Back To The Express

di SHUN DI ANDROMEDA
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** MAI DA SOLO ***
Capitolo 3: *** BACK TO THE EXPRESS ***
Capitolo 4: *** CHI NO TETSUDOU ***
Capitolo 5: *** FRAGILITÀ DI BAMBINO ***
Capitolo 6: *** VOGLIO AIUTARLA ***
Capitolo 7: *** FEIGNING DEATH ***
Capitolo 8: *** SULLE TRACCE DI CIÒ CHE AMA IL CUORE ***
Capitolo 9: *** FLAMES CAN'T STOP ME ***
Capitolo 10: *** WE WILL MEET AGAIN ***
Capitolo 11: *** DIMMI CHE MI AMI ***
Capitolo 12: *** KIMI MONOGATARI ***
Capitolo 13: *** THE LAST FIGHT BEGINS! ***
Capitolo 14: *** WAR IS OVER /EPILOGO (?) ***
Capitolo 15: *** OMAKE: HUGHES FAMILY ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


My Fic

**BACK TO THE EXPRESS**

PROLOGO

Notte buia, senza luna né stelle.

Nuvole oscure gravide di pioggia lambivano il cielo notturno.

Il deposito ferroviario di South City era immerso nel buio e nel silenzio.

Rottami metallici formavano grossi ammassi sparsi disordinatamente qua e là, vecchi tranci arrugginiti di rotaie buttati alla rinfusa sul terreno duro e ghiaioso.

Vecchi vagoni ormai in disuso stavano ribaltati e semi distrutti qua e là, i vetri distrutti.

Un ombra scivolava silenziosamente tra i rottami, nascondendosi e mimetizzandosi nel buio: era una figura agile e snella; un pallido raggio di luna, sbucato dalle nubi nere, lo illuminò per un istante, mostrando una fluente capigliatura mora e due profondi occhi di un lucente viola, in mano teneva una pistola, era solo un ragazzo.

Stava nascosto dietro un vagone, accoccolato tra le ruote, scrutando l’oscurità attorno a lui.

Quel silenzio innaturale non prometteva nulla di buono, se lo sentiva.

Improvvisamente, si udì una scarica di colpi di arma da fuoco risuonare sordamente nella notte, e un urlo penetrante di dolore.

La figura impallidì, cosa era successo?

Doveva assolutamente scoprirlo.

Silenzioso e quasi invisibile, scivolò in avanti con uno scatto fulmineo, degno di un gatto, e si diresse spedito verso il punto da cui si era udito l’urlo e gli spari; guardingo, scivolò lungo le zone d’ombra, evitando i punti scoperti, la pistola saldamente nella sua mano, pronta a far fuoco.

In quel momento, udì una serie di passi lontani in corsa.

Qualcuno stava scappando.

Il giovane misterioso allungò il passo, il cuore oppresso da una strana e orribile sensazione di pericolo.

Svoltato di scatto dietro a un cumulo di vecchi rottami meccanici, sbucò in uno spiazzo debolmente illuminato da un lampioncino che spandeva una luce arancione spettrale tutto intorno.

Riverso a terra, un corpo.

Il ragazzo impallidì vistosamente, e si guardò attorno, preoccupato, poi rinfoderò l’arma e corse affianco al corpo a terra; la persona a terra non poteva avere più di 18 anni, era un ragazzo come lui, il viso a terra, i lunghi capelli biondi sporchi di terra e fango.

Il moro sentiva di conoscerla.

Delicatamente, poggiò due dita sul collo del ferito: i leggeri battiti del cuore indicavano che era ancora vivo.

Con sollievo, lo sollevò piano, cercando di girarlo senza accentuarne le ferite già gravi; vedendone il viso, però, ebbe un tuffo al cuore.

Quei lineamenti gli erano tremendamente familiari.

L’aveva riconosciuto.

“EDWARD!!” urlò con voce strozzata il ragazzo, “Edward, svegliati, ti prego!” implorò lui, terrorizzato, ma l’amico non reagì minimamente.

Il giovanissimo detective non ci pensò su due volte: lo prese delicatamente in braccio, cercando di tamponare le ferite più gravi: “Sta tranquillo, amico mio, ora ti porto al sicuro.” sussurrò Envy, sparendo nella notte.

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“Pronto, qui Headquartier di Central City, cosa posso fare per lei?”

“Buonasera, scusi per l’ora, ma ha bisogno di parlare urgentemente col Furher Mustang, è una cosa molto importante.”.

“Ok, un momento.. Chi è lei, mi scusi?”

“Dica che sono Envy, capirà.”

“D’accordo…”.

Il ragazzo moro cominciò a picchettare nervosamente le dita sul telefono a muro, lanciando di quando in quando occhiate nervose al corridoio deserto; erano arrivati di corsa all’ospedale militare, dove avevano ricoverato d’urgenza il suo amico.

Dovevano operarlo.

Erano passati ormai molti mesi dal loro ultimo incontro, ai tempi del glorioso Amestris Express: “Sono sempre pronto a salvarti la vita Ed, ma cerca di non mollare proprio ora, fallo per chi ti aspetta e soffrirebbe della tua scomparsa. Fallo per chi sto chiamando.. Ricordi quanto fosse disperato qualche mese fa? Ti prego, combatti…” singhiozzò sommessamente il giovane, cercando conforto nel pianto.

In quel momento, il filo dei suoi pensieri fu interrotto da una voce profonda che risuonava nella cornetta: “Envy, sei tu? Cosa succede?”, la voce del Fuhrer Mustang suonava ansiosa, quasi preoccupata, “Buonasera signore, scusi per l’ora, sono proprio io. L’ho chiamata perché deve assolutamente raggiungermi qui.” parlò lui stancamente, cercando di ricacciare indietro le lacrime, “Dove sei?” domandò lui, “Sono a South City.” rispose solo.

Cadde uno spiacevole silenzio per parecchi minuti.

“Envy, cosa è successo?” ripeté lapidario l’uomo all’altro capo del telefono.

Il giovane sospirò.

“Hanno sparato a Edward.”.

Altro lunghissimo e glaciale silenzio.

“Ero in missione per conto del Tribunale Militare, l’ho trovato nel deposito ferroviario, era malconcio, ma vivo. Adesso lo stanno operando.” interloquì esausto lui.

“Prendo il primo treno per South City, tra quattro ore sono lì.”.

Dopo un lungo silenzio, il Fuhrer aveva parlato, la sua voce sembrava quasi ridotta a un sussurro: “Mi raccomando, non lasciarlo solo, per favore..” terminò con voce strana, quasi lo stesse supplicando, “Non si preoccupi, non è nemmeno da chiedere. La aspetto qui.” affermò il ragazzo con un pallido sorriso prima di chiudere la comunicazione.

In quel momento, la porta della sala operatoria si spalancò, e ne uscì un medico, seguito da un gruppo di infermiere che portavano una barella.

Edward era vivo.

Subito il moro raggiunse l’amico e si mise a parlare col dottore, il giovane aveva ancora le vesti sporche di sangue, non aveva potuto pulirsi: “Dottore, come sta?” domandò il ragazzo, “Sta meglio, figliolo. Gli abbiamo estratto cinque pallottole,per puro miracolo non hanno leso organi vitali. Ma se si è salvato, non è solo merito nostro, è anche merito tuo, che lo hai portato qua di corsa.” gli sorrise lui; Envy spostò lo sguardo sull’amico con una stretta al cuore, il viso pallido e tirato, la maschera dell’ossigeno su bocca e naso, le labbra livide e socchiuse.

“Comunque non si sveglierà prima di qualche ora. È riuscito a contattare qualche familiare?”, la voce del medico riportò l’investigatore alla realtà.

“Si, il Fuhrer arriverà tra qualche ora… Gli ho promesso che lo avrei tenuto d’occhio, posso andare?” domandò stanco lui, “Certo, segui le infermiere, sono sicuro che la tua presenza gli sarà di conforto, almeno finché non arriveranno i familiari.” Lo rassicurò l’anziano dottore, “Grazie di cuore…” riuscì solo a rispondere, prima di seguire la barella con il suo amico sopra.

Alcuni minuti dopo, il ragazzo si trovava nella stanza assieme al suo amico che riposava tranquillo.

Una stretta fasciatura su tutto il busto era già macchiata di sangue.

Con un sospiro, il moro prese una sedia e l’avvicinò al letto, sedendosi: “Chi è stato, amico? Non preoccuparti, presto arriverà il tuo Comandante, anche tuo fratello. Ma fino ad allora, non ti lascerò solo.”.

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Tre ore dopo la situazione era sempre la stessa.

Il dottore era venuto un paio di volte a controllare la situazione e si era mostrato decisamente ottimista.

Il moro si stava ormai appisolando sulla sedia, quando un gentile tocco sulla sua spalla lo fece sobbalzare; voltandosi, incrociò lo sguardo di un infermiera dal dolce sorriso: “Scusami, ti ho spaventato..  Ti ho portato del caffè caldo. Bevine un po’, ti farà bene.” affermò lei, passandogli la tazza in plastica, “Grazie signorina…” ringraziò lui, stanco e assonnato, “Non preoccuparti, il dottore ha detto che ormai è fuori pericolo, ha superato brillantemente la notte, guarirà presto.” lo rincuorò, mentre cambiava la flebo ormai terminata, “Ne sono certo, il mio amico non si fa certo abbattere da una sciocchezza del genere.” Gli sorrise di rimando lui.

La giovane donna, con un leggero inchino, uscì, portando con sé la flebo vuota.

In quel momento, il giovane udì un rumore di passi frettolosi nel corridoio; istintivamente, guardò l’orologio al polso.

Erano a malapena le cinque del mattino.

Curioso per tutta quella confusione, mise la testa fuori dalla stanza, e fu così che notò un gruppo di divise blu militari in fondo al corridoio; sorridendo, rientrò, erano finalmente arrivati.

Tranquillamente, si risedette al suo posto: “Sono arrivati.” disse solo, guardando la porta. Un minuto dopo, essa si aprì, facendo entrare un uomo dai corti capelli neri, accompagnato da un gruppo di persone; tutti quanti portavano le divise dell’Esercito: “Come sta?” domandò subito Roy Mustang, visibilmente preoccupato, “Salve a tutti.. Sta meglio, il dottore ha detto che è ormai fuori pericolo, ma non si è ancora svegliato.” parlò Envy, alzandosi in piedi, “Noi usciamo capo, lei resti con Edward.” interloquì il tenente Havoc, conducendo i suoi colleghi fuori dalla stanza.

Il Comandante ringraziò mentalmente il suo sottoposto, sedendosi al posto poco prima occupato dal suo giovane amico; poggiò il mantello sullo schienale della sedia e prese tra le sue mani quelle minute del ragazzo disteso a letto; a quel contatto, Edward si mosse leggermente, le palpebre fremettero per poi aprirsi, mostrando al Comandante uno sguardo opaco, “Ehi, come stai? È mai possibile che ti cacci sempre nei guai se non ci sono io?” sorrise sollevato, sporgendosi maggiormente sul ragazzo; il biondo rise, ma la sua risata somigliò più a un raglio strozzato,  “Hai ragione.. Cough!! Cough!!” tossì Ed, “Sto meglio, non preoccuparti, ne ho passate di peggiori…Come sono arrivato qui?” chiese con un sussurrò, cercando di mettersi seduto, “Ti ha portato Envy, ti ha trovato nel deposito ferroviario ferito e ti ha condotto all’ospedale.” spiegò il moro aiutandolo, “è qui fuori, ci sono anche gli altri, vuoi che entrino?” chiese poi, “Si, grazie..” gli sorrise lui; Roy gli diede un casto bacio, coprendogli le spalle con il proprio mantello, poi si diresse alla porta.

Tutta la squadra era seduta sulle poltroncine fuori dalla stanza, in evidente attesa, non mancava proprio nessuno: Riza e Jean erano seduti uno di fianco all’altro, Falman, Fury e Breda sedevano accanto a Envy e al tenente colonnello Hughes.

Tutti erano lì.

“Ragazzi, Edward si è svegliato.”.

La voce del loro Comandante li riscosse dal torpore.

“Vorrebbe salutarvi.” aggiunse il moro, invitandoli a seguirlo; il Mustang Team non se lo fece ripetere due volte e seguì il proprio Comandante nella stanza.

Fullmetal li accolse con un sorriso stanco, le braccia e il busto fasciate e il manto di Roy drappeggiato sulle spalle: “Salve a tutti.” salutò lui, “Ehilà! Ci hai fatto preoccupare!” esclamò con un sorriso sornione Hughes, “Scusate, mi caccio sempre nei guai..” interloquì imbarazzato, “Tanto poi intervengo sempre io a salvarti la pellaccia!” esclamò Envy, sbucando alle spalle del tenente colonnello, “Ehi, grazie. Roy mi ha detto che sei stato te a portarmi qui, sono in debito con te, amico.” gli sorrise il biondo, “non dirlo neanche, non ti avrei mai potuto lasciare lì!” esclamò Envy, poggiandosi alla parete, “Cosa ci facevi lì?” proseguì poi Ed, “Stavo indagando su una banda di assaltatori di treni per ordine del Tribunale Militare.

Il biondo scoppiò a ridere.

“Anche io sono stato mandato per la stessa ragione,a quanto pare c’è un alchimista e mi hanno mandato a raccogliere informazioni.” spiegò il biondo.

“Di nuovo assieme come ai vecchi tempi, eh?” sorrise il detective.

SALVE!

Shun è tornata!!

Beh, coloro che hanno seguito una mia vecchia fic sanno che mi era spiaciuto molto quando la conclusi.

Ecco, ora la sottoscritta si è imbarcata in una nuova avventura!

BACK TO THE EXPRESS è il ricominciare del viaggio, del nostro viaggio.

Del viaggio dell’AMESTRIS EXPRESS.

Questa storia è dedicata a colei che mi ha fatto sorridere, che ha approvato la nascita di questo seguito, che ha dato l’input per la storia.

È dedicata a SHIKADANCE.

È solo merito suo se questa storia ha visto la luce.

Beh, che dire, divertitevi e godetevi questo nuovo viaggio!!!

UN BACIO

SHUN

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Capitolo 2
*** MAI DA SOLO ***


My Fic

CAPITOLO 1

MAI DA SOLO

 

Il giorno dopo, Edward stava meglio.

Tutti i suoi amici restavano sempre con lui in ospedale, Envy e Roy restavano a dormire lì durante la notte.

 

Non lo lasciavano mai da solo.

Il Comandante non lasciava un momento la sua stanza, stava sempre con lui.

 

E il ragazzo di questo ne era felice.

 

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Il rombo di un tuono fece vibrare pericolosamente i vetri delle finestre dell’ospedale.

 

Edward, a quel suono, alzò la testa dal libro che stava leggendo.

 

Pioveva a dirotto.

 

Come incantato, rimase per alcuni minuti a fissare la pioggia cadere aldilà del vetro, picchettandolo leggera, era un suono così bello.

Il giovane poggiò sul comodino il libro e scostò piano le lenzuola, per poi alzarsi; nella stanza non c’era nessuno in quel momento, Envy era uscito un istante a parlare con Roy e gli altri e lui si godeva un po’ di tranquillità.

Con passo malfermo, raggiunse l’ampia vetrata e poggiò la fronte sul vetro, fissando le gocce che scivolavano davanti a lui; non capiva il perché, ma vedere il rincorrersi di tutte quelle piccole goccioline gli strappò un sorriso.

 

Con un gesto lento, aprì la finestra, beandosi della fresca brezza e della sensazione dell’acqua sul suo volto, non si era mai sentito così calmo e in pace con sé stesso, per un istante aveva anche scordato chi fosse, tanto era perso nella contemplazione di quel paesaggio che, seppur all’apparenza malinconico, lo rasserenava.

Si perse nel lento cadere ritmico della pioggia e del suo suono così piacevole, poggiò mollemente i gomiti sul davanzale, fissando distratto il cortile dell’ospedale, deserto e tranquillo.

 

Fu richiamato alla realtà da due braccia che gli si erano allacciate alla vita e da una voce divertita che gli soffiava all’orecchio: “Preferisci la pioggia al sottoscritto? Dovrei ritenermi offeso.” lo canzonò quella voce conosciuta, che strappò un sorriso al biondino; Ed si voltò, incrociando lo sguardo color onice del suo Fuhrer, che lo abbracciava: “Nay, come potrei? Dove eri finito? Mi stavo preoccupando.” rispose lui, ricambiando l’abbraccio, “Stavo parlando con gli altri riguardo a quello che è successo, siamo piuttosto preoccupati, ma vedo che non ti stai annoiando a restar da solo. Ero sicuro di trovarti a letto, che ci fai in piedi? Dovresti riposare ancora…” interloquì il moro, carezzandogli delicatamente i capelli, “mmmm, un tuono mi ha distratto…” mugolò lui, contento di quelle attenzioni, “Mi piace la pioggia, anche da piccolo, mi rasserenava ascoltare il suo lento picchettare sui vetri di casa, vorrei uscire e correre sotto l’acqua come quando ero piccolo…” sospirò il biondo, scostandosi leggermente e guardando nuovamente fuori dal vetro con aria malinconica.

 

Il moro gli diede un bacio sulla tempia: “Quando sarai guarito, potrai uscire, adesso non mi sembra il caso, rischieresti di ammalarti.” osservò con aria critica Roy, “Ma se vuoi, possiamo andare a fare un giro sotto il porticato.” gli sorrise divertito; il viso, fino a pochi istanti prima triste, di Edward si illuminò: “SI!” esclamò lui, abbracciandolo forte.

 

L’uomo sorrise.

 

Adorava vedere il suo compagno felice, adorava il suo sorriso solare, adorava tutto di quel ragazzino indisciplinato che però amava più di sé stesso; istintivamente, il suo sguardo cadde sulla fede sottile di oro bianco che portava all’anulare, e non poté fare a meno di pensare a quel giorno lontano nel tempo in cui le loro anime si erano legate per l’eternità.

 

“Forza, andiamo!” esclamò il moro, sciogliendo l’abbraccio; senza tanti complimenti, lo prese in braccio e se lo caricò in spalla, tra le urla di disappunto del minore, che cercava di divincolarsi senza successo, per poi farlo sedere sulla sedia a rotelle accanto al letto, e coprendolo con una coperta militare.

 

Con un gesto elegante, levò il freno e lo condusse fuori dalla stanza: “Io e Fullmetal andiamo a fare un giro, torniamo presto!” aveva annunciato una volta fuori a tutti i loro amici, “D’accordo, ma attento Roy, non stancarlo troppo, è ancora convalescente, Non sarebbe saggio!” ridacchiò Hughes beffardo, facendo arrossire i due, “HUGHES!!” ringhiò il Comandante, il viso che ormai aveva superato tutte le possibili gradazioni di rosso, prima di portare via il compagno.

 

Tutti risero.

 

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Roy spingeva piano la sedia a rotelle su cui era seduto il suo amato sotto l’ampio e protetto porticato, sorridendo sornione all’espressione beata del ragazzino che fissava rapito la pioggia.

 

Avrebbe passato ore a fissarlo, avrebbe voluto proteggerlo, gli sembrava così fragile in quel momento; il Fuhrer strinse i pugni, chi mai aveva potuto fare quello al suo Edward?

L’avrebbe pagata cara, molto cara.

 

Odiava vedere il suo amore in quelle condizioni.

 

Con un gesto dolce, cominciò a carezzargli piano i capelli.

Si era spaventato troppo quando aveva ricevuto quella telefonata.

 

Maledizione a lui quando non si era imposto per la scorta!

 

Ora, il suo Edward aveva rischiato di morire e tutto per un suo errore, per un suo errore, aveva rischiato di perderlo.

 

Silenziosamente, aveva cominciato a piangere, non se n’era neppure accorto, sentiva solo un gran dolore, e voleva sfogarlo.

 

Sentiva le lacrime bruciargli gli occhi e picchettargli sulla mano, che stringeva forte la barra della carrozzella; cominciò a singhiozzare.

 

“Roy, cos’hai?”.

La voce preoccupata del suo Ed riscosse il moro dal suo dolore, che abbassò lo sguardo, asciugandosi le lacrime: “N…Nulla, non preoccuparti..” singhiozzò lui, carezzandogli i capelli e tentando di ricacciare le lacrime.

 

Si erano fermati presso un chiostro, e ora osservavano la pioggia cadere placida.

 

Edward lo guardò fisso negli occhi, prendendogli la mano: “Roy, dimmi cos’hai.” affermò il biondo, con un tono che non ammetteva repliche, “Se hai qualcosa, voglio saperlo… Sto male a vederti così…” sussurrò lui, gli occhi lucidi, “Ti prego..”.

 

Roy si diede dello stupido.

 

Lo aveva fatto preoccupare inutilmente.

 

E dire che doveva riposare e non subire alcun tipo di stress, soprattutto emotivo.

 

Il Comandante affondò il viso nei capelli profumati del minore, stringendolo forte a sé: “Roy, che ti prende?” interloquì preoccupato Ed, “è colpa mia… è colpa mia se sei in queste condizioni…” singhiozzò lui, abbracciandolo forte, “Perdonami…”.

 

Il biondo ricambiò a fatica l’abbraccio, il moro gli stava facendo male al fianco ferito.

 

“Per cosa, scusa?” riuscì a dire con voce spezzata, “Se sei rimasto ferito è stata colpa mia, io non ho insistito per la scorta, ti ho affidato l’incarico… Se non ci fosse stato Envy, io ti avrei perso…” sussurrò stancamente lui; Edward sgranò gli occhi, allora era quella la ragione: “Roy, ascoltami.” disse serio, sollevandogli il viso, “Ti prego, abbracciami..” affermò solo, anche lui aveva gli occhi lucidi.

 

Il Fuhrer non se lo fece ripetere due volte.

Lo sollevò piano, come se fosse un bambino, lo prese in braccio e lo abbracciò forte.

 

Una folata di vento gelido fece rabbrividire il minore, che si accoccolò maggiormente al petto di Roy, in cerca di calore.

Il maggiore afferrò la coperta e gliela drappeggiò addosso: “Va meglio?” chiese lui, “Si, grazie…” sorrise lui, prima che le labbra del Fuhrer si posassero leggere sulle sue; al lieve contatto, le sue si aprirono leggermente, permettendo alla lingua dell’altro di farsi largo.

 

Si scambiarono un lungo e desiderato bacio d’amore fino a che non poterono più resistere e si staccarono piano, Edward sempre in braccio a Roy, le braccia allacciate al suo collo: “Ti amo Roy…” sussurrò lui, accoccolandosi, “Anche io Edward, anche io…”.

 

E rimasero così a lungo, abbracciati, la pioggia era la loro colonna sonora, la colonna sonora di un amore dolce e puro.

 

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 La notte era ormai calata su South City.

 

La pioggia era cessata da alcune ore, e il cielo era tornato sereno e trapunto di stelle.

 

Una figura snella camminava per il cortile dell’Ospedale, dirigendosi a passo svelto verso l’edifico principale.

 

La Luna inargentava tutto, conferendo al luogo un atmosfera quasi divina.

 

Aveva appena imboccato il viale alberato che conduceva all’ingresso quando due figure oscure sbucarono da dietro un albero, aggredendolo violentemente; per un pelo, la figura li evitò: “Chi siete??” sbraitò, mettendosi in guardia e levandosi il mantello; le due figure sghignazzarono, “è agile, Comandante, ma non abbastanza per scappare in eterno.. Una persona la sta aspettando, non sarebbe carino farla attendere, no?” ringhiò una delle due, con voce melliflua.

 

Improvvisamente, qualcosa colpì il Fuhrer al capo.

 

In un istante, sotto l’occhio vigile della Luna, il buio si impadronì di lui.

 

I due misteriosi nemici lo portarono via.

 

Sul terreno rimasero il mantello e una busta.

 

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Edward fu svegliato da uno strano ronzio.

Il giovane aprì stancamente un occhio, mugolando, accorgendosi di essere ancora nella sua stanza.

 

Ma era da solo.

 

Il ronzio veniva da fuori.

 

Stancamente, il ragazzo si lasciò scivolare giù dal letto, la casacca del pigiama sopra le ginocchia, e si aggrappò saldamente al reggi flebo; mosse qualche passo in direzione della porta, sempre reggendosi al tubo metallico mobile e socchiuse la porta, facendo entrare nella stanza un debole spiraglio di luce.

 

Guardò fuori, coprendosi gli occhi per proteggersi dalla luminosità: vide i suoi amici discutere animatamente con Fury, che teneva in mano una busta.

 

Si guardò attorno.

 

Roy non c’era.

 

“Ma dov’è finito?” mormorò preoccupato, sfregandosi gli occhi e passandosi una mano sulla fronte, “Dannazione, ho ancora la febbre, che seccatura..” sbuffò lui, poggiando la mano sulla maniglia della porta, aprendola; uscì nel corridoio, erano tutti lì.

 

“Cosa sta succedendo qui? Che ore sono?” domandò con voce impastata di sonno ai suoi compagni, “EDWARD! Che ci fai in piedi?” esclamò stupita Riza, accorgendosi della presenza del più giovane tra loro, “Mi sono svegliato.. Che sta succedendo? Dov’è Roy?” chiese lui, poggiandosi al muro.

 

La squadra si paralizzò.

 

Havoc lo guardò confuso, Riza giocherellava con la fede, Hughes teneva il capo chino.

 

“Ragazzi, ma che succede?” chiese ancora, con una punta di timore nella voce; Fury si alzò in piedi, scambiandosi un occhiata con i suoi colleghi: “Edward, qualcuno ha rapito il Fuhrer e… Hanno lasciato questa per te, assieme a questo..” sussurrò il moretto occhialuto, dandogli la busta e il mantello.

Il biondo sgranò gli occhi, boccheggiando, come era… Stringeva forte quel mantello, sentiva ancora l’odore del suo Roy; con mano tremante, aprì la busta e spiegò la lettera la suo interno.

 

“La vendetta è un piatto che va gustato gelido.

Dopo quattro anni, finalmente, avrò giustizia, e vendetta.

Edward Elric, io ti lancio il guanto di sfida.

Ti aspetto tra un mese alle rovine della Costa Ovest.

F.”

 

Il biondo strinse convulsamente i pugni.

Il viso spaventosamente pallido, contratto dalla rabbia.

 

Lentamente, ripiegò il foglio sotto lo sguardo timoroso dei suoi compagni: “Edward scusaci, è colpa nostra… Avremmo dovuto accompagnarlo” disse Riza ma il giovane scosse la testa, “Non è colpa vostra, davvero, e poi, sapete benissimo che non ve lo avrebbe mai permesso.” disse, alzando lo sguardo, “Non lascerò il Fuhrer nelle loro mani, devo raggiungere questo bastardo e accettare la sua sfida!” esclamò furibondo lui, mollando il reggi flebo, “Domattina mi farò dimettere, ritorneremo a Central e poi partirò per l’Ovest.” affermò spaventosamente calmo, reggendosi a fatica in piedi.

 

Havoc balzò su: “è una follia, non ti reggi neppure in piedi, come pensi di affrontare un viaggio simile?? Non te lo permetteremo mai!” urlò il tenente, “Jean ha ragione, è troppo rischioso, non ce la faresti mai a raggiungerlo, non in queste condizioni. E poi, avranno sicuramente approntato delle trappole lungo la strada, questa gente ti vuole morto!” ribadì Riza, guardandolo preoccupata, “Lo so, ma non posso tirarmi indietro… Hanno Roy, devo salvarlo…” mormorò lui, “Non posso coinvolgere voi, non sarebbe giusto farvi rischiare così tanto, andrò da solo.” boccheggiò lui.

 

“Ma.. Edward, non puoi dire una cosa simile..” fece per dire Falman, ma fu bloccato dalle urla furibonde del biondo.

 

“ORA BASTA!!! SONO IL VOSTRO SUPERIORE E VI ORDINO DI ESEGUIRE I MIEI COMANDI SENZA DISCUTERE!!!” urlò Ed, il viso rosso e contratto, la voce dura e aggressiva.

 

SCIAFF!!

 

Un sonoro schiaffone si era abbattuto con violenza sulla guancia del ragazzo.

 

Envy aveva schiaffeggiato l’amico.

 

Calò il silenzio: Edward si teneva la guancia pulsante e ferita, guardandolo con sorpresa.

 

“Sei uno stupido!”.

 

Envy gli urlò contro, prendendolo per un braccio, “Sei davvero uno stupido!! Secondo te potremmo mai lasciarti solo in un momento simile?? Siamo anche noi in pensiero per il Fuhrer e anche per te, proprio per questo non ti lasceremo mai partire da solo, su questo ci puoi giurare! Se vogliamo correre questi rischi, è perché ti vogliamo bene. Ho fatto una promessa, e voglio mantenerla, ti proteggerò!” urlò Envy, il volto contratto in una smorfia di rabbia e frustrazione, “il nostro amico ha ragione, ci siamo trovati in situazioni molto peggiori, e ne siamo usciti sempre, tutti insieme. Non vi abbandoneremo certo ora.” asserì Hughes con un sorriso, “GIUSTO!!” ruggirono tutti gli altri, alzando in aria i pugni.

 

Edward si guardò attorno, stupito, poi scrollò le spalle con un sorriso rassegnato: “Avete vinto voi…. Scusatemi, ho reagito male..” affermò con voce stanca, coprendosi gli occhi con la mano e lasciandosi cadere contro la parete; fu preso la volo da Riza: “Non preoccuparti, ora vieni, torniamo in camera, Jean, aiutami, tenente colonnello, vada a cercare un infermiera.” ordinò Riza, conducendo il superiore nella sua stanza, praticamente svenuto in braccio a lei, mentre Hughes correva via.

 

Envy, invece, si avvicinò al telefono.

Doveva assolutamente parlare con una persona.

 

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Tre giorni dopo, il gruppo si ritrovò alla stazione centrale di South City.

 

Il rivedere quel posto suscitò in loro una serie di splendidi e malinconici ricordi.

 

Da una di quelle banchine, pochi mesi prima, erano partiti, a bordo dell’Amestris Express, ignari dell’avventura che avrebbero vissuto, mossi solo dalla vendetta.

 

“Forza, andiamo!! Ci stanno aspettando!!” aveva interloquito Envy, scuotendo tutti dal loro torpore di ricordi, guidandoli verso una banchina poco lontana.

 

Tre persone stavano aspettando, ritte sul binario.

 

Accanto, un treno.

 

Con un balzo, il detective gli fu davanti, abbracciandoli: “NEESAN!!! NIISAN!! NIISAN!!!” urlò lui.

 

Il gruppo li ragggiunse, non credevano ai loro occhi: “Lust! Da quanto tempo!” aveva esclamato sorpreso Ed, vedendo l’amica, “Salve a tutti! Ciao Edward, mio fratello mi ha parlato di quello che è successo, non preoccuparti, non lasceremo il Fuhrer in mano loro, siamo qui per aiutarvi! Questi sono Greed e Pride, sono i miei gemelli, saranno anche loro dei nostri! Vedrete, sapranno rendersi utili!” aveva esclamato radiosa, presentandoli.

I due si fecero innanzi: “Piacere..” salutarono con un leggero inchino.

 

Il gruppo di militari guardò stupito il treno alla loro destra.

 

L’avevano riconosciuto.

 

“Ma… Ma questo…” boccheggiava Hughes, indicandolo con mano tremante, “Si, è proprio lui, l’Amestris Express, Envy mi ha spiegato tutto, vi aiuterò volentieri!!! FORZA, A BORDO!!” ordinò raggiante lei.

 

BUONANOTTE!!!

Eccomi di nuovo qui!!!

Un nuovo capitolo, tutto per voi!

 

Beh, non ce la facevo a resistere!!!

 

Volevo troppo postare questo capitolo, e devo solo ringraziare SHIKA se ha potuto vedere la luce così presto, ed ELISETTA e PAPY e LIRIS, DEVO RINGRAZIARE TUTTI VOI!!!

 

VI ADORO!!!

 

GRAZIE DI CUORE!!!

SIETE I MIGLIORI!!

 

UN BACIONE

SHUN

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Capitolo 3
*** BACK TO THE EXPRESS ***


My Fic

CAPITOLO 2

BACK TO THE EXPRESS

 

Il gruppo di militari guardò stupito il treno alla loro destra.

L’avevano riconosciuto.

“Ma… Ma questo…” boccheggiava Hughes, indicandolo con mano tremante, “Si, è proprio lui, l’Amestris Express, Envy mi ha spiegato tutto, vi aiuterò volentieri!!! FORZA, A BORDO!!” ordinò raggiante lei.

Senza tante cerimonie, la giovane donna spinse a bordo i suoi amici: “Forza, il Fuhrer ci aspetta!!” esclamò, facendo un cenno ai due gemelli, “Voi salite davanti, mi fido di voi.”.

I due annuirono e si diressero di corsa verso la testa del treno; dopo essersi guardata attorno dalla piattaforma, rientrò.

Alcuni minuti dopo, un fischio penetrante e un getto di vapore diedero il segnale della partenza.

Lentamente, il treno cominciò a muoversi, prima molto lentamente, poi sempre più velocemente, sino a raggiungere una considerevole velocità, e allontanarsi dalla stazione, per poi sparire nella campagna odorosa, diretto a ovest.

Il viaggio era ricominciato.

Di nuovo assieme.

Di nuovo in viaggio per una nuova avventura.

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“Allora, riepiloghiamo. Alcuni giorni fa, Envy ha ritrovato Edward nel deposito ferroviario, ferito. Due giorni dopo, il Fuhrer viene rapito e vi viene lanciata una sfida, ho capito bene?”.

“Si, a giudicare dal tono del messaggio, sono gli stessi che hanno aggredito Ed.”.

“Allora dovremmo muoverci con cautela, se sono gli stessi banditi che da un paio di mesi assaltano i treni merci, sicuramente ci daranno delle rogne, e poi, se davvero vogliono vendicarsi di Ed, non ci lasceranno certamente raggiungere il luogo dell’appuntamento senza lottare, dobbiamo prepararci al peggio.”.

L’Amestris Express correva veloce nella campagna del Sud, tra i campi di grano dorato, le spighe sospinte dalla brezza, il ceruleo cielo sopra le loro teste che infonde gioia e tranquillità, il caldo sole che dona tepore, e in lontananza, il blu intenso dell’Oceano.

Il paesaggio bucolico scorreva veloce sotto lo sguardo distratto dei suoi passeggeri, riuniti tutti assieme nel vagone ristorante.

Hughes e Lust discutevano animatamente con Riza e Jean sul da farsi, Falman, Breda e Fury organizzavano i turni di guardia.

Edward stava seduto su uno dei divanetti, lo sguardo perso nel vuoto, avvolto da una pesante coperta militare, sembrava un vecchio bambolotto abbandonato.

Da quando erano partiti, non si era più mosso.

Lust scoccò un occhiata triste verso il ragazzino con un sospiro: “Ragazzi, non dovremmo fare qualcosa per lui?  Mi fa male vederlo così abbattuto…” parlò a bassa voce la donna, poggiando la penna di cui si stava servendo per organizzare un piano, “Non possiamo fare nulla… Tutto quello che noi siamo in grado di fare è risolvere questa situazione il più presto possibile.” affermò Hughes, levandosi gli occhiali con aria stanca, massaggiandosi le tempie, sembrava improvvisamente più anziano di quello che era, “Ed è forte, al momento opportuno si scuoterà dal suo torpore e sarà pronto a scendere in campo, so come è fatto.” spiegò il tenente colonnello, pulendo le lenti con un lembo della divisa, “E poi, non dimentichiamoci che noi saremo con lui.”.

Riza e Jean lo guardarono con un pallido sorriso: “Ha ragione, combatteremo assieme questa volta, non lo lasceremo da solo.” sussurrò riconoscente Riza, tornando a concentrarsi sulle carte.

