Souls: Destiny

di _Aly95
(/viewuser.php?uid=778204)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A new life.. ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO ***
Capitolo 5: *** CAPITOLO ***
Capitolo 6: *** CAPITOLO ***
Capitolo 7: *** CAPITOLO ***
Capitolo 8: *** CAPITOLO ***
Capitolo 9: *** CAPITOLO ***
Capitolo 10: *** ..But it fell apart ***
Capitolo 11: *** If you truly loved me once.. ***
Capitolo 12: *** CAPITOLO ***
Capitolo 13: *** CAPITOLO ***
Capitolo 14: *** CAPITOLO ***
Capitolo 15: *** CAPITOLO ***
Capitolo 16: *** CAPITOLO ***
Capitolo 17: *** CAPITOLO ***
Capitolo 18: *** CAPITOLO ***
Capitolo 19: *** CAPITOLO ***
Capitolo 20: *** CAPITOLO ***
Capitolo 21: *** CAPITOLO ***
Capitolo 22: *** CAPITOLO ***
Capitolo 23: *** CAPITOLO ***
Capitolo 24: *** CAPITOLO ***
Capitolo 25: *** CAPITOLO ***



Capitolo 1
*** A new life.. ***


Dunque, vediamo un po' come presentare questa ff... * si schiarisce la voce:
- La protagonista, Anirei, è un personaggio inventato/ partorito dalla mia mente stramba...ehm cioè intendevo sana, sanissima al 100% (sentitevi liberi di identificarvi, se vi va)
-La storia segue più o meno i film della Marvel, e magari, e dico magari(sono la prima a sperarci) qualche episodio dei miti, ma non i fumetti comics
-Non mi intendo molto di mitologia norrena, quindi perdonatemi se sbaglierò alcune cose e/o ne inventerò delle altre
Per il resto, spero vi piacerà questa ff...
Buona lettura


                             


                                                       Souls: Destiny

 
  1. A new Life..
 
-Io, ******, ****** ** *****, ti maledico: verrai privata dei tuoi poteri e della memoria legata ad essi fino a quando non scioglierai i tuoi folli propositi e tornerai in te stessa. Ti bandisco per sempre da questo regno, e da questo mondo. Lungi da me diabolica creatura, va’ ovunque la tua anima scellerata scelga di portarti -.
 
 
                                                                                      ***


Il Bifröst si illuminò improvvisamente accecando la notte fredda e buia. Un rombo. Poi, la terra tornò tranquilla e silenziosa come lo era stata qualche istante prima. Tra le braccia di qualcuno, la nuova arrivata perse i sensi mentre il fianco le si incideva a fuoco.
 



-Madre, Padre – dissero all’unisono i fratelli spalancando la gigantesca porta dorata della sala del trono. Il dio Odino, re e protettore dei Nove Regni, Padre degli Dèi, ricambiò i loro sguardi con un’espressione altrettanto stupita. La Madre regina si alzò, pronta ad obbedire agli ordini dell’amato marito. La notte non sembrava più così silenziosa.

 
                                                                                       ***


Dov’era?
Un dolce profumo di miele e lavanda l’avvolgeva. Si issò appena sulle braccia appoggiando le mani sul letto e assaporandone la fresca morbidezza, le coperte che le scivolavano sui fianchi. I capelli le cascavano lunghi e sciolti sulle spalle e le accarezzavano delicatamente la schiena. Erano lucenti come mai prima di allora. Si guardò intorno, meravigliandosi della bellezza maestosa della stanza che, al contempo, le infondeva una calda accoglienza.
Sentì aprirsi la porta. La ragazza che era appena entrata, una giovane fanciulla che non doveva avere nemmeno la sua età, la guardò con i suoi occhi tondi e ingenui. – Buongiorno – l’accolse con un leggero inchino. – O buonasera piuttosto – precisò poggiandosi educatamente la mano sulla bocca sorridente – Ben svegliata. Il mio signore e la mia signora vi stanno aspettando-.
Dov’era finita?
Cercò di calmare i battiti veloci e martellanti del suo cuore con un angoscioso respiro che quasi la soffocò. -Da quanto tempo sono qui? Dove mi trovo?- le domande le rimbalzavano in testa senza sosta, rendendola ancora più confusa e angosciata. Non riusciva a ricordarsi molto, era tutto sfocato; si sentiva intontita, e quell’aroma dolciastro che pervadeva la stanza sembrava toglierle l’aria. Come per diretta conseguenza, il petto cominciò a muoversi affannosamente. –Avete dormito per quasi due giorni – rispose quella porgendole dei vestiti di velluto finissimo –Ma alle vostre domande, perdonatemi, non posso rispondere. Non mi è stato concesso -. Se lo sarebbe dovuto immaginare. Prese i vestiti: erano di un tenue colore blu notte. Scorse la mano sul tessuto, come se il tatto con le vesti potesse rivelarle segretamente il carattere di colui che le aveva commissionate. Non poté fare a meno di notare l’elevata lavorazione dei dettagli che sarebbero potuti sfuggire ad un'occhiata poco attenta.
La ragazza dagli occhi tondi e ingenui la preparò con cura, mentre l’estrema tranquillità con cui indugiava sui particolari contrastava con l’agitazione e il groppo allo stomaco di Anirei. Ma come era capitata lì? Non se lo ricordava proprio: i pensieri le si accavallavano e le si sfocavano ogni volta che provava a raggiungerli. –Ho finito – le disse dolcemente la ragazzina scortandola alla porta. Anirei si voltò un momento per osservare il suo riflesso nello specchio che troneggiava imponente sul comò di legno antico. Fu un momento, poi oltrepassò la soglia. Non le importava molto il suo aspetto; aveva altro a cui pensare.
   Arrivò dinanzi al portone intarsiato d’oro in un battito di ciglia. Non pensava a niente. La testa era vuota e il nodo che aveva allo stomaco le si strinse ancora di più, togliendole il fiato. Le porte si aprirono.
-Vieni, mia cara – le si rivolse amorevolmente la leggiadra figura che si trovava accanto al trono. Mosse incerta il primo passo, consapevole che quello fosse il più facile, e cominciò ad avvicinarsi all’alto scranno sperando di non mettere un piede in fallo e cadere. Non appena individuò il volto severo dell’uomo che sedeva sul trono, le gambe iniziarono seriamente a tremare rischiando di farla cadere per davvero e di costringerla ad abbandonare l’instabile dominio di sé, lasciandosi andare ad un pianto di paura e di confusione poco dignitoso. Quando si fermò, l’uomo si alzò assieme a tutta la sua autorità, presentandosi: -Ti trovi al cospetto del dio Odino, re e protettore di tutti i Nove Mondi, Padre degli Dèi; e questa è Asgard, il mio regno. Con chi ho l’onore di parlare? -. Il momento era arrivato. Anirei abbassò lo sguardo, non riuscendo a sostenere quello del re. Il vecchio aveva un occhio solo, ma sapeva, la ragazza, che gli sarebbe bastato per penetrare nella sua testa e vedere laddove c’era da vedere. Non avrebbe potuto mentirgli. Non del tutto almeno.


                                                                                     ***


-Quanto ci mette Padre?- sbottò il Dio del Tuono, quasi tentato di aprire la porta a calci. L’attesa non era fatta per lui. –Vedo che non perdi mai l’occasione di scalciare e nitrire, fratello. Non sai che la pazienza è la virtù dei forti?-. Il Dio dell’Inganno fece la sua comparsa uscendo dall’ingresso poco illuminato alle sue spalle. Il principe biondo rispose al ghigno del fratello con un’espressione ancora più derisoria –Allora tu ne sei la nemesi-. Il moro accusò il colpo, resistendo all’impulso di bruciargli il mantello. Rispose quasi sibilando. –Allora sarà meglio per tutti sapere che al momento opportuno non avrò pietà. Non avrò né voglia né tempo per ascoltare le loro suppliche-. Il Dio del Tuono scoppiò in una fragorosa risata. Quel suo fratello, riusciva sempre a sorprenderlo… con le parole. Gli gettò uno sguardo eloquente.
Improvvisamente sentirono levarsi alta la voce imperiosa e potente di Odino – Questi sono i miei preziosi figli. Thor, Dio del Tuono e protettore di Midgard, e Loki, Dio dell’Inganno-. I due giovani entrarono baldanzosi, mostrandosi al loro meglio nella loro aria di superbia e superiorità. Solo una volta affiancatisi al loro benemerito padre si concessero il lusso di osservare la ragazza che si stava inchinando di fronte a loro. Davanti ai loro occhi avidamente curiosi, e allo stesso tempo diffidenti e sprezzanti, si presentò la figura snella di una creatura in piena fioritura. I capelli bruni le scendevano sulle spalle e la schiena, a volte assecondando, a volte sottolineando sensualmente il suo fisico, mentre la pelle chiara e diafana sembrava un incastro perfetto di pietre brillanti e traslucide. E gli occhi…
Loki posò lo sguardo sulla ragazza, intento a studiarla così profondamente da poterne apprendere a pieno i segreti più oscuri e nascosti. Indugiò più a lungo su quelle parti del corpo verso cui un brivido profondo e misterioso lo spingeva. I suoi occhi verdi staccarono pezzo a pezzo quella figura così maledettamente stuzzicante, mentre il dio si divertiva come un ebbro di quel gioco tanto intrigante. Ma gli occhi.. non riusciva ad acchiapparli, erano già sgusciati via quando credeva di averli afferrati.
Curioso.
Perché fuggivano tanto?
-Mia cara ragazza- sentenziò con voce solenne Odino – la tua storia è molto curiosa, e sono certo che col tempo troveremo modo di approfondirla. Chiederemo al più presto aiuto al nostro guardiano protettore Heimdall affinché possa ricondurti verso casa. Nel frattempo, dal momento che la mia adorata moglie ha sempre desiderato una figlia, spero ci allieterai della tua presenza in questo immenso palazzo. Ma ora va’- concluse il Padre degli Dèi – sarai ancora molto scossa e turbata da questa nuova situazione. Ritirati nelle tue stanze-. Anirei sollevò decisa lo sguardo sull’uomo che aveva appena finito di parlare. Si inchinò con appena un po’ di esitazione e incertezza, tanto da rischiare nuovamente di perdere l’equilibrio. –Grazie mio signore-. Si voltò indietro appena un attimo dopo il cenno di consenso del suo nuovo re. Anirei non riusciva a pensare a niente; aveva a malapena ascoltato l’ultimo discorso del Padre degli Dèi. Ma dove era finita? Dèi? Asgard? Non capiva davvero dove si fosse andata a cacciare questa volta. Gonfiò le labbra, cercando di trattenere le lacrime finché non si fosse ritrovata da sola nella sua stanza. Non conosceva né la ragione né il modo in cui si era ritrovata in quell’enorme castello. Tremava dalla tensione, il sudore freddo che le scivolava sul collo scendendo lento e invisibile. Sentiva la mente come schiacciata da una pressa, tanta era l’angoscia e i dubbi che l’assillavano. Ma una domanda, su tutte, la inquietava maggiormente. La stessa che le aveva posto il re: qual era l’ultima cosa che ricordava? Non ne era sicura. Aveva un’immagine vaga di se stessa che scappava; niente di più. E poi? Provò a calmarsi con qualche lungo respiro; sentiva la morsa al petto che l’attanagliava da quando si era svegliata farglisi più larga e permetterle di respirare. Si strinse tra le braccia e si avviò a passo svelto verso le sue nuove stanze senza lasciar trasparire quella grazia che si era sforzata di mostrare al re.
  Ma non era la sola con oscuri pensieri in quell’immenso palazzo. Loki, ancora nella sala del trono con la famiglia, si era appena leccato le labbra con un ghigno divertito stampato sul volto emaciato. Ci era riuscito. Nell’attimo stesso in cui la ragazza aveva alzato lo sguardo, il dio aveva visto quel pezzo mancante, nonché fondamentale: due occhi grandi, da cerbiatto, dal colore castano scuro. Schivi e allo stesso tempo penetranti. E quasi neri, come tendenti al baratro delle tenebre. Si girò verso Thor. Neanche il fratello aveva spiccicato parola e sul viso gli era rimasta un’espressione vagamente rapita. Il Dio dell’Inganno incrociò lo sguardo del Dio del Tuono. Entrambi sapevano che era cominciata l’ennesima sfida.



 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** CAPITOLO ***



 
Scoppiò in lacrime, nascondendosi il viso tra le mani. ‹‹Mamma, papà, non voglio più combattere. Non voglio più tornare laggiù..›› proruppe in nuovi singhiozzi quando sua madre accorse per abbracciarla. Cercarono di calmarla con carezze e varie parole di conforto, ma senza riuscire nell’intento. ‹‹Va bene, non è una tragedia, sceglierai un’altra strada..››. Non capivano. Non capivano quanto la facesse star male quella decisione, quanto le costasse. Era sempre stata così brava, portata, per la spada; tutti si aspettavano grandi cose da lei, era un talento, non poteva deludere. Si rifugiò in camera, sbattendo la porta; si gettò tremante e scossa dai sussulti sotto le coperte nascondendosi la testa e premendosi le orecchie: non voleva ascoltare i suoi sensi di colpa, i suoi tormenti. Ma non ci riusciva.
Non ho idea di cosa voglia fare..
Sono una delusione: fuggo e mi dimeno come una bambina, abbandono una realtà che non voglio, ma non riesco ad andare avanti.. Non riesco a rimettermi in piedi e prendere in mano la mia vita..
Forse ho sbagliato?
Si asciugò con forza le lacrime, e si infilò le unghie nella carne; si sentiva così dilaniata, si sentiva strappare l’anima dalla sofferenza che provava.
No.
Non sarebbe tornata indietro, non sarebbe riuscita a sopportare quel posto nemmeno volendo.
 
       
                                                                                        ***
 
 
Se ne stava affacciata al balcone, affondando la testa nelle braccia, lo sguardo velato di sconforto e preoccupazione che si perdeva all’orizzonte. Sospirò arricciando le labbra. Chissà se la stavano cercando… rabbrividì, non sapendo bene quale risposta la inquietasse di più. Stiracchiò le mani, come per scacciare quelle lugubri riflessioni.
‹‹Pensi a casa?›› la riscosse una voce sconosciuta alle sue spalle. Anirei si voltò di scatto, presa alla sprovvista. Osservò appena con i suoi grandi occhi nocciola, quel tanto che bastava per riconoscere la figura imponente che l’aveva affiancata: subito si affrettò ad inchinarsi.
‹‹Non serve..›› le sorrise sfiorandole appena il braccio. La bruna si ritrasse di scatto, intimidita da quel contatto improvviso che le fece abbassare le palpebre imbarazzate.
‹‹In un certo senso..›› rispose con un sorriso mesto che le intristiva il volto. In verità non c’era per lei un luogo che potesse definire propriamente casa, dove sentirsi libera e al sicuro dal mondo e dai suoi tormenti; solo il cielo le dava un assaggio di quella sensazione, ma senza ali non era possibile raggiungerlo. Non più.
Respirò appena più profondamente, il petto che le si sollevava con leggerezza più del solito.
‹‹Ti piace Asgard?›› domandò il giovane principe sorridendole calorosamente, forse in un tentativo di distrarla, o forse semplicemente per cominciare una conversazione. Anirei si concentrò sulla città che si diramava attorno al palazzo d’oro, una struttura generalmente piramidale costituita da una serie di forme triangolari dai lati curvi poste ordinatamente le une dopo le altre in ordine di grandezza crescente.
‹‹E' davvero molto bella..›› concordò affascinata dal paesaggio che aveva davanti. Era tutto così.. magico, sorprendentemente bello e prospero, carico di ricchezze di ogni tipo.
Non aveva mai visto nulla di simile in vita sua.
Ponti dal color dell’arcobaleno, pezzi di edifici sospesi sul vuoto, macchine volanti, fittizie statue gigantesche che si rivelavano abitazioni ed edifici, vere sculture di pietra ligie e silenziose che rimandavano uno sguardo quasi contemplante di un paradiso che spettava ai più valorosi, di una gloria terrena ed eterna per cui avevano dato la vita; le scorrevano davanti con la banalità di una quotidianità che non le apparteneva.
Il dio dai capelli dorati si gustò soddisfatto l’espressione incantata del suo viso. ‹‹Un giorno diverrò il re di questa magnifica terra e la renderò ancora più splendente, assieme agli altri Nove Regni. L’intero universo gioirà della sua stella più luminosa, e i posteri si tramanderanno il nome del re che la portò a tale livello››
Anirei si voltò incuriosita verso il figlio di Odino, studiandone i lineamenti. Era lì, mani sul balcone, testa piegata leggermente in avanti, incantevoli occhi celesti che brillavano come riflesso della bellezza della capitale. Splendente come la città che sognava con tanto ardore e sicurezza. Un caldo sentimento l’avvolse mentre lo fissava rapita. Lo ammirava.
Aveva un sogno, un obiettivo che perseguiva ciecamente e senza esitazioni; probabilmente avrebbe combattuto fino alla morte pur di ottenerlo. Non era come lei. Anirei aveva deciso di battere il pugno sul tavolo e di cambiare strada, per cercarne una che l’appassionasse davvero e la realizzasse facendola sentire veramente parte del mondo. Aveva gettato tutto al vento per qualcosa –ma non sapeva neanche cosa. Spesso si raggomitolava su se stessa e si chiedeva se avesse fatto la scelta giusta..
Sì, non avrebbe potuto fare diversamente; eppure non riusciva a convincersene fino in fondo.
Sono una delusione.
Scosse delicatamente la testa per cacciare il pensiero che da tempo le si era annidato subdolo e silente nel midollo con i suoi profondi artigli.
Il figlio di Odino si voltò di nuovo verso di lei, una gioia radiosa negli occhi davanti alle sue labbra incurvate lievemente. Non credeva che anche un così piccolo sorriso potesse accenderle il volto.
‹‹Sono Thor›› si inchinò senza smettere di guardarla ‹‹Dio del Tuono e protettore di Midgard››. Anirei osservò per un momento i suoi meravigliosi specchi azzurri, poi abbassò i propri. Si sentiva a disagio quando la guardavano negli occhi: era come se le violassero l’anima, aveva paura che leggessero dentro di lei.  E scoprissero le sue ombre scure, dando credito ai suoi timori.
 
 
 
Loki aveva osservato suo fratello per tutta la mattinata. Era più distratto del solito, e si guardava intorno come se stesse cercando qualcuno. Rispondeva a malapena, e sempre concordando con tutti con dei vaghi cenni di assenso della testa. Sembrava molto preso da qualcosa - chissà cosa…
Gli scese lungo la schiena un brutto presentimento. O da chi, magari.
Lo squadrò da cima a fondo, gli occhi verdi che lo studiavano attentamente per fugare ogni suo minimo dubbio.
Poteva essere che avesse già fatto la sua prima mossa? Gli pareva un’ipotesi poco probabile: anche se si trattava di correre dietro ad una gonna, suo fratello aveva i suoi tempi, che, sapeva, per lo meno all’inizio, essere molto lenti. Si morse un labbro, mentre seguiva a passi leggeri e misurati l’altro figlio di Odino. Eppure era l’unica spiegazione plausibile.
Spiegazione che sembrò confermarsi quando arrivarono davanti al corridoio che conduceva alla Sala del Trono: Thor si congedò dai tre guerrieri e da lady Sif.
E da lui.
‹‹Dove correrà così frettolosamente...?›› si chiese Fandral ad alta voce chiudendo un occhio ed osservando la lama affilata che aveva levato davanti al viso, l’allusione ironica che scivolava fuori dalle sue labbra maliziose e calde.
‹‹Ci sono pure gli allenamenti›› aggiunse Hogun sbadigliando annoiato senza curarsi di mettersi una mano alla bocca.
‹‹Suvvia, lasciamolo stare›› proruppe l’uomo dalla folta barba rossa stiracchiandosi le braccia ‹‹non siamo mica i suoi cani››
Loki osservò lady Sif, i lunghi capelli corvini ondulati divisi a metà sulle spalle, le labbra strette e affilate: non aveva aperto bocca. Entrambi erano giunti alla stessa conclusione. Si avviò a grandi falcate nella direzione che aveva preso suo fratello, il sangue che gli ribolliva nelle vene come olio di veleno bollente. Thor voleva prendersi quella donna scavalcandolo con un tiro a sorpresa tipico di lui - del Dio dell’Inganno.
Da quando era diventato così sprovveduto? Li raggiunse che erano davanti al portone principale di legno intarsiato d’oro, dove erano state rappresentate in una miriade di fini decorazioni le battaglie più cruente e gloriose degli Æsir, vittoriose guerre divenute più dure una dopo l’altra. Si sorridevano come due emeriti imbecilli: cos’era tutta quell’aria di complicità? Perché lui ne era stato tagliato fuori?
‹‹Fratello..›› moderò la voce assieme ai passi, ingoiando il suo risentimento come un cucchiaio di amaro veleno. Il Dio del Tuono si voltò verso di lui, sul viso una malcelata irritazione. Loki ghignò. Gli piaceva rovinare la festa a quel buffone; soprattutto quando Thor voleva disfarsi di lui preferendo qualcun’altro. ‹‹Non vuoi presentarmi questo… fiore?›› aggiunse l’ultima parola con tutto il disprezzo e lo sdegno possibili.
Egli intercettò di nuovo il suo sguardo, poi, alzando gli occhi al cielo, sbuffò lievemente. ‹‹Cosa vai pensando fratello? Mi sto solo offrendo di far fare un giro della fortezza alla nostra ospite››.
Loki, un’espressione di calma assoluta, alzò un sopracciglio ‹‹Oh cielo, perdonami, non volevo alludere ai trattamenti che preservi alle donne di tuo gusto. Trattamenti molto personali e di secondo fine. Non volevo darti questa impressione››.
Thor di rimando abbassò le sua di sopracciglia, fulminandolo. Probabilmente l’avrebbe fatto volentieri col martello in mano ‹‹Desideri unirti a noi, fratello? Non vedo il problema perché tu non possa farlo››.
Il dio schioccò la lingua deliziato ‹‹Infatti, non credo ci siano problemi›› e si avviò con uno scatto felino verso l’oggetto di interesse di suo fratello. Quando la raggiunse, seguito a ruota da Thor, studiò nuovamente la fanciulla ammantata nelle morbide vesti azzurre che le scendevano sensuali sui fianchi fino a toccare il pavimento in una miriade di pieghe. Era bella, si poteva osare dire avvenente, ma sicuramente non svettava così tanto sopra le donne standard di Thor; gliene aveva viste tra le mani anche di più notevoli e aggraziate. E poi aveva quello sguardo sempre così maledettamente fuggente. E a suo fratello non piacevano le timide.
‹‹Il mio nome è Loki..›› si presentò inchinandosi elegantemente.
‹‹..il Dio degli Inganni›› concluse ella per lui, a malapena guardandolo.
Il moro nascose perfettamente la sua punta di sdegno. Era anche irritante, a quanto pareva. Davvero, cosa ci trovava Thor in una tipa del genere? Decise di metterla a disagio, per studiarne maliziosamente curioso la reazione. Le prese la mano prima che potesse accorgersene –tanto era impegnata a guardare fuori dal portone – e gliela baciò cercando di celare il suo sorrisetto maligno. Un’improvvisa scarica corse sotto la loro pelle trasformandosi in un potente brivido al momento del loro contatto. Anirei si ritrasse all’istante, disorientata da quello che aveva percepito.
Alzò lo sguardo su di lui, incontrando due occhi verdi, intensi come mai le era capitato di vedere, che le sembrarono guardarle dentro, come un torrente che scorre impetuoso senza poter essere fermato; un moto di vergogna le scese allo stomaco costringendola ad abbassare le palpebre: le era tremato il sangue, e l’anima con esso. Era durato un attimo, eppure era scossa nel profondo. Non solo quello sguardo era penetrante e le leggeva dentro senza alcuna esitazione, ma a sua volta nascondeva tutta una serie di sentimenti che non le era riuscito di decifrare. Si tenne la mano con l’altra, confusa e sconcertata. Fu Thor a sciogliere il silenzio che si era creato. Non capiva quello che fosse successo, soltanto, suo fratello stava fissando l’ospite, pensieroso, e lei, sopracciglia appena contratte verso l’alto, si accarezzava delicatamente la mano con espressione accigliata.
Che Loki le avesse fatto un brutto scherzo? Probabile. Era sempre nei paraggi con i suoi tiri mancini quando si trovava in compagnia di una donna- indi per cui in genere preferiva portarla nelle sue stanze senza perdere tempo. Si era però convinto che prima o poi avrebbe smesso di perseguitarlo… o forse no. Che atteggiamento infantile; e poi era lui a definirlo un bambino un po’ troppo cresciuto..
‹‹Perdona mio fratello, mia cara Anirei. A volte non riesce a contenere la sue capacità magiche›› la rassicurò mettendole una mano sul braccio, indirizzandola verso l’uscita per farle visitare i giardini reali. Scoccò un’occhiata a suo fratello, invitandolo a non seguirli.
Cosa che invece il dio fece -ovviamente.
 
 
 
Si guardava intorno, chiudendo gli occhi per odorare l’aria dei giardini, motivo di goduria per iridi e olfatto, per orecchie desiderose di intimo e caldo silenzio.
L’immenso labirinto d’erba, intricato ma nient’affatto spaventoso, raccontava di alberi profumati e aggraziati come colei che veniva definita Madre degli Dèi, la regina dei Nove Regni, stimata per la forza e la determinazione del cuore, una bella donna dagli occhi color del cielo e dai lunghi e ampi boccoli d’oro come splendenti girasoli.
Vigevano biancospino e rose, mirtilli e bacche spuntavano su ogni rametto, carico di colori sgargianti e definiti, eppure variegati come le specie che si susseguivano al pari di siepi accatastate, perfette ed educate, lungo i sentieri che percorrevano. Sovente i cammini si incrociavano in strane ma incantevoli fontane, che ravvivavano col loro leggero mormorio il luogo taciturno e rilassante, meta di ancelle e serve dedite al lavoro, e di solitari visitatori dalla discendenza nobile o di guerrieri dall’animo irruento e agitato in cerca di pace e tranquillità.
I giardini reali erano immensi, innumerabili sembravano i tipi di fiori dai colori vivaci o dai petali delicati ed unici che sprigionavano una ricchezza sì ostentata, ma leggera come una brezza serale.
Ne avevano visitato gran parte, quando il Dio del Tuono  proruppe in una gioiosa risata. ‹‹Davvero tu eri una guerriera…? Per quale motivo non ne hai accennato prima? E' oltremodo stupefacente..!››.
La fanciulla si torturò le mani, non sapendo bene come rispondere. Non voleva sbilanciarsi troppo. ‹‹Beh, ecco.. perché non lo sono più, da tempo.. quindi non mi considero..››.
Non finì la frase che Thor la prese per le braccia, volgendola verso di sé, le iridi azzurre che si accendevano e un sorriso beffardo ma bonario. ‹‹Ti condurrò alla pista dove potrai mostrare la tua destrezza: potresti magari sigillare le labbra di un guerriero millantatore quanto abile ››.
Si morse la lingua, preoccupata. Perché non le riusciva mai di stare zitta? Prima di riprendere in mano una spada si sarebbe fatta torturare, altro che stendere uno spadaccino provetto.
Il Dio dell’Inganno, che li seguiva pressoché silenzioso, si decise a parlare ‹‹Non credo che Padre approverebbe la nostra ospite in mezzo a un polveroso campo, e in rischio di vita. Sai come possa essere punitivo all’occorrenza››. Anirei ringraziò mentalmente il principe, sciogliendo i muscoli tra le mani di Thor e ricercando l’autocontrollo. Si rilassò alzando il petto e inspirando a fondo quanta più aria poté prendere.
Ma il Dio del Tuono era capriccioso; più di quel che si immaginava.
‹‹Allora prima mi accerterò personalmente che abbia un livello accettabile››.
Si sentì mancare tra le mani di quel dio ostinato.
 
 
                                                                                         ***
 
 
Leggeva il libro che gli aveva portato sua madre due giorni prima. Semidisteso accanto alla finestra della biblioteca, sfogliava le pagine che aveva già imparato.
Si annoiava.
Distese la mano sul foglio appena sgualcito, mentre un rumore di passi leggeri impegnava le sue orecchie. Dalla porta della stanza fece capolino la testa di una fanciulla dai capelli lunghi e la pelle candida.
‹‹Scusa..›› sussurrò con un filo di voce. Il dio alzò un sopracciglio, senza staccare gli occhi dalla pagina che stava lisciando col palmo. ‹‹Tua.. vostra madre mi ha mandato a chiamarvi per la cena››.
Guardò fuori dalla finestra: in effetti era buio, e non se n’era nemmeno accorto. Chiuse il libro con un sospiro. ‹‹Dille pure che non vengo››. Appoggiò la testa al muro e chiuse gli occhi; era stanco. Stanco di tutto. Della sua vita all’ombra di suo fratello, delle occhiate dure e giudicanti di Padre, degli sguardi diffidenti o – peggio – derisori della maggior parte di quelli che incontrava… a volte persino dei suoi stessi inganni.
Sentì un leggero rumore. Quella fanciulla non se n’era ancora andata, a quanto pareva. Aprì gli occhi per guardarla, ma non la vide.
Dove si era cacciata? Si alzò, infastidito. Come faceva ad irritarlo così tanto con così poco sforzo? Gli ricordava suo fratello, in qualche modo.
Superò il primo scaffale a destra, tuttavia non fece nemmeno in tempo ad assaporare il brivido della ricerca, che esso si era già spento: eccola là, quasi in ginocchio, intenta a leggere i titoli dei libri del quarto scaffale.
‹‹Cosa stai facendo?›› le chiese celando la stizza.
Anirei si voltò verso di lui, un’espressione  a metà tra la sorpresa e la paura. Si rizzò sulle gambe velocemente, risistemandosi il vestito azzurro.
‹‹Cercavo un libro..›› borbottò ‹‹non credevo di dare fastidio, perdonatemi››
Le si avvicinò, guardingo. ‹‹Questo lo immaginavo. Che genere di libro?››
‹‹Un…››
‹‹Aspetta›› la fermò subito ‹‹sappi già da adesso che non puoi mentirmi, non a caso il mio nome è seguito dall'appellativo di "Dio dell’Inganno". Se lo farai - e sta’ pur certa che lo saprò - non ne sarai tanto felice››.
La vide rispondergli con un’occhiata seccata e infastidita. Ora sì che cominciava a essere quantomeno divertente. Rimase interdetta per qualche momento, come fosse indecisa se rispondergli a tono o meno. Poi aprì bocca. ‹‹Cercavo un libro di arti occulte››
Si impedì di sbuffare. Non voleva dargli alcuna soddisfazione. Allora doveva marcare la mano..
Le si avvicinò pericolosamente, mani dietro la schiena e volto da predatore, l’espressione di lei sempre più preoccupata e accigliata. ‹‹E perché mai dovresti cercarlo?››
Anirei lo scansò, avviandosi verso l’uscita della biblioteca. La raggiunse in un attimo, mettendosi davanti a lei per sbarrarle la strada.
‹‹Perché ci tieni tanto a saperlo?›› gli intimò.
‹‹Perché ci tieni tanto a non farmelo sapere?››
‹‹Io…›› guardò in basso, le palpebre fattesi pesanti, rossa per la rabbia ‹‹..ho sentito che in un libro simile avrei potuto trovare una formula per diminuire il dolore fisico››
Loki piegò la testa di lato, un sorrisetto beffardo gli troneggiava sul volto. Sapeva già come sarebbe andata a finire. ‹‹Oh, ma davvero? Tu ti intendi anche di rune, oltre che di spada..?››
La fanciulla acuì la sua espressione di imbarazzo misto a cocente fastidio.
‹‹No›› rispose con le mani che fremevano ‹‹Ma stamattina vostro fratello ha menzionato le vostre doti, così ho capito che anche in questo mondo esistono incantesimi..››. Abbassò sconfitta la testa, Loki ne poteva sentire il caldo della pelle anche a distanza. ‹‹Non mi piacciono molto i dottori, avrei provato da sola›› ammise infine.
Era discretamente soddisfatto della frustrazione che le aveva causato: d’altronde, non la ripagava con la stessa moneta per l’atteggiamento maleducato che aveva avuto nei suoi confronti quella mattina?
Le alzò il mento costringendola a guardarlo. Poté osservare di nuovo i suoi occhi quasi scuri, in mezzo a quel volto rosso come un rubino. Doveva ammettere che il suo fascino ce l’aveva quella ragazzina, dopotutto. Era un po’ insolente, ma la cosa lo intrigava ancora di più. E poi non poteva ignorare il brivido potente ma piacevole che aveva provato quando si erano toccati; il suo seiðr aveva reagito in maniera piuttosto singolare al suo tocco, ma ella non aveva mentito sulle proprie inesistenti doti magiche. Le soffiò sul viso, vittorioso ed appagato. ‹‹Sappi che non mi piace quando mi parlano senza guardarmi››
La fanciulla cedette al suo orgoglio, facendo gongolare il suo interlocutore. Si liberò dalla mano del dio e dai suoi occhi verdi, allontanandosi con violenza. ‹‹Smettila, non è divertente›› gli intimò prima di andarsene scappando via.
Loki se ne tornò fischiettando al suo libro. La noia e i brutti pensieri gli erano passati.
 
 
 
 
 
 
 
 
**************
Nota dell'autrice:
Bene, siamo al secondo capitolo! Ringrazio tutti coloro che seguono questa storia o che vorranno seguirla, anche solo i visitatori di passaggio.
A essere sincera non mi piace molto questo capitolo, ma non riuscendo a migliorarlo ho deciso di smetterla di sbattere la testa sulla tastiera e di pubblicarlo comunque *si benda la testa cercando di autoconvicersi di aver fatto la cosa giusta
La difficoltà maggiore è dare la sfumatura dei sentimenti di Loki: spero si sia avvertito l'attrito che si instaura con Anirei perché è geloso del fratello, che dà a tutti la sua attenzione men che meno che a lui. Però d'altronde anche lui è affascinato dalla bella e misteriosa brunetta eheh..
Spero di farmi perdonare vivamente con gli altri capitoli... ancora grazie e ciao!

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** CAPITOLO ***




 
Thor si sedette accanto a lei, sull’erba, sfinito. Se la cavava davvero quella donna. La sua donna.. accarezzò l’idea. Anirei si spostò la lunga treccia scura dietro la schiena, incurante dello sguardo del principe su di lei. Aveva un’espressione pensierosa, corrucciata quasi; e intanto torturava un innocente filo d’erba davanti alle gambe incrociate.
‹‹Thor›› cominciò, con un sussurro ‹‹perché tuo fratello mi odia? Ho fatto qualcosa che non dovevo?››. A parte rispondergli a tono ogni qualvolta le tirava una frecciatina. Se la pungolava, con quel caratterino tutt’altro che paziente, era più che normale che gli si rivoltasse contro con parole poco educate. Thor respirò a fondo, gli occhi azzurri che si velavano appena.
‹‹Non sei tu. E' fatto così, allontana tutto e tutti da sé, non riesco a comprendere che cos'abbia. Qualunque cosa mi attenti a fare, mi chiude la porta in faccia››. Quell’espressione affranta e triste, che nascondeva un’amara impotenza, esprimeva sinceramente tutto il suo amore fraterno. Anirei mise una mano sulla sua, non sapendo bene che cosa dire. Non era brava a consolare se stessa, figurarsi altre persone. Alla fine optò per un “Sta’ tranquillo”, detto con tutto il suo cuore. Il dio le sorrise, confortato da quel suo piccolo ma caloroso gesto.
‹‹Non ti preoccupare, non è colpa tua, mia cara. Se continua a darti fastidio ›› levò in alto il dito ‹‹informami subito ››. L’aiutò ad alzarsi su, aspettandola una volta finito di togliersi la polvere dai pantaloni attillati, e avviandosi insieme verso l’ingresso del palazzo.
‹‹Credo proprio che tu sia pronta per fronteggiare quel marpione di Fandral; ieri sera ti sottovalutava, ma non preoccuparti, sono certo che si ricrederà su di te››. Anirei lo accontentò con mezzo sorriso, mentre si lasciava trascinare verso la pista. La treccia le batteva delicatamente sul corsetto decorato in ferro. Alzò la testa al cielo, con l’ansia che le correva per lo stomaco e ogni passo che le sembrava un colpo di tamburo verso la morte. No, doveva calmarsi. Calmarsi e non pensare al peggio.
Diglielo.
Ma non aprì bocca. La sua nuova spada le batteva sulla gamba come una profonda coltellata al petto.
 
 
                                                                             ***
 
 
‹‹Loki››
‹‹Madre›› rispose fermandosi sul sentiero e voltandosi verso la donna che lo stava raggiungendo. La sua espressione si addolcì: sua madre era l’unica persona di cui potesse godere la compagnia. Le porse il braccio. ‹‹Mi stavate cercando?››.
La dea sorrise ‹‹E' da tanto che non passeggiamo insieme per questi giardini››.
Loki tacque. Non lo imbarazzavano i silenzi con lei, anzi, quelli erano i suoi momenti preferiti, in cui sentiva distendersi l’anima nella liberazione dei suoi pensieri. Passeggiarono per un po’, finché ella non si decise a parlare, rivelando il motivo della sua visita. ‹‹Che cosa ti turba mio caro?››.
Le evitò i suoi dispiaceri ‹‹Nulla, madre. Nulla di nuovo almeno››.
Frigga accennò lievemente col capo alle due donne che si erano inchinate davanti a loro. ‹‹Hai notato anche tu la bellezza, la delicatezza della nostra ospite?››.
Decise di non rispondere; altro che delicata, quando si era liberata dalla sua stretta c’era mancato poco che gli torcesse il braccio –non che fosse più forte di lui, chiaro.
Per non parlare del gergo poco educato imparato in chissà quale osteria con cui osava rispondergli: meno male che la facoltà di parlare le loro lingue era frutto di un regalo molto prezioso da parte dei regnanti, se fosse appartenuto al Dio del Tuono e ai suoi amichetti con cui ultimamente si intratteneva, chissà con quali perifrasi si sarebbe rivolta ai suoi interlocutori.
La regina continuò, probabilmente non badando alle sue riflessioni ‹‹Vedo che trascorre molto tempo con tuo fratello e gli altri guerrieri. Ti sei dimostrato disponibile per farla sentire a suo agio?››.
Loki sbuffò, non curandosi di nascondere la sua stizza ‹‹E' insolente e maleducata, madre, meno tempo ci passo assieme più gioia arreco al mio fegato››.
Gli arrivarono alle orecchie le sue risate leggere e divertite. ‹‹Per questo salti molti pasti e, le poche volte in cui ci degni della tua presenza, i tuoi occhi paiono illuminarsi alla sua vista?››.
Fremette, punto nell’orgoglio. ‹‹Questa è un’assurda menzogna, e voi lo sapete. Non sopporto vederli insieme, mi danno il diabete; li odio, tutti e due. Tutti e sei›› concluse per marcare il concetto.
Sua madre serrò la stretta al suo braccio, e mise la propria sulla mano di lui ‹‹Loki, non essere così duro: odio è una parola forte. Scommetto che è venuta a cercarti, e tu l’hai cacciata via come al tuo solito››.
Aprì bocca per contestare, ma Frigga lo precedette ‹‹Piange tutte le notti, Loki. Ho chiesto alle ancelle, e mi hanno confermato di trovare il cuscino umido quasi ogni mattina. Non credi che per lei sia già difficile trovarsi in un luogo sconosciuto senza neanche sapere se tornerà mai a casa?››.
Non si arrischiò a dire nulla: era chiaro che sua madre non si aspettasse una risposta. Rimuginò sugli occhi gonfi che aveva intravisto qualche mattina precedente. Davvero piangeva tutti i giorni? Doveva proprio stare male. Una mano gentile lo invitò a voltarsi verso il viso della donna che amava di più al mondo incontrandone gli occhi belli e cristallini. Gli stessi occhi che suo fratello aveva avuto la fortuna di ereditare. ‹‹Dalle una possibilità, hai cuore, e lo sai; dimostralo. Pensa a questo la prossima volta che perderai la pazienza: la odi perché piace a tuo fratello, o la odi  perché potresti innamorartene?››.
Innamorarsi? Nessuno era mai riuscito in quel folle tentativo. Certo, riscuoteva un certo successo tra alcune ragazzine, e alcune erano parecchie carine e meritavano la sua attenzione; ma nessuno riusciva veramente a toccare più in là di un brivido di piacere e desiderio. E sicuramente la cara ospite non rientrava in alcuna eccezione.
Continuò a fissare pensieroso sua madre, finché una voce diversamente bassa non gridò ai quattro venti squarciando l’aria ‹‹Fandral è stato sfidato! Da una ragazza per giunta!››.
La regina si congedò all’istante con un’occhiata per dirigersi il più presto possibile al palazzo. Da Padre, immaginava, per evitare che trasformasse la questione in tragedia. Era molto suscettibile ultimamente.
Quando arrivò all’arena, la trovò gremita di una folla di curiosi. Scintillavano alla luce del pomeriggio le spade e le cotte di maglia dei guerrieri che già si trovavano lì, alla pista, con l’iniziale scopo di allenarsi. Il chiacchericcio generale si inframmezzava a tratti per fischi isolati e soprammessi, a tratti per le grida tutte eccitate di scommessa.
Anirei e Fandral si trovavano in mezzo alla pista, lasciati da poco dagli altri quattro guerrieri. Il pubblicò si zittì di colpo, volendo ascoltare le loro parole.
‹‹Ditemi una cosa›› chiese la bruna stringendo la mano del suo avversario ‹‹bisogna combattere da manuale o come in guerra –tutto vale ?››.
Lo spadaccino le sorrise arricciandosi il baffo ‹‹Mia lady, va bene qualsiasi cosa, purché nessuno si faccia male. Non è nella mia natura fronteggiare una donna con in mano una lama affilata e non una rosa rossa››. Anirei incurvò le labbra, divertita.
‹‹Pronti?›› gridò Hogun ai due combattenti che, mani sempre strette, si allontanavano col resto del corpo. Quando arrivò il “Combattete!”, si lasciarono all’istante e balzarono all’indietro estraendo le spade. ‹‹Mia dolce fanciulla, sapete come tirare di spada..? Non sembra un giocattolo adatto alla vostra grazia; magari un ago col filo?››.
Anirei non rispose, gli girava cautamente intorno. Non poteva distrarsi. Si passò la mano sul naso, un’abitudine che aveva preso per liberarsi dell’ansia in momenti come quelli. Fece ancora qualche passo, così sicuro rispetto a quelli sgraziati ma silenziosi che faceva solitamente quando nessuno le richiedeva forza e determinazione. E ora la stavano guardando. Il Dio del Tuono la stava guardando; si fidava di lei, non poteva deluderlo. Però, se avesse perso, forse lo avrebbe convinto a non farle più prendere una spada in mano..
Ma ha visto quello che so fare. Lo deluderei soltanto.
Beh, forse non avrebbe vinto comunque. Fissò la lama nemica con fare circospetto, l’espressione concentrata. Quando si era allenata con Thor aveva scoperto di essere molto scoperta in difesa. Non se ne era mai accorta prima, eppure quello era un errore grossolano.
Fandral attaccò di lato, poi fece un affondo. Anirei riuscì a pararli entrambi, ma per un pelo. Era veloce baffetto. Doveva sfruttare la sua agilità contro di lui, ma non le veniva in mente una minima idea di come. Provò qualche attacco, per scoprire se avesse qualche punto debole; attacchi che lui ovviamente parò subito. Si allontanò lentamente, senza perderlo di vista, battendo la spada per terra. Era troppo pesante per la sua mano; non credeva che la sua lama nera le potesse mancare così tanto. Lo spadaccino tentò un assalto dal basso, ma lei lo saltò. Di contro cercò di mirare al fianco sinistro ma, prima che Fandral potesse intercettarle la spada, la abbassò per evitare il contatto e se la lanciò nella mano sinistra. Ma lui aveva riflessi più che pronti e fece un balzo all’indietro mentre la bruna finiva il movimento portando il braccio verso l’esterno. La folla scoppiò in un’ovazione eccitata.
‹‹Sai il fatto tuo signorina›› sghignazzò risistemandosi il ciuffo con la mano tra i capelli.
Anirei sorrise, il corpo che le si riempiva di adrenalina ‹‹Anche voi, è impossibile prendervi›› si complimentò con voce fiera. Era inutile provare a stancarlo, dopo tutto quel tempo di intenso cozzare era fresco come una margheritina. Al contrario, lei si stava stancando sempre di più; c’era qualcosa che non le tornava, le sembrava di combattere a metà, a molti dei suoi movimenti mancava qualcosa, e faceva molta fatica. Inoltre il fianco le bruciava da impazzire già da prima, le dilaniava la carne, solo l’adrenalina aveva tamponato temporaneamente il dolore; ma ora che stava scemando, le pareva già di vederci sfocato. Decise, o tutto o niente. Si rimise in posizione e aspettò l’attacco. Che puntualmente arrivò. Parò e attaccò un paio di volte, mentre lui la incalzava.
Era il momento. Anziché la spada, alzò il braccio verso di lui, come se volesse spazzarlo via con un qualche incantesimo. Fandral aveva alzato la lama, ma si era fermato a metà, non volendole tagliare il braccio. Anirei gli colpì con più forza che poté la spada mentre la propria, una volta toccato il metallo nemico, le scappava di mano per la forza dell’urto. Senza esitazione estrasse il pugnale dalla coscia opposta e si diresse al collo dello spadaccino. Fandral, inizialmente stupito, sentì la lama vibrare violenta per l’impatto fortissimo, ma non lasciò la presa e, anzi, affondò con più forza nella direzione della sua avversaria. Ad Anirei prese un colpo: il suo maledetto fianco scoperto, continuava a giocarle brutti scherzi! Istintivamente oppose la mano libera alla lama nemica in un tentativo di blocco, mentre l’altra si avventava sul collo dello spadaccino. Il dolore che la travolse per tutta la parte sinistra le tolse il fiato, impedendole di toccare la meta. Si fermò, lasciando cadere il pugnale, mentre la folla acclamava il nome del vincitore.
Non ce l’aveva fatta. Chiuse gli occhi: la delusione le scendeva addosso spegnendole gli ultimi barlumi di adrenalina. Onestamente, aveva sperato in un pareggio. Sentì due braccia forti cingerle la vita e alzarla in alto. La fanciulla aprì gli occhi, specchiandosi nelle iridi azzurre e cristalline del Dio del Tuono. Non era deluso, sembrava… fiero?
Le sorrideva di una gioia radiosa, come se avesse vinto. Stravedeva per lei. ‹‹Nessuno era mai arrivato a tanto con quel parolaio! Sei stata bravissima!››.
Se la strinse al petto, quasi soffocandola, mentre le riempiva la guancia di baci. La bruna era confusa, la stretta – micidiale – di Thor, le pacche degli altri guerrieri, il sorriso appena accennato di lady Sif.. Ma fu Fandral a riempirle il cuore di una rincuorata gioia. Le venne incontro seguito dalla sua corte di ammiratori e di folla festante.
‹‹Per un momento ho abbasso la guardia, sorpreso dalla vostra… eroica pazzia? Vi piace rischiare, vedo: mi piace. Non mi meraviglierei se anche in amore vi rivelaste una donna di mille sorprese››.
Le baciò la mano, mentre lei si inchinava riconoscente e piena di ammirazione. ‹‹Non ho mai incontrato né visto guerriero con più grazia e velocità di voi. E anche di forza, perché sinceramente  ho pensato che avreste mollato la presa sulla spada››.
   Dopo qualche altra stretta di mani, sorrisi, complimenti che volavano da una parte e dall’altra, Anirei scivolò dalla presa del figlio di Odino per dirigersi a piccoli passi un poco affannati all’uscita dell’arena. Doveva inventarsi qualcosa o sarebbe svenuta veramente per il dolore, che aumentava di minuto in minuto: ideale le sarebbe stato immergersi in un lago di acqua ghiacciata.
La confusione della gente che aveva assediato l’arena era ormai un sottofondo lontano; a poco a poco tutti tornavano alle loro mansioni quotidiane, annoiati.
Loki la raggiunse a grandi passi, fuori di sé. ‹‹Tu sei semplicemente una sconsiderata! Ci fosse stata lady Sif al posto di quel beota, a quest’ora avresti un braccio in meno››.
Inspirò profondamente, ricercando la sua solita calma freddezza, il suo indifferente distacco. Che perse di nuovo quando ella borbottò con voce strozzata “Bisogna saper riconoscere i punti deboli dell’avversario” o qualcosa del genere. Stava mentendo. Difatti la fanciulla ricapitolò dopo un secondo confessando apertamente che aveva confidato nella fortuna. Alzò gli occhi al cielo: se l’era immaginato.
‹‹Cosa sei venuto a dirmi?›› gli domandò concentrandosi sulla strada che stava percorrendo con andatura sempre più lenta e affaticata.
Continuò a seguirla, le mani dietro la schiena. ‹‹E' sparito un libro di arti occulte dalla biblioteca›› le spiegò semplicemente, volendo godersi la sua espressione impareggiabile: la smorfia di colui che è stato beccato con le mani nel sacco.
‹‹Mi serviva, te l’ho detto››
‹‹Peccato.. ›› le si mise davanti, fermandola. Erano arrivati nel punto esatto dove voleva lui ‹‹..che tu abbia preso quello sbagliato››.
La vide sbiancare, con gli occhi sgranati e la bocca mezza aperta. Si chiese se non avesse provato da sola a recitare chissà quale astrusa formula o incantesimo. Come se chiunque potesse farlo, figurarsi. Sospirò. ‹‹Muoviti›› la spintonò con poca delicatezza verso la porta alla loro destra, che chiuse una volta entrati tutti e due.
‹‹Fammi vedere›› e porse la mano indicando al contempo quella sinistra della fanciulla che lo guardò accigliata. Sospirò, per la seconda volta nell’arco di un minuto. ‹‹Non sono cieco, ho visto come hai cercato di fermare la spada – sei un’incosciente, se non te l’avessi detto. Ringrazia che ci fosse un pezzo d’acciaio proprio in quel punto, altrimenti i medici sarebbero ancora a giro a raccogliere le tue dita sparse per la pista››.
Le tolse il guanto di metallo sottile tenendo la mano nella sua; l’ultima volta che era successo era stato travolto da un brivido potente e vagamente piacevole. Si concentrò sullo scaffale di fianco a lui frugando tra le varie boccette.
‹‹Siamo nell’infermeria››. Non era una domanda.
Trovato il flacone che faceva al caso suo, si voltò verso di lei, trovandola che ancora ispezionava la stanza volgendo la testa in tutte le direzioni. Le mise la pomata sull’ematoma che le copriva l’intero dorso della mano. ‹‹Dovrebbe scomparire tra meno di un’ora, non è grave. Sei fortunata››.
La bruna piantò lo sguardo nel suo, ritraendo il braccio e ringraziandolo imbarazzata. Fece per imboccare l’uscita, ma il dio la fermò mettendole una mano sull’addome.
‹‹Il libro che cerchi è questo. A cosa ti serve?›› e glielo mise davanti agli occhi. Doveva essere gentile, no? Gliel’aveva chiesto sua madre senza tanti giri di parole. Tanto valeva andare fino in fondo.
Anirei esitò appena, poi gli parlò del fianco.
‹‹Posso farlo io. Levati il corsetto›› si offrì. La fanciulla fremette affogando nella vergogna.
‹‹Non fare tante storie››
Le spostò la coda alta lasciando libero il collo, e iniziò a slacciare i laccetti dell’indumento di cuoio nero. A mano a mano che scendeva, il corsetto scopriva la pelle candida della schiena. Lo colse un leggero ma subdolo fremito, tuttavia non si fermò finché non finì la sua delicata azione. Anirei si reggeva gli indumenti al petto, dandogli la schiena. Il dio ne sfiorò appena la parte più a sinistra, l’immaginazione che gli scorreva sotto la carne graffiandolo con la sue suadenti fantasie.
‹‹Sei sempre così freddo?›› rabbrividì lei voltando leggermente la testa verso di lui.
‹‹Da quando ne ho memoria››.
Aguzzò la vista, individuando una parte di pelle più rossastra. Vi premette delicatamente le dita gelide ‹‹Ti fa male?››.
Gli rispose con un rantolo appena soffocato “..”. Continuò a sfiorarle delicatamente la pelle, studiando lo strano fenomeno.
‹‹Loki..›› gemette lei ad un certo punto con un filo di voce ‹‹..mi sta divorando, non resisto più..›› e si morse un dito per resistere all’impulso di gridare e staccarsi la carne a suon di graffi.
Le mise subito una mano sulla pelle arrossata ‹‹Così va meglio?››.
Anirei annuì con foga, le lacrime agli occhi. Il dio la lasciò un momento, si tolse la casacca gettandola per terra e strinse a sé la fanciulla poggiando il petto nudo contro la schiena di fuoco, le braccia attorno alle sue; la sentì rilassarsi gemendo di sollievo. Loki constatò che la sua pelle era morbida, oltreché molto calda. Brividi di desiderio e di eccitazione gli si arrampicarono lungo la colonna vertebrale, quasi lame di metallo affilate come rasoi.
Premette le labbra sul suo orecchio, soffiandoci appena. ‹‹Stai bene?››.
I capelli di lei gli solleticarono il petto nel seguire i lievi movimenti di assenso del capo. Le tolse il dito che ancora stringeva nella bocca, le accarezzò le guance. Ad ogni tocco la sentiva rabbrividire e irrigidire i muscoli, stringendosi sempre di più le braccia al petto. Il dio, ancora chino su di lei, la baciò tra la spalla e il collo. L’avrebbe convinta a cedere alle sue provocazioni, ne era certo.
Fu lei a sorprenderlo quando cominciò ad accarezzargli le braccia con tocco leggero delle dita ‹‹Questi quando te li sei fatti..?››. Si riferiva alle sue cicatrici.
La voltò verso di sé, le mani ancora laddove la pelle era più calda rispetto al resto del corpo. Anirei, continuando a  premersi il corsetto al petto, gli mise una mano sul torace, seguendo la più lunga tra le sue cicatrici.
‹‹E' meglio che tu non lo sappia››.
Le passò le dita affusolate tra i capelli, sotto la nuca.
‹‹Mi odi?›› si sentì domandare a bruciapelo. Trattenne il respiro per un attimo. Provò ad alzarle il mento con la mano, ma Anirei lo scansò.
‹‹Guardami›› le intimò mormorando. “No”  gli rispose lei piano, col viso ostinatamente basso. Da quando le loro voci si erano ridotte ad un sussurro?
Il dio le soffiò sui capelli. ‹‹Perché?..›› Non riusciva a vederla in volto, ma scommetteva che stesse fissando il pavimento.
‹‹Mi imbarazza, non voglio..››.
Sorrise beffardo, costringendola a guardarlo. ‹‹Allora io ti abituerò. Ti domerò››. I loro occhi si incontrarono, studiandosi a vicenda, volenti o nolenti. Loki notava sentimenti simili, ma allo stesso tempo diversi. Quegli occhi quasi scuri brillavano senza mai sprofondare del tutto nell’oscurità: vi scorse dolore e malinconia, un’anima spezzata dalla sua stessa fragile sensibilità. Scivolò su di lei, curioso e incantato.
Ma la bruna si divincolò con forza, approfittando della sua momentanea distrazione. Per quanto disorientata, la sua voglia di libertà era riuscita a liberarla, sfuggendogli.
La vide mentre raggiungeva velocemente l’uscita. Anirei mise una mano sulla maniglia, borbottandogli un “Grazie” senza il coraggio di guardarlo in viso. Fece per voltarsi e uscire, poi sembrò cambiare idea.
‹‹Potresti..?›› e indicò il retro del corsetto tenendosi i capelli.
Loki la raggiunse con pochi passi, non ancora del tutto conscio di quello che era successo.
Quando finì di legare i lacci, riprese a parlare spezzando il silenzio ‹‹Perché piangi –di notte ?››.
Anirei si irrigidì; poi ridacchiò nervosa arrabattando scuse come la malinconia di casa, dei suoi amici,…
Mentiva.
‹‹Comunque ›› lo guardò con un sopracciglio alzato ‹‹spero che da ora in poi non mi esautorerai dal tuo solito amichevole trattamento ››. Gli abbozzò un mezzo sorriso e lo salutò chiudendosi la porta alle spalle.
Loki rimase un po’ perplesso, poi si convinse ad andare a rivestirsi. Aveva la mente vuota, tranne che per alcune parole.
La odi perché piace a tuo fratello..
O la odi perché potresti innamorartene?
Si massaggiò le tempie, stanco. Prese in mano il libro, che alla fine non aveva consultato, sfogliandolo senza alcuno scopo. Si accigliò. C’era qualcosa che non gli tornava. Ma il dolore ce l’aveva prima o dopo che Fandral la colpisse?
 
 
                                                                                   ***
 
 
Cercava freneticamente, mettendo i volumi l’uno sopra all’altro, mentre altri tappezzavano in gran disordine il pavimento. Era inutile. Quei libri li aveva scritti lui, e li ricordava a memoria uno per uno; lei non poteva certo trovarsi in uno di quelli. Si alzò, la tunica bianca che seguiva ogni suo movimento.
Doveva cercare alla vecchia maniera. Di persona.
Superò la soglia del portone che non aveva più solcato da moltissimi anni.
‹‹Mio signore ›› si inchinarono le guardie ai lati dell’ingresso, meravigliate di vederlo.
Sorrise. Quell’anima, quanti problemi gli creava. Lo aveva addirittura fatto scomodare, lui, in prima persona.
 
Mia cara, fuggi e divertiti finché ne avrai l’opportunità. Quando ti troverò non avrai altre alternative che piegarti al mio volere.
 
Il sole sorse, illuminando il volto del Dio del Destino.
 
 
 
 
 
*********
Ebbene siamo qua, spero che il terzo capitolo ripaghi quello precedente, anche se non mi soddisfa particolarmente neanche questo.
Nulla, dedico questo capitolo a una mia lettrice in particolare, che mi ha sgamata a scrivere questa ff (la cosa è troppo imbarazzante ahahah)
Mi sono chiesta se esista davvero un dio del destino... vabbè se non esiste tanto meglio, è uscito dalla mia testa degenerata ..
Grazie per essere arrivati fin qui, al prossimo!

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** CAPITOLO ***





‹‹Loki! ››
Il principino non rispose. Si era chiuso in camera sua, cacciando indietro le lacrime rabbiose. Non gli avrebbe dato soddisfazione.
‹‹Loki, avanti, aprimi!››
Perché era così cocciuto? Che se ne andasse a giocare con i suoi amichetti, arroganti e ignoranti come il suo stupido fratello. Non aveva bisogno di persone così.
Prese il primo libro che gli capitò tra le mani, e iniziò a sfogliarlo, anche se senza troppa convinzione. Quando arrivò a leggere la stessa riga per la sedicesima volta, sentì degli strani rumori provenienti dal balcone. Si voltò, notando, con più gioia di quanto riuscisse ad ammettere, il piccolo Thor che si issava sul cornicione. Loki non gli disse niente, tanto era inutile ripetere a quella testa calda che cosa fosse o non fosse pericoloso fare. Non gli sarebbe neanche entrato nelle orecchie.
‹‹Loki›› pronunciò il bambino biondo una volta arrivatogli davanti e ripreso il fiato ‹‹smettila di fare il permaloso, e torna giù con noi››.
Il moro gli rifilò un’occhiataccia inviperita ‹‹Per farmi prendere in giro per l’ennesima volta? Grazie, ma vorrei evitarlo››.
Il piccolo Thor mise il broncio, guardandolo con i suoi grandi occhi celesti ‹‹Nessuno ti prende in giro, te la sei presa solo perché Volstagg ti ha battuto››
Cielo, allora non capiva nulla sul serio. ‹‹Non è per quello. Non sai cosa dicono gli altri quando tu non ci sei… dicono che preferisci stare con loro anziché con me››.
Thor rimase a bocca aperta per un po’ prima di superare lo stupore. Ovvio, si disse Loki tra sé e sé, era troppo impegnato a godersi la sua popolarità per prestare attenzione a quello che gli succedeva intorno. Gli diede la schiena, facendo finta di tornare alla sua lettura. In realtà voleva nascondere i suoi occhi umidi. ‹‹Ti prego di andartene, come vedi sono occupato a fare qualcosa di costruttivo, non ho tempo di bighellonare io››.
Il bambino lo raggiunse e gli mise una mano sulla spalla ‹‹Non ho mai detto nulla di simile, giuro!››.
‹‹A volte non c’è bisogno di ricorrere alla parola per capire ››
Thor lo scosse, cercando di voltarlo verso di sé ‹‹Cosa stai dicendo? Tu sei mio fratello, è ovvio che preferisca stare con te..››
Loki si strattonò e si girò a guardarlo, l’espressione ferita e piena di dolore, le lacrime che gli rigavano finalmente le guance ‹‹E' questo che io non sopporto di te! Tu mi preferisci solo perché sono tuo fratello, per un legame di sangue. Non ti importa nulla della mia persona, di quello che sono! Se non fossi tuo fratello, tu non mi guarderesti nemmeno! ››
Thor si immobilizzò. Non sapeva cosa dire. Cosa diavolo stava dicendo? Aveva perso il lume della ragione? ‹‹Loki, ma cosa..››
Il bambino lo buttò a terra, trovando la forza sufficiente per farlo nella sua frustrazione. ‹‹Ti odio, lo capisci? Almeno questo, riesci a capirlo?! Per una volta, cerca di ascoltarmi. Vattene!››
Il principe guardò il fratello, stupito, e offeso. Perché gli stava dicendo tutte quelle cose brutte? Perché cercava di ferirlo?
Si alzò meccanicamente, e imboccò la porta. Raggiunse la sua stanza, tutt’altro che desideroso di tornare dagli altri. Come poteva d’altronde? Suo fratello gli aveva detto di odiarlo.. come poteva convivere con questo peso sul cuore?
Lacrime calde e bollenti, ferite nel profondo, rigarono anche quel piccolo volto tondo.

 

 

                                                                                                             ***
 


Un grido entusiasmato squarciò l’aria di una stupenda giornata limpida, piena di luce. Tutti i servi della fortezza si voltarono verso il palazzo, costernati da tale confusione, mentre alcune gazze prendevano il volo dalle finestre in pietra che si affacciavano sulla stanza ospitante una tavola imbandita e un gran via vai di gente indaffarata.
‹‹Allora è deciso, tra qualche ora partiremo alla volta di Álfheim. Una volta arrivati là ci inoltreremo nelle Terre Brulle a nord. Al solito, facciamo del nostro meglio senza lasciarci la pelle. Hogun, pensa all’astronave››. I tre guerrieri e lady Sif si alzarono contemporaneamente, diretti a sbrigare i loro preparativi.
Loki osservò la giovane che si issava su un braccio per prendere una pasta farcita di marmellata. Canticchiava a bocca chiusa, indifferente rispetto a quello che le succedeva intorno, con i capelli che le accarezzavano la schiena e il vestito violaceo che le stringeva perfettamente la vita.
‹‹Vedo che non ti turbi facilmente›› commentò.
Anirei lo guardò con la fronte appena aggrottata, un vago sospetto che le passava sul volto candido ‹‹E perché dovrei? Non muoio mica senza un giorno in vostra compagnia››
Il dio soffocò le risa drammatiche mordendosi le labbra. Allora non aveva inteso veramente. ‹‹Guarda che tu vieni con noi››.
La fanciulla posò la pasta sul piatto, fissandola con dispiacere. Le era passata la fame. Ingoiò il boccone che aveva morso appena un attimo prima, poi cercò di elaborare quello che le era stato detto. ‹‹…Come ?›› pronunciò lentamente con le mani sul tavolo, quasi si stesse sorreggendo per un immediato mancamento.
‹‹Sei tu quella che s’intende di draghi; una peculiarità che dubito qualcun’altro possa avere nel giro immediato di... tutta la galassia? Forse sarebbe stato meglio se tu non avessi rivelato a mio fratello questo piccolo dettaglio››
Anirei si incupì un momento, abbassando preoccupata le spalle. ‹‹Devo fare qualcosa in particolare? ››
‹‹A parte addomesticare quella bestia demoniaca per i capricci del Dio del Tuono, supporrei di no››
Le si illuminarono gli occhi, la bocca che tendeva agli zigomi. Sembrava la persona più felice del mondo. E probabilmente lo era. Loki si chiese se i suoi ormoni non avessero qualche tipo di problema. Passava dalla gioia alla depressione in un battito di ciglia. Si protese verso di lei, gesticolando con le mani ‹‹Non comprendi la reale pericolosità di quella bestia? Non devi farlo solo perché te lo chiede lui››.
La bruna sorrise stirando le labbra ‹‹Stai tranquillo, i draghi sono come dei grandi micioni –e io adoro i gatti . Possono mordere e graffiare, ma sono capaci di fare le fusa se li prendi per il verso giusto››.
Il dio non disse nulla, ma era poco convinto. Ne era la prova la lieve smorfia all’angolo della sua bocca.
Thor si unì a loro, mettendo una mano sulla spalla della fanciulla ‹‹Sei pronta?››.
Loki lo guardò, ritenendolo l’essenza della sconsideratezza e dell’arroganza: non si rendeva conto di farci scappare il morto solo perché lui aveva voglia di cavalcare quell’animale? Níðhögg non era da prendere sottogamba: era il drago alato che viveva in Niflheim, il mondo dell’aldilà meta di coloro che erano morti con disonore, e che rodeva una delle radici di Yggdrasil. La parola pericoloso non era sufficiente a descriverlo.
‹‹Vado a cambiarmi e poi ci sono. Devo portare o mettere qualcosa di preciso?››
Il Dio del Tuono scosse la testa sorridendole calorosamente. Non appena se ne fu andata, Loki gli scoccò un’occhiata carica di disprezzo. ‹‹Questa è pazzia, fratello. Ci metti in pericolo. Se Padre venisse a saperlo..››
‹‹Ma non accadrà›› concluse quello deciso, i lineamenti duri, il volto affilato. ‹‹Ricacceremo quella cosa immonda da dove è venuta››. Gli specchi azzurri ardevano con fiera determinazione.
Loki si morse la lingua, la bile che gli rodeva lo stomaco. Strinse i pugni, sentendosi maledettamente impotente.

 

 


Sfrecciavano immersi tra le stelle, come un sottomarino cullato da un magico mare nero. Anirei si stropicciava gli occhi meravigliata, non aveva mai visto nulla di simile: era emozionata come una bambina, le brillavano gli occhi. Thor le indicò pazientemente i vari astri, cercando di spiegarle i legami inter dimensionali che si instauravano tra di essi. C’era Vanaheim per esempio, la terra della loro razza sorella, famosa per l’atteggiamento chiuso e superbo che tendeva ad isolarla da tutti gli altri, Niðavellir, la terra dei nani, Jötunheim, e ancora tante altre, come Svartálfheim; ad inquietarla furono i regni destinati ai morti. Erano diversi tra loro, perché ogni creatura era destinata laddove la vita l’aveva designata. Difficilmente le decisioni prese in vita permettevano di cambiare il proprio destino deciso alla nascita. Loki intanto li teneva sottocchio, ancora inviperito dal comportamento del fratello. Si trovò a scambiare sguardi fugaci con la bruna, che si voltava subito non appena incrociava i suoi occhi verdi, una connessione casuale che parve concludersi una volta atterrati tra le montagne nordane del paese.
‹‹Fratello siamo ancora in tempo, torniamo indietro›› quasi scongiurò Loki prendendogli una spalla.

Thor abbassò le folte sopracciglia, fulminandolo ‹‹Siamo giunti fino a qui, non possiamo desistere››. Addolcì appena lo sguardo ‹‹Ce la possiamo fare, Loki. Io e te, insieme››.
Il dio abbassò gli occhi, respirando a fondo. ‹‹Cosa vuoi dimostrare? Credi di poterla conquistare in questo modo? ››.
Suo fratello si divincolò con una spallata, infastidito. ‹‹Io non necessito di dimostrare nulla, men che meno di brillare agli occhi di qualcuno ›› e si allontanò seguendo gli altri, con Mjölnir bene in vista –il simbolo evidente della sua forza.
Maledicendo se stesso e il fratello, la rabbia che sgorgava come vomito dagli occhi, Loki si vide costretto a seguirli nella grotta in cui si vociferava si fosse nascosto Níðhögg.
Superata una prima parte immersa nella più piena oscurità, camminando a lungo in una crescente profondità, si ritrovarono davanti ad uno spettacolo grandioso: all’interno dell’immensa cava risiedevano i resti di una città caduta in rovina migliaia di anni prima per una guerra che ormai si perdeva nel tempo. Colonne mozze, scalinate, parti di muro che la natura aveva riconquistato silente con migliaia di rampicanti mangiando quello che era stato creato violandola: quasi volesse ricordare che le creature viventi un giorno scompariranno, mentre essa resterà fino alla fine dei tempi. Gli antri erano vuoti, l’aria trasudava ancora di umida polvere e odore di morte. C’era un pressante silenzio, un’inquietante tranquillità: eppure i templi deformi e le rotte case non sembravano riposare. La città estinta pareva un sepolto scheletro che tutto faceva fuorché trovare la pace dei sensi*.
‹‹Capisco perché sia venuto qui››
Avanzarono lentamente facendosi spazio tra le macerie, nessuno osava spezzare con le parole o qualsiasi altro tipo di suono quell’atmosfera oscura e grave; neanche quando la ricerca della serpe con le ali si concluse.

Lo trovarono appollaiato sui resti di quello che un tempo doveva essere uno splendido palazzo reale, che ora tutto era fuorché magnifico; al contrario, un cumulo di sabbia avrebbe fatto più bella figura di quella montagna di fango, polveri e massi ingialliti. Il tempo e la morte possono essere davvero ironici alle volte.
Níðhögg troneggiava fiero su quel rilievo: era un’immensa belva nera, con gli occhi di fuoco. E di fuoco scuro pareva anche la sua pelle, coperta dalle tenebre che sfumavano come lingue di fuoco verso quella che doveva essere la parte posteriore, la coda. Pareva più un serpente a guardarlo meglio. Eppure delle mostruose ali si inarcavano terribili verso di loro, osservandoli. Era sublime; una pura forza distruttrice, una violenza naturale, che ricordava agli esseri del mondo la loro inferiorità, la loro fragilità. Anirei lo guardava come se non avesse visto niente di più affascinante in tutto l’universo. La scuoteva nell’anima con quei suoi occhi di brace, le faceva tremare ogni singola vena del corpo; ciononostante l’attraeva morbosamente come una carezza mortale e un graffio di piacere.
Guardò Thor, il desiderio negli occhi ‹‹Vado››
Il figlio di Odino le restituì i suoi specchi azzurri, ma profondamente angustiati. ‹‹Placa l'ardore, cara ragazza. C’è qualcosa di particolarmente strano in lui… e in questo luogo››. La superò pronto ad intervenire contro la bestia ‹‹ E' il caso che sia io a..››
La bruna gli mise una mano sul braccio, convinta. ‹‹Ce la posso fare. Devo andare, io…›› fissò intensamente la creatura ‹‹.. voglio provare ad aiutarlo senza che gli venga fatto alcun male››.
Si avviò lentamente verso di lui, il cuore che si comprimeva a tratti scatenandole una sensazione seducente e allo stesso tempo terribile. Si fermò prima che lui potesse cominciare a sentirsi in pericolo. Mosse lievemente le ali, tenendola sott’occhio. Anirei cominciò a mormorare parole dal suono confortevole e dolce, poi, accertatasi che Níðhögg si era abituato alla novità, ricominciò ad avvicinarglisi. Ma questa volta doveva stare più attenta e fermarsi più spesso, perché l’animale si sarebbe inquietato sempre più ad ogni suo passo, diffidando di qualsiasi movimento brusco e ritirandosi scappando nel foro sul soffitto, dal quale probabilmente era venuto. Magari prima carbonizzandola. Continuò a confortarlo con le sue parole, carezze per le sue orecchie nere. Solo quando mise la mano sul muso si concesse di rilassare i muscoli. Sorrise dolcemente quando si accorse che le tenebre si ritiravano laddove lo toccava, rivelando delle lucenti squame rosse, esattamente come i suoi occhi di fuoco. Quel drago era davvero una fiamma vivente, che divorava tutto ciò che esistesse al mondo. Ed era anche caldo, bollente, tanto da rasentare la scottatura. Si accorse amaramente che non era lui ad avere bisogno di lei, ma che era lei ad avere bisogno di lui. Ogni volta che si rifugiava sotto le coperte si immaginava di trovarsi sotto la protezione delle sue ali bianche; le mancavano da morire. Volare nel cielo, non lo poteva fare più, né essere rassicurata. Cominciò a piangere silenziosamente mentre accarezzava Níðhögg con la massima delicatezza. Si sentiva così sola, straziata nel non trovare il suo posto; così inadeguata. E così arrabbiata con se stessa proprio per essere in questa maniera, squarciata dentro. Dei rumori improvvisi la destarono dai suoi pensieri.
E inquietarono Níðhögg.
Cominciò ad agitarsi, ritraendosi all’indietro. Anirei tentò di allungare le braccia per riprendere il contatto col suo muso, ma fu peggio, perché ormai l’animale era tornato diffidente, era disorientato.
No, no, aspetta!
Si sporse più in avanti cercando di toccarlo. Il drago alzò in alto le ali, pronto ad attaccare.
Anirei non capiva più niente, udiva delle voci lontane, non le interessava. Voleva toccare di nuovo le ali di fuoco di tenebra, non poteva allontanarsene.
Cadde improvvisamente a terra, una mano piena di sangue. “Svegliati, muoviti, dannazione!”
…eh? Dicevano a lei?
“Volstagg, prendila!”
Si sentì sollevare a forza, braccata per la vita. Alzò gli occhi, le orecchie intontite. Thor stava sollevando il martello in aria, facendolo roteare sopra la testa.
No…
Níðhögg si preparava a mostrare il vero fuoco, spalancando le fauci mostruose.
No..!
Provò a liberarsi, ma fu un inutile e debole tentativo. Il Dio del Tuono stava richiamando la forza dei fulmini. Avrebbe colpito le ali nere.
No! No!
Chiuse gli occhi, la sensazione di esplodere che le tolse il fiato facendole perdere i sensi.

 

 

                                                                                                                      ***

 


‹‹Se mai disobbedirete ancora ai miei ordini, state pur certi che vi punirò duramente, scordandomi del legame di sangue. E ora andatevene, non voglio rivedervi prima dell'alba di domani››

 

 


Thor la osservò svegliarsi lentamente, la mano destra che riprendeva vigore nella sua.
‹‹Come ti senti?››
La fanciulla gli rispose soltanto quando si fu accertata della stanza ed ebbe realizzato il tutto, uno sguardo vacuo che le si riempiva di consapevolezza. Scattò ‹‹Che cosa..?››
‹‹Tranquilla. Il drago è fuggito – se ne occuperanno altri - e noi siamo salvi, a palazzo››
La bruna si rituffò sul morbido cuscino, i capelli sparsi su di esso. Si voltò verso di lui, le sopracciglia fini e scure leggermente contratte.
‹‹Tu come stai? ››
Egli le passò una mano sui capelli, guardandola amabilmente. ‹‹Qualche graffio, nulla di preoccupante. Nessuno si è fatto niente di grave››
Tirò un sospiro di sollievo. Temeva il peggio per quel poco che si ricordava. Si rifugiò volentieri tra le braccia che il dio le offriva, abbandonandosi al calore della stretta.
Thor le accarezzò la nuca, spostandole i capelli dalle spalle. Le sciolse piano la tensione dei muscoli del collo, per poi accarezzarle lo zigomo con le dita mentre lei cercava di assopirsi sul suo petto, rasserenandosi. Il dio sentiva battere violentemente il cuore; il suo profumo inebriarlo di dolce desiderio. Le voltò delicatamente il viso verso il suo, vicinissimo, sentendo il suo respiro leggero. Avrebbe cancellato la distanza tra le loro labbra se soltanto lei non lo avesse allontanato bruscamente, con gli occhi sgranati, dirigendosi verso lo specchio e coprendo il corpo nudo con le lenzuola.
‹‹Cosa diamine è questo?!... ›› gridò con voce sottile e allarmata. Esaminò il segno nero che le si diramava contorcendosi sinuoso da metà coscia fino alla scapola. Era fin troppo elaborato per essere una cicatrice. C’era qualcosa di diabolicamente terribile nel vederlo.
‹‹Cos’è?!... ›› ripetette con gli occhi sempre più lucidi e gonfi, che le stavano per scoppiare da una crescente angoscia. Si piegò sulle gambe, non riuscendo a stare in piedi, coprendosi il viso ormai irrimediabilmente inumidito con i lunghi capelli.
Thor accorse subito, cercando di calmarla. L’abbracciò forte lasciando che le singhiozzasse sul petto. Tremava come una foglia, più che altro ancora scossa per quello che era successo ad Álfheim; il dio avrebbe tanto voluto fare qualcosa di più concreto per consolarla anziché aspettare che si sfogasse, ma la situazione non richiedeva un combattimento all’ultimo sangue, o una prova di forza, nulla di tutto ciò. Doveva semplicemente aspettare, sebbene l'attesa paziente non appartenesse al suo spirito ruggiero.
Una volta calmatasi, la fanciulla gli domandò di nuovo che cosa fosse quel marchio orribile.
‹‹Dicono che si tratti di un sigillo, qualcosa che ha la funzione di “tappo”. Probabilmente per contenere il seiðr e impedirtene l'utilizzo; adesso è visibile a causa dell'incantesimo abbastanza potente cha hai provato a scagliare, tuttavia dovrebbe scomparire di nuovo, a breve. Sei svenuta per il dolore››.
Ad Anirei parevano parole fin troppo familiari: il fianco che le divorava la carne dopo aver provato a pronunciare quella strana formula prima di andare a combattere contro Fandral, oppure il giorno in cui si era risvegliata in quella stanza - probabilmente dolore postumo rispetto a quando le avevano posto il sigillo. Però c’era un piccolo dettaglio…
Chiuse e aprì le palpebre più volte, cercando di ricordare, interdetta. Poggiò il mento sul torace del dio, guardandolo sbigottita. ‹‹Ma io… ››
Thor la fermò, prevedendo la domanda. ‹‹Probabilmente si sono preoccupati che la tua mente assopisse i ricordi legati alle tue doti››
La bruna abbassò le palpebre, poco convinta.
‹‹Troveremo un modo per spezzarlo; non angustiarti prima del tempo››
Ma Anirei non era del tutto sicura di volerlo: se gliel’avevano posto, magari significava qualcosa. Un pensiero inquietante le si allargò nella mente come una macchia: perché le avevano fatto una cosa del genere?

 


                                                                                                                     ***
 


‹‹Non so da quanto tempo sia scomparsa, ma non sembrerebbe da molto››.
Un cenno, e il servo si congedò.
Il dio posò il libro sul tavolo della biblioteca, si diresse a grandi passi verso il giardino. Non sapeva bene neanche lui il perché, ma seguiva le sue gambe senza farsi troppe domande.
La trovò rannicchiata sotto un albero, che affondava la testa fra le ginocchia e si copriva con le braccia. Quando si fu avvicinato a sufficienza, alle sue orecchie arrivò una domanda.
‹‹Perché non sei venuto a trovarmi?››

Sospirò a malapena.
Immaginava gliel’avrebbe chiesto, d’altronde erano tornati da tre giorni, e lui non si era minimamente preoccupato di ricevere notizie sulla sua salute. Immaginava inoltre che non avrebbe creduto a nessuna bugia. Rispose sinceramente, una volta tanto:
‹‹Non desideravo vederti››
La bruna si strinse ancora di più, ma non disse niente.
Rimasero così per un po’, la notte silenziosa e fredda, finché il dio non decise di mettersi a sedere accanto a lei, cercando di non sembrare spazientito, consapevole che altrimenti non ne avrebbe cavato un ragno dal buco.
‹‹Scusami››
Loki non fiatò, anche se non capiva a cosa si riferisse quella parola; chissà a quali conclusioni era arrivata quella testolina impertinente.
‹‹Io…›› cominciò lei; ma non finì. Alzò invece la testa appoggiando il mento sulle braccia e fissò tristemente davanti a sé. ‹‹Quando mi affeziono alle persone finisco per seccarle, per deluderle, e si allontanano soffocate dalle mie paranoie. Credevo che isolarmi fosse la scelta migliore, perché.. beh, no, non fa niente, lascia perdere. Tanto non ci riuscirei neanche volendo..». Aveva lasciato in sospeso parte della frase, incapace di continuarla, ma il Dio dell'Inganno poteva immaginare come finisse: “ perché così eviterei di rimanere ferita quando si stufano di me”. Continuò comunque a non dire niente.
‹‹Sto male perché mi sento spezzata, scissa, con due parti di me che lottano ormai da troppo tempo. Quella più fiera e orgogliosa, capace, che ambisce a grandi traguardi, è arrabbiata e dà le colpe della loro rovina all’altra, sensibile e impaurita dal mondo, che piange quando ferita, che si chiede se sia abbastanza, perché è inciampata e gli altri – il mondo – le superano più o meno velocemente lasciandole indietro. La seconda non riesce ad alzarsi, è confusa, non capisce quello che succede, cosa sia giusto fare, si sente sola perché non si prende più per mano con l’altra…ma nessuna delle due può essere libera e prendere il comando del corpo, perché non possono vivere l’una senza altra.. Sono come un paio di ali, che non possono volare finché non impareranno a comunicare di nuovo, come un tempo, come una sola persona››
Prese fiato, sospirando appena ‹‹Mi dico che sono sbagliata perché non sono ambiziosa come gli altri, e mi sento in colpa, poi piango chiedendomi cosa io veramente desideri, quale sia il mio vero posto nel mondo››. Sorrise amaramente ‹‹Io non riesco proprio a capirlo..››
Si zittì di nuovo, questa volta nascondendo le gocce lucide che le scendevano tristi sulle guance ‹‹Fa così male a volte. E' come se l’anima mi si fosse strappata in parte e i lembi recisi, strusciando tra loro, facciano attrito straziandomi dentro››. Fu scossa infine dai singhiozzi, pentendosi della cascata di parole che non era riuscita a fermare. Ma non ce la faceva a tenersi tutto dentro, doveva sfogarsi con qualcuno, sempre con la paura di essere creduta strana. Si vergognava profondamente della sua situazione, di non sentirsi parte del mondo. La metteva a disagio, soprattutto di fronte alle persone, non voleva che gli altri le leggessero dentro. Per questo nascondeva i suoi specchi quasi neri.
Loki continuava a non dire nulla, anche se era sinceramente stupito di tutto quel fiume di parole; e che lo stesse dicendo proprio a lui, colui del quale la gente non si fidava. D’altronde, cosa avrebbe potuto dirle? Ai problemi dell’anima ci sono pochi rimedi, e lei sembrava troppo sensibile per esistere alla crudeltà del mondo. Anche se la vita sembrava averle risparmiato i suoi aspetti peggiori; e di questo avrebbe dovuto ringraziare la sua buona sorte.
Anirei si rifugiò tra le sue braccia continuando a singhiozzare. Il dio strinse rassegnato quella bambina tremante, chiedendosi se avrebbe mai potuto liberarsene: nolente o volente si trovava ad aiutarla. Tra un sussulto e l’altro le sue orecchie riuscirono a cogliere un chiaro “Grazie”, nonostante avesse fatto tutto da sola.
La bruna alzò il viso su di lui, sfiorandolo appena col naso, ammorbidendo col delicato e dolce gesto la sua corazza fredda e distaccata; le loro labbra si sfiorarono, quasi cercandosi. Si lasciò andare, baciandola lentamente sul volto scosso ormai dalle troppe lacrime che aveva versato in quei giorni. Seguì la fronte, gli zigomi, le guance. Si avvicinò pericolosamente alla bocca, per un attimo esitante. Alla fine premette le labbra sulle sue, morbide e accoglienti. Durò un momento, quel bacio a stampo, quel casto segno di affetto, di amicizia; la fanciulla appoggiò la testa nell’incavo del suo collo, stanca e assonnata.
Per un po’ non parlarono, cullati dai loro respiri.

Anirei seguiva le linee della mano del dio, delicatamente, poi Loki le chiuse le dita nelle sue, accarezzandole la benda che le fasciava la mano. Anche se la fanciulla non voleva, la convinse a togliersela. Una fine cicatrice le solcava il dorso della mano candida, ma senza sfregiarla troppo. Sorrise, toccandola.
‹‹Abbiamo qualcosa in comune››
Loki celò il suo di sorriso, non volendo sbilanciarsi, abbandonarsi, a quella tenera espressione. Si arrotolò comunque la manica e rivelò quella che doveva essere la continuazione della cicatrice di lei. Le afferrò il polso, facendo combaciare i due segni: un’unica riga partiva dal dorso di una mano e proseguiva sulla parte interna dell’altro braccio.
Anirei rimase a bocca aperta, costernata. Era lui che l’aveva l’allontanata da Níðhögg, gettandola a terra. Questa volta era lei a non fiatare. Si sentiva in colpa da morire.
‹‹Ogni volta che agirai sconsideratamente, guarda prima la tua cicatrice ››
Anirei piegò la linea della bocca verso il basso. Se soltanto fosse potuta tornare indietro…
Il dio le lasciò il polso. ‹‹Questa faccia non la fare per me, io sono abituato a questo genere di cose. Falla per te, e ricordati la prossima volta di pensare prima di agire››
La bruna continuò a guardarsi afflitta la mano, senza parlare. Aveva ragione, non c’era dubbio. Si ricordò improvvisamente dello strano atteggiamento dei figli di Odino di quel giorno, ad Álfheim, quando i due non sembravano rivolgersi la parola e, anzi, si gettavano occhiate cariche di disprezzo da una parte e dall’altra, appena saliti sulla nave; ma non sapeva se il dio avrebbe gradito la sua domanda abbastanza invadente. Alla fine, morsasi le labbra nell'indecisione, si provò a chiederlo.
Loki non le rispose, non avendo voglia di mentire né di parlare dei suoi amari pensieri.
Anirei si ricompose per bene in ginocchio, guardandolo in viso, l’espressione concentrata.
Il dio la ricambiò, ma con piglio leggermente basito. ‹‹Cosa stai facendo? ››
‹‹Visto che non parli, te lo leggerò in faccia. Tra l’altro.. ›› aggiunse dandosi aria di importanza ‹‹.. mi sono esercitata con Heimdall l’altro giorno, quando è venuto a palazzo per parlare con tuo padre, e ho cercato di fissarlo negli occhi››. Inclinò la testa, accigliata ‹‹Non ci sono riuscita, era troppo imbarazzante –mi sentivo una stupida, immaginandomi che lui sapesse che cosa stessi facendo››
Loki scoppiò a ridere, la resistenza era stata vana una volta realizzata la scena. ‹‹Dubito che chiunque possa fissare negli occhi quell’uomo, a parte Odino››. Le mise le mani sul viso ‹‹Non puoi combattere ciò che ancora non conosci, se non esercitandoti per gradi e con costanza››
Si fissarono intensamente per un po’, poi la fanciulla sbuffò, triste.
‹‹E' impossibile, più di questo non riesco… rischio il collasso, o peggio la morte. Secondo te si può morire di imbarazzo? Ho sentito dire che a uno è preso un infarto per la vergogna ed è morto… ››.

 

 

                                                                                                                     ***

 


Frigga aprì la porta delle stanze del suo piccolo. Era lì, sguardo pieno di risentimento, le guance lievemente colorite da una determinazione che andava via via scomparendo.
Si sedette sul letto, accarezzandogli la testolina mora, aspettando con calma che si decidesse a sciogliersi sotto le sue carezze di madre. Passò un po’ prima che gli occhi verdi lasciassero calare delle lacrime calde e bollenti, che facevano così contrasto con la sua pelle sempre più fredda.
‹‹Quello che hai fatto, Loki, è terribile. Tagliarle i capelli.. non sarebbe giusto nemmeno se ti avesse fatto un dispetto per prima››. Conosceva suo figlio, Frigga; e sapeva che il motivo scatenante il suo rancore dipendeva dall’attaccamento geloso che provava verso Thor, il quale aveva cominciato a volgere gli occhi amorosi verso la ragazzina, mettendolo sempre più in disparte.
‹‹Tu hai cuore, Loki. Ricordalo sempre››. Gli baciò la testa, mentre sentiva la sua stretta farsi più forte. Pregò dentro di sé che le Norne non gli avessero riservato un futuro disseminato di dolore e insoddisfazione, di ostacoli talmente taglienti da ferirlo più a fondo di quanto non fosse già successo.

Non è, d'altronde, la speranza, il desiderio, di ogni madre?
‹‹Thor mi odia?››

Una nota innocente si era levata con afflitta amarezza.
Perché solo questo importava al piccolo che stringeva tra le braccia; che la persona cui era più legato e per cui stravedeva continuasse ad amarlo.


 

 


*: sì, alcune parole le ho tratte dalla Ginestra di Giacomo Leopardi

 

 



 


*********************
Eccoci al quarto capitolo!
Sono una fan del Thorki, e non ho potuto fare a meno di alludere a questa coppia perfetta *Anirei: Ehi, e io? Mah, me ne vado a giocare a carte, trovami qualcuno intanto
Mah, vabbè, tornando seri, l'amore sboccia dolce e inconsapevole tra quei due (prrr *faccio le fusa contenta), e l'idea della cicatrice in comune mi deliziava alquanto - lo so, ma giuro non le sogno di notte queste pazzie, sono demente di mio, credetemi.
Amo Leo, è tra i miei poeti preferiti, e ho deciso di servimi di qualche parola della sua Ginestra - speranzosa di citare questa bella gente che amo anche negli altri capitoli, anche solo per una parola**
Ehm.. per il resto... spero vi sia piaciuto quello che avete letto, e che continuiate ad andare avanti a leggere questa ff.
Vi ringrazio tutti di cuore, chi mi segue, chi passa per caso, la mia Beta e tutti coloro che amano i personaggi di questa ff e di Thor in generale.
Bye!

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** CAPITOLO ***



 
Guardava i suoi piccoli bambini giocare, il più grande faceva ridere il più piccolo con le facce più buffe che riuscisse a inventarsi, l’altro batteva le manine tutto contento.
La sua amata regina si era messa in ginocchio accanto a loro, sorridendo dolcemente. Una scena amabile, una famiglia perfetta; eppure le sue labbra si rifiutavano di incurvarsi, non gioendo di quello che vedeva: più li guardava, più era arduo accettare il futuro, ancora lontano, ma purtroppo certo. Quel giorno sarebbe arrivato, e lui non avrebbe potuto fare nulla se non rimandarlo il più tardi possibile; ma comunque sarebbe arrivato, lento e inesorabile.
Impresse nella mente ogni più caro gesto dell’amata, ogni tenero movimento dei suoi pargoli.
Ah, come si amavano quelle due pesti; tanto quanto si sarebbero odiati. Chiuse stanco l’occhio, pregando –ma chi, dal momento che erano loro gli dèi?-  affinché non dovesse assistere mai più al loro destino crudele.
 
 
 
‹‹Mia cara ›› l’accolse la regina allungando le braccia verso di lei. Anirei sorrise timidamente e la raggiunse. La figura di quella bellissima donna era sottolineata da un bellissimo e semplice vestito di velluto lillà, i capelli biondi raccolti in un’accurata acconciatura. La prese sottobraccio, portandola davanti a una porta chiusa, decorata con fregi e decorazioni diversi dal resto delle stanze del palazzo.
‹‹Questa che vedi è la sala destinata ad un ospite particolare. Purtroppo ci reca visita poche volte perché è sempre molto impegnato e richiesto... Il suo nome è Apollo, Dio della Musica, della Profezia, nonché delle Arti ››.
Anirei si emozionò, col petto gonfio di gioia: il maestro che aveva il compito di istruirla sul loro mondo -da quando Odino, su consiglio di Loki, le aveva proibito le armi - gli aveva parlato di lui e del suo amore per Midgard. Là era venerato, stimato, con tutta la sua famiglia ma, una volta che gli uomini smisero di farlo, i suoi parenti presero la dolorosa decisione di andarsene. Solo Febo si convinse di rimanere assieme alle sue Muse sul monte Olimpo, per incoronare con le sue corone d’alloro i poeti che lo invocavano e chiedevano ispirazione; in epoca recente, poiché nessuno più lo cercava, pareva essersi infine rassegnato, abbandonando il luogo natio: in realtà, si vociferava, Apollo si mascherava tra gli uomini spacciandosi per uno di loro e prendendo parte alle più varie opere di teatro, troppo attaccato, troppo innamorato di quel mondo per lasciarlo.
Un amore vero, senza tempo.
Solcarono finalmente la porta; alla fanciulla cominciarono a brillare gli occhi, mentre la bocca aperta evidenziava il suo lieto stupore di fronte a quel sogno colmo zeppo di danzatori e cantanti. La regina la scortò all’interno della grandissima sala, mentre quelle che dovevano essere Muse e Ninfe si inchinavano graziosamente al loro passaggio.
Un giovane bellissimo le raggiunse a grandi passi, inchinandosi davanti a Frigga con un sorriso spavaldo stampato sul volto.
‹‹Mia signora, vi chiedo perdono per gli abiti di scena e il trucco, non credo di poter essere presentabile. Da quanto tempo non ci vediamo? Siete bella ora come allora ››
La regina sorrise, poi si inchinò a sua volta.
‹‹Porgete i miei saluti a vostro padre, il sommo Zeus, Padre degli Dèi dell’Olimpo, altrimenti noto come il potente Giove. Fate bene a scusarvi, sentiamo sempre la vostra mancanza ogni volta che partite›› affermò sicura facendo ridacchiare il divino.
Si scambiarono degli sguardi complici, che Anirei non intese: non poteva sapere che Odino non amava quel dio olimpico, con tutto il disturbo e il richiamo di gente che comportava con la sua visita.
‹‹Questa è una nostra cara ospite›› presentò Frigga mandando avanti la giovane al suo fianco. ‹‹Il suo nome è Anirei ››.
La bruna si inchinò, imbarazzata dai bellissimi occhi del dio che la scrutavano curiosi. Qualunque creatura sarebbe sbiadita di fronte alla sua bellezza e alla sua magnificenza. Veramente, il suo appellativo era più che azzeccato: era davvero bello come il Sole.
Il dio fece un lieve inchino, baciandole la mano.
‹‹Una dama davvero stupenda mia signora, con un futuro piuttosto illeggibile ››.
La guardò negli occhi per un po’, poi si voltò verso la regina ‹‹Mortale?››
La moglie di Odino sorrise maliziosa ‹‹Non avevate detto di non volere più una donna mortale?››
‹‹Mia signora, resistere al fascino delle creature delicate è davvero difficile.. No, mi domandavo piuttosto se non potesse unirsi alle mie Muse e deliziarmi della sua sensibilità, oltre che della sua bellezza… Peccato che non sia eterna››
Le lasciò la mano con garbo per poi congedarsi elegantemente, tornando all’allestimento del suo spettacolo. Anche le due donne uscirono, educatamente, lasciando che gli attori si preparassero con cura; scambiarono alcune parole cariche di gentilezza e affetto, prima che i figli di Odino si mostrassero dinanzi a loro, inchinandosi leggermente di fronte alla loro Madre regina.
La donna mosse lievemente il capo, poi se ne andò salutando affettuosamente la sua pupilla, che raggiunse i due principi con un sorriso, prima trattenuto appena, poi liberato scoprendo i denti candidi come la pelle: non le riusciva proprio di nascondere che le erano mancati. D’altronde, erano trascorsi diversi noiosi giorni da quando erano partiti per la loro ennesima missione, punizione che Odino aveva ritenuto più che giusta per quello che avevano combinato andandosene a spasso per Aflheim e sfidando una creatura divina e leggendaria.
Abbracciò Thor, che si era diretto verso di lei baciandole la testa. Li guardò entrambi arricciando le labbra pensierosa, chiedendo per quante volte ancora se ne sarebbero andati via, lasciandola sola a leggere interi volumi per spezzare la monotonia delle giornate; ma non aggiunse quest’ultima parte, non volendo fare la figura della bambina appiccicosa ed egoista. O almeno così le sarebbe parso.
Le risposero entrambi la stessa cosa, una nota rassegnata nella voce. ‹‹Finché Padre non si sentirà soddisfatto››
Anirei nascose una smorfia di disappunto; successivamente scivolò verso il dio dagli occhi verdi, facendo combaciare le loro cicatrici e guardandolo intensamente pochissimi attimi, per poi abbassare violentemente le palpebre, spinte al limite della loro sopportazione.
Thor li osservava sottecchi, una sensazione di subdola gelosia lo sfiorava. Era sinceramente contento che i due avessero smesso di pestarsi rabbiosamente i piedi a vicenda, anche se continuavano a litigare spesso e a lanciarsi delle orribili battutacce, ma per i suoi gusti si sfioravano anche troppo con quel gesto privato e dolce che li univa.
Il Dio dell’Inganno lo guardò, privo di rabbia e di rancore, come non succedeva da tempo. Gli fece un lieve cenno con la testa; Thor finalmente ricordò, illuminandosi. Avvicinò un uomo della servitù, che recava in mano una piccola cesta, e la porse alla fanciulla. Anirei alzò sospettosa il velo –con Loki in giro, c’era sempre da stare attenti ai brutti scherzi – e guardò dentro la cassa. Soffocò malamente un gridolino eccitato, e tirò fuori una piccola palla di pelo nero, che allungava le zampine verso di lei. Un cucciolo, un micio! Lo coccolò come se fosse il suo unico tesoro al mondo,  sussurrandogli parole piene di tenero affetto.
I due principi si sorrisero complici, soddisfatti della reazione della bruna, che li ringraziò diverse volte prima di riconcentrarsi completamente sulla creaturina. Il cuore le scoppiava nel petto, mentre il micino miagolava piano, quasi chiamandola.
‹‹In realtà lo cercavamo bianco –come il tuo drago – ma lo abbiamo trovato una sera all’improvviso, esattamente come te››
‹‹Così accarezzi questo, anziché belve divine pericolose ››
Anirei si commosse, ma cercò di contenersi, e li riempì di ringraziamenti e di ogni segno di affetto.
‹‹E' perfetto, grazie!››
 
                                                                                       
                                                                                        ***
 
 
Scese le scale a testa alta, lo sguardo altero. Si teneva parte del vestito cremisi con una mano, l’altra si reggeva al corrimano; i capelli scuri erano stati legati in un’acconciatura semplice, come semplici erano il diadema che si incurvava dolce sulla fronte e il bracciale decorato finemente. Si guardò intorno, individuando una folla di dèi tutt’altro che socievoli e con una mera, superba, arroganza che non lasciava mai i loro i volti sprezzanti.
La fanciulla sospirò, cercando di non far trapelare l’ansia. Finì di scendere le scale, mettendoci più grazia possibile, e cercando una faccia conosciuta: eccola poco più in là, la regina, che le aveva detto di volerla presentare quella sera, dopo lo spettacolo, come la sua pupilla, come la diletta degli dèi.
La raggiunse, e concedette il suo sorriso a tutti coloro che le voleva presentare. Passò un po’ prima Thor venisse a salvarla da quella tortura formale e noiosa.
‹‹Madre, la diletta ci terrebbe a fare il giro di volti già conosciuti, se non vi dispiace ››.
Guardò per conferma la bruna che lo implorava con lo sguardo.
La regina acconsentì gentilmente, le mani in grembo. ‹‹E va bene, ma mandatemi Loki, avrei bisogno di parlargli ››
Si inchinarono con educazione, poi sparirono quatti quatti tra la marea di gente, diretti verso gli amici dei figli di Odino, con la flebile paura che la donna cambiasse idea.
‹‹Frigga è stata molto generosa a lasciarla così presto ›› commentò Fandral baciando la mano alla fanciulla ‹‹Avrei detto che se la sarebbe portata a spasso per più di mezza serata ››
Mentre gli altri sorridevano, Anirei si guardò intorno, meditativa.
‹‹No, non ci sono né lady Sif né Volstagg, questi ricevimenti formali non fanno proprio al caso loro››
‹‹Come certi posti non dovrebbero fare al caso di certa gente..›› gli fece eco il Dio dell’Inganno.
Gli sorrise con una smorfia divertita; ricordava bene come Loki avesse decretato alla fine dello spettacolo “Dio li fa, e poi li accoppia”  riferendosi a lei e a Thor che avevano riso e parlottato per tutto il tempo; ma non per questo non si era goduta l’opera, chiaro, le aveva fatto accapponare la pelle dal piacere, l’aveva affascinata con tutta la sua aurea magica e incantevole, un moto di pathos che le era passato sullo stomaco e sul cuore conquistandola. Davvero, doveva prendere in considerazione l’idea di seguire Apollo assieme alle sue Muse.
Ancora assorta tra i suoi pensieri, Thor riferì il messaggio al fratello i cui occhi, gli era parso, si fossero soffermati un po’ troppo a lungo sulla sua figura, silenziosi e meditabondi; quel verde freddo scivolava su di lei con cruda intensità.
‹‹Io vado alla ricerca di dolci donzelle, vi raggiungo il più tardi possibile ›› si liquidò Fandrall, seguito a ruota da Hogun che dichiarava sinceramente di non essere fatto per i ricevimenti, e che avrebbe raggiunto gli altri due guerrieri.
Anirei piantò lo sguardo in quello del Dio del Tuono. ‹‹E noi cosa facciamo, aspettiamo Loki?››
Thor annuì lievemente, distratto, la testa altrove. Se ne andarono sull’immensa terrazza, per godersi l’aria leggera e fresca, la notte illuminata dalle sue piccole e variegate gemme splendenti, quasi una miriade di occhi brillanti che osservavano gli esseri dell’universo con un’ingenua curiosità.
‹‹Certo che era proprio bello quello che si vedeva dall’astronave›› ricordò la bruna spaziando nel cielo con lo sguardo, ammaliata dalle immagini che si sforzava di rievocare nella mente.
Il dio concordò; peccato che Padre le avesse proibito qualsiasi contatto con armi o astronavi, tenendola legata al palazzo come un canarino rinchiuso in una gabbia dorata, non lo credeva giusto.
La guardò ammirato, gli specchi azzurri che brillavano nella sera non della loro solita fierezza, chiedendosi che cosa mai lo stregasse di lei, quale gesto, movimento, parola, lo percuotesse profondamente mettendolo in ginocchio senza che lei alzasse un dito. Non era piacente solo fisicamente, no; quando lo deliziava col suo sorriso, si sentiva incoraggiato, un caldo calore al petto, che lo riempiva di adrenalina, di convinzione, di audacia. Per non parlare di quando le sfuggivano le sue osservazioni poco aggraziate e forse un po’ scioccamente matte, che la facevano apparire una creatura terrena, che lo divertivano, rendendolo di buonumore.
E quella stessa sera, vestita divinamente, una stella più bella e buona di una goccia di ambrosia, la voglia matta di mangiarle le labbra a suon di baci lo tormentò come un lodevole spillo.
‹‹Sai ›› sbottò offrendole un boccale di vino, non riuscendo a contenere i suoi pensieri ‹‹credo che nessuno, là dentro, abbia messo in dubbio che tu non sia una mortale››
Anirei bevve due gocce, poi allontanò appena nauseata il bicchiere, mettendo definitivamente la parola fine a quella bevanda. Sorrise al principe per il complimento, le guance che si tingevano di un lieve rossore. Si concesse di convincersi per un attimo di quello che le aveva detto, speranzosa di sentirsi parte di qualcosa. Il petto le si allargò per l’allegria, il cuore batteva sentitosi riempito. Forse poteva sperare davvero di trovare lì la sua casa..
Pensò che le piaceva stare con Thor, riusciva sempre a trovare il lato positivo, le faceva notare il bello delle cose. Inoltre era sempre premuroso, le dava sempre qualche parola di conforto senza farla sentire a disagio: quasi incarnasse quella parte attenta e affettuosa che mancava a suo fratello Abriyl.
Parlarono del più e del meno ridendo come matti, la fanciulla cercando di concentrarsi mentre la testa scivolava lentamente verso un confuso senso di fuga. Dove tentava di scapparsene la sua concentrazione?
Anirei non aveva ancora mangiato, fu difatti il suo stomaco a farglielo notare. Si avviò da sola al buffet, con la promessa di portare al principe un altro boccale di vino, cercando di non attirare troppo l’attenzione.
Lungo la sua strada verso il tavolo riempito di prelibatezze, si sentì toccare la spalla; sobbalzò appena, col cuore in gola. Si voltò con le mani raccolte al petto, un atto di istintiva difesa, e osservò timidamente l’uomo che l’aveva sfiorata. Indossava una maschera nera e d’argento che gli copriva la maggior parte del volto lasciando scoperte solo la punta del naso e la bocca; gli incorniciavano quell’enorme camuffamento dei soffici capelli bianchi: ma non sembrava vecchio, almeno per quello che appariva nei regali abiti scuri. L’uomo si inchinò galantemente, e le prese una mano prima che potesse accorgersene. Il contatto con le sue labbra delicate le provocò una soave sensazione di calda tranquillità, le sciolse ogni angoscia e ogni triste pensiero; le pareva che il cosmo si fosse illuminato di una luce radiosa, e che il vuoto si riempisse di una musica bellissima, in grado di portare la pace dei sensi. Un tepore che le scaldava l’anima, la rilassava, meglio di un lungo bagno caldo attorniata dai vapori profumati di rose e vaniglia che, arrivati nei polmoni, la distendevano facendole provare un piacevole sollievo. Una sensazione che durò appena il tempo che lui mantenne il contatto con lei. Quando parlò, ad Anirei parve di risvegliarsi dal sogno più bello che avesse mai fatto in vita sua.
‹‹Sono lieto di fare la vostra conoscenza, mia cara ››. Le sorrise mostrandole denti dritti e candidi. Passò un bel po’ prima che l’uomo ricominciasse a parlare, quasi la stesse scrutando: da parte sua, la fanciulla, sguardo beatamente su di lui, non accennava ad un barlume di parola.
‹‹Ci rivedremo presto, spero ›› si congedò educatamente, sempre col suo immancabile, cortese, inchino.
Chi era? Ma non trovò le parole né la forza per chiederglielo.
Lo guardò allontanarsi rassegnata tra la calca di gente, sguardo incantato e mano ancora sollevata. Si accorse tristemente che tutte le paure e le angosce che le gravavano sul cuore stavano lentamente tornando all’assalto. Dove era ora quel soave canto che l’aveva liberata di tutte le sue sofferenze? Doveva incontrarlo di nuovo, doveva sapere chi era.
‹‹Pensavo che gli uomini ti intimorissero, non che il primo circondato da un’affascinante aura di mistero riuscisse a portarti via quello sguardo da ebete che hai stampato in faccia ››
‹‹Loki! ›› lo rimproverò piena di risentimento e con un certo livello di imbarazzo dipinti sul volto paonazzo ‹‹Da quando questo linguaggio poco regale? Non ti si addice ››. Era risentita per essere stata scoperta.
Il Dio dell’Inganno le afferrò con grazia la mano ancora mollemente sollevata, e la portò a tiro delle sue labbra fredde. ‹‹Da quando frequento persone come te ››
Anirei arrossì, forse per il suo solito imbarazzo. Avrebbe voluto ritrarre la mano, ma non lo fece, battagliando con il suo solito essere impacciata: insomma, era Loki, mica una persona qualunque.
Però non poteva non ammettere l’improvviso palpito che l’aveva scossa dentro, più di tutti i piacevoli ed innocenti brividi che le provocava ogni suo caro tocco. Scosse la testa, credendo che quel poco di vino le avesse dato dannosamente alla testa.
Ma cosa vado a pensare.
Si distrasse cambiando argomento; domandò piuttosto al dio se conoscesse l’uomo che l’aveva fermata. Lui la fulminò con un’occhiataccia, quasi le avesse chiesto di battersi con Thor a mani nude; le osservò il visino sereno e teneramente addolcito che si era voltato a guardare di nuovo nella direzione in cui era scomparso quell’uomo. Sospirò, rassegnato; non sarebbe riuscito a dirle di no a lungo, se avesse insistito. Ed era sicuro che l’avrebbe fatto.
‹‹E' il Dio del Destino›› replicò con tono piatto.
Anirei alzò un sopracciglio, guardandolo torva con gli occhi sospettosi. ‹‹Esiste un dio del genere? Il fato non si trova sopra gli dèi?››
‹‹Sì, il fato è al disopra di tutti, ma qualcuno dovrà pur servirlo››
La bruna continuò a mostrarsi basita. Certo, doveva ammettere che il suo tocco fosse unico, speciale. Forse Loki non le stava mentendo..
Un’idea improvvisa la investì da capo a piedi, facendole sgranare gli occhi di tacita eccitazione: magari avrebbe potuto chiedere a quel Dio qualche consiglio per il suo futuro, chiarirsi le idee, orientarla verso la strada giusta; liberarla di tutte le sue domande, di tutti i suoi dubbi, delle paure, dell’insicurezza..
Loki la osservava languido. Dalla sua espressione si poteva star certi che ne avesse pensata un’altra delle sue, come quando aveva deciso di accarezzare Níðhögg. Un inquietante pensiero gli scese addosso come fitta nebbia davanti agli occhi. Si chinò su di lei, alzandole il mento: la fanciulla sentì stranamente lo stomaco contorcersi da un’improvvisa agitazione, le guance imporporarsi di nuovo.
‹‹E' un uomo pericoloso Anirei, non provare ad avvicinarlo. Nessuno sa quali intrighi nasconda dietro quella scrivania di libri oscuri ed illeggibili ››.La guardò intensamente, senza curarsi della loro poca distanza e di chi avrebbe potuto vederli ‹‹Non si mostra quasi mai, neanche quando Padre lo convoca urgentemente e per questioni vitali. Poco rivela di quello che ha scritto su quei maledetti libri, e non sai mai se fidarti o meno, perché quello che intendi fa parte del disegno che ha tessuto nascosto come un ragno lontano dagli occhi di tutti››
Anirei affogò lentamente nei suoi occhi verdi, che la scrutavano –la pregavano- intrisi di sincera preoccupazione. Affondò la sua vista dentro quegli specchi smeraldo, che nascondevano la tacita e rabbiosa sofferenza che riusciva sempre e solo a intravedere, a intuire, senza mai comprenderla a pieno. Le sarebbe piaciuto levargliela via, confortarlo, liberarlo; forse per questo le venne  voglia di posargli una mano sul volto, e poi abbassare gli occhi, troppo fragili per reggere quelle violente emozioni a lungo.
Il dio si vide a costretto a sciogliere il contatto; sperava almeno di averle fatto capire veramente la gravità di quello cui sarebbe andata incontro se avesse seguito la sua caparbia testardaggine – le parole non bastavano, a volte, nella sua lunga vita lo aveva tristemente compreso. Celò un lieve stupore, ricacciò la consapevolezza; staccarsi da lei era stato come staccarsi l’anima di dosso. La guardò, mentre giocherellava teneramente con una ciocca di capelli che le solleticava l’incavo del collo, assieme a tutta la sua espressione dolcemente imbarazzata e buffamente impermalita, per essere stata scoperta nelle sue intenzioni.
Le poggiò due dita sulla fronte, spingendola appena. ‹‹Guarda la tua cicatrice, mi raccomando, scema di un uomo con la gonna››
Anirei riprese il suo buonsenso tutto d’un colpo, sbuffando piano scherzosa, le sopracciglia abbassate. ‹‹Vuoi litigare qui davanti a tutti?››
Il principe sorrise malizioso, prendendole di nuovo la mano con la cicatrice; poi le bisbigliò con voce bassa e calma. ‹‹Non ti offendere, permalosona. Sei affascinante››
La bruna accettò il complimento, senza dargli a vedere che l’aveva apprezzato, anche troppo.
Sì, Thor l’ha drogato quel vino, ne sono certa.
‹‹Adesso›› la osservò imperturbabile, con nonchalance ‹‹concedimi questo ballo›› e si inchinò galantemente in mezzo a tutti.
Anirei si sentì mancare per l’inaspettato gesto: li stavano guardando, non poteva rifiutare il figlio di Odino. Lui la osservò con i suoi occhi perfidi da cucciolo, sapendo di averle fatto un bel dispetto –mica aveva preso lezioni di danza in tutto quel tempo, da quando era arrivata.
Togliti quel bel faccino, folletto dispettoso.
La bruna cercò di calmarsi, strozzando la furia che le pizzicava fastidiosamente la gola, come se gliela stessero raschiando. Si inchinò a malapena, stringendogli forte, con sfida, la mano. Loki le mise una mano sulla schiena, l’altra teneva quella candida della fanciulla; quando la vide, com’era probabile, vagamente in difficoltà, le suggerì di posare le sue dita sulla sua spalla. Mossero i primi passi, Anirei che oscillava tra un preoccupato panico e una collera repressa, lui che non la guardava, ma che le bisbigliava i movimenti passo passo.
‹‹L’hai presa piuttosto bene›› la pungolò dopo un lungo silenzio di lei ‹‹Ora vai a sinistra, due passi››.
La fanciulla soffiò, cercando di non perdere la concentrazione. ‹‹Ricordami di chiedere il martello a tuo fratello››
Il dio celò il suo sorriso divertito, tenendo a freno i pensieri poco casti che lo morsicavano tentatori ogni volta che assaporava il profumo delle sue onde brune. ‹‹Ascoltami –un passo indietro -, tra poco ti lascio un secondo la mano, tu fai un mezzo giro lento e poi ti riprendo –ancora uno ››
Anirei aggrottò la fronte, il panico nelle mani tremanti. ‹‹Stai scherzando…? Non lasciarmi, no ti prego, saresti perfido..››
Continuò a sussurrale nell’orecchio, sentiva la sua ansia crescere in vista del momento ‹‹Fidati - fermati un secondo, poi riparti a destra››
Una parola.
La lasciò. La bruna non pensò a niente, nemmeno alle parole che fino a poco prima ingoiava con disappunto e nervosismo. Girò appena; quando lo trovò, gli si strinse con un po’ troppa furia e foga. Loki sorrise appena, divertendosi dell’esagerata angustia della stessa fanciulla che aveva accarezzato una bestia demoniaca. ‹‹E' stato così terribile? ››
Lei abbassò gli occhi, sentendosi una sciocca. Aveva ragione, esagerava sempre quando non doveva, e minimizzava troppo quando invece sarebbe dovuta essere prudente. Le si sgonfiò la stizza dal petto, lasciandola malinconica e pensierosa, guardava a terra, udendo appena i suoi suggerimenti.
Loki la guardò attentamente, le palpebre leggermente abbassate, ammaliato dalla sua espressione velata appena di tristezza, la stessa che non l’abbandonava mai, da quando l’aveva conosciuta, che fosse felice o meno; le prendeva così, casualmente, anche quando le parlavano, e si estraniava guardando lontano e pensando chissà a quali oscuri pensieri. E che lui non potesse saperlo, lo infastidiva più di uno spina appuntita che lo bucava ripetutamente nel solito punto. Sì, si confidava con lui, ma di quello che pensava in quei momenti non lo metteva al corrente; anche quando la guardava negli occhi sembrava che quella malinconia sparisse, tornando a offuscarle più tardi gli specchi, nei più disparati momenti. La strinse più a sé, come in un patetico tentativo di riscuoterla dai suoi lugubri demoni. Non riuscendoci, provò in altra maniera.
‹‹Ora dovresti guardare il tuo cavaliere, poi muoverti verso destra››
Anirei ci mise un po’ a capire, ma poi alzò lo sguardo su di lui. ‹‹Che cosa ridicola, la gente dovrebbe guardarsi quando ne ha voglia, non costringerla››
Lui alzò lievemente gli angoli della bocca, per la sua osservazione fuori luogo.  ‹‹Ridicola come coloro che infestano vanitosi, sprezzanti e ipocriti questa sala››
Anirei spostò le pupille velocemente, guardandosi attorno. Gli sorrise dischiudendo le sue morbide labbra, mostrando i denti. ‹‹Anche tu sei vanitoso, mia bella dama››
‹‹A nessuno dispiacciono i complimenti›› replicò lui con la sua espressione furbamente calma. Il suo cuore ebbe un battito più violento degli altri; quel sorriso si avvicinava di molto a quelli radiosi che mostrava sempre e solo a Thor, carichi di ammirazione, di affetto, di gioia. Glieli invidiava, a suo fratello, ora più di qualunque altra cosa. Lei gli sfiorò giocosamente il naso col suo, le era tornato subito il buonumore, e voleva quasi vendicarsi spiritosa per lo spregio che le aveva fatto trascinandola in quel ballo. Loki si trovò a pensare che quella sì, era una vendetta, ma perché gli accresceva i desideri poco pudici che si scatenavano nella sua testa, non per altro.
 Quando fecero l’ultimo passo, le baciò piano la fronte, portandola verso sua madre che si avvicinava entusiasta dalla sua pupilla.
‹‹Mi dispiace mia diletta, ma alcuni cari ospiti mi avevano chiesto di volerti vedere ballare, così ho chiesto al mio dolce figlio, spero che tu possa perdonarmi –Thor non sa nemmeno da che parte si trovi la pista da ballo››
Anirei si dimostrò gentile, ci scherzò su, minimizzando la cosa.
‹‹A essere sincero credevo che mi avresti pestato i piedi apposta›› le disse il dio appena sua madre si dileguò. Non che non l’avesse comunque colpito inavvertitamente.
La bruna gli mollò un pugno sul fianco, cercando di non farsi vedere da nessuno.
‹‹Poco regale, e prevedibile››
‹‹Aspetta che chieda davvero a Thor di darmi il martello, poi ne riparliamo.. ››
 
                                                                    
                                                                            ***
 
 
‹‹Frigga›› sbottò dolcemente Odino, una mano sul volto che  massaggiava la fronte stanca, vedendo la moglie venirgli incontro. La regina gli pose una mano sulla spalla.
‹‹Vieni di là, molti tuoi vecchi compagni vogliono vederti››
Il re sospirò, chiudendo l’occhio. ‹‹Sai che non mi piacciono questi ricevimenti, ringrazia al solito Apollo, attira più api che il miele››
Frigga prese un profondo respiro, guardando le scale dorate che portavano all’alto scranno.
‹‹Ma non è questo che ti turba››
‹‹No, infatti..››
Tornò di nuovo il silenzio, interrotto solo dai loro respiri.
La regina sapeva molte delle cose che gravavano pesanti sulle spalle del marito, per questo preferiva che le condividesse con lei, il matrimonio significava anche quello. Un solo segreto aveva nei suoi confronti, lo stesso che impediva al dio di riposare bene la notte, che gli velava lo sguardo ogni qualvolta vedeva i suoi figli insieme, davanti a lui. Che lo tormentava da quando aveva portato a casa il loro secondo fanciullo. Aspettava quasi che un’invisibile spada di Damocle gli cadesse sulla testa, sembrava contasse i giorni, era spesso irrequieto e amareggiato.
Decise che non era il caso di attendere, doveva provare a indurlo sulla strada della rivelazione lei stessa.
‹‹Torna di là. Hai già perso il primo ballo della nostra diletta; vieni a distendere i nervi, a divertirti››
‹‹Frigga, lo sai che non amo il divertimento. E i miei figli sembrano non pensare ad altro, corrono e si azzuffano per una labile gonnella…››
‹‹Che tu hai deciso di mostrargli››
Odino annuì amaramente, l’occhio ancora disperatamente chiuso; sospirò profondamente, il viso che si trasformava in una piaga di sofferenza.
 ‹‹Quando l’ho vista, ho sperato. Ho sperato che riuscisse a cambiare qualcosa. Heimdall stesso mi ha assicurato che è sbucata dal nulla, e che non avrebbe potuto neanche volendo spedirla indietro. Ho sperato, Frigga››
Ma esattamente che cosa sperasse, non glielo disse.
‹‹Era lì, sembrava la manna dal cielo che ho sempre sperato. Quando ho abbassato lo sguardo sui miei figli, ho visto l’orrore››
Frigga gli strinse la spalla, per fargli forza.
‹‹E' come se ci trovassimo sul filo di un funambolo, io e lei. Se riuscisse finalmente a farmi –farci – attraversare senza cadere, dovrei inchinarmi dinanzi a lei, in un eterno ringraziamento; al contrario, se per un qualche motivo cadessimo, potremmo precipitare o nella solita melma, o in qualcosa di assolutamente peggiore››
Odino nascose un brivido, pensando alla più cattiva delle ipotesi. I suoi due figli rappresentavano le due metà nel vuoto, e lei doveva riuscire a districarsi tirandoli su entrambi, sul filo, e passare tutti insieme quell’orribile fune. Emise un altro sospiro, stressato.
Mise la mano su quella della moglie, stringendola.
‹‹Stasera è venuto il Dio, e non so se esserne felice o meno››
Significava che qualcosa di diverso era accaduto, da qualche parte; forse. Oppure che stesse controllando qualcosa: sicuramente, non era andato lì per visita di piacere.
‹‹Che tu sappia, ha avvicinato qualcuno?››
Frigga non rispose, non lo sapeva.
 
