere, disperata, pensavo a cosa ti era successo e com’eri. Ma fortunatamente Drakon ci avvisò che in quel momento eri al castello con Alucard che ti faceva compagnia e dopo che ci tranquillizzò ritornò da voi due’’

Ascoltai tutto l’avvenimento con rabbia e imbarazzo. “Ti rendi conto, mamma? Mi ha tradita, anche mentre mi aveva messo l’anello al dito non mi amava più, e aveva progettato un addio con Jennifer’’, sputai quel nome che mi repelleva. “In tutto questo tempo ha amato Jennifer, non me. ero come una specie di esperimento: voleva capire cosa si provasse stare insieme ad una vampira’’

“Ma non c’era bisogno di fare quella strage di sangue!’’, ribatté lei.

Mi alzai dal letto. “Non è stata colpa mia, okay? Come ti sentiresti se qualcuno che ami ti avesse tradito?’’

Strinse i pungi. “Io non so l’esperienza, ma so quanto dolore si provi perché ho lasciato anche io qualcuno tanto tempo fa. Non ho mai visto persone come te a cui piace mettere in rischio la vita; ci credi che sono persone che ora hanno paura di te, e la polizia è pronta ad intervenire nel caso qualcuno si accorgesse di te? Ora è anche pericolo che resti dentro casa, per te ’’

Sospira. “E tu lo hai detto a Louis subito? intendo, della polizia’’

Storse le labbra. “No, ne mi va di vederlo quel…’’

Sorrisi divertita: finalmente aveva capito che era stato un idiota. “ Non m’importa più di Louis, mai più, non lo voglio più guardare nemmeno quando uscirà dall’ospedale. Che se la goda la sua pietosa vita, a me non me non potrebbe importare di meno ’’

Mi lanciò un sorriso fiero. “Ora si che ti riconosco’’, cinguettò facendomi l’occhiolino.

Finalmente l’abbracciai, il primo abbraccio che gli diedi quel giorno. “E ora che faccio? Devo restare dentro casa per sempre?’’

Fece una smorfia. “No, non proprio. Prima o poi si sistemerà tutto, andremo a parlare con la polizia se è necessario’’

Al solo pensiero di ospitare un uomo in divisa di polizia, mi metteva i brividi, la bocca dello stomaco mi si chiuse. Per la prima volta fu come se io fossi l’assassina che deve essere arrestata, e condannata all’ergastolo.

Mi strinse a sua volta per un minuto silenzioso, ero così felice di rivederla che mi venne voglia di ridere, e fui lei a scioglierlo.

“Ma ora dimmi che cosa è successo ieri notte mentre eri con Alucard. Avete fatto pace?’’

Ecco, e qui cominciano le noti dolenti. Che facevo? Glie lo dicevo o non glie lo dicevo? C’erano solo due opzioni: se glie lo dicevo, mi ammazzava o mi metteva sul rogo, quindi il pollo era assicurato. Se non glie lo dicevo prima o poi si veniva a sapere: poteva dirglielo Alucard o Drakon.

La feci sedere sul letto, respirando profondamente.

“Mamma….tu, insomma, se ti dico che ho trovato una ragione per continuare la mia vita, senza più depressione, pianti interrotti, lacrime da coccodrillo, istinti assassini, tu che cosa mi diresti?’’

Alzò un sopracciglio e storse le labbra. “Sarei felice e molto orgogliosa per te, perché? Che succedere?’’

Incrociai le dita dietro la schiena. “E se ti dico che….che, insomma, quella ragione è Alucard, che ne pensi?’’

Come mi aspettavo, rimase di pietra. I secondi di silenzio passarono veloci, sotto lo sguardo basito di mamma, non mi accorsi che dopo un po’ si era fatta bianca come il marmo.

“Mamma?’’, la chiamai.

Si rianimò. “Che cosa avete fatto, tu e Alucard, ieri sera?!’’, gridò piano.

Ecco, c’era arrivata. Ora la mia morte dentro il forno, era veramente assicurata. Avrebbero mangiato mezza vampira arrosto, per cena.

Deglutii. “Ehm….so che in teoria si dovrebbe…insomma, sai no?’’

Sgranò gli occhi. “ALEXIA!!!”, urlò.

Fui lì, appena in tempo che aggiungesse qualcos’altro, per chiudergli la bocca con le mani.

“Sssh! Mamma, io lo amo ’’, sussurrai.

I suoi occhi divennero due fessure, e si levò le mie mani dalla bocca. “Cosa?!’’, sussurrò formulando un grido.

“Mamma, è l’unica regione che ho per vivere, solo ora mi rendo conto che non è come Louis, è tutto diverso è bello quando sto con Alucard. Lui mi fa sentire…viva e me’’

Rimase in silenzio, per qualche istante, e credetti che fra qualche seconda sarebbe scoppiata di nuovo. “Non so, Alì, è il figlio adottivo di Drakon’’

“Io non riesco a considerarlo un fratellastro, non più, ora che so la verità. Pensi che ci sia qualcosa di brutto?’’

“No, tesoro, è che mi sembra…strano che tu non riesca a considerare un tuo parente’’

“In una piccola parte più esserlo per Drakon…’’

“Ma per te è qualcosa di più’’

Annuii.

“E cosa dice Drakon di questo? Lo sa?’’

Arrossii. “Sì, lo sa. E mi ha fatto una ramanzina, diciamo, sui rapporti…intimi, e sulle loro conseguenze’’

“Ecco, era proprio a questo di cui volevo arrivare prima che tu mi sigillassi la bocca’’, disse.

“Mamma, insomma, non ti ci mettere anche tu. Era stato imbarazzante poco fa, mi è già bastato’’

Mi prese le mani e me le strinse tra le sue. “Devi stare attenta, amore, ora che…hai avuto la tua prima volta’’

Deglutii per quello che stavo per dire. “Ma tu e Drakon…non…?’’

Rise sotto i baffi. “Be’, c’è capitato alcune volte’’

“Ah’’

“Ma tu sei troppo giovane, tesoro’’

Alzai un sopracciglio. “Mi pare che anche tu hai avuto diciotto anni quando hai fatto l’amore con Drakon per la prima volta’’

“Diciott’anni e mezzo. Ero vicino ai diciannove’’

“Ha qualche differenza? Avevi sempre diciott’anni’’

Alzò le mani per arrendersi. “Però voglio solo che non fai l’errore che ho commesso io, non che ti volevo, ma ero troppo giovane e non ero nemmeno sposata’’

“Ti volevi sposare con un vampiro?’’

“Non mi importava la sua natura, ma quanto lo amavo’’

Sorrisi per approvazione. “Anche io amo Alucard, e…per quanto ai bambini, credo non sia un problema, perché io non posso averli’’, dissi con rammarico. Fu come se una corda mi soffocasse quando quella lontana sera scoprii che i Sanguemisti non potevano procreare.

“Oh, amore, mi dispiace tanto. Ma credimi è meglio così, per il rimedio c’è l’adozione’’

“Già, hai ragione’’

Ci abbracciamo, forse con ognuna un pensiero diverso. Anche se era meglio non avessi avuto bambini biologici, in realtà avrei voluto che fosse l’inverso.

“Allora, quindi…ti sei divertita, ieri?’’, sorrise eccitata.

Arrossii. “Mamma! Sono questioni private’’

“Sì, certo ’’, ammiccò, e mi fece l’occhiolino. “Però ancora questa storia di te e Alucard non mi va giù’’, disse infine, pensierosa.

Gli accarezzai una spalla. “Presto, molto presto, ti accorgerai che siamo una coppia perfetta. Vedi, lui è…diverso. Mi fa sentire felice, ci sto bene con lui’’

“Sono felice per te, amore, anche se…’’

“Lo so, è difficile d’accettare, ma cambierai idea’’

Fece un respiro profondo. “Okay, facciamo finta che non fosse successo niente. Su, alzati e datti una bella ripulita’’

La fermai prima che aprì la porta. “E papà? Cosa dirò a papà? Come reagirà?’’

Mi strinse a se. “Stai tranquilla, ci penso io a tuo padre’’

Uscimmo insieme dalla stanza e ci separammo nel corridoio, non mi andava di incontrare papà nella mia stanza mentre mi svestivo per andare dentro il bagno, quindi feci il più in fretta possibile. E in un minuto dopo ero dentro il bagno. Regolarizzai velocemente l’acqua e aspettai le parole di papà. Per quel che riuscii a sentire, al primo momento papà rimase pietrificato, poi esplose di rabbia tanto che si addentrò nel corridoio per venire da me con mamma che lo seguiva per farlo ragionare, invece si fermò davanti alla porta chiusa e due secondi dopo uscii. Mamma gli parlò con chiarezza e calma, rispose a tutte le domande che gli faceva il marito, e quando comprese il tradimento di Louis, mi immaginai il suo volto color paonazzo, quindi significava che mi ero salvata. Ma il peggio toccava a Louis se si sarebbe fatto vivo a casa mia, cosa che non sarebbe mai successa.

Uscita dal bagno, mi asciugai in fretta e furia e mi vestii degli abiti puliti, quando compresi che la situazione si era placata. In quell’istante entrò dalla stanza Consuelo.

“Alì”, mi chiamò piombandomi fra le braccia. la porta sul letto e la strinsi ancor di più, mi era mancata. La mia lupacchiotta.

“Consuelo, come stai?’’

I suoi occhi trattenevano le lacrime. Mi fece talmente tanta tenerezza da stringerla ancora. “Ho avuto tanta paura per te, pensavo ti avessero preso la polizia o che fossi morta’’

Gli baciai il viso e la fronte. “No, non è successo niente, tranquilla. Non mi succederà mia niente, è una promessa’’

“Resti sempre accanto a me, vero? Non mi lascerai mai, giusto?’’

“Mai, mai, mai’’

Si asciugò le lacrime. “Mamma ha detto che tu ami Alucard’’

“Sì, tesoro, ti dispiace?’’

Rise. “No, no. mi piacerebbe averlo come cognato!’’, poi esitò un secondo. “Ma tu non puoi amare un fratellastro!’’, esclamò.

“Consy, non è il mio fratellastro. Non lo è mai stato’’, la misi fra le gambe, lei abbandono la sua schiena contro il mio petto. “Ti ricordi in quei giorni che sono stata male?’’

Si girò verso di me, ancora preoccupata. “Sì, non avevi un bell’aspetto’’

“In quei giorni stavo male perché avevo scacciato Alucard da Solemville…..’’

Sgrano gli occhi. “Perché lo hai cacciato?’’

“Non se n’è più andato, l’ho fermato io, l’ho supplicato dicendogli scusa’’

“E perché ti sei arrabbiata con lui?’’

“Mi ha detto che non era figlio naturale di Drakon ma di due vampiri, e la madre naturale di Alucard era una parente lontana di Celesia, la prima moglie di Drakon. Quando i genitori veri di Alucard sono morti in un incidente, Celesia lo ha preso con se e dopo pochi anni ha conosciuto Drakon, in seguito sono diventati i suoi genitori adottivi. Hai capito?’’

Intanto aveva alzato un sopracciglio. “Un pochino’’

Risi sotto i baffi e le accarezzai dal testa. “Capirai, lentamente continuerai ad apprendere cose che non conosci’’

Tralasciai però l’assassinio di Celesia, cosa che non avrei nemmeno raccontato ai miei genitori, per non scandalizzare la povera bambina. Risposi ad altre domande che mi faceva su Alucard e me, fortunatamente non mi chiese mai cosa avevo fatto quella notte e fu un sollievo no risponderle. Pochi minuti dopo mi raccontò dell’incidente di Louis e quanto aveva avuto paura, dovetti rassicurarla più volte e raccontarle con semplicità che cosa realmente era accaduto.

Il pomeriggio passò così veloce che non me ne resi conto, forse era per il silenzio quasi udibile della casa ( per non far sospettare ai vicini il mio arrivo), oppure le tende sempre coperte anche quando subentrò la sera. Era il periodo della giornata che cominciavo ad avvertire la mancanza di Alucard e passavo qualche minuto al salotto con papà per dare certe occhiate alla porta, sperando di un suo arrivo.

Chiedi e ti sarà dato. Tre colpi inaspettati alla porta.

Io e papà ci scambiammo una rapida occhiata, i sentimenti contemporaneamente scorrevano simili nei nostri occhi: sorpresa, paura, angoscia, curiosità, incertezza. Poteva essere chiunque: i miei amici, un vicino, la polizia, oppure i genitori di Louis, o peggio ancora Jennifer e Paul.

Ma quando sentii il suo profumo riconoscibile scattai alla porta e la aprii. C’erano tutti e due, con un sorriso dolce stampato sulle labbra, avrei giurato che sembravano fratelli.

Li feci entrare impaziente dando infine uno sguardo rapido fuori prima di chiudere la porta, poi mi avvicinai al mio angelo e gli strinsi la mano. feci attenzione a non sospettare mio padre che ci stava guardando oltre Drakon. Mamma uscì dalla cucina e Consuelo si alzò dalla poltrona e andrò incontro a Drakon.

“Ciao, mangiate con noi?’’, chiese quando papà l’aveva sollevata da terra e la strinse al petto.

“Se la mamma vuole, allora rimaniamo’’

Guardai Alucard in tono di supplica, anche io ero del favore che sarebbero rimasti con noi a cena. Non c’era compagnia più bella di loro due. Quando c’erano entrambi mi sentivo completa, come se non mi mancasse niente. Eppure sentivo che infondo, una piccola vocina me lo diceva,  ogni avvenimento della mia vita non era mai abbastanza.

“Certo, sto preparando la cena per tutti. Potete accomodarvi in salotto’’, rispose mamma cortese.

Controvoglia, anche se avrei dovuto salvare Alucard dallo sguardo avventato di Hendrik, mi misi su una delle poltroncine accanto a lui, Consuelo era sopra le mie gambe, guardava di sottecchi Alucard, e il padre adottivo gli era accanto. Papà intanto non aveva più staccato lo sguardo da Alucard che gli sorrideva cortese, ora che sapeva che sarebbe stato il mio ragazzo; ebbi un déjà-vu: un anno fa fece a Louis lo stesso sguardo, attento e investigatore, quando lo portai per la prima volta dentro casa, di seguito incominciò con una scarica di domande.

Lo conoscevo bene, sapevo che avrebbe ripreso quell’argomento.

“Dunque’’, incominciò Hendrik. Ecco, ora potevamo entrare nell’argomento “Quel ragazzo è perfetto per mia figlia?’’. Io e mia sorella ci scambiammo uno sguardo d’intesa. “Kate mi ha riferito la relazione tra te e…mia figlia’’. Nel momento della pausa mi diede una un’occhiata.

“Sì’’, rispose prontamente lui.

“E che avete…chiarito, apparentemente, il vostro litigio’’

“Sì, ora si è chiarito tutto’’

“Bene’’, ma dal tono in cui l’aveva detto non sembrava affatto contento. “Ti avverto solo che ora che c’è questo baccano nel villaggio ti chiedo di non passare in osservato quando verrai a trovarci, e ovviamente lo deciderò io quando e a che ora puoi venire a far visita a mia figlia’’, rispose duro.

Allo stesso tempo lanciai un’occhiata rabbiosa a papà, Drakon si irrigidii, e mamma che stava venendo verso di noi si fermò e guardò prima il marito e poi me.

“Certamente’’, disse educato il mio ragazzo.

“Papà…’’, dissi, ma lui alzò una mano per zittirmi.

“Ora parlo io, Alexia’’, e si rivolse di nuovo al vampiro. “Gli orari che ti propongo sono di sera dopo il pasto, di pomeriggio puoi venire solo se ci sono io oppure mia moglie, di sabato puoi restare con noi quanto vuoi. Quando non potrai presentarti per via di qualche impegno o bisogno vampiresco ci avverti il giorno prima. Ricorda che starò ad osservarvi ogni volta, e se c’è Kate mi dovrà riferire tutto, quindi niente passi azzardati, né scappatelle segrete o quant’altro. Hai afferrato tutto?’’

“Sì, ho capito tutto quello che ha detto. Se voglio farvi visita devo venire ogni sera dopo il pasto, di pomeriggio posso venire quando ci siete voi e di sabato posso restare qui quanto voglio, e se non posso farvi visita per un impegno devo avvertire il prima possibile’’

Sulle prima papà si sentii preso contropiede, pensava che forse era stato più severo in modo da chiudergli la bocca, ma poi annuii.

“Papà, non è necessario queste regole, può venire quando preferisce’’, insistetti io.

“Abiti ancora sotto il mio tetto Alexia, quindi, che ti piaccia o no, le decisioni li prendo io’’, rispose rigido.

Feci scendere Consuelo dalle mie gambe in modo da liberarmi. “Con Louis non avevi fatto così, anzi lo facevi sempre entrare quanto voleva lui, a suo piacimento. Perché non fai la stessa cosa con Alucard?’’

Resisteva all’impulso di urlare, il suo volto si era fatto paonazzo. “Prima era Louis, adesso è Alucard, è giusto che tratti i tuoi ragazzi in un modo diverso. Infondo può sempre venire a vederti, non gli ho mica proibito di non vederti mai più’’, il che la cosa non gli avrebbe creato alcun problema.

“Non dirmi che adesso stai difendendo Louis dopo tutto quello che mi ha fatto!”, esclamai.

Alucard mi mise una mano sulla spalla. “Mi va bene anche così, tranquilla’’, mi tranquillizzò.

Ma io non lo ascoltai. “Papà, ti prego ’’

“Ho deciso così e non intendo rimediare. Punto, la conversione è finita qui’’.

Mi alzai dalla poltrona. “Ho diciotto anni, sono maggiorenne, posso almeno decidere io, per una volta, cosa voglio fare? Almeno per una volta?’’

“Ho deciso così, Alexia, vuoi peggiorare le cose?’’

“Non voglio peggiorare le cose, ma...’’, però mi fermai lì, sapendo che avrei generato una lite se continuavo a controbattere. Mamma mi fece segno di sedermi, e io obbedii tenendo il broncio.

“Accetto che vi amiate, sono felice per voi, ma per il resto lascia fare a me. Dopotutto Alucard è d’accordo, quindi credo che anche noi riusciremo a stabilizzare un buon rapporto, come con Louis un tempo, come avevo continuato nei giorni precedenti anche se non lo amavi’’

Ma sarebbe stato un rapporto diverso: a papà piaceva un ragazzo attivo, praticante dello sport, che parlasse di calcio, incidenti ingiusti, il diritto, di feste. Alucard invece era un ragazzo riservato, molto educato, intelligentissimo, tenebroso, certe volte chiuso, non molto attivo anche se aveva fatto molto in quei decenni, non sapeva nulla dello sport né sul calcio, né di feste e di legislatura sapeva solo della sua razza. Di cosa avrebbero parlato, dunque?

“Va bene, sarà fatto quel che dici tu’’, dissi infine.

Sorrise soddisfatto, insistette dieci secondi prima di ritornare a parlare. “Ovviamente ti do il permesso di andare a Redmoon….’’

Lo guardai sorpresa, felice.

“Ma solo quando lo vuole tua madre’’

Se prima avevo l’istinto di alzarmi per abbracciarlo, ora mi abbandonai pesantemente sullo schienale della poltroncina. Consuelo trattenne una risata, mamma si sedette sul bracciale della poltrona dove sedevo io, mettendomi una mano sopra la spalla.

“Ascolta tuo padre, è la cosa giusta’’

Guardai papà, formando un sorriso. “Grazie papà, per quello che fai per noi’’

“Lo faccio sono per il tuo bene’’

In parte sentivo che aveva ragione. Guardai Alucard e gli strinsi la mano; certo, infondo lo avrei sempre avuto vicino.

“E per quella cosa che è successa ieri…’’

Ci voltammo a guardarlo: non parlava di Louis, nemmeno della polizia, e di quello che gli avevo fatto.

“Sì?’’, azzardai.

“Spero che non si ripeterà un’altra volta’’

Strinsi i pungi. “Okay, papà’’, risposi fra i denti.

Ci fu un intervallo di silenzio, così tanto che avrei desiderato di dire qualcos’altro.

“Tesoro, inizia la partita’’, avvisò mamma a papà, giusto per spezzare il silenzio.

Si alzò dalla poltroncina e si sedette su quella grande, accese la scatola nera e si voltò verso di me. “Vieni Alexia, c’è la tua squadra contro la mia’’, mi invitò, all’improvviso fu come se si fosse dimenticato la nostra quasi-litigata.

“No, grazie, vado in camera mia. Voglio chiamare a Jess’’, farfugliai. E mi alzai.

Papà la prese come la verità perché si girò subito verso la televisione, dovevo essere stata molto brava a fingere, invece sentii mamma avvicinarsi ad Alucard e gli invitò a seguirmi. Ne fui pienamente grata.

Entrai nella camera e lasciai la porta aperta finché non vi entrò Alucard che la chiuse lentamente. Non feci in tempo di dirgli qualcosa che mi chiuse le parole con le sue labbra. Fu un bacio veloce ed intenso, che mi fece capire quanto desiderava rivedermi.

“Ti amo ’’, mormorai. Gli tenevo ancora le mani attorcigliate dietro il collo, e lui mi teneva stretta a se.

“Tu sei più importante di ogni cosa, ormai’’

Sorrisi. “Però…mi dispiace che mio padre…’’

“Credo che per me non ci sia problema: ha detto che posso venire da te solo dopo i pasti, ma io posso ritornare dalla finestra anche dopo che tutti siano andati a dormire’’, disse indicando con uno sguardo la porta di vetro dietro alle mie spalle. “Quel che mi preoccupa è se potrò mai essere un bravo cognato’’

“Tu sei un vampiro, sei oltre l’intelligenza e credo che saresti capace di capire mio padre’’, poi lo guardai confusa. “Aspetta…ma hai detto cognato?’’

Sorrise. “Prima o poi dovrò portarti all’altare non credi?’’

“Non pensi che sia un po’ troppo presto di parlare di matrimonio’’

Rise beffardo. “Lo penso anche io, ma ti amo tanto. E ti voglio sposare’’

Mi allungai per baciarlo dolcemente. “Non rifiuterei nemmeno se mi dessi un anello ’’

Ritornò a baciarmi, più dolce di prima, e fui sul punto di desiderare di più il suo profumo. Era come una droga, più i secondi passavano più mi induceva a desiderare più amore, peccato però che prima che mi abbandonassi fra le sue braccia, bussarono alla porta e mi allontanai da Alucard.

Papà ci ordinò di venire per la cena, ed uscimmo dalla camera mano nella mano, il resto della sera lo passai lontano da lui: nel momento in cui mi misi a guardare la tv con accanto a lui, papà si intromise mettendosi tra di noi allontanandoci, oppure quando ci mettemmo a parlare – nel momento in cui cercai di nuovo di sedermi vicino a lui- si mise seduto vicino alla poltroncina dove stavo io; nonostante ciò, l’unica cosa che non poteva dividere però era i nostri sguardi.

Prima che dovette andarsene ci lasciammo uno sguardo d’intesa e dopo un bacio di saluto mi sussurrò:

“Vai subito a dormire’’, e mi baciò la fronte.

Inventai una scusa e mi precipitai subito dentro la camera. Prima che aprissi la porta però, una mano mi afferrò la spalla. Era mamma.

“Tesoro, senti ’’, sembrava preoccupata.

“Sì, mamma?’’

Diede uno sguardo repentino alla porta. “Entrambe sappiamo che tu e Alucard vi vedete anche qui…’’, le ultime parole si consumarono nella gola. “Ti chiedo solo di stare attenta’’

Sorrisi. “Non ti preoccupare, mamma ’’

Gli diedi un rapido bacio ed entrai nella stanza, corsi ad aprire la porta ed uscii dal balcone. Guardai nel giardino e lo vidi. Mi sorrideva.

“Io giuro il mio amore sulla luna’’, disse, la sue parole profumavano di poesie.

Riconobbi la frase. “Non giurare sulla luna, questa incostante che muta di faccia ogni mese, del suo rotondo andare!’’

Fece un salto e atterrò aggraziante davanti a me, con i suoi movimenti veloci mi ritrovai contro il suo torace e le labbra serrate dalle sue. Fu uno dei quei baci pieni di amore che c’eravamo scambiati la scorsa notte, che richiamo a me perfino le frasi d’affetto che mi aveva detto, anche mentre mi stavo addormentando accanto a lui.

Mi portò stretta a lui dentro la stanza, ad una velocità disumana, mentre ancora mi baciava, e mi ritrovai con la schiena contro il muro freddo; quando mi accorsi che i suoi baci iniziavano a farsi più profondi capii che anche stava pensando a quelle ore passate ad abbracciarci, a volerci bene, ad amarci sempre di più.

Con le mani cercai ad allontanarlo, non che mi dispiacesse che continuasse, perché ricordai quello che mi aveva detto mia madre poco fa. Rimase deluso quando lo costrinsi di staccarsi da me, non lo davo per scontato.

“Non possiamo, ricorda che siamo nella mia stanza non nella tua’’

Sorrise divertito. “Dobbiamo imparare a cogliere l’attimo, certe volte, non pensi?’’, ammiccò.

Arrossì. “In questi casi, preferirei evitare’’

Rise piano. “Hai paura che ti faccia del male?’’

“No, abbiamo avuto la prima esperienza e mi sembra che ce la siamo cavata bene, insomma…niente morsi o lividi….o cose del genere’’

Ritornò improvvisamente serio. “Hai ragione, meglio evitare, però non potrei mai farti del male. Per me sei preziosa tanto quanto un gioiello ’’

Gli afferrai la testa e la avvicinai a me. “Non mi perderai mai, starò per sempre con te, e finalmente potremo vivere insieme felici’’

Si spense negli occhi. “Non per sempre, non ricordi? Tu non puoi vivere per sempre’’

Mi morsi il labbro. “Ora Louis non c’è più’’

“Non centra Louis, né è una tua scelta, avviene così per caso e alla fine non ci puoi fare niente per rimediare’’

“Come niente? Vuoi dire che prima o poi me ne andrò? Che invecchierò, e prima o poi mi scambieranno per tua zia o fra cinquant’anni per tua nonna? Io cambierò mentre tu no’’

“Sì’’

Fu come se il mondo mi crollò addosso. “Ma…allora, tu come farai dopo a…?’’

“Troveremo un modo per rimediare’’

Esitai qualche secondo. “Esiste un altro modo?’’

“Penso di no, oppure esisterà. Chi lo sa, può darsi che i nostri parenti sapranno risponderci, faremo ricerche. Forse esisterà una risposta, ci deve essere’’

Dalle sue parole, lo sentivo, mi sarei aspettata un futuro molto, ma molto, più lungo di quanto mi sarei aspettata. 

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Capitolo 20
*** La presenza di una nuova vita! ***


Capitolo 19
E così i mesi passarono veloci, così veloci che avvolte mi capitava di perdere la condizione del tempo. Con Alucard continuavo a vedermi negli orari prestabiliti da Hendrik, incominciavo a farci l’abitudine di quelle ore passate dagli sguardi di papà a quelle di mamma, e poi sempre più i controlli. Ma grazie anche a poche consensi di mamma, potevo andare da Alucard solo di pomeriggio, quando papà era occupato del lavoro fino a sera. A Solemville le cose si ristabilirono piano piano, la polizia non venne mai a visitarmi perché fui io ad andare da lei, spiegai con precisione il motivo e le cose si aggiustarono. Ma c’era chi ancora preferiva spettare prima di uscire di notte e nelle ore pomeridiane. Riacquistai la fiducia dei mei amici, anche a loro spiegai la vera storia del mio ragazzo e il motivo per aver fatto del male al mio ex.

Non rividi più Louis, né Paul, nemmeno Jennifer e gli altri suoi amici del gruppo. Anche se nonostante pensavo a lui quando Alucard era via per ciaccia, infondo mi chiedevo perché, e mi picchiettavo la testa per riuscire a cancellare il suo viso dalla testa. Poi mi guardavo l’anulare sinistro e percepivo la leggerezza dell’anello che ormai non c’era più.

Poi arrivò la festa che per me era la più bella: il Natale. Quello fu indimenticabile: lo passammo insieme in famiglia, settimane prima ci radunammo per addobbare l’enorme albero della casa, a parte Drakon che preferiva evitare le decorazioni religiose, Alucard però creò uno scudo attorno a lui, che per tutta la sera mi fece venire giramenti di testa, in modo da proteggersi da quello che temeva. Ma un albero addobbato che poteva fare?.

Vi avevo detto che era stata una festa indimenticabile? Ma credo che non vi abbia spiegato il motivo: il regalo di Alucard, oltre una piccola collana e un vestito, fu quello di darmi una scatolina piccola come un palmo.

Nel momento in cui la vidi sulla sua mano, e mi si era inginocchiato davanti, e mi aveva afferrato la mano destra, mi incominciò a battere forte il cuore. E dalle guance iniziarono a cascarmi lacrimoni.

Poi aprii la scatolina, dove conteneva un anello di diamante: in argento con una montatura semplice per far risaltare il più possibile la pietra centrale, ben visibile, e che cattura meglio la luce. E poi dalla sua bocca uscirono le classiche parole che spezzarono il silenzio:

“Alexia Kennedy, ti giuro che non amerò sinceramente nessun’altra se non te per il resto della mia vita. Vuoi essere la mia fidanzata?’’

Tra le lacrime e il tremore alle labbra, pronunciai un debole: “Sì”, pieno di sincerità e affetto, e Alucard lo mise nell’anulare sinistro dove qualche mese fa occupava quello di Louis; lo baciai sotto lo sguardo attento di papà, e fummo coperti da una sfilza di applausi e auguri. Quella sera non me la scorderei mai: ci fidanzammo accanto all’albero,  a Natale, in una giornata così perfetta che il Signore aveva conservato per noi.

Anche il nuovo anno passò con allegria, per regalo mi restituì la collana blu che gli avevo riconsegnato amaramente il lontano pomeriggio al bosco, e fu come la prima volta: le farfalle e quello strano desiderio di sentire il sapore della sua pelle.

Era strano però passare il mio diciannovesimo compleanno senza Louis, ma la sua presenza fu presto dimenticata perché invitai i miei amici per festeggiare, Alucard e Drakon. Ci divertimmo sempre di più, scoprii che anche Jessica e Hora si erano fidanzati da poco e ognuno ci scambiammo i propri auguri. Guardando Lilly, colsi che anche lei si sarebbe fidanzata con Mattew, visto il modo in cui il suo prediletto le stava ogni giorno sempre di più accanto. E di seguito un’altra sfilza di regali che ora non mi ricordo quanti furono. Prima di addormentarmi, accanto ad Alucard, mormorai:

“Ora siamo alla pari con l’età’’

Lo sentii sogghignare, ma poi mi addormentai e non lo ascoltai anche se mi aveva detto una cosa. Anche il compleanno di Consuelo lo passammo in grande stile: compii nove anni il 14 Febbraio 1973, il giorno di San. Valentino. Era stata sempre la nostra festa preferita, e ricevette in regalo un braccialetto rosa da Alucard, e vestiti dal resto della famiglia.

Poi passò un altro mese nei quali io e mamma ci eravamo organizzate, per guadagnare i soldi del centro di bellezza dove avevamo deciso di aprire il nostro centro di bellezza, lavorando a tempo parziale in un piccolo bar, oppure in una cartoleria. Mamma inoltre, grazie alla sua vantaggiosa dote di trattamenti bellezza, incominciava a ricevere clienti e così entro l’inizio di Aprile avremmo potuto acquistare la nostra amata residenza lavorativa.

La mattina del 2 Aprile di quello stesso anno mi svegliai presto, non so perché ma non avevo voglia di dormire…per lo più mi sentivo strana. Insomma ero sobria e in salute, ma allo stesso tempo avevo un certo non so che di cui non mi giustificavo. Decisi di andare in bagno. “Forse era l’arrivo del ciclo’’, pensavo tra me e me, oppure avevo l’influenza.

Andai al gabinetto, ma non avevo da svuotare la vescica, poi mi guardai il viso: avevo delle occhiaie violacee, la pelle stanca e ancora addormentata, che solo l’intervento di mamma con il fondotinta avrebbe saputo rimediare. Ricordai la sera insonne che avevo passato a causa dell’assenza del mio fidanzato perché era andato a far una rapida visita ad Eclissia e ai suoi genitori, rivelando la bella notizia; sarebbe ritornato quel pomeriggio stesso.

D’improvviso, mentre mi guardavo attentamente allo specchio, sentii lo stomaco sotto sopra, qualcosa che dentro di me cercava di scappare, e vomitai una sostanza rossa (la cena della sera scorsa che non avevo ancora digerito). Possibile? Eppure il sangue animale era abbastanza digeribile. Fui sopraffatta di un forte giramento alla testa e dovetti aggrapparmi al mobile ghiacciato per tenermi salda al pavimento. Respirai affondo e sollevai la testa per rimandare giù il resto ma precedette un altro attacco di vomito, decisi rapidamente di pulirmi la bocca e uscire dal bagno prima che un altro attacco di vomito abbia avuto la meglio su di me.

Barcollavo tra il corridoio, vedevo le pareti che ondeggiavano, mentre lo percorrevo per entrare poi nella stanza dei miei genitori. Stando attenta a non cadere addosso a mia madre, la svegliai delicatamente e mi sedetti accanto a lei.

Si strofinò gli occhi e mi guardò. “Alexia’’, mormorò. Poi serrò gli occhi. “Che hai? Sembri uno straccio tesoro’’

Però, che consolazione. “Ho vomitato’’, mi lamentai, mettendomi una mano al petto.

Si sedette sul letto, accanto a lei il marito russava rumorosamente. “Stai sudando. Hai la febbre?’’, e mi mise una mano sulla fronte.

“No, penso di no’’

Storse la labbra. “Infatti non ce l’hai, vuoi che ti porto un po’ qualche medicinale?’’

Forse era meglio rimettersi al letto. “Sì, per favore, io me ne ritorno in camera’’

Si alzò dal letto, e uscii dalla stanza ancora in vestaglia, spettinata e scalza. Nonostante questo, era molto carina. Anche io uscii dalla stanza, e chiusi la porta per dare la possibilità a papà di dormire tranquillo.

Non appena fui dentro la mia camera, mi sentii asfissiare, sfrecciai verso la finestra per aprirla. Non appena l’aria mi entrò nelle narici la respirai come se fossi stata senza aria per una notte intera, o avessi sempre respirato il vento caldo, soffocante del deserto. Mi toccai la fronte ma come aveva detto mamma la febbre non ce l’avevo. Ritornai dentro la stanza e mi distesi sul letto.

Accidenti, beccare l’influenza era sfortuna! Oppure era qualche malattia vampiresca? No, non c’erano malattie di vampiri. A che pensavo, stavo andando fuori di testa? Sospirai l’arietta mattutina che ricopriva la camera e chiusi gli occhi, attendendo la mamma con la medicina.

Ci fu un silenzio tombale, come se non sentii più nemmeno i rumori dei passi di mamma, da pensare che stessi dormendo invece sentivo il cinguettio degli uccelli appena svegli in lontananza. Riaprii gli occhi, e guardai la mano che si era rilassata sulla pancia. Sulla mia pancia, sotto la stoffa sottile della vestaglia, che si era alzata di qualche centimetro.

Contai fino a cento per riuscire a scendere finalmente dal letto e correre al bagno. Dentro il cassetto che si trovava affianco allo specchio, c’era un libricino con gli appunti dei giorni in cui mi arrivava il ciclo. E il mio ciclo era sempre stato pontuale come un orologio, con le dita tremanti sfogliai le pagine, restai pietrificata vedendo l’ultima data lontana due mesi e mezzo. Quand’era stata l’ultima volta che avevo fatto l’amore con Alucard?.

No, non poteva essere possibile, era…impossibile. Velocemente, con scatti fulminii che nemmeno io mi accorsi della rapidità, ritornai in camera mia con il libricino stretto a mano, mi misi davanti allo specchio e sollevai la gonna.

Non poteva essere vero, eppure la mia vista non mentiva, tanto meno il mio specchio: c’era un gonfiore nel ventre e una strana presenza dentro la pancia. Solo ora l’avvertivo. Mi toccai la pancia e la sentii dura e calda, la indietreggiai e il gonfiore rimaneva sempre lì, immobile.

Il libro mi cadde dalla mano nel momento stesso in cui trovai la risposta: c’era qualcosa dentro di me che stava crescendo, qualcosa di piccolo e vitale, qualcosa che non avrebbe mai dovuto esserci nel mio corpo da mezza vampira. Poi ricordai quel lontano compleanno, quando Alucard ci spiegò che solo i Mezzosangue e i Purosangue potevano trasformare con un morso e procreare. I Sanguemisti, no, non potevamo perché erano pur sempre vampiri per metà, eppure io sì. Io c’avevo dentro qualcosa che cresceva, e non ero pazza, non me lo stavo inventando, più toccavo e accarezzavo la pancia più non dubitavo che fosse vero; anzi, ne ero completamente certa. Ero incinta.

E poi, quando mai un vampiro era in grado di concepire? Me ne veniva in mente soltanto uno che aveva avuto una esperienza con una donna. Quindi i vampiri potevano ancora concepire, come di sicuro anche Alucard. Non mi sarei aspettata mai una cosa del genere, Alucard non pensava ai bambini, forse non li adorava nemmeno dato la sua orribile esperienza da piccolo, eppure ero incinta di lui; che gli avesse venuto per la testa l’idea di fare un esperimento su di me? Al solo pensarlo mi procurò un forte brivido lungo la schiena.

Celesia era un caso a parte, era una donna intrappolata in un corpo eterno e non poteva cambiare, solo “miracolosamente” avrebbe potuto avere bambini, ma ora come ora ero al corrente non li aveva mai avuti. Il corpo delle vampire non cambiava, il mio sì. Stava cambiando, e c’era anche abbastanza spazio per un’altra creaturina. Sembrava impossibile, però….però era vero. Avevo un bambino dentro di me: un figlio. Una cosa che al 100% non avrei mai potuto avere nella mia vita.

“Tesoro?’’, mi chiamò mamma che era entrata con il bicchiere in mano.

Mi girai verso di lei, i miei occhi erano due fessure, le gambe mi tremavano come le mani, sentivo che prima o poi avrebbero ceduto. Un silenzio costante mi riempii le orecchie di confusione.

“Mamma’’, la chiamai, quasi come una supplica o un aiuto.

Fece un passo avanti. “Sì? Ti senti bene, Alì?’’, chiese cauta.

Raccolsi il libretto e riaprii alla pagina finale. Lei, intano si era avvicinata. “Guarda’’, e gli porsi il libro.

Lo studiò per quindici secondi, poi si rivolse a me confusa. “Hai il ciclo?’’

“No, no, mamma. Ti sto facendo capire che ho un ritardo di due mesi e mezzo’’, precisai, la bocca tremante.