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Una figuretta rannicchiata a terra singhiozzava sommessamente.

Il corridoio era avvolto dalla semioscurità della sera che stava rapidamente calando, mentre l’Amestris continuava la sua folle corse verso ovest.

Le gambe ossute erano coperte da uno spesso plaid, le sue membra rabbrividivano per il freddo, malgrado la pesante coperta; sedeva in un angolo, abbandonato, solo.

I suoi occhi, un tempo allegri, erano colmi di lacrime.

Si lasciava cullare senza reagire dal movimento del treno, piangendo piano.

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“Ragazzi, dove è finito Edward?”.

Breda era impegnato a sistemare i fogli su cui avevano lavorato tutto il pomeriggio quando si accorse che il divanetto su cui il più giovane tra loro stava era vuoto.

Tutti i presenti, che stavano rassettando al pari di lui, volsero in contemporanea le teste verso il sottotenente dai capelli rossi; era vero, Edward non era più rannicchiato sul soffice giaciglio.

Era sparito.

La testolina infarinata di Fury, gli occhiali di traverso, sbucò dalla porta della cucina: “Cosa? Non era seduto sul divanetto?” interloquì, pulendosi le mani con uno strofinaccio, “No, non c’è più.. Deve essere uscito mentre noi lavoravamo, per questo non ce ne siamo accorti.” interloquì Havoc, fumando una delle sue solite sigarette pestilenziali a braccia conserte, “Ok, vado io a cercarlo, è ancora sotto anestetico, potrebbe aver bisogno di aiuto.” affermò Fury, levandosi il grembiule sporco che indossava sopra la divisa e gettandolo in un angolo; uscito il commilitone, Havoc si girò verso la cucina, spense la cicca sotto il tacco dello stivaletto e afferrò il grembiulone sporco di sugo: “Beh, vorrà dire che, se non vogliamo digiunare, ci penserò io ad aiutare Envy in cucina.” disse il biondo raggiungendo il detective, seguito trotterellando da Black Hayate.

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Il moretto sbucò nel corridoio oscuro e deserto, incamminandosi guardingo lungo le porte delle loro cabine.

Sospirò mestamente, scrollando la testolina.

“Tutta questa storia è assurda, non possiamo dargliela vinta a questi criminali” pensò tra sé e sé, allungando il passo, “Stiamo tutti malissimo, Edward sta soffrendo molto, dobbiamo risolvere questa storia il più presto possibile.”.

Improvvisamente, il ragazzo udì qualcuno singhiozzare

Il moretto trasalì.

Con attenzione mosse qualche altro passo: alla candida luminescenza della luna che penetrava nel treno dal finestrino, scorse una figuretta poggiata contro la parete, a terra, avvolta dall’argentea luce lunare, inondando anche il corridoio.

Edward era lì, le ginocchia strette convulsamente al petto, la coperta drappeggiata addosso.

Immobile.

Cercando di non spaventarlo, Kain gli si avvicinò, inginocchiandosi dinanzi a lui: “Ed, dove eri sparito? Ci siamo preoccupati.” parlò lui, guardandolo con un sorriso benevolo e rassicurante.

Il viso tirato e pallido era solcato di lucenti lacrime, i lunghi capelli dorati scarmigliati, gli davano però un aria solenne, malgrado tutto, avevano tutta l’aria di una corona.

Aveva un aria triste e malinconica; guardava il firmamento trapunto di stelle come un naufrago guarda il cielo pensando alla terra sua lontana.

La voce ovattata del sergente maggiore lo scosse dal suo torpore, si sentiva la testa pesante, non si era neppure accorto che fosse arrivato.

Cosa gli stava succedendo?

Con aria confusa, puntò i suoi occhi sulla figura minuta di Fury, asciugandosi con un movimento lento le lacrime: “Tutto bene?” gli chiese preoccupato il moro, inginocchiato dinanzi a lui, ne poteva vedere il viso stanco.

Edward annuì impercettibilmente, mentre cercava di restituire all’amico un sorriso, seppur tirato, ma tutto quello che riuscì a fare fu una smorfia stanca: “S..Si, tutto bene..” mormorò, scostando la coperta dalle gambe, “Sei sicuro? Comunque, mi hanno mandato a cercarti, è quasi ora di cena.” Parlò lui, cercando di aiutarlo ad alzarsi, “e poi, l’anestetico deve aver fatto ormai effetto.” parlò lui.

Edward chinò il capo: “Non ho fame, scusatemi…” sussurrò, stringendosi le gambe al petto, i piedi nudi poggiati sul parquet freddo, il viso voltato verso la finestra, “Non puoi non mangiare!!” esclamò stupito Kain, “Devi rimetterti in forze, sei ancora convalescente! Se non mangi, non riuscirai mai a riprenderti, vuoi per caso lasciarti morire?!” continuò il moro con voce incrinata, serrando con forza la spalla del più giovane tra loro.

Il biondo alzò il viso, puntando i suoi occhi dorati, opachi dalle lacrime, in quelli color onice del commilitone: “Non mi importa.” mormorò, poggiando il capo sulle gambe, “Non mi importa…” ripetè mesto, “Non voglio mangiare.” disse lui.

Si sentiva solo.

Aveva paura.

Tutto era accaduto troppo in fretta.

Voleva solo dormire e dimenticare.

Dormire e svegliarsi quando tutto fosse finito.

“Edward, ascoltami.”.

Fury si era tolto gli occhiali e lo guardava con aria seria: “Ed, quello che hai detto non è giusto. Come pensi che ci sentissimo se tu ti lasciassi morire? Come pensi si sentirebbe il Comandante? Non farti prendere dallo sconforto, ci siamo noi, non ti lasceremo da solo. Ti vogliamo bene, e abbiamo promesso di proteggerti e aiutarti. Non farlo, pensa al Fuhrer, che ci aspetta, non puoi mollare ora, lui ti aspetta.” parlò lui con voce pacata, “Edward, mi senti?” interloquì lui, vedendo la testa del Fullmetal ciondolare.

Il ragazzo si era assopito, l’anestetico aveva fatto il suo effetto.

Con delicatezza lo sollevò, passando un braccio del biondo dietro la sua nuca, il ragazzino dormiva tranquillo.

Con attenzione, i due entrarono nel piccolo bagno, i piedi nudi del minore sollevati da terra, sembrava un bambolotto.

Sempre tenendolo sollevato, aprì il getto d’acqua fresca, facendolo zampillare per qualche istante, prima di   spruzzargli sul viso qualche goccia d’acqua.

Bastò.

Edward si svegliò con un mugolio seccato, e spalancò i suoi occhioni dorati, di nuovo limpidi: “Ben svegliato, come stai ora? Ti sei ripreso?” gli chiese lui, poggiandolo coi piedi per terra; il biondo lo guardò con un leggero sorriso riconoscente, “Si, grazie… Hai ragione, sono stato stupido, non posso buttare via la mia vita così. Grazie Kain.” E finalmente il giovane alchimista sorrise, un sorriso sereno e colmo di speranza.

“Forza, torniamo indietro, è ora di cena.” affermò Fury, accompagnandolo fuori.

I due amici rifecero il corridoio all’inverso chiacchierando.

Improvvisamente, udirono una serie di urla e risate concitate provenienti dalla sala da pranzo: “Che diavolo stanno combinando di là?” interloquì dubbioso il moro, sistemandosi gli occhiali, “Non lo so, ma ho intenzione di scoprirlo.” ghignò il biondino, raggiungendo la sala.

I due misero la testa nel vagone: “Che diavolo succede qua dentro? Avete organizzato una festa e noi non ne sappiamo nulla??” sogghignò Ed; tutti i presenti si fermarono, Havoc si tolse rapidamente il grembiulone e la cuffietta, Hayate venne richiamato da Riza, permettendo così a Breda di scendere dal lampadario, Hughes riacchiappò una foto fuggiasca di Elycia, Falman alzò la testa dal libro che stava leggendo, Envy faceva l’equilibrista coi piatti e i bicchieri.

Ed e Fury erano senza parole; i due si guardarono negli occhi: “Sarà un lungo viaggio.”.

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“Ghh.”.

Con un gemito di dolore, il Comandante Supremo cominciò a riprendersi.

Si sentiva la testa dolorante e confusa.

“Ghh, che botta..” mormorò, mettendosi a fatica seduto e guardandosi attorno: tutto era buio, e lui si trovava seduto su una superficie fredda e dura, l’aria attorno a lui era fredda e umida; da qualche parte attorno a lui, si sentiva distintamente l’ululare del vento.

A tentoni, riuscì a mettersi in piedi, la testa gli girava terribilmente: “Dannazione, che male! Cosa vorranno da me questi tizi, come starà Ed…?” si chiese, reggendosi a una provvidenziale parete.

Improvvisamente, l’ambiente fu inondato da una fredda luce asettica, rendendolo visibile; abituatosi finalmente all’improvvisa luce, il Fuhrer potè guardarsi attorno comodamente.

Era in una strana stanza dai muri color verde acqua.

Il luogo era gelido, il pavimento lercio; sul soffitto, le luci al neon ronzavano insistenti.

Il tutto dava un senso di desolazione e morte.

Macchinari di ogni tipo erano accatastati qua e là, distrutti o inutilizzabili; una porta grigiastra coronava lo squallore di quel luogo.

Dinanzi a lui vi era una finestra dai vetri sporchi; con passo malfermo, il Comandante mosse qualche passo verso di essa reggendosi alla parete sino a raggiungerla ed aprirla: una folata di vento gelido lo fece rabbrividire.

Alla finestra vi erano delle spesse inferriate.

Il paesaggio desolato che si scorgeva oltre era una brulla brughiera, nebbiosa e ventosa; il cielo era solcato da nubi gravide di pioggia, il vento ululava violentemente tra i rami degli alberi e, in lontananza, si scorgeva una pianura.

Il cielo minacciava tempesta.

Con un sospiro, si richiuse la finestra alle spalle, doveva essere mattino presto.

In quel momento, udì il chiavistello della porta scorrere e il portone aprirsi con un cigolio sinistro: “Oh, benvenuto, vedo che finalmente ha ripreso i sensi, mio caro Fuhrer.”.

 

BUONASERA!

Rieccomi a voi col secondo, atteso capitolo di BACK TO THE EXPRESS.

Lo so, sono un po’ in ritardo ma questa volta mi sono fatta perdonare, no??

Specifico, KAIN E EDWARD SONO SOLO AMICI, NON PENSATE MALE!!

Giusto per non fare casini.

Questo capitolo è nato ascoltando una vecchia sigla di Cristina D’Avena, CANTIAMO INSIEME, mi ha dato una grossa mano.

Come sempre, Cristina D’Avena salva la pellaccia alla sottoscritta.

Chi sarà mai quel misterioso figuro a fine capitolo??

LO SCOPRIRETE NEL PROSSIMO!!

RINGRAZIO:

SHIKADANCE, ti voglio bene pazza collega!

ELISETTA, per la sua continua azione di supporter!

MAMY E PAPY, ormai indivisibili, vi adoro!!!

LIRIS, per la sua pazzia!!!

GRAZIE A TUTTE!!!

VI VOGLIO BENE!!!

AL PROSSIMO CAPITOLO, UNO DEI PIÙ IMPORTANTI!!

KISU!!!

SHUN

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Capitolo 4
*** CHI NO TETSUDOU ***


My Fic

CAPITOLO 3

CHI NO TETSUDOU

Il paesaggio desolato che si scorgeva oltre era una brulla brughiera, nebbiosa e ventosa; il cielo era solcato da nubi gravide di pioggia, il vento ululava violentemente tra i rami degli alberi e, in lontananza, si scorgeva una pianura.

Il cielo minacciava tempesta.

Con un sospiro, si richiuse la finestra alle spalle, doveva essere mattino presto.

In quel momento, udì il chiavistello della porta scorrere e il portone aprirsi con un cigolio sinistro: “Oh, benvenuto, vedo che finalmente ha ripreso i sensi, mio caro Fuhrer.”.

Una voce metallica e stridula lo costrinse a voltarsi, lentamente, il sangue improvvisamente raggelato nelle vene.

Una figura incappucciata, avvolta da un ampio e pesante mantello nero, era entrata silenziosamente nella stanza, accompagnata da due loschi figuri dall’aria truce, armati di fucili a canne mozze, lo sguardo di fuoco: il misterioso personaggio si muoveva silenziosamente, quasi fosse sollevato da terra. L’unica cosa che si udiva era come un rantolo, un sibilo.

La strana figura ammantata mosse qualche passo verso il Comandante, il volto completamente nascosto dal nero tessuto, quel penetrante sibilo che risuonava piano nell’aria.

Il moro si mise ritto dinanzi a lui, guardandolo fisso: “Chi sei, cosa vuoi da me?” interloquì con voce dura, cercando di mantenersi calmo; sentiva un sottile rivolo di sudore gelido scorrergli lungo la schiena e non poté fare a meno di rabbrividire, chi mai poteva essere? Perché provava una simile paura?

Il suo interlocutore lo fissò per un istante scrutandolo da sotto il cappuccio, poi scoppiò a ridere sguaiatamente: “Mio caro Fuhrer, o meglio, mio caro ex Taisa Mustang, ci sarà tempo per le spiegazioni, volevo solo assicurarmi che l’alloggio fosse di suo gradimento… Vedo che ha cominciato ad ambientarsi.” replicò quello con voce beffarda, “Non si preoccupi, non rimarrà solo troppo a lungo, glielo assicuro. Presto anche il Fullmetal Alchemist Edward Elric ci degnerà della sua quantomeno gradita presenza e pure i suoi fidati sottoposti saranno della partita.” commentò lascivo; il moro impallidì all’istante: “COSA VUOI FARE?? Non ti permetterò di toccarli!!” urlò furibondo.

Senza pensarci due volte, si scagliò con furia inaspettata sul nemico: “Chiunque tu sia, non ti permetterò di far del male a Edward o a qualunque dei miei uomini, è una promessa!! Fosse l’ultima cosa che faccio!”.

Il Comandante Supremo scattò in avanti; evitando con un salto uno dei tirapiedi dell’avversario, si lanciò contro l’antagonista, il suo pugno a pochi centimetri dal suo viso, un’espressione di furia dipinta sul proprio volto scarno.

Fu questione di un attimo.

Roy colpì in pieno viso l’avversario con furia.

L’inaspettato colpo del Fuhrer sorprese il nemico che fu scagliato lontano contro la parete; nella colluttazione, il cappuccio scivolò giù dal capo, mettendolo a nudo.

Un silenzio irreale cadde nella stanza, silenzio rotto da un sibilo furibondo, del tutto simile a quello di una caldaia a vapore, rivolto al moro.

Il Comandante boccheggiò, non credeva a quello che i suoi occhi gli mostravano, non voleva crederci, non poteva crederci.

Non era possibile.

“N..Non può essere…” mormorò scioccato, puntando un dito tremante verso la figura nemica che stava rimettendo a posto il cappuccio, “E invece si, mio caro Mustang.” rispose solo con voce divertita, “Vedo che non è cambiato per nulla malgrado gli anni, mi fa piacere. Spero che non si sia scordato di me.” ghignò lui; improvvisamente, il Fuhrer avvertì un fortissimo dolore al capo, per poi cadere privo di sensi sul pavimento lercio.

Dietro la sua figura esanime comparve uno dei due tirapiedi, che brandiva il canne mozze come una mazza: “Così ti passa la voglia di aggredire il capo.” disse con aria minacciosa, sputandogli addosso, “Che ne facciamo di lui?” domandò poi, puntando l’arma verso il corpo esanime del moro, “Portatelo nelle celle sotterranee e preparatevi a partire. Isaac e gli altri sono già in posizione, dovete raggiungere i vostri posti in tempo, sono stato chiaro? Dovete bloccare l’avanzata del treno.” ordinò lui, “Chiama Marc e dagli ordine di condurre il nostro gentile ospite nel suo nuovo alloggio.”.

Il sicario annuì e uscì di corsa.

Lo strano figuro si inginocchiò accanto a Roy e un sorrisino di scherno comparve sul suo viso nascosto dalla pesante stoffa: “Vedrà che bell’accoglienza abbiamo preparato per i suoi salvatori, non ne usciranno vivi.” ghignò prima di uscire, lasciando il Comandante riverso sul freddo pavimento.

Fuori, lo stridere morente dei gufi annunciò l’alba.

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“Allora, noi più o meno siamo in questa zona: per raggiungere il luogo dell’appuntamento dovremmo valicare con l’Express il passo Limes, percorrere una parte del territorio di Creta e infine rientrare nel nostro territorio, attraversare questa zona e da lì costeggiare il confine sino alle brughiere dell’Ovest e quindi le Rovine, è un brutto percorso, soprattutto in questa stagione, sui monti comincia a nevicare molto presto e non è detto che qualche fiocco raggiunga anche noi.”, “Sì, lo so che è rischioso, ma è la nostra unica possibilità. Hai detto che è il percorso più veloce e sicuro, giusto?”, “Si, in alternativa dovremmo costeggiare le montagne ed è un luogo impervio e deserto, potremmo anche dover abbandonare l’Express.”.

Edward si prese il mento con aria pensosa, spostando leggermente le gambe dalla scomoda posizione in cui si trovava da parecchio tempo: “Yawn …” sbadigliò profondamente il ragazzo, stiracchiandosi come un gatto, gli occhi lucidi dal sonno: lui, Envy, Riza, Lust e Hughes sedevano nella biblioteca illuminata dalle lampade sui tavolini, spulciando volumi e volumi, consultando cartine per organizzare un piano.

Era mattina presto.

Avevano passato ore che studiavano attentamente quelle carte, il pavimento era ingombro di volumi aperti, di vecchie carte militari, di fogli fittamente scritti; Ed e Lust discutevano animatamente sulla strada da percorrere, Riza e il tenente colonnello segnavano i possibili percorsi su una carta della zona che avevano spiegato sull’ampio tappeto. “Scusate, non potremmo passare attraverso questa linea qui?”.

La voce di Riza richiamò l’attenzione dei presenti: “Si potrebbe passare di qui, su questa vecchia carta militare è segnata un tratto segreto di ferrovia, probabilmente era usato in casi eccezionali. Potremmo seguire questo percorso, passeremo senz’altro inosservati, non possono conoscerlo, e conquisteremo un considerevole vantaggio no? E comunque ci risparmieremo il passo Limes, ho sentito che è molto impervio.” interloquì la giovane donna, “Si, hai ragione… Per di più, questa è una zona del tutto deserta, nella peggiore delle ipotesi incontreremo qualche carovana di cacciatori. Che ne pensate voi?”, Lust si rivolse a Edward, che guardava pensieroso dinanzi a sé, sembrava quasi non ascoltare.

La ragazza chiuse di scatto il libro, facendo sobbalzare il minore: “Edward, a cosa stai pensando?” chiese lei con tono indagatore, “N..No, nulla… Non preoccuparti Lust… Dicevi?” sorrise lui, sfregandosi gli occhi, “Dovresti andare a dormire un po’, non ci siamo fermati un istante da quando abbiamo iniziato.. Sei stravolto.” propose la ragazza con tono materno, guardando con preoccupazione gli occhi segnati del più giovane, “Ma io.. Sto benissimo, davvero…” provò a replicare lui, “Niente ma, fila nel tuo scomparto, ti verremo a chiamare noi per pranzo.” intervenne Riza con cipiglio severo, alzandosi in piedi; il biondo scrollò le spalle rassegnato e si mise in piedi a fatica, stiracchiandosi, “D’accordo…” mugugnò, afferrando la sua mantella, abbandonata in un angolo, “Se ci fossero novità, svegliatemi assolutamente, d’accordo?” disse serio il ragazzo, prima di uscire dalla biblioteca, le spalle coperte dal mantello.

Dopo qualche minuto, anche Lust si alzò: “Io vado a comunicare a Greed-kun la variazione di percorso, torno subito.” affermò lei, recuperando la mappa, “D’accordo! Noi intanto mettiamo  un po’ in ordine qui!” esclamò allegro Hughes, mettendosi alacremente all’opera.

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“Ehi, guardate! Siamo vicini al confine con Creta!”.

L’esclamazione di Kain richiamò l’attenzione del gruppo, che si voltò in simultanea verso i finestrini: fuori dal vetro scorreva un paesaggio selvaggio, alti alberi, una foresta che si estendeva a perdita d’occhio.

Il cielo plumbeo minacciava tempesta.

All’orizzonte si scorgevano alte montagne.

“Ecco, quello è il passo Limes.” spiegò Lust, indicando un punto in lontananza, “Avevi ragione Riza, non ricordavo fosse così impervio, deve essere già caduta la prima neve, le rotaie devono essere ormai coperte.” asserì la donna, “Per fortuna che abbiamo deciso di seguire questo percorso.” replicò Riza.

Improvvisamente si udì uno schianto e il treno cominciò a fermarsi con gran rumore di freni, facendo perdere l’equilibrio ai passeggeri, che furono sbalzati via; il vagone si inclinò pericolosamente, scivolando sulle rotaie con gran stridore metallico: “Che diavolo sta succedendo??” sbraitò Ed, sovrastando il rumore, aggrappato al tavolo per non cadere rovinosamente a terra, “Non so, non vedo nulla!! Greed, Pride!! Devo raggiungerli!!” urlò Lust, pallida, cercando di tenersi dritta, “No, dobbiamo restare uniti sorellina. Non preoccuparti per Greed-niisan e Pride-niisan, se la sanno cavare!” replicò Envy, afferrandola per un polso prima che cadesse; la folle corsa del vagone durò per alcuni angosciosi minuti poi tutto tornò tranquillo, lasciando il gruppo di amici frastornato a terra, il vagone raddrizzato.

A Edward non ci volle molto per capire.

E la consapevolezza di quello che stava per succedere lo colpì con la forza di un pugno.

“RAGAZZI! STATE BENE?” urlò lui, mettendosi in piedi a fatica; Envy mugolò e alzò la testa: “Sono stato meglio…” si lamentò, massaggiandosi la testa, “Qui tutto bene, nessun danno, siamo solo frastornati.” assicurò Riza dal fondo della sala, Hughes, Kain, Falman, Breda e Havoc erano con lei, “Che diavolo è successo??” esclamò pallida Lust, aiutata dal fratello, “Non lo so, c’è qualcosa di strano.” asserì Edward.

Improvvisamente si udì uno scalpiccio di piedi e dalla porta entrarono, terrei in volto, Pride e Greed; con uno sguardo, si assicurarono della situazione: “Ragazzi, come state?” chiese subito, sollevata, Lust, “Noi bene sorellina, eravamo preoccupati per voi. Qualcuno ha fatto saltare un pezzo di rotaia dinanzi a noi, per fortuna che ce ne siamo accorti in tempo, altrimenti non ce la saremmo cavata così bene.” spiegò Pride, “Saremmo anche potuti deragliare, andavamo troppo veloce, abbiamo dovuto tirare il freno d’emergenza.” continuò Greed; i militari si guardarono negli occhi, poi rivolsero uno sguardo al loro superiore, Edward tremava, i pugni stretti.

Hughes si avvicinò al ragazzo: “Ed, a cosa stai pensando?” provò a dire, ma il più giovane di loro si voltò repentinamente, lo sguardo di fuoco, “HUGHES, HAVOC, BREDA! AI FINESTRINI DI DESTRA! KAIN, FALMAN, RIZA, A QUELLI DI SINISTRA! LUST, METTITI AL SICURO! TRA POCO, QUI FARÀ MOLTO CALDO. GREED, PRIDE, TORNATE IN SALA MACCHINE, ” urlò il giovane, levandosi il mantello; tutti eseguirono senza fiatare, avevano capito. Edward guardò fuori dal finestrino, la via era libera: con agilità, si issò fuori dal vetro e si arrampicò sul tetto, sotto lo sguardo basito dei suoi commilitoni.

“Si farà ammazzare!” commentò agghiacciata Riza, distraendosi per un istante dalla sua postazione, “Non preoccuparti, ci penso io!” rispose Envy, afferrando le sue due pistole e infilandole nella fondina in vita, “Lo raggiungo, fate attenzione voi. Tenente, a lei il comando. Sorellina, va a nasconderti.” istruì il moro, prima di seguire l’esempio dell’amico.

I sei militari si guardarono in volto: “Ecco che cominciano i guai.” commentò Havoc.

In quel momento, una gragnola di colpi proveniente da un altura boscosa poco lontano da loro si abbattè con violenza sul treno, mandando in frantumi alcuni finestrini; Riza si mise subito al coperto, imitata dai suoi colleghi, “Non devono essere molto numerosi.” commentò lei, “Kain, tu e Falman non scopritevi troppo, tenente colonnello, lei e Breda copriteci. Jean, manovra di scudo 5, ok?” urlò lei, cominciando a rispondere al fuoco; il tenente non rispose, annuì solo.

Sul tetto, Envy e Edward colpivano precisi e implacabili tra gli alberi.

La battaglia era cominciata.

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“Isaac, Marc! Manovra di accerchiamento, dobbiamo fare come ci ha detto il capo, spaventarli, ma non ucciderli.”.

Un uomo di mezza età, tarchiato, sedeva su uno spunzone di roccia posto sulla collinetta, fumando una sigaretta, un fucile ai suoi piedi; dopo aver aspirato una boccata di pestilenziale tabacco, si rivolse a un giovane uomo in piedi accanto a lui, “Isaac, tu e Marc dovrete accerchiarli, non fatevi notare, mi raccomando, e soprattutto, non uccideteli. Ci sarà tempo più avanti, mi sono spiegato??” sbraitò col viso rosso; l’altro non rispose, annuì solo e, sistemato il fucile sulla spalla, si apprestò a scendere, seguito da un coetaneo dai lunghi capelli biondo platino.

I due sparirono tra i rami, protetti da una nebbiolina che a poco a poco stava calando su di loro.

Dopo un ultima aspirata, l’uomo tarchiato buttò a terra la cicca ancora accesa e la schiacciò col tacco dello stivaletto: “Sospendete il fuoco.” ordinò.

Tutto cadde nel silenzio, nell’aria, solo un odore penetrante di polvere da sparo.

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“Ehi, sbaglio o hanno smesso di sparare?”.

Fury si rialzò dalla sua posizione, scrutando con occhio critico l’ambiente circostante, sistemandosi gli occhiali di traverso: “Hai ragione, hanno smesso, ma non possono essersene andati… C’è qualcosa che non mi convince…” meditò Falman, rassettandosi la divisa, “Poche chiacchere. Tenente colonnello, venga con me.” ordinò Riza, sistemandosi la pistola nella fondina e sgattaiolando fuori dal finestrino, “Ragazzi, pregate per noi.” bisbigliò il moro, seguendo la giovane donna fuori; la nebbia che era calata repentinamente li celava alla vista di eventuali cecchini appostati, ma nascondeva ai loro sguardi anche gli eventuali nemici.

I due commilitoni si muovevano guardinghi, attenti e tesi a ogni rumore.

Improvvisamente, la giovane tenente estrasse dalle fondine le sue pistole con la rapidità di un lampo e sparò alcuni colpi verso la macchia.

Un istante dopo, un uomo rotolò giù dal lieve pendio.

I due lo raggiunsero con prudenza, le pistole pronte a far fuoco; il moro poggiò due dita sulla carotide del nemico, mentre la cecchina esaminava il terreno.

Hughes rabbrividì: “è morto. L’hai colpito in pieno petto.” constatò lui, “Ce n’era un altro.” replicò seria lei, guardandosi attorno con aria attenta, “Ci sono le tracce di due paia di stivali.”.

Un brivido freddo li colse, inaspettato e feroce.

In un attimo, capirono.

Si guardarono in viso e come un sol copro spiccarono una corsa verso il treno: “EDWARD!!” urlarono.

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“Ehi, secondo te se ne sono andati?” interloquì a bassa voce Ed, rivolgendosi a Envy, pancia a terra sul tetto, “No, devono essere ancora qua attorno..” soffiò l’investigatore, guardando attentamente oltre la nebbia, gli pareva di scorgere qualcosa…

Improvvisamente, udì come un rumore di passi dietro di loro.

Si rizzò improvvisamente a sedere, girandosi di scatto.

Una canna lucente sbucò repentina dalla coltre nebbiosa, puntava su Edward.

Con un urlo, si gettò sul ragazzo, facendogli scudo.

Si udirono due spari ravvicinati, quasi contemporanei.

Ma non sentì alcun dolore.

Confuso, si sporse dal tetto.

Riverso a terra, vi era un uomo ormai cadavere.

In ginocchio accanto a lui, Jean, il braccio destro ferito.

Edward riuscì a liberarsi dalla presa dell’amico e si sporse a sua volta; impallidì alla vista di quel cadavere e della ferita del commilitone.

Con un urlo, cadde svenuto.

SALVE A TUTTI!!

BUONASERA!

Anzi, direi più buonanotte.

Sono tornata!!! Shun sta proseguendo coraggiosamente la sua fic tra mille difficoltà.

Beh, che dire, sono iniziati i guai per i nostri amici.

Primo agguato, primo di tanti.

E cosa è successo a Jean??

Lo so, è molto breve come capitolo, nemmeno 8 pagine, ma prometto che il prossimo verrà molto presto!

Ho poco tempo, perciò vorrei ringraziare di tutto cuore LIRIS, ELISETTA, SHIKADANCE, BG-OKAASAN per l’aiuto, AMBRITA per la betatura (ormai è il suo lavoro, XD, è sempre molto gentile con me!) e tutti i miei sostenitori. Grazie anche a nanachan per le letture in notturna!

UN GRANDE GRAZIE ANCHE A ELY-OTOUSAN, che ho bellamente scordato di includere per disattenzione!!!

SPERO CHE VI SIA PIACIUTO!!

UN BACIONE!

SHUN

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Capitolo 5
*** FRAGILITÀ DI BAMBINO ***


My Fic

CAPITOLO 4

FRAGILITÀ DI BAMBINO

Riverso a terra, vi era un uomo ormai cadavere.

In ginocchio accanto a lui, Jean, il braccio destro ferito.

Edward riuscì a liberarsi dalla presa dell’amico e si sporse a sua volta; impallidì alla vista di quel cadavere e della ferita del commilitone.

Con un urlo, cadde svenuto.

Riza sbucò dal bosco seguita dal tenente colonnello; bastò uno sguardo per accorgersi di quel che era successo e in un istante raggiunse il marito: “Jean, tutto a posto?” chiese preoccupata lei, strappando un lembo della mantella che teneva sulle spalle per medicarlo, inginocchiata davanti a lui, “Io sto bene, è solo un graffio. Edward..? Non è stato preso, vero?” chiese, stringendo i denti per il leggero dolore, cercando con lo sguardo l’antennina bionda del loro “superiore”. Riza scrollò le spalle in un chiaro segno di inconsapevolezza, continuando a medicarlo.

“Ehi, Envy-chan, tutto ok lassù?” urlò Maes avvicinandosi al vagone, cercando di distinguere le figure dei due amici tra la nebbia.

Envy balzò giù dal tetto, recando in braccio Ed.

Havoc ebbe un sussulto e si rizzò in piedi, malgrado il dolore al braccio, e così anche Riza: “è stato colpito?” chiese lui preoccupato, ma Envy scosse il capo, “Ti ha visto a terra.” spiegò semplicemente, il viso privo di espressione, gli occhi lucidi, “Penso che ti abbia creduto ferito gravemente, se non morto.” aggiunse, inginocchiandosi e poggiandolo a terra; il tenente si avvicinò al più giovane tra loro, accorgendosi con stupore che una lacrimuccia lucente era scivolata piano giù dalle palpebre chiuse del biondino, stava soffrendo molto.

Ignorando le proteste dell’arto offeso,  scostò gentilmente il detective e prese in braccio il ragazzino, portandolo al sicuro nel vagone; i tre erano senza parole, come mai si comportava così?

“Jean è cresciuto all’Est, durante la guerra civile, anche se era solo una recluta. Ha visto morire tante persone a cui voleva bene, persone che aveva promesso di proteggere. Deve essersi spaventato molto quando ha visto Ed svenuto. Cosa è successo?”.

Hughes, Riza e Envy si voltarono.

Falman era sceso dal vagone e veniva verso di loro.

“Tutto a posto dentro?” chiese subito Riza, “Si, stiamo tutti bene, non ci sono stati grossi danni, in un paio di giorni dovremmo ripartire. E voi? Cosa vi è accaduto?” domandò lui, rassettandosi un poco.

I tre si guardarono: “Ve lo spiegheremo dopo, ora rientriamo, dobbiamo sistemarci. Per stanotte, dormiremo qui.”.

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Quando Roy riaprì gli occhi, si ritrovò in un posto bianco, illuminato di fredde luci al neon: le mattonelle, i muri, tutto era di candido colore, e lo sentiva tremendamente opprimente.

Era solo.

Si trovava sdraiato su una branda scomoda in metallo, la testa confusa e dolorante; con un gemito, cercò di mettersi seduto, ma un improvviso capogiro lo fece ricadere sullo scomodo giaciglio.

“Dannazione.. Dove diavolo mi hanno portato…?” mugolò, guardandosi attorno; in Accademia gli avevano insegnato di fare sempre molta attenzione all’ambiente circostante in caso di pericolo, perché poteva salvargli la vita.

E lui aveva fatto proprio quell’insegnamento di vita.

Una piccola finestrella che dava sull’esterno gli mostrò una porzione di cielo plumbeo, gravido di pioggia.

Fuori, sentiva il vento mugghiare e lamentarsi.

Dopo qualche minuto, si sentì abbastanza in forze per ritentare di mettersi seduto; riuscito a fatica nel suo intento, si mise a riflettere sulla sua condizione.

Tutta quella storia gli pareva così assurda.

“Non è possibile, deve essere morto, come ha fatto a sopravvivere, come diavolo ha fatto quell’essere?” si ripeteva come una cantilena, il viso coperto dalle mani tremanti; il ricordo di ciò che era accaduto qualche ora prima era tornato prepotentemente: “Chissà come stanno gli altri… Quel bastardo ha detto che presto saranno qui, perciò sono ancora vivi. Ma in che condizioni? Sono liberi oppure prigionieri?” si lambiccò preoccupato, “E se… No, non è possibile… E se fosse così? Se stessero venendo qui di loro spontanea volontà, per salvarmi? Non potranno mai farcela..” realizzò spaventato, torcendosi le mani, “Sicuramente è così… Edward è troppo testardo per non fare un colpo di testa simile, e gli altri lo avranno di sicuro seguito, per evitare che si cacciasse nei guai… Diamine, devo impedire a questi pazzi di fargli del male!” risolvette, mettendosi in piedi con un balzo.

“Già, ma come?” pensò, grattandosi il mento pensieroso.

In quel momento, qualcuno bussò alla porta.

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L’allegro scoppiettio del fuoco rompeva il silenzio innaturale della fredda notte.

Tutto era tranquillo.

Di tanto in tanto, l’ululato di qualche lupo affamato oppure il bubbolare di qualche gufo risuonavano nella notte nera, rischiarata debolmente dalla luce del bivacco.

Una figura snella sedeva su un ceppo dinanzi al focolare, lo sguardo vacuo perso tra le fiamme, le mani intrecciate tra loro e poggiate sulle ginocchia; sembrava assorta nei propri pensieri, completamente fuori dalla realtà, persa in un sogno a occhi aperti.

Sembrava incantata dalla danza leggiadra delle fiamme.

Una voce stanca incrinò la calma oscura della notte, sembrava quasi un sussurro: “Edward, sei ancora qui? È tardi, dovresti essere a riposare già da ore…”.

La figura si girò di scatto.

