Viaggio nell'universo Shugo Chara!

di _Pikadis_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima di partire, la prima cosa da fare, è sapere dove andare. ***
Capitolo 2: *** Apriamo le danze. ***



Capitolo 1
*** Prima di partire, la prima cosa da fare, è sapere dove andare. ***


 


Prima di partire, la prima cosa da fare, è sapere dove andare.


Lo zaino lo tengo sempre su una spalla, anche se fa male. Mi fa sentire trasgressiva. Le tendine della cucina, di una bella sfumatura di arancione, stemperano la luce del sole nascente e creano un’atmosfera accogliente. Infatti sono rimasta incantata a guardare la finestra, senza nemmeno ascoltare mia madre.

-Zita, hai capito?

-Eh? - ritorno alla realtà un po’ stordita. Mia madre sospira. Ha un’aria piuttosto stanca, lo ammetto.

-Oggi non ci saremo a pranzo, devi riscaldare il pollo, fare l’insalata per stasera e soprattutto non dimenticare di comprare il pane. -

-Pollo, insalata, pane: tutto chiaro –annuisco –Allora io vado! –guadagno in fretta l’uscita, sentendo da lontano il saluto di mia madre. Sarà anche presto, ma per una giovane donzella che si accinge ad addentrarsi nella giungla dei mezzi pubblici ogni minuto è prezioso.
///
Il dodici mi scarica davanti ad una scintillante palazzina. L’immacolato citofono viene sporcato da un’impronta un po’ sudaticcia e poco dopo mi risponde una voce metallica.

-Chi è?

-Folletto, signora! Lei è già cliente? Se sì abbiamo delle nuovissime offerte da presentarle! –la voce mi sbatte il ricevitore in faccia e tutto resta tranquillo per un po’. Poi sento lo scatto della serratura. Dalla porta specchiata, in cui prima si rifletteva placida la mia immagine, viene fuori una ragazza asiatica. Fisico atletico, tratti netti e puliti, pelle perfetta e un bel caschetto irregolare di capelli corvini. Nemmeno la divisa orrenda che indossa riesce a scalfire la bellezza di Reiko. Invece su di me, nella mia anonima normalità di comune ragazzina dai capelli ricci, giusto un po’ adornati da una cenerentola, statura e peso medio, crea un triste effetto smorto.

-Di prima mattina hai troppa voglia di scherzare- dice soffocando uno sbadiglio –e comunque, buongiorno!

-Buongiorno anche a te! E, giusto per la cronaca, ma solo così eh, per fartelo notare, sei tu che non fai colazione e non assorbi l’energia giusta per cominciare al meglio la giornata! –Reiko rotea gli occhi e fa un mezzo sorrisino, segno che la mia battuta è andata a buon fine. Siamo così io e lei, uno strano assortimento di opposti, io che cerco di farla ridere e lei che fa finta di essere superiore. Questa storia va avanti da anni ormai, ma nonostante tutto, abbiamo anche parecchio in comune. Fin da bambine abbiamo condiviso giochi e cartoni preferiti, collezioni di figurine di Barbie e delle Winx da completare con l’aiuto dell’altra, pietanze divise in due perché entrambe ne volevamo un pezzo e, ovviamente, la grande passione per la lettura, di tutti i tipi ovviamente, ma specialmente per i fumetti e i manga. In particolare, una delle serie che ci ha unite più di tutte è stata Shugo Chara. Lo scoprimmo insieme, per puro caso, in un noioso pomeriggio estivo del 2010. In realtà non sappiamo cosa ci colpì maggiormente di quell’opera, ma fatto sta che ne rimanemmo affascinate. Non parlavamo d’altro che di Shugo Chara, non leggevamo altro che Shugo Chara, eravamo andate in fissa ormai. Soprattutto, una delle domande che la notte non ci faceva dormire e che ci faceva passare intere giornate a discutere era la scelta finale di Amu. Sarebbe restata con il fedele Tadase? O avrebbe preferito fuggire col misterioso e seducente Ikuto? Insomma, avevamo passato davvero dei gran bei momenti…ma oramai siamo cresciute, ed i tempi in cui sognavamo di far parte dei Guardiani, sono andati.