 
                                                                                   ***
 
 
Se ne stava seduta accavallata sulle gambe del Dio del Tuono. Era un’abitudine che avevano ormai da tempo, e Anirei non ci faceva più tanto caso. Ma Loki sì.
Si mangiava la lingua, silenzioso, osservandoli sottecchi. Un’assoluta gelosia che aumentava di giorno in giorno, sempre più profonda a mano a mano che i suoi sentimenti, inconsci, affondavano le radici. Nemmeno Sif lo consolava, accompagnando le sue occhiatacce come un contorno di odio e di cattiveria.
La bruna si era sciolta i capelli e si era fatta un piccolo chignon sulla testa, mentre dei piccoli ciuffi le ricadevano davanti alle orecchie, arricciandosi un poco. Quando Thor la strinse a sé, appoggiandole il mento sulla spalla, col braccio attorno alla sua vita e il boccale di birra nell’altra mano, si alzò, nauseato. Non poteva sopportare più di così. Anirei rideva coprendosi la bocca, cercando di darsi un contegno di fronte alle barzellette assurde di Volstagg, interrotto ogni volta dai commenti di Fandrall, che aveva la sua nuova conquista di fianco. Si accorse subito della manovra evasiva di Loki, e le dispiacque, perché in qualche modo sentiva che fosse colpa sua. Sarebbe voluta corrergli dietro, ma credeva di far peggio. L’ultima volta che l’aveva fatto se l’era mangiata in un boccone, e non si erano parlati per un pezzo.
Si convinse che valeva la pena rischiare. Si alzò, col disappunto del dio, e lo seguì per il corridoio.
‹‹Loki.. aspetta!››
Il principe si fermò, voltandosi indietro. Non poté fare a meno di provare un brivido felice nel vedere che gli era corsa dietro.
‹‹Dimmi›› la accolse impassibile.
Anirei si fermò davanti a lui, ponderando. Non sembrava proprio arrabbiato arrabbiato.. Si inventò una scusa, a quel punto tanto valeva andarsene in camera, aveva ancora il prezioso vestito addosso –Dio solo sapeva come non avesse fatto a macchiarlo.
‹‹Da che parte vai..? Io venivo via..››
‹‹Non dalla tua››
Anirei si grattò il braccio; certo che avere a che fare con quel dio era complicato. E poi non gli aveva fatto niente: non si meritava quel trattamento. Ovviamente il suo sangue non ci pensò due volte a ribollirle nelle vene; a lei per infiammarsi ci voleva meno che per accendere un fiammifero, figurarsi se a punzecchiarla c’era l’irritante Loki. Si voltò indignata, diretta verso le sue stanze, coi buoni propositi di non litigare con lui per l’ennesima volta.
Dopo aver svoltato il terzo angolo si era già calmata, velocemente e facilmente così come si era infuriata. Rallentò l’andatura, con una lieve smorfia, sospirando più volte, sferzata piano dalla brezza della sera. Chissà cosa aveva il moro, cosa lo tormentava; le diceva così poco di sé, praticamente nulla del suo passato. Le sarebbe piaciuto scoprirlo, e magari aiutarlo, anche se sapeva di essere una pessima ascoltatrice o dispensatrice di consigli: con le persone lei, c’era proprio negata; era imbranata, con le relazioni interpersonali.
Guardò il pavimento, pensierosa. E ringraziò di averlo fatto, perché improvvisamente si vide sotto gli occhi un libro, sul quale sarebbe di sicuro inciampata. Lo raccolse guardinga, indagandone la rilegatura; un filo dorato impreziosiva la copertina, decorazioni purpuree si diramavano come sinuose serpi, mentre lo sfondo nero contribuiva a creare una strana sensazione, un’idea di ignota paura, di una misteriosa intuizione che le sfiorava magnetica le orecchie senza che riuscisse a distinguerne la miriade di voci. Lo aprì; la lingua era illeggibile, non la conosceva, e il tutto sembrava essere scritto a mano. Lo sfogliò curiosa, individuando in qua e in là dei nomi familiari: i nomi di coloro che aveva conosciuto ad Asgard. Osservò di nuovo la copertina del libro, una nuvola di attrazione e inquietudine che le si formava lentamente sul capo.
Ebbe un flash improvviso e confuso. Davanti agli occhi una valle piena di rovine e di cadaveri, brutalmente uccisi, corvi che vi si posavano sopra come cagne affamate. E polvere, tanta polvere; di distruzione e di morte, dell’insana follia che colpisce le menti e porta il nulla.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
******
Innanzitutto, grazie per essere arrivati fin qui! 
..lo so, la storia è lenta, ma purtroppo i personaggi cominciano ad avere interazioni tra di loro solo dal primo capitolo-con Anirei- quindi ci vuole un po' per illustrare la situazione.
A proposito del capitolo..beh, Odino si comporta peggio di una sibilla cumana(?), il Dio del Destino ha fatto la sua prima vera e propria comparsa, conciato come uno strano tipo; e Apollo...beh mi piace, e non so come ma ce l'ho voluto infilare a forza con la scusa di parlare un po' degli dèi dell'Olimpo(?)
Siccome oggi ho capito come caricare le immagini, ho deciso si pubblicare una mia fan-art (che non ruberete, vero?*occhi da cucciolo)





Sì, lo so, perdonatemi il Loki tendente al David Bowie-Rumplestiltskin, soprattutto dal momento che ha i capelli lunghi (che invece avrebbe dagli Avengers in poi)
mmmm a proposito di Anirei, qui non assomiglia molto a Rachel Weisz, l'attrice il cui volto prendo per fare le locandine (il volto di Anirei, insomma)
Come al solito grazie a tutti, se avete qualcosa da chiedere, curiosità o non so che, recensite pure, non vi mordo!:D
Alla prossima, spero che il capitolo vi sia piaciuto: Baci a tutti**

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** CAPITOLO ***





 
‹‹Loki… Loki!››
Il dio mugolò infastidito, girandosi dall’altra parte. Da quando tutta questa confidenza? Un altro scossone interruppe la sua immersione nell’oblio soporifero della notte, facendolo sibilare piano, come un serpente minaccioso. ‹‹Se non la pianti subito, ti garantisco che ti spedisco ai piedi delle scale senza l’ausilio di alcun arto››
Silenzio.
Finalmente si era dileguata, quella zecca fastidiosa. Le aveva detto ripetutamente di non disturbarlo se si fosse addormentato, ma sembrava proprio che non riuscisse a capirlo; era il suo unico difetto d’altronde..
‹‹…Loki?››
Allora era proprio masochista. Peccato, sospirò tra sé e sé: doveva ammettere che un po’ gli dispiacesse, era tra le donne più belle e seducenti che conoscesse, e sapeva fare molto bene quel che doveva, appagandolo nel migliore dei modi..
Gli arrivò una gomitata poco delicata sullo sterno, che l’obbligò ad aprire gli occhi di scatto, furioso e spazientito.
‹‹Oddio, scusa, non volevo…!››
Si voltò deciso, afferrando nel buio della notte il braccio della donna la cui chioma morbida gli sfiorava il viso. Serrò appena più violento la presa, gli smeraldi che si facevano spazio tra le tenebre, luminosi come le lenti di un gatto.
‹‹Sai che non scherzo Bessyn, vattene…›› il resto della frase gli morì sulle labbra, mentre metteva a fuoco chiudendo e aprendo ripetutamente gli occhi un paio di volte, prima guardando meglio la fanciulla, poi la stanza, che realizzò essere la propria.
‹‹Non sono una delle tue amichette›› osservò seccata lei, con una lieve smorfia.
Loki si passò la lingua sulle labbra, raccogliendo i pensieri, ancora non del tutto sveglio o presente. ‹‹Cosa ci fai qui, Anirei..?››
La bruna, sempre offesa, ritirò lentamente il braccio, guardandolo appena, truce. Poi si morse nervosa il labbro inferiore, mostrando un libro nero decorato finemente; singolare. Gli spiegò velocemente come e dove l’avesse trovato, e dei suoi inutili sforzi nel tentativo di leggerlo*, che si erano protratti fino a notte inoltrata; alla fine aveva deciso di chiedergli aiuto, non riuscendo a chiudere occhio fino a quando non avesse sciolto il mistero che circondava quell’ammasso di pagine.
Il dio si passò una mano sul volto, si sistemava meglio a sedere, cercando di fare mente locale e di seguire la logica discutibile della fanciulla, anche se ancora gli sfuggiva il motivo di tanta fretta, la priorità di quel volume sulle sue ore di sonno.
‹‹Non puoi aspettare domani mattina?››
‹‹Non riesco a dormire..›› mormorò lei ad occhi bassi, le spalle che si incurvavano.
Il figlio di Odino emise un sospiro. ‹‹Non pensare minimamente di dormire qui››
Anirei gli scoccò un’occhiata imbarazzata, arrossendo appena. ‹‹In realtà speravo che… mi aiutassi››
‹‹A fare cosa? A leggere –e adesso non lo farò – o a dormire?››
Sprofondò ancora di più nella vergogna. ‹‹Non lo so bene nemmeno io››
Il dio sbuffò appena, mentre la fanciulla si faceva piccola piccola.
‹‹Scusami; ho sbagliato… persona›› scivolò giù dal materasso, con la voce soffocata, dandosi della stupida, il volto in fiamme. Si sentì riprendere per un braccio, e finì nuovamente sul letto, a pancia in su, ritrovandosi a fissare il giovane al contrario.
‹‹Dubito che riusciresti a entrare nella stanza di mio fratello, mette il martello alla maniglia. E poi mi meraviglierei se sapesse anche solo leggere la nostra prima lingua›› e detto questo si rimise a dormire, dandole le spalle, la mente che cercava di svuotarsi, il nero della notte che a fatica si faceva spazio nella sua testa.
Passò poco, prima di percepire chiaramente nuovi movimenti delle coperte, e il suono distinto di un libro che si apriva.
Si voltò verso di lei. ‹‹Cosa fai?! Torna in camera››
‹‹Ti prego›› lo supplicò seria ‹‹tra poco me ne vado..››. Anche perché, rifletté pensierosa, non era sicura di come raggiungere la camera del Dio del Tuono, e di tornare nelle sue stanze neanche ci pensava: quell’immagine di devastazione, di distruzione, era ancora viva nella sua mente, impressa talmente a fondo che le impediva di distendersi e di riposare; da sola non ci teneva a rimanere.
Loki non aggiunse nulla, e le diede di nuovo la schiena, provando ad addormentarsi per l’ennesima volta, le unghie involontariamente infilzate nel materasso.
Passò un po’ di tempo; il dio non riusciva ad abbandonarsi alla lusinga del riposo.
Si voltò di nuovo verso di lei, che si era addormentata col libro in mano, sonnecchiando leggera, i capelli che parevano piccoli rivi scuri che assecondavano il suo corpo. La osservò come aveva fatto la prima volta che l’aveva vista, tantissimo tempo prima, studiandola attentamente, ma senza malizia. Le accarezzò le labbra, chiedendosi inconsciamente quando mai avrebbe potuto riassaporarle, ancora non gli era del tutto chiaro quello che gli stava succedendo, ma gli ardenti palpiti che battevano lenti e ben scanditi, parevano uscirgli dal petto. Spostò le dita seguendo la sua silhouette, desiderando di averla tra le mani; se l’avesse fatto, egoista e meschino, le sarebbe sgusciata via in un batter d’occhio, non volendo mai più farsi sfiorare da lui.
Da quando si preoccupava dei sentimenti di qualcun altro..? Non succedeva più, da tempo, se non in misera misura con Madre.
Tornò a squadrarla, la tentazione nel petto: era lì, nel suo letto, nella tenera grazia sensuale in cui Morfeo l’avvolgeva...
Anirei sussultò all’improvviso, appena, e aprì gli occhi sul volto del principe, a pochi centimetri dal proprio; la guardava serio, quasi stupito. ‹‹Non temi che possa approfittarmi di te?››
La bruna si ritrasse piano, imbarazzata, non riuscendo a sorridere per il nervosismo. Guardò da un’altra parte. ‹‹Se è per questo posso tirarti un’altra gomitata – volontaria…››. Si alzò di scatto, tormentandosi le mani. ‹‹E' meglio che vada.. ›› e se ne scappò via di corsa, prima che il dio potesse anche solo battere le palpebre.
Loki osservò il lembo del suo abito leggero svolazzare prima che si chiudesse la porta; poi si voltò verso la terrazza, specchiandosi nel cielo di tenebre incastonato da minuscoli granelli di sabbia, luminosi, relegati nella parte più alta del cielo.
Una sottile striscia di luce invadeva la parte inferiore, lineare come una pennellata rapida e imprecisa, che avvertiva il regno dell’inizio di un nuovo giorno di fatica, di vita, di frustrazione ed invidia. Un altro giorno vissuto all’ombra, un altro giorno vissuto correndo per liberarsi di quella macchia nera che lo confondeva con il niente.
 
 
                                                                           ***
 
 
Entrò stanco nella biblioteca, suo luogo preferito in tutta la fortezza perché riservato e silenzioso. Caratteristiche che sembrava avere perso negli ultimi tempi. Alzò laconico la testa verso il piano superiore, in direzione della fanciulla al solito intenta nella lettura di quello stupido libro.
Era proprio testarda se si metteva in testa una cosa.
Si distese sul divano, aprendo il proprio volume; non cominciò nemmeno a leggere la prima riga, tanto era questione di attimi prima di essere disturbato. E difatti non passò molto prima che Anirei parlasse.
‹‹Qui dice che hai un figlio, Sleipnir, nato dall’unione con lo stallone Svadilferi.. è vero?››
Ghignò, senza staccare gli occhi dalla pagina.
‹‹E' disgustoso››
‹‹Un esperimento..››
‹‹Risparmiami i dettagli, grazie –e lasciamo stare il fatto che in teoria lo abbia partorito tu, visto che ne sei la madre, non riesco nemmeno a immaginare come abbia fatto. E poi non sarei io quella normale››
‹‹Mi parli di papi morti di vergogna, osi chiamarmi “Alloki-Allocco” –come se la prima parte del tuo nome non suggerisse qualcosa di peggiore -, te ne esci fuori con idee ed osservazioni assurde; aiutami a definirti, di grazia››
La bruna gonfiò le guance, seccata. ‹‹Allora, innanzitutto è successo veramente, l’ho sentito. Secondo, mi pare tu mi abbia ignorato abbastanza quella volta con i tuoi comportamenti da signora d’alto borgo –per convincerti a riparlarmi mi è toccato bere un boccale di olio di ricino. Terzo, le mie osservazioni sono geniali e, infine, non sono io quella che si fa montare dagli animali››
‹‹Ti sei appena guadagnata un altro boccale –per il tuo gergo da garzone ubriaco, non per altro. E poi smettila di leggere quel libro, ti ho già detto che si tratta di un mucchio di fantasie midgardiane…››
‹‹Ma tutto quello che ho letto finora si è rivelato vero…››
Tacque, era inutile risponderle. Provò a concentrarsi sulla sua lettura, ma sentì la fanciulla scendere le scale e andargli vicino, posandogli sul petto la piccola palla di pelo nero, mentre lo spiava con i suoi occhioni da cerbiatto. Il gattino cominciò a torturarlo con le sue piccole unghie, per accoccolarsi, poi il dio si accorse di un lieve rumore di sottofondo, che però non proveniva dall’animale.
‹‹Stai facendo le fusa?.. Non sei normale, è stabilito››
‹‹E dai, non fare l’offeso››
Si sforzò di ignorarla, ma con scarsi tentativi. Soprattutto dal momento che gli sfiorava timidamente la mascella col naso, scatenandogli inconsciamente scariche piacevoli, che gli si infilavano sotto la carne fredda. Da quella notte ormai lontana, ogni suo sorriso, ogni suo sguardo, ogni suo tocco, si introducevano subdoli dentro di lui, sempre più forti e profondi, rimanendogli ostinatamente nel corpo e nella testa. Ogni suo più innocente movimento minava il suo autocontrollo senza che lei si accorgesse di nulla, torturandolo con ingenuità.
Anirei, bellamente ignorata, si distese in parte accanto a lui, appoggiando leggermente la testa sul suo torace. ‹‹Andiamo, perdonami››
‹‹Potrei farlo, se mi fossi di compagnia migliore..››
‹‹Pervertito›› commentò lei mollandogli uno scherzoso buffetto. Per un po’ tacquero entrambi, ognuno immerso nei propri pensieri. La bruna giocherellò col micino muovendo delicatamente le dita, poi si decise a tirare fuori quello che le frullava tristemente in testa.
‹‹Loki..›› sospirò appena con la bocca piegata all’ingiù, senza guardarlo ‹‹.. tu non sei il mostro vuoi far credere di essere –e che sei convinto, di essere››
Chiuse all’istante il libro, mettendola a sedere su di sé. ‹‹Smettila di leggere quella scemenza. Ti fa male››
Anirei spostò afflitta la linea del suo sguardo verso la finestra, una cupa tristezza che le velava il volto come tessuto di seta trasparente. ‹‹Mi riveli così poco di te, e non riesco a leggerti nel viso..››
Le prese il mento tra le mani, a coppa. ‹‹I volti sono solo delle maschere Anirei, sono gli occhi che devi guardare››
Per capire quello che sto comprendendo a malapena io stesso.
La bruna si ritrasse, voltandosi leggermente. ‹‹Mi spiace, ma non ci riesco››
La invitò a guardarlo di nuovo, non aspettava altro che studiare quegli occhi dalla profondità mobile, cangiante, di cui leggeva ogni volta una sfumatura diversa, senza mai sprofondare nelle tenebre.
Una mano morbida e delicata gli toccò la pelle del volto. ‹‹Tu vai benissimo così, non devi cambiare nulla››
Dovrei cambiare tutto, invece.
Ella parve accorgersi di quel pensiero, nonostante lui non lo avesse lasciato trasparire in alcun modo, in quanto si accigliò lievemente. ‹‹Non sto mentendo, e tu lo sai. Non ti rendi conto di quello che sei, e purtroppo più ti convinci di quello che pensi, più rischierai di perdere davvero i tuoi aspetti migliori››
Si alzò, portando con sé micio e libro, imboccando l’uscita.
Il dio si premeva il proprio volume sulla faccia, soffocando la brama e gli occhi leggermente lucidi che gli squarciavano il petto; il profumo sottile e dolce di limone che si era messa lo accarezzava come una piuma.
 
 
                                                                                  ***
 
 
Dunque, guerre tra Æsir e Vanir, guerre contro gli Jötnar … Quel libro storico sembrava non parlare d’altro.
Meno male che ogni tanto si soffermava sulla famiglia dei regnanti, o quantomeno su qualcuno abbastanza importante di cui ricordare almeno il nome, qualche gesta, qualche stravolgimento politico che poi sconfinava di nuovo in guerre.. meglio lasciare stare.
Anirei andò avanti di qualche pagina, ancora ed ancora, a volte saltando interi paragrafi, forse anche capitoli, fino a quando la stretta sul libro non si irrigidì.  
Sif, moglie del Dio del Tuono Thor, figlio di Odino.
Oh.
Da quando…?!
Tornò indietro di qualche pagina, tuttavia non riusciva a capire bene la dinamica dei fatti né se il matrimonio fosse avvenuto in epoca recente o meno. Un moto di innocente gelosia le passò sullo stomaco, disegnandole una lieve smorfia sulle labbra, spompandola di tutto l’entusiasmo di cui si era caricata per svelare i misteri di un libro che nonostante tutto continuava a destare strane sensazioni, rivelandosi il contrario della banalità: perché Thor non le aveva detto niente? Perché nessuno l’aveva avvisata?
Sospirò, cercando di calmarsi, e di mostrarsi contenta per loro, sebbene non le fosse parso che il dio provasse tutto questo trasporto nei confronti della dea.
Picchiettò le dita sulla superficie della tavola; dopotutto, Anirei non ci azzeccava molto con le persone, perciò poteva benissimo essersi sbagliata e non essersi accorta dei segnali giusti tra i due amanti. Oppure aveva ragione e il loro era magari un matrimonio di convenienza.
Arricciò una ciocca bruna attorno al dito, distratta e meditabonda.
L’importante era che Thor non perdesse mai il suo sorriso, che continuasse a volerle bene, infondendole stima e coraggio..
‹‹Nidhogg!›› cinguettò con rimprovero verso il micino nero che si era appollaiato sul libro aperto, impedendole di continuare la lettura. Lo accarezzò un paio di volte, mentre lui le faceva le fusa tutto contento, si abbandonò alla gioia che la creaturina le trasmetteva, mentre muoveva buffamente i baffi e le orecchie, le mordicchiava i polpastrelli.
‹‹Fai il bravo, tesorino, su. Devo capire..››
Con qualche altra carezza riuscì finalmente a smuoverlo, e riprese a sfogliare le pagine che aveva ingenuamente tralasciato, scambiandole per altre identiche e gloriose battaglie – non che non le piacessero, ma cribbio erano tutte uguali..
Ad un certo punto si fermò, quasi folgorata, la pelle che sbiancava d’un botto. Non riusciva a buttare giù la saliva, e rilesse più volte la stessa frase. Cercò di calmarsi, ma il sangue sembrava avere una ragione tutta sua, e non l’ascoltava, ribollendo bollente nelle sue vene, accalorandola quasi come un soffocamento.
Ma..
‹‹Sei qui›› si preannunciò improvvisa la voce roca del figlio di Odino, la bocca aperta nell’atto dello sbadiglio; poggiò il martello sul tavolo e le diede un bacio sulla testa. La bruna annuì lieve, una mano che cercava di darle sollievo portandole più ossigeno possibile, il viso che riprendeva colore.
‹‹Sei stanco, vuoi distenderti?›› ma il dio scosse la testa, e si mise ad osservarla mentre armeggiava col cucciolo nero, nel tentativo di insegnargli le buone maniere, di non salirle sulle gambe all’improvviso. Le chiese beffardamente se avesse preso la brutta abitudine del fratello, di leggere, leggere, leggere, per tutto il giorno senza annoiarsi mai, ottenendo in risposta una timida linguaccia; la prese sulle gambe, gli piaceva stringerle il corpo tra le braccia e sentire la sua schiena contro gli addominali, i capelli che lo sfioravano.
Anirei inclinò la testa di lato, poi si decise a parlare, una nota atona nella voce insicura. ‹‹Tu e Sif.. state insieme..?››
Il Dio del Tuono rimase spiazzato dalla domanda, non sapendo se esserne felice o meno. Ma ella non gli dette nemmeno il tempo di rispondere.  ‹‹Ho mal di testa, vado a riposarmi un po’››
Il dio la voltò verso di sé, per assicurarsi che stesse bene, era alquanto turbata; rimasero a poca distanza, il respiro dell’altro sul viso, finché Anirei, mosse le iridi appena dietro di lui, non si alzò in tutta fretta, un misto tra un’inconscia tristezza e un’amara rabbia, le guance che si imporporavano. Sembrava aver visto un dolce fantasma.
Thor la seguì con lo sguardo mentre passava accanto al Dio dell’Inganno, che doveva essere entrato da poco.
‹‹Non si saluta più?››
Il Dio del Tuono osservò il fratello, con un lieve cenno del capo rispose. Non si parlarono per un po’, fino a quando Loki, dopo aver riposto un paio di volumi che aveva finito di leggere, non si degnò di girarsi verso di lui, spezzando il silenzio.
‹‹Sì..?›› lo guardò eloquente, invitandolo impassibile a parlare, appoggiando la schiena allo scaffale.
Il biondo sospirò, poi lo fissò serio. ‹‹Non mi piace come la guardi››
Loki fece finta di accigliarsi, facendolo innervosire con la sua ipocrita indifferenza. ‹‹E come dovrei guardarla? Questi occhi mi hanno dato››
No, sapeva benissimo a cosa alludeva; la spiava con i suoi smeraldi languidi, senza perderla di vista, come un lupo e la sua preda, aspettando un suo minimo passo falso - che abbassasse la guardia - per avventarsi su di lei, bramoso della sua carne, lui, serpente paziente e subdolo.
‹‹Lasciala perdere, siete troppo diversi››
Il fratello incassò il colpo, l’ennesimo, da quando era nato. Eccolo lì, il Dio del Tuono, che pretendeva di dargli degli ordini, perché un suo capriccio doveva essere messo avanti a lui, senza che mai gli si accendesse una luce nel cervello, che lo avvisasse  che anche l’altro figlio di Odino avesse dei desideri, dei sentimenti. Al solito lo voleva mettere da parte arrogantemente, prendendo l’oggetto dei propri desideri, poco gli importava se potesse esserlo anche di qualcun’altro. Aveva tutte le dee di Asgard ai piedi, quindi per lui era legittimo impossessarsi anche della pupilla della loro madre.
Chiuse gli occhi a fessura, abbassando la voce, trapassandolo con gli occhi felini e penetranti. ‹‹Cosa ti fa credere che il suo cuore appartenga a te?››
Thor fremette, le narici che si allargavano, in collera. ‹‹Diventerà la regina di Asgard, fattene una ragione››
‹‹Lo immagino..››
‹‹Non è un gioco, Loki, e non posso permettere al tuo istinto capriccioso di prenderla solo per farmi un dispetto››
Gli occhi verdi scintillarono. ‹‹Vedremo..››
Il giovane dagli zaffiri color del cielo si alzò, fulminandolo. ‹‹Un giorno comprenderai l'insensatezza di ciò che stai facendo››
 
 
 
‹‹Sì, mia signora, il libro è proprio questo››
Anirei lasciò con disappunto che il ragazzo dai boccoli biondi le prendesse di mano il volume che tanto l’aveva catturata, il cui mistero, a mano a mano che leggeva, non sembrava sciogliersi, ma al contrario infittirsi sempre più, un libro portatore di letizia da un lato, amarezza dall’altro.
‹‹Il mio Signore, il Dio, vi ringrazia per la vostra gentilezza›› si inchinò il giovanetto davanti a lei; poi si voltò di nuovo verso Odino. ‹‹Una settimana fa il mio Signore si è presentato al vostro palazzo, alla ricerca di questo libro, che qualcuno gli aveva furtivamente sottratto, ma senza fortuna. Sapete che non è permesso leggere il destino, il futuro in particolar modo… l’avete fatto?››
La bruna sussultò, accorgendosi in ritardo che la domanda era stata rivolta a lei; balbettò, spiazzata.
‹‹I-Il futuro? No, io.. non credo…››
Il ragazzo le sorrise caldamente, per un attimo suscitandole un barlume della sensazione di armonia e tranquillità tipica del suo Signore. ‹‹Fidatevi, è meglio così››
Si congedò elegantemente da entrambi, portandosi via il suo fascino ambiguo – Anirei non era del tutto sicura che si trattasse di un uomo. Quando fu la sua volta, il Padre degli Dèi la fermò, sospettoso. ‹‹Diletta›› chiamò con tono perentorio ‹‹è vero quello che hai detto? Hai trovato veramente il libro sul pavimento e l’hai letto?››
La bruna si fece forza, ingoiando la saliva assieme al suo timore, incrociò seria l’occhio di Odino, che la scrutava intensamente. ‹‹Sì, mio signore››
‹‹E di cosa parlava quel volume?››
‹‹Si trattava di un comune libro di storia, incentrato su voi Æsir..››. Ad entrambi le sue parole sincere puzzarono di menzogna; quello era tutto fuorché un comune libro.
Il re inspirò profondamente, poi le fece cenno di andare, lasciandola con la sua sempre meno dubbia verità.
Il futuro..? Il destino..?
Quelle due parole, quella sorta di illuminazione improvvisa che metteva a posto parecchie tessere del puzzle, dal sapore sempre più veritiero, le rimbalzarono nella mente come una fastidiosa palla di gomma che, senza fermarsi, insistette capricciosa nel seguirla fin dentro le sue stanze, persino sul letto.
Si strinse sotto le coperte, sospirando.
Che cosa ci faceva lì? Doveva tornare a casa, a mettere insieme i pezzi della vita che aveva lasciato; le faceva paura, tornare, ma doveva trovare il modo di farlo, era inutile scappare, non era giusto. Ma una volta tornata là, che cosa avrebbe fatto? La carriera militare era da bocciare, soprattutto dal momento che aveva liberato il suo drago, attirandosi tutte le ire delle autorità.. Ma cos’altro avrebbe potuto fare? Non le sembrava di essere portata più per qualcosa, si era infiacchita, quasi spenta negli ultimi tempi: non aveva voglia di fare niente, non aveva un sogno in particolare per cui rimboccarsi le maniche; eppure doveva rimboccarsele per forza, il mondo non aspettava certo lei, anzi, già era passato tanto di quel tempo che si sentiva terribilmente indietro rispetto ai suoi vecchi amici e coetanei. Nascose la testa tra le braccia, rannicchiandosi al buio, mentre fuori la luce scoppiava radiosa.
Come avrebbe potuto ridursi a fare un lavoro umile..? Un tempo non le sarebbe importato, anzi, sognava una vita tranquilla e senza problemi, ma adesso già le sembrava di sentire le voci di tutti quelli che la conoscevano: ridevano di lei, oppure ne avevano pietà. Soffocò un singhiozzo; erano riusciti a metterle in testa di primeggiare, quasi un innesto, frustrante, stressante, –non volontario, probabilmente- che era cresciuto con lei, che era diventato irrimediabilmente una parte di lei.
Non puoi accontentarti, hai una reputazione da difendere, non puoi deludere le aspettative..
Ecco, appunto, proprio quella parte di lei, che continuava a tiranneggiarla; non era possibile convivere con la guerra che la indeboliva da dentro, che la spegneva lentamente.
Si sentiva terribilmente egoista, e vile: non sapeva reagire, solo piangersi addosso, confusa, senza sapere cosa in realtà volesse.
Nidhogg fece capolino sotto le coperte, leccandole teneramente il viso, portandosi via una piccola goccia che le rigava la guancia. La bruna sorrise mesta, poi cercò di farsi forza: non doveva pensare a quelle riflessioni logoranti, doveva focalizzarsi sul presente, pensare alle nuove persone a cui voleva bene; d’altronde non erano –ancora – scappati da lei, disgustati dal suo comportamento da debole, bisognava che provasse a tenerseli vicino, con cautela.
Sbucò appena da sotto le coperte, guardando fuori, alla finestra; un amaro pensiero le passò verticalmente per il busto, velandole gli occhi, facendola tirare su col naso.
La sua esistenza non apparteneva ad Asgard.
Emettendo un lungo sospiro, si fece forza e si alzò, rivestendosi. Aprì la porta delle proprie stanze, spaziò con lo sguardo in lungo e in largo, trovando il corridoio stranamente vuoto e silenzioso; uscì, diretta alla stanza del suo istruttore, o di qualche medico, sperando che non ci fosse nessuno, per curiosare liberamente in giro alla ricerca di qualcosa che avrebbe potuto aiutarla a capire meglio il segno nero che aspettava malevolo di comparire da sotto la sua carne, per divorarla con la sua potenza. Non aveva avuto molte occasioni per informarsi, né le era importato poi un granché, ciò nondimeno in quel momento costituiva una buona occasione per distrarsi.
Ma non fece un passo avanti, che una voce squillante l’accolse.
‹‹Se volete delle risposte alle vostre domande, il mio Signore sarà lieto di accogliervi››
Anirei si voltò sospettosa, davanti a lei non il biondo dai boccoli dorati, ma un ragazzo bruno, che portava comunque il suo stesso fascino ambiguo.
‹‹Come sei entrato?››
‹‹Per il mio Signore non esistono ostacoli››
Giù, un brivido che le scendeva le spalle. Non farlo. La curiosità uccide il gatto.
Ma il dubbio e l’incertezza dilaniavano più di una cruda verità.
La bruna inspirò lentamente, gli occhi torvi, ma allo stesso tempo scintillanti di bramoso desiderio.
‹‹Portami da lui›› decretò infine, nonostante l’istinto le dichiarasse a chiare sillabe di essere contrario a quella scelta poco pensata.
Arrivarono all’ultimo piano agibile del palazzo, nessuna guardia si trovava in giro, e questo la inquietò non poco. Forse non era stata una buona idea acconsentire ad una richiesta del genere; ma da quando aveva letto quel libro, tutti i peggiori pensieri che si annidavano nella sua mente come pipistrelli avevano cominciato, confusi, a sbattere dolorosamente da una parte e dall’altra, con le loro ali scheletriche, ferendola senza sosta. Il giovane le indicò una porta, e lei ci entrò, esitando un momento prima di abbassare la maniglia, le mani inquiete, tremavano.
La porta si chiuse con un tonfo sordo. Non c’era nessuno, l’aria impregnata di una misteriosa sacralità le consigliava di muoversi piano, in silenzio. Avvertì chiaramente odore di incenso.
Si mosse, seguendo il corridoio, trattenendo il fiato, spiando i muri con la coda dell’occhio che di rimando la giudicavano silenti.
Ad un tratto lo vide, un uomo incappucciato di nero.
Non appena quello partì, ella lo seguì, cercando di non chiedersi come avesse fatto a vederla, visto che era di spalle; i propri passi erano leggeri, quasi avessero paura che un rumore troppo forte lo avrebbe fatto volare via assieme a tutte le risposte che cercava disperatamente: il che, forse, non sarebbe stata una cattiva idea.
Sbucarono in una stanza circolare, e l’uomo si fermò al centro di essa, non accennando a voltarsi.
‹‹Hai tante domande immagino››
Anirei non fiatò, ma le sue labbra tradivano un certo nervosismo.
‹‹Vorresti chiedermi perché non compari nella storia dei tuoi cari principi. Se non addirittura›› marcò con una pausa ‹‹domandarmi in prestito il tuo libro del destino; purtroppo, non posso proprio accontentarti in quest’ultima richiesta, perché nessuno può leggere il proprio libro, anche chiedendo ad altri di farlo per lui. Per questo sono nati gli oracoli, loro hanno la possibilità di farlo.. con dei limiti malauguratamente››
La bruna restò in silenzio, una vaga inquietudine che le serrava lo stomaco, il cuore che iniziava a battere più irregolare. E l’uomo ancora non si muoveva, rendendo la situazione ancora più strana e preoccupante. Passò un bel po’ prima che ricominciasse a parlare, come se aspettasse che lei giungesse alle conclusioni cui lui desiderava arrivasse. La fanciulla si toccò le lunghe trecce allentate, scaricando il timore nei fili scuri, ma senza riuscirvi veramente.
‹‹Oh, mia cara. Che strada strana, faticosa, hai percorso negli ultimi tempi; con un’anima sempre più tormentata, che non si sente parte del mondo. Paure e domande che ti solcano dentro più degli altri, che si imprimono a fondo spingendoti a chiederti cose che pochi si chiedono, e che ancora meno avvertono così dolorosamente››
La fanciulla non si mosse, brividi di ghiaccio che le gelavano le piccole gocce di sudore.
‹‹Riuscivi sempre a cavartela, eri promettente in molte cose –e guardati adesso, un uomo in mezzo al mare senza la bussola, che ha tirato un calcio alle vele che gli venivano date. Avresti dovuto ringraziarmi per la vita che ho scelto di darti; non la migliore del mondo, lo ammetto, ma di gran lunga desiderabile da moltissimi miserabili e non››
Fece un’altra pausa, questa volta muovendosi tranquillamente alla sua sinistra, guardandosi con noncuranza i piedi, sempre mani raccolte dietro la schiena, il profilo in faccia a lei; pareva stesse raccontando una leggenda antica, che non la riguardava, da come si comportava. ‹‹Il tuo animo sensibile, con le sue domande, ti risveglia, ma ti spezza anche dentro. E così, scindendoti, ecco che ti sganci dal destino che io ho preparato per te con molta cura. Oh, è mirabile come tu sia riuscita a giungere qui - non avrei dovuto renderti incline alla magia, lo ammetto, forse ho osato troppo, ti ho sottovalutata. E ammirevole sarebbe anche il tuo nobile scopo, “trovare la vera te stessa” o le sciocchezze che vai ripetendoti per annullare i tuoi sensi di colpa circa le responsabilità che eviti di prendere, se soltanto tu non continuassi a sfuggire al destino –a me-  sfasciando tutto ciò che è stato scritto››
Si fermò, volgendo la testa verso di lei. ‹‹Vuoi ancora chiedermi perché non compari nella storia dei due figli di Odino?››
Anirei deglutì, resistendo all’improvvisa voglia di vomitare, la nausea le toglieva il fiato per la morsa stretta che le chiudeva la bocca dello stomaco. L’uomo si tolse il cappuccio, la zazzera bianca scoperta, una tunica candida che si rivelava una volta lasciato cadere a terra il mantello nero. Il viso era ancora una volta coperto da una maschera, perché nessuno può guardare in faccia il destino.
Le uniche parole che riuscirono ad uscire flebili dalla bocca della bruna si persero nella stanza: “Chi sei?”.
‹‹I Midgardiani mi chiamano il loro unico Dio, e come tale mi venerano- perlomeno ancora alcuni. Ma torniamo a te›› si avvicinò l’uomo, poco interessato a parlare della sua storia ‹‹mio dolce figlia››
‹‹Sei davvero una bambina capricciosa.. Lo sai, la volontà di opporti a me e rivendicare una certa libertà, la tua gratitudine nello sputare nel piatto di chi ti ha dato una vita, mi fa venire in mente un mio vecchio figlio, un ingrato come te. E a volte mi chiedo..›› le si avvicinò a un orecchio, soffiandoci appena ‹‹.. sei forse tu là dentro, oh mio Lucifero?››
Anirei fremette, le sue gambe trovarono finalmente la forza di muoversi, facendola allontanare da lui, con uno scatto felino. ‹‹Tu vaneggi!››
Il Dio sorrise amaramente. ‹‹Voglio porre fine ai tuoi dilemmi interiori. Lascia che ti riagganci al tuo destino, e faremo in modo che tu non ti senta più lacerata dentro››
Anirei si portò una mano alla bocca, un’orribile confusione che le annebbiava il cervello, la paura di tornare da chi avrebbe potuto ferirla, abbatterla, le scuoteva la gabbia toracica.
‹‹So a cosa stai pensando, ma il tuo posto non è qui, lo sai bene anche tu. E poi, credi veramente che loro non ti faranno soffrire? Non ti sei mai chiesta perché Odino tenesse tanto a te, credi che non abbia un piano per sfruttarti? E i suoi figli, forse sono peggio di lui..››
La bruna tossì improvvisamente, le ginocchia che toccavano il pavimento, pervasa da improvvise vertigini, crampi che le bloccavano le gambe. ‹‹Loro mi vogliono bene..!››
‹‹Anirei›› sospirò il Dio ‹‹credi davvero di interessargli più dell’involucro che ti copre l’anima? Proprio tu, che diffidavi di tutti coloro che ti mostravano attenzione, per paura di deludere le loro aspettative su come sei dentro, il terrore che ti ferissero con una sola parola di delusione? E che ti eri promessa di bastarti da sola? Suvvia, ti sei voluta coprire gli occhi, per te non deve essere stato facile ingoiare in silenzio ogni loro carezza ambigua, solo per farti accettare. Sei solo una scommessa per loro, mi dispiace dirtelo.. In un certo senso, ti hanno domato; che peccato››
La fanciulla emise un sommesso ringhio, quasi volesse fargli capire che si sbagliava.
‹‹Non voglio controllarti, né costringerti. Lasciami riallacciarti alla strada che ho tracciato per te, e ti prometto che lo strappo che avverti dentro di te verrà ricucito››
Anirei aveva gli occhi chiusi, ansimava per i dolori che provava per tutto il corpo. ‹‹Non mi fido di te..››
‹‹..parlò quella che si fidava del Dio dell’Inganno.. sai che non puoi farlo, a maggior ragione dopo quello che hai letto…››
Gli rispose solo con un flebile lamento. Si accovacciò accanto a lei, osservandola da vicino, la voce bassa.  ‹‹Ti giocherà, lui come tutti gli altri. Sai già che ha la sua sposa scritta nel destino..››
‹‹Cosa mi stai facendo?...›› sputò lei, volendosi dimenticare l’ultima frase che le sue orecchie avevano colto gridando di sofferenza.
‹‹E' come ci si sente quando si pecca, quando mi si contraddice... ›› le afferrò un polso, strattonandola ‹‹io non voglio questo per te, lo capisci? Lasciami fare quel che è giusto, poi staremo meglio tutti››
Anirei si morse le labbra, senza alzare la testa, ancora le palpebre all’ingiù.
‹‹Lasciami stare, ti prego, basta..››
‹‹Suppongo tu abbia ragione. Ti darò un po’ di tempo per pensarci, non voglio costringerti con la forza; sarai tu a chiamarmi››
Si allontanò, lasciandole il tempo di riprendersi, forse aveva esagerato; ma d’altra parte quello era solo un barlume della sensazione che provavano coloro che si mettevano contro di lui; per questo gli altri dèi non lo vedevano di buon occhio, perché loro erano più sprezzanti degli uomini, tendevano a odiare tutto ciò che potesse renderli appena un po’ inferiori, e percepivano vagamente del malessere quando gli si trovavano vicino; i Midgardiani invece, erano generalmente più tendenti all’umiltà –almeno buona parte; un tempo, forse. Ora si comportavano quasi peggio dei suoi colleghi. Anirei imboccò la porta, traballando appena sulle gambe molli.
‹‹Mio Signore, la lasciamo andare così?››
Il Dio annuì. ‹‹Il seme del dubbio e dell’incertezza è stato inserito a fondo, ma perché metta radici solide e cresca, bisogna nutrirlo. Odino, se ha capito qualcosa, non la lascerà andare via, quindi dobbiamo essere furbi, e usare le sue intenzioni contro di lei››
Il giovane moro annuì, inchinandosi di nuovo, mentre la stanza cominciava a scomparire, assieme ai due presenti.
 
 
                                                                             ***
 
 
Si mise alla finestra di una delle stanze frequentate da poche persone; era meglio stare isolata, non era nelle condizioni di affrontare i conoscenti, men che meno i figli di Odino. Voleva starsene da sola, era meglio non incontrare nessuno, aveva paura di come avrebbe reagito. Aveva paura di se stessa. Rumori di passi la costrinsero a voltarsi di scatto, impaurita, sorpresa, preoccupata. Si ritrovò davanti il minore dei figli del Padre degli Dèi.
‹‹Non ti mangio mica››
Anirei abbassò gli occhi, l’anima in tempesta, cercava di regolare il respiro.
Loki la osservò impensierito; si comportava in maniera strana da un paio di giorni, si faceva vedere di rado, viaggiando tesa come la corda di un violino per i corridoi del palazzo.
‹‹Che cosa ti frulla nella testa..? Avanti, dimmelo..››
La bruna lo guardò appena, la consapevolezza di non potergli mentire; optò per la dipartita, l’unico modo per evitare l’argomento, anche se immaginava che non sarebbe finita bene, e si avviò verso la porta più vicina.
Il dio la vide allontanarsi, ma non si diede per vinto, c’era qualcosa che gli nascondeva, e lui non amava non essere messo al corrente, detestava l’idea che esistesse qualcosa o qualcuno potenzialmente fuori dal suo controllo. Decise di prenderle la mano, sentiva la mancanza della sua pelle calda da troppo tempo; ma non appena le sfiorò le dita, quella lo allontanò in malo modo, infastidita.
‹‹Non toccarmi..!››
Si stupirono entrambi della sua reazione; anzi, forse la fanciulla più di lui. Abbassò la testa, sconfortata. Era per quello che non voleva incontrare nessuno, quando si sentiva in quel modo tutti le davano fastidio, e la diffidenza le faceva da padrona. La razionalità non aveva più senso, se non per graffiare e mordere con le parole più cattive e crudeli.
‹‹Stai calma. Voglio solo sapere che cosa ti prende ultimamente..››
Anirei guardò tristemente sconvolta il pavimento, un singhiozzo di panico che le bloccava la gola, impedendole di scusarsi per la reazione esagerata o di rispondergli. Le parole del Dio le tornavano a galla come bolle d’aria in una pentola sul fuoco.
Credi davvero di interessargli più dell’involucro che ti copre l’anima?
Loki si accovacciò, per vederle il viso, le mise le mani sulle braccia, per scuoterla. ‹‹Stai bene..? Mi stai facendo preoccupare..››
Le sue mani fredde la risvegliarono, mentre le parole che sperava invano di non ascoltare le fecero salire lungo l’esofago un conato di repulsione e di paura. Si allontanò di nuovo, di scatto, infilando la porta, desiderando solo di sparire, non voleva ferire nessuno. Il dio questa volta serrò la presa su di lei, bloccandole la fuga.
‹‹Lasciami andare!››
‹‹Non finché non mi dici quello che combini ››
La bruna annullò disperata la sua coscienza, annegando tra le parole malefiche del Dio.
‹‹Smettila, non sono un giocattolo che puoi comandare a tuo piacimento! E poi cos’è che ti disturba tanto, che vada da Thor? Sono una persona anch’io, non prendetevi gioco di me!››
Scoppiò a piangere, non riuscendo più a trattenersi, maledicendosi per le sue debolezze, per le sue insicurezze, ma soprattutto per la sua incapacità di starsene zitta, il dio le prendeva tutte e due le braccia, intimandole di abbassare la voce.
La bruna si sentì braccata come un animale, e si divincolò in tutti modi; quando capì che non c’era via d’uscita, decise disperatamente di imboccare quella più dolorosa.
‹‹Sono solo una scommessa, vero?! Ti importava solo che non finissi nel letto sbagliato, avrei dovuto capirlo prima..››
Ci fu un innaturale silenzio dopo quella frase, rotto solo dai suoi singhiozzi.
‹‹Può darsi›› cominciò lento ma deciso lui. ‹‹Non sopporto l’idea che ti abbia, con quell’arroganza che si ritrova. Non sai come mi si avvelena l’anima quando ti vedo sorridergli, quel sorriso che rivolgi solo a lui, e che desidero cancellare ogni volta..››
‹‹Smettila di confondermi col tuo linguaggio ingannevole, sei meschino!››
Loki si sentì pungere laddove faceva più male, sapere che non si fidava di lui, che lo giudicava esattamente come gli altri; attivò quasi meccanicamente la sua difesa, la sua lingua argentea. ‹‹Sei tu la meschina, con tutte le tue ansie da donna preziosa e viziata; sei tu che fai la gattamorta con mio fra..›› non finì la frase, uno schianto secco aveva offeso violento la sua guancia.
‹‹Sei crudele!›› esclamò lei con la mano ancora tesa nell’atto dello schiaffo.
La guardò, fuori di sé, indiavolato, pieno di rabbia e di dolore: era lei quella crudele!
Si avventò sulle sue labbra rabbioso, volendo spengere qualsiasi altra parola terribile che gli sarebbe arrivata addosso, ferendolo più di quanto non avesse già fatto. Inaspettatamente si trovò costretto a staccarsi, assaporando il suo stesso sangue, un copioso fiume di ferro che gli devastava la bocca. L’aveva morso.
Lo guardò sconfortata, il volto ormai una fontana di pianto e dolore, si rifugiò in camera, chiudendosi dentro e non volendone uscire più. Scivolò lungo la porta, tenendosi la testa tra le mani, tremava, e non sapeva più per cosa. Invocò il Dio, chiedendogli il motivo di quello che stava accadendo, ma non le arrivò nessuna risposta.
Che cosa mi hai fatto?
Pianse, e pianse ancora, chiedendosi che cosa ci fosse di sbagliato in lei, con la triste consapevolezza che in realtà era stata lei stessa a combinare tutto quello. Ogni respiro le bloccava i polmoni, togliendole più aria di quanta ne prendesse.
 
 
                                                                           ***
 
 
Entrò cercando di nascondere il viso scosso dalle lacrime, una cupa macchia sul volto. Non si sarebbe neanche presentata se non fosse stato per l’insistenza del Dio del Tuono, che voleva festeggiare insieme a tutta la squadra e a lei la vincita di una qualche gloriosa sfida; non che le importasse veramente.
Osservò sottecchi il Dio dell’Inganno, che se ne stava dall’altra parte della stanza ignorandola completamente, ma con un’indefinita espressione di rabbia che gli affilava il volto.
Deglutì, evitando di osservarlo, mentre Fandrall provvedeva a prenderlo in giro per il vistoso spacco che gli troneggiava sul labbro inferiore, alludendo a estremi giochi notturni, mentre l’altro non si degnava nemmeno di rispondergli. Dopo un lungo discorso che lei non seguì nemmeno, Thor la fermò, lasciando che gli altri li precedessero. Cercò di nascondere il suo umore, ma con scarso tentativo.
‹‹Che cosa ti succede?›› l’accarezzò con un sorriso mesto il Dio del Tuono. Le parole del Dio rimasero soffocate dalla grande tristezza della bruna, che tutto era fuorché lucida. Mormorò flebile un “niente” poco convinto, afflitta. La scena di quella mattina, la discussione con Loki, non le lasciava la mente, e la faceva sentire in colpa, nonostante restasse fermamente convinta di quello che gli aveva detto, ovvero che di lei gli importava solo l’aspetto, e che era solo una scommessa..
“… che sei molto importante per me”
Anirei rimase un momento stupita, era troppo presa dalle sue riflessioni per prestare attenzione a quello che Thor le stava dicendo; abbassò le pupille stanche, e solo in quel momento realizzò che il dio le teneva entrambe le mani nelle sue. L’attimo dopo l’aveva avvicinata a sé, premuta contro il suo corpo, le labbra di entrambi che si toccavano. Anirei provò a dimenarsi, ma si trovava in una morsa di ferro, e la forza che aveva non le bastava; poteva solo impedire che le separasse le labbra per assaporarla più fondo. Ma il Dio del Tuono non era abituato a farsi frenare, e non si sarebbe accontentato fino a quando non avesse ceduto. E alla fine riuscì a vincerla, come riusciva a vincere tutte le sfide; era caldo, appassionato, desideroso: oggettivamente uno dei migliori baci che avesse mai ricevuto. Si lasciò andare a quell’umido contatto, quel dio era irresistibile, e lei ne aveva abbastanza di resistere a lui, e a tutti o tutto. Se così doveva andare, che dovesse andare, non ne poteva più, già si stupiva che gli occhi non le fossero ancora scoppiati, o che non le si fossero ancora sciolti per tutto quello che erano costretti a versare da tempo immemore. Quando si staccarono, il desiderio del tocco di un altro paio di labbra le dette un brivido di frustrato piacere, che le pizzicava la bocca fastidiosamente, quasi uno sfogo che la raschiava come una lima incandescente.
Thor le dette un bacio a stampo, infervorato. Si sentiva appagato, rinato. Felice. La guardò attentamente, leggendone la completa confusione sul volto; la baciò di nuovo, sperando di fugarle ogni dubbio. Le prese poi la mano, guidandola nella stessa direzione che avevano preso gli altri. Anirei proseguiva con lo sguardo a terra, oramai un’inutile marionetta. Ebbe un profonda scossa quando sentì un’orribile sensazione scavarla a fondo; e aveva ragione, perché due smeraldi rabbiosi e sofferenti sapevano, avevano visto tutto, dall’inizio alla fine, masochisti.
 
 
 
*:Anirei conosce le lingue ufficiali grazie ad un incantesimo di Frigga e Odino, ma non sa leggere –le hanno procurato un istruttore appositamente, affinché impari a farlo.
 
 
 
 
 
 
 
*****
Olé, eccoci qua! 
Se siete arrivati fino a qui, beh, che dire, vi ringrazio moltissimo!
E' un capitolo piuttosto lungo, spero non ve ne dorrete(?), il prossimo sarà normale - spero..
Che dire di questo "Dio"? Spero che non mi ammazzerete, non voglio offendere nessuno alludendo al Dio cattolico, anche perché non è uguale uguale... comunque sì, per il resto beccatevi la mia pazzia versione scritta, spero che vi possa intrattenere:)
Le cose cominciano a farsi più drammatiche da adesso in poi, anche se non credo che potrò fare a meno dell'umorismo di Loki per molto tempo...
Ringrazio ancora chi legge questa ff, mi riempite il cuore di G-gioia, davvero!
Baci, e al prossimo!:*
_Aly95

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** CAPITOLO ***



 
‹‹Cosa ne pensi?››
Anirei si riscosse appena, concordando col dio. ‹‹Sì, sono bravi.. ››
Thor affondò una mano nei capelli morbidi, volgendola verso di sé.
‹‹Ti annoi?››
La bruna scosse piano la testa, appoggiandola poi sulla spalla di lui. ‹‹Sono solo stanca, scusami..››
Il biondo piegò la testa sulla sua. Non riusciva ancora a credere che lei fosse lì con lui, che lo beasse delle sue labbra morbide e carnose; però era strana, triste e afflitta, una malinconia perpetua che le velava gli occhi, spegnendole i sorrisi sul nascere. Ed era anche distratta, non ascoltava pressoché nessuno, da un paio di giorni. Per un momento aveva avuto il sospetto che fosse colpa sua, però poi riflettendo si era detto che abbattuta e demoralizzata lo era anche da prima, e sembrava che nessuno sapesse che cosa le fosse successo, perché evitava l’argomento con ostinazione.
Suo fratello entrò nell’arena, e si mise a parlare con qualche guerriero. Non ci volle molto perché la fanciulla si alzasse, abbandonando il suo posto ‹‹Vado via..››.
Il principe le impedì la fuga, una vaga perplessità che gli appannava gli occhi cristallini; le passò le dita sui lineamenti graziosi, ponderando. Si voltò di nuovo verso Loki, che non dava alcun segno di averli notati. Affondò la lingua nella gota, il naso che si arricciava.
Diresse la direzione delle sue pupille chiare di nuovo su di lei, poi decise di soffocare i loro respiri.
La bruna non chiuse completamente gli occhi, e per un momento le sue iridi cercarono con affanno la figura slanciata del moro, che continuava a dare loro il profilo, concitato nella sua discussione.
Abbassò completamente le palpebre provando a non pensare a niente, il buio era la sua salvezza, i suoi nuovi polmoni che le permettevano di sopravvivere, e fu in quel momento che il dio si volse all’indietro, posando per un istante lo sguardo su di loro. Fece finta di nulla, proseguendo per la sua strada, le unghie che gli scuotevano la carne dei palmi.
Thor si staccò, soddisfatto.
‹‹Figlio››
I due giovani sentirono la pelle accapponarsi, e si inchinarono frettolosamente davanti al Padre degli Dèi che era giunto alle loro spalle.
‹‹Così è questo che fai quando vieni qui, figlio mio››
Il Dio del Tuono si alzò, neanche l’ombra del più remoto imbarazzo, anche se la voce era meno spavalda e arrogante del solito.
‹‹Padre›› decretò il principe ‹‹ho l’onore di ricevere questo reciproco affetto solo da poco tempo; vogliate perdonare la distrazione di un momento››
Odino squadrò la bruna, che si incupì di botto, mentre il viso le sbiancava, freddo. Li guardò entrambi, non lasciava trasparire alcuna particolare emozione, l’espressione di cera, impenetrabile, l’armatura che scintillava alla luce sommessamente diffusa del cielo grigio senza nuvole.
‹‹Ne riparleremo in un altro momento›› e se ne andò al centro dell’arena, dove lo aspettava paziente uno dei suoi migliori comandanti.
‹‹Mia amata›› le sorrise il dio, appoggiando la fronte sulla sua, spiandola con i suoi brillanti ‹‹un giorno diventerai la regina di Asgard, sarai al mio fianco›› . La baciò intensamente prima di andare a prepararsi per il suo allenamento, mentre lei si accasciava lentamente sulla panca; rifiutava semplicemente l’accaduto – Odino che vedendoli si sarebbe fatto strane idee – che non faceva altro che aggiungere confusione nella sua testa.. Non che la sua lingua sembrasse avere voglia di sciogliersi per liberarla dal suo stato di apatia, comunque. Forse doveva semplicemente rassegnarsi, affidarsi alla sua forza di inerzia, forse doveva lasciare che le cose seguissero il loro corso senza che si sforzasse di capirle. Si tenne il mento tra le mani, gli occhi che non vedevano, la mente che vagava per conto suo, senza una meta precisa.
Non so più niente, sono nel caos più totale..
 Una serva si avvicinò senza che lei se ne accorgesse, e le riferì di tutta fretta un messaggio della regina.
 
 
                                                                                 ***
 
 
‹‹Mio Signore, cosa succede?››
Il Dio si massaggiava i polpastrelli dell’anulare e del pollice, pensieroso, mentre sedeva sul suo scranno. Gli eventi stavano prendendo una piega interessante, ma non del tutto sbagliata: sapeva che la fanciulla sarebbe caduta in uno stato disastrato, e che confusa sarebbe andata contro tutti e tutto, non riuscendo a risalire la disperazione in cui l’aveva gettata rivelandole apertamente tutto quello che giaceva doloroso, mostruoso, in fondo alla sua mente amareggiata; non aveva calcolato però l’impresa imprevedibile del figlio di Odino, che era riuscito a piegarla, oramai a pezzi, al suo volere.
‹‹Non dovremmo intervenire?››
Alzò una mano, intimando il silenzio. Sorrise.
Non ce n’era bisogno, quella luce ribelle l’avrebbe tratta fuori, così come rabbiosa l’aveva levata d’impiccio altre volte, persino l’aveva fatta fuggire dal suo destino; c’era altro a cui pensare.
‹‹Terremo d’occhio Odino, mio Signore››
Sì, era un dio molto sveglio, non si sarebbe fatto raggirare facilmente, conosceva la sua ferrea forza di volontà; e conosceva anche la sua incommensurabile voglia di liberarsi del destino che condannava lui e tutti i suoi cari.
‹‹Volete che fomenti il seme del dubbio e dell’insicurezza?››
‹‹No›› sentenziò, deciso. ‹‹Non è ancora il momento, e Odino ha le orecchie aperte da quando ha visto suo figlio amoreggiare e noi riprendere il libro; un passo falso, e non riusciremo mai nel nostro intento››
E poi, voleva vedere quella luce brillare splendente, abbagliante, un’ultima volta, prima di toglierla per sempre, e con l’autorizzazione della proprietaria.
 
 
                                                                                  ***
 
 
Anirei si affacciò nella stanza in cui l’aspettava la regina, i cui capelli biondi erano legati in un’accurata corona di trecce, un buon odore si spargeva per la stanza, ma non era pungente o fastidioso, anzi; quella le sorrise amorevolmente, invitandola a sedersi, una volta lasciate uscire le ancelle. Prese posto davanti a lei, mentre Frigga le pettinava i capelli con una spazzola d’avorio, leggera e delicata, passava sulle lunghe ciocche scure. Le chiese subito come stesse, con gentilezza e tatto; la bruna rispose vaga, non sapendo bene che cosa dire.
‹‹Mio figlio è molto contento, ti ringrazio per aver corrisposto i suoi sentimenti››
Il petto le si sgonfiò, quasi afflosciandosi. A Frigga non sfuggì il gesto, ma non approfondì oltre la questione. Piuttosto, cominciò a raccontare con voce calma, quasi da madre, della sua giovinezza, di episodi che la vedevano ancora piena di dubbi e di paura prima di diventare la donna forte che tutti conoscevano, la moglie di Odino. Anirei non poté fare a meno di ascoltare attenta: era sinceramente colpita, così indipendente e decisa era quello che sognava di diventare lei fin da quando era piccola piccola, da quando le avevano raccontato delle avventure di una famosa guerriera, capace e determinata, bella quanto forte, un’eroina contro le forze del male. Un esempio da seguire, ma tanto lontano quanto più lei giaceva nell’uovo dell’insicurezza. Si lasciò coinvolgere dalle brevi ma intense rievocazioni, piccoli sorrisi che fiorivano nuovamente dopo tanti giorni, come boccioli di rose; ad un certo punto, quando meno se l’aspettava, Frigga le raccolse i capelli e le fece una domanda non molto inerente al discorso appena concluso:
‹‹Hai mai provato l’amore?››
Si grattò inavvertitamente la cicatrice sul dorso della mano. ‹‹Non credo, io.. onestamente ho sempre avuto solo delle infatuazioni, e non è mai andata bene..››
La regina sorrise, continuando a pettinare il manto d’ombra. ‹‹L’amore è un completamento, non una semplice attrazione fisica, è l’inesorabile mancanza che si prova quando quella persona non è vicino a noi››
Anirei prese un respiro, concentrata: una volta le era capitato di credere di essersi davvero innamorata, ma in realtà non si era mai sbagliata così tanto, si trattava solo di una grande cotta. Un po’ si vergognava, ora che ci pensava meglio, per non aver mai provato un sentimento simile in vita sua. La donna si accorse delle sue riflessioni, e si intenerì.
‹‹Tranquilla, è facile scambiare l’amore per l’infatuazione, e molti si accorgono troppo tardi dell’errore madornale; altri invece non avranno l’occasione di conoscerlo, mai. E quando lo si trova, è bene tenerselo stretto, non sempre è facile trovarne uno nuovo››
Anirei sprofondò nella sedia, scommettendo di rientrare nella percentuale di quelli che non l’avrebbero mai conosciuto.
Inesorabile mancanza, eh?
Già, un groppone attorno al cuore la avvisò, in mezzo a tutta la confusione di sentimenti e pensieri, della mancanza di una dolcezza che ultimamente non riceveva.
‹‹Ecco fatto›› gongolò la regina di fronte al suo lavoro, i capelli scuri raccolti in una morbida acconciatura.
 
 
 
Si fermò davanti alla porta del Dio dell’Inganno, ogni sua parte del corpo in attesa, come se aspettasse di udire qualche suono. Che cosa ci faceva, lì?
Loki non si era presentato a nessuna delle serate precedenti, e i tre guerrieri dicevano di non dolersene, perché sicuramente si trovava in buona compagnia, da qualche parte per i sobborghi di Asgard. Entrò guardinga, non sapendo quel che stava facendo, era una pazzia, e lo sapeva. Eppure arrivò ai piedi del talamo, passi leggeri e felpati, e lo osservò, sembrava vuoto.
Vattene.
No, non riusciva a farlo, le sue gambe si rifiutavano di muoversi, l’agitazione le dava i crampi ai polpacci, ma non si spostò di un millimetro. Si voltò verso il balcone, c’era il buio là fuori, nessuna stella a vegliare sui viventi; l’ornamento delle notti era adesso il palpito che sentiva crescere dentro di sé, e che non riusciva a fermare, che non voleva comprendere per la sua remota paura. Si voltò chiudendo gli occhi, chiedendosi se lei avesse un senso, se tutto avesse un senso. Aveva perso la ragione, e la razionalità l’aveva abbandonata da tempo. Tornò infine sui suoi passi, grattandosi per l’ennesima volta la cicatrice, ma non finì di superare il letto, che due braccia forti la afferrarono da dietro, Loki che affondava il viso tra i suoi capelli scuri.
‹‹Anirei..›› un sospiro piano, denso e tiepido, il dio le passava con brivido le labbra sul collo ‹‹che sei venuta a fare qui..? Sei crudele..››
La fanciulla non disse nulla, immobile, anche il cuore era fermo, quasi in ascolto. Un diabolico istinto che le suggeriva oscenità, la carne che sotto le vesti bruciava, chiamava le sue mani, gridava al posto della sua voce.
‹‹E' da quando sei venuta l’altra volta che non riesco ad addormentarmi perché spero invano che tu varchi di nuovo quella porta..››. Serrò molle la presa, le soffiò appena rabbioso nell’orecchio, un getto seducente che dal timpano le risaliva fino al cervello, spazzando via ogni cosa, lasciando solo una tremolante sensazione di delirio. ‹‹Sei cattiva: respingi me ma non Thor, e io mi domando perché, mentre mi strappo il cuore dal petto››. Le tirò appena violento i capelli, costringendola a piegare all’indietro la testa, come se volesse sgozzarla, quasi che fosse il suo nemico in battaglia, rubandole un appagante lamento ‹‹Non prendi seriamente quello che provo per te, diventi la donna di mio fratello sotto i miei occhi, quando è lampante che non lo ricambi; eppure ti sforzi di compiacerlo, come se lo facessi solo per farmi un dispetto..››
Anirei fremette, un altro istinto che confliggeva con quello precedente, che le faceva piegare le gambe, stringere le cosce, le mozzava il respiro con un moto di paura, e disgustosa repulsione.
‹‹Loki.. sei ubriaco.. lasciami››
Le poggiò la bocca sul collo, mostrando cattivo i denti, come un lupo sulla cena, pronto a sfamarsi. ‹‹E' curioso come tu sia venuta fin qui per intimarmi di lasciarti..››
‹‹Non è quello che credi..››
Loki ghignò perfido, tra le tenebre sorde e ovattate della notte, affondando le mani nelle sue vesti, spaziando, toccando imperterrito, mentre lei tremava impaurita e confusa, non riuscendo a dividersi tra quello che le succedeva dentro e i suoi gesti deplorevolmente agognati; il dio si convinse che era arrivato il momento che capisse e accettasse quello che provava per lui: quando la toccava, il suo corpo rispondeva, ne era certo, e ne era la prova il fiato che le usciva di bocca appena affannato, alterato, lo deliziava, lui, si nutriva di ogni sua risposta fisica e verbale; le sue sicurezze avevano tentennato paurosamente ogni volta che l’aveva vista attaccarsi a suo fratello, un veleno letale e tossico che lo consumava di notte e di giorno, costringendolo a dibattersi nel letto, a squarciare le lenzuola, a svuotarsi con tutta la rabbia in corpi che non ricordavano nemmeno lontanamente quello di lei: ma la visita di quella sera aveva fugato ogni dubbio, aveva rotto il suo autocontrollo, come un fiume di atroce desiderio che straripava, distruggeva gli argini.
Ti dimostrerò che ho ragione.
La voltò verso di sé, le mani sui fianchi, i volti vicini come lo erano stati tante volte; chiuse gli occhi per assaporare a pieno il suo respiro accalorato, inebriandosi del profumo della sua chioma e della sua pelle chiara. Una carica pungente simile a quella che li aveva travolti quando si erano toccati la prima volta gli salì rapidamente la colonna vertebrale, fino a esplodergli nella testa, il desiderio di lei, di ogni singola parte del suo corpo, della sua anima, dei suoi occhi quasi neri, della sua bocca rosea e morbida. La spinse con impeto verso la parete più vicina, la mente annebbiata da una smaniosa pazzia. La bruna non lo guardava, non voleva vedere laddove la fiamma più ardeva, non voleva conoscere gli istinti morbosi, le pulsioni bieche, le brame più languide e infide, che vi si celavano dietro; temeva di vederci riflesse le sue stesse rodenti spinte. Doveva resistere a quel puro, ma allo stesso tempo sporco, veleno di desiderio e piacere – non poteva permettersi di fidarsi, di lasciarlo entrare con tutte le sue seducenti spine, permettergli di ferirla a fondo, inevitabilmente. Fitte di adrenalina le scorrevano implacabili sotto la pelle, nelle vene, nelle ossa, graffiandola per farla cedere alle sue lusinghe, ruggendo affinché la prendesse, con quelle sue mani maledette, lisce e forti, e che la uccidesse stringendole il collo per impedirle di soffrire poi, rimorsi perforanti come frustate di acido sulla schiena, perché si sarebbe pentita. Pentita per la sua debole e patetica resa, una volta che lui ne avesse fatto quel che più lo aggradava, abbandonandola al buio doloroso di se stessa, l’anima come cocci aguzzi, di bottiglia¹, su cui il corpo si sarebbe tagliato tra mille grida mute di piaghe sofferenti.
Loki cominciò a baciarle la carne della scollatura, lento, come amava fare, ma questa volta le sue labbra fredde, velenose, lasciavano visibili segni rossi, la pelle arrossata, per la violenza dei gesti: più che baciarla, pareva le stesse iniettando il suo veleno turpe di serpe nelle vene, affinché gli appartenesse per sempre, perché rispondesse solo a lui, perché ne aizzasse la passione e il desiderio. L’argento della sua lingua era rovente, le stampava carezze di fuoco acido, bruciandola. La sentiva tremare, sotto le sue mani, sotto i suoi baci, percepiva il suo tormento, una lenta e morbosa tortura per il corpo fremente al suo tocco sadico. Tornò sul viso,  tenendo stretto tra i denti il suo labbro roseo, apparentemente innocente, trattenendosi a stento dal ferirla veramente, come lei aveva osato fare stoltamente con lui; godeva di ogni suo strozzato gemito, delle palpebre che traballavano leggere, le sopracciglia che contratte parevano volersi unire, abbracciarsi per resistergli con maggiore forza.
Un improvviso e furente desiderio lo fece fremere, passandogli sul volto, accalorandogli la pelle vicino agli zigomi: cancellare via furiosamente l’impronta, il sapore, il tocco di quelle labbra maledette che avevano avuto l’ardire di posarsi su quella bocca perfetta, sua, che lo chiamava con brivido, inconsapevole.
Ancora abbastanza lucido, cominciò a parlarle: ‹‹Tu sei il demone che tormenta la mia anima. Dimmi, chi ti ha mandato per punirmi con questo tremendo supplizio? Chi o cosa ascolti quando guardi lontano: è forse il diavolo che ti suggerisce come torturarmi? Altri torbidi pensieri dilaniavano la mia mente già di per sé travagliata. Non lasci entrare nessuno nel tuo cuore di pietra, a niente permetti di mettervi radici, se non i tuoi pensieri. Scappi, ferisci, graffi per non essere di nessuno e perché nessuno diventi tuo. Perché fuggi, che cosa hai da nascondere? Cosa celi dentro quella tua anima che i tuoi occhi cercano tanto di proteggere?››
Osservò frustrato quel visino teneramente in agonia, terrorizzato dalle sue rudi parole.
‹‹Guardami›› le ordinò accarezzandole le guance sensibili, che si imporporavano lievi, ad ogni suo contatto. Lei obbedì, sapendo di non avere scelta, gli specchi incerti che si aprivano su quelli verdi e penetranti, vivi, assetati. Il dio proseguì, non ancora appagato dalla sua sensuale e delirante punizione.
‹‹Eccoli, per quanto io abbia cercato di domarli, loro tentano ancora di scappare. Cosa, di così fragile e prezioso, volete tenere tutto per voi? Per quanto vi guardi dentro, riuscite sempre a sfuggirmi a un passo dalla meta››
Anirei si fece forza, trovando la voce che aveva smarrito fino a poco prima, le labbra tremanti, il respiro sempre più pesante. ‹‹Parli di pensieri segreti, ma i tuoi sono oscuri, e mi sono, oscuri. Intravedo invidia, frustrazione, odio, tristezza, che ti portano su una strada di dolore e distruzione; i tuoi occhi non fuggono, no, ma con una potente fermezza rivendicano, osservano e aspettano impazienti, subdoli e silenziosi: mi sento incapace, perché non riesco a capirli, perché non riesco a lenire il tuo tormento –ma anzi lo fomento, da quel che mi dici- o anche solo porre una goccia di balsamo sul tuo spirito bollente e martoriato. Mi dispiace di non essere la persona giusta››
Abbassò le ciglia lunghe, troppo confusa e scossa, adesso anche la mandibola vibrava dall’agitazione. Gli mise le mani al petto, provando a sciogliere la stretta, ma Loki intensificò la forza nella presa, impedendole di scappare, le dita che si intrecciavano desiderose attorno alle sue.
‹‹Allora non hai capito›› udì la giovane, col fiato di lui di nuovo sulle guance, mentre cercava di appiattirsi contro il muro, in un ultimo disperato tentativo di sfuggirgli. ‹‹Non posso lasciarti andare, nessun divieto, che sia tu stessa a imporlo, mi farà desistere. Non rinuncerò a te››
Calò su di lei senza lasciarle il tempo di realizzare, si appropriò delle sue labbra, gliele separò, finalmente un tocco caldo e profondo che lo appagasse, mentre anche lei alla fine si scioglieva in lui, le braccia attorno al suo collo, le mani di lui sulla schiena di lei, inarcata per non lasciare alcuno spazio tra i loro corpi; prepotente la risalì, tenendole la testa contro la sua, mentre la violenza e l’impeto del loro umido contatto fece bruciare in un attimo l’aria nei polmoni, ma continuarono, nella convinzione che la carne dell’altro offrisse ossigeno più che sufficiente per prolungare il godimento che li squarciava dentro, stringendo violento i loro organi.
Quando il dio si staccò da lei, Anirei ansimava appena, il volto completamente arrossato, ritirava di tutta fretta le braccia, mentre le labbra di lui la cercavano ancora, avvicinandosi di nuovo, gli occhi chiusi e un respiro profondo che sembrava non riempire mai abbastanza i polmoni; premeva i fianchi di lei, tenendosela ancora più stretta contro il corpo, un pensiero eccitato che lo costringeva a serrare la presa, e abbassare le mani sul retro delle sue cosce, provando ad alzarle verso di lui.
Anirei rimase immobile per un secondo, i pipistrelli scheletrici che ricominciavano a battere da una parte e dall’altra, nella sua testa.
Sei solo un involucro vuoto.
Si staccò smarrita, la mano al pomello della porta, il cuore in gola, lo sguardo sconfortato.
Fece per aprirla, ma Loki appoggiò la mano sull’uscio per impedirle la fuga; poi mise le braccia attorno alle sue, placcandola di nuovo da dietro, lei che non aveva più lacrime da versare, il dio che le baciava i capelli. La strinse ancora più forte, mentre le dita premevano il petto e il collo, cercando un modo per scansare le vesti e toccarle la pelle.
Sussurrò di nuovo, languido, anche la sua voce tradiva un nascosto gemito ‹‹Se soltanto me lo permettessi, non ti lascerei mai..››
Se ti fidi, soffrirai; a lui interessa solo vincere la scommessa.
Era il Dio dell’Inganno, non poteva fidarsi.
Si concentrò con tutte le sue forze, l’impulso di repulsione che incenerì tutto il resto, rimanendo il solo nella sua mente; e riuscì a imboccare la soglia.
‹‹Non farlo mai più›› e uscì prima che il dio potesse impedirglielo di nuovo, gli occhi che le scoppiavano per la tensione, le labbra che urlavano il piacere di un altro velenoso tocco, la carne che inseguiva disperata, con inutile foga, un piacere che non era stato appagato.
 
 
 
 
 
 
 
 
*******
Ooook, sì ho aggiornato prima un monte, ma il capitolo l'avevo già scritto (è corto, infatti) ed era lì che mi guardava sul desktop con gli occhioni dolci dolci, quindi beh... peggio della mi' gatta, mi sono lasciata convincere e l'ho pubblicato ora..
Beh, per il resto... Odino che appare inquietantemente col vizio di fissare la gente e giudicarla in silenzio, Frigga che trama di nascosto con le sue domande (poco) invadenti e improvvise, Anirei che si lascia trascinare nella confusione più totate da una parte e dall'altra, ma che continua a rifiutare Loki.. Clap clap D.D., no davvero, altro che Dio del Destino, te sei nato per fare lo psicologo terapeuta, il criminologo, o qualunque cosa che abbia a che fare con lavaggi del cervello. E Loki... beh, non so cosa dire ahah <3
Mah, vabbè, l'importante è che continuiate a seguirmi, e vi ringrazio per questo!:)
Bisoux à tout le monde, 
_Aly95

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** CAPITOLO ***



 
 
‹‹Dovremmo provare quel nuovo tipo di birra, dicono che è una bomba››
‹‹Per la miseria, Volstagg, dovresti pensare alla nuova mossa di combattimento, non a queste sciocchezze! ››
‹‹Ma se sei tu ad aver cominciato l’argomento.. ››
Anirei non si unì alle risate; preferiva starsene in fondo alla comitiva, una volta tanto –di solito con Thor presente non le era possibile, ma dal momento che non si trovava lì..
Era sempre più spossata e debole. Le pareva quasi che il cielo le pesasse come un coperchio sull’anima gemente, interrandola con i suoi lunghi affanni*, soffocandola ma senza ucciderla, e procurandole una pena sempiterna. Zampettava piano, a capo pressoché chino –quasi il Destino si fosse deciso a domarla veramente -, le mani in grembo.
La notte scorsa si era quasi strappata i capelli, quasi aveva sbattuto ripetutamente la testa contro il muro. E le parole del Dio le riecheggiavano inesorabili nella mente, come scarafaggi che le divoravano a poco a poco il cervello, senza che lei potesse farci niente.
“Ti hanno domata.”
“Non troverai nulla per te qui, non cambierà nulla”
“Sei solo una scommessa, e li deluderai comunque”
“Sei inutile, se non ti pieghi al mio destino; sai solo piangere e dimenarti”
Tutte verità che la laceravano, che trasformavano la sua vita in un incubo da cui non poter uscire; un cappio che le si chiudeva inesorabilmente  attorno al collo, costringendola a diventare il burattino di altri. Lanciare un urlo atroce e inorridito al cielo non avrebbe fermato le pareti che tendevano a schiacciarla sempre più.
Fu improvvisamente tirata di lato, nascosta, spalle a una colonna, agli altri che continuavano imperterriti a camminare.
‹‹Loki.. ›› asserì piano, per niente stupita.
‹‹Vieni qui… ›› le sussurrò con voce seducente avvicinandola verso di sé. Anirei gli diede il profilo, decisa, la mascella contratta.
‹‹Che cosa fai…?›› le domandò malizioso inumidendole il collo.
‹‹Non toccarmi.. ››. Una supplica, più che un ordine.
‹‹Credevo che ieri sera avessimo chiarito… ››. Le mordicchiò un orecchio, facendole accapponare la pelle dal piacere della perdizione.
‹‹Sono solo tue fantasie››
‹‹A me non sembrava che ti dispiacesse››
‹‹Mi hai ingannato››
Con uno spasmo serrò i denti sul lobo, lo deliziò un flebile lamento. ‹‹Perché continui a respingermi, di cosa hai paura? C’è qualcosa che ti turba.. Dimmelo, avanti..›› le portò le mani sui fianchi, anelante un più stretto contatto.
‹‹Sono la donna di Thor››
Il dio la lasciò un momento, guardandola intensamente, mentre anche lei faceva lo stesso, quasi fosse una sfida; eppure non si accorgevano di come e quanto i loro lineamenti si fossero addolciti. Le alzò il mento col dorso dell’indice, poi premette dolce le labbra su di lei, trasmettendole di più con quel contatto gentile e tiepido, che con i baci seducenti della notte precedente.
Ti giocherà... Sai già che ha la sua sposa scritta nel destino.
Anirei si irrigidì, una volta che lui si staccò, punta sul tasto dolente da un’altra valanga di orribili verbi mentali. Si difese di conseguenza, arrabbiata, sparandogli addosso proiettili di crudeli parole.
‹‹Non ti voglio, è così difficile da capire?››
Loki la mollò, frustrato. Perché non voleva dargli ascolto? Perché non voleva dare ascolto a se stessa? Forse c’era un motivo, forse no. Cominciava ad averne davvero abbastanza. Non gli dava nemmeno una sufficiente motivazione per rifiutarlo, tanto più che era evidente come il sole che lo desiderasse quanto lui desiderava lei. Era stanco di correrle dietro, per poi farsi ferire dalle sue lame mortali. Forse era il caso di togliersela dalla testa una volta per tutte. Non lo voleva? Ebbene non lo avrebbe avuto. Doveva farsene una ragione a quel punto.
Anirei ne approfittò per andarsene via, lontana da lui, lontana da chi poteva ferirla a fondo, fatalmente, da colui che poteva scoperchiarle ogni difesa con un solo sguardo, una sola labile parola.
 


 ‹‹Mia adorata›› le toccò un braccio il principe. Si voltò verso di lui, sospirando, trovando rifugio nella sua stretta calorosa. Le alzò il mento, individuando subito i suoi occhi rossi; non le chiese nemmeno che cosa avesse, sapeva che non glielo avrebbe rivelato. Le baciò uno zigomo, poggiando il mento sulla sua testa, cullandola appena. Anirei continuava a non dire niente, troppo impegnata ad ascoltare i segreti verbi che la perforavano dentro, senza sosta. Si sentiva come un rullo compressore che rotolava verso una rovinosa caduta, la sua vita che veniva decisa da altri.
I tre guerrieri si presentarono improvvisamente, facendo arrossire visibilmente la bruna non appena Fandral strizzò l’occhio al principe. Si aggrappò alla sua casacca, volendo solo scomparire. Thor avvertì la sua completa vergogna, e scoccò un’occhiataccia ai tre amici, che con una scusa si allontanarono, per andare a divertirsi alla festa di compleanno del Dio del Tuono.
‹‹Tu vai, non voglio rovinarti tutto››. Al solito.
Aspettò che la fanciulla intrecciasse le dita tra le sua, come aveva fatto lui, poi la guardò negli occhi nocciola, i propri zaffiri brillavano più del cielo di quella sera. ‹‹Io voglio stare con te››
Imboccarono il corridoio che portava alle stanze del dio; purtroppo Anirei si accorse troppo tardi che la strada li induceva a passare irrimediabilmente davanti alla porta del figlio dell’Inganno: riusciva a riconoscere le decorazioni finemente elaborate dell’architrave, e il pavimento ramato. Quando svoltarono l’angolo, andò a sbattere contro la schiena di Thor, che si era fermato bruscamente.
Davanti a loro si levava la figura aggraziata dell’altro figlio di Odino, accompagnato da una donna molto avvenente. La bruna la studiò intimorita e gelosamente curiosa: era più bassa di lei, più aggraziata, aveva gli occhi azzurri, la carnagione ambrata e una folta chioma di boccoli rossastri. Era davvero molto bella. Rideva sfiorando divertita il suo principe con atteggiamenti troppo intimi per poter essere male interpretati.
‹‹Da quando porti il tuo divertimento nelle tue camere?››
Il Dio dell’Inganno ghignò, un luccichio malevolo in fondo agli occhi felini. ‹‹Da quando tu aspetti così tanto per farlo?››
Thor si zittì, perché Anirei aveva strattonato il lembo della sua maglia, quasi sorreggendosi; la portò via con un braccio attorno alle spalle dacché aveva cominciato a fremere, con le gambe molli: Loki non l’aveva neanche guardata, era troppo preso dalla sua bella –probabilmente quella Bessyn – per posare gli occhi su di lei.
   Entrarono in camera. Thor la fece sentire a suo agio, mostrandole l’enorme vano, ogni oggetto a cui era affezionato; le offrì da bere, ma Anirei rifiutò anche l’acqua: non aveva sete, e preferiva punirsi col freddo pungente della sera standosene al balcone a guardare afflitta le stelle che non erano ancora tornate.
‹‹Vieni qui›› la chiamò gentile il dio, facendole spazio tra le gambe, lui sulla sedia.
Gli accarezzò il viso, sorridendo mesta. Gli voleva bene, davvero. Era sempre così gentile con lei, la faceva sentire protetta. Poteva fidarsi. Poteva essere certa di quello che provava per lei, non era un figlio dell’Inganno, non era crudele, scaltro, né le faceva smarrire la mente con i suoi giochetti loschi, che solo una mente con l’acume come la sua poteva architettare.
Il Dio del Tuono la avvicinò, prendendole il viso e baciandola. Al solito non si oppose, non le importava molto, si era abituata, e poi non le dispiacevano così tanto: per lei tutti quei baci erano come quello che lei e Loki si erano dati tanto tempo prima, quella notte, sotto l’albero: baci di casto affetto, nulla di più; almeno per lei. Fremette ripensando all’altro dio, che si stava rotolando tra le coperte con la sua Bessyn. Le fece rabbia. Assecondò Thor in tutti i suoi baci, in tutte le sue carezze, chiudendo gli occhi e immaginandosi quello che il dio non avrebbe gradito. Quando li riaprì, si trovò col vestito mezzo slacciato, e il viso di lui desideroso sul suo. Le sarebbe piaciuto concedersi al fratello di quell’insensibile, ricambiando a pieno i suoi sentimenti, poiché i propri immaginava fossero solo un timido e offuscato riflesso dei suoi. Così pensando lo abbracciò, tirandolo verso sé, baciandolo per la prima volta di sua iniziativa, un’inconscia vendetta che muoveva le sue labbra. Sentì le sue mani sulla vita, intente a levarle l’abito, scivolare all’interno delle sue cosce. Si fermò di improvviso, tornando indietro sulle sue decisioni, ritrovando un barlume di lucidità.
Il figlio di Odino osservò stupito la sua reazione, poi le toccò delicato una guancia.
‹‹Non avere paura, non ti farò del male ››
Abbassò lo sguardo, accorgendosi della sua insana follia. Non era in lei; tutta quella confusione, tutta quella intimità con qualcuno che non le piacesse veramente, non era da lei.
Cosa le aveva fatto quel Dio?
Sembrava aver risvegliato le peggiori parti di lei, che si annidavano silenti come ragni nella sua testa. Si sentiva peggio di una sgualdrina, addirittura; non era meglio di Bessyn.
Stava prendendo in giro tutti quanti, lei stessa in primis.
Il dio si tolse la maglia, restando a petto nudo, mettendogliela dietro la schiena, quasi non volesse farla sentire a disagio; si sentì terribilmente in colpa. Cercò di farsi forza, coraggio; almeno lui sarebbe stato felice. Si piegò di nuovo su di lui, abbandonandosi al suo torpore, alla sua pelle calda, ai suoi baci adrenalinici. Gli passò le mani sul torace ben scolpito, perfetto, come se cercasse qualcosa. Trovò anche da lui delle cicatrici, ma in numero minore rispetto a quelle del fratello: era ovvio, quel Loki era più debole di lui, quindi se la cavava peggio nelle situazioni di emergenza. Istintivamente tastò il braccio del dio, e si sentì trafiggere quando non trovò l’altra metà del segno che li univa. Fu in quel momento che Thor le passò di nuovo le mani sui fianchi, sollevandole le vesti.
No.
Si ritrasse, scendendo dalle sue gambe. ‹‹Mi dispiace, non ce la faccio ›› mormorò con un filo di voce.
Il dio la osservò sconfortato; sperava di farla sua quella notte, per sempre. La vide sinceramente dispiaciuta, che cercava di frenare il tremore tenendosi timidamente le spalle. Sospirò, rassegnato, mettendosi una pugno in bocca per sfogare il suo desiderio con un morso violento: tutto voleva, men che meno costringerla. Doveva essere cauto se non voleva perderla; non era facile come le altre donzelle, che gli saltavano addosso non appena chiudeva la porta, ma era timorosa e piena di dubbi, delicata.
Le porse la sua maglia, vedendo che non le riusciva di riallacciare le vesti – non che riuscisse a lui: lui le levava, mica sapeva come rimetterle. Anirei lo ringraziò titubante, gli occhi imbarazzati. Faceva sempre la figura della stupida, e gli aveva anche rovinato il compleanno.
‹‹Stai bene?›› si assicurò quando raggiunse la porta. La bruna annuì lievemente, biascicò un altro paio di scuse. Il dio la baciò sulla fronte, rassicurandola.
Dopo essersi dati la buonanotte, Thor se ne tornò alla sua festa, mentre Anirei raggiunse la finestra del corridoio che si apriva sui giardini reali. Si mise a sedere lì, mogia mogia, senza alcuna voglia di tornare in camera. Senza alcun desiderio di passare davanti a quella porta da cui avrebbe udito provenire i gemiti del Dio dell’Inganno e della sua bella.
 
 
                                                                                    ***
 
 
All’alba si convinse di tornare nelle sue stanze per dormire un po’. Si svegliò nel tardo pomeriggio.
Se ne stette lì, distesa sul letto, immobile, a guardare il soffitto ma senza vederlo realmente. Le passavano davanti agli occhi le parole del Dio del Destino, succedute poi dalle facce di tutti coloro che aveva deluso: i volti la osservavano silenti, un silenzio più carico di mille terribili parole, che la giudicava, inorridito, vedendo per la prima volta la sua essenza fragile, debole, ribelle.
Sbagliata.
Non le riusciva nemmeno fare la bambola di pezza, il suo istinto –lunatico- ergeva delle barriere razionali a casaccio, scompaginandola ancora di più: non comprendeva assolutamente cosa volesse davvero.
Si accorse che era tornata sera nuovamente, solo quando qualcuno aprì la porta. Si tirò su a sedere, tirandosi un cazzotto nella pancia non appena si trovò di fronte a quella che presupponeva essere Bessyn. La donna le si avvicinò maliziosa, avvicinando il viso al suo.
‹‹Potreste mostrarmi la vostra faccia infuriata?››
Anirei pensò bene di tirarsi un altro cazzotto: non credeva di aver udito bene. Eppure la rossa sembrava veramente in attesa. La invitò a uscire di camera, resistendo all’impulso di prendere a cazzotti lei.
Bessyn corrucciò la fronte, facendo la vittima. ‹‹Vi prego, è importante!››
Anirei perse la pazienza, aprendo da sola la porta e facendole cenno di andare. Quella sorrise tutta contenta.
‹‹Grazie mille. Credo di aver fatto un buon lavoro allora›› cinguettò beffardamente.
 
…Come?
 
Basta, i giochetti di Loki l’avevano stufata. Spalancò di nuovo la porta con un calcio, poi, a passi pesanti, si diresse verso la stanza del principe, dove immaginava si trovasse ancora. Si trattenne dal tirare un altro calcio, preferì piuttosto sbatacchiare la porta con una manata, ignorando il dolore che le provocò.
‹‹Che diavolo..?››
‹‹Tu! Come osi sbattermi in faccia la tua indifferenza? Smettila di tormentarmi; agisci come se non ti importasse di niente: fa male!››
La guardò allibito, prendendo colore, la furia che per poco gli deformava il volto. Le prese il polso, stringendoglielo il più forte possibile . ‹‹La mia indifferenza? La mia?! Ma stiamo scherzando?››.
Le era passata davanti mano nella mano con suo fratello, diretti visibilmente nelle stanze di quest’ultimo!
‹‹Lasciami in pace! E…››
La interruppe subito. ‹‹Sono io che do gli ordini qui! E ti ho già permesso troppo..››
Fermò sul nascere uno schiaffo alquanto prevedibile. Le ringhiò sul volto. ‹‹Vattene da mio fratello, uccello del malaugurio››
‹‹Mai frase più vera uscì dalla tua bocca bugiarda! ››. Se ne andò sbattendo la porta.
Loki si morse le mani: che diavolo era successo? Era riuscito a togliersela dalla testa per qualche ora, e adesso gli tornava in mente facendosi strada a suon di pugni e calci, quasi punendolo per quello che aveva osato fare.
Passeggiò furioso per la strada, tenendosi i capelli. La collera che scorreva impetuosa riscaldava il suo sangue velenoso, i denti premevano gli uni sugli altri rischiando di spezzarsi. Era incredibile, qualunque cosa facesse, quella creatura dannata gli doveva gettare in faccia tutto il suo disprezzo, tutto il suo sdegno.
Le sue stesse parole gli tornarono in mente.
Non rinuncerò a te.
Decise di raggiungerla, quella storia doveva finire, in un modo o nell’altro, quella sera. Arrivò adirato alla porta, trovandosi di fronte Bessyn. ‹‹Levati››
‹‹Mi dispiace mio signore, io…››
Si fermò di scatto, chiudendo le dita affusolate attorno a un suo braccio. ‹‹..Che cosa hai fatto?›› sibilò tagliente, mostrando il volto del Dio dell’Inganno, quello di cui tutti avevano paura.
La donna tremò, di fronte ai suoi occhi cattivi, ridotti a fessure.
‹‹Rispondi!››
‹‹I-Io… voi mi avevate detto ieri sera testuali parole “Imita la fanciulla che vedi” quando era passata col principe, così io..››
Loki era già arrivato alla conclusione prima che lei parlasse. ‹‹Ti avevo detto anche di starle alla larga, se non ricordo male››
‹‹Sì, ma.. ››
‹‹Vattene prima che ordini di farti tagliare qualche parte del corpo››
La mollò, dirigendosi fuori di sé verso le stanze di suo fratello; varcò la porta, per poi sigillarla con un incantesimo. Anirei sobbalzò col cuore in gola, intimorita.
Così stava davvero aspettando Thor..
Non le dette il tempo di dire nulla, la baciò con le sue labbra traboccanti di lussuria, non aspettandosi alcun permesso. La gettò sul letto, mentre il desiderio di lei che non era mai riuscito a sfogare realmente gli invase ogni parte del corpo.
‹‹Cosa fai..? Hai lei, tornaci!..››
Le passò le labbra sulla clavicola, assetato della sua pelle. Era gelosa come una matta, e non le riusciva di ammetterlo; l’eccitazione crebbe assieme al desiderio di possederla.
‹‹Anirei, io chiamavo te, non capisci.. Ho sempre chiamato te..›› commentò languido, con voce roca e graffiante, baciandole con foga il collo.
‹‹…Questo dovrebbe farmi sentire meglio?..›› sussurrò con voce strozzata lei.
Sì, era gelosa, palesemente.
Le tenne entrambi i polsi con una mano, con l’altra le accarezzava i fianchi.. non poteva fermarsi proprio ora, la sua brama ardente gli infiammava l’anima; non ci sarebbe riuscito neanche volendo. Risalì le gambe passando sotto le vesti, fino a toccarle avido la vita.
‹‹Loki.. ›› si divincolò lei a quel punto, con tutte le sue forze ‹‹non qui, ti prego, non qui..››
Il dio fu costretto a utilizzare di nuovo entrambi gli arti per tenerla ferma. Sibilò, furioso.
‹‹Che cosa avete fatto?..››
Ma lei non rispondeva. Quasi come un attacco di panico, sentì il petto riempirglisi di una sensazione opprimente, asfissiante, che gli bloccava il respiro, risvegliava impulsi bestiali, accecando il giudizio. Le infilò le unghie nella carne, ferendola.
‹‹Dimmelo››
Anirei deglutì, atterrita.
‹‹Ci siamo fermati prima..››
Era sincera.
Rilassò i muscoli, assaporando lo scampato pericolo. Guardò di nuovo il suo corpo, coperto dalla maglia di suo fratello. Gliela doveva strappare di dosso.
La trascinò meglio sul letto, la testa di lei ora sui cuscini. Usò entrambe le mani per strapparle via quelle vesti non sue, individuando deluso l’abito mezzo slacciato che ancora osava separarlo dalla sua pelle.
‹‹Fermati.. ti prego..››
Non l’ascoltò, le strappò via anche gli ultimi indumenti. Le baciò il ventre, accarezzandole le gambe, un fremito atroce che gli strizzò morboso e seducente il midollo, facendogli ingoiare un gemito di soddisfazione. Quante volte, tra i suoi torbidi pensieri, aveva fantasticato su quello che avrebbe trovato sotto le sue vesti..
La pelle calda e morbida, che sussultava ad ogni suo tocco, regalandogli il delirante piacere, non l’illusione, di averla finalmente tra le mani, docile, incapace di graffiare; e lei tremava sotto il corpo, lei, di cui si stava per appropriare, di cui tutte le donne, tutti gli esseri, costituivano una copia di menzogna, peggiore ancora di tutte le illusioni più depravate che lo tiranneggiassero, nella sua testa. Alzò il viso su di lei, notando che si stringeva le braccia al petto, per coprire il suo corpo nudo. Gliele tolse via poco gentilmente, sfiorandola poi con la bocca e le dita, frenetiche, incontenibili, spinte di brividi concitati, infervorati, che lo investivano a ondate e lo obbligavano tra i suoi più consenzienti e deplorevoli intenti a spaziare con gli smeraldi freddi su di lei, meravigliosa: non aveva più niente da nascondergli oramai. La baciò più volte, per poi risalire lungo il collo, all’orecchio, ubriaco del suo dolce profumo, dell’odore di rose.
Le aprì le gambe di forza, con un fluido movimento. Sospirò appena.
‹‹Chiamami››
Ma lei si rifiutò, con la testa girata di lato. Premette appena più violento il suo corpo, per indurla ad obbedire. Lei gemette, un brivido di suoni terrorizzati, che nascondeva, ne era certo, la paura di provare il piacere di lui, che sarebbe aumentato ad ogni spinta.
‹‹Loki..››
Una scarica di assoluto godimento gli si diramò lungo la schiena, facendogli scoppiare la testa.
Finalmente era sua.
Corruppe la pelle del petto con la sua lingua rovente, con i suoi baci appassionati e peccaminosi, che la volevano mangiare, la volevano tutta per sé, poi li spostò sul mento, maledicendo la nascita della sua carne maledettamente gustosa, che ad ogni morso gliene faceva prendere un altro, non saziandolo mai. Con lei, si diventava ingordi. Le sfiorò affamato la bocca, resistendo all’impulso di rovinarsela subito, sempre intimandole con la forza di ripetere il suo nome.
Sì, voleva anche la sua voce, così perfetta e vellutata da entrargli dentro, nella spina dorsale, nelle membra. Lei, quel suo modo tenero di chiamare il suo nome come nessun’altro, con un certo tono di esitante incertezza unito a un’inconscia voglia di calmarlo, di confortarlo.
‹‹Chiamami ›› le comandò per l’ennesima volta con un lamento a malapena trattenuto, che gli era uscito di gola come un moto di liberazione, mentre una mano scivolava lenta e inarrestabile verso il basso, lungo il ventre.
‹‹Loki..›› mormorò lei col fiato mozzato.
Godeva nel vedere il suo corpo che rispondeva ad ogni suo tocco, tremando di un frenato, represso, piacere; ma lei era così testarda, non voleva dargli soddisfazione, strozzava qualsiasi risposta sul nascere, evitava addirittura di respirare. Affondò il suo tocco.
Questa volta le soffocò il suo nome sulle labbra, togliendo il respiro ad entrambi, separando con forza la carne delicata e rosea della bocca, un bacio appassionato.
   Non gli bastava, voleva di più; voleva guardare i suoi specchi incantevoli, grazie ai quali poteva gustarsi la sua anima. Era soprattutto quella cui anelava, che la rendeva diversa da tutti gli altri, che gli era penetrata dolce e ingenua nel cuore, a fondo, più subdola del proprietario.
‹‹Guardami››
Lei lo fece, ficcando i suoi occhi pieni di un’amara rabbia nei suoi.
‹‹Non posso›› e si voltò di nuovo, concentrandosi per tenerli ben chiusi.
Provò di tutto, anche scivolarle fin sotto il ventre sfiorandola con le labbra, e anche più di quello. Ma niente fu in grado di permettergli di fissare la sua anima dannata. Si arrabbiò, la ferì, la supplicò, ma lei non gli diede mai ascolto.
Alla fine le baciò rassegnato le palpebre, e si accorse dolorosamente che erano umide.
E a quella consapevolezza ne seguì un’altra.
Che cosa ho fatto..?
Si era lasciato andare ascoltando lo sconsiderato desiderio che lo svegliava di notte, rodendolo nel sonno, costringendolo a soffocarsi nei cuscini morbidi di seta azzurra, e ora aveva rovinato tutto.
Le baciò piano le ferite che le aveva provocato graffiandola, curandole ad ogni tocco col suo seidr. Ma non c’era nulla da fare, anche se le ferite erano scomparse sulla carne, rimanevano indelebili nell’anima, dove sanguinavano maggiormente. Gliele baciò tutte, una per una, dispiacendosi per ogni singolo segno, piccolo o grande che fosse, superficiale o profondo.
Mi dispiace..
Posò le labbra sul viso, sfiorandola delicatamente col naso. Anirei continuava a restare immobile, i muscoli rigidi.
Allungò una mano sul basso ventre, per diminuirle la sofferenza, perché sapeva che lì tutto aveva provato fuorché il suo stesso piacere.
Aveva devastato il suo corpo, violandolo senza pietà alcuna. Le avrebbe fatto meno male se l’avesse buttata su un letto di spilli. L’aveva contaminata con il suo animo sporco, torbido, impuro, oscuro; lei, quella creatura angelicamente feroce, a cui aveva tarpato le ali in una maniera assolutamente crudele, spietata.
Finalmente si scansò, lasciando che si raggomitolasse il più lontano possibile da lui.
Si rivestì, imboccando la porta.
Perdonami, se puoi.
 
 
 
Anirei pianse silenziosamente, il corpo indolenzito, l’anima straziata. Non poteva credere a quello che era successo; fino a poco tempo prima il dio le accarezzava delicatamente le guance, promettendole di aiutarla a superare le sue paure, vegliava su di lei.
Piangeva, e non sapeva bene neanche perché, se lo doveva aspettare d’altronde, l’avevano avvisata.
Tu sei solo una scommessa.
Il Dio aveva ragione; Loki se n’era andato via subito, forse disgustato dal suo comportamento.
Ora capiva, capiva ché voleva mettere più distanza possibile tra loro, sperava in tal modo di evitare che il proprio cuore le sbalzasse via dal petto finendo in mano sua. E non si fidava perché era Loki il figlio dell’Inganno, no, non si fidava perché era lei, Anirei, che non riusciva a farlo, terrorizzata dall’affidare il suo cuore a mani altrui. Già era lacerata per conto suo, non le serviva che qualcun altro le straziasse quel piccolo organo pieno di affetto e di paura. Ciononostante non si era accorta che più rifiutava il suo dio, più si stritolava da sola, con le proprie mani.
Si alzò improvvisamente, decisa. Non essere solo una scommessa, toccava a lei dimostrarlo. Lo avrebbe indotto ad amarla, ora che aveva capito, con tutte le sue forze. Si rivestì velocemente con quello che trovò a portata di mano, l’intenzione di cercarlo.
Che stupida era stata. Gli aveva messo in mano il cuore quella dolce notte sotto il cielo stellato, oramai lontana, senza neanche essersene resa conto.
Corse per il corridoio col cuore in gola, arrancando appena, la fretta che le mangiava i talloni. Lo trovò subito, il suo Loki, appoggiato alla finestra dove si era seduta lei due giorni prima, lo sguardo perso nella direzione dell’alba.
Lo abbracciò da dietro, con tutta la sua forza, non voleva rischiare di lasciarlo scappare via prima che avesse finito di parlare.
‹‹Mi dispiace, mi dispiace.. ›› mormorò appena con le lacrime calde che le scendevano veloci ‹‹ho sbagliato tutto… avevi ragione tu.. non lasciarmi.. ›› neanche lei sapeva quel che diceva, erano tutte frasi lasciate a metà, sconclusionate; d’altronde non aveva la testa per riordinare le idee ed esprimersi meglio di così, tra i singhiozzi.
Lo lasciò, reggendosi  ad un lembo della sua casacca, come una bambina piccola.
Ti prego.
Improvvisamente vide il buio, poi sentì le sue labbra sulle proprie, un bacio dolce, appassionato. Percepì sulla sua stessa pelle un po’ di umido, e non le ci volle molto per capire che Loki le aveva coperto la vista per impedirle di vedere la lacrima che rigava il suo, di viso. Non gli disse niente, sapendo che non avrebbe gradito alcun commento al proposito –per i guerrieri piangere era considerato vile e debole, lo sapeva bene. Quando le fu permesso di mettere a fuoco di nuovo, si buttò su di lui, disperatamente felice, che non l’avesse respinta, la speranza concreta che provasse qualcosa per lei al di fuori del suo aspetto, che l’apprezzasse dentro.
Si baciarono a lungo, dolci, timidi, appassionati, violenti, i loro contatti eloquenti più di mille parole, che cercavano di confortare l’altro, dispiacendosi per i propri peccati: tutto quello che le emozioni suggerivano, dandogli finalmente quel piacere che avevano sempre goduto a metà.
I passi metallici di una guardia reale li costrinsero a dividersi, facendo finta di nulla.
Quando si dileguò, il dio le prese le mani tra le proprie, baciandola sulla fronte.
‹‹Padre ti aspetta, aveva detto di voler parlare con te e Thor››
Anirei fremette, ricordandosi del mondo che continuava a girare imperterrito e insensibile.
Loki la rassicurò, accarezzandole i capelli, toccandole lieve la punta del naso arrossato con un dito. ‹‹Qualunque cosa succeda, troveremo una soluzione››
La bruna annuì, tentando di persuadersi.
 
 
 
Si trovò davanti al portone intarsiato d’oro; sembrava quasi un incontro rituale il loro: lei che aspettava impaurita, in attesa, lui che la fissava minaccioso, di rimando.
Thor era già lì, muoveva freneticamente le dita, in un chiaro segno di disagio. La bruna si accostò, la paura incarnatasi interamente nella sua schiena, che si muoveva circospetta come un’onda pronta a schiantarsi in mille pezzi, il respiro appena affannato. Non sapeva neanche che cosa avrebbe dovuto pensare, provare.
Il dio posò gli occhi su di lei, né felice né arrabbiato; la fissava guardingo, una tensione che si poteva toccare con mano. Forse sospettava?
‹‹Dov’eri ieri sera? Non eri in camera››
Lei fremette come se l’avessero punta a tradimento, senza aspettarselo.
E se avesse provato inutilmente ad aprire la propria porta e si fosse accorto che lei e Loki erano là dentro?
Le andò la saliva di traverso, al pensiero. Rispose una mezza verità ‹‹Ero nelle tue stanze, mi sono addormentata sul tuo letto..››
Questa volta il dio la osservò a lungo, poi abbandonò la sua espressione sull’attenti, decidendo di fidarsi. Anirei spostò amaramente il volto da un’altra parte; sbagliava a fidarsi di lei, della donna dell’Inganno..
Lui le strinse la mano, vedendola pallida. La fanciulla sperò ansiosamente che le porte si aprissero, non riusciva a contenere la colpa che le risaliva la trachea come un conato di vomito, una palla di fuoco indigesta che le devastava l’esofago. Non le piaceva mentire, non a Thor, che mai l’aveva fatto con lei.
Le porte si aprirono. I due giovani entrarono tenendosi per mano, sguardo dritto, serio, verso l’uomo in piedi davanti al trono. Si inchinarono, lasciando il loro contatto di conforto, poi si rizzarono di nuovo, guardando in avanti niente di particolare: dovevano ascoltare il discorso del re senza alzare gli occhi, come se scendesse dall’alto, buono o cattivo che fosse.
Odino parlò.
 
*: lessico e immagini riprese in parte dalla poesia “Spleen” di Baudelaire
 
 
****
Rieccomi qua, con questo capitoletto <3
Vediamo se finalmente questi due la finiranno di tirarsi seggiole e piatti a vicenda, e finalmente si calmeranno un po'; e speriamo anche che da adesso Anirei cominci a sorvolare sulle pippe mentali che il Dio le ha messo in testa..
Cooomunque, sì, stavolta ho citato Baudelaire -se andiamo di questo passo potrete buttare via i libri di testo e studiare letteratura direttamente con la ff ahahah (no, non c'è nulla da ridere, la devo abbozzare, già Baud e Leo si sono rivoltati nella tomba quando l'hanno saputo).
Ringrazio vivamente chi ha letto fin qui, chi mi segue, beta, e la santa che mi ha lasciato una recensione**
Al prossimo capitolo, spero davvero che questo vi sia piaciuto. Buon natale!
Au revoir à tous,
_Aly95

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** CAPITOLO ***



 
Loki la vide entrare nella stanza, muoversi lentamente, rigida, lo sguardo assente, smorta.
Era seduto sul bordo del letto, il capo tra le mani, tradiva l’ansia.
Le fece spazio tra le gambe, lasciandosi accarezzare la testa.
‹‹Cosa ha detto?››
Ci fu un attimo di esitazione, un silenzio che sembrava sbraitargli nelle orecchie assordandolo.
‹‹Non ha approvato la nostra situazione..››
Non sembrava esserne contenta; pareva quasi una condannata a morte, gli occhi vuoti e cupi, la pelle esangue, cerea, tesa. Ma neanche lui era contento; sapeva che c’era dell’altro, qualcosa di inquietante che immaginavano entrambi, da quella mattina. Avevano percepito un silente e grave giudizio, il palazzo che non approvava neanche la loro, di unione, che si abbatteva lentamente su di loro con la stessa disperazione di chi si struscia forte i denti spezzandoseli. La sentì sciogliersi appena, tra le sue mani, abbozzando qualche singhiozzo.
‹‹E' stato orribile.. parlava come una macchina, freddo, distaccato; eppure sembrava urlarci nel cervello, la sua voce rimbombava come mille in una sola…››. Scoppiò a piangere al ricordo della scena, mentre Loki le offriva la spalla, massaggiandole la schiena. Padre sapeva come essere temibile, se lo voleva. Ma non capiva perché avesse preso così seriamente quella faccenda, d’altronde poteva benissimo trattarsi di una ragazzata, mica era detto che Thor e la misteriosa ospite dovessero sposarsi per forza, quante fanciulle aveva frequentato d’altronde il figlio di Odino fino a quel momento? Una parte del suo cuore gli suggerì “troppe”, e il ricordo del Dio del Tuono avvinghiato sulla faccia di lei fu peggio di una coltellata. Scacciò quel doloroso pensiero.
Anirei si sfogò con qualche altro singhiozzo, che la sconvolse come brutali colpi di tosse, poi si calmò. Riprese a parlare ‹‹Ha proibito il matrimonio tra “la diletta” e uno qualsiasi dei suoi figli, perché…›› esitò, contrasse le sopracciglia, guardando il pavimento ‹‹.. nelle mie vene non scorre sangue Æsir››
Loki si accigliò, alzò un sopracciglio, scettico. ‹‹Odino non è mai stato di così.. strette vedute..››
Forse Padre aveva esagerato per far mettere loro la testa a posto, non poteva veramente credere che stesse dicendo sul serio; che il suo futuro non la prevedesse al suo fianco. Prima Thor, adesso Odino. Sembrava proprio che il destino si fosse intestardito per non farli stare assieme, che cercasse di erigere muri sempre più alti per dividerli, tenerli separati, il più lontano possibile. Per un attimo, si presentò nuovamente quel brivido sinistro che aveva provato poche ore prima.
E' forse il fato che ci condanna? Le Norne che tirano i fili e ci maledicono?
‹‹Loki.. ti rendi conto di quello che voglia dire?››
Si concentrò su di lei, la confortò con un piccolo sorriso, le accarezzò i lineamenti del viso. ‹‹Quando sarò re, toglierò questo divieto, e non dovremo nasconderci››
Ma lei non se ne convinse, gli gettò uno sguardo sconfortato. ‹‹Cosa ti fa pensare che mi vorrai ancora, che tutto questo valga la pena?››
Loki la studiò negli specchi nocciola, spaziandoci dentro finché la proprietaria glielo permise. Sapeva che la preoccupazione non derivava dal desiderio di diventare regina –anzi, probabilmente dinanzi ad una scelta avrebbe lasciato più che volentieri il posto a qualcun altro- ma dalla paura di affezionarsi troppo a quello che stava nascendo, profondo, tra di loro, per poi rimanerne ferita. La stessa paura che le leggeva negli occhi ogni volta che la baciava, che le avrebbe volentieri cancellato via con una sfregata energica di spugna.
‹‹Ti devi fidare del tuo cuore››
E di me, ma tu questo lo fai già.       
Già, perché lei grottescamente si fidava del Dio dell’Inganno e non di se stessa.
‹‹Ci proverò›› decretò lei, decisa, asciugandosi le lacrime con le dita. Si scostò appena, pronta a raggiungere la porta. Il dio la fermò.
‹‹Devo parlare con Thor, non mi ha rivolto la parola quando siamo usciti.. e poi, glielo devo dire, lo sai››
La trattenne egoisticamente, sorridendo malizioso, con i suoi occhi supplichevoli. ‹‹Non sei costretta, e poi c’è tempo..››
‹‹Appena arriverà in camera..››
‹‹Ho già detto ai servi di ripulire tutto, comprese le tue e le mie stanze, per non destare sospetti..››
La bruna sospirò, sorridendogli di riflesso, teneramente. ‹‹Lasciami andare, Loki, vado e torno..››
Ma lui la strinse, appoggiando la testa sulla sua pancia, baciandole il ventre, ancora vivamente pentito, sofferente, per la notte precedente.
‹‹Mi dispiace›› le disse passandoci sopra una mano illuminata di verde, portandole sollievo.
Ad Anirei brillarono gli occhi, si commosse; il Dio dell’Inganno non si scusava mai, anche quando era nel torto marcio. Si abbandonò alle sue carezze, non desiderando nient’altro.
Loki le tolse le vesti piano, cauto, per non rischiare di farle del male. Le passò delicato le mani sul corpo, con gli occhi chiusi, mentre lei gli sfiorava il volto, ancora un po’ incerta, ancora un po’ impensierita. La rassicurò premendo le labbra sui suoi zigomi, fino a che lei non gli strinse lieve e timida le ginocchia ai fianchi, teneramente pronta, lui le accarezzava le cosce, confortandola.
Spensero i gemiti l’uno dell’altro baciandosi a vicenda più volte, dolci, appassionati, sinceri. Si guardavano intensamente, chiudendo gli occhi quando un fremito li coglieva più sentito e vivo, raggiungendo il picco dei sensi. Mischiarono i loro respiri caldi, abbandonandosi nell’altro con tutta l’anima. Loki cercava di frenare i propri brividi impetuosi, che gli travolgevano la schiena alzandogli la pelle come una cresta; doveva trattenersi, per lei, almeno in un piccolo tentativo di redenzione. Scivolò giù, sperando con tutte le forze che lei lo chiamasse, già gli mancava la sua voce vellutata..
Chiamami..
Ma non glielo avrebbe comandato mai più; si puniva in questo modo, non costringendola a fare niente di cui non si sentisse profondamente sicura, anche se lui lo desiderava da matti. Era il minimo dopo averla strizzata come uno straccio per i suoi morbosi e frivoli capricci, trattandola alla stregua di tutte le altre, come se non gli importasse niente di lei, come se non fosse speciale.
Chiamami..
La sfiorò più volte con le dita, con le labbra, godendo delle sue risposte, del suo piacere, che non facevano altro che aumentare il suo; purtroppo però cresceva pericolosamente anche la sua voluttuosa eccitazione, che l’avrebbe portato alla perdita del controllo, ricominciando a non ascoltarla, in preda a violenti fremiti. D’altra parte era squisita come una bevanda dolce, come nettare di ambrosia, ne diventava sempre più irrimediabilmente dipendente, era difficile dominarsi.
Chiamami..
‹‹Loki..››
Si fermò un momento, esitante; lei l’aveva sentito, o lo stava chiamando spontaneamente? Si morse un labbro, reprimendo la dubbiosa esaltazione, affondando il viso nel suo petto, lasciandosi accarezzare dalle sue mani morbide. Provò un’altra volta, quando le toccò la pelle con le labbra, pensando con tutte le sue forze. E lei gli rispose.
La raggiunse di nuovo sul viso, le ciglia di lei che lo pizzicavano lievi; le baciò le labbra morbide, accoglienti, tentando di nuovo.
Loki..
L’estasi che lo travolse non era propriamente carnale, questa volta, ma non per questo meno potente e appagante. Se fino a poco prima le sue orecchie vibravano di un gustoso piacere, ora il brivido gli era partito dalla testa diramandosi in tutto il corpo come se gli avessero spalmato un balsamo sull’anima bruciata, bollente.
Sorrise, mordendole amabilmente la bocca, avendo finalmente compreso la situazione.
Non gli era mai successo. Non credeva si potesse arrivare a tanto: talmente uniti, persino solamente attraverso i loro gesti dolci, che anche le loro anime potevano toccarsi; il bacio di uno metteva in contatto lo spirito dell’altro.
Premette di nuovo le labbra sulla sua pelle.
Anirei..
Loki..
Non c’erano dubbi.
 
