L'infanzia di Abram

di Ciuffettina
(/viewuser.php?uid=647798)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** «Inizia la missione!» ***
Capitolo 2: *** «E ora a chi chiedo?» ***
Capitolo 3: *** «E ora che faccio?» ***
Capitolo 4: *** «Avanti così, non ce la faccio più!» ***
Capitolo 5: *** «Allora ti piaccio?» ***
Capitolo 6: *** «Come non devo più allattarlo?» ***
Capitolo 7: *** «Ma chi me lo fa fare?» ***
Capitolo 8: *** «Come devo restituirlo?» ***



Capitolo 1
*** «Inizia la missione!» ***


Gabriel era proprio impaziente di svolgere la sua nuova missione: gli era stato detto che avrebbe dovuto prendersi cura di un bambino abbandonato, fino a quando non sarebbe diventato grande, in quanto era un futuro Patriarca.
Era da quando aveva aiutato Noé e i suoi figli a costruire l’arca che non stava a contatto prolungato con gli umani, di solito compariva, riferiva il messaggio e spariva.
Gli umani erano strani e Gabriel era sicuro che fare da angelo custode a uno dei loro piccoli sarebbe stato divertentissimo. Ridacchiando, pensava già a quello che avrebbe fatto con il piccolo Abram (così si chiamava): oltre ai normali e ovvii insegnamenti per farlo diventare un buon devoto, l’avrebbe portato in volo sulla sua schiena per fargli vedere i posti più belli del mondo, gli avrebbe insegnato un sacco di scherzi (innocui, eh!) e gli avrebbe fatto scoprire quanto sono buoni i fichi… ah no! Sicuramente lo sapeva già, beh li avrebbero mangiati insieme, impiastricciandosi le dita con il loro succo…

Era talmente preso da queste fantasie che quando atterrò nella grotta, dove il bambino era stato nascosto per salvarlo dai soldati di Nimrod, rimase sconcertato.
Metatron gli aveva detto che era piccolo, peccato che non avesse specificato quanto.
«Accidenti ma questo è un poppante!» Sollevò la testa verso l’alto e strillò seccato: «Ehi Meti! Avresti dovuto spedire qui una capra! Non sono attrezzato per queste cose!»
Sfortunatamente le sue urla svegliarono il pupo che si mise a frignare.
«Oh, per la miseria! E adesso? Su, non piangere!» Stava per passarsi una mano fra i capelli color miele, quando si bloccò, fissandosi le dita. «Beh, forse non è vero che non sono attrezzato, devo solo apportare una piccola modifica…» Schioccò le dita della mano sinistra verso il suo mignolo destro da cui cominciò a sgorgare del latte. Prese delicatamente il bimbo in braccio e gli infilò il dito in bocca.
Era una sensazione stranissima: il piccolo succhiava con forza, come se volesse aspirare all’angelo tutta la Grazia che aveva in corpo.
«Calma! Calma!» esclamò Gabriel ridacchiando. «Non c’è alcuna fretta!»
Dopo un po’, però, Abram cominciò ad agitarsi, inarcando la schiena e girando la testa dall’altra parte.
«Messaggio recepito, sei pieno! Dovrai essere forte, piccolo» disse Gabriel, facendogli appoggiare la testolina sulla sua spalla e passandogli una mano sulla schiena per tranquillizzarlo. «Ti è andata bene, perché sei un futuro patriarca. Ti aspetteranno dei giorni difficili ma non preoccuparti, perché ci sarò io a proteg…»
«BUARGH!»
Fu interrotto da un versaccio orribile e subito dopo si sentì la tunica bagnata all’altezza della spalla. «Ma che…?» Scostò da sé il moccioso e si guardò: c’era una chiazza di latte cagliato. «Ma che schifo! Vuoi forse dirmi che ti disgusto come angelo custode? Mi dispiace ma non puoi scegliere… o forse il latte non era buono?» Se lo riaccostò e si diede una ciucciata al dito. «Ma no, è buonissimo! Forse non stai bene?» Gli mise una mano sulla testa e chiuse gli occhi concentrandosi. «Per quel che so di umani, stai benissimo… e allora?» Decisamente gli umani erano più complicati del previsto! Una cosa era certa: aveva bisogno di qualche consiglio ma a chi chiedere?

