Nel segno della Vergine

di Thilwen
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo Secondo ***
Capitolo 3: *** Capitolo Terzo ***
Capitolo 4: *** Capitolo Quarto ***



Capitolo 1
*** Capitolo Primo ***


Disclaimer: I diritti di Harry Potter and co. appartengono a Madama J.K.Rowling e a tutto un circo di gente che li ha acquistati. Niente di tutto ciò mi appartiene e io non scrivo a scopo lucro, ma solo per “palestrare” la mia fantasia.

 

Titolo: Nel Segno della Vergine;

Autore: Thilwen;

Beta-reader: mise_keith;

Tipologia: A Capitoli;

Numero Capitoli: Quattro;

 

Era: Harry Post Hogwarts. Precisamente nell’anno 2001.

 

Note:

Il rating della storia è PG13, anzi, “Giallo”, a causa del linguaggio. Ho provato a omettere il turpiloquio ma l’effetto dato non era lo stesso. Diciamo che è integrante al testo.

Ovviamente contiene spoiler sul settimo libro e si basa anche su alcune dichiarazioni rilasciate dalla Rowling.

Questa storia nasce da un’ispirazione particolare.

Ogni riferimento a casi, persone o eventi realmente accaduti è quindi da ritenersi puramente causale.

 

Ringraziamenti speciali: a Chiara, mise_keith, che legge, corregge e consiglia. E sopporta, soprattutto.

 

Dediche:

A chi, certamente non di proposito e sicuramente inconsapevolmente, mi ha dato l’ispirazione per questa storia.

 

 

 

Nel Segno della Vergine

 

 

   Hermione non era il tipo di persona da prendersela per quelle cose.

Quelle, per lei, non erano cose importanti.

Non rientravano strettamente in relazione con questioni fondamentali come famiglia, salute e lavoro, non avevano molto a che fare con libri e cultura, non toccavano alcuna creatura magica da lei eccessivamente concupita.

Non le avrebbe mai ritenute delle cose importanti, quindi.

Non significavano nulla, in fondo.

Quello non significava che non la pensasse o non le volesse bene.

Non se la sarebbe presa.

Poteva smetterla di preoccuparsi.

«Smetterla di preoccuparmi, il piffero!» si disse a voce alta, evitando di cadere nel turpiloquio evidente, continuando a passarsi una mano lungo il viso e osservando, distrutto, la prima pagina della “Gazzetta del Profeta” che giaceva sul tavolo della cucina di casa sua e di George.

Gazzetta che in cima citava elegantemente tale data:

 

“20 settembre 2001”

 

Avrebbe vomitato dozzine di pallini acidi alla vista di quella data, se ne fosse stato capace.

Di certo il modo in cui gli si erano attorcigliate le budella non avrebbe promesso nulla di buono per il suo apparato digerente; improvvisamente era sorto anche un vago vuoto in prossimità del cuore.

O forse era il cardias.

Poco importava, perché quello che era successo lo avrebbe messo in cima alla lista come peggior fidanzato del nuovo millennio, con tanto di corona artistica che avrebbe ricordato vagamente il palco di corna di un cervo a primavera.

Si era dimenticato del compleanno di Hermione.

Di nuovo.

Sì, perché il misfatto aveva pure un precedente.

Ma quella dell’anno prima, in fondo, era stata una storia a parte. Era un momento di crisi, erano entrambi abbastanza impegnati con il lavoro e, in quelle precise settimane di fine estate, si poteva quasi dire che non si parlassero.

In fondo, da quando stavano insieme, di momenti critici ne avevano attraversati parecchi; non basta che due si vogliano bene e si desiderino per anni perché, quando finalmente qualcosa accade, vada poi tutto liscio come l’olio.

Loro erano pur sempre loro, ecco.

Due pasticcioni sentimentali alle prese con l’ardua costruzione di una posizione sociale nella vita.

Ma questo era un altro discorso. Adesso, per quanto impegnati e non particolarmente disponibili a vivere una relazione con responsabilità da adulti, le cose andavano discretamente bene.

Però lui si era dimenticato del suo compleanno.

Se l’era dimenticato comunque.

Se l’era dimenticato di nuovo.

E per quanto Hermione difficilmente ne avrebbe fatto una tragedia, di sicuro doveva esserci rimasta male.

Deglutì a vuoto. Si versò un bicchiere d’acqua e lo bevette tutto d’un colpo.

Era proprio questo il punto; lui riusciva a farle del male anche quando tentava di tutto per far andare le cose per il meglio.

Era davvero una frana.

In fondo una sfuriata avrebbe potuto sopportarla. Una lunga serie di improperi, rimproveri e recriminazioni, magari condita di cose dove lui non c’entrava proprio, come l’aumento del prezzo dei croccantini di Grattastinchi, o i diritti barbaramente violati di una comunità di Goblin nordafricani, se mai ci fossero stati Goblin in Nord Africa.

Invece Ron sapeva perfettamente che non sarebbe andata così. Lui l’avrebbe cercata, si sarebbe scusato tenendo gli occhi bassi e sentendo le orecchie diventare pian piano sempre più calde e, probabilmente, rosse. Lei, a quel punto, avrebbe sospirato sconsolata e stanca, si sarebbe passata una mano fra i capelli mordendosi le labbra e infine avrebbe sillabato con voce piatta e incolore la solita grigia bugia:

“Non fa nulla, Ron. Non è importante”.

Così, sentendosi assolto, avrebbe alzato la testa e incontrato con un mezzo sorriso i suoi occhi, pensando che la questione fosse ampiamente chiusa lì e che, magari, avrebbe potuto portarla fuori per cena nelle prossime sere.

E lì avrebbe incontrato il suo sguardo.

Se Hermione era capace di mentire con le parole, ormai troppo stanca e impegnata per litigare con lui come una ragazzina (tranne che per le autentiche cazzate: per quelle potevano battibeccare per ore), con gli occhi poteva tacitamente mandarlo all’inferno con tutte le mutande.

Il suo sguardo sarebbe stato carico di delusione, tristezza, rammarico, come quando l’anno prima gli aveva detto “Ti sei pure dimenticato del mio compleanno, ma non fa nulla” e l’aveva fatto sentire un’autentica cacca di cane appena pestata da un camionista ubriaco pronto anche a vomitarci sopra.

Insomma, una vera e propria schifezza.

E Ron si sarebbe talmente sentito soffocato dai sensi di colpa che non sarebbero bastate nemmeno una cinquantina di punizioni con Piton, pace all’anima sua, per espiare i suoi peccati.

Ma come aveva fatto questa volta a dimenticarsi del suo compleanno?

Fino a due giorni prima lo sapeva. Era il diciassette, poi ci sarebbe stato il diciotto e infine il diciannove settembre, il compleanno di Hermione.

Poi nei due giorni precedenti buio totale. Soltanto lavoro, lavoro per lui. E lavoro, lavoro per lei.

«Ma come ho fatto?» chiese alla testa rossa di George spuntata in cucina con i capelli arruffati in maniera particolarmente strana. Doveva aver dormito in qualche buffa posizione quella notte.

«A fare che?» domandò l’altro, la voce impastata e lo sguardo ancora vagamente ebete.

Si sedette su di una sedia nei pressi del tavolo, guardandolo senza vero interesse.

«Sai che giorno è oggi?» continuò Ron.

«Non ne ho la minima idea» rispose George, prima di piegarsi in avanti per leggere la data sulla prima pagina del giornale «Ah, è il venti settembre. E allora?» ritornò a poggiare le spalle allo schienale della sedia.

«Allora» riprese Ron «ieri era giorno diciannove. Quindi,» proseguì non notando nessun cambiamento nell’espressione del fratello «il compleanno di Hermione».

Ci fu un secondo di silenzio durante il quale George strinse appena gli occhi come chi teme di aver capito. Poi Ron concluse: «E io l’ho dimenticato».

«Cazzo».