 

Ci volle ancora un po’ perché si staccassero. Alla fine Anirei appoggiò sfinita la testa sul torace di lui, mentre il suo dio le passava le dita affusolate tra i capelli scuri. Si sentiva in pace, non desiderava altro. Provò a fare affettuosa delle basse fusa, come il suo drago o il suo piccolo Nidhogg facevano sempre quando le stavano accanto, tranquilli e soddisfatti.
‹‹Tu sei davvero un animale mancato››
La bruna preferì stare zitta – “Forse era per quello che gli piaceva” -, perché non voleva rovinare il momento. Gli appoggiò il mento sul petto, guardandolo con i suoi occhi da cerbiatto.
‹‹Sei mai stato così dolce?››
Loki la guardò, nascondendo una smorfia. Alla fine optò per la verità. ‹‹La prima volta››
Anirei lo osservò curiosa. ‹‹Ti piaceva?››
Il dio sbuffò appena, sapendo che non avrebbe demorso fino a quando non le avesse dato una risposta soddisfacente. ‹‹Sì, era più grande. Ma alla fine scelse Thor, che dopo poco tempo la lasciò; non l’ho più voluta rivedere››
La bruna poggiò di nuovo la guancia sulla pelle di lui, pensierosa. Chissà come doveva aver sofferto…
‹‹Sei gelosa?››. Giocherellò con una ciocca dei suoi capelli.
‹‹Non sarei sincera se ti dicessi di no.. più che altro mi chiedevo.. che cosa ti piacesse di lei››
‹‹Ero un ragazzino sprovveduto e ingenuo, mi fermavo solo all’illusione, all’apparenza››
E alla fine ci sono rimasto intrappolato dentro.
Anirei non commentò, e gliene fu grato. Non gli piaceva rievocare il passato, e non voleva certo che lei se ne macchiasse, anche solo venendone a conoscenza; o forse aveva semplicemente paura che scappasse via, disgustata da lui, se l’avesse messa al corrente di tutta la sua marcia oscurità. Cambiò discorso. ‹‹Ti è piaciuto?››
La vide nascondersi appena, borbottando qualcosa di incomprensibile.
‹‹Sei incredibile. Non dirmi che ti imbarazza questa semplice domanda dopo tutto quello che..››
Anirei gli mise svelta una mano sulla bocca, arrossendo visibilmente. Lo guardò appena imbronciata. ‹‹Le prime volte sì.. tu ci sarai anche abituato, ma io non molto..››
Le baciò la mano che gli toccava le labbra, carezzandone la cicatrice sul dorso, sorridendo di quella creaturina unica, sbadatamente sveglia, dolcemente feroce e sensuale, paurosamente fiera. Sua.
‹‹No, non ci sono abituato››
‹‹Mah, vado a chiedere a Bessyn, chissà cosa non si inventava, o cosa le chiedevi..››
Le levò  il mento verso di sé, mentre lei lo guardava all’insù con le sue pupille castane scuro. ‹‹Una tua carezza, mi regala più piacere di un servizio fatto bene –o quasi..›› concluse cercando di evitare una manata sulla fronte.
In un certo senso, era vero; bastava che lei lo toccasse perché lui avesse problemi a controllarsi, lo tiranneggiavano tutta una serie di brividi di piacere, che gli tagliavano la pelle, che gli si infilavano sotto la carne, crudelmente inarrestabili. Per non parlare di quello che era successo, di così strano e singolare; per lei era stato naturale come per lui usare un incantesimo di illusione.
Provò a spiegarglielo, ridendo della sua faccia stralunata.
‹‹Direi che Bessyn ha tutto da invidiare››
La bruna lo studiò meditabonda, poi gli si mise a sedere sulla pancia, poggiandogli un dito intimidatorio sullo sterno. ‹‹Non voglio che tu ti trattenga. Voglio vedere la tua vera natura, tutto quello fai di solito o ti va di fare –evita di ammazzarmi o ferirmi magari; non nasconderti da me, non mi impressionerò facilmente››
Loki le mise una mano sul ventre, alzando gli occhi al cielo; pensava ancora alla rossa, non sembrava farsene una ragione, per lei era una sfida di principio, era gelosa.
‹‹Hai ancora il corpo intorpidito..››
‹‹Sto bene, non c’è bisogno di farmi provare altro sollievo›› gli prese la mano portandosela alla guancia, ringraziandolo sincera per le sue cure; d’altronde, per tutto il tempo si era preoccupato di formularle l’incantesimo passando spesso sul ventre, e lei adesso stava benissimo. Ma non desistette dalle sue intenzioni.
Quando si accorse che lui continuava ad essere restìo, gli poggiò le labbra sul petto, scendendo verso il basso. Al dio ci volle un po’ prima di rendersi conto, poi si schiacciò le mani sul viso, soffocando l’estasi.
Dio, se sapeva essere convincente.


 

Bussarono alla porta. ‹‹Mia signora, le ho portato il pranzo, non si è fatta vedere..››
Loki la bloccò sul materasso, baciandole il collo ancora pieno di desiderio. ‹‹Tu non ti muovi di qui..››
Lei gli tirò un buffetto maliziosa, poi lo allontanò ridacchiando, mettendogli le ginocchia al petto.
‹‹Vado io.. tu stai ferma››
‹‹Sì, almeno se ti vedono fare capolino dalla mia stanza stai sicuro che finiamo con le teste su una picca – anche se tu non fossi mezzo nudo e stessimo giocando innocentemente a carte››
Lo scansò, e andò ad aprire la porta, coprendosi col lenzuolo, e sperando di passare per malata.
‹‹Mia signora, non state bene..? La regina ha creduto che vi servisse un po’ più di cibo..››
Anirei la ringraziò, portò dentro un vassoio colmo zeppo di frutta fresca e vari cibi, tutti leggeri. Loki andò ad aiutarla, poi si misero a pranzare, tra uno scherzo e una carezza, mentre Anirei lo allontanava con una gamba per finire la sua ciocca d’uva. Lui le mise una fragola in bocca, e non si curò del suo borbottio che interpretò come “A me non piace, riprenditela”. Le finì l’uva sotto il naso; poi le prese il frutto rosso con le labbra, sfiorando le sue, appetitose più di qualsiasi leccornia. Si abbracciarono, e il dio la riportò di peso sul letto.
‹‹Loki, non ci siamo fatti vedere per tutta la mattina, forse è il caso di farsi vivi…››
Il principe mugolò, pieno di disappunto. ‹‹Ma non avevamo finito..››
‹‹Sì, direi che abbiamo finito… e poi non vorrei rischiare di rimanere incinta›› sul suo sguardo passò un’ombra angustiata. ‹‹Dobbiamo stare attenti, lo sai..››
Loki sospirò, deluso, ma sapeva che aveva ragione.
La bruna gli passò una mano delicata sul viso. ‹‹Non che non voglia un figlio tuo, ma… il divieto di tuo padre.. e poi adesso non mi va…››
‹‹No, no›› si tirò su lui, mettendosi a sedere, guardando da un’altra parte ‹‹Io nemmeno ne voglio››. Figurarsi, dopo il figlio mostruoso che gli era venuto fuori molto tempo prima, non voleva rischiare di creare un altro obbrobrio; e poi di dare a lei un orrore del genere…rabbrividì. E comunque non gli sarebbe piaciuto dare alla creatura un padre terribile, guasto, con un’anima imputridita, di cui vergognarsi. No, proprio non era il caso.
Anirei poteva solo tirare a indovinare i suoi pensieri, e cercò di confortarlo abbracciandogli la schiena. Lui prese un profondo respiro, baciandole le mani che gli accarezzavano il petto.
‹‹Adesso cosa farai?››
La sentì sospirare appena contro la schiena, le labbra che si gonfiavano preoccupate. ‹‹Vado da Thor, non posso convivere con questo peso sul cuore, mi divora lo stomaco››
Annuì. ‹‹Stai attenta, perché sa essere molto persuasivo, e non so se si fermerà all’occorrenza..››
‹‹Mi fido, mi vuole bene: si fermerà››. Quelle parole le spedivano in bocca chiodi avvelenati, ricacciavano indietro nello stomaco la sensazione di liberazione, inchiodandocela brutalmente.
‹‹Non mi preoccupa molto lui… Pensavo a te. Lo hai sempre voluto compiacere..››. Ripensò a tutto l’amoreggiare infernale, patetico, cui aveva assistito fino al giorno prima: probabilmente, suo fratello aveva fatto in modo che non se ne perdesse uno, e ogni volta che aveva visto la sua amata sciogliersi nelle braccia di lui, tutt’altro che convinta, ancora confusa, si era sentito morire dentro, il suo stesso veleno che gli creava problemi, intossicandogli il fegato.
La fanciulla lo strinse forte. Sapeva di provare una leggera infatuazione per il Dio del Tuono, ma non avrebbe più ceduto, non più ora che aveva compreso finalmente i suoi sentimenti.


 
                                                                                  ***


 
‹‹Thor..? Sei qui…?›› bussò piano.
Non le rispose nessuno. Entrò comunque.
Lo trovò mezzo disteso sul letto, ad occhi chiusi. Lo raggiunse, titubante, facendo piano.
‹‹Perché sei entrata?››
Si sedette sul bordo del letto, guardandosi le mani. ‹‹Volevo vedere come stavi››
Il Dio del Tuono continuò nel suo ostinato silenzio, privandola della vista dei suoi specchi azzurri.
Anirei non disse nulla, rimase lì, a grattarsi le dita con foga, il cuore gonfio di colpa e sofferenza che batteva senza sosta, togliendole il respiro. Le mancava l’aria già dopo due minuti.
Non seppe quanto tempo trascorsero immersi in quel completo silenzio, ma era certa che non sarebbe riuscita a guardarlo nei suoi occhi belli e sinceri, sempre splendenti, quando sarebbe arrivato il momento.
Si sbucciò le unghie, dall’ansia. Poi Thor si mise a sedere accanto a lei, non osando guardarla.
‹‹Non credevo avrebbe reagito in questo modo..››
Passò dell’altro silenzio, teso e imbarazzante, spostò infine gli occhi su di lei.
‹‹Non posso credere di non poterti più toccare..››
Ad Anirei parve che gli fosse cascata addosso una valanga di massi appesantiti; peccato che non fosse successo davvero, perché Thor la prese improvvisamente, baciandola appassionatamente, senza che lei se ne fosse potuta accorgere.
Riprese aria, tra un bacio e l’altro. ‹‹No, Thor, non possiamo..››
‹‹E' un’ingiustizia, io ti…››
Fu lei a baciarlo, questa volta, sperando di tappargli la bocca; se si fosse dichiarato sarebbe stato peggio. Un disastro che l’avrebbe lacerata ancora di più.
Il dio era caldo, accogliente; sentiva il suo respiro sulla pelle, che le provocava immancabilmente brividi di adrenalina. Cercò di staccarsi invano, allontanandosi col busto, ma lui la stringeva in una morsa di ferro, impedendole di scappare. Cominciò a tremare, non sapendo come fare a fermarlo, perché aveva sperato che non si sarebbe spinto a tanto.
Lui le baciò il petto, con le mani cercava come toglierle il vestito.
“Non lo saprà nessuno..”
Una voce suadente, che non proveniva da Thor, ma che era familiare, e se soltanto non fosse stata sicura delle sue nuove certezze, avrebbe creduto fosse la propria. Ma non la voleva ascoltare in ogni caso, qualunque fosse stata la verità, anzi, bloccando i singhiozzi, impaurita, pensava al suo dio, desiderando solo i suoi smeraldi, le sue mani, la sua bocca, la sua anima.
Voglio stare con te.
E trovò la forza. La forza di farsi rispettare, stanca di farsi trascinare dai capricci degli altri. Gli sollevò il viso sul suo, fermando la sua frenesia.
Fu lapida, la voce fattasi fermezza. ‹‹No››
Thor si immobilizzò, la parola che lo trapassava dalla testa ai piedi, cruda.
Appoggiò afflitto la fronte sulla sua pancia, mentre lei gli accarezzava teneramente i capelli come una madre.
‹‹Dimmi solo che mio fratello non c’entra niente.. ››
Non voleva mentirgli, ma non voleva neanche ferirlo più di così. Eluse con una domanda.
‹‹Che cosa dici..?››
Le strinse le mani sulla vita, senza guardarla. ‹‹No, lascia perdere..››
La bruna prese un respiro, anche se non era pronta, glielo doveva dire. ‹‹Thor, io.. mi spiace, ero confusa, ma.. non condivido i tuoi sentimenti. Sono orribile, io ti ho..››
Il dio la fermò ‹‹Non dire più niente, non rendere tutto più difficile››
Anirei si zittì, non sapendo cosa fare. Il principe non sembrava volerla lasciare. ‹‹…vuoi che rimanga qui con te..?››
Ci mise un po’ a rispondere alla sua voce morbida; come poteva staccarsene? Sarebbe voluto stare con lei, bearsi delle sue risate gentili come suoni di campanelli argentati, delle sue parole affettuose e calde, come la sua pelle. Onestamente, aveva sperato che nella sua confusione avrebbe trovato dell’affetto che andasse al di là della pura e semplice amicizia, quegli occhi spesso schivi, il volto che si allontanava quel poco che bastava perché un proprio bacio non le sfiorasse le labbra.. Nonostante queste frustranti consapevolezze si era ostinato a volerla, quanto più percepiva il fratello mosso dal suo stesso desiderio.
Scosse la testa.
Anirei si liberò, indecisa se fargli un’ultima carezza; le piangeva il cuore vederlo così sofferente, lo avrebbe voluto abbracciare, piangere insieme a lui, dirgli che lo ricambiava, ma non era possibile: gli voleva bene, ma non abbastanza. Non c’era lo stesso brivido, la stessa dolcezza a volte perversa che la legava al suo dio. Non c’era quella stessa sensazione speciale. Decise che era meglio non toccarlo, perché forse gli avrebbe fatto più male; e scivolò fuori dalla stanza, diretta dal suo Loki.


 
 
Gli si buttò addosso, stringendolo a sé con tutto il cuore, ancora più consapevole di quello che provava per lui. Loki le sollevò il volto tenero, pronto ad indagare.
‹‹Vi siete baciati?››
Anirei abbassò le palpebre, per un attimo inquieta per la sua reazione. ‹‹Sì, ma..››
‹‹Ti è piaciuto?››
Rimase per un attimo sconcertata dalla domanda del dio. Lo guardò negli occhi, e vi vide una scintilla di sofferente gelosia. La sua bocca carnosa sbocciò in un lieve sorriso. ‹‹Sì, non è stato male.. ma io pensavo a te››
Loki l’abbracciò, rilassandosi per le sue parole sincere, baciando quella testa bruna che faceva buffamente capolino tra le sue braccia. ‹‹Lo so, è difficile resistergli››
Stettero così, per un po’, lasciando che le punte dei loro nasi si toccassero. Ognuno era assorto nei propri sentimenti.
Si infilarono sotto le coperte, lunghi, distesi, aspettando di addormentarsi insieme.
Anirei nascondeva il viso nell’incavo del suo collo, lui l’abbracciava dolcemente, senza che si dicessero niente. Il suo cuore tremava di gioia e conforto, lì, sentitosi protetto; e finalmente riuscirono a riposare bene, tranquilli e felici, dopo tanto, troppo, tempo. Loki le teneva stretta la mano con la metà della loro cicatrice, per loro quello era diventato inconsciamente il simbolo di tutto quello che provavano, della loro unione, che li rendeva speciali l’uno per l’altro, che non li faceva sentire più soli.


 
                                                                                  ***


 
‹‹Blasfemia! Abominio!››
L’intero palazzo tremava assieme al suo padrone. Ma non era lui a parlare. Non aveva mai bisogno di parlare tra i suoi servitori, o tra i suoi messaggeri, loro avevano la facoltà di pendere, leggere i suoi pensieri, eseguire gli ordini senza che gli venissero richiesti. Se poi usava le parole, era solo per il gusto di farlo, o per marcare chiaramente un concetto. Era immobile, in silenzio, lo sguardo perso nel vuoto, mentre intorno a lui le Intelligenze davano in escandescenze al posto suo. E tutto tremava. Anche il mondo, l’universo forse. Chi poteva dirlo in tutta quella confusione?
Gabriel se ne stava al suo posto, nella terza cerchia, mentre percepiva il suo elemento l’acqua¹, che tremava impercettibilmente sparsa in ogni dove, ovunque si trovasse, assieme al suo Signore. Spostò lo sguardo intorno, trovando i suoi colleghi nella sua stessa identica situazione. Lontano da lui, vicino al Dio, i Serafini e i Cherubini intonavano canti di maledizione verso la luce diletta agli dèi. Nomignolo tutto da discutere, dal momento che per il suo Signore non era per niente così.
Fermò i pensieri, poi incrociò gli occhi intensi di Sachiel. Un accenno, e lasciarono la sala, dirigendosi ai loro cavalli.
‹‹Il palazzo non tremava da millenni›› si stiracchiò passandosi un mano sotto la nuca, tra i capelli mori.
‹‹Quella donna l’ha fatto proprio infuriare›› concordò l’amico biondo accarezzando l’animale su cui si trovava.
Gabriel lo osservò meditabondo, poi si morse un labbro. ‹‹Secondo te sta davvero cambiando quello che Lui ha scritto?››
Sachiel gli restituì lo sguardo, i lineamenti belli e aggraziati, vagamente femminei. ‹‹Non credo si debba essere un cherubino per capirlo. Lui è molto preoccupato, le Norne lo hanno già avvisato, i fili si stanno strappando››
Gabriel abbassò le palpebre, si concentrò sulla criniera nera davanti a lui. ‹‹Non ti chiedi mai se sia giusto quello che facciamo? Se si amano, non vedo perché..››
‹‹Stai attento a quel che dici, Gabriel, il passo dal tradimento a una semplice domanda è breve, e noi siamo testimoni di quel che è stato. Rammenta quel che fu all’alba dei tempi››
Sospirò. Certo che rammentava. Tantissimi compagni persi in meno di un secondo; il primo dei due tradimenti che turbava l’animo del suo Signore.
‹‹Beh›› percepì scherzare sommessamente l’altro ‹‹Puoi comunque lamentarti delle Dominazioni, il compito di preservare l’universo è loro, ma alla fine tocca a noi farci il culo piatto››
Gabriel rise amaramente, mentre le bestie si incamminavano verso Asgard.
 


*: Dunque, Gabriel e Sachiel sono due arcangeli (almeno il primo è sicuro); l’elemento di Gabriel è l’acqua, Sachiel (dovrebbe rappresentare) la volontà di Dio e il benessere, la ricchezza. Nella mia storia, non hanno le ali, non sono gli “angeli classici”: sono dèi, cavalieri e quant’altro che hanno rinunciato spontaneamente alla loro autonomia per seguire l’uomo in cui credono.
Comunque tranquilli, ve ne parlo meglio nell’angolo dell’autrice.
 
 
 


****
Dunque, ta-DAN! La mia pazzia è incontenibile, mo' ho tirato in ballo anche gli arcangeli (lapidatemi pure, sono pronta*in realtà alza la bandierina bianca e si scusa). A parte gli scherzi, ho voluto dare un po' più di spessore alla "corte" di D.D., e se avete fatto attenzione, Gabriel e Sachiel sono proprio quei due che hanno incontrato la nostra protagonista. Lasciate perdere Cherubini e compagnia, li ho inseriti solo perché costituiscono alcune schiere di angeli che stanno vicino a Dio, mi piaceva l'idea di citarli per "forbire" l'ambiente (sì, parlo a casaccio, quelle pietre è il caso me le tiriate); per il resto, vedremo se la narrazione mi consentirà di approfondire, ma comunque i misteri si scioglieranno (spero poi di dare spiegazioni corrette e sufficienti).
Mi è stato detto che questa è una gabbia di matti, dove la gente si fa del male, in particolare quei due testoni dei protagonisti (e perdonatemi, ma spero che continuerete a seguire la ff), soprattutto dal momento che almeno in questo capitolo sembrerebbe comincino finalmente a godersi una (momentanea) pace, anche se il mondo (D.D in particolar modo) non sono proprio dalla loro parte...
Se avete domande per ora chiedete pure, che quando arrivo nel cantuccio non mi ricordo mai nulla di quello che dovevo scrivere in realtà.
Ringrazio sempre la solita gentaccia<3 che mi segue, che legge, che passa, che lascia recensioni, che mette tra i preferiti, tutti dal primo all'ultimo!
Bonne année mes bijoux :*,
_Aly95

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** ..But it fell apart ***


….But it fell apart
 
 
‹‹Thor..››
La ignorò, i gambali che doveva indossare erano di gran lunga più meritevoli della sua attenzione. Purtroppo, i lacci erano troppo fini e intrecciati per permettergli una veloce riuscita, e la pazienza non si trovava proprio tra le sue virtù. Ne scagliò uno dall’altra parte della stanza, come se la violenza riuscisse a convincere il pezzo di armatura a farsi più docile e a convincersi a farsi legare. La fanciulla fece appena un passo indietro al momento dell’impatto col muro, probabilmente aveva paura di fare la stessa fine del gambale. Tornò il silenzio, mentre il Dio del Tuono cercava di trovare una calma che non aveva mai avuto, la collera tipica della sua natura che prendeva inevitabile il sopravvento.
‹‹Volevo dirti una cosa..››
Thor si voltò con astio verso di lei, il volto era un misto di arroganza sprezzante. ‹‹Pupilla della Regina Madre, non c’è proprio niente che tu debba dirmi che abbia una qualche rilevanza da degnare la mia attenzione›› e così facendo imboccò la porta.
Anirei rimase un momento immobile, trafitta dall’espressione tanto distaccata, arrabbiata, che il figlio di Odino mai le aveva rivolto; ma per quanto male le facesse, non doveva demordere per un atteggiamento che, alla realtà dei fatti, si meritava. Mosse passi frettolosi nella sua stessa identica direzione, decisa mentre si sollevava parte delle vesti perché non le intralciassero la marcia ‹‹Ti prego, aspetta..!››
Ma quello non si fermava, e la fanciulla decise di ricorrere alle maniere forti.
‹‹Sei un permaloso e arrogante bambino viziato Dio del Tuono! Ti sto chiedendo di ascoltarmi..››
Thor si impennò all’istante, le lanciò uno sguardo altero e deciso. ‹‹Vedi di portare un po’ di rispetto per Thor, figlio di Odino, Dio del Tuono e protettore di Midgard Anirei, pupilla della Regina Madre.. Alle parole dei bugiardi non tendo il mio orecchio››
Anirei provò a reggere il suo sguardo di sfida, ma alla fine fu costretta a cedere, e starsene in silenzio al suo posto; d’altronde non aveva nessun potere o diritto per parlare in modo così informale al principe. Piegò la testa sconfortata, per fargli capire che aveva inteso.
Lo seguì con lo sguardo mentre si allontanava; Thor non le avrebbe più sorriso, non le avrebbe più fatto trovare quella fiducia in sé che aveva perso da tempo o che forse non aveva mai avuto. Aveva perso la stima di una persona cara, quella che era andata a consolarla una mattina di luce sulla veranda di uno dei tanti corridoi e non l’aveva fatta sentire sola e smarrita in un posto tanto diverso e lontano da casa sua. Le aveva mostrato il palazzo, le aveva illustrato le stelle, le aveva permesso di toccare Níðhögg e rincuorarsi così per un pezzo del cuore– il suo drago bianco- che era rimasto nel suo mondo, oramai praticamente irraggiungibile.
E lei cosa gli aveva dato in cambio? Ferite.
Mi dispiace Thor.
Solo quelle tre parole, per quanto sincere e sentite, poteva dargli adesso. Ma non sarebbero mai bastate, poteva solo aspettare, il tempo, forse, le sarebbe venuto incontro, aiutato dalla bontà genuina tipica del dio. Si voltò verso il cielo nuvoloso, dove ogni lampo le ricordava ciascuna coltellata che gli aveva inflitto, ogni tuono ciascun dolore verbale, che gridava al posto del suo padrone.
 
 
                                                                                                           ***
 
 
‹‹Oggi non è il mio compleanno›› commentò una voce graffiante, con quel tono di sarcasmo perverso che si era ritrovata ad amare.
Anirei alzò la testa, e trovò il suo dio sulla soglia del bagno, che la guardava mordendosi appena la parte inferiore del labbro. Ammiccò appena, levando nella sua direzione una gamba candida e liscia, piccole strisce di schiuma che le coprivano parte della pelle.
‹‹Scusami, avevo bisogno di.. distendere i nervi››
Loki le si avvicinò piano, un sorrisetto malizioso.
‹‹Allora devo ringraziare i tuoi nervi, per questo inaspettato regalo?››
 


‹‹Quanto ti manca?›› sbottò appena spazientito il dio, mentre si asciugava i capelli corvini umidi, con un asciugamano.
‹‹Ti do lo specchio, bella donna, aspetta ancora un altro po’..››
Loki si distese di traverso sul letto, chiuse gli occhi.
Si sentiva bene, anche troppo. Com’era che ancora non era successo nulla? Thor che magari sfondava la porta e reclamava l’oggetto del suo capriccio col martello in mano, Padre che appariva per farlo sentire al solito un poco di buono, il figlio sbagliato, quello di cui vergognarsi nonostante gli avesse sempre obbedito, al contrario del Dio del Tuono, i tre guerrieri che lo deridevano. Dov’erano adesso, tutte quelle persone che lo facevano sentire un’inutile ombra che strisciava come una serpe, di cui tutti avevano paura e disgusto? Al di là di una porta, che stava riuscendo a tenere chiusa grazie a lei. Lei che lo prendeva per mano, che gli sorrideva, che non vedeva quello che vedevano gli altri, chiedeva il suo amore. A lui!
Anirei uscì dal bagno, si risistemava il vestito violaceo che le cadeva morbido sui fianchi. Si diresse verso di lui, issandosi sul letto. Si ritrovarono a osservarsi negli occhi per qualche momento, poi la fanciulla abbassò le palpebre e si chinò sul viso del dio, premendo la bocca sulla sua.
Sorrise, dentro si sé: le labbra del principe non erano più fredde, e nemmeno la pelle. Non capiva come mai, eppure da un po’ di tempo il gelo lo aveva lasciato; la carne era comunque leggermente più fresca del normale, ma si riscaldava subito non appena si abbandonava tra le sue braccia. Che fosse un caso? Le piaceva pensare di no.
Loki scambiò le posizioni, imprigionandola sotto di sé. Ridacchiò, divertita, continuando a baciarlo.
Se sto con te, il mondo non mi fa più paura..
E seguendo il suo stesso pensiero, intrecciò le dita con le sue affusolate.
Strani rumori li costrinsero a staccarsi, e a guardare in direzione della soglia. Anirei scorse un piccolo involucro biancastro incastrato sotto la porta. Lo andò a raccogliere, con un po’ di difficoltà, poi lo aprì, studiandolo curiosa.
Si pietrificò, un lungo brivido freddo di inquietudine le scendeva la colonna vertebrale.
‹‹Cosa c’è?››
Se lo nascose dietro la schiena, accennò un sorriso.
‹‹Uno scherzo..  di.. hai presente la ragazza che ho conosciuto quando andavo ancora all’arena..?››
Loki la guardò scettico, gli stava mentendo palesemente. Si avvicinò, pronto a indagare.
‹‹Aspetta›› lo fermò lei, l’espressione preoccupata, la mano sul suo addome ‹‹sono cose private, non puoi leggerle..››
Prenderle quello che teneva stretto nella mano fu come rubare le caramelle ad un bambino. Lo studiò per bene; su tutto il foglio era stato scritto, con una calligrafia poco comune, le stesse due parole, ripetute per tutta la pagina, senza sosta, in un modo che aveva dell’inquietante.
Tic Tac, Tic Tac, Tic Tac,..*
Ricordavano il ticchettio di un orologio, quindi in teoria simboleggiava lo scorrere del tempo.. Ma per cosa? Guardò la fanciulla, che teneva le palpebre basse, guardando da un’altra parte. Prese un respiro.
‹‹Cosa significa?››
Anirei si morse la lingua, si era ripromessa di non rivelargli nulla dell’incontro col Dio, lo avrebbe mandato su tutte le furie. Però, forse era il caso di farlo, magari l’avrebbe rassicurata su alcune questioni.. e poi non ci teneva a litigare di nuovo con lui come l’ultima volta, quanto a curiosità –e modi per soddisfarla- nessuno lo batteva; non voleva commettere lo stesso errore tenendolo all’oscuro e scatenando un’altra lite. Le parole che premevano da dietro la bocca uscirono in un fiotto, prima ancora che lui provasse a convincerla in qualche maniera, era meglio togliersi il dente prima di farlo innervosire. Loki rimase sconvolto per un po’, prima di riaversi, e rimproverarla come lei si era immaginata.
‹‹Ti avevo detto di stargli lontana! Che cosa hai nella testa?! Non ascolti mai, sei peggio di Thor!››
Fece scomparire il foglio con un incantesimo, poi sospirò; era inutile continuare a sgridarla, oramai il danno era fatto.
‹‹Ascolta..: qualunque cosa ti abbia detto, non devi prenderla in considerazione, sennò fai solo il suo gioco, chiaro?››
La fanciulla ancora non osava guardarlo in viso, si torturava le vesti di seta viola con fare febbricitante. ‹‹Non l’ha detto solo lui, l’ho letto..›› borbottò a bassa voce.
‹‹Non hai idea se quello che hai letto sia il libro vero o solo ciò che lui vuole farti sapere..››
Ma il punto non è quello..
Anirei si diresse triste verso la finestra, ci appoggiò i palmi, gli diede le spalle.
‹‹Sei sicuro che sia la persona giusta per te?.. Non so, mi sento una palla al piede››
Non mi sembra proprio di essere quella che fa al caso tuo.. e vedo come una minaccia qualcuno che non conosco nemmeno, e che forse, nemmeno esiste..
Loki la raggiunse, avvolse le braccia sotto al seno, le baciò una guancia disinvolto.
‹‹Lo sei infatti››
‹‹Oh, grazie, un bel colpo all’autostima..››
La voltò, tra sé e la finestra, un sorriso sibillino, l’indice sulle labbra di lei. ‹‹Una zavorra di cui non è possibile disfarsi da quanto rimane attaccata addosso››
‹‹Un piacere insomma››
Prese una ciocca dei capelli scuri, e cominciò ad arrotolarla attorno all’indice, donando tutta la propria attenzione alla chioma che continuava a scappare dal suo gesto.
‹‹Da ora in poi sarai la mia zavorra personale››
La fanciulla lo squadrò divertita. ‹‹Tutto questo è davvero molto romantico..››
Fece scivolare il dito sul suo viso, seguendone i lineamenti, questa volta gli smeraldi erano concentrati sulla pelle che sfiorava.
‹‹Sai che non mi piace quando mettono in discussione i miei gusti››
La bruna alzò le sopracciglia, fingendosi sorpresa. ‹‹Dopo aver visto il tuo elmo..››
Alzò gli occhi al cielo, chiedendosi quante altre volte avrebbe rovinato le atmosfere più sensuali, sperando che non fossero troppe, poi si appropriò di quella bocca impertinente, sua, così morbida e dolce, la prese di peso e si diresse verso il bagno.
Adesso ti fai perdonare per quello che hai detto..
Agli ordini mio principe..
 
 
                                                                                                          ***
 
 
‹‹Il grande Sachiel che si riduce a mettere un foglietto minatorio sotto una porta..››
Il giovane dai boccoli d’oro gli mollò un pizzicotto sul braccio, poi gli tirò un calcio sugli stinchi.
Gabriel saltellò su un piede, quello con lo stinco ancora buono. ‹‹Scusami… certo che sei violento..››
Quello lo ignorò. ‹‹Piuttosto, sei già stato da Odino?››
Fece un cenno di diniego, si stiracchiò la schiena. Davanti all’espressione eloquente dell’amico indicò un punto verso la fortezza, parecchio in alto, facendoci cascare lo sguardo di Sachiel. ‹‹Guarda chi c’è››
Il biondo non disse nulla, si limitò a non spostare gli occhi dalla figura affacciata alla finestra del quinto piano, che in un secondo momento fu abbracciata da una seconda persona.
Sbuffò, scocciato. ‹‹Capisco che tu non sia curioso Chi, ma un po’ di soddisfazione dammela ogni tanto››
‹‹Sei tu quello troppo curioso e che fa troppe domande, a me il compito di riprenderti quando ti spingi al limite››
‹‹E' per questo che mi manda sempre a giro con te››
‹‹Già››
‹‹Mentre invece non gliene importa nulla se imprechi o mi usi come pupazzo per la tua violenza repressa››
‹‹Vedi, ci completiamo››
‹‹Sì, ma alla fin fine sono sempre io quello che subisce››
Sachiel sorrise, illuminando i suoi lineamenti delicati e vagamente femminei, ma non lo invitò a esporre quello che gli passava nella mente.
‹‹Da quando in qua amare è diventato un peccato? Non potremmo lasciarli st-››
‹‹Stai sorvolando pericolosamente quel limite››
Si morse un labbro, ci pensò su, riformulò i pensieri, cercando di aggirare quella linea rossa con parole prudenti. ‹‹Cosa è giusto o peccato?››
‹‹Quello che Lui dice sia giusto o sbagliato. Il peccato più grande lo si compie quando si dà volontariamente contro al destino- e quindi contro la sua volontà››
‹‹Ma una volta non avevamo accettato la massima di suo figlio? In sostanza: l’amore è la cosa più importante››
‹‹Quella massima è morta con lui. E più non chiedere Gabriel, da quel giorno tutto cambiò, il nostro Signore si sentì tradito di nuovo››
Il secondo tradimento dopo quello dell’Altro**. Speriamo sia stato anche l’ultimo.
‹‹Non è che da quella volta.. sì, insomma, sia diventato troppo rigido?››
Sachiel sospirò. ‹‹…Perché ti fai tutte queste domande? Da quando te le poni mi ha appioppato a te››
‹‹Perché sono il suo messaggero, incontro molte persone e molti luoghi, quindi la mia mente si allarga. Dal momento che il mio cervello non può capire i grandi sistemi–altrimenti mi troverei ad un grado superiore- io mi chiedo, Chi. E tu?››
‹‹Gabriel, tu giochi col fuoco, e finirai per bruciarti..››
 
 
                                                                                                         ***
 
 
Frigga guardò soddisfatta il principe dalla figura aggraziata che sedeva presso i giardini, la punta delle dita appena luminosa di una luce verdognola. Gli si avvicinò silenziosa, sembrava molto concentrato in qualcosa che non fosse l’incantesimo che impegnava le sue mani.
‹‹Ti è sempre piaciuto venirti a rifugiare qui quando dovevi studiare il seiðr››
Loki si voltò verso di lei, si inchinò, poi la fece sedere accanto a lui, non prima però di averle dato un bacio sulla mano, breve ma intenso.
‹‹Certe cose non cambiano mai, Madre››
‹‹Altre invece sì..›› gli prese una mano, e quasi si commosse quando la sentì calda al tocco, perché da quando lui e Thor avevano cominciato a distanziarsi in tenera età era diventata fredda.
Non proseguirono il discorso, e trascorsero il resto del tempo in silenzio, come piaceva loro.
Loki aveva lo sguardo perso sulla fontana che scrosciava piano, in un gioco di forme e colori trasparenti. Dava l’impressione di essere rilassato, con la mente distesa. Probabilmente il suo animo non era stato così tranquillo e in pace da tempo.
‹‹Come sta tuo fratello?›› proruppe, mentre il giovane non staccava gli occhi dalla fontana.
‹‹Dal cielo che non smette di essere grigio, converrei non molto bene›› commentò lui sarcasticamente asciutto.
‹‹E sei contento di questo?››
Non ottenne risposta, ma la luce verdognola aveva accentuato appena la propria luminosità dopo le sue parole, mostrando, lieve, un turbamento dei pensieri del dio. Frigga si chiese se non fosse davvero l’occasione giusta per riavvicinarli, paradossalmente; come madre soffriva vederli sempre più spesso in tensione, come regina temeva il peggio per il futuro del trono. Niente di quello che covava segretamente il suo secondogenito, ciò che neanche a lei permetteva di conoscere, si sarebbe rivelato qualcosa di buono, nemmeno per lui stesso, lo sentiva. Gli unici che avevano avuto accesso al suo cuore erano stati lei e Thor; ma una volta che il fratello lo aveva inavvertitamente ferito, quell’accesso si era fatto a mano a mano più arduo, tenendola lontana dai meandri più nascosti, impedendole di curarlo laddove faceva più male; Odino, da parte sua, sembrava non volesse averne a che fare, si ostinava nella sua dura cecità, e non faceva nulla per andare incontro a un figlio che si distanziava sempre più.
‹‹Sarei la persona meno appropriata›› udì in un secondo momento.
‹‹Ha bisogno di te, Loki››
Lo vide trattenere una risata, solo per non darle troppo dispiacere. Alzò le sopracciglia fingendosi, divertito, ostentatamente stupito; fintamente stupito.
‹‹Il grande e potente Dio del Tuono, signore del campo di battaglia, colui che brandisce Mjölnir con così tanta temerarietà e prepotenza, ha bisogno della spalla della serpe argentea per lenire una ferita d’amore..! ››
‹‹Non essere duro.. Le ferite del cuore sono quelle più delicate da guarire, la forza e il coraggio non servono a niente››
E tu lo sai molto bene.. non usare questa occasione per vendicarti, ma per cambiare le cose.
Loki continuava a non regalarle nessuno sguardo, l’acqua della fontana incatenava i suoi smeraldi. Sospirò, alzandosi.
‹‹Almeno, pensaci››
 
 
                                                                                                   ***
 
 
‹‹Ti ho convocato perché ti reputo all’altezza del compito che mi appresto ad affidarti››
Anirei alzò impercettibilmente le sopracciglia; non le era mai piaciuto Odino, o per lo meno non molto. La fissava sempre in silenzio, con quel suo unico zaffiro, e ogni volta le pareva che le rivoltasse l’anima da cima a fondo; per non parlare poi di come aveva tirato su i suoi stessi figli: cosa si aspettava se non una lotta fratricida per il trono? Li aveva cresciuti nell’odio, nell’invidia, nella sfrenata competizione.. se non si calcolava il simpatico divieto.
Ringraziò con la voce ferma, l’espressione più decisa e seria.
‹‹Si tratta di un compito molto delicato; davvero molto delicato›› ripetette quasi volesse accertarsi lui stesso di quello che diceva. La bruna deglutì appena, ma sul suo viso non passò nemmeno un lieve accenno del suo stupore.
‹‹Il motivo che mi spinge ad affidarlo a te, non è di natura fiduciosa, ma è semplicemente una necessità che si lega indissolubilmente alla tua persona; ma prima di andare avanti, e rivelarti il contenuto di quello che mi appresto a richiederti, affinché tu possa essere conscia della gravità della situazione e della conseguente delicatezza del compito, bisogna fare qualche passo indietro››
Odino esitò appena, l’occhio che si apriva come se fulminato da un’amara certezza, Anirei che si faceva attenta.
‹‹Esistono molte leggi che governano l’universo, antiche forse quanto il cosmo stesso; nel momento in cui vide la luce, esse nacquero con lui, e la vita poté fiorire, per quanto nei limiti di quello che era stato pattuito all’alba dei tempi. Una norma in particolare regola le altre, ed è la più semplice e comprensibile di tutte: la lotta tra il bene e il male, un conflitto che si apre col desiderio incontenibile di supremazia di una sull’altra, e si conclude con l’assoluta sconfitta di entrambe le parti. A pochi eredi, di ambo i lati, è concesso di sopravvivere, affinché il cosmo, rinnovatosi, rinasca e si regga di nuovo su questa legge››
Mentre Odino si guardava silente una mano, Anirei si chiese se in realtà quella convocazione non nascondesse una banale scusa per parlare di un po’ di filosofia, o semplicemente uno strano modo per cominciare a dialogare e avere un rapporto con quella che sembrava occupare un posto nel cuore di sua moglie da un bel po’ di mesi. Sarebbe stato carino, dal momento che le aveva rivolto sì e no quattro parole in –quasi- un anno.
Il re si sfilò dal dito un anello decorato in maniera piuttosto semplice: sul davanti un’unica superficie circolare piatta, dorata, mentre il bordo di questa presentava delle gemme incastonate di diverso valore; metà di queste era verde, probabilmente si trattava di smeraldi, le altre erano azzurre, forse lapislazzuli. Posò il gioiello sul tavolo, in equilibrio, al centro, di modo che Anirei potesse vederlo meglio.
‹‹Questa è la legge di cui ti ho parlato, se preferisci direttamente il cosmo››
La bruna fissò l’anello, ma niente sembrava accadere.
Ora capisco quando Loki mi ha detto che è un vecchio orbo.
Talmente concentrata sul gioiello, non si accorse della manovra successiva del Padre degli Dèi, che si era allontanato momentaneamente per prendere un altro oggetto, ed era tornato dall’altra parte del tavolo di legno di mogano con una piccola sfera in mano. Anirei la studiò, curiosa, era minuscola e d’argento, sembrava leggera come una piuma.
‹‹Questa›› ricominciò lui, tenendola stretta tra il pollice e l’indice ‹‹immagina che sia una variabile che non fa parte del cosmo, qualcosa che può far parte esponenzialmente di entrambe le parti, ma che ancora non è nulla, e che può anche rimanere nulla››
La fanciulla si grattò il naso. Onestamente, non comprendeva dove volesse andare a parare, anche se l’istinto che le faceva accapponare la pelle lungo la colonna vertebrale lo sapeva benissimo.
‹‹Questa sei tu›› e lasciò cadere la sfera sulla superficie piatta dell’anello, che si rovesciò sul suo equilibrio precario, facendo sfregare parte delle pietre verdi sul legno.
La fanciulla osservò il gioiello in silenzio. Forse era il caso di tenere bene a mente dove si trovasse l’uscita, perché Odino aveva tutta l’aria di volerla incolpare per la sua semplice presenza ad Asgard, non era nemmeno colpa sua se si era ritrovata in quel mondo. Tenne le sue considerazioni per sé.
‹‹Hai tre possibilità: scegliere il bene, scegliere il male, o restare al centro e non fare nulla››
‹‹Immagino che il mio compito preveda di cascare dalla parte buona››
Il re rimise l’anello in equilibrio, e al centro del cerchio appoggiò la piccola sfera.
‹‹No›› sentenziò. Tenne lo zaffiro piantato sulla sfera ‹‹Io voglio che lo spezzi, questo sistema››
Anirei cercò di non far trapelare alcuna emozione dal suo viso. ‹‹Non si trovava tra le tre possibilità..››
‹‹Ma è quello che ti chiedo. Ti chiedo di spezzare questo anello››
Si appoggiò al bordo del tavolo, confusa. ‹‹E come, cosa dovrei fare?››
Le pareva semplicemente assurdo.
“Vuoi ancora chiedermi perché non compari nel libro dei figli di Odino?”
Perché avete bisogno di cure, tutti quanti.


 
La porta si chiuse alle sue spalle con un tonfo secco. In mano, una piccola ampolla contenente un liquido argenteo, dello stesso materiale della sferetta che Odino aveva lasciato cadere sull’anello dorato. E quella stessa sostanza, avrebbe distrutto il suo amato. La bocca si piegò in un sorriso amaro.
Ironia, e dire che io sono quella pallina.
Espirò lentamente.
Non poteva tornare in camera, non con quei pensieri in testa. Camminò indirizzata verso i giardini reali, si sarebbe rasserenata col tramonto, poi si sarebbe spremuta le meningi per trovare una soluzione. Cercò di passare il più inosservata possibile, camminando piano e con calma, a testa alta, mentre si ripassava tutto quello che il Padre degli Dèi le aveva, in sostanza, ordinato di fare.
Dunque, ogni notte, per due settimane, avrebbe dovuto somministrare in piccoli quantitativi, con l’inganno, quella sostanza argentea, non sprecandone una sola goccia, al suo dio, con lo scopo di privarlo per sempre del suo seiðr. Sospirò. Sapeva quanto fosse importante la magia per Loki, era parte di lui, ne andava fiero, togliergliela era paragonabile a sottrargli la vita. Come poteva anche solo pensare di chiederglielo?
Come poteva anche solo pensare di fare una cosa del genere a suo figlio?!
Quando gli aveva chiesto la ragione del suo gesto, Odino si era fatto improvvisamente vago.
“Perché è l’unico modo che non comporti rischi”
Già, peccato che avrebbe provocato effetti collaterali sul Dio dell’Inganno, uccidendone l’orgoglio e l’anima, privandolo di una parte di sé molto importante.
Scese le scale, raggiunse la panchina che dava la vista più bella del tramonto, in giro vi erano solo dei servi che svolgevano le ultime mansioni prima della cena. Si mise a sedere, represse il desiderio di portare le ginocchia al petto; portò i lunghi capelli davanti alle spalle, per sentirsi protetta. Accarezzò l’ampolla che teneva in grembo, il cui argento faceva uno strano gioco di colori con la luce a mano a mano meno calda e sempre più fredda. Il luccichio era quasi accecante, le pungeva le pupille castano scuro.
‹‹Perché dovrei farlo io?››
‹‹Perché sei l’unica di cui si possa fidare abbastanza per abbassare la guardia. So quello che accade dentro al mio palazzo, diletta, non ho bisogno di un guardiano che tutto vede››
‹‹…E se mi rifiutassi…?››
‹‹Troveremo il modo di farti sposare con qualcuno che abita lontano da Asgard..››”
Espirò di nuovo; Odino l’aveva messa con le spalle contro al muro: se non avesse “ucciso” Loki, non lo avrebbe avuto comunque. Aveva forse alternativa?
L’ampolla scomparve da sotto la sua vista, coperta da una macchia nera. Nidhogg tornava a distrarla con i suoi occhioni gialli, e le sue fusa facevano un gran baccano. Lo riempì di coccole, quel micio che era diventato oramai grande, era questione di tempo prima che andasse alla ricerca di una fidanzatina.
“I due principi la guardavano storto, mentre coccolava il micio.
‹‹Se non lo castri, quello un giorno prende e se ne va››
‹‹Non importa, se vuole andare via andrà, non gli farò mai una cosa del genere, è barbara e crudele. Non voglio costringerlo a vivere insieme a me, sapendo quello che gli ho tolto››
‹‹E' solo un animale..››
‹‹E’ un essere vivente come noi››”
Guardò la bestiola che le leccava tenera le dita, col suo rumore sommesso e rilassato. Nidhogg rappresentava la premura che i due fratelli avevano avuto verso di lei. Se avesse eseguito il compito di Odino, avrebbe perso anche Loki. Non poteva farlo.


 
‹‹Sei tornata››
Anirei lo osservò di tralice. Una sua domanda, e l’avrebbe scoperta, rovinando tutto. Il dio le restituì lo sguardo una volta chiuso il libro che la fanciulla teneva sul tavolo. La indagò a lungo prima di parlare nuovamente.
‹‹Stai bene?››
Scosse il capo, mentire era decisamente controproducente, ma magari con fortuna avrebbe evitat…
‹‹Cos’hai?›› le domandò con gli smeraldi languidi.
Sfortuna, ecco che cosa ho.
Evitò di rispondere dirigendosi verso l’ampio armadio alla sua sinistra. Si tolse la cintura sotto al seno, le veste che si allargava appena, non obbligata più dalla stretta. Si sciolse i capelli, li pettinò piano e con leggerezza. Loki la sbirciava silente attraverso il riflesso nello specchio, ma non diceva nulla. Quando finì la sua minuziosa opera di toeletta, non c’era più niente che potesse mettersi tra lei e l’angosciosa domanda.
Calò il silenzio, Anirei aspettava, col tamburo nel petto.
‹‹Se cerchi di dirlo nuovamente a Thor, con me hai chiuso››
…Che cosa?
Non sapeva se essere felice o meno di quell’insperata fortuna.
La fanciulla gli dette un’occhiata fugace.
‹‹Perché non glielo posso dire? Tanto Heimdall lo dirà a tuo padre, quindi..››
‹‹Heimdall non dirà un bel niente, perché lo convincerò io; tu prova a informare Thor di quello che stiamo facendo e non mi vedrai più››
‹‹Smettila, non puoi ricattarmi su quello che posso o non posso fare, non sono una tua serva, e poi perché non lo deve sapere?››
‹‹Perché vuole sempre quello che ho io››
Rimasero in silenzio a fissarsi con astio; Anirei scosse la testa, decisa nella sua ostinazione. Era giusto che lui sapesse, punto. Loki si passò la lingua tra le labbra, con aria dura; nessuno dei due sembrava deciso a fare un passo indietro sulla questione.
Al contrario la bruna lo vide avvicinarsi, e finì tra le sue braccia, non voleva farlo arrabbiare.
‹‹Chiedimi di prenderti..›› le sussurrò lui con voce suadente, bassa, graffiante; irresistibile. Sentì accendersi l’ardore e il desiderio, crescere ad ogni tocco delle sue labbra tiepide sul collo.
Permettimi di amarti…


 
Di nuovo, una notte senza stelle. Anirei osservò il principe al suo fianco, prese l’ampolla di Odino. Si issò piano su di lui, tenendosi i capelli con una mano, non volendolo svegliare inavvertitamente con le leggere carezze che le punte scure gli avrebbero provocato. Lo guardò intensamente, amorevolmente; stappò la bottiglietta. Si versò qualche goccia sulle dita, successivamente si inumidì le labbra col liquido argenteo. Indecisa fino all’ultimo, alla fine premette piano le labbra sulle sue, dolcemente, sperando che quel gesto gli scendesse a fondo nell’anima, che lo sentisse, lui, che comprendesse il suo gesto.
Perché questo fluido argenteo che divide ora le nostre labbra ci dividerà per sempre.
Scese leggera dal letto, sperando di trovare la leggiadria che di solito perdeva quando si trovava in completo imbarazzo- ovvero abbastanza spesso- ma che adesso le necessitava per non farsi scoprire. Si mise velocemente pantaloni e corsetto nero, indossò un mantello pesante; udì appena un tintinnio tra la fibbia e il mantello, ma non ci badò e, anzi, sgattaiolò fuori dalla porta il prima possibile.
 


Giunse nel cortile esterno, non c’era anima viva. Vide il ragazzo dai boccoli biondi farle un breve cenno da lontano, e si avviò nella sua direzione.
Nel mentre usciva dal palazzo, tutti i ricordi di quell’anno passato troppo in fretta sbocciarono come stelle la notte. Forse era per quello che le gemme non brillavano quella sera? Erano scese nella sua testa, dietro ai suoi occhi, ma non riusciva a liberarle, quelle luci umide. La calma di una terribile decisione è sempre disarmante.
Uscì dal cancello, non c’era nessuno.
‹‹E' chiaro che voglia che tu te ne vada; ma non succederà›› la baciò sullo zigomo ‹‹perché il Dio dell’Inganno si oppone››
Gli tirò l’acqua della vasca sulla faccia, mandandolo su tutte le furie.
‹‹Sciocca di una sempliciotta, vieni qui›› la riprese prima che potesse uscire. Si fecero il solletico mentre lei rideva come pochi, Loki invece non lo soffriva ‹‹Il destino non potrà mai portarmi via la mia zavorra››
Smise di farle il solletico, ma non la lasciò. ‹‹Resterai al mio fianco?››
La fanciulla si tolse i capelli umidi dal viso, lo fissò dolce, la spiazzava la sincerità fragile che si celava dietro quella domanda. ‹‹Se hai detto che non c’è verso di staccarmi.. credi che la zavorra abbia una scelta?›› Si mise su di lui, gli portò una ciocca corvina dietro l’orecchio. 
‹‹Sì, cercherò di esserci sempre per te››”
Incontrò anche l’altro giovane che le era capitato di incontrare appresso il Dio del Destino. Si allontanarono ancora di qualche metro prima di fermarsi.
‹‹Quello che indossi è ciò che avevi quando sei arrivata?››
Si tolse il mantello. ‹‹Ora sì››
I due la squadrarono per un momento, poi quello moro si allontanò e distese le mani davanti a sé.
Lentamente masse d’acqua si raggrupparono, tutte insieme, fino a formare vagamente un cerchio gigantesco, il cui diametro era poco più ampio della sua altezza. Il biondo le fece cenno di avvicinarsi, mentre l’altro si spostava e le permetteva di visualizzare quello specchio d’acqua argenteo, probabilmente un portale.
‹‹Toccalo, e concentrati su una persona in particolare, del tuo mondo. Finirai nel punto più vicino a quella determinata persona, laddove si trova un possibile riflesso: specchio, acqua,..››
Mamma..
Si concentrò su di lei, fino a quando il cerchio smise di riflettere ciò che gli stava davanti, diventò fluido melmoso e denso. Era ora.
Si guardò il dorso della mano, osservò la cicatrice.
No, non sto agendo di impulso..
Se rifiutava di portare a termine il compito, a Loki veniva anche privato il trono, Odino l’aveva avvertita sulla porta.
Non poteva far altro che andarsene, e concedergli così la possibilità di lottare per il sogno della sua vita. Era meglio, per tutti, per il suo dio, che sparisse. Aveva acceso e nutrito la rivalità e l’astio sempre più abissale tra i due principi, aveva ferito Thor, e ora le era stato chiesto di “distruggere” Loki. No, non poteva rimanere. Fece un altro passo verso il portale, ma si fermò.
‹‹Ditemi una cosa. E' così terribile se resto?››
Non le risposero. Sospirò, si mosse verso lo specchio argenteo.
‹‹L’amore è la cosa più importante››
Rimase di sasso, si voltò verso i due giovani, impassibili. Allora, forse…
Ma il biondo tirò fuori una spada e gliela puntò alla gola. ‹‹Adesso vai, la pazienza ha un limite››
Fissò l’altro negli occhi, era quello che l’aveva scortata dal Dio in persona; la guardava eloquente, era stato lui a parlare. S’intesero.
Guardò un’ultima volta verso il palazzo reale, mandò un bacio al suo dio.
 
 
                                                                                                        ***
 

La vide scomparire dentro il portale. A un suo cenno, l’acqua si riversò sulla strada, alcune gocce si adagiarono sul mantello che la fanciulla aveva lasciato a terra, altre raggiunsero i suoi stivali di cuoio nero.
La spada di Sachiel si indirizzò verso la sua gola, tesa.
‹‹Perché l’hai detto?››
Ammiccò. ‹‹Era la cosa giusta da dire, partiva col cuore a pezzi povera ragazza››
La spada non si abbassò. ‹‹Quella adesso torna. Hai interferito con gli ordini››
‹‹L’ordine era di farla tornare nel suo mondo››
‹‹Ma se torna, toccherà di nuovo a noi occuparcene››
‹‹Sempre se troverà il modo per farlo. Si è reso conto di aver sottovalutato la Madre degli Dèi, eppure non ha fatto nulla per agire sulla coscienza di quella donna come la prima volta -io lo vidi, fu terribile, ma efficace. Sa che la regina ha creato un legame affettivo per cui vale la pena tornare: nonostante questo, Lui ha fatto finta di niente››
‹‹Chi ti dice che fosse un legame solido?››
‹‹Vedremo, se tornerà››
Sachiel lo osservò serio. Piano piano abbassò l’arma.
‹‹Ma se tornerà, questa volta il Dio non concederà il suo perdono; e potrà divertirsi a ucciderla nei modi più fantasiosi..››
‹‹Basta, Gabriel››
Rinfoderò la lama. ‹‹Basta››

 
                                                                                                    ***

 
‹‹Mio signore, anche la bestiola sembra essere scomparsa››
Non disse nulla. Gliel’aveva detto che se ne sarebbe andato via, ma lei non lo aveva ascoltato, al solito..
 
Perché l’hai fatto?
 
 
Delle parole lontane gli risuonavano in testa.
Non voglio costringerlo a vivere insieme a me, sapendo quello che gli ho tolto
 
 
 
 
*:Il Dio del Destino aveva dato un certo periodo di tempo ad Anirei per pensare alla sua offerta; il tempo sta scadendo
**: Lucifero, che si oppose al Dio del Destino, nonostante gli avesse giurato estrema fedeltà




******
Eccoci qui, alla fine della prima parte!
Dunque, volevo chiarire alcuni punti: i servitori del Dio del Destino non hanno le ali, non sono gli angeli del nostro immaginario comune, hanno solo un legame mentale con D.D. (lo dico tanto per specificare); per il discorso di Odino non credo ci siano particolari problemi, anche perché la spiegazione precisa del suo gesto avverrà in futuro; i due tradimenti di cui parlano Gabriel e Sachiel sono quello di Lucifero e uno riguardante la morte del figlio di D.D...
Per il resto nulla, se avete da chiedere chiedete pure:)
Ci vediamo col prossimo capitolo con un bel [POST-Avengers], perché sì, Anirei tornerà (ovviamente), ma troverà le cose totalmente cambiate.. (non voglio fare promesse a vuoto, ma credo proprio che la seconda parte sarà molto drammatica *Anirei, Thor e Loki mi lanciano un piatto, come se finora fosse stato tutto rose e fiori)
Vi ringrazio di avermi seguito fino a qui, spero che continuerete a farlo! Ringrazio in modo speciale chi mi ha lasciato recensioni, ma anche chi ha messo la storia tra le preferite e/o le seguite; anche i visitatori anonimi e di passaggio!
Insomma, vi abbraccerei tutti uno per uno per la gioia che mi date *prrr<3
Au revoir, on va rencontrer après les Avengers (Post-Avengers)!
_Aly95

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** If you truly loved me once.. ***


                  




11) If you truly loved me once..
 
 
*
 
*
 
*
 
*
 
 
Il nulla. Il buio.
Sono forse a casa?
Sono giunto finalmente, fisicamente, nell’oblio che mi ha sempre accompagnato solo come un’aura, uno strascico, che Thor inconsapevole mi ha fatto indossare a forza.
 
..Thor?
 
L’ultima cosa che ricordo è la sua voce che mi chiedeva di non cadere qui, nell’ombra; e proprio tu, dovevi gridarmi una richiesta simile fratello?
 
O forse non dovrei chiamarti così..?
 
Thor…
 
Odino sarà contento adesso, il figlio che lo macchiava di vergogna ha lasciato il trono al Sole di Asgard. A te; dovresti ringraziarmi dopotutto.
 
 
*
 
*
 
*
 
Un’immagine nella mente, una sola, intorno a tutto questo buio. Uno zaffiro brillante e duro, un’espressione delusa e impiegabile. E un’altra voce.
 
“No”
 
Una parola speciale che mi è sempre stata riservata da Padre.. degli Dèi.
 
“No”
 
Eppure non ha mai fatto così male come questa volta.
 
“No”
 
Due lettere che avrei voluto mi dicessero altri, che mi avrebbero spezzato il cuore, liberandomi dal tormento che mi assilla.
 
“No”
 
Tu, Thor, non me lo hai mai detto, hai sempre preferito negare la realtà, era più semplice affrontarmi con un martello in battaglia anziché chiarirti con le parole..
 
“No”
 
Una sillaba silenziosa che un tempo non è stata detta a me, ma alla stessa persona che la pronunciò nella propria testa.
 
Anche lei ha lasciato che sanguinasse, questo inutile e patetico organo, e non ha fatto nulla per fermare l’emorragia; mi ha imbrogliato, con quei sentimentalismi da debole che io stesso deridevo: e il Dio dell’Inganno si è lasciato fregare come uno sciocco. Ma non succederà più.
 
 
Mi lasciasti senza una parola, mi abbandonasti. Non eri molto diversa dagli altri dopotutto.
 
 
*
 
*
 
Per questo vi odio. Avete lasciato il lupo morire dissanguato, senza provare a curarlo, né avete avuto il coraggio di tagliargli la gola, per evitarne l’agonia.
Nessuno si è preso la responsabilità delle tre frecce che mi hanno trafitto. Nessuno di voi.
 
*
 
Ma io mi vendicherò.
E mi riprenderò la felicità che mi spetta di diritto.
 


Temetemi.
 
                   
 
                                                                                                                  ***
 
 
Atterrò con uno schianto su qualcosa di duro, la schiena urlò pesta di dolore, mentre le orecchie venivano ferite da suoni sordi, alti, confusi. Si girò su un fianco, ansimando per il dolore, portando una mano sulla colonna vertebrale, la certezza di essere tutta intera incrinata appena dai pesti sulle ossa.
Un flash, un secondo di silenzio, rotolò nonostante il dolore dalla parte opposta rispetto quella su cui si trovava, mentre l’auto su cui era caduta andava in frantumi.
Bell’arrivo..
Osservò l’ambiente circostante, esplosioni assordanti, grida disperate, un gigantesco buco nero nel cielo; senza alcun dubbio si era ritrovata in mezzo a una battaglia, sul campo di battaglia, e, no, quella non era Asgard.
Dove si trovava?
‹‹Togliti da lì!››
Un giovane dalla tuta colorata le si mise davanti con un particolare scudo circolare. Un rombo improvviso, ma resistette al contraccolpo.
‹‹Via, via, di là! Vattene!››
Una cascata di colpi li sorprese di nuovo, si abbatté senza pietà sulla strada. Si sentì prendere un braccio, strattonare da una parte, mentre strane e inquietanti creature si avvicinavano al tipo che l’aveva salvata. Si fece un po’ più indietro, ma quello non accennava a muoversi, anzi, aspettava con calma, quasi volesse fronteggiarli.
Oddio, li voleva affrontare davvero.
Lo vide in difficoltà, erano troppi, lo avrebbero abbattuto. Non esitò, mise la mano sull’elsa nera, la fece scintillare alla luce del sole, si fece spazio per raggiungere quel ragazzo, la affondò un paio di volte. Quando gli fu di spalle, cercò di concentrarsi al massimo, ignorando la sua sorpresa, e la sua preoccupazione.
Parole incomprensibili, tutti i nemici furono sbalzati lontano, appresso gli edifici, chi perdendo conoscenza, chi trovando la morte per l’impatto terribile. Quelli che tornarono all’attacco furono finiti dall’uomo con lo scudo, che velocemente prese in braccio la ragazza in ginocchio che soffriva visibilmente, uno strano segno nero le macchiava una spalla. Anirei si sentì portare fuori tiro, lontana dalla strada, sotto il portico di un edificio dall’aspetto nient’affatto stabile.
‹‹Ce la fai a camminare? Dovresti raggiungere quella strada laggiù, ci sono persone che ti porteranno al sicuro››
La bruna si aggrappò al suo braccio, lo scopo di riprendere le forze. Tossì appena, poi aprì gli occhi, ignorando quello che le era stato detto.
‹‹Loki.. dov’è Loki..?››
Quello rimase spiazzato, sul volto l’incertezza, l’indecisione se fidarsi o meno.
‹‹Perché lo cerchi..? Hai un conto in sospeso con lui, oppure..››
Anirei lo interruppe senza troppe cerimonie, dopo quello che stava succedendo temeva che il dio..
‹‹Lo conosci?! Ti prego dimmi dov’è, dimmi che sta bene…››
Il giovane storse la bocca all’ultima frase, e si chiese davvero se quella ragazza davanti a lui fosse una nemica o meno, e come comportarsi; però sembrava averlo salvato prima..
Una voce familiare proveniente dall’auricolare ruppe il filo dei suoi pensieri.
‹‹Stai qui, stai attenta..›› e uscì fuori, le dita di una mano sull’orecchio, lo sguardo al cielo. Si decise a seguirlo, aveva detto che conosceva Loki, non poteva lasciarselo sfuggire, non si trovava nemmeno ad Asgard..
I pensieri si bloccarono, quando anche lei assistette all’impresa dell’uomo di ferro
 



‹‹..E dopo Shawarma per tutti..!››
Anirei si avvicinò allo strano tipo, lo stesso che era scomparso e riemerso dal buco nero, quello che sembrava aver risolto la guerra –o almeno era quello che aveva capito da quel poco che aveva visto.
Quello sembrò accorgersi di lei, le fece un segno con la testa, il corpo ancora steso a terra.
‹‹Oggi era un giorno di cosplay, oppure sei un nuovo membro? Cominciamo a essere in tantini, dovremmo affittare un autobus o che..››
Sentì lo sguardo dei presenti su di sé, avvampò; ma prima di tentare alcuna presentazione, incontrò per un attimo dei meravigliosi occhi celesti, fin troppo familiari.
Thor!
Meno male che aveva trovato almeno lui; si avviò per abbracciarlo, ormai il dolore al fianco cominciava a scemare. Il Dio del Tuono rimase profondamente perplesso, poi ricambiò la stretta.
‹‹Se qualcuno mi ha fatto la respirazione bocca a bocca, spero almeno che sia stata la brunetta. Non che abbia qualcosa contro di te capitano mio capitano, ma..››
Quello lo interruppe, per portare l’attenzione dei presenti su di sé.
‹‹Thor ha ragione, non abbiamo ancora finito, è meglio muoversi prima che scappi››
Anirei alzò lo sguardo sul dio che la teneva tra le braccia, iniziava a essere preoccupata, un vago sospetto le si strusciava lungo la colonna vertebrale.
Quasi sussurrò, con la voce più sottile ‹‹Dov’è Loki..?..››
 



Il Dio dell’Inganno e del Caos li vide poi farsi largo e spostarsi, una figura eterea stagliarsi in controluce. Ci mise un po’ a riconoscerla, la vista gli si era annebbiata appena per il trauma cranico, un rivolo di sangue gli offuscava un occhio; ma quando giunse l’illuminazione, i dubbi erano spariti.
Era tornata. Davvero.
E lo aveva visto sconfitto.
E ti ha abbandonato, come tutti.
Non disse niente, la sua stessa lingua si rigirava nella sua bocca come un’ossessa, tagliente col suo perfido argento, lo feriva. Un misto di emozioni si bloccarono lungo l’esofago, impedendogli di mostrare una qualsiasi emozione.
Non si dissero niente, per un po’, si fissarono, a lungo.
Anirei alla fine tradì sconforto, tristezza, gli specchi afflitti.
‹‹Perché..? Perché lo hai fatto..? ››
Ci furono altri attimi di silenzio, fino a quando il dio non voltò lo sguardo da un’altra parte.
‹‹Che ne dite, lo andiamo a prendere quel Shawarma ora? Sloggiamo da questa lite di coppia, altrimenti ci finiamo coinvolti..››
Il dio fremette, due soli sentimenti erano riusciti a superargli la gola e a dipingerglisi sulla faccia. Rabbia, e umiliazione, che gli contorcevano lo stomaco, che gli bruciavano i palmi, che gli coloravano la pelle alabastrina. L’umiliazione di tutto. Di tutto. E la rabbia che gli corrodeva le gengive.
Sputò.
Tutti gli altri presenti imboccarono la porta, mentre l’uomo con la corazza mezza distrutta si dibatteva per restare a guardare la scena; fu preso per un orecchio da una donna molto affascinante ‹‹Sì, va bene, ho capito, vengo..››
Quando furono usciti, calò di nuovo un denso silenzio.
Non aveva parole, non sapeva che fare; le sembrava semplicemente surreale, era confusa, costernata. Ma non tolse lo sguardo dalla figura a terra, sporca di sangue e piena di lividi che si mordeva a sangue le labbra, e rivolgeva gli occhi ostinatamente fuori.
‹‹Loki, io.. non so che dire, perché.. perché lo hai fatto..?..›› seguì la direzione del suo sguardo, verso la città distrutta che si diramava dietro le grandi vetrate rotte, rotte esattamente come la sua voce. Cosa, cosa avrebbe dovuto dire? C’era qualcosa di giusto o sbagliato da proferire per quello che aveva fatto?
E i suoi smeraldi magnifici, dov’erano finiti? Le sue iridi erano diventate vetri piatti, freddi, spietati, più tendenti all’azzurro, oramai, che al verde; non vi era più la profondità di una volta, pareva quasi che il tempo avesse corroso tutta la loro immensità, tutti i sentimenti, uno ad uno, lasciando solo quello che giaceva sul fondo: un’amara e spietata rabbia, un’incolmabile voglia di rivalsa unita irrimediabilmente a una logorroica sete di vendetta.
‹‹Dimmi qualcosa, ti prego, io.. non credevo..››
Il dio si alzò, non degnandola di alcuna parola, diretto verso l’unico vetro rimasto intatto, dove l’uomo di ferro aveva poggiato un orecchio –per sentire la loro discussione- , e ci tirò un violento pugno, facendo vibrare finestra e umano.
‹‹Muovetevi a portarmi via››
Le pupille nocciola lo fissarono sofferenti.
 
E' questo che vuoi? Fingere che non sia mai esistita?
 
 
                                                                                                              ***
 


Asgard non era cambiata, l’ambiente non aveva subito alcuna modifica da quando era partita, ad eccezione del Bifröst in fase di ricostruzione dopo che il Dio del Tuono l’aveva distrutto. Ma gli Asgardiani, al contrario, sì. Il tradimento di Loki, i suoi piani di conquista, la desolazione che aveva portato su due mondi gravavano sul regno e sulla corona come una tragica inevitabilità accolta con un ponderoso silenzio di ghiaccio. L’infedeltà, la follia degli omicidi di innocenti e della distruzione, la vergogna, il dolore immancabile come conseguenza: Loki aveva strusciato tutto questo sul palazzo, sulla famiglia reale; e adesso anche su di lei. Si sedette sul letto, cercando di calmarsi; subito dopo il suo arrivo alla fortezza era stata confinata nelle sue vecchie stanze in attesa di essere chiamata in udienza. Il Dio del Caos aveva avuto, comprensibile, la precedenza a essere ricevuto dal Padre degli Dèi, per ascoltare la sentenza circa la sua condanna; dalla sua espressione divertita, la cosa non lo impensieriva affatto, anzi: le pesanti catene che gli sfregavano i polsi pareva quasi considerarle al  pari di lussuosi e benaccetti bracciali d’oro. Rideva sguaiato, ansioso di incontrare il re. Davanti a quell’uomo, Anirei non aveva detto nulla; non trovava le parole per esprimere quel misto di emozioni e di novità alquanto dolorose e del tutto inaspettate, era troppo impegnata a sciogliere il bandolo della matassa che le imprigionava ogni commento per proferire anche una sola sillaba. Ricordò nuovamente l’incastro di quei suoni sadici e quasi inumani, portò le dita alle tempie. Quello non era il suo Loki.
D’altra parte, non riusciva a credere razionalmente a quello che Thor, contornato dalle delucidazioni sarcastiche, dure, tragiche, dei suoi compagni midgardiani, le aveva raccontato. Il suo cervello non se ne convinceva.
Ma gli edifici distrutti, la morte e la distruzione che aveva portato sulla città, le avevano suggerito di osservarli attentamente, perché gli occhi non la stavano ingannando; trattandosi del Dio dell’Inganno, probabilmente era più facile sospettare della sua, di sincerità, che colui che aveva conosciuto fosse solo una ben costruita bugia.
Eppure continuava a rifiutare quell’immagine terribile.
Si alzò, fece un giro per il vano, le pupille saettavano da un mobile a un altro, ogni oggetto possedeva una marea di ricordi; sembrava che non fosse passato neanche un giorno da quando se n’era andata, tutto era in ordine, pulito, nella stessa identica posizione in cui l’aveva lasciato. Spostò il libro che ancora giaceva sul tavolo circolare.
“Sei andata via dieci anni fa..”
No.
No, no!
Com’era possibile che fosse trascorso tutto quel tempo?! Sulla sua carne era passato solo un periodo di sette mesi, non un giorno di più; il tempo era slittato, in qualche modo. Ripensò a tutti i passaggi che aveva memorizzato per creare una sorta di portale abbastanza stabile per attraversarlo e giungere di nuovo in quel mondo, si era assicurata che fossero giusti almeno un centinaio di volte; ma ora quella certezza cominciava a incrinarsi. Dunque, il pugnale di Thor, che aveva casualmente e fortunatamente portato via con sé, che l’avrebbe condotta al portale più vicino al proprietario dell’oggetto, e l’enorme quantità di magia richiesta a due professionisti… eppure qualcosa era andato storto. Forse non era stabile a livello temporale; oppure il Dio aveva riservato qualche sordido trucchetto per precauzione. O probabilmente nessuna delle due spiegazioni era giusta, e la domanda sarebbe rimasta senza risposta. Fatto sta, che quando era tornata a casa sette mesi prima, nessuno si era accorto della sua assenza, quindi probabilmente il Dio aveva fatto in modo che la sua dipartita coincidesse col ritorno.
Quale che fosse la causa, di fatto erano trascorsi dieci anni, e non avrebbe mai potuto riporvi rimedio.
Gettò il libro sul letto, si torturò la lunghezza della chioma scura. Nel silenzio che la circondava udì un’altra spaventosa risata. Poggiò i palmi sul tavolo.
Che cosa ho fatto, Loki?
Rievocò le iridi di ghiaccio del principe, spietate e quasi vuote, i pezzi del suo atteggiamento tornavano lentamente al proprio posto, tutto acquistava un senso. Per quanto dieci anni per un dio contassero quanto un battito di ciglia, si trattava comunque di un decennio. Le dita si contrassero, premendo con forza sul legno duro. L’ennesima risata riecheggiò attraverso le sale vuote, i corridoi poco illuminati, la sua scatola cranica.
Non mi perdonerai mai.
 



La guardia la portò davanti al portone intarsiato d’oro. Era tragicamente ironico lo stato d’animo con cui l’avrebbe attraversata per l’ennesima volta; aspettò, impaziente, ma con tutt’altra voglia di entrare. Era scesa dopo che il Dio del Caos era stato fatto condurre verso le prigioni, continuava a lanciare frasi cariche di freddo umorismo nei confronti di Odino, la voce alta e sottile che si infrangeva e rimbombava sulle pareti di pietra e lamine dorate.
“E' sempre un piacere ricevere i tuoi onori di casa, Odino!”
E rideva. Gli ultimi suoni di quel verso terribile ancora le risuonavano nella testa quando le porte si aprirono. Varcò trattenendo i suoi sensi, forzandosi di levarsi dalla testa lo psicopatico che aveva preso il posto del suo dio almeno per qualche minuto, ma il lieve tremore che le muoveva le braccia era infrenabile.
Frigga le rivolse un radioso sorriso, da lontano la fanciulla avrebbe azzardato a descriverlo come commosso dalla sua entrata, dal suo ritorno, ma che scomparve subito per lasciar spazio a un’espressione seria ed altera, degna di una regina. L’unico zaffiro di Odino le tappò ogni consolazione liberatoria, felice, nell’aver individuato l’affetto della donna in quello sguardo temporaneo. Si fermò davanti alle scale, dopo un breve inchino.
‹‹Sei tornata›› sentenziò senza troppi giri di parole.
‹‹Sì, e questa volta, spero, per restare. Arreco le mie scuse e il mio dispiacere per la mia improvvisa dipartita. Chiedo perdono con tutto il cuore, e mi prostro dinanzi a voi nella speranza di riceverlo››
‹‹Perché hai preso la decisione di andartene?›› domandò il Padre degli Dèi senza alcun commento o risposta alle sue parole.
‹‹Una scelta, mio signore. Il Dio del Destino mi ha dato l’occasione di tornare nel mio luogo natio e poter in questo modo riabbracciare le persone care, rassicurarle sulla mia condizione››
‹‹Allora qual è il motivo per cui non hai lasciato nessun avviso?››
‹‹Mi dolgo per il pensiero che vi ho recato con il mio silenzio. Ma le circostante mi hanno impedito di lasciare qualsiasi messaggio››
Nessuno dei due regnanti proferì parola; era ovvio che pretendessero una motivazione valida ed esauriente. Si prese ancora un attimo, poi ricominciò a parlare.
‹‹Il Dio del Destino non gradiva la mia presenza in questo mondo, così, una volta accettato il suo accordo, non mi ha lasciato scelta se non seguire la decisione subito dopo averla presa; ha creato appositamente un portale poco lontano dal palazzo per condurmi verso casa››
Di nuovo silenzio. Questa volta probabilmente stavano riflettendo.
‹‹Il benemerito guardiano Heimdall ha confermato questa tua versione –in generale-, dieci anni fa. Ancora ci sfugge purtroppo il motivo della tua decisione››
Alzò la testa, appena infastidita; sapeva dove voleva andare a parare, ma non avrebbe fatto il suo gioco. ‹‹Signore, avevo molte domande sulla maniera del mio arrivo ad Asgard, e del motivo; questioni sul marchio che mi deturpa la pelle e modifica parte dei miei ricordi; il desiderio di riabbracciare i miei genitori e gli amici. Non appena mi è stata fatta l’offerta, io ho accettato, e allora sono stata costretta a seguire la mia decisione››
‹‹E hai trovato le risposte che cercavi?››
‹‹No. Quando sono arrivata, era come se non me ne fossi mai andata; sembrava non fossero trascorse più di un paio d’ore da quando –probabilmente- ero finita qui: non posso esserne sicura, perché i miei ricordi continuano ad essere vaghi e confusi sul giorno stesso in cui finii sul Ponte››
Frigga prese la parola, le dette coraggio col suo volto rasserenante ‹‹Come hai fatto a tornare qui?››
Anirei sbatté le ciglia, meditabonda. ‹‹Quello… è un po’ complicato..››
‹‹Prova a spiegarcelo››
Secco e lapidario, quasi tagliente; ma non ci badò. Al contrario cercò con impegno le frasi più adatte e incisive per chiarirsi ‹‹Nel mio mondo non esistono veri e propri portali come quelli che conoscete voi, fissi e praticabili come il Bifröst; per crearne uno, è necessaria una grande dose di energia –magica- e un oggetto che appartenga a qualcuno che si trovi nel luogo dove desideriamo giungere; in particolare, bisogna che ci sia un portale abbastanza potente vicino a quella persona, altrimenti si rischia di cadere in un limbo. Si tratta di un genere non molto diverso da quello che creò il Dio a suo tempo per me, ma lui non aveva bisogno di un ulteriore portale dall’altra parte; inoltre, bastava solo un pensiero chiaro e definito della persona, e non qualcosa che le appartenesse››
Odino ponderò a lungo. In effetti, ora che ci pensava, Loki aveva creato un varco dimensionale nel suo folle obiettivo di conquista di Midgard.. probabilmente solo il Tesseract era abbastanza potente per fare una cosa del genere, e la porta spaziale era stata mantenuta aperta per ore, quel tanto che bastava per permetterle di accorgersi della sua presenza e passare. Inoltre, Heimdall non era in grado di farla tornare nel suo mondo, perché probabilmente esso gli era celato, esattamente come il luogo dove si erano ritirati gli Olimpici, raggiungibili solo attraverso un portale appositamente costruito.
‹‹Se da voi non esistono portali fissi, né oggetti talmente potenti per crearne uno, allora significa che senza l’aiuto del Dio non potrai più tornare a casa››
Anirei sorrise di un sorriso amaro . ‹‹Esattamente›› cercò di non pensarci e cambiò discorso, questa volta intenzionata a soddisfare la propria curiosità e mettere a tacere una volta per tutte l’ansia di aver sbagliato ‹‹Da me, però, mio signore, non sono passati due lustri, ma meno di un anno››
Lo vide passarsi una mano sul mento, ma il suo unico occhio non la perse di vista nemmeno per un istante. Cercò di allontanare la questione che la impensieriva, la speranza che Odino non ricordasse ciò che le aveva chiesto di fare –motivo principale per cui se n’era andata- scemava di secondo in secondo.
‹‹Credo sia un problema collaterale del Tesseract; non è affidabile per quanto riguarda certi tipi di stabilità; deve aver provocato uno squarcio nella natura temporale››
Frigga mise una mano sul braccio del marito, per indurlo a smettere il suo interrogatorio; scese le scale con grazia ed eleganza, andò ad abbracciarla, con mille parole dolci e di conforto. Fece per scortarla alla porta, ma il re la fermò.
‹‹Adorata, non abbiamo ancora finito; aspettala pure davanti all’ingresso, la tratterrò ancora un momento››
Anirei lasciò il braccio della regina, si riavvicinò all’alto scranno; sapeva che non poteva essere finita lì. Intrecciò le mani fredde e leggermente sudate tra loro, sperava che si calmassero a vicenda.
Odino aspettò che la moglie uscisse per rivolgerle uno sguardo severo.
‹‹Il tuo compito, non l’hai portato a termine, che sia verità o meno il motivo della tua partenza. Pertanto, dovrai piegarti alle sue conseguenze, se deciderai di restare›› la guardò impassibile ‹‹Resterai?››
La fanciulla si fece forza prendendo un respiro a pieni polmoni, poi assentì con decisione.
‹‹Perfetto›› concluse lui, con volto impassibile. Le fece cenno di andare, non aveva altro tempo da perdere con lei, non più ‹‹Conoscerai il tuo futuro marito quanto prima››


                                                                                                             ***
 
 
La cella si formò lentamente davanti ai suoi occhi, da piccoli e vaghi frammenti fino a formare un’immagine chiara e definita; sembrava di trovarsi lì dentro per davvero. Fu colpita dalla pulizia, dall’illuminazione, dall’accoglienza della stanza: si vedeva che Loki era un principe, anche nella sua prigionia veniva trattato differentemente da tutti gli altri, nonostante i suoi crimini deplorevoli. E c’era anche qualche mobile di conforto, se già l’eccellente igiene non era abbastanza.
Perché sono qui?
Frigga era brava nell’uso delle parole e nella persuasione quanto il figlio; dopo tre settimane era riuscita a convincerla a provare a parlargli di nuovo, sicura che questa volta sarebbe stata differente. Ma se anche Loki l’avesse degnata di una parola, il risultato non sarebbe cambiato comunque.
Non l’avrebbe mai perdonata; una volta tradita la sua fiducia, la si perdeva per sempre. E lei forse aveva fatto di peggio.
‹‹Sei venuta››
Fece un giro di centottanta gradi per trovarsi di fronte alla figura alta e slanciata cui apparteneva la voce fredda e tagliente.
‹‹Loki, io..››
Il dio la interruppe, riprendendo a parlare. ‹‹Fammi indovinare: ti dispiace; ma per cosa, sentiamo: per essertene andata, per non aver creduto alle voci che giravano sul mio conto dipingendomi come un essere crudele e meschino, per la devastazione che ho portato su quell’inutile pianeta? Per cosa ti dispiace, di grazia, dal momento che ti senti sempre in colpa per tutto e non sai dire altro?››
Rimase interdetta, gli occhi azzurrognoli che la fissavano con cinismo; il suo Loki era lontano mille miglia da quell’uomo che pretendeva di assomigliargli.
‹‹Mi dispiace per averti lasciato senza poterti dire nulla, mi dispiace di essere stata via più di quello che avrei voluto››
‹‹Ma davvero?›› la linea delle labbra si incurvò divertita. ‹‹E sentiamo un po’, perché te ne saresti andata?››
‹‹Non posso dirtelo›› sospirò. Se fosse venuto a conoscenza del programma che aveva avuto Odino nei suoi confronti, era sicura che avrebbe alimentato l’oscurità che l’aveva inghiottito.
‹‹Ma come..?›› si lamentò lui, fingendosi sorpreso e disperato nella voce, mentre la sua espressione continuava a scrutarla beffarda e crudele. ‹‹Vuoi tenermi all’oscuro il motivo che ti farebbe perdonare ai miei occhi?››
Buona argomentazione, ma non poteva dargli corda; cercò di aggirare l’ostacolo rivelandogli tutto quello che sentiva sincero nel cuore. ‹‹Quello che ho fatto, l’ho fatto per te, l’ho fatto per noi. E sono tornata, per te››
‹‹E perché mai dovrei crederti?›› domandò con falsa curiosità mettendosi a sedere sul tavolo e risistemandosi con nonchalance i calzoni scuri.
Anirei prese un respiro, quel dio era snervante, le stava per far perdere la pazienza. ‹‹Come perché?! Perché sono tornata, sono qui, sto rischiando di incorrere nell’ira di Odino pur di parlarti e cercare di spiegarmi!››
‹‹Ma tu non ci sei veramente›› le passò una mano nello stomaco, la affondò finché non trapassò il profilo dell’ologramma. ‹‹Come non ci sei mai stata veramente››
‹‹No, io..›› ma le parole le morirono in bocca; non aveva forse ragione? Non aveva preferito andarsene alla prima occasione senza neanche provare a combattere? Non era scappata come al suo solito, dietro un mucchio di parole vuote cui cercava di aggrapparsi per dare un senso alla sua fuga? Le mani cominciarono a vibrare, per la tensione.
‹‹Sì, forse quello che c’era tra noi era solo una storia tra ragazzi immaturi››
Alle sue stesse parole percepì un tuffo al cuore, era come se una catena di piombo lo avesse tirato verso il pavimento, fermandolo a pochi centimetri da terra.
‹‹Però, se sono tornata, l’ho fatto per te›› e si girò, incapace di dirlo in faccia a quel volto indifferente e impassibile. Udì un’improvvisa risata, che la costrinse a voltarsi e a guardarlo di nuovo. ‹‹Sei sicura di essere tornata per me?››
Anirei si accigliò appena, lo guardò tristemente afflitta mentre lui le si avvicinava lentamente, serio.
‹‹Sai quanti inutili esseri ho ucciso laggiù, su Midgard?›› piroettò le pupille verso l’alto, fingendo di contare. ‹‹I loro corpi appesi alle balconate, smembrati dal cemento, dal mio esercito, turberebbero i tuoi sogni da principessina falsamente indifesa e insicura››. Le labbra scoperchiarono i denti in un sorriso spietato, gli occhi la fissarono con crudeltà ‹‹Quanto mi è piaciuto ridurli in quello stato.. ancora ne sento un piacevole brivido al pensiero; ma c’è una cosa di cui mi rammarico..››
La fanciulla arretrò appena, terrorizzata, scordandosi di non trovarsi veramente lì. ‹‹Non dirlo, tu non sei questo..››
Il dio afferrò l’aria con le mani fredde, la compresse con violenza ‹‹.. di non averli uccisi uno per uno con le mie mani, di non averli scuoiati lentamente per godermi ogni loro grido di terrore, di paura,..››
‹‹Tu sei un mostro, ridammi il mio Loki..!›› esclamò con voce tremante, vibrante di rabbia e disperazione.
Rimase immobile quando lui si ricompose e fece un passo avanti, fronteggiandola. ‹‹Oh, no. Se c’è una cosa che mi hai sempre detto, Anirei, era proprio quella di rimanere me stesso e non cambiare mai››
‹‹Tu non sei lui!›› gridò questa volta, incurante di farsi sentire dalle guardie reali, quasi volesse scacciare con la voce alta le parole che le aveva rivolto.
Loki le passò un dito sul volto, stando attento a non trapassare l’ologramma. ‹‹Su una cosa, hai ragione. Quello non ero io; era solo un’illusione che entrambi creammo, perché era più facile da accettare e da amare. Ma io, io sono sempre stato così››
‹‹No..›› scosse la testa, non volendo credergli.
Scese lungo la spalla, piano e lento. ‹‹E invece sì, Anirei. Ti sei innamorata di un’illusione. E ringrazia›› il dito si diresse sul petto, verso l’interno ‹‹..ringrazia di essere adesso tu un’illusione perché ti strapperei quel cuore letale e di pietra che sei sempre stata›› e concluse affondando la mano nella gabbia toracica, stringendo il nulla.
‹‹Non ti illudere di essere stata poi così importante. Perché quello che ti farò una volta fuori di qui, che mi divertirò a farti senza alcuna pietà, dipenderà solo dalla tua prepotenza pericolosa nell’aver provato a beffarti del Dio dell’Inganno››
La stanza cominciò a scomparire, affievolendo le sue parole, sempre più velocemente; l’ultima cosa che vide fu la mano del dio che ancora stringeva il nulla.







*****
Ed eccoci qua col [Post-Avengers] che in realtà sarebbe un fine Avengers, ma vabbè.
Non ho resistito a mettere i Vendicatori, anche se, da come avete potuto notare, non li ho citati apertamente né li ho tenuti in scena molto perché non vorrei fare un cross-over (almeno questa è l'idea che ho adesso, poi magari vediamo).
Duunque, ora la cosa si fa complicata tra i nostri protagonisti perché Loki sembra parecchio arrabbiato con la nostra protagonista (e ce credo, poeraccio) che non trova esattamente le cose come le aveva lasciate...
Spero che la questione portale non abbia creato confusione, non dategli poi troppa importanza ahaha
(ah all'inizio, si hanno i pensieri di Loki quando cade nel vuoto, alla fine di Thor se non si fosse capito)
Per il resto, spero vi sia piaciuto, e ci vediamo col prossimo! ;D
Bisou,
_Aly95
PS: Al solito vi ringrazio tutti quanti, in particolar modo chi mi ha lasciato recensioni (*manda abbraccio virtuale prr)
Grazie mille a tutti** :*

 

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** CAPITOLO ***





 
La sostenne delicatamente mentre riprendeva l’equilibrio, le sue gambe avevano avuto un improvviso mancamento nel tornare alla realtà fisica. La osservò riprendere coscienza, ma la mascella che vibrava, che tentava inutilmente di calmare, era un chiaro segno di disperazione. Loki aveva esagerato, l’aveva distrutta con poche crudeli frasi, le quali, conoscendo la fanciulla che teneva tra le mani, avrebbero fatto molto più effetto che a una persona qualunque. La vide portarsi una mano al cuore, e poi guardare intensamente il fuoco rovente della candela da cui si poteva ancora intravedere la cella del dio.
‹‹Ha ragione su tutto. E' solo colpa mia›› affermò con voce piatta.
Frigga ponderò a lungo, all’udire quella sentenza carica di tetra rassegnazione; ma tale sentimento non era la reazione giusta da tenere nei confronti di suo figlio, a maggior ragione da parte della bella fanciulla che aveva davanti agli occhi, una delle poche creature viventi ad aver sperimentato il suo lato migliore e avergli toccato profondamente le corde del cuore. E che poteva ancora salvarlo da se stesso.
“Per me è come morta” le aveva sibilato tagliente il minore dei due fratelli, con voce atona, quando aveva provato ad affrontare l’argomento della sua partenza. Eppure, in tutti quegli anni, non le erano sfuggiti i guizzi rapidi degli smeraldi sul volto di ogni persona, immersi nella vana ricerca di un paio di occhi profondi e incantevoli, grandi, della stessa donna dalla pelle candida e la chioma scura che tanto fascino aveva suscitato ad Asgard, in particolare tra i principi. Se soltanto l’avesse lasciata entrare un poco di più nel suo cuore, oltre quel muro di rovi di spine, la regina avrebbe potuto trovare conferma alle sue convinzioni; ma adesso, il dio si era chiuso ostinatamente in se stesso, e solo lei poteva trovare il modo di forare la corazza di bugie, inganni e sofferenze che già una volta aveva ammorbidito, il tempo di catturargli il cuore, prima che lui decidesse di nasconderle la sua parte peggiore.
Doveva intervenire, prima ancora che come regina, come donna e come madre.
‹‹Perché dici questo, mia cara?››
‹‹I miei occhi sono troppo velati dai miei problemi per essere in grado di aiutare altri, sono un’egoista; pensavo bastasse colmare la paura che ho dentro trovando qualcuno che mi volesse davvero bene, ma non è servito a nulla. Me ne sono andata comunque, scappando come un uccellino spaventato, e l’ho fatto nel peggiore dei modi››
La invitò a mettersi a sedere sul divanetto, ma la fanciulla rifiutò, non voleva recare altro disturbo. La pregò di intrattenersi per qualche altro minuto, ma pareva non volesse ascoltare ragione; era troppo scossa, preferiva non creare ulteriori problemi.
‹‹Conosci Loki, sai che ha esagerato. Sai che ci vuole pazienza: è complicato››
La vide raccogliere una mano nell’altra, per farsi coraggio da sola. ‹‹So anche che non mi perdonerà. Mai. Quello che gli ho fatto è stato orribile››
‹‹Ma non è colpa tua se sei riuscita a tornare soltanto adesso››
‹‹Potevo combattere per noi, ma ho deciso che non valevo abbastanza per lui, né di conseguenza quello che c’era e avevamo. Mi merito ogni singola parola che mi ha detto››
Si dava troppe colpe, dure e terribili, marciava inflessibile su se stessa, si frustava senza pietà. Spense il fuoco flebile della candela, così che l’immagine della cella sparisse non solo dalla loro vista, ma anche dalla mente, poi si affiancò alla fanciulla.
Doveva indagare, partendo dalle radici di quel suo atteggiamento così autodistruttivo, implacabile, che la tormentava succhiandole l’anima ad ogni respiro, doveva approfondirne la conoscenza, aldilà di ogni dettaglio superficiale con cui si erano intrattenute anni addietro.
Le accarezzò teneramente i capelli, la invitò a sedersi di nuovo. ‹‹Perché non mi parli della tua famiglia?››
Anirei esitò per un momento, poi si lasciò convincere; al contrario del Dio dell’Inganno e del Caos, la fanciulla apriva facilmente il suo cuore, e proprio per questo era anche più facile da ferire.
Pose gentilmente le dita sulle sue braccia, e le staccò solo dopo essersi sedute entrambe sui morbidi cuscini, aspettò paziente che si lisciasse le vesti di velluto verde scuro sulla vita e sulla parte anteriore delle gambe; udì un lieve sospiro, le mani che si torturavano con carezze poco delicate.
Con la voce tremolante e insicura, cominciò a narrare di una famiglia che mai le aveva fatto mancare nulla, in termini materiali. Aveva un fratello più grande, Abriyl, con cui soleva passare il tempo giocando, ma che la teneva fuori dalla sua vita privata; non che le volesse male, si affrettò ad aggiungere la fanciulla, era sempre gentile e l’aiutava nel bisogno, ma non ci teneva a metterla al corrente di quello che combinava fuori dal nucleo familiare, e lei, alla fine, aveva imparato ad accettare rassegnata questa triste realtà.
Da quando aveva memoria, i suoi genitori litigavano sempre tra loro e loro con lei, ma in definitiva le volevano bene, e non le avevano mai fatto mancare il loro sostegno, o il loro amore, in particolare suo padre per quanto riguardava il suo modesto talento nell’uso della spada. Era orgoglioso di questa sua abilità, soprattutto dal momento che lui non poteva più impugnare alcuna arma, a causa della gamba che aveva perso in guerra, quando lei era ancora piccolina, che lo aveva portato a rinunciare alla sua passione per la mazza ferrata e l’arco.
Dal canto suo, la fanciulla aveva portato avanti questa buona relazione con la spada, guadagnandosi l’ammirazione di molti maestri che le offrirono direttamente un posto tra i migliori guerrieri; ma lei, oltre a non essere troppo interessata all’offerta, aveva rifiutato, non volendo lasciare le persone con cui faceva danzare la propria lama da anni, a cui si era affezionata. Purtroppo, i suoi continui rifiuti avevano fatto serpeggiare un vago astio e una silente delusione tra le autorità, così come questa sua abilità le era costata l’odio e l’invidia di altri, conoscenti e persone care, che fino a qualche anno prima di finire ad Asgard, l’avevano fatta soffrire trattandola male senza apparente motivo. E aveva suscitato anche l’amara disillusione di suo padre, che non perdeva occasione per rinfacciarle ciò cui aveva rinunciato.
Alla fine arrivò il giorno della scelta sul suo futuro, e Anirei, libera di decidere la propria strada, aveva infine preso la decisione di affinare la sua tecnica con la lama nera; purtroppo per lei, non appena mise piede nell’accademia, ebbe un improvviso rigetto, che la costrinse a fuggire e maledire ogni contatto con la spada, comprendendo che quella non fosse la vita che voleva vivere. Le diedero un anno, per pensarci. E quell’anno passò in compagnia del drago, il quale - un regalo che le venne fatto per distrarsi dalla situazione instabile di suo padre quando era piccola- era sempre stato un punto di sicurezza e una forza grazie alla quale non finire nella disperazione più totale, e dei volti amorevoli e comprensivi dei genitori che, però, immaginava di avere molto deluso; i pochi amici che le erano rimasti, li aveva persi, perché l’isolamento era l’unica cosa che la faceva stare meglio –non che si fossero lamentati della sua assenza, comunque, non era brava a stringere amicizia con le persone. Le autorità tornarono a tormentarla presto, e alla fine, presa una folle e impulsiva decisione, aveva liberato le ali bianche, affinché simboleggiassero la sua libertà, che mai nessuno avrebbe rinchiuso. Il gesto le provocò altro astio, perché l’animale poteva essere sfruttato come ulteriore arma.
Da quel momento i suoi ricordi cominciavano a farsi vaghi e confusi, si ricordava solo che stava correndo, probabilmente scappando.
Frigga rimase in silenzio per un attimo, cercando di assimilare il tutto; le prese le mani, mentre la fanciulla si stava probabilmente chiedendo se non avesse parlato troppo, e l’avesse infastidita.
Le sorrise con amore. ‹‹Hai chiamato il tuo drago, “ali bianche”: è curioso››
‹‹Era tutto bianco, dalla punta del muso fino alla coda; sembrava un angelo, quando spalancava le sue enormi ali, le cui squame erano morbide come delle piume. Riusciva sempre a farmi trovare il buonumore, a non farmi sentire sola, a calmarmi nel bisogno; lo consideravo una parte di me, un pezzo del mio cuore.. adesso è libero, e quel pezzetto volerà con lui››
La regina aspettò che si asciugasse le sottili lacrime che non aveva saputo fermare, al ricordo di ciò che aveva lasciato; successivamente si mise a farle una treccia lunga e ordinata, per quanto i capelli scalati sfuggissero in parte all’acconciatura.
Povera piccola; ora capiva tutto il turbamento interiore che si portava dentro. E credeva anche di essere sbagliata, per provare tutta quella tristezza e quell’angoscia.
‹‹Loki sa tutto questo?››
La sentì soffocare un sorrisetto amaro. ‹‹Sì, ma non ha mai detto niente. D’altronde, spesso succede così, la gente non mi dice nulla se mi apro; mi riprometto di non farlo più, ma proprio non ci riesco. Mi ero anche isolata per evitarlo, almeno non reco fastidio né vengo ferita io, ma è tutto inutile››
Con un piccolo laccetto fermò la pettinatura.
Non era per niente stupita del silenzio del figlio: non era abituato a confidenze così profonde e sentite, o perlomeno che gliele facessero con spontaneità; era solito trarre informazioni dalle persone per via indiretta, e per scopi molto diversi dal desiderio di conforto nei loro confronti. Era più che normale che non riuscisse a relazionarsi di fronte a una situazione così nuova, per lui.
Frigga la guardò con amorevole comprensione; la sentiva piangere dentro, e ogni tanto difatti una lacrima sfuggiva silenziosa e le rigava di nuovo il volto. ‹‹Se Loki un tempo ti ha scelto, non credi di valere più di quello che pensi?››
Non si preoccupò a mostrarsi così esplicita nella conoscenza della loro situazione, oramai era chiaro che lei sapesse, o non sarebbero state lì a parlarne. Per quanto riguardava la fanciulla, non riusciva a capacitarsi di come nel suo logorroico senso di colpa si fosse accecata a tal punto da perdere la fiducia in se stessa e nelle sue abilità: lei stessa aveva raccontato di essere brava nell’arte della guerra per esempio, eppure da come ne parlava sembrava non rendersene veramente conto, che tutti gli obiettivi che aveva raggiunto non valessero nulla, come se non ci fossero mai stati. E quella perdita di autostima le faceva perdere completamente l’audacia di stringere amicizia con le persone. Una distruzione dietro l’altra, come una palla di neve che rotola lungo il fianco di una montagna ingrossandosi sempre più fino a formare una valanga, travolgendo indistintamente ogni cosa. La ragazza rimase in silenzio. ‹‹Non ha più importanza, ormai. Mi odia››
Cercò di confortarla, ma sapeva che non sarebbe servito.
 
                                                                                 
                                                                                   ***
 
 
Balder si stiracchiò le braccia, mentre Lorelei correva per la stanza, impaziente e felice.
‹‹Ho trovato il suo soprannome!››
Sospirò. Sua sorella e la sua abitudine di affibbiare soprannomi alle persone. Il maestro aveva detto di non preoccuparsene, perché la bambina semplicemente cercava di dare il vero nome alle cose, quasi ne rivelasse l’essenza. Sospirò di nuovo; gli alchimisti avevano idee tutte loro, alquanto bizzarre. Forse doveva impensierirsi anche della salute del maestro, oltre che di quella della sorella.
‹‹Smettila, Lorelei. Finirai per cadere e farti male, come al solito››
‹‹Ma io voglio andare da Anirei, non vedo l’ora..!››
Già, Anirei. Odino gli aveva comunicato che la sua sposa sarebbe stata lei.
Per le Norne, non poteva lamentarsene, era una bella donna; ma era anche l’ex di Thor, e lui era un suo caro amico: si sentiva a disagio, in particolar modo dal momento che si erano lasciati perché il Padre degli Dèi non aveva approvato la loro unione, non perché si fosse spenta la scintilla tra i due..
Più che altro era lei a impensierirlo, da qualche tempo si era sparsa la voce che il Dio del Tuono avesse una fidanzata su Midgard; l’amico era stato vago sull’argomento, ma dall’imbarazzo con cui lo affrontava doveva essere vero.
Inspirò. Mah, perlomeno Lorelei era felice di tutta quella storia: era quasi da una settimana che andavano a trovarla, e sua sorella si divertiva un mondo, quella donna ci sapeva fare con i bambini; avere pazienza con lei in particolare, poi, doveva essere una dote innata.
Dal suo canto, la fanciulla non gli dispiaceva oltre l’aspetto fisico, poteva farci se non altro qualche tiro di spada, e l’umorismo non le mancava, era facile farla ridere. C’era un’unica nota dolente, che non appena credeva di non essere vista, il sorriso le si trasformava in una smorfia seria e le palpebre si abbassavano sospirando al posto dei suoi polmoni: la storia del matrimonio doveva logorarla parecchio.
‹‹E' con la regina al momento, e poi tu hai lezione se non erro››
‹‹Ma io..››
‹‹Niente scuse, ora fila››
La bambina gli fece una linguaccia, poi prese la porta e uscì con ostentata e teatrale stizza.
Balder lasciò vagare la mente per un po’, finché non vennero a chiamarlo per avvertirlo che la fanciulla era libera di riceverlo. La raggiunse, senza troppa fretta, e non appena la vide, le porse il braccio. Sul tavolino dietro la sua attraente figura era riposta, distesa, la sua lama nera, particolare nel colore e nella forma dell’elsa, lavorata nei minimi dettagli, che doveva provenire dal suo mondo: leggera e non troppo lunga, sottile e letale, il manico dell’elsa un insieme di spire avvolte l’una dopo l’altra, con una piccola gemma candida incastonata all’estremità. Semplice, ma molto raffinata.
Scesero, parlando del più e del meno, fecero un giro tra i giardini più belli, sotto alberi di ciliegio e fiori esotici dai colori più vivi e variegati; la luce del pomeriggio si infrangeva sull’abito smeraldo che faceva uno strano contrasto con la sua pelle, rendendola ancora più chiara. I capelli erano stati raccolti in una lunga treccia che le lasciava scoperto il viso ovale, una chioma scura come i suoi occhi e le fini sopracciglia. Le labbra tendenti al rosso contribuivano ad un effetto di grande contrasto.
Bellissima, come una principessa.
Eppure, con quelle vesti di un intenso verde scuro, freddo, pareva come appartenere a qualcun altro..
O forse, era semplicemente stanco dopo una sfiancante giornata a girovagare per il regno per controllare la situazione generale, e veniva ora colto da sinistre, strane, riflessioni.
‹‹Pensi a qualcuno in particolare?›› domandò di fronte all’espressione malcelata della fanciulla, che tutto sapeva fare, tranne celare le sue vere emozioni.
La vide voltarsi verso di lui, spiarlo impensierita ‹‹Perché..?››
‹‹Ma no, nulla, ti vedo pensierosa…››
Anirei scosse la testa, ma era poco convinta; spostò lo sguardo verso l’immensa fontana che stavano raggiungendo.
‹‹Qualcuno per cui… provi qualcosa?››
Le labbra rosee si piegarono verso l’alto, tristi. ‹‹Non lo so più, sinceramente. Ma adesso non cambia nulla: io mi sposerò, e lui non prova più nulla per me..››
Oddio. Stava davvero parlando di Thor.
La sua figura tremò un momento, si fermarono. La abbracciò, dispiacendosi per il suo cattivo fato.
Onestamente, non sapeva cosa dire; era un argomento troppo delicato, e loro due erano ancora estranei. Provò a usare parole universali.
‹‹Tranquilla, vedrai che tutto si sistemerà..››
‹‹No, no..›› minimizzò lei ‹‹perdonami, mi sono approfittata della tua bontà, tu non c’entri nulla..››
Le accarezzò la schiena, le asciugò le lacrime che non erano scese, almeno non fisicamente; le sorrise. ‹‹Anche se non fossi il tuo futuro marito, non mi peserebbe affatto consolarti; e ora: che ne dici se andiamo a cavalcare un po’?››
La vide sorridergli appena di riflesso. ‹‹Ma io non ne sono capace..››
Fece una linguaccia scherzosa, degna di quelle da vera vipera di sua sorella. ‹‹E che problema c’è? Ti insegno io››
La trascinò verso le scuderie, promettendosi di trovare un modo per farla sorridere di nuovo: perché se c’era una cosa in cui il capo delle guardie reali era bravo, era quella di portare il buonumore ovunque andasse.
 
 
                                                                                     ***
 
 
Osservò il soffitto, con le braccia dietro la testa, disteso sul letto.
Era contento, oltre ogni misura. Era tornata, e il piano poteva avere inizio. La sua vendetta coincideva con la felicità che si apprestava ad afferrare.
Anirei, colei che impensieriva il destino perché poteva cambiarlo. E lui, il suo, l’avrebbe cambiato.
Rise, rise fuori di sé.
Ricordò quel visino terrorizzato e a pezzi, che avrebbe chiuso in una gabbia, al sicuro, per attuare la sua vendetta.
Ora, doveva solo approfittare della prima occasione per uscire da quella noiosa cella.
 
 
                                                                                  ***
 
 
Anirei rideva, era da tempo che non riusciva a distrarsi. Balder era meraviglioso, riusciva sempre a riprenderla prima che su di lei si abbattesse il pensiero del suo vecchio dio, perso per sempre, chissà dove.
Il cavallo tentò di disarcionarla per l’ennesima volta, scivolò dalla sella, ma il giovane la prese. Era davvero molto bello, sembrava brillare di luce propria, anche le parole sembravano accendersi, i suoi capelli biondo cenere che ricordavano una distesa di spighe di grano, i suoi occhi blu come l’oceano, i suoi sorrisi splendenti. E poi infondeva tranquillità solamente guardandolo.
Odino era stato molto gentile nella sua scelta, dopotutto.
Se soltanto il suo cuore non avesse battuto per qualcuno che non c’era più, finendo in un limbo, forse, forse avrebbe potuto farselo piacere. Forse, col tempo..
‹‹Forse ho scelto un cavallo un po’ difficile da comandare››
‹‹Forse sono una schiappa io, che dici?››
‹‹Non volevo essere insensibile, ma dal momento che lo dici tu.. ebbene sì, questo è il cavallo più buono e gentile del mondo››
Sorrisero di nuovo quando il cavallo la disarcionò.
Un pensiero strisciante come un verme le suggerì che l’animale percepiva il suo vero stato d’animo, perciò non era tranquillo; dava voce alle sue sensazioni profonde.
‹‹Guarda›› indicò il giovane facendo un cenno della testa verso le stalle ‹‹Quello è il destriero di Odino, Sleipnir, il cavallo dalle otto zampe››
Al nome, Anirei perse un colpo; osservò l’animale, nascondendo la sua malinconia: sembravano passati secoli da quando lei e Loki scherzavano sul divano della biblioteca, scambiandosi effusioni di affetto sempre più ambigue.
La creatura era magnifica, grigia, senza alcuna macchia di colore differente che avrebbe potuto rovinarne il manto, l’unità. Scuoteva la testa infastidito da piccoli insetti volanti, fremeva con tutte le zampe. Contrasse le sopracciglia scure verso l’alto, guardandolo. Un altro dettaglio della vita del dio che aveva dovuto leggere su un libro anziché venirne a conoscenza dalle sue labbra.
Forse non si fidava abbastanza di lei, forse voleva solo che quell’illusione la isolasse dal resto della sua vita, come aveva fatto Abriyl. Non la credeva all’altezza? O semplicemente non gli importava, e voleva solo vincere quella scommessa, per poi gettarla via quando più lo avrebbe gradito.
“Non ti illudere di essere stata poi così importante”
Eppure non riusciva a credere che quel Loki fosse stato solo un’illusione.
Quanto vorrei che tu fossi qui..
Il cavallo cominciò a partire, trotterellando tranquillo.
‹‹Brava! Ora stai attenta a non cadere..››
Anirei guardò il terreno, che scorreva sotto i suoi piedi senza che lei usasse le gambe, mentre un rumore di sottofondo di zoccoli la calmava come un tranquillante. Era contenta, si sentiva leggera come una piuma. Accarezzò la criniera dell’animale, ringraziandolo con tutto il suo cuore; provò a farlo girare, e dopo qualche tentativo, ci riuscì.
‹‹Ora voglio vedere a scendere..›› scherzò, ma forse neanche tanto, quando si ritrovò accanto al guerriero che si protendeva in avanti per aiutarla; scosse la testa con convinzione ‹‹Voglio provare da sola››
Cadde sulle punte con un salto leggero, allargò le braccia per trovare l’equilibrio; incurvò le morbide labbra nella direzione del dio per fargli capire che era agile e pronta di riflessi tanto quanto un uomo provetto. Non appena i loro occhi si incontrarono, risero all’unisono, per poi circondare nuovamente il cavallo interamente bianco, tappezzato da chiazze più scure.
Toccava piano e delicatamente il manto dell’animale, le dita che lisciavano con gentilezza il pelo, ricevendo in cambio vocalizzi di apprezzamento.
‹‹Mi piacerebbe saper tirare d’arco in groppa a un destriero.. oppure saperci stare sopra in piedi ››
Con la coda dell’occhio, lo vide accigliarsi appena, non si aspettava un’osservazione del genere.
‹‹In piedi..? Come i saltimbanchi del circo?››
Si grattò lo zigomo, leggermente imbarazzata ‹‹Perché no..? Sarebbe grandioso…!››
‹‹Ma no, nulla, è un po’ strano, non mi è mai venuto in mente..››
Gli fece una linguaccia timida. ‹‹E' la stessa cosa che mi hanno detto quando volevo impugnare la spada con la sinistra: ci ho provato, ma non me l’hanno permesso››
Evitò di guardarlo, continuò ad accarezzare il cavallo e successivamente a grattargli la criniera d’ombra.  ‹‹Non fare troppo caso a quello che dico›› aggiunse in un secondo momento, pentendosi della sua incapacità a starsene zitta e non fare figuracce.
Balder non disse nulla, si limitò ad osservarla con sguardo incuriosito. ‹‹Le piaci›› constatò mentre il muso del cavallo tentava di darle piccoli morsi affettuosi sulla spalla.
Si addolcì, sorridendo caldamente verso il quadrupede. Con gli animali era tutto più semplice, si trovava subito a proprio agio, e viceversa; avevano la capacità di tranquillizzarla come una poesia, una canzone, una parola di conforto, una bellissima scultura, un abbraccio caloroso.
‹‹Mia regina››
La voce del giovane dio la fece tornare alla realtà; si voltò all’istante, si inchinò di tutta fretta, il gesto automatico più veloce del pensiero.
Quando i suoi occhi scuri si allacciarono a quelli azzurri, si sentì nuovamente schiacciata dai brutti pensieri.
‹‹C’è un problema››
 
 
 
Giunsero il più velocemente possibile verso la Sala delle Udienze, guidati dalla Madre degli Dèi. Quando le guardie aprirono le porte, Anirei si trovò davanti Thor, tornato dalle battaglie che si erano scatenate nei Nove Mondi, illeso e senza un graffio. Non si smentiva mai; sorrise tra sé e sé, felice che stesse bene, anche lui, gli era mancato, quando se n’era andata, e anche prima di lasciare Asgard; al suo ritorno non avevano potuto parlare molto né chiarirsi: il regno aveva bisogno del suo combattente più valoroso, quindi aveva rimandato ogni approccio di riconciliazione.
Da dietro la sua schiena spuntò una donna molto bella, parecchio più bassa di lei, più graziosa e dolce, ma lievemente impensierita; le due brune si studiarono con curiosità. Anirei stava per capire di chi si trattasse, quando Balder si mise in mezzo e, dopo un saluto veloce al Dio del Tuono e alla donna, parlò con Odino.
‹‹Mio re, qual è il motivo della nostra convocazione?››
Odino puntò l’occhio nella direzione della fanciulla. ‹‹Perché anche lei si trova qui?››
Frigga drizzò la schiena, seria. ‹‹E' la futura moglie del capo delle tue guardie, Odino, anche lei deve essere ammessa alle riunioni; e un tempo era anche la nostra diletta››
Titolo che era caduto con la sua partenza, questo si leggeva dal volto vagamente seccato del Padre degli Dèi. Ma non disse nulla, e anzi si propose di illustrarli del problema.
‹‹Questa mortale porta l’Aether con sé››
La luce di Balder sembrò spengersi per un secondo, parallela al suo turbamento.
 
 
 
Anirei si chiese perché fosse stata convocata, lei non poteva fare nulla per quel genere di problema; a meno che non le avessero chiesto di combattere con la spada, ma quello allora sarebbe stato un altro paio di maniche. Si erano messi a discutere di convergenze tra mondi e allineamenti tra dimensioni diverse, e l’argomento le sarebbe anche piaciuto se soltanto non le avesse ricordato fastidiosamente il suo secondo arrivo ad Asgard, ritardato di nove anni.
Si era incamminata da sola verso la sala dove si trovava Lorelei, la piccola almeno, avrebbe trovato modo per impegnarle la testa.
Aumentò l’andatura, speranzosa che il movimento ostacolasse i pensieri.
..Quella doveva essere Jane Foster, la donna mortale che si vociferava avesse rubato il cuore al Dio del Tuono; era diversa da come se l’era immaginata, tutta il contrario di lady Sif.
Temevo quello che c’era scritto nel libro del destino, e per nulla.
Che povera sciocca. Loki faceva bene a prenderla in giro per le sue fissazioni.
Inspirò profondamente, doveva impegnarsi di più a dimenticare, a non pensare almeno, purtroppo il suo cuore glielo impediva; ma doveva farsene una ragione..
‹‹Ehi, fermati››
Anirei si stupì di ritrovarsi il braccio circondato dalla mano grande di Thor.
‹‹Non conoscevo questa storia del matrimonio..››
Lo guardò rassegnata. ‹‹Probabilmente l’idea di Odino era di farlo sapere dopo aver partorito il primo figlio; solo allora, forse, si sarebbe deciso››
I suoi occhi celesti la fissarono troppo a lungo e troppo intensamente per reggere il suo sguardo. Abbassò le iridi nocciola, alzò le sopracciglia. ‹‹Non devi preoccuparti, è stata una mia decisione››
In un certo senso, era la verità.
Thor la studiò con sospetto, non lasciò la presa su di lei, ma non le faceva male, era un tocco gentile, come al solito.
Esitò appena, poi parlò ‹‹Tu.. lo ami?››
Quella domanda la distrusse dentro; certo che non lo amava, chi voleva prendere in giro? E probabilmente non sarebbe mai riuscita a farlo, perché Loki..
Cominciò a singhiozzare, il dio si guardò intorno, la scortò in una stanza contigua, lontana da occhi indiscreti, la lasciò piangere sul suo petto.
Nonostante tutto, il figlio di Odino le voleva bene; sembrava averla perdonata. Ne era felice, ma non le importava più. Non le importava più di nulla. Di nulla. Sentì le carezze del Dio del Tuono sulle guance, sulla schiena, i capelli. Quanto avrebbe voluto che quelle fossero le mani di Loki. Quanto avrebbe voluto che quello fosse il suo torace, così perfetto nell’insieme delle sue cicatrici, dei suoi addominali asciutti, della sua pelle alabastrina, fredda o calda a seconda dell’amore che recepiva. Adesso probabilmente era gelida.
Le mancava terribilmente.
‹‹Vedrai, andrà tutto bene..››
No. Non sarebbe andato tutto bene, perché la sua scelta aveva portato a delle conseguenze che doveva accettare, a testa alta, smettendola di fuggire.
Si staccò, in malo modo, si allontanò. Si scusò tra una lacrima e l’altra, poi se le asciugò una per una; piantò lo sguardo nel suo, decisa.
‹‹Lasciami stare, per favore. E' meglio per tutti››
 
 
                                                                                   ***
 
 
Un altro terremoto, la fortezza tremava profondamente.
‹‹Balder..››
‹‹Voi due rimanete chiuse in questa stanza›› ordinò, arrivando alla porta.
Si ritrovò davanti la fanciulla dai lunghi capelli scuri, con l’espressione seria. ‹‹Posso aiutare››
‹‹No›› sentenziò, deciso. ‹‹Devi restare con mia sorella, la devi proteggere››
‹‹Ma..››
Le prese il viso dolce tra le mani, le sorrise con tenerezza. ‹‹Tornerò, te lo prometto››
Posò le labbra sulle sue, facendo gioire la bambina tra mille schiamazzi e grida di entusiasmo. Guardò gli stupendi specchi castano scuro; neanche lui sapeva bene perché l’avesse fatto, ma la situazione sembrava richiederlo. Scoccò un’occhiata di rimprovero alla sorella, che si zittì subito, sorridendo maliziosa. Anirei rimase un momento immobile, e lui ne approfittò per lasciare la porta e uscire fuori.
Non fece neanche un piano di scale, che trovò subito manipoli di Elfi Oscuri da ogni parte.
Cazzo.
 
