L'amnesia del tenente Hawkeye

di Rinalamisteriosa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 : Lavori in corso ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 : Amnesia temporanea ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 : Col fuoco non si scherza! ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 : Favore ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 : Conosci te stessa ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 : Chi pedinerà il colonnello? ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 : Lavori in corso ***


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Capitolo 1: Lavori in corso

 

 

 

 

*Ore 7.00 di mattina.

Appartamento di Riza Hawkeye*

 

 

 

 

Puntuale come un orologio svizzero, la donna aprì gli occhi al nuovo giorno.

Scostò piano le coperte che le arrivavano fino al collo e stirò le braccia sbadigliando.

Accucciato ai piedi del letto stava il fedele Black Hayate, taciturno.

Si alzò dal letto e gli diede una carezza sulla testolina, sorridendo.

“Andiamo a fare colazione?” sussurrò appena.

Il cagnolino sembrò capirla, perché con un piccolo balzo lasciò il letto e la seguì dritto in cucina.

Riza gli preparò una bella e abbondante ciotola di latte tiepido e la appoggiò per terra. Prontamente, il suo adorabile sottoposto cominciò a leccarla con piacere, il tutto senza che ci fosse bisogno di ordinarlo.

“Black Hayate, tu sì che fai progressi! Magari fossero tutti come te…” sospirò, rassegnata.

Per sé preparò una tazza di cappuccino fumante, vi aggiunse un cucchiaino di zucchero e la sorseggiò lentamente, per gustarne meglio l’aroma.

Poi buttò un occhio sull’orologio da tavolo.

Le sette e mezza.

“E’ meglio che vada a prepararmi per il lavoro” si disse.

Dopo avere fatto una doccia veloce, indossò la solita uniforme blu con le strisce bianche e uscì di casa.

Il quartier generale di Central City distava dieci minuti, quindi lo raggiunse a piedi.

Mentre percorreva il corridoio principale di questo immenso edificio, tutti coloro che incontrava le rivolgevano il saluto militare. Lei ricambiava o allo stesso modo oppure con un sorriso e un lieve cenno del capo.

Arrivata davanti alla porta dell’ufficio del suo superiore, il colonnello Mustang, notò una cosa strana.

C’era silenzio. Troppo silenzio.

Possibile che i ragazzi, una volta tanto, stavano lavorando sul serio, senza che lei li esortasse a farlo?

Per esserne davvero certa, appoggiò una mano sulla maniglia della porta e l’aprì di scatto, circospetta.

All’interno della stanza c'era solo lui, il colonnello, seduto con lo schienale rivolto tra la scrivania e la finestra. Il suo sguardo era concentrato, intento a leggere un foglio che teneva tra le mani: senza dubbio una lettera da parte di una delle sue innumerevoli ammiratrici misteriose.

“Buongiorno, colonnello!” esordì seria, chiudendosi la porta alle spalle.

“Buongiorno anche a lei, tenente” rispose, senza distogliere minimamente l’attenzione da ciò che stava leggendo.

“Signore... dove sono tutti gli altri?” gli domandò, fingendo sorpresa.

“Uhm… Fallman è stato richiesto al tribunale militare. A Fury, Breda e Armstrong è stato ordinato di controllare la zona est di Central City, perché pare vi si aggiri un pericoloso criminale. Havoc ha preso l’influenza e gli hanno dato un permesso di tre giorni. Acciaio e suo fratello sono ancora in missione. A quanto pare, gli unici rimasti qui siamo io e lei” elencò.

“Già… ma immagino che invece di lavorare sia impegnato in ben altre faccende!” puntualizzò. Ancora non si era degnato di guardarla in faccia mentre parlava: per una donna come lei, equivaleva a una mancanza di rispetto. L’avrebbe punito a modo suo.

“Che seccatura” sospirò. “Mi hanno dato una marea di scartoffie da firmare. Come se non bastasse, devo pure recarmi a ispezionare i lavori di un edificio statale in costruzione. Che diavolo c’entro io con quei lavori, poi?”

“Capisco. Allora facciamo così, signore. Permette?”

Riza gli si avvicinò: con il suo spiccato senso del dovere, gli strappò di mano la lettera con un gesto preciso e veloce.

Roy sbuffò contrariato: gli mancavano le ultime cinque righe e avrebbe ultimato la sua lettura.

Fingendo di non aver sentito il superiore sbuffare di disappunto, riprese, calma come sempre: “Lei adesso si occupa delle scartoffie, a ispezionare i lavori ci penso io!”

“Ma no, tenente, non c’è bisogno che-”

“Insisto! E questa lettera…” con una mano gliela sventolò davanti al viso, “la porto con me. Gliela restituirò dopo, ma solo se avrà svolto i suoi doveri, signore!”

“Ma…” tentò lui.

“Niente obiezioni! Ormai ho deciso così. Ci vediamo dopo, colonnello” detto questo, Riza uscì dall’ufficio con un sorrisetto di soddisfazione dipinto sul volto.

Roy si voltò verso la finestra, offeso come poteva esserlo un bambino delle elementari. Ma allo stesso tempo apprezzava il fatto che quella donna, in un modo suo tutto particolare, si preoccupasse per lui.

“Tenente… cerchi di non cambiare mai” pensò, prima di girarsi e occuparsi della cosa che odiava fare di più al mondo: riempire noiose scartoffie!

 

 

Dopo aver chiesto in prestito le chiavi di un veicolo da un altro militare, Riza vi salì e premette l’acceleratore.

In mezz’ora, arrivò nel luogo dove parecchi operai stavano lavorando intorno allo scheletro di quello che, a giudicare dall’altezza, sarebbe diventato un grande palazzo.

Parcheggiò e scese dalla macchina, proprio mentre una donna con il suo bambino, che doveva avere all’incirca nove anni, entravano dentro il cantiere. La giovane signora teneva un cestino del pranzo in una mano. Riza li seguì e il bambino, accortosi della sua presenza, le sorrise gioviale e agitò la manina per salutarla.

“Che simpatico…” pensò lei, ricambiando con un dolce sorriso.

 

*Al quartier generale*

 

“Pronto”.

“Parlo con il colonnello Mustang?”

“Sì, sono io”.

“Le passo il sergente maggiore Fury, signore. Dice che è importante”.

“Va bene. Passamelo”.

Rimase in attesa.

“Pronto…”

“Sergente, che cosa succede?”

“Signore, volevo informarla che Prinstgral, il criminale che stavamo cercando, non si trova più nella zona est come ci era stato detto…”

“Ah no? E dove allora?”

“Un informatore anonimo ci ha appena informati che si sta dirigendo nella zona sud. Era sopra una macchina rubata e portava con sé una valigia alquanto sospetta”.

“Zona sud? Aspetta! Vuoi vedere che…” Il colonnello appoggiò la cornetta del telefono sulla scrivania, riflettendo. In quel momento, il tenente Hawkeye si trovava proprio lì, ad ispezionare quei lavori al posto suo. Dannazione!

“Pronto? Colonnello? È ancora in linea?” soggiunse la voce cauta del sergente maggiore.

Roy riprese il ricevitore in mano e lo appoggiò all'orecchio.

“Sì, ascolta, correte a ispezionare tutta la zona sud. Io vi raggiungo… ma prima devo fare una cosa!”

“D’accordo, signore! Agli ordini!”

Roy chiuse la comunicazione. Lasciò la scrivania con tutti i fogli che gli rimanevano da firmare, prese il suo cappotto scuro e uscì dall’ufficio, chiudendo la porta a chiave.

“Ho un brutto presentimento. Il tenente è una donna che sa cavarsela in ogni situazione ma… se dovesse succederle qualcosa, sarebbe colpa mia. Dovevo andare io a fare quello che sta facendo lei!”

 

 

Prinstgral si riteneva un tipo abbastanza furbo e diretto, un genio nel creare scompiglio e panico tra i cittadini.

Sapeva anche essere molto crudele e approfittatore.

Con un ghigno perfido sul volto scavato e pieno di cicatrici, scese dalla macchina che aveva sottratto sotto il naso ad un povero idiota, ma non prima di aver recuperato dal sedile posteriore una valigia nera e pesante. Entrò anche lui nel cantiere, proprio mentre si svolgeva una pausa, e si guardò intorno: c’erano una coppia con il suo bambino, due operai che mangiavano un panino in silenzio e una donna in divisa militare che parlava con un addetto ai lavori, segnando ogni tanto qualcosa sul taccuino che teneva in mano.  Senza farsi notare - o almeno, così credeva - oltrepassò circospetto tutti e raggiunse le prime sbarre di ferro che sorreggevano il complesso.

Proseguì oltre, finché non si sentì tirare la mano. Era il bambino che, con tutta probabilità, mentre i genitori erano distratti, lo aveva seguito curioso.

“Ehi, signore, posso sapere che cosa contiene questa cosa? Un giocattolo?” domandò con vocina molto curiosa.

“Uhm… sì, certo! Diciamo che contiene un giocattolo molto interessante”.

“Wow! Me lo fa vedere? La prego, mi sto annoiando, voglio giocare!”

L’uomo si piegò sulle gambe fino a raggiungere l’altezza del piccolo interlocutore e accennò un mezzo sorriso fintamente intenerito, scompigliandogli i capelli castani con la mano.

“Presto lo vedrai, piccolo... Presto lo vedrai…”

 

 

“Mio figlio! Mio figlio è sparito!” strillò la giovane mamma, dopo essersi accorta che suo figlio non era nei paraggi e attirando l’attenzione di tutti i presenti, compresa Riza.