«Per il secondo anno consecutivo».

«Cazzo!» ripeté con un po’ di più convinzione, scotendo la testa a destra e sinistra, un po’ per disapprovazione, un po’ per vera e propria commiserazione. «Sei nei guai».

Ron si morse le labbra «Non credo che lei abbia voglia di fare storie; è troppo impegnata e troppo stressata, e non è il tipo che ritiene importanti queste cose. Però… ecco, ci sarà rimasta parecchio male. E io mi sento parecchio uno stronzo».

«Oserei dire che un po’ ci sei» commentò George, ormai completamente sveglio. «Ma scusa, come hai fatto a dimenticartelo?»

L’altro sospirò. Poi scivolò anch’egli su di una sedia di fronte al fratello. «Lo ricordavo, fino a pochi giorni prima. Le avevo anche preso un regalo. Le avevo proposto di cenare insieme, magari a casa sua…mmm…» Ron alzò gli occhi al cielo gustandosi l’immagine di quello che sarebbe accaduto se avessero realmente organizzato così la serata.

«Ron, abbiamo capito. Va’ avanti».

«Ma lei ha risposto che non poteva essere, aveva troppi impegni al lavoro, e che avrebbe preferito festeggiassimo un altro giorno per poterci godere il momento…» stirò le gambe sotto il tavolo e gettò l’ennesima occhiata alla Gazzetta del Profeta, augurandosi in ultima chance, che si fosse sbagliato, ma la data era sempre fissa sul ventesimo giorno di settembre. «Poi fra impegni varii non ci siamo sentiti. E ieri non ho avuto modo di parlare né con Harry, né con Ginny, quindi con nessuno che potesse farmi pensare alla cosa. Anche se… avrei dovuto ricordarlo da solo».

Sospirò e guardò il fratello con aria sconsolata: «Secondo te che dovrei fare?»

«Tu che cosa vorresti fare?» domandò di rimando George.

«Mah, andare da lei, scusarmi, beccarmi la sua occhiata delusa, farmi mandare il cuore in pezzi, per poi chiudermi nella soffitta di mamma e papà, e battermi la schiena con un cilicio in ginocchio sui ceci, con il nostro vecchio Ghoul che mi ulula intorno».

George alzò un sopracciglio, grattandosi la testa poco sopra l’orecchio mancante «Scusa, ti sembra una buona idea?»

«In effetti la parte del cilicio non mi sconfinfera più di tanto».

Il ghigno che si materializzò sul volto del fratello lo inquietò non poco. Probabilmente in quel momento percepì che doveva essere senza dubbio foriero di guai.

Di guai veri.

«Dimmi un po’, Ron, » chiese «Hermione dunque è Vergine?»

Ron guardò George come se fosse certo che avesse perso parte del cervello dall’orecchio danneggiato. Poi, un lieve rossore d’imbarazzo frammisto a un poco d’irritazione gli colorò il visto.

«Senti, George, io capisco che io e Hermione possiamo sembrare un poco imbranati, che la nostra relazione altalenante vista da fuori sembri parecchio immatura, ma abbiamo pure la nostra età e certe cose… ecco ti posso assicurare che lei non sia…»

«Oddio Ron! Non mi riferivo ovviamente a questo: sarebbe difficile non sentirvi quando talvolta vi fermate in camera tua a lungo!» proseguì l’altro ridendo «Parlavo di segni Zodiacali!»

Ron boccheggiò come un pesce fuor d’acqua per alcuni secondi senza spiccicare una sola parola.

«Sì, lo è». Concluse infine, anche se non proprio convinto.

«E sai che significa questo?»

«Onestamente, no».

George sospirò, come se stesse parlando con una persona profondamente ignorante su di un argomento fondamentale nella vita. «Significa che si tratta di persone particolarmente intelligenti e pignole, sì, ma anche dotate di un’indole poco romantica e particolarmente introversa».

Ron dovette ammettere in cuor suo che Hermione ricalcava bene questa descrizione.

«E con questo?»

«Con questo significa che tu, piuttosto che gettarti a capofitto in una causa sentimentale, devi usare il cervello e cercare di farti perdonare girando la frittata a tuo vantaggio».

L’aria da esperto di George lo preoccupò non poco.

«Scusa, ma tu queste cose da dove le hai scoperte? Non mi pare si studiassero tali idiozie durante le lezioni di Astrologia a scuola» non poté fare a meno di chiedergli.

«Ovviamente dal grande Bunny SuperStars».

Ci vollero alcuni secondi perché il nome fosse estratto dalla fuligginosa memoria di Ron.

«Il tizio che scriveva quelle fandonie su “Strega Oggi”? Leggevi il giornale della mamma?»

George arrossì lievemente. «Beh, guarda che poteva rivelarsi una lettura interessante, per i nostri studi sugli interessi femminili al fine di creare prodotti per le donne. E Bunny non scriveva solo fandonie!»

«Ma per favore!» commentò Ron «L’unica volta che l’ho letto diceva che i Pesci avrebbero avuto nel corso di quella giornata un fortunato incontro».

George manifestò il suo interesse all’aneddoto con il silenzio.

«Ho incontrato zia Muriel quel giorno».

«Fai come vuoi. Vai, fa’ soffrire Hermione dicendole che hai dimenticato il suo compleanno senza un buon motivo, per la seconda volta consecutiva, così penserà che non ci tieni per nulla a lei» sbottò con finta aria offesa il fratello, afferrando con un gesto repentino il giornale e iniziando a sfogliarlo.

«Hermione non penserebbe mai una cosa simile».

Forse.

«Hermione è una donna. Le donne credono che se tu non le renda partecipi di ogni tuo respiro non vuoi loro bene».

«Hermione è diversa».

In generale.

«Se lo dici tu, prova pure. Basta che non sconvolgi troppo il nostro Ghoul con le tue punizioni corporali».

Ron sospirò. In effetti, per quanto Hermione non sarebbe mai arrivata a pensare certe cose, non si sarebbe certo fatta una risata sulla faccenda. Sarebbe stato abbastanza doloroso per entrambi.

Forse avrebbe potuto trovare una scusa abbastanza credibile da assolverlo e avrebbero fatto finta di nulla.

«Senti, George» lo richiamò dopo qualche minuto, mentre leggeva un articolo in terza pagina «tu per caso hai qualche idea su come potrei cavarmela questa volta?»

George sembrava non aspettasse altro. Infischiandosene di ciò che stava leggendo, piegò il giornale in quattro parti e se lo pose in grembo. Poi sorrise in maniera famelica inclinando di poco la testa a sinistra. «O, sì, in effetti c’è qualcosa che possiamo provare. Che tu puoi provare…»

Data l’espressione e le parole del fratello a Ron, pur solo mentalmente, scappò un’imprecazione irripetibile.

 

 

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Capitolo 2
*** Capitolo Secondo ***


Note: Per non so quale assurda questione informatica o simili, il testo del precedente capitolo era tanto piccolo da essere particolarmente stancante per la lettura; praticamente tentando di far funziona quel diavolo di Page Breeze come si deve, o mi veniva minuscolo o mi veniva enorme.

Che io di informatica non ci capisca una cippa (infatti mi sto laureando in lettere…) non è un mistero, quindi  tralasciate tale insensate dichiarazioni.

Visto che è sempre meglio una grafia meno aggraziata ma non dei lettori ciechi, ho uniformato il testo di quel capitolo e di questo a tale carattere.

Eccovi il secondo capitolo: sono molto più soddisfatta degli ultimi due, parecchio divertenti, che di questi primi più “introduttivi”, ma ogni storia ha bisogno del suo equilibrio e della sua contestualizzazione.

Portate pazienza e ditemi che ve ne pare.

 

 

Capitolo Secondo

 

   Ron avrebbe dovuto capire a intuito che qualunque proposta del fratello, fatta con quella faccia da ladro di lecca-lecca, sarebbe stata sicuramente una fonte sicura di guai.