A quel punto non si mosse più, soltanto i suoi occhi iniziarono a studiarmi la pancia scoperta. Mi toccai il gonfiore e rivolsi di nuovo lo sguardo alla vampira perfettamente bella, anche se spaventata, allo specchio.

“Non è possibile, vero? Non posso essere incinta, vero?’’, chiesi alla donna immobile dietro lo specchio, che si trovava dietro alla bella ragazza.

Finalmente si mosse a appoggiò il bicchiere sul mobiletto per poi ritornare da me.

Premette la mano sul gonfiore duro e lo esaminò, studiò ogni lato del mio corpo, passò un bel po’  di tempo, forse un ora e un quarto, prima di rivolgermi uno sguardo più disperato di prima.

“Mamma?’’, la chiamai, impaziente.

“Sei incinta’’, concluse.

Rimanemmo a guardarci basite. “Alucard ha detto che non…che…’’, ma era meglio restare zitti che cercare di ribattere. A quel punto, ormai, non riuscivo più a fidarmi delle parole di Alucard.

“Non so come sia possibile, amore, proprio non lo so’’

“Ma…ma io non sono umana’’, era una scusa banale.

Poi di nuovo silenzio, finché mamma non aprii l’armadio e ne estrasse due magliette, due calze un pantalone e una sciarpa. La guardavo immobile, nel posto, con le mani sul ventre come per proteggere il piccolo dentro di me.

“Che fai?’’, chiesi poco prima che uscisse dalla stanza.

“Fatti il bagno, vestiti e dopo vieni a mangiare. Usciamo, andiamo da Drakon’’

Mi lasciò sola nella stanza, nelle tenebre del suo silenzio, ad osservare il libro aperto sul letto, nell’ultima pagina. Nella più completa confusione, misi a fare i conti, forse per sperare che fosse solo un’illusione, ma i conti portavano: ero in ritardo da due mesi e mezzo e un giorno, ed ero in cinta dall’ultima volta che ero andata a Redmoon. Feci per tre volte lo stesso giro e portava sempre giusto, nemmeno l’intelligenza di Alucard mi avrebbe tradita.

Mi guardai nuovamente la pancia, me la accarezzai, con la mano tremolante, e osservai il leggero gonfiore che nei mesi sarebbe cresciuto. Non avevo mai usato il potere su di me, se non per proteggermi dal sole o dal potere di Paul, eppure non lo avrei scontrato apparentemente su di me, con quanta concentrazione mi rimaneva ancora, dalla mano sulla pancia ne uscii una fascia argentea che oltrepassò il gonfiore duro e caldo ed entrò dentro di me, concedetti anche alla mia vista di unirsi a quel fascio di luce per guardare dentro il mio corpo.

La scia oltrepassò ogni cellula microscopica, sfiorò le vene rosse, ed entrai dentro la vescica dove c’era una piccola sacca rosa-trasparente che conteneva una piccola creaturina curva, rosea anche essa, se non calcolavo male la sua compattezza andava a pesare 15 grammi, al suo interno, tutti gli organi erano già formati, era accovacciato su se stesso come se sentisse freddo, ma in realtà era più caldo di me e mi riscaldava dentro, come se avessi avuto un mini-termosifone dentro la pancia; ed era circondato dal liquido amniotico.

Lo contemplai a lungo, per conservare quel processo di vita, quella trasformazione; il mio piccolo stava crescendo, al sicuro e al caldo dentro di me; nessuno me lo avrebbe portato via, era il desiderio più grande che avessi mai avuto, e allo stesso tempo ero confusa e felice da non poter credere a quello che vedevo.. Non era quella specie di trasmissione che si faceva vedere in televisione per spiegare il processo della gravidanza, lo stavo veramente vedendo dentro di me. Ed era mio.

Mi stetti a chiedere se avrebbero capito: volevo quel bambino, se non avessi avuto un’altra opportunità questa era l’unica. Era forse l’unica ragione di vita per continuare a vivere nel mondo mortale, perché lui stesso era vita e non morte ( lo sentivo dal suo calore). Nessuno avrebbe potuto portarmelo via, nessuno, compreso Alucard.

Passai davanti allo specchio così tanto tempo, a contemplare quel miracolo, che quasi mi dimenticai che dovevo andare a lavarmi. Allora andai veloce al bagno e cinque minuti ero già sotto l’accappatoio. Mi vestii degli indumenti che mamma mi aveva sfilato dall’armadio e corsi a mangiare.

Quando arrivai in cucina era già tutto pronto, ma fui colta da una tale angoscia che mi sentii arrossire. Forse perché mamma mangiava veloce e in silenzio, forse perché non mi diede uno sguardo da quando iniziammo a mangiare e insieme, o forse perché non mi rivolse parole finché non fui sull’auto di papà. Sperava che Drakon mi avesse aiutata, invece io non volevo che nessuno mi toccasse; nemmeno lui che sapevo la loro esperienza.

Bevvi due bicchieri di sangue, ma non appena facemmo per uscire fui costretta ad rigurgitarlo in bagno. Mamma non tentò di darmene un altro perché supponeva che sarei andata un’altra volta al bagno. Allora partimmo, lei con tanta impazienza e paura io con nervosismo e una fami da lupi. Non stetti a pensare quale fosse opportuno mangiare- o sangue o un cervo intero- perché non appena vidi il ponte levatoio abbassarsi fui colta di un attacco di panico.

La macchina parcheggiò al centro del cortile, pensavo che Drakon non avrebbe trovato difficoltà ad aprirci nel mezzo del giorno dato che c’erano delle nuvole grigie che promettevano un temporale sopra le nostre teste.  

Mamma bussò forte il portone, di sottecchi osservai le sue mani tremanti e il panico in viso che cercava di nascondere. Un minuto dopo sentii pasi veloci provenire dall’interno del castello e il portone si aprii, cigolando. Drakon si era svegliato da poco, gli vedevo le palpebre cadere appena, e respirava stancamente, poi la sua espressione cambiò quando osservò mamma tremante.

“Kate, ma che ti succede?’’, chiese, i suoi occhi erano spalancati. Non badò a me giacché avevo un espressione calma.

Lei lo abbracciò disperata. “Drakon, si tratta di Alì’’

Guardò prima me poi la mamma. “Che cos’ha nostra figlia?’’

Nel modo in cui disse “nostra figlia” e non “tua figlia” e basta, mi diede da pensare. Mamma però non se ne preoccupò, e mi fece entrare in silenzio dentro il castello, per ripararmi dal freddo del mattino.

Senza parlare, Drakon ci fece guida fino all’enorme salotto e mamma mi fece sedere. Solo lì mi accorsi, accovacciata nella poltrona per riscaldarmi nel fuoco davanti a me, che mi accorsi che i fianchi si erano allargati.

Mamma mi indicò come se fossi una colpevole. “Guardala, Drakon, non trovi niente di diverso?’’

Mi guardò attentamente, alla fine alzò un sopracciglio. “Bè…si è fatta più grande’’

Mamma respirò affondo, forse per non cominciare a disperarsi, e mi invitò ad alzarmi. Di certo era la maglia larga ad ingannare la vista di papà, allora me la alzai fino alla vita e, controvoglia mi accarezzai la pancia, e Drakon si mise a guardarmi con un pizzico di confusione: in parte compresi che stava per arrivarci, in un’altra volevo sperare che non avesse mai capito.

“Si è fatta più grande, questo è certo, e…ti senti male?’’

Mi si fermò il cuore. “Sì, ho vomitato e ho forti giramenti di testa’’, mormorai.

Allora mi si avvicinò e iniziò ad esaminarmi più da vicino: mi accarezzò i fianchi, e mi diede uno sguardo repentino, mi osservò la mia espressione, la pelle stanca, le occhiaie e gli occhi, fece una smorfia, e infine mi accarezzò la guancia. Non ne fui meravigliata se qui mi guardò come se fossi una disgrazia, o un mostro. Perché era con paura che si guardava queste due cose. Mi sentivo veramente una disgrazia.

Si allontanò come se avesse sentito una scossa elettrica. “Sei incinta’’, lo pronunciò come una domanda anziché una affermazione.

“Non ne sono veramente sicura’’, soffocai.

“Hai la pancia gonfia, ho sentito qualcosa di vitale dentro di te, e hai i fianchi più larghi, come puoi dirmi che non sei incinta?’’, ruggì, mostrandomi i denti. Speravo che la mia scusa avesse cercato di calmare un improvviso attacco d’ira invece avevo peggiorato le cose.

Mamma fu pronta a farmi da scudo. “Può succedere, Drakon? Una vampira non può divenire incinta, e sappiamo il perché’’, intervenne lei.

“Sì, questo è vero. Ma lei è anche umana, oltre che vampira’’, rispose calmo.

“Quindi è possibile?’’

Mi diede una sguardata. “Nei maggiori casi della sua razza è impossibile, non ho mai visto una mezza-vampira in grado di procreare, lei è un caso unico e raro’’, poi ritornò a guardare mamma. “Ha mai avuto il ciclo?’’

Arrossii appena. “Sì, da sempre, perché?’’, risposi fioca.

Esitò per un secondo, un secondo che mi sembrò durare molto di più. “Perché le vampire non hanno il ciclo’’, rispose.

“Che significa? Alexia non è una mezza-vampira?’’, disse mamma, mettendosi in mezzo.

“No, è sempre una mezza-vampira, lo sappiamo tutti le sue doti, ma si può dire che si può fare un’eccezione’’

“Quindi….vuol dire che sono l’unica mezza-vampira con il ciclo, e in grado di essere incinta?’’, azzardai. Avevo voglia di allontanarmi da Drakon, il suo viso da ventenne metteva paura e inquietudine allo stesso tempo, tanto era arrabbiato.

“Per quel che ne so, sì’’, il suo sguardo si posò poi sulla mia pancia. “Ma non era così che doveva andare, non è così che doveva andare!”, urlò mettendosi le mani fra i capelli, stringendoseli così forte da farmi pensare che li volesse strappare.

“Possiamo rimediare, c’è sempre una via di scampo ’’, lo tranquillizzò mamma, posandogli una mano sulla spalla. E lui la guardò con amore, gli sorrise teneramente, come se fosse l’unica ragione per restare calmo.

Si volsero a guardarmi entrambi, con speranza e paura.

“Che succederà se non interveniamo subito?’’, disse mamma a Drakon.

Lui non smetteva di guardarmi. “Che cosa vuoi che succeda? Non ti sembra ovvio, tanto familiare? Eppure anche tu tanti anni rimasi in cinta di me, e ti volevi tenere con se la creatura dentro il tuo grembo, anche se io ti avevo ordinato, supplicato di abortire. Ma non mi aspettavo una cosa simile, non da una della sua razza, non è mai capitato nella storia dei vampiri. Un caso unico, eppure sappiamo entrambi come andrà a finire. Lo abbiamo sempre saputo, perfino nostra figlia lo sa’’

E mamma scoppiò a piangere, mentre guardava spaventata il gonfiore caldo che coprivo con la mano, si sedette sulla poltrona e pianse ancor più forte con le mani che coprivano il viso; non riuscii a tranquillizzarla, avrei detto solo bugie, non si poteva rassicurare una madre che sapeva che fra nove mesi avrà perso la propria figlia per un bambino. Però…

“Non è un vampiro’’, dissi subito.

Mamma si mise ad osservarmi, i suoi occhi gonfi di lacrime, papà mi osservava come se avessi detto una bestemmia.

“Che stai dicendo? Ti ucciderà, lo vuoi capire? È un assassino ’’

“No! Lui è mio figlio e….io lo amo. Non riuscirai mai a portarmelo via!’’, ruggii pronta ad attaccarlo, i denti appuntiti perfettamente visibili. La stessa reazione la ebbe anche lui.

Poi sentii dei passi provenire verso di noi, sempre più vicini, mamma non poteva essere perché era ancora a piangere sulla poltrona, e spaventata dalla nostra reazione; solo quei passi mi bloccarono. Staccai lo sguardo dal vampiro davanti a me e guardai dietro le sue spalle che copriva la porta. Lì, immobile c’era Alucard, che aveva posato di già lo sguardo nella zona scoperta del corpo, io ero di fianco quindi poteva vedere perfettamente il difetto.

Fu come se qualcosa mi irrigidisse il corpo fino a pietrificarmelo, tanta era la paura, nell’attimo in cui calò il silenzio fui pronta a tutto: riprese, sgridate, minacce, violenza, o peggio. Ma non volevo che mi potassero via il bambino.

“Che facciamo, allora?’’, chiese mentre si avvicinava a Drakon, l’espressione calma, i suoi occhi brillavano dalla rabbia. Come se stessero per affrontare una guerra; tutto a causa di quella gravidanza. Allora capii che aveva ascoltato, forse per mezza conversazione, ed era già dentro il castello, sapeva. Non avevo più nessun motivo per dirgli una scusa, e non mi avrebbe ascoltato. Nessuno mi avrebbe mai capita, mai, né mamma, né il mio fidanzato o Drakon, né Consuelo, Hendrik, e nemmeno i miei amici. Mi avrebbero preso per pazza, avrebbero visto mio figlio come una minaccia.

“Dobbiamo farlo uscire’’, rispose Drakon.

Il mio cuore si fermò: quel “farlo uscire” significava “ucciderlo”. La risposta mi trafisse come una lama. “No, no, no, non potete!’’, urlai, coprendomi la pancia.

Mamma mi prese e mi strinse a se. “Tesoro, è l’unico rimedio, e lo facciamo per il tuo bene’’

La guardai scioccata. Non era lei che era rimasta incinta di un vampiro? Non era lei che mi aveva tenuta anche se ero una vampira? Non era da me che Drakon voleva liberarla? Non era lei che ha superato momenti peggiori con me dentro, amandomi, meditando il suo pancione e rivolgendomi parole amorevoli per rassicurarmi dall’ira del suo fidanzato?  Così era successo a lei e così doveva succedere anche a me, proprio ora compresi quanto fossimo uguali, non li avrei mai ascoltati. Amavo troppo i bambini.

Allontanai velocemente le mani di mamma addosso a me, frustrata. “Come per il mio bene? Come fate a dire che è per il mio bene se mi state togliendo un figlio? Infondo anche tu, mamma, eri rimasta incinta di un vampiro, tu mi hai tenuta, mi hai amata fino al parto. Perché non dovrei ora anche io amare un figlio che miracolosamente ho concepito con Alucard!’’, le urlai contro.

“Alì, morirai’’, rispose Alucard, stringendomi le spalle e costringermi a guardarlo. “Vuoi capire che cosa è quello che hai dentro? Ti farà del male, amore, è un assassino. È una cosa che deve essere tolta, immediatamente, prima che ti uccida’’

“Una cosa?! Hai appena detto che il nostro figlio è UNA COSA!”, ebbi l’impulso di morderlo, ma resistetti. Non poteva chiamare il nostro bambino “una cosa” e per di più “che deve essere tolta”. “Non è tuo dovere scegliere il mio destino, ne a nessuno di voi. È mio, mio hai capito? E me lo tengo, possa crollare il mondo, giuro che me lo tengo’’, e mi staccai da lui, guardandolo in cagnesco.

Respirò affondo. “Alexia, amore, quello che abbiamo concepito non farà che….che rovinarti la vita, e la nostra relazione. Cosa farò io dopo che ti ho persa? Mi dici che chance avrò se ti perderò per sempre?’’

“Ma non mi perderai, io ci sarò sempre con te, e ci sarà anche nostro figlio. Tienilo per me’’

Strinse le labbra. “Pensi che sarai in grado di amarlo, educarlo, saziarlo dopo che…dopo che ti avrà dissanguata per la fame, come ho fatto io a Celesia, o magari anche alla mia vera madre?’’

“Lui non è così cattivo, non lo riesco ad immaginare’’

“Quindi vuoi dirmi che…sono costretto a dirti addio perché lo hai deciso tu, perché lo avete deciso entrambi! Bè, voglio dirti una cosa…’’, e mi strinse a se così forte da soffocarmi, feci in tempo a pararmi la pancia con una mano. “Io lo leverò quel parassita, pur di averti con me per sempre, non posso perderti, lo capisci? Non permetterò che ti uccida, leveremo questa cosa e tu vivrai come prima, felice, insieme a me’’, la sua voce era un misto tra rabbia e felicità, come un assassino che ha progettato un piano infallibile per la sua seconda vittima ed è estremamente sicuro di ucciderla. Così mi vedevo io: addormentata su un letto con Drakon che mi taglia la pancia e dopo Alucard che prende fra le mani il bambino cresciuto e lo uccide. Ed io mi risveglio senza di lui, con la pancia piatta.

“Non vedere le cose in questo modo. Io non sento che sarà così’’

“E come avverrà, dimmi, come pensi che avverrà il tuo parto se sono morte migliaia e migliaia di vampire quando hanno partorito. Perfino tua madre stava per morire perché ti aveva tenuta. Vuoi fare come lei, vuoi che ti perda? Sappi che se lo farai nessuno ti salverà, nemmeno il tuo potere perché non puoi usarlo su te stessa, nemmeno io o Drakon perché non siamo in grado di trasformare un Sanguemisto’’

“Ma lui non è un vampiro’’

Rise di me. “Che vuoi dire: che un vampiro e una mezza-vampira possono generare un umano?’’

“Ma io sento il suo calore’’, mi toccai il ventre. “La mia pancia non è mai stata così calda, senti ’’

E gli portai una mano ghiacciata sulla pancia. All’impatto ebbe un brivido, poi si rivolse a suo padre.

“Possibile, Drakon? Viene a sentire, scotta’’

Anche Drakon mi toccò la pancia, e di nuovo mi guardarono angosciati. “Sì, è pur sempre un vampiro, anche tu nei primi anni eri un umano, solo che l’unica differenza era che ti nutrivi continuamente di sangue’’

Alucard posò un’altra volta la sua mano sul gonfiore. “Se un vampiro e una mezza-vampira si accoppiano che creatura verrà fuori?’’, sembra che parlava tra se e se, ma poi compresi che parlava al padre adottivo.

“Un vampiro, è sicuro. Tu sei un vampiro, Alucard, e la tua compagna è nel 50% come te, quindi la creatura che nascerà sarà la similitudine della tua razza’’

“Ma Alexia è anche per metà umana’’, obbiettò mamma, asciugandosi le lacrime.

Drakon gli si mise accanto. “Questo non vale, non importa, Alexia è sempre una vampira, farebbe un tale baccano se si sapesse che hanno generato un umano perché i loro genitori sono per la maggior parte una razza vampira, quel pezzo di umanità della madre è come un briciolo di sabbia accanto ad una montagna’’

“E se fosse stata un’umana come me?’’

“Allora sarebbe successa la stessa cosa fra me e te, e il parto sarebbe stato uguale. Solo se fossi stato mortale il parto era simile a quello umano ’’

“Anche se Alcard fosse stato mezzo-vampiro come mia figlia?’’

“In quel caso non sarebbe stato in grado di concepire perché i Sanguemisti non possono avere figli, né trasformare con un morso. Se fossero stati entrambi vampiri le probabilità che fosse nato un bambino erano scarse, ma succede tutt’ora ad alcune coppie’’

“Eppure è caldo’’, risposi.

“All’inizio i vampiri nati da altri vampiri sono sempre umani e quindi, tu che sei fresca di temperatura corporea, è normale che il bambino sia più caldo di te perché umano; in realtà, è come se ti fossi prosciugata due persone con il sangue caldo, la sensazione è sempre quella’’

“Perché il parto non può essere normale se è sempre un bambino umano?’’                                

“Perché è pur sempre un vampiro, nei mesi che trascorrerai con il bambino dentro di te vorrai sempre il sangue, anche Alucard nonostante fosse umano da piccolo chiedeva sangue’’

Un altro silenzio di tomba. “Bene, allora quando si può levare il feto?’’, intervenne Alucard, mi teneva sempre stretta, forse per tenermi il più possibile vicino a se, forse per proteggermi dal mio stesso figlio.

“È anche possibile intervenire subito’’, concluse papà.

Un altro attacco di panico. “No! Ti prego, Alucard, non lo fare, non strapparmi via il bambino!’’, lo supplicai.

“È l’unico modo che abbiamo per farti vivere’’

“Tanto morirò lo stesso, quando sarò vecchia!”

“Tesoro, per favore, ascoltalo’’, disse mamma.

“No, vi prego, ci deve essere un altro modo. Io lo voglio il bambino, lo viglio. Lo amo, non potete portarmelo via’’

Alucard mi sollevò il mento dolcemente per guardarlo. “Tesoro, io ti amo, non ti voglio perdere’’

Mi allontanai dalla mano. “Se davvero mi ami saresti capace di comprendermi’’

“Alexia…’’

“E se vuoi ucciderlo prima devi uccidere me’’

La stanza si fece improvvisamente calma, entrambi erano rimasti pietrificati. Era chiaro che non c’era più niente da dire.

 

 

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Capitolo 21
*** Una decisione difficile ***



Capitolo 20

La calma nella stanza rischiava di farmi ritornare ad ondeggiare nel sonno, ma poi mi accorsi che la porta della stanza era aperta e da dentro entrava un’aria calda. Era il giorno dopo del trecentodiciasettesimo compleanno di Alucard e il giorno prima mi aveva invitato nel suo castello. Sembrava che la causa della mia gravidanza mi avesse lontanato di più di lui, capivo che era arrabbiato ma non potevo farci niente. Nei giorni passati mi aveva sempre sollecitato quando sollevammo l’argomento “aborto”, ed io cercavo sempre di deviarlo ma senza successo e poi finiva tutto con una litigata oppure me ne andavo fuori a farmi una passeggiata. Lo stessa cosa valeva anche per Hendrik che ogni minuto che iniziava la partita mi invitava nella poltrona, un buon motivo per parlarne. Consuelo era felice di diventare zia, forse era l’unica che mi capisse, senza che fosse però al corrente del seguente. Non riuscii a dirlo ai miei amici, sentivo che non erano ancora pronti per sapere, ogni tanto li telefonavo e dicevo che andava tutto bene, che la relazione tra me e Alucard andava bene, e che non sarebbe mai successo niente di male.

Quella notte mi aveva invitata a Redmoon per parlarne ancora un’ultima volta, ma avevamo finito per baciarci di continuo e un’ora dopo mi ero addormentata fra le sue braccia nel letto.

Fuori si vedeva il cielo notturno, non mi ero addormentata da poco, al svegliarmi fu quel maledetto senso di nausea che più di tre notti mi tormentava, e Alucard aveva aperto La porta per farmi uscire qualora avessi bisogno d’aria.

Cercai di girarmi per scacciare il senso di nausea, respirando affondo, però Alucard era sveglio e mi sollevò la testa per farmi respirare l’aria fresca nella stanza.

“Stai bene?’’, mi chiese, una volta che mi aveva posato la testa sul cuscino.

“Uhm, un po’ ”, risposi mettendomi una mano sulla fronte umida.

Sorrise e si avvicinò per baciarmi. “Adesso stai bene?’’

Arrossii un poco. “Sì, adesso sì’’

Mi baciò di nuovo, aggiungendo pian piano le carezze. “Ti amo, amore’’

“Ti amo anche io’’

Sollevò la testa per osservarmi, era sopra di me e si sosteneva con i gomiti sopra il cuscino. “Se te ne vai, chi saprà amarmi come tu ami me?’’

Sbuffai. “Ne vogliamo di nuovo parlare, sai non ne ho molta voglia!’’, urlai, improvvisamente arrabbiata.

Rise. “Già ti iniziano gli squilibri ormonali?’’

“Non lo so, so solo che mi sono stufata delle tue continue prediche. Devi capire quando prendo una decisione netta, e questa è una di quelle’’

“Per me, invece, è una decisione difficile. Non capisci quanto sia brutto sapere che me ne sto qui con le mani in mano mentre quella cosa prima o poi ti ucciderà’’

Mi sollevai di scatto con la schiena, senza badare al giramento di testa, e lo guardai in cagnesco. “Ecco, lo sapevo, hai rovinato tutto! Sai fare bene sempre quello, tu. Prima mi sono sentita bene insieme a te, qualche ora fa, e ora che hai ricominciato con questo argomento, insomma, hai rovinato la mia felicità, Alucard’’

Mi abbracciò forte a se, petto contro petto, ormai non mi faceva più alcun effetto vederlo completamente nudo. “Sai bene che non potrei mai’’, cominciò subito dopo a baciarmi dolcemente, io rimasi immobile, un po’ perché non mi andava di controbattere, un po’ perché desideravo veramente baciarlo, e un’altra parte mi diceva che era veramente uno squilibrio ormonale.

Mi ritrovai di nuovo distesa sul letto con lui che mi coccolava. Però lo fermai controvoglia.

“Ti prego, Alucard, stiamo attenti, non si sa mai se…’’

Si mise a guardare la pancia che si era gonfiata ancora di più, e poi fece una cosa che non mi aspettai mai: accarezzò il gonfiore con dolcezza, attenzione e poi si chinò per baciarlo due…tre…quattro volte. Strinsi i denti per trattenere le lacrime.

“Se tu sei felice, lo sono anche io; l’unica cosa che mi importa è la tua felicità, anche se mi addolora non intervenire. Si vede che il mio destino sarà uguale a quello di Drakon…’’

“No, il nostro destino sarà molto, molto più bello, te lo assicuro ’’

Si fece cupo in volto. “Non ci sono metodi per salvarti, Alexia, non ne conosciamo nessuno’’

“Bè, uno io sì’’

Sollevo un sopracciglia. “Davvero? E quale?’’

“Penso che potrei continuare a vivere, se mi trasformi’’

Rise per deridere il mio sforzo di convincerlo. “Non ti ricordi quello che ti ho detto molti mesi fa? Non è mai successo che un Purosangue sia stato in grado di trasformare un Sanguemisto, anche se c’avesse provato’’

“Tu hai mai conosciuto qualcuno che abbia avuto questa esperienza?’’

“No’’

“Allora non penso che sia vero, si dice e basta. E non è mai successo perché forse il trasformatore aveva paura di cosa sarebbe uscito al posto di quel povero mezzo-vampiro: un doppio ibrido tra doppio vampiro e umano, con canini lunghi e giganti fino al mento come la tigre dai denti a sciabola, una forza paragonabile a quella di Hulck, e un ruggito più potente di un orco puzzolente’’

Scoppiammo a ridere, ci concedemmo un minuto di gioia e spensieratezza, però Alucard si fece di nuovo serio. “Non son sicuro che funzionerà’’

“Tentar non nuoce’’

“Sì, però….’’

“Ehi, io ti amo e cercherò di essere il più forte possibile per resistere fino alla fine così che tu possa avere l’opportunità di trasformarmi’’

Mi guardò e poi sorrise, un sorriso triste. “Non posso vivere senza di te, non ce la faccio’’

Gli presi il viso fra le mani. “E non mi perderai mai, te lo prometto, ti starò sempre vicino. Amore, vieni qui’’, e lo baciai dolcemente.

Anche lui cedette. E ricominciammo da dove poco fa avevamo finito.

Due ore prime dell’alba, Alucard chiuse la porta, mentre ero ancora addormentata ed uscii dalla stanza, quattro ore dopo mi svegliai io e Drakon era seduto ai piedi del letto a guardarmi.

Annuii. “Ciao, papà’’

Sorrise. “Ciao, dormito bene?’’

“Sì, e tu?’’

Storse le labbra. “Mi pare che sia un po’ presto per andare a dormire’’

“Oh!’’, arrossii. “Scusami, mi ero scordata che eri rimasto sveglio per tutta la notte’’

“Volevo parlarti’’

“Ah’’. Già il silenzio che non sarebbe stata una conversione digeribile.

Respirò profondamente. “Riguarda al tuo aborto’’

E ci risiamo. “Che volete da me? Ve la volete finire tutti di dirmi che tutto questo lo fate per il mio bene, se mi farebbe soltanto soffrire?’’, mi misi seduta sul letto, e strinsi la coperta per trattenere uno scatto con il pugno.

“Non volevo dire questo’’

“Ah, no? E allora cosa?”

“Alucard mi ha detto che è d’accordo con te ’’

“Non l’ho indotto io, gli ho solo spiegato per la sessantesima volta che non voglio che mi levate il bambino’’

Sogghignò. “Assomigli proprio a tua madre: dolce, affettiva, protettiva, e…bellissima’’

Nello stesso secondo mi accorsi che ero a petto nudo e che non ero mezza nuda. Dall’imbarazzo mi coprii velocemente e abbassai lo sguardo per non incontrare quello seducente di papà. Lo sentii ridere forte.

“Non devi vergognarti, ti ho visto fin da quando eri piccola al parto che eri completamente svestita’’, e mi sollevò il mento per guardarlo. “Non devi vergognarti di me’’

“Ma io non mi vergogno di te, è che ogni volta devo stare molto attenta a capire che sei mio padre e non un ventenne seducente. Il fatto è che tutti ti vedono molto giovane e se sei accanto a me ti scambieranno per il mio fidanzato oppure per mio cugino’’

Rise appena. “Sono stato trasformato troppo presto, molto improvvisamente, contro la mia volontà’’

“Però ti sei vendicato, giusto?’’, almeno di una cosa Alucard non mi aveva mentito.

“Sì, ma questo non vuol dire che rimpiango quella volta in cui lasciai la mia famiglia. Certe volte penso che sarebbe stato molto meglio morire insieme a loro’’

Mi avvicinai a lui, stando attenta a non scoprirmi, e posai la testa sulla sua spalla. “Ma se non fossi mai esistito a quest’ora mamma non avrebbe mai conosciuto un vampiro disponibile e amorevole, e io non sarei figlia di un vampiro famoso e Alucard da piccolo sarebbe morto in una strada senza il tuo aiuto. Non avremmo avuto queste opportunità se non ci fossi stato tu, perché tu sei il capo, la guida di questa famiglia, e senza di te saremo smarriti’’

Mi accarezzò la schiena nuda, per lui forse fu normale, per me farsi accarezzare da un giovane papà mi procurò un brivido che mi percosse il corpo.

“Non è giusto, però’’

“Cosa?’’

“Che debbo perdere la mia vera figlia così presto ’’, mi guardò con disperazione.

“No, papà, non mi perderai’’

“È inutile che ripeti sempre lo stesso ritornello, sappiamo entrambi che cosa ha rischiato tua madre se non fossi intervenuta tu’’

“La conosco la storia, e questa volta andrà diversamente. Io credo di salvare entrambi, lo sento dentro che ce la farò’’

“No, Alexia, il bambino che hai dentro ti farà del male, non te ne rendi conto perché ancora non sai che significa’’

“Be’, posso anche non sapere cosa significa, ma io lo amo, e me lo tengo. Punto ’’

“Alexia, per favore, ti supplico, ti imploro perfino in ginocchio, non mandare avanti la gravidanza. Non ti voglio perdere’’

“E io non voglio perdere mio figlio ’’

Sospirò disperato. “Non sai nemmeno se è un maschio o femmina’’

Mi toccai la pancia nascosta al caldo sotto la coperta. “Io dico così perché penso sempre che sia un bel maschietto, poi si vedrà con i mesi seguenti’’

Si avvicinò a me e m’ipnotizzò con lo sguardo. “Ascoltami, non riuscirai mai a vederlo, mai. Ti prego, tu vivi e tutto tornerà normale, fallo per Alucard, fallo per me’’

“Papà, andrà tutto bene, vedrai, sono forte abbastanza per andare avanti’’, lo rassicurai stringendogli una mano.

Rimase a guardarmi, stette per dire qualcosa ma ci ripensò e si alzò dal letto. “Dove vai?’’, chiesi.

“Me ne vado ’’

“Dove?’’

“A cercare chi ti può aiutare, chi ha la riposta per salvarti o farti cambiare idea’’

“Papà, ti prego, resta con me. Non andare via’’

Si girò verso di me. “Sappiamo entrambi come questa storia andrà a finire. E questa volta non resterò a guardare mentre perdo qualcun altro che amo ’’

“Papà!”, ma lui era già uscito.

Fui invasa da un senso di malinconia, nel momento in cui se ne andò, qualcosa mi premette nel cuore e mi fece male, e gli stavo facendo del male. Mi premetti la pancia, per cercare di placare le lacrime, sperando che almeno il bambino avesse riuscito a calmarmi; ma che colpa ne aveva lui? Era solo una creatura che cresceva, non aveva la capacità di agire e creare tutta quella ingiustizia. Se ne stava al sicuro dentro di me, al caldo, amato e nutrito, e non aveva colpa. Ero io, lo capii, solo io che con questa decisione avevo rovinato ogni gioia. Alucard aveva ragione: era una decisione difficile quella di rischiare la morte, soprattutto diventare mamma così presto, però lo desideravo. Forse sarebbe stato l’unico figlio che avessi mai avuto, e sentivo che dovevo rischiare. Infondo, era sempre colpa mia.

Mamma mi aveva detto di stare attenta, e io invano l’ho ubbidita pensando che mai avrei concepito un figlio. Avevo disubbidito a Drakon e a Hendrik, non ho saputo aspettare. E i miei amici mi avranno evitata, non mi avranno mai capita.

D’un tratto mi sentii sola, sola al mondo, l’unica che doveva lottare per mandare avanti la gravidanza, perché nessuno mi avrebbe ascoltato; nemmeno mamma che tanti anni fa era nella mia stessa situazione e che ora non faceva altro che dare retta a Drakon, lo stesso mio padre che l’aveva indotta ad abortire.

Scesi dal letto più veloce che potevo, mi vestii, e corsi verso al piano terra, dove vidi Drakon entrare in una stanza; dovevo fargli capire a tutti i costi, non poteva ignorare il mio desiderio più grande, lo stesso desiderio che aveva mamma. Che coincidenza certe volte mi preservava la vita.

Con passo felino, mi avvicinai alla stanza, e guardandola mi si chiuse la bocca dello stomaco.

Se non era per i candelabri su dei mobili ad illuminare la stanza, anche se avrei visto bene con il buio, l’aspetto sarebbe stato più inquietante. In ogni parete era posta una bara, sia piccola che grande, fino alla fine della stanza, e coprivano anche il pavimento stando una parallele una dall’altra, formando delle piccole strade in modo da potersi muovere. Al centro della stanza era posta una bara di legno rosso, ai suoi lati erano incastonate rose d’oro. Era la più bella e linda tra le altre che erano fatte di legno polveroso, secco e antico, di sicuro ci sarà stata deposta una persona molto importante, una persona che Drakon amava tanto, una persona che non sarebbe stata mai in una bara come quella.

Quando un vampiro muore, il corpo si deteriora in base alla lunghezza del tempo che si è trascorsi dalla prima morte eterna, e i più vecchi si trasformano in polvere. In quel caso, che cosa ci sarebbe rimasto del cadavere?.

Forse papà mi aveva sentita ma non ci fece caso, aprii la bara grande e nera lucente davanti a lui e vi ci entrò assumendo la posizione da morto, chiudendo gli occhi, e lasciando che la bara si chiudesse da sola. Emise un cigolio prima di chiudersi, e dopo silenzio.

“Via libera”, pensai, e sempre con passo leggero entrai nella stanza. A ogni passo il cuore mi batteva forte.

Mi avvicinai con cautela alla bara nera, rimasi a guardarla per un minuto intero aspettando che papà la aprisse per riprendere il discorso di prima, invece non sentii nemmeno uno spostamento della bara, solo un respiro continuo che faceva eco da dentro. Papà si era addormentato, non sen ne sarebbe andato da Redmoon, non quel giorno, avrebbe aspettato la sera per riprendere il cammino e io avrei fatto in tempo a fermarlo.

Allora mi allontanai dalla bara del vampiro, ma anziché uscire mi avvicinai a quella più bella: quella di colore rosso vivo che casualmente mi accorsi che richiamava il colore del sangue. Sul tavolo liscio e colorato posava un mazzo di fiori bianchi di campo, non erano lì da tanto tempo, forse Drakon ce li aveva messi. Sulla cordicella che univa i fiori c’era attaccato un biglietto con su scritto: Celesia.

Con sguardo scioccato, ritornai a guardare la bara di Celesia, dove vi erano posati i fiori per Celesia, dove c’era dentro il suo cadavere, dove Drakon la teneva lì dentro da anni. Era un gesto lugubre, ma infondo anche profondo per il rispetto di una persona amata. Lui l’aveva amata così tanto e per questo non trascuravo l’idea che avesse fatto bene tenerla accanto. Però….sotto certi aspetti, sarebbe stato più opportuno seppellirla in giardino dentro la bara.

Nonostante la paura, la curiosità ebbe la meglio su di me e feci un gesto che non mi sarei mai sognata di compiere: afferrai con le dita il coperchio della bara per vedere se non era inchiavata, e questo si sollevò appena ricadendo con una postura un po’ storta. Era aperta. Deglutii e strinsi i denti, le labbra, e non so perché trattenni anche il respiro. Afferrai con forza la tavola superiore della bara e la sollevai del tutto, la strascinai fino a terra e questa cadde rumorosamente nel terreno, spostando appena una bara di legno che le stava accanto.

Un’ondata di polvere mi sporcò il viso, il tanfo insopportabile della bara mi soffocò costringendomi ad indietreggiare di quattro passi. Da quello che colsi dopo, però, capii che la polvere grigiastra non era generata dallo sporco della tomba o della sporcizia della stanza, ma dalle ossa polverizzate dello scheletro, e il tanfo era causato dalla decomposizione degli ultimi decenni. Quel che rimaneva dello scheletro di Celesia era il cranio, la mandibola, le due mani e un braccio, alcune costole che teneva saldo l’unico braccio rimanente, le gambe e un piede, c’erano alcuni capelli neri attaccati al cranio, lisci e lunghi fino al bacino, sporchi delle altre ossa polverizzate che ricoprivano la bara. Alcuni parti dello scheletro era ricoperto da una ragnatela che gli faceva da velo, mentre era scarsamente rivestito di un abito beige, e quel che rimaneva del fazzoletto che gli stringeva la vita, strappato o sporco, aveva totalmente perso il colore. Ecco com’era vestita l’ultima volta che aveva vissuto la sua vita eterna, l’ultima volta che Drakon l’aveva vista prima di salutarla per andare a caccia.

Nell’anulare scheletrico sinistro di Celesia c’era qualcosa che luccicava, mi sporsi appena per vedere bene: era l’anello di matrimonio. Ebbi un senso di malinconia, era triste la sua morte quantomeno la storia fra Drakon e lei. Era morta improvvisamente, contro la sua volontà, senza neanche poter dire addio al suo sposo lasciandolo solo. Aveva rischiato la sua vita per educare Alucard, aveva mantenuto la sua parola ai genitori veri di Alucard prima che quest’ultimi morissero. Tutto questo aveva sacrificato ed era morta senza alcun diritto. Ora capivo come si sentisse Drakon, quanto dolore provasse, e quanta paura avesse avuto quando stava per perdere Kate, ed ora avrebbe perso me. Chissà se riusciva ad amarmi più di Celesia, o più di Kate. Però mi amava, e questo non fece altro che aumentare il mio senso di colpa.