-Oi Reiko, quando usciamo ricordami comprare il pane. –dico cercando di scacciare la malinconia che mi si è appollaiata sullo stomaco.

-Oggi cucini di nuovo tu? –chiede un po’ perplessa. Annuisco.

-Quindi se senti una sirena dei pompieri non preoccuparti, vuol dire che sono riuscita a fare il caffè.
///
Il nostro liceo si trova in un vecchio palazzo ristrutturato una trentina d’anni fa. A me piace, è carino e lo tengono anche pulito, quindi non mi lamento. Ma l’unico problema è che hanno deciso di adottare l’uniforme, quella orrenda di prima. Gonnellina o pantalone marrone e maglioncino beige, l’allegria fatta a capi d’abbigliamento, insomma. Poi l’effetto che ha sull’umore vedere un migliaio di persone vestite in questo modo ogni mattina, bè, ve lo lascio immaginare. Comunque, io e Reiko non siamo nella stessa classe, poiché abbiamo scelto indirizzi diversi, quindi, una volta suonata la campanella, ci separiamo.

-Zita! –La dolce vocetta da pulcino pasquale che mi richiama è quella della mia compagna di banco e d’avventure Grazia, una ragazzina vivace, simpatica e un po’ ingenua, con i capelli leggermente ramati e gli occhietti azzurri quasi coperti da una frangetta. Ci siamo ritrovate sedute vicine per mancanza d’altri posti il primo giorno di scuola e, grazie a questo strano colpo di fortuna, abbiamo fondato una compagnia di ammazza draghi. E no, non sto scherzando.

-Salve Grazia, tutto ok? –chiedo mentre mi schiocca un bacio sulla guancia.

-Una meraviglia, a parte l’ultimo drago che ho incontrato. Questo era troppo tosto, non ce l’ho fatta. –ecco, magari dovrei dirvi che in realtà i draghi sono la matematica, la fisica e tutti i loro possibili derivati e combinazioni. Sì, lo so che state leggendo con quell’espressione schifata, ma non giudicatemi, sono solo una povera studentessa di scientifico che cerca di sopravvivere!

-Se vuoi posso darti una mano, non ho avuto molti problemi a batterlo! –Grazia si illumina e annuisce energicamente. Anche se un siamo un po’ stupide ci vogliamo bene e, a parte la questione dei draghi, siamo due persone apposto. Entriamo finalmente in classe e ci rintaniamo nel nostro appartatissimo banco quasi in fondo, ma non tanto da farci distrarre. Vedi che studentesse modello che siamo? Tiro fuori il mio quaderno di fisica, il famoso drago, e lo passo a Grazia, che comincia a scrutare perplessa uno dei problemi. Io invece, do un’occhiata alla miriade di graffiti a matita che ricoprono il laccato verde del banco, tra cui spiccano un’orchidea e un mini cesto di frutta. Ha molto talento, la mia collega ammazza draghi, peccato abbia scelto di non metterlo a frutto. Vengo violentemente strappata alla contemplazione da un ragazzo un po’ allampanato che quasi sfonda la porta, tanto è l’entusiasmo con cui entra.