“Signora, non si preoccupi, davvero. Lo cerco io” la rassicurò prontamente.

Si fece strada tra i lavori senza indugio. Aveva notato, infatti, quell’uomo sospetto… e anche il bambino che lo seguiva.

Aspettava soltanto il momento buono per intervenire.

Momento che era arrivato.

Riza poteva vederlo: stava piazzando qualcosa per terra, sotto gli occhi ingenui di quel bambino.

Pensò subito a una bomba, data la sua forma strana.

“Fermo lì! Non si azzardi ad attivarla o ne pagherà le conseguenze!” disse ad alta voce all’uomo, spianando la sua calibro nove.

“Troppo tardi, soldatessa” la informò irrisorio. “Il timer è già partito, tra cinque minuti esatti salterà tutto in aria! Ahah!”

Scoppiò a ridere come un pazzo, il volto una maschera inquietante.

“Che significa? Salterà tutto in aria? È un nuovo gioco?” chiese spontaneamente il bambino.

“No, non è affatto un gioco! Piccolo, vieni qui! Forza! Stai vicino a me. Quell’uomo è pazzo!” lo incitò Riza, alzando ancora il tono. 

E quando il bambino, ubbidiente, l’aveva ascoltata, lei sparò un colpo, sfiorando la spalla al malintenzionato.

“EHI!”

“Disattivala immediatamente, o con il prossimo colpo faccio centro!”

“Non credo proprio, cara”.

L’uomo serbava un’altra sgradevole sorpresa, oltre all'ordigno esplosivo. Estrasse dalla tasca sinistra dei pantaloni un oggetto rotondo e lo gettò in un punto vicino alla donna. Con un leggero pluff questo oggetto si ruppe, inalando una sostanza soporifera.

Con una mano, Riza si coprì velocemente la bocca e il naso, ma ormai aveva respirato un po’ di quel gas e si sentì mancare. Lo stesso successe al bambino, mentre quel criminale, indossata una mascherina, si avvicinò a loro. Riza, che non era ancora svenuta del tutto, gli mollò un pugno sullo stomaco.

Nelle sue attuali condizioni, però, non gli fece molto male. Lui invece, raccolta una sbarra di ferro da terra, la colpì violentemente alla testa.

Da quel momento tutto, intorno a lei, si fece nero.

 

 

Mentre succedeva tutto questo, il colonnello arrivò al cantiere. Vedendolo entrare, la mamma di quel bambino gli si avvicinò preoccupata.

“Lei è un soldato, vero? Una sua collega è entrata lì dentro per cercare mio figlio, ma non è ancora uscita” lo informò la stessa signora di prima, che mostrava gli occhi lucidi e rossi.

“D’accordo. Si calmi, vado a vedere!” rispose lui, prendendo la stessa strada.

Arrivato a metà della costruzione, trovò sia la bomba che segnava due minuti all’esplosione sia i due svenuti.

“Ma cosa…? No, adesso non c’è tempo per chiedersi cosa sia successo. Devo portare fuori di qui Riza e il bambino alla svelta!” pensò.

Prese in braccio prima il bambino e lo allontanò. Poi tornò indietro a fare lo stesso con la sua sottoposta. Mancavano trenta secondi all’esplosione. Con tutto che la teneva in braccio, riuscì ad avanzare veloce. Li depositò in un posto sicuro, tra delle lunghe sbarre di acciaio resistenti che aveva trovato. Se li avesse portati direttamente fuori, non ce l’avrebbe fatta.

L’esplosione avvenne.

Per un caso fortuito, la bomba di quel pazzo, che in mezzo al trambusto era riuscito a scappare, non era buona e non aveva provocato seri danni.

Il boato, però, fece allarmare tutti quelli che stavano vicino al cantiere, che subito si precipitarono con dei secchi d’acqua, pronti a spegnere il piccolo incendio per evitare che divenisse più vasto.

Ma se Riza e il bambino fossero rimasti là vicino… sarebbero morti.

Roy era intenzionato a fargliela pagare a quell’uomo. Come si era permesso ad aggredire Riza?

Mentre pensava a come incenerirlo meglio se l’avesse trovato, il bambino aprì gli occhi.

“Che cosa è successo?” chiese, confuso.

“Niente, piccolo. Puoi tornare dalla tua mamma, sai? Sarà preoccupatissima per te!” mormorò, per poi distogliere lo sguardo cupo.

“Okay! Ma dov’è?”

“Proseguì sempre dritto, verso la luce”.

“Va bene! Grazie, signore!”

“Nessun problema” disse il colonnello, sorridendo appena e guardandolo mentre si allontanava. Poi tornò a fissare preoccupato il tenente. Provò persino a scuoterla un poco dalle spalle, ma senza risultato. Decise che era meglio portarla all’ospedale, la ferita alla testa sanguinava ancora e rischiava di aggravare le sue condizioni.

 

 

Il medico, dopo averla visitata, constatò che Riza non aveva alcun danno fisico.

Consigliò ugualmente al colonnello di convincerla a farsi un controllo più approfondito per vedere se non avesse subito danni al cervello.

Quando, finalmente, lei riprese conoscenza, in un letto d’ospedale, era già sopraggiunta la notte.

Eppure Roy era rimasto lì, a vegliare in attesa del suo risveglio. Non sapeva perché, ma ci teneva a chiederle scusa.

“Tenente…”

“Mhm… che mal di testa!”

“Ci credo. Doveva vedere che brutta ferita le ha causato quell’uomo. Con cosa l’ha colpita? Perché se lo becco, io…”

Riza spalancò gli occhi e mise a fuoco la camera. Non riusciva in nessun modo a ricordare cosa era successo, neanche sforzandosi, constatò.

E soprattutto… chi era l’uomo che le stava parlando?

Si mise seduta per guardarlo attentamente.

E dedusse che no… non l’aveva mai visto prima d'ora!

“Che cosa c’è, tenente? Perché mi fissa in quel modo?” domandò con una certa perplessità.

“Tenente?”

Pausa.

“Mi scusi ma… lei chi è?”

 

 

 

 

 

 

Note pre-revisione: Ecco il primo capitolo!

Chiedo umilmente scusa per l’errorre commesso a postare questa storia la settimana scorsa e ringrazio Red Robin e Shatzy per avermelo fatto notare.

L’ho scritta dopo essermi ripresa dall’influenza, dato che non riuscivo a combinare nulla di buono.

 

Non ho altro da dire…

le spiegazioni al prossimo capitolo^^ aggiornerò appena posso.

 

Ciao a tutti!

Rinalamisteriosa

 

Note post-revisione: Per quanto riguarda << L'amnesia del tenente Hawkeye >>, in realtà non ci saranno cambiamenti importanti.

Ho sistemato molte frasi, corretto la punteggiatura e farò lo stesso nei prossimi capitoli, almeno resterà sul sito in una forma sì decente, ma con la semplicità e la leggerezza dei primi tempi in cui scrivevo ^_^.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 : Amnesia temporanea ***


Capitolo 2: Amnesia temporanea

 

 

 

 

Mai semplice domanda fu capace di spiazzarlo completamente.

Non se la sarebbe mai aspettato, in vita sua.

Le cose erano tre: che Riza stesse recitando, dimostrando una bravura impressionante; che stesse scherzando, ma non era una tipa con cui scherzare; che la botta in testa ricevuta fosse stata talmente forte da causarle una perdita della memoria.

“Eh? C-cosa?!?”

Sul momento non uscivano altre parole.

E doveva avere assunto un'espressione sconvolta, con la bocca semiaperta e incapace di proferire altro, perché Riza parlò di nuovo, a capo chino, come se fosse colpa sua.

“Se la cosa può consolarla, signore, non ricordo nemmeno il mio nome”.

“Non... non ricorda niente?” riuscì poi a dire, trattenendo il fiato.

“Esatto! Mi sento la testa completamente svuotata. Certo, fa anche male, però... però devo ammettere che è piacevole. Non so come spiegarlo, ma... mi sento libera e leggera come una farfalla”.

“Capisco...”

No, in realtà Roy mentiva, non capiva affatto! Perché stava succedendo tutto questo? Perché a lei?

“Ehm... allora?” domandò all'improvviso la donna.

“Cosa?”

“Saprà sicuramente come mi chiamo, dato che non mi sembra né un infermiere né un dottore” continuò con calma.

“Certo che non lo sono! Io sono un colonnello... e non uno qualunque, bensì Roy Mustang, l'alchimista di fuoco!” precisò, alzandosi dalla sedia posta accanto al letto e battendosi pomposamente il petto, fiero di sé.

Lei lo guardò per un attimo seria, ma poi non poté fare a meno di coprirsi la bocca per soffocare una risata. Quel gesto l'aveva fatta ridere: non sapeva spiegare come mai, ma era così.

“Che le prende?” chiese lui, confuso.

“Nulla, nulla. Voglio fidarmi, sembra simpatico! Adesso, per favore, risponda alla mia domanda: chi sono?”

Si era ripresa, acquistando contegno e lo stesso tono autoritario di sempre.

Peccato fosse solo un'illusione destinata a svanire: al momento lei non era più la Riza che conosceva.

Si rimise seduto, espirando e sperando, in cuor suo, che tornasse tutto alla normalità. E presto anche.

“Si chiama Riza Hawkeye. Davvero non ricorda?”

Ebbene sì, Roy continuava a non crederci: e se si era addormentato mentre la vegliava? E ciò che stava vivendo era solo un sogno?