Dentro di me sentii che qualcosa di piccolo di era mosso da costringermi a premere la mano contro la pelle caldissima.

“Sì, piccolo, anche io sono triste’’, dissi. Allo stesso tempo mi sentii rassicurata, il piccolo mi capiva. Significava che non ero sola ad affrontare questa strada tortuosa, anche il piccolo avrebbe partecipato insieme a me. Mi asciugai le lacrime e rimasi a guardare Celesia a lungo, sarei rimasta a farle compagnia anche fino al calare del sole.

Nel silenzio completo, mi sentii afferrare la spalla. Urlai: non riuscii a trattenermi. Feci per scrollarmi la pressione di dosso, ma qualcos’altro mi afferrò perfino la mano che volevo usare. Pensai goffamente che fosse uno dei morti nascosti nelle bare che non avevo fatto in tempo a notare. Invece quando mi voltai scorsi il viso infuriato di papà.

“Papà’’, soffocai, ricomponendomi dopo lo spavento. Ma non era il momento delle parole dolci.

“CHE CI FAI QUI?”, ruggii. Mi mostrò i denti.

Ecco, adesso tanti saluti alla speranza di non essere scoperta. Ormai c’ero dentro fino al collo.

Guardai velocemente il cadavere di Celesia affianco a noi. “Io…io non volevo….’’, sì, certo, un’altra barzelletta non la potevo inventare? L’avevo fatto, però, intenzionatamente ma avevo aperto la bara. E non ci sarebbe stato nessun modo di spiegare la verità perché non c’era, avevo aperto la bara. Punto. Senza rifletterci, senza uno scopo.

Anche lui si mise a guardare lo scheletro della moglie, poi si rivolse a me più arrabbiato di prima, gli occhi rossi dal furore. “Come hai osato aprire la bara di Celesia?!’’

“Io…io, ti posso spiegare’’

Strinse la stretta, ora mi afferrava tutte e due le spalle e faceva male. “Perché lo hai fatto? Perché?’’

“Non sapevo che c’era lei, non lo sapevo! Ero curiosa, volevo solo vedere’’

“Maledetta, non dovevi entrare qui!’’

Mi divincolai, ma non riuscii a staccarmi dalla sua presa ferrea. “Lasciami, papà, ti prego!’’

“Non ti azzardare mai più a venire qui, non ti azzardare più a seguirmi, e ad aprire senza il mio ordine la bara di mia moglie!’’, a ogni frase stringeva la stretta tanto che avrebbe potuto rompermi le ossa, infine mi diede una spinta così forte da farmi trascinare a terra e sbattere furiosamente contro lo spigolo di una bara polverosa. Tossii per via della polvere che avevo ispirato, e mi rimisi seduta con la testa che mi ondeggiava per il forte schianto. Non c’erano parole di quanto fosse arrabbiato papà in quel momento, avevo disonorato la sua fiducia. Aprire la bara di sua moglie era stato un colpo grosso per lui, soprattutto se quell’atto l’aveva compiuto io.

“Senti, papà, ragioniamo’’, intanto lui si avvicinava a passo minaccioso verso di me, mentre io arretravo con le gambe cercando di alzarmi. “Volevo solo parlarti, ecco perché ti ho seguito ’’

“Mi hai seguito?!”

Quante volte mi ripetevo che dovevo imparare a stare zitta?. “Bè, ehm, sì, perché ti volevo parlare. Riguardava l’argomento di prima’’

Si inginocchiò davanti a me, ma non c’era gentilezza nei suoi movimenti. “Non sai mai aspettare, eh? Ti avevo sentito prima ma pensavo che te ne saresti andata presto, una volta addormentato. Ma invece….’’, strinse le labbra. Lo scatto fulmineo del suo pungo mi tolse il fiato, sentii spezzarsi la bara dietro di me perché il pugno potente di papà l’aveva colpita, risparmiandomi la testa.   

“Calmati, papà, adesso rimetto tutto apposto, chiudo la bara di Celesia e me ne vado, ti lascio dormire. E ….non verrò più qui, te lo prometto’’, ma era come parlare ad un ubriaco fradicio che non aveva intenzione di ascoltare. Lui era ubriaco dalla rabbia.

 Vidi i suoi canini allungarsi piano piano. Una fitta allo stomaco, capivo il significato: quando si allungava i canini era a caccia, desideroso di sangue, pronto a mordere. Quando si allungava i canini la preda era al massimo pericolo. “Non pensare che uscirai qui prima del tramonto se non mi dici perché sei entrata’’

Allontanai invano il suo viso con le mani, ma era come ordinare ad una pietra di muoversi. “Te l’ho detto, ero intenzionata a parlarti’’

“E perché ai parto la bara?’’, un altro schianto e l’altro pugno mi risparmiò per la seconda volta la faccia. Ora ero parata da lui, e se cercavo di scappare…era come un topolino intrappolato nella colla velenosa che invano stava cercando di liberarsi da quella sostanza appiccicaticcia, ed era sicuro che sarebbe morto. Così mi sentivo io: ero quel topolino.

“Io…io non lo so, ero solo curiosa, non pensavo che c’era Celesia dentro. Alucard mi aveva detto che l’avevate seppellita in qualche parte, ma non pensavo che l’avrei trovata qui. Poi ho visto che tu stavi dormendo e…io volevo solo dare un’occhiata, tutto qui, non pensavo di aver fatto rumore. Me ne sarei andata subitissimo’’, parlavo così veloce che nemmeno io riuscii a capire i movimenti delle labbra.

Rivolse uno sguardo malinconico alla bara aperta, poi ritornò a me. “L’avevo portata qui per sentirla più accanto. Non avevo mai fatto entrare nessuno qui, nemmeno Kate, o Alucard. Mi sorprende sapere che tu sei riuscita a smascherarne il segreto, ma non mi sorprende il fatto che tu sia stata così cocciuta da aprire la bara più bella fra le altre’’

Ero veramente una cocciuta. “Papà, io…non volevo, mi dispiace tanto’’, mi tremavano le mani, mentre ripetutamente cercavo di scansarmelo.

Esitò qualche secondo. “Sai che cosa succedono ai vampiri quando si svegliato improvvisamente dal sonno?’’

Conoscevo la risposta. “Diventano più cattivi e violenti, hanno più sete e….uccidono il primo che incontra per la strada’’

Sorrise per lo sforzo. “Esatto, e sai perché?’’

Deglutii rumorosamente. “Perché…perché non si aspettavano di essere disturbati improvvisamente, e dato che il riposo di giorno per loro è…un momento particolare per la loro esistenza, diventano frustrati e agiscono senza pensare’’

“E io sono l’unico che può pensare prima di agire, giusto?’’, voleva il mio parere per calmarsi, se non gli avrei risposto sentivo che per me sarebbe stato il momento di aggiungermi ad una delle sue collezioni di bare.

“Sì’’

Attorcigliò il labbro e mi mostrò i denti. “Capisci fino a qui che non sarà molto facile placarmi se tu non te ne vai da qui. Non voglio rischiare di attaccarti, ti voglio troppo bene’’

“Vuoi che me ne vada?’’

Sciolse i muscoli e spalancò le braccia. “Vieni qui’’, mi invitò.

Ora che ero libera potevo facilmente darmela a gambe e non tornare mai più lì dentro, chiudere la porta a chiave e lasciare che Drakon si sfogasse con tutta la rabbia che gli rimaneva, ma invece mi sollevai per abbracciarlo.

Lo sentii ispirare il mio odore e annusarmi la gola, tremai di paura quando mi strinse forte a se, tanto forte.

“Ahia!”, urlai.

“Non ti azzardare mai più ad entrare, mi hai capito?’’, chiese minaccioso.

“Sì, ho capito ’’

Sorrise. “Brava, tesoro mio’’, la sua voce si era fatta improvvisamente profonda e dolce, ma avevo ugualmente paura, me ne stavo ancora fra le sue braccia con il rischio che mi avrebbe attaccata da un momento all’altro.

“Papà, ora posso andarmene?’’

“No, devi prima dirmi cosa volevi da me’’

Sciolse la stretta per permettermi di guardarlo. “Volevo solo chiederti di non andartene, perché….Oh! Non importa, tu non mi capirai mai perché sono difficile da capire. Sono la colpa di tutto io, e forse mi merito anche di morire insieme al bambino! Tu mi vuoi bene, sai cosa vado incontro, lo so benissimo, perché avevi perfino indotto a mia madre di lasciare che tu mi uccida però non l’hai mai fatto. Anche tu mi amavi infondo, altrimenti avresti usato su di mamma un sedativo per addormentarla e ti saresti sbarazzato di me molto facilmente. Invece non l’hai fatto, perché mi ami tanto. Ora dimmi perché hai dato questa possibilità a mamma e non la dai a me? Io lo amo questa creatura, non ha colpa di niente lui, e forse sarà l’unica cosa che mi rimane della mia umanità. L’unica capisci, quindi voglio tentare. Sono pronta a tentare, disgrazie ne ho ricevute un’infinità nel corso della mia vita e sono in grado di reggerle. Per la miseria, ho diciannove anni non dodici!’’, delle lacrime involontarie avevano incominciato a rigarmi il viso. Non volevo piangere, eppure lo stavo facendo.

Papà mi strinse di nuovo a me, questa volta con più attenzione. Sentivo i suoi muscoli rigidi, le sue mani sfioravano la mia schiena, quasi non le sentivo, perché aveva paura di farmi del male. Sapevo che dovevo scappare, ma allo stesso tempo desideravo rimanere.

Mi baciò più volte la testa, mentre io cercavo di controllare le lacrime che non volevano smettere di uscire, poi avvicinò le labbra al mio orecchio. Rabbrividii quando sentii il suo alito freddo congelarmi la pelle.

“Sei proprio uguale a tua madre’’, disse ridendo appena.

Sorrisi.

“Vattene via, ora. Devo ristabilirmi da solo ’’

Temevo che se mi saresti alzata mi avrebbe riprese e volendo anche morsa, sulle prime esitai però non appena sentii la sua presa sciogliersi mi rimi in piedi con prudenza. Non appena fui lontano da lui e lontano dalla bara, lo vidi alzarsi e raggiungere lo scheletro di sua moglie. Rimase lì e non si mosse più, ne si azzardò a guardarmi.

“Ti voglio bene, papà, e mi dispiace tanto’’, dissi, in modo di attirare la sua attenzione. Ma lui rimase sempre immobile, fece finta di non aver sentito.

Uscii, tanto meglio non tentarlo troppo, un’altra parola e mi avrebbe di sicuro attaccata. In silenzio, chiusi delicatamente la porta e consumai gli ultimi brividi di paura appoggiata contro il muro. Un minuto dopo sentii un corpo cadere, provenne dalla stanza in cui ero uscita, e poi deli lamenti. Se avessi assistito dal vivo, se Drakon fosse stato umano, avrei giurato che si fosse inginocchiato disperato accanto alla tomba di Celesia e avesse iniziato a piangere, anche se di lacrime non ne avrebbe mai versate.

Quel giorno avevo chiesto a mamma di restare ancora una due sere a Redmoon, tanto per confortare papà. Non le raccontai della paura che ebbi davanti a papà quando si arrabbiò nella stanza, non avrei voluto sapere la sua reazione, nel pomeriggio che venne convinse a Alucard di andare a riposarsi, dato che erano due giorni che non si riposa, e io mi rintanai dentro il salotto. Forse il mio angolo preferito del castello.

Mi sedetti sulla poltrona più grande, quella accanto al camino, e guardai il fuoco. Accarezzandomi la pancia, incominciai a pensare a quella mattina, al tremore, allo scheletro di Celesia, quella stanza che non ne sapevo nemmeno l’esistenza. Mi chiesi se Drakon stava ancora piangendo vicino ai resti di sua moglie, o se si era messo a dormire. Sperai che una volta mettendosi a dormire non ricordasse più niente di quello che mi aveva fatto, invece il sonno del vampiro non era una morte improvvisa di cui non ti ricordi più niente del passato. Forse era una morte apparente, ma anche un coma, dove il mostro sembra morto, senza bisogno di respirare o battere le palpebre; avrei voluto sapere se i vampiri erano in grado di sognare, ma supposi di no.

Più i secondi passavano più mi resi conto di provare una certa fame, ricordai che se bevevo sangue animale lo risputavo immediatamente. Forse il bambino aveva fame, e aveva bisogno di nutrizione. Però non sapevo cosa potevo mangiare. Per giorni mamma aveva tentato di farmi mangiare anche il cibo umano ma lo rigurgitavo ugualmente perché ci aggiungevo sempre il sangue di puma. Allora mamma aveva chiesto a Drakon di andare a chiamare dei suoi amici per farsi dare qualche aiuto, ma ancora non era partito.

Fui immersa da tanti pensieri che non mi accorsi che la porta era stata aperta, e un’ombra si era avvicinata verso di me.

“Alì’’

Mi girai. “Papà, che ci fai qui? Pensavo che stavi a dormire’’, sgranai gli occhi, mentre lui mi si sedette accanto.

Mi mise le gambe sopra le sue e un attimo dopo era disteso dietro di me, fu un gesto familiare il suo perché anche mamma me lo faceva quando ero piccola. Di sicuro era un modo per non dimenticarsi del suo primo amore.

“Non ho sonno’’

Una bella scusa per dire che aveva passato tutto il giorno insonne. “Pensavo che ti stavano a cuore le tue antiche usanze vampiresche’’

“Ho dato uno strappo alla regola’’, mi accarezzò ripetutamente la testa: anche mamma questo gesto lo faceva, non riuscivo a trovare nulla di imbarazzante perché quelle carezze le conoscevo già. Presto avrebbe iniziato a baciarmi la fronte e a cantarmi una ninna nanna antica, che nemmeno mamma a quei tempi mi diceva chi l’avesse inventata, aggiungeva solo che la cantava Drakon ogni volta per lei. Nei suoi occhi rossi vedevo ancora la malinconia, ma allo stesso tempo racchiudeva anche un amore infinito.

“Sei ancora arrabbiato?’’

“No’’. Per lo meno era stato sincero.

“Allora perché sei venuto?’’

Si mise a guardare il fuoco. “Volevo la tua compagnia. Ti sono stato così lontano in tutti questi anni, che solo ora voglio starti sempre di più accanto’’

“Forse è perché richiamo la presenza di mamma?’’

Sorrise. “Anche per quello’’, e si rivolse a guardare prima me e poi la pancia. Piano piano, spostò la sua mano libera al mio ventre e lo accarezzò.

“Era un giorno come questo, in questa stanza, un pomeriggio che non riuscivo a dormire, che mi distesi accanto a tua madre e le accarezzai per la prima volta la pancia. Quando compresi che non avrebbe mai ceduto ad averti, che avrebbe superato perfino la morte per salvarti, ed io iniziai a provare un certo affetto verso la creatura che stava nascendo dentro la mia fidanzata. Cominciavo ad amarti, perché sapevo che saresti stata la mia unica figlia in tutta la mia vita, dopo che avrei trasformato Kate’’

“E anche questo sarà l’unico figlio di Alucard’’

Mi guardò. “E una volta che ti avrò persa, come potremo vivere senza di te?’’

“Allora trasformami, come avresti fatto a mia madre, e tutto sarà terminato. Se mi trasformi vivrò per sempre con te ’’

“Non so se posso trasformare un Sanguemisto’’

“Pensaci, sono io che non posso trasformare ne procreare- che nell’ultimo caso farei un’eccezione- ma non che posso essere trasformata. Sono sempre metà vampira ma c’è più umano che vampiro in me. Una razza come me non può avere il ciclo mestruale, ecco perché non sarei mai stata in grado di diventare mamma, invece io ce l’ho. Quindi se ho qualcosa che non potevo mai avere, tu puoi darmi qualcosa che nessuno pensava che sarebbe mai riuscito a darmi’’

“Su questo non ti biasimo, è eccellente la tua opzione. Ma ho sempre paura di arrivare troppo tardi e di non essere capace di…’’

Appoggiai la testa sulla sua spalla. “Papà, ascoltami, io so che ce la puoi fare. Mi fido di te, ti conosco abbastanza da capire che sei coraggioso’’

“Chissà perché queste parole mi suonano tanto familiari’’

“Te lo aveva detto anche mamma?’’

“Sì, mi diedero forza abbastanza da guardarla giorno dopo giorno mandare avanti la gravidanza’’

“E spero di averti dato forza anche io’’

Ritornò a guardare la pancia. “Davvero lo vuoi?’’, chiese dopo un attimo di silenzio.

“Sì’’

“Sei davvero sicura? Anche se dopo dovrai affrontare dolori atroci, sei davvero sicura di tenerlo?’’

“Ho sopportato dolori atroci più peggiori di questo. La concezione non è un dolore per me, ma un miracolo ’’

Sogghignò. “Anche per me sei stata un miracolo, Alexia’’

Lo abbracciai forte. “Grazie papà’’

“Di cosa?’’

“Di starmi accanto sempre e mi dispiace per prima, ti giuro che non lo farò più’’

Mi diede tre colpetti nella spalla. “Brava’’

Stetti per ridere, ma mi trattenni, nel modo goffo in cui mi aveva dato quei colpetti. Non lo lasciai, avevo il bisogno di essere protetta da lui, e poi ero così stanca che sarei sprofondata improvvisamente nel sonno; solo la fame mi impediva di dormire.

“Ma è proprio necessario diventare nonno così presto?’’, disse.

“Andiamo papà, devi imparare a tenere il conto degli anni, era ora che diventassi nonno dato che sei quasi un vampiro millenario. E poi anche Hendrik diventerà nonno presto ’’

Rise. “Spiritosa, non mi sento pronto però’’

“Devi, non guardare la tua eterna giovane età ma gli anni che hai’’

“Vuoi dire che sono un vecchio raggrinzito?’’

Gli feci la linguaccia, e lui mi diede un leggero colpetto sulla testa. Scoppiammo a ridere, e ci abbracciammo di nuovo.

“Come avete passato i mesi tu e mamma durante la sua gravidanza?’’, chiesi, la testa contro il suo petto, tra qualche minuto mi sarei messa a dormire.

“L’ho amata sempre di più ogni giorno perché dentro di me cresceva il timore di perderla. Sono stati momenti indimenticabili, davvero, non me ne dimenticherò mai’’

“Ma allora perché non ritorni da lei e gli dici tutto?’’

“Penso sempre ad Hendrik e a quello che gli succederà una volta che per sbaglio dicessi la verità a tua madre, infondo penso che lei lo sa già che non ho mai smesso di amarla’’

“Anche lei ti ama, sai? Nonostante amasse Hendrik, ama profondamente anche te ’’

“Non può scegliere tra me e Hedrik, gli rovinerei la vita, e comunque ormai quel che fatto è fatto: ha preso marito e sono felice per lei. inoltre c’è anche il fatto che Hendrik si sia occupato di te per diciotto anni, e questo è un gesto coraggioso, ed è per questo che sento il dovere di non avvicinarmi un po’ troppo a Kate’’

“Una volta che hai saputo che si fosse sposata con Hendrik cosa hai fatto?’’

“Me ne sono andato, ero geloso è ovvio, ma poi sono ritornato perché di certo scappare non avrebbe placato la mia tristezza. E poi ti sentivo così lontana, anche se ti amavo’’

Improvvisamente mi brontolò la pancia. “Oh!”

“Hai fame?’’

“Traduco: lui ha fame, io voglio solo dormire’’, indicai il punto gonfio.

Rise fragorosamente, mi diede un bacio sulla fronte e si alzò dalla poltrona. “Ti vado a prendere da mangiare’’

“Prendi anche un secchio, non si sa mai cosa potrei buttarci dentro lì’’

Due minuti dopo ritornò con una tavolozza nelle mani su cui posavano un piatto pieno di insalata, pollo, pane, pomodori tagliati a metà, un bicchiere pieno di sangue, una forchetta e un coltello. Mi misi seduta con le gambe incrociate, sfregandomi le mani.

“Mi ahm- mi ahm- mi ahm! Adoro l’insalata’’, esclamai prendendo la tavolozza ripiena e posandomela sulle gambe.

Papà aveva nell’atra mano un secchio di ferro, nel caso avrei vomitato il cibo. Anche se ormai sembrava inutile farmi mangiare quella roba, valeva la pena tentare. Forse più in là avremmo trovato un rimedio.

Il mio stomaco brontolò ancora. “Okay, okay, adesso ti faccio mangiare’’, dissi dando due colpetti leggeri alla pancia.

Afferrai la forchetta e il coltello, ma Drakon mi fermò. “Aspetta, bevi prima’’, mi ordinò allarmato.

“Ah, giusto’’. Afferrai il bicchiere di sangue e bevvi un sorso, aspettai che avvertissi quel senso di vertigini che non arrivò. Fin ora andava tutto bene. Inconscia che ormai avevo rimediato al problema ne bevvi un altro sorso e aggiunsi una fetta di pollo caldo nella bocca, questo non causò altro che il risultato peggiore. Mi acquattai e sporsi la testa fuori dalla poltrona, pronta a svuotarmi la bocca, ma Drakon fu più svelto di me e mi mise sotto il mento il secchio prima che vomitassi il cibo rosso dal sangue.

“Oh, no!’’, esclamai, dopo che mi tirai su i capelli e venne un altro attacco di vomito.

“Tranquilla, non è successo niente’’, mi rassicurò papà, inginocchiato davanti a me, mi porse un fazzoletto per pulirmi la bocca.

“No, non va tutto bene. Per la miseria, sembrava la volta buona’’, mi lamentai, mi uscirono le lacrime involontariamente.

“Ci deve essere un modo’’

“Le abbiamo provate tutte’’

Rimanemmo in silenzio. La pancia incominciò ripetitivamente a brontolarmi e a richiamare la fame. Dovevo fare qualcosa per sfamare entrambi, e questo non includeva cibo umano con contorno di sangue animale o sangue animale soltanto. Mi misi a guardare il cibo sulla tavola ai miei piedi e mi venne l’acquolina in bocca, poi guardai il bicchiere di sangue e mi venne di nuovo il senso di nausea.

Improvvisamente mi venne da pensare: se univo il sangue umano con il cibo vomitavo, lo stesso valeva se bevevo il sangue. Quindi…

“Aspetta un attimo…’’, dissi.

Papà sollevò lo sguardo verso di me, mentre io afferrai il piatto di insalata e iniziai a masticarla, gli occhi di lui si sbarrarono. Di sicuro stavo diventando pazza ma sentivo che era la cosa giusta. Tre minuti dopo di completo silenzio mi ero divorata tutta l’insalata e non ne rimaneva nemmeno una foglia. Ma avevo ancora fame, molta fame, come se non avessi mangiato o bevuto da due mesi, mi sarei anche divorata le mura del castello; afferrai un coscia di pollo e la mordicchiai. Era calda, morbida e squisita. Non avrei mai immaginato che il cibo umano fosse così appetitoso.

“Alexia…ma che….?’’

Allora mi fermai, guardando la coscia di pollo mezza mangiata, e il piatto dell’insalata vuoto. Fui colta da un improvviso stato di shock: la fame era stata tanta da non lasciarmi il tempo di non bere almeno un goccia nel bicchiere, cosa che volevo fare sicuramente se solo il mio sguardo non fosse caduto sul pollo.

“Ho preso il pollo, ho preso il pollo e lo sto mangiando. Sto mangiando il cibo umano ’’, pensavo cercando di ritornare al presente.

“Ah!”, urlai.

Papà indietreggiò appena. “Alì, che hai?’’

“Papà, non capisci? È questa la soluzione!’’, dissi, quasi ridevo per la felicità. Gli mostrai il pollo.

Mi guardò accigliato. “Una coscia di pollo?’’

“Ma no! Il cibo umano, dico! Guarda, non ho nemmeno vomitato, e non ho mai smesso di magiare fino ad ora!’’

Papà sorrise e scansò il secchio per abbracciarmi. “Ho un genio come figlia’’, rise, baciandomi poi sulla testa e sulle guance.

La pancia arrestò la mia felicità per allarmarmi che c’era qualcun altro che era presente nella stanza. Sorrisi, mentre mi accarezzavo la pancia.

“Sì, tesoro mio, adesso possiamo mangiare quanto vogliamo’’, risposi.

Papà si sedette di nuovo accanto a me, e di nuovo posò la sua grande mano sulla pancia ingrandita. “Adesso bisogna preparare le scorte di cibo per questo piccolo golosone’’

Risi. “Sì, e credo molte più di quello che c’è nel frigo di mamma ’’, poi mi misi a mordicchiare la coscia che non avevo ancora terminato.

Papà intanto era incantato sulla pancia. “Crescerà bello e forte questo bel bambino, eh?’’

“Mmm-mmm”

“Però bisogna vedere se è veramente un maschietto ’’, mi sorrise speranzoso.

Ricambiai. “Si vedrà nei prossimi mesi’’

“Già’’, nella sua frase c’era nascosto il rimorso, si pentiva di essere così contento, anche se doveva esserlo perché lo ero io.

Papà uscii dalla stanza tre volte per portarmi il cibo, all’ultima volta sprofondai nel sonno, però lui non mi lasciò mai sola: mi si accomodò accanto, con una coperta che copriva entrambi con una mano sopra la mia che era adagiata sul ventre. Restò con me tutto il pomeriggio, finché non mi svegliai alle otto della sera, quando sentivo che la sua mano accarezzava la pancia.

“Ciao, papà’’

Mi sollevò una ciocca di capelli sul mio viso. “Ciao. Hai dormito bene?’’

“Mai dormito meglio’’, mi levai la coperta di dosso e mi stiracchiai per benino le gambe e le braccia: avevo ancora sonno, ma non avevo più voglia di dormire.

“Hai dormito anche tu?’’

Storse le labbra. “Un tantino’’

“E Alucard?’’

“Si sta per svegliare. Vai da lui, scommetto che sarà felice di sentire la bella notizia’’

 Sulle labbra mi si formò un gran sorriso, non stavo più nella pelle. “Grazie, papà, per tutto’’. Lo abbracciai e corsi subito fuori dalla stanza. mangiare il cibo umano mi aveva rafforzato le energie, correndo vedevo le mie gambe muoversi più veloci, cosa che negli altri giorni cominciavo ad apparire sempre più umana.

Appena entrai nella stanza, Alucard si era già alzato.

“Alucard!’’, lo chiamai e un attimo dopo lo stavo stringendo a me. Quella potenza non fece altro che farci cascare nel letto entrambi.

“Ehi, siamo elettrizzati ‘sta sera! A cosa devo tutto questo?’’, disse mentre mi accarezzava la guancia.

Trattenni una risata. “Alucard, abbiamo risolto il problema del cibo!’’

Mi guardò torvo, allo stesso tempo felice. “Davvero? E come?’’

“Ho mangiato cibo umano ’’

Il suo sorriso svanì. “Come?’’

“Ho mangiato cibo umano ’’, ripetei sempre più felice.

All’inizio pensavo che avrebbe lodato il mio sforzo, ma scoppiò improvvisamente a ridere. “Hai…hai mangiato cibo umano?’’, rise.

Lo guardai confusa. “Sì, perché, che c’è da ridere?’’

“Scusami, amore, è che…’’

“Lo so: è difficile per te pensare che abbia fatto una cosa simile. Ma ti dico che adesso sto bene, sto più che bene. E mi sento più forte’’. Mi toccai la pancia. “E anche lui si sente più forte’’, aggiunsi.

Questa volta sorrise sincero. “Non trovo le parole per quanto sia felice, avevo paura che sarebbe andata peggio, ma invece…Sei un genio, tesoro’’

“Ti amo ’’, e mi sporsi per baciarlo.

“Vi amo ’’, posò la mano sopra la mia. “E vi amerò per sempre’’

“Voi due siete tutta la mia vita, ormai’’, baciai di nuovo il mio fidanzato, sperando che anche quell’amore arrivasse a nostro figlio. Doveva capire quanto lo desideravamo, e quanto attendevamo il suo arrivo.

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Capitolo 22
*** Complicazioni ***



Capitolo 21

Passò il mese di Aprile, e vi entrò Maggio. Drakon incominciò a farsi più attaccato a me, cercò di capire la natura di mio figlio ma già nei libri era scritto quello che si sapeva, e che fine sarebbe stata la mia. Solo quest’ultima consapevolezza metteva in allarme la mia famiglia, tranne Consuelo che non vedeva l’ora di diventare zia.

Finalmente quei mesi spiegai tutto i miei amici, come pensavo non la presero bene e continuavano a dirmi che se lo avrei tenuto sarebbe finito tutto. Perfino Lilly che amava tanto i bambini mi ordinò disperatamente di abortire. Naturalmente, per me era fuori discussione.

Incominciarono a farmi tante telefonate, e ogni giorno mi chiesero come stavo, e mi venivano spesso a trovare. Nell’aria circolava una strana attesa, forse per vedere tutto questo finire al più presto, o forse era perché io stessa non vedevo l’ora di osservare il bambino fra le mie braccia.

Per quante volte che mangiavo al giorno, il cibo che mi compravano non entrava nemmeno dentro il frigo o nella credenza. Mangiavo più del solito, il bambino aveva sempre più fame, tanto che Mattew mi diceva: “Se ti salverai, al posto dell’Alexia di una volta vedrò una balena’’, e tutti attaccarono a ridere. E poi c’era Jessica che si preoccupava veramente che sarei veramente diventata cicciottella dopo il parto, il mio corpo snello per lei era un modello perfetto per gli esperimenti dei suoi vestiti che aveva iniziato a cucire.

Poi un pomeriggio, alla fine del mese, mi esaminai di nuovo il bambino: lo vidi cresciuto, dalla consistenza pesava 100 grammi ed era cresciuto di 15 centimetri, sempre accovacciato su se stesso, sentivo il suo cuoricino già cresciuto battere forte, in quel mese gli organi di sensibilità si erano sviluppati al massimo.

“Amore’’, lo chiamai con le lacrime per la commozione, e vidi la sua testolina muoversi appena oltre la tasca che lo proteggeva. Mi si fermò il cuore, sapere che cercava la mia voce era una sensazione unica.

Però anche le cose più belle certe volte finiscono con il peggiorare: agli inizi di Giugno subentrò il vomitò del cibo umano. Ogni cosa che mangiavo di non andava bene al mio corpo, non lo digeriva, e presto, molto presto, incominciai a sentirmi deboli. Drakon e Alucard tentarono di darmi qualche medicinale ma senza riuscirci, iniziai ad avvertire maggiormente il freddo, anche se il calore del bambino mi riscaldava la pancia, e avevo forti attacchi di febbre. Cercarono di farmi mangiare quel poco di cibo umano che riuscivo a non rigurgitare, per il resto era un sacco di medicine che mi somministravano per farmi star bene, ma nemmeno quelle non funzionarono. Mi dovettero mettere nel letto, ogni minuto venivo controllata da qualcuno. Drakon e Alucard erano tra i tanti che mi stavano di più accanto, nei giorni in cui mi trasferì temporaneamente a Redmoon anche la mia famiglia venne ogni giorno a trovarmi. I miei amici vennero a vedermi di rado, impegnati con il lavoro, perfino mamma aveva rimandato il pagamento alla nostra casa per il centro di bellezza per starmi più accanto. Fu una pugnalata al cuore per entrambe, ma infondo capivo che lo faceva per il bene.

Era appunto quello che tutti si aspettavano: il momento più atroce della gravidanza? Mille volte mi chiesi se mamma ha avuto la mia stessa esperienza mentre era incinta di me, ma non lo chiesi mai a voce nel timore di spaventarla di quanto non lo fosse già.

Alla metà di Giugno le condizioni non cambiavano, anzi, peggiorarono: il mio corpo iniziò a dimagrire per via del poco cibo che assumeva il mio corpo: presto mi sarei ritrovata pelle-ossa. Uno scheletro che camminava con una pancia che assomigliava ad una montagna.

Quel che mi preoccupava però non era il mio stato, anche le complicazioni della mia salute sentivo ancora la forza rimasta per andare avanti, ma era il rischio di perdere il bambino a causa della malnutrizione.

Era un pomeriggio come tanti in quel mese, sempre con un silenzio tombale che mi faceva sentire ogni sentimento che provava ogni componente della mia famiglia, ero coperta dalla testa ai piedi. Fuori c’era il caldo che io non riuscivo a sentire in quei giorni. Alucard era sotto le coperte insieme a me cercando di riscaldarmi, mentre il resto delle persone mi guardavano tremare e soffrire in silenzio, era una situazione un po’ imbarazzante sapere che indossavo due pigiami mentre tutti gli altri dei vestiti leggieri.

Mamma che stava ai miei piedi si alzò e si inginocchiò davanti a me, dove era semicoperto il mio viso. “Vuoi un’altra coperta?’’, mi chiese dolcemente, accarezzando la chioma di capelli umida.

“Sì’’, mormorai.

Drakon si alzò dalla sedia accanto al camino e si diresse verso l’armadio per prendere una coperta più grande di quella che avevo sopra dove mamma lo aiutò per stenderla sopra noi due. Presto un’ondata di calore mi invase il corpo diminuendo il tremore. Mezz’ora dopo i denti sisero di tremare, il corpo non era più acquattato su stesso e mi accucciai fra le braccia del mio fidanzato. Lui iniziò a cullarmi dolcemente come una bambina, posò delicatamente la testa sopra la mia: aveva paura forse di fracassarmi il cranio, ora che ero talmente debole da non reggermi in piedi da sola.

“Stai al caldo, tesoro?’’, mi sussurrò Alucard, la voce era mielata.

“Sì, ora sì’’

“Vuoi qualcos’altro?’’, mi chiese Drakon sfregandomi la spalla in modo affettivo.

Alzai appena la testa verso di lui. “Ehm, ho sete’’

Alucard sospirò, come suo padre. “Non possiamo, Alì, non riesci a digerirlo’’

Deglutii, era più di un’ora che mi brontolava la pancia anche se mi avevano dato mezzo panino e un dolciume. “Ma il piccolo a fame’’

Alucard guardò implorante il padre, disperato per quello che non poteva riuscire a fare, mentre Drakon non sapevo che espressione avesse.

All’improvviso si sentii uno schianto ai piani di sotto, i due vampiri si girarono verso la porta e Consuelo scese dal letto dove stava fingendo di giocare con le bambole accanto ad Alucar, mentre Hendrik era accanto a sua moglie seduta nel posto di prima.

“Che succede? Arriva qualcuno, sento dei passi ’’, disse la bambina saltellando fino alla porta.

“Li sento anche io’’, disse Alucard e diede uno sguardo veloce al padre. “Vai a vedere chi è, mi pare di conoscere il suo odore ma non ne sono sicuro ’’, ordinò.

Drakon uscii sinceramente interessato, con Consuelo dietro che voleva seguire mio padre. Sentivo anche io dei passi che si salivano le scale e pian piano si allontanavano perché presero la direzione sbagliata, e poi quelli svelti di Drakon e Consuelo, e pure io sentii l’odore familiare dell’individuo. Il bambino si mosse appena dentro di me, quel mese aveva iniziato a contorcersi e a farsi sentire, e mi diede tre calcetti leggeri: era per avvertirmi perché riconobbi subito la persona che si addentrava per il castello.

Finalmente sentii i passi di lui fermarsi perché incontrarono quelli di Drakon e di Consuelo. Non erano tanto lontani.

“Ciao, come stai?’’, rispose secca Consuelo.

“Bene, e tu?’’, chiese dolcemente la voce.

“No’’, puntualizzò sincera lei.

Ci fu un minuto di silenzio, anche Alucard sentiva dato che dentro di se iniziò a ribollire un ruggito.

“Dov’è Alexia?’’, chiese di nuovo la voce, questa volta più dura. “Mi hanno detto che sta molto male e che potrebbe morire’’

“Chi te l’ha detto?’’, chiese Drakon.

“Non è il momento delle spiegazioni. Voglio sapere dove la tenete nascosta’’

Mi voltai debolmente verso la porta, all’improvviso desideravo rivederlo. “Louis! Sei tu, sei qui?’’, urlai verso il corridoio.

Sentii il suo respiro fermarsi per una frazione di secondi. “Ah, allora è qui che la tenete’’

“Sì, da qualche settimana….Aspetta!’’, lo fermò Drakon, ma a quel punto Louis aveva iniziato a correre verso dove aveva sentito la mia voce. Arrivava verso la direzione giusta, il cuore iniziò a battermi frenetico quando lo vidi oltre il corpo di mamma e mi parava per metà; in quel tempo era diventata molto protettiva, senza trascurare che fu lui stesso a tradirmi e per questo era ancora arrabbiata.

Louis non era cambiato per niente, a parte per i capelli che si era tagliato e l’abbronzatura appena visibile. Indossava dei pantaloncini corti di jeans e una maglietta verde a maniche corte. Vidi il suo sorriso allargarsi appena mi vide, però non mi aveva vista del tutto. Fece per avvicinarsi ma mamma mi coprii perfino il viso, impedendomi la visuale.

“Kate, mi dispiace’’, disse Louis cercandola di farla ragionare.

“Ti consiglio di andartene via, ora, traditore prima che ti affoghi con il mio stesso potere’’, lo minacciò lei, stringendo i pugni.

“Mamma, per favore, fammi parlare con lui ’’, supplicai con voce lieve.

“Non deve toccarti’’, disse senza voltarsi verso di me.

“Ciao Alexia, come stai?’’, mi chiese oltre mia madre, cercando con la testa di riuscire a vedermi.

“Bene, e tu? Sono felice di vederti, sono tanti mesi che non ci vediamo’’

Lo sentii ridere appena. “Eh già! Sembra essere passato un’eternità’’

Risi appena anche io, poi mi voltai verso di mamma. “Mamma, tranquilla, fammi parlare con lui ’’, la rassicurai, e questa volta funzionò. Frustrata fece un sospiro e si scostò da me, nell’aria c’era qualcosa che sapeva di terrore, paura, attesa. Perfino il mio fidanzato aveva smesso di respirare.

Louis restò fermo a guardarmi, per capire se quella ragazza scheletrica era veramente l’Alexia Kennedy che una volta conosceva. Poi sorrise, sospirò rilassato, e si avvicinò a me, mi afferrò le mani nascoste dalle tre coperte e me le strinse alle sue. Era così piacevole il calore. Il bambino diede un calcetto e sobbalzai appena. Il ragazzo mi guardò preoccupato e poi lanciò uno sguardo infastidito a Alucard.

“Mi hanno detto che sei molto malata, e che forse rischierai di morire, è vero?’’, chiese dolcemente.