E avrebbe dovuto ricordare quanto Hermione fosse scaltra e riuscisse a sentire la puzza di bruciato lontano un miglio.

Oppure, semplicemente, avrebbe potuto leggere seriamente ciò che scriveva Bunny SuperStars nelle sue rubriche di astrologia; che i Vergine apprezzavano a pari modo con l’intelligenza l’onestà.

Ma nulla di tutto ciò gli passò per testa.

Purtroppo per lui.

Mancava ancora mezz’ora all’apertura del negozio di scherzi magici “Tiri Vispi Weasley”, ma lui e George si trovavano già al piano di sotto, nel retrobottega.

Ron osservava perplesso il fratello tirare fuori da una scatola che giaceva quasi dimenticata in un angolo del negozio un barattolo di vetro contenente un certo numero di, si sarebbe detto a prima vista, caramelle dai colori sgargianti. Caramelle dalla forma leggermente allungata a proiettile.

Anzi, a guardarle bene, dovette ammettere che somigliavano parecchio a supposte.

George si avvicinò a lui con il barattolo in mano e un grande sorriso stampato in volto.

«Ecco,» disse poi porgendolo a Ron come se con un solo colpo d’occhio si potesse capirne uso e funzioni.

«Ecco, cosa?» domandò a quel punto l’altro, afferrando il barattolo e scuotendolo un po’; ne uscì solo un tintinnio ovattato. «Queste, cosa sarebbero?»

George sospirò, come se fosse un professore costretto a ripetere per l’ennesima volta la stessa lezione a un alunno particolarmente distratto. «In effetti, non hanno un nome ben preciso; non le ho mai messe in commercio perché…» si bloccò, fece spallucce, poi continuò tranquillamente. «Diciamo perché ho sempre pensato che non avrebbero avuto buon mercato. Sono dei simulatori di malattie sintomatiche: ti fanno venire giusto per una mezza giornata diverse macchie sul corpo e un poco di febbre, poi passa tutto così com’è arrivato. Ideale per prendersi un giorno di vacanza senza che qualcuno indaghi sulla veridicità dei tuoi sintomi».

Ron guardò nuovamente il contenuto del barattolo. Poi lo aprì e, avvicinando il naso, ispirò profondamente; c’era un vago odore di ciliegia, limone e mandarino dentro.

«Quindi, io dovrei prendere uno di questi e fingere di stare male?»

«Be’, non è che fingeresti sul serio: un poco di malessere lo avresti» ci tenne a precisare George.

Ron lo guardò per qualche secondo. «È assurdo. Non credo valga la pena fare una cosa così stupida. Sentirsi male, mentire, per non pagare le proprie colpe…»

«Mi sa che tu stai proprio iniziando a somigliare a Hermione» buttò lì l’altro, con un’espressione vagamente disgustata stampata in viso. «A parlare di cose giuste, di doveri e di responsabilità».

«Be’, insomma, non è che sia proprio una cosa da persone mature da fare…»

 «Visto, come dicevo, Hermione precisa!» rincarò la dose George.

«Che palle!» sbottò Ron passandosi una mano nervosamente fra i capelli. «Quindi, secondo te, io dovrei prendere una cosa di queste, stare male e farlo sapere a Hermione?»

«La avvertirò io stesso non appena la pasticca avrà avuto effetto» rispose. Poi abbassò la voce in un vago tono di falsetto «Le dirò che stai male da ieri, che hai avuto la febbre tanto alta da delirare e che oggi ti sei ricoperto di strane macchie rosse. Così non solo non potrà restarci male perché c’è stato un motivo davvero valido perché tu ti sei dimenticato del suo compleanno, ma accorrerà da te e ti farà da dolce infermiera scrupolosa».

«Be’, direi che si preoccuperà anche non poco…»

«Ma tu lo sai che non ha veramente motivo di farlo».

«E tu, qui, con il negozio…»

«Me la caverò da solo con le ragazze».

Ron si rigirò il barattolo fra le mani, confuso. «Sai, secondo me è una bella cazzata questa».

«Va bene», rispose George allungando la mano destra verso il fratello. «Come vuoi tu, non facciamone nulla. Certo che è una bella carognata scordarsi così il compleanno della fidanzata. Anche se non te lo dirà mai, chissà come c’è rimasta male Hermione…»

Ron sentì un paletto conficcarsi dentro il cuore a quelle parole.

Era vero, Hermione, in qualunque modo sarebbero andate le cose, doveva esserci rimasta davvero male. Magari questa piccola bugia l’avrebbe a lungo andare consolata.

Osservò il contenuto del barattolo. Le diverse “caramelle” avevano tutte dei colori molto accesi: rosso, giallo e arancione.

«Perché hanno colori diversi? »

George aveva ancora la mano destra tesa verso il barattolo «Hanno essenze e aromi diversi, ma, fondamentalmente, dànno esito a effetti diversi. Quelle rosse ti fanno venire delle macchie, quelle gialle delle bolle, quelle arancioni… dei problemi intestinali».

Ron continuò a osservarle perplesso.

Certo che, almeno come forma, somigliavano davvero a delle supposte.

«Senti» disse dopo un sospiro. «Queste cose hanno una forma parecchio strana. Se devo farle passare su per qualche orifizio posto in una determinata zona mi rifiuto categoricamente di…»

«Tranquillo» sorrise George ritirando infine la mano. «Si masticano e basta»

Ron prese in mano un confetto rosso. Fra diarrea, bolle e macchie, di certo avrebbe preferito quest’ultime.

«George, sei sicuro che non dànno effetti collaterali pericolosi, vero?»

«Ma no!» rispose quello impassibile. «Qualche macchia e un po’ di febbre per qualche ora e poi nulla»

«Ma poi le macchie vanno via sicuro? Hai già sperimentato tutto abbastanza, no?» continuò Ron, soppesando sul palmo della mano il prodotto rosso brillante.

«Ma sì, coraggio: mica avrei potuto far provare qualcosa del cui esito non fossi sicuro al mio fratellino?» disse George con un’espressione quasi angelica.

Ron continuò a guardare la roba che aveva in mano dubbioso.

Improvvisamente gli apparve in mente la testa boccolosa di Hermione mentre lui era intento a scusarsi dicendo: “L’ho dimenticato, non so come ho potuto”, e il suo sguardo carico di rammarico e delusione mentre con voce piatta rispondeva: “Fa’, nulla Ron. È evidente che non è importante”, e magari lo bandiva dal suo letto per un paio di settimane.

Chiuse la mano in un pugno e si strinse nelle spalle guardando il fratello.

«Mah, visto che non si usa come una supposta, non sarà tanto brutto provare».

George si limitò ad annuire con convinzione.

*

   Hermione Granger era china su di un grosso e polveroso tomo di Storia della Magia, che trattava dell’ennesima guerra intestina fra le diverse fazioni di Goblin del Nord Europa; con la mano destra, ogni tanto, prendeva qualche appunto su di una pergamena poggiata sulla scrivania del suo piccolo ufficio al Ministero. Nel silenzio di quella mattina il timido grattare della penna sul foglio sembrava un fastidioso rumore deconcentrante.

O forse, dovette ammettere, era lei stessa a essere particolarmente infastidita.

E deconcentrata.

Soffocò uno sbadiglio con la mano sinistra e nel frattempo posò la piuma che teneva con l’altra vicino alla boccetta d’inchiostro, per potersi stiracchiare bene e godersi qualche secondo di riposo.

Secondo utile a ricordarle che ieri era stato il suo ventiduesimo compleanno.

E che Ron lo aveva nuovamente dimenticato.

Non riuscì a non far comparire immediatamente sul volto un’espressione stizzita al pensiero. La cancellò in fretta, scuotendo stancamente la testa e sospirando; conosceva Ron, non avrebbe dovuto stupirsi così tanto.