 
 
‹‹Thor!››
Al suo richiamo il dio si piegò, e lui, passando la spada sopra la sua testa, infilzò un nemico dietro di lui. ‹‹Questi qui vogliono solo creare un diversivo…››
Guardò il dio, scansò una di quelle strane bombe. ‹‹Dov’è Jane?!››
Il Dio del Tuono riprese al volo il martello, lo fissò per un momento con i suoi zaffiri celesti, poi si decise a rispondergli, vagamente impensierito.
‹‹Io vado da Madre, ho una brutta sensazione.. tu..››
‹‹Qui ci penso io, amico. Vai, vai, avanti!››
Quello gli sorrise grato, gli fece un cenno d’intesa con la testa; chiamò la forza di Mjölnir e si diresse velocemente verso il palazzo dorato di Asgard.
Balder chiamò le guardie a rapporto, le incitò, accerchiò quel che rimaneva di quei maledetti elfi. Ma come diamine avevano fatto ad entrare?! E in massa, per giunta.
Ne infilzò uno, due, tre… cominciò a perdere il conto dopo il quindicesimo, tra le urla di dolore e incitamento, la puzza e lo sporco del campo di battaglia che mai si era dimenticato.
Quando anche l’ultima testa nemica cadde, la seguì rotolare via con lo sguardo, stanco e provato, con la spada tesa lungo il fianco e il respiro alterato.
‹‹Uh, disgustoso››
Alzò gli occhi verso il prigioniero che aveva ironicamente commentato.
‹‹Ringrazia di essere il figlio di Odino, o quella stessa sorte sarebbe toccata a te››
Il Dio del Caos ghignò. ‹‹E tu ringrazia di essere amico del vero figlio di Odino, perché altrimenti non ricopriresti una posizione di rilievo come quella di capo delle guardie reali››
‹‹Vedo che ti piace giocare con la lingua come sempre››
‹‹Chiedi alla tua donna come le piaceva giocarci››
Rimase di sasso. Cercò di far finta di nulla; Loki non meritava la sua attenzione, né c’era bisogno di ascoltare le sue parole tentatrici e insinuanti dubbi. Non sapeva perché il principe lo odiasse così tanto, ma fin da quando aveva conosciuto Thor, da adolescenti, gli riservava occhiate cariche di gelosia e di disprezzo. I tre guerrieri gli avevano detto di non farci caso, che aveva qualche rotella fuori posto. Sif era rimasta in silenzio: dopo che le aveva tagliato i capelli qualche anno prima, lo ignorava completamente, aspettando il momento propizio per vendicarsi, magari uccidendolo. Balder aveva sospettato che la mossa di Loki avesse spento le faville tra la guerriera e il Dio del Tuono, il quale aveva fatto di tutto pur di proteggere il fratello, arrivando a fronteggiare lei e suo padre; e metterle l’uomo amato contro, la donna, non glielo avrebbe mai perdonato.
Da quei tempi lontani si era oramai rifiutato di capire come funzionava la sua mente sinistra. Si allontanò, ignorandolo, mentre quello gridava:
‹‹Porta i miei saluti alla tua sposa, mio caro Balder!››
 
 
 
‹‹Balder!››
‹‹State bene?››
Anirei lasciò la mano della bambina, che corse verso il fratello, abbracciandolo. ‹‹Noi sì, ma tu..?››
Fece per avvicinarsi, ispezionò l’armatura sporca di un colore scuro e vagamente rossastro.
‹‹Tranquilla, non è sangue mio››
Gli sorrise, lieta; poi si ritrasse appena, al ricordo del bacio, seria ma imbarazzata. Lui parve accorgersene, perché si passò una mano sulla testa, se la grattò. ‹‹Per prima..››
‹‹E' stato bellissimo! Rifatelo!›› gridò la bambina, fuori di sé. L’imbarazzo crebbe, soprattutto se Anirei pensava che non le era piaciuto neanche un po’. Le sue labbra si erano sentite violate, reclamavano la bocca di un altro individuo. Fu Balder a calmare la sorella, rimproverandola di mantenersi educata e rispettosa, soprattutto dal momento che quello che era successo nel palazzo era stato veramente grave. Asgard aveva ricevuto un’altra infiltrazione, dopo che la sicurezza era stata aumentata, due anni prima. Allora era stato Loki a tradire.
Scosse la testa e si ordinò di non fare più associazioni nei suoi confronti.
‹‹Thor dov’è?›› chiese, invece.
Balder si illuminò, poi le fece cenno di seguirlo. Anirei si piegò verso Lorelei, le suggerì di andare dalle serve del piano superiore, ad aspettarli. Quella si rifiutò, soprattutto perché le avevano negato il bacio. Le promise che dopo sarebbe andata a giocare con lei, e la bambina alla fine cedette.
‹‹Non so come tu faccia a sopportarla, ha fatto scappare almeno cinque o sei governanti..››
Lo guardò un po’ stupita, poi il giovane si chiarì. ‹‹Non tanto per il suo atteggiamento.. più che altro per gli intrugli che costringeva a bere. E' molto presa dall’alchimia e dalle pozioni varie.. il maestro che le ho preso per darsi una regolata, è più affascinato dalle sue capacità alchemiche che magiche, e a volte mi chiedo se non ho fatto peggio››
‹‹Sa usare la magia?››
Balder espirò appena. ‹‹Ci sarebbe portata, ma lei preferisce quegli strani intrugli››
Giunsero al pian terreno: sia l’interno che l’esterno del palazzo erano stati sfigurati. Tanta polvere, tante macerie, tanti feriti, tanti morti. Scorsero la figura di Jane venire loro incontro, tutt’altro che felice.
‹‹Meno male, state bene. Credo che Thor abbia bisogno di voi..››
Si scambiarono un rapido sguardo, la osservarono silenti, e preoccupati.
‹‹La regina è morta››
 
 
 
 

********
Eccoci qua, con un nuovo capitolo -che non mi piace per niente, ma siccome la mia mente si rifiuta di collaborare, ecco che alla fine ho ceduto e ho deciso di pubblicarlo comunque.
Dunque, Balder esiste sia nel mito che nei fumetti comics, ed è una figura alquanto enigmatica ed interessante (per ora non rivelo nulla, o faccio spoiler sulla storia) mentre Lorelei esiste solo nei fumetti. Mi sono inventata la loro parentela, mentre l'inclinazione di Lorelei dovrebbe essere proprio quella di pozioni e roba varia.
Comunque, ecco che già si stanno svolgendo gli eventi di Thor 2, c'è Jane, i simpatici elfi di Malekith, l'Aether.. non credo ci si possa sbagliare ahah
Ho inserito la storia di Anirei per spiegare un po' i motivi e la causa del suo, come dire, "turbamento interiore", altrimenti non si può affrontare il suo personaggio a tutto tondo -è parecchio complicata la ragazza, abbiate la pazienza di provare a capirla-; in ogni caso, avremo altre occasioni per affrontare il suo passato. 
Infine mi scuso per come ho scritto il capitolo, non mi piace per niente, ma quando prende un blocco di questo tipo mi posso solo arrendere*vi prego di perdonarmi D:
Ringrazio vivamente tutti coloro che leggono questa ff, e chi mi supporta lasciando bellissime recensioni (grazie mille <3) :*
Spero di farmi perdonare coi prossimi,
Au revoir,
_Aly95

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** CAPITOLO ***





 
Ma Thor non aveva bisogno di nessuno di loro. L’unico che avrebbe potuto capirlo marciva in una delle tante prigioni lontane dal palazzo: entrambi sapevano che per colmare il loro dolore, il cuore aveva bisogno del sangue di colui che aveva tolto la vita alla donna che tanto avevano amato.
Ma su come ottenere vendetta, il Padre degli Dèi aveva un’opinione diversa dalla loro, che avrebbe messo a rischio, nuovamente, il popolo di Asgard, purtroppo incapace, però, di reggere un altro sanguinoso attacco.
I funerali furono celebrati il giorno successivo, tantissime sfere luminose abbandonate verso il cielo, come lucciole sacre, in omaggio alla regina, che aveva preferito sacrificare la propria vita immortale piuttosto che consegnare l’arma al nemico. Nella volta notturna, quelle luci fluttuanti brillavano insieme a tutte le altre stelle, confondendosi con esse una volta lontane, parimenti silenziose, in rispetto davanti al suo nobile gesto.
L’intero regno rimase in silenzio, quella sera, non una parola, non un suono fu emesso dagli esseri di Asgard, né il re proferì altro dopo un solenne discorso di addio; non una lacrima, anche se molti giurarono di averla vista, così trasparente quasi da essere invisibile, mentre la barca si dissolveva, al di là delle grandi cascate che sfociavano nell’immenso spazio aperto.
Come si fosse addensato  in quella silenziosa goccia lucida, il giudizio del saggio Odino scivolò via, almeno temporaneamente. Ordinò di chiudere il Bifröst, affinché nessuno si arrischiasse a lasciare il regno senza il suo permesso, rinchiuse la mortale in una stanza sorvegliata dalle migliori guardie reali, si ritirò con i comandanti per organizzare la difesa in vista del sicuro arrivo del nemico, che sarebbe tornato per recuperare l’Aether.
Il Dio del Tuono si presentò davanti a lei e a Balder, chiedendo un aiuto che venne subito promesso; la fanciulla si offrì di recarsi, al posto del futuro sposo, la cui assenza al presidio dei suoi sottoposti avrebbe fatto nascere qualche sospetto, all’appuntamento segreto con i coinvolti alla fuga di Jane Foster.
Thor la venne a prendere, senza indossare i suoi soliti preziosi e vistosi abiti, che avrebbero attirato l’attenzione, in silenzio si diressero verso i sobborghi del regno.
‹‹Ricordi tutte le posizioni e i turni di guardia delle sentinelle che ha disposto Balder?››
Annuì, il dio suo futuro marito se li era fatti ripetere tante di quelle volte da averne la nausea al solo pensiero. Passato il cancello, si allontanarono dalla strada principale, indossando il cappuccio ed evitando più persone possibili.
Anirei era impossibilitata a vedere l’espressione sul viso del Dio del Tuono, poteva solo tirare a indovinare; dalla morte della madre era diventato serio, incredibilmente di poche parole, distaccato, ma mai freddo o indifferente come suo fratello. La fanciulla sperava che ritrovasse presto la pace e la serenità, quell’atteggiamento duro e sofferente non si addiceva alla sua persona.
Quando l’aveva trovato con il corpo di Frigga tra le braccia, fronte contro fronte, non aveva saputo che cosa dire; semplicemente, quando lui aveva lasciato la donna sotto gli sguardi carezzevoli del padre, era andata ad abbracciarlo, con più forza che riusciva a metterci.
Invece adesso, forse, era il caso di dire qualcosa. Senza fermarsi o rallentare l’andatura, gli prese una mano, stringendola.
‹‹Mi dispiace›› sussurrò cercando di trasmettere con le parole lo stesso calore e la stessa vicinanza che infondeva con il gesto. Thor ricambiò la stretta, recependo la sua sincerità, non avendo bisogno di ulteriore spiegazione o di inutili e vani discorsi.
Mi dispiace anche di non essere stata una buona amica per te, Thor..
Rimase mano nella mano con lui, un contatto caldo e avvolgente nella sera abbastanza fredda e umida, fino a quando giunsero in vista della locanda scelta come luogo di ritrovo.
Una volta dentro, abbandonato il chiasso tipico del luogo, raggiunsero una stanza del piano superiore, all’interno della quale già si trovavano i tre guerrieri e lady Sif, che discutevano a bassa voce.
‹‹Madamigella, è un gran piacere vedervi qui. Due piani più su, c’è una camera libera››
‹‹Fandral, al solito mi lusingate, ma non posso proprio fare tardi stanotte››
Lo spadaccino strizzò l’occhio, divertito. Il Dio del Tuono si schiarì la voce, richiedendo serietà, e tutti si misero a sedere attorno al tavolo che troneggiava in mezzo alla stanza, cominciando a mettere in piedi il piano che aveva come scopo l’allontanamento dell’Aether da Asgard.
     Alla fine della serata, nessuno dei presenti era soddisfatto, ma le circostanze non concedevano alternativa, il piano era per la gran parte improvvisato; probabilmente, pensava Anirei, sarebbe giunto a compimento, con qualche chance di riuscita, solo dopo un lauto sacrificio alla fortuna.
Sif sospirò, dando la benedizione a quella missione impossibile.
‹‹Ma sei sicuro che Loki conosca questi passaggi dimensionali? Se fosse un bluff..›› osservò critico lo spadaccino da parte sua, tamburellando con le dita sul tavolo, mentre la fanciulla, con le mani dietro la schiena, si torturava la carne all’udire quel nome che per l’ultima parte del piano era stato così tante volte citato.
‹‹Lo so per certo›› sentenziò crudo Thor, appoggiando con forza i pugni sulla superficie di legno, e guardandolo seccato; successivamente se ne uscì, resistendo chiaramente all’impulso di sbattere la porta.
Volstagg dette un’occhiata ai presenti, alzando le spalle quasi fosse disinteressato. ‹‹Se pensiamo che a suo tempo fu lui a far entrare gli Jotun a palazzo, possiamo anche fidarci –per quel che vale››
Lady Sif gli riservò un’occhiataccia. ‹‹Se ti sente, te la fa pagare Volstagg. Lo sai che non ammetterà mai che sia stata colpa sua, il giorno dell’incoronazione..››
Anirei si ritrovò a seguire Thor, non tollerando quei discorsi e quegli eventi che moltissime, troppe, persone, in particolare le serve e le ancelle che le portavano i pasti e le vesti, offrendosi poi di aiutarla ad indossare gli abiti e ad acconciarle i capelli, si erano offerte di farle rivivere vista la sua assenza al tempo in cui i fatti accaddero.
Lo trovò accanto ad una finestra, con i palmi saldamente impressi sulla pietra, pensieroso, ma ancora vagamente infastidito dall’osservazione poco fiduciosa dell’amico.
Lo affiancò, posandogli delicata la mano sul braccio. ‹‹Thor, va tutto bene?››
Quello si voltò; annuì leggermente con la testa. Rimasero in silenzio, entrambi guardavano fuori nella notte, immersi nei propri pensieri.
‹‹Sembra che a non odiare Loki, siamo solo tu ed io››
Non commentò; onestamente, non era più tanto sicura di quello che provava nei confronti di quel dio che le stava spezzando il cuore rivelando una parte di sé di cui non ne immaginava neanche l’ombra dell’esistenza.
‹‹Ad Asgard, dicono tutti che se lo aspettavano, da lui››
Thor aumentò la forza nella presa, fece una smorfia col labbro. ‹‹Dirlo dopo, è sempre facile››
La fanciulla lo guardò malinconica e triste, il suo profilo da guerriero si stagliava nella debole luce del corridoio. ‹‹Tu cosa pensi?››
Il dio rimase immobile, non rispondendo subito. Anche lui, forse, si era posto tante volte la medesima domanda. ‹‹Non ho mai capito perché Loki si ostinasse ad essere così riservato e  freddo nei confronti di chi lo circondava, ma non ho mai pensato che fosse cattivo, né che volesse fare tutto quello che ha fatto›› alzò la testa, scrutò il cielo scuro. ‹‹Ma non posso dimenticare la scia di morte e distruzione che ha lasciato dietro di sé.. e anch’io, non posso più fidarmi di lui››
Anirei fece scivolare la mano lungo il braccio, la sovrappose alla sua.
Thor aveva ragione. Qualunque fosse il motivo del suo agire, che avesse un senso o meno, era il risultato a contare, alla fine. E Loki era un assassino.
Artefice di quell’immagine di morte e distruzione che l’aveva tormentata tempo prima, impedendole di dormire la notte.
La domanda successiva, era ancora più ardua, anche solo da pronunciare nella testa.
Saresti capace di passare su tutto quello che ha fatto e perdonarlo?
 
 
                                                                                      ***
 
 
‹‹E' andata bene, sono riusciti a passare››
La vide rasserenarsi. Ora non restava che pregare che finisse tutto per il meglio, che il piano non subisse ostacoli di nessun genere. Tra i pericoli maggiori c’era l’eventuale tradimento di Loki. Più che eventuale era pericolosamente probabile. Meglio non pensarci.
Piuttosto, c’era un altro problema.
Tirò fuori una fiaschetta dal contenuto rosso scarlatto, il cui colore ricordava puro sangue fresco. Lei alzò un sopracciglio curiosa, accolse l’oggetto tra le mani; lo studiò girandoselo più volte tra le dita e inclinandolo appena prima da una parte e poi dall’altra. Alla fine, di fronte alle sua espressione interrogativa, spiegò di cosa si trattasse.
‹‹E’ di Lorelei. Ha preparato quello che credo sia un filtro d’amore››
Anirei gli restituì uno sguardo scandalizzato.
‹‹Lo so, anche se sembra solo una bambina, è un portento; da adesso in poi dovremo stare attenti a quello che beviamo..››
Riprese la fiala e se la mise in tasca, sospirando. Sua sorella gli nascondeva qualcosa, da anni. E anche quel maestro, non gliela raccontava giusta.
Negli ultimi tempi era stato costretto a concentrarsi con impegno prima nell’ottenimento della carica che adesso ricopriva, poi per il lavoro che ne conseguiva una volta investito di tale onere, mentre Lorelei si era ritrovata quasi sempre sola, dimenticata tra le mani del maestro, l’unico con cui aveva rapporti oltre a lui. Di amici, non ne voleva: desiderava una famiglia che le stesse vicino, e Anirei le ricordava la sorella che aveva sempre desiderato, se non la madre che non aveva mai conosciuto. Per questo si era intestardita con quella fanciulla, aveva paura che non amando il fratello, sarebbe stata questione di tempo prima di decidere di abbandonarla per seguire il suo cuore. D’altronde, loro padre li aveva lasciati per ragioni simili.
‹‹Va tutto bene?›› si preoccupò sfiorandogli una mano.
Scosse il capo minimizzando.
‹‹Non dirle niente. La situazione potrebbe peggiorare››
O lei potrebbe peggiorare.
Balder porse il braccio alla fanciulla, si incamminarono nel cortile dove era stata seppellita, simbolicamente, la regina: una tomba rappresentata da un grande ciliegio, il cui seme era stato ritrovato accanto a Yggdrasil, molti secoli prima, e che Frigga stessa si era impegnata a curare nel giardino interno tra mille premure.
Anirei sfiorò il tronco con delicatezza, chiuse gli occhi e rimase in silenzio; Balder fece lo stesso, i suoi usi non erano molto diversi da quelli di Asgard.
Alcuni petali rosa si posarono leggeri sulle loro teste e sulle loro vesti, mimetizzandosi col vestito color pesca rosa di lei, il cui busto lasciava scoperto di poco il décolleté per poi chiudersi stretto sulla vita con una leggera fascetta della medesima sfumatura, e sciogliersi in una miriade di pieghe toccanti il prato con ampio strascico; il busto si chiudeva sul retro decorato con piccoli fiori su tessuto trasparente, mentre la schiena veniva lasciata scoperta generosamente, sulla parte superiore con la forma di una curva acuta, su quella inferiore con la fascetta rosa che si piegava morbida a V.
Alzò lo sguardo verso i rami del grande albero, intravedendo il cielo azzurro.
Pregò che la regina Madre vegliasse su tutti loro, adesso più che mai.
Speriamo che riusciate a proteggerli.
 
 
 
Anirei stava reggendosi la lunga veste per non inciampare, mentre saltava assieme alla bambina.
“Adesso sediamoci un po’, altrimenti tuo fratello ci sgrida”
Si dettero le mani e cominciarono a creare semplici coroncine di fiori, tra una pernacchia e l’altra; Lorelei rideva divertita, i comportamenti da bambina che sembrava perdere in alcuni bui momenti erano tornati in gran quantità. Le faceva bene stare con quella donna, ritrovava l’infanzia che perdeva con certi atteggiamenti; ancora ricordava quella volta in cui, raggiungendo la stanza in cui soleva praticare le sue doti alchemiche, si era ritrovato davanti una donna adulta, dalla mentalità di una bambina di sette anni. Da allora, aveva chiamato il miglior maestro sulla piazza per tenerla sotto controllo: poteva seriamente rischiare di uccidersi inavvertitamente, con i suoi esperimenti.
Il lato negativo di tutta la storia ruotava però proprio intorno alla persona che di lei si doveva prendere cura. Sparivano per settimane intere, a volte, campando scuse come il raggiungimento di una libreria segreta e la ricerca di ingredienti introvabili.
Osservò sospettoso la bambina di undici anni che si posava sul capo una tiara di margherite, si inchinava regalmente presentandosi come la futura regina di Asgard, e chiedeva alla fanciulla davanti a sé di farle da principe. Volteggiarono giocosamente fino a raggiungerlo, Anirei, fingendo un vocione da uomo, lo invitò a far danzare la principessa; si alzò, sostituendola, portando la ragazzina al picco della sua felicità. Guardando i suoi occhi illuminati, Balder si accorse quanto desiderasse una vera famiglia, un fratello e una sorella presenti, una coppia che la trattasse come una figlia.
Si voltò verso Anirei, le sorrise non appena lei li salutò timidamente con la mano. Chissà, magari avrebbero potuto costruire un sentimento duraturo col tempo; e sarebbero stati una famiglia felice.
La fanciulla guardò per un momento il cielo, poi l’orizzonte, abbassando impercettibilmente le palpebre e sospirando dentro di sé; il suo cuore, però, apparteneva ad un altro, e non poteva fare a meno di stare in pensiero per lui.
Lorelei si strinse alla sua giacca, spiando dietro la sua schiena.
‹‹Devo andare›› replicò con una voce troppo matura per la sua età. Diede un bacio sia a lui che ad Anirei, poi si volatilizzò col servo che era venuta a prenderla per la lezione.
Decisamente, gli nascondeva qualcosa.
Si sdraiò accanto ad Anirei, focalizzandosi su di lei.
‹‹Sei tanto indecisa su quello che vuoi fare, ma vedo che con i bambini te la cavi; pensaci un po’ su››
Lei sorrise appena, era ancora in alto mare circa quella questione.
‹‹Non ti sei mai pentito della tua scelta?››
Scosse la testa. Garantire l’ordine del popolo asgardiano gli piaceva un tempo come adesso. Anche se, negli ultimi tempi, la corruzione che aveva sempre fatto fatica a notare, si stava facendo largo ad ampie bracciate.
‹‹Ho sentito dire che voi dèi vi prendete un certo periodo di tempo per decidere quello che volete fare; è vero?››
‹‹Per noi il tempo non ha molto senso; ci è donata una vita immortale che ci stanchiamo di vivere prima ancora di vedere l’orizzonte della nostra fine.. Non è che ci prendiamo “un periodo”: semplicemente, non ci mettiamo fretta né ci creiamo problemi su quello che decideremo di fare››
Anirei affossò la testa tra le ginocchia, borbottò un qualcosa come “Beati voi”. ‹‹… a me non riesce proprio di capirlo: mi piacciono cose diverse, ma non mi è chiaro che cosa mi porti più felicità fare. Ho la brutta abitudine di non comprendermi quasi mai››
Protese una mano, la invitò ad alzarsi. ‹‹Non farti troppi problemi, verrà da sé››
Annuì poco convinta, ma si abbandonò nella sua mano, mettendosi in piedi. Le porse il braccio, la scortò lontana dal palazzo, verso le stalle, per potersi svagare un altro po’ prima di riprendere il turno di guardia.
‹‹Che ne dici se dopo passo a-..?›› ma non finì la frase, perché voltandosi si accorse che le guardie reali li avevano circondati, con Odino alla testa del cordoglio.
I problemi continuavano a sovrapporsi, a quanto pareva.
‹‹Sei colpevole di Alto Tradimento, Balder, capo delle guardie reali di Asgard››
 
 
                                                                             ***
 
 
Sbatté le mani sulla porta, come un’ossessa, ma nessuno le rispose.
Accidenti..
Balder era stato scortato nelle segrete, mentre lei rinchiusa in una stanza; non erano state aggiunte altre spiegazioni dopo la sentenza di accusa rivolta dal re, le guardie li avevano trascinati via immediatamente, a forza, senza dare il tempo di metabolizzare la notizia.
Bussò di nuovo, ma invano. Non era giusto quello che stava succedendo, Balder aveva agito nel migliore dei modi.. e non era stato nemmeno il solo a “tradire”, se era per quello.
Si appoggiò con le spalle alla porta, tentò di calmarsi e di pensare lucidamente, ma non era facile dal momento che  il cuore galoppava in ansia per Thor, per Loki, per Balder, Lorelei…; per tutti.
Cosa stava succedendo? L’accaduto si era svolto così repentinamente da sembrare irreale.
Udì il rombo del Bifröst, era stato riaperto. Corse al balcone, le parve di riconoscere il Dio del Tuono, e ritagliò un angolo della sua mente per rallegrarsi della sua salute. Si sporse in avanti, sperando di mettere meglio a fuoco, pregò che il figlio di Odino venisse a risolvere la situazione, che scagionasse il guerriero dall’accusa di tradimento per aver fatto fuggire la mortale con l’Aether.
Si mise ad aspettare, con la schiena contro la paratia, a giocherellare nervosa con le dita sulle ginocchia, contando il tempo con le contrazioni del cuore.
Thor era tornato solo.
Non c’erano né Jane Foster né Loki. E il figlio di Odino non sembrava avanzare felice dell’esito della sua missione.. doveva essere successo qualcosa di poco piacevole.
Un brivido di paura le percorse la schiena, facendole immaginare il peggio.
Raccolse i capelli da una parte, ci fece passare attraverso le dita, se li lisciò più volte, per calmarsi.
Non poteva essergli capitato nulla di grave. Se la cavava sempre, con delle cicatrici, ma vivo.
Ho paura per te..
Per quanto avesse cercato di toglierselo dalla testa, per quanto lui si fosse mostrato come il peggior criminale, genocida, traditore.. rimaneva sempre attaccata a lui, strascicando il loro rapporto con un amore perduto, un cuore rimasto in un limbo, mezzo spezzato. E in quel volto crudele avrebbe sempre rivisto il riflesso dello stesso Loki che cercava di mostrarsi indifferente rispetto alla sua salute, nonostante in verità non lo fosse.
Udì di nuovo il fischio del portale, e poi nulla.
Si inquietò maggiormente.
Thor… SE N’E' ANDATO?!
Il cuore cominciò a battere velocemente, cominciò a respirare a fatica. Allargò le braccia, prese ampi respiri, cercò di calmarsi.
Perché Thor non era andato a salutarla? Era davvero lui ad essersene andato?
Si dette della sciocca per non aver tenuto d’occhio il passaggio dimensionale, perlomeno avrebbe saputo chi aveva lasciato Asgard.
Tenne lo sguardo verso il Ponte, fisso, fino a quando non scese la sera, priva di stelle e di qualsiasi luce di conforto; solo allora si indirizzò verso il letto, si nascose sotto la coltre delle coperte scure e della pelliccia di lupo bianca: immaginò che fossero le sue ali candide, riuscì a calmarsi un po’.
Alzò le gambe in posizione fetale, si coprì il viso con le braccia.
Dimmi solo di non essere morto..
 
 
 
“Anirei..?”
“Sì..?”
“Adesso è il caso di tornare dentro, non vorrei che si facessero un’idea sbagliata”
Aprì le palpebre, si era addormentata senza neanche accorgersene accanto al dio; si stropicciò gli occhi, cercò di dare una ripulita al viso bagnato dalle lacrime che aveva versato poco prima.
Doveva avere un aspetto terribile, ma Loki fu educato a non farglielo notare.
“Andiamo, dormire fuori è troppo anche per i tuoi standard”
Sbadigliò appena, si stiracchiò emettendo un tenue miagolio. “Cosa intendi per i “tuoi standard”?”
Si alzò sulle ginocchia, levò lo sguardo: il dio si era già incamminato verso la porta principale dei giardini. Lo raggiunse, non smettendo di sbadigliare. “Potevi anche aspettarmi..”
“Sei troppo lenta”
Ruotò le iridi verso l’alto. “Mai un complimento da te..”
“Non capisco perché dovrei fartene, non c’è niente da elogiare”
Il sonno era ancora troppo presente per potersi arrabbiare.
“Ma perché tu menti sempre, e sarebbe carino che lo facessi anche con i complimenti”
Non giunse risposta, ma lei non se ne dispiacque, stava cominciando a farci l’abitudine; al contrario, gli si mise davanti, fece un gran sorriso. “Grazie per avermi ascoltata, per me hai fatto molto”
Si accarezzò la linea fresca della cicatrice; e poi lo abbracciò, senza neanche accorgersene.
Ti voglio bene..
 
 
                                                                                          ***
 
 
‹‹Dimmi dove si trovano››
Sputò per terra, macchiando il pavimento nero col suo sangue scarlatto. Non sapeva dove si fossero andati a cacciare: e se anche l’avesse saputo, non glielo avrebbe sicuramente rivelato.
‹‹E tu dimmi perché li vuoi trovare››
Un’altra frustata sulla schiena gli tolse il respiro. Ansimò, il dolore delle bruciature stava diventando insostenibile. Quanto sarebbe riuscito a sopportare, ancora?
‹‹Non farmi usare le cattive maniere››
Rise. Loki non era capace di essere buono. Non era capace neanche di vincere, nonostante i suoi bassi sgambetti, e le sue vili trovate. Questo era il suo destino, perdere sempre. E tutto.
In realtà non ne era pienamente sicuro, ma visti i suoi trascorsi, e il male che portava con sé, non poteva essere altrimenti; più che altro , al momento costituiva una flebile speranza a cui aggrapparsi, in mezzo a tutto quel dolore dissestante.
‹‹E' inutile che ci provi, Loki. Che sia solo tuo fratello, un gruppo di Midgardiani, o chiunque altro: ne uscirai sempre sconfitto. Mettiti l’anima in pace e vivi sereno in esilio››
Con la coda dell’occhio lo vide avvicinarsi, e una sua mano gli alzò la testa, poco gentilmente.
‹‹Vedi, mio caro Balder, con gran rammarico, ma ti devo dare ragione››
Lo fissò freddo e spietato, con quei suoi occhiacci maledetti: trasudavano di odio da ogni parte, non c’era spazio alla bontà o al sacrificio senza interessi. Mai avrebbe fatto un favore per il puro gusto di rendere qualcuno felice: avrebbe sempre chiesto qualcosa indietro.
Come si poteva anche solo pensare di avere speranza e fiducia in un essere del genere?
Thor doveva essere pazzo, anche nella sua rassegnazione continuava ad avere nei suoi confronti un benché minimo affetto: Loki, ad ogni gentilezza, ad ogni preghiera, rispondeva con un perfido commento o una bravata tremenda, guadagnandosi il disprezzo e il timore di tutti. Forse era realmente convinto che il loro sdegno fosse una forma di rispetto verso una figura incutente timore, mentre invece confondeva, ridicolo, i due aspetti.
Un po’ gli faceva pena.
Oltre a quei due smeraldi, individuò una flebile luce verde. ‹‹Per questo tu mi devi dire dove si siano rifugiati tua sorella e il suo maestro››
Non gli rispose verbalmente, ma gli piantò uno sguardo eloquente nel viso: la morte sarebbe stata ben più accetta prima di sapere tra le sue mani quei due.
Fortunatamente Lorelei era riuscita a scappare in un secondo momento. Quel maestro doveva aver in riservo molti assi nella manica, e poteva solo ringraziarlo per questo.
Ad uno schiocco di dita del dio, ricevette un’altra frustata sulla schiena.
Per un attimo vide il buio, stava per perdere conoscenza; malauguratamente non successe, e si accasciò ancor di più al piolo di legno cui erano legate le sue braccia.
Anirei..
Chissà se anche lei era scappata. Lo sperava, o quello l’avrebbe sicuramente torturata, anche solo per fargli un dispetto.
‹‹Sai, prima di morire, un inutile essere umano, mi disse più o meno le tue stesse parole, che essere sconfitto era nella mia natura… soprattutto dal momento che “manco di convinzione”. Ebbene›› sentì di nuovo il viso alzarsi verso l’alto, ma i propri occhi vedevano solo il nero della sua incoscienza ‹‹adesso invece ce l’ho. E ho anche il mezzo per vincere››
Perse definitivamente i sensi all’ennesima fitta dolorosa.
 
 
                                                                                ***
 
 
Doveva essere mezzogiorno, o poco più. E fu in quel momento che udì scattare la porta, attraversata immediatamente da una figura imponente e pacata.
Odino entrò con tutta la sua maestosità, la sua armatura d’acciaio scuro, il lungo mantello di stoffa nera che si apriva perfettamente dietro di lui, l’inconfondibile benda di metallo sull’occhio perduto molti millenni prima durante la guerra contro Jotunheim; lo sguardo severo e la lancia, Gungnir, ben stretta in una mano.
Anirei non si curò di inchinarsi, era troppo confusa e fuori di sé, voleva delle spiegazioni sull’accaduto; sfrecciò sconfortata davanti a lui, chiese che fine avessero fatto Balder e Lorelei, che cosa fosse successo a Thor, se era stato esiliato per la stessa condanna di tradimento volta contro il capo delle guardie.
Non ottenne risposta; al contrario, il re la squadrò a lungo, e lei rimase in silenzio. Aveva qualcosa di diverso, e  dopo il fiume di domande cui lo aveva sottoposto, lo captava sempre più di minuto in minuto. Indietreggiò appena, poco sicura. Il panico le palpitava nel cervello; anche lui fece un passo, ma in avanti, verso di lei.
Forse aveva osato troppo contro il Padre degli Dèi.
La porta si chiuse, e lei deglutì, pensando al peggio. Lentamente, i lineamenti di Odino si sciolsero, per dare vita ad altre sembianze, se possibile, ancor più familiari. L’azzurro dell’occhio divenne meno intenso, misto a un verde chiaro, fino a diventare smeraldo; i capelli argentei si scurirono, la pelle sbiancò nel pallido.
Loki.
‹‹Ma che…?›› . Sbatté più volte le palpebre, attonita, non riuscendo a raccapezzarsi dinanzi allo spettacolo cui aveva e stava ancora assistendo.
‹‹Io sto bene, comunque, grazie per averlo chiesto›› soppesò la lancia, e alzò caparbio le sopracciglia direzionandola verso di lei, pungendola appena con la cima aguzza.
‹‹Ma..›› cercò di riprendersi dallo stupore, osservò sospettosa la punta dell’arma sopra il seno. ‹‹Odino.. che cosa è successo? Che cosa gli hai fatto..?!››
Il dio non disse nulla, in risposta la fissò intensamente, troppo; quegli occhi non più azzurrognoli erano comunque troppo penetranti per poter reggere il suo sguardo.
Abbassò appena il proprio, intimorita, ma non avrebbe demorso.
Avrebbe ottenuto chiarezza sulla situazione, le domande si duplicavano per ogni secondo che passava: se Loki aveva preso le sembianze di Odino, dov’era quest’ultimo, ed era stato il Dio dell’Inganno e del Caos a muovere accusa a Balder? Thor, che sorte aveva subito?
E perché lei non aveva fatto la stessa fine del capo delle guardie? Che cosa le voleva riservare?
Sei un mistero Loki… lo sei sempre stato per noi povere, sciocche, menti.
Le dita lunghe e affusolate del dio si diressero nella sua direzione, ma lei si scansò prima che potessero a malapena sfiorarla; impermalita, ripetette le domande precedenti, le sopracciglia abbassate, a sottolineare la sua collera e l’importanza della questione. Sempre nel più teso dei silenzi, si ritrovò inchiodata al muro, la mano gelida attorno al collo le spingeva la testa contro la parete.
‹‹Porta rispetto al tuo re›› sibilò soffiandole sul volto.
La sua lingua, sempre tagliente quanto crudele. Ma mai come quel gesto violento che le ricordava tutti gli sbagli commessi nei suoi confronti.
‹‹Cosa vuoi fare.. uccidermi…?›› sussurrò respirando a fondo, cercando di calmarsi, mentre ogni passaggio d’aria le faceva pulsare la carne contro la stretta gelida delle sue dita. La morte ricevuta per mano sua non era da escludere, dal momento che l’aveva minacciata fino a qualche settimana prima; e le dita chiuse sulla sua pelle erano un chiaro avvertimento della serietà delle sue intenzioni e delle sue parole.
Mi odi davvero così tanto?
Dal canto suo, non sapeva come approcciarsi: era felice che non gli fosse successo nulla a causa dell’Aether, ma il suo atteggiamento la spaventava e la faceva rabbrividire di repulsione. Fremette davvero, impaurita, quando si avvicinò al suo viso.
Il cuore cominciò a tamburellare di fronte alla sua espressione sensualmente arcigna. ‹‹Capirai tutto a tempo debito..››
La mano che teneva la lancia si liberò dell’arma, appoggiandola sul tavolo di poco distante, le percorse la linea del collo e della spalla, sfiorandola appena. Per un attimo ebbe l’impressione che volesse farle scivolare via la spallina rosa, ma non accadde.
Chiuse gli occhi, quando percepì il suo fiato sulla carne delle labbra ‹‹Ma prima devi dimenticarlo››.
Per la prima volta da quando l’aveva rivisto era serio, il suo solito sorrisetto l’aveva abbandonato; la tensione si poteva toccare con mano.
‹‹Chi…? …Thor..?›› balbettò confusa.
Loki tornò a vestire i suoi nuovi panni, risate stridule e alte, cattive. Lasciò la presa su di lei, si guardò le unghie con fare non curante, si appoggiò al bordo del tavolo, gli occhi malamente divertiti.
‹‹Oh, sì, Thor, il mondo gira intorno a lui, come dimenticarsene››
Lo guardò, a disagio, non sapendo come doversi comportare.
 ‹‹… Balder..?›› provò di nuovo, angosciata.
Il dio non rispose.
Un muro invisibile oramai li divideva, e lei non riusciva a capirlo, se mai in realtà lo avesse veramente compreso. E se avesse avuto ragione? Se fosse sempre stato così e lei da ingenua non se ne fosse mai accorta?
Una domanda la scavava dentro, portandole gioia e paura al contempo: il Loki che aveva conosciuto, era davvero un’illusione?
‹‹Se sai qualcosa su di lui, dimmelo, per favore..››
Il dio continuò imperterrito a studiarsi le unghie, come se lei non stesse parlando; non a lui, perlomeno.
Sentì la collera divorare la paura, e alzò la voce, quasi gridando. ‹‹Dove si trova..? E Lorelei? Che cosa vuoi da loro..?››
Continuava ad osservarlo, la testa le esplodeva per la miriade di punti interrogativi.
Gli specchi freddi guizzarono verso di lei, la zittirono immediatamente ‹‹Adesso basta, mi infastidisci. Lasciami concentrare››
Quella frase si portò dietro un silenzio improvviso. Rimase ferma, immobile, contraddetta e insospettita. Che si trattasse di uno dei suoi soliti giochetti? Di quando braccava le vittime dei suoi inganni, aspettando una loro mossa per poi controbatterla: attendeva che la sua preda tentasse un movimento, per poi tagliarle la strada ogni volta, farla sentire impotente, con le spalle al muro, ad ogni passo avanti gliene faceva fare due indietro. Così voleva comportarsi con lei, come una nemica da abbattere? Come un re su una scacchiera che avrebbe fatto indietreggiare fino all’ultimo, buttandolo giù dal bordo con il tocco di un solo dito, solo, senza nessuno, se non lui, che l’avrebbe spinto di sotto.
Solo in quel momento si accorse che le dita del dio erano illuminate leggermente di verde; un fascio di luce che durò pochi minuti, mentre le pareti della stanza risplendevano calde di riflesso, accendendosi di un lieve bagliore.
‹‹Aspetta! Che cosa hai in mente di fare?›› lo fermò sulla porta, prima che potesse andarsene, afferrò un lembo del soffice mantello nero.
Loki si voltò lentamente verso di lei, per un attimo la fanciulla credette di ritrovarsi con la sua mano al collo, nuovamente; decise comunque di non mollare la presa, determinata. Lo affrontò con gli occhi nei suoi, per quanto le riuscì farlo, mentre il suo tocco freddo le saliva su per la schiena. ‹‹Mi riprenderò ciò che è mio›› alzò un angolo della bocca, con un ghigno vagamente beffardo.
Anirei trovò le parole più sincere e dolci che riuscisse a provare in quel momento, mentre le unghie che le percorrevano la colonna vertebrale bruciavano quasi quanto una fiamma viva, distraendola. ‹‹Non è così che legittimeranno il trono, Loki. Peggiorerai soltanto la situazio-›› velocemente la mano era risalita lungo i capelli, e li aveva stretti strattonandola appena verso l’alto, facendola sobbalzare.
‹‹Cosa puoi saperne tu..? Sbaglio o eri impegnata a scappare il più lontano possibile..? ›› i vetri verdi l’attraversavano da parte a parte, terrorizzandola.
‹‹Ti prego, non fare loro del male..›› mormorò con un filo di voce, un lamento supplichevole misto al timore che riusciva a imporre con ogni suo singolo gesto o verbo.
Ghignò, passandosi la lingua sulle labbra. ‹‹Invece, mi divertirò a torturarli lentamente, creando nelle loro deboli menti illusioni talmente perfette da superare la stessa realtà. Impazziranno prima ancora che io li tocchi con qualsia-››
‹‹Come ti permetti?! Come puoi fare una cosa così orribile?!›› scattò ribellandosi, cercando di liberarsi menando pugni a casaccio ed eventualmente colpirlo.
‹‹Cosa credi di fare..?›› le fermò i polsi in una morsa di ferro ‹‹Sei completamente alla mia mercé..››. Le portò le braccia dietro la schiena, per quanta forza ci mettesse, la fanciulla non riusciva nemmeno a frenarlo, in confronto a lui sembrava una bambina inerme; se soltanto avesse serrato la presa, avrebbe potuto spezzarle le ossa.
Allontanò il viso irrimediabilmente vicino al suo, le labbra sottili che un tempo aveva desiderato si avvicinarono al suo orecchio, con parole graffianti e fredde. ‹‹Ti senti impotente, Anirei? Perché è così che ci si sente quando si ha un destino che ci stringe come un cappio al collo: deboli e frustrati, di fronte a ciò che di più caro ci viene inevitabilmente tolto››
‹‹Loki, tutto questo non ti farà sentire meno vuoto, o meno solo..››
Lasciò la presa ferrea sulle sue braccia, la fanciulla percepì la sua mano nell’incavo del collo.
‹‹Questo è tutto da vedere. Adesso che ho te, non fallirò›› le dita affusolate scorsero lungo una ciocca della sua chioma scura che si portò alle labbra.
 
 
Le sue stanze, ecco dov’era finita. In un primo momento non ci aveva fatto caso, ma dopo la partenza di Loki, che si era ritrasformato in Odino, si era messa a sedere sul letto e aveva dato un’occhiata intorno: l’ambiente era lo stesso, ma negli anni gli oggetti e i mobili erano cambiati.
Perché mi hai portato qui?
Era frustrante l’attesa in cui la lasciava; non sapeva che cosa fare, né che cosa aspettarsi, né come eventualmente scappare. E poi, dove andare.
Fece un giro per la camera, studiò ogni oggetto appartenente al dio, e della maggior parte di essi si domandava l’utilità: alcuni sembravano dei semplici soprammobili, altri avevano tutta l’aria sinistra di servire a qualche astruso incantesimo.
Al solito, il gigantesco specchio che troneggiava in un angolo, rifletteva ogni cosa nella stanza, ci si poteva specchiare ovunque ci si piazzasse, per la vanità tipica del giovane. Non poté fermare un sorriso nel constatare che, almeno in quello, Loki non sembrava essere cambiato..
Sospirò, chiedendosi che cosa volesse da lei.
La vendetta con cui le avrebbe tagliato la gola, non sarebbe stata breve e indolore: avrebbe giocato, avrebbe sfruttato i sentimenti che provava per il vecchio Loki, le avrebbe staccato i tessuti del cuore pezzo a pezzo. Ora, probabilmente, era occupato a fare altro, oltre che a tenerla in attesa fino a farla impazzire..
Un pensiero improvviso andò a Balder: possibile che fosse ancora vivo, o che fosse, nella migliore delle ipotesi, scappato?
E Lorelei? Stava bene?
E Odino? Loki lo aveva ucciso?
Tante, troppe domande, e troppe conseguenti angosce.
Probabilmente, la sua punizione consisteva in questo: aspettare senza che nulla accadesse o potesse fare.
Raggiunse il bagno, decise di lavarsi, nell’ inconscia speranza che le paure scivolassero via assieme all’acqua che scendeva dopo ogni tocco di spugna, scivolando sulla sua pelle chiara.
Eri davvero un’illusione..?
Come poteva aver mentito così bene? D’accordo, neanche il Loki che conosceva lei era uno stinco di santo, ma mai avrebbe pensato che nascondesse tanto odio verso il mondo, che arrivasse a comportarsi in maniera così folle.
Io non ti ho mai capito..
Era proprio vero, non sapeva nulla sull’amore.. come era potuta essere stata così cieca e così inutile? Come aveva anche solo creduto di sperare in quello che avevano provato l’uno per l’altra?
Ricordò lo sguardo felino del dio, nella cella. Aveva ragione lui.
Era stata proprio lei la prima a non crederci.
Affondò la testa sotto la superficie cristallina, trattenne il respiro il più a lungo possibile.
L’acqua calda le accarezzava la pelle, le ammorbidiva la carne, donandole un poco di sensazione di libertà e di rilassamento.
Sei mesi, dieci anni, quello che era: e tutto era cambiato; niente di quello che aveva lasciato al ritorno sembrava combaciare con ciò che aveva ritrovato tornando.
Tutti erano cambiati.
E lei?
Continuava a rimanere l’estranea della situazione, le proprie azioni le scivolavano di mano, il proprio corpo, la propria testa, non riuscivano a colmare, a recuperare quel lasso di tempo.
E neanche il suo cuore.
Era questo che mi nascondevi di te?
Riemerse dall’acqua, prese un profondo respiro. Si passò le mani tra i capelli, lisciandoli dietro la testa.
“Devi dimenticarlo”
A chi si riferiva..?
Balder, doveva trattarsi di lui, per forza, era rimasto in silenzio quando aveva pronunciato il suo nome.. eppure, l’istinto le suggeriva che non si trattava di lui.
Si alzò, prese uno dei morbidi asciugamani, ci si avvolse con premura, combattendo il freddo. Con i capelli ancora umidi si diresse verso una sottospecie di triclinio rosso fuoco, comodo e pieno di cuscini neri, accanto al focolare acceso. Lì si distese, continuando a trovare risposte la cui ricerca non faceva altro che fomentare la sua confusione.
Perché pretendi che io capisca se non mi spieghi?
 
 
 
 
 
 
***************
Vi ringrazio per essere arrivati fin qui, al tredicesimo capitolo**
Dunque, sì, Loki sta dando il via al suo piano, ma per farlo ha bisogno di Lorelei e del suo maestro.. ma chi è davvero questa ragazzina? *TAN TAN!
Non credo ci sia qualcosa di particolare da dire, a parte la citazione di Coulson degli Avengers ("Fallirai sempre, perché manchi di convinzione"), sono tutti molto sneaky sneaky coi loro piani e i loro segreti.
Vi ringrazio tutti, spero abbiate apprezzato il capitolo!:D (scusate ma sono di fretta e non posso dilungarmi)
Au prochain chapitre!
_Aly95

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** CAPITOLO ***


Mosse l’indice in cerchio, sulle lenzuola di seta chiara, si morse il labbro inferiore. Osservò il suo re magnifico, circondato da quell’aura magnetica e sensuale che poco aveva a che fare con la bellezza classica dell’altro figlio di Odino. La pelle eburnea che contrastava con le sue morbide ciocche corvine, sottili, tra cui far scorrere le proprie dita ambrate, ospite di due freddi smeraldi, luccicanti per l’idea malevola e sibillina che trasmettevano in maniera fiera ed egualmente subdola. L’incarnazione della bellezza e dell’attrazione del male.
I suoi modi cortesi ed educati si sposavano stranamente col tono vagamente tagliente e distaccato che assumevano le sue parole, che rasentavano in ogni circostanza ordini secchi e indiscutibili.
Il Dio del Caos aveva un fascino tutto suo, e lei era soddisfatta delle attenzioni che le riservava. Un tempo credeva di averlo perso per sempre, quando l’aveva minacciata perché i suoi occhi avevano in mente un’altra donna, la sua lingua parole che voleva gettare sfrontato solo su un altro paio di labbra, che non erano le sue.
Ma era tornato da lei poi, avrebbe detto con la coda tra le gambe, se soltanto quell’ affermazione non l’avesse fatto adirare ancor di più.
“Fammi dimenticare che esisto” le aveva comandato una sera, tornando all’improvviso, una maschera impassibile e il volto affilato; e lei non aveva fatto domande, lo aveva spogliato lentamente, aveva coperto ogni lembo di pelle con la sua sapiente bocca, con le sue mani esperte su quel corpo che sarebbe sempre stato suo; d’altronde, conosceva ogni suo più perverso desiderio, ogni sua più strana ed erotica fantasia. Lei lo conosceva come non lo conosceva nessuno.
Eppure, da quel giorno, una parte della sua mente non le prestava attenzione, anzi, sembrava pensare ad altro che non fosse lei. E la gelosia la pungeva nell’immaginare chi o cosa fosse più importante da considerare che non gli facesse godere a pieno il piacere che gli dava.
Da quando era tornato poi, quella parte della sua mente che le aveva negato da anni si era allargata spropositatamente fino a rubargli ogni barlume di attenzione.
‹‹A che cosa pensate, mio re?››
Il Dio dell’Inganno e del Caos continuò a sedere appena un po’ scomposto sul bordo della grande finestra ad arco, e a guardare fuori, apparentemente assorto. Le preziose vesti di lino verde scuro risaltavano la sua carnagione pallida, il suo fisico asciutto ma ben proporzionato. Un bellissimo angelo delle tenebre coperto da un paio di grandiose ali verdi e nere.
Uscì da sotto le coperte, si diresse ancheggiando verso il dio, i folti capelli rossi che seguivano i movimenti; si piegò su di lui, gli solleticò maliziosamente il petto, poi si diresse verso le labbra fredde e sottili per stamparci sopra un bacio provocatorio. Ma non appena unì le loro labbra, il re la fulminò infastidito, lanciandole uno sguardo carico di disprezzo.
‹‹Sai che non accetto queste sciocche effusioni di affetto; da una sgualdrina vuota come te è semplicemente ridicolo e disgustoso..››
Quante storie per un bacio a stampo; e non si scordava mai di aggiungere offese rivestite da nomignoli poco affettuosi e che distribuiva in maniera gratuita, senza prenderla sul serio.
Sorvolò sulla sua freddezza, tanto era lei ad averlo in pugno.
‹‹Mio re, volevo solo sapere che cosa vi spinge ad ignorarmi quando mi trovo nel vostro letto››
Un sorrisetto derisorio gli si dipinse sul volto. ‹‹I re non vanno a letto con le comuni sgualdrine, e queste sono le stanze dei regnanti se non erro››
Fu lei a sorridere, questa volta. ‹‹Peccato che io non sia una comune sgualdrina››
Si mise a sedere sul letto, accavallò le gambe, portando dietro le spalle la cascata di capelli di fuoco.
‹‹Io continuerò a mantenere il segreto sul fatto che siate sopravvissuto, e non rivelerò il luogo dove si trova Odino›› lo fulminò, alzando teatralmente un sopracciglio ‹‹Mi sembra che voi siate in debito››
Loki ghignò senza preoccuparsi minimamente. ‹‹Hai ancora la tua vita, se non erro››
Sospirò, annoiata. Era inutile restare ulteriormente in quella stanza, non avrebbe fatto altro che irritarlo, con la propria presenza: ma il giorno in cui avrebbe indossato la corona, allora Loki si sarebbe piegato ai suoi voleri, e l’avrebbe resa felice, nolente o volente.
Si alzò di nuovo, si diresse verso la porta, coprendosi il corpo formoso con veli leggeri.
Era tutta colpa di quella donna, ci avrebbe scommesso; ma sarebbe arrivato il momento in cui non sarebbe servita più. E se non l’avesse fatto lui, l’avrebbe uccisa lei.
Bastava aspettare.
Sarai mio, mio principe delle tenebre. E io sarò la tua regina.
 
 
 
‹‹Che cosa ci faccio chiusa qui dentro..?›› sussurrò a fil di labbra. Si trovava tra le coperte scure e calde del dio, poteva sentire il suo buon odore attraverso la stoffa pregiata.
Si nascose sotto di esse, lasciando fuori solo gli occhi, intenti a immaginarsi la spiegazione dinanzi agli eventi che si erano abbattuti sul palazzo troppo velocemente per poter essere accettati senza cognizione di causa.
Loki era giunto per vendicarsi, quello era chiaro; e lei era prevista nel disegno di quella trama punitiva gelosamente conservata nella sua mente.
Tirò verso di sé la pelliccia di lupo bianco, volendosi nascondere anche gli occhi. Morbida al tatto, prese ad accarezzarla apparentemente distratta.
Avrebbe scommesso con se stessa sulla realtà del suo supplizio: aspettare il nulla, diventando pazza per l’angoscia sulla propria sorte e per quella, imminente se non già in atto, delle vittime della vendetta del dio, e per il dolore al cuore, spezzato dalla bugia disintegratasi di fronte alla vera essenza dell’uomo che aveva amato.
Al pensiero, gli occhi non le si riempivano più di lacrime; ma non poteva fare a meno di cullarsi in un, per quanto piccolo e forse sciocco, gesto di affetto verso se stessa. Si strinse nelle braccia, ignorando i suoi veri desideri.
Non era completamente sola, in quella prigione mascherata come una stanza di albergo.
Ogni tanto una vecchia signora giungeva per portarle i pasti o nuovi abiti puliti, addirittura si offriva di prepararle la vasca o di sistemarle i capelli; aveva provato a scambiarci qualche parola, ma pareva sorda oltreché muta. Perlomeno era gentile.
Proprio in quel momento entrò, chiudendosi subito la porta alle spalle, come ogni buona volta.
Balzò fuori dal letto, non curandosi del proprio aspetto un poco trasandato.
‹‹Lasci stare, oggi non ne ho voglia..›› le disse parandosi davanti. Ma quella la superò dopo averle fatto qualche cenno con la testa, e andò a riempire l’enorme vasca di marmo del vecchio principe.
Dopo che ebbe finito, le porse delle vesti dall’intenso colore azzurro del cielo. Sospirò rassegnata e le prese, mentre la donna si inchinava svelta e lasciava la stanza.
Gettò l’abito e il corsetto di ferro correlato sul letto, mentre si lasciò scivolare a terra, appoggiando la testa ai piedi del talamo e guardando il soffitto.
Quanti giorni dovevano trascorrere prima che la situazione subisse una svolta?
Anzi: quanti giorni erano passati da quando era stata chiusa là dentro?
Preferì non pensarci, e guardò fuori, spossata.
Una magnifica vista delle lande erbose e verdi del regno si diramava davanti ai suoi occhi, donandole la visione di un panorama stupendo e rilassante. Loki amava il silenzio, e soprattutto la solitudine, come aveva provveduto a farle notare tempo addietro, quando la guardava storto ogni qualvolta si presentava in biblioteca invadendo il suo territorio; e quelle distese di foreste e selve incontaminate trasmettevano perfettamente la pace e la tranquillità cui bisogna chi cerca la concentrazione e scava dentro di sé, cercandosi: la giusta atmosfera per chi pratica la magia, immaginava.
Si avvicinò alla finestra, passò un dito sul bordo; la polvere si trovava anche lì.
All’inizio non si era accorta dello stato in cui versava la stanza –era abbastanza occupata ad assimilare la sua nuova situazione da rinchiusa- ma poi, andandone a studiare i vari dettagli, aveva scorto tristemente la tetra conseguenza dell’abbandono e dell’indifferenza.
Uscì sulla terrazza, ma si vide costretta ad arretrare sull’uscio, a causa della stessa forza che la respingeva indietro rispetto alla porta della camera.
Era impossibile fuggire, solo la vecchietta sembrava avere il pass per entrare e uscire a suo piacimento. Ma se anche ci fosse riuscita, pensava, il Bifröst era chiuso e sotto la sorveglianza del Dio del Caos, e di raggiungere Thor non c’era altro modo che lei conoscesse.
Thor..
Chissà se immaginava tutto quello che stava succedendo alle sue spalle, come a quelle di tutti gli abitanti di Asgard. Sospirò; probabilmente si stava prendendo cura di Jane e del pianeta che, come Apollo, amava. Un flebile sguardo alla sua vecchia terra, chissà se gli capitava di darlo, qualche volta, anche di sfuggita.
Si riappoggiò alla finestra, la spolverò prima di sedersi, dando le spalle alla terrazza.
Quella stanza era enigmatica come la mente del suo proprietario, ne era lo specchio proiettato in scala più grande. Guardò il letto, dove di notte non poteva fare a meno di stringersi nel suo profumo, che l’avvolgeva come un mantello.
Voleva davvero andare fino in fondo al suo piano di vendetta?
Loki..
Nel silenzio interrotto da lontani ronzii di insetti a lavoro e di cinguettii melodiosi di alcuni usignoli, udì anche un sonoro rumore di cadenzati passi metallici.
Una guardia.
Si nascose velocemente dietro la parte del letto opposta alla porta, e sbirciò verso lo specchio, cercando di appiattirsi. Il soldato aprì la porta, ma non dette alcun segno di volersene allontanare.
‹‹Il re richiede la vostra presenza nei sotterranei››
Non si mosse, preferiva non fidarsi; essere rinchiusa nelle celle non era poi un gran bel..
‹‹Vuole che facciate visita a un prigioniero accusato di alto tradimento››
Balder..?
Senza pensarci si tirò su, individuando due occhietti neri e vispi, che le fecero cenno di seguirli.
 
 
                                                                                        ***
 

‹‹Ha eretto una barriera attorno l’intero palazzo, non ci è possibile entrare senza venire scoperti. E se anche riuscissimo miracolosamente a guadagnare tempo, sarebbe del tutto inutile: ha isolato il luogo in cui la tiene prigioniera rendendola impossibile da localizzare velocemente, dovremmo aprire ogni santa porta a mano prima di trovarla. Non abbiamo idea di che razza di trucchetti stia usando.. ››
‹‹Se spaccassimo la barriera esterna, quella del palazzo, allora l’unica stanza soggetta ad un campo magico brillerebbe in mezzo a tutte come una stella nell’oscurità, e potremmo sapere dove se ne stia rintanata. Ma servirebbe comunque un diversivo per tenerlo impegnato.. tu cosa ne pensi, Chi?››
Silenzio.
Gabriel si allontanò, salutando il collega con cui aveva scambiato informazioni.
Sachiel lo pedinava a braccia incrociate e teneva lo sguardo fisso sulla sua schiena. Sapeva quello che gli stava comunicando: che a dispetto del loro Signore, secondo lui la colpa del ritorno di quella donna era proprio sua, per averle semplicemente raccontato una massima che sembrava essersi persa nel tempo. Per il pugnale di cui non si erano accorti, invece, sembrava fare orecchie da mercante –non fosse mai che Sachiel avesse colpa di qualcosa.
Cercò di ignorarlo, ma i suoi occhi pungevano più della sua spada.
C’era un gran fermento intorno al palazzo, tutti parlottavano tra di loro, a bassa voce, dando spago a dicerie volgari e presumibilmente falsate. Quando si tratta di sparlare, ogni razza ed ogni essere è buono a diffondere le infamie, pettegolezzi e tutto ciò che può far sentire meglio gli interlocutori, poco tranquilli nel loro animo.
 Tra tutte queste voci, si distingueva in particolare la notizia circa il pericolo in cui li stava mettendo quell’Anirei: a detta di molti, che le davano addirittura appellativo di strega o demonio, se il Dio dell’Inganno e quella donna si fossero alleati, avrebbero scatenato un puro Caos, molto più potente del caos che il Dio aveva prestabilito nel suo sistema di armonia tra male e bene, distruzione e rinascita. La conseguente vittoria di quest’ultimo –il Male, il Caos- avrebbe fatto scivolare l’equilibrio su cui si reggeva il cosmo, lo avrebbe affondato nelle tenebre in modo permanente; il sistema non sarebbe stato spezzato, ma, peggio, sarebbe rimasto valido a metà, non permettendo all’Universo di rinnovarsi, e abbandonandolo quindi a una lenta ma inesorabile fine, spenta, senza pulsazione di vita.
Gabriel aveva deciso di non dare ascolto a nessuna diceria, non era nella sua natura criticare gli altri. In particolare visto che non credeva di sapere più cosa fosse giusto o sbagliato.
Si voltò, con un sospiro sulle labbra. ‹‹Senti, Chi, non farne un dramma, non sta mica succedendo nulla di grave..››
‹‹Giuro che se ti fermi, Gabriel, ti riempio di mazzate; ti conviene continuare a camminare finché non ti senti più le gambe››
 
 
                                                                                       ***
 
 
“Balder!”
Il dolore alla schiena si fece di nuovo pungente, più doloroso a mano a mano che riprendeva conoscenza.
“Che ti hanno fatto..?”
La stessa voce che prima gli risuonava nella testa, squarciava il buio dietro le sue palpebre abbassate. Stentava a riconoscerla tra tutti gli impulsi martellanti che la carne tagliata e deturpata gli inviava per avvisarlo della propria malridotta condizione; le unghie mezze strappate bruciavano con la pelle scoperta e cruda, le ferite sul dorso poteva immaginarsele rosse e incrostate di sangue rappreso, che ad ogni movimento si sarebbe spaccato procurandogli nuove fitte cruente.
Il tocco energico di velluto che percepiva sul volto contribuiva a infastidirlo nel permanere nella sua incoscienza.
Quella tortura durò poco, poi si sentì abbracciare al collo, con molta attenzione, una stretta calda, addolcita ancor più da un tenue profumo leggero. Aprì gli occhi, si trovò a fissare lo scuro pavimento, mentre la sua guancia era accolta nell’incavo del collo della stessa persona che lo stava tenendo tra le braccia.
‹‹Balder..! Come ti senti..?››
Due occhi scuri quasi come il pavimento presero il posto di quest’ultimo, e il suo cuore si fermò.
 
 
 
‹‹Perché mi hai fatto venire qui?... Cosa vuoi da lui… da noi?››
L’ultima parola incrinò come una nota stonata. Sorrise. ‹‹Sono onorato di assistere a tanto attaccamento al consorte, ma mi duole precisare che ti comporti come un disco rotto››
Anirei mantenne le ginocchia ben attaccate al pavimento, senza la minima intenzione di allontanarsi dal giovane che Loki, sbucando dal nulla, aveva fatto svenire appena pochi istanti prima, conducendolo nuovamente ad un sonno tormentato.
I suoi occhi faticavano per la quasi totale assenza di luce, ma riconobbero immediatamente i contorni di quella figura adesso tanto temuta. La stanza sarebbe stata immersa nella più completa oscurità, se non fosse stato per un barile poco distante dal prigioniero, dove un fiammella scarsamente attizzata scoppiettava piano in attesa di spegnersi in silenzio: una fonte di calore che aveva tutt’altro scopo rispetto al riscaldamento dell’ambiente, e una decina di stecche di metallo carbonizzate, appuntite, ne costituivano un indizio evidente.
Solo una minuscola finestrella posta in alto, troppo in alto per poter fornire davvero un aiuto agli occhi dei presenti, faceva entrare sottili raggi di luce e aria nuova, fresca.
‹‹Ti rendi almeno conto di quello che stai facendo?›› domandò avvilita. Si alzò, si diresse verso di lui, il coraggio di fronteggiarlo l’aveva trovato vedendo le condizioni del guerriero. ‹‹Lascialo andare, ti ha aiutato a fuggire..››
‹‹Con la promessa di rispedirmi nel buco da cui sono scappato››
Scosse la testa, convinta. ‹‹Sapevamo tutti che avresti trovato un modo per non tornare››
Loki le si avvicinò, un sorriso sbilenco e provocatorio. Si mise in guardia, irrigidendosi. ‹‹Anche tu credevi che non sarei tornato?››
Percepì il suo respiro sulla guancia, tremò. In quel momento si rese davvero conto della situazione in cui si era ritrovata, giungendo in una stanza di tortura. E se anche non fosse stato per quella serie di macchine e strumenti infernali, non avrebbe avuto sorte tanto migliore: bastava il ricordo della mano di Loki sul suo polso, per scoprirsi completamente indifesa e succube della sua forza. Avrebbe piegato il suo corpo come fosse un fuscello con una sola stretta ben piazzata.
Avvertì le sue dita gelide scenderle lungo la manica del vestito, cercarle le mani.
La voce le vibrò, di una paura che non riuscì a decifrare. ‹‹Vorrei solo che tu fossi felice, e non che vivessi tutto questo rancore del passato..››
Un sussurro nell’orecchio, dal tono deluso. ‹‹Non ti impegni a dimenticare, Anirei..››
Si ritrovò tra le mani una boccetta di vetro vuota. Basita, si spostò verso la fioca luce, per studiarla; non le ci volle molto a riconoscerla dopo averla messa a fuoco per bene.
Tremò.
Era il filtro di Lorelei, Loki doveva averlo trovato addosso a Balder. Si voltò verso quest’ultimo, una maschera di pura sofferenza, di ghiaccio sudore.
E capì.
‹‹Sai di cosa si tratta›› osservò indifferente, come se non stessero parlando di una faccenda seria.
Si voltò verso di lui, fiammeggiante di rabbia, gli relegò uno sguardo furente. ‹‹Se volevi che si innamorasse di me.. che bisogno c’era di farmi venire qui? Potevi benissimo prendere il mio posto come hai fatto con Odino! O volevi soltanto divertirti a guardare la mia reazione?››.
Era fuori di sé, si sentiva giocata e tradita. Che sciocca. Come poteva provare ancora sensazioni del genere dopo tutto quello che lui stava facendo?
Spostando lo sguardo su quella boccetta, riversò più odio verso di sé, che verso di lui. La speranza che quella visita le fosse stata concessa per far provare un po’ di sollievo a lei e al prigioniero le sembrò ridicola oltre ogni limite. Lei, era semplicemente ridicola. Doveva immaginarselo, sarebbe dovuta rimanere sotto quel letto, senza riporre in lui alcuna fiducia.
La voce di Loki la riscosse dalla frustata di crudeltà psicologica che si stava rivolgendo. ‹‹I filtri d’amore funzionano solo alla presenza dei diretti –e veri- interessati. Ergo, se avessi preso la tua forma, non avrebbe funzionato››.
Alzò la testa, incontrò i suoi occhi di ghiaccio; l’anima tenne per sé un sospiro di dolore.
Ricacciò le lacrime, ma non trovava la forza per farlo, né il motivo. Non trovò di meglio che accasciarsi di nuovo davanti a Balder, nascondendo il viso tra i lunghi capelli.
Se ti trovi in questa situazione, è solo colpa mia.
Lasciarono i suoi occhi tante lacrime quante le parole che pensò con sincero senso di colpevolezza. Gli accarezzò la guancia, studiò l’agonia che trapelava dal volto sudato e dalle palpebre, interamente abbassate, in leggera frenesia: nella mente del prigioniero si stava consumando un’illusione creata appositamente da Loki. Un’illusione rivestita da incubo, in cui veniva calpestato l’amore artificiale che provava per lei. Appoggiò la testa sulla spalla, accarezzò i capelli sporchi e sudati, che avevano perso la lucentezza che li accomunava, come del resto la sua intera figura: ricordava una lucciola morente, la cui luce si affievolisce di momento in momento.
Il dio riprese a parlare, ignorando il male che le stava infliggendo senza usare nessuno di quegli aghi appuntiti. ‹‹Vedi, per noi Dèi esistono pochi veleni in grado di danneggiarci veramente, ancora più rari sono quelli che possono condurci in Hel..››. Non voleva ascoltarlo. Voleva soltanto dimenticarsi di lui. In quel momento, avrebbe solo voluto parlare con Balder, chiedergli scusa. Promettergli che avrebbe rimediato ai suoi errori. ‹‹E l’amore, la passione, è un veleno molto potente che può condurre alla morte, che acceca il pensiero e fa saltare nella tomba››
Tenne lo sguardo fisso su Balder, ma non lo vedeva realmente. Anche senza averli davanti, aveva cucito negli occhi quei due smeraldi luccicanti. ‹‹E' davvero quello che pensi..?››.
Il tono piatto con cui lo disse si portò dietro un oscuro silenzio. Anche la piccola fiammella pareva ammortizzare il suo triste scoppiettio, carica di aspettative verso la risposta del dio.
Era troppo confusa per accorgersi del dio che l’aveva raggiunta dall’altra parte rispetto al prigioniero, troppo confusa per vederlo piegarsi sulle gambe, percepire il suo sguardo deciso e denso su di sé, che non ebbe il coraggio di ricambiare.
‹‹Alla base di un filtro d’amore vi è il vischio. Esso rappresenta l’amore tra due giovani amanti che si baciano, ma allo stesso tempo è un veleno che, se non trattato con i dovuti riguardi, può condurre alla morte. E' curioso, non trovi?››
Quella spiegazione fu una risposta più che soddisfacente. Nel cuore di Loki non era rimasto altro che odio e desiderio di vendetta, esattamente come i suoi smeraldi scintillanti; e avrebbe voluto non guardarli mai più, perché faceva male, male dentro.
‹‹Trovo solo che sono stanca Loki. Sono stanca››
Socchiuse gli occhi, si accoccolò nell’incavo del collo di Balder, cercando di non gravargli sulle ferite.
Odino aveva voluto che sposasse il guerriero; Lorelei aveva voluto che lo amasse, e adesso Loki l’aveva costretta a farlo. Perché non lo avrebbe lasciato solo in balia di un sentimento artificiale, che lo condannava ad amare una donna che non amava realmente.
Per quanto avrebbe potuto, avrebbe provato ad alleviare le sue sofferenze.
Sentì la mano gelida raggiungere la sua, sfiorarle il dorso.
‹‹Perché gli hai fatto questo…?›› sospirò accarezzando il profilo del giovane dio.
‹‹Ha delle informazioni che mi servono, che mi rivelerà solo torturando qualcuno a cui tenga molto››
Se soltanto non fosse stata in pena per Balder, avrebbe aggrottato le sopracciglia, in segno di sincero stupore: Loki le aveva rivelato qualcosa senza fare troppo il sibillino.
Una piccola parte di lei si sentì sollevata, alla notizia di quel che aveva udito; almeno Balder non veniva torturato per colpa sua, anche se tutto quello spettacolino era stato tirato su per coinvolgerla e farla soffrire.
Aprì il palmo che stringeva ancora la boccetta vuota, per restituirla; lasciò la presa nella mano che Loki teneva sulla sua, i polpastrelli di lui che le sfiorarono le dita per tutta la loro lunghezza. Si ritrasse, per portare di nuovo la completa attenzione sul prigioniero.
Gli regalò un bacio sull’angolo della bocca, nella speranza che lo facesse sentire meglio, lo strinse più forte a sé, cercando di non gravargli sulla schiena, trasmettendogli tutto il suo calore.
La voce di Loki tagliò l’aria. ‹‹Per adesso vattene, non mi servi››
Gli gettò uno sguardo carico di astio in risposta al suo tono crudele. ‹‹Lasciami rimanere con lui, ti prego››
Il dio si ritrasformò in Odino, impassibile, chiamò la guardia che l’aveva scortata là sotto; Anirei si sentì prendere per le braccia, trascinare via con poca delicatezza.
‹‹Avrò qualche diritto, sono la sua fidanzata!››
Si divincolò invano tra la stretta dell’uomo dagli occhi vispi.
‹‹Non sei sua moglie›› spiegò semplicemente il falso Padre degli Dèi, facendo un cenno alla guardia di portarla via e di non starla a sentire.
‹‹Non lo sono grazie a te, mio re›› storpiò le ultime due parole con tutta la rabbia possibile, mentre l’occhio zaffiro scompariva di nuovo dietro la porta di legno.
 
 
 
                                                                                      ***
 
 
Il sole splendeva fuori dalle grandi vetrate.
In realtà, si stava sforzando parecchio di non coinvolgere il meteo nella sua faida interna.
Non voleva che Jane si preoccupasse, né che si mettesse strane idee in testa: a fare quello, ci pensava già la sua anima in subbuglio; diversi e contraddittori sentimenti si accavallavano l’uno sull’altro come mai prima di allora.
Aveva perso Madre. E adesso anche Loki.
Come poteva definirsi un gran guerriero, protettore di Midgard e dei Nove Mondi, se non riusciva a farlo con le persone a cui teneva di più?
Frigga era morta un attimo prima che lui arrivasse, il suo scarso senso di intuizione gliel’aveva portata via: era troppo occupato a divertirsi a massacrare tutti quei mostriciattoli, sfogando il suo ardore di battaglia e inspirando l’odore del combattimento come linfa per il suo spirito da guerriero anziché ascoltare quel pensiero che gli sussurrava, perdendosi tra il clangore delle armi e le grida di incitamento, che una carneficina servita su un piatto d’argento era troppo sospetta.
Se non fosse stato per Balder, probabilmente avrebbe perso anche Jane.
Pigiò un altro tasto a casaccio, sperando di premere inavvertitamente quello giusto; invano.
Sì, Padre aveva ragione.
Era riuscito a cambiare, in quel gesto altruista del sacrificarsi per salvare amici e cittadini innocenti, aveva capito l’importanza di ogni singola vita che nasce, cresce e si libra nel vento, aveva compreso che l’arroganza e la guerra non erano la risposta.
Ma per quanto non gli piacesse più il sangue come una volta, era difficile resistere all’adrenalina che lo travolgeva in tali occasioni, soprattutto se serviva a spengere amari e bollenti spiriti, pensieri, che lo assillavano come una scarica di numerose frecce infuocate.
Lanciò quello che Jane gli aveva detto chiamarsi telecomando e che accendeva il condizionatore sopra la finestra davanti a sé, su una delle due poltrone, non riuscendo ad attivarlo: i Midgardiani e le loro trovate inconcepibili; che bisogno c’era di creare un telecomando tanto complicato per azionare un dispositivo che aveva la sola funzione di abbassare la temperatura?
Incrociò di nuovo le braccia, guardò un punto lontano del cielo, immaginandosi di trovarci Asgard, il suo regno, la sua patria.
Senza lui che combinava guai sarebbe stata più tranquilla, adesso, sotto il comando di Padre. Soprattutto dal momento che Loki non c’era più e con lui se ne andavano gli astrusi tentativi di conquista e rivalsa del trono.
Ah, Loki..
Fratello, ti avrei concesso volentieri il trono.
Già, perché quel sogno per cui aveva combattuto fin da piccolo, certo che un giorno si sarebbe avverato, era sfumato con l’incontro della sua bella, che gli aveva insegnato che poteva esserci altro, di inaspettato, a volte più importante di ciò cui si è aspirato per più di un millennio.
E a Loki, c’era qualcuno che gli avesse insegnato che il potere e la vendetta non erano tutto dalla vita? Che la felicità non dipendeva dalla pronuncia della parola che tutti eseguono senza metterla in discussione?
Era stato un pessimo fratello maggiore, era stato il primo a osannare la guerra e le lodi di conquista, il potere, l’esaltazione derivante le virtù di un guerriero forte e sano, che pensava solo all’onore e a rivendicare torti subiti; non gli aveva mostrato altro che quello: un Achille dell’Iliade.
E nemmeno quando aveva finalmente compreso quello che Padre e Madre avevano voluto insegnargli sin dall’infanzia, ma con scarso successo, era stato in grado di trasmetterglielo.
Ma alla fine, nonostante tutto, Loki aveva dato la vita per lui, morendogli tra le braccia.
Si era pentito per tutto quello che aveva fatto.
Aveva capito, finalmente.
Si scostò il colletto della camicia per il caldo opprimente, decise di rinfrescarsi alla vecchia maniera, con l’acqua fredda sul viso. Si diresse verso il bagno tappezzato di minuscole e quadrate mattonelle bianche, aprì il rubinetto d’acciaio.
Non appena il getto freddo partì, lo accolse tra le mani a coppa, per poi massaggiarsi il volto, sciacquare via ogni triste e doloroso pensiero.
Evitò di guardarsi nello specchio davanti a sé, se ne uscì dalla stanza per dirigersi in cucina, prendendo posto su uno sgabello. Rilesse la nota che gli aveva lasciato Jane quella mattina, dove si scusava per la sua assenza dovuta a una chiamata urgente di Erik.
                                              
                                                           “..Ti amo. Con affetto,
 
                                                             la tua Jane”
 
 
Riposò il foglietto di carta sul banco, incrociò le braccia, spostò il peso più in avanti.
“Perché sei così nervoso, fratello..?”
Scacciò le parole che gli aveva rivolto sulla nave spaziale mentre Jane dormiva.
“C’è qualche pensiero che ti pungola ultimamente..?”
Si alzò, aprì il frigorifero, si concentrò sul fresco che emanava, sul dolce e leggero profumo che emetteva..
“…la sua pelle..? Te lo ricordi?”
Chiuse la portellina, raggiunse il divano e ci si sdraiò sopra, guardando il soffitto.
“Hai proprio un debole per le mortali, a quel che vedo.. come farai a dirlo, Thor, o a conviverci? Fai uno scambio con Balder, una mortale per una mortale..”
Si morse un pugno, cercando di non pensare a tutte le insinuazioni che il fratello gli aveva messo nella testa: il dolore fisico avrebbe evitato di far riaffiorare i ricordi.
Il caldo tornò a farsi opprimente, così si dette un ulteriore sciacquata al viso, sempre evitando di guardarsi allo specchio, rifuggendo risposte di assurda e amara verità che avrebbe letto sul proprio volto.
Da quando era diventato così vigliacco?
Ma se voleva soffocare le ultime tentazioni di Loki, che amava mettere la pulce nell’orecchio, soprattutto laddove non c’era terreno per simili insinuazioni, ignorarle era l’unico modo per non dar spago a ignobili menzogne.
Se in quella stanza ci fosse stato anche il dio suo fratello, immaginava quel che avrebbe detto: “Speri che l’acqua fredda spenga un fuoco che credevi estinto?”.
Al che lui avrebbe risposto che fiamme non ce n’erano, per lei era rimasta solo cenere.
 
 
                                                                                    ***
 
 
‹‹Mio re›› si inchinarono i due consiglieri con cui aveva appena finito di parlare, prima che si congedassero.
Rimase impassibile fino a quando sparirono dietro le grandi porte dorate della Sala del Trono gli ultimi lembi delle loro vestaglie stuccosamente ricche ed elaborate, e anche quando si ritrovò da solo sul suo seggio.
La corruzione di Asgard lo aveva sempre disgustato. Odino non si rendeva conto della feccia che minava sempre più in profondità le basi del regno, sembrava che portasse una benda anche sull’occhio buono, per non accorgersi della gente che lo circondava: i consiglieri con cui la famiglia reale a volte si era ritrovata a condividere la stessa tavola erano solo la punta dell’iceberg. Coloro che sperperavano i tesorieri erano furbi e mansueti, dal carattere camaleontico, di così poco spessore tanto da non venire notati da nessuno, il che rendeva indisturbato il loro lavoro da parassiti.
Aveva imparato a conoscerli perché anch’essi agivano nell’ombra, e nella subdola ipocrisia, ci si era ritrovato a condividere il territorio, in un certo senso, ma certo non poteva esistere paragone.
Loro, erano veramente la morchia della società, mentre lui, per quanto frainteso da quella stessa gente che lo accusava con un dito e si macchiava l’altra mano con i peggiori tradimenti e la più perfetta tra le maschere di ipocrisia, era stato costretto a comportarsi in quella maniera vile e subdola. Nelle maniere del Dio dell’Inganno. Per sopravvivere.
Per sopravvivere nella solitudine della derisione e del pregiudizio della gente.
Sbatté Gungnir sullo scalino, per riconcentrarsi sul piano che stava attuando.
Presto, e con un po’ di pazienza, un altro poco ancora, avrebbe avuto ciò che desiderava di più.
Sif era stata mandata a prenderla su Midgard, per poi portargliela.
Immaginò la faccia che avrebbe fatto quella strega se fosse venuta a conoscenza della vera identità del suo re: semplicemente impagabile. I suoi capelli corvini sarebbero tornati biondi dalla rabbia e dall’umiliazione per non essersi accorta dell’inganno che si stava consumando sotto i suoi stessi occhi: era molto suscettibile quando si trattava di mettere in discussione le sue abilità..
Che sciocchi amici si era scelto il Dio del Tuono.
Come Balder per esempio. Solo il Dio poteva conoscere la grandezza del desiderio di piantargli una lancia in pieno petto, di spengere di propria mano la luce del guerriero che tutti amavano dopo Thor, il quale doveva la sua supremazia alle battaglie vinte in terre lontane, su Midgard, mentre l’altro faceva la guardia ad Asgard. I due beniamini del popolo, che garantivano la sicurezza nei suoi due differenti aspetti.
Abbassò lo sguardo sul pavimento davanti a sé, alle decorazioni dorate delle mattonelle si sostituirono due ragazzi adolescenti, due raggi di sole, che lo imploravano di fargli provare a sollevare Mjölnir. Quelle due paia di occhi azzurri avrebbero fatto invidia al cielo stesso, le loro chiome di paglia al sole e alle stelle.
Più fratelli loro di quanto non lo sarebbero mai stati, lui e Thor.
Gli smeraldi guizzarono verso una lontana colonna, dove un ragazzetto con i capelli scuri e la pelle poco avvezza alla luce del giorno se ne stava nascosto ad osservarli con un’espressione desiderosa e trepidante, carica di profonda e silente invidia.
La serpe che cercava di non bruciarsi dinanzi alla grandiosità delle due metà del sole, che le spiava dalla sua tana celata nell’ombra.
Abbassò le palpebre, e quei bambini sparirono dai suoi occhi; ma non dalle sue pupille, dove l’immagine si cucì per non andarsene più.
Thor..
Non aveva mai odiato così tanto Balder in vita sua; non ne aveva mai potuto sopportare la vista – così come quella dei tre guerrieri e di Sif -, quello era certo, ma non ne aveva mai agognato così tanto la morte; stavolta aveva osato troppo, nel suo continuo desiderio di mettersi sulla sua strada.
‹‹Mio signore, lady Sif chiede udienza, ha riportato un prigioniero in catene››
Fece un secco cenno di assenso, e la guerriera entrò con passi decisi all’interno della sala, conducendo con sé un’altra donna, dai capelli rosso chiaro, tendenti al ramato.
Non pareva spaventata né intimorita, semplicemente, aveva un’espressione infastidita dipinta sulla bocca, piegata in una smorfia.
Sif si inchinò, portandosi il pugno al petto. ‹‹Mio signore, vi ho portato quello che mi avevate chiesto››
Piegò il capo, appena. ‹‹Sei degna del tuo nome, lady Sif, e mi congratulo di avere scelto un valente guerriero come te per portare a termine questa missione delicata. Non chiedo di meglio, tra i miei uomini.. e tra le mie donne. Asgard è fiera di te››
Sif sorrise piena di riconoscenza, si alzò ringraziandolo per le sue lodi. Voltandosi, diede un’occhiataccia alla prigioniera, probabilmente le aveva dato molte gatte da pelare prima di farsi catturare.
Le porte infine si chiusero, lasciandoli da soli.
‹‹L’ultima volta eri tu al mio posto, non è così?››
Ghignò; lei sapeva, ovviamente, o non se ne sarebbe andata via scappando poco prima che potesse imprigionarla. ‹‹Complimenti, mia cara Lorelei, il tuo corpo è davvero splendido››
La donna si spostò soddisfatta i capelli dalle spalle, si soffiò sulle unghie. ‹‹Ha qualche difettuccio, un seno molto più piccolo rispetto a quello che avevo un tempo, ma che ci vuoi fare, è questione di abitudine››
Il suo amorevole sarcasmo, gli era mancato. ‹‹E' grandioso come tu sia riuscita a sfuggire ad Hel, mia cara. Non credo che qualcuno ci sia mai riuscito: ti faccio ancora i miei più sentiti complimenti››
‹‹Ho imparato i trucchi del mestiere dal migliore›› sorrise maliziosa a Loki, alludendo a qualche secolo prima, in cui il dio si era offerto di farle da maestro per un certo periodo di tempo.
Lorelei, gli era sempre piaciuta: scaltra e furba, pronta ad utilizzare qualsiasi sotterfugio pur di raggiungere il suo obiettivo; inoltre era una mente brillante, con un grandissimo talento e innumerevoli doti. Oltre alle nozioni magiche ed alchemiche, aveva un’abilità alquanto singolare: con la voce poteva incantare qualsiasi uomo, rendendolo un servo più fedele di un cane al suo padrone.
Ovviamente, con lui non aveva mai funzionato, la sua mente non era tanto debole da cadere in un sortilegio per sempliciotti.
‹‹Mia cara..›› esordì Loki, cercando di arrivare al punto che più gli premeva, ma senza darlo a vedere ‹‹..perché scappavi da questo palazzo? Non è stata una sorta di casa per.. quanti anni? Undici, dodici? La tua partenza è stata così improvvisa..››
‹‹I bambini prima o poi devono staccarsi dal nido›› rise di gusto.
Alzò un angolo della bocca, si sedette più scomposto. ‹‹Bambini che crescono davvero in fretta..››
Un lampo di cattiveria passò negli occhi della donna, rimase in silenzio, fissandolo.
Loki non aveva bisogno che lei parlasse, sapeva già tutto quello che necessitava sapere prima ancora che venisse mostrata a corte neonata, in braccio al suo nuovo fratello Balder.
Risuscitare dai morti, non era qualcosa di possibile, neanche per una creatura di livello pari a quello di Lorelei. Qualcuno doveva averle concesso un’altra vita, di reincarnarsi.
Qualcuno che potesse avere un potere simile. Qualcuno che avesse l’interesse a volerla in vita.
‹‹Se mi darai ciò che voglio, io ti darò ciò che vuoi››
E qualunque cosa il Dio le avesse promesso, lui l’aveva in pugno, perché Balder era suo prigioniero.







*******
*Finalmente aggiornò*
Salve miei cari!:D
Mi dispiace di non aver potuto aggiornare prima, ma tra le varie cose, c'era il capitolo che non mi entusiasmava molto, l'ho cambiato cento volte, ma quando non c'è modo, non c'è modo, e me ne devo fare una ragioneD: (scusate!)
Dunque, non succede nulla di che; Loki continua a tenere i suoi piani per sé, Gabriel e Sachiel sono tornati dopo molti capitoli di assenza (eeehh chissà cosa erano a fare.. *sporcaccioni -no scherzo ahah..(?) ), Balder diviene suo malgrado il campo di scontro tra quei due decerebrati (Loki e Anirei), Thor è immerso nei suoi grattacapi -Loki non poteva fare a meno di mettergli quella pulce nell'orecchio; e Lorelei? Beh, vedremo nei prossimi capitoli -credo-spero-forse-prego.
Ringrazio tutti per il supporto, soprattutto a chi mi dà la carica con le recensioni *prr <3
Al prossimo, spero di farmi perdonare (lo dico ogni volta, prima o poi ci sarà un capitolo che mi soddisfi *accende un cero)
A' la prochaine fois,
_Aly95



 

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** CAPITOLO ***



 
 
‹‹Se mi darai ciò che voglio, io ti darò ciò che vuoi››
Lorelei lo squadrò, apparentemente interessata. ‹‹E sentiamo un po’, cos’è che vorrei, io?››
Piegò la linea della bocca, con l’indice alzato. ‹‹Innanzitutto, Balder vivo››
La donna diventò paonazza, non riuscì a calmare il respiro, lo incenerì con lo sguardo. Cercò di controllare la propria reazione, ma se esisteva una cosa in cui non era mai stata brava, era quella di non far trapelare i suoi veri sentimenti. ‹‹Immagino quello che tu gli abbia fatto..››
Le labbra si arricciarono divertite ‹‹Soltanto quello che avresti fatto tu se non ti avessi ostacolata prima…e comunque, è vivo, ciò ti basti saperlo››
Non era un mistero l’attaccamento della donna al Dio della Luce, un affetto quasi genuino, tra la marea di relazioni che aveva avuto con ogni uomo sulla faccia della terra, che non aveva fatto altro che solidificarsi con la loro nuova parentela. Non era amore; almeno, per quello che era stato in grado di capire. D’altronde, Balder era stato l’unico a tenere testa a quella femmina senza innamorarsi di lei, al contrario, l’aveva trattata alla stregua di una figlia viziata bisognosa di consigli che, sa, non ascolterà mai: ironia della sorte, adesso era diventata sua sorella.
Era l’unica persona cui probabilmente tenesse davvero.
Lorelei alzò e abbassò le mani in catene, poi soffocò un riso, segno evidente della sua incredulità. Aggrottò le sopracciglia, si passò la lingua sulle labbra come prima della cattura dell’ennesima vittima amorosa. Loki si chiese se non stesse provando ingenuamente a sedurlo. ‹‹Hai incarcerato Balder solo per potermi trovare?››
Esitò qualche secondo prima di rispondere; non poteva rischiare di scoprire le carte prima di essere sicuro: la prudenza innanzitutto. ‹‹Ciò non ti deve riguardare››
La donna guardò in un’altra direzione, un punto sopra la sua testa. ‹‹E invece sì, dal momento che suppongo tu lo abbia torturato. Mi chiedo che cosa abbia da offrirti di così prezioso da meritare un trattamento simile››. Si stava riferendo al collare che fino a poco prima le aveva impedito di parlare, affinché non potesse usare la sua voce incantata.
Rimase in silenzio, curioso di sentire quello che aveva da dire. Voleva almeno darle l’illusione di trovare le sue parole interessanti.
‹‹Non mi dirai di essere geloso.. ›› insinuò con quella voce insopportabile. Sì, la stava usando davvero con quel fine, la povera illusa. Decise di darle false speranze. ‹‹Prima ti porta via il fratello, poi la donna..››
Uhm, niente di interessante. Si limitò ad osservarla impassibile.
‹‹Ma no, non è odio puro quello che provi verso di lui o verso chiunque altro –quel cagnolino di Sif e compagnia bella. Non è lontanamente paragonabile a quello che provi per il figlio di Odino e Odino stesso, a coloro che hai amato e che ti hanno tradito..››. Lorelei sbatteva le ciglia, stirava le labbra in un sorriso provocatorio e saccente. ‹‹Dimmi, Dio dell’Inganno, fa così male venire rifiutati dalle stesse persone che vorremmo ci amassero?››
Scoppiò a ridere di gusto. ‹‹Suppongo che questo non sia invece uno dei tuoi problemi, strega seduttrice. Voce, aspetto e filtri non coprono forse perfettamente la rozzezza della tua anima ninfomane?››
Colpì nel segno, perché la vide abbassare lo sguardo su di lui, regalargli il suo sguardo di lentiggini.
‹‹Mentre invece la tua, di anima, è linda e pulita, tessuta di felicità e bagnata in un fiume di vero amore. Il sangue di tutti coloro che hai ucciso per conquistare un pianeta così ridicolo non le sfiora nemmeno i piedi..››
‹‹Ti pare che il sangue degli abitanti di un pianeta tanto inutile possa turbarmi?››
La donna rossa si morse il labbro inferiore, ogni cellula del suo corpo ardeva di soddisfazione. Piegò la testa verso destra, i morbidi capelli le accarezzavano la spalla con avidità. ‹‹Oh, ma non intendo te, ti conosco fin troppo bene. Io mi riferisco a qualcuno che è ben lungi dal pensarla come te. Quel sangue, sei sicuro che non dia fastidio?››
Celò perfettamente un ringhio, aveva capito quali fossero le sue reali intenzioni: assicurarsi quale fosse la sua debolezza; essendo sveglia, lo aveva già sicuramente capito. Doveva creare false piste, se non era oramai troppo tardi.
Mosse le dita sulla lancia, sorrise divertito. ‹‹Mi auguro che rechi molto fastidio, anche perché non vedo il motivo per fermarmi qua: sono il Padre degli Dèi, adesso, la mia violenza sarà legittimata, e potrò decimare questo Universo solo con una parola. E Balder, sarà uno dei poveri martiri.. per la sua tortura dovrà ringraziare sua sorella, e il suo strano desiderio di improvvisarsi cupido per altri››
Lorelei scoppiò in una risata crudele e profondamente astiosa, sembrava estrarre le unghie come un ghepardo. ‹‹Fallo, e il suo cuore ti verrà negato per sempre. Ho letto nei suoi occhi, Dio dell’Inganno; e leggo anche nei tuoi. Ancora, non sei bravo abbastanza da metterci una maschera sopra››
L’aria si era riempita di elettricità. La donna asgardiana schiudeva le labbra in un sorriso di puro piacere. Ma non l’avrebbe avuta vinta. ‹‹Se mi aiuterai, Balder sarà libero. Se lo vorrai ancora come un tempo, anche Thor sarà tuo, sarai libera di sedurlo quanto e come più ti appaghi››
Lorelei lo fissò in silenzio per qualche minuto, mentre si passava un dito sulle labbra, con le sopracciglia aggrottate e lo sguardo desideroso. ‹‹Sai che sono una che si stanca facilmente, maestro.. Ma il trono su cui sei seduto adesso, quello, non smetterà mai di solleticarmi le corde del desiderio; esattamente come sono assuefatta da quel brivido che provo per gli uomini che hanno il cuore già impegnato..››
Sorrise, malizioso. ‹‹Posso immaginare quanti Midgardiani abbiano avuto l’onore di conoscerti.. sono anni che non assaggi la carne di un uomo››
‹‹Già, ma sono talmente inutili, come hai detto tu.. Non sono re, non hanno il potere.››
Si passò le dita sulla barba bianca tipica di Odino. ‹‹Decidi Lorelei, non puoi avere tutto. E ricorda che anche la felicità di Balder dipende dalla tua scelta; già soffre di freddo e di stenti, laggiù nelle prigioni della vista nord…››
Negli occhi neri dell’alchimista passò un lampo di vittoria. Loki fece appena in tempo a imprecare, che le manette attorno ai polsi di Lorelei andarono in mille pezzi, seguiti da un’onda d’urto talmente potente da inghiottire l’intera Sala del Trono, se non tutto il palazzo. Ne ebbe la certezza quando percepì la barriera esterna infrangersi come un fragile specchio. Le stanze in cui aveva rinchiuso Anirei sarebbero potute essere localizzate; si vide costretto ad eliminare anche quella, per guadagnare tempo.
‹‹La seduzione non serve solo a conquistare, mio caro maestro: serve anche a distrarre. Non te lo ricordi, me lo hai insegnato tu..?››. Gioiva mostrando le mani cariche di magia, di un sortilegio che aveva iniziato a formulare da quando era entrata nel palazzo; per il resto, aveva cercato di temporeggiare.
Si era fatto giocare come un apprendista distratto. Alzò su tutte le furie il labbro superiore, scoprendo i denti. Tenne per sé le sue imprecazioni, utilizzò invece la lingua argentea in altro modo. ‹‹Che cosa ti ha promesso per tornare in vita?!››
‹‹Non capisco a cosa tu ti riferisca›› fece una linguaccia la donna prima di volatilizzarsi.
Dannazione..! Era stato così maledettamente attento ad ogni dettaglio, e adesso tutto gli scivolava via dalle mani per colpa di quella arpia. E si riferiva più a Sif che alla rossa: non aveva esplicitamente chiesto di metterle le manette che di solito usavano su di lui? Non era possibile che avesse raggiunto un potenza magica talmente elevata da poterle spezzare. Soprattutto non dal momento che si era liberata del corpo di bambina da così poco tempo.
Era dannatamente pericolosa e piena di risorse.
 
 
                                                                                 ***
 
 
Una piccola mano la scosse ripetutamente, anche se in modo delicato. Aprì gli occhi, le coperte scivolarono lungo il fianco opposto su cui si era raggomitolata. Si stropicciò gli occhi, confusa ed assonnata.
Di fronte a lei si trovava la vecchina che si preoccupava di portarle il cibo e i vestiti. Non era mai successo che andasse a svegliarla, anzi, sospettava che preferisse quei momenti per evitare che provasse a sgattaiolare fuori. Se soltanto non fosse stata sorda, avrebbe sprecato qualche parola per comunicarle la sua resa; Loki aveva vinto: aveva il trono, aveva i pupazzetti su cui sfogarsi, Thor era fuori dai piedi.. di cos’altro poteva aver bisogno? Avrebbe governato senza problemi fino a quando non avesse trovato un valido motivo perché “Odino cedesse il trono a Loki”, o tuttalpiù avrebbe potuto continuare a governare sotto le mentite spoglie del Padre degli Dèi –anche se il suo sconfinato ego le faceva nascere qualche dubbio al proposito.
Sospirò, volendo solo dimenticare.
La donna le prese le mani tra le sue, e le fece cenno di alzarsi dal letto.
Dalla sua espressione ansiosa, e dalla forza con cui la invitava a seguirla, pareva avere molta fretta. Sbatté le palpebre, donandole tutta la propria attenzione. O si trattava di uno scherzetto di Loki, oppure..
Il desiderio di liberare Balder si fece d’improvviso più forte che mai; non poteva continuare ad atteggiarsi in maniera così arrendevole. Il guerriero aveva una sorella da riabbracciare, doveva tentare almeno per loro. Allacciò velocemente gli stivali, e si fiondò davanti alla porta che era solita respingerla indietro con una forza misteriosa. Provò ad oltrepassarla con un braccio. Usciva per davvero.
L’incantesimo d’intorno la stanza doveva essere svanito.
Balzò in avanti, pronta a recarsi di tutta fretta all’arena, dove avrebbe trovato sicuramente lady Sif e compari: erano gli unici che l’avrebbero ascoltata sulla vera identità di Odino, gli unici che avrebbero potuto aiutare Balder a scappare.
La vecchietta continuò a seguirla per tutto il corridoio, in silenzio e a passi svelti, comportandosi come la sua ombra: la fanciulla si voltò verso di lei, le prese entrambe le mani stringendogliele, stirò le labbra in un sorriso grato.
‹‹La ringrazio davvero molte, ma da qui in poi è meglio se me la sbrigo da sola: se scoprono che mi avete aiutato vi uccideranno›› e accompagnò la frase con pochi e semplici gesti, il più chiari possibile, affinché capisse di tornare alle sue solite mansioni e si creasse un alibi.
Ma quella insistette ad accompagnarla.
Si chiese se non avesse ragione –nel caso in cui fosse riuscita nel suo piano, anche la vecchiarella sarebbe riuscita a scappare – quando girando l’angolo si trovarono di fronte il corpo privo di sensi di una guardia.
Trasalì. Si avvicinò piano, con passo leggero e tremante, scorse una ferita da taglio all’altezza del collo; tastò il polso per prudenza, ma l’uomo era ormai morto.
Cosa diamine sta succedendo…? E' stato Loki o qualcun altro che…?
Preferì non pensarci, e dette un’occhiata all’orribile taglio in cui era stata affondata una spada, tra il collo e la spalla: il colpevole non doveva essere lontano, il sangue stava continuando a sgorgare..
La vecchina si avvicinò, pregò per il povero soldato, gli dette un po’ di dignità pulendogli il volto con parte della propria veste. La fanciulla le fece un mesto sorriso, ringraziandola per il gesto di premura, poi pensò a cose più materiali: procurarsi un’arma per difendersi nell’incontro con l’eventuale assassino. Aprì la mano del soldato, gli prese la spada.
Ora doveva soltanto arrivare all’arena, cercando di non farsi vedere da nessuno, d’altronde non sapeva se l’intera corte fosse a conoscenza dell’accusa contro Balder e –altrimenti non si sarebbe spiegata anche la propria assenza-  contro lei stessa.
Brandì l’arnese con entrambe le mani, era davvero pesante per la sua figura e la sua forza.
Calma, Anirei. E' soltanto tutta una vita che non riprendi in mano una spada, non sarà così tragico uscire vincitrice contro chi tenterà di catturarti o eventualmente ucciderti..
In quel momento si diede della stupida per aver abbandonato la familiarità con le armi: ma chi diavolo poteva immaginarsi che sarebbe finita così?!
Adattò la posizione di guardia, camminando piano e senza fare rumore prima di svoltare ogni angolo.
L’arena si trovava due piani più sotto, e una volta raggiunto il pianoterra, avrebbe dovuto percorrere ancora parecchia strada prima di arrivarci.
La meta non le era mai sembrata così lontana, e la speranza di arrivarci così poca.
 
 
                                                                                      ***
 
 
“Svegliati, non abbiamo molto tempo..”
La sensazione di rigenerazione, la stanchezza e il dolore che sparivano dalla carne: sospirò.
“Balder! Avanti, svegliati, non ce la faccio a portarti!”
‹‹… Anirei?››. Il nome gli era uscito di bocca prima ancora di averlo in mente.
‹‹Fantastico.. quel bastardo te l’ha fatta bere davvero..››
Di che diavolo stava parlando? Davanti agli occhi aveva una sconosciuta, la cui figura slanciata e sensuale si stagliava illuminata dalla poca luce contro le tenebre che ghermivano la stanza con voluttuose vampate di denso odore di sangue; il suo.
Un calore estraneo rispetto al corpo gli avvolgeva le corde del cuore, mandandolo in delirio per la necessità di vedere, baciare, toccare, una persona la cui presenza gli era negata. Una fitta, ancora più estranea rispetto a quel desiderio, lo pungeva di pazza gelosia e preoccupazione, sapendola tra le grinfie di un uomo che letteralmente disprezzava. E che adesso stava odiando alla follia.
Quel sentimento gli comandava di alzarsi e andare a cercare con smaniosa apprensione, cosa che fece nonostante le vertigini provate per uno scatto tanto improvviso.
‹‹Dove hai intenzione di andare?››
Si voltò verso la sconosciuta che lo aveva liberato e guarito, la studiò con sospetto. La luce era fioca, ma i lineamenti assumevano contorni vagamente familiari.
Lunghi capelli rosso chiaro, un paio di piene labbra rosa e di occhi neri. La pelle diafana sottolineata da un completo blu –o forse nero, dal momento che non riusciva a discernere bene i colori in quella visione sfocata; si soffermò sui suoi lineamenti morbidi, sugli occhi neri e le labbra carnose: come avrebbe potuto non ricordare una donna tanto bella? In particolare, se l’aveva vista nella stanza della sorella, dove si era ritrovato a dover accettare la pericolosità delle capacità di una bambina tanto capricciosa, quanto bisognosa di attenzioni.
Quando vi lesse lo sguardo tenace ed aggressivo, saccente e malizioso, percepì le sue sicurezze vacillare. Quella non era la stessa donna che aveva incontrato quella volta; la sua espressione era troppo matura, troppo diversa per la mentalità della sorella; eppure non poteva che essere lei, negli occhi leggeva il capriccio e il desiderio di voler qualunque cosa le avrebbe fatto piacere.
E proprio in quella somiglianza, il suo mondo di certezze si spezzò ulteriormente. Perché adesso si chiedeva se la menzogna con cui aveva convissuto in quegli anni, fosse colpa di sua sorella o di una donna che si era divertita a spacciarsi per tale.
‹‹Tieni..›› lo trapassò con i suoi occhi penetranti, allungandogli una fialetta. Studiò con più attenzione la bocca, la forma era la stessa di quella di Lorelei, che lo aveva baciato tante volte col suo amore di bambina. Avrebbe voluto chiudere gli occhi, dinanzi a quella assurda verità.
Scosse la testa meccanicamente, ne aveva abbastanza di tutte quelle brodaglie.
‹‹Serve per cancellare i ricordi di chi teniamo nel cuore.. l’avevo preparata per lei, per farle scordare.. lasciamo perdere. Ora ne hai bisogno tu. Ti scongiuro, fidati di me››
Balder la fissava serio. Fidarsi? Come poteva fidarsi dopo la scena che aveva davanti, segreti che sua sorella –quella donna, non riusciva ancora a crederci- non gli aveva mai rivelato? Era stanco di fare il fratello che comprende e che capisce senza chiedere, necessitava di risposte per andare avanti. Balder aveva sempre camminato col suo mondo di certezze negli occhi, certezze che si erano incrinate alla vista delle abilità di sua sorella, e successivamente con gli ordini insensati e abbastanza misteriosi di Odino circa lo sposare una fanciulla che aveva solamente visto di sfuggita qualche volta.
Fidarsi? Dopo tutti i segreti che lo circondavano, dal palazzo fino a colpirlo, persino, direttamente in famiglia? Non aveva sempre cercato di portare la luce sull’ombra? La verità sulla menzogna? Come ironico premio la vita lo aveva circondato di enigmi troppo grandi per poter essere solamente accettati in silenzio, senza alcuna spiegazione. ‹‹Come puoi chiedermelo..?››
Lorelei –quella donna- gli si avvicinò con gli occhi arrossati. ‹‹Ti spiegherò tutto, lo prometto, mi costasse anche la vita. Ma ti scongiuro, bevi questa››. Le labbra cominciarono a tremarle. Ci teneva davvero così tanto? Se fosse stato il Balder di sempre, sicuro con il suo mondo di certezze, forse si sarebbe intenerito, le avrebbe sorriso, avrebbe disteso le labbra con parole sagge e consigli. Ma il tempo di fare finta di nulla era finito. ‹‹Prima spiegati››.
La donna emise un lungo sospiro, allacciò i propri occhi con i suoi, rabbuiò l’espressione.
‹‹Dobbiamo andarcene, adesso che Loki è impegnato, o sarà troppo tardi..››
‹‹No›› fece un secco cenno di diniego con la testa. Voleva la verità, era stanco di tutto quel silenzio, anche Anirei, Loki stesso, e in parte pure Thor gli nascondevano qualcosa. E lui era stanco di fare da spettatore, se non da pupazzo coinvolto in prima persona da un gioco condotto da mani che non fossero le sue. Per le Norne, odiava essere un sottoposto, aveva deciso di non andare in battaglia proprio per non ricevere ordini: figurarsi finire tra gli intrighi di bambini viziati e con menti poco stabili. Ne aveva abbastanza.
La rossa abbassò la testa, prese un profondo respiro, alzando le spalle; ma gli occhi non lo perdevano di vista. ‹‹Non sono solo tua sorella, Balder. Ho fatto in modo che ti dimenticassi della mia vera identità quattro anni fa, cancellandoti i ricordi..››
Sbarrò gli occhi. ‹‹Perché avresti fatto una cosa simile..?››
Emise un lungo sospiro, sbuffando. Ma le pupille nere continuavano a trafiggerlo.
Gli scappò una risata isterica. ‹‹Giuro che me ne vado, se non mi spieghi››
La donna deglutì. ‹‹Temevo che non mi avresti accettato››
Rimase in silenzio; la invitò a continuare. ‹‹Non sono, come si dice, uno stinco di santo.. credevo che mi avresti allontanata lasciandomi in balia di me stessa››
‹‹Tu stavi con Thor..››
Lorelei impallidì. ‹‹Come..?››
Alle parole della donna, trovandole a poco a poco più familiari, Balder cominciava a collegare vaghi e strani ricordi che non era mai riuscito a comprendere a pieno, sbiadite immagini di un passato che avevano cercato di sottrargli. ‹‹… Volevi diventare regina a tutti i costi..››. Altre scene, troppo sfocate, senza alcun sentimento legato ad esse. Uno sguardo fugace con una donna dai capelli rossi; l’amara rassegnazione nel constatare che non sarebbe mai cambiata, nonostante i suoi sforzi. Una femmina piena di sé, che pensava egoisticamente ad ogni suo capriccio, mettendo l’ambizione davanti a qualsiasi cosa; e a chiunque. Una donna a cui nessuno aveva insegnato a non giocare con i cuori degli altri; una bambina a cui era mancato un padre. Avrebbe giaciuto senza remore con qualunque uomo, pur di credersi migliore di ogni altra donna. Ed era lei, sua sorella. ‹‹Tu.. credevi davvero che avrei fatto una cosa del genere? Abbandonarti?››
L’arroganza di Lorelei si sciolse per un attimo in quella buia cella, dove non poteva essere vista da nessuno. Lo fissò a lungo prima di rispondere. ‹‹Su di te né la mia voce né il mio fascino hanno mai funzionato.. credevo che.. ›› sbuffò con una smorfia della bocca ‹‹ora, bevi questa, prima che Loki giunga qui››
Scosse la testa, non ancora soddisfatto. ‹‹Tu volevi che mi innamorassi di Anirei. Perché lo hai fatto? Credevi che fosse giusto controllarmi in questo modo perché i tuoi trucchi non funzionavano? O eri gelosa di Thor, Lorelei? Avresti preferito condannare me, tuo fratello, e una povera ragazza innamorata, solo perché vuoi un uomo che possa condurti al trono? Potevi risparmiartelo, il cuore del figlio di Odino appartiene ad un’altra, avresti potuto lasciarci in pace fin dall’inizio››
Chiuse gli occhi a fessura, incurvò stupefatta le labbra. ‹‹Sì, non ho mai rinunciato al trono, se è quello che vuoi sentire..››
‹‹Quindi ero solo una pedina per levare di mezzo una tua rivale?››. Prese un respiro profondo, aveva fretta di cercare una persona in particolare, e quanto più il tempo passava, più il cuore veniva stretto nel petto, facendolo sentire morire; e decise di essere duro con quella donna, con quella che doveva essere sua sorella, solo così, l’avrebbe lasciato andare via. In circostanze normali, avrebbe affrontato l’argomento con approccio più saggio e più gentile; in maniera più lucida. Ma la sensazione intorno al cuore premeva più di tutto il resto; per non parlare dell’inganno che doveva smascherare dinanzi a tutto il regno. ‹‹Non so se sia peggiore tu o quel pazzo che si spaccia per Odino, Lorelei. Possiedi pure tutti gli uomini dell’Universo che sapranno soddisfare la tua incolmabile ambizione, e quando avrai finito, quando avrai creduto di aver dimostrato di essere una donna migliore rispetto alle altre, capirai di non essere mai giunta così tanto in basso, senza nessun affetto per cui valga davvero la pena di vivere, per cui il tuo cuore batta davvero aldilà di ogni attrazione carnale. Quando capirai, allora forse potremmo parlare di nuovo. Ora, scusami, ma ho un regno da salvare››
 
 
                                                                                      ***
 
 
Aveva cambiato direzione già due volte, vedendo altri cadaveri giacere sul pavimento del corridoio; e un rumore di sottofondo, di guerriglia da parte di alcuni soldati, non faceva che crescerle l’ansia: erano nemici o amici? Si erano accorti dei morti, o erano gli assassini che si aggiravano per il palazzo?
Le braccia cominciavano a farle male per il peso della spada, il sonno che aveva abbandonato poc’anzi le aveva seccato gli occhi e la bocca, col risultato di disturbarle la concentrazione.
Si affacciò cautamente alla finestra, c’era un solo piano che ancora la divideva dal terreno, ma anche aggrappandosi ai vari appigli che fornivano le decorazioni dorate esterne era impossibile scendere calandosi da quell’altezza. La paura e l’angoscia cominciarono a minarle la determinazione; cosa stava facendo? Non ce l’avrebbe fatta mai!
‹‹Ti ho trovata, finalmente››
Ecco, presto detto. Sobbalzò con un grido morto in gola, puntò la spada nella direzione di chi aveva parlato. Un uomo dall’aspetto florido, dai capelli castano scuro e gli occhi chiari, un’armatura di metallo color crema impreziosita da decorazioni dorate, splendide; l’espressione era alquanto dura, seria, tanto da contrastare su quel bel viso.
‹‹Chi sei..?›› domandò circospetta lei senza abbassare l’arma.
Neanche lui abbassò la propria. ‹‹Stai calma, sono venuto a liberarti››
La lama insanguinata aveva tutt’altra storia da raccontare; certo, poteva benissimo avere ucciso per trarla fuori dalla prigione in cui l’aveva chiusa Loki, ma l’istinto le diceva di non fidarsi. Pure la vecchina le tirava un braccio per suggerirle di andarsene.
‹‹E dove mi hai intenzione di portarmi?››. Indietreggiò appena, la razionalità che aveva deciso di dare ragione all’istinto. Era veramente un bell’uomo, ma in quella perfezione c’era qualcosa che le suggeriva una familiarità che la turbava non poco, come quando si ode una melodia che ci ricorda un fatto spiacevole rendendoci essa stessa una sofferenza alla sua sola percezione.
‹‹Molto lontano da qui. Dove sarà resa giustizia›› confermò con i suoi occhi di miele, guardandola fiso. La fanciulla mosse un passo all’indietro, si tenne sulle punte, guardinga. Fece un cenno alla donna che le aveva tenuto il braccio strattonandola, e quella se ne andò; ora poteva concentrarsi solo sulla sua stessa pelle, già era difficile quella da salvare.
‹‹Chi ti manda?››
‹‹Lo sai, non farmi domande inutili. Non abbiamo molto tempo››
L’uomo corse verso di lei, menò un fendente che per poco non le fece perdere la presa. Il colpo era stato talmente forte che i muscoli delle dita della mano strette attorno all’elsa si strapparono; gemette un poco, soprattutto per il disappunto nel constatare la situazione che aveva davanti agli occhi: la punta della sua lama poggiata verso terra, tenuta abbassata da quella di lui, bianca splendente. Era stata abbattuta prima ancora di cominciare.
‹‹Seguimi senza fare troppe storie››
Levò le pupille scure verso le sue intense, gli sputò in faccia. Quello allentò la presa sorpreso, si portò la mano libera sul naso, intanto Anirei si liberava dalla situazione di svantaggio.
‹‹Brutta strega..›› masticò lui tornando a guardarla con occhi di fuoco. Irato, cominciò a incalzarla con una serie di attacchi obliqui, volti più a sfogare la rabbia e a stancare lei, piuttosto che colpirla letalmente. Anirei faceva fatica solo a ruotare la lama, era davvero troppo pesante, per non parlare del dolore atroce alle dita; per giunta, oltre al problema dell’ingovernabilità di quell’arma si aggiungeva il peso della sua difficoltà a coprirsi per bene ai lati.
Venne ferita ad un braccio e percepì la pelle poco distante la spalla frizzare fastidiosamente. Dopo pochi secondi, il sangue si presentò lungo la linea, per poi allontanarsi tramite gocce enormi.
Il cavaliere si fermò, facendo scrocchiare il collo prima a destra e poi a sinistra. ‹‹Allora, ti ho convinta?››
Ansimò abbassando e alzando il petto velocemente e profondamente, cercando l’aria che sembrava averle tolto ad ogni colpo. Le sue guance cominciarono a palpitare, quando con orrore si accorse che la lama, nel punto in cui era entrata più spesso in contatto con quella di lui, si stava spaccando: una miriade di crepe si diramava dalla parte offesa fino ad allargarsi verso il lato opposto come la foce di un grande fiume. Un altro colpo forte, massimo due, e si sarebbe spezzata quasi a metà.
La situazione non poteva che peggiorare.
‹‹Non ci vengo nemmeno morta..›› chiarì con la voce bassa ma animata.
Il cavaliere alzò le sopracciglia, con una smorfia fintamente lamentevole. ‹‹Sai com’è, da morta non mi servi››
Da morta…?
Un’illuminazione le giunse improvvisa. Loki le aveva raccontato una volta di come aveva tolto d’impiccio Thor da una donna veramente insistente: le aveva scritto una lettera, spacciandosi per lui, in cui la minacciava di suicidio, pur di essere lasciato in pace. E per quanto stupida e insensibile fosse quella trovata, ora non poteva che trovarla geniale. Poi la storia era finita con la donna che piangeva, con Loki che si faceva due risate, con suo fratello che, accortosi di avere esagerato in quello scherzo poco carino, era andato a consolarla. Però c’era una minima possibilità che lo stesso meccanismo funzionasse.
Si prese ancora qualche secondo, quello che bastava per riprendere un po’ di forze; poi sospirò, sperando che Frigga la proteggesse.
Avrebbe barattato la propria vita con la libertà, ottenendole entrambe: se non l’avesse lasciata andare, si sarebbe uccisa; ma doveva bluffare più che bene, se voleva ottenere la benché minima possibilità di riuscita. Alzò la lama, se la mise davanti al collo; bastò però accennare il gesto per ritrovarsi attaccata al muro, schiacciata dal corpo del cavaliere. La spada era finita a terra, da qualche parte. Il piano era miseramente fallito.
‹‹Non ci provare sai›› le ringhiò sul viso, bloccandole il petto col braccio che brandiva la spada. Il cavaliere le gettò addosso il suo sguardo, giudicandola ad ogni occhiata. ‹‹Vedo solo una ragazzina egoista e confusa, che non sa nemmeno quello che vuole. Come puoi essere così pericolosa, nella tua nullità?››. Ignorò le sue parole crudeli, interessata più al rilassamento dei muscoli del cavaliere che avvertiva sotto il collo, che la faceva rianimare di speranza. ‹‹Non sei l’unica che scappa al destino, saranno casi isolati, ma ci sono. A volte li riconduciamo indietro, a volte non si spostano di molto dalla linea che dovrebbero seguire, quindi li lasciamo fare. Ma tu.. tu sei proprio testar..cazz..!››
La fanciulla gli aveva tirato una ginocchiata nella pancia, per poi mordergli con tutta la forza che aveva la mano: dovette toccargli un nervo, perché la spada bianca cadde a terra con un ricco allestimento di suoni e maledizioni. Andò subito a raccoglierla, mentre l’altro imprecava pieno di stizza e rabbia più verso se stesso che verso di lei. Non appena la impugnò, si voltò verso di lui, che aveva tempestivamente preso l’altra lama, e non ci pensò due volte prima di colpire il punto più debole dell’arma. Ci volle a malapena un colpo, e la lama si spezzò, ferendola però lungo la coscia.
Fece un balzo indietro, continuò a brandire l’oggetto argenteo teso verso di lui.
La sua voce era stanca, ma determinata. ‹‹Lasciami in pace››
La certezza di avercela fatta si troncò di colpo, quando l’arma cominciò a vibrarle tra la mano.
Che razza di trovata è questa?!
Un calore improvviso, quasi una fiamma viva le bruciò palmo e dita, costringendola a lasciare la presa. Gridò di dolore, si accasciò sulle ginocchia, guardandosi la pelle abrasa. Si portò la mano sopra al seno, nascondendola con l’altra, in un istintivo gesto di protezione; ci soffiò sopra con gli occhi pieni di lacrime e le labbra che si poggiavano piano sulla carne bruciata.
Udì il suono della spada che veniva raccolta dal proprietario, alzò sofferente lo sguardo verso di lui, scorgendo una lama talmente bianca, da ricordare la pura luce, i contorni talmente incandescenti da vibrare quasi fossero le mobili pareti di una fiamma; infine, un fischio lungo e sommesso, tagliente e metallico, invisibili corde di fumo risalire nell’aria.
‹‹Non farai storie, vero?››
Riabbassò la testa, sconsolata e piena di dolore, non rispose. L’incoscienza, in cui stava scivolando fin troppo lentamente, sarebbe stata una manna dal cielo contro le urla che le scoppiavano nel petto ma che non riuscivano ad uscire.