-Gran bella giornata a voi, gente! –ci saluta Davide. Grazia lo ignora totalmente, senza distogliere lo sguardo dal suo drago, mentre io lo saluto con la mano. Davide è l’ultimo membro della nostra combriccola. Anche lui è capitato nel banco davanti al nostro per puro caso, anche se lo conoscevo già un po’ da prima. Se posso definirmi una comica, allora posso anche dire che Davide è il mio maestro. Da che ricordi, è sempre stato un ragazzo divertente e gentile. Lo abbiamo sempre considerato un gentiluomo, io e Grazia, e potremmo tranquillamente ammettere, senza ombra di rimorso, che molto spesso lo sfruttiamo ingiustamente come cameriere personale. Ma a lui non dispiace, o forse non se ne accorge, e questo è l’importante. Ora che il trio è al completo, la giornata può anche cominciare.
///
Il ventiquattro mi riscarica di nuovo di fronte alla mia silenziosa dimora. Dopo una giornata come tante, mi aspetta un pomeriggio come tanti. Ho preso il pane, e non ha dovuto ricordarmelo Reiko, pranzerò, comincerò a studiare e, una volta finito, deciderò il da farsi, che molto spesso si risolve o con l’andarmene a danza o col guardare la tv. A casa non c’è nessuno, mia sorella resta a pranzo da una sua amica. Poggio la busta del fornaio sul tavolo della cucina. Ormai l’atmosfera vivace e accogliente di stamattina si è incupita in una triste tonalità seppia. Ho appena notato che non ho fame. Mi butto a pesce sul letto della mia camera, resto per un po’ con la faccia seppellita nel cuscino e poi mi capovolgo, restando ad osservare il soffitto. La mia vita non è brutta, ho tutto quello di cui ho bisogno, anche di più, una famiglia normale, degli amici che mi vogliono bene e Reiko partirà tra poco. Eh già, torna in Giappone. Sembra l’altro ieri che ce ne stavamo nella soffitta di casa sua guardare vecchie foto ingiallite, ridendo degli abiti e delle acconciature di epoche passate. Senza di Reiko però, se ne va una parte importante della mia vita. Senza di lei, noto, che la mia vita non avrebbe molto senso, sarebbe il triste ripetersi di una routine. Sembra che col precipitare del mio umore, anche l’atmosfera della stanza si incupisca gradualmente. Ombre lunghe e silenziose si insinuano anche nel mio animo, tirando fuori con nonchalance tutte le domande e le paure che ho seppellito accuratamente. Con la partenza di Reiko, il coperchio che le separava dal mondo esterno, viene rimosso con una facilità assurda. Cosa ne sarà del mio futuro? Non ho la più pallida idea di cosa farò dopo il liceo…perché a casa mia non c’è mai nessuno? I miei genitori sono quasi sempre al lavoro e mi sorella cerca di stare il meno possibile a casa…perché a parte Reiko sono completamente sola? Infatti, nonostante voglia molto bene a Grazia e Davide, non riesco a considerarli al suo pari…senza di lei lo so, la solitudine finirà col divorarmi, sarà inevitabile. Senza accorgermene, le lacrime cominciano a rotolarmi giù dagli occhi. In silenzio, senza dar troppo fastidio. Anche se un po’ appannata, riesco a vedere la mensola dove sono posati tutti in fila i miei volumi di Shugo Chara. Ora vorrei solo scappare, tornare indietro, indietro ai tempi spensierati e felici, indietro ai tempi in cui sognavo di poter essere un Guardiano e purificare le uova.

-E allora perché non lo fai? –ma è ovvio, perché non è possibile.

-E chi lo ha deciso? -come chi lo ha deciso? È la logica, la razionalità…l’universo di Shugo Chara non esiste.

-E se ti dicessi che ti sbagli? Che potrei portarti lì ora, se solo lo desideri? –non rispondo stavolta. Ingoio il groppo che ho in gola, le lacrime si fermano. Continuo a fissare la mensola. Scappare? Sul serio, posso davvero farlo?

-Certo, parola mia! Ti porterò ovunque tu desideri, in un posto sicuro, in un posto felice…-sotto la mensola comincio a intravedere un contorno luminoso. Mi alzo dal letto preoccupata. Non credo di aver mai sofferto di allucinazioni, quindi credo che quello che vedo sia vero: un rettangolo bianco, glitterato addirittura, si è formato sul muro della mia camera. Lo sfioro con le dita. È tiepido e morbido e…reale.