Era sempre stato un tipo svagato, leggermente rozzo e particolarmente poco attento a queste cose. Il suo sguardo azzurro sembrava vagare oltre la successione dei giorni e delle settimane in un perenne stato di distrazione.

C’era lui, il negozio da portare avanti con George, il contemporaneo tentativo di diventare un Auror. Raramente si ricordava che giorno fosse, meno che la domenica, quando poteva dormire a pancia in su fino a tarda mattina tranne che non fosse lei stessa, venuta per passare qualche ora libera con lui, a svegliarlo accarezzandogli lentamente il volto.

Insomma, di certo non lo aveva fatto per male: Ron era così.

In fondo il compleanno era solo un numero, un numero che viene affibbiato a ciascuno per questioni burocratiche.

Una comodità sociale.

Una stupida tradizione.

Una scusa per viziare i bambini.

Nulla di importante.

Però. Beh, sì, però

Lei, il suo compleanno, non l’avrebbe mai potuto dimenticare.

Ci pensava giorni prima e quella mattina il suo primo pensiero era di ritagliarsi uno spazio di tempo per potergli fare gli auguri come si deve. Anche impegnandosi, non lo avrebbe mai dimenticato.

Perché per lei Ron era troppo importante perché potesse non fare caso a una cosa simile.

Forse Ron lo aveva dimenticato perché in fondo lei non era tanto importante per lui.

Scosse la testa.

Stupidaggini. Ron aveva dimostrato nelle situazioni realmente serie e importanti quanto tenesse a lei. Ecco che cos’erano questi pensieri. Solamente stupidaggini.

Questo non poteva minimamente dimostrare che non tenesse a lei: semplicemente era una prova lampante di quanto fosse sbadato.

Insomma, doveva smetterla di essere delusa e rancorosa: in certe cose lui era un pasticcione e lo sapeva.

Non era di certo una cosa bella, ma non era così importante.

Probabilmente se avessero organizzato qualcosa, com’era stato da lui proposto, non lo avrebbe dimenticato.

Invece avevano deciso di posticipare festeggiamenti e tutto, perché lei il giorno prima aveva avuto alcune riunioni e degli incontri importanti con gli emissari di alcune comunità magiche “non-umane”. Come aveva previsto aveva finito tardi e sarebbe stata troppo stanca per ogni festeggiamento; l’unica cosa che avrebbe voluto festeggiare era la carezza calda delle sue coperte.

Probabilmente nella giornata odierna Ron si sarebbe reso conto del suo fallo e, costernato, le avrebbe portato a testa bassa le sue scuse, insieme a una qualche proposta per farsi perdonare.

In fondo era anche una prospettiva divertente: doveva smetterla di angustiarsi tanto e covare dispiacere per riuscire a tirar fuori il comico da quella situazione.

Avrebbe pure potuto divertirsi nel costringere Ron a trovare un modo per farsi perdonare…

I suoi pensieri furono interrotti da un improvviso rumore proveniente nei pressi del piccolo camino situato alle sue spalle. Un improvviso baluginio di fiamme verdi colse la sua attenzione e la costrinse ad alzarsi; di sicuro si trattava di qualcuno desideroso di mettersi in contatto con lei “via camino”.

“Probabilmente sarà Ron,” pensò Hermione mordendosi un labbro e sperando di aver razionalizzato l’evento abbastanza a fondo per non fare una faccia da maschera tragica al momento delle sue scuse.

Attese qualche secondo aspettando di vedere fra le fiamme baluginanti la sua testa rossa.

In effetti, appena qualche istante dopo, vide proprio apparire una testa rossa all’interno del camino, ma il volto dell’avventore, per quanto vagamente simile, non era quello di Ron, ma di George Weasley.

«George?» commentò infatti Hermione nel vederlo apparire, con un tono abbastanza sorpreso; non riusciva a trovare un motivo valido per la mistica apparizione nel suo ufficio.

«Ehilà, Hermione!» commentò allegramente quello dopo averla scorta. Poi, come se si fosse ricordato solo in quel momento di qualcosa di molto brutto e grave, trasformò la sua espressione leggera in un cruccio cupo, e si scusò dicendo. «Perdona la mia intrusione nel tuo ufficio, spero di non averti disturbato, ma volevo dirti una cosa…»

Istintivamente Hermione si preoccupò: quando George tirava fuori quella faccia o stava giocando un brutto tiro a qualcuno o era davvero successo qualcosa. Entrambe, le opzioni, comunque, la mettevano in preallarme.

«Che cosa è successo?» chiese quindi, vendendo che il ragazzo non continuava spontaneamente.

George sospirò. «Non so se sia il caso di disturbarti per questo, so che sei molto impegnata in questo periodo,» fece una pausa che risuonò vagamente teatrale .«Ma, vedi, pensavo fosse necessario avvisarti che da due giorni Ron sta parecchio male: ha una brutta febbre, molto alta, e stamattina gli sono improvvisamente comparse diverse macchie rosse sparse per il corpo. Credo abbia preso qualche brutto virus».

Hermione, mentre George parlava, era visibilmente impallidita. Quando quello aveva accennato alle macchie, si era portata entrambe le mani alla bocca e aveva singhiozzato un «Ron!» molto accorato, mentre gli occhi le diventavano lucidi.

«Oh, Hermione!» continuò George, aprendo il viso in un sorriso tranquillo, alla vista dello spaesamento della ragazza. «Non sarà nulla di grave! Pensavo solo di doverti avvertire. Non volevo farti preoccupare» scosse la testa in mezzo alle fiamme smeraldine. «Forse avrei fatto meglio a non disturbarti a lavoro per questo…»

«No,» lo fermò Hermione con voce ansiosa. «No, hai fatto bene a dirmelo. Oggi non ho molto lavoro da sbrigare, dovrei solo documentare gli incontri di ieri, ma posso farlo in un altro momento. Chiedo un permesso e corro da Ron».

La testa di George si mosse avanti e indietro in un movimento di decisa affermazione in mezzo alle fiamme. «Non è una cosa indispensabile, ma se vuoi puoi portargli la tua assistenza, penso gli farebbe piacere».

Hermione si era già voltata verso la scrivania a risistemare le sue pergamene di appunti e tutta la sua roba; un crampo di senso di colpa colpì lo stomaco di George appena la vide chiudere il suo libro con un colpo secco e riporlo in un armadio.

Se le sue parole erano state capaci d farle posare un libro e interrompere gli studi, doveva essersi preoccupata davvero.

«Allora ci vediamo dopo,» si affrettò quindi a salutarla, aggiungendo, fra sé e sé, una volta fuori dal camino: «E speriamo che la cosa non ci sfugga di mano».

 

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Capitolo 3
*** Capitolo Terzo ***


Capitolo Terzo

 

   In fondo la colpa era di Ginny.

A che serve una sorella che è la migliore amica della tua ragazza, se non per ricordarti le date importanti (vedi voce “compleanni”), darti delle buone dritte sui regali, e fare da ambasciatrice nei momenti di crisi profonda?

Vada bene che era impegnata in trasferta con la squadra di Quidditch, ma una soffiata veloce via camino poteva anche fargliela.

Di sicuro lei gli auguri a Hermione li aveva fatti.

Di sicuro una chiacchierata hot con Harry prima di andare a letto, l’aveva avuta.

Perché, allora, non aveva anche solo semplicemente spedito un gufo come memorandum per lui?

In fondo poteva immaginarlo che sarebbe finita così. Era sua sorella, porcapaletta!

Bene, iniziava a imprecare come sua madre. O come Hermione.

Segno evidente che la sua finta-febbre stava salendo.

Fosse stato nel pieno delle sue condizioni fisiche avrebbe detto… beh, semplicemente si sarebbe espresso con una metafora contenete almeno un’allusione a qualche organo sessuale e al loro utilizzo. Con qualche personaggio della Bibbia in mezzo, forse.