“No. Ma grazie lo stesso. Adesso lo so, se qualcuno me lo chiede posso rispondere tranquillamente!”

Sorrise compiaciuta. Possibile che si preoccupasse solo di questo?

No, doveva essere per forza un brutto sogno. Anche se, in fondo, non lo era del tutto: vederla in quel modo, con i lunghi capelli biondi che le ricadevano sciolti e spettinati sul cuscino alle spalle, una larga vestaglia azzurra che le aveva messo l'infermiera, quel sorriso radioso che difficilmente gli capitava di vedere, tutte queste cose insieme la facevano sembrare più bella.

Più femminile e più fragile di quanto fosse mai stata.

Per quanto a Roy dispiacesse che il suo tenente avesse perso la memoria, non poté fare a meno di ammirarla in questo suo aspetto dolce e sbarazzino.

Un infermiere fece capolino nella stanza.

“Signore, mi dispiace, l'orario delle visite è finito da un pezzo. Dobbiamo chiudere l'ospedale al pubblico” disse.

“No, ha ragione. Mi avete già concesso anche troppo tempo, sarà meglio che vada” rispose comprensivo, lasciando la sedia.

Poi si girò verso il suo tenente e le promise che il giorno dopo sarebbe tornato, ricevendo solo un cenno positivo con la testa.

 

 

***

 

 

Si impegnò a mantenere la parola data e ci riuscì solo nel pomeriggio, dopo aver eluso abilmente le domande dei suoi sottoposti preoccupati per l'improvvisa sparizione del tenente Hawkeye.

Raggiunse l'immensa struttura ospedaliera di Central City e vi entrò. Si fece strada da solo, senza chiedere indicazioni, poiché ricordava ancora il tragitto: su per le scale fino al terzo piano, stanza 310.

Quando si trovò in prossimità del corridoio adiacente la camera, però, lui dovette fermarsi. Quello che vide lo lasciò di stucco.

Si nascose dietro un pilastro angolare, per non farsi sorprendere.

C'era Riza con la schiena appoggiata al muro, mentre conversava serenamente con quello stesso infermiere che gli aveva chiesto di andarsene la notte precedente.

“Uhm... come mai tutta questa confidenza? Non mi piace!” disse tra sé, sospettoso, gli occhi ridotti a due cupe fessure.

Quel tipo manco lo conosceva, eppure... stavano lì a parlare e a sorridersi come se si conoscessero da sempre. Ma anche no!

Poi entrarono nella stanza accanto, la 311.

Alimentato da pensieri poco rassicuranti contro di lui, Roy avanzò deciso.

Doveva accertarsene personalmente, giusto per non prendere un grosso abbaglio.

E per fortuna si sbagliava.

Quando varcò la soglia, Riza e quell'uomo stavano semplicemente aiutando una fragile nonnina a spostarsi dal letto alla sedia a rotelle.

Troppo presi dal nobile gesto, però, non si erano accorti dell'ingresso del colonnello, il quale salutò come se fosse capitato lì per caso.

“Salve, signore!”

Anche se l'infermiere aveva ricambiato cordialmente, continuava a non piacergli neanche un po'.

“E questo bel giovanotto chi è?” si intromise la nonnina, con un'espressione deliziosa sul viso. Figura esile nella sua camicia da notte rosa confetto, avvolta da un grande scialle bianco, questa vecchia signora dai bianchi capelli legati in un modesto chignon e gli occhi di un blu intenso e penetrante, guardò prima l'infermiere e poi Riza. Fu proprio lei a risponderle, tranquilla.

“Credo sia venuto a trovare me”.

“A trovare te, mia cara? Ma che carino!”

“Ora andate...” proseguì “dovete fare la vostra passeggiata quotidiana! Io, se posso, vi raggiungo dopo”.

“Come? Perché non venite anche voi due?” chiese la nonnina, speranzosa.

“Perché ho bisogno di parlare da sola con lui. Ieri siamo stati interrotti” le comunicò Riza con un sorriso di scuse.

“D'accordo. Su, signora Stevington, lasciamoli soli” dichiarò l’infermiere, assecondandola.

E se ne uscirono, con la vecchietta che aveva assunto un'aria un po' triste.

 

 

“Come sta oggi?” cominciò Roy, dopo almeno due minuti di silenzio teso. Rimase in piedi accanto alla finestra della camera, mentre Riza si accomodò sul letto della signora.

“Io sto bene, ma... non ricordo ancora nulla. Mi dispiace...” rispose Riza, congiungendo le mani in grembo.

“Tranquilla. Un giorno riacquisterà la memoria, ne sono più che sicuro!” le confidò, puntando uno sguardo deciso fuori.

“Beh... grazie”.

“Tenente Ho-”

“Ma lo ero davvero?” lo interruppe.

“Cosa?”

“Un tenente dell'esercito?”

“Certo!”

“Tom dice che è impossibile...”

“E chi sarebbe questo Tom?”

“L'infermiere...”

“Tsk! - spostò uno sguardo seccato nuovamente sulla donna - Che razza di biondino impertinente! Non crederà a quello che dice lui, vero? Lei è e rimarrà sempre un bravissimo tenente, com'è vero che io mi chiamo Roy Mustang!” terminò, sottolineando risoluto le sue convinzioni.

A sentire di nuovo quel nome, Riza trattenne a stento una risata.

E come la prima volta, non sapeva spiegarsi come mai succedeva.

“Che cosa c'è?”

“No, niente. Cambiando discorso, la signora Stevington fa molta tenerezza, non trova anche lei, signore?”

“Sì...” annuì distrattamente.

“L'ho conosciuta stamattina. È stata così gentile con me... povera donna, domani dovrà subire un delicato intervento alla spina dorsale”.

“Ah... mi dispiace”.

“Per quanto riguarda me, invece, hanno detto che faranno degli accertamenti e poi mi dimetteranno. Ma ho come l'impressione che non sarà facile tornare alla vita di sempre... Se solo potessi ricordare com'era…”

“Tenente, posso dirle una cosa?” si azzardò a chiedere.

“Certamente”.

Roy fece un respiro profondo, prima di riprendere a parlare.

“Anche se lei non lo ricorda, io non posso... dimenticare ciò che ha sempre fatto per me. No, non posso. Perciò, se ha... bisogno, io l'aiuterò volentieri. Supereremo insieme questo strano momento che, si spera, sia solo di passaggio”.

Non guardava più fuori dalla finestra, il colonnello, non spostava più lo sguardo, ma lo puntava unicamente verso colei che l'aveva sempre appoggiato e sostenuto.

Riza, dal canto suo, sorrise grata.

Certo, era sempre confusa per via dell'amnesia... ma sentiva che di lui poteva fidarsi ciecamente.

Era una sensazione a pelle, qualcosa di inspiegabile.

“Prima di andarmene passerò dal dottore” la informò.

“Perché?” domandò lei.

“Beh... se devo darle una mano, chi meglio di lui può dirmi come fare?”

 

 

Il dottore, un tale Patterson, era un signore di mezza età con gli occhiali e la barbetta grigia, così come erano grigi i capelli corti.

Dopo una stretta di mano, Roy fu invitato ad accomodarsi nello studio del medico.

“In cosa posso esserle utile, colonnello?” disse, sistemandosi gli occhiali sul naso adunco.

“Vorrei essere informato in modo più dettagliato sulle condizioni del tenente, se possibile” disse serio.

“Uhm... sì. Riza Hawkeye. Ho proprio qui, a portata di mano, la cartella clinica della suddetta. Ho riportato tutto ciò che abbiamo scoperto da una prima analisi tenuta stamattina: trauma cranico con piccola emorragia esterna e amnesia temporanea. La paziente ha una buona probabibilità di riprendersi dal trauma entro una settimana. Ma per quanto riguarda l'amnesia, non so... dirle con precisione quanto potrebbe durare” spiegò.

“Non mi sa dire... però guarirà, vero?” chiese, ottimista.

“Certamente”.

Sospirò di rimando. “E mi dica che cosa posso fare per... ecco, aumentare le possibilità di ripresa della sua memoria?”

“Uhm... l'unica cosa logica che le consiglio di fare è quella di procedere per gradi - si schiarì la voce - mi spiego meglio: lei deve evitare alla signorina lunghi discorsi sulla sua vita. Le faccia ricordare una cosa per volta. Ad esempio, ieri ha fatto bene a dirle solo il nome, perché il suo cervello l'ha memorizzato subito senza richiedere sforzi di memoria. Mi segue?”

“Sì... questo è chiaro”.

“Bene. Le dirò cosa non si deve MAI fare: darle un'altra botta in testa. Sa, molti dicono che funziona, in realtà è pericoloso. E poi, la signorina non deve subire altri traumi o shock, perché questi potrebbero soltanto sensibilizzarla ancora di più e avere altre conseguenze spiacevoli che, di certo, non la aiuterebbero nel recupero della memoria”.

“Tipo?”

“Svenimenti. Dolori lancinanti al capo. A volte anche nausea e vertigini”.

“Capisco...” mormorò, sollevato.

In qualche modo il discorso del dottore era riuscito a farlo stare meglio.

Almeno, era sicuro che sarebbe tornato a casa più tranquillo.

“Grazie dottore! Continuate a occuparvi del tenente finché si trova qui. Quando uscirà, ci penserò io” si raccomandò.

“Certamente”.

“Allora io vado. Arrivederci!”

“Arrivederla!”

Si salutarono con una stretta di mano e Roy si alzò, dirigendosi verso la porta.

