is the end... maybe yes, maybe not

di amy holmes_JW
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** prologo ***
Capitolo 2: *** Giorno 1 ***
Capitolo 3: *** Giorno 2 ***
Capitolo 4: *** Giorno 3 ***
Capitolo 5: *** Giorno 4 ***
Capitolo 6: *** Giorno 5 ***
Capitolo 7: *** Giorno 6 ***
Capitolo 8: *** la fine ***



Capitolo 1
*** prologo ***


Il campanello del 221B suonava ininterrottamente con suoni secchi e decisi.
- John! La porta. Hanno suonato. – urlò Sherlock senza aprire gli occhi, e sperando di poter tornare subito nel proprio Mind Palace.
- Sherlock, non posso andare ad aprire. Sono in accappatoio. Non abbiamo ordinato nulla, deve essere sicuramente un cliente. Mostrati disponibile e ascoltalo, io arrivo. – John rispose, tenendo il tono di voce elevato, dalla propria stanza mentre si vestiva in fretta.
- Non è di certo un cliente, la pressione è decisa e forte, inoltre è troppo insistente. - il consulting detective si alzò malvolentieri dal divano senza aspettare la risposta, poiché era solo una costatazione fine a se stessa. Si sistemò la camicia e, pigramente, si diresse alla porta pensando distrattamente al coinquilino.
Aprì la porta, pronto ad attaccare chiunque fosse venuto a disturbare, ma ciò che vide lo lasciò pieno di sgomento, che nascose velocemente; due uomini in divisa, i cappelli sotto le braccia, le cinture strette in vita tenevano fermi i guanti immacolati. L’unica differenza nell’abbigliamento era il numero di medaglie di ognuno.
Sherlock li ispezionò con gli occhi gelidi, respirò leggermente più forte quando costatò che le fondine erano vuote, poi si spostò lasciandoli entrare e accompagnandoli nel salotto incasinato.
I due si accomodarono compostamente sul divano, mentre il detective si sedette sulla sua poltrona.
- Siamo qui per parlare col capitano Watson. – spiegò uno con voce bassa e guardando solo di striscio la stanza intorno a lui.
- Immagino non per cortesia. – Sherlock rifletté tenendo lo sguardo fisso, accavallando le gambe e sostenendo il mento con la mano destra, la voce non riuscì a nascondere l’acidità in parte gratuita.
In quel momento arrivò John, fresco di doccia, con un sorriso che si gelò alla vista dei due ospiti.
- Salve. – salutò con circospezione spostando lo sguardo dubbioso da uno all’altro.
Al suono della sua voce i due si voltarono e, sull’attenti, lo salutarono col consueto gesto; John rimase immobile e rigido senza rispondere.
- Mi presento, colonnello Berrey, e lui è il sergente in seconda Clark, è venuti per lei capitan Watson. – parlò il militare rimasto in silenzio fino a quel momento.
- Non capisco per quale motivo siate qui, ma prego, sedetevi e ditemi cosa vi porta da me. – John fa segno con la mano enfatizzando le sue parole, accomodandosi a sua volta sulla propria poltrona.
- Credo che la mia presenza non sia necessaria, lasciate che prepari un tè per tutti. – disse Sherlock in un tono fin troppo servile, il dottore scambiò uno sguardo di apprensione con lui. Sapeva che non era da Sherlock preparare il tè e fare il padrone di casa, ma, soprattutto, anche se non voleva ammetterlo ad alta voce davanti ai militari, John sentiva il bisogno che lui rimanesse lì al suo fianco.
- Capitan Watson, lei è un militare eccezionale, le sue doti mediche sono impressionanti e lei sembra avere ripreso pienamente il possesso del suo corpo. Sappiamo che la sua malattia psicosomatica è completamente guarita. – iniziò il colonnello.
- Credo che lei sia a conoscenza degli ultimi fatti successi nel Medio Oriente e nel nord dell’Africa. – fece eco il sergente cercando di arrivare velocemente al dunque.
- Certo, sono informato su ogni cosa, come ogni cittadino della Gran Bretagna – rispose acido John col desiderio ardente che se ne andassero velocemente, e per sempre.
A Sherlock, di ritorno con la teiera fumante circondata da cinque tazze del tè, zucchero e latte; tutto disposto ordinatamente su un vassoio, non scappò il sorrisetto nervoso trattenuto dal sergente.
La tensione era sicuramente palpabile. I militari raccontavano zelantemente dei colpi, dei gesti di resistenza e delle decapitazioni per mano del nucleo estremista ISIS, divenuto così famoso ultimamente. La maggior parte delle informazioni era di dominio pubblico, ma altre no; questo portò John a pensare e l’idea che quella visita gli faceva saltare in mente era un’idea che lo colmava di orrore.
Per mascherare la tensione, tutti, contemporaneamente, sorseggiarono il loro tè.

- In pratica, siamo qui per dirvi che lei è arruolato nuovamente nell’esercito. –

il mondo crolla: basta una frase detta di getto freddamente a rallentare il tempo nell’appartamento e a rimischiare le carte del destino.
Sherlock poggia con mano impercettibilmente tremolante, la tazza, John nota il liquido ambrato del compagno muoversi all’interno della porcellana, nascondendo ogni cosa dietro uno sguardo impassibile.
- Vi dimenticate la cosa più importante, io sono un EX-medico militare, sono stato congedato circa cinque anni fa. – disse sottolineando la parola “ex”, la rabbia nella voce tradì la sua compostezza. Sherlock sentì il bisogno di alzarsi per calmare il dottore e, se stesso, perciò, lo affiancò, stringedogli la spalla per dare sostegno a entrambi.
I due militari si guardano accigliati per il gesto prima che il sergente tornò a parlare.
- È stato reinserito con direttive speciali, deve ammettere che non è passato inosservato in questi anni. – il veleno bruciava sulle lingue di ogni uomo nel 221B.
- Direttive speciali? – John non credette alle sue orecchie. I suoi incubi si stavano per avverarsi.
- E inderogabili, ha una settimana prima di presentarsi all’aeroporto militare. Il suo stile di vita le permette di poter entrare  subito in campo. La sua esercitazione sarà direttamente sul suolo straniero. Ovviamente il suo compito sarà ancora quello di medico. – fu il colonnello a mettere la parola fine alzandosi e avviandosi alla porta e ristabilendo l'oridne gerarchico militare, poichè; quando un colonnello parla un sergente e un capitano devono stare agli ordini.
Clark eseguì il saluto militare davanti a uno Sherlock immobile e un John livido di rabbia.
I militari uscirono nel silenzio assordante dell’appartamento.


Dopo minuti interminabili il biondo si alzò e si pose di fronte al moro appoggiando la fronte contro la sua. Gli occhi di ghiaccio non vedevano, erano inespressivi, persi in pensieri lontani.
- Sherlock, torna da me, ti prego. – il detective si risvegliò alla supplica sussurrata a un passo dalle sue labbra.
- Non ce la farai, appena arriverai là il trauma psicosomatico, si presenterà con una forza distruttiva. Solo la notizia ti ha provocato un forte fastidio alla gamba, tanto che ora ti stai sorreggendo appoggiandoti allo schienale della poltrona, inoltre un leggero tremolio si è impossessato della tua mano destra. – Sherlock era tornato il freddo calcolatore, dedito alle deduzioni e all’osservazione. Questo era un bene.
Un sorriso amaro appare sulla bocca di John.
- Vorrà dire che mi rispediranno subito a casa. -
- No, crederanno che sia un brutto tiro mancino per tornare a Londra, chiunque sia ributtato in guerra farebbe carte false per andarsene il più presto possibile. Non sarebbe molto degno di te, Capitan Watson. – Sherlock non sentiva davvero ciò che diceva, il cervello parlava dando fiato alla bocca, nessun filtro lo bloccava.
- Mr. governo inglese, al nostro primo incontro mi disse che i dolori erano causati dalla mancanza della guerra, magari questi piccoli fastidi passeranno appena metterò piede in quei luoghi dimenticati da Dio. A domani Sherlock. – il ricordo del primo giorno della vita con il detective colpirono John come uno schiaffo a mano ben aperta, decise, così, di rifugiarsi per l’intera giornata nella sua stanza circondato dalle sue vecchie cose da militare e i pensieri.

- Mycroft –

Quando Sherlock riemerge dal suo mind palace con il nome del fratello sulle proprie labbra è notte fonda. Decide di suonare qualcosa per John, perché sa che è assopito nella sua ex stanza e non nella loro, perché sa che non sta dormendo bene.









ennesima storia senza pretesa nel fandom Sherlock, una vocina mi dice che forse dovrei cercare altri fandom, ma al momento le idee mi vengono solo su questa fantastica serie.
Vorrei solo precisare alcune cose:
- questa storia non vuole minimizzare i problemi che ora colpiscono gran parte del mondo, ma vuole essere quasi una liberazione di una paura.
- i gradi militari potrebbero, anzi, sono quasi sicuramente, sbagliati
- i personaggi non mi appartengono, ma sono, in primis del grande Sir.A.Conandoyle e, poi, di quel sadico di Moffatt e il più pacato Gattis
- scrivo solo per il piacere di farlo

Penso di aver abbastanza rotto le suddette,per questo andrò a nascondermi nella grotta di Smaug per fargli i grattini sul pancino.
Grazie per chi leggerà e chi, mosso da grande compassione, lascierà un commento.
Che la fortuna possa essere sempre in vostro favore (HG)
e... Don't Panic (HGG)
See u :D


 

 

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Capitolo 2
*** Giorno 1 ***


Hola! Spero di esservi mancata almeno un minimo, Buona lettura.