“Be, credo che chiunque ti abbia detto questa cosa abbia sbagliato, per quanto all’ultima informazione credo che non può essere trascurabile’’

“Jessica mi ha detto che ti sei messa con Alucard”

“Sì, questa volta vedo che il colpevole ha detto la verità’’. Se Jessica si sarebbe di nuovo presentata a Redmoon ne avrebbe sentite tante. Anche se, infondo, mi aveva fatto un favore. Non avevo mai pensato a Louis in quei mesi, ma sotto sotto sentivo la sua mancanza.

“Sono felice per te ’’, era sincero. Ne ero felice.

“Anche io sono felice che ti trovi bene con Jennifer’’

Sorrise, ma poi ritornò serio. “Mi pare che sia un po’ tardi per i piumoni e per il pigiama, non credi?’’, azzardò.

Risi di cuore. “Sì, però serve per noi’’

“Noi?’’

“Ehm…’’, guardai rispettivamente Alucard che si era immobilizzato.

“Mi vuoi dire che succede, Alexia? Sono corso qui disperato pensando che stavi veramente per morire, invece ti trovo più peggio del solito. Senza offesa, ma hai un aspetto orribile. E poi mi vieni a dire che non sei malata quando in realtà sembra che sia l’incontrario’’

Mi morsi il labbro, avrei tanto desiderato evitare quelle sue domande, ma non sapevo dove azzeccare una via d’uscita. Tra gli sguardi allarmanti della mia famiglia, mi levai le coperte pesanti di dosso e visto che non riuscivo a sollevarmi chiamai a mamma.

“Mamma, mi aiuti, per favore?’’, gli porsi le braccia e lei mi afferrò forte per non lasciarmi cadere. Appena trovai l’equilibrio per stare in piedi, mi alzai le due magliette di lana che mi riscaldavano la pancia gonfia. Sembrava una piccola montagna, quel mese i fianchi mi si erano allargati per fare spazio al bambino, il mio corpo era in continua trasformazione.

Involontariamente, guardai l’espressione smarrita e spaventata di Louis, non parlava, non emetteva un movimento, tanto da lasciarmi imbarazzata e ricoprii goffamente il pancione; arrossii sulle guance.

Il silenzio, però, non faceva che aumentare l’imbarazzo, finché Louis non squadrò Alucard che si era alzato dal letto e non lo vidi avanzare minacciosamente verso di lui.

“Tu! Maledetto, la stai uccidendo!’’, urlò nel momento stesso in cui vidi le fiamme ardenti nelle sue mani.

Drakon fu abbastanza veloce per fermarlo prima che attaccasse. Alucard, intanto, si era messo sulla difensiva, gli altri immobilizzati dalla paura come me e mamma. Mi accorsi di averla stretta tanto forte per il panico.

Drakon gli afferrò le braccia per immobilizzarlo. “Stai calmo! Nemmeno noi pensavamo che capitasse una cosa del genere’’, cercò di farlo ragionare babbo. Louis frustrato si levò le mani possenti di Drakon dalle spalle e per farlo barcollò all’indietro e ci mancò poco che cadde.

“Louis, ascoltami, a tutti noi c’ha sorpresi questo, ma poi abbiamo iniziato ad accettarlo’’, tentai di dire.

“Accettarlo! Dai, andiamo Alexia ti conosco bene, sei tu che hai imparato ad accettarlo ma gli altri no, ho capito quello che ti sta facendo quella cosa: ti sta uccidendo. Guarda tu stessa, che nemmeno resti in piedi!’’

Ancora con quel soprannome! “Lui non è una cosa, tanto meno un assassino. È un bambino come tanti, solo che è speciale’’

“Speciale? Speciale in cosa: forse a uccidere con classe la sua mamma!’’, sembrava volesse deridermi. Ora era vicino a me.

“No, ti sbagli’’, dissi piano.

Ma lui non mi ascoltò e si rivolse a Drakon. “Dovete intervenire subito, prima che esca. Lei stessa mi aveva spiegato la natura dei bambini vampiro, me lo ricordo, e se non intervenite ora…’’

“No! Ormai ho deciso, e comunque non sta a te ordinarmi quello che devo o non devo fare’’, risposi con più serietà che riuscivo ad ottenere.

“Ma non ti sei vista, Ali? Guardati!”

“Mi sono vista tante volte e non me ne vergogno, farei di tutto per far vivere mio figlio ’’

“Stai cercando di far vivere un assassino, Alì’’

“Tu non lo conosci, e comunque non sono affari che ti riguardano. Specialmente la mia vita non ti deve riguardare, dato che sei stato tu ad infischiartene di me molto tempo prima che io lo sapessi’’

Per Louis fu un pugno allo stomaco, per un lungo istante rimase in silenzio, pensieroso, poi si girò verso Drakon. “Potete lasciarmi solo con lei? Devo parlarle’’, chiese cortese, forse l’unico briciolo di educazione che riusciva a mostrare.

Tutti uscirono dalla stanza senza ribattere, mamma intanto mi aiutò a mettermi sotto le coperte e poi uscii lanciando un ultimo sguardo fulmineo a Louis, Alucard la seguii subito dopo, particolarmente infastidito della presenza di Louis, e chiuse la porta alle spalle di Louis; oltre la stanza sentivo i passi della mia famiglia allontanarsi, e si unirono nella biblioteca.

Louis si sedette accanto ai miei piedi, io mi accarezzavo il pancione. Il bambino dentro di me si stava muovendo.

“Vedo che ti trovi bene con Alucard’’, osservò.

Arrossii appena, sapevo cosa intendeva: dava la colpa a lui per aver generato la creatura dentro di me; in tal caso feci finta di niente. “Sì, molto’’, ammisi un sorrisetto.

Ricambiò e ritornò serio. “Da quanto hai saputo che….?’’, era come se trovasse disgustoso pronunciare la parola.

“In Aprile ero al terzo mese di gravidanza’’

“Ah’’

“E…e come vanno le cose con Jennifer?’’, ancora mi sembrava orrendo pronunciare il suo nome.

“Bene, due mesi fa mi sono fidanzato con lei’’, sorrise.

“Ma è magnifico!’’, e che vi piaccia o no ero veramente felice per lui: ognuno aveva trovato il compagno e la compagna della loro vita, la felicità è la cosa più importante di tutto.

“E vedo che anche tu porti un anello ’’

“Me lo ha dato Alucard a Natale’’

“È molto bello ’’

Il sorriso mi si allargò. “Grazie’’

Cercò di dire un’altra cosa ma ci ripensò. “Da quanto tempo…voi due….?’’

“Non sono cose e ti riguardano, Louis’’, risposi ferma, nascondendo l’imbarazzo.

“Okay’’, alzò le mani. “Mi spieghi allora questa storia?’’

“Non c’è niente da spiegare, è tutto qui e chiaro. Vedi, il bambino è stato un miracolo per me’’, accarezzai il pancione. “Io…non potevo avere figli’’

“Fin qui ci sono arrivato anche io’’

“Ma io ne ho uno, e…’’

“Lo vedo chiaramente, però non capisco perché lo desideri così tanto. Nel nostro mondo esiste anche un altro metodo per avere un bambino: adozione. Perché vuoi rischiare la vita, proprio ora, quando puoi prendere tranquillamente un bambino in un orfanotrofio?’’

“Per me avere un bambino naturale è più importante, non che lo sia anche un bambino adottato, ma…io lo desidero con tutto il cuore. Lui mi capisce’’

“Oh, campisco! Madre e figlio compatibili perfino dentro la pancia. Sai che ti dico? Che nel lato vampiresco siete particolarmente simili’’

Risi della sua comicità. “Chissà, può darsi che avrà il mio stesso carattere’’

Alzò un sopracciglio. “A me sembra che avrà lo stesso carattere assassino del padre’’

“Tu non conosci Alucad, quindi non puoi giudicarlo’’

Strinse le labbra. “Bene, allora devo aspettarmi un maschietto? Magari la prossima volta che mi rivedrai sarà quando porterò uno scatolone con fiocchi e palloncini azzurri, e forse fra due o tre anni il vampirello mi chiamerà zio Louis’’

Risi di nuovo. “Non si sa nemmeno se è maschio o femmina. Di solito controllo io per vedere il vero sesso del piccolo, ma penso che aspetterò fino al parto’’

“Già, in tal modo potrà vederlo solo Alucard, e tu te ne andrai da questa terra come aria’’

“Non essere spiritoso. Perché non potrei vederlo? Non ti fidi di me? Sono più forte di quanto tu creda, ti ho perfino rotto il braccio ’’

“Rompermi il braccio è una cosa ma essere squarciati la pancia da un bambino-vampiro dento di te è un’altra’’

Annuii. “Lo sapevo, non riesci a comprendermi come sempre. Tu non sai che cosa significa avere una vita dentro che si muove. È una cosa bella, unica, e non me la voglio perdere. Fosse l’ultima cosa che avrò della mia esistenza’’

“Ti ho sempre compreso, Alexia, anche se certe volte ero arrabbiato o geloso, ma ti volevo bene. E non ti illudere che non sappia cosa significa attendere un bambino perché lo so già’’

Non capii. “Che vuoi dire?’’

“Jennifer aspetta un bambino da me, è da tre mesi che è incinta’’

Le lacrime mi uscirono da sole. “Oh! Oh Louis, che bello! Non sai quanto sono felice per voi! E sapete se è maschio o femmina?’’

“Ancora no, ma io spero maschio ’’

Gli strinsi la mano. “Sono felice, davvero felice, sarai un ottimo papà’’

Sorrise triste. “Vorrei che fosse lo stesso per te. Anche se…’’

“Louis, andrà tutto bene, stai tranquillo ’’

Rise. “Non funziona con me, non riuscirai mai a convincermi di stare tranquillo quando tu stessa vai incontro al suicidio. È una cosa da pazzi, Alexia, come posso spiegarti che è pericoloso, un sogno sprecato? Vuoi che mi metto a parlare tutte le lingue del mondo?’’

Sospirai. “Puoi anche non capirmi, dato che non sei riuscito a capirmi in quei mesi lontani che ti ho amato, veramente ti ho amato’’, respinsi un nodo alla gola.

Allora lui si sdraiò accanto a me, con la schiena appoggiata allo schienale del letto e le gambe piegate. “Non sono venuto qui per parlare del nostro passato, ma di te e della tua pazzia’’

“Voi maschi, siete tutti uguali’’

Mi squadrò. “Sono ancora legato a te Alexia, ti voglio bene, e per questo voglio riappacificarmi con te. Non sai quante volte ti ho pensato in questi mesi che non ci siamo visti’’

“Sì, anche io ti ho pensato, almeno un po’. E no, non sono disposta a perdonarti. Mi hai fatto troppo, troppo male. Dolori come questi non si dimenticano più nella vita, anche se Drakon tenterà di trasformarmi una volta che avrò finito il parto’’

I suoi occhi divennero due fessure. “E può riuscirci? È in grado di farlo?’’

“Ha consultato vecchi amici, senza dirgli la mia condizione, senza sospettare niente. Abbiamo anche fatto molte ricerche, ma il risultato è sempre lo stesso’’

“Allora?’’

Coprii la pancia con la coperta. “Le probabilità che Drakon potrà riuscire a trasformarmi sarà…due su dieci’’

Silenzio tombale. “Ti sei intrappolata da sola, Alexia’’, rispose con voce strozzata. Sospirò e si alzò dal letto, si era arreso.

“Dove vai?’’, chiesi sorpresa mentre lui si avvicinava lento alla porta.

Mi diede un ultimo sguardo prima di andarsene. “Dove vuoi che vada? Vuoi che resti per sempre intrappolato in un castello che mi puzza di cadavere, che resti accanto a te mentre ti tieni dentro un demone? Non resterò qui a vederti soffrire, osservare giorno dopo giorno che quella cosa che tu chiami “bambino” ti succhia la vita. Mi dispiace, ma non mi lasci altra scelta. Non ti scomodare a cercarmi’’, aprii la porta e se la sbatté furiosamente dietro le spalle.

Un secondo dopo scoppiai in lacrime, dispiaciuta anche se in quel momento non riuscivo a capire di cosa; forse era la consapevolezza di non averlo mai più rivisto. Volevo rivederlo, sentivo che non diceva sul serio. Lo conoscevo, si sarebbe fatto vivo, ma la tristezza non mi lasciò il tempo di ragionare su niente. Affondai il viso sul cuscino, affogando tutte le lacrime calde che mi uscivano dagli occhi, e accarezzai la pancia per far in modo che il bambino non notasse la mia tristezza. Non volevo che anche lui fosse triste.

Lo sentii calciare, e le lacrime si fermarono, poi un’altra volta più forte, voleva attirare la mia attenzione? Calcio altre due o tre volte come per lottare contro la sacca, all’ultima volta restai senza fiato prima di tirare un urlo agghiacciante. Nel corridoio sentivo improvvisamente i passi veloci di Alucard e Drakon avanzare. Un fitta dolorosa mi aveva lacerata un fianco, non sapevo il punto di origine del dolore ma intuivo che qualcosa dentro di me si era rotto.

Mi svegliai tre ore dopo da quando ero svenuta, il colpo di dolore era stato immenso da tramortirmi, e mi svegliai distesa nel letto però con qualcosa di diverso. Il fianco da cui era sorto la rottura non la sentivo più perché Alucard me l’aveva addormentata. Nel momento stesso in cui entrarono nella stanza, e mi videro svenuta, Alucard fece in fretta ad addormentare temporaneamente la fitta nel mio fianco con il suo potere e trovò facilmente il problema dentro di me.

Il cielo era di un colore dorato, lo vedevo dalla luce che entrava dal camino spento, mi trovavo a pancia in su, il braccio diafano di Alucard mi sosteneva la nuca e mi faceva da cuscino. Eravamo solo io e lui nella stanza, chissà dove fossero gli altri.

Mi voltai lentamente verso il mio di lui, memorizzando prima di tutto che se avessi fatto un movimento rapido mi sarebbero venute le vertigini, la maglietta alzata scopriva la parte addormentata, nel lato sinistro del corpo, era completamente nera, come un’enorme mora. Metteva i brividi, era così che riduceva la pelle quando il suo potere entrava nel corpo di qualcuno.

“Sento un formicolio’’, mi lamentai.

Lui intanto non smetteva di accarezzarmi la testa. “Ti ho addormentato la parte rotta’’, rispose dolcemente, come una mamma al suo bambino.

“Che è successo?’’, una parte del suo potere mi impediva di ricordare alcuni particolari. Ad esempio non mi ricordavo mezza chiacchierata tra me e Louis oppure il motivo di cui era venuto a cercarmi. E quanto ero felice di rivederlo. Solo mentre i secondi passavano lentamente cominciavo a ricordare tutto.

“Ti ho trovato svenuta nel letto, mi sono spaventato’’

Rimase zitta per tre secondi per formulare la frase che volevo dire. “Il bambino… il bambino aveva iniziato a calciare e poi…poi mi ha fatto male. Non ha fatto apposta’’

“Si vede che gli dava fastidio la compagnia di Louis ed era felice di liberarsene’’, non sembrò una risata felici.

“Ma cosa mi sono rotta?’’

“Una costola. Devo lasciarti la parte addormentata finché non guarisci. Il ché vuol dire maggior malore per te dato che il mio potere non lo sopporti’’. Si vedeva che ci stava male, malissimo.

Gli sollevai il mento per guardarmi. “Non ti preoccupare, se non ci fossi tu a quest’ora…’’

“A quest’ora saresti morta di dolore!’’, esclamò. E si ritrasse da me. “Alexia, non sopporto vederti in queste condizioni, non mi piace. Comincio a pensare che forse Louis aveva ragione’’

Spalancai la bocca, basita. “Vuoi dire che è colpa di nostro figlio?’’

“Alexia, giorno dopo giorno di vedo soffrire, e non c’è nessun’altra causa che il feto che porti dentro ’’

“Alucard, no, ti prego. Non ti ci mettere anche tu, per favore’’

Si mise seduto sul letto, le mani fra i capelli. “È vederti soffrire…che mi fa diventare pazzo’’

Mi sentivo impotente, distesa nel letto mentre lo vedevo disperato. Poi si voltò verso di me, mi rivolse uno sguardo dolce e innocuo che mi faceva compassione. “Alexia, ti amo, non ti voglio perdere’’, si distese di nuovo, il suo viso sopra il mio a pochi centimetri di distanza.

“Nemmeno io ti voglio perdere, amore. E non voglio perdere nemmeno lui ’’, massaggiai il pancione. Dentro sentii un calcetto leggero.

“Alexia, per favore, non costringermi a vivere un’eternità solitaria’’

Lo guardai in cagnesco. “Non riesco ad ubbidirti’’

Strinse le labbra e guardò con disperazione la pancia prima che la toccasse affianco alla mia mano, si volse di nuovo a guardarmi. “Non penso di essere un amante dei bambini. Certo, sono graziosi e gentili, ma questo….questo è come me: ti sta uccidendo da dentro, è un assassino come me. Non c’ha nemmeno un altro sinonimo per definirlo gentile’’

“Se continui così, non ti guardò più nella faccia’’

“Ascoltarmi ti salverà la vita’’

“La mia vita sì, ma non la sua’’

“C’è l’adozione’’

“Potrò comodamente adottare un bambino fra un anno o due se vorrò avere un altro figlio ’’

Affondò la testa sul cuscino, con una smorfia che mi sapeva di arresa, orrore, e sempre disperazione. Rimase immobile senza parlare, senza respirare, e io rimanevo a guardarlo.

“Pensavo che saremo stati felici, insieme. Ma…insomma, io voglio entrambi. Vi amo più della mia stessa vita, non posso rinunciare ne all’uno meno che all’altro. Siete l’unica mia ragione di vita, entrambi. Alucard, tu mi hai dato un sogno che avevo paura di non poter mai avere. E il bambino è il sogno che si sta per avverare. Non desidero altro nella vita se non voi due’’

Ma lui non si moveva. “Alucard, ti prego, non litighiamo più di questa cosa. Il litigio è l’unica cosa che mi fa soffrire e non il piccolo’’

Gli picchiettai la spalla, ma nemmeno quello lo fece muovere. Nel silenzio della stanza, ritornai a guardare il pancione e l’enorme mora che mi addormentava il dolore. il bambino non calciava più, probabilmente si era addormentato, ma sentivo ugualmente fame. Chissà se si sentiva veramente al sicuro dentro di me, dove gli arrivava poco cibo e forse sentiva anche l’odio che tutti provavano verso di lui.

Mi sentii così in colpa che scoppiai a piangere, e il vampiro si mosse subito accanto a me ed incontrai le sue labbra. Non seppi cosa lo fece muovere, o le mie lacrime e le mie suppliche, mi fece solo capire che con il bacio ci eravamo perdonati a vicenda. Ci trovammo ad accarezzare entrambi il pancione per un lungo minuto pieno di affetto. Anche il bambino sentii l’amore dato che iniziò subito a calciare. Alucard si staccò subito da me sorpreso.

“Che?’’, chiese.

“Che?’’

Ci guardammo senza capire. “Hai detto qualcosa?’’

“Ehm, avrei dovuto? C’eri tu che mi serravi la bocca’’

“Ma ho sentito qualcuno parlare’’

Mi guardai intorno alla stanza, ma non c’era nessuno, e non avvertivo rumori lungo il corridoio. Gli altri stavano mangiando e parlavano sottovoce. Può darsi che aveva sentito loro.

“Di sicuro sono gli altri’’, incalzai.

Chiuse gli occhi, concentrato. Sollevò la mano, tese l’orecchio. “No, no, è qualcosa di piccolo’’, rispose lentamente. Intanto sfiorava con la mano ogni angolo del mio corpo.

“Consuelo?’’

“No, molto più piccolo’’

Lo guardai spaventata. “Ma che…?’’

“Sssh!’’, a quel punto aprii lentamente e guardò confuso la mia pancia, dove si era posata la sua mano, e un misto di allegria lo faceva sorridere. Io lo guardavo disorientata.

“Ma che hai? Chi è che parla?’’

“Il…il bambino’’, balbettò.

Mi tremarono le mani quando anch’io toccai la pancia. “Il…il bambino…parla?’’, singhiozzai, gli occhi gonfi.

“No…Aspetta!’’, poi rise. “Lo vedo’’, il suo sguardo guardava in un altro universo.

“Lo vedi? Ma che….come?’’

“È lui che mi fa vedere le immagini. Ma non so come…come fa. Lo vedo dentro la sacca…è bellissimo’’

“Davvero? E com’è?’’, il mio viso pieno di ammirazione, bagnato dalle lacrime di gioia.

“Sssh! Un attimo….mi ha fatto sentire la tua voce’’

“E come?’’, lo riempivo di domande quando in verità potevo farne a meno. Ma ero così sorpresa e felice da non capire quasi niente.

“Attraverso un’immagine…è un ricordo….Lo vedo sorridere quando sente la tua voce. Gli piace’’

Guardai affettuosamente il pancione. “Ti piace la mia voce, amore? La tua sarà più bella della mia, sicuro ’’

“Sta sorridendo’’

“Davvero?’’

“Sì, e sorride anche ora che sente la mia’’

“È impossibile non amare la tua voce, è più bella e irreale di qualsiasi altri’’

Si scorse per baciarmi, e il bambino calciò. Al termine del bacio, Alucard scoppiò a ridere. “Gli piace sentire che ci baciamo’’

“Sente?’’

“Sente tutto, ogni cosa, perfino le nostre voci adesso’’, ritornò subito con lo sguardo sognante. “Mi sta facendo sentire il brontolio della pancia…credo che abbia fame’’

“Non ti devi preoccupare, piccolo mio, adesso troveremo subito di mangiare. Vedrai, la mamma si prenderà cura di te ’’

“Come il papà’’, aggiunse Alucard, guardandomi oltre le ciglia folte.

Lo osservai sbigottita quando pronunciò la parola “papà”, dentro di me si accese una gioia infinita. “Ma pensavo che prima non ti importasse niente del bimbo’’

Fece segno di no con la testa. “Nel momento stesso in cui ho capito quanto ti amasse, quanto ti ammira, ho capito il mio errore. E mi pento, per questo chiedo perdono a tutte e due. Pensavo che fosse come me, ma invece mi sono sbagliato, ha il carattere della mamma: dolce, al sicuro, sente di amare ognuno di noi, e poi è così felice di avere noi due come genitori’’

Se fosse stato umano, a quest’ora sarebbe scoppiato a piangere come me per la commozione. Incontrai le mani con le sue, quasi non me ne accorsi, e ci trovammo a coprire tutto il pancione. Guardai il gonfiore. “Oh, amore! Anche io sono felice di averti, non sai quanto mamma ti desiderava, quanto ti aspettava. E anche papà è felice di averti. Entrambi non vediamo l’ora che tu esca per vederti. Ti amo così tanto, bambino mio’’, dissi, soffocando un singhiozzo. Dopo un secondi volsi ad Alucard uno sguardo interrogatore.

Sorrise. “Mi ha fatto vedere un suo sorriso. Sta dicendo che ti ama’’

“E che ti fa vedere adesso?’’

Aspettò un attimo. “Mi sta facendo sentire di nuovo il brontolio. Ha tanta fame’’

“Anche la mamma ha fame, piccolo, ma non ti preoccupare. Adesso provvederemo’’

“Non avrei mai pensato una cosa del genere, credevo di essermi sbagliato, ma ora avverto l’amore che questa creatura prova per te. Mi sta facendo vedere che sfiora la sacca con le manine: ti ama tanto, e promette di non farti del male ’’

“Sono sicura che non ne avrai nessuna intenzione’’, poi ritornai a guardare Alucard, confusa. “Ma come fa a farti vedere queste cose?’’

“Secondo te, come fai tu ad avere il potere della vita, Kate come fa ad avere il potere dell’acqua? Questo è il potere del bambino: riesce a comunicare con me attraverso le immagini passate, presenti, e future. Oppure delle immagini di sua fantasia dato che ha una mente molto sviluppata. Ma credo che avrà più di un altro potere oltre che a questo, lo sento più speciale: mi fa proiettare nella mente le voci delle persone, come se ce le avessi vicino all’orecchio. Mi sta facendo sentire l’argomento di te e Louis in base a cosa si ricorda’’. Arrossii un po’. “E poi….poi ha capito il mio potere’’

Sgranai gli occhi. “Come ha fatto?’’.

“Non lo so, ma c’è riuscito. Mi ha solo fatto vedere una nebbia nera e spaventosa’’. Ed era così che si presentava il suo potere ai miei occhi: nero, lugubre, e spaventoso.

Rise. “Ora mi sta facendo sentire la voce di Kate e mi ha proiettato l’immagine di una cascata. Significa che mi vuol dire che tua mamma ha il potere dell’acqua. Ora mi sta facendo vedere una fiamma e sentire la voce di Louis: ha capito che lui ha il potere del fuoco’’

“Ma che potere è?’’

“È un potentissimo dono, al di fuori del nostro. È un potere psichico, di gran lunga il più raro’’

“Ne sai qualcosa, tu?’’

“L’ho letto sui libri ma non ho mai visto vampiri con questo potere’’

“Non ha preso in eredità i nostri doni?’’

“No, ma sembra che….è più grande di noi due messi insieme. Come se noi gli avessimo dato abbastanza potenza sovrumana per questo potere inestimabile’’

“E adesso che dice?’’

Attesi qualche secondo, impaziente. “Mi sta facendo vedere di nuovo la cascata….e ora un bicchiere di vino, e….sta ripetendo l’immagine. E….ora mi ha fa sentire il battito del tuo cuore’’

“Ma che significa?’’

Alucard staccò la mano dal pancione e me lo coprii subito, mi strinse forte a se per riscaldarmi, eravamo accucciati alle coperte. Stava per dire qualcosa quando la porta si palancò.

All’inizio pensai che fosse un’illusione. “Sei tornato?’’

“Vedo che la peste vuole farsi valere’’, disse sprezzante Louis, era sempre con i vestiti di quel pomeriggio, azzardò un passo avanti.

Io e Alucard ci lanciammo uno sguardo interrogatorio. Poi capii: il bambino aveva indebolito il nostro udito, procurando la nostra attenzione; un po’ aveva preso dal padre.

“Non sta giocando ad una partita’’, incalzò Alucard rigido.

Rise. “Senti chi parla, il paparino che prima voleva uccidere il proprio figlioletto’’

Alucard stette per alzarsi ma io lo fermai. “Mi sembrava che non avevi più motivi per vedermi’’, incalzai.

“Me ne rimane soltanto uno’’

Rimanemmo tutti in silenzio, poi entrarono gli altri parzialmente incuriositi e preoccupati, Drakon lanciò uno sguardo minaccioso a Louis e poi si avvicinò a me. Hendrik sfiorò il mio ex-fidanzato con la spalla, mentre lo squadrava, e anche lui si avvicinò a me.

Drakon mi esaminò la parte addormentata, al suo tatto iniziai a tremare, Hendrik invece mi si sedette sotto i piedi. “Come stai? Dormito bene?’’, mi accarezzava i piedi sperando di riscaldarmeli.

“Sì, benissimo’’, in parte dicevo la verità. “Avete sentito tutto, voi?’’

Abbassò lo sguardo. “Sì, ma per fortuna Alucard è intervenuto presto ’’

“Di cosa state parlando? Che è successo?’’, interruppe Louis che non era al corrente del fatto.

Hendrik non azzardò a sollevare lo sguardo verso l’interessato, guardava sempre me con compassione. “Il bambino gli ha spezzato una costola’’, rispose piano.

“COSA!?”, urlò lui. “Maledizione!”, era così arrabbiato che sentivo avrebbe rotto qualcosa con i pugni stretti. Mi preparavo al peggio invece cercò di calmarsi.

Si avvicinò al letto, parò il viso di Hendrik con la sua schiena e guardò con odio la pancia gonfia. “Quella cos….’’, poi si fermò perché vide la mia espressione, sempre con il dito indicato nel pancione. “Quel bambino non fa altro che ucciderti lentamente, ti farà soffrire in modo che entro il parto tu non abbia le forze di andare avanti. Alexia, dobbiamo intervenire subito!’’

“Tu non lo conosci!”, urlai. Non calcolai però le possibilità che la mia gola era arsa dalla mancanza di sangue da più di tre ore, e cominciai a tossire rumorosamente. Alucard fu rapido a mettermi la mano davanti alla bocca, quando la levò tutti rabbrividimmo alla vista del sangue nella mano pallida di lui.

Spaventata, non mi accorsi chi dei presenti porse immediatamente un fazzoletto al mio fidanzato per pulirmi la bocca. Feci da sola, per non rendere il silenzio più imbarazzante. Le mani incominciarono a tremare furiosamente: non solo per la paura ma anche per il freddo.

“Accidenti, Louis, dovevi venire proprio a mettere bocca su tutto?’’, lo rimproverò mia madre. “Oppure vuoi farti conoscere come “il secchione” che vuole decidere ogni cosa di mia figlia?! I litigi e le urla non fanno altro che peggiorarle la salute’’

Louis la infuocò con lo sguardo. “L’assassino dentro il suo ventre non fa bene alla salute di Alexia!”, incalzò.

“Smettila di chiamarlo in quel modo, ragazzo, ha un significato: bambino. Dentro il suo ventre non vedo e sento altri che un bambino’’, anticipò Alucard, più furioso di prima.

“Tu che ne sai, parassita?’’

“L’ho visto, mi ha dato una dimostrazione del suo potere’’, sorrise, dimenticando la litigata.

Drakon alzò lo sguardo verso il figlio adottivo, quando prima era impegnato a toccarmi ed esaminare il ventre e la parte addormentata, dove già riuscivo a notare le ossa. “Sul serio?’’, chiese.

“Sì, poco fa, prima che entrasse Louis’’, poi si voltò verso il ragazzo. “Ci hai per caso origliati?’’, la sua voce improvvisamente dura e minacciosa.

Alzò il sopracciglio. “Non ho un udito sviluppato come voi mostri, quindi se anche lo avrei fatto non avrei capito niente. Nel momento stesso in cui sono entrato era da dieci secondi che stavo accanto alla porta, ho solo capito che c’erano delle immagini’’

“Erano le immagini che il bambino mi ha mostrato’’

“Che ti ha mostrato?’’, chiese Consuelo trotterellando fino a me. si sedette sul letto e mi afferrò la mano destra scheletrica. Le sorrisi rincuorata, era bello sentire il suo calore.

“Una cascata, un bicchiere di vino, e mi ha fatto sentire il rumore di un cuore che batte’’

Avrei desiderato tanto vederle anche io, sicuramente erano state molto belle, linde, quasi vere. Eppure….guardai allo stesso tempo Louis: avevamo capito. Gran parte di risultato era stato merito anche di Consuelo: il calore delle sue manine. Il sangue. Oh, oh!

“Mi sembra evidente’’, disse fra se Louis.

“Cosa?’’, chiese di rimando Hendrik.

“Papà, il piccolo ha sete’’, risposi io.

“Questo lo sappiamo tutti’’

“Ma non quella sete di quel sangue animale’’, corressi.

Anche Alucard adesso mi guardò. “Ha sete di sangue….vuole il sangue umano ’’

Fulminò subito accanto a Drakon. “Hai degli avanzi?’’

“No, devo procuramelo’’, si voltò verso di me. “Ce la fai a resistere ancora per qualche minuto?’’

“Vai a caccia?’’

Deglutii. “Sì, arrivo subito’’

“Alucard viene con te?’’

“No, io rimango qui, non ti lascio ’’, rispose accarezzandomi la pancia. Non soltanto voleva lasciar e me, ma non voleva lasciare nemmeno il piccolo.

“Torno subito’’, disse Drakon e un secondo dopo sparì.

Restammo pochi secondi in silenzio, poi mi rivolsi a Alucard. “Ho tanto freddo ’’, era da tanto che stavo tremando e non volevo chiederlo a nessuno però mi parve una necessità.

Prima che Alucard parlò, Louis lo puntualizzò. “Okay, ci penso io. Tanto ormai ho capito che devo far parte della congrega’’, si avvicinò a passo veloce verso il letto, a mezza strada fu fermato da Alucard: faccia a faccia.

“Scordatelo! Non la toccare’’, lo minacciò.

“Sto facendo un favore alla “casa dei vampiri”, amico. E poi ammettilo: sto anche facendo una gentilezza anche il tuo figlioccio’’

Vidi la mano bianca di Alucard allungarsi velocemente lungo la spalla di Louis e stringerla tanto forte da lasciarmi senza fiato. Avevo paura che gli spezzasse l’osso.

“Non ti azzardare a chiamare in quel modo mio figlio ’’, mostrava i denti. Ci mancava poco che assumeva la posa di attacco.

“Mammina me l’ha fatta la bocca, parlo come mi pare ’’

“Ti conviene frenare le parole altrimenti ti faccio tacere per sempre’’

“Smettetela, tutti e due! Altrimenti sarò io a farvi tacere entrambi!’’, urlai. Non sapevo in quale modo sarei riuscita a farli star zitti, ma in un modo o nell’altro bastarono le parole. Anche se Alucard cedette e lasciò passare Louis, rimaneva sempre il fuoco d’odio che scintillava nei suoi occhi rossi.

Vidi Louis sorridermi vittorioso mentre si toglieva le scarpe e si metteva sotto le coperte, scivolai un tantino verso la sua direzione in modo di sentire presto il calore. Mi ero dimenticata come era abbracciare un corpo più caldo di quello umano, era bellissimo e piacevole. Nemmeno le coperte furono abbastanza da riscaldarmi dal gelo al confronto di quello che Louis stava facendo. E un minuto dopo ero completamente rilassata, al mio agio, sotto le coperte calde del letto, misi i piedi vicino alle sue gambe. Nel momento stesso mi si riscaldarono perfino le unghie delle dita, Louis rabbrividii.

“Accidenti, sei di ghiacciolo Alexia’’

Risi appena, la testa contro il suo petto.  “ Il fuoco era spento’’, mormorai.

Supposi che diede uno sguardo controllore al camino. “Il tuo fidanzatino deve imparare ad accenderlo, allora’’, disse sarcastico.

Alucard, dietro di me, trattenne il respiro. Si trovava in ginocchio tra il letto e mi stringeva la mano scoperta; era l’unico contatto che potevo avere con lui.

Il bambino si mosse appena e allo stesso tempo sobbalzai. Consuelo che era sempre sopra il letto, con le gambe incrociate, rise sotto i baffi.

“Che è successo?’’, chiese Louis, sorpreso.

“Niente di grave, il bambino ha calciato’’

Di nuovo quel sorrisetto vittorioso. “Faccio repellere anche il cucciolo, eh?’’

“Oh, no! Scommetto che mi ha fatto capire che anche a lui piace molto il caldo’’

“Tzzs, figuriamoci!”

“Vuoi sentire?’’

Alzò un sopracciglio. “Che?’’

“Come calcia’’

“Lo so come calciano i bambini, Jennifer me lo farà sentire senza che tu intervenga per prima. Comunque, grazie per il pensierino’’, rispose sprezzante.

“Andiamo, Louis, lo so che desideri sentirlo. Ti conosco bene, a te piacciono i bambini’’, lo incoraggiai.

“I bambini in generale mi piacciono ma questa cosa che porti in grembo…..’’, rabbrividì.

“Posso sentirlo io!’’, si offrì Consuelo alzando la mano.

Mi levai subito le coperte di dosso e alzai appena le magliette, la pelle era liscia a forma di palla, ed era una strana e bellissima sensazione vedere la pancia gonfiarsi giorno dopo giorno per far spazio ad una vita.

La bambina portò le due mani sulla pelle gonfia e io smossi appena il lato destro del corpo, un attimo dopo Consuelo rise dalla sorpresa, spruzzava felicità da tutti i pori, e non potei fare a meno di sorriderle.

Si studiò il pancione. “Sarà un maschio o una femminuccia?’’, chiese, pimpante.

“Non lo so, vorrei saperlo quando nasca’’

“Però bisogna darle un nome, non credi?’’, chiese Louis.

“Ovvio, però…non se non certa’’

“Hai pensato a dei nomi?’’, chiese Hendrik.

Sorrisi timida. “Sì, ma non credo che vanno bene’’, balbettai. Mia sorella, intanto, aveva staccato le sue mani dal mio ventre e si sdraiò nell’unico piccolo spazio che divideva me e Louis: accanto alle mie gambe. I suoi occhi iniziarono a sognare, le gambe le faceva dondolare e il viso se lo sosteneva fra le mani. Louis ritornò ad abbracciarmi come prima, facendo attenzione alla parte addormentata.

Alucard era sempre accanto al letto in ginocchio, e mi studiava. Mi accarezzò la testa.

“A me piaceranno comunque’’

“Mmm! Perché non lo chiamate Demon se fosse un maschio e Diavoletta se una femmina?’’, azzardò Louis, comico. Gli lanciai una gomitata, sapevo che scherzava, e lui si piegò in due ridendo. Ad Alucard, invece, non piacque molto.

“Dovevano darti come secondo nome Ignorante, e Imbecille per terzo’’, disse Alucard fra i denti.

Trattenni una risata, Louis invece ritornò serio.

“Insomma, quali dei nomi hai scelto?’’, chiese mamma, per placare di nuovo un sicuro attacco di rabbia fra i due.

“Be’….ehm! Avrei voluto aspettare qualche settimana dopo il parto per dirvelo. Volevo che fosse una sorpresa’’

“Un mese più o un mese in meno, non farà male a nessuno’’, precisò Louis.

Gli sguardi interessati della mia famiglia, non fece altro che arrossirmi le guance, tutti i loro sguardi puntati su di me o sul pancione, che accarezzavo sotto le coperte. Solo guardando il viso di Alucard riusciva a non mettermi a disagio.

“Avevo pensato che se fosse stato un maschio lo avrei chiamato…Luca. Perché nel nome di Alucard si nasconde Luca, e poi…perché Luca e Louis hanno le stesse lettere iniziali’’, e vidi il sorriso di Alucard allargarsi fino a formare le fossette sulle guance. Lo stesso valeva per Louis.

Quest’ultimo alzò le sopracciglia. “Mi piace, non è male. È un nome tradizionale e comune’’, disse.

“Anche a me piace molto!’’, cinguettò Consuelo.

“Già, tesoro, è bellissimo”, approvò anche mamma. Hendrik invece sorrise, e mi fece l’occhiolino. Segno che anche lui era d’accordo.

“E se fosse una femmina?’’, chiese a sua volta Louis.

“Per il nome di una femminuccia….è stato difficile trovarlo. Però ho pensato ad un nome che significasse quanto sia bello avere questo bambino, poi ho pensato a prezioso, inestimabile valore, dato che per me….è un gioiello. Per cui mi piacerebbe molto chiamarla Gioiella’’

E silenzio fu. Louis storse le labbra, pensieroso. “Bè….non è male…’’

“Non ti piace?’’