Al riverbero del fuoco, poggiata al vagone, scorse una figura alta dai folti capelli sbarazzini: “Ci sono Riza e Envy di guardia, non è necessario che tu resti qui.” continuò, avvicinandosi lentamente a lui; a mano a mano che si accostava al focolare, riuscì a distinguerne il viso, “Dovrei dire la stessa cosa io a te, Jean. Cosa ci fai in piedi?” interloquì Ed, tornando a fissare la danza delle fiamme.

Il biondo non rispose, si limitò a raggiungerlo e a sedersi sul tronco accanto a lui, accendendosi una sigaretta. Il biondo lo guardò storto mentre aspirava una boccata di fumo; i due amici rimasero in silenzio a lungo, persi ognuno nei loro pensieri.

“Come stai? Ti fa ancora male il braccio?”

A sorpresa, fu Ed a rompere la calma della notte, la voce piccola e roca, le braccia strette attorno alle ginocchia.

Havoc lo guardò sorpreso ma non disse nulla, continuò a fumare per qualche istante ancora; poi, sospirò: “Non è nulla, davvero, è solo un graffietto. La pallottola mi ha preso di striscio.” rispose lui.

Altra lunga pausa di silenzio da parte del più giovane.

“Scusami, è solo colpa mia…” sussurrò con voce incrinata il Fullmetal, nascondendo il viso tra le gambe, “Cosa stai dicendo?” pronunciò l’altro, inarcando dubbioso un sopracciglio, “Se ti hanno ferito, è solo colpa mia, che vi ho trascinato in questa assurdità, quanto tempo passerà prima che tutti finiate male, e solo per seguire me. Avrei dovuto oppormi quando ne avevo la possibilità…” affermò duro Ed, ma i suoi occhi tradivano il dolore e la tristezza che si celavano nel suo animo di fragile bambino, bambino cresciuto troppo in fretta.

Jean si levò la sigaretta dalla bocca e la spense sotto il tacco: “Sono cresciuto in un piccolo paesino dell’Est, martoriato dalle guerre. Fin da bambino, volevo seguire la carriera militare, per poter proteggere i miei amici e le persone a cui tenevo da quelle assurde battaglie; ma un giorno, mentre tornavo a casa, scoprii che il mio paesino era stato messo a ferro e fuoco.” parlò piano il tenente, aspirando una nuova boccata di fumo, “la mia famiglia fu spazzata via, e così i miei amici. Mi ritrovai solo, e decisi così di perseguire il mio sogno di diventare un militare, per avere la forza di proteggere chi mi sta a cuore. Sapevo benissimo in che guai mi sarei ficcato nell’inseguire il mio obiettivo, eppure, per quell’antico sogno, e quella promessa che mi feci, ora sono qui e la manterrò, fosse l’ultima cosa che faccio.” pronunciò tranquillo, lo sguardo rivolto al cielo trapunto di stelle. Edward, a quelle parole, si rizzò in piedi: “è una follia, come puoi parlare con tanta leggerezza della tua vita?? Come puoi??” urlò il ragazzo, le lacrime agli occhi.

Per tutta risposta, il tenente si alzò a sua volta, guardandolo negli occhi con un benevolo sorriso: “Perché non voglio perdere ancora la mia famiglia, non voglio di nuovo restare da solo come un tempo. Voi siete la mia famiglia.” disse, tornando a fissare incantato il cielo stellato, “E farei di tutto per non lasciarvi.” disse semplicemente.

Il corpo del più giovane, a quelle parole così dense di affetto disinteressato, fu scosso da irrefrenabili singhiozzi, le lacrime che ormai scorrevano copiose; in un istante, il ragazzo, tremando violentemente, lo abbracciò forte: “Sigh… M... Mi dispiace…” riuscì a dire solo, stringendo l’amico più grande, che ricambiò la stretta con un sorriso.

Restarono così a lungo, i singhiozzi del biondino erano l’unico suono che rompeva la quiete della notte.

Una volta calmatosi Ed, il tenente riprese a parlare: “E ora, vediamo di salvare il Comandante da questa manica di pazzi assassini, ok? E soprattutto, fila a dormire, non si combatte mezzi addormentati!” esclamò lui, mettendosi in bocca un’altra sigaretta.

Edward scoppiò a ridere sollevato.

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Ben presto la notte lasciò il posto all’alba e al giorno.

Un suono cristallino risuonò limpido nell’aria pura e frizzante del mattino e l’Amestris Express cominciò a risvegliarsi; i membri del Team uscirono fuori dal vagone, dopo una lunga notte di dormiveglia.

Lust era già fuori a preparare la colazione assieme a Riza, reduce dal turno di guardia ma affatto stanca: “Buongiorno neesan! Riza-san!” salutò allegro Envy, sbadigliando vistosamente, balzando giù dal vagone, “Buongiorno otooto-kun, la colazione è quasi pronta, và a chiamare gli altri.” sorrise lei, terminando gli ultimi preparativi, “Oggi sistemeremo l’Express e poi ripartiremo.” disse solo Riza, sistemando le stoviglie su alcuni ceppi.

Qualche minuto dopo, tutti gli occupanti del vagone scesero, più allegri e rincuorati del giorno precedente e presero posto sui ceppi, chiacchierando e ridendo, anche Jean, la cui ferita ormai era in via di guarigione, sedeva tra i suoi amici, scherzando con Breda.

Tutti erano più fiduciosi.

Pride e Greed furono gli ultimi a sedersi; subito, cominciarono a guardarsi attorno con aria perplessa: “Ragazzi, che succede?” chiese Kain, aiutando le due donne a servire la colazione, “Non vi sembra manchi qualcuno?” interloquì Pride, “Già, dov’è finito Edward?” continuò il fratello, scrutando tutti i presenti; solo in quel momento si accorsero che effettivamente non si vedeva l’alchimista da nessuna parte.

Improvvisamente si udì un gran rumore di passi in corsa dal vagone e di volata uscì una saetta bionda dallo svolazzante mantello; con una capriola rotolò sul terreno e si rizzò di scatto in piedi, ansante e scarmigliata: “Scusate il ritardo, ero in biblioteca.” si grattò la bionda testolina Ed, scatenando il riso generale, “Non preoccuparti, vieni a sederti, forza!” lo invitò Maes, facendogli cenno di raggiungerlo.

La breve colazione si svolse in gran tranquillità, tra le chiacchiere piacevoli dei commensali.

Una volta finito di mangiare, Envy e Riza illustrarono ai compagni quello che c’era da fare: “Bene, allora ci possiamo organizzare così, io, Lust, Pride e Greed ci occuperemo di tracciare il nuovo percorso, il tenente colonnello e Envy si occuperanno di sorvegliare la zona per evitare nuovi agguati, gli altri si occuperanno di rimettere operativo il treno.” spiegò spiccia la ragazza, ripiegando un foglio fittamente scritto, mentre il piccolo Black Hayate le scodinzolava felice attorno; lei gli si inginocchiò davanti con un sorriso: “Tu piccolo andrai con Envy-chan e lo aiuterai, d’accordo?” si raccomandò lei; il cucciolo sollevò una zampetta e la poggiò sulle ginocchia della padroncina, abbaiando e scodinzolando.

Ed si levò il mantello, piegandolo con cura e poggiandolo sul ceppo lì vicino; sogghignando, il ragazzino si scrocchiò le dita: “Forza, cominciamo?”.

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In quel momento, qualcuno bussò alla porta.

Roy scattò istintivamente in piedi, guardando la porta; si mise in guardia.

Quella si aprì con un cigolio sinistro.

Il Comandante si mise in guardia, pronto a reagire: “Eh no, se volete toccare i miei uomini, prima dovrete passare sul mio cadavere, non vi farò fare quello che volete!” riflettè, lo sguardo duro; ma da quella porta non entrò chi si aspettava.

Anzi, tutt’altro.

Dinanzi a lui v’era un ragazzo, della medesima età circa di Edward, capelli bruni spettinati; indossava una vecchia e logora divisa militare, troppo larga per lui.

Il suo viso aveva un espressione dura ma i suoi occhi erano colmi di malinconia e tristezza.

I loro sguardi si incrociarono per un istante, e  per quel medesimo attimo, il viso di Ed si sovrappose a quello del ragazzo davanti a lui, erano molto simili.

Per Roy, fu una nuova stilettata al cuore.

Il ragazzo non disse nulla, si limitò ad avvicinarsi a lui con passo lento e sguardo fisso sulla sua figura.

Roy stava ritto in guardia, non si fidava: “Chi sei? Cosa volete da me?” ringhiò con tono feroce, “non vi è bastato rapirmi?”, aveva riacquistato tutto il suo sangue freddo e la sua autorevolezza.

Era tornato il Fuhrer Mustang, la persona più potente di Amestris, il Flame Alchemist che tutti ammirano per la sua determinazione.

I suoi occhi ardevano nuovamente di quella luce e quella forza che lo aveva contraddistinto sui campi di battaglia di mezzo Paese, che gli aveva permesso di diventare quel che era.

Quello sguardo che aveva incantato tutti.

Quello sguardo che apparteneva solo ed esclusivamente al Fullmetal Alchemist.

Quello sguardo la cui fiamma si sarebbe spenta solo con la morte e che sarebbe vissuta in eterno.

I due si trovarono uno dinanzi all’altro, la tensione nella stanza tangibile, quasi palpabile; nessuno dei due voleva aprire bocca.

Era una situazione di stallo, pericolosa.

Il Fuhrer strinse i pugni, quel ragazzino aveva la stessa età del suo Edward, così giovane e già asservito a un mondo di guerre e dolore: “Sei un bastardo… Servirsi di un ragazzo per i tuoi progetti meschini è da barbari. Te le farò scontare tutte le tue carognate, te lo giuro, anche a costo di rimetterci la vita.” pensò furente, non potendo trattenere un moto di stizza.

Quello sguardo sofferente lui lo conosceva bene.

Tante erano state le notti passate a fingere di dormire, per poi guardare il proprio compagno far vagar lo sguardo fuori dalla finestra, rivolto al cielo, uno sguardo malinconico e colmo di dolore.

Ma senza una lacrima.

Sena mai versar lacrime.

Solo con il dolore nel cuore e negli occhi.

Il brunetto si avvicinò ancora e tese una mano al Comandante: “Io sono Eric e sono qui per aiutarla.”.

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“EHI, ED! QUI ABBIAMO FINITO!!”.

“ANCHE QUI, TUTTO OK! PUOI PROCEDERE!”.

“D’ACCORDO! ALLORA ADESSO TOCCA A ME!! SPOSTATEVI!”.

Una luce azzurra illuminò la foresta per qualche attimo, poi un gran fragore risuonò nell’aria, seguito da urla di giubilo: “Evviva! Possiamo ripartire!! Finalmente!!”.

Nella radura, un ragazzo biondo ansimava, tutto sudato ma con un sorriso compiaciuto dipinto sul viso sporco di grasso e olio di motore: “Pride, Greed, come procede?” urlò.

In lontananza si udirono delle voci: “Lavoro perfetto, possiamo ripartire anche subito!”.

L’Amestris Express fischiò gioioso, annunciando l’imminente partenza.

La locomotiva era sotto pressione, la caldaia era in pieno regime.

Tutto era pronto.

Riza si affacciò dal finestrino: “FORZA! SALITE A BORDO, SI PARTE! IL COMANDANTE CI STA ASPETTANDO!! NON VORREMMO FARLO ASPETTARE, NO?”.

Tutti annuirono e salirono a bordo.

Con un nuovo penetrante fischio il treno cominciò a muoversi.

Edward si affacciò al finestrino, guardando intensamente il cielo nuovamente azzurro: “Resisti Roy, ti stiamo venendo a prendere. Aspettaci, arriveremo presto, è una promessa.”.

Il treno si allontanò a tutta velocità.

Erano di nuovo in gioco.

Erano di nuovo in viaggio.

 

BUONASERA!

RIECCOMI A VOI!!

Sono stata veloce a postare, vero??

Beh, capitoletto corposo, no? E pieno di sorprese interessanti!

Ci ho messo molto a scriverlo, è stata una sofferenza indicibile!

Però sono qui, è questo quello che conta!

DEVO RINGRAZIARE DI CUORE TUTTI I MIEI LETTORI, MI FA PIACERE CHE MI SIATE COSì FEDELI!!

Grazie a Liry-chan, che mi ha sopportato per lunghe serate, a Shikadance, che mi ha “sgamato” e che mi aiuta sempre tanto, a ELISETTA, per essere fedele e per supportarmi sempre!

E NATURALMENTE GRAZIE A MAMY E PAPY, I VERI PROTAGONISTI DI QUESTA STORIA!

GRAZIE A PAPY ROY E MAMY ED!

CIAOOOOO

BUONANOTTE!!

UN BACIONE E ALLA PROSSIMA!

SHUN

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Capitolo 6
*** VOGLIO AIUTARLA ***


CAPITOLO 5

VOGLIO AIUTARLA

Il treno si allontanò a tutta velocità.

Erano di nuovo in gioco.

Erano di nuovo in viaggio.

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Il brunetto si avvicinò ancora e tese una mano al Comandante: “Io sono Eric e sono qui per aiutarla.”.

Roy inarcò dubbioso un sopracciglio, guardando ora il ragazzo ora la mano tesa dinanzi a lui, in silenzio; passarono lunghi istanti di angosciosa attesa poi il Fuhrer alzò il braccio e strinse la mano del più giovane.

“Chi sei? Perché vuoi aiutarmi?” gli domandò poi il moro, scrutandolo con occhio critico; il giovane sospirò e gli fece cenno di risedersi sulla branda: “Non è il caso che lo sappia adesso, presto le spiegherò tutto. Sappia solo una cosa, io non sono contro di lei, e nemmeno contro la sua squadra, solo, non voglio continuare a vivere in questo modo.. La prego, mi porti via con lei.. Voglio tornare a Central City e ritrovare mia madre…” sospirò il ragazzo, con una voce sottile e incrinata, il capo abbassato.

In quel momento, a Roy pareva quasi di avere davanti Edward, il suo Edward.

Il cuore gli si strinse come in una morsa.

Non capiva perché, ma sentiva di potersi fidare di quel ragazzino, c’era qualcosa di familiare nel suo sguardo.

“D’accordo, ma ti prego, non piangere… Scapperemo di qui assieme, e tu ritornerai a casa, è una promessa.” sorrise intenerito il Fuhrer; il giovane sollevò il volto, rincuorato, “Grazie… Senta, tra poco dovrò partire, il capo ha deciso di attaccare personalmente. Mi ascolti attentamente, da quello che ho capito stanno venendo qui a bordo di un treno, le dice nulla?” parlò febbrilmente il bruno; Roy sgranò gli occhi e si rizzò in piedi: “L’Amestris Express.. Devono aver preso quello! Dannazione! Se così fosse, saranno sicuramente passati dalla pista militare che conduce a Creta, Riza la conosce; sicuramente Lust avrà evitato il passo Limes e ora chissà dove sono, hai qualche altra informazione?” domandò preoccupato lui, torcendosi le dita, “Si, una squadra di montanari li ha attaccati all’altezza del passo ma sono riusciti a scappare. Ora, se tutto va bene, saranno in piena Creta.” riferì lui, “Non si preoccupi, vado io. Tra due giorni ci sarà l’attacco, farò di tutto per aiutare i suoi uomini.” aggiunse poi con un sorriso.

Stava per uscire quando la voce del Comandante lo fermò: “Aspetta un attimo.”.

Il bruno si girò, trovandosi a pochi centimetri dagli occhi penetranti del moro; egli si tolse qualcosa dal dito e lo pose nel palmo della mano del ragazzo: “Ti prego, cerca di dare questi al Fullmetal Alchemist, fagli sapere che sto bene.” quasi lo supplicò l’uomo, sfilandosi anche uno dei guanti e consegnandoglielo.

Alla luce asettica del neon, la fede riluceva come un piccolo Sole.

Il ragazzo strinse il pugno e fece poi scivolare l’anello nel taschino della divisa con un sorriso: “Certo, farò il possibile.” lo rassicurò lui, “Fa attenzione.” sussurrò il moro.

Eric ridacchiò: “Non c’è problema.”.

E il ragazzo uscì.

E nel cuore del Fuhrer rinacque la speranza: “Edward, presto potrò riabbracciarti, aspettami.”.

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“ETCHUM!!”

Un sonoro starnuto scosse il gruppo di militari riuniti per cena nel vagone ristorante.

Tutti gli sguardi volarono a una figuretta dalla lunga treccia col naso gocciolante a capotavola, che tossicchiava; Breda sghignazzò sotto i baffi, beccandosi un occhiata di disappunto da parte del biondo superiore che tentava di asciugarsi il naso arrossato.

Lust, seduta affianco a lui, si sporse un poco, passandogli la mano sulla fronte: “Ed, non ti sarai mica preso il raffreddore?” interloquì lei, “Sniff.. Forse..” rispose lui, soffiandoselo, con un aria davvero tenera dipinta sul visetto imbronciato, “Sei proprio un pasticcione!” rise Envy, trascinando tutti quanti.

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“ERIC!”.

La voce metallica del capo tuonò nell’ingresso buio, rimbombando minacciosa ovunque.

Il ragazzo si fece subito avanti: “Eccomi capo.” disse solo, portandosi dinanzi alla figura ammantata, “Tu sarai sulla camionetta di testa come vedetta, chiaro??” ordinò duro, “Sissignore!”.

La figura ammantata volse il viso.

“Andiamo.”.

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Due giorni dopo, il treno si svegliò avvolto da una coltre di fitta nebbia.

Erano ormai tre giorni che viaggiavano nel territorio desolato di Creta, attraverso lo stretto canyon che delimitava il confine con Amestris; attorno a loro, gli alti pinnacoli di roccia granitica si chiudevano minacciosi su di loro.

Tutto era avvolto in un irreale silenzio, rotto solo dal ritmico e continuo rumore prodotto dal treno; anche nel vagone principale l’atmosfera non era delle più allegre, tutti quanti erano silenziosi e abbacchiati, Hayate era parecchio nervoso, ringhiava perfino a Kain.

Qualcosa non andava.

Dal finestrino, Ed e Envy scrutavano attentamente le rocce circostanti, era il posto ideale per un agguato: “Non mi piace… Sono già cinque giorni che non si fanno vivi, non è possibile che abbiano gettato la spugna.” ringhiò nervosamente il biondo, stringendo il pugno dell’automail, “Non ci lasceranno superare questo canyon indenni, dobbiamo tenerci pronti.” ordinò ai suoi uomini riuniti lì, “Questa attesa è snervante, Ed... Quando pensi che attaccheranno?” domandò Falman, avvicinandosi al finestrino, “Non lo so, ma sicuramente presto.” rispose a mezza voce il biondo, afferrando le pistole che Riza gli passava; Envy sospirò, “Edward ha ragione, attaccheranno. Guardate il cucciolotto come è agitato, sente qualcosa.” constatò il detective, sporgendosi leggermente dal finestrino.

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“Sheska-san, qualche notizia?”

“No, Al-kun, nessuna purtroppo… Ma continuo a cercare.”

“Ok, tienimi informato, d’accordo?”

“Certo!”.

Un ragazzo dai capelli biondi legati in una coda girellava nervosamente per l’ufficio amministrativo del Team del Fuhrer Mustang, guardando ansiosamente la porta appena richiusasi dietro la giovane dai capelli rossi.

Era terribilmente preoccupato.

“Niisan, che diavolo vi è successo? Dove siete finiti?” mormorò tra sé e sé, passandosi una mano sul volto stanco e segnato da troppi giorni privi di riposo.

Era più di una settimana che il Fuhrer, il suo Team e il giovane Fullmetal Alchemist erano spariti nel nulla; il Quartier Generale era nell’agitazione più totale, nessuno aveva notizie.

Il giovane Alphonse Elric era il responsabile delle ricerche.

Improvvisamente, la porta si aprì nuovamente e nell’ufficio entrarono due soldati, una giovane donna e un ragazzo; l’Elric minore gli andò incontro: “Sottotenente Ross, qualche novità?” chiese alla donna, “Si, una centralinista ha ricevuto una telefonata una settimana fa da South City a quanto pare era un ragazzo colui che ha chiamato, cercava il Fuhrer e sembrava anche piuttosto agitato. Qualche minuto dopo, lei ha visto il Comandante correre via con il Team al completo e prendere le auto. Abbiamo controllato, sono nel parcheggio della stazione.” narrò lei, lo sguardo ansioso, “Alphonse-kun, c’è un'altra cosa. Qualche giorno prima della sparizione del Comandante, dal Tribunale è stato mandato un giovane detective proprio a South City per indagare sugli assalti ai treni merci, ma anche di lui non c’è più traccia.” continuò piatto il giovane.

Il biondo alzò lo sguardo, incrociando quello del sottotenente Brosh: “Allora? Chi è?” incalzò l’Elric, guardando alternativamente prima l’uno poi l’altra.

“Envy-chan”.

Nell’ufficio cadde un silenzio gelido.

“A quanto pare, è stato proprio Envy a chiamare dall’ospedale di South City. Non è chiaro il perché ma da quel momento in poi, le tracce di tutti sono sparite, tutti coloro che hanno avuto a che fare con l’Amestris Express sono scomparsi nel nulla.” aggiunse con voce tremula il sottotenente biondo, torcendosi le dita.

Per Al fu come se il mondo gli fosse crollato addosso.

Ebbe un violento capogiro e una fitta al capo.

Udiva le voci ovattate e la vista gli si annebbiava.

In un istante, il buio lo avvolse.

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“Eric, a te affido il comando della squadra d’attacco.”.

La figura ammantata diede ordini al giovane brunetto seduto su una roccia accanto allo strapiombo, che teneva d’occhio la sagoma fumosa e indistinta del treno che si svolgeva nella nebbia; lui si rizzò in piedi: “Si, capo.” rispose solo, non staccando lo sguardo dal mezzo che si muoveva leggiadro a qualche metro sotto di loro, scoccando di quando in quando occhiate verso i suoi uomini.

Un trucco vecchio ma efficace era quello che avrebbero impiegato.

Dovevano bloccare il treno prima di tutto.

Una frana era la soluzione migliore.

“Ragazzi, quando vi do il segnale, cominciate a lanciare.” sussurrò il brunetto, stringendo in una mano il kunai; in tasca, assieme alla piccola fede dorata, aveva il guanto.

Avrebbe mantenuto la sua parola a ogni costo.

Glielo doveva a quell’uomo.

Non si meritava di soffrire in quel modo.

Per una stupida vendetta di un fantasma del passato.

Il ragazzo sospirò impercettibilmente, socchiudendo per un istante gli occhi.

Per poi riaprirli, ora carichi di una nuova determinazione.

“ORA!” ordinò.

Le pietre cominciarono a rotolare giù dal pendio con gran fragore.

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“CI ATTACCANO!!”

Il grido di paura di Lust scosse Edward dalle fila dei suoi pensieri; alzando il capo, si ritrovò nel bel mezzo dell’inferno: le pietre piovevano da ogni parte, il fragore era assordante.

“LUST! AL RIPARO! RIZA, A TE IL COMANDO!” urlò furibondo il biondo, correndo al finestrino.

Con uno scatto, si arrampicò fuori, issandosi sul tetto.

Le pietre rotolavano attorno a loro, mancandoli il più delle volte, la nebbia li favoriva.

Provenivano dalle rocce sopra di loro.

Con un ghigno soddisfatto, il biondo batté le mani.

Una luce azzurro intenso avvolse il treno, inglobandolo in una cupola protettiva; i passeggeri del treno erano confusi e impauriti, cosa stava accadendo?

Improvvisamente, udirono il grido di dolore di Ed e la sua voce: “RAGAZZI!! USCITE DI QUI!”.

Senza farselo ripetere, il militari si lanciarono fuori dal vagone, le pistole estratte.

Il biondo balzò giù dal tetto, il viso pallido; tutti gli furono attorno: “Ed, cos’era quella luce?” gli chiese subito Envy, “Cupola di protezione avanzata. Aspettate.” Ansimò il giovane, avvicinandosi alla parete di roccia; trasmutò una ampia caverna e fece segno ai due gemelli di entrare.

Conclusa questa rapida azione, richiuse l’ingresso, sotto lo sguardo sorpreso dei suoi uomini: “Greed e Pride sanno quel che devono fare, hanno i loro doveri, non preoccupatevi, non c’è pericolo per loro. Andiamo, questa volta, li affronteremo.” affermò deciso, levandosi il bianco guanto dalla mano di carne.

Envy gli poggiò una mano sulla spalla: “Ti seguiremo sempre, amico mio.” disse il ragazzo, “Fino alla morte.” aggiunse Havoc, poggiando la mano sull’altra spalla; gli altri annuirono, determinati.

Ed si voltò verso di loro, con un sorriso gentile dipinto sul volto: “Grazie ragazzi..” disse, gli zigomi leggermente imporporati; rimasero qualche minuto in silenzio fino a che il biondo non si scostò leggermente dalla presa affettuosa dei suoi amici, voltatosi e fissandoli con affetto uno per uno, “Grazie di cuore..” continuò, stendendo la mano d’acciaio dinanzi a lui, “Uniti fino alla morte.” sussurrò, mentre tutti, uno alla volta, stendevano la propria mano su quella del piccolo alchimista.

Si, uniti sino alla morte, in nome di un amicizia da difendere.

Sciolto il breve legame di mani, Ed portò le mani alla lunga treccia, rifacendola.

Erano pronti a entrare in gioco.

La caduta di massi era finita.

Tutto era nel silenzio più assoluto.

L’urlo di guerra del Fullmetal ruppe questo silenzio come un cristallo: “ANDIAMO!!!”.

Si lanciarono all’attacco.

SALVE A TUTTI!

Shun is back per l’ennesima volta!

Beh, come vedete ho aggiornato! Capitolo 5 di questo parto assurdo.

Eric ha cominciato a svelare le sue carte come avete visto.

Scusate se il capitolo fa schifo….

Sono troppo stanca per ringraziare ora, lo farò domani se riesco.

GRAZIE A TUTTE VOI CHE RECENSITE E MI AIUTATE!!

UN GRANDE ABBRACCIO!!

SHUN

EDIT:

Eccomi qui!

Ora vi ringrazio per bene!

ELISETTA: Si, questa fic cambia impostazione a ogni mio respiro, viene tagluizzata, re-incollata, mischiata e nascono sempre nuovi personaggi! Vedrai cosa combinerò con Eric, sarà un comprimario importante! GRAZIE!!!

PAPY: Ops... Scusa, non volevo far piangere mamma, ma è necessario un pochino... E comunque, non hai ancora visto ulla, vedrai come ti farò piangere più avanti!! Scusha, ma tra Eric e Luke, per il ruolo che deve avere, è meglio Eric, poi capirai perchè. UN BACIONE!! TI VOGLIO BENE, E FATTI VIVO!!! SALUTA MAMMY!!

SHIKA: CIAO! Questa storia ho il vago sospetto che stia diventando un pò troppo "dolce". Merito (o colpa?) di Liry che mi ha contagiato (quelle storie ti fanno male, credi a me! NdRoy) (Tu pensa a salvarti dal cattivo incappucciato, che è meglio per tutti. NdMe). Comunque, continuerò, ma solo se continui con gli abbracci alla Armstrong! Ah, non riuscirai mai a sgamare Eric stavolta! Non hai indizi!! UAUAUA, MI SON CAUTELATA!

LIRY-CHAN: TATA!! Beh, pensicchia pensicchia, che tanto tu sai tutto!! Beh, povero Eric... Certo che le bozze che ho preparato non è che siano molto positive, eh?? TU PROSEGUI I VARI OMAKE, FAGIOLI ET SIMILIA, OPPURE VENGO A CERCARTI (o meglio, ti mangio le orecchie!! XD). CIAO!!

Vedo che il nostro Havoc riscuote successi!

E vedrete ora cosa succederà a Falman!!

CIAOOOOOO

SHUN

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Capitolo 7
*** FEIGNING DEATH ***


CAPITOLO 6

FEIGNING DEATH

 

La caduta di massi era finita.

 

Tutto era nel silenzio più assoluto.

 

L’urlo di guerra del Fullmetal ruppe questo silenzio come un cristallo: “ANDIAMO!!!”.

 

Si lanciarono all’attacco.

 

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La figura ammantata guardò con un ghignò cattivo l’avanzata furibonda del nemico nella pianura, tutto andava secondo i piani: “Eric, a te il comando, spazzali via.” disse solo, rivolgendosi al ragazzo, “Sissignore!” esclamò lui, guardandolo con malcelato odio mentre si sedeva su una roccia, pronto a godersi lo spettacolo.

 

“Non andrà come vuole, glielo assicuro, questa storia finirà; non permetterò che qualcuno ci vada di mezzo per la sua stupida vendetta. Non permetterò che qualcun’altro soffra per causa sua, come ho sofferto io...” riflettè il ragazzo, stringendo i pugni.

 

Si girò verso i suoi uomini, in attesa: “All’attacco!” urlò, gettandosi giù per il pendio, seguito da una decina di persone; le altre si disposero tra le rocce, i fucili puntati sulla piana.

Puntati sulla squadra del Comandante.

 

La figura ammantata li guardò divertita, una strana luce illuminò i suoi occhi: “Non riuscirai a salvarti questa volta, Edward Elric. No, tu e quel maledetto di Mustang farete la fine che meritate, e anche i vostri uomini, pagherete per tutto quello che avete fatto.” ringhiò furibondo, stringendo i pugni sotto il manto.

 

Un cigolio metallico risuonò a ogni suo movimento.

 

“Pagherete per la mia condizione.”.

 

Il suo urlo risuonò nella valle desolata.

 

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Edward alzò lo sguardo, pallido.

Quel grido era spaventoso.

 

Sull’altura, scorse la figura mascherata, gli uomini asserragliati tra le rocce e un brivido corse lungo la sua schiena, non gli piaceva per nulla quella situazione; con uno scatto, sbattè le mani e le poggiò a terra: una crepitante luce azzurra illuminò il cielo e una enorme voragine si aprì, raggiungendo in pochi istanti il basso colle, che si spaccò in due.

 

Con urla, molti dei nemici caddero nel crepaccio.

 

“Bel colpo Ed!” esclamò Breda.

 

Improvvisamente, si udì un gran fragore e un esplosione spaventosa investì in pieno i nemici; tutti si voltarono istintivamente e scorsero Envy sogghignare: “Cosa è stato?” chiese Hughes, sistemandosi gli occhiali, “Carta-bombe alchemiche a innesco 10 secondi!” esclamò trionfante, ammirando il risultato della sua opera.

 

Alcuni dei sopravvissuti continuarono l’avanzata, e i due gruppi si scontrarono con furia tremenda.

 

Sul basso colle, intanto, gli uomini sopravvissuti cominciarono a riorganizzarsi e ad asserragliarsi tra le rocce.

 

Nel mezzo del clamore della battaglia, Eric e Ed si fronteggiavano, fulminei e implacabili mentre attorno a loro si scatenava l’inferno.

 

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“Al… Al… Alphonse… Mi senti?”.

 

Una voce gentile richiamo il giovane Elric alla luce dall’oscurità in cui era precipitato; il biondo, cullato da quella voce, aprì piano gli occhi, trovandosi dinanzi i visi preoccupati di Maria e Danny: “Meno male! Stai bene?” gli chiese sollevato il biondo sottotenente, mentre la mora aiutava il più giovane a mettersi seduto.

 

Era sdraiato su uno dei divanetti dell’ufficio.

 

Si guardò spaesato attorno.

 

Fuori dalle finestre pioveva.

 

“S…Si.” rispose piano, sorridendo rassicurante, e fece per alzarsi quando la porta si spalancò improvvisamente e due figure, una enorme e l’altra mingherlina, fecero la loro comparsa nell’ufficio; Alphonse li guardò stupito, alzandosi sulle sue gambe: “Sheska-san, Armstrong-dono… Che succede?” chiese lui, con una nota di ansia nella voce, “Meno male che ti abbiamo trovato, Al-kun. Abbiamo appena ricevuto un messaggio dal Comando di South City da parte del Fullmetal Alchemist.” parlò trafelata la rossa, tormentando la busta bianca che serrava tra le dita sottili, “Da parte di Ed.”.

 

Il biondo riacquistò tutto il suo sangue freddo in un attimo: “Dammelo, Sheska.” parlò duro lui, afferrando con malagrazia la busta che la mano tremante della bibliotecaria gli porgeva; spiegato il foglietto, lesse il breve messaggio.

 

Per un attimo, tutta la sua sicurezza faticosamente riacquistata vacillò pericolosamente e sbiancò, barcollando; Danny lo sostenne per evitargli di cadere rovinosamente a terra, Maria afferrò il foglietto:

 

“Hanno rapito il Fuhrer.

Prendo comando della squadra per andarlo a salvare.

Non fate trapelare la notizia, o il Paese andrà nel panico.

Envy è con me.

 

EDWARD”

 

Poche, brevi e concise parole che ebbero l’effetto di scuotere tremendamente la giovane mora; nell’ufficio cadde un silenzio gravido di paura e ansia.

 

Silenzio rotto dalle parole incrinate dal pianto trattenuto della donna: “Non possono farcela da soli… Dobbiamo intervenire!” esclamò, serrando forte i pugni; con uno scatto fece per uscire.

 

“Ferma Maria!”

 

La voce chiara e risoluta di Alphonse bloccò la giovane ufficiale seduta stante, che si voltò di scatto, il viso trasfigurato dalla frustrazione: “PERCHÉ? LÀ FUORI CI SONO TUO FRATELLO, IL FUHRER E TUTTI GL IALTRI!! COME POSSIAMO RESTAR QUI CON LE MANI IN MANO?” sbottò furibonda, tirando un pugno alla parete, “Calmati, non possiamo muoverci, il niisan vuole che la notizia non trapeli e poi, sono in grado di cavarsela da soli, ne hanno superate di peggio, ce la faranno, ho grande fiducia in loro.” affermò il biondino con un pallido sorriso rassicurante; la mora si voltò verso il collega biondo, ma anche lui sorrise, “Sono d’accordo con Al, e poi c’è anche Envy con loro, tutto andrà bene.”.

 

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I due coetanei si fronteggiavano con furia e impeto sempre maggiore, i colpi non si risparmiavano, le azioni rapide e precise, implacabili e fulminee.

 

Edward sfruttava appieno la sua agilità, evitando abilmente ogni attacco del suo avversario, era veloce, troppo veloce.

Ma il bruno non sembrava dare segni di stanchezza fisica, mentre invece il biondo Elric cominciava a dar segni di cedimento: “Dannazione!” imprecò a mezza voce, evitando un nuovo calcio, “Non vorrei fargli male, ma non posso nemmeno fare in modo che mi uccida, devo prendere una decisione in fretta!” sbottò a mezza voce, non staccando un attimo gli occhi dal giovane avversario.

 

Il bruno si sbilanciò, scivolando a terra, e il biondo ne approfittò: si buttò su di lui, tenendolo fermo per i polsi, per un istante, i loro occhi si incrociarono e in essi, verdi come il mare, Ed non lesse altro che dolore, dolore profondo, era così simile a lui quel ragazzo, anche nelle fattezze, oltre che nello sguardo.

 

Il giovane trasalì, quegli occhi gli erano così familiari…

Quello sguardo l’aveva già visto, ne era certo.

 

Si deconcentrò un istante, stupito, ma al giovane avversario bastò: con un colpo di reni si tirò su, ribaltando le posizioni e buttando Fullmetal nella sabbia; il biondo lo guardò con odio, maledicendosi per essersi distratto: “E ora cosa vuoi fare, uccidermi?” ironizzò furibondo, stringendo i pugni, non gli avrebbe dato la soddisfazione di implorare pietà.

 

Il coetaneo scosse il capo: “No, voglio aiutarvi.”.