Prima di uscire, però, si ricordò di una cosa importante.

“Ah, dottore, le chiedo un ultimo favore. Controlli l’infermiere alto e biondo che lavora al terzo piano. Deve sapere che non mi fido di lui…”

“Non ne ha motivo, colonnello. È un bravo giovane” proferì con una certa perplessità.

“Sì, come no! Va bene che Riza non è tipo da cadere ai piedi di un uomo facilmente. Però…” pensò lui, indispettito, mentre gli tornava in mente la scena inconsueta di quando era arrivato.

Salutando ancora una volta il dottor Patterson, chiuse la porta dietro di sé e lasciò l’ospedale, meditando per un po’ di incenerire quel povero infermiere se solo avesse avuto ancora tutta quella confidenza con il suo tenente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note:

Rieccomi!

Al solito, chiudo lasciandovi in suspance (è più forte di me XD)

 

Ammetto di non essere bravissima, però sto cercando con tutte le mie forze di migliorare.

Ed è proprio per mettermi alla prova che ho deciso di dar vita a quest'idea che mi frullava nella testa da quando questa coppia è diventata la mia preferita^^ (ossia, da quest'estate! XD)

 

Perché trovate OOC nelle note? E' semplice: temo che, date le circostanze, non rispecchierò sempre i personaggi per come sono davvero (questo capitolo ne è la prova); e già me li immagino, con una falce in mano, pronti a tagliarmi la testa per quanto li faccio sembrare strani (soprattutto Riza).

Perché lei si è fidata subito di lui? Perché una volta ho letto che, quando si perde la memoria (ma non so se è vero), si tende a fidarsi della prima persona che si vede al momento del risveglio.

 

Aspettatevi tanti personaggi da questa fic, sia personaggi che non mi appartengono, sia personaggi che ho dovuto inventare per la trama, e anche tanti casini.

 

Continuate a seguirmi, se ci riuscite.

Commenti, opinioni e consigli sono molto graditi se mi aiutano ad andare avanti.

 

A questo proposito, ringrazio infinitamente shurei e Shatzy (anche se non è bello, questo capitolo è per voi^^); vi chiedo umilmente di non abbandonarmi, please!

E ringraziamenti vanno anche a chi ha solo letto o a chi ha aggiunto la fic tra i preferiti.

 

Bacioni,

Rinalamisteriosa

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 : Col fuoco non si scherza! ***


Capitolo 3: Col fuoco non si scherza!

 

 

 

 

Era il terzo giorno che Riza passava all’ospedale e Roy la andava puntualmente a trovare.

Stavolta, però, con un piccolo pensierino per lei: un mazzo di fiorellini colorati.

Arrivato nella sua camera, però, non vi trovò nessuno.

“Pazienza. Vorrà dire che aspetterò qui...” pensò lui, mentre riponeva i fiori sul comodino accanto al letto.

Doveva ammettere che, così, quella grigia e spoglia stanza d’ospedale appariva diversa, appariva più bella.

L’influenza che emanava quella composizione floreale era positiva, mentre un buon profumo aleggiava intorno.

Non dovette aspettare molto, per fortuna.

Riza arrivò presto, con un braccio piegato a toccare la testa ancora dolorante.

Lo salutò cordiale, e accorgendosi del regalo aggiunse:

“Ma che bel pensiero! Li ha portati lei?”

“Sì - annuì - come mai ha una mano in testa?” chiese Roy.

“Mi hanno cambiato la medicazione, mi fa male la botta! Ahi! Ma si può sapere che cosa mi ha colpito?” domandò, ritenendo che lui lo sapesse, e quindi avrebbe potuto darle una spiegazione plausibile.

Doveva dosare le parole, perciò rispose: “Lei era in missione per conto mio, ha avuto una brutta collisione con un criminale, ma non so dirle di più. Mi spiace, purtroppo non ero presente quando è successo”.

Le aveva parlato sinceramente e Riza, dato che si fidava, si accontentò di quella risposta senza indagare oltre.

“D'accordo. Mi scusi se le chiedo di andare via per oggi, ma sono davvero stanca! Stanotte non ho dormito bene e vorrei riposare” lo pregò.

“Non ha dormito… Come mai? Ha forse ricordato qualcosa?” domandò, sperandoci.

“No, tuttavia le posso assicurare che ci ho provato” rispose con dispiacere, accennando comunque un lieve sorriso.

Roy sbuffò. Poi acconsentì a lasciarla sola, augurandole di riposare bene.

 

 

***

 

 

Quella mattina, Roy si svegliò di buonumore, col sorriso sulle labbra.

Era contento, perché si trattava del penultimo giorno che andava a trovare Riza all'ospedale di Central City.

Il giorno dopo, finalmente, l'avrebbe portata via di lì, soprattutto lontano da quell'infermiere per il quale il colonnello nutriva un pizzico di gelosia.

Anche se difficilmente lo avrebbe ammesso a se stesso.

Uscì di casa, fischiettando e dirigendosi dritto dritto in quel luogo conosciuto.

“Per una volta arriverò tardi al lavoro… ma poco importa!” pensò, gongolante.

Arrivato nei pressi dell'ospedale, però, vide una cosa che non gli piacque per niente.

Procedendo cauto, si nascose.

Il suo umore era appena cambiato e i suoi occhi neri, apparentemente normali, brillavano di uno strano bagliore.

“Come mai Riza e il damerino sono insieme?” si chiese, a dir poco scocciato.

 

 

Riza e Tom sedevano in una panchina nel piccolo parco dell'ospedale: il mattino dopo lei sarebbe stata finalmente dimessa.

Dalle ultime analisi compiute, infatti, risultava in ottime condizioni di salute; le rimaneva solo il problema dell'amnesia da risolvere.

La signora Stevington era da poco entrata in sala operatoria.

Era lei il motivo per il quale la giovane donna aveva deciso di fermarsi in ospedale altri cinque giorni, dopo la settimana già trascorsa.

Riza avrebbe tanto voluto starle accanto anche in quel difficile frangente, perché si era affezionata davvero a lei: farle compagnia durante la convalescenza, l'aveva fatta sentire meglio.

Perciò non poteva celare la preoccupazione e l'ansia nel suo volto, e la speranza di rivedere ancora quell'adorabile nonnina era molto forte.

Almeno per poterle dire un sentito grazie un'ultima volta.

A questo proposito, avrebbe voluto aspettarla nel corridoio ma l'infermiere, che al momento le sedeva accanto, le aveva suggerito che era consigliabile uscire fuori, trascinandola dal braccio.

Secondo lui, scaricare la tensione all'aria aperta le avrebbe fatto solo bene.

“Mia cara, stia tranquilla, andrà tutto bene” disse Tom, dopo attimi di silenzio.

“È ciò che spero... Mi dispiacerebbe se qualcosa andasse storto, è stata tanto gentile e disponibile con me. Non mi ha fatto mai pesare la permanenza qui!" rispose Riza con urgenza e sincerità.

“Beh... non è stata l'unica, se permette” replicò l'uomo, risentito.

“Ah, giusto. Dimenticavo lui” ricordò.

“Lui chi?”

“Il colonnello...” mormorò.

Del resto, aveva sempre trovato il tempo per venire a farle visita. Come non ringraziarlo?

Cominciò a chiedersi come mai non fosse ancora arrivato. Non sapeva che invece era già sul posto.

Roy sostava nelle vicinanze, nascosto abilmente dietro un cespuglio, poco distante dal punto in cui si trovavano loro, ad origliare.

“Chi? Quello spaccone? Di certo non posso darle torto. È vero che viene qui tutti i giorni... ma non le sembra di aver dimenticato qualcun altro?” chiese, assumendo prima un broncio, poi un'aria da cane bastonato, fatta apposta per attirare l'attenzione.

“Ha proprio ragione Tom! C'è il dottor Patterson, vostro zio. Così simpatico e garbato nel farmi le analisi, a spiegarmi la mia situazione con il giusto tatto...” ricordò ancora Riza, alzando gli occhi al cielo.

Infine aggiunse, come a voler cambiare discorso:

“Ha visto che bella giornata?”

“Sì, certo” la assecondò con disinteresse, fino a cambiare atteggiamento.

“Peccato che non sia... paragonabile alla tua bellezza” provò con voce suadente, prendendole le mani, dato che non sembrava intenzionata a collaborare.

“Cosa?” domandò con aria ingenua, senza capire.

Perché tutta quella confidenza improvvisa?

“Riza cara... la verità è che tu mi piaci molto! E lo dico senza inutili giri di parole, smettiamola di essere formali e gentili” confessò, avvicinandosi di più.

Riza si ritrasse giusto quel poco che la posizione da seduta le permise.

Istintivamente portò una mano sul fianco, come a voler cercare qualcosa. Non c'era nulla che le servisse, però.

“Tom, io... io non me lo aspettavo...” le venne da dire, con evidente disagio.

Non aveva idea di come comportarsi.

Fortuna che ci fosse già qualcuno pronto ad aiutarla.

Il colonnello, da dietro il cespuglio, appurò che era giunto il momento di intervenire.

Approfittando della distrazione dei due, si alzò in piedi e fece partire una rapida scintilla con il suo guanto alchemico, che andò a colpire proprio il lembo sinistro dei pantaloni dell'infermiere, i quali iniziarono a prendere fuoco senza che quel damerino ci avesse fatto caso.

Era troppo preso a guardare la donna per accorgersene, finché Riza non si alzò dalla panchina, indicando con incredulità e stupore il basso, senza dire una parola.