“No, non ho detto questo’’

“No, non è brutto. È bellissimo, mi piace molto’’, anticipò Alucard, accarezzandomi la mano. “Sarebbe adatto sicuramente a nostra figlia, la più preziosa che avremo. Mi piace il nome Gioiella’’

Ci scambiammo un sorriso, poi lui si girò verso la porta. Drakon era arrivato: presto avvertii anche io i suoi passi veloci, ed entrò nella camera con tre bustine di plastica in mano. Alla vista del sangue non fece che provocare una fiamma ardente dentro la gola. Lo avvertivo di più il calore e il profumo, era altrettanto più buono di quello animale. Forse il più buono di Louis, anche il bambino sentii l’odore del sangue umano ed incominciò a scalciare forte, cercai di mettermi seduta però avevo paura che mi sarei rotta qualcos’altro se solo mi sarei alzata. Fortunatamente Louis afferrò i due cuscini che aveva sopra la sua testa e li appoggiò sopra il mio in modo di farmi stare con la testa alzata, anche i cuscini erano caldi, così tanto da farmi riscaldare le orecchie.

Nell’altra mano Drakon reggeva un bicchiere di cristallo, Alucard si fece volontario per aiutarlo parandomi però la vista del sangue. Consuelo allungo la testa per vedere, anche mamma e papà si sporsero per aiutarli, ma non riuscii a vedere un granché, soltanto io e Louis eravamo gli unici a sentire un rumore simile ad uno strappo di plastica, e un liquido che scendeva rumoroso verso il bicchiere. Deglutii, un po’ spaventata e affamata, mancava quasi che attaccai il ragazzo accanto a me perché la fame peggiorò d’improvviso, e i canini si allungarono velocemente facendomi male. Non mi chiesi di quale povero innocente apparteneva tutto quel sangue, altrimenti avrei rifiutato di bere peggiorando la salute del bambino.

La nostra pazienza venne ricompensata quando vidi Alucard girarsi verso di me ed avanzare con il bicchiere di sangue in mano, ogni suo passo era il battito del mio cuore. Non era per paura che vedevo quel sangue, ma per desiderio, anche se dovevo considerare che soltanto una volta avevo assaggiato un sangue di un uomo e solo quella volta ero riuscita a non dissanguinarlo totalmente. Ora ci sarei riuscita? Sarei stata in grado di resistere alla sete. Trovai per caso la mano di Louis e glie la strinsi, non seppi il motivo di quel gesto, avevo solo bisogno di sostegno.

Alucard si sedette accanto al letto, vicino a me e mi avvicinò il bicchiere al viso.

Non feci in tempo ad avvicinare le labbra al vetro del bicchiere che una mano lo afferrò. “Che significa? Deve bere il sangue umano?’’, chiese spaventato.

“Hai un’altra alternativa?’’, ribatté Alucard infastidito del suo gesto.

“Portatela all’ospedale, fategli una flebo e metteteci dentro il sangue così i medici lo scambieranno per una medicina’’. Non sembrava male come idea, ma io odiavo alla follia gli aghi, punture, vaccini e robe varie. Da piccola piangevo sempre quando mamma mi portava a fare i vaccini anche se non mi sarebbero serviti a molto.

“Va bene anche così, Louis’’, lo consolai io, la voce improvvisamente debole.

Louis stette per dire qualcos’altro ma ci ripenso, stette e zitto e cercò di guardare la coperta per distrarsi alla vista del bicchiere. Un po’ mi faceva compassione: non mi aveva mai vista cacciare, soltanto mordere e ruggire. Questo per lui superava ogni altra cosa più spaventosa. Avrei voluto mandarlo via per non rischiare di farlo vomitare ma ormai ero incantata sul bicchiere.

“Sei sicura di farlo?’’, chiese Drakon dietro Alucard.

“Sì, papà’’. Afferrai il bicchiere con la mano libera e me lo portai vicino al mento.

“Forse è meglio che usciate’’, ordinò Drakon.

Mamma prese la mano di Consuelo e si avvicinò al marito. “Rimanete accanto alla porta, io rimango con lei’’, incoraggiò. Ambedue mi guardarono con un’espressione di dispiacere e tristezza, non per supplicare mamma di rimanere con me ma perché dovevo subire una cosa del genere. Consuelo fu veloce da darmi un bacio sulla guancia dove ormai avevano la meglio le ossa del viso, e poi uscii con il padre dalla stanza. Mamma si sedette accanto al letto, con Alucard dietro, e mi guardava teneramente, nelle sue labbra era presente un sorriso di incoraggiamento.

“Ci vuoi ripensare, Alexia? Possiamo fare in un altro modo, se voi’’, disse Alucard, forse perché aveva notato che il bicchiere tremava a causa della mano che lo sorreggeva.

“No, no, va bene così’’, ripetei, cercando di sorridere.

Strinsi il bicchiere e strizzai gli occhi, pensai solo che dovevo farlo per il bambino, pur sapendo che la mia preoccupazione era far del male a qualcuno, premetti le labbra sul bicchiere e inclinai appena l’oggetto. Il liquido mi spense l’incendio dentro la gola, tanto da desiderarne ancora, feci una grande sorsata e mi staccai dal bicchiere. Il sangue aveva un ottimo odore, era caldo, e poi sapeva di pane e farina, legno e pino.

Era di gran lunga molto più saporito e squisito di quello di Louis, piano piano il calore del sangue scese fino ad arrivare al bambino, dove prima continuava a calciare ora si era rilassato.

“Mi piace, è molto buono’’, risposi.

I sorrisi della mia famiglia si allargarono gioiosi, perfino Louis che ora aveva deciso di partecipare alla scena, e il silenzio inquietante di prima ora non esisteva più, era piano di speranza e felicità. Il bambino a ogni mia sorsata si muoveva, e io sorridevo, ridevo sotto i baffi. Forse era l’allegria del bambino che arrivava a me, voleva che anche io sapessi che stava bene.

Alucard posò la mano sulla coperta dove era alzata dal pancione. Dopo due secondi lo vidi sorridere. “Mi ha detto che sta bene, e ne vuole ancora’’

A quel punto finì tutto il bicchiere, con una sete che cresceva ad ogni minuto. “E anche io ne voglio ancora’’, aggiunsi, mostrandogli il bicchiere vuoto, sorridendogli con le labbra sporche di rosso.

Alucard mi afferrò il bicchiere e si avvicinò al padre dove fecero lo stesso lavoro di prima, mamma approfittò quel poco minuto per avvicinarsi accanto a me, mi strinse la mano. “Sono orgogliosa di te ’’

“Mamma, è solo grazie a te che ho capito quanto sia importante essere una madre’’

Sorrise. “Avvolte mi sembra scorretto sapere che il mio passato sarà identico al tuo futuro, ma poi…’’, accarezzò la coperta gonfia sopra il pancione. “Poi vedo quanto ami e ammiri il tuo bambino, e capisco quanto sei fortunata’’

Gli presi la mano e glie la baciai. “Ora capisco quanto mi avessi amato anche se ero stata molto cattiva dentro di te, durante la tua gravidanza’’

Si asciugò gli occhi gonfi. “Che tu ci creda o no, ogni mio dolore era una felicità immensa perché sapevo che crescevi dentro di me, e presto di avrei vista’’

“Vorrai bene al bambino come tu hai amato me?’’

“Ho solo paura che tu non possa vedere il piccolo appena in tempo’’

“Lo vedrò mamma, ne sono certissima’’

Mamma sorrise un’altra volta e poi ritornò al suo posto perché era tornato Alucard, lo ringraziai, bevvi piano e ascoltai i movimenti del bambino, qualche minuto dopo però non lo sentii più perché si era addormentato e mi sentii sazia dopo due bicchieri. Nel tavolo rimaneva appoggiato solo una busta di sangue.

Appoggiai la testa sul cuscino, pesantemente stanca, le palpebre mi cadevano. Non seppi chi mi aveva levato il bicchiere dalle mano perché mi rovai a occhi chiusi, poi sentii una pressione ghiacciata al polso: era la mano di Drakon.

“Il cuore sta riprendendo il suo battito regolare’’, mormorò, giusto per non rischiare di non disturbarmi dato che mi stavo addentrando verso il sonno. Sentii mia madre e Louis sospirare. Del tutto stanca, ammisi solo un sorriso, poi il mio corpo si rilassò del tutto e mi addormentai.

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Capitolo 23
*** Tempo scaduto ***


Capitolo 22
Nei mesi che seguirono, sembravano interminabili, riacquistai tutte le mie forze, ripresi colore e il bambino mi diede lo stimolo di richiamare oltre al sangue umano anche il cibo. Anche i miei amici si fecero vedere ogni tanto, particolarmente infastiditi della presenza di Louis quando se ne accorsero. Alucard continuava ad origliare il bambino e la sua mente, perfino mentre dormiva sfruttava il momento per vedere le immagini e poi le descriveva a me. Il bambino poi gli fece osservare un evento futuro: dopo due mesi poteva smettere di tormentare la parte sinistra con il suo potere dato che la costola sarebbe guarita quel giorno. E così fu fatto.

Per quanto riguarda a Louis tornava e veniva quasi tre giorni alla settimana, mi raccontava di Jennifer e del suo bambino ( si era scoperto che attendeva un maschietto), e vedevo la gioia negli occhi quando mi raccontava dei calci che dava il bambino. Mi disse che lo avrebbero chiamato Federico, come il padre di Louis, e che non vedeva l’ora che nascesse. Ma non mi fece mai vedere le foto di Jennifer col pancione, forse perché sapeva che infondo ci sarei rimasta male: in parte aveva ragione. Poi un pomeriggio venne senza preavviso, Drakon e Alucard erano andati a caccia, io ero da sola e a bere il sangue con la cannuccia dentro il bicchiere.

“Ehi!”, rispose lui, respirava affannosamente. Aveva fatto una bella corsa, si vede.

“Ehi! Ma che ci fai tu qui?’’, chiesi, sorpresa.

Chiuse la porta, nella mano sinistra reggeva una bustina di carta bianca. “Ehm…ti volevo fare una sorpresa’’

Alzai un sopracciglio. “Per Ferragosto?”

Sorrise. “Sì’’, e si sedette accanto a me. “Ehm….in verità era un’oggetto che già possedevo ma l’ho migliorato, l’ho portato dal gioielliere e gli ho fatto fare qualche rimedio ’’

“Ti è costato molto?’’

“Nah!’’, fece una smorfia.

Risi, e mi apprestai ad aprire la busta, elettrizzata del regalo. Sbirciai appena dentro e vidi una cosa luccicare con una catenella, allora misi dentro una mano e ne estrassi una colla, Louis intanto mi teneva i bicchiere.

La collana era una catenella fina in oro bianco, l’oggetto che penzolava al centro era particolarmente familiare: un diamante di acquamarina a taglio ovale con i suoi due diamanti posti lateralmente con taglio brillante, erano incastonati dentro ad un cicciotto ciondolo a forma ovale a sua volta unito ai due lati dalla catenella, dove era affiancato da due piccoli diamanti rotondeggianti che brillavano alla luce del fuoco acceso.

Mi mancò il respiro appena riconobbi i pezzi particolari, i tre diamanti incastonati al ciondolo era l’unica cosa che rimaneva del mio vecchio anello di fidanzamento. Rivolsi a Louis uno sguardo scioccato, non di certo ero sorpresa.

Lui si grattò la testa, imbarazzato. “Sì, lo so, è un po’ troppo per te…’’

“Davvero, non dovevi’’. Era come per dire: riprenditelo. Per me quell’anello significava brutti ricordi, un tradimento indimenticabile, ogni momento felice passato insieme a lui per niente. Quindi non c’era nulla da meravigliarsi se la mia voce era fredda e distaccata.

Però lui mi strinse le mani alle sue. “So che cosa ti ho fatto, so che sono stato uno stupido e un’idiota, ma…Io ti voglio ancora bene, capisci?’’

“No’’

Sospirò. “Certo, dopo quello che è successo, è difficile per te credere a quello che dico….’’

“Infatti’’

“Però ti rivoglio di nuovo accanto’’

“Sai bene che non sarà come una volta’’

“Sì, lo so, però ora che penso che tra un mese all’altro te ne andrai- speriamo di no- voglio starti vicino ’’

“In questi mesi non hai fatto altro che criticare mio figlio ’’

Fece una smorfia. “Be’…su questo hai ragione, però io rivoglio l’Alexia di una volta’’

“Un’amica’’

“Sì, esatto’’

Storsi le labbra, infondo era inconcepibile che gli dessi un’ultima chance, però non c’è da escludere che c’era stato molto utile nei mesi passati, ci aiutò anche lui riguardo al cibo che mi serviva, e poi aiutò mamma a riaprire il suo centro di bellezza, dandole anche alcuni soldi per il ristoro. E molte altre cose che ora non ricordo. Insomma, si era fatto perdonare.

“Ti è costato molto?’’, chiesi.

Sbuffò. “Andiamo, pensi solo a questo? Non mi hai nemmeno detto se ti piace o no’’

“Louis!’’

“Sulle 1000 lire”, farfugliò, sperando che non lo sentissi. Povero illuso.

“1000 lire!”

“Ehi, almeno te l’ho scambiato con l’anello. È il risultato che conta, no?’’

Sospirai, rassegnata. “Sì, hai ragione’’

“Sì mi piace o sì ho ragione?’’

“Tutte e due i casi’’

Sorrise, uno di quei sorrisi vittoriosi che odiavo. “Sono contento ’’, poi si fece pensieroso. “Sono perdonato, vero?’’

“Perdonato in cosa?’’

“Andiamo, lo sai’’

Gli diedi una sguardata. “Dammi almeno cento anni e poi te lo dirò’’

Rabbrividì. “Cosa?’’

“Non pensare che ti perdoni tanto presto, apprezzo il regalo ma quello che mi hai fatto andava oltre ogni mia aspettativa. Un dolore come questo è difficile cancellarlo, e tu non lo sai. Quindi non ti aspettarti che ti perdoni proprio oggi’’

Ci pensò su. “Infondo hai ragione, sono proprio uno stupido. Non merito nemmeno che tu mi faccia entrare qui dentro’’

“Infondo però mi sei stato d’aiuto in questi mesi’’, gli sorrisi dolcemente. “Grazie, Louis’’

Mi accarezzò le mano che ancora le teneva strette. “Avrei voluto farti qualcos’altro ma…quando sono uscito dall’ospedale, la sera dopo ho visto l’anello sporco di sangue, gettato nel balcone. Non pensavo che te lo saresti tolto, ma lo hai fatto, giustamente. Non lo buttai via, non ne avevo alcun motivo, così lo conservai sperando che un giorno mi sarebbe stato utile. E fu così, mi costò un botto della testa trasformare l’anello di fidanzamento in una collana ma ne valsa la pena’’

“È molto bella. Mi aiuti a metterla?’’, gli porsi la collana e sollevai la chioma dei capelli sopra la testa. Lui la agganciò delicatamente, in quei mesi era molto leggero quando mi abbracciava dato che ancora gli ossi erano molto visibili nella carne, e poi ci mettemmo a studiarla. Era bellissima, sinceramente, più dell’anello.

Cominciai a pensare, anche se provavo una certa antipatia di quell’oggetto, dentro lì era anche racchiuso l’enorme sforzo che Louis fece per ritornare a frequentarmi. Infondo, anche lui aveva un cuore.

Ad Agosto ero al settimo mese, il bimbo iniziava ad avere i gesti respiratori più regolari. Cominciava a mostrare il consenso o disapprovazione con calci più potenti di quelli di qualche mese fa, tanto che Alucard non mi lasciò viaggiare molto per il castello dato che aveva paura che la forza del figlio mi avrebbe di certo rotto un’altra costola, cosa che non accadde mai. Iniziò a pesare quasi 1.500 grammi e a misurare 40 cm. In quello stesso mese l’utero iniziava a ingrossarsi, dandomi qualche difficoltà respiratoria, perfino che ghiandole mammarie iniziarono a prepararsi per l’allattamento, e cominciai ad avere ansia per il parto e per la salute del bambino; ma con accanto alla mia madre che mi tranquillizzava l’ansia incominciò a svanire.

A Settembre – lottavo mese- il bimbo prese la posizione del paro: la testa verso il basso, anche se, come mi aveva anticipato mia madre, all’ultimo momento rischiava di girarsi. In quei masi iniziai ad avere stanchezza e spossatezza, dato alla carenza di ferro nel sangue, quindi mamma mi preparò una volta alla settimana ferro e pesce. Cose che certe volte rigurgitavo dato che al bambino non garbava.

Dal punto di vista fisico, l’ombelico iniziava ad appiattirsi, e le costole fecero spazio all’allargamento dell’utero.

Nel penultimo mese mamma mi aveva consigliato di fare ginnastica o muovermi di più, ma Alucard era preoccupato per la grandezza della mia pancia, il peso del bambino e la debolezza del mio corpo. Potevo solo camminare quando c’era lui o Drakon, anche se ero forte per camminare in realtà mi stancavo molto facilmente. Mamma però insisteva dando perfino una volta la colpa a Drakon, era chiaro che entrambe eravamo in ansia e preoccupate per il parto, molto, molto vicino.

“Non ti fidi di me, non ti sei mai fidato di me perché hai paura che quello che faccio per nostra figlia è sbagliato’’, gli urlò contro.

Io e Alucard li guardavamo allibiti. Io ero sempre distesa sul letto, dopo una lunga discussione, e Alucard era sdraiato accanto a me.

Papà stringeva le spalle di mamma cercando di farla ragionare.

“No, non è affatto così. Ti sto solo dicendo che è molto debole, anche se mangia e beve molto, ed è ancora molto magra. Possiamo indurla a farla camminare molto di più se è quello che vuoi’’

“Io voglio che si salvi dal parto, che non muoia, e che riuscirete a farle recuperare le forze nel momento in cui il bambino uscirà!’’, si allontanò da lui e uscii rumorosamente dalla stanza sbattendo forte la sporta alle sue spalle.

Con la testa bassa dal dispiacere, riuscii solo a vedere di sottecchi papà che stringeva i pugni e un attimo dopo uscii dalla stanza anche lui, rimasi sola con il mio fidanzato, accarezzavamo la mia pancia gigante, a guardare la porta aperta. Mi chiesi se anche il bambino aveva sentito la urla della mamma perché anche dentro di me c’era un gran silenzio.

Da fuori, riuscivo i passi rumorosi di mamma avanzare verso l’uscita, poi si fermarono perché c’era Drakon a pararle la strada.

“Lasciami! Tu….non sei cambiato, sempre lo stesso, sempre deciso di fare come ti pare, perfino quando ero incinta io, e ora fai lo stesso con nostra figlia. Io…’’

“Farò come vuoi tu, allora’’, rispose calmo.

“È troppo tardi, troppo tardi, è vicina al parto e non è forte come dovrebbe essere….come lo ero io….Io…lei…’’, scoppiò a piangere.

Sentimmo il rumore di un abbraccio.

“Non voglio perdere nostra figlia….è troppo giovane’’, singhiozzò.

“Come lo eri tu’’

“Lei è sempre stata forte come me….è sempre stata buona e laboriosa, più forte…non si merita questo. La nostra bambina non deve morire’’

“Non morirà’’

Mamma alzò lo sguardo verso Drakon. “E come?’’

“Non permetterò che muoia, come è rischiato con te, farò in fredda. Te lo prometto’’

“Come puoi promettermi cose che non sarai mai capace di fare?’’

Gli afferrò il viso con le mani. Al momento stesso mi si fermò il cuore. “Sono capace di mantenere una promessa, anche se in passato non ho mantenuto quella di stare insieme per sempre, ma ora…ora sono pronto a tutto. Lo farò per il nostro amore, perché io ti amo Kate. Ti ho amato in passato e sempre ti amerò’’

Due secondi dopo, ecco il rumore di due labbra che si sfioravano.

La mattina seguente mi svegliai sola, il posto in cui c’era Alucard era vuoto, le coperte sfasciate.

“Sarà andato a fare colazione”, pensai. Accarezzai le lenzuola fresche, respirai il suo odore, in modo di farlo sentire anche al bambino, però lui non calciò. Dormiva ancora.

Il rumore alla porta mi fece cambiare subito fianco, spuntò mamma con gli occhi gonfi di lacrime.

La guardai scioccata. “Mamma…mamma, che hai?’’, chiese mentre mi sedevo lentamente.

L’atmosfera era…soffocante, non avevo mai visto mia madre piangere così tanto, nemmeno quando morirono i suoi genitori.

Piombò subito accanto a me e mi abbracciò, appoggiò la testa sopra il mio grembo, come se chiedesse aiuto a mio figlio, e me lo riempii di piccoli baci singhiozzanti.

L’unica cosa che potevo farle era accarezzarle la testa.

“Alì, ti giuro che amo tuo padre’’

“Certo che ami papà, certo mamma ’’. Sapevo che parlava di Hendrik. C’era solo una cosa che avrebbe potuto indurla a dire una cosa simile.

Mi raggelai. “Mamma, tu hai…?’’

Si alzò per guardarmi. “Ho baciato Drakon, ho baciato Drakon!’’, singhiozzò mettendosi le mani fra i capelli.

Mi sporsi un poco per bloccarle braccia, sentivo che se non fossi intervenuta l’avrei vista ribollire dalla pazzia. “Mamma, calmati, dimmi con calma che è successo. Perché piangi?’’

Mi afferrò le mani e me le baciò. “Ti prego, ti prego, non dirlo ad Hendrik’’, supplicò. Il labbro le tremava.

“Dire che?’’

“Oh, Alì! Sono una mamma cattiva, orrenda!’’

“Ma che dici? No, non voglio sentirti dire più questa cosa ’’

Mi guardò con occhi supplichevoli. Poi la vidi sospirare, ma tremava ancora. “Drakon ieri mi ha baciata’’

“Sì, me lo hai detto ’’, risposi calma.

“E…’’

Rabbrividii un’altra volta, mi ero persa qualcosa che avevo ignorato la sera scorsa perché pensavo che non era giusto origliare. Lo stesso il motivo per cui mi aveva supplicato di non dire niente a Hendirk.

“Mamma…’’, mi schiarii la gola. “Tu non hai….tu non hai soltanto baciato Drakon, vero?’’

Fece di no con la testa e scoppiò subito a piangere riabbassando la testa. Non avevo alcuna ragione per non comprenderla, per anni mi aveva detto e ridetto che amava Drakon anche se lo nascondeva agli occhi del marito. Forse lo sapeva perfino Hendrik, ma non voleva dirlo. In ogni caso alla fine l’amore fra i due aveva avuto la meglio. Se si sarebbero incontrati quando io ero piccola e mamma non era sposata con Hendrik allora quello sarebbe stato un buon motivo per ripensare a ritornare con lui. Però le cose erano ben diverse, e la ragione faceva più male: mamma era sposata con Hendrik, amava anche Drakon, ha fatto l’amore con Drakon e Hendrik non avrebbe saputo niente.

“Mamma ha fatto l’amore con Drakon, si sono baciati e hanno fatto l’amore”

Le presi il fiso bagnato. “Mamma, ognuno hanno un segreto orribile da tenersi dentro, ci impara a crescere. Louis nei mesi in cui stavamo insieme come fidanzati si è tenuto dentro il segreto atroce dell’amore che provava verso Jennifer, Drakon quello ti tenersi dentro il segreto del tuo amore, e soffriva di gelosia ogni volta che ti vedeva con Hendri, Alucard non mi aveva detto che non era mio fratellastro fino all’anno scorso. E io…devo tenermi dentro la paura del parto, la consapevolezza che le possibilità della mia sopravvivenza sono poche. Ognuno di noi abbiamo cose da tenerci strette, perché un giorno scopriremo che saranno le più belle delle nostra vita- in quale modo, non saprei- e ci imparano a diventare più grandi e forti’’

E anche io sentivo che infondo dovevo ancora crescere, che sapevo poco, e che la vita mi sorprendeva di giorno in giorno. Di una cosa ero certa: nella vita non si smetteva mai di imparare.

Arrivò in ogni modo Ottobre: il momento tanto atteso e inatteso di questa avventura, Louis veniva da me giorno dopo giorno, una notte rimase perfino a dormire nel castello, tutti ricominciarono a radunarsi per vedermi, perfino i miei amici. Di notte iniziai ad avvertivo la tensione, l’ansia, ed erano poche le ore che riuscivo a dormire. Anche se Alucard tentava di tranquillizzarmi, non avrebbe mai potuto, nessuno avrebbe mai potuto. E poi avevo più fame di quanto ne avessi negli altri mesi: soltanto di sangue umano, intuii che in quel modo il bambino sarebbe uscito forte nel momento fatidico. Ma come me non vedeva l’ora di uscire dentro quello spazio che ormai per lui era come una poltrona scomoda e consumata, ed io ero stanca di portarmi tutto quel peso addosso. Lo volevo presto fra le braccia, ma sarei veramente riuscita a vederlo? Questo rendeva ogni momento della mia vita più prezioso, perfino per Alucard che non smetteva di coccolarmi e raccomandare a nostro figlio di non farmi mai del male. Entrambi non eravamo sicuri del giorno in cui avrei partorito, il bambino non ci dava indizi, rimanemmo nel mistero, ed iniziò la tensione. Solo Drakon sospettava che sarebbe successo verso la metà del mese.

Era la sera del 16 ottobre, come ben sapete non mi potevo trovare in un altro posto se non sdraiata nel letto ( circa qualche minuto fa avevo fatto una camminata intorno al castello per dare forza alle gambe), Alucard era sempre sdraiato accanto a me, giocava con i miei capelli rossicci, Louis era ai piedi del letto a gambe piegate e strette al petto, Consuelo gli era accanto. Mamma era seduta su una sedia con il marito che gli accarezzava le braccia. Drakon era seduto accanto a me, io mi trovavo nella metà del letto tra i due vampiri.

Papà mi prese il polso e controllò il battito del cuore. “Il cuore ha sempre il battito regolare’’, giustificò, si vedeva chiaramente che era nervoso. C’era un tal silenzio, così assordante da voler costringere tutti a parlare.

“Papà, sto bene, tranquillo ’’, lo rassicurai, ma nemmeno io mi sentivo bene: era l’ansia come quella di papà. Era un tal dolore dire bugie però era un modo per rassicurare entrambi.

“Drakon, non per essere chi-sa-chi ma hai già controllato il polso di Alexia già dieci volte’’, ribatté Louis.

Risi appena. “Dovete stare tranquilli, tanto il bambino non uscirà stanotte. È troppo stanco, di sicuro aspetterà fino a domani in modo che entrambi siamo più forti’’, tranquillizzai tutti con la voce più dolce che potevo.

“Non si sa mai, bisogna stare allerta’’, rispose mamma.

“Forse hai ragione’’, poi mi girai verso Louis. “Come sta Jennifer? Federico cresce?’’, era un modo per sviare quella tensione.

“Sì, molto meglio. Ora la sua pancia è più grande, e il bimbo assomiglia più alla mamma che a me, credo che ha i miei stessi occhi’’

“I tuoi occhi sono bellissimi, mi sono sempre piaciuti’’

Sorrise. “Lo so, me lo dicevi sempre’’, osservò. Arrossii appena.

“Quand’è che Jennifer partorirà il bambino?’’, chiese Consuelo, interessata.

“Verso la fine di dicembre e i primi di novembre’’

Gli si illuminò gli occhi per la felicità. “Me lo farai vedere, un giorno?’’, congiunse le mani per supplicarlo.

“Certo, vi dirò il giorno il prima possibile’’

“Scommetto che sarà bellissimo’’, dissi io, accarezzandomi la pancia.

Ammise un leggero sorriso. “Mai come il tuo’’

Il bambino calciò appena. “Grazie’’, dissi.

Undici secondi di silenzio prima che Louis ritornasse a parlare. “Pensi che sia femmina?’’

“Ehm….non c’ho mai pensato. Io spero femmina, ma se Alucard vorrebbe un bambino sarò comunque d’accordo ”, rispose un po’ imbarazzata, distraendomi guardando il pancione. Sentivo lo sguardo affascinante di Alucard addosso.

Lanciò uno sguardo interrogativo al mio fidanzato. “Ti piacciono i maschi?’’

“Ognuno ha le sue preferenze, i maschi li ho sempre ritenuti i più forti e robusti, le femmine le più intelligenti e laboriose’’

“Le femmine la mente, i maschi il braccio ’’, farfugliò Hendrik. Scoppiammo tutti a ridere.

Era bello sentire un pizzico di felicità in una situazione drammatica come quella. C’era tanto da parlare e meno tempo, come se avessi dovuto sbrigare tutto quei giorni in passato. Ci fu un momento in cui mi sentii un’illusa: potevo veramente sperare che ce la facessi? Infondo grazie al bambino ora stavo meglio, sempre secca ero però….Avevo forza abbastanza per partorire, ma per sopravvivere?

Strinsi casualmente la mano di Drakon, mostrandogli quel poco che tenevo dentro, e lui ricambiò. Avevamo entrambi paura del nostro bisogno: io di sopravvivere finché non avrei ceduto, lui di lasciarmi sopravvivere. C’erano due vocine dentro di me: una mi supplicava immediatamente di abortire prima che il tempo sarebbe scaduto, l’altra mi diceva di resistere e lottare. Non c’era cosa più bella nella vita che sconfiggere il dolore, la paura e i momenti difficili che non avresti mai dovuto vivere.

Ritornai a guardare il pancione, mordendomi il labbro, pregando il bambino di uscire al più presto. All’improvviso udii dentro il pancione un rumore strano.

“Oh!’’, mi lamentai.

E tutti si drizzarono e mi guardarono, il silenzio mi fece ridere. “Non vi preoccupate, ho solo fame’’, sorrisi. “Papà, hai qualche busta di sangue avanzata?’’, chiesi al vampiro accanto a me, allungando una mano.

Sospirò e si alzò, saettò dal tavolo per prendere busta e bicchiere. Stanca di stare distesa nel letto, anch’io decisi di alzarmi e mi sfilai le coperte di dosso, seguita da Louis e Alucard che si alzarono anche loro per sorreggermi quando mi alzai. Dopodiché mi abbandonai fra le braccia di Alucard e mi accompagnò verso papà, gli altri facevano la coda dietro di noi da quando mi ero alzata. La situazione era concentrata su di me, in una piccola parte della creaturina che tenevo dentro; avevo voglia di chieder loro di farli tornare ai loro posti, avevo Alucard che pensava a me, ma allo stesso tempo non volevo fastidirli.

Drakon tese il braccio per darmi il bicchiere, lo presi e incominciai a bere. “Grazie papà’’, chiesi dopo aver bevuto metà bicchiere.

Nello stesso momento si fece sentire di nuovo quel rumore dentro la pancia. Però questa volta non mi sembrava un brontolio, non la sentivo più la fame, e di sicuro era più potente. Faceva male. Sbadata, feci cascare il bicchiere di cristallo in mano, quest’ultimo di ruppe in piccoli pezzi di vetro sul pavimento, immersi in una pozzanghera di sangue. Alucard non fece in tempo ad afferrarlo, perché sorreggeva a me.

“Alexia!’’, urlò, come se stesse chiamando un sorda.

Respirai affondo cercando di calmare la fitta dolorosissima nella pancia. “Va’…tutto bene….Il bambino ha….dato solo un….un calcio ’’, risposi con sforzo. Ma mentivo perché il dolore non si preoccupò di placarsi. Si estese per tutta la pancia, facendomi piegare in due, nemmeno Alucard seppe rimettermi dritta e perfettamente in piedi, le gambe mi cedettero e caddi.

Nel cadere, il dolore si sparse perfino nel busto lacerandomi le costole, faticai a respirare, nel terreno freddo mi ritrovai a contorcermi e ad urlare. Gli sguardi spaventati della mia famiglia addosso a me, qualcosa da dentro mi tagliò la pancia. E vidi tutto buio.

Non riuscivo a localizzare il tempo, i secondi i minuti con quel buio, non sapevo in quale direzione mi stavano trasportando perché mi sentivo muovere. Era un dolore lacerante quello che si spargeva dentro di me, continuamente aumentato da rumore inquietanti e che facevano più male, avrei voluto rivedere Alucard ma anche nel girare gli occhi in tutte le direzioni non vedi altro che nero totale.

Le guance mi divennero calde dalle lacrime, le urla mi avrebbero presto seccato la gola, e mi trovavo sola, sola a sopportare tutto il fuoco che mi infiammava il corpo.

“Drakon, procedi!’’, gli ordinò una voce, ferma, distaccata. Faceva paura.

La cercai, anche se non ci tenevo a sentirla un’altra volta, ma non vidi niente.

“Non posso, avvelenerei il bambino’’, disse la voce disperata di mio padre.

Qualcosa di luminoso mi accecò gli occhi brucianti e gonfi, e finalmente vidi tutto. Louis era accanto a me, mi accarezzava il braccio destro, disperato, come tutti gli altri, e con l’altra mano emanava sopra di me delle piccole palle infuocate. Riuscii a notare l’atmosfera disperata della gente intorno a me. Alucard era accanto a Louis, alzato, e parlava con Drakon dall’altro lato del letto, contemporaneamente mi guardava.

E mamma? Papà e Consuelo dov’erano? Non riuscivo a sentire le loro voci, nemmeno a vederli perché era tutto sfuocato. Forse erano andati fuori dalla stanza per non assistere. Improvvisamente, mi sentii compiaciuta.

“Maledizione, Drakon tiragli fuori il bambino’’, urtò contro Louis.

Vidi papà incerto, poi guardò me. Io riuscivo solo a vedere le sfumature dei suoi lineamenti, stordita dal dolore.

“Papà, fallo, adesso!’’, ribatté Alucard.

“Il bambino gli ha rotto le costole!”, ruggì lui.

Respiravo velocemente, a ogni respiro era una lama che mi squarciava la carne, ma in quel momento si vedeva che non ci facevo nemmeno caso.

“Alexia, ascoltami!”, Louis mi girò la testa verso di me. “Resta qui, respira, continua a respirare!’’

Sì, sì, dovevo respirare, dovevo resistere per tutti loro, per il mio bambino. Non volevo cedere, non potevo tradire il patto con Drakon, dovevo dar tempo per riuscire a farmi diffondere il veleno nel sangue. E volevo vedere il mio bambino, questo mi diede la forza per respirare ancor più energeticamente, tanto che il cuore iniziava a superare il battito regolare.

Un altro schianto dentro di me, urlai. Poi capii: tra il dolore vidi le more che si estendevano sulla forma rotonda della pancia, e poi un'altra fitta verso il fianco destro dove ora si stava formando un’altra mora: era il bambino che si faceva spazio oltre la sacca per uscire da me.

“Addormentagli le gambe e le braccia’’, ordinò prontamente Alucard a papà mentre mi studiava la pancia, e guardava me.

I denti di papà mi strappò la pelle dalle gambe e dai bracci, così veloce che i miei occhi appannati non riuscivano a capire i movimenti, sentii solo dolore e un attimo dopo non mi sentivo più gli arti. Mi trovai immobile soltanto di quello, ma il busto continuava a gonfiarsi e appiattirsi disperato.

“Aiutala, Alucard, aiuta il bambino’’, disse Louis che mi stringeva la mano sinistra.

“Gli farei del male….’’

“Il bambino soffoca, Alucard, il cordone si è attorcigliato nella pancia’’, urlò Drakon.

Capivo quella cosa significava: il mio bambino mi stava morendo dentro. Non si meritava questo, non lui. tra i due ero io quella che doveva morire, che aveva rischiato la vita per lui non lui per me; mi dimenai nel letto cercando di parlare, di fare un cenno ma non riuscivano a capirmi. Sudavo, la mia faccia era una smorfia di dolore, versavo lacrime che scottavo, era come una maschera di una tragedia sul palco.

Guardai i due vampiri. “N-no! Tiratelo fuori….Vai, vai! Tiralo fuori! Aiutalo!’’, urlai.

“Vai, Alucard, io sono pronto per diffondere il veleno!’’, avvertii Drakon.

Era uno scambiarsi di sguardi e di decisioni. Dunque era così che si era sentita mia madre, quello che aveva provato, quello che aveva sofferto per causa mia. In parte mi sentii contenta per sapere che non ero stata l’unica a patire tutto questo, in un’altra parte dispiaciuta, se fossi stata solo umana….

“Che fai?’’, chiese disperato Louis, lo vedevo tremare, piangere.

Alucard intanto aveva scoperto i denti, quest’ultimi si iniziarono ad allungare. “Devo stare molto attento, non posso ucciderli, dammi tempo Drakon’’, disse lui, mentre con lo sguardo non si staccava dal pancione.

“Che….?’’

“Alu…card!”, lo chiamai. Subito colta da un attacco di panico. “Aspetta, aspetta! Il bimbo…..Ah!’’, nel momento stesso i denti del bambino si affondarono dentro la mia carne. Un secondo dopo Alucard abbassò la testa e aprii la bocca.

Verso la parte del ventre, dove il gonfiore della pancia martoriata non mi permetteva di vedere niente se non altro il capelli di Alucard, sentii un dolore ancora più grande, poi uno strappo che mi lacerò. Le mie urla si sparpagliavano per tutta la stanza, e forse anche fuori dal castello, sbattei la testa all’indietro, lacerando un urlo che pure a me mise i  brividi. Nella bocca assaporai l’odore ferreo e dolciastro del sangue: mi ero morsa per sbaglio la lingua, nel trattenere un altro grido sputai controvoglia il sangue, quando tentai anche di stringere i denti.

Riaprendo gli occhi più opachi di prima, vidi Louis voltarsi per non vedere quello che Alucard stava facendo al grembo. Vidi la sua testa alzarsi appena e poi riabbassarsi per trasmettermi un altro strappo, un altro dolore, dai lati della pancia vidi un liquido rosso scuro, quasi nero, che usciva da qualche parte della voragine. Poi i suoi denti si fecero più affondo nella carne, fino a scavarmi l’ultimo muscolo rimanente del torace, era un contrarsi tra il bambino e il papà. Era qualcosa di bello ma profondamente doloroso, e animalesco.

I denti non terminarono di torturarmi perché iniziò perfino a mordermi da altre parti, in più c’era il bambino che lottava contro la morte come me e tentava di chiedere aiuto al padre. Un altro strappo, di gran lunga molto più grande, che si ripeté per altre tre volte. Niente servirono le mie urla per fermarlo, nemmeno i miei tentativi per supplicarlo, si era trasformato in un animale che squarciava la preda.

Non riuscii a contare le volte in cui il mio corpo subii in continuazione i suoi morsi e quelli del piccolo, mi sembrò essere passate ore, finché non iniziai ad adattarmi a quei dolori.

