La scarsa.

di Bobba
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'inizio della fine. ***
Capitolo 2: *** farmi sentire ***
Capitolo 3: *** LA ***
Capitolo 4: *** segno indelebile ***
Capitolo 5: *** tranquillità ***
Capitolo 6: *** cambiamenti? Che novità ***
Capitolo 7: *** non era un film, ma la mia vita ***
Capitolo 8: *** Estate! ***
Capitolo 9: *** Cosa potrebbe andare storto? ***
Capitolo 10: *** Tutto. ***
Capitolo 11: *** ok non so fare la filosofa ***
Capitolo 12: *** nascosta dentro la kefia ***
Capitolo 13: *** Il cannetto ***
Capitolo 14: *** il mio crollo emotivo ***
Capitolo 15: *** Silenzio ***
Capitolo 16: *** Abbassa la cresta. ***
Capitolo 17: *** ero confusa, troppo confusa. ***
Capitolo 18: *** ero a pezzi, ferita. ***
Capitolo 19: *** Ero stanca. ***
Capitolo 20: *** La scarsa. ***



Capitolo 1
*** L'inizio della fine. ***


Avete presente quando nonostante tutte le persone attorno a voi vi sentite soli? È initile urlare tanto la gente non vi sente o non vuole sentirvi, la mia vita è sempre stata cosi. Un urlo infinito di emozioni che nessuno non ha mai capito e ha sempre ignorato. Sono nata in una cittadina della sardegna, nel maggio del '97. Mia madre era una casalinga disoccupata amante della musica italiana (purtroppo) e che avvolte si arrabbiava per nulla, mio padre invece lavorava in una fabbrica, era amante delle armi e delle grandi guerre; così tanto che possedeva una libreria solo per libri di guerra che ancora possiede e aveva ogni tipo di attrezzatura militare e qualche arma non idonea che teneva nascosta. Avevo una sorella più grande di 5 anni: bionda, occhi azzurri e viziata, così tanto che riusc' a scegliermi lei il nome nonostante i miei avessero già un idea di che nome darmi. Eravamo la tipica famiglia degli anni '97, con un gatto e un cane, con i parenti un po permalosi e gli abiti un po strambi. A me sembrò tutto normale, per quel che mi ricordi. Ero una bambina un po paffutella, capelli scuri e occhi enormi scuri che facevano diventare sdolcinate le persone, ma mi ha sempre rovinato la mia timidezza che a lungo andare diventò veramente drastica. Mia madre non mi seguì molto, era troppo occupata a seguire mia sorella e mio padre lavorava sempre; per non contare che i miei piano piano si stavano separando e non avevano il tempo di seguire tutte e due le figlie. Quando io ebbi 3 anni decisero di separarsi perchè mio padre una volta maltrattò mia madre, e allora lei riuscì ad avere il nostro mantenimento con l'accordo però che mio padre poteva tenerci il sabato sera e per le feste. Non capivo questa separazione, avendo 3 anni non capivo un cazzo. Nonostante non ricordassi molto della mia infanzia ricordo ancora le domande che facevo a mia madre "perchè papà non può stare qui con noi?" o "perdona papà per qualunque cosa ha fatto", ma lei rispose solo che non voleva più papà e che ormai amava un altro uomo. Eh si stranamente mia madre dopo la separazione trovò subito un uomo che penso sia la causa della separazione dei miei. Andammo ad abitare in una cittadina vicina a quella dove vivevamo prima, solo che ora non c'era più nostro padre, ma un uomo un po scorbutico e asociale. Ma nonostante la comparsa di questa nuova figura volli continuare a vedere mio padre. A quel tempo papà era un padre con le palle quadrate (scusate il gergo sardo), un padre che portava le figlie in giro per la sardegna e ci faceva fare nuove esperienze; cosa che con mia madre non facevamo mai, rimanevamo o rinchiuse a casa o dai parenti che non avevano figli. Poi non andavo molto d'accordo con il nuovo compagno di mia madre, lei ci obbligava a chiamarlo "babbo" anche per separare le due persone distinte papà e babbo, ma io non vidi mai lui come una persona paterna, ma solo come l'uomo che usurpava le labbra di mia madre.

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Capitolo 2
*** farmi sentire ***


Qualche mese dopo mia madre rimase incinta e nacque la mia nuova sorellina. Ebbe sempre la vita più semplice, aveva accanto la sua vera madre e il suo vero padre, mentre a me rimaneva solo una madre che era troppo impagnata a rifarsi una vita e a tenere la nuova figlia invece che seguire me. Già da quell'eta mi sentivo abbiandonata. Odiavo e amavo mia sorellina, non era colpa sua se io avevo perso la mia famiglia, ma lei fu una causa del distacco di mia madre. Mia madre si faceva sentire solo quando mi sgridava o mi picchiava perchè facevo di tutto pur di farmi sentire, anche se comportava prendere delle mazzate. Adoravo andare all'asilo, era pieno di bambini con cui giocare e maestre bravissime che mi davano attenzioni e mi facevano i complimenti per i miei disegni; disegnavo esclusivamente goku o pikachu, formati da cerchi sitemati insieme. Sfortunatamente ci trasferimmo diverse volte e mi fu difficile formarmi degli amici sinceri e ambientarmi un po. Poi con mia madre che mi teneva chiusa in casa anche fare amicizie con i vicini mi fu complicato. Se uscivamo da casa era per andare dai parenti: dalla parte di mamma non proprio con tutti perchè lei adorava litigare con chiunque, da parte di padre avevo perso tutti i contatti, da parte di patrigno invece andavamo fisso dai nonni. Mi piaceva molto a quell'età partecipare alle recite dove molto spesso cantavo e parevo quelle vocine dello zecchino d'oro quindi immaginate il mio viso completamente rosso da i complimenti che mi facevano, che però mi piacevano un sacco. A quell'età iniziai a diventare un maschiaccio: ricordo che per natali o compleanni preferivo ricevere arco e freccie piuttosto che bambole o cucine finte, mi piaceva andare a pescare (anche se il mio pescare era più che altro prendere pesci da pozzanghere con dei bicchieri di plastica) e a fare combattimenti clandestini con mia sorella più grande che mi batteva sempre. Ma nonostante avessi questi piccoli piaceri già da piccola provavo un senso di vuoto e di solitudine, non so come spiegare ma ricordo che avvolte piangevo senza motivo in camera e mi facevo pensieri strani sulla separazione dei miei genitori. Che litigavano in continuazione per telefono. Ricordo una sera che ero con mio padre da una zia che non rammento il nome, e che mi trovavo sola in giardino col suo cane che mangiava. Io mi avvicinai da lui perchè avevo i giochi li vicino e il cane sentendomi una minaccia mi morse il viso e mi lasciò una cicatrice a vita. Mia madre era infuriata, e da quell'episodio iniziò a parlarmi male di mio padre e io gli diedi ragione iniziando a pensare di non vedere più mio padre.

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Capitolo 3
*** LA ***


E così feci. Decisi di non vedere più mio padre. Nella mia testa si formavano pensieri contrastanti del tipo che mia madre era il bene assoluto e invece mio padre quello cattivo, e che le qualità le avevo prese tutte da lei. Ma mia madre mi dimostrò che col tempo nessuno è perfetto, e nonostante si descrivesse come una madre modello era tutt'altro che una madre. Penso che mia madre si comportasse così perchè aveva avuto i suoi problemi e cercava di ricostruirsi una vita, mettendosi al primo posto e ignorando completamente le figlie. Amava il nuovo compagno, così tanto che sopportava i parenti e i suoceri pur di stare insieme a un uomo che io vedevo assente e disinteressato. . La madre del suo compagno era la tipica suocera odiatrice delle nuore e innamorata perdutamente del figlio, e come ogni nonna che si rispetti amava la nipote, si esatto, LA. Infatti per lei esisteva solo mia sorellastra e a me restavano solo le sue offese: era una donna con problemi di peso, e pur di sentirsi meglio prendeva di mira me dandomi della grassa, e io ero appena una bambina di 6 anni un po paffutella e timida e quindi non le risposi mai..Il marito invece, era un uomo di campagna amante delle serie televisive spagnole e telegiornali sardi, ma anche..io odiavo andare in quella casa, ma non potevo oppormi per volere di mia madre. Se andavo li di solito mi divertivo a fare il maschiaccio di turno giocando in mezzo alla campagna o toccando tutto quello che era contenuto nel garage: roba meccanica, viti, bulloni, attrezzi. Di solito ci andavamo durante le feste tanto per passarlo in famiglia. Non ricordo gran che, eccetto diversi episodi e giornate rimaste nella memoria, più che altro per le vicende accadute.