-Allora cosa aspetti? Vai! –esito ancora un po’. Cos’ho da perdere, in fondo? Chiudo gli occhi e mi getto oltre la parete.





Pika's Time:
Salve a tutti! Vi avviso subito che non so cosa scrivere. No, perché potrei cominciare col presentare la storia a chi non l’ha mai letta in vita sua, o spiegando a chi la conosceva già prima cos’è cambiato e cosa mi ha spinto a riscriverla. Bè, in entrambi i casi sapete che questa storia esisteva già (sempre scritta da me, non vado mica in giro a rubare le trame altrui u.u). Cosa mi ha spinto a sospenderla? Innanzitutto il fatto che l’avessi scritta a tredici anni, e che quindi lo stile e la coerenza tra le proposizioni non fossero dei migliori, e poi i buchi apocalittici che invadevano la trama. Direte voi: e per imparare a scrivere come si deve e immaginare una trama decente ci hai messo tre anni? Vi risponderò in tutta sincerità: sì. E aggiungo anche che, senza l’intervento di due ragazze (My Melody e ChocolaMiraUlea97), starei ancora a domandarmi quanti anni avesse Zita (per la cronaca, ne ha sedici). Ora, non voglio annoiarvi oltre, ma mi rendo conto che non ho chiarito i cambiamenti di trama che ho effettuato...vabbè, rimandiamo alla prossima, ok?
Baci baci, Pika

Ah, a proposito, la pubblicazione sarà settimanale, ogni domenica pomeriggio :*

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Capitolo 2
*** Apriamo le danze. ***


Apriamo le danze.


Mi sveglio piano, realizzando secondo dopo secondo che mi trovo sotto un piumone caldissimo e parecchio comodo. Mi rigiro un po’ e, a pensarci bene, sembra proprio il mio piumone. Sbatto un paio di volte le palpebre e realizzo. Quindi era tutto un sogno? Insomma, ero talmente stanca da addormentarmi senza rendermene conto e sognare tutto? Wow…dovrei fare qualcosa però, le allucinazioni potrebbero essere il segno di qualche particolare malattia neurologica. Mentre mi arrovello in questi contorti pensieri mattutini, mi sciolgo dal caldo abbraccio del letto. A giudicare dal buio che avvolge la mia camera, dovrebbe essere ora di andare a scuola. Non faccio in tempo a muovere il primo passo che inciampo in qualcosa di parecchio grosso e mi ritrovo a tu per tu col pavimento. La botta mi ridà un briciolo di lucidità, facendomi notare, mentre mi rialzo, che sono inciampata in una valigia, una di quelle che mia madre tiene in soffitta, quella più grande tra l’altro. Non credo che la mia famiglia mi voglia improvvisamente sfrattare, quindi non mi spiego perché ‘sta cosa stia qui ad attentare indisturbatamente alla mia vita, ma la cosa strana è un’altra. La camera in cui mi trovo non è la mia. Non è la mia e non è nemmeno una di casa mia. Sono spaventata e confusa, molto confusa. Che razza di rapitore è uno che quando ti rapisce si porta appresso tutta la tua roba? E che si prende anche il disturbo di cambiarti e metterti il pigiama, poi! Aspetta, questo è inquietante…ma calmiamoci, diamine! Mi guardo intorno e non mi sembra di essere bloccata. Le finestre sono aperte, anche se socchiuse, ecco il perché della poca luce, la porta altrettanto, posso provare a scappare. Mi avvicino e la apro lentamente. Nel corridoio su cui affaccia la luce è molto abbondante e la casa sembra pulita e, soprattutto, disabitata. Azzardo ad uscire, con molta circospezione, evitando di infilarmi le pantofole parlanti dei Furby. Per la precisione, mi trovo alla fine di un corridoio, su cui si aprono altre tre no, cinque, porte che per ora sono sbarrate. Al capo opposto ci sono delle scale. Bene, non ho intenzione di visitare stanze a caso, quindi decido di scendere al piano di sotto. Sento una musica però, che proviene dalla stanza più vicina alle scale. È un pezzo che mi è familiare…e non è nemmeno una registrazione, c’è qualcuno che la sta suonando, interrompendosi di tanto in tanto per aggiustare qualche nota. Mi ritrovo ad un bivio: o scendo le scale o scopro chi sta suonando. Dannatissima curiosità, poggio il palmo della mano sul legno chiaro dello stipite e con l’altra spingo la maniglia. Rimango impietrita sull’uscio.