La mattina seguente Sherlock si precipitò come una furia nello studio del fratello.
- Oh, fratellino, a cosa devo? – chiese strafottente Mycroft appena lo vide di fronte a lui.
- Che diamine significa che John è tornato a essere capitan Watson?! – sibilò il detective fra i denti.
A quelle parole il maggiore raffreddò lo sguardo e si pentì mentalmente del tono usato poco prima.
- Sherlock, sono stato da poco informato della questione, non ci posso fare niente, che tu ci creda o no, alcune cose non sono nelle mie competenze. – rispose esasperato, al pensiero della lite che era pronta a scoppiare, portandosi indice e medio delle mani sulle tempie.
- Non dire cazzate; Mycroft, tu sei il Governo inglese, manovri ogni cosa, sei peggio di Moriarty. Come fai a dire che non è nelle tue competenze?! – Sherlock sbottò, sbattendo i pugni sulla costosissima scrivania cercando di far scattare il maggiore paragonandolo al Ragno e alla sua rete.
- Basta Sherlock! Ora ascoltami bene, ci sono ordini, ordini a cui io devo sottostare, l’ordine di reinserire John nell’esercito arriva da molto in alto, né io né le mie conoscenze influenti possiamo fare nulla. Credimi, appena ho saputo, ho fatto di tutto, ma le porte mi sono state sbattute in faccia. So che tu credi che tutto questo sia l’ennesimo dispetto. Apri gli occhi, non siamo più dei bambini, e so bene quanto John sia importante per te, ma soprattutto so che se c’è lui tu sei al sicuro. – Mycroft si era alzato dalla propria sedia e fronteggiava il fratello con sguardo di fuoco.
Occhi acquosi incontrarono occhi di ghiaccio in una battaglia di sottotitoli non scritti, parole nascoste.
Sherlock sembrava soppesare le parole.
- Una settimana, ci sono solo sette giorni prima che John parta, riprova. – la voce sembrava più accondiscendente, ma già la mente stava cercando una battuta tagliente da lanciare al maggiore degli Holmes al momento del congedo.
- Non è la mia battaglia, ho già giocato tutte le mie carte. Sono ordini inderogabili. Entrambi sappiamo cosa succederà quando tornerà in quelle terre. Se vuoi dargli una possibilità in quei posti, allora impedisci che lui possa cadere nel dolore, dall’adrenalina, dal conforto, dagli ciò che riesci. Ti sei già comportato in modo maledettamente umano, fallo ancora. Questa è la tua guerra. – non ci fu tentennamento nelle parole, e Sherlock notò lo sguardo farsi più carezzevole.
- Come siamo sentimentali Mycroft, perché mi stai dicendo di dare affetto ad una persona quando mi hai sempre insegnato il distacco? Perché dai importanza ad un altro essere umano? – Sherlock non riusciva a stare calmo, non riusciva a riconoscersi, non riusciva a riconoscere nemmeno suo fratello.
- Perché è John, perché lo ami e sta per rischiare la vita. Perché mi evita di preoccuparmi costantemente con te. – la rabbia provocata da tutta quell’umanità serpeggiava tra le parole sibilate di Mycroft.
La lotta di sguardi era finita. È bastato un incontro per rivedere ogni singolo insegnamento di Mycroft e provocare in Sherlock una confusione tale da doversi allontanare il più velocemente da qualcuno che non era nemmeno l’ombra dell’uomo di ghiaccio che aveva sempre imparato a conoscere.
- Oh, Mycroft trattieni le lacrime. Piangere è stupido. – soffiò fuori dai denti prima di andarsene.
Mycroft era un uomo impassibile, di certo non era sul punto di piangere, e Sherlock sapeva bene che suo fratello aveva pienamente ragione,anche se non glielo avrebbe mai detto.
John aveva bisogno di lui.
Con un po’ di riluttanza chiamò Lestrade per avvisarlo che in quella settimana avrebbe voluto sapere di casi, se ne avrebbe cercato uno, sarebbe stato lui stesso a chiamarlo. Greg rimase incredulo, ma accettò senza troppe domande.

La mattinata Sherlock la passò camminando tra le vie di Londra e, parlando affondo con l’analista incompetente che John aveva prima di incontrarlo.
Tutto ciò che serviva a John era la sicurezza in sé, far affidamento agli altri, ricordi per riempire l’angoscia del tempo interminabile e di altre sciocchezze del genere, ma soprattutto aveva bisogno di un motivo per tornare a casa. Sherlock fu altamente deluso da quelle informazioni, sperava che gli fosse detto più precisamente cosa avrebbe dovuto fare.

La mattinata di John, invece, fu molto meno caotica.
Consistette nel passare il tempo a fissare il nulla, a pensare e a bere miriadi di tazze di tè comodamente seduto sulla sua poltrona.
La prima volta che decise di arruolarsi era già deciso della sua scelta, la sua voglia più grande era aiutare, e quale posto migliore se non i paesi in guerra?
Inoltre non aveva nulla da perdere, ma con la sua nuova vita era cambiato tutto: sulle sue spalle gravava tutto il peso dell’età; la voglia di aiutare e di adrenalina persistevano in lui, ma aveva trovato un altro modo per soddisfarla. Ormai aveva sicuramente qualcosa da perdere, qualcosa che aveva scoperto da troppo poco tempo perché potesse essergli strappato, qualcosa che aveva scoperto nei due anni che aspettò, qualcosa che riuscì a maturare : l’amore per Sherlock. Ma sopra ogni cosa aveva da perdere qualcuno: Sherlock.
John non volle mai capire più affondo il perché scelse di diventare un medico militare.

Sherlock tornò nel tardo pomeriggio e il dottore era accoccolato nella poltrona fissando con occhi grandi e lucidi la porta, quando vide lo stato pietoso del compagno lo fece alzare malamente e lo strinse a sé.
Quel tocco ridestò il biondo. Il detective era chiaramente impacciato nei gesti d’affetto, ma negli ultimi tempi aveva cercato sempre di diventare più disinvolto, con scarsi risultati. Riconoscendo il grande sforzo che doveva avere fatto John lo abbracciò di slancio accarezzandogli la lunghezza della schiena.
Si guardarono negli occhi dopo un momento di pace agognato e trovandosi uno nelle braccia dell’altro. Le labbra si avvicinarono e si toccarono in un casto e tenero bacio.
- Ho paura – sussurra John sulle labbra dell’altro.
- Anch’io –
- Non devi -
- Nemmeno tu, ci sono io – replica nuovamente Sherlock.
- Prima ancora che il tuo cervello lo possa pensare in un momento di follia, devi promettermi che non ti arruolerai – John aveva la voce spezza, conosceva bene il suo compagno.
- Promesso – sussurrò Sherlock, nascondendo al medico che, in effetti, l’idea aveva sfiorato la sua mente.
- L’Inghilterra ti ha già perso una volta, evitiamo che ricapiti. Inoltre la polizia brancolerebbe nel buio se non ci fossi. -
la risata bassa di Sherlock e quella più grave di John distesero la tensione nell’aria.
Passano la serata e la notte abbracciati teneramente, scambiandosi, di tanto in tanto, leggere effusioni.
 Quando John è pienamente addormentato, Sherlock non riesce a non pensare che un giorno è inesorabilmente scivolato tra le dita perdendosi tra mille altri giorni.

 


****************
E anche il secondo capitolo è andato.
 to remember:

- i personaggi sono del genio di Conandoyle, che il inventò e della coppia moftiss, che li ha trasportati al giorno d’oggi.
- la storia nasce per contrastare una paura che nasce per le notizie dal Medio Oriente e dell’Africa del nord.
- scrivo per il piacere di farlo
- mi scuso per l’OOC di Sherlock

ora la parte frivola:
Ebbene si, nemmeno Mr. Governo inglese può intervenire, questa volta. Ora la domanda sorge spontanea: Cosa farà Sherlock per aiutare John?
Mi piacerebbe sapere che ne pensate.
inoltre la butto lì : http://it.tinypic.com?ref=jb5o39" target="_blank">http://i57.tinypic.com/jb5o39.jpg" border="0" alt="Image and video hosting by TinyPic">

vi dice nulla? spero si veda :/

Infine :
ringrazio chiunque abbia letto il capitolo precedente e questo.
soprattutto un grazie speciale per : carelesslove,  Evelyn Wright,  Grachi_,Tsuzuki88, xX__Eli_Sev__Xx che hanno messo la storia tra le seguite.
rochisa e Why2in3d1 grazie per averla messa tra le storie ricordate.
Speciale grazie alla compassionevole Tsuzuki88 che ha recensito.

So di aver rotto abbastanza.

Che la fortuna possa essere sempre in vostro favore (HG)
e... Don't Panic (HGG)
See u :D

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Capitolo 3
*** Giorno 2 ***


Salve! Capitolo un po’ più corto sperando che vi piaccia Buona lettura. 


 

La notte passò senza portare consiglio e all’alba Sherlock era già in piedi frustrato a pensare come evitare che John, una volta sul campo, rimanga paralizzato e agonizzante alla gamba.
A loro modo Mycroft e la psicanalista avevano cercato di indirizzarlo su un piano prettamente fisico, per poi passare a quello emotivo, così decise che la cosa migliore era “addestrarlo” perché nonostante i casi, l’azione si riduceva ad un inseguimento per Londra.
Fatta uno schema per la giornata aspettò che il coinquilino si svegliasse per poter iniziare.
Poiché nessun rumore arrivava dal piano di sopra, e ormai si erano avvicinate le dieci, il Detective scelse d’ intervenire e svegliarlo lui stesso.
Entrato nella stanza, trovò il dottore a fissare il soffitto perso in chissà quali pensieri.
- John, alzati, voglio farti fare un po’ di cose oggi. – Sherlock si avvicinò cercando di non rimanere troppo scosso dallo sguardo rabbuiato che gli fu restituito.
- Fai i tuoi esperimenti da solo, voglio passare la giornata qui, e sarei grato che mi lasciassi in pace, devo riflettere. – la voce era dura.
Per quanto la notizia dell’arruolamento forzato di John avesse spezzato ogni equilibrio, Sherlock non era mai stato un uomo alquanto paziente e accondiscendente.
- So che sei sconvolto, ma non è la cosa migliore marcire nella tua stanza finché non finisce questa settimana, in quale stato ti presenteresti? Quante possibilità avresti per tornare? Devi riprendere ad allenarti. Non mi servi per nessun esperimento voglio aiutarti. Quindi, per favore, alzati e preparati. – l’emotività di Sherlock aveva raggiunto dei limiti, perciò, uscirono dalla sua bocca parole che avrebbero fatto meglio rimanere solo pensate, ma nonostante tutto funzionarono perché il biondo si alzò.