*****


Racconto collocabile tra il capitolo 11 e il 12 della “Genesi”
Seccondo una leggenda ebraica Abramo fu abbandonato appena nato in una grotta e allattato in questa maniera da Gabriel.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** «E ora a chi chiedo?» ***


«Un neonato di poche ore e un arcangelo inesperto, decisamente una brutta accoppiata» brontolò Gabriel fra sé, con ancora il marmocchio in braccio.
L’unico cui poteva chiedere consiglio era suo Padre, insomma aveva creato l’umanità, di certo sapeva come funzionavano quegli strani esseri ma, a parte il fatto che avrebbe dovuto fare anticamera da Metatron, sperando che la richiesta di un colloquio privato fosse accolta, (suo Padre aveva spiegato loro, molto chiaramente, che per qualsiasi questione avrebbero dovuto rivolgersi prima allo scriba divino), che cosa gli avrebbe detto? «Signore del mondo! Il bambino, che Tu mi hai affidato come protetto, mi ha vomitato addosso… Che cosa può voler dire?» Si sentiva un idiota anche solo a pensarci…
«Accidenti! Avrebbero dovuto fornirci di un manuale “Umani: istruzioni per l’uso”! Ma un momento… se non ricordo male, secoli prima ho consegnato a Noé un bel po’ di rotoli, papiri per la precisione, scritti da Raziel, che contenevano istruzioni varie… chissà se… bah ma chissà dove saran finiti… ma forse Raziel si ricorda che cosa ci fosse scritto o sa dove sono.»
Il piccolo si era addormentato, perciò lo depose con precauzione nel cestino per non farlo svegliare, poi si precipitò in Paradiso a bussare come un forsennato alla porta del suo fratellino, appena questi aprì, Gabriel si fiondò nella sua stanza. «Senti, tra i rotoli che mi hai dato per Noé, ce n’era qualcuno che spiegasse come allevare i neonati?»
«Cosa? Cosa? Ma di che cosa stai parlando?» chiese Raziel, frastornato.
«Dei rotoli che mi hai dato da consegnare a Noé, affinché passasse il tempo all’interno dell’arca durante il Diluvio» ripeté Gabriel, più lentamente.
«Ma son passati secoli da allora!... No, ora che ci penso, no…»
A Gabriel si afflosciarono le ali. «Vabbeh, scusa il disturbo…»
«Non aveva senso, ormai l’umanità sapeva come allevare la prole, ma ce n’era uno tra quelli che ho dato ad Adamo quando fu creato, sai, sarebbe stato il primo genitore in assoluto...»
E chissà dove saranno finiti a quest’ora…” «Non pensavo che sapesse leggere…»
«In effetti no, ho dovuto riprendermeli prima che ne facesse un uso improprio… errore mio» concluse Raziel, con un sorriso imbarazzato.
«Quindi l’hai ancora tu…» e, senza aspettar risposta, si lanciò sull’archivio di suo fratello, aprendo i rotoli e lanciandoli dietro di sé.
«Gabriel, che stai facendo?» chiese Raziel, tentando di afferrare i papiri al volo. «Non ti sarai messo nei guai…»
«Io non mi metto nei guai!» replicò il maggiore offeso. «Sono gli altri che mi ci mettono, Metatron per la precisione. In breve: spaventato da una profezia, Nimrod, re di Babilonia, sta facendo uccidere tutti i neonati. Uno di loro è stato nascosto in una grotta. Io devo fargli da arcangelo custode, fine della storia.»
«Nimrod? Non era quello che voleva edificare una torre altissima(1) per dare l’assalto al cielo?»
«Proprio lui, appena si muove combina solo danni» rispose Gabriel, continuando a cercare.
«Prima di tutto il piccolo dev’essere allattato» disse Raziel.
«Già fatto…» rispose Gabriel.
«Ah… e come…?»
Gabriel si girò col pugno chiuso e agitando il mignolo: «Con questo.»
«Oh…» Raziel lo fissò, sconcertato.
«Già: “Oh”… un povero arcangelo deve pur ingegnarsi con quello che ha» disse Gabriel, riprendendo a rovistare e a lanciare papiri.
«Smettila ora! Mi stai buttando all’aria tutti i rotoli!» gridò Raziel.
«Colpa tua! Se tu avessi scritto fuori il loro contenuto, avrei trovato subito quello che cerco!... Oh, eccolo! Me lo presti, vero?»
«Ma sì…»
«Ti voglio bene, fratellino!» e corse in camera sua a leggerlo. “Bene” pensò seduto al suo scrittoio, “quello che è accaduto prima è perfettamente normale, basta saperlo e… per la miseria! Anche questo? Ma che schifo!” Si prese la testa tra le mani. “Immagino che dovrò procurarmi delle bende di lino e al più presto…
Di certo era la missione più complicata che gli avessero mai affidato!