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Capitolo 4
*** segno indelebile ***


Una volta mi ricordo che stavo giocando a nascondino con mie sorelle e mia madre mi disse di chiamare mio "nonno" perché il pranzo era Pronto e allora lo cercai in garage. Ricordo che entrando la luce naturale diventava più soffusa e debole e stando attenta a cosa calpestare diedi un urlo a mio nonno dicendo che era pronto, lo trovai vicino al suo furgoncino e mi disse di avvicinarmi e lo feci, e lui mi spinse verso il veicolo e mi strinse forte sulle braccia e tenendomi a forza tentò di baciarmi, riesco ancora a ricordare il suo viso che cercava di incontrarsi col mio, io cercai di liberarmi muovendomi da una parte all'altra e dopo un po mi lasciò andare. Tornai su in cucina dove erano tutti a tavola ma non mi usci una parola dalla bocca, tranne un "si" quando risposi alla domanda di mia madre che era se avevo avvisato nonno a salire e due minuti dopo arrivò pure lui, facendo finta di nulla tutto sorridente e sedendosi a tavola. Il mio sguardo non riusciva a non spostarsi dalla forchetta che muovevo senza senso nel piatto. Gia da li odiavo passarci le giornate, ma purtroppo mia sorellina ebbe un incidente con dell acqua bollente e parti insieme a mamma qualche mese in un ospedale per curarsi, e io e mia sorella grande fummo costrette a rimanere li per qualche periodo. Ricordo che un giorno avevo un mal di pancia tremendo e rimasi per qualche ora insieme a nonna in cucina ma lei si corico' più tardi in camera perché era stanca, e dopo una mezzoretta arrivo mio nonno dalla porta del giardino chiedendomi cosa avessi per via della mia posizione mezzo fetale sulla poltrona, e allora dopo averli detto il problema Si avvicinò a me e mi prese in braccio, infilò la sua mano sulla pancia e iniziò a massaggiarmela, un atto affettuoso direte, peccato che dopo qualche minuto iniziò a salire massaggiandomi il seno, e ricordo che iniziai a muovermi e a cercare di scappare ma più mi muovevo più il dolore della pancia aumentava e dopo qualche minuto mi spostò da lui e tornò alle sue faccende. Per quanto mi sforzi non ricordo altri episodi simili, ricordo solo l'odio verso quella casa e quel garage.

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Capitolo 5
*** tranquillità ***


Per un periodo mi ricordo ero un po' tranquilla, ero alle elementari e avevo fatto molte amicizie perché il periodo di trasferimento era finito, anche se la vita in casa non era gran che. Diciamo che ero una piccola peste molto affettuosa e ingenua, però le cazzate le facevo e anche se erano cose insignificanti per mia madre non lo erano, tanto che quando accadeva qualcosa portava me e mia sorellastra in cucina e iniziava a picchiarci con la cinta finchè una delle due non avesse parlato e prima che mi arrendessi rispondeva mia sorellina che si prendeva il doppio dei colpi. In quelle situazioni mi odiavo fortemente tanto che correvo in camera a piangere con la bocca coperta dal cuscino e molte volte cercavo di togliermi il respiro, sentivo dentro di me un macigno enorme che non riuscivo a controllare.. Però non sono mai riuscita a togliermi completamente il respiro e allora cercavo di chiudere tutto dentro. Avvolte succedeva che mi sfogassi in classe, con un mio compagno facevamo a botte quasi sempre e Li riuscivo a buttare un po fuori lo stress. La nostra disputa era incentrata principalmente sul disegno, litigavamo per chi era il migliore a disegnare (ovviamente io) e quando gli insegnati chiedevano chi fosse stato a iniziare era semplice fare il pianto isterico e la voce da bambina dei boschi, in classe ero stimata da tutti perché avevamo in comune l'odio per questo bambino che alla fine non aveva niente di diverso se non il carattere troppo vanitoso. Mia madre mi sgridava continuamente per queste risse, anzi mi sgridava per tutto, la cosa strana è che a casa si comportava da psicopatica del cazzo e quando era fuori con amiche o si vantava di quanto io fossi brava nel canto e nel disegno o al contrario di quanto ero disordinata, anche se mi sono sempre vista come una persona incasinata dentro, ma forse fuori anche troppo ordinaria. In questo lasso di tempo trovai dei modi per sfogarmi un po: per primo c e sempre stata la musica, infatti mi iscrissi al corso di canto (purtroppo) sardo dove l'insegnante rimaneva stupito avvolte; se mi sentivo triste mi prendevo la famosa sedia piccola di plastica e mi sedevo in corridoio davanti ai quadri e li ricopiavo a mano su dei fogli; in alternativa avevo il calcio a cui giocavo praticamente sempre; mi divertivo anche a giocare con playstation o a guardare programmi di combattimento. E si, ero un maschiaccio. Entrando alle medie cambiarono moltissime cose.

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Capitolo 6
*** cambiamenti? Che novità ***


Avevo un po interagito con alcune persone e sembrava tutto ok, mi divertivo e loro nonostante il mio viso da pazza mi volevano bene e mi difendevano, è stata un emozione bellissima avere tanti amici veri anche se a quell'età di era ancora bambini. Beh le medie erano impegnative da studiare, ma non trovai granché difficoltà. Andavo anche ad un corso per l'insegnamento dello strumento musicale che io ho sempre ammirato e desiderato: la chitarra. Non ero neanche male anche se essendo mancina avvolte litigavo con l'insegnante per la posizione giusta della chitarra. Diciamo che finalmente le cose andavano bene, apparte qualche urla che ogni tanto sentivo a casa di mia madre contro mio patrigno. Avevo anche trovato un migliore amico, si era trasferito da poco vicino a casa mia ed era pure mio compagno, non aveva nulla di speciale, tranne il fatto che si divertiva a uscire con me e anche se io fossi completamente pazza a lui andava bene così è mi sentivo tranquilla a questo. Fine del primo anno, e mia madre decide di comprare una casa, non sapete la tristezza, avevo trovato amici, un hobby e mi sentivo solo li a casa, e ci trasferimmo in una casetta mezzo a terra di un paesino sperduto. Non ho mai amato quella casa, se non il fatto che potevo tenere i miei gatti perché vi era una specie di giardinetto. Volevo continuare la scuola dov ero prima ma mia madre me lo impedì e mi fece andare in una scuola di un paese vicino, e nel mentre stavo già iniziando a fare amicizia con alcune ragazze che vivevano affianco a me (grosso errore)..Odiavo quelle bambine.

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Capitolo 7
*** non era un film, ma la mia vita ***


Cambiato paese, cambiato ambiente e anche persone. Nonostante la poca distanza della zona dove andai a vivere la mentalità qui era completamente diversa. Iniziata la scuola di li cercai di fare più amicizie possibili anche se era molto difficile: li i ragazzi sembravano i soliti bulli che vedi nei film che prendono di mira una persona e fanno di tutto per farla stare male. La cosa brutta è che non era un film, ma era la mia vita. Non so cosa trovavano di diverso in me, ok ero una ragazza cicciona che pur di non farsi vedere debole si fingeva simpatica e altezzosa, ma che riceveva solo insulti da parte di ragazzini che non mi dimostravano niente, ma che facevano ridere gli altri ragazzi. Avevo paura ad andare a scuola, a essere tormentata da ragazzi che pur di divertirsi mi prendevano di mira.In quel periodo poi mia madre era spesso soggetta a scleri mentali; mia sorella grande era scappata di casa e lei non sopportò il fatto, sfogandosi su chiunque incontrasse e visto che mia sorellina non ci pensava due volte a rispondere rimanevo io da prendere di mira. Mi sentivo inutile. Ero derisa a scuola e sgridata a casa e a quell'età la mia mente iniziò a fare pensieri più complessi ma anche più incasinati. E da li iniziai a non credere più nel cristianesimo, mi ricordo che in camera non volevo nessun oggetto cristiano perchè mi dava fastidio. però si avvicinava la cresima e ho pensato "se faccio la cresima finisco e non devo andare più in chiesa" così mi sforzai e feci quello che andava fatto. Mia madrina (che ha sempre più voluto come figlioccia mia sorellina, e chi non la amava e odiava infinitamente la ragazzina cicciona mezzo pazza e maschiaccia) mi regalò un computer portatile. Amavo quel computer. Finalmente anche io avevo un giocattolo elettronico. Mia sorellina per la comunione ricevette un Nintendo dsi, una stra-mega-figata di giochino che usavo le poche volte che facevo la schiava a mia sorellina. Ma ovviamente mia sorellina era gelosa che io avessi un pc e mia madre decise che il pc era sia mio che suo. SIA MIO SIA SUO? Non immaginate quanti pianti ho fatto nella vita..la maggior parte delle volte perché mia madre con il suo atteggiamento non mi dimostrava affetto ma solo odio e indifferenza. Molte volte trattavo male mia sorellina ma non perchè odiavo lei, ma perchè riusciva ad ottenere l'affetto di mia madre. Il padre di mia sorellina, bhe che dire a momenti si mostrava e a momenti diventava una brutta persona altezzosa e criticatrice. Con lui andavo a pesca, uno sport che mi è sempre piaciuto, solo che lui non era un abile pescatore e prendeva solo pesci velenosi..Era buono anche quando mi aggiustava le bici o mi chiamava per lavoretti "maschili e difficili da fare" ma io ci riuscivo sempre.

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Capitolo 8
*** Estate! ***


ESTATE. Amavo il mare. Amo il mare, quella sensazione di entrare in un altro mondo fatto di silenzi e paesaggi semplicemente stupendi, il problema era del fiato perchè dopo qualche secondo risalivo su e mi perdevo il tutto. In estate andavo in campeggio che definirei ..la vita perfetta finche non sei tu a pagare.. un paesaggio terriccio con erba che si estendeva a vista d'occhio, con tendoni enormi che parevano case e un capannone in legno coperto da teli che proteggevano il frigo, la tv con sky, fornetto, macchina del caffè, persino cucchiaini di plastica e tazzina di caffè in plastica. Insomma, una casa di barboni sempre piena di birra e patatine in snack. Più in là scendendo si trovava il paesaggio marittimo e SENZA SABBIA un paradiso in roccia che non ti riempiva le gambe di granuli fastidiosi, e io ho sempre camminato scalza nonostante avessi 485219 paia di scarpe da roccia di tutti i colori possibili e immaginabili. Poi c'erano parenti pieni di figli, il problema è che non c'era nessuno della mia età e dovetti sempre stare con i bambini. Oddio era divertente ti ascoltavano tutti e prendevano ordini, e alle partite di calcio, mostravo il meglio di me ed ero sempre in squadra o con mio nipotino di sette anni (giocatore nato) o con la sorella di piu o meno 10 anni (anche lei mostro). Diventava brutto quando mancavano i soldi e i miei parenti erano molto tirchi e quindi andavamo via perchè litigavano di brutto con mia madre, che anche lei da piccole cazzate si passava a catastrofi che solo lei si immaginava. Avvolte però per quanto amassi il mare avevo paura di andarci, di mostrare il mio enorme corpo a tutta quella gente che guardava e rideva senza mai pensare a come ci si poteva sentire. Odiavo il mio corpo. E odiavo me perchè non riuscivo a migliorarmi. Riuscivo solo a toccare l'evidente disastro che ero. Riuscivo a stare bene solo quando stavo con un bambino che mi piaceva un sacco. Non era bello (ne ricco nonostante mamma scherzasse troppo pesantemente sul fatto di trovarmi un ragazzo ricco) era un bambino semplice che si divertiva facendo interagire le persone e non prendendole in giro. Quando stavo con lui avevo attimi di gioia perchè mi sentivo normale, e attimi di panico totale perchè non mi sentivo alla sua altezza. Non so perchè gia da quell'età ero così pessimista, ma rivedendomi ora sinceramente è stata una fortuna esserlo.