 

Ed lo fissò stralunato, lo sguardo confuso.

 

“Voglio aiutarvi…” ripetè il bruno, “Prendi l’oggetto che ho nella tasca destra, sbrigati!” soffiò, “Forza!” lo esortò, vedendolo titubante.

 

Il biondo annuì impercettibilmente e spostò lentamente il braccio, infilando la mano di carne nella tasca.

 

Non capiva perché ma sentiva di potersi fidare di quel ragazzo.

 

Le sue dita si strinsero attorno a un pezzo di stoffa morbida; stupito, lo tirò fuori, trovandosi tra le mani un candido guanto, ne saggiò la familiare consistenza, sfiorò con dita leggere il simbolo rosso brillante che spiccava sul bianco dorso.

 

A quella vista, il biondo scattò e lo colpì violentemente allo stomaco con l’automail, era furibondo; lo sbalzò ad alcuni metri di distanza e si buttò su di lui con furia sempre maggiore, colpendolo ripetutamente al petto; i due si rotolarono nella sabbia e nel fango, il biondo era a dir poco furioso: “BRUTTO BASTARDO!! PERCHÉ HAI IL GUANTO DI ROY?? PERCHÉ?!?!” urlò, gli occhi lucidi, mentre stava per sferrare un nuovo pugno, ma Eric lo bloccò, prendendolo per i polsi, “Calmati! Me l’ha dato lui.” rispose, tenendogli le braccia ferme a terra.

 

Il biondino si calmò a quelle parole, guardandolo con aria dubbiosa: “Cosa intendi?” mormorò, “Il guanto me lo ha dato il Fuhrer Mustang, per recapitartelo, per farvi sapere che sta bene, non dovete preoccuparvi, a lui ci penso io. Ora ascolta bene, perché non ho tempo di ripeterlo due volte. A un paio di giorni da qui c’è un vecchio manicomio abbandonato, lì troverete mie notizie. Un avvertimento, state lontani dalle montagne per quanto possibile ed evitate di fermarvi troppo a lungo, conoscono il vostro percorso.” spiegò a mezza voce il bruno.

 

Per il Fullmetal Alchemist, quella rivelazione fu come una mazzata.

 

Boccheggiò per diversi minuti, pallido come un cencio.

 

“Ma come…?” riuscì a computare, una volta ripreso possesso delle sue corde vocali, “l’ex tenente colonnello Frank Archer conosce questa vecchia tratta militare, ha detto di averla usata molte volte. È lui che ha organizzato tutto, è lui che vuole vendetta.” soffiò grave il bruno.

 

A quel nome, Edward Elric sbiancò, impaurito.

 

Improvvisamente, il messaggio gli era apparso chiarissimo, quella F in firma…

 

Tutto acquistava un senso.

 

“Frank Archer… è ancora vivo…” mugolò lui, stringendo forte i pugni, “Si.. Ora tutto è chiaro… Il perché di questo risentimento… Di questo odio…”.

 

Si guardarono per qualche minuto.

 

Poi, Eric riprese a parlare: “Ho un piano, io aiuterò il Fuhrer a scappare, ma tu devi farti colpire, d’accordo?” sussurrò lui, fissandolo; Ed si guardò attorno spaesato, guardò i suoi uomini che lottavano attorno a loro, pensò con dolore ai rischi che stavano correndo per aiutarlo, al pericolo che stavano passando.

 

Per lui.

 

Doveva proteggerli.

 

Archer se la sarebbe presa anche con loro, non poteva permetterlo.

 

Puntò il suo sguardo, deciso e duro come non mai, in quello di Eric: “D’accordo, fai quello che devi fare, mi fido di te.” disse solo; il giovane annuì e lo colpì con violenza al petto e al collo.

Il Fullmetal sentì un gelo tremendo attanagliargli le gambe, sentiva la vita scorrere via e il buio farsi strada sempre più, l’ultima cosa che percepì fu che qualcuno gli infilava qualcosa in tasca e la voce ovattata di Eric, ma era lontana, non capiva quello che diceva.

Fino a che perse conoscenza.

 

Eric si rialzò, mentre il viso del biondo diventava rapidamente alabastrino, il respiro farsi sempre più sottile fino a smettere quasi del tutto e il battito del cuore fermarsi.

 

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Envy si liberò degli ultimi avversari con discreta facilità.

Asciugatosi rapidamente la fronte, il ragazzo si guardò attorno, anche gli altri avevano terminato; “Ragazzi, dov’è Ed?” esclamò Breda, “Non lo so, stava lottando con quel ragazzo e…” provò a dire Kain quando notò la figuretta abbandonata per terra e quasi non svenne: “ED!!!!!!!!!!” urlò, correndo verso di lui, seguito da Hayate, che abbaiava disperato.

 

Il moro, in lontananza, scorse Eric che scappava; si paralizzò lì per un istante, poi, i suoi occhi si colmarono di ira per la prima volta nella sua vita: “ENVY, VOI STATE CON ED! IO VADO DIETRO A QUEL BASTARDO!” urlò furibondo, correndogli dietro, il piccolo e fedele cagnolino che lo seguiva.

“Vado con lui, potrebbe aver bisogno di aiuto, voi occupatevi di Ed!” interloquì Falman, correndo dietro al commilitone già lontano.

 

Tutti si guardarono negli occhi, poi raggiunsero di corsa il giovane disteso; Envy gli si inginocchiò accanto, prendendolo delicatamente in braccio, quel viso così pallido lo spaventava, quelle labbra bluastre semi aperte non presagivano nulla di buono: “Ed, mi senti? Ed…” provò a rianimarlo, scuotendolo, ma il giovane non reagiva a nessuno stimolo, restava fermo immobile.

 

Il cuore non batteva più.

Non respirava.

 

“ENVY!! RAGAZZI!!”.

 

Improvvisamente, la voce sonora di Lust risuonò nella piana silenziosa e ventosa e la ragazza li raggiunse di gran carriera, fermandosi non appena vide il biondo disteso tra le braccia del fratellino: “Cosa è successo?” chiese preoccupata, “Non lo sappiamo, non si muove più… Sembra morto… non respira più…” mormorò il moro, tenendo il biondo stretto a sé, gli occhi lucidi; “Dallo a me, ci penso io, salite tutti a bordo intanto.” affermò la ragazza, coprendolo con lo scialle che teneva sulle spalle.

 

In silenzio, tutti risalirono a bordo.

 

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Kain e Hayate erano ancora all’inseguimento del bruno, che si stava inerpicando su di una pietraia ripida; abilmente, il moro andava dietro a Eric, il cucciolo era rimasto a terra.

 

“Brutto bastardo! È inutile che scappi, pagherai per quello che hai fatto a Edward!!” esclamò furibondo, continuando a inerpicarsi su per la pietraia; improvvisamente, si udì un gran fragore e il sergente maggiore alzò il capo; con orrore, si accorse di un enorme masso che stava precipitando verso di lui.

 

Il moro urlò.

Per lui ormai era la fine.

 

All’improvviso, però, qualcosa lo afferrò per la vita, spostandolo e conducendolo lontano dalla traiettoria dell’enorme macigno.

Una saetta argentea.

 

“Razza di stupido! BAKA!! Volevi morire?? Perché diavolo non ti sei spostato?” sbraitò il maresciallo, ansante, tenendolo ancora tra le braccia: “Scusami, mi sono paralizzato… Mi è scappato…” ringhiò furibondo, serrando i pugni, “Sarai molto più utile da vivo, dobbiamo correre al treno, Edward sembra grave, ce la fai a muoverti?” gli chiese, mettendosi in piedi e dandogli una mano, che il moro afferrò, “Si.. Andiamo!” annuì il sergente, seguendo l’amico giù per pendio.

 

Il più giovane della squadra raggiunse il cucciolotto e tutti e tre si diressero di corsa, i fucili sulle spalle verso i binari, fermandosi proprio a ridosso: “E ora?” interloquì Fury, chiudendosi il cucciolo nella giacca, “Sta arrivando il treno, tieniti pronto a saltare..” soffiò l’argenteo, aguzzando la vista tra la nebbia che si faceva sempre più fitta: l’Amestris Express stava passando davanti a loro.

 

Con uno scatto i tre si aggrapparono alle maniglie e si infilarono nel vagone.

 

Con un fischio poderoso, il mezzo ripartì a tutta velocità.

 

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Quando Ed cominciò a riprendere conoscenza, la prima cosa che pensò fu di essere morto.

 

Si ricredette però subito quando udì le voci sommesse e stanche di Hughes e Havoc vicino a sé: “Come sta?” domandò il tenente, sottovoce, “Come ieri, e l’altroieri, e l’altroieri ancora. Sempre uguale…” mormorò tristemente il moro,  “Speriamo si riprenda… Chissà cosa è successo per averlo ridotto così…” mormorò, sfiorandogli leggermente la fronte.

 

Ed fu preso dal panico dalle parole dei suoi sottoposti che udiva, cosa significavano?

 

In quel momento, i ricordi della lotta, del guanto, di Eric riaffiorarono e comprese.

 

A fatica, mosse una mano, era tremendamente indolenzito: “Jean.. Maes.. State bene voi?” riuscì a computare dopo qualche minuto; la sua voce, roca e affaticata, scosse i due militari, che si voltarono in simultanea, trovandosi davanti uno degli occhi dorati del più giovane tra loro: “ED!!! COME STAI?? CI HAI FATTO PRENDERE UN COLPO!” esclamarono all’unisono.

 

In pochi istanti, la squadra intera si riversò nello scomparto, era avvenuto un miracolo.

 

Il Fullmetal Alchemist era sopravvissuto ancora alla morte.

 

 

BUONANOTTE!!!!

SALVE A TUTTI!!

 

E anche il capitolo 6 è terminato!

Beh, non dite nulla?

Sconvolti?

Spero di no!!

Anche perché non avete visto ancora nulla!! Se vi sconvolgete per così poco, quando vi spiegherò tutta la storia di Erii-kun come reagirete??

 

Male, lo so già!!

Vabbè!

Spero che questo capitolo sia venuto meglio degli altri!

 

GRAZIE, GRAZIE DI CUORE A LIRIS, ELISETTA E SHIKADANCE, MIE FEDELISSIME!!

 

 

VI ADORO!!!

 

GRAZIE A TUTTE!!!

 

UN BACIONE! CI VEDIAMO AL SETTIMO!!!

SHUN

PS: DIMENTICAVO!! IL TITOLO TRADOTTO VUOL DIRE "MORTE APPARENTE", non è necessario spiegare a cosa sia riferito, vero??? XD

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Capitolo 8
*** SULLE TRACCE DI CIÒ CHE AMA IL CUORE ***


CAPITOLO 7

SULLE TRACCE DI CIÒ CHE AMA IL CUORE

 

Ed fu preso dal panico dalle parole che udiva dai suoi sottoposti, cosa significavano?

 

In quel momento, i ricordi della lotta, del guanto, di Eric riaffiorarono, e comprese.

 

A fatica, mosse una mano, era tremendamente indolenzito: “Jean.. Maes.. State bene voi?” riuscì a computare dopo qualche minuto; la sua voce, roca e affaticata, scosse i due militari, che si voltarono in simultanea, trovandosi davanti uno degli occhi dorati del più giovane tra loro: “ED!!! COME STAI?? CI HAI FATTO PRENDERE UN COLPO!” esclamarono all’unisono.

 

In pochi istanti, la squadra intera si riversò nello scomparto, era avvenuto un miracolo.

 

Il Fullmetal Alchemist era sopravvissuto ancora alla morte.

 

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Edward puntò i suoi occhi dorati su ciascuno di loro, confuso e stupito: “Cosa è successo?” chiese lui, stringendo tra le dita la pesante stoffa della coperta.

Hughes gli si avvicinò: “Durante la battaglia quel ragazzo ti ha colpito violentemente ed è scappato lasciandoti lì, sembravi morto...” parlò il moro, la voce incrinata, “Ci siamo spaventati da morire, sei stato incosciente per quattro giorni, non sapevamo che fare…” disse, gli occhi lucidi.

 

Il ragazzo si guardò le mani, tremavano; scostò la coperta e fece per alzarsi ma una mano affusolata lo risospinse sul comodo giaciglio: “No mio caro, tu te ne resti a riposo, e non voglio discussioni!” esclamò Envy con espressione dura, “Sono stato chiaro??” disse con enfasi il ragazzo, “Ho riposato abbastanza!! Quel ragazzo, Eric, non è un nemico! Sta aiutando Roy a scappare! Dobbiamo far presto!” esclamò il biondo; “Su, Ed, sta calmo, vedrai che...” cercò di tranquillizzarlo Havoc ma dovette zittirsi all’istante: il Fullmetal Alchemist aveva preso qualcosa dalla tasca.

 

Il guanto del Flame Alchemist.

 

“Questo me lo ha dato lui, ha detto che glielo ha consegnato Roy per farci sapere che è vivo e sta bene, ne porta sempre due dal giorno della nostra sfida in Piazza D’Armi, in caso di bisogno può usare l’altro, dobbiamo far presto!” affermò Ed, agitato, non voleva perder la sua unica occasione per ritrovarlo; il guanto passò di mano in mano ai suoi sottoposti.

In quel momento, si udì la voce di Breda: “Ehi, ma qui dentro c’è qualcosa...” affermò il rosso, esaminandolo.

 

Passò l’accessorio al loro capo e un anello lucente e un foglietto rotolarono fuori; Ed prese tra le dita tremanti il gioiello,  nella fascia interna vi era incisa una frase a delicate lettere corsive: “Roy Mustang & Edward Elric, 10 NOV 1923.”.

 

Il biondo scrollò il capo, i ciuffi dorati che gli celavano la fronte, stringeva tra le mani quel piccolo oggetto che recava ancora il profumo delle mani del Comandante e ancora il suo calore; nello scomparto cadde il silenzio. Havoc prese il biglietto che era scivolato fuori dal guanto e lo spiegò, leggendo con attenzione il breve messaggio; lettolo, si voltò verso la sorella di Envy: “Forza, andiamo di là, dobbiamo decidere cosa fare. Lust, va a chiamare Greed e Pride, anche loro devono sapere.” disse serio lui, “Ok, vado subito, ci vediamo di là.” rispose la mora, uscendo.

 

Edward scostò le coperte e cercò di mettersi in piedi ma le gambe non lo ressero e cadde rovinosamente a terra; Falman sospirò e gli si chinò accanto, aiutandolo ad alzarsi: “Forza, ti accompagno io di là.” disse l’argenteo, aiutato da Kain, “Grazie..” sbuffò il biondo, odiava sentirsi indifeso, non riusciva a sopportarlo. Cionondimeno, accettò di buon grado l’aiuto dei due commilitoni e tutti insieme si diressero verso la sala da pranzo.

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Un violento calcio si abbatté sul corpo assopito del Comandante, strappandolo alle calde spiagge del sogno, unico rifugio dall’incubo che, da sveglio, lo tormentava; con un gemito trattenuto a stento, aprì un occhio velato, trovandosi dinanzi il ghigno sadico di uno dei suoi aguzzini.

Questi, lo sollevò di peso, prendendolo per un polso: “Il capo la aspetta.” disse solo, spingendolo in avanti, “una mossa falsa e sarà lei a rimetterci.” sogghignò malevolo, puntandogli la canna del fucile contro la schiena.

 

Lo spinse fuori dalla cella in malo modo, sbucando nel buio corridoio roccioso, l’acqua sgocciolava piano dal soffitto; il Fuhrer cadde per terra, sul pavimento umido e freddo.

 

“Cammina!” gli urlò l’uomo, punzecchiandolo con l’arma per farlo rialzare.

Il moro si rialzò a fatica, guardandolo con odio poi si diresse a testa alta lungo il corridoio.

Il luogo dove si trovava non gli era familiare ma doveva essere una di quelle prigioni sotterranee di cui pullulava l’Ovest sin dalle prime guerre con Creta: le chiamavano latomie ed erano scavate nella roccia viva, fredde e anguste. Alcune fonti dicevano che erano ispirate a prigioni molto più antiche.

 

Erano il luogo ideale per tenerlo prigioniero.

 

Roy strinse furioso i pugni, in caso di assedio, i nemici sarebbero stati in vantaggio e Edward e i suoi amici avrebbero avuto le mani legate: “Maledetto Archer!” pensò, furibondo, camminando con la canna dell’arma puntata contro la spina dorsale, “Se anche solo uno dei miei uomini si farà un graffio, giuro che te la farò pagare! Bastardo!”; la voce roca del suo aguzzino lo scosse, spingendolo a varcare la porta che gli si era materializzata dinanzi.

 

Erano arrivati.

 

“VADA!” sbraitò il bandito, colpendolo al capo con il calcio del fucile e facendolo cadere a terra con un tonfo sordo; la porta si spalancò improvvisamente e una figura comparve sulla soglia, una figura familiare al moro: “No, Ismael, non possiamo trattare il nostro ospite così. Tu resta qui, mi occupo io di fare gli onori di casa.” disse mellifluo l’ex tenente colonnello, prendendo il Fuhrer per le braccia e conducendolo all’interno.

 

La porta si richiuse con un tonfo sordo.

 

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“Ragazzi, sto bene, non preoccupatevi. Eric mi aiuterà a scappare, vi prometto che presto ci rincontreremo, non correte rischi inutili, mi raccomando. Edward, verrò a riprendermi il guanto e l’anello, non buttarli via, fosse l’ultima cosa che faccio, ti ritroverò, aspettami..”.

 

Edward rilesse per la centesima volta quel messaggio che avevano ritrovato nel guanto, e nuove lacrime stillarono dalle sue pupille arrossate; strinse al cuore quel piccolo brandello di carta, il frammento di una promessa che lo legava a lui.

 

Il treno correva rapido verso il manicomio di cui Eric aveva parlato al biondo alchimista; Pride e Greed sapevano bene dove si trovasse.

 

FLASHBACK

 

“Allora non può essere altro che il sanatorio Ikegumi.”.

 

Dopo le spiegazioni del Fullmetal, il maggiore dei gemelli si rizzò in piedi: “Ricordi, Greed-kun? Era il sanatorio e manicomio di Kasumi City, la città di Emily.” affermò serio il più grande, rivolgendosi al gemello minore, “Si, adesso me lo ricordo.” rispose lui, pensieroso, “ma non era stata abbandonato dopo la frana?” aggiunse il bruno, grattandosi il mento.

Lust si fece innanzi: “Volete spiegare anche a noi, fratelloni?” interloquì lei, piccata.

 

I due la fissarono: “Avete ragione, vi dobbiamo dei chiarimenti.” parlò Greed, facendo loro cenno di sedersi; Envy si mise accanto a Ed, cercando di tranquillizzarlo.  

L’attenzione di tutti si fece spasmodica.

 

I due gemelli sospirarono, poi cominciarono a raccontare: “Sino a cinque anni fa, noi due eravamo commessi viaggiatori e, per lavoro, ci trasferimmo in questa zona, a Kasumi City, assieme a una nostra collega, Emily, nativa proprio di quella città. Eravamo molto amici e vi passammo alcuni anni, Lust-chan, ricordi?” chiese Greed, rivoltosi alla sorella; la ragazza annuì, “Certo, siete rimasti via per parecchio tempo, siete tornati giusto qualche mese prima che io mi organizzassi con Ed per quella storia di Bradley, ero già una spia.” rispose lei, guardando il collega biondo.

 

Envy strinse la mano dell’amico, invitando il fratello a continuare: “Ci fu una frana, e il vicino sanatorio fu sepolto da tonnellate di macerie; la città fu a sua volta colpita da una epidemia dovuta alla fuga di alcuni ospiti contagiosi. Noi eravamo già partiti da alcuni giorni, quando ritornammo a Central City, ci dissero che Emily era morta e che nella città era scoppiata una tremenda epidemia che aveva decimato la popolazione. Le forze militari, qualche mese dopo, andarono a disinfettare la zona, c’era un cordone sanitario ovunque.” spiegò Greed, incrociando le dita dinanzi al viso, rievocare quei ricordi era tremendamente doloroso per lui.

 

“Da quel momento in poi, la zona venne dichiarata inabitabile e tutto fu abbandonato; la città divenne una “Ghost Town”, una città fantasma, e noi non tornammo mai più lì: abbandonammo anche il nostro lavoro e raggiungemmo Lust poco prima che partisse, da allora siamo sempre stati noi i macchinisti dell’Amestris.” concluse il maggiore, socchiudendo gli occhi.

 

FINE FLASHBACK

 

Il biondo sedeva nel suo scomparto, guardando la notte scivolare fuori dal finestrino attraverso i territori di Creta.

 

Il treno era molto tranquillo e silenzioso, ognuno degli occupanti era impegnato nelle proprie faccende e preparativi, il giorno dopo avrebbero raggiunto il sanatorio.

 

Improvvisamente, qualcuno bussò alla porta, facendolo trasalire; il ragazzo puntò uno sguardo indagatore sulla porta, chiedendosi chi mai ci fosse dall’altra parte della lucida entrata: “EEEED!! SONO IO!! SONO MAES!! MI FAI ENTRARE!?” esclamò allegro il tenente colonnello da dietro il pesante uscio in legno.

 

Il giovanotto sospirò e si mise in piedi: “Si, entra pure, la porta è aperta.” rispose lui; la porta si spalancò e il ciuffo ribelle dell’ufficiale Hughes fece la sua comparsa, seguito dal viso, contratto in un espressione buffissima e divertente: “CIAO! Ti disturbo?” chiese, entrando nella stanza, “No, no, vieni pure..” replicò il ragazzino, abbandonandosi sul morbido sedile e invitandolo a fare altrettanto; il moro sorrise felice, “Guarda qui!! Envy-chan mi ha chiesto di tenerti compagnia mentre lui e i suoi fratelli sistemano la rotta da seguire! Ho portato una scacchiera, l’ho sgraffignata a Kain per l’occasione, tanto a lui non serve!! Se la sta ronfando alla grande!!”.

 

Ed sorrise piano, aiutandolo a sistemare i pezzi sul tabellone bianco e nero.

 

“Forza! Inizia tu!”.

 

Ben presto, la partita si fece accesa e i brutti pensieri sparirono dalla mente del biondino, concentrata a battere il tenente colonnello; la sfida durò a lungo, tra le battute salaci dei due amici, le risate allegre e si concluse in modo inaspettato: “Il mio alfiere ti ha bloccato!! SCACCO MATTO!” esclamò Fullmetal, schioccando soddisfatto le dita, “HO VINTO!!” esultò lui.

Il moro si passò una mano tra i capelli, guardando incredulo il tabellone: “ Non è possibile… MI HAI BATTUTO!!! COME DIAVOLO HAI FATTO??” esclamò basito, fissando i pezzi per poi spostare lo sguardo sul’amico ridacchiante; “Kain e Breda, sono stati loro a insegnarmi a giocare!” rise allegro, battendogli una mano sula spalla, “Prenditela con loro.” aggiunse.

 

Maes si sistemò gli occhiali sul naso e sorrise, riprendendo a chiacchierare; rimasero a ciarlare a lungo sino a quando Ed, con un sonoro sbadiglio, non cadde lungo disteso sui soffici cuscini, profondamente addormentato. Hughes sospirò intenerito e lo avvolse con una coperta, donandogli un affettuoso bacio sulla fronte; il ragazzo mugolò nel sonno, muovendo la testa: “Roy…” sussurrò, con voce impastata di sonno, agrappandosi al cuscino.

 

L’ufficiale lo guardò malinconico, carezzandogli la testolina: “Sh… Non preoccuparti, adesso ce lo andiamo a riprendere.” sussurrò, chiudendo la luce e uscendo dallo scomparto.

 

Una volta fuori, quasi si scontrò con un assonnato Envy che proveniva dal senso opposto: “Ah, scusami, non ti avevo visto…” sbadigliò il ragazzo, sfregandosi gli occhi gonfi di sonno, “Fa piano, si è appena addormentato… Cosa avete deciso di fare?” mormorò il soldato, “Scusami… Entro domani raggiungeremo il sanatorio, ma dobbiamo fare attenzione, sta nevicando e sicuramente sarà tutto ghiacciato, ci muoveremo lentamente.” Spiegò vago, “Ora scusami, sto proprio crollando… Yawn… A domani..” salutò, con un nuovo sbadiglio.

 

Il compagno gli fece un cenno di risposta e si diresse nella sua stanza, dove sicuramente i suoi amici stavano già ronfando da ore.

 

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Archer e Roy erano immobili, uno dinanzi all’altro, già da parecchi minuti.

 

Nessuno dei due muoveva un solo muscolo, l’aria era permeata di tensione.

 

Improvvisamente, le labbra dell’ex tenente colonnello si dispiegarono in un sorriso sadico: “Sa, mio caro Fuhrer? È inutile che lei mantenga quell’aria di superiorità, il coltello dalla parte del manico lo ho io.” sussurrò mellifluo, avvicinandoglisi lascivo, la sua espressione non prometteva nulla di buono, “E tu, che sei sempre stato l’eterno perdente, vorresti sfidare me?” chiese sardonico il moro, squadrandolo con occhi di fuoco, “Non ci riuscirai mai!” sbottò, guardandolo con odio profondo.

 

Il cyborg lo guardò furibondo, la sua espressione indicava chiaramente quanto rancore portasse per colui che aveva sostituito Bradley alla guida del Paese.

 

Un momento dopo, però, il volto di Archer si tramutò in una smorfia di trionfo; si scostò da lui, fissandolo nei profondi occhi d’onice: “Sai, mio caro Roy, hai dimenticato un particolare importante, sono io il più forte qui, e te lo dimostro subito. Ho saputo da fonti certe che tra te e quel mocciosetto di Edward Elric, c’è qualcosa di più che un semplice rapporto superiore-sottoposto, sai?” gli sussurrò, scivolandogli accanto all’orecchio; il moro tremò, sentiva un brivido freddo corrergli lungo la schiena, il cuore in gola.

 

“Mi dispiace per te… Ma il mocciosetto ha avuto un brutto incidente, le mie ultime notizie lo danno sepolto nel canyon di Creta. Edward Elric è morto.” affermò, assaporando quelle parole con un espressione di vittoria dipinta sul viso pallido.

 

Quelle parole furono come una mazzata per Roy.

 

In un istante, fu come se il mondo attorno a lui si oscurasse.

 

Cadde a terra, silenziosamente, come una bambola rotta.

 

“No… No… Edward… Perdonami… Non ti ho protetto…” mormorò, prima che il buio lo riaccogliesse tra le sue amorevoli braccia.

 

Buonasera!!

Rieccomi a voi, gentili lettori!!

Sconvolti?

Ormai dovreste aver capito che io, li faccio soffrire questi qui!!!

MUAHAHAHAHAHAHAHA!!

No, a parte gli scherzi, sono piuttosto soddisfatta di questo capitolo, anche se di transizione, perché prepara la strada a un capitolo duro e crudo, che farà lievitare il rating, quindi… ATTENZIONE!!

 

DEDICO IL CAPITOLO IN PRIMO LUOGO A LIRIS, perché… IERI ERA IL SUO COMPLEANNO!!! AUGURI TATA MIA!!! E poi, a una nuovissima fan!!! Anzi, due!!! Fly89 e emmy11, con cui ho chattato tutta la sera!!!! GRAZIE DI TUTTO!!!! ^*^

 

Voglio altresì ringraziare Elisetta e Shikadance per la loro amicizia, vi adoro!!!

 

CI VEDIAMO NEL PROSSIMO CAPITOLO CARISSIME!!

 

UN BACIONE!!

SHUN

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Capitolo 9
*** FLAMES CAN'T STOP ME ***


CAPITOLO 8

FLAMES CAN’T STOP ME!!

 

“Mi dispiace per te… Ma il mocciosetto ha avuto un brutto incidente, le mie ultime notizie lo danno sepolto nel canyon di Creta. Edward Elric è morto.” affermò, assaporando quelle parole con un espressione di vittoria dipinta sul viso pallido.

 

Quelle parole furono come una mazzata per Roy.

 

In un istante, fu come se il mondo attorno a lui si oscurasse.

 

Cadde a terra, silenziosamente, come una bambola rotta.

 

“No… No… Edward… Perdonami… Non ti ho protetto…” mormorò, prima che il buio lo riaccogliesse tra le sue amorevoli braccia.

 

In quello stesso momento, dall’altra parte del deserto di Creta, un ragazzo, nel sonno, pianse.

 

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“Sei sicuro che il luogo sia questo?”

“Certo, ecco, per quella strada si giunge in città, quello laggiù, invece, è il sanatorio.”.

La testolina bionda del Fullmetal Alchemist sbucò da dietro una grossa roccia mentre i folti capelli neri di Greed facevano capolino da un terrapieno lì vicino.

A pochi metri di distanza, sorgeva un lugubre palazzone, la facciata avvolta da rampicanti e muschio; un leggero strato di neve ghiacciata copriva il terreno duro, i lecci malati e sottili circondavano il complesso; abbandonati sul terreno, macchinari distrutti e inservibili, lastroni di metallo ormai arrugginiti e inservibili.

Tutto era in evidente stato di abbandono.

Soffiava un forte vento, foriero di tempesta.

Il cielo non prometteva niente di buono, solcato da nubi nere e inquietanti.

Il biondo alchimista scoccò una rapida occhiata tutto attorno, poi si accucciò accanto a Pride, dietro la roccia: “ Non sembra esserci anima viva…” sussurrò il giovane, il ginocchio metallico poggiato sul terreno, “Conviene essere il più prudenti possibile, è un ottimo posto per un agguato. Nel sanatorio ci sono cinque piani, più due sotterranei per i casi più gravi, in tutto circa seicento stanze. Anche se riuscissimo a entrare, non sappiamo cosa ci aspetta lì dentro, è come se ci gettassimo nella bocca del leone.” affermò grave Greed, guardando fisso verso il lugubre edificio.

Riza gattonò sino a loro, seguita da Jean: “Ed, se vuoi possiamo andare in avanscoperta.” propose la donna, estraendo la pistola; il ragazzo la guardò con dolcezza e affetto, poggiandole la mano sulla sua per fargli abbassare l’arma, “Non è necessario, chi vuole venire, mi segua, se per gli altri è troppo pericoloso, ci aspetteranno qui.” parlò saggiamente il ragazzo, stupendo perfino la tenente, “D’accordo, allora sento gli altri.” disse, per poi voltarsi.

Si bloccò un attimo, voltando il capo verso il suo superiore, che la guardò interrogativo; lei rispose con un sorriso benevolo dipinto sulle labbra sottili: “Sei davvero cresciuto, Edward.” disse solo, prima di allontanarsi definitivamente verso il gruppetto di militari poco lontano.

Qualche minuto dopo, tutta la squadra era pronta a partire.

“Lust, tu resterai qui con Greed-kun, basto io con loro.” affermò Pride, caricando la pistola, “Non dovremmo metterci molto, e non fate quei musi lunghi! So badare a me stesso.” li rassicurò il ragazzo, vedendo le loro facce preoccupate.

Il gemello minore si avvicinò a lui, serio in volto; gli poggiò una mano sulla sua, fissandolo negli occhi scuri come la notte: “Fa attenzione, Jii-nii.. Mi raccomando.” sussurrò, stringendogli convulsamente il polso; il maggiore scostò la mano del fratello, stringendola piano nella sua, “Non preoccuparti, torneremo presto. E poi, chi ti proteggerà, altrimenti?” sorrise, scompigliandogli giocosamente i capelli.

Riza si inginocchiò davanti al suo cucciolotto: “Ehi, piccolo, ti affido un compito importante, proteggi Kain-kun e gli altri, d’accordo?” sussurrò la ragazza, il cuccuolotto abbaiò, scodinzolando ubbidiente.

La squadra si riunì attorno a Ed: “Andiamo.” disse il ragazzo, cominciando a correre lungo il sentiero che portava al palazzone, seguito a brevissima distanza dai suoi compagni.

Stava calando la notte.

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“Edward Elric è morto.”.

Le parole di Archer risuonarono a lungo nell’antro roccioso tremendamente silenzioso e buio, un lento sgocciolio dal soffitto sembrava tenere il tempo, come un lugubre orologio; una figura stava rannicchiata a terra, immobile, distesa sul freddo e umido pavimento, lercio, pareva un pupazzo: la testa era infossata sotto il braccio, nascosta, e solo la chioma color dell’ala di corvo si scorgeva.

Il Comandante piangeva.

Il suo cuore doleva ancora per le parole dell’ex tenente colonnello e la consapevolezza che quelle parole potevano essere vere lo tormentava; come un disco rotto, continuava a ripetere la medesima frase, tra i singhiozzi disperati: “Perdonami.. Perdonami... non ho saputo proteggerti...”.

In quel momento, la porta della cella si aprì silenziosamente e una voce spaventata ruppe il silenzio, seguita da una pallida luce proveniente da una lanterna a olio

La voce di Eric.

“MUSTANG-SAMA!”.

La voce colma di paura del ragazzino risuonò acuta e stridula nella cella silenziosa; in un istante, il bruno gli fu accanto, cercando di scuoterlo: “Mustang-sama, si riprenda, la prego…” sussurrò, gli occhi colmi di lacrime, ma il Comandante non reagì, continuava a salmodiare quell’unica frase, colma del suo dolore.

Eric strinse i pugni, quella sofferenza non se la meritava, nessuno si meritava di soffrire a quel modo, per puro sadismo.

Con un sospirò, si accucciò accanto a lui, poi lo sollevò, facendolo sedere sul lurido e umido pavimento della buia cella; poi lo scosse energicamente, prendendolo per le spalle: “Mustang-sama, mi ascolti. Il Fullmetal Alchemist è vivo, non deve preoccuparsi, sta bene!” esclamò il ragazzo, “Le ho fatto una promessa, no?” aggiunse, chinandosi sino a raggiungere il suo orecchio.

A quelle parole, il moro sembrò riprendersi un poco e puntò le sue pozze di pallida antracite in quelle color smeraldo del giovane, lo sguardo colmo di una nuova speranza: “Si, è vivo, e sono anche riuscito a consegnargli il guanto.” rispose alle inespresse domande dell’uomo con un pallido e stanco sorriso.

Roy lo guardò con gli occhi stanchi ma luminosi.

Il Fuhrer si incurvò in avanti, sospirando di sollievo, sentiva come se un grande peso si fosse dissolto come per incanto: “Grazie ragazzo, grazie davvero…” mormorò.

Eric si alzò: “Forza, non possiamo più stare qui, dobbiamo andarcene. Devono già essere arrivati al sanatorio, a quest’ora, non posso permettere che il tenente colonnello usi lei come ostaggio, deve riunirsi ai suoi uomini.” disse serio lui, tendendogli una mano per aiutarlo a rialzarsi; il moro la afferrò, tirandosi a fatica in piedi, barcollava vistosamente ma riuscì a reggersi più o meno saldamente sulle gambe.

Improvvisamente, come se nulla fosse accaduto, riprese la sua antica fierezza; il suo sguardo sembrava ardere delle stesse fiamme di cui era il signore.

Trasse dalla tasca l’altro guanto con un ghigno che non presagiva nulla di buono: “Archer si pentirà di avermi sfidato, questa volta gli faccio pagare tutto. Andiamo, questo posto comincia a starmi stretto!” esclamò deciso; il bruno lo guardò con un pallido sorriso dipinto sul volto scavato e graffiato, ora illuminato di speranza, “Allora mi aiuterà?” chiese lui, “Certamente.” rispose solo, scompigliandogli paternamente i capelli.

Gli occhi del ragazzo divennero lucidi; lentamente fece un leggero inchino, poi si voltò verso la porta: “Forza, andiamo.”.

Roy annuì e lo seguì oltre la porta aperta.

Lasciarono lì la lanterna e si inoltrarono nell’oscurità.