*****

Secondo la tradizione ebraica l’arcangelo Raziel aveva scritto un libro, una specie di antologia del sapere divino che era stato consegnato ad Adamo, poi a Enoch, Noé, Abramo... fino ad arrivare a Salomone.
1) La torre di Babele

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** «E ora che faccio?» ***


Dopo essersi procurato varie strisce di lino, Gabriel ricomparve nella grotta, dove il marmocchio urlava a pieni polmoni. “Mi sa che il fattaccio è già successo!” Infatti…
«Ma come fa un cosino grazioso come te a produrre una sostanza così nauseabonda?» Stava per schioccare le dita per far sparire quella schifezza, quando si bloccò esitante: una delle prime cose che gli avevano inculcato fino alla noia era che gli umani erano fragili (bastava pensare che le normali pacche in mezzo alle ali, con le quali salutava i suoi fratelli, avrebbero potuto spezzare la spina dorsale a un umano) e Gabriel aveva il sospetto che i loro piccoli lo fossero ancora di più.
«Forse non è prudente usare i miei poteri su di te… Accidenti, che situazione!» Prese il piccolo e, mentre lo sosteneva con un braccio, con la mano libera schioccò le dita per far scomparire le tracce di quella porcheria dal cestino. Aveva visto fuori dalla grotta, poco lontano, una sorgente, afferrò le bende e il papiro e si rivolse ad Abram: «Pensa come sei fortunato! Non a tutti gli umani capita di farsi dare un passaggio da un arcangelo.»
Per fortuna il marmocchio aveva smesso di piangere e Gabriel si diresse volando verso l’uscita per atterrare poi vicino alla fonte. S’inginocchiò vicino alla riva, immerse una delle bende nell’acqua e, tenendo il neonato appoggiato sul braccio, la usò per ripulirlo.
Il piccolo ricominciò a strillare come un’aquila.
«Oh, per la miseria, neanche ti stessi scannando!» Lasciò cadere a terra lo straccio, schioccò le dita per farlo tornare nuovo, poi lo usò per asciugare il bambino che continuò a protestare. «Beh vediamo un po’ come vanno messi questi affari.» Depose Abram per terra e stava lì inginocchiato con una delle strisce in una mano e il papiro nell’altra, quando si ritrovò accecato da un liquido caldo e puzzolente. «Accidenti! Non potevi farla prima?» brontolò Gabriel, asciugandosi la faccia. Prese una delle strisce e cominciò a drappeggiarla intorno al bacino del pupo.
«Ecco qui!» esclamò dopo qualche minuto soddisfatto ma appena lo prese in braccio, tutto il suo lavoro scivolò a terra. “D’accordo Gabriel, sei un arcangelo, hai affrontato di peggio, puoi farcela.
Stavolta fece degli strappi alle estremità in modo da formare dei legacci e ci riprovò. «Ti sfido a sfilarti di nuovo… Beh, che ti prende adesso?» chiese ad Abram che aveva ripreso a urlare. «Per la miseria! Te l’ho legato troppo stretto!» Cercò freneticamente di sciogliere i lacci, mentre il pupo gli strepitava nelle orecchie, finalmente riuscì a liberarlo da quella trappola e lo prese in braccio, accarezzandolo sulla schiena. «Perdonami, piccolo! Non l’ho fatto apposta!» “Il mio primo protetto e riesco solo a farlo piangere… Metatron mi ucciderà… Ultimo tentativo.” Rimise giù Abram che gli sferrò un calcio sul naso. «Come sei permaloso! Ti ho già detto che non l’ho fatto apposta!»
Ricominciò a drappeggiare la stoffa intorno al bacino del marmocchio e glielo legò con più attenzione.
«Come te lo senti? È troppo stretto?» Visto che non aveva ricominciato a piangere, disse: «Lo prenderò per un no.» Lo prese in braccio e lo riportò alla grotta, depositandolo nel cestino. Per fortuna il piccolo dopo qualche minuto si riaddormentò e Gabriel poté andarsene non prima di aver messo una barriera di protezione all’entrata della grotta.

Ricomparve qualche ora dopo per la poppata, era verso sera e si accorse che l’aria si era rinfrescata, non sentiva freddo ma sapeva che c’era e con il passare delle ore sarebbe solo peggiorato. Mentre allattava Abram, esaminò la copertina in cui l’aveva avvolto sua madre: del tutto insufficiente.
Non posso far surgelare il mio protetto… Ma com’è complicato questo incarico! Mi è venuta un’idea! Tanto di notte non hanno mai bisogno di me in Paradiso.” Finita la poppata e dopo avergli fatto fare il ruttino, lo rimise nel cesto, poi si sdraiò bocconi accanto a lui e aprì l’ala sinistra più piccola per coprirlo.
Gli angeli non dormono, sicché Gabriel cominciò a fantasticare finché… “Ma si svegliano anche di notte ’sti cosi?
Uno dei molti vantaggi dell’essere un angelo era la visione notturna, perciò, nonostante avesse le ali spente, Gabriel vedeva chiaramente il suo protetto.
«Va bene, va bene, ora ti allatto… e ti cambio…» aggiunse dopo aver annusato meglio l’aria. E questo successe molte altre volte…