Qualche ora addietro, aveva masticato quella cosa gommosa per un paio di minuti prima di poterla mandare giù. Aveva davvero un gusto di ciliegia, ma corrotto da qualcosa che ricordava la muffa e il sapore che avrebbero dovuto avere gli amati calzini del buon vecchio Dobby.

Aveva gironzolato un poco per l’appartamento ancora in pigiama, sfogliando svogliatamente il giornale e poi, alle prime avvisaglie di mal di testa, si era infilato a letto attendendo l’evoluzione della sua malattia.

Che non aveva tardato ad arrivare.

Vampate di calore, brividi di freddo, tutte le estremità gelate –beh, quasi tutte-, occhi gonfi, pesante spossatezza, dolori ossei, muscolari e un altro pugno di disturbi dati certamente più dall’autosuggestione che dalla pillola di George.

Aveva abbandonato la testa sul cuscino, mentre i pensieri si facevano via via più vaporosi e sfuggenti. Tenere districato il reticolo delle sue riflessioni si faceva complicato come camminare completamente immerso nell’acqua. Non impossibile, ma di certo lento e faticoso.

A metà mattina George aveva fatto il suo ingesso nella stanza con un sorriso trionfale stampato in faccia.

«Ma bene!» aveva detto, tastandogli la fronte ed esaminandogli la faccia con uno sguardo critico.

«Io non userei proprio “bene” come avverbio» aveva ribattuto Ron con voce impastata e stanca.

«È quello che ci aspettavamo, no?» George gli stava tastando il polso e, inspiegabilmente, guardando le unghie prima che il fratello nascondesse nuovamente il braccio sotto le coperte scosso da un brivido di freddo «Devi stare male nella maniera più credibile possibile».

«Comincio a pensare sia stata davvero un’idea cretina» aveva biascicato. «E non è un qualcosa che si possa vendere. Nessuno starebbe male apposta, nemmeno per saltare una lezione a scuola».

«Tu non l’avresti presa per saltare un compito di Pozioni con Piton?»

Ron tacque. Piuttosto che fare dieci minuti di lezione con Piton (sempre pace all’anima sua, in qualunque luogo si trovasse), avrebbe trangugiato una dozzina di quelle porcherie.

George non aveva atteso la sua risposta, ma alzandosi dal letto, continuando a sorridere con espressione beffarda, aveva detto: «Penso sia giunto il momento di comunicare alla cara Hermione il tuo stato di salute» ed era uscito, fischiettando un motivetto da osteria.

A Ron qualcosa di viscido era scivolato pesantemente nello stomaco.

“Adesso la farai preoccupare. Per nulla, poi. Sei ancora un ragazzino!”

Quando faceva certi pensieri, chi sa perché, la voce che sopraggiungeva nella sua mente aveva il timbro di quella di sua madre e il tocco isterico di quella di Ginny quand’era mestruata.

Brutta davvero, insomma.

In quel preciso momento se ne stava con la testa sprofondata nel cuscino, per metà preoccupato, per metà divorato dai sensi di colpa, immerso in una condizione di pesante disagio.

Non era stata una buona idea.

Adesso si sentiva come una pluffa a fine partita.

Adesso avrebbe fatto preoccupare di brutto Hermione.

E George aveva dietro la sua faccia da fratello premuroso, l’espressione di un gatto che ha raffazzonato del buon formaggio da una tavola imbandita.

“Il dado è tratto” aveva detto qualcuno prima di lui, da quello che ricordava doveva essere stato un Troll di montagna deciso a occupare una zona dei Lake District con un esercito.

Forse non era proprio il Lake District, forse non era stato un Troll di montagna, ma l’acqua e l’esercito c’entravano di sicuro.

In parole povere, doveva solo attendere l’evolversi degli eventi.

E nell’attesa era caduto in una sorta di dormi-veglia angoscioso, dove comparivano gli occhi di Hermione ora delusi, ora preoccupati, ora rabbiosi, dove compariva Hermione stessa, tutta intera in biancheria intima; accarezzava lascivamente l’orlo del reggiseno e portava le mani dietro la schiena per sganciarlo: poi improvvisamente la sua espressione diventava irritata, si rivestiva in fretta e usciva dal suo campo visivo con aria offesa.

Hermione; volteggiava davanti ai suoi occhi con mille abiti e colori diversi.

Hermione; la sua bocca si muoveva e parlava ma non riusciva a captarne le parole.

«Ron?»

Il suo nome nella sua bocca.

Le sue mani sul suo viso.

Era vestita di verde bottiglia.

Aveva i capelli legati alla nuca.

«Ron? Sei sveglio?»

Ron sbatté le palpebre un paio di volte.

Non sognava.

Hermione era seduta al bordo del suo letto e gli accarezzava dolcemente i capelli.

*

Hermione, sistemati velocemente i documenti, gli appunti e i libri sparsi nel suo ufficio, si rassettò di tutta furia i capelli e chiese a un suo superiore mezza giornata di permesso.

Scendendo precipitosamente le scale all’uscita del Ministero s’imbatté nel celebre e suo quasi-cognato Harry Potter.

«Dove vai così in fretta?» la apostrofò con un sorriso un po’ disorientato, vedendola così agitata.

«Harry!» annaspò la ragazza con il fiato corto fermandosi davanti a lui. «Sapevi che Ron non sta bene?»

«No» rispose quello aggrottando le sopracciglia.

Hermione prese un respiro profondo per recuperare fiato e spiegare chiaramente la situazione. «George mi ha cercata poco fa via camino e mi ha detto che da ieri Ron ha la febbre e delle macchie rosse sulla pelle. Sostiene che non sia nulla di grave, ma mi ha chiesto di andare da lui».

Harry rimase in silenzio un secondo. «L’ultima volta che ho sentito Ron stava alla grande. Anzi, siamo andati a bere una Burrobirra insieme due sere fa» disse scrollando le spalle. «Ma ieri non gli ho neanche parlato. Potrebbe essere stata una cosa improvvisa. Non è che ha preso il morbillo?»

«Be’, è una malattia babbana» specificò Hermione

«Non è detto che i maghi non possano prenderla» ribatté l’altro.

«Di solito viene ai bambini».

«Sì può sempre considerare l’età mentale e non solo quella anagrafica».

Hermione sorrise scuotendo la testa.

«Io non mi preoccuperei» la tranquillizzò Harry. «Sarà stata qualche indigestione da dolci. Però credo che anche Ginny non sappia nulla della cosa».

Hermione pensò fosse abbastanza probabile che Ginny non fosse informata della malattia del fratello.

L’aveva sentita in breve la sera prima, giusto il tempo di ricevere i suoi auguri e scambiarsi qualche convenevole.

Di Ron non avevano parlato. Timorosa di colpire qualche nervo scoperto e di doversi sorbire lunghi e ripetitivi discorsi a proposito delle scaramucce fra Hermione e il fratello, Ginny doveva avere imparato ad aspettare fosse l’amica a tirare fuori l’argomento.

Tanto per non cercarsi grane.

Ma, se avesse saputo che stava poco bene, di certo glielo avrebbe detto, anche solo per averne notizie.

«Non penso lo sappia», confermò Hermione.

«Quindi un motivo in più per non fare quella faccia preoccupata. Sarà qualche stupidaggine» Harry ricominciò a salire i gradini del Ministero. «Ho alcune cose da sbrigare adesso, ma vedrò di fare un salto da Ron stasera. Salutamelo, nel frattempo».

Le voltò le spalle dopo averle fatto un cenno di saluto.

Hermione sospirò continuando per la sua strada, smaterializzandosi discretamente poco lontana dall’entrata del Ministero.

*

Ron ci mise qualche minuto per svegliarsi, ma rimase in una strana sensazione d’intorpidimento, completamente andato a causa della febbre.

Infine, quando capì che Hermione era veramente lì con lui, una strana sensazione di tenerezza gli si propagò in petto.