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Tutto era avvolto nel silenzio più profondo, solo il rumore leggero dei passi dei militari si udiva; una leggera luce indicava la loro presenza.

Edward era in testa al gruppo, accompagnato da Riza, Jean, Envy e Pride.

Hughes e Falman stavano in coda a tutti.

Erano ormai un paio d’ore che vagavano per quei lunghi e cupi corridoi, senza però aver concluso nulla, ormai il biondo aveva perso le speranze di ritrovare qualsivoglia indizio.

“Ed, se continuiamo a girare in branco non concluderemo mai nulla! Dobbiamo dividerci, è l’unica strada che possiamo intraprendere.”.

Fu Envy a rompere l’imbarazzante silenzio che si era creato da quando aveva varcato il pesante portone e si erano inoltrati nel sanatorio.

Ed si fermò, poggiando la lucerna a terra e tutti lo imitarono: “Forse hai ragione” disse con voce affaticata, voltandosi verso di loro, aveva l’aria molto stanca, ma si sforzava di non farlo vedere, “Dobbiamo dividerci. Jean, tu, Pride e Riza andate assieme, non dovete separarvi per nessun motivo. Maes, lo stesso vale per te e Vato. Chiunque trovi qualcosa mi contatti con queste.”, e passò a ogni coppia un paio di strane cuffie.

“Sono ricetrasmittenti, le abbiamo potenziate io e Kain per poter avere una maggiore copertura, se trovate qualcosa, avvertitemi subito, chiaro?” ordinò deciso il ragazzo, “YO!” esclamarono in coro i quattro, sparendo come saette nel corridoio.

In lontananza, si sentivano i loro passi rapidi.

Envy afferrò la lanterna poggiata a terra dal compagno: “Forza, andiamo anche noi, dobbiamo darci da fare.”.

Ed annuì e lo seguì nella leggera luce del lume.

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“Io non riesco a stare fermo! Perché ci hanno lasciato qui fuori?” si lamentò Kain, seduto nella neve, “Dobbiamo proteggere Greed e Lust in caso di pericolo...” gli ricordò Breda sbuffando, “Anche se concordo con te, saremmo stati molto più utili con loro.” disse lui, sfregandosi le mani per riscaldarle, “Che freddo polare che c’è!!” rabbrividì il rosso, chiudendosi meglio la giacca e stringendo il bavero.

Greed si accosciò accanto a loro: “Siamo a ridosso dei monti, è naturale che faccia freddo, e poi, questa è una zona continentale, d’estate c’è un caldo torrido, d’inverno un freddo polare, è assolutamente normale per chi non v’è abituato.” disse il ragazzo, “Io e Pride-niisan abbiamo abitato qui per parecchi anni, siamo abituati al freddo.” affermò con voce malinconica.

“Dovevate essere ben affezionati a quella ragazza e a questo posto…” interloquì Kain con voce triste, “Si, Emily era… Come posso spiegarlo…? Era una ragazza stupenda, io la conobbi che ero ancora a scuola e diventammo presto amici. Era una ragazza gentile e disponibile, ma molto fragile emotivamente, era facile ferirla. Io l’avevo protetta molto spesso ed eravamo inseparabili. Pride stava volentieri con lei, era l’unica persona, oltre a me e ai nostri fratellini, con cui aveva un rapporto; vedi, mio fratello non ha mai superato la morte dei nostri genitori, si è come chiuso in sé stesso, si era concentrato solo su me, Lust, Envy e Sylvie, ma poi Sylvie è morta, e per lungo tempo si è crogiolato nel dolore, malgrado le nostre suppliche. Envy era ancora troppo piccolo per poter badare a sé stesso e lui e Lust si sono occupati di entrambi, malgrado io sia loro gemello.” parlò sottovoce il moro, guardando fisso davanti a sé.

“Beh, e poi?” chiese Breda, incuriosito da quella storia, “Poi conobbi Emily, e Pride sembrò aprirsi un po’. Tutti e tre ci diplomammo e poi anche Lust e Envy; per motivi di lavoro, io e Pride ci trasferimmo qui con lei e restammo per parecchi anni, una decina più o meno, abbiamo passato un sacco di tempo tutti assieme, eravamo sempre i benvenuti dai suoi, ci consideravano come figli. Poi, però, scoppiò quell’epidemia… Io e Pride eravamo ritornati da poche settimane a casa, lei era rimasta coi suoi genitori, quando ricevemmo la notizia; chiamammo subito da lei e scoprimmo, dalle parole della madre, la triste verità…” sussurrò il moretto, stringendo i pugni, una lacrimuccia scivolò giù dai suoi occhi.

Il viso era celato dalla frangetta: “Quando ci eravamo lasciati, ci eravamo ripromessi di vederci per il suo compleanno, eravamo felici…” terminò, tra i singhiozzi.

I due militari si guardarono, anche i loro occhi stavano piangendo, senza che se fossero accorti.

In quel momento, si udì un gran fragore.

Istintivamente, si voltarono verso il palazzone.

Alte lingue di fuoco lo avviluppavano.

Era scoppiato un incendio.

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Roy e Eric scappavano nella notte buia, attraverso la foresta cupa e fredda.

In lontananza, si udivano le grida e gli spari, uniti al fragore dei passi in corsa e dei fari delle jeep che tentavano di accerchiarli.

 

Sentivano le grida sempre più vicine dei loro inseguitori, Eric aveva molta paura; il Comandante, improvvisamente, si buttò tra gli arbusti, trascinando con sé anche il suo giovane compagno; gli tappò repentinamente la bocca con una mano, appiattendosi il più possibile a terra.

Eric abbassò il più possibile il capo, socchiudendo gli occhi, il cuore gli batteva a mille nel petto per la paura; vide le luci delle torce passare davanti al suo naso, sentì le voci furibonde e concitate degli sgherri di Archer che li cercavano.

Il brunetto tremava dal terrore.

“Shh, se ne stanno andando, sta tranquillo...”.

La voce del Comandante lo rassicurò, le sue membra smisero un poco di tremare.

Il rumore si affievolì, fino a scomparire quasi del tutto.

La foresta era tornata tranquilla.

Erano al sicuro, per ora.

Roy e Eric si tirarono su, guardandosi con circospezione attorno: tutto era tranquillo.

“Per fortuna non ci hanno visto... Forza, dobbiamo andare! Ho lasciato un indizio al sanatorio Ikegumi, dobbiamo raggiungere i suoi uomini, devono essere giù lì, secondo i miei calcoli. Muoviamoci.” disse il ragazzo, cercando di regolarizzare il tono di voce, “D’accordo, quanto dista da qui?” s’informò il colonnello, cercando di non pensare al braccio dolorante, “Circa 40 km, chilometro più, chilometro meno. Se tutto va bene, si sono fermati lì per la notte, se ci sbrighiamo, per l’alba dovremmo raggiungerli.” Parlò Eric, riacquistando un poco il suo sangue freddo.

Roy sospirò, massaggiandosi le tempie con i polpastrelli degli indici: “Ok, andiamo…” sussurrò, incamminandosi nel folto della foresta dietro al ragazzino.

Una volta fuori, si ritrovarono in mezzo a una immensa pianura.

Il cielo era trapunto da migliaia di stelle.

Senza dire una parola, cominciarono a correre.

“Edward, sto arrivando…”.

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La ricetrasmittente gracchiò rumorosamente.

Ed la afferrò, fermandosi nel mezzo della stanza che stava esaminando: “Pronto?” disse, “Ed, sono Jean, passo.”, la voce del tenente giungeva a lui alterata ma udibilissima, “Jean, dimmi, passo.”, “Abbiamo trovato una mappa, ci sono delle note, forse abbiamo trovato la traccia di cui Eric parlava, passo.”.

Edward si morse il labbro, forse ce l’avevano fatta.

“D’accordo, usciamo fuori di qui, avverti anche Maes e Vato, passo e chiudo.”.

Envy lo guardò con occhi speranzosi: “Hanno trovato qualcosa?” chiese lui, “Si, una mappa, dobbiamo raggiungerli, andiamocene da questo postaccio.” affermò fiducioso il biondo con uno spento sorriso dipinto sul volto pallido e stanco; Envy stava male a vederlo così.

In un moto di rabbia, strinse i pugni: gliela avrebbe fatta pagare a quel bastardo di Archer.

Si era affezionato troppo a Ed, e non sopportava di vederlo soffrire a quel modo, pensava al Comandante notte e giorno, di questo era certo.

In quel momento, udirono uno scoppio assordante e l’edificio tremò pericolosamente, gettando a terra i due amici: “ENVY, STAI BENE?” urlò Ed, rialzandosi di scatto, “Si, tutto a posto, che diavolo succede?” esclamò stizzito il detective, “Non lo so, ma faremmo meglio a uscire il più rapidamente possibile!” sbottò Ed, afferrandolo per un polso e uscendo nel corridoio.

Fecero per scendere le scale quando una violenta vampata di fuoco eruttò dalle stanze da cui erano appena usciti; Envy si affacciò alla tromba delle scale, le fiamme avviluppavano tutti i piani inferiori.

Erano caduti nella trappola.

“Cazzo!! Dobbiamo uscire di qui! HAVOC!! RIZA!! MAES!! VATO!! TUTTI FUORI, IL PALAZZO STA ANDANDO A FUOCO!” urlò nel microfono, ma l’unica risposta che ricevette fu un fastidioso gracchiare.

In un moto di stizza, buttò le cuffie contro la parete, mandandole in mille pezzi: “DANNAZIONE!! MALEDETTO ARCHER!!” urlò furibondo, dando pugni contro la parete, “SE è ACCADUTO QUALCOSA AI MIEI UOMINI, LA PAGHERAI CARA!! ENVY, FORZA, CERCHIAMO DI SALVARCI DA QUESTO INFERNO!” gridò, afferrando l’amico per il polso, “E gli altri?” chiese con una punta d’ansia il moro, “Non lo so… Devo portarti fuori di qui, poi verrò a cercarli…” sussurrò, cercando di trattenere le lacrime, “Ti prometto che usciremo di qui… Scusami amico, scusami di averti coinvolto…” mormorò con voce incrinata, “non dirlo nemmeno, non è il momento delle scuse, queste cose ce le diremo quando saremo in salvo, ora pensiamo solo a uscire, d’accordo?” affermò l’amico, cercando di essere ottimista.

Ed annuì.

In quel momento, sotto il loro sguardo sconvolto, le fiamme li avvolsero con violenza e furia.

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Lust, Greed, Breda e Kain guardarono con orrore il rogo tremendo che in pochi minuti aveva avvolto il sanatorio Ikegumi.

Era uno spettacolo terribile.

La ragazza era scivolata a terra, lo sguardo sbarrato dal terrore.

Greed stava ritto in piedi, gli occhi lucidi.

Breda e Kain scattarono in avanti, dirigendosi verso l’accesso quando da questo ne uscirono correndo i loro compagni, che si gettarono nella neve fresca, rotolandosi per spegnere le fiamme che avviluppavano i loro vestiti.

Erano vivi.

In un istante, i quattro gli furono vicino, tirandoli su dalla neve; a parte qualche escoriazione, non sembravano messi troppo male.

“Anf… Ed e Envy-kun dove sono..?” riuscì a computare a fatica Pride, “Non erano con voi?” chiesero agghiacciati Lust e Greed, “Ci.. anf… eravamo separati… per esplorare meglio, quando è scoppiato tutto… anf…” intervenne Havoc, riprendendo fiato.

Kain guardò terrorizzato le alte fiamme avvolgere il complesso: “Sono ancora dentro…?” mormorò con voce tremula.

In quel momento, l’edificio esplose.

Istintivamente, si buttarono tutti a terra, coprendosi il capo con le mani.

A Riza scappò una lacrima, lo sconforto prese tutti i militari.

Cosa avrebbero detto al Comandante?

Come avrebbero potuto spiegare?

Avevano infranto la promessa.

Improvvisamente, Lust urlò: “GUARDATE! C’è QUALCUNO!” urlò la ragazza, ancora sotto shock; il piccolo Hayate cominciò ad abbaiare come un forsennato e Riza lo vide correre verso il rogo, abbaiando sempre più forte.

Una figura deforme comparve tra le fiamme, i giovani soldati si misero in piedi a fatica, fissando spaventati quell’ombra.

Ma dal rogo uscì di corsa Edward.

In spalla, apparentemente svenuto, stava Envy; i due caddero nella neve, esausti e feriti.

Greed e Pride li raggiunsero spaventati: “Ragazzi, state bene?” chiese il minore dei gemelli, cercando di rianimarli; Ed aprì stancamente un occhio, “I..Io si.. Pensa a Envy… Abbiamo preso in pieno le fiamme… Cough… Ho provato a proteggerci con l’alchimia, ma è ferito…” tossì, alzandosi in piedi.

Il biondo barcollò pericolosamente per poi cadere a faccia in giù nella neve gelida, senza forze; Pride lo tirò delicatamente su: “Sta fermo, pazzo…” soffiò, scambiandosi un occhiata col gemello, “Tu occupati di Envy-kun, io di lui, sbrighiamoci..” ordinò a mezza voce.

Greed annuì, e sfiorò con le dita il viso cianotico del fratellino: una debole luce azzurrina lo avvolse, lo stesso fece Pride col biondo alchimista.

Qualche minuto dopo, i due gemelli si tirarono su, portando in braccio i feriti: “Torniamo al treno, forza.” Disse il maggiore, facendo strada.

Maes si avvicinò a fatica, sorretto da Kain: “Come stanno?” chiese preoccupato.

Greed lo guardò con un aria sollevata: “Stanno bene.” disse solo, seguendo Pride.

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YUHUH!!

E indovinate chi è tornata??

MA SI!!

L’UNICA E INIMITABILE SHUN!!

Sorpresi?

Ammettetelo, ormai disperavate di rivedere la mia brutta faccia sul fandom, vero??

E INVECE NON VI LIBERERETE DI ME TANTO FACILMENTE!!!

MUAHAHAHAHAHAHAHA!!

Ok, basta con lo sclero.

Beh, cosa dite?

Il capitolo fa schifo, lo so, ma è il meglio che il mio cervello ha saputo sviluppare!!

Beh, tiriamo le somme.

Ed e Co sono al sanatorio, Eric e Roy sono in fuga e Al è al Comando.

COME FINIRà QUESTO SCLERO?!?!

Non lo so nemmeno io, se vi può interessare… XD

Vi devo chiedere scusa, è un tempo immemorabile che non aggiorno, ma ho avuto parecchie rogne a scuola e tempo molto poco…

Ma ora sono tornata e vi prometto che il prossimo capitolo arriverà molto presto… Anche perché ci sarà una scena MOLTO importante!

È LA SCENA CLOU DELLA MIA STORIA!!

Quindi, non perdetevela!!

RINGRAZIO VERAMENTE DI CUORE:

LIRY

SHIKADANCE

FLY89

MAMY E PAPY

EMMY11

ELISETTA

Grazie a voi, questa fic sta venendo veramente bene, grazie a voi.

SPERO CHE VI PIACCIA!

UN BACIONE ENORME!!!

SHUN

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Capitolo 10
*** WE WILL MEET AGAIN ***


CAPITOLO 9

WE WILL MEET AGAIN

Mezzanotte era passata da un pezzo ma ciononostante, due ombre furtive continuavano a correre attraverso le immense pianure dell’Ovest di Amestris.

Il vento forte spazzava tutto attorno, c’era freddo; malgrado ciò, non si fermavano, ma continuavano la loro corsa.

Il cielo era trapunto di migliaia di stelle lucentissime, di un blu così intenso che sembrava quasi un oceano;  in lontananza, si scorgevano alte e massicce ombre oscure, montagne senza dubbio.

Dalle vicine foreste, si udivano rochi i lamenti degli animali e i ringhi dei loro predatori; un lupo solitario fece udire la sua voce nel buio.

Non c’era la luna nel cielo, quella notte.

Era la notte ideale per una fuga.

“Eric, quanto manca?” chiese con voce profonda e un poco affaticata il Comandante, che correva dietro all’agile ragazzo, “circa una ventina di chilometri, ma conviene fermarci, non riesco più a correre…” ansimò il ragazzo con voce roca; per poco non incespicò in un sasso affiorante dal terreno, ma fu afferrato al volo dal Fuhrer: “Ehi, tutto bene?” chiese lui, “D’accordo, fermiamoci, ammetto che nemmeno io riuscirei a muovermi più molto se continuassimo a correre così, e poi dovremmo aver ormai seminato i cagnacci di Archer.” ridacchiò poi nervosamente, lasciandosi cadere seduto sull’erba soffice e bagnata di rugiada mentre il bruno si distendeva sulla nuda terra.

Era stanco, si vedeva, e il braccio gli doleva più di prima.

Provò a muoverlo piano, ma il dolore era davvero insopportabile; si lasciò scappare un gemito, che fu subito udito dal suo giovane compagno: “Cosa ha?” chiese preoccupato lui, rizzandosi seduto e avvicinandosi a gattoni, “N..Nulla..” riuscì a dire, tra le scosse di dolore, tenendosi l’arto ferito al petto, “non dica cavolate e mi faccia vedere.” affermò il giovane con voce dura.

Riluttante, il Comandante stese l’avambraccio, grugnendo dal dolore; il ragazzo prese da tasca un accendino: una debole luce si diffuse attorno a loro, rischiarando il braccio reso vermiglio dal sangue che scorreva piano ma continuamente dalla ferita sulla spalla. Il ragazzo strabuzzò gli occhi, guardandolo poi severo: “Lei è pazzo! Sarebbe arrivato morto dai suoi uomini!” sbottò furibondo Eric, strappandosi un lembo della camicia e fasciandogli la ferita, “Fatto, ora il sangue non dovrebbe più uscire, ma dobbiamo sbrigarci, se hanno liberato i molossi, sentiranno l’odore del sangue da lontano e ci saranno addosso in un baleno.” affermò con aria seria il bruno, rialzandosi, “Ce la fa?” chiese poi con tono preoccupato, tendendogli una mano; Roy annuì e la afferrò, mettendosi in piedi.

“Certo, che credi? Non sono così debole, sai? E poi, se non tornassi indietro, un certo mio sottoposto me la farebbe pagare una volta raggiuntomi nell’aldilà e non penso di avere voglia di finire in un posto così poco salubre per la mia salute.” ironizzò lui, scuotendosi la polvere dai vestiti.

I due ripresero la loro corsa verso Est, sicuri di giungere presto a destinazione.

“Siamo quasi arrivati… Kami, ti prego… Fammelo rincontrare…”.

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Tutte le luci erano accese sull’Amestris.

Il treno era fermo presso l’immensa pianura, a poca distanza dal bosco; oltre di esso c’era il sanatorio, ormai ridotto a un cumulo di macerie fumanti e roventi.

Erano passate ormai parecchie ore.

Dopo aver condotto i due giovani a bordo e aver prestato loro le prime cure, un team capitanato da Greed era tornato presso le rovine per spegnere l’immenso rogo e impedire che pure la foresta si trasformasse in un inferno.

Ora, Ed e Envy riposavano tranquilli, sotto l’occhio vigile di Lust e Hughes, Pride e i pochi rimasti a bordo erano nelle loro stanze a riposare mentre Riza, per nulla stanca malgrado le ferite e le escoriazioni, montava la guardia fuori col piccolo Hayate.

La notte era tranquilla e silenziosa.

L’orologio a muro segnava le tre.

I due amici erano distesi sui divani, uno accanto all’altro; Lust sfiorò leggermente la fronte del fratellino, trattenendo a stento un singhiozzo: “Si sono salvati per un pelo…” constatò malinconicamente la mora, “Questa avventura sta logorando tremendamente il loro fisico, sono esausti, non so quanto ancora potranno resistere.” disse senza emozione, aveva lo sguardo triste e stanco.

Il tenente colonnello le fu accanto, cingendole le spalle con un braccio: “Fatti coraggio Lust-chan, sono ragazzi forti e poi, non vorrebbero vederti piangere. Vedrai che dopo una buona dormita staranno meglio.” la rassicurò fiducioso Maes, sistemandosi gli occhiali, “Sono solo dei ragazzi… Chi può volere male in questo modo a Ed e al Fuhrer…?” sussurrò la mora, carezzando le guance scarne del Fullmetal, solcate da lacrime, “Chi può odiarli a tal punto?” si chiese lei, stremata.

Maes non disse nulla e spostò lo sguardo sui due giovani, mordendosi il labbro inferiore: Ed aveva il corpo pieno di fasciature e bruciature sparse qua e là, ma non era in pericolo e neppure Envy, benché le sue ferite fossero più numerose, ma tutti loro temevano le conseguenze psicologiche, più che quelle fisiche, che quell’avventura portava con sé.

I due erano scampati alla morte troppe volte, i loro organismi erano troppo debilitati per poter proseguire in quella maniera.

Il moro strinse i pugni, voleva bene ai due ragazzi, come se fossero suoi figli, li adorava al pari di Elycia e anche Al, il minore degli Elric, rimasto a Central City, ad attendere il loro ritorno.

“Mi spieghi una cosa?” chiese lui in quel momento, guardandola fisso, “Si, se posso..” replicò la ragazza, asciugandosi gli occhi, “Quella luce che Pride e Greed hanno emanato dalle mani, cosa era?” domandò serio, “Sembrava alchimia.”.

Lust sorrise: “Infatti È alchimia, alchimia medica per l’esattezza.      Pride e Greed erano  alchimisti medici durante la guerra, il loro operato era segreto, erano una specie di ombra delle truppe d’assalto, all’occorrenza, sapevano impiegare l’alchimia anche in battaglia, erano due alchimisti di stato-ombra, agivano di nascosto e sotto copertura… Dopo il congedo, sono diventati commessi viaggiatori, avevano solo 19 anni quando sono partiti per Ishbar, e Envy poco meno di 9, è stata davvero difficile per me...” parlò la ragazza, “Ma scusa, quanti anni avete?” chiese stupito il tenente colonnello, “Abbiamo 32 anni esatti, compiuti quest’estate, perché?” chiese la ragazza, “Ve ne davo molto meno, almeno una decina!” esclamò stupefatto Maes; Lust scoppiò a ridere, la sua risata era davvero incantevole, “Davvero? Lo dicono tutti!” gioì allegra la mora.

Maes chinò nuovamente il capo, il suo sguardo si posò nuovamente sui due ragazzi e i sensi di colpa lo attanagliarono nuovamente, avrebbe dovuto difenderli, impedire quella situazione orrenda.

Era lui il più alto in grado in quel momento, a lui toccava la difesa del gruppo e dei feriti.

A lui toccava mostrarsi forte e sicuro per tutti, per infondere loro speranza.

Ma nemmeno lui, ormai, aveva più la forza per farlo.

Era un debole, e i deboli soccombono in battaglia.

Non sarebbe mai riuscito a salvare Roy.

Non sarebbe mai riuscito a ripagare il suo debito.

Il debito di sangue che lo legava a Roy dai tempi di Ishbar.

 

FLASHBACK

Attorno a loro, le bombe esplodevano feroci, la sabbia sembrava volerlo inghiottire a ogni passo.

Ma ciononostante, il soldato continuò ad avanzare, tenendo sulle spalle un commilitone.

Erano entrambi feriti, colui che camminava anche piuttosto gravemente.

Traversò con lentezza esasperante le trincee, cercando di tenersi il più basso possibile per proteggere il compagno incosciente che teneva sulle spalle.

Qualche istante dopo, si fermò presso una rientranza abbastanza ampia da permettergli di star seduto e protetto; poggiò il corpo esanime dell’altro soldato a terra e afferrò la borraccia, cercando di fargli bere qualche sorso: “Su, Maes, non mi vorrai morire qui, razza di idiota! Guarda che c’è Glacier che ti aspetta, non la vuoi incontrare?” affermò, cercando di tenere un tono allegro il più possibile; il ferito gorgogliò e ingoiò quelle poche stille d’acqua, puntando un occhio furbetto ma stanco sull’amico: “F..Fossi scemo… Non P…Posso morire qui… Devo mantenere la promessa, no?” sorrise lui, tossendo subito dopo.

Il moro sorrise, rimise via la borraccia e se lo ricaricò in spalla: “Allora sbrighiamoci, dobbiamo fare ancora parecchia strada… Resisti, ti porto al sicuro…”.

FINE FLASHBACK

 

Se non fosse stato per Roy, quel giorno, lui sarebbe morto, fatto a pezzi da un Ishbariano folle di rabbia.

Se non fosse stato per Roy, che lo aveva seguito senza farsi notare, lui sarebbe morto in quell’orrendo deserto, sommerso dalla sabbia senza tempo.

Doveva solo ringraziare il suo migliore amico.

Glielo doveva, doveva fare l’impossibile per lui.

Dopotutto, era il suo Fuhrer, no? Il suo pazzo migliore amico.

E poi…

C’era Ed.

Maes sapeva quanto stava soffrendo, gli voleva bene e non sopportava di vederlo così; doveva aiutarlo a ogni costo.

In fondo…

Era o non era come un figlio per lui?

Il moro era talmente preso dai suoi pensieri che non si era nemmeno accorto del risveglio dei due giovani, che lo fissavano confusi e preoccupati.

Lust fece loro segno di stare in silenzio: “Come state?” chiese lei, sollevata, “Meglio, decisamente… Dove sono tutti??” chiese apprensivo il biondo, “Non preoccuparti, stanno riposando, mentre Riza-san è qui fuori di guardia.” spiegò lei pacatamente.

In quel momento, si udì un abbaiare feroce e sommesso.

Ed assottigliò gli occhi, cambiando improvvisamente espressione.

Quell’abbaiare non preannunciava nulla di buono.

“Lust… Chiudi le luci, Envy, va a chiamare gli altri, svelto, qui fuori c’è qualcuno…” soffiò il biondo, alzandosi in piedi e indossando il mantello che Maes, una volta risvegliato da Envy, gli porgeva: “Chi pensi sia?” domandò il moro, estraendo dalla fondina i kunai e sistemandosi gli occhiali, “non lo so, ma intendo scoprirlo.” sussurrò lui.

In quel momento, entrarono, silenziosi come gatti, tutti i membri del Mustang Team: “Tutti fuori, dobbiamo prenderlo vivo.” disse solo, sicuro che i suoi uomini avrebbero compreso le sue parole; come un sol uomo, uscirono.

Silenziosamente, raggiunsero Riza, appostata tra gli arbusti: “C’è qualcuno nella pianura, non ho visto bene, ma sicuramente sono in due.” spiegò la tenente, sollevata per il loro arrivo, “D’accordo, mancano ancora alcune ore all’alba, se ci muoviamo, riusciremo a prenderli di sorpresa senza esporci troppo. Sbrighiamoci, si và all’attacco!” ordinò il giovane alchimista.

Nessuno osò contraddirlo.

Edward scoccò loro un occhiata compiaciuta, poi scattò correndo verso la piana.

Ognuno di loro lo seguì, disponendosi poi a ventaglio e convergendo verso il centro.

La trappola era pronta.

Ora bisognava solo aspettare.

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Eric e Roy continuavano a correre attraverso l’immensa pianura che delimitava il confine tra Creta e Amestris; mancavano ormai pochi chilometri al sanatorio ed entrambi, malgrado la fatica, continuavano a correre, erano troppo vicini per potersi fermare lì.

Eric tremava di freddo, ma stringeva i denti, doveva condurre il Fuhrer dai suoi uomini, lo aveva promesso.

Lui, era l’unico che poteva aiutarlo.

Inconsciamente, la sua mano si infilò in tasca e andò a stringersi attorno a un lembo di stoffa vellutata; lo sfiorò coi polpastrelli, socchiudendo gli occhi: “Ti prego, aspettami… Presto ti ritroverò…” mormorò il ragazzino, mentre una lacrimuccia scivolava giù dagli occhi, andando a morire tra le labbra serrate, “Ritornerò a Central, fosse l’ultima cosa che faccio.”.

Improvvisamente, all’orizzonte, stagliato contro il cielo violetto, scorse una imponente figura nera.

Erano arrivati.

Le labbra del ragazzo si distesero in un sorriso sollevato: “Mustang-sama! Siamo arrivati!” esclamò lui, voltandosi indietro, “Siamo al sanatorio!” rimarcò; Roy sgranò gli occhi, il respiro affannato, ma gli si leggeva chiaramente in viso la sua grande gioia, “Muoviamoci allora!” esclamò lui, aumentando l’andatura.

Improvvisamente, Eric udì un gran abbaiare poi vide un gran numero di ombre correre verso di loro nella pianura ventosa.

Il sangue gli si gelò nelle vene.

Li avevano trovati?

Non c’era tempo per pensare.

Con uno scatto, afferrò il polso del Comandante e si gettarono entrambi a terra: “Ehi! Che diavolo fai?” esclamò altero Roy, “Shh, faccia silenzio, forse ci hanno trovato…” disse con voce tremante, “Delle ombre stanno venendo da questa parte.” aggiunse.

I pugni di Roy si strinsero convulsamente, no, non era possibile, erano così vicini.

“Dobbiamo affrontarli, non possiamo fermarci. E se li avessero presi prigionieri?” chiese ansiosamente, “Non lo so, potrebbe essere…” rifletté il giovane; Roy scrollò il capo, scrutando tra i fili d’erba, si stavano avvicinando.

Non poteva più aspettare.

Si mise in ginocchio, il guanto posto sula mano pronto ad attaccare: “Non voglio più scappare, devo affrontarli, non posso lasciare i miei uomini nelle loro mani. Tu aspettami qui, mi raccomando, resta nascosto.” affermò lui, guardando dinanzi a sé, si stavano avvicinando, “Ma… La uccideranno!” bisbigliò il ragazzo, spaventato, “Non preoccuparti, non moriremo qui, te lo giuro.” Lo rassicurò con un leggero sorriso, mettendosi in piedi.

Si udì un gran fragore di passi in corsa, in pochi attimi fu circondato.

Il Fuhrer sogghignò, mettendosi in guardia: “Vediamo quello che sapete fare…” mormorò tra sé e sé.

Un attimo dopo, scoppiò feroce la battaglia.

Mustang fronteggiava gli avversari con notevole abilità, buttandoli a terra numerose volte; questi, però, nonostante i colpi ricevuti, si rialzavano continuamente.

“Mi stanno davvero seccando… Non posso perdere tempo a uccidere dei pesci piccoli, devo sapere come stanno gli altri…” pensò lui, continuando a difendersi; improvvisamente, come se fosse stato dato un segnale, le ombre fermarono i loro attacchi, scostandosi rapidamente, si disposero a cerchio attorno a lui.

Roy si guardò attorno, scrutandoli attentamente, sembravano in attesa di qualcosa.

Come un lampo, si buttò di lato a terra, giusto in tempo per evitare una lancia scagliata contro di lui, che si infisse nel terreno a qualche millimetro dal suo viso, graffiandogli leggermente una guancia; senza tanti complimenti, si asciugò il sangue con la manica e si mise in piedi con agilità, mettendosi in guardia subito dopo.

La pianura era silenziosa, l’aria era colma di elettricità, solo il sibilo del vento si udiva, col suo lento lamento notturno.

Tutto era immobile, fermo nell’eternità.

All’improvviso, l’avversario si mosse fulmineo e lo aggredì con rapidità e violenza, era diverso dagli altri, era freddo e calcolatore, implacabile e preciso, una perfetta macchina per uccidere. Roy cominciò a sudare freddo, quell’avversario gli stava dando notevole filo da torcere, era pericoloso, molto pericoloso: “Dannazione, non posso perdere qui, devo ritornare dai miei uomini, non posso mollare proprio ora, non adesso che siamo così vicini…” pensò, stringendo i denti; un attimo dopo, i suoi colpi ripresero vigore e la lotta riprese furibonda più di prima.

Eric, rannicchiato a terra, era terrorizzato.

Sentiva il rumore della battaglia, i lamenti di dolore del Comandante, ma non poteva muoversi, era circondato dalle misteriose ombre nemiche.

Il ragazzo era confuso, non sapeva che fare: “Mustang-sama mi ha ordinato di restare qui, ma non posso permettere che lo facciano a pezzi, è solo contro di loro…” riflettè, cercando di riprendere il controllo del suo cuore impazzito.

Lentamente, strisciò sui gomiti, sino a giungere il più vicino possibile a una delle ombre; prese un bel respiro, socchiudendo gli occhi, sentiva il suo cuore battergli forsennatamente nel petto, sembrava dover uscire da un momento all’altro.

Con uno scatto, aggredì l’ombra più vicina, buttandola a terra e tramortendola; subito, tutti gli furono addosso, ma lui riuscì a liberarsene piuttosto rapidamente, con gli occhi colmi di lacrime, continuò a lottare, ma questi continuavano a rialzarsi e ad attaccare; liberatosi nuovamente, seppur per pochi istanti, diede libero sfogo al suo dolore e a tutte le emozioni che celava dentro di sé: “LASCIATE STARE IL COMANDANTE MUSTANG E I SUOI UOMINI!!! NON VI PERMETTERÒ DI ROVINARE LE LORO VITE COME AVETE ROVINATO LA MIA!” urlò, mollando un gancio poderoso all’ombra che lo tratteneva per il colletto della maglia.

A quell’urlo, tutti si fermarono, come paralizzati.

Sulla pianura, cadde un silenzio glaciale.

Roy, buttato a terra dal suo avversario e rimasto supino e ansante sulla terra bagnata, fu sollevato da braccia sconosciute, mentre, con la coda dell’occhio, vedeva il misterioso sfidante accasciarsi a terra, subito soccorso da un altro compagno: “Roy, sei proprio tu?” pigolò timidamente la voce, una voce terribilmente familiare; il moro annuì e schioccò le dita, illuminando fiocamente tutto attorno con il suo fuoco alchemico.

Il primo volto che vide fu quello di Maes, che lo sorreggeva da terra, gli occhi stanchi e lucidi.

Poi, spostò l’attenzione sugli altri, vide Havoc, Kain, Falman, Breda… I suoi fedelissimi compagni.

Vide Riza, che teneva Eric in custodia, e due giovani che non aveva mai visto ma che assomigliavano terribilmente a Envy e Lust.

Poi, si voltò verso il suo avversario, il cuore gli batteva forte nel petto.

E lo vide.

Era tenuto saldamente per la vita dal moro investigatore, le gambe gli tremavano, il viso ferito e graffiato, gli occhi, prima stanchi e spenti, ora colmi di una nuova luce e di speranza.

Restarono in silenzio per qualche, lunghissimo istante.

“ROYYYYYYYYYYYYY!”

L’urlo di Edward ruppe quel silenzio gravido di attesa, si divincolò dalla presa di Envy, incespicando e rischiando di cadere; fu afferrato al volo dal moro ed entrambi caddero all’indietro nell’erba, il minore che stringeva faticosamente le sue braccia attorno alla vita del maggiore, piangendo irrefrenabilmente sul suo petto: “Shh… Non piangere… va tutto bene, è tutto finito…” sussurrò, carezzandogli la schiena per tranquillizzarlo, “Ehi, scusami, ti ho fatto tanto male?” chiese dolce, godendosi quel contatto che gli era mancato così tanto, “N..No.. Non importa… Sigh… Ho avuto paura, tanta paura di averti perso… Sigh…” pianse, sempre accoccolato sul petto del maggiore, sembrava solo un bambino bisognoso di affetto e certezze dopo un brutto incubo, stava sfogando tutto il dolore che si era tenuto dentro per quei lunghi e tremendi giorni, “Mi sono sentito morire, quando sei stato portato via… Non sapevo che fare… Volevo ritrovarti a ogni costo… Mi sei mancato tanto…”.