Un buon quarto d’ora dopo John era pronto per andare dovunque volesse il suo compagno. Appena mise piede nel salotto Sherlock gli puntò una pistola in fronte, spalancò gli occhi e, passata la sorpresa, lo guardò dubbioso.
- Disarmami. – non se lo fece ripetere, gli afferrò il braccio per allontanarlo, il detective gli resistette intercettando la mano che puntava ad ancorarsi all’arto così facendo la pistola perse la mira e John ne approfittò per dare una gomitata all’addome di Sherlock per poi prendergli il polso e stringerlo finché la presa sulla pistola si allentò.
Non fu una vera colluttazione, ma più che altro servì al moro per vedere se i riflessi e le capacità militari erano scomparse, oppure erano insite ancora dentro di lui.
Il risultato fu piuttosto positivo, poiché John non si era fermato solo perché era lui e, nonostante la resistenza era praticamente nulla, si era impegnato.
Alla luce di questo la prima tappa dell’”addestramento” fu al poligono di tiro, poi puro esercizio fisico in una palestra, e qui John visse il primo momento divertente dopo la notizia: era stato esilarante guardare Sherlock in tenuta sportiva che cercava di allontanarsi da tutta quella gente sudaticcia e ansimante.
Si allenarono a vari attrezzi per potenziare braccia e gambe, poi passarono alla boxe per esercitarsi nel corpo a corpo, durante quest’ultimo allenamento Sherlock non aveva risparmiato nemmeno un colpo.
A fine giornata John si ritrovò con un paio di lividi, ma rinvigorito e forte, perciò decisero che ogni giorno sarebbe stato utile passare qualche ora a esercitarsi.

Non successe molto altro, era tutto ancora confuso nella testa di Sherlock, che si limitò a portare John in giro per la città a fare un po’ di jogging, oppure a respirare e riposarsi all’ombra di qualche albero di Hyde park, o ancora a spiluccare qualcosa nelle viette nascoste e caratteristiche.
Da una parte la vicinanza era un balsamo per entrambi, dall’altra la paura dell’allontanamento era palpabile, come la frustrazione del consulting detective. 

Quando il sole si allontanò e l’aria si fece, fresca decisero di tornare al 221B.
La prontezza del dottore non rassicurò molto il detective, perché sentiva che la preparazione fisica non era un problema. Forse aveva perso un altro giorno, forse aveva fatto quello sforzo per nulla. Forse sarebbe stato tutto inutile.
John lo vide guardare fuori dal taxi e capì tutti i dubbi che assillavano la mente del compagno. Gli prese la mano stringendogliela forte e mimando un “grazie” con le labbra. Sherlock sorrise forzatamente essendo certo che in fondo quello che serviva era la motivazione per far sì che tornasse a casa.
La sfera emozionale non lo aveva mai interessato più di tanto, anche la relazione tra lui e il biondo si era sviluppata piuttosto facilmente, poiché l’unica differenza del loro rapporto fu che un’attrazione fisica che spingeva uno contro l’altro, ma si rese conto che avrebbe fatto ogni cosa per riaverlo al suo fianco, lontano dalle bombe, dalla terra arida, dalla guerra. Se Mycroft non lo aveva saputo aiutare, allora ci avrebbe pensato un’altra persona, una ragazza dall’aria dolce che sa apprezzare il bello in chi le sta vicino; e i sentimenti sembrano essere alla base della sua vita. Una ragazza a cui il detective deve tanto. Molly.

 

**************************

Penso sia chiaro quanto mi sia difficile introdurre la storia, ma come sia logorroica in fondo, quindi anche dopo il terzo capito la mia piccola solfa.

to remember:
- i personaggi sono del genio di Conan doyle, che li inventò e della coppia moftiss, che li ha trasportati al giorno d’oggi.
- la storia nasce per contrastare una paura che nasce per le notizie dal Medio Oriente e dell’Africa del nord.
- scrivo per il piacere di farlo
- mi scuso per l’OOC di Sherlock

Alla storia:

non so se questa cosa possa considerarsi un capitolo, più che altro qualcosa di non ben definito e di passaggio.
Se mai ci fosse qualcuno che si sia già affezionato alla mia puntualità (vocina: ma per favore! Tu puntale?! ahahah, non scherziamo, sarebbe un miracolo)  mi dispiace avvisarlo che deve ricredersi perché questo era l’ultimo capitolo già scritto, da ora cercherò di scriverli in modo di rispettare la cadenza settimanale, ma non posso promettere nulla.
Sorvolando… il capitolo non mi convince, sarò lieta di sentire tutto ciò che vogliate criticarmi costruttivamente, anzi ci terrei a sapere cosa ne pensiate.

Al di fuori della storia :
ho notato che la foto nel capitolo precedente non si vedeva e non so come risolvere il problema. Sta di fatto che era la foto di Ben e Martin in abiti di Sherlock e John vittoriani per lo speciale di natale. Sinceramente non so cosa aspettarmi.

Dulcis in fundo :
 come è giusto che sia, ringrazio tutti quelli chi leggono in silenzio.
particolare grazie va a:
 theCherryBomb che ha aggiunto la storia fra le preferite, spero di manere alte le tue aspettative rochisa e Why2in3d1 che l’hanno aggiunta tra le ricordate
carelesslove, Doctor Smith, Evelyn Wright, Grachi_, paffy333, Tsuzuki88 e xX__Eli_Sev__Xx che l’hanno inserita tra le seguite.
L'ultimo sentito ringraziamento va a Tsuzuki88 per rendermi partecipe dei suoi pensieri e delle lezioni di deduzioni con niente popò di meno che Sherlock Holmes.

Direi basta,
Che la fortuna possa essere sempre in vostro favore (HG)
e... Don't Panic (HGG)
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Capitolo 4
*** Giorno 3 ***


Ce l’ho fatta! Questo capitolo mi piace decisamente più di quello precedente, adoro Molly, è una delle mie figure femminili preferite, spero di averle dato il giusto spazio in questo capitolo.


 
 
 
Era quasi notte e i passi risuonavano sul marciapiede freddo e sgombro dal viavai della gente. Sherlock svoltò in una strada secondaria e camminò fino a che non arrivò davanti a una porta blu e un 6 oro a segnarla.
Senza troppe cerimonie il detective bussò finché dall’interno non si sentì il rumore di qualcosa che sbatte contro qualcos’altro e delle imprecazioni dette fra i denti.
Molly spalancò la porta e appena vide chi l’aveva disturbata le sue guance si tinsero di un delicato rossore, per nasconderlo si fece piccola dietro la porta lasciando entrare il suo inaspettato ospite.
Sherlock era badato al casino, perciò non ne se preoccupò mentre raggiungeva il piccolo salottino, ma la ragazza non fu dello stesso parere, tanto che iniziò a sistemare, prima il corridoio dove era passato, poi il salotto. Mentre cercava di rendere presentabile la casa Molly non mancava mai di guardarsi in ogni specchio o superficie che riflettesse la sua figura per accomodare ciuffi ribelli che uscivano dallo chignon.
- Non dovresti aprire così a quest’ora, non sai mai chi ci trovi fuori. – la rimproverò Sherlock, mentre si sistemava comodamente su una poltrona.
Ancora una volta, quando Molly si accorse che quella era la cosa più simile a un atto di protezione nei suoi confronti, le guance divennero calde, e un sorriso sfiorò le sue labbra.
Restava il piccolo dettaglio che lui si trovava lì ad un’ora improbabile a disturbare la sua tranquilla serata di vecchi film e popcorn.
-Cosa vuoi,Sherlock? – chiese stirando inesistenti pieghe sui pantaloni del pigiama.
- Tè, grazie. – sorrise forzatamente, sapendo che prima di sparare a raffica doveva sottostare alle regole sociali.
- Intendevo cosa ci fai qui?,cosa ti serve? – precisò andando comunque a preparare le cose per il tè.
Così Sherlock dovette aspettare ancora del tempo prima di poter parlare.
Molly appoggiò tutto sul tavolino che si trovava tra la poltrona dove era seduto Sherlock e la sua.
Un’ombra si spostò nella stanza fino a far palesare la sua presenza saltando sulle gambe del detective.
Un gatto nero dagli occhi grandi e verdi lo guardò attentamente aspettando un saluto affettuoso, tutto ciò che ricevette fu un paio di carezze e dei grattini, poi decise di rimanere tra le braccia della padrona, che lo accolse sedendosi a gambe incrociate e tenendolo in grembo accarezzandolo distrattamente.
- Posso parlare o devo aspettare ancora? –
- Prego, non ho nessuna offerta che tu possa rifiutare. – cercò di scherzare.
- Non assomigli nemmeno lontanamente al padrino. – John lo aveva costretto a vedere la saga completa, il ricordo lo riportò al motivo per cui si trovava lì.
- Fin da piccolo mi è stato insegnato l’inutilità dei sentimenti e ho basato la mia vita sul motto “ La natura fornì all’uomo la ragione, perché allontanasse i desideri dell’animo”*… ma non sono più convinto di questo, o meglio capisco ancora quanto possa essere inutile soffrire per dei sentimenti, ma non riesco più attenermi al motto, diciamo… – Sherlock non era mai stato così in difficoltà, ma si parlava di lui, di quello che provava, e non sapeva come parlarne, non sapeva che nome dare ai suoi sentimenti.
- … So che stai con John,vedo come vi guardate, come lui guarda te, ma soprattutto come tu guardi lui, prima che tu sparissi ti avevo detto che si nota che quando lui non ti considera tu sei triste, ed ora sembri distrutto, cosa succede? – Molly lo interruppe, se lui si trovava in difficoltà, lei era l’opposto: gli veniva naturale parlare di sentimenti, di gioie di dolori, per una volta era completamente rilassata, forse anche grazie al gatto che continuava ad accarezzare distrattamente.
Sherlock si decise a parlare, le raccontò dell’arrivo dei militari, dei consigli che aveva ricevuto, e di cosa aveva fatto lui per aiutare John, di come sentisse inadeguato quello che faceva e di come si sentiva alla deriva.
Ad ogni parola Molly rimaneva in silenzio, ma il viso si contrasse in una smorfia di dolore,confusione,disgusto e disprezzo per quello che aspettava John, e dagli occhi lucidi uscirono presto delle calde lacrime silenziose.
Quello che non poté sopportare fu vedere gli occhi di ghiaccio del moro sciogliersi, come specchi dei suoi.
La ragazza non riuscì a rimanere indifferente, così depositò il gatto sul pavimento e raggiunse le mani dell’uomo stringendole e aspettando che rispondette alla stretta. Non dovette aspettare molto.
Si sedette sul pavimento continuando a tenere salda la presa sulle dita ossute di lui.
- Questo è assurdo e orribile, sono sicura che a John non serva esercizio fisico o una mente che non lo blocchi se si trovasse a dover sparare. Sappiamo entrambi che non avrebbe problemi a farlo. Lui ha bisogno di te, lui ha bisogno di sapere cosa provi per lui, deve sapere che tu lo vuoi di nuovo a casa, deve sapere che deve tornare. Sei sempre stato inossidabile e fiero, i sentimenti non sono un ostacolo, non la maggior parte delle volte. Non è un male volere bene a qualcuno, provare qualcosa per qualcuno.  – la voce tremava ma lo sguardo e fisso negli occhi di lui.
-Come fai a dirlo, cosa hai ottenuto con le emozioni? Cosa hai ottenuto dal fatto che ti piacevo, cosa hai ottenuto dalla relazione di Tom? Per fino la Donna è rimasta tradita dai sentimenti. Come fai a parlarne così bene. – lo sguardo di Molly vacillò a causa della schiettezza di Sherlock. Lo rialzò.
- Non ho mai detto che sia facile, non sempre si ottiene qualcosa, ma si impara a vivere, si impara a capire gli altri; non sono solo le esperienze a formare le persone, sono anche i ricordi e le emozioni che portano con sé. L’amore per te mi ha dato tante delusioni, ma ora sono qui che posso parlarti chiaramente, la relazione con Tom mi ha mostrato la possibilità di una vita al di fuori dal Bart’s e la consapevolezza che sociopatici e falsi sosia di psicopatici non fanno per me. E ora, l’amore mi ha portato Sdentato. – disse alzando infine in alto il gatto che cercava di attirare l’attenzione strusciandosi sulle loro gambe.
La battuta e il muso del gatto distese un minimo l’atmosfera.
- Sdentato? – Sherlock non capiva.
- Lunga storia. – si limitò a dire.
Si concessero un sorriso.
- Quindi cosa dovrei fare? – chiese risentendosi perso.
- Cosa provi per John? – replicò.
- Lo amo. – la consapevolezza di quello che provava fu improvvisa e immediata, basta così poco?
- Lo vorrei al mio fianco nella mia vita. – e insieme alla consapevolezza arrivò la soluzione, ecco quale sarebbe stata la motivazione per farlo tornare.
Non fu difficile per la patologa intuire cosa passava nella mente del detective. Gli sorrise amichevole, quasi materna.
Sherlock scese al suo stesso livello e in uno slancio improvviso l’abbracciò, stringendo in mezzo il povero Sdentato, e lasciò un affettuoso bacio sulla guancia che per l’ennesima volta divenne rossa e calda, umida a causa delle loro lacrime.
Per quanto volesse tenerlo per se Sherlock considerava Molly più di quanto desse a vedere, sapeva quanto fosse forte e ammirava la sua intelligenza, specie quella intrapersonale, ma aveva sempre disprezzato i suoi sentimentalismi e la sua timidezza esagerata. Dopo la sua finta morte era cambiata e in meglio: i sentimentalismi erano sempre presenti, ma era meno timida e la sua intelligenza delle persone era ancora più acuta.
In questo momento, trasportato dalle emozioni Sherlock vedeva in Molly una brava ragazza, tranquilla, riservata ma con grande acume e chiunque avesse nella sua vita era la persona giusto perché al detective non era sfuggita la luce che riempì gli occhi di lei quando parlò di Sdentato.