«Devo andare ora, ci sono le lodi mattutine» gli disse, dopo la poppata dell’alba, rimettendolo nel cestino e sfiorandogli con un dito il palmo della manina, subito Abram glielo afferrò, senza più mollarlo.
Cercando di sfilare il dito, gli chiese sorpreso: «Vuoi che rimanga?»
A quanto pareva sì.
«Sai piccolo? In fondo non sei male…» gli disse, prendendolo in braccio.
«BUARGH!»
«Come non detto… devo proprio andare, non vorrei che quelli dei Piani Alti mi inceneriscano, ci vediamo dopo!» Lo rimise nel cestino e sparì con un frullio di ali.

*****

Spero che si capisca che Gabriel è convinto che Abram, nonostante non sappia parlare, capisca tutto quello che lui gli dice.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** «Avanti così, non ce la faccio più!» ***


Il pomeriggio dopo, incredibile a dirsi ma Gabriel (un arcangelo!) si sentiva a pezzi: 20 minuti di poppata ogni 3 ore, per non parlare del resto, erano decisamente sfiancanti e purtroppo non poteva stare sempre sulla Terra accanto al suo protetto perché c’erano dei momenti in cui doveva essere in Paradiso, al momento delle lodi mattutine, tanto per dirne uno, e poi non era neanche stato esonerato dalle sue mansioni di messaggero divino, oh no! Ci si aspettava che fosse sempre pronto e scattante a volare ovunque lo mandassero (“Migliaia di angeli e nessuno che possa sostituirmi come messaggero per un po’? Metatron mi vuole proprio morto!”); per non parlare dei commenti dei suoi fratelli che spaziavano da «Sarebbe meglio dare il bambino direttamente a Nimrod.» a «Se sopravvive a Gabriel, può sopravvivere a qualsiasi cosa.»
«Basta!» era esploso. «Non ci trovo niente di divertente!»
Peccato che a dirlo fosse un arcangelo con la tunica disseminata di rigurgito di neonato, oltre che le abituali macchie di succo di fichi, il che fece scoppiare nuova ilarità; in più ci si metteva anche il moccioso che lo chiamava, frignando, per i motivi più svariati (richiesta di compagnia, di essere girato e altro…) e Gabriel, come suo angelo custode, doveva subito volare da lui.
Ma come fanno le umane?” pensò, mentre entrava in camera sua, stiracchiando le braccia e le ali. “Bisognerebbe far loro un monumento! Ed io avrei bisogno…” Si bloccò sorpreso, perché a nessun altro angelo, o arcangelo, era mai venuto in mente di volere una cosa simile. Era una cosa grossa, pertanto avrebbe dovuto chiedere il permesso.
Al massimo mi dirà di no” pensò, scrollando le ali.
Bussò alla porta dell’ufficio di Metatron, avuto il permesso di entrare, gli disse, un po’ impacciato: «Dovrei chiederti un favore.»
«Se vuoi essere sollevato dal tuo incarico di protettore del futuro patriarca, la risposta è no, quindi è inutile che me lo chiedi, puoi andare» disse lo scriba, congedandolo con un gesto della mano.
«Veramente vorrei chiederti un’altra cosa, anche se ha attinenza con il mio incarico. Il bambino deve mangiare ogni 3 ore, per quasi mezz’ora e ti risparmio le altre incombenze che questa missione comporta. Siccome devo volare su e giù varie volte il giorno, ho pensato che avrei potuto portare il bambino nella mia stanza, così…»
«Assolutamente no! Non puoi portare un umano, ancora vivente, qui in Paradiso!»
«Però Enoc ha potuto fare un bel giro turistico attraverso i vari cieli…» obbiettò Gabriel.
«Enoc era un caso particolare. Argomento chiuso!»
«Allora voglio un letto!» disse Gabriel, incrociando le braccia e mettendo il broncio.
«Un letto? E a che cosa ti serve? Vorrei ricordarti che gli angeli non dormono e non si stancano.»
Prova tu a svolazzare su e giù tutto il giorno e poi ne riparliamo.” «Infatti, io non sono stanco ma le mie ali sì. Non vorrai che mi metta a discutere con loro, sono pure in sei…»
Stranamente Metatron aveva aderito alla sua richiesta, senza sbatterlo fuori dal suo ufficio, dicendogli soltanto: «Sei un angelo strano: prima i fichi, poi il letto, stai solo attento a non cadere.»
Chissà se intendeva cadere dalla Grazia o dal letto? Nessun pericolo in entrambi i casi, comunque adesso sì che si ragiona!” pensò Gabriel soddisfatto, mentre collaudava la sua nuova conquista. Era passato solo qualche minuto, quando sentì l’inconfondibile richiamo del suo protetto. «Il lavoro di un arcangelo non è mai finito!» borbottò fra sé, sedendosi sul letto e sparendo in un frullio di ali.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** «Allora ti piaccio?» ***