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Capitolo 9
*** Cosa potrebbe andare storto? ***


Non ho mai avuto paura delle urla che lanciava mia madre, ma avevo paura di camminare da sola per strada. Si per me le cose semplici sono sempre state le più difficili. Difficile è stato cercare di fare amicizia al tempo delle medie. Ero arrivata all'ultimo anno e la delle leggende della terza media non aiutavano. Ogni volta che devo fare uno studio pesante immagino la scena del signore degli anelli quando gandalf nelle due torri sta per cadere e fissando per tre quarti d'ora i suoi compagni fece uscire la fare "fuggite schiocchi" e questa frase mi assilla durante tutto lo studio così tanto che pure il libro ha la vinta su di me. Però se non volevo farmi bocciare dovevo impegnarmi, ed è quello che è successo stranamente. Mi sedevo a tavolino qualche ora e sapevo ripetere tutto bene così bene che te lo sapevo riassumere meglio del libro stesso. E in questo periodo ricordo che mi fidanzai, ma torniamo indietro. (immaginatevi il rumore della cassetta che torna indietro) Primo giorno della terza media, vestita con cannadese e magliettina scelta alla cazzo, con il cuscino attaccato alla faccia e con i capelli sparati nonostante ci avessi litigato tutta la mattina e poi c'erano le mie compagne: ballerine, jeans stretti da farti scoppiare le arterie, maglietta scollata e trucco caricato sul viso. Diciamo che il mio aspetto non mi descrive del tutto, mi piace vestirmi alla cazzo, perchè alla fine ti deve piacere la persona non gli stracci costati milioni. Mi ero abituata un po all'idea che dovevo condividere le mie giornate scolastiche con loro, stando sempre attenta a come mi comportavo. Ultimamente però mi trattavano bene e non sapete quanta autostima acquisii. Stavo anche uscendo con dei miei compagni un periodo, solo perchè mi piaceva uno, infatti per stare un po con lui e farmi notare dovevo uscire solo con maschi e non sapete quante volte mi prendevo male. Era il tipico ragazzo fuori duro ma che dentro era dolce e tenero, con una malattia mentale che lo faceva schizzare ogni volta che si arrabbiava, un ragazzo come tutti gli altri..Nonostante la sua malattia che io non notavo a me piaceva e mi faceva sentire bene. Solo che io ero la ragazza bruttina che usciva con maschi e di conseguenza non interessante, infatti a questo ragazzo piacevano altri tipi di ragazze tutte col fisico perfetto e carattere di merda e io pur di stare con lui cercavo di aiutarlo a provarci con queste ragazze. Poi arrivò natale e poi capodanno, e ricevetti un messaggio su facebook da parte sua dove mi chiedeva se volevo essere la sua ragazza, non sapete la gioia isterica di quel momento. Iniziammo a uscire e non sapete l'imbarazzo ogni volta, fu lui il primo bacio, durammo ben 11 mesi ma dopo questi 11 mesi cambiò completamente la mia vita. Con lui provai anche esperienze nuove, oddio aspettate, provai semplicemente a farmi una masturbazione però da li poi non feci nient'altro. In questo periodo poi andai insieme a lui al corso di chitarra, strumento da me venerato, e anche se ci mettevo mezzora a fare gli accordi dopo un po iniziai a ingranare e non sapete le mille emozioni che provai. E in questo periodo accadde anche l'esaurimento nervoso di mia madre, che a forza di litigare con mio patrigno si lasciarono e lei iniziò a diventare un vegetale vivente. Comunque si arrivò all'esame che spaventa tutti i poppanti delle medie, parlai dello sfruttamento minorile cosa che mi ha sempre turbato e mi tocca un po anche nel profondo. Uscì con ottimi voti e decisi di studiare allo scientifico di una cittadina vicina. Avevo il ragazzo, avevo finito le medie ed ero apprezzata da i miei nuovi compagni cosa potrebbe andare storto?

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Capitolo 10
*** Tutto. ***


Tutto. Si esatto l'uscita delle medie portò una catastrofe dopo l'altra. L'estate fu all'insegna della famiglia, anche se ero sempre dietro mia madre che non la smetteva di litigare con il compagno ormai mollato. Mia madre. Era una donna nata in una cittadina insieme a 11 fratelli e genitori abbastanza severi. Cercava di essere una madre, ma per quanto cercasse di dedicare un po di tempo alle figlie riusciva solo a rovinare le cose. Era una persona che trovava scuse assurde tanto per alzare voce, e non ci pensava due volte di arrivare alle maniere forti, oddio è giusto educare un figlio con la giusta severità e se ci vuole un colpo sono la prima a darlo, ma lei non so cosa ci provasse a picchiarci con la cinta, lanciarci le ciabatte, o a trascinarci per i capelli e prenderci a calci contemporaneamente (credetemi se voi mi tirate i capelli non sentirò nulla). Odiavo il suo modo di fare troppo aggressivo, e molte volte anche come vedeva il mondo dava fastidio, stava sempre a parlare male o a criticare qualunque cosa. Non sopportavo quando mi parlava male di mio padre, dicendomi che mio padre non mi voleva come figlia, che era una brutta persona e che era meglio se non lo vedevo. Molte volte mi minacciava di prepararmi le valigie e di farmi andare da lui, e io ero così piccola che interpretai questa frase come un qualcosa di orribile. Primo giorno delle superiori, vestita come potevo, arrivai li e ricordo l'agitazione nell'aria ragazzini spaventati che volevano tornare alle medie per cazzeggiare. Mi ritrovai in classe il mio ragazzo, mi girai e me lo trovai pure vicino di banco, e dovendo viaggiare in pulmman pure li stava vicino a me. Ma nonostante stessimo così tanto insieme, ormai non ci dicevamo praticamente nulla, parlavo di più con il suo insegnante di sostegno, un pedofilo che mi massaggiava le spalle o mi fissava. Iniziò a frequentare brutte compagnie che lo fecero diventare il coglione che è ora. Non tardai a lasciarlo, perchè nonostante fosse la storiella delle medie ci rimasi molto male. passarono due giorni dopo la rottura e scoprì che le voci che lui si stava sentendo con una 18enne erano vere, ma preparatevi a ridere. Li trovai in paese insieme e vidi per la prima volta questa 18enne, una ragazzina un po insicura con occhiali e tutto. In quel momento provai un dolore inimmaginabile dentro di me, così tanto che ebbi uno sclero e iniziare a liberare la mia ira. Urlando. Si dice che alle 3 del pomeriggio di solito non senti nemmeno una mosca volare, ma il giorno si sentirono così urla che svegliai chiunque. Iniziai ad urlare parole incomprensibili, con una voce più spaventosa di quella che achille usò per chiamare ettore nel combattimento. Solo che io non urlai "ettore", era troppo scontato, iniziai ad urlare parole del tipo "puttana", "rubaragazzidimerda" con sottofondo di risate delle mie "amiche". Ricordo che li inseguii per tutto il paese e riuscii a intrappolarli in un vicolo cieco. La rabbia aveva completamente impossessato il mio corpo facendomi urlare come non mai, ricordo che la ragazza piangeva e il mio ex stava dietro ridendo come un idiota. Dopo quel giorno iniziai ad odiare tutto, e a provare una rabbia verso chiunque. Qualche mese dopo poi, scoprì di essere incinta. Non mi era cresciuta la pancia e non avevo fatto nessun test. Lo seppi da una mia amica che gli era arrivata voce. Scoprii che il mio ex aveva messo la voce in giro che avevamo avuto rapporti sessuali e che ero rimasta incinta. Da quel momento intorno a me sentii solo risate e schiamazzi, e avvolte domande urlate da ragazzini nascosti che chiedevano se ero davvero incinta. Ero diventata il fenomeno da baraccone, come se non bastasse già la mia aria da disagiata. In quel momento il mio desiderio di morire crebbe sempre di più.