“Che cosa c'è? Perché questo caldo improvvi...?”

Abbassò finalmente lo sguardo e gettò un urlo.

Urlante e in preda al panico e all'isterismo, Tom corse via, alla ricerca della fontana più vicina, lasciando Riza scioccata e il colonnello, ancora nascosto, che sghignazzava in silenzio e si congratulava mentalmente per l'ottimo lavoro.

Dopo aver riacquistato il suo autocontrollo, Roy uscì finalmente allo scoperto.

Si avvicinò di soppiatto a Riza, esclamando:

“Che idiota! Bastava che si rotolasse per terra e avrebbe risolto il problema”.

“Salve, colonnello! Ma come...?” domandò lei, ancora confusa.

“Sono arrivato nel momento in cui quell'infermiere urlava” mentì spudoratamente, cercando di trattenere un'altra risata.

“Ah...capisco...” fece lei, chinando il capo.

“Tenente, si sente bene? La vedo scossa” cambiò discorso, guardandola preoccupato. Eppure aveva controllato la gettata della fiamma proprio per non sconvolgerla, come aveva consigliato il medico.

“Sì... va tutto bene” gli assicurò, poco convinta.

“Ne è sicura? Non le ha detto o fatto niente quell'uomo?”

Per quanto si sforzasse di non pensarci più, il pensiero di Roy tornava alla scena di prima.

Che sfrontato! Lo sapeva che un giorno quel tipetto biondo ci avrebbe provato con lei, solo che... che non si sarebbe mai aspettato di ingelosirsi in modo esagerato per il tenente Hawkeye. Per via del lato debole e indifeso che aveva assunto da smemorata.

Che cosa gli prendeva ultimamente?

“Non si preoccupi, stavamo solo... solo parlando, tutto qui”.

Stavolta fu lei a mentire.

Lo sapeva bene, Roy, aveva assistito a tutto.

“D'accordo...” si limitò a dire, chinando il capo, proprio come lo aveva già abbassato lei, dopo avergli detto quella piccola bugia.

Era vero che, in quei giorni, Riza aveva imparato a fidarsi del colonnello Roy Mustang.

Però... era davvero sicura di conoscerlo? Lui faceva veramente parte del passato che cercava di ricordare?

Era un dubbio abbastanza comune per chi si trova nella stessa condizione di Riza, ad essere confusa e ad avere la mente svuotata.

“Tenente, posso permettermi di dirle una cosa?” riprese lui, sicuro.

“Mi dica...” disse lei, rialzando la testa.

“Vorrei stringere un patto con lei. Almeno finché non riacquisterà la memoria”.

Posso sapere quale, signore?”

Con questa domanda, a Roy sembrò che la vera Riza fosse appena tornata.

Continuò ugualmente: D'ora in avanti, mi dirà sempre tutto. Qualsiasi cosa riguardi il passato che riaffiora, o tutto quello che le succede giornalmente”.

Ma...” tentennò lei.

Voglio la sua parola tenente!” impose lui, categorico.

Sì, signore” rispose lei dopo qualche esitazione.

Tenente, più convinta!” insisté Roy.

Sussultò. “Sì, signore!” esclamò.

“Più forte!”

“Sì, signore!!!” urlò, quasi.

Ecco che si stava pentendo per tutto ciò che aveva pensato prima su di lui. Doveva continuare a fidarsi.

Poi, senza preavviso, come se fosse stato il suo corpo a muoversi meccanicamente in avanti, lo abbracciò.

Lo strinse forte a sé e scoppiò a piangere, chiedendo perdono.

Roy rimase decisamente colpito da quel gesto fragile, così atipico del suo tenente.

Eppure non poté fare a meno di ricambiare, visto e considerato che anche lui si era comportato male nei suoi confronti.

Ed entrambi, stretti in quell'abbraccio confortante, non si accorsero del ritorno dell'infermiere, il quale li fissò col broncio tipico di chi era stato appena scaricato.

 

 

 

 

 

 

 

Note:

Ho finito il terzo capitolo e credo di aver fatto un casino.

Ma io vi avevo avvertito che questa mia storia era strana. XD

Piccola precisazione: l'infermiere non è ancora uscito di scena, purtroppo! Aspettate di vedere cosa combinerà nel prossimo capitolo (per adesso l'ho lasciato solo imbronciato, ma non è tutto! XD)

 

Ribadisco ancora una volta il concetto che non sono perfetta e che, se trovate qualche errore nella lettura, lo devo al fatto che sto cercando di migliorare il mio modo di scrivere.

Non intendo cambiarlo, solo migliorarlo! ^_^

 

Vi ringrazio tantissimo per i cinque incoraggianti commenti che mi avete lasciato nello scorso capitolo.

Non me lo aspettavo ^O^

In quanto scrittori, sapete anche voi quanto sia importante un commento^^ GRAZIE DAVVERO!

 

Poi, voglio approfittare per fare dei ringraziamenti speciali: alla mia gemellina shurei (che mi segue sempre^^); a Shatzy (spero di essere riuscita a seguire i tuoi consigli. Ho persino dato una sistematina agli scorsi capitoli^^); a evelyn_cla, SpadaccinodellaNebbia e valerya90 (tu mi hai commosso stasera su msn ç_ç)  e a quanti hanno messo la mia ficcy tra i preferiti.

 

Prima che mi dimentichi, voglio augurare buone feste a tutti quanti!

E cerchiamo di trascorrere un sereno Natale e un felice Capodanno^_^

 

Spero di riuscire a pubblicare qualcosa di nuovo in questo periodo... intanto vi saluto!^^

 

Il prossimo aggiornamento di questa sarà a gennaio!

 

Bacioni,

Rinalamisteriosa

 

 

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 : Favore ***


Nota iniziale: Ho ipotizzato che la “nonna” della storia avesse subito due interventi importanti, perché se ne avesse fatto uno solo avrei commesso una svista ^^’

Meno male che me ne sono accorta.

Comunque, se notate qualcosa di strano anche voi, avvertitemi!

Non sono perfetta, ma voglio migliorare.

E adesso… buona lettura! ^_^

 

 

 

 

Capitolo 4: Favore

 

 

 

 

Ehi, Tom, tutto bene?

No, zio, per niente!

Il dottor Patterson, intento a sfogliare il libro di ricette mediche con una mano e ad annotare qualche appunto su un foglio con l'altra, dovette alzare lo sguardo all'entrata piuttosto zoppicante e imbronciata del nipote, che portava buona parte dei pantaloni bruciacchiati.

Mentre si accomodava nella sedia di fronte, riuscì a trattenere a stento una risata.

E Tom lo guardò torvo, incrociando le braccia al petto.

È stato un buco nell'acqua! esclamò il giovane, visibilmente irritato.

Più che un buco nell'acqua... direi un salto nel fuoco. Ecco perché ti dico sempre di non importunare le belle signorine lo ammonì il medico, continuando a scrivere.

Evidentemente gliene aveva fatto parola, giorni prima, perciò sapeva a chi si riferisse.

Io non la stavo importunando! Ho provato a dichiararmi e improvvisamente... anzi, inspiegabilmente, mi sono ritrovato coi pantaloni in fiamme. E meno male che l'ubicazione della fontana non era lontana: poteva andarmi peggio! sbottò, guardandosi le gambe. Doveva andare a cambiarsi.

Capisco...

Come se ciò non bastasse, quando sono tornato indietro, l'ho trovata in lacrime tra le braccia di quel colonnello!

Capisco... ripeté il dottore, distratto.

Ma zio! Non sai dire altro che capisco...?!

Vedi... - il dottore tornò a concentrarsi sul nipote, aggiustandosi gli occhiali che sembravano scivolargli dal naso - talvolta è meglio non impicciarsi dei fatti altrui, soprattutto se c'è di mezzo l'esercito. Te lo dice uno che ha più esperienza di te” gli consigliò di rimando.

Ma zio... come fai a essere sicuro di questo?

Di cosa?

“Mi riferisco al fatto che la dolce Riza sia davvero un tenente. Abbiamo solo la parola del colonnello, e non mi pare una prova sufficiente... borbottò a braccia conserte.

Lo zio, invece, sospirò. Mise mano nel secondo cassetto della scrivania dove sedeva e vi estrasse una cartelletta nera.

Vuoi la prova? Allora leggi questa! gli suggerì, porgendo quel materiale ufficiale.

Tom lo prese e cominciò a sfogliarlo, chiudendolo poi con un colpo secco e scocciato.

Okay, questo dimostra che mi sono sbagliato. Però tu non sei da meno, caro zio. Mi hai appena dato prova che ti impicci. Che tu puoi e io no! gli fece notare stizzito il nipote.

Io posso perché sono un dottore si giustificò quello, senza fare una piega.

Sì, certo! Ogni scusa è buona!

Tom, se possibile, si imbronciò ancora di più.

Pensala come vuoi, capriccioso di un nipote! Se in quella zucca avessi un briciolo di cervello, capiresti che non ho tutti i torti. Prendi la bruciatura ai pantaloni, per esempio. Sei stato fortunato solo perché qualcuno ti ha voluto dare un avvertimento”.

Eh? fece lui, confuso, guardando lo zio come se fosse uno che la sapesse lunga, per i suoi gusti.

Lo odiava quando faceva così.

“Adesso non me ne vado finché non mi spieghi chi ha voluto avvertirmi! Avvertirmi di cosa, poi?” si impuntò, battendo un pugno sulla scrivania, vicino alla lampada che oscillò pericolosamente, come a voler cascare per terra.