Il papiro di Raziel spiegava soltanto come nutrire e cambiare i neonati, perciò si poteva pensare che non necessitassero di altro, giusto?
E invece no! Il terzo giorno Gabriel scoprì che il piccolo aveva bisogno di qualcos’altro oltre a un pannolino pulito o la pancia piena.
«Insomma, ti ho allattato, ti ho cambiato, ti ho fatto fare il ruttino… perché piangi?» L’arcangelo continuava a camminare avanti e indietro, passandosi le dita fra i capelli, mentre il piccolo Abram continuava a urlare a squarciagola e ad agitarsi nel cestino.
«Capisco tutte le lingue del mondo ma il bambinese proprio no…» Sospirando lo prese sotto le ascelle. «Vorrei proprio sapere che cos’hai…» disse sollevandolo.
In quel momento il piccolo smise di piangere e strizzò gli occhi come per guardarlo meglio.
«Era dunque questo che volevi? Certo che voi umani siete proprio strani… sgolarsi per una cosa che non c’entra con la sopravvivenza… D’accordo, se ci tieni così tanto.»
Gli venne in mente che Eva, dopo aver allattato i suoi figli, li teneva sulle braccia e li faceva leggermente dondolare, mentre cantava loro qualcosa, forse era questo che voleva Abram!
Posso provarci anch’io.” Così, con molta precauzione, gli fece appoggiare la testolina nell’incavo del braccio sinistro, facendo scivolare gentilmente la mano destra lungo la schiena per sostenergli la testa e il collo, mentre gli mise l’altra sotto le anche. A quel punto lo fece dondolare un po’, cantandogli un inno in enochiano, poi gli domandò: «Allora, vado bene così?»
Il piccino allungò una manina e gli toccò il naso.
«Ehi piccolo, ti piaccio?» gli domandò, intenerito.
Da quando gli umani erano caduti, si spaventavano sempre quando vedevano comparire lui o un qualsiasi altro angelo e sicuramente il Diluvio Universale non aveva contribuito a rasserenare i loro animi, quindi la frase di rito che usavano gli angeli per salutarli era diventata “Non temete!” mentre quel piccolino non solo non aveva paura di lui, un potentissimo arcangelo, ma sembrava gradire molto la sua compagnia.
«Sai piccolo? Credo proprio che ci divertiremo insieme!»

*****

Dedico questo capitoletto a crazy lion.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** «Come non devo più allattarlo?» ***


Da quel giorno, Gabriel lasciò perdere il suo nuovo letto e la sua passione per i fichi per passare ogni momento libero che aveva con il suo protetto cui ormai si era affezionato. Certo c’erano momenti, ed erano molti, in cui gli si avvicinava come se si trovasse di fronte a un pericoloso demone (si era già beccato del liquido puzzolente negli occhi e non ci teneva affatto a ripetere l’esperienza, grazie tante!) ma si divertiva anche a fargli il solletico sulla pancia con una delle sue ali, facendogli emettere dei gridolini deliziati, oppure lo teneva in braccio, raccontandogli delle sue missioni o cantandogli in enochiano, finché il piccolo non si addormentava e, se era sera, si sdraiava accanto a lui e lo copriva con una delle sue ali.

La sera del decimo giorno, Gabriel fu convocato d’urgenza nell’ufficio di Metatron. Si sentiva sempre leggermente a disagio in quelle circostanze: lo scriba era pur sempre un suo superiore e non sapeva mai se volesse affidargli una nuova missione o redarguirlo perché quella precedente non era stata svolta a puntino.
«Metatron, qualsiasi cosa tu voglia dirmi non può aspettare fino a domattina? È l’ora della poppata serale di Abram e se inizia a strillare… beh, ti assicuro che le urla dei dannati sono niente a confronto…»
«Proprio di questo volevo parlarti, non devi più scendere sulla Terra ad allattarlo» disse lo scriba.
«Che cosa?» trasecolò Gabriel. «Non vorrete togliermi il bambino e affidarlo a un altro angelo?»
«No, si è solo pensato di velocizzare la sua crescita fino a fargli raggiungere i 10 anni per accelerare la missione. Sarà messo alla prova, niente di complicato, dovrà passare un giorno e una notte da solo a meditare, tu potrai mostrarti a lui solo quando sarà trascorso quel periodo per istruirlo, o anche prima se giungerà da solo alla Verità.»