Ricompostosi Sherlock fu pronto a tornare a casa sapendo che quello che doveva fare era far sentire l’affetto delle persone care e dimostrargli quanto lo ami. Il tè preparato di Molly rimase intoccato a raffreddare.

Arrivato al 221B tutte le luci erano spente, ma notò subito la presenza di John addormentato sul divano rannicchiato in posizione fetale.
Gli si avvicinò piano e gli lasciò un bacio sulla tempia.
- Sherlock?, dove sei stato? – biascicò mezzo sveglio.
- A trovare un amica. -
- Devo preoccuparmi? – non riuscì a restare serio nemmeno da mezzo addormentato.
- No, ma devi dirmi una cosa… -
- Cosa?-
- Chi, o cosa è sdentato? – si sentiva stupido a fare una domanda del genere.
John con gli occhi chiusi si lasciò andare a una risata liberatoria.
Aprì gli occhi e si alzò dal divano.
- A domani Sherlock. – non gli rispose, e non lo fece nei giorni successivi.
- Vengo anch’io dopo. – gli disse prima che sparisse.
- Non aspettavo altro. – la porta della loro stanza rimase socchiusa.


L’atmosfera, per quanto potesse esserlo, era più tranquilla, perché ora Sherlock sapeva cosa fare, e anche John lo percepiva.
 
 
*****************************************

Cercherò di essere più breve.


TO remember:
- i personaggi sono del genio di Conan doyle, che li inventò e della coppia moftiss, che li ha trasportati al giorno d’oggi.
- la storia nasce per contrastare una paura che nasce per le notizie dal Medio Oriente e dell’Africa del nord.
- scrivo per il piacere di farlo
- mi scuso per l’OOC di Sherlock ,che in questo capitolo ha raggiunto il culmine.

Alla storia :
se qualcuno volesse divertirsi ci sono delle citazioni storpiate di Sherlock,
un lampante riferimento a Dragon Trainer e un più sottile riferimento a Doctor Who.
* mai scrivere dopo aver fatto latino : “Natura homini addidit rationem, qua regerentur animi appetitus”.

fuori dalla storia :
Voglio lo Speciale di Doctor who e Sherlock.
Come facevo a vivere senza speciali di Natale non lo so.

Ed eccomi alla fine:
 come è giusto che sia, ringrazio tutti quelli chi leggono in silenzio.
Particolare grazie va a:
 theCherryBomb che ha aggiunto la storia fra le preferite, spero di mantenere alte le tue aspettative.
 rochisa e Why2in3d1 che l’hanno aggiunta tra le ricordate.
carelesslove, Doctor Smith, Evelyn Wright, Grachi_, paffy333, Tsuzuki88 e xX__Eli_Sev__Xx che l’hanno inserita tra le seguite.
Fatemi sapere che ve ne pare :)


bene dopo i grattini a Smaug vado a farli a Sdentato…


Che la fortuna possa essere sempre in vostro favore (HG)
e... Don't Panic (HGG)
See u :D

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Capitolo 5
*** Giorno 4 ***


Buona befana a tutte! Oggi è stata una giornata piena, personalmente ho dovuto portare tanto carbone.

A parte questo annuncio che Xaxi si è gentilmente proposta come beta, immagino che chiunque legga questa storia la ringrazi per questo contributo alla grammatica.



 
 
 
Sherlock oramai era sicuro che John dovesse pienamente rendersi conto di cosa lo aspettava e di cosa lasciava lì, a casa.
Questo significava fargli affrontare tutti, proprio tutti.
Perciò il detective dovette lasciare il biondo da solo per una giornata incontrando, come era prevedibile, delle resistenze da quest’ultimo.
In quel momento Sherlock era alla stazione ad aspettare il suo treno. Odiava aspettare, ma vedere sfilare davanti ai suoi occhi tanti treni senza prenderne nessuno lo portò al ricordo del suo vecchio nonno.
Il nonno Edgar fu il primo a credere fermamente nelle sue abilità. L’unica pecca era quella di volere che, insieme all’intelligenza e alla logica, il suo piccolo nipotino, la sua perla, coltivasse l’aspetto umanistico e fanciullesco del tempo. Sherlock ricordava come se fosse quel giorno quando il nonno lo portò alla stazione vicino alla loro piccola villetta in campagna nei pressi del Sussex per vedere i treni correre sulle rotaie. Ma non avrebbe molto senso perchè scritto così sembra che il nonno lo abbia portato solo un giorno a vedere i treni correre sulle rotaie.
Non amava andarci, non amava aspettarli, ma adorava le storie che il nonno raccontava sulla destinazione di quel treno e della vita di quel passeggero, per non parlare di quando il treno era diretto ad un importante congresso di scienza, ma dei pirati lo facevano deragliare e gli illustri scienziati venivano interrogati, uno ad uno, da un grande investigatore, perché in mezzo a loro si nascondeva il capo dei pirati.
Erano in quelle storie che Sherlock, a volte, s’immaginava in mezzo a loro come scienziato, altre come il grande investigatore, ma soprattutto, a quei tempi, era il capo dei pirati.
Erano storie quasi al limite dell’assurdo ma gli piaceva ascoltare.
Passò così il tempo, pensando dove andassero i treni che gli passavano davanti e chi trasportassero.
Fu allora che arrivò il treno.
Salì e cercò un posto singolo, dove sedersi, il viaggio sarebbe stato piuttosto lungo.

Il treno ripartì e nel giro di pochi minuti il Detective tirò fuori il proprio telefono. E iniziò a scrivere.


(10.30) Mi servirebbe il tuo aiuto. Domani a Baker Street.
                                                                        SH

(10.35) Cosa ti serve?
                                  MH

Sherlock poté notare dalla velocità con cui gli rispose Molli che non era occupata.

(10.36) Dovresti trovarti al 221B con altra gente, nel pomeriggio verso sera, John ed io saremmo fuori.
                                                                                           SH

(10.40) Ma non è il compleanno di John, cos’hai intenzione di fare?
                                                                                                  MH


Sapeva quale sarebbe stata la reazione della ragazza quando avrebbe saputo.

(10.45) Voglio che John affronti la cosa raccontandola alle persone a lui più care, non saremo in tanti. Tu, la signora Hudson, Sarah, Graham ed io e forse un'altra persona.
                                                                                 SH


(11.00) Sherlock, primo: si chiama Greg. Secondo: non puoi fare così, spetta a John trovare il momento giusto per dirlo ai suoi cari, facendo così lo metti davanti ad un dato di fatto. Si sentirà in obbligo a dirlo a tutti. Non è giusto.
                                                                                                               MH


Ed ecco, come previsto, Molly ebbe la reazione che si aspettava, per questo il moro aveva già la risposta pronta.

(11.01) Se io non faccio così, lui partirà senza dire nulla a nessuno. Mancano solo tre giorni. Le probabilità che non torni ci sono, e a quel punto toccherà a me spiegare. Non ci tengo. Lasciami fare.
                                                                                     SH
Carte più sporche non poteva giocare, e un po’ se ne pentiva,ma aveva bisogno di chiuderla al più presto.

(11.10) Va bene.
                          MH

Nonostante kilometri di distanza Sherlock riusciva ad immaginare Molly, portata alla disperazione, sospirare e accettare rassegnata.

(11.15) Passerò da te verso sera, per darti le chiavi dell’appartamento.
                                                                                                SH

(11.20) Non serve, domani chiederò direttamente alla signora Hudson di poter salire e inviterò lei a fare lo stesso, avviserò io anche Greg.
                                                          MH

(11.25) Grazie.
                                  SH


Passò altre tre ore sul treno. Scrisse anche a John per fargli sentire la sua vicinanza.


Una volta arrivato a destinazione iniziò ad incamminarsi in una piccola città di periferia, fino a raggiungere una casetta poco distante.
Bussò, sperando che gli aprissero.
 