“Per quanto mi riguarda ho finito. Pensaci bene...” tagliò corto il più grande, riprendendo ad annotare le ricette, con noncuranza nei riguardi del più giovane.

Che tentò di farlo parlare ancora, ma invano.

Lo zio continuava a ignorarlo di proposito.

Così, scoccandogli un'altra occhiata torva, Tom prese la cartelletta di Riza Hawkeye e uscì dall'ufficio, promettendo di rimetterla a posto dopo averle dato un’attenta occhiata.

 

 

***

 

 

Sheska era presa dalla lettura interessante di un manuale intitolato “Mille modi per curare le piante”, quando sentì suonare insistentemente il campanello del suo modesto appartamento, situato nel cuore della città.

Lasciato il libro aperto sul tavolino, fece a zigzag tra le innumerevoli torri di libri che possedeva e aprì la porta, sorpresa per la persona che si trovò davanti.

Il colonnello Roy Mustang in carne e ossa.

“Salve! Sono qui per chiederle un favore urgente, assicuro che non ci metteremo più di venti minuti” interloquì, come se avesse fretta.

“Ehm... d'accordo. Vuole entrare?” lo invitò lei, scusandosi poi per il disordine.

 

 

“Ha presente il tenente Riza Hawkeye?”

Lo fece accomodare in una poltrona, mentre per lei riservò una comune sedia dopo aver servito il tè.

“Beh... sì... mi è capitato di veder-”

La interruppe. “Bene. Purtroppo ha un problema. Ha da poco perso la memoria” la informò, schietto e diretto.

“Veramente?”

“Sì. È un'informazione riservata, non lo sa e non deve saperlo nessuno”.

“E allora perché venire a dirlo proprio a me, scusi?!” si permise di domandare, perplessa.

“Il perché è semplice. Sarà proprio lei ad ospitarla per qualche giorno”.

“Cooosa?”

“Non pretenderà mica che la ospiti qualcuno dei miei sottoposti! Sono tutti uomini, non mi fido. E se la ospitassi io, la cosa potrebbe sembrare sospetta...”

“Quindi l'unica alternativa che le rimane sono io?”

“Esattamente” fece Roy, portandosi alle labbra la tazza di tè che gli era stata offerta e interrompendo così una conversazione veloce.

Sheska si chiese con discreto scetticismo se fosse giusto essere usata come ultima carta.

Infatti, lei e il signor Mustang si conoscevano appena, non si erano parlati prima d'ora, a parte quando il signor Hughes l'aveva presentata come una specie di segretaria al tribunale militare.

Perciò le sembrò piuttosto strano il fatto che si fosse presentato a casa sua, durante il pomeriggio libero che avrebbe voluto passare in compagnia dei suoi cari libri, come faceva sempre.

Che cosa doveva fare? Accettare o non accettare?

Nel primo caso, avrebbe dovuto arrangiarle un letto da qualche parte, perché il suo appartamento non era grande e adibito a due o più persone.

Nel secondo caso, sarebbe andata contro Mustang, che era grande amico del signor Hughes, il quale nel peggiore dei casi avrebbe potuto licenziarla in tronco.

Il caso più conveniente e logico era, senza ombra di dubbio, il primo, ma...

“Io accetto, però non capisco...” cominciò la ragazza, titubante.

Roy, vedendola incerta, le spiegò meglio la situazione, per poi aggiungere:

“Sono il primo a volere che il tenente riacquisti la memoria. A tal proposito, le garantisco che la sua permanenza qui sarà breve e tranquilla”.

“Ho una domanda, signore. Devo limitarmi a ospitarla o c'è altro che posso fare?” chiese, sorseggiando un po’ di tè dalla tazza bianca.

“Vedo che possiede tantissimi libri - notò - potrebbe farle leggere qualcosa che riguardi il suo lavoro” suggerì, e Sheska sospirò con rassegnazione.

“Colonnello, tutta questa situazione mi sembra sinceramente assurda, ma vedrò quello che posso fare per mettere a suo agio il tenente!” promise con un sorriso di circostanza.

“Ottimo! Allora, se siamo d'accordo, io andrei, perché adesso ho un impegno” disse, alzandosi in piedi.

Dato che Sheska era totalmente indifferente a quell'uomo, non fece altre domande.

Si salutarono con una stretta di mano, accordandosi per il giorno dopo, e lei, dopo aver chiuso la porta, decise di riordinare un po’.

L'ultima volta che l'aveva fatto era stato un mese prima, quando era venuta a trovarla sua madre.

 

 

***

 

 

La prima cosa che Riza vide la mattina, appena sveglia, fu il volto della signora Stevington che, sebbene avesse subito ben due interventi in un mese, appariva sereno e rassicurante.

Nonostante fosse pieno di rughe, segnato dal passare del tempo, faceva tenerezza.

E i profondi occhi azzurri rilucevano come l'oceano in una giornata di sole.

Come si faceva a non affezionarsi a lei?

Mettendo la stanza a fuoco, si accorse che la signora era distesa sul letto accanto al suo, con una flebo attaccata al braccio sinistro.

“Buongiorno...” la salutò Riza, stiracchiando le braccia intorpidite dal sonno.

“Buongiorno, cara! Mi sono fatta mettere qui, dopo il mio risveglio, perché così ero sicura di salutarti” le parlò la nonnina con tono dolce.

Riza gettò una breve occhiata alla sveglia sul comodino: mancava un'ora esatta prima che il colonnello venisse a prenderla, come d'accordo.

“Già... presto andrò via” mormorò. “Non c'era bisogno che si disturbasse, signora, sarei passata comunque a trovarla. Lei è stata veramente gentile con me, non avrei lasciato l'ospedale senza prima accertarmi delle sue condizioni”.

Si mise a sedere, poggiando le mani ai lati del letto.

“Non preoccuparti per me! Sono vecchia, certo, ma non sono così debole come potrei sembrare” la rassicurò.

Annuì, Riza, contenta del buonumore che dimostrava la nonnina, nonostante tutto.

“Perché adesso non vai a prepararti? Non vorrai mica uscire in camicia da notte” le fece notare.

“Non ha tutti i torti, in effetti devo farmi trovare pronta...” approvò.

Riza si alzò, raccogliendo dalla sedia i vestiti che le aveva lasciato il colonnello il giorno prima e osservando la divisa militare piegata nella borsa accanto.

Lui le aveva anche domandato se se la sentiva di tornare al lavoro, cercando di tenere nascosto il fatto che aveva perso la memoria e di seguire tutte le sue istruzioni alla lettera.

Lei aveva risposto che ci avrebbe provato.

E ripensando al momento di fragilità del giorno prima, cosa che non sarebbe dovuta succedere più, non se voleva ritrovare la vecchia se stessa, entrò in bagno, chiudendosi la porta alle spalle.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note:
Questo era un capitolo di transizione, non era importante, ma spero vi sia piaciuto comunque.

Entra in scena Sheska, un personaggio che ho inserito perché non la si trova nelle altre fic (ultimamente sto dando spazio ai personaggi meno conosciuti^^: mi sembra giusto!)

 

Sono riuscita a pubblicarlo prima della fine di gennaio, perché vi avevo promesso l’aggiornamento e io cerco sempre di mantenere la parola data.

Il prossimo avverrà appena mi libero dai miei mille impegni, perciò siate pazienti^^

 

RINGRAZIAMENTI:

- valerya90, per il commento. La mia risposta è sì^^

- shurei, per il commento.

- evelyn_cla, per il commento e per aver aggiunto la fic tra i preferiti^^

- Shatzy, per il commento. Più avanti ci saranno capitoli migliori!^^ Ah, dimenticavo: sono onorata di averti come lettrice! ^O^

- Swwtcicia, per il commento. Ho capito chi sei… XD letto il mio commento alla tua fic?

- stuck93, per il commento.

- tomasdanis, per il commento e per aver aggiunto la fic tra i preferiti^^

Infine, ringrazio chi si limita a leggere oppure chi ha messo la fic tra i preferiti senza commentare, perché mi fa capire che l’idea piace XD wow! Non credevo avesse questo successo: grazie davvero!

 

Bacioni,

Rinalamisteriosa

 

 

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 : Conosci te stessa ***


Capitolo 5: Conosci te stessa*

 

 

 

 

 

Candida camicia color crema, bottoni neri.

Gonna beige lunga fino alle ginocchia e scarpe nere con il tacco, non troppo alte.

Questo era l'abbigliamento che si addiceva a una signora per bene, questi erano i vestiti che le aveva lasciato Roy.

Si guardò allo specchio un'ultima volta prima di uscire definitivamente da quel bagno.

Una donna acqua e sapone, dalla bellezza delicata, dai lineamenti perfetti e dai lunghi capelli biondi che le scendevano morbidi sul collo e nelle spalle.

Questa era Riza.

Questa era lei in quel particolare momento, in quel frangente dai ricordi offuscati dall'amnesia che l'aveva colpita.

Con un'ultima occhiata seria voltò le spalle al proprio immutato riflesso.

 

 

“Sono pronta...” sospirò, mentre si premurava di fermarsi vicino al letto della sua ospite, della deliziosa vecchietta che presto - molto presto - avrebbe dovuto salutare.

Ma non era un addio, no!

Era un arrivederci perché lei sperava, in cuor suo, di poterla andare a trovare, di poterla vedere nei giorni seguenti o in quelli che verranno.