-Reiko? –la voce mi esce con una tonalità quasi isterica. Lei, che se ne stava seduta ad un pianoforte a coda, si gira di scatto, sorpresa, poi mi sorride.

-Buongiorno Zita! Per una volta sono io a svegliare te, eh? –si alza e, con tutta la tranquillità immaginabile, si avvicina –Perché sei così sconvolta? –stranamente mi ritrovo a corto di parole.

-C-cosa ci fai qui? –riesco solo a farfugliare, ritrovandomi poi a voler fare un migliaio di domande -Cosa ci faccio io qui? Dove siamo? Insomma mi vuoi spiegare qualcosa? –Reiko distoglie lo sguardo e sorride nervosa, grattandosi la testa.

-Ecco vedi…non è proprio così semplice da spiegare…che ne dici di cominciare a fare colazione?
Sorseggio il latte caldo e sgranocchio biscotti come se nulla fosse, mi comporto come se avessi sempre vissuto in questo gigantesco salotto-cucina su toni crema, mentre vorrei solo che Reiko mi spiegasse cosa diavolo sta succedendo.

-Allora? –sbotto, quando ormai non ce la faccio più ad aspettare. Reiko posa la sua tazza e sospira.

-Allora da cosa vuoi cominciare? –dice fissando il suo latte.

-Dove sono? –chiedo quasi ovvia.

-A casa dei miei zii. –risponde lei con un’alzata di spalle. E c’era da aspettare per dirmi una cosa del genere?

-C-come? E cosa ci sarebbe di sco –mi blocco di botto, realizzando -Reiko, i tuoi zii…quelli in Giappone? –sempre evitando di guardarmi, annuisce. Improvvisamente ho paura.

-Ti ricordi quando ti dissi che sarei tornata in Giappone alla fine dell’anno, che sarei stata dai miei zii? –sì che mi ricordo, è stata la prima volta che Reiko mi ha apertamente parlato della sua famiglia. Lei ha vissuto con sua madre a Tokio fino all’età di cinque anni, poi si sono trasferite in Italia. Non ho ben capito il perché di questo trasferimento, ma c’entra qualcosa con il padre, poiché i genitori di Reiko sono separati. Ma comunque, a causa di questa prolungata assenza della madrepatria, Reiko non vede i suoi parenti da anni, allora le hanno proposto, una volta finito l’anno scolastico, di trasferirsi da loro per un po’. –Ecco, diciamo che i miei zii non abitano proprio in Giappone…almeno non in quello che conosci tu… -sto capendo davvero poco e la cosa mi preoccupa. Tutto sta prendendo una piega troppo strana e comincio ad avere una brutta sensazione in fondo allo stomaco.

-Reiko, per favore, spiegati…  -finalmente gli occhi scuri di Reiko incrociano i miei.

-Zita, siamo nell’universo di Shugo Chara. –sembra che qualcuno mi abbia tirato un pugno nello stomaco–E non solo…io qui ci sono nata, sono il Regolatore di questo universo.

-Cosa? –ora comincio a sentirmi male sul serio.