«Ciao» mormorò non appena si rese conto che, benché rauca, la voce gli usciva dalla bocca.

«Non volevo svegliarti» si scusò lei sorridendogli appena. «Solo che ogni tanto aprivi gli occhi e mormoravi il mio nome, ero convinta che non dormissi».

«Non ero proprio addormentato» borbottò.

«Come ti senti?»

«Mmm…’somma».

Hermione gli accarezzò una guancia ruvida con il dorso della mano; non si era sbarbato quella mattina «Hai dei puntini rossi in faccia e in fronte. Sembra tu abbia il morbillo».

«Che diavolo è il morbillo?»

Hermione rise. «Nulla, non preoccuparti. Vuoi preparato qualcosa di caldo?»

Ron sospirò. La febbre lo faceva sentire già abbastanza caldo e tutto quel calore gli stava cucinando il cervello.

«No, grazie Hermione, non preoccuparti. Sei stata molto carina a lasciare il lavoro per venirmi a trovare» stirò le labbra in una specie di sorriso affaticato. «Immagino tu fossi impegnata».

«Solo routine, nessun impegno importante».

Benché intorpidito il cervello di Ron comprese che era questo il momento adatto per buttar giù la storia della sua orrenda dimenticanza.

«Hermione…» mise una nota di panico nella sua voce.

«Cos’hai?» si agitò la ragazza «Non stai bene?»

«Che… che giorno è oggi?»

Lei lo guardò un istante perplessa. «Giovedì».

«No», Ron scosse la testa sul cuscino. «Intendo la data».

Hermione si morse per un secondo il labbro inferiore. «Ne abbiamo Venti. È il 20 settembre, Ron».

Ron emise un gemito teatrale sprofondando la testa di più nel cuscino. «Hermione, ma ieri era il tuo compleanno, ed io a causa della febbre me lo sono scordato!»

La ragazza accennò un sorriso, poi gli accarezzò i capelli.

«Oh, Ron, figurati, non è un problema: sai che non sono particolarmente legata a queste tradizioni e tu sei più che giustificato per non essertelo ricordato in queste condizioni».

«Ti giuro che fino al giorno prima lo sapevo…» continuò Ron con un annaspante tono lamentoso «Ti ho pure comprato un regalo!»

Hermione gli afferrò una mano nascosta sotto le coperte. «Lo apriremo insieme quando starai meglio. Non preoccupartene adesso».

Ron, nonostante sentisse freddo, tirò fuori la mano dalle coperte, per afferrare e accarezzare quella di Hermione.

Aveva uno sguardo davvero dolce in quel momento. Era tanto affettuosa che dimenticò il senso di colpa e di ansia che gli avevano pizzicato il cuore fino a quel momento.

Fra qualche ora sarebbe stato meglio, Hermione sarebbe stata contenta del regalo e avrebbe dimenticato tutto.

Ogni cosa sarebbe andata al posto giusto e nessuno avrebbe mai saputo nulla.

Afferrò con la sua grande mano le dita piccole e sottili di Hermione.

In qualche modo quel gesto lo faceva sentire importante, in grado di proteggerla.

Sempre.

Hermione era visibilmente rasserenata. Abbassò lo sguardo sulla sua mano per vedere le loro dita intrecciate teneramente.

Improvvisamente sbarrò gli occhi inorridita. «Ron!» disse con voce stridula.

Ron saltò in aria per lo spavento. «Che c’è?»

«Da quando metti lo smalto alle unghie?» lo guardò in volto con aria arrabbiata, lasciandogli la mano.

Il ragazzo se la portò davanti agli occhi e dovette ammettere che Hermione aveva ragione.

Le sue unghie erano tinte di rosso.

Anzi, per la precisione, rosso baldracca.

Pensò nei confronti di George una cosa che un fratello non dovrebbe mai osare pensare nei confronti di un altro.

«Io non lo-» boccheggiò, notando diverse macchie sulla mano e sul braccio e rendendosi conto che avevano la stessa sfumatura di colore delle unghie. «Io non le ho mai tinte!».

Hermione lo guardava severa, le labbra strette in una morsa.

«Oh, guarda, di questo ne sono certa. Forse è l’unico punto dove ti credo».

«Ma io non so come-»

La ragazza si alzò ponendo le mani ai fianchi. «Di certo è un caso che siano rosse allo stesso modo delle tue macchie della tua rocambolesca malattia…».

«È un caso di certo, sarà un altro effetto della mia malattia!»

«E che tutto ciò» proseguì Hermione alzando la voce per ridurre al completo silenzio quella di Ron. «Abbia davvero l’aria di una fattura venuta male».

Egli rimase in silenzio un attimo.

«Non so dove tu voglia andare a parare» borbottò poi.

Le labbra di Hermione divennero ancora più sottili. Strinse di più anche gli occhi. Un ciuffo di capelli sfuggito dalla coda vibrava pericolosamente poco sopra il suo orecchio.

Sembrava sul punto di esplodere in una giusta e accorata recriminazione.

Invece, improvvisamente esplose qualcos’altro, che costrinse Ron a stringersi sotto le coperte e Hermione a voltarsi verso la porta e a spianare l’espressione omicida.

Con un crak! sordo qualcuno si era materializzato in soggiorno e adesso correva verso la sua camera urlando con voce lacrimosa: «Il mio bambino! Cos’è successo al mio bambino?»

Qualcuno che, senza nessun’ombra di dubbio, doveva essere Molly Weasley.

***

Nota dell'autrice:

Si presenta una guest star d’eccezione per il prossimo –ultimo- capitolo!

Un caldo ringraziamento va a hermione_06, che ha recensito il precedente capitolo: come vedi la faccenda è decisamente sfuggita di mano, ma a pagarne le conseguenza più che George, sarà il povero Ron; grazie mille per la recensione!

 

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Capitolo 4
*** Capitolo Quarto ***


Capitolo Quarto

 

Con le coperte fin sopra il naso e le mani ben nascoste sotto di queste, Ron Weasley, attendendo il trionfale ingresso di sua madre in camera, stava brevemente facendo un sommario di tutto ciò che non avrebbe mai più fatto in vita sua:

 

a)     Fidarsi di George Weasley;

b)    Leggere l’oroscopo;

c)     Fingere anche un semplice mal di testa per poltrire a letto anziché andare a fare shopping di scarpe con Hermione;

d)    Dimenticarsi del compleanno di Hermione;

e)     Doveva esserci qualcos’altro, ma non gli sovveniva al momento. Aveva a che fare con le ciliegie, comunque.

 

Ebbe appena il tempo di scorgere il volto di sua madre preoccupato con i capelli completamente in disordine e la veste tesa sul corpo grasso; poi venne stritolato in un caldo ed eccessivamente affettuoso abbraccio materno.

«Oh, Ronnie! Il mio bambino! Sono scappata appena ho saputo!»

Infatti, nel piano originario di Ron, lei non avrebbe mai saputo.

Non poteva credere che George fosse stato carogna fino al punto di avvertire la madre.

Forse era stata Hermione.

Cercò di cogliere lo sguardo della sua ragazza oltre la stretta di sua madre; se ne stava a braccia conserte con un’espressione profondamente offesa e l’aria di chi pensa: “questa te la meriti”.

 «Perché non mi hai avvertito subito?» chiese sua madre cessando di abbracciarlo e accomodandosi sul bordo del letto, proprio dove poco prima era seduta Hermione.

«Io…ecco…»

«Diciamo che è stata una bella improvvisata» s’intromise Hermione, il volto tagliato da un sorriso maligno.

«Oh, caro, non fosse stato per Ginny, non l’avrei saputo…»

«Ginny?» chiese il ragazzo perplesso.

«Ginny. È stata avvisata da Harry».

«Harry?» ripeté quello.

«Sì, certo, Harry ha incontrato Hermione prima che venisse da te-»

«Ah!»

«Che scherzi fa il destino, vero Ron?» domandò la ragazza, aprendo teatralmente le braccia.