 
 
 
Era ormai sera, John era rimasto tutto il giorno a casa, da solo. Si annoiava da troppo tempo, così decise di chiedere a Greg se gli andasse di prendere una birra.
 Alle 21.00 s’incontrarono nel loro vecchio pub.
Greg era sorridente e molto rilassato, era arrivato prima di lui, perciò quando vide il medico entrare, sventolò la mano per attirare la sua attenzione e invitarlo a sedere.
- Ciao, Greg. –
- Ciao, John. -
Con una pacca fraterna sulla spalla si salutarono ed ordinarono due pinte.
- Allora, che mi racconti? Non ci sei più venuto a chiamare per nessun crimine. Londra è diventato un posto sicuro? – ironizzò.
- Decisamente no, ma Sherlock ha detto che in questa settimana non avrebbe voluto sapere di casi, ha detto che avrebbe avuto altro da fare. In ogni caso non lo avremmo chiamato, anche perché sono tutti crimini minori che per il grande consluting detective non entrerebbero nemmeno nella sua scala di giudizio. – seguì a ruota Greg, ma John si concentrò solo sulla prima parte del discorso: Sherlock aveva rinunciato ai casi per lui, per stargli affianco in quella settimana.
Se inizialmente il medico sentì il cuore sciogliersi a quella notizia, subito si trovò a pensare che in quel momento lo aveva lasciato solo. Cosa lo aveva portato lontano da casa per una giornata intera?.
Mentre pensava Greg lo riportò alla realtà.
- Tutto bene?, intendo, con Sherlock… hai uno sguardo strano. -
- Sì, sì, stai tranquillo stavo solo pensando che ha passato tutto il giorno fuori casa. Mi chiedevo solo dove fosse andato. – lo rassicurò con poca convinzione.
- Vedrai che quando tornerai sarà già nell’appartamento ad aspettarti. – un sorriso ricambiato e Greg finì la sua birra.
- Devo raccontarti una cosa… vedi, sto uscendo con una ragazza. – l’ispettore era in evidente difficoltà, perciò John lo esortò a continuare.
- è una ragazza molto dolce, carina e speciale. In realtà la conosci. -
- Non farti pregare,dimmi chi ti ha stregato. E dato che la conosco, sarà più facile trovarla e complimentarmi con lei perché riesce a farti illuminare. – John era rilassato e curioso, sembrava di essere sua sorella, quando ancora ragazza portava le amiche nella sua stanza,lasciando la porta socchiusa. John, da piccolino era molto curioso perciò di soppiatto si avvicinava alla porta e ascoltava tutte loro che parlavano di ragazzi e ragazze, ridendo e scherzando. 
- Molly – sputò fuori Greg ridestando John dai ricordi.
Il biondo era decisamente felice, sapeva che entrambi si meritavano, ma sapeva, anche, che toccava a lui spegnere quell’aria felice.
- Anch’io ti devo dire una cosa. -
- Lo sappiamo già tutti che tu e il sociopatico ad alte funzionalità state insieme, ce lo avete detto un anno fa… in realtà vi abbiamo beccati, ma sono dettagli. – scherzò l’ID, ma dal medico ricevette solo un sorriso sforzato, così capì che quello che doveva dire era davvero serio.
- In realtà devo dirti una cosa piuttosto complicata… - non finì nemmeno la frase che il telefono lo interruppe.


(23.30) Dove sei?
                         SH

E subito un altro squillo.

(23.30) Sono appena tornato, speravo fossi a casa.
                                                                          SH
 
Ma non era finita lì.

(23.31) Torna a casa, ti prego.
                                              SH

John mise via il telefono.

- Se è Sherlock vai pure, me lo dirai un altro giorno, magari domani. – lo rassicurò ammiccando. John non comprese, ma accettò di tornare a casa. Non era ancora pronto per parlare. Forse non lo sarebbe stato mai.
 
Una volta fuori riprese il telefono.
(23.35) Arrivo.
                                JW.



Arrivò a casa e anticipò il compagno.

- Dove diamine sei stato tutto il giorno? – John non era esattamente felice.
- A trovare una persona. – la risposta fu vaga ed insoddisfacente.
- la stessa di ieri? -
- No. -
- Bene. Spero solo che ti abbia accolto a calci in culo. -
- Oh, no. Mi ha accolto, poi mi ha buttato fuori a calci in culo. -

Risero e si avvicinarono andando ad incollarsi uno alle labbra dell’altro.
Il bacio fu lungo ed appassionato, la lingua di John era balsamo per le labbra di Sherlock, labbra screpolate dall’ansia e dai denti.
Si staccarono solo per prendere fiato, ma non si allontanarono più di pochi millimetri. Le fronti si toccavano e i respiri si mischiavano.

- Non essere arrabbiato con me, non abbiamo abbastanza tempo per questo. -
- Sei un bastardo. – gli ricordò il soldato.
- Lo so, ti amo anch’io. – soffiando sulle labbra calde del compagno.


Si sorrisero, uno sulla bocca dell’altro, prima di riprendere dove si erano interrotti.
 
 
 
 
 
***************************

cercherò di essere più concisa.

Eviterò il To remember ( *psssssss so che volete leggerlo, è nei capitoli prima, firmate una petizione per riportarlo.*)
La storia:
Da chi sarà andato Sherlock?
vi è piaciuto i messaggi che spaccavano un po’ oppure vi hanno fatto completamente schifo?
Al di fuori:
per lo speciale di Sherlock bisogna aspettare il 2015 :/ (*uffi voglio Ben e Martin vittoriani*)
La mia migliore amica(*ciao phoo!!*)  ha proposto questa canzone per rappresentare la storia. Non mi dispiace per niente, anzi. Quando parla del vento mi viene in mente il vento dell’est di cui si parla in His Last Vow.
spero abbiate passate bene le vacanze e abbiate avuto più tempo da passare con gli amici di quanto ne abbia avuto io. (* adesso basta parlare dei tuoi problemi e lascia in pace la gente che avrà voglia di fare altro.)
Ringrazio chi mi segue, chi ha messo la storia tra le preferite e chi tra le ricordate(*passerà una seconda petizione per vedere i vostri nomi scritti. Mi raccomando firmatela in tanti*). Ovviamente un grazie speciale a chi mi fa sapere la sua e chi non lo fa sappia che arriverà del carbone anche a loro :D.

Devo lavorare sull’essere breve a fine capitolo.

Che la fortuna possa essere sempre in vostro favore (HG)
e... Don't Panic (HGG)
See u :D  

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Capitolo 6
*** Giorno 5 ***


Vi chiedo scusa per il ritardo.

 
 

- Sherlock,fermati. Mi stai trascinando per tutta la città senza una meta ben precisa. Parliamone. -
Il detective non rispose continuò a camminare a passo piuttosto spedito. Erano, effettivamente, ore che manteneva quel passo senza decelerare e vagando intravedendo John seguirlo a stento.
con un ultimo scatto John lo prese per il braccio e lo fece voltare.
- Parlami. -
- Perché lo hai fatto? – ora il moro ricordava perché non si voleva voltare alle suppliche del compagno, gli occhi gli davano molto fastidio, pizzicando e il vento non aiutava.
- Perché sono realistico, perché lo feci pure la prima volta che partì e sono convinto che abbia bisogno di una revisione. -
- No, i tuoi genitori hanno perso i diritti sul tuo testamento quando sono morti. Perché mi hai portato con te? – la comprensione dell’animo umano gli rimaneva sempre più oscura.
- Perché ne avevo bisogno. Di certo non l’ho fatto per i miei genitori, sono più che felice che loro non siano dovuti sopravvivere al figlio e conosco la legislazione. Ti prego lasciamo stare. – John lo pregò fino a che Sherlock non ebbe ingoiato la pillola, poi ripresero a camminare, questa volta con più calma.

 

- Non so te, ma io avrei un po’ di fame. – il militare è il primo a rompere il silenzio.
- Mmm. -
- Che pensi ora? – gli chiese vedendolo perso in qualche dubbio.
- Che è in ritardo. -
- Chi?-
il telefono di Sherlock prese vita per annunciare un nuovo messaggio. Con movimenti rapidi guardò il telefono poi rispose a John.
- Nessuno, torniamo a casa. -