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Capitolo 11
*** ok non so fare la filosofa ***


Sistemai la valigia e iniziai la ricerca di un posto a sedere, anche se nonostante mi facessi la corsa di tutti i vagoni alla fine mi sedevo sempre vicino a mia sorellina. Mia madre di solito i viaggi in treno li passava ad ascoltare l'mp3 con biagio antonacci al massimo e a fissare me e mia sorella con quello sguardo un po smarrito. Io di solito o ascoltavo la musica a palla o mi concentravo sul paesaggio fuori. Viaggiavamo spesso in treno nell'ultimo periodo, mamma aveva conosciuto un uomo su internet e scoprì che abitava solo a tre ore di viaggio da noi, ma che come al solito dovevamo fare noi il viaggio. Il nuovo compagno di mamma era un vecchio pieno di tatuaggi, che viveva da solo in una campagna sperduta con un bagno deluxe all'aperto e un soffitto che riproduceva la pioggia. Odiavo andarci, cos'è che non odio. I momenti più tranquilli erano quando mi facevo da sola le passeggiate nella campagna o quando venivano i figli del compagno che avevano trascorso la loro adolescenza all'insegna del punk e che furono i miei maestri della musica in quanto uno suonava in una band. Al ritorno di solito inventavamo una scusa credibile per i parenti, mamma non voleva far sapere a nessuno di dove andassimo, soprattutto ai parenti. I miei parenti erano i classici doppiogiochisti e quindi capivo mamma anche se seguire le sue imprese era pesante e se ti opponevi erano guai. Scoprii pure di avere cugini mai conosciuti a causa dei litigi di famiglia. Anche se sembra stupida la cosa, senza mio cugino ora non sarei qui. Ormai ero diventata un ombra, non avevo molti amici e gli sconosciuti mi ridevano dietro per dicerie. Lui fece tornare i colori che prima erano solo un nero intenso. (ok non so fare la filosofa). Iniziai a uscirci, e trovai delle amiche veramente distinte: una era psicopatica depressa, una droghina e l'altra lesbica segretamente innamorata della droghina. Ma nonostante la stranezza eravamo un bel gruppo, che iniziò a fumare le prime sigarette, le prime vomitate da birra e marilyn manson in sottofondo. Come cambiavano i miei gusti musicali cambiavo il mio stile e i miei pensieri. A quel tempo i miei pensieri erano incentrati su questioni religiose: iniziai a provare paura ma una certa attrazione per satana, infatti le nostre serate erano incentrate a giocare nel cimitero di notte e non immaginate i discorsi che ne uscivano. Iniziai anche ad utilizzare un certo tipo di abbigliamento, costituito principalmente da magliette con teschi e kefia.

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Capitolo 12
*** nascosta dentro la kefia ***


Primo anno di superiori? perso. Avevo un'attrazione verso l'anarchia indescrivibile, o semplicemente non voglia di studiare. Stranamente visualizzai gli aspetti positivi: non sono più in classe con il mio ex, non vedrò più i miei compagni che si divertivano a seguire il mio ex e a darmi della troia che aveva abortito(?) e mia madre aveva lasciato quel pastore che poi scoprii che era un ex carcerato e amante di ogni droga e alcolico messo sulla piazza. La bidella mi accompagnò a quella che doveva essere la mia nuova classe ma era piena di piccoli bambini, speravo avessero sbagliato scuola e avrei avvertito loro che le scuole elementari si trovavano più in la ma poi scoprii che quelli erano i miei nuovi compagni. Col tempo scoprii che quella fu la classe migliore dove io fossi mai stata. Quei "bambini" erano ragazzi svegli, pieni di allegria e simpatia che dimostrarono pure a una che al quel tempo stava diventando una mezza punkettara. In quel periodo mi stavo sentendo anche con un ragazzo. Era dolce, simpatico, e aveva un pizzetto che mi mandava in paradiso. Il problema? Viveva a 200 chilometri da me, ma nonostante questo provammo a stare insieme vedendoci una volta al mese, ci incontravamo in una città di mezzo e ogni volta mentivo a mia madre dicendo che rimanevo da amiche e in realtà andavo a incontrare un perfetto sconosciuto incontrato via chat. Ricordo che era carnevale, i miei amici si organizzarono vestiti e tutto, ma io partii in pullman per conoscere un ragazzo che mi faceva sorridere a ogni messaggio. All'inizio ero calma, la prima volta in vita mia truccata di mia spontanea volontà, che aspettava l'arrivo con ansia mentre ascoltavo i brani dei disturbed (musica non proprio azzeccata per un primo appuntamento). Più il pullman si avvicinava alla destinazione più mi sentivo i crampi allo stomaco, e arrivata in stazione lo riconobbi subito. Era seduto sulla panchina chissa da quanto, indossava un giubotto in pelle e anfibi giganti, capelli perfetti, un pizzetto che gli copriva tutto il mento e dilatatore rosso all'orecchio (non so i vostri gusti ma per me era il ragazzo più bello che avessi mai visto).Io invece sebravo di più una tipa goffa con la faccia nascosta dentro la kefia. Ci fu un po di imbarazzo ricordo, ma piano piano iniziarono i discorsi uno dopo l'altro. Poi, arrivò il momento che provò a baciarmi, vedevo chiaramente che si avvicinava sempre di più a me e io volevo ma non volevo allo stesso tempo. Poi gli fissai gli occhi, quel bel colore nocciola che mi sciolse completamente e ricambiai il bacio. Dopo due secondi diventai lucida e ripresi il controllo di me, ma non riuscii a non ridere. Lui si imbarazzò un casino e mi chiese il motivo della risata e gli risposi che non avevo mai baciato con la lingua. Lui mi guardò e rise così tanto che diventai rossa d'imbarazzo. Non mi ero mai sentita così felice, era la prima volta che provai la così ricercata felicità e aveva un calore che ti coccolava e questa voglia di sorridere che quasi ti faceva volare. Ricorderò sempre quella giornata. Purtroppo le circostanze (o forse colpa del mio carattere di merda) persi questo magnifico ragazzo per la distanza che mi uccideva..

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Capitolo 13
*** Il cannetto ***


Avendo ripetuto la prima superiore mi fu semplice superare l'anno. Anche se provavo un vuoto dentro di me, la maggior parte delle volte ero sola e quando non lo ero mi sentivo lo stesso fuori dal mondo. Non so cosa cercassi nella vita, perchè anche se avessi avuto una vita semplice sarebbe mancato sempre qualcosa che neanche ora so spiegarmi cosa. Tutto quello che volevo era rimanere chiusa nella mia stanza accompagnata dalla musica o dal suono dolce della chitarra. La mia povera chitarra blu appesa a quel muro, piena di colpi e di sabbia che mi ricordavano le serate in compagnia di buoni amici. L'estate che arrivò fu magnifica e piena di svolte nella mia vita. Tornò dall'italia una mia cara amica e le promisi di farle vivere l'estate più bella, e cosi fu. Ci incontravamo spesso al "cannetto" un aperta campagna vicino alla città dove di solito uscivamo, con un grande albero che ci copriva dall'odioso sole estivo, e che i rami ricordavano vagamente un pentacolo al contrario. Lo chiamammo cannetto perchè li ci fumammo il primo dei molti cannoni. Fu una scoperta innovativa. La prima volta ricordo che dopo aver provato quella sostanza che a me era del tutto estranea, iniziai a lasciarmi andare, una cosa che nella vita reale non riuscivo a fare. Iniziarono i primi after con musica, alcolici e cannoni. Non so voi cosa pensiate di queste sostanze, ma vi assicuro che per me era un qualcosa di magico. E caro. Ma nonostante vivessi in una famiglia povera riuscivo sempre a procurarmi qualche soldo che finiva subito nella colletta. La prima nottata con le amiche al cannetto ricordo che avevamo così bevuto e fumato, che la prima cosa che feci fu rotolare in una strada in discesa con la mia amica che cercava di seguirmi. Avevo trovato un modo per uscire da questo mondo senza isolarmi o essere triste, un mondo parallelo dove vedevo tutto colorato. Dove le merde che vedevo camminare in giro non le vedevo marroni, ma di diversi colori accentuati. Dopo che mi ero lasciata poi non feci altro che uscire tutti i giorni con tipi conosciuti da social network, che finivano in pomiciata o in un semplice abbraccio d'addio. Mi ricordo che ero così disperata che un giorno uscii con un ragazzo non proprio carino: ragazzo magro e gobbo, con capelli fini lunghi che li cadevano sul viso, una testa enorme e squadrata e naso da dante alighieri. Uscii con lui perchè ascoltava ottimi gusti musicali e amava fumare e bere. Il primo appuntamento fu strano in quanto non parlammo molto perchè troppo impegnati a bere, finito il bere ci sedemmo sotto un albero a pomiciare. Anche se non era pomiciare, era un completo tentato omicidio. Riusciva solo a tenere la lingua dritta e a non farmi respirare, il più delle volte gli dissi del problema ma non si sforzava molto a risolverlo. Avevamo chiarito anche che non era una relazione seria e andava bene ad entrambi. Dopo quel giorno mi cercò raramente, anche se avvolte lo vedevo intento a mettere qualche link nelle pagine di mie amiche e un po la cosa mi dava fastidio, ma non più di tanto. Mi arrabbiai con la mia amica perchè insieme a questo ragazzo organizzarono una serata dove dovevo partecipare pure io ma nessuno mi avvisò se non il giorno prima, ma non ebbi problemi a convincere mamma. Lei era troppo impegnata a seguire il suo nuovo compagno di 20anni più grande di lei, ma che sembrava tranquillo e non ci feci caso. Preparai la chitarra in spalle e andai a questa famosa serata gloriosa, ma arrivata li mi ritrovai una piaga peggio di quelle d'egitto, la persona che odiavo di più al mondo. Era una nuova del gruppo, la più grande, che indossava abiti stretti e metteva le tette in fuori tanto per far vedere il fisico, anche se dimenticava sempre la busta da mettersi in testa. Passava il tempo a ricordarci di quanto lei fosse bella e sensuale, che correva dietro ad un tipo che manco se la cagava. Ma questo fatto non mi sfiorò più di tanto, perchè quello che successe dopo mi straziò completamente. Decidemmo in gruppo di passare la nottata in spiaggia, che era a 45 minuti a piedi dalla città. Li iniziò lo sclero. Per tutto il viaggio non sentii altro che la voce della tipa che si vantava della sua bellezza al tipo che stavo frequentando e che a quanto pare preferiva ascoltarla piuttosto che stare vicino a me. Il mio arrivo in spiaggia fu colossale, come quando trovi ancora un po di carta nel rotolo di carta igenica. Ma appena sentii la voce della 18enne il mio cervello esplose completamente e incazzata nera presi la mia amica più fidata e andai via, notando che il tipo preferiva rimanere la. Fecimo il viaggio di ritorno in autostop, con un 50enne che ci raccontò della figlia diplomata e della sua vita solitaria ripetendoci la frase "nasci solo e nonostante tutte le avvunture che farai morirai di nuovo solo". Una frase deprimente o al quanto detta male direte, ma io non la dimenticherò mai, perchè era vero! Scese dalla macchina ci programmammo la nostra serata insieme ai miei cugini incontrati casualmente passeggiando. La serata non stava andando male: eravamo fatti, divertiti e spensierati; ci uscivano discorsi seri dal nulla e tutti dicevamo la nostra parte facendomi capire un po anche la mentalità degli altri. Tutto perfetto, finchè non squillò il telefono.