Ron si sentì un cretino.

O meglio, più cretino del solito.

Sua madre lo guardava con aria affranta passando lentamente le mani sulle sue coperte.

«Dimmi caro, come ti senti adesso?»

«Mmmf,» bofonchiò Ron, sentendosi scuoiato vivo dallo sguardo di Hermione.

«Hai la febbre molto alta?»

«Credo che la temperatura stia diminuendo» ammise con sincerità, perché iniziava a sentirsi un poco meglio.

«Hai mal di testa?»

«Un po’».

«Vertigini?»

«Anche».

«Ti fa male la gola?»

«Direi di no».

«La pancia?»

«No».

La donna prese un sospiro. «Oh, queste brutte macchie rosse che hai addosso! Ti fanno sembrare il vecchio vestito da cerimonia di zia Muriel!»

«Con tanto di accessori», non si trattenne dall’aggiungere Hermione, che si beccò uno sguardo perplesso e vagamente irritato dalla signora Weasley.

«Hai mangiato qualcosa?» chiese invece al figlio.

«Non ho fame» si affrettò a rispondere Ron.

«Devi mangiare qualcosa, è assolutamente necessario!»

«Ma non ho fame!» replicò il ragazzo.

«Non importa» concluse la madre alzandosi, «Vado a prepararti del brodo in cucina».

Così dicendo, rivolgendogli un altro sguardo carico di materna tenerezza, si alzò e sparì fuori dalla stanza in direzione della cucina.

Ron, rimasto solo con Hermione, deglutì.

«Allora?» chiese lei alla fine, dopo qualche minuto di silenzio.

«Cosa?» fece il tonto lui.

«Vedo che già stai meglio, ripresa insolita per una tanto violenta malattia» commentò la ragazza facendo qualche passo verso il letto.

«Non so dove tu voglia arrivare» replicò il ragazzo, non riuscendo però a sostenere il suo sguardo indagatore.

«Allora ti sei fatto fare la manicure da zia Muriel?»

Ron sbuffò, fissando il soffitto con tanta disperazione che sembrava sperasse di vedervi comparire per iscritto qualche idea per tirarlo fuori da quella situazione.

«Scommetto che è qualcosa che hai sperimentato con George» lo accusò. «Ma mi chiedo perché dobbiate far preoccupare mezzo mondo in tale maniera».

«Vedi Hermione, non è proprio così, in effetti…»

Non continuò a parlare, sentendo chiaramente dei passi pesanti avvicinarsi.

«Non è proprio così, cosa?» intervenne George, facendo l’occhiolino al fratello ed entrando nella stanza. «Ho visto che abbiamo ricevuto visite inaspettate stamattina» con il pollice indicò qualcosa alle sue spalle e Ron comprese si riferisse alla madre. «Buongiorno di nuovo, Hermione».

Hermione non rispose al saluto e, piuttosto, lo guardò mordicchiandosi il labbro.

«George» esordì invece con tono tagliente. «Tu sai perché le unghie di Ron hanno preso una tonalità di rosso molto vicina a quella dei rossetti di Madama Rosmerta?»

Il ragazzo fece un passo indietro alle accuse di Hermione, poi rivolse uno sguardo di scusa al fratello, grattandosi i capelli poco sopra l’orecchio mancante. «Ops» disse portandosi una mano alle labbra. «Speravo non accadesse, ma era un rischio che si doveva pur correre».

«Cosa stai farneticando?» lo accusò Ron puntandogli contro un dito. Poi vedendolo così femminilmente dipinto e sentendo lo sguardo della sua ragazza e del fratello puntato sulla sua mano, la nascose nuovamente sotto le coperte.

«Adesso mi spiegate di cosa parlate?» rantolò Hermione portando le mani ai fianchi e guardando prima Ron, poi George con aria furente.

Quest’ultimo fece spallucce. «Tanto ormai ti ha scoperto» disse al fratello minore.

«Vedi stamattina Ron ha provato un mio nuovo esperimento che simula una malattia virale, con febbre e macchie varie per una mezza giornata, un giorno al massimo. Solo che… diciamo che non era ancora pienamente testato».

Rivolse a Ron uno sguardo falsamente colpevole «Scusami se non ti ho detto tutta la verità, ma avevo bisogno di una cavia».

«Maledetto… stronzo!» muggì Ron a mezza voce, temendo di essere sentito da sua madre. «Ma perché non li provi addosso a te i tuoi esperimenti?!»

«Beh, era necessario che restassi lucido per poter valutare oggettivamente la cosa e tentare di risolvere il problema. Se fossi stato io stesso la cavia non avrebbe avuto uguale effetto» un ghigno gli comparve in volto. «E poi, ammettiamolo, così è stato davvero più divertente!»

Sia Hermione sia Ron gli rivolsero uno sguardo omicida. George non se ne curò; fischiettando andò ad aprire l’ultimo cassetto del comò e tirò fuori una piccola forbice per unghie. «Sinceramente questo è l’unico effetto collaterale, speravo di averlo superato. Al primo esperimento ti diventavano i piedi pelosi. Dammi un pezzetto di una delle tue unghie, così potrò farti un antidoto, e si spera, correggere il difetto nelle pillole» tagliò a Ron una parte dell’unghia del pollice, il ragazzo si affrettò a nascondere subito la mano. «Così finalmente potrò mettere le pillole virali sul mercato! Adesso devo solo trovare loro un nome abbastanza interessante».

Hermione era rimasta in silenzio negli ultimi minuti, limitandosi a gettare a turno occhiate disgustate e piene di disapprovazione ai due fratelli.

«C’è una cosa che ancora non capisco», disse infine masticando le parole «Perché cavolo Ron si è prestato a questa buffonata e perché sono stata chiamata con tanta urgenza dal lavoro?»

«Beh» George mostrò a entrambi il pezzettino di unghia fra il pollice e l’indice. «Io devo preparare l’antidoto. Continuate pure fra di voi» uscì dalla stanza facendo un cenno d’incoraggiamento a Ron.

«Mi vuoi spiegare?» ripeté Hermione.

Ron affondò la testa nel cuscino, sperando di poter scomparire. Giacché ciò non avvenne, decise di gettare la spugna e dire alla ragazza tutta la verità.

«Vedi Hermione… era troppo brutto che io mi fossi dimenticato così senza motivo del tuo compleanno, quindi-»

«Aspetta!» lo bloccò Hermione alzando un poco la voce «Hai fatto tutta questa farsa per poterti trovare una giustificazione per esserti dimenticato del mio compleanno?» scosse la testa scioccata. «Ma non era più semplice e intelligente venire come un cagnolino bastonato a chiedermi scusa come hai fatto le altre volte?»

«Oh, Hermione!» sbottò infine, disperato. Egli stesso in quel momento si sentiva incredibilmente stupido e aveva serie difficoltà a trovare le parole per una spiegazione sensata. «Che vuoi che ti dica… George, le sue chiacchiere, e poi, tutta questa storia! Insomma, Hermione, tu sei Vergine!» esplose infine, proprio mentre la signora Weasley, avvicinatasi in silenzio alla stanza, compariva sulla porta con un piatto di brodo su di un vassoio.

«Ma che dici, Ron!» lo contraddisse lei, arrossendo fino alla cima dei capelli.

Molly Weasley rimase ferma sull’uscio, le guance lievemente imporporate e un grosso sorriso stampato in volto.

A guardarla bene aveva anche gli occhi lucidi.

Si schiarì appena la gola ed entrò in camera «Ti ho portato il brodo» annunciò, posando il vassoio sul comodino. «Prendilo finché è caldo, ti raccomando».

Gli fece una carezza. «Adesso devo tornare a casa a preparare il pranzo per tuo padre. Hermione, carissima» si rivolse alla ragazza con una dolcezza inusitata. «Resti tu a prenderti cura del mio ragazzo, no?»