John si stupì di non vedere la signora Hudson quando si avviarono su per le scale, ma si stupì nel notare che la porta del loro appartamento era socchiusa.
- C’è qualcuno nel salotto. – sussurrò per evitare di farsi sentire.
- Non potevo sperare che facessero tutto perfettamente. -
John lo guardò dubbioso, così si fermarono sul pianerottolo.
- Chi c’è lì dentro? – la voce si era alzata di poco.
- Solo amici. -
- Perché sono lì dentro? – iniziava ad intuire qualcosa.
- Ti faccio abbastanza intelligente da capire. -
- Tu mi stai obbligando. Non si fa così, non puoi mettere qualcuno davanti ad un dato di fatto! – ormai la voce aveva superato il solito tono pacato e tranquillo, lasciando spazio per uno più alterato e forte.
- Sembra che ti abbiano già messo davanti ad un dato di fatto! E tu non hai aperto bocca, non hai rifiutato, non hai fatto nulla! Io ti sto solo dando la possibilità di essere un po’ meno inquieto, ti sto mostrando una ragione, ti voglio dimostrare che non sono l’unico che ci tiene a te; lì c’è altra gente che ti appoggia! – indicò più volte la porta al suo fianco senza notare che lo spiraglio era aumentato di pochi centimetri.
- Due giorni Sherlock! Per due dannatissimi giorni, non potevamo fare come abbiamo fatto fino ad ora?! – John la guardò quella porta, ma nemmeno lui si accorse.
- No, non voglio essere io a parlare, questa cosa riguarda te in primis. – Sherlock guardava dritto negli occhi del medico specchiandosi nei suoi e vedendoci una tempesta: la sua.
Un singhiozzo trattenuto arrivò da dentro l’appartamento; fu abbastanza udibile per farli smettere di discutere.
- D’accordo, ma non aspettarti che io parli appena apriamo la porta. – John si rassegnò.
Quando entrarono nessuno riusciva a guardarsi in faccia.
Molly e Greg erano a pochi passi da Standford facendo finta di parlarsi,ma con gli sguardi fissi sul pavimento. Mrs. Hudson era seduta sul divano nel posto più vicino alla porta, dando le spalle agli altri tre e guardando un punto impreciso dietro ai due compagni. Da qualche parte, in qualche telecamera nascosta anche Mycroft era lì con loro.
- Siete pessimi nel fingere. – disse Sherlock prima di togliere giacca e sciarpa.
John, d’altro canto, si rifugiò in camera sua giusto il tempo di respirare a pieni polmoni; poi tornò nel salotto.
Sherlock si era fatto pregare dalla vecchia padrona di casa per suonare qualcosa col suo violino, così preso ed accordato cominciò a suonare una dolce sinfonia di Bach. Non era una musica molto triste, ma nemmeno allegra, era rilassante, il detective sapeva che doveva allentare la tensione nel salotto così continuò con il suo brano spostandosi per la stanza quasi volteggiando mentre guardava gli ospiti e notando Standford spostarsi lasciando da soli l’ispettore e Molly.
Sherlock non comprendeva affondo i rapporti intrapersonali, ma conosceva bene il linguaggio del corpo e voleva in ogni modo far dimenticare la discussione che avevano sicuramente origliato appoggiandosi alla porta; così cambiò completamente repertorio passando alla Carmen Fantaisie Op 25, con qualche accorgimento, lanciando un occhiata a Greg.
Immediatamente l’ispettore prese con se Molly e goffamente provarono a ballare sulle note del violino, tutti li guardavano ammirati e quasi con gli occhi sognanti.
Lo spazio era poco ma riuscirono a ballare per un po’, poi la musica scemò fino a diventare un flebile suono, velocemente coperto dal suono del campanello.
Sherlock guardò John.
- È per te - gli disse.
John andò alla porta e ci rimase un attimo quando davanti a se vide una figura alta ed aggraziata fasciata da jeans chiari e una camicia nera semitrasparente, i capelli lasciati liberi incorniciavano il viso sveglio, se non fosse per il viso così singolare John non l’avrebbe riconosciuta.
- È sicuramente per te Sherlock. – tutti si voltarono nella sua direzione.
- Buonasera anche a lei signor Watson. – la donna parlò in modo tagliente sfoderando un sorriso bianco e splendente.
- Non le piace più entrare dalle finestre Irene? – rispose a tono.
- Non dovresti essere qua. È pericoloso. – Sherlock pose lo strumento guardando la Donna.
- Vengo in pace, voglio sdebitarmi. – a lunghi passi aggraziati Irene raggiunse Sherlock.
Prese le sue mani da violinista tra le sue più esili e si avvicinò a sussurrargli qualcosa, lasciando poi un bacio all’angolo della bocca. Quando si allontanò le mani di Sherlcok erano nelle sue tasche.
Irene amava le entrate ad effetto, ma adorava maggiormente le uscite.
-È stato bello conoscerla dottore. – gli allungò una mano e John la strinse chiedendosi se lei sapesse o se fosse una frase come un'altra.
- So sempre tutto, se lo ricordi dottore. – detto ciò lasciò anche a lui un leggero bacio sulla guancia, poi prese l’uscita.
Sulle scale la Donna si scontrò con un’altra che arrivava dalle scale dai corti capelli biondo cenere occhi verdi e labbra piene.
Irene le fece l’occhiolino e continuò a scendere, la donna si voltò un paio di volte mentre la vedeva sparire.
- Harriet? – la voce sorpresa di John fece voltare nuovamente tutti.
- Ciao, John, il tuo amico mi ha supplicato di venire. – Harry si concentrò sul fratello poi su Sherlock.
- Non è esattamente un amico – John biasicò imbarazzato.
- Lo immaginavo – ammiccò.
Non resistettero oltre, si abbracciarono come non facevano da tempo, a stento trattennero le lacrime.
- Scusami John, scusami tanto, giuro che sono sobria da diversi mesi. –  lo strinse ancora di più.
- Allora ti prego, qualsiasi cosa succeda questa sera non ricascarci. – si staccarono. Harry lo guardava dubbiosa.
tenendola per mano si portò al centro del salotto.
- Credo sia giunto il momento di dirvi perché siete tutti qua. Ammetto che se non fosse stato per Sherlock io non avrei detto nulla. Lui ha voluto che ci trovassimo tutti qui perché circa quattro giorni fa è successa una cosa che non credevo possibile… - John prese a raccontare tutto per filo e per segno.
Mr. Hudson era una statua di orrore, Standofrd non comprendeva, o meglio, non voleva comprendere, Molly si era sciolta in lacrime, con la tristezza di chi già sa e Greg cercava di consolare la ragazza senza mostrare il dolore.
Sherlock non guardò nemmeno per un attimo il salotto, ma puntò lo sguardo fuori sulla strada poco trafficata.
A fine discorso Harriet si staccò dal fratello e andò verso Sherlock a passo di carica.
- Brutto stronzo! perché mi hai fatto venire fin qui, perché non mi hai lasciato nella mia casetta di merda, in quel paesino del cazzo. Sarei stata allo scuro di questo, sareste venuti voi due, insieme, a raccontarmi tutta la storia, solo dopo che lui fosse tornato! – uno schiaffo a piena mano arrivò sulla pelle nivea del moro.
- Harry, calma, non sarebbe cambiato nulla, lo sai… Harry ti prego. Respira e vieni a sederti. – John la abbracciò da dietro accompagnandola alla sua poltrona.
Silenziosamente Molly si alzò e preparò un tè per tutti.
Passò molto tempo, ma alla fine tutti si tranquillizzarono e col cuore pesante e gli occhi secchi si congedarono dal 221 B con la promessa di accompagnare insieme John all’aeroporto.


Ancora prima che il medico andasse a controllare il labbro, che si era tagliato, Sherlock si chiuse in bagno a vedere cosa la Donna gli avesse lasciato.
estrasse dalla sua tasca una scatola di un blu intenso e titubante la aprì. Dentro c’era un anello semplice da uomo in oro bianco con incisioni oblique e un piccoli brillante al centro. Un bigliettino fa bella mostra in una calligrafia quasi felina.

 

 

Sai cosa devi fare.
Sii felice e riportalo a casa.
                           Irene Adler.


Si, sapeva cosa doveva fare e l’avrebbe fatta, il girono dopo.
In quel momento voleva solo essere affianco a John, voleva che gli medicasse il labbro e la sua mente.

- John, mi puoi controllare il labbro? -
- Sono qui apposta – il medico gli fece il sorriso di cui si era innamorato e ricambiò.
Andarono in cucina, Sherlock appollaiato su uno sgabello, mentre John prepara il disinfettante e in ghiaccio spary.
- Stai fermo, okay? -
- okay. – John fece una risatina che Sherlock non comprese e non approfondì perché attratto dai movimenti meticolosi e rapidi delle dita del compagno sul suo labbro inferiore.
- Jawn. -
- mmh? -
- credi ci sia un futuro per noi ? – chiese il moro appena fu libero di parlare.
- Si,ti sembrerà una frase fatta, ma il nostro futuro è già oggi. Ne abbiamo passate tante e passerà pure questa. Sia che torni, sia che non. – lasciò che l’altro gli poggiasse la testa sugli addominali così da poter giocare coi suoi ricci.
- Se scappassimo? -
- Non potresti vivere tanto a lungo lontano da questo posto. -
- non è vero, tu mi daresti la forza di stare lontano da Londra. – la frase era troppo smielata da parte di Sherlock e John sapeva che si poteva solo peggiorare.
- Non fa per te, lascia il sentimentalismo a chi di dovere. Dimentica,inoltre, queste idee molto alla “via col vento.” – gli arruffò la zavorra nera.
- Cos’è via col vento? -
- Un film. -
- lo guarderemo. -
- Sì. -
- È una promessa? -
- È una promessa. -
John si avviò verso la loro camera lasciando ancora un po’ da solo Sherlock.  
 

 
 

************************

non brevissima, ma breverrima.
ho capito che nessuno leggerà le note e che nessuno vuole le petizioni.
perciò :
piccola precisazione. Ho voluto sorvolare sui vari accaduti degli ultimi giorni, ma di certo non sono buone notizie che possano risollevare le speranze e assopire le paure. Se desiderate vedere anche i fatti di cronaca fatemelo sapere.
la canzone che ho citato. (* il musicista è fantastico*)
e l’anello.
scusate, ma non sono riuscita a trovare una faccia per Harry.
Ringrazio : chi segue, chi recensisce,chi legge,chi l’ha messa tra i preferiti e i ricordati… ma soprattutto grazie a Xaxi che beta in modo rapido, conciso e chiaro. (*ti ringrazio infinitamente*)
Che la fortuna possa essere sempre in vostro favore (HG)
e... Don't Panic (HGG)
See u :D  


 

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Capitolo 7
*** Giorno 6 ***


Scusate l'enorme ritardo, non ho scuse valide per questo, nemmeno il fatto che mi sia fatta prendere dall'ennesima serie è sufficente, perciò andiamo al capitolo e per scusarmi non farò un papiro alla fine.


La luce entrava dalla finestra attraverso le tende. John fu svegliato dal calore, tiepido, e lentamente aprì gli occhi allungando un braccio nell’altra parte del letto, la trovò vuota.
Quando realizzò di essere solo si mise a sedere cercando di capire che ore fossero: presa la sveglia in mano e notò che segnava mezzogiorno inoltrato, non aveva mai dormito così tanto in quei giorni.
Lavatosi e cambiatosi, John andò in cucina dove trovò un piatto pieno di pietanze così invitanti che la pancia gli brontolò.
L’assenza di Sherlock rimaneva un mistero, ma trovare il pranzo pronto sul tavolo era ancora più strano; titubante prese la fetta di toast che giaceva in un piatto: addentandola sentì che era ormai fredda, segno che era stata preparata da un bel po’, ma la dolcezza del burro fuso e zucchero raggiunse le papille gustative facendolo sperare in altre fette. 
Sbranato il toast prese a sgranocchiare alcuni cereali mentre si preparava il suo adorato tè, un insolito pranzo non c’era che dire, ma gli piaceva e questo bastava.
Quando una tazza fu piena del liquido ambrato, fumante e profumato, il medico si trascinò per le stanze alla ricerca di qualche segno di dove potesse essere il compagno, l’unica cosa che lo distrasse fu la vibrazione del telefono.

(12.40) Dormi ancora? Sarebbe ora che tu esca dal nostro appartamento.
Muoviti, non vorrei stare fuori tutto il giorno.
SH

John non aveva la più pallida idea di cosa significasse quel messaggio, ma poteva ritenersi più tranquillo sapendo che Sherlock stava bene e, probabilmente, lo aspettava.

(12.45) Sì,sono sveglio, grazie per la colazione. Dimmi dove sei che ti raggiungo.
JW

mentre aspettava la risposta spreparò e ordinò un minimo il tavolo.