-Vedi, ogni volta che qualcuno scrive un libro o una sceneggiatura, la storia dà vita al suo universo parallelo, in cui tutto scorre secondo le leggi dell’autore. Naturalmente tutti questi universi sono, per così dire, ‘meno reali’ del tuo, che è quello originario da cui tutti gli altri derivano, e per questo sono abbastanza instabili e fragili. Per evitare che collassino su sé stessi l’autore, anche se inconsapevolmente, nomina un Regolatore, ovvero una persona in grado di gestirlo e comunicare con l’universo di partenza in caso di necessità. Io sono il Regolatore di questo…- prende un sorso di latte e continua-…e ho bisogno del tuo aiuto.

-Cosa? –chiedo sconvolta.

-Sì, hai capito bene, sono stata io a farti arrivare fin qui. Il sistema è semplice, basta avere con sé una copia dell’opera, un Regolatore pronto ad aprire il passaggio e il gioco è fatto.

-No dico –istintivamente mi alzo e comincio a indietreggiare, Reiko comincia a dare segni di squilibrio –Posso provare a credere di trovarmi dentro Shugo Chara, che tu sia il ‘Regolatore’ di questo universo…ma diamine Reiko, sembra tutto così assurdo… -Reiko apre la bocca come per dire qualcosa, ma prima che possa emettere un suono, vado a sbattere contro qualcuno. Mi giro di scatto, ritrovandomi a guardare Ikuto Tsukiyomi dritto negli occhi.

-Buongiorno e ben arrivata! Scusa se non ci siamo ancora presentati, ma io sono Ikuto, il cugino di Reiko –mi fa un inchino –Ieri sera siete arrivate così tardi che non ho avuto il tempo di presentarmi…comunque –dice, rivolto alla cugina –io sto uscendo, torno per pranzo, ciao! –e se ne va, sbattendo la porta. Rimango in piedi, paralizzata. Mi giro piano verso Reiko, che mi guarda con un’espressione divertita e soddisfatta.

-Assurdo, dicevi? –dice con tono divertito. Torno a sedermi e prendo la testa tra le mani, cercando di riordinare i pensieri.

-Quindi quando leggevamo Shugo Chara…tu sapevi già come sarebbe andata a finire?

-No, in realtà sapevo solo che i personaggi erano i miei parenti e, ti giuro, quando ho visto per la prima volta quel manga, sono rimasta sconvolta… -sorride malinconicamente scuote la testa.

-E i miei parenti, la mia famiglia, sa che sono qui? Insomma, mi daranno per dispersa…

-Oh no, tranquilla –scaccia con la mano quel pensiero –crederanno che tu sia davvero venuta in Giappone con me, come anche gli altri del resto...ma non preoccuparti, tanto telefoni e internet funzionano normalmente.

-Ah però, siamo tecnologici! –abbozzo un sorriso. Non posso crederci, non riesco a crederci! Quindi il mio sogno era vero, sono sul serio arrivata nell’universo Shugo Chara.



Pika's Time:
Oilà, gente! Mi inchino a voi che avete avuto la pazienza di leggere il secondo capitolo e arrivare qui in fondo, nell’oscuro antro dell’autrice! Bene, comincio subito col dire che questo capitolo è corto e non mi piace, punto. Ma è solo di passaggio (o almeno è questa la scusa che mi ripeto per convincermi che in fondo vada bene), quindi spero mi perdonerete! Ma comunque, cosa ve ne pare? Vi sto incuriosendo almeno un po’? Spero vivamente di sì…ah, a proposito, volevo avvisare chiunque avesse letto la ‘vecchia edizione’ di questa storia, che il personaggio di Agata in questa non esisterà e la sorella di Zita, Alice, avrà molto meno spazio. Volevo anche ringraziare cristie13 per aver recensito lo scorso capitolo! Inoltre, per chiunque se lo stesse chiedendo, la musica che suona Reiko è Nuvole Bianche, di Ludovico Einaudi!
Ooook, mi sembra di aver detto tutto, se vi va lasciatemi una recensione, anche negativa ovviamente, e alla prossima!
Baci, Pika

(Yukihine è una brutta persona.)

 

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