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Capitolo 14
*** il mio crollo emotivo ***


Risposi a quel telefono, era il ragazzo con cui mi frequentavo che mi diveva che era rimasto solo perchè le mie amiche se ne erano andate e se poteva venire da me. Io per quanto fossi arrabbiata non riuscii a essere cattiva, non era proprio nel mio carattere e quindi accettai. Venne da noi e dopo un po si avvicinò a me tentando di baciarmi, ma per quante volte ci provasse gli risposi sempre di no, di non averne voglia, anche se dentro avevo lo stomaco in tumulto per via della mia rabbia repressa. Lo lasciai così per tutta la notte, finchè il mio cervello non fu talmente annebbiato dal fumo che ci pomiciai per un po. Si lo so sono una cogliona, ho fatto molte cose di cui mi pento ma questa è una delle peggiori. Dopo quella serata non ci parlai più e iniziai a darmi un freno con queste uscite. Dopo lungo tempo passato all'insegna dell'amicizia e divertimento trovai il coraggio di uscire con questo ragazzo che sembrava ok, anche se, aveva 10 anni più di me. Cercai di vestirmi adeguata anche se avvolte stavo ore a fissarmi allo specchio e a sputarmi in faccia di quanto fossi brutta e enorme. Aspettai il suo arrivo lontano da casa o da vicini come al solito spioni, era inizio settembre ma il caldo era quello estivo; l'aria era afosa e spiazzante, come se non fossi già abbastanza in panico. Dopo 10 minuti di ritardo arrivò guidando una fiesta nera e aperto lo sportello sentii un profumo che ti attirava all'interno, che proveniva dall'alberello che si appende alle macchine che ha un nome troppo complicato da scrivere. Lo salutai e lui salutò me, e da li ci fu silenzio totale se non per parlare della strada per arrivare ad un bar. Io sono negata a parlare, non sono una persona che invoglia gli altri, ma quel giorno ho addirittura sudato da quanto avevo parlato pur di far partire il bottone del ragazzo e farlo parlare, ma lui niente se ne stava nella sua area piccola e avvolte accennava un si con la testa. Mi è difficile anche parlare con le persone che indossano gli occhiali da sole perchè non le vedo in faccia, e lui indossava un paio di occhiali enormi neri che si intonavano alla maglietta nera aderente, che faceva rispecchiare il suo corpo palestrato ed esile. Lo portai in spiaggia, tanto per non annoiarmi in città e gli mostrai diverse parti che costituivano le coste della sardegna. Ma nonostante i miei discorsi (se, come no, saprei annoiare chiunque) lui in quel momento si metteva in posizioni strane mentre stava in piedi, quasi come se mi volesse fare lo sgambetto. Era tardi e nonostante mamma se la spassasse con un anziano avevo il mio coprifuoco e li chiesi di riportarmi a casa; ma proprio mentre stavo salendo una parete rocciosa ripida, mi sento afferrare il braccio da dietro e vengo spinta nella parete e qualche secondo dopo le mie labbra erano scaldate dalle sue. Non so se ero o più spaventata o più confusa, in quanto mi pareva che la serata ormai si era chiarita come un affondo colossale. Dal giorno iniziò a cercarmi sempre di più e decidemmo di stare insieme. Perchè lo feci? Ok sembrava uno psicopatico ma nonostante la sua pazzia mi sentivo tranquilla e protetta con lui. Uscivamo tutte le domeniche puntuali alle tre e mezza, e passavamo le giornate o a baciarci o al bar. Mi chiese molte volte se volevo provare ad avere rapporti, ma io non mi sentii pronta. Finche non arrivò novembre con il suo tempo di merda e la mia depressione al massimo splendore, decisi di accettare la sua richiesta anche se non ero proprio sicura del mio "essere pronta". Era una fredda domenica di inverno: eravamo usciti, andati al bar e bevuto qualcosa (per chiarire lui non beveva e non fumava, io invece stavo diventando peggio di un turco con il biberon pieno di birra e ogni volta che andavamo al bar e ordinavo la birra lui mi faceva mille storie sul suo disaccordo nel digerire alcolici e rovinarmi) decidemmo di cercare un punto dove parcheggiare la macchina e fare quello che tutti fanno di solito dentro una macchina in un punto appartato. Ricordo che pioveva molto e avevamo trovato un parcheggio vicino..a un cimitero. OK non è il migliore dei posti ma per me che ero già abbastanza affascinata dal satanismo e dagli horror non mi feci problemi. Stavamo per iniziare, quando mi accorsi di dover andare in bagno. Era la fine. Pioveva a dirotto e non potevo di certo trattenermela. Nonostante la pioggia uscii come una pazza e riuscii a risolvere il mio problema, anche se il vero problema era tornare dentro la macchina e fare quello che ti ha sempre spaventato per le dicerie di sangue e di tutto il resto. Trovato il coraggio ( anche perchè non potevo rimanere sotto la pioggia) salii in macchina e iniziammo a baciarci e da li era semplice. Ricordo i vetri appannati e il caldo colossale all'interno di quell'auto, ma anche i dolci baci che ricevevo sul collo. Non sapevo cosa fosse fare sesso, ne tanto meno l'amore! Arrivammo al punto cruciale del programma, ricordo che ero sdraiata dietro mezza nuda e imbarazzata al massimo per il mio orribile corpo e quello che stavo per fare. Lui mi tranquillizzò e iniziò l'atto sessuale. Non mi fece male, semplicemente un leggero dolore ma niente più. Ricordo solo che durò poco, troppo poco. Finito il tutto tornammo la normale coppia che si ignorava a vicenda e mi riportò a casa. Non sapete l'odio verso di me, avevo appena perso la verginità con un ragazzo che forse nemmeno mi piaceva e ci stavo solo per avere segni d'affetto. Ricordo che la notte stessa non riuscii a dormire, avevo troppi pensieri malati in testa e allora feci una cosa che non ebbi mai fatto. Presi quella lama fine e argentata e la passai sul mio polso tremante e ricoperto di lacrime. Il sangue scorreva a fiumi e quel colore rossastro intrigava il mio cervello pacato e contorto, pieno di rimpianti e delusioni. Il motivo per cui lo feci non fu per quello che avevo fatto, ma il perchè ero arrivata a fare certe cose. L'abbandono. Mi sentivo abbandonata da i miei genitori che dovevano essere il mio supporto ma che sono stati il mio crollo emotivo.

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Capitolo 15
*** Silenzio ***


Il telefono suona, sono le 6.30 del mattino. La mia sveglia per andare a scuola. Stavo distesa su quel letto priva di forze, priva di vita. I miei occhi erano fissi su quel soffitto bianco e vuoto, come la persona che stavo diventando. Non avevo chiuso occhio, i fatti della notte precedente mi avevano portato ai pensieri più sgradevoli e contorti. Con un movimento veloce mi sedetti ma il mio corpo mi respinse di nuovo nel letto rannicchiata. Gli occhi nonostante avessero zampillato tutta la notte riniziarono in quel preciso momento, accompagnati da i miei pensieri di morte e di completa solitudine. Ma dovevo alzarmi, non volevo restare a casa, a sentire le urla di mia madre di quanto le faccio pena o i rimproveri del suo compagno di quanto fossi pigra. Arrivata in doccia ripresi un po di colorito ma anche il buon senso, e mi accorsi delle ferite sul polso. Erano così precise e sottili, le fissai per un tempo indeterminato; il mio sguardo era fisso sul braccio quasi ipnotizzato. Mentre mi vestivo il mio sguardo era fisso sullo specchio, ammirando i miei nuovi segni, segni visibili. Osservavo i miei occhi cosi stanchi e cosi assenti che quasi non mi riconoscevo. Arrivata a scuola nessuno si accorgeva del mio stato, la cosa bella è che non dovevo fingere sorrisi perchè mi vedevano sempre imbronciata a prescindere da quello che facessi. Ero sola, la gente non serve a niente se non per scroccare una sigaretta. Per fortuna avevo educazione fisica, nonostante il mio corpo fosse un ammasso di grasso ero una persona abbastanza sportiva e il più delle volte mi aiutavo a giocare con una bella fumata. Ma il giorno fumai e basta, distesa a terra in quel bagno solitario, con il cuore che mi batteva forte per via dell'erba e il corpo completamente rilassato. Avvolte manco la musica mi aiutava, io che ho sempre amato la musica, in certi momenti preferivo il silenzio; quel dolce silenzio che ti assilla il cervello e ti fa vedere le cose in modo chiaro e oggettivo, senza nessuna distrazione. I giorni seguenti avanzavano normalmente, la mia vita era diventata una routine: alzarsi, lavarsi, vestirsi, andare a prendere il pullman, scuola, pullman, casa, e cucinarmi il pranzo, lavare i piatti, pulire un po la casa, stare sul letto a far nulla, cucinare per me e mia sorellina, dire di guardare un film alle nove e poi alle otto addormentarsi sul letto. Ormai ero una cassetta che ogni giorno tornava indietro e produceva la stessa identica musica la stessa ora. Dovevo farlo però, non per me ma per mia sorellina. Mia madre non stava mai a casa: la mattina lavorava, a pranzo stava dal compagno, tornava verso le 3 per stare due minuti al computer, poi se ne andava e tornava alle 9 tutti i giorni cosi. Non parlavamo spesso io e mia madre. Molte volte mi fermava e mi chiedeva sempre la stessa domanda "mi vuoi bene?". Sinceramente non sapevo che dire. Rispondevo sempre "si" con un tono infastidito, ma dentro di me le risposte erano diverse del tipo "sei solo una troia che si è sempre interessata a te stessa e hai abbandonato tue figlie solo per avere le sigarette e un cazzo tutti i giorni, secondo te che ti dovrei rispondere?". Ma non lo dissi mai. In questo periodo ormai non volevo niente se non silenzio e tranquillità. Con il mio ragazzo se parlavo di questi argomenti mi diceva che era una madre e che di sicuro mi voleva bene, ma io avevo pensieri diversi da i suoi, e già da li non mi trovavo più protetta e amata da lui, ma solo criticata e definita pazza o depressa. Alcune volte facevo pensieri così strani che mi facevano pensare che lui mi volesse solo per il sesso. Ho sempre avuto problemi ad aprirmi con gli altri perchè quando l'ho fatto mi hanno solo infilzato una spada nello stomaco e l'hanno girata ben bene in modo che io capissi l'errore. Ma già il contatto fisico mi dava fastidio, come quando senti una forchetta strisciata su un piatto di porcellana. Non so se odiavo più gli altri o me stessa. Di sicuro però odiavo il compagno di mia madre. All'inizio era tranquillo, poi col tempo ha visto che mia madre lo accontentava in tutto e allora iniziò a fare il padrone, comandando su di me e sulla mia vita. Come se io volessi avere un padre. Il mio era praticamente inesistente per me, e mia madre c'era ma non c'era. Volevo fare qualcosa per migliorare la mia vita, per non essere divorata dal mio buco nero formatosi nel tempo.