“Bene... adesso non rimane che aspettare il tuo accompagnatore” constatò lievemente divertita.

“Già...” confermò a malincuore.

Non per il colonnello, si intende.

Chi, al suo posto, avrebbe voluto lasciare una nonnina così dolce?

“Suvvia, cara, non fare quella faccia. Sono certa che, un giorno, tu e quell'uomo meraviglioso deciderete di fare il grande passo e di sposarvi” affermò con occhi sognanti.

Riza trasalì.

Tutto si sarebbe aspettata, tranne una simile ipotesi.

E in un momento del genere, per giunta!

Era troppo presto per dirlo, troppo presto perché si sentiva confusa, vuota, perché non era ancora riuscita a riappropriarsi della propria memoria, di se stessa.

Però non voleva deluderla, non si sentiva in grado. Quando vide quei speranzosi occhi azzurri puntarsi nei suoi color ambra, le rispose con un sorriso sincero e con un “Tutto può essere!” che le uscì spontaneo e naturale.

Una piccola bugia a fin di bene perché, da quel poco che aveva capito sull'esercito, c'erano delle inflessibili leggi che vietavano la fraternizzazione tra soldati, e in modo ancora più rigido il matrimonio.

Il colonnello era un bell'uomo, su questo non c'erano dubbi. Quale donna non avrebbe voluto sposarlo?

All'apparenza freddo e calcolatore, ma in fondo gentile e disponibile: un vero gentiluomo.

Lei si fidava di lui, si fidava molto, ne erano stati la prova quei giorni, specialmente il giorno precedente.

E si sentiva ricambiata da lui in ugual misura.

Ma la priorità di Riza era ritrovare se stessa, adesso.

Solo questa. Niente di più, niente di meno.

Smise di pensarci, proprio mentre il diretto interessato si accingeva a parcheggiare e a scendere dal veicolo.

Sempre in divisa, sempre impeccabile nei modi e nei gesti che compiva, Roy avanzò deciso, solcando il pavimento dell'ospedale con passi moderati.

Il dottor Patterson e il nipote lo attendevano in prossimità della porta, al pari di due guardie che difendono la principessa di turno e che avrebbero concesso il passaggio solo al principe.

Lui sperò che quella fosse l'ultima volta in cui li vedeva, soprattutto il biondino che, dopo la sfacciata dichiarazione del giorno prima al suo tenente, lo irritava ancora di più.

“Buongiorno...” salutò serio, fermandosi e cacciando le mani nelle rispettive tasche dei pantaloni.

“Buondì, colonnello! Immagino sarà contento che il tenente Hawkeye stia per essere dimessa” rispose Tom. Il tono piccato e le mani incrociate a forza sul petto lo stavano tradendo, rivelando un'avversione malcelata dal sarcasmo.

“Sì. Sono contento, a differenza di un certo infermiere”.

Se la sua intenzione era quella di farlo irritare, stava sprecando il suo tempo.

Lui era felice, felice che Riza venisse dimessa e non avrebbe permesso a niente e a nessuno di rovinargli la giornata.

Si rivolse quindi al dottore, ignorando intenzionalmente il nipote che sembrava fumare di rabbia repressa.

“Com'è la situazione, dottore? Hawkeye è pronta?”

“Sì. Potete andare tranquillamente” asserì.

“Bene. Non vi ringrazierò mai abbastanza per il trattamento che le avete riservato in queste due settimane” continuò.

“È la parte migliore del nostro lavoro, colonnello” replicò, sorridendo appena.

Sorrise anche lui.

Si strinsero la mano in un tacito assenso.

Se la strinsero anche i due contendenti, con Tom che avrebbe voluto stritolargliela, ma per fortuna si trattenne.

Patterson bussò alla porta che Riza aprì prontamente, la borsa contenente la divisa militare già in mano.

Li aveva sentiti parlare dall'interno.

“Sono pronta, signori” esordì, serafica.

E prima di andare via, volse la testa e lo sguardo in direzione della signora Stevington, che la stava salutando con la mano che riusciva a muovere.

Deliziosa nella sua semplicità.

Riza ricambiò il saluto, mostrandole un lieve sorriso e gli occhi lucidi.

Ma non si permise di piangere, non ne aveva motivo.

Fece l'inchino ai due uomini, ringraziò anche lei il medico e si avvicinò al colonnello, seguendolo nell'ultimo tragitto fino alla macchina.

Roy le aprì la portiera, facendola accomodare nel posto accanto al guidatore, dove poi si sarebbe seduto lui.

Strano.

Strano, perché era sempre stata lei a voler guidare per lui, era lei a voler occupare quel posto, anche se adesso non lo ricordava.

Mentre partivano, Riza rivolse ancora una volta il suo sguardo nostalgico alla struttura ospedaliera che l'aveva ospitata fino a pochi minuti prima.

“Come si sente?” le chiese il colonnello, per rompere il ghiaccio.

“Sto bene…rispose, assorta nei propri pensieri. “Grazie”.

“D'accordo”.

“Signore?”

Adesso stavano guardando entrambi la strada, l'uno per guidare, l'altra per distrarsi.

“Che c'è?”

“Dove mi sta portando? A casa mia?” s’informò, per pura e ingenua curiosità.

Non avevano ancora parlato dell'argomento.

Riza non sapeva della sua decisione di trasferirla a casa di Sheska fino a tempo indeterminato.

S’incupì.

Non sapeva che lui temeva che, se l'avesse portata nell'appartamento in cui lei alloggiava prima dell'amnesia, con il piccolo Black Hayate del quale ormai si occupava personalmente, il criminale avrebbe anche potuto cercarla e farle del male.

D'altronde si erano perse le tracce di quell'uomo pericoloso, e questo non era affatto un bene.

“No. Starà in un altro posto, con una ragazza che ha accettato di condividere il suo appartamento con lei” le spiegò.

Optò che dirle direttamente ciò era la cosa migliore.

E Riza non si fece problemi, accettò annuendo semplicemente con il capo: voleva fidarsi, di nuovo.

“Si troverà bene, ne sono sicuro”.

“Lo so, signore”.

 

 

Fiducia e rispetto sono ingredienti essenziali per un rapporto stabile, duraturo, perfetto, da rafforzare e alimentare ogni giorno.  

 

 

 

 

 

 

 

* Titolo ispiratomi dal famoso detto del filosofo Socrate, che io ho reso al femminile.

 

Note:
Ed ecco che finalmente torno a dedicarmi al RoyAi! *_*

Ho voluto essere introspettiva in questo particolare capitolo.

Come al solito, vi chiedo umilmente un parere (anche modesto va bene^^) sul capitolo, se vi è tutto chiaro fin qui o se avete delle critiche da fare.

Sono qui apposta, per mettermi alla prova, migliorare e riportare per iscritto le mie idee.

 

Ringraziamenti speciali

1. evelyn_cla

2. gaiaRB 

3. Himitsu87

4. keyra89

5. NightAlchemist93

6. Rina07tz

7. Rory_Kaulitz

8. SpadaccinodellaNebbia

9. tipetta94

10. tomasdanis

11. _FaLLeD_aNGeL_

12. Swwtcicia

13. Red Robin

14. Shatzy

15. valerya90

16. nueblackcrowfriend

17. shurei

 

Oltre a questi meravigliosi lettori, ci tengo a ringraziare tutti coloro che mi seguono e che mi spronano a scrivere.

E' una delle cose che amo di più al mondo, quindi GRAZIE!!!

 

Bacioni,

Rinalamisteriosa ^^

 

 

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 : Chi pedinerà il colonnello? ***


Capitolo 6: Chi pedinerà il colonnello?

 

 

 

 

 

Il colonnello Roy Mustang e il suo tenente Riza Hawkeye stavano raggiungendo in macchina l'abitazione in cui avrebbe alloggiato lei, ignari che, dietro di loro, un'altra vettura con un tizio sospetto li stesse seguendo di nascosto.

Chi sarà costui?

 

 

 

 

*Quartier generale di Central City - il giorno prima*

 

 

 

 

Il sottotenente Breda si schiarì la voce prima di esporre lo stato di una questione della massima urgenza.

Lui e altri tre soldati, suoi colleghi, erano seduti in cerchio al centro dell'ufficio del loro superiore, dopo aver spostato le scrivanie contro i muri di lato.

“Come tutti sapete, io e il maresciallo Fallman abbiamo indetto questa riunione straordinaria per mettere in chiaro due punti fondamentali: elenchi lei, maresciallo!” concluse l'uomo più robusto del gruppo, sedendosi e lasciando proseguire il collega che, come aveva fatto lui, si alzò in piedi.

“Il primo punto - cominciò Fallman, alzando un dito per avvalorare le sue parole - è lo strano comportamento del colonnello: si presenta quando vuole e non porta più a termine i suoi doveri da circa due settimane. Come mai? E il secondo punto...”

Alzò un altro dito, per poi proseguire prontamente: “è la misteriosa sparizione del tenente Hawkeye. L'unica cosa che ci è stata riferita è che si trova in una missione della massima riservatezza affidatale dal colonnello. Ma sarà davvero così?”

Calò un silenzio totale.

“Ehm... ragazzi...?” intervenne timidamente il sergente maggiore Fury, il più pacato del gruppo.

Tutti lo fissarono, esortandolo muti ad andare avanti.

“Ecco, io... io mi fido del colonnello Mustang. Non potrebbe mai mentirci”.

“Ah, davvero?” insinuò tale dubbio l'uomo accanto a lui.