 
‹‹Immaginavo che qualche bravo schiavetto sarebbe entrato subito, desideroso di allietare il proprio padrone. Dimmi, lo soddisfate anche in altri modi?››
Si era interposto tempestivamente tra la fanciulla e il cavaliere, prima che quest’ultimo allungasse le sue manacce su di lei; la bruna, dal canto suo, non sembrava molto lucida, era parecchio impegnata a custodire gelosamente la bruciatura sul palmo, del tutto incurante dei rivi rossi che le scendevano lungo il braccio. Aveva sentito il suo grido, aveva scaricato la potenza di Gungnir interamente sul servo del Dio, spedendolo in una delle stanze dell’ampio corridoio; mandando in mille pezzi il muro. Adesso quella stanza aveva due accessi. Se Anirei fosse stata cosciente, probabilmente avrebbe aggiunto un commento sciocco come “Lancerai una nuova moda” oppure “Dovevi darti all’architettura”. Ma non poteva dire nulla del genere, perché quell’infimo schiavo l’aveva ridotta peggio di uno straccio. E la sua morte avrebbe allietato il resto della sua vita.
Michael si era rialzato veloce e audace, brandendo la sua caratteristica spada. Gungnir non sembrava avergli fatto molto. Poco male, lo avrebbe infilzato in due: quello, avrebbe sicuramente funzionato.
‹‹Dio dell’Inganno e del Caos, non abbiamo niente contro di te. Levati, e facci risolvere un nostro errore di troppa clemenza››
Gli andò incontro, sorridendo. ‹‹Oh.. io credo invece che la risoluzione consista proprio nel rimanere rintanati nella vostra cuccia, al vostro posto mentre i veri Dèi governano come a loro più faccia piacere››
Quello fece ruotare la testa sul collo, scrocchiandolo. La spada era tesa contro di lui. ‹‹Tu non saresti nemmeno un dio, a dirla tutta: appartieni alla razza dei Giganti di ghiaccio, non sei né un Vanir né un Aesir, per cui, non potresti vantarti del titolo di “dio”. In realtà, non saresti nemmeno un Gigante di ghiaccio.. suppongo che la tua esistenza sia solo uno scherzo della natura. Sei una vergogna per qualunque razza tu decida di sentirti parte››
Mal celò una smorfia che andò a disegnare un sorriso di soddisfazione sul volto dell’avversario. Dopo un istante di esitazione, il tempo di studiarsi, le armi calarono l’una sull’altra.
Il fendente arrivò deciso alla sua destra, lo parò senza sforzo. Girò su se stesso, mirò al collo; il cavaliere si abbassò entrando in scivolata. Loki fece in tempo a scansarsi, gli tirò un calcio sulla testa. Michael rotolò sul pavimento, si tirò velocemente su, con le gambe piegate e le braccia aperte, la spada bianca in una mano, una luce di fuoco nell’altra. Doveva ucciderlo prima che riuscisse ad aumentare la temperatura della fiamma a livelli nocivi anche per un dio; Michael era il governatore dell’elemento Fuoco, non c’era da scherzare. Avrebbe potuto incendiare la fortezza con un solo pensiero. Gungnir sparò un altro colpo, gli fece sfondare la parete e raggiungere il cortile esterno dell’arena. Gettò uno sguardo sulla fanciulla che giaceva a terra riversa su un fianco; respirava.
Un colpo di fuoco gli fece cedere il pavimento sotto ai piedi.


 
Anirei si reggeva alla realtà con un filo di coscienza, la vista le si offuscava per il dolore alla mano bruciata. Tentò di alzarsi, ma perdeva conoscenza ad ogni movimento della testa.
Non puoi restare qui, Anirei, datti una mossa..
Udiva indistintamente accozzaglie di suoni, di armi che sbattono tra loro, odore di bruciato e un caldo improvviso elevare la temperatura.
Perse momentaneamente la vista, vide completamente buio. Il proprio dolore le faceva da sottofondo alle orecchie, era assordante più di qualunque altro suono.


 
‹‹Non ha niente di speciale! E' soltanto capitata nel luogo sbagliato al momento sbagliato..››
Michael si reggeva il braccio sinistro, oramai inerme. Gli aveva spezzato il gomito, eppure si rifiutava di battere in ritirata. Tutta lealtà ad un padrone che l’aveva mandato a morire.
Un dio che aveva rinunciato alla sua dignità, alla sua indipendenza per servirne ciecamente  un altro; non si poteva più definirlo un essere divino, aveva scelto di fare da servitore ad uno stupido megalomane. ‹‹Se soltanto non foste stati così capricciosi e in lotta, voi principi, lei sarebbe potuta anche restare, non creava alcun problema. Se soltanto non avesse acceso i vostri cuori, a quest’ora non saremmo a scontrarci..››.
Quello si gettò su di lui, mentre la cupola di fuoco in cui si erano ritrovati a combattere raggiungeva temperature altissime, facendo respirare entrambi a fatica, a farli sudare come fossero chiusi in un forno. L’aria era talmente densa e pesante, che impediva agli occhi di restare aperti, di vedere nitidamente.
La spada bianca calò improvvisamente sul petto di Loki, e lo trapassò da parte a parte.
L’illusione si sciolse all’istante davanti agli occhi ambrati. La punta di Gungnir invece si adagiò sulla gola scoperta, mentre il corpo si dibatteva invano, troppo sfinito per sottrarsi alla sua presa da dietro le spalle. ‹‹Non capisco perché ci caschiate sempre.. vi piace farvi ingannare: sì, non può essere altrimenti››. Poggiò le labbra sul suo orecchio, sussurrando appena. ‹‹Dite pure tutti quello che volete, ma alla fine, preferite sempre la menzogna alla verità››
Affondò la lama lentamente, godendosi ogni suo lamento da vitello sgozzato. ‹‹Come ci si sente ad essere ammazzati da uno scherzo della natura, ex Dio del Fuoco..?››
Michael si contraeva sempre più inerme, la sua morte in agonia che si portava via la barriera di fuoco. Quando anche la melodia dell’ultimo fiato fu accolta dalle sue orecchie avide, lasciò la presa, facendo cadere la carcassa a terra. Prese la spada bianca, la ficcò sul terreno bruciato accanto al cadavere. ‹‹Nessuno me la porterà via. Nessuno oserà neanche sfiorarla››


 
‹‹Resta sveglia, Anirei; ti porto subito da un medico››
Le ciglia si alzarono a fatica, era pallida sul volto e aveva la pelle cerea. Doveva fermare il sangue che usciva copioso dalla ferita sul braccio destro.
La fanciulla alzò il volto verso di lui, sembrò riconoscerlo a fatica. Mormorò qualcosa di incomprensibile, le si avvicinò porgendole l’orecchio per capire meglio.
‹‹Balder.. tu non..›› . La voce le si spense sull’ultima sillaba. Doveva sbrigarsi.
Non le permise oltre; se la caricò tra le braccia, raggiunse di fretta il primo luogo accessibile in cui avrebbe trovato cure mediche.
L’intero palazzo era in subbuglio, l’esplosione nella parte ovest della fortezza aveva scatenato un putiferio, un viavai di persone indaffarate a portare armi e armature, altre fatte evacuare; si fece largo tra soldati con lance pronte e spade sguainate, ma l’indecisione e la confusione regnavano sovrani. Tutti cercavano il Padre degli Dèi, ma nessuno riusciva a trovarlo.
Imboccò la porta, non appena gli infermieri notarono la creatura mezza svenuta tra le sue braccia, sgomberarono il letto.
La sorresse nel mentre la metteva a sedere.
‹‹Fatele tenere gli occhi aperti, se si addormenta è la fine››
‹‹Ha perso troppo sangue..››
Le mise le mani sulle spalle, le alzò il viso. ‹‹Anirei! Guardami, resta concentrata su di me››
Socchiuse gli occhi, sbatté le palpebre confusa, guardandosi intorno spaesata. ‹‹No, io… ››
‹‹..Yggdrasil cane, ma che le è successo alla mano? L’ha infilata in Hel?!››
Si soffermò su di lui. ‹‹Balder.. tu.. non mi ami.. davvero..›› biascicò a fatica.
‹‹Sta delirando! Tenetela ferma, potrebbe agitarsi..››
La strinse tra le braccia, mentre l’infermiere le alzava il braccio.
‹‹Ci sono io, sta’ tranquilla..››
Non l’avrebbe lasciata. Mai. L’avrebbe tenuta tra le braccia quanto fosse stato necessario. Adesso che si erano ricongiunti, quel calore estraneo al petto gli faceva sussultare il cuore.
Ogni momento notava un nuovo dettaglio di lei a cui prima non aveva dato importanza, che la rendeva unica e speciale, perfetta per lui. Ora che ci pensava, i suoi occhi erano meravigliosi, come i suoi sorrisi. E le sue risate inappropriate e a volte mal contenute, anche quelle erano tenere e dolci..
Anirei cominciò a singhiozzare, a scuotere la testa, a volersi staccare da lui. ‹‹Non voglio.. non vuoi.. no..››.
Era moribonda, sussurrava parole miste a singhiozzi mentre affermava le prime cose che le frullavano nella testa. ‹‹Avremo tutto il tempo per parlarne.. ora non mi sembra il momento più appropriato››
Gridò di dolore, mentre si divincolava selvaggiamente contro il suo petto.
‹‹Norne maledette! Tienila impegnata!›› gridò l’infermiere mentre tentava di catturarle di nuovo il braccio.
‹‹Voglio andare.. a casa..! Voglio andare via..››
‹‹Ascoltami. Lo dimenticherai, col tempo. Vivremo felici e-››
‹‹Vai via..››
‹‹Shh.. va bene, faremo quel che vorrai, qualunque cosa… ma adesso fai la brava, è importante..››
Sembrò calmarsi per un momento, ma percepiva la pelle riscaldarsi sempre più, al contrario del freddo quasi cadaverico in cui stava sprofondando fino a pochi istanti prima.
Gridò di nuovo, quando l’infermiere le toccò la mano abrasa.
Si ritrovò catapultato improvvisamente dall’altra parte della stanza, assieme a tutti i presenti.
Aveva battuto violentemente la testa contro la parete. Per un attimo tornò nel buio che l’aveva accompagnato tra un incubo e l’altro.
Udì delle voci lontane, di paura e di imprecazione.
Aprì gli occhi.
Davanti a lui, l’ultima scena che avrebbe voluto vedere.
Il figlio di Odino si trovava davanti al letto, con la sua inconfondibile armatura dorata, ma senza l’elmo, che giaceva gettato in malo modo sulla soglia della stanza, e dava loro la schiena. Non riusciva a comprendere bene la dinamica dell’evento, ma sembrava essere appena arrivato; Balder si stupì di come avesse fatto ad entrare senza che nessuno si accorgesse di nulla, né, tra l’altro, il motivo della sua comparsa. Probabilmente, era stato lui ad allontanarli come foglie in balia del vento.
Dopo un primo momento di convinto stupore, decise di alzarsi senza fare rumore, estraendo la spada, la rabbia negli occhi, la gelosia nel cuore. Si avvicinò guardingo, si accorse che il dio teneva la mano di Anirei tra le proprie, lei che lo guardava fisso in viso, incerta e desiderosa di ritrarsi, ma non facendolo, mentre lui percorreva con un dito il suo palmo devastato.
Due piccoli rivi di lacrime cadevano lungo le guance della fanciulla, bagnandole ulteriormente: piangeva, ma lo faceva in silenzio: sembrava avere superato il momento di panico totale, era tornata in se stessa, almeno in parte, e riusciva a controllare la propria reazione, preferendo mangiarsi la lingua piuttosto che gridare nuovamente.
Quando Loki alzò gli occhi su di lei, si fissarono con una familiarità sin troppo ambigua, tanto che il giovane si sentì comprimere il cuore come stritolato da una gabbia di ferro arrugginito troppo stretta. Alzò la spada.
‹‹Allontanati da lei, figlio di Odino››
Quello si voltò, con un sorrisetto dipinto sulle labbra spaccate. Ora che lo guardava meglio, non era accurato ed elegante come al solito; i capelli corvini erano spettinati, sottili ciocche che ricadevano davanti al viso, gli zigomi pestati, ferite e bruciacchiature su tutto il corpo e i vestiti, l’armatura rovinata.
‹‹Spero che le mie illusioni ti siano piaciute, mio caro Balder››
Riusciva ad essere snervante ed fastidioso anche ricoperto di ematomi. Sarebbe stato un piacere se gli avessero tagliato la lingua argentea; d’altronde, era la sua arma più efficace, grazie ad essa feriva il nemico laddove neanche la spada più affilata, né tantomeno Mjölnir, potevano arrivare.
‹‹Non la toccare››. Doveva dargli meno soddisfazione possibile.
Si accorse che la fanciulla provava piano a distendersi, e a chiudere gli occhi, ormai al limite della stanchezza.
‹‹Non deve addormentarsi!››. Era stato uno dei medici, a parlare. Gli smeraldi di Loki guizzarono su di lui, e lo squadrarono divertiti, con le sopracciglia alzate.
‹‹Ah, ma davvero? Se fosse stato per l’incompetenza che vige in questa vostra professione, a quest’ora avrei più cicatrici di quelle che mi marchiano. A volte mi chiedo se i Midgardiani non siano più capaci di voi››
Balder si voltò verso i medici, fece loro un cenno con la testa. ‹‹Lasciateci soli, qui ci penso io››
Fecero quanto gli ebbe detto. Gli occhi del Dio dell’Inganno e del Caos saettarono di nuovo su di lui non appena tutti se ne furono andati. ‹‹Bene›› osservò con finta ammirazione ‹‹Balder, il capo delle guardie, il Dio della Luce, si distingue sempre dalla folla per la purezza e la bontà del suo cuore. Quale onore, ad assistere a cotanto gesto di altruismo e coraggio››
‹‹Finiscila›› sibilò, seccato. ‹‹Se ci tieni alla vita, vedi di chiudere la tua bocca malevola››
‹‹Non ti interessa sapere quali siano le mie intenzioni? O che cosa sia successo ad Odino, per esempio. A questo punto del combattimento, l’eroe si fa sempre svelare il piano dall’antagonista, o mi sbaglio?››
‹‹Voglio solo che tu te ne stia zitto. Ci penseranno altri ad ottenere le informazioni che ci necessitano sapere››
Loki si fece sorpreso. ‹‹Vuoi tenermi in vita dopo tutto quello che le ho fatto?››. Non poteva averle fatto davvero del male. Non poteva. Quelle orribili illusioni tornarono a tormentargli il cuore e la mente. ‹‹Meglio per me, perché io non ho intenzione di sopportare la tua vista un minuto di più››
Gungnir spuntò dal nulla tra le mani del dio, e spada e lancia si trovarono contemporaneamente l’una a contatto con l’altra.
Balder tirò una gomitata sulla guancia del principe, in risposta ricevette una botta dell’arma nemica sui reni. Perse l’aria nei polmoni, girò su se stesso, la lama prese in pieno l’asta della lancia.
‹‹Cos’è che le hai fatto?! L’hai sedotta, non è così?››. Il desiderio avido di sapere che cosa le avesse fatto gli aveva inghiottito il cuore. Loki non rispose, si limitò ad abbozzare un sorrisino arrogante. Spinsero le proprie armi l’uno contro l’altra con tutte le loro forze; alla fine si ritrovarono costretti a sciogliere il contatto.
Balder studiava il giovane figlio di Odino, cercandone il punto debole; sembrava affaticato, per quanto tentasse di non far trapelare alcun respiro di troppo. Ma le sue parole scavavano impietosamente nella mente, lente e ritmiche, senza lasciarlo pensare lucidamente. ‹‹Perché te la sei presa con lei, si può sapere che cosa ti ha fatto?! E' per fare un dispetto a me, o a tuo fratello?››.
Ma Loki continuava a non rispondere, al contrario allargava il sorriso, facendogli perdere la concentrazione. ‹‹Rispondimi!››
Gungnir sparò un colpo, centrandolo in pieno petto. Volò nella stanza contigua, sfondando il muro.
Accidenti!
Imprecò, rialzandosi tra le macerie. Non aveva possibilità contro quell’arma invincibile. Doveva sfruttare la stanchezza di Loki, sperando che non fosse apparente, come tutte le sue illusioni.
Si riaffacciò nella stanza, c’era polvere dappertutto.
Udì tossire, si voltò verso destra. Anirei si stava sorreggendo alla parete, con una mano davanti alla bocca, il corpo piegato sulle ginocchia, in mezzo alla polvere. La sua pelle era, per quanto possibile, ancora più pallida: traslucida, trasparente come una pellicola di plastica, su cui brillavano gocce di sudore freddo.
Si diresse verso di lei, la prese tra le braccia; doveva trovare il modo per portarla via da quel luogo, via da Loki o da qualsivoglia pericolo.
‹‹Oh Balder..›› emise un sospiro, sorreggendosi a lui con le mani aggrappati alla sua schiena.
Le accarezzò la testa portandole una ciocca scura dietro l’orecchio, per tranquillizzarla e rincuorarla, mentre intanto pensava a un piano di fuga per metterla in salvo. ‹‹Non ti devi preoccupare, mi prenderò cura io di te››
I suoi occhioni lo guardarono tristi. Avrebbe tanto voluto baciarla, in quel momento, anche un solo bacio, rapido, probabilmente rubato. Però gli sarebbe piaciuto.
Si abbassò su di lei, ma si fermò a pochi millimetri, di fronte al suo sorriso.
Avvertì la freddezza di una punta trapassargli la schiena, e poi il petto. Un dolore terribile, più terribile di ogni tortura fisica e mentale di cui si era appena liberato, e che l’avevano tormentato per chissà quanti giorni e quante notti.
Gli occhi scuri divennero chiari, il verde sostituì il castano. E il sorriso divenne un ghigno.
‹‹Molto gentile, ma non ho bisogno che tu ti prenda cura di me. Faccio da solo, grazie››
‹‹Maledetto..›› gli sputò con tutta la collera che gli avvolgeva il cuore e ogni fibra del corpo.
Loki affondò la lancia con più forza, e alzò soddisfatto le sopracciglia. ‹‹Ricordati che ti ha ucciso tua sorella, e il suo filtro d’amore. Porta i miei saluti ad Hela››
Balder tossì sangue, perse il fiato non appena il dio gli sfilò la lancia. Si accasciò a terra.
Vide il principe avvicinarsi di nuovo al lettino dove ancora si trovava accoccolata Anirei, col suo sonno agitato. Lo vide piegarsi su di lei, prenderle la mano, mentre le dita della fanciulla, per un momento desta, si posarono sul suo volto appena pochi attimi prima di tornare al completo oblio della sua incoscienza. Loki le sussurrò qualcosa all’orecchio, accarezzandole la guancia e il mento.
E comprese.
Comprese di essersi sempre sbagliato; che l’intero regno non conosceva la verità. La verità che il dio gli aveva mostrato nelle sue illusioni, dove Anirei e Loki stavano insieme, sotto un albero, una notte.
Una verità consumatasi nell’ombra, lontana dagli occhi di tutti, appartenente ad un passato che non era passato per il dio, e che stava riesumando per riportare l’accaduto alla luce del sole.
Quello sguardo intenso che leggeva nei suoi occhi, nel mentre le parlava. Quel cuore che sembrava non avere nel petto, proprio perché ce lo aveva lei.
L’immagine sfocò, fino a lasciarlo al completo buio e al dolore. Alcune voci lontane risuonavano nelle sue orecchie, ma quando tutto stava acquistando senso, d’un tratto lo perse.
 
 
                                                                                  ***
 
 
‹‹…Thor…?››
Si tolse il pollice tra i denti e lasciò cadere le braccia lungo i fianchi. Non appena incontrò gli occhi pieni di consapevolezza della fanciulla, sentì un nodo alla gola. I capelli scarmigliati le scendevano sulle spalle come torrenti tortuosi, gli specchi nocciola erano spenti, anche se brillavano di amara verità.
Non pianse, non chiese il motivo di tanta crudeltà, la sua piccola Anirei; anche lei si era oramai rassegnata all’insensatezza della pazzia di Loki. Non aveva lacrime per il Dio della Luce, come non aveva lacrime per quello dell’Inganno. Era finita.
La vendetta di Loki si era abbattuta completamente su quella povera anima fragile e spezzata. E l’aveva piegata completamente, come il sottile fusto di un bicchiere di vetro.
Si osservarono in silenzio, comprendendo pienamente il limite che il dio aveva superato compiendo l’ultimo oltraggio al regno di Asgard che aveva ferito a fondo, affondando il pugnale in ognuno dei cuori degli abitanti. In particolare, nei loro.
‹‹Principe. Lady..››
Si voltarono entrambi verso il gruppetto di persone che aveva appena imboccato la stanza. Davanti a tutti svettavano Sif e gli altri tre. Portarono il pugno al petto, e si inchinarono.
‹‹Odino ancora non si trova. Adesso sei tu, Thor di Asgard, figlio di Odino e nipote di Bor, Dio del Tuono e protettore di Midgard e di tutti e Nove i Regni, a ricevere il comando del popolo come nostro re››
Rimase in silenzio, osservandoli con velata rassegnazione. Il trono che aveva sempre desiderato, era adesso suo; e mai come adesso non lo avrebbe voluto.
‹‹Mandatemi Heimdall, devo conferire con lui››
Annuirono, alzandosi. Ma non diedero segno di lasciare la stanza; Sif portò la sua attenzione verso la fanciulla che gli stava affianco, piegò la testa e ripeté il gesto di onore e rispetto.
Anche gli altri fecero altrettanto.
‹‹Lo vendicheremo››
Anirei non disse nulla, si limitò a osservarli in silenzio. Solo quando le mise una mano sulla spalla, sembrò riscuotersi ed annuire passivamente.
Quella faccenda d’intorno al matrimonio non gli era mai tornata. Stonava in tutto quel groviglio di faccende, non aveva alcun senso giacché i due si conoscevano appena. Ancora si ricordava di quando l’aveva tenuta tra le braccia l’ultima volta, mentre gli inondava il petto di dolorose lacrime.
Tutto diveniva buio e poco chiaro quando si trattava di Loki; ancor più inspiegabile e incomprensibile, quando invece si trattava di Anirei.
Sif e i guerrieri si dileguarono, riportò l’attenzione su di lei. La vide alzare l’indice stancamente in direzione della porta, con gli occhi persi sul pavimento. ‹‹Posso..?››
‹‹No, aspetta›› la trattenne a voce. Anirei si allontanò in assoluto silenzio, raggiunse una scacchiera dorata che troneggiava sul tavolo, dove i pezzi mescolati gli uni con gli altri facevano intendere una partita rimasta in sospeso. Si avvicinò distratto, scorse le pedine nere in numero maggiore rispetto a quelle bianche.
‹‹Mi hai chiamato?››
La voce di Heimdall lo colse alle spalle. ‹‹Come stai?››
‹‹Le prigioni non mi hanno fermato dal vedere quello che succede nel regno. Odino mi è purtroppo oscurato; non posso assicurare che sia ancora vivo››
Annuì, sospirando. Nonostante tutto quello che era successo, si illudeva ancora della misericordia del fratello. ‹‹E' stato Loki a incarcerarti?››
‹‹No, è stato Odino stesso a farlo, di questo ne sono certo. Credo che avrebbe comunque disposto l’arresto di tutti i coinvolti››. Il guardiano si voltò verso la fanciulla, che guardava fuori della finestra. ‹‹Non riuscivo a vederla fino a quando non è arrivata alle prigioni, forse c’è la stessa speranza che il Padre degli Dèi si sia ritrovato in una situazione analoga››
“Ma non ci spererei troppo”: Thor lesse tra le righe.
‹‹Non sembra averle fatto nulla, almeno non fisicamente››. Osservò la pelle ancora pallida per l’eccessiva perdita di sangue. ‹‹Non ho idea di quale sia il passo successivo alla sua fuga››
Thor continuò a posare il suo sguardo sulla nuca di Anirei, che adesso stava sfiorando le pedine. Loki li aveva giocati entrambi.
Loki gli aveva fatto credere di essere morto, non gli era importato del suo cuore straziato dal dolore alla notizia della sua morte. Dinanzi all’immagine che aveva negli occhi, di lui, morente tra le sue braccia.
Gli aveva strizzato il cuore in ogni maniera, se l’era presa con lei e con Balder; con Padre. In realtà, la colpa di tutta quella faccenda derivava dall’odio che il fratello portava per lui. Era colpa sua, non era in grado di mettere un argine a quel fiume in piena, a quel fiume di odio e risentimento.
‹‹La porterò su Midgard, lì sapranno proteggerla all’occorrenza. Asgard non è più un luogo sicuro››
Heimdall portò i propri occhi ambrati nei suoi. ‹‹Mio signore, Asgard ha bisogno di te..››
Alzò la voce, con un tono che non pretendeva discussione. ‹‹Non solo Asgard ha bisogno di me, mio caro Heimdall. Mi scinderò tra il regno e le persone care che mi sono rimaste››
Il guardiano piegò il capo, e si congedò per andare a riprendere il proprio posto sul Bifröst. Il Dio del Tuono si voltò di nuovo verso la bruna, si concentrò sulla scacchiera. Notò il re bianco con le spalle al muro, sul bordo, circondato dai pezzi nemici.
‹‹Scacco matto›› e con l’indice buttò giù dal bordo la pedina con la corona.
Anirei sembrò ridestarsi dai suoi pensieri, prese in mano il pezzo caduto. Lo strinse talmente forte che le nocche sbiancarono pericolosamente.




 
 
****
GrAzie per essere arrivati fin qui, so che il capitolo è molto lungo, ma non mi sembrava il caso di dividerlo.
Al solito, spero vi sia piaciuto, e che continuerete a leggere questa ff, magari lasciando qualche commento che mi farebbe molto piacere.
Non mi dilungo molto, il capitolo lo è già spropositamente di suo.
Grazie a tutti, al prossimo!**

_Aly95



 

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** CAPITOLO ***



 
                                                                 
Erano passati parecchi giorni dal suo arrivo, stava imparando a conoscere i suoi coinquilini.
Jane era una donna dolce e riservata, che all’apparenza sembrava preoccuparsi per qualsiasi cosa, solo quando però il problema riguardava qualcosa di “extra scientifico”. Quando la vedeva piegata sulle carte dei risultati di chissà quale fenomeno celeste, le brillavano gli occhi, indagatori e determinati. Quello era il suo mondo, un luogo che per quanto sconosciuto fosse, per lei non costituiva un problema: una risposta, in termini di calcolo e di numero, l’avrebbe sempre trovata. Ne era sicura.
Forse era stata proprio la scoperta degli Asgardiani a renderla ancora più decisa e risoluta nel dimostrare la riconducibilità di ogni fenomeno a pura scienza, e non magia.
Guardandola, Anirei non poteva fare altro che ammirarla: Jane aveva scoperto la passione della sua vita, che niente o nessuno le avrebbe portato via.
Ogni tanto si aggiungeva a tavola il dottor Erik Selvig, un signore strambo ma gentile, che amava parlare di scoperte e nuove teorie ideate dallo stesso, cui Jane dava un basso credito e una serie di facce poco convinte e abbastanza scettiche. L’unica a dargli filo era Darcy, ma Anirei non capiva se lo facesse ironicamente o perché ne fosse davvero interessata; i Midgardiani non sembravano molto diversi dagli abitanti del suo pianeta, dopotutto. Forse erano leggermente più eccentrici.
Thor invece non si era fatto rivedere da quando l’aveva accompagnata in quel mondo che aveva sempre desiderato visitare da quando l’istruttore di Asgard gliene aveva parlato; soprattutto, dopo la storia “d’amore” tra Apollo e gli uomini midgardiani.
Non sapeva se essere felice o meno dell’assenza del figlio di Odino; ad essere sincera, rivederlo le avrebbe fatto ricordare fatti e parole che avrebbe volentieri dimenticato. Quella sera si era chiusa presto in camera, non ci teneva a farsi vedere afflitta da quella sorta di simpatica famiglia. Si era affacciata alla finestra, perdendo gli occhi sul panorama notturno di Londra, un misto di luci ed edifici che spengevano le stelle del cielo; guardandole, non poteva far altro che ricordare notti che anche per lei sembravano perdersi molti anni addietro. Il vento le scompigliava le ciocche di capelli che erano scappate ribelli dalla lunga treccia scura, le gelava la carne delle labbra e delle mani, che accoglievano a coppa il suo viso infreddolito.
Aveva scorto la Luna; sul suo pianeta o sul regno degli Aesir non esisteva, così come non esisteva il Sole, ma solo per questi ultimi. Era veramente bella: le sarebbe piaciuto vederla pienamente signora svettare su quel manto scuro. Ora capiva che cosa ci trovassero di bello i poeti midgardiani o quelli di Asgard che avevano il desiderio su posare i piedi su quel suolo.
Rabbrividì alla percezione dell’ennesima scia fresca della sera.
Aspettava. Aspettava che le venisse dato il colpo di grazia, sapeva che il re non era ancora caduto dalla scacchiera. Sapeva che non era ancora finita.
Forse, non sarebbe mai finita.
Quel pensiero la turbò, le ciglia si abbassarono; ma le gocce lucide brillavano ancora tra di esse, senza scendere.
In quel momento udì il campanello; poi grida di festa e di contentezza. Se ne sentì profondamente alienata. Il suo disagio non dipendeva dal pianeta in cui adesso si trovava, né dalle nuove persone che aveva appena conosciuto. Sentiva di non dover stare da nessuna parte, perché il suo dolore l’avrebbe raggiunta ovunque fosse andata.
Agendo come aveva fatto, Loki le aveva spezzato il cuore; se lo avesse avuto in mano, ben visibile, sarebbe riuscita a visualizzarne i fiotti di sangue che sgusciavano fuori densi e copiosi, come fiumi e cascate di macabro gusto..
Non voleva stare su Midgard; non voleva stare su Asgard. Non esisteva luogo in cui sarebbe voluta stare. Nemmeno tra le braccia di sua madre.
Forse, sotto le sue ali. Sì, lì certamente si sarebbe sentita al sicuro e tranquilla.
Udì bussare. E poi l’inconfondibile voce del Dio del Tuono. ‹‹Anirei..?››
Si voltò di scatto, lo trovò splendido nei suoi vestiti asgardiani, le braccia muscolose scoperte, il biondo dei suoi lunghi capelli intrecciati. Gli zaffiri la guardavano dolcemente, al contrario della sua espressione indagatoria. Un’invisibile lacrima le scappò traditrice dagli occhi. ‹‹Perché mi hai voluto portare qui..?››
Voleva sentirlo dalle sue parole; voleva sbagliarsi.
Il dio chiuse piano la porta della camera, le si avvicinò un poco. ‹‹Non voglio che Asgard ti ricordi eventi nefasti››
No, non era quello il motivo; la verità era ben altra. Il suo istinto sapeva che Thor stava mentendo, una bugia si leggeva sulla faccia di lui tanto quanto su quella di lei. ‹‹Credi che portarmi lontana dalle voci che parlano male di lui… che maldicono di me.. possa trattenermi dall’immaginarmele, e quindi non soffrirne?››
Sapeva che cosa avevano cominciato a insinuare i più maligni. Dicevano che Balder era stato ucciso perché ella era l’amante segreta del Dio del Caos. E si divertivano a immaginarsi tutti gli antefatti delle loro segrete unioni.
Forse.. forse Loki voleva che la verità tornasse a galla. Voleva far sapere a tutti che anche lei aveva, benché solo potenzialmente, trasgredito le regole di Asgard, di Odino? Anche se non lo aveva sposato, era comunque colpevole di essersi unita a lui.
‹‹Anirei›› le mise una mano sulla spalla. Voleva dirle che la comprendeva; dopotutto, Loki era suo fratello, sua madre era morta e il padre era finito chissà dove. Aveva più ragione di lei a sentirsi afflitto.
Si ritrasse da quel contatto che la metteva piuttosto a disagio, sarebbe voluta rimanere sola, nascondersi sotto il letto, o sotto un paio di coperte che le avrebbero impedito di vedere e sentire il mondo che continuava ad andare avanti senza che lei potesse rialzarsi e ricominciare a camminare.
Era inciampata da chissà quanto tempo, da prima di finire al palazzo del Padre degli Dèi.
E dopo tutto questo tempo non ho ancora reimparato a camminare..
Era la sua natura buttarsi giù verso qualsiasi cosa; figurarsi in confronto ai problemi. Però.. era anche vero che si sentiva sempre tremendamente sola, senza nessuno cui sentisse di potersi fidare completamente. Qualcuno che le avrebbe dato forza al suo solo pensiero, che ci sarebbe sempre stato, per lei.
Qualcuno cui si sa si può sempre contare.
‹‹Non devi prestare orecchio a certe fantasie››. Sperò di nascondere la sua espressione colpevole, sperò che Thor non la notasse. Sperò che il dio fosse profondamente diverso da Loki, che non avesse la capacità di leggerle non solo dentro, ma anche sul viso.
‹‹Cosa dovrei fare, secondo te? Non pensarci? Sai che non mi riesce questo genere di cose››
‹‹Voglio solo che tu sia al sicuro, Anirei. Ho chiesto allo SHIELD di proteggervi››
“Se osano anche solo sfiorarti, li ammazzerò”
Rabbrividì. No, non poteva rischiare..
‹‹Non ce n’è bisogno, Thor, non per me›› tagliò corto, guardandolo negli occhi.
‹‹Non lo faccio per toglierti la libertà, Anirei. Ho paura che possa e voglia far del male a coloro che amo, e che adesso mi restano››
La fanciulla gli mise un dito sul petto, fronteggiandolo. ‹‹Capisco la tua preoccupazione, Thor, e l’apprezzo. Ma non per questo farò perdere del tempo prezioso a persone preziose, che avranno altro da fare che stare dietro a me. E›› lo interruppe prima ancora che potesse aprire bocca ‹‹ se mi accorgo che qualcuno di loro è sulle mie tracce e mi segue.. giuro che vengo a prendere il tuo martello e, Dio solo sa che non dico cazzate, lo pianto in testa a te e a lui. Altro che fulmini poi, tirerai giù dal cielo tutti i santi!››
Non si stupì del proprio tono aggressivo; e nemmeno Thor.
Sentì un vago rumore provenire dalla porta, si accorsero della presenza di Darcy. La donna le balzò davanti, prese a indicare con l’indice prima lei e poi se stessa. ‹‹Io. Tu. Migliori amiche. Per sempre››
Thor le riservò uno sguardo severo a cui rispose con un’alzata di spalle prima di uscire. Dopo quell’entrata uragano, era tornato il silenzio.
Anirei scoppiò a ridere, non aveva il coraggio di alzare lo sguardo. La sua risata contagiò anche il dio, che l’accolse tra le braccia. ‹‹Scusami, non volevo comportarmi così..››
Il dio ricambiò la stretta, appoggiando la guancia sulla sua testa.
“Lo so”
L’abbraccio era dolce, sincero. Eppure quella sensazione di paura e angoscia non se ne andava.
 
 
                                                                                      ***
 
 
‹‹Ti rendi conto, che cercherà di tradirci, non è vero?››
Il Dio dell’Inganno e del Caos percorreva il corridoio di marmo venendole incontro con lo sguardo altrove; con i pensieri, la testa altrove. E forse anche qualcos’altro. La punse una rabbia gelosa. ‹‹Se se ne accorgesse, potrebbe bruciare Asgard alla prima occasione e tu non ne saresti mai re..››
Loki le rifilò una veloce occhiata; era serio. ‹‹Se cercherà di tradirmi, sarò io a piantargli un coltello nel petto. E per l’altro.. la libertà vale il rischio››
Le passò davanti, superando l’uscio ed entrando nella propria stanza; dubitava che lo facesse per andare a dormire. Dubitava che ella potesse raggiungerlo nel letto. Il dio si sedette su una comoda sedia, dopodiché si sfilò gli stivali e la casacca, rimanendo col petto eburneo e maestoso illuminato  sotto la luce della candela. Gungnir era riposta gelosamente sulle coperte del letto.
Chiuse gli occhi, quella stupenda visione, e  rivolse i palmi delle mani l’uno verso l’altro, andando a riempire lo spazio con sempre più luminescenti fili luminosi. I fasci univano le dita tra loro, polpastrelli opposti e un’intricata ramificazione, quasi una ragnatela, si andava formando con l’avanzare dei minuti. Doveva trattarsi di qualche incantesimo di localizzazione, glielo aveva visto fare molte volte, tempo addietro, quando ancora la degnava per il suo corpo, e non per il suo ruolo da cane da guardia a un vecchietto addormentato.
Era per quella donna. E su quello non aveva dubbi.
‹‹Potresti tentare in altra maniera›› provò nuovamente dopo un po’, quando il punto critico di un incantesimo tanto dispendioso di energie era passato. ‹‹Potresti..››
‹‹Se non rendo subito innocuo Thanos, sarà questione di tempo prima che mi trovi››.  Abbassò le sopracciglia, sempre con gli occhi chiusi. ‹‹Fai il tuo lavoro e torna ad Asgard››.
 
 
                                                                               ***
 
 
“Sì, li teniamo d’occhio noi, notte e giorno. Vogliamo però sapere perché dobbiamo farlo”
‹‹Non vorrei che decidesse di vendicarsi su coloro che mi sono cari e non sanno difendersi››
“Thor, sai che non possiamo fare opere di carità. Vogliamo evidenze che sostengano il loro effettivo pericolo”
Ringhiò, incollerito. ‹‹Vi sembra che Loki sia il dio che lasci evidenze?››
“Vogliamo che tu venga da noi, nel frattempo troveremo un modo per mobilitare gli altri tuoi compari..”
‹‹Ce la possiamo sbrigare benissimo da soli››
“Sì, certo, come l’anno scorso, me lo ricordo.. e poi non è riuscito a sfuggirvi da sotto gli occhi?”
Non voleva che li richiamasse, non c’era alcun pericolo per Midgard; perlomeno non adesso.
Non voleva che lasciassero le loro vite tranquille per niente.
‹‹Concedici altro tempo, scopriremo che cosa voglia questa volta››
“Non siamo sicuri di poterlo fare. Vedremo”
Si infilò l’auricolare in tasca, lo SHIELD era davvero incredibile. Non aveva un minimo di fiducia nei loro confronti. Cercò di non pensarci e aprì la porta dell’appartamento, per poi dirigersi meccanicamente nello studio.
Una piccola figura era seduta contro una scrivania invasa da carte di ogni tipo, piena di disegni e dati, che si mescolavano tra loro generando quello che a uno spettatore esterno sarebbe parso solo una brillante rappresentazione del caos e del disordine; lo stesso non si poteva dire per chi le stava analizzando.
‹‹Ti senti bene?›› domandò a Jane mettendole una mano sulla spalla.
La dolce donna si riscosse. ‹‹Uhm..? Sì, stiamo solo mettendo a posto l’archivio››. Thor gettò nuovamente uno sguardo al tavolo: non era sicuro di aver udito bene l’espressione “mettere a posto”. ‹‹Tra poco faccio una pausa e preparo del caffè: ne vuoi?››
Annuì, nonostante una misera tazza di caffè non sortisse alcun effetto sul suo fisico da Aesir.
‹‹Vado a vedere cosa combinano›› disse conoscendo bene l’inclinazione di Jane nel preferire la solitudine per concentrarsi meglio. Era talmente assorta che non lo udì nemmeno.
Si diresse a gran passi nella camera di Darcy, da dove provenivano gioiose risate di divertimento.
Si appoggiò allo stipite della porta, notò Anirei intenta a gesticolare nel mentre raccontava una sua esperienza passata, mentre l’altra donna si rotolava letteralmente sul letto tenendosi la pancia.
Alzò gli occhi al cielo: avevano fatto presto a trovarsi sulla stessa linea d’onda. Era facile far ridere Anirei, così come per lei era facile far sorridere chiunque avesse il suo stesso senso dell’umorismo, era un po’ matta, nella concezione positiva della parola. Forse aveva proprio bisogno di una persona come Darcy che le desse corda e che la facesse sfogare a suon di divertimento, dopotutto.
La fanciulla si accorse della sua presenza, e mettendosi una mano sulla bocca si diresse verso di lui, dandosi un contegno che non riusciva a mostrare pienamente, lo abbracciò.
‹‹Vi divertite, vedo›› sorrise. Le labbra di Anirei si incurvarono morbide, poi annuì con la testa.
‹‹Ehi, tu›› lo chiamò Darcy, rimettendosi gli occhiali e accogliendolo a sua volta con un sorriso. ‹‹Fai il finto tonto, ma sotto sotto sei un pazzo pure tu››
Cercò spiegazione sul viso di Anirei, trovandovi solo una timida linguaccia imbarazzata e colpevole.
‹‹Arrivi qui e fai il Super Man della situazione, tutto serio e drammatico.. in realtà sei un amante dell’intrattenimento! Mi ha raccontato certe cose, la tua amica qui presente.. certo che ad Asgard vi divertite parecchio››
Scoppiò a ridere, capendo cosa intendesse; in effetti non rideva più spensierato come un tempo, tutto era cambiato dal giorno in cui era stato esiliato su Midgard e aveva conosciuto Jane; quando Loki aveva tradito, aveva usato la sua assenza contro di lui, per appropriarsi del regno.
Quel giorno cambiò Asgard.
Mise la mano sulla testa di Anirei. ‹‹Non viene da Asgard, quindi la sua demenzialità non può essere ritenuta rappresentativa››.
La fanciulla gli diede un leggero pugnetto sul braccio. ‹‹Ehi, trangugiatore di birra e vino, vacci piano! Io sono geniale e creativa, fantasiosa››
Sì, certo, ovviamente. Le sue trovate erano il cavallo da battaglia del suo carattere. Le diede una carezza sulla guancia, guadagnandosi una smorfia divertita. In quel momento, credette di essere tornato indietro di dieci anni, quando ogni occasione era buona per sfiorarle la pelle o rubarle un sorriso che avrebbe donato solo a lui, nella soavità che le regalavano vesti più adatte alla sua bellezza.
‹‹Ieri sono andata in giro insieme a Darcy›› raccontò con un sorriso bellissimo, scoprendo i denti candidi. ‹‹E' un po’ strana Midgard, ma non tanto più di Asgard ad essere sincera››
Quando le lasciò la guancia, tenne per sé un sospiro. No, quei giorni non sarebbero tornati mai più. E i vestiti terrestri che teneva indosso, erano l’ennesima evidenza del tempo che cambia.
Del passato che non ritorna.
Nel millennio che aveva vissuto, poche cose erano cambiate; solo in una decina di anni sembrava che l’universo fosse stato travolto. E ogni giorno era diverso radicalmente da quello successivo.
Per un Asgardiano, era una novità alquanto strana e parecchio turbolenta.
‹‹Stasera devo andare su, ma spero di tornare tra qualche giorno››
Calò il silenzio; Darcy alzò le mani. ‹‹Vado a vedere quello cha fa Jane, non preoccupatevi››
Non appena uscì dalla stanza, Thor portò gli occhi su Anirei, che si torturava le dita delle mani, con lo sguardo basso. Sapeva quanto avrebbe voluto evitare l’argomento, ma aveva, perlomeno per ora, bisogno di alcune risposte, che fugassero dei dubbi e cancellassero almeno qualche possibilità su cui si ritrovavano ad indagare: che cosa voleva, Loki?
‹‹Anirei, che cosa ti ha detto o fatto, nelle sue stanze?››
Dirlo in quella maniera, faceva uno strano effetto. Dava un’orribile sensazione.
‹‹Mi ha detto che si riprenderà ciò che è suo.. E basta. Mi ha usata per ingannare Balder››. Era stata secca e sintetica, fredda.
Proseguì con un’altra domanda. ‹‹Perché ti avrebbe rinchiuso in un posto del genere?››
La fanciulla esitò a rispondere; le sopracciglia si contrassero, l’espressione si indurì tristemente. Forse aveva davvero udito le voci sul conto suo e di Loki; una delle tante che oramai si mormoravano da un orecchio all’altro, senza remore né vergogna. ‹‹Non ha allungato le mani su di me, se è questo che vi chiedete tutti. Mi ha fatto visita solo la prima volta, il tempo necessario di incantare la camera; poi l’ho visto nelle prigioni, dove mi ha sfruttato per ricattare Balder››
Dinanzi alla sua espressione esausta, evitò di porle ulteriori domande. Anche a lui non piaceva trattare quell’argomento, specie con lei.  
‹‹Cosa deciderete?›› fu invece lei a domandare.
‹‹Adesso ci preoccuperemo di catturarlo affinché riveli la sorte toccata ad Odino; una volta risolto questo problema, udrà la sentenza che avremo scelto per lui››
 
 
 
Heimdall era immobile con le braccia sul tavolo, svestito del suo tipico elmo, ma non della sua armatura dorata. I suoi specchi di miele erano apparentemente assenti, ma il Dio del Tuono era sicuro che stesse ascoltando ogni singola parola. Di fianco a lui, Sif aveva le braccia incrociate e i capelli neri, lunghi, morbidamente suddivisi in due ciocche ondulate; i suoi occhi blu da fiera fissavano con molta attenzione gli interlocutori. Fandral si era abbandonato scompostamente sullo schienale della sedia, con un braccio portato all’indietro e la concentrazione per restare sveglio, nonostante la tentazione di addormentarsi: al solito aveva fatto tardi in una qualche locanda in compagnia di qualche bella donna.
Dal canto suo, Hogun, chiuso nel suo silenzio di riflessione, giocherellava distratto con le dita sul tavolo.
Erano riuniti per discutere gli eventi drammatici che avevano scosso il regno; in particolare, per indagare sul piano del Dio dell’Inganno e sulla scomparsa del Padre degli Dèi.
Durante i giorni precedenti, Thor si era ritrovato ad affrontare gli impegni derivanti il governo di un regno in subbuglio e preoccupato, aveva dovuto aumentare la sicurezza, rassicurare un popolo che stava odiando e infamando il nome del fratello; la morte di Balder e la sparizione del re li aveva toccati profondamente. Se il palpito di malumore che faceva battere in sintonia ogni cuore pugnalato di ciascun Asgardiano non si fosse calmato, all’eventuale cattura di Loki, ne avrebbero chiesto la morte: solo Odino avrebbe avuto la fermezza e l’autorità per evitare una decisione tanto impetuosa quanto tragica, non era sicuro di poterlo eguagliare nella peggiore delle ipotesi che si prospettavano minacciose all’orizzonte del domani.
Si sporse in avanti sul tavolo, chiuse le dita a pugno.
Fratello, perché siamo giunti a questo? Perché non vuoi tornare indietro, da me, a casa tua?
‹‹Che cosa vorrà questa volta?››. Volstagg sembrava porre la domanda come una preghiera sospirata e rassegnata verso il cielo. Ma la sua espressione era carica di odio, esattamente come quella degli altri tre guerrieri.
‹‹Ricapitoliamo, signori›› Fandral si rivolse garbato verso Lady Sif ‹‹ e signore. Noi sappiamo che Loki ha mascherato la sua morte, dopodiché, in qualche modo, ha preso il posto di Odino, che non sappiamo dove si trovi. Ha chiesto a Sif di portargli Lorelei, oramai diventata donna adulta – bella come un tempo, se permettete - che purtroppo per lui si è ribellata e l’ha fatto scoprire. Non sappiamo però che cosa volesse›› riassunse lo spadaccino chiudendo il discorso con uno sbadiglio educatamente nascosto. ‹‹Se voleva una bella donna, poteva benissimo cercarne una meno indomabile e complicata. Per la sua vanità ha gettato in mare un trono che aveva perfettamente in pugno››
Il dio barbuto lo intercettò con una risata. ‹‹E' la tua tattica non prendere di mira le donne indomabili?››
Quello scattò subito. ‹‹Insinui la mia virtù macchiata di vigliaccheria? Non sono certo come quello lì››
‹‹Vieni fuori e combatti, vediamo se riesci a battermi!››
La situazione stava cominciando a degenerare; come al solito. I suoi amici di Midgard non erano molto diversi da quelli asgardiani.
‹‹Sommo Heimdall, tu non hai visto nulla che possa aiutarci?››
Il guardiano sbatté lentamente le palpebre, pensoso. ‹‹Nel momento in cui Loki si è ritrovato davanti ad Odino sotto false sembianze, ha oscurato la stanza. Quando mi è stato possibile di vedere di nuovo, ne aveva già preso il posto››
Non se ne stupiva. Loki pensava sempre a tutto, ad ogni minimo dettaglio; per tanto tempo era stata una parte di lui che aveva ammirato e amato. Avevano vinto parecchie battaglie grazie alla sua mente, e in quelle occasioni non poteva che essere fiero di lui. Forse, avrebbe dovuto dirglielo a parole, il mezzo che il fratello più destreggiava e capiva, anziché limitarsi a una pacca sulla spalla e una coppa di vino. Loki non era come lui, non lo era mai stato; e nonostante questo, non lo aveva trattato differentemente da come trattava gli altri, più simili a sé.
Non si era mai sforzato molto, per provare a capirlo.
‹‹Forse dovremmo provare a catturare nuovamente Lorelei›› suggerì Volstagg. ‹‹Usa il tuo charme, Fandral, e vediamo quanto funziona››
‹‹Volstagg, come osi ingiuriarmi a simile offesa?››
Thor cercava faticosamente di ascoltare le parole del sommo guardiano tra il gran baccano che facevano i due amici. ‹‹Ho assistito alla loro conversazione. Non le ha rivelato nulla del suo piano, sarebbe inutile››
Thor sospirò. Loki aveva creato un gran bel puzzle, era riuscito a creare false piste che non conducevano a nessuna ipotesi sostenibile; e si era tenuto il vero piano per sé.
Sif finalmente diede voce ai suoi pensieri. ‹‹Dobbiamo fare alla vecchia maniera: cercarlo e riportarlo ad Asgard. Vivo o morto››. C’era una gran durezza in quelle parole. Una durezza che Thor avrebbe voluto ignorare.
‹‹Deve ascoltare la sentenza che Asgard deciderà di proferire; e deve rivelarci che fine abbia fatto Odino››
La guerriera si alzò, spazientita. ‹‹La può ascoltare anche da Nifflheim. E comunque non ci rivelerebbe mai dove abbia nascosto Odino, preferirebbe morire con quella sua espressione trionfante e odiosa stampata sul viso. Ricattarlo, è impossibile dal momento che nessuno ha la compiacenza di fare luce sul mistero››. Prese la porta, allontanandosi da tutti loro a grandi passi da soldato.
Ad un cenno d’incoraggiamento di Hogun, si convinse ad andare a fermarla. Capiva quanto le bruciasse essere stata giocata, ma non per questo dovevano litigare tra loro. Loki aveva già sfruttato una tattica simile con i suoi amici midgardiani: non poteva permettersi di ricadere nello stesso errore.
‹‹Sif›› la chiamò da lontano, ma con tono familiare. La donna si fermò, le braccia rigide lungo i fianchi. Si voltò, fissandolo con ostilità.
Thor sospirò. I loro rapporti erano tesi da quando.. beh, da molti, troppi secoli oramai.
Le si avvicinò. ‹‹Ti prego, dobbiamo stare uniti. Altrimenti facciamo il suo gioco››
Fu la guerriera a sospirare, ma senza abbassare gli occhi. ‹‹Sei sempre stato troppo generoso con lui. Sia tu che Odino. E guarda cosa è successo››. Chiuse le mani a pugno, le sopracciglia si contrassero duramente.
‹‹Ho bisogno anche di te per catturarlo; dobbiamo restare uniti››
Sorrise rassegnata. ‹‹Thor, ciò che ti lega a Loki ti ha sempre portato guai; e ti ha anche sempre accecato. Tu non vuoi vedere la verità››
‹‹Non bisogna dar credito alle infamie della gente, lo sai››
‹‹Invece credo proprio che il popolo sia l’unico ad aver ragione. Heimdall non parla. Nasconde dei segreti, e lo sai anche tu››
‹‹Sif..››
‹‹L’ha rinchiusa in una stanza, e non in una cella, che ha schermato alla vista di chiunque. Era accanto a lei quando lo abbiamo costretto alla fuga. Non mi sembrano solo banali coincidenze››. Lady Sif scosse la testa, seria e arrabbiata. ‹‹Non ti riconosco più, Thor. Quella mortale ha smorzato il tuo ardore; un tempo saresti partito senza troppe domande, e avresti subito trovato la soluzione››
Si irrigidì a quel velato insulto, verso la sua Jane. Sif non l’aveva mai sopportata, ma non credeva che potesse arrivare a tanto. ‹‹Jane mi ha reso un uomo migliore, e questo anche Padre lo sa. Questa volta si tratta di Loki, figlio di Odino e mio fratello, e deve rispondere dei suoi crimini fronteggiando vivo l’alta sentenza››
La guerriera gli diede le spalle e si allontanò, per poi regalargli il suo profilo. ‹‹E' sempre questione di Loki. E di mortali››
Thor non rispose; conosceva la donna, doveva sbollire la collera sfidando tutti i migliori guerrieri dell’arena: solo dopo averli battuti tutti, allora avrebbe ritrovato un attimo di tranquillità.
Fece lentamente dietrofront, per tornare nella sala dove probabilmente Fandral e Volstagg stavano continuando a punzecchiarsi; nella peggiore delle ipotesi avevano già estratto le armi.
“E' sempre questione di Loki; e di mortali”
Sapeva a che cosa si riferisse; ad ogni passo che tre persone lo avevano volontariamente o meno costretto a fare allontanandosi da lei. Anche Padre voleva che la guerriera diventasse il suo interesse amoroso; ma prima una mortale, e poi l’altra, lo avevano tratto parecchio oltre le attenzioni che un tempo aveva cominciato a riservarle, che si erano spente in seguito ad un violento litigio circa l’atteggiamento dispettoso e, poiché incomprensibile, denominato crudele, di Loki.
Quando arrivò sulla soglia della porta, si accorse che i due guerrieri stavano duellando, Hogun stava riflettendo al suo solito, Heimdall lo stava aspettando.
Il guardiano piegò il capo. ‹‹Il mio compito mi spinge a tornare a sorvegliare il Ponte. Quando vorrai, io sarò disponibile››
Annuì rassegnato. Si inoltrò nella stanza, nella speranza di riuscire a fermare i due amici.
‹‹Thor, ha avuto l’ardire di chiamarmi vile. Il mio codice mi impedisce di lasciargliela vinta››
Incrociò le braccia, decise di distrarsi con la loro lotta fatta più di botta e risposta che di vero e proprio contatto tra lame.
Hogun gli si avvicinò. ‹‹Non cambieranno mai. Così da piccoli, così da adulti››
Il Dio del Tuono confermò con un sorriso complice. ‹‹Mi chiedo sempre più se non sia il caso di rimanere infanti..››
Il dio guerriero si prese un attimo prima di rispondere; Volstagg e Fandral avevano interposto il tavolo tra di loro. ‹‹Loki è vanesio. Non vuole comandare il trono con sembianze altrui. C’è un motivo se ha chiamato Lorelei. C’è un motivo se ha trattenuto Lady Anirei in alcune stanze schermate agli occhi del mondo››
Thor concordò. ‹‹Il problema è trovare il motivo di queste mosse strane. Ci potrebbero essere milioni di ragioni per cui abbia chiamato Lorelei››
‹‹C’è una motivazione sola per cui abbia schermato Lady Anirei››
A Thor prese un colpo. Loki non voleva che qualcuno sapesse dove si trovasse la fanciulla..
Corrugò la fronte: non era lei che era rinchiusa; era la vista di chi poteva localizzarla ad esserlo. Ma perché impedire che una persona venga trovata? Il dio temeva forse che qualcuno potesse liberarla, o tutt’al più catturarla? Quindi aveva piani per lei: piani che forse erano saltati con la sua fuga.
‹‹A Vanaheim si comincia a mormorare.. non solo gli occhi del nostro guardiano vedono tutto, mio caro amico Thor››
Ora che ci pensava, Michael era stato trovato morto. E il Dio aveva lo stesso dono di Heimdall, anche se in potenza di molto minore: mentre il guardiano poteva veder tutto e contemporaneamente, l’altro poteva osservare un solo luogo alla volta.
Ma se sapeva dove rivolgere il proprio sguardo, allora..
‹‹Perché il Dio avrebbe interesse verso di lei?››
‹‹Questa sarebbe una domanda da porre alla diretta interessata››
 
 
                                                                                     ***
 
 
Aveva capito subito il funzionamento di alcuni oggetti, come il computer o il telefono, o almeno le loro funzioni principali; ma gli elettrodomestici di cucina, a parte il suo adorato microonde –grazie al quale poteva riscaldarsi il cibo come e quando le pareva-, le creavano ancora dei problemi. Darcy le aveva detto di essere molto sveglia, o quantomeno era Thor a non essere sveglio abbastanza.
Anirei immaginava che il dio fosse distratto dai suoi problemi più che essere concentrato ad assimilare il funzionamento di quegli oggetti che non lo interessavano più di tanto; inoltre, trattandosi di un principe, gli era difficile sforzarsi per fare qualche faccenda domestica. Forse aveva bisogno solo di un po’ più di pratica, d’altronde con Jane aveva passato poco tempo.
Loki aveva fatto presto a rilasciargli sulle spalle l’onere del regno.
Anche per lui era un argomento dolente, quello sul principe denominato “traditore”. Ed era sicura che dopo quello che era successo nel regno si stessero sbizzarrendo su quali appellativi affibbiargli.
Spostò lo sguardo sulla televisione spenta, fuori si udiva il traffico tipico del pianeta, pieno di ingorghi, fretta, imprecazioni e malumore. Un po’ le ricordava il suo, di mondo. Un mondo che si sviluppava troppo in fretta, e che andava avanti senza dare una mano a chi rimaneva indietro.
“Adesso che ho te, non fallirò”
Evitò di riflettere su quella frase; su quali verità potesse nascondere.
Gli specchi le si incollarono nuovamente sullo schermo del telefono che le avevano prestato.
 
Siamo lo SHIELD. Abbiamo un compito per te.
 
Si chiese perché avesse imparato ad usarlo.
Lasciò il telefono sul tavolo, desiderando solo allontanarsene. Si avvicinò alla finestra, per guardare fuori e distrarsi. La solitudine la stava schiacciando.
Inizialmente era contenta di respirare un po’ di silenzio. Ma il problema dipendeva dall’intenzione di non voler ascoltare i propri pensieri.
Sapevano che Loki la stava cercando? Sapevano che cosa volesse da lei?
Osservò il traffico notturno, abbassò le palpebre, sospirando. Lei, da parte sua, immaginava che cosa cercasse.
“Tornerò a prenderti. Se osano anche solo sfiorarti, li ammazzerò”
Glielo aveva sussurrato poco prima che riuscisse ad addormentarsi; erano parole che sognava di notte, e che ritrovava nei sogni.
E proprio nei sogni, si era ricordata di quello che aveva detto molto tempo prima uno degli infermieri che l’aveva visitata; al tempo in cui erano andati a catturare Níðhögg.
“‹‹Ti fa ancora male il fianco?››
Scosse la testa.
‹‹Devi stare attenta, è un sigillo molto potente, e potresti inavvertitamente ucciderti, se provassi un incantesimo complesso e richiedente parecchia energia. Non ho visto mai niente di così particolare, è un sortilegio che non appartiene al nostro mondo.. immagino che possa mettere in ginocchio chiunque, anche il Padre degli Dèi, se ne venisse colpito››”
Si portò la mano sulla spalla, con maggiore consapevolezza. Se Loki voleva mettere in ginocchio qualcuno, forse Odino stesso, quello lo avrebbe fatto.
 
 
                                                                                     ***
 
 
Ripose il telefono nella borsa. Era arrivato un altro messaggio da parte dell’organizzazione. Sembrava avessero aspettato la partenza di Thor appositamente.
 
Comportati normalmente. Ovviamente, non hai bisogno di minacce specifiche nel caso in cui ti venga in mente di avvertire qualcuno.
 
‹‹…E dobbiamo assolutamente rimorchiare.. Ian… starà a casa ad aspettarmi, ecco tutto. Una festa di questo calibro capita una volta sola nella vita. Nel locale più esclusivo di Londra. Con le persone più esclusive.. ah, che sogno! Mi stai ascoltando?››
Anirei sorrise al riflesso di Darcy, mentre finiva di sistemarsi il trucco. Sorrise di un sorriso compiacente, ma era tutto fuorché convincente; la donna sembrò accorgersene, ma ci passò sopra, per sua fortuna. Osservò i propri vestiti, scelti come compromesso tra i gusti propri e quelli di Darcy. Aveva optato per un paio di tronchetti borchiati non troppo alti –altrimenti avrebbe potuto benissimo toccare il naso di Thor col proprio senza alcuno sforzo-, un paio di calze scure e un vestito rosso che si stringeva in vita per poi scendere sulle cosce a forma di V. In realtà lo avrebbe preferito nero, ma non era stata in grado di trovare la taglia giusta. I capelli erano semiraccolti sopra la nuca, per poi ricadere con lente onde sulle spalle e la schiena. Il trucco non era molto pesante, al contrario di quello dell’altra donna che stava abbondando un po’ troppo col rossetto rosso.
‹‹Dici che è troppo..?››
Annuì con foga.
Darcy fece spallucce e ripose il rossetto nella sua borsetta.
Si fecero largo tra le altre ragazze che sostavano nel bagno più per controllare il proprio stato fisico che per effettivi bisogni naturali. Non appena aprirono la piccola porta, furono investite dalla musica assordante del locale a cielo aperto.
Darcy aveva ricevuto alcune prevendite per quel posto, così aveva deciso di invitare alcuni suoi amici dell’università di Scienze Politiche; Anirei ci aveva scambiato qualche parola, erano gentili e simpatici con lei.
Lo SHIELD era stato furbo, le aveva inviato un messaggio solo quando si era ritrovata sul posto: non fosse mai che un’improvvisa febbre facesse saltare i loro piani.
Non pensare, comportati normalmente, Anirei. E' meglio per tutti..
‹‹’Cy?›› chiamò a rapporto l’amica mentre facevano la fila per prendere qualcosa da bere. Darcy le fece una linguaccia per farle capire che stava prestando orecchio. ‹‹Che cosa ci fanno quei piani là?››. Si riferiva a una parte dell’edificio dove svettavano tutta una serie di grandi finestre a vetro.
‹‹Oh beh, quelle sono le stanze per chi vuole passare la notte qui.. ma costano, e tanto››
Probabilmente là dentro si nascondevano fior fior di agenti.
 
 
 
‹‹Signore, è stata rivelata un’alterazione del magnetismo a pochi chilometri da qui. Pensiamo che sia il Bifröst››
La donna sorrise. Il Dio del Tuono era tornato, e presto avrebbero catturato Loki. Avrebbe ottenuto vendetta per il Dio della Luce, e avrebbe anche avuto il trono. Tutto sarebbe andato al suo posto.
 
 
 
Aveva notato un ragazzo dagli occhi verde smeraldo, che le aveva portato via ogni entusiasmo; non ce la faceva. Voleva semplicemente andarsene.
E questo sarebbe il modo migliore per andare avanti? Fare finta di nulla e portarsi dietro silenziosi pensieri e segreti?
Non era proprio nella sua natura resistere a tale stress. Si sentì cingere i fianchi, il corpo di uno sconosciuto premere contro il proprio.
No.
E se fosse stato lui? Quale sarebbe stato il passo successivo? Lo avrebbero localizzato?
Lo avrebbero arrestato.. e poi?
Scappò, letteralmente.
Scivolò via da quella presa, si fece a fatica largo tra la calca. Sentiva le lacrime giungere e inumidirle gli occhi.
Voglio andare via..
Finalmente riuscì a uscirne. Riuscì a respirare.
Si sentiva osservata, alcuni la guardavano. Cercò di ricomporsi, e passeggiò scorrendo la mano sulla ringhiera di un dolce ponte in pietra chiara.
Non doveva allontanarsi da Darcy, aveva fatto uno sbaglio a scappare via così.
Però..
Non voleva essere toccata, da nessuno; aveva paura. E pensava a lui.
Fu investita da una cascata d’alcool, insieme ad alcuni poveri malcapitati lì presenti.
Ci mancava solo questa..








*****
Salve! Sì, lo so, sono in ritardissimo, ma sono riuscita a finire il capitolo solo oggi in seguito a vari impegni:)
Dunque, che dire? Thor sta indagando, Anirei ha capito quello che Loki vuole, e sembrerebbe pure lo SHIELD! Su Asgard si mormorano cose non troppo lontane dalla verità...
Thanos l'ho ripreso dagli Avengers, se ricordate Loki "lavora" per lui in cambio della conquista della Terra. 
Nel prossimo verranno svelati i misteri, promesso, o almeno il piano di Loki:3
Grazie a tutti per continuare a leggere questa ff, vi mando un abbraccio caloroso!
Au prochain,
_Aly95

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** CAPITOLO ***



 
 
 
Raggiungi la camera che ti mostreranno.
 
L’avevano fatta salire in una delle camere lussuose del locale, assieme alle altre povere creature coinvolte nell’imboscata di alcool. Erano stati gentili coloro che gestivano il posto, avevano concesso una camera ad ognuno, in cambio la promessa di liberarle al più presto.
Si trattava di uno spazio gigantesco, costituito da un piccolo salottino all’entrata e una camera da letto, insita addirittura di un mini bagno. C’era una piccola mensola occupata a malapena da qualche libro, su una delle pareti della stanza d’ingresso. Lasciò la borsa sul tavolino accanto al divano, inviò un messaggio a Darcy, sperando che riuscisse a visualizzarlo in tempo. In effetti non aveva idea di come andarsene senza indossare gli abiti che aveva indosso. Però puzzavano troppo per non farsi una doccia, le stava venendo la nausea, le frizzava appena il naso; sospirò.
Incollò nuovamente gli occhi angosciati sullo schermo, ma Darcy non si era accorta di nulla.
Decise di infilare in doccia, al resto avrebbe pensato in un secondo momento. Magari lo SHIELD le avrebbe procurato degli abiti puliti. Si spogliò lentamente, lasciandosi in intimo, un paio di brividi di freddo, si osservò allo specchio mentre aspettava l’acqua calda. Si sfiorò il fianco sinistro, dove usava comparire il marchio nero, prima di ripetere lo stesso gesto sul suo riflesso. Silenziose, ma concentrate, le sue dita sfiorarono i tenui lineamenti del viso sulla superficie lucida, mentre le ciglia si abbassavano e si alzavano, su quella figura tormentata, come in cerca di risposte.
Perché…?
Aprì la doccia e assaporò col palmo la temperatura; si spogliò anche dell’ultimo strato e infilò dentro, chiudendo gli occhi e abbandonandosi al getto tiepido che le scendeva lungo la schiena fino ad infrangersi sul piano.
Sotto le sue palpebre, le gocce d’acqua diventarono pioggia, le mattonelle bianche sparirono per lasciare posto alla vista di un bellissimo giardino, da sotto un lungo e stretto portico.
“Strizzò i capelli bagnati dal temporale. ‹‹Non finisce più?››
Il figlio di Odino si voltò  verso di lei, asciugandosi il viso col dorso delle dita. ‹‹E' ferito, Anirei. Immaginati cosa succede quando è ubriaco ››. Prese la risposta come un no. Abbassò gli occhi, impensierita.
Il dio le si avvicinò un poco, scostandole i capelli appiccicati al petto; le vesti inumidite sottolineavano le sue forme, le dita indugiarono sulle ciocche che si diramavano tra un seno e l’altro. Non appena abbassò lo sguardo, l’indice del dio le sfiorò il naso, e insieme al medio le premette la fronte. ‹‹Non è colpa tua››. Aumentò la pressione sulla pelle. ‹‹Credo che potrà fare a meno dei tuoi baci accondiscendenti e falsi››
Arricciò le labbra. ‹‹Già, immagino che di me, tu trovi sgraziati anche quelli››
Le fece un sorriso sbilenco, mostrando i denti. ‹‹Anche››
‹‹Se è questo che pensi di me..››. Fece un sorrisino malizioso. ‹‹Non ti bacio più››. Loki l’attrasse a sé, giocando con le sue labbra. ‹‹Saresti tu a cedere, dolcezza››. Da quando aveva sentito un guerriero chiamarla in quel modo, ogni occasione era buona per rinfacciarglielo.
‹‹Vedremo›› gli mordicchiò provocante lo stesso labbro che un tempo aveva ferito. Non poteva credere di stare tra le sue braccia fuori dalle loro stanze. Si sorprese tristemente a ringraziare il temporale, che aveva fatto rincasare tutti nel palazzo. ‹‹Voglio portarti a vedere Midgard››.
Alzò gli occhi sui suoi smeraldi, stupita. ‹‹Tu odi quel posto, mi sembra. Non fai altro che additarli come insulsi, insetti, barbari..››
‹‹Perché hanno una cosa che gli invidio›› Loki le accarezzò i capelli sulla testa, portando delle ciocche dietro il suo orecchio. Lo vedeva brillare di aspettativa, era ovvio che non vedesse l’ora di chiedergli di che cosa si trattasse. Sembrava un bambino. ‹‹Che cosa?››
Il dio fece un ghigno malizioso. Le soffiò sulle labbra caparbio. ‹‹Non te lo dico››
Gli sfiorò il naso col suo. ‹‹Dai, dimmelo, tesoruccio››
Lo sguardo di Loki diventò serio e diffidente. ‹‹Non sopporto questo nomignolo, lo sai››
Non riuscì a trattenersi dal ridere, e lo baciò. ‹‹Scusami, tesoruccio. Me lo dirai?››
‹‹Scordatelo››
‹‹Non fare il permaloso, tesoruccio…››… ”
Si asciugò velocemente con il telo avorio che aveva trovato vicino al lavandino. Cercò nell’armadio della suite, trovò solo qualche abito da uomo. Optò per una camicia abbastanza ampia, ma quando la indossò si accorse che le stava precisa sulle membra, la lunghezza le arrivava a metà coscia.
Guardò nuovamente lo schermo del cellulare, ma invano. Nessun ordine, nessuna notizia. Di alcun tipo.
Spostò passiva lo sguardo all’interno del vano.
La confusione della musica non penetrava all’interno dell’enorme stanza. Vigeva un tetro silenzio.
Si sentiva sola. Sola senza Darcy con cui ridere e scherzare, distendere i nervi, sola senza Jane che correva disperata e speranzosa per il piano portando con sé mille scartoffie, seguita a ruota dal professor Erik che le raccontava qualche teoria appena ideata, stravagante nonostante quello che stesse accadendo su Midgard e in tutto l’Universo. Sola con le sue preoccupazioni.
Si avvicinò alla finestra, osservando la folla pressata illuminata a tratti da luci di vari colori e fasci luminescenti. Più in là c’era chi beveva dei drink come una spugna.
Ricordò le parole dell’organizzazione dello SHIELD: Ci aiuterai a catturare Loki. Farai da esca.
Sfiorò il vetro con la punta delle dita, guardando il cielo notturno, senza la sua stupenda luna e senza le fioche stelle a cui le luci delle città toglievano ogni dignità.
“Farai da esca”
Perché?
Perché si erano ritrovati a combattere l’uno contro l’altra? Perché si stavano facendo del male?
Se soltanto ne avesse avuto il coraggio, avrebbe distrutto la finestra, raggiunto quei ragazzi e bevuto, fino a sentirsi male, fino a vomitare anche l’anima e ogni dolore, fino a dimenticare qualsiasi cosa e vivere il momento presente. Dondolarsi da un lampadario, vivere come se non ci fosse stato un domani*, senza curarsi della vergogna della mattina successiva, che sarebbe arrivata.
Se si fosse lasciata andare, sarebbe rimasta solo vergogna.
Lo capiresti, Loki? Lo capisci?
Il telefono vibrò proprio in quel momento.
 
Lo abbiamo localizzato. Stai ferma dove sei.
 
Si incollò al vetro, col cuore agitato, in tempesta.
Allora era vero..
Avevano ragione. Aveva, ragione. Loki si era presentato, cercava lei.
Si allontanò dalla finestra, afferrò la borsa per poi immobilizzarsi, indecisa se andarsene o meno, indecisa se trovarlo e parlargli: in quanto solo in un modo avrebbe potuto arginare i danni di distruzione che egli recava con sé. La sua cattura era inutile, prima o poi sarebbe fuggito, come era già successo; e avrebbe continuato a mietere sofferenza. Doveva giocare d’anticipo.
Si passò la mano sul naso, concentrandosi.
‹‹Non pensavo avessi tutta questa voglia di rivedermi›› sorrise il dio canzonatorio indicando con un cenno la finestra da cui aveva guardato ansiosamente. Si trovava sulla soglia della camera da letto, poggiato sullo stipite della porta; nell’altra mano aveva un libro, probabilmente uno di quelli che aveva intravisto sulle mensole, e che lui sembrava stesse leggendo. Era guarito da ogni livido e bruciatura, si era ripresentato splendido nei suoi preziosi ma comodi abiti neri, che sottolineavano la sua muscolatura da dio asgardiano. La chioma leggermente mossa gli ricadeva sul collo, morbida e in ordine. Il petto era evidenziato da una sotto maglia aderente, che metteva in risalto i muscoli formati in anni di duri allenamenti fisici.
Gli smeraldi si spostarono sulle pagine aperte, quasi fosse giunto fin lì solo per poterla ignorare. Oppure che fosse stata lei a disturbarlo nella sua stanza durante una delle sue ore di lettura.
Non fiatò, come se respirare la rendesse più debole; come se la forza esercitata sui polmoni sostituisse il bastone di un vecchio. Si calmò, ripetendosi quello che si era detta, come una cantilena. Era il momento.
‹‹Sapevo che saresti tornato›› mormorò meno sicura di quello che si era aspettata, e di quello che avrebbe voluto. Si morse piano la bocca, in un istintivo gesto per scaricare la tensione.
Stava per riprendere il discorso con più confidenza, quando le parole del dio, che scivolavano come delizioso velluto fuori dalle sue labbra sottili, le impedirono di emettere alcunché:
‹‹…Hai ucciso te stessa. Sì, puoi baciarmi, e piangere; e strapparmi baci e lacrime. Saranno la tua rovina... saranno la tua dannazione. Mi amavi... e allora, che diritto avevi di abbandonarmi? Quale diritto... rispondimi... a causa della tua misera infatuazione per Linton? Poiché l'indigenza, la degradazione e la morte, e nulla che Dio o Satana, possano infliggere, sarebbe riuscito a separarci, fosti tu, tu stessa, a volere la nostra separazione. Non sono stato io a spezzarti il cuore... il tuo cuore lo hai spezzato tu... e spezzandolo, hai spezzato anche il mio. Tanto peggio per me, se sono robusto. Voglio forse vivere? Che razza di vita sarà la mia quando tu... oh, Dio! Vorresti vivere tu, se avessi l'anima nella tomba?**››.
Deglutì, pietrificata, col cervello in panne e il cuore immobile.
Se il cielo le aveva concesso un minimo di sicurezza, ora Loki l’aveva scoperchiata di essa, rendendola vulnerabile ad ogni suo più diabolico delirio. Ne fu certa non appena la guardò di nuovo.
Le sue iridi liquide la stavano studiando, passando attraverso la sua pelle, scivolando attraverso il suo corpo, soffermandosi su punti ben precisi; e non poteva fare altro che sottrarre gli occhi a quella scansione infrenabile, che la metteva piacevolmente a disagio.
‹‹So cosa vuoi da me..›› deglutì di nuovo, cercando di farsi forza. ‹‹Vuoi il sigillo, non è così…?››
Il dio non rispose, si inumidì le labbra passandoci appena sopra la punta della lingua, avvicinandosi piano a lei, come un lupo deciso a non far scappare la sua preda, che si lecca i baffi prima ancora di averla tra le mani.
Alla fine piegò le labbra in un sorriso soddisfatto; la conferma scivolò sotto forma di sospiro ‹‹Oui››
‹‹Sono disposta a dartelo.. ma devi promettermi che non farai più del male a nessuno..››.
Si trattava di una proposta folle, ne era conscia. Ma era anche l’unica possibile.
Socchiuse gli occhi, alzò un sopracciglio. ‹‹Vuoi fare un patto, Anirei..? Vuoi fare un patto con me..?››
La voce era melliflua e molle, scopriva il lato malizioso di quelle domande. Un brivido caldo scese, facendole istintivamente tirare la camicia verso il basso, per coprirsi; di fronte ai suoi smeraldi flebili, di fronte alla sua voce densa.
Gli occhi felini del dio seguirono il gesto, attenti; e poi molto interessati. Aveva commesso sbadatamente, fatalmente, una sottigliezza, che ripagò vedendo Loki avvicinarsi a lei lentamente, la volpe verso la lepre. Arretrò d’istinto, e cadde nella trappola del cacciatore: inciampò contro il divano, finendoci sopra distesa; riaprendo gli occhi, vide Loki sovrastarla e bloccarle ogni pretenziosa via di fuga.
‹‹Lasciami..!››
Loki sorrise a modo suo, e al contrario si abbassò su di lei, facendole increspare la pelle del collo col suo respiro caldo e bollente. Il cuore batteva martellando piano ma pesante nella gabbia toracica, le toglieva un fiato d'aria ad ogni rombo che si infrangeva ovattato contro il petto di fragile porcellana. Già doveva controllare il busto che si muoveva a ritmo sempre più serrato; il dio doveva essersene accorto, perché aveva provveduto a slacciarle, indugiando e massaggiando, un bottone della camicia, sul décolleté, per permetterle di prendere più aria, di respirare libertà; di lasciarsi andare.
‹‹Temi che quegli stupidi agenti possano sentirci..?››. Si sporse verso di lei, abbassando il tono della voce, quasi sussurrando, grattandole il timpano con ogni parola ‹‹Stai tranquilla, farò in modo che tu non gridi troppo forte..››
Perse un battito, mentre il suo stesso corpo la tradiva, con uno spasmo rendeva più invitante e accessibile il suo desiderio, le gambe tenute ben divaricate, si stringevano ai fianchi del dio.
Dio, no, non poteva cedere; non poteva abbandonarsi ad un tentazione così oltraggiosa: cosa avrebbe detto la gente, sulla donna che giaceva, soddisfatta e desiderosa, con l’assassino di quello che in teoria era il suo fidanzato? Del criminale che aveva portato ulteriori lacrime al mondo?
E più di tutti se stessa, sarebbe stata implacabile, più crudele e dura di tutti.
‹‹Invece mi lasci.. ora››
‹‹Non riesci nemmeno ad arrabbiarti, Anirei.. la tua voce si fa sempre più eccitata..››. Le dita si avvicinarono al laccetto dell’intimo, mentre la camicia era risalita in mille pieghe sulla pancia procurandole uno sfregamento maledettamente fastidioso.
‹‹Basta. Ti ho già detto che ti darò il sigillo..››
Percepì le labbra gelide, tremanti di desiderio, stuzzicarle la linea del seno che la camicia lasciava scoperta, lasciarle la traccia del loro passaggio; sospirò un lamento, inarcò istintivamente la schiena, facendo aderire il proprio corpo al suo petto. ‹‹Credi che mi interessi solo questo, di te, Anirei..?››. Le dita scivolarono sempre più all’interno, giocando con la sua carne.
Mi hai mai chiamato da sola sotto le coperte in tutto questo tempo..?..
Altre spine di piacere misto alla frustrazione del corpo e del dolore psichico.
‹‹Ti prego.. Loki..›› sussurrò con la voce spenta.
Il dio affondò il viso nell’incavo della sua spalla, baciandole il collo, salendo.
‹‹Gemi per me, Anirei..›› le morse l’orecchio, facendola contrarre sotto di lui, facendole uscire un lamento desideroso e frustrato. Le infiammava il sangue, con quelle parole. ‹‹Sì, così.. gemi per me..››
No.. oh, Loki..
Le sue mani riprendevano familiarità con la sua pelle, col suo corpo. Le guance le si accaldarono, mugolò di piacere, stretta fra le sue braccia, sentendosi in suo potere, in balia della sua superiorità possessiva.
Loki ritrasse il suo gelido contatto, lasciandola insoddisfatta, la studiava mentre smorzava gli ansiti. Le mani della fanciulla erano strette alle sue vesti, aggrappate alle lunghezze della chioma nera, ma di fatto non provavano né a fermarlo né a dibattersi per liberarla. Ulteriore vergogna le fece arrossare il volto.
Il dio le fece mettere le braccia passive al proprio collo; le accarezzò i capelli, per poi condurne una ciocca alle labbra. Quando alzò di nuovo gli occhi su di lei, la fissò languido, senza sorrisi arroganti; le sue labbra seguivano una linea rigida.
‹‹Baciami››
Non capiva se fosse un ordine o una richiesta, ma le dita fredde del dio scivolavano lente sulla sua bocca accaldata sollevandole appena il labbro superiore; creavano uno strano effetto di sensazioni. Le accarezzò la guancia, appoggiando la fronte sulla sua, abbassando le palpebre. Leggeva tanta tristezza in quei gesti apparentemente dolci, e pure tanta gioia. Era condannata, come una piccola formica che si innamora dell’immenso cielo.
Sentì le lacrime che pungevano. Sarebbe tanto voluta tornare indietro, quando il loro amore non era poi così tormentato, nonostante fosse costretto a nascondersi tra le pareti di una stanza, lontano dagli occhi di tutti. Celato in mezzo alla gente, dove non potevano tenersi per mano, per quanto lei lo avesse desiderato. E doveva anche evitare il dio per la gran parte del giorno, poiché non era in grado di fingere, di nascondere il sorriso sul proprio volto innamorato. Ora, quei giorni non le parevano più tanto bui o difficili; per Loki, invece, che sapeva celarsi perfettamente dietro ogni maschera impassibile, non era mai stato un problema. Era abituato. Ma lei no.
Continuava a rimanere passivamente abbracciata al suo collo, mentre lui la fissava, con quegli occhi. Quegli occhi..
Norne, dee del destino, ditemi che cosa devo fare, sto impazzendo..
D’un tratto Loki imprecò a mezza voce. ‹‹Guastafeste..››
 
 
 
Thor aveva un brutto presentimento, che peggiorava di momento in momento. Era sicuro che lo SHIELD le avrebbe seguite, ma in mezzo a tanta gente Loki avrebbe potuto confondersi benissimo.
Diamine, sapeva trasformare e trasformarsi in chiunque avesse voluto!
Si era fatto indicare da Jane il posto in cui erano andate a divertirsi Anirei e Darcy, ci si era recato sfruttando il potere di Mjölnir: si trattava di un edificio piuttosto vistoso, il più illuminato di tutta Londra, non era stato poi difficile trovarlo.
Atterrò con uno schianto, ma nessuno sembrò accorgersene; la musica a tutto volume copriva qualsivoglia altro rumore, i passanti erano troppo impegnati a proseguire dritti per la loro strada come se avessero avuto un paraocchi sul volto. Qualcuno però, parve prestargli attenzione.
‹‹Thor››. Era il capo dell’agenzia, non c’erano dubbi: pelle scura, inconfondibile benda all’occhio sinistro, sguardo duro e severo. ‹‹Vieni con me››
‹‹Fammi recuperare le mie due amiche, Nick››
‹‹Non puoi fermare l’operazione adesso, Thor. Sappiamo già tutto. Sappiamo cosa voglia Loki››
Alzò appena il martello, pronto ad ogni evenienza. ‹‹Non potete metterle in pericolo, non è quello che vi ho chiesto››
L’uomo alzò l’indice. ‹‹C’è un agente specializzato ogni insulsa coppietta, mio caro. E' un covo in cui, se proverà a mettervi piede, rimarrà schiacciato››
Erano pazzi se credevano di poter ingannare Loki. Erano semplicemente degli sprovveduti. ‹‹State usando delle innocenti per attirarlo qui, e basta››
‹‹Vedi, Thor, a differenza del vostro pianeta, qui sulla Terra abbiamo abbastanza fretta di risolvere i problemi. Sappiamo chi sta cercando e perché. Dal momento che anche tu sei qui, immagino che almeno chi tu possa saperlo››
Lo guardò interrogativamente. Nick gli rispose facendo un cenno agli agenti alle sue spalle, che si scostarono per far passare una suadente figura. Una donna dai lunghi capelli rosso chiaro camminava fieramente nella sua direzione. ‹‹Ciao, tesoro. Spero che tu non mi abbia dimenticata››
 
 
 
Loki scese dal divano, diede una frettolosa occhiata fuori dalla finestra. Anirei ne approfittò per alzarsi e scostarsi, per  abbassarsi la camicia prima che gli tornassero in mente  idee oscene.
‹‹Dobbiamo muoverci. Hanno una dannata strega dalla loro parte››
Non appena rialzò lo sguardo, trovò la mano del dio tesa contro di sé, aperta e invitante. Rimase immobile, senza muovere un muscolo, seria e pensosa, l’ultimo dubbio che le risaliva i polpacci come un insetto.
Stava facendo la cosa giusta? Loki avrebbe avuto il coraggio, se non il piacere, di uccidere chiunque avesse tentato di proteggerla; chiunque, pur di ferirla a fondo. Non stava forse agendo per il meglio? 
‹‹Vuoi che scoprano tutto quello che miracolosamente non sei riuscita a rivelare fino ad adesso?››
Cosa credeva, che il problema fosse il loro passato? C’era altro in ballo, il pericolo in cui sarebbero sicuramente incorsi Asgard e Thor; la questione non riguardava assolutamente loro due. Piantò gli occhi nei suoi, stizzita. ‹‹Preferirei almeno infilarmi le scarpe, grazie››
Sorrise con aria furba.  ‹‹Ti vesti in maniera singolare per un posto del genere››
Arrossì violentemente. ‹‹Ti sembra il momento per certi commenti?! E per la cronaca, non ero vestita in questo modo!››
‹‹Oh, lo so. Eri molto sexy mentre ballavi sul cubo..›› . Giocò con una ciocca dei suoi capelli, mentre si umettava le labbra ‹‹Non si poteva toglierti gli occhi di dosso, non so come abbia fatto a controllarmi..››
Diventò viola. ‹‹LOKI!››
Lo sentì ridere di gusto, lo vide avviarsi a grandi passi felini verso la porta.
Quando osservò di nuovo il proprio fisico, lo trovò fasciato da un completo di cuoio nero e di ferro; perlomeno le vesti di Asgard erano comode e confortevoli, non impedivano movimenti agili o improvvisi. Ora che lo guardava meglio, somigliava molto al suo completo nell’arena, solamente, anziché avere la scollatura, la stoffa le ricopriva la pelle fino a metà collo. Gettandole una veloce occhiata, Loki parve accorgersi dei suoi pensieri . ‹‹E' un bene. Altrimenti non posso concentrarmi››
Se non l’avesse piantata, con i suoi tipici commenti, col solletico vibrante che le provocava la sua voce tagliente e provocatoria, era certa che il cuore le sarebbe esploso.
Si propose di fare finta di nulla in virtù del proprio autocontrollo. Osservandolo, infatti, ascoltandolo, si chiedeva il motivo del suo repentino cambiamento di atteggiamento, così differente da quello riscontrato a palazzo. Si soffermò sulla nuca che si volgeva dalla parte opposta in cui il dio voltava lo sguardo.
Sei sicuro che il Loki che ho conosciuto io non sia reale?
Avvertì chiaramente una morsa nel petto, come chiuso da una tenaglia. Le ferite si stavano riaprendo di nuovo.
Dimmi tu se devo credere a quello che credo di vedere o a quello che mi dici..
Gli si accostò, guardandolo tristemente; confusa e basita. Loki le fece un rapido cenno, segno di seguirlo in quel preciso momento, cosa che fece alquanto passivamente, la mente era impegnata a fare tutt’altro.
‹‹Mi servi concentrata›› commentò lapido il dio mentre studiava il corridoio dietro l’angolo. Lo vide voltarsi appena verso di lei, con la testa appoggiata al muro ‹‹O hai per caso bisogno del tuo décolleté scoperto, per esserlo?››
Lo guardò negli occhi, alzò un sopracciglio di ammonimento. ‹‹Tra i due è meglio se sia tu quello concentrato, non credi?››
Sorrise alzando un angolo della bocca. ‹‹Touché››
In quel momento il dio levò rigido il braccio, facendo cadere un agente dello SHIELD; disarmò l’altro in meno di un secondo, lo placcò al collo con l’avambraccio, gli regalò una ginocchiata ben assestata allo stomaco, facendolo svenire. Il primo agente nel frattempo si era rialzato, gli aveva puntato la pistola contro.
Il Dio dell’Inganno lo squadrò divertito. ‹‹L’ordine è di sparare a vista, giusto? Beh, fallo››
Il ghigno del dio non prometteva niente di buono. Anirei si chiese se non avesse intenzione di ucciderlo; agì d’istinto, dette un calcio sulla parte posteriore delle ginocchia dell’agente, facendogli perdere equilibrio e concentrazione. Loki lo prese da dietro, soffocandolo con un braccio.
‹‹Non lo uccidere..!›› esclamò portando le mani all’arto che stringeva con forza divina il collo dell’uomo.
L’agente si piegò sulle gambe, inerme dopo aver provato invano a liberarsi; Loki lo lasciò cadere sul pavimento, appena scomposto nella sua posizione fetale. La mascella di Anirei vibrò appena, fece per piegarsi sull’uomo, per vedere se fosse vivo o meno, ma la mano gelida del dio si appropriò della sua, avvolgendola. ‹‹E' solo svenuto››
Sperò che avesse ragione.
‹‹Andiamo››
Percorsero velocemente il corridoio davanti a loro, poi cominciarono a scendere la tromba delle scale. Lesse un vago sorriso sulle sue labbra. ‹‹Che cosa ci trovi da ridere?››
Lui scoppiò in una risata carica di gusto, mentre la trascinava con la sua maggiore velocità verso il pianterreno. ‹‹Oh niente di che..›› fece l’ultimo scalino, si voltò verso di lei. ‹‹Un motivo più valido del tuo, comunque››
‹‹Io non sto ridendo..›› negò mordendosi le labbra.
Le si avvicinò, la abbracciò nel suo mantello. La fanciulla si irrigidì all’istante, le guance andarono irrimediabilmente a fuoco. ‹‹Lo fai sempre per scaricare la tensione, non devi mica negarlo..››
Fece per controbattere, ma il viso del dio si avvicinò pericolosamente al suo, i loro nasi si sfiorarono, mentre la sua bocca era stata messa al silenzio. Dopo due secondi passarono altri tre agenti riconoscibili dalle armi che recavano nella mano.
‹‹Di là! Di là! Non abbiamo ancora controllato!››
Le voci si facevano confuse nel mentre osservava due smeraldi liquidi.
Non puoi, Anirei..
Non appena scese nuovamente l’irreale silenzio della struttura, Loki si staccò, togliendole la mano dalla bocca. ‹‹Dovrei metterti anche un bavaglio e una benda agli occhi per non distrarmi››
Smettila, te ne prego..
Rimase in silenzio per tutto il resto del tragitto, limitandosi a fermarsi e muoversi quando lui le diceva di farlo. Uscirono infine sul cortile bagnato per l’umidità della sera, raggiunsero un muro di rete che correva lungo tutto l’edificio, che lo divideva dalle case circostanti e dalla strada. Loki le lasciò la mano per issarsi su di esso, e poi calarsi dall’altra parte.
‹‹Perché non hai usato la magia?››. Era una domanda che si era posta da un bel po’.
‹‹Lorelei ci localizzerebbe›› rispose con arrogante ovvietà.
Lorelei..?
Perché si trovava lì? Le avevano detto che era scappata via da Asgard dopo aver fatto scoprire Loki..
Si rabbuiò all’istante, di nuovo la colsero i dubbi.
Il dio spostò lo sguardo su di lei. ‹‹Veloce, non abbiamo tempo››
Ma Anirei lo guardò seria, e motivata; gli occhi ardevano di determinazione. ‹‹Voglio fare quel patto. Non farai del male a nessuno. Me per l’incolumità degli altri... ››
Loki la guardò basito, chiuse gli occhi a fessura. ‹‹Stai cercando di minacciare me?››
Si avvicinò alla rete, ci si aggrappò con le mani, stringendo il sottile filo metallico. ‹‹Non ti sto minacciando; ho parlato di patto. Se vuoi restare qui a parlarne..››
Le mani di Loki passarono tra i buchi molto ampi della rete, l’attrassero verso di lui, i loro corpi divisi da quella fine parete, poteva vederne il freddo verde degli occhi immerso nell’oscurità. ‹‹D’accordo. Ma adesso muoviti››
Si liberò dalla stretta, lo seguì dall’altra parte della rete. Il dio le afferrò il polso senza troppa gentilezza, la portò correndo verso un piccolo parco delle vicinanze.
Non c’era nessuno, fatta eccezione per alcuni ragazzi silenziosi aggregatisi intorno ad una panchina. Rallentarono il passo, che rimase comunque molto veloce. Loki si avvicinò ad un albero, e disegnò quella che doveva essere una runa sulla corteccia, scorrendo sul legno col dito di ghiaccio. Somigliava vagamente ad una F, a guardarla bene.
I contorni si illuminarono di rosso, tutto cominciò ad oscillare. L’ambiente si trasformò lentamente, al posto del parco, una cittadina in pietra e marmo. Al posto della notte, il giorno.
La luce improvvisa le ferì gli occhi.
Il senso di vertigini cominciò farsi più debole, e riuscì a tenersi sulle gambe da sola dopo qualche istante di spaesamento; il freddo della mano di Loki sulla sua la aiutò a restare nella realtà della sua coscienza.
Volse lo sguardo intorno, piccole ma allo stesso tempo maestose case di marmo fuse con la natura circostante. Non si trovava più su Midgard, quello era sicuro.
‹‹Andiamo››
Mentre si guardava intorno, aveva la possibilità di studiare gli abitanti del luogo, uomini e donne che passeggiavano lentamente e senza fretta, che si gustavano l’aria fresca e pulita. Erano molto cordiali, ma allo stesso tempo freddi e distaccati, riservavano sempre un saluto lungo le strade per la maggior parte libere, ma senza soffermarsi troppo e senza tradire la loro aura di superiorità.
Stava per chiedere al dio dove si trovassero, quando voltandosi si accorse che aveva cambiato aspetto: una zazzera di capelli castani accompagnati da due occhi azzurri, i lineamenti del viso più morbidi.
Si chiese se non avesse sbagliato a seguire persona.
Si fermò, squadrandolo.
‹‹Beh, che ti succede?››
Aveva una logica cambiare il proprio aspetto, in effetti. Lo stavano cercando dappertutto..
Lo seguì silenziosa per il resto del loro cammino, cercando di tenersi osservazioni e domande per sé, sapendo di creargli disturbo parlando mentre era concentrato nello scegliere la strada giusta.
Si limitò a guardarsi intorno spaesata.
‹‹Fermiamoci qui››
Davanti a loro un muretto che circondava una pozza molto grande, residuo di passaggio tra una cascata e l’altra, dove l’acqua, però, scorreva talmente lenta da ricordare un piccolo lago, una fontana, dove il fluido cristallino pareva rimanere fermo, in quiete. Si abbassò istintivamente per avvicinarsi allo specchio fresco, ne toccò la superficie con un dito, leggermente, creando una serie di cerchi sempre più ampi, fino a quando non si estinsero. L’acqua era fredda; fredda ma limpida.
C’era una leggera brezza, non faceva né freddo né caldo, la temperatura era neutra; sedutasi accavallò le gambe, lisciò ogni fibbia degli stivali, ispezionò l’armatura: i vestiti sembravano veramente reali.
Loki le si mise accanto, ma in piedi. Si stava sistemando un paio di guanti sui polsi.
Quel dio era davvero un mistero, che diventava sempre più intricato a mano a mano che lo si imparava a conoscere; e se il vecchio Loki era tutta una finzione, allora il giovane che aveva davanti era un enigma.
Tornò a concentrarsi sull’ambiente circostante, che come Asgard sembrava essere uscito da un libro di fiabe.
‹‹Un mio conoscente ci ospita per quanto lo richiederà la situazione; lui mi conosce con questo aspetto, e col nome di Tyrion: vedi di non fare confusione, o potremmo ritrovarci ad affrontare notti insonni con un coltello sguainato, in guardia››
Annuì, tenendosi a mente il suo nuovo nome.
‹‹L’ho già avvisato della tua presenza, ti crede una sorta di apprendista..››. Si morse il dorso del medio, pensoso; poi sorrise, beffardo ‹‹E adesso pensiamo a un nome per te..››
 
 
                                                                                     ***
 
 
‹‹Abbiamo controllato ogni suite, ogni angolo dell’edificio, ma di loro non c’è traccia. Nella camera 27 abbiamo trovato il cellulare e la borsetta della ragazza, nonché i vestiti››
‹‹Gli ultimi messaggi ricevuti risalgono a una ventina di minuti fa. Hanno il nostro nome, ma non li abbiamo inviati noi››
‹‹E' entrato nel sistema della rete, e l’ha attirata lontano dalla nostra visuale››
Lorelei scoppiò in una risata grave, ma ironica. ‹‹Quel depravato… non solo è riuscito a non farsi scoprire, ma ha anche avuto l’occasione e il tempo per guardarla mentre si faceva la doccia..››
Thor non condivideva affatto lo stesso umore. ‹‹Vi avevo avvertito di lasciarlo a noi..!››
Avvertì la furia adrenalinica pompargli il sangue nelle vene, il desiderio di svuotarsi attraverso la forza di Mjölnir. Loki gli aveva portato via un altro pezzetto di cuore, e lui non era riuscito a fermarlo.
Nick congedò gli agenti che erano stati scelti per avvertirlo della pessima notizia. ‹‹Credevamo avrebbe usato qualcuno dei suoi trucchetti magici, ma a quanto pare si è accorto di ogni cosa, e ha cessato ogni incantesimo prima che la donna qui presente lo potesse individuare››
Thor si fece largo tra la calca che lo divideva dall’uomo. Quest’ultimo fece un cenno di calma ai soldati che avevano estratto le armi contro di lui. ‹‹Ti sembra una valida scusante affinché io non usi il potere del potente Mjölnir contro di te…?!››
‹‹Dico solo, che adesso possiamo beneficiare della fiducia verso la nostra cara informatrice›› si voltò verso Lorelei. ‹‹Qual è il prossimo passo?››
 
 
Quando era entrata nella sala da pranzo, avvolta in quelle vesti verde pallido, una figura dalla pelle candida, i capelli scuri e ondulati tirati su una spalla, gli occhi nocciola e le labbra rosee, con una collana di brillanti stretta attorno al collo, Falastur, un uomo dagli occhi azzurro chiaro, i capelli chiari, quasi bianchi, abbandonati con cura sulle spalle e un paio di eleganti orecchie a punta le era andato incontro con un gran sorriso cordiale, tenendo le mani tra le sue; ella non aveva potuto fare a meno di rispondere schiudendo a sua volta le labbra in un candido sorriso.
A lui non aveva riservato che un’occhiata fugace prima di concentrarsi completamente sulle domande dell’ospite, cui rispondeva vaga e confusa; Loki osservò di nuovo il profilo della sua schiena sinuosa, accentuato dal verde aderente, e fece scivolare il suo sguardo più in basso, inumidendosi poi le labbra.
‹‹Bene, miei cari, vi auguro buon appetito›› si congedò Falastur . ‹‹Di qualunque cosa abbiate bisogno rivolgetevi pure alla mia servitù››
Entrambi ringraziarono, Loki con grande e distaccata cortesia, la fanciulla con un sorriso timido e impacciato, che si accentuò dinanzi ai piatti che aveva davanti, che le avevano acceso l’appetito. Anche senza udire il brontolio del suo stomaco, sapeva che cosa la facesse contenta in quel momento.
Su quel viso i misteri erano più unici che rari. D’altronde, era stata la sua incapacità a fingere le sue vere emozioni, una dote che la rendeva profondamente diversa da lui – il padrone delle più incrinabili tra le maschere -, ad attrarlo più di qualsiasi altro motivo fisico e carnale.
Era grato della riservatezza e della tolleranza di Falastur e della sua specie: se le avessero posto qualche domanda troppo insistente, era sicuro che la fanciulla sarebbe crollata come un alto e instabile mazzo di carte. Anirei intanto si serviva senza alcun problema, continuando a spiarlo di tanto in tanto con i suoi grandi occhi scuri.
Si soffermò da primo sui lineamenti del suo volto ovale, risalì verso le sue lunghe ciglia, poi sulla perfetta forma dei suoi specchi, le cui iridi gli erano private alla vista per lo sguardo concentrato sul piatto sotto di lei. Infine ricalcò con i propri occhi il disegno delle sue labbra fin troppo invitanti.
Erano soli adesso.
Lontani dagli occhi, le orecchie e, forse peggio, le bocche giudicanti e proferitici di parole incresciose sebbene vuote, di Asgard. Dalla condanna del destino. Dal dolore che il mondo aveva deciso di porre tra di loro.
Stava distrattamente accarezzando con l’indice il bordo del bicchiere di vetro, mentre inseguiva alcune fantasie, quando finalmente riuscì a intercettare gli occhi di lei.
‹‹Che c’è?›› sbottò tra la curiosità e il nervosismo, con le sue sopracciglia appena tremanti abbassate.
Fissò le sue labbra appena schiuse, alzò le sopracciglia. ‹‹Una donna non dovrebbe mangiare con così tanta voracità.. in realtà non dovrebbe mangiare così tanto››
‹‹Non capisco perché ti dia tanto fastidio; non ci troviamo nemmeno a palazzo..››
‹‹La tua responsabilità è sotto la mia, quindi vedi di darti almeno un po’ di contegno››
Cominciava a sortire l’effetto delle sue punzecchiature: guance leggermente arrossate per l’imbarazzo e per l’enorme resistenza volta a non esplodere e dargli soddisfazione. Si divertiva da morire a farla arrabbiare.
‹‹Ce l’ho, un contegno, è solo che ho fame››
Scoppiò a ridere. ‹‹Mangi così tanto anche quando non hai appetito››
Anirei cercò di nascondere un lieve sorriso colpevole mettendosi una mano davanti alla bocca; forse immaginava per davvero che potesse sfuggirgli; forse immaginava che non fosse abbastanza per riempirgli il vuoto del cuore.
Le afferrò la mano con la cicatrice, avvertendo la sua sorpresa e il desiderio di sottrarsi. Si sporse verso di lei, guadagnandosi di nuovo la vista dei suoi grandi occhi scuri, che ammaliavano, che gettavano il loro sortilegio su ogni malcapitato che si era ritrovato a fissarli per più di un misero momento.
‹‹E' curioso come più abbiano il piacere di vestirti, io abbia quello di spogliarti..››. Passò un dito lungo la cicatrice, lentamente. ‹‹Siamo stati interrotti, se non ricordo male››
Ella non abbassò lo sguardo, anzi, lo fronteggiò con determinazione. ‹‹Ricordi male››
Arcuò furbamente la linea della propria bocca, storse leggermente il naso. ‹‹E' strano. Io ricordo perfettamente il calore del tuo corpo sotto le mie mani››. Abbassò la voce, si portò la punta delle dita sulle labbra. ‹‹Ho sentito il tuo piacere sciogliersi per me..››
La pelle diafana della fanciulla sembrava indecisa se impallidire o infiammarsi. In ogni modo ella deglutì lentamente, si sporse minacciosa verso di lui. ‹‹Diversamente da te, io sono mesi e mesi che non mi vedo con nessuno, e il mio corpo lo sente. E adesso lasciami›› ringhiò non senza una nota di venata disperazione, che la tradiva più di quanto facesse quella mano tra la sua.
‹‹Ti ho fatto gemere il mio nome›› le soffiò sulle labbra.
Anirei fece una smorfia di disappunto, non era riuscita farlo tacere. Ma la sua determinazione, il suo orgoglio e il suo desiderio di libertà continuarono a fornirle carburante per non dargliela vinta.
Peccato che non sapesse quanto lo stesse eccitando con quel suo viso ardente di fierezza, sebbene spazientito di rabbia.
‹‹Sei il Dio dell’Inganno, mi hai sedotta. E adesso lasciami, non è affatto divertente tutto questo..››
‹‹Questa è vecchia, Anirei, mi deludi. Quando ti arrabbi davvero, puoi ferire quasi quanto la mia lingua argentea.. o forse non sei veramente arrabbiata, e vuoi solo continuare quel che abbiamo iniziato..?››
‹‹Piantala››. La sentiva tremare sotto di sé.
Si avvicinò ulteriormente, come un vampiro, come una pantera, come una serpe strisciante e silenziosa. Il desiderio di lei si era fatto opprimente. ‹‹Ho fame, Anirei. Dammi le tue labbra, per cortesia..››
‹‹Voi dovete essere Lady Anirei, immagino››
Quella voce fuori luogo fu come un’imprecante doccia fredda. Si voltò verso l’uscio della porta, il maestro di Lorelei si era presentato nelle sue preferite vesti chiare e di seta.
Perché diamine era arrivato in un momento così delicato e intimo? Perché diavolo li aveva dovuti interrompere?!
‹‹Mio caro e venerato maestro..›› sibilò con astio. ‹‹Non vedi che siamo occupati?››
L’uomo alzò le mani in segno di scusa; però non accennava ad andarsene. Possibile che il mondo decidesse di mettersi sempre in mezzo?
Si astenne dal cacciarlo fuori con minacce molto poco lusinghiere, e anzi si alzò dalla tavola, si risistemò la mantella che scendeva davanti la spalla sinistra, ricostruì la maschera con un sospiro. ‹‹Cosa c’è?››
L’uomo dalla barbetta ispida e bianca, dal mento a punta, osservò prima lui e poi lei, con la coda dell’occhio.
‹‹Mi avevi detto di avere fretta, se non erro. Sono venuto a parlarle››
Fu costretto ad annuire alle sue stesse parole, digerendo la rabbia che gli sconvolgeva l’acido dello stomaco. ‹‹Prego. Fa’ pure con comodo›› ironizzò indicando la tavola con la mano aperta.
Si voltò verso la fanciulla che smarrita cercava di nascondere il tremolio di inquietudine delle mani tra le gambe, i capelli la soccorrevano nascondendole parte del volto.
Il maestro si avvicinò a lei, sorridendole. Anirei, dopo un primo momento di intimidazione, rispose alla sua faccia serena e distesa con un minuscolo sorriso.
Chiuse la mano a pugno, scorticandosi il palmo.
‹‹Buongiorno, Lady Anirei. Ho sentito parlare di voi››. Le sorrise con un sorriso di padre. ‹‹Non abbiate paura, troveremo il modo di rimuovere il sigillo che limita le capacità del vostro corpo››
Anirei guardò esitante la mano che l’uomo le porgeva.
‹‹.. Posso almeno sapere a che cosa vi serva?››
Avrebbe voluto rispondere di no. Avrebbe voluto strapparle quel marchio dalla schiena e farle dimenticare ogni cosa che non avrebbe fatto altro che generarle disprezzo, se non, in misura addirittura peggiore, compassione.
Dio, non aveva bisogno di compassione, da nessuno, in particolar modo da lei. Avrebbe sopportato il disgusto, il rifiuto; ma non l’estrema umiliazione.
Già lo devastava come un fuoco il ricordo della sua apparizione su Midgard, dove lo aveva visto in ginocchio, ferito, deriso, sporco e sconfitto. Le avrebbe strappato gli occhi in quel momento, le avrebbe cucito la bocca e si sarebbe otturato i timpani.
Era forse un atteggiamento infantile?
Forse, ma sarebbe stato di gran lunga apprezzato nella sua reale attuazione.
Le scoccò un’occhiata diffidente, mentre la domanda era caduta in disgrazia, nel silenzio.
Era sicuro che quel verme le avrebbe risposto in un secondo momento, se non lo avesse fatto lui.
Le alzò il mento, affinché potesse guardarlo negli occhi, e non rifuggisse alcuna nascosta reazione. ‹‹Per la conquista di Midgard ho fatto un patto. Dal momento che disgraziatamente non l’ho portato a termine, la mia vita è in pericolo››. Le accarezzò la linea del naso, celò perfettamente il tremore dei muscoli sotto la pelle, al ricordo di Thanos, si impedì di rabbrividire. ‹‹Grazie al tuo sigillo, potrò limitare le capacità magiche dell’individuo che mi cerca, impedendogli di localizzarmi e privandolo di gran parte della sua potenza››.
 