Decisi di soffrire in silenzio, anche se mi lamentavo, consapevole che prima o poi sarebbe finita, che tutto sarebbe terminato e lo avrei visto, il mio compito intanto era quello di continuare a respirare, di ordinare al mio cuore di non fermarsi, di pregare per continuare a resistere.

Inclinai la testa sul cuscino, e chiusi gli occhi, ignorando con coraggio il dolore continuo nel corpo; la mia testa era tutto un sudore, i capelli umidi, unti e il cuscino bagnato da mille lacrime. Nella stanza non si sentiva altro che un rumore strano di carne, qualcosa di viscido che si sfregava con qualcos’altro di viscido e liquido, poi sentii il tipico sorriso angelico di Alucard, Drakon e Louis voltarono lo sguardo.

Nel momento stesso in cui nella stanza non sentii più alcun rumore compresi che la tortura era finita. I morsi non c’erano più, solo la loro impronta e un incessabile dolore. Poi un pianto stridulo, un lamento, e un nuovo profumo di sangue e cuore vitale.

Aprii gli occhi, la vista fu più chiara, tutti erano voltati verso quella cosa che si muoveva tra le braccia di Alucard, era sporco di sangue e si contorceva. Era il piccolo corpicino di un neonato: il mio bambino.

Possibile che era così vero? Possibile che poteva essere così bello? Riconobbi me nel viso: forma a cuore e un po’ cicciottello, naso piccolo e all’insù, capelli ondulati, color rosso-castano chiaro, riuscivo ad intravvederli pochi oltre la testa sporca di sangue, le labbra carnose e piccole, la pelle un po’ più pallida eppure il suo cuoricino batteva. Ne valeva la pena aver sofferto così tanto, avevamo generato una creatura così bella. Solo i suoi occhi mi lasciarono a desiderare: non erano marroni come i miei o come quelli di Alucard, era un verde chiaro, tipo color bottiglia, ma la forma a mandorla e la minima grandezza era uguale a quella degli occhi di Alucard, e i miei.

La sua bellezza non era uguali a quella dei bambini, era tipico di un angelo, era bellissimo, non conoscevo altre parole per definirlo. Ce ne sarebbero state così tante che non saprei elencarne quante.

Sorrisi, colta dalle lacrime di commozione, respiravo affondo per la stanchezza. Ero felice, mi trovavo oltre la beatitudine, ogni sforzo era stato superato, ogni dolore stava svanendo pian piano. Raggiungevo la freschezza e la libertà vedendo quella creatura fra le braccia del vampiro.

Alucard sollevò appena mio figlio per mostrarmelo bene, ma io lo vedevo già. Non sembrava nemmeno reale, sembrava un sogno, ogni secondo che passava tenevo di perderlo.

Il bambino si lamentò appena sentii di essersi mosso, poi volse i suoi colore verdi contro i miei.

“È Gioiella’’, disse Alucard, sorridendomi.

Era una femmina, una bellissima bambina, un angioletta, era il mio gioiello. Il nostro tesoro che avevo tenuto in grembo, la mia vita. Gioiella: era un nome degno di lei. Il tesoro più prezioso che avevo al mondo.

“Voglio…la voglio tenere’’, soffocai, a ogni respiro.

Louis immediatamente fece spazio ad Alucard, barcollando verso il posto in cui prima si trovava il mio compagno, lui e Drakon osservavano la meraviglia che Alucard mi stava per mettere accanto. Me la appoggiò delicatamente sopra il petto, tenendosela sempre tra le sue mani per paura di lasciarla, e la bimba appoggiò la sua testolina sulla mia spalla. Sentivo il suo profumo sfizioso del sangue e del cuore, vedevo le sue guance rosee, il suo odore conteneva le stesse pietanze di Alucard. Gioiella mi sorrise, mostrando le fossette, i denti erano precocemente cresciuti e splendenti nelle gengive, i canini avevano due piccole punte affilate. Se erano quei canini a mordermi dentro non potevano essere che carini ed innocenti anche se- in un certo modo- assassini.

“Gio…Gioiella. Amore, sei….un angelo’’, sussurrai alla piccina. E il sorriso di Gioiella si allargò facendo sorridere anche me.

“Alexia, ti assomiglia’’, mormorò la voce impaziente e affascinata di Drakon.

“Gioiella’’, risposi. “È così….perfetta’’

La manina della bambina si posò sulla mia gola, solo per caso, i suoi occhi si concentrarono sui miei immobili. Ne vidi un ricordo, quello che il suo potere sapeva fare, era un momento svolto al futuro: vidi me, pallida come Drakon, bellissima ma senza vita, distesa su una bara, con Alucard accanto che mi contemplava addolorato, inginocchio davanti alla bara che mi teneva la mano morta, Drakon aveva la stessa espressione del figlio adottivo, con la mia Gioiella in mano dentro una coperta di lana bianca.

Poi la visione scomparve dalla mia vista, e gli occhi di Gioiella ritornarono a muoversi. Scioccata, compresi quella che la bimba mi voleva dire: stavo per morire, il respiro si indeboliva, il dolore debole alle costole non permetteva ai polmoni di gonfiarsi d’aria, e la voragine alla pancia continuava a sanguinare fino a sporcare mezzo letto.

Mi girai lentamente verso mio padre, perfino girare il volto era uno sforzo enorme, sentivo ora il cuore rallentare il battito insieme al respiro che si faceva più fine.

“Papà….aiutami’’, supplicai.

Drakon mi guardò spaventato, aveva capito. La bambina scomparve subito dalla mia vista, non c’era più il suo peso a riscaldarmi il busto, era come se mi avessero strappato la vita. La cercai con gli occhi, ma non la trovai. Sentii solo dei passi.

“Portala via, vai fuori’’, ordinò Alucard, e poi altri passi più veloci si allontanarono. La porta si aprii e si richiuse più velocemente, Gioiella scoppiò a piangere, le sue urla stridule, dopo che la porta si chiuse non la sentii più.

Un silenzio surreale, rivolevo la mia bambina, doveva riportarmela indietro, senza di lei era difficile andare avanti: era la mia unica medicina per continuare a respirare. Non potevano portarmela via per sempre, era mia.

Alucard mi fu accanto un secondo dopo, vedevo il suo sguardo impaziente entrarmi nel più profondo.

“Gioiella’’, ansimai.

Mi accarezzò una guancia bagnata dal sudore e sangue. “È al sicuro, amore, è viva’’

“La…la voglio!’’, esclamai, scoppiai a tossire, mi uscii sangue dalla bocca, iniziavo a non respirare più. Ogni cosa sembrò pesarmi, perfino tenere gli occhi aperti, avevo bisogno di riposare.

“Dobbiamo pensare a te, adesso’’, insistette Alucard con tono implorante.

Ora anche Drakon era accanto a me, dall’altro lato del letto. “Guardami, Alexia, e dimmi se riesci a respirare’’

Feci tre respiri soffocati. “Un…un po’ ”

Drakon guardò Alucard, Alucard guardò me. Non li aveva mai visti così spaventati e agitati, il tempo iniziò a volare.

Poi Alucard guardò Drakon deciso. “Vai?’’

Uno sguardo di intesa. “Vado’’

Alucard ritornò a guardarmi, mi prese il viso fra le mani. Ormai, io, ero pronta a cedere, convinta che Gioiella se era salva poteva vivere tranquillamente senza di me perché ci sarebbe stato il suo papà, e Drakon gli avrebbe raccontato di me, Kate si sarebbe occupata di lei come una terza figlia perché era parte di me, e sperai che un giorno li avrei abbracciati tutti. Volevo solo dormire, solo scacciare via il dolore e la stanchezza.

“Ascoltami, adesso guardami e non staccare lo sguardo da me’’

“Sono…stanca, Alucard’’

“Non chiudere gli occhi, per l’amor del cielo, non chiudere gli occhi’’

Nello stesso istante i denti di Drakon affondarono selvaggiamente sulla mia gola, non riuscii nemmeno a supplicare ad Alucard di mettermi a dormire che lanciai un urlo agghiacciante. La sorpresa fu abbastanza forte da svegliarmi completamente.

Papà però non si azzardò a staccarmi da me, i suoi canini erano ancora nella mia carne, un secondo dopo sentii qualcosa di liquido e freddo scorrermi nelle vene, si sparse in tutto il corpo, mi venne i brividi. Di conseguenza provai qualcosa di piacevole. Non mi sarei mai immaginata che il morso del vampiro, in se per se, era l’atto più estasiante che ebbi mai provato, e l’unico mio reggimento era le braccia di papà con tutto quell’ondeggiare benefico.

Papà finalmente si staccò da me e mi guardò, le labbra sporche di sangue, una goccia gli scendeva lungo il mento, feci l’istinto di sorridergli per ringraziarlo del piacere che mi aveva dato. Ora mi sentivo molto bene.

Anche se….alcune cose non sono come ce lo aspettiamo, come volessimo che andasse: Alucard tempo passato mi disse che la trasformazione di un vampiro durava a seconda della dose di veleno che si era iniettata, e che era molto dolorosa nel momento in cui il veleno uccide ogni organo vitale presenti nel corpo.

Oltre all’estasi, un minuto dopo si aggiunse il caldo, piacevole anche esso, che a mano a mano si faceva sempre più caldo, pensai che in tal caso non ebbi più bisogno di una coperta per riscaldarmi. Immersa in quel caldo pensai alla pelle umana e profumata della mia Gioiella, e la ritrovai nella mia mente, più nitida di prima, fui talmente contenta di sentirmela accanto. Dunque era al sicuro, magari con mia madre e con Consuelo che la contemplavano in tutta la sua bellezza. Sorrisi rincuorata al pensiero.

Poi il calore si espanse fino alle unghie delle dita dei piedi, e mi riscaldò del tutto, fino a crescere d’improvviso. Prima lo potevo tollerare ora invece stava crescendo sempre di più, sempre di più, ed iniziò ad ustionarmi ogni cellula microscopica del mio corpo.

“Non basta, aiutami’’, disse la voce di Alucard che non riuscivo a trovare, ma la sentivo. I rumori della stanza si trasformarono in eco, disorientandomi, confondendomi su quale direzione proveniva. Non riuscivo più a vedere: era di nuovo buio pesto, nel momento stesso in cui il calore iniziò a diventare fuoco, riconoscevo solo le voci.

Nella parte ustionata del piede destro sentii una pressione tagliente, così allo stesso tempo nel polso sinistro, il liquido ghiacciato, proveniente nelle due parti morse, si diffuse in tutto il corpo risvegliandomi da un bruciore più grande. Poi mi morsero negli ultimi arti rimanenti, nelle mani, perfino vicino nella voragine sanguinante nella pancia. E il dolore cresceva, si faceva più fuoco. Divampò totalmente, mi trovavo in un camino acceso e lasciata ad incenerire.

Iniziai ad urlare anche se non riuscivo a trovare le labbra, ma urlavo. Oppure erano i lamenti soffocati nella gola a darmi questa sensazione? Ricordai che chiusi gli occhi e cercavo di addormentarmi sperando di dimenticare il calore, ma io ero sveglia e non stavo morendo.

Quel morso estasiante, quel liquido apparentemente innocuo e poi assassino….la risposta mi venne da sola: veleno. Ma Alucard non mi aveva mai spiegato che all’inizio fosse così piacevole. È insomma come una trappola: all’inizio è rinfrescante e rilassante, dopo pochi secondi ti fa capire il piano: ingannava la vittima, e inizi a provare il più atroce dolore che avessi mai provato.

“Perché non urla?’’, disse una voce in lontananza. Era Alucard. Volevo raggiungerla.

“Non temere, è sopravvissuta’’, rispose una voce più calma e profonda.

“Che facciamo?’’

“Aspettiamo’’

“Quanto tempo?’’

“Dipende da quanta dose di veleno abbiamo iniettato nel corpo’’

Le tenebre mi divorarono e la voce di Alucard scomparve perfino nei miei sogni più profondi, dimenticando la sua melodia.

Era troppo nero, così profondo che non riuscivo a trovarne un’uscita per quanto lottavo con tutta me stessa per cercarla. Non potevo mollare, sapevo che tutti mi avrebbero aiutata, perfino Alucard e Drakon, nessuno aveva gettato la spugna e nemmeno io. Louis se n’era sempre andato ma ritornava comunque, e sentivo che anche  ora mi aveva perdonata. Ora che il mio corpo stava cambiando, non dovevo permettere al dolore di farmelo schiacciare, dovevo andare avanti. Continuare a camminare.

Poi il caldo divenne troppo soffocante, mi incendiò ogni organo, faceva male. Trovai un rumore sordo, oltre le fiamme nel mio petto, era il mio cuore accelerato che lottava contro il fuoco. Non lo avevo mai sentito così vivo e perfetto, l’unico che all’improvviso mi facesse da sostegno contro quella tortura, avrei voluto soltanto afferrarlo tra le mani per salvare almeno qualcosa di mio dalle fiamme. Ma non riuscivo a trovare le mani, ne a muovere le dita o la bocca. Cercai di focalizzare un punto di appoggio per dimenticare l’inferno addosso a me, ma non lo trovai: non ricordai nemmeno il viso di Alucard. come se il veleno mi avesse esaurito ogni mia memoria, sarei stata in grado di ricordare la mia figlia una volta risvegliata?.

L’acqua del mare nel Boscosenzafine che mi affogava verso la sua profondità, non era niente al confronto che provavo. La mia bambina che si faceva spazio dentro di me squarciandomi l’intestino per trovare il padre, non era niente al confronto di quello che mi stava succedendo. Avrei dato tutte le mie costole spezzate pur di non continuare quella tortura, perfino avrei fatto mille analisi del sangue. Avrei donato ogni organo pur di uscire dal fuoco, e avrei detto cento volte grazie.

All’improvviso il fuoco divampò in tutta la sua intensità, e sperai di morire, di non lasciar esitare a colui che mi stava trasformando di nessuno secondo per farmi sopravvivere. Volevo che mi uccidesse, subito. Capivo di non potercela fare, ero troppo debole e stanca. Il corpo non sopportava il peso schiacciante del buio e il calore soffocante del fuoco. Desiderai urgentemente urlare ma non trovai le labbra. Volevo che sentissero quanto soffrivo, quanto ero debole e impotente, quanto desideravo morire.

Sapevo però che era inutile, ne avevo discusso milioni di volte con Alucard e Drakon quando…..non mi ricordai nemmeno il giorno, sembrava essere passato tanto tempo da quando il fuoco mi aveva posseduta. Ma capii che il veleno era non solo una medicina contro la mortalità, una sostanza assassina che ti uccideva dentro, ma anche un sonnifero in modo da addormentare il corpo e non permettere alla vittima di muoverlo nel caso in cui ci sia un disperato bisogno di emettere un gesto. Ma non pensavo che fosse così orrendo: non mi sarei immaginata che il veleno potesse avere così forza su di me da immobilizzarmi e imbavagliarmi, mi aveva trasformata in una statua mentre dentro bruciavo.

Non valeva la pena resistere a quel dolore, sapevo che tra i due avrebbe certo vinto lui, non potevo avergliela vinta; non i quella situazione. Non valeva la pena nemmeno di assistere a ogni battito del mio cuore, tanto sapevo che avrei ceduto e che si sarebbe spento prima che fosse stato il veleno ad ucciderlo.

Volevo morire, solo andarmene, sparire da quell’esistenza atroce. Avrei voluto essere mai nata, non essere io costretta a patire tutto quello. L’unica cosa che cambiò era il fuoco improvviso aumentare sempre di più, interminabile, sospettai che tra pochi secondi mi sarei trasformata in cenere. Dentro udii uno schianto, seguito da un altro simile e da altri quattro suoi gemelli, e il busto incendiato si allargò. La schiena di alzò dal letto e si modellò riposandosi poi delicatamente nel materasso, il veleno aveva dato una dose della sua potenza aggiustandomi le costole, poi la pelle nella zona perforata del mio corpo cominciò a stendersi, l’elasticità della mia pelle separata si distese e la voragine scavata con i denti si deteriorò del tutto, una fiamma passò per la via rossa di sangue unendola; la pelle ritornò alla sua forma normale e la mia pancia piatta come quella di una volta.

Ma la mia sofferenza non finì lì, il fuoco a ogni secondo esplodeva, mi inceneriva, lasciandomi inerme su quel letto di morte, in una solitudine che riuscì nemmeno a provarla in ogni istante della mia vita, non mi pare di aver mai provato una cosa simile in quei giorni. Mai. Sarebbe stata la prima e ultima volta.

L’agonia mi sembrò durare più di un eternità, soffrivo di quel fuoco, arresa, speravo di morire, tanto che pensai che fossero passati giorni o settimana dalla generazione dell’incendio. Da molto tempo mi trovavo immobile, ormai non contavo più i secondi del tempo per memorizzare i giorni, non avevo la capacità di ragionare e comunque anche se ci sarei riuscita non mi sarebbe servito granché. Poi successe una cosa strana, che pensavo non avrei provato, l’unica cosa che mi sarei aspettata era il buio eterni, e non ricordai quanto tempo passò da quel momento: incominciai a localizzare il tempo, mano a mano che il veleno si scioglieva i mi lasciava spazio alle forza del corpo, ma non osavo muovermi per paura che ad un mio gesto il fuoco sarebbe scresciuto di altri tre gradi, sentivo che ogni mio arto iniziava a riprendere la sua forza, e capii che era il tempo che indietreggiava. Prima o poi mi sarei liberata dal buio.

C’era una cosa che però non mi lasciava libera dall’immobilità del mio corpo: il fuoco che ancora mi governava, compiva il suo ultimo lavoro, soffocandomi sempre di più. Malgrado tutto, oltre questa insopportabile maledizione, ritornai a pensare, a ragionare. Capii il motivo per cui stavo lottando contro il fuoco, per aver tenuto duro nove mesi per una ragione soltanto, di quell’individuo che significava la mia felicità.

E mi aggrappai alla creatura che ora riuscivo ad ogni microscopico tempo di secondo recuperare nella mente i tratti del viso, l’unico mio salvagente per uscire dall’abisso infuocato. L’unica mia speranza e preghiera per liberarmi di tutto.

Mi feci forte, non so come volle la mia volontà, comprendendo che ero forte abbastanza, più forte di qualche essere umano, per restare immobile e lasciare che il veleno finisse il suo circolo.

L’udito si riprese da quel sonno immobile, le fiamme permisero di farmi sentire i rumori ma non diminuirono. Riuscivo a sentire i battiti apparentemente familiari e veloci del mio cuore, i respiri lenti che tossivo e soffocavo oltre i denti. Erano gli unici rumori vitali che mi rimanevano, grazie a loro potevo capire la condizione del tempo: come un orologio. Poi ecco altri rumori, provenienti da un altro mondo e non dentro di me: respiri, battiti, parole. Rumori che provenivano intorno al mio corpo martoriato, lontano dal letto a parte uno, mi concentrai su di essi calcolando con precisione quanto mancava per uscire da quell’inferno.

E divenni, a ogni secondo infuocato, sempre più forte, i muscoli si modellavano di un’energia pura mai sentita, i pensieri più chiari. Ora riuscivo a capire ogni cosa, anche i passi veloci e lenti delle creature intorno a me, ne sentivo il nervosismo, l’impazienza, la paura.

Una pressione potente mi strinse la mano infuocata e me la sollevò appena. Avrei voluto sentire la sua consistenza, ma il fuoco che governava il corpo immobile non mi dava ancora la possibilità di percepire ogni consistenza al tatto, nemmeno se era caldo e freddo. Era un’ingiustizia non riuscire a sentire nemmeno un minimo di freschezza.

“Allora?’’

“Niente, vorrei solo che aprisse gli occhi’’

“Non dare fretta al tempo, il momento giusto verrà da se’’

“È da più di una settimana che è immobile in questo letto, non riesco ad essere più paziente di così’’

“Nel suo organismo abbiamo iniettato troppo sangue per trasformarla’’

“Alexia, tesoro mio? Riesci a sentirmi?’’

Avrei voluto rispondergli, come non riuscire a rispondere a quella voce? Anche se sapevo che se avrei mosso le labbra il fuoco mi avrebbe di nuovo incendiata, forse avrebbe perfino incendiato la mia cenere, lasciando nemmeno la polvere sopra il piumone del letto, intuivo che se avrei stretto un pugno, mosso un dito oppure sollevare un lato delle labbra….significava tornare legata nel rogo per la seconda volta, ricominciare tutto da capo da quando il veleno mi aveva posseduta.

La pressione passò alle mie dita, divenne più leggiera, poi la mia mano fu rimessa sopra la coperta. Un sospiro contro la mia pelle incendiata.

“E se abbiamo sbagliato qualcosa? Forse….’’

“No, Alucard, guardala, ti pare un errore il nostro?’’

“Ma è così immobile’’

“Si trova in agonia, il dolore è stato troppo forte per lei’’

“Dovrebbe muoversi, aprire gli occhi, ma….è troppo ferma, nemmeno io sono stato così immobile la prima volta. Sento che è troppo tardi’’, la sua voce smorzata. “Forse ha ceduto prima che il veleno ha compiuto il circolo. Ci sono vittime che muoiono prima della trasformazione completa”, la sua voce si spense sulla parole ha ceduto.

“Questo non è il suo caso, figlio. Senti il suo cuore, batte ed è ancora e vitale, come puoi dirmi quindi se è morta se il cuore si fa sentire? Perfino lei lo sente. Tranquillo, e smettila di lamentarti, Alexia si risveglierà più fresca e agile di quanto non lo sia mai stata’’

Forse aveva ragione la voce, non bisognava preoccuparsi di nulla, c’avrebbe pensato quell’individuo a tranquillizzare Alucard. Era meglio non sentirsi in colpa e concentrarsi sull’immobilità.

“Il veleno ha ricongiunto la scavatura nella pancia’’

“Sì, ha eseguito il suo compito, perfino le costole si sono ricongiunte’’

In parte mi sentivo felice sapendo che una volta risvegliata non avrei vacillato o barcollato come uno zombie. Il fuoco ancora non decideva a placarsi nemmeno di un grado, da un lato però sentivo che ero in grado di provare qualsiasi sentimento, per ricordare momenti passati, sapori che avevo già provato, e finalmente nella mia testa si fecero spazio visi di cui ricordai i nomi, momenti passato trascorsi insieme a loro, sia felici che brutti. Ricordai perfino un altro viso, indefinito ma anche chiaro, coperto da macchie rosse che mi sorrideva; la trovai finalmente la mia ragione per sopportare le lingue di fuoco, riconobbi i tratti della mia bimba. La mia Gioiella.

Risentivo della sua presenza, perché non era lì? Doveva l’avevano portata, chi la teneva fra le braccia e la ammirava? Provai un senso di rabbia e di gelosia sapere che ero l’unica in tutto quelle persone da non aver avuto l’opportunità di cullarla fino al tramonto, vederla dormire e piangere.

“Drakon, in questi otto giorni non ho avuto tempo di ringraziarti per il coraggio che hai avuto per salvarla’’

Ora catturavo con precisione quella presenza accanto a me, mi sfiorava le gambe, anche se non riuscivo ancora a percepirne la consistenza, capivo che c’era Alucard e attendeva il mio risveglio da otto giorni. Ero in colpa per non essere stata così forte al dolore per velocizzare i tempi, anche se infondo non era questione di forza ma di sopravvivenza.

Dopo dieci minuti di tempo si fece largo un rumore di passi più leggeri, un battere di cuore frenetico, il respiro pesante….per paura, penso. I passi si avvicinarono al letto.

“Consuelo, che ci fai qui?!’’, la rimproverò Alucard.

Consuelo? Oh no, se mi fossi svegliata d’improvviso l’avrei assalita. Non poteva restare lì, era troppo piccola per assistere ad una trasformazione di una vampira. Chissà poi com’ero ridotta.

“Non posso stare sempre nella stanza e fare come se non fosse successo nulla, posso rimanere qui?’’

“I tuoi genitori lo sanno?’’

“Ehm…’’

Drakon e Alucard sospirarono. “Sei proprio coraggiosa, come Alexia. Anche se, come lei, avvolte sei….un po’ cocciuta’’, disse incerto Alucard, trattenendo con le labbra una risata.

Ehi!

“Ehi!’’, esclamò Consuelo offesa. Se non altro, partecipava insieme a me.

“Sì, sei cocciuta al solo pensare che puoi rimanere se quando Alexia si risveglia la sola e unica cosa penserà è il sangue’’

“Mi pare che la cosa più importate di lei sei tu, ha sempre pensato a te e sempre ti penserà. Non sei volato nella sua mente come fumo nell’aria, perciò se pensa anche te avrà un pizzico di buon senso per pensare a me. Per cui resto ’’

“Coraggiosa’’, disse Drakon sorridendo.

Alucard sospirò, era un suono diverso: mi trasmetteva felicità. “Va bene, non ci pensiamo più per ora’’.

“Ehi, è bellissima’’, esclamò affascinata la bambina.

“Lo è sempre stata’’, corresse Alucard.

“Sempre cocciuto, eh? Intendo più bella di prima’’

Dovrebbe consolarmi? Be’…in un certo senso sì, quello che mi fece capire era che non ero un pezzo di carne arrostito come mi immaginavo.

“Pensi che si ricorderà di me?’’, chiese poi un po’ malinconica.

Colsi il rumore di una mano che accarezzava la testa di Consuelo “Non si è scordata né di te né di tutti noi’’.

Il rumore si un sorriso.

“Gioiella?’’, chiese Alucard.

“Dorme, dopo aver bevuto un po’ di latte, ma però l’ha vomitato un pochino’’

“Sintomi vampireschi’’, giustificò Drakon con un sospiro.

Gioiella era qui, nel castello? Dove, in quale stanza? Sentire il suo nome mi diede tanta speranza: era viva, non era scomparsa, e l’avrei rivista e anche felice perché la stavano nutrendo.

Di botto, il silenzio apparente della camera si fece sentire. Avrei voluto che continuassero a parlare, tanto per sentirmi in compagnia. Oltre il fuoco, decisi di espandere il mio udito fuori di dal castello. Non ero più la mezza-vampira di una volta, ora i miei sensi –alcuni- erano più sviluppati.

Riuscivo a sentire il rumore debole del fuoco acceso nel camino che sfioravano l’aria, il vento che muoveva le tende e che smuoveva le foglie degli alberi, ora li sentivo più vive e da vicino, non come prima che localizzavo i rumori esterni della natura più lontani da me. Ora ogni rumore che proveniva oltre il castello li sentivo come se fossero dentro la stanza. Come se quel luogo avesse risucchiato ogni rumore e suoni, odori, parole, del mondo. Immobile dalla sofferenza, riuscivo a sentire la vita di Solemville che si muoveva. Perfino se allungavo l’udito verso Boscosenzafine percepivo il rumore delle onde perpetuamente mosse e violente del mare, passi felini e veloci di Garret, gli zoccoli dei cervi. Ascoltavo, affascinata, ogni cosa quello che il mio udito da mezza-vampira prima non era riuscito a percepire, era strano e meraviglioso.

Dopo aver esplorato la natura, non molto interessante di quello che succedeva dentro, sapevo che non poteva liberarmi dal dolore, quindi decisi di ritornare a contare il respiro delle creature intorno a me.

Perfettamente mezz’ora dopo il dolore cambiò: iniziai a sentire la freschezza, partiva dalle punta delle dita dei piedi e cresceva lentamente ad ogni piccolo tempo che componeva un secondo. Lentamente, però, anche se era sempre un buon segno. Un quarto d’ora dopo, ecco che il dolore stava per lasciarmi il corpo, lasciando che il fresco ebbe la meglio sulla pelle.

Una cattiva notizia: il fuoco intorno al cuore era più caldo e le sue pulsazioni, già abbastanza veloci, raddoppiarono il ritmo talmente tanto che non riuscii a calcolarne le volte in cui si fermava e ripartiva, sembrava un secondo soltanto interminabile. Intanto il fuoco sull’esterno del corpo mi lasciò felicemente liberi le mani, le braccia, i piedi e le gambe. Duecentoventisei secondi e mezzo dopo mi lasciò libera la testa, il busto e si concentrò sul mio cuore. Come se le pulsazioni risucchiassero il calore e il cuore fosse l’origine di tutto, o l’incontrario: come se fosse il cuore ad attrarre il fuoco proveniente dai morsi che mi procurarono otto giorni fa.

Il respiro di Alucard si stoppò. “Drakon, senti ’’

“Sì, lo sento anche io, è quasi finita’’, accordò calmo Drakon mentre Consuelo diceva: “Cosa?’’

“Consuelo, fammi un piacere: chiama gli altri…’’

“Porto qui anche Gioiella?’’, disse eccitata la bambina.

“Sì, porta qui anche Gioiella per favore’’

Il mio cuore iniziò a battere più forte, solo per mia volontà. Emozionata nel rivedere il mio angelo, feci il gesto di muovere la mano. La camera divenne improvvisamente silenziosa, solo il tamburellare veloce del mio cuore lo rompeva, e i due vampiri smisero di respirare per mezzo minuto.

Alucard mi strinse la mano. “Amore, Alì, mi senti? Non ti preoccupare, presto il fuoco andrà via’’

Era l’unica consolazione con cui avrei potuto aggrapparmi in quell’arco di momento incessabile, giusto per non cedere, per non mollare ora che la fine si avvicinava. Mancava poco, me lo sentivo.

Il cuore incominciò ad martellare ancor più veloce, ustionandomi il petto, sembrava volermi spezzare le costole proprio ora che il veleno le aveva guarite e uscire dal petto; sembrava una crociata, così lenta da ingannarmi improvvisamente sul tempo: il cuore stava vincendo, la sua potenza prosciugò tutto ciò che rimaneva del fuoco, fino all’ultima fiamma. Poi innescò il colpo definitivo: il cuore produsse un battito più potente e forte da espandere il calore in tutto il corpo, quest’ultimo si disciolse radicalmente fino a lasciarmi quell’ultimo istante di mezza umanità. Poi l’organo vitale mi diede il suo profondo addio: emise tre battiti deboli, poi un battito sordo. Silenzio.

Niente, dentro di me non c’era nessun suono o rumore. La vita mortale mi aveva lasciata, ora era mio compito attraversare quella immortale. Fuori non sentivo alcun respiro, nemmeno il mio nonostante fossi da una vita consapevole che potevo respirare a mio piacimento. Restai ancora qualche secondo immobile, sicura che il dolore mi avesse abbandonata, giusto per approfittare la nuova freschezza.

I passi umani che avanzarono nella camera si fermarono intorno al letto, erano accerchiati intorno a me, quel silenzio familiare mi indusse di alzare un lato della mia bocca a mo’ di sorriso, e i tre battiti cardiaci dei tre umani si fermarono per un secondo sorpresi.

Nel silenzio della camera riuscii a captare il suono di un lamento appena accennato, fine, sottile. Il lamento di un neonato.

Aprii automaticamente gli occhi, confusa.

 

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Capitolo 24
*** La vita eterna ***


Capitolo 23 
Sembrava tutto più chiaro, preciso, eppure ero sempre io, anche sotto una forma diversa. Erano solo i sensi più sviluppati a precisarne il  cambiamento. Non mi ero mai resa conto di quanto la mia vista in passato fosse stata un pochino più scarsa: se prima potevo vedere la ruvidità della vernice ora potevo vedere oltre: i piccoli corpi colorati e ammucchiati fra di loro di cui non ne sapevo l’esistenza e non ne sapevo dare un nome preciso, il fuoco ora potevo penetrare oltre la fiamma notando un mantello di luce d’orata che si muoveva sensuale tra il calore delle altre lingue di fuoco, vedevo le cellule del corpo umano, se preferivo allungare di tre gradi la vista notavo i muscoli interni, volendo anche le ossa; dei piccoli granelli di polvere, che si alzavano nella stanza compiendo una danza incessabile, ora riuscivo a studiare la sua consistenza rotonda, ruvida e screpolosa. Era tutto così approfondito, vedevo la realtà come dovevo vederla una vita prima.

I miei occhi si concentrarono finché non incontrarono quelli rossi di un ragazzo: identico a me, familiare, bellissimo.

Mi ci volle qualche secondo per ricordare il suo nome, era diverso perché lo guardavo con occhi diversi. Ma era sempre lui: il mio Alucard.

Stava lì seduto accanto al mio fianco, mi reggeva una mano perfetta e diafana. Non l’avrei riconosciuta se non fosse stata attaccata al mio braccio, intanto lui mi guardava con interesse, devozione. Sembrava sbigottito, oltre quegli occhi sorridenti.

Gli altri erano più sorpresi e sopraffatti di lui, ma non feci caso a loro. Rimasi a guardarlo, interessata anche io, sfiorai la pelle liscia e perfetta del suo braccio, era la prima volta che stringendo il suo braccio sentivo la pelle più morbida e calda. Mi sembrava di vivere in un sogno, tutto era così perfetto.

Istintivamente, gli attirai il braccio velocemente verso di me e lo strinsi tra le mie braccia, non mi meravigliai se gli stessi gesti velocemente disumani erano quelli di un anno fa: il movimento venne prima che potessi pensare di agire. C’era soltanto una differenza: Alucard non si aspettò del mio gesto.

“Alexia, premetto che sei nata un’altra volta’’, soffocò.

Lo lasciai immediatamente, spaventata e sorpresa: essere nata un’altra volta significava avere acquisito più energia di quanto non l’avessi in precedenza, perché era lui ad essere più forte di me. Adesso, invece….

“Oh, scusami’’, dissi. Un secondo dopo ero lì a guardarlo più spaventa di prima, che cosa mi era uscito fuori? Non sembrava nemmeno la mia voce di prima, era più melodiosa e con un tono più alto. Certo, prima la mia voce era umana, ora ero una vampira in tutto e per tutto. Provai un grammo di tristezza nella mancanza della mia vecchia voce goffa e umana.

Alucard rise sotto i baffi come Drakon dietro di lui. “Non temere, amore, sei cambiata in quella metà di mortalità che avevi prima’’

Che avevo prima, ed ecco un altro groppo in gola. Mi sarebbe mancata la mia vecchia parte, era stato uno sforzo enorme quello di rinunciare alla mia vita da Sanguemisto, ora mi sentivo una Mezzosangue-Purosangue. Forse se ci pensavo ero quello che ero ora.

Guardai Drakon. “Come….’’, studiai per una frazione di secondo il tono melodico della mia voce, prima di ritornare a parlare. “Come hai fatto a trasformarmi?’’, chiesi.

Sorrise compiaciuto. “Come avete fatto: vorresti dire’’, precisò, guardando il figlio di fianco a me. “Prima che ti spegnessi ti ho morso, ricordi?’’

Mi sforzai mentalmente per far affiorare un ricordo della mia trasformazione. “Ehm….ricordo solo che Alucard mi ha ordinato di guardare solo lui, poi ho sentito il dolore del tuo morso, e un liquido freddo mi è entrato nel corpo per poi trasformarsi in fuoco. Mi ricordo che dopo vedevo solo buio e poi….poi il fuoco è cresciuto. Ho sentivo poi altre quattro o più volte il liquido freddo che poi si trasformava in fuoco. E stavo bruciando, il cuore mi batteva forte e non riuscivo a respirare. Non vedevo altro che il buio e sentivo il dolore del veleno ’’

Mentre gli spiegavo la mai sensazione e quello che avevo provato, vedevo gli occhi si tutti serrarsi stupefatti, compresi quelli di Drakon che soprattutto mi sorrise. “Incredibile, nemmeno io mi sono mai ricordato del dolore della mia trasformazione, questa cosa della memoria è stupefacente’’, disse allargando le braccia.

“Ma…ricorderò tutto?’’, chiesi incerta.

“Che ti ricordi?’’, mi chiese d’improvviso la voce squillante di Consuelo, stava accanto a mamma.

Gli sorrisi. “Mi ricordo di te, di Alucard, di Drakon, di Hendrik, dei miei amici, di Louis….’’, mi fermai improvvisamente stupita. Tra i volti che conoscevo non c’era Louis.

“Dov’è Louis?’’, chiesi ad Alucard.

La sua mano calda e bianchissima mi accarezzò la guancia. “Non è potuto restare molto. Ogni giorno veniva qui per vedere come stavi ma ti trovava sempre distesa e immobile’’

“Ha perfino telefonato due ore per sapere come stavi ma gli abbiamo ripetuto la stessa cosa ’’, lo precedette Hendrik.

Avrei voluto tanto versare qualche lacrima, dimenticandomi che ero una morta vivente. “Se n’è andato, non vuole più vedermi’’, mormorai.

Alucard mi posò teneramente la mano sopra la mia spalla. “Tesoro, ti assicuro che non è così. È soltanto triste, tutto qui, vedrai che ritornerà’’

Ma quel ritornerà lo sentivo lontani tanti miglia, sarebbe passato molto tempo prima di riuscire a rivederlo. Chissà forse mi sarei dimenticata di lui troppo in fretta.

“Non ti preoccupare, verrà’’, mi rassicurò a sua volta Drakon. L’ultimo tentativo mi diede un pizzico di speranza. Un pizzico però.

Sorrisi appena. “Vi ringrazio, non riesco a credere che sono ancora qui’’, ed era vero: nonostante il dolore, nonostante il desiderio di morte ero lì, distesa su quel letto che ora era messo in ordine, con le coperte piegate e i cuscini al loro posto, quella precisione mi fece sentire la regina del castello.

“Nemmeno noi riusciamo a credere che avevi ragione tu: a quanto pare c’è una piccola possibilità che i mezzi-vampiri si possono trasformare’’

“Quindi….per ora sono una Mezzosangue?’’

“Sì, per ora sì. Fra dieci anni ti potranno chiamare un Purosangue’’, rise sotto i baffi.

“Bene…questo soprannome mi piace molto’’, non ricordi una volta che il nome di Purosangue mi aveva affascinata ma supponevo di sì.

Tra il silenzio improvviso della mai famiglia, tra i sorrisi e gli sguardi interessati, riuscii a sentire un movimento sottile, un brontolio fine e acuto. Proveniva da mamma. Mi girai verso il rumore, prima non mi resi conto della coperta gonfia e bianca che sorreggeva, forse perché la sua maglia era compatibile con essa, ed ora la vedevo muoversi appena. Mamma sollevò appena la copertina gonfia che si muoveva e l’indumento si fece ancor più notare, era un lamentarsi continuo.

Mamma sorrise guardando la creaturina che si muoveva tra le sue braccia, oltre l’indumento bianco riuscii a notare una manina rosa che si alzava verso il viso della donna, Consuelo si era allungata con il collo per vedere la mano della creatura insieme a lei.

Allo stesso tempo, eccomi in piedi sul pavimento, a studiare il comportamento delle due femmine. Mi avvicinai lesta a loro, mamma appena mi vide allargò il sorriso e strinse un po’ di più a se la creaturina coperta.