(12.55) Non te l’ho preparata io, non hai trovato il biglietto? 
SH

(12.56) Biglietto?
JW
Prese a cercare: aiutato dalla sua limitata scienza della deduzione, guardò dove aveva trovato la colazione e,infatti, appoggiato a un bicchiere vuoto c’era un biglietto in carta pregiata e scrittura femminile, firmato Irene Adler. Una freccia indicava di girare la carta e leggere la scrittura riconducibile al detective.

Non sprecare il tempo nella gelosia, al massimo, se proprio ci tieni, cura tua sorella, penso che le due si siano puntate; Harry avrà bisogno di conforto, in qualsiasi caso. Esci.


(13.00) che diamine significa? Speravo di passare quest’ultimo giorno in modo differente. Harry non avrà nessun conforto dalla Donna. Esco, ma dove vado?

La risposta non arrivò,ma ormai era chiaro che a Sherlock era venuta la brillante idea di giocare alla caccia al tesoro. 
John spinto solo dalla voglia di finirla ancora prima di iniziarla, uscì sperando di rendere tutto il più veloce possibile, sulle scale incontrò la signora Hudson che con occhi dolci e tristi lo salutò.
- Oh, John caro, buon giorno. -
- Buon giorno mrs. Hudson, penso che sia opera sua la strabiliante colazione, la ringrazio. – le sorrise affabile.
- È stato Sherlock a dirmi di farlo e, inoltre, mi ha raccomandato di avvisarti che ti aspettava a Scotland yard, non so se sarà ancora là. -
- Grazie mille, mrs. Hudson. -
si precipitò fuori con la mano tesa per chiamare un taxi che il più veloce possibile lo portasse alla centrale, arrivò persino a proporre all’autista di pagarlo di più se avesse superato i limiti, tutto questo servì a ben poco e con il traffico dell’ora di punta ci mise un buon venti minuti.
Arrivato al distretto trovò sulla porta Greg che con un sorriso tirato lo aspettava in piedi sulla porta d’entrata mentre sorseggiava un caffè.
- Ciao Greg, come mai qui fuori? Notizie?casi da proporre a Sherlock? -
- No, nulla, per il momento. Ci sediamo un attimo? – l’ispettore indicò una panca poco distante e John annuì.
- Con te posso essere sincero. Vorrei non vedere le espressioni da cane bastonato sul vostro volto, mi bastano le mie, mi basta guardarmi allo specchio ogni giorno e vedere che lentamente sto cambiando. So cosa mi aspetta, la mia testa, il mio corpo lo sanno, ma ho paura. Non per me,non più del dovuto, ma per Sherlock. Ti prego non lasciarlo solo, dagli dei casi. – il medico si sentiva in obbligo di chiarire e parlare chiaro.
- Farò del mio meglio. Ti devo dare questa,ma te la lascio leggere da solo. Sherlock è un uomo fortunato e tu una persona molto speciale. – Greg gli allungò una lettera e si salutarono con una forte stretta di mano e pacche fraterne sulle spalle.
John aprì la lettera:

Vai da Angelo …

Si avviò mentre leggeva, fregandosene di inciampare, scontrasi con la gente o beccare pali.

Vai da Angelo.
Credo che anche lui debba sapere. Io non gli ho detto e non gli dirò nulla.
Lo farai tu, se vuoi. Se non te la senti dovrai solo passare per prendere la lettera.
Immagino che tu stia camminando verso il suo ristorante, ti ricordi la nostra prima cena lì? Il nostro primo caso, ammetto che a volte mi tormento a chiedermi se la pillola che avevo scelto fosse stata quella giusta, ma devo ringraziarti perché se fosse stata quella sbagliata, allora, sarebbe finito tutto lì.
La mia riconoscenza si basa tutto su un “se”, ma, tranquillo, mi sono fidato e sapevo già dopo poco che saresti stato un ottimo aiuto nei miei casi.
Ti aspetto.


Il ristorante si stava svuotando, ma molti rimanevano a godere dell’atmosfera del posto. 
John, chiusa la lettera, andò dritto da Angelo, dietro il bancone del bar.
- alla buon ora John, il povero Sherlock è passato di qui ancora prima dell’ora di colazione. Ti do il biglietto, aspetta che vado a prenderlo. - 
Quando angelo tornò con il pezzetto di carta il medico sentiva le mani sudate, guardava il viso tondo di un uomo buono che nella vita ha fatto tanti sbagli, ma da questi ha trovato la sua saggezza, e le parole gli vennero meno. Prese il foglietto e lo strinse a sé in un abbraccio forte e amichevole, Angelo ricambiò non capendo fino in fondo.
- Ora va. -
- Scusa. – disse John sentendo gli occhi dargli fastidio. 
- e di che...? - 
Il militare non riuscì a rispondere, perciò si fiondò fuori dal ristorante per respirare e alleviare il bruciore degli occhi.
Con la vista appannata lesse il biglietto.

Dopo l’inizio è giusto rivivere la nostra prima fine.
Sherlock.


Sapeva dove andare, chiamò un taxi e salitoci gli indicò il Barts’. Con ansia guardava fuori dal finestrino, quando avvistò il tetto dell’ospedale il taxi si fermò,John pagò e scese notando che con sollievo Sherlock era in cima, con i piedi ben saldi al cemento e lontano dal cornicione.
Arrivò sul tetto col fiatone dopo avere fatto le scale due a due.
- Sherlock! – il tono acuto rivelava una certa ansia nel trovarsi lì col moro così vicino al vuoto. Dal canto suo il detective si girò lentamente mostrando uno sguardo rilassato.
- Ce ne hai messo del tempo. -
- Zitto e allontanati velocemente da lì. – lo intimidì indicandolo.
- okay, ma respira e calmati – disse tenendo le mani alzate quasi in modo di resa.
John si rilassò solo quando Sherlock fu di fronte a lui, distante di pochi passi.
- Perché sono qui? -
- Perché è il tuo ultimo giorno. -
- Non è una risposta accettabile. -
- Volevo che ripassassi un’ultima volta per i posti che hanno segnato la nostra vita, dall’inizio alla fine, o quasi. – un sorriso sarcastico verso la morte sfiorò le labbra di entrambe, ma a John non bastava, non capiva e si leggeva in faccia.
- Oltre alle persone che lasci qui, volevo che trovassi una motivazione in più per tornare … -
- non ho detto nulla ad Angelo – lo interruppe il medico.
Sherlock annuì rabbuiandosi, poi riprese a parlare.
- … quindi volevo chiederti una cosa, di certo non aspettarti che mi inginocchi o faccia un discorso più melenso di quello che ho già fatto. – tirò fuori dalla tasca la scatolina di velluto blu e l’aprì di fronte allo sguardo stralunato di John.
- Sposami. -
Il biondo lo trascinò a sé e lo baciò finché ebbe fiato. Poggiò la fronte contro la sua.
- No, cioè si ti sposerò, ma quando torno. Perché sappi che io tornerò, anche solo per evitare che qualcuno decida di tagliarti quella lingua biforcuta e metterti a tacere una volta per tutte.
- Non basta così poco. -
- Ne sono certo, ora però torniamo a casa, voglio passare quello che rimane nelle nostre quattro mura. -
John cercava di mostrarsi rilassato ma sentiva dentro qualcosa mutare e l’agitazione che aumentava.


***************************
come promesso non farò nessun monologo.
Spero che la storia continui a piacervi.
Ringrazio : chi segue, chi recensisce,chi legge,chi l’ha messa tra i preferiti e i ricordati… ma soprattutto grazie a Xaxi che beta in modo rapido, conciso e chiaro. (*ti ringrazio infinitamente*)
Che la fortuna possa essere sempre in vostro favore (HG)
e... Don't Panic (HGG)
See u :D  

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Capitolo 8
*** la fine ***


Non uccidetemi


Era giunto l’ultimo giorno, l’aria che si respirava era pesante e densa.
la sveglia suonò poco prima dell’alba.
Sherlock si era scoperto addormentato dopo aver passato maggior parte della notte ad imprimersi nella mente ogni singolo dettaglio di John dal piccolo neo sulla guancia alla cicatrice della spalla.
John, d’altro canto, quella mattina non volle vedere se stesso riflesso da nessuna parte, girava lo sguardo ogni volta che si imbatteva in uno specchio.
Non c’era spazio per troppe parole, e i due avevano quasi paura di parlare, di calcolare quali sarebbero state le ultime cose dette all’altro.
In un attimo arrivò il momento per il soldato di indossare l’uniforme e solo allora alzò lo sguardo verso il suo riflesso concentrandosi sui bottoni della camicia, quando fu tutto vestito si fissò e vide quello che non avrebbe voluto vedere: i suoi occhi erano duri, freddi,calcolatori e guardinghi. Erano gli occhi del soldato, anche Sherlock li notò e fu certo di non volerli imprimere nella memoria, perché quella era solo una mera semplificazione del suo medico.
La sig. Hudson bussò facendosi largo nel silenzio assordante e spezzandolo quasi con sollievo dei coinquilini.
- Cari, noi saremmo pronti per andare. – poi si ritirò di sotto.
John e Sherlock si guardarono ed annuirono.
Nella cucina della padrona di casa c’erano tutti gli amici che giorni prima si erano riuniti ed avevano appreso la notizia dell’imminente partenza.
Lestrade,Molly,la signora Hundson e Standford andarono in macchina dell’ispettore  mentre il detective e il medico militare presero un taxi.
La strada che li portò all’aeroporto fu troppo breve, ma in parte ne furono sollevati, nessuno dei due se la sentiva di aprire bocca per primo, si continuavano solo a guardarsi senza perdersi nemmeno il minimo movimento dell’altro.
John, seguito da Sherlock e gli altri di due passi indietro, si diresse verso l’entrata e appena vide che di fronte a lui un uomo alto vestito elegante e coll’immancabile ombrello a cui si appoggiava lo attendeva gli venne automatico alzare gli occhi al cielo e sbuffare silenziosamente.
- Mycroft. – disse atono passando oltre.
- Se vuoi arrivare al gate insieme a lui, ti servirà la mia presenza. – rispose guardando prima il fratello, poi John.
- Prego, allora. – gli fece cenno di precederlo.
Mentre gli altri erano pubblico silenzioso Sherlock non era particolarmente sconcertato della presenza del maggiore Holmes, ma bensì per la freddezza del compagno, ora mai era tornato il soldato che non avrebbe mai voluto conoscere.
  