«Cer… certamente, Signora Weasley» balbettò Hermione.

La signora Weasley fece per uscire. Poi, una volta davanti alla porta si voltò verso i due ragazzi.

«So che non sono affari miei, cari, ma prima ecco…» iniziò con voce incerta. «Non ho potuto fare a meno di sentire. Cara» disse rivolgendosi a Hermione con aria commossa. «Sappi che sono pienamente d’accordo con la tua scelta e i tuoi principi morali. Non è facile trovare ragazze con la testa sulle spalle di questi tempi. Sono orgogliosa di te…»

«Veramente io-» tentò di accennare Hermione.

«Io stessa» continuò quella come se non l’avesse neanche sentita. «Ai miei tempi non sono riuscita a essere così salda. Ma Arthur era così bello, ed eravamo tanto giovani…» arrossì e alzò gli occhi al cielo come se stesse sognando qualcosa di particolarmente affascinante. Ron aveva l’espressione di qualcuno prossimo a vomitare. «Ma sono così orgogliosa della tua solidità. Sono davvero felice che mio figlio abbia trovato una donna come te!» tirò fuori un fazzoletto con il quale si asciugò alcune lacrime spuntate agli angoli degli occhi, si soffiò il naso e andò via.

Quando fu certo che si fosse smaterializzata, Ron specificò: «Io parlavo del segno zodiacale».

«Sì, Ron» sospirò Hermione «lo avevo capito. Anche se non ho capito cosa c’entri con tutto questo il fatto che io sia del segno della Vergine».

Il ragazzo scosse appena la testa. «Bah, ti dicevo, tutta quella storia di quel tizio, Bunny SuperStars e il fatto che i Vergine siano intelligenti-»

«È un’idiozia che non voglio sentire, questa» lo bloccò velocemente lei, senza nemmeno guardarlo.

Restarono un minuto in silenzio.

«Mi dispiace tanto» borbottò infine Ron.

«Che tua madre sia convinta che io sia una vergine di ferro?»

Ron avrebbe sorriso se la voce di Hermione non fosse stata così velenosa. «No. Della storia del compleanno. Di tutto quello che è successo oggi…»

La ragazza non rispose. Aveva lo sguardo fisso davanti a sé e l’aria abbastanza seccata. «Sei davvero una frana».

«È vero. Ho pensato che ci saresti rimasta troppo male a sapere che mi ero dimenticato del tuo compleanno così, solo perché mi era passato per testa, e che di certo avresti preferito sapere che c’era un motivo vero dietro tutto questo».

Tacque. Hermione si era voltata verso di lui e aveva rotto quella sua posizione statica di glaciale freddezza, così come, alle sue parole, si era incrinata visibilmente la maschera di rabbia presente nel suo volto. I suoi occhi avevano brillato per qualche secondo.

«Ti sei quasi avvelenato perché non volevi ci restassi  male perché ti eri dimenticato del mio compleanno?» domandò tutto di un fiato.

Ron si sentì rinascere nel notare che la sua voce si era fatta più dolce.

«Sì».

La ragazza scoppiò in una breve risata. Scosse la testa ripetutamente. «Oddio, sei davvero uno stupido!» sbottò infine con aria divertita.

Si avvicinò e si sedette nuovamente sul suo letto.

«Lo sai già che sono stupido» ammise Ron, guardandole gli occhi adesso rasserenati, e la bocca piegata in una sorta di sorriso arrendevole.

«Sì. Anche che sei incredibilmente infantile. E assurdamente imbranato».

Ron tirò fuori le mani da sotto le coperte. Le sue unghie erano ancora “rosso-baldracca”.

«Spero che George trovi in fretta un antidoto. Non ho proprio voglia di andare in giro con i guanti a settembre».

«Ti starebbe bene» ammise Hermione.

C’era un qualcosa di stanco sul suo viso. Non era più arrabbiata, ma quasi si poteva dire rassegnata a lui e ai suoi continui disastri. E, in fondo, vagamente divertita e felice di esserlo.

«Allora mi perdoni?»

Ron si rese conto di stare abbastanza bene da potersi sedere sul letto senza essere preso da vertigine. Si spinse seduto a pochi centimetri dal suo volto, e inclinò la testa per poterla baciare. Lei gli pose lesta un dito sulle labbra per fermarlo in modo giocoso.

«Beh… non avevi detto di aver preso un regalo per me?»

Ron sorrise sotto il suo tocco e le baciò lievemente il dito.

Per quanto diversa, la sua Hermione, era pur sempre una ragazza.

 

 

 

 

Note finali: Così finisce questa breve storia, che, per quanto non la ritenga di certo fra le migliori –sento che manca qualcosa, ma, se mi fossi dilungata appena di più, temo avremmo avuto una sorta di “Pane Burro e Marmellata, capitolo secondo” e non sarebbe stata una buona idea- spero abbia fatto passare a chi l’ha letta una piacevole mezz’ora.

Mi permetto di fare una piccola notazione sul personaggio di George in questa storia: da tempo avrei voluto scrivere un piccolo tributo sui due gemelli, ma senza scadere nel lacrimoso. In questa storia mi sono impegnata a immaginare come George, con il suo solito charme, possa essere sopravvissuto nella sua quotidianità nel suo lavoro senza il fratello; è vero, Ron lo aiuta, ma non può occupare il posto di Fred, il suo contributo ai “Tiri Vispi Weasley”, può darlo solo quale Ron. Quindi, non tanto come sperimentatore, ma come cavia. Come ha bene notato la mia cara Beta- reader, Fred è più volte presente nella storia con il vezzo di George di grattarsi l’orecchio mancante; è il personaggio terribilmente spiritoso di sempre, ma gli manca in maniera evidente qualcosa.

Due parole anche su Hermione: qualcuno potrà giustamente appurare che, a differenza della ragazzina combattiva e pedante che abbiamo visto per sette libri, questa sia troppo docile e facilmente incline al perdono. Vero; ma si cresce e, in generale, dopo i vent’anni, si riconosce il vero valore delle cose e si capisce che l’amore è fatto anche di compromessi e, soprattutto, di tolleranza nei confronti delle pecche della persona amata. Hermione accetta Ron, e lo perdona perché, come sempre, sbaglia mosso da buoni propositi. Lo perdona perché tutto ciò è terribilmente da Ron.

 

Ringrazio chi ha recensito il terzo capitolo.

hermione_06: Come vedi Hermione non ci pensa proprio a lasciare Ron, anzi si rende conto di quanto l’affetto, in fondo, superi tutte le altre cose. George è forse quello che ne esce meglio di tutti, ma, prendila così, non ha voluto giocare questo brutto tiro al fratello per cattiveria, semplicemente per testare i suoi frutti di ricercatore! Grazie mille per la recensione, spero questo capitolo finale ti sia piaciuto.

cosmopolitan: beh, quando arriva Molly Weasley si profilano certamente complicazioni, perché è una donna apprensiva e soffocante come poche –no, non amo molto il suo personaggio. Come vedi ha dato anche lei la sua parte alla storia… spero che questo capitolo ti sia piaciuto, grazie mille per la recensione.

Molly McGonagall: Ciao, grazie mille! Devo ammettere che inizialmente ci sono rimasta un po’ male anche io, visto che, negli anni passati, ho sempre avuto un discreto numero di buone recensioni –nel senso di recensioni ben strutturate e non limitate al “beeeeeella, continua!” Ma va bene così, sono contenta che comunque ci siano, anche se poche, persone che hanno apprezzato e hanno lasciato commenti ben scritti e interessanti così come il tuo. Non conta la quantità, ma la qualità! Ti ringrazio molto per le belle parole e per i complimenti, e sì, hai ragione, ho una beta davvero brava! Spero che tu abbia gradito anche questo capitolo, ti ringrazio tantissimo!

 

Un abbraccio a tutti coloro che hanno letto questa storia.

 

Thilwen

 

 

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