Gabriel svolazzò davanti alla grotta e vide Abram uscirne un po’ barcollante (fortuna che, oltre a farlo crescere, gli avevano anche fornito dei vestiti). «Sono divinità!» esclamò il bambino, puntando il ditino verso le stelle.
No, piccolo, che dici? Ti ho raccontato di me, di nostro Padre, dei miei fratelli… non ricordi?
Poi sorse la Luna. «No! Questa è una divinità!» S’inginocchiò e l’adorò ma quando tutte tramontarono e sorse il Sole, il bambino disse: «L’ho trovato!» ma quando capì che stava per tramontare anch’esso brontolò: «No, nemmeno questo è Dio! Ma ci dovrà pur essere Chi mette in moto tutto ciò!»
È arrivato da solo alla Verità” pensò Gabriel orgoglioso. «Pace a te, Abram!» gli disse apparendogli.
Il bambino ricambiò il saluto e chiese: «Chi sei?»
«Sono l’arcangelo Gabriel, il messaggero di Dio.» Sembrava che non l’avesse riconosciuto, possibile? Ci rimase un po’ male ma poi scrollò le ali. “Sarà un effetto della super crescita.” «È tutto il giorno che non mangi, guarda che cosa ti ho portato.» Tirò fuori il suo sacchetto pieno di fichi e gliene allungò uno. «Dai assaggialo, scommetto che ti piaceranno!» Scommessa vinta.
Mentre mangiavano, Gabriel gli raccontò che Nimrod, spaventato da una profezia secondo cui un fanciullo nato in quel periodo gli avrebbe fatto perdere il potere, stava facendo massacrare tutti gli infanti; che lui, Abram, era stato prescelto per diventare un Patriarca e che grazie a un miracolo di Dio nessuno si era accorto che sua madre lo aspettasse, anche perché il padre Terach, dignitario di corte, non avrebbe esitato un attimo a consegnarlo ai suoi nemici, poi la fuga della madre nella grotta per salvarlo e che cosa era successo nei successivi 10 giorni…
Il bambino fu molto lusingato di essere stato scelto per un compito così importante.
«Su, andiamo a lavare questo musetto!» disse Gabriel dopo un po’, ridacchiando, e lo condusse alla sorgente, dove Abram avrebbe potuto sia dissetarsi sia lavarsi.
«È stata una giornata importante per te, penso sia ora che tu vada a dormire…» disse riportandolo volando nella grotta. Vedendo che il cestino era ormai troppo piccolo, con uno schiocco delle dita lo trasformò in un letto e ingrandì la copertina. «Devo andare ora, ci vediamo domattina.»
«Gabriel, hai detto che nei giorni scorsi ti sdraiavi accanto a me e mi coprivi con una delle tue ali, potresti farlo ancora?»
«Uffa… Va bene, ma solo per questa volta! Sei grande, ora» rispose, scompigliandogli i capelli.

*****

Secondo la leggenda dopo soli 10 giorni Abramo dimostrava già 10 anni, uscì dalla grotta e solo guardando il cielo intuì l’esistenza di Dio, a quel punto comparve l’arcangelo Gabriel per istruirlo.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** «Ma chi me lo fa fare?» ***


Adesso che Abram poteva rispondergli, la missione era diventata molto più divertente, specialmente ora che non doveva più occuparsi di certe cose… Come Gabriel aveva sospettato, il bambino non ricordava niente di tutto quello che gli era successo nei giorni precedenti.
Pazienza! Dovrò reinsegnargli tutto da capo…
Nei giorni successivi, l’arcangelo spiegò ad Abram tutto ciò che doveva sapere, ma era decisamente meglio istruire 1000 angeli per volta che un solo umano! Almeno gli angeli accettano tutto quello che dice il loro superiore, mentre quel moccioso non la finiva d’interromperlo con le sue domande («In principio Dio creò il Cielo e la Terra…» «Perché?» «Cosa perché?» «Perché li ha creati? Chi glielo faceva fare?» «Li ha creati affinché un giorno tu potessi assillarmi coi tuoi “perché”! Soddisfatto, ora? Poi Dio disse: “Sia fatta luce!”» «Perché?» «Oh, Padre…»)

D’accordo le lezioni ma quel povero ragazzo doveva anche svagarsi, perciò Gabriel lo faceva salire sulla propria schiena e lo portava volando nei dintorni (una semplice crescita gli aveva cancellato la memoria e non voleva correre rischi usando i suoi poteri per portarlo più lontano).
Un giorno lo portò al mare, Golfo Persico per la precisione, e lì Abram aveva spalancato gli occhi per la sorpresa: «Com’è grande!»
E non hai ancora visto gli oceani, quelli sì che sono grandi!” pensò Gabriel compiaciuto. «Dai, togliti i calzari e seguimi» gli disse indietreggiando nel mare.
Il bimbo esitò un attimo, poi lo seguì, quando l’acqua gli giunse alle ginocchia, l’angelo gli disse: «Adesso fermati e sta’ attento!»
«A che cosa?» chiese Abram.
«A QUESTO!» esclamò Gabriel chinandosi all’improvviso e schizzandolo d’acqua con le mani, subito dopo scoppiò a ridere.