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Capitolo 16
*** Abbassa la cresta. ***


A gennaio arrivò simon. Lo pagai anche poco, lo trovai su ebay a un offerta e lo presi subito. No non è una persona, era la mia prima chitarra elettrica. Il mio stato d'animo cambiò completamente alla vista di quella chitarra diavoletto nera, i miei occhi brillavano solo alla sua vista. Mi ricordo che non uscivo più e stavo ore e ore a giocare con quella chitarra che mettevo al massimo di overdrive. Non uscivo nemmeno più col mio ragazzo, inventavo scuse assurde per non uscire e stavo attaccata alla chitarra. Non esisteva nemmeno lo studio ormai, sia per la musica ma anche perchè non mi ero mai trovata allo scientifico, avrei preferito un liceo musicale o un artistico, ma vivendo in sardegna, questi indirizzi si trovavano troppo lontano da me. Le mie giornate a scuola consistevano nel disegnare, la maggior parte dei disegni raffiguravano teschi che tutto sommato uscivano bene. Quando uscivo con il mio ragazzo invece gli unici momenti belli era quando mi insegnava a guidare, perchè il resto della serata lo passavamo fisso al bar o a fare sesso in macchina. Oddio sesso, non provavo quasi nulla, perchè non durava più di quaranta secondi. Ma non me la prendevo mai perchè non volevo farlo soffrire e lasciarlo perchè non era bravo a letto mi sembrava una cosa al quanto disgustosa. Provai piacere il giorno di san valentino, pensate che coincidenza, quella serata me la ricorderò sempre. Gli promisi che per carnevale sarei venuta nella sua città, nonostante abitasse lontano da me. Presi il pullman e andai da lui. La giornata iniziò noiosa come sempre, al bar a fare colazione e poi in giro a vedere la parata dei cavalli dove incontrammo un suo caro amico con la ragazza. Mi sentivo solo una poppante intorno a ventiseienni interessati a strani sport di combattimento orientale, quando il mio principio era la musica e la droga che riusciva a vedere il mondo in molte prospettive. Il mio ragazzo invece si divertì ignorandomi completamente e avvolte stringendomi la mano chiedendomi come stavo, e io come sempre risposi "bene". Non vedevo l'ora di tornare a casa e sentire le solite urla del cazzo di mia madre, ed era una cosa strana. Pioveva a dirotto, e io mi sentivo esattamente così. Finita quella giornata volevo solo sdraiarmi e pensare a cosa stavo facendo, a chi stavo frequentando e se davvero potevo continuare così. Non avevo niente per cui valesse la pena vivere, se non per seguire mia sorellina che nonostante le stessi dietro mi ha sempre trattato con distacco. Anche se stupido, rimanevo in quella casa anche per il mio gatto, che nonostante fosse mentalmente deviato io lo adoravo e lui stava solo con me. A scuola poi avevo conosciuto diverse persone nonostante la mia fama da troia. Una ragazza conosciuta in bagno (più bagno era una sala fumatori) che a forza di offrirmi sigarette iniziammo a parlare e da li iniziò una bella amicizia e soprattutto sincera. Poi alcuni ragazzi che erano amici di mia compagne che nonostante la loro età erano bambini che passavano il loro tempo a picchiarsi in corridoio. Tra questi ce n era uno che mi è sempre piaciuto: alto, biondo, occhi azzurri, amante dei system of a down e accento mezzo spagnolo perchè proveniva da li. Ma non mi feci mai avanti per la mia autostima scarsa e anche perchè non ebbi mai il coraggio. Quindi a scuola un po mi stavo abituando all'idea di passare le giornate li disegnando e parlando con i nuovi "amici". Avvolte poi uscivo di sabato sera con i cosiddetti amici interessati solo ai soldi o all'erba che avevo in tasca, anche se ultimamente mia madre era in crisi e quindi mi dava poco e nulla. Una volta se la prese con mia sorellina perchè stava ingrassando e non si poteva permettere i soldi per comprare vestiti nuovi, quando poi aprivi i suoi mobili e trovavi stecche di sigarette che basterebbero ad un turco. Anche se ultimamente chiudeva la porta a chiave perchè non si fidava manco delle figlie nascondendo roba da mangiare. Ma non mi interessava più di tanto, più che altro mi dava fastidio il fatto che chiudesse a chiave camera sua e che il compagno avesse una chiave per aprirla, e pure le chiavi di casa. Ma per lui non era abbastanza, e si lamentava che noi figlie eravamo troppo viziate e che lui di questo ne risentisse. Non so perchè mamma gli stesse dietro, ma ogni cosa che diceva lei la faceva anche se andava contro sue figlie, quelle che quando lui la lasciava stavano ore a consolarla. Noi non potevamo fare altro che subire non avendo altri punti di riferimento, nostri padri ci avevano abbandonato alla compagnia di questa pazza psicopatica, e nostra sorella grande viveva altrove perchè era riuscita ad aprirsi un bar, ma anche quando stava senza soldi ne posto dove stare si rifugiava da nostro padre pur di non vedere nostra madre. La maggior parte delle serate se non uscivo e non suonavo, stavo attaccata al telefono stando ore e ore su siti di incontri, non per fare cose sconce, ma per conoscere o parlare con qualcuno. Conobbi anche Gente dal vivo, non erano proprio persone a posto ma mi ci tovrai bene. A marzo di quest'anno iniziarono i litigi pesanti con mia madre, il litigio si creava sempre dalle mie proteste in quanto mia madre dimostrava sempre più affetto alla figlia più piccola anche con piccole cose che a me facevano infuriare come una bestia. iniziarono le frasi "abbassa la cresta" o "questo atteggiamento non mi piace" il tutto accompagnato con lo sguardo maligno di mia madre. La maggior parte dei litigi accadevano quando mia madre mi obbligava a portarmi in giro mia sorella, cosa che non potevo assolutamente fare perchè passavo le mie serate a fumare e non volevo insegnarle una cosa simile, ma mia madre insistette perchè mia sorellina stava facendo amicizie di brutte persone, ragazzine altezzose che se la spassavano da un ragazzo all'altro, o ragazzi più grandi con ben 14 anni di differenza da lei e quindi un po le diedi ragione; anche se secondo me mia madre voleva farla uscire con me solo per non avere rotture il sabato. Solo che mia sorella stava diventando troppo altezzosa nei miei confronti, credendosi più grande solo perchè usciva con i miei amici, e questo mi faceva star male in quanto io facevo di tutto per farla stare a suo agio in una famiglia disastrata. Un sabato sera si decise con mia madre di lasciarla a casa perchè ultimamente stava diventando troppo aggressiva e non ubbidiente, solo che quando stavo per uscire lei si preparò e mi seguì; Io allora tornai indietro a casa e mi lamentai con mia madre ma lei disse di lasciar perdere e di farla uscire e che se mi fossi lamentata sarei rimasta a casa pure io. Siccome ho un carattere di merda tirai fuori l'orgoglio e mi lamentai di brutto, così tanto che mia madre si alzò dalla sua scrivania e iniziò a prendermi a colpi, basati su pugni, schiaffi e tirate di capelli. Io dopo anni che ricevetti i suoi colpi non ne sentii neanche uno, ma mi faceva male più che altro il suo atteggiamento. Dopo che finì il suo glorioso pestaggio ebbi la forza di farmi sentire e le dissi in faccia "io non sono nulla per te non sono mai stata tua figlia, hai sempre preferito lei a me" riuscii a finire la frase che tornò e mi alzò di nuovo le mani, questa volta con più convinzione tanto che mi rimasero i lividi. Il giorno non mi fece muovere da casa e da li iniziò il suo lungo silenzio di sfida, anche se sapevo benissimo che quella che avevo ragione ero io. Rimasi tutta la sera sola in camera a piangere e a procurarmi nuove ferite sul polso, nonostante avessi gia dolori in tutto il corpo. Pensai molto, e presi una decisione anche se era presa durante uno stato di shock. Presi il telefono e inviai un messaggio a mio padre. Si il famoso padre che non si fece sentire per 11 anni, e che nonostante la sua assenza lo preferii meglio di mia madre che ormai mi maltrattava e basta. Gli scrissi un messaggio lunghissimo, dove parlai della mia vita che ormai era diventata un inferno con mia madre e che volevo colmare il vuoto che lui aveva provocato.