Alucard era accanto a me, mi sorrideva per incoraggiarmi. “Kate, lascagliela prendere’’, ordinò dolce il mio fidanzato.

Mamma fece l’occhiolino a lui e poi ritornò a contemplare l’ultima volta la creaturina che si lamentava. Ora si poteva vedere due manine.

Le braccia di Kate si allungarono attentamente contro le mie e io mi preparai ad afferrare la creaturina che si muoveva. Il corpicino era caldo, riconobbi la familiarità del suo viso con il mio, la forma degli occhi uguali ai miei e quelli di Alucard, l’iride di un colore verde chiaro. L’avevo già vista, almeno così pensavo, eppure ero così affascinata della sua bellezza c0me se fosse la prima volta.

La sua pelle era rosea, le guance più rosse della pelle e paffute, il sorriso evidenziava le fossette, i capelli ricci e castani erano appena cresciuti tutta la testa. Gioiella era meravigliosa, come la prima volta, e quasi irreale.

                                                  

Quella creaturina calda era mia figlia, quell’angelo che avevano chiamato “assassino” o “cosa” era mio e di Alucard, non mi sarei immaginata che i figli dei vampiri fossero così belli. Eppure ero io stessa figlia di un vampiro, e non mi ero mai sentita oltre la bellezza come la figlia che tenevo in braccio. Non mi sentivo affatto gelosa, più che altro orgogliosa di me stessa per aver lottato contro le pene dell’inferno solo per rendere la vita alla bambina.

Istintivamente, accarezzai la manina di Gioiella, e lei mi sorrise ancor di più mettendo in mostra i dentini bianchi e splendenti. Le sue dita si attorcigliarono sul mio annullare e i suoi occhi penetrarono sui miei.

Allo stesso tempo dalla mia mente emerse un ricordo spaventoso: ero io con un viso irriconoscibile, una smorfia di dolore e allo stesso tempo meraviglia, sporco di sangue e sudore, poi la mia bocca lanciò un sussurro: “Gio….Gioiella. Amore, sei….un angelo”, un sorriso appena pronunciato. Ricordai perfettamente quel momento, in quel momento il dolore si era spento nell’istante in cui la vidi muoversi. L’avevo tenuta in braccio, e avevo contemplata il suo bellissimo visino. Poi il ricordo scomparve, si offuscò fino a formarne un altro: ero sempre io, ma immobile, nemmeno un segno vitale trasmetteva il mio corpo spento mentre assumevo un lenta trasformazione che bruciava all’interno.

Poi il ricordo svanì, questa volta definitivamente, e i nostri occhi si guardarono sorpresi e confusi. Gli occhi verdi di Gioiella mi guardarono incuriositi.

“Alucard….ho visto….’’, mormorai ancora scossa.

Alucard era intanto accanto a me e studiava sua figlia. “Che hai visto?’’

“Mi ha fatto vedere io, prima sembravo orribile poi ero….bellissima’’, l’ultima parola mi costò un sussurro appena pronunciato. Quanto ero cambiata durante la trasformazione?.

“Ti ha mostrato il primo ricordo che le rimane di te, lo ha mostrato a tutti tranne a te, aspettava che ti svegliassi’’

Lo guardai meravigliata. Ricordai improvvisamente tutto. “È il suo potere’’

Sorrise. “Sì, vedo che ti ricordi’’

Se avrei avuto la possibilità di arrossire, lo avrei fatto. “Mi ricordo tutto’’

La bambina emise una risatina stridula, mentre mi sorrideva e stringeva ancor di più l’anulare della mia mano, per farmi capire che anche lei era felice come il papà della mia lunga memoria.

“Sì, tesoro mio, anche io sono felice’’, risposi, dandole un bacetto sulla fronte morbida e calda.

Allo stesso tempo si avvicinò Consuelo per sbirciare. “Posso vederla?’’

Piegai appena le gambe per fargliela vedere, Gioiella sorrise a Consuelo non appena i loro sguardi si incontrarono, la manina della neonata passò alla guancia della mia sorellina e le loro espressioni furono fermi come la mia di qualche minuto. Attendemmo in silenzio finché non vidi Consuelo scoppiare a ridere.

Mi raddrizzai, cullando Gioiella. “Che ti ha detto?’’

“Mi ha fatto vedere quando beveva il latte dal biberon. Devi vedere la sua faccia nel momento in cui gli mettevano il biberon vicino alla bocca: fa una faccia che mi viene da ridere’’

“Come mai?’’

“Anche i nati vampiri chiedono reciprocamente sangue, come era successo ad Alucard, come se fossero una loro medicina, del resto possono ancora tranquillamente mangiare cibo umano ’’

Alzai un sopracciglio. “Ah’’

“Non te lo ricordavi?’’

“Penso di no’’

Mamma mi venne incontro e mi cinse una spalla. “Recupererai tutti i ricordi perduti più avanti, tesoro, non te ne preoccupare per ora’’

Sentivo che affondo avevo ragione, avevo l’intera eternità davanti, di cosa dovevo preoccuparmi? Ritornai a guardare Gioiella, le sue palpebre iniziarono a cadere, mentre la cullavo. Ora erano tutti attorno a me soltanto per contemplare la mia bimba. Vidi le dita di Alucard accarezzare la guancia cicciotta di Gioiella prima che quest’ultima si addormentasse fra le mie braccia, il suo corpicino ora si era rilassato emanando un calore addosso al mio petto che mi procurò piacere.

“La mia bellissima bambina….’’, cantai piano. Qualcosa mi diceva che se mi iscrivevo ad una gara di canto vincevo di sicuro. Sarei diventata una miliardaria.

“Credi che sia l’unica ad essere bella in questa stanza?’’, mi interruppe Alucard.

Incontrai il suo sguardo seducente. “Che?’’

Storse le labbra. “Non ti sei accorta che sei di una bellezza mozzafiato?’’

Lo guardai torva, palesemente incuriosita. “Dovrei?’’

Trattene una risata. “Vieni’’, mi invitò con una mano.

Non avevo voglia di lasciare Gioiella nelle braccia di un altro, volevo sentire il suo respiro caldo e profumato scontrarsi contro la mia pelle,  perciò mi limitai solo di scivolargli accanto e permettergli che mi cingesse un fianco, ero ancora confusa ma mi fidavo di lui.

Seguiti dagli altri dietro le nostre spalle, Alucard mi guidò tra l’immenso corridoio del primo piano, focalizzai stanze che non riuscii a ricordare, dato che in precedenza non avevo frequentato spesso, ed altre sì: erano le più familiari.

Tre minuti dopo e due secondi mi fece entrare in una stanza un po’ simile alla sua, ma colorata nella maggior parte se non i mobili in legno, e con i ricami in oro. Era stata usata da poco, lo notavo dalle coperte sfasciate, l’armadio con un cassetto aperto, due libri della scrivania aperti, e nell’aira era presente l’odore di Consuelo e mamma. Si vede che avevano temporaneamente alloggiato qui per otto giorni, mi chiesi se Hendrik riuscisse a dormire in quella casa sola e buia di notte e quante volte mi avesse pensato.

In un angolo desolato della stanza era attaccato contro la parete uno specchio con i bordi in oro. Era perfettamente lindo e pulito, sembrava appena comprato, come un gioiello. La sua lucentezza mi catturò completamente. Un secondo dopo qualcosa mi immobilizzò: un ricordo offuscato e lontano che mi fece da allarme.

Lo guardai sconcertata. “Alucard….io non…’’

“Non ti preoccupare. Sei trasformata ma il tuo corpo si deve ancora adattare, sei ancora confusa ma ragioni perfettamente. Siamo ancora in tempo per farti ammirare della tua bellezza. Fra poche ore l’effetto sparirà’’

“Quale effetto?’’, chiesi nello stesso momento che mi mise davanti allo specchio.

Il mio sguardo cadde casualmente sulla vetrata dello specchio, restando fermo alla vista della ragazza riflessa nello specchio. Se non avessi avuto tanta memoria da ricordare i lineamenti del mio corpo, non sarei mai riuscita a credere che quella donna ero io.

Soltanto dal mio viso mi riconobbi, il resto era qualcosa di bello e nuovo. I lineamenti del mio corpo era talmente precisi e la mia pelle liscia e perfetta che sembravo essere scolpita da una pietra. La mia pelle era diafana come quella di Alucard e Drakon, le labbra erano ancora carnose e precisamente disegnate, i capelli ora tendevano ad un ramato chiaro ed ondulato, e mezza chioma leggermente più chiara del resto del colore dandone una sfumatura accentuata, i seni erano leggermente pieni, le braccia della ragazza sostenevano una creaturina con in respiro lieve per il sonno, Gioiella era perfetta perfino nello specchio.

Rimasi a studiare ogni lineamento della donna perfetta allo specchio impressionata anche, finché non mi girai intimorita verso il vampiro dietro di me. “E…gli occhi?’’

Non che fossero cambiati dalla forma mandorla, fu solo il loro colore a spaventarmi: tendevano ad un rosso castagno scuro, con delle piccole righe di rosso intorno all’inizio dell’ iride da farmi sembrare delle vene sottili. L’enorme mano di Drakon mi coprii la spalla. “Non rimarranno così per molto, vedrai. Prima saranno di castagno scuro poi tenderanno al color cremisi fino a raggiungere al colore rosso sangue dei tuoi occhi’’

“E non cambieranno colore?’’

“Se intendi dal variare al colore marrone scuro dei tuoi occhi, sì’’

“Oltre a quello….quanto tempo ci vorrà prima che recupereranno il suo colore naturale?’’

“Ci vorranno mesi’’

“Mesi?’’, già quel periodo incominciava a darmi sui nervi. Anche se sinceramente potevo farci qualche pensierino: mesi non significava certo un’eternità. Dopotutto notavo che il rosso castagno con il colore dei miei capelli mi donava. Solo a quella consapevolezza riuscii a superare un filo di spavento che stava nascendo dentro.

Annuii.

“Allora, cosa ne pensi?’’, chiese impaziente mamma.

“Be’…direi che sono io, anche se non sembro io’’, risi del mio giro di parole. E poi mi girai verso Alucard per ricevere un giudizio.

Storse le labbra. “Che dire? Sei sempre stata bellissima’’, ma al mio sguardo che gli trafissi si immobilizzò. “Ma in questo caso sei più che bella’’, precisò controvoglia.

Sorrisi soddisfatta. “Bene’’, e gli feci l’occhiolino.

Ritornai a guardare la ragazza bellissima che si muoveva al mio stesso tempo. Soltanto troppo tardi mi accorsi ci un altro particolare che mi era sfuggito, distratta com’era per studiare la nuova me.

“Chi mi ha conciato così?’’, chiesi studiando il vestito perfettamente aderente al mio corpo.

La stoffa di un color rosso corallo brillante, morbida e liscia, era leggermente ruvida al tatto, era stretto fin sopra il seno dal giro vita; quest’ultimo ricamato, a punta, dove erano incastonati piccoli diamanti che lasciavano quel tratto di lucentezza al vestito. La gonna poi ricadeva larga e leggera verso terra dando alle mie gambe il permesso di camminare facilmente, nel lato destro c’era un’apertura che iniziava da metà coscia mettendo in mostra il pezzo di pelle nuda che si vedeva oltre il tessuto rosso. Il vestito non era sorretto dalle spallucce, ma chiuso con la lampo dietro la schiena. In un certo senso, era merito di quel vestito a darmi un senso di sensualità. In una parte mi sentivo troppo osservata, crescendo dentro di me l’imbarazzo, un un’altra parte riuscii a provare orgoglio verso me stessa: una scarica di potenza femminile mi percosse la colonna vertebrale.

“Non ti piace?’’, disse mamma, il suo sguardo era interrogatore.

“No…cioè sì. Mi piace molto, ma….me lo hai messo tu?’’, da quel balbettare compresi che perfino nei modi un pizzico della mia umanità mi era rimasta dentro.

Sorrise vittoriosa. “Certo, avevo pensato che ti avrebbe donato, perciò….’’

“E ti è costato molto?’’, una domanda lontanamente familiare.

Sbuffò. “No, giusto la metà del prezzo ’’

Alzai un sopracciglia. “Dovrei preoccuparmi?’’

“Credi veramente che voglia dirtelo?’’

Non mi importava dopo tutto, lo accettai senza esitare, sapevo che in ogni caso era costato molto di quanto mi aspettavo. Tipico di mamma: non conta per lei il prezzo ma la bellezza del vestito. Il parere di Jessica non era da meno, ci fu una volta che la madre svenne a terra dopo aver saputo il costo dell’abito color perla che aveva comprato la figlia.

Gioiella si mosse appena con la testa, distraendoci completamente dallo specchio, vidi i suoi occhietti assonnati aprirsi e annusare l’aria, pensavo che sarebbe scoppiata a piangere invece i suoi occhi si perse nei miei, scintillavano alla luce del lampadario, vedevo il colore verde dell’iride farsi leggermente più chiaro, il suo sorriso si allargò mettendo in mostra i piccoli canini appuntiti. Appoggiò debolmente la manina sopra la guancia bianca, e davanti a me si proiettò l’immagine di mamma che le dava il biberon contenente un liquido nero, al solo vederlo mi pizzicò la gola. Gioiella deglutii debolmente guardandomi con occhi supplichevoli.

Con le dita le aprii appena la bocca che ora teneva fortemente chiusa, controllai i suoi canini allungarsi di un centimetro.

“Gioiella ha fame’’, dissi. E anche io provavo un certo languore.

Guardai impaziente Alucard, solo loro potevano sapere dove si trovava una scorta per la mia bambina, io mi ero perfino persa la sua crescita da otto giorni, non ero molto esperta, era orribile sentirsi immune di fare qualcosa per mia figlia. “Avete del sangue?’’, chiesi.

“Sì, vieni, raduniamoci nella sala pranzo”, mi invitò il mio fidanzato prendendomi sottobraccio. Intanto Gioiella ci studiava entrambi, desiderai che si sarebbe ricordata di quel momento mentre ci incamminammo tutti verso la sala pranzo.

All’inizio non ricordai dove si trovava la stanza, solo passo dopo passo iniziai ad avere una certa memoria. La tavola era apparecchiata come nei miei ricordi, c’era qualche cibo avanzato che per la prima volta non mi attrasse molto. Provai una certa irritazione verso il cibo umano, non aveva odore di niente, nemmeno puzzava come in passato, l’unica cosa che mi condizionava erano i bicchieri sempre pieni di sangue. Strinsi a me la bambina solo per cercai di trattenermi.

Alucard mi fece sedere nella poltrona, ricordai che mi ci sedevo sempre, e mi si mise accanto a guardare Gioiella. Non mi sarei immaginata che fosse così innamorato di nostra figlia, non ricordai nemmeno una volta che in passato mi avesse detto che amava i bambini. Sotto sotto sentivo che mi sbagliavo.

La mano di lui passò alle guance cicciotte di Gioiella, le accarezzò dolcemente come faceva con me, la bambina per gioco gli afferrò la mano con tutte e due le manine e le strinse forte, ridendo divertita. Fece ridere anche me e lui.

“Gioiella, ascolta, adesso ti diamo da mangiare, quello che piace a te, però dopo ti dobbiamo dare il latte. Prometti che non farai i dispetti come l’altra volta?’’, le accordò Alucard.

La bambina smise di ridere e la manina destra si posò collo del padre. Rimasero a guardarsi profondamente, immobili, per un minuto intero.

Poi Alucard si avvicinò a Gioiella e gli scoccò un bacetto sulla fronte. “Bravissima’’, le sussurrò.

“Che ti ha fatto vedere?’’, chiesi curiosa.

“Mi ha mostrato il suo viso dispiaciuto, poi un momento futuro: ho visto che beveva il latte senza piangere’’

“Ma tu non bevevi il latte quando eri piccolo?’’. Gioiella fece una di quelle sue risate acute e gioiose.

Mi guardò imbarazzato. “Ehm….sì, sempre perché Celesia e Drakon all’ora non capivano che dovevo bere qualche dose di sangue….ogni momento dovevo stare attento che non….’’

Risi anche io, insieme a mia figlia, anche se ritenevo che era maleducazione. Più che altro fu la risata di Gioiella a condizionarmi. Alucard non tenne il broncioo come mi aspettavo ma trattenne una risata.

In quel momento venne accanto a noi mamma, teneva in mano il biberon pieno di sangue. Mi ci volle tutta me stessa per prenderlo e passarlo alle labbra di Gioiella. Lei afferrò con le manine il cilindro di plastica trasparente e appoggiò le labbra all’imboccatura della piccola mammella morbida di forma allargata. Iniziò a succhiare ghiottamente, assetata più che mai, mi immaginavo l’irresistibile fame, aveva condizionato anche me. era meravigliosa persino quando beveva, ad ogni sorsata il sangue si prosciugava velocemente, sentivo il rumore che procreava la sua gola mentre ingoiava. Era un rumore fino e delizioso. Intanto i suoi occhi verdi non si staccavano dai miei, studiava l’espressione meravigliata del mio volto, era così speciale sentirsi osservati da un gioiello di creature come lei. Mi faceva sentire importante.

Aveva il viso più bello del mondo: metà me, cioè il viso e i capelli, metà Alucard, cioè gli occhi, bellissima e irresistibilmente dolce. Non le mancava niente. Perfino la sua statura umana riusciva a migliorarla anziché penalizzarla. Avevo fatto bene a resistere. Controvoglia, spostai lo sguardo verso Alucard.

“Il colore dei suoi occhi sono i tuoi, vero?’’, ecco il motivo per cui mi si accese una lampadina lontana nella memoria. Una piccola parte di me diceva che non mi ero sbagliata, anche se non mi ricordavo almeno una volta che me lo avesse detto. Era solo….intuizione.

Sorrise compiaciuto del mio sforzo. “Sì, quando ero ancora umano avevo gli occhi verdi. Non mi sarei immaginato che Gioiella avesse avuto il mio stesso colore da umano ’’

“Davvero?’’. Intanto mi immaginavo Alucard con gl’occhi verdi. La mia mente più veloce e intelligentissima di quella precedente riuscì facilmente a focalizzare l’immagine. Era ugualmente bellissimo.

Sorrise di nuovo.

“E quando diventerà una vampira avrà il colore marrone scuro come a noi?’’

“Dipende, i miei sono diventati marroni solo perché mi spostavo in continuazione. Potevano anche rimanere verdi ma sono cambiati. Può d’arsi che a Gioiella il colore degl’occhi rimarrà così’’

“Lo spero perché è un colore bellissimo’’

Si avvicinò a me e mi baciò. Al primo contatto mi contagiò completamente, il suo profumo non mi aveva mai attratta così tanto, mi sentivo drogata. A ogni secondo il suo profumo mi attirava a se come una corda, accettai condizionata quell’attrazione senza rendermi conto che ci stavano guardando tutti. Non me ne preoccupai fin quando non sentii Kate schiarirsi la gola, mi staccai da Alucard allarmata, mentre lui scoppiò a ridere.

A quel punto Gioiella aveva finito di bere il latte. La sollevai appena al mio petto e iniziai a darle colpetti leggeri nella schiena. Intanto la cullavo e lei si mise a giocare con una ciocca ondulata dei miei capelli, avevo intenzione di riprenderle la mano per osservare qualche altro ricordo che avessi di me ma era già abbastanza perfetto vederla giocare e ridere.

“Tesoro’’, mi chiamò mamma, la sua espressione incerta. “Mi stavo chiedendo: se ora Gioiella è nata, sei pronta a ritornare a casa?’’

La parola “casa” mi un nodo alla gola. Chissà da quanto tempo non ritornavo più a casa, forse erano passati mesi, per me sembrava un’eternità.

Guardai Alucard incerta anche se non era una questione che riguardava lui ma me, non volevo lasciare Redmoon ora che le nostre vite erano intrecciate. Lasciare Alucard sarebbe come levare una parte di me temporaneamente. Sapevo che sarebbe venuto a trovarmi ogni santo giorno e quando voleva, per la bambina, ma era comunque atroce staccarsi sa lui.

“Sì, ci voglio ritornare, ma fino a domani sera posso restare qui?’’, chiesi. Allo stesso tempo avrei voluto rimangiarmi quello che ho detto. Comunque avevo fatto bene.

Il sorriso di mamma si illuminò. “Certo tesoro, ma ormai sei abbastanza grande da decidere anche da sola con chi stare’’

“Posso fare a tempo determinato: cioè qualche mese con voi e qualche altro mese qui a Redmoon’’

Papà si chiarì la gola. “So di non essere stato un genio nell’azzeccare i desideri che volevi un anno fa….sempre che tu ti ricordi. Ma infondo ha ragione tua madre. Questa è casa tua ormai”, sorrise rincuorato. Era triste sentirglielo dire, ma altrettanto giusto. Non potevo dubitare.

“Fino a che la bambina non avrà un anno farò questo cambiamento temporaneo da voi e a Redmoon, voglio che abbiate spazio entrambi nella mia vita’’

Mamma mi fermò con una mano. “Tesoro, io voglio solo che tu sai cosa fai, e voglio che sei orgogliosa che quello che deciderai. Se voi rimanere qui a Redmoon per noi è uguale. L’importante è che sei felice con tua figlia e con il ragazzo che ami’’

Allo stesso tempo Drakon affondò lo sguardo su mia madre, si mancavano a vicenda, quella famiglia felice avrebbero potuto essere loro.

Sorrisi, e ritornai a vedere mia figlia. Fece un piccolo rotino, rise appena. “Amore, ti va di andare a casa dei nonni?’’, le chiesi felice; la parola “nonni” mi uscì come un sussurro. Era ancora talmente giovani, con una bambina di otto anni, e dovevo già chiamarli nonni. Ma nessuno di loro sembrò turbare          come li avevo appena chiamati.

Gioiella diede una risata così gioiosa che fece illuminare i nostri sorrisi, mi prese un’altra ciocca dei miei capelli e iniziò a giocarci con l’altra invece mi toccò il collo e mi apparii il ricordo di due minuto fa. Poi un altro, non era nemmeno tra i miei ricordi, ancora si doveva avverare: mi faceva vedere l’immagine della mia camera, accanto al letto una piccola culla bianca con le tende, vedevo me stessa mentre la guardavo sdraiata dal letto a cantarle una ninna nanna; mi rilassò il corpo. Poi vedevo l’arrivo di Alucard e Drakon, negl’occhi di miei figlia osservavo il bacio che ci scambiammo io e il mio fidanzato, il saluto di lui e poi Consuelo che mi  pregava di prenderla in braccio.

Terminata la rapida visione, ci scambiammo uno sguardo. “Sì, anche io non vedo l’ora’’, le sussurrai accarezzandole la guancia calda dal rossore. Alucard le diede la sua mano per farsela stringere.

“Che cosa ti ha fatto vedere?’’, mi chiese poi.

“Eventi futuri, che sicuramente accadranno. Si svolgevano sempre a casa mia. Mi ha appena detto che è felice di andare là”, ormai cominciavo a prendere il potere di mia figlia come un’abitudine, una comunicazione semplice, naturale e veloce. Non c’era niente di anormale in lei ne nel suo potere, entrambi erano perfetti. Il suo potere era parte di me come il mio potere faceva parte del mio essere. Ci rappresentava, e a lei la rappresentava benissimo.

Iniziai a pensare ai nostri due poteri: quello mio e di Alucard. Ma era solo un ipotesi, non poteva essere vero. Anche se….

“E se fosse una specie di….capovolgimento, ecco’’, ipotizzai io.

Drakon alzò un sopracciglio. “Che vuoi dire?’’

“Io riesco a dare la vita con il mio potere, e la felicità, la gioia, la speranza….tutte cose belle. Lei riesce a darci felicità, gioia, amore attraverso le immagini passate, presenti e future quando vuole, e perfino anche con le voci. Alucard riesce a dare la morte, la tristezza, il dolore….e lei fa la stessa cosa con il suo potere. Solo che le trasmette alla persona in un modo diverso ’’

Tutti sgranarono gli occhi, sorpresi, mi sorridevano e contemplavano. Pensavo che avrei detto una sciocchezza invece….fu come se avessi appena fatto un miracolo. Gioiella era il mio miracolo.

“Teoria interessante. E in più riesce a capire il potere che possiede la persona’’, disse affascinato.

Consuelo si fece avanti. “Pensi che capirà anche il mio di potere?’’, chiese tutta pimpante.

Ricordai un passato offuscato. “Quando era ancora dentro la pancia aveva capito il potere di Alucard facendogli mostrare una nuvola nera, e quello di Louis mostrandogli un fuoco’’. La manina rosea di Gioiella ritornò a sfiorarmi il collo. Ricordò quello che dissi cinque secondi fa.

“Posso vedere?’’, chiese Consuelo prendendole la mano. Gioiella accettò quello scambio e si fece portare la mano sulla guancia di mia sorella.

Fu poco la trasmissione di comunicazione, poi passò a me: ripeté la mia spiegazione, e l’immagine del vento che scuoteva violentemente i rami di un albero. Aveva capito il potere di Consuelo. Infatti la vidi immobile dalla sorpresa.

“Ma…ma come ha fatto?’’, chiese un istante dopo.

“Non lo so amore, è un talento straordinario il suo’’, disse mamma e la strinse a se.

Volsi contemporaneamente lo sguardo verso Alucard. “A te non ti dispiace vero, se vado per qualche tempo a vivere a casa mia?’’

“Pensi che questo riuscirà a staccarmi da te. Io vi starò sempre accanto, verrò quando vorrai e quando lo desidera nostra figlia. Hai ragione tu, finché non avrà compiuto un anno e non sarà grande abbastanza per capire tutto la terrai dove vuoi tu’’

“Ti amo ’’, mi sembrava dura questo alloggiamento temporaneo di casa in casa, eppure sarebbe stato presente nella mia vita di tutti i giorni. La risposta si presentò nella mente alla velocità di un fulmine: era la poca privacy che avremmo avuto. Eppure mamma in passato mi aveva dati il permesso per andare da Alucard quando ne sentivo la stragrande mancanza. Lo avrà fatto anche ‘sta volta?.

“Ti amo anch’io’’, ritornammo a baciarci, questa volta nessuno ci interruppe, ma mi dovetti controllare io perché mi sentivo all’improvviso ardere la gola. Presto l’argomento “casa nuova dolce casa” venne svegliato, incominciammo a parlare del passato del quale negli ultimi mesi ne avevo qualche ricordo sfuocato. Stavo perfino incominciando lentamente dimenticando dei miei amici. Quando mi fecero domande di alcuni giorni da mezza vampira mi ci volle qualche minuto per trovare tra i ricordi quelli esatti. In parte era difficile e triste di rimembrare quasi la metà della mia vita, in parte quella chiacchierata mi fu utile perché mi aiutò molto a ricordare quello che avevo dimenticato.

 

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Capitolo 25
*** Ultima notte....di sempre a Redmonn ***


Cullavo Gioiella fra le braccia, contemplavo il suo viso addormentato. Era da un’ora buona che dormiva ma io volevo tenerla ancora nelle braccia, Alucard e Drakon erano in biblioteca, volevano concedere a me e alla bambina un po’ di solitudine. Hendrik aveva traslocato Consuelo e mamma con i loro bagagli circa quattro ore fa per portarle a casa; ormai erano tutti sicuri che ero ben controllata. Cosa molto straordinaria per la mia natura di vampira neonata: gli appena-trasformati erano molto difficile di tenere a bada, sentono più il desiderio di sangue, si infuriano facilmente, in pratica sono un po’ come i bambini trasformati in vampiri, ma solo nei primi anni di vita.

Drakon sosteneva che era una questione di principio: ero già nata vampira, la metà umana che ora non mi apparteneva più mi ha reso, sì, più forte e assetata, ma ero sempre abitudine.

Avevamo spostato la culla bianca nella stanza in cui aveva alloggiato temporaneamente lei e Kate. La culla apparteneva a Consuelo quando era appena nata. A quella osservazione, cercai di visualizzare un ricordo passato per trovarmi il visino di Consuelo quando era neonata ma quella notte ero ormai accorto di energia. Mi sentivo stanca, anche se era troppo presto. Memorizzai quello che mi aveva detto Alucard molte ore fa: il mio corpo ancora non si era ancora adattato all’immortalità, apparentemente si doveva stabilizzare….era strano, ma ovviamente logico. Entro domani avrei dovuto affrontare la mia vita eterna. Mi sentivo elettrizzata, ma anche  un po’ spaventata: cosa sarebbe successo in futuro? 

Allo stesso tempo mi sentii letteralmente sciocca: di cosa mi dovevo preoccuparmi se la felicità ce l’avevo tra le mie braccia? Restai ad ammirarla ancora un’altra ora, progettando un immediato futuro felice insieme a lei, poi la posai attentamente nella culla, la coprii fino alle spalle e ne ascoltai il suo respiro lieve; si muoveva appena nel sonno, accennava appena un sorrisino. Sperai che sognasse me ed Alucard.

Nello stesso momento mi sentii cingere il petto da due braccia forti e calde. Mi girai ed incontrai lo sguardo del mio fidanzato. Ci sorridemmo a vicenda per poi ritornare a guardare nostra figlia.

“E pensare che qualche mese fa la volevo uccidere’’, disse fra se, la sua voce sofferente.

Non volevo guardarlo, non per rabbia ma per dispiacere. Non volevo farlo soffrire ancora di più se gli avrei parlato, mi girai lentamente solo per abbracciarlo. Lui mi accarezzò le testa e mi baciò la fronte.

“Avvolte penso…che sarebbe meglio morire se solo…ti avessi indotto con la forza ad uccidere Gioiella’’, disse infine. Guardava in basso, si vergognava perfino di guardarmi negl’occhi.

Gli sollevai il mento per costringerlo ad incontrarmi degli occhi. “Non l’hai fatto, questo è il gesto che ho amato di te. Non ci pensare più, l’hai salvata e hai salvato me e questo è tutto. Ti prego, non pensiamoci più’’, supplicai.

Mi sorrise. “Hai ragione, il passato è passato’’, mi accarezzò la guancia e sfiorò le labbra con le mie. “Accidenti, quanto ti amo ’’, mi baciò più appassionatamente. Mi venne i brividi quando mi baciò il collo, incominciai a tremare per il piacere. Ogni cellula del mio corpo iniziò a riscaldarsi del suo calore. Avrei voluto cedere ma lo respinsi involontariamente.

“Mi sono appena trasformata, Alucard. Ho paura di farti male ’’

“Mi fido di te, so che non puoi farmi del male ’’

“Ma…e se dopo perdo il controllo?’’

“Ssh!”, mi baciò di nuovo. Più lentamente di prima, questa volta non lo allontanai, gustai il suo profumo fresco e dolce. Poi i suoi baci divennero più passionali, mi strinse più forte a se e con la lingua mi alzò appena il labbro superiore. Mi irrigidii per la sorpresa, ma non mi azzardai ad allontanarlo anche se ero forte abbastanza da lanciarlo contro il muro. Presto mi abbandonai e gli gettai le braccia al collo, lui mi sollevò da terra per prendermi in braccio e io passai le mani fra i suoi capelli, avvicinai la testa contro la mia per baciarlo sempre più forte; ora potevamo amarci più bene, senza avere paura di farci del male.

“Ti amo ’’, sussurrò quando staccò appena le labbra dalle mie.

Mi sfuggì una risata di gioia, mi trovavo al settimo cielo, tutto era perfetto.

Alla fine staccò la testa da me e guardò con interesse il letto dietro di noi. Deglutii rumorosamente quando ritornò a guardarmi con un sorrisino di chi la sapeva lunga, lo sguardò seducente.

Diede uno sguardo veloce al mio vestito poi ritornò ai miei occhi. “Sei bellissima’’

“È un messaggio subliminale?’’

Rise piano, poi ritornò a guardarmi. “Devo dire che….questo vestito….’’

“Non pensi che si possa evitare? Intendo…..proprio non me la sento. Sono stanca’’

Il suo sorriso si allargò. “Allora è una buona scusa per portarti comunque al letto’’, e un attimo dopo sfrecciò dalla stanza al corridoio. Era una sofferenza allontanarmi dalla bambina in quella maniera, ma sapevo che ci sarebbe stato Drakon a sorvegliare su di lei. Non si sarebbe mai trovata sola.

Quindi, lasciai che Alucard mi portasse nella nostra stanza a velocità disumana. Un secondo dopo mi trovi distesa sul letto, mi venne una scossa di disagio quando lo trovai sopra di me.

“Hai un vestito bellissimo, peccato che primo o poi…’’

“Attento! Se osi strapparlo solo di un centimetro, di strappi i capelli uno ad uno’’, lo avvertii alzando il dito, un’istante dopo scoppiammo a ridere.

“Sarà quel che sarà, già è tanto che stia trattenendo il controllo ’’, mi accarezzò delicatamente la pancia, scivolò lungo il fianco fino ad afferrarmi la gamba nuda dove la stoffa era strappata. Allo stesso tempo incominciò a baciarmi la gola, le guance e la bocca. Quei secondi parlavano di tutto il nostro amore.

“Ti amo tanto’’, soffocai respirando affannosamente.

Sollevò lo sguardo per guardarmi. “Sei la creatura più bella che possa desiderare in tutto il pianeta’’

“Vieni qui’’, mi aggrappai a lui e lo baciai.

Pochi minuti avevamo raggiunto l’apice delle carezze, già mi aveva levato il vestito controllando il suo istinto di ridurlo a brandelli, io gli avevo levato la giacca e accarezzai il petto nudo; presto quell’amore si tramutò in passione, ci scambiammo frasi d’amore, carezze e baci sempre più profondi e dolci. Era stato bello sentirlo così vicino, era come se in quei otto giorni ne sentissi la lontananza più completa- che in parte era vero- e lo desiderassi più di quanto non lo avessi desiderato prima; non mi sarei aspetta mai che prima o poi mi sarei stancata, ma quella notte fu difficile addormentarsi quando lui ancora mi coccolava. Solo alle prime luci dell’alba iniziai a notare la stanchezza divorarmi il corpo. Lui era ancora sopra di me, respirava affannosamente, la testa appoggiata contro il mio petto; gli baciai teneramente la testa e gli coprii la schiena nuda con la coperta, lui già copriva me con il suo corpo; sentivo che dovevo proteggerlo, lo strinsi forte a me.

Avevo anch’io il respiro affannato. “Non sarai mai capace di amare così un uomo come io amo te ’’, sussurrai.

Alzò la testa e mi sorrise. “Sei la mia vita’’

“Mi sei mancato, non sai quanto, mentre mi trasformavo avevo il timore di perderti…di dimenticarti per sempre. Stringimi, per favore’’

Mi strinse forte a se, baciandomi la fronte più volte.

“Ogni volta ho sempre paura che fossi un sogno ’’

“Sono qui, acconto a te, non ti lascerò mai. Amore mio’’, un altro bacio. “Vuoi che te lo dimostro?’’, sorrise scherzoso.

Risi. “Questa volta sono veramente stanca’’, risposi.

Si staccò da me e mi abbracciò, le sue braccia grandi e muscolose mi facevano da scudo contro l’aria fresca della stanza, mi coprii con la coperta mentre io appoggiavo la testa contro il suo petto. Ci addormentammo così: abbracciati, assaporando l’ultimo odore d’amore presente nella camera. Non mi accorsi quando mi addormentai, non era stato contro la mia volontà, come se il mio cervello non fosse più compatibile con il mio corpo e facesse tutto da se. Avrei voluto pensare per l’ultima volta a Gioiella, ma il buio mi intrappolò nelle sue profonde tenebre prima che ne ricordai il bellissimo viso della bambina.

Era un buio profondo, faceva paura, sembrava non passare mai, tant’è che ebbi il disperato bisogno di incontrare le braccia di Alucard; quando tentai di muovermi nel sonno improvviso mi accorsi di non riuscire sollevare le braccia, non aveva la forza, come se quel nero me l’aveva prosciugata tutta. Pensai d’improvviso che fosse di nuovo il veleno che mi avesse imprigionata di nuovo nel suo oblio incessabile e che tutto quello che avevo passato di quella giornata fosse solo un sogno.

Proprio quando iniziai a disperarmi, aprii gli occhi e mi alzai dal letto, seduta sotto le coperte incominciai a respirare velocemente, avevo bisogno d’aria; guardai la stanza, era sempre la stessa, il fuoco era acceso e la luce della luna passava da sopra il camino. Era notte. Quello che mi era sembrato un secondo incessabile di buio invece furono solo dodici ore solari. Fui allora che capii: ero entrata in una specie stato di coma.

Quando fui abbastanza calma, guardai Alucard: sorrideva appena, gli occhi chiusi, era perfetto anche quando dormiva, non respirava ma sapevo che era vivo ( in se per se). Un’altra cosa inaspettata fu l’adrenalina, la potenza, e la forza che era di nuovo tornata a scorrermi nel corpo. Quel sonno era una ricarica per i vampiri. Ora riuscivo a capire quanto fosse così fastidioso a svegliarti improvvisamente dopo che ti trovai nell’estasi più completa: il coma era l’unica soluzione per recuperare l’energia, immaginai qualcuno che mi distraeva da quel sonno profondo, pacifico, e provai un senso di rabbia e ferocia.

Mi levai la coperta addosso a me, lasciai alla freschezza della notte invadermi il corpo diafano, ebbi l’istinto di fare un gesto umano: mi stiracchiai le gambe e braccia; mi consolava sapere che almeno qualcosa della mia vita passata mi era rimasto. Quanto altro sarei riuscita a ricordare? Feci per afferrare il vestito quando la mano di Alucard mi precedette.

Mi voltai verso di lui e mi accorsi che sorrideva, mi osservava con devozione. “Vieni qui, non ti ho ancora ordinato di alzarti’’, mi ordinò dolce.

Controvoglia, mi misi sotto le coperte, abbracciata a lui, ci tenemmo stretti per molto tempo, mentre ci guardavamo. Il suo calore presto mi invase il corpo; per un momento desidererai riprendere quello che avevamo terminato dodici ore fa.

Mi spostò le ciocche sopra il mio viso, con una carezza. “Non ti allontanare mai da me’’

“Sai bene che non lo farò’’

Mi baciò dolcemente le labbra. “Sei mia’’

Mi allontanai subito da lui, capivo cosa volesse…di nuovo. “E Gioiella?’’

Mi guardò torvo, un secondo dopo ritornò nelle sue labbra il sorriso che preferivo. Mi sollevò la mano che tenevo rilassata contro il suo petto nudo. “Anche Gioiella è mia’’

“Nostra’’, approfondii.

“Ma pur sempre anche mia’’

Sorrisi. “Sei felice?’’

“Di cosa?’’