Erano secoli, anzi millenni, che non faceva più quello scherzo: quando aveva investito d’acqua, con le ali, i suoi fratelli era stato divertentissimo, peccato che loro non avessero il benché minimo senso dell’umorismo. Le reazioni erano state: «Come osi comportarti così con un tuo superiore?» (Michael); «Adesso lo dico a nostro Padre!» (Raphael); «Se ci riprovi, ti stacco la testa!» (Uriel) e qualcun altro aveva pronunciato frasi irripetibili, l’unico che si fosse divertito e l’avesse schizzato a sua volta era stato Lucifer… Scosse la testa, meglio non pensare a lui…

Guardò Abram per vedere come l’avesse presa, dopo un attimo di smarrimento, il bimbo ridacchiò, guardò prima l’acqua, poi l’arcangelo.
Dai, forza…
Finalmente il piccolo si decise a schizzarlo.
«È così che rispetti il tuo arcangelo custode?» esclamò Gabriel, fingendosi arrabbiato e lanciandogli altra acqua contro. Ne era nata una battaglia alla fine della quale si erano ritrovati entrambi fradici e ansanti per il troppo ridere.


Un altro giorno volle insegnargli ad arrampicarsi sugli alberi per arraffare qualche frutto ma, non avendolo mai dovuto fare (c’erano le ali per quello!), lui stesso non aveva idea di come si facesse…
Volò, con Abram aggrappato sulla schiena, dove si trovava una pianta di fichi. «Prima salgo io per assicurarmi che non sia pericoloso.» Si aggrappò a un ramo basso e ci s’issò sopra scivolando un paio di volte, poi appoggiò i piedi sul ramo e afferrò quello sopra di lui e ci salì, mentre Abram lo guardava da terra. «Hai capito come si fa? Non è diff…»
CRACK!
Ma che…?” Un attimo prima era in piedi sul ramo, un attimo dopo era appeso a testa in giù, con la tunica impigliata al ramo che si era spezzato sotto il suo peso.
«Lo trovi così divertente?» chiese al moccioso che si stava rotolando per terra dal ridere.
Beh, in effetti, la situazione era comica, ridacchiò: «Va bene, tentiamo di liberarci.» Aprì il primo paio di ali e scese a terra. «Strano» commentò, «questa pianta non è malata e i suoi rami sembrano robusti… A quanto pare i fichi son più fragili di quello che sembrano(1), dovremo esercitarci con un melo, anche se ha i frutti meno dolci. Salimi sulla schiena che ne cerchiamo uno!»
Quando lo trovarono, Gabriel si arrampicò per primo, per assicurarsi che i rami reggessero, e subito dopo fu la volta di Abram, incoraggiato e consigliato dall’angelo: «Dai che ce la fai! Sfrutta tutti gli appigli che trovi.»
Arrivati in alto, mangiarono delle mele, seduti sui rami e la schiena appoggiata al tronco.
«Decisamente meglio i fichi» sentenziò Gabriel.
«Però i meli son più sicuri da scalare» obbiettò Abram.
«Per questo ho le ali!» ridacchiò Gabriel.

Alla fine di ogni giornata, nonostante quello che gli aveva detto sul fatto che Abram era ormai grande, l’arcangelo passava la notte sdraiato accanto al suo letto, coprendolo con l’ala sinistra più grande, ripetendo ogni sera: «Son troppo stanco per volare in Paradiso… ma non ti ci abituare!»

*****

1) Informazione tratta da internet, pertanto non arrampicatevi sui fichi!

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** «Come devo restituirlo?» ***


Dopo altri 10 giorni, la madre di Abram andò alla grotta per sapere se il figlio fosse ancora vivo (come se un neonato potesse sopravvivere 20 giorni senza aiuto), quando gli parlò e capì che era proprio lui, tornò subito in città ed era talmente felice che lo raccontò al padre che lo spifferò a Nimrod il quale, terrorizzato, mandò un esercito a prenderlo.
Abram, vedendo quel dispiegamento di forze, scoppiò a piangere.
Subito comparve Gabriel: «Che cosa c’è, piccolo? Perché piangi? Non aver paura, il Signore mi ha inviato qui per proteggerti.» Lo spinse dietro di sé e pensò a come avrebbe potuto fermarli. “Ma sì, basterà quello, speriamo di non dover usare mezzi di dissuasione più pesanti.” Schioccò le dita per far comparire una fitta coltre di nuvole e nebbia in cui scoppiavano dei fulmini, per fortuna, i carri si girarono e tornarono indietro.
«Visto? Finché ci sono io, non hai niente da temere! E ora andiamo a mangiare qualche fico per ritrovare il buonumore!» gli disse scompigliandogli i capelli.