Roy lo strinse maggiormente, trattenendo a stento una lacrima: “Anche io ho avuto paura… Archer mi aveva detto che eri morto…” soffiò il moro, era un momento veramente magico, un momento di parole non dette ma sempre sapute, un momento di affetto, un momento di luce dopo tanti giorni di buio, “Non riuscivo a non pensarti, avevo paura di quello che ti avrebbero fatto.”.

Attorno a loro, i soldati del Team festeggiavano, e che risate e che pianti irrefrenabili di gioia facevano, saltellavano abbracciati, il piccolo Hayate che correva forsennatamente attorno a loro abbaiando felice: “Evviva!! Siamo di nuovo tutti assieme, non ci credo, ditemi che non è un sogno…” piagnucolò Kain, a braccetto con Breda che improvvisava una danza della vittoria, “Non è un sogno amico, è la realtà, il nostro Colonnello è finalmente con noi!” esclamò il rosso amico, abbracciandolo con trasporto.

Falman si avvicinò ai due ancora distesi a terra e teneramente abbracciati, una lanterna accesa tenuta saldamente in mano: “Conviene tornare indietro, comincia a esserci freddo, e sicuramente sarete inseguiti capo, dobbiamo far perdere le vostre tracce. E poi, quella ferita sul braccio non mi piace, dobbiamo farla vedere a Lust.” disse con tono serio lui, riportando la calma nel gruppo dopo quell’attimo di follia gioiosa; dicendo così, spostò la luce sul braccio dell’uomo, la ferita aveva ripreso a sanguinare.

Nel vederla, il moro impallidì, si sentiva debole.

Lo sguardo cominciò a vacillare e l’equilibrio cominciò a venir meno.

Rischiò di scivolare rovinosamente a terra, ma Ed riuscì a impedirlo e lo fece sedere sul prato, scrutandolo con sguardo preoccupato: “Cosa ti è successo?” chiese sottovoce, “Nulla di importante, ti spiegherò tutto, ma Vato ha ragione, siamo inseguiti da parecchie ore… Non è saggio restare qui…” sussurrò debole Roy, tutte le fatiche della fuga, il dolore della ferita, la perdita di sangue, cominciavano a farsi sentire.

Ed annuì e, aiutato da Envy, riuscì a tenerlo dritto: “Forza, torniamo indietro, qui non ti lascio. Maes, occupati del ragazzo, Riza, tu va in testa. Si ritorna al treno.” disse il biondo, muovendo passi decisi e rapidi.

Il cielo cominciava a farsi sempre più chiaro.

All’orizzonte, cominciò ad albeggiare.

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WAAAAA!!! CI SONO RIUSCITAAA!!!!

Ho aggiornato Back a ridottissima distanza dal precedente aggiornamento!!

SONO UN DRAGOOO!!!*_*

Ok, perdonatemi lo sclero, ma ci voleva proprio!

Ahhh, ora mi sento molto meglio!!

Beh, che dire… NON SONO PUCCIOLI OLTRE MISURA???

Ok, forse avrei potuto fare meglio, ma mi riservo alcune scene coccolose per i prossimi capitoli, perché le coccole non sono finite qui!! (EVVIVA!!! *_* ndEd e Roy)

Innanzitutto, voglio dedicare il capitolo ad alcune persone.

A MAMY E PAPY, perché sono loro i veri protagonisti di questa storia.

A Tata Liry per tutto quello che ha fatto.

A EMMY, ora Mamechan11, per il supporto.

A Shikadance, perché la storia era dedicata a lei.

E VOGLIO ANCHE RINGRAZIARE TUTTI I MIEI SUPPORTER!!!

ELISETTA, GRAZIE DI CREDERE IN ME, GRAZIE DI SPRONARMI SEMPRE!.

FLY89, GRAZIE PER I COMPLIMENTI, NON LI MERITO ^^’’!!

Beh, con ciò ho concluso.

Back verrà aggiornata il prima possibile, per un po’ mi dedicherò solo a Mugiwara e ai Figli, quindi Back resterà per qualche tempo sospesa, ma tornerò!!

GRAZIE A TUTTI, VI ADORO!!!

 

SHUN DI ANDROMEDA

 

PS: IN CASO DI ERRORI, CONTATTATEMI!!

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Capitolo 11
*** DIMMI CHE MI AMI ***


CAPITOLO 10

DIMMI CHE MI AMI

Ed annuì e, aiutato da Envy, riuscì a tenerlo dritto: “Forza, torniamo indietro, qui non ti lascio. Maes, occupati di Eric, Riza, tu va in testa. Si ritorna al treno.” disse il biondo, muovendo passi decisi e rapidi.

Il cielo cominciava a farsi sempre più chiaro.

All’orizzonte, cominciò ad albeggiare.

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“ALLORA?! LI AVETE TROVATI?”.

La voce furibonda di Archer riecheggiò minacciosa nella grande grotta debolmente illuminata.

L’ex tenente colonnello dell’Esercito di Amestris era furioso.

Non solo un prigioniero era riuscito a fuggire, ma uno dei suoi subalterni, uno dei suoi uomini migliori, lo aveva aiutato.

Lo sguardo dell’ex ufficiale si spostò sulla figura tremante ritta davanti a lui, uno dei capi della squadra di ricognizione era venuto a fare rapporto: “M.. Mi dispiace, ma ci sono  sfuggiti, sono riusciti a seminarci…” ammise con un filo di voce.

Un istante dopo, un urlo disumano da far raggelare il sangue rimbombò tutto attorno, e l’uomo fu avvolto da fiamme altissime, quasi non si distinguevano le sue membra, avviluppato com’era dalle lingue di fuoco; la figura barcollò per un momento, prima di cadere a terra, tra gli spasmi muscolari e i sommessi singhiozzi: “Sei un incapace.” ringhiò Archer, col braccio destro teso in avanti, il busto ritto e immobile, “Non mi servono nullità nella mia squadra.” concluse, voltando le spalle al cadavere ormai carbonizzato.

Nell’antro, cadde un gelido silenzio stupefatto, un silenzio colmo di paura.

Un fruscio leggero fece capire all’ex ufficiale che qualcuno stava portando via ciò che restava di quello che, fino a qualche attimo prima, era uno dei suoi uomini migliori, così si voltò, puntando i suoi occhi iniettati di sangue sugli individui che si trovavano nell’antro: “VOGLIO CHE QUEI DUE VENGANO RIPRESI IL PRIMA POSSIBILE!” sbraitò, liberandosi della pesante mantella che lo celava dagli sguardi altrui.

Con un moto di stizza, la gettò a terra, il sibilo dei cuscinetti a sfera si fece più sinistro e la quantità di vapore che usciva dalle sue giunture non presagiva nulla di buono.

Nella luce fioca, i suoi sottoposti videro il suo vero aspetto.

“Questo orrendo corpo… Sono costretto a vivere come una macchina per colpa di quel bastardo di Mustang e dei suoi compagni, devono pagare per quello che mi hanno fatto… Devono pagare.” disse, con voce spaventosamente calma, ritto in piedi in fondo alla grotta.

“Vi ordino di battere a tappeto la zona, dovete trovarli!” ordinò lui con voce furiosa.

Un giovane ragazzo si fece tremante avanti: “Mi scusi, ma abbiamo ricevuto un messaggio da Ismael, dal sanatorio.” sussurrò a capo chino, “Cosa succede?” interloquì il capo, fissandolo con espressione dura, “Ci ha riferito che i nostri nemici sono giunti sin lì.” rispose lui; “E allora?” incalzò Archer, incrociando le braccia al petto, “Sono entrati dentro, ma sono riusciti a evitare la trappola di fuoco che avevamo preparato, a quanto pare si sono impadroniti di una mappa. Ma non è tutto, Eric era d’accordo con il Fullmetal Alchemist, lui e il Comandante Mustang hanno raggiunto il sanatorio e si sono ricongiunti agli altri, stanno venendo qui.” concluse.

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Il gruppo si muoveva rapidamente attraverso l’erba alta, traversando il più rapidamente possibile la pianura.

Il cielo si era fatto sempre più chiaro, assumendo una delicata sfumatura rosata con pennellate d’oro, una leggera brezza sfiorava i loro volti stanchi, all’orizzonte, l’infuocato disco solare cominciava ad alzarsi superbo, scacciando il buio e cominciando a dipingere la volta celeste con toni di azzurro intenso al suo passaggio.

Le nuvole dalle molteplici forme venivano sospinte dal vento leggiadro, simili a uccelli eleganti e leggeri.

L’erba si tingeva di riflessi dorati, e la natura cominciava finalmente a svegliarsi, i predatori si ritiravano nelle loro tane, i piccoli animali tornavano alle loro faccende.

Il canto delicato e piacevole dei primi uccellini allietava il risveglio della vita attorno a loro.

Roy era sorretto, semisvenuto, da Edward e Envy, che si trovavano al centro della compatta squadra, tutti gli altri facevano baluardo attorno a loro, le loro membra erano tese a reagire a qualunque rumore sospetto; senza incidenti e senza dire una parola, ormai allo scoperto, riuscirono a guadagnare il ridosso ombroso della foresta.

Riza fischiò.

Un istante dopo, un fischio identico giunse in risposta: “è Lust, la via è libera. Andiamo.” affermò Riza, facendo un cenno ai compagni; a poca distanza, videro l’Amestris, coperto dalle fronde dei rami e la mora, che faceva segnali col faro d’emergenza.

Erano in salvo.

Il respiro di tutti si fece più leggero: “Finalmente siamo arrivati…” sospirò sollevato Jean, dando voce ai pensieri dei compagni, “Hai ragione, ma non possiamo abbassare la guardia.” lo ammonì Falman, spegnendo la lanterna; il piccolo Hayate cominciò ad abbaiare, avvertendo la giovane del loro arrivo. Ella li guardò, e il suo volto si distese in un sorriso sollevato e un poco allegro nel vedere il Fuhrer che, seppur ormai privo di sensi, era al sicuro accanto a Edward il cui viso tradiva la gioia e la commozione.

“Sorellina, parliamo dopo, ora dobbiamo portarlo dentro, è piuttosto malconcio.” intervenne subito Envy, scorgendo negli occhi della maggiore curiosità e felicità, “D’accordo, hai ragione tu, ti aiuto io.” annunciò con un sorriso lei; Envy cercò di staccare delicatamente Roy dalla spalla di Ed, ma il ragazzino oppose resistenza, puntando i suoi occhioni dorati e malinconici sul suo coetaneo, non voleva separarsi da lui, “Calma, ci pensiamo noi, ti fidi di me, amico?” cercò di tranquillizzarlo il moro, Ed annuì, lasciando la ferma presa che aveva sul fianco del Comandante e fissandolo intensamente mentre veniva condotto da Lust e dal fratellino a bordo del treno.

Un istante dopo si sentì mancare la terra da sotto i piedi, la testa prese a girargli vorticosamente; barcollando e incespicando, il ragazzo cadde all’indietro ma fu prontamente preso al volo, mentre una voce preoccupata cercava di rianimarlo: “Ehi, tutto bene?” gli chiese Jean inquieto, tenendolo praticamente in braccio, “Coraggio, pure tu hai bisogno di cure e soprattutto di riposo. Saliamo tutti.” ordinò il tenente, “Ce la faccio da solo…” provò a dire il biondo, “Lasciami..” ma Jean gli tappò la bocca con la mano, “Non credo proprio.” replicò solo, conducendolo a bordo e seguito dai colleghi.

Il verso morente dei gufi annunciò l’arrivo della mattina.

Con gran chiasso e vociare, i due fratelli distesero Roy sul divanetto, tra le coperte, Jean fece sedere Ed sulla poltrona accanto; con mano leggera, Lust stracciò la stoffa della manica della logora divisa che indossava il moro, mettendo a nudo la ferita profonda e sporca di sangue secco: “Envy, prendi le garze e il disinfettante. E anche un calmante per Ed, mi sembra parecchio agitato.” chiese lei, tenendo fermo il braccio del Comandante, “Ok, arrivo.” replicò il fratellino, dirigendosi verso l’armadietto dei medicinali nel’angolo della stanzetta.

Nel frattempo, il biondino si era un poco ripreso e, sportosi, carezzava il pallido viso del suo ritrovato Fuhrer, nei suoi occhi si leggeva l’ansia: “Non preoccuparti, adesso starà meglio.” lo rassicurò Lust con un sorriso incoraggiante, “Eccomi sorellina!” annunciò Envy, consegnando alla ragazza ciò che aveva chiesto e affidando, non visto, la corta siringa a Jean, “Ecco, questo lo terrà quieto per un po’.” gli sussurrò il moro; il biondo alchimista, in quel momento, si lasciò scivolare sulla poltrona, aveva il respiro corto e accelerato, gli occhi socchiusi e la fronte imperlata di sudore.

Il tenente studiò con occhio critico lo strumento consegnatogli, non era sicuro.

“Non preoccuparti, è un semplice calmante, lo rilasserà un poco, ne ha davvero bisogno.” spiegò Envy, voltandosi verso la sorella e chinandosi sul braccio di Roy; con un sospiro, Havoc fece un cenno a Kain, che tenne fermo il braccio del compagno mentre la corta punta aguzza scomparve sotto la pelle del più giovane, che ebbe un sussulto leggero: “Ecco, fatto, ora sta tranquillo per un po’, d’accordo?” gli sussurrò l’amico, coprendolo con una delle pesante coperte.

Ed annuì e si appisolò un poco, gli occhi segnati da tanti giorni di paura e veglia si chiusero, finalmente rilassati.

Hughes affidò Eric a Riza e Falman, e si sedette sul bracciolo della poltrona, sorvegliando attentamente ora il Fullmetal Alchemist ora il suo migliore amico, aveva gli occhi lucidi, finalmente era tutto finito: la mora stava terminando in quel momento di fasciare strettamente la spalla del ferito, “Ha un poco di febbre, conviene lasciarlo riposare, come sta Edward?” domandò lei, asciugandosi le mani con un canovaccio, “Abbastanza bene, e Roy?”, la voce stanca del giovane giunse in risposta alla più anziana, “Adesso sta riposando, perché non dormi un po’ anche tu? Ti chiamo io quando si sveglia.” propose lei, ma l’alchimista scosse il capo, “No, voglio stare con lui…” sussurrò con tono sofferente e con gli occhi imploranti, cercando di alzarsi in piedi; Envy sospirò, e lo prese per la vita, facendolo sedere sul divano e facendo poggiare la testa del Comandante sulle sue gambe, “E ora, riposa un po’, sono stato chiaro?” interloquì l’investigatore, “Altrimenti ti costringo a letto.”.

Ed annuì e si accoccolò maggiormente al moro, socchiudendo gli occhi e cadendo finalmente addormentato.

In silenzio, Pride e Greed si avvicinarono al fratello più giovane: “Che facciamo?” chiese il maggiore sottovoce, “Nulla per ora. Sono ancora attivate le barriere, per oggi resteremo qui; voi cosa ne dite?” si rivolse Envy ai militari, “Concordo con te, siamo esausti e abbiamo bisogno di dormire, tutti quanti.” affermò autorevole Hughes, esaminando poi Eric con occhio critico, “Direi che anche tu hai bisogno di riposare, se vuoi puoi stare nella stanza di Ed, tanto lui ormai resta qui in salotto.” sorrise il tenente colonnello, levandosi la giubba e buttandola in malo modo sulla poltrona.

Eric annuì: “Grazie... Vi fidate di me anche dopo quello che ho fatto?” chiese in un sussurro appena udibile il ragazzo, “Se Ed si fida, perché noi non dovremmo? E poi, hai riportato qui Roy e ci hai indicato la strada da seguire, direi che di te ci si può fidare.” concluse il tenente colonnello, “Forza, fila a riposare, ci sarà tempo per le spiegazioni che dovrete darci.”disse con decisione il moro, spingendolo verso la porta, “Un attimo, e il Comandante?” intervenne il bruno, “Non preoccuparti, Pride resterà di guardia, si occuperà lui dei nostri due feriti!” lo tranquillizzò l’occhialuto.

Eric fece un cenno di assenso, fissando intensamente Maes.

C’era qualcosa di familiare nei suoi tratti.

Ne era sicuro.

“Ehi, perché mi guardi in quel modo? Ho qualcosa in faccia?”.

La voce curiosa del tenente colonnello scosse il ragazzo, che chinò all’istante la testa, imbarazzato, gli zigomi delicatamente imporporati: “N..No, non è nulla... Mi scusi...” mormorò lui, inoltrandosi nel corridoio dietro a Envy.

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Quando il Fullmetal Alchemist cominciò a riprendersi, era ormai sera.

Al suo risveglio, si stupì di trovarsi al buio; frastornato, si mise seduto, udiva come un debole ronzio proveniente da fuori.

Era da solo.

Si trovava ancora nel salottino.

I ricordi dell’accaduto riaffiorarono prepotentemente, e anche il pensiero di Roy ferito e svenuto, doveva sapere, doveva sapere se stava bene.

Cercando di mantenere l’equilibrio, si mise in piedi, muovendo qualche passo verso la porta, la testa pulsava terribilmente; un brivido di freddo lo colse improvvisamente.

Il ragazzo si guardò attorno e, alla pallida luce della luna che pian piano si alzava nel cielo, scorse una coperta buttata malamente a terra; la afferrò senza tanti complimenti e se la drappeggiò addosso: a piedi nudi, aprì la porta e uscì nel corridoio debolmente illuminato dalle lampade, tutta quella luce gli ferì gli occhi, ma ciononostante proseguì deciso, seguendo quello strano ronzio che proveniva dalla sala di pranzo, nessuno si vedeva in giro.

Si guardò attorno con aria circospetta e si accorse che il treno si stava muovendo.

A passo lento e cadenzato, si mosse lungo il corridoio, cercando di non rabbrividire per gli spifferi che gli si insinuavano sin sotto la pesante coperta che aveva drappeggiata sul corpo magro e semi nudo: “Dove sono tutti?” mormorò il ragazzo, tossendo un poco e rabbrividendo; improvvisamente, una voce conosciuta e un poco preoccupata giunse alle sue orecchie: “Ed, cosa fai in giro? Dovresti essere ancora a letto.”.

Il ragazzo si voltò, puntando uno sguardo stanco negli occhi velati di ansia del tenente Havoc, che veniva dalla parte opposta del corridoio: “Mi sono svegliato e non ho trovato nessuno... Cough...” si giustificò il ragazzo, stringendosi maggiormente nella coperta, “Scusaci, hai ragione, ti abbiamo lasciato dormire un po’ di più, eri veramente stravolto. Vieni di là, qui fa freddo, abbiamo acceso il caminetto, c’è un bel tepore e Lust ha preparato da mangiare.” gli sorrise lui, conducendolo verso la sala da pranzo.

Non parlarono molto durante il breve tragitto, il biondo camminava piano accanto a lui, tenendo il capo basso mentre Jean gli parlava.

Voleva solo sapere dove fosse Roy, ma improvvisamente, le forze gli erano venute meno e riusciva a malapena a tenersi dignitosamente in piedi.

Con malagrazia, il tenente spalancò la porta della sala  e un piacevole tepore accolse il giovane appena svegliato, accompagnato da un buon odore di stufato e anche pane appena sfornato; c’erano anche delle tracce di biscotti nell’aria: “Ehi, ragazzi! Ed si è svegliato!!!” annunciò trionfale, attirando l’attenzione dei presenti.

Kain e Falman si rizzarono in piedi dal divano, Breda e Riza alzarono in simultanea la testa e così Eric e Envy, impegnati in una accesa partita a scacchi mentre le testoline di Lust, Greed e Pride uscirono dalla cucina: “CIAO AMICO!!! Come stai?” esclamò il detective, correndogli incontro, “Hai dormito tutto il giorno, eravamo preoccupati!” esclamò il moro, abbracciandolo; il biondo sorrise appena, lasciandosi stringere dal coetaneo senza avere nemmeno le forze per ricambiare; quando si staccò, Ed li guardò avvicinarsi a lui, “Dove è Roy?” chiese con voce tremula lui, guardandosi attorno.

In quel momento, qualcuno gli arrivò alle spalle, cingendogli la vita in una forte stretta mentre i suoi amici intorno se la ghignavano allegramente: “Cercavi qualcuno, mame-chan?” una voce conosciuta gli sussurrò dolcemente all’orecchio, mentre il proprietario lo sollevava da terra e lo stringeva forte come un bambino; il biondo si rigirò nell’abbraccio, incrociando le iridi color del corvo di Roy e un tremulo sorriso andava a formarsi sul suo viso pallido.

Il ragazzo affossò il viso sulla sua spalla coperta da un pesante maglione di lana, picchettandolo di leggere lacrime e beandosi del suo calore, il giorno prima non avevano potuto parlare, chiarirsi, ma ora, ora che finalmente erano lì, assieme, non voleva assolutamente più lasciarlo, voleva sincerarsi che non fosse semplicemente un sogno.

“Ti prego...” sussurrò, stringendosi a lui maggiormente, “Ti prego...” ripetè, mentre una lacrimuccia scendeva lucente, “Parla piccolo..” sussurrò Roy, “Dimmi che mi ami...” mormorò il biondo, stringendo con i pugni la ruvida stoffa calda dell’indumento che teneva al caldo il Fuhrer; questo sospirò e lo strinse ancora a sé, “Ti amo, Edward… Se tu non fossi stato ad aspettarmi, forse avrei mollato molto prima… Ti amo piccolo…” gli sussurrò all’orecchio il moro, inginocchiandosi a terra.

Restarono abbracciati a lungo, beandosi della presenza reciproca, sotto lo sguardo intenerito dei loro amici, con Ed, così simile a un bambino in quei lunghissimi e dolci istanti, che cercava di trattenere a stento le lacrime e Roy che sorrideva, tenendolo a sé.

Era così tenero quel momento per tutti loro.

Dopo settimane dure e tremende, finalmente si erano riuniti.

Sembrava come se la tristezza e il dolore che per troppo avevano regnato incontrastati nel gruppo non fossero mai esistiti.

“A..Anche io ti amo… Mi sei mancato tanto, Roy…” mormorò con un pallido sorriso lui, scostandosi piano e guardandolo dritto in quegli occhi che tanto aveva desiderato rivedere.

Un leggero colpo di tosse richiamò la loro attenzione e i loro sguardi si posarono sul viso falsamente seccato di Maes, che teneva le braccia incrociate sul petto: “Fidanzatini, non per rovinare questo momento, ma sarebbe pronto da mangiare. Se volete guarire, vi conviene recuperare le forze, sono stato chiaro? Roy, tu da chissà quanto non mangi decentemente, sei magro da far paura. O vieni a tavola oppure ti prendo a calci nel sedere sino a quando non implori pietà!” esclamò lui, prendendoli per i polsi senza troppe cerimonie.

Ridendo, i due finsero di protestare e si ritrovarono seduti a una grande tavolata, a capo tavola, su un comodo e basso divanetto abbastanza ampio da poterci stare in due: “È PRONTA LA PAPPA!!” esclamò Envy con un grande sorriso, entrando in quel momento con una pesante pentola fumante colma di spezzatino e sugo,  accompagnato da Lust che portava dei grossi cesti colmi di pane fragrante e appena sfornato, “Opera del cuoco indiscusso del gruppo, Envy-chan e del suo fido assistente Kain-kun!!” presentò la giovane, portando tutto in tavola.

Il moretto arrossì, chinando il capo e ridendo imbarazzato: “I..Io non ho fatto nulla…” ridacchiò lui, guadagnandosi una decisa sfregata sul capo con le nocche da Breda, “Sempre il solito timidone, eh??” lo schernì giocosamente il rossino.

E così, tra risate felici, la cena incominciò.

SALVE A TUTTI!!!!

SHUN è TORNATA!!!

NON SIETE CONTENTI!!!??

Beh, questo capitolo si commenta da sé, no?

Non sono semplicemente teneri?

Roy e Edward sono i migliori, li adoro!!!

Beh, è tardi per me… VADO A NINNA!!!

RINGRAZIO DI CUORE TATA LIRY, MAMY, PAPY, FLY89, EMMY, ELISETTA E SHIKADANCE!!

Ragazzi, tra poco il nostro viaggio giungerà al termine..

Vi mancherò??

UN BACIONE

SHUN

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Capitolo 12
*** KIMI MONOGATARI ***


CAPITOLO 11

KIMI MONOGATARI

 

“Ed, mi passi il pane?”

“Ecco!!”

“Envy-chan, sei un cuoco formidabile!! Kain, saresti da sposare!!”

“Ma dai, Lust-chan.. non dirmi così, mi metti in imbarazzo.”.

 

L’Amestris Express si era fermato presso una stazione di rifornimento abbandonata lungo la via dell’Ovest così da permettere anche a Greed e Pride di stare con gli altri.

 

Ed erano lì, seduti attorno al tavolo, a ridere e scherzare, parlando del più e del meno, i visi finalmente distesi e fiduciosi, malgrado la stanchezza e i graffi.

 

I tre gemelli sedevano al lato più estremo della tavolata, i due maschi che facevano chiasso col fratellino, mentre la sorella rideva alle battute di Jean; il resto della truppa faceva onore al capolaoro culinario che era lo stufato di Envy e Kain, mentre Maes, seduto dall’altro lato della mensa, cercava di strappare al migiore amico i dettagli dell’accaduto.

 

Per tutta risposta, un Roy decisamente seccato, schioccò le dita, mancandolo per un pelo: “E la prossima volta non sarò così clemente!” ghignò sadico il Comandante; “Però, signore, dovrebbe comunque raccontare ai suoi uomini ciò che le è accaduto, anche perchè, se dovrete affrontare il tenente Archer, dovranno sapere ciò che li aspetta.” affermò Eric, prendendo la parola per la prima volta quella sera.

 

“Non.. preoccuparti.. chomp.. chomp... ne parliamo dopo! Ora godiamoci la cena!” esclamò Breda, con le labbra sporche di sugo.

 

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“Ora però devi spiegarci tutto, Royuccio!” esclamò allegro Mes, una volta terminata la cena e dopo aver sparecchiato.

 

L’interpellato annuì e, tenendo Edward sulle gambe, si guardò attorno, incrociando lo sguardo di Eric, che annuì: “D’accordo, vi racconterò ogni cosa.” affermò, raccogliendo le idee per qualche istante, “Per raggiungervi, Eric mi ha aiutato a scappare, abbiamo attraversato la brughera a ovest e la pianura.” cominciò il militare.

 

Riza poggiò i gomiti sul tavolo: “Perchè lo hai aiutato? Dopotutto sei uno degli uomini di Archer.” chiese lei, seria.

 

Il ragazzo spostò lo sguardo sulla tenente: “Perchè io non sono uno dei suoi fedeli cagnolini, io mi sono arruolato per crcare l’unica persona più simile a un padre che abbia mai avuto, non sono nè mai sarò un suo tirapiedi.” rispose impassibile, guadagnandosi l’attenzione di tutti.

 

Come già era accaduto a Roy e Edward, gli occhi del ragazzo colpirono molto i militari, così vuoti e tristi.

 

“Voglio chiedervi scusa per l’agguato al canyon, non volevo farvi del male, ma dovevo avvicinare il Fullmetal Alchemist senza che mi scoprissero, altrimenti non sarei riuscito a far fuggire Mustang-sama.” aggiunse il ventenne; Hughes si alzò: “ma non hai una famiglia? Qualcuno che si occupi di te?” chiese il moro, levandosi gli occhiali.

 

Il bruno scosse il capo: “Mia madre e mio zio, ma non voglio annoiarvi con la storia della mia vita.”; Jean si accese una sigaretta: “Non preoccuparti, la notte è lunga. Forza, comincia, magari possiamo aiutarti, è il minimo per quello che hai fatto.” affermò il biondo.

 

Il ragazzo guardò attorno con aria confusa, poi scrollò il capo con un sospiro: “D’accordo, ma mettetevi comodi, sarà una lunga storia.”.

 

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“Sono di Central City, mia madre conobbe mio padre molto giovane, ma io non lo ho mai conosciuto, perhè ci abbandonò quando scoprì che mia madre era rimasta incinta. Crebbi con la mamma, che mi tirò su da sola, e mio zio, il fratello della mamma, che fu come un padre per me. Ero molto piccolo, sì, ma ero felice, malgrado tutto; volevo molto bene allo zio e volevo intraprendere la carriera militare per seguire le sue orme, era il mio punto di riferimento, il mio eroe. Ma poi, un giorno, lui e la mamma litigarono.” narrò Eric.

 

“Perchè?” chiese Vato sorpreso, “Lo zio non aveva mai perdonato a papà di averci abbandonato e voleva cercarlo per obbligarlo a prendersi le sue responsabilità, ma mamma non voleva, diceva che ormai non aveva più nulla a che fare con noi. E litigarono violentemente. Tre giorni dopo, ci trasferimmo a East City, dove restai sino a due anni fa. Una volta raggiunti i diciotto, mi arruolai, volevo ritrovare lo zio e farli riappacificare; ci affidarono però ad Archer, che ci portò via come elementi da addestrare come forza speciale di difesa, così almeno diceva lui, ma erano solo bugie. Ci hanno dati per dispersi nella grande battaglia dell’Est, ma non abbiamo mai messo piede sul campo di battaglia.” spiegò Eric, lo sguardo triste e nostalgico.

 

Nel vagone c’era un grande silenzio carico di attesa e domande.

 

“ Ho sentito parlare della vostra lotta contro Bradley, della morte del Fullmetal Alchemist e del suo ritorno, Archer era furioso, voleva vendetta; quando mi ordinò di prendere il comando della squadra per bloccarvi, io decisi di reagire, non volevo più avere a che fare con lui, e così, aiutai il Fuhrer a scappare. Ecco, questa è la mia storia.” affermò con tono malinconico il ragazzo.

 

Hughes gli cinse le spalle con un braccio: “E tuo zio? Hai saputo cosa gli sia successo?” chiese, stranamente agitato, “Purtroppo no. Una volta a East City, chiesi ad alcuni superiori, ma non ricordandomi il nome, non mi hanno potuto aiutare, e poi, forse è morto a Ishbar, mi sembra che sarebbe dovuto partire giusto dopo la litigata...” singhiozzò lui, “Scusate, mi fa male parlarne..” sussurrò, chinando la testa e cominciando a piangere.

 

Alle tristi parole di Eric, il Team si zittì cupo, soprattutto Roy e Riza, sapevano bene quello che significava perdere amici, compagni e anche familiari sul campo di battaglia, avevano passato l’adolescenza a Ishbar, e le ferite, a distanza di anni, continuavano a fare male.

 

No, non le ferite del corpo, le cicatrici erano ormai guarite da tempo, ma le ferite dell’animo, quelle non si sarebbero mai rimarginate, avevano lasciato il loro cuore coi feriti e i morti, il ricordo di quel massacro non sarebbe mai svanito.

 

Edward non disse nulla, lui e Eric erano molto simili, anche lui era orfano, dopotutto, e sapeva cosa voleva dire quella sensazione di solitudine, si rivedeva in quello sguardo vuoto, e portava anche lui nello spirito le tracce della guerra, capiva bene quello che stavano provando: strinse le braccia attorno alla vita del compagno.

 

Riza si alzò, guardando con affetto il bruno: “Su, non pensiamoci più, ormai è passato. Ascolta, alcuni di noi erano di stanza a Ishbar in quel periodo, magari lo abbiamo anche conosciuto, hai qualche elemento che ci permetta di aiutarti? Che so, un soprannome, anche il cognome va bene.” chiese accondiscente lei, guardando alternativamente ora Roy ora il tenente colonnello.

 

Eric si asciugò le lacrime e i suoi occhi si riempirono di nuova speranza: “Il nome non lo ricordo, ero troppo piccino, ma io porto lo stesso cognome della mamma, che è anche quello dello zio.” rispose; Maes sgranò gli occhi, sentiva lo stomaco in subbuglio, il cuore gli batteva forte. A Roy non sfuggì lo strano comportamento dell’amico e intuì al volo ciò che stava per accadere, “Come si chiama tua madre?” intervenne Edward, sporgendosi sul tavolo.

 

Eric sorrise triste: “Saori, Saori Hughes.”.

 

Un silenzio sbigottito cadde nella sala da pranzo, tutti erano increduli e guardavano il ventenne con aria stupefatta.

 

A quella reazione, il ragazzo fu preso dal panico; si ritrasse all’indietro, gli occhi spalancati; “Ho detto qualcosa che non va?” chiese agitato, ma un cenno del Fuhrer lo bloccò, “No, non preoccuparti... Maes...” aggiunse con un sorriso tremulo.

 

L’amico annuì debolmente, e frugò febbrilmente tra le pieghe del colletto della divisa, traendo fuori una sottile catenella d’oro che splendeva alla luce delle lampade: era un ciondolo a forma di stella, alla chiara luminescenza risaltava l’incisione in rilievo sulla superficie.

 

“SAORI E MAES HUGHES”

 

Il bruno ebbe un sussulto e passò le dita sulla lucida superficie metallica; da sotto il colletto trasse un sacchetto vermiglio di velluto e ne trasse un ciondolo identico, mettendolo accanto all’altro: “La mamma, non ti ha mai dimenticato... quando mi arruolai, me lo diede come portafortuna.” mormorò commosso, sentendo le lacrime scivolare piano dagli occhi verdi come il mare.

 

Roy finalmente capì, quegli occhi erano uguali a quelli del suo migliore amico.

 

Hughes gli passò una mano sulla guancia calda per asciugargliela, anche lui piangeva: “ora capisco... Tu sei il piccolo Erii... vi ho cercato tanto, mi siete mancati..” disse con voce rotta, prima di abbracciarlo forte.

 

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Un’ora dopo, erano di nuovo in viaggio e l’Amestris Express correva veloce lungo la pianura.

 

“Dovremmo arrivare all’alba, noi abbiamo tagliato per il bosco, quindi ci abbiamo messo meno tempo ma passando per la ferrovia ci vuole di più” aveva spiegato Eric, quando Greed e Pride gli avevano chiesto delucidazioni sul percorso da seguire; ora, i tre erano spariti nella locomotiva e il resto del gruppo si preparava per andare a riposare.

 

“Envy-chan, ti dispiacerebbe trasferirti?” chiese Lust, con un pacco di lenzuoli e coperte tra le braccia, “No, certo. Chiederò a Havoc se mi ospita da lui!” esclamò allegro il ragazzo, già con la sua borsa sottobraccio, “Sapevo che mi avresti capito, fratellino. Buonanotte!” lo salutò la ragazza, sparendo nella stanza che divideva con Riza.

 

Il ragazzo entrò nello scomparto del tenente e lanciò la borsa sul pavimento: “il vostro superiore mi ha sfrattato, chiedo ospitalità!” rise lui.

I due occupanti stavano giocando a scacchi: “Fa pure, ti aspettavamo.” replicò Breda, muovendo un pedone e mangiando la regina dell’amico, “Scacco matto.”.

 

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Edward stava sdraiato sul letto, già in pigiama, raggomitolato con le ginocchia al petto, gli occhi socchiusi e il respiro leggero; lo scomparto era immerso nella semioscurità, c’era solo una lampada accesa sul comodino.

Il ragazzo si era addormentato, un tremulo sorriso gli illuminava il viso pallido e stanco.

 

In quel momento, la porta del piccolo bagno si aprì e Roy, vestito con una tuta nera, entrò nella piccola stanza, asciugandosi energicamente i capelli appena lavati con un canovaccio: “Ed, sei qui?” interloquì sottovoce, trovandosi davanti il biondino profondamente addormentato; senza dire nulla, il Comandante spense la luce, si sdraiò accanto a lui e coprì entrambi con una calda trapunta per poi stringere le braccia attorno alla sua vita.