“Di diventare padre. Pensavo che non desiderassi avere dei bambini, in precedenza non eri mai arrivato su questo argomento ’’

Posò la grande mano sotto contro la mia nuca e mi attirò a se, ero pronta al contatto di un altro bacio. “Non avevo mai pensato molto ai bambini, in precedenza, avevo paura di non essere un bravo padre. Pensavo di non averne la stoffa, ma poi ho visto quando Gioiella ci voleva bene, quanto desiderava d’essere delicata e dolce con te. Ho capito che ero pronto, solo quando scoprii il suo amore su di noi, ho scoperto che potevo fare di tutto per rendere la sua vita migliore. Credo di essere decisamente pronto di diventare padre, anche perché ora ci sono dentro fino al collo, non posso più tornare indietro’’, rise.

“Quando ho scoperto di essere incinta, me lo ricordo ancora, sapevo esattamente che non ti piacessero i bambini. E avevo paura al solo sapere la tua reazione. Avevo paura che… che non mi volessi più una volta scoperta la mia gravidanza’’

Mi guardò con più amore che riusciva a trasmettere, mi sciolse con lo sguardo. “Non capisco il motivo per cui avrei dovuto lasciarti per un’improvvisa gravidanza. Certo, mi sarei spaventato e arrabbiato, come ben ho fatto. Ma a separarmi da te….No, questo mai, le nostre vite sono legate come due fili, difficili da sciogliere. Non ti avrei mai lasciata, avrei fatto prima a suicidarmi’’

Non mi venne da sorridere, ripensando a quei momenti di disperazione, anche se le sue parole mi diedero consolazione. “Mi chiedevo anche se tu fossi d’accordo riguardo al trasferimento dai miei genitori a te a distanza di mesi’’

“Qualunque cosa tu faccia, sarò sempre d’accordo con te ’’

“Mi mancherai’’, lo strinsi forte a me, appoggiandomi sopra il suo petto. Le braccia muscolose mi circondarono la vita, anche se avevo un corpo più bello, ero sempre la metà del busto.

Sbuffò. “Due chilometri e mezzo non potranno separare il nostro amore’’, mi baciò la testa, una delle due mani mi accarezzò leggermente la schiena scoperta.

“Mi spaventa solo una cosa quando ritornerò a casa ’’, aggiunsi sollevando lo sguardo.

“Cosa?’’

“Come mi guarderanno i miei amici, inizieranno ad allontanarsi?’’

“Ti vorranno sempre bene, come in precedenza’’

“Ma ora sono cambiata, e sono più….pericolosa’’

Alzò gli occhi al cielo. “Parli di te che sei pericolosa. E io che sono? Mister Simpatia?’’

Scoppiai a ridere.

“Se ti guardi bene, ti accorgeresti che tra i due il più pericoloso sono io: un Purosangue. Parli di te che sei un Mezzosangue? Non sei niente al confronto di me ’’

“Dovrei avere paura perfino ora che ti abbraccio?’’

Mi trafisse con lo sguardo. “Devi, non si sa mai quando potrei cominciare a desiderarti’’

“Non ti azzardare!’’, scherzare con i canini in bella mostra.

Lui mi sorrise e premette le labbra contro le mie, un attimo dopo era sopra di me. Anche se desideravo più di lui ritornare ad esplorare l’affetto che mi dava, allontanai adagio il suo petto al mio per una buona ragione: ora mia figlia m’importava più di qualsiasi altra cosa.

“Gioiella’’, dissi.

“E io?’’

Risi. “Amo anche te, tigre ’’, dissi baciandolo nella gola e sotto il mento.

“Va bene. Bando alle ciance, andiamo’’, disse spostando la coperta e scendendo dal letto, mi prese in braccio e non mi lasciò finché non ci trovammo davanti all’armadio. Per la prima vola era un dolore al petto non vedere il mio riflesso ai due specchi che facevano da porte al mobile. D’altro canto ero stata avvisata: solo alle prime ore della trasformazione mi sarei vista allo specchio, io avevo fatto in tempo ad immortalare il ricordo dalla bellissima immortale che ero.

Aprì l’armadio e ne estrasse un vestito bianco, di lana calda, il giro vita era una stoffa dorata, era sorretto da spalline grande, davanti era leggermente scollato e una strato di pelle bianca attaccata alla stoffa copriva il collo per proteggerlo dal freddo. Al lato destro della vita erano incastonati piccoli diamanti che formavano un fiocco.

Quando lo indossati, l’abito era aderente al mio corpo, si adattava ai suoi perfetti lineamenti. Alucard mi guardò come se avesse difronte a se una dea. Lui intanto si era messo una camicetta bianca con il colletto a forma di V, una maglietta di lana grigia, pantaloni neri e delle scarpe di pelle nera. Era perfetto anche lui.

“Mi sento fortunato ad avere una fidanzata come te ’’

“Mi sento fortunata ad vere un fidanzato perfetto e romantico come te ’’, dissi abbracciandogli il collo.

Mi sorrise e mi baciò velocemente.

“Andiamo a vedere la nostra Gioiella?’’, chiese prendendomi la mano.

Non sarei riuscita a dirgli di no, avrei detto sì cento volte tanto. Percorremmo i corridoi in silenzio, mano nella mano, ogni secondo era un grammo di impazienza: non vedevo l’ora di riabbracciarla e stringerla a me, il mio gioiello. Chissà poi da quanto tempo desiderava riabbracciarmi.

Quando entrammo era ancora lì, la stanza avvolta nelle tenebre ma io riuscii a vedere meglio di quanto riuscivo a vedere nella mia precedente, nonostante questo riuscivo ad orientarmi. Gioiella dormiva, la testa appoggiata da un lato, un braccetto alzato mentre l’altro era rilassato sulla pancia coperta. Dormiva serenamente, fui sollevata di non trovata sudata e rossa dal pianto come faceva la maggior parte dei bambini. Lei sarebbe stata una bambina speciale.

La sollevai tra le braccia attentamente per non svegliarla, la strinsi a me ed iniziai a cullarla teneramente. Ad ogni mio movimento lei non si mosse, non se ne preoccupò d’essere disturbata. Capii che sentì subito la sicurezza tra le mie braccia.

Uscimmo subito nella stanza, e ci addentrammo nel corridoio, guidata da Alucard fui portata verso il salotto. Mi sedetti sempre sulla solita poltrona, con in braccio la mia vita, Alucard intanto era andato a prendere i due bicchieri di cristallo pieni di sangue che erano posati sul piccolo tavolo dietro di noi.

Ne afferrai uno stando attenta con l’altro braccio di tenere stretta Gioiella, sbattei il bicchiere contro il suo che fece tremare il cristallo.

                                          

“Alla nostra eternità’’, disse lui strizzando l’occhio. Con il braccio libero mi cinse le braccia.

Avrei voluto tanto arrossire. “Alla nostra eternità’’, gli feci eco io.

Bevemmo una sorso di sangue, non riuscivo a staccare il mio sguardo dal suo, tanto era bellissimo. Alla fine riuscii a volgere lo sguardo al fuoco, la mia mano stringeva il bicchiere: era come un motivo per non ritornare a guardarlo. Il silenzio poi non faceva altro che peggiorare le cose.

D’un tratto la sua mano mi afferrò il bicchiere, che glie lo porsi contro voglia, li posò velocemente sul tavolo e ritornò a stringermi a se. Strinsi la bambina a me e vi posai lo sguardo.

“Chissà cosa starà sognando’’, mi chiesi.

“Di sicuro quanto sei bella’’, rispose lui. Mi alzò il mento per costringerlo a guardalo.

“Me lo dici sempre”

“Ogni minuto mi dimentico sempre di avertelo ripetuto già una prima volta’’

“Mi piace, dillo sempre, senza dimenticare però che c’è qualcun altro che è bellissima’’

Lo sguardo di Alucard si illuminò quando lo posò sopra Gioiella che ancora dormiva. Le accarezzò delicatamente la guancia rosea e si avvicinò al suo visino.

“La mia bambina bellissima, il mio angioletto, la mia vita’’, cantò. Posò le sue labbra su quelle piccole della bambina e le scoccò un tenero bacio, il suo gesto mi sciolse talmente il cuore che avrei voluto accarezzargli la testa e baciarlo sulla fronte.

Non si staccò da lei, erano sempre viso contro viso. “Gioiella, apri gli occhi al tuo papà?’’, la chiamò dolcemente baciandogli le due guance e il mento. “Gioia’’

Risi. “La vuoi svegliare?’’

“No, voglio solo coccolarla’’, disse non accorsa allontanatosi da lei.

“Tieni’’, aggiunse e gli porsi la bambina.

Lui la strinse a se e incominciò a cullarla. Fece gesti che non mi aspettai mai compisse con un neonato: le sfiorò il collo con la punta del naso, annusò il suo odore e il calore della pelle, in lontananza sentivo il suo cuoricino batterle; gli baciò la piccola gola, il mento, le guance, la fronte, la punta del naso, la testa, le labbra, e poi un’altra volta le guance. Tutti gesti che faceva con me li trasmetteva anche a lei in modo da non farle mancare niente. Appoggiai la testa sopra la sua spalla, gli accarezzai un braccio, mentre lo guardavo coccolare la nostra figlia.

Finalmente la vidi muoversi appena quando il padre le scoccò un altro bacio sulle labbra. Il respiro mi si fermò quando la vidi aprire gli occhi verdi, iniziò a guardarsi attorno senza capire dove si trovasse ma quando incontrò i nostri sguardi sorrise. A mia volta mi rilassai.

Gioiella guardò il padre e sorrise ancor di più. Alucard ricambiò il gesto e le accarezzò il viso.

“La mia stella si è svegliata’’, disse come per darle il “ben svegliata’’

Gioiella sorrise e posò una mano sulle sue labbra. La visione durò mezzo minuto, ero l’unica, poi Alucard si avvicinò nuovamente alla bambina e le baciò ancora le guance.

“Vuole qualcosa?’’, chiesi, sorridendo alla bambina, lei intanto mi stringeva il pollice.

“Le piace come la coccolo, vuole che la bacio ancora’’

“Si vede che anche lei adora i tuoi baci’’

Alucard mi diede uno sguardo dolce e poi ritornò a guardare Gioiella. Incominciò a cullarla, baciandola avvolte, rimase a guardarla a lungo, rimanemmo a guardarla fino a quando i suoi occhi non si chiusero e ritornò a dormire.

“Penso di averla coccolata abbastanza’’, disse sorridendo vittorioso.

“Eh sì, le tu braccia sono magiche’’

Strizzò l’occhio. “Vuoi provare?”

Risi sotto i baffi, mentre mi acquattavo contro di lui, appoggiando una mano su quella scoperta di Gioiella. Ora Alucard stringeva entrambe. Avrei voluto rimanere in quella posizione, per sempre, ormai vedevo noi tre come una famiglia felice, un futuro migliore, niente infortuni, niente errori. Solo felicità e vita eterna. Dopotutto però dentro di me sentivo una sensazione strana, era piccola ma fastidiosa, si nascondeva dentro le emozioni più grandi e belle. Ora capivo che non ci sarebbe bastato un “e vissero per sempre felici e contenti”, nonostante tutta quella felicità non riuscivo a mettere un punto a questa storia, non era un finale adatto per terminare il mio racconto.

Un rumore improvviso di passi mi colse alla sprovvista, prima non ci facevo tanto caso perché li sentivo lontani, ma ora che si avvicinavano mi attirarono come una calamita. Erano passi veloce, insicuri, un camminare goffo, da umani, sotto lo scricchiolio morbido della neve densa. Il suo cuore mi metteva appetito, provai una sete intollerabile, però parzialmente controllabile quando riconobbi tra l’aria il suo odore; un cuore fantasma iniziò a tamburellarmi dentro la gabbia toracica: era un misto di emozione e tristezza. Come si sarebbe comportato? Avrebbe avuto paura di me? Sarebbe stato felice di vedermi? Mi avrebbe vista come l’Alexia Kennedy di una volta?

Di scatto mi ritrovai con i piedi per terra, rigida, mi tremavano le mani, guardavo verso la porta impaziente.

“Vai da lui, è da tanto che ti aspetta e non vedeva l’ora di rivederti’’, mi permise Alucard, con un sorriso rassicurante. Avrei voluto ricambiare, ma ormai ero tanto spaventata da non ragionare.

“Dammi Gioiella, riesco a stare calma solo se la tengo in braccio ’’

Me la tese subito in braccio e io la presi delicatamente con la delicatezza di una foglia quando cade dall’albero, istintivamente posò le mani sulle mie spalle e mi fece sedere di nuovo sulla poltrona.

“Aspettiamo qui’’, suggerì, c’era sempre la calma nei suoi occhi, io invece lo guardavo confusa per il fatto che non fosse agitato quanto me.

Dal corridoio si udirono altri passi: quelli familiari di Drakon. Si dirigeva veloce verso l’entrata, all’inizio mi repelle un po’ sapere che aveva scortato ogni nostra frase nei momenti intimi, infondo però era bello sentirlo di nuovo vicino e non essere io la prima ad aprire il portone per prima.

Dopo duecento passi di papà e cinquanta cinque di Louis entrambi si ritrovarono all’entrata, solo il portone li divideva, i loro sospiri facevano eco tra le mie orecchie: quelli di Louis, agitato, stanco, impaziente. Si chiarii la gola. Quello di papà calmo e deciso, afferrò la maniglia ed aprì la porta, al tempo stesso il mio respiro si fermò. Sentii il rumore di un sorriso, quello di ben venuto per un ospite e l’altro speranzoso per la felicità di averlo rivisto. Certo, c’era anche il respiro di sconcerto come di sicuro nella sua voce. In fin dei conti ero una nuova me, un’altra Alexia, con più fascino, nuovi pensieri intelligenti e approfonditi, una nuova vampira da conoscere, da ammirare, cose così….A dirla tutta, ora riuscivo a provare un pizzico di disagio nella mia nuova natura.

“Ciao, Louis, come stai?’’

Louis sorrise appena. “Bene, grazie’’, disse prontamente cercando di mantenere quel grammo di contegno nella voce. “Dov’è Alexia? Sua madre mi ha detto che ora è….che si è svegliata’’, l’ultima parola gli costò un sussurro.

Passò tre secondi di completo silenzio. “Entra, starai congelando qua fuori’’, rispose cordiale mio padre a mo’ di scusante.

Louis entrò impassibile dentro la stanza, sgrullò i piedi per scacciarsi la neve da sotto le scarpe. Sentire i suoi movimenti goffi mi fecero ridere.

“Kate ti ha detto che si è svegliata, dunque’’, rispose Drakon sempre educato. Ora capivo che era un modo per non metterlo a disagio nel momento in cui avrebbe osservato una vampira bellissima da morire seduta su una poltrona del salotto.

“Sì, ehm, mi ha telefonato questa mattina’’

“Oh’’

“Stavo per venire da voi ma dopo mi sono ricordato che i vampiri dormono di giorno’’, rise nervoso, tanto per non mettere la situazione sul drammatico. Volsi un rapido sguardo d’intesa ad Alucard.

“Una giusta osservazione’’

Erano a metà strada del corridoio. Un minuto dopo Louis si schiarì la gola. “Come sta?’’

“Sta molto bene, non ti devi preoccupare’’, disse dandogli una pacca sulla spalla.

Ora erano a tre metri di distanza dal salotto, strinsi più forte Gioiella addosso a me, ripetutamente la bambina mi strinse una ciocca che le penzolava sopra il muso.

“E…Gioiella?’’, chiese poi.

“Stanno entrambe bene, non vedono l’ora di vederti. Alexia ha chiesto molto di te e voleva sapere dov’eri, gli dispiaceva che non eri qui’’

“E com’è? È cambiata?’’

“Be’…giudica tu stesso’’, disse nel momento stesso in cui entrammo nel salotto e lo condusse accanto alla poltrona.

Allo stesso nano secondo ci guardammo sorpresi, come se avessimo visto una sconosciuto, per lo più in modo differente: io lo guardai per lo spavento quando lui sgranò gli occhi, lui invece mi guardò come se avesse visto una dea o qualcos’altro. Sorrisi appena, sapevo fare solo quello in quel momento, mi chiedevo poi cosa avesse visto in me.

Nei suoi occhi leggevo la sorpresa, spavento, adorazione, incanto. “Alexia’’, mi chiamò.

“Ciao Louis’’, avevo calcolato le note vocali della mia nuova voce, quella che mi uscì fu profonda, melodiosa e dolce. Una voce perfetta.

“Sei tu? Sei…be’, bellissima’’

“Sì, sono io, sono felice di rivederti’’. Gioiella, si mosse appena dalle mie braccia, si era svegliata e con il nasino fiutava l’aria; non potevo di certo darle torto, l’odore di Louis era incredibile.

“Stai bene?’’

“Sì, benone. Mi sento….forte come un leone, sana come un pesce’’, cercai di sorridergli nonostante la mia attenzione era catapultata sulla sua gola. Deglutii, mentre Alucard mi strinse la spalla.

“Vuoi parlare con lui, in privato?’’, mi chiese poco dopo.

“Sì, ma però se faccio un passo sbagliato venite subito qui, va bene?’’, sussurrai. C’era da meravigliarsi quando mi accorsi che Louis non aveva sentito praticamente niente di quello che avevo detto.

Alucard si alzò, entrambi si inventarono qualche scusante e uscirono dalla stanza, ci fu un momento in cui avrei voluto raggiungerli. Stare con lui ora mi spaventava, avrei potuto perdere il controllo da un momento all’altro. Strinsi ancor di più Gioiella che aveva scoperto la faccia dalla chioma che mi ricadeva dalla spalla. Alla mia stretta si appoggiò di nuovo la testa contro il mio petto, dopo aver dato una rapida sbirciatina all’uomo sconosciuto difronte a me.

Louis si sedette accanto a me, senza alcun timore, e mi studiò dalla testa ai piedi. Sorrisi in segno di approvazione.

“Sei bellissima, Alexia’’

“Grazie”

Si sfregò le mani e le allungo verso il fuoco, era difficile sentire il freddo della sua pelle quando al solo contatto del suo braccio contro il mio capivo che era lui il mio fuoco.

“Quando mi sono svegliata e non ti ho visto avevo pensato che preferivi non rivedermi più, che te n’eri andato’’

Nel suo viso un’espressione di rammarico. “Pensavo che eri morta, ti vedevo sempre immobile, sempre la stessa, non emanavi nemmeno un lamento. Avevo pensato che era troppo tardi…’’, nella sua guancia vidi scintillare una lacrima.

“Sai bene che non avevo alcuna intenzione di mollare’’

Annuii. “Nessuno poteva combattere la tristezza che mi avvolgeva. Non riuscivo nemmeno a dormire di notte, al solo pensare che ti avrebbero seppellito nel cimitero’’, rabbrividì.

Strinsi le labbra, era orribile quale orrenda impressione gli avesse giocato la mia immobilità per otto giorni, mi sentii in colpa. “Ora sono qui, per sempre, non devi più rimpiangerti addosso. Ti dirò: era stata anche alla tua presenza che sono riuscita ad andare avanti e mettere al mondo Gioiella, mi servivano tutte le persone che volevo bene. Tu sei una di quelle, mi sento completa quando ci sei tu, fai ancora parte della mia famiglia”

Mi accarezzò la spalla, ormai gli era tornato il sorriso. “Mi sei mancata, Alì, non immagini quanto’’, mi strinse delicatamente a se, capiva infondo che ora doveva andarci piano date le mie condizioni.

“Anche tu mi sei mancato’’, appoggiai la testa sopra il suo petto perché il fuoco non bastava a riscaldarmi. Ora il suo odore era più chiaro standogli vicino. Trattenni l’istinto di sfiorargli la gola con le labbra. Nel silenzio costante, fu spezzato alla piccola risata cristallina di Gioiella. Louis sciolse l’abbraccio per vedere la neonata che prima non prestava attenzione, le rivolse un sorriso ammaliante: lo stesso che usava con me tanto tempo fa. Gioiella seguii con il nasino la scia di Louis, si scostò dalla chioma dei mei capelli e guardò incerta Louis; era la prima volta che la vedevo così insicura, di solito sorrideva alla gente nuova, perfino alla mia famiglia.

La pelle della sua fronte si curvò e diventò paonazza per il pianto, incominciò a piangere bagnando le sue guance paffute con lacrime da coccodrillo. Un secondo dopo arrivò dalla stanza Alucard e Drakon, si misero attorno a me mentre io mi ero alzata per cullare Gioiella. La sua reazione improvvisa mi spaventò, tant’è che fu Alucard a prendermela dalle braccia e cercare di calmarla perché ero talmente agitata da rimanere immobile come un salame.

Perfino Louis rimase sorpreso dal pianto di Gioiella, mi si mise vicino. “Ma che ho fatto?’’, dissi, la voce spaventata.

Nessuno mi rispose, rimasero ad osservare Gioiella che si lamentava e scuoteva le braccia e gambe, si calmò soltanto dieci minuti dopo quando con le mani comunicò al papà la sua paura; più di tre volte Alucard si voltò verso Louis con sguardo accusatore poi ritornò a cullare Gioiella cantandogli una ninna-nanna.

“Ha avuto paura di Louis’’, disse infine, quando Gioiella era ormai calma; le guance erano ancora bagnate dalle lacrime.

Mi sporsi in avanti per prenderla ma per timore che ritornasse a piangere di nuovo mi allontanai da Louis e sfrecciai accanto a Drakon. Louis intanto aveva sbuffato, alzando gli occhi al cielo. “Fantastico, adesso sono io quello pericoloso’’, gioii in modo teatrale.

Alucard stette sulla difensiva. “Non ti vede da otto giorni, l’unica volta che l’hai presa in braccio è stato quando ti ho ordinato di portarla via quando dovevo trasformare Alexia, era stato quello l’unico episodio di cui si ricorda di te e per questo ha paura di te. Che pensavi, che questa situazione per te fosse tutta rosa e fiori?’’

“Certo che no, ma speravo che Gioia fosse stata felice di rivedermi’’, incalzò lui con un filo di amarezza nella voce.

Ecco, felici momenti di una volta ritornarono a manifestarsi. Risi di me stessa, e io che pensavo che avessero finito con litigi e robe varie. Alzai gli occhi e mi sedetti sulla poltrona. Intanto Gioiella mi aveva fatto rivedere la situazione di un minuto fa, Alucard e Louis per ora si guardavano in cagnesco.

“Non sei mai venuto a vederla, perché?’’, chiesi d’un tratto.

Louis si voltò verso di me, sollevato per non incrociare con lo sguardo il mio fidanzato. “Ero più preoccupato per te, c’erano tua madre e Consuelo che si occupavano della bambina’’

“Per questo è così spaventata, non ti ha mai visto ’’

“Avrei voluto tanto vederla ma…ogni volta che venivo qui…’’

“Ho capito, non ti preoccupare. D’altronde ora ha l’occasione di conoscerti meglio’’, sorrisi. E mi voltai verso mia figlia, due secondi fa aveva pronunciato una lamento, aveva timore di Louis; con le manine mi prese la stoffa del vestito e la strinse in un pugno.

Con una mano le accarezzai la testolina. “Non ti preoccupare, Louis è un amico, non ti farà mai del male. Ha aiutato me quando ti dovevo partorire, ci è stato accanto nel momento del bisogno. Lui non è cattivo ’’

“Ci mancherebbe’’, sbuffò lui.

Gioiella mi guardò torva, poi mi sorrise, mi mostrò quello che avevo detto e allargò il sorriso: aveva capito, poi guardò Louis e si agitò tra le mie braccia mentre allungò le braccia verso il suo nuovo amico; il ragazzo la guardò accigliato quando io avanzai lentamente verso la direzione che mi portava Gioiella, alzò le braccia spaventato.

“Che cosa vuole?’’, mi chiese guardando prima me poi la neonata.

Sorrisi gioiosa. “Credo che vuole farti capire che sei il suo affettuoso, non che atteso, zio Louis’’, risposi in modo teatrale.

 Indugiò per un momento, storse le labbra indeciso. “Non so se…’’, balbettò indietreggiando di un passo.

Risi. “Andiamo, fifone. Tieni’’, avrei voluto dargli una pacca sulla spalla ma data la mia potenza preferii evitare.

Louis guardò accigliato la bambina che sorrideva e gli tendeva le braccia, alla fine la prese con incertezza e la strinse al petto; la studiò attentamente, osservando ogni suo movimento. Capivo cosa pensava, ma non conosceva abbastanza mia figlia da descriverla: pericolosa.

“Non morde’’, aggiunsi. Come pensavo, le mie parole non servirono a molto perché di già lo aveva ammaliato con la sua bellezza. Le guardava il visino perfetto senza staccarle lo sguardo. Non fui di certo gelosa, solo orgogliosa che il sacrificio di una madre avesse generato una creatura così bella.

“Devo dire che avete fatto un bel capolavoro, senza offesa, ma è più bella di te ’’, disse rivolgendosi a me e al mio fidanzato. Non appena incrociò lo sguardo di Alucard si pentii di quello detto arrossendo come un pomodoro. “Ehm….non biasimo che anche tu sia bellissima’’, aggiunse sorridendomi.

Trattenni una risata. “Hai ragione tu, Gioiella è più bella di me, e…tranquillo, non mi hai offeso. Anzi’’, mi aveva reso una fiera mamma.

Dietro di me, Alucard sospirò un po’ frustrato, anche se riuscivo a notare un pizzico di calma nella sua compostezza. Ora Louis si era seduto sul divano, io ero accanto in modo da far notare a mia figlia sempre la mia presenza, Drakon si era seduto sul braccio del mobile ed Alucard inginocchiato ai miei piedi. Solo ora notavo nei suoi occhi un segno di irritazione verso l’individuo che teneva nostra figlia. Istintivamente, alzai gli occhi al cielo.

“Ah!”, urlò Louis.

Tutti quanti ci irrigidimmo e di scatto levai Gioiella dalle sue braccia, pronta a cullarla per calmarla dal prossimo attacco di pianto che non arrivò. Sospirai di sollievo, accarezzai Gioiella sulla guancia quando mi sorrise per confortarmi. Era sorprendente quanto nel sorriso era presente quello che amavo di Alucard: un’altra cosa di lui che non è andata persa.

“Che cos’era?’’, chiese mentre si massaggiava la guancia.

Sulle prime pensai che Gioiella gli avesse lanciato uno schiaffo. “Che?’’, chiesi.

“Ho visto qualcosa, o sono andato fuori di senno?’’, mormorò fra se guardando sorpreso mia figlia. Lei ancora sorrideva.

“Ti ha dato un assaggio del suo potere’’, rispose Drakon entusiasta.

Louis lo guardò ancora sbigottito. “Tua nipote ha un potere?’’

“Ha ereditato da me e sua madre’’, rispose Alucard, distaccato.

“Oh…’’, ritornò a guardare Gioiella, questa volta più sereno. “Di già vede e ha i denti in tutta la bocca’’. Un’osservazione che prima non mi ero degnata di preoccuparmi. Infatti aveva ragione, non doveva vedere dato che appena nata, e non doveva avere nemmeno i denti da latte.

“Un bambino nato vampiro ha i sensi più sviluppati dei neonati umani, per quanto alla crescita è identica ad essere umano normale’’, spiegò Aluard accarezzando la testolina della figlia. Lei gli prese un dito stringendolo forte finché non vidi una smorfia di dolore sul viso del padre.

“Ahia!”, disse e ritrasse il dito, Gioiella rise felice. “E credo che abbia sviluppato perfino la forza”, aggiunse sorridendole.

Sbarrai gli occhi. “Davvero?’’

“Già è forzuta quanto il padre? Magnifico! Per lo meno non sarò io a stenderti un giorno’’, gioii Louis, dandomi una pacca sulla spalla e facendomi l’occhiolino. Trattenni una risatina, ma ad Alucard non sembrò stare allo scherzo.

“Visto che non sono in vena di essere steso al tappeto così presto, ti offro volentieri il posto ’’, la sua voce era fredda e con un tono di divertimento. Capii subito che non aveva dimenticato quella volta in cui mi aveva ferito dal punto di aver scelto il suicidio. Ricordai bene quella notte, come potevo dimenticare?

Louis scoppiò a ridere per non far notare al mio fidanzato la paura. “Stai scherzando, vero? Ho una famiglia da mantenere, poi con mio figlio che verrà al mondo ’’

“Vorrei solo fare un esperimento ’’

“Appunto, io vorrei evitarlo’’

Sbuffai. “Uffa! Non si può mai trovare un po’ di pace, e io che pensavo che fra voi due le cose si fossero sistemate. Tocca vedervi crescere come bambini’’, mi lamentai. La stanza si riempii immediatamente delle nostre risate.

“A parte le occhiate di sfida, sono davvero felice che anche tu fai parte della vita di mia figlia’’, sottolineo Alucard, alzandosi e dando una pacca a Louis. Soffocò un lamento durante lo scontro della mano del vampiro contro la sua spalla. Sentii perfino il forte schianto.

Gioiella rise, allungando la mano verso il mio viso, mi fece vedere tutto il riepilogo della conversazione fin da quando si era svegliata. Un tuffo al cuore quando rividi Louis cullare stretta Gioiella, mi fece capire che non sarebbe mai fuggito dalla mia vita, i ricordi più belli che mi rimanevano della vita passata erano i mei tesori, quelli più importanti, e mi fecero capire che se la mia vita non fosse stata riempita piena di disgrazie gioie, avventure…sicuramente non avrebbe mai avuto una ragione per arrivare fino a lì.

Mi trovavo fuori dal castello, accanto al portone aperto, Alucard e Drakon mi avevano lasciato sola con Louis per concederci un po’ di privacy; tra le braccia tenevo stretta mia figlia addormentata. Non si preoccupava minimamente del freddo glaciale dell’inverno. Il cortile era pieno di neve, il terreno sembrava riempito di panna densa e bianca, e di già scendevano piccoli fiocchetti di neve nonostante tirasse un venticello leggero ma freddo. Il cielo era sorvolato da nuvole color latte, formavano un mantello.

“Sai, ci sono momenti in cui vorrei…’’, si fermò un po’ a guardare Gioiella. “….che iniziassimo da capo, e che la nostra storia non avesse mai una fine. Ancora rimpiango per quello che t’ho fatto’’, concluse Louis con un’espressione piena di rimorso. Sciolse il caldo abbraccio che un attimo fa c’eravamo scambiati. Ne desiderai subito un altro.

“Hai fatto la tua scelta Louis, la apprezzo comunque. In teoria mi hai fatto un favore: se non fosse stato per quell’improvvisa rottura, a quest’ora Alucard se ne sarebbe andato per sempre dalla mia vita’’, guardai ritmicamente Gioiella.

Accennò un sorriso triste. “Avrei voluto….avrei potuto anche continuare’’

Respinsi un nodo in gola. “So che sembra crudele, ma non si può rimediare al passato. Ormai quel che fatto è fatto, Louis: abbiamo incrociato strade diverse, ma chissà per quale fortuna ci siamo rincontrati. Non dimenticherò mai quando mi sei stato accanto, mai. Ti voglio ancora bene, per cui…non affermarti su un “addio’’ al nostro legame perché c’è ancora, ed esiste. Siamo qui e ci vogliamo ancora bene, anche se in modo diverso. Qualunque sia ragione per la tua tristezza devi scacciarla perché io sto benissimo, molto bene. Ce la fai ad accettare questa consapevolezza?’’

Mi guardò pensieroso, non più triste. “Se ce la faccio? Penso di sì, ma è ancora tutto così confuso e…difficile’’

Gli accarezzai la guancia ghiacciata, al mio contatto caldissima, mi morsi il labbro sapendo che non potevo dargli quel senso di calore di una vita passata se solo gli sfioravo la mano, con l’altro braccio invece tenevo stretta la mia creaturina. “Scommetto che capirai che n’è valsa la pena, di tutta questa sofferenza, una volta che Federico sarà venuto al mondo ’’

Lo feci sorridere, finalmente. “Già, fra poco diventerò papà’’, rispose orgoglioso.

Dalla felicità, sorrisi anche io. “Sono orgogliosa di te, sarai un ottimo padre’’, poi lo guardai torva. “E Jennifer che dice?’’. In lato della mente, ancora non mi garbava pronunciare quel nome.

Deglutii appena, nel suo viso c’era apparsa una maschera di imbarazzo e tristezza al tempo stesso, campivo che avevo detto qualcosa di troppo. “Non voglio farla lunga, ma…nei prossimi mesi credo che mi terrà stretto a se, temo anche nei prossimi anni’’, rise d’imbarazzo.

Alzai un sopracciglio. “Perché?’’

“È arrabbiata, Alexia. Ancora non si dimentica di quello che mi avevi fatto quella notte’’

“Oh”

“Nei mesi in cui ti venivo a trovare, si era perfino infuriata tanto….diceva che non mi importava niente di lei, e….mi aveva perfino buttato fuori di casa per un mese’’, balbetto.

Insomma, non era cambiata per niente. Jennifer era sempre Jennifer. “Be’, questo non è vero. Digli la verità, digli che la ami più della sua stessa vita e che…farai di tutto per renderla felice e che non vedi l’ora di diventare papà’’, erano tutte parole che sicuramente gli avevo detto io…quando ancora lo amavo. Era uno dei quei momenti in cui avrei voluto versare lacrime di coccodrillo.

In disappunto, lo fece Louis per me: i suoi occhi si fecero improvvisamente rossi. “Sì, lo farò’’, rispose, tirando su col naso.

Lo abbracciai, non riuscii a trattenermi, baciandolo sulle guance bagnate. “Ti prego, digli questo. Fallo per me, amala tanto, amala come hai amato me, più di me. Una volta arrivato a casa, digli tutto quello che ti ho riferito e…’’

“Basta, Alexia’’, disse scuotendo la testa e piangendo ancor di più.

Gli feci appoggiare la testa sulla mia spalla, mentre lui mi strinse più forte a se, stando attento a non far male alla piccola. “Accidenti, eri talmente speciale per me. Sì che lo eri. Sono stato cocciuto, troppo stupido, un’idiota’’

“Ssh! No, smettila. Avevi ragione tu, era difficile amare una mezza-vampira cocciuta e testarda come me’’

Rise appena. “Mi dispiace’’

“Sto bene, Louis, smettila di rimpiangerti addosso. Tu ami Jennifer?’’

Si scostò da me, e mi guardò torvo, come se avesse guardato una pazza. Si asciugò per l’ultima volta le guance bagnate. “Sì, certo che la amo ’’

“Ripetilo per i prossimi chilometri che incamminerai verso casa e vedrai che la smetterai con le lacrime da coccodrillo’’

Rise ancora. “Afferrato’’

“Io ormai sono felice, mi hai dato una giusta via. Grazie, e ti vorrò per sempre bene. Per sempre’’, lo strinsi forte a me e lo bacia sulla guancia.

“Anch’io ti vorrò per sempre bene’’, mi sussurrò, baciandomi tre volte sotto l’orecchio. Lasciò l’abbraccio e baciò Gioiella sulla fronte coperta dalle ciocche di capelli castani.

“Ci vediamo un altro giorno, Gioia’’, sussurrò, la manina della bambina si mosse appena, dentro la sua boccuccia si sentii un leggero lamento.

“Gioia?’’, chiesi quando gli volsi lo sguardo.

“Mi sembra carino come soprannome’’, osservò alzando le spalle.

“Già, è molto bello ’’

Restò in silenzio per molto tempo, così lungo da farmi sembrare che fosse passata mezz’ora anziché un quarto, senza togliermi lo sguardo di dosso mentre io cercavo di distrarmi cullando Gioiella. Quando decisi di voltarmi verso di lui si schiarii la gola. “Ci vediamo, allora’’, concluse con le mani incollate dentro le tasche del giubbotto.

“Spero di rivederti presto ’’, risposi, avrei voluto intrattenerlo ancora per un po’, anche se così rischiavo di far insospettire Alucard. Già era tanto che stava ascoltando dalla nostra camera.

“Anche io Alì’’, rispose, si sporse per baciarmi la fronte e poi si incamminò a grandi passi verso l’uscita senza neanche voltarsi a guardare. Rimasi immobile a guardarlo, mi voltai solo quando era scomparso oltre la nebbia. Un secondo dopo ero dentro la nostra stanza; Drakon aveva spostato la culla dalla stanza verde alla mia, accanto al letto, e vi posai Gioiella. Alucard intanto si era affrettato a riempire la valigia di alcuni vestiti, ma quando sono entrata mi volse uno sguardo indifferente, forse perché la mia espressione era simile ad una persona in lacrime.

Afferrai il cellulare sul tavolo e composi il numero, per fortuna avevo abbastanza memoria per ricordarmelo anche nella seconda vita. Non appena squillò due volte sentii una voce chiamarmi per nome dall’altro capo della cornetta.

“Mamma?’’

La sua voce sembrò sorpresa. “Amore! Adesso veniamo a prenderti’’

“No…non venire’’, rispose trattenendo un singhiozzo.

Sentii il suo respiro fermarsi. “Ma…perché? È successo qualcosa?’’

Alucard posò un vestito fuori dalla valigia, mentre mi guardava accigliato. Preferii non incontrare il suo sguardo.

“No, voglio solo restare ancora qui fino a dopo domani. Ti va bene? Devo solo…riprendermi. Ricordare, ecco’’

“Sei ancora confusa?’’

“Sì’’

Lei sospirò. “Va bene, cara’’

“Mamma, non ti preoccupare, ti spiegherò tutto domani sera’’

Mi salutò e chiusi il cellulare. Posai le dita sulla guancia e la sfiorai perché sentii qualcosa di umido rigarmi la pelle, quando guardai le dita mi accorsi che era una lacrima.

Guardai impaurita Alucard. “Che cosa mi succede?’’

“Piangi’’

“Ma…è impossibile. I vampiri non possono piangere’’

“Solo tre volte nella loro eternità possono farlo’’

Sole tre volte? Per me non furono sufficienti, desideravo piangere mille volte, forse tanto quanto lo sarebbe stata la mia vita; mi chiesi apertamente in quali situazione avrei sparso le ultime due lacrime della mia vita immortale.

Mi sedetti sul letto e mi asciugai la guance, Alucard mi fu subito accanto e mi cinse le spalle. Posai la testa sulla sua spalla e gli baciai il collo, prima di sussurrargli all’orecchio.

“Tu non mi tradirai mai, vero?’’

Lui stampò un baciò sulla mia bocca. “Preferirei morire’’

Non dissi più niente, lasciai soltanto sfogare le mie prime lacrime della mia eternità. Un lato di me stessa avrebbe voluto manifestassi il pianto davanti a Louis mentre lo abbracciavo. Chissà se anche lui stesse piangendo mentre ricordava i nostri momenti felici vissuti insieme.

Mi tranquillizzai solo quando unita al corpo di Alucard, tra le sue braccia, mi donava baci d’amore.

 

 

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