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Capitolo 17
*** ero confusa, troppo confusa. ***


Fissai a lungo quel telefono in attesa di una risposta. Ero coricata su quel letto da ore, leggendomi quel messaggio così tante volte che lo imparai a memoria. Sapevo che non potevo tornare indietro e che le cose sarebbero cambiate sperando in meglio. Poco dopo arrivò l'atteso messaggio di mio padre. Diceva che era felicissimo del fatto che l'avessi cercato e volle incontrarmi. Io ero confusa, non sapevo che fare, perchè nonostante odiassi fortemente mia madre non volevo farla soffrire e sapevo che se avrei incontrato mio padre di sicuro mi avrebbe rinnegato a vita. Decisi di incontrare mio padre non dicendo niente a mia madre, anche perchè in quel periodo smise di rivolgermi la parola nonostante vivessimo nella stessa casa. Aspettai un mese prima di incontrare mio padre, e nel mentre anche se in modo distaccato mia madre riniziò a parlarmi. Nonostante avessi già problemi di famiglia, si mise in mezzo pure la scuola. Avevo un sacco di materie da recuperare, ma con tutto quello che stava accadendo non avevo la forza di prendere un libro e studiare. Mi diede la forza la mia insegnante di latino, che mi fermò un giorno parlandomi del mio rendimento scolastico pessimo e che non mi dovevo abbattere per i problemi che avevo perchè avevo una forza che poteva superare tutto. Cercai di vedere nel suo modo ma nonostante ci provassi non vedevo forza in me, vedevo solo una ragazzina che cercava di dimostrarsi forte agli altri ma dentro era debole e che per ogni problema si chiudeva in camera a rovinarsi mentalmente e fisicamente. Decisi di incontrare mio padre il 1 di maggio, organizzando una specie di gita. Ma non volevo nasconderlo a mamma e trovai il coraggio di dirglielo. Lo ricordo bene quel momento. Mi trovavo nascosta vicino alla porta di camera sua con il cuore a mille, trovando una frase adatta per dirli che il giorno seguente sarei uscita con mio padre. Entrai in camera tutta irrigidita, presi il respiro e usai una frase semplicissima "mamma ho deciso che domani incontrerò mio padre". Ricordo il suo sguardo che si rattristì subito. Rispose un semplice ok e tornai in camera mia, ma non feci in tempo a chiudere la porta che arrivò lei con gli occhi pieni di lacrime e la rabbia che usciva dalla sua voce. Mi disse che se avrei fatto una cosa simile per lei sarei morta e che non le sembrasse giusto come comportamento dopo quello che aveva fatto per me. Finito il discorso sbattè la porta e smise completamente di parlarmi. Io ero confusa, troppo confusa. Sin da piccola mi fecero scegliere tra l'uno e l'altro quando io avrei voluto solo una famiglia felice con una madre amorevole e un padre saggio e giocherellone. Non trovai nessuno il giorno seguente a casa, mi svegliai sola e abbandonata. Dovevo prendere forza e prepararmi perchè avrei rivisto mio padre dopo 11 anni. Uscii di casa e attesi l'arrivo di mio padre in una panchina che si trovava lì vicino, e dopo una mezzora buona arrivò mio padre: era un uomo di 45 anni che ne dimostrava di più, capelli brizzolati grigi e piuttosto curvo di schiena, con un enorme panciona coperta da una magliettina elegante. Mi abbbracciò con forza e mi fece i complimenti per la mia bellezza e dopo saluti decidemmo di andare a trovare mia nonna che era ansiosa si rivedermi. Durante il viaggio iniziò a chiedermi di me e che cosa mi piaceva fare, rimanendo un po male sul fatto che io fossi una metallara mentre lui era un uomo che ascoltava musica dance anni 70. Ma non mi fece pesare le differenze tra noi, anzi cercò di farmi stare a mio agio cercando di strapparmi parole. Arrivammo in una palazzina dove riaffioravano i miei ricordi di quando venivo li e giocavo con mio padre, e salite numerose scale arrivammo nella casa dove viveva mia nonna con mio padre e mie zie. Appena entrai mi fiondarono sopra tutti i possibili parenti, nonna piangeva mentre le due mie zie si complimentavano per la mia bellezza. In quel periodo viveva li pure mia sorella che non vedendomi da tanto mi abbracciò forte e mi disse che avevo fatto una scelta giusta. Dopo i saluti e tutto mio padre mi portò un po in giro e parlammo molto, mi parlò delle sue passioni che consistevano nell'ammirazione delle armi e degli aerei; io parlai di quello che sapevo fare meglio e di quello che volevo diventare, mi sembrava strano aprirmi così tanto soprattutto a un genitore, con mamma non parlavo affatto di queste cose: se suonavo si lamentava del "rumore" che producevo e dei miei disegni aveva paura perchè la maggior parte delle mie creazioni raffiguravano teschi con pentacoli sulla fronte o peluche mezzo emo. Avvolte mi faceva domande del tipo se ero satanica o roba simile, ma riuscivo a risponderle con una risatina o con sguardi seri. Ero felice di aver conosciuto mio padre e volevo continuare a vederlo. Tornata a casa non trovai nessuno, e il mio umore torno lo stesso di sempre. Raccontai il fatto al mio ragazzo che fu felice di sentirmi un po su di morale. Con mia madre invece i rapporti si fecero freddi come il ghiaccio, così tanto che smise di lavarmi roba, prepararmi pasti (quando lo faceva) e rispondere alle mie domande banali.

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Capitolo 18
*** ero a pezzi, ferita. ***


Mia madre preparò la valigia con una gioia immensa. Decise di passare una settimana in belgio con mia zia. Ma nonostante stesse partendo non mi salutò, ormai eravamo come due sconosciuti sotto lo stesso tetto. Il mio compleanno nel mentre stava arrivando. 17 anni. 17 anni di dolore e solitudine. 17 anni e non capivo ancora perchè tutto questo male intorno a me. Visto che mia madre era partita decisi di festeggiare il mio compleanno con gli amici e poi cena in pizzeria con mio padre e il mio ragazzo. Io avrei preferito una nottata intera insieme ai miei amici, ma il mio ragazzo insistette nel passare del tempo insieme. Ultimamente il nostro rapporto non era dei migliori. Diceva che i miei problemi stavano sovrastando il nostro rapporto, ed era vero, ma non riuscivo a parlare con lui. Non riuscivo a parlare con nessuno. Suonò la sveglia e mi preparai all'idea che tutti a scuola mi avrebbero fatto gli auguri, ma nessuno se ne ricordò. Chi poteva ricordarsi il mio compleanno, chi poteva pensare a me, una ragazza insignificante che girava per le strade con la testa bassa e la camminata incerta, riempita di bracciali che nascondevano i segni. La maggior parte delle volte mi chiedevo se ero pazza, se avevo una qualche malattia. I miei amici per fortuna non si dimenticarono del mio compleanno, abbracciandomi forte e riempendomi di una qualche speranza. Mi preparai per l'attesa serata e arrivata in piazza i miei amici ricompensarono la mia tristezza con una cassa di birra e qualche cannone per festeggiare. Tutta quell'allegria mi fece dimenticare per un attimo la mia triste e insignificante vita. Dopo mi preparai per la grande cena, a cui si autoinvitarono mia sorella e il suo ragazzo. La cena diventò una noia mortale. Mio padre rimase al computer in ristorante nonostante noi stessimo mangiando e iniziai a conoscere i difetti di mio padre; il mio ragazzo rimase a mangiare in silenzio lanciandomi avvolte dei sorrisi; mia sorella invece si divertì a lanciarmi olive insieme al suo ragazzo. Nonostante la pazzia di mia sorella vedevo in lei un qualcosa di speciale, una semplicità nel suo parlare e nel suo vivere la vita, mentre io mi incasinavo anche solo per come mettere i lacci delle scarpe. Si fece mezzanotte e ricevetti una chiamata da mia madre. Per tutta la chiamata sentì solo le urla di mia madre che diceva che ero un irresponsabile e che dovevo assolutamente tornare a casa. Avevo paura a tornare a casa, non era mai un buon segno se ricevevo una chiamata minacciosa da mia madre. Il viaggiò durò almeno un oretta e in quell'ora il mio cuore batteva a mille, ed ero stanca dei comportamenti di mia madre, ma sapevo che ero troppo debole per sovrastare la sua forza. Arrivai davanti alla porta e..dimenticai le chiavi! Non sapevo se suonare e ricevere le urla di mia madre o scavalcare il recinto del retro ed evitarla. Ma prima o poi mi avrebbe sicuramente sgridato, quindi mi feci coraggio e suonai il campanello. Si aprì la porta e vidi mia madre, che mi indicò con un movimento di testa di entrare a casa. Chiuse la porta e iniziò a urlare come non mai, prendendomi a parolacce e finì il suo discorso con la frase "tu non sei più mia figlia". Il mio cuore si fermò a quell'affermazione. Riuscì ad entrare in camera mia trattenendo le lacrime, ma appena mi sedetti sul letto, iniziai a piangere come non mai. Ero a pezzi, ferita, dalla persona che nonostante il suo carattere amavo con tutto il cuore. Passai la notte a passarmi quella stupida lametta sul polso, osservando come al suo passaggio lasciasse un liquido rosso che continuava senza sosta ad uscire dal mio braccio. Andava tutto male, come al solito. Ma questa volta non avevo speranza ne forze per continuare ad andare avanti, volevo solo farla finita, fare tutti felici spegnendo la mia vita.