 

Per tutta risposta, il ragazzo si mosse e aprì pigramente un occhio: “Dormi, non sarà uno scherzo affrontare Archer.” affermò il moro, “Quel bastardo si pentirà di avermi sfidato..” rise Edward tra gli sbadigli, abbracciandolo a sua volta.

 

I due si addormentarono.

 

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Con uno sbadiglio, Kain mise la testa nel corridoio, tendendo un orecchio, gli era parso di udire delle risate provenire dalla biblioteca.

 

Guardò l’ora, era a malapena l’alba, chi era in piedi oltre a lui?

 

Con la tazza del caffè in mano, uscì, muovendo qualche passo verso la lucida porta rossa poco lontano, aveva ragione: le risate provenivano da lì dentro.

 

Senza tante cerimonie, spalancò la porta: “Chi c’è qui?” chiese.

 

Su un pavimento ingombro di carte e mappe, c’erano Envy, Ed e Eric, intenti a giocare a carte.

 

“Ciao Kain! Vuoi unirti a noi?” propose il detective.

Il sergente maggiore li guardò stupefatto, la tazza ancora tra le mani; un istante dopo scoppiò in una sonora risata: “D’accordo ragazzi, ma vi avverto, quando vincerò, non lamentatevi!!” affermò sornione, poggiandola sul basso tavolino alla sua destra e accomodandosi sul tappeto.

 

In breve, i quattro giovani furono assorbiti interamente dalla sfida a carte, tra le imprecazioni un poco colorite di Edward quando sbagliava, le battute di Envy, le litigate scherzose tra i due.

 

“EVVIVA!! UN ALTRO PUNTO!!” esultò Eric, battendo il cinque con Kain; Edward sbuffò seccato: “Uffa, non è giusto!!” brontolò, incrociando le braccia al petto e buttando le carte per terra.

 

Il biondo mise su un adorabile broncio, come se fosse stato un bimbo a cui un ragazzo più grande ha preso il giocattolo o a cui la madre non vuole comprare il gelato.

 

Envy gli cinse le spalle con il braccio: “Su, non sei un bambino, dovresti anche saper perdere!” esclamò l’investigatore sorridendo; per tutta risposta, Acciaio si volse verso di lui, il viso mortalmente serio.

Lo prese per il bavero del pigiama, guardandolo fisso negli occhi: “Chi sarebbe il mocciosetto? Questa me la paghi Envy-chan!!! Oh, se me la paghi!!!” sbottò, scagliandosi sull’amico con un urlo belluino.

 

I due cominciarono a rotolarsi sul tappeto, ingaggiando una lotta amichevole, come due cuccioli che si litigando un osso, tra le risate di Kain; “Ehi, ma non dovremmo fermarli?” fece Eric, intimorito da quello scatto, “Non preoccuparti, scherzano! Non si fanno nulla!” lo rassicurò Kain.

 

“Tu sei il mocciosetto!!” continuò il moretto, bloccandolo a terra per i polsi, “M-O-C-C-I-O-S-E-T-T-O!!” sillabò lentamente il coetaneo, un ghignetto sadico dipinto sul viso pallido.

 

“AH SI!!?? ADESSO IL MOCCIOSETTO SI PRENDE UNA BELLA RIVINCITA!!!” urlò il biondo, afferrando un cuscino dal divano e alzandosi in piedi: “BANZAI!!” urlò, scagliandosi sull’amico e prendendolo a cuscinate.

I due continuarono la loro lotta imperterriti.

 

Erano talmente presi dalla loro sfida che nessuno dei quattro si accorse di due sagome sulla soglia della porta, coperte dalla tenda rossa che celava l’ingresso, poggiati mollemente contro la parete: “Sono due bambini…” asserì Hughes, infilando le mani in tasca, “e gli altri due non son da meno, visto che si godono lo spettacolo.” Rise divertito Roy, guardando con dolcezza i quattro elementi più giovani di quel loro gruppo godersi spensierati quei momenti di serenità.

 

Il Comandante si era preoccupato molto, non trovando il giovane amante accanto a sé al risveglio, non capiva dove fosse.

Uscito in fretta, si era incontrato, o meglio scontrato, con un Maes che veniva dalla parte opposta, anche lui alla ricerca di qualcuno.

 

Nella fattispecie, di Eric.

Quando però li avevano trovati, tutta l’ansia era scemata nel vederli così tranquilli e allegri, era uno spettacolo davvero bello a vedersi.

 

Maes sospirò e scoccò uno sguardo addolcito al proprio migliore amico, sorrideva: “Forza! Andiamo a far colazione, quando avranno fame, ci raggiungeranno.”

 

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Sotto una pioggia battente e un forte vento, mentre il cielo si riempiva rapidamente di cupe nubi, l’Amestris si fermò a ridosso di una fitta brughiera.

 

Era circa mezzogiorno.

 

“Ecco, siamo arrivati, oltre quegli alberi c’è l’accesso alle prigioni sotterranee.” affermò Eric, affacciandosi dal finestrino.

 

Roy annuì e si mise gli stivaletti.

 

Si era cambiato poco dopo colazione, e aveva indossato una divisa pulita tra quelle che aveva portato dietro Jean.

 

La squadra era pronta a partire.

Edward sospirò: “Ok, io vado allora.” Affermò il biondo, già sulla soglia della porta, pronto a scendere, “Voi aspettatemi qui, torno presto.” aggiunse il ragazzo; Riza afferrò una pistola e gliela lanciò al volo, “Prendila, ti servirà. Vedi di tornare tutto intero, d’accordo?” lo rimbeccò lei, seduta sul divanetto con Hayate in grembo.

 

Ed soppesò l’arma tra le dita, li fissò con un sorriso e la mise nella fondina: “Certo! Massimo un’ora e sono di nuovo qui! A dopo!” esclamò e si gettò fuori dal treno.

Si stava ormai avviando verso la cupa brughiera quando una voce divertita lo richiamò: “Non scordi nulla, mame-chan?” lo sfotté quella irritante vocina; lui si voltò, trovandosi davanti Roy, sportosi dal finestrino, tra le mani, teneva una giacca, “Mettiti questa, se non vuoi ammalarti.” disse, squadrando con occhio critico la sua canotta nera e i suoi pantaloni di pelle; senza attendere una risposta, gliela lanciò.

 

Acciaio la afferrò al volo indossandola, era piuttosto pesante.

 

“Non sperare che ti ringrazi, colonnello di merda.” soffiò il più giovane, incamminandosi nel folto della foresta.

 

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Quel luogo era cupo e spaventoso.

Buio, nonostante fosse giorno avanzato, la scarsa luce impediva a Edward di avere un quadro completo della zona; camminava lentamente, la pistola saldamente in mano e pronta a far fuoco.

 

Quel posto non gli piaceva per niente.

 

Sentiva puzza di trappola lontano un miglio.

 

“è da un pezzo che cammino, mi sembra strano che non ci siano guardie..” sussurrò tra sé e sé, stringendo maggiormente il calcio dell’arma.

 

Fruscii e strani rumori attorno a lui contribuivano a renderlo più nervoso.

 

Improvvisamente, da dietro una grossa quercia, saltò fuori una sagoma buia, che gli sbarrò la strada, gli puntava addosso una pistola a canna lunga.

 

“Ma bene, allora il moccioso si è salvato!” esclamò con tono cattivo, “Ma non per molto.” sogghignò.

 

Fu un attimo e nella foresta risuonarono due spari.

 

SERA!!!

Come? Sono cattiva?

LO SO!!

E certo, perché secondo voi non mi sarei fermata??

Eh no, cari miei!

Visto che il prossimo sarà l’ultimo capitolo, o almeno penso, voglio farvi penare fino all’ultimo!!

Carogna una volta, carogna per sempre!!

 

RINGRAZIO DI CUORE MAMECHAN11, FLY89 E LIRY-CHAN!!!

RINGRAZIO ANCHE LA MIA TSUKICHAN PER L’AIUTO E TUTTI COLORO CHE HANNO SOLO LETTO.

 

UN BACIONE

SHUN

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Capitolo 13
*** THE LAST FIGHT BEGINS! ***


CAPITOLO 12

THE LAST FIGHT BEGINS!

 

Fu un attimo e nella foresta risuonarono due spari.

 

Per un istante, cadde un silenzio glaciale sull’Amestris.

 

Nessuno riusciva a dire alcunchè.

 

Quei due spari erano un cattivo presagio.

 

Un secondo dopo, Envy si slanciò al finestrino, sbilanciandosi fuori, il suo sguardo era più che eloquente.

 

“Hanno sparato a Edward!!” urlò con voce incrinata, dando voce ai pensieri di tutti.

Uno stormo di corvi si levò gracchiando lugubramente, in lontananza si udirono dei tuoni.

 

Il vento ululava sempre più forte tra le fronde degli alberi, sembrava quasi che fossero gli alberi stessi a lamentarsi, addolorati.

 

Nessuno parlava.

Nessuno si muoveva.

 

La pioggia picchettava fastidiosamente sui vetri, ed era l’unico suono che sembrava alleggerire un poco il repentino silenzio che era calato di colpo sul treno.

Pride e Greed erano in piedi, immobili come statue, stupefatti.

 

Improvvisamente, il piccolo Hayate, che era rimasto sino a quel momento tra le braccia della bionda tenente, balzò al suolo, abbaiando furiosamente; con agilità, balzò fuori dal finestrino aperto.

 

L’abbaiare furioso del cucciolo sembrò scuotere i membri del Mustang Team dal loro torpore; Maes scoccò uno sguardo vacuo all’indirizzo del Comandante Supremo, l’uomo teneva gli occhi chiusi, la testa mollemente poggiata sul palmo, puntellandosi sul bracciolo della poltrona col gomito.

Non si era minimamente mosso.

 

L’abbaiare del cucciolo si fece più acuto, e il piccolo animale spiccò una corsa verso la macchia oscura e tenebrosa; un rumore di passi veloci si avvicinava a loro.

 

Non c’era tempo per pensare.

I militari estrassero le pistole e seguirono Envy, che si era già portato fuori, lo sguardo del moro ragazzo era colmo di gelida furia, gli occhi ridotti come a fessure.

Si disposero a ventaglio, pronti a reagire a qualunque attacco.

 

Un rumore di rami spezzati indicò loro la posizione del nemico: “è vicino...” soffiò Greed, gli occhi neri saettavano all’impazzata qua e là, il cuore di tutti batteva forsennatamente nel petto.

 

L’adrenalina scorreva veloce nelle vene, mischiandosi al sangue.

 

Un fruscio di foglie giunse alle loro orecchie, assieme a uno strano lamento e a una voce seccata: “Piantala di lamentarti così, brutto bastardo. E ringrazia che non ti ho fatto fuori perchè ci servi, altrimenti te l’avrei fatta pagare per tutto!” imprecò qualcuno; il piccolo Black Hayate cominciò a scondinzolare e corse a ridosso della foresta, saltellando gioioso attorno a una figura maschile dai lunghi capelli biondi, che trascinava per una gamba un tipo dall’aria poco raccomandabile strettamente legato e imbavagliato, gli occhi dorati attraversati da un lampo di rabbia.

 

I lunghi pantaloni neri erano stracciati all’altezza delle ginocchia, l’automail leggermente graffiato, così come l’altro ginocchio e parte del braccio di carne.

Un rivoletto di sangue scendeva dallo zigomo, malgrado il ragazzo continuasse a pulirsi con la manica: “Maledetto bastardo, ti insegno io a sparare a tradimento.” sbottò, lanciandolo sul terreno davanti a lui come un sacco.

 

Il Mustang Team non credeva ai propri occhi; ancora con le pistole puntate, assistettero increduli alla scena, non sapendo assolutamente cosa pensare.

 

Sentimenti contrastanti di gioia e preoccupazione albergavano in loro.

 

“Ehi, Edward. Finalmente, ce ne hai messo di tempo.”.

La voce divertita del Comandante fece voltare in simultanea tutti quanti.

 

Roy era mollemente poggiato allo stipite d’ingresso, le braccia incrociate al petto, lo stivale sinistro poggiato contro il polpaccio destro, fissava con aria saputa il giovane amante ritto davanti a lui; senza dire nulla, il biondo si avvicinò, levandosi lentamente la giacca che indossava, un vistoso buco all’altezza del cuore.

 

La pioggia gli inzuppava ben bene i capelli, gocciolanti.

 

Senza tante cerimonie, la gettò nella polvere, un ghignetto dipinto sul viso: “Sono incappato in un imprevisto, ma ne sono uscito.” replicò lui, incrociando le braccia al petto, “E ora, abbiamo anche un ostaggio.”.

 

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KNOCK KNOCK.

 

Alphonse alzò la testa dalla sua scrivania ingombra di carte: “Avanti!” esclamò, poggiando il pacco di carte che stava consultando.

 

La porta dell’ufficio si aprì cigolando e una ragazza dai folti capelli rosso brace un paio di spessi occhiali fece il suo ingresso: “Ciao, Al-kun..” salutò debolmente lei, chiudendosi la porta alle spalle, “Oh, ciao Sheska-san... Qualche notizia?” chiese lui, sbadigliando, “Per ora ancora nulla. Una squadra è stata mandata all’Ovest e all’Est, la guarnigione di stanza al Passo Limes ha effettivamente registrato il passaggio di un treno sulla vecchia linea militare dell’Ovest, si stavano dirigendo verso Creta, ma risale a circa tre settimane fa e ci vorrà ancora del tempo prima che vi giungano.” parlò lei, tormentandosi le dita.

 

Nell’ufficio cadde uno spiacevole silenzio.

Al e la giovane si guardavano negli occhi.

 

“Secondo te... Stanno bene?” pigolò debolmente lei, tenendo lo sguardo improvvisamente basso.

 

“Stanno bene, ne sono sicuro. Il fratellone, il Comandante e gli altri sanno cavarsela in ogni situazione, non dobbiamo preoccuparci. Piuttosto, dobbiamo capire chi diavolo ci sia dietro a questa storia” affermò serio il biondo, tornando al lavoro, “Sicuramente qualcuno che ce l’ha particolarmente con Ed e il Comandante.” aggiunse Sheska, sedendosi accanto a lui e gettando un occhio sulle sue carte, “Giusto, e deve essere una figura discretamente acuta, con un buon cervello.” concluse il ragazzo, “se è riuscito a rapire il Comandante a South City, doveva avere qualcuno che li spiava...” riflettè il ragazzo.

Le sue parole diedero l’illuminazione alla ragazza: “Alphonse, sbaglio o Mustang-sama è stato rapito mentre andava all’ospedale?” incalzò lei, “Si, andava a raggiungere gli altri che erano lì col niisan ricoverato.” rispose il ragazzo, era confuso, non capiva cosa volesse dire la collega.

 

La rossa sospirò, ravvivandosi i capelli: “E perchè Edward era ricoverato all’ospedale militare di South City?” continuò lei, le tremavano le mani, “Perchè era stato aggredito da...” e Alphonse Elric, in quel momento, capì, comprese ciò che Sheska cercava di dirgli.

Con gli occhi sgranati dallo stupore, si rizzò in piedi: “Vuoi dire che Ed-niisan è stato ferito di proposito per attirare il Fuhrer al Sud?!” interloquì il biondo.

 

La ragazza annuì: “Ne sono certa. Qualcuno sapeva che sia Envy che Ed erano a South City, e ne ha approfittato per occuparsi di Ed e fare in modo che il nostro amico lo trovi! Fa tutto parte del piano!!” concluse lei, stringendo i pugni, “Gli altri sono in serio pericolo.” affermò, socchiudendo gli occhi.

 

Al si lasciò cadere sulla sedia, abbandonandosi contro lo schienale.

Non riusciva a crederci.

 

Chi mai poteva aver architettato un piano così astuto e subdolo?

Chi mai poteva odiarli a tal punto?

 

L’Elric minore incrociò le mani davanti al volto, riflettendo sulle possibilità che gli si prospettavano: “una persona di discreta intelligenza, che odia profondamente sia il fratellone  che Roy-san per qualche ragione, deve anche avere qualche rapporto con l’Esercito, altrimenti non avrebbe potuto architettare tutto questo.”.

 

Nell’ufficio regnava un riflessivo silenzio.

 

Silenzio che venne rotto dal rompersi di un posacenere di maiolica infrantosi sul pavimento.

Al alzò di scatto la testa, trovandosi davanti il viso di Sheska, trasfigurato in una smorfia di orrore e meraviglia; la ragazza guardava fisso un foglio, le mani davanti alla bocca semiaperta: “Al... Guarda qui...” sussurrò lei; lui prese in mano il foglio e lo lesse rapidamente.

 

La medesima espressione andò a formarsi sul suo viso.

 

Sbattè un pugno sulla scrivania con violenza: “Bastardo...” mormorò il ragazzo, tremava, “Sheska, va a chiamare Danny e Maria, e preparatevi a partire. Contatta Armstrong-dono e digli di venire subito qui, è urgente!!” esclamò lui, afferrando il telefono.

 

“Al-kun, hai capito? Sai chi è stato?” chiese con voce sottile.

 

Al la guardò, gli occhi colmi di furia e dolore: “Purtroppo si... è Archer, ho ragione? Quel bastardo di Frank Archer...”.

 

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Edward era seduto sul divano, gli stivali buttati malamente in un angolo, asciugandosi con forza i capelli con uno strofinaccio; attorno a lui, tutti i suoi compagni, ancora stupiti per l’accaduto, lo guardavano fisso, come se fosse un fantasma.

 

“Roy, io non capisco cosa tu abbia, noi siamo preoccupati per Ed e tu sei stranamente calmo.” sbottò improvvisamente Maes, sbuffando seccato, “Abbiamo sentito tutti gli spari, Ed aveva un vistoso buco sul petto quando è tornato, ma continua a muoversi come se niente fosse, nemmeno una goccia di sangue!” saltò su Fury con gli occhi lucidi.

 

Il Comandante ridacchiò sommessamente: “Mica sono così scemo da mandarlo in missione senza precauzioni, minimo lo avremmo trovato morto!” esclamò Roy, aprendo gli occhi che teneva socchiusi, “Perciò mi sono preparato in precedenza.” ridacchiò il Comandante.

 

L’asciugamano umido sfrecciò attraverso la stanza e atterrò sul viso del moro, azzittendolo: “Il giubbotto che mi ha dato era rinforzato in kevlar, era un giubbotto antiproiettile.” disse semplicemente Ed, alzandosi dal divano e legandosi a treccia i capelli mezzi umidi, “Il nostro amichetto di là era appostato per intercettare chiunque si avvicinasse.” aggiunse.

 

Envy e Eric sospirarono di sollievo: “Ci hai fatto spaventare, razza di stupido!” lo rimbrottò il moro, “Già!!” esclamò l’altro.

 

Il Team sorrise: “Ok, adesso che abbiamo appurato che tutto è a posto, preoccupiamoci di Archer, d’accordo? Io propongo che Eric, Lust e Pride rimangano qui, a sorvegliare il prigioniero.” affermò Hughes, sistemando la pistola nella fondina al fianco.

 

Eric si alzò di scatto: “No, zio, io voglio venire con voi!” esclamò il ragazzino, “Potrei esservi utile!! Dopotutto, conosco molto bene la zona!” aggiunse lui, stringendo i pugni, “non voglio che andiate da soli, potrebbero farvi molto male.” sussurrò il ragazzo.

Una mano gli si poggiò sulla spalla, e il giovane, alzati gli occhi, incrociò lo sguardo stanco dello zio: “Ascolta, tu e Roy siete riusciti a evadere da sotto il suo naso, ma se tu ritorni laggiù, Archer non te lo perdonerà, è meglio che tu resti qui, e poi, qualcuno dovrà pur rimanere a sorvegliare l’Amestris, no?” spiegò il moro con un sorrisino ironico.

 

Il nipote sbuffò, incrociando le braccia al petto si lasciò cadere sul divano: “Tutte scuse..” borbottò, imbronciato.

 

Edward sorrise, allacciandosi nuovamente gli stivaletti.

 

Tutti quanti si prepararono.

 

Qualche minuto dopo, furono pronti a partire.

 

Eric, Lust e Pride erano affacciati ai finestrini: “Fate attenzione, mi raccomando..” disse Lust, “Vedete di tornare tutti interi indietro, d’accordo?” aggiunse Pride, salutandoli, “Niichan, otooto, parlo soprattutto per voi, niente colpi di testa, chiaro?” asserì severamente il maggiore dei gemelli.

 

I due sbuffarono: “nessun problema, vedrai che tutto andrà bene.” conclusero, salutandolo.

 

Il Team si inoltrò nella foresta.

Era ora.

 

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La pioggia aveva smesso di cadere da qualche ora, ma il vento non accennava a smettere di soffiare e ululare tra i rami degli alberi della brughiera; la pianura era battuta dalla forte corrente e nulla sembrava turbarne lo spaventoso silenzio di morte e attesa.

 

Il tempo sembrava essersi fermato.

 

Le nubi nel cielo cupo incombevano minacciose, nerastre; come bordate da un nastro color rame, erano sintomo di una tempesta ormai prossima.

 

Dal bosco uscirono, compatti come non mai, gli uomini del Comandante.

I visi determinati ben si sposavano con le ferite e i graffi che solcavano la loro pelle, con le cicatrici sulle braccia, con le vesti lacere.

 

Erano il ritratto perfetto di un animo indomito.

 

Dai loro occhi traspariva una strana luce magnetica, quasi aveva vita propria tanto era forte la sua forza di attrazione.

Muovevano ampie falciate sull’erba bagnata, dirigendosi a passo sostenuto e compatto verso il centro della pianura.

 

Nessuno parlava.

 

In qualche minuto, raggiunsero il centro di quella cupa piana, i nervi tesi all’inverosimile, le orecchie attente e gli sguardi saettanti.

 

Un istante dopo, un fruscio attirò l’attenzione di Edward; con la coda dell’occhio, vide uno scintillio alle sue spalle: “ATTENZIONE!!” urlò, rompendo quel silenzio fragile come cristallo. Il gruppo balzò all’indietro, giusto in tempo per evitare un kunai, sfrecciato da un punto imprecisato dietro di loro; Ed e Envy ruzzolarono all’indietro sulla terra bagnata, accorgendosi con orrore di essere separati dai compagni.

 

Il moro investigatore fermò il compagno, che stava per scattare verso gli altri compagni, qualcosa non andava, se lo sentiva: “Fermo Ed… Non muoverti..” soffiò Envy, bloccandolo; un momento dopo, con un urlo di rabbia, infatti, dal bosco corsero fuori numerosi nemici, che in un attimo circondarono ognuno di loro.

 

“MALEDIZIONE!” urlò Jean, estraendo le pistole in contemporanea a Riza, “Bastardi…” ringhiò Maes, che si trovava affianco a Roy, “Dobbiamo combattere, non abbiamo scelta..” sussurrò Roy, estraendo la mano guantata dalla tasca, i suoi occhi mandavano lampi terribili, non erano più occhi di uomo, ma occhi di belva.

Lanciò uno sguardo attorno, ai suoi uomini, minacciati dagli sgherri di Archer; istintivamente, serrò forte i pugni, non avrebbe permesso a quel dannato di farla franca.

 

Sul viso si dipinse un ghigno, prima di portare la mano davanti agli occhi color onice: “Si comincia.” ringhiò, schioccando le dita.

 

Una grande fiammata colpì in pieno i nemici, liberando lui e Hughes dall’accerchiamento.

Con un urlo belluino, tutti scattarono all’attacco.

 

Quello fu l’inizio dello scontro.

 

Quello, fu l’inizio della fine.

 

“ARCHER!!!!!!!!”.

 

 

BUONASERA!!

E RIECCOMI QUI, A VOI, FINALMENTE CON IL CAPITOLO 12 DI BACK!!

Ammetto che sia stato un lungo capitolo questo e che non sia l’ultimo come avevo promesso.

Ma, dopo un summit al veritce con Tsuki-chan(Himitsu), hodeciso di spezzettarlo, troppe cose ci aspettano.

Vi basti sapere che la partita è ancora tutta da giocare, e potrebbero non essere i nostri militari a uscirne vincitori.

 

Quindi, restate sintonizzati!!

 

VOGLIO RINGRAZIARE TUTTI COLORO CHE MI HANNO SEGUITO SIN QUI E CHE HANNO AVUTO FIDUCIA IN QUESTO PAZZO PROGETTO, CHI CI HA ABBANDONATO A METà DELLA VIA, CHI SI è UNITO DA POCO.

 

GRAZIE DI CUORE A TUTTI, PASSATI, PRESENTI E FUTURI.

 

UN BACIO

 

SHUN

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Capitolo 14
*** WAR IS OVER /EPILOGO (?) ***


CAPITOLO 13

WAR IS OVER

La battaglia infuriava feroce nella pianura, tra urla e attacchi violenti da ambo le parti.

Il gruppo di militari, ormai separati, cercava per quanto possibile di difendersi, di contrastare i nemici, troppo numerosi per loro, ma nulla li avrebbe fermati.

I corpi degli avversari cadevano impietosamente nella polvere ormai pregna di sangue, il fragore delle armi e delle esplosioni non aveva tregua alcuna, ma nessuno pareva essere in vantaggio, né i valorosi soldati né i nemici, era una pericolosa situazione di stallo.

Il vento pareva ululare più forte a ogni nemico che cadeva, come se protestasse, ma nessuno gli prestava attenzione, la folle furia della guerra si era ormai impadronita di loro ma se, da una parte, si cercava di limitare al minimo le morti, dall’altra non si risparmiavano e anzi, a ogni compagno nella polvere, la rabbia di altri dieci si riversava sul Comandante e sui suoi uomini.

Ma questi, non si lasciavano abbattere e, malgrado la netta inferiorità, continuavano a combattere.

Nell’occhio del ciclone, Kain e Vato, accompagnati da Jean e Riza, erano riusciti a trattenere per un poco un discreto numero di nemici, la via era libera, almeno per il momento: “EDWARD!! ENVY!!! ANDATE!!!” urlò il moro, con tutto il fiato che aveva in gola, “Andate da Archer!!” aggiunse, asciugandosi con la manica la fronte.

Il biondo alchimista si voltò di scatto verso di lui, gli occhi arrossati per il vento e la polvere: “Cosa stai dicendo??” urlò con voce stridula, in ginocchio a terra, “Non ce ne andiamo lasciandovi qui, non possiamo farlo!” urlò di rimando Envy, abbattendo con un calcio un incauto avversario troppo vicino a loro e cadendo accanto all’amico con il fiato corto, “FATE COME VI DICIAMO!!” urlò Vato, spingendo Kain a lato per prendere il suo posto, “Se continuiamo a perder tempo qui non ce la faremo mai! Dovete raggiungere quel bastardo e mettere fine a tutto questo.” esclamò l’argenteo, buttandosi nella mischia, seguito a breve distanza dal sergente maggiore.

“FALMAN!” urlarono i due al’unisono e fecero per corrergli dietro, quando qualcuno li afferrò per le spalle, trascinandoli via; non lo videro, ma scorsero distintamente, da lontano, i loro compagni combattere, schiena contro schiena, nel mezzo del furore.

“GREED, LASCIAMI SUBITO!!” urlò Ed, cercando di divincolarsi dalla presa del fratello di Envy, “NON POSSIAMO LASCIARLI COMBATTERE DA SOLI!! DOBBIAMO AIUTARLI!!” continuò a urlare il biondo, fermamente tenuto per le spalle dal ragazzo più grande, “MI HAI SENTITO? DOBBIAMO..” continuò Acciaio, ma le sue parole gli morirono in gola, quando si ritrovò schiena a terra, a guardare il cielo scuro e le nubi gonfie di pioggia lambite di rosso.

Una mano premeva sul suo collo tanto forte da impedirgli quasi di respirare.

Sopra di lui, c’era Greed.

“Ehi, ma...” sussurrò, cercando di muoversi quando uno schiaffo gli piombò sul viso.

Il moro piangeva, tenendogli le spalle fermamente a terra.

Accanto a sè, sentiva la presenza dell’amico investigatore.

“Siete degli stupidi..” sussurrò tra le lacrime il macchinista, lo sguardo coperto dai capelli, “Siete solo degli stupidi... Secondo voi, vi manderebbero da soli contro Archer se non fosse strettamente necessario? Siete gli unici che potete farlo e...” mugolò sommessamente lui, “Nessuno di noi vorrebbe mandarvi contro di lui, ma siete gli unici in grado di potergli tener testa, almeno sino a quando non riusciremo a liberarci dei suoi uomini...” sussurrò con voce triste, mentre una lacrima solitaria scivolava dai suoi occhi, andando a morire sul viso di Ed, ancora disteso a terra.

Envy voltò il capo verso l’amico, poi spostò delicatamente il braccio di Greed, guardandolo negli occhi: “D’accordo niisan, andiamo.” disse con un leggero sorriso, alzandosi in piedi, “Se dobbiamo farlo, lo faremo.” aggiunse, risoluto, aiutando Ed.

I tre si guardarono per qualche istante, e parve quasi che il tempo si fosse fermato attorno a loro.

Erano pronti a reagire.

In quel momento, l’aria si fece incandescente per poi esplodere con gran fragore; la terra tremò pericolosamente sotto i loro piedi, facendoli cadere a terra, privi di sostegno, pareva quasi come se l’intera pianura si stesse per aprire sotto di loro: Ed fu il primo ad alzare il capo, accorgendosi troppo tardi del dramma che stava accadendo.

Altissime fiamme rosse danzavano al vento forte come un uragano, arrivando quasi a lambire i rami più discosti dei primi alberi della brughiera, gettando tutto attorno una luce rossastra; lapilli volteggiavano qua e là, bruciando silenziosamente tutto ciò che trovavano sul loro cammino.

Una impenetrabile muraglia di fiamme circondava il punto in cui, sino a qualche attimo prima, vi erano i loro compagni: non li riusciva più a vedere, ma udiva ancora chiaramete il fragore della battaglia, le loro grida.

Il cuore di Acciaio perse un battito.

Sgranò gli occhi, non si capacitava di quello che stava accadendo.

Il respiro tremendamente affannoso non ne voleva sapere di quietarsi, non riusciva quasi più a ragionare: il mondo attorno a lui era sparito, c’erano solo fuoco e fiamme.

Istintivamente, sentì un brivido freddo corrergli lungo la schiena, un brivido come di paura; un attimo dopo, la sua mente si annebbiò e la sua bocca si spalancò, muta espressione di terrore.

E poi, l’urlo, un urlo più forte di qualunque clamore guerresco, un urlo di belva ferita, riecheggiò nella pianura, gelando l’aria per un istante: “ROY!!!!”.

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Nell’ufficio amministrativo, l’aria era pesante e tesa.

Alphonse sedeva alla scrivania, i gomiti poggiati sul piano di lavoro con aria pensierosa e preoccupata a un tempo, lo sguardo smarrito come di chi abbia subito da poco un forte shock emotivo.

Da quando Sheska era ritornata con le persone desiderate, il ragazzo non aveva più aperto bocca, non si era mosso di un centimentro.

Semplicemente stava immobile, lo sguardo fisso dinanzi a sè.

La rossa sedeva accanto a lui, torcendosi nervosamente le mani piccole e curate, benchè sporche in alcuni punti di inchiostro.

Davanti a loro, stavano tre ufficiali, due uomini e una giovane donna; i loro sguardi tradivano la preoccupazione e la curiosità per quella chiamata improvvisa in un momento di simile gravità ed emergenza: come mai Alphonse, in quel momento colui che deteneva il comando delle ricerche, li aveva convocati? E perchè non aveva rivolto loro nemmeno un cenno in quei lunghi e interminabili minuti?

C’era sotto qualcosa.

Maria fissò per un istante Danny, seduto affianco a lei, non appena i loro sguardi si incrociarono, la mora ebbe la conferma ai suoi sospetti, qualcosa non andava.

Ne era certa.

Ma l’immobilità innaturale di Alphonse la lasciava spiazzata.

Come faceva a essere così tranquillo?

Tutta quella situazione la faceva infuriare.

“ALLORA, ALPHONSE, COSA DIAVOLO STA SUCCEDENDO?! STIAMO SOLO PERDENDO TEMPO QUI, DOVREMMO INVECE IMPEGNARCI NELLA RICERCA DI EDWARD, DEL COMANDANTE E DEGLI ALTRI!!” urlò esasperata la donna, battendo i pugni sul tavolo e alzandosi in piedi, “Sono settimane ormai che sono spariti, non sappiamo più nulla di loro!” continuò con aria furibonda, anche se, negli occhi, si poteva leggere molto di più, preoccupazione e ansia.

Ma nemmeno quella sfuriata sortì l’effetto sperato, Alphonse era ancora immobile nella medesima posizione.

E adesso la fissava, quegli occhi d’ambra cercavano di scrutarla fin nel profondo.

La mora conosceva quello sguardo.

Era lo sguardo di Edward, lo sguardo determinato del Fullmetal Alchemist.

Era la decisione e la forza dei due fratelli Elric.

“Adesso calmati, Maria. Vi spiegherò tutto.” disse, prendendo la parola per la prima volta in quei minuti; senza aggiungere altro, si chinò leggermente di lato, prendendo qualcosa da un cassetto e poggiando un sottile pacco di fogli dinanzi a loro, “Abbiamo capito chi ha architettato tutto questo, e la cosa non vi piacerà.” spiegò con tono tremante Sheska, torcendosi le dita, era sconvolta, le spalle tremavano convulsamente, non la avevano mai vista così.

Danny prese delicatamente il plico, cominciando a sfogliare i documenti, i due colleghi sbirciavano da dietro.

Non si udì nulla per parecchi minuti, se non il fruscio delle pagine.

“Sono passati con l’Amestris dalla vecchia linea militare segreta dell’Ovest, nessuno ne era a conoscenza, tranne quattro persone,” cominciò Armstrong, “Si, Bradley, Kimbley, Hakuro e..” proseguì il biondo quando la consapevolezza dell’identità dell’ultimo sospettato lo colpì con la forza di un pugno nello stomaco, mozzandogli per un attimo il respiro.

Quelle grandi gemme blu furono attraversate improvvisamente da un lampo di preoccupazione e terrore.

Aveva compreso.

Il Generale incrociò gli sguardi dell’Elric e di Sheska.

“Si, Kimbley e Bradley sono morti, di questo vi è la certezza, Kimbley è morto da tempo, Bradley è stato giustiziato mesi fa, dopo il ritorno del Comandante con Edward. Hakuro è stato trasferito al Nord, ho avuto la conferma che lui non può essere da sua sorella in persona, Armstrong-dono, non può muoversi da Briggs per alcuna ragione, è al confino da cinque anni ormai.” pigolò la rossa, sistemandosi nervosamente i ciuffi dietro le orecchie piccole e lievemente appuntite, “L’ultimo, invece, no. Il suo corpo non è mai stato trovato e quindi non vi è la certezza che quell’.. quell’essere ignobile, che ha tentato di uccidere Hughes-san sia morto.” concluse la ragazza, le lacrime che minacciavano di straripare fuori.

“è stato Archer, Frank Archer ha organizzato tutto questo e ora, gli altri sono in pericolo.”.

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Edward non si era mai sentito così svuotato in vita sua.

Si era accasciato a terra senza un moto, come se qualcuno gli avesse sparato a bruciapelo e gli avesse trafitto il cuore.

Forse, avrebbe sentito meno male.

Era inginocchiato sulla nuda terra, i pugni stringevano tra le dita sottili fili d’erba ormai avvizzita, secca come il suo cuore, ormai distrutto.

Cosa avrebbe fatto d’ora in poi?

Come avrebbe potuto spiegare a Elycia, a Glacier…

A Eric.

Ma soprattutto…

Come avrebbe fatto lui ad andare avanti?

Per un attimo, una furia quasi animalesca prese possesso di lui, mettendo radici nel suo cuore ormai inaridito; con uno scatto, alzò il capo.