Il giorno dopo nell’ufficio di Metatron.
«Che cosa vuol dire che devo riportarlo dai genitori??? Devo ricordarti che il padre vuole consegnarlo a Nimrod che non vede l’ora di farsi un paio di calzari con la sua pelle? E poi è troppo piccolo! Ha poco più di 20 giorni!» La voce di Gabriel era salita di qualche ottava.
«Anagraficamente ma fisicamente ne ha 10, perciò non discutere gli ordini e obbedisci!»

Quando Gabriel disse ad Abram che doveva andare a Babilonia, il bimbo obbiettò che non era equipaggiato per il viaggio, non avendo cavalcatura né soldati per combattere il re.
«E chi ha parlato di combattere? Non hai bisogno di nulla di tutto ciò, ti porterò io, montami sulla schiena e tieniti forte!» Sorvolando la famosa torre, Gabriel gli raccontò di quando lui e Castiel erano scesi per fermarne i lavori(1).
Atterrati a Babilonia, l’angelo lo fece scendere e gli disse: «Ora entra in città e proclama a gran voce: “L’Eterno è l’unico Dio, non vi è altri all’infuori di Lui. Egli è il Dio dei cieli e della terra. Riconoscete dunque questa verità. Io sono Abram, il servo fedele della Sua casa!”»
Abram fece quanto richiesto, poi gli chiese: «Sono stato bravo?»
«Bravissimo» rispose Gabriel, con una smorfia. «Ora devo restituirti ai tuoi genitori, mi raccomando, rivela loro la vera fede e non farti traviare.»
«Ma Gabriel» chiese Abram, perplesso, «vuoi dire che dovrò stare con loro? Che non ci vedremo più?»
«Certo che ci vedremo ancora, sono sempre il tuo arcangelo custode, solo non sarà più tanto spesso come prima» rispose l’angelo, spingendolo leggermente verso la sua casa.
«Non voglio stare con loro! Voglio stare con te!» esclamò il bambino, tirando su col naso.
«Non si può, piccolo, questi sono gli ordini divini. Io ho i miei compiti da svolgere, mentre a te è stata affidata un’importante missione e l’unico modo per portarla a termine è questo.»
«Mi mancherai!» disse Abram, abbracciandolo.
Gabriel rimase interdetto per un attimo (i suoi fratelli non erano molto affettuosi, perciò certi gesti, in Paradiso, erano ignoti), poi si chinò ad abbracciarlo a sua volta, avvolgendolo anche con le ali. «Vai ora! E ricordati: quando avrai bisogno di aiuto, ti basterà chiamarmi e arriverò volando» gli disse, qualche minuto dopo, raddrizzandosi e scompigliandogli i capelli.
Abram raccontò ai suoi genitori tutto quello che gli era successo, poi disse loro: «Come potete adorare un uomo uguale a voi e inchinarvi a una sua immagine? Essa ha una bocca ma non parla, ha occhi ma non vede, ha orecchie ma non sente e non cammina. Non serve a nulla!»
Il padre, sempre con la fissa di obbedire a Nimrod, lo condusse a corte.
Diamine! Non posso neanche girare le ali un attimo…” pensò l’arcangelo, seguendoli.
Appena fu al cospetto del re, Abram gli urlò: «Guai a te, Nimrod, miserabile miscredente, che rinneghi il Dio vivente ed eterno e con Lui, Abram, il Suo fedele servitore! Ripeti con me: l’Eterno è Dio, l’unico, non vi è altri all’infuori di Lui!»
Mentre Abram urlava, Gabriel, restando invisibile, con rapidi movimenti delle mani, faceva cadere per terra i simulacri con fracasso. “Ops! Dimenticavo l’idolo più importante!” Posò due dita sulla fronte di Nimrod, che fissava quel moccioso, basito, e lo fece crollare a terra svenuto. Quando rinvenne, era talmente spaventato da ciò che era successo che ordinò ad Abram e Terach di sparire.


Dopo quasi un mese, un angelo aveva restituito un bambino ai suoi genitori e quella sera entrambi riposavano nei propri letti ma, chissà perché, nessuno dei due ne era particolarmente felice.

*****

1) Vedere racconto “La torre di Babele
Ultimo capitolo, lo so sono una persona orribile, ma purtroppo la storia originale prevede la restituzione del bambino.
Ringrazio Jerkchester, samara89, BROTHERSWINCHESTER95, askyfullofstars, Fenice14 e _Lenalee_ per l'attenzione, il sostegno e gli incoraggiamenti.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2904923