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Capitolo 19
*** Ero stanca. ***


Volevo farla finita, ormai vedevo solo disperazione nella mia inutile vita. Mia madre non mi rivolse la parola per un bel po'. Nonostante tutto però cercai di concentrarmi sullo studio. Mio padre dal giorno mi inviava il buongiorno tutti i giorni tramite un messaggio. Con il mio ragazzo le cose andavano sempre peggiorando: non trovavo più un punto di contatto, troppo diversi e distanti tra noi. L'ultimo giorno di scuola lo passavo sempre in giro con amici, ma dovevo recuperare materie e quindi ci andai. Per fortuna riuscii a recuperare quasi tutto, tranne matematica e fisica. Proprio io che mi ero iscritta perchè amante della matematica. Ma nonostante questo ero felice, ero riuscita a rimediare la maggor parte delle materie nonostante i problemi a casa. Così felice che all'uscita chiamai papa' e gli raccontai tutto, e rimanevo stupida dall'interessamento di papà. Ero così felice che finita la chiamata mi avvicinai a quel ragazzo biondo che mi piaceva tanto, e iniziammo a parlare di musica ma anche dei nostri strani insegnanti che avevamo in comune. Ero felice di essere riuscita a fare tutto questo. I rapporti con mamma erano diventati terra a terra, poche parole che riguardavano la spesa e le commissioni da fare, senno' i nostri incontri in casa erano sempre raffigurati da sguardi maligni tra di noi. Nel mentre nonostante la felicità causata dalla figura di mio padre rimaneva sempre quel vuoto, stavo diventando più matura e consapevole tanto da rinnegare i miei amici e il gruppo perchè troppo infantile, apparte alcuni elementi che ancora oggi mi stanno accanto. L'estate iniziò velocemente, così velocemente che il giorno dopo che finì la scuola mi trovai gia' in spiaggia con la mia "Amica del bagno" ormai diventata intima amica. Conobbi anche suoi amici simpatici e non ci misi molto a fare amicizia. ultimamente poi mi stavo sempre di più attaccando al ragazzo dai capelli biondi e provando sempre più distacco dal mio ragazzo che si era troppo bravo e dolce, ma sentivo troppo la differenza di età e di mentalità. Più in la scoprii che il ragazzo biondo era innamorato di me, ricordo ancora la frase che mi disse "mi piaci molto, da un anno ti osservo in pullman impegnata ad ascoltare la musica e a dare il ritmo col piede" ed era vero, uno dei miei fastidiosi vizi che si facevano notare. Anche io lo osservavo sempre in pullman, ma non mi acorsi mai delle sue attenzioni verso di me; notavo sempre un ragazzo intento ad ascoltare metal muovendo la testa e dando ritmo con le mani in quel telefono che maltrattava. Ebbi il coraggio di lasciare il mio ragazzo ormai distaccato da me. Non immaginate i pensieri di tristezza ed euforia. Ero incazzata con me stessa per aver ferito il ragazzo più dolce che avessi mai incontrato, ma che nello stesso tempo mi dava tristezza per la diversità; allo stesso tempo euforia perchè il ragazzo che mi piaceva da un anno si era dichiarato e io, la ragazza forse più brutta al mondo dopo tanti problemi si sentiva felice di questo. Ero stanca del comportamento infantile di mia madre, del distacco di mia sorella, degli amici affianco che non mi rappresentavano nulla se non drogati in cerca di soldi, del mio corpo imperfetto e delle mie insicurezze. Volevo cambiare la mia vita, e piano piano iniziai a cambiarla.

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Capitolo 20
*** La scarsa. ***


Iniziai ad uscire con il mitico ragazzo dai capelli biondi, che mi capiva. Aveva vissuto più o meno la mia stessa situazione familiare e vedevo il vuoto anche dentro di lui, ma lui aveva avuto più fortuna con amicizie e genitori che nonostante la separazione lo volevano bene. Con lui riuscivo a ridere e a parlare sul serio, ascoltavamo musica e giocavamo insieme su tutto. Un emozione simile non l'avevo mai provata prima, e mi piaceva un sacco. Ma come si dice "i problemi sono sempre dietro l'angolo" no? e infatti questa felicità non durò molto. Con mia madre piano piano avevo ripreso a parlare e si era rinnegata al fatto che io volevo avere accanto mio padre. Un mercoledì di luglio uscii con i miei amici tanto per non stare a casa a patire il caldo estivo, e parlavo con miei amici di musica quando mi squillò il telefono; era mamma. Non riuscivo a capire le sue parole per via delle urla che uscivano dal quel telefonino dopo un po però compresi le sue parole. Diceva che era stanca di mio padre e dei suoi ritardi del mantenimento, prendendomi a parolacce sul fatto che avevo creato casini con la mia decisione e che non arrivavano i soldi non avrei mangiato. In quel momento il senso di rabbia salì: ero così stanca di tutto così tanto che le risposi male e per scherzo le dissi che sarei andata da lui a prendere i sold e le chiusi il telefono in faccia. Provavo un senso di rabbia e ribellione così assoluta che lo feci sul serio: presi il pullman in compagnia della mia "migliore amica". Migliore amica è strano da dire, visto che ci vedevamo poco. Ma mi fidavo di lei, le raccontavo sempre tutto e cercava sempre di farmi ragionare, e il giorno era d'accordo con me, cosi tanto che mi accompagnò e mi rimase affianco. In pullman il senso di ansia sovrastava il mio corpo, il mio cuore batteva a mille e le mani mi tremavano. Ma la mia amica e il suo ragazzo cercavano di sdrammatizzare la situazione con battute che mi facevano un po uscire dall'ansia. A metà viaggio mi chiamò mia madre chiedendomi dove fossi e le risposi che stavo andando da mio padre per i soldi, ma lei subito si arrabbiò così tanto che mi minacciò di tenermi rinchiusa a casa al mio ritorno. In quel momento mi uscì una frase, una frase che avrebbe cambiato per sempre la mia vita. Feci un respiro profondo e le risposi che non sarei più tornata a casa, che ero stanca di lei e del suo infantilismo. Le chiusi il telefono in faccia e così feci. Arrivai in stazione e mi feci un giro, ho sempre odiato quella città per via della malinconia, ma quel giorno trovai qualcosa di affascinante che mi attraeva. Chiamai mio padre e gli raccontai tutto e mi portò a casa. Non avevo mai sentito mamma così infuriata al telefono, ma quella notte diede il meglio di se'. Mi trovavo a dover vivere in un nuovo ambiente, con mie due zie di cui una aveva un figlio di 5 anni, mia nonna, mio padre e mia sorella (compreso paride, un enorme boxer viziato e coccolone). Ero spaesata, ma non avevo paura e non ero pentita del gesto che avevo compiuto qualche ora prima. Non ricordo di aver dormito così bene e così tranquillamente. Il giorno dopo mi svegliai presto per incontrare un mio amico (il ragazzo della mia amica) che contento del fatto di avere me nel paese vicino volle subito portarmi in sala prove per suonare un po e dimenticarmi della brutta giornata precedente. Il mio nuovo ragazzo invece era preoccupato del fatto che non mi fossi fatta sentire nulla ( il mio telefono è perennemente senza messaggi ne internet) ma dopo averli spiegato la situazione mi appoggiò. Ero emozionata per la nuova situazione, non ero mai arrivata a dire le cose in faccia a mia madre e a cercare di migliorare la mia vita. Mia madre però come al solito volle mettermi i bastoni tra le ruote minaccindo di denuncia e roba varia, finche non gli arrivarono i soldi del mio mantenimento e da li non si fece più sentire.. Stranamente il giorno dopo essere scappata mi chiamò il suo famoso ragazzo anziano che cercò di convincermi a tornare, ma io non ne volli sapere nulla. Quello stesso anziano schifoso che si arrabbiò e mi mise contro mia madre perchè a una cena non mangiai il suo pollo, cosa che non ho mai mangiato. Quello stesso anziano che veniva a casa ma alle 11 e che trovandomi ancora a dormire mi definiva una bestia. Se ci penso mi viene da ridere. Ci sarebbe ancora molto da scrivere, avventure che nemmeno immaginate, ma vorrei finire il mio racconto in questa parte della mia vita. Ero cambiata, ero riuscita a cambiare la mia vita e la cosa non mi spaventava. Avevo affianco a me amici stupendi che mi hanno sostenuto e mi dispiace di non aver parlato meglio di loro. Ero riuscita a farmi piacere, dopo solo un mese vivendo con mio padre e mia nonna persi ben 15 chili. Mi piacevo, stavo cambiando di mentalità e riuscivo a vedere cambiamenti significativi. Ero e rimango la solita ragazza che avvolte non si piace, che si veste in modo strano cercando di nascondere la vera natura, la ragazza che ama la musica e che senza di essa non potrebbe vivere, quella ragazza che ha molti sogni nel cassetto e che spera nel loro compimento, la ragazza timida che non parla con molti ma che si rende disponibile a chiunque, la ragazza che se ne frega delle diversità, la ragazza che ha fatto degli errori e che ancora oggi ci pensa e rimpiange, la ragazza che nonostante il suo carattere di merda dona l'anima a chiunque si dimostri gentile, quella ragazza scarsa che non capisce niente della vita e che spera in una vita più felice nonostante il passato tragico, che si ama e che si odia per quello che è.

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