Arrivati al gate passi di corsa giunsero fino a loro, poi una voce che si lamentava con i controllori, allora Mycroft andò a controllare e dopo poco correndo senza volersi fermare Harry si gettò fra le braccia del fratello stringendolo forte, quasi da non volerlo più lasciare.
- Harry. – John annusò affondo il profumo della sorella.
- Non puoi partire senza salutarmi, scusa, scusa se sono arrivata ora, scusa se ti ho dato tanti problemi. Ti voglio bene, ti prego torna. – disse la ragazza con voce spezzata dal pianto.
- Te ne voglio anch’io e farò il possibile. – le alzò gentilmente la testa e le diede un bacio sulla fronte. Le sorrise rassicurante aspettando di essere ricambiato e così fece.
- ciao. – gli diede un bacio sulla guancia, poi lasciò agli altri la possibilità di salutarlo.
toccò a Mike con pacche fraterne ed occhi lucidi, Mycroft giusto una stretta di mano.
Fu la volta di Lestrade che tra altrettante pacche sulle spalle e un abbraccio John lo pregò di trovare per Sherlock più casi possibili che fossero facili o complicati e  non lo lasciò andare finchè non gli avesse confermato.
poi arrivò Molly con cui scambiò un lungo abbraccio e, anche a lei chiese, di proporre degli esperimenti, o comunque tenerlo occupato.
- Siate felici insieme. – disse alla ragazze e Lestrade quando li vide prendersi per mano e poi stringersi uno all’altro.
La signora Hudson era in lacrime già da quando era arrivata Harry, perciò John si curò di rassicurarla e tranquillizzarla, le sarebbe mancata davvero,  per farla sorridere le disse che lei era la miglior padrona di casa che potesse mai avere.
Infine Sherlock si avvicinò titubante al ex-coinquilino.
- Ricorda, abbiamo un patto. – disse con la voce tremante.
- Certo, ti dirò di più, se ce lo permetteranno lo faremo sul tetto del Bart’s – il soldato riucì a strappare un sorriso amaro ad detective che notò tornare per un attimo il suo John e questo lo portò al limite.
c’era un solo modo per salutarsi e il medico militare lo sapeva e ne sentiva quasi il bisogno. Attirò a se Sherlock e lo baciò facendogli sentire quanto lo amasse, quanto sarebbe stato difficile vivergli lontano e quanto fosse importante per lui. Il moro rispose con la stessa intensità e sentì la guancia bagnarsi da una solitaria lacrima mentre con una mano sul viso dell’altro raccoglieva col dito la stessa lacrima.
Non esistevano che loro, non interessava che li stessero vedendo.
Solo quando non ci fu più fiato si staccarono.
- Torna. –
- Aspettami. -

furono le ultime parole perché poi John sentiva diventare tutto impossibile da sopportare e decise di avviarsi all’aereo poco lontano dove due militari erano schierati da ambo le parti.
Con un ultimo sguardo ai suoi amici si avviò alla guerra.

Quando l’aereo prese quota nessun riuscì più ad aprir bocca, solo i singhiozzi sommessi delle donne.
Mycroft pose una mano sulla spalla del fratello,ma questo lo scrollò via malamente e a passo troppo svelto si avviò all’uscita così da riuscire a prendere un taxi in solitudine. Gli altri accettarono comprensivi, solo Harry ne rimase al quanto risentita, così, prese la macchina per raggiungerlo.
Quando Sherlock andò da lei per pregarla di presentarsi a una piccola riunione al 221B, le raccontò tutto ciò che si era persa della vita di John e le disse anche della finta morte; quel giorno Harry aveva fatto tardi perché si era fermata a cercare il cimitero e, una volta trovata la tomba fasulla, si era soffermata ad osservarla. Mentre guidava sapeva che non avrebbe trovato il detective tra le mura di casa ma in quel cimitero.
Arrivata si avvicinò con cautela affiancandolo, avrebbe voluto prenderlo a male parole come aveva già fatto una volta, invece prese a raccontare qualcosa che probabilmente Sherlock non sapeva.
- A diciassette, un giorno ho fatto accomodare i miei in soggiorno e con l’aiuto di John ho detto loro della mia omosessualità. Mia madre lo prese come un semplice dato di fatto, mentre mio padre non mi parlò per diverse settimane, ma John intercesse per me e pian piano tornammo alla normalità. Mio fratello aveva due anni in più di me e nello stesso anno, qualche giorno dopo che papà accettò il mio orientamento, John ci fece accomodare tutti e tre sul divano e iniziò a parlare in modo vago, ma poi di colpo sganciò la bomba e disse che voleva partire per fare il militare. Fu mia madre a non prenderla dal verso giusto, in fondo io le sarei stata affianco, mentre lui poteva non tornare. Provai a parlarle a farla ragionare ma non ne fui in grado, l’unica cosa che rincuorò la mamma fu che la leva da medico militare durava sei anni. Non ci abituammo mai alla sua assenza, quando un generale si presentò alla porta pensammo subito al peggio, invece lui era lì per avvisarci che John era tornato in patria con una ferita da arma da fuoco e una medaglia al valore. Non ci è mai fregato della ferita, ci bastava saperlo a casa, ma in fondo ce lo aveva promesso.- il moro l’aveva lasciata parlare, senza interromperla, guardando la lapide nera con le scritte oro con aria crucciata.
-Non sei d’aiuto Harry e Irene ti starà aspettando. -
- Volevi che ti raccontassi di almeno una volta in cui, durante la nostra infanzia, mi abbia promesso una cosa e poi l’abbia mantenuta? Irene aspetterà. -
- Non volevo proprio che parlassi, anzi che venissi qui. La gente crede di aiutare raccontando piccoli aneddoti, quando magari l’interlocutore vuole restare solo. – si voltò per guardarla in faccia e rimase colpito da quanto gli occhi di lei fossero simili a quelli del suo medico. Harry non ci pensò due volte e con la mano aperta schiaffeggiò Sherlock.
- John non è morto, John tornerà e di certo tu non vuoi stare solo: sei venuto in un cimitero per circondarti da gente che si porta una ferita che non è detto avrai anche tu, tu vuoi sapere cosa proveresti se non tornasse. John è caro a te quanto a me, siamo suoi famigliari e se sarà ci dovremmo sostenere a vicenda. Torna a casa. – Harry se ne andò,non aveva senso continuare, non l’avrebbe ascoltata, non quel giorno.

Una volta giunto in Baker Street Sherlock entrò in casa e vide uscire dalla porta interna la Sig. Hudson con gli occhi ancora gonfi di pianto, contro ogni aspettativa le diede un bacio sulla guancia e poi salì le scale.
L’appartamento non era vuoto, dalla cucina arrivava rumore di stoviglie e poco dopo uscì Molly con due tazze di tè.
- Non sono qui per tirarti su, ma soltanto a prendermi cura di te. Credo che questo faccia al caso nostro, ora mi offri di bere questo ottimo infuso preparato da me qui con te, in silenzio; poi me ne andrò. – disse allungando una tazza verso l’uomo che l’accettò e si mise a sedere sulla sua poltrona, mentre la ragazza si posizionava comodamente sul divano.
Il silenzio era assoluto tra le mura, le tazze arrossavano le mani dei due, mentre lentamente sorseggiavano il liquido ambrato. Una volta finito Molly si alzò ma Sherlock la prese per il polso.
- Non andartene, non ancora. – la implorò con gli occhi.
- E che ci sto a fare qui? – chiese mentre prendendo le tazze si dileguava in cucina, dal suo canto Sherlock si sdraiò sul divano a pancia in su.
Tornata in salotto la ragazza decise di sedersi a terra con la schiena appoggiata al mobile in corrispondenza della testa del moro.
- Potresti rimanere qua, almeno finchè non torna. – ad ogni parola si ripugnava, non aveva mai avuto così tanto bisogno di qualcuno, figuriamoci Molly.
- Anni fa avrei preso la palla al balzo, ma credo di essere abbastanza cresciuta e so, credimi, che non è la soluzione più adeguata. Anche perché dovresti vedere Greg anche fuori dal lavoro. – la ragazza riuscì a strappargli una lieve risata.
- Forse hai ragione, non ci tengo vederlo gironzolare per casa alle prime ore del giorno alla ricerca degli abiti della notte prima. – disse facendola arrossire.
Dissimulando il rossore sulle guance Molly si girò per riuscire a guardare il detective in faccia: era distrutto, si vedeva, ma c’era anche una luce di forza nei suoi occhi. Forse il sapere che poteva continuare a comunicare con John.
- Facciamo così: io rimango qui finchè non dormi e mi assicuro che sei tranquillo. Hai bisogno di riposo. Riprenderai la tua rutine appena te la senti, prendi del tempo per riordinare il tuo Mind Palace. – gli disse sorridendo ed accarezzandolo maternamente tra i ricci ebano.
- A presto, Molly. Quando esci, chiudi la porta. – si congedò da lei chiudendo gli occhi e cercando di dimenticare ogni cosa attorno, senza però riuscire a scacciare un brutto pensiero che gli diceva che quella era la fine …
 
 
… O forse no.
Quando aprì gli occhi il campanello suonava e oltre la porta si intravedeva l’ombra di un uomo.
era passato un anno da quando John era tornato in guerra e con cadenza settimanale Sherlock riceveva lettere dal suo medico che gli raccontavano delle giornate nel deserto immobile, piuttosto che le perlustrazioni col cuore in gola e finivano sempre con la rassicurazione sulla sua salute e le raccomandazioni per quella del detective.
Inoltre una volta al mese avevano la possibilità di chiamarsi, per pochi minuti che servivano loro a ricordare cosa li aspettasse e la promessa fattasi; infondo c’era un matrimonio da celebrare.
A metà anno le lettere si fecero più rade e Sherlock ne fu allarmato finchè, dopo settimane di silenzio, John gli scrisse dei problemi che avevano avuto al campo pregandolo di scusarlo e di non preoccuparsi.
Così erano passati 365 giorni con Sherlock e i suoi casi tutti sotto il 6, le lettere e le visite degli amici per assicurarsi che stesse bene.
Sherlock sentiva che l’ombra che attendeva che gli venisse aperto poteva significare o la fine definitiva, o un nuovo inizio.
così aprì con la stessa rapidità con cui si strappa un cerotto.  



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e con questo capitolo si conclude la storia, vi chiedo umilmente perdono per il ritardo clamoroso.
spero che vi convinca come finale (*a me particolarmente*).
Ringrazio : chi segue, chi recensisce,chi legge,chi l’ha messa tra i preferiti e i ricordati… ma soprattutto grazie a Xaxi che beta in modo rapido, conciso e chiaro. (*ti ringrazio infinitamente ed in bocca al lupo per gli esami!*)
Che la fortuna possa essere sempre in vostro favore (HG)
e... Don't Panic (HGG)
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