 
*: tratto dalla canzone “Chandelier” di Sia
**: tratto da “Cime Tempestose” di Emily Brontë
 
 






************
Salve a tutti!
Spero vivamente che questo capitolo vi sia piaciuto, anche perché abbiamo finalmente questi due insieme (questa volta veramenteinsieme, dal momento che Loki ad Asgard era sempre molto - troppo impegnato per dedicarsi a lei:) ).
Lorelei mo' sta con lo SHIELD, con piani ancora oscuri ma abbastanza ovvi (immagino), mentre Thor tra poco va dallo psicologo per le sue crisi esistenziali (o fa prima e mi lancia il martello in testa). Anirei fa un accordo con Loki, vedremo che pieghe prenderanno gli eventi; in questo capitolo non ci sono molti personaggi, ho lasciato la scena a loro due, mentre ho introdotto questo fantomatico maestro di Lorelei.
Nulla, al solito ringrazio chiunque mi segue, ha la mia storia tra le preferite, recensisce -un grazie in particolare a voi-, o passa soltanto a fare un salto!
Ci ritroviamo al prossimo,
la vostra Ali


P.S: Sì, vedo il trono di spade, e il nome Tyrion mi piaceva troppo**

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** CAPITOLO ***


Il centro abitato che era riuscita a scorgere prima di arrivare dritta in quella immensa e ricca casa non presentava lo sfarzo ostentato della città di Asgard, né apparentemente la tecnologia artificiale aveva preso il sopravvento sulla natura: le case e i ponti si fondevano con l’ambiente, una cascata gigantesca faceva da sfondo alla città inalberata, diventandone poi il fiume, scorrendo su più piani e sciogliendosi nuovamente in altre cascate più piccole. Gli stessi materiali erano diversi: non ombra di oro o di metallo prezioso, ma pietra e marmo, che si mischiavano perfettamente con l’immenso verde che li circondava; per quanto riguardava la veduta d’insieme, al contrario dell’uso della linea retta, dritta, che faceva da guida alle forme degli edifici asgardiani, là ogni anfratto, ogni profilo, preferiva l’elegante figura della curva, non disdicendo comunque colonne e architravi laddove l’armonia dell’insieme li richiedeva. Una compenetrazione perfetta tra natura e città.
Un’astronave passò nel cielo, dileguandosi in pochi secondi; anche i mezzi volanti sembravano scarseggiare.
Forse, pensò, si era ritrovata nella terra dei Vanir, Vanaheim, che limitava i contatti con gli altri pianeti per mantenere intatte ed integre la propria cultura e le proprie tradizioni.
‹‹Siete pronta?›› venne a chiamarla dolcemente il maestro, raggiungendola sotto il chiostro all’ombra del quale si era accomodata da circa tutta la mattinata – o pomeriggio: in realtà, non riusciva a capire di quale ora del giorno si trattasse, sapeva solo che faceva molto, troppo, caldo.
Stava sgraziatamente sudando, lungo il solco della sua schiena arcuata.
Annuì, distratta, sicuramente tutt’altro che convincente. Si appoggiò volentieri al braccio che le veniva offerto, e  si avviò con andatura lenta e cauta verso l’interno della villa.
Era questione di ore, forse poche, oramai, prima che il sigillo le venisse tolto definitivamente – sempre che il maestro si rivelasse all’altezza del compito.
Era decisamente nervosa; si era sempre chiesta quale verità si celasse dietro quella maledizione, e chi avesse avuto il desiderio di infliggerle una cosa simile; d’altra parte, era anche ansiosa di riempire quei piccoli, ma numerosi, buchi della memoria riguardanti il suo estro magico.
Il maestro le fece superare l’uscio, e Anirei si guardò intorno, l’espressione curiosa.
Si trattava di una stanza areata e luminosa, dall’aria decisamente accogliente e per nulla soffocante; era caratteristica della casa: grandi spazi, finestre e file distanti di colonne sostituivano spesso e volentieri alcune pareti; il bianco e il verde dovevano essere i colori dominanti dell’intera abitazione, alternati ad un lieve rosa.
Si sdraiò con attenzione su un lettino dall’imbottitura color crema, si godette la brezza estiva che rendeva sopportabile il caldo rovente; la luce, bella e diretta, illuminava e accendeva i colori della natura che compenetrava l’immenso giardino di selve all’interno delle stanze.
La fanciulla studiò con attenzione ai dettagli il volto del famoso maestro; stranamente, nonostante l’aspetto di avanzata età che gli conferivano i capelli radi e bianchi, e la barba chiara, la sua pelle era perfettamente liscia, tanto da far invidia alla più curata delle principesse. A disdetta del suo aspetto un poco intimidatorio, i suoi modi e i suoi atteggiamenti erano gentili e disponibili.
Lo conosceva. Di vista, perlomeno.
Aveva sostituito una volta il proprio istruttore, a palazzo, in una delle sue lezioni; non avrebbe mai immaginato che si trattasse del fantomatico maestro di Lorelei. Gli era piaciuto molto in quell’occasione, disponeva di una confidenzialità nei suoi discorsi, che pareva quasi trattarla da pari, e non da allieva.
E poi, quando spiegava, ci metteva tanto di quel cuore, e tanto di quel “sé”, un entusiasmo da bambino, che era impossibile non rimanerne affascinati. Non sapeva spiegarselo, eppure lo credeva sulla sua stessa linea d’onda.
‹‹Perché siete qui?›› gli domandò mentre le fasciava stretto il braccio con una benda. ‹‹Siete stato minacciato?››
L’uomo sorrise appena, mentre ruotava le garze. ‹‹Diciamo pure che.. sono stato costretto, ecco››
Anirei non approfondì la questione: era ovvio che non volesse affrontare l’argomento. Si chiese comunque se non avesse chiesto al Dio dell’Inganno e del Caos una ricompensa in termini di oro o potere per la sua collaborazione.
‹‹Avete paura?››
Gli sorrise nervosa, ma grata per quella domanda carica di apprensione. ‹‹Un po’ tesa, sì..››
‹‹Non sentirete niente, state tranquilla››
Appoggiò la testa sul guanciale del lettino, gli occhi ben fissi sul soffitto, per non vedere l’ago e sentirsi morire; avvertì l’inconfondibile fastidio della sottile punta di metallo trapassarle la membrana di pelle inerme. Ingoiò la saliva e pensò ad altro. Chissà se Darcy e Jane, il dottor Selvig, stessero bene; sperò che non si preoccupassero troppo per la sua sparizione; nonostante il poco tempo trascorso insieme, si era divertita molto con quella donna piena di entusiasmo e di ottimismo.
Sospirò: peccato, le sarebbe piaciuto continuare a guardare quella serie tv in sua compagnia..
‹‹Fatto›› avvisò la voce calda e giovanile del maestro, mentre riponeva l’ago nella sua custodia, dopo averlo accuratamente ripulito. ‹‹Adesso, grazie al liquido che ho inserito all’interno del vostro corpo, dovrei essere in grado di rivelare l’approccio del vostro sigillo rispetto a sorgenti magiche esterne. Sarebbe meglio se vi rilassaste››
Anirei annuì vagamente, di fronte ai palmi dell’uomo che le passavano sul corpo a relativa distanza dalla pelle. ‹‹Allora, ditemi. Vi piace Alfheim?››
‹‹Non credevo di trovarmi su questo pianeta, ad essere sincera›› confessò sorpresa, con lo sguardo perso su una colonna di marmo della stanza.
‹‹Il Dio dell’Inganno non ve l’ha comunicato?››
‹‹Il Dio dell’Inganno non mi dice mai niente›› sentenziò con uno sbuffo. Loki aveva sempre preferito il silenzio ad una sana e decente comunicazione verbale.
‹‹Sembrate conoscervi da tempo..›› indagò mentre si soffermava sulla pancia con ambo le mani.
Sorrise, rassegnata. ‹‹Il colmo è che ci conosciamo da troppo tempo per un certo senso, e troppo poco per altri››. Scosse la testa, sempre col mesto sorriso sulle labbra. ‹‹Pensavo di conoscerlo.. mentre invece..›› non finì nemmeno la frase, non ne aveva voglia. Di spiegarsi, di capire. Ci aveva ragionato troppo, adesso l’argomento non faceva altro che procurarle il mal di testa.
Calò un leggero silenzio, leggero e fresco come il soffio di zefiro che scivolò nella stanza increspando il vestito verde e la barba ispida del maestro.
Si accorse dell’espressione appena esausta dell’uomo; anche lei, adesso che ci pensava, avvertiva un pungolo sempre più insopportabile lungo il fianco sinistro.
‹‹State bene?››
Lo vide accigliarsi, e si preoccupò. Non sembrava nel pieno della sua forma. ‹‹C’è qualcosa che non va?››
Le fece un cenno sereno, per tranquillizzarla. ‹‹Fatemi finire››.
Quella risposta le iniettò angoscia e preoccupazione, stress. Irrigidì i muscoli, non perse di vista, quasi con la costanza di un’ossessionata, i gesti dell’uomo.
Forse fu per quello che il maestro ricominciò a parlare. ‹‹Trovavate qualcosa di interessante nella sua persona?››
Esitò, prima di rispondere, adesso cominciava a sentire un fastidio opprimente di tutt’altra natura.
Nella sua mente si formarono come piccole e vaghe apparizioni, scene in cui Loki le parlava compiaciuto di se stesso e della propria conoscenza, fosse per  fine vanteria, fosse per il piacere di lasciarle intravedere attraverso una sottile fessura parte di sé –sincera parte di sé. Lo ascoltava sempre molto attenta, e vagamente persa, attratta da un’oratoria probabilmente misurata e calcolata in anni di esercizio da lingua d’argento.
‹‹Tutto quello che aveva da dire››
Sorrise con tenerezza guardandosi i pollici.
Loki si preoccupava per lei senza volerlo dare a vedere, colpevole la sua incapacità nel mostrarsi sincero oltre la sua maschera provocatoria e sprezzante, al di là di quello sguardo che le faceva tremare l’anima come la fiamma che rabbrividisce leggera in una notte di ghiaccio. Amava la sua calma, Anirei; quell’eccesso di fiducia nella propria intelligenza che lo rendeva un insostituibile braccio di cui fidarsi –qualora non avesse secondi fini nell’approfittarsi dell’eccessivo affidamento.
E poi, quando sorrideva di quel sorriso autentico e disarmante quando la rimproverava per una sua sciocchezza..
Chiuse gli occhi e smise di elencarsi ogni ferita fresca e malamente risarcita.
‹‹E' ancora così?››
Si voltò verso di lui, spaesata. ‹‹Come..?››
‹‹Mi chiedevo.. ha per caso perso ciò che lo rendeva quello che era?››
Abbassò le palpebre, con espressione aggrottata e poco convinta. ‹‹N.. non si tratta di questo; non immaginavo che provasse piacere nell’uccidere e nel fare del male. Non credevo che avrebbe reagito come purtroppo è accaduto..››
Aggrottò la fronte alzando le sopracciglia scure macchiate di bianco in qua e in là. ‹‹Beh, si tratta del Dio dell’Inganno, mia Lady››. Mosse la mani in cerchio. ‹‹E' sempre stato freddamente spietato, all’occorrenza, nonostante evitasse di agire in maniera così estrema, prima del suo tradimento..››
La disperazione l’ha distrutto, l’ha schiacciato sotto il peso dell’invidia e del rancore.
Distolse lo sguardo dalla realtà circostante, abbassando le palpebre.
Del dolore.
Rievocò le prime parole che le erano state rivolte una volta tornata ad Asgard circa il grande tradimento del principe Loki, che aveva sputato nel piatto dove mangiava:
 
“C’è sempre stato qualcosa di strano in lui, molti decidevano a buon ragione  di evitarlo: per una volta, sarebbe stato meglio affidarsi alle apparenze”
 
Una lacrima silenziosa le aveva bagnato trasparente le ciglia, ma senza cadere, dinanzi alla deliberata cattiveria di un’ancella dalla chioma riccia e bionda, dai modi gentili ed educati. Creava contrasto il tono freddo e giudicante in quel viso così innocentemente delicato.
Anirei gemette di riflesso, quando le mani lunghe del maestro giunsero a controllare la parte sinistra della schiena, vicino al fianco, prima che lui le ritraesse per evitare di farla gridare. Perché lo avrebbe fatto, se il contatto si fosse mantenuto per più di un orribile secondo.
Mio Dio, sembrava le stesse strappando la pelle dai muscoli.
‹‹Non è possibile sottrarvelo attraverso l’uso della magia senza attentare alla vostra vita››
‹‹C-che..?..!›› balbettò incredula, con la lingua tra i denti, mentre il dolore svaniva gradualmente all’allontanarsi delle mani del maestro. Una notizia simile che passava come un fulmine a ciel sereno. ‹‹Perché no..?››
‹‹E' deformato›› spiegò semplicemente raggiungendo il tavolo poco distante, dove si trovavano poggiati in bella prestanza un paio di libri aperti e nemmeno una decina di ampolle. Lo vide voltare piano le pagine ingiallite di un volume antico. Era sicura dell’età del libro grazie all’odore di carta vissuta e consumata che si diffondeva nell’aria ad ogni giro di foglio. L’uomo le si riavvicinò poggiando le mani sul bordo del lettino. ‹‹Chiunque vi abbia fatto questo, non era un esperto››.
Le sorrise con i suoi occhi dolci, in risposta al suo sguardo interrogativo. ‹‹Si tratta in sostanza di una maledizione deviata, che ha subito inavvertitamente una piega diversa dallo scopo iniziale››. Si accarezzò il pizzetto, levò le pupille verso l’alto, quasi buffamente pensoso. ‹‹I motivi di tale deformazione possono essere molteplici. Il fatto è›› e qui tornò a guardarla con delicatezza ‹‹che questo sigillo si comporta come un parassita, come una piantina di vischio sul ramo di un albero, che col passare del tempo si è sempre più attaccato a voi.. ››
Anirei lo guardò con strana calma, sollevata dalla sua espressione tranquilla e amabile. ‹‹Ma è dannoso?››
Lo osservò riflettere. ‹‹Nella misura in cui funge da “tappo”, la sua consona funzione, esso blocca la vostra forza incantatrice; la deviazione ne causa la spedizione al mittente, cioè verso di voi. Ciò significa che potreste uccidervi con le vostre stesse mani››
‹‹Una bella trappola masochista per il mio adorato cacciatore. Dico bene, venerato maestro?››
Anirei si voltò subito in direzione della porta, notando un giovane dai capelli castani e gli occhi azzurri; ancora non si era abituata ad abbinare la sua voce a quella trasformazione temporanea.
Che cosa ci faceva lì? La sua presenza aveva la peculiarità di metterla sulle spine. Si voltò verso il maestro in cerca di conforto e di spiegazione.
Loki le riservò un sorrisetto. ‹‹Sono abituato a vederti su un letto, se è questo che ti preoccupa››. Si girò immediatamente dall’altra parte per evitare di prenderlo a pugni e di farsi vedere arrossire. ‹‹Come immaginavo non è possibile estrarlo mediante il seiðr››
L’uomo affermò con un cenno della testa.
‹‹Di quanto tempo necessiti?›› domandò senza neanche guardarla.
‹‹Il resto del giorno di oggi per sradicarlo dal corpo fisico, e un altro per renderlo pronto all’uso. Nemmeno due giorni in tutto››
Il dio restò in silenzio per un momento, stringendo le labbra. ‹‹Va bene. Ma non voglio perdere ulteriore tempo. Massimo due giorni››.
Anirei assistette a quello scambio di battute in silenzio, non afferrando il modo in cui le avrebbero tolto il sigillo se non poteva essere usato il seiðr.
 



La crema era fresca e delicata, il profumo delle erbe le solleticava il naso con il suo odore pungente.
Stesa supina, con i capelli raccolti morbidamente in un alto chignon, posava la guancia sul dorso di una delle due mani incrociate. Il lato peggiore di quella storia riguardava una dieta misera, che le creava un evidente appetito; ma perlomeno non avvertiva più quell’orribile dolore, come le stessero strappando l’anima dalla carne mortale.
‹‹Sapete molte cose›› osservò rivolta al maestro, che le stava cambiando le erbe sul fianco con molta gentilezza.
‹‹Oh, no, davvero. Mi diletto nell’ampliare la mia conoscenza, ma non sono poi così capace. Ci sono molti altri maestri più valenti di me››
‹‹Ma a voi piace intendervi di più cose, e non solo di ciò in cui siete più bravo››
Le strizzò l’occhio, sorridendo. Quell’uomo le piaceva molto; lo ammirava. Non si trattava del tipico saggio maestro che possiede l’estrema ed ultima Verità, ma di un uomo che si fa mille domande, dubita, riflette.
‹‹Tiene a voi››
Seguì la direzione dello sguardo dell’uomo verso la finestra che dava sull’immenso giardino. Loki se ne stava seduto sotto un albero di quercia, apparentemente senza fare nulla. A causa della lontananza e della posizione del dio, non riusciva a capire se stesse leggendo o se stesse formulando un incantesimo.
Sospirò; voleva solo cambiare discorso.
‹‹Lorelei non mi ha mai parlato molto di voi››. Se lei avesse avuto un maestro così, non avrebbe fatto altro che spenderne brillanti parole con chiunque, e distribuirne lodi intessute di onesta ammirazione.
Il maestro alzò gli angoli della bocca, con gli occhi rassegnati di indefinibilità. ‹‹E' una così cara ragazza.. donna.. Ma temo mi odii››. Prese un respiro, scuotendo la testa. ‹‹Sono uno dei pochi ad averla vista nella sua più piena vulnerabilità. Ogni volta che provava a creare una nuova pozione, ma la trasformazione durava poco ed era costretta a rivestire le sue vesti infantili, dava sfogo alla sua frustrazione e alle sue lacrime››. Anirei storse appena il naso: era alquanto scettica dinanzi a quella storia. Ma per amor dell’uomo che aveva davanti, tralasciò le sue perplessità relegandole in un angolino della propria testa.
‹‹Balder lo sapeva?››. Faceva una strano effetto pronunciare di nuovo quel nome, adesso che il Dio della Luce non c’era più. Nella sua vita non si era mai ritrovata ad aver a che fare con la morte; perlomeno fino a quando non era tornata ad Asgard. In un veloce flash, rievocò anche il viso di Frigga; gli occhi si indirizzarono verso la lontana quercia del giardino. ‹‹Intendo.. della vera identità di Lorelei?››
‹‹Le è stata data un’altra possibilità. Ma non so esattamente come la abbia e come la stia gestendo››
Non aveva risposto proprio alla sua domanda, ma non insistette oltre; prese un bel respiro e cercò di rilassarsi sotto l’effetto delle erbe fresche ed aromatizzate.
‹‹Qualunque cosa faccia, vi prego di non giudicarla troppo duramente. Non è cattiva, è solo rimasta la bambina capricciosa che è sempre stata››
Annuì distratta, tornando a far spaziare fuori lo sguardo. Loki non si trovava più lì. Abbassò le pesanti palpebre, e si addormentò prima ancora di accorgersene.
 
 


Perché devono recarsi a Svartalfheim? Cosa accade precisamente tra due giorni?
Era il caso di documentarsi su fenomeni celesti rilevanti, o cose di quel genere. Doveva chiedere ad Heimdall per ottenere velocemente quelle informazioni, anche perché Loki aveva oramai la capacità di schermarsi ai suoi occhi divini.
Di schermare se stesso, lei, e chiunque altro avesse potuto indicarne il luogo di ubicazione.
Scaltro e furbo lo era sempre stato, bastava pensare a tutte le battaglie che avevano combattuto fianco a fianco, e anche quelle smeraldi contro zaffiri; oppure quando si era volatilizzato dopo la caduta dal ponte.
Al ricordo di quella sua mano color ebano, delle sue lunghe dita che lasciavano la presa, quello sguardo ferito e costernato.. non poteva fare a meno di avvertire una fitta dolorosa al cuore, nonostante la scoperta del suo ennesimo imbroglio. A essere sincero, quei due inganni per cui suo fratello aveva finto la propria morte erano stati i più gioiosi che avesse mai dovuto subire da parte sua; gioiosi da un lato, tragici per altri.
‹‹Strega, ci hai detto che voleva il sigillo della ragazza, ma non ci hai ancora rivelato il motivo di tale bisogno››. Nick era fuori di sé, voleva capire tutto e subito. Era stanco di Loki e di tutti i suoi giochetti.
Era sicuro, Thor, che se fosse stato per lui, il dio sarebbe morto per mano sua, in seguito a mille sofferenze.
D’altronde, non era l’unico a seguire quel proposito, a quanto pareva. La fila era lunga.
Lorelei si scostò una ciocca di capelli dalla spalla, guardandolo con aria di sfida, chiudendo gli occhi a fessura al soprannome affibbiatogli. ‹‹Il mio informatore non me l’ha detto; si è tenuto un po’ di cose per sé..››
L’uomo sbatté il pugno sul tavolo, irritato oltre ogni misura. ‹‹Thor, tu e i tuoi amici Asgardiani ci condurrete laggiù, per mettere la parola fine a questa storia››
‹‹Un esercito è troppo ingombrante, Loki si accorgerebbe della nostra presenza››
Si trovò ad essere osservato in tralice, davanti al suo sguardo di fuoco. ‹‹Hai altre idee?››
Incrociò le braccia, deciso, mordendosi l’unghia del pollice. ‹‹Si occuperanno del problema i migliori guerrieri del regno, incluso me››
‹‹Scordatelo. Se vuoi un’azione clandestina, ti faccio accompagnare dai migliori combattenti della Terra››
‹‹Non serve››
‹‹Ve lo siete fatti sfuggire troppe volte››
‹‹Anche voi, a quanto pare››
‹‹E dei tuoi compagni, non ti fidi?››
Non è questione di fiducia.
“E' sempre questione di Loki. E di mortali”
Scacciò quelle parole. Il Dio dell’Inganno apparteneva ad Asgard, era ovvio che dovessero occuparsene loro. Se i Midgardiani lo avessero catturato..
‹‹Voglio che restino tranquilli, non c’è alcun bisogno di crear loro alcun disturbo››
‹‹E noi? Ti pare che noi ce ne staremmo in pace con le mani in mano? Al nostro posto, faresti lo stesso››
Era vero.
Sospirò, allargando le narici; lo SHIELD non si sarebbe mai messo da parte, doveva arrendersi all’evidenza. ‹‹D’accordo. Allora richiamateli››
‹‹Bene. Manderemo anche qualche agente di supporto›› “Che mantenga la linea con l’agenzia nel caso in cui vi venga voglia di fare i buffoni”. Non c’era bisogno che aggiungesse quelle parole scontate.
Lo osservò avviarsi verso l’uscio della stanza, parlare freneticamente con alcuni colleghi.
Avevano ragione, al loro posto avrebbe reagito alla stessa maniera.
Ma si trattava di Loki.
Prese da parte la donna, che con le braccia lungo il corpo osservava enigmatica verso la direzione del direttore dell’agenzia.
Perché li stava aiutando? Solo per vendicare Balder? Era strano crederlo; non si sarebbe certo fatta catturare per un motivo, benché nient’affatto banale, ma che metteva a repentaglio la libertà appena acquisita. E chi era questo suo informatore?
Accertatosi di non essere notati, le sussurrò piano la sua proposta. ‹‹Ho bisogno che tu mi indichi il luogo esatto››
Le dita ammalianti percorsero il risvolto della sua armatura, spaziando sul suo torace. ‹‹Non mi lasceranno venire con te, mio caro Dio del Tuono..››. Gli accarezzò la guancia con un’unghia, gettò indietro la testa.
‹‹Ti ricordi di qualche centinaio d’anni fa..?››
Le allontanò le mani con poco garbo. ‹‹Non so cosa tu stia macchinando, ma sta sicura che a un tuo passo falso non ci penserò due volte a rimandarti qui››
Era dannatamente probabile, se non certo, che volesse infilzare quelle sue unghie nell’incavo di quegli occhi verdi che aveva sempre amato, quasi addirittura invidiato..
Lorelei portò il polpastrello sulle sue labbra. ‹‹I Midgardiani sono più gentili di voi, comunque. Verrò, mio caro tesoro, ma devi promettermi che impedirai qualsiasi arresto o cattura nei miei confronti››
 
 
                                                                                                 ***
 
 
‹‹Non comprendiamo..››
 
“Perché non mi lasciate in pace..?”
 
‹‹Altri pagherebbero per essere al tuo posto..››
 
“Io non sono gli altri..”
 
 Sguardi eloquenti. Scettici.
 
“Perché devo subire tutto questo..?”
 
‹‹E' una sciocchezza questa decisione di non..››
 
“Zitti, per favore.. prima che mi spezzi del tutto…”
 
*
 
“Engjёll..?”
Aveva percepito un inconfondibile battito d’ali, e aveva pensato subito alle sue bianche. Si guardò intorno, ma non vide nulla.
Forse si stava semplicemente illudendo, non stava vegliando su di lei.
Era libero, ormai.
“Mi manchi”. A volte si pentiva della sua scelta impulsiva, si sentiva tremendamente  sola, ora.
 
*
 
“Cerco solamente la felicità di capire me stessa e trovare la mia strada. Non voglio rimanere sola; vorrei essere circondata da chi nutre per me vero e genuino affetto”
 
Sei la prima a non volertene.
 
“Ovvio, come faccio..? Vorrei essere abbastanza forte per starmene zitta e risparmiare il mio dolore a chi mi sta intorno.. non si meritano di vedermi piangere; non si meritano una figlia come me. Vorrei essere più forte..”
 
*
 
Una ragazza dai lunghi capelli scuri la guardava assente e prosciugata in se stessa.
Sospirò. 
“Si può arrivare al punto di detestarsi tanto, che l’aria nei polmoni ti soffoca e pesa più del piombo..?”
Già.
Piegò le labbra in un sorriso stanco.
“Se soltanto..”.
Ah.
Basta.

 
Alzò il palmo contro il riflesso.
 
“Io, Anirei, figlia di Marnï, ti maledico: verrai privata dei tuoi poteri e della memoria legata ad essi fino a quando non scioglierai i tuoi folli propositi e tornerai in te stessa. Ti bandisco per sempre da questo regno, e da questo mondo. Lungi da me diabolica creatura, va’ ovunque la tua anima scellerata scelga di portarti .”
 
Chiuse gli occhi, piena di dolore.
 
“Ci si può detestare a tal punto di maledirsi..?”
 
 
 
Si svegliò di soprassalto, si coprì con i lenzuoli e si scostò le onde dal viso. Era stato un sogno..?
Stava tremando fin dentro le ossa, come fosse rimasta sotto un acquazzone tutta una fredda notte, e il gelo e l’umidità si fossero insinuati quasi vapore d’ombra tra i suoi muscoli, tra un tessuto e l’altro.
Sentì il bisogno di allontanarsi, di muovere le gambe per convincersi della realtà del mondo in cui si era risvegliata in confronto a quello appena vissuto.
Poggiò i piedi nudi sul pavimento, aveva bisogno di camminare per scaricare i nervi, mentre l’angoscia le correva cannibale per gli arti, le impediva di fare passi decisi e lucidi; al contrario, rischiava pericolosamente di cadere sul pavimento.
Si costrinse a prendere un profondo respiro, dopodiché ritrovò una calma perlomeno decente.
Uscì sul corridoio che conduceva a quella stanza, e si diresse a passo svelto verso la camera centrale, dove si trovavano divani e triclini, affiancati da un’enorme apertura ad arco che sfociava nel cortile e poi verso le selve più selvagge.
Su una poltrona poco distante, all’ombra della sera, una figura stava scrutando in lontananza il cielo.
‹‹Incubo?›› si limitò a chiedere il maestro.
Cavolo, era rimasto lì nonostante la notte inoltrata. Si chiese se davvero non avesse secondi fini in tutta quella faccenda; in realtà, Anirei si domandava timidamente se non fosse semplicemente preoccupato per lei.
‹‹Più o meno..›› rispose vaga.
L’uomo incurvò le labbra e le fece cenno di mettersi a sedere. ‹‹Dovrebbero essere riaffiorate le rimembranze legate ai vostri poteri››
Annuì, abbandonandosi su un divanetto e ritraendosi su di esso come una chioccia. ‹‹Sì.. non c’è molto da dire, a parte ricordare come sono giunta qui la prima volta..››
Si portò una mano alla fronte, sfregandola contro di essa.
Se possibile, si stava dando sempre più della stupida e della patetica. Avvertiva addirittura le lacrime pungerle le palpebre inferiori, al riemergere di quelle pressanti sensazioni: come poteva essere così ridicola? Si sarebbe volentieri presa a schiaffi.
‹‹Ne vuoi parlare?››
Non si stupì né della domanda né dell’improvvisa familiarità con cui gliela rivolse. La sua anima batteva in sintonia con la sua. Alzò la mano gesticolando, per poi posarla di nuovo sul bracciolo morbido.
‹‹Quel.. quel sigillo.. rappresenta concretamente l’odio che mi porto appresso.. Sono io ad essermi maledetta››. Le tremarono i palmi delle mani, mentre provava a spiegarsi coadiuvata dall’uso di gesti dalla comprensibilità piuttosto soggettiva. ‹‹Mi sono sentita improvvisamente senza il terreno sotto i piedi una volta davanti alla scelta su me stessa.. ho voltato la testa indietro, e improvvisamente, mi sono chiesta chi io sia. La mia identità si è frantumata tra le mie stesse mani. E adesso sono confusa, non.. non ho punti di sicurezza, sono divisa tra quello che vorrei, potrei, ma che forse non sono.. Vorrei non essere così; vorrei essere lucida e sicura, anziché affogare nei miei continui pensieri››. Era sicura che avrebbe capito il nulla ascoltando quelle parole confuse. ‹‹Se soltanto avessi ascoltato veramente me stessa, anziché tormentarmi per gli altri, forse non sarei così..››
Lasciò andare un sospiro arrabbiato verso se stessa, mentre abbandonava la testa sullo schienale.
‹‹Sei stata costretta ad essere quella che non sei?››
Prese un respiro e fissò il soffitto, ricordandosi delle decisioni prese in passato. ‹‹No, ero sempre io a scegliere per me.. però mi sentivo costretta a fare, a prendere per forza una decisione. La maggior parte di quello che facevo, in realtà non mi piaceva molto, benché lo avessi scelto io..››
‹‹Dai l’impressione di non aver mai vissuto davvero. Come se non avessi scelto tu, appunto››
Continuò a guardare il soffitto, parecchi ricordi le danzavano sulle pupille. ‹‹Li vedevo così felici, così fieri di me.. ››. Chiuse gli occhi, stanca dei suoi difetti. ‹‹E ho cominciato a pretendere molto di più..››
‹‹Non hai vissuto esattamente come avresti voluto››. Si voltò verso di lui, alzando le spalle ‹‹Già…››. Strinse le ginocchia al petto. ‹‹Forse..? Non lo so, sono troppo confusa. So solo che non vorrei avere questo atteggiamento››. Vorrei provarmi che non sono così terribile come sono; che sono migliore di quello che credo. Eppure so che continuerò ad essere così insulsa e patetica..
‹‹Sapete cosa mi disse una volta mio padre quando gli dissi che avevo in mente tanti progetti? Osservò che non ne avrei portato a termine uno, perché era consapevole del mio lato remissivo. E la frustrazione nel constatare quante volte avesse ragione, e che non sarei mai cambiata.. Vedere la sua delusione per il mio talento sprecato..›› si mise le mani sulle guance, accortasi dell’errore di travolgerlo con i suoi problemi. Probabilmente lui ne aveva di molti più seri e validi. ‹‹Scusate, ho esagerato, ora provo a calmarmi..››
Calò il silenzio mentre sentiva crescere il peso dell’inevitabilità del suo essere.
Non sarebbe mai riuscita a uscire da quel turbine, un po’ per fatica, un po’ per puro e vero, sebbene minimo, masochismo.
‹‹Non hai portato a termine alcun progetto?››.
Si lisciò i capelli che aveva sulla spalla. ‹‹Qualcuno sì, qualcuno no.. ma è l’atteggiamento con cui li ho fatti che conta: sarei scappata alla prima occasione..››
Si asciugava nel buio delle tenebre le lacrime che aveva sulla ciglia; si sentiva stanca. Stanca perché era da troppo tempo che dormiva male.
In particolare, non riusciva a chiudere occhio da quando aveva lasciato Asgard per andare su Midgard.
“Sei la più grande nemica di te stessa”. Il maestro si alzò per andarsene, probabilmente, in camera. Era stato anche fin troppo gentile ad aspettare che lasciasse la stanza, senza svegliarla e interrompere così il filo dei suoi ricordi che tornavano a galla. ‹‹Quando smetterai di sentirti così immeritevole di felicità, quando smetterai di sentirti in colpa.. quando comincerai a raddrizzare l’immagine che hai di te, almeno un po’, allora potrai conoscerti davvero, e capire. Capire quello che sei, quello che vuoi››





********
Eccoci qua! La nostra storia è diventata maggiorenne!:D *festicciola*
Dunque, il sigillo è stato tolto, e Anirei comincia a ricordare quello che è successo appena prima di finire ad Asgard: lei stessa si è maledetta, al limite della sopportazione di se stessa. Il maestro di Lorelei ha finalmente fatto la sua vera prima comparsa, ed è molto diverso da quello che ci si poteva aspettare (o forse no?).
Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento:) (spero di aggiornare in tempo il prossimo)
Al solito grazie a tutti, senza di voi non credo che sarei arrivata fino a qui! <3
Al prossimo! 
La vostra
Ali

P.S: regalino;)



 

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** CAPITOLO ***



 
 
Nonostante le ore che aveva trascorso con gli occhi chiusi, non si era rilassata: immagini apparentemente non collegate tra loro si fondevano e si districavano, quasi si stessero contraendo e dilatando nella mente. Ne era fuoruscito un vorticoso turbine di schegge acuminate che le avevano punzecchiato la parte interiore della tempia destra, cavandone fuori una fitta dolorosa e perpetua, un fragore sordo eppure latente; il processo rievocativo era doloroso quanto farsi ricrescere le ossa, ne era abbastanza certa.
Appoggiò la tempia sulla mano, come un dopo sbornia; era mattino inoltrato, e le temperature, se possibile, erano aumentate. Alfheim stava attraversando il suo periodo più rovente, era stato comunicato.
Si era ritrovata a masticare con poco appetito una piccola focaccia di miele ed erbe fatturate alla menta; i capelli erano legati in un’alta cascata, onde evitare il calore che i suoi fili scuri avrebbero procurato con la loro pesantezza  sulla pelle nuda della schiena.
‹‹..Il maestro si è alzato molto presto, ed è occupato nella stessa stanza in cui vi siete intrattenuti ieri››. Falastur la stava informando sulla situazione degli altri ospiti. ‹‹Il vostro precettore Tyrion è fuori da ieri sera››
Lo stomaco si chiuse del tutto. ‹‹Non sapevo neanche che avesse un impegno..››
‹‹Lo sapete anche voi, è un giovane molto riservato››
Stirò le labbra forzatamente. ‹‹Già..››. Riservato era parola alquanto limitativa. Fece un cenno con la testa al Liósálf* che prendeva congedo, mentre una vampata di calore improvviso la invogliava a spogliarsi pure della carne. Appoggiò la schiena sullo schienale della sedia. Rinfrescante.
Evita di pensare, Anirei. Smetti di trarre conclusioni affrettate.
Ridusse in piccole briciole la metà della focaccia che non riusciva a mandare giù, per gettarla fuori sul prato, sicura che alcuni uccellini avrebbero provveduto a saziarsene. Con la pancia psicologicamente piena, si diresse verso l’immenso giardino, famelica di qualunque brezza le avrebbe lavato via la leggera coltre di sudore.
Infilò all’interno di una fitta selva, guardandosi intorno, persa tra i pensieri come i piccoli bocci leggeri che volteggiavano tra un ramo e l’altro.
Camminava, intanto.
Ed era di nuovo bambina; di quando si divertiva a giocare a nascondino e alla guerra, agile ma incerta nella paura di imbattersi in qualche insetto strano, spensierata e senza troppi “ma se..”, senza la preoccupazione del futuro e dell’ansiosa ricerca di se stessa, quando l’ombra delle nostre paure non ci turba dinanzi al sole dell’infanzia ludica. Eppure, ripensandoci, già c’era.
Già c’era quel quid che la scavava dentro in silenzio.
Già c’era quel sigillo che le impediva di vivere.
Pff, Anirei, certo che sei eccezionale. Trovi sempre materiale per commiserarti.
Scese un piccolo promontorio, proseguendo su un leggero tracciato che marcava il terreno sbiadito e truce per la mancanza di luce diretta e viva; nonostante tutto, l’aria era umida e soffocante, trattenuta dall’immenso tetto di foglie giovani e verdi. Si passò il dorso dell’indice sopra un sopracciglio, sulla fronte appena umida. Si sarebbe sciolta  a momenti, ci avrebbe scommesso.
Proseguì, mentre lo stato della pelle invogliava dei fastidiosi moscerini a posarsi su di lei.
Perché ho sempre queste buone idee..?...
Finalmente gli alberi si diradarono, lasciando spazio alla veduta di un piccolo spazio verde e rigoglioso attraversato da un brillante nastro d’argento gorgogliante, verso il quale si fiondò per potersi rinfrescare. Si sedette su una piccola roccia non troppo appuntita, studiandosi la mano destra. Fece scorrere lo sguardo sul proprio palmo, focalizzandosi poi sul centro di esso, dove si trovava appena sbiadito un suo piccolo neo.
Inspira. Respira. Attacca. Ripeti. Una formula che aveva memorizzato per sciogliere il proprio flusso magico, concentrazione e rilassamento prima di provare qualsiasi incantesimo: un po’ come l’allungamento muscolare prima di un duro esercizio fisico.
Se si raccoglieva nei propri ricordi, poteva rievocare, non senza uno sforzo doloroso quasi le stessero schiacciando un nervo, abbastanza distintamente qualche formula che un tempo aveva imparato. Per non parlare di quelle che aveva deciso di memorizzare – solo due – quando era tornata nel suo mondo, una delle quali aveva utilizzato per salvare l’amico midgardiano del Dio del Tuono.
Stornò lo sguardo dalla mano, rivolgendolo verso il fiume, cercando di convincersi di aver fatto la scelta giusta. Il nastro d’acqua rifletteva la luce eccessivamente lucente di quella mattina rovente.
Sbatté le palpebre, le pupille ferite. Lo scintillio fastidioso che rifletteva la superficie chiara e trasparente le accecava gli occhi, esattamente come le parole di Loki il suo cuore.
La confondeva, prima facendola sentire un’illusa, e poi stendendola come i birilli centrati dalla palla alludendo a qualcosa di più, di oltre, che poteva provare.
Quella sua contraddizione la scavava a fondo, fino a farle perdere ogni sicurezza; non che ne avesse, di sicurezze, figurarsi, eppure riusciva sempre a spiazzarla.
Sospirò.
Era così. Loki era così. Con una mano ti accarezzava e con l’altra ti graffiava, e tu, stupido incosciente, ti saresti arrovellato per capire la motivazione dietro il suo gesto, quando probabilmente la verità era molto semplice: traeva soddisfazione nel raggirare chi gli stava intorno.
Sei solo una bambolina cui infilare gli aghi della tortura, per allietare il tedio di una divinità annoiata.
Dimmelo, Loki. Dimmelo, e mi metterei il cuore in pace.
Invece era lei a dover prendere una decisione, solitaria, perché il dio non sembrava affatto  dell’umore di darle alcun chiaro indizio. Poteva solo scommettere su ciò che si trovava probabilmente dietro la spessa crosta che gli proteggeva il cuore: aveva provato a grattarla via, quella persistente barriera, tempo prima, ma senza riuscirvi.
Chiuse gli occhi.
L’amarezza di un’evidente consapevolezza è sempre troppo acre per poterla ingoiare intera; e diventa sempre più nauseante quanto più la si trattiene in bocca.
Il tempo passa, e tu non sei mai in grado di scegliere.
Odiava prendere una decisione: le bilance che scendevano in campo presentavano per lei piatti sempre troppo uguali.
Un uccellino cinguettò in lontananza, destandola dalle sue riflessioni.
Inspirò profondamente.
Percepiva i granuli della clessidra cascarle sul collo leggeri eppure più crudeli di una punta affilata.



 
‹‹Buongiorno. Dormito bene?›› si informò il maestro voltandosi e donandole un gran sorriso confortante.
Rispose al saluto con garbo. ‹‹Abbastanza›› aggiunse avvicinandosi al tavolo dove si trovavano ampolle e contenitori di vetro pieni e vuoti, dai contenuti violacei e neri, che brillavano in maniera piuttosto sinistra a seconda dell’inclinazione della luce rifratta attraverso una quantità considerevole di piccole bolle trasparenti. ‹‹Cosa state facendo?››
L’odore che si levava da quella confusionaria preparazione le solleticava le narici, tanto che starnutì un paio di volte, costretta ad allontanarsi velocemente a grandi passi.
‹‹E' il tuo sigillo›› indicò col palmo, senza distrarsi dalla ciotola in cui stava pestando in piccole parti una piantina dalle foglie lunghe e appuntite, verde scuro per un verso, argentee per l’altro. ‹‹Le sue proprietà sono state assorbite dalle erbe che ti hanno avvolto ieri pomeriggio››. Anirei alzò le sopracciglia, a metà tra lo stupore e lo scettico. Si poteva fare una cosa simile..? ‹‹Le tecniche alchemiche sono molto antiche, e al giorno d’oggi quasi praticamente sconosciute: si preferiscono sistemi alternativi più veloci ma dalla relativa efficacia. I vecchi rimedi non sono mai da sottovalutare››
Non a caso Loki vi ha cercato accuratamente.
Sollevò le pupille verso l’alto, stirando le braccia.
Il Dio dell’Inganno incuteva timore quando pianificava tutto nei minimi particolari; ergo, dava l’impressione, che si trasformava poi in certezza, di conoscere talmente a fondo l’animo di chi lo circondava da prevederne ogni successiva mossa, potendone quindi manipolare a piacimento le reazioni e i gesti. Un individuo che era sempre meglio non farsi nemico, c’era poco da supporre.
Si avvicinò a una grande finestra che dava sul giardino, posando gentile una mano sul marmo. ‹‹Sapete dove sia andato?›› buttò lì spacciandosi per non curante.
‹‹Immagino a preparare contrattacchi ad eventualità non considerate››.
Già.
‹‹Spero che non ti sia attentata a provare qualche incantesimo, lady; potresti farti male involontariamente››. Fece un cenno eloquente verso le boccette che occupavano l’intera tavolata. Anirei si morse le labbra, arrossendo appena, colpevole, guadagnandosi uno sguardo di rimprovero. ‹‹Dovreste chiedere al Dio dell’Inganno di aiutarvi nella riabilitazione››.
Si immaginò una lezione a stretto contatto col dio; fu costretta a nascondere il viso dietro una mano, pur di evitare di farsi vedere avvampare.
‹‹E' molto severo, e forse dotato di poca pazienza dinnanzi a lenti progressi, con una lingua sagace e provocatoria, ma.. credo sia in definitiva un buon insegnante››
Deglutì, non riuscendo a fermare il tremolio delle mani, mentre il suo Loki immaginario adottava metodi molto poco ortodossi per stuzzicarla.
Rabbrividì appena, il ricordo delle sue mani su di sé.
Deglutì di nuovo, grattandosi il collo e inumidendosi le labbra.
Hai una testa, Anirei, usala..
‹‹Voi vi intendete di seiðr?›› chiese. Le faceva strano pronunziare quella parola nei propri riguardi. Aggrottò le sopracciglia, fece una smorfia con le labbra. Nel suo mondo la fonte magica aveva un diverso nome: mystes**. Che si trattasse della stessa cosa? Gli espose i suoi dubbi.
‹‹Sono specializzato nella cura e nella guarigione, mentre non sono molto afferrato nella restante materia, purtroppo››. Gettò della strana polverina in un becher.  ‹‹Non ho captato niente di anormale ieri pomeriggio, quindi dovrebbe trattarsi di un nome diverso per indicare la stessa cosa››. La osservò con la coda dell’occhio. ‹‹Non sei originaria di Asgard, o di qualsivoglia altro regno dei Nove Mondi, o sbaglio..?››
Scosse la testa.
‹‹E come fai a conoscere le lingue dei nostri regni..?››
Abbassò le palpebre; non sapeva quanto Loki avrebbe voluto rivelasse. ‹‹Un regalo dei reali quando sono giunta qui. Per dialogare con me..››. Dal momento che l’incantesimo continuava a funzionare, significava che Odino era ancora vivo. Molto probabilmente. Perché esisteva la remota possibilità che continuasse a funzionare anche dopo la morte del suddetto.
Il maestro evitò di approfondire ulteriormente, e le fece un sorriso genuino. ‹‹Mi spiace, ma col seiðr non posso aiutarti: sarei costretto ad abbandonare questo tavolo››
Annuì, sconfitta prima ancora di battagliare.
‹‹Cosa hai intenzione di fare dopodomani?››
‹‹Non so..›› rispose vaga con lo sguardo sul pavimento. ‹‹Andrei ovunque, se qualcuno mi rivelasse la giusta indicazione. Probabilmente a questo punto la seguirei senza fiatare, anche se mi portasse laddove non vorrei››
Voglio solo dimenticare, maestro.. voglio solo scappare il più lontano possibile e dimenticare.
Finalmente una delicata brezza si decise a soffiare dentro la stanza, passando attraverso le grandi finestre ad arco. Il venticello fresco si introdusse tra le onde brune, portandole alcune ciocche sul viso, solleticandola, quasi volessero vedere un sorriso su quella bocca, e non una smorfia rattristita.
Forse anche se mi riportasse nel mio mondo.
Arricciò i capelli, avvolgendoli intorno alla nuca, il momento successivo si srotolarono di nuovo, accarezzandole la schiena le punte.
Ricordò le feroci e brute parole che le erano state rivolte molto tempo addietro, da un dio dal volto celato, che le aveva riversato addosso, in una cascata incalzante, tutte le paure e le indecisioni; quasi fosse stato lo scontro con la propria coscienza.
“E ammirevole sarebbe anche il tuo nobile scopo, “trovare la vera te stessa” o le sciocchezze che vai ripetendoti per annullare i tuoi sensi di colpa circa le responsabilità che eviti di prendere, se soltanto tu non continuassi a sfuggire al destino –a me-  sfasciando tutto ciò che è stato scritto”
Soffocò una risata rassegnata.
Sfasciare tutto ciò che era stato scritto? Lei..?! Doveva essersi sbagliato. Dovevano essersi sbagliati.
Il suo destino le era stato cucito addosso meglio degli altri, invisibile e subdolo: perché non era il luogo in cui si trovava, né le persone con cui interagire; il suo destino era semplicemente il suo atteggiamento.
‹‹Su Vanaheim si vocifera››
Alzò la testa, incontrando gli occhi castani del maestro. Non seppe dove trovò la forza per parlare. Il sudore le si era ghiacciato addosso più velocemente di un fulmine.  ‹‹E cosa, di preciso..?››
‹‹Oh, i Vani sono molto cauti e riservati. A nessuno è dato di sapere››
Si strinse nelle spalle, portando le mani tra le cosce. La domanda fu più veloce del pensiero. ‹‹Voi… voi conoscete per caso il Dio del Destino..?››
Sorrise con amara consapevolezza. ‹‹Per quanto si possa provare a dimenticarci di lui, le disgrazie ce lo ripropongono ad ogni angolo››. Versò il contenuto di una fiala nella beuta violacea ‹‹E' colui cui ci si appella quando si desidera qualcosa, colui che si denigra quando il male ci coglie››. Anirei si sistemò meglio sul lettino, le sue orecchie pronte a raccogliere, a non perdere, nessuna parola che si sarebbe levata alta o bassa dalla bocca del suo interlocutore.
Il maestro schiarì la voce.
‹‹Molto tempo fa, prima ancora che l’attuale Padre degli Dèi nascesse, esisteva un saggio eremita. 
Era un dio di sangue Van, che aveva preso distanze dal male del mondo e dalle guerre che scoppiavano sempre più cruenti tra Vani e Aesi. 
Nessuno sa dire se egli fosse più vecchio delle Norne stesse, di fatto, egli scoprì, le fonti affermano per puro caso, di avere una qualità veramente unica e straordinaria: farsi ascoltare proprio dalle Norne, volutamente altresì chiamate Parche o Moire.
‹‹Erano accadutesi, in un periodo poco recente, parecchie battaglie, tra vecchi e nuovi Dèi, tra razze diverse dei Nove Regni, e molto dolore e morte furono portati al mondo. Famiglie straziate, inverni sempre più lunghi e freddi, estati più brevi e roventi.
Successe dunque che alcune famiglie nobili, di più razze differenti, decidessero di recarsi dal saggio eremita per trovare una soluzione a tanta morte amara e crudele. Rispose loro che il mondo gli aveva dato prova che il male esiste, e che non lo si può eliminare, semmai controllare. Ma esso esiste, ed esisterà sempre: perché il male di uno significa il bene di un altro, più o meno avido, più o meno necessariamente. E' impossibile sradicarlo dalla natura del mondo, perché esso può anche essere inconsapevole, non dipendente dalle menti consenzienti.
Ma le famiglie si rifiutarono di accettare il Male, e lo costrinsero a trovare una ragione decentemente accettabile per sopportare la morte incomprensibile dei propri figli. Fu così che il saggio si vide costretto ad esiliarsi dalla sua stessa solitudine per incontrare nuovamente le Norne.
Egli dette loro la Verità che in tanti millenni aveva imparato a riconoscere veritiera nella propria mente, ovvero il ciclo di Bene-Male che avrebbe portato al rinnovamento dell’Universo, se non ad un’accettabile motivazione dell’esistenza del male. Decise di restare fuori da questo suo sistema, in modo da potersi accorgere di un’eventuale piega estrema dei fatti  e fermarne la follia.
Le Norne lo ascoltarono.
‹‹Col passare del tempo nacquero delle polemiche, in mezzo a coloro che coscienti o meno, accettavano passivamente il corso degli eventi, o coloro che al contrario riconoscevano la validità delle teorie ideate dallo stesso.
Un giorno il cuore del saggio, chiamato universalmente col nome generico di Dio, venne profondamente ferito: uno dei suoi più fedeli sostenitori, nonché dio che considerava un fratello, un amico, un figlio, alzò il dito contro di lui, additandolo come falso e ipocrita, in quanto egli risultava fuori dal Sistema della Vita, e poteva divertirsi a giocare con gli esseri viventi come un burattinaio fa con i propri pupazzi.
Alcuni dicono che egli volesse porre fine alla sua tirannia, altri che ne volesse prendere il posto.. in ogni caso, riscosso parecchio credito, le file massicce del suo oppositore si portarono sotto le porte del suo palazzo. Si scatenò l’ennesima sanguinosa guerra, che nessuna parte riuscì a vincere.
Coloro che volevano continuare a combattere, furono gettati tra i fumi tossici e nebbiosi di Nifflheim, coloro che non presero una vera e propria decisione, si limitarono ad abbassare la testa dinanzi ai fatti, a patto che anche il saggio si immolasse all’interno del sistema che aveva creato; fu lo stesso Bor, padre di Odino, a cancellargli la memoria dopo che egli ebbe trascritto il proprio libro, che nemmeno l’autore sarebbe stato più in grado di leggere. 
Chi accettò il nuovo ordine, si ritirò nel palazzo del Dio.
‹‹Passarono altri secoli. Il principe Odino, futuro e imminente Padre degli Dèi, si recò da Lui, come stabilito dall’accordo del proprio padre, per conoscere parte del proprio futuro.
Egli dettò guerre sanguinose, glorie altrettanto grandi. E la disgrazia, da alcuni concepita come onore, di avere due figli che avrebbero incarnato le due metà del ciclo.
Odino rimase scioccato. Chiese al Dio di cambiare il fato, ma questi si rifiutò: non avrebbe lasciato il mondo in balia di se stesso. E non avrebbe cambiato certo il Fato per un solo dio, nonostante si trattasse del figlio di Bor.
Odino non scordò mai le sue parole, e lo accusò di essersi accecato dinanzi al grande potere che deteneva. Qualche millennio successivo, ironicamente fu lui a perdere un occhio.››
Anirei, con la bocca dischiusa, aggrottò la fronte. Non sapeva bene che cosa pensare del Dio; doveva e voleva sapere di più. ‹‹E poi, è successo qualcos’altro?››
Il maestro gettò una ciocca d’erba all’interno dell’ampolla, e mescolò lentamente. Lo sguardo perso su di essa indicava la rievocazione di immagini che a quanto pareva lo avevano colpito parecchio. Lo vide sospirare.
‹‹Arrivò anche per il Dio il tempo di pagare l’amaro prezzo del suo sistema, della sua stessa abilità –per alcuni della sua stessa presunzione: ebbe un figlio con una mortale.
Era oltremodo felice; era padre! 
Non poté resistere all’impulso di leggere il libro del figlio - essendo strettamente collegato al proprio, aveva dovuto a suo tempo dimenticare -, e cercò qualcuno che potesse leggere ciò che neanche il Dio poteva. Per sua grande malasorte, lo trovò.
Fu un dramma. Un dramma rendersi conto della tragedia in cui sarebbe incorso il proprio figlio. 
Chiese al Padre degli Dèi di aiutarlo. Ma egli si rifiutò, a meno che non avesse cambiato il futuro dei suoi discendenti. 
Il Dio tentennò. Egli stesso non era più in grado di slacciare ciò che era già stato deciso, perché il suo destino non lo prevedeva. Era rimasto ingarbugliato nel suo stesso sistema: un errore che in principio, quando ancora ne era fuori, aveva ritenuto meglio evitare. 
Il figlio accolse la propria morte a braccia aperte, tanto che il padre si irrigidì a tal punto da decidere che tutti, esattamente come il proprio discendente aveva ingoiato in silenzio la sua triste sorte, avrebbero dovuto fare lo stesso››
Anirei avvertì nel proprio animo un moto di profonda amarezza. Dentro di sé provava una profonda avversione per il Dio, però, adesso che le era stata svelata la sua storia, non poteva fare a meno di provare una certa comprensione nei suoi confronti.
Nessuno è completamente malvagio, nessuno è completamente buono. Le persone sono un insieme di sfumature grigie, una scala di toni simili e dai confini sfocati, ma mai completamente nere o bianche, nette, come ci insegnano alcune storie infantili.
Ripensò al Dio dell’Inganno e del Caos. Al Dio. A Odino.
Ognuno aveva la sua motivazione – condivisibile o meno – che sfumava i contorni dei colori della loro anima.
‹‹Cosa succederebbe se il sistema venisse, ecco.. spezzato..?››. Cercava di tenersi sul generale.
‹‹Bambina mia, questo non lo può dire nessuno. Potrebbe liberarci; potrebbe incarcerarci a qualcosa di peggiore; potrebbe non cambiare nulla. Nessuno può saperlo. Nessuno può dire cosa sia giusto o sbagliato fare, se non la tua testa››
Al solito, la scelta rimane a me..
‹‹Si dice che un uomo infilò la mano nella Bocca della Verità, dicendole: “Tu mi taglierai la mano”. Essa, andata in confusione, si disfece. L’uomo, ridendo, seppe infine di aver mentito››
Inclinò la testa, spaesata. Non aveva capito nulla. ‹‹Che cos’è la Bocca della Verità..?››
‹‹Diciamo che si tratta di una macchina che ha la facoltà di decretare la verità o la falsità di ogni sentenza. In caso di frase falsa, ti taglia la mano››
Rimase in silenzio, ponderando; poi sospirò ‹‹Ditemi la verità, maestro.. quello che ci aspetta domani potrebbe essere pericoloso, non è vero?››
 
 
                                                                                  ***
 
Non è ancora tornato.
Una consapevolezza che non poteva fare a meno di frenare, nella mente. La martellava come un bambino capriccioso si ostina a stringere stretta la coda di un gatto.
Inforcò con troppa forza uno degli ultimi bocconi di cibo che aveva nel piatto. Annuiva senza prestare molta attenzione a quello di cui discutevano i commensali: parlavano di una festa sacra che sarebbe stata celebrata quella sera, e Falastur stava spiegando ad alcuni ospiti come giungere in una certa radura.
Ma chi si crede di essere.. ?!
Infilzò un altro boccone, la sua parte inconscia che sperava di affondare con forza in un piccolo Loki tascabile, con cui sarebbe stato più facile vendicarsi. O forse, conoscendolo, le avrebbe dato comunque, se non in maniera peggiore, delle gatte da pelare.
‹‹Oh, eccovi finalmente, mio caro Tyrion. Prego, prendete posto››
Si voltò velocemente verso l’entrata della sala. Era là, sull’uscio, con il suo sorriso educato ma freddo, quasi si sarebbe potuto definirlo ipocrita e di circostanza.
Gli fasciavano i muscoli perfetti scolpiti di un dio un paio di pantaloni aderenti, troppo semplici per compiacere al gusto ricercato del Dio dell’Inganno, solitamente accompagnato da un ampio mantello scuro e una casacca degnamente elaborata di un principe. Il colore crema che avvolgeva la sua magnifica figura si addiceva alle sue false sembianze. Eppure, nonostante quel suo fittizio aspetto, osservandolo attentamente, riusciva a cogliere il vero Loki in ogni piccolo dettaglio, ora nella forma fine delle labbra, ora perfettamente ovale degli occhi; nella smorfia delle sue espressioni provocatorie e maliziose, a tratti crudeli, a tratti serie ed incredibilmente sincere nella comunicazione del suo fastidio. A volte doveva ricordarsi di avere davanti una mera illusione; riusciva a vederlo, lì dietro.
Ma non era quella, la maschera che doveva oltrepassare. Erano ben altre le barriere.
Continuò ad osservarlo senza parole, fino a quando non prese posto accanto a lei, continuando bellamente ad ignorarla, quasi non esistesse.
Ficcò gli occhi nel piatto, nel petto un misto tra acida rabbia e un battito sordo, che però non le impedivano di tremare impercettibilmente.
Quando fai così vorrei proprio sotterrarti sotto un masso.
Inforcò di nuovo, questa volta cercando di controllare le proprie emozioni. Portò il boccone alla bocca.
Lo stava per buttare giù, quando Loki posò la propria mano sulla sua coscia, a tradimento.
Sussultò, con un violento battito, ebbe l’impressione che la pelle le si staccasse, volando via, dai muscoli. ‹‹Eri preoccupata per me..?›› le sussurrò sfiorandole l’orecchio con le labbra.
Il pezzo le andò di traverso.
Gelido. Il suo leggero tocco che svaniva prima che potesse abituarcisi per poi ripresentarsi con brivido l’attimo successivo, come una sadica tortura. ‹‹Non consumare troppo velocemente, o potrebbe tornarti su, con movimenti troppo bruschi..››.
Avvampò, il corpo più intuitivo della mente. Bevve un sorso d’acqua, immaginandosi di potersela rovesciare addosso. Che diavolo stava facendo?! Gli pareva il caso..?
Alcuni commensali avevano dato loro una veloce occhiata. ‹‹Ci stanno guardando.. smettila›› sussurrò con la voce confusa senza voltarsi per guardarlo.
Non devi toccarmi..
‹‹Non è raro instaurare un legame intimo col proprio maestro, e tu sei la mia apprendista, se non erro..››. Le soffiò sul timpano. ‹‹..Ai Ljólsálfar non interessa ciò che non rientra nei loro diretti affari, né pare che a te crei problemi mostrarti insieme al maestro di Lorelei..››. Prese una pausa, scorrendo appena con le dita, sulla sua coscia. ‹‹Perché dovrebbe crearti fastidio..?››
Bevve un altro po’ d’acqua. Laddove il caldo stava fallendo, sarebbero riusciti quei bisbigli intriganti e argentei. ‹‹Già, perché dovrebbe..?›› ironizzò con la voce troppo spezzata per poter passare per tale. Cercò di levare con agitazione crescente quel suo artiglio di ghiaccio, ma non appena la propria mano toccò la sua pelle, rimase immobile, incapace.
Fece il suo stramaledettissimo sorrisetto saccente. ‹‹Credi che sia stato con una donna..?››
Ma sentilo..!
Si voltò finalmente verso di lui, incrociando la sua espressione furba, una timida intenzione di farlo tacere.
‹‹Non puoi lasciarmi qui, ad aspettare. Non sono un soprammobile da spostare quando ti pare››
Loki cambiò espressione, spostando le pupille feline verso il posto lasciato vuoto dal maestro, che ancora si intratteneva presso il suo lavoro, per riportarle imperturbabili verso di lei. Le parole furono più violente e frizzanti di un capogiro. ‹‹Invece obbedirai››
‹‹Non se ne parla›› si oppose scuotendo la testa, mantenendo la voce bassa ma animata . ‹‹Come faccio a sapere se manterrai l’accordo?››
In risposta ottenne un’alzata di sopracciglia, paragonabile ad un’alzata di spalle. ‹‹Non si tratta di una proposta. E' un ordine››
Irrigidì le braccia, chiuse e aprì di nuovo gli occhi, con un respiro. ‹‹Io non posso basarmi su quello che mi racconterai››
Non ti hanno denominato Dio dell’Inganno proprio per questo..?
Loki strinse le labbra, continuando a rimanere impassibile, incurante delle sue richieste. ‹‹Non hai altra scelta se non fidarti››
Bene.
Si alzò, prendendo congedo dai presenti.
Si voltò, percorrendo un altro dei tantissimi corridoi, l’intento di trovare il maestro o chicchessia e farsi insegnare il modo di raggiungere Svartalfheim.
Ma chi si credeva di essere? Si era stancata di starsene ferma e immobile ad attendere che gli altri facessero tutto. Era stanca di stare ad aspettare invano. Non faceva bene alla sua testa e alla sua anima.
Fosse anche necessario, giuro che lo prendo a calci.
Si riconcentrò; forse era il caso di calmarsi prima di aggredire quel poveruomo. Virò verso un salottino; la luce continuava a battere diretta e ardente, fermata solamente dai rilievi in muratura che rendevano le ombre mozze e tagliate.
Si avvertiva una crescente umidità. Si passò il dorso della mano destra sotto il collo, bollente e umido, giungendo alla finestra centellinata, col lungo vestito azzurro che leggero assecondava l’andatura dei suoi passi incolleriti e stanchi. I veloci movimenti e l’umore le avevano accaldato lo strato sottostante della pelle; si portò la chioma ondulata sul petto, desiderando solo di bagnarsi con un getto d’acqua fresco.
‹‹Continui a scappare..?››
Sussultò. Si rese conto solo in quel momento che Loki l’aveva seguita, silenzioso felino come solo lui sapeva essere. Si piantò sul posto, quasi avesse messo improvvise radici nel terreno.
Il Dio dell’Inganno era entrato nella stanza, mentre picchiettava le dita sullo schienale di un comodo triclinio dal color rosa pesca.
Come faccio a scappare da te, dal pensiero che ho di te? E' praticamente impossibile...
‹‹Non avvicinarti..›› sussurrò mentre la collera sfumava ad ogni battito agitato come un’onda.
Non toccarmi..
Lo guardò in viso, affrontando i suoi occhi disarmanti. ‹‹Non fai altro che confondermi..›› singhiozzò per ogni sillaba, ma senza indietreggiare. Lo interpretava a meraviglia, il Dio dell’Inganno, con l’assoluta e ultima verità che teneva per sé, mentre tutti gli altri venivano giocati nel buio che avvolgeva le loro menti; lasciati nel più completo caos.
Vibrava ogni muscolo nella sua completa tensione, mentre il dio continuava a scrutarla. Loki si passò una mano sulle fronte, probabilmente anche lui accaldato, portandosi sulla testa un ciuffo ribelle castano chiaro. Aveva voglia di passare le proprie dita tra quei capelli, e trasformare quella ciocca chiara nel suo vero colore di lucente ossidiana.
Si immaginò un’altra mano, sulla sua chioma, un gesto che sarebbe potuto risalire benissimo a poche ore prima. Ingoiò una lama di dolore e frustrazione. ‹‹Ti sembra quantomeno divertente quello che mi stai facendo? Spero che almeno ti dia la soddisfazione che vai cercando..››
Si sentì prendere leggermente le punte delle dita. Rabbrividì un momento per la sorpresa e il gelo di un tocco appena sfiorato.
Faceva caldo, eppure la sua mano non le portava refrigerio. Bruciava di ghiaccio.
Gli occhi da lupo si alzarono su di lei, accompagnati da una sottile linea piacente delle labbra; sorrideva, a suo modo.
‹‹Anirei..›› la chiamò afferrandole il mento, ma lei si scansò repentina. Gli dette la schiena, quasi offesa dal tremolio graffiante che prendeva la forma del suo nome, stringendosi nelle spalle; si può essere posseduti solo con la voce, con una serie di note ardenti, molli, un tono che vibra nel timpano e poi scende in basso facendoti rinnegare ogni opposizione, ogni futuro pentimento?
‹‹Non chiamarmi in questo modo, non lo sopporto..››: ogni parola librava con i confini sfumati, tremula e incerta, rabbrividiva come la sua carne.
Appoggiò le mani scosse da piccole scariche di tremito sul tavolo, mentre da fuori si udiva il rumoreggiare della natura, il cicaleccio lontano, mentre intorno, e su di sé, l’afa pallida, assorta, pesante che si addentrava come nebbia densa e bagnata all’interno della stanza.
Ancora, tessuto nelle sue pupille, ritrovava un Loki dai capelli molto più corti, che condivideva con lei la tranquillità di una giornata vissuta sotto l’ombra di un albero, tra libri di rune che solo il dio riusciva a leggere mentre lei si accontentava di osservare lui e chiunque fosse passato a tiro di pigna. Spesso era Thor a percorrere quella strada, e non ci voleva molto a farsi convincere ad accompagnarlo da qualche parte. E lo faceva più per togliere la smorfia infastidita del moro che per sincero desiderio personale.
Perché non riesco mai a fare la cosa giusta..?
Avvertì le sue labbra insinuarsi tra i capelli, le sue mani sovrapporsi a quelle appena più piccole e calde, le dita  tre le sue. Alla percezione del suo desiderio, il proprio corpo reagì con un calore estraneo a quello che percepiva umido sulla pelle.
‹‹Invece ti piace, ammettilo..››
Perché vuoi che io mi odi più di quanto già non faccia..?
‹‹Cerchi solo illusioni, Loki, che ti sfuggono quanto più cerchi di agguantarle..››
Lo sentì sorridere, le sue braccia la strinsero, mentre le mani depredavano piano il suo corpo, con carezze morbide. L’attrito delle sue vesti sulla schiena le irritava la pelle, le rendeva insopportabile il mezzogiorno eccezionalmente assorto.
‹‹Ti descrivono perfettamente, lo sai..?›› continuò imperterrito, mentre le braccava i fianchi, frizionandoli con movimenti lenti delle dita.
Deglutì, mordendosi le labbra. ‹‹Non voglio essere un’illusione: è.. è..›› non trovava parole che non la ingabbiassero nella sua ragnatela suadente.
‹‹Vuoi essere qualcosa di più..?›› 
Sarebbe voluta essere niente. Il niente mentre invece provava il tutto; il troppo. E il troppo non fa mai bene.
Fece per divincolarsi dalla stretta, quando si vide costretta a immobilizzarsi per un tocco denso, improvviso e prolungato, che le dette alla testa.
Loki le aveva sfiorato con le proprie labbra gelide, risalendo, la schiena, lungo il solco della colonna vertebrale, lasciandole impressa sulla carne la sua scia fredda. Si era inarcata istintivamente, il petto in una morsa d’estasi, sorreggendosi tra le sue mani.
Incontrò il suo respiro, e la sua voce molle, non appena la costrinse a voltarsi leggermente verso di sé. ‹‹Dimmi che posso›› la mano le afferrò piano le guance, mentre lui piegava la testa per scivolare sulle sue labbra. ‹‹Dimmi che vuoi..››
Loki..


 
                                                                                      ***
 
 
Guardava l’enorme anfiteatro bianco, che ricordava per i più creativi e fantasiosi una bella candida rosa***, e non poteva fare altro che perdere il proprio sguardo su quell’edificio che chiamava casa.
Non ne conosceva altre che potessero avvicinarsi ad una definizione simile.
Non se ne era sentito mai così alienato.
‹‹Te ne stai zitto da troppo tempo››
Grugnì qualcosa. I polpacci gli bruciavano da morire; Chi non amava spendere parole inutili in scherzi verbali.
‹‹Sarebbe meglio che tu parlassi. Ti ricordi di quel limite di cui ti parlo spesso..?››
Sì, ci ballo sopra da ore. Da giorni, mesi. Forse millenni. Non so più dirlo nemmeno io.
Sbuffò arricciando le labbra. Il loro Signore continuava a restarsene chiuso nel proprio silenzio. Il che, faceva avanzare l’occasione dei dubbi che aveva giurato molto tempo prima di combattere e di sconfiggere, di estirpare dalla mente prima ancora che potessero nascere.
E' una prova, pensò. Una prova per vedere chi gli rimarrà fedele.
Eppure, nonostante questa profonda consapevolezza, non poteva fare altro che dubitare.
Raphael dice che è il primo passo per portarci alla Verità, o il primo per farci cadere nel Male. Sta a noi avere il coraggio di rischiare la nostra anima.
Udì il biondo digrignare i denti.
‹‹Se è quello che ti stai chiedendo, non devono stare insieme. Sono peccatori per noi, traditori per gli altri, macchiati di vergogna e di colpa verso l’Universo e la Vita stessa››
‹‹Perché non siamo liberi di decidere per la vita che ci viene donata, allora?››
‹‹Lo hai detto tu, Gabriel. Perché ci viene fatto un dono, che ha un prezzo››
Allora dovrebbero chiedermi prima se nascere o meno e stare ai patti.
‹‹Tu non hai chiesto di perdere i tuoi genitori››
Chi rimase in silenzio. Sapeva quanto gli costasse parlare della sua triste infanzia. Un giorno una forte tempesta aveva distrutto quella che doveva essere la vecchia casa e glieli aveva portati via. Aveva lasciato Vanaheim per seguire il Dio, il Destino. Per dimostrare, per dimostrarsi, che la loro morte aveva un senso.
Gabriel era invece stato allevato da genitori fanatici; il suo futuro era a dir poco sicuro.
‹‹Se non fossero morti, a quest’ora non sarei qui a riprenderti per le idiozie che stai dicendo››
Questa volta fu lui a rimanere zitto; era stato maleducato nei suoi confronti. Sachiel si alzò, allontanandosi da lui, ferito laddove il tasto, nonostante tutto, continuava a dolere millennio dopo millennio.
‹‹E Michael?››. Gabriel alzò la testa nella sua direzione. ‹‹Ti sembra che dovesse morire? Era il migliore amico dell’Altro.. e nonostante tutto ha scelto la giusta, sebbene dolorosa, via del nostro Signore. E' stato sgozzato come una bestia da macello››
Appunto, Chi. Non credi che si stia spargendo incomprensibile dolore?
Preferì non rispondere. I loro pensieri si stavano divergendo sempre più. Tornò a fissare l’anfiteatro, immaginandosi il dolore di due povere anime divise, il cui unico modo per raggiungersi è scavare nel terreno come animali, sporcarsi, graffiarsi e ferirsi pur di raggiungere l’altro.
Abbassò le palpebre, abbandonando le mani sul ventre.
Il silenzio del loro Signore continuava a ferirgli le orecchie.


 
 
Una goccia di trasparente sudore le scendeva lungo la pelle, percorrendo il solco del seno che i due lembi di stoffa, unendosi dietro il collo, non coprivano.
Un sospiro.
‹‹Loki..››
Yggdrasil, quanto desiderio gli scatenava il proprio nome sulla sua bocca; l’avrebbe gettata su quel tavolo e l’avrebbe presa sul momento, ignorante di ogni buon senso degno di questo nome.
Ma non poteva abbandonarsi blandamente ai suoi istinti.
Andrà come voglio io.
Sarai tu a cercarmi e volerlo. Tu di tua iniziativa.
Posò il pollice sulle sue labbra, percorrendole piano e schiudendole appena, costringendola ad alzare di nuovo gli occhi su di lui. Anche sotto il polpastrello, erano ardenti e morbide.
Passò la lingua sulle proprie, non notando differenza di temperatura.
Menta.
‹‹No›› lo rimbeccò lei come si trattasse di un bambino, con un dolce respiro caldo, scuotendo lenta la testa.
‹‹No…?›› stirò le labbra in un sorriso ironico.
Perché continui a tenere una barriera che si distrugge nelle sue stesse fondamenta?
Il lusso di un decennio; più di un decennio; e pretendeva che non provasse il desiderio di sentirla di nuovo gemere sotto di sé, vinta dalla sua forza, abbandonata al piacere del suo controllo.
A palazzo si era violentato pur di non sorpassare quella porta oltre lo stretto necessario, in preda ad un impulso avventato: ad Asgard non poteva permettersi distrazione. Giocava sul filo dell’illusione per cosa dovesse o non dovesse mostrare a quelle sciocche capre.
Ma adesso..
Adesso quel vestito attentava ad ogni barlume di cauta razionalità.
‹‹Smettila di spingere il limite..››. Lo guardava con le sopracciglia contratte verso l’alto, ogni cellula del suo corpo vibrava sotto le sue mani, le tremava il labbro inferiore.
Non vedi che mi appartieni? Abbandonati all’evidenza.
‹‹Siamo già dannati, se è questo che ti preoccupa..›› osservò con mera ovvietà, continuando a giocare con le sue labbra tra cui il dito si insinuava piano, separandole. ‹‹Maledetti da Odino, dal destino, dal mondo, dagli amici, dai conoscenti.. da tutti; persino da noi stessi. Non credi che sia oramai inutile dar loro anche un altro solo briciolo di soddisfazione?››
‹‹Non credi invece che possano avere ragione?›› contestò lei ritraendosi appena all’indietro, cedendo ad una piccola smorfia al contatto con la dura tavola. ‹‹Finirebbe prima ancora di cominciare..››
Un mucchio di bugie. Solo, l’inconfondibile, orribile, odore della negazione della realtà.
La puzza della menzogna che si leva da ogni singola parola.
Odore di marcio. Odore di falso.
Odore di me.
Continuò a guardarlo negli occhi, senza stornare lo sguardo. ‹‹Non posso, sai che non farebbe altro che distruggermi ancora, e ancora..››
Ah, il massaggio sinistro e carezzevole della melma di colpa in cui era solita sprofondare.
Un classico, no?
Le sfiorò la mandibola con un’unghia.
Perché non impari mai?
Un filo metallico gli passò attraverso le vene del collo con pericoloso, sebbene lontano come un’eco, orrore di sgomento.
“Se lo uccidi, il suo cuore ti verrà negato per sempre”
No; erano solo parole di una strega di bassa categoria.
Strinse le labbra, con voce atona. ‹‹Perché dovrebbe essere sbagliato?››
Lo fulminò, arrabbiata, in un primo momento, per poi velare gli occhi di un velo buio.
Abbandonò le mani lungo i fianchi, la sua Anirei.
Non rispose.
Nemmeno un lieve sospiro. Non aveva risposte, no.
Avvertì l’inconfondibile sensazione di raschio nel petto.
E le scoppiò a ridere in faccia, crudele.
‹‹Sei solo una sciocca, Anirei››. Chiuse la mano sinistra, come una verità che si tenta di afferrare e che allo stesso tempo si può ridurre in frantumi per la troppa forza con cui la si stringe. Le mostrò i denti. ‹‹Trascendi il mio controllo, la mia ragione, ogni cosa che abbia posto come barriera tra te e me.. Ho provato invano a odiarti, cercavo in ogni donna un misero particolare che potesse ricordarti, in agonia, in frustrazione..››. Delusione, rabbia, insoddisfazione di ricordi passati gli si riversarono nel sangue, irrigidendo i muscoli; si era arreso all’evidenza dell’umiliazione nel trasformare in lei qualsiasi donna gli fosse capitata tra le lenzuola, vinto nell’impossibilità di cancellarla, un’illusione tanto più perfetta quanto maggiore la vana consapevolezza di una finzione deturpata come lo specchio informe di un torrente turbolento. Non era un misero corpo, quello che cercava, da avere sotto le mani. Era un gemito, un brivido. La sfumatura unica di un tono sfaccettato della sua ilarità.
Ella lo stava guardando con attenta contemplazione, confusa ma dolce, mentre subiva passivamente la sua crudeltà.
La carezza del suo morbido sguardo pieno d’amore.
Voglio che tu mi guardi per sempre, Anirei.
Per sempre con questo sguardo.
Chiuse gli occhi, con espressione dura ma impassibile; niente di quello che pensava avrebbe superato la maschera carica di distacco. ‹‹Non c’era niente se non la frustrazione più vana nella consapevolezza della tua reale assenza››.
A volte era così umiliante arrendersi di fronte a quel sentimento pieno di calore che faceva così tanto contrasto con la temperatura del suo corpo.
A quel battito anomalo che cercava di rompere lo strato di ghiaccio del petto.
‹‹Mi dispiace..››
Riaprì di scatto gli occhi. Niente compassione.
Sorrise, cattivo. ‹‹Oh, ma non ti preoccupare. Uccidere quel bastardo e quegli inutili insetti mi ha ripagato di ogni debito››
Percepì chiaramente le sue ossa incrinarsi, dinanzi a quelle parole. ‹‹Sei.. sei..›› articolò a fatica, con gli occhi gonfi e tumidi, senza riuscire a finire la frase. ‹‹Hai scaricato il tuo rancore su degli innocenti. Sei hai qualcosa contro di me o contro Odino..›› perse per un attimo le pupille sul pavimento ‹‹..Thor.. non devi coinvolgere altri››
Si piegò sul suo orecchio, con un sussurro. ‹‹Credi davvero che siano degli innocenti? Se lo sono meritati.. tutti››
Si scostò da lei, facendo danzare una sfera luminescente verde tra le dita.
“Ci siamo scambiati un bacio, vile traditore, se è questo che ti interessa. E ci è anche piaciuto”
Una pugnalata sui reni dinanzi a parole che non riusciva chiaramente a classificare come false. Il sapore delle sua bocca, ricevuto attraverso le sensazioni di un altro diventava quasi disgustoso. Infranse la piccola bolla chiudendo il pugno, mentre ella fissava senza parole la sua schiena, lui che si osservava le unghie.
Cosa hai trovato di così gustoso da voler assaggiare sulle sue labbra? 
‹‹Il popolo piange i suoi beniamini›› continuò osservando la mano chiusa.
Chi mi ha sempre disprezzato, adesso lo farà con un motivo. Adesso sono io mi a dilettarmi della loro sofferenza cieca.
‹‹Nessuno gioca col Dio dell’Inganno senza subirne le conseguenze››
Forse, nemmeno tu..
Un singhiozzo.
Sorrise, soddisfatto.
Eccolo.
Due.
Finalmente.
Odia me, Anirei.
Quattro.
Graffiami. Odiami.
Solo così smetterai di rivolgere le unghie contro te stessa.
Un altro, e un altro ancora.
Odia me anziché te. Sei talmente sciocca da continuare a farti del male.
Piangi ogni mio peccato.
Una mano calda strinse le sue dita. La sua mano; la sua pelle. Il suo contatto.
Forse il tuo amore, Anirei..?
Rimase immobile, teso, mentre ella lentamente gli compariva di nuovo sotto gli occhi.
Ridacchiò furbo, prendendole la mano e portandola verso la propria gola, chiudendole gentilmente le dita. ‹‹Non credi sia più adatto un gesto del genere?››
Anirei lasciò delicatamente la presa, e lo guardò con i suoi occhi castano scuro.
‹‹Smettila››. Gli accarezzò l’interno del braccio destro, seguendo una linea appena marcata sulla pelle. ‹‹Non credi di aver già sofferto abbastanza..?››
Sorrise.
Quanto sei sciocca, Anirei.
Strinse le mani attorno ai suoi polsi, guidandola nello scorrere delle mani sul petto, fino a farsi accarezzare le guance.
Solo allora si accorse della ferita che teneva nascosta sotto il colletto.
Non disse nulla. Si limitò a spostargli il viso per vedere meglio.
Non voglio che tu ti accolli le mie colpe..
Avrebbe voluto urlarglielo fino a quando non l’avesse capito. Avrebbe voluto poi abbracciarla e aspettare che si assopisse sul suo petto per tornare a ridere come un tempo.
Invece le prese il mento e le scucì uno dei suoi migliori sorrisi crudeli di repertorio. ‹‹Vattene dal tuo maestro, potrebbe avere bisogno della tua compagnia››.
‹‹Sì, vado›› asserì con sguardo fermo. ‹‹Gli chiedo se possa darti un’occhiata. Anche se credo sopravvivresti comunque››
‹‹Non ho bisogno delle sue manacce, faccio da solo››
Ella gli rifilò un’ultima occhiata fugace, l’espressione riflessiva e in parte ferita, prima di uscire dalla stanza facendo finta di non averlo sentito.
Sospirò, passandosi le mani tra i capelli.
Sei davvero una piccola, sciocca, imprudente zavorra.
Un minuscolo sorriso confortato gli increspava le labbra sottili.
 
 
*: con questo nome si indicano gli abitanti di Alfheim, chiamati anche Elfi Chiari, ai quali si contrappongono i Dökkálfar (/Elfi Oscuri) che abitano invece Svartalfaheim
 
**: ho preso in prestito questo nome sulla fonte magica da Final Fantasy XII

***: chiara citazione di Dante Alighieri
 
 
 








*************
Ciao!:)
Spero vi sia piaciuto il capitolo, ho dovuto riscriverlo un paio di volte perché non ero mai sicura che potesse andare. *e fu così che le lanciarono la verdura per la pessima qualità
Comunque, capitolo propriamente incentrato su questi due, finalmente con la spiegazione della storia di D.D. (ce la fece alla fine, alleluja!), il problema che si pone sempre più concretamente su che parte prendere, i sentimenti tra i due, la ragione per cui Anirei possa parlare sia la lingua nordica che l'americano (mi pareva di essere in dovere di dare un po' più di "realismo", sempre se non abbiamo già messo le ali sulle vele della pazzia).
Ringrazio vivamente chiunque mi stia sostenendo, perché in questo periodo è abbastanza duro scrivere.
Buona Pasqua a tutti, vi auguro delle buone vacanze!
Con affetto (e un uovo di pasqua virtuale a tutti/e),
Ali

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** CAPITOLO ***


‹‹Lo SHIELD ha molta fiducia in te, Thor..›› commentò con ironia Jane intanto che aggeggiava con foga sul bracciale di metallo che gli circondava la tibia; lo avevano chiamato “rilevatore di posizione”. Non aveva capito granché di come funzionasse, o il fine della scarica elettrica che l’avrebbe attraversato se lo avesse tolto senza attenzione – era un dio, il Dio del Tuono a maggior ragione: una scossa non gli avrebbe fatto nulla; l’importante era sapere che tramite quella roba il centro di organizzazione conosceva ogni luogo in cui si sarebbe spostato, in ogni momento del giorno. In pratica, lo stavano pedinando meglio della sua stessa ombra.
Nick Fury aveva fatto bene i suoi conti sulla fiducia da riservargli.
‹‹Cosa hai combinato questa volta? Gli hai distrutto mezza agenzia in stile Chuck Norris?››
Guardò la stagista, le cui gambe erano avvolte da un misero pezzo di pelle nera (“Non le avete le minigonne, lassù..?”), col sopracciglio alzato. ‹‹..In stile cosa?››
Gli sfuggivano le associazioni dei Terrestri.
‹‹Lascia perdere.. Darcy intendeva dire che cosa tu abbia fatto per farti trattare come un pericolo.. ambulante, ecco. Io aggiungerei anche come un criminale..››
Mugugnò. ‹‹Temono che possa tornare da solo ad Asgard››. E che raggiunga Svartalfheim sottraendogli Loki.
‹‹Lo fai sempre e comunque, alla fine, no? Perché scomodarsi tanto?››.
Il Dio del Tuono lanciò un’occhiata all’amata, che aveva repentinamente piegato la testa verso il dispositivo, per nascondere l’osservazione truce e triste che la domanda di Darcy Lewis avanzava.
“Mi lasci sempre qui, da sola..”
Si perse tra i filamenti castano ramati che le ricadevano morbidi davanti alle spalle, delicatamente mossi sulle punte, che si perdevano tra le pieghe della sciarpa beige e nocciola; le labbra morbide che tradivano sempre una nota di scettico stupore, forse un filo d’ansia e di imbarazzo, che spariva subito quando guardava il suo amato cielo.
Bellissima.
Era la prima parola che il dio aveva formulato nella propria mente non appena l’aveva scorta, svegliandosi dopo essere stato aggredito dal suo furgoncino, anni prima.
Sollevò gli occhi ambrati su di lui, sorridendogli un po’ timida. ‹‹Ho quasi fatto, manca poco››
Annuì con sguardo confortevole, accarezzandola con gli zaffiri, per poi cambiare oggetto del pensiero, concentrandosi in silenzio.
Doveva entrare nella base dello SHIELD e liberare la dea.
Il problema, in sostanza, era aggirare Fury e l’orda di guardie che avrebbero presieduto la stanza in cui Lorelei era tenuta sotto controllo; sicuramente, non lo avrebbero lasciato avvicinare nemmeno per sbaglio alla cella.
Jane si alzò, massaggiandosi la schiena. ‹‹Dunque, da quello che ho capito, non dovrebbe essere molto complicato levarlo senza far saltare l’allarme..››. Si morse le unghie, pensierosa. ‹‹Basta solamente aprire con cura la custodia, interrompere il flusso elettrico che  mette in contatto il..››
‹‹Ehi, Terra chiama Jane Foster! Parla come mangi, grazie!››
Sospirò, alzando gli occhi al cielo, tesa e preoccupata. ‹‹Sì.. non importa, tanto devo farlo io..››
Prese il suo volto dolce tra le mani, togliendole un ciuffo castano dagli occhi meravigliosi. ‹‹Jane, non voglio costringerti..››
Scosse la testa. ‹‹No›› sentenziò congiungendo le labbra rosee. ‹‹Io voglio farlo››. “Per te. Per dimostrarti che anch’io sono forte. Che non sono da meno di nessuna talentuosa dea”
Mentre lei si perdeva nello stesso azzurro zaffiro del suo cielo, nel celeste brillante che la faceva sognare, lui si abbandonava alle sensazioni di un bacio semplice ma intenso.
Grazie. Su di te posso sempre contare.
‹‹E io cosa faccio?››
L’astrofisica mise le mani sui fianchi, con cipiglio severo ma complice. ‹‹Tu fai la guardia al laboratorio. E' un compito difficile: se lo SHIELD telefona, tu devi eluderli››
La donna arricciò le labbra, delusa. ‹‹Ti becchi sempre la parte migliore: tu hai un dio per fidanzato, tu vai ad Asgard, tu..››
‹‹.. rischi la vita per tutti questi motivi..››.
Jane si voltò di scatto verso di lui, mettendosi la mano alla bocca ‹‹Thor, non intendevo darti la colpa, io..››
‹‹Non devi scusarti›› minimizzò distogliendo lo sguardo. E' la verità, purtroppo..
La donna gli accarezzò appena la mano, aprì la bocca per cercare di spiegarsi, ma la interruppe con un sorriso tirato. ‹‹Andiamo››
L’aveva messa in pericolo già troppe volte; non si poteva definire un fidanzato perfetto. Anzi.
Ella annuì, con una smorfia rassegnata e delusa, precedendolo alla porta e scortandolo all’auto.
L’aria era tesa, come sempre, su Midgard.
Quel mondo gli aveva insegnato parecchie cose, lo aveva fatto crescere in spirito e coscienza.
Gli aveva mostrato il senso del tempo, e la paura di scomparire prima di riuscire, prima di aver fatto quel che si voleva o doveva fare.
La fragilità.
L’importanza di ciò che si ha di veramente più caro.
L’amore.
Fratello, come puoi disprezzare un mondo tanto delicato quanto tenace..?
Certo, esisteva anche l’altro lato della medaglia, ma quale popolo non aveva commesso i propri sbagli? Quale regno non possedeva i propri macabri trofei, che amava seppellire sotto la sabbia e, quanto più li celasse, più risalivano verso la luce del sole?
E questo valeva anche per la sua famiglia: quanti errori avevano fatto, ma più cercavano di nasconderli, più Loki li faceva riemergere?
Non è stato il migliore dei padri, fratello. Ma non per questo tu hai la libera licenza di comportarti come una vittima dalla visionaria inferiorità.
Non sei l’unico ad aver sofferto nell’intero universo, Loki.
La voce del direttore lo riscosse dai suoi pensieri, mentre la mano di Jane nella sua gli aveva impedito di smarrirsi.
‹‹Dottoressa Foster, che piacere rivederla››
Jane abbozzò un sorriso carico di disagio. Aveva già avuto a che fare con lo SHIELD, e l’accaduto non le aveva riservato molto desiderio di trovarlo di nuovo sulla propria strada.
Nick Fury fece un cenno ad un agente perché la prendesse in custodia, poi gli fece strada verso alcuni pannelli luminosi, pieni di immagini e scritte, davanti ai quali si trovavano una decina di persone attente e con gli occhi secchi per le troppe ore passate davanti agli schermi accesi.
‹‹Allora, Thor, adesso siamo sulle tracce del dottore. Sembra che si sia nascosto meglio dell’ultima volta; ci vorrà qualche ora prima di individuare il suo volto tra le lande desolate della Siberia..››
Il dio lanciò un’ultima occhiata all’astrofisica prima che ella si decidesse a seguire l’agente.
Era tesa, lo si vedeva. Ma avrebbe portato a termine l’incarico, anche se ciò avrebbe significato anticipare la sua partenza; dividersi di nuovo, senza aver trascorso un tempo che il mondo sembrava continuamente rubare.
“E' sempre questione di Loki”
Forse. E forse non ci sarebbe mai stata una fine, se non quella di uno o dell’altro. Di entrambi.
Gli occhi di Jane lo rassicurarono, e seguì la sua piccola figura con lo sguardo sin fuori dalla stanza.
Ce l’avrebbe fatta, ne era sicuro.
Perché Jane era così.
Forte.
Era quella la seconda cosa che aveva pensato di lei.
 
 
 
Il rumore del pass che annunciava l’apertura della porta.
Il Dio del Tuono era venuto a liberarla.
Finalmente.
Scosse i capelli prima per un verso e poi per l’altro, impaziente.
Voglio togliermi questo maledetto collare.
Ma quello che entrò dalla porta, quella piccola e fragile cosa, le dette un colpo al sangue, facendoglielo pompare nel verso opposto.
‹‹Non gridare. Sono venuta a liberarti..››
Strizzò gli occhi, incenerendola con lo sguardo.
Fragile e stupida. Ho un collare, cretina.
L’esserino midgardiano, a malapena passabile per decente in bellezza, quanto più inutile per la sua debolezza fisica, le provocava un eccessivo attrito di ribrezzo per i bronchi.
La vide piegarsi sulla sua gamba, incurante del collare che le copriva collo e bocca, o delle pesanti manette che le sfregavano i polsi. Tirò fuori alcuni oggetti dalla borsa, successivamente ripose la sua completa attenzione all’affare.
‹‹Lo tolgo senza disattivarlo, così che nessuno si accorga della fuga: guadagneremo tempo..››.
Umpf. Non c’era bisogno di non farsi scoprire; sarebbe bastato che le liberasse la bocca e le corde vocali per poter viaggiare senza problemi né fretta, adorata come una regina da schiavi più fedeli di un cane.
Piantò gli occhi sulla sua nuca. Sarebbe bastato chiudere le dita attorno alla sua testa per spaccargliela. E se avesse esagerato, nessuno ne avrebbe trovato più nemmeno i cocci.
Una donna insignificante.
Questo il suo corpo le comunicava, e Lorelei si era sempre fidata del suo istinto: costituiva d’altronde il motivo dell’eccessiva volubilità nei suoi desideri.
La ragione serve per saziare l’istinto.
‹‹Ho quasi fatto..›› sembrò volerla rincuorare con la sua voce stuccosamente smielata.
Osservò l’intrecciarsi delle sue dita con il dispositivo. Tremavano appena.
La donna le tolse delicatamente l’oggetto, posandolo dall’altra parte della minuscola cella. Quando tornò verso di lei, parve indecisa sul da farsi. Alla fine alzò gli occhi sul suo viso, convintasi a maneggiare il collare di ferro, tanto fastidioso quanto umiliante, che le raschiava la carne del collo e delle labbra ad ogni movimento troppo azzardato.
Mentre quella ispezionava indaffarata la museruola, la dea comprese il motivo esatto di quell’immediato e profondo ribrezzo.
Negli occhi castani leggeva un amore indefinibile per l’amato. Un uomo caduto dal cielo come il principe azzurro di una fiaba, che poteva cercare di trattenere invano, tra quattro mura intime, solo con gli occhi e qualche sguardo di sfuggita. Un uomo potente e forte, perfetto, che aveva paura di perdere, ma a cui non aveva il coraggio di chiedere di restare, non con le parole, né con niente.
Perché si trattava dell’uomo dei suoi sogni, e temeva che toccandolo troppo a fondo, domandando qualcosa di forse illecito, si sarebbe dissolto velocemente come quando ci si sveglia la mattina. E poi sarebbe esistito davvero in sogni spezzati.
Un amore puro e forse infinito, che Lorelei poteva solo guardare dietro un vetro che la isolava dal provarlo sulla propria pelle, nel proprio cuore. Intanto l’invidia cresceva, maledetta per la sua capacità di leggere ma non poter vivere quel che di grande scorgeva.
Un moto di desiderio verso l’amore del Dio del Tuono la spinse a prolungare i suoi piani. Già le pompava nel sangue l’adrenalina impaziente disentire quell’amore per sé.
Con un sonoro scatto, fu liberata anche del collare.
Arricciò le labbra indolenzite, deglutì con agognata liberazione la saliva.
‹‹Le manette›› freddò la mortale.
La vide deglutire. ‹‹Non immaginavo avessi le manette.. non credo di essere in grado di..››
Come diceva? Ah sì, donna inutile.
‹‹Per curiosità, come hai fatto a giungere sino a qui?››
Quella sorrise appena, meno intimorita. ‹‹Ho steso la guardia con la mia borsa›› la alzò con fatica da terra. ‹‹Era piena di mattoni. Quindi gli ho preso il pass e sono arrivata qui..››
La guardò di sbieco. ‹‹Come hai fatto a superare le guardie qui fuori?››
Tirò fuori una boccetta spray dalla tasca. ‹‹E' stata più fortuna che altro, in realtà››
La dea si scostò i boccoli rossi dietro la spalla, lanciandole un’occhiata piena di disprezzo. Si schiarì la voce, sospirando infastidita e annoiata dalla conversazione. ‹‹In ogni caso, sei giunta qui e non sai come liberarmi..››.
La porta si aprì, e due uomini in divisa, intontiti mentre si massaggiavano la testa dolorante, puntavano verso di loro due ridicole pistole in metallo.
‹‹Arrendetevi. Subito!››
Dette un calcio alle loro mani, forse incrinando qualche osso dei polsi.
Mi piacciono i Midgardiani: sono sempre così teneramente fragili e indifesi.. come dei cuccioli.
Dette una ginocchiata al primo, poi si gettò sul secondo, intrappolandolo contro il muro con una spallata. Quando si voltò verso la donna, le rivolse un sorriso saccente. ‹‹Guarda e impara la volubilità del cuore di un uomo››.
Anche del tuo amato dio, mia cara..
La voce diventò puro flusso morbido e curvo, infuso di naturale desiderio, dolce e irresistibile come il richiamo del proprio lato insaziabile. La graffiò nell’orecchio dell’uomo che teneva in scacco presso il muro.
‹‹Tesoro, ho un bisogno urgente che tu mi tolga le manette..››.
La resistenza dell’agente cessò, e fece quanto gli fu chiesto, mentre la dea addomesticava anche l’altro. Si fece scortare verso il corridoio, si massaggiava i polsi.
Le sarebbe piaciuto intrufolarsi nella stanza dove si trovava il direttore, le sarebbe piaciuto umiliarlo con la stessa debolezza della sua carne. Ma Thor non avrebbe gradito.
E il Dio del Tuono era in quel momento l’unica pedina che avrebbe potuto condurla al trono. E al Dio dell’Inganno e del Caos.
Perché ti giuro, avrò vendetta. E ti porterò indietro, così come è successo a me.
‹‹Signora, è stato dato l’allarme. Probabilmente verranno inviati supporti di genere femminile››
Qualcosa lo avevano imparato.
Si accorse del tremore della Midgardiana. ‹‹Cosa c’è?››
‹‹Nulla.. mi ero accordata con Thor che avremmo evitato di mettere in allarme tutta l’organizzazione.. non è andata come credevamo››
La ignorò, rivolgendosi ai due agenti. ‹‹All’uscita›› ordinò con un sorriso gioioso che non era riuscita a trattenere. Le telecamere avevano sicuramente registrato la complicità della donna che aveva dietro di sé. L’avrebbero catturata e tenuta in prigione, potendosene liberare senza sporcarsi le mani: un punto a suo favore agli occhi di Thor.
Svoltarono alcuni corridoi, fino a quando non uscirono alla luce stupenda del Sole.
Una luce calda, avvolgente e bella come il principe che correva verso di loro.
La mortale sfrecciò verso di lui, si scambiarono un abbraccio. ‹‹Ma.. Thor.. il rilevatore, dove lo hai..?››
Il Dio del Tuono si passò una mano tra i capelli dorati, sorridendo appena, massaggiandosi la gamba per la potente scossa elettrica. ‹‹L’ho distrutto: già sanno cosa stia succedendo..››
Negli zaffiri leggeva lo stesso sentimento di quella donna. Li osservò attentamente: non erano più gli occhi limpidi e ingenui di una volta, sinceri e puri.
Vi erano ombre, sfumature, nascoste.
L’esilio sulla Terra e il tradimento del Dio dell’Inganno lo avevano cambiato parecchio.
Prese un respiro, mentre la gelosia del petto le impediva di ragionare; non sarebbe stato facile accalappiarlo come una volta.
 
 
                                                                                  ***
 
 
Volse le pupille in ogni direzione, ma gli smeraldi non si trovavano più.
Li cercava, come un aggrappo sicuro. Come il Nord della sua bussola.
Aveva intravisto qualche crepa nella maschera del Dio dell’Inganno. Fine, piccola, eppure profonda come la ferita sotto il collo che si era procurato il giorno avanti in taciturne circostanze.
Uno slabbro che stava già guarendo, grazie alle sue peculiarità di divinità.
Anirei, però, non voleva che si risanasse anche l’altra, di crepa, altrimenti non avrebbe avuto ulteriore occasione per affacciarsi sulla smarrita verità segregata del suo stato d’animo.
Voglio capire; voglio capirti del tutto, senza limiti. E non voglio fallire come l’ultima volta.
Si fece spazio fra alcuni Ljósálfar riunitisi nella celebrazione sacra del Patto tra Cielo e Terra, un accordo, a quanto pareva, stretto all’alba dei tempi, secondo cui gli astri del firmamento si impegnavano a non colare come fuoco sulla terra, e questa non arrivasse a toccare la volta con le proprie creature finite. Un patto di ordine e armonia, narrato fino a pochi momenti prima dalla voce calma e calibrata del Dio dell’Inganno, attorniato dalla peculiare serafica eleganza, dinanzi agli sguardi attenti e seri degli abitanti.
Non era potuta fuggire dalla propria postazione, in mezzo agli altri, sebbene abbastanza lontana dalla sua, perché inchiodata dal flusso vibrante delle sue parole, e dallo sfavillio silenzioso dei suoi specchi pazienti: la uccidevano, facendola piombare nella melma umida del desiderio, la rendevano inerme.
Si era stuzzicata la cicatrice del dorso della mano, con tenue agitazione, fino ad arrossarla.
Durante quel racconto aveva ricordato ciò che il corpo non aveva mai dimenticato: la sua pelle, le sue mani fredde, che si infilavano sotto la propria carne, quel suo sangue di ghiaccio, da predatore paziente e calcolatore, implacabile. E quel suo senso di superiorità e di potere che sprigionava con ogni parte del suo essere, la sua natura possessiva e misteriosa: sbagliato, forse morboso, ma era ugualmente eccitante.
La potenza dei suoi sguardi non era mai cambiata: rievocava facilmente un paio di fiamme verdi osservarla con curiosa circospezione, una prima e una seconda volta, un’occhiata carica di invidia e risentimento, mentre le si piantavano nella schiena, al tempo dell’arena, sotto la guida guerriera del Dio del Tuono.
Uno sguardo che la faceva ardere, l’accendeva, intenso quanto quello antico, che però aveva sostituito una sferzata di amore sull’invidia.
Era rabbrividita, con un certo timore: un essere del genere, avrebbe mai trovato la pace, in particolare nella sua folle vendetta..?
Probabilmente no. Probabilmente non la troverà mai.
Un macchia rossa impattò veloce contro il suo abito, cadendo sul prato, confondendosi con l’erba illuminata dalla notte, in mezzo ai suoi piedi.
Si sfilò dalla testa la coroncina di rose. Strinse i morbidi petali tra le mani, osservandoli attentamente. Erano ben delineati e carnosi, il colore più intenso del sangue.
Nella mente balenò il rosso sfocato che aveva visto sull’armatura del Dio dell’Inganno, il suo volto tumefatto e pesto, pieno di ferite fresche e gravi abrasioni. La paura provata mentre aspettava chiusa nelle sue stanze, quando ancora non conosceva le sorti della sua fuga da Asgard.
Non voglio stare ad aspettare di nuovo.
Strinse con forza i fiori.
Non voglio che ti succeda niente.
Non voglio che tu vada.
Lasciò cadere la corona di fiori, dirigendosi verso la villa, correndo con fretta senza capirne davvero il motivo. Le stelle del cielo nero rifulgevano come mille occhi attenti e curiosi sul destino dei viventi. Sembravano guardarli, come neutri, o magari compassionevoli verso l’inevitabile sorte dei personaggi in scena, spettatori di teatro.
Rallentò l’andatura, riprendendo fiato con profondi respiri, allargando al massimo i polmoni.
Sospinse la porta con le dita, lentamente, affacciandosi appena nella camera.
Era lì.
In piedi, preso dalla rapida lettura di un antico volume, di cui sfogliava velocemente alcune pagine; non sembrava essersi accorto di lei.
Entrò, facendosi coraggio, fronteggiando il suo marcato profilo.
Schiarì la voce, per segnalare la propria presenza, ma Loki non diede segno di volersi voltare. ‹‹Potrebbe accorgersi che sia stato tu a sigillarlo..››. Si morse le labbra. ‹‹Ti individuerebbe subito..››. E non oso pensare a cosa potrebbe farti..
Il dio stava prestandole appena un tratto della propria attenzione, del proprio orecchio.
Gli si avvicinò con determinazione mista a una piccola ansia del corpo; gli toccò il braccio con la punta delle dita.
‹‹Cosa vuoi dirmi, Anirei?›› commentò senza guardarla ‹‹Sei venuta a ripetermi ciò che già conosco? Ti ringrazio per questo esauriente riassunto, difatti, come vedi, sono impegnato a fare il possibile per preservare la mia vita››
Alzò gli occhi su di lui. ‹‹Quindi il rischio vale eventualmente la tua vita?››
Il dio sospirò, appoggiando il volume sul tavolo, reggendosi sul bordo, con gli occhi persi davanti a sé. ‹‹Non voglio nascondermi per sempre››
In quelle parole leggeva la frase di una vita: “Non ce la faccio più a nascondermi. Voglio brillare anch’io alla luce del sole. Voglio avere anch’io quello che ha Thor. 
Perché lui può averlo e io no?”
Strinse le labbra. ‹‹E allora perché non posso aiutarti? Mi sento così inutile..››. Abbassò le ciglia. ‹‹Devo sempre attendere immobile tra quattro mura..››. Ogni volta mi sento morire dentro.
Calò il silenzio, mentre lo guardava fiso, ricambiata.
‹‹Quasi mi lusinga la tua tentata persuasione›› si voltò di nuovo a leggere, girando un altro paio di pagine, sottraendo il braccio al suo tocco. ‹‹Ora, ti sarei grato se uscissi dalle mie stanze. A meno che tu non abbia altro da aggiungere che le mie orecchie già non abbiano udito››
Rimase lì impalata, come un tronco di quercia.
Le parole uscirono da sole. ‹‹Dimmi cosa potrebbe convincerti, dunque››.
Loki le scoccò un’occhiata sospettosa, ma sempre più consapevole. Aprì la bocca, scioccandola. ‹‹Se te lo dicessi, lo faresti davvero..?››. Prese a camminare, spostandosi alle sue spalle, fuori dalla sua visuale. ‹‹Qualunque cosa ti chieda..?››. Le sfiorò la spalla con le labbra scivolando verso il collo.
Deglutì.
Le dita fredde scivolarono da poco sopra il gomito fino al polso, per poi intrecciarsi ad entrambe le sue mani, il corpo strusciò contro il proprio, il tatto delle loro vicinanza, premendo con forza e voglia, le gettò addosso un’ondata di disperata ricerca di possessione. Subita e richiesta.
Se questa fosse una guerra, non credo resisterei a lungo.. si ritrovò a pensare.
Loki si piegò sul suo collo, inserendosi sotto il mento, sulla giugulare. La morse appena, facendola sussultare.
‹‹Se ti chiedessi di uccidere Thor.. lo faresti?››. Probabilmente avvertì il movimento dei muscoli della gola quando deglutì di nuovo; rimase immobile, con i muscoli tesi. Lui strascicò la voce ‹‹Ma tanto sai che non te lo chiederei mai.. non ho forse ragione?››
Volse appena il viso, strinse le sue dita. ‹‹Confido che tu non lo faccia..››
Io mi fido di te.
Il dio serrò un momento la presa sulle sue mani, come volesse rispondere alla sua stretta; staccò i denti dalla sua pelle per risalire lungo il collo. Un sussurro mordace le penetrava nell’orecchio fino a far vibrare il timpano, un vapore caldo e umido: una tentazione a cui aveva già ceduto prima di ricevere il primo freddo contatto.
‹‹Voglio fare l’amore con te, Anirei..››
Una semplice frase che accese ogni cellula del suo essere, le incendiò la pelle come fiamma viva. Emise un sommesso lamento di desiderio, che le salì spontaneo dal petto; era così dolce l’attrito tra la loro pelle, la freddezza della sua carne pallida, quella sua voce meravigliosa..
‹‹Mi manchi tanto.. ho voglia di te››. Le sue mani sui fianchi. ‹‹Facciamo l’amore, ti prego..››. I muscoli tremavano scossi, incapaci di sopportare la portata di desiderio che le radeva al suolo ogni capacità razionale, in cui il rischio, forse il proibito, si mescolavano assieme alla brama di diventare una cosa sola, in cui toccarsi fino a bruciarsi carne e anima.
Si stava sciogliendo. Sciogliendo tra la neve.
Il cuore esplodeva nel petto, ma riuscì a volgere la testa di lato, prima che le proprie labbra finissero tra le sue; sentì il suo sorriso sulla guancia, mentre la spingeva leggermente.
‹‹Loki.. io non credo..››. Aveva voglia di piangere, le lacrime già sotto gli occhi: stava letteralmente impazzendo.
Cosa sarebbe meglio facessi?
La bilancia fu il dio stesso a mettergliela in mano. Raccolse i capelli tra le lunghe dita, immancabili brividi, costringendola a voltare la testa in direzione della porta, mentre le bisbigliava di nuovo all’orecchio.
‹‹Ti avverto; non farò un patto su quello che succederà stasera. Non ti forzerò a cadere nel baratro insieme a me, a macchiarti nel fango fetido e melmoso dell’ombra e del disonore, se tu non vorrai››
Si staccò, lasciando che i capelli tornassero sulle sue spalle accaldate. ‹‹Adesso esci da quella porta, Anirei. Esci e non voltarti››
“Esci, e dimostrami che sbaglio.
Esci, e non tornare mai più da me.
Esci, e non ti toccherò mai più.
Un’altra spina iniettata nelle vene, alla dolorosa consapevolezza del reale significato delle sue parole, che ancora una volta le gettavano in faccia un urlo di “Scegli”.
Aveva la porta davanti a sé.
A circa tre passi.
Era giusto andarsene?
Odino glielo aveva chiesto, e il Dio prima di lui. E forse prima ancora Thor, con il suo puro, forse superficiale, amore.
Uno. Due. Tre.
Si faceva prima a coprire la distanza che a contare. Era facile.
Facile chiudere gli occhi, estraniarsi. E poi correre, fino a raggiungere la parete di marmo del corridoio.
Ha ucciso e tradito, Anirei.
Mosse il primo passo.
E sembra non pentirsi di quello che ha fatto.
Fece il secondo.
Bene. Ne mancava uno. Uno solo.
E poi sarebbero stati liberi. Liberi da se stessi, e da ciò che nessuno voleva.
Probabilmente continuerà a perpetrare il proprio dolore attraverso quello altrui.
Fece il terzo.
Era sull’uscio.
Bastava una piccola spinta.
Una piccola, banalissima, spintarella.
Guardò la pavimentazione liscia, mise le mani sugli stipiti.
.. E allora?
E allora? Le sembrava poco?
E allora?
Io… io..
Deglutì.
E tu? Cosa pensi, Anirei?
Odio scegliere, non so mai quale strada prendere. Non so cosa sia migliore: faccio sempre del male a qualcuno, a me o agli altri. Ferisco, deludo: mi sento in colpa.
E non agisco mai, bloccata in questo invisibile muro di paura.
Ed era di nuovo in crisi.
Triste, spezzata, piena di collera, contro se stessa.
Si voltò indietro, arrabbiata. ‹‹Come puoi chiederlo..?››. Avanzò di un passo: per quanto fingesse il contrario, Loki aveva un cuore; un cuore lasciato sanguinare dolorosamente sul ciglio di una strada, nascosto, grida di aiuto soffocate, da bende falsamente pulite, e un atteggiamento arrogante che aggrediva chiunque si fosse chinato per scostare la fittizia medicazione.
Le labbra tremarono, i denti batterono tra di loro. Quasi nessuno si era interessato a ciò che si trovava sotto l’illusione della sua sicurezza e dei suoi modi di fare; a quasi nessuno importava. ‹‹Non hai mai alzato un dito su di me, Loki..››. Fece gli ultimi due passi.
Un altro la divideva da lui, esattamente come nella situazione precedente, davanti alla porta. Davanti alla scelta opposta.
La sua maledetta bilancia dai piatti uguali.
E adesso?
Adesso l’ultimo devi decidere di riempirlo con la tua volontà.
‹‹Loki..›› lo chiamò, la mascella vibrava. ‹‹Loki.. io..››. Stava per collassare sotto il peso soffocante delle sue emozioni contrastanti, del senso di colpa in un senso o nell’altro.
Stava cedendo sotto il peso di se stessa.
Il dio soccorse, prendendole il volto tra le mani, non lasciando gli stessi occhi che lo avevano fissato per tutto il tempo, senza abbassarsi mai.
Si alzò in punta di piedi, abbracciandolo con tutte le sue forze, avvolgendo quegli smeraldi sempre così freddi che non chiedevano altro che essere riscaldati.
Abbandonato tra le sue braccia, lo cullava mentre gli accarezzava i capelli mossi di ossidiana, portandoli dietro l’orecchio, massaggiando la nuca.
Ti ho abbandonato quando più avevi bisogno di me.. Perdonami.
Sciolse appena l’abbraccio, individuando la sua espressione addolcita e mansueta, con le palpebre abbassate, e la tranquillità di un bambino rassicurato, vezzeggiato da un abbraccio d’amore cui ha a lungo abbandonato ogni pretesa.
Lui respirava con affanno, seguendo il suo respiro.
‹‹Resta..››
Sì.
Si inarcò un poco, stampando un piccolo bacio appena sotto la mascella, fece scorrere le labbra muovendole piano, inumidendole appena, ad ogni tocco, un massaggio intenso sulla pelle eburnea. Il fuoco che bruciava lentamente nel petto, in tutto il corpo, che lui le accendeva con quei suoi occhi freddi e liquidi, penetranti, che girava piano stringendola nella morsa della voluttà; la voglia di sentire la sua carne fredda dentro di sé, sopra di sé, per sé.
 Sul letto, Loki era sopra di lei, intento a baciarle lento le cosce, dalle ginocchia fino a scendere lungo l’interno coscia, ad ogni carezza umida, brividi di un freddo piacere. Voleva colmare la soddisfazione che trovava sempre sulle sue labbra sottili e velenose, e avvolgere con le proprie le sue dita gelide, ogni lembo della sua pelle.
‹‹Loki..›› mormorò, protendendo le braccia.
Il dio la raggiunse sul viso. Appoggiò la fronte sulla sua, tenendo gli occhi chiusi; i loro nasi si toccavano, le loro labbra si chiamavano dilaniandosi per la loro eccessiva distanza, bruciando in cerca del sollievo sull’altro. Il suo fiato accalorato e così tiepido, faceva contrasto con il suo tocco freddo: la sua bocca bruciava nel respiro di quella di lui, le guance ardevano per il gelo della sua pelle. Il Dio dell’Inganno era una fiamma vivente, estrema nella sua temperatura, volubile e incontrollabile.
Mio dio..
‹‹Loki..›› sussurrò, arresa al proprio tremore, il dio le stava baciando il mento.
‹‹Dimmi, Anirei..›› strascicò languido il suo nome. Rabbrividì: la possedeva già solo con la sua voce..
‹‹Ti prego.. ho bisogno di sentirti..››.
Esitò appena, toccandola, sul volto, osservandola con attenzione, rendendola ancora più impaziente della propria richiesta, naufraga nel mare dell’istinto.
Ribaltò le posizioni, mettendola a cavalcioni su di sé. Guidava piano le sue mani tra le proprie vesti, aiutandola a slacciare i bottoni fini e decorati di nero, con la lentezza di un’attesa sospesa.
Aperta la camicia, ne scostò i lembi, spaziò con i palmi sul petto stranamente liscio.
Loki ne portò uno sui propri battiti, le loro dita intrecciate.
Vuoi dire che sono qui, Loki..?
Incurvò dolcemente le labbra, piegandosi lentamente su di lui, baciandogli il cuore.
‹‹Sono qui, Loki.. sì, sono qui, da te..››
Il dio soffocò un gemito di piacere, liberatorio, affondando la bocca nel suo collo.
 
 
 
‹‹Grazie Heimdall, per il tuo intervento tempestivo››
Il guardiano piegò il capo leggermente.
Si voltò verso Lorelei, scortandola sul ponte.
‹‹L’ultima volta non mi hanno trattato in maniera così gentile, Dio del Tuono›› osservò la dea tirandosi i boccoli ramati da un lato, con le braccia lente che sottolineavano la sua andatura decisa. ‹‹Lady Sif è una guerriera fenomenale›› asserì conciso. Era meglio non ascoltarla.
L’ultima volta che aveva prestato l’orecchio ai suoi loschi giudizi, si era fatto accecare il cervello.
Era dotata di seducente bellezza, convincente persuasione, scopi tutt’altro che soggetti a interpretazione.
Era giovane all’epoca; sciocco e malleabile. Non si era reso conto della superficialità con cui quella donna rispondeva ai suoi sentimenti, e delle sue vere intenzioni.
Era stato Balder ad aprirgli gli occhi, prima che fosse troppo tardi: e proprio grazie a quell’episodio, Padre aveva riconosciuto il valore e la lealtà di quello che in seguito era stato denominato Dio della Luce, ovvero della speranza, della verità. Del giusto, del bene.
‹‹Voglio la mia vendetta, Dio del Tuono. Conosci la forza che spinge quando si tratta di un fratello..››
Non rispose.
 
 
                                                                               ***
 
 
Era prona, con parte del volto affondato nel cuscino.
Baciò la sua schiena dal basso, fino a soffermarsi sulla spalla, con la mano le sfiorava la pelle a contatto con le lenzuola. Fece combaciare il tronco al suo corpo, spostando le labbra verso l’incavo del collo, facendola sospirare.
Sospirò assieme a lei, più forte, appagato.
Sussurrò il suo nome, soffiandole nei capelli, facendola rabbrividire di nuovo.
Non hai idea di quanto abbia aspettato questo momento, Anirei.
Questa notte.
Te.
Mentre la fanciulla si girava verso di lui, impensierita e pensosa, si abbarbicò alla sua pancia stringendola con ambo le braccia, la guancia poggiata sul ventre.
Si perse tra le sue ciglia lunghe, gli occhi scuri ma non neri, le onde spaiate dei lunghi fini capelli.
Contò ogni neo riuscisse a scorgere sulla sua pelle, ricordando anche quelli che non rientravano nella visuale. Era assorto, completamente, col suo respiro, che inseguiva; in attesa.
Era l’alba, ormai. I raggi del mattino filtravano attraverso le finestre, diradando le tenebre.
Avevano trascorso la notte sulla pelle dell’altro, ma non sempre nell’atto carnale. Si erano scambiati carezze, perlopiù, su ogni dettaglio del volto, tra i capelli, leggere sui fianchi; e avevano sussurrato qualche parola: chiarimenti, per riunirsi.
Con pochi verbi ella gli aveva detto che una delle metà del Sole di Asgard non rappresentava altro che briciole di cenere spazzate via da ogni sua attenzione; poi gli aveva sfiorato le guance, portando una ciocca corvina dietro l’orecchio: quella sua dolcezza infinita gli dava ossigeno, era acqua fredda sui carboni ardenti dell’anima. Un balsamo sui rovi disastrati del suo essere spolpato.
E ad ogni suo “Vieni”, lui aveva risposto con un “Eccomi” o un “Sì”, di maggiore intensità, soffiandole caldo sulla pelle e ravvivando la scintilla.
Gemeva per entrambi quando le intrappolava le labbra con “Mi sei mancata”“Sei realmente qui”; e gli baciava il volto con amore, con un sussurro sottile e morbido lo riempiva di “Sono tua”.
Il timore di averla immaginata tra le braccia di un altro scompariva come i soffioni che si staccano con la brezza.
Non andartene più. Non lasciarmi solo col riflesso della mia anima mostruosa.
‹‹Loki..››. Chiuse gli occhi, cullandosi come quando era bambino al suono dolce del suo nome, detto da un’altra voce, diversa, ma venata della stessa amorevolezza.
Erano un paio di braccia che lo accoglievano confortandolo; o un sorriso generoso che tentava di fargli spuntare un risata sul piccolo volto, accompagnato da infantili facce buffe.
Un tempo che non gli apparteneva più.
Mosse piano la mano sulla sua pelle calda. Adesso che non c’era più il sigillo, non udivano più la voce dell’altro nella testa: si era trattato di un effetto collaterale di esso dinanzi alle loro fonti magiche.
Ma non importava.
Ti conosco talmente bene da indovinare ogni singola parola che passa per la tua sciocca testolina. Sigillo o meno. Non ne ho mai avuto bisogno, non con te.
Ad ogni movimento delle sue dita tra i capelli di ossidiana sentiva sciogliere il ghiaccio che aveva dentro. Dal profondo del petto risaliva un moto caldo e avvolgente, forte, ad ogni battito, più vero e concreto a mano a mano che tentava di razionalizzarlo nella mente.
Forse anch’io sono soggetto ad un sentimento che mi hanno negato per tanto tempo.
Un sentimento che avevo deciso di seppellire perché faceva troppo male.
Appartiene ad un tempo talmente lontano da credere di non averlo mai provato.
Continuò a guardarla, senza rispondere al suo richiamo. Senza pensieri, mentre contemplava quella sottile sfumatura che le impediva di cadere nelle tenebre; nel sorriso che stava facendo solo per lui.
La vide chinarsi appena, solleticatogli il volto con la chioma, baciargli prima la fronte e poi lo zigomo, la punta del naso. Gli alzava le barriere come fossero state di cartapesta, le sollevava ogni volta che le labbra si staccavano dai contatti gentili.
Si lamentò appena, ma lei continuò, senza alcun turbamento.
Non desiderava rimanere nudo. Odiava la sensazione di impotenza che ne derivava, era frustrante sentirsi indifeso e vulnerabile. Ma non si sognò di allontanarla, né riusciva a cedere al pensiero cattivo, un riflesso di difesa, che gli sussurrava di morderle le labbra a tradimento.
E questa cos’è..? 
Non è resa, non sa di sconfitta..
E' il sapore della.. fiducia..?
Seguì le dita della fanciulla scivolare verso il suo petto, laddove le cicatrici sembravano scomparse, rimpiazzate da una pelle invidiabilmente liscia.
La mia pelle è una maschera. Il Dio dell’Inganno necessitava di una maschera carnale per nascondere anche le mostruosità fisiche.
Dopo aver toccato lo scrigno*, dopo aver scoperto la sua vera orribile cute piagata, la sua ipocrita carne era tornata, rinnovata, coerente nello scopo di coprire ogni deformazione. Nel coprire di conseguenza la sua vera natura raccapricciante.
Le sue dita tracciavano piano solchi di ciò che sembrava non trovarsi più lì. E se anche avesse toccato l’interno del braccio, non avrebbe trovato alcuna cicatrice: anche il suo corpo pareva avesse fatto il possibile per dimenticarla, ma senza riuscirci. Perché poteva nascondere, poteva illudere, poteva mascherare, ma dentro, sotto, sarebbe sempre rimasta la verità, coperta invano da una montagna di nauseanti bugie.
Era sorpresa, pensierosa, lo vedeva. Ma non sembrava in grado di rompere quel silenzio più eloquente di mille parole. Si stava sforzando di comprendere cogliendo le risposte in frasi taciturne.
Sorrise un momento, cogliendo quell’espressione concentrata e buffa, prima di tornare serio e osservarla attentamente, rapito e intento ad studiare ogni sua reazione.
Le sfiorò la schiena con le unghie delle dita, piano e con delicatezza.
‹‹Verrò a prenderti..›› sussurrò con voce roca e stanca, attirando l’attenzione della sua mente, oltre che del suo sguardo distratto.
La vide prendere un respiro come un singhiozzo.
Le mani cominciarono a tremare. E l’ansia arrivò a sottrarre il loro tempo.
‹‹Loki, io.. sono confusa››. Inumidì le labbra gonfie, contraendo le sopracciglia.
Loki la guardò stringendo la bocca, scrutandola con veritiera crudezza. ‹‹Hai scelto, Anirei. Non puoi tornare indietro..››. Chiuse gli occhi, mentre cercava di calmare l’agitazione che non trapelava affatto dal suo volto duro e freddo. ‹‹Non puoi cancellare quello che è stato stanotte..››
Aveva le mani sulla bocca, le sopracciglia verso l’alto. ‹‹Lo so.. mi spiace.. ma in questo momento sono.. confusa..›› abbassò le palpebre, prendendo lunghi respiri.
Rimase immobile, cercava di annullare ogni emozione.
Dovevi aspettartelo. 
Fa male, visto?
Sentire, fa male. Amare, fa male. Fidarsi..
Credevo lo avessi imparato.
 
 
 
‹‹E' tutto pronto?››
Quello annuì, con il necessario tra le mani. Il sigillo si trovava in una piccola ampolla. Con un colorito piuttosto familiare.
Gli era già capitato di vedere un contenitore simile, nascosto tra le pieghe di un paio di coperte lasciate vuote. Il materiale d’argento cristallizzato utilizzato dal maestro doveva appartenere allo stesso liquido che brillava sinistro sotto una coltre di stoffa candida.
Sorrise.
Il cerchio si chiude.**
Si voltò verso Falastur, ringraziando per l’ospitalità e congedandosi.
Chinò il capo e si risistemò il colletto.
Presto sarebbe tornato libero. Presto, avrebbe vinto.
“Fallirai.. è nella tua natura: manchi di convinzione”***
No. Questa volta sarebbe andata in maniera diversa, perché doveva farcela. Voleva farcela.
E tornare, finalmente vittorioso.
Un’amara smorfia gli solcò invisibile le labbra sfrontatamente provocatorie.
Che senso avrebbe davvero avuto tornare o vincere, se non c’erano le braccia ad attenderlo, non i baci, non le carezze? Il suo orgoglio nel vederlo camminare fiero?
Non tu..
Lanciò un’occhiata diffidente all’uomo e gli fece cenno di precederlo alla porta.
Ci avrebbe pensato in un secondo momento. Ora era tempo di focalizzarsi sulle priorità.
Si fermò dopo un passo, consapevole, prima ancora che lo facesse il maestro.
Fermò il piacere nel petto con un gesto fisico, tenendosi le mani dietro la schiena. Disegnò il sorriso più malevolo e strafottente che fosse mai riuscito a fare.
Si voltò. ‹‹Ma bene. Cosa sei venuta a fare qui?›› alzò teatralmente un sopracciglio. ‹‹Hai già cambiato idea, e vuoi augurare a due prodi guerrieri la migliore tra le sorti?››
La fanciulla lo affrontò senza abbassare gli occhi, ma alle sue parole strinse le labbra. ‹‹Non andare››
Anirei, basta. Basta rifiutarmi e poi mostrarmi la tua preoccupazione.
Prendi una decisione definitiva, e liberaci da questi inutili sentimentalismi.
Rise appena, mostrando i denti. ‹‹Non hai nessun patto da offrirmi?››. Fece spallucce, aiutato dalle mani. ‹‹L’offerta riguardante il figlio di Odino è sempre valida.. e interessante..››
La vide irrigidire le braccia, con decisione. ‹‹No››
Gorgogliò, divertito. ‹‹No..?››. Le si avvicinò, soffiandole sul naso. ‹‹E allora cosa proponi?››
La sua espressione tradiva tanti, troppi sentimenti, si mise a contarli, uno ad uno, gustandoli con avido desiderio. Enumerò anche i battiti delle sue ciglia.
Anirei prese un profondo respiro, tese il braccio verso di lui, offrendogli il palmo della sua mano.
‹‹Fallo per me. Rinuncia››
Una richiesta. Dura. Ardua. Un sacrificio.
E perché dovrei farlo? Cosa ci guadagna il Dio dell’Inganno? Nulla..!
Era orribile. Orribile leggere negli occhi le sue sensazioni, rievocare quei suoni supplicanti eppure decisi. E rievocare la frustante consapevolezza della verità delle parole di quella strega.
“Per quanto possa amarti, non ti vorrà mai. Perché sei un mostro, e con i mostri nessuno vuole averci a che fare.”****
E io sono in verità un mostro. Un mostro che si cela dietro una maschera di carne, di impassibili espressioni, di crudeli parole.
Un mostro che nessuno ha mai voluto e nessuno vorrà più.
 
 
 
*:Chiaro riferimento allo “Scrigno degli Antichi Inverni” del primo film; nella mia storia, poiché la pelle “umana” di Loki è un puro rivestimento superiore, quando essa compare nuovamente si stende come nuova (ripeto, mi riferisco alla mia storia, non ho la più pallida idea di come si comporti in realtà).
 
**:Piccolo chiarimento: i due liquidi argentei, sono simili per presentazione (colore) e funzione (combattere il seiðr). La differenza fondamentale riguarda la pesantezza dell’effetto: quello di Odino toglie definitivamente le capacità magiche, il sigillo le blocca soltanto.
Il colore è simile perché la sostanza usata alla base delle due pozioni è la solita.
 
***:Citazione dell’agente dello S.H.I.E.L.D. Phil Coulson nel film “Avengers”
 
****: Il significato intrinseco della frase pronunciata dalla dea Lorelei nei capitoli precedenti: “Se lo ucciderai, il suo cuore ti verrà negato per sempre”







*******

Ehilà!:)
Grazie per aver letto un altro di questi sempre più lunghi capitoli (giuro, mi ci impegno, taglio roba, ma vengono comunque spropositati). In ogni caso, torniamo a noi. Thor ha finalmente liberato Lorelei, ed è in procinto di fare ingabbiare il nostro Loki, il quale, poverino, deve riparare a molte - troppe - cose. Gli servirebbe una vacanza. 
Anirei intanto comincia perlomeno a districarsi tra i nodi della propria ansia e, nonostante non sappia da che parte battere la testa, almeno inizia a risalire verso le radici della sua angoscia (o pare solo a me? Insomma, dal capitolo sesto, da quando ha incontrato D.D., un po' di miglioramento c'è stato, no? NO? *Anirei in fondo alla stanza mi tira un pianoforte in testa, atterrandomi sulla tastiera... ajhkhskja*).
Come sempre, ringrazio moltissimo tutti coloro che mi seguono, hanno la storia tra le preferite o le ricordate, e chi mi lascia le recensioni (*Comincio a ballare sul tavolo al suono di questa parola*) o chi semplicemente legge.
Grazie mille a tutti, spero davvero che questo capitolo sia stato di vostro gradimento!
Ali

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** CAPITOLO ***


‹‹Cosa significa..?›› proruppe Volstagg abbandonando la coscia di pollo nel piatto per poi riprenderla subito in mano. ‹‹Cosa ci fa lei qui?››
Sif fu la prima a estrarre la spada, seguita a ruota da Hogun, che teso si portava sull’attenti. Fandral invece piegò il capo con un sorriso lungo.
Il Dio del Tuono portò un braccio davanti alla dea dalla chioma rossiccia, un gesto spontaneo per coprirla da eventuali assalti. ‹‹Aspettate, miei valenti guerrieri ed amici››. Respirò con calma. ‹‹Conosciamo il luogo in cui si mostrerà. Lo coglieremo di sorpresa››
Non c’era bisogno di nominarlo; lo capì dalle loro espressioni indurite e attente.
La dea dagli occhi blu quasi soffiò in direzione dell’altra donna. ‹‹Colei che porti con te è per caso tornata per visitare le prigioni?››
Lorelei sorrise, portandosi i capelli dietro le spalle. Ma sembrò risparmiarsi commenti.
‹‹Rinfodera la tua lama fatale, cara lady Sif›› la invitò Thor, con gentilezza ferma; ma la dea non si lasciò persuadere. Non si fidava della strega dalla notevole nomea: e ne aveva ben donde.
Fandral le si avvicinò baciandole il dorso della mano con complimenti poco appropriati per la situazione, al che la guerriera sfiorò un ringhio, una smorfia di disgusto sul bel viso. Thor la osservò a lungo, fino a quando ella non sciolse il suo astio cieco, senza però abbandonare la distaccata diffidenza, il fine sguardo felino rivolto alla donna che lo affiancava, che continuava a diffondere tensione nell’aria con i suoi modi esasperanti: tocco di capelli, di guancia, di labbra, tutto ciò che avrebbe potuto attrarre le attenzioni di un uomo.
Abbassò la guardia, ritirando il forte braccio, sicuro che nessuno avrebbe osato sfiorarla.
‹‹Che cosa vuole, questa volta?›› domandò legittimamente il Leone di Asgard* ricominciando a masticare la carne e staccando grandi morsi, incurante di sporcarsi l’elegante casacca rosso bordò.
Bella domanda, amico mio. Questa volta non abbiamo il benché minimo indizio, a parte un sigillo dalla dubbia utilità.
‹‹Le sue intenzioni ci rimangono ancora oscure››. Li guardò con determinazione. ‹‹Ma Odino non è ancora stato trovato, e abbiamo bisogno che Loki sveli le sue sorti, al più presto››.
A volte si chiedeva se avesse avuto il fegato o, semmai, il cuore di ucciderlo. Era suo padre, dopotutto, o lo era stato quantomeno, una famiglia, le sue vere origini non contavano.
Non sarebbero mai contate, ne era certo; sarebbe sempre stato un figlio.
Suo fratello.
Avevano passato insieme l’esistenza: come avrebbe potuto una simile scoperta recidere l’affetto che li legava?
Credi che mi provochi ribrezzo la verità sulle tue discendenze?
Tu non sei un mostro, Loki.
O almeno, non lo sei per quanto concerne le tue origini..
Incollò gli zaffiri sull’elmo d’argento che tante battaglie aveva affrontato.
Un elmo che aveva assistito silente ad un fratello poco sveglio e assente nei momenti di sofferenza, una sofferenza taciuta nel simbolico silenzio di un ragazzino che chiedeva solamente di avere una possibilità.
Una possibilità di riscuotere l’orgoglio dagli occhi di un padre sempre troppo impegnato, sempre troppo duro, sempre troppo freddo. Una possibilità di leggere nei suoi zaffiri e negli specchi del mondo un benché minimo segno di fierezza nei propri confronti.
Un ragazzetto dalla carnagione pallida, due occhi verdi, lisci e appuntiti capelli corvini che lo guardava con un vago rossore disperso sulle guance; aveva i pugni chiusi e l’espressione di chi vorrebbe esplodere dalla rabbia, mentre lui si massaggiava le spalle acerbe dell’uomo che sarebbe diventato di lì a pochi anni, senza la decenza di alzare lo sguardo e parlargli in viso.
“Ha ragione Madre: sei troppo gracile per combattere all’arena. Sif che è una femmina è più forte e veloce di te. Se soltanto ti impegnassi di più, forse..”
Thor espirò, acuendo lo sguardo sull’elmo, cercando di dimenticare l’immagine che aveva davanti agli occhi.
Era stato cattivo, a volte crudele, lo ammetteva; ma non lo aveva mai fatto col desiderio consapevole e volontario di ferirlo: era un bambino prima, un adolescente poi, che aveva i propri pensieri e le proprie magagne, le glorie, la voracità affamata, il brivido che cominciavano a istigargli le ancelle ridenti per il castello o ai bordi del campo; che gli innescava Sif in particolare, con le sue movenze, le sue forme, il suo profumo.
Da uomo, non credeva che Loki soffrisse ancora per quello che era oramai un passato secolare, un presente di invidia nascosta, anzi; probabilmente, nemmeno gli era passato mai per l’anticamera del cervello di avergli fatto del male.
Fino a quando..
Beh, fino a quando non aveva inviato il Distruttore su Midgard. **
Strinse i pugni, fulminando la stanza, ricordi truci e dolorosi.
Però non era giusto.
Non era stato un mero fallimento di fratello, Loki non poteva ricordare solo gli episodi negativi.
Io ricordo ogni volta in cui sono corso a proteggerti dalle angherie, senza il desiderio di voler conoscere il vero colpevole, o delle volte in cui passavamo le notti insieme perché avevi paura dei mostri delle storie che ci raccontava Madre.
Loki si rifiutava di riconoscere quei momenti di luce, di affetto; sembrava averli completamente dimenticati. Forse erano pochi, forse il dolore e la sofferenza erano stati più profondi.
Tuttavia non poteva vivere accusando il mondo, comportandosi come la vittima del destino, la persona più sfortunata dell’universo: c’erano degli spiragli di luce, nella sua vita, e se non voleva raccoglierli, se non voleva guardarli, era colpa sua.
Non poteva sfogare il suo rancore su chi non aveva colpe, non poteva comportarsi in maniera così infantile e vittimistica.
Più volte aveva invano domandato perdono; bensì il Dio dell’Inganno aveva calpestato il suo affetto come fa uno stivale con unaformica.
Affondò le dita tra i propri capelli biondi, spostando una piccola treccina dietro la spalla, intanto cercava di riconcentrarsi sul presente.
‹‹Il maestro non te l’ha detto..?›› era stato di nuovo Volstagg ad avanzare la domanda, questa volta verso la strega. Lorelei alzò un sopracciglio, continuando a rimanere in silenzio.
‹‹Ti hanno tagliato la lingua?›› ironizzò la guerriera dai lunghi capelli corvini raccolti in una folta coda alta.
Intervenne. ‹‹Le ho ordinato di tacere all’interno del palazzo; parlerà soltanto quando lo permetterò››. Una piccola e banale accortezza, ma sicuramente efficace per evitare eventuali incidenti di percorso.
‹‹Verrà con noi?››
Si voltò verso Hogun. ‹‹Sì. Ho accordato di non avanzare arresti o catture nei suoi confronti››. Come dicevano su Midgard: tenersi stretti gli amici, ma ancor di più i nemici.
Scese un silenzio carico di riflessione.
Thor aspettò, cercando di mostrarsi paziente: sapeva che i suoi amici più fidati non lo avrebbero abbandonato, sapeva che lo avrebbero seguito in capo al mondo, se necessario. Li guardò negli occhi, uno per uno, scorrendo sulle loro facce familiari e care; aveva trascorso con loro quasi tutta la sua lunga vita millenaria, condividendo sogni, lotte, fango, sudore e sangue, birra e risate; si fidava più dell’ardore e dell’amicizia che li legava, che di se stesso. Incrinò appena la sua espressione decisa. Credevo di conoscere anche Loki, e invece..
Fandral si alzò di nuovo dalla sedia, sistemandosi il ciuffo con un deciso tocco della mano destra. ‹‹Cosa stiamo aspettando?››. A ruota si alzarono tutti gli altri. Anche lady Sif.
Le sorrise, grato, la dea rispose con una complicità riflessa nelle labbra stirate. Ancora rivedeva ogni motivo della sua vecchia passione, se ragioni per l’amore occorrono.
‹‹Dove ci conduce questo ennesimo intrigo?›› si stiracchiò il guerriero dalla folta barba rossa, riccia e ben ordinata in tantissime trecce, appoggiando l’osso perfettamente pulito nel piatto.
‹‹Svartalfheim››. Tutti si dettero un’occhiata meravigliata, se non disorientata, mentre lo spadaccino si interrogava ad alta voce:“Crede che ci sia ancora un trono da conquistare su quella terra morta?”.
Non aveva tutti i torti: se il dio voleva un trono, quello di Svartalfheim, una terra caduta, un popolo annientato, non rappresentava un’offerta allettante.
No, doveva esserci altro.
‹‹Un motivo in più per non abbassare la guardia›› decretò asciutto. Guardò poi attentamente i quattro amici, con un’espressione grave e seria, solenne. ‹‹Ho una grandissima e onerosa richiesta verso alcuni di voi››. Mise la mano sulle spalle di Hogun e di Fandral. ‹‹Ho bisogno che restiate qui, a palazzo. Non vorrei che qualcuno si approfittasse di una difesa sguarnita... o che sia Loki stesso, a farlo, in seguito ad un diversivo di false informazioni››
‹‹Sarebbe da lui›› commentò con lapida accortezza Hogun, mentre lo spadaccino dava un poco abbattuto un bacio d’addio sulla mano della strega, suscitando nuovamente il fastidio dell’altra donna. Annuì, congedandosi dai due guerrieri, ai quali aveva appena affidato il comando del regno in vista della sua assenza.
Il Dio del Tuono si avviò subito sulla strada per il Bifröst seguito dagli altri tre dèi. Incrociò più volte lo sguardo con quello deciso e fiero di lady Sif, ritrovandosi a scambiare piccoli cenni d’intesa, sorrisi complici. Secoli persi nel tempo si era distinta come la più bella e feroce guerriera di tutto il regno. Lo era ancora, se non più temibile e splendida.
Lorelei intanto si trovava dietro di loro, marcata stretta da Volstagg; stranamente, non sembrava ricercare il centro dell’attenzione che tanto bramava, era insolitamente calma e tranquilla, il che la rendeva un soggetto pericoloso al di là della sua ammaliante e incantevole bellezza.
Stava sicuramente architettando qualcosa – esattamente come faceva Loki, quando se ne stava muto per troppo tempo. D’altronde, era stato proprio lui il suo principale maestro: un motivo in più per tenerla costantemente, in maniera febbrile e attenta, sotto controllo.
La cupola dorata del Bifröst si ergeva magnifica sull’oceano dai riflessi di cristallo, la punta verticale che indicava il cielo iridescente di Asgard. Il sommo guardiano si trovava sull’uscio dell’entrata, pronto a riceverli, la spada a riposo, le mani sull’elsa, gli occhi di miele persi nella volta dell’infinito universo.
Heimdall piegò il capo dinnanzi alla sua figura, dinanzi a lui, Thor, sovrano reggente.
Temporaneo, cercò di convincersi. Le Norne sapevano quanto adesso gli costasse ciò che aveva sempre desiderato.
‹‹Svartalfheim›› ricapitolò uscendo dai propri distanti pensieri.
Al solito, si posizionarono, l’uno alla stessa distanza dell’altro, la spada del guardiano levata, pronta per attivare il portale; la breve attesa che anticipava ogni viaggio.
La voce potente riverberò all’interno della cupola, confondendosi con l’incastro della lama nel tronco d’oro.
‹‹Basterà chiamare››
Fu un attimo, al solito.
La luce accecò i loro occhi, le membra provarono per l’ennesima volta la sensazione di partire e volare lontano, di scindersi e ricomporsi, sovrapporsi e smaterializzarsi.
E poi vennero la tipica nausea, il giramento di testa, lo smarrimento dovuto all’assenza momentanea e improvvisa di un terreno sui cui appoggiare i piedi.
Non ci si abituava mai.
La fulgore si spense in un attimo, lasciando immersi i suoi zaffiri nell’oscurità di una terra buia e grigia, spenta di vita e colori, spogliata di qualsiasi dignità.
La stessa landa desolata in cui aveva compianto il falso trapasso di suo fratello.
Ancora uno squarcio al petto gli ricordava il dolore straziante che aveva provato per la seconda morte, peggiore: non era riuscito a salvarlo, di nuovo, ma quella volta gli era ceduto tra le braccia, un perdono spento sulle labbra, la pelle a mano a mano più nera e cadaverica.
Non hai un briciolo di vergogna, fratello, per avermi dato una pena così terribile?
‹‹E' questa la fine che ha fatto la nave di Malekith?››
Un labirinto semovente al soffiare del nulla. Non c’era un alito di vento, su quella terra, e quando si percepiva il movimento dell’aria, si doveva star sicuri che si trattava di due cose: o un essere vivente che cammina straziato sui ciottoli di un terreno divenuto infertile o l’arrivo di un tifone.
Perché Svartalfheim, in seguito alle guerre, era divenuta  terra morta.
Inspirò lentamente, spaziando lo sguardo: erano terribili le condizioni in cui riversava il pianeta; non che avesse mai conosciuto una realtà diversa. Quando Thor era nato, esso già si decomponeva.
Non sapeva perché, eppure aveva avuto da sempre l’impressione che si stesse mangiando, distruggendo se medesimo, come volesse guadagnare un ultimo barlume di gloria e onore nel suicidio, dopo che gli era stata portata via la vita.
Si addentrarono tra i detriti, le macerie immobili e all’apparenza centenarie, se non millenarie, di una nave caduta appena pochi mesi prima. Il terreno di ciottoli e polvere non cambiava mai colore, sempre scuro e tetro, tantoché, se non fosse stato per il mezzo dislocato, sarebbe stato facile perdersi.
Dove sei, fratello?
Un posto, forse, indice e rappresentante dello stato della sua anima.
‹‹Dividiamoci›› suggerì incontrando lo sguardo d’intesa di Sif e Volstagg. ‹‹Non sappiamo che cosa stia cercando o facendo, ma non possiamo perdere troppo tempo››
Si voltò prima in un verso, poi nell’altro, spostando il mantello rosso porpora, morbido, con un braccio.
Il sangue gli si gelò nelle vene.
Lorelei era scomparsa.
‹‹Dannazione..›› imprecò a denti stretti, contornato dalle maledizioni degli altri due guerrieri. ‹‹Dove è sparita..?››
Si guardarono intorno, notando solo i detriti neri della nave, tanto immensi quanto minuscoli.
Che le è preso..? Perché se n’è andata?
Cercò di far riacquistare la calma a lady Sif, che sembrava frustrata per essersi fatta sfuggire Lorelei da sotto il naso, in maniera così sciocca.
‹‹No, Thor. Io vado a cercarla››. Provò a farla ragionare, tuttavia invano, quando la dea si metteva in testa una cosa, era impossibile dissuaderla. ‹‹L’ho già affrontata una volta, so di cosa è capace››. Sorrise ‹‹Qui non ci sono uomini alle spalle dei quali ripararsi››
Si morse le labbra. Continuava ad avere la sensazione di uno strano dejà vu da quando erano arrivati; accordò comunque la sua decisione, sapendo che non sarebbe riuscito a fermarla in ogni caso, e la donna scomparve dietro un nero pannello.
‹‹Volstagg..›› sospirò, massaggiandosi il polso della mano che recava Mjölnir. ‹‹Restiamo uniti, e orecchie aperte. Se Sif avesse bisogno di aiuto..›› fu interrotto dall’amico che si premeva l’indice sulla bocca, intimandogli di fare silenzio.
‹‹Thor, c’è qualcosa di sinistro›› sussurrò il Leone di Asgard guardandosi attorno. ‹‹Lo sento nella pancia..››
Sorrise alle parole del guerriero, per poi tornare immediatamente serio. Allora non era il solo.
Non dirmi che..
 
 
                                                                                     ***
 
 
Svartalfheim.
Terra oscura e lugubre, terra di morte e distruzione. La tomba perfetta per il Dio dell’Inganno e del Caos: no?
Si fece spazio tra i detriti dell’enorme scheletro della nave dei Dökkálfar, che ne aveva seppellito il re come un monumento dal macabro sarcasmo. Seguito in fervido silenzio dal maestro, proseguiva per una strada che aveva imparato piuttosto recentemente – ancora ricordava in maniera distinta la ferita che si era provocato sotto il collo, il giorno addietro, cercando sotto quei rottami neri e di polvere – che lo avrebbe condotto verso gli ultimi residui della fonte di energia della gigantesca nave, la cui potenza necessitava per squarciare il velo dimensionale che lo divideva dalla pericolosa e incombente minaccia. Da lui.
Da Thanos.
Freddò i brividi meccanici che gli correvano sotto la carne divina al più vago eco del sofferente terrore gettatogli addosso, con le peggiori torture fisiche e psicologiche mai attuate dai viventi.
Debole. Piegato. Innocuo. Marionetta della più temibile delle creature.
Era stato raccolto come un rifiuto che galleggia nella melma della sporcizia, e poi pestato, più e più volte, fino a farlo sprofondare nel punto più basso e misero del suo essere, gli occhi e le labbra colmi di umiliazione, sapore di fremente sconfitta.
E di vendetta verso coloro che tanto profondamente nell’oscurità l’avevano annegato.
Dolore. Nero. Dolore. Rosso.
Lacrime di vergogna dinanzi alla nudità delle sue emozioni.
“Lui ti conosce. Ti conosce come mai nessuno potrà mai. Non riuscirai a nasconderti dalla sua mano”
Nessuno poteva comprendere. Nessuno poteva immaginare l’orribile e opprimente sensazione che il suo aguzzino gli soffiava sulle spalle facendolo tremare dentro.
Nessuno poteva realizzare il dolore il e terrore da lui provati.
“Credi di conoscere il dolore..?”
Scosse leggermente la testa, facendo slittare gli smeraldi freddi verso la propria sinistra.
Senza quella piaga che gli rubava il sonno, sarebbe tornato a mostrarsi alla luce del sole, pronto a rivendicare in ultimo ciò che gli apparteneva.
E lo avrebbe afferrato.
Affondò lo sguardo tra le macerie, giungendo finalmente, davanti a loro una lunga colonna scheletrica, all’interno della quale, contenuto in un materiale molto resistente, scorreva il midollo di energia che sosteneva l’enorme mezzo, mischiato all’Aether***, rifugiatosi in quel tubo nel tentativo di sopravvivere dopo la morte del vecchio proprietario.
Rivolse stancamente la mano al maestro, che gli allungò l’ampolla col famigerato fluido argenteo; lo osservò contro la fioca luce spenta, morta, polverosa, che strisciava il cielo di quella landa desolata, quasi non avesse nemmeno il coraggio o la buona educazione di sfiorarlo.
E' tempo.
Tempo per la liberazione.
Tempo per la vendetta.
Tempo per la rivincita.
Tempo per la felicità.
Finalmente il suo tempo.
Aprì il contenitore di vetro, imbrattandosi le mani col luccichio di cristallo grigio e bianco, disegnò attentamente, con la prontezza e la pazienza di un cacciatore, la trappola, la tagliola che si sarebbe chiusa attorno alla gamba, attorno alle abilità di un nemico tanto sicuro di sé.
Non sbavò il contorno di alcuna runa, né quando chiuse il cerchio argenteo credette per un secondo di aver compiuto errori o imprecisioni.
Il seiðr fluiva in lui più naturalmente che in qualsiasi altro essere. A mano a mano che incrementava i propri poteri, si accorgeva di come la barriera che divideva esso dalla sua anima e dal suo corpo si assottigliasse, rendendoli una cosa sola ed unica.
Gettò uno sguardo in tralice sul suo meticoloso lavoro, sicuro e soddisfatto.
La voce del maestro rovinò quel momento di supremo assaggio.
‹‹Per squarciare il velo bisogna che un’altra ingente fonte di energia collida con quella qui presente›› accennò con i suoi occhi vispi in direzione della colonna di metallo, le braccia incrociate che creavano parecchie pieghe nella sua elegante tunica chiara. Faceva un gran bel contrasto con il terreno bigio del pianeta.
‹‹Lo so›› si limitò a rispondere, pulendo i palmi gli uni contro gli altri, lentamente, con un sorriso eloquente stampato sul volto affilato.
L’energia che sosteneva la nave madre si era indebolita in seguito alla disfatta, ma il materiale energetico fluido che si stava nutrendo di essa rendeva l’intero sistema altamente potente, quasi pronto a collassare. “Quasi” perché aveva raggiunto un livello di stabilità incredibile, che solo qualcosa di parecchio rilevante avrebbe potuto sbilanciare.
Tra poco avrò tutto quello che mi occorre.
‹‹Sarà molto delusa quando scoprirà che sei venuto meno al patto››
E dunque? Non sarebbe cambiato niente. Niente.
Aveva provato a combattere le sue paure, aveva provato ad accollarsi le colpe, aveva provato a metterla sulla riga dell’ultimatum.
Ma sembrava non aver fatto alcun passo al di là si se stessa.
Io ce l’ho messa tutta, Anirei.
La scossa dei suoi muscoli gli fece alzare, quasi selvaggio, il labbro superiore, una smorfia lieve, che nessuno sarebbe mai riuscito a notare. La nascose comunque con un sorriso ben piazzato.
‹‹Oh, certo, sempre se verrà a saperlo..››. Finì di pulirsi le mani, con calma, senza guardarlo.
Dopotutto, anche il maestro che Anirei tanto ammirava aveva i suoi oscuri segreti, che presumeva non si fosse sognato nemmeno di rivelarle; o, chissà, magari non si era nemmeno reso conto degli occhi brillanti carichi di adorazione verso la sua persona. Peggio per lui.
Grattò il rimanente fluido che aveva sul dorso della mano sinistra, si passò la lingua sulle labbra, concentrato. ‹‹C’è stata una fuga di notizie, sai..?›› quasi si graffiò la pelle ‹‹Ma non preoccuparti, so anche che non sei stato tu a passare le informazioni che mi riguardano››
Sospirò teatralmente, lascivo. Era stata Bessyn, la pedina più malleabile e prevedibile, il Dio dell’Inganno l’aveva giocata esattamente sulla casella che aveva già programmato per lei.
Se avesse dovuto scommettere, avrebbe anche immaginato le parole di scambio tra le due donne dalla chioma rossa, le finte parole di convincimento di Lorelei: “Voglio vendicare mio fratello, portando via la persona a lui più cara. La ucciderò io, ma in cambio devi rivelarmi il luogo e il momento in cui abbasserà maggiormente la sua guardia su di lei”.
Piano rozzo e grezzo, ma funzionale e pratico; se soltanto Loki non avesse chiuso temporaneamente ogni portale che conduceva ad Alfheim.
Bessyn, Bessyn, Bessyn.. sei caduta esattamente nella mia trappola.
Sbadigliò, eccitato e pronto; presto anche le altre pedine avrebbero preso il proprio posto, lo stesso che lui aveva anticipatamente designato per loro.
Erano tutti sempre così prevedibili. Talvolta era quasi noiosa la facilità con cui le persone amavano essere raggirate. Era convinto, Loki, che in realtà a tutti piacesse vivere nell’illusione e nella menzogna che copre le menti, che ci fa vivere in un mondo immaginario idilliaco, spesso parecchio divergente dalla realtà, una difesa contro la cruda realtà della vita, piena di sofferenza e morte, caos: lo stesso Thor, ad esempio, che si vantava del suo protettorato su Midgard, non aveva mosso un dito per impedire agli umani di uccidersi tra loro come cellule impazzite. Asgard, muoveva guerra ad ogni minimo accenno di ribellione, abbandonando le sue morbide e false vesti di tolleranza e pace, e scoprendo le sue vere, guerrafondaie, assolutistiche, forme.
Se il dio avesse avuto la possibilità di governare, avrebbe eliminato gli elementi più deboli e corrotti, per portare una pace e una ricchezza senza tempo, piena di leggi e giustizia, un ordine puro e inviolabile. Una nuova epoca d’oro per i veri Dèi, che non avrebbero più piegato il capo dinanzi al trono di un Dio che aveva preso possesso delle loro vite senza che potessero avere voce in capitolo; era anche per questo, che considerava Odino un debole.
Nessuno avrebbe potuto governare meglio di Loki da Asgard, Dio dell’Inganno e del Caos. Ne era sicuro.
Abbastanza.
“Ti ritieni superiore a loro, fratello? Ti sfugge il vero senso della parola “governare”.. è per questo che non sarai mai re”****
Riordinò i capelli mossi sulle spalle, dando una spolverata ai pantaloni scuri.
‹‹Immagino quindi che tu conosca anche gli eventuali piani nel remoto caso in cui tu non tenga fede anche al nostro, di patto›› gracchiò l’uomo dalla barbetta ispida guardandolo fiso e pensoso.
‹‹Può darsi›› commentò vago. ‹‹Come suppongo che tu conosca le mie vere intenzioni›› gli lanciò un’occhiata dura e sprezzante; decisa e perforante. Alzò un sopracciglio, un angolo della bocca ‹‹Non la lascerò certo andare con gente come voi… ma questo presumo tu lo sapessi già››
‹‹Hai chiuso i portali›› ovviò.
Già. Due piccioni con una fava.
Il maestro irrigidì la muscolatura, ma l’espressione inizialmente contrariata si distese in una tranquillità quasi sovrannaturale. ‹‹Hai intenzione di uccidermi? Non gradirà affatto..››
Loki avrebbe voluto davvero incenerirlo con gli occhi. Lui e la sua filosofia, le sue macchinose psicologie: tutto il suo aspetto, tutto lui, non riusciva a sopportarlo.
Come aveva fatto a lavorarsela così bene, la sua Anirei? Era un uomo a dir poco insopportabile!
‹‹Credi che tirarla in mezzo possa proteggerti da me?››. Chiuse gli occhi a fessura, sibilò ‹‹Dalla serpe argentea che tutti temono per la sua inumana spietatezza?››
Un fischio, un rombo.
Alterazione magnetica della zona, un lampo che si spandeva nel cielo, intenso ma breve.
Sorrise beffardo, alzando un angolo della bocca, guardando il cielo buio. ‹‹Ecco che sono arrivati gli ospiti d’onore. Possiamo dare inizio alla festa››.
L’inizio di una grande impresa.
Accovacciatosi, protesa una mano verso il terreno, accese le rune col proprio seiðr, facendo brillare ciascuna di una tenue luce azzurro-violacea. Il sigillo era pronto, ora bisognava solo creare un disequilibrio della natura spazio-temporale del pianeta. 
Si alzò; volse i palmi verso il cielo prima di mimare un gesto diretto verso l’alto, verso il cielo perennemente al tramonto, sempre più fioco, esattamente come il pianeta cui apparteneva.
La terra cominciò a tremare sotto i loro piedi, il pianeta sembrò prendere vita, scosso nelle sue stesse fondamenta. Un terremoto generato da un’orribile creatura, e non dalla natura oramai immobile e morta di un mondo sconfitto e condannato alla lenta distruzione del tempo che al contrario sembra non esistere dove tutto è fisso, bloccato, fermo.
Il tremore si fece progressivamente più intenso.
‹‹Mi sento profondamente misericordioso, oggi.. vattene, e riferisci che non si può ingannare il Dio dell’Inganno: non lo si può allontanare da ciò che brama››
Un terribile sibilo si confuse nell’aria ora ammantata di soffocante polvere, ora cieca come il cielo al più basso dei suoi tramonti.
 
 
 
Si immerse nel labirinto di macerie, mentre l’urlo della bestia lo avvisava dell’avvistamento delle prede nemiche.
Rumore di passi sulla terra nuda, circospetti e quasi silenziosi, ma mai come quelli del Dio dell’Inganno che tesse nell’ombra silenziosa.
Sapeva che lo stava cercando, la rabbia negli occhi blu, la gelosia nel tremore delle mani. La spada vibrava di frenesia.
Mi stai cercando, cara lady Sif. Vuoi il conto, non è così?
Il conto per averla allontanata dal cuore dell’amato; per averla umiliata nell’oro perso dei suoi boccoli biondi, ciocche tagliate malamente, scomposte e disordinate sul pavimento intarsiato. Un urlo di orrore all’alba di un tempo ormai lontano.
Un ringhio celato in una bocca dai denti serrati dinanzi alla cruda reazione: sì, Loki ne aveva pagato in parte il prezzo, ma aveva ottenuto quel che più gli premeva.
Thor ha difeso me. E non te. Mi ha preferito a te.
La dea tagliava l’aria con lo sguardo, zampillando lentamente le pupille blu in ogni direzione, indecisa se correre dalla bestia o continuare nella meticolosa ricerca di un dio che disprezzava forse più di chiunque altro: sapeva che era vicino.
Piatto e intoccabile come un’ombra, scivolava sul terreno morto di sabbia, sotto i suoi stivali, dietro la chioma nera di imbroglio*****, sulla sua schiena. Le sfiorò un boccolo, lanciandolo come un soffio nell’aria. Schivò il suo pronto attacco.
‹‹Avanti! So che sei qui. Mostrati!›› ringhiò come una cagna pronta ad azzannare il corvo. ‹‹O preferisci destrarti nei tuoi soliti inganni, come il vile e codardo che sei?››
Non disse nulla, rotolò in silenzio vicino alla punta della sua spada, toccandola appena, l’impazienza frustante della guerriera. Quando la lama toccò il terreno, il Dio degli Inganni era già fuori portata. ‹‹D’accordo›› sorrise arrogante la donna, mostrando i denti ‹‹riuscirò a farti baciare la terra lo stesso, come ogni buona volta in cui ci siamo affrontati››. Oh, ma io ero ancora un debole ragazzino appena iniziato al seiðr. La stessa voce di due bambini spaventati dinanzi alle storie della madre, che raccontava le grandi imprese del marito, della grande battaglia in cui aveva perso l’occhio, arrivò pungente e affilata più di un ago.
Mostro. Sei un mostro.
Lady Sif si guardò intorno, la guardia tesa e attenta. ‹‹E quando sarai ai miei piedi, confesserai tutte le trame losche che stanno consumandosi alle nostre spalle››.
Rise.
Rise fuori di sé, non preoccupandosi di far rilevare la propria posizione. ‹‹Oh, la mia cara Sif, sempre vigile e sveglia, non le sfugge mai nulla!››
La donna, orecchie come antenne, gettò uno sguardo prima alla sua destra e poi alla sua sinistra. Loki le si avvicinò di soppiatto, sempre slittando inconsistente sul terreno sbiadito. Anche su di lei si disegnò un sorriso tagliente. ‹‹Non sai da quanto aspetto l’occasione per ucciderti..››. Si voltò improvvisamente all’indietro, slabbrando l’aria.
Sbagliato.. !
L’ombra prese consistenza, una mano si rese visibile nell’aria, e andò a chiudersi sul collo della donna, un calcio sul retro delle ginocchia, colluttazione cruda: la dea finì con la schiena sul terreno, impedita nei movimenti dalla mano di Loki che le stringeva i polsi stritolandoli. Il ginocchio le schiacciava l’addome, impedendole di respirare e, al contrario, facendole venire la nausea. Le altre falangi le collidevano il sottile collo.
‹‹Ah-ha. Mi deludi, mia cara Sif: non ci sei arrivata nemmeno lontanamente vicino››
‹‹Sei soltanto un viscido verme! L’appellativo di serpe  è sin troppo dignitoso per un dio senza onore e amorale come te!›› provò invano a liberarsi dal morso della sua bocca di serpente, mentre la terra vibrava di nuovo sotto i movimenti dell’enorme bestia.
Loki piegò la testa, stirando le labbra soddisfatto e gravando ancor più sul suo addome. ‹‹Cosa penserebbe il figlio di Odino vedendoti sconfitta da una.. nullità? Non credi che rimarrebbe amaramente deluso dalla tua facile disfatta..?››.
La donna ringhiò, divincolandosi come un inarrendevole  e irragionevole cane abbattuto. Lo guardò negli occhi, comunicandogli tutto il suo disprezzo.
Il disprezzo per il mostro che sono.
‹‹Io so, Dio dell’Inganno, conosco la tua debolezza. Io so››
Loki fremette le labbra, rabbrividendo di gioia come una corda elastica tesa e lasciata andare. ‹‹Oh, immagino. Tu non sei una testa dipentapalmo come il Dio del Tuono. Oh, tutti sanno che a Sif la guerriera, la lama letale, non sfugge niente››. D’altronde, c’era un motivo per cui ad Anirei aveva proibito di vedersi troppo spesso, a palazzo, fuori dalle stanze. E gli occhi della donna che giaceva inerme sotto la sua potenza, non erano gli unici. Abbassò la testa, assieme alla voce. ‹‹E per questo io la ricompenserò con una più che giusta rivelazione››
La guerriera non mosse un muscolo, guardandolo fisso negli specchi freddi. ‹‹Thor non sarà mai tuo, nemmeno quando la sua mortale soggiacerà alla sua inutile e debole natura finita.. ci sarà sempre l’amore per quel ridicolo pianeta a dividervi››. Gorgogliò, assottigliando il suo sibilo, mentre ella distoglieva lo sguardo, sofferente per la profonda verità delle sue parole ‹‹Sarebbe stato meglio per te che succedessi nella conquista di quel che ha di più caro››
Thor non ci preferirà mai completamente.. siamo più simili di quanto pensiamo.
Alzò la testa, alla folgore di fulmini, verso la battaglia che si stava consumando poco più in là.
Incurante della dea che aveva localizzato la propria spada distante di qualche metro, caduta durante la colluttazione, prese una ciocca di capelli, sollevandola noncurante. Sorrise. ‹‹Se permetti, il tuo adorato mi aspetta›› e così facendo la posò sopra il suo collo, facendone toccare le punte a terra.
Un momento, e poi il nero della chioma diventò viscido, i fili cominciarono a muoversi in maniera autonoma, innaturale. Al posto del ciuffo, una serpe che la inchiodava al terreno, soffocandola.
Sif portò le mani sul rettile, per evitare il collasso. ‹‹Che tu sia maledetto, infido scarafaggio!››
Ma erano oramai parole lontane e vaghe, perse nella lontananza che lo portava verso colui che un tempo chiamava..
Fratello.
Eccomi. Arrivo, sento che mi chiami, mi accorgo che mi cerchi, nella foga della battaglia.
Loki si mosse velocemente verso il luogo in cui si rivoltava la bestia, perlopiù immune ai fulmini e alla potenza del dio, polvere e odore di sangue che si levava dal campo di battaglia.
“Perché deve venire con noi? Non abbiamo bisogno di pesi inutili”
Non si facevano scrupoli nel mostrarsi così crudeli nei suoi confronti; e davanti a lui, ragazzino escluso per la sua diversità fisica, e la sua incapacità negli scontri armati.
Thor non c’era.
Non c’era mai quando iniziavano quei discorsi. E quando era presente, era anche peggio: non si accorgeva delle lame appuntite che uscivano loro di bocca, o spesso e volentieri dava loro ragione, scherzandoci sopra, non accorgendosi del suo dolore. Quotidianamente riceveva la sua secchiata di frecciatine, a volte contornate da un’extra di sconfitte brucianti e umilianti, che gli facevano capire di essere diverso.
Di essere un mostro prima ancora di venire a conoscenza della terribile verità.
“Sif che è una femmina ha più forza e agilità di te”
Era stato Thor a dirlo; non c’era cattiveria nel tono, solo, un’osservazione. Oggettiva.
Era la verità.
E faceva un male cane.
Nascondevano un significato anche peggiore le sue parole pronunciate con troppa leggerezza.
“Tu sei diverso”
“A volte mi vergogno di essere tuo fratello”
Fremette, il dolore ancora vivo, le ferite ancora fresche, che non sembravano rimarginarsi.
“Non hai ancora imparato a confinare nella mente questi assurdi sentimentalismi come ben congegnate illusioni, da cui tenersi alla larga, Dio dell’Inganno..?”
Si sentiva un debole. Un insipido, stupido debole: non riusciva completamente a recidere, non riusciva a dimenticare, non riusciva a resistere.
“Ti piace Loki? Puoi farlo anche tu, se vorrai”
Madre.
Lei c’era sempre. E il destino aveva deciso di portargliela via. Per sempre.
Il suo profumo dolce, i suoi sorrisi complici quando affiancava Odino, intento a fare la morale a due figli sempre troppo diversi e sempre più lontani.
C’era sempre lei, con le braccia, i baci, le carezze.
Con le favole che raccontava a due bambini la notte, storie reali sui mostri di ghiaccio che il grande figlio di Bor aveva sconfitto.
Sapevi di avere un mostro accanto, nel letto, Thor?
Sapevi, Madre, che tuo figlio poteva venire ucciso nel sonno da un mostro?
Sapevi, Odino, eppure hai voluto riempire il cuore di speranze di uno stupido piccolo mostriciattolo.
Perché avete voluto illudermi? Adesso prenderete i cocci delle vostre menzogne.
Una voce roca eppure insistente squarciava l’aria della battaglia, più forte e perentoria di ogni altro sibilo, o tonfo, grida di battaglia, fulmine.
‹‹Loki..!››
Piegò la bocca verso l’alto.
Forse meno arrogante, forse più consapevole e saggio. Eppure, sempre inconfondibile con il suo atteggiamento da eroe, e da bambino puro e ingenuo, ottimista e sempre speranzoso.
‹‹Loki! Vieni fuori e mettiamo fine a questa follia! Deve finire!››
Sorpassò l’enorme midollo energetico, appollaiandosi su una maceria poco distante, da dove poteva ammirare la bellezza dell’azzurro e il luccichio dell’oro, sporcati dai pulviscoli della morte e del sudore. Era abbastanza lontano dal campo di battaglia, ma poteva udire ogni singola parola che il Dio del Tuono pronunciava tra una schivata e l’altra.
‹‹Loki!››. Thor scostò il mantello per voltarsi dalla parte opposta, scagliò il mantello in direzione della bestia viscida. La terra tremò, mentre essa si dibatteva, colpita in pieno da Mjölnir.
‹‹Mostrati a me! So che sei qui!›› gettò una delle tante lunghe trecce bionde dietro la spalla. ‹‹Loki.. non ti ammorbidisce il richiamo di un fratello..?››
Oh, no, Thor. Non è più il momento per dirmi una cosa del genere.
E' finito il tempo in cui cercavo i tuoi occhi.
Mostrandosi a poco a poco, accompagnò la sua elegante entrata unendo le mani con scandita ripetizione.
 
 
                                                                                     ***
 
 
Sapeva che Loki l’avrebbe presa male. Sapeva che probabilmente aveva sbagliato.
Ma era tornato su improvviso e asfissiante, quel suo quid, era risalito lungo l’esofago, purtroppo le mani sulla bocca non erano riuscite a impedirne la fuga.
Perché riusciva sempre a ferire, quanto più avrebbe voluto ripararsi in un angolino ed essere lasciata in pace?
Certo, le voci de’ “Lo vendicheremo” che le assillavano la mente non le permettevano di scegliere su quale piatto saltare o quale passo affrontare.
Qualunque cosa avesse scelto, qualcuno ne sarebbe uscito ferito, e deluso.
Era sempre così, o quasi.
Era rimasta sotto le coperte, una volta sola, sperando di riuscire a calmarsi, conscia del male gettato inavvertitamente sul dio; poi, come un automa, era scesa per andare a fermarlo.
Per chiedere al Dio dell’Inganno di rinunciare a qualcosa per il puro ascolto del bene di un altro, senza interessi.
Sì, lo aveva fatto, senza pensare troppo, ascoltando il desiderio irrefrenabile di volerlo con sé.
La perplessità di Loki era durata un secondo, prima che l’espressione si camuffasse in una risata derisoria. Un secondo, eppure le era bastato. Le era bastato guardare fissi quegli stessi occhi che la maggior parte rifuggiva, che nessuno credeva valere la pena di ascoltare o comprendere.
Loki era tutto lì. Nella contraddittorietà dei suoi smeraldi pazienti ma affamati di voracità, di tutto ciò che si era visto negare, nel suo desiderio celato come un rifiuto al mondo e agli altri. La sfumatura tra una maschera e l’altra, una difesa e la successiva. Un’impercettibile smorfia, una tremante alzata di sopracciglia, il luccichio di lacrime saldamente ancorate.
Bastava guardarlo, e senza lo sprezzo che deforma la vista.
Io invece sono sempre stata presa troppo da me stessa per guardarti..
Vorrei che fosse semplice, davvero.
Sospirò.
Invece sto rendendo tutto più difficile.
‹‹Ahi..!›› gemette portandosi il dito ferito dalle pergamene fini e appuntite alla bocca, per suggerlo.
Il maestro le aveva detto di guardare lì, sotto quel cumulo di carta, odore di vecchio e datato, per trovare il modo di raggiungerli a Svartalfheim: una riga di indicazioni sottile e lunga, segnata a lato distrattamente, un modo per aggirare gli occhi attenti, soprattutto la mente, del Dio dell’Inganno.
Coperta da una moltitudine di fogli a quanto pareva.
Sfilò il foglio, indagandolo attentamente, volgendolo in tutti i lati.
Ci mise un po’ per discernere la grafia del maestro, un po’ disordinata e troppo stretta, e impiegò ancora del tempo per leggere una lingua che aveva imparato a parlare tramite un incantesimo, e che aveva esercitato nella lettura poco recentemente – doveva prendere di nuovo familiarità.
Lesse più volte, per essere sicura di quello che aveva compreso.
Erano davvero delle indicazioni: seguendole, avrebbe potuto attraversare un portale naturale che collegava il mondo su cui si trovava e quello in cui si erano diretti Loki e il maestro.
Corse subito a indossare abiti più comodi, uscendo dalla villa cercando di non destare troppa attenzione.
 








 
 
*: Così viene soprannominato Volstagg, a causa del suo insaziabile appetito e il suo ottimismo.
 
**:Nel film “Thor”, Loki invia il Distruttore sulla Terra per uccidere Thor, rivale nella lotta per il trono.


***:Già nominata in uno dei capitoli precedenti, si riferisce alla sostanza usata da Malekith nel film “Thor: The Dark World”. Poiché assieme al Tesseract è una delle  cosiddette “pietre dell’infinito”, ho pensato che entrambe abbiano la stessa potenza per generare i portali.

****:Ci sono diverse citazioni del film “The Avengers”:
  • Il capo dei Chitauri che ricorda a Loki che non potrà nascondersi da Thanos, in caso di fallimento
  • Thor che spiega a Loki le sue “pecche”
 
*****:Nel mito (e nel fumetto) Loki, geloso delle attenzioni che Sif riceve da Thor, le taglia i capelli dorati. Per rimediare, sarà costretto a procurargliene di nuovi, ma, poiché egli non ha intenzione di pagare i nani, ruba la chioma prima che essa sia pronta: non essendo stata finita,  i capelli a poco a poco scuriscono fino a diventare neri. “Imbroglio” proprio per l’episodio che vede Loki ingannare i nani.
Altre fonti indicano lo stesso Loki fautore del cambio di colore della chioma (sempre per dispetto)










**********
Eccoci qua, con un altro capitolo!:)
So che non aggiorno regolarmente, e vi chiedo di scusarmi per questo, ma tra la varietà tra un capitolo e l'altro, i vari impegni.. direi che aggiornerò all'incirca ogni dieci giorni (due giorni più o meno). *E fu così che cambiò di nuovo*
Comunque, vediamo. Allora. Thor comprende Loki, ma non può giustificare le sue scelte, ed è fermamente deciso a riportarlo ad Asgard per farsi rivelare le sorti di Odino e per fargli scontare la punizione (l'ennesima).
Loki, invece, è totalmente scisso tra la paura di essere trovato da Thanos, i sentimenti contrastanti che prova verso Thor, il dolce ricordo di Frigga che annega nell'odio che prova per tutti gli altri, la frustrazione verso Anirei che continua a sfuggirgli testarda (e a sfuggire quindi anche da se stessa, diciamolo pure), il disprezzo che prova per se stesso per essere in realtà un "mostro" (così venivano considerati i Giganti di ghiaccio ad Asgard, soprattutto dopo e durante le cruente battaglie), la voglia di vendetta e di libertà. Insomma, si vede chiaramente, meglio che negli altri capitoli, come dietro la maschera all'apparenza impassibile e crudele di Loki ci siano in realtà molti, troppi, sentimenti che reprime e ha sempre represso (tranne quando era ragazzino -si vede nel ricordo di Thor-, prima che si accorgesse che le espressioni e le menzogne fossero una buona (?) difesa contro gli altri).
Ok, non mi viene in mente di aggiungere altro, mi pare che il capitolo (più psicologico che altro) si spieghi da sé.
Grazie a tutti per aver letto fino a qui, ci vediamo nel prossimo! <3
La vostra Ali
P.s:Al solito, mi riempite il cuore di G-g-gioia!**

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** CAPITOLO ***


 
Jörmungand.*
La serpe che si annidava nelle profondità dell’oceano di Midgard, che strisciava sui fondali, causa sovente di terremoti scambiati per dubbia attività naturale.
Denti lunghi e affilati, tanto fitti da ricordare le setole morbide di una spazzola di morte, verde e d’avorio, dalle gocce di veleno che scendono tra i capelli ingenui e ramati, ignari, e poi succhiano la pelle, avvelenando prima il corpo e poi l’anima, una fine in agonia, prematura. Immediata.
Squame appuntite e schiacciate come un foglio di carta, eppure dure come una roccia. Taglienti come forbici, come una lama di esperto fabbro, lo sguardo che Odino è solito riservare in pochi solitari incontri.
Una creatura destinata a scomparire dalla volta dell’Universo per la sua letale pericolosità, ma che per affetto, o forse mera ingenuità, era stata lasciata vivere.
La ricordava più piccola, Thor.
Un serpentello che Loki, in gran segreto, stava allevando. Non un animale qualunque, ma una serpe, quasi la materializzazione fisica di quella che teneva in seno, sul cuore.
Non aveva mai capito l’attaccamento forse morboso che lo legava agli esseri viventi: sembrava detestare quella creatura, eppure continuava a nutrirla, a potenziarla come cavia per i suoi incantesimi, a nasconderla a tutti, geloso, o forse terrorizzato dalle voci che si sarebbero irrimediabilmente sparse per il regno.
La cresceva, odiandola; esattamente come doloroso era quell’odio che lo scavava dentro ma che continuava a nutrire personalmente goccia dopo goccia.
Si era guadagnato di fatto il nome di “Madre” per quel rettile, vista l’attenzione con cui l’allevava - era stato chiamato in tanti modi, Loki, nomi di cui ovviamente era meglio non vantarsi.
Non lo capiva, Thor. Per lui, quel dio era diventato un mondo a sé, misterioso e chiuso a chiunque, eccezion fatta per Frigga, che purtroppo a mano a mano veniva cacciata da un’altra gelosa madre, terribile e d’ombra, che lo ghermiva tra le sue braccia di tenebre.
E ancora non capiva, mentre Loki, dopo aver manifestato il suo sprezzo per la creatura, se ne stava immobile sulle scale che portavano all’alto scranno, ad occhi bassi si mangiava le labbra da una rabbia furente, da un odio che stava masticando tra i molari. Esso stringeva talmente forte da far uscire il sangue.
“A causa della sua potenziale pericolosità, la creatura viene condannata a morte”
Se lo ricordava bene Jörmungand; era stato il suo primo avversario dopo il sollevamento di Mjölnir, giorno di festa e bisboccia, pranzi interminabili e fiumi di vino e di divertimento, il giorno dell’inizio del “Dio del Tuono”.
Il giorno dell’inizio, anche, di tutti i mali che avevano preso forma di serpe.
E non riuscendo a decifrare quell’enigmatica espressione, fatta di smeraldi attenti e labbra leggermente incurvate, aveva deciso di risparmiare la bestia, confinandola nelle acque di Midgard.
Un seducente sorriso aveva reso ancor più misteriosa l’interpretazione del suo reale pensiero, le sue dita gli avevano accarezzato una spalla ferita e gonfia, tumefatta.
Grazie, Dio del Tuono, per aver dimostrato la purezza e la bontà del tuo cuore
Ancora oggi, la sensazione che ne aveva ricavato era piuttosto inquietante e sibillina.
Thor rotolò verso sinistra, per schivare il morso, intanto Volstagg attaccava le spalle del rettile che però pareva dotato di mille occhi, niente, nessun movimento potenzialmente dannoso sfuggiva ai suoi riflessi repentini e lucidi. In quel momento avrebbe dato qualunque cosa pur di essersi liberato in maniera definitiva di quella bestia oscena, a suo tempo.
‹‹Loki, mostrati a me! So che sei qui!››
Solo tu puoi fermare questa cosa immonda.
Evitò questa volta il colpo di coda del serpente, che andò ad infilzarsi violentemente nella terra nuda di Svartalfheim. Aggiunse un colpo di martello, che affondò maggiormente l’estremità di Jörmungand nel terreno, grida e sibili contorti, dolore di creatura ferita e arrabbiata.
Ansimò, riprendendo fiato prima che esso sferrasse un ulteriore attacco. ‹‹Loki! Non ti ammorbidisce il mio richiamo..?››
Un rumore ben scandito e diverso dal caos che lo circondava si delineò come una melodia armoniosa in una sinfonia scoordinata.
Clap, clap, clap.
Nel disordine di polvere e strida, dinanzi all’enorme rettile, e alle grida di battaglia dell’ardente Leone di Asgard, si voltò verso la propria destra, individuando la sua sottile figura scura.
Eccolo, vivo e vegeto, come gli era stato raccontato da coloro che avevano avuto l’occasione di vederlo prima che fuggisse da Asgard con i suoi sorrisetti da commiato.
Occhi brillanti, pelle liscia e bianca, che si prendevano gioco del mondo che lui stesso stava schiacciando; e di lui. Di Thor, Dio del Tuono e protettore di Midgard, che rincorreva ancora, sciocco, in ogni sogno, un fratello che non era riuscito a salvare, morente, immobile e spento.
Cercò di regolare il respiro, scostò il mantello rosso porpora.
‹‹Bravo, mio caro fratellino. Trovo con piacere come le tue capacità deduttive siano incrementate. Hai la mia piena ammirazione››. Un sorriso derisorio, denigratorio, l’enigma della sua espressione.
Thor recuperò prontamente Mjölnir accogliendolo nel palmo destro, mentre il Miðgarðsorm si dibatteva famelico e infuriato sotto il colpo della potente arma e degli attacchi brutali dell’ascia bipenne di Volstagg.
‹‹Sei tu che comandi questa bestia demoniaca? Richiamala..!››
Niente da fare; un ghigno familiare si disegnò sul volto del Dio dell’Inganno e del Caos, che alzò le spalle, divertito, col suo solito atteggiamento aristocratico e nobilmente calmo. O meglio, teatralmente gnorri e fintamente stupito.
Sospirò nell’animo: almeno ci aveva provato.
‹‹Non ha padroni. E' libero›› precisò con voce soddisfatta e ispirata, non degnandosi nemmeno di gettare uno sguardo sulla battaglia che aveva davanti. Guardava lui.
Libero da cosa, Loki?
Tu, da cosa vuoi essere libero?
‹‹Perché è qui..? Come ha fatto a fuggire dalla Terra?››
A Loki piaceva vantarsi delle sue trovate, delle sue idee complicate ben congegnate e tessute, come a un felino piace ricevere complimenti sulle proprie doti di cacciatore; magari, girandoci intorno, avrebbe potuto ottenere inavvertite informazioni.
C’era Padre da salvare, Anirei da liberare. Un piano da sventare, qualunque esso fosse.
Il dio camminava cauto, soppesando ogni passo come ogni parola, una gamba lentamente, stancamente, davanti all’altra. Accentuò il suo sorriso di compiacimento. ‹‹Noto con piacere che Odino mantiene sempre la buona abitudine di non mettere il suo prezioso figlio a conoscenza di eventi tremendamente importanti››. Gli scoccò un’occhiata, marcò ‹‹Delicati››
Thor, rilassati un momento i muscoli del braccio che brandiva il Frantumatore**, alzò un sopracciglio: di cosa stava parlando? Stava delirando, oppure credeva di stuzzicarlo?
Conoscendolo, meglio non dargli molta corda. ‹‹Certamente gli è impossibile dal momento che non possiamo interloquire di persona››. Strinse le labbra, allargò le iridi celesti e brillanti. ‹‹Che ne hai fatto, Loki? E' nostr-››
‹‹Non. Osare. Dirlo›› lo interruppe il dio con l’indice puntato verso di lui, le labbra strette nello sprezzo.
La verità sulle sue origini ancora bruciava sulla sua pelle; e Odino era ancora fonte e meta del suo odio più concentrato, di quello annidato nelle viscere, il più nutrito e appiccicoso. Si limitò ad assecondare il cerchio che andavano disegnando con i loro movimenti circospetti, annunziatori, ne era amaramente conscio, di tempesta e battaglia.
Loki guardava la propria mano, studiandola come se la vedesse per la prima volta. ‹‹Quel vecchio ha sempre saputo, eppure non ha fatto niente per cambiare il corso degli eventi. Anzi›› allontanò l’arto dalla vista ‹‹li ha favoriti. E che non venga a raccontarmi la storia del re imparziale, perché non regge sotto alcun punto di vista››.
Il Dio del Tuono comprese immediatamente l’allusione; suo fratello aveva sempre accusato, che lo dicesse o meno, il suo favoreggiamento agli occhi del Padre degli Dèi. ‹‹Loki, non so cosa tu stia vaneggiando. La tua mente è deviata, smarrita nei meandri di un’illusione che tu sei stesso hai creato. Sei vittima delle tue stesse insidie››. Mjölnir tremò appena, percependo l’atmosfera tesa. ‹‹Ma ti ricordo che è stato indotto un giudizio poco estremo per i crimini che hai commesso contro Midgard››
Uno scatto di lingua, un sibilo persino più credibile del serpente vero. Gli occhi verdi vomitavano odio. ‹‹Voleva uccidermi, quel vecchio! Se non fosse stato per..››. Non finì la frase. E nemmeno Thor lo fece per lui.
Nessuno dei due riusciva più a pronunciare il suo nome.
‹‹Basta comportarti da vittima per il resto della tua esistenza, Loki. Volta pagina, e sii il re che sei sempre voluto essere; che Madre avrebbe voluto tu fossi››
“Frigga”.
“Frigga”.
Era l’altro nome che chiamava nei suoi sogni, che inseguiva una volta assistito alla morte inevitabile del fratello. Loki intanto aveva distolto lo sguardo, forse temeva che avrebbe visto lo stesso riflesso del suo dolore.
Protese il braccio, cercando di avvicinarsi. ‹‹Cessa questa follia. Dimostra che puoi voltare pagina››
Per un attimo calò il silenzio, tra i due. Il dio spostò le iridi verso la sua mano tesa, e la studiava, la valutava; prendeva un respiro e tornava a guardarsi le dita.
Thor era già rassegnato, e senza speranza, morta insieme a quell’immagine falsa, di tormento, con la quale Loki si era divertito a prenderlo in giro; era arrabbiato, con lui, e probabilmente, anche se il fratello avesse preso la sua mano, l’avrebbe colpito col martello l’attimo successivo.
Era stanco, Thor, e sempre più pessimista nei suoi confronti.
Cosa credi di ottenere quando strappi un cuore dal petto per ben due volte, e solo per puro divertimento?
‹‹Risparmia le forze e il fiato, figlio di Odino›› consigliò abbassando le palpebre per poi riaprirle, in direzione di un pezzo della nave aliena, un lungo tubo nero e viola. ‹‹Il tuo avversario ti aspetta››
Lo immaginavo. Ho tentato più che altro per abitudine.
Irrigidì la stretta su Mjölnir, prima di cominciare a farlo roteare.
Non c’è più speranza.
Si voltò appena, accertandosi delle condizioni dell’amico: non era ancora sfinito, ma aveva perso parecchie energie, e quel serpentone sembrava instancabile nonostante quegli innumerevoli movimenti sinuosi.
‹‹Perché quel muso lungo, fratello? Non hai sempre amato l’odore della battaglia..?››
“Non hai sempre preferito un’arma a me, alle parole che avresti dovuto rivolgermi?”
Si girò appena in tempo per notare Gungnir svelarsi all’improvviso e il colpo che lo prese in pieno petto, diminuito in potenza dal Frantumatore, che aveva interposto tempestivamente.
A causa dell’impatto, sbatté con violenza contro un monte che si poneva sulla sua traiettoria.
Un dolore indicibile alla schiena e alle spalle, mentre sprofondava a fondo, i detriti che spaccava con le reni gli ferivano le guance, battevano contro la testa, affondavano nella carne scoperta delle braccia.
Rallentò in velocità, lanciato su pietra dura, sommerso dalla parte soprastante della montagna.
Rimase immobile, fermo; sepolto.
A Svartalfheim lui e Loki avevano combattuto insieme: aveva visto un barlume, una piccola speranza che il dio aveva deciso volontariamente di soffocare. Era giusto che cancellasse quella sua svista, quella debolezza.
Loki voleva distruggere tutto ciò che lo faceva sentire debole e scoperto, vulnerabile, odiabile.
Mosse le dita della mano, percepì la dura foggia dell’impugnatura del potente martello.
Mjölnir sapeva, quando secoli prima Loki aveva provato ad alzarlo? Sapeva che cosa nascondesse nel suo animo oscuro?
Solo io ero il cieco che non vedeva?
Stava ripagando la sua ingenuità, il suo affetto incondizionato di fratello.
Ma era l’ora di finirla.
Se il loro conflitto doveva coinvolgere un intero universo, allora basta.
Basta, Loki.
Mjölnir.. portaci da lui.
L’arma vibrò, lo risollevò dai detriti. Nel buio di quel fondo cumulo avvertiva l’impatto della pietra di ferro. Altre ferite sul viso e le braccia, leggeri tagli sull’armatura, il mantello probabilmente rovinato. E poi, finalmente, la luce spenta del regno, e l’aria immobile, che gli rendeva difficile il respiro.
Loki lo stava aspettando, l’armatura d’oro indossata come una giacca, l’elmo che amava prendere in giro, Gungnir tesa e diretta contro di lui.
Un grido improvviso.
Il grido di Volstagg..!
Scattò lo sguardo nella direzione del serpente, pronto ad intervenire. Il Dio dell’Inganno ne approfittò per centrarlo definitivamente.
Ancora, si parò, all’ultimo, quello saltò verso di lui, cozzano la punta e la parete liscia; Loki venne scaraventato dallo slancio che aveva dato a Mjölnir per bloccare l’estremità appuntita dell’alabarda.
Rialzandosi, rivelò una smorfia di dolore e rabbia, mentre lo perforava con i suoi smeraldi.
Si tolse l’elmo, dal momento che il corno sinistro si era spezzato in seguito alla colluttazione, e spostò il mantello verde scuro dietro di sé, mentre cercava di rimettersi in piedi.
Thor intanto si mordeva le labbra, diviso tra Loki e lo scontro che si svolgeva dall’altra parte, dove il Miðgarðsorm stava avendo la meglio. Se almeno ci fosse stata la spada valente della guerriera a coprire il Leone di Asgard, sarebbe stato tutto più semplice, ma al momento quell’opzione non sembrava disponibile.
Il peggio era chiedersi dove fosse finita, e se stesse bene.
Dividere gli avversari, smarrirli, e poi sconfiggerli godendo della loro completa confusione: sapeva tanto di tattica di Loki.
Respira, Dio del Tuono.
Dilatò i polmoni, cercando di tranquillizzare la mente, intanto il suo avversario si passava Gungnir da una mano all’altra. Doveva mettere fine, al più presto, al suo incontro col fratello, poi sarebbe passato a dare una mano a Volstagg; insieme avrebbero cercato Sif.
Si massaggiò il collo, schiarendo un poco la voce roca. ‹‹Ti invito a svelarmi il luogo in cui si trova Odino, con un linguaggio chiaro che non raggiri la mente››
Il Dio dell’Inganno schioccò la lingua, deliziato, un sorriso in tralice. ‹‹Ah, mi deludi, Thor. Mi credi davvero così ingenuo? Mi rimangio ciò che ho detto sul miglioramento delle tue cellule grig-››.
Thor lo centrò in pieno petto col martello. Corse velocemente verso di lui, riprendendo l’arma al volo, e colpì di nuovo.
Tuttavia il materiale di ferro e pietra della testa di Mjölnir si schiantò sulla terra cruda, in quanto Loki era svanito come polvere al vento, utilizzando uno dei suoi trucchetti magici. Thor fece dietrofront, caricò la dose di forza al massimo, colpì laddove sapeva Loki sarebbe ricomparso, ma la figura si rivelò di nuovo un’illusione.
Accidenti. Diventa sempre più bravo.
Aveva il fiatone, i respiri si susseguivano l’uno dopo l’altro, ma l’ossigeno che portavano nell’organismo era sempre troppo scarso.
Lo schiocco delle fauci riverberò nei timpani, si voltò di scatto.
Jörmungand aveva strappato di mano al guerriero dalla barba rossiccia la sua ascia bipenne: probabilmente l’aveva ingoiata. Volstagg, anziché indietreggiare, era corso contro la pelle ruvida e verde, e aveva usato la sua seconda arma più potente: i denti. Il rettile soffiò, si allungò verso l’alto, prendendo lo slancio per calare su di lui.
Non pensò, agì: aveva già scaraventato Mjölnir sui denti dell’animale, prima che potessero raggiungere la meta. Parte dell’arcate superiore si frantumò, mentre il serpente, tramortito, cadeva a terra, dibattuto, frustrato, ma non ancora sconfitto; si contorceva come una furia sinuosa, onde di un mare agitato.
‹‹E’ orribile la sensazione di impotenza, vero, caro fratello?››
Mollò istantaneo un pugno alla propria destra, ma Loki lo schivò, scartando di lato: fintanto che non aveva il martello tra le mani, poteva solo sperare in un incontro ravvicinato, perché il fratello non possedeva la sua stessa forza fisica.
Pugno sinistro contro il suo viso cereo. Fermato dall’asta dell’alabarda.
Ginocchiata nello stomaco da parte sua. Subita.
Resistette al colpo e, anzi, usò per contro la testa. Letteralmente.
Loki, stordito, perse per un attimo la concentrazione, quindi Thor ne approfittò per prendergli di mano Gungnir. Senza la lancia, non avrebbe potuto danneggiarlo mortalmente.
Ma non fece in tempo ad impugnarla che essa subito si dissolse come un’immagine disturbata nell’acqua, rivelandosi un’illusione perfetta.
Colpo sulle reni, si ritrovò schiantato a terra.
Graffi su tutto il viso, subito rotolò via, immaginando un colpo di Gungnir, che prontamente si ripercosse sul terreno, nel posto dove fino a un istante prima si trovava lui. Ignorando il dolore alle spalle muscolose, si alzò subito, afferrando Loki che si era appena voltato dopo il colpo che aveva sparato.
‹‹Possibilità..?›› rise improvvisamente il dio, fermo nella morsa delle sue mani. ‹‹Ti illudi davvero che qualcun altro la possa vedere nel tuo stesso modo? Nessuno appoggerebbe il tuo incredibile progetto..››
E ghignava amaramente, come se avesse captato la scarsa fiducia che lui stesso aveva posto nelle proprie parole.
Per un attimo, una scintilla di speranza si accese come un cero solitario in una stanza buia.
‹‹Solo io, Loki?›› lo strattonò, trasmettendo il limpido degli occhi azzurri nei suoi verdi. ‹‹Solo io..?››
Vide i suoi specchi ammorbidirsi, la bocca sottile stringersi appena, come punta sul vivo.
Sembrò riscuotersi, almeno all’apparenza, si voltò nuovamente in direzione del lungo cilindro nero.
Respirava in silenzio, con la bocca schiusa.
Era come si fosse svegliato nel sonno ottenebrato della sua pazzia, gli smeraldi scattavano in ogni direzione, bassi e ciechi, mentre in realtà vedevano ciò che si distendeva nella sua mente.
Consapevolezza?
Thor cercava di aggrapparsi a quel barlume di speranza resuscitata che tratteneva con i denti.
Addolcì appena la voce, cercando di smorzare ogni tono del suo timbro profondo. ‹‹Dov’è lei, Loki..? Dimmi come fermare tutto questo››. Loki continuava a guardare alla propria destra, senza degnarlo di uno sguardo, muto e assorto. Smarrito dietro di sé, di nuovo dentro di sé.  ‹‹Così da poter tornare a casa tutti insieme..››
Gli sfuggì un sibilo basso e profondo, il labbro superiore ebbe uno scatto e mostrò i denti.
Perfetto. Quella scintilla si era spenta per sempre.
Pensavo che almeno lei ti avrebbe fatto tornare il senno; a quanto pare non c’è più niente che possa sciogliere il tuo cuore divenuto ghiaccio come quello di un morto.
Stese il braccio allungandolo lateralmente.
Uno.
Loki apriva gli occhi verdi, il viso sbucciato e pieno di rancore.
Due.
Afferrava l’alabarda che gli era caduta di mano.
Tre.
Gungnir sparò, Mjölnir si frappose, divergendo il potente raggio di energia, che distrusse ciò che ebbe incontrato sulla via.
L’impatto tra le due armi li divise, entrambi rotolarono a terra, allontanandosi l’uno dall’altro.
Prima buio, poi sfocato; vedeva la stessa immagine, che le palpebre fossero abbassate o meno.
Tossì la polvere che aveva ingoiato, si pulì la bocca dai rimasugli che si erano posati sulle labbra.
Respirò, deglutì più volte.
Non appena alzò gli occhi, individuò il serpente che tornava all’attacco sul suo amico indifeso.
Adesso basta.
Alzò il martello verso il cielo.
 
Mjölnir, ti chiedo umilmente di scatenare tutta la tua potenza.
 
Il cielo nero e perennemente al tramonto divenne più scuro.
Rombi, boati, fragore che annunciava la tempesta.
Fragore che annunciava i fulmini.
Fragore che annunciava il Dio del Tuono.
Il cielo si riempì di folgori, l’aria carica di elettricità.
Il flusso a lampi blu e bianchi si caricò su Mjölnir; Thor tenne duro, sotto il peso di quella potenza enorme.
I suoi zaffiri si illuminavano a tratti assieme ai suoi fulmini.
 
Scatena la tua potenza su questa terra abbandonata.
 
Abbassò con tutta la propria forza il martello, ogni muscolo si irrigidiva, percosso dal tremore dell’energia, la testa di metallo e pietra risuonò all’impatto col terreno.
Fluiva nelle vene e attraverso le ossa. Ne toccava perfino l’anima.
E ogni volta ne usciva indenne.
La potenza dei fulmini dilagò per miglia, distruggendo ogni cosa.
Incenerendo i resti del monumento di Malekith.
 
 
                                                                                 ***
 
 
Una grotta lunga e buia, nascosta allo sguardo distratto dei pochi viandanti da numerose frasche di alberi enormi: lì conducevano le indicazioni del maestro.
C’era il nero, là dentro. Certo non avevano potuto scegliere un posto meno inquietante.
E sicuramente non poteva attraversarla senza prima distruggere quella barriera energetica, la stessa che le aveva impedito di uscire dalle stanze del principe.
Deglutì, stanca e provata.
Non sapeva da quanto si trovasse lì, ma il flusso di energia che fluiva con difficoltà dalle sue mani non era sufficiente per spezzare la barriera; e la maggior parte dell’energia si disperdeva, sprecandosi.
Concentrati!
Il flusso si interruppe, e Anirei cadde in ginocchio, battendo una mano sulla terra, carica di frustrazione.
Perché..? Perché non le riusciva?!
Perché non posso raggiungerti..?
Raggruppò un poco di terra davanti a sé, giocando con le dita, senza pensare, terribilmente arrabbiata con se stessa.
Perché non riesco a starti accanto..?
Pianse una lacrima che non scese.
Si guardò le mani, sporche di terra, le sue unghie che poco curate sembravano mangiate sulla sommità, divenute scure per il terriccio umido.
Chiuse le dita, cercando la determinazione che aveva smarrito chissà dove.
Non posso continuare a perpetrare i miei soliti errori.
Alzò la testa, e tentò di nuovo.
Più volte e più volte, fino a quando il flusso non riprese a fluire, per poi perdersi di nuovo.
Staccò e riprese ancora, fino a quando la rabbia e la frustrazione non si mescolarono a una crescente adrenalina.
Avanti, combattiti!
Allargò con uno scatto le braccia, il suo estro energetico impattò con l’aria, la poca familiarità le fece perdere il controllo del potere, che fluì troppo velocemente, quasi scoppiando.
E poi si interruppe nuovamente.
Con un singhiozzo si protese in avanti per sorreggersi. La barriera c’era ancora. Strinse le dita nella terra, volendosi fare del male per il tradimento del suo corpo, inutile quando doveva contarci.
Voglio essere con te..
Un rumore improvviso, assordante. Familiare.
Si voltò, mordendosi il labbro inferiore.
 
‹‹Vieni››
 
 
                                                                                     
 
                                                                                     ***
 
 
Figurarsi.
Thor aveva fatto le cose in grande.
Per proteggere quell’insulso scheletro di midollo, Loki aveva dovuto consumare gran parte delle proprie energie, arrivando quasi a prosciugarsi; Mjölnir era di gran lunga più potente di quel che si aspettava.
Passò il dorso della mano sotto il naso, individuando un rivolo di sangue.
I soggiorni su Midgard non avevano rammollito il Dio del Tuono nemmeno un po’.
E la sua carne, le sue ossa, lo avevano testato perfettamente.
E' il figlio di Odino d’altronde, no?
Zoppicava appena, mentre stimava i danni interni ed esterni: ferite e pesti viola, niente di troppo dannoso, e due costole rotte che gli pungevano gli organi.
Facevano male ad ogni passo, ad ogni respiro. Erano spine che si infilzavano sempre più a fondo nella carne, levando più aria di quanta potesse necessitargli. Tuttavia non poteva permettersi di soffermarsi, men che meno di distendersi e riposare.
Una luce verde illuminò i polpastrelli del pollice e dell’indice, che poi passò sul naso, fermando l’emorragia.
Jörmungand era scappato, ferito e arrabbiato, dopo aver assaggiato la furia del Dio del Tuono e delle sue tempeste. Lui, Loki, doveva approfittare di quel momento di attesa e smarrimento generale per dileguarsi.
Che si prendessero pure l’Aether, che lo trovassero.
Non gli importava.
Da quando sono così debole e sentimentale? Non cambierà niente comunque.
Eppure... Sospirò.
Perché l’ho fatto?
Una voce roca e smorzata gli ravvivava l’orecchio.
 “Solo io, Loki..?”
Sbatté piano le palpebre, più volte, mettendo a fuoco la vista. Quelle maledette costole gli toglievano il respiro; si portò una mano sul petto, tentando invano di sorreggersi.
Ebbe un capogiro improvviso, che lo costrinse a fermarsi, a chiudere gli occhi e ossigenare il cervello. Perdeva intanto, temporaneamente, la vista, vedeva il nero.
Ma il nero non era nero.
Era scuro, ma non nero. In bilico sulle tenebre, ma mai dentro. Un colore morbido e profumato.
La vista tornò, d’un tratto come se n’era andata. I danni interni parevano abbastanza gravi.
Sono solo un miserabile. Thanos è ancora là fuori, pronto a schiacciarmi alla prima occasione..
Forse avrei dovuto fargli colpire quello stupido midollo energetico.
Cosa ho guadagnato in questo modo..?
Si passò le mani tra i capelli corvini, portandoli dietro la testa.
L’intera situazione pendeva a suo sfavore.
Abbassò le palpebre, cercando di calmarsi, sospirando lievemente.
Troppi pensieri, troppe poche risposte per azioni irrazionali, troppe immagini, troppe sensazioni, piani stravolti da ritrasformare.
Si ritrovò ad annullare ogni segnale di dolore, lo relegò in un angolo del cervello; ora, non rimaneva che riordinare tutte le informazioni impazzite che aveva in mano, e creare un nuovo piano, per ribaltare la situazione: doveva fondere il precedente per rimodellarne uno nuovo.
Portò gli occhi verdi verso il cielo, in silenzio, mentre la mente lavorava.
Le nubi si erano ridistribuite nella volta sempre più nera e tenebrosa, sempre più bassa, come un soffitto di tenebre che cola piano senza fermarsi, in maniera costante ma fatale, inesorabile.
Una ciocca spettinata gli solleticò d’un tratto il volto, il labbro inferiore e il mento.
Vento.
C’era il vento.
Una piccola, leggera, brezza..
Sorrise, sornione e compiaciuto. Non sarebbe mai stata abbastanza silenziosa da sorprenderlo.
‹‹Non molli l’osso..››
Sif si fermò, piantando gli stivali di cuoio nero nella ghiaia.
‹‹Ho una missione›› rispose secca.
‹‹E una domanda›› aggiunse guardandola con un ghigno. ‹‹Ma immagino che tu ne conosca già la risposta..››
‹‹Ti caverò di bocca tutto quello che c’è da sapere›› lo derise lei puntandogli la punta della spada alla gola, gli occhi blu che incutevano letale timore.
Loki inclinò la testa, per vedere meglio la chioma corvina che la dea teneva stretta in una coda; bevve un sorso di ambrosia quando individuò la ciocca tagliata in malo modo, e allungò il sorriso di sadico piacere che la innervosì, facendola tremare di collera. Arricciò le labbra. ‹‹Immagino che trovare ragione delle tue teorie faccia tremare la tua lama di eccitazione, cara Sif››.
Un fruscio dietro le spalle.
Sogghignò maggiormente, voltandosi, e prendendo per il collo esile Lorelei. ‹‹Oh, le due acerrime nemiche si sono alleate per l’occasione.. dovrei forse sentirmi onorato da cotanto gesto di disperazio-››
Avvertì Lady Sif braccarlo da dietro, immobilizzarlo temporaneamente, mentre Lorelei gli toccava il petto con un dito, disegnando una runa.
Capì subito di quale si trattasse.
E no, non era possibile. Non poteva averlo fatto davvero.
Provò a liberarsi, divincolandosi, tentando di dare un calcio a Lorelei, ma la guerriera premette sulle costole, piegandolo come un bambino capriccioso; resistette al dolore lancinante, cercò di fare pressione sul collo della strega; ma era ormai troppo tardi.
La rossa gli mostrò i denti, sorridendo contenta, dando conferma dei suoi peggiori pensieri.
Sì, l’aveva fatto davvero.
Aveva cambiato alcuni simboli del suo cerchio di seiðr, quello che aveva preparato per Thanos, completandolo in altro modo.
Rendendo lui il bersaglio del sigillo. Vittima della sua stessa trappola.
Imprecò amaramente mentre percepiva la stessa sensazione del sangue che non fluisce più. Cadde in ginocchio, cercando di non dar loro soddisfazione alcuna del suo orribile tormento, del ritiro della marea di potere e magia. Si sentiva profondamente scoperto, quasi nudo, mentre tutte le ferite tornavano a fare male, il processo rigenerativo interrotto.
Fu travolto dagli spasmi, mentre si accasciava a terra, come si stesse liquefacendo.
Maledizione, maledizione! Come è riuscita a fregarmi di nuovo..?
Graffiò le unghie nella terra, piantandocele e facendo uscire il sangue. Tossiva profondamente, mentre il cervello inviava tutti i segnali del corpo in tremenda agonia, i polmoni annaspavano in cerca d’aria.
Siano maledette entrambe..
Si rannicchiò appena, una posizione decente e passabilmente comoda, dopo aver strisciato nel terreno, essersi contorto come il Miðgarðsorm.
Poté riprendere fiato.
Ma non durò molto, il sollievo.
Sif lo girò verso di sé, peggiorando la sua situazione al livello delle costole a causa del movimento brusco, gli strattonava la casacca, sollevandogli il busto appena da terra, decisa e ferma. Ma egli non perse il suo contegno di prepotenza. ‹‹Alla fine anche tu ti sei abbassata alla vigliaccheria che tanto detestavi.. cosa direbbero i discepoli che stravedono per te?››
Il bel viso fu solcato da una smorfia. ‹‹Dirò loro che era troppo umiliante darti una spada e batterti per l’ennesima volta››. Lo strattonò di nuovo, costringendolo a mangiarsi un gemito. ‹‹Adesso parla o, le Norne mi siano testimoni, ti ammazzo seduta stante››
Probabilmente non stava scherzando. Però, era veramente divertente.
Bastava dare un lieve calcio a quello che tutti chiamavano ordine e tranquillità, e tutti mali, tutte le bugie, i lati peggiori saltavano subito fuori.
Tutti che cercavano di fare gli eroi, quando in realtà fuggivano il marcio che avevano dentro, credendo di nasconderlo tra la gloria delle battaglie.
Sono assassino io, siete assassini voi. Cosa abbiamo di così diverso?
Voi potete nascondervi e giocare a fare i misericordiosi e i giusti. Sono tutte menzogne.
Vivete nella menzogna. E voi siete degli ipocriti.
Purtroppo, la vita sembrava arridere a più bravi, tra gli ipocriti. Non che dovesse farlo per lui, in ogni caso, lui era un mostro.
Arrivò l’ennesima strattonata, il dolore alle costole, questa volta il lamento uscì spontaneo e improvviso. Lorelei sembrò godere di tutta quella situazione, e del dolore che stava provando.
Quella ignobile strega.
‹‹Hai perso la lingua? La mia spada potrebbe trovare la voglia di ispezionare di persona››
Adocchiò la punta della lama, minacciosa  quanto più vicina alla propria gola, e ricordò le innumerevoli lotte all’arena, sotto gli occhi di tutti i guerrieri, quando era contenta di umiliarlo davanti al sangue del proprio sangue; o almeno, quella era la bugia cui tutti si sforzavano di credere, viste le profonde divergenze di capacità tra i due principi.
Sif, la bella. Sif, la veloce. Sif, la forte. Sif, la letale.
Sif, la puttana, avrebbe aggiunto volentieri.
Le andavano tutti dietro neanche fosse un cavallo di pregio. E quello sciocco di Thor, si era fatto abbagliare dai suoi boccoli d’oro e dai suoi occhi blu.
“Se ti impegnassi di più, forse..”
Si massacrava ogni giorno, fino a notte fonda, in allenamenti estenuanti, lontano dagli occhi di tutti, perché era sicuro avrebbero trovato il modo di prenderlo in giro ancora e ancora, interferendo con la concentrazione, ma il suo corpo non ne voleva proprio sapere, non aveva la decenza di collaborare, di acquistare in peso o in prestanza fisica. Era ancora adolescente, ma tutti i suoi coetanei lo superavano in altezza e robustezza; in confronto lui sembrava un fuscello, un brutto anatroccolo, per il quale però non esisteva il lieto fine.
Prima di smettere, rassegnato, Sif lo aveva visto. Il giorno dopo lo aveva sfidato davanti a tutti, rivelando il frutto vano dei suoi allenamenti notturni, che divennero cosa di dominio pubblico.
Nessuno si era accorto o aveva riconosciuto il suo enorme sforzo per stare al loro passo. A nessuno importava. Nessuno voleva dargli speranza, solo perché la natura era stata crudele con lui, solo perché non era biondo, con gli occhi azzurri, o possedeva un fisico da guerriero..
In fondo, al mostro, chi vuole dare una mano?
Solo coloro che lui terrorizza.
Ci era già arrivato, da solo.
E si fa presto a incutere paura tramite la vendetta.
Zac, zac, e i capelli partono.
Tutti hanno un motivo per odiarti sul serio. Tutti hanno adesso anche un motivo per temerti.
A volte, l’unico modo per uscire da una situazione, è imboccare la via che tutti vogliono che tu prenda; almeno, si può godere anche di qualche vantaggio, piuttosto che continuare a opporre resistenza, e annegare in se stessi.
La rabbia continuava a rodergli nel fegato, la bile molle e appiccicaticcia gli attraversava tutto lo stomaco, ancora, da secoli e secoli. La donna passò la spada dietro il suo collo, così che potesse avere spazio per avvicinarsi e sussurrare l’impulso del suo lato più oscuro. ‹‹Ascoltami bene: sono.. siamo stanchi di te. Se ti uccidessi adesso, non farebbero altro che ringraziarmi››
Credi che io non sappia come ferirti a fondo?
Bastava toccare laddove il cuore era più scoperto, lo sapeva bene; si trattava della stessa cosa che avevano fatto con lui. E toccare quel pezzo, per lei, la donna di ferro, significava toccare irrimediabilmente il Dio del Tuono.
Il petto fu scosso da piccoli singhiozzi, che raschiavano l’addome.
Rideva.
 
 
                                                                                   ***
 
 
Si era accorta subito della festa di benvenuto che il Dio degli Inganni aveva preparato per loro: molto gentile da parte sua, ma non avrebbe dovuto scomodarsi tanto. Si era dileguata all’istante, ligia ai suoi piaceri: aveva raggiunto con passo stanco e ritmico un’insenatura seminascosta, dalla quale sapeva Loki e il maestro fossero arrivati, per poi accorgersi con disappunto che il passaggio era stato chiuso.
Quella Bessyn era stata una fonte preziosa di informazioni: le aveva rivelato senza mezzi termini tutto ciò che le serviva sapere, in cambio la promessa di liberarla dall’esistenza della bella di Loki.
Attualmente, aveva altri piani.
Beneficiare e guadagnarsi la fiducia del Dio del Tuono, portandolo dall’altro principe e dalla mortale; vendicarsi di Loki, umiliandolo con le proprie stesse mani, per poi vederlo morire sotto la lama del boia, ma non prima di averlo fatto soffrire giocando con la sua bella.
Infine, eliminato chiunque si sarebbe potuto frapporre tra lei e Thor, cioè tra lei e il trono, avrebbe avuto tutto il tempo per modellare la sua mente a piacimento, trasformandolo di nuovo come un cagnolino fedele e amabile.
Un piano un po’ arzigogolato, ma che soddisfaceva ogni suo minimo capriccio.
Spostò il peso sull’altra gamba, si passò la mano tra i capelli morbidi e setosi.
Aveva fatto bene a liberare la dea: lo spettacolo cui stava assistendo era impagabile: Loki giocato con le sue stesse armi, a terra e sconfitto, gemente di dolore e frustrazione.
Respirò piena di gioia, tanto più che immaginava il modo orribile in cui Balder era stato ucciso.
La tua sofferenza è solo all’inizio.
‹‹Ascoltami bene: siamo stanchi di te. Se ti uccidessi adesso, non farebbero altro che ringraziarmi››
Con tutta la sua odiosa espressione di auto-compiacenza, come se gli avesse appena fatto un complimento, il Dio dell’Inganno cominciò a ridere.
Pareva pazzo.
E faceva venire la pelle d’oca.
‹‹La risposta alla domanda che ti assilla è ››.
Tossì a causa del movimento dell’addome, prese il fiato che sfuggiva continuamente a causa del dolore provocato dalle costole incrinate. ‹‹, l’ho posseduta, più volte, senza che nessuno di voi menti disilluse si accorgesse di niente, senza che nessuno sentisse i suoi gemiti di piacere..››. La presa della dea si fece più rigida. Loki scoperchiò i denti, rise di gusto. ‹‹Se vuoi un consiglio, il letto di Thor è leggermente inclinato verso sinistra..››
Mm. Brutta osservazione..
Di fatti la presa si allentò, mentre Lady Sif, volendo nascondere il tremore delle mani, gli sferrava un pugno sulla mandibola, per la gioia dei suoi denti.
E di tutti, ovviamente.
‹‹Voi.. tu..›› sussurrò, nera come i suoi capelli.
Si alzò, ricomponendosi, dandole un’occhiata. ‹‹Vai a chiamare Thor››
Vacci tu, dal tuo padroncino.
‹‹Io non sono un cane obbediente come te, cocca..›› la infilzò con gli occhi neri, sbuffando appena e sfidandola. Si piegò appena verso di lei, inclinando la testa. ‹‹Cosa direbbe il Dio del Tuono se ti trovasse con la sua testa in mano..?››
Nei suoi specchi passò un’ombra frustrata, ma consapevole; dinanzi ad un’altra provocazione di Loki avrebbe molto probabilmente perso il senno e la ragione. Tagliò l’aria, allontanandosi, il tremore della collera che ancora scorreva nelle vene e nei muscoli.
Spostò gli occhi neri sulla figura distesa per terra, Loki che guardava prettamente il cielo, cercando di respirare in mezzo al dolore; il pugno di Sif gli aveva fatto colare un rivolo di sangue dalla bocca.
Teneva le palpebre abbassate, per qualche motivo. Sembrava drammaticamente rilassarsi.
Si piegò sul suo corpo disteso, percorrendogli con malizia i lineamenti, schiacciando con prepotenza le ferite, rapendogli ogni smorfia di dolore che non riusciva a bloccare, sul viso e sull’addome.
‹‹Quindi il Dio dell’Inganno non è così impassibile..››
Lorelei non si riferiva al dolore fisico che il Dio dell’Inganno non riusciva a nascondere: parlava di quei passaggi chiusi con la magia, e dello sforzo immane, adesso vano, con cui proteggeva il suo tesoro.
Irresistibile.
Si sedette a cavalcioni sulla sua figura distesa, volendo solleticargli la carne col proprio peso. In realtà gli stava gravando sulle costole. Si abbassò al suo orecchio, con piccoli sussurri. ‹‹Menti pure quanto vuoi, ma io non mi sbaglio mai su certe cose..››. La mano destra scivolava sul petto, poi sul fianco, e più giù.
Io conosco quello che passa per qui, e meglio di te..
Gli schiacciò la costola sul pettorale sinistro.
E lo voglio.
Il dio le rise in faccia, mentre si avvicinava alla sue labbra. ‹‹Non troveresti la stessa soddisfazione che provi con i tuoi cagnolini››
‹‹Tentar non nuoce›› sussurrò.
Infilò svelta la lingua nella sua bocca, cercando di appropriarsi di tutto, di ogni respiro, di ogni sapore che quella mortale provava ogni volta, non preoccupandosi però di fargli male, anzi; torturare con la punta umida la sua arcata superiore le dava una gioia ancora maggiore.
Loki, intanto, con lentezza, aveva riportato le dita sul suo collo: ma non stringeva.
Hai visto che ti piace?
Si staccò, pronta a vedere la sua espressione umiliata, pronta a vincerlo completamente, con la debolezza dei suoi istinti.
Fu invece costretta a concentrarsi nell’evitare lo strangolamento.
Loki, scoperchiando i denti, serrava la presa sulla sua gola, con una facilità, nonostante le ferite, che non aveva del normale.
‹‹Non ho detto di accomodarti..››. Cominciò a tossire, a collassare tra le sue mani; a nulla serviva cercare di allentare la presa, né con le unghie, né con niente, figurarsi affidarsi alla pietà. ‹‹E che ti sia piaciuto, perché la prossima volta ti mozzo la lingua..››
Ansimò, la saliva le colava dalla bocca, orribile, doloroso.
Annaspava mentre la sua mano gelida e spietata le chiudeva il collo.
Non puoi.. uccidermi.. altrimenti.. lei..
Il dio la gettò  di lato, lasciandola respirare, la gola che pungeva con tantissimi spilli, faceva male ad ogni respiro preso troppo velocemente e troppo profondamente, l’attrito dell’aria unito al gonfiore della carne schiacciata.
E lo sentiva ridere, lo sentiva prendersi gioco di lei.
“Gli uomini sono tutti uguali. Si prendono ciò che vogliono e poi ti abbandonano. Come un giocattolo vecchio e non più interessante”
“Mamma, è per questo che papà non mi vuole? Sono un giocattolo vecchio anch’io..?”
Si voltò, facendo sporgere le labbra, soffiando verso di lui. ‹‹E' la tua debolezza, Dio dell’Inganno›› sorrise, soddisfatta. Glielo aveva insegnato lui dove pungere più a fondo. ‹‹E prima o poi dovrai piegarti..!››
E allora ti staccherò i tessuti pezzo pezzo, con le mie stesse mani.
‹‹Tu sottovaluti Bessyn››. Quella vile serpe tossì, non appena Lorelei aumentò la pressione sulle costole, schiacciandogli prima il petto, poi il collo, con lo stivale, rendendogli il favore. Ma lui sorrideva, odiosamente. ‹‹Tu sottovaluti il Dio dell’Inganno››
 
 





*:nel mito e nei fumetti (non ho la più pallida idea di come si comporteranno nei film), uno dei tre figli, assieme ad Hela, la regina dei morti, e al gigantesco lupo Fenrir, di Loki nati dopo aver mangiato il cuore di una gigantessa. Nella mia storia, il legame che lega il Dio dell’Inganno a questi tre esseri è diverso, più o meno leggermente: ad esempio, qui, Jörmungand, altresì conosciuto come Miðgarðsorm (ovvero, “il serpente di Midgard”) viene allevato dal dio, ma non concepito dallo stesso. Loki viene definito sua “madre” in tal senso.
 
**:altro nome per indicare il martello Mjölnir del Dio del Tuono Thor.





*********
Salve a tutti!:D
Ho aggiornato finalmente in tempo, nonostante questo capitolo mi abbia dato parecchie gatte da pelare. Spero che vi sia piaciuto, perché mentre Thor è stato abbastanza buono, Loki ha fatto le bizze (ovvio, che cosa mi aspetto io? Mica se ne sta fermo nella mente a farsi descrivere da me..). Lorelei mi sta cominciando a garbare troppo ahah: cambia idea ad ogni secondo, è oltremodo volitiva. E io me la immagino proprio come dovrebbero essere gli dèi: capricciosi, annoiati, un pochino perfidi, e noncuranti - non che Loki si allontani dalla descrizione, dopotutto (non a caso lo amo sia come personaggio complicato che come semplice e superficiale "dio di facciata").. lasciatemi perdere, sennò vi convincete ad avvisare l'amministrazione per rinchiudermi da qualche parte, dove non posso nuocere a nessuno (?)... continuo a dilagarmi..
Cooomunque, spero che il capitolo vi sia piaciuto (l'ho già detto, mannaggia a me) e vi ringrazio sinceramente per aver letto fino a qui, sperando che la storia vi invogli a continuare a seguirla, anche perché non manca moltissimo alla fine (credo).
Ciao! 
Baci, 
la vostra Ali






 

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** CAPITOLO ***


 
 
La luce abbaglia, bianca e inconsistente, eppure spessa, come un velo di latte: tornavano ad Asgard.
Insieme a Loki, prigioniero in catene e in pazzia, fatta di corde talmente disperate da essere più resistente del ferro, dell’acciaio, del vibranio.
Può una mente a pezzi diventare una fortezza inespugnabile?
“La realtà che vivi tu, caro figlio di Odino, è falsa, è solo un’illusione. Sei vissuto nel tuo palazzo dorato con i sensi tappati e l’intelletto distorto da un’ingenuità che ti fa quasi onore”
Thor si era limitato a fissarlo negli occhi mentre le strette e pesanti manette che Sif gli metteva con molta poca delicatezza gli portavano via un sorriso a trentadue denti che altrimenti avrebbe mostrato.
Non doveva ascoltarlo. Loki sapeva sempre cosa dire per tentare le sue vittime; se gli avesse dato spago, sapeva che probabilmente se ne sarebbe pentito.
Intanto tornavano.
Avvolti dalla luce del Ponte, che tante volte aveva attraversato, con l’antica gloria dell’esito positivo delle proprie missioni, di quando ancora, più giovane e semplice, vedeva la vita e l’eternità prospettarsi come una serie infinita di fama e vittorie, di coppe di vino invecchiato di millenni, di amici e sorrisi familiari.
Di cosa poteva vantarsi, adesso? Del proprio fallimento come fratello..?
Le vittorie si profilavano sempre più come scottanti sconfitte od amare disfatte.
E più battaglie combatteva, che fossero personali o meno, maggiormente si accorgeva della complicatezza, della difficoltà, del sacrificio e del dolore che davvero la morte e la sofferenza portavano con sé.
“Tu sei un vecchio, e un pazzo!”*
Mai le sue vecchie parole gli erano parse tanto arroganti e futili, una mente di strette vedute, discorsi di un bambino vissuto nella gloria e nell’agio, in un’era di pace.
Sì.
Adesso comprendeva pienamente il fardello che Padre portava sulle proprie spalle, la tristezza e la rassegnazione verso un mondo che si teneva in piedi con i fili, tanto era instabile e pronto, in ogni momento, a sfaldarsi per cadere nelle tenebre.
A casa, fratello, non nuocerai a nessuno. A casa, Loki, è il posto dove devi stare.
Uno, due.
Le palpebre che sbattevano permisero di mettere a fuoco l’ambiente interno del Bifröst, solitamente ampio e cavo, quasi sacro per il vuoto e il silenzio che vi regnavano, governati da un guardiano che amava contemplare l’universo e le sue meraviglie.
La scena che gli sfilava davanti non poteva essere più diversa.
Il Dio del Tuono passò lo sguardo attorno, basito, scartando sui visi di guerrieri, guardie reali, che niente avevano da dire: un volto concentrato, carico di determinazione, gli occhi puntati sui sopraggiunti, nessun’ombra di vitalità.
Un esercito, quasi.
Occupava il Bifröst, e pareva estendersi fino ad una buona metà del Ponte.
Tuttavia, non fu tanto la vista di quell’enorme marmaglia a farlo sussultare, a smarrirlo nella propria coscienza razionale, bensì la figura che svettava vicino al tronco d’oro dal quale il dio dagli occhi di miele aveva appena estratto la propria arma: in dure vesti metalliche grigie e nere, un mantello rosso fuoco, ecco che si innalzava il Padre degli Dèi.
Thor rimase immobile, in silenzio, mentre osservava quell’occhio di freddo azzurro brillare di nuovo dopo tanto, troppo, tempo.
Dove sei stato, Padre?
Di fianco a lui, percepì Volstagg e Sif inchinarsi col pugno al petto: l’occhiata che gli scoccarono con la coda dell’occhio, in un secondo momento, lo avvertiva della stessa incredulità che li metteva tutti nella stessa barca. Dal canto suo, Lorelei, immobile, era sbiancata.
‹‹Odino ha sempre il gusto di fare le cose in grande..››
Prigioniero, ferito, umiliato nella privazione delle sue capacità occulte, eppure spaziava tranquillo, per nulla meravigliato, lo sguardo per tutto l’interno del Bifröst come si trattasse di una visita di piacere, con un agio che lui solo riusciva a trovare anche nelle situazioni più sconfortanti.
Loki mostrava all’esercito un sorrisetto di ostentata arroganza che, il Dio del Tuono immaginava, sia Sif che Lorelei, l’intero regno, avrebbero strappato con le proprie unghie, quella lingua d’argento che avrebbero tagliato con un morso di collera.
Perché doveva sempre peggiorare la sua situazione, tirando la corda al limite? Prima o poi si sarebbe spezzata, rimanendogli in mano.
Chiuse le dita sul palmo, a pugno, scostò il mantello di velluto; fu colto da una consapevolezza improvvisa.
Tu sapevi, fratello..
Strinse i denti, mosse velocemente le pupille chiare sul pavimento, come se stesse contando delle mattonelle invisibili.
O magari Loki stava semplicemente giocando con le loro menti, fingendo di conoscere un fatto stupefacente tanto per loro quanto per lui. Insomma, non era poi così difficile crederlo.
La sua voce trasudante ironia non aveva ancora finito di infrangersi sulla volta, per poi cadere sulle teste dell’esercito silente, che Thor percepì il rumore delle catene, la cui estremità teneva in mano, accompagnato da un lieve movimento.
Il Dio dell’Inganno aveva appena porto i polsi incatenati al Padre degli Dèi.
‹‹Mi sento profondamente onorato per la tua magnifica accoglienza, Odino..››
Gli avrebbe mollato un ceffone più che volentieri.
D’un tratto risuonò, ferma e decisa, la voce di uno dei migliori condottieri del re.
‹‹I figli di Asgard sono tornati. Il regno gioisce della loro incolumità››
Silenzio.
Nessuno sembrava in realtà gioire, e lo sguardo severo di Odino era una maschera di pura cera secca. Il tempo rimaneva in sospeso, immobilizzando ogni cosa ed ogni pensiero.
Non un fiato, forse nemmeno un battito di ciglia.
Thor avvertiva i propri muscoli rigidi nella tensione di un fermo movimento.
Fu Odino, infine, a dare nuovamente un calcio al tempo raffermo, allargò elegantemente il braccio destro per far cadere i granelli della clessidra il cui stretto passaggio il silenzio aveva ostruito; porse la mano verso i suoi due impavidi compagni di battaglia.
La bocca si aprì, le labbra si mossero; e i presenti riconobbero di nuovo quel timbro deciso e quel tono perentorio che faceva di Odino il grande Padre degli Dèi.
‹‹Valenti guerrieri che avete sostenuto il vostro amico e compagno Dio del Tuono, vi ringrazio infinitamente›› chiuse l’occhio buono al pari di un grato cenno di testa. ‹‹Tuttavia avrei ancora un favore da chiedervi, se la stanchezza e il dolore non abbiano ancora sopraffatto le vostre ammirabili e preziose abilità di guerrieri››
Volstagg, dio dalla pelle dura, si era fatto qualche graffio superficiale lungo le braccia, le cosce e il petto; ma colui che poteva atterrarlo, doveva ancora nascere. Persino Jörmungand aveva avuto problemi a metterlo fuori combattimento. Sif, invece, a parte qualche ciocca di capelli corvini tagliata, e piccoli segni sul collo, leggere ferite sotto il mento, non aveva niente di cui lamentarsi.
Entrambi si limitarono ad un inchino rigido, carichi di una fedeltà e un’ammirazione che il re sembrò apprezzare.
‹‹La sostanza che recate con voi ha già procurato troppa sofferenza››. Indicava col palmo la scatola di metallo dove avevano deciso di rinchiudere l’Aether, dopo averla trovata. ‹‹Sarei lieto se la portaste laddove non potrà più causarne. Sarà Heimdall a guidarvi nella giusta direzione››
I due guerrieri annuirono.
Odino fece un cenno alle guardie, un cenno del capo lieve, prima di dare loro le spalle e avviarsi fuori dal Bifröst; esse, irrigidita la postura, si prepararono a partire e con passo cadenzato ma inflessibile, automatico, apparentemente privo di vita, si avvicinarono a lui e al prigioniero.
Con un sospiro, Thor lasciò le catene delle manette nelle loro mani.
Stava consegnando Loki a due individui dagli occhi grigi e spenti, la faccia squadrata e l’umore di lutto. Stava consegnando suo fratello all’indifferenza; al disprezzo.
Non avrebbero certo avuto i suoi stessi riguardi di quando l’aveva scortato a palazzo tempo prima**,  o la stessa preoccupazione del suo stato d’animo di quando aveva evitato di umiliarlo più di quanto non avesse già fatto con le proprie mani, senza strattonare la catena, senza farlo sentire un cane bastonato.
Per quanto potesse non provare più speranza nei suoi confronti, rimaneva sempre suo fratello, lo stesso bambino che lo seguiva per tutto il castello col pollice in bocca e le dita della manino attaccate alla sua giacchetta di seta, lo stesso ragazzino che gli sorrideva quando Padre li prendeva per le spalle e mostrava loro il grande e potente Mjölnir, lo stesso uomo che ancora riusciva a farlo ridere con le sue pungenti osservazioni.
Era Loki.
E lo stava lasciando in quelle mani apatiche e disinteressate.
Alzò gli occhi su di lui, cercando sul suo volto quel sorrisetto altezzoso che, stranamente, avrebbe potuto avere il potere di confortarlo.
Cercò, ma non trovò sorrisi, i suoi specchi celesti incontrarono invece la chioma corvina; Loki era voltato in altra direzione.
Si sentì un po’ smarrito.
Non l’aveva mai detto a nessuno, ma la forza e la determinazione che lo avevano sempre accompagnato derivavano dalla vicinanza del fratello che, sapeva, sarebbe sempre stato pronto a riprenderlo, a consigliarlo, a fermare – o perlomeno a mettere in dubbio – il suo ardore, le sue decisioni sempre affrettate e impetuose.
Ad ogni scelta, condivisa o meno, si era sempre accertato che Loki lo seguisse comunque, come un’aquila sempre pronta a vegliare su un fratello troppo cocciuto.
O forse, era stato tutto frutto di un’ennesima illusione.
Loki si voltò di nuovo, quasi subito, fronteggiando le guardie con un’attenzione sciatta ed annoiata cui faceva contrasto una pelle malamente conciata. Disse qualcosa, un commento che Thor riuscì a cogliere non con le orecchie ma con la vista, dal momento che il dio aveva alzato con derisione un angolo della bocca. Le guardie invece parvero udirlo bene.
‹‹Cammina›› ordinò secca una, strattonando la catena delle manette. Doveva far male, più all’orgoglio e alla dignità, calpestati, che alla carne effettivamente morsa dal metallo pungente.
‹‹E' sempre bello tornare a casa, Thor, non credi..?››
Il figlio di Odino alzò gli occhi, incontrando due iridi fredde.
Sei tu che hai voluto che “Casa” ti trattasse in questo modo.
Tirarono di nuovo la catena, costringendolo a camminare.
Thor attese, preferendo non assistere alla scena poco pietosa con cui sarebbe stato scortato a palazzo. Spostò distrattamente le iridi verso destra, di nuovo, nella stessa direzione che lo sguardo del fratello aveva lasciato prima di voltarsi nuovamente verso le guardie.
Si accigliò, per un attimo, credette di non aver visto bene; socchiuse le palpebre.
In mezzo alle guardie ancora ferme, ma che si stavano preparando per lasciare l’edificio, spiccava una donna dai lunghi capelli sciolti, scuri, lisci, e la pelle chiara.
Si trattava di Anirei, non poteva sbagliarsi.
Era lì, tra la schiera del re, una guardia le teneva il braccio, irremovibile.
Da quanto si trovava là…? Che cosa ci faceva?
Fece per raggiungerla, mentre il grosso delle truppe si disponeva attorno al prigioniero, pronte a scortarlo alla fortezza.
Era meglio se non assisteva. Non ne avrebbe tratto nulla, se non pena e compassione, forse sofferenza per un dio che amava fallire nei suoi stessi piani.
Per Anirei, però, sembrava non esistere altro posto dove posare gli occhi.
Click.
Un rumore metallico lo costrinse a voltarsi indietro; un paio di manette pesanti abbracciavano i polsi di Lorelei.
S’interpose subito, senza pensare. ‹‹Ho dato la mia parola che non sarebbe stato indetto alcun arresto››
Le due guardie si diedero un’occhiata in tralice, poi costrinsero la strega a seguirle.
‹‹Ho dato la mia parola›› insistette.
‹‹Figlio di Odino, questi sono gli ordini del Padre degli Dèi. Non i vostri››
La dea guardò con disprezzo misto a terrore le manette, ma non si sognò di ribellarsi: incontrare l’ira di Odino era l’ultimo dei suoi desideri.
 
 
 
‹‹Padre..›› chiamò non appena l’accesso alla Sala del Trono fu disponibile e le grandi porte si aprirono. Percorse il lungo corridoio dorato, il pavimento decorato con geometrici fregi dalla linea sottile e ingarbugliata seguendo la quale qualunque occhio si sarebbe perso.
Odino sedeva nuovamente come un tempo, con la sua alabarda nella mano destra, i fedeli corvi Huginn e Muninn*** sui due lati del trono, lo splendore prezioso della scalinata.
L’ultima volta che aveva visto una scena simile, sotto quelle mentite spoglie si nascondeva un abile fratello, che era riuscito a creare un’illusione più perfetta della realtà.
Non aveva dimenticato alcuna ruga, nessuna sfumatura di quello sguardo sempre severo ed aspro, nondimeno capace di addolcirsi dinanzi a ciò che riusciva ad ammorbidire il suo cuore di padre e uomo. Poche volte lo aveva visto sorridere davvero sinceramente.
E sovente si era trattato dell’amore provato per lui o Frigga. Ma anche per Loki.
Col tempo sembrava essersi dimenticato come fare a piegare le labbra.
Giunse ai piedi delle scale, le stesse dove tante volte madre e figli avevano atteso il regno, le cerimonie importanti, le visite che il re riteneva necessarie ricevere. L’unico luogo dove Loki abbassava gli occhi, incapace di guardare in quelli di Padre quando carichi prima di invidia, poi di rabbia, infine di odio.
Come poteva, Thor, non essersene mai reso veramente conto? Come poteva non averci dato mai troppo peso?
“Sei vissuto nel tuo palazzo dorato con i sensi tappati e l’intelletto distorto da un’ingenuità che ti fa quasi onore… oppure si tratta solo di vano ed egoistico egocentrismo?”
‹‹Thor›› riecheggiò potente la voce di Odino, mentre i due corvi lo guardavano con curiosità.
Ne aveva abbastanza; senza risposte, possedeva solo la voce di Loki che insinuava dubbi nella sua mente, che tentava di renderlo un burattino inerme, sconfitto dalle sue stesse domande.
Fissò Padre, non abbassando lo sguardo. ‹‹La donna che ti teneva sottochiave è stata catturata..›› prese un respiro, aprì le mani ‹‹Puoi spiegarmi che cosa ti sia capitato?››
Odino inspirò profondamente, il petto si alzava con lentezza. Era forse un sospiro?
‹‹Loki si è approfittato della mia temporanea incoscienza per governare al mio posto››. Thor si accigliò, mentre una lieve ciocca di capelli biondi sfuggiva da una piccola treccia. ‹‹E la donna che vi ho chiesto di catturare aveva il compito di sorvegliare il sonno del mio corpo celato agli occhi del guardiano››
Aggrottò le sopracciglia. ‹‹Una maga, una..?››
Odino intervenne ‹‹Una serva. Molto fedele. Innamorata e parecchio gelosa, che nella mia liberazione ha visto un impetuoso mezzo di vendetta verso chi l’ha ferita››
Al solito, i piani di Loki si rivoltavano sempre contro di lui.
Come quando aveva tentato di impadronirsi del trono mentendogli e volendolo uccidere – quando avrebbe potuto benissimo starsene in silenzio e beneficiare del proseguimento naturale degli eventi - e ne aveva subito le conseguenze, o quando aveva finito per assaggiare la stessa sconfitta umiliante che aveva programmato per i protettori della Terra. E la lista sarebbe potuta continuare.
C’era sempre qualcosa che stonava nei suoi piani melodici, forse quell’eccessivo desiderio di rivalsa che lo voleva completamente vittorioso su tutti e tutto, un eccessivo moto di sentimento che gli faceva fare quel passo falso.
E ancora una volta ne era uscito sconfitto.
Eppure..
Non riusciva a togliersi quell’espressione soddisfatta dalla mente.
Si guardò distrattamente attorno, annuendo con poca convinzione. ‹‹Cosa hai intenzione di farne di Loki?››
‹‹Sconterà la sua pena››
La voce del Padre degli Dèi si era fatta intimidatoria, così come i suoi occhi: lo sguardo era talmente perforante da bilanciare l’assenza dello zaffiro mancante.
Sapeva cosa volesse comunicargli: se avesse anche solo pensato di liberarlo dalle sue prigioni come l’ultima volta, non avrebbe più potuto varcare i cancelli di Asgard.
Una minaccia muta ma più chiara di qualsiasi discorso.
‹‹Tieni ancora delle speranze verso di lui, Padre..?››
‹‹Thor, devi capire che non si tratta di speranza. Si tratta di giustizia. Qualunque sia il nostro pensiero, il nostro cuore, bisogna metterlo a tacere. Per quanto possa essere doloroso. Rammentalo sempre››
Thor piegò la testa, stringendo le labbra.
Vorrei davvero essere in grado di aiutarti, Loki.. ma sembra che il male che ti si è radicato dentro sia ormai parte integrante del tuo animo..
Udì rumore di passi, lenti e pacati. Padre gli toccò una spalla col palmo, stringendo forte ma senza fargli male.
‹‹Avrei dovuto aiutarlo, Padre.. non dicevi sempre che era il mio compito di fratello maggiore proteggerlo dai pericoli del mondo?››. Come poteva, d’altronde, difenderlo dalla reazione alle sue ferite interne, che sanguinavano ad ogni momento del giorno e della notte?
La stretta si fece più forte. ‹‹Non biasimarti, Thor. Non siamo in grado di controllare le decisioni altrui, esse sfuggono, oserei dire fortunatamente, alla nostra volontà››. Alzò lo sguardo, incontrò lo zaffiro del re. ‹‹Esistono cose ed eventi cui sembra sia impossibile opporsi..››
Già. Per quanto avessero potuto combattere, raddrizzarlo, metterlo sulla retta via, Loki inciampava sempre nell’odio che il destino aveva deciso di fargli soffrire.
‹‹Hai altro da chiedermi, figlio dei tuoni?››
‹‹Ho dato la mia parola a Lorelei che non le sarebbe successo niente. Se non fosse stato per lei, dubito fortemente che saremmo riusciti a catturare Loki, o a imprigionare l’Aether››
Odino ritrasse la mano, meditabondo.
‹‹E sia›› disse infine, voltandosi e salendo di nuovo i gradini che portavano all’alto scranno.
 
 
                                                                                         ***
 
 
Bianco.
Bianco.
Un individuo dagli occhi verdi, freddi, fissava insistentemente le sue pupille.
Il resto era bianco, una luce d’avorio che assolava l’intera stanza.
Non puoi sfuggirmi..
Distolse lo sguardo, rimirò la propria mano pallida e secca sulla gamba avvolta in stretta stoffa marrone.
Il corpo era immobile; l’intera figura non lasciava presagire movimento di alcun muscolo.
Picchiettava il mignolo sul ginocchio.
Uno.
Due.
Tre.
Ballava piano e scandito, come stesse contando i granuli di una lenta e opaca clessidra.
Stai forse crollando?
Alzò gli occhi, per ritrovare ancora una volta quelli verdi.
Li riabbassò, impassibile, con poco interesse.
Il bianco era ovunque, si rifletteva sulle pareti di specchio, sul soffitto lucido e il pavimento cristallino; e ovunque avesse volto lo sguardo, quegli occhi freddi sarebbero stati sempre lì, pronti a ricordargli il vero colore che celavano dietro di sé.
Un rosso fuoco pronto a divorare l’iride.
Un paio di lingue di fiamme mostruose, cariche del sangue di coloro che avevano ucciso con la stessa freddezza del corpo di ghiaccio.
Un verde volto a rammentargli il rosso.
A rammentarti ciò che hai fatto, e ciò che sei..
Un mostro.
Le dita della mano destra solcarono piccoli cerchi sulla rotula, le unghie annusavano la tentazione di conficcarsi nella carne. Se anche avesse abbassato le palpebre, quella luce luminescente le avrebbe oltrepassate, condannandolo a un fascio di verità, a un fascio senza illusione.
Dove puoi nascondere la verità quando ti vengono tolte le tenebre, mostro?
Già.
Il buio, le tenebre.
Un ottimo luogo che, una volta imparato ad accettarlo e a non temerlo più di quanto non facciano gli altri, si trasforma in una spessa coltre di coperte, decisa a celare qualsiasi cosa le si chieda; un corpo, un pugnale affilato prima pulito e poi sporco di rosso, un piano, un segreto.
Qualunque cosa.
Le tenebre sono una madre che si disprezza, ma cui si deve ipocritamente sorridere per non essere subito asfissiati dalle sue braccia, dal suo abbraccio sul petto, sul seno. Essa, terribile e mortale, cullando, richiede il prezzo dei suoi servigi.
Loki la odiava, ma doveva farsela piacere dal momento che, sebbene avesse voluto trinciare quelle braccia di odore nauseabondo, di sempre viva decomposizione, fatta di vermi e carne putrefatta, finiva sempre in quella stretta asfissiante, nolente e rassegnato.
E a mano a mano, intanto, essa si spargeva, voleva abbracci sempre più duraturi, baci sempre più appassionati, a poco a poco consumava, tra quelle braccia di odio crudo.
E' così: chi abbraccia quella madre, chi abbraccia le tenebre, diviene un corpo che si dissipa, che mangiando si mangia.
Sbatté le palpebre, con lentezza stanca.
Aveva combattuto tutta la vita, contro la sua rivale, spesso perdendo.
Ma ella non si era data per vinta, e aveva continuato imperterrita a staccarlo dall’abbraccio del buio per riportarlo a quello della luce, quando né Odino, né il destino stesso, erano stati in grado di allontanarlo da quella che si proclamava in silenzio la sua vera madre.
Eppure, quella donna dai cristallini occhi azzurri, e i lunghi boccoli biondi sembrava convinta del contrario. E aveva continuato, testarda, fino a quando il destino non aveva deciso di portargliela via.
Sarebbe tanto voluto mostrarsi a quel ciliegio, e fissarne le radici, anziché i rami.
Come credevi di riuscire, tu, illusa di una regina? L’altra madre è riuscita a metterti fuori gioco.
Non c’è speranza di staccarmi dal suo fatale abbraccio di morte.
Sì, glielo avrebbe voluto dire. Tuttavia sapeva, il dio, che non una di quelle parole sarebbe uscita dalle sue sottili labbra. Non una.
Perché dentro di sé non riusciva a staccarsi del tutto, non riusciva ad abbandonare una sciocca e infantile speranza, lieve, di potersi liberare di una madre che odiava con tutto il disprezzo possibile.
Una madre che gli aveva impedito di stare con l’altra, di renderla fiera di sé.
Di poterla davvero stringere e sentirsi di nuovo suo figlio, come prima che tutto cadesse a pezzi, scivolando da quel ponte dai colori dell’iride e finendo inghiottito nelle tenebre che, gelose, avevano provveduto a seppellire anche i frammenti luminosi di ciò che la madre d’oro, di sole, aveva costruito.
Chiuse gli occhi.
Ricordò una piccola fiammella verde come le sue iridi, che seguiva magicamente il movimento delle dita della mano; era stata poi adagiata sul suo palmo, ne era rimasto affascinato.
“Potrai farlo anche tu se ti piace. Scommetto che diventerai bravissimo: tu hai cuore.”
Le piccole labbra stirate in un sorriso pieno di speranza, di gioia; e tendeva il braccio per afferrare quella mano che gli veniva offerta, la mano liscia e morbida, calda, di chi ti sa riscaldare il petto.
Si sporgeva per afferrarla, nonostante le tenebre avessero già rubato parte del suo cuore rifiutato, nonostante cominciassero a spandersi fino a rubargli qualsiasi battito.
“Allora io non sono tua madre”
E la sua piccola mano, divenuta grande, trapassava solo una vana illusione.
Crash.
Veloce e violento fu il pugno sul vetro lucido, tra le sue gambe.
Schiantato in mille pezzi, le schegge gli fornivano il riflesso delle iridi verdi: migliaia di rifratti identici, di occhi freddi solcati da una lucidità che non sarebbe dovuta trasparire.
Guardati.. non c’è nemmeno bisogno di mostrarti il vero mostro che sei, per tormentarti..
Sei solo un debole.
Stornò lo sguardo, lo diresse con poco interesse sulla mano di minuscoli frantumi di vetro, attaccati alla sua carne pallida ed emaciata, traslucida e quasi trasparente, come pidocchi dalla resistente tenacia.
Il petto era immobile e vuoto.
Studiò una goccia rossa, tra le tante, colare in mezzo all’indice e il medio, scivolare sul polso con lentezza di fatalità, disegnare una lunga riga sull’interno del braccio da tempo liscio; rimase a fissarla, quella goccia, che solitaria scendeva giù, giù, sempre più giù, sino a curvare e toccare la punta del gomito.
La seguiva in un morto silenzio, in un contemplativo guardare: perché si può provare a cancellare dal corpo, volenti o nolenti, ma ne resterà sempre una scia nell’anima.
“Perché non te ne vai?”
Come poteva anche solo immaginare che riuscisse a dimenticare, ad andare avanti, a levarsi dalla testa l’ossigeno che gli necessitava per vivere..?
Abbandonò stancamente l’arto riverso sul pavimento di cristallo a specchio, strizzò gli occhi chiudendoli più volte. Avrebbe voluto distruggere tutte le pareti a specchio di quella stanza snervante, ma se lo avesse fatto, avrebbe arrecato gioia e soddisfazione al grande e potente re Odino. Gli avrebbe fatto capire che il suo assurdo e malevolo piano di metterlo davanti a se stesso, forzatamente, stava dando i suoi risultati.
Benché minimi, certo. E sicuramente ininfluenti sul Dio dell’Inganno.
E poi..
Abbassò le fredde pupille verso la pavimentazione, tra le gambe: non c’era più alcun segno di sfregio, la superficie era tornata liscia e cristallina.
Sarebbe stato tutto un inutile spreco di tempo ed energie.
Appoggiò la testa sullo specchio dietro di sé, levò le ciglia verso l’alto. Oltre a quegli occhi verdi, scorgeva il riflesso di una leggera macchia bluastra che si delineava attraverso la pelle straordinariamente trasparente, sul polso destro.
E non poteva farci nulla.
Come puoi nasconderti quando ti viene tolta la dignità?
Senza le unghie per graffiare e difendersi, il suo corpo era nudo. Nudo e vulnerabile, umiliato, sotto gli occhi di tutti, come un riccio senza spine, o un albatro senza ali, uno squalo senza denti.
Ciò nondimeno sorrideva, assottigliando le labbra lungo una linea curva: sapeva di essere osservato.
Credi che senza seiðr io smetterò di lottare e cadrò ai tuoi piedi..? Non mi conosci.
L’arma più potente del Dio dell’Inganno non risiede nelle sue grandi capacità occulte.
Potevano sottrargli tutto, ma non l’intelletto, non la lingua appuntita e manipolatrice di povere menti ottuse.
Non mi piegherai mai, vecchio.
Abbassò le ciglia, stanco, desideroso di una riposante dormita, si abbandonò tra i vapori della stanchezza, mentre ricordi confortanti, adesso dolorosi, gli attraversavano la mente.
“Perché non te ne vai? Mi hai già ringraziato abbastanza, per ieri, mi sembra.”
Le onde brune al vento, si era voltata, la fronte leggermente aggrottata, stupita; un attimo, e gli sorrideva, le guance appena intorpidite dall’imbarazzo.
“Mi va di farti compagnia. Posso..?”
I muscoli del braccio cominciarono a formicolare.
Perché non te ne vai dal mio cuore..?
 
 
 
                                                                              ***
 
 
La vide seduta sgraziatamente sul letto dalle coperte in seta chiara, la schiena curva, le spalle all’ingiù, lo sguardo vacuo che fissava il pavimento grezzo. I capelli, per nulla curati, giacevano inermi e spenti in una molle coda bassa, mentre gli occhi arrossati e stanchi, un paio di occhiaie leggermente accennate, indicavano notti sofferte nell’assenza del sonno, una preoccupazione che le consumava il colore del viso, rendendola sempre più pallida e grigia.
‹‹Anirei..?›› chiamò piano, avvolgendola con un tono della voce appena pacato. Ella aveva subito levato lo sguardo, non appena aveva sentito lo strascico di una porta stanca e abbattuta; si era alzata all’istante, dirigendosi verso di lui per abbracciarlo con tutta la sua forza di mortale.
‹‹Come stai..?›› le domandò, mentre la fanciulla scioglieva lentamente la stretta.
La vide rianimarsi un poco, alzare leggermente il sopracciglio destro e fare una piccola smorfia: significava che aveva di che lamentarsi. Thor sorrise appena, ricordando uno dei tanti particolari che un tempo aveva amato, le espressioni sul suo viso, i suoi repentini cambi d’umore, le sue lacrime, i suoi sorrisi. Gli occhi che le brillavano ogni qual volta un suono od un’immagine, qualcosa, le facevano venire i brividi sulla pelle e sentire la vita nel cuore.
Come possono essere cambiate le nostre vite, in così poco tempo?
‹‹Non posso uscire se non accompagnata dalle guardie, sono sotto stretto controllo, e non posso avvicinare nessuno..››
Stirò le labbra, con tenerezza. Il dio si riferiva al suo stato d’animo dopo tutto ciò che era e stava accadendo d’intorno a Loki..
Il sorriso si spense all’istante.
Un brivido preoccupato pervadeva nel fondo della sua carne, da quando il Dio dell’Inganno l’aveva rapita, su Midgard. Si era chiesto continuamente se prima un giorno, e poi due, fossero bastati per farle del male, per farle pentire di essere stata messa al mondo, per farle assaggiare il suo odio vendicativo.
Perché sei rimasta invischiata in tutto questo..?
Thor aveva sempre avuto l’impressione che una macchia scura si allargasse su di lei, la coprisse gradualmente come una chiazza d’olio nero sempre più grande, pronta ad inghiottirla, dalla forma di serpe. Non gli erano mai sfuggiti quegli occhi verdi che l’avvolgevano, senza che Anirei si accorgesse di nulla, silenziosi, freddi e possessivi.
E adesso più che mai, avendola davanti a sé, temeva cosa le avesse potuto fare.
‹‹Thor.. tutto bene?››
I suoi occhi scuri, che lo scrutavano con sincera apprensione, cacciavano via quella domanda inconscia che continuava a rimandare. Non aveva la forza di porre quell’interrogativo, ogni momento tentava di convincersi dell’abbaglio che il suo istinto aveva preso. Non ci riusciva.
Annuì.
Anirei mosse lievemente il capo, per poi sospirare. Esitò appena, il tempo di mordersi il labbro inferiore affinché potesse scaricare la tensione di un velo nero d’ansia che le scendeva addosso; infine sputò fuori ciò che più le premeva.
‹‹Sai se sta bene?››. Un filo di voce arrochita, ma ferma. ‹‹Sai che cosa gli accadrà..?››
Il Dio del Tuono ricambiò quello sguardo appena mogio e preoccupato, nondimeno forte: lo leggeva nel tentativo estremo di non abbassare gli occhi nocciola che così spesso era costretta a far rifuggire: adesso, sembravano non scappare più.
“Non sono solo coincidenze, Thor”
E quella domanda risaliva di nuovo le sue corde vocali, gli si piantava violenta nel cervello con una maggiore, se non certa, consapevolezza.
Fu lui a distogliere lo sguardo, spostando le pupille azzurre sulla terrazza.
C’era il tramonto, la luce calda del giorno che a poco a poco si trasformava in quella fredda del buio, già si notavano alcune stelle isolate nella volta più scura.
Si sentì sfiorare un braccio scoperto dalla casacca di metallo. Strinse le labbra.
‹‹Odino l’ha rinchiuso in una cella di specchi fino a quando non riterrà opportuno annunziare l’alta sentenza››
Era forse la punizione peggiore per il Dio dell’Inganno. Inerme, senza un briciolo di arma con cui opporsi a se stesso, a quella stessa mente che lo faceva smarrire dentro di sé. Se già non lo avesse creduto impazzito, avrebbe detto che quella tortura psicologica l’avrebbe fatto, e in una maniera che non aveva dell’umano.
Anche Anirei sembrava condividere il suo stesso pensiero.
Mormorò piano, come se stesse parlando tra sé e sé, gli occhi sul pavimento per aiutarla a formulare il suo pensiero. ‹‹Thor..››
Quella domanda ricominciò a martellargli i neuroni.
Che cosa temi, Dio del Tuono?
‹‹Vorrei parlare con lui, Thor›› replicò con voce ferma, ma con tono preoccupato. Alzò gli occhi scuri, fronteggiandolo. ‹‹Devo››
I lineamenti del suo viso di porcellana sembravano tremare; il colorito della carne assumeva sempre più l’espressione colpevole e agitata di chi non aspetta altro che togliersi un peso che gli corrode la lingua e la bocca dello stomaco.
Quella preoccupazione lo scavava sempre più.
‹‹Odino non lascerà mai entrare nessuno, men che meno te, Anirei. Non sappiamo cosa possa averti fatto, o potresti essere quantomeno confusa in seguito ad un trauma..››
Lo guardò intensamente, unendo le labbra. ‹‹Ma tu sei qui, Thor. Non significa che almeno tu ti fidi di me?››.
Aveva già capito che il problema di Odino verteva sulla fiducia da darle, tanto per lei quanto per lui. Questa volta Padre non voleva rischiare.
Tuttavia quell’osservazione nascondeva una consapevolezza maggiore: molti credevano, forse in maniera non poi così bizzarra, che Anirei fosse e fosse stata in combutta col Dio dell’Inganno per tutto il tempo. E non c’era bisogno di andare tanto lontano con i primi nomi, che gli venivano in mente, dei sostenitori di questa accusa.
Rimase in silenzio, passandosi una mano sul volto e massaggiandosi gli occhi.
Non vuoi la verità, Thor..?
E' così semplice ed evidente, eppure rifiuti di accettarla.
Cos’è che temi?
La fanciulla emise un lungo sospiro, il petto si alzava piano e scendeva in profondità. ‹‹Ho commesso errori tutti uguali a se stessi, Thor: ho paura, e finisco sempre per scappare via, per rifuggire quella sensazione che mi opprime e mi attanaglia i polmoni, impedendomi di respirare. Ne ho abbastanza. Dei miei timori, di questo atteggiamento che non farà altro che distruggermi, pezzo dopo pezzo, ogni volta fino alla fine della mia esistenza. Voglio uscire da questo turbine cui sono inevitabilmente caduta, in cui soffro per me stessa e per coloro che ferisco e deludo, i medesimi dai quali fuggo››. La vide accarezzarsi il dorso della mano, la stessa sulla quale troneggiava una lunga cicatrice. ‹‹Non voglio commettere più gli stessi errori.. Devo parlargli››
Thor si morse il pollice, incastrando l’unghia tra i denti. ‹‹Sta giocando con la tua mente, Anirei. Ti conosce fin troppo bene, e sa che il tuo senso di colpa potrebbe tornargli utile in maniera concreta, se il suo non fosse solo un modo per vendicarsi di noi››. Se doveva sfruttare il rammarico di qualcuno per farsi liberare, Anirei era un campo davvero fertile per un’occasione simile.
La fanciulla scosse la testa, allargando le braccia e gesticolando. ‹‹No, Thor, non si tratta di questo, o almeno non del tutto. Non capisci..? Lui..››
‹‹Rientra nei suoi piani, Anirei. E' normale per lui sedurre, e ingannare per i propri fini. Qualunque cosa ti abbia fatto..››.
Si fermò improvvisamente, leggendo sul suo viso ciò che più temeva; gli occhi che accarezzavano dolcemente la cicatrice, la pelle che vibrava in ricordi permessi solo all’intimità della sua mente.
Si morse le labbra, pervaso da un brivido freddo e di ghiaccio che lo trapassò da parte a parte.
No. No, no, no.
Non poteva averlo fatto davvero.
Non poteva averla sedotta, lasciandosi andare agli istinti carnali dettati dalla sua vendetta piena d’odio.
No…
Aveva deciso di fidarsi di un suo benché minimo barlume di lucidità, di umanità.
Non poteva averlo fatto.
Sentì il mondo crollargli addosso.
Era colpa sua. Non era riuscito a proteggerla, l’aveva lasciata tra le sue folli mani, indifesa fanciulla.
Non dirmi che ti aspettavi il contrario, caro fratellino.
‹‹Thor..?››
Chiuse le mani a pugno, cercò di resistere allo svuotarsi su una delle pareti sulla stanza con tutto se stesso. Perché diavolo era dovuto succedere..?!
Ah-ha, Thor. Non provare nemmeno a scusarti. Quello che le hai fatto subire è imperdonabile.
Nella sua mente non esisteva nessun pensiero se non la voce di Loki che si divertiva a torturarlo; nel corpo, nulla se non la sconfitta, la rabbia, e l’impotenza.
La fanciulla gli andò davanti, gli prese il volto con entrambe le mani, costringendolo a farsi guardare negli occhi. Ancora, vi leggeva una tremenda sensazione colpevole.
‹‹Thor, mi spieghi che cosa ti stia prendendo..?››
Rantolò qualche parola. ‹‹Aveva già cercato di portarti via da me, solo per farmi un torto. Avrei dovuto dargli meno leggerezza e adesso..››
Gran bella giustificazione, potente dio dei fulmini.
Cercò di raggiungere la porta, mentre fuori cominciava a rannuvolare.
E io sarei il protettore dei Nove Regni..?
‹‹Thor!››
Abbassò gli occhi, se la ritrovò davanti alla porta.
‹‹Lasciami, Anirei. Adesso..››
‹‹Adesso mi ascolti››
Aggrottò la fronte, abbassò le sopracciglia. Quel volto continuava a tremare di colpevolezza.
Dentro di sé, già cominciava a capire.
Già aveva compreso, da tempo, ma aveva deciso di rifiutarlo.
‹‹Che cosa vuoi dirmi..?››. In quel momento gli parve una domanda retorica.
‹‹Voglio soltanto dirti che quello che provo per lui non è il frutto di una seduzione››
Prese un respiro, chiuse gli occhi.
‹‹Ti ho tradito, anni fa››
E' di questo di cui hai in realtà paura, figlio di Odino..?
Che anche il resto della realtà in cui hai vissuto sia falsa, e che la tua cecità fosse completa?
 
 
 
 
 
 
*:osservazione di Thor a Odino, nel primo film, poco prima di essere esiliato sulla Terra per la sua arroganza, la sua ignoranza, e la sua maleducazione.
 
 
**:Già Thor, plausibilmente dopo il film “The Avengers” , aveva scortato Loki a palazzo usando il potere del Tesseract.
 
 
***:i corvi di Odino, i cui nomi significano rispettivamente “Pensiero” e “Memoria”. Sono gli occhi e le orecchie di Odino che volano per tutti i Nove Regni, rincasando soltanto a sera e informando il re su ciò che hanno scoperto.
 
 
 






***********************
Rieccomi qua, scusate il ritardo!
Dunque, a parte dire che questo capitolo mi ha fatto vedere i sorci verdi, e che il risultato non mi soddisfi, sono almeno contenta di una cosa: quel poveretto di Thor sta finalmente cominciando a scoprire un po' di cose, e vedremo se si fermerà, o continuerà ad indagare per vederci chiaro (intanto ha già preso una cantonata povero diavolo).
Poi.. vediamo un po'. Il ricordo di Loki su Anirei risale circa all'arco temporale tra il terzo e il quarto capitolo (il ringraziamento deriva dall'averla aiutata dopo essere uscita dall'arena con tutti i dolori), e mi piace pensare che fosse stata Frigga a dire a Loki "Tu hai cuore" (frase utilizzata dal dio prima di controllare la gente col potere dello scettro); per il resto non credo ci siano grandi interrogativi (tutt'al più ponetemeli, che ci sta che sbagli o mi dimentichi qualcosa).
Come al solito, spero che il capitolo vi sia piaciuto, e che continuerete a seguirmi:)
Bye,
Ali
P.s: Sto revisionando la prima parte della storia. Non farò (e non ho fatto) grandi cambiamenti alla trama, né al succo di ogni capitolo: solo, taglio e aggiungo o frasi o descrizioni che secondo me arricchiscono (o snelliscono) la trama (per esempio, ho interamente tolto la citazione del Notre-Dame de Paris: non che non fosse carino -a mio parere- ma mi pareva abbastanza superfluo). Per ora, posso comunicarvi che ho finito la revisione dei primi tre capitoli.
Spero perdonerete questa revisione generale che però, come già detto, non subirà nessun cambiamento a livello di trama (almeno non importa che andiate a rileggere).
Ciao! <3

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** CAPITOLO ***


 

 

Appena scomposto sulla sedia d'oro squadrata, gli occhi sul focolare acceso per riscaldare una notte di ghiaccio che riflettevano, d'un azzurro lucente, le fiamme vive e calde, Thor si era chiuso nel silenzio di chi attende la visita certa del fato. Ogni lingua di fuoco si muoveva sinuosa ed ubriaca, movimenti scomposti e sbagliati, mai uguali a se stessi, che si confondevano sovente con i particolari, persone ed oggetti, di quei ricordi e di quelle immagini di cui prendevano tremuli la forma. Il dio rievocava il passato in ogni freddo sorriso, in ogni occhiata infastidita e seccata; vedeva adesso un paio di sottili labbra incurvate non per atona educazione o per mera ipocrisia, ma mosse da vero, cristallino, affetto.Lo stesso focolare aveva assistito all'inconscio piacere che un principe eterno provava in compagnia di un'effimera mortale, a quelle risate adesso innocue e pure dinanzi ad un comportamento o un'osservazione ritenuti buffi e goffi, adorabili: ella gonfiava le guance, metteva un finto broncio sulle labbra piene mentre i lunghi capelli le ricadevano sulla schiena in voluttuose onde brune.
Fratello, perché non provi a insegnarle qualcosa della tua magia? Le farebbe piacere”
Quelle iridi verdi scivolavano su di lei di nuovo - al solito: a volte limitandosi ad una breve e curiosa occhiata, quando non scettica o di sufficienza, a volte seguendo le tenere curve di quei capelli così scuri, quasi amassero posarsi su di lei, a più riprese; come un contrasto di colori complementari, era poi sorto un ghigno derisorio.
Non ha costanza né pazienza: non ne sarebbe capace”
Per non essere un'eterna è molto brava. Perché ti ostini a non riconoscerle alcun merito..?”
Aveva levato lo sguardo su di lui, serio e sprezzante.
E' in realtà mediocre.. cosa ci trovi di tanto interessante in una mortale così tediosa..?”
Il Thor presente alzò le sopracciglia chiare. Probabilmente, il Dio degli Inganni aveva trovato da solo risposta a tale domanda: ma all'epoca, stava forse mentendo a se stesso, cercando di porre una barriera, cercando di rivestire quel continuo posarsi su di lei con sofisticata bugia, pomposo ed ostentato disprezzo?
E poi, per quel che poteva oramai importare, sapevano, entrambi, di cercarsi prima ancora di cedere alle proprie palpitazioni, quella calamita che chiedeva continuamente di guardarsi per trovarsi?
Il passato acquistava adesso un senso nuovo, squarciando quel velo di innocente ingenuità che aveva adombrato da secoli i suoi occhi celesti.
«Avrebbe avuto il coraggio di ucciderlo?»
Fandral aveva gettato una domanda improvvisa su quella stanza riscaldata da un focolare freddo e silenzioso come la notte, intanto sorseggiava il vino rosso di Asgard da un boccale pregiato; dondolava il piede, mentre lo sguardo tutt'altro che da fesso tagliava l'aria in cerca della reazione delle loro espressioni.
Intervenne la dea a spezzare il silenzio. «Ha tentato di assoggettare un regno neutrale e indifeso, mietendo vittime altrettanto innocenti, e incapaci di rispondere ai suoi attacchi»
Lo spadaccino alzò le spalle, giocando distrattamente col bordo del boccale, gli occhi persi nel fondo probabilmente vuoto. «Era sotto l'influsso dello scettro.. A proposito, sarà sicuro lasciarlo nelle mani dei Midgardiani?»
Lo scettro. Gli occhi tendenti all'azzurro, dimentichi del vecchio smeraldo, dimentichi della sua vita passata, dalla stessa intensità dell'energia che pompava nel cuore dello scettro, quel colore che tardava ad andarsene anche dopo i violenti colpi alla testa e al corpo.*
«Era sua intenzione commettere un genocidio nei confronti della gente di Jötunheim». Il silenzio si distese attorno le loro figure, quasi gelò ulteriormente lo scoppiettio muto delle fiamme che disperdevano il freddo della sera: nessuno aveva niente da ribadire.
Il Dio del Tuono tirò più verso sé un lembo della mantella marrone, un brivido gli aveva percorso funesto il bicipite per poi risalire verso la spalla. Non aveva voglia di dire nulla, né alcuna consolazione avrebbe potuto distogliere la sua attenzione dai pensieri che lo bollivano dentro.
Domani Padre ti mostrerà l'amore che prova per il suo caro figlioccio.
In quei momenti, la voce di Loki si faceva pressante.
«Thor?»
Sif accompagnò il richiamo sedendosi accanto a lui, le gambe incrociate e la schiena dritta, le mani intrecciate sulle ginocchia. Osservò il suo blu deciso e fermo, la cascata nera in una elegante e semplice pettinatura.
Sif sapeva, ne era certo; o quantomeno aveva già fiutato l'odore della verità a suo tempo: non c'era niente che potesse sfuggirle, nessuno poteva battere quegli occhi da aquila, se non un paio di lenti feline e verdi. Espirò profondamente, portandosi il pollice alla bocca e mordendosi pelle e unghia.
«La realtà che ho vissuto è solo una menzogna» osservò con la voce bassa e gli occhi incollati sulle fiamme che danzavano scompostamente. Si chiese se Loki non avesse provato tutto quel dolore e quel turbamento, sebbene in maniera di gran lunga peggiore.
Scoprire le sue vere origini, scoprire un'appartenenza che lo lasciava in balia di un'identità vissuta a mezzo, il crollo di tutte le sue certezze, la scoperta di essere veramente ciò che più si è temuto e si è sempre odiato. Non a caso il dio doveva aver sfiorato la pazzia più volte.
«Non tutti ti hanno mentito» replicò con stizza severa lei, allentando la tensione delle spalle con un respiro. Seguì la direzione del suo sguardo, che si infranse anch'esso tra le fiamme silenziose «Non siamo tutti dei vili menzogneri.»
Poteva essere vero, ma solitamente il sordo non ammette di non sentire alcunché. Thor levò le ciglia su una fiamma che si era eretta più alta di tutte, per un vano e brevissimo momento.
«Ammetto che nessuno di noi possa vantare di aver sempre agito in maniera corretta o giusta.. ma eravamo sempre mossi da una giusta intenzione. Thor» cercò di richiamare la sua attenzione, e non senza sforzo il dio si voltò verso il suo bel viso. «Ogni volta che lui è coinvolto, qualcuno è costretto ad abbassarsi al suo livello, che sia per salvarlo o meno, costringendolo a diventare come lui. E' così. Tu non hai nessuna colpa per i suoi comportamenti: le sue scelte gli appartengono».
La donna non aveva per niente torto; Loki era bravo a imporre una scelta difficile alla sua vittima, che finiva sempre per affrontare il proprio lato oscuro, come ad esempio arrivare a tradire Padre Tutto pur di liberarlo.
Ma come vedi, mio caro fratellino, se cado io, cadi anche tu, con me.
Udì lo scatto che la dea fece per alzarsi, non gli sfuggì lo sguardo di ammonimento che scoccò agli altri, prima di voltarsi di nuovo verso di lui. Un lieve sorriso le increspava le labbra: uno di quei sorrisi che l'orgoglio le impediva di mostrare scoperchiando completamente i denti, ma che nondimeno dimostrava la sua dolce fierezza.
«Tu sei Thor»
Thor.
Il potente Thor.
Il figlio dei fulmini temuto da tutti i nemici, il guerriero amato dal popolo, il principe d'oro e rosso, colui che impugnava il mitico Frantumatore.
Già, quell'ingenuo Thor che è soltanto una menzogna.
Lasciò cadere violentemente il profilo della mano sul bracciolo,portando immediato silenzio nella stanza, mentre la bocca disegnava una smorfia di disappunto.
Lo stavano fissando.
No.
Stavano fissando il vecchio uomo che credevano ancora di vedere.

 

 

 

Sospirò guardando la buia notte di Asgard, illuminata in remote parti del cielo da nebulose rosse e verdi, a tratti violacee o anche azzurre. I suoi occhi, però, si perdevano sulla città illuminata da piccole torce occupate in alto da lievi fiamme.
Si sentiva terribilmente scoperta: aveva una sola certezza che stava, se non era già successo – grazie alla propria mente sciocca e lenta - , perdendo.
Era Loki, la sua sola certezza: a lui appartenevano le braccia in cui desiderava essere avvolta, una spessa coperta, un paio d'ali in cui trovava sempre un rifugio sicuro dal mondo. Il punto sicuro da cui partire per fermare il vortice in cui era finita, per recuperare i pezzi confusi e sbattuti di qua e di là di se stessa.
Con la punta del dito seguì la cornice della finestra ad arco del corridoio, lentamente, sognando la notte in cui si era sentita interamente libera e tranquilla dai propri pensieri; ed era lui ad assecondare i lineamenti del suo volto, mentre ella chiudeva gli occhi e respirava con un filo d'aria.
Tuttavia era stata una notte fragile quella, che si era infranta ai primi bagliori dell'alba, per colpa sua, che non era riuscita a contenere quel passo indietro di paura e riflessione, che non era riuscita a dire “Tu sei mio, e non ti abbandonerò più.”.
Ho perso le mie ali una volta e, chissà, quante altre ancora senza che me ne accorgessi.
Il polpastrello si fermò, mentre il petto si alzava per raccogliere più capiente l'aria serale. Nell'ennesimo tentativo di ferirsi, aveva invece ferito lui.
Non poteva dimenticare l'immagine che aveva di Loki all'interno del Bifröst, Loki che, voltandosi, l'aveva notata subito, le labbra schiuse in parole gelate dalla sua vista.
Non poteva sapere, il dio, che ella stesse piangendo dentro, che le lacrime non le rigavano le guance, bensì sembravano al contrario colarle dietro gli occhi, scivolare lungo la gola, mentre in quegli smeraldi che la fissavano seri leggeva il lamento ferito di cui lei stessa era stata l'artefice.
Mi hai fatto male al cuore.”
E il suo, di cuore, si era spezzato in minuscole briciole vane, una lama era intanto affondata nel petto per affettare il nulla non appena ne aveva scorto il sorriso rassegnato di cui si macchiavano le labbra sottili.
Credevi che finisse in altro modo..? Credevi che avresti avuto tutto il tempo del mondo per dirmi quello che non mi hai detto in tempo?
Udì il rumore metallico della giuntura di un'armatura.
Una delle due guardie che la seguivano si era mossa lievemente. Forse era il caso di rientrare in camera, riposare in attesa di un'alba terribile.
Si voltò, con una mano che massaggiava la spalla destra nel tentativo di rilassarsi, e guardò il corridoio davanti a sé.
Prese un respiro, finendo in apnea: una figura slanciata e dalle forme tutt'altro che spigolose, i capelli raccolti appena dietro la nuca, stava camminando verso di lei con passo da soldato.
Si trattava di lady Sif.
Premette maggiormente le dita sulla carne della spalla, indecisa se richiamare la sua attenzione o meno. Onestamente, temeva e non aveva voglia di parlare con lei, in particolar modo dal momento che percepiva un certo grado di antipatia nei propri confronti. Le aveva sempre riservato occhiate taglienti divenute oramai familiari.
Anche Sif si accorse della sua presenza – probabilmente finse di accorgersene soltanto in quel momento – e rallentò l'andatura fino a fronteggiarla con quegli stupendi occhi blu che Anirei si era ritrovata spesso ad invidiare.
Non che ci fosse poco da ammirare a tutte le dee che passavano per i corridoi del castello con i loro fluenti capelli e gli occhi chiari e stupendi, comunque. E non si distinguevano da moltissime donne mortali solo a livello fisico, esse si portavano dietro una scia carica di fascino che le conferiva quell'aspetto e quell'attribuzione di “divino”.
L'autostima scendeva a vista d'occhio, ogni volta.
Sif la osservò a lungo, col suo sguardo tagliente e indagatore, poi portò gli specchi sulle guardie che Anirei teneva alle calcagna.
Storse una caviglia nervosamente: già i silenzi la mettevano a disagio, figurarsi i silenzi con quella dea guerriera seria e fiera. Cercò di sciogliere voce e tensione. «E' successo qualcosa?»
Ricevette un'occhiata in tralice, e una semplice spiegazione. «L'accesso alle prigioni è negato».
Immaginò il motivo che la spingesse in quella direzione.
Loki.
C'entrava sempre.
La udì imprecare sottovoce, scoperchiare i denti per la collera, i pensieri talmente forti da fuoriuscire con smorfie aggressive e violente. «... Perché Thor non comprende che quel vile sta solo manipolando la sua mente?».
Credette di cogliere una nota venata di sofferenza e dolore, in quelle parole così cariche di collera.
Di fatto, i ricordi legati ad un vecchio libro, e scene di cui era stata muta osservatrice, riaffiorarono.
Sif teneva veramente al Dio del Tuono.
Ma taceva, con quell'amore silente e un'afflizione altrettanto silenziosa, assistendo alla successione di secoli dove riusciva a farsi bastare la compagnia del dio tanto amato. Dava sempre l'impressione di essere sicura di sé, Sif, una donna che si era fatta un nome tra gli uomini guerrieri, che ancora, a volte, non veniva presa sul serio per il suo sesso: tuttavia continuava a combattere per la strada che aveva scelto, e che appagava la sua identità ma non il suo cuore.
Probabilmente, immaginava Anirei, Sif, pur non ammettendolo mai, neanche a se stessa, invidiava la vicinanza che la mortale di Thor aveva col dio: non una vicinanza di tipo fisico, quella di cui ella beneficiava ogni giorno dell'anno, ma una vicinanza di cuore, che non aveva una distanza misurabile, perché i due petti erano un tutt'uno.
Chissà che non avesse mai fantasticato di vestire in maniera più femminile, esattamente come faceva la dolce Jane.
Si morse il labbro; provava un certo desiderio di solidarietà e di comprensione nei suoi confronti, ma immaginava che la dea non avrebbe gradito svestire il suo orgoglio e mostrare le debolezze, né mai avrebbe voluto farsi consolare da lei.
Si limitò a sospirare. «Non credo che Loki potrebbe fare qualcosa a tal merito»
Anzi, immagino che non gli farebbe altro che piacere, se lo venisse a sapere.
Sif incollò il blu sul pavimento, intanto cercava di ricomporsi. Con un dito si lisciò velocemente una ciglia; ad Anirei parve di cogliere un bagliore luminescente a contrasto con la luce delle torce ingabbiate sulle pareti dei corridoi.
«Non mi arrendo né mi rassegno. Non posso tollerare che si prenda gioco di lui»
Beata tu che disponi di così tanta volontà e fiducia in te stessa..
Anirei aspettò ancora un momento, poi diede la buonanotte e si voltò. Parlare di Loki faceva male, la faceva sentire ancora più in colpa, le metteva più angoscia di quanto le sue viscere potessero contenere per la mattina sempre più vicina.
Non a caso Odino aveva scelto l'alba: era il momento in cui le tenebre si diradavano, l'inizio di un nuovo giorno. Eppure, la cosa non faceva che rabbrividire la sua carne di preoccupazione e timore.
«Sai di non piacermi, ma non è per ciò che credi tu.».
La fanciulla si voltò sorpresa verso di lei, meravigliata dall'improvvisa schiettezza con cui le stava parlando.
«A me non interessa chi sia il destinatario del tuo cuore, né ti voglio giudicare per aver giocato con il cuore di Thor.». Poggiò la mano sullo stipite della finestra ad arco, perdendo il blu nel nero della notte gelata. Prese un respiro, le scoccò un altra occhiata severa e sprezzante. «Mi urta la tua mancanza di volontà, lo spreco deliberato che fai delle tue capacità e la fragilità che ti coglie quando si presenta davanti una situazione che richieda una ferma, a volte difficile e sofferta, decisione»
Allora siamo in due.
Anirei provò la stessa sensazione della lama che affonda in uno dei fianchi scoperti.
L'adrenalina aumentò: che bisogno c'era di rinfacciarle in quel momento ciò che non le serviva di sentirsi ripetere da una voce esterna, quando era ovvio che stesse soffrendo, quando era ovvio che stesse cercando di tenersi aggrappata ad un filo di coscienza? Non aveva forse evitato di approfondire l'argomento che sicuramente avrebbe infastidito lei, invece?
Cercò di trattenersi e di non sparare parole avventate, che sapeva essere esagerate ed inventate dall'impetuosità del momento, usò tutto lo sforzo necessario; ma qualcosa trapelò comunque.
«Non sono come te, Sif, e immagino che tu ne sia felice. Ma ricorda che ognuno ha i propri difetti, e dimostra di crescere nel momento in cui li riconosce. Laddove io provo a limare per quanto sia possibile un atteggiamento a me profondamente nocivo, tu, al contrario, fingi di non vedere i tuoi o, addirittura, credi di trattarli da pregi. Buona fortuna e buonanotte.» tagliò corto andandosene prima di combinare un pasticcio.
Anche se la buonanotte, quella sera, non sembrava giungere per nessuno.

 

 

 

«Pensieri malinconici prima dell'alta sentenza?»
Fece un cenno distratto della testa, un cenno di diniego. «Se soltanto di tristezza fossero ricolmi, li accoglierei con ben altra gioia»
Heimdall continuò ad osservare la volta celeste, scura di un regno che dormiva nell'inconsapevole ingenuità del mattino successivo.
«Sta bene» sorrise il guardiano guardando un punto indefinibile dell'universo, un punto che il Dio del Tuono credeva di aver individuato e cui si voltava spesso, anche inconsciamente, quando lo coglieva lo sconforto di decisioni troppo pesanti. «E' una donna molto forte»
Stirò le labbra. «Sì. Ha avuto problemi con lo SHIELD?»
Si era affidato alle abilità e alle risorse di Erik Selvig per proteggere Jane nella peggiore delle eventualità: l'organizzazione non avrebbe preso bene la fuga di una pedina tanto preziosa, e l'astrofisica sarebbe anche potuta incorrere nell'arresto di tale crimine.
L'uomo sbatté le palpebre. «No. Ma non la faranno allontanare fino a quando non deciderai di tornare. Hanno riunito tutti i tuoi compagni midgardiani»
Sospirò, sempre un mezzo sorriso: Nick Fury non si sarebbe mai fermato, era un uomo caratterizzato da una volontà e da una determinazione fuori del comune.
«Tornerò non appena sarà tutto concluso»
Fu il Dio Bianco** questa volta, a sorridere. «Non sottovalutarla, è in grado di cavarsela da sola. Per esempio, ha barattato le sue conoscenze sul cielo per collaborare nella ricerca dei Nove Regni»
Per quanto cercherai di scappare nel cielo, io ti troverò. Sempre”
Dolcissime e timide parole che gli aveva sussurrato all'orecchio prima di baciarlo, di sfiorargli la barba sfatta con le labbra, i capelli, e le lenzuola che li coprivano dalle incombenze del mondo esterno. Quell'immagine intima e domestica, quasi anormale in un mondo oramai sconvolto da guerre, tradimenti e vari livelli di instabilità, lo distendeva in una pace tranquilla, come un guerriero in battaglia che sogna la sicurezza e la felicità di casa.
«Ogni essere vivente pare ricoprire un ruolo, figlio di Odino; sovente viene confuso il personaggio con l'attore»
Thor rimase in silenzio, accarezzando uno dei giganteschi ingranaggi che ricoprivano la volta del Bifröst. Intuiva ciò che Heimdall intendesse, ma non riusciva pienamente a comprenderne il significato.
Distolse gli occhi azzurri dalle pareti per dirigerli in quelli del guardiano, quasi un bambino che cerca la risposta negli occhi di un adulto, ma bensì, al contrario, venne accolto con stupore da un'ulteriore domanda.
«Chi sei tu
L'azzurro nel miele, il silenzio era calato e volava come una brezza leggera all'interno dell'abitacolo. Il rumoreggiare delle onde rilassava i timpani feriti nei suoni stordenti delle battaglie.

Chi sei tu?

 

 

                                                                                                                                 ***

 

 

«Ho finito, mia lady. C'è altro?»
Respirò appena profondamente, esitò mentre si osservava le occhiaie coperte da una crema di colore naturale. Infine annuì, tentando di vedere riflessa allo specchio la donna che tanto sarebbe voluta essere: forte, decisa, indipendente.
Le fece un lieve cenno, accarezzò con attenzione i capelli ben ondulati per l'occasione, un'eleganza che quasi la faceva ridere dalla disperazione. Nel cuore, nel frattempo, teneva paura e impazienza che si scontravano come due onde costrette ad infrangersi l'una sull'altra.
La ragazzetta si soffermò sulla porta, mettendo una mano sulla maniglia e indugiando. Anirei la fissò riflessa sullo specchio per un momento, prima di voltarsi nella sua direzione.
Anch'ella girò il piccolo volto dalla pelle brillante, ma non alzò per educazione gli occhioni. «Non abbiate paura. Sono sicura che la vostra innocenza verrà riconosciuta anche da Padre Tutto»
Alla parola “innocenza” percepì il corpo affondare sempre più nel morbido cuscino dello sgabello; sospirò appena, rispondendo sinceramente «Non credo di essere in grado di mostrarmi più forte di quello che sono». Era lei, adesso, a contare le mattonelle del pavimento.
«Voi siete forte. Vi ho scorto una volta mentre vi allenavate all'arena»
Stirò le labbra. «Non parlo di quel tipo di forza..»
Ella le si avvicinò, inginocchiandosi e prendendole le mani; Anirei la lasciò fare, sentiva di avere bisogno di un contatto o un gesto d'affetto.
«Io vi ho scorto. Eravate bella e fiera, forte e felice. Dovete soltanto convincervene»
Il punto è proprio questo..
Ritrovare la fiducia in se stessa era un bel problema da cui ne dipendevano tanti altri.
Le parole della ragazzina, la stessa che si era occupata di lei il giorno in cui si era risvegliata ad Asgard tanto tempo prima, e in tante altre occasioni, le facevano vibrare le corde dell'anima.
Le cadde una lacrima, e poi due. Inavvertite, e cristalline come uno specchio d'argento.
«Ma voi..»
Tante volte invano le aveva detto di smetterla di appellarla con quel “voi”, oltre a non riuscire ad abituarsi, non credeva di avere nemmeno un valido motivo per cui dovessero rivolgersi con tanta deferenza.
«Va tutto bene..». Le sorrise, cercando di asciugarsi le guance. «Era mia madre, solitamente, a dirmi queste cose belle. Mi manca tanto»
Tutti le mancavano. Abriyl con cui amava distrarsi dalla vita con tante risate, suo padre che adorava intrattenere la famiglia, lui che, prima di tornare via per sempre, sembrava aver captato finalmente la sua sofferenza interiore, benché non fosse nella sua natura comprendere le cose sensibili dell'animo. Per quel che aveva provato a fare, apprezzava tantissimo i suoi sforzi.
E poi sua madre, con cui sovente aveva litigato per tutta la vita, ma che dava sempre il suo tempo per consolarla e capirla; era rimasta offesa dalla sua decisione di andarsene, era scettica, e certamente non aveva approvato la motivazione di cuore. Però, sapeva, prima o poi, col tempo, che quello spillo fastidioso per cui si era vista un po' tradire, sarebbe stato messo da parte per l'amore provato verso la figlia.
Tutti loro non hanno mai smesso di avere fiducia in me.
Eppure, non posso fare a meno di avvertire quella sensazione che mi fa credere di averli feriti, così come per ogni mia decisione.
«Mi mancano tutti»
Il loro desiderio più grande è che torni ad avere fiducia in me, che torni ad essere felice, e trovi la mia strada.
«Vedrete, dopo l'alta sentenza tutto tornerà a suo posto»
Anirei chiuse gli occhi, le sopracciglia si inclinarono: la sua carne tremò di nuovo, mentre l'istinto era consapevole del cambiamento radicale che quella sentenza avrebbe portato.
La ragazzina che teneva le mani nelle sue era stupenda, aveva il cuore d'oro, Anirei amava parlare con lei: purtroppo, ella non vedeva Loki con gli occhi dell'amore, anzi, odiava il dio senza averlo mai conosciuto veramente. Come la maggior parte degli esseri viventi, purtroppo.
Sospirò, cercò di rilassare la schiena, spostò i gomiti che le puntellavano le ginocchia per essersi sporta verso l'ancella.
Prima di tutto, se voleva liberarsi del proprio atteggiamento, se voleva fare del bene a se stessa e agli altri, doveva raccattare i cocci dei propri errori. E Loki, purtroppo, si era schiantato in mezzo a tutte le altre cose.
In silenzio, osservò la luce fioca dell'alba, i colori freddi del cielo: in lontananza, la superficie mossa dell'oceano rifletteva i raggi con uno specchio color argento.
Era ora di andare.
Fu accompagnata sino alla porta, scortata gentilmente col braccio sulla schiena.
«Grazie» le sussurrò riconoscente prima di muovere un passo verso il corridoio, con le mani sul grembo e la schiena dritta. Scoccò un'occhiata prima a destra e poi a sinistra, verso le guardie che l'attendevano sempre ai due lati della porta; un cenno, e la seguirono a due passi di distanza.
La fortezza era silenziosa come non lo era mai stata, e mentre percorreva la strada che l'avrebbe condotta alla Sala del Trono, udiva l'eco dei propri passi e di quelli delle guardie, mentre gli occhi tradivano la paura di quell'ambiente deserto.
Non era mai un buon segno.
Udì un fruscio, che non fu solo un'impressione: anche le guardie sguainarono le proprie armi, guardandosi intorno circospette.
«C'è qualcosa che non va?»
Attese che esse si tranquillizzassero, e che rinfoderassero le armi. Scossero la testa e la invitarono a proseguire. Anirei non era molto rassicurata dagli sguardi che mandavano da una parte e dall'altra.
Tuttavia non fece altre domande e svoltò l'angolo, la scalinata che conduceva ad Odino si distendeva davanti a lei come un torrente che va dalla fonte fino alla foce.
Deglutì.
Thor si trovava già lì, davanti alle grandi porte, come molto tempo prima.
Sì, era lì, ma i suoi occhi dal color del cielo non si accendevano più per lei, il dio non sorrideva di una gioia radiosa, alla sua vista; l'espressione di quella mattina, solo l'espressione era rimasta pressoché identica, guardinga e sospettosa, seria, su un volto oramai indurito dal tempo.
Scese i primi scalini, cercando di non curarsi degli zaffiri che la fissavano con attenzione.
Ma era orribilmente difficile.
Difficile camminare col senso di colpa che ti guarda da davanti.
E'.. è successo. Siamo stati travolti entrambi, Thor”
Ed era vero. Dio, quanto era vero.
Cosa si crede di ottenere se si aizza un drago? Fuoco e cenere.
Ed ella era andata ad aizzare il Dio dell'Inganno per ricevere proprio quel fuoco e proprio quella cenere, svelando il desiderio inconscio di voler essere sua.
Solo la razionalità era giunta prima della fine per dirle che ciò che stavano per fare era sbagliato nei confronti del dio che adesso le stava davanti: ma la flebile opposizione era stata più ipocrita che altro: non aveva mai provato a liberarsi, era rimasta immobile come un manichino, scissa tra il desiderio di essere sua e la dolorosa consapevolezza di star facendo la cosa sbagliata.
E nella sua indecisione, era riuscita a ferire se stessa e i due principi divini.
Complimenti, Anirei, sei proprio un'idiota.
Si osservarono a lungo, fino a quando ella, non riuscendo a non provare una profonda e giusta colpevolezza, non abbassò le proprie ciglia, impossibilitata a resistere oltre, ferma da ore sul solito scalino.
Come posso chiederti di perdonarmi, Thor? Sarebbe soltanto una presa in giro.
Ma credimi, avrei voluto tanto dirtelo.
E se soltanto potessi, tornerei indietro e cancellerei un passato che ferisce tutti noi.
Aprì gli occhi, lentamente: aveva udito rumore di passi; il nocciola dei suoi specchi scuri si infranse contro la mano che il dio, più in basso di qualche scalino, le stava porgendo.
Di nuovo, percepì gli occhi umidi, ma per il bene e l'orgoglio di Thor, si impedì di versarne anche una sola goccia.
«Non sei obbligato..». La voce le era uscita tremula e roca, spezzata come se stesse piangendo. Si diede della stupida.
Thor strinse le labbra. I ciuffi di capelli biondi scappavano dalla scompigliata coda che teneva uniti gli altri, andando a cascargli sulle spalle. «No, non lo sono»
Anirei non esitò ulteriormente, e afferrò quella mano come si trattasse dell'unica boa in un mare in tempesta.
Il Dio del Tuono non li aveva perdonati, di questo era sicura. Thor le porgeva quella stessa mano che tempo prima lei aveva afferrato di propria iniziativa, per consolarlo, quando il suo cuore era colmo di dolore per la morte della Madre degli Dèi, spezzato, e le labbra non avevano parole da comunicare. Adesso era lei a trovarsi in quello stesso stato.
Quasi tirò su col naso: il dio era sempre così buono e gentile, con lei, non abbandonava mai nessuno nelle sabbie mobili della propria anima.
Grazie.
Glielo disse con gli occhi, ed egli parve comprendere.
Fu scortata fino ai piedi delle scale, affrontava ogni scalino con la propria mano nella sua, li scendeva uno per uno più rassicurata. L'accompagnò davanti alle grandi porte: ora non rimaneva che aspettare.
Impegnò la mano libera sul vestito che indossava, un modo per impedire l'evidente stato di tremolio che le pervadeva i muscoli. Risistemò gli orli del corsetto decorato a fiori d'oro, il profilo sinuoso con cui si diramava sul suo corpo. Lisciò poi la lunga gonna a pieghe, di un verde scuro e lucente.
«Qualunque cosa accada, non interferire con l'alta sentenza»
Le parole scesero come ghiaccio vivo sulla schiena, fermandole il respiro.
Poi, finalmente, senza alcun tipo di cigolio, le grandi porte si aprirono, con lentezza inarrestabile.
Entrarono.
La prima cosa che colpì Anirei, fu la diversa capienza della stanza: non ampia come la ricordava, ma molto più stretta.
In realtà, si rese subito conto che si trattava di un effetto ottico, di una svista, a causa della moltitudine di gente che attendeva ai lati dell'enorme sala, lasciando libero un ampio passaggio centrale che conduceva direttamente all'alto scranno. Dopodiché, fu colpita dalle due file di soldati, una per parte, che dividevano il passaggio libero dalla folla che tratteneva il fiato nel mentre li osservava – li giudicava, in particolare lei – camminare a schiena dritta e mano nell'altra. Infine, vide Odino, testa di quel corpo che gettava occhiate di fermo disprezzo da una parte all'altra, quell'occhio azzurro che riusciva a compensarne due, che li attendeva in silenzio. In mano, aveva l'alabarda che aveva scorto nelle stanze di Loki, posata con delicatezza su un tavolino di marmo.
Fu una fortuna, per lei, che le scale inferiori finalmente giungessero: se fosse stata costretta a fare un altro passo, sarebbe ceduta alla tensione.
Si inchinarono al cospetto del re, attendendo le sue parole.
«Figlio di Odino, Dio del Tuono, protettore dei Nove regni, e promessa sposa di Balder, Dio della Luce, rappresentante di coloro che sono stati colpiti da una crudeltà scempia ed ingiustificata». Anirei udì chiaramente un sommesso mormorio di sottofondo. «Siete qui oggi per presenziare alla sentenza degli Dèi. Che possiate assistere ad una decisione giusta»
«Sì, Padre.»
Presero posto sulla scalinata, su due parti opposte, Thor più in alto di qualche gradino.
Ora che non aveva più la mano nella sua, era completamente sola.
Sola con se stessa davanti alla più rappresentativa delle decisioni di tutta la sua intera vita.
«Che venga fatto entrare il prigioniero Dio dell'Inganno e del Caos, colpevole della perpetrazione di dolore e morte, raggiro, omicidio e spergiuro. Che venga fatto entrare Loki, figlio di Odino»

 


 

Prese un respiro, stizzito.
Non sarebbe stato più giusto e lungimirante parlare invece di “figlio di Laufey”? Chiamarlo con l'appellativo di serpe, o di lingua d'argento, oppure limitarsi ad un tanto più accetto e gradito “Loki, da Asgard”?
Perché continuava a tormentarlo con quelle ignobili bugie con cui era stato nutrito sin dalla nascita: una volta scoperti gli altari, non era meno vile lasciar perdere le apparenze?
No, evidentemente no. Per Odino contava ancora di più l'immagine che l'effettiva verità.
Era sempre stato così.
Un passo, e poi l'altro.
Dopo un po' ci si abituava a camminare con le catene, in particolar modo la carne dei polsi che si faceva via via più sottile e marcia: così facendo, sarebbe stato un gioco da ragazzi liberarsi di quelle manette dai buchi oramai troppo grossi.
Un altro passo e.. oh.
Questa volta sembrava voler fare sul serio; questa volta non c'era l'amore di una donna dai capelli d'oro a frapporsi e a salvarlo dall'umiliazione pubblica.
Studiò ogni volto presente, conosciuto o perlomeno incontrato nella maggior parte dei casi, tutti quegli sguardi che lo disprezzavano con la bocca di smorfia, e lo temevano con mani tremanti.
Forse nemmeno così tante persone erano accorse per assistere a quella, mai più realizzatasi, incoronazione del maggiore dei principi di Asgard.
Visto, Thor..? Sono più amato di te..!
Uno sguardo perforante, intanto, tentava di inchiodarlo sulla parete del corridoio antistante la sala.
Odino, non c'erano dubbi.
Se ne stava ritto in piedi di fronte a quel trono su cui lui, travestito in panni non suoi, si era tante volte seduto, sotto il naso di tutti i presenti. Osservò per un attimo lo zaffiro severo e freddo, per poi voltare subito gli occhi in direzione dell'ampia stanza d'oro.
Era inutile che lo fissasse in quel modo, se non era morto, lo doveva semplicemente a quello stupido letargo che lo aveva fatto assopire prima che il mancamento lo uccidesse.
Spaziò, e spaziò ancora, col rumore assordante delle manette che tintinnavano verso il collo, lo strascichio imperterrito di quelle troppo lente, cui le guardie tenevano un'estremità, sul pavimento decorato in millenarie forme geometriche; perlomeno, non strattonavano più.
Giunse ai piedi delle scalinate inferiori, sul volto un'espressione tranquilla e sofisticata.
Thor, alla destra di Odino, lo aveva atteso col viso non ancora del tutto ripreso dallo scontro subito: ancora, una ferita si intravedeva sulla guancia, in mezzo alla barba ispida.
Che sciocco.
Se avesse saputo che il suo vero avversario era un altro, un guerriero indebolito nei suoi poteri occulti, ma beneficiato ancora da una forza sovrumana, probabilmente sarebbe sceso velocemente dalle scale, Mjölnir in mano, e avrebbe finalmente messo fine a quella vita che sembrava uno scherzo.
Invece, non sarebbe successo: il guerriero non aveva perso i poteri, il portale non era stato creato, i fulmini del Frantumatore non avevano toccato l'Aether.
Si pentiva profondamente di aver boicottato il suo stesso piano.
Si puntellò il labbro inferiore con gli incisivi, nascose un gemito quando le catene scivolarono su un punto non rimarginato della pelle del polso.
Continuò a spostare le iridi di smeraldo sui presenti, evitando accuratamente di guardarla: percepiva il suo sguardo, avvertiva il suo dolore e le lacrime che le scendevano dentro. La avvertiva; la viveva, quasi. Ma non si sognò di cederle il proprio sguardo.
Era bellissima anche con le occhiaie che cercava di nascondere sotto il trucco, con quel vestito verde scuro che le lasciava scoperte, quasi un errore di sartoria, due sottili strisce laterali sulla vita. Per non parlare dello scollo lieve ma profondo che metteva in luce la sua candida carne, o dei capelli scuri scuri che scendevano ad ondate.
Era talmente bella da fare male.
La voce del vecchio, il suo occhio non sostenibile da nessuno sguardo alcuno, lo accolse quasi come un chiodo nel piede.
«Detieni almeno la consapevolezza di ciò che hai provocato?»
Sorrise, passandosi appena la lingua sulla parte interna delle labbra. «Di ciò che ho provocato, Padre degli Dèi, o di ciò che sono?»
Neanche tu desideri che sappiano, o sbaglio?
Il lembo di carne azzurro che gli macchiava la pelle era rimasto celato sotto la morsa d'acciaio delle manette.
Purtroppo, ne erano sorti altri, in punti adesso coperti dalle vesti marroni e beige, ma che, sapeva, non avrebbe potuto nascondere in alcun modo se si fossero presentate sul viso o su altre parti del corpo scoperte e ben visibili.
All'orbo non bastava averlo sottoposto a quell'odiosa punizione, fatta di consumazione di carne sotto l'acido, la rabbia e l'invidia come veleno turpe di serpente.***
Voleva farlo impazzire ulteriormente con quell'angoscia dal colore bluastro.
«Si diventa veramente uomini quando si ha la responsabilità di comprendere i propri errori. Credevo lo sapessi. Sei o non sei un uomo d'ingegno?» pronunciò con un filo di voce dura. Avanti, Odino non riusciva ad essere più persuasivo di così?
Gorgogliò.
«Vedi, la questione è molto semplice: quelli che voi appellate col nome di “errore” io li chiamo in altro modo: “giustizia”. Non vedo quindi come dovrei pentirmi di una decisione ritenuta giusta, Padre»
Storpiò appositamente le ultime sillabe, quella menzogna che superava tutte, quell'appartenenza che non era vera. E Odino, non credeva di aver fatto la cosa giusta mentendogli per oltre un millennio? I rimproveri che gli stava facendo doveva anzi volgerli a se stesso.
Nato nella menzogna e nell'odio, come posso bramare alla sincerità e all'amore?
Mi hai riempito la testa di assurdità fittizie, quando voi tutti mi avete costretto a nutrirmi del marcio della terra per sopravvivere.
Egli prese un respiro, serrò più saldamente la presa su Gungnir. La bocca era piegata lungo una linea rigida, incorniciata dalla folta barba bianca che aveva sempre adorato, da bambino, che spesso si confondeva con la chioma altrettanto candida.
«Cos'è che cerchi, Loki? Un trono non era forse abbastanza per te?»
Rimase quasi interdetto. Al Padre degli Dèi non era possibile nascondere nulla che i suoi corvi non gli comunicassero, nulla che quell'occhio non comprendesse da sé. Sospettava, presagiva quella sensazione di solitudine, la contemplazione improvvisa sull'effimero della vita dei mortali, pensieri amari che gli facevano cambiare continuamente posizione di seduta.
Alzò comunque le sopracciglia, allungò il sorriso. «La giustizia, semmai, non era forse abbastanza. Il trono non è solo un fine, ma anche un mezzo col quale adempiere alle più alte delle leggi divine: non sei forse d'accordo, giudice di noi viventi? E' ciò che fai tu ogni giorno della tua vita, se non erro».
Nella Sala, nel frattempo, un mormorio scettico e sottomesso aumentava di intensità. La maestosità dell'alto scranno che aveva davanti agli occhi, la ricchezza di particolari cui col tempo infinito si era abituato ad assistere, non lo colpivano minimamente, così come non lo impensierivano affatto la voce o lo sguardo tagliente ed impassibile del re.
Alcuni muscoli vicino al ginocchio tremarono comunque.
«E' forse giustizia uccidere un uomo innocente? E' forse giusto togliere la vita a creature altrettanto innocenti?» parlava prendendo aria con affanno, come se il recente sonno avesse sortito meno effetto di quanto solitamente avrebbe fatto; forse stava perdendo d'efficacia. Forse la mela non riusciva più a rimanere attaccata all'albero.
«Beh, bisogna sempre contestualizzare. Bisogna chiedersi se esista un disegno più grande ch-»
«Confondi il delirio con la ragione, stupido ragazzo, investi di false insegne i tuoi moventi..!» sbraitò quasi sputando il vecchio, una mano inguantata sembrava sorreggere il petto. Ansimava, ma se soffriva per un male sotto la gabbia toracica, non lo dava a vedere. «Pensavo di aver cresciuto un uomo d'intelletto, non un bambino capriccioso mosso dalla cecità della vendetta!»
Loki fu colto da uno spasmo di collera feroce, tutto il rancore che aveva provato per lui sembrò depositarsi sulla lingua. Gridò anche lui, preso da un tremore rabbioso che lo scuoteva dentro. «Io, sono forse io il più grande spergiuratore che i Nove Regni abbiano mai conosciuto?! Sono forse io colui che lascia affondare nella fossa della morte un regno che governa da cinque millenni?! Chiamami pure calamità dell'esistenza, fammi appartenere ogni male di questo mondo, puniscimi pure per questo..! Ma poi dimmi, dimmi sommo Odino» strattonò le catene, ma le guardie non si fecero sorprendere «dopo che avrai gettato su di me la colpa di ogni lacrima che si versa in questo mondo, con quale scusa ancora ingannerai i tuoi sudditi? Come potrai spiegare loro che sono in realtà colpevoli di un crimine che qualcun altro ha deciso per loro?».
Finalmente, dopo tanto tempo, smeraldi e zaffiro si incontravano, l'intensità del verde straripava nell'azzurro di ghiaccio. Se gli avessero chiesto che cosa avesse mai ripreso da lui, quella freddezza negli occhi sarebbe stata forse l'unica risposta possibile. Perché mi hai sempre messo da parte? Perché prima mi ritieni inutile di ogni attenzione, e poi, al contrario, mi credi colpevole di ogni sofferenza?.«Perché non racconti il reale motivo dietro l'amore tra la donna qui presente e un dio che non parlerà mai più, una ragione che supera il buon senso di unire una non eterna e un eterno..?»
Aveva digrignato i denti, aveva assottigliato la lingua che vibrava come il sibilo di un serpente. I polmoni cercavano una riserva d'aria continua.
Perché se tutti sbagliano, devo essere io il capro espiatorio da punire?
Un ginocchio cedette, il dio si riprese in tempo prima di cadere sul pavimento.
No, il tempo indefinibile trascorso in quella cella non gli aveva fatto per nulla bene. Era debole, debole psicologicamente, le lame verbali di Odino affondavano e facevano male, le sue non rispondevano in maniera altrettanto sagace. Sarebbe potuto essere stato più chiaro ed esplicito, avrebbe potuto tenere quel vecchio in pugno per tutto il giorno.
Ma la mente era diventata incommensurabilmente fragile, e la maschera era ceduta rivelando tutta la sua frustrazione. Sentiva lo sguardo di Thor, su di sé, un silenzio rassegnato, lo osservava come un automa.
Finalmente, finalmente mi guardi senza quella tua fastidiosa innocenza. Finalmente sembri vedermi, Thor.
Tuttavia, non si sentiva così appagato come aveva creduto; se possibile, anzi, stava peggio di prima, quando almeno, nonostante tutto, quel dio grosso e forte, quei muscoli che i coetanei invidiavano, quegli occhi e quei capelli d'oro per cui stravedevano tutte le fanciulle del regno, aveva la candidezza di sorridergli.
Falso, ingenuo, forse di circostanza. Eppure..
Bravo, fratellino. Sei riuscito a mettere in fuga quei cinghiali!”
Lasciarsi andare totalmente a quell'abbraccio oscuro, eliminare infine ogni parvenza di luce, non sembrava migliorare la sua sofferenza interna.
Prese un respiro, cercando di calmarsi, incurvò arrogantemente le labbra verso l'espressione afflitta e severa del re. «Sono il frutto dei tuoi insegnamenti».
Prenditi le responsabilità delle tue decisioni.
«No» lo fissò il vecchio «Mio figlio pare essere morto caduto dal Ponte, e parte di me assieme a lui»
Quella frase lo scosse da cima a fondo, cristallizzò per un attimo la sua espressione beffarda. Il labbro superiore si mosse appena, quello inferiore tremò; le palpebre trattennero il dolore solo per un mero e fortuito caso.
No, Loki”
Perché..?! Perché non mi hai fermato..?!
Gungnir sbatté sul piano d'oro, Odino prese un sospiro di rassegnazione.
«Portatemi lo scrigno»
Da una delle due porte laterali giunse un servo recante in mano uno scatola di pietra dal colorito nerastro, decorato con elementi geometrici e scritte impossibili da decifrare da quella lontananza.
Strizzando le palpebre, d'altronde, Loki riuscì a scorgere una sola parola tra le tante.
Gáfa. ****
Odino scostò il coperchio con molta lentezza, ne estrasse una lunga riga d'oro, che luccicava contro la tenera luce dell'alba. Rigirò la stretta punta tra l'indice e il pollice, ma la lama non cambiava forma né dimensione.
Il sangue gli si gelò nelle vene.
Non era una lama.
E non si trattava di un semplice ago.
Era il nál che le Norne avevano regalato ad Odino, l'unica azione, l'unico gesto, che gli era stato donato affinché potesse porre una cucitura in quella tela che era il fato: una sola possibilità che lo elevava per un breve momento a Dio assoluto.
L'assaggio di un attimo per un evento che sarebbe rimasto per l'eternità.
Deglutì, incapace di emettere alcun suono.
«Il mezzo che indulge lo spergiuro e la menzogna sia arginato; la serpe che striscia sulle terre fertili tentando e ingannando sia inchiodata e cucita sul suolo che calpesta».

 

 

 

Non sapeva da quanto stesse gridando.
Ancora ricordava la sensazione della carne indifesa che non oppone resistenza alla punta dorata. Era affondato, quel minuscolo spillo, come un fil di ferro nel terreno inumidito dalla pioggia.
Subito aveva avvertito in bocca quel familiare gusto di ferro che gli istigava l'urto del vomito; lo sentiva calare sulla carne del mento, gli scendeva sul collo o si gettava direttamente sui suoi abiti, petto, addome, ginocchia.
Non era tanto il bruciore della punta a devastarlo, a renderlo inerme e indifeso: a scuoterlo come una convulsione era il filo che passava, tramite immenso e doloroso attrito, nel mezzo del lungo buco che gli aveva perforato la carne.
Una volta finito di ritirare la fibra di seta nera, ecco che l'ago era pronto a perforargli il labbro opposto.
Gridare non serviva a niente, se non ad umiliarlo più di quanto non fosse già stato fatto.
La morte non sarebbe stata forse un migliore porto da raggiungere..?
Quante volte, prima e dopo le torture infernali cui era stato sottoposto per essere addomesticato dal suo burattinaio e rivelare tutti i segreti di Asgard e dei Nove Mondi, di quelle stupide pietre di cui chiedeva e chiedeva informazioni a riguardo quasi le avesse nascoste lui per un vano spregio, aveva desiderato morire sotto a quel Ponte?
Le sue preghiere, purtroppo, non venivano ascoltate.
Non erano mai state ascoltate da nessuno.
Gridò ancora più brutalmente.
Questa volta l'ago aveva trovato più resistenza, quel sangue copioso e quella purulenza che le precedenti perforazioni avevano causato ostacolavano l'impassibile lavoro dell'arma letale.
Più che cucirgli la bocca, avrebbe potuto tagliargli la lingua.
Basta..! Basta..
Le lacrime di dolore fisico e psicologico si impastavano al sangue raffermo, al corpo già devastato per le ferite che si era procurato, autolesionista, in quella cella da manicomio.
Si stava umiliando anche da solo.
Dov'è la luce, quando la chiedi? Dov'è la Luna che brilla nel mio cielo di tenebre?
E di nuovo dolore, un altro strappo della carne che gli serrava le iridi verdi, chiuse per l'immane sofferenza.
Cosa ne rimarrà del Dio dell'Inganno se anche la lingua d'argento viene tolta?
Cosa ne rimarrà di Loki?
Cosa ne rimarrà, di me?

 

 

 

 

 

 

 

 

*: coloro che venivano controllati dal potere dello scettro acquisivano un colorito azzurro dell'iride, così come Loki ha subito più o meno passivamente lo stesso influsso (personalmente, mi pare che i suoi occhi fossero più azzurri che verdi rispetto agli altri due film). Dopo un violento trauma cranico (vedete Clint Barton/ Occhio di falco o il professor Erik Selvig) le vittime tornavano legittimi padroni della propria coscienza. Ora, siccome Loki è stato sottoposto alla forza bruta di Hulk, sarebbe dovuto tornare “normale”, ma poiché egli è l'unico ad essere stato a stretto contatto con lo scettro e ne ha subito l'influsso in maniera prolungata, ho creduto che l'effetto svanisse completamente dopo un tempo molto più lungo. Ovviamente, prendete le mie parole per vere solo nella dimensione della mia storia, al solito questo è quello che mi è arrivato dal film, quindi potrei benissimo sbagliarmi.

 

 

**: appellativo di Heimdall

 

 

***: nella mitologia, la punizione di Loki per l'uccisione di Balder consiste nel venire legato ad una roccia e soffrire per il veleno di una serpe che si erge su di essa (oltre all'assistere allo sbranamento reciproco dei propri figli). Io ho simbolicamente rappresentato questa punizione nella scena della cella: Loki soffre per il proprio veleno (d'altronde, uno dei suoi appellativi è quello di serpe) che gli viene rimandato sotto forma di suo riflesso; è inoltre inerme in una cella a lui così ostile, e non può liberarsi.

 

 

****: nell'antico norreno significa “Dono”. L'ago (nál) donato dalle Norne ad Odino è di mia invenzione. La punizione, al contrario, che consiste nel cucire la bocca del dio, l'ho ripresa dal fumetto comics (come se non bastasse, in giro, ci sono moltissime immagini di Loki con la bocca cucita). Non ho idea del motivo originario di tale punizione – non sono riuscita a trovarlo, perdonatemi.









**********
Ehm... salve... sì, sono io, l'autrice.
Prima che mi impaliate su un lampione (?) dico a mio difesa che ho aggioranto tardi a causa di eventi fuori dal mio controllo: e, sì, mi si è rotto il computer; spero sia una motivazione abbastanza valida.;)
Comunque, vi ringrazio di aver letto questo capitolo (leggermente più lungo, tanto per farmi perdonare, spero che gradiate) e spero anche che vi sia piaciuto.
Non so quante storie ci siano a giro che parlano di questa punizione di Loki (parlo della bocca cucita) ma credo comunque di non aver plagiato nessuno, anche perché mi sa che sia un'immagine abbastanza popolare (e io non ho resistito, il mio cuore si è sciolto dinanzi a quelle immagini drammatiche e toccanti). Per il resto, beh, ho anche inserito due parole della lingua norrena (anche qui, non ho resistito) e posso essere abbastanza sicura che la descrizione della punizione non violi il rating (anzi, mi sa che è molto al di sotto dell'arancione, poi non so voi come e quanto siate sensibili a queste immagini).
Ci tenevo a precisare la questione degli occhi di Loki (li avevo descritti molti capitoli fa) perché non ero sicura che si capisse - anche perché ci sta che sia tutto un'invenzione del mio caro cervellino.
Nulla, vi ringrazio molto, e ripeto che sono ben accette le recensioni, magari avvertitemi pure se trovate una svista o un'incongruenza qualunque.
Per la revisione sono ancora indietro, appena ho potuto mi sono buttata sul capitolo nuovo.
Ciao, al prossimo,
la vostra Ali

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** CAPITOLO ***




Loki avvertiva le labbra gonfie e tumefatte, il ferro che ancora gli nauseava le viscere.
Col dorso di una mano si pulì il mento, poi, voltandola, la passò sulle labbra, carne martoriata, senza riuscire a trattenere un gemito di dolore.
Non poteva vedersi in viso, riflesso.
Odino aveva deciso che la tappa successiva a quella carneficina fosse la sua mostra come trofeo di re, come cane bastonato e punito per i suoi morsi; poteva ancora notare le schegge e gli slabbri di una cella che gli ricordavano un altro tipo di dolore.
Sei davvero un sadico torturatore psicologico, Odino.
Il sangue che si era posato sulle vesti era diventato nero, quello rimasto abbondantemente sulla parte inferiore del volto, una strisciata che con la mano si era espansa fino alla guancia destra, era invece di colore rosso vivo e di densità molto spessa e morbida, o perlomeno quello era ciò che leggeva sul proprio palmo sporco.
Posò lo sguardo distratto intorno, rimirando le celle degli altri prigionieri che non avevano il coraggio di osservarlo in viso per più di un breve momento, si voltavano subito non appena alzava gli occhi freddi su di loro. Con movimento svelto si asciugò una nuova lacrima di sangue che era sfuggita alle croste ancore tenere, con gli smeraldi guardò verso la parete interna, visibile e grezza, non appena colse una serie di passi familiari.
Oltre al dolore gli passavano nella mente flash improvvisi, che poteva quasi dipingere su quella parete bianca; l'immagine più vivida, perfettamente nitida a causa dell'odio che gli trapassava gli occhi, riguardava Odino che, dall'alto del trono, muoveva l'ago dorato sulla tela estratta dalla cassa di pietra nerastra, sulla quale erano state incise una marea di rune e di scritte sacre mentre il filo nero, anziché intrecciarsi con il tessuto grigio e vuoto, chiudeva le labbra sottili sigillando per sempre la proferitrice di inganno e spergiuro nella propria tana umida.
Odino aveva filato il suo destino.
O quasi.
Posò leggermente l'indice e il medio sul labbro inferiore, alzò quello superiore sulla parte destra, toccandosi la lingua; la parte opposta rimaneva innaturalmente serrata. Un rivolo di sangue fresco sgorgò di nuovo dall'incurvatura delle croste che si erano rotte.
“Parli di compassione, giovane donna. Non è forse la pietà a mancare in colui che difendi?”
Storse il naso, in collera: l'umiliazione di un orgoglio fatto a pezzi e difeso da altri bruciava più della sua bocca. Abbassò le ciglia, guardando il pavimento, soffocando qualunque reazione potesse emergere dai suoi gesti o dai suoi movimenti: avvertiva fastidiosamente il suo sguardo silente fissargli la nuca. Lo ignorò, giocando con la sua pazienza e il suo tempo, con assoluta calma prese a pulirsi la mano con un sudicio cencio grezzo. Thor sembrava aspettare diligentemente che concludesse il suo meticoloso lavoro, se ne stava dietro la parete invisibile in assoluto silenzio.
Solo quando giunse a tamponare l'anulare della mano sinistra, forse si accorse che lui, quella pulizia, avrebbe potuto benissimo protrarla per giorni.
«Sai bene che da me non avrai mai sguardi di compassione.»
E di questo infatti ti ringrazio: non hai bisogno di chiedermi come mi sento.
Lo sai.
Sempre che te ne importi, ovviamente.

Continuando a dargli la schiena, accolse le sue parole con assoluta freddezza. «Credevo di sapere bene come ti piacesse oziare ai piedi di Padre». Cercava di muovere la bocca il meno possibile, sebbene ogni sforzo di muscolo gli facesse infiammare le labbra, e tirare la carne che formicolava quasi indolore fino al mento. Le parole uscivano a fatica, a stento si delineò un ghigno. «Forse sbaglio?»
«Non credere che per me sia stato semplice»
«Mi viene difficile».
Lo udì sospirare, mentre gli smeraldi continuavano a fissare le macchie di sangue che non riusciva a togliere con quello straccio altrettanto carico.
Thor era rimasto immobile, come tutti. Probabilmente avrebbe dovuto aspettarselo, eppure faceva male ogni volta che gli capitava di constatarlo.
Perché devo continuare a soffrire per coloro che mi hanno distrutto?
Tante volte, tempo prima, senza poterlo ammettere, aveva desiderato una sua visita in quella vecchia cella; tante volte aveva sperato addirittura che Odino giungesse anche solo per farlo sentire più miserabile di quanto le sue punizioni e le sue parole non lo facessero apparire e sentire.
Al contrario, la loro indifferenza aveva scavato ancora più a fondo, in un terreno fertile nel petto che si era stupito di possedere ancora; quelle frecce, continuavano a penetrare senza fermarsi mai.
«Il solo colpevole che puoi biasimare è te stesso, Loki. In tante occasioni ho tentato di convincerti a tornare indietro..»
«Avanti, immagini davvero di potermi mentire, Thor..?». Rise cattivo, voltandosi finalmente verso di lui. «Chiunque in quella stanza ha goduto dello spettacolo che Odino ha dato..! Chiunque ha sempre agognato di vedermi fare una fine simile».
Un gran dolore lo colse come una diramazione sulla guancia sinistra, toccandogli diversi nervi, costringendolo a sfumare ogni ghigno; quello sfregio tentava di ostacolare le sue maschere menzognere.
Il Dio del Tuono rimase in silenzio, serio, ma non seppe dire, Loki, se a causa delle sue parole o della visione di ferite e sangue in parte raffermo. Una cosa non escludeva l'altra.
Questo è il mostro che mi avete fatto diventare, che adesso terrorizza anche sopra la pelle.
I lunghi capelli biondi scomparivano oramai dietro le spalle, indici di un tempo che passava e che li vedeva sempre più irrimediabilmente divisi, rilucendo nel buio generale di un giorno che stava giungendo al termine; quando la sua voce roca suonò di nuovo, essa vibrava di una latente rassegnazione. «Minimizzi gli sforzi di chi ha scelto di difenderti a dispetto della situazione»
Digrignò i denti, infastidito.
Non puoi parlarmi di ciò che non sai, figlio di Odino. Tu non sai niente. Né di me, né di lei.
«Non necessito dell'aiuto di nessuno. Specie del suo».
Anche il suo sguardo si indurì. «E' inutile persistere nelle menzogne, Loki, come inutile è lo sdegno ostentato di cui tu stesso tenti di convincerti. Tutti hanno assistito a quello che è successo. Il filo che non ti cuce parte della bocca è merito suo».
«Non le ho chiesto di interporsi tra me e il Padre degli Dèi..!» ringhiò ansimando, infilando le unghie nella carne del palmo, ingoiando un grumo di pus.
Alcune ciocche di capelli corvini erano scese sul viso, impastandosi al disastro che stava di nuovo scendendo dalla bocca, una smorfia e un gemito più di frustrazione che di dolore.
Non potevano adesso rinfacciargli la decisione che aveva preso di testa sua!
Non potevano incolparlo per qualcosa che non aveva preteso, d'altronde, il dio, aveva preso la drastica decisione di non chiederle più nulla, perché da lei più nulla avrebbe voluto.
Non ho bisogno di lei, né tantomeno dei suoi prevedibili rimorsi.
Vide Thor stringere le labbra, l'azzurro che si infrangeva nel verde come onde sulla riva, una calma che stonava con la sua reazione aggressiva.
L'universo sembrava girare nel verso opposto: quante volte il Dio del Tuono aveva perso la calma ed egli aveva cercato di tranquillizzarlo con la sua solita, quieta, freddezza distaccata?
Lo fissò in silenzio, con sdegno e rancore, mentre una pozza di saliva, sangue e purulenza andava formandosi sul pavimento, davanti ai piedi, gocciolando prima lungo il mento.
«Abbiamo parlato». Lo disse con una smorfia sospirata, mentre gli occhi azzurri brillavano fermi.
Bravi, complimenti.
Soffocò un riso per mascherare il colpo cocente di una pugnalata. «Se siete così in amicizia, perché ti ostini a giungere da me per delucidare informazioni che ha già avuto l'intimità di rivelarti?»
«Perché un dubbio corrode il mio animo, e tu sei il solo che possa placarne la forza»
Prese un profondo respiro, soppesò la situazione. Era certamente allettante l'idea di lasciar marcire Thor con la propria voce nella sua testa, con i dubbi grazie ai quali era possibile infilarsi nella sua mente ingenua, forse pura come il suo cuore. Era stato così facile destabilizzarlo dalle sue sicurezze, persino quelle amorose, quando si erano diretti da Malekith per salvare il suo microbo di mortale e vendicare una dea, una donna, che al contrario il mondo avrebbe continuato a piangere nei millenni a venire. La curiosità però lo sospingeva a farlo parlare. Smorzò gli ultimi ansiti, mentre cercava di riprendere contegno «Illuminami, dunque»
Thor annuì appena, esitando. Chiuse e aprì i palmi delle braccia che scendevano lungo le membra. «Tengo ancora nella mente i tuoi antichi propositi riguardo l'odio che non sapevo potessi portarmi così profondamente. Rammento i dispetti che ti promettevi di farmi». Oh, e ricordi proprio bene. Cercò di non far trapelare il suo interessamento, continuò a mantenere un'espressione vagamente indifferente e infastidita dal suo blaterare.
Thor si ammutolì di nuovo, un momento, facendolo ardere dall'impazienza.
«Mi domando se davvero tu non l'abbia plagiata, e solo per colpire me»
"Ti chiedo se il suo affetto sia solo un'assurda menzogna come tutto ciò che ti circonda."
Spostò lo sguardo posandolo su un'altra cella simile alla sua.
Entrambi assaporarono di nuovo il silenzio interrotto da qualche prigioniero poco distante, uno di quelli che aveva l'onore di vederlo ridotto in quello stato.
Sorrise appena: una smorfia di amarezza.
Occorre per forza un movente tanto miserabile per fare una cosa simile?
Le passava le dita tra i lunghi e morbidi capelli, in silenzio, si stupiva del calore dei suoi sorrisi ogni qualvolta si voltava verso colui che le sfiorava il manto scuro.
Di tanto in tanto, spesso, arrossiva lievemente, sorpresa che si trattasse di lui, del Dio dell'Inganno che spesso preferiva non parlarle, e se lo faceva era per recarle malumore: gelosia verso Thor? Sua infima condizione di mortale? Il suo caratterino che lo faceva irritare? Forse tutto vero, forse tutto falso.
Eppure la desiderava. Desiderava per sé ogni sua attenzione.
Occorre necessariamente desiderare di fare un dispetto a te, Thor, per volerla per me..?
Nella mente baluginavano ogni immagine, ogni tocco, ogni profumo, ogni tasto che aveva sollevato in silenzio e nell'ombra per farla cadere tra le proprie braccia. Tutto ciò che avesse fatto inconsciamente o meno, ammettendolo o meno verso se stesso.
“Non dorme, Dio dell'Inganno. Forse è l'aria di Álfheim, o forse i troppi pensieri che la tormentano.”
Forse era invece la mancanza delle stanze in cui l'aveva appositamente rinchiusa, forse la dipendenza dal suo profumo tra le coperte, tutto, dal veleno di attrazione che le aveva iniettato nelle vene?
Non conosco altro modo per ottenere quel che desidero, se non mentendo e ingannando, agendo nell'ombra e manipolando: come potrei d'altronde batterti senza giocare sporco, Thor?
«Trovi davvero così strano che qualcuno provi dell'affetto per me? O sei forse geloso..?». Alzò le sopracciglia, sogghignando per quel che il dolore fisico gli permettesse di fare. «Non parlavamo forse, del tuo tremendo gusto per le mortali l'ultima volta che ci ha colto una conversazione decente..?»
«Sei stato proprio tu ad insegnarmi a non fidarmi delle apparenze».
Ma non capisci, Thor? Io sono, solo apparenza, io sono, vane bolle di sapone che si disperdono al vento. Il mio stesso appellativo reca con sé il tessuto dell'illusione.
«Non è giusto che qualcun altro paghi per le nostre diatribe»
Digrignò di nuovo i denti. «Non ti sei mai angustiato per la mia sorte». Un fiotto di fiamme di rancore, un conato vorticoso di disprezzo e collera, fomentati dalla legna secca di disperazione e sconfitte le cui radici giacevano sul fondo delle viscere, risalirono veloci lungo l'esofago, rivitalizzando il taglio affilato della lingua. Fremeva, ricordando ciò che aveva dipinto con la mente su quella parete bianca. «Torna pure da tuo Padre e prenditi il trono macchiato del mio sangue.. sarai fin da subito un re dalle mani sporche di rosso»
E questa è l'unica vana e ridicola consolazione che mi resta.
Gli diede il profilo, sedendosi sulla sedia. «Vattene, sono stanco»
Prese un lembo di stoffa pulita e se lo mise alla bocca; se non fosse stato attento, si sarebbe potuto davvero dissanguare.
La familiare voce roca lo raggiunse di nuovo. «Mi hai sempre accusato di non tenere a te, Loki.. forse i miei modi non parevano dimostrarlo, ma sono sempre stato certo che tu più di tutti riuscissi a comprendere: "a volte non occorre la parola"»
Guardava il pavimento, in silenzio, apparentemente disinteressato. La freddezza che avvertiva dentro la sentì muoversi, levandogli il respiro.
Perché le tue parole non sono mai una menzogna? Perché suonano e profumano ogni volta di sincerità?
E perché poi, se cedo e decido di crederci, e di abbandonarmici, subisco lo schiaffo dei tuoi comportamenti contraddittori e opposti?

Un paio di spilli bucarono da dietro le palpebre; cercò di fossilizzare l'espressione.
«Allora allietami, figlio di Odino. Va' via»
«Non ti interessa la sua sorte?»
Il rancore vacillò paurosamente, l'acqua a tratti spengeva alcune fiamme di fuoco, altro evaporava.
«Fatene quel che volete»



Udì rumore di passi metallici.
Li avrebbe ignorati se si fosse trattato di quelli soliti, noiosi e frustranti, delle guardie che facevano la solita ronda tra le celle delle prigioni; quella giornata pareva non voler mai giungere a termine.
Posò il panno sporco sulla sedia accanto al letto, allungandosi meglio sulla testata del talamo dopo aver scoccato loro un'occhiata di sufficienza. «Odino domanda di me?»
Esse si limitarono ad un cenno di assenso, disattivarono il campo magnetico che occupava la parete invisibile ed entrarono per scortarlo.
Si alzò lentamente, e offrì i polsi per le consuete catene.
Forse questa volta il re si sarebbe deciso a privarlo di una vita sempre più funesta.
Magari gli avrebbe mozzato la testa, permettendogli di abbracciare per sempre e interamente la madre di tenebra e buio.
Due guardie gli offrirono un lungo mantello pesante provvisto di pelliccia, che lo copriva del tutto, andando a celare lo stato pietoso in cui riversavano i pantaloni di stoffa non più beige, ma di colore nero e rosso di un sangue incrostato o più recente.
Storse il naso: desiderava un bagno più di qualunque altra cosa, odiava la sensazione orribile di sentirsi – in realtà lo era anche troppo, per i suoi gusti – sudicio. A sporcargli l'anima ci pensavano già le bugie e la manipolazioni.
Si convinse a non pensarci, prese un muto respiro e alzò gli occhi verso il soffitto, le braccia sempre ben tese davanti a sé affinché le guardie riuscissero a segregargli meglio i polsi; dalle piccole finestre poste in alto, molto in alto, poteva discernere perfettamente il buio della notte fonda.
Si domandò inconsciamente quali oscuri piani avesse in serbo per lui Odino, per decidere di svegliarlo in un'ora così tarda.
Onestamente, credeva che la sua sorte fosse oramai quella di marcire per il resto della sua inutile vita in quella cella priva di intimità, e destinata all'intrattenimento di chiunque avesse avuto voglia di passeggiare allegramente tra le celle di traditori, ladri e stupratori. Aveva compreso infatti che la condanna prevedesse il suo progressivo deterioramento nell'indifferenza, nel disinteresse e nella trascuratezza da parte di Odino e parenti.
Intanto camminava, seguendo i diligenti cani del re; fece per svoltare verso il corridoio di sinistra, mentre le guardie lo strattonarono per invitarlo gentilmente a seguirle: la strada che stavano percorrendo non portava alla Sala del Trono, a meno che Padre Tutto non avesse avuto l'inconsueto desiderio di fargli sgranchire le gambe prima di strapazzarlo a dovere.
Si guardò intorno, senza farsi notare troppo individuò le armi e le armature dei quattro soldati che lo stavano scortando, un paio davanti e un paio dietro.
Si concentrò sull'uomo alla propria sinistra: se fosse riuscito a sfilargli la spada dal fodero, avrebbe potuto ucciderlo ficcando la punta nella sottile fessura lasciata scoperta tra elmo e cotta di maglia. Al meglio, confidando ottimisticamente nella sorpresa, avrebbe potuto uccidere anche l'altro.
Tuttavia, doveva considerare le manette – tra l'altro, pesanti – che gli chiudevano i polsi legando la sua libertà di movimento, la propria condizione attuale e la bravura degli uomini rimanenti, da non sottovalutare affatto, e che difficilmente avrebbe potuto compensare con la capacità con l'arma affilata e la sorpresa. Al solito, gli capitava di chiedersi come mai uomini sani di mente preferissero delle spade o comunque armi ingombranti quando un pugnale, coordinato di veloci movimenti, avrebbe condotto un lavoro pulito e veloce, senza problemi.
Si riconcentrò sul piano di fuga che stava disegnandosi spontaneo nella sua mente macchinosa: per la fuga in sé, non ci sarebbero state difficoltà troppo accentuate – anche senza seiðr sarebbe riuscito comunque a cavarsela, conosceva ogni bugigattolo e anfratto del regno; il problema riguardava proprio le guardie.
Sorrise appena, alzando l'angolo destro della bocca.
Doveva ammettere però che la percentuale di successo aumentava vertiginosamente contando come positiva anche la morte, di gran lunga preferibile ad un'altra umiliazione e alla vista insopportabile di quell'occhio da bisbetico.
Fissò con attenzione silenziosa il braccio della guardia che pendeva ad intervalli regolari: sarebbe stato sufficiente allungare la mano quel tanto che bastava per impossessarsi dell'arma. E dopo averla presa, la liberazione, in un senso o nell'altro, sarebbe giunta con sua grande accoglienza.
Fece per protendere la mano.
Il mondo diventerà piuttosto noioso senza il sollazzo del Caos..
Si fermò a mezzo.
Alzò gli occhi davanti a sé, oltre le guardie, dimenticando immediatamente ogni pensiero.
Ella attendeva in piedi, le mani che si torturavano con carezze violente; un mantello di candido velluto, dotato sulle spalle di una pelliccia di volpe bianca, scendeva sulla sua intera figura.
Si immobilizzò, all'istante, scettico e sospettoso, come si fosse sentito tradito dalle stesse guardie che avrebbero avuto l'onore e il tedio di liberare il cosmo dal disordine del caos.
Non era sola. Fandral, che aveva interrotto un dialogo piuttosto intimo, fatto di voce bassa e poca distanza tra volti, le mani sulle sue, gli si avvicinò con troppa confidenza.
«Dovremmo curargli le ferite alla bocca»
Loki si sdegnò, spezzò all'istante ogni intenzione di soccorrerlo. «Non ho bisogno dell'aiuto di gente inetta come voi»
«Dovresti mostrare più riconoscenza verso chi vuole aiutarti»
Quando ho avuto bisogno, non c'è mai stato nessuno. Mi avete lasciato marcire sul mio putrido piedistallo.
Cinque.
Quasi cinque buchi prima che qualcuno provasse a fermare il Padre degli Dèi; li aveva contati.
Più e più volte per controllare gli effettivi danni, e le reazioni, le infiammazioni che tale trattamento gli avevano causato.
Alzò le sopracciglia, sorridendo appena. «Il mio desiderio più grande è vederti morire ammazzato nel letto dalle donne che frequenti: spiegami la ragione per cui dovrei dimostrarti riconoscenza»
Quello non si scompose, ma gli sfuggì una smorfia. «Mi contengo solo perché è presente una lady; una lady che invece se la meriterebbe, la tua riconoscenza, cara principessa presuntuosa»
Benzina sul fuoco; si trattenne a stento dall'incenerirlo con i suoi smeraldi. «Ripetilo, e giuro che berrò il sangue dal tuo teschio..»
«Smettetela, vi sembra il caso..?!»
Rise, celando un gemito di fronte al frizzo sulle labbra. «Credete davvero che io arrivi ad apprezzare la vostra finta apprensione? Allora non mi conoscete»
La vide avvicinarsi, con lo sguardo serio e la voce stanca, e superare lo spadaccino, che non si mosse di un passo. «Adesso basta, Loki. Non ti vuole attaccare nessuno. Nessuno avrebbe voluto assistere a ciò che è successo..»
Non è vero, e lo sai bene.
Nessuno si era esposto per lui, a nessuno importava molto di Loki, Dio dell'Inganno e del Caos, se non per sputare sul suo nome e sulle sue azioni prima ancora di conoscerlo, sempre se mai avessero avuto la malaugurata sorte di doverlo incontrare.
E tu più di tutti, mi corri incontro solo perché ti faccio pena, costretta dai tuoi disgustosi rimorsi.
Ma io non sono il debole che voi credete di vedere.

Infilò un dito tra le labbra, che spostò con meccanica violenza verso la parte sinistra della bocca, quella cucita con altrettanta brutalità, che tirava ad ogni accenno di movimento per poi sanguinare, che aveva creato disgustose bolle di pus e di infiammazione.
Il dolore che ne seguì gli fece perdere per un momento la vista, le croste che avevano provato a formarsi con fatica si alzarono a mezzo dalla pelle, mentre il sangue ricominciava la sua corsa verso il basso, verso il pavimento.
Ma non si fermò.
Con l'unghia dell'indice dentro la bocca afferrò a caso una sezione di filo che lo legava internamente, con quella del pollice, dall'esterno, scavò tra il sangue e il frizzo, il dolore, più volte, fino a riuscire ad arpionare la stessa seta maledetta.
Esitò un momento, una beffa per far loro credere di averci ripensato. Non appena colse i loro muscoli rilassarsi nella speranza consapevole di poterne parlare, di poterlo fermare, tirò in basso, con violenza e forza, di netto, il proprio braccio.
Strappò.
Fu come squarciare un pezzo di carta, anche il rumore non sembrò poi così differente.
L'inferno, però, non sarebbe mai bruciato abbastanza per fargli provare di nuovo un dolore simile.
Aveva bloccato ogni grido nella gola, per rancore, odio, e orgoglio di non voler dare la stessa immagine patetica e pietosa consumatasi dinnanzi al Padre degli Dèi, quando quell'ago dorato gli aveva estratto dalle corde vocali lacrime e richiesta di pietà; forse, perfino di pentimento, ma non poteva essere sicuro per quel che rammentava.
Lasciò cadere il filo nero di fronte ai presenti, dalle espressioni dei quali, nauseate e intimorite, inorridite, poteva solo leggere il riflesso di se stesso.
Così doveva essere.
Ficcò gli occhi dentro quelli nocciola, anch'essi comunicavano ribrezzo e avversione, erano incollati allo sfregio sulla bocca come una calamita.
Non ho bisogno di te.
Ella deglutì lentamente, con grande sforzo sembrò volersi sottrarre a quella visione, soltanto dopo qualche ulteriore istante levò le pupille sulle sue; abbandonavano il ribrezzo e il timore per uno sguardo fermo e rassicurante, quasi addolcito e rassegnato. La vide allungare il braccio verso la propria guancia.
Loki arretrò impercettibilmente di un passo, mentre la sua calda mano si avvicinava, cercandolo.
Non sono disposto a farmi ferire ulteriormente.
Quel palmo però lo toccò, così come l'altro, giunto a cullargli la testa in una stretta rasserenante. Si avvicinarono pericolosamente le sue labbra, incuranti del sangue e di qualsiasi altro flusso sgorgasse a fiotti dalla carne strappata in numerosi pezzi.
Stupito, diffidente e confuso, rimase immobile di fronte a tanta fermezza e serietà, oppose una flebile sottrazione della bocca, inutile e vana dinnanzi a tanta tenacia che lo spiazzava come mai gli era successo. Con gli occhi chiusi, Anirei lo cercava senza remore né vergogna, davanti ai presenti.
La sentì, la sentiva, ma non rispose, rimanendo fermo e distaccato, freddo.
Le ferite dentro l'anima che aveva causato guaivano.
Quando si staccò, con le labbra anch'esse insanguinate, di un sangue non suo che avevano entrambi sulla lingua, ne avvertivano il pungente sapore, lo squadrò triste e afflitta, apparentemente sconfitta nel silenzio generale che li assisteva.
Fandral si fece avanti, ogni commento muto, così come inconsuetamente ogni solito comportamento beffardo. «E' ora di andare. Heimdall vi aspetta»



«Padre?»
Non sapeva come l'avrebbe presa.
Si trovava sulla terrazza, apparentemente ammirava il paesaggio che il regno degli Æsir gli rimandava indietro nel pieno della sua meraviglia sotto la luce dell'alba, le punte degli edifici e delle statue intinte di oro e di arancione, con piccole chiazze rosa sparse un po' ovunque.
«So già ciò sei giunto a dirmi». Salì con un sospiro le poche scale che dividevano la stanza dalla terrazza, lo raggiunse fermandosi a pochi passi di distanza. «E inconsuetamente tu non ne sei coinvolto»
Abbassò gli occhi, piantandoli lontani, laggiù, verso l'orizzonte che confondeva le acque e il cielo, dove un unico colore di mille sfumature univa il mondo.
Non so cosa avrei fatto, dopo ciò cui ho assistito.
«Al momento non so più cosa aspettarmi». Da nessuno.
«E' l'effetto che fa tuo fratello.». Udì un sospiro affannato, si voltò lesto verso Padre; dopo un lungo e profondo respiro tolse la mano dal busto, tornando a muovere il petto normalmente. Thor non fu lo stesso persuaso, e chiamò uno dei servitori personali del re, con un cenno gli fece intendere di portare veloce un medico.
Gli stava ancora annuendo, prima che si congedasse in silenzio, quando Odino, sempre di spalle, riprese a parlare. Il dio si chiese se non avesse ritrovato la voce proprio in quel momento. Dal tremolio stanco, tanto diverso dalla solita fermezza con cui suo padre si era sempre mostrato, sembrava invecchiato di colpo di secoli.
«Credi che la mia decisione sia stata troppo dura?»
Un brivido nelle viscere, un salto dello stomaco: non sapeva cosa rispondere.
D'altronde, le sue certezze avevano ricevuto un bella mazzata da parte dell'uomo che aveva davanti, colui che aveva mentito non ad uno solo dei suoi figli, ma bensì ad entrambi: una bugia che si era estesa a tutto il cosmo, che aveva portato il Dio dell'Inganno a comportarsi come colui che credeva essere un vero padre.
Quello stesso uomo che sapeva essere severo, quello stesso uomo che lo aveva esiliato tempo prima.
Eppure, non riusciva a digerire ciò che avesse fatto a Loki, quell'impassibilità fredda con cui aveva eseguito la propria sentenza prima di venire interrotto.
Aveva le urla straziate ancora nelle orecchie; il sangue che scendeva a fiotti, quella cascata di crudele cattiveria, quel fiume che Loki stesso aveva fatto grondare di rosso, innocente quanto coloro che erano stati spazzati via da un suo capriccio, negli occhi azzurri. Non si sarebbe meravigliato affatto se, svegliandosi un giorno, li avesse visti diventare rossi quanto l'immagine che consumavano in silenzio.
Osservò il dio canuto, avvolto in preziose vesti arancioni arricchite, elegantemente, di piccolissime decorazioni geometriche, e di filature appena più grandi, recanti oggetti e animali dal tratto delicato e fine. Il cielo che Odino stava scrutando era terso, limpido, non sporcato dalla presenza di nessuna nuvola, quasi il sangue sparso il giorno precedente fosse stato lavato via in maniera piuttosto indifferente e cinica, un cielo che sembrava essersi indurito di fronte alle umane pietà e che col tempo si fosse abituato a spazzare via la polvere delle sciocche azioni dei viventi.
Il suo cielo, che solitamente riempiva con le proprie emozioni.
E che non aveva pianto nemmeno una goccia. Era per caso risuonato un tuono?
Sì. Uno solo, potente e lontano, affinché Loki non scambiasse il suo dolore, la frustrazione per non essere riuscito a porre un rimedio alle situazioni che gli sfuggivano di mano, con la pietà che tanto detestava. Uno solo, quando l'ago aveva forato per la quinta volta.
"Credi che la mia decisione sia stata troppo dura..?"
Per un attimo, Thor si domandò se dietro quella difficile domanda non si nascondesse in realtà l'insicurezza e l'esitazione di un padre che si affacciava da dietro la maschera di re.
«Se non si fosse intromessa la figlia di Märni, tradendo la sua posizione rappresentativa, tradendo ogni vittima caduta sotto la mano di una vendetta vittimistica e infantile: ti saresti opposto tu?»
Alzò gli occhi, lo guardò fiso, cercando di sostenere il suo sguardo perforante.
«Reputo giusta una punizione per i crimini che ha commesso, ma..»
Distolse lo sguardo, sospirando.
Nella mente spuntava quel bambino e quel ragazzo dalla pazienza mordace, più grande di qualunque conoscente che subito si arrendeva di fronte alla sua ignorante cocciutaggine, quei sorrisi saccenti ma sinceri che si addolcivano di fronte alla sua ingenuità.
..Ma è Loki. Non voglio e non posso vederlo soffrire.
Come si fa a scindere il Dio dell'Inganno da mio fratello?

«Noi tutti adempiamo a dei ruoli, Thor. Io sono re, tu sei il protettore dei Nove Regni.. ma è solo questo, che siamo? Viviamo solo delle nostre maschere?»
“A volte, si confonde il personaggio con l'attore.”
La porta cigolò; ambedue si voltarono verso l'uomo che era sopraggiunto per accertarsi della condizione del re, solo Odino rispose vago al suo inchino.
«Non siamo statuette costrette in abiti di pietra»
Thor rimase in silenzio, in piedi, sulla terrazza, con i propri pensieri. Osservava con poca attenzione un re che rifiutava di farsi visitare. Lo vide avviarsi verso la porta.
«C'è altro di cui devi parlarmi prima che mi rechi da Heimdall?» si informò sull'uscio prima di andarsene, sempre tentando di tenere lontano il medico, interponendo l'alabarda.
Tutto, Padre, e tu continui a non mettermi al corrente.
«Si trovano su Jötunheim» rispose con un filo di voce, dando concretezza ad una sola delle preoccupazioni che pulsavano nella testa. Non potevano essersi esiliati in posto peggiore.
Quel regno è terra mortale per la sanità di Loki, e tu, Anirei, rischi di soccombere sotto la sua ira.


                                                                                  ***


Il cielo scuro, a tratti blu notte, veniva trapassato da una luce fredda e bianca, come se il corpo, il sole che la emanava, venisse in parte ostacolato, coperto, col risultato di illuminare poco una volta cosparsa di piccoli e grandi pianeti, di tantissime stelle, men che meno una terra sempre ghiacciata.
Il gelo le bruciava le mani, nonostante il pesante mantello di pelliccia bianca e i guanti spessi. I piedi poi, stretti in stivali sempre troppo leggeri, assorbivano l'umidità come una spugna, finendo per ghiacciarle anche le ossa.
Qualunque cosa facesse, sembrava non esserci scampo dalla morsa del freddo.
Anirei cercò di non affondare troppo sulla tenera neve che le arrivava a metà gamba, mentre inseguiva un dio che non rallentava di un passo. Loki si era chiuso nel silenzio, né ella d'altronde aveva desiderio di assaporare il freddo anche dentro la bocca.
Osservava la sua nuca scoperta del cappuccio in pelliccia, un mantello che a lui serviva a ben poco.
Non soffre il freddo.
Non ne aveva mai parlato, con lui. Aveva imparato tempo addietro a non approfondire questioni che egli non voleva argomentare, come per l'appunto quella riguardante le sue origini, informazione che aveva tratto tantissimo tempo prima dal libro del destino: da lì, aveva compreso il motivo dei suoi atteggiamenti che provocavano in lui e negli altri una fredda diffidenza, le era improvvisamente parso evidente come il freddo che in quel momento la stava mangiando.
“Loki è nostro figlio.”
Così Frigga aveva risposto al suo interrogativo mentre tra le mani reggeva il volume dalla rilegatura nera; aveva compreso e non ne aveva fatto parola, ben sapendo che parlando di tale argomento avrebbe potuto sollevare tasti dolenti che era meglio fingere non esistessero.*
In mezzo al vento, volò un lontano ululato.
Loki si fermò, guardando fiso la foresta nera che si estendeva per miglia e miglia, i capelli corvini seguivano in parte le onde della forte sferza di ghiaccio. La sua espressione pensierosa e seria non era per niente rassicurante. «Muoviamoci»
La fanciulla lo raggiunse con due veloci saltelli, sebbene la neve le creasse un impaccio non da poco. L'ululato tornava a ritmi alterni, ma sempre piuttosto distante.
«Che cos'è..?» chiese levandosi i capelli scuri dal volto, ma inutilmente a causa del vento. Si strinse meglio sotto il mantello. «E' pericoloso?»
«Pensa solo questo: io non posseggo al momento il seiðr, e tu non riesci a controllarlo»
«Non è la migliore delle situazioni» osservò meccanicamente. Loki non rispose.
Ingoiò la saliva, osservò il viso che adesso poteva di nuovo scorgere. Il freddo non aveva migliorato le sue ferite sulla bocca, divenute livide di un viola molto intenso, nere di croste e sangue rappreso.
Senza sforzo, poteva avvertire di nuovo la sensazione e il gusto del ferro sulle proprie labbra e sulla propria lingua, mentre gli occhi non lasciavano quello sfregio barbaro che gli rovinava la carne tra naso e mento.
Ebbe una fitta al cuore; alzò piano la mano destra, tentando. «Lascia che ti curi..»
Si ritrasse, voltandosi con decisione, ma non senza prima regalarle una smorfia sprezzante e distaccata.
Guardò rassegnata la sua schiena mentre ricominciava a camminare, nel silenzio chiuso che la batteva più assordante di una sfuriata, di quella reticenza che la distanziava più delle sue ampie falcate. La tagliava fuori da se stesso.
Respirò con un singhiozzo, chiuse per un momento gli occhi, prima di ripartire e seguirlo: sicuramente, preferiva le conseguenze del suo rancore e del suo sprezzo, piuttosto che saperlo in un'agonia orribile e dolorosa con la bocca cucita e l'orgoglio annientato.
Non sapeva che cosa avesse provato in quel momento terribile, quando Odino aveva mosso con un lento guizzo il polso e aveva posto il primo punto di un disegno di sangue.
Aveva avvertito il niente, l'abbattimento rassegnato, e la morte dell'anima e dell'essere ad ogni suo urlo straziato, di quei suoni perforanti che non avrebbero mai più lasciato la sua memoria né la sua vita.
Era rimasta immobile; immobile nel vederlo contorcersi su se stesso, mentre inerme non poteva fare nulla per disfarsi di un filo nero che gli univa le due labbra. Odino cuciva e cuciva, come se stesse cercando di riparare uno strappo, qualcosa di rovinato cui porre un rimedio.
E poi, si era detta no. No, come quando aveva scaraventato la spada lontano da se stessa.
No.
Non poteva considerare Loki un vecchio telo straccio che si cerca di riparare alla bell'e meglio, un lupo che viene incatenato affinché gli venga impedito di mietere altre vittime.
E sebbene la divorasse la colpa di non aver reso onore e giustizia a coloro che erano morti innocenti sotto la sua furia, non poteva perdonarsi meno l'esecuzione di tanta crudeltà, difetto di ragione e di empatia, di fronte alla quale il popolo degli Æsir non aveva battuto ciglio. Nessuno era rimasto scioccato quanto lei, una giovane della vita che la guerra e la sofferenza non avevano ancora sfiorato, né tanto meno toccato, la cui spada nera non era mai uscita da arene che ricordavano più l'intrattenimento che un vero duello.
«Útgarð»**
Anirei sussultò, all'udire di nuovo la voce tanto amata, e guardò davanti a sé, ponendo attenzione a ciò che rimaneva della vecchia città.
Stavano in piedi solo macerie di un impero lasciato cadere sotto il peso della privazione di luce ed energia. La guerra tra Æsir e Jötnar era stata molto dura: era sufficiente guardarsi intorno per comprenderlo, per accorgersi di come la sconfitta di una lunga battaglia combattuta un millennio prima non fosse mai stata superata, che niente fosse stato ricostruito per abbandonarsi ad un lento scivolamento verso il disfacimento dell'oblio. Bastava guardare colui che le camminava davanti, per misurare il peso di una guerra talmente dura da costringere Odino ad accogliere nella propria reggia un pargolo che avrebbe assicurato una pace stabile e duratura.
Alzò maggiormente la gamba, per salire su un'alta piattaforma ghiacciata; guardandone i fregi intagliati nel più freddo e duro del ghiaccio, si accorse della sua originaria funzione di parete. Si voltò verso destra, individuando la parte restante che non era caduta e che si reggeva come un grappolo d'uva all'ossatura dell'arco che ospitava il muro.
Procedendo in avanti trovava situazioni simili a quella su cui si era maggiormente soffermata.
Non resse ulteriormente il silenzio. «Dove stiamo andando?»
Loki sembrava di parere diverso, e manteneva chiusa la sua bocca non più cucita.
Si adirò un po', dimentica dei buoni propositi di non farlo innervosire. Si schiarì la voce «Appena possiamo, fermiamoci per favore.. non credo di sentirmi più i piedi..»
Le rispose uno sprazzo di vento che vorticò sinuoso tra il ghiaccio di cristallo azzurrognolo e si infranse sul suo viso ovale, obbligandola a tirarsi di nuovo sulla testa il cappuccio. Starnutì.
Si strinse nel mantello, il sospiro si trasformò in una nuvoletta di vapore. Sulle guance e sul naso avvertiva un'umidità di piccoli cristalli ghiacciati. Probabilmente sarebbe morta assiderata.
Starnutì di nuovo, e i denti batterono a lungo, mentre la mascella vibrava spontaneamente.
Se non faccio qualcosa, muoio di sicuro.
Mise le mani a coppa, fermandosi, e si avvicinò ad un pavimento rialzato di tre scalini, un'apertura grandissima accolta da due altrettanto grandi colonne, presso cui riuscì a ripararsi approssimativamente.
Si concentrò, cercando di distendere la mente e di cancellare ogni pensiero; i muscoli tuttavia vibravano di freddo, e le era difficile stare in piedi.
Respira, concentrati. Respira, concentrati.
Tremò. I palmi erano ancora vuoti.
Oh, andiamo.. com'è possibile?
Non riusciva a concentrarsi, nemmeno per riscaldare i palmi delle mani, quando ovviamente era fuori discussione la creazione di una piccola fiammella; certo la frustrazione con cui imprecava contro se stessa non aiutava.
Non posso proprio contare su me stessa..?
«Cosa stai facendo..?!»
Accolse il ringhio feroce del dio con cipiglio di collera. «Evito di morire per l'inverno perenne di  Jötunheim, se permetti»
«Non puoi usare il seiðr senza prima chiedere se ci siano delle conseguenze pericolose o meno..!»
«Mi perdoni, onnisciente divinità, non credevo di poter usare la telepatia per comunicare con il suo mutismo..»
Loki la afferrò con violenza, avvicinando i loro volti. «Fa' il favore di tacere, Anirei. Non sarei mai voluto venire qui.. ora le carezze di Odino mi paiono più invitanti»
La lasciò, mentre un masso di rimorso le piombava sul capo ed ella affondava nel mantello facendosi piccola piccola, consapevole della propria colpa che faceva da base a tutta la situazione in cui erano capitati.
Il dio si voltò, dandole le spalle, per l'ennesima volta. In una mano stringeva un guanto che si era appena tolto, mentre il capo abbassato indicava che stava guardando in basso. «Avrei sopportato tutto, tranne questo posto»
“Tranne te.”
Era così palese da non far più male. Loki era arrabbiato, di una rabbia che forse non sarebbe svanita mai.
Purtroppo, più che scusarsi, più che impegnarsi e promettere di comportarsi meglio, non poteva fare. Non poteva essere sicura di uscire sempre vincitrice dalle lotte intestine del suo essere.
«Mi dispiace che sia successo tutto questo». Il dio non rispose e scosse appena la testa, rassegnato.
Continuarono a camminare, sempre in silenzio, sempre più lontani.
Le montagne che circondavano il luogo erano talmente alte e talmente gelate da riuscire quasi a toccare il cielo con la loro cima di neve.
Forse era questo il punto: il sole, sdegnato da tanta presunzione, dalle dita rocciose che tentavano di sfiorare il suo mare scuro e brillante, si era allontanato, condannando la terra a soffrire nel freddo della sua distanza.
Un'enorme ombra si distendeva all'orizzonte, diventava più nitida a mano a mano che si avvicinavano.
La fanciulla rallentò, sbattendo più volte le palpebre e rimirando l'edificio che svettava maestosamente, coperto sul retro e in parte lateralmente da un'enorme massa rocciosa. Il palazzo, in parte distrutto, fatto interamente di vetro e cristallo in ghiaccio, possedeva mura spesse e dalla forma appuntita, una miriade di gradini sformati in maniera verticale, di parallelepipedi incastrati tra loro e dalle cime aguzze, a punta, per combattere la pesantezza della neve.
Zampillò in avanti, seguendo il dio diretto all'interno del palazzo. «Vuoi andare là dentro?»
«Non credo che nei paraggi ci sia un edificio meno cadente di questo»
Non era convinta.
Dove sono andati a finire tutti gli abitanti?
Loki parve leggerle nella mente e la onorò straordinariamente di un'attenzione prolungata. «Dopo la morte di Laufey, suppongo che la poca gente rimasta si sia dispersa in gruppi che attenteranno al potere»
Deglutì. «Quindi prima o poi torneranno per sedersi sul trono»
«Suppongo di sì»
Bene. Se non morissi miracolosamente assiderata, sarò coinvolta in una faida per il potere; e chissà che non venga loro l'idea di smembrarmi perché ho usurpato questo luogo..
«Non potremmo andare da un'altra parte?»
Loki si richiuse nuovamente nel suo ostinato silenzio, ed entrò senza attendere oltre attraverso le altissime porte d'ingresso, rimaste socchiuse e apparentemente troppo pesanti per poter essere spostate ulteriormente, in un verso o nell'altro.
Con un sospiro lo seguì all'interno del palazzo, evitando di affossarsi sul cumulo di neve che si dipanava per un bel pezzo dall'ingresso, attraverso l'uscio aperto.
Si guardò intorno, curiosa; era tutto troppo grande per lei, persino per Loki: non a caso gli Jötnar erano conosciuti anche col nome di Giganti di ghiaccio.
Dette una veloce occhiata all'enorme stanza d'ingresso, poi si sfregò le mani le une contro le altre, cercando di ritrovare la sensibilità che stava perdendo a causa del contatto prolungato del suo corpo contro il freddo. Già le dita dei piedi si stavano ghiacciando, terrorizzandola al pensiero di poterle perdere per sempre.
Si sedette sopra una piattaforma fredda, si sfilò gli stivali: definirli umidi era un complimento. Osservò con timore e preoccupazione i piedi gonfi e vagamente violacei, poi si tolse anche i guanti, constatando che le dita si trovassero in uno stato di gran lunga migliore.
Infine si coprì tutta nell'immenso mantello bianco, beneficiando della sua posizione fetale, avvolta come in un caldo bozzolo.
Cercò di rilassare i muscoli irrigiditi, pregò che il freddo facesse presto ad abbandonare le sue ossa, così come l'umido la sua pelle. Il corpo vibrava per conto suo, sfuggendo al controllo della sua mente conscia. I capelli molli, sicuramente, non aiutavano.
«Loki..» bisbigliò vedendo un'ombra scivolare dietro la parete che conduceva all'entrata.
No..
Scostò subito il mantello, corse imboccando la strada verso cui si era diretta la sagoma scura.
Lo prese che era sull'uscio.
«Dove vai..?» lo chiamò con la voce morbida ma già rassegnata. Immaginava sarebbe successo, il bacio freddo di prima, di quando il dio era rimasto immobile e indifferente, le aveva già rivelato le invisibili speranze a cui poteva ancora aggrapparsi.
Non mi abbandonare proprio adesso.. ho fatto quel passo.
Ho scelto te.

Loki le dava le spalle, volgeva appena la testa indietro.
«Cosa ti fa pensare che io mai ti perdonerò..? Puoi dirti già fortunata che io, stolto, abbia forzato la mia natura venendoti incontro». Tornò a guardare l'orizzonte innevato. «Non commetterò lo stesso errore per la seconda volta»
Già sentiva le lacrime posarsi tra una ciglia e l'altra, gelarsi assieme ai suoi piedi nudi che affondavano nella neve da poco entrata.
«Non lasciarmi..»
Sapeva che non ci fosse niente che avrebbe potuto convincerlo a rimanere, niente. Eppure il cuore che scoppiava nel petto tentava ingenuamente di provarci. Con l'appanno del dolore sulle pupille, poteva vedere piccoli fiocchi di ghiaccio che si attaccavano alla sua chioma d'ossidiana e al suo mantello.
Vorrei tanto essere un fiocco di neve e poterti stare accanto..
«Tu lo hai sempre fatto, Anirei. Sono stanco dei tuoi timori, dei tuoi problemi e delle tue paranoie. Dei rifiuti in particolar modo».
“Sono stanco di te.”
Guardava in basso, triste, al punto di rottura, del pianto che stava per giungere.
Era frustrante e doloroso constatare quanto lo avesse ferito, quanto quegli stupidi dubbi che l'avevano colta all'alba di una mattina nuova, quelle paure, quel concentrato di fattori inconsci che non volevano farle spiccare il volo della propria vita, fossero andati a marchiare la sua felicità. Forse quella di entrambi.
Vorrei tornare indietro e riavvolgere tutto..
Peccato che la vita scorresse in un solo senso.
La sensazione della sua imminente partenza le fece scoppiare il petto e lo stomaco, e percepire i battiti del cuore in tutto il corpo.
«Ti amo»
Erano uscite così, quelle parole, un lieve sussurro sfuggito alla sua coscienza. Accarezzò ogni singolo suono di quelle sillabe così care che col passare dei momenti le parevano sempre più vere e familiari; normali.
Ma Loki non si voltò.
«Getti parole contro un muro che tu hai eretto»






*:Anirei si sbaglia. Crede che tutti, sin dall'inizio, siano a conoscenza della verità su Loki, compreso lo stesso, che le dà l'impressione di non voler parlare dell'argomento quando in realtà egli non vuole semplicemente aprirsi in generale; in seguito alle parole di Frigga, e all'atteggiamento chiuso del dio, si convince a non tirare fuori il discorso che non avrebbe fatto altro che tenere presente le diverse origini di Loki, rinnovando lo sdegno che tutti gli portano e il dolore del diretto interessato.
Per una serie di coincidenze, quindi, Anirei non parla né al Dio dell'Inganno né a nessun altro – con l'eccezione della regina - delle sue origini.



**:Capitale e fortezza del regno di Jötunheim.







*******************************************
Salve a tutti!
Domando scusa per il ritardo, ma proprio non ho avuto tempo per dedicarmi alla fic, nonostante in ogni minimo ritaglio di tempo sia passata a scrivere parti di capitolo. Non credo che la situazione andrà a migliorare, purtroppo.
In ogni caso, spero che abbiate gradito il capitolo, mi ci è voluto uno sforzo enorme per completarlo (credo di avere riscritto alcune parti almeno un centinaio di volte) e per la revisione sono ancora molto indietro. Lo so, mi merito di soffrire nell'astinenza dei Pan di Stelle *nooooo....!* per un bel po'.
Vi ringrazio per la pazienza, per il tempo che dedicate a questa storia e a me, in questo piccolo cantuccio d'autore.
Al prossimo (spero, non troppo lontano) capitolo.
Ciao!
La vostra Ali



 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2908859