“Sergente maggiore, anche io mi fido del colonnello. Ma quando si tratta di nascondere qualcosa, è molto furbo. Lo conosco bene” aggiunse il sottotenente Havoc, estraendo poi dal pacchetto nel taschino della giacca militare una sigaretta, che portò alle labbra e accese sotto gli occhi dubbiosi di tutti.

“E se lo sta facendo per il nostro bene?” provò Fury.

“Naaa! Ci deve essere sotto dell'altro!” esclamò Breda, mentre tutti gli altri annuivano e riflettevano con calma.

“Allora forse sta proteggendo il tenente... può essere questo?” riprovò il moretto con gli occhiali dopo un po'.

“Beh, questa è una possibilità da non trascurare” lo assecondò Fallman.

“Trovato!” saltò su Breda, mandando la sedia a terra e complimentandosi da solo per la propria sagacia.

“Sottotenente!” trasalì Fury.

“Sei impazzito?!” lo riprese Havoc.

“Potrebbe renderci partecipi della sua trovata?” domandò Fallman.

“Pedineremo il colonnello! È il modo migliore per scoprire se ci nasconde qualcosa, no?”

“Sì... certo. E se ci becca, ci incenerisce seduta stante. Evviva!” convenne Havoc, sarcastico, levandosi la sigaretta dalle labbra e aspirandone il fumo che aveva appena fatto uscire.

“Non ci scoprirà se uno di noi si offre volontario per questa missione segreta” ribatté in tono ovvio.

“E lei che proporrebbe, sottotenente Breda?”

“Io proporrei un... sorteggio! Facile, no? Chi di noi uscirà, spierà il colonnello per tutta la giornata di domani, finché non scopre qualcosa. Poi torna alla base e riferisce tutto!” conferì.

“No, accidenti! Con la sfiga che ho, uscirò sicuramente io... Non è giusto” si rabbuiò Fury, chinando affranto il capo.

“Non è detto! Potrei uscire anche io, o Breda, o Havoc. Sergente maggiore, stia tranquillo!” lo consolò Fallman, mettendogli una mano sulla spalla.

“Perfetto! Allora siamo tutti d'accordo, vero? Havoc?”

Sospirò. “Se non ho altra scelta...” disse.

Il sottotenente Breda ghignò, raggiante. Allo stesso modo in cui adorava fare scommesse, gli piaceva da matti estrarre a sorte, soprattutto con il gioco delle cannucce.(*)

 

 

***

 

 

“Lo sapevo che sarebbe finita così. Me lo sentivo!”

 

 

Il sorteggio organizzato da Breda aveva decretato che fosse proprio lui, la spia. Splendido, davvero.

Dopo essersi svegliato prestissimo, aver indossato degli abiti normali con tanto di cappello e sciarpa, essere quasi caduto dalle scale del palazzo e addosso alla portiera - brutta e arcigna, tra l'altro - e aver tirato un calcio a un gatto spelacchiato che per poco non lo fece inciampare, finalmente il sottotenente Havoc aveva occupato la sua postazione.

Pazientò otto minuti buoni prima di intravedere l'obiettivo uscire dal portone dell'appartamento di fronte e dirigersi verso il veicolo che l'attendeva parcheggiato dopo un cigolante cancelletto di ferro.

Prima di salirci, però, Roy si guardò intorno, e Havoc dovette ritrarre la testa e nascondersi meglio - per quanto l'albero gli concedesse uno spazio esiguo - perché se l'alchimista di fuoco lo avesse sorpreso lì, non solo sarebbe fallito il tentativo da parte sua e dei suoi colleghi di reperire maggiori informazioni sui due superiori, ma la sola scoperta avrebbe decretato la sua fine.

Su questo, ci metteva una mano sul fuoco!

Il colonnello aveva fretta, perciò non perse tempo e partì subito dopo.

Fortuna che il furbo Breda aveva pensato anche a questa eventualità, lasciandogli le chiavi di una macchina situata proprio lì vicino.

Corse a prenderla e avviò il motore, sbrigandosi a svoltare per non perdere di vista la vettura che, suo malgrado, doveva seguire a distanza ragionevole, per non sembrare troppo sospetto.

Si stupì non poco nel vedere che sostava vicino all'ospedale di Central City.

Come mai?

Checché ne sapesse, il colonnello non aveva parenti o amici ricoverati.

Un attimo!

E se era questa la cosa che stava nascondendo loro?

Probabilmente non aveva detto nulla per non coinvolgerli nel dolore dell'uomo (o della donna?) che si trovava in quella grande struttura bianca, con una vistosa croce rossa sopra le finestre, in alto.

Magari lui (o lei?) giaceva in un semplice letto in stato pietoso o moribondo, chi poteva saperlo?

Attese senza scendere dal veicolo, abbassando il finestrino e fumandosi una sigaretta.

Sigaretta che gli cadde quasi dalle labbra nel vedere che l'obiettivo ritornava alla macchina con una bella biondina al seguito.

E lei da dove saltava fuori?

Non l’aveva mai vista prima, o almeno questa era l’impressione che ne ebbe scrutandola da lontano.

“Un momento! Anche il tenente Hawkeye è bionda… e se fosse lei?!” ipotizzò poi, avendo avuto un’illuminazione.

Questo spiegherebbe il comportamento vago del colonnello nelle ultime due settimane, ma perché nascondere loro un fatto così importante riguardante il tenente?

Che cosa le era capitato?

“Questa missione si sta rivelando più interessante del previsto!” si disse, mentre osservava Roy chiuderle lo sportello e girare per salire nell’altro.

Aspettò che la loro macchina partisse per riaccendere il motore e continuare con il pedinamento stradale.

 

 

***

 

 

“Ragazzi, non vi nascondo che sono un po’ preoccupato per il sottotenente Havoc. Credete che se la caverà?” chiese Fury rivolto ai compagni, levando lo sguardo dal libro di elettronica che stava sfogliando.

“Io penso di sì. Non è la prima volta che si occupa di questo genere di lavoro. Andrà tutto bene!” disse Fallman, che stava controllando dei documenti.

“Concordo in pieno! Se non fa lo stupido, se la caverà benone” scherzò Breda, che teneva in mano un tramezzino. Ne addentò un pezzo.

“Dubito che lo faccia. Nessuno di noi vuole testare l’alchimia del colonnello…” continuò Fallman.

“Già!” risposero all’unisono gli altri due, deglutendo e rabbrividendo al solo pensiero.

 

 

Frattanto, in un’altra parte della città, la macchina in cui sedevano Roy e Riza si fermò nuovamente di fianco a una casetta con degli scalini laterali.

Havoc fece lo stesso con la sua, poco distante.

“Ecco. Siamo arrivati” la informò Roy.

E dopo averle aperto la portiera, le tese galantemente una mano per farla scendere.

Lei la accettò di buon grado, per poi soffermarsi a osservare la piccola abitazione.

“È questa?”

“Sì”.

“Carina. Ha l’aria di essere ospitale e confortevole” fece la donna, tranquilla e rilassata.

“Vuole che le porti la borsa?” domandò Roy, indicando l’oggetto in questione, che Riza stringeva in mano.

“No. Non c’è biso-”

“Insisto! Io...”

Si guardarono negli occhi e bastò quel contatto visivo, quell'alchimia tra la perplessità degli occhi ambrati di lei e l’intensità di quelli scuri del colonnello a convincerla sempre più che ogni gesto, ogni parola celasse un sincero desiderio di aiutarla, di sostenerla.

Roy sembrava aver preso sul serio l’impegno di camminare insieme a lei nel percorso sfuocato e confuso che costituiva la sua attuale esistenza.

Da quel poco che le aveva detto, infatti, Riza aveva intuito che doveva conoscerla profondamente; senza dire nulla e chinando la testa, gli passò la borsa, e sotto gli occhi di un Havoc che cercava di capirci qualcosa, salirono lentamente le scale, entrambi assorti in pensieri più grandi di loro.

 

 

 

 

 

 

 

(*) Io lo immagino in questo modo: si prendono delle cannucce (quattro, nel loro caso) e se ne taglia una in modo che sia più corta delle altre. Si nascondono le estremità, così sembra che le cannucce siano tutte alla stessa altezza. Le pescano contemporaneamente e chi rimane con quella più corta fa la spia.


Note:

Lo so di non essere una grande scrittrice.

Lo so che mi sfugge sempre qualche errore, mio malgrado.

Conosco bene i miei limiti, eppure mi sto impegnando sempre di più e spero che questa mia testardaggine, un giorno, venga premiata.

 

Per questo motivo, ho trovato stimolante (e incredibile O.O) sapere che la mia umile longfic RoyAi (dove i ruoli sono capovolti, sì! XD) sia così seguita e così commentata: addirittura mi sono ritrovata a passare da 23 commenti a 33 per un unico capitolo!!! *_*

Sono davvero commossa! GRAZIE a tutti quanti, di cuore < 3

 

In questo capitolo, poi, mi cimento per la prima volta con la truppa Mustang. Evviva! (Prima erano solo accennati... XD)

In modo particolare con Havoc, un personaggio che adoro per la simpatia e la sfortuna in amore ( adesso anche nei sorteggi, per colpa mia! X°°D).

 

Non so che altro dire...

 

Bacioni,
Rinalamisteriosa ^^

Note post-revisione: È stato molto divertente rileggerla xD
A conti fatti, se mai l'ispirazione per continuare questa fanfiction dovesse bussare alla mia porta, prometto che ritorno =)


 

 

 

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