Nei suoi occhi, c’era la furia di una bestia priva di ragione e controllo.

Batté con violenza le mani, sotto lo sguardo allibito degli amici e creò una lunga lancia dal terreno; la punta brillava sinistramente alla cupa luminescenza delle altissime fiamme.

“Ed-nii…” sussurrò sconvolto Envy, alzandosi a fatica in piedi, sorreggendosi al fratello maggiore.

Allungò lentamente la mano, cercando di sfiorargli la spalla, ma si ritrasse subito, come se si fosse scottato.

Il vento termico si era fatto più forte, i lapilli danzavano nell’aria attorno a loro, le nuvole si erano fatte più scure e compatte.

L’unica luce era quella dell’incendio.

Un brivido scosse Greed, che stringeva a sé il corpo affaticato del fratellino, guardava il compagno con occhi sbarrati, nelle sue pupille si leggeva chiaramente lo sgomento per l’accaduto e la paura che provava.

Aveva paura.

Edward gli faceva paura in quelle condizioni.

La lunga mantella ormai stracciata, sventolava superba sulla schiena del ragazzo, come se fosse stata una bandiera, la sua bandiera.

La bandiera di un vendicatore.

“Greed, ti affido il resto. Io vado” sussurrò con voce profonda, colma di odio.

“D..Dove?” riuscì a chiedere, si sentiva la gola improvvisamente riarsa.

“A uccidere quel bastardo.” replicò semplicemente.

Un momento dopo, era scomparso e nell’aria si udì il grido di guerra di uno spirito distrutto dal dolore, uno spirito alla ricerca di vendetta.

“ARCHER!!!!”.

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Eric correva il più velocemente possibile nella brughiera, cercando di concentrarsi sulla strada da percorrere, ignorando il penetrante odore di bruciato che aleggiava nell’aria e che sembrava quasi opprimergli i polmoni.

Un fumo acre e pesante si stava diffondendo per il bosco, riducendo a poco a poco la visibilità, il ragazzo si sentiva stanco e affaticato, ma non poteva fermarsi, o tutto sarebbe stato vano.

Non poteva abbandonare lo zio e i suoi nuovi amici.

Non se lo sarebbe mai perdonato.

Un improvviso colpo di tosse gli mozzò il respiro, costringendolo a sorreggersi a un tronco per non cadere rovinosamente a terra, la gola gli bruciava terribilmente e gli occhi pizzicavano per le lacrime.

Calmatosi un poco, si asciugò la bocca con la manica lurida e si rimise in piedi a fatica, ansimando: “Devo uscire di qui, oppure rischio di fare una brutta fine.” mormorò tra sé e sé, deviando la sua strada; la via adesso era più nitida, il fumo si era quasi del tutto diradato, segno che si era lasciato ormai alle spalle il focolaio di incendio.

Qualcosa era accaduto.

E non era sicuro che fosse opera del Fuhrer.

Con sollievo, si accorse di essere ormai alla fine di quel cupo bosco e uscì finalmente all’aria aperta, respirando a pieni polmoni.

Ma si bloccò, vedendo ciò che gli si parava davanti.

La pianura era avvolta dalle fiamme che ormai avevano quasi del tutto carbonizzato la zona, ma riuscì a distinguere, riversi a terra privi di sensi, lo zio e il Fuhrer.

Poco lontano, anche tutti gli altri.

Restò interdetto per qualche secondo prima di realizzare cosa stava veramente accadendo lì; senza pensarci due volte, scattò in avanti, raggiungendoli tra le fiamme.

 Si chinò sui due, sembravano quasi non respirare.

Controllò rapidamente le loro funzioni vitali.

Erano vivi, per fortuna.

A fatica, riuscì a portarli tutti via da quell’inferno di fuoco e fiamme; si guardò attorno, i corpi dei nemici bruciavano nei roghi che aveva provocato il loro capo, nessuno si era salvato.

Nessuno.

Eric stava in piedi, come a difesa di quei compagni coraggiosi che avevano rischiato la vita anche per lui, non voleva lasciarli, erano indifesi a qualunque attacco; i sensi tesi a percepire il minimo rumore, gli occhi verdi come il mare saettavano qua e là, nella vana ricerca dei tre compagni mancanti.

Serrò forte i pugni sino a farsi male.

Tutto quel dolore…

Quella sofferenza…

Cosa mai avevano fatto per meritarsi tutto quello?

Ma il bruno non seppe rispondersi.

Improvvisamente, un gran tossire alle sue spalle lo fece voltare e la sua attenzione si spostò su una figura, ancora rannicchiata a terra, che cercava però disperatamente di mettersi seduta; i corti capelli neri, spettinati più del solito, la pelle solcata di graffi e ferite varie e un braccio abbandonato lungo il corpo.

Il Comandante era messo piuttosto male.

Roy Mustang era ancora vivo.

Altri sommessi colpi di tosse fecero capire al ragazzo che anche gli altri stavano bene.

Eric sospirò di sollievo, accucciandosi accanto a loro: “Come state?” chiese con un debole sorriso, “Avete rischiato grosso.” aggiunse con un risolino imbarazzato, nel vano tentativo di stemperare la tensione che si era creata. Hughes alzò la testa, incrociando le iridi gemelle del nipotino: “Tu cosa ci fai qui?” chiese con cipiglio serio lui, mettendosi seduto, “Ti avevamo detto di restare al treno, cough..” tossì ancora il tenente colonnello, piegandosi su sé stesso.

Eric lo tenne dritto: “Eravamo preoccupati per voi, ma Pride-san non voleva lasciare Lust-chan da sola e così sono venuto solo io, per fortuna sono arrivato appena in tempo. Come vi sentite?” ripetè il bruno, squadrandoli con occhio critico, “Tutto ok… Grazie amico.” disse Jean, facendo sdraiare Riza sulle sue gambe, malgrado le proteste di quest’ultima.

Tutti si zittirono.

“Dov’è Ed?” riuscì solo a chiedere Roy, accorgendosi della mancanza del piccolo Alchimista.

L’onice si specchiò nel verde, attraversato da un lampo di incertezza e dubbio: “Non lo so… Quando sono arrivato, c’eravate solo voi qui e…” ma le sue spiegazioni furono interrotte da una voce sollevata, “RAGAZZI! SIAMO QUI!” urlò Greed, comparendo tra le fiamme.

Sulle spalle portava qualcosa.

Qualcuno.

Subito, Roy si rizzò in piedi, malgrado la stanchezza.

Greed trasportava il fratellino semisvenuto sulle spalle.

“Ehi, ma tu cosa fai qui??” esclamò, sorpreso nel vedere Eric accanto a loro, “Pride-san mi ha mandato qui ad aiutarvi, dal treno abbiamo udito lo scoppio e visto le fiamme.” disse solo, aiutandolo a distendere Envy sull’erba soffice; sin dal primo momento, le condizioni del ragazzo apparivano piuttosto gravi, sembrava essere passato attraverso chissà cosa.

Un taglio profondo sul capo aveva smesso di sanguinare, lasciando però un profondo segno scarlatto sulla cute pallida, un debole respiro esalava dalle sue labbra livide.

“Edward è lassù, contro Archer, non possiamo lasciarlo combattere da solo.” disse con voce debole, stringendo forte la mano del minore dei suoi fratelli, sentendosi lo sguardo indagatore e ferito del Fuhrer addosso; dopo averlo coperto con la giacca, il gemello si alzò in piedi, muovendo qualche passo verso il campo di battaglia: “Non muovetevi di qui, sono stato chiaro? Vado a recuperare Edward e ritorneremo.” disse solo, facendo per correre via.

“F..Fermo!”.

Una voce imperiosa lo bloccò; Roy si era alzato, il braccio ferito legato al collo: “Vado io,” si offrì lui, “è per me che quel bastardo ha scatenato questo inferno, per vendicarsi, non è necessario che vada tu.” affermò serio, il viso solcato di piccole stille di sudore freddo, gli mancava il respiro, non riusciva a distinguere bene le forme.

Era esausto.

Ma ciononostante, doveva proteggere Edward e tutti loro.

Non riuscì però nel suo intento perché un dolore lancinante al petto lo fece stramazzare a terra e, un momento prima di cadere nuovamente nell’oblio, udì la voce addolorata di Greed sussurrargli una mesta richiesta di scusa, prima di scappare verso il campo.

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Edward sentiva male dappertutto, come se centinaia e centinaia di spilli gli si conficcassero nelle carni martoriate da fuoco, fiamme e tagli, rubandogli a poco a poco quella esigua vita rimastagli.

Rannicchiato a terra, il Fullmetal Alchemist non aveva quasi più la forza di lottare, i suoi automail completamente distrutti.

E ora, Archer sembrava trionfare su di lui, indifeso e incapace di reagire al minimo attacco.

Che quella fosse veramente la fine?

Fine ingloriosa per un’Alchimista di Stato come lui, lui, che si era tirato fuori da situazioni ben peggiori di quella, lui, che era sopravvissuto così tante volte alla morte, lui, che aveva perso.

Perso.

Era un perdente.

Questo si ripeteva, mentre, con la coda dell’occhio, guardava la parte di carne del viso del suo aguzzino contrarsi in una smorfia gioiosa di follia: “Tu, moccioso, credevi veramente di potermi sconfiggere? Si, lo ammetto, sei stato proprio bravo a giungere sin qui, un moccioso normale non sarebbe mai arrivato nemmeno a metà del viaggio, ma ora, per te, è la fine.” sussurrò con tono cattivo, chinandosi su di lui, “Tu e Mustang pagherete per quello che mi avete fatto.” bisbigliò mellifluo, mollandogli un calcio sul fianco martoriato.

Edward urlò.

E ancora calci si abbattevano su di lui, e pugni, udiva il sibilo sinistro dei cuscinetti a sfera mentre i colpi si abbattevano violentemente su di lui.

Il biondo credette, seriamente, per un attimo, di morire.

Il dolore era troppo intenso, non avrebbe retto ancora a lungo.

Inaspettatamente, proprio mentre si stava per abbattere su di lui il colpo mortale, udì un sibilo sfiorargli delicatamente l’udito e qualcosa si infisse nel terreno, davanti a lui, come una difesa.

Aprì debolmente un occhio.

Una figura snella stava dinanzi a lui.

“Ed-kun, tutto bene?” gli chiese Greed, seriamente preoccupato per lui, non allentando però neppure di un secondo lo sguardo sull’avversario, “Alzati, non lasciarti abbattere, dobbiamo farla finita con questa storia, ormai è finita, poi ce ne torneremo a casa.” gli sorrise benevolo, tendendogli la mano.

Il biondo sembrò tornare per un attimo alla vita.

Si.

Dovevano porre fine a tutto quello.

Radunò le ultime forze rimastegli per mettersi in piedi, sorreggendosi all’amico per le cattive condizioni in cui versava il suo arto meccanico; il suo cuore aveva ripreso a pompare sangue a pieno ritmo, l’adrenalina in circolo si mischiava con il caldo rosso liquido, rinvigorendolo.

“S..Si, hai ragione,” asserì con voce tremante il biondo, “Devo porre fine a tutto questo.” disse, e gli occhi si colmarono di nuova decisione.

Durante tutto quel tempo, però, Archer era rimasto completamente paralizzato.

Paralizzato da quell’arrivo repentino.

Paralizzato da quel ragazzo coi capelli scuri che era venuto a proteggere il suo nemico.

Qualcosa che il suo cuore non riusciva ad accettare.

Come mai…

Come mai…

Come mai lo stava proteggendo?

No, Acciaio e Mustang dovevano morire.

Era colpa loro se LUI era morto.

E ora…

Perché LUI stava proteggendo il SUO assassino?

“PERCHÉ!?!?!” urlò furioso Archer, balzando come una tigre sui due giovani, “PERCHÉ LO STAI PROTEGGENDO, KIMBLEY!?! LUI TI HA UCCISO!!” ululò l’ex tenente colonnello, estraendo la sua spada, “MUORI, EDWARD ELRIC!”.

Il tempo parve fermarsi per un attimo.

Una lama affilata si infisse nel petto di carne dell’androide, strappandogli un’espressione ferita e sorpresa, la macchina che ormai più nulla aveva di umano, fissò lo sguardo sul giovane gemello, seduto come sconvolto sul terreno erboso, dietro la schiena del biondo Elric; un fiotto si scuro sangue eruttò dalle labbra dell’ex ufficiale, macchiando il terreno di cremisi.

Ma, prima di accasciarsi a terra, ormai privo di vita, egli scoccò un’ultima occhiata a Greed, un occhiata colma di dolcezza malcelata, colma di parole mai dette.

Con un tonfo sordo, quel corpo martoriato cadde a terra.

Edward, ansante, si ergeva in piedi dinanzi a lui.

La lancia ancora infissa nel petto dell’avversario.

Edward Elric aveva vinto.

La battaglia era finita.

Avevano vinto.

Ce l’avevano fatta.

“Ghh…”.

Privo ormai di forze, Acciaio mugolò di dolore prima di lasciarsi cadere a terra; ma la sua caduta rovinosa fu fermata dall’amico, che lo prese delicatamente al volo, evitandogli il contatto col freddo suolo: “Ci sei riuscito..” sorrise il gemello, “C..Ci siamo riusciti… N…Non avrei mai potuto.. Farcela…. Senza di voi.. Grazie..” tossì, un rivoletto vermiglio scivolò giù dall’angolo della bocca. Greed lo pulì velocemente: “Grazie a te, Edward.”.

Una dolce brezza, prese a soffiare.

Sotto il suo leggero tocco, le nubi si diradarono, lasciando il posto a un velluto di incredibile bellezza, trapunto di splendide stelle.

Si, era finita.

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La stanza era nella penombra, tranne che per un piccolo abat-jour sul comodino.

Un silenzio delicato regnava nella stanza, rotto di quando in quando da un leggero sospirare.

Sul letto a due piazze, sedeva una figura umana, adagiata su soffici cuscini.

Tra le braccia, era sdraiato un ragazzo, i lunghi capelli biondi spettinati sparsi disordinatamente sul braccio dell’altro, che li carezzava con delicatezza; lo stringeva a sé, piano ma con amore, una calda coperta gli avvolgeva il busto nudo e fittamente bendato.

Privo di un braccio e di una gamba, sembrava una bambola rotta.

Ormai da giorni, Edward dormiva e il suo era un sonno molto profondo, il suo organismo, già in precedenza fortemente debilitato, necessitava di un lungo e intenso riposo.

Da giorni, Roy passava le sue giornate in quella stanza, vegliando sul biondo e accudendolo nelle minime cose; per i primi tempi, il giovane, roso dalla febbre, era tormentato da ulteriori incubi, si agitava nel sonno e nelle sue condizioni, non potendo muoversi da solo, sarebbe stato peggio.

Ma ora, che la febbre era sparita, il ragazzo dormiva finalmente tranquillo.

Ogni tanto si svegliava e questa per il Comandante era una gioia, poteva rivedere, anche se solo per pochi minuti, il sorriso del più giovane, quel sorriso che lo aveva fatto innamorare come un ragazzino.

Una folata di vento gelido penetrò dalla fessura lasciata dalla finestra semichiusa, facendo rabbrividire il piccolo addormentato, che si strinse maggiormente a lui.

A malincuore, il Comandante lo poggiò sul materasso e si allungò verso la finestra per chiudere l’anta; un soffio di vento si insinuò sotto il suo pigiama, strappandogli un brivido, erano ancora in pieno Ovest, quel clima rigido non scherzava; si attardò a guardare fuori dal vetro il paesaggio notturno scorrere dinanzi a sé, la fronte calda poggiata contro la superficie fredda e liscia, non accorgendosi di un leggero movimento alle sue spalle.

“Che ore sono.. Roy..?”

Una voce stanca giunse alle orecchie dell’ex Taisa, che si girò di scatto nell’udirla: il Fullmetal Alchemist era seduto davanti a lui, ravvolto nella pesante coperta; il peso dei due arti ancora presenti lo sbilanciava non poco e questi cercava di ovviare alle mancanze puntellandosi con il ginocchio.

Gli occhioni dorati ancora gonfi di sonno erano socchiusi leggermente, puntando su di lui con curiosità.

L’altro non disse nulla, si limitò a tendere le braccia, permettendogli di accoccolarsi: “Sono le due di notte. Come stai?” gli chiese dopo qualche minuto di silenzio, “Sono stato meglio, ma non mi posso lamentare.” replicò il più giovane, rannicchiandosi maggiormente, “Mi sento strano senza entrambi gli automail.” ammise lui, guardando con malinconia il vuoto lasciato dai due arti, “non posso nemmeno muovermi come voglio.” sbuffò, portando il moncherino del suo sinistro sotto la coperta; il moro scoppiò in una risata sommessa, “E pensare che tu odi i tuoi automail.” scherzò lui, “Comunque, non è poi una tragedia, una volta a casa vorrà dire che Winry avrà del lavoro in più!” esclamò allegro, “Non sei contento?”.

Edward rabbrividì: “Mi ucciderà… non solo ho distrutto gli automail, ma sono riuscito anche a danneggiare l’aggancio, questa volta sono morto.” tremò il biondino.

Due dita gli sollevarono leggermente il mento, facendogli alzare lo sguardo; le labbra di Roy si posarono sulle sue, avviluppandole in un dolce bacio. Edward era stato preso alla sprovvista, ma si sarebbe vendicato, oh, se lo avrebbe fatto. Un leggero morso al labbro inferiore gli portò la vendetta tanto desiderata.

L’altro si ritrasse con un risolino divertito: “Vedo con piacere che stai bene, se ti diverti a fare questi scherzi stupidi.” fece, falsamente offeso, massaggiandosi la parte lesa; Edward gli sorrise, prima di andare a stendersi nella sua parte di letto, “Non è l’ora, io ho ancora sonno..” fece, sbadigliando sonoramente.

Un attimo dopo, si era nuovamente addormentato, i capelli sudati sparsi sul cuscino, in disordine, il colorito del viso leggermente arrossato, e non per la febbre.

Roy sospirò, accomodandosi nella sua metà e coprendo entrambi con una pesante trapunta.

Lo avvicinò maggiormente alla propria metà letto, scoprendo leggermente il viso per permettergli di respirare: “Sei un pazzo, mame-chan, sei proprio un pazzo.” constatò semplicemente, baciandogli la fronte sudata e calda.

La luce fu spenta e la stanza ripiombò nell’oscurità.

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Finalmente Ed, all’alba del quarto giorno dalla partenza, fece il suo ingresso nella sala da pranzo per fare colazione con gli altri; aiutandosi con una stampella. Roy era rimasto a letto, la sua gamba ferita era più grave della sua e il biondo non voleva che la sforzasse inutilmente per portare lui in spalla.

Diamine, non era un bambino, dopotutto.

Era magro da far paura quando lo rividero, quel mattino,dopo tanti giorni passati incosciente e se, da una parte, c’era sollievo per la sua ripresa, dall’altra anche preoccupazione.

“Ehi, Ed, non pensi sia meglio restare a letto? Non mi sembra tu stia bene.” propose Pride, divorando un biscotto; l’amico sorrise, sedendosi davanti a lui alla grande tavolata comune, “Sto bene, ho solo fame.” lo rassicurò, versandosi una tazza di caffè bollente per svegliarsi, “basta minestrine!” esclamò esasperato.

Lust scoppiò a ridere: “Tutta salute, dovevi rimetterti in sesto, moccioso! E non venire a dirmi che le mie minestrine non sono buone perché stavolta la paghi cara!” saltò su Envy.

L’intero vagone si lasciò andare alle risate.

All'improvviso, udirono come uno strano rumore; azzittendosi, si accorsero che qualcosa si stava avvicinando a loro.

E poi, una voce conosciuta, familiare: “Ehi!! Del treno!!”.

L’Amestris, fino a un momento prima lanciato a gran velocità verso Central, rallentò a poco a poco sino a fermarsi.

Tutti si assieparono ai finestrini.

Erano ormai nelle pianure della capitale, il Sole non era ancora del tutto sorto, ma il lieve ceruleo del cielo e la luce rosata facevano presagire una bella giornata.

Fuori, sulle rotaie parallele alle loro, vi era un altro mezzo a vapore, recante le insegne del Governo.

Un uomo robusto li salutava dalla testa, il viso solcato da lacrime di commozione.

“è il Generale Armstrong!” esclamò felice Jean, battendo le mani, “E ci sono anche Sheska, Ross e Brosh!” intervenne Falman, “sono venuti a recuperarci, ma come hanno fatto?” si chiese Pride.

“non ha importanza, siamo a casa, dopotutto!” gioì Hughes, abbracciando il nipote.

Edward fissava malinconicamente fuori dal finestrino, l’unica persona che voleva veramente vedere non c’era.

Anche Roy rientrò nel salotto, salutando allegramente gli amici riuniti fuori quando una voce di ragazzo risuonò cristallina nell’aria: “NIISAN!!!”.

Ed si voltò e scorse la zazzera disordinata del fratellino e la sua sagoma asciutta sbracciarsi verso di lui.

Un tremulo sorriso si dipinse sul suo visetto stanco.

Erano tornati a casa.

FINITO!!

Si, miei cari, questo è l’ultimo capitolo!!

C-Cosa sono quelle faccine tristi??

Su, non piangete… Non è il caso, sapete? Sono tornati tutti, stanno bene!!

Che volete di più!?!

Vabbè, se proprio vi fa stare meglio…

Forse una sorpresa in serbo per voi la ho…

Ma prima…

GRAZIE!

GRAZIE DI CUORE A TUTTI VOI!

GRAZIE PER AVERMI ACCOMPAGNATO IN QUESTO LUNGHISSIMO VIAGGIO ATTRAVERSO AMESTRIS.

GRAZIE DI TUTTO!

PER I MOMENTI BELLI, PER QUELLI TRISTI.

GRAZIE DAVVERO.

Sono contenta di aver dato retta a Shika, grazie di cuore amica mia!

Questo capitolo, però, lo voglio dedicare a una persona speciale, una persona a cui tengo tanto.

Himitsu-san, ti dedico l’epilogo, te lo avevo promesso, no?

Beh, mi spiace, ma dobbiamo salutarci.

Ma non temete, presto avrete mie notizie.

UN BACIONE

SHUN

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Capitolo 15
*** OMAKE: HUGHES FAMILY ***


OMAKE

HUGHES FAMILY

Il campanello suonava insistentemente quella mattina.

“Eric-kun, andresti ad aprire per favore?”

La voce di Glacier raggiunse il ragazzo un istante prima che la porta si aprisse e due figure maschili, in divisa, facessero capolino sulla soglia, salutandolo con calore: “Buongiorno amico!” esclamò Edward, sorreggendo Roy, che ancora camminava con le stampelle; il moro si affrettò a farli passare, “Buongiorno anche a voi! Vedo che ti hanno riparato.” constatò divertito il ragazzo, chiudendosi la porta alle spalle, “Eh già! Winry ha fatto proprio un ottimo lavoro, non c’è che dire, solo che a un certo Comandante non ha fatto molto piacere l’averla in giro per casa!” sogghignò il minore, lasciando la presa sulle braccia dell’amante e sistemandosi la treccia.

L’interessato sbuffò e volse il capo dall’altra parte, il viso imbronciato: “Quella lì, ci provava spudoratamente!” si difese, poggiandosi alla parete d’ingresso, “Non potevo permetterlo!” sbuffò, incrociando le braccia al petto.

Eric scoppiò a ridere: “Qualcuno qui è geloso!” constatò, dando le ciabatte a entrambi, “Molto geloso!” aggiunse il bruno, prendendo la cuginetta in braccio, “Hai proprio ragione amico!” confermò Edward, aiutando il Comandante a indossare le pantofole.

“Ehilà!! Buongiorno fidanzatini!! Aspettavamo solo voi!”.

La voce allegra di Hughes risuonò potente nell’ingresso e il la testolina mora del tenente colonnello fece capolino dalla porta del salotto, un sorriso che andava da orecchio a orecchio illuminava il viso dell’ufficiale: “Hughes, se non la pianti, giuro che ti spedisco a far compagnia ad Hakuro!” esclamò Roy, “Tra i pinguini e gli orsi polari!” aggiunse con tono cattivo, “Come sei permaloso! Problemi con la meccanica di Ed?” chiese l’amico con tono mellifluo.

Il Fuhrer evitò di guardarlo, preferendo dedicarsi a prendere in braccio la piccola Elycia: “Si, a quanto pare!” intervenne Eric, trattenendo a stento un sorriso divertito, “Eh, brutta bestia la gelosia, caro il mio Roy!” flautò Hughes, aiutandolo a muoversi lungo il corridoio.

Nel salotto erano già tutti riuniti, Al, Envy, Lust, Pride e Greed li raggiunsero subito dopo con Glacier.

“Ok, adesso che siamo tutti qui riuniti, possiamo anche andare.” esclamò Maes, controllando che non mancasse nessuno, “Nemmeno tanto lontano, da quello che ricordo io, abitavamo nel quartiere residenziale nord di Central City, praticamente vicino a dove adesso abitano Edward e il Fuhrer!” spiegò il ragazzo.

Roy sbuffò: “e allora che senso ha avuto farci venire qui!?!” borbottò il Fuhrer buttandosi di peso sul divano, “Non potevate venire voi da noi?” si lamentò il moro, guardando truce il proprio migliore amico.

Per tutta risposta, questi scoppiò a ridere: “Non è più divertente fare la strada tutti assieme?” replicò semplicemente, buttandosi sul divano accanto a lui, “e poi, non dire che ti sei stancato, so per certo che Edward ti ha accompagnato sin qua in macchina, quel ragazzo è un angelo!” esclamò il tenente, sventolando con noncuranza un ventaglio afferrato dal tavolino basso davanti a lui, “Il tenente colonnello ha ragione, signore. È senza dubbio più divertente partire da qui tutti assieme a piedi, non è molto lontano, dopotutto!”rise Fury.

In quel momento entrò Glacier, il grembiulone ancora sporco di sugo sui vestiti da passeggio, in mano teneva un vassoio: “Ecco qua! Ho fatto il caffè per tutti quanti!” esclamò lei, poggiandolo sul basso banchetto al centro della sala, “Eric-kun, Elycia si è lavata i dentini?” chiese la donna al nipote, “Certo zia, lavata e pettinata, me ne sono occupato personalmente!” la rassicurò.

La piccolina, ancora in braccio al Fuhrer, si guardò attorno, i grandi occhioni verdi puntati su ciascuno di loro, poi solo sul cugino: “Eric-chan, ma oggi incontrerò la zia, vero?” chiese la piccolina con un leggero sorriso.

Le chiacchiere si azzittirono all’istante, tutti guardarono la deliziosa scenetta che gli si parava davanti.

L’adolescente tese le braccia in direzione della piccola, che fu lesta a balzargli in grembo; il ragazzo la abbracciò forte: “Certo piccolina, e vedrai che sarà molto contenta di conoscerti… Ha sempre desiderato una nipotina…” sussurrò lui, una lacrimuccia solitaria scivolò birichina giù dagli smeraldi sul suo viso, andando a morire tra i capelli della bimba; questa, alzò il  capo, “Ehi, perché piangi? Ho detto qualcosa di sbagliato?” chiese con tono triste la bambina.

L’ex soldato si asciugò in fretta gli occhi: “No, non ti preoccupare.. mi è entrato un bruscolino nell’occhio…” sorrise lui, scompigliandole la folta chioma chiara.

La piccola scoppiò a ridere, poi si riappropriò del suo posto sulle ginocchia di Roy.

Per qualche minuto, il gruppo restò seduto sui divanetti, poi, come se fosse stato dato un ordine silenzioso, tutti quanti si alzarono, presero soprabiti ed effetti personali, e uscirono dalla graziosa villetta.

La fresca brezza primaverile portava dolci fragranze di campi fioriti lontani, gli insetti laboriosi ronzavano per ogni dove, il Sole splendeva più superbo che mai.

Glacier, Hughes e i due giovanissimi stavano in testa al gruppo, subito dietro venivano Riza, Havoc e tutta la compagnia di amici, in fondo stavano i quattro fratelli con Edward e Roy.

Compatti e uniti, percorsero a passo spedito, per quanto le condizioni del Fuhrer lo permettevano, la breve strada che li separava dalla loro destinazione, ma si sentivano stranamente nervosi, quasi tesi.

Diamine, eppure non si trattava di una missione e nemmeno di una qualche grana da risolvere.

Ma uno strano nervosismo serpeggiava tra i presenti, Breda e Fury ridacchiarono per tutto il viaggio, Riza dovette cercare più volte di tenere fermo il proprio cucciolo, inquieto come non mai.

Così, in un clima di grande tensione, giunsero a destinazione.

Superarono casa di Ed e Roy piuttosto velocemente, come se avessero timore di potersi far prendere da qualche atavica paura e fermarsi.

A ogni passo, il battito del cuore si faceva sempre più forte e intenso.

Giunsero infine presso un cortiletto ben curato, le margherite e le primule coloravano le aiuole smeraldine, una piccola altalena ormai in disuso, con le corde del tutto spezzate stava in un angolo, rendendo il tutto stranamente malinconico.

La porta, dipinta di rosso fiammante, svettava sull’intonaco della villetta, di un grazioso azzurro cielo.

Il cancelletto era solamente accostato.

Alle finestre, candide tende di pizzo.

Sembrava una semplice villetta, come tutte le altre, se non fosse stato per il nome sulla cassetta delle lettere.

Saori Hughes.

Eric sospirò, improvvisamente nervoso: “Ecco, questa è la casa..” sussurrò, torcendosi le dita.

Alle sue parole seguì un lungo istante di silenzio, rotto dall’improvvisa esclamazione di Glacier: “Forza, non possiamo restare qui tutto il giorno. Maes, Eric-kun, andiamo! Edward, potresti gentilmente spingere i tuoi colleghi dentro, per favore?” sorrise la donna, aprendo il cancelletto con una leggera spinta.

Afferrò il marito e il nipote per il polso, la piccola Elycia presa in custodia da Al, e tutti assieme entrarono nel cortile.

In silenzio, percorsero il breve vialetto di ghiaia, fermandosi davanti all’ uscio.

Ed e Roy fecero segno ai due di prendere il loro posto e affiancarono Glacier.

Il biondo bussò energicamente due volte.

Udirono un leggero strascicare di passi, e poi una voce femminile al di là della porta: “Si, chi è?” chiese questa.

Hughes sobbalzò, stringendo forte il braccio di Falman.

“Salve signora, sono il Comandante Roy Mustang, avrei bisogno di parlarle un attimo, potrebbe aprirmi?” interloquì cordiale il moro, sorreggendosi alla stampella.

Si udì un tramestio, e la porta si aprì, una giovane donna, di circa trentacinque anni, dai lunghi capelli neri, lisci e luminosi che incorniciavano un viso dai lineamenti ben delineati, ma delicati come quelli di una bambola di porcellana, avvolta in una vestaglia color violetto pallido, fece capolino dallo spiraglio, guardando dinanzi a sé con paura e sospetto, gli occhi verdi, identici a quelli di Maes, erano velati, come se una nebbia fosse calata su essi.

Roy si esibì nel suo più lucente sorriso, tendendole una mano: “Buongiorno signora, scusi per l’ora. È lei Saori Hughes?” chiese gentile Roy, sorreggendosi a Ed per non cadere rovinosamente a terra, “Scusi per le condizioni con cui mi presento, ma nell’ultima missione ho avuto qualche piccolo problema.” aggiunse, vedendo i suoi occhi colmarsi di preoccupazione nel vedere quella stampella, “Mi dispiace… Si, sono io, perché? È successo qualcosa?” replicò lei, la voce debole.

Edward si fece avanti: “No, non si preoccupi, non è successo nulla, volevamo solo averne conferma. Piacere, Edward Elric, tenente colonnello.” si presentò il biondo, “Non sono molto bravo con le parole, mi scusi.. Siamo qui per accompagnare a casa una persona.” disse goffamente il ragazzo, facendo spazio.

Lentamente, Eric fece capolino da dietro le spalle del superiore, i corti capelli bruni spettinati, i grandi occhi verdi puntati su di lei: “Ciao, mamma…” sussurrò nervosamente lui, tormentandosi le mani.

La donna sgranò stupita gli occhi, lucidi per la commozione; la piccola e affusolata mano si alzò tremante, accarezzando la guancia del ragazzo, era calda e morbida, come quando se n’era andato, era lui.

“Eric.. Mio piccolo Eric..” singhiozzò la donna, gettandogli le braccia al collo, stringendolo forte a sé, le lacrime picchettavano sul maglione che il giovanotto indossava, cercando di lenire quel gran dolore che aveva provato nel corso di quei lunghi, strazianti anni di solitudine.

Non c’era bisogno di parole.

Quando si staccarono, la donna aveva ancora gli occhi lucidi e, sempre abbracciando il figlio, guardò con gran riconoscenza i militari: “Grazie, grazie di cuore Mustang-sama.. La ringrazio davvero..” singhiozzò la donna, “non sa quanto mi ha reso felice oggi, mi ha riportato il mio piccolo Eric..”.

Roy sorrise, accennando un leggero inchino: “Si figuri signora, poi le spiegheremo tutto, ha diritto di sapere. Ma prima, c’è ancora una persona per lei.” aggiunse, scostandosi a sua volta e spingendo in avanti la persona dietro di sé.

Smeraldo perso nello smeraldo, iridi uguali, separate in un lontano passato e riunite, una dinanzi all’altra.

La donna sobbalzò, portandosi una mano alla bocca: “niisan..” sussurrò, con le lacrime agli occhi.

Eric prese la mano della madre ancora stretta nella sua e la fece congiungere con quella dello zio: “So che avete litigato, ma ormai, tutto dovrebbe essere passato, no?” chiese il ragazzo, commosso a sua volta.

Saori si guardò attorno, le lacrime oramai straripavano senza alcun ritegno, non riusciva a frenarle, tutte quelle emozioni erano troppo intense.

In quel momento, udì un leggero tirare della sua vestaglia; abbassato lo sguardo, vide una bimba attaccata alle sue ginocchia che le sorrideva: “Sei tu la mia zietta?” chiese Elycia, tendendole un mazzolino di margherite tenute strette da un nastro di raso giallo come il Sole.

Saori sgranò gli occhi, annuendo piano; con mano tremante prese quel delicato mazzolino, mentre la bimba veniva presa in braccio da Eric: “Mamma, lei è Elycia-chan, la mia cuginetta, la tua nipotina.” spiegò il ragazzo.

Improvvisamente, Maes gettò le braccia al collo della sorella, stringendola forte a sé: “Mi spiace, neechan, mi spiace tanto, non avrei dovuto aggredirti così… Scusami.. Non sai quanto mi sei mancata in tutto questo tempo..”, sussurrò, singhiozzando debolmente; la donna non riuscii a dire nulla, si limitò a ricambiare, emozionata, quel dolce gesto affettuoso, gesto che troppo gli era mancato in quegli anni.

“Anche tu mi sei mancato, fratellone..” riuscì solo a dire, e nel suo cuore riprovò quella stessa gioia della sua infanzia, quella gioia che gli era mancata in quei lunghissimi anni.

La gioia di avere accanto un fratello.

 

ED ECCOCI ALFINE QUI, ALLA CONCLUSIONE ANCHE DEL VIAGGIO DELL’AMESTRIS EXPRESS!!

Beh, che dire, come sempre mi spiace porre fine a una mia opera, ma quando è necessario…

Comunque, desideravo ringraziare tutti i miei fedeli lettori, Liris, Shika-chan, Fly-san e Himitsu-sama!! Grazie di cuore, senza di voi, questo piccolo omake non avrebbe ragione di esistere!!

GRAZIE DI CUORE!!

VI VOGLIO BENE

